Studi del sesto convegno RBS: International Studies on Biblical & Semitic Rhetoric [1° ed.] 9789042939295, 9789042939301, 904293929X

Negli anni dispari, l'"Associazione internazionale per lo studio della Retorica Biblica e Semitica" organ

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Studi del sesto convegno RBS: International Studies on Biblical & Semitic Rhetoric
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Studi del sesto convegno RBS: International Studies on Biblical & Semitic Rhetoric [1° ed.]
 9789042939295, 9789042939301, 904293929X

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pontificia universitas gregoriana rhetorica biblica et semitica

Negli anni dispari, l’«Associazione internazionale per lo studio della Retorica Biblica e Semitica» organizza un convegno alla Pontificia Università Gregoriana (Roma). È l’occasione, per studiosi e ricercatori specialisti in questo campo specifico di studio, di esporre i risultati delle loro ricerche e confrontarli con gli altri. Partecipano anche gli studenti, in particolar modo i dottorandi, specialmente del Dipartimento di teologia biblica della Facoltà di teologia della nostra Università. La parte più ampia è consacrata alle analisi di testi, soprattutto della Bibbia — Antico e Nuovo Testamento —, ma anche di altri testi semitici, come il Corano, e più in generale di testi influenzati dalla letteratura biblica semitica, come la Regola di san Benedetto. Non mancano infine riflessioni metodologiche, per approfondire qualche aspetto della nostra metodologia esegetica. Every odd year the «International Society for the Study of Biblical and Semitic Rhetoric» organizes a conference at the Pontifical Gregorian University (Rome). It’s a great opportunity for scholars specialized in this specific field of exegesis to expound the results of their research and compare them with others. Also students participate, especially PhD students, in particular of the Department of biblical theology of our Faculty of theology. The largest part of the conference is devoted to analysis of texts, especially of the Bible — Old and New Testament —, but also of other Semitic texts such as the Koran, even other texts widely influenced by biblical texts, such as the Rule of St. Benedict. There are also methodological reflections, to deepen some aspect of our exegetical methodology.

Roland Meynet e Francesco Graziano sono professori di teologia biblica all’Università Gregoriana; e rispettivamente Segretario e Tesoriere della RBS. Roland Meynet and Francesco Graziano are professors of biblical theology at the Gregorian University and, respectively, Secretary and Treasurer of the RBS.

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Francesco Graziano – Roland Meynet, ed.  Studi del sesto convegno RBS

Studi del sesto convegno RBS — International Studies on Biblical & Semitic Rhetoric

Francesco Graziano – Roland Meynet, ed.

Studi del sesto convegno RBS

International Studies on Biblical & Semitic Rhetoric

PEETERS

08/02/2019 14:05

Studi del sesto convegno RBS

Francesco Graziano – Roland Meynet, ed.

Studi del sesto convegno RBS Rhetorica Biblica et Semitica XVIII

PEETERS leuven – paris – bristol, ct 2019

SOCIETÀ INTERNAZIONALE PER LO STUDIO DELLA RETORICA BIBLICA E SEMITICA

Esistono molte associazioni che hanno come oggetto lo studio della retorica. La più conosciuta è la «Società internazionale per la storia della retorica»; ma ce ne sono anche altre. La RBS è la sola: • che si dedica esclusivamente allo studio delle opere letterarie semitiche, essenzialmente la Bibbia, ma anche di altre, fra cui i testi musulmani; • che di conseguenza si preoccupa di elencare e descrivere le leggi specifiche di una retorica che ha presieduto alla elaborazione di testi, la cui importanza non è per nulla inferiore a quella del mondo greco e latino del quale la civiltà occidentale è l’erede. Né bisognerebbe dimenticare che questa stessa civiltà occidentale è anche erede della tradizione giudaico cristiana, che trova la sua origine nella Bibbia, cioè nel mondo semitico. Più in generale, i testi che noi studiamo sono i testi fondatori di tre grandi religioni: giudaismo, cristianesimo e islam. Un tale studio scientifico, condizione previa per una migliore conoscenza reciproca, non farebbe che concorrere a un ravvicinamento tra coloro che proclamano di appartenere a queste diverse tradizioni. La RBS promuove e sostiene la formazione, le ricerche e le pubblicazioni: • soprattutto nel campo biblico, tanto del Nuovo quanto dell’Antico Testamento; • ma anche nel campo degli altri testi semitici, specie dell’Islam; • e perfino in autori nutriti con i testi biblici, come s. Benedetto e Blaise Pascal. La RBS accoglie e raggruppa prima di tutto ricercatori e professori universitari che, nelle diverse università o istituti, lavorano nel campo della Retorica Biblica e Semitica; incoraggia in tutti i modi gli studenti, soprattutto dottorandi, nell’apprendimento delle tecniche di analisi a lei proprie. Essa è aperta anche a quanti si interessano alle sue ricerche e intendono sostenerle. Società internazional,e per lo studio della Retorica Biblica e Semitica Pontificia Università Gregoriana Piazza della Pilotta 4 — 00187 Roma (Italia) Per altre informazioni sulla RBS, vedi: www.retoricabiblicaesemitica.org. ISBN 978-90-429-3929-5 eISBN 978-90-429-3930-1 D/2019/0602/28 A catalogue record for this book is available from the Library of Congress. © 2019, Peeters, Bondgenotenlaan 153, B-3000 Leuven, Belgium No part of this book may be reproduced in any form or by any electronic or mechanical means, including information storage or retrieval devices or systems, without prior written permission from the publisher, except the quotation of brief passages for review purposes.

Rhetorica Biblica et Semitica Molti pensano che la retorica classica, ereditata dai Greci attraverso i Romani, sia universale. Essa sembra infatti normare la cultura moderna, che l’Occidente ha diffuso su tutto il Pianeta. Ma è giunto ormai il tempo di abbandonare un tale etnocentrismo: la retorica classica non è unica al mondo. La Bibbia ebraica, i cui testi sono scritti soprattutto in ebraico ma anche in aramaico, segue una retorica ben diversa della retorica greco-latina. Bisogna dunque riconoscere che esiste un’altra retorica, la «retorica ebraica». Quanto agli altri testi biblici, dell’Antico e del Nuovo Testamento, che sono stati tradotti o composti direttamente in greco, essi obbediscono in gran parte alle stesse leggi. Si può dunque parlare non solo di retorica ebraica ma, più largamente, di «retorica biblica». Queste stesse leggi sono state inoltre riconosciute operanti nei testi accadici, ugaritici e altri, precedenti o coevi alla Bibbia ebraica, poi nei testi arabi della Tradizione musulmana e del Corano, successivi alla letteratura biblica. Occorre dunque ammettere che questa retorica non è solo biblica; e si dirà che tutti quei testi, che appartengono, a diverso titolo, alla stessa area culturale, dipendono della stessa retorica, che verrà chiamata «retorica semitica». Contrariamente all’impressione che il lettore occidentale inevitabilmente prova, i testi della tradizione semitica sono composti e ben composti, a condizione ovviamente di essere analizzati in funzione della retorica alla quale appartengono. Si sa che la forma del testo, la sua disposizione, è la porta principale che apre l’accesso al senso. Non che la composizione fornisca, direttamente e automaticamente, il significato. Quando tuttavia l’analisi formale permette di operare una divisione ragionata del testo, di definire in modo più oggettivo il suo contesto, di mettere in evidenza l’organizzazione dell’opera ai diversi livelli della sua architettura, allora si trovano riunite le condizioni che permettono d’intraprendere, su basi meno soggettive e frammentarie, il lavoro dell’interpretazione.

Presentazione L’Associazione internazionale per lo studio della Retorica Biblica e Semitica ha svolto il suo sesto convegno internazionale dal 27 al 29 settembre 2018, nella sede della Pontificia Università Gregoriana, presso la cui Facoltà di Teologia è ormai integrata. Come per ognuno dei nostri convegni, la partecipazione internazionale dei contributori ha potuto vantare anche per questo anno differenti provenienze, con articoli che coprono ben quattro aree linguistiche: oltre all’italiano, il francese, l’inglese e lo spagnolo. La rosa dei contributori conta, per questo volume, quattro professori di Università esterne alla Gregoriana, tra cui l’Università di Varsavia in Polonia, la Catholic University of Portugal di Lisbona, la Seoul National University in Corea del Sud, e l’Università degli Studi di Roma Tre. Apre il volume un articolo che celebra il ricordo e indica il lavoro esegetico di P. Jacek Oniszczuk S.I., a un anno dalla sua scomparsa. Ci è parso doveroso, oltre a essere spinti dal legame affettivo e umano, ricordare adeguatamente P. Jacek, membro fondatore e Tesoriere della RBS e così presentare il suo operato nello studio della letteratura giovannea. L’articolo è mirabilmente sviluppato da Carlos Alberto Santos García, dottorato di P. Oniszczuk presso il Dipartimento di Teologia Biblica della Gregoriana. Le prime due parti del volume non potevano che riguardare lo studio dei due corpi della Scrittura. Per l’Antico Testamento, un articolo riguarda la Torah, l’altro il Libro di Giobbe. Marek Baraniak esercita una critica riflessiva a proposito del Parallelismo di Giano in Gen 2,1; a partire da questa, egli sviluppa piuttosto la soluzione di una lettura complementare per i due racconti di creazione in Genesi, avvalorata dagli strumenti offerti proprio dalla retorica biblica e semitica. Per il Libro di Giobbe, Luísa Maria Almendra completa il suo articolo precedente, pubblicato negli Atti del Quinto Convegno, analizzando l’intervento di Dio in Gb 40,25–41,26. Per il Nuovo Testamento i primi quattro articoli riguardano i Vangeli (Matteo e Giovanni). Francesco Graziano presenta la prima parte di uno studio retorico della sequenza riconosciuta in Mt 15,1–16,12; Roberto di Paolo procede nell’analisi dei capitoli che riguardano il ministero di Gesù a Gerusalemme, con uno studio retorico biblico di Mt 21,1-27. Per il Quarto Vangelo, Carlos Alberto Santos García propone un articolo sulla Cristologia e sulla Soteriologia che scaturisce dalla composizione di Gv 3,1-36, mentre Timothy Chikweto si sofferma sulla composizione e sul messaggio di Gv 4,5-18, riconosciuta come una delle sottosequenze del celebre capitolo giovanneo.

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Studi del sesto convegno RBS

Altri tre articoli completano la seconda parte: Ciro Quispe — nel frattempo nominato vescovo di Juli, sul Lago Titicaca in Perù — entra nel campo dell’epistolario paolino, sviluppando l’analisi retorica di 1Ts 2,17–3,13; Javier Lopéz si sofferma sull’analisi della sottosequenza di apertura del Libro dell’Apocalisse (Ap 1,1-8); conclude la seconda parte uno studio contestuale di Heon Kim (il riferimento è in questo caso alle peripezie dell’Odissea omerica), sull’interpretazione metaforica del viaggio di Paolo verso Roma narrato in At 27,1–28,15. La terza parte è dedicata allo studio di testi che rientrano nell’area culturale semitica o che hanno potuto risentire dell’influenza letteraria biblica. Esordisce Gérard Joyau con lo studio dell’intero capitolo 4 della Regola di San Benedetto. Nicolas Leroux presenta i risultati dell’applicazione della retorica semitica e lo studio del parallelismus membrorum nelle iscrizioni del Tempio di Horus presso Edfu, in Egitto: si tratta di iscrizioni contenenti le raccomandazioni alla classe sacerdotale che ivi svolgeva il proprio servizio cultuale. Chiude ancora questa parte l’articolo di Giuliano Lancioni e Raoul Villano: uno studio sulle forme di binarietà (o coppie coraniche) e sull’auto-similarità quali criteri di lettura e di organizzazione del Corano. L’ultima parte contiene due articoli di indole prettamente metodologica. Michel Cuypers si inoltra nello studio serrato dei principali indizi di composizione del Corano, caratteristici di tutti i suoi livelli di strutturazione letteraria. Infine, Roland Meynet racconta la scoperta e analizza le caratteristiche di una nuova figura di composizione, attestata con molti esempi tratti dall’uno e dall’altro Testamento: si tratta della composizione «a due fuochi» o «centri», all’interno della quale due unità letterarie articolano, come due centri compositivi, le altre unità che esse stesse rilegano.

Sigle e abbreviazioni ABD AJEC AnBib ANET BDAG

BDB BeO BETL BEvTh Bib BibInterp BibOr BibZeit BiTod BJ BJRL Blass-Debrunner

BR cap. CBQ CEI cf. CNT(N) CSB d.C. eb. ed. Égl Théol EKK EncBib EstB ET EvCul GLAT

The Anchor Bible Dictionary Ancient Judaism & Early Christianity Analecta Biblica Ancien Near Eastern Texts Relating to the Old Testament ARNDT, W.F. – GINGRICH, F.W. – DANKER, F.W., A Greek-English Lexicon of the New Testament and Other Early Christian Literature, Chicago – London, 1975, 20003. BROWN, F. – DRIVER, S.R. – BRIGGS C.A., A Hebrew and English Lexicon of the Old Testament, Peabody (MA) 1979. Bibbia e Oriente Bibliotheca Ephemeridum Theologicarum Lovaniensum Beiträge zur evangelischen Theologie Biblica Biblical Interpretation Series Biblica et Orientalia Biblische Zeitschrift. Neue Folge The Bible Today Bible de Jérusalem, Biblia de Jerusalén Bulletin of John Rylands Library BLASS, F. – DEBRUNNER, A., Grammatik des neutestamentlichen Griechisch, Göttingen 197614; trad. italiana, Grammatica del greco del Nuovo Testamento, Introduzione allo studio della Bibbia. Supplementi 2, Brescia 19972 Biblical Research capitolo The Catholic Biblical Quarterly Conferenza Episcopale Italiana confronta Commentaire du Nouveau Testament. Neuchâtel Collana Studi biblici dopo Cristo ebraico edidit/ediderunt Église et Théologie Evangelisch-Katholischer Kommentar zum Neuen Testament Enciclopedia della Bibbia Estudios Bíblicos The Expository Times Evangelio y Cultura BORBONE, P.G. – al., ed., Grande Lessico dell’Antico Testamento, I-X, Brescia 1988-2010; orig. tedesco: BOTTERWEK, G.J. – RINGGREN, H. – FABRY, H.-J., ed., Theologisches Wörterbuch zum Alten Testament, I-X, Stuttgart 1970-2000.

10 GLNT

Gr. gr. HOL

ICC ISHR JBL JLT JPS JPSTC JSNT JSNTS JSOT JSOT.S LXX NCBC NICOT NIGTC NovTSup NRTh NT NT nt. NTS orig. OT p. RB RB RBSem RE ReBib ReBibSem RHPhR RhSem rif. RivBib s. SBL SBL SBLMS sec.

Studi del sesto convegno RBS MONTAGNINI, F. – SCARPAT, G., ed., Grande Lessico del Nuovo Testamento, I-XVI, Brescia 1965-1992; orig. tedesco: KITTEL, G. – FRIEDRICH, G., ed., Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, I-X, Stuttgart 1933-1979. Gregorianum Greco HOLLADAY, W.L., A Concise Hebrew and Aramaic Lexicon of the Old Testament, Based upon the Lexical Work of L. Koehler & W. Baumgartner, Leiden 1971. The International Critical Commentary on the Holy Scriptures of the Old and New Testament International Studies in the History of Rhetoric Journal of Biblical Literature Journal of Literature and Theology Jewish Publishing Society Jewish Publishing Society Torah Commentary Journal for the Study of the New Testament Journal for the Study of the New Testament. Supplement Series Journal for the Study of the Old Testament Journal for the Study of the Old Testament. Supplement Versione greca della Bibbia, detta dei «Settanta» New Century Bible Commentary The New International Commentary on the Old Testament The New International Greek Testament Commentary Supplements to Novum Testamentum Nouvelle revue théologique Novum Testamentum Nuovo Testamento; New Testament nota New Testament Studies originale Old Testament pagina/pagine Revue biblique Règle de Saint Benoît Rhetorica Biblica et Semitica Review and Expositor Retorica Biblica Retorica Biblica e Semitica Revue d’histoire et de philosophie religieuse Rhétorique Sémitique riferimento (a) Rivista Biblica versetti seguenti Society of Biblical Literature Studies in Biblical Literature Society of Biblical Literature. Monograph Series Secolo

Sigle e abbreviazioni SémiotBib SNTU Sp.Bi StRBS SubBib TG.T TM tr. TynB v. VD VJTR VT WBC WUNT ZNW

Sémiotique et Bible Studien zum Neuen Testament und seiner Umwelt Spiritualità biblica Studia Rhetorica Biblica et Semitica Subsidia Biblica Tesi Gregoriana. Serie Teologia testo massoretico Translator Tyndale Bulletin versetto/versetti Verbum Domini Vidyajyoti Journal of Theological Reflection Vetus Testamentum World Biblical Commentary Wissentschlaftliche Untersuchungen zum Neuen Testament Zeitschrift für die neutestamentliche Wissenschaft

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Carlos A. SANTOS GARCÍA

El amor que nos hizo hijos, el amor que nos hace hermanos Itinerario exegético del P. Jacek Oniszczuk SJ en los escritos joánicos

1. INTRODUCCIÓN Y PLANTEAMIENTO Se me ha pedido presentar brevemente, y obviamente de manera necesariamente global, el itinerario exegético del p. Jacek Oniszczuk a través de los escritos joánicos, de la mano de la Retórica Bíblica y Semítica. Véase que dicho itinerario tiene esta doble acotación, un campo específico de la literatura bíblica, y un método analítico concreto como lo es la Retórica Bíblica Semítica. Por esto quisiera utilizar uno de los principios de este mismo Análisis como punto de partida de mi presentación del itinerario exegético del p. Jacek en dos de sus obras. Afirma el p. Meynet en varios de sus libros y publicaciones: «los únicos límites evidentes de un texto, son su inicio y su final; a partir de ahí, inicia el trabajo de la delimitación…». Una vida, como todo texto, tiene su inicio y su final, y es la existencia de estos «límites naturales» — tanto en la vida como en el texto — lo que permite el análisis del interior; es decir, de todo aquello que se encuentra entre estos dos puntos. Y particularmente del camino que lleva a la conclusión de un relato, como lo es el EvJn, y toda vida humana. Me propongo ahora comentar el itinerario el p. Jacek a partir de los extremos de su labor exegética. Primero, desde de su obra seminal: La prima lettera di Giovanni. La giustizia dei figli; ésta, su tesis doctoral, marca el inicio formal de su itinerario en los estudios joánicos. Este comentario no lo haré directamente, o aisladamente (tomando una obra específica como algo separado de toda su investigación bíblica), sino un poco a la manera de proceder de la Retórica Bíblica. Me explico. En el otro extremo del itinerario del p. Jacek se encuentra su obra póstuma sobre Jn 11–12: «Se il chicco di grano caduto in terra non muore…», estos textos son los «términos extremos» de su trabajo dentro de la Retórica Bíblica, y siguiendo las reglas hermenéuticas cabe preguntarse: ¿existe alguna semejanza, existe alguna diferencia entre su obra inicial y la póstuma?, ¿puede percibirse algún «hilo conductor» (il filo rosso)? Alguien se preguntará por qué presentar las cosas de esta manera, si acaso es una simple ocurrencia personal. No es así, pues además que metodológicamente

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Carlos A. SANTOS GARCÍA

es coherente analizar la primera obra de un autor, con alguna más tardía, pienso que existe una justificación en las líneas de conclusión que el p. Jacek dejó en su obra póstuma; dichas líneas — con las cuáles él planeaba redactar la conclusión del libro sobre Jn 11–12 — presentan una admirable coherencia, dentro de las evidentes diferencias1, con los resultados y conclusiones de su obra seminal once años antes (La giustizia dei figli), se diría en retórica bíblica que los contenidos fundamentales de ambas obras funcionan como términos extremos de su itinerario. Y que estos extremos nos revelan algo del «corazón» (centro) de sus conclusiones dentro de la obra joánica. Cabe precisar que esta admirable coherencia no es creación del p. Jacek, sino que es una coherencia teológica y literaria que recorre los escritos joánicos, y que ha sido su trabajo exegético con las herramientas de la retórica bíblica el que ha permitido ponerla en evidencia. Se verá que no es solo cuestión de un mensaje o contenido común, sino también de un diseño literario. ¿A qué me refiero con la «admirable coherencia»? Esto lo veremos a partir de las líneas conclusivas que trazó para su ultima obra.

2. LAS LÍNEAS CONCLUSIVAS DE SU ÚLTIMA OBRA (JN 11–12) Al llegar al final del libro sobre Jn 11–12 el p. Jacek dejó esbozado como deseaba redactar la conclusión; el p. Meynet, al final del libro, nos reporta la siguiente transcripción: Menzionare: Percorso fatto; Ipotesi della sezione centrale; Importanza e senso globale; molti temi fondamentali e sorprendenti: Dio crea – dona la vita (Prologo); Dio ricrea – ridona la vita fisica (Lazzaro, storia dell’uomo); Dio salva – dona la vita eterna; Dio dona la vita e salva, ma come? dando la propria vita per l’uomo.

Después de las cuestiones de rigor que deben aparecer al final de toda obra — como presentar el recorrido, hacer una valoración de la hipótesis inicial o brindar una noción del sentido global del objeto de estudio — el p. Jacek presenta una serie de postulados que son para él las líneas conclusivas fundamentales del

1 Puede pensarse concretamente en que ambos libros del p. Jacek se dedican a partes diversas del corpus iohanneum: la gran carta y el evangelio, que sin duda pertenecen a horizontes distintos dentro de la misma tradición joánica, y que a pesar las notables coincidencias de vocabulario (vgr. «amor», «verdad», «luz», etc.); permanecen algunas ausencias notables, como alguna referencia explícita al mundo hebreo y la tradición veterotestamentaria. Aunque hay en esto una sola excepción que el p. Jacek subrayó convenientemente, y es la mención de Caín (cf. 1Jn 3,12).

Itinerario exegético del P. Jacek Oniszczuk SJ

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mensaje de Jn 11–122; entre éstas, quiero concentrarme en la última, la que presenta la paradoja de una vida que se obtiene a través del «don de otra vida». El análisis retórico realizado por el p. Jacek nos muestra que justo al centro de la sección formada por los cc. 11–12 se encuentra la profecía de Caifás con la sorprendente mención de los «hijos de Dios» (tekna theou; cf. 1,12-13: expresión de notable importancia en los escritos joánicos). La reunión de los «hijos de Dios dispersos», complementa de manera totalmente coherente un evangelio cuyo prólogo anunciaba la creación de una familia donde la filiación divina provendría de Dios mismo (cf. 1,12-13; 3,3.7). Queda así en evidencia que el corazón del Prólogo3 es también el corazón del evangelio. Señala el P. Jacek: «si el prólogo nos decía que el camino hacia la filiación estaba en la fe; ahora, el corazón del evangelio nos muestra que ésta consiste en acoger la entrega redentora del Hijo de Dios». Así, el centro del evangelio nos muestra que su Misterio Pascual es la fuente de esta vida filial (cf. 19,24-25; 20,17). Como el Buen Pastor, dispuesto a dar la vida por sus ovejas (cf. 10,11.15.17), Jesús ha llegado hasta el umbral de la tumba de su amigo amado para «llamarlo a salir» (cf. 11,43; 10,3). Este ministerio de vida es el que le obtiene una sentencia de muerte, que manifiesta que su Encarnación ha sido hasta a dar la vida completamente4. En el «amigo Lázaro» se refleja que el amor — como don libre y generoso de sí mismo — es el verdadero camino hacia la «vida». Por esto la muerte se constituye en camino de «glorificación (cf. 11,4), y no de humillación; esto es ya es un reflejo de lo que será el levantamiento de Cristo como acontecimiento fecundo, lo cual se expresa de manera más clara y explícita en la segunda secuencia (12,1-50) de la sección central (11,1-12,50), mediante una pequeña parábola5. Esta lógica es lo que la pequeña parábola del grano de trigo complementa y completa a la perfección en la segunda secuencia (12,1-50), pues ahora Jesús se refiere directamente a su propia muerte fecunda; de la que todo discípulo está llamado a participar (cf. 12,26). Así lo intuyó Tomás en la primera secuencia, cuando Jesús tomó la decisión de ir a «despertar al amigo», diciendo: «vayamos también nosotros a morir con él...» (cf. 11,16). Pues estar con Jesús no significa una simple «compañía», estar con él, en el mundo, implica un «estar como el estuvo, vivir como el vivió» (cf. 1Jn 2,6)6; es decir, asumir la existencia personal 2

Estos postulados se presentan en cuatro frases que tienen a Dios como sujeto («Dio crea… Dio ricrea… Dio salva… Dio dona la vita»). 3 Cf. R. MEYNET, «Analyse rhétorique du Prologue de Jean», RB 96 (1989), 481-510. Véase una versión actualizada en: StRBS 31 (31.05.2010). 4 Jn 11–12 son en modo diverso y profundo una buena ejemplificación de la plenitud de la Encarnación. Cf. J. ONISZCZUK, «Se il chicco di grano caduto in terra non muore…» (Gv 11–12), RBSem 15, Leuven 2018, 216. 5 Podría objetarse que el acontecimiento de la resurrección de un muerto es ya un signo evidente de fecundidad; sin embargo, todavía no queda clara la lógica de la muerte que lleva a la fecundidad, pues la sentencia del Sanedrín es todavía algo que no sucede (cf. 11,47-51). 6 En este punto puede verse una complementariedad perfecta entre el mensaje del EvJn y la 1Jn, que el p. Jacek ha señalado convenientemente: «la justicia de Dios, manifestada en su Hijo, es la

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Carlos A. SANTOS GARCÍA

en la disposición de dar la vida, entregándose a sí mismo. Este es el auténtico camino para ser fecundos, la raíz de la fecundidad cristiana consiste en asumir esta lógica. Al centro de esta sección (cf. 11,47-57) se encuentra una unidad notable por su contenido y brevedad, y que aparentemente no entra en la lógica de las secuencias (11,1-46; 12,1-50) que la rodean. De hecho en ella Jesús no tiene un protagonismo directo (sólo es aludido), no aparece ninguna palabra o intervención suya en alguna situación o evento. Es más, parece hasta presentarse de una manera un tanto «pasiva». Lo cual veremos que no es así de ninguna manera. No obstante lo anterior, lo que sucede en la escena central tiene que ver directamente con Jesús: se trata de la decisión de los Sumos Sacerdotes y del Sanedrín acerca de su destino final. Allí adquiere un papel fundamental el Sumo Sacerdote Caifás, que como señala el p. Jacek, de manera aguda y profunda: representa la lógica opuesta a Jesús, pues mientras Jesús arriesga la propia vida para salvar, el Sumo Sacerdote Caifás prefiere «salvar haciendo morir a una víctima inocente»; el primero tiene «poder sobre su vida», al grado de tener la voluntad y la libertad para darla; el segundo tiene un «poder sobre la muerte», al grado de no tener ningún escrúpulo en sacrificar a un miembro de su pueblo; el primero es un auténtico pastor, el otro es un tirano. L’ironia giovannea giunge al suo apice nel fatto che il consiglio di far morire il donatore della vita venga dal sommo sacerdote, dalla più alta autorità religiosa d’Israele. A prima vista la ragione di Caifa può sembrare valida, perché egli pretende salvare il suo popolo, proteggere il Luogo sacro, difendere la fede. Ma in fondo il sommo sacerdote teme di perdere il proprio potere, teme di essere deposto dai Romani. La sua logica è davvero machiavellica, perché per risparmiare il suo popolo vuole sacrificare uno dei suoi membri. È la logica tipica non di pastori ma di tiranni, che facendo finta di prendersi cura delle masse, non esitano ad uccidere individui, mentre in realtà non seguono altro che il proprio interesse particolare. Nella Bibbia il vero pastore non è quello che toglie la vita a una delle sue pecore per salvare le altre, ma quello che, quando è necessario, dà la propria vita per salvare qualsiasi pecora, che gli è stata affidata7.

Con lo anterior puede observarse que el centro de esta sección — ¡y de todo el EvJn! — está ocupado por una oposición, que como bien dice la línea conclusiva aludida por el p. Jacek, tiene que ver con la paradoja de una vida que brotasurge de la muerte8, de un Dios que ha querido salvarnos a través del don radical de su propio hijo. Que el centro del EvJn lo ocupe esta Verdad — junto a la mención de los «hijos de Dios» — y que ella se presente en Forma de Oposijusticia que los hijos están llamados a vivir; la justicia de los hijos de Dios consiste en amar como él amó, vivir como él vivió…» cf. J. ONISZCZUK, La prima lettera di Giovanni. La giustizia dei figli, ReBib 11, Bologna 2008, 264-268. 7 Cf. J. ONISZCZUK, Se il chicco di grano caduto (cf. nt. 4), 106. 8 El P. Jacek lo presenta como la paradoja del «odio» que produce el «signo de amor» que lleva al hombre a la redención. Cf. J. ONISZCZUK, Se il chicco di grano caduto (cf. nt. 4), 209.

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ción, es algo que puede atestiguarse también en la Primera Carta de Juan, y que el p. Jacek hizo ver claramente en su tesis doctoral.

3. EL CENTRO DE LA GRAN CARTA (1JN 3,2-24) El camino que llevó al p. Jacek al corazón de la 1Jn tuvo dos ejes fundamentales, que entre ellos están íntimamente entrelazados: el vocabulario familiarafectivo y el uso del vocativo en relación con estos términos 9. Así, no solamente expresiones como «hijitos-hijos», «amados» y «hermanos», sino el matiz de afecto y admiración implícito en el vocativo, mostraban la sólida coherencia estructural de la carta. Sin embargo, la verdadera clave del «corazón de la carta» se incorporó — además de los mencionados signos de composición — por medio de una constatación inesperada: la presencia de una alusión clara y explícita al AT, algo común para el cuarto evangelio, pero que sorprende en el discurso de la primera carta10. Junto a la constancia y coherencia de los otros signos de composición, la irrupción de «Caín» en el desarrollo de la carta reviste una singular importancia composicional, que influye además en el valor global del escrito11. Al centro de la Primera Carta el p. Jacek nos hace notar que el vocabulario usual («hijos, «hermanos», «amor», «odio», «vida», «muerte», etc.) sufre una variación significativa con la aparición del vocativo «¡Hermanos!» (3,13), único en toda la carta, y la mención explícita de «Caín» (3,12). Este «aparente cambio» en el estilo compositivo del autor corresponde con el interés de señalar lo que para él es la denuncia, y a la vez, la exhortación fundamental de su escrito: el amor entre los hermanos, siendo éste el signo irrefutable de la presencia del amor de Dios entre ellos (cf. 1Jn 3,17). Esta es la «justicia de los hijos de Dios» de la que habla el p. Jacek, pues Dios es el Padre que engendra hijos, que son entre ellos hermanos […] los destinatarios de la carta no son una «masa» de seres extraños o aislados entre sí, sino una comunidad de personas, que tienen el mismo origen y están de modo natural ligados por vínculos de amor y de confianza recíproca […] practicar la justicia es comportarse como hijos y como hermanos […] este comportamiento no puede ser otro que la fe y 12 el amor, que son los vínculos naturales de toda comunidad familiar .

9 Véase una síntesis de él mismo en: J. ONISZCZUK, «Funzione dei vocativi nella Prima Lettera di Giovanni e altri due libri», StRBS 27 (19.10.2007) 1-16. 10 Al grado que — en radical diferencia con el EvJn — el autor de 1Jn parece no interesarse en lo absoluto por el AT. Cf. J. ONISZCZUK, «Caino come tipo antitetico di Cristo nella Prima Lettera di Giovanni», Gr. 95 (2014) 453. 11 Nótese que algo semejante sucedía con Jn 11,47-57 en relación a la totalidad del evangelio, especialmente si se coloca en relación con el Prólogo (cf. 1,12-13). 12 J. ONISZCZUK, La Prima Lettera di Giovanni (cf. nt. 6), 267.

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Carlos A. SANTOS GARCÍA

Es a contrastar y soportar esta verdad que sirve la alusión al homicidio de Caín (cf. Gn 4,1-8) que intencionalmente es puesto en oposición con Cristo — el uso del pronombre griego ekeinos sirve para marcar esta oposición (cf. 1Jn 3,16) — que al contrario ha dado su vida por nosotros. Así, la composición sirve para captar el sentido y mensaje del texto, que quiere subrayar cómo todo comportamiento de amor solícito por el prójimo nos une y configura con Cristo; en cambio, toda indiferencia nos identifica con Caín, que quitó la vida a su hermano. Es vida y muerte lo que está en juego dentro de la comunidad joánica, vida y muerte que se manifiestan en obras concretas de amor al prójimo. Al centro de 1Jn se encuentran dos personas que manifiestan dos lógicas en oposición; y que pretenden enseñar cual es el único camino posible para la fraternidad: el de Cristo. Senza il figlio di Dio non è possibile «essere giusto», né come figlio, né come fratello13.

Un último aspecto a considerar es como el tema de la «muerte» vincula a Cristo y a Caín — ambos están relacionados con una muerte — pero de muy diferente manera14. En el segundo la muerte es la de su propio hermano, es la negación total de la vida y la existencia del «otro»; en cambio, en Jesús la muerte es «la propia» (!), manifestación máxima de la afirmación del valor del «otro», del valor prójimo, en cuanto hijo de Dios, en cuanto hermano, y al mismo tiempo, la proclamación de que solamente el amor hace posible el vivir 15. Y esto es precisamente lo que el Hijo de Dios ha hecho con nosotros: reconociéndonos como hijos, se ha comportado como hermano; comportándose como un verdadero hermano — a diferencia de Caín — es que nos ha hecho hijos.

4. SÍNTESIS CONCLUSIVA: EL AMOR QUE NOS HIZO HIJOS, EL AMOR QUE NOS HACE HERMANOS

Una de las tantas cosas que puedo dar testimonio del p. Jacek Oniszczuk es que le complacía sobremanera la sencillez, el orden y la coherencia, y que una manifestación gráfica de esto era su gusto por los diagramas y los cuadros sinópticos. Esto lo pude atestiguar y vivir en carne propia durante todo el camino de la tesis doctoral. Además, muchas veces un simple cuadro — una ilustración 13

J. ONISZCZUK, La Prima Lettera di Giovanni (cf. nt. 6), 268. Esto mismo podrá decirse de Jesús y de Caifás en Jn 11,47-57. 15 Esta es la lógica del «grano de trigo» que el p. Jacek describe bellamente: «la vita non è stata data all’essere umano per viverla da solo (Gn 2,18), ma per viverla in relazione con l’altro, specialmente con l’Altro, anzi per viverla in relazione di amore… Perciò un cieco attaccamento alla proprio vita («amare la propria vita»), paradossalmente non la «conserva», ma la soffoca, perché blocca la sua potenzialità vitale; proprio come nel caso di un seme che non vuole morire per dare frutto. Così, il detto esprime il senso profondo di ogni vita, inclusa quella di Gesù». J. ONISZCZUK, «Se il chicco di grano caduto» (cf. nt. 4), 148. 14

Itinerario exegético del P. Jacek Oniszczuk SJ

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gráfica — puede ahorrarnos un discurso prolongado. Por esto quiero sintetizar esta presentación con un cuadro que se explica por sí solo, y al que añadiré un breve comentario. Al inicio de esta ponencia propuse dos preguntas: a partir de los términos extremos de la obra del p. Jacek, ¿se observaba alguna «semejanza-diferencia»?; ¿existe algún filo rosso en sus estudios de los escritos joánicos, de la mano de la retórica bíblica? Jn 11,47-51 Caifás que un hombre muera para salvar al pueblo-nación Jesús va a la región de Efraín con sus discípulos, de ahí volverá a dar la vida

1Jn 3,11-17 Caín ha matado a su hermano Jesús ha dado la vida por nosotros

Lo que vemos en este pequeño cuadro sinóptico es el «corazón» de los dos grandes escritos de la tradición joánica. Lo que más sorprende, no es quizá su contenido — que corresponde a la consistencia de esta comunidad en el mensaje fundamental del «amor fraterno» — sino su forma compositiva. Pues resulta evidente que el centro de ambos escritos está dominado por un contraste, por «dos lógicas en oposición», la lógica de Caifás-Caín frente a la lógica de Jesucristo16. La primera es una lógica que «niega al hermano», que no le importa «disponer de su vida»; la segunda es una lógica que no retiene para sí mismo ni la propia existencia, mucho menos niega la vida-existencia de los demás. Es la lógica del Buen Pastor y del «grano de trigo» que están dispuestos a morir para dar fruto, para «dar vida». De este acontecimiento histórico es que ha nacido la comunidad joánica — de la oposición histórica entre la lógica de Caifás y la lógica de Cristo — el amor de Cristo es el que creó «comunidad» - el que reunió a los «hijos de Dios» dispersos (11,52) — por eso este mismo amor es el único que puede garantizar la supervivencia de la comunidad. Porque el amor que nos hizo hijos, es el mismo amor que nos hace hermanos… ¿Cuál? Un amor, que como dice la línea conclusiva del p. Jacek, está dispuesto a dar vida con la propia vida, entregándose hasta la muerte; como Él lo hizo (cf. Jn 15,13).

16 Esto tampoco debería extrañar, ya que el estilo compositivo joánico es dado a esta lógica expositiva de contrastes: «día – noche», «luz – tinieblas», «vida – muerte»; que por lo demás es profundamente semítica. Lo cual sustenta el hecho de que la retórica bíblica semítica sea una herramienta muy conveniente para el estudio de los escritos joánicos.

PRIMA PARTE

Antico Testamento

Marek BARANIAK

Janus parallelism in Gen 2,1 First and second account of creation from the perspective of the Biblical and Semitic Rhetoric Analysis The literary phenomenon known as «Janus parallelism» (the term coined by Cyrus H. Gordon) is a situation in which a middle line of poetry contains a pun, usually a single word, with two different meanings: one meaning parallels what it precedes, the other — what it follows. The list of known Janus parallels in the Hebrew Bible continues to grow. Moreover, the device has also been discovered in Ugaritic, Akkadian, Arabic and Sumerian literature, which shows that it is in no way bound to a specific language family. This paper deals with the presence of Janus parallelism in Genesis 2,1, where the Hebrew word wyklw could mean «they were completed», referring to the First Creation Account in Gen 1, or «they were destroyed», preparing the context for the Second Creation Account in Gen 2. Already Cyrus H. Gordon pointed out that the two creations in Genesis were interlocked by this polysemous word form. The broad perspective of Biblical and Semitic Rhetoric Analysis can determine interdependent phenomena in these texts, which could help to explain their composition and interpretation. I. JANUS PARALLELISM VS THE BIBLICAL CORPUS 1. DEFINING POLYSEMY Polysemy was defined by Scott Noegel as the «capacity for a sign, word, phrase, or sentence to bear multiple meanings in a single context»1. Though polysemy has been known for more than two thousand years and it is used as an argument against the theory of words having been formed by the nature of objects, there are still some unclear points about this phenomenon2. Therefore, there are certain difficulties with defining polysemy in some languages, especially those of the ANE. It should be noted that terminography is closely connected with translation. Siergiej Grinev-Griniewicz3 has indicated that in the history of human evolution there is hidden fused polysemy in the semantic characteristics of the early 1 S.B. NOEGEL, «Polysemy», in G. KHAN – al., ed., Encyclopedia of Hebrew language and linguistics, III, Leiden – Boston 2013, 178-186. 2 H. JACKSON – E.Z AMVELA, Words, Meaning and Vocabulary: An introduction to modern English lexicology, London 2007, 69. 3 S. GRINEV-GRINIEWICZ, «Polysemy in language and thought», CROSSROADS. A Journal of English Studies 12 (2016) 19-30 [DOI 10.15290/cr.2016.12.1.02].

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Marek BARANIAK

word-stock. It is possible to find evidence of loose bunches of meanings in old languages, or even in old stages of modern languages. As a result of recent development of linguistics, the number of the known types of polysemy has grown and may be organised into the following classification, proposed by i.e. Grinev-Griniewicz: overt (explicit, open) and covert (implicit, hidden) polysemy. The first type may be further subdivided (on the basis of ways of formation) into metaphoric and metonymic subtypes, and also (on the basis of the character of development) into radial polysemy (when the primary meaning stands in the centre and the secondary meanings proceed out of it, like rays) and concatenation or chain polysemy (when secondary meanings of a word develop in succession, like in a chain). The same category comprises systematic (or regular) polysemy, in which the relation between the senses is predictable, as any word of a particular semantic class potentially has the same variety of meanings. In terminology we find polysemy with hyponymic relation between meanings of a term, that may be called hyponymic. Covert polysemy comprises interlingual (monosemic word having several meanings in a different language) and diachronic polysemy (almost every old word used to have several meanings). Griniewicz4 noticed that since people began forming ideas about the surrounding world and naming those ideas, «eliminating hidden polysemy of initial words has been the most effective means of gaining a better understanding of the world we live in, as well as ourselves». Eliminating such hidden diachronic polysemy contributes to improving human cognition and to the development of the human mind. 2. JANUS PARALLELISM In ancient Roman myths, Janus was a god of beginnings, endings, and transition. He was invoked on doors and gates, at the start of religious rites, the change of seasons and at the onset and conclusion of war. The doors of his temple were open in times of war, and closed to mark peace. He is usually depicted as having two faces, since he looks to the future and to the past. As a god of transitions, he had functions pertaining to birth, as well as to journeys and exchange. In the deeply investigated area of Semitic poetry, and especially parallelisms in the Hebrew Bible, it has only been in the last few decades that scholars began to uncover evidence of an intriguing form of polysemy called Janus parallelism, the term referring to the two-faced Roman god, Janus. The term was coined by Cyrus Gordon5 to describe a literary device that hinges on the multivalence of a

4

S. GRINEV-GRINIEWICZ, «Polysemy» (cf. nt. 3), 20. C. H. GORDON, «New Directions», Bulletin of the American Society of Papyrologists 15 (1978) 59. 5

Janus parallelism in Gen 2,1

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single lexeme. It was already noticed by David Yellin6, who described an interesting use of polysemy in Job 7,6-7 as early as 1933, but employed the expression «mšnh hhwrʼh» to label it. Janus Parallelism or polysemous parallelism (pivotal polysemy – Grossberg 1986)7 is a literary device in which a lexeme parallels in polysemous way both the preceding and following lines. The polysemy may occur either in: – distich (asymmetrical Janus Parallelism) – or tristich (symmetrical Janus Parallelism). Though the device is known primarily from the Hebrew Bible, it has been discovered in ancient literature as well8. The list of known Janus parallels in the Hebrew Bible continues to grow. Moreover, the device has also been discovered in Ugaritic, Akkadian, Arabic, and Sumerian literature, which demonstrates that it is in no way bound to a specific language family. 3. ASYMMETRIC JANUS PARALLELISM Already Gordon found a typical example of asymmetrical Janus Parallelism in the Book of Song of Songs 2,12: The blossoms appear in the land, the time of the zâmîr has arrived, and the song of the turtle-dove is heard in our land.

Gordon noted that zâmîr means either the «pruning season» or «music» and can thus relate appropriately to the preceding and following phrases, using both of its meanings. As Gordon commented: «The poet knew how to exploit the double meaning of zâmîr. Retrospectively, it parallels the first member of the tristich pertaining to the growth of the soil; proleptically, it parallels the final member pertaining to song»9. The targumic version reads it as follows: And Moses and Aaron, who are likened to palm branches, have appeared to perform miracles [sounds like «blossom»] in the land of Egypt. The time has arrived for THE SLAYING [qyṭwp «plucking off»] of the firstborn and for THE VOICE [ql] of the Holy Spirit of Redemption, of which I spoke to your father Abraham. You have already heard what I said to him: «I will judge the nation they will serve, and afterwards they will go out with many possessions». I wish to do now what I swore to him by My Word. 6

D. YELLIN, «Mšnh hhwrʼh btn``k», Tarbiz 5 (1933) 13. However, he was headed by Ibn Ezra. Later in Twrt hšyrh hsprdyt (Jerusalem 1972, 245-251) he described several examples of polysemous parallelism in medieval Jewish poetry. 7 D. GROSBERG, «Pivotal polysemy in Jeremiah XXV 10-11a», VT 36 (1986) 481-485. 8 S.M. PAUL, «Polysensuous Polyvalency in Poetic Parallelism», in M. FISHBANE – E. TOV – W.W. FIELDS, ed., ‘Sha’arei Talmon’: Studies in the Bible, Qumran, and the Ancient Near East Presented to Shemaryahu Talmon, Winona Lake 1992, 147-163; for a more complete catalogue and discussion of Janus Parallelism in biblical and Akkadian literature see Scott B. NOEGEL. Janus Parallelism in the Book of Job, Ph.D. Dissertation: Cornell University 1995. 9 C. H. GORDON, «New Directions» (cf. nt. 5), 59-60.

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The Targum to the Song of Songs tells the story of Israel, who in the past departed from God and was punished by various occurrences — including the loss of God's presence (Shekinah), oppression from enemies and exile — in order to renew their love for God and return to his land. Therefore, the current exile, which the targumist refers to, is bound not only to the sin of Israel, but also to the messianic hope of forthcoming salvation and return. Undoubtedly, the Targum to the Song of Songs is not a simple translation that slavishly follows the original text. Its elaborate hybrid structure (targum and midrash) aims to bear deeper and more relevant information to the author of the Targum. The Targum first offers the derivation of the problematic word zâmîr as «prune», and relates the «pruning» to the cutting of the Egyptians, so the phrase: «The time has arrived for THE SLAYING of the firstborn» recalls Ex 12,12 «I will go through the land of Egypt in that night, and I will smite all the firstborn»10. Then the Targum reveals the second meaning: «THE VOICE of the Holy Spirit of Redemption». Similarly, Pesiq. Rab Kah. 5.911 also plays on both senses of the word zâmîr: The time of zâmîr has come: the time has come for the foreskin to be cut: the time has come for the Egyptians to be cut down: the time has come for their idols to be cut out of the word… The time has come for singing the Songs of the song at the Red Sea… .

Since Gordon’s publication, other scholars have examined possible cases of Janus parallelism in other parts of the Hebrew Bible that had not previously been noted12. The most significant contribution in biblical studies appears to be that of Scott Noegel, starting from his Ph.D. dissertation, where he has uncovered several examples of the sophisticated use of Janus parallelism in the book of Job13. In addition, books dedicated to biblical poetry began to include Janus parallelism among the literary devices used by ancient Hebrew poets14. 10

Similarly Midrash Cant. R. 2,12.1: «The time of pruning has come for the foreskin to be cut; the time has come for the uncircumcision to be cut off; the time has come for the Egyptians to be pruned» (cf. Pesiq. R.15,11). 11 Pesiqta de-Rab Kahana is a collection of Aggadic midrasim which exists in two editions, those of Solomon Buber (1868) and Bernard Mandelbaum (1962). It was already quoted in the Aruk and by Rashi. 12 I.e. W. HERZBERG, Polysemy in the Hebrew Bible, New York University doctoral dissertation 1979, 63-65; G. A. RENDSBURG, «Janus Parallelism in Gen. 49:26», JBL 99 (1980) 291-293; E. ZURRO, «Disemia de brh y paralelismo bifronte en Job 9,25», Bib 62 (1981) 546-547; D.T. TSUMURA, «Janus Parallelism in Nah 1:8», JBL 102 (1983) 109-111; G. A. RENDSBURG, Linguistic Evidence for the Northern Origin of Selected Psalms, Atlanta 1990, 84 (on Ps 116,10); A.R. CERESKO, «Janus Parallelism in Amos's “Oracles Against the Nations” (Amos 1:3 - 2:16)», JBL 113 (1994) 485-490; A. HURVITZ. «Toward a Precise Definition of the Term 'ilman in Prov 8:30», in S. JAPHET, ed., Sarah Kamin Memorial Volume, Jerusalem 1994, 647-650 (in Hebrew); M.V. FOX, The Song of Songs and the Ancient Egyptian Love Sangs, Madison 1985, 113.160.164; 13 S.B. NOEGEL, Janus Parallelism in the Book of Job, JSOT.S 223, Sheffield 1996. 14 W.G.E. WATSON, Classical Hebrew Poetry: A Guide to its Techniques, Sheffield 1984, 159 (Watson also attempted to identify some examples of Janus parallelism in Ugaritic poetry); A. BERLIN, The Dynamics of Biblical Parallelism, Bloomington 1985, 2.

Janus parallelism in Gen 2,1

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II. GENESIS 2,1-3 1. BUILD-UP AND CLIMAX – A NEW INTERPRETATION OF GENESIS 2,1 An example of a provocative conclusion drawn from comparison of the Bible with Ugaritic literature is the article by C.H. Gordon, «Build up Climax in Repetitions with Variants»15. The author demonstrates the poetic principle of varying repetitions by means of some examples taken from Ugaritic and the Bible. It is a literary phenomenon involving a repetition with variants of an entire episode, with one theme arranged climactically. It need not always be the result of an editorial patchwork. As E.H. Roshwalb16 has noticed, its typical characteristics are: – The repeated events require two steps to reach the conclusion. The first step, build-up, fulfils only one part of the narrative’s expected goal, it anticipates the second step, which is decisive in leading to the narrative climax. – The presence of the adverb snyt, «a second time» or ‘wd, «again» in the second episode’s introductory statement implies that the previous parallel event had taken place, and demonstrates that the repeated events form a unit. – The characters in each repetition of the build-up and climax are identical both in character, as well as in number. The primary argument in Gordon’s article concerns the first two chapters of Genesis, which contain in popular view two different stories of Creation. In his view, the first story concluded with the destruction of the world, and only afterwards the second world was created. Gordon reached this conclusion by a new interpretation of Genesis 2,1 wayekullû haššāmayim, which is translated by him as «the skies were destroyed» in contrast to the universally accepted explanation: «Thus the heavens and the earth were finished». Gordon claims that the creator of the first world, which was finally destroyed, was the father (Elohim), whereas the second world was created by His son (YHWH–Elohim). This fantastic assumption, as was noticed by Ya’ir Hofmann17, is «faraway from sound philological reasoning»18.

15

C.H. GORDON, «Build up Climax in Repetitions with Variants» in Y. AVISHUR – J. BLAU, ed., Studies in the Bible and the Ancient Near East; Presented to Samuel E. Lowenstamm, II, Jerusalem 1978, 29-34. 16 E.H. ROSHWALB, «Build-Up and Climax in Jeremiah’s Visions and Laments» in M. LUBETSKI – C. GOTTLIEB – Sh. KELLER, ed., Boundaries of the Ancient Near Eastern World: A Tribute to Cyrus H. Gordon, JSOT.S 273, Sheffield 1998, 111, nt. 1; earlier cf. E.H. ROSHWALB, Build-Up and Climax in Ugaritic Literature with Biblical Parallels and its Bearing on Biblical Studies, PhD Dissertation, University of Michigan 1988. 17 Cf. Book Review: Y. HOFFMAN, «The S.E. Lowenstamm Jubilee Volum», Immanuel 10 (1980) 24. 18 As it has been demonstrated by the other articles in this volume (cf. nt. 15) dealing with the relationship of the Bible to ancient Near Eastern literatures; i.e. the articles by D. Marcus, «Ugaritic BN YDM: “Chest” or “Back”» , and J.C. de Moor, «The Art of Versification in Ugarit and Israel».

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2. ASYMMETRIC JANUS PARALLELISM IN GEN 2,1 According to Gordon19, one of the most important examples of asymmetric Janus parallelism in the Bible could pivot on the verb form wayekullû (Pual v. klh) in Gen 2,1. Retrospectively it means «they were completed», referring to the first account of Creation in Gen 1, which is the usual interpretation. Prospectively, however, it can only mean “they were destroyed”, pointing to the second account of Creation in Gen 2, according to which nothing was left of the first Creation, not even any vegetation or any man to till the soil (Gen 2,5). Accordingly, in Bereshit Rabba 2,1 Rabbi Efes of Antioch20 insists that the verb wyklw can only refer to total destruction. The methodological error on the part of the commentators could be the same here as in the case of Cant 2,12 with the word zâmîr. It is not a question of which meaning is intended in this passage, but of recognizing the presence of the intentional asymmetric Janus parallelism. Gordon has pointed out that the two Creation accounts in Genesis were intertwined by the ambiguous wayekullû: «they were completed» or «they were destroyed», whose polysemy can be translated into English more accurately as «they were finished». He has presented other aspects of the successive Creation accounts in Gen 1 and 2, based on the poetic principle of varying repetitions including the motif of build-up and climax21. He likened the initial phrase berē’šît bārā’ ’ĕlōhîm (construct + perfect) «in the beginning God created» in Gen 1,1 to the expression tᵉḥillat dibber yhwh «the beginning of the word of the LORD» in Hos 1,2, which refers to the first stage in a series of similar events. Just as the order to marry the first woman in Hos 1,2 anticipates the order to marry another in Hos 3,1, so the opening words of Gen 1 anticipate the second Creation in Gen 2. In this case, applying the principles of build-up and climax and asymmetric Janus parallelism to Gen 1–2 and to the verb form wayekullû in Gen 2,1 not only produces new interpretations of individual passages, but also affects major features of biblical exegesis. 3. REPETITION WITH VARIATION IN GEN 2,2-3 Scott Noegel and Gary A. Rendsburg described the use in poetry of the literary device of repetition with variation (or polyprosopon), which they saw as characteristic of Song of Songs22. Later, Rendsburg demonstrated that this C. H. GORDON, «Asymmetric Janus Parallelism», Eretz Israel 16 (1982) 80. Epes the Southerner, or Rabbi Epes, was a scholar of the 3rd century, secretary to the patriarch Juda (Gen. R. lxxv. 5), and one of the last Tannaim. 21 C.H. GORDON, «Build up Climax» (cf. nt. 5), 29-34. 22 S.B. NOEGEL – G.A. RENDSBURG, Solomon’s Vineyard: Literary and Linguistic Studies in the Song of Songs, Atlanta 2009, 107-127. See also M.V. FOX, The Song of Songs and the Ancient Egyptian Love Songs, Madison 1985, 209-215; the term «polyprosopon» was used already by E.W. BULLINGER, Figures of Speech Used in the Bible, London 1898, 898-899, though with a different sense, as the equivalent of antimetathesis or dialogue. 19 20

Janus parallelism in Gen 2,1

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device is not limited to this book alone, but appears throughout biblical literature in poetry and in prose as well — and not only in narratives23. They assume as an axiom that ancient Hebrew literature, like all ancient literature, was read aloud — in fact, performed. In such a setting, in which people listened to a text, the performance should be enriched through a variety of techniques, in order to keep the audience’s attention. One such device would be the variation of repeated lines, by which the author could engage the listener (through the catena of author ߡ text ߡ reader/performer ߡ listener) in a type of mental game. The composition would be much more attractive if, instead of hearing the same line repeated verbatim, the words were distinguished by variation, even if ever so slightly. Thus, according Rendsburg24, in Gen 2,2-3, the following variations may be noted. mela’ketô

Gen 2,2a

HIS WORK

Gen 2,2b Gen 2,3

mikkolfrom all mikkolfrom all

e

e

m la’k tô ’ HIS WORK

mela’ketô HIS WORK

’ăšer that ăšer that ’ăšer that

‘āśâ HE HAD MADE

‘āśâ HE HAD MADE

-bārā’ ’ĕlōhîm la‘ăśôt God created IN MAKING

These three phrases summarized God’s creative activity during the six days of Creation. In order not to repeat the same words in verse 2, the author introduces the word kol «all» in the latter part of the verse, and this simple adjustment only sets the stage for what follows in verse 3. After repetitions of the phrase mikkolmela’ketô ’ăšer «all his work that» found in both verses 2b and 3, the author then (1) changes the verb from ‘āśâ «he made» to bārā’ «he created»; (2) announces the explicit nominal subject ’ĕlōhîm «God»; and (3) trims the passage with the infinitive form la‘ăśôt «to make», thus constructing a peculiar syntagma. In his brief analysis of Gen 2,2-3, Gary A. Rendsburg seems to have overlooked the repetition of the verb forms klh «to finish», first appearing in Gen 2,1 (Pual wayekullû), and subsequently in Gen 2,2 (Piel wayekal ). The product of God‘s creative work is exchanged afterward with God as the subject. This fact indicates that verse 1 forms an integral unit with verses 2 and 3. 4. COMPOSITION OF GEN 2,1-3 The Seventh Day The seventh day is different from the previous six days of God’s creative work. It is the only day in which no new creative elements are mentioned — God only «ceased» wayyišbōt from His work. The Hebrew verb šbt means «to 23 G.A. RENDSBURG, «Variation in Biblical Hebrew Prose and Poetry», in M.L. GROSSMAN, ed., Built by Wisdom, Established by Understanding: Essays on Biblical and Near Eastern Literature in Honor of Adele Berlin, Bethesda 2013, 197-226. 24 G.A. RENDSBURG, «Variation in Biblical Hebrew» (cf. nt. 23), 205.

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cease» or «to be at a standstill» (intrans.), but the idea of weariness is not implied in it or in its noun form. From this Hebrew verb the word «Sabbath» šabbāt is derived, as the name of the day which was later given to Israel by God as the time of cessation from normal activities to worship Him25.  The account of the seventh day in Gen 2,1-3 stands apart from the standard structure of each of the previous six days of Creation story. The seventh day is the only day in Creation story that does not have the repeated formula: «And there was evening and there was morning, day…». It functions as an epilogue in which the terms: haššāmayim wehā’āreṣ «heavens and earth», ’ĕlōhîm «God», and bārā’ «create» reappear in the reverse order to that of Gen 1,1. So the account of the seventh day forms an inclusio around the description of Creation in the first chapter of Genesis26. This structural indication of completeness is reinforced by the repetition of the verb forms klh «finish», first with the product of God‘s creative work as its subject (2,1 Pual wayekullû), and immediately afterward with God as the subject and «his work» mela’ketô as the object (2,2 Piel wayekal). A close look at the passage shows that its syntactical and lexical aspects play an important role. 1,1

berē’šît bārā’ ’ĕlōhîm ’ēt haššāmayim we’ēt hā’āreṣ



2,1 2,2a 2,2b 2,3a 2,3b

wayekullû haššāmayim wehā’āreṣ wekol-ṣebā’ām wayekal ’ĕlōhîm bayyôm haššebî‘î mela’ketô ’ăšer ‘āśâ wayyišbōt bayyôm haššebî‘î mikkol-mela’ketô ’ăšer ‘āśâ wayebārek ’ĕlōhîm ’et-yôm haššebî‘î wayeqaddēš ’ōtô kî bô šābat mikkol-mela’ketô ’ăšer-bārā’ ’ĕlōhîm la‘ăśôt

1,1 In the beginning GOD CREATED the HEAVEN AND THE EARTH. … 2,1 Thus the HEAVENS AND THE EARTH were finished, and all the host of them. 2,2a And on THE SEVENTH DAY God finished his work which he had made; 2,2b and he ceased on THE SEVENTH DAY from all his work which he had made. 2,3a And God blessed THE SEVENTH DAY, and sanctified it: 2,3b because that in it he had rested from all his work which GOD CREATED in making.

Already Umberto Cassuto noted that verses: 2a, 2b, and 3a are combined by the repetition of yôm haššebî‘î «seventh day» and each verse consists of seven words27. Next, the threefold repetition of mela’ketô «his work» with variation mentioned earlier and the variation of the verb forms klh bind all the verses 1-3. So Gen 2,1-3 looks like a unified composition which does not contain any other

Cf. Ex 16,29; 20,10-11; Deut 5,15; Jer 17,21; Am 8,5. Cf. D.C. TIMMER, Creation, Tabernacle, and Sabbath. The Sabbath Frame of Exodus 31:1217; 35:1-3 in Exegetical and Theological Perspective. Göttingen 2009, 66-67. 27 U. CASSUTO, Commentary on Genesis, Part I: From Adam to Noah (I-IV), Jerusalem 1961, 61. 25 26

Janus parallelism in Gen 2,1

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traditions28. The use of the word mela’ketô emphasizes God’s complete cessation of his creative word and work. The expression ṭôb me’ōd «very good» of Gen 1,31 seems to anticipate this. Instead of creation, there is finishing, ceasing, blessing, and sanctifying. In this way, the emphasis on the seventh day expresses perfect completion of all creation. Indeed, the pattern of the words and clauses in the Hebrew text clearly underscores this emphasis. There are thirty-five (7x5) words in the Hebrew text of these verses (2,1-3), which is a multiple of seven29. The three middle clauses (Gen 2,2a; 2,2b; and 2,3a) in the Hebrew text have seven words each, as noted by Cassuto, and the number «seventh» is within each clause. Thus, in terms of its literal form, the seventh day is a celebration of completion — both form and content emphasize the distinctiveness of this particular day. While some aspects of the seventh day are shared across the ANE — especially the fullness associated with seven — the seventh day in Genesis’ first Creation account is distinct both for what comes before it (six differentiated days of creation) and for what is done on it (God ceases his work and blesses and sanctifies the seventh day). In sum, the seventh day presents the goal of the whole creative process, and by underlining God’s cessation of it shows finality of his creative work. The Literary Structure of Gen 2,1-3 As has been indicated above, Gen 2,1-3 forms a unit. Transition statements in Semitic literature usually express evaluation and completion, so the all-inclusive statement of completion in verse 1 also functions as a transition statement to the record of God’s institution of the Sabbath (vv. 2-3). At the same time, this short statement serves as the first line of a semi-poetic paragraph relating God’s institution of the Sabbath. It has already been shown that the description of the seventh day in Gen 2,1-3 forms an inclusio around the whole text of Gen 130. Strikingly, Gen 2,1-3 echoes Gen 1,1 by introducing paralleling phrases or concepts in the Hebrew text, but in reverse order. So the literary structure of Gen 1,1—2,3 could be presented as follows: A «God created» bārā’ ’ĕlōhîm (1,1a) B «the heavens and the earth» ’ēt haššāmayim we’ēt hā’āreṣ (1,1b) X FORMING AND FILLING OF THE EARTH (1,2-31) B’ «heavens and earth» haššāmayim wehā’āreṣ (2,1a) A’ «God created» bārā’ ’ĕlōhîm (2,3b)

28

Cf. N.E. ANDREASEN, The Old Testament Sabbath: A Tradition-Historical Investigation, SBLDS 7, Missoula (MT) 1972, 191. 29 Cf. W.D. RAMEY, «Literary Analysis of Genesis 1:1–2:3», InTheBeginning.org (1997) 9 [https://www.inthebeginning.org/chiasmus/xfiles/xgen1_1-2_3.pdf]. 30 D.C. TIMMER, Creation,Tabernacle, and Sabbath (cf. nt. 26), 66.

32

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This chiastic pattern brings the whole section to a literary conclusion which is reinforced by the inclusion bārā’ ’ĕlōhîm «God created», linking Gen 1,1a and 2,3b, bārā’ ’ĕlōhîm la‘ăśôt «God created in making». Thus the entire section stands apart in style, content and structure from the episodes which follow. Then, what matches Gen 1,1 is not 2,4a: ’ēlleh tôldôt haššāmayim wehā’āreṣ behibbār’ām «These are the generations of the heavens and the earth when they were created» but only 2,1-3, where the seventh day serves as a completion to the accounts of the six previous days. The key terms of Gen 1,1 («created»; «God»; «the heavens»; «the earth») repeated in Gen 2,1-3 in reverse order clearly indicate that Gen 2,1-3 forms the inclusio ending the first section, without Gen 2,4a. Based on the previous descriptions and arguments of rhetorical analysis presented below, the composition of the Gen 2,1-3 could be described as concentric, composed from five segments, each of two members: 2,1 wayekullû haššāmayim wehā’āreṣ 2,2a wayekal ’ĕlōhîm bayyôm haššebî‘î mela’ketô 2,2b wayyišbōt bayyôm haššebî‘î mikkol-mela’ketô 2,3a wayebārek ’ĕlōhîm ’et-yôm haššebî‘î 2,3b kî bô šābat mikkol-mela’ketô

wekol-ṣebā’ām ’ăšer ‘āśâ ’ăšer ‘āśâ wayeqaddēš ’ōtô ’ăšer-bārā’ ’ĕlōhîm la‘ăśôt

2,1 Thus the heavens and the earth were finished, 2,2a And GOD finished ON THE SEVENTH DAY his work 2,2b and he ceased ON THE SEVENTH DAY from all his work 2,3a And GOD blessed THE SEVENTH DAY, 2,3b because in it he had ceased from all his work

and all the host of them. which he had made; which he had made. and sanctified it: which GOD created in making.

The semantic connections between these lines are essential to their meaning. Daniel C. Timmer31 noticed that here the tradition-historical reconstruction of Claus Westermann32, where he proposes an original order 2a, 3a, 2b, 3b, must be bypassed in order to follow the passage’s argument. The flow of thought moves from the primary declaration of God’s having finished his work on the seventh day Gen 2,2a (cf. 2,1) to his ceasing from all his work Gen 2,2b, and then to his blessing and sanctifying of the day Gen 2,3a, which is then explicitly based on God’s ceasing from his work Gen 2,3b. Here the causal relation of the two clauses should not be attributed solely to the conjunction kî, but to the juxtaposed semantic content of the two clauses33. Thus the idea of finishing leads to ceasing, and ceasing to blessing and sanctifying.

31 32

D.C. TIMMER, Creation,Tabernacle, and Sabbath (cf. nt. 26), 67. Cf. C. WESTERMANN, Genesis 1-11: A Continental Commentary, Minneapolis (MN) 1984,

168. 33

C.M. FOLLINGSTAD, Deictic Viewpoint in Biblical Hebrew Text; A Syntagmatic and Paradigmatic Analysis of the Particle ‘ki’, Dallas 2001, 46.

Janus parallelism in Gen 2,1

33

There are many reasons to consider 2,2b as central to the passage: it is framed by nearly synonymous statements in 2,2a and 2,3a; God withdrew from work on that day, and blessed and sanctified it. Both from the perspective of the rhetoric composition, as well as because of lack of semantic and lexical evidence for understanding the Hebrew word wayekullû as «they were completed» and «they were destroyed» — following C. Gordon’s suggestion34 — the presence of the asymmetric Janus parallelism in Gen 2,1 cannot be justified.

III. GENESIS 1 AND 2 1. DELIMITATIONS OF CREATION ACCOUNTS — GEN 2, 4 The literary structure and function of Gen 2,4 The purpose of the repetition of the opening form of the first Creation account in Gen 2,4 is to establish the context for understanding the subsequent story of human sin and its consequences. ’ēlleh tôldôt haššāmayim wehā’āreṣ beyôm ‘ăśôt YHWH ’ĕlōhîm

behibbār’ām ’ereṣ wešāmāyim

These are the generations of the heavens and the earth in the day that the LORD God MADE

when they were CREATED, earth and heavens.

It forms the chiastic structure of the title and two syntagms containing six characteristic terms: A «the heaven» haššāmayim B «the earth» hā’āreṣ C «they were created» hibbār’ām C’ «YHWH made» ‘ăśôt YHWH B’ «earth» ’ereṣ A’ «heaven» šāmāyim

Many commentators and a few editors of the English versions (NIV; NEB; NJB) regarded Genesis 2,4a not as a heading to what follows, but as a postscript to what precedes, the account of Creation in Gen 1,1–2,3. It is argued that Gen 2,4a makes a well-ordered inclusio with Genesis 1,1. However, there is strong opposite evidence:

34

C. H. GORDON, «Asymmetric Janus Parallelism» (cf. nt. 19), 80

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– the formula «these are the generations» in Gen 2,4a, if taken as a summary, differs from its common use in the Hebrew Bible, where it refers to genealogy or narrative that follows. – the chiastic structure of Gen 2,4 suggests that the entire verse forms a structural unity as a title to what follows in Gen 2,5–4,26. The two Creation accounts The understanding of Gen 2,4 as the beginning of a new section enables us to recognize the chiastic structure of Gen 1,1–2,3, and to avoid the question that the Hebrew tetragrammaton YHWH «Lord» does not occur once in the first Creation account in Gen 1,1–2,3, but only many times in the second account of Creation in Gen 2,5–3,24 (the Yahwist's Garden of Eden story). As has already been noticed, scholars do not agree on whether Gen 2,4 closes the first Creation account (1,1–2,4), opens the second (2,4-25), or both (e.g., dividing 2,4 as 4a and 4b). The arguments presented above incline us to treat 2,4 as primarily intended to begin the second account (2,4-25). Thus the text of Gen 1,1–2,3 forms the first major literary section of the Bible. The second section begins with Gen 2,4 with the words, ’ēlleh tôldôt haššāmayim wehā’āreṣ «These are the generations of the heavens and the earth…», and continues through Gen 4,26. Within this editorially delimited unit of 2,4– 4,26, three narratives are apparent: the garden of Eden, 2,5–3,24; the killing of Abel, 4,1-16; Cain’s family, 4,17-26. The garden of Eden story in its present form is a highly organized unit, in which the originally separate tales have been fused to form the present narrative. Thus the garden story itself falls into two main parts, 2,5-25 (the creation of man and his wife) and 3,1-24 (the temptation and fall from the garden). Both parts are introduced by episode-initial circumstantial clauses, 2,5-6, «when no plant of the field was yet in the earth…» wekōl śîaḥ haśśādeh ṭerem yihyeh bā’āreṣ…, and 3,1a, «Now the serpent was more subtle than any beast of the field…» whnnḥš hyh ‘rwm mkl ḥyt hśśdh. The first part in Gen 2,5-25 could be further subdivided into two sequences: the creation of man and the garden, vv. 5-17; and the creation of woman, vv. 18-2535. 2. CONTRADICTIONS ? The common literary critical approach to the two Creation narratives in Genesis 1 and 2 declares that according to the Documentary Hypothesis, Gen 1 was written by the Priestly (P) writer in the 6th century B.C., while Gen 2 was written by the Yahwist (Y) in the 10th century B.C. Since these two sources were written by different redactors in different places and at different times, this approach emphasizes the differences between these narratives — such as contradictions and contrast in styles. Yet in terms of the broad perspective of Biblical and Semitic Rhetoric Analysis these differences are not so obvious. 35

G.J. WENHAM, Genesis 1-15. WBC I, Waco (TX) 1987, 67.

Janus parallelism in Gen 2,1

35

Already many authors have pointed to some characteristic differences between the two Creation accounts36, the most obvious being: – Names of God. According to Umberto Cassuto, the use of two different divine names in the biblical Creation accounts in Gen 1-2 is theologically deliberate, and not evidence for two different authors or literary sources. He has noted that: «One thing appears to me to be beyond doubt, that the variations in the choice of the Divine Names did not come about accidentally but by design»37. The author of the second account always speaks of God as YHWH Elohim, thus showing that Elohim and YHWH are the same God. Indeed, the two Creation accounts of Genesis are the only texts clearly delimited in content as well as in language, where a distinctive name of God is used regularly. This phenomenon seems to suggest rather an intentional literary purpose, and would mean that the first or second Creation account has been written in relationship to the other. – Number of Creation Days. The first narrative describes seven days of creative activity, but the second account focuses on the activity of one of the days only. It begins with the creation of man (2,7), and culminates with the creation of woman and the institution of marriage (2,22-25). These activities of the second account correspond with God’s actions performed on the sixth day of the first account in Gen 1,26-28. – Manner of Creation. In the first narrative, God creates only by his Word and the phrase wayyō’mer ’ĕlōhîm «God said» is repeated nine [ten]times (Gen 1,3.6.9.11.14.20.24.26.[28].29)38. The Hebrew verb bārā’ «to create» is used six times – three times in general context (Gen 1,1.21; 2,3), but in the description of the sixth day, the creation of ’ādām «man», it is used three more times (Gen 1,27), while in the previous line (Gen 1,26), the cohortative form of the verb na‘ăśeh «let us make» is used. On the other hand, the second Creation account depicts God’s physical involvement in creating the «man» from the soil and the verb wayyîṣer «to form» is used (Gen 2,7). Then, at the end of this section (Gen 2,22) the verbwayyiben «to build» is used to describe the creation of a woman. Interestingly, in the transition between the two Creation accounts, in Gen 2,3-4, are used both verbs: bārā’ «to create» twice and la‘ăśôt «to make» in the middle (Gen 2,3b).  – The Garden of Eden. The first account does not mention «the garden of Eden», while the story of the second account rotates around and in it (see especially Gen 2,8-22).

36

Jiri Moskala has examined twelve differences between the two creation accounts that point to a complementary relationship between them. He has presented the theological-exegetical responses to objections to understanding the Genesis creation accounts as being complementary in nature. Cf. J. MOSKALA, «A Fresh Look at Two Genesis Creation Accounts: Contradictions?», Andrews University Seminary Studies 49 (2011) 45-65. 37 For the different nuances of these two divine names, see especially U. CASSUTO, The Documentary Hypothesis and the Composition of the Pentateuch, Jerusalem 1961, 30-33. 38 Cf. Ps 33,6, 9: «By the word of the lord were the heavens made [...] For he spoke, and it came to be; he commanded, and it stood firm».

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– Creation of man and woman. The first account stresses that a complete human being, both man and woman, is created in the image of God (Gen 1,26-27) on the last (sixth) day of the creation of the world. The second narrative provides details regarding the creation of man (Gen 2,7) and woman (Gen 2,22-23), in order to demonstrate that the two beings not only belong together, but also establish the purpose of creation of all beings. God made them through his direct intervention39. – First Commandments. The first narrative includes several imperatives that humans need to exercise: «be fruitful», «multiply», and «fill the earth», and «subdue» and «rule over» (Gen 1,28), while the second account mentions God’s permission to eat, and then ban forbidding to eat from the tree in the Garden of Eden (2,16-17). It is noteworthy to observe that it is the first account in the Hebrew Bible of the use of the verb wayeṣaw «to command», from which the Hebrew word miṣwā «commandment» is derived. 3. LITERARY STRUCTURAL PARALLELS IN THE CREATION ACCOUNTS As has been noticed before, the exegetical analysis of Gen 1 and 2 have been characterized by a diachronic concern. Thus the Documentary Hypothesis and the so-called Tatbericht-Wortbericht theory have been the two main topics of the academic study of this text. The exegesis of Gen 1,1–2,3 seems to reveal, in the inner parts of the text, the interplay of two narratives: a Tatbericht, in which creation is expressed as a narrative of action («God made…»), and a Wortbericht, that is, a narrative of speech («God said…and there was...»). The first narrative could be said to play the role of tradition, and the second of interpretation, where the relation between tradition and interpretation is a relation internal to the text40. Under the influence of literary studies, the attention of scholars has slowly been drawn to the synchronic approach and to the importance of the literary structure of this text. As has been discussed above, the verses 1,1–2,3 form the first section of Genesis; the second starts with 2,4. Some modern scholars still hold that the opening section of Genesis ends with 2,4a, not 2,3. They argue mainly that the vocabulary of v. 4a is typical of Priestly Source (P), to which 1,1–2,3 is assigned; therefore, v. 4a must go with what precedes it, not with what follows. It is, however, recognized that it is most anomalous for the phrase ’ēlleh tôldôt «These are the generations of» in Gen 2,4a to conclude a section: everywhere else in Genesis (e.g. 5,1, 11,27) it introduces the narratives as a heading with the usual meaning of tôldôt as «history». Furthermore, the chiastic structure 39

The creation of woman is stated for several reasons: (a) to underscore Adam’s need of a partner; (b) to emphasize that a wife is God’s gift; (c) to demonstrate that the wife is equal to the man; and (d) to underscore the institution of marriage. 40 P. RICOEUR, From Text to Action: Essays in Hermeneutics II, Studies in Phenomenology and Existential Philosophy, Evanston (IL) 1997, 122.

Janus parallelism in Gen 2,1

37

of 2,4 presented above makes it questionable that the sources split this verse in the middle. Therefore the idea, represented i.e. by Umberto Cassuto and Frank M. Cross41, that 2,3 closes the opening section of the book and that 2,4 opens the next section in chapters 2–4, is the basis for the subsequent description. The verses 2,1-3 echo 1,1 by introducing the same phrases but in reverse order: «he created», «God», «heavens and earth» from 1,1 reappear as «heavens and earth» in 2,1, «God» in 2,2, «created» in 2,3. This chiastic pattern brings the section to a well-ordered finish, which is reinforced by the inclusion «God created» linking 1,1 and 2,3. The correspondence of the first two verses 1,1-2, with the completion in 2,1-3 is underlined by the number of Hebrew words in both being multiples of seven: 1,1 consists of 7 words, 1,2 of 14 (7 x 2) words, 2,1-3 of 35 (7 x 5) words42. The number seven dominates this first Creation account in a strange way, not only in the number of words in a particular section, but also in the number of times a specific word or phrase recurs. For example, ’ĕlōhîm «God» is mentioned 35 times, ’ereṣ «earth» 21 times, šāmāyim «heaven/firmament» 21 times, while the phrases wayehî-kēn «and it was so» and wayyar’ ’ĕlōhîm kî-ṭôb «God saw that it was good» occur 7 times. There is a visible rhythmic correspondence between the Creation accounts in Genesis, which is indicated by the same number of sections in both. Furthermore, each section is introduced by means of the same pattern of expression: – In the first Creation account (Gen 1,1–2,3) there are nine exclamations wayyō’mer ’ĕlōhîm «and God said». Some scholars, i.e. Cassuto43, who quotes Mishnah Abot 5,1 as the expression of the tradition according to which the world has been created through ten words, include in these ten words of God also wayyō’mer lāhem ’ĕlōhîm «and God said unto them» in Gen 1,28. In this verse the expression is stylistically different and would break the regularity, so for example the Babylonian Talmud passages Roš Haššana 32a and Megilla 21b count only nine words. – In the second Creation account (Gen 2,4-25) there are nine expressions: wayy-- yhwh’ĕlōhîm «YHWH (Lord) God» with the wayyiqtol form. It is noteworthy that all the introductory verbs start with a similar pronunciation. Moreover, these nine expressions occur in the same pattern of distribution, as follows44:

41 F.M. CROSS, Canaanite Myth and Hebrew Epic: Essays in the History of the Religion of Israel, Harvard 1973, 293-325.301; Cf. S. TENGSTRÖM, Die Toledotformel und die literarische Struktur der priesterlichen Erweiterungsschicht im Pentateuch, Lund 1981, 54-58. 42 G.J. WENHAM, Genesis 1-15. (cf. nt. 35), 14. 43 U. CASSUTO, Commentary on Genesis, Part I: From Adam to Noah (I-IV), Jerusalem 1961, 14. 44 Cf. J. DOUKHAN, The Literary Structure of the Genesis Creation Story, Dissertations 38, Andrews University 1978, 38.

38

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I II III IV V VI

1,3 1,6 1,9 1,11 1,14 1,20 1,24 1,26 1,29

Gen 1,3-31 wayyō’mer ’ĕlōhîm wayyō’mer ’ĕlōhîm wayyō’mer ’ĕlōhîm wayyō’mer ’ĕlōhîm wayyō’mer ’ĕlōhîm wayyō’mer ’ĕlōhîm wayyō’mer ’ĕlōhîm wayyō’mer ’ĕlōhîm wayyō’mer ’ĕlōhîm

Gen 2,5-25 wayyîṣer yhwh’ĕlōhîm wayyiṭṭa‘yhwh’ĕlōhîm wayyaṣmaḥ yhwh’ĕlōhîm wayyiqqaḥ yhwh’ĕlōhîm wayeṣaw yhwh’ĕlōhîm wayyō’mer yhwh’ĕlōhîm wayyiṣer yhwh’ĕlōhîm wayyappēl yhwh’ĕlōhîm wayyiben yhwh’ĕlōhîm

2,7 2,8 2,9 2,15 2,16 2,18 2,19 2,21 2,22

In the first account, the final act on the seventh day is concerned with the end of the complete process of creation («Thus were finished the heavens and the earth...») and introduces the concept of Sabbath. This last day is in essence different from the six previous ones. The same is true of the second account, where the last seventh section is also concerned with the end of the process of creation of the complete human being (man and woman) and introduces the concept of the unity of the couple, the marriage. Whereas the six creative days in the first account are regularly introduced with the same syntagma wayyō’mer ’ĕlōhîm «and God said», the seventh one is introduced with wayekullû haššāmayim wehā’āreṣ «Thus the heavens and the earth were finished» (Gen 2,1). In the former, God is the active subject, in the latter the creation is the subject of a passive verb. Then, in the second Creation account the first six creative works are introduced with the same pattern of a wayyiqtol verb form + subject yhwh’ĕlōhîm «YHWH (Lord) God», but the seventh one is introduced by wayyō’mer hā’ādām «And Adam said» (Gen 2,23). So, like in the previous account, God is the subject following the verb in some way expressing the acts of creation in the six preceding sections. In the seventh one the creation, Adam, is the subject following the verb. Thus, the last rhythmic step in each Creation account is broken45. VII

2,1

wayekullû haššāmayim wehā’āreṣ «Thus the heavens and the earth were finished»

wayyō’mer hā’ādām

2,23

«And Adam said»

This correspondence of Creation accounts does not only come in the break of the rhythm, i.e., in the introductory words: wayekullû haššāmayim wehā’āreṣ «Thus the heavens and the earth were finished» (2,1) and wayyō’mer hā’ādām «And Adam said» (2,28). It is also evident in the same figure of repetitive pattern (repetition with variation) in both accounts. Thus it can be concluded that these two Creation narratives are parallel to one another in accordance with the fundamental features of the Hebrew poetry and language. The parallel nature of the two narratives seems to go beyond the usual 45

Cf. J. DOUKHAN, The Literary Structure of the Genesis (cf. nt. 44), 39-40.

Janus parallelism in Gen 2,1

39

verse or section parallelism46. Thus chapters 1 and 2 do not present identical pictures, but instead reflect on the same series of events. The final editor of these two accounts wants to convey a close relationship between them47. 4. THEMATIC UNITY OF THE CREATION ACCOUNTS The relationship of the so called first and second Creation accounts is highly problematic. Many attempts have been made to discover a simpler, more symmetrical arrangement, but none of these suggestions are convincing. The Creation account in Gen 2 deals essentially with the matters to which the third and sixth days of creation were dedicated in Gen 1: earth, plants, animals, and man; hence, it is with these two particular passages from the preceding chapter that this account should be compared. That comparison could be outlined in following figure48:

5. COMPOSITION Both Creation accounts describe the activity of God by means of opposite parallelism. The first one puts emphasis on the universal aspect of this creation, where God appears as transcendent. The second one emphasizes the particular aspect of creation in relation to man, where God appears as immanent. The arrangement of the first Creation account Gen 1,1–2,3 consists of an introduction and seven parts. The introduction recognises the Creator and Crea46

Cf. A. BERLIN, The Dynamics of Biblical Parallelism, Grand Rapids (MI) 1985, 127-141. A close parallel between the first and second accounts was demonstrated by J. DOUKHAN, The Literary Structure of the Genesis Creation Story (cf. nt. 44), 77-78; W.H. SHEA, «The Unity of the Creation Account», Origins 5 (1978) 9-38; ID., «Literary Structural Parallels Between Genesis 1 and 2», Origins 16 (1989) 49-68. 48 Cf. W.H. SHEA, «The Unity Of The Creation Account» (cf. nt. 47), 9-38. 47

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tion (Gen 1,1-2); six parts correspond to the six active days of creation (1,3-21). The seventh part is dedicated to the climactic seventh day, the day of Sabbath (2,1-3). Furthermore, the parallelism is so consistent that it is evident even in the internal movement of thematic repetition, which manifests a symmetry between the first three parts and the last three parts. In the first parallel group, regions are created: night and day, firmament and the sea, and the land. In the second group, the corresponding inhabitants of these regions are created: astronomical bodies, birds and fish, land animals and man. This however, raises a question: why are the plants created on Day 3, rather than on Day 6? As food, they are the essential elements of life like water, air and earth. The structure of the Creation accounts in Genesis indicates the same number of seven parts in both. Each part is introduced by means of the same pattern of expression in rhythmic correspondence. It is visible between the respective parts49 and may be indicated as follows: Gen 1,1–2,3

Gen 2,4-25

Introduction (1,1-2)

Introduction (2,4-6)

1. Light/Day – darkness/Night (1,3-5)

1. Man/living soul – from dust of the ground, breath of life (2,7)

2. Firmament/Heaven – waters (1,6-8)

2. Garden on earth – for man (2,8)

3. gathered water/Seas – land/Earth, plants (seeds, fruits) (1,9-13)

3. Trees for food, rivers to water – for man (2,9-15)

4. Lights – two grate lights/day and night – to separate days and seasons (1,14-19)

4. Commandment for man – Tree of knowledge of good and evil separated from other trees (2,16-17)

5. Animal life in waters and above earth (1,20-23)

5. Help – for man (2,18)

6. Animals on earth and man (male and female) in God`s image – blessing and dominion (1,24-31)

6. Beast, fowl/creature – from the ground, Women – (2,19-22)

7. Climax. End of creation: rest, blessing. Sacralisation of Sabbath (2,1-3)

7. Climax. End of creation: women – from bone of bones, and flesh of flesh. Sacralisation of marriage (2,23-25)

It should be reemphasized, this time from the broader perspective of the rhetoric composition of these two accounts, that there is no evidence for the polysemy of the Hebrew word wayekullû in Gen 2,1. Thus — following C. Gordon’s suggestion50 — the presence of the asymmetric Janus parallelism cannot be further upheld. 49 Cf. J. DOUKHAN, The Literary Structure of the Genesis, (cf. nt. 47), 48-49; W.D. RAMEY, «Literary Analysis of Genesis 1:1–2:3», InTheBeginning.org (1997) [https://www.inthebeginning.org/chiasmus/xfiles/xgen1_1-2_3.pdf] 50 C. H. GORDON, «Asymmetric Janus Parallelism» (cf. nt. 5), 80.

Janus parallelism in Gen 2,1

41

PRELIMINARY CONCLUSION If the traditional historical-critical approach is correct that in Gen 1-2 there are two different Creation accounts, developed by different sources (P and J), then a comparison of these accounts should reveal some level of incoherence and linguistic, literary, and thematic inconsistencies among them. It turns out in this brief study that the differences between the two Creation accounts do not contradict each other, but are complementary. The two stories are in parallel and present views from their specific perspective: Gen 1,1–2,3 is more universal, while Genesis 2,4-25 is more particular. The second account adds more details that enrich the first account (mainly to the days 3 and 6), so the two accounts create a complementary and parallel construction. After the introduction in Gen 1,1-2, the first account continues with chiastic construction containing two clusters of three days (formation and filling). After the prepared space has been inhabited, the seventh day of Sabbath brings the whole narrative to a climax. The progressive literary structure of seven sections in the second account follows this pattern: Introduction: berē’šît (1,1-2) 1. Creation of light (1,3-5) 2. Creation of firmament (1,6-8) 3. Creation of seas, earth and plants (1,9-13) Institution of Sabbath (2,1-3)

«God» 4. Creation of lights (1,14-19) 5. Creation of fish and birds (1,20-23) 6. Creation of animals and man (1,24-31)

Introduction: ’ēlleh tôldôt (2,4-6) 1. «formed man» (2,7) 2. «planted a garden … there put the man» (2,8) 3. «caused to grow tree» (2,9) «took the man» (2,15)

«Lord God» 4. «commanded the man» (2,16) 5. «said» - «I will make an help (for man)» (2,18) 6. «formed beast and flow» (2,19); «caused a deep sleep Adam» (2,21); «made a woman» (2,22)

Institution of Marriage (2,23-25)

and in general account’s view: 1,1-2 Introduction: «In the beginning God created the heaven and the earth» 1,3-25 Creation of universe 1,26-31 Human being versus God «man in our image» 2,1-3 Institution of Sabbath 2,4-6 Introduction: «These are the generations of the heavens and of the earth» 2,4-20 The place of man in the world 2,21-22 Woman versus man «bone of my bones, and flesh of my flesh» 2,23-25 Institution of Marriage

42

Marek BARANIAK

The comparison of the literary structure of Gen 1 and 2 gives strong evidence of intentional design. It could be argued that the later author (P or his school) took the earlier narrative and deliberately modelled it. The fact that these two accounts of Creation are parallel to one another reflects one of the fundamental features of the Hebrew literature and language. The first and second accounts do not present identical pictures of creation, but instead reflect on a similar and complementary series of events. Each account has a specific purpose in view. The first account culminates with the seventh day — the institution of Sabbath, and it could be classified as theocentric. This dimension is complemented in the second account, which is more anthropocentric. It culminates in a closer relationship between man and woman — the institution of marriage. In light of rhetorical analysis of these two Creation accounts, the Gordon hypothesis of Janus parallelism in Gen 2,1 is not justified and cannot be further upheld. Additionally the presented complementary relationship between Gen 1 and 2 suggests that there are not two different Creation accounts in the Book of Genesis, but one complex account. Faculty of Oriental Studies University of Warsaw Krakowskie Przedmieście 26/28 00-927 Warsaw (Poland) E-mail: [email protected]

Marek BARANIAK

ABSTRACT The differences between the two Creation accounts (Gen 1 and 2) do not contradict each other, but are complementary. The two stories are in parallel and present views from their specific perspective: Genesis 1 is universal, while Genesis 2 is immanent. The second account adds more details that enrich the first account. In light of rhetorical analysis of these two Creation account’s the Gordon hypothesis of Janus parallelism in Gen 2:1 is not justified and cannot be further upheld. Keywords: Genesis 1–2, Creation account, Janus parallelism. RIASSUNTO Le differenze tra i due racconti di creazione (Gen 1 e 2) non si contraddicono a vicenda, ma sono complementari. Le due storie sono parallele e presentano punti di vista dalla loro specifica percezione: Genesi 1 è universale, mentre Genesi 2 è immanente. Il secondo racconto aggiunge ulteriori dettagli che arricchiscono il primo. Alla luce dell'analisi retorica di questi due resoconti della creazione, l'ipotesi di Gordon di un parallelismo di Giano in Gen 2,1 non è giustificata e non può essere ulteriormente confermata. Parole chiave: Gen 1–2, racconti di Creazione, parallelismo di Giano.

Luísa Maria ALMENDRA

Reaching the full meaning of God’s Words (Part II) Composition and meaning of Job 40,25–41,26 In the previous Conferences of the International Society for the Study of Biblical and Semitic Rhetoric, we have attempted to study the composition of different moments of the section Job 38,1–42,6, offering some proposals of a distinct understanding of God’s words to Job1. With the present study we attempt the analysis of the composition of the last moment of this section (Jb 40,25–41,26). This moment is strongly connected to the previous one (Jb 40,620) already presented and published2, and this explains why we have decided to keep the same title «Reaching the full meaning of God’s Words, Part II». In fact, similar to the previous moment (Jb 40,6-24), intensely absorbed in the figure of Behemoth, this last moment centres its attention on another enigmatic figure: Leviathan (Jb 40,25–41,26). Both moments seem to be determined to express the absolute difference of God, in order to bring Job to a different truth and knowledge of God’s ways. The biblical author has built God’s answer to Job upon some significant pillars: God’s creation and maintenance of the inanimate cosmos (38,4-38); God’s unbounded interest in the animate creation and in the judgement of the wicked (38,39–39,30); and finally, the nature of God’s supremacy to govern the earth. We can consider this last moment be composed of two different moments: the first centred in the figure of Behemoth and the second in the figure of Leviathan (Jb 40,25–41,26). Through the remarkable parallel of these two enigmatic figures, we can suspect a curious strategy of the biblical author, that converts the figure of Leviathan in an impressive metaphor that exceeds the simple parallel or complement to the previous figure of Behemoth. As we have experienced with the study of the composition of the other parts of God’s words to Job, we hope that the study of the composition of Jb 40,25–41,26 will achieve our aim to reach a full understanding of the challenging meaning these words

1

L. ALMENDRA, «Some remarks of Composition and meaning in Jb 38,39–39,30», in R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Retorica Biblica e Semitica 2. Atti del secondo convegno RBS, ReBib 16, Bologna 2011, 19-34; ID., «“You know! For you were born then” (Jb 38,1-38). Remarks of Composition and meaning in Jb 38,1-38», in R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del terzo convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, ReBibSem 2, Roma 2013, 41-63; ID., «Reaching the full meaning of God’s Words. Remarks on the composition and meaning of Job 40,6-24», in R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del quinto convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, RBSem 11, Leuven 2017, 35-48. 2 See nt. 1.

44

Luísa Maria ALMENDRA

embrace as a whole and in its relationship with each of the different moments of the section. The text Jb 40,25–41,26 can be considered a sequence composed of three passages: 40,25–41,3; 41,4-16 and 41,17-26 all connected with the initial challenge to Job, this time to face concretely the strength and mighty of Leviathan. The impressive description of this figure points immediately the absolute inability and powerlessness of Job and every human being to deal with, suggesting that only God as Creator can control him. Can you draw out LEVIATHAN

I will not keep silence

He IS KING over all that are proud

40,25–41,3

41,4-16

41,17-26

I. COMPOSITION 1. THE FIRST PASSAGE (JB 40,25–41,3): CAN YOU DRAW OUT LEVIATHAN? The first passage (40,25–41,3) is composed of two parts: 40,25-30 and 40,31– 41,3. These two parts carry a new challenge to Job: be able to use traditional fishing and hunting techniques to capture Leviathan, domesticating Leviathan in a manner similar to God’s subjugation of Behemoth (40,24). The first part (40,25-30) This first part is composed of three pieces of two segments: 25-26, 27-28 and 29-30. The first piece (25-26), in continuity with the precedent words of God to Job (40,24), assumes the shape of an interrogation since the beginning, although the interrogative particle only appears in the verb hătāśîm («can you put»). The subject of the speech is God, that defies Job, implicit in the second person of masculine singular of the verbs (timšōk «can you draw»… tašqîa‘ «can you put») and the suffix of second masculine singular of the three parts of face (lešōnô «his tongue», be’appô «in his nose», leḥĕyô «his jaw»). The second piece (27-28) keeps God as the subject of the speech and the interrogation, now is clearly signed in the interrogative particle of the verbs hăyarbeh («will he make many») hăyikrōt («will he make a covenant»). The emphasis on the third person of the verbs moves the attention to Leviathan and shows that now the focus is the possibilities that Leviathan can have to interconnect with Job. The second

Reaching the full meaning of God’s Words II (Job 40,25–41,26)

45

piece (29-30) retakes the focus on Job abilities to deal with Leviathan, coming back to second person of the masculine singular of the verbs (hatśaḥeq «will you play», tiqšerennû «will you put», yikrû «will bargain yeḥĕṣûhû «will they divide»). The mention to images of small animals or to human beings (birds, girls, traders and merchants) establish a contrast with the initial challenge (2526) centered in the traditional fishing and hunting techniques to capture strong animals. No matters what Job do or use, his incapacity to control Leviathan is evident. The piece at the centre (27-28), considering an eventual and ironic reaction from Leviathan to relate with Job, underlines the irony of these rhetorical questions. The impossibility to domesticate and subjugate Leviathan is similar to the one of Leviathan to relate or submit to Job doing «many supplications» or speaking «soft words»; making «a covenant» or «be taken as servant». + 25 Can you draw out – or with a cord

Leviathan press down

with a fishhook, his tongue?

+ 26 Can you put – or pierce

a rope with a hook

in his nose, his jaw?

·········································································································

– 27 Will he make – Will he speak

to you to you

many supplications? soft words?

– 28 Will he make : to be taken

with you as your servant

a covenant forever?

·········································································································

:: 29 Will you play :: or will you put him

with him on leash

as with a bird, for your girls?

. 30 Will traders . or will they divide him up

bargain among

over him the merchants?

The second part (40,31-41,3) The second part is composed of two pieces (40,31-32; 41,1-3). The first piece (31-32) is composed of two segments, that repeat the challenge to Job’s capability to fight with the tremendous fearful Leviathan, already begun in 40,25. The verb hatmallē’ («can you fill») retakes the second person of masculine singular and the interrogative particle, and the focus on Leviathan is well expressed in the suffix of third person masculine singular of the parts of the face (‘ôrô «his skin», rōʾšô «his head»). The second piece (41,1-3) begins with the interjection hēn («See! ») (1). The repetition of the suffix of third person masculine singular tōḥaltô «hope on hum», (‘ālāyw «the sight of him») points to Leviathan, whose incapability of controlling is emphasised by the parallelism of the two words «false» and «overwhelmed». The two following segments (2-3) develop the

46

Luísa Maria ALMENDRA

previous declaration under the interrogative pronoun kî («who»)3. The specific use of this interrogative pronoun and the expression «under the heaven» enlarges the challenges to every being, affirming that nothing neither nobody will be safe in a confrontation with Leviathan. :: 31 Can you fill :: or with spears

with harpoons fishing

his skin his head?

: 32 Lay : remember

on him the battle;

your hands you will not do it again!

······················································································································

: 41,1 See! . is not also

Hope in him the sight of him

is false; overwhelmed?

– 2 Is he not ferocious – Who can stand

when before

roused? him4?

+ 3 Who can + under

confront him the whole

and be safe? heaven,

who?

The ensemble of the passage Both parts 40,25-30 and 40,31–41,3 are guided by the challenge God directs to Job. This challenge moves from a direct «you» (25-26) to a «he» (27-28), returning to the «you» (31-32), creating a pressure between the affirmation of Job’s capability to dominate Leviathan and the tremendous strength of this animal. Both parts mention several parts of the body of Leviathan: tongue, jaw, nose (25-26) and skin, head (41,1), all used to emphasise his terrifying strength. The text suggests that even if by some extraordinary feat Job did capture Leviathan and control him, he could never domesticate him to the point where he was a trusted servant (25-30). This impossibility is confirmed in the second part mostly in the statement of the impossibility of doing a combat with Leviathan (40,31-32). Leviathan’s appearance is so terrifying that any would be 3

The first half of 41,2 is clear, but in the second half, the Hebrew manuscripts are divided between «who is able to stand against him» or «who is able to stand against me». Some authors wait for the following verse to decide. Since 41,3 is clearly first-person speech, the text should be understood as God’s describing the inability of anyone to confront the powerful Leviathan; cf. E. DHORME, A Commentary on the Book of Job, 631; H. ROWLEY, The Book of Job, Grand Rapids (MI) 1976, 271; R. GORDIS, The Book of Job: Commentary. New Translation, and Special Studies, New York (NY) 1978, 483. However, some others keep the first-person in 41,3 interpreting it as referring to God. They also choose this first-person pronoun in 41,2 considering Leviathan as a point of comparation for God (cf. N. HABEL, The Book of Job, London 1985, 555; J.E. HARTLEY, The Book of Job, NICOT, Grand Rapids [MI] 1988, 531-532). 4 The Hebrew Ms are divided between the first and third person of the personal pronoun. Those who prefer to read the third person «before him» see that it preserves the consistency of the context, that begins with God declaring the intention to describe Leviathan’s appearance. Those who prefer the first person «before me» interpret it as referring to God, considering Leviathan as a point of comparation for God.

Reaching the full meaning of God’s Words II (Job 40,25–41,26)

47

opponent normally buckles at the knees and loses hope at the mere sight of him (41,1-3). Curiously, in both parts, the ability to subjugate Leviathan is expressed with the use of arms of various kinds: fishhook, cord, rope, hook (25-26) and harpoons, fishing spears (31), suggesting a battle of two powers. 25

Can you draw out LEVIATHAN with a fishhook, Can you put a rope in his nose, 27 Will he make many supplications to you? 28 Will he make a covenant with you 29 Will you play with him as with a bird, 30 Will traders bargain over him?

or with a cord press down his tongue? or pierce with a hook his jaw? Will he speak soft words to you? to be taken as your servant forever? or will you put him on leash for your girls? Will they divide him among the merchants?

31

or his head with fishing spears? you will not do it again! even at the sight of him overwhelmed? Who can stand before him? under the whole heaven, who?

26

Can you fill his skin with harpoons, Lay your hands on him; think of the battle; 41,1 See! Any hope will be disappointed; 2 Is he not ferocious when roused? 3 Who can confront him and be safe? 32

The author keeps in both parts the strategy of rhetorical inquiring, mainly in the contrast and in the irony that he establishes between the strength of Leviathan and the possibilities of relating with Job (25-30 and 31-32). This strategy creates a sense of the absurd also suggested in the picture of a violent sea monster being fondled as a pet like the tiny birds (29-30). For Job to transform this chaos monster into a pet with which children may play exceeds the bounds of credibility. This very same absurd is well suggested in the second part (40,3141,3), extending Job’s incapability to the whole creature. 2. THE SECOND PASSAGE (JB 41,4-16): I WILL NOT KEEP SILENCE The second passage (41,4-16) is composed of two parts (41,4-6; 7-16). The entire passage is focused on an astounding description of Leviathan, that surpasses any human possibility to deal with. The first part (41,4-6) The first part (4-6) is composed of a single piece of three segments. The first segment (5) begins with a verb in the first person lō’ ’aḥărîš («I will not keep silence») bringing God into the speech as the one who will speak openly about Leviathan’s mighty strength. This declaration is followed by two segments (5-6) marked by the repetition of the interrogative pronoun mî («who»). This repetition suggests an inclusion of Job among all creatures that are incapable to deal with Leviathan. The verbs gillâ («strip off»), yābô’ («penetrate») and p̱ittēaḥ («open») insinuate an awkward power to deprive and dominate Leviathan.

48

Luísa Maria ALMENDRA

– 4 I will not keep silence – or his mighty

concerning strength,

his limbs, or his splendid

:: 5 Who can strip off :: his double coat

his outer of mail

garment? who can penetrate?

– 6 The doors – all around

of his face his teeth

who can open? there is terror

frame.

The second part (41,7-16) The second part is composed of three pieces (7-9; 10-13; 14-16) all focused in the amazing body of Leviathan. + 7 His back + shut up

is made of shields as with a seal

in rows, closely

: 8 One : that no air

to another can come

is so near between them.

: 9 They are joined : they clasp

one each other

to another; and cannot be separated.

·······················································································································

+ 10 His sneezes + and his eyes

flash forth are like the eyelids

light, of the dawn.

– 11 From his mouth – sparks

torches of fire

go flaming; leap out.

: 12 Out of his nostrils : from a pot

comes boiling

smoke, and burning rushes.

+ 13 His breath + and a flame

coals out of his mouth

kindles, comes.

·······················································································································

– 14 In his neck – and before him

abides dances

strength, terror.

: 15 The folds : it is firmly

of his flesh cast

(cling) together; and immovable.

+ 16 His heart + as hard

is as hard as millstone

as stone, lower.

The first piece (7-9) underlines the strength of the Leviathan’s back. The three segments use several images of its strong closing: «made of shields»… «with a seal» / «so near»… «no air can come» / «joined one to another»… «cannot be separated». The second piece (10-13) moves to Leviathan’s face. The four segments present a movement that goes from nose to the mouth (10-11and 12-13) forming a composition parallel ab / a’b’. The strength of Leviathan emerges in

Reaching the full meaning of God’s Words II (Job 40,25–41,26)

49

his power: of sneezing flash forth light and having nostrils that expel smoke (10 and 12), his mouth torches go flaming (11 and 13). The third piece (14-16) keeps the attention on Leviathan’s body, namely in his neck, flesh and heart. The first segment offers a curious parallel between the two verbs yālîn («abides») and tādûṣ («dances») spirited with the forms of Leviathan’s powerful body. The second and third segment (15-16) turn the attention to Leviathan’s flesh and heart, both described through a parallel between the two expressions: «as firmly cast and immovable» and «hard as millstone lower». The ensemble of the passage 4

I will not keep silence concerning his limbs, or his mighty strength, or his splendid frame.

5

Who can strip off his outer garment? Who can open the doors of his face?

Who can penetrate his double coat of mail?

7

shut up closely as with a seal. that no air can come between them. they clasp each other and cannot be separated. and his eyes are like the eyelids of the dawn. sparks of fire leap out. as from a boiling pot and burning rushes. and a flame comes out of his mouth. and terror dances before it. it is firmly cast and immovable. as hard as the lower millstone.

6

HIS BACK is made of shields in rows, One is so near to another 9 They are joined one to another; 10 His SNEEZEs flash forth light, 11 From HIS MOUTH go flaming torches; 12 Out of HIS NOSTRILS comes smoke, 13 His BREATH kindles coals, 14 In HIS NECK abides strength, 15 The folds of HIS FLESH cling together; 16 HIS HEART is as hard as stone, 8

There is terror all around his teeth.

The passage (41,4-16) starts with a part focused in an explicit reference to the subject of the speech, and I that assures to have words about the body and the strength of Leviathan. Rather than Job, this «I» can speak, and in his words, he manifests an exclusive knowledge he seemed to have once silenced (4-6). He is the one who will not keep silence and knows very well the amazing strength of Leviathan. The second part (7-16) is all centred in the amazing body of Leviathan, described by this «I». The images succeed one to another, all emphasising strength and dreadfulness, advising Job that his incapability to control and dominate Leviathan is similar to the impossibility to take his stand before God and dominate the way he governs the world. The body of this monster is completely impenetrable. There is no way one can get beneath his skin, prise open his jaws or penetrate behind the interlocking pieces of armour which cover his body (5-6). He is protected like a mighty warrior with a double coat of mail (13) and with a row of war shields along his back (14), which are interlocking and tightly sealed (16-17). The mention to the heart of stone expresses that the most features of Leviathan are his body, both within and without and explains why ordinary weapons of warfare are useless against Leviathan (19-21)5.

5

It is not like Behemoth, against whom his maker has drawn a sword to keep him in check (40,19). Perhaps Job is invited by this image to look into his own heart (cf. Ez 36,26).

50

Luísa Maria ALMENDRA

3. THE THIRD PASSAGE (JB 41,17-26): HE IS KING OVER ALL THAT ARE PROUD The third passage is also composed of two parts (17-21; 22-26) that continue the astounding description of Leviathan’s body in his amazing and dreadful mighty. The first part (41,17-21) :: 17 When he raises :: at his crashing : 18 Reaches him, : nor does the spear,

the mighty men they are beside.

are afraid;

the sword the dart,

and does not avail, or the javelin.

··················································································································

. 19 He counts . and as rotten

as straw wood

iron, bronze.

: 20 Cannot make him flee : chaff

the son is turned

of the arrow for him sling-stones,

: 21 as chaff : laughs

are counted at the rattle

clubs; of javelin.

The first part (41,17-21) is composed of two pieces (17-18 and 19-21). The first piece (17-18) keeps the attention on Leviathan’s mighty constructing a parallel between the ability that Leviathan has to terrify even the mightiest men and the impenetrability of his body. The specific use of the word’s «sword», «spear», «dart» and «javelin» stipulates that ordinary weapons of warfare are useless against Leviathan6. He is impervious to the traditional weapons used by mighty men. The second part (41,22-26) The second part (41,22-26) is composed of two pieces (22-24 and 25-26) both focused on Leviathan’s power and distinctiveness. The first piece (22-24) is composed of three segments. The first segment begins with the mention to Leviathan’s underparts (22). Leviathan is the sea, the deep or abyss suggesting it as the greatest primordial sea monster. It churns up the ocean’s deeps and makes them seethe in turmoil (23). The surface of the water deep is so tumultuous in his wake that it appears to have a head of white hair (24). The second piece (25-26) is composed of a single piece of two segments, that functions as a summary that announces the status of Leviathan. The author depicts him as King of chaos and invincible. No one from «on the dust» can 6

Cf. 40,19 where the Maker of Behemoth drew a sword to keep him in check and that once he crushed the many heads of Leviathan (Ps 74,14).

Reaching the full meaning of God’s Words II (Job 40,25–41,26)

51

dominate this monster from the watery deeps7. Although made as Behemoth (40,15), Leviathan is king of all proud creatures and as king it looks down on all who are disdainful beneath him. + 22 His underparts + that spreads

are like sharp like sledge

potsherd; on the mire.

:: 23 He makes boil :: the sea

like a pot he makes

the deep; (like a pot of) ointment.

: 24 Behind him : one would think

(he leaves) a shining the deep

wake; to be white-haired.

··························································································································

+ 25 There is not + a creature :: 26 Everything :: he is a king

on earth without

equal fear.

that is lofty over all

he surveys; sons of proud.

The ensemble of the passage 17

When he raises himself up the mighty men are afraid; at the crashing they are beside. 18

Though the sword reaches him, it does not avail, nor does the spear, the dart, or the javelin. It counts iron as straw, and bronze as rotten wood. 20 The arrow cannot make him flee; sling stones, for him, are turned to chaff. 21 Clubs are counted as chaff; laughs at the rattle of javelins. 19

22

HIS UNDERPARTS are like sharp potsherds; spreads like sledge on the mire. It makes the deep boil like a pot; it makes the sea like a pot of ointment. 24 It leaves a shining wake behind him; one would think the deep to be white-haired. 25 There is not on earth equal, a creature without fear. 23

26

He surveys everything that is lofty;

he is king over all that are proud.

The passage (41,17-26) composed of two parts (17-21 and 22-26) both focused in the portrayal of Leviathan. In general, the first part (17-21) upholds Leviathan as a figure impenetrable and surrounded by terror; filled with fire and breaths forth flames that even gods fear his terror8. The second part (22-26) continues to depict the portrayal of Leviathan underlining his impossibility to be 7

The term «dust» is a major thematic term in the book of Job. It may refer to dust as such (2,12); to the underworld or domain of death (7,21): 17,16; to the surface of the earth (14,19; 39,14); or to the mortality (4,19). In Job it does not seem to mean the earth or world in general. Those «on the dust» apparently refers to mortal creatures as opposed to God their creator; cf. N. HABEL, Job (cf. nt. 3), 574. 8 The syntax of the line is awkward, and some translators follow the Greek text of Symmachus and the Syriac, reading «the gods were cast down at the sight of him», which would require only a modest emendation of the Hebrew. Those who accept this emendation defend that the fear of the gods is a frequent motif in both Ugaritic and Mesopotamic myth [cf. ANET, 130].

52

Luísa Maria ALMENDRA

captured by traditional weapons of war and his ability to create tremendous turmoil in the greatest deep. The two parts (5-15 and 16-26) are strongly connected by the insistence in the physical power of Leviathan, insisting in a connection with the different parts of his body. Leviathan has a dreadful power in his body, suggesting an understanding of his power only as a creature. This understanding finds a relation with the final declaration of Leviathan, as «a creature without fear» and as king of all that are proud (25-26). 4. THE SEQUENCE 40,25 CAN YOU draw out LEVIATHAN with a fishhook, 26

CAN YOU put a rope in HIS NOSE, he make many supplications to you? Will he make a covenant with you 29 Will you play with him as with a bird, 30 Will traders bargain over it? 31 CAN YOU fill HIS SKIN with harpoons, 32 Lay hands on him; think of the battle; 27 Will 28

41,1 Any hope of capturing him will be disappointed; 2 Is him not ferocious when roused? 3 Who can confront him and be safe? 4

I will not keep silence concerning HIS LIMBS, 5 WHO CAN 6 WHO CAN

strip off his outer garment? open the doors of his face?

7 8

HIS BACK is made of shields in rows, One is so near to another 9 They are joined one to another; 10 His sneezes flash forth light, 11 From HIS MOUTH go flaming torches; 12 Out of HIS NOSTRILS comes smoke, 13 His breath kindles coals, 14 In HIS NECK abides strength, 15 The folds of HIS FLESH cling together; 16 HIS HEART is as hard as stone, 17

or HIS TONGUE with a cord? or pierce HIS JAW with a hook? Will he speak soft words to you? to be taken as your servant forever? or will you put him on leash for your girls? Will they divide him up among the merchants? or HIS HEAD with fishing spears? you will not do it again! even the gods overwhelmed at the sight of him? Who can stand before him? under the whole heaven, who? or his mighty strength, or his splendid frame. Who can penetrate his double coat of mail? There is terror all around his teeth. shut up closely as with a seal. that no air can come between them. they clasp each other and cannot be separated. and his eyes are like the eyelids of the dawn. sparks of fire leap out. as from a boiling pot and burning rushes. and a flame comes out of his mouth. and terror dances before him. he is firmly cast and immovable. as hard as the lower millstone.

When he raises himself up the mighty men are afraid; Though the sword reaches him, he does not avail, 19 He counts iron as straw, 20 The arrow cannot make him flee; 21 Clubs are counted as chaff; 22 HIS UNDERPARTS are like sharp potsherds; 23 He makes the deep boil like a pot; 24 He leaves a shining wake behind him; 25 On earth he has no equal,

at the crashing they are beside themselves. nor does the spear, the dart, or the javelin. and bronze as rotten wood. sling stones, for him, are turned to chaff. laughs at the rattle of javelins. pleads himself like a threshing sledge on the mire. he makes the sea like a pot of ointment. one would think the deep to be white-haired. a creature without fear.

26

HE IS KING over all that are proud.

18

He surveys everything that is lofty;

Reaching the full meaning of God’s Words II (Job 40,25–41,26)

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The three passages of the sequence (40,25–41,3; 41,4-16 and 41,17-26) have God as subject of the discourse. In the first passage (40,25–41,3) God challenges Job directly – «Can You…?» — using the strategy of a rhetorical inquiry. The questions follow without creating any space for answer, as God was only interested in defying Job and not listening what he has to say. The object of the inquiry appears immediately in this first passage: Job’s capability to hunt Leviathan (40,25-30), and to face him or lay his hands upon him (40,31 – 41,3). The second passage (41,4-16) begins mentioning the «I» of God, who affirms not keeping silence concerning the mighty strength and splendid frame of Leviathan and with the interrogative «who?», moving the speech from Job to every human being. This strategy suggests that the incapability of Job to control such dreadful monster of the chaos is common to every human being. The author insists in displaying Leviathan as far beyond human understanding and strength, multiplying images describing his powerful body. The third passage (17-26) stresses Leviathan as force whose place in the world cannot be ignored (17-24). This passage ends with the affirmation of Leviathan in all of his supremacy, ironically only as King of the proud, suggesting that he is no threat to God (2526). Job that had been challenged to look at/for? every proud one and bring him low, here is confronted in the greatness of Leviathan the greatness of God; that far from being brought low is king.

II. BIBLICAL CONTEXT THE CHARACTER OF LEVIATHAN The biblical author describes Leviathan in terms that clearly evoke the mythic traditions. He is rendered in images of violence, fire and turmoil9. We can find, in the biblical narrative, the psalmist praises Yhwh, saying: «It was you who split open the sea by your power; you broke the heads of the monster in the waters. It was you who crushed the heads of Leviathan and gave him as food to the creatures of the desert» (cf. Ps 74,13-14). In Is 27,1 the biblical author describes the eschatological future as involving a similar action: «In that day Yhwh will punish with sword, his fierce, great and powerful sword, Leviathan the gliding serpent, Leviathan the coiling serpent; he will slay the monster of the sea». But we also have Ugaritic quotations suggesting Leviathan as one of a group of closely related figures, all of whom are associated with the 9

In fact, both in Ugaritic mythology and in the Bible, Leviathan is the name of a sea monster with which Yhwh, Baal and Anat do battle. In the Baal epic, the god Mot refers to a victory of Baal: «When you killed Lotan, the Fleeing Serpent, finished off the Twisting Serpent, the seven headed monsters.» Elsewhere, the goddess Anat says: «Didn’t I demolish El’s Darling, Sea? Didn’t I finish off the divine river, Rabbim? Didn’t I snare the Dragon? I enveloped him, I demolished the Twisting Serpent, the seven headed monsters» (cf. M. COOGAN, Stories from Ancient Canaan, Philadelphia 1978, 92.106).

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Luísa Maria ALMENDRA

sea in his symbolic value as chaotic power, represented in the Bible by Rahab the dragon (cf. Jb 9,13; 26,12; Ps 89,10; Is 51,9) and the sea monster (cf. Jb 7,2; Ps 74,13; Ez 29,3; 32,2). This aspect brings us to suspect that the introduction of this figure in this final part of the narrative of God’s speeches has an intention to recover this mythical and biblical mention of Leviathan in its character not only of a powerful figure, but something more. In fact, the fluid boundary between the mythical and nonmythical, as well as the ambivalent status of the chaotic in relation to creation, is suggested by the biblical texts in which tannîn and Leviathan are creatures formed by God and not at all hostile. We can notice that in Gn 1,21 the tannîmim are sea animals created as part of the work of the fifth day of creation, concerning whom God said: «it was good». And in Ps 148,7 the tannînim are also called upon to praise God as part of the universal praise. Similarly, Leviathan in Ps 104,26 is an animal that God has formed to play in the sea. We can consider that the representation of Leviathan here draws associations from both the mythic tradition represented in Gn 1,21 and in Ps 104,26; 148,7. The emphasis is not on Job’s or God’s victory over the chaos monster, seen as hostile, but a celebration of the awesome and terrifying power of Leviathan, that culminates in the affirmation that he is unequalled on earth; king over all the children of pride. A HEART OF STONE The explicit reference to Leviathan, a dreadful and terrifying creature, as having a heart of stone is unexpected, requests an understanding at the light of Ez 36,26 where we find this same expression. The context of Ezequiel expression is the one of witness of the manifestation of God’s holiness at work in Israel’s history (36,23), through a restorative plan: first God will gather the scattered Israelites from all the countries to which they have been dispersed and bring them into their homeland. Once the people have been purified from all their iniquities, God will replace their heart of stone – obstinate, rebellious, unfeeling – with a heart of flesh, and infuse them with God’s own spirit (36,26). Purified, transformed and totally obedient, the people will be able to live in the promised land. Moreover, God will renew the covenant with them (Ez 36,28). Although a creature, Leviathan belongs to a world of chaos. God knows him, but he does not know or interrelate with God and this is, certainly, the main reason for his hear of stone.

Reaching the full meaning of God’s Words II (Job 40,25–41,26)

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III. INTERPRETATION WHO CAN STAND BEFORE HIM?10 This question well placed in God’s challenge to Job to face and to control Leviathan using traditional techniques seems to hide an important key of understanding. Despite evoking the ordinary hunting implements or weapons that ironically would have been useless against such chaos monster, and underlining his mythic dimensions in the images that point his capacity to breathe flames from the fire burning within (41,10-13), to strike terror into the hearts of goods (41,17) and to stir up the waters of the primordial abyss (41,22-24) and his invincible character that «sneezes flashes of lightning» (41,10) and has his red eyes like «eyelids of dawn» (41,12), or his heart is hard as a millstone (41,16) the biblical author intends more than just to terrify Job. His description of Leviathan should be understood as more than an exercise of terror. Otherwise the implied answer to God’s question «Who can stand before him?» would be simply nobody. HE IS KING OVER THE PROUD In fact, the extraordinary portrayal of Leviathan should be understood in the context of God’s challenges to Job. Once placed there we recognize that Job is not challenged to control such monster, but to be able to recognize in himself his own fulminations and arrogant claims, they are in some way comparable to those of Leviathan and as him also Job is among the children of the proud. The image of Leviathan as king of the proud t also recalls the boast of Job that he would approach his adversary as a «prince» wearing his opponent’s charges as a crown (31,37). As in a mirror, Job is shown Leviathan rousing up chaos. In fact, God has insinuated that Job has taken on heroic proportions and that like a chaos figure he has roused God to appear and challenged him. However, Job cannot be compared with God and his mighty arm which controls chaos and evil. God’s lordship involves controlling the most dreadful forces, and Job needs to recognize that he is part of that world. God moves the focus from Job’s concern for personal vindication before the court to the wider question of Job’s own responsibility for cosmic governance and control. By juxtaposing God’s subjugation of Behemoth (40,24) and the challenge for Job to capture Leviathan by similar means, God is reinforcing his opening challenge: «Have you an arm like God» (40,9). 10 The reading of some of the Hebrew Manuscripts, who prefer the use of the first person of the personal pronoun «I», suggest that Leviathan should be taken as a point of comparation for God. In this case we can interpret the text as saying that if Job (or any human being) cannot confront Leviathan, how much less could Job confront God. This interpretation is not impossible, since God has mockingly challenged Job to gird his loins (40,7) and has rhetorically asked if he has an arm and a voice like God (40,9).

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Luísa Maria ALMENDRA

Faculdade de Teologia – UCP Palma de Cima 1649-023 Lisboa (Portugal) E-mail: [email protected]

Luísa Maria ALMENDRA

RIASSUNTO Con il presente studio osiamo l’analisi della composizione di Jb 40,25–41,26. Questo testo è connesso all’analisi dell’anteprima (Jb 40,6-20), fortemente assorbito nella figura di Behemot. Il testo pone la sua attenzione su un’altra figura enigmatica — Leviathan — che insieme alla precedente figura di Behemot sembra essere determinato ad esprimere la differenza assoluta di Dio. La strategia sembra essere quella di portare Giobbe a un’altra verità e conoscenza delle vie di Dio. La composizione in una sequenza composta da tre passi (40,25–41,3; 41,4-16; 41,17-26) stabilisce due diversi momenti di quest’ultima sfida a Giobbe: la sua incapacità di dominare il Leviatano e quella di essere in grado di riconoscere in se stesso, nelle sue stesse fulminazioni e affermazioni arroganti, che sono in qualche modo paragonabili a quelli del Leviatano, ponendolo tra i figli degli orgogliosi. Parole chiave: Gb 40,25–41,26, affrontare, possente, terrorizzare, catturare, temere, orgoglioso ABSTRACT With the present study we attempt the analysis of the composition of Jb 40,25–41,26. This text is connected to the previous one (Jb 40,6-20), strongly absorbed in the figure of Behemoth. The text focuses its attention on another enigmatic figure: Leviathan, that with the previous figure of Behemoth seem to be determined to express the absolute difference of God. The intention is to bring Job to another truth and knowledge of God’s ways. The composition in a sequence composed of three passages (40,25–41,3; 41,4-16; 41,17-26) establishes two different moments of this last challenge to Job: his inability to dominate Leviathan as God does and Job’s capability to recognize in himself, and in his own fulminations and arrogant claims, that they are in some way comparable to those of Leviathan, placing him among the children of the proud. Keywords: Jb 40,25–41,26, confront, mighty, terror, capturing, fear, proud

SECONDA PARTE

Nuovo Testamento

Francesco GRAZIANO

Il Messia apre l’Alleanza per le Nazioni Analisi retorica di Mt 15,1–16,12. Prima parte

Dopo il Discorso in Parabole sul Regno (13,1-52) e fino al punto in cui Gesù riprenderà il suo insegnamento in una nuova unità discorsiva determinata (si tratta del capitolo 18; cf. 19,1), una lunga sottosezione narrativa chiude l’unità centrale del Vangelo di Matteo, la Sezione C (11,1–17,27)1. Avvalorata l’ipotesi di composizione attraverso un minuzioso studio delle strutture formali a partire dall’alto2, salta agli occhi la particolarità e la centralità dell’unità di Mt 15,1–16,12, generalmente non riconosciuta dagli esegeti3. All’interno di questa porzione di testo Gesù è in controversia prima con «Farisei e scribi» sulla «tradizione degli antichi» (15,1 s.)4, poi una seconda volta con 1

La ricerca della composizione del Primo Vangelo è stata svolta per la dissertazione di Dottorato in Teologia Biblica alla Pontificia Università Gregoriana. Se ne può valutare un resoconto in F. GRAZIANO, «La composition de l’évangile de Matthieu. Où en sommes-nous?», Exercices de rhétorique 8 (2017), http://journals.openedition.org/rhetorique/505. La Sezione C contiene tre sottosezioni in struttura concentrica: C1–C3 (11,1–12,50); C4–C5 (13,1-52); C6–C10 (13,53–17,27). Per le prime due sottosezioni cf. R. DI PAOLO, Il Servo di Dio porta il diritto alle nazioni: Analisi retorica di Matteo 11–12, Tesi Gregoriana. Teologia 128, Roma 2005; e ID., «Capire i misteri del regno dei cieli: analisi retorica di Matteo 13», Studii biblici franciscani liber annuus 59 (2009) 59-109. 2 Quando la metodologia dell’analisi retorica biblica e semitica è applicata a una vasta porzione di testo, come la sequenza o la sezione, la prassi e l’esperienza impongono un doppio movimento del ricercatore: «Dopo aver studiato diversi testi della misura di un “passo”, viene affrontata adesso una “sequenza” che comprende più passi. Il modo di procedere sarà diverso. Non si comincerà con la “segmentazione”, ossia la divisione in “membri”; questa operazione sarà rimandata a una tappa ulteriore, quando si sarà arrivati a una divisione del testo in “passi”, o almeno a una prima ipotesi di divisione in passi. Allora, per l’analisi di ogni passo, si farà la divisione in membri, raggruppati poi in segmenti, questi in brani e via dicendo, come si è fatto finora» (R. MEYNET – J. ONISZCZUK, Esercizi di analisi retorica biblica, Retorica Biblica e Semitica 3, Roma 2013, 89). 3 Non si riconosce complessivamente né l’unità della sottosezione (13,53–17,27) né quella della sequenza in esame (15,1–16,12). Soltanto Mello vede una cesura in 15,1 come in 16,13 (A. MELLO, Evangelo secondo Matteo. Commento midrashico e narrativo, Spiritualità Biblica, Magnano 1995, 29.276-277.293). Gli altri sono sostanzialmente della posizione di dividere il capitolo 15 da quello successivo. Cf. come più rappresentativi: J. RADERMAKERS, Lettura pastorale del Vangelo di Matteo, Lettura pastorale della Bibbia, Bologna 19863, 237-242; e: U. LUZ, Vangelo di Matteo, II, Commentario Paideia. Nuovo Testamento 1.2, Brescia 2010, 477-479. 4 «Allora vengono-vicino a Gesù da Gerusalemme Farisei e scribi». In 15,1 l’autore passa al presente storico-drammatico (gr. tote proserchontai), molto probabilmente per vivificare l’azione, una volta lasciata l’unità precedente (cf. 14,34-36). L’avverbio tote è uno dei più utilizzati dal primo evangelista (circa 90 volte nel suo vangelo). E tuttavia, non lo si troverà nel passo parallelo di Mc 7,1: si tratta perciò di una precisa scelta composizionale.

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Francesco GRAZIANO

«Farisei e Sadducei» (16,1 s.), cosa che farà emergere la dannosità del loro «insegnamento» (cf. 16,12)5. A ciascuna controversia, in parallelo, sembra seguire una chiarificazione con i discepoli (15,12-20; 16,5-12)6. Si potrebbe sintetizzare una prima visione d’insieme per quelle che dovrebbero essere due sottosequenze estreme, che delimitano una sottosequenza centrale: A. Mt 15,1-11: DISPUTA sulla Torah orale: : 15,1 Allora alcuni farisei e alcuni scribi [...] SI AVVICINARONO a Gesù :. e gli dissero... [Questo popolo mi onora solo con le labbra] B. Mt 15,12-20: Enigma su ciò che rende impuro l’uomo [ai DISCEPOLI]: 12

Allora I DISCEPOLI SI AVVICINARONO per dirgli... [comprendere / NON CAPITE?]

X. Mt 15,21-39: una sottosequenza centrale? A’. Mt 16,1-4: DISPUTA sul Segno dal cielo: : 16,1 I farisei e i sadducei SI AVVICINARONO :. e gli chiesero...

per metterlo alla prova

[Una generazione malvagia e adultera pretende un segno] B’. Mt 16,5-12: Enigma sul lievito che guasta il pane [ai DISCEPOLI]: 5

Nel passare all’altra riva, I DISCEPOLI... [comprendere / NON CAPITE?]

Tra queste due controversie, Gesù è in movimento ai confini della terra di Israele («nella regione di Tiro e Sidone», in 15,21; poi «presso il mare di Galilea» in 15,29), concedendo in maniera alquanto inaspettata a una donna pagana la guarigione della figlia (15,21-28), e compiendo segni sul monte (15,29-39). Questo contributo vuole dare avvio allo studio dell’unità compositiva ipotizzata, concentrandosi anzitutto sulla sottosequenza centrale così singolare.

5 Si noti pure la simmetria con 15,1: «Ed essendo-venuti-vicino i Farisei e i Sadducei» (16,1). In 16,13 Gesù è «verso le parti di Cesarea di Filippo»: ha «lasciato» i suoi antagonisti (16,4) ed è solo con i suoi. Con essi non parla più di questioni legate alla Torah o all’insegnamento dei suoi avversari: rivolge piuttosto la domanda capitale sull’identità del «Figlio dell’Uomo». 6 Anche questo secondo versante delle unità è evidentemente segnato da simmetrie: Tote proselthontes hoi mathētai («Allora essendosi-avvicinati i discepoli», in 15,12) e: Kai elthontes hoi mathetai («Ed essendo-venuti i discepoli», in 16,5). La prima diatriba è ulteriormente sviluppata dalla richiesta di Pietro in 15,15-20.

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Il Messia apre l’Alleanza per le Nazioni (Mt 15,1–16,12)

La sottosequenza centrale si presenta composta di tre passi, in struttura concentrica: GESÙ GESÙ GESÙ

apre

A UNA PAGANA

il banchetto dell’Alleanza

15,21-28

guarisce

la folla

sul Monte

15,29-31

anticipa

PER LE FOLLE

il pane della Nuova Alleanza

15,32-39

L’analisi dei singoli passi giustificherà la composizione proposta, tentando di far scaturire da essa un arricchimento per il lettore nell’interpretazione finale. 1. GESÙ APRE A UNA DONNA PAGANA IL BANCHETTO DELL’ALLEANZA (15,21-28) Composizione del passo Il passo è di quattro parti in struttura speculare, con una introduzione (21ab). Nell’unità introduttiva è descritto il movimento di uscita di Gesù «da lì» (21a: il luogo della disputa nell’unità precedente)7, per «ritirarsi verso le parti di Tiro e Sidone» (21b). A questo movimento risponde immediatamente, nella prima parte, quello della «donna»: come Gesù «è uscita» (per entrambi il participio del verbo exerchomai: 21a; 22b), «da quei confini» (22b) per andargli incontro8. Le parti centrali (23b-24; 25-26) presentano una struttura pressoché identica: due brani di due segmenti ciascuno. Nei primi intervengono «i suoi discepoli» (23b) e «quella» donna (25a): i discepoli «chiedevano a lui» (23c) di «rimandarla» (23d), l’altra «si prostrava a lui» (25b) domandando: «vieni-in-aiuto di me» (25c)9. Il secondo brano di ognuno presenta un bimembro e un trimembro: i primi sono del tutto identici (24ab; 26ab), mentre i trimembri seguenti (24cde; 26cde) hanno significato simile e la stessa struttura sintattica.

7 In 14,34 una volta sbarcati, Gesù è con i suoi discepoli «nella terra di Gennesaret», ed è lì che probabilmente si recano «Farisei e Scribi» da Gerusalemme (15,1). Ma l’espressione potrebbe andare oltre il significato geografico per assumerne uno simbolico: in Mt la maggior parte delle volte Gesù si muove «da lì» (gr. ekeithen) per allontanarsi da una situazione critica (cf. 9,9.27; 12,9.15; 14,13; 19,15; solo in 15,29 torna in terra di Galilea dopo l’incontro con la Cananea). Così X. LÉON-DUFOUR, «Verso l’annuncio della Chiesa. Studio di struttura (Mt 14,1–16,20)», in ID., ed., Studi sul Vangelo, Parola di Dio 2, Roma 1967, 19743, 322-326). 8 La scelta dei due termini «verso le parti» (21b) e «dai confini quelli» (22b) sembra voluta. Il primo termine (gr. ta merē, lett. «le parti») al plurale, con il genitivo di una città, indica la regione o il paesaggio attorno ad essa. Il secondo (to horion, «il confine») è utilizzato sempre al plurale nel NT, indicando i confini effettivi di un determinato territorio amministrativo (così in Mt 2,16; 4,13; 15,39). La scelta fa allora capire come Gesù si fosse inoltrato nel paesaggio attorno alle città pagane, ma non ne avesse ancora oltrepassato il confine. È invece la donna che lo fa, che «esce» verso di lui: cf. A. MELLO, Evangelo secondo Matteo (cf. nt. 3), 282. 9 La differenza tra le due richieste è relativa al tempo verbale: imperativo aoristo per i discepoli (23c), presente per la Cananea (25c).

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Francesco GRAZIANO

: 21 Ed ESSENDO-USCITO da lì Gesù .. 22 Ed ecco, UNA DONNA Cananea - dai quei confini ESSENDO-USCITA -

si ritirò verso le parti di Tiro e di Sidone. GRIDAVA

dicendo:

. «Abbi-pietà di me, Signore, Figlio di Davide! :: LA FIGLIA MIA malamente è indemoniata». ··································································································································

– 23 Ma quello non rispose a lei parola. .. Ed essendosi-avvicinati i discepoli di lui, .. domandavano (a) lui dicendo: . «Rimanda lei,

perché GRIDA dietro di noi». ································································································

= 24 Ma quello avendo-risposto

disse:

: «Non fui-inviato

:: se non verso le pecore perdute :: della casa di Israele.

.. 25 Ma quella essendo-venuta, .. si prostrava a lui dicendo: . «Signore,

vieni-in-aiuto di me!».

·······················································································

= 26 Ma quello avendo-risposto

disse:

: «Non è bene

:: prendere il pane dei figlioli :: e GETTARE ai cagnolini».

.. 27 Ma quella disse: . «Sì, Signore!

:: E infatti i cagnolini mangiano dalle briciole :: quelle CADENTI dalla tavola dei signori loro!».

··································································································································

+ 28 Allora avendo-risposto + Gesù disse a lei: :. «O DONNA, grande di te la fede :

avvenga per te come (tu) vuoi».

··················································································· :: E fu-ristabilita LA FIGLIA SUA dall’ora quella.

Infatti, la particella «non» è termine iniziale per entrambi (24c; 26c), di modo che «non fui-inviato» risponde a «non è bene»; «le pecore perdute» del primo trimembro (24d) sono in evidente relazione con i «figlioli» dell’altro (26d) e in opposizione ai «cagnolini» (26e)10. 10

Il sostantivo tekna proviene dal verbo tiktō, «partorire»: indica un rapporto diretto di generazione. Insieme all’immagine del gregge di «pecore» (cf. Ger 31,10; Mt 2,6) designa i figli di Israele. Il diminutivo di kyōn potrebbe designare i cani di piccola taglia, i quali abitavano all’in-

Il Messia apre l’Alleanza per le Nazioni (Mt 15,1–16,12)

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Nelle parti estreme, il primo brano è sempre un intervento della «donna» (22; 27), a cui corrisponde (o meno) la risposta di Gesù nel secondo. Infatti, se all’inizio egli «non rispose a lei parola» (23a), nell’ultima parte Gesù «avendo risposto, disse a lei» (28ab)11. Così, è l’ultimo intervento della donna a determinare l’esito del passo, avendo provocato la definitiva risposta del Signore: un brano finale di prolungamento, nella terza parte, constata l’effettiva guarigione avvenuta (28fg). Il sostantivo «donna» è termine estremo (22a; 28c): se nella prima parte è il narratore che la definisce «Cananea», nella terza è Gesù che, in contrasto, ne riconosce «grande […] la fede». Anche il termine «figlia» è estremo (22f e 28f), mentre al verbo «è-indemoniata» risponde il verbo finale «furistabilita»: presentano la situazione prima e dopo il capovolgimento ottenuto dalla «fede» della donna. Tra le prime due parti, «gridava» (22c) e «grida» (23e) sono termini medi, mentre tra la terza e la quarta parte lo sono il termine «cagnolini» (26e; 27c), «pane» (26d) e «briciole» (27d), e infine il verbo «gettare» (26e) e il participio «quelle cadenti» (27d). Il vocativo «Signore» è solo sulle labbra della donna (22e arricchito dall’apposizione «Figlio di Davide»; 25c; 27b), come anche le sue espressioni cariche di fede: «abbi-pietà di me» (22d), e: «vieni-in-aiuto di me» (25d). La logica del passo Sebbene sia l’intervento finale della donna a determinare l’esito della narrazione, la composizione del passo spinge alla riflessione sull’assenza di un centro: sarà probabilmente la più piccola sfumatura di diversità tra le parti interne a stabilire un aggancio interpretativo. E infatti, sembra opportuno sottolineare un cambiamento di tono nelle parole di Gesù: prima categorico con i discepoli sulla sua missione esclusiva (24), cede il passo all’immagine familiare dei «cagnolini» che mangiano sotto la mensa, quando si rivolge alla donna (25). Contesto «Signore, Figlio di Davide» (15,22e) È nell’intenzione del primo evangelista presentare Gesù come il «figlio di Davide». Lo fa già nel titolo del Libro (1,1) per dichiarare che si tratta del Messia atteso da Israele: «Libro della generazione di Gesù Messia, figlio di terno della casa familiare. Ma il contesto ebraico da cui proviene (il sostantivo ebraico keleb) farebbe piuttosto riferimento a una situazione di insignificanza (1Sam 17,43; 2S 3,8; 2Re 8,13; Qo 9,4) o di impurità (Dt 23,19; Lc 16,21), alludendo perciò ai pagani. Da un testo del II sec. d.C. si desume l’usanza di gettare ai cagnolini di famiglia le briciole del pasto o quelle con cui si era soliti pulire le mani (così BDAG, 575). 11 Si deve notare che il verbo apokrinomai è utilizzato (al participio) anche in 24a e in 26a: tuttavia solo qui è accompagnato dal pronome singolare autēi, cosa che fa comprendere la rottura del silenzio-rifiuto iniziati in 23a.

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Francesco GRAZIANO

Davide, figlio di Abramo». Ma nel proseguo del vangelo davvero in pochi lo invocheranno con questo nome (i ciechi: 9,27 e 20,30.31; i bambini e le folle: 21,9.15). La donna cananea è l’unico personaggio che non solo gli riconosce questo titolo ma, al contrario di tutti gli altri, lo chiama anche «Signore». Davide distribuisce al popolo «un pane per ognuno» Nel Secondo Libro di Samuele, proprio al momento in cui l’Arca è collocata nella città scelta come sede divina, Davide compie un gesto di grande paternità: «distribuisce a tutto il popolo, a tutta la moltitudine d’Israele, uomini e donne, una focaccia di pane ognuno», con carne e schiacciata d’uva (2Sam 6,18-19). Il grido dell’orante nel Libro del Salterio Le invocazioni della donna (15,22d.25d) trovano un’eco profonda nel Libro dei Salmi di Israele12. Sembra davvero che ne stia citando alcuni: «Ascolta Signore la mia voce. Io ho-gridato [LXX: ekekraxa]: abbi-pietà di me [LXX: eleēson me]» (Sal 27,7). «Abbi-pietà di me Signore [LXX: eleēson me kyrie]: presso di te griderò [LXX: pros se kekraxomai] il giorno intero» (Sal 86,3). «Ecco infatti: Dio mi aiuta [LXX: boēthei moi], il Signore sostiene la mia vita» (Sal 54,6). «Aiutami Signore [LXX: boēthēson moi kyrie], Dio mio, salvami secondo la tua pietà [LXX: kata to eleos sou]» (Sal 109,26)13.

A mensa con i figli di Abramo nel Vangelo di Matteo È chiaro che l’evangelista ripeta qui le istruzioni che Gesù aveva dato ai suoi discepoli per la predicazione del Vangelo14: «Per la via delle Nazioni non partite e nella città dei Samaritani non entrate: andate invece alle pecore perdute della casa d’Israele» (10,5-6; cf. 15,22). E tuttavia, l’appunto che rivolge ai discepoli è ribaltato alla fine in favore della donna pagana. Il racconto si avvicina incredibilmente alla guarigione del centurione di Cafarnao: 5

Entrato egli in Cafarnao, gli si avvicinò un centurione supplicandolo 6 e dicendo: «Signore, il mio servo giace in casa paralitico, terribilmente tormentato». 7 E diceva a lui: «Io venendo lo curerò». 8 E rispondendo il centurione disse: «Signore, non sono degno che sotto il mio tetto entri, ma solo di’ una parola, e sarà-guarito il mio servo. 9 E infatti io sono uomo sotto autorità, avendo sotto di me soldati, e dico a questo: 12

Così anche U. LUZ, Vangelo di Matteo (cf. nt. 3), 540-542. Sono citate qui solo quattro delle molte ricorrenze del Salterio. Ancora, per il v. 22: Sal 6,3; 9,14; 25,16; 26,11; 31,10; 41,5; 51,3; 56,2; 57,2bis; 86,3.16; 119,29.58.132. Per il v. 25: Sal 54,6 e 94,18; ma anche Sal 44,27; 70,6; 79,9; 86,17; 94,17-18; 107,41. In particolare, nei Sal 44,27 e 79,9 si può notare l’invocazione nazionale (alla seconda persona plurale). 14 Eppure, anche all’interno del Discorso sulla vita apostolica (10,1-42), la prima sfumatura esclusivista (10,5-6) è contraddetta dalla visione universalistica futura (10,18 cf. 28,20). 13

Il Messia apre l’Alleanza per le Nazioni (Mt 15,1–16,12)

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“Va’”, e va; e a un altro: “Vieni”, e viene, e al mio servitore: “Fa’ questo”, e fa». 10 Avendo-ascoltato Gesù si meravigliò e disse a quelli che lo seguivano: «Amen, vi dico: presso nessuno così-tanta fede in Israele trovai. 11 Ora vi dico che molti da Oriente e da Occidente arriveranno (hēxousin) e si siederanno-a-mensa (anaklithēsontai) con Abramo e Isacco e Giacobbe nel Regno dei Cieli, 12 ma i figli del Regno (hoi de hyioi tēs basileias) saranno-cacciati nella tenebra esteriore; là sarà il pianto e lo stridore dei denti». 13 E disse Gesù al centurione: «Vai, come hai-creduto avvenga a te». E fu-guarito il suo servo nell’ora quella (Mt 8,5-13)15.

Il richiamo straordinario (si potrebbe dire anzi prolettico) è tutto nelle parole che Gesù rivolge «a quelli che lo seguivano» (10-12): il verbo «arriveranno» (gr. hēxousin) indica un futuro sopraggiungere dei membri («molti») delle Nazioni, per «sedere-a-mensa» con i patriarchi, mentre «i figli del Regno», quelli a cui era originariamente riservato «il pane» (15,26), ne saranno esclusi16. Interpretazione Una donna dalle Nazioni infrange i confini per entrare nella fede di Israele L’umiltà e la fede della donna hanno spinto il lettore di ogni tempo non solo a commuoversi nei suoi confronti, ma a desiderare di immedesimarsi in lei, nell’incontro col Salvatore. Uno sguardo attento, tuttavia, potrà cogliere uno straordinario movimento di uscita di questa pagana, di grande forza. Ella «vienefuori» dai confini geografici e amministrativi del territorio delle emblematiche città bibliche che simboleggiano i pagani, per andare da Gesù, in terra d’Israele. Più profondamente, questa «cananea» (22: proprio così la qualifica l’evangelista) ha infranto i confini spirituali del suo status: è penetrata nella fede genuina di Israele, l’ha indossata, l’ha fatta propria, l’ha incarnata sin dalle sue prime battute. Sola, in tutto il Vangelo, invoca Gesù come «Signore» e insieme «figlio di Davide», presenza di Dio e Messia inviato a un popolo di cui ella non sembrerebbe far parte (26). Ogni volta che a lui si rivolge, la parola dei Salmi, preghiera di Israele, affiora alla sua bocca: «Abbi pietà di me» (Sal 27,7; 86,3), «vieni in mio aiuto» (Sal 54,6; 109,26). Alla fine, facendo sue persino le parole di Gesù per manifestargli una incrollabile fiducia, il Messia stesso non potrà che riconoscerle «grande la fede» (28), che la fa splendere anticipatamente ai suoi occhi come vera figlia di Abramo (cf. 8,10-12). Non a torto Ilario aveva visto in lei la figura dei proseliti: questa donna che prega per la sua creatura, i gentili, a cui il Vangelo sarà annunciato dopo la Pasqua17. 15

Il corsivo nella citazione serve a sottolineare gli echi contestuali con 15,21-28. Secondo l’analisi di Di Paolo, anche per questo passo la struttura retorica è per altro di tipo speculare (cf. R. DI PAOLO, «Mt 8,1-17 & 9,18-38: due sequenze corrispondenti?», in R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del terzo convegno RBS. International Studies on Biblical & Semitic Rhetoric, Retorica Biblica e Semitica 2, Roma 2013, 132). 16 In 15,26 però, Gesù utilizza il più familiare sostantivo ta tekna. 17 ILARIO DI POITIERS, In Evangelium Matthaei Commentarius, 15,3.

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Anche Gesù infrange “confini” per aprire una breccia alla pagana? Sembrerebbe che Gesù si sia «ritirato» dalla durezza del cuore di Farisei e Scribi che hanno serrato l’insegnamento della Torah nella trappola dell’ipocrisia (15,7). Si trova ora ai confini della terra di Israele, ma al sopraggiungere della pagana, al contrario di quanto aveva misteriosamente già fatto con il centurione, «non rispose a lei parola» (23). È perché la sua missione, come quella dei discepoli (10,5-6) non deve essere fraintesa: Gesù è il Messia di Israele (1,21). È per loro che è inviato, per ricondurne «le pecore perdute» (24), e per prendersi cura del suo popolo adempiendo alla paternità regale di Davide, di cui egli è effettivamente il «figlio» (cf. 2Sam 6,18-19). Gesù ripete due volte questo punto imprescindibile del piano divino: ai suoi discepoli, poi alla donna che «si prostrava» con insistenza. Ma questa seconda volta, l’immagine che utilizza (26) scioglie un’apparente irrevocabilità (24). Se l’immagine dei «figlioli» indica chiaramente la realtà del popolo eletto, quella dei «cagnolini» sembra lasciare però un margine di vuoto, che la donna potrà colmare con la sua fede. Anch’essi vivevano all’interno della casa, e dunque l’immagine potrebbe alludere con tenerezza alla partecipazione del pasto familiare, se non altro, come dice la donna, per «le briciole» che i signori lasciavano bonariamente cadere (27). Sebbene l’immagine sia poco comprensibile alla mentalità odierna, la composizione speculare del passo sembra suggerire un significato importante: non sarà che Gesù stesso offra alla donna una via per far breccia nel cuore di Dio? Non starà egli stesso oltrepassando i confini, per aprire la Scrittura e il tempo all’ingresso delle Nazioni nella salvezza18? Se la donna «vorrà» (28) potrà allora entrare con sua figlia. Il posto dei discepoli Se confrontata con la versione di Marco, il passo di Matteo è molto specifico nel citare i «discepoli» in diretto parallelismo con la donna (23b-24)19. Essi chiedevano più volte (questo è il senso dell’imperfetto «domandavano», 23b) di «rimandarla», di scioglierla dal legame con il male. Forse qui, le parole tradiscono l’intenzione del cuore (15,18): il verbo apolyō esprime un desiderio di congedo e di distacco20, mentre la motivazione del loro intervento (23e) tradisce una certa irritazione: essi volevano liberarsene. Hanno poca attenzione al dolore profondo di colei che «grida» al Signore per ottenere un gesto della sua misericordia. 18

Simile l’intuizione in A. MELLO, Evangelo secondo Matteo (cf. nt. 3), 283-284. Nel passo di Marco (7,24-30) si dice solamente che i presenti «domandavano a lui di scacciare il demonio da sua figlia» (7,26cd). Si veda: R. MEYNET, Il Vangelo di Marco, Rhetorica Biblica et Semitica 14, Leuven 20182, 216-218. 20 Il solo uso nel Vangelo di Matteo, fino a qui, è davvero particolare: in 1,19 e 5,31-32 designa il divorzio da donna, mentre in 14,15.22.23 si tratta del congedo dalle folle. 19

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Gesù, per ora, ricorda che il mandato messianico è limitato a chi si è «perduto» nella casa d’Israele, ma li coinvolge (nel silenzio) ad assistere alla scena. Questo è importante: un cuore irritato e autoreferenziale è anch’esso «perduto» o rischia di diventare «ipocrita», come quello dei precedenti antagonisti (cf. 15,120). L’unico modo per aprire una breccia anche nei discepoli sarà utilizzare il canale dell’esperienza piuttosto che quello della parola. Non potrebbero altrimenti partire, nel futuro, per «fare-discepoli tutte le Nazioni» (28,20) con lo stesso stile autorevolmente sapiente, ma allo stesso tempo ricco di tenerezza, proprio del loro Maestro. Pane o solo briciole? Complessivamente il lettore alla fine del passo potrebbe rimanere interdetto. Se Gesù ha parlato del «pane» da non dare ai «cagnolini» (26), cosa è avvenuto realmente alla fine esaudendo la donna (28)? Ella infatti sembra aver ottenuto ciò che insistentemente chiedeva. Perciò si realizzano già, prima della Pasqua, le parole solenni di Gesù «a quelli che lo seguivano» nell’incontro con il centurione (8,10-12): «Ora vi dico che molti arriveranno da Oriente e da Occidente e si siederanno a mensa con Abramo e Isacco e Giacobbe nel Regno dei Cieli». Così la donna è arrivata dai territori pagani per carpire la liberazione di sua figlia, ha mangiato alla mensa del Messia. 2. GESÙ GUARISCE LA FOLLA SUL MONTE (15,29-31) Il passo centrale della sottosequenza è costituito di una parte concentrica (30-31ae), incorniciata da un’introduzione (29) e da una conclusione (31f). L’introduzione è scandita in due bimembri paralleli: di ciascuno, il primo membro è caratterizzato dal participio avverbiale («allontanatosi», in 29a e «salito», in 29c)21, mentre il secondo costituisce la principale. «Da lì» (29a) e «lì» (29d) sono termini estremi, mentre «presso il mare» (29b) e «sul monte» (29c) si oppongono. Il «venire» di Gesù (29b; gr. ēlthen) è corrisposto, nella parte principale, dal «venire-presso» di lui delle «molte folle» (30a; gr. prosēlthon). All’interno della parte, i due brani estremi simili (30ae; 31ae) narrano l’arrivo delle folle e il loro «stupore» dopo le guarigioni operate22. Tra di essi, «folle molte» (30a) è termine iniziale insieme al corrispettivo «la folla» (31a)23. I malati («zoppi», «ciechi», «storpi», «muti») sono elencati nel trimembro del primo brano (30cde, insieme al sintetico «altri») e nei due bimembri del terzo (31bc.31de), qui ampliati dalla constatazione della guarigione avvenuta. Il loro 21

In greco, i participi metabas e anabas producono una paranomasia. Così anche gli avverbi ekeithen (29a) ed ekei (29d), che hanno anche significato simile. 22 L’ultimo brano è infatti aperto dalla particella consecutiva hōste. 23 Il passaggio dal plurale al singolare ha portato le versioni antiche alla correzione (tous ochlous: B L W, maggioranza dei manoscritti greci, versioni latine e siriache).

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ordine è evidentemente invertito24. Il primo brano è ben delimitato dai termini estremi «molte» (30a) e «molti» (30e), mentre il terzo dai participi «vedendo» (31a) riferito alla folla, e «vedenti» (31e) riferito ai ciechi. – 29 E allontanatosi :: venne

da lì presso il mare

– e salito :: sedeva

sul monte lì.

.30 E vennero-presso . avendo : ZOPPI, :. STORPI, : e altri

lui con loro:

Gesù della Galilea,

folle

molte

ciechi, muti molti.

··························································································

:: E gettarono :: e CURÒ

LORO LORO,

presso i piedi

suoi,

··························································································

.. 31 così da :. muti :. STORPI : e ZOPPI : e ciechi = E glorificarono

la folla

stupirsi

vedendo:

parlanti, sani camminanti vedenti. il Dio

d’Israele.

Nel brano centrale, l’unico bimembro presenta l’azione della folla e la risposta di Gesù25: «loro» (30fg) è termine medio, riferito evidentemente ai malati dei brani estremi. L’unimembro conclusivo presenta la reazione finale dei presenti: le moltitudini, infatti, folla e guariti insieme, «glorificarono» il Signore (31f). In maniera incrociata, solo nell’introduzione (29) e nel secondo membro del brano centrale (30g) i verbi hanno per soggetto Gesù, mentre nella conclusione e nel primo membro «glorificarono» (31f) e «gettarono» (30f) sono azioni corrispettive della folla.

24 Si deve quindi notare non solo la struttura speculare dei segmenti a partire dalle coppie «zoppi/ciechi» e «storpi/muti», ma anche la citazione inversa di «storpi e muti» nel primo (30d) e «muti...storpi» nell’altro (31bc). 25 Anche qui andrebbe notata la sintassi equivalente, costituita per entrambi i membri dalla congiunzione, seguita dal verbo e dal complemento oggetto identico. Solo il primo membro (30f) è ampliato da «presso i piedi suoi».

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La logica del passo Il parallelismo della parte introduttiva con quella principale sottolinea ancora un movimento reciproco di incontro, tra Gesù e le moltitudini (29-30). È tuttavia la guarigione centrale ad innescare il secondo versante del passo (31). D’altra parte, i brani estremi della parte principale (segnati da forti corrispondenze) si differenziano per sfumature che il lettore non può trascurare: le «folle molte» sono unificate ne «la folla» (30a; 31a), ed è la «visione» (31a.31e) dei malati restituiti alla loro integrità a rivelare e di conseguenza a far glorificare «il Dio d’Israele», il Dio unico. Contesto «Sul monte il Signore si fa vedere» (Gen 22,14) Nel Vangelo di Matteo il ministero di Gesù è profondamente legato al motivo del «monte». Nella sottosezione in esame, Gesù vi «sale» dopo la prima moltiplicazione dei pani (14,22-23). E vi sale «in disparte», «per pregare». Così, poco più avanti, egli conduce tre dei suoi discepoli «su un monte alto, in disparte» per farsi conoscere (17,1): si tratta del passo della Trasfigurazione. All’interno dell’intero Vangelo, «il monte» in Galilea è ancora menzionato. In 5,1, «Gesù salì sul monte»: qui è «seduto» per insegnare (il Discorso della Nuova Alleanza: 5,1–7,29)26. Così, alla fine del Libro, il Risorto si fa «vedere» (8,7.10) «sul monte che aveva designato» (gr. etaxato) per i discepoli, in Galilea. Anche nel passo in questione, Gesù è «seduto» «sul monte», ma non insegna: guarisce27. E le folle «vedendo» i malati risanati28, riconoscono «il Dio d’Israele» (31f). La tessitura di Matteo sulla significatività del «monte» è dunque davvero forte. In ogni modo, «il monte» diventa nel Vangelo luogo rivelativo fondamentale, come nell’episodio della legatura di Isacco (Gen 22,9-14). Anche lì, Abramo aveva dovuto imparare la lezione, dando un nome di impatto rivelativo alla località geografica: Allora Abramo alzò gli occhi e vide un ariete, impigliato con le corna in un cespuglio. Abramo andò a prendere l’ariete e lo offrì in olocausto invece del figlio. Abramo chiamò quel luogo «Il Signore vede»; perciò oggi si dice: «Sul monte il Signore si fa vedere» (Gen 22,13-14). 26

Si deve notare che anche per l’ultimo dei Discorsi, in 24–25, Gesù è «seduto sul monte» (24,3): si tratta tuttavia del «Monte degli Ulivi», a Gerusalemme. 27 Sembra importante sottolineare questa differenza con 5,1. Il lettore avrebbe potuto aspettarsi anche qui un insegnamento in parole di Gesù. Ma da 13,10-17 e 13,34-35 si è avvertiti anche del fatto che le folle faticano ad entrare nella logica del Regno per mezzo dello strumento rivelativo/enigmatico della parola. 28 Il verbo «vedere», nella composizione, segna questo riconoscimento che scaturisce dall’opera taumaturgica di Gesù: l’autore mantiene l’ordine dell’ultima coppia (aveva invertito invece in 31bc), per concludere il brano sull’apertura degli occhi dei «ciechi» che «vedono» (31e).

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Vedere le «opere del Messia» I malati che trovano guarigione sul monte richiamano «le opere del Messia» (Mt 11,2) che Gesù fa annunciare a Giovanni il Battista affinché lo si riconosca: «Andate a riferire a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Mt 11,4b-5). Alcune di queste opere erano già segno escatologico divino nel Libro di Isaia: Dite agli smarriti di cuore: «Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi». Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa (Is 35,4-6).

Lo sfondo di Isaia 29 Sempre nel Libro di Isaia, le grandi opere del Signore (tra cui figurano le guarigioni, cf. 29,18-19), sono considerate la motivazione del riconoscimento e della santificazione, da parte dei «figli di Giacobbe», del «Dio d’Israele»: Pertanto dice alla casa di Giacobbe il Signore, che riscattò Abramo: «D’ora in poi Giacobbe non dovrà più arrossire, il suo viso non impallidirà più, poiché vedendo i suoi figli29 l’opera delle mie mani tra loro, santificheranno il mio nome, santificheranno il Santo di Giacobbe e temeranno il Dio d’Israele (Is 29,22-23).

L’allusione a questo testo è tanto più probabile per i versetti che lo precedono, i quali sono direttamente citati da Gesù nella disputa con i Farisei di 15,8-9 (cf. Is 29,13-14). In Is 29,14 allora il Signore prepara come rimedio per la lontananza e il formalismo l’«operare meraviglie e prodigi con questo popolo», di modo che la parola faccia posto all’eloquenza di una lezione per gli occhi. Interpretazione Un insegnamento non più ascoltato, ma veduto Il ritorno di Gesù «presso il mare di Galilea» e la sua «salita sul monte», dove «sedeva» (29), innesca nel lettore l’attesa di un insegnamento. Come in 5,1 al momento del Discorso della Nuova Alleanza, anche qui Gesù è seduto e «vengono presso di lui molte folle». Ma il Messia, questa volta, non insegna, non almeno con la parola (cf. 5,2). Neppure «le folle» salgono da lui per venire ad ascoltarlo. Esse «hanno con loro» ogni sorta di malati (30cde) che «gettano ai suoi piedi». Questi ultimi, i sofferenti, sostituiscono quasi i discepoli (cf. ancora 29

Si noti che LXX ha per questo termine il gr. ta tekna, come in Mt 15,26.

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5,1) che non sono nominati nella scena: sono fatti avvicinare al Maestro, piegati dalla loro sfinitezza30, e attendono. La reazione di Gesù è istantanea: si prende cura di loro, li guarisce, e in questo modo offre alla vista dei presenti (e alla vita dei diretti interessati) un insegnamento che trascende le parole. Non aveva egli stesso insegnato a compiere «opere buone» perché, vedendole, si potesse riconoscere la Gloria del Padre operante nel mondo (Mt 5,16)?31. Se il Messia non parla, il Dio d’Israele si fa incontrare nelle sue opere, e può ancora una volta essere riconosciuto. Sul monte, in Gesù, il Signore si fa vedere, effonde la sua gloria, e così insegna al suo popolo come egli sia. Le «folle» vanno da Gesù...una «folla» glorifica il Dio d’Israele Il Vangelo di Marco non menziona questa serie di guarigioni sul monte, sintetizzate nell’unica di un sordomuto (Mc 7,31-37). D’altra parte, Marco è piuttosto chiaro riguardo alla geografia e ai personaggi: Gesù «uscendo dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli» (Mc 7,31). Le folle con cui Gesù si relazionerà e che sfamerà nel passo successivo (cf. 7,33; 8,1) sono, almeno in maggioranza, di estrazione pagana32. Nel Primo Vangelo, l’autore non tiene a precisare l’origine etnica delle folle, poiché sin dall’inizio Gesù è seguito da molti gruppi «dalla Galilea, dalla Decàpoli, da Gerusalemme, dalla Giudea e da oltre il Giordano» (4,25), come la sua fama si era diffusa da subito «per tutta la Siria» (4,24). Dunque, sono i figli di Israele, ma anche i pagani, che vanno in massa dal Messia. E, come per l’incontro con la donna Cananea, non è lui a uscire da Israele, quanto piuttosto loro a raggiungerlo, sul monte. Forse è più pertinente notare che, una volta accesa la didachè illuminante delle guarigioni, le «molte folle» (29) sono riunite e unificate ne «la folla» (31). Un unico popolo stupisce vedendo i prodigi del Messia, glorificando il Signore di tutti, «il Dio d’Israele» (31). 3. GESÙ ANTICIPA PER LA FOLLA IL PANE DELLA NUOVA ALLEANZA (15,32-39) Il passo è costituito di tre parti (32-33; 34; 35-38) in costruzione concentrica. Una conclusione della lunghezza di un solo trimembro (39) lo chiude, descrivendo lo spostamento di Gesù «in barca». La prima parte contiene un primo dialogo tra Gesù (32) e «i discepoli» (33) sulla «folla» (32c.32f), e termina con una loro domanda (33bc). La parte centrale, al contrario, è articolata dalla domanda di Gesù che rovescia quella 30

Matteo usa il verbo gr. erripsan (da riptō, «gettare»). Era apparso ancora in 9,36: si trattava anche qui delle folle di cui Gesù sente compassione, perché erano «stanche e abbattute (gr. errimmenoi) come pecore che non hanno pastore» (cf. 15,24!). 31 In 5,14 Gesù paragonava la testimonianza dei discepoli a «una città che sta sopra un monte». 32 Così R. MEYNET, Il Vangelo di Marco (cf. nt. 19), 254.

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precedente (34ab), cui segue la risposta finale dei discepoli (34cd). L’ultima parte, infine, narra la soluzione del problema: il miracolo della moltiplicazione e la distribuzione da parte dei «discepoli» (35-36), la fame saziata e l’abbondanza delle parti avanzate (37-38). Tra le prime due parti, «pani tanti» (33b) risponde a «quanti pani», nella domanda di Gesù (34b), mentre «avete» (34b) riprende la sua affermazione nel primo brano: «e non hanno cosa mangino» (32e)33. Invece, «sette pani e pochi pesciolini» (34d) è termine medio con «i sette pani e i pesci» (36a) nella terza parte, mentre alla fine del passo si devono ancora notare «sette sporte piene» avanzate (37c). Tra le parti estreme, «i discepoli» appaiono nei brani interni (33a; 36cd) e all’inizio del passo (32a), mentre «la folla» è indicata in ciascuno dei brani: nella prima parte «per la folla» (32c) e «una folla tanta» (33c); mentre per la terza «alla folla» (35a) e «alle folle» (36d) nel primo brano, trasformate in «tutti» (37a) e «quattromila uomini» (38a) alla fine. Verbi tratti dal campo semantico del cibo segnano le parti estreme: nella prima «mangino» (32e) e «saziare» (33c; cui si oppone l’aggettivo «digiuni» in 32f), cui corrispondono nella terza parte «mangiarono» (37a; con il participio «mangianti» in 38a) e «furono-saziati» (al passivo, in 37a). Nel trimembro di conclusione il participio «rimandate» (39a) corrisponde a «rimandare» (32f) della prima parte, compiendo l’intenzione originaria di Gesù. La logica del passo Nella parte centrale, Gesù ribalta la domanda dei discepoli, invitandoli a considerare quello che «hanno» per metterlo nuovamente a disposizione. Il centro, dunque, permette il passaggio dal primo versante del passo, problematico, alla sua risoluzione. I brani delle parti estreme possono anche corrispondersi in modo speculare: infatti, al desiderio di Gesù di non rimandare digiuna la folla (32) risponde il fatto che «tutti sono saziati» (37), mentre alla domanda retorica sulla fonte di una così grande quantità di pane necessario (33) risponde il miracolo stesso di Gesù (35-36).

33

Perciò anche il termine «cosa», indeterminato, risponderebbe ai «pani» del centro.

Il Messia apre l’Alleanza per le Nazioni (Mt 15,1–16,12) + 15,32 Poi Gesù + disse:

chiamati-presso

: «Ho-compassione – poiché già :. e non hanno

PER LA FOLLA,

: E rimandare – affinché non

LORO

giorni tre COSA

siano-indeboliti

73

i suoi discepoli

stanno-presso mangino

di me

digiuni nella via.

non voglio

····················································································································

– 33 E dicono

a lui

i discepoli:

a noi saziare

in un deserto

PANI

UNA FOLLA

TANTA ?».

+ 34 E dice :. «QUANTI

a loro PANI

Gesù: avete?».

– Quelli :. «SETTE

dissero: e pochi

pesciolini».

: «Da-dove :: così da

+ 35 E comandato + di stendersi :. 36 prese

TANTI

ALLA FOLLA

sulla terra I SETTE

: E reso-grazie :: e dava :: e poi i discepoli

spezzò ai discepoli,

:: 37 E mangiarono .. E il-di-più .. SETTE

tutti dei pezzi

PANI

e i pesci.

ALLE FOLLE. ····················································································································

::

SPORTE

e furono-saziati. portarono-via: piene.

I mangianti .. senza

erano delle donne

quattromila e dei bambini.

: 39 E rimandate . salì . e andò

LE FOLLE,

38

sulla barca verso i confini

uomini,

di Magadàn.

Contesto Due moltiplicazioni di pane (Mt 14,15-21 & 15,32-39) Gesù ha già moltiplicato per le folle i pani e i pesci, nella sequenza precedente (14,15-21). Se, come Marco, l’autore del Primo Vangelo ha ritenuto opportuno duplicare, sarà interessante guardare insieme i due passi:

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Francesco GRAZIANO Mt 14,15-21

Mt 15,32-39

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Sera avvenuta, SI AVVICINARONO A LUI I DISCEPOLI dicendo: «Deserto è il

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luogo e l’ora già andò-oltre. Rimanda le folle, affinché partendo verso i villaggi comprino per loro stessi cibi». 16 Ma Gesù disse loro: «Non hanno bisogno di partire: date a loro voi da mangiare».

la folla, poiché già tre giorni stannopresso di me e non hanno cosa mangino. E rimandare loro digiuni non voglio, affinché non siano-indeboliti nella via. 33 E dicono a lui i discepoli: «Da-dove a noi in un deserto pani tanti così da saziare una folla tanta?». 34 E dice a loro Gesù: «Quanti pani avete?». Quelli dissero: «Sette e pochi pesciolini».

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Ma quelli dicono a lui: «Non abbiamo qui se non cinque pani e due pesci». 18 Ma quello disse: «Portate a me qui essi». 19

E ordinato alle folle di sdraiarsi sull’erba,

avendo-preso i cinque pani e i due pesci, avendo-guardato su verso il cielo, benedisse, e avendo-spezzato diede ai discepoli i pani, e i discepoli poi alle folle. 20 E mangiarono tutti e furonosaziati. E portarono-via il-di-più dei pezzi: dodici cesti pieni. 21 I mangianti erano uomini circa cinquemila, senza delle donne e dei bambini.

Poi GESÙ CHIAMATI-PRESSO I SUOI DISCEPOLI disse: «Ho compassione per

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E comandato alla folla di sedersi sulla terra, prese i sette pani e i pesci. E AVENDO-RESO-GRAZIE SPEZZÒ e dava ai discepoli, e i discepoli poi alle folle. 37 E mangiarono tutti e furono-saziati. E il-di-più dei pezzi portarono-via: sette sporte piene. 38 I mangianti erano quattromila uomini, senza delle donne e dei bambini (39 ...) 36

Tralasciando una ricerca capillare, si devono notare almeno alcuni punti importanti. Il riferimento temporale, nel primo passo, è alla «sera avvenuta» (14,15), mentre nel secondo Gesù fa notare che «la folla sta presso» di lui da «già tre giorni» (15,32). Nella seconda moltiplicazione è Gesù che «chiama presso» di sé i discepoli mosso da compassione per la folla (15,32), al contrario della prima dove sono questi a domandare di «rimandarle» (14,15). Così, la parte centrale della seconda moltiplicazione è segnata dalla domanda di Gesù, mentre nella prima i discepoli constatavano semplicemente quello che «avevano»: per il primo passo si tratta di «cinque pani e due pesci» (14,17), per il secondo «sette (pani) e pochi pesciolini» (15,34). Nel primo racconto Gesù «guarda verso il cielo e benedice» (14,19), mentre nel secondo «avendo-reso-grazie spezzò» i pani (15,36). Un pastore pieno di compassione In Mt 9,36 l’evangelista ha già annotato la compassione che Gesù nutre per le folle: «Vedendo le folle ebbe-compassione di loro, perché erano stanche e abbattute come pecore non aventi pastore». È così per il breve passo di 14,13-14 che precede la prima moltiplicazione: «Ed essendo uscito (dalla barca) vide una grande folla ed ebbe-compassione di loro e curò i loro malati» (14,14). La

Il Messia apre l’Alleanza per le Nazioni (Mt 15,1–16,12)

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compassione di Gesù è collegata alla figura del pastore34, richiamando così un ricco panorama di riferimenti per il Primo Testamento. In particolare, nella celebre invettiva contro i pastori di Israele di Ez 34, Dio dichiara di voler pascere personalmente il suo popolo, procurandogli pascolo (Ez 34,14-15) e curando le sue malattie e necessità (34,16). Poi, in chiusura, egli sostanzia questa sua azione attraverso la figura mediatrice di Davide: «Susciterò per loro un pastore che le pascerà, Davide mio servo. Egli le condurrà al pascolo, sarà il loro pastore; io, il Signore, sarò il loro Dio e Davide mio servo sarà principe in mezzo a loro (cf. Ez 34,23-25). Un ponte lanciato verso la Cena Pasquale...e il tempo della Risurrezione! Nel passo dell’Ultima Cena della versione matteana ritornano i verbi che l’evangelista ha differentemente utilizzato nei due passi di moltiplicazione35: Ora, mentre mangiavano, avendo-preso Gesù del pane e AVENDO-BENEDETTO, spezzò e avendo-dato ai discepoli disse: «Prendete e mangiate; questo è il mio corpo». E avendo-preso il calice e AVENDO-RESO-GRAZIE diede a loro dicendo: «Bevete da questo tutti: questo infatti è il mio sangue dell’Alleanza, quello per molti versato per il perdono dei peccati» (Mt 26,26-28).

É sul «calice» che Gesù «rende grazie» nella Cena, proprio come in 15,36, mentre «benedice» al momento della frazione del pane, come in 14,19. In questo modo l’evangelista deve aver voluto gettare un ponte contestuale con entrambi i racconti, lasciando evidentemente al lettore la riflessione. Se l’allusione eucaristica è abbastanza certa, nel NT i «pani e i pesci» appaiono ancora in un altro momento. Si tratta dell’incontro del Risorto con i suoi sul mare di Tiberiade secondo Gv 21,1-1436: «Viene Gesù e prende il pane e lo da loro, e il pesce similmente». In questa sequenza37 si deve notare che tanto la pesca miracolosa quanto il pasto sono stati procurati dall’azione del Risorto, proprio come nella moltiplicazione di Matteo. Interpretazione Ancora una lezione per i discepoli Se nel primo episodio in cui Gesù aveva sfamato le folle (14,15-21) i discepoli avevano fatto notare al Maestro come fosse conveniente «rimandarle» 34

Nel Vangelo di Matteo questa caratteristica di Gesù sembra essere direttamente inserita nella sua dignità di Messia (cf. Mt 2,6). 35 Si potrebbe notare anche che la Cena, come la prima moltiplicazione, si apre con l’identica notazione temporale: «Sera avvenuta» (Mt 26,20, gr. opsias de genomenēs). 36 Anche Giovanni ha il suo miracolo di moltiplicazione in 6,1-15. Il termine utilizzato in 21,13 tuttavia non è il gr. ichthys (che appare però in Gv 21,11), ma piuttosto opsarion, indicando così il pesce già cucinato (cf. BDAG, 746). 37 Si fa riferimento all’analisi di J. ONISZCZUK, Incontri con il Risorto in Giovanni (Gv 20–21), Rhetorica Biblica et Semitica 13, Leuven 20182, 107-144.

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perché potessero procurarsi da sole da mangiare, questa volta è Gesù che «chiama» i suoi (32a). È probabile che lo faccia per vedere se hanno imparato la lezione. Anche questa volta, però, li trova impreparati: la domanda che suscitano è di nuovo un ostacolo. Domandarsi e domandare «da dove» prendere una così grande quantità di pani è un po’ come dimenticare, da un lato, quello che era già successo attraverso le mani di Gesù, e dall’altro voler affrancarsi dalla fatica di servire così «tanta folla» (33c). Gesù allora deve incoraggiarli a fare il passo: «Quanti pani avete?» (34ab), chiede di supplire alla mancanza della folla che «non ha» il necessario (32e). Chiede di nuovo di offrire il poco che si ha, per il bene degli altri. E subito, messa a sedere la folla, ripete il suo gesto paterno. Forse lo ripete anzitutto per i suoi (ancora un insegnamento visivo): per riportare alla memoria «da dove» potranno sempre attingere e per coinvolgerli di nuovo nel servizio «alle folle» (36cd). E soprattutto, lo ripete per proiettarli verso il futuro, quando saranno loro a spezzare il pane, rendendo grazie, per porgerlo ai nuovi discepoli, gustando cosa sia «il-di-più» del donarsi (37), come ha fatto il Risorto per loro (Gv 21). Un altro pane su cui rendere-grazie Gesù «ha compassione», in quanto Messia (e perciò legittimo pastore di Israele designato da Dio), di coloro che non solo ha appena guarito ma di cui avverte anche la necessità molto concreta del companatico. Stanno con lui, infatti, ormai da «tre giorni» (32). Ora, al momento in cui «prende» il pane (36a), non è più la berakah che egli recita, ma «rende-grazie» (36b) prima di spezzarlo. Certo, come pio israelita, è essenziale comprendere che Gesù ha effettivamente elevato a Dio la preghiera tipica del padre di famiglia prima del pasto: l’ha elevata per tutta la folla, dunque, come sua famiglia. Eppure, il cambiamento verbale ha una ragione. Il lettore conoscerà nell’ultima sezione del Libro la portata di questa variazione. Un ponte con l’Eucarestia futura è certamente gettato (26,26-28): nell’Ultima Cena Gesù si identificherà con il Servo che «dà la sua vita per le moltitudini» (Is 53,11-12). Dopo la Risurrezione, egli sarà ancora il pastore buono che sfama il suo popolo ogni volta che i discepoli si riuniranno per ripetere questi suoi gesti sacramentali, non solo in Israele, ma nel mondo intero (cf. 24,14). In questo senso, anche il riferimento ai «tre giorni» (32d) non è forse casuale: rimanda al tempo della Risurrezione di Gesù, il tempo della Chiesa. E non sarà ancora un caso il nuovo cambiamento tra «la folla» e «le folle» (al plurale in 36d), proprio al momento in cui il pane passa nelle mani dei discepoli: prospetta il tempo in cui saranno loro, disseminati tra i popoli, a spezzare e condividere il pane eucaristico con i molti (28,19-20).

Il Messia apre l’Alleanza per le Nazioni (Mt 15,1–16,12)

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4. IL MESSIA APRE L’ALLEANZA PER LE NAZIONI (MT 15,21-39) Composizione La sottosequenza è concentrica: agli estremi Gesù sfama la «donna Cananea» con la guarigione della figlia (15,22-28) e «la folla» con il pane (15,32-38). Al centro c’è un passo più breve con le guarigioni sul monte (15,29-31). I movimenti di Gesù segnano gli estremi: all’inizio «si ritirò verso le parti di Tiro e di Sidone» (21), alla fine «venne verso i confini di Magadàn» (39; cf. in 15,22 il termine «da quei confini»)38. All’inizio del passo centrale, invece, «venne presso il mare di Galilea», per salire e sedere «sul monte» (29). Solo nei passi estremi compaiono «i suoi discepoli»: nel primo «avvicinatisi a Gesù» chiedono di esaudire la donna Cananea (23), nel terzo passo è Gesù stesso che li «chiama-vicino» (32). Al contrario, nel passo centrale sono le «molte folle» che gli «vanno vicino», presentandogli i malati (30). Nei passi estremi compaiono verbi e termini che appartengono al campo semantico del cibo: «il pane dei figlioli» (26) risponde ai «(sette) pani» moltiplicati (33.34.36); questo termine trova anche un corrispettivo negativo nelle «briciole» di cui si sfamano i cagnolini (l’immagine in 27), e un’estensione ne «il di più dei pezzi» avanzati dopo la moltiplicazione (37); «mangiano» nel primo passo (27) corrisponde alla ricorrenza dello stesso verbo (32.37) e a «saziare» (33) e «furono saziati» (37), all’interno del terzo passo. In modo particolare, «prendere il pane dei figlioli» (26) ha un corrispettivo reale nel gesto di Gesù che «prese i sette pani» (36) per nutrire la folla. A livello semantico, è possibile notare un possibile fenomeno di incrocio al centro: «e fu ristabilita sua figlia» (28) risponde a «e li guarì», nel brano centrale della sottosequenza (30g)39; mentre l’immagine del «gettare davanti ai piedi» di Gesù i malati (30f) risponde alla preoccupazione dello stesso per la folla, perché «non cadano/siano indeboliti per la via» (32)40. Se il passo centrale può essere ben legato al terzo dall’unità geografica (29) e dall’azione su «le folle/la folla» (30.31.32.33.35.36), il primo passo è legato con il centro da alcune ricorrenze importanti. A livello di significato, infatti, come la donna presenta la situazione della figlia «terribilmente indemoniata» (22) e ne riceve il «ristabilimento» per la fede mostrata (28), così le molte folle con fede portano ai piedi di Gesù «zoppi, ciechi, storpi, muti e molti altri» (30) per ottenerne con stupore la piena guarigione (31). Così, a livello di termini, la restrizione della cura di Gesù per la sola «casa d’Israele» (24), è amplificata dalla glorificazione dell’unica folla per «il Dio d’Israele» (31f).

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Il riferimento alla «barca» in 15,39 è un ulteriore conferma di unità compositiva: in tutta la sottosequenza Gesù ha viaggiato a piedi. 39 Il verbo è differente: iaomai è utilizzato per la guarigione della figlia della Cananea, therapeuō per i malati del passo centrale. 40 Per la traduzione di exlythōsin: BDAG, 306.

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15,21 E uscito di lì, Gesù si ritirò verso le parti di Tiro e di Sidone. 22

Ed ecco, UNA DONNA Cananea, da quei confini uscita, gridava dicendo: «Abbi pietà di me, Signore, Figlio di Davide! :: Mia figlia e terribilmente indemoniata». 23 Egli, però, non gli rispose parola. E avvicinatisi I SUOI DISCEPOLI chiedevano a lui dicendo: «R RIMANDALA, poiché grida dietro di noi. 24 Egli però rispondendo disse: «Non fui inviato se non alle pecore perdute della casa d’Israele». 25 Quella poi venuta, si prostrava a lui dicendo: «Signore, vieni in mio aiuto!». 26 Egli però rispondendo disse: «Non è bene PRENDERE IL PANE DEI FIGLIOLI e gettarlo ai cagnolini». 27 Quella allora disse: «Sì Signore, e infatti i cagnolini mangiano DALLE BRICIOLE che cadono dalla tavola dei loro signori!». 28 Allora rispondendo Gesù le disse: «O donna, grande è la tua fede: avvenga per te come vuoi!». :: E fu ristabilita sua figlia da quell’ora. 29

E allontanatosi di lì, Gesù venne presso il mare di Galilea, e salito sul monte, sedeva là. :: 30 E gli vennero vicino molte folle, aventi con loro zoppi, ciechi, storpi, muti e :: molti altri. E li gettarono davanti ai suoi piedi, ed egli li guarì, :: 31 così che la folla era stupita vedendo i muti che parlavano, gli storpi in salute, :: e gli zoppi che camminavano e i ciechi che vedevano. E glorificarono il Dio d’Israele. 32

Poi Gesù avendo chiamato vicino I SUOI DISCEPOLI disse: «Ho compassione per la folla, poiché già da tre giorni mi stanno vicino e non hanno cosa mangiare. E non voglio 33 RIMANDARLI digiuni, perché non cadano per la via. E gli dicono i discepoli: «Da dove a noi così tanti PANI in un luogo deserto così da saziare tanta folla?». 34 E dice a loro Gesù: «Quanti PANI avete»? Quelli dissero: «Sette, e pochi pesciolini». 35 E comandato alla folla di sedersi per terra, 36 PRESE I SETTE PANI e i pesci, e avendo reso grazie li spezzò e li dava ai discepoli, e i discepoli alle folle. 37 E mangiarono tutti e furono saziati. E IL DI PIÙ DEI PEZZI portarono via: sette sporte piene. 38 Quelli che avevano mangiato erano quattromila uomini, senza contare LE DONNE e i bambini. 39

E RIMANDATE le folle, salì sulla barca e venne verso i confini di Magadàn.

Come termini estremi che delimitano l’unità della sottosequenza, «donna» (22) corrisponde a «donne» (38); così il verbo «rimandare» appare sulla bocca dei discepoli (23) ma anche nell’ultimo passo (32.39).

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La logica della sottosequenza Il passo centrale, con la guarigione delle folle, amplifica e dischiude ciò che è stato significato nella singola guarigione ai confini di Tiro e Sidone, e che si sostanzia infine nella moltiplicazione che Gesù opera per la folla intera, nel terzo passo. Se qui Gesù ha effettivamente «preso il pane per darlo ai figlioli» (cf. 26 e 36), con la guarigione della figlia anche la donna pagana «è stata saziata» anticipatamente (cf. 28 e 38). La compassione di Gesù (32) si apre prima del tempo ai pagani ed è annunciata per il futuro. Contesto Il Servo del Signore in Mt 12 Proprio al centro della prima sottosezione narrativa corrispondente (Mt 11– 12)41 Gesù, «ritiratosi», ha accolto con compassione le folle, «guarendo tutti»: Ma Gesù, avendo saputo, si ritirò di là. E seguivano lui molte folle e li guarì tutti. E ammonì loro, affinché non lo facessero manifesto, affinché fosse compiuto il detto per mezzo del profeta Isaia: «Ecco il mio Servo, che ho scelto, l’Amato mio nel quale si compiacque l’anima mia; porrò il mio Spirito su di lui e la giustizia annuncerà alle Nazioni. Non contesterà né griderà, né qualcuno ascolterà in piazza la sua voce. Una canna infranta non spezzerà, e uno stoppino fumante non spegnerà, finché non abbia portato a vittoria la giustizia. E nel suo nome Nazioni spereranno (Mt 12,15-21 che cita Is 42,1-4 LXX).

È chiaro che il silenzio richiesto da Gesù sia interpretabile nella mitezza del ministero del Servo. Stupisce, d’altro canto, il fatto che il passo isaiano non parli tanto di guarigioni quanto di «giustizia» da «annunciare» e da «portare a vittoria»42. Anzi, il TM ebraico, al contrario di LXX che Matteo cita, conclude con l’attesa delle isole lontane per «la sua Torah» (Is 42,4)43. Gesù allora farebbe tacere qui le guarigioni, per rivelarne il vero significato didattico soltanto più avanti, nella sottosequenza in esame (lo sviluppo disegnato tra i centri delle due sottosezioni sembra perciò davvero pertinente). Il Servo Sofferente in Isaia Nell’analisi dell’ultimo passo, si è potuto notare come il «rendimento di grazie» sul pane sia pienamente comprensibile per il lettore del Vangelo soltanto 41

R. DI PAOLO, Il Servo di Dio porta il diritto alle nazioni (cf. nt. 1). Il termine «giustizia» (gr. krisis; eb. mišpāṭ) assume qui una vasta semantica: può indicare un’azione di ristabilimento di giustizia (cosa che per l’evangelista si concretizzerebbe proprio attraverso le guarigioni di Gesù), o l’emissione di una sentenza giudiziaria e, in maniera generale, l’insieme dei comandamenti che costituiscono l’insegnamento della Torah (cf. B. JOHNSON, «‫ט‬ ‫»מ ְשׁ‬, ִ GLAT, V, 93-108). 43 Il termine ebraico ’iyyîm può indicare sia la costa sia le isole. Geograficamente è riferito alle coste estreme della Fenicia, e indica in senso allargato tutta la terra abitata (BDB, 16; HOL, 12). 42

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al momento della Cena (26,27-28): Gesù «rese grazie» sul calice del vino, rivelando il mistero del suo sangue, «il sangue dell’Alleanza», che è «versato per molti, per il perdono dei peccati». In questo modo, Gesù lega il suo sacrificio da un lato al contesto della Nuova Alleanza (il perdono dei peccati, cf. Ger 31,31-34), dall’altro alla figura del Servo in Is 52,13–53,12, egli che dà la vita non solo per Israele, ma per tutti (cf. Is 53,4-6.10-12). Un popolo ora solo «guarito»...ma nel futuro un nuovo popolo «ristabilito» Può colpire, tra il passo centrale e la fine del primo passo della sottosequenza, la differenza semantica operata dai verbi: per la figlia della cananea oppressa dal maligno è utilizzato infatti il gr. iaomai, mentre per le folle therapeuō. A un primo livello di significazione è chiaro che iaomai debba indicare un «ristabilimento», se non altro della libertà di questa fanciulla, mentre il secondo ha un senso prettamente medico. Il contesto dell’intera sezione riconduce a una frattura di significato più intensa, si oserebbe dire teologica. Al centro della prima sequenza del Discorso in parabole (13,3b-23), infatti, Gesù aveva citato il profeta Isaia proprio per far comprendere ai suoi la posizione rischiosa delle folle davanti all’enigma delle parabole: Così si compie per loro la profezia di Isaia che dice: «Con ascolto ascolterete, e non comprenderete, e vedendo vedrete, e non contemplerete. È ingrassato infatti il cuore di questo popolo, e con gli orecchi duramente ascoltarono, e i loro occhi chiusero, affinché non contemplino con gli occhi e con gli orecchi non ascoltino e con il cuore comprendano e ritornino e io li ristabilisca (gr. kai iasomai aoutous; Mt 13,14-15)44.

Il banchetto escatologico sul monte Se in Matteo Gesù ha moltiplicato per due volte il pane, è solo qui che l’evangelista annota come il banchetto miracoloso avvenga «sul monte» (15,29). Si potrebbe complessivamente fare riferimento al banchetto escatologico intravisto nel Libro di Isaia: Preparerà il Signore delle schiere per tutti i popoli, su questo monte, un banchetto di grasse vivande, un banchetto di vini eccellenti, di cibi succulenti, di vini raffinati. Egli strapperà su questo monte, il velo che copriva la faccia dei popoli e la coltre distesa su tutte le Nazioni (Is 25,6-7)45.

Per il significato teologico di iaomai: A. OEPKE, «iva,omai», GLNT, IV, 691. Il monte contemplato dal profeta è chiaramente Sion, ma il contesto matteano lo ricollega al monte di Galilea, già apparso in 5,1, dove Gesù ha pronunciato il Discorso della Nuova Alleanza. La preparazione «per tutti i popoli» unisce definitivamente il popolo della «casa d’Israele» (15,24) con quelli di estrazione pagana (si tratta di tutti), mentre «il velo strappato» potrebbe alludere al riconoscimento e alla glorificazione del «Dio d’Israele». Tale riconoscimento potrà essere proiettato al futuro nella Cena celebrata dalla Chiesa matteana, composta di giudei ed etnocristiani (cf. Ef 2,13-18). 44 45

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Interpretazione Gesù dà un altro pane sul monte Se nei passi estremi l’immagine del «pane» da metaforica, nella guarigione richiesta dalla donna (26.27), si fa molto concreta nella cura della folla (35-38), al centro Gesù opera segni messianici di guarigione. Questi sono dati «sul monte», luogo biblico della rivelazione di Dio, luogo da cui Gesù ha già pure inaugurato l’insegnamento della Nuova Alleanza (cf. 5,1). La stessa guarigione delle moltitudini era stata operata precedentemente, quando il ministero del Messia cominciava ad essere ostacolato dal cuore ingrassato di una parte di Israele (12,15). In quel momento Gesù aveva voluto il silenzio, ma ora si direbbe che parli apertamente, anzi che operi apertamente, desiderando che tutti possano gustare ciò che «vedono» (31). E infatti, tutti riconoscono e glorificano il «Dio d’Israele». Perciò, la guarigione dei «molti» malati (30) ha anch’essa il sapore del «pane dei figlioli» (26), il sapore del futuro banchetto escatologico. È un pane che nutre gli occhi, e forse dovrebbe nutrire anche il cuore. È il pane della rivelazione, che svela chi sia Gesù e quale vera guarigione sia venuto a portare agli uomini. Una breccia si è aperta per un popolo nuovo «La folla» (31) che davanti ai segni sul monte è divenuta come un solo popolo, glorifica Dio, ma è solo la donna pagana, nel primo passo, che riconosce in Gesù il «Signore» (22.25.27). La sua fede sembra perfino superare quella del popolo eletto46, anche quella delle stesse folle che «gettarono ai suoi piedi» i malati (30). La sua figlia è difatti «ristabilita». Al contrario, Isaia aveva profetato che l’ingrassamento del cuore di Israele avrebbe messo a rischio il suo pieno «ristabilimento» (Is 6,9-10; cf. Mt 13,14-15). La compassione di Gesù nei confronti di colei che «grida» e che si accontenterebbe anche «delle briciole», produce una breccia che anticipa i tempi pieni della salvezza (28,20). In questo kairos futuro, infatti, anche le Nazioni si sarebbero «sdraiate a mensa con Abramo, Isacco e Giacobbe nel Regno dei cieli» (8,11). Ecco perché Gesù «allontanatosi» da quell’incontro, si dirige direttamente presso il mare della «Galilea delle Nazioni» (4,15), sul monte dove opererà visivamente la salvezza degli infermi di una folla mista Ecco anche perché nella seconda moltiplicazione appaiono segni prolettici che rimandano a un futuro compimento nella Cena della Chiesa. I discepoli presenti, e il lettore futuro, comprendono che così il Messia aveva realmente aperto già in quel momento l’Alleanza per tutti.

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Non a caso, il passo comincia con Gesù che «si ritira» ai confini delle terre pagane di Tiro e Sidone dopo la controversia con la parte più indurita del popolo a cui è stato inviato (15,1-20).

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Rimandati al banchetto del Risorto...rimandati al monte «stabilito» da Gesù Come padre di famiglia e vero pastore, Gesù sazia una seconda volta le folle. Ora però ha «reso grazie» sul pane: il Libro farà ben capire come questo gesto sia collegato, nella Cena Pasquale, al calice del sangue, versato per sancire la Nuova Alleanza e per perdonare il peccato della moltitudine dei popoli (26,2728). Dunque il vero banchetto messianico sarà imbandito dopo la Passione di Gesù, il Servo del Signore, e sarà nuovamente ripetuto dalla Chiesa dopo la sua Risurrezione. A partire da questo tempo nuovo, un unico popolo sarà riunito ancora attorno al Messia-Signore, un popolo «ristabilito» perché completamente guarito dalle piaghe del Servo; un popolo che spezza il pane nell’Eucarestia e rende grazie sul calice dell’Alleanza, il sangue che ha fatto dei due una cosa sola, un solo popolo nuovo (Ef 2,14). Se nella sottosequenza è Gesù a fare una breccia nel tempo (e nello spazio sacro di Israele!), saranno «i suoi discepoli» a condurvi il popolo rinnovato dal Signore. E non è perciò un caso che essi appaiano solo nei passi estremi, anche se per ora devono faticare ad entrare nella logica del loro Maestro. Vogliono liberarsi della donna che grida, ma anche della folla che dovrebbero sfamare. Gesù, invece, li coinvolge nel suo ministero, prima rivolto solo «alle pecore perdute della casa d’Israele», ma che si va aprendo, per saziare «tutti». Quando riceveranno dal Messia il pane moltiplicato (36) lo porgeranno «alle folle»47, in segno di una futura grande moltitudine di popoli (28,20). Alla fine del Libro (27,62–28,20), saranno mandati ad aprire la Nuova Alleanza per ogni uomo (28,16-20). L’evangelista precisa il luogo: è il monte dove Gesù potrà essere ancora visto, ed è il monte che egli precedentemente «aveva stabilito». Ora nuovamente il lettore potrebbe rimanere interdetto, dal momento che, fino alla fine del Libro, non ha mai recepito istruzioni precise su questo luogo da parte dello stesso Gesù48. Forse lo «aveva stabilito» proprio qui, quando era ancora in Galilea, perché i discepoli ne facessero memoria e comprendessero finalmente l’invito: «avevastabilito» il monte quando aprì una breccia per la salvezza dei figli delle Nazioni e quando spezzò il pane rendendo grazie (15,21-39).

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Ritorna qui il plurale, dopo le quattro ricorrenze al singolare precedenti. In Mt 26,31-32 Gesù aveva informato i suoi che li avrebbe «preceduti in Galilea» una volta risorto, ma non aveva precisato la località! Così anche in J.-P. SONNET, «De la généalogie au “Faites disciples” (Mt 28,19). Le livre de la génération de Jésus», in C. FOCANT – A. WÉNIN, ed., Analyse narrative et Bible. Deuxième colloque international du Rrenab, BEThL 191, Louvain 2005, 203-204 (cita Gn 22,14 ma in nt. 15 solo Mt 4,8; 17,1; 5,1). 48

Il Messia apre l’Alleanza per le Nazioni (Mt 15,1–16,12) Pontificia Università Gregoriana Piazza della Pilotta 4 00187 Roma – RM (Italia) [email protected]

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Francesco GRAZIANO

RIASSUNTO Riconosciuta la sottosezione narrativa finale (13,53–17,27) nel cuore del Vangelo di Matteo, una possibile sequenza centrale (C8: 15,1–16,12) è analizzata, cominciando dalla sua sottosequenza centrale (15,21-39). In essa, lasciata un’aspra disputa con «Farisei e Sadducei», Gesù si trova in zone di confine del territorio di Israele: vicino al territorio di Tiro e Sidone egli apre l’Alleanza a una donna pagana che così «siede a mensa con Abramo e Isacco e Giacobbe nel Regno dei Cieli» (8,11); sul monte della Galilea della Nazioni (4,15) cura le folle e rende grazie moltiplicando nuovamente i pani e i pesci. L’insegnamento reso visibile dai gesti (come già sul monte era avvenuto il Discorso inaugurale: 5,1–7,29) è prolettico: le folle e la pagana sono segno del futuro popolo nuovo, generato da Israele e dalle Nazioni, che entrerà nella Nuova Alleanza sancita dal sangue di Gesù, Messia e Servo del Signore (26,28; 28,20). Parole chiave: Cananea, moltiplicazione dei pani, Alleanza, Messia, Nazioni, Israele ABSTRACT Once the final narrative subsection at the heart of the Gospel of Matthew is recognized (13,53–17,27), the article analyzes the possible central sequence (C8: 15,1–16,12), starting from its central subsequence (15,21-39). After a bitter dispute with «Pharisees and Sadducees», Jesus is in the border areas of the territory of Israel: near the territory of Tire and Sidon he opens the Covenant to a pagan woman who thus «sits down with Abraham and Isaac and Jacob in the Kingdom of Heaven» (8.11); on the Mount of the Galilee of the Gentiles (4,15) cares for the crowds and give thanks by multiplying the loaves and the fish. The teaching made visible by deeds (as already the inaugural Speech in 5,1–7,29) is proleptic: the crowds and the pagan woman are a sign of the future new people of God, generated among Israel and the Nations, who will enter the New Covenant ratified by the blood of Jesus, Messiah and Servant of the Lord (26,28; 28,20). Keywords: Canaanite woman, multiplication of the loaves, Covenant, Messiah, Nations, Israel

Roberto DI PAOLO

Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità Analisi retorica biblica di Matteo 21,1-27 Nell’ultimo convegno RBS, il quinto, la comunicazione su Mt 21,28–22,141 inizia con la precisazione che l’intento iniziale di quel lavoro era di presentare l’ARB di Mt 21,1–22,14; ma, per ragioni di tempo e di spazio, l’analisi si sarebbe limitata a Mt 21,28–22,14, presentata come una sequenza. Per questo sesto convegno RBS sembra opportuno riprendere l’analisi tralasciata e presentare Mt 21,1-27, composta da cinque passi: i primi tre (21,1-17) con Gesù che entra trionfalmente nella Città Santa, rovescia i banchi dei mercanti e si scontra con i sommi sacerdoti; gli altri due (21,18-27) con la vicenda del fico sterile e il contrasto con sommi sacerdoti e anziani. L’ipotesi di lavoro è che questi passi siamo compresi in due sottosequenze (21,1-17; 18-27). L’obiettivo è arrivare a dimostrare che questa unità, composta secondo le leggi della retorica biblica, abbia una sua logica di composizione in vista di corrispondenze significative con l’unità successiva (Mt 21,28–22,14). I. GESÙ È IL SALVATORE PROMESSO A ISRAELE (MT 21,1-17) La sottosequenza è formata da tre passi (21,1-7; 21,8-11; 21,12-17)2. GESÙ, Re e SIGNORE, compie la parola dei profeti GESÙ è il Figlio di Davide che viene nel nome del SIGNORE GESÙ purifica e santifica il Tempio

1

21,1-7 21,8-11 21,12-17

R. DI PAOLO, «Scoprirsi chiamati, pentiti, eletti. Analisi retorica biblica di Mt 21,28–22,14», in R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del quinto convegno RBS, RBSem 9, Leuven – Paris – Bristol (CT) 2017, 73-93. 2 U. Luz (Das Evangelium nach Matthäus, III, EKK 1/3, Zürich – Neukirchen-Vluyn 1997; trad. inglese: Matthew 21-28: A Commentary, Hermeneia, Minneapolis [MN] 2005, 4) riconosce una sola pericope in questi versetti, in base ai riferimenti geografici su Gerusalemme, individuando due parti (1-9; 10-16).

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Roberto DI PAOLO

1. GESÙ, RE E SIGNORE, COMPIE LA PAROLA DEI PROFETI (MT 21,1-7) Composizione del passo Introdotto da un brano narrativo, il passo è composto da tre parti. Nelle parti estreme, l’ordine di Gesù viene puntualmente eseguito dai suoi discepoli: «andate» (2b) e «andando» (6a). Al centro, il compimento della parola profetica: «affinché si compisse quanto detto per mezzo del profeta che dice» (4b), dove si trova comunque un verbo di moto: «viene» (5b); come a dire che i discepoli «vanno» (6a), affinché si compia la profezia della venuta del «tuo re» (5b), a cui corrisponde il titolo «il loro Signore» (3c), che Gesù attribuisce a sé stesso. Anche il particolare del re «montato» sopra l’asino (5c) è compiuto dai discepoli nei confronti di Gesù: «lo fecero sedere» (7c). + 1 E quando . e vennero + allora Gesù

si-avvicinavano a GERUSALEMME verso Betfage verso il monte mandò dicendo

2

+ «Andate – e subito

troverete

degli Ulivi,

due discepoli a loro: nel villaggio

che-sta-davanti a voi,

un’asina legata . sciogliendoli

e un puledro con lei; conduceteli a me.

··············································································································

: 3 E se qualcuno

a voi

+ + IL SIGNORE LORO :: ma subito

dica perché, direte che bisogno manderà

ha; quelli».

Questo avvenne AFFINCHÉ SI-COMPISSE 5 “Dite alla figlia di SION: Ecco IL RE TUO QUANTO-DETTO PER-MEZZO DEL PROFETA viene a te mite e montato CHE-DICE: sopra un asino e su un puledro figlio d’asino”. *4

+ 6 Andando poi . e facendo . come aveva-ordinato

i discepoli a loro

Gesù

– 7 condussero

l’asina

e il puledro

··············································································································

. e posero . e lo fecero-sedere

su di essi

i mantelli sopra di loro.

Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità (Mt 21,1-27)

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Contesto biblico Perché si adempisse la parola per mezzo del profeta … È Matteo stesso a indicarci la parola profetica che si sta compiendo (5)3, attingendo a due testi4. Il primo è tratto da Is 62,11-12: «11 Ecco ciò che il Signore fa sentire all’estremità della terra: “Dite alla figlia di Sion: Ecco, arriva il tuo salvatore; ecco, egli ha con sé il premio e la sua ricompensa lo precede”. 12 Li chiameranno ‘Popolo santo’, ‘Redenti del Signore’. E tu sarai chiamata ‘Ricercata’, ‘Città non abbandonata’». L’altro testo è di Zac 9,9-10: 9

Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila, figlia di Gerusalemme! Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d’asina». 10 Farà sparire il carro da guerra da Èfraim e il cavallo da Gerusalemme, l’arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni, il suo dominio sarà da mare a mare e dal Fiume fino ai confini della terra.

In entrambi i testi, la venuta diretta del Signore porta un rinnovamento profondo nella vita della Città Santa e del popolo che essa rappresenta. Interpretazione Gesù compie la parola dei profeti Matteo non ha dubbi: Gesù che «si avvicina» alla Città Santa è il «Salvatore» (Is 62,11) che la viene a liberare. Le promesse, che Dio ha affidato ai suoi profeti al tempo della ricostruzione dopo l’esilio, si compiono ora per la «Figlia di Sion» (5) in Gesù: è lui il «Re» (Zc 9,9) e «Signore» (3), che viene a rinnovare Gerusalemme e a costituire il «Popolo Santo» (Is 62,12). La cavalcatura dell’asino (7)5 indica certamente l’umiltà6 del Re, ma anche il suo ruolo di giudice – 3

Per uno studio di questa citazione di compimento, vedi J. MILER, « “Dites à la fille de Sion…” (Mt 21,4-5) », in ID. Les citations d’accomplissement dans l’évangile de Matthieu. Quand Dieu se rend présent en toute humanité, AnBib 140, Roma 1999, 203-244; ma anche W. COPPINS, «Sitting on Two Asses? Second Thoughts on the Two-Animal Interpretation of Matthew 21:7», TynB 63 (2012) 275-290; M. MULZER, «Ein Esel, zwei Esel? Zu Sach 9,9 und Mt 21,2.5.7», BibZeit 59 (2015) 84-87; e soprattutto M. MONTAGUTI, «Il re umile e il popolo dei piccoli. Il compiersi inaspettato di un’apocalisse messianica», in ID., Costruire dialogando. Mt 21–27 e Zc 9–14 tra intertestualità e pragmatica, AnBib 218, Roma 2016, 37-181. Cf. R.B. HAYS, Echoes of Scripture in the Gosples, Waco (TX) 2016, 152-153; e F. FILANNINO, «Il re-profeta rifiutato. Intertestualità e narrazione in Mt 21,1–23,39», RivBib 65 (2017) 101-147. 4 Questa e le altre citazioni del contesto biblico seguono la traduzione della CEI. 5 Cf. O. MICHEL, «o;noj», in KITTEL – G. FRIEDRICH, ed., Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, Stuttgart 1954; trad. italiana, F. MONTAGNINI – G. SCARPAT, ed., Grande Lessico del Nuovo Testamento, VIII, Brescia 1972, 793-806; M. LURKER, «Asino», in ID. Wörterbuch biblischer Bilder und Symbole, München 19873; trad. italiana, Dizionario delle immagini e dei simboli biblici, Cinisello Balsamo (MI) 1990, 23-24; «Asino», in L. RYKEN – J.C. WILHOIT – T. LONGMAN III, ed., Dictionary of Biblical Imagery, Downer Grove (IL) 1998; trad. italiana, Le immagini bibliche. Simboli, figure retoriche e temi letterari della Bibbia, Cinisello Balsamo (MI) 2006, 122. 6 Cf. E. SCHEFFLER, «Reflecting on Jesus’ Teaching on Humility from a Positive Psychological Perspective», Neotestamentica 51 (2017) 95-111.

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Roberto DI PAOLO

«giusto» – «vittorioso» (Zc 9,9) elimina la «guerra» dalla Città Santa e stabilisce una «pace» totale (Zc 9,10). I discepoli compiono la parola di Gesù I discepoli si trovano, forse inconsapevolmente, a collaborare al compimento della parola dei profeti, fidandosi della parola di Gesù e compiendola: prima di tutto confessando che Gesù è il «loro Signore» (3); poi «facendo come aveva ordinato a loro Gesù» (6). Il loro compito non è mera esecuzione: al termine della loro missione, di loro iniziativa, senza aver ricevuto indicazione di Gesù a riguardo, «pongono i mantelli» sugli animali e vi «fanno sedere» Gesù (7). Sono collaboratori attivi nel compimento della parola di Gesù, che compie la parola dei profeti. 2. GESÙ È IL FIGLIO DI DAVIDE CHE VIENE NEL NOME DEL SIGNORE (MT 21,8-11) Composizione del passo Le due parti sono tra loro parallele. Le «folle» (8a; 9a; 11a) riempiono la scena e chiamano Gesù: «Figlio di Davide» (9c), «colui che viene in nome del Signore» (9d), e «il profeta Gesù da Nazareth di Galilea» (11bc), creando così di fatto una opposizione fra la Giudea — luogo di origine di Davide e dei suoi discendenti — e la Galilea da cui proviene il «profeta» Gesù. È interessante nella prima parte la corrispondenza complementare fra «nella strada» (8bis) e «nelle altezze» (9e). + 8 La numerosissima . altri poi . e 9

+ Le folle : e

folla stese staccavano li stendevano

i propri rami

nella strada nella strada.

che precedevano lui quelle-che-seguivano + + «Osanna . Benedetto . Osanna

. 10 Ed entrando . fu-scossa : dicendo:

mantelli dagli alberi

gridavano

dicendo:

al FIGLIO DI DAVIDE; COLUI-CHE-VIENE IN NOME DEL SIGNORE; nelle altezze».

lui tutta «Chi è

a Gerusalemme la città costui?».

+ 11 E le folle + + «Costui è .

IL PROFETA DA NAZARETH

dicevano: GESÙ DI GALILEA».

Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità (Mt 21,1-27)

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Contesto biblico L’omaggio delle folle Il gesto e il grido delle folle (8-9) può richiamare l’acclamazione a Ieu subito dopo la sua consacrazione regale su ordine del profeta Eliseo: 11

Quando Ieu uscì per raggiungere gli ufficiali del suo signore, gli domandarono: «Va tutto bene? Perché questo pazzo è venuto da te?». Egli disse loro: «Voi conoscete l’uomo e le sue chiacchiere». 12 Gli dissero: «Non è vero! Su, raccontaci!». Egli disse: «Mi ha parlato così e così, affermando: “Così dice il Signore: Ti ungo re su Israele”». 13 Allora si affrettarono e presero ciascuno il proprio mantello e lo stesero sui gradini sotto di lui, suonarono il corno e gridarono: «Ieu è re!» (2Re 9,11-13).

Il gesto di stendere i mantelli ai piedi di Ieu è segno di omaggio regale, che accompagna l’acclamazione al sovrano. L’acclamazione delle folle La folle, acclamando Gesù (9), citano il Salmo 118 (117),25-29, con le stesse parole dei LXX: 25

Ti preghiamo, Signore: dona la salvezza! Ti preghiamo, Signore: dona la vittoria! Benedetto colui che viene nel nome del Signore. Vi benediciamo dalla casa del Signore. 27 Il Signore è Dio, egli ci illumina. Formate il corteo con rami frondosi fino agli angoli dell’altare. 28 Sei tu il mio Dio e ti rendo grazie, sei il mio Dio e ti esalto. 29 Rendete grazie al Signore, perché è buono, perché il suo amore è per sempre. 26

Gesù profeta da Nazareth di Galilea La qualifica di Gesù come profeta da Nazareth di Galilea richiama la fine della discussione tra i capi dei sacerdoti e i farisei dopo il fallito arresto di Gesù: «50 Allora Nicodèmo, che era andato precedentemente da Gesù, ed era uno di loro, disse: 51 “La nostra Legge giudica forse un uomo prima di averlo ascoltato e di sapere ciò che fa?”. 52 Gli risposero: “Sei forse anche tu della Galilea? Studia, e vedrai che dalla Galilea non sorge profeta!”» (Gv 7,50-52). Interpretazione I gesti e le parole di onore sulla strada Le folle sono all’opera in modo quasi febbrile per accompagnare Gesù che si avvia (8) ed entra in Gerusalemme (10), assicurandogli un trattamento degno di un re: lo stendere i mantelli sotto di lui, come già al tempo di Ieu (2Re 9,13) è un chiaro omaggio regale, come pure l’acclamazione tratta dal Salmo, che accompagna ed esplicita il gesto dei mantelli, acclamazione eseguita addirittura a due cori: le folle che «precedono» e le folle che «seguono» (9). Le folle trattano dunque Gesù come il re, «colui che viene nel nome del Signore» (9).

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Roberto DI PAOLO

L’acclamazione nei cieli Nell’acclamazione regale, il «grido» delle folle sale fino al cielo: «Osanna nelle altezze» (9), e sembra così completare l’omaggio regale «nella strada» (8). La Città stessa «fu scossa» dalle acclamazioni. Le folle dunque coinvolgono il cielo e la terra nel loro omaggio regale a Gesù, fatto di gesti e di parole. Due titoli in contraddizione Le folle, rendendo a Gesù l’omaggio regale e rispondendo a chi chiede loro chi sia colui che acclamano, fa ricorso a due titoli, che però sembrano essere in contraddizione tra loro e al loro stesso interno. Acclamare Gesù come «Figlio di Davide» (9) significa riconoscerne la discendenza regale; attribuire a lui il titolo messianico del Salmo: «colui che viene in nome del Signore» (9) carica di valenza messianica la presenza di Gesù. I due titoli non sono in contrasto tra loro e possono anche illuminarsi a vicenda. Aggiungere però «il profeta Gesù da Nazareth di Galilea» (11) crea non pochi problemi a chi ascolta: prima di tutto perché «dalla Galilea non sorge profeta!» (Gv 7,52); poi perché Davide proviene da Betlemme di Giudea, regione distante dalla Galilea, e non solo per motivi geografici. Ma tutte queste differenze sfuggono alle folle, che non hanno «studiato» (cf. Gv 7,52), e che quindi, nella loro semplicità, non hanno difficoltà ad attribuire a Gesù entrambi i titoli, quello regale messianico, della Giudea; e quello profetico, della Galilea. 3. GESÙ PURIFICA E SANTIFICA IL TEMPIO (MT 21,12-17) Composizione del passo Il passo è formato da tre parti, comprese in due segmenti narrativi. Al centro il breve segmento con la guarigione — opera tipicamente messianica — di ciechi e zoppi. Alla fine delle parti estreme, parallele, Gesù cita prima il Profeta: «Sta scritto» (13a) poi il Salmo: «Non mai leggeste» (16d). La localizzazione «nel Tempio» (12ac; 14a; 15c) compare in tutte e tre le parti. Contesto biblico Casa di preghiera … spelonca di ladri La citazione di Gesù nel v. 13 rimanda direttamente e letteralmente, secondo i LXX, a due testi profetici. La prima parte rimanda a Is 56,6-7: 6

Gli stranieri, che hanno aderito al Signore per servirlo e per amare il nome del Signore, e per essere suoi servi, quanti si guardano dal profanare il sabato e restano fermi nella mia alleanza, 7 li condurrò sul mio monte santo e li colmerò di gioia nella mia casa di preghiera. I loro olocausti e i loro sacrifici saranno graditi sul mio altare, perché la mia casa si chiamerà casa di preghiera per tutti i popoli».

Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità (Mt 21,1-27) : 12 Ed entrò

Gesù

– e scacciò . e

tutti

. e i tavoli . e i banchi

dei cambiavalute di quelli-che-vendevano

+ 13 E dice a loro: . “La casa mia . voi però questa

NEL TEMPIO

i venditori compratori

«STA-SCRITTO: di preghiera una spelonca

casa rendete

– 14 E si-avvicinarono a lui . e guarì

ciechi e zoppi loro.

NEL TEMPIO,

rovesciò le colombe, sarà-chiamata”, di ladri». NEL TEMPIO,

. 15

Vedendo . che fece

i sommi-sacerdoti

e gli scribi

– e i fanciulli . e dicevano:

che-gridavano “Osanna

NEL TEMPIO al Figlio di Davide”, si-sdegnarono

16

a lui: «Ascolti

e dissero

91

cosa

questi

le azioni-meravigliose

dicono?».

···················································································································

E Gesù + . “Da bocca . – 17 E avendo-lasciato . uscì-fuori . e pernottò

dice

a loro:

«Sì!

NON-MAI e lattanti lode”?».

LEGGESTE:

di piccoli ti-sei-procurato loro fuori dalla città là.

verso Betania

Mentre la seconda parte rimanda a Ger 7,8-12: 8

Ma voi confidate in parole false, che non giovano: 9 rubare, uccidere, commettere adulterio, giurare il falso, bruciare incenso a Baal, seguire altri dèi che non conoscevate. 10 Poi venite e vi presentate davanti a me in questo tempio, sul quale è invocato il mio nome, e dite: «Siamo salvi!», e poi continuate a compiere tutti questi abomini. 11 Forse per voi è un covo di ladri questo tempio sul quale è invocato il mio nome? Anch’io però vedo tutto questo! Oracolo del Signore. 12 Andate, dunque, nella mia dimora di Silo, dove avevo da principio posto il mio nome; considerate che cosa io ne ho fatto a causa della malvagità d’Israele, mio popolo.

La differenza fra le due citazioni, tra loro in evidente opposizione, è il contesto storico: la prima si riferisce al periodo postesilico, durante la ricostruzione di Gerusalemme; mentre la seconda è riferita al periodo preesilico, prima della distruzione del Tempio.

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Roberto DI PAOLO

Dalla bocca dei piccoli e dei lattanti … La citazione del v. 16 rimanda direttamente e letteralmente, secondo i LXX, a Sal 8,2-3: «2 O Signore, Signore nostro, quanto è mirabile il tuo nome su tutta la terra! Voglio innalzare sopra i cieli la tua magnificenza, 3 con la bocca di bambini e di lattanti: hai posto una difesa contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli». Ciechi e zoppi Il riferimento centrale a ciechi e zoppi che si avvicinano a Gesù nel Tempio (14) richiama il ruolo esemplare di ciechi e zoppi in 2Sam 5,6-8, nella conquista di Gerusalemme da parte di Davide7: 6

Il re e i suoi uomini andarono a Gerusalemme contro i Gebusei che abitavano in quella regione. Costoro dissero a Davide: «Tu qui non entrerai: i ciechi e gli zoppi ti respingeranno», per dire: «Davide non potrà entrare qui». 7 Ma Davide espugnò la rocca di Sion, cioè la Città di Davide. 8 Davide disse in quel giorno: «Chiunque vuol colpire i Gebusei, attacchi attraverso il canale gli zoppi e i ciechi, che odiano la vita di Davide». Per questo dicono: «Il cieco e lo zoppo non entreranno nella casa8».

La guarigione di ciechi e zoppi è un’opera tipicamente messianica, menzionata in Mt 11,5, che richiama Is 35,5-69: «5 Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. 6 Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa». I mercanti nel Tempio Il gesto di Gesù contro i mercanti nel Tempio (12) rimanda alla conclusione del libro del profeta Zaccaria: 20

In quel tempo anche sopra i sonagli dei cavalli si troverà scritto: «Sacro al Signore», e i recipienti nel tempio del Signore saranno come i vasi per l’aspersione che sono davanti all’altare. 21 Anzi, tutti i recipienti di Gerusalemme e di Giuda saranno sacri al Signore degli eserciti; quanti vorranno sacrificare verranno e li adopereranno per cuocere le carni. In quel giorno non vi sarà neppure un mercante nella casa del Signore degli eserciti (Zc 14,20-21).

7

Cf. B. COSTACURTA, Lo scettro e la spada. Davide diventa re (2Sam 2–12), CSB 53, Bologna 2006, 97-103. 8 I LXX completano il finale «nella casa» con la qualifica «del Signore». 9 Cf. R. DI PAOLO, Il Servo di Dio porta il diritto alle nazioni. Analisi retorica di Matteo 11– 12, TG.T 128, Roma 2005, 24.

Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità (Mt 21,1-27)

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Interpretazione La purificazione del Tempio Il gesto iniziale di Gesù è palesemente rivoluzionario, dal momento che i mercanti nel Tempio hanno un ruolo ben preciso: fornire ai pellegrini gli animali per i sacrifici. La loro presenza è non decorativa ma funzionale al culto. Rovesciandone i banchi e scacciandoli dal Tempio (12), Gesù compie un chiaro gesto di denuncia verso le sovrastrutture mercantili che si frappongono tra Dio e il suo popolo (13). Si tratta di un gesto di purificazione10, i cui effetti dirompenti sono amplificati dalla duplice citazione profetica fatta propria da Gesù. Queste sovrastrutture, infatti, invece di favorire l’incontro con Dio nella sua «casa di preghiera» (Is 56,7), la trasformano in un «covo di ladri» (Ger 7,11). La santificazione del Tempio Le parole finali di Gesù (16) sono ugualmente rivoluzionarie; prima di tutto perché Gesù accetta le acclamazioni dei fanciulli (15); poi perché Gesù interpreta queste acclamazioni con le parole del Salmo, che parlano di lode innalzata a Dio da «bambini e lattanti» (Sal 8,3). Gesù accoglie per sé la lode riservata a Dio! Come a voler dire che la vera preghiera da rivolgere a Dio nella sua «casa di preghiera» (Is 56,7) proviene dai piccoli e passa attraverso di lui. Una prospettiva nuova L’incontro di guarigione, al centro del passo11, tra Gesù e «ciechi e zoppi» (14), esclusi dal culto e segnati da un’ombra negativa nella Città Santa fin dalla sua conquista (2Sam 5,6-8), denota un rovesciamento totale di prospettiva nei gesti di Gesù, che mirano non semplicemente a eliminare i mercanti dal Tempio, ma a stabilire un nuovo legame tra Dio e i credenti12, attraverso la presenza del «Figlio di Davide» (15), che apre la strada al culto anche a chi ne sia escluso in partenza13. Gesù mira a una santificazione totale del Tempio14, dove tutto è sacro e i mercanti non sono più necessari nella casa del Signore (Zc 14,20-21)15. 10

M. HÖLSCHER, «Wider den Leerstand: Die Tempelreinigung in Mt 21,12-16 als Raumkonflikt», SNTU 41 (2016) 5-25, propone, alla luce del concetto di spazio nel vangelo di Matteo, una interpretazione di questo passo focalizzando l’attenzione sul conflitto circa lo spazio. 11 M. GRILLI – C. LANGNER, Comentario al Evangelio de Mateo, EvCul, Estella (Navarra) 2011, 535, precisa che Matteo conferisce a questo versetto una grande importanza; anche se nell’antichità queste disabilità erano considerate castigo di Dio per i peccati, Gesù — con riferimento a Mt 18,8-9 — sta aggiudicando il Regno di Dio anche a ciechi e zoppi. 12 D. HAGNER, Matthew 14–28, WBC 33B, Dallas (TX) 1995, 601, afferma, a tal proposito, che i cortili del Tempio vengono così trasformati da centro commerciale a luogo di guarigione. 13 L. RYKEN – J.C. WILHOIT – T. LONGMAN III, ed., «Deformità», in ID., Dictionary of Biblical Imagery, Downer Grove (IL) 1998; trad. italiana, Le immagini bibliche. Simboli, figure retoriche e temi letterari della Bibbia, Cinisello Balsamo (MI) 2006, 371, sottolinea l’atteggiamento marcatamente rivoluzionario di Gesù, che allontana i mercanti, moralmente imperfetti, ma accoglie coloro che hanno imperfezioni fisiche.

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Roberto DI PAOLO

4. GESÙ È IL SALVATORE PROMESSO A ISRAELE (MT 21,1-17) Composizione della sottosequenza 1

E quando si avvicinavano A GERUSALEMME e vennero verso Betfage verso il monte degli Ulivi, allora Gesù mandò due discepoli 2 dicendo loro: «Andate nel villaggio che vi sta davanti, e subito troverete un’asina legata e un puledro con lei; sciogliendoli conduceteli a me. 3 E se qualcuno a voi dica perché, direte che il SIGNORE loro ha bisogno; ma li manderà subito». 4

QUESTO AVVENNE AFFINCHÉ SI-COMPISSE QUANTO-DETTO per mezzo del profeta che dice: “Dite alla FIGLIA DI SION: ECCO IL TUO RE viene a te mite e montato sopra un asino e su un puledro figlio d’asino”. 5

6

Andando poi i discepoli e facendo come Gesù aveva loro ordinato 7 condussero l’asina e il puledro e posero su di essi i mantelli e lo fecero sedere sopra di loro. 8

La numerosissima folla stese i propri mantelli nella strada, altri poi staccavano rami dagli alberi e li stendevano nella strada. 9 Le folle che lo precedevano e quelle che seguivano GRIDAVANO DICENDO: «OSANNA AL FIGLIO DI DAVIDE; Benedetto colui-che-viene in nome del SIGNORE; Osanna nelle altezze». 10

Ed entrando lui A GERUSALEMME tutta la città fu scossa dicendo: «Chi è costui?». 11 E le folle dicevano: «Costui è il profeta GESÙ da Nazareth di Galilea». 12

Ed entrò Gesù nel Tempio e scacciò tutti i venditori e compratori nel Tempio, e rovesciò i tavoli dei cambiavalute e i banchi di quelli che vendevano le colombe, 13 E dice a loro: «STA-SCRITTO: “La mia casa sarà chiamata casa di preghiera”, voi però rendete questa un spelonca di ladri». 14

E si-avvicinarono a lui ciechi e zoppi nel Tempio, e guarì loro.

15

I sommi sacerdoti e gli scribi, vedendo le azioni meravigliose che fece e i fanciulli che gridavano nel Tempio e dicevano: “OSANNA AL FIGLIO DI DAVIDE”, si sdegnarono 16 e gli dissero: «Ascolti cosa questi dicono?». E Gesù dice loro: «Sì! NON-MAI LEGGESTE: “Da bocca di piccoli e lattanti ti sei procurato lode”?». 17

E lasciatili uscì-fuori FUORI DALLA CITTÀ verso Betania e pernottò là.

14

A. COHEN, Matthew and the Mishnah: Redefining Identity and Ethos in the Shadow of the Second Temple’s Destruction, WUNT 2. Reihe 418, Tübingen 2016, 275-276, afferma che, in questo passo, Gesù riconosce che il Tempio è il luogo dove c’è guarigione, sacrificio, lode e preghiera; dimostrando così la sua solidarietà con il centro del culto di Israele e riconoscendo un forte legame fra sé e il Tempio. 15 A. MELLO, Evangelo secondo Matteo. Commento midrashico e narrativo, Sp.Bi, Magnano (BI) 1995, 368-369, dopo aver precisato che le guarigioni di Gesù sostituiscono i sacrifici, afferma che Gesù stesso manifesta che lo scopo del Tempio è anche restituire l’uomo alla sua integrità, perché possa essere in comunione con il suo Dio.

Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità (Mt 21,1-27)

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Le citazioni del Primo Testamento formano come l’ossatura della sottosequenza: al centro della prima parte, è Matteo stesso che interviene: «Questo avvenne affinché si compisse quanto detto» (4); agli estremi dell’ultima parte è Gesù che precisa: «sta scritto» (13) e «non-mai leggeste» (16)16. Al centro del secondo passo, sono le folle stesse a citare il Salmo: «gridavano dicendo» (9). Le indicazioni circa l’andare di Gesù scandiscono la sottosequenza: all’inizio «vennero verso Betfage» (1); poi «entrando … a Gerusalemme» (10); e alla fine «uscì-fuori … verso Betania» (17). Anche la citazione di compimento presenta Dio come colui che «viene» (5); le folle, da parte loro, acclamano Gesù come «colui che viene» (9c). È interessante la corrispondenza fra l’indole del re, nella prima citazione: «mite» (5) e l’identità di quanti lo lodano, nell’ultima citazione: «da bocca di piccoli e lattanti» (16). Contesto biblico Come già osservato a livello dei singoli passi, la prima citazione (5) è tratta da due testi profetici. È di compimento ed è indirizzata alla Città Santa, nel periodo della ricostruzione dopo l’esilio. La seconda citazione (9), utilizzata dalle folle in modo quasi improvviso, è implicita ed è tratta dal Salmo, indirizzata al discendente di Davide, il Messia. La terza citazione (13), richiamata da Gesù stesso, tratta anche questa da due testi profetici, contrappone lo scopo del Tempio, «casa di preghiera», alle aberrazioni degli uomini «spelonca di ladri»! Quest’ultima espressione si riferisce alla situazione immediatamente precedente la distruzione di Gerusalemme e l’esilio; mentre la prima espressione è ambientata nel periodo della ricostruzione dopo l’esilio. L’ultima citazione (16), implicita, è tratta dal Salmo ed è riferita da Gesù a sé stesso. Il Re acclamato e contestato L’atmosfera regale dell’ingresso di Gesù nella Città Santa (5) e delle acclamazioni (9), come pure la contestazione ostile da parte dei sommi sacerdoti e gli scribi (15) ricordano l’arrivo dei Magi a Gerusalemme in Mt 2,1-417: 1

Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme 2 e dicevano: «Dov’è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo». 3 All’udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme. 4 Riuniti tutti i capi dei sacerdoti e gli scribi del popolo, si informava da loro sul luogo in cui doveva nascere il Cristo. 16 Si verifica così la quarta legge di Lund sulle strutture concentriche: alcune idee compaiono al centro di un sistema e agli estremi di un sistema corrispondente; cf. R. MEYNET, Traité de rhétorique biblique, RhSem XI, Pendé 20132, 98. 17 Si ringrazia il collega Marek Baraniak, per aver suggerito questo rimando biblico.

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Roberto DI PAOLO

Le due situazioni presentano alcuni punti in comune: invece dei discepoli e dei piccoli, ci sono i Magi, pagani e lontani, che arrivano a Gerusalemme per adorare il re dei Giudei e incontrano Erode, sconvolto. I capi dei sacerdoti e gli scribi compaiono in entrambi i racconti, con ruoli sostanzialmente identici anche se leggermente diversi: al tempo dei Magi, l’ostilità parte soprattutto da Erode; all’entrata di Gesù a Gerusalemme, Erode è morto, ma non la sua sorda ostilità, che sopravvive nella contestazione manifestata dai rappresentanti del Sinedrio. Interpretazione Un movimento continuo Gesù nel testo è in perenne movimento: «entra» (1; 10; 12), «esce» (17), è acclamato come «colui che viene» (9), e ancora prima è riconosciuto come tale anche nella profezia (4). La salvezza che Gesù porta è in qualche modo dinamica, orientata non a senso unico ma in diverse direzioni; pronta ad accogliere anche quanti le si avvicinano, come i ciechi e gli zoppi (14), che pure hanno oggettiva difficoltà a muoversi. Un re acclamato dal suo popolo Il testo indica un legame sottile ma significativo fra il re «mite» (5), inviato a Gerusalemme, e quanti lo acclamano «piccoli e lattanti» (16): per poter riconoscere il re, bisogna essere piccoli. È un rapporto complementare fra i «miti» e il re «mite». Al contrario, i rappresentanti del Sinedrio, come già Erode al tempo dei Magi (Mt 2,1-4), non soltanto si astengono dalle acclamazioni, ma ne fanno una colpa, rimproverando apertamente Gesù. Un compimento corale Le citazioni presenti nel testo riguardano sia i Profeti sia i Salmi, e si riferiscono a periodi diversi della storia di Israele: prima della catastrofe dell’esilio e durante il periodo della ricostruzione. La parola che si compie abbraccia quindi periodi storici diversi tra loro. Le citazioni poi sono in bocca non solo a Gesù (13; 16), ma anche alle folle (9), e prima ancora all’Evangelista stesso (4). Il compimento presentato dal testo è quindi corale, sia per il periodo di storia che abbraccia, sia per i diversi interpreti che gli danno voce e lo riconoscono in atto. II. LA FORZA DELLA FEDE, LA PAURA DELL’INCREDULITÀ (MT 21,18-27) La sottosequenza è formata da due passi (21,18-22; 21,23-27). L’AUTORITÀ della parola e della fede

21,18-22

AUTORITÀ umana o divina?

21,23-27

Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità (Mt 21,1-27)

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1. L’AUTORITÀ DELLA PAROLA E DELLA FEDE (MT 21,18-22) Composizione del passo Gesù esercita il potere della sua parola nella prima parte, partendo dall’episodio dell’«albero di fichi» (19bis; 20b; 21e): «nulla trovò» (19c). Nell’ultima, promette ai discepoli lo stesso potere, che si dilata dall’«albero di fichi» (21e) al «monte» (21f) fino a «tutto quanto» (22a); potere tuttavia condizionato dalla presenza della «fede» (21c; 22b), con l’esito: «otterrete» (22b). In entrambi i casi si tratta di una situazione infeconda e negativa da estirpare: «avvenga/avverrà» (19f; 21h). La domanda centrale dei discepoli: «Come all’istante disseccò l’albero di fichi?» (20b) è come il motore del passo: crea la svolta nell’episodio18. 18

Al-mattino-presto

tornando ebbe-fame.

verso la città

+ 19 E vedendo . andò

un solo albero-di-fichi su quello

sulla strada

– nulla . se non foglie

trovò soltanto,

in quello

························································································································

: e dice

a quello: :: «Non-più da te

frutto AVVENGA per sempre!». ························································································································ + E disseccò . 20

all’istante E vedendo

+ : 21 Rispondendo

«Come

l’albero-di-fichi.

i discepoli

si-meravigliarono dicendo:

all’istante

disseccò

Gesù

disse

l’albero-di-fichi?». a loro:

························································································································

:

«Amen

dico

a voi,

qualora abbiate . e non dubitiate, + non solo quello

fede dell’albero-di-fichi

farete,

:

a monte questo nel mare”,

diciate:



ma se anche . “togliti e gettati :: AVVERRÀ.

························································································································

. 22 E tutto quanto – 18

chiediate avendo-fede

nella preghiera lo otterrete».

Si verifica così la prima legge di Lund sulle strutture concentriche: il cambiamento al centro di un testo; cf. R. MEYNET, Traité (cf. nt. 16), 97.

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Roberto DI PAOLO

Contesto biblico Il fico La pianta e il frutto del fico19, presenti in molti passi biblici20, sono un segno tipico della terra promessa, in riferimento all’alleanza21. Tra i vari testi, si segnala Os 9,10-16, dove l’immagine di Israele come pianta di fichi è affiancata alla aridità come conseguenza dell’allontanamento da Dio, fino alla maledizione finale: 10

Trovai Israele come uva nel deserto, ebbi riguardo per i vostri padri, come per i primi fichi quando iniziano a maturare; ma essi, appena arrivati a Baal-Peor, si consacrarono a quell’infamia e divennero una cosa abominevole, come ciò che essi amavano. 11 La gloria di Èfraim volerà via come un uccello, non più nascite né gravidanze né concepimenti. 12 Anche se allevano figli, io li eliminerò dagli uomini; guai a loro, se io li abbandono. 13 Èfraim, lo vedo come una palma piantata in luoghi verdeggianti. Èfraim tuttavia condurrà i figli al macello. 14 “Signore, da’ loro. Che cosa darai?”. Un grembo infecondo e un seno arido! 15 Tutta la loro perversità si è manifestata a Gàlgala, è là che ho preso a odiarli. Per la malvagità delle loro azioni li scaccerò dalla mia casa, non avrò più amore per loro; tutti i loro capi sono ribelli. 16 Èfraim è stato percosso, la loro radice è inaridita, non daranno più frutto. Anche se generano, farò perire i cari frutti del loro grembo».

Anche il testo di Ger 24,1-2.5.8 può aiutare a capire meglio il riferimento al fico22: 1

Il Signore mi mostrò due canestri di fichi posti davanti al tempio del Signore […]. Un canestro era pieno di fichi molto buoni, come i fichi primaticci, mentre l’altro canestro era pieno di fichi cattivi, così cattivi che non si potevano mangiare. […] 5 «Così dice il Signore, Dio d’Israele: Come si trattano con riguardo i fichi buoni, così io tratterò i deportati di Giuda che ho mandato da questo luogo nel paese dei Caldei. […] 8 Come invece si trattano i fichi cattivi, che non si possono mangiare tanto sono cattivi — così dice il Signore —, così io tratterò Sedecìa, re di Giuda, i suoi capi e il resto di Gerusalemme, ossia i superstiti in questo paese, e coloro che abitano nella terra d’Egitto. 2

L’immagine della cesta di fichi è ambivalente e punta alla qualità dei frutti, indicando sia chi, pur stando in esilio, cerca di rimanere fedele all’alleanza, sia chi, pur scampato alla catastrofe dell’esilio, rimane infedele all’alleanza. 19 Cf. M. GRILLI CAIOLA – P.M. GUARRERA – A. TRAVAGLINI, Le piante nella Bibbia, Roma 2013, 33. 20 Cf. M BALLERO, Le piante e la Bibbia, Sassari 2016, 146-149. 21 Cf. C.-H. HUNZIGER, «sukh/», in G. KITTEL – G. FRIEDRICH, ed., Theologisches Wörterbuch zum Neuen Testament, Stuttgart 1964; trad. italiana, F. MONTAGNINI – G. SCARPAT, ed., Grande Lessico del Nuovo Testamento, XII, Brescia 1979, 1437-1454; M. LURKER, «Fico», in ID., Dizionario delle immagini e dei simboli biblici (cf. nt. 5), 81-82; L. RYKEN – J.C. WILHOIT – T. LONGMAN III, ed., «Fico», in ID., Le immagini bibliche (cf. nt. 5), 510-511. 22 Si ringrazia il collega Wojciech Pikor, per aver opportunamente suggerito questo rimando.

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La fede Dopo la guarigione del ragazzo epilettico, in Mt 17,19-20, di fronte alla domanda dei discepoli, sconfitti, Gesù, se pur con termini leggermente diversi, anticipa le parole del v. 21: «19 Allora i discepoli si avvicinarono a Gesù, in disparte, e gli chiesero: “Perché noi non siamo riusciti a scacciarlo?”. 20 Ed egli rispose loro: “Per la vostra poca fede. In verità io vi dico: se avrete fede pari a un granello di senape, direte a questo monte: ‘Spòstati da qui a là’, ed esso si sposterà, e nulla vi sarà impossibile». Interpretazione Il potere della Parola La maledizione di Gesù nei confronti del fico (19) appare inspiegabile, in aperto contrasto con il comportamento abituale e il messaggio di Gesù. Se però si intende il riferimento al fico come un rimando al popolo eletto, ecco che si dischiude al lettore il dramma di Israele, che, trattato da Dio come «i primi fichi» (Os 9,10), si è allontanato da Dio, ottenendo «un grembo infecondo e un seno arido!» (Os 9,14), finendo per vivere l’esperienza tremenda: «la loro radice è inaridita, non daranno più frutto. Anche se generano, farò perire i cari frutti del loro grembo» (Os 9,16). Queste ultime parole hanno il sapore di una maledizione, analoga alle parole di Gesù al v. 19. L’esperienza devastante dell’esilio richiama a Israele la tremenda responsabilità di non limitarsi all’adesione formale all’alleanza con Dio, indicata dalle ceste di «fichi» (Ger 24,1), ma di preoccuparsi che questi «fichi» siano buoni, commestibili (Ger 24,2) per poter incontrare la misericordia divina (Ger 24,5). I «fichi cattivi», al contrario, poteranno alla rovina (Ger 24,8). Il potere della fede Le parole stupite dei discepoli di fronte al potere della parola di Gesù (20) aprono la strada a un insegnamento analogo per i discepoli: anche la loro parola, sostenuta dalla «fede», ha il potere di spostare finanche i «monti» e annientarli nel «mare» (21). Se la parola di Gesù produce un effetto immediato, la parola dei discepoli ha bisogno della fede e si esprime nella «preghiera» (22). Le parole conclusive di Gesù dilatano all’infinito il potere della preghiera unita alla fede. 2. AUTORITÀ UMANA O DIVINA? (MT 21,23-27) Composizione del passo Le quattro parti sono costruite in modo speculare. La questione «in quale autorità queste cose fai?» (23e; 24e; 27e) è affrontata lungo il passo secondo prospettive diverse: per sacerdoti e anziani, la questione è immediata: «chi a te diede autorità questa?» (23f); per Gesù, la questione è remota, da ricollegare al

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battesimo di Giovanni: «da dove era?» (25a). La differenza di prospettive è tale che, a «anche io a voi dirò» (24d) si oppone alla fine «neanche io dico a voi» (27d). : 23 E andando lui . si-avvicinarono a lui . i sommi-sacerdoti e gli anziani

nel Tempio che-insegnava del popolo

= dicendo: + «IN QUALE – E CHI A TE

AUTORITÀ

QUESTE-COSE

FAI?

DIEDE

AUTORITÀ

QUESTA?».

Gesù

disse

= 24 Rispondendo

a loro:

································································································

= «Interrogherò . il quale

voi se diciate a me

+ IN QUALE AUTORITÀ

QUESTE-COSE

– 25 il battesimo

di Giovanni . Da cielo

= Quelli ponderavano tra sé

su un argomento solo,

: anche-io FACCIO:

a voi dirò

DA-DOVE ERA?

o da uomini?». dicendo:

. dirà a noi:

– «Se diciamo: “da cielo”, “Perché dunque non credeste a lui?”.

. temiamo . tutti infatti

– 26 Se invece diciamo: “da uomini”, la folla, come profeta ritengono Giovanni».

=27 E rispondendo =

anche-io

a Gesù dissero: . «Non sappiamo».

Disse + IN QUALE

AUTORITÀ

a loro : «Neanche io QUESTE-COSE

anche lui: dico a voi FACCIO».

Contesto biblico Giovanni è un profeta Gesù, nel racconto di Matteo, ha già parlato a lungo alle folle di Giovanni, fino a indicarne la vera identità: «9 Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. 10 Egli è colui del quale sta scrit-

Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità (Mt 21,1-27)

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to: Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero, davanti a te egli preparerà la tua via» (Mt 11,9-10). Matteo ha già precisato, raccontando dell’arresto di Giovanni, che «Erode, benché volesse farlo morire, ebbe paura della folla perché lo considerava un profeta» (Mt 14,5). Le parole di Gesù ai discepoli, in Mt 17,10-13, dopo la Trasfigurazione, rivelano sia il senso della missione di Giovanni Battista, sia l’ostilità omicida che lo ha travolto: 10

Allora i discepoli gli domandarono: «Perché dunque gli scribi dicono che prima deve venire Elia?». 11 Ed egli rispose: «Sì, verrà Elia e ristabilirà ogni cosa. 12 Ma io vi dico: Elia è già venuto e non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto. Così anche il Figlio dell’uomo dovrà soffrire per opera loro». 13 Allora i discepoli compresero che egli parlava loro di Giovanni il Battista.

Interpretazione La stessa autorità? Lo scambio di battute fra Gesù e sacerdoti e anziani parte dalla «autorità» con cui Gesù opera (23) e arriva al «battesimo» di Giovanni (25). È Gesù stesso a stabilire questo collegamento e i suoi interlocutori non vi si oppongono; al contrario accettano in qualche modo la sfida, mostrando così di riconoscere implicitamente un legame fra l’autorità dell’agire di Gesù e il gesto precipuo compiuto da Giovanni: il battesimo. L’autorità mostrata da Giovanni e quella rivelata da Gesù hanno quindi un fondo comune, che però non è del tutto chiaro, dato che è ancora oggetto di discussione. Dal cielo o dagli uomini? La domanda centrale, con le ipotesi di risposta — «da cielo o da uomini» (25) — pone un dilemma, che riguarda di fatto l’autorità sia di Giovanni sia di Gesù, e fa emergere la differenza sostanziale di prospettiva fra i capi e il popolo, che interpretano l’origine dell’autorità in modo diametralmente opposto. Per i capi infatti il battesimo di Giovanni non viene dal cielo, tant’è che «non l’hanno riconosciuto; anzi, hanno fatto di lui quello che hanno voluto» (Mt 17,12). È da notare che alla mancanza di fede dei capi, si unisce il «temere» (26) di dichiarare apertamente la propria incredulità, come ha già fatto Erode, che ha relegato in carcere Giovanni (Mt 14,5). Gesù invece non ha problemi a dichiarare apertamente che Giovanni è un «profeta … più che un profeta» (Mt 11,9); non solo il suo battesimo, ma tutta la sua missione viene dal cielo: «Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero» (Mt 11,10)23.

23

Cf. R. DI PAOLO, Il Servo di Dio porta il diritto alle nazioni. Analisi (cf. nt. 9), 30-50.

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3. LA FORZA DELLA FEDE, LA PAURA DELL’INCREDULITÀ (MT 21,18-27) Composizione della sottosequenza Al mattino presto tornando verso la città ebbe fame. 19 E vedendo un solo albero di fichi sulla strada andò su quello e nulla trovò in quello se non foglie soltanto, e dice a quello: «Non più da te frutto avvenga per sempre!». E l’albero di fichi disseccò all’istante. +

18

20

+

E vedendo i discepoli si meravigliarono dicendo: «COME ALL’ISTANTE L’ALBERO-DI-FICHI

DISSECCÒ?».

– 21 Rispondendo Gesù disse a loro: «AMEN DICO A VOI, qualora abbiate fede e non dubitiate, non solo quello dell’albero di fichi farete, ma se anche a questo monte diciate: “togliti e gettati nel mare”, avverrà. 22 E tutto quanto chiediate nella preghiera credendo lo otterrete». 23

E andando lui nel Tempio si avvicinarono a lui che insegnava i sommi sacerdoti e gli anziani del popolo dicendo: «IN QUALE AUTORITÀ FAI QUESTE-COSE? E chi ti diede questa autorità?». +



24

Rispondendo Gesù disse a loro: «Interrogherò voi anche io su un argomento solo, il quale se diciate a me ANCHE-IO A VOI DIRÒ in quale autorità faccio queste cose: 25 il battesimo di Giovanni da dove era? Da cielo o da uomini?».

: Quelli ponderavano tra sé dicendo: «Se diciamo: “da cielo”, dirà a noi: “Perché dunque non credeste a lui?”. 26 Se invece diciamo: “da uomini”, temiamo la folla, tutti infatti ritengono Giovanni un profeta». – 27 E rispondendo a Gesù dissero: «Non abbiamo-visto». Disse a loro anche lui: «NEANCHE IO DICO A VOI in quale autorità faccio queste cose».

I due passi iniziano entrambi indicando gli spostamenti progressivi di Gesù: «tornando verso la città» (18) e «andando lui nel Tempio» (23). I discepoli e i sommi sacerdoti e anziani interrogano Gesù, reagendo in modo opposto al suo insegnamento e ai relativi effetti; al centro del primo passo i discepoli domandano: «Come all’istante disseccò l’albero di fichi?» (20); all’inizio del secondo passo, i sommi sacerdoti e anziani domandano invece: «In quale autorità fai queste cose?» (23). La differenza tra i due gruppi risiede nell’opposizione fra «vedendo» (20) e «non abbiamo visto» (27)24, «credendo» (22) e «non credeste» (25). Gesù regisce in modo ugualmente opposto alla fine di ciascun passo: «Amen dico a voi» (21) ai discepoli; «Neanche io dico a voi» (27) ai sommi sacerdoti e anziani25. 24 Il verbo in greco — «oi;damen» oidamen — significa «non sappiamo» in quanto «non abbiamo visto». 25 La discussione in merito a questa composizione, durante il Convegno, ha fatto emergere alcune perplessità circa l’accostamento dei due passi in una stessa sottosequenza e finanche l’even-

Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità (Mt 21,1-27)

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Interpretazione Un progressivo avvicinamento Gesù è in continuo movimento, già al mattino presto si avvicina alla «città» (18); poi entra nel «Tempio» (23), avvicinandosi progressivamente non solo al cuore del luogo santo, ma anche ai «sommi sacerdoti e anziani del popolo», che, per parte loro, «si avvicinano a lui» (23) e con i quali lo scontro è sempre più ravvicinato. Se Gesù riesce a parlare con i suoi discepoli: «Amen dico a voi» (21), non riesce a dialogare con loro: «Neanche io dico a voi» (27). Vedere e non vedere Ma perché Gesù non riesce a parlare con i sommi sacerdoti e anziani del popolo? Forse perché questi chiudono gli occhi di fronte alla realtà: «non sappiamo» (27). Non sanno, perché non hanno visto la presenza del Cielo nel battesimo di Giovanni, né tantomeno nelle opere compiute da Gesù, definite riduttivamente «queste cose» (23). Loro stessi temono che Gesù riveli il vero motivo della loro cecità e quindi ignoranza: «non credeste» (25). I discepoli al contrario aprendo gli occhi di fronte alla realtà — «vedendo» (20) — permettono a Gesù di indicare loro la via per comprendere: la «fede» (21). «Avendo fede» (22), non solo possono vedere, ma possono compiere opere prodigiose (21). Stupore e rabbia L’atteggiamento assai diverso fra i discepoli e i sommi sacerdoti e capi del popolo si manifesta nella reazione opposta all’opera di Gesù, rivelata dalle due domande che caratterizzano i due passi. In entrambi i casi si tratta di una domanda, ma il punto di partenza e l’esposizione differiscono non poco. Mentre infatti i discepoli, di fronte alla pronta obbedienza della pianta di fico al comando di Gesù, «si meravigliarono» (20), e manifestano il loro stupore chiedendo: «Come?» (20); i sommi sacerdoti e anziani del popolo pongono ugualmente una domanda, che però sembra dettata più dalla rabbia che da un desiderio di sapere, fino ad avere il sapore di una messa in stato di accusa: «In quale autorità fai queste cose?» (23). La disposizione d’animo dell’uomo è dunque fondamentale per avvicinarsi a Gesù, stupirsi e porgli delle domande.

tualità che il secondo passo faccia parte di un’altra sequenza. Chi scrive condivide tali perplessità, nella comune consapevolezza che solo lo studio di questi testi a un livello superiore di analisi permetterà una visione più chiara e quindi una composizione dai toni meno incipienti.

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III. IL FIGLIO DI DAVIDE COMPIE LA PAROLA CON AUTORITÀ (MT 21,1-27) 1. COMPOSIZIONE DELLA SEQUENZA 1

E quando si-avvicinavano a Gerusalemme e vennero verso BETFAGE verso il monte degli Ulivi, allora Gesù mandò due discepoli 2 dicendo loro: «Andate nel villaggio che vi sta davanti, e subito troverete un’asina legata e un puledro con lei; sciogliendoli conduceteli a me. 3 E se qualcuno a voi dica perché, direte che il Signore loro ha bisogno; ma li manderà subito». 4 QUESTO AVVENNE affinché si compisse quanto detto per mezzo del profeta che dice: 5 “Dite alla figlia di Sion: Ecco il tuo re viene a te mite e montato sopra un’asina e su un puledro figlio d’asina”. 6 Andando poi i discepoli e facendo come Gesù aveva loro ordinato 7 condussero l’asina e il puledro e posero su di essi i mantelli e lo fecero sedere sopra di loro. 8

La numerosissima folla stese i propri mantelli nella strada, altri poi staccavano rami dagli alberi e li stendevano nella strada. 9 Le folle che lo precedevano e quelle che seguivano gridavano dicendo: «Osanna al Figlio di Davide; Benedetto colui che viene in nome del Signore; Osanna nelle altezze». 10 Ed entrando lui a Gerusalemme tutta la città fu scossa dicendo: «CHI È COSTUI?». 11 E le folle dicevano: «Costui è il profeta Gesù da Nazareth di Galilea». 12 Ed entrò Gesù nel Tempio e scacciò tutti i venditori e compratori nel Tempio, e rovesciò i tavoli dei cambiavalute e i banchi di quelli che vendevano le colombe, 13 E dice a loro: «Sta scritto: “LA MIA CASA SARÀ CHIAMATA CASA DI PREGHIERA”, voi però rendete questa una spelonca di ladri». 14 E si-avvicinarono a lui ciechi e zoppi nel Tempio, e guarì loro. 15 I sommi sacerdoti e gli scribi, vedendo le azioni-meravigliose che fece e i fanciulli che gridavano nel Tempio e dicevano: “Osanna al Figlio di Davide”, si sdegnarono 16 e gli dissero: «Ascolti cosa dicono questi?». E Gesù dice loro: «Sì! Non leggeste mai: “Da bocca di piccoli e lattanti ti sei procurato lode”?». 17 E lasciatili andò via fuori dalla città verso Betania e pernottò là. 18

Al-mattino-presto tornando verso la città ebbe fame.

19

E vedendo un solo albero di sulla strada andò su quello e nulla trovò in quello se non foglie soltanto, e dice a quello: «NON-PIÙ DA TE FRUTTO AVVENGA per sempre!». E l’albero di FICHI disseccò all’istante. 20 E vedendo i discepoli si-meravigliarono dicendo: «Come all’istante l’albero di FICHI disseccò?». 21 Rispondendo Gesù disse a loro: «Amen dico a voi, qualora abbiate fede e non dubitiate, non solo quello dell’albero di FICHI farete, ma se anche a questo monte diciate: “togliti e gettati nel mare”, AVVERRÀ. 22 E TUTTO QUANTO CHIEDIATE NELLA PREGHIERA CREDENDO LO OTTERRETE». FICHI

23

E andando lui nel Tempio si-avvicinarono a lui che-insegnava i sommi-sacerdoti e gli anziani del popolo dicendo: «IN QUALE AUTORITÀ FAI QUESTE-COSE? E CHI TI DIEDE QUESTA 24 AUTORITÀ?». Rispondendo Gesù disse a loro: «Interrogherò voi anche io su un argomento solo, il quale se diciate a me anche io a voi dirò in quale autorità faccio queste cose: 25 il battesimo di Giovanni da dove era? Da cielo o da uomini?». Quelli ponderavano tra sé dicendo: «Se diciamo: “da cielo”, dirà a noi: “Perché dunque non credeste a lui?”. 26 Se invece diciamo: “da uomini”, temiamo la folla, tutti infatti ritengono Giovanni un profeta». 27 E rispondendo a Gesù dissero: «Non abbiamo visto». Disse a loro anche lui: «Neanche io dico a voi in quale autorità faccio queste cose».

Le indicazioni di luogo: «si avvicinavano a Gerusalemme» (1) e «tornando verso la città» (18) fungono da termini iniziali delle due sottosequenze,

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richiamati da «entrando lui a Gerusalemme» (10) e dal termine gancio: «andò via fuori dalla città» (17). Fungono da termini iniziali anche «Betfage»26 (1) e «l’albero di fichi» (19). Due domande, circa l’identità e la fonte della missione di Gesù, scandiscono l’andamento della sequenza; nel secondo passo è infatti la città tutta che chiede: «Chi è costui?» (10); mentre all’inizio dell’ultimo passo sono i sacerdoti e i capi del popolo che chiedono espressamente a Gesù: «In quale autorità fai queste cose? E chi ti diede questa autorità?» (23). È la «folla» (8; 9; 11) a rispondere alla prima domanda: «il profeta Gesù» (11); ed è sempre la «folla» (26) a essere coinvolta — seppur in modo indiretto — nella risposta alla seconda domanda: «ritengono Giovanni un profeta» (26). La precisazione dell’Evangelista nel primo passo — «Questo avvenne» (4) — trova corrispondenza sia nella dichiarazione di Gesù: «Non più da te frutto avvenga per sempre» (19) sia nella successiva rassicurazione ai discepoli: «Avverrà» (21). Similmente, Gesù dapprima riafferma la frase profetica: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera» (13); poi assicura ai discepoli: «Tutto quanto chiediate nella preghiera credendo lo otterrete» (22). C’è anche un’altra corrispondenza interessante tra «si avvicinarono a lui ciechi e zoppi nel Tempio» (14), guariti da Gesù davanti a «i sommi sacerdoti e gli scribi» (15); e gli stessi «sommi sacerdoti e gli anziani del popolo» (23) che, nell’ultimo passo «nel Tempio … si avvicinarono a lui» (23), senza però che si parli di guarigione. La logica della sequenza si ravvisa quindi nel rapporto tra il compimento della parola dei profeti e dei salmi attraverso l’agire di Gesù e la parola stessa di Gesù che si attua; unitamente alla promessa che la fede potrà operare gli stessi effetti attraverso la parola dei discepoli. La questione circa l’identità di Gesù e il principio della sua missione accompagnano le fasi del compimento della parola. 2. CONTESTO BIBLICO La promessa di Mosè al popolo Il titolo di «profeta» attribuito dalle folle a Gesù (11) richiama le parole di Mosè in Dt 18,15-18: 15

Il Signore, tuo Dio, susciterà per te, in mezzo a te, tra i tuoi fratelli, un profeta pari a me. A lui darete ascolto. 16 Avrai così quanto hai chiesto al Signore, tuo Dio, sull’Oreb, il giorno dell’assemblea, dicendo: “Che io non oda più la voce del Signore, mio Dio, e non veda più questo grande fuoco, perché non muoia”. 17 Il Signore mi rispose: 26 «Betfage» significa: «casa dei fichi verdi»; cf. H. STRACK – P. BILLERBECK, Das Evangelium nach Matthäus erläutert aus Talmud und Midrasch, München 1922, 839-840; W. RADL, «Bhqfagh,», in H. BALZ – G. SCHNEIDER, ed., Exegetisches Wörterbuch zum Neuen Testament, Stuttgart 19922; trad. italiana, Dizionario Esegetico del Nuovo Testamento, I, Brescia 1995, 569; W.D. DAVIES – D.C. ALLISON, A Critical and Exegetical Commentary on the Gospel according to Saint Matthew, ICC, III, Edinburgh 2000, 114-115.

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“Quello che hanno detto, va bene. 18 Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò.

La promessa di Dio a Davide Il riferimento al compimento della parola profetica (4) sul «tuo Re che viene» (5), come pure l’acclamazione al «Figlio di Davide … Colui che viene nel nome del Signore» (9) richiamano le promesse fatte a Davide in 2Sam 7,12-17: 12

Quando i tuoi giorni saranno compiuti e tu dormirai con i tuoi padri, io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno. 13 Egli edificherà una casa al mio nome e io renderò stabile il trono del suo regno per sempre. 14 Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio. Se farà il male, lo colpirò con verga d’uomo e con percosse di figli d’uomo, 15 ma non ritirerò da lui il mio amore, come l’ho ritirato da Saul, che ho rimosso di fronte a te. 16 La tua casa e il tuo regno saranno saldi per sempre davanti a te, il tuo trono sarà reso stabile per sempre.

Il ruolo di Gerusalemme come meta di Gesù nel suo cammino (1; 10; 12; 18) ricorda l’elezione della Città Santa nel contesto delle promesse fatte a Davide, come presentato, nei vari testi, anche in Sal 132 (131),13-18: 13

Sì, il Signore ha scelto Sion, l’ha voluta per sua residenza: 14 «Questo sarà il luogo del mio riposo per sempre: qui risiederò, perché l’ho voluto. 15 Benedirò tutti i suoi raccolti, sazierò di pane i suoi poveri. 16 Rivestirò di salvezza i suoi sacerdoti, i suoi fedeli esulteranno di gioia. 17 Là farò germogliare una potenza per Davide, preparerò una lampada per il mio consacrato. 18 Rivestirò di vergogna i suoi nemici, mentre su di lui fiorirà la sua corona».

La potenza della Parola La potenza della parola di Gesù di fronte alla pianta di fico e il conseguente stupore dei discepoli (19-20), richiama, tra i vari testi possibili, il Sal 33 (32),8-9: «8 Tema il Signore tutta la terra, tremino davanti a lui gli abitanti del mondo, 9 perché egli parlò e tutto fu creato, comandò e tutto fu compiuto». «Gesù Cristo ti guarisce!» La dichiarazione di Gesù ai discepoli circa il potere della preghiera fatta con fede (22) si attua in diversi passi degli Atti degli Apostoli; tra questi se ne possono citare due, quasi consecutivi: 33

Qui [a Lidda] trovò un uomo di nome Enea, che da otto anni giaceva su una barella perché era paralitico. 34 Pietro gli disse: «Enea, Gesù Cristo ti guarisce; àlzati e rifatti il letto». E subito si alzò. 35 Lo videro tutti gli abitanti di Lidda e del Saron e si convertirono al Signore.36 A Giaffa c’era una discepola chiamata Tabità — nome che significa Gazzella — la quale abbondava in opere buone e faceva molte elemosine. 37 Proprio in quei giorni ella si ammalò e morì. […] 40 Pietro fece uscire tutti e si inginocchiò a pregare; poi, rivolto al corpo, disse: «Tabità, àlzati!». Ed ella aprì gli

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occhi, vide Pietro e si mise a sedere. 41 Egli le diede la mano e la fece alzare, poi chiamò i fedeli e le vedove e la presentò loro viva (At 9,33-37.40-41).

Nel primo episodio, Pietro dichiara apertamente che è il nome di Gesù a rialzare Enea; mentre, nel secondo episodio, è la preghiera che permette a Pietro di compiere il miracolo. 3. INTERPRETAZIONE Gesù compie totalmente la parola profetica I rimandi quasi continui alla Parola che si compie, con citazioni profetiche e salmiche, illuminano l’agire di Gesù come un’attuazione compiuta di quanto Dio ha annunciato lungo la storia di Israele. L’applicazione della parola profetica a Gesù sul «re che viene» (5) e l’acclamazione al «Figlio di Davide» (9) dilata il racconto, collegandolo alle promesse fatte a Davide sulla discendenza regale (2Sam 7,12.16). La storia della salvezza sembra finalmente giunta al suo compimento. La menzione di Gerusalemme (1), come meta di questo cammino e luogo del compimento, rivela la premura di Dio per realizzare, anche nei dettagli, quanto annunciato attraverso i profeti (Sal 132,13-18). Quando poi Gesù ordina alla pianta di fico di non produrre più frutti (19), Egli supera decisamente il semplice compimento della Parola, seppure notevole, rivelando che la sua parola si attua immediatamente, proprio come quella di Dio (Sal 33,9). Lo stupore accompagna i discepoli (20), come tremore e timore accompagnano gli abitanti del mondo di fronte alla potenza della Parola (Sal 33,8). Il compimento della Parola operato da Gesù è dunque totale: riguarda sia il passato — con la parola dei profeti e dei salmi realizzata da Gesù — sia il presente, con la parola proferita da Gesù che si attua immediatamente. I discepoli possono compiere la parola di Gesù L’assicurazione che Gesù consegna ai discepoli circa il potere della sua parola — a loro trasmesso, conservato attraverso la fede (20) ed esercitato attraverso la preghiera (21) — desta forse nel lettore più meraviglia della pianta di fico che secca immediatamente (19)! Oltre lo stupore infatti di ricevere un tale potere, la meraviglia va alla fiducia che Gesù riconosce ai suoi discepoli, investendoli di siffatta autorità, da gestire però non in modo autonomo o arbitrario, ma sempre e comunque in comunione con il Padre, attraverso la fede e la preghiera. I discepoli potranno «ottenere» (22) qualunque cosa, a patto di essere sostenuti dalla «fede» che combatte ogni «dubbio» (21) circa la potenza di Dio, e rimanendo legati al Padre mediante la «preghiera» (22). I racconti successivi alla Pasqua sulla vita della Chiesa danno una misura di come i discepoli — divenuti ormai apostoli — compiano questa parola di Gesù, operando miracoli (At 9,34), finanche restituendo la vita ai morti (At 9,40), non per virtù propria ma grazie al «nome di Gesù» e alla potenza della «preghiera».

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Il compimento che Gesù realizza con la sua parola è dunque non un privilegio personale da utilizzare a proprio uso e consumo, ma un dono che Egli trasmette ai discepoli, alla comunità dei credenti, fino ad aprire ai discepoli la via per diventare essi stessi strumenti del compimento della parola di Dio, sostenuti dalla fede e guidati dalla preghiera. Luogo privilegiato per «pregare» è la «casa» (13) di Dio in Gerusalemme: per entrare in comunione con Dio, e, «chiedendo» e «ricevendo» con fede (22), diventare strumenti della sua volontà. L’identità di Gesù è ancora da scoprire In un tale clima di totale compimento, sia per il passato che per il presente, dovrebbe essere ormai evidente a tutti l’identità di Gesù: le parole profetiche e salmiche parlano chiaro; le azioni di Gesù le confermano e la parola stessa di Gesù si attua immediatamente. Eppure le due domande che scandiscono l’andamento della sequenza rivelano che il cammino per arrivare a scoprire chi sia veramente Gesù è ancora lungo da percorrere. L’acclamazione al «Figlio di Davide» (9) fa pensare alla promessa fatta a Davide circa il suo discendente: «Io sarò per lui padre ed egli sarà per me figlio» (2Sam 7,14). Subito dopo però le folle, di fronte alla domanda della «città» circa l’identità di Gesù (10), rispondono senza esitazione che Gesù è «il profeta da Nazareth di Galilea» (11). Lo reputano quindi un profeta, così come «considerano Giovanni un profeta» (26). Sembra allora che si stia compiendo quanto Mosè ha ottenuto da Dio e promesso al popolo: «un profeta pari a me» (Dt 18,15), non come un semplice portavoce di Dio, ma come suo mediatore, quale è stato Mosè. Le folle non si fermano dunque a riflettere sull’identità di Gesù; a loro basta acclamarlo e riconoscere in lui un certo legame con Dio, davidico o profetico. Più complessa è la domanda circa l’origine della missione di Gesù. «I sommi sacerdoti e gli anziani del popolo» (23), che conoscono sia la promessa di Mosè al popolo sia le promesse di Dio a Davide, pongono la questione circa la sorgente della sua «autorità» (23). Pur avendo le conoscenze necessarie per scoprire la sua identità, non si pongono domande in merito ma «si avvicinano a lui» (23) mettendo in discussione la sua autorità. L’esito dell’incontro / scontro con Gesù non li trasforma; a differenza di «ciechi e zoppi» (14), che, pur senza conoscere chiaramente la sua identità, «si sono avvicinati a lui» che li «ha guariti» (14). L’identità di Gesù deve essere ancora pienamente scoperta e il cammino per giungervi è ancora lungo. È possibile tuttavia avvicinarsi a Gesù con la fede, la quale, anche se manca di conoscenza precisa circa la sua identità, permette di riconoscerne la sorgente dell’autorità, avvicina a lui e rende possibile un incontro che comunque guarisce.

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CONCLUSIONE Al termine di questo percorso di analisi, è da rilevare che il testo, anche se non molto lungo, è alquanto complesso, se non altro per i continui rimandi, diretti e indiretti, al Primo Testamento. L’applicazione delle leggi della retorica biblica e semitica ha permesso di individuare una composizione del testo — si spera credibile — che evidenzia il rapporto tra le azioni e le parole di Gesù, che si configurano sempre e comunque come un compimento del passato o come un’attuazione immediata nel presente. Il tema, caro all’evangelista Matteo, dell’unità della storia della salvezza e del rapporto costante fra Gesù e Mosè e Davide, sembra ampiamente rispettato. Di fronte all’autorità con cui Gesù compie le promesse, gli uomini si dibattono tra la forza della fede e la paura dell’incredulità. Le due domande aperte circa l’identità e la missione di Gesù indicano che la comprensione umana è ancora in fase di avvicinamento: il cammino è lungo. I limiti imposti al presente lavoro non permettono di verificare eventuali corrispondenze con le unità precedenti e successive. Tale verifica si rende tuttavia necessaria — e sarà da attuare quanto prima — perché questa analisi possa essere sanata il più possibile dalla sua inevitabile precarietà incipiente.

Roberto DI PAOLO

ISSR «Toniolo» Piazza S. Cetteo 2 65127 Pescara – PE (Italia) E-mail: [email protected]

RIASSUNTO «Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità». L’analisi retorica biblica di Matteo 21,1-27 porta a scoprire una composizione di tre passi (1-7; 8-11; 12-17), in cui Gesù si presenta come il Salvatore promesso a Israele: compie la parola dei profeti, «viene» nel nome del Signore, purifica e santifica il Tempio. Gli ultimi due passi (18-22; 23-27) presentano gli uomini che, di fronte all’autorità Gesù, oscillano fra l’autorità donata loro dalla forza della fede e la paura derivante dall’incredulità. Se dunque Gesù è il Figlio di Davide che compie la Parola con autorità, gli uomini si interrogano circa la sua identità e missione: il cammino per avvicinarsi e riconoscerlo è ancora lungo. Riguardo al metodo di analisi, l’obiettivo del lavoro è arrivare a dimostrare che questa unità abbia una sua logica di composizione, in previsione di uno studio più ampio di Mt 21–23. Parole chiave: Figlio di Davide, compimento, autorità, preghiera, fede.

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«The Son of David Son fulfills the Divine Word in an authoritative way». The biblical rhetorical analysis on Matthew 21:1-27 is as much about one identyfing a three passages structure (1-7; 8-11; 12-17) in which Jesus reveals Himself as the Saviour promised to Israel: He carries out the prophetical Word, He «comes» in the name of the Lord, He purifies and sanctifies the Temple. In the two last passages (18-22; 23-27), people fluctuate between hope and fear in front of Jesus’s authority: they waver between a good reputation that they can reach by faith and fear as a result of their unfaith. So, if Jesus is really the Son of David fulfilling the Divine Word in an authoritative way, human beings continue to have doubts about His identity and mission, although their Route to get close and get to know Him is still long. With regard to the method of analysis, the target is to show that this textual unity has got its own compositive logic, in anticipation of a deeper study about Matthew 21–23. Keywords: Son of David, Fulfilness, Autorithy, Prayer, Faith.

Carlos Alberto SANTOS GARCÍA

«Entre el Reino de Dios y la ira de Dios» Cristología y soteriología en Jn 3,1-36

«El capítulo 3 es un verdadero zurcido de textos»1, con estas palabras, un reconocido especialista joánico de origen catalán describe su apreciación de este laboratorio en que se ha convertido Jn 3,1-36. La percepción predominante sobre este texto en la exégesis contemporánea ha sido la de entenderlo como un cuerpo heterogéneo, que debe su forma actual a una disposición discrecional, basada en uno o más criterios sobre los que aún ahora no se tiene consenso2. La disparidad en los criterios y estratos redaccionales propuestos — fundamento de las diversas propuestas de estructuración — ha hecho que Jn 3 se perciba como un verdadero crux interpretum3. Aunque varios aspectos de su propuesta se remiten a R. Bultmann4, ha sido R. Schnackenburg quien ha sentado las bases para la comprensión de Jn 3,1-36 como un cuerpo heterogéneo de textos; pero, implícita y paradójicamente, creo que también ha puesto en evidencia su unidad literaria. La semejanza de los vv 31-36 y 13-21 fue el detonante de su propuesta de desplazamiento y reordenamiento de Jn 3 a partir de la hipótesis de una primitiva catequesis-homilía joánica que habría sido dividida en la redacción final del EvJn5. Vinculado a esta cuestión se encontraba la desaparición del interlocutor entre los vv 12 y 13, y el final súbito del diálogo — sin conclusión aparente — con la noticia geográfica del v 22. Así, ante la ausencia de Nicodemo en el diálogo, se abría la puerta al reordenamiento a partir de las «cosas del cielo» (12; cf. 31), dejando el episodio del Bautista (22-30) como el final del capítulo.

1

J.-O. TUÑÍ VANCELLS, El evangelio es Jesús. Pautas para una nueva comprensión del evangelio según Juan, Estella (Navarra) 2010, 20, nt. 5. 2 Se trata de dos criterios principalmente los que se aplican a Jn 3,1-36: el sintáctico, ¿dónde termina el diálogo con Nicodemo?; el temático, ¿cuándo el «hablar» deja de ser el de Jesús y/o el Bautista, y empieza a ser el del evangelista y/o comunidad? 3 «On many grounds Jn 3 has been a perennial crux interpretum». CH. PANACKEL, Ἰδοu ὁ ἄνθρωπος: an exegetico-theological study of John 19,5b in the light of the use term anthropos designating Jesus in the Fourth Gospel, Rome 1987, 49. También: «The sequence of thought in John 3 is notoriously hard to follow» (J. ASHTON, Understanding the Fourth Gospel, Oxford 1991, 374). 4 En su comentario sitúa 3,31-36 después de 3,21, aunque en una nota al pie sugiere que bien podrían situarse después de 3,16 (cf. 131, n. 5). Cf. R. BULTMANN, The Gospel of John. A commentary, Oxford 1971, 130-133; 160-167. 5 Cf. R. SCHNACKENBURG, «Die „situationsgelösten“ Redestücke in Joh 3», ZNW 49 (1958) 8899.

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La propuesta de reordenar Jn 3,1-36 no perseveró en los años posteriores al artículo y comentario de Schnackenburg6. Sin embargo, quedó una especie de sombra sobre su coherencia temática y narrativa, que podría expresarse en dos preguntas: ¿es realmente Jesús quien habla a partir del v 13, o más bien es el evangelista que expone el kerygma de la comunidad?; en el mismo tono, ¿pueden situarse los vv 31-36 en boca de Juan, el Bautista? La percepción de un cierto desfase, que trascendía el contexto de los diálogos precedentes, quedó como el legado principal de su propuesta7. La cuestión no era tanto si existió un orden diferente del texto en el proceso de redacción, sino delimitar donde dejaban Jesús y el Bautista de «hablar», para dar paso al evangelista8. Así, a pesar de conservar una cierta visión unitaria de Jn 3,1-36, se introdujo una cierta sospecha sobre su presentación actual, concretamente sobre la cuestión del sujeto de los discursos (Jesús y Juan) y la coherencia temática con el contexto narrativo en que se encontraban. Las diferentes propuestas de estructuración y comprensión partían generalmente haciendo notar dicho desfase. Las semejanzas entre los vv 31-36 y 13-21 no serían debido a que formaban un texto único en el pasado, sino que debían ser considerados como una incursión del evangelista en el hilo del relato. No obstante, empezaron a escucharse algunas insinuaciones sobre lo que podría ser la intención de una composición paralela de Jn 3, la cual daría cuenta de la semejanza — casi a la letra — en las palabras de Jesús y el Bautista9.

I. JN 3,1-36: UN DISEÑO EN PARALELO 1. CUATRO ESTUDIOS POST-SCHNACKENBURG Antes de la monumental tesis doctoral de G. Mlakuzhyil10 puede encontrarse una insinuación de la construcción paralela de Jn 3,1-36 en un breve artículo de 6

Cf. R. BROWN, El evangelio según Juan I, Madrid 1999, 315-316; 355-357; 369-370; I. DE LA POTTERIE, «Structura primae partis Evangelii Iohannis (capita III et IV)», VD 47 (1969) 130-140; ID., «Ad dialogum Jesu cum Nicodemo (2,23-3,21)», VD 47 (1969) 141-150. 7 Por ejemplo De La Potterie, que aún defendiendo la presentación final, considera que la temática de los vv 12-21 excede al encuentro narrado: «excedunt situationem concretam dialogi cum Nicodemo»; se inclina a considerarlo una reflexión del evangelista. Cf. I. DE LA POTTERIE, «Ad dialogum Jesu cum Nicodemo» (cf. nt. 6), 142.146-147. 8 «El intento de delimitar los versículos que corresponden a Jesús y los que corresponderían a la reelaboración del evangelista nos parece un esfuerzo vano […] los hilos de la tradición están tan íntimamente entrelazados que impiden cualquier intento de separarlos con precisión». R. BROWN, El evangelio de Juan, I, 369. En la misma línea: CH. DODD, Interpretación del cuarto evangelio, Madrid 1978, 309; M. DE JONGE, «Nicodemus and Jesus: Some Observations on Misunderstanding and Understanding», BJRL 53 (1971) 346. Al contrario: C.S. MARINELLI, «Gv 3,31-36: Verso la ricerca di un soggetto verbale: L’intreccio Storia-Redazione», RivBib 47 (1999) 401-420. 9 Cf. CH. DODD, Interpretación (cf. nt. 8), 310. De La Potterie también lo advirtió y mencionó la posibilidad de una construcción paralela: «inter se connectantur et functionem parallelam habeant», I. DE LA POTTERIE, «Ad dialogum Jesu cum Nicodemo» (cf. nt. 6), 146.

Cristología y soteriología en Jn 3,1-36

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J. Wilson11 y en el citado articulo de I. De la Potterie. Pero sin duda, ha sido el análisis de Mlakuzhyil el que ha marcado definitivamente un antes y un después en la comprensión del diseño y estructura del relato joánico. Su exhaustivo análisis del texto y las técnicas-recursos literarios que emplea el EvJn para dar cohesión y coherencia al contenido confirman que la repetición implícita en los vv 31-36 es algo más que un texto “fuera de lugar”. La semejanza entre las palabras de Jesús (11-21) y Juan (31-36) no obedecen a un desplazamiento redaccional, sino a un cuidado e intencionado paralelismo entre ellos. Mlakuzhyil (1987) 2,23-25: sección puente

2,23-3,21 (A) El nacimiento de lo alto y la «vida eterna»

3,22-4,3 (A’) El Mesías y la «vida eterna»

4,1-3: sección puente

Létourneau (1992)

Julian (2000)

Popp (2001)

2,23-3,2 (A) Muchos creyeron en Jesús…Nicodemo va hacia él

2,23-3,2 (A) Reporte inicial de orientación cristológica

2,23-25 Sumario («Fe»)

3-10 (B) Si uno no nace

3-10 (B) Respuesta de Jesús: «de lo alto»

11-21 (C) El testimonio y las cosas del cielo. Fe y vida eterna

11-21 (C) Jesús Hijo del hombre e Hijo de Dios

22-26 (A’) Los discípulos de Juan van hacia su maestro… todos van hacia Jesús

22-26 (A’) Reporte inicial de orientación cristológica

27-30 (B’) Si no es dado del cielo

27-30 (B’) Respuesta del Bautista: «del cielo»

31-36 (C’) El testimonio del que viene del cielo. Fe y vida eterna

31-36 (C’) Jesús Hijo del hombre e Hijo de Dios

1-21: Conversación Enseñanza 1-12 «Fe y Bautismo» 13-21 «Fe»

22-24 Sumario («Bautismo») 25-36: Conversación – Enseñanza 25-30 «Bautismo» 31-36 «Fe»

Posteriores al estudio de Mlakuzhyil se encuentran Létorneau, Julian y Popp12 que asumen y analizan 3,1-36 como unidad coherente, descartando algún tipo de 10

G. MLAKUZHYIL, The Christocentric Literary-Dramatic Structure of John’s Gospel, AnBib 117, Rome 20162, 439-441. 11 J. WILSON, «The Integrity of John 3:22-36», JSNT 10 (1981) 34-41. 12 P. LÉTOURNEAU, Jésus Fils de l’homme et fils de Dieu. Jean 2,23-3,36 et la double christologie johannique, Montréal 1992; P. JULIAN, Jesus and Nicodemus. A Literary and Narrative Exegesis of Jn. 2,23-3,36, Frankfurt am Main 2000; T. POPP, Grammatik des Geistes. Literarische Kunst und theologische Konzeption in Johannes 3 und 6, Leipzig 2001. Véase también un artículo

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Carlos Alberto SANTOS GARCÍA

accidente u omisión redaccional (cf. Schnackenburg). Como puede observarse en el cuadro, basados en diversos criterios temático-teológicos, los tres proponen un cierto paralelo en las unidades 1-21 y 22-36; de los tres, sólo Letorneau sigue un análisis próximo a la retórica bíblica13. 2. DOS TESTIGOS Y DOS TESTIMONIOS: ANÁLISIS RETÓRICO BÍBLICO EN 3,1-36 La propuesta de este artículo14 se coloca en una línea de comprensión unitaria y coherente de este texto joánico, no visto como un cuerpo heterogéneo — «zurcido de textos» — sino como un todo bien estructurado y lógico, sintáctica y teológicamente hablando. La gran ventaja del análisis retórico bíblico es que atiende desde las pequeñas unidades hasta la visión de conjunto (unidades mayores). Esto permite verificar la consistencia estilística y sintáctica del texto, y evita dejarse guiar solamente por cuestiones temáticas, que muchas veces pueden conducir al terreno de la subjetividad. Pues, ¿qué o quién define el tema principal de un texto? En cambio, las repeticiones — no sólo de términos, sino de estructuras sintácticas — las oposiciones y paralelos son criterios objetivos que permiten comprender la lógica compositiva de un texto, y partir de esto acceder de una manera más segura a su interpretación15. Ahora presento brevemente la composición de Jn 3,1-36, a la que considero un secuencia formada por cuatro pasajes, agrupados en dos sub-secuencias:

de 1990 en la misma línea: W. KLAIBER, «Der Irdische und der Himmlische Zeuge», NTS 36 (1990) 205-233. 13 En la introducción de su obra (cf. 14-27) remite a M. Girard, G. Mounin y R. Meynet como representantes del análisis estructural. De R. Meynet cita las obras: Initiation à la rhétorique biblique (1982) y L’Analyse rhétorique (1989), su acercamiento a la obra de Meynet — como a la de los otros autores — es más bien formal, es decir, utiliza los principios teóricos para establecer criterios objetivos de estructuración. Debo decir que los criterios hermenéuticos no brotan directamente de la Composición — aplicación de las cinco reglas hermenéuticas — sino de la convicción de que la organización estructural de la primera sección del EvJn es eminentemente cristológica (cf. 230-233). No dudo que la cristología es fundamental en esta sección, y en todo el evangelio, sólo que me queda la sensación que el análisis estructural del autor está al servicio de la demostración del doble esquema cristológico. 14 Aquí se presenta sintéticamente el punto de llegada de la Tesis Doctoral: «Entre el asombro y la alegría» Análisis retórico bíblico de Jn 3,1-36; defendida en la Pontificia Universidad Gregoriana el 12 de Mayo 2017. Sea este un sencillo homenaje y agradecimiento a mi Moderador: Jacek Oniszczuk SJ (†); sin él, este trabajo no hubiera sido una realidad, y no habría podido conocer la retórica bíblica como camino de estudio y comprensión de la Palabra de Dios. 15 En un texto existen relaciones, a diversos niveles y de naturaleza diversa; siendo las repeticiones (ley de la binariedad), los paralelos, oposiciones y contrastes algunos de los signos composición fundamentales en la retórica bíblica semítica. Véase el fundamento teórico de este análisis en: R. MEYNET, Trattato di retorica biblica, Retorica Biblica 10, Bologna 2008.

Cristología y soteriología en Jn 3,1-36 Testimonio de Jesús: el necesario nacimiento de lo alto y el Reino de Dios, el asombro y la voz del Espíritu EL AMOR DE DIOS AL MUNDO y la vida eterna en el Hijo, el hombre frente al juicio Testimonio de Juan: el don del cielo y la necesaria fecundidad del Mesías, la alegría y la voz del Novio EL AMOR DEL PADRE AL HIJO y la vida eterna, el hombre frente a la ira de Dios

115 1-13 14-21 22-30 31-36

Este esquema permite subrayar, primero, la originalidad de la propuesta — señalando brevemente semejanzas y contrastes con los autores mencionados — y segundo, permite presentar las líneas hermenéuticas que brotan de la composición. Como se observa, el análisis se adhiere a la opción que considera 3,1 como el inicio del encuentro-diálogo entre Jesús y Nicodemo. Esta opción no es sólo de índole técnica, ya que 2,23-25 implica para algunos autores una cierta predeterminación hermenéutica sobre el personaje Nicodemo y su diálogo con Jesús. Otro aspecto relevante es la comprensión del texto en dos momentos: uno dialogal (1-13; 22-30) y otro discursivo (14-21; 31-36), en la definición de cada unidad se respetan las características sintácticas que le dan cohesión y coherencia temática. Sorprenderá al lector, por ejemplo, que no aparezca el «Hijo del hombre» (13.14) en el esquema general de la secuencia, la razón brota de los principios de la retórica bíblica: la importancia del centro de la composición y el valor de la repetición16. Se enfatiza el «testimonio», el «asombro» (7), la «necesidad» (7.30), el origen «del cielo» y «de lo alto» (7.27), el «nacimientovida» (3.4.5.6.7.8.15.16.36), el «amor» (16.19.35), el «Reino de Dios» y la «ira de Dios (3.36), etc., por la fuerza que tiene la repetición y por su posición estratégica en la composición de la secuencia17. En este estudio se sostiene que Jn 3,1-36 es una secuencia compuesta por cuatro pasajes (ABA’B’), agrupados a su vez en dos sub-secuencias (1-21; 2236). El primer pasaje, en ambas, presenta un diálogo de contenido testimonial: entre Jesús y un «principal de los judíos» (A: 1-13); entre Juan, sus discípulos y un «judío» (A’: 22-30). El segundo pasaje, en ambas, tiene un tono discursivo (B: 14-21; B’: 31-36), y se presenta como una profundización del diálogo inicial. La presencia del «Reino de Dios» y la «ira de Dios» en los extremos (3.36) 18 ilustra la orientación soteriológica de la secuencia — no sólo la cristología está 16

«Il centro di una costruzione rappresenta un luogo privilegiato per interpretare l’insieme testuale focalizzato su di esso». R. MEYNET, Trattato (cf. nt. 15), 563; «La répétition est la première figure de rhétorique». ID., «L’analyse rhétorique», NRTh 116 (1994) 643-644. 17 El «Hijo del hombre», en cambio, es relevante como «fenómeno de clausura» y «término medio» que une los pasajes que forman la sub-secuencia 1-21. Cf. C.A. SANTOS GARCÍA, «“El Hijo del hombre” y la unidad teológico literaria del diálogo con Nicodemo (Jn 3,1-21). Una propuesta desde el análisis retórico bíblico», en R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del Quinto Convegno RBS, Leuven 2017, 145-166. 18 También: «ver el Reino de Dios» y «ver la vida» (3.36), dos categorías soteriológicas evidentemente paralelas.

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de por medio19 — que implica necesariamente al hombre llamado a hacer una opción por Jesús, a «acoger» y «creer» (cf. 15.16.18.32.33.36), y así tener «vida» en Él. 3. DOS DIÁLOGOS (A: 1-13; A’: 22-30) Los diálogos en los pasajes A–A’ pueden considerarse paralelos por motivos muy concretos. El primero de ellos es que, después de una introducción (1.2224), la conversación inicia con un movimiento: «ir hacia» y la fórmula de cortesía-reconocimiento: «Rabbí» (2.26). También, sólo en estos pasajes se presentan los períodos hipotético-condicionales (2.3.5.13.27). Es notable que en todos ellos se apela a un fundamento u origen divino, para una situación concreta: «de Dios» – «del cielo» (2.13.27), estas construcciones funcionan como términos extremos en A y como término central en A’. Nicodemo, Jesús y Juan presentan sus argumentos apuntando hacia el fundamento divino de una potestad: «poder hacer», «poder ver-entrar», «poder tomar», siempre en torno al verbo dynamai (2.3.4.5.9.27), presente sólo en los pasajes A–A’. En el primero como término inicial en todas las partes del pasaje (2.5.9), en el segundo como término central (27). Un tema común, pero que se presenta de manera complementaria en ambos diálogos, es la cuestión del «ir-venir»: el primer diálogo inicia con «ir hacia Jesús» por parte de Nicodemo, y gira en torno al «venir de Jesús», su procedencia de Dios (2); en el diálogo con el Bautista, la cuestión es que «todos van hacia Jesús» (26). Si A pone énfasis en la relación de Jesús con Dios, A’ en cambio, pone atención a la relación de las personas con Jesús: sea el «todos» (26), los «discípulos» (22), incluso el mismo Bautista (cf. 26.29). Un elemento importante de contraste en este sentido es el uso de la preposición griega μετὰ («con»): Nicodemo indica que «Dios esta con Jesús» (2), y los discípulos de Juan ven a Jesús como el que estaba «con Juan» (cf. 26). ¿Jesús es simplemente uno que estaba con Juan o Jesús es alguien con el que Dios está?, hay una gran diferencia entre ambas relaciones. Otro signo relevante que muestra el paralelo y la complementariedad de los pasajes, es la presencia de la «voz del Espíritu» (8) y la «voz del Novio» (29), con una reacción diversa en los oyentes: «asombro», «ignorancia», «alegría» (7.8.29). La cuestión del nacimiento está presente en ambos diálogos a través de los verbos que implican vida y fecundidad: gennaō-auxanō (3.4.5.6.7.8.30; cf. Gn 1,28; 41,52; Ex 1,7 LXX). La presencia del nacimiento en el primer pasaje, y la relevancia de la simbología nupcial en el segundo, pueden considerarse complementarias en la tradición bíblica20. En este paralelo-complemento tiene una función importante la repetición de la expresión «es necesario» en ambos pasajes (7.30: dei, término central en A, término final en A’), pues la «necesidad de nacer» obedece por lógica a una «necesidad ser fecundo» (30). 19 20

Véase a diversidad de títulos cristológicos: 2.13.14.16.17.18.28.29.35. Cf. Is 54,1-8: la relación nupcial restaurada y la fecundidad van de la mano.

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Había un hombre de los fariseos, Nicodemo [era] su nombre, AUTORIDAD DE LOS JUDÍOS, 2éste vino a él de noche y le dijo: RABBÍ, sabemos que de Dios has venido [como] MAESTRO, porque ninguno puede hacer estas señales, las que tu haces, si no está Dios con él. 3 Respondió Jesús y le dijo: En verdad, en verdad te digo, si uno no naciera de lo alto, no puede ver el Reino de Dios. 4 Dice a él Nicodemo: ¿Cómo puede un hombre nacer siendo anciano? ¿Acaso puede en el vientre de la madre de él, por segunda vez entrar y nacer? 5

Respondió Jesús: En verdad, en verdad te digo, si uno no naciera del agua y del Espíritu no puede entrar en el Reino de Dios. 6 Lo que ha nacido de la carne, es carne y lo que ha nacido del Espíritu, es Espíritu. 7 No te asombres que te dije: ES NECESARIO a vosotros nacer de lo alto. 8 El Espíritu donde quiere sopla y escuchas su voz, pero no sabes dónde viene y dónde va, de tal manera es todo el que ha nacido del Espíritu. 9

Respondió Nicodemo y le dijo: ¿Cómo pueden suceder estas cosas? 10 Respondió Jesús y le dijo: ¿Tu eres Maestro de Israel y no conoces estas cosas? 11 En verdad, en verdad te digo que lo que sabemos hablamos y lo que hemos visto TESTIMONIAMOS, y EL TESTIMONIO nuestro NO 12 TOMÁIS. Si las cosas de la tierra digo a vosotros y no creéis, ¿Cómo si digo a vosotros las cosas del cielo creeréis? 13 Y ninguno ha subido al cielo, si no el que del cielo bajó, el Hijo del Hombre. […] 22

Después de estas cosas fue Jesús y los discípulos de Él a LA TIERRA DE JUDEA y ahí residía con ellos y bautizaba. 23 En cambio, Juan estaba también bautizando en Ainón, cerca de Salín, porque mucha agua había ahí, y se presentaban y se bautizaban, 24 pues todavía no era arrojado Juan a la prisión. 25 Sucedió entonces una discusión de los discípulos de Juan con un JUDÍO, acerca de la purificación, 26 fueron hacia Juan y le dijeron: RABBÍ, el que estaba contigo en la orilla del Jordán, a favor del cual TU HAS TESTIFICADO, he aquí que éste bautiza y todos van hacia Él. 27

Respondió Juan y dijo: no puede un hombre TOMAR nada si no fuese dado a él del cielo,

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vosotros mismos a favor mío TESTIFICÁIS que dije: “Que no soy yo el Cristo, sino que soy enviado delante de Él”. 29 El que tiene a la novia, es el Novio; en cambio el amigo del Novio, el que está de pie y escucha de él, se alegra alegrándose a causa de la voz del novio. Entonces esta alegría mía se ha completado. 30 A él ES NECESARIO crecer, en cambio a mí disminuir.

La complementariedad se observa también en los sujetos (activos o pasivos) implicados en estos verbos: en el primer caso, «tú - vosotros» (7), en el segundo caso solamente el «Cristo» (30). Si es necesario que el «Cristo crezca-sea fecundo», entonces es necesario que ocurra un «nacimiento», la parte activa de Cristo y la parte pasiva de los que nacerán se pone de manifiesto en el conjunto. En yuxtaposición con este lenguaje familiar común a ambos pasajes (cf. «nacimiento», «madre», «hijo», «novio», «novia», «fecundidad») existe otro de peculiar importancia: el «testimonio» (11.26.28). Tanto que los pasajes podrían titularse: «testimonio de Jesús» y «testimonio de Juan»; con la salvedad que en realidad el «testimonio de Juan» es uno a favor de Jesús (26), no es sobre sí mismo. Así, en realidad, ambos apuntan en la misma dirección: ilustrar la identidad de «Él» (28.26), de «Jesús» (22). La variedad de títulos cristológicos

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(2.13.18.28.29) que se encuentran en estos pasajes revelan la importancia del binomio identidad-origen. Las fórmulas: «de Dios» (2), «de lo alto» (3.7), «del cielo» (13.27), ocupan lugares estratégicos en ambos pasajes; en el primero «Dios-cielo» son términos extremos (2.13); «de lo alto» y «del cielo» son en ambos pasajes términos centrales (7.27). 4. DOS DISCURSOS (B: 14-21; B’: 31-36) Los discursos, pasajes B-B’ (14-21; 31-36), poseen el distintivo de presentar la presencia activa de «Dios-Padre» — algo que no sucede en los diálogos — Él es quien «envía» (17.34), Él es quien «da» (16.35), y sobre todo, Él «ama» (16.35). Estas acciones tienen horizontes diferentes y complementarios, en el discurso de Jesús sobresale el horizonte del «mundo» (16.17), en el discurso de Juan el horizonte es la relación entre «Padre e Hijo» (35). Del Padre que «ama al mundo» y «da al mundo» (B: 16), se pasa al «Padre que ama al Hijo» y «le da todo» (B’: 35). Esta es la nota peculiar de estos discursos, que a diferencia de los diálogos, privilegian la descripción de la identidad de Jesús en términos paternofiliales. La «fe en el Hijo», término central en B (18), se presenta como término final de B’ (36). Otro signo de composición sobresaliente es la insistencia en las acciones, actitudes o respuestas de los hombres hacia el «enviado de Dios» (17.34): «ir-no ir» (20.21), «creer» (15.16.18.36), «acoger» (32.33), «desobedecer» (36), «amar las tinieblas» (19) «odiar» (20). En ambos pasajes bajo la acción de la conjunción griega de, que denota contraste (18.21.36), se muestra la disyunción entre «creer–no creer», término central en B, y entre «creer-desobedecer», términos finales en B’. Desde el punto de vista semántico es muy importante el sustantivo «vida» (15.16.36), en la mayoría de los casos con el adjetivo «eterna» (cf. 36). Ambos pasajes insisten en la misión del «Hijo» como una misión de «vida»; el pasaje B es más rico en expresiones, pues se encuentran también verbos como «salvar» (17) y «no perecer» (16) que contribuyen a enfatizar el aspecto vivificante de la acción del «Hijo». Es notoria, no obstante, una diferencia sintáctica en la presentación de esta cuestión: en boca de Jesús (B), se presenta con oraciones finales (15.16.17: hina), enlazadas mediante clausulas explicativas (16.17: gar); en boca del Bautista (B’), la presentación es más sencilla y discreta, sin el estilo solemne que brinda la cuidada construcción sintáctica que se observa en los vv 14-21. El mensaje es básicamente el mismo, la «vida», pero no puede pasarse por alto la riqueza y solemnidad que tiene en boca de Jesús, y sobre todo, que él aparece como el único autorizado para hablar de la finalidad de su misión. Dentro de esta perspectiva vivificante de la misión del «Hijo» y la opción que se toma frente a él, es muy sugestiva que la «serpiente levantada–vida» (14-15), términos iniciales en B, tenga un paralelo en las expresiones: «ver la vida» e «ira de Dios» (36), términos finales en B’. La función del sustantivo «vida» es explícita en ambos, sin embargo cabe la posibilidad de otro vínculo por medio

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de la referencia a la «serpiente de bronce»: la visualidad y la «ira de Dios», ambos aspectos forman parte de la tradición bíblica en torno al evento del «desierto» (cf. Nm 21,9; Sab 16,5-6; Hb 3,18)21. La peculiar expresión «ver la vida» (36) remite a quien encontraba la «vida» dirigiendo la mirada hacia aquel mástil-señal (cf. Nm 21,9), una atención semejante se da a la visualidad del «levantado-crucificado» (cf. Jn 19,35.37). Igualmente, la «ira de Dios» (36) remite a los acontecimientos del «desierto» (14)22. El paralelo consiste en que ambos pasajes presentan la misión vivificante del Hijo con términos, conceptos y experiencias concretas de las tradiciones del éxodo (cf. Jn 6,32-33). 14

Y como Moisés levantó la SERPIENTE EN EL DESIERTO, de tal manera es necesario sea levantado el Hijo del Hombre, 15 para que todo el que cree, en Él tenga vida eterna. 16 Porque de tal manera amó Dios al mundo, que ha dado al Hijo Unigénito, para que todo el que cree en Él no perezca sino que tenga vida eterna.17 Porque no envió Dios al Hijo al mundo para que juzgue al mundo, sino para que el mundo sea salvado por Él. 18 El que cree en Él no es juzgado, en cambio, el que no cree ya ha sido juzgado, porque no ha creído en el nombre del Hijo Unigénito de Dios. 19 Este es el juicio, que la luz ha venido al mundo y amaron los hombres más las tinieblas que la luz; porque eran las obras de ellos malvadas. 20 Porque todo el que realiza el mal odia la luz y no viene a la luz, para que no queden expuestas sus obras, 21 en cambio, el que hace la verdad viene hacia la luz, para que se manifiesten las obras de él, que en Dios son hechas. […] 31

El que de lo alto viene sobre de todo está, el que es de la tierra, de la tierra es y de la tierra habla, el que del cielo viene, sobre de todo está. 32 Lo que ha visto y escuchó esto testifica y el testimonio de él ninguno toma. 33 El que toma su testimonio certifica que Dios es veraz, 34 porque al que envió Dios, las palabras de Dios habla, porque sin medida da el Espíritu. 35 El Padre ama al Hijo y todo ha dado en la mano de él, 36El que cree en el Hijo tiene la vida eterna; en cambio, el que desobedece al Hijo, no verá la vida sino que LA IRA DE DIOS PERMANECE SOBRE ÉL.

Finalmente conviene señalar el paralelo entre dos expresiones semánticamente difíciles y que están relacionadas con la opción positiva frente al enviado de Dios: «hacer la verdad» (21), «certificar la verdad» (33). En ambos casos el campo semántico de la «verdad» está vinculado con «Dios»: en el primer caso, «hacer la verdad» revela una cierta unión con Dios (21); en el segundo, la «certificación» que hace el hombre es sobre la «veracidad de Dios» (33). 5. LA SECUENCIA EN CONJUNTO Jn 3,1-36 es una secuencia compuesta por cuatro pasajes que forman una figura: ABA’B’; estos a su vez forman dos sub-secuencias en paralelo (1-21; 2221 En el texto de Hebreos la «desobediencia» (apeitheō) como elemento de la generación del desierto; en Sabiduría de Salomón, la «permanencia de la ira» (menō - orgē) para calificar el acontecimiento narrado en Nm 21,4-9. Cf. Infra: Contexto bíblico 22 Cf. Ex 32,10; Nm 11,1.10; 12,9; 17,11; 25,4; Dt 9,19; 11,17

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36). Ahora presento la reescritura señalando esta disposición y subrayando los signos de composición más relevantes. El primer pasaje en ambas sub-secuencias presenta sendos diálogos de contenido testimonial: entre Jesús y un «principal de los judíos» (1-13); entre Juan, sus discípulos y un «judío» (22-30). El segundo pasaje de ambas sub-secuencias tiene un tono discursivo (14-21; 31-36), y se presenta como una profundización del diálogo inicial. Los vínculos entre estos pasajes no son solamente formales o estilísticos — yuxtaposición diálogo-discurso — hay también razones de contenido que muestran una proximidad más profunda entre ellos23. El elemento más significativo, que distingue y a la vez vincula los pasajes entre sí, es la dinámica interna de cada uno. En B (14-21) y B’ (31-36) el hombre se ve enfrentado a un doble camino: «fe» (15.16.36) o «incredulidad» (18) y «desobediencia» (36), y a través de estas dos categorías se conciben el «juicio» (18) y la «ira divina» (36), o la posesión de la «vida eterna» (15.16.36). En cambio, el doble testimonio de A (1-13) y A’ (22-30) apela al reconocimiento del origen divino de Jesús (2.13), a «lo alto» y el «cielo» como fundamento de las posibilidades de «un hombre» (3.7.27)24. Frente esta radical verticalidad, que implica tanto al «venido-enviado» (2.13.19.31.34), como a los «hombres» (3.7. 19.27), dos personajes escuchan una «voz» (8.29): uno se «asombra» (7), el otro se «alegra» (29). La disposición paralela de los cuatro pasajes se confirma a través de los siguientes signos de composición, los cuales confirman su lógica compositiva. – Los extremos de la secuencia muestran que, del reconocimiento de un «maestro venido de Dios» (2), por parte de Nicodemo, se transita a la proclamación del «enviado de Dios», que no sólo «hace señales», sino que «habla las palabras de Dios» y «da el Espíritu sin medida» (34). – Existe una correspondencia semántica entre el título «Maestro venido de Dios», que Nicodemo da a Jesús (2), y el comunicar las «palabras de Dios» (34), afirmado por el Bautista. Sin embargo, el «don del Espíritu» (34), trasciende con mucho la intuición inicial de Nicodemo, ya que en la tradición bíblica, el «Espíritu» está relacionado con el don divino de la «vida», tema fundamental en toda la secuencia (cf. 3.5.15.16.17.20.21.30.36).

23 Las tradiciones del desierto (14-15.36), la relación Padre-Hijo (16.17.18; 35), el «amor» de Dios (16.35), la «vida eterna» (15.16.36). 24 Asumo aquí la pluri-direccionalidad de 3,27: sin negar su sentido cristológico fundamental, la formulación deja abierta la posibilidad a todo hombre.

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3,1 Había un hombre de los fariseos, Nicodemo [era] su nombre, autoridad de los judíos, 2 éste vino a él de noche y le dijo: Rabbí, sabemos que de Dios has venido [como] Maestro, porque ninguno puede hacer estas señales, las que tu haces, si no está Dios con él. 3 Respondió Jesús y le dijo: En verdad, en verdad te digo, si uno no naciera de lo alto, no puede ver el Reino de Dios. 4 Dice a él Nicodemo: ¿Cómo puede un hombre nacer siendo anciano? Acaso puede en el vientre de la madre de él, por segunda vez entrar y nacer? 5 Respondió Jesús: En verdad, en verdad te digo, si uno no naciera del agua y del Espíritu no puede entrar en el Reino de Dios. 6 Lo que ha nacido de la carne, es carne y lo que ha nacido del Espíritu, es Espíritu. 7 No te asombres que te dije: ES NECESARIO a vosotros nacer de lo alto. 8 El Espíritu donde quiere sopla y escuchas su voz, pero no sabes de dónde viene y dónde va, de tal manera es todo el que ha nacido del Espíritu. 9 Respondió Nicodemo y le dijo: ¿Cómo pueden suceder estas cosas? 10 Respondió Jesús y le dijo: ¿Tu eres Maestro de Israel y no conoces estas cosas? 11 En verdad, en verdad te digo que lo que sabemos hablamos y lo que hemos visto TESTIMONIAMOS, y el TESTIMONIO nuestro 12 NO TOMÁIS. Si las cosas de la tierra digo a vosotros y no creéis, ¿Cómo si digo a vosotros las cosas del cielo creeréis? 13 Y ninguno ha subido al cielo, si no el que del cielo bajó, el Hijo del Hombre. 14

Y como MOISÉS LEVANTÓ LA SERPIENTE EN EL DESIERTO, de tal manera ES NECESARIO sea levantado el Hijo del Hombre, 15 para que todo el que cree, en Él tenga vida eterna. 16 Porque de tal manera amó Dios al mundo, que ha dado al Hijo Unigénito, para que todo el que cree en Él no perezca sino que tenga vida eterna. 17 Porque no envió Dios al Hijo al mundo para que juzgue al mundo, sino para que el mundo sea salvado por Él. 18 El que cree en Él no es juzgado, en cambio, el que no cree ya ha sido juzgado, porque no ha creído en el nombre del Hijo Unigénito de Dios. 19 Este es el juicio que la luz ha venido al mundo y amaron los hombres más las tinieblas que la luz; porque eran las obras de ellos malvadas. 20 Porque todo el que realiza el mal odia la luz y no viene a la luz, para que no queden expuestas sus obras, 21 en cambio, el que hace la verdad viene hacia la luz, para que se manifiesten las obras de él, que en Dios son hechas. 22

Después de estas cosas fue Jesús y los discípulos de Él a la tierra de Judea y ahí residía con ellos y bautizaba. 23 En cambio, Juan estaba también bautizando en Ainón, cerca de Salín, porque mucha agua había ahí, y se presentaban y se bautizaban, 24 pues todavía no era arrojado Juan a la prisión. 25 Sucedió entonces una discusión de los discípulos de Juan con un judío, acerca de la purificación, 26 fueron hacia Juan y le dijeron: Rabbí, el que estaba contigo en la orilla del Jordán, a favor del cual tu HAS TESTIFICADO, he aquí que éste bautiza y todos van hacia Él. 27 Respondió Juan y dijo: no puede un hombre TOMAR nada si no fuese dado a él del cielo, 28 vosotros mismos a favor mío TESTIFICÁIS que dije: “Que no soy yo el Cristo, sino que soy enviado delante de Él”. 29 El que tiene a la novia, es el novio; en cambio el amigo del novio, el que está de pie y escucha de él, se alegra alegrándose a causa de la voz del novio. Entonces esta alegría mía se ha completado. 30 A él ES NECESARIO crecer, en cambio a mí disminuir. 31

El que de lo alto viene sobre de todo está, el que es de la tierra, de la tierra es y de la tierra habla, el que del cielo viene, sobre de todo está. 32 Lo que ha visto y escuchado esto 33 TESTIFICA y el TESTIMONIO de él NINGUNO TOMA. EL QUE TOMA su TESTIMONIO certifica que Dios es veraz, 34 porque al que envió Dios, las palabras de Dios habla, porque sin medida da el Espíritu. 35 El Padre ama al Hijo y todo ha dado en la mano de él, 36 El que cree en el Hijo tiene la vida eterna; en cambio, el que desobedece al Hijo, no verá la vida sino que LA IRA DE DIOS PERMANECE SOBRE ÉL.

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– Hay también una dimensión antropológica relacionada con el «origenprocedencia» en la altura, esto se descubre en el «nacimiento de lo alto» (3.7) y el «don del cielo» (27): hay un hombre que «no puede» darse a sí mismo el «nacer» (4), horizontalmente no se puede regresar al «vientre materno». Pero, el «nacimiento» del que habla Jesús apela a «lo alto», de la misma manera que el hombre «no puede tomar nada», si no es «don del cielo» (27). El don de la vida tiene que provenir de Dios. – La secuencia transmite una doble direccionalidad vinculada al vocabulario de movimiento (2.4.5.13.19.26.31) y altura (3.7.13.27.31), es una implicación entre Dios y el hombre concretizada en Jesús. Esto se observa de manera privilegiada en el uso del adverbio anōthen («de lo alto»), término central en A (7) y término inicial en B’ (31). – La cuestión del «testimonio» atraviesa la secuencia (11.26.28.32.33), en este marco el verbo lambanō («tomar-acoger») tiene un valor peculiar. Éste se encuentra vinculado al verbo «creer», que en A y B’ funciona como término final (12.36). Solamente en uno de los casos, el «tomar» no aparece, a primera vista, directamente ligado al «testimonio» y por lo tanto al «creer», se trata del enigmático v 27; ahí, «tomar» es término central. Sin embargo, al vincular el verbo directamente con el «cielo», se descubre su coherencia con el «testimonio» del que habla «cosas del cielo» (12) y «viene de lo alto-cielo» (31): tanto el origen del «testimonio» de Jesús, como la acción del hombre que lo «tomacree», remiten a un don del cielo. – Los verbos «creer» y «tomar–acoger» son términos centrales en B y A’ (18.27), y como se decía, aparecen también vinculados en los pasajes A y B’ (cf. 11.12.32.36); una dinámica semejante entre estos verbos, vinculada además a un «nacimiento» (3.4.5.6.7.8), aparece ya desde el Prólogo (cf. 1,11-12). – Las fórmulas, «ver el Reino de Dios» (3) y «ver la vida» (36) son dos categorías soteriológicas que forman una gran inclusión que da unidad a Jn 3,1-36. Ambas expresiones privilegian el aspecto visual, y habría que añadir algo más: el contraste implícito entre «Reino de Dios» (3) e «ira de Dios» (36), estos conceptos, presentes al extremo, crean una tensión salvífica que no es extraña a la secuencia (cf. 17.18.36). Además, tienen la cualidad de presentar una disyunción a la que el hombre se ve enfrentado en términos de «muerte-vida» (cf. 16). La alusión al «desierto» (cf. serpiente de bronce e ira de Dios), término inicial en B (14) y término final en B’ (36), confirma que la oferta salvífica es un don a disposición del hombre. Así, lejos de un determinismo, la secuencia es atravesada por una oferta de vida y salvación que se espera sea «tomada-acogida» por el hombre.

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3,1 Había un hombre de los fariseos, Nicodemo [era] su nombre, autoridad de los judíos, 2 éste vino a él de noche y le dijo: Rabbí, sabemos que de Dios has venido [como] Maestro, porque ninguno puede hacer estas señales, las que tu haces, si no está Dios con él. 3 Respondió Jesús y le dijo: En verdad, en verdad te digo, si uno no naciera de lo alto, no puede ver el Reino de Dios. 4 Dice a él Nicodemo: ¿Cómo puede un hombre nacer siendo anciano? Acaso puede en el vientre de la madre de él, por segunda vez entrar y nacer? 5 Respondió Jesús: En verdad, en verdad te digo, si uno no naciera del agua y del Espíritu no puede entrar en el Reino de Dios. 6 Lo que ha nacido de la carne, es carne y lo que ha nacido del Espíritu, es Espíritu. 7 No te asombres que te dije: ES NECESARIO a vosotros nacer de lo alto. 8 El Espíritu donde quiere sopla y escuchas su voz, pero no sabes de dónde viene y dónde va, de tal manera es todo el que ha nacido del Espíritu. 9 Respondió Nicodemo y le dijo: ¿Cómo pueden suceder estas cosas? 10 Respondió Jesús y le dijo: ¿Tu eres Maestro de Israel y no conoces estas cosas? 11 En verdad, en verdad te digo que lo que sabemos hablamos y lo que hemos visto TESTIMONIAMOS, y el TESTIMONIO nuestro 12 NO TOMÁIS. Si las cosas de la tierra digo a vosotros y no creéis, ¿Cómo si digo a vosotros las cosas del cielo creeréis? 13 Y ninguno ha subido al cielo, si no el que del cielo bajó, el Hijo del Hombre. 14 Y como MOISÉS LEVANTÓ LA SERPIENTE EN EL DESIERTO, de tal manera ES NECESARIO sea levantado el Hijo del Hombre, 15 para que todo el que cree, en Él tenga vida eterna. 16 Porque de tal manera amó Dios al mundo, que ha dado al Hijo Unigénito, para que todo el que cree en Él no perezca sino que tenga vida eterna. 17 Porque no envió Dios al Hijo al mundo para que juzgue al mundo, sino para que el mundo sea salvado por Él. 18 El que cree en Él no es juzgado, en cambio, el que no cree ya ha sido juzgado, porque no ha creído en el nombre del Hijo Unigénito de Dios. 19 Este es el juicio que la luz ha venido al mundo y amaron los hombres más las tinieblas que la luz; porque eran las obras de ellos malvadas. 20 Porque todo el que realiza el mal odia la luz y no viene a la luz, para que no queden expuestas sus obras, 21 en cambio, el que hace la verdad viene hacia la luz, para que se manifiesten las obras de él, que en Dios son hechas. 22

Después de estas cosas fue Jesús y los discípulos de Él a la tierra de Judea y ahí residía con ellos y bautizaba. 23 En cambio, Juan estaba también bautizando en Ainón, cerca de Salín, porque mucha agua había ahí, y se presentaban y se bautizaban, 24 pues todavía no era arrojado Juan a la prisión. 25 Sucedió entonces una discusión de los discípulos de Juan con un judío, acerca de la purificación, 26 fueron hacia Juan y le dijeron: Rabbí, el que estaba contigo en la orilla del Jordán, a favor del cual tu HAS TESTIFICADO, he aquí que éste bautiza y todos van hacia Él. 27 Respondió Juan y dijo: no puede un hombre TOMAR nada si no fuese dado a él del cielo, 28 vosotros mismos a favor mío TESTIFICÁIS que dije: “Que no soy yo el Cristo, sino que soy enviado delante de Él”. 29 El que tiene a la novia, es el novio; en cambio el amigo del novio, el que está de pie y escucha de él, se alegra alegrándose a causa de la voz del novio. Entonces esta alegría mía se ha completado. 30 A él ES NECESARIO crecer, en cambio a mí disminuir. 31

El que de lo alto viene sobre de todo está, el que es de la tierra, de la tierra es y de la tierra habla, el que del cielo viene, sobre de todo está. 32 Lo que ha visto y escuchado esto 33 TESTIFICA y el TESTIMONIO de él NINGUNO TOMA. EL QUE TOMA su TESTIMONIO certifica que Dios es veraz, 34 porque al que envió Dios, las palabras de Dios habla, porque sin medida da el Espíritu. 35 El Padre ama al Hijo y todo ha dado en la mano de él, 36 El que cree en el Hijo tiene la vida eterna; en cambio, el que desobedece al Hijo, no verá la vida sino que LA IRA DE DIOS PERMANECE SOBRE ÉL.

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– Es muy significativo el uso del verbo dei, término central en A (7), término inicial en B (14) y final en A’ (30), observado en su conjunto se observa una profunda coherencia en torno a la «vida»: entre el «nacimiento necesario» (7) y el «crecimiento necesario» del Cristo-Novio (30), se encuentra el «levantamiento necesario» (14), que es el que comunica la «vida», el que permite al hombre «tener vida eterna» (15). – En este mismo contexto vital-comunicativo se ubica la presencia y acción del Espíritu: en A el «nacimiento del agua y del espíritu» (5) se presentó como una explicitación ulterior al «nacimiento de lo alto» (3: anōthen), al hombre que entendía el «nacer» solamente en términos de un «vientre materno» (cf. 4), Jesús le recordó la presencia y acción del Espíritu (cf. 5.8). Ahora en B’, el Bautista no sólo presenta al que «viene de lo alto» (31: anōthen), añade que Él «da el Espíritu sin medida» (34). Así se descubre que las condiciones de posibilidad del «nacimiento» se encuentran en Jesús.

II. CONTEXTO BÍBLICO El libro de la Sabiduría y las tradiciones del desierto Uno de los elementos de que da unidad a Jn 3,1-36 es una alusión constante y coherente a las tradiciones de Moisés y del desierto (cf. 3,2.13). El fenómeno de la intertextualidad es evidente en varios momentos de la secuencia, siendo el caso más claro los vv 14-15. Entre los estudiosos de EvJn ha sido solamente J. Frey25 quien ha señalado la importancia de esta alusión y su ‘reaparición’ hacia el final de la secuencia en la expresión: «la ira de Dios que permanece» (36). Porque cuando les sobrevino el terrible furor de las fieras y perecían con mordeduras de sinuosas serpientes, no permaneció tu cólera hasta el final; fueron molestados un poco para escarmiento, teniendo un signo de salvación para que se acordasen de los preceptos de tu Ley (Sab 16,6-5)

El texto que sirve de puente en el diálogo intertextual del EvJn y las tradiciones del desierto es el libro de la Sabiduría. Como se puede observar, el ataque de las serpientes es considerado como una «permanencia de la ira de Dios», y el remedio proporcionado por Dios fue un «símbolo de salvación». A diferencia 25

Es común entre los estudiosos establecer la conexión entre Jn 3,14-15 y Sab 16,5-6, pero pocos han observado que también 3,36: «la ira de Dios que permanece» es una expresión, a la letra, tomada del libro de la Sabiduría, y más aún, del mismo contexto (!). Sólo Frey da relevancia al vínculo de los vv 14-15.36 a través de Sab 16,5-6; 18,20; además, sugiere que esta doble presencia contribuye a repensar la unidad de 3,1-36: dos unidades paralelas (1-21 y 22-36), en la primera, el episodio de la serpiente es una especie de vértice (14-15), en la segunda sería el cierre climático (36) del conjunto. Cf. J. FREY, «„Wie Mose die Schlange in der Wüste erhöht hat...“. Zur frühjüdischen Deutung der ‚ehernen Schlange‘ und ihrer christologischen Rezeption in Johannes 3,14f.» en M. HENGEL – H. LÖHR, ed., Schriftauslegung im antiken Judentum und im Urchristentum, WUNT 73, Tübingen 1994, 160-164.196-198.

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del EvJn el autor del libro de la Sabiduría omite cualquier referencia a la serpiente de bronce levantada — seguramente por el escrúpulo ante el uso de imágenes de animales (cf. 13,10.13.17-18) — es por eso que elige la expresión «símbolo»; que Dios hubiera «salvado» a su pueblo de esa manera («serpiente de bronce levantada en un mástil-señal»), sin duda le parecía paradójico a este judío devoto; sin embargo, innegablemente, así había ocurrido26. La serpiente levantada por Moisés en el desierto (cf. Nm 21,4-9; Jn 3,14-15) es un caso emblemático y paradigmático: Dios ofrece la salvación a su pueblo a través de un signo de salvación, que al mismo tiempo evoca el castigo por el pecado, y ofrece la salvación. La serpiente levantada recuerda la «ira divina» que castigó al pueblo en el desierto, pero al mismo tiempo, libera de ella: «todo el que la veía vivía» (Nm 21,9), «el que desobedece al Hijo no verá la vida» (Jn 3,36). Juicio y salvación suceden ante una misma realidad. «Por que Dios no envió a su Hijo a juzgar al mundo sino a salvarlo […] este es el juicio» (cf. 17.19), como en el caso del «signo de salvación» dado en el desierto (cf. Sab 16,6), el «Hijo del hombre levantado» es al mismo tiempo juicio y salvación, en su presencia se deciden la «vida» o la «perdición». La «ira permanece» en cuanto rechazo de la salvación ofrecida, no en cuanto acción punitiva de parte de Dios. Es muy elocuente que al final de la secuencia junto a la expresión paralela: «tener la vida eterna», se encuentra fórmula: «verá la vida» (cf. 36). Es importante esta expresión, ya que era lo que precisamente sucedía con la serpiente levantada: «todo el que la veía, vivía…» (cf. Nm 21,9)27. El camino del «Siervo» y la fecundidad de la «Esposa» El cuarto cántico del siervo es importante para el EvJn por el uso de los verbos hypsoō y doxazō aplicados a un mismo personaje (cf. Is 52,13 LXX; Jn 12,23.32), ya que con mucha probabilidad este cántico se encuentra detrás del texto joánico28. Este, y otros elementos del relato joánico, han llevado a aceptar que con mucha probabilidad detrás del uso de estos verbos y de la cristología del cuarto evangelio se encuentra la imagen del siervo de YHWH. No obstante, poco se ha escrito acerca de la vinculación entre el «siervo» y la analogía 26 ¿Habrá visto el autor del EvJn un paralelo entre la paradoja-escandalo del Crucificado que nos da vida y el escándalo-paradoja de la salvación de Dios a través de la serpiente levantada? 27 Lo que está de por medio, lo que está en juego, en el libro de la Sabiduría es la «vida», el juicio y la justicia divina están íntimamente ligados a ésta, cf. L. ALONSO SCHÖKEL – E. ZURRO, Eclesiastés y Sabiduría, en Los libros sagrados, Madrid 1974, 83. Es innegable que el EvJn está atravesado por un interés semejante (cf. 1,4; 20,30-31). No sorprende que en esta secuencia, dónde por primera vez aparece el campo semántico del «juicio», aparezca insistentemente la cuestión de la «vida» (cf. 3.5.7.15.16.30.36). 28 Is 52,13 es el texto más sólido, junto con 12,23.32, en que aparecen ambos verbos aplicados a un mismo personaje de la historia de la salvación: «among all Old Testament texts which in one way or another contain ὑψόω and δοξάζω, this text [Is 52,13 LXX] has the highest probability of standing behind John 12,32.34» (J. BEUTLER, «Greeks Come to See Jesus (Jn 12,20f)», Bib 71 (1990) 338.340).

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nupcial presente, tanto en el contexto del Siervo de YHWH29, como en la presentación de Jesús en esta secuencia, implícitamente como «siervo» y explícitamente como «novio» (cf. Jn 3,14-15.29-30). Pero a Yahveh ha complacido aplastarle con padecimiento. Si hace de su vida un sacrificio expiatorio verá descendencia y prolongará sus días, y el designio de Yahveh por medio de él prosperará […] Ensancha el espacio de tu tienda y extiende tus lonas, no te retraigas; prolonga tus cuerdas y afirma tus estacas. Pues a derecha e izquierda te dilatarás tu descendencia desposeerá naciones y ciudades asoladas habitará. No temas, pues no has de ser confundida; no te sonrojes, pues no serás avergonzada; porque el oprobio de tu soltería olvidarás y de la afrenta de tu viudez no te has de acordar más. (Is 53,10; 54,2-4)30

Si se acepta que la disposición del texto isaiano no es fruto de la casualidad o de un accidente31, entonces puede vislumbrarse que el levantamiento y glorificación del «siervo» forma parte de los eventos que desembocan en la renovada fecundidad de la ciudad, y la restauración de la relación nupcial entre Dios y su pueblo. Entonces puede hablarse con fundamento de un paralelo entre el camino fecundo del «siervo», que pasa por el sufrimiento, levantamiento y glorificación, y el destino de la «hija de Sión», que recibe el anuncio que su Dios «reina» (cf. 52,7; Jn 3,3) y deja atrás el sufrimiento de la esterilidad y el abandono32. Ambos, al final, no se encuentran solos, al contrario, crecen por medio de una «descendencia». Su camino desemboca en la vida. En la secuencia Jn 3,1-36 se encuentra la misma dinámica y disposición33, con un ligero cambio, que hace una gran diferencia. Por una parte en la primera subsecuencia (1-21) existe un vínculo entre el «nacimiento» y el don de la «vida» (3.5.7.15.16), específicamente se anuncia que el «levantamiento» hace posible «tener vida» (15.16), en otras palabras, es un levantamiento fecundo. En la 29

En el libro del profeta Isaías, la restauración de la relación nupcial entre Dios y su pueblo, y la fecundidad de la «hija de Sión» (cf. Is 54,1-17), son la continuación directa del camino del Siervo (cf. Is 52,13-53,12). 30 Entre Is 52,13-53,12 y 54,1-17 existe una relación lexicográfica muy amplia que permite establecer una relación de paralelo y complementariedad entre ambos textos. Véase: A. BORGHINO, La nuova alleanza in Is 54: analisi esegetico-teologica, Roma 2005, 384-403. 31 Se trata de no considerar el texto final como obra de la casualidad, sino como fruto de una intencionalidad (cf. A. BORGHINO, La «nuova alleanza» [cf. nt. 30] 397); y al mismo tiempo trascender una exegesis atomizante, transitando hacia un estudio del conjunto: símbolos y contenidos que forman parte de un todo. Cf. J.F.A. SAWYER, «Daughter Zion and Servant of the Lord in Isaiah: A Comparison», JSOT 44 (1989) 90. 32 Ambos, el «siervo» y la «hija de Sión», comparten una misma historia, cf. J.F.A. SAWYER, «Daughter Zion and Servant of the Lord» (cf. nt. 31) 94. 33 Más que un paralelo lexicográfico — véase no obstante hypsoō (Is 53,13 LXX; Jn 3,14), el vocabulario nupcial unido a la «alegría» (cf. Is 54,1.5; Jn 3,29) y la terminología de «vidadescendencia» (cf. Is 53,10; 54,1.3; Jn 3,3.7.30) — considero importante subrayar que Is 53-54 y Jn 3,1-36 presentan un itinerario de salvación que yuxtapone el destino del Siervo y la relación nupcial de Dios con su pueblo. Véase un cuadro sinóptico en: L. ALONSO SCHÖKEL – P. PROULX, «Las sandalias del Mesías Esposo», Bib 59 (1978), 26-27; ahí se puede ver el paralelo lexicográfico (términos hebreos y griegos) entre Is 40-66 y Jn 1-3.

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segunda sub-secuencia (22-36), el Bautista identifica a Jesús como «el novio», Aquel que tiene a la «novia» y que debe «crecer-ser fecundo» (29.30), con esta imagen se remite a la relación nupcial de YHWH e Israel. En la yuxtaposición de ambas secuencias puede reconocerse que al «levantamiento del Hijo del hombre» (14-15) le sigue anuncio del encuentro entre el «novio y la novia» (29). En ambos casos se distingue la continuidad a través de los títulos cristológicos aplicados a Jesús, y también la dimensión vital-fecunda de su persona (cf. 15.16.30.36). La cercanía con Is 53-54 se descubre por una parte en la proclamación de un «levantamiento» que concluye con la «vida» (cf. Jn 3,14-15; Is 53,10-11) y una relación nupcial fecunda, que «crece» (cf. Jn 3,29-30; Is 54,1-7). Sin embargo, existe una ligera variante que marca una gran diferencia: es Jesús el que crece, no la «novia». A diferencia de Is 53-54 en Jn 3,1-36 no se puede a hablar de la «novia» como una figura paralela a «Jesús novio». Cierto que la «vida» aparece en el destino final del «siervo» y del «Hijo del hombre levantado». Pero, si bien ambos textos describen un encuentro nupcial, en el EvJn la fecundidad es una cualidad propia del «novio» (cf. Jn 3,30), no de la «novia». En Is 53-54 tanto el «siervo» como la «hija de Sión» obtienen una «descendencia» (cf. Is 53,10; 54,3), en la secuencia joánica todo se concentra en Jesús. Incluso la «alegría», que en Is 54 estaba fundada en la fecundidad y maternidad restaurada de Sión, en el EvJn tiene como fundamento la «voz del novio» (Jn 3,29). Una reflexión sapiencial sobre la salvación del hombre El remedio para la salvación del pueblo en el desierto «fue dado por Dios» a Moisés (cf. Nm 21,8), éste sólo mostró-levantó el signo de salvación aportado por Dios. El Hijo Unigénito «ha sido dado por el Padre» para nuestra salvación (cf. Jn 3,16.17), como toda acción salvífica, el don de la vida «en el Hijo» tiene su origen en Dios, pero exige la adhesión del hombre. Esta forma de plantear la salvación como libre elección-adhesión del hombre a la oferta de Dios tiene resonancias sapienciales: Si quieres, guardarás sus mandamientos para cumplir fielmente su beneplácito. Puso ante ti fuego y agua; a donde quieras extenderás tu mano. Ante los hombres están la vida y la muerte, lo que prefiera cada uno se le dará (Sir 15,15-17)

La presentación bíblica de la historia de la salvación, como lo testimoniaba ya el libro del Deuteronomio (30,15-18), hace al hombre responsable de su opción delante de la soberanía salvífica de Dios34. El texto del Sirácide muestra como el planteamiento de Dt quedó grabado en la conciencia de Israel, que entendió la 34

«The resistance of others is driven largely by the Gospel’s general narrative, which portrays Jesus inviting and trying to persuade to accept him. Persuasion and predestination seem unlikely bedfellows». H.W. ATTRIDGE, «Divine Sovereignty and Human Responsibility in the Fourth Gospel», en J. ASHTON ed., Revealed Wisdom. Studies in Apocalyptic in Honor of Christopher Rowland, AJEC 88, Leiden – Boston 2014, 184-185.

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salvación como su libre adhesión a la oferta salvífica de Dios. En este sentido Jn 3,1-36 se muestra como un buen heredero de esta comprensión soteriológica. El Hijo del hombre levantado como la serpiente en el desierto, es una oferta de vida y salvación para aquel que esté dispuesto a acogerla con fe. Es un signo claro del amor de Dios que es misericordioso e indulgente porque ama a todas sus creaturas (cf. Sab 11,23-26; Jn 3,16); sólo el hombre puede auto-excluirse de este amor salvífico, esto lo hace cuando rechaza ser confrontado, cuando rechaza que su pecado sea «expuesto-denunciado» (cf. Sab 12,1-2; Jn 3,20: elenchō).

III. INTERPRETACIÓN Entre el Reino de Dios y la ira de Dios La secuencia, no obstante su innegable y radical orientación salvífica, vista en conjunto presenta una cierta tensión soteriológica: así como «ver el Reino de Dios» y «ver la vida» se corresponden, «ira de Dios» y «Reino de Dios» se oponen (cf. 3.36); de la primera se trata, en cierto modo, de salir («no permanecer»), en cambio el «Reino» se trata de experimentarlo («ver-entrar»). El hombre se encuentra entre ambos enunciados. Es muy importante captar las consecuencias de esta complementariedad, ya que ayuda a comprender el contenido de la oferta de salvación. A partir de la composición puede decirse que el «Reino de Dios» está directamente relacionado con la «vida», el «Reino de Dios» es una experiencia de «vida eterna» (cf. 15.16.36). Esto arroja luz a la condición puesta por Jesús: «el nacimiento» (cf. 3.5.7). Es evidente que el nacimiento es la puerta de acceso a la vida, pues bien, de la misma manera «un nacimiento» brinda el acceso al «Reino de Dios», cuyo don por excelencia es la «vida» que proviene de Dios, la «vida eterna» (cf. 15.16.36). Unido a lo anterior es significativa la alusión al evento del desierto (cf. 1415.36). La «ira de Dios», tal como se presenta en la secuencia, no evoca una acción punitiva, sino una oferta de salvación puesta a disposición del pueblo, que puede ser rechazada o acogida. La expresión «permanecer bajo la ira» (cf. 36) no refiere una acción que Dios toma en contra del no creyente, sino la posibilidad que tiene el hombre de abandonar un ámbito marcado por una muerte irremediable (cf. Nm 21,6), y abrazarse al don gratuito de la «vida», que sólo Dios puede dar (cf. Jn 5,25-26; 11,21-22). Si la «ira no permaneció» fue porque tenían un símbolo de salvación que remitía a Dios salvador de todos (cf. Sab 16,6.7)35; si ahora la «ira de Dios» no tiene la ultima palabra en la vida del hombre, es porque Dios ha ofrecido en el «Hijo del hombre levantado» la salvación definitiva. La «ira que permanece», a la luz de los intertextos, se

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Más adelante el autor regresa sobre el evento de Nm 21,4-9 y aclara que el poder sanador» se encontraba en la «Palabra»: «tu Palabra, Señor, que todo lo cura» (cf. Sab 16,11-12).

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identifica así con un ámbito o condición de muerte que el hombre sólo puede superar en el Hijo de Dios36. El hombre se encuentra «entre el Reino de Dios y la ira de Dios» (3.36), no como quien se encuentra frente a la amenaza de un castigo por el rechazo o la incredulidad. Al contrario, se encuentra en tensión entre «el Reino de Dios y la ira de Dios» porque está de por medio una opción. Si no existe libertad para decidir, no puede existir la tensión frente a las consecuencias de una decisión. Visto prolépticamente el planteamiento cristológico-soteriológico de Jn 3,136 es profundamente coherente con el resto del evangelio37. Además, la relevancia del paradigma soteriológico de la serpiente levantada volverá a ser relevante en la «hora de Jesús»38. La centralidad del «don del cielo-de lo alto» La secuencia no posee una figura concéntrica, si así fuera el centro brindaría una clave de lectura fundamental para su interpretación39. Se trata más bien de dos sub-secuencias paralelas con semejanzas y diferencias, que ilustran la correspondencia y complementariedad de los pasajes que la componen. Sin embargo, a pesar de no encontrarnos frente a un ejemplo claro de concentrismo joánico40, tres de los pasajes que la componen sí son concéntricos, vistos detenidamente se observa lo siguiente al centro:

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Con otro marco simbólico se podría decir: una noche u oscuridad que sólo puede abandonarse cuando se encuentra la luz, cuando se va hacia ella. Esta lógica se confirma en un paralelo en la sección central del cuarto evangelio: «yo he venido al mundo como luz, para que todo el que cree en mí no permanezca en tinieblas» (12,46). «Permanecer bajo la ira», «permanecer en las tinieblas», ambas frases expresan el estado que resulta del auto-repliegue ante una oferta de vida-salvación (cf. 5,40). No una acción punitiva. 37 Es necesario «ir hacia» (5,39-40), «dejarse atraer-enseñar» (6,44.45), «comer-beber» (6,51. 53), «dejarse iluminar» (cf. 9,4-5.39-41; 12,35-36.46-48); en todos los casos se trata de responder a la oferta de vida y salvación que Dios hace en su Hijo, 38 La solemne declaración del «testigo» de la Pasión insiste en la relación entre fe y visión (cf. 19,35), ésta es la misma lógica del final de la secuencia, pronunciado por otro «testigo»: «el que no cree, no verá la vida» (cf. 3,36). ¿Y qué ha visto el «testigo» de la pasión?, a mi parecer, ha visto al «rey levantado» (cf. 3,3; 19,19), más aún, ha visto la «vida» que ofrece el «levantadotraspasado». 39 Cf. R. MEYNET, Trattato (cf. nt. 15), 563. 40 Cf. El concentrismo como fenómeno común, verificable en la retórica bíblica, y la importancia del centro en el estilo joánico: J. ONISZCZUK, «L’analisi retorica biblica e semitica», Gregorianum 94 (2013) 486-488; ID., «Compositional Centre as the Interpretative Key in Biblical Exegesis of the Johannine Literature», Studia Rhetorica Biblica et Semitica 38c, », 1-10.

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A (1-13) «No puede…si no nace de lo alto…del agua y el Espíritu» (cf. 5-8) B (14-21) «Creer» o «no creer» en el Nombre del Hijo Unigénito que Dios ha dado (cf. 18)

A’ (22-30) «No puede «acoger»…si no es dado del cielo» (27) B’ (31-36) «Acoger» el testimonio de lo alto – del cielo (31-33) ··········································

«Creer» o desobedecer Hijo amado del Padre, que da el Espíritu» (34-36)

La correspondencia del centro de los pasajes A y A’ es evidente, no sólo desde el punto de vista semántico (7.27: «de lo alto-del cielo»), también desde el punto de vista sintáctico41. Puede decirse que el corazón de dichos pasajes, su mensaje central, consiste en expresar la necesidad de la acción divina. El mensaje central de los pasajes A y A’ unido en una sola frase sería: el «nacimiento de lo alto solo puede ser acogido como don del cielo» (7.27). Cabe subrayar que, «nacer» y «tomar-acoger» son equiparados, en cuanto que ambos no pueden suceder sin remitirse a «lo alto-cielo». Ambas acciones se remontan a algo que comienza en Dios. En una lectura continua de la secuencia, entre los centros arriba citados, se encuentra el centro del pasaje B: «el Nombre del Hijo Unigénito de Dios» (18). A primera vista no parece que tenga nada que ver directamente con el centro de A y A’. Sin embargo, visto detenidamente, está en perfecta coherencia, ya que proclama solemnemente el origen divino de Jesús, la radical verticalidad de su persona. Su «Nombre» es el de «Unigénito de Dios» (cf. 1,14), por lo mismo su relación con el ámbito divino es única. Si el centro de A y A’ presenta la necesidad de un origen divino, el centro de B presenta, por su parte, a Alguien cuyo «Nombre» expresa su radical origen divino. Jesús es el don divino por excelencia (cf. 16: didōmi). No obstante los vínculos señalados, el centro de B introduce un dato nuevo, unido al «Nombre» que remite a un origen divino: «creer» o no «creer» (18), la posibilidad de aceptar o rechazar el «Nombre». En otras palabras, se puede acoger el origen divino de Jesús, creyendo en su «Nombre de Hijo Unigénito de Dios» (cf. 1,14; 17,7-8), o se puede poner en duda y rechazar que tenga dicha relación con Dios (cf. 8,42; 10,29-33; 12,44). En una lectura continua se observa que el pasaje B’ (31-36) reúne todas las características presentes en el centro de los pasajes anteriores42, particularmente 41

El uso del verbo dynamai y los períodos hipotético condicionales (cf. 5.27). Un inventario terminológico muestra cómo los elementos fundamentales de los diferentes centros (5-8.18.27) confluyen en B’ (31-36): «Dios» (18.34), «hijo-filiación» (cf. 7.18.35), 42

Cristología y soteriología en Jn 3,1-36

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recoge el tono disyuntivo del pasaje B (cf. 18.21.36: δὲ). En cierto modo B’, con su composición paralela (31-33; 34-36), responde al enigma presente en el centro de A y A’, utilizando el centro de B: el nacimiento de lo alto, la acción misteriosa del «Espíritu» y el «don del cielo», se concretizan en el Hijo amado del Padre, que «viene de lo alto-del cielo», Él es quien «da el Espíritu» sin medida (34). Véase que al mismo tiempo, prolonga la identidad revelada en el centro de B: el Hijo Unigénito de Dios (18), es «amado por Dios Padre», que «ha dado todo en su mano» (35). Por esto B’ puede considerarse punto de llegada y respuesta del centro de los pasajes anteriores. Esta visión conjunta de la secuencia, a partir del centro de los pasajes que la forman, muestra que «el cielo y lo alto» son accesibles al hombre sólo en la persona del «Hijo Unigénito». Al centro se encuentran un don y una gracia que se concretizan en la filiación divina de Jesús, que es la puerta de acceso para que el hombre «nazca de lo alto» y «tenga vida eterna» (3.7.15.16.36). Testimonios que confluyen para «la fe que lleva a tener vida» (cf. 20,31) El esquema de la composición mostraba que el vocabulario testimonial es uno de los principios estructuradores de la secuencia43; cuando se afirma que ésta presenta dos testimonios en paralelo no se está diciendo todo acerca de algunos detalles implícitos en sus semejanzas y diferencias. La repetición — casi a la letra — de los vv 11 y 32, leído en el contexto de toda la secuencia, esconde un contraste que acentúa la autoridad del «testimonio de Jesús». Su testimonio es más radical por su origen, porque proviene de lo alto-del cielo (cf. 13.31). Como «enviado de Dios», el testimonio de Juan, el Bautista necesariamente confluye y desemboca en el de Jesús, el «Hijo enviado» (cf. 1,6; 3,17.34), se funde en él. Si bien el Hijo comparte con Juan la categoría de «enviado», sólo Él habla las «palabras de Dios» y da el «Espíritu» sin medida (cf. 34). Las palabras de Juan presentan al dador de la vida (cf. 3,36), pero sólo las palabras de Jesús «son espíritu y vida» (6,63). El Bautista presenta el testimonio de Jesús, hablando en 3ª persona; en cambio, Jesús incorpora en su «hablar», el testimonio de Juan, otro que «conoció y vio». Y lo hace con la misma autoridad que puede llamar a comparecer a su favor a Moisés y las Escrituras (cf. 5,39-40.45-46). Al final de cuentas, por ser un «hombre enviado por Dios» (1,6), es el testimonio del Padre que se hace presente tanto en el Bautista, en las obras, Moisés y las Escrituras (cf. 5,31-47)44.

«Espíritu» (5.8.34), «altura» (7.31), «cielo» (27.31), «acoger-tomar» (27.33), «dar» (27.35), «creer» (18.36). 43 Al doble testimonio lo acompañan algunos términos afines de contenido jurídico-legal: «exponer-denunciar»; «búsqueda-discusión», «certificar». 44 En este texto, al definir al Bautista como «testigo de la verdad» (5,33), se le coloca en el horizonte del Padre, ya que testificar la «verdad» implica la revelación de Dios. Cf. J. BEUTLER, Judaism and the Jews, SubBib 30, Roma 2006, 131.

132

Carlos Alberto SANTOS GARCÍA

Todos los «testigos» confluyen a favor del testimonio del «Hijo enviado», en quien Dios ofrece la «vida». «Y este es el testimonio [que Dios ha dado a favor de su Hijo; cf. v 10], que Dios nos ha dado la vida eterna, y esta vida se encuentra en su Hijo» (cf. 1Jn 5,11). En un contexto que también alude a una convergencia de testigos (cf. 1Jn 5,7-9) se presenta un principio esclarecedor: el testimonio de Dios a favor de su Hijo se manifiesta en su poder vivificante (cf. Jn 5,21.26; 10,27-28). Si se aplica el principio de 1Jn a la secuencia 3,1-36, se puede observar que la última intervención del Bautista concluye con el anuncio de la «vida eterna» en el Hijo (cf. 36). Su testimonio muestra así ser parte del único testimonio que Dios da a favor de Hijo, y que consiste en su capacidad de «dar vida». Tanto Moisés, las Escrituras y el Bautista confluyen en atestiguar que la «vida» se encuentra en Jesús (cf. 5,39-40). Esta orientación del testimonio hacia la «vida», explica también el contraste entre B y B’: la riqueza y amplitud del anuncio soteriológico en boca de Jesús (cf. 14-21) y su brevedad en boca del Bautista (cf. 36)45. Filiación y amistad: cristología y soteriología en el cuarto evangelio Puede parecer extraño proponer una línea de interpretación a partir de una comparación entre Juan, el Bautista y Nicodemo; sobre todo porque dicha comparación y/o paralelo parece corresponder más a Jesús y Juan como sujetos de un «testimonio», ambos llamados «Rabbí» (cf. 2.25), protagonistas de un diálogo que concluye en un discurso. Sin embargo, la composición ha puesto de manifiesto un rasgo común a Nicodemo y el Bautista: ambos «escuchan una voz» (cf. 8.29), sólo que, el «escuchar» de Nicodemo va acompañado de una ignorancia, no así el Bautista (3,8: ouk oidas; cf. 1,33: oida)46.

45 Stare propone una explicación sugestiva a este fenómeno, y en general a la armonía entre el Bautista y Jesús en Jn 3, la limitante de su propuesta es que excluye de su análisis los vv 1-8. «Diese Übereinstimmung der Worte Jesu, und der des Johannes des Täufers kann als Zeichen ihrer Freundschaft gesehen werden» (M. STARE, «„So nämlich liebte Gott die Welt“ (Joh 3:16): Jesus und sein Freund Johannes der Täufer in Joh 3», en K. HUBER – B. REPSCHINSKI, eds., Im Geist und in der Warheit: Studien zum Johannesevangelium und Offenbarung des Johannes sowie andere Beiträge, Fs. M. Hasitschka SJ, Münster 2008, 77). También en esta línea: S. VON TILBORG, Imaginative Love in John, BibInterp 2, Leiden 1993, 71-77. El hecho de que el «testimonio» del Bautista sea tan cercano al «testimonio» de Jesús (cf. 11.32) — sin suplantarlo — se entiende por la sencilla razón de que es «su amigo»; él puede parafrasear las palabras de Jesús, pero sólo Jesús «hablará las palabras de Dios» (34). Puthenkandathil señala que «testimoniar» es un signo de amistad entre discípulo y maestro (cf. 21,24-25), por esto entre Jesús y el Bautista existe una reciprocidad testimonial (cf. 1,6-7; 5,33-35). Cf. E. PUTHENKANDATIL, Philos: A Designation for the Jesus-Disciple Relationship: An exegetico-theological investigation of the term philos in the fourth gospel, Frankfurt am main 1992, 84. 322-325-344-345. 46 El «conocer» es rasgo de amistad, y en el caso del que brinda Jesús, el corazón de dicho conocimiento es el «amor del Padre». Cf. F. MANNS, «Je vous appelle mes amis», BeO 190 (1996), 234-235. El testimonio del Bautista aparece colocado en este horizonte de amor: 3,35.

Cristología y soteriología en Jn 3,1-36

133

«Escuchar la voz» es un rasgo de discipular en el cuarto evangelio47, y expresa la centralidad de la relación con Jesús en la vida del discípulo. En esta relación es importante identificar la «voz», se trata de un conocimiento (cf. 10,4: οἶδα) que se vuelve familiaridad, que implica cercanía y permanencia48. Así, el discipulado se revela como camino de amistad: «no les llamo siervos, pues el siervo no sabe […] ustedes son mis amigos porque les he dado a conocer todo lo que escuché a mi Padre» (cf. 15,15: oida). Pero la amistad no se reduce al conocimiento que brota del trato cercano. En la lógica de Jesús esta amistad se manifiesta en una respuesta de «amor» que se traduce en obras, en el cumplimiento de los mandamientos y el don de la propia vida (cf. 15,12-14)49. «fue hacia él» (2)

A

El nacimiento de lo alto y Nicodemo que escucha la voz del viento-Espíritu (7-8) creer y acoger (11.12) creer (15.16.18)

B

Tener la vida eterna, abandonar las tinieblas para ir a la luz» (14-21) «hacer la verdad en Dios» (21)

A’

«todos iban hacia él» (26)

El crecimiento-fecundidad del Novio y el amigo que escucha la voz del novio (29-30)

B’

acoger (27) acoger es certificar la veracidad de Dios (33) Tener la vida eterna, no permanecer bajo la ira para ver la vida (36) «creer es obedecer» (cf. 36)

Como lo ilustra el cuadro, a partir de la «voz que se escucha» puede trazarse un horizonte de relación con Jesús, que es el dador del Espíritu (cf. 1,33; 3,34): Nicodemo escucha la «voz del Espíritu», pero no sabe (8); Juan, el Bautista, el «amigo del Novio», escucha la «voz del Novio» (29), y además «sabe» (cf. 1,33). El primero es llamado a «nacer de lo alto» (3.7), el segundo se presenta como el «amigo» que anuncia la fecundidad del «Novio» (29.30). Dentro de la

47

Cf. 10,3-4; 11,28-29; 20,16. Voz, conocimiento y discipulado: «sólo se sigue una voz que se conoce […] entre Jesús y sus ovejas hay una relación de unidad y comunión que se expresa en el conocimiento que lleva a la escucha y seguimiento» (Cf. W. SÁNCHEZ CASTELBLANCO, La voz como modo de revelación. Investigación exegético-teológica del término φωνή en el cuarto evangelio, Roma 2009, 227). 48 Una cercanía y permanencia mutua como la que existe entre Jesús y el Padre. Cf. J. VARGHESE, The Imagery of Love in the Gospel of John, AnBib 177, Rome 2009, 275-272. 49 Como en el caso de la filiación (cf. 3,19-21; 8,39-42), la amistad también tiene una dimensión operativa fundada en el amor.

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Carlos Alberto SANTOS GARCÍA

semejanza-diferencia («escuchar-conocer») se esconde un contraste en los términos de la relación con Jesús50. En el caso de Nicodemo, la referencia al «nacimiento de lo alto» (3.7) remite al Prólogo del evangelio, a la proclamación de una filiación divina por medio de la fe: «les dio el poder de ser hijos de Dios […] de Dios nacieron» (cf. 1,12-13). Sin duda el cuarto evangelio presenta la obra de la salvación en términos de filiación divina51, identificando así al creyente como «hijo de Dios». Sin embargo, dicha meta (filiación) no es todo el mensaje del evangelio. En los primeros encuentros de Jesús existen unos rasgos concretos que ilustran otro horizonte de relación: búsqueda, permanencia, encuentro, conocimiento (cf. 1,37-39.41. 43.48). A

«fue hacia él» (2) El nacimiento de lo alto y Nicodemo que escucha la voz del viento-Espíritu (7-8)

B

creer y acoger (11.12) creer (15.16.18) Tener la vida eterna, abandonar las tinieblas para ir a la luz» (14-21) «hacer la verdad en Dios» (21)

A’

«todos iban hacia él» (26)

El crecimiento-fecundidad del Novio y el amigo que escucha la voz del novio (29-30)

B’

acoger (27) acoger es certificar la veracidad de Dios (33) Tener la vida eterna, no permanecer bajo la ira para ver la vida (36) «creer es obedecer» (cf. 36)

Es cierto que el EvJn anuncia desde el inicio una relación filial como fruto de la fe en el Logos encarnado (cf. 1,12-13), pero cuando se observa el encuentro de Jesús con los que serán sus discípulos, salta a la vista, que se coloca también en un horizonte de «amor» (cf. 3,16.35; 5,42; 8,42; 11,3.5.11.36; 13,1.34-35),

50 No se trata sólo de un paralelo a partir del hecho de «escuchar una voz» (8.29), se trata también de una complementariedad, implícita en el llamado que Jesús hace a Nicodemo («nacer») y lo que el Bautista anuncia («fecundidad del novio»). Por lo tanto, así como «nupcialidad-fecundidad» y «nacimiento» son simbólica y semánticamente complementarios, de la misma manera, filiación y amistad son dos horizontes complementarios de relación con Jesús: uno expresa la recepción del don de la vida, de la salvación (filiación); el otro expresa el conocimiento y amor que se traducen en un compromiso total de vida (amistad). 51 Esta relación filial con Dios a través de Jesús, el Unigénito de Dios, es proclamada solemnemente en 1,12-13; en el resto del EvJn aparece bajo diferentes expresiones: el nacimiento de lo alto, del agua y el Espíritu (cf. 3,3.5.7), la «no-orfandad» y la «casa del Padre» (cf. 2,16; 14,23.18-19), «hermanos» de Jesús, e hijos del Padre (cf. 20,17).

Cristología y soteriología en Jn 3,1-36

135

que desemboca en el momento que Jesús plantea directamente a sus discípulos, una relación con Él en términos de «amor-amistad» (cf. 15,1-15; 21,15-19)52. Filiación y amistad no expresan dos modelos alternativos de discipulado o seguimiento de Cristo; no se pretende tampoco postular o fundamentar una gradualidad entre ambos, menos que corran paralelos. Al contrario, se trata de la única relación con Jesús, que en los términos planteados por Jn 3,1-36, presenta su acción salvadora como gracia-don (A-A’) y respuesta-opción (B-B’). El don de la filiación, presentado como «nacimiento-vida-fecundidad», y la libre adhesión de la fe, presentada como vínculo de «amor-amistad»53. Así cristología y soteriología se engarzan de una bella manera en esta secuencia, pues ya no solo se nos habla de Él, sino de nosotros — los creyentes — de aquello que estamos llamados a experimentar y vivir por obra de su amor salvífico54.

CARLOS A. SANTOS GARCÍA

Heroica Veracruz 494 Las Brisas; CP. 64780 Monterrey (N.L.) México e-mail: [email protected]

RESUMEN El capítulo tres del evangelio de Juan presenta las coordenadas cristológico-soteriológicas de este evangelio, a través de dos sub-secuencias: el diálogo de Jesús con Nicodemo (1-21) y el episodio del Bautista (22-36). Estos dos diálogos-discursos, muestran que el hombre tiene en sus manos una opción, y está frente a una disyuntiva entre la fe-obediencia y la incredulidad (18.36), que abren delante de él la experiencia del «Reino de Dios» o la permanencia de la «ira de Dios» (3.36), tener la vida eterna (16.17.36) o ser juzgado (18). No obstante la evidente cohesión del planteamiento teológico de Jn 3, la crítica literaria ha puesto bajo sospecha la unidad y coherencia de su disposición actual, particularmente los sujetos y el contenido de los discursos. Este 52

Cuando se llega al diálogo explícitamente de «amistad» de Jn 15,1-17, ya han sido presentados dos «amigos»: Juan, el Bautista y Lázaro (3,29; 11,11) y el discípulo amado (13,23). 53 En la lógica de la amistad, la dignidad del amor esta ligada indisolublemente a la libertad de la fe. Cf. F. MANNS, «Je vous appelle mes amis» (cf. nt. 46), 238. 54 Hace 2 años en este mismo foro el Profesor Jacek Oniszczuk (+) presentaba su análisis e interpretación de la composición de Jn 1,19-51, bajo el título: «Tu, chi sei?» («¿Tú, quién eres?»). Su conclusión se orientaba a subrayar el carácter eminentemente cristológico de la secuencia inicial del EvJn, evidente particularmente en los títulos ahí mencionados. Jn 3,1-36 es la secuencia paralela de aquella (1,19-51), siguiendo la primera y segunda regla hermenéutica (semejanza – diferencia), puede entreverse la afinidad que brota de la cristología, y al mismo tiempo, la excedencia soteriológica de la segunda (3,1-36) respecto a la primera (1,19-51). Sirva esta hipótesis — que varias veces comentamos — para quienes continúen el apasionante trabajo de analizar el EvJn con los principios de la retórica bíblica, trabajo al que el P. Oniszczuk dedicó su magisterio, y en el que dejó bases sólidas y profundas.

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Carlos Alberto SANTOS GARCÍA

artículo ofrece un análisis retórico bíblico opuesto a esta visión, y sostiene la unidad teológico-literaria de Jn 3. Palabras clave: evangelio de Juan, análisis retórico bíblico, ABSTRACT The chapter three of the gospel of John shows that the dialogue with Nicodemus (121) and the episode of John the Baptist (22-36) are two key moments in the narrative that displays the soteriological and Christological viewpoints of this gospel. But not only this, these two dialogues-speeches, show that man has options at hand, and has in front of him the predicament of choosing between: faith and obedience or disbelief (cf. 18.36). Which will open before him the «Kingdom of God Experience» (3) or the permanence of the «wrath of God» (36); «eternal life» (16.17 36) or «judgment» (18). Notwithstanding the evident coherence in the theological approach of this chapter, literary criticism has casted doubt on the unity and coherence of its current disposition, specifically the subjects and the content of their speeches. This article offers a biblical rhetoric analysis that contradicts this view, and supports the literary and theological unity of Jn 3. Keywords: Gospel of John, rhetorical analysis,

Timothy CHIKWETO

«From Where then do You have the Living Water?» Composition and Interpretation of John 4,5-18 With the tools of Rhetorical Analysis the current article establishes that John 4,5-18 is a textual unit at the level of the subsequence, comprising three passages (4,5-6; 4,7-15; 4,16-18) concentrically arranged. In this kind of arrangement, the discussion between Jesus and the Samaritan woman concerning water (4,7-15) occupies the centre; it holds the key to arriving at the message of the entire subsequence. Tellingly, at the very heart of the central passage is the question of the woman to Jesus, «from where then do you have the living water?» (pothen oun echeis to hydōr zōn; 4,11), hinting at the mystery of the gift of living water and lending thus the current article its title. I. COMPOSITION 1. JESUS ARRIVES AT JACOB’S WELL IN SAMARIA (4,5-6) :: 5 He came, therefore, :: near the field : which JACOB ::

6

And there was

to a city

of Samaria

called Sychar

gave

TO JOSEPH his son;

there

a spring OF JACOB.

···················································································································

:: Therefore, JESUS :: was sitting :: It was

having been tired thus

from the journey on the spring;

about

the sixth hour.

The first passage (4,5-6), which reports Jesus’ arrival at Jacob’s well at Sychar in Samaria, is the size of a part comprising two pieces (5-6a, 6bcd). Both pieces comprise two segments. The first piece (5-6a) contains a trimember (5) and a unimember (6a), while the second piece (6b-d) contains a bimember (6bc) and a unimember (6d). Both pieces employ the co-ordinating conjunction «therefore/so» (oun) in the opening line of their first segments (5a, 6b). The second segment of each piece (6a, 6d) includes the imperfect indicative active third person singular of the verb «to be» (ēn). They offer the circumstances of space and time, respectively, while the first segments are connected with the activity of Jesus. In the first piece the verb (ēn, «was») governs the «well» (pēgē,), while in the second piece it governs the «hour» (hōra). The two mentions of «well» (pēgē, 6a; tēi pēgēi, 6c) play the role of median terms for the two pieces. Thus, the part can be said to be of a parallel construction AB|A’B’.

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Timothy CHIKWETO

2. JESUS AND THE WOMAN – THE MYSTERY AND THE GIFT OF LIVING WATER (4,7-15) The first part: Jesus asks for physical water from the woman (4,7-9) Each of the two pieces in this part (7-8 and 9) consists of three segments arranged in concentric manner ABA’. There is in both pieces a movement from narrator to character and back to narrator. Their respective centres comprise the direct speech of the characters (Jesus 7cd, the Samaritan woman 9bcd). These central segments are framed by the narrator’s words. The two occurrences of «woman» (gynē, 7a; hē gynē, 9a) in the first segment of both pieces play the role of initial terms. The same applies to «of Samaria» (tēs Samareias, 7a) and «the Samaritan» (hē Samaritis, 9a). Similarly, the two occurrences of the verb «to drink» (pein) in the central segment of both pieces (7d, 9c) plays the role of central terms. The central segment of the first piece (7cd) carries the request for water by Jesus. The central segment of the second piece (9bcd) carries the surprised response of the Samaritan Woman in form of a question. The last segment of each piece is some sort of report or explanation by the narrator, which contains the same conjunction gar («for»). The last segment of the first pieces explains the absence of the disciples (8), while the last segment of the second piece explains the shock response of the Samaritan woman (9e). In this way, the two pieces are parallel to each other (ABC|A’B’C’). ::7 Comes :: to draw : Said .. «Give :: 8 for the disciples = that

a woman water.

from Samaria

to her me

Jesus: to drink»;

of him food

had gone away they might buy.

into the city

······················································································································

: 9 So said . «How .. from me . a woman = For not

to him

the woman

the Samaritan:

you to drink a Samaritan

a Jew do ask being?».

being

do have dealings

Jews

with Samaritans.

The second part: The mystery of living water (4,10-12) The part at hand comprises three pieces which at first reading could be of a parallel arrangement. The first piece (10) carries the words of Jesus, while the last two parts (11 and 12) carry the response of the Samaritan Woman.

«From Where then do You have the Living Water?» (John 4,5-18)

139

However, the part can be said to have a concentric composition (ABA’). To start with, the vocabulary of «gift/giving» which occurs in all the three segments of the first piece (dōrean,10b; dos, 10d; edōken,10f) is also present in the first segment of the last piece (edōken, 12b). In the central piece, it is replaced by the vocabulary of possessing represented by the verb «you have» (echeis, 11b and 11d). The same applies to the verb «to drink» (pein, 10d; epien, 12c), which is absent from the central piece. Moreover, the two occurrences of the verb «he gave» (edōken, 10f and 12b) play the role of median terms at a distance for the first piece and the last piece. The same can be said of the two occurrences of the second person singular pronoun «you» (sy,10e and 12a). :10 He answered + « If you knew . and who .. Give + you . and

Jesus the gift it is

and said of God who is saying

me

to drink,

would ask he would give

him you

to her: to you:

water living».

········································································································

: 11 Said - «Sir, .. and the well

to him

. from where then

you have

is

the woman: not a bucket deep,

do you have

the water

the living?

········································································································

- 12 You . who . and he . and the sons . and the flocks

greater are gave

than the father to us

from it of him of him?»

drank

of us the well

Jacob

The close link between the first piece (10) and the last piece (12) is further highlighted by the comparison that the woman makes between Jesus and Jacob (12ab). Whereas Jesus claims to give living water (10ef), the woman questions whether he is greater than Jacob who gave them the well (12ab). The mention of «living water» (hydōr zōn, 10f; to hydōr to zōn, 11d) connects the first piece and the central piece by way of final terms. On the other hand, the mention of «the well» (to phrear, 11c and 12b) connects the central piece and the last piece1.

1 See R. MEYNET, «Le leggi della retorica biblica. A proposito della “legge dell’intreccio al centro”», in ID – J. ONISZCZUK ed., Studi del terzo convegno RBS, ReBibSem 2, Roma 2013, 351; he observes that often when the centre comprises two elements, the first element announces the unit which follows the centre, while the second element recalls the unit which precedes the centre.

140

Timothy CHIKWETO

The third part: the woman asks for living water from Jesus (4,13-15) : 13 He answered + «Everyone + will thirst

Jesus who drinks again;

and said from the water

to her: this

- 14

may drink I will thirst

from the water shall give TO ETERNITY,

to him

but who - which - never

······················································································································

= but = will become = welling up

the water in him to life

which a spring ETERNAL».

I shall give of water

to him

······················································································································

: 15 She said .. «Sir,

to him give

the woman: me

- so that - and not

not I do come

I may thirst here

this

water to draw».

This part is made up of three pieces (13-14c, 14def, 15) arranged in a concentric manner (ABA’). The first piece (13-14c) has two trimember segments, the second piece (14def) has one trimember segment, while the third piece (15) contains two bimember segments. The first piece (13-14c) and the third piece (15) are parallel at a distance. Firstly, there are the two nominations of the water «this water» (tou hydatos toutou, 13b; touto to hydōr, 15b) which serve as initial terms. Secondly, both pieces carry the negation of the verb «to thirst» (ou mē dipsei, 14c, mē dipsō, 15c) in the second segment. The verb «to thirst» is absent from the central piece. It is the vocabulary of «water» and «giving» that connects the central piece to the piece above and the one below it. Furthermore, the vocabulary of «eternity/eternal» (ton aiōna, 14c, aiōnion, 14f) links the first piece and the central piece. The same applies to the expression «the water which I shall give to him» (14b, 14d). As for the «well» (pēgē, 14e) in the central piece, it is associated with the action of «drawing water» (antlein 15d) in the third piece. The second passage as a whole (4,7-15) Jesus’ Thirst Jesus and the Woman The Woman’s Thirst

He asks for Physical Water

from the Woman

The Mystery of Living Water She asks for Living Water

from Jesus

7-9 10-12 13-15

«From Where then do You have the Living Water?» (John 4,5-18) 7

There came a woman out from Samaria

141

water.

JESUS said to her: «Give me to drink»; 8 for his disciples had gone away into the city in order that they might buy food. 9

Therefore, the Samaritan woman said to him: «How do you, being a JEW ask to drink from me, being a Samaritan woman?». For JEWS do not have dealings with Samaritans. 10

JESUS answered and said to her: «If you knew the gift of God and who it is who is saying to you “Give me to drink,” you would ask him and he would give you living water». 11

She said to him [the woman]: «SIR, not even a bucket do you have and THE WELL is deep; from where therefore do you have the living water? 12

Are you greater than OUR FATHER JACOB, who gave us THE WELL and he himself drank from it, and HIS SONS and his flocks?» 13

JESUS answered and said to her: «Everyone who drinks from this water will thirst again; 14 But whoever may drink from the water which I shall give to him will never thirst to eternity. But the water which I shall give to him will become in him A SPRING of water WELLING UP to life eternal». 15

The woman said to him: «SIR, give me this water in order that I may not thirst nor come here ».

The second passage comprises three parts (7-9; 10-12; 13-15) arranged in a concentric manner (ABA’). It is framed by statements about the Samaritan woman coming to draw water (erchetai gynē ek tēs Samareias antlēsai hydōr, 7; mēde dierchōmai enthade antlein, 15) as extreme terms. The last statement is negative, though. Furthermore, requests for «water/something to drink» are present in all three parts of the passage (dos moi pein, 7.10; Kyrie, dos moi touto to hydōr, 15). The verb «to drink» (7.9.10.12.13.14) and the noun «water» (7.10.11.13.14.15) permeate the passage. The same can be said of the vocabulary for «giving/gift» (see the verb didōmi, 7.10.12.14.15; see the noun dōrea, 10). The whole passage is a conversation between Jesus and the woman as principal characters. Extreme parts (7-9 and 13-15) reflect each other. They contain the verb «to draw» (antlēsai, 7; antlein, 15) as extreme terms, the subject being the woman. In the conversations, Jesus speaks first (7.13-14) while the woman responds (9.15). Both carry requests for water/something to drink. First, Jesus asks from the woman (dos moi pein, 7) and then the woman asks from him (Kyrie, dos moi touto to hydōr, 15). Jesus’ indication of thirst by asking for something to drink (7) is reflected by the vocabulary for «thirst» (13.14.15) and the woman expressing her thirst in the third part.

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Timothy CHIKWETO

The connection between the first part (7-9) and the central part (10-12) can be seen in the request for something to drink by Jesus, «Give me to drink» (dos moi pein, 7;10). In both parts the woman responds to Jesus’ words with a question (9; 11-12). She poses two questions in the central part. The vocabulary for «life/living» connects the central part (10-12) and the last part (13-15). The central part mentions «living water» (hydōr zōēn, 10; to hydōr to zōēn, 11) while the last part talks about «eternal life» (zōēn aiōnion, 14). Then there is mention of the source of water (to phrear, 11.12; pēgē, 14). 3. JESUS AND THE WOMAN – HUSBAND/S (4:16-18) : 16 He said

to her:

.. «Go, .. call .. and

YOUR HUSBAND come

here».

······························································································

: 17 The woman - « I do not have

answered and said A HUSBAND».

to him:

······························································································

: Jesus .. «Well - “A HUSBAND

said you said: I do not have”;

to her:

+ 18 for + and now - is not

five HUSBANDS he whom YOUR HUSBAND;

you have had you have

.. this

is true

you have said».

This passage is a single part made up of three pieces (16, 17ab, 17c-18). At first reading, the three pieces seem to be arranged in concentric manner (ABA’), by way of Jesus’ words (16 and 17c-18) framing the words of the woman (17ab). However, the three pieces are in parallel order (ABB’). All three pieces have the word «husband» in various cases. The first piece (16), which has verbs in the imperative, sets the stage for the conversation in the last two pieces (17ab and 17c-18). The parallelism between the second piece (17ab) and the third piece (17c-18) is stronger. The latter is a comment on the former. Both pieces are permeated by the verb «to have» (echō, 17b; echō, 17e; esches, 18a; echeis, 18b). The expression «I do not have a husband» (ouk echō andra, 17b; hoti andra ouk echō, 17e) plays the role of median terms between the two pieces. In addition, the final segment of the third piece (18d) refers to the words of the woman in the second piece (17b).

«From Where then do You have the Living Water?» (John 4,5-18)

143

4. THE SUBSEQUENCE AS A WHOLE (4,5-18) Jesus arrives

in Samaria at Jacob’s well

Jesus and the Woman ̶ The mystery of Water Jesus orders

the Woman to summon her Husband to the well

5-6 7-15 16-18

The subsequence 4,5-18 comprises three passages (4,5-6; 4,7-15; 4,16-18) arranged in a concentric manner (ABA’) as summarized above. The extreme passages (4,5-6 and 4,16-18) refer to each other. The arrival of Jesus at the well is echoed in the command to the woman to go and call her husband to the well, another male figure. The numbers «sixth» (hektē, 6) and «five» (pente, 18) play the role of final terms for the two passages. The first number refers to the hour while the second refers to husbands. Furthermore, the two occurrences of the verb «to come» (erchetai, 5; elthe, 16) function as initial terms for the two passages. Then there are male figures «son» (5) and «husband/s» (vv 16.17.18). Several links exist between the first passage (4,5-6) and the central passage (4,7-15). The two mentions of «Samaria» (5; 7) play the role of initial terms. Jesus’ coming to the city of Samaria, where there is the well, is pitted against the woman’s coming out of Samaria to the same well. The two mentions of «city» (5; 8) play a similar role. Then there is Jacob as the one who gave the field to his son Joseph (5) and as the one who gave the Samaritans the well (12). Further, there are mentions of Jacob’s son/s (5; 12). The vocabulary for «well» (pēgē 6.4; to phrear, 11.12) features prominently in the two passages. Jesus and the narrator use pēgē while the woman uses phrear. The expression «come here» (dierchōmai enthade, 15; elthe enthade, 16) plays the role of median terms for the central passage (4,7-15) and the third passage (4,16-18). In the central passage, it is a statement, while in the third passage it is an imperative. Both passages mention the «woman» (7.9.15;17), the character who is absent from the first passage (4,5-6). Then there is the verb «to have» (11; 17.18) in the two passages. In the central passage the subject of the verb is Jesus in the second person, while in the third passage the subject of the verb is the woman in first person and in second person. Jesus does not even have a bucket; hence, the wonder as from where he will obtain the living water (11). For her part, the woman does not have a husband despite having had five (1718). Furthermore, one sees a relationship between the male figures «father/sons» (12) and «husband/s» (16.17.18). It is also worth noting that only the central passage of this concentrically composed subsequence carries questions, and three questions, for that matter. All the three questions are posed by the woman. The first question regards her surprise that Jesus, a Jewish man, should be asking from her, a Samaritan woman, something to drink (9). The second question expresses her wonder as to where

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Jesus would have the living water from, given that he does not even have a bucket and the well is deep (11). The third question makes a comparison between Jesus and the patriarch Jacob, who gave them the well and drank from it himself (12). This goes to confirm the characteristic feature of Biblical Rhetoric in which «the centre of a concentric construction is often occupied by a question»2. 5

He came, therefore, to a city of Samaria called Sychar near 6 the field which JACOB GAVE TO HIS SON JOSEPH; and there was there OF JACOB. So JESUS having been tired from the journey was sitting thus on ; it was about the SIXTH hour. 7

There came a woman out from Samaria to draw water. JESUS said to her: «GIVE me to drink»; 8 for his disciples had gone away into to the city in order 9 that they might buy food. The Samaritan Woman said to him in turn: «How do you, being a JEW, ask to drink from me, being a Samaritan Woman?» For JEWS have no dealings with Samaritans. 10

JESUS answered and said to her: «If you knew THE GIFT OF GOD and who it is who is saying to you: “GIVE me to drink,” you would ask him and HE WOULD GIVE you living water». 11 She said to him [the woman]: «Sir, NOT even a bucket DO YOU HAVE and is deep; from where, therefore, DO YOU HAVE the 12 living water? Are you greater than OUR FATHER JACOB, WHO GAVE us and he himself drank from it, and HIS SONS, and his flocks?»

13

JESUS answered and said to her: «Everyone who drinks from this water will thirst 14 again; but whoever may drink of the water which I SHALL GIVE to him, will never thirst to eternity, but the water which I SHALL GIVE to him will become in 15 him of water to eternal life». The woman said to him: «SIR, GIVE me this water, so that I may not thirst, nor come to draw». 16

He said to her: «Go, call your husband and come ». The woman answered and said to him: «I DO NOT HAVE a husband». JESUS said to 18 her: «You said well: “a husband I DO NOT HAVE”; for YOU HAD FIVE husbands and he whom YOU HAVE now is not your husband; this is true you have said». 17

The protagonist of the entire subsequence is Jesus. Then there is the dynamism of «coming/going» (erchetai, 5; erchetai, 7, apelēlytheisan, 8, erchomai enthade, 15; hypage […] elthe enthade, 16) permeating the subsequence. The well is also present in all the three passages. Though it is mentioned directly in the first and central passages (6,11.12.14), it is referred to in the adverb of place «here» (enthade, 16, see 15) in the third passage. Then there is the mention of male figures «son» (5), «father/sons» (12), and «husband/s» (16.17.18). 2

R. MEYNET, Treatise on Biblical Rhetoric, ISHR 3, Leiden – Boston 2012, 282.

«From Where then do You have the Living Water?» (John 4,5-18)

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II. BIBLICAL AND HISTORICAL CONTEXT THE CRUCIFIXION (19,17-35) The current subsequence has several elements in common with the crucifixion scene. As Jesus arrives at Jacob’s well and sits, «it was about the sixth hour» (4,6); equally «it was about the sixth hour» (19,14) as Jesus is condemned to death by crucifixion. The conversation at the well is with a woman (4,7-18); near the cross there are several women standing, with special focus falling on the mother of Jesus whom he addresses (19,25-27). In both there is the expression of thirst on the part of Jesus: «Give me to drink» (4,7.10); «I thirst» (19,28). There is also the mention of a container in both (antlēma, 4,11; skeuos, 19,29). Whereas the Samaritan woman identifies Jesus as «a Jew» (4,8), Pilate identifies him as «King of the Jews» (19,19), a notice written in Hebrew, Latin and Greek (19,20). Whereas in the current subsequence Jesus promises to give living water that will become a spring of water welling up to eternal life (4,14; cf. 4,10), in the crucifixion there comes out from his pierced side water alongside blood (19,34). Thus, the subsequence 4,5-18 anticipates the crucifixion 19,17-35. It is possible to see that the gift of God that Jesus wishes the woman knew and which is being offered to her and to anyone open to receive it is Jesus himself. Then on the cross he fulfils the promise by making a gift of himself. If the living water that Jesus is promising refers to the Spirit (see 7,37-39), on the cross he gives up the Spirit (paredōken to pneuma, 19,30). The Spirit is closely associated with the symbolism of water (cf. water coming out of his pierced side, 19,34). BETROTHAL TYPE-SCENES AND HOSPITALITY (GEN 24,10-61; 29,1-20; EX 2,15-22) The current subsequence echoes the betrothal type-scenes in the OT. The future bridegroom or his representative is journeying in a foreign land and meets the future bride at the well. Later he is hosted by the future bride’s family and there is betrothal leading to marriage. Jesus is also journeying through Samaria (4,4), not his homeland, and meets a woman at Jacob’s well (4,7f). But in the prophets, marriage is employed as a metaphor for the covenant relationship between God and his people. Here too the relationship with God is at play. In the subsequence that follows (4,19-26) the conversation switches to worship of the Father. These same betrothal type-scenes can also be read in the keys of hospitality (xenia, in Greek) as a value of the ancient world3. The male figures are depicted 3

Cf. A.E. ARTERBURY, «Breaking the Betrothal Bonds: Hospitality in John 4», CBQ 72 (2010) 63-83, who proposes to read John 4 in hospitality keys just as he takes Gen 24,10-61, Gen 29,1-20, and Ex 2,15-22 to be about hospitality rather than betrothal. He cites ancient exegetes like Philo and Josephus who called the journeying male figures «strangers» (xenoi) seeking «hospitallity» (xenia or philoxenia).

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as strangers journeying is foreign lands and seek hospitality by sitting at wells. Wells played an important role in ancient hospitality. Commenting on Ex 2,1522 in the light of hospitality, Nahum M. Sarna says: «Wells in the Ancient Near East served as meeting places for shepherds, wayfarers and towns folk. It was the natural thing for a new-comer to gravitate toward them»4. Betrothal negotiations only followed after the requirements of hospitality had been fulfilled5. In Jn 4, Jesus is presented as a stranger journeying in a foreign land (Samaria, 4,4.5). Sitting at the well (4,6) and asking for water (4,7) can be associated with seeking hospitality. The instruction to the woman to go and call her husband (4,16) and Jesus’ display of special prophetic powers (see 4,19) can all point to hospitality6. Later, he will be accorded hospitality for two days by the Samaritans (4,40).

III. INTERPRETATION «FROM WHERE THEN DO YOU HAVE THE LIVING WATER?» The Central Passage (4,7-15) of this concentrically composed subsequence (4,5-18), which is its «Keystone, hinge, key to reading»7, has at is very heart the Samaritan woman’s question to Jesus: «[…]from where then do you have the living water? (pothen oun echeis to hydōr to zōn; 4,11), pointing to the mysterious nature of the living water. The water that Jesus gives (4,10) cannot not be drawn with a deep physical well with a physical bucket (4,11). This water is a mystery, like the birth from above that can only be compared to the wind whose effects one can see but no one knows where it comes from and where it goes (ouk oidas pothen erchetai kai pou hypagei, 3,8). Like its bearer, who comes from above (3,31; cf. 1,18), the living water is a mystery by virtue of its divine origin. Notably, the subsequence 4,5-18 is dominated by the vocabulary of giving. The verb «to give» (didōmi) occurs seven times in the entire subsequence; six of these occurrences are in the central passage (4,7.10.12.14.15), while the other one occurrence is in the upper passage (4,5). In the very heart of the Central Passage there is the mention of «the gift of God» (tēn dōrean tou theou, 4,10). In N.M. SARNA, Exodus twmv: The Traditional Hebrew Text with the New JPS Translation, JPSTC, Philadelphia 1991, 12 5 A.E. ARTERBURY (cf. nt. 3), 70: «Mediterranean narratives prior to and around the time of the Gospel of John routinely portray travelers as seeking hosts in foreign lands by asking for assistance at city gates, city squares, and wells. Hence the link between wells and hospitality is the more obvious one». 6 A.E. ARTERBURY (cf. nt. 3), 77, says that the instruction in v. 16 implies «the Samaritan woman is expected to direct the stranger to a hospitable home or to initiate the process whereby the head of her household will extend an offer of hospitality»; and ID. (78), in reference to Jesus’ special prophetic powers (4,17-18) he depicts traveling prophets as some of the most common guests in the Jewish and early Christian hospitality contexts (cf. Elijah in 1Kgs 17,8-24). 7 R. MEYNET, Treatise on Biblical Rhetoric (cf. nt. 2), 345. 4

«From Where then do You have the Living Water?» (John 4,5-18)

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fact, v. 10 carries both the verb «to give» and the substantive «gift»: «If you knew the gift of God and who it is who is saying to you “Give me to drink,” you would ask him and he would give you living water». It follows that the mysterious «living water» is a gift. Borne by Jesus who was given for the salvation of the world (3,16-17), the «living water» with all its possible meanings (Jesus’ teaching and revelation, the Spirit, Jesus’ gift of himself)8 also becomes a symbol for the gift of salvation. In the final analysis, even the physical water of Jacob’s well, which provides the starting point for the conversation on the «living water», is a gift of God. THE QUESTION OF LIFE A look at several key elements shows that the subsequence is about life, both physical life and eternal life. On one hand, there are elements pointing to physical life. The physical «water» (hydōr, 4,7.13) contained in Jacob’s well sustains physical life by quenching physical thirst. Even the human figures signify life. Jacob, as «father», is generator of life and sustainer of it through the gift of the well (4,12; cf. 4,5; cf. also the figure of «husband» [anēr] 4,16.17.18). Furthermore, one of the red threads of the subsequence is «woman» (gynē, 4,7.8.9.11.15.17). Now, «woman» is closely identified with life in the Bible. Xavier Léon-Dufour observes: «Whereas numerous religions freely compare woman to the earth, the Bible rather identifies her with life. She is, by her natural name, Eve, “the living one”»9. The figure of woman is also compared to a spring or well of water in the OT (Prov 5,15.18; Song 4,15), a symbol of life. Gen 24, which is closely related to Jn 4 and where the term woman features, is concerned with the continuation of life by the carrying forward of the promise of progeny or line of life to Abraham10. The well, at which the Samaritan woman meets Jesus, besides being the source of water, was traditionally the place of betrothal leading to marriage. In marriage spouses share life; and the fruit of marriage is more life through children. But this life is only earthly perishable human existence; it is distinguished from the gift of life received through Jesus. On the other hand, there is the indicator to eternal life. The living water which Jesus shall give will become «a spring of water welling up to eternal life» within the person (4,14). In fact, on closer examination, the entire Gospel of John centres around the question eternal life in Jesus Christ. In the prologue, Jesus is presented as the logos through whom life has come (1,4). In the conversation 8

As suggested by the woman’s question in the heart of the central passage («Sir, not even a bucket do you have and the well is deep, from where therefore do you have the living water?», 4,11), the nature of the gift of God is a mystery and a puzzle for the reader to discern and solve. 9 X. LÉON-DUFOUR, Dictionary of Biblical Theology, New York 1967, 583. 10 Cf. N.R. BONNEAU, «The Woman at the Well. John 4 and Gen 24», BiTod 67 (1973) 1253: «Abraham’s concern is the purity and perpetuation of his progeny»; later, 1257: «This symbolic content of woman in the Bible certainly has an important role in both Gen 24 and John 4».

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with Nicodemus, eternal life is available to all who believe in the Son of man following his being lifted up (3,15). In the testimony of John the Baptist, it is available to the one who believes in the Son (3,36). Like the living bread imparts eternal life to anyone who eats of (6,51) so the living water imparts eternal life to whoever drinks of it (4,14). In fact, the purpose of recording the signs performed by Jesus in the Gospel is ultimately life: «These are recorded so that you may believe that Jesus is the Christ, the Son of God, and that believing this you may have life through his name» (20,31). Now, the life under discussion is a deeper form of life than just the physical one. It is divine life (cf. «eternal life», 4,14)11, the life of God accessed through belief in Jesus. JESUS SURPASSES JACOB AND REPLACES THE WELL OR SPRING Having given the field to his son Joseph (4,5), and with it the well which benefitted not only himself, his sons and his flocks, but also the Samaritans who continued to draw from it (4,12), Jacob is indeed great. But the physical water from his well only quenches thirst temporarily: «Everyone who drinks from this water will thirst again» (4,13). Jesus surpasses Jacob in that he offers not just physical water but «living water», «the gift of God» (4,10). Unlike the water of Jacob’s well, this water quenches thirst forever: «but whoever drinks of the water which I shall give to him, will never thirst to eternity» (4,14). Furthermore, this water will not have to be drawn from Jacob’s well, a fixed physical source, but shall become within the person who drinks of it «a spring of water welling up to eternal life» (4,14). Francis J. Moloney summarizes: «The water Jesus gives will touch the depths of the human spirit, resolving its desires and questions once and for all»12. In this way, Jesus not only surpasses the patriarch Jacob but also replaces his well or spring and its water. In fact, Jesus, the preexistent word (1,1-3), is greater than even the patriarch Abraham the grandfather of Jacob (8,52-58). Along the same line, one also recalls how Jesus replaces the water meant for Jewish purifications with the good wine in the first sign at Cana (2,1-12), thereby instituting a newer and deeper form of purification from within. One also thinks of the living bread which surpasses perishable physical bread (6,27), and even the manna given through Moses (6,31-33.49) by imparting eternal life. JESUS THE TRUE BRIDEGROOM No doubt, OT betrothal type-scenes (Gen 24,10-61; cf. 29,1-29; Ex 2,15-22) form the background plot to the encounter between Jesus and the Samaritan woman at Jacob’s well. But unlike in betrothal type-scenes, the Samaritan 11 Cf. J.B. POLHILL, «John 1–4: The Revelation of true Life», RE 85 (1988) 455: «But John wants his reader to understand that physical existence is not true life, that real life, the life from God, is eternal life brought by the Son». 12 F.J. MOLONEY, Belief in the Word. Reading John 1 ̶ 4, Minneapolis (MN) 1993, 143.

«From Where then do You have the Living Water?» (John 4,5-18)

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woman is not a virgin (as would be expected), having been married five times and now living with a sixth man (4,18) and there is no marriage proposal. To this woman, who does not really have a husband despite having been married five times (4,17-18), and who is also representing her own people who do not know what they worship (4,22), Jesus is present at the well as the true bridegroom. In fact, within the Gospel Jesus already plays the role of the bridegroom in the wedding at Cana (2,1-12) by providing the good wine (2,10) and has been described as the bridegroom by John the Baptist (3,29). Yet, the woman, who «had desperately sought to find life in her marriage relationships, one husband after another», finds at Jacob’s well «not another betrothal, another unfulfilling relationship, but a relationship with the one who alone can satisfy the deepest human longings with his gift of life»13. Jesus is talking the Samaritan woman and eventually her people into a relationship with him, and through him into a relationship with God (the Father)14. The sense is not physical or matrimonial but rather spiritual; much like what is going on in the prophet Hosea (2,14-23)15. Jesus is not in Samaria, in general, and at the well, in particular, seeking a spouse, but rather he is seeking worshippers in spirit and truth16, for such are the ones the Father seeks (4,23); the Father who sent him (4,34). Hence, it was necessary for him to go through Samaria (4,4). With his truth, Jesus comes to redeem this woman and her people from the lack of conviction and the vulnerability to relativism associated with bowing to different gods (cf. 2Kgs 17,21-35; Hos 3–10)17. This is plausible, given her representative role and the parallelism between her personal marriage history and the colonial history of her people. Later in the sequence, the woman and her people will be told off: «You worship what you do not know» (4,22). «HAVING» AND «NOT HAVING» The verb «to have» (echō) occurs six times in the subsequence, twice in the heart of the central passage (4,11) and four times in the lower passage (4,17.18). In the central passage the verb features in the mystery of the living water as expressed by the Samaritan woman: «Sir, not even a bucket do you have and the 13

J.B. POLHILL, «John 1–4» (cf. nt. 11), 455. See M. Girard («Jésus en Samarie [Jean 4,1-42]. Analyse des structures stylistiques et du processus de symbolization», Église et Théologie 17 [1986] 304) who observes in relation to Gen 24,10-61 that Jesus is at the same time the spouse (the new Isaac) and the servant (the new Eleazar) who prepares the wedding between God and humanity. 15 There is no need to view the conversation through too physical eyes, as does Lyle Eslinger («The wooing of the Woman at the Well. Jesus, the Reader and Reader-Response Criticism», JLT 1 [1987] 167-193), who perceives sexual innuendos through the entire conversation, citing the sexual orientation of the imagery of living water, springs, wells, and cisterns in the OT (See Prov 5,15-18). 16 Cf. F.T. GENCH, Encounters with Jesus. Studies in the Gospel of John, Louisville 2007, 32. 17 See G.D. RAMOS, «Jesus and the Samaritan woman (Jn 4:1-42)», VJTR 73 (2009) 36. According to him the figure of husband which features prominently in the lower passage (4,16-18) represents «the faithful word», and «also the permanent mature conviction». 14

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well is deep; from where, therefore, do you have the living water?» (4,11). To the woman, it is a mystery how Jesus can have living water to give her when he does not even have bucket with which to draw from the deep Jacob’s well. Jesus may not have a bucket in his hand, and may not possess physical water to give to the woman, but he really has water – the living water, a different type of water, of another order. This is the water that he is ready give to the Samaritan woman (4,10) and he shall give to whoever would drink of it (4,14). A popular saying states that one cannot give what one does not have; how can Jesus give what he does not possess? Hence, the woman asks for it (ironical though her request may be). As for the woman, though she does not have a husband (4,17), she does have someone she is living with at the literal physical level («and he whom you have now», 4,18). In fact, she has had five husbands (4,18). Though she does have someone whom the physical eye can see as a husband, this one is not really her husband («and he whom you have now is not your husband», 4,18). Despite having, she does not have (ironic as this may sound). On a deeper level, she does not really have anyone she can call «husband». How then can she summon to the source him whom she does not really have? FATHERHOOD SHOWN IN GIVING There is a relationship between fatherhood and giving18. In this subsequence, the fatherhood of Jacob is clearly being presented in the light of his capacity to give or provide water by means of the well. Firstly, in the words of the narrator, he is said to have given the field to his son Joseph (4,5), where the well is (4,6). Then, in the words of the Samaritan woman, he is hailed as the father, the giver of the well not only to his sons but also to the Samaritans: «[...] our father Jacob who gave us the well, and he himself drank from it, and his sons [...]» (4,12). Now, the Greek term patēr («father») translates the Hebrew āb which carries the figurative meaning «producer, generator» (see «Has the rain a father? Or who has begotten the drops of dew?», Job 38,28), «benevolence» (see «A father I am to the poor/needy», Job 29,16), besides the literal sense of «father» or «begetter»19. Thus, to be father is to be source or fountain of life and of gifts that support life. Even the husband figure whom the woman is ordered to summon to the well is a potential father, and so provider. In the subsequence, fatherhood in the sense of source or generator is also evoked by the well or spring inasmuch as source of water. The «well» or «spring» permeates the subsequence (4,6.11.12); in the lower passage, it is implied in the adverb enthade («here», 4,16), as the place to which the woman must summon her husband. In his willingness to give or provide the living water, which itself becomes a spring of water within the person (4,14), Jesus can be 18 R. MEYNET, Treatise on Biblical Rhetoric (cf. nt. 2), 356, making an observation on the interpretive «red thread of the gift» in Lk 15,11-32, says: «the father is shown as the one who gives». 19 BDB, 3.

«From Where then do You have the Living Water?» (John 4,5-18)

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seen to be laying some claim to fatherhood. Yet, Jesus as the Son cannot do anything by himself; «he can do only what he sees the Father doing: and whatever the Father does the Son does too. For the Father loves the Son» (5,19-20). God’s love for the world is shown in giving his only begotten Son for the salvation of the world (3,16).

Emmaus Spirituality Centre 437A, Leopards Hill Road P.O. Box 320084 Woodlands Lusaka - Zambia E-mail: [email protected]

Timothy CHIKWETO

RIASSUNTO Quest’articolo si serve delle regole della retorica biblica per proporre una composizione della sottosequenza Gv 4,5-18 e cercare d’arrivare a un’interpretazione basata su questa composizione. La sottosequenza comprende tre passi (5-6; 7-15; e 16-18) in maniera concentrica (ABA’). Il primo passo (5-6) racconta l’arrivo di Gesù al pozzo di Giacobbe nella città samaritana chiamata Sicar, mentre il terzo passo (16-18) si centra sulla questione del marito della donna samaritana, che è invitato anche al pozzo. Il passo centrale (7-15) racconta la conversazione tra Gesù e la samaritana riguarda il dono dell’acqua viva. Fra l’altro, è al cuore di questo passo centrale dove troviamo due delle tre domande della sottosequenza sulla bocca della Samaritana (9.11.12). La prima riguarda l’origine del dono dell’acqua viva («da dove prendi dunque l’acqua viva?» 11), mentre la seconda domanda riguarda l’identità di Gesù nei confronti del patriarca Giacobbe, che ha dato il pozzo (12). In questo tipo d’organizzazione, come ci aiuta la conversazione sull’acqua viva (7-15) vedere il rapporto tra la figura di Gesù (5-6), che è anche messo in confronti al patriarca Giacobbe (12), e la figura del marito della samaritana (16-18)? Qual è dunque il messaggio della sottosequenza? Prole chiave: composizione, interpretazione, l’acqua viva.

ABSTRACT This article employs the rules of Biblical Rhetoric to propose a composition of the subsequence Jn 4,5-18 and to arrive at an interpretation that is based on this composition. The subsequence comprises three (5-6; 7-5; 16-18) concentrically arranged (ABA’). The first passage (5-6) reports the arrival of Jesus at Jacob’s well in the Samaritan town of Sychar, while the third passage (16-18) centers on the question of the Samaritan woman’s husband, who is also invited to the well. The central passage (7-15) reports the conversation between Jesus and the Samaritan woman regarding the gift of living water. Incidentally, it is at the heart of this central passage that we find the two of the three questions (9.11.12) of the subsequence on the lips of the Samaritan woman. The first question is about the origin of the gift of living water («from where then do you have the

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Timothy CHIKWETO

living water?»11) while the second questions regards the identity of Jesus in comparison to the patriarch Jacob, the giver of the well (12). In this kind of arrangement, how does the conversation about the gift of living water (7-15) help us to see the relationship between the figure of Jesus (5-6), who is also pitted against the patriarch Jacob (12), and the figure of the husband of the Samaritan woman (16-18)? What then is the message of the subsequence? Keywords: Composition, Interpretation, Living Water.

+ Ciro QUISPE

San Pablo y los Tesalonicences La composición retórica semítica de 1Tes 2,17–3,13 I. COMPOSICIÓN El pasaje que contiene la relación íntima entre la comunidad de Pablo y la comunidad de Tesalónica se halla distribuida en tres partes1 que forman una figura concéntrica. La breve parte central (3,5cd), que contiene la advertencia de la tentación en las relaciones cristianas, y que hace de bisagra al texto, distingue, por un lado, las ansías de Pablo por reencontrarse con los Tesalonicences y las tribulaciones de la comunidad y, por otro lado, el regreso de Timoteo, enviado por Pablo, y la consolación gozosa de la comunidad paulina. A su vez, ambas partes extremas (2,17–3,5b y 3,6-13) están compuestas de tres sub-partes distribuidas también en forma concéntrica (ABA’), cuyos centros respectivos contienen una única pregunta retórica sobre el sentido cristiano de la relación apostólica entre la comunidad tesalónica y la comunidad paulina respectivamente. Entonces, el esquema del pasaje que será analizado sería: Situación: Pablo DESEA DE VER a los Tesalonicenses Pregunta: ¿Ellos SERÁN EL GOZO de Pablo ante la PARUSÍA? Situación: Pablo envía a Timoteo para confortarles en la FE

2,17-18 2,19-20 3,1-5b

ADVERTENCIA:

3,5cd

La tentación y el trabajo evangélico

Situación: Timoteo regresa y conforta a Pablo. DESEAN VERLO Pregunta: ¿Cómo agradecer al Señor POR EL GOZO recibido? Situación: Pablo REZA por ambas comunidades ante la PARUSÍA

3,6-8 3,9 10-13

1 Muchos estudios, que consideran 2,17–3,16 como un pasaje o una unidad literaria, lo dividen en tres partes; y la última parte, que algunos lo anticipan a 3,9-11, sería un intervalo narrativo o formaría una paralelismo junto con 5,23-24. Al respecto: J. LAMBRECHT, «Thanksgiving in 1Thessalonians 1-3», en R.F. COLLINS, ed., The Thessalonian Correspondence, Leuven 1990, 183205; A. VANHOYE, «La composition de 1Tessaloniciens», en ID, ed, 73-86; G. BARGAGLIO, «Analisi formale e letteraria di 1Ts 1–3», en Testimonium Christi. Scritti in onore di J. Dupont, Brescia 1985, 36-56; E.S. MALBON, «“No need to have any one write?”. A Structural Exegesis of 1Thessalonians», SBL (1980), 301-335; P. ROSSANO, «Preliminari all’esegesi di 1Ts 2,1-12», BibOr 7 (1965) 117-121. Por otro lado, T. BOYS, Tactica Sacra, Londra 1824, 42-53, coloca en paralelismo el pasaje: 2,17–3,10 («su conducta estando ellos ausentes») con 2,1-12 («su conducta estando ellos presentes»); y 3,11-13 («oración») con 5,23-25 («oración»); además, I. Rojas Gálvez (Desde vosotros ha resonado la palabra, Pamplona 2011, 61), considera que la secuencia de 2,1– 3,13 (abc) form un paralelismo con 3,1-13 (a’b’c’).

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+ Ciro QUISPE

1. LA PRIMERA PARTE (2,17-20–3,1-5B) Como ya se dijo, la primera parte esta unidad literaria comprende tres subpartes que forman una composición concéntrica (2,17-18; 19-20; 3,1-5b). Analicemos detenidamente cada uno de estos textos que narran la situación en la que se encontraban la comunidad tesalónica y Pablo, y el misterio que los unía. Pablo desea ver a los Tesalonicences (2,17-20) + 17 Pero nosotros, – por el-tiempo – en-rostro : intensamente deseábamos : con mucho : 18 Por-lo-cual – Yo Pablo de-hecho + y estorbó

hermanos, al-quedar-huérfanos2 de-una-hora, no de-corazón,

de vosotros

el rostro deseo. quisimos

de-vosotros

VER

IR

a vosotros,

y una-vez a-nosotros

y dos-veces, el Satanás.

La primera sub-parte se compone de tres segmentos narrativos distribuidos concéntricamente. El trimembre inicial (17abc), de tipo abb’, que contiene la aflicción de Pablo, junto con el bimembre final (18bc), que comprende otra aflicción paulina, enmarcan el trimembre central (17de.18a), que narra también otra aflicción paulina pero esta vez con una connotación positiva («deseábamos», «deseo», quisimos»). Además, «ir» y «ver» se corresponden a nivel semántico (17cd.18a), mientras que «nosotros» actúa como inclusión en el texto (17a; 18c) y siempre con una connotación negativa: al inicio se quedan «huérfanos» (17a) y al final son «impedidos» por Satanás (18c), quien sería entonces el causante de la orfandad de Pablo. Por otra parte, el parallelismus membrorum de 17bc se puede leer en forma quiástica: «tiempo» en relación a «corazón» y «hora» a «rostro»; pues «rostro» denota lo externo y «corazón» lo interno. Es decir, la ausencia de Pablo es solo de «rostro» («una hora») y no de «corazón» (de «tiempo»). por el tiempo en rostro

de una hora no de corazón

También el bimembre final comprende un paralelismo pero esta vez antitético (18bc), que igualmente se puede leer en forma quiástica: hay una nítida oposición entre el actuar y la figura de Pablo, y el actuar y la figura de Satanás. Pablo alejado forzosamente de su comunidad, con quien posee una relación no solo familiar sino también paternal, se siente huérfano3. La aflicción de esta 2

El participio aporphanisthentes (apo-orphanizō), que es un hápax en el NT, indica hijo(s) que se queda(n) sin padres pero también un padre que se quedan sin hijos. No existe un término español para calificar esta última situación.

San Pablo y los Tesalonicences (1Tes 2,17–3,13)

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ausencia, que fue solo física («rostro») y no afectiva («corazón»), le indujo a Pablo a hacer los modos posibles para volver a visitar la comunidad de los Tesalonicenses. Pero Satanás, cuyo rol principal no es sino impedir las relaciones cristianas entres los hombres4, bloqueó aquellos intentos de Pablo (18a), aunque no sabemos cuántas veces ni de qué manera. Pero Satanás al impedir que Pablo se reencuentre con los Tesalonicences, fue entonces el causante de su orfandad (17a). Porque el padre de la comunidad de Tesalónica se quedó sin sus hijos amados (1Tes 1,4). Esto provocó, no solo en Pablo sino también en su comunidad paulina5, una aflicción constante y una profunda soledad que le hizo añorar intensamente el re-encuentro (17cd.18a). Y la desconsolada orfandad que padecía, aunque fuera por un breve tiempo, fue precisamente la ausencia del «rostro» de los Tesalonicenses (17cd). Pues cuando no se ve el rostro del amigo, de los padres o de los propios hijos, uno se siente huérfano y la orfandad se convierte en una aflicción perenne que provoca, sin embargo, las ansias de un reencuentro gozoso (17cd.18a), tal como lo vivió Pablo y su comunidad (17d). Los Tesalonicences son el gozo de Pablo (2,19-20) + 19 Porque ¿Quién (será) + o la-corona : – o no (seréis) : delante : en la DE-ÉL + 20 Porque vosotros sois

la-esperanza de-nosotros de-orgullo

o el-gozo

también del SEÑOR venida?

de-nosotros

vosotros – JESÚS

la gloria

de-nosotros

y el gozo.

La segunda sub-parte, que contiene una pregunta retórica (2,19) y su respuesta inmediata (20), está compuesta por tres segmentos distribuidos concéntricamente. El trimembre central (19cde), que contiene la relación entre Pablo y los Tesalonicences y la relación con el Señor y su parousia, «venida», «visita» (19e), se halla enmarcado entre dos segmentos, cuyos miembros extremos forman un paralelismo sintético (19a: pregunta y 20: respuesta) que hace de inclusión al texto (19a; 20). A partir del trimembre central, que se halla al futuro, según el sintagma final «cuando él venga» (19e), se puede deducir que la pregunta retórica está formulada al futuro6. La relación de Pablo con la comunidad de los Tesalonicences, no solo ha producido una hermandad afectuosa (1,4: «amados») y una familiaridad íntima (2,17a: «al quedar huérfanos»), sino que además esta relación cristiana se edifica 3 En 1Tes 2,7.11 Pablo se compara con una madre (nodriza) y con un padre, cuyos hijos (tekna heautou: «como sus propios hijos») no serían sino los cristianos de Tesalónica. 4 Ver más adelante, en el contexto bíblico, «Satanás». 5 A nivel literario, se intercambia indistintamente y en forma simétrica el «yo Pablo» con el «nosotros» y viceversa (2,18b y 18c; también en 3,2a y 5b). 6 Contra, R. FABRIS, 1–2 Tessalonicesi, Milano 2014, 102.

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+ Ciro QUISPE

en la «esperanza», el «gozo», la «gloria» y la «corona de orgullo», que poseen también dimensiones escatológicas (19ab). Ambas dimensiones, entonces, tal como se enfatiza en el texto, deberían regir las relaciones cristianas, tal como lo fue entre la comunidad paulina y la comunidad tesalónica. Igual que sucede con la dimensión humana (17de.18a), los valores escatológicos se cristalizarán a partir de la parousia, «venida», «visita» del Señor Jesús (19e)7. La añoranza paulina, se debe entender, entonces, de acuerdo a esta doble dimensión, humana y divina. Del mismo modo, mutatis mutandis, la relación entre la comunidad cristiana y la añorada parousia, «venida», «visita» del Señor Jesús (19e). Según el texto, la añoranza escatológica corresponde a ambos: a la comunidad cristiana paulina y al Señor Jesús, de quien se espera su visita, parousia. Sin embargo y de acuerdo a esta relación singular y cristiana, los Tesalonicences ya se han convertido en la «gloria» y el «gozo» para la comunidad paulina (20: «de nosotros»), del mismo modo que lo serán el día de la parousia (19). Por lo tanto, la relación cristiana de Pablo con los Tesalonicences no solo posee una dimensión temporal (17b) sino también escatológica (19-20)8. Ambas dimensiones sostienen, entonces, toda relación eclesial, diferenciándolo así de cualquier otro grupo humano, especialmente en aquella época. Pablo envía a Timoteo para confirmarles en la fe (3,1-5b) – 1 Por-lo cual, + preferimos + 2 y enviamos + y colaborador

a-Timoteo, de Dios

– para – y CONFORTARLES nadie – 3 para-que

ya-no-más quedarnos

soportando, en Atenas solos

el hermano en el evangelio

de-nosotros de Cristo,

confirmar respecto a se-perturbe

a-vosotros LA FE de-vosotros en las AFLICCIONES éstas.

·······························································································································

+ Porque – que para esto

vosotros

– 4 Porque también – predecíamos a-vosotros : como también – 5 Por esto también-yo + envié

sabéis estamos-puestos. cuando estábamos que vamos-a sucedió

SUFRIR-AFLICCIONES,

con vosotros,

ya-no-más para (la) conocer

soportando LA FE de-vosotros,

y (lo) sabéis.

Ambos fragmentos (1-3a; 3b-5) son complementarios porque el segundo explica (3b: gar) el primero. Los dos bimembres iniciales (1ab; 2ab), que 7 8

Ver más adelante contexto bíblico de parousia. En 1Tes, la «esperanza» (elpis) posee siempre una dimensión escatológica (1,3; 4,14; 5,8).

San Pablo y los Tesalonicences (1Tes 2,17–3,13)

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contienen la angustia y la decisión de Pablo en Atenas, introducen la doble finalidad de su actuar (2cd.3a). En cambio, en el segundo fragmento, los dos segmentos extremos de finalidad (3bc; 5ab), enmarcan el segmento que contiene la motivación de Pablo (4abc). Además, los segmentos extremos que son idénticos gramaticalmente (la subordinada introduce la principal) actúan de inclusión en el texto (1ab; 5ab). Asimismo, «enviamos» y «envié», que son términos extremos (2a; 5b), comparten el mismo sujeto. La doble repetición de «fe de vosotros», que son términos finales (2d; 5a), indica la preocupación de Pablo: al inicio quiere «confirmar» y luego «conocer»; ambos términos se hallan en proposiciones finales y son además complementarios. Lo mismo, «aflicciones» y «sufrir aflicciones» (3a; 4b) que reenvía a «confortarles» (2d: «consolarles») 9, cuya semántica es complementaria. En Atenas, de la orfandad insoportable en la soledad (1ab) se pasa a la acción (2.5). Las ansias de Pablo (1a; 5a) y los sufrimientos de la comunidad tesalónica (3a.4b) fuerzan para que el Apóstol envíe a Timoteo donde ellos (2a;5b). Su motivación no es solo humana sino cristiana (2-3). Pablo desea conocer, por un lado, los sufrimientos de la comunidad (3a) a pesar de que ya les predijo sobre la realidad de los sufrimientos (4), y por otro lado, la situación en que se halla la fe de ellos (2cd; 5b). Porque Pablo, que sabe y entiende sobre los sufrimientos, desea «consolar» (2d) a su comunidad, a su familia cristiana. Y ante las tribulaciones que «perturba» la fe de ellos (3a), Pablo desea confirmarles en la fe (2c). Así, tanto la consolación como la confirmación (2cd) forman parte indiscutible en las interrelaciones comunitarias (1ab). Ambas dimensiones («consolar» y «confirmar») son subrayadas al momento de presentarles a Timoteo (2ab), ya sea en su misión humana («hermano de nosotros») como en su misión divina («colaborador de Dios»). Toda la primera parte (2,17–3,5b) La triple repetición del «nosotros», en la sub-parte central (19a.19e.20a), con el «nosotros» de 18c y 2a actúan como términos medios enganchando las partes extremas. Sucede lo mismo con el «vosotros» central (19c y 20a) y el «vosotros» de 18a y 2cd respectivamente. Además, «Señor» y «Jesús» (19d) del centro del texto reenvían a «Dios» y «Cristo» (2a) de la primera sub-parte final, actuando así como términos medios: al centro, Pablo está delante del Señor y al final, Timoteo. Además, la repetición de «vosotros» en 17a y 5b actúan como términos extremos; mientras que la repetición de «yo» (18b; 5a) como términos finales (18b; 5a). En cambio, «hermanos» (17a) y «hermano» (2a), que hacen de términos iniciales (17a; 2a), califican las relaciones humanas entre ambas comunidades que están formadas por grupos mixtos. «Sufrir aflicciones» y «aflicción» 9 Parakaleō no se puede traducir aquí con «afianzar», «fortalecer» o «exhortar» (p.e.: La Biblia de Jerusalén) sino con «consolar» por su relación a thlibō, thlipsis, «sufrir aflicción» o «tribulación» y a «fe». Ambos verbos casi siempre aparecen juntos en Pablo (2Cor 1,3-11; Rm 1,11-12; 2Tes 2,16-17). Ver contexto bíblico.

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+ Ciro QUISPE

(4b.3b) reenvía a «quedar huérfanos» (17a), como términos extremos, pues corresponden al mismo campo semántico; y «Satanás» (18c), en ese sentido, se halla en posición simétrica. El campo semántico se encuentra dominado por la relación entre «nosotros» (comunidad paulina») y «vosotros» (comunidad tesalónica), aunque en esta parte prevalece la preocupación de Pablo por los Tesalonicenses (12 veces + «nadie», el «vosotros» de los Tesalonicences; y solo 6 veces el «nosotros» de los paulinos»). Pero además, existe otro dato interesante que aparece en el texto. Se trata de la copia de personajes: Pablo y Timoteo, por un lado; Dios Padre y Señor Jesús, por otro lado. Pero hay uno que no se menciona en pareja sino aisladamente: Satanás. + 17 Pero nosotros, – por el-tiempo – en-rostro

al-quedar-huérfanos

de vosotros

ver deseo. ir

el rostro

de-vosotros

y una-vez a-nosotros

y dos-veces, el Satanás.

la-esperanza de-orgullo

de-nosotros

o el-gozo

también DEL SEÑOR venida?

vosotros – de-nosotros

JESÚS

la gloria

de-nosotros

y el gozo.

+ Por lo cual, + preferimos

ya-no-más quedarnos

soportando, en Atenas

solos

+ 2 y enviamos + y colaborador

a-Timoteo, DE DIOS

el HERMANO en el evangelio

de-nosotros DE CRISTO,

respecto se-perturbe

a-la fe en las aflicciones

a-vosotros de-vosotros éstas.

HERMANOS,

de-una-hora, no de-corazón,

: más deseábamos : con mucho : 18 Por-lo-cual quisimos + YO PABLO de-hecho + y estorbó + 19 Porque ¿Quién (será) + o la-corona : – o no : delante : en la DE-ÉL

(serán)

+ 20 Porque vosotros sois 1

– para confirmar – y confortarles : 3 para-que nadie

a vosotros,

························································································································

+ Porque vosotros – que para esto – 4 Porque también – predecíamos a-vosotros : como también + 5 Por esto también-YO + envié

sabéis estamos-puestos. cuando estábamos con vosotros, que vamos-a sufrir-aflicciones, sucedió y sabéis. ya-no-más para (la) conocer

soportando la fe

de-vosotros,

San Pablo y los Tesalonicences (1Tes 2,17–3,13)

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2. LA PARTE CENTRAL (3,5CD) + No sea que + y en vano

tentó resultara

a-vosotros el trabajo

el Tentador de nosotros.

En la parte central del texto, compuesta por un bimembre antitético (5cd), el término «tentó» se opone a «trabajo», del mismo modo que «Tentador» a «nosotros», que además son términos finales. El «Tentador» está en relación a «tentar», mientras «nosotros» a «trabajo». El complemento es siempre el mismo: «vosotros». Por otro lado, gramaticalmente la frase es singular. El temor de Pablo, que está expresado en esta parte del texto, es introducida por la conjunción mē pōs seguida del indicativo aoristo «fuese que tentó», epeirasen (primer miembro) y luego del subjuntivo aoristo «fuese», genētai (segundo miembro). En este caso, el indicativo subraya cuál era el temor de Pablo mirando el pasado, mientras que el subjuntivo señala el temor frente al por-venir, al futuro, pero dando lugar a la esperanza10. 3. LA ÚLTIMA PARTE (3,6-13) Esta parte está compuesta también de tres sub-partes (3,6-8; 9-10; 11-13) distribuidas en forma concéntrica. Veamos en seguida cada una de ellas. Timoteo regresa y consuela a la comunidad de Pablo (3,6-8) El fragmento central, un bimembre sinonímico (6ef), se halla enmarcado por dos trimembres paralelos de los fragmentos extremos (6a-d; 7-8b). Ambos trimembres poseen una composición opuesta: al inicio «nosotros» enmarca a «vosotros» (6b.6d) y al final «vosotros» a «nosotros» (7a.7c). Y la repetición de ambos pronombres, como términos finales, divide el texto en forma especular. Al venir Timoteo a dar buenas noticias a tener buen recuerdo de desean ver a deseamos ver a fuimos consolados por a causa de la fe de Estáis firmes en el Señor 10

nosotros

(6a)

nosotros nosotros

(6b) (6c)

nosotros vosotros

(6e) (7f)

vosotros vosotros

(7a) (7b)

vosotros

(8b)

M. ZERWICK, El griego del Nuevo Testamento, Estella (Navarra) 1997, 344: «En el NT, como en el griego clásico, se distingue entre el temor que se refiere a algo futuro, incierto, todavía evitable (subjuntivo) y el que se refiere a algo pasado, ya evitable e independiente de la voluntad de quien teme». Cita 1Tes 3,5cd y Gal 4,11. Interesante porque a partir de aquí 1Tes se divide en pasado (1-3) y futuro (4-5).

160 + 6 Pero ahora al-venir – y dar buenas-noticias –y – y que tenéis recuerdo

+ Ciro QUISPE Timoteo

a nosotros

de vosotros

a-nosotros

DE-LA FE del amor bueno

de-vosotros siempre,

de-nosotros

·································································································

+ deseando-mucho + así-como también

ver nosotros

a-nosotros, a-vosotros,

·································································································

+ 7 Por eso fuimos-consolados, – en toda – a-causa

hermanos, necesidad de-vosotros

por vosotros y aflicción DE-LA FE,

+ 8 porque – si vosotros

ahora estáis-firmes

vivimos en el-Señor.

de-nosotros

Por otro lado, la repetición de «fe» (6b; 7c), que actúa como términos finales, es el elemento que une «nosotros y «vosotros». Nótese igualmente que el «vosotros» de 6a y 8b, términos extremos, hacen de inclusión al texto. La repetición constante de los pronombres plurales enfatiza la relación íntima entre la comunidad paulina con la comunidad tesalónica. Al centro se halla el deseo profundo y recíproco de toda relación: volverse a re-encontrar mutuamente (6ef). Pero este deseo intenso se fundamenta sobre la «fe» cristiana (6b; 7c) y sobre la «caridad» (6c; 7b), que son dos virtudes teologales. Los Tesalonicences socorrieron a la comunidad paulina en sus necesidades y sufrimientos (7b), del mismo modo que aquellos lo hicieron con la fe (8b) y la consolación (7a). Esta comunicación intensa en la fe y en la caridad no puede generar sino «vida» en ambas comunidades, tal como lo experimenta la comunidad paulina (8a). Es el misterio de la relación cristiana. Dar gracias por el gozo recibido (9-10) La composición de esta parte es especular (a a b b’a’a’). Los unimembres centrales forman un paralelismo sinonímico, porque «Dios» y «nosotros» de 9c se sobreentienden en 10a. Sucede lo mismo en los otros bimembres respectivos (9ab; 10bc), donde la repetición de «vosotros» actúa como términos finales y extremos. Además, «completar» reenvía a «dar en recompensa» (10c; 9a) pues corresponden al mismo campo semántico, igual que estar «delante de» y «ver» (10b; 9c). La extensa pregunta dirigida a los Tesalonicences (9-10), revela el misterio de la relación entre la comunidad paulina y la comunidad tesalónica. Si bien es cierto solo aparece «vosotros», sin embargo el «nosotros» paulino está muy presente en cada miembro en forma tácita. La relación entre ambas comunidades que aparece en forma evidente por la preocupación orante del Apóstol, abre a un tercer tipo de relación, la cual no está dirigida sino hacia «Dios» (9a; 9c).

San Pablo y los Tesalonicences (1Tes 2,17–3,13) + 9 Porque ¿qué acción-de-gracias + por todo el gozo – delante

podemos dar-en-recompensa con-que (nos) regocijamos DEL DIOS

– 10 noche y día + para ver + y completar

insistentemente11 el rostro lo que-falta

A DIOS

a-la fe

161 por vosotros por vosotros de-nosotros, pidiendo de-vosotros de-vosotros? 12

Estas relaciones, sin embargo, poseen características distintas. Frente a Dios, Pablo y su comunidad se hallan en perenne e intensa oración («noche y día») y frente al hermano, el regocijo es mutuo (9b), aunque se añora volver a ver el rostro del otro (10b). El motivo de la oración es doble: primero, se agradece (eucharistia) a Dios y, luego, se suplica volver a ver el rostro del otro (10bc). La añoranza no consiste en un mero re-encuentro con el otro, pues, Pablo y su comunidad, por medio del reencuentro desean «completar» (10c) lo que falta a la fe de los Tesalonicences. Pero esta posibilidad y necesidad no depende sino de Dios, a quien se suplica ahora (9a.10a). Por medio de la pregunta, entonces, se desvela el triple misterio de cualquier relación inter-cristiana. Dios sostiene a las comunidades cristianas y ambas se sostienen en la oración. Pablo reza por ambas comunidades (3,11-13) – 11 Y el mismo DIOS – y el SEÑOR + dirija el camino

y PADRE de-nosotros de-nosotros

de-nosotros JESÚS a vosotros.

············································································································ + 12 Y a-vosotros EL SEÑOR haga-crecer

+ y abundar – unos-con-otros – así-como también + 13 para confirmar + irreprensibles

(en) el amor y con TODOS, nosotros de-vosotros en santidad

con vosotros, los corazones,

············································································································ – delante DE DIOS y PADRE de-nosotros – en la venida DEL SEÑOR de-nosotros JESÚS los santos DE-ÉL, Amén. + con TODOS

11 Hyper-ek-perissou (por encima-excesivamete-mucho): manifiesta la insistencia al máximo nivel (aparece solo aquí en 1Tes y en la parte paralela, 1Tes 5,13). Y con el participio deomenoi expresa la intensidad de la súplica, que es más intensa que proseuchomai o parakaleō. Se trata de un imperioso deseo de volverse a re-encontrar con los Tesalonicences, porque falta formarles en la fe (10c). 12 La frase interrogativa no puede concluir al final del v. 9, como hacen algunos (p.e: BJ), pues el verbo principal del v. 10 es un participio (deomenoi) que depende del indicativo del v. 10; así la mayoría de los comentarios modernos; además, NESTLE-ALAND coloca el « ; » al final del v. 10.

162 – 11 Y el mismo DIOS – y el SEÑOR + dirija el camino

+ Ciro QUISPE y PADRE de-nosotros de-nosotros

de-nosotros JESÚS a vosotros.

············································································································ + 12 Y a-vosotros EL SEÑOR haga-crecer

+ y abundar – unos-con-otros – así-como también 13

+ para confirmar + irreprensibles

(en) el amor y con TODOS, nosotros de-vosotros en santidad

con vosotros, los corazones,

············································································································ – delante DE DIOS y PADRE de-nosotros – en la venida DEL SEÑOR de-nosotros JESÚS los santos DE-ÉL, Amén. + con TODOS

Los fragmentos que enmarcan el centro son idénticos, ambos del tipo aa’b (11abc; 13cde) y hace de inclusión en el texto: las menciones de «Dios Padre» y del «Señor Jesús» enmarcan las relaciones entre «nosotros» y «vosotros». El bimembre sinonímico del fragmento central (12cd) se halla encuadrado a su vez entre dos bimembres complementarios o sintéticos (12ab; 13ab), porque el segúndo explica el primero. «Todos» del fragmento central (12c) reenvía a «todos» del final (13e), que comprende «nosotros» y «vosotros». Y a nivel semántico, «corazones» y «amor» se corresponden (12b; 13a). La relación entre la comunidad de Pablo y de los Tesalonicences llega a su clímax en este texto en la oración de san Pablo. Aquí se revela el misterio de la relación cristiana: al centro, las relaciones humanas entre ambas comunidades, se hallan englobadas por las relaciones de las Personas divinas (11ab; 13cd). Lo interesante es que no se trata de dos grupos aislados sino inter-dependientes: las comunidades paulinas y tesalónicas, que deben crecer en el amor y la santidad (12c), necesitan volverse a ver, pero eso depende de Dios Padre y del Señor Jesús a quien se suplica el reencuentro (11c). Del mismo modo, ambas comunidades, esperan el reencuentro con el Señor que tiene que venir (13d). Y el dato interesante o revelador del texto, es que también esta visita última (parousia) es comunitaria (11c; 13e). Toda la última parte Las cuatro repeticiones del «vosotros» en el centro (9ab) y el «vosotros» del último fragmento de la primera sub-parte (8b) actúan como términos medios enganchando ambas partes. Lo mismo, pero en relación opuesta, con el «vosotros» del primer fragmento de la última sub-parte (11c). La única presencia del «nosotros» central (9c) también engancha tanto la primera como la última subparte del texto con la repetición en 7c y 11abc respectivamente.

San Pablo y los Tesalonicences (1Tes 2,17–3,13) + 6 Pero ahora AL REGRESAR – y dar buenas-noticias –y – y que tenéis recuerdo

Timoteo a-nosotros

a nosotros de vosotros DE-LA FE

del amor de-nosotros

163

bueno

de-vosotros siempre,

···························································································

+ deseando-mucho + así-como también

VER

nosotros

a-nosotros, a-vosotros,

···························································································

+ 7 Por eso fuimos-consolados, – en toda – a-causa

hermanos, (la) necesidad de-vosotros

por vosotros y aflicción de-nosotros DE-LA FE,

+ 8 porque – si vosotros

ahora estáis-firmes

vivimos EN EL-SEÑOR.

+ 9 Porque ¿qué acción-de-gracias + por todo el gozo – delante

podemos dar-en-recompensa con-que (nos) regocijamos DEL DIOS

A DIOS

– 10 noche y día + para (el) VER + y completar

sobreabundantemente el rostro lo que-falta

pidiendo de-vosotros A-LA FE de-vosotros?

– 11 Y el mismo DIOS – y el SEÑOR + dirija

y PADRE de-nosotros el camino

de-nosotros Jesús de-nosotros

por vosotros por vosotros de-nosotros

a vosotros.

···························································································

+ 12 Y a-vosotros + y abundar – unos-con-otros – así-como también 13

+ para confirmar + irreprensibles

EL SEÑOR

haga-crecer

(en) del amor y con todos, nosotros los corazones en santidad

con vosotros, de-vosotros,

···························································································

– delante DE DIOS – en la VENIDA DEL SEÑOR + con todos

y PADRE de-nosotros los santos

de-nosotros Jesús de-él,

Amén.

Y del centro hacia las partes, se observa además que «fe», de la parte central (10c), solo reenvía a la primera parte (7c; 6b), actuando como términos extremos y siempre referido a la fe de los Tesalonicences. Del mismo modo, «pidiendo» del centro (10a) reenvía a «deseando mucho» (6e), también al centro de la primera parte, ambos con una misma semántica y ambos expresando el deseo intenso o la añoranza de Pablo por su comunidad. Del mismo modo, pero en dirección opuesta, «Dios» del centro (9a.c) reenvía a «Dios» de la última sub-parte (11a; 13c), actuando como términos extremos y siempre con la misma semántica: el «Dios de nosotros», o sea, el Dios de los

164

+ Ciro QUISPE

paulinos13. Por otro lado, «ver» del centro (10c) se repite al centro de la primera parte (6e) y en forma tácita al centro de la última parte (12cd), gramaticalmente idénticos y con la misma semántica: la comunidad paulina desea ver a los Tesalonicences y viceversa (6f; 12d). + 6 Pero ahora AL REGRESAR – y dar buenas-noticias –y – y que tenéis recuerdo

Timoteo a-nosotros

a nosotros de vosotros DE-LA FE

del amor de-nosotros

bueno

de-vosotros siempre,

···························································································

+ deseando-mucho + así-como también

VER

nosotros

a-nosotros, a-vosotros,

···························································································

+ 7 Por eso fuimos-consolados, – en toda – a-causa

hermanos, (la) necesidad de-vosotros

por vosotros y aflicción de-nosotros DE-LA FE,

+ 8 porque – si vosotros

ahora estáis-firmes

vivimos EN EL-SEÑOR.

+ 9 Porque ¿qué acción-de-gracias + por todo el gozo – delante

podemos dar-en-recompensa con-que (nos) regocijamos DEL DIOS

A DIOS

– 10 noche y día + para (el) VER + y completar

sobreabundantemente el rostro lo que-falta

pidiendo de-vosotros A-LA FE de-vosotros?

– 11 Y el mismo DIOS – y el SEÑOR + dirija

y PADRE de-nosotros el camino

de-nosotros Jesús de-nosotros

por vosotros por vosotros de-nosotros

a vosotros.

···························································································

+ 12 Y a-vosotros + y abundar – unos-con-otros – así-como también 13

+ para confirmar + irreprensibles

EL SEÑOR

haga-crecer

(en) del amor y con todos, nosotros los corazones en santidad

con vosotros, de-vosotros,

···························································································

– delante DE DIOS – en la VENIDA DEL SEÑOR + con todos

y PADRE de-nosotros los santos

de-nosotros Jesús de-él,

Amén.

A los lados de estas partes, «venida» reenvía a «regresar» (13d; 6a), como términos extremos, bajo el mismo campo semántico: al inicio, Timoteo regresa y al final se habla del regreso del Señor Jesús. Con la misma función, la repetición de «amor» (6c; 12b), que enfatiza la caridad de los Tesalonicences.

13

R. MEYNET, «Le leggi della retorica biblica. A proposito della “legge dell’intreccio al centro”», en R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del terzo convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, ReBibSem 2, Roma 2013, 349-364.

San Pablo y los Tesalonicences (1Tes 2,17–3,13)

165

El texto de la primera sub-parte se encuentra dominado por el «regreso» de Timoteo y el «gozo» que eso produjo en la comunidad paulina. En cambio, el texto de la última sub-parte se halla dominado por el regreso (parousia) del Señor Jesús, que debería producir los mismos frutos en la comunidad cristiana. Ambos movimientos se dirigen hacia el centro, donde se entremezclan los tres grupos. EL CONJUNTO DEL PASAJE (2,1–3,13) El pasaje que contiene la relación entre la comunidad de Pablo y la comunidad de los Tesalonicences está estructurado entonces de la siguiente manera: Pablo DESEA visitar ¿Ellos serán su gozo Pablo envía a Timoteo Satanás Regresa Timoteo ¿Cómo dar gracias a Dios Regreso del Señor Jesús

a la comunidad de los Tesalonicences ante la Parusía? para consolarles en sus sufrimientos

2,17-3,5b

obstaculiza el re-encuentro

3,5cd

y consuela a la comunidad paulina por este gozo recibido? con toda su comunidad

3,6-13

Las simetrías entre las partes extremas: La doble mención de «Timoteo» (3,6a; 3,2a) actúa como términos medios, enganchando las dos partes extremas. También la repetición de «hermano» actúa como términos medios, enganchando ambas partes extremas (3,7a; 3,2a), pero si relacionamos 3,7a con 2,17a ambos hacen de términos iniciales: en la primera parte se refiere a los miembros de la comunidad tesalónica y en la última parte a la comunidad paulina; en ese sentido, se entiende que Timoteo es «hermano» (3,2b) para ambas comunidades. También el sintagma idéntico «vuestra fe» (3,6b y 3,7c; 3,5b y 3,2c) hacen de términos medios. La misma función cumplen «consolarles» (3,2d) que envía a «fuimos consolados» (3,7a): al inicio es la comunidad paulina que consuelan a los Tesalonicences y al final sucede al revés. También hacen de términos medios, enganchando el texto, «tribulaciones» (3,7b) que reenvía a «tribulaciones» (3,3a) y «sufrir tribulaciones» (3,4b): al inicio son los Tesalonicences los que sufren y al final, la comunidad paulina. Además, «regresó» (3,6a) corresponde a la misma semántica de «envié» y «enviamos» (3,2b; 3,5b): en la primera parte Timoteo es enviado y en la segunda regresa a Atenas (3,1b). Al centro de las partes extremas se hallan «delante» (2,19d y 3,9c) y también «gozo» (2,19a.20a y 3,9b). Ambos términos, que solo aparecen al centro de estas partes, repiten la semántica anterior: al inicio, el «gozo» se refiere a la comunidad tesalónica y al final, a la comunidad paulina. En cambio, al inicio, «delante» describe la relación con «nuestro Señor Jesús» y al final con «nuestro Dios». Además, «ver» y «rostro», al centro de la última parte (3,10b), reenvía a «ver» y «rostro», al centro del primer fragmento de la primera parte (2,17cd), haciendo al

166

+ Ciro QUISPE

mismo tiempo de términos extremos. En ambos caso la semántica es idéntica: la comunidad paulina añora volverse a ver con la comunidad tesalónica. Pero ambos términos reenvían, a su vez, al fragmento central al inicio de la última parte (3,6ef), pero con una semántica opuesta: son ahora los Tesalonicences los que desean volver a ver a Pablo y su comunidad. Y en posición simétrica opuesta, pero con una misma semántica, se halla «venga-parousia» del centro de la primera parte (2,19e) y «venida-parousia» al final de la última parte (3,13c), ambos hacen además de términos finales. Por último, «confirmen», que aparece al final del fragmento de la última parte (3,13a) renvía a «confírmalos», al inicio del fragmento extremo de la primera parte (3,2c), actuando como términos extremos: al inicio Timoteo confirmará en la fe a los Tesalonicences y al final lo hará el Señor Jesús. 2,17 Pero nosotros, HERMANOS, al quedar huérfanos de vosotros por un breve tiempo, 18 DE ROSTRO más no de corazón, deseábamos ardientemente VER vuestro ROSTRO. Por lo cual quisimos ir a vosotros. Yo mismo Pablo lo intenté una vez y otra vez, pero Satanás nos lo impidió. 19

En efecto ¿Quién será nuestra esperanza o nuestro gozo o la corona de nuestro orgullo? ¿No lo serán también vosotros delante de nuestro SEÑOR JESÚS cuando Él VENGA? 20 Pues sí, vosotros sois nuestra gloria y nuestro gozo.

3,1 Por lo cual, no pudiendo soportar más, preferimos quedarnos solos en Atenas 2 y enviamos a Timoteo, nuestro HERMANO y colaborador DE DIOS en el evangelio de CRISTO, para CONFIRMARLOS y consolarles en vuestra FE, 3 para que nadie vacile en medio de las TRIBULACIONES. Porque vosotros sabéis muy bien que esa es nuestra condición. 4 Porque cuando estuvimos entre vosotros, les predijimos que íbamos a SUFRIR TRIBULACIONES y eso es lo que ha sucedió, como sabéis. 5 Por esta razón, también yo, no pudiendo soportar más, le envié (a Timoteo) para conocer la situación de vuestra FE. No sea que y en vano

tentó resultara

a vosotros el trabajo

el Tentador de nosostros.

6

Pero ahora que Timoteo regresó después de visitarles, nos ha traído buenas noticias de vuestra FE y de vuestra caridad. Nos cuenta que conserváis siempre un buen recuerdo de nosotros y que deseáis VERNOS como también nosotros a vosotros. 7 Por eso HERMANOS fuimos consolados por vosotros en todas nuestras necesidades y 8 TRIBULACIONES, motivados por vuestra FE. Ahora sí que vivimos, si vosotros permanecéis firmes en el SEÑOR. 9

¿Y cómo podremos dar gracias A DIOS, como recompensa por vosotros, por todo el gozo con que nos regocijamos delante de nuestro DIOS, a causa de vosotros, 10 mientras que noche y día le pedimos insistentemente volver a VER vuestro ROSTRO y completar lo que falta a vuestra FE?.

11

Que DIOS mismo, nuestro PADRE, y nuestro SEÑOR JESÚS dirija nuestros pasos hacia vosotros. 12 Y a vosotros, EL SEÑOR les haga crecer y abundar en la caridad unos con otros y para con todos, como también nosotros lo hacemos con vosotros; 13 para que se CONFIRMEN vuestros corazones, irreprensibles en la santidad, delante de DIOS Y PADRE nuestro, en la VENIDA de nuestro SEÑOR JESÚS, con todos sus santos, Amén.

San Pablo y los Tesalonicences (1Tes 2,17–3,13)

167

Nótese además que, en ambas partes extremas, se repite constantemente «nosotros» y «vosotros» (en la primera parte: 6 veces «nosotros» y 12 veces «vosotros»; en la última parte: 13 veces «nosotros» y 14 veces «vosotros»; pero si añadimos el «nosotros» de 3,5d sería 14 veces también el «nosotros»). Del mismo modo, aparece en forma proporcional la repetición de los nombres divinos (en la primera parte: 1 vez «Dios» y 1 vez «Señor Jesús»; en la última parte: 4 veces «Dios» con 2 menciones específicas como el «Padre de nosotros»; y 4 veces «Señor» con dos menciones específicas como «Jesús»). Las simetrías entre la parte central y las partes extremas Del centro hacia la primera parte, aparece «Tentador» (5c) reenviando a «Satanás» (2,18c), lo mismo que «tentó» (5c) a «estorbó» (2,18c); en ambos casos se menciona el mismo sujeto con una idéntica acción. En cambio, del centro hacia la última parte, se entiende mejor desde la óptica gramatical 14. El temor inicial de Pablo (3,5c), que reenvía a toda la primera parte, se diferencia por su nueva inquietud frente al futuro, toda la última parte, y el trabajo misionero (3,5d) que no debe ser bloqueado por Satanás. El misterio de la relación cristiana consiste en no dejarse tentar y mirar hacia adelante, como lo ratificará el regreso de Timoteo (3,6-13). Por otro lado, los términos «vosotros» y «nosotros» de la parte central (3,5cd) enganchan a la última parte donde ambos términos se repiten en forma proporcional (14 veces cada uno)15 y también con la primera parte en forma menos proporcional — como lo señalamos más arriba. Entonces, mutatis mutandis el Tentador, que es mencionado también como Satanás (18c) no se opone a la figura de Dios directamente sino «obstaculiza» la relación entre el «nosotros» y el «vosotros», es decir, impide una relación fluida entre la comunidad paulina y la comunidad tesalónica. Relación que consiste en el deseo profundo de volver a ver el «rostro» del otro (2,17; 3,10). Del mismo modo, mutatis mutandis, el Tentador obstaculiza la «visita» (parousia), del Señor Jesús a la comunidad cristiana, quienes a su vez desean volver a ver su rostro.

II. CONTEXTO 1. HERMANOS (adelphos/oi) De las 19 veces que aparece en 1Tes, 3 veces se repite «hermanos» en el texto: dos al vocativo (2,17; 3,7) y una al acusativo (3,2). Para los Tesalonicences, «hermanos» designaba, según el trasfondo griego-romano, un pariente familiar cercano, un miembro de alguna asociación cultural-comunitaria o el integrante de un grupo religioso que abundaban en aquel puerto como en 14 15

Ver nt. 10. Ver el análisis anterior, «Las simetrías entre las partes extremas» (p. 13).

168

+ Ciro QUISPE

cualquier polis antigua. Sin embargo, según la tradición judía «hermano» posee un uso exclusivo. Designaba únicamente otro miembro del pueblo elegido de Israel (Lv 17,18)16. Tradición que continuó incluso después de la época neotestamentaria. Si consideramos la Primera a Tesalonicenses como el primer escrito del NT, entonces, es la primera vez que «hermanos» aparece designando a los cristianos, ya sea provenientes del judaísmo como del paganismo. Sería la primera vez que un judío-fariseo como Pablo llama así a una comunidad mixta. Es más, el Apóstol, en este mismo texto, les añadirá otro calificativo cristiano mucho más íntimo y universal: «amados por Dios» (1,4: ēgapēmenoi). Y todos estos «hermanos» formarán parte de la ekklesia del Señor (1Tes 2,14), de la comunidad del Señor a la cual fueron llamados (1Tes 2,12). Esta novedad, que vale la pena subrayarla, no es sino uno de los frutos que trajo la resurrección de Jesucristo el Señor (Lc 10,25-37; Mt 26,62–28,20)17. 2. ROSTRO (prosopōn) Y GLORIA (doxa) Las 3 únicas veces que en 1Tes aparece prosopōn («persona», «rostro»), se hallan en este texto. Y de las 3 veces que aparece doxa («gloria»), una aparece aquí (1Tes 2,6.12.20). Si ambos términos están unidos en un mismo pasaje, resulta interesante su uso y semántica sobre todo en el mundo bíblico, que sin lugar a dudas posee una semántica diversa a la cultura helenística. Prosopōn designa normalmente la «máscara», el «rostro» o la «persona» que ya tiene un rol dentro de la sociedad. Sucede igual con los LXX, que tradujeron pānîm con prosopōn («rostro» o «cara»), indicando siempre la parte expuesta del ser humano. Sin embargo, los LXX también usan este término para indicar, siempre en un lenguaje antropomórfico, el «rostro» de Dios. Es decir, la parte de la Divinidad que se dirige al hombre (Gn 32,21; Nm 6,25-26; Dt 32,20)18. Este rostro (prosopōn), también dentro de la tradición hebrea, se puede designar con otra expresión bíblica sinonímica, indicando siempre el «rostro» visible de Dios. Ese término es «gloria» (doxa). Cuando ambos términos aparecen juntos en el texto, la semántica se clarifica recíprocamente. Basta un texto como ejemplo: el anciano Moisés, después de haber contemplado, como ningún otro hombre en la tierra, los prodigios divinos, hizo una súplica insólita al Señor: 18

Entonces Moisés dijo a Yahvé: «Déjame ver tu gloria (doxan)». 19 Él le contestó: «Yo haré pasar ante tu vista toda mi bondad y pronunciaré delante de ti el nombre de 16

Ver G. BARBIERO, L’asino del nemico: rinuncia alla vendetta e amore del nemico nella legislazione dell’Antico Testamenteo (Ex 23,4-5; Dt 22,1-4; Lv 19,17-18), AnBib 128, Roma 1991. 17 R. MEYNET, La Pasqua. Testamento, proceso, esecuzione e risurrezione di Gesú nei vangeli sinottici, ReBib 5, Bologna 2002, 387-389; C. QUISPE, La nueva alianza durante las enseñanzas de Jesús en el Templo de Jerusalén. Análisis retórico y semítico de la secuencia de Mc 11,27– 12,44, TG. Teologia 189, Roma 2012, 278-198. 18 E. LOHSE, «pro,swpon», GLNT, IX, 411; 417.

San Pablo y los Tesalonicences (1Tes 2,17–3,13)

169

Yahvé; pues concedo mi favor a quien quiero y tengo misericordia con quien quiero». 20 Y añadió: «Pero mi rostro (prosopōn) no podrás verlo, porque nadie puede verme y seguir con vida». 21 Yahvé añadió: «Aquí hay un sitio junto a mí; ponte sobre la roca. 22 Al pasar mi gloria (doxa), te meteré en la hendidura de la roca y te cubriré con mi mano hasta que yo haya pasado. 23 Luego apartaré mi mano, para que veas mis espaldas; pero mi rostro (prosopōn) no lo verás». (Ex 33,18-23)

Dicho de otro modo y en forma sintética, prosopōn denota relación, ya sea a nivel inter-personal como también a nivel teológico, entre el hombre y la Divinidad y viceversa. Esos términos aclaran además la triple repetición de la preposición emprosthen, «delante», que aparece en el texto: al inicio, delante de nuestro Señor Jesús (2,19), luego «delante» de nuestro Dios (1Tes 3,9) y al final delante de Dios Padre y del Señor Jesucristo (3,13)19. Es decir, delante de su «rostro» (Ex 33,18-23). Por esta razón, se ha preferido usar «rostro» en lugar de «persona», como lo hacen todas las biblias y comentarios; y al mismo tiempo clarifica el concepto de «gloria», referidos a los Tesalonicences, que aparece en este texto (2,20). 3. TRIBULACIONES (thlipsis, thlipseis) Y CONSOLACIÓN (paraklēsis, parakaleō) De las 8 veces que en 1Tes aparece el verbo parakaleō, 4 están en este texto; y de las tres veces que se menciona thlipsis (1,6; 3,3.7) dos aparecen aquí, más la única forma verbal (3,4: thlipseis). Cuando ambos términos aparecen juntos, casi siempre se corresponden, pues el «sufrimiento» (thlipsis) espera una «consolación» (paraklēsis). Ambos términos aparecen juntos en 1Tes y en varias cartas paulinas canónicas. Los LXX traducen generalmente ṣārâ con thlipsis: «angustia, sufrimiento, tribulación», que además en su sentido teológico se refiere básicamente a las aflicciones y sufrimientos del pueblo de Israel, y generalmente posee una connotación salvífica como sucedió en los tiempos del éxodo y del exilio (Ex 4,31; Is 26,16; 37,3). En ese sentido, thlipsis posee un valor escatológico asociado al «día de la tribulación» y también al tiempo de la visita del Señor (Nah 1,7; Dn 12,1; Sof 1,15)20. Ambas connotaciones subsisten en la literatura neotestamentaria. Es decir, con relación a los sufrimientos cotidianos y también bajo una esperanza escatológica. En la parábola del sembrador, Jesús dice que hay cristianos que «no tienen raíz en sí mismos, sino que son inconstantes; pues en cuanto se presenta una tribulación (thlipsis) o persecución por causa de la palabra, sucumben en seguida» (Mc 4,17). Pero este término aparece varias veces en el anuncio escatológico, donde los sufrimientos (thlipsis) están asociados también al tiempo de la venida del Señor:

19 20

Ver además: 2Cor 3,18; 2Cor 4,6; Ap 22,4. H. SCHLIER, «qli,bw, qli/yij», GLNT, IV, 526.

170

+ Ciro QUISPE

19

Porque aquellos días habrá una tribulación (thlipsis) cual no la hubo desde el principio de la creación, que hizo Dios, hasta el presente, ni la volverá a haber. […]. 23 Vosotros, pues, estad sobre aviso; mirad que os lo he predicho todo […]. 24 «Mas por esos días, después de aquella tribulación (thlipsis), el sol se oscurecerá, la luna no dará su resplandor […], 26 Y entonces verán al Hijo del hombre que viene entre nubes con gran poder y gloria; 27 entonces enviará a los ángeles y reunirá de los cuatro vientos a sus elegidos, desde el extremo de la tierra hasta el extremo del cielo» (Mc 13,1927).

Por otra parte, según la tradición veterotestamentaria, existen dos tipos de consolación (paraklēsis, parakaleō): la humana (Gen 37,35) y la divina (Is 57,18). Pero, la verdadera consolación proviene solo de Dios, quien no solo se auto-califica como el Consolador (Is 51,12), sino que además puede consolar tanto al individuo como al pueblo (Is 23,4 y Is 51,11s.; Is 40,1; Jr 32s.). También la consolación puede llegar a través de otros medios como los profetas o como su Siervo, el más grande Consolador21. De ahí que la consolación en Israel posee asimismo una categoría escatológica (Lc 2,25). Pablo, en sus cartas como en el pasaje que estamos analizando, usa esta doble acepción. Un ejemplo nítido se halla en 2Cor 1,3-4: 3

¡Bendito sea el Dios y Padre de nuestro Señor Jesucristo, Padre misericordioso y Dios de toda consolación, 4 que nos consuela (parakalōn) en toda tribulación (thlipsei) nuestra para poder nosotros consolar (parakalein) a los que están en toda tribulación (thlipsei), mediante el consuelo (paraklēseōs) con que nosotros somos consolados (parakaloumetha) por Dios!

Y como ya se indicó, paraklēsis posee también una dimensión escatológica en los escritos paulinos, sobre todo cuando va unido a «confirmar» y «esperanza» como sucede en 1Tes 3,11-13 y en otros textos como 2Tes 2,16-17: 16

Que el mismo Señor nuestro Jesucristo y Dios, nuestro Padre, que nos ha amado y que nos ha dado gratuitamente una consolación (paraklēsin) eterna y una esperanza (elpida) dichosa, 17 consuele (parakalesai) vuestros corazones y los confirme (stērixai) en toda obra y palabra buena.

4. SATANÁS (satanas; ho peirazōn) Pablo nunca usa diabolos, sino satanas para señalar al tentador, al ho peirazōn (1Tes 3,5) bajo dos acepciones precisas22. Ya sea como causante de la división y como el que impide la unión entre las distintas comunidades cristianas, bajo diversas situaciones como pueden ser la relaciones interpersonales entre cristianos (1Cor 7,5; 2Cor 2,11; 1Tes 3,5; 1Tim 2,10), la oposición dentro de la vida comunitaria (1Cor 5,5; 2Cor 2,11), de la cual ni siquiera los mismos evangelizadores están excluidos (2Cor 11,13-14); del mismo modo, Satanás es quien impide la relación del cristiano con Dios, porque engaña y pervierte a los 21 22

W. FOERSTER, «satana/j», GLNT, 1429. I. ROJAS GÁLVEZ, Desde vosotros ha resonado la palabra (cf. nt. 1), 263.

San Pablo y los Tesalonicences (1Tes 2,17–3,13)

171

cristianos alejándoles de la verdad y de la salvación (2Tes 2,10)23. Y ya sea, por otro lado, como el tentador (ho peirazōn) de los cristianos, bajos distintas modalidades, estorbando así el trabajo apostólico24. En 1Tes 2,18, que se halla dentro del pasaje 2,17–3,13, posee esta misma semántica, pues Satanás, tal como lo dice Pablo, «impide» (eg-koptō; eg-koptein) que avenga la visita tan esperada de Pablo a los Tesalonicences; es decir, Satanás impide que ambas comunidades se encuentren nuevamente; pues el rol de Satanás, como ya se dijo, consiste precisamente en actuar lo contrario. Así lo dijo el mismo Jesús en Mt 12,25-26: «Todo reino dividido contra sí mismo queda asolado, y toda ciudad o casa dividida contra sí misma no podrá subsistir. Si Satanás expulsa a Satanás, contra sí mismo está dividido: ¿cómo, pues, va a subsistir su reino?

Por otro lado, la figura de Satanás está vinculada también con la parousia que se menciona en este pasaje (1Tes 2,19; 3,13)25. Aquí aparece como aquel que «impide» que Pablo visite a la comunidad de los Tesalonicenses. Mientras que en la segunda carta, se señala que Satanás impide (katechō) que el Señor venga o visite su comunidad (2Tes 2,5-9). 5

¿No os acordáis que ya os dije esto cuando estuve entre vosotros? 6 Vosotros sabéis qué es lo que ahora le retiene (katechō), para que se manifieste en su momento oportuno. 7 Porque el misterio de la impiedad ya está actuando. Tan sólo con que sea quitado de en medio el que ahora le retiene (katechō), 8 entonces se manifestará el Impío, a quien el Señor destruirá con el soplo de su boca, y aniquilará con la manifestación de su Venida (parousia). 9 Y la venida del Impío estará señalada por el influjo de Satanás…

5. VENIDA DEL SEÑOR (parousia) De las 4 veces que aparece parousia en 1Tes, dos están este pasaje (y otras 3 veces aparece en 2Tes). Pablo usa este término en sentido profano «presenciavisita-venida) y también en sentido religioso («la venida del Señor»). Para los Tesalonicences, parousia tenía un significado profano, según la cultura y la tradición griego-romana. Denotaba la presencia-visita-venida del Emperador con su séquito a una polis que también lo aguardaba con sus autoridades y la comunidad entera o la visita de algún alto funcionario que lo representaba, el cual venía también con su séquito. Pero también poseía un sentido religioso, pues indicaba la visita de una divinidad. Aunque era muy poco usado en ese sentido. Para los judíos de la diáspora, como aquellos que vivían en Tesalónica, tenía solo un sentido profano, como se atestigua en los LXX26. 23

R. FABRIS, 1–2 Tessalonicensi. Nuova versione, introduzione e commento, Milano 2014,

106. G. STÄHLIN, «evgko,ptw, evgko,pth», GLNT, V, 845; H. SEESEMANN, «peira,zw», GLNT, IX, 1413. A. OEPKE, «parousi,a», GLNT, IX, 860; P. IOVINO, La prima lettera ai tessalonicesi, Bologna 1992, 167. 26 A. OEPKE, «parousi,a», GLNT, IX, 844. 24 25

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Pablo sabe que en algún momento sucederá la presencia-visita-venida-parousia del Señor Jesús (1Tes 2,19; 3,13).Y también sabe que esta visita se realizará con sus séquito, que en este caso serán «sus santos» (1Tes 3,13). Y desde el otro lado, Pablo entienden también que, ante la parousia del Señor Jesús, se presentará con su séquito, que en este caso serán los Tesalonicences: «¿Quién es nuestra esperanza o nuestro gozo o la corona de nuestro orgullo? ¿No lo serán también vosotros, delante de nuestro Señor Jesús, cuando Él venga?» (1Tes 2,19). Por eso, esta comunidad se debe preparar para la «visita» del Señor y la mejor manera es manteniéndose «irreprensibles» (amemptoi) en todo (3,13). Y eso es precisamente lo que Pablo súplica al Señor, para que el Señor pueda «confirmar vuestro corazones, irreprensibles en la santidad, delante de Dios y Padre nuestro, en la venida de nuestro Señor Jesús, con todos sus santos» (1Tes 3,13). Esta oración paulina conecta la Parusía con su dimensión escatológica, pues más adelante suplicará de nuevo pidiendo que los Tesalonicences, «se conserven irreprensibles hasta la Venida de nuestro Señor Jesucristo» (1Tes 5,23).

III. INTERPRETACIÓN 1. LA ORFANDAD DE PABLO Y DE SU COMUNIDAD Pablo tuvo que escapar violentamente de Tesalónica solo después de tres semanas de apostolado, según Hch 17,1-927. No solo dejó una comunidad con una formación incompleta respecto a la fe (10c), sino dejó también una familia, su familia cristiana de quienes ya se sentía «madre» y «padre» (2,7.11), o mejor aún, a quienes ahora los consideraba sus «hermanos» (2,17a; 3,7a); hermandad en el sentido cristológico que el Resucitado había inaugurado por medio de la Resurrección (Mt 28,10)28, en esta nueva creación (Ef 4,24). Aquella separación forzosa, provocó en Pablo, durante su breve permanencia en Atenas una soledad dolorosa (3,1b) y un nuevo vacío sentimental que él lo califica como orfandad (2,17a). Orfandad en el sentido griego del término (que no existe en español), pues él como padre sintió que le fueron arrebatados sus hijos, «sus propios hijos» (2,17a; 3,7a). No son ellos los huérfanos, sino Pablo y su comunidad. Esta situación singular, que se podría calificar «nueva» en términos incluso familiares, ocurre al interno de las inter-relaciones cristianas o dentro de la familia cristiana, que al mismo tiempo subraya la nueva condición del creyente. De este modo, la completa identidad de Pablo y su comunidad, lo mismo que sucede con la comunidad tesalónica, norman ahora las futuras relaciones inter-eclesiales. Sin embargo, Pablo no vivió pasivamente su condición de «huérfano» (2,17a). A pesar de la distancia y la ausencia física (2,17b), él intentó varias veces reencontrarse con los Tesalonicences; aunque no sabemos cuántas ni cómo fueron 27

Hay quien incluso hipotiza «un mes», ver: F. MARÍN, Evangelio de la esperanza, evangelio de la unidad. Cartas de San Pablo a los Tesalonicenses y a los Filipenses, Madrid 1979, 38. 28 R. MEYNET, La Pasqua (cf. nt. 17), 387-389

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aquellos intentos (2,18b). Esto es precisamente lo que provocó la angustiosa orfandad como fue la orfandad cristiana. Cuánto más pasa el tiempo, por breve que fuera (2,17b), el huérfano no añora sino ver el «rostro» del padre, o según los sentimientos paulinos, el padre añora ver el «rostro» del hijo (Lc 15,25); del mismo modo que, el hermano en la fe añora volver a ver el «rostro» de su hermano de comunidad (2,10b) y para eso no hace sino suplicar al Señor (2,10). La dolorosa orfandad no puede ser el fin último en las relaciones humanas cristianas. La orfandad paternal, filial o fraternal exige, entonces, un pronto reencuentro (2,17de), para que el gozo sea pleno (3,9b), lo cual se realiza solo volviendo a ver el «rostro» del otro (2,10a). Imaginémonos, mutatis mutandis, la añoranza (orfandad) de los apóstoles ante la ausencia del «rostro» (prosopōn) de Jesús. Por eso, la parousia de Jesús es más que añorada, pues cuanto más pronto suceda su realización portará gozo a sus discípulos. Desde esta perspectiva, no fue entonces una mera coincidencia, o una intromisión textual, que Pablo se refiera precisamente en este pasaje a la venida, parousia, del Señor Jesús, subrayando no solo su pronto advenimiento sino también los frutos de este reencuentro (5,2). Pero, como ya se ha anotado, y ese es el meollo del tema, quien impide la realización de este reencuentro no es sino Satanás (2,18c). 2. EL ROSTRO DEL PRÓJIMO Cuando se extraña a alguien, como se acaba de indicar, se extraña precisamente su «rostro» (2,17d), si queremos ser específicos como los hebreos. Por tres veces se repite, en este pasaje la expresión: «volver a ver vuestro rostro» (2,17; 3,6; 3,10). Al inicio se trata de un deseo profundo de Pablo y su comunidad (2,17), luego este deseo se convierte en una súplica incesante al Señor (3,10); y lo mismo se puede decir de parte de la comunidad de los Tesalonicences (3,6f). La novedad de esta profunda relación, por otro lado, entre ambas comunidades cristianas consiste precisamente en esta nueva condición cristiana. Nueva porque una persona singular se identifica complemente con toda la comunidad y viceversa. Pues, para Pablo los Tesalonicenses poseen un «rostro» único y singular (2,17b; 3,10b), que él seguramente lo configuró y que ahora lo extraña. Por su parte, Pablo y su comunidad, que estaría compuesta en ese momento por Timoteo, Silas y Lucas y tal vez por algunos más (He 17,15), posee también un rostro específico a los ojos de los Tesalonicences, que por su parte también ellos añoran volverlo a ver (3,6f). Y el rostro de una comunidad, como el rostro de la familia, no se configura sino por medio de una relación sincera y edificante (3,2cde), aunque la cosa puede suceder también al revés. Por otra parte, en el mundo bíblico, «rostro» es también sinónimo de «gloria», pues todos reflejamos con el rostro la gloria del otro o del Otro (Ex 33,18s). «El varón no debe cubrirse la cabeza, pues es imagen de la gloria de Dios; pero la mujer es gloria del varón», lo dirá san Pablo más tarde (1Cor 11,7). Entonces no es una coincidencia que Pablo al mencionar el «rostro» de los Tesalonicences se refiera asimismo a la «gloria» de ellos, gloria-rostro de Pablo en la cual se

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convertirán cuando venga el Señor Jesús (2,20). Gloria, además, que Pablo lo ha configurado. De este modo, salta aquí otra novedad en el texto. Los Tesalonicences son la «gloria» de Pablo, del mismo modo que «la mujer es la gloria del varón». No se trata de una metáfora bella sino de una realidad cristiana, que se puede expresar de otro modo: «ustedes son nuestra carta de presentación» (2Cor 3,2-3) antes los hombres y antes el Señor. La añoranza, entonces, no manifiesta sino la ausencia del otro, o sea, en términos cristianos la ausencia del «rostro» del otro. Mutatis mutandis, de acuerdo a la fe cristiana, se añora el regreso y la presencia de Jesús, nuestro Señor (1Cor 16,22). Es decir, los cristianos no pueden no añorar volver a ver el rostro del Señor, del mismo modo no pueden no añorar su regreso. Cada cristiano ansia y suplica, entonces, por la pronta parousia de nuestro Señor Jesús. 3. LA DOBLE DIMENSIÓN EN LAS RELACIONES CRISTIANAS «No pudiendo soportar más, enviamos a Timoteo», cuenta Pablo (3,1a). La orfandad y la añoranza, que entre otras cosas provoca soledad, tal como lo vivió Jesús en la pasión (Mc 15,34). Son aflicciones incontrolables, como también lo experimentó el mismo Apóstol en Atenas (3,1b). Pero el deseo cristiano de estar con el otro, no solo proviene como deseo humano sino también como deseo eclesial y en ese sentido es escatológico. Cuando Pablo envió a Timoteo donde los Tesalonicences, no lo presentó sino enfatizando su doble misión apostólica (3,2): por un lado, la dimensión humana y por el otro lado, la dimensión teológica. Timoteo es presentado como un «hermano» de la comunidad (3,2a), un hermano puente entre la comunidad paulina y la comunidad tesalónica. Y como tal tenía una doble tarea misionera: conocer las necesidades y sufrimientos de la comunidad (3,2e) y con la misma intensidad preocuparse por la fe de los Tesalonicenses (3,2cd). Se trata de una preocupación integral, como se diría hoy. Los sufrimientos que padecen los Tesalonicences (3,4b), que se mencionaron en el pasaje anterior (1Tes 2,1-16), que son descritos en las Actas (17,5), exigen aquello que cualquier sufrimiento cristiano lo exige siempre, del mismo modo que lo exigió los sufrimientos de Cristo (1Cor 1,5). No se trata de la liberación del sufrimiento, sino de «consolar» al que sufre, en sus aflicciones (3,2d; 3,7a; Mt 5,5) y asistir a sus necesidades (3,7b). Esa fue la primera tarea de Timoteo y que Pablo lo madurará mejor en la vejez (2Cor 1,3-11). Porque los sufrimientos, tal como lo «predijo» san Pablo son inherentes a cada comunidad cristiana (3,4b). Y así como Timoteo debe consolar a los Tesalonicences, ellos por su parte lo harán de la misma manera con la comunidad paulina, en sus necesidades y sufrimientos (3,7). La segunda tarea apostólica consiste en velar por la fe de la comunidad (3,5b). En ese caso, y en cierto modo la tarea es semejante a la anterior, pues también posee dos características singulares: por un lado, el misionero debe «completar» aquello que falta para una formación sólida y teológica de la comunidad (3,10c) y por otro lado, debe «confirmarles» en la fe (3,2c). Y aquí, igual que la tarea

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anterior, la relación no es unidireccional (3,7-8). Así es como se muestra la perfecta empatía entre ambas comunidades. Mutatis mutandis, la comunidad cristiana debe añorar lo mismo con la parousia del Señor, pues Él es el gran Consolador (Is 40,1s) y quien con su venida llevará a plenitud aquello que hoy creemos y nos consolará con el gozo eterno. Por eso urge mantenerse irreprensibles en la santidad y en la caridad (3,13b). De este modo, podemos deducir que la doble dimensión misionera del apostolado, culmina con la dimensión escatológica, cuando el Señor venga a visitarnos (3,13). Así como Pablo y su comunidad añoraron el retorno feliz de Timoteo, del mismo modo los cristianos añoramos el retorno glorioso del Señor Jesús. Por lo tanto, esta dimensión escatológica de la comunidad cristiana es precisamente lo que lo diferencia de cualquier otra comunidad, ya sea seglar o social. 4. LA PAROUSIA ES COMUNITARIA «No pudiendo soportar más, enviamos a Timoteo», revela Pablo (3,1a). Y lo envió con una misión específica como lo acabamos de explicar. No sabemos cuánto duró la visita de Timoteo entre aquellos, lo cierto es que regresó al poco o mucho tiempo (3,6a). El regreso del hijo querido de Pablo (2Tim 1,2), no solo portó buenas noticias y buenos comentarios (3,6), sino que además trajo un gesto de generosa caridad para socorrer las necesidades de estos (3,7b). Esta fue la parousia de Timoteo frente a su comunidad, en el sentido etimológico de término29. El tan ansiado retorno de Timoteo consoló, entonces, a la comunidad afligida de Pablo y al mismo tiempo los colmó de gozo (3,9b). Tanto así que suscitó en ellos del deseo de dar gracias a Dios (culto) como recompensa por todo los beneficios recibidos a causa de aquellos (3,9a). Pero esta acción de gracias se transformó en súplica (3,10a), como sucedía y se aprovechaba durante la parousia del Emperador a cualquier pueblo remoto. Sin embargo, la súplica de Pablo no fue sino a favor de aquellos mismos y de su misma comunidad (3,11-13), pues ambos necesitaban, como necesita cada comunidad cristiana, «crecer en la caridad» y mantenerse «irreprensibles en la santidad» (3,12-13ab), como preparación para la venida-visita del Señor Jesús (3,13d). Para que no se olvide, Pablo lo repetirá al final de la carta (5,23). Mutatis mutandis, así como sucedía entonces con la visita del Emperador, la comunidad cristiana tenía que prepararse adecuadamente para acoger la verdadera y tan añorada visita-parousia del Señor Jesús (3,13ab), la cual es una verdad irrenunciable. La comunidad cristiana está llamada, entonces — como se acaba de señalar — a estar lista para recibir a su Señor, para vivir este re-encuentro escatológico y comunitario. Así como el Emperador 29

Ver «contexto bíblico» del término. Además, entre biblistas, ya se ha llamado a tan la anhelada visita de Pablo a la comunidad de los Tesalonicences, como la «parusía apostólica». Así E.S. MALBON, «“No Need to Have Any One Write?”» (cf. nt. 1), 70-71; J. LAMBRECHT, «Thanksgiving in 1Thessalonians 1-3» (cf. nt. 1), 152. Sin embargo, también se podría denominar de la misma manera el «regreso» de Timoteo.

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visitaba o venía (parousia) con todo su séquito ya sea a la Roma imperial o cualquier otra ciudad, del mismo modo, sucedió con el «retorno» tan esperado de Timoteo por la comunidad paulina (3,2a; 35b) y ahora se espera la «visita» de Pablo. Mutatis mutandis, Jesús el Señor vendrá con todos sus santos a visitar a su pueblo que ha sido convocado (3,13; 5,23-24). Entonces, novedad absoluta, la parousia es comunitaria desde ambas partes; por lo tanto, el gozo también es recíproco (3,9b). Y como ambas comunidades cristianas están alejadas una de la otra, por el momento, alejadas en el rostro más no en el espíritu (2,17b), ambos por el momento viven entonces un gozo incompleto hasta la anhelada parousia del Señor Jesús. 5. SAN PABLO Y SATANÁS Casi todos los personajes en el texto aparecen en par. Por un lado, Pablo y Timoteo, quien es presentado como el «hermano» de la comunidad paulina (3,2a) y también de la comunidad tesalónica, cuya misión apostólica no fue sino la de unir ambas familias cristianas (3,1.5). Desde esta óptica, podríamos también individuar otro par de personajes que serían tanto la comunidad paulina como la comunidad tesalónica, ambos en situaciones semejantes; pues viven la aflicción de la lejanía del otro y ambos añoran volver a ver el rostro del otro (3,6ef). Y por otro lado, son mencionados un par más figuras, pero esta vez ya no pertenecientes al plano humano sino divino: Dios nuestro Padre (3,9.11) y Jesús nuestro Señor (2,19.12). Al Primero se le da gracias (eucharistein), como recompensa (3,9a), por todos los beneficios recibidos a través de la inter-relación comunitaria y personal; beneficios que ellos experimentaron a través de la caridad, el gozo y la consolación recíproca (3,7.9); y al mismo tiempo a Él se le súplica para que «dirija» los pasos del Apóstol y de su comunidad (3,11c) para que se realice el tan anhelado re-encuentro fraterno, que no significa otra cosa que volver a ver el rostro del otro (3,10). Así es la plenitud en las relaciones humanas, pero como se observa, dependen también de la bondad del Señor, a la cual san Pablo invoca por medio de la oración insistente y comunitaria (3,9-10). Y al Segundo, es decir, a Jesús nuestro Señor, se pide, en cambio, que les haga crecer y abundar en la caridad, o sea, en el amor fraterno (3,12), no solo con ellos sino con todas las comunidades; beneficios que ellos ya experimentaron cuando fueron socorridos también en sus necesidades (3,7; 1,7); y al mismo tiempo, se ruega para que Él mantenga firme los corazones de los cristianos (3,13a), sobre todo en las tribulaciones que debe padecer cualquier comunidad cristiana, tal como Pablo les había también advertido en su momento (3,4); sin embargo, eso no impide que una comunidad necesite del consuelo de la otra comunidad hermana, del mismo modo que todos los cristianos esperan el consuelo de nuestro Jesús «cuando él venga» (2,19, 3,13). Así es como Pablo confirma en la fe a sus hermanos los Tesalonicences, al mismo tiempo que los consuela en medios de sus sufrimientos. Esa es tu tarea (3,3bc). Y es así como una comunidad se mantiene irreprensible en la santidad (3,13b), si tiene en

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cuenta estas dos características fundamentales y propias como es la fe y la caridad (3,6c; 3,12b). De ese modo, la santidad irreprensible se convierte no solo en la identidad singular (el rostro) de la comunidad cristiana sino que además expresa la perfecta relación entre ellos, a nivel personal, a nivel eclesial como también a nivel escatológico, cuando las interrelaciones comunitarias cristianas lleguen a su plenitud. Por eso se espera y se ruega la pronta venida-visita, parousia, del Señor Jesús (3,13). Del mismo modo que ambas comunidades cristianas, ya sea la paulina como la tesalónica, experimentaron la importancia y el gozo de la visita de Timoteo (3,2.6), mientras esperan ansiosos la visita de Pablo, también ahora todos anhelan la venida-visita del Señor Jesús, lo cual no será sino el gozo en plenitud y la confirmación plena a todo lo que se cree y espera (3,19-10). De ahí que surge la súplica incesante por el advenimiento de esta promesa, tal como lo revela el mismo Pablo, quien al inicio manifestó que se halla en oración «delante» del Señor Jesús (2,19d), luego «delante» de Dios Padre (3,9c) y al final «delante» de ambos (3,13c) y siempre con la misma súplica y el mismo deseo escatológico. Pero en esta serie de personajes, existe uno que no tiene “par” aparentemente: Satanás o el tentador (2,18c; 3,5c). Pero si recurrimos al mundo bíblico este personaje nunca está solo, porque «son muchos» (Mc 5,9). De este modo el texto se esclarece nítidamente, pues también él aparece con su «comunidad», pero esta vez con un doble rol30 completamente opuesto a aquello que están viviendo las comunidades cristianas. Por un lado, Satanás no hace sino obstaculizar las interrelaciones cristianas fundadas sobre la comunicación de la fe y la caridad (2,18c), del mismo modo que impide el re-encuentro entre ambas comunidades que añoran volver a ver el rostro del otro (3,6ef), lo que significa ver la gloria del otro (2,20). Es esto lo que al cristiano provoca gozo como lo experimentó Pablo y su comunidad (2,20). Y es precisamente esto – dentro de un plano humano – lo que pretende impedir el Tentador (3,5). Por otro lado, siempre bajo el criterio de su doble función, Satanás pretende obstaculizar – dentro de un plano escatológico – el pronto re-encuentro entre Jesús nuestro Señor, que viene con «todos sus santos», y la comunidad cristiana que lo espera en medio de sufrimiento y tribulaciones pero fuertes en la fe y en la caridad (3,13). Satanás es, entonces, el que impide la efectividad del re-encuentro cristiano y comunitario, es decir, que el rostro del otro sea visible al otro. Y es además el tentador por excelencia para que el cristiano no anhele el re-encuentro con Jesucristo, tal como se suplica su pronto advenimiento en la parousia. Dicho de otro modo, Satanás el tentador obstaculiza las relaciones humanas a nivel intereclesial, de la cual debemos estar prevenidos y al mismo tiempo tienta a la comunidad cristiana a nivel teológico-escatológico para que ya no anhele el reencuentro con Jesucristo el día de la parousia (2,19; 3,13).

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I. ROJAS GÁLVEZ, Desde vosotros ha resonado la palabra (cf. nt. 1), 251-272: «impedir y tentar».

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La perfecta relación cristiana, que es la clave de un sostenimiento y complemento misionero, corre siempre el riesgo de caer en la tentación y desolación humana. Pablo, en este pasaje, ha mostrado las tres dimensiones fundamentales de una comunidad cristiana, que a pesar del sufrimiento y la lejanía configura la identidad y el rostro de la comunidad unida en la fe en el Señor. Se trata, en primer lugar, de la importancia de la relación inter-comunitaria. La vida eclesial no se edifica ni se sostiene únicamente en la relación del individuo cristiano y su comunidad, aunque esta relación signifique una identidad plena entre el «yo» y el «nosotros» (2,17-18), sino también la vida eclesial plena, que llena de gozo al otro (2,9), se construye además sobre una relación inter-comunitaria o intereclesial. La comunidad paulina y la comunidad de los Tesalonicences se han fusionado en una sola comunidad al compartir sus necesidades, sus sufrimientos y sus añoranzas como también su crecimiento en la fe y su generosa caridad (2,6-7). Y a la vez, se ha fusionado en una única comunidad, que comparten un mismo anhelo escatológico como es el re-encuentro con el Señor Jesús (3,13; 5,23). En ese sentido, cobra luz aquello que dijo Pablo de los Tesalonicenses, que en vistas de una realización escatológica recíproca. La visita del Señor Jesús, parousia, no se realizará a cada comunidad en su pura individualidad, qué también sucederá, sino que además se actuará a toda la ekklesia, como una única familia en el Señor (2,17). De ahí que el rol de una comunidad no es sino configurar el perfil de la otra comunidad, pues el día de la Parusía el otro se convertirá para uno en esperanza, gozo y corona de orgullo y viceversa (2,19). Y no será solo en aquel día, el Día del Señor, sino que esta verdad eclesial y escatológica sucede ya, desde ahora entre las comunidades, tal como lo ha vivido el mismo Pablo (2,20). Pero esta perfecta relación cristiana se puede desvirtuar por el trabajo del Tentador (3,5c). Por eso es importante, que en el trabajo misionero apostólico una comunidad se deje configurar por la otra, y viceversa; y el otro se convierta en el rostro de uno, como expresión de la gloria del Señor, gloria que lo contemplaremos el día de su visita o parousia.

Prelatura de Juli Plaza de armas s/n Apartado 622 Juli - Puno (Perú) Email: [email protected]

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RESUMEN La comunidad de los Tesalonicences y la comunidad paulina sufren situaciones similares y se consuelan mutuamente, al mismo tiempo que se fortalecen en la caridad recíproca y en el perfeccionamiento de la fe. Para esta misión, Pablo envió a Timoteo y su regreso no produjo sino un gozo pleno entre los miembros de la comunidad. Gozo que se manifestó, como lo describe Pablo, en el anhelo sincero de volver a ver el rostro del otro. Del mismo modo, según esta experiencia, debemos esperar la visita-parousia del Señor Jesús. Pero hay uno que impide la realización tanto del re-encuentro comunitario entre cristianos y del re-encuentro de los cristianos con el Señor Jesús, se trata de Satanás, el tentador. Palabras claves: relación, comunidad, paternidad, rostro, gloria, parusía, Satanás.

ABSTRACT The Thessalonian community and the Pauline community suffer similar situations. They comfort and strengthen each other by perfecting their faith in reciprocal charity. For this mission, Paul sent Timothy and his return was the reason for jubilance between the members of the community. Paul describes this joy was embodied in the sincere yearning of seeing the other’s face again. In the same way, according to this experience, we must await the visit-parousia of Lord Jesus. But, there is one that obstructs either the communal reencounter between Christians and the reencounter of Christians with God. This obstructer is Satan, the tempter. Keywords: Relationship, Community, Fatherhood, Face, Glory, Parousia, Satan.

Javier LÓPEZ

Un inicio insólito Análisis retórico semítico de Ap 1,1-8 Los comentaristas en general subrayan que Ap 1,1-8 se distingue vistosamente del inicio de los libros proféticos del Antiguo Testamento y marcadamente del libro de Daniel1. También notan una diferencia con el comienzo de los escritos apocalípticos no canónicos de la época2. Y dan razón de ello con variados argumentos pero sin analizar con suficiente detalle la técnica literaria que condujo a un inicio tan original en el Apocalipsis. El presente artículo intenta rellenar esa laguna. Para ello propone una composición, según las leyes de la retórica semítica, de la cual emerge una situación vital y un trasfondo bíblico esenciales ambos para una adecuada interpretación. Tal análisis descubre con mayor precisión la singularidad de esos primeros versos del último libro de la Biblia cristiana así como su impacto sobre quien los lee/escucha. El contexto inmediato posterior se abre con el enfático discurso directo sin previo anuncio «Yo Juan» (egō Iohannes; 1,9-20)3. Indica una cesura con el verso anterior de auto-presentación del Viniente: «Yo soy (egō eimi) el Alfa y la Omega […] el Todopoderoso» (8)4. 1

Aun el comienzo de Dan 7-12, sección apocalíptica del libro, difiere notablemente del Apocalipsis. 2 Para una comparación con algunas de estas obras ver D.E. AUNE, Revelation I, Dallas 1997, 8-11. Ni Daniel ni 1 Enoch dan la importancia que el Apocalipsis atribuye al hecho de constituir en sí un libro; ver S.S.U. DIXON, The Testimony of the Exalted Jesus in the Book of Revelation, London – New York 2017, 56-57.154-163. 3 Para la composición de 1,9-20 ver J. LÓPEZ, «Jesús resucitado y el profeta de Patmos. Análisis retórico de un encuentro (Ap 1,9-20)», in R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del quarto convegno RBS, ReBibSem 5, Roma 2015, 163-182. 4 No obstante constituir en sí una unidad, Ap 1,9-20 muestre evidentes puntos de contacto con 1,1-8. Los autores se dividen al identificar las unidades literarias autónomas en Ap 1. Vanni distingue 1,1-3 como «título introductorio» de la primera parte de la obra que englobaría el mensaje a las siete iglesias: 1,4-3,22; ver U. VANNI, La Struttura Letteraria dell’Apocalisse, Prefazione di A. Vanhoye S.I., Brescia 19802, 298-299.310. Por su parte García Ureña presenta los tres primeros versos como «prólogo» y considera 4-8 como una unidad autónoma mientras 1,9–22,5 representaría un relato unitario de índole particularmente narrativa; L. GARCÍA UREÑA, El Apocalipsis. Pautas literarias de lectura, Madrid 2013, 23.30.33-38.45ss. Según J.F. THOMAS – F.D. MACCHIA, Revelation, Grand Rapids (MI) 2016, 2-5, entre el prólogo (1,1-8) y el epílogo (22,6-21) se situarían cuatro secciones (1,9-3,22; 4,1-16,21: 17,1-21,8; 21,9-22,5). Consideran estos autores el sintagma en pneumati (1,10; 4,2; 17,3; 21,10) como marcador principal de la obra. Para G. Biguzzi 1,1-8 constituye un único pasaje; no obstante distingue en su comentario entre título (1,1-2), inicio propio de la revelación (3) y apertura epistolar (4-8); (Apocalisse, Milano 2005, 58-59). Según Aune 1,9-20 es una epifanía «terrestre» de Cristo exaltado en gloria la cual debe considerarse unida al mensaje a las iglesias (2-3); D.E. AUNE, Revelation I (cf. nt. 2), lxxxiii. Ver también I. DONEGANI, « L’impérieux chant de L’Apocalypse (Ap 1-3 et 22,6-21). Enonciation, structure e modèle en question », SémiotBib 129 (2008) 3-31.

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Javier LÓPEZ

A continuación se presenta un esquema general del texto, considerado de momento «sub-secuencia». Esta relectura deberá ser confirmada mediante el detallado análisis de la composición. REVELACIÓN – Autor divino. Destinatario: los siervos. Advenimento pronto. Modo de trasmisión: DIOS – Jesús Cristo […] – Juan el cual TESTIFICA la palabra de DIOS, Jesús Cristo, según VIO. Bienaventurado el destinatario: lector/auditores de la palabra profética escrita. El tiempo (está) próximo. Autor humano: Juan. Destinatario: las siete iglesias de Asia. Jesús Cristo TESTIGO «está viniendo». Doxología al Viniente de parte de la Iglesia «MIRA, viene, lo VERÁ todo OJO». Auto-presentación del Señor DIOS: «el-que está viniendo».

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3

4-8

Esta sub-secuencia, compuesta de tres pasajes organizados alrededor de un centro (3), abre el libro. El primer pasaje de carácter introductorio (1-2) presenta el autor divino de la revelación y el modo de transmisión de la palabra de Dios, Jesús el Cristo, destinada a sus siervos por medio de Juan. El tercer pasaje a su vez introduce a Juan como autor humano5 el cual comienza a trasmitir a los miembros de las siete iglesias de Asia cuanto a él revelado por Jesús el Cristo Viniente (4-8). Aunque desiguales en la medida estos pasajes extremos comparten diversas simetrías, no solo lógicas sino también literales, que expondremos en detalle al presentar la composición del conjunto de la sub-secuencia. Baste ahora resaltar las correspondencias en base al término «Dios» (1b.2a; 6b.8b), al sintagma «Jesús el Cristo» (1.2; 5) y al uso del verbo «ver» (2.7 [horaō]). El pasaje inserto in medias res, en forma de bienaventuranza, se relaciona estrechamente con los extremos mediante la presentación sea del emitente que de los destinatarios. La expresión «los que escuchan» (3) coincide lógicamente con los siervos de Dios y de Jesucristo (1) descritos después como integrantes de las siete iglesias del Asia (4), destinatarios de la revelación. El emitente «quien lee» (3) representa en un primer momento al siervo Juan (1.4). Por otro lado la formulación «en efecto el tiempo (está) próximo» (3) conecta con el «pronto» advenimiento «de cuanto debe acontecer» (1) cuyo contenido se refiere al que ya «está viniendo» (4.8). En consecuencia el v. 3 goza de una relativa autonomía

5 Taeger conjetura que Ap 1,1-3 podría provenir de la inserción de un editor/redactor perteneciente al así llamado círculo joánico; ver J.-W. TAEGER, «Offenbarung 1,1-3: Johanneische Autorisierung einer Aufklärungsschrift», NTS 49 (2003) 176-192. Se discute todavía sobre la identidad del autor real del libro. Probablemente se trata de otro ejemplo de seudonimia, frecuente entonces; una síntesis de la problemática en A. S ATAKE, Die Offenbarung des Johannes: Redaktionell bearbeitet von Thomas Witulski, Göttingen 2008, 38-44.

Un inicio insólito (Ap 1,1-8)

183

que lo constituye en pasaje central de la sub-secuencia. Sin tal centro no se entendería adecuadamente la índole característica de los pasajes extremos.

I. EL PRIMER PASAJE DEL LIBRO (1,1-2) TEXTO 1

Revelación de Jesucristo la cual Dios dio mostrar a los siervos de él, lo que debe acontecer pronto, y significó enviando su ángel al siervo de él, Juan, 2 el cual testifica la palabra de Dios y el testimonio de Jesucristo todo cuanto vio.

Cuestiones gramaticales A ningún comentarista pasa desapercibida la rudeza gramatical de este pasaje. El término extremo «revelación», carece de verbo principal y pasa, enfatizado por el pronombre demostrativo «la cual» (hēn), a objeto directo del verbo dar (didōmi) cuyo sujeto gramatical es Dios, fuente y autor de dicha revelación. El genitivo «de Jesús Cristo» (Iēsou Christou) puede ser objetivo6 en cuyo caso indica el contenido de la revelación. Pero tiene también un sentido subjetivo de autor puesto que es Él quien revela; ha recibido la revelación del Padre y la trasmite. Además el pronombre griego de tercera persona al genitivo (autou – «de él»; 1c.f) puede referirse en realidad tanto a Dios como a Jesucristo7. Jesús por tanto no actúa la revelación sólo como el sujeto que la revela sino que Él mismo es también objeto de la revelación. El aoristo epistolar griego emartyresen (2a) conserva mejor su sentido si se traduce al presente8: «testifica». Este verbo tiene como objeto directo tanto la oración subordinada «todo cuanto vio» como los dos objetos en aposición: «la palabra de Dios» y «el testimonio de Jesús Cristo». Se trata de aspectos diferentes que no obstante se corresponden. El contenido de cuanto Juan vio es Jesus Cristo, la palabra de Dios9.

6

Ver G. K. BEALE, The Book of Revelation, Grand Rapids (MI) 1999, 183-184. Ver G. BIGUZZI, Apocalisse (cf. nt. 4), 57. 8 Ver D.E. AUNE, Revelation (cf. nt. 2), I, 6-7. 9 Para un análisis detallado ver S.S.U. DIXON, The Testimony of the Exalted Jesus (cf. nt. 2), 141-153. 7

184

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COMPOSICIÓN : 1 REVELACIÓN – la cual dió = mostrar + lo-que debe

DE JESÚS a-él

CRISTO DIOS

a los siervos devenir

de él rápido,

············································································································

– y significó = – 2 el cual TESTIFICA : y EL TESTIMONIO – todo cuanto : 1 REVELACIÓN – la cual dió = mostrar + lo-que debe

habiendo enviado al siervo

a través del ángel de él

la palabra

de DIOS CRISTO,

DE JESÚS VIÓ. DE JESÚS

a-él

CRISTO DIOS

a los siervos devenir

de él rápido,

de él Juan

············································································································

– y significó = – 2 el cual TESTIFICA : y EL TESTIMONIO – todo cuanto

habiendo enviado al siervo

a través del ángel de él

la palabra

de DIOS CRISTO,

DE JESÚS VIÓ.

de él Juan

Este primer pasaje introductorio consta de dos partes: – la primera con dos segmentos bimembres de igual medida (1a-d) presenta el autor (a-b) y destinatario (c). – la segunda completa la modalidad de trasmisión del mensaje divino (1e-2). El término extremo «revelación» (apokalysis)10 (1a), se corresponde con «vio» (2c) término final del pasaje en forma de inclusión. Importa señalar la correspondencia de los términos «mostrar»11 (1c) y «significó» (e) que pertenecen al mismo campo semántico (deiknymi; sēmainō)12». Cohesiona además el pasaje el sintagma «Jesús Cristo» y el sustantivo «Dios» (ho theos) del segmento extremo de apertura en correspondencia especular con los dos primeros miembros del segmento trimembre de cierre: Cristo (1a) – Dios (b) – Dios (2a) – Cristo (b). Otra lazo de coherencia al interior del pasaje lo constituye el destinatario de la revelación: en la primera parte son «los siervos de él» (hoi douloi autou; 1c)

10

Apokalypsis indica «desvelar», exponer a la vista y al oído algo que se encuentra oculto. El uso de este verbo resulta muy significativo en el libro (4,1; 17,1; 21,9.10; 22,1.6.8). Indica siempre «una manifestazione rivelativa grazie alla quale un contenuto trascendente è messo in portata di un soggetto terrestre»; U. VANNI, «La dimension christologique de la Jérusalem Nouvelle», RHPhR 79 (1999) 121, nt. 5. 12 Una traducción más literal todavía sería «manifestar en signo». 11

Un inicio insólito (Ap 1,1-8)

185

mientras que en la otra Juan denominado a su vez «siervo»13 resulta a la vez destinatario y sujeto en la cadena de trasmisión (f). La correspondencia entre el término de apertura del entero libro, el sustantivo «revelación», con el verbo «ver» término de cierre del pasaje pone en relación el desvelamiento (apokalypsis) de la acción de Dios por medio de Jesucristo en la historia (1a), «lo que debe acontecer rápido» (c-d), con el modo propio de comunicación realizado a Juan: la percepción visiva (2c). La simetría focaliza sobre un contacto no sólo de emitente (Dios – Jesucristo) a receptor (Juan), sino que expresa sobre todo la forma característica del género apocalíptico: mostrar (1c) un significado (1e) por medio del «ver» (2c)14. Por otro lado la correspondencia entre los extremos de la parte 1e-2, los verbos «ver» (horaō; 2c) y «significar – manifestar en signo» (1e), ambos al aoristo (eidon – esēmanen) indica que «todo cuanto» el vidente Juan «vio» (conoció)15 es aquello que Dios ha querido mostrarle (1c) y que manifestó a través del ángel con un significado aún por desentrañar ya que todavía se encuentra paradójicamente oculto bajo un ropaje de simbología bíblica. La simetría entre los miembros en 2a-b pone en correspondencia directa la palabra de Dios manifestada al siervo Juan (a) con la realidad de Jesús el Mesías-Cristo (b). Tal simetría refuerza lógicamente cuanto el análisis gramatical pone de relieve en el segmento extremo de apertura (1a-b): la palabra de Dios coincide con Jesús el Mesías, origen de cuanto comunicado en la revelación mostrada a Juan. El origen de la revelación resulta también su contenido: el evento Jesucristo ya en camino de pronta realización16. CONTEXTO Resulta adherente a este inicio tanto el encuentro del profeta con el Hijo de hombre resucitado (1,9-20) como el epílogo del libro (22,6-21). Al igual que la función de un prólogo es la de introducir el tema a tratar, el rol del epílogo es el de corroborar cuanto expuesto en la obra. El Apocalipsis no es una excepción. Los primeros versos del epílogo (vv. 6-8) muestran adherentes simetrías con el comienzo del libro (vv. 1-2) pero también algunas significativas

13

El término adopta un significado negativo en el contexto de la figura de la bestia. Allí connota servicio a favor del imperio idólatra (13,6). 14 La locución «cuanto vio» será retomada con frecuencia en primera persona a lo largo del libro: «y vi y he aquí» (kai eidon kai idou). 15 El aoristo del verbo ver horaō – eiden se emparenta filológicamente con el verbo oida, conocer de modo intuitivo, saber. 16 Aunque un ángel forma parte de la cadena de revelación (ver 22,8.16), rasgo típico del género apocalíptico, el profeta goza en pneumati de la experiencia directa de un Cristo que le habla (1,12ss).

186

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expansiones17. La siguiente tabla sinóptica entre comienzo y final ilustra el marco de referencia que a partir de sus primeras líneas caracteriza la obra. 1,1 REVELACIÓN DE JESÚS CRISTO la cual Dios dio mostrar a sus siervos, lo que debe suceder con rapidez, y significó enviando su ángel a su siervo, Juan 2 el cual TESTIFICA la palabra de Dios y EL TESTIMONIO de Jesús Cristo todo cuanto VIO.

22,6 Y me dijo: «Éstas son las palabras FIDEDIGNAS Y VERDADERAS».

Y el Señor Dios de los espíritus de-los profetas envió su ángel a mostrar a sus siervos lo que debe suceder con rapidez. […] 8 Y yo Juan el-que-escucha y el-que-VE esto.

Al inicio del epílogo el ángel ratifica a Juan que las palabras de revelación son en efecto «fidedignas y veraces» (22,6;). Son palabra de Dios según el testimonio de Jesús Cristo (1,2). Por otro lado la sección (21,1-22,5), inmediatamente anterior al epílogo, se abre con una visión que muestra la creación y la historia en modo trasfigurado (21,1-8). Al centro del pasaje «el que se sienta sobre el trono» da sin intermediario alguno la siguiente orden a Juan: «Escribe: éstas son palabras fidedignas y veraces» (21,5; ver 3,14; 19,11). Este mandato tiene particular relevancia porque indica la intención pragmática del Apocalipsis. El mismo Dios testimonia que cuanto Juan escribe es auténtico, corresponde exactamente a cuanto Dios en Jesucristo revela, muestra, deja ver en forma de signo. El contexto inmediato posterior a nuestro pasaje (1,9-20) es elocuente al respecto: 1,1 REVELACIÓN DE JESÚS CRISTO la cual Dios dio mostrar a sus siervos, lo-que debe suceder con rapidez, y significó enviando su ángel

1,9 Yo Juan, vuestro hermano y copartícipe en la tribulación y reino y perseverancia en JESÚS, llegué-a-estar en […] Patmos por causa de-la palabra de DIOS y del-TESTIMONIO DE JESÚS 10 llegué-a-estar en Espíritu en el día de domingo […].

a su siervo, Juan 2 el cual TESTIFICA la palabra de DIOS y EL TESTIMONIO DE JESÚS CRISTO todo cuantoVIO.

11

17

«Lo-que VES escribe en un libro y envía a las siete iglesias […] 19 Escribe pues lo-que VISTE y lo-que es y lo-que está-por-suceder después de-éstas.

Ver J. LÓPEZ, «El epílogo de la Escritura cristiana. Testimonio fidedigno de eterna bienaventuranza. Análisis retórico-semítico de Ap 22,6-21», in R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del quinto convegno RBS, RBSem XI, Leuven – Paris – Bristol (CY) 2017, 203-227.

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187

En su auto-presentación el profeta expone la causa de su confinamiento en la isla de Patmos. Para ello establece la misma simetría entre los sintagmas «palabra de Dios» y «testimonio»18 de Jesús (1,2.9). Jesús (Cristo) testimonia la Palabra de Dios (ho logos tou theou) porque coincide ontológicamente con ella. Y Juan por medio de las tribulaciones, compartidas en comunión (koinōnia) con sus hermanos siervos19, da también testimonio de Jesús. La distinción entre «lo que es y está por llegar» (1,19) equivalente esto último «a lo que debe suceder con rapidez» (1,1) establece una distinción temporal enigmática e imprecisa cronológicamente. Desde su inicio el Apocalipsis se pone en sintonía con el IV evangelio. Juan (Bautista) testimonia el Logos, palabra de Dios encarnada (6-8.15). Tal testimonio, probablemente una glosa inserida posteriormente en el himno, revela un particular interés del cuerpo joaneo por el tema. El Bautista junto a la figura de Lázaro20 anticipan el rol testimonial del discípulo amado durante el evento pascual (19,35; 21,24-25). El profeta de Patmos a su vez con su escrito se pone en línea con esa cadena de testigos que le precedieron en el testimonio de Jesús el Cristo (Ap 1,2.9-10.19). INTERPRETACIÓN Juan se presenta como el garante auténtico del don de la revelación divina. El vidente testifica haber visto, por medio del ángel 21, la palabra de Dios testimoniada por Jesús Mesías, el testigo del Padre. Todo cuanto Juan vio está ya en camino de pronta realización. II. EL PASAJE CENTRAL (1,3) TEXTO 3

Bienaventurado el que lee y los que escuchan las palabras de la profecía y (los que) custodian lo que en ella escrito, en efecto el tiempo oportuno (está) próximo.

18 Este testimonia se realiza en circunstancias de tribulación, reino y perseverancia. Además los términos empleados, copartícipe (koinōnia en Jesús), hermano se sitúan en sintonía semántica con el de siervo (doulos). 19 Ver M. MARINO, Custodire la parola. Il verbo TĒREIN nell’Apocalisse alla luce della tradizione giovannea, Bologna 2003, 35-36. 20 Ver J. ONISZCZUK, «Se il chicco di grano non cade in terra non muore…» (Gv 11-12), RBSem 15, Leuven – Paris – Bristol (CT) 2018, 10-11; L. SÁNCHEZ-NAVARRO, «Estructura testimonial del Evangelio de Juan», Bib 86 (2005) 511-528. 21 Aunque un ángel forma parte de la cadena de revelación (ver 22,8.16), rasgo típico del género apocalíptico, el profeta goza en pneumati de la experiencia directa de un Cristo que le habla (1,12ss).

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Cuestiones gramaticales La construcción nominal con el verbo «ser» (einai) sobreentendido, pone en relación el término «bienaventurado» con dos sujetos en dinámica interacción: el que lee – los que escuchan y custodian las palabras proféticas puestas ya por escrito. El artículo definido hoi (los-que) se refiere a ambos participios sustantivados akouontes y tērountes e indica un mismo grupo. La conjunción coordinativa «y» (kai) establece un paralelismo sinonímico marcadamente expansivo. La otra conjunción del pasaje, consecutiva ésta, motiva ulteriormente la lectura-escucha-interiorización de la palabra profética introduciendo un factor de urgencia como predicado nominal: «el tiempo (está)22 próximo (eggys)». Mientras el segmento trimembre identifica los destinatarios de la bienaventuranza el unimembre da otra razón, de carácter temporal ésta, que estimula a realizar la condición y a entrar en el macarismo. COMPOSICIÓN :: 3 Bienaventurado : y : y

el-que lee los-que escuchan (los-que) mantienen

las palabras lo-que en ella

+ en efecto

el tiempo

(está) próximo.

de-la profecía escrito,

Probada la cohesión del pasaje extremo de inicio y dada la cesura con el texto subsiguiente (4a), el macarismo muestra una autonomía mínima que lo sitúa como unidad independiente a nivel de pasaje. CONTEXTO El macarismo en la Escritura La bienaventuranza bíblica se sitúa en línea con la búsqueda de la auténtica felicidad característica de los escritos sapienciales hebreos y se gesta en ambiente de culto23. El vocablo makarios indica una proveniencia divina que rebasa la pasajera felicidad humana. La colección de salmos comienza precisamente de esta manera: «Bienaventurado (’ašrē; LXX makarios) quien camina en la Ley del Señor» (1,1-2). La condición para poder participar de la beatitud que abre el salterio reside en el escuchar y cumplir la Torah. El Apocalipsis presenta un requisito símil para poder entrar en la felicidad prometida pero focaliza el acento directamente no sobre «el caminar en la Ley» sino sobre el leer/escuchar/mantener «la palabra profética escrita», es decir el 22

Ver Blass-Debrunner, 434, 3.2. Ver F. PIAZZOLLA, Le sette beatitudini nell’Apocalisse, Assisi 2019, 54; sobre el concepto de macarismo en el mundo antiguo (principalmente en Egipto), en el ambiente bíblico judaico, así como en el N.T., ver p. 23-70. Siete de los cincuenta macarismos del Nuevo Testamento se encuentran en el Apocalipsis. 23

Un inicio insólito (Ap 1,1-8)

189

énfasis recae sobre la revelación (1,1) que en forma de profecía Juan escuchó/vio y la cual «este libro» contiene (22,7). Las bienaventuranzas no son las únicas promesas del libro. En efecto cada uno de los mensajes a las siete iglesias contiene promesas de parte de Cristo que procuran felicidad al miembro fiel que persevera en la tribulación (2,9-10) y en la persecución (2,13-17). La exhortación septenaria a escuchar activamente al Espíritu que actúa en la Iglesia («quien tiene oído escuche lo que el Espíritu dice a las iglesias»), condición para recibir los dones prometidos, conecta con la primera bienaventuranza. Fuera del septenario de las cartas conviene señalar, entre otras, la promesa de la filiación divina que Cristo testimonia para el fiel creyente en clima de trasfiguración universal (21,7). Leer-escuchar: paradigma litúrgico El destinatario de la bienaventuranza se especifica así: «quien lee – los que escuchan y mantienen la palabra profética24 escrita». El Apocalipsis comparte con las obras literarias de su época el carácter de la oralidad25. El que lee en cierto modo asume el rol de Juan. La obra ha sido compuesta expresamente para su lectura en las reuniones cristianas (1Tes 5,27; Col 4,16); quien lee en alta voz también escucha. La escucha atenta a la palabra divina es un elemento indispensable para recibir las promesas de Cristo a su iglesia y gozar de la bienaventuranza. Esto dependen de «tener oído» para escuchar lo que el Espíritu les dice (2-3). «Tener oído» al igual que en las parábolas sinópticas supone el mantener lo escuchado hasta que fructifique (Mc 4,8-9; Mt 13,8-9; Lc 8,8)26. El contexto más representativo de esta relación dialógica «leer-escuchar» lo constituye el acto litúrgico. El Apocalipsis se gesta en la esfera vital de la liturgia cristiana27. Las doxologías del libro resultan un caso emblemático al respecto. La primera ocurre en este pasaje (5d-6) y la última en el himno ale-

24

El contenido etimológico de «profecía», incluye el anuncio de algo que debe suceder. Sin embargo, la función de los profetas no es solo la de predecir, sino también consolar, instruir, amonestar, reprender, exhortar, según las ocasiones. Todo esto constituye el rol profético. De hecho, la palabra profética de Cristo e forma de rîb a las iglesias incluye animar e invitar a la conversión (23). El epílogo enfatiza que esta profecía debe permanecer intacta en el libro (22,7.10.18-19). La semántica profética abre y cierra el libro. 25 Ver J.F. TORIBIO CUADRADO, Apocalipsis: estética y teología, Roma 2007, 143-148. Al respecto afirma con relativa bibliografía, hic 144: «no es raro encontrar documentos en los que los términos “oír” y “leer” sean a menudo usados como sinónimos como ocurre en Ap 1,3». Ver además C. MANUNZA, L’Apocalisse come «actio liturgica» cristiana. Studio esegetico-teologico di Ap 1,9-16; 3,14-22; 13,9-10; 19,1-8), Roma 2012, 53-65. 26 A su modo también la epístola de Santiago pone en evidencia el aspecto negativo de oír sin prestar la adecuada atención. Lo hace mediante la imagen del hombre que observa su rostro en el espejo e inmediatamente la olvida (1,22ss). 27 C. MANUNZA, L’Apocalisse (cf. nt. 25), 5-53.

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luyático que une la asamblea peregrina terrestre y la celestial en un único canto polifónico (19,1-8)28. Mantener la profecía: la sexta bienaventuranza Al interior del Apocalipsis el contacto intertextual más adherente a nuestro pasaje central es la sexta bienaventuranza29: «Y mira vengo rápido. Bienaventurado el-que custodiee la profecía de este libro» (22,7). ¿Pero qué don recibirá el que así mantenga la revelación profética que Juan escribe? El epílogo lo explicita: «Mira vengo pronto y mi recompensa conmigo para dar a cada uno según sus obras» (12). Por tanto, quien interioriza la profecía apocalíptica recibirá una justa recompensa siempre que el obrar resulte concorde a lo escuchado y eventualmente interiorizado30. Sin embargo, la primera bienaventuranza (1,3), todavía no descubre el don prometido a quien busca la felicidad que Dios ofrece. Permanece enigmático. El macarismo no obstante ya en sí mismo beata promesa, provoca en el lector/ auditorio un deseo de seguir escuchando lo que será revelado en términos de profecía. Y esta profecía ya no es solo oral, sino como en el caso de la profecía clásica en Israel, se ha convertido en palabra escrita (ta gegrammena). De este modo puede leerse/escucharse nuevamente, mantenerse31 y aplicarse a diferentes circunstancias mutables de la historia. El tiempo oportuno La razón de la beatitud en el pasaje central que nos ocupa, se intensifica con una expansión temporal precedida de la conjunción declarativa «porque» (gar): «el tiempo propicio (kairos) está próximo». Al interior de la Escritura este término se encuentra en dos contextos diferentes: – no religioso: se trata de cualquier ocasión oportuna no necesariamente esperada. Puede suceder de modo sorpresivo. Tenemos un ejemplo emblemático en Act 24,24-25: Pablo se encuentra en prisión y en esa circunstancia llega el procurador romano Félix quien pospone con ironía seguir escuchando la confesión del Apóstol hasta «un momento oportuno». – religioso: tiempo querido por Dios para el ejercicio de su plan de salvación. Por ejemplo en Marcos: «se ha cumplido (peplērōtai) el kairos. Convertíos y creed al evangelio» (Mc 1,15). En nuestro texto la oportunidad a la que hace referencia el profeta de Patmos se desarrolla, según veremos, como recompensa en el pasaje de cierre (1,4-8): la venida de Jesús es el tiempo propicio. 28

C. MANUNZA, L’Apocalisse (cf. nt. 25), 535-536. F. PIAZZOLLA, Le sette beatitudini (cf. nt. 23), 402ss. 30 La articulación bíblica clásica escuchar – mantener – practicar se especifica en el contexto de la segunda bienaventuranza del libro. La puesta en práctica de interiorizar la profecía conlleva el don de la vida eterna: «porque sus obras les acompañan» (14,12-13). 31 Ver un desarrollo completo de este tema en M. MARINO, Custodire la parola (cf. nt. 19), 167-178. 29

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El contexto religioso aclara el sentido no cronológico de la expresión. El tiempo en relación con su origen y su fin se presenta breve. El adverbio «próximo» (eggys; ver 22,10) por otro lado refleja el sentido del v.1: mostrar las cosas que deben suceder in modo inesperado y aun de sorpresa (en tachei). En nuestro caso kairos no indica cronología ni en primer lugar proximidad temporal aunque ésta tampoco se excluye; juega un papel también de urgente advertencia. Para quien lee/escucha y custodia el momento presente resulta un momento especialmente propicio. Por eso Cristo urge a su iglesia en Sardis sobre la necesidad de la vigilancia continua: «Recuerda cómo has recibido y escuchado y mantenido y conviértete. Si no vigilas vendré (hēxō) como ladrón» (3,3). Así también en la tercera bienaventuranza del libro Cristo recuerda a su iglesia: «Mira vengo (erchomai) como ladrón. Bienaventurado quien vigila y mantiene (tērōn) sus vestidos […]» (16,15). INTERPRETACIÓN El pasaje muestra una coherencia e unidad basadas en el clásico esquema bíblico del macarismo, aunque manca de momento la explicitación del don a recibir. La condición precisa para entrar en la bienaventuranza se expresa con claridad: escuchar la palabra de revelación, profecía ya puesta por escrito, que requiere uno que lea para una asamblea cristiana capaz de interiorizar cuanto escuchado para ponerlo eventualmente en práctica (22,7.12). La razón para escuchar la profecía presiona sobre los siervos de Jesucristo, receptores de la revelación (1,1). El tiempo intermedio entre nosotros y la venida de Cristo se cualifica como kairos. Su importancia deriva del hecho que representa el intermedio temporal entre el origen y la vida eterna (11,18). El tiempo propicio está próximo porque es el tiempo actual susceptible de ser activado en Dios. Supone un actualizar ya aquí el germen de la vida eterna producto de la presencia continua de Jesús el Cristo, el Viniente, hasta su parousia.

III. PRESENTACIÓN DEL VINIENTE – DOXOLOGÍA (4-8) TEXTO 4

Juan a las siete iglesias del Asia: gracias a vosotros y paz de parte del que es y era y está viniendo y de los siete espíritus que (están) delante de su trono y 5 de Jesucristo, el testigo, el fiel, el primogénito de los muertos y el príncipe de los reyes de la tierra. Al-que nos está-amando y nos liberó de nuestros pecados en su sangre 6 y nos hizo reino, sacerdotes para el Dios y Padre suyo, a Él la gloria y la potencia por los siglos [de los siglos]. Amén. 7 Mira viene con las nubes, y lo verá todo ojo, también aquellos que lo traspasaron, y se golpearán (el pecho) por él todas las tribus de la tierra. Sí, amén. 8 «Yo soy el alfa y la omega», dice (el) Señor Dios, «el que está siendo y era y está viniendo, el todopoderoso».

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COMPOSICIÓN DEL CONJUNTO DEL PASAJE 1,4-8 :: 4 Juan . gracias

a las siete

iglesias

a vosotros

y paz

a las en el Asia:

·········································································································

. del-que está-siendo

y era

-y de los siete - quienes delante del trono de él

y está viniendo espíritus

. 5 y de Jesús . el testigo, . y el príncipe

Cristo, el fiel, de los reyes

: Al-que está-amando : y liberó :

a nosotros a nosotros

+ 6 e hizo + sacerdotes

a nosotros al DIOS

: a Él : por los siglos : amén.

la gloria y la fuerza [de los siglos]:

el primogénito de la tierra

de los muertos

de los pecados en la sangre

de nosotros DE ÉL,

reino, y Padre

DE ÉL,

:: 7Mira

viene

con las nubes,

- y verá - también aquellos que - y se golpearán (el pecho)

a él a él por él

todo ojo atravesaron, todas las tribus

= sí,

amén.

de la tierra

···························································································································

. «8 Yo : dice . el-que está-siendo

soy (el) Señor y era

el alfa y la omega», DIOS, y está viniendo, el todopoderoso ».

Este pasaje consta de tres partes ordenadas en modo concéntrico, precedidas por una breve introducción epistolar que señala el autor humano inspirado y sus destinatarios (4a)32: – la primera parte consta de dos subpartes: saludo de «gracia» y «paz» (4b) y presentación de «el que viene» (4c-5c); – la segunda es una doxología dirigida a «el que viene» (5d-6); – la tercera presenta un anuncio del «venir», sus consecuencias y la autopresentación de «el que viene» (7-8).

32

Sobre la escasa incidencia del género literario epistolar en el conjunto del libro ver D.E. AUNE, Revelation I (cf. nt. 2), lxxii-lxxv.lxxxii.

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La primera y la última partes encuadran el pasaje mediante la mención a los extremos «del que es y era y está viniendo» (4c; 8c) referido en la visión a Jesucristo que «viene» (7a)33 objeto este de una doxología por parte de la iglesia en la parte central del pasaje (5d-6). La referencia a Dios al centro de la doxología (6b) reclama lógicamente al «que está siendo y era y está viniendo» (4c.8c), el Señor Dios (8b). Además encontramos las siguientes simetrías parciales que contribuyen a la coherencia del pasaje: – el vocablo extremo de la parte central «amén» (6e) enfáticamente repetido al extremo en 7e. – el número de plenitud «siete» (4a.d). – «vosotros» (4b); «nosotros» (5d-e.6a-b); «a él» (6c.7b-d). CUESTIONES GRAMATICALES La rudeza más importante del pasaje, desde el punto de vista de la gramática lo constituye el sintagma «de parte del que es y era y está viniendo», apo ho ōn kai ho ēn kai ho erchomenos34. La razón de esta anomalía muy probablemente voluntaria35 tiene una explicación comunicativo-pragmática. El lector/auditor de lengua griega se sorprende al escucharla y se detiene a reflexionar sobre su causa y sentido. Dios existe al presente (ho ōn), el mismo que era a lo largo de la historia del pueblo de Israel (ho ēn) y está viniendo al momento del saludo litúrgico a su iglesia (ho erchomenos36). Vale la pena evidenciar los tiempos verbales del pasaje. Ser, venir y amar se conjugan al presente. Estos verbos describen una acción en desarrollo hacia su futura realización: «verá todo ojo, se golpearán» (7b.d). Los otros verbos al aoristo, «liberó»37 (5d) e «hizo» (6a), el grupo que escucha lo refiere a Jesucristo mientras que «traspasaron» tiene por sujeto al plural «aquellos que a él», un ente opuesto negativo que anticipa ya las grandes figuras «anti-reino» del libro. CONTEXTO Con el término extremo del pasaje «al que nos está amando» (5d) inicia la respuesta doxológica (5d-6) al saludo litúrgico «de gracia y paz» (4c) de parte de 33 Una bella inclusión se forma entre los extremos de la parte que cierra el pasaje: «Mira viene con las nubes» (7a) – «está viniendo, el todopoderoso» (8c). 34 La preposición apo requiere el genitivo; sobre el uso de esta preposición en el libro ver F. CONTRERAS MOLINA, «Jerusalén ciudad abierta a todos los pueblos», EstB 64 (2006) 331-333. 35 El autor emplea correctamente el genitivo inmediatamente después en referencia a los siete espíritus: kai apo tōn hepta penumatōn (4d). 36 Esta construcción griega en participio presente está abierta al futuro continuado «el que está viniendo», en forma más contracta aún «el Viniente», y focaliza sobre una presencia ya iniciada. 37 Es preferible la variante lyo, liberar, a louo, lavar; ver R.L. OMANSON, A Textual Guide to the Greek New Testament. An Adaptation of Bruce M. Metzger’s Textual Commentary for the Needs of Translators, Stuttgart 2006, 526.

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la Trinidad38 divina (4c-5c.8), dirigida a los miembros de las siete iglesias del Asia (4a). Pero esa respuesta en forma de alabanza se dirige concretamente al fiel testigo (ho martyr, ho pistos), objeto de la primera visión del libro (7). En vez de la acción de gracias propiamente dicha, característica del inicio de los escritos paulinos, se trata aquí de una doxología intercalada al centro del pasaje (1,5d-6) tras el saludo inicial (vv. 4-5a) y la visión del Viniente (7). El contexto más cercano lo constituye precisamente el mensaje septenario de Cristo a las iglesias del Asia (2-3). A la de Sardis, Cristo «el que posee los siete espíritus» (3,1) le dice: «Sepan que yo te amé» (3,9). A la de Éfeso le reprocha haber abandonado «el primer amor» (2,4), mientras que a la de Tiatira le dice «conocer su amor» (2,19), el amor (1,6) que esta iglesia le profesa. Finalmente, para la comunidad de Laodicea, que se ha vuelto «tibia» precisamente en su reciprocidad de amor, Cristo el Amén, el Testigo (1,5) fiel y veraz (3,14; ver 3,7) le recuerda: «yo a los que amo (filō), los reprendo y los castigo" (3,19). El Apocalipsis, a diferencia del Cuarto Evangelio y de las cartas de Juan, emplea poco los términos relativos a la semántica del amar (agapaō-fileō) (1,5; 2,4.19; 3.9; 12,11; 20,9) sin embargo desarrolla las grandes figuras de la mujer, ciudad amada y esposa (21-22), y de su antítesis la mujer pornē Babilonia (1718) en continuidad con el Antiguo Testamento. Todo ello demuestra por un lado el amor de Cristo por su iglesia, la Nueva Jerusalén39, y al mismo tiempo la organización alterna de un amor idólatra, inconcluyente, sin futuro (22,15). La doxología que nos ocupa confiesa, al contrario, a Cristo como el único merecedor de la «gloria y la potencia». Agradece a Cristo y no al anti-reino representado al interior de la comunidad por la desviadora profetisa Jezabel (2,20-23) y al exterior por el imperio romano simbolizado por la bestia y la ciudad consumista que sobre ella cabalga (17-18). El cuarto evangelio por su parte muestra un lenguaje adherente al que consideramos en el Apocalipsis. Cristo, el Hijo de Dios ama a los suyos hasta el extremo de entregar su vida por ellos (Jn 13,1), sus amigos (15,12-13) y por el mundo (3,16). Al ser elevado en cruz atrae a todos hacia el Hijo del Hombre resucitado (12, 32-33) incluyendo a los que lo traspasaron (19,37; Mt 24,30; Ap 1,7). Se da por tanto una correspondencia adherente con el testimonio del discípulo amado al pie de la cruz. La cruz es signo de revelación para todo el que, en el Espíritu (Ap 1,10), sepa ver (Jn 19,35-36). Al interior del Apocalipsis la venida de Cristo oscila entre la presentación de su llegada final y de su venida en momentos particulares del peregrinar histórico 38 La problemática sobre si la denominación «siete espíritus» representa ángeles o si designa el Espíritu Santo con trasfondo de Is 11,1ss (LXX) ha sido felizmente tratada por B.B. BUCUR, «Hierarchy, Prophecy, and the Angelomorphic Spirit: A Contribution to the Study of the Book of Revelation’s Wirkungsgeschichte», JBL 127 (2008) 173-194. El autor arguye sobre la necesidad de no considerar la cuestión como mutuamente excluyente sino que se inclina por ver la designación del Espíritu Santo con rasgos claros de representación angelomórfica. 39 La Nueva Jerusalén se edifica en quienes perseverando en el amor del Viniente llegan al don de unas completas nupcias con Él en Su iglesia lo cual conlleva la filiación divina (Ap 21,1-8).

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de la iglesia. La advertencia del Hijo de hombre resucitado a la iglesias en Éfeso y Sardis indica una advenimiento de carácter justiciero, no referible exclusivamente a la parusía, de no ocurrir la conversión deseada (2,4-5; 3,3). INTERPRETACIÓN El pasaje incide en tres aspectos teológicos entre sí relacionados. Cristología La intervención del grupo que escucha confiere al pasaje un sentido eminentemente cristológico. El profeta ha deseado para las siete iglesias del Asia, en representación de la iglesia universal, gracia y paz40 de parte de la Trinidad de Dios. Sin embargo la doxología tributa «gloria y potencia» expresamente al «Testigo, primogénito de entre los muertos […] al que nos está amando y nos hizo reino y sacerdotes para su Padre» (5). Seguidamente la primera visión del libro muestra la venida de Cristo con los rasgos del crucificado en evocación del evento pascual (7). La auto presentación «Yo soy (egō eimi) el Alfa y la Omega», reporta al saludo inicial trinitario y por lo tanto evoca el rol especial de Jesús Cristo poniendo de relieve su presencia continua en el arco de la historia. Eclesiología – soteriología El saludo inicial y la doxología colocan la asamblea litúrgica como protagonista en el Apocalipsis. El grupo de escucha, la iglesia que ha recibido el saludo, interviene activamente y reconoce el rol salvífico de Jesucristo cuyo amor continuado convoca a la iglesia al presente y la reúne en asamblea. Cristo el Viniente, Testigo del Padre, ha creado una iglesia y de cada miembro de ella un reino de sacerdotes. Por otro lado el efecto salvífico de su muerte en cruz (1,7) se traduce en un llamado a la conversión para toda la humanidad. Escatología La mención del Viniente en las tres partes de este pasaje garantiza la presencia divina continua a lo largo de la historia humana. Esta venida muestra momentos de particular concreción. El pasaje focaliza sobre dos de ellos: el acto litúrgico (1,4.6) y la parusía (7). Los dones de gracia y paz de parte del Viniente, el que nos está amando, comunican de modo especial su asistencia constante y en modo particular al momento del encuentro litúrgico. A plenitud se manifestará cuando cada ojo lo verá al momento de la realización final del reino (21,6). Pero ya ahora invita con premura a la conversión del anti-reino responsable de su cruz. Puesto que el mensaje se dirige a las iglesias (1,4.11.20) en su situación particular de peregrina (2,1) la venida de Cristo no se refiere solo al evento final de la historia (1,7) sino al momento presente de éstas. El amor de la Trinidad divina 40

El saludo final del libro es netamente cristológico: «la gracia del Señor Jesús con todos».

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manifestado en el Testigo Jesús el Cristo, Alfa y Omega, se revela como un Amor que era, es y continúa a venir en el ahora y aquí de la iglesia.

IV. EL CONJUNTO DE LA SUB-SECUENCIA (1,1-8) COMPOSICIÓN 1

Revelación de Jesucristo la cual DIOS dio mostrar a sus siervos, lo que debe acontecer rápido, y significó enviando su ángel a su siervo JUAN 2 EL CUAL TESTIFICA la palabra de DIOS y EL TESTIMONIO de Jesucristo todo cuanto vio. 3

Bienaventurado EL-QUE LEE y los-que escuchan las palabras proféticas y (los-que) custodian lo que en ella escrito, en efecto el tiempo (está) próximo. 4

JUAN a las siete iglesias del Asia: gracias a vosotros y paz de parte del que es y era y está viniendo y de los siete espíritus que están delante de su trono y 5de Jesucristo, EL TESTIGO, el fiel, el primogénito de los muertos y el príncipe de los reyes de la tierra. Al-que nos está-amando y nos liberó de nuestros pecados en su sangre, 6 y nos hizo reino, sacerdotes para el DIOS y Padre suyo, a Él la gloria y la potencia por los siglos [de los siglos]. AMÉN. 7 Mira viene con las nubes, y lo verá todo ojo, también aquellos que lo traspasaron, y se golpearán (el pecho) por él todas las tribus de la tierra. Sí, AMÉN. «8 Yo soy el alfa y la omega», dice (el) Señor DIOS, el que es y era y está viniendo, el todopoderoso.

La sub-secuencia se compone de tres pasajes que se organizan en modo concéntrico (A-B-A’) alrededor de la primera de las siete bienaventuranzas del libro. Si bien A y A’ son desiguales en extensión con una cierta frecuencia el pasaje de cierre se expande en las estructura concéntricas. Los tres pasajes se enlazan estrechamente por medio de simetrías literales y por razones de orden lógico: – Los personajes principales figuran en los pasajes extremos. Solamente Dios y su enviado Jesús Cristo41, pueden proclamar una bienaventuranza. Ambos se encuentran tácitamente presentes al centro (B) como sujetos implícitos, mientras que son nominados expresamente en A (1-2) y A’ (4-6.8).

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El sintagma Jesús el Cristo (ho Iēsous ho Christos) no se repite tres veces en ningún otro libro del Nuevo Testamento, solo en el Apocalipsis que lo concentra en esta unidad inicial (1.2.5).

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– Juan, mencionado como siervo entre los siervos de Dios y de Jesucristo y testigo de Su palabra (A: 1-2) aparece de nuevo con nombre propio (A’: 4a) y se identifica lógicamente al centro como «el que lee» (B: 3) ya que sin un lector que asuma el rol del vidente la profecía escrita permanecería muerta. – la mención del destinatario de la revelación. Los siervos de Dios y de Jesucristo del pasaje extremo A (1), se representan en el pasaje central por la expresión «los que escuchan». Éstos son a su vez en el extremo de cierre (A’) concretamente identificados como miembros de «las siete iglesias del Asia» (4). Son los «vosotros» (4) y «nosotros» que como «sacerdotes para el Dios y Padre suyo (5-6)» rinden gloria a Jesús el Cristo. Si bien la correspondencia no es literal la conexión resulta lógica. – La relación entre testificar (martyreō) la palabra divina, el testimonio (martyria) de Jesucristo (2) y Jesucristo «testigo fidedigno (ho martys, ho pistos)» (5). Mantener (tērein) la palabra escrita (3) implica también testimoniarla42. Por otro lado Juan autor humano como fidedigno escritor de la palabra profética de Dios (3.4a) es el garante, el testigo de la auténtica revelación de la cual Jesucristo es autor, contenido y a su vez fiel Testigo (5). – Otro lazo de unión importante resulta el uso del verbo «ver» (horaō). El profeta testifica cuanto vio (2). Supone éste un «ver» que abarca toda la profecía testimoniada por escrito (3) y que inicia con la visión profética «viene con las nubes y lo verá todo ojo» precedida del imperativo «mira (idou)» (7). En correspondencia con el «ver» encontramos los verbos «mostrar (deiknymi)» y «manifestar en signos (sēmainō)» concatenados con el sustantivo apokalypsis (1-2). – Particular importancia reviste la categoría de la temporalidad. El libro se abre uniendo el apokalypsis con la urgencia de lo que debe acontecer. Se define como algo a desvelarse «pronto (en tachei)» (1). Al centro el «tiempo (ho kairos)» para entrar en la bienaventuranza «(está) próximo (eggys)» (3) mientras que en pasaje de cierre el verbo «venir, erchomai)» al presente continuativo indica la inmediatez del acontecimiento divino en Jesucristo Viniente (4.7.8). Además de las correspondencias notadas podemos añadir: – Un símil campo semántico: «palabra (logion) de Dios» (2) y «dice (legein) el señor Dios» (8). El breve macarismo solo en apariencia desligado del contexto, en realidad constituye su centro. Sin la profética promesa al lector/auditor (B), con la mención del tiempo oportuno para entrar en ella (kairos) no se entendería la dinámica que une el origen, contenido, proceso de trasmisión y destinatarios de la revelación (A) con la presentación trinitaria y doxológica del Viniente (A’).

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Ver M. MARINO, Custodire la Parola (cf. nt. 19), 96-97. Custodiar (mantener) la palabra significa para las iglesias del Asia mantenerse perseverantes ante el anti-reino, dar testimonio de Cristo con perseverancia en la adversidad.

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CONTEXTO El canto de las bodas del Cordero La exhortación que parte de la zona trascendente del trono, «alabad a nuestro Dios todos sus servidores» (19,5) resulta iluminador puesto que forma parte de la doxología última del libro (1-8)43. El motivo para alegrarse y dar gloria es la llegada (ēlthen) inminente de las bodas del Cordero. Y su esposa (gynē), la iglesia se ha preparado para ello (7) porque ha escuchado, interiorizado y realizado en obras la palabra profética (1,3; cap. 12) A la esposa le fue dada (edothē) revestirse de lino que son las obras justas (dikaiōmata) de los santos (2,18.23.26), es decir de los siervos44, miembros fieles de la iglesia. A la conclusión de la doxología sigue la bienaventuranza quinta precedida por un imperativo adherente también a nuestro texto: «Escribe: bienaventurados los invitados al banquete de las bodas del Cordero». Y el ángel añade: «estas son palabras veraces de Dios». Y termina con esta esclarecedora afirmación: «el testimonio de Jesús es el espíritu de profecía» (19,9-10). Se trata pues de un testimonio profético abierto a la oferta cruenta de la propia vida a ejemplo de Jesucristo (1,6) y en respuesta coherente a la palabra de Dios (20,4; 1,1-2). Esta simetría al cierre de la doxología, entre testimonio de Jesús y espíritu de profecía aplicada a la palabra de Dios sintetiza la red de relaciones que hemos expuesto en la composición. Ambas doxologías litúrgicas (1,5.6; 19,1-8)45 son respuestas de alabanza al Testigo Viniente (1,6) entonadas por los siervos, miembros de la iglesia (1,1.4) que escuchan la revelación y la mantienen gracias a que ha sido puesta por escrito en forma de profecía para ser escuchada (1,3) y vista (2). El Viniente (ho erchomenos), el que es y era, la ha revelado y su contenido es la propia verdad por Él testimoniada. ormulación del Constituye por otro lado un inter-texto de relieve esta formulación epílogo: «Y mira vengo rápido. Bienaventurado el-que mantengaa la profecía de este libro» (22,9) es decir el testimonio de Jesús (19,10). El profeta vidente reitera al final del libro, por medio también ahora de un macarismo, la exhortación a mantener (1,3) fielmente cuanto él ha escrito por mandato divino (22,18-19). La asamblea en acto litúrgico ha leído/escuchado cuanto el profeta testigo ha visto (1,2; 22,8) sobre el evento Jesucristo, el Viniente a suceder con rapidez (1,1; 22,6.12.20a; ver 3,11) en un tiempo oportuno (1,3; 22,10) y exclama: «Amén46, Ven, Señor Jesús» (22,20b). El amén de la iglesia se encuentra justo 43

Ver R. MEYNET, «La dossologia dell’alleluia (Ap 19,1-8)» in E. BOSETTI – A. COLACRAI, Percorsi nell’Apocalisse in onore di Ugo Vanni, Assisi 2005, 585-596. 44 R. MEYNET, «La dossologia dell’alleluia» (cf. nt. 43), 592. 45 La doxología en 5,9-13 dedicada toda ella a Jesucristo bajo la imagen del Cordero se encuentra en sintonía de vocabulario y de lógica con nuestro texto. 46 De las siete veces que aparece amén en la obra seis se encuentran en contexto doxológico de trasfondo litúrgico (1,6-7; 5,14; 7,12; 19,4; 22,20) y una sola vez como título de Cristo (3,14).

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antes de la fórmula epistolar que cierra la Escritura canónica cristiana (en inclusión con 1,4a-b). El contexto litúrgico encuadra por tanto la entera obra. En particular el uso del verbo venir al final del epílogo forma una bella inclusión con su empleo en el prólogo y revela su trasfondo de celebración litúrgica. INTERPRETACIÓN La profecía como testimonio La auténtica profecía se apoya en el testimonio. Y el testimonio del profeta de Patmos es verdadero – alega el vidente escritor – no sólo porque deriva de un testigo ocular (1,2) sino porque contiene la revelación del Hijo de hombre Jesús el Cristo, Primogénito de entre los muertos, Testigo Viniente (Ap 1,5.8) Fiel y Veraz (3,7; Jn 5,31-32). Cuanto el Apocalipsis significa va más allá de cuanto se expresa para la iglesia del Asia en los albores de su existencia. La simbología apocalíptica viaja en el tiempo en modo que la verdad que contiene pueda ser escuchada y vista por generaciones posteriores y resultar significativa también para el cristiano de hoy. El Espíritu al origen de toda profecía resulta el testigo por antonomasia de Jesús quien lo es a su vez del Padre (Ap 1,5-6; Jn 15,26). La forma de comunicación elegida por la divinidad es aquella de la audición/ visión encaminada a manifestar «significando» por medio de símbolos proféticos el acontecer de su plan de salvación en la historia. La revelación resulta provenir de Dios en Jesucristo y adquiere el valor de profecía si se funda en un testimonio auténtico. Toda la iglesia, movida por el Espíritu, está a su vez llamada a testimoniar el evento pascual (Ap 11). El profeta de Patmos en cumplimiento de su misión (Ap 10) testimonió, en línea con los grandes profetas del pueblo de Dios, la palabra de Dios encarnada en Jesucristo poniéndola por escrito con el objeto de mover a la perseverancia y a la conversión. Tal revelación profética continúa por tanto a operar en su iglesia. Una vez testimoniada mediante la lectura/escucha, la custodia y aplicación a la vida, se hace visible al mundo y a sus futuras generaciones invitando a la conversión de todos (1,7; 22,21). Quien en la iglesia lee/escucha la profecía escrita en este libro (1,3; 22,18) hace activa por medio del Espíritu septiforme y único aquella misma revelación que el Señor Jesús mostró a sus siervos en el día domingo, a través de Juan de Patmos, él también siervo, copartícipe con sus hermanos de la tribulación y perseverancia en Jesús (1,9-10). Todo miembro de la iglesia llamado a ser profeta (Jn 15,26) debe trasmitir con verdad fidedigna cuanto escuchado de la Palabra divina y cuanto visto en Jesús el Cristo, Palabra realizada en la carne. De consecuencia, «el que lee» podría presentar «a los que escuchan» la palabra del Apocalipsis en el acto litúrgico hoy día de esta forma incisiva: «lectura del libro del profeta Juan de Patmos».

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La fuerza comunicativa de la bienaventuranza La lectura-escucha de esta profecía escrita es –según el centro retórico de la sub-secuencia inicial del libro – motivo específico de bienaventuranza (3). Este pasaje se destaca tanto del primero claramente expositivo e introductorio como del encabezamiento epistolar (4a) que precede al comienzo del Apocalipsis propiamente dicho (4b-8) y define toda la obra en la forma típica del acto litúrgico47 (Sitz im Leben). El autor del Apocalipsis mediante esta construcción concéntrica dirige además a sus lectores/oyentes hacia una forma peculiar de acercarse al libro. La composición pone de relieve la conexión intrínseca entre escuchar la palabra profética y la exhortación a realizar una representación visual de ésta. Juan escribe/lee cuanto vio en modo que su destinatario de todos los tiempos oiga y vea cuanto Dios en Jesucristo le ha mostrado/significado en visión y lo pueda a su vez testimoniar en calidad de siervo profeta. Sin la relación dialógica leer-escuchar – mantener se pierde un objetivo principal de la obra. El centro retórico pone de relieve además que el libro es una profecía cuyo contenido revela Jesucristo resucitado, el Viniente, que con la energía del Espíritu, septiforme y uno (1,4; 2,1), dirige su iglesia hacia una meta final de absoluta bienaventuranza (22,14). La bienaventuranza bíblica no tiene el sentido con que se utiliza en el idioma español contemporáneo y en otras lenguas, «dichoso tú», que implica algo inalcanzable para la persona involucrada sino que indica el valor de una situación, de un evento, al cual es posible participar desde ahora. Una apropiada presentación en nuestras biblias debería en consecuencia resaltar el papel central de la primera bienaventuranza del libro. Así el lector/ oyente podría reconocer con mayor facilidad y rapidez el valor comunicativopragmático de la obra y el ambiente vital dentro del cual ésta se gesta. V. CONCLUSIÓN Todo ser humano intenta comprender y dar un sentido a la propia vida tal que supere en forma radical el «absurdo» de la muerte. Esto se realiza en el encuentro con el Trascendente Resucitado, origen en sustancia de la felicidad humana, de la bienaventuranza. El Apocalipsis tiene una forma única de presentar esta búsqueda y de mostrar su realización. Leer/escuchar la revelación del Dios trino, palabra profética contenida en este libro (1,3; 22,18) muestra el camino hacia la felicidad anhelada. Se trata de una dinámica particular que trasluce el acto litúrgico de la iglesia reunida a la escucha del Espíritu actualizador de las palabras proféticas del fiel Testigo del Padre, Jesús, el Mesías.

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La Constitución Sacrosanctum Concilium sobre la sagrada liturgia del Concilio Vaticano II precisa # 7: «(Cristo) está presente en su palabra pues cuando se lee en la Iglesia la Sagrada Escritura es él quien habla».

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La revelación divina se muestra — según el profeta vidente — al escuchar la palabra de Dios testimoniada por Jesucristo, y «significada» mediante símbolos bíblicos a desentrañar y actualizar a la luz de la Pascua del Señor Jesús (1,1-2.57). La felicidad en el momento actual (1,3) se realiza por tanto de modo especial a través del encuentro continuado entre Jesucristo el Viniente y los miembros fieles de la iglesia. Tal encuentro con Cristo Resucitado, traspasado en cruz (1,57), invita a la conversión de toda la humanidad (1,7; 5,6) a Dios Padre. Es un tiempo propicio – kairos – para testimoniar, en el Espíritu, a favor del Testigo, el Viniente – origen y objeto de bienaventuranza – del cual el profeta de Patmos es su portavoz fidedigno y veraz.

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Javier LÓPEZ

SUMARIO Ap 1,1-8 se distingue vistosamente del inicio de los libros proféticos del Antiguo Testamento y también difiere del comienzo de los escritos apocalípticos no canónicos de su época. El presente análisis, según las leyes de la retórica semítica, identifica al centro de su composición literaria la breve unidad relativa a la primera (3) de las siete bienaventuranzas del libro la cual otorga una impronta profética y litúrgica a la entera obra. El artículo también explora el contexto histórico y bíblico de este original comienzo, requisito para una interpretación adecuada. Palabras clave: Ap 1,1-8, bienaventuranza, escuchar-ver, profecía, retórica semítica, revelación, testimonio, venida de Cristo

ABSTRACT The starting verses of Revelation (1,1-8) are strikingly different from the prophetic books in the Old Testament and also from the non-canonical apocalyptic writings of the time. The present analysis employs the laws of Semitic rhetoric and identifies as the center of this literary composition (3) the brief unit relating to the first of the seven beatitudes of the book. This verse gives a prophetic and liturgical character to the whole work, and sets it apart from other prophetic and apocalyptic writings. The article also explores the historical and biblical context for a proper interpretation of this unique beginning. Key words: Rev 1,1-8, beatitude, coming of Christ, to listen and see, prophecy, Semitic rhetoric, testimony

Heon KIM

A Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey to Rome in Acts 27,1–28,16 I. INTRODUCTION Luke’s Acts of the Apostles is addressed to Theophilus like the Gospel of Luke1. While the latter involves Jesus’s Life from birth to death, resurrection, ascension, and his itinerary from Galilee to Jerusalem, the former is a record of the first Christian church from Jesus’s ascension to Paul’s arrival and preaching in Rome. Thus the two books make a parataxis on a grand scale. What attracts the reader’s attention is Paul’s journey to Rome reported in Acts 27,1-28,16. It is because Luke’s narrative of the sea journey and shipwreck is carried out with a very scrupulous attention to detail. This point is remarkable in comparison with Luke’s attitude to other important questions about Paul’s two years stay in Rome. What did Paul exactly preach to Christians and gentiles in Rome? What happened in his judicial case in front of Caesar (the emperor Nero)? What judgement was passed in this case? How was he martyred? To these questions, Luke gives only a short account or no answer. Even though Paul suffered shipwrecks four times according to his own testimony2, Luke recorded only the last one that had happened in the course of sea journey to Rome. What is the reason? As Troftgruben points out, this part has long been a puzzle, and its direct relevance to the larger narrative is hardly clear3. To give an answer to the question is this paper’s purpose. Some say that by describing in details the sea adventure, Luke would like to strengthen his own experiences and the historicity of his narrative. That is the reason why he uses «we» as the subject of narration, which makes readers feel that Luke accompanied Paul and suffered himself with Paul all the incidents that 1

Luke is not mentioned in these two books, but three times within the New Testament, only in Paul’s letters: Col 4,14, Phlm 1,24, 2Tim 4,11. Ellis suggested that «Lucius» in Rom 16,21 might be Luke’s Latin name (cf. E.E. ELLIS, The Gospel of Luke, NCBC, Grand Rapids 1974, 53). Luke-Acts is generally considered as published between A.D. 60 and 150, especially the vast majority would locate it between 60 and 85. Cf. A.J. MATTILL, JR., «The Date and Purpose of Luke-Acts: Rackham Reconsidered», CBQ 40 (1978) 335-350; C.S.C. WILLIAMS, «The Date of Luke-Acts», ET 64 (1953), 283-284. 2 2Cor 11,25. In this letter which was written before the sea journey to Rome, Paul said «three times I was shipwrecked (tris enauagēsa); for a night and a day I was adrift at sea». But we know nothing of these shipwrecks (cf. A. PLUMMER, A Critical and Exegetical Commentary on the Second Epistle of St. Paul to the Corinthians, ICC, Edinburgh 1915, 325). 3 T.M. TROFTGRUBEN, «Slow Sailing in Acts: Suspense in the Final Sea Journey (Acts 27,1– 28,15)», JBL 136 (2017) 949-968. He thinks: «The Final Sea Journey of Acts suspends in order to provoke and, in the process, casts a new vision of hope for apostolic witness and the spaces where it takes place» (T.M. TROFTGRUBEN, «Slow Sailing in Acts», 953).

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happened in the course of sea voyage, and that all the rest of Luke’s narratives are also historically true4. Some say that the story of Paul’s final sea journey is a mixture of Luke’s story of Paul and preexisting sources based on actual events and personal memoirs. So the record of Paul’s voyage to Rome is considered largely or partly a factual account rather than a totally fictional account. Others say that the narrative of Paul’s sea journey to Rome was entered into the end of Acts to attract the last attention of readers who were accustomed with the sea adventures of Greco-Roman heroes as Odysseus, Jason, and Aeneas. If they are right, it may be a final rhetorical service for the gentile readers. In this respect, this narrative seems to be close to Greek and Roman storytelling tradition. To the eyes of gentile readers, Paul obtained an aura of Greek and Roman traditional heroes by being a hero who had struggled with and overcome all the adversity of the sea adventure by the faith in Christianity. On the other hand, the Jewish readers could remind of the famous prophet Jonah. In fact, D. Marguerat considers Acts 27 as the inverted version of Jonah5. From this viewpoint, even though Luke uses «we» as the subject in this journey narration, it could not necessarily guarantee that all the events described in detail are historical facts. «We-passage» is also a poetical fiction Luke exquisitely designed6. All these interpretations may be right in some respects. But I think the ultimate reason why Luke pays more attention to this story of Paul’s sea journey than to any other part in Acts is that he wants to send a crucial message, or to put a question about what Christian life is to be. So, I propose Paul’s sea journey is to be interpreted metaphorically from the point of view of Christian life. The meaning of «metaphorically» is based on Aristotle’s conception on the one hand 4 Especially cf. C.J. HERMER, «First Person Narrative in Acts 27–28», TynB 36 (1985) 79-109; H.J. CADBURY, «“We” and “I” Passages in Luke-Acts», NTS 3 (1957) 128-132. But many scholars have challenged this personal memoirs interpretation; cf. V.K. ROBBINS, «The We-Passages in Acts and Ancient Sea Voyages», BR 20 (1975) 5-18; S.M. PRAEDER, «The Problem of First Person Narration in Acts» NT 29 (1987) 193-218; S. BYRSKOG, «History or Story in Acts – A Middle Way? The «We» Passages, Historical Intertexture, and Oral History» in T. PENNER – C.V. STICHELE, ed., Contextualizing Acts, Lukan Narrative and Greco-Roman Discourse, SBL, Atlanta 2003, 257-283; W.S. CAMPBELL, The We Passages in the Acts of the Apostles: The Narrator as Narrative Character, SBL, Atlanta 2007. Cf. also A.J.M. WEDDERBURN, «The “We” Passages in Acts: On the Horns of a Dilemma», ZNW 93 (2012) 78-98; W.S. SMITH, «WePassages in Acts as Mission Narrative», in M.P.F. PINHEIRO – R. PERVO – J. PERKINS, ed., The Ancient Novel and Early Christian and Jewish Narrative: Fictional Intersections, Ancient Narrative. Supplementum 16, Groningen 2012, 171-188; S.A. ADAMS, «The Relationships of Paul and Luke: Luke, Paul’s Letters, and the “We” Passages of Acts», in S.E. PORTER – C.D. LAND, ed., Paul and His Social Relations, Pauline Studies 7, Leiden 2013, 125-142. 5 D. MARGUERAT, Les Actes des Apôtres. II. 13–28, CNT(N) 5b, Genève 2015, 362. 6 According to Praeder: «The literary relation of the sea voyage, storm, and shipwreck in Acts 27,1–28,16 to sea voyages in ancient literature and the theological relation of Acts 27,1–28,16 to the rest of Luke-Acts are among the unresolved issues in Lucan scholarship» (Cf. S.M. PRAEDER, «Acts 27,1–28,16: Sea Voyages in Ancient Literature and the Theology of Luke-Acts», CBQ 46 [1984] 683). My article aims to present a solution/suggestion to these so-called unresolved issues.

Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey (Acts 27,1–28,16) 205 and connected to biblical rhetoric as «rhetoric of the enigma»7 on the other hand. In the Poetics Aristotle defined the metaphor (metaphora) as the transference (epiphora) of a word from its proper context to another context: it can be from genus to species, species to genus, species to species, or by analogy» (1457b.69). «By analogy, I mean when B is to A as D is to C; for [the poet then] will say D instead of B, or B instead of D». (1457b.16-20)8. As Empedocles called old age «the evening of life» or «the sunset of life», so we can call the evening «old age of the day», because as old age stands to life, so the evening stands to the day (1457b.22-25). A (Life) : B (Old age) = C (Day) : D (Evening or Sunset) → A + D = Evening of Life / Sunset of Life → C + B = Old age of the Day The great asset for poetic (and also rhetorical) expression and composition is a «capacity for metaphor» (to metaphorikon) which consists in «discerning similarities» (to to homoion theōrein; 1459a.5-8). And if a text was composed of metaphors, it would be an enigma (1458a.25): the strangeness of expression caused by a metaphorical transference from its proper context to another context produces an enigma. So to understand a metaphor is to solve an enigma, and to reflect how to unhide a hidden similarity between two contexts. Even though Paul’s final sea journey is a particular event that happened fictionally or factually to a particular person, it can be transferred to a Christian who would like to take over him, furthermore more generally or universally to a person whoever undergoes many hardships to attain his goal as Paul did. Given that we contemplate similarities between them, it is possible and indispensable to interpret «metaphorically» and «enigmatically» Luke’s narrative of Paul’s final sea voyage in Acts 27,1–28,15. Even though Luke’s narrative is a historical fact, it would be given to us as a metaphor to understand and an enigma to solve in relation to our own life.

II. ANALYSIS Luke’s narrative on Paul’s voyage to Rome is divided into three parts. Two parts are concerned with two voyages that are juxtaposed in the form of parataxis. And between them is put «stay in Malta» as a center. Thus, the narrative has a concentric structure:

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This term used in my article is principally taken from R. MEYNET, «Rhétorique biblique, rhétorique de l’énigme», Rhetorica: A Journal of the History of Rhetoric 33 (2015) 147-180. 8 The translation is by Richard Janko: cf. R. JANKO, Aristotle Poetics I with the Tractatus Coislinianus A Hypothetical Reconstruction of Poetics II, the Fragments of the On Poets, Indianapolis – Cambridge (MA) 1987.

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Heon KIM Voyage from Caesarea to Malta (27,1-44) Stay in Malta (28,1-10) Voyage from Malta to Rome (28,11-16)

The two voyages contrast. The first voyage is full of dangers, while the second is without any danger. The first ends with shipwrecked, while the second safely brings Paul to Rome. However, there is an unbalance of the number of verses. The first voyage from Caesarea to Malta is reported in seven times longer verses than the second voyage from Malta to Rome. The map below also clearly shows this unbalance.

Figure 1: https://visualunit.files.wordpress.com/2010/03/paul_rome.png

A remarkable point is that in the first report, there are four parataxis, each of which is composed of sailing and Paul’s intervention. The first part can be analyzed as follows: Sailing1: Against winds (to tous anemous einai enantious; 27,1-8) Sailing1-1 from Caesarea to Myra on a ship of Adramyttium Sailing1-2 From Myra to Crete on Alexandiran ship Paul’s intervention1 (27,9-12) Warning of voyage with danger and much heavy loss. Reaction1: Refused

Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey (Acts 27,1–28,16) 207 Sailing2: Violent wind (anemos typhōnikos) and Hopeless Drift (27,13-20) Northeaster (Eurakylōn); Hopelessness of being saved. Paul’s intervention2 (27,21-26) Encouragement for being saved by message from an angel of God. Reaction2: Unreported Sailing3: Across the sea of Adria (27,27-30) Drift across the sea of Adria between Crete and Malta Paul’s intervention3 (27,31-32) Exposure of the sailors’ plan to escape Reaction3: Accepted Paul’s intervention4 (27,33-38) to urge to take some food for salvation Reaction4: Accepted 4 Sailing : Shipwreck and salvation (27,39-44)

What is interesting is that when the people on board refused Paul’s intervention, the sailing fell in danger, but when they accepted Paul’s intervention, they could get closer to salvation. Meanwhile, Paul’s role as saviour-hero, or as God’s instrument of salvation was more and more carved in relief and strengthened. Finally, all 276 people on board were brought safely to the island of Malta and saved their own lives as Paul had previously said (27,22.25-26). Furthermore, Paul was considered as a god by Malta’s natives, even if for a while9. In the centre of Paul’s voyage to Rome, there is a report on three months of staying in Malta. This part is composed of three parataxis, each of which is composed of kindness and Paul’s action. And it shows two miracles performed by Paul. First, Paul did not suffer any harm after he had been attacked by a viper. Second, he cured many sick people just by praying and putting his hands on him. In comparison with the first part, an interesting point is that these miracles make Malta looking as a magic or fantastic island. Many commentators explain that Malta is a symbol of the Christian Utopia10.

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When the Malteses considered Paul as a god, he did not say «I’m not a god». What is the reason of this silence? D. Marguerat finds out a solution in 28,8 in which Luke shows that Paul cured the father of Publius by praying and putting his hands on him. D. Marguerat says: «L’énigme du silence du narrateur lors de déification de Paul par les Maltais (v. 6) reçoit ici sa résolution: Paul n’est pas Dieu, mais un medium du divin» (D. MARGUERAT, Les Actes, cf. nt. 5, 371). 10 For example, D. Marguerat says: «L’auteur des Actes a traité Malte à la manière de ces îles paradisiaques, comme un lieu de rêve et d’utopie – à cette différence que Malte n’est pas l’île de “nulle part” (c’est le sens premier du mot utopie), mais l’escale qui préfigure la civilisation chrétienne à venir» (D. MARGUERAT, Les Actes, cf. nt. 5, 366).

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Heon KIM Kindness1: The natives’ welcome (28,1-2). Paul’s action1 (28,3-6) Paul’s action1-1: Putting brushwood on the fire. Being attacked by a viper Reaction1-1: Negative – Considering him as a murderer Paul’s action1-2: Shaking off the viper into the fire. Suffering no harm Recation1-2: Positive – Considering him as a god Kindness2: Publius’ Hospitality (28,7) Paul’s action2: Recompense – Curing Publius’ sick father (28,8) Paul’s action3: Curing the rest of the people who had diseases (28,9) Kindness3: Recompense (28,10) Bestowing many honours on «us» Putting on board all the provisions

What is remarkable is that this part has Greek and Roman mythological elements. First, a viper (echidna) fastened itself on Paul’s hand (28,3). In Greek, Echidna is a viper, and at the same time a mythological monster half-snake and half-woman. She is the wife of Typhon11. Paul who had been caught in «a Typhonic wind called the Northester» (anemos typhōnikos ho kaloumenos Eurakylōn; 27,14) was now attacked by an Echidna. And then, the Malteses who were on the scene thought that Paul was punished by «the Justice» (hē Dikē; 28,4). Dikē is justice and at the same time a goddess of justice whose parents are Zeus and Themis12. Finally, the ship that had wintered in Malta and would bring Paul to Rome was an Alexandrian ship with the Dioscuri, Twin Brothers of Zeus and Leda (Castor and Pollux). They were Greek and Roman mythological heroes and gods too. Especially, they were held in great respect by the sailors as patrons of the ship and called upon as helpers in time of need13. The third part begins with this Alexandrian ship with Dioscuri that makes a peaceful journey without danger. The narrative is comparatively simple without any spectacular event, however, the last scene is touching, embroidered with Paul’s gratitude to the God: Voyage1 (28,11-14a) From Malta to Rhegium on an Alexandiran ship with the Dioscuri as its figurehead on a south wind Reception1: Invitation and stay with brothers Voyage2 (28,14b-16) From Rhegium to Rome on foot Reception2: by the brothers from Rome. Paul’s Reaction: Thanksgiving to God Admission to Paul to live by himself with a soldier 11

HESIOD, Theogony, 297ff. HESIOD, Theogony, 901ff. 13 C.K. BARRET, A Critical and Exegetical Commentary on the Acts of Apostles. II. Introduction and Commentary on Acts 15–28, ICC, London – New York 2004, 1228. 12

Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey (Acts 27,1–28,16) 209 III. PAUL’S SHIPWRECK IS A HISTORICAL FACT? Different from the other authors of the Gospels, Luke begins with a first person singular passage addressed to «you» Theophilus: «It seemed fitting for me as well (edoxe kamoi) ... to write an orderly account for you (kathexēs soi grapsai), most excellent Theophillus» (Luke 1,3). What Luke decided to write is «the things fulfilled among us» (peri tōn peplērophorēmenōn en hemin pragmatōn; Luke 1,1), which is specified in the beginning of Acts: «all that Jesus began to do and teach, until the day when he was taken up» (pantōn…hōn ērxato ho Iēsous poiein te kai didaskein achri hēs hēmeras…anelēmphthē πάντων...; Acts 1,1-2). But this is the first part of Luke’s whole writing. The second part of his writing is concerned with the realisation of Jesus’s final command, which is repeated both in the end of Luke (24,44-49) and the beginning of Acts (1,4-8): the expansion of Jesus’s Good News from Jerusalem to the end of the world, which would be fulfilled (or begin in earnest to be fulfilled) by Paul’s arriving at Rome and preaching there. Without doubt, Luke personally did not experience all things about which he wrote in Luke-Acts, because he seems at least not to be a witness of Jesus’s life. So it is likely that he was the same situation as those who «had undertaken (epecheirēsan) to set in order a narrative (anataxasthai diēgēsin) of the things fulfilled among us» (Luke 1,1) before him. Even though they were many (polloi), Luke decided to write the same things differently from them and in his own way. However, he relied on the same ground: what «those who from the beginning were eyewitnesses and servants of the Word (hoi ap’archēs autoptai kai hypēretai genomenoi tou logou) have handed down to us (paregosan hēmin)» (Luke 1,2). In order to secure his writing’s accuracy and facticity, Luke «had closely followed everything accurately from the very beginning» (parēkolouthēkoti anōthen pasin akribōs; Luke 1,3). According to A. Plummer, «having closely followed» (parēkolouthēkoti) does not mean that Luke was contemporaneous with all the events, but it means that he had brought himself abreast of their witness or records by careful investigation14. The object of Luke’s investigation is «everything» (pasin) that refers to «things (pragmatōn) fulfilled among us». Therefore, after having investigated from the very beginning (anōthen) every records (not only written but also oral traditions) about all the events (pasin) very accurately (akribōs), just as if he «followed abreast of/accompanied» (parēkolouthēkoti) all events, he wrote them out in consecutive order (kathexēs...grapsai). Most of scholars accept the line of this interpretation, except for a few scholars, especially H. J. Cadbury, who argued the perfect participle parēkolouthēkoti is used of a person who, having followed the occurrences, 14

A. PLUMMER, A Critical and Exegetical Commentary on the Gospel According to S. Luke, ICC, Edinburgh 1901, 4; I.H. MARSHALL, The Gospel of Luke: A Commentary on the Greek Text, NIGTC, Grand Rapids (MI) 1978, 42-43.

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is thereafter equipped with information available at the time of the occurrences themselves and thus accessible without special investigation or review15. From this point of view, Luke here tries, by describing himself in the perfect participle, to convince his reader, in particular, Theophilus of the eyewitness authority for his work «in order that you might fully know the certainty concerning the words you have been instructed» (hina epignōis peri hōn katēchēthēs logōn tēn asphaleian; Luke 1,4). And so, it seems that Luke’s principal purpose is to shed light on the fact that happened at the particular time, and to verify its truth. Although Cadbury’s interpretation cannot be totally applied to all part of Luke-Acts, it is likely that the so-called «“We” passages» in Acts at least were written on the base of Luke’s own eyewitness: Luke wrote we-passages in Acts after he had followed Paul so closely as to be always beside him. However, Pace Cadbury, parēkolouthēkoti can also metaphorically mean «having investigated», in other words, having paid attention to all the events just as if he had «followed abreast» all the course of events. According to I.H. Marshall, this metaphorical meaning seems better than literal sense of the verb, at least in this verse 16. Nevertheless, Cadbury’s interpretation need not to be absolutely rejected, because it is still possible that Luke thought of the two of meaning simultaneously when he used the perfect participle parēkolouthēkoti. He «investigated carefully» all the writing materials that had been handed to him, and he also actually «followed abreast» of Paul at the moments of some events. So, his work Luke-Acts is an elaborate mixture of his own experience and the other’s records available to him: he investigated carefully all the previous records about the events that he himself had not experienced, and in his narratives he combined them with his own experience. This kind of mixture appears in some ancient historians’ works, especially in Thucydides’ History of the Peloponnesian War. When he wrote (xynegrapse) the war, he always relied on two sources: about the facts of the occurrences of the war (ta d’erga tōn prachthentōn en tōi polemōi), his principle was to write after examining as accurately in each case as possible what he saw himself and what he heard from others (hoist e autos parēn kai para tōn allōn hoson dynaton akribeiai peri hekastou epexelthōn); about the speeches, he tried to adhere as closely as possible to the overall intent of what was actually said (emoi… echomenōi hoti eggytata tēs xympasēs gnōmēs tōn alēthōs lechthentōn), «either of what he heard himself or of what was reported to him by other sources» (hōn autos ēkousa kai 15 H.J. CADBURY, «“We” and “I” Passages» (cf. nt. 4), 130. Marshall also underlined the perfect passive form of plērophoreō with G. Klein (cf. G. KLEIN, Rekonstruktion und Interpretation, BEvTh 50, München 1969, 169): the passive form suggests that these are not merely human acts, but divine acts which God himself promised and has now fully brought to pass, and the used of the perfect indicates that they are seen as a finished series in past time (I.H. MARSHALL, The Gospel of Luke, cf. nt. 14, 41.) But he does not agree to Cadbury’s interpretation on this verb’s meaning. See below. 16 I.H. MARSHALL, The Gospel of Luke (cf. nt. 14), 44.

Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey (Acts 27,1–28,16) 211 tois allothen pothen emoi apaggellousin). As such, Thucydides’s historical records are based on his own experience on the one hand, and on the sources handed to him on the other hand, both of which he tried to take altogether into detailed consideration and to combine in his historical narrative. Thucydides’ passages (History of the Peloponnesian War I.22.2) including his writing principle are very similar to Luke’s passages (Luke 1,1-3). It is true that Luke did not specify his own experience as one of sources of his writing just as clear as Thucydides did. But the phrase «the things fulfilled among us» implies that Luke was one of «us», and so one of eyewitnesses of at least some of them. This parallel shows that Luke’s opening accepted, if not, was very similar to the most representative of classical prefaces of ancient historians17. This point deserves careful consideration, because it means that Luke would like to rely the authority of his writing on the human origins rather than on the divine origins: Luke’s parakolouthein is, in one sense, an ordinary human writer’s composing a narrative in an ordinary way18. This point will be much clearer by comparing Luke’s preface to other important Bible authors’ writing attitude. For instance, the covenant engraved upon the two tablets that Moses carried in his hands from the mountain was, as he said, written by God himself, not by human hands (Exod 32,16-17). In this way, Moses divinized «his» ten commandments as provided from God. In the beginning of Jeremiah, the prophet said that the Lord stretched out His hand and touched his mouth so as to put His words in his mouth (Jer 1,9). Even though this book is defined as «the words of Jeremiah» (Jer 1,1), these words were not merely his own words, but came to him directly from the Lord himself (Jer 1,2). As such, Jeremiah also tried to sanctify his writing. Paul also mentioned the divine origins of the Bible, when he said «all Scripture is inspired by God» (pasa graphē theopneustos; 1Tim 3,16). In contrast to them, as many scholars inferred from Luke’s preface, Luke seems to declare that his Gospel was written based on hearsay and his own experience as human being. While these mentions of the Bible writers quoted above are similar to Greek and Roman epic poets as Homer, Hesiod, Apollonius of Rhodes, Vergil, and Ovid whose opening paragraphs invoke a divine inspiration as Muses or Apollo inspires, Luke seems nearer to historian Thucydides. He, as a historian not as a poet, would like to write the historical facts that are fulfilled «among us» (en hēmin) by being based on the reliable accounts handed «to us» (hēmin) from first eyewitnesses and servants of the

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It does not necessarily mean that «Luke was well read in classical literature, and consciously imitated Greek historians; but there is nothing improbable in this supposition» (A. PLUMMER, A Critical and Exegetical Commentary, cf. nt. 14, 1). 18 J. AZUMAH, «The Divine and Human Origins of the Bible», in D. MARSHALL, ed., Communicating the Word: Revelation, Translation, and Interpretation in Christianity and Islam. A Record of the Seventh Building Bridges Seminar Convened by the Archbishop of Canterbury (Rome, May 2008), Washington (DC) 2011, 94.

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Word. So, after the first person singular introduction, all the rest of his narration is written in a kind of omniscient third person in Luke. Like Luke, Acts also starts with first person singular passage addressed to «you» Theophilus, just as composing a consecutive work to Luke: «The first account I made (epoiēsamēn), Theophilus, about all that Jesus began to do and teach, until the day when He was taken up» (Acts 1,1-2). But different from Luke, Acts has occasional shifts from the omniscient third person passage to the «we-passage» that involves voyages, for instance, from Troas to Macedonia (Acts 16,10-17), from Troas to Miletus (Acts 20,5-15), from Miletus to Jerusalem (Acts 21,1-18), and from Caesarea to Rome (Acts 27,1–28,15). According to MacDonald, the reason Luke narrates these voyages in the first person plural can be interpreted in three ways. First, it is because Luke actually accompanied Paul on these journeys, as explained above. They maintain that the account of Paul’s journey to Rome is highly trustworthy reportage because it is a work of an objective and direct eyewitness of Luke who himself factually participated in the journey. Gilchrist holds this interpretation. One of his articles is concerned with an archaeological enterprise searching for the ship on which Paul was shipwrecked on Malta19. In this article, he rejects the idea that Paul’s final sea journey to Rome is an invention or a fiction and the ship is a literary phantom. According to his interpretation, Paul’s journey to Rome narrated in «we-passage» is a factual eyewitness record, but written-up after a considerable lapse of time. His interpretation seems to succeed to patristic scholar Irenaeus who accepts we-passages as evidence of an eyewitness, even though he does not draw the conclusion that the passages in the third person rested on hearsay20. Second, we-passages were composed by Luke who used travel diaries written by others in the first person plural as main sources for his narration. It means that these passages are second-hand and not necessarily accurate reconstruction, even though they are based on somebody else’s factual experiences. Third, that is MacDonald’s point, the function of we-passages is not to claim the author himself as an eyewitness to these events, or his narration is based on someone’s factual experiences, but to flag these passages as his imitating GrecoRoman classics, especially Homer’s Odyssey21. According to him, it is more than likely that Luke imitates Odysseus’s deceptive narration by making a character lie about a similar voyage in the first person, which is possible fiction22. Luke’s usage of the word poiein seems to support MacDonald’s argument, in some sense. In the beginning of Acts, Luke expresses his writing the Gospel as «I made the first account» (ton men proton logon epoiēsamēn). This phrase implies that now he will make (poiein) his second book (Acts) comprised of the story (logon) from the ascension of Jesus until Paul’s arrival to Rome. The verb poiein 19

J.M. GILCHRIST, «The Historicity of Paul’s Shipwreck», JSNT 61 (1996) 29. H.J. CADBURY, «“We” and “I” Passages» (cf. nt. 4), 128. 21 D.R. MACDONALD, «The Shipwrecks of Odysseus and Paul», NTS 45 (1999) 88-89. Cf. my notes 4 and 5. 22 D.R. MACDONALD, «The Shipwrecks» (cf. nt. 21), 91. 20

Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey (Acts 27,1–28,16) 213 has several meanings, one of which is «the function of the poet» (poiētou ergon) as defined by Aristotle in the Poetics. According to him, poet who is to poiein is to speak (legein) or to «make a story» (poiein to mython) of «the kind of events which could occur, and are possible in terms of probability or necessity» (hoia an genoito kai ta dynata kata to eikos ē to anagkaion), not merely of «the factual events that actually happened» (ta genomena; Poetics, 1451a.36-38). In this frame, if Luke intended to poiein his second logon, as MacDonald argues, he related as a poet, not as a historian. In the frame of Aristotle’s Poetics, there is another essential distinctive point: poetry relates more of the universal (ta katholou), while history relates particulars (ta kath’hekaston). Aristotle says that «universal» means the kinds of things which it suits a certain kind of person to say or do, in terms of probability or necessity, while «particular» means what Alcibiades did or suffered (Peotics 1451b.8-11). Prima facie, Luke’s narrative, even though he said that he would like to poiein, consists of the particular and unique events concerning Jesus and Paul, and the history of the Early Christian Church. And he says with his own mouth that he writes «the things fulfilled among us» (Luke 1,1), «all that Jesus began to do and teach, until the day when he was taken up» (Acts 1,1-2) and all the facts that the apostles accomplished after Jesus’s ascension. His purpose is to make his reader Theophilus know the certainty of the words concerning the things he has been informed23. So, his narrative is concerned with particular things practiced by particular persons at a particular time; it is very like a historian record. Nevertheless, it is possible for poet to say the universal even though he concerns actual and particular facts, because there is nothing to prevent some actual and particular events from being probable as well as possible (Poetics, 1451b.29-32), so from having some universal connotations. This is what Thucydides as a historian wanted to do. While he wrote a particular war that took place in a particular period and a particular space, he also thought of a universal, just as like an Aristotelian poet: he said «whoever will want to have a clear view of what happened, and what will happen again at some future time in accordance with human nature in the same or a similar ways (toioutōn kai paraplēsiōn) – for these to adjudge my records useful will be enough for me» (History of the Peloponnesian War I.22.4). This implies that there can be a similarity (paraplēsiōn) or an identity (toioutōn) between two or more particular events that happened (or will happen) in different times, and the reader that Thucydides has in his mind have a capacity «to discern that similarity or identity» (to to homoion theōrein). That is what Aristotle called a capacity for metaphor that is the most important asset for poet (Poetics 1459a.5-8) Therefore, it can be said that Thucydides related the Peloponnesian war as having a

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Luke 1,3-4: ...soi grapsai, kratiste Theophile, hina epignō is peri hōn katēchēthēs logōn tēn asphaleian.

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universal connotation, a possibility of being generalized, and so a metaphorical significance in human life and history. On the other hand, Aristotle says in his Rhetoric that historical fact can be used as a means of persuasion (pistis) id est paradigm, rhetorical induction that consists in showing on the base of many similar instances that something is so (Rhetoric 1356b.14-15). Similar to the metaphor that is constituted by transferring a word either from species to species, or by analogy, paradigm is constituted as reasoning either from part to part, or like to like, when two things fall under the same genus but one is better known than the other24. Paradigm is divided into two species: one is to speak of things that have happened before, the other is to make up a fiction, that is to say, comparison (parabolē) or fables (logoi; Rhetoric 1398a.28-31). When a general or universal statement is made and then supported by a particular instance or particular instances, paradigm can produce a rhetorical syllogism enthymeme by induction of what is like whether one thing or more (Rhetoric 1402b.14-18). From this view, there is no critical difference of persuasiveness between historical fact and poetical fiction. If Luke’s purpose is not merely to keep an exact record of historical facts concerning the Primitive Christianity, but rather to instruct and persuade readers to live in Christian way of life, it becomes more important for readers to understand and interpret Luke-Acts metaphorically and also «paradigmatically», by transferring the meaning of Luke’s words from his own historical context to readers’ space of life. And readers need not to simply adhere to the historicity of Luke-Acts’ narrative, rather can assume an open attitude to the idea that Luke tried to imitate Greek and Roman classics so as to reinforce his narrative’s persuasiveness and attractiveness as a literary, instructive and religious work25.

IV. LUKE IMITATES GREEK AND ROMAN POETS? Luke’s another expression anataxasthai diēgēsin deserves careful consideration in relation to MacDonald’s interpretation, because this expression is related to poetical composition. In Aristotle’s Poetics, diēgēsis is introduced as a poetic technical term that indicates narrative or narration of the epic (1448a.1923)26, so Luke’s anataxasthai diēgēsin peri tōn peplērophorēmenōn en hēmin 24

Cf. ARISTOTLE, Rhetoric, 1357b.26-30. Different from metaphor that can be constituted by transferring a word either from genus to species, or species to genus (Poetics 1457b.6-9), Paradigm is not constituted as reasoning neither from part to whole nor from whole to part. 25 In similar way, C.H. Talbert estimates «the author of Luke-Acts is not only a theologian; he is also a consummate literary artist with a mind that is tuned to the aesthetic» (C.H. TALBERT, Literary Patterns, Theological Themes and the Genre of Luke-Acts, SBLMS 20, Missoula [MT] 1974, 1.11). 26 In fact, epic is defined as «a narrative» (diēgēsis; 1459b.26) and «narrative mimesis» (diēgēmatikē mimēsis; 1459a.17, b33, 36).

Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey (Acts 27,1–28,16) 215 pragmatōn can be understood as synistasthai tous mythous (1447a.8-9) and ta pragmata synistanai (1450a.37) that is the essential function of the poet. Of course, this term can be applied not only to the epic or poetical composition, but also to rhetorical narration or part of rhetorical speech, and discourse about the fact concerned, or historical statement about a fact: surely, it has more general connotation and extension than Aristotle uses in Poetic and Rhetoric. However, Aristotelian conception of diēgēsis cannot be absolutely ignored insofar as Luke undertook to «compile a narrative» (anataxasthai diēgēsin) and «made an account» (logon epoiēsamēn). When Luke made (epoiēsamēn) Luke and Acts, what did he have in mind as narrative model to imitate? To this question, some scholars think of Homer and Vergil27. S.M. Fraeder asserts that it is apparent that Luke is familiar with several literary models or styles from sea voyages in ancient literature28. MacDonald thinks that Luke intentionally imitated Homer when he wrote Paul’s sea voyage to Rome. He compared Acts 27–28 with the shipwreck of Odysseus in Odyssey Books 5 and 1229. In Book 5, Odysseus was sent on his way by Calypso from her island, and in spite of the shipwreck caused by Poseidon, Odysseus reached the land of hospitable Phaecians by the aid of Leucothea and Athena (263-493). In Book 12, Odysseus set sail from the island of Helios, but suffered a shipwreck caused by Zeus between the cliff of Scylla and Charybdis, and on the tenth night, he is brought by gods to Ogygia, island of Calypso who gave him welcome and attendance (399-453). Especially, MacDonald pays delicate attention to «we-passages» in Acts. His point is that all these passages involve voyages which seem to allude Odysseus’s sea voyages. The first we-voyage in Acts begins from Troas, which is situated at a mere 10 miles south of ancient Troy, the starting point of Odysseus’ returning home voyage, and ends at Macedonia (Acts 16,10-15). The second voyage goes along from Macedonia to Troas (Acts 20,5-15) and then from Miletus to Caesarea and finally Jerusalem (Acts 21,1-18). The final we-voyage takes Paul from Caesarea to Rome (Acts 27,1–28,16). According to MacDonald, the journeys that Luke narrates in the first person plural are all related to Troas. Thus, the function of this «Troas» is to flag these passages as imitations of the

27

K.O. SANDNES, The Gospel «According to Homer and Virgil»: Cento and Canon, NovTSup 138, Leiden 2011; L.C.A. ALEXANDER, Acts in Its Ancient Literary Context: A Classicist Looks at the Acts of the Apostles, JSNTS 289, London 2005; R. BIERINGER – G. VAN BELLE – J. VERHEYDEN, ed., Luke and His Readers, Fs. A. Denaux, BETL 182, Leuven 2005; D.R. MACDONALD, The Gospels and Homer: Imitations of Greek Epic in Mark and Luke-Acts, New Testament and Greek Literature 1, Lanham (MD) 2015; D.R. MACDONALD, Luke and Vergil: Imitations of Classical Greek Literature, New Testament and Greek Literature 2, Lanham (MD) 2015. 28 S.M. PRAEDER, «Acts 27,1–28,16» (cf. nt 6), 705. 29 D.R. MACDONALD, Does the New Testament Imitate Homer? Four Cases from the Acts of the Apostles, New Haven (CT) 1994, 167-178.257-259; D.R. MACDONALD, «The Shipwrecks» (cf. nt. 21), 88-107.

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Odyssey. Finally, MacDonald concludes that the Odyssey was Luke’s single model for the we-voyages in Acts. In fact, just as Homer makes Odysseus tell of his voyage from Troy to Ogygia throughout Books 9–12 by switching among the first person plural, the first person singular, and the third person, Luke also begins Luke and Acts with the first person singular (edoxe kamoi, epoiēsamēn), and then narrates events sometimes in the omniscient third person, sometimes in the first person plural. In addition, MacDonald shows many evidences in detail to reinforce his argument. In order to examine whether his argument and evidences are persuasive, and to take into consideration the relation between Luke’s narrative and Greco-Roman storytelling tradition in general30, it will be useful to follow Luke’s verses about Paul’s voyage to Rome31. Paul’s final voyage to Rome begins in 27,1 and ends in 28,15. In the autumn of 60 A.D., although it is not clear who «we» are, «we» perhaps Luke and Paul and their companions, put out to sea, embarking on an Adramyttian ship. It was about to sail to the regions along the coast of Asia (epibantes de ploiōi Adramyttēnōi mellonti plein eis tous kata tēn Asian topous anēchthēmen; 27,2). This «our» embarkation is similar to that of Odysseus in the Odyssey: «we embarked at once (on the ship) and put forth on the wide sea» (hēmeis d’aips’anabantes enēkamen eurei pontōi; 12.401). This similarity in the description of the embarkation may not be so much remarkable, because whoever begins to sail cannot help doing the same or similar thing as Odysseus’s «we» and Luke’s «we» do. But the name of Adramyttium is remarkable, because it was a port city situated on the south of Troas. It is questionable whether this name is a coincidental fact or Luke’s intentional fiction. Anyway, as MacDonald points out, by the name of the ship the last we-voyage to Rome is connected to Troas, and then to the starting point of Odysseus’ adventure32. So this hints that the voyage would not be easy. In fact, «we» took the ship that was to sail back for its home port Adramyttium along the coast of Asia instead of a ship which was destined to sail directly or in another course for Italy, viz., for Rome. The Adramyttian ship that had left Caesarea soon arrived at Sidon. The next day, from Sidon «we» sailed under the lee of Cyprus, the ship hugging the coast near Antioch, Cilicia and Pamphylia, because the winds were against «us». In this way, «we» came to Myra in Lycia. There «we» changed to an Alexandiran 30

Troftgruben acknowledges that classic and conventional shipwreck stories from ancient literature may well have influenced Acts 27,1–28,15, but he thinks that evidence for such direct influence is not overwhelming – at least not enough to justify the passage’s distinctiveness within the larger narrative of Acts, and to answer the questions of exegetical meaning (cf. T.M. TROFTGRUBEN, «Slow Sailing in Acts», cf. nt. 3, 951). 31 MacDonald shows a table of schematical comparison between Odyssey 5.268–6.245 and Acts 27,1–28,15. He mentions also very shortly that these passages of Odyssey were a Vergil’s model for Aeneid 1.157-222: cf. D.R. MACDONALD, Luke and Vergil (cf. nt. 27), 130-131. 32 D.R. MACDONALD, «The Shipwrecks» (cf. nt. 21), 91.

Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey (Acts 27,1–28,16) 217 ship bound for Italy. This transfer alludes a change of situation: from smooth start to adversity. The ship could not sail directly to Rome because of the wind that was against «us». From Myra «we» sailed slowly for many days and arrived with difficulty off Cnidus. And one more time, «we» sailed under the lee of Crete off Salmone, and barely came to Fair Havens, near the city of Lasea. This part (Acts 27,1-8) serves as the prologue to the storm and shipwreck that begins in 27,9 and ends 28,1033. From Acts 27,8, the narrative of stormy voyage and shipwreck begins with Paul’s admonishment. Luke mentions that then the Fast was already over. His intention is not only to provide a seasonal setting, but also to remind the early Christian audience of Jonah’s journey34, and at the same time the Roman pagan audience of Odysseus’ journey. Anticipating the danger of the voyage, Paul tried to dissuade the centurion Julius and the others from immediate departure: Men, I perceive that the voyage will certainly be attended with damage and great loss, not only of the cargo and the ship, but also of our lives (andres, theōrō hoti meta hybreōs kai pollēs zēmias ou monon tou phortiou kai tou ploiou alla kai tōn psychōn hēmōn mellein esesthai ton ploun; 27,10). In Odyssey Book 12, there is a similar advice that Odysseus gave to his companions: The prophesies of Tiresias and of Aiaian Circe... to avoid the isle of the Sun... They said a most dreadful evil would come on us there. So let us drive the black ship on past that island (mantēia Teiresiao Kirkēs t’Aiaiēs…nēson aleuasthai terpsimbrotou Ēelioio…entha gar ainotaton kakon emmenai ammin ephasken. Alla parex tēn nēson elaunete nēa melainan; 12.272-276). But Odysseus’s companions had not obeyed him just as centurion Julius did not. In Acts, the centurion was not persuaded by Paul, because he paid more attention to the pilot and to the owner of the ship who preferred not to spend the winter in the harbour Fair Havens, but to put to sea from there and to reach Phoenix, a harbour of Crete in order to spend there the winter. This similarity deserves careful attention, in spite of the difference of expression and vocabulary between the two texts. Odysseus’s companions also disobeyed him. But this similarity is not so decisive as to prove that Luke imitated the Odyssey, because this kind of disaccord frequently arrives in human life, especially like in this case, it is likely that it happens not infrequently among sailors during the sea voyage. At first, Paul’s journey readily started. «When a south wind began to gently blow» (hypopneusantos de notou; 27,13), they tried to sail past Crete. But «not long afterward» (met’ou poly) a violent wind, called the northeaster (Eurakylōn; 33 34

S.M. PRAEDER, «Acts 27,1–28,16» (cf. nt. 6), 685-686. J.M. BERESFORD, «The Significance of the Fast in Acts 27,9», NT 58 (2016) 155-166.

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27,14), rushed down from Crete, and caught the ship. The ship drifted at the mercy of the storm, and «we could not help giving way to it and being helplessly driven by it» (epidontes epherometha; 27,15). It was under the lee of a small island Cauda that «we» could scarcely get the ship’s boat under control (27,16). Fearing a quicksand called Syrtis, they lowered the sea anchor and «were driven» (epheronto; 27,17). Because the storm was so violent that they began to throw the cargo (27,18) and then ship’s tackle overboard (27,19). Since neither sun nor stars appeared in the sky for many days, and no small tempest raged, «we» at last abandoned all hope of being saved, except Paul (27,20). The abrupt change of weather and loss of control over the ship in the storm may recall Odysseus’s sailing in the end of Book 12. When Odysseus began to sail from the island of Helios Hyperion, the wind ceased raging in a tempest, «we» embarked at once. But when «we had left the island behind» (hote dē tēn nēson eleipomen; 12.403), Zeus halted a dark blue cloud over the hollow ship. So the ship ran on «not too long time» (ou mala pollon epi chronon; 12.407). «For at once (aipsa) there came the shrieking West Wind (zephyros) raging in a great tempest, and a storm of wind broke the forestays» (12.407-408). After the ship had been broken, «I was driven (pheromēn) by the destructive winds» (12.425) seated on the kneel bound with the mast, «nine days I was driven» (pheromēn; 12.447). In Acts, after reminding all the crew and the fellow travellers about his early advice not to set sail from Crete, Paul tried to assure them that «there will be no loss of life among you but only of the ship» (apobolē gar psychēs oudemia estai ex hymōn plēn tou ploiou; 27,22). His encouragement was based on the appearance of an angel of the God who had told him «Do not be afraid, Paul. You must stand before Caesar (Kaisari se dei parastēnai); and behold, God has granted you all those who are sailing with you» (27,24). This appearance of an angel to Paul merits a careful comparison with the appearance of see-goddess Ino, Leucothea. MacDonald argues that «the appearance of an angel suggests Luke had Ino in mind when composing», thus «Luke imitated Homer». Ino perched on Odysseus’s raft and told him to leave the raft for the wind and to strive for reaching the Phaeacian’s land «where it is your fate to escape» (hothi toi moir’estin alyxai; 5.345). However, the earthshaker Poseidon might desire to destroy Odysseus, she said, he would survive in spite of the wreck of the raft. According to MacDonald, did Luke make a fiction, not describe a fact, following the Homeric poetical narrative, in order to make Paul’s shipwreck more dramatic and to produce a Christian hero similar to Greek hero Odysseus? Despite Paul’s encouragement, the sailors would not trust him, just like Odysseus who distrusted at first Ino. So the sailors attempted to secretly escape from the ship leaving the other passengers in the ship. On the fourteenth night, as they surmised that they were nearing land, they lowered the ship’s boat into the sea as if they intended to lay out anchors from the bow (27,27-30). But Paul saw through their selfish design and immediately told it to the centurion. Then

Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey (Acts 27,1–28,16) 219 soldiers cut away the ropes of the boat and set it adrift to prevent the sailors from leaving the ship, because, as Paul said, there would not be any hope of being saved in the ship unless the sailors remained in the ship (27,31-32). The next day, Paul encouraged them all to take some food, because they had been constantly watching and going without eating (27,33). Since for their preservation and salvation (sōtērias), they absolutely needed to take some food, Paul tried to remove their anxiety and reassure them saying: «Not a hair from the head of any of you shall perish» (oudenos gar hymōn thrix apo tēs kephalēs apoleitai; 27,34). And then he took bread and gave thanks to the God in the presence of all. Seeing Paul break it and eat, they were all encouraged and themselves also took food. Having eaten enough, they threw out the wheat into the sea so as to lighten the ship (27,35-38). Paul’s encouragement to take food for preservation can be compared with Ino’s magical veil as a life preserver; she said «The Phaeacians’ land, where it is your fate to escape. And here now, stretch this veil out across your chest. It is immortal. Have no fear of suffering or dying» (oude tit oi patheein deos oud’apolesthai; 5.345-347). After a terrible shipwreck, Odysseus bestrode one spar and stretched the veil right away beneath this chest, being eager for preservation and salvation. When he reached the Phaeacians’ land, as the goddess said, he unbound the immortal veil from himself and threw it out into the sea-mingling river. When they observed a certain bay with a beach, they tried to drive the ship onto it, but they stroke a reef where two seas met. At last, «they ran the ship aground» (epekeilan tēn naun; 27,41). The centurion commanded all of them to escape from the wrecked ship in spite of the soldiers’ plan to kill all the prisoners. Some swam to get to land, some grabbed planks, others various things from the ship, «we» could make «our» way to an island. Thus all 276 persons on the boat were brought safely to land, fulfilling God’s promise that no life would be lost. In this part, «they ran the ship aground» (epekeilan tēn naun) should be specially underlined. This expression is, without any doubt, a typical Homeric nautical expression. Especially naus appears only in this verse in the New Testament, while Luke usually refers to ship as ploion35. In addition, the verb epikellein and the uncompounded form kellein are not attested elsewhere in the LXX or in the New Testament, while the juxtaposition of naus and (epi)kellein occurs six times just only in the Odyssey Books 9-12: in Odysseus’s first-person voice, as prin nēas eusselmous epikelsai (9.148), kelsasēisi de nēusi (9.149)36. So, F. Blass and many scholars think that Luke might have taken this unusual 35 In fact, ship is expressed in Acts 27–28 by ploion (27,6.17.38.39), ploiou (27,10.15.19.22.30.44) and ploiōi (27,2.31.37; 28,11). D. Marguerat explains that naus designate the warship while ploion is applied to the merchant ship. He admits that although this expression is a homerism inserted by the author, it is the afterglow of homeric formula in the hellenistic culture (D. MARGUERAT, Les Actes, cf. nt. 5, 361). 36 Cf. also 9.546-47; 10.511; 11.20 (cf. 13.114).

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phrase in Acts 27 from Homer’s Odyssey37. These expressions evidently show, as scholars remark, Luke’s «unmistakable Homeric reminiscences», in particular «reminiscences of the Odyssey». But Luke’s imitating and borrowing Homer in this context is made simply on the level of words and expression, not effectively on the level of plot. The island into which Luke’s «we» had been brought safely through was Malta. The natives of Malta «showed us extraordinary kindness» (hoi te barbaroi pareichon ou tēn tychousan philanthrōpian hēmin; 28,2) and kindled a fire to make «us» warm as «we» were cold because of the rain that had set in. It also deserves attention that it was «because of the cold» (dia to psychos) that Paul gathered a bundle of sticks and laid them on the fire. Odysseus also was in a similar predicament of the cold when he arrived at the land. His way to keep himself warm is quite different from Paul’s way, but both of them showed a similar action: they gathered leaves or firewood for protection from the cold. The natives of Malta «said Paul was a god» (elegon auton einai theon; 28,6), since he neither swelled up nor fell down after being bitten by a viper (echidna). At first, they said to one another that Paul was a murderer, because they thought that «goddess justice» (he dikē) had not allowed him to live even though he had been saved from the sea. Similar change of attitude appears in the Odyssey. At first, Odysseus made a bad impression to the Phaeacian maidens «frightfully begrimed with brine did he appear to them» (6.137). But when he washed, anointed, and dressed himself, Nausicaa, the Phaeacian princess said «Beforehand he appeared to me to be unseemly», and «now he seems like the gods» (nyn de theoisin eoike; 6.242-243). As Zeus predicated, the Phaeacians «honored him as a god» (theon hōs timēsousi; 5.36) throughout the so-called Phaeakis (Books 6–8). Alcinoos, the Phaeacian king wondered «if he has come down as one of the immortals from heaven» (ei de tis athanatōn ge kat’ouranou eilēlouthen; 7.199). Like the Phaeacian king Alcinoos in the Odyssey, in Acts Publius, the governor of Malta, also welcomed and entertained «us», especially when Paul healed his father who was diseased. After this healing, the rest of the people on the island who had diseases also came to Paul and were cured. So «they honoured us with many marks of respect (hoi kai pollais timais etimēsan hēmas), and when we were about to sail, they put on board with what we needed» (anagomenois epethento ta pros tas chreias; 28,10). This scene also resembles 37

F. BLASS, Acta apostolorum sive Lucae ad Theophilum liber alter. Apparatu crtico, commentario perpetuo, indice verborum illustrata auctore, Göttingen 1895, 282; F.F. BRUCE, The Acts of Apostles. The Greek Text with Introduction and Commentary, Grand Rapids (MI) – Leicester 19903, 474; S.M. PRAEDER, «Acts 27,1–28,16» (cf. nt 6), 701; D.R. MACDONALD, «The Shipwrecks» (cf. nt. 21), 94-95. In addition, there are some nautical words found in the New Testament in Acts 27–28 and also in the Odyssey: for example, limēn (27,8.12; Od. 5.418, 12.305), prōira (27,30.41; Od. 12.230), asson (27,13; 11 times in the Od.), kybernētēs (27,11; Od. 9.78; 12.152, 217, 412), notos (27,13; 28,13; Od. 5.295, 331; 12.289, 325, 326, 427), pelagos (27,5; Od. 5.330, 335), pēdalion (27,40; Od. 5.255, 270, 315), prymna (27,29.41; Od. 12.411).

Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey (Acts 27,1–28,16) 221 Alcinoos’s farewell to Odysseus. Alcinoos, being impressed by Odysseus’s stories of adventure, made his escorts «place inside a ship with all the food and drink» (en nēi...katethento, posin kai brōsin hapasan; 13.71-72) indispensable for Odysseus’s returning home. The last part (28,11-15) functions as an epilogue to proceeding part (27,9– 28,10) and narrates in short length about Paul’s journey from Malta to Rome. There was no more any danger. At the end of three months, «we» including Paul resumed sailing on another Alexandrian ship wintering at Malta, the figurehead of which was the Twin Brothers (Dioskoroi; 28,11). The figurehead of Dioscuri as saviours at sea makes readers think Paul’s journey would be safe from Malt to Rome, and connects his journey to Greek and Roman mythological tradition. The natives’ kind hospitality was followed by a peaceful voyage, and then Paul arrived at their destination. «We» stopped by Syracuse for three days (28,12), and then sailed around and arrived at Rhegium. A day later, a south wind sprang up, and on the second day «we» quickly arrived at Puteoli (28,13), where «we» stayed with some brethren for seven days, and «we» eventually came to Rome by an overland route (28,14). He is then taken to Rome on the Appian Way road. When Paul saw the brethren who came from there as far as the Market of Appius and Three Inns to meet «us», he thanked God and took courage (28,15). MacDonald’s comparison of Luke’s Paul to Homer’s Odysseus from the point of view of sea journey and first person narrative is very interesting, remarkable and persuasive. According to him, Luke paid more attention to advertising his relationship with Homer and to making his narration of Paul’s journey to Rome fictive than to demonstrating its historical veracity. Furthermore, Luke related Paul’s shipwreck to those of Odysseus in order to exalt Paul and his God. For example, his imitation of Homer in his narrative of Paul’s sea journey reminds the readers accustomed to Homer that Homeric Gods as Poseidon and Zeus send a storm to punish Odysseus or his crew, while Paul’s God is responsible for deliverance from disaster caused by natural storm; Paul remains unflappably confident throughout, while Odysseus panics and gives up hope38.

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D.R. MACDONALD, «The Shipwrecks» (cf. nt. 21), 106-107. As such, Paul’s final journey to Rome narrative is also theologically interpreted. For instance, Praeder comments that Paul’s last sea journey is intimately and symbolically related to the message of the rest of Luke-Acts: the sending of the salvation of God to the Gentiles in Jesus Christ and in the Christian community. Cf. S.M. PRAEDER, «Acts 27,1–28,16» (cf. nt 6), 705. I think that if the meaning of Paul’s journey to Rome is a final step toward the expansion of the Good News from Jerusalem to the end of the world and the beginning of establishment of the Christian Kingdom, the purpose of Luke’s narrative can be more clearly and extensively explained by Virgil’s Aeneid than by Homer’s Odyssey. Aeneas began his journey from Troy and finally arrived at Rome so as to found a new State, second Troy, just as Paul’s final journey from Troad to Rome narrated by Luke.

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V. CONCLUSION: A METAPHORICAL INTERPRETATION As D. Marguerat points out, the affinities between Luke’s narrative of sea journey and homeric stories that MacDonald found out could not be a definitive evidence that Luke imitates directly homeric text in his composition39. However, this cannot absolutely deny the possibility that Luke virtually imitated Homer’s Odyssey. Anyway, in my opinion, MacDonald’s literary comparison and theological comment, and then this kind of interpretation about Paul’s final sea journey may be possibly established on the base of crucial similarity between Homer and Luke, more precisely Homer’s Odysseus and Luke’s Paul. And the possibility of Luke’s imitating Homer is based on essential similarity between Paul’s sea journey and Odysseus’s the sea journey story, even though they have many differences to each other. Paul : Sea journey form Caesara to Rome = Odysseus : Sea journey from Ogygia to Phaeacians’ city, etc.

If MacDonald is right, the similarity between Paul and Odysseus was found out by Luke, who reconstructed Paul’s story in comparison with Odysseus. In some sense, it is not so much important whether Paul’s final journey is a historical fact or not. Anyway, this similarity is an essential point that enabled Luke to imitate or emulate Homer in his own narrative of Paul’s final sea journey. On the base of this similarity, Luke could transfer Homer’s expression, characters, story line, constituents and structure of the plot into making and compiling his own narrative of Paul’s last sea journey to Rome. Luke’s operation can be considered as a sort of «metaphorizing», because his transferring Homeric poetical elements into his composition of Paul’s final sea journey narrative is based on the similarity between Christian Paul and Homeric Odysseus. In this way, he could make Paul and his God very familiar to Greek and Roman cultured readers who accustomed to Homeric Hero and gods. However, his metaphorical operation does not remain in the similarity. He shifts the focus from similarity to difference between them, so moves from imitation to creation. Finally, Luke devotes his narrative to carving in relief the uniqueness of Christian Hero and God. It is just as if Virgil imitated or emulated Homer, when he composed his own epic Aeneid, in order to create Roman Hero Aeneas, who was similar to Greek heros Achilles and Odysseus and at the same time fundamentally different from them. Aeneas : Sea journey form Troy to Rome = Odysseus : Sea journey from Troy to Ithaca

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D. MARGUERAT, Les Actes (cf. nt. 5), 366: «C’est oublier que le thème imprègne la culture grecque depuis Homère».

Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey (Acts 27,1–28,16) 223 In the similar way, Luke could imitate, on the other hand, Jewish prophet Jonah’s sea journey while composing his own Paul’s voyage (hi)story. With similarities between the two heros’ stories, Luke could make Christian hero Paul familiar to Jewish, while with difference between them, he could make highlighted the newness of Christianity. In this respect, Luke’s composition can be understood as a kind of «metaphorizing». Paul = Jonah

: Sea journey from Caesara to Rome : Sea journey from Joppa to Nineveh

Furthermore, Luke’s narrative that was made by a metaphorical operation has a metaphorical effect on the readers, when it helps them to find a similarity between themselves and Paul. If owing to Luke’s narrative they find out a similarity, they can model their life on Paul’s life; specifically, in some of their own life’s situations, they can imitate or emulate Paul’s behaviours shown in his last sea journey to Rome. So they can live a Pauline, so a Christian life. Certainly, Paul is not the only object of readers’ consideration. They could choose as the object of consideration sailors, or centurion Julius, or Malteses, or Luke himself. They can reflect on their own life in comparison with selected character(s). Paul (or sailors...)? = Me

: Sea journey from Caesara to Rome : Life from where to where?

In my opinion, this is the ultimate purpose of Luke’s narrative. Without this metaphorical operation or interpretation, his narrative cannot bring about any significant change in reader’s mind and life, and so will be merely vain words to them. It seems to me that Luke anticipated his record’s destiny when he added Isaiah’s words cited in Paul’s preaching: «You will keep on hearing, but will not understand; and you will keep on seeing, but will not perceive; for the heart of this people has become dull, and with their ears they scarcely hear, and they have closed their eyes» (Acts 28,26-27, Cf. Isa 6,9-10). In fact, when Paul preached the kingdom of God, and taught concerning Jesus Christ (Acts 28,31), some were being persuaded by the things spoken, but others would not believe (28,23). It means that some perceived Paul’s words as truth, others did not. But it can also mean that some could metaphorize Paul’s words in their own life, others could not.

Seoul National University, Institue of Humanities Bld. 137-2, 1 Gwanak-Ro, Gwanak-Gu, Seoul 08826 (Republic of Korea)

Heon KIM

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Heon KIM ABSTRACT

Luke’s narrative of the sea journey in Acts 27:1–28:16 is carried out with a scrupulous attention to detail. What is the reason? This paper gives an answer to the question. First, it could be said that by describing in details the sea journey, Luke strengthens the positivity and reality of his narrative. Second, Luke’s narrative of the sea journey seems to be entered into the end of Acts to attract the readers who are accustomed with the sea adventures of Greco-Roman heroes like Odysseus. This narrative is, therefore, no less close to Greek and Roman storytelling tradition than to Jewish Old Testament which includes Jonah’s sea adventure story. To the eyes of gentile readers, Luke makes Paul obtain an aura of Greek and Roman traditional heroes by being a hero who has struggled with and overcome all the adversity of the sea adventure by the faith in Christianity. And also with similarities between the stories of Jonah and Paul, Luke could make «Christian hero» Paul familiar to Jewish. In this respect, Luke’s composition can be understood as a kind of «metaphorizing». Furthermore, Luke’s narrative that was made by a metaphorical operation has a metaphorical effect on the readers, when it helps them to find a similarity between themselves and Paul. If owing to Luke’s narrative they find out a similarity, they can model their life on Paul’s life. In their own life’s situations, they can imitate or emulate, and «metaphorize» Paul’s behaviors in the last sea journey to Rome. In my opinion, this is the ultimate purpose of Luke’s narrative. Keywords: Metaphor, Narrative, Sea Journey, Imitation, Acts, Luke, Paul, Homer, Odysseus, Jonah RIASSUNTO La narrazione di Luca del viaggio in mare in At 27,1–28,16 viene eseguita con una scrupolosa attenzione per i dettagli. Qual è il motivo? Questo articolo dà una risposta alla domanda. In primo luogo, si potrebbe dire che, descrivendo in dettaglio il viaggio in mare, Luca rafforza la positività e la realtà della sua narrazione. Secondo, la narrazione di Luca del viaggio marittimo sembra essere entrata nel finale di Atti per attrarre i lettori che sono abituati alle avventure marine di eroi greco-romani come Odisseo. Questo racconto è, quindi, non meno vicino alla tradizione narrativa greca e romana che all’Antico Testamento ebraico, il quale include la storia dell’avventura marina di Giona. Agli occhi dei lettori gentili, Luca fa sì che Paolo ottenga un’aura degli eroi tradizionali greci e romani essendo pure lui un eroe che ha lottato e superato tutte le avversità dell’avventura sul mare con la fede nel cristianesimo. E anche con somiglianze tra le storie di Giona e Paolo, Luca potrebbe rendere Paolo un «eroe cristiano» familiare per gli ebrei A questo proposito, la composizione di Luca può essere intesa come una sorta di «metaforizzazione». Inoltre, la narrazione di Luca realizzata con un’operazione metaforica ha un effetto metaforico sui lettori, quando li aiuta a trovare una somiglianza tra loro stessi e Paolo. Se a causa della narrazione di Luca scoprono una tale somiglianza, possono modellare la loro vita proprio sulla vita di Paolo. Nelle situazioni della propria vita, possono imitare o emulare, e «metaforizzare» i comportamenti di Paolo nell’ultimo viaggio marittimo verso Roma. Secondo me, questo è lo scopo ultimo della narrazione di Luca. Parole chiave: metafora, narrazione, viaggio marittimo, imitazione, Atti, Luca, Paolo, Omero, Odisseo, Giona

TERZA PARTE

Altri testi

Gérard JOYAU

L’atelier du monastère Le chapitre 4 de la règle de saint Benoît

INTRODUCTION Le chapitre 4 de la règle de saint Benoît1 (milieu du VIe siècle), intitulé « Les instruments des bonnes œuvres », résiste à une analyse organisationnelle non seulement du fait de ses soixante-dix-huit versets, mais surtout parce que soixante-quatorze d’entre eux semblent constituer une liste de préceptes dont on ne perçoit pas bien la suite logique. Voici, par exemple, comment Adalbert de Vogüé (1924-2011), grand commentateur bénédictin de la Règle, débute le commentaire de ce chapitre : « Ce catalogue d’“instruments des bonnes œuvres” est sans doute le morceau le plus inattendu de la Règle. Il surprend au premier regard pour son genre insolite — une liste de maximes — et par le défaut de connexion avec les traités environnants. À l’examiner de plus près, on est déçu de ne trouver dans cette succession de petites phrases que peu ou point d’ordre2. » Face à cette opinion commune, l’analyse selon les lois de la rhétorique biblique et sémitique permet de mettre en évidence une véritable structure qui donne une vision d’ensemble de tout le chapitre. Si la répartition en deux sous-séquences (1-74 et 75-78) va quasi de soi, la première d’entre elles demande une étude attentive.

I. PREMIÈRE SOUS-SÉQUENCE (V. 1-74) LES INSTRUMENTS DE L’ART SPIRITUEL La première sous-séquence (1-74) est constituée de trois passages. PREMIER PASSAGE (1-33) : les commandements et les bases de la vie chrétienne Le premier passage se compose de quatre parties organisées de manière parallèle.

1 Voir notre présentation générale de la règle de saint Benoît : G. JOYAU, « La règle de saint Benoît, première étape de la vie monastique bénédictine », dans R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del terzo convegno RBS. International Studies on Biblical & Semitic Rhetoric, ReBibSem 2, Rome 2013, 271-296. 2 A. DE VOGÜÉ, La Règle de saint Benoît, VII. Commentaire doctrinal et spirituel, Paris 1977, 116 ; cf. P. DELATTE, Commentaire sur la Règle de Saint Benoît, Paris 1913, 71 : « Il serait superflu de vouloir ramener les instruments à une distribution méthodique et au développement d’un plan unique, saint Benoît n’ayant songé à rien de semblable. »

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Gérard JOYAU

Première partie (1-9) : Les commandements de Dieu Composition 1

En premier, aimer le Seigneur Dieu de tout son cœur, de toute son âme, de toute sa force, 2 ensuite son prochain comme soi-même. ·······························································

:: 3 Ensuite, ne pas tuer ; + 4 ne pas commettre l’adultère ; :: 5 ne pas faire de vol ; + 6 ne pas convoiter ; -: 7 ne pas donner de faux témoignage ; -: 8 honorer tous les hommes. ······························································· 9

Et ce qu’on ne veut pas qu’il advienne à soi, ne pas le faire à l’autre.

Les deux morceaux extrêmes sont constitués d’un seul segment, trimembre ou bimembre. Trois segments bimembres forment le morceau central, sans élément de coordination entre eux. Le « en premier » du début appelle le « ensuite » du verset 2 ; le verset 3 commence également par « ensuite », qui semble être comme un développement du verset précédent et qui correspond au « et » du verset 9 : l’amour du prochain (2) se manifeste dans les six propositions énoncées (3-8), et peut se résumer dans la « règle d’or » (9 ; Cf. Mt 7,12 ; Tb 4,16). Contexte La plupart de ces affirmations sont d’origine biblique. L’énumération des versets 3 à 8 suit d’assez près ce que Jésus dit au jeune homme riche en Mt 19, 18-20. Interprétation Les deux morceaux extrêmes énoncent des commandements très généraux, soit de manière positive (1-2), soit de manière négative (9). Le morceau central offre six commandements précis, dont cinq négatifs et un positif, le dernier, ce qui constitue une rupture avec le morceau suivant, négatif. Le premier morceau — aimer Dieu et son prochain — est universel et comprend tous les autres commandements. Le dernier morceau est également absolu et définitif : rien n’échappe à cette interdiction. Au centre, les six préceptes, qui explicitent le second membre du premier morceau (l’amour du prochain), ne sont pas liés à une religion précise, mais peuvent s’appliquer à toute société humaine, et donc bien sûr aussi à une communauté monastique.

L’atelier du monastère : Le chapitre 4 de la règle de saint Benoît

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Deuxième partie (10-21) : Agir en suivant les enseignements du Christ Composition + 10 Se renier soi-même + :: pour suivre le CHRIST. ·······························································

– 11 Châtier son corps ; – 12 ne pas embrasser les délices ; – 13 aimer le jeûne. –: 14 Restaurer les pauvres ; –: 15 vêtir qui est nu ; +: 16 visiter les malades ; +: 17 ensevelir les morts ; :: 18 secourir celui qui est dans l’épreuve ; :: 19 consoler celui qui souffre. ·······························································

+ 20 Se rendre étranger aux actions du monde. +:: 21 Ne rien préférer à l’amour du CHRIST.

Chacune des deux sous-parties est constituée de deux morceaux, le mot « Christ » faisant fonction de terme extrême (10b, 21). Les deux sous-parties sont disposées en miroir. En effet, dans la première (10-13), le premier morceau (un segment bimembre, 10), introduit le second (un segment trimembre, 11-13), qui en est comme l’explicitation. La seconde partie (14-21) comporte un morceau de trois segments bimembres (14-19) et un morceau d’un segment bimembre (20-21). C’est ce dernier morceau qui donne le principe de ce qui est exposé dans ce qui précède (14-19), à l’inverse de la construction de la première sous-partie. Le deuxième morceau de la première sous-partie (11-13, un segment trimembre) correspond donc au premier morceau de la deuxième sous-partie (14-19, 3 segments bimembres). Les morceaux extrêmes, chacun d’un morceau bimembre, sont symétriques : pour les premiers membres de chaque morceau, « se renier soi-même » (10a) correspond à « se rendre étranger aux actions du monde » (20) ; pour les seconds membres, « pour suivre le Christ » (10b) correspond à « ne rien préférer à l’amour du Christ » (21). Les morceaux extrêmes donnent des enseignements généraux ; les morceaux centraux précisent des points particuliers. Contexte Une bonne partie de ces affirmations viennent également de la Bible ; les autres, de textes de la tradition patristique antérieure. Les versets 14-19 évoquent le contexte du Jugement dernier selon Mt 25,31-46, même si, seuls, les versets 15-16 en sont une citation.

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Gérard JOYAU

Interprétation Il s’agit ici des commandements mis en rapport avec la personne du Christ, même s’ils ne le sont pas forcément dans leur origine (« ensevelir les morts » évoque plutôt Tb 1,20). La première série (11-13) concerne la relation à soimême, à son propre corps ; la seconde (14-19), les actions à mener pour les autres. Le contexte est ici spécifiquement chrétien. Ce sont les deux pôles de l’ascèse chrétienne : par rapport à soi et par rapport aux autres. Troisième partie (22-28) : Vivre dans la charité et la vérité Composition + 22 Ne pas faire aboutir la colère. + 23 Ne pas réserver un temps pour se mettre en colère. – 24 Ne pas entretenir la tromperie dans le cœur. – 25 Ne pas donner une fausse paix. ··············································································

+

26

Ne pas se départir de la charité. – 27 Ne pas jurer de peur de se parjurer. – 28 Proférer la vérité de cœur et de bouche.

Les deux segments de chaque morceau se correspondent en parallèle : 22-23 correspond à 26, et 24-25 à 27-28. Interprétation Deux thèmes sont abordés dans cette partie : la charité, qui s’oppose à la colère3 ; la vérité, qui est l’opposé de la tromperie et de la fausse paix. Cette partie donne le cadre général de la vie ascétique dans un monastère, qui doit se dérouler essentiellement dans la charité et la vérité, les deux étant intimement liées.

3

Voir, par exemple, ÉVAGRE LE PONTIQUE, Traité pratique ou Le Moine, II, SC 171, Paris 1971, n° 38 : « La charité est dite “grande” car elle est le frein de la partie irascible. »

L’atelier du monastère : Le chapitre 4 de la règle de saint Benoît

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Quatrième partie (29-33) : Amour des ennemis Composition + 29 Ne pas rendre le mal pour le mal. – 30 Ne pas faire d’injustice, – mais au contraire supporter patiemment celles qui sont faites. ·································· 31

Aimer les ennemis.

··································

– 32 Ne pas maudire en retour ceux qui maudissent – mais plutôt les bénir. + 33 Supporter persécution pour la justice.

Les trois morceaux de cette quatrième partie sont disposés en forme concentrique. Les morceaux extrêmes (29-30 ; 32-33) sont en miroir ; le dernier segment du premier (30) et le premier segment du dernier (32) ont la même construction grammaticale : une interdiction, suivie de « mais » et d’une injonction positive. Au centre (31) est positionné un morceau d’un segment unimembre. Interprétation Toute cette partie est centrée sur l’amour des ennemis (31). Il faut les supporter (30, 33) sans leur faire de mal (29, 30). S’ils font du mal, il faut leur répondre par le bien (30, 32). Cette partie prolonge et pousse à l’extrême le thème de la charité abordé dans la partie précédente : il faut avoir de la charité pour tous, y compris pour ses ennemis. Ce thème est typique de l’enseignement évangélique.

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Gérard JOYAU

L’ensemble du premier passage Composition 1

En premier, aimer le Seigneur Dieu de tout son cœur, de toute son âme, de toute sa force, 2 ensuite son prochain comme soi-même. 3

Ensuite, ne pas tuer ; 4 ne pas commettre l’adultère ; 5 ne pas faire de vol ; 6 ne pas convoiter ; 7 ne pas donner de faux témoignage ; 8 honorer tous les hommes. 9

Et ce qu’on ne veut pas qu’il advienne à soi-même, ne pas le faire à l’autre. 10

Se renier soi-même pour suivre le Christ. 11 Châtier son corps ; 12 ne pas embrasser les délices ; 13 aimer le jeûne. 14

Restaurer les pauvres ; 15 vêtir qui est nu ; visiter les malades ; 17 ensevelir les morts ; 18 secourir celui qui est dans l’épreuve ; 19 consoler celui qui souffre. 20 Se rendre étranger aux actions du monde. 21 Ne rien préférer à l’amour du Christ. 16

22

Ne pas faire aboutir la colère. 23 Ne pas réserver un temps pour se mettre en colère. 24 Ne pas entretenir la tromperie dans le cœur. 25 Ne pas donner une fausse paix.

26

Ne pas se départir de la charité. 27 Ne pas jurer de peur de se parjurer. 28 Proférer la vérité de cœur et de bouche. 29

Ne pas rendre le mal pour le mal. 30 Ne pas faire d’injustice, mais au contraire supporter patiemment celles qui sont faites. 31 Aimer les ennemis. 32 Ne pas maudire en retour ceux qui maudissent mais plutôt les bénir. 33 Supporter persécution pour la justice.

Les deux premières parties concernent les commandements : d’une manière générale (1-9), avec la mention de Dieu (1), et d’une manière spécifiquement chrétienne (10-20), avec la mention du Christ (10, 20). Les deux dernières parties se rapportent à la charité : la charité en lien avec la vérité (22-27) et l’amour des ennemis (29-33), qui en est la pointe extrême. Interprétation Ce premier passage est composé de deux diptyques : le diptyque des commandements et le diptyque de l’amour. C’est le cadre général dans lequel se déroule toute vie chrétienne, et donc aussi la vie monastique. La seconde partie de chaque diptyque précise la précédente : les commandements de Dieu sont valables pour tous les hommes ; les chrétiens sont tenus à des engagements spécifiques s’ils veulent suivre le Christ. La charité est un précepte universel ; elle trouve son apogée, pour les chrétiens, dans l’amour des ennemis.

L’atelier du monastère : Le chapitre 4 de la règle de saint Benoît

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1.2 DEUXIÈME PASSAGE (34-69) : La lutte contre les maux et la vie éternelle Le deuxième passage se compose de cinq parties. Première partie (34-40) : Orgueil et maux visibles Composition + 34 Ne pas être orgueilleux, ·······································································

– 35 pas ivre, – 37 pas assoupi, – 39 pas murmurateur,

36

pas gros mangeur, pas paresseux, 40 pas médisant. 38

L’unité de cette partie est marquée par la forme négative de chaque proposition : chacune commence par un « ne pas (non) », suivi d’un adjectif. Seule, la première proposition comporte le verbe « être » à l’infinitif ; elle apparaît ainsi comme une sorte d’introduction aux six maux bien visibles, qui sont ensuite énumérés. Interprétation L’orgueil (34) tient manifestement une place à part dans cette partie. Les maux énumérés ensuite ont trait à la boisson et à la nourriture (35-36), au sommeil et à la paresse (37-38), et à de mauvaises relations avec les autres (murmure et médisance, 39-40). Ce sont là des maux, des vices, bien concrets, que tous peuvent remarquer. Deuxième partie (41-49) : Espérance en Dieu et vie éternelle Composition 41

Confier son espérance à Dieu. ···························································································· 42

Quand on voit quelque bien en soi, l’attribuer à Dieu, non à soi-même ;

43

mais le mal, qu’on sache qu’il a toujours été fait par soi, et se l’imputer.

44

CRAINDRE le jour du jugement. REDOUTER la géhenne. 46 DÉSIRER la vie éternelle de toute sa convoitise spirituelle. 45

···························································································· 47 Avoir CHAQUE JOUR la mort présente devant ses yeux. 48 Surveiller À TOUTE HEURE les actions de sa vie. 49 EN TOUT LIEU, tenir pour certain que Dieu nous regarde.

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Gérard JOYAU

Chaque sous-partie a sa logique. La première concerne le bien et le mal en soi (2e morceau, 42-43), et leur rapport à l’espérance en Dieu (1er morceau, 41). Dans la deuxième sous-partie, de deux morceaux de trois segments, le premier morceau énumère les attitudes à avoir par rapport aux fins dernières (craindre, redouter, désirer) ; le deuxième morceau en tire les conclusions pour la vie présente, « chaque jour », « à toute heure », « en tout lieu ». Les morceaux des deux sous-parties se correspondent en parallèle : le deuxième morceau de chacune est la conséquence de ce qui est énoncé dans le premier morceau. Interprétation Il s’agit ici d’adapter son attitude concrète, quotidienne, en fonction de ce que l’on espère pour l’au-delà. Pour que l’espérance en Dieu soit juste (41), il faut discerner en soi l’origine du bien et du mal (42-43). Le jugement à craindre (44) et la destinée finale, à redouter (45) ou à désirer (46), ont une influence directe sur la vie quotidienne ; cet avenir est déjà présent dans la pensée (47) et les actions (48), car Dieu nous regarde toujours (49). La vie concrète du moine est ainsi fortement influencée, et comme orientée, par les fins dernières, qui sont comme déjà présentes dans sa vie au monastère : si le moine veut éviter la condamnation et parvenir à la vie éternelle, il doit adapter les moindres actions de son comportement quotidien. Troisième partie (50-59) : Lutte contre les méchancetés Composition 50

Les pensées méchantes qui adviennent dans son cœur, aussitôt contre le Christ les briser et à un père spirituel s’en ouvrir. ······················································································

51

Sa bouche, de la parole méchante ou déshonnête, garder ; 52 beaucoup PARLER, ne pas aimer ; 53 54

des mots vains ou qui font rire, ne pas PARLER ; rire beaucoup ou aux éclats, ne pas aimer. 55 56

Les saintes lectures volontiers écouter. À la PRIÈRE fréquemment s’appliquer.

57

Ses méchancetés passées, avec larmes et gémissement, à Dieu chaque jour dans la PRIÈRE, les confesser.

58

Des méchancetés elles-mêmes, dans l’avenir se corriger. 59 Les désirs de la chair, ne pas les exécuter.

······················································································

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Les deux morceaux de la première sous-partie comportent l’adjectif « méchant » comme terme initial (malus : 50a, 51a). Les deux morceaux de la deuxième sous-partie comportent le substantif « méchancetés » comme terme initial (mala : 57a, 58a). L’unité de l’ensemble est donc marquée par l’utilisation du même mot latin, malus, soit comme adjectif, soit comme substantif. Dans la première sous-partie, les deux morceaux sont symétriques : à l’énumération de quelque chose de mal (50a ; 51-54), est appliqué le remède correspondant (50bc ; 55-56). Dans la deuxième sous-partie, le premier morceau concerne le passé, et le second, l’avenir. Le premier morceau de chaque partie préconise un « remède » similaire : l’ouverture au père spirituel (50c) et la confession (57c). La prière joue le rôle de terme médian entre les deux sous-parties. Contexte Le verset 50bc cite évidemment le psaume 136, 9 : « Heureux qui saisira et brisera tes petits contre le roc. » L’ensemble de cette partie s’enracine dans la tradition monastique antérieure représentée, en particulier, par Jean Cassien, celle de la lutte contre les vices (ou esprits, ou pensées méchantes, ou mauvaises pensées), qui est l’objet des livres V à XII de ses Institutions cénobitiques4. « Le premier de ces vices est la gourmandise ou la concupiscence de la bouche ; le second, l’impureté ; le troisième, l’avarice ou l’amour de l’argent ; le quatrième, la colère ; le cinquième, la tristesse ; le sixième, l’acédie, qui est une lâcheté, un dégoût du cœur ; le septième, la vaine gloire ; et le huitième, l’orgueil5. » Benoît s’en inspire au début (50), mais il élargit ensuite la thématique, en mettant l’accent sur ce qui concerne paroles et rires, et en mentionnant ensuite, non plus seulement les pensées mauvaises, mais aussi les actes mauvais (57-59). Interprétation Cette partie tout entière concerne le mal : celui qui est dans le cœur (pensées) et celui qui est sur les lèvres ; le mal que l’on a accompli dans le passé et celui qui ne manquera pas de se présenter dans le futur. Et, dans chaque cas, Benoît propose des remèdes (ouverture du cœur, 50c, lectio et prière, 55-56), ou bien un acte pour reprendre le droit chemin (confession, 57), ou des résolutions à mettre en œuvre (ne pas suivre ses désirs mauvais, 59) pour ne pas tomber dans le piège.

4 5

JEAN CASSIEN, Institutions cénobitiques, SC 109, Paris 1965, 118-501. JEAN CASSIEN, Institutions cénobitiques (cf. nt. 4), 191.

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Gérard JOYAU

Quatrième partie (60-63) : Obéir aux commandements et non à sa volonté propre Composition 60

Haïr la volonté propre. 61

Aux commandements de l’abbé, en tout, obéir même s’il agit lui-même autrement — que cela n’arrive pas ! —, ··········································································

se souvenant du commandement du Seigneur : Ce qu’ils disent, faites-le, mais ce qu’ils font, ne le faites pas. ·········································································· 62

Ne pas vouloir être appelé saint avant de l’être, mais être d’abord ce qui sera dit avec plus de vérité. 63

Les commandements de Dieu, les accomplir chaque jour par des faits.

Les commandements sont présents dans chacun des trois morceaux. La disposition générale est concentrique, les morceaux extrêmes étant disposés en miroir : la structure du deuxième segment du premier morceau (61ab) et celle du premier segment du troisième morceau (62) sont semblables : la seconde partie de chaque phrase (61b, 62b) apporte un correctif à la première (61a, 62a). Le morceau central est une citation de l’Écriture. Le premier segment du premier morceau et le deuxième segment du troisième morceau (termes extrêmes) énoncent la même vérité d’abord sous une forme négative (60), et puis sous une forme positive (63). Interprétation Cette partie est toute centrée sur la pratique des commandements, sur l’obéissance, avec ses deux pôles : dire et faire. L’insistance est mise sur le faire (morceau central citant l’Écriture) : les commandements de Dieu sont connus ; il s’agit de les mettre en œuvre concrètement (63). L’obéissance à l’abbé doit être totale, même si lui-même agit autrement ; dans ce cas, on ne doit pas en venir à le critiquer, en se croyant parvenu, soi-même, à la sainteté (62a) : celle-ci ne se vérifie que par les faits.

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Cinquième partie (64-69) : Pensées du cœur et arrogance Composition 64

Aimer l’intégrité. 65

Ne haïr personne. Ne pas avoir de jalousie. 67 Ne pas agir par envie. 66

68

Ne pas aimer la contestation.

················································· 69

Fuir la hauteur.

Le verset 64, castitatem amare, ne concerne pas ce que nous appelons aujourd’hui la chasteté. Le mot castitas a ici, comme ailleurs dans la Règle (quatre emplois de mots de cette même racine), le sens beaucoup plus large de conformité à ce qui doit être, d’où ici la traduction par « intégrité ». Cette partie tient son unité de la forme utilisée pour chaque proposition : un substantif complément d’un verbe à l’infinitif. Le premier morceau est délimité par les termes extrêmes, « aimer », d’abord en positif, puis en négatif. Le centre (65-67) énumère trois attitudes à l’égard des personnes. Le second morceau est constitué d’un seul segment unimembre. Interprétation Le segment central du premier morceau, en trois propositions négatives, prépare l’affirmation générale : « ne pas aimer la contestation », qui est à comprendre en rapport avec le premier segment : « aimer l’intégrité ». Les relations difficiles ou tumultueuses rompent l’intégrité, la cohésion d’un groupe, ou les relations entre les personnes. Le second morceau, d’un seul membre, révèle la source la plus commune des difficultés dans les relations : la hauteur (elationem), ou, avec un autre terme, l’orgueil.

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Gérard JOYAU

L’ensemble du deuxième passage Composition 34

Ne pas être orgueilleux, 35 pas ivre, 36 pas gros mangeur, 37 pas assoupi, 38 pas paresseux, 39 pas murmurateur, 40 pas médisant. 41

Confier son espérance à DIEU. 42 Quand on voit quelque bien en soi, l’attribuer à DIEU, non à soi-même ; 43 mais le mal, qu’on sache qu’il a toujours été fait par soi, et se l’imputer.

44

Craindre le jour du jugement. 45 Redouter la géhenne. 46 Désirer la vie éternelle de toute sa convoitise spirituelle ; 47 avoir chaque jour la mort présente devant ses yeux. 48 Surveiller à toute heure les actions de sa vie ; 49 en tout lieu, tenir pour certain que DIEU nous regarde. 50

Briser aussitôt contre le CHRIST les pensées mauvaises qui adviennent dans son cœur, et s’en ouvrir à un père spirituel. 51 Garder sa bouche de toute parole méchante ou déshonnête ; 52 ne pas aimer beaucoup parler ; 53 ne pas dire des mots vains ou qui font rire ; 54 ne pas aimer rire beaucoup ou aux éclats. 55 Écouter volontiers les saintes lectures. 56 S’appliquer fréquemment à la prière. 57

Confesser chaque jour à DIEU dans la prière ses méchancetés passées, avec larmes et gémissements. 58 Se corriger à l’avenir des méchancetés elles-mêmes. 59 Ne pas mettre à exécution les désirs de la chair. 60

Haïr la volonté propre. 61 Obéir en tout aux commandements de l’abbé, — même si lui-même agit autrement, ce qu’à Dieu ne plaise —, en se souvenant du commandement du SEIGNEUR : « Ce qu’ils disent, faites-le, mais ce qu’ils font, ne le faites pas. » 62 Ne pas vouloir être appelé saint avant de l’être, mais être d’abord ce qui sera dit avec plus de vérité. 63 Accomplir chaque jour par des faits les commandements de DIEU. 64

Aimer l’intégrité. 65 Ne haïr personne. 66 Ne pas avoir de jalousie. Ne pas agir par envie. 68 Ne pas aimer la contestation. 69 Fuir la hauteur. 67

Les deux parties extrêmes se correspondent : courtes propositions (adjectifs en 34-40, substantifs en 64-69), avec verbes à l’infinitif. Aux extrémités, on trouve deux termes synonymes : orgueil (34) et hauteur (69) ; les deux propositions, « Ne pas être orgueilleux » et « Fuir la hauteur » — chacune constituant un morceau d’un seul segment unimembre —, sont équivalentes et marquent ainsi

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fortement l’unité de ce passage. Aucune de ces deux parties extrêmes ne comporte le mot de Dieu, ou Christ, ou Seigneur, qu’on trouve dans chacune des trois parties centrales. Et celles-ci comportent, par ailleurs, un fort accent eschatologique : « Avoir chaque jour la mort devant les yeux » (47) ; « se corriger à l’avenir des méchancetés elles-mêmes » (58) ; « Ne pas vouloir être appelé saint avant de l’être » (62). Interprétation Si le premier passage de cette sous-séquence — le double diptyque — s’en tenait plutôt à des généralités concernant les actions à accomplir, ce deuxième passage entre dans les détails (parties 1 et 5), resitue l’ensemble dans une perspective eschatologique (partie 2), en mettant en valeur le rôle de l’obéissance (partie 4), et en centrant l’attention sur ce qui est mauvais en nous et qui doit être éliminé (partie 3). Il est à noter qu’ici, plutôt que des « bonnes œuvres à accomplir » (selon le titre effectif de ce chapitre), il s’agit des mauvaises à combattre ou à éviter. Cela renvoie à la lutte contre les vices chez Jean Cassien : les vertus ne semblent émerger que lorsque les vices correspondants sont vaincus. En dehors de la Règle, le travail spirituel se nomme d’ailleurs, le plus souvent, le combat spirituel. 1.3 TROISIÈME PASSAGE (70-74) : AMOUR UNIVERSEL ET MISÉRICORDE INFINIE Composition 70 71

Et vénérer les anciens. Aimer les jeunes.

······················································ 72

Dans l’amour du Christ, prier pour les ennemis. 73

Avec celui avec qui on est en désaccord, rentrer en paix avant le coucher du soleil. 74

Et de la miséricorde de Dieu, ne jamais désespérer.

Ce passage, très bref par rapport aux deux autres, comprend deux parties. Le « et » de la première partie (70) marque la rupture avec le passage qui précède, et fait fonction de terme initial des deux parties (70, 74). La première partie (7073) concerne l’amour fraternel : le premier morceau comporte deux affirmations générales ; le second concerne les cas où cet amour est plus difficile (ennemi, désaccord). La seconde partie se réfère à la miséricorde de Dieu.

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Interprétation Ce passage est entièrement centré sur le thème de l’amour : amour de chacun pour son prochain et pour le Christ (70-73) et amour de Dieu pour tous (74). Si nous pouvons aimer notre prochain, c’est d’abord parce que Dieu nous aime tous. Dans les modalités concrètes (70-71) et les difficultés de la vie fraternelle, l’indéfectibilité de la miséricorde de Dieu pour nous reste un appui inébranlable. L’ENSEMBLE DE LA PREMIÈRE SOUS-SÉQUENCE (1-74) Composition 1

En premier, aimer le Seigneur Dieu de tout son cœur, de toute son âme, de toute sa force, 2 ensuite son prochain comme soi-même. 3 Ensuite, ne pas tuer ; 4 ne pas commettre l’adultère ; 5 ne pas faire de vol ; 6 ne pas convoiter ; 7 ne pas donner de faux témoignage ; 8 honorer tous les hommes. 9 Et ce qu’on ne veut pas qu’il advienne à soimême, ne pas le faire à l’autre. 10

Se renier soi-même pour suivre le Christ. 11 Châtier son corps ; 12 ne pas embrasser les délices ; 13 aimer le jeûne. 14 Restaurer les pauvres ; 15 vêtir qui est nu ; 16 visiter les malades ; 17 ensevelir les morts ; 18 secourir celui qui est dans l’épreuve ; 19 consoler celui qui souffre. 20 Se rendre étranger aux actions du monde. 21 Ne rien préférer à l’amour du Christ. 22

Ne pas faire aboutir la colère. 23 Ne pas réserver un temps pour se mettre en colère. 24 Ne pas entretenir la tromperie dans le cœur. 25 Ne pas donner une fausse paix. 26 Ne pas se départir de la charité. 27 Ne pas jurer de peur de se parjurer. 28 Proférer la vérité de cœur et de bouche. 29

Ne pas rendre le mal pour le mal. 30 Ne pas faire d’injustice, mais au contraire supporter patiemment celles qui sont faites. 31 Aimer les ENNEMIS. 32 Ne pas maudire en retour ceux qui maudissent mais plutôt les bénir. 33 Supporter persécution pour la justice. 34

Ne pas être orgueilleux, 35 pas ivre, rateur, 40 pas médisant.

36

pas gros mangeur,

37

pas assoupi,

38

pas paresseux,

39

pas murmu-

41

Confier son espérance à Dieu. 42 Quand on voit quelque bien en soi, l’attribuer à Dieu, non à soimême ; 43 mais le mal, qu’on sache qu’il a toujours été fait par soi, et se l’imputer. 44 Craindre le jour du jugement. 45 Redouter la géhenne. 46 Désirer la vie éternelle de toute sa convoitise spirituelle. 47 Avoir chaque jour la mort présente devant ses yeux. 48 Surveiller à toute heure les actions de sa vie. 49 En tout lieu, tenir pour certain que Dieu nous regarde. 50

Briser aussitôt contre le Christ les pensées méchantes qui adviennent dans son cœur, et s’en ouvrir à un père spirituel. 51 Garder sa bouche de toute parole méchante ou déshonnête ; 52 ne pas aimer beaucoup parler ; 53 ne pas dire des mots vains ou qui font rire ; 54 ne pas aimer rire beaucoup ou aux éclats. 55 Écouter volontiers les saintes lectures. 56 S’appliquer fréquemment à la prière. 57 Confesser chaque jour à Dieu dans la prière ses méchancetés passées, avec larmes et gémissements. 58 Se corriger à l’avenir des méchancetés elles-mêmes. 59 Ne pas mettre à exécution les désirs de la chair. 60

Haïr la volonté propre. 61 Obéir en tout aux commandements de l’abbé, même s’il agit lui-même autrement, ce qu’à Dieu ne plaise, en se souvenant du commandement du Seigneur : « Ce qu’ils disent, faites-le, mais ce qu’ils font, ne le faites pas. » 62 Ne pas vouloir être appelé saint avant de l’être, mais être d’abord ce qui sera dit avec plus de vérité. 63 Accomplir chaque jour par des faits les commandements de Dieu. 64

Aimer l’intégrité. 65 Ne haïr personne. aimer la contestation. 69 Fuir la hauteur. 70

66

Ne pas avoir de jalousie.

67

Ne pas agir par envie.

68

Ne pas

Et vénérer les anciens. 71 Aimer les jeunes. 72 Dans l’amour du Christ, prier pour les ENNEMIS. 73 Avec celui avec qui on est en désaccord, rentrer en paix avant le coucher du soleil. 74 Et de la miséricorde de Dieu, ne jamais désespérer.

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Le premier passage de cette première sous-séquence commençait par l’amour (de Dieu et du prochain), et le troisième passage se termine par l’amour (amour du prochain et miséricorde de Dieu), selon une construction en miroir. Dans ce troisième passage, la mention de la prière pour les ennemis (72), renvoie à l’amour des ennemis de la fin du premier passage (31), et la demande de rentrer en paix le soir avec celui avec qui on est en désaccord (73) rappelle « ne pas donner une fausse paix » (25), également dans le premier passage. Le troisième passage renvoie donc au premier ; mais l’ajout des anciens et des jeunes (70-71) situe cette exhortation dans le cadre d’un monastère, tel que Benoît va en détailler l’organisation dans la suite des chapitres de sa règle. Contexte Règle du Maître Durant tous ces versets, Benoît suit de près son modèle, la Règle du Maître6, ou plutôt il lui emprunte la plupart des éléments, mais pas tous, et il les complète si besoin par des ajouts personnels. Voici quelques-unes des principales phrases ou expressions qu’ajoute Benoît : « de toute sa force » (1) ; « pas médisant » (40) ; « de toute sa convoitise spirituelle » (46) ; « s’en ouvrir à un père spirituel » (50) ; « obéir en tout aux commandements de l’abbé, même s’il agit lui-même autrement, ce qu’à Dieu ne plaise, en se souvenant du commandement du Seigneur : “Ce qu’ils disent, faites-le, mais ce qu’ils font, ne le faites pas” » (61) ; « fuir la hauteur. Et vénérer les anciens. Aimer les jeunes. Dans l’amour du Christ, prier pour les ennemis » (69-72). Benoît ne suit donc pas son modèle de manière servile, mais il semble bien qu’à partir des éléments reçus, il vise à élaborer, une œuvre personnelle, qualifiée d’ailleurs de « lumineuse » par saint Grégoire le Grand7. Règle de saint Benoît Certaines expressions se retrouvent dans d’autres chapitres de la Règle, en particulier les chapitres 7 (fin de la première section de la Règle) et 63 (début de la dernière section). Orgueil (34) et hauteur (69) sont présents — directement ou avec un synonyme — en 7, 2 « Toute exaltation est une sorte d’orgueil » ; l’insistance sur la permanence de l’attention à chaque instant (47-49) est soulignée dans le premier degré d’humilité (7,11-14.23.29) ; la volonté propre (60) est présente en plusieurs passages du chapitre sur l’humilité (7,19-22.3133) ; l’obéissance à l’abbé (61) est l’objet du troisième degré d’humilité (7,34) ; le cinquième degré concerne l’ouverture du cœur à l’abbé (7,44-48), comme ici 6

La Règle du Maître, 3 vol., A. DE VOGÜÉ, ed., SC 105-107, Paris 1964-1965. GRÉGOIRE LE GRAND, Dialogues, II, SC 260, Paris 1979, 242-243 : « Il [Benoît] a écrit la Règle des moines, remarquable par sa discrétion, lumineuse par son style (scripsit monachorum regulam discretione praecipuam, sermone luculentam). » 7

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au père spirituel (50) ; paroles et rire (51-54) sont l’objet des degrés d’humilité 9, 10 et 11. Et l’ensemble des douze degrés d’humilité débouche sur la charité, l’amour pour Dieu (7, 67), ce par quoi commence ce chapitre 4. Le chapitre 63 contient, lui aussi, une mention des anciens et des jeunes : « Les jeunes honoreront les anciens aimeront leurs inférieurs » (63,10, cf. 4,7071) ; même si c’est avec un vocabulaire légèrement différent8, l’idée de fond est la même pour régler les rapports entre les frères en communauté. Interprétation Le premier et le troisième passage de cette sous-séquence sont centrés sur l’amour, amour de Dieu et amour du prochain, en particulier pour les ennemis, et amour de Dieu pour nous. Le passage central (33-69) détaille tous les efforts, parfois violents que l’on doit faire (« briser les pensées mauvaises contre le Christ » 50), tous les instruments que l’on doit employer, pour que le mal soit éradiqué et que l’amour puisse triompher dans ce combat spirituel. Combien d’instruments dans cet atelier ? La subdivision du texte de la Règle en versets, en usage depuis 19479, propose pour cette sous-séquence 74 versets, que l’on identifie communément à 74 instruments. Mais la Règle comporte 73 chapitres, tout comme il y a 73 livres dans la Bible latine de Benoît. Pourquoi n’y aurait-il pas aussi 73 instruments des bonnes œuvres ? On peut y arriver facilement si l’on fait de l’amour de Dieu et du prochain (1-2) un seul « instrument » ; et d’ailleurs, ces deux versets ne constituent qu’une seule phrase avec le verbe « aimer », car n’est-ce pas, au fond, un seul et même commandement10 ? Benoît, qui a retranché de la Règle du Maître, y a fait des ajouts, aurait-il pu ne pas viser, à une unité près, à mettre le même nombre d’instruments que de chapitres dans sa règle, comme de livres dans l’Écriture ? Ainsi, si c’est bien le cas, ce chapitre 4 évoque toute la Règle, de même que celle-ci représente, à son tour, toute l’Écriture. Et d’ailleurs, dès le Prologue, Benoît n’at-il pas invité le moine à se laisser conduire par l’Évangile (perducatum evangelii pergamus, Prol. 21) en suivant sa règle ? Il nous semble donc raisonnable de compter 73 instruments des bonnes œuvres. II. DEUXIÈME SOUS-SÉQUENCE (V. 75-78) : L’atelier et ses instruments La deuxième sous-séquence est constituée d’une seule partie en trois morceaux. 8

« Et seniores venerare, juniores diligere » (4,70-71) ; « Juniores igitur priores suos honorent, priores minores suos diligant » (63,10). 9 Voir A. LENTINI, San Benedetto. La Regola, Montecassino 1947. 10 Le texte de l’Évangile cité par RB 4,1-2 est proche de celui de Mc 12,30, où Jésus distingue deux commandements. Dans le texte parallèle de Luc (10,27), en revanche, aucune distinction n’est faite : « Jésus répondit [au légiste] : “Tu aimeras le Seigneur ton Dieu, de tout ton cœur, de toute ton âme, de toute tes forces et de tout ton esprit, et ton prochain comme toi-même”. »

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Composition 75

Tels sont les instruments de l’art spirituel. 76

Quand ils auront été exercés par nous jour et nuit, sans cesse, et consignés au jour du jugement

nous recevrons du Seigneur cette récompense qu’il a lui-même promise : ·············································

+ 77 Ce que l’œil n’a pas vu, + ni l’oreille entendu, :: ce que Dieu a préparé :: pour ceux qui l’aiment. ············································· 78

Quant à l’atelier où nous faisons tout cela consciencieusement, ce sont les cloîtres du monastère et la stabilité dans la communauté.

Les morceaux extrêmes concernent les instruments (75-76) et l’atelier (78). Le morceau central (77) est une citation de l’Écriture, qui vient expliciter en quoi consiste la « récompense » annoncée à la fin du premier morceau. Contexte Règle du Maître Par rapport à la Règle du Maître, Benoît là aussi fait quelques ajouts, comme la citation de l’Écriture : « Ce que l’œil n’a pas vu, ni l’oreille entendu, ce que Dieu a préparé pour ceux qui l’aiment » (77, citant 1 Co 2,9), ou encore « les cloîtres » et « la stabilité dans la communauté » (78). À titre d’exemple, voici comment Benoît a transformé son « modèle » pour la finale de ce chapitre : Règle du Maître, 6,1-2 1 Officina vero monasterium est ; 2 in qua ferramenta cordis in corporis clausura reposita opus divinae artis diligenti custodia perseverando operari potest. 1 Quant à l’atelier, c’est le monastère. 2 C’est là que les outils du cœur sont déposés dans la clôture du corps et que peut s’accomplir l’œuvre de l’art divin, sous un contrôle assidu et en persévérant.

Règle de saint Benoît, 4,78 Officina vero ubi haec omnia diligenter operemur claustra sunt monasterii et stabilitas in congregatione. Quant à l’atelier où nous faisons tout cela consciencieusement, ce sont les cloîtres du monastère et la stabilité dans la communauté.

Règle de saint Benoît La Règle emploie deux fois le mot « cloîtres » (claustra) : ici en 4,78, et en 67,7 : « celui qui se permettrait de sortir des cloîtres du monastère », séquence

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centrale de la dernière section de la Règle. Par ailleurs, l’expression « la stabilité dans la communauté » renvoie à la profession du moine, qui fait vœu de « stabilité » (cf. 58,9.17 ; 60,9 ; 61,5). Notons, par ailleurs, que nous avons ici le deuxième emploi du mot « communauté » (congregatio) dans la Règle (après 3,1). Le mot « instruments » (75), seul emploi dans ce chapitre en plus du titre, ne sera repris qu’une fois en finale de la Règle : « Que sont-ils [les textes des Pères] d’autre que les instruments des vertus pour les moines qui se conduisent bien et obéissent ? » (73,6). Interprétation Après l’énumération des 73 instruments de l’art spirituel, cette sous-séquence les situe dans l’évolution de la vie spirituelle du moine et précise le lieu où ils s’exercent. La vie du moine consiste à utiliser ces instruments, qui correspondent à autant de facettes de sa personnalité ; ainsi transformé, il pourra les consigner au jour du jugement, et recevoir la récompense, qui n’est pas ce qu’on imagine, mais ce que Dieu a préparé. Et le lieu où se développe cet art spirituel, c’est le monastère, un lieu physique concret et précis, et en même temps, c’est la communauté qui y vit. De même que le cloître empêche le moine de sortir au dehors, sa stabilité dans la communauté l’empêche de partir ailleurs. Il est fixé dans le monastère et dans la communauté pour y mener son combat intérieur. III. VISION D’ENSEMBLE DE LA SÉQUENCE COMPOSITION (VUE SCHÉMATIQUE) Les commandements de Dieu (1-9) « aimer le Seigneur Dieu de tout son cœur, de toute son âme, de toute sa force »

Les enseignements du Christ (10-21) Charité et vérité (22-28) Amour des ennemis (29-33) Orgueil et maux visibles (34-40) Espérance en Dieu et vie éternelle (41-49) Lutte contre les choses mauvaises (pensées et actions) (50-59) Obéir aux commandements et non à sa volonté (60-63) Pensées du cœur et arrogance (64-69) Amour universel et miséricorde infinie (70-74) Atelier où s’exercent les instruments de l’art spirituel (75-77) « Ce que l’œil n’a pas vu, ni l’oreille entendu, ce que Dieu a préparé pour ceux qui l’aiment. »

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La première sous-séquence commence par le commandement de l’amour : « Aimez le Seigneur Dieu » (1), amour que nous retrouvons, en finale, au centre de la seconde sous-séquence : « Ce que Dieu a préparé pour ceux qui l’aiment » (77), et qui joue ainsi la fonction de terme extrême. À ceux qui ont mis en œuvre son commandement de l’amour, Dieu accorde une récompense. CONTEXTE Comme nous l’avons montré tout au long de cette analyse, Benoît s’inspire visiblement de la Règle du Maître, 3-611. Il semble qu’il se soit servi librement de son modèle pour « édifier » un texte selon les principes de la rhétorique biblique et sémitique ; pour en être sûr, il faudrait analyser aussi le texte de la Règle du Maître selon les lois de la rhétorique biblique et sémitique, et comparer les résultats des deux analyses, ce qui n’a pas encore été fait. En ce qui concerne l’Écriture, très présente dans les deux règles, Benoît, à deux reprises au moins, la cite de lui-même explicitement : « Ce qu’ils disent, faites-le, mais ce qu’ils font, ne le faites pas » (RB 4,61, citant Mt 23,3) ; « Ce que l’œil n’a pas vu, ni l’oreille entendu, ce que Dieu a préparé pour ceux qui l’aiment » (RB 4,77, citant 1 Co 2,9). À la suite du Maître, Benoît se situe évidemment dans la droite ligne des Pères du monachisme ancien, spécialement ceux des déserts d’Égypte, bien représentés par Jean Cassien. La nouveauté de son enseignement réside essentiellement dans le fait qu’il s’adresse à une communauté de moines cénobites : le monastère, c’est « l’atelier » où le moine se sert de ces « instruments » pour soutenir sa vie spirituelle. INTERPRÉTATION Si la tradition antérieure considérait la vie monastique, surtout érémitique, avant tout comme un combat contre les pensées mauvaises (appelées aussi vices, ou esprits), Benoît, dans ce chapitre, ne met pas l’accent sur cet aspect « guerrier ». Certes, il faut bien briser contre le Christ les pensées mauvaises (4,50), mais le ton général est plus paisible ; c’est l’ambiance d’un atelier bien fourni en instruments pour l’œuvre à réaliser, instruments des vertus (73,6), qui purifient des vices et des péchés (7,70), qui mènent à la charité de Dieu où il n’y a plus de crainte (7,67), et introduisent ainsi l’âme dans une nouvelle étape de sa vie spirituelle (cf. 73,2.9). Relevons quelques points importants dans ce cheminement.

11

Pour une étude détaillée de la comparaison entre les deux règles, voir A. DE VOGÜÉ, La Règle de saint Benoît, IV. Commentaire historique et critique (Parties I-III), SC 184, Paris 1971, 119-225.

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Le rôle central de la lutte contre les pensées Si cette lutte n’est pas dominante, elle n’en est pas moins essentielle. Benoît l’a placée au centre du deuxième passage, central, de la première sous-séquence (50-59). Le vocabulaire est clair : il s’agit de lutter contre le mal, soit lorsqu’il se situe encore au niveau des pensées (50-56), soit qu’il se concrétise dans des actions (57-59). La lutte contre la volonté propre tient évidemment une place particulière (60-63), ce qui ne peut étonner puisque l’obéissance constitue le moyen par excellence que Benoît préconise pour le retour à Dieu (Prol. 2). C’est toute l’existence du moine qui doit s’engager sur un chemin de conversion. Le primat de l’amour Le thème de l’amour, de la charité, revient à plusieurs reprises au cours de ce chapitre. On le trouve au début (1-2), à la fin (77), ainsi qu’à plusieurs reprises dans la suite des instruments (26, 31, 71). Mais Benoît ajoute une précision importante : si le moine est appelé à mettre en œuvre l’amour, c’est qu’il est depuis toujours l’objet de la miséricorde de Dieu (74) ; il peut aimer Dieu d’abord parce qu’il est aimé de lui. Il ne s’agit donc pas seulement de lutter contre les vices — ce qui reste indispensable —, mais de parvenir à l’amour. Moine du désert ou moine cénobite ? Ce chapitre ne dit rien sur la vie communautaire en général, ni, par exemple, sur l’office divin, qui tient pourtant une si grande place dans un monastère bénédictin. On n’y trouve rien non plus sur la possession des biens ou la pauvreté, dont la Règle parle en d’autres chapitres12. C’est que la figure du moine supposée par ce chapitre 4, et dans toute cette première section de la Règle en général, est très proche de celle d’un moine du désert, à l’exception de son « lieu » de vie : le monastère et la communauté. Pour savoir quel type de moine Benoît veut former, cette première section (RB 1-7) doit absolument être placée en parallèle avec la dernière (RB 63-73), qui, elle, présente explicitement la vie communautaire, comme en un diptyque où les deux éléments s’éclairent et se complètent l’un l’autre. Pour former une équipe de sport, on choisit des bons joueurs, qui peuvent constituer ensemble une bonne équipe, car des joueurs quelconques ne constitueront jamais une bonne équipe. De même, Benoît, dans sa Règle, s’attache d’abord à la formation de chaque moine (RB 1-7), avant de donner les directives pour la formation d’une communauté (RB 63-73), même si, au final, les deux aspects ne peuvent être dissociés.

12

Par exemple, RB 33, « Si les moines doivent avoir quelque chose en propre ».

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Dimension eschatologique Dans la vie présente, le moine doit toujours considérer son avenir, ce qui l’attend dans l’au-delà (44-46), même s’il ne peut définir exactement ce que Dieu lui prépare, comme le dit saint Paul (77). Cet aspect nous est moins familier, et pourtant c’est tout l’enjeu de la vertu d’espérance. Si nous pouvons, et devons, mettre en Dieu notre espérance (41), c’est parce que jamais, sa miséricorde ne nous décevra (74).

CONCLUSION Que fait le moine tout au long des journées, au long des mois et des années, enfermé dans son atelier ? Il combat d’abord tout le mal qui est en lui, celui qui habite ses pensées, sans oublier celui qu’il fait. Les armes dont il dispose sont traditionnelles : l’ouverture du cœur à son abbé, la prière et la lecture, de l’Écriture sainte surtout. Ce qu’il vise, dans cette première étape de sa vie spirituelle, c’est la charité. L’amour de Dieu pour lui est acquis, il ne doit jamais désespérer de sa miséricorde ; en retour, il doit aimer Dieu et son prochain, et jusqu’à son ennemi. Il doit avoir des sentiments positifs pour ses frères en communauté : honneur pour ceux qui sont plus anciens que lui, et amour pour les plus jeunes que lui. Son attention ne doit jamais se relâcher, car il sait que sa vie éternelle est en jeu. Et lorsqu’il aura observé ce mode de vie, on pourra dire de lui qu’il est honnête dans sa conduite et qu’il a vraiment commencé à vivre la vie monastique13. Sa route vers Dieu ne sera pas encore finie ; selon Benoît, il lui faudra, pour la parcourir jusqu’à son terme, suivre d’autres maîtres pour enfin parvenir, un jour, à des degrés plus élevés de doctrine et de vertu14.

Abbaye de Scourmont BE 6464 Forges (Belgique) E-mail : [email protected]

13

Gérard JOYAU

Cf. RB 73,1 : « Si nous avons écrit cette règle, c’est pour qu’en l’observant dans les monastères, nous fassions preuve au moins d’une certaine décence morale et d’un commencement de vie religieuse. » 14 Cf. RB 73,8-9 : « Toi donc, qui que tu sois, qui te hâtes vers la patrie céleste, accomplis, avec l’aide du Christ, cette toute petite règle pour débutants que nous venons d’écrire ; et alors tu parviendras, grâce à la protection de Dieu, à ces sommets plus élevés de doctrine et de vertu que nous venons de mentionner. Amen. »

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Le monastère peut être considéré comme un atelier où le moine s’exerce à la vie spirituelle avec des instruments bien spécifiques. Benoît, dans sa règle, en énumère une série de 73, sans liaison apparente entre eux. L’analyse rhétorique permet de montrer qu’en fait, ces instruments sont organisés en plusieurs groupes, selon une certaine logique. Elle met en évidence l’importance primordiale de l’amour et de la charité, la place essentielle de la lutte contre les mauvaises pensées et les désirs de la chair (c’est le cœur du combat spirituel). La perspective eschatologique du jugement incite le moine à vivre au maximum le sérieux du moment présent. C’est ainsi toute l’activité spirituelle du cénobite débutant qui est présentée dans ce chapitre 4 de la règle de saint Benoît. Mots-Clés : Règle de saint Benoît, Benoît de Nursie, atelier, art spirituel, combat spirituel, mauvaises pensées, amour, amour des ennemis

ABSTRACT The monastery can be thought of as a workshop in which the monk practices the spiritual life using very specific tools. Benedict, in his Rule, enumerates a series of 73 tools that have no apparent link among them. Rhetorical analysis allows us to show that these instruments are, in fact, organized into several groups according to a certain logic. It underlines the primordial importance of love and charity, and the essential place held by the struggle against evil thoughts and desires of the flesh (this is the heart of spiritual combat). The eschatological perspective of judgment spurs the monk to live the seriousness of the present moment to the fullest. It is in this way that chapter 4 of the Rule of St. Benedict presents all the spiritual activity of the novice cenobite. Keywords : Rule of St. Benedict, Benedict of Nursia, workshop, spiritual art, spiritual combat, evil thoughts, love, love of enemies.

Nicolas LEROUX

Rhétorique et parallelismus membrorum aux portes des temples égyptiens. Le cas des Recommandations aux prêtres du temple d’Horus à Edfou Au moins depuis la seconde moitié du XIXe siècle, la littérature égyptologique est familière avec le principe du parallelismus membrorum ; elle en reconnaît régulièrement l’importance, avec plus ou moins de force, dans les textes égyptiens1, et J. Assmann lui consacra un article dans le Lexikon der Ägyptologie2. 1 Sans aucune prétention à l’exhaustivité, citons, par ordre chronologique : H. BRUGSCH, Grammaire hiéroglyphique contenant les principes généraux de la langue et de l’écriture sacrées des anciens Égyptiens, Leipzig 1872 (réimp. Nimes, 1993), 94-95 (de manière remarquable, ni le nom de R. Lowth n’est cité ni l’expression « parallelismus membrorum » que le bibliste anglais avait forgée, n’est employée, preuve que la notion de parallélisme de membres était déjà passée dans la culture commune des orientalistes) ; M. MÜLLER, Die Liebespoesie der alten Ägypter, Leipzig 1899, 10-12 ; R.O. FAULKNER, « The “Cannibal Hymn” from the Pyramid Texts », JEA 10 (1921) 100-102 ; G. LEFÈBVRE, Le tombeau de Petosiris I, Le Caire 1923, 39-40 ; W. GOLÉNISCHEFF, « Parallélisme symétrique en ancien égyptien », dans ST. GLANVILLE, ed., Studies presented to F.LL. Griffith, Londres, Oxford 1932, 86-96 ; H. GRAPOW, Sprachliche und schriftliche Formung ägyptischer Texte, Glückstadt – Hambourg – New York 1936, 26-28 ; M.A. MURRAY, Egyptian Religious Poetry, Londres 1949, 50 ; H. GRAPOW, Der stilistische Bau der Geschichte des Sinuhe, Berlin 1952, index, 117 ; O. FIRCHOW, Grundzüge der Stilistik in den altägyptischen Pyramidentexten, Berlin 1953, 12128 ; A. BARUCQ, L’expression de la louange divine et de la prière dans la Bible et en Égypte, BdE 33, Le Caire 1962, 292 ; H.W. FISCHER-ELFERT, « Morphologie, Rhetorik und Genese der Soldatencharakteristik », GM 66 (1983) 54 sq ; D. VAN DER PLAS, L’hymne à la crue du Nil, EgUit IV, Leyde 1986, 17.27.91.141 ; G. BURKARD, [compte rendu de Richard Jasnow, A Late Period Hieratic Wisdom Text (P. Brooklyn 47.218.135), Chicago 1992], Enchoria 21 (1994) 157 ; A. LOPRIENO, « Defining Egyptian Literature », dans ID., ed., Ancient Egyptian Literature: History and Forms, PdÄ 10, Leyde 1996, 43 ; K.A. KITCHEN, Poetry of Ancient Egypt, Jonsered 1999, XVXX ; R.B. PARKINSON, Poetry and Culture in Middle Kingdom Egypt, Londres 2002, 114 ; M.M. LUISELLI, Der Amun-Re Hymnus des P. Boulaq 17 (P. Kairo CG 58038), KÄT 14, Wiesbaden 2004, XVI ; J. DIELMAN, Priests, Tongues and Rites, Leyde 2004, 55 ; V.P.M. LAISNEY, L’Enseignement d’Aménémopé, Rome 2007, 11-12 ; H. KOCKELMANN, « Das Soubassement der griechisch-römischen Tempel als Ort hymnischer Rede », dans A. RICKERT, B. VENTKER, ed., Altägyptische Enzyklopädien. Die Soubassements in den Tempeln der griechisch-römischen Zeit: Soubassementstudien I/2, SSR 7, Wiesbaden, 546, nt. 50 et 585 ; et encore récemment : R. LANDGRÁFOVÁ, J. MYNÁŘOVÁ, dans R. LANDGRÁFOVÁ – J. MYNÁŘOVÁ, ed., Rich and Great, Prague 2016, 188-189. Citons enfin l’article de G. MOERS : « Der Parallelismus (membrorum) als Gegenstand ägyptologischer Forschung », dans A. WAGNER, ed., Parallelismus membrorum, OBO 224, Fribourg – Göttingen 2007, 147-166 (nous remercions Andréas Stauder de nous l’avoir signalé). 2 J. ASSMANN, dans W. HELCK, W. WESTENDORF, ed., Lexikon der Ägyptologie IV, Wiesbaden 1982, s.v. « Parallelismus membrorum », col. 900-910. Dans cet article, au motif que le phénomène de parallélisme s’observe dans la plupart des littératures mondiales, J. Assmann établit une distinction entre parallelismus membrorum au sens large et parallelismus membrorum au sens étroit, lequel

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Cependant, en dépit de cette reconnaissance, on ne peut pas dire que le parallélisme soit devenu, en égyptologie, un outil d’analyse à part entière3 ni que des textes entiers aient été soumis à une étude systématique des parallélismes 4, comme c’est le cas depuis longtemps pour les textes sémitiques5. serait spécifique à la poésie hébraïque. Selon cet auteur, le parallelismus membrorum au sens étroit se limiterait à ce que l’on nomme les « word-pairs », telles qu’étudiées par exemple par S. Gevirtz (Patterns in the Early Poetry of Israel, SAOC 32, Chicago 1963 ; voir également la présentation de G.W. WATSON, Classical Hebrew Poetry, Sheffield 1986², 128-144). Cela nous semble ne rendre compte ni du caractère fondamental du parallélisme dans la poésie hébraïque ni de la diversité des parallélismes. La position de J. Assmann est contredite par les très nombreuses recherches menées depuis les années 1970 sur la question (cf. d’ailleurs déjà les remarques de A. Berlin sur les wordpairs dans « Grammatical Aspects of Biblical Parallelism », HUCA 50 [1979] 17-18). 3 La publication d’O. Firchow de 1953 sur les Textes des pyramides (Grundzüge der Stilistik in den altägyptischen Pyramidentexten, cf. nt. 1) se distingue par l’ampleur accordée au parallélisme dans ce corpus religieux de l’Ancien Empire. Ce travail se limite cependant à l’étude de courts passages où le parallélisme est très évident ; les études sur le parallélisme des quatre dernières décennies ont depuis amplement élargie notre connaissance du champ d’emploi du parallélisme. Quant aux publications de M. Cuypers, seul ou en collaboration, en ce domaine (L. COILLIOT – M. CUYPERS – Y. KOENIG, « La composition rhétorique de trois textes pharaoniques », BIFAO 109 (2009) 23-59 ; « Plainte de Ramsès II à Amon, et réponse d’Amon », dans R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Retorica biblica e semitica 2. Atti del secondo convegno RBS, Retorica biblica 15, Bologne 2011, 215-231), elles nous inspirent quelques réserves, relatives notamment au choix des textes, ainsi qu’à celui de travailler sur seule une traduction (voir N. LEROUX, Les Recommandations aux prêtres dans les temples ptolémaïques et romains. Esquisse d’un héritage culturel et religieux, SSR 21, Wiesbaden 2018, 285-286, nt. 35). De son côté, R. MEYNET (« Au cœur du texte », NRT 103 (1981) 696-710 ; nous remercions R. Meynet de nous avoir signalé cet article) a travaillé à partir de la traduction d’un autre texte : la prière à Amon du fameux graffito de Pawah publié par A. Gardiner (JEA 14, 1928, 10-11, pl. IV-V ; texte repris not. dans A. BARUCQ, L’expression de la louange divine [cf. nt. 1], 523-524 et A. BARUCQ – Fr. DAUMAS, Hymnes et prières de l’Égypte ancienne, Paris 1979, 203-206). La structuration proposée dans cet article est néanmoins sujette à caution pour deux raisons : tout d’abord, il y a au centre du texte original une suite de lacunes qui ne sont que partiellement prises en compte par R. Meynet ; ensuite, ce texte, qui date de la XVIIIe dynastie, est coloré de néo-égyptien, ce qui rend délicate l’interprétation de certaines constructions syntaxiques : les liens logiques sur lesquels s’appuie la structuration de R. Meynet sont ainsi loin d’être assurés. 4 Les travaux de J.L. Foster, qui promeuvent le concept de « Thought Couplet » (« Thought Couplets in Khety’s “Hymn to the Inundation” », JNES 34 (1975) 1-29 ; Thought Couplets in The Tale of Sinuhe, Francfort-sur-le-Main 1993, pour ne citer que deux publications), de cet auteur et inspiré par la notion de parallélisme, sont fragilisés par le caractère inconditionnel reconnu au « Couplet », qui nous paraît bien trop réducteur (voir G. BURKARD, « Der formale Aufbau altägyptischer Literaturewerke: Zur Problematik der Erschlieβung seiner Grundstrukturen, SAK 10 [1983] 79-118). Quant aux travaux d’I. Shirun (« Parallelismus Membrorum und Vers », dans J. ASSMANN – E. FEUCHT – R. GRIESHAMMER, ed., Fragen an die altägyptische Literatur, Wiesbaden 1977, 463-492 et « Bermerkungen zu Rhythmus, Form und Inhalt in der Weisheit », dans E. HORNUNG – O. KEEL, ed., Studien zu Altägyptischen Lebenslehren, Fribourg – Göttingen 1979, 317-352), ils souffrent selon nous de s’appuyer sur la théorie métrique de G. Fecht, laquelle n’est pas sans inspirer de sérieuses réserves (voir par ex. D. VAN DER PLAS, L’hymne à la crue du Nil [cf. nt. 1], 165-171 ; K.A. KITCHEN, Poetry of Ancient Egypt [cf. nt. 1], 480-481 ; N. LEROUX, Les Recommandations aux prêtres [cf. nt. 3], 267-268). 5 R. MEYNET, L’analyse rhétorique. Une nouvelle méthode pour comprendre la Bible, Paris 1989 ; R. MEYNET, Traité de rhétorique biblique, Paris 2007.20132 ; A. BERLIN, The Dynamics of Biblical Parallelism, Cambridge 2008².

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Nous aimerions, dans le cadre restreint de cet article, nous efforcer de faire paraître l’intérêt qu’il peut y avoir à adopter une telle approche pour les textes égyptiens, en proposant une analyse rhétorique (au sens de R. Meynet) de textes hiéroglyphiques connus sous le nom de « Recommandations aux prêtres » et gravés dans des temples d’époque ptolémaïque. La version des Recommandations aux prêtres gravée dans le temple d’Edfou présente en effet un caractère littéraire et rhétorique très affirmé, et se conforme en de nombreux points aux règles de composition à l’œuvre dans la rhétorique dite « sémitique », et, au premier chef, à celle du parallelismus membrorum6. Dans un second temps, nous envisagerons la manière dont cette dimension rhétorique a été perçue par les clergés des autres temples ayant rédigé, à partir de la version d’Edfou, leur propre version des Recommandations aux prêtres.

I. LES RECOMMANDATIONS AUX PRÊTRES : PRÉSENTATION GÉNÉRALE À l’époque ptolémaïque, puis à l’époque romaine (IV e siècle av. notre ère – III siècle de notre ère), un vaste mouvement de construction, de reconstruction ou d’extension de sanctuaires se déploie en Égypte, dans toute la vallée du Nil et dans le Delta7. Du fruit de cette activité architecturale intense, la plupart est désormais perdu. En Haute-Égypte, certains grands temples nous sont néanmoins parvenus, parfois dans un état de conservation inespéré. C’est le cas des temples d’Edfou, de Dendera et de Philae. D’autres, comme ceux de Kom Ombo et d’Esna, par exemple, présentent de leur côté des vestiges remarquables. Dans quatre de ces temples — Edfou, Dendera, Kom Ombo et Philae —, ont été gravés, dans des portes latérales de service, des textes hiéroglyphiques interpelant e

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Nous employons l’expression « parallelismus membrorum » pour marquer le fait que nous nous inscrivons dans la lignée des travaux fondateurs de R. Lowth. Il est clair, cependant, qu’une approche uniquement sémantique, comme celle de Lowth et de ses premiers continuateurs (voir la partie « Les textes fondateurs » dans R. MEYNET, L’analyse rhétorique [cf. nt. 5]), si fine soit-elle ne saurait rendre compte de la richesse des parallélismes observables dans les textes égyptiens, bibliques et plus largement sémitiques (notons que dès 1950, en égyptologie, Fr. Hintze avait étendu la notion de parallélisme au domaine syntaxique : cf. Untersuchungen zu Stil und Sprache neuägyptischer Erzählungen, 1952, 146-149.295-298. Pour les textes bibliques, le caractère possiblement grammatical du parallélisme est reconnu depuis plusieurs décennies également : voir par exemple T. COLLINS, Line-Forms in Hebrew Poetry, Rome 1978, 8-10 ; A. BERLIN, « Grammatical Aspects » [cf. nt. 2], 17-43, ainsi que les remarques de J.L. KUGEL, dans The Idea of Biblical Poetry, Baltimore 1998 [1981], 57-58). De fait, ainsi que cela a été amplement démontré, le parallélisme sémitique, in fine, se déploie conjointement sur trois plans différents : sémantique, grammatical et phonologique (A. BERLIN, The Dynamics [cf. nt. 5]. Voir également W.G.E. WATSON, Classical Hebrew Poetry, Sheffield 1986², 114-159). 7 Ce mouvement avait déjà été initié sous le règne des Nectanebos (380-343 av. notre ère). Voir R.B. FINNESTAD, « Temples of the Ptolemaic and Roman Periods: Ancient Traditions in New Contexts », dans B.E. SHAFER, ed., Temples of Ancient Egypt, Ithaca – New York 1997, 185-237. Sur le temple égyptien, sa signification et son fonctionnement, voir Fr. DUNAND – Chr. ZIVIECOCHE, Hommes et dieux en Égypte, Paris 2006, 105-147.

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les prêtres entrant dans le temple pour y effectuer les tâches relatives à leur fonction, après qu’ils ont effectué leur purification préalable dans le lac sacré du temple. Ces textes, que l’on nomme traditionnellement « Recommandations aux prêtres », concernent les devoirs des prêtres au sein de l’enceinte sacrée, mais aussi plus largement l’idéal de justice et de tempérance qui doit régler la conduite du clergé. Le corpus de base des Recommandations aux prêtres a été élaboré par le clergé du temple d’Edfou et gravé entre le second règne de Ptolémée VIII Évergète II et le second règne de Ptolémée IX Sôter II (soit entre 145 et 88 av. notre ère). C’est d’ailleurs dans ce temple que les textes sont le plus développés : ils occupent quatre portes de service (voir fig. 1, p. 272). Ce corpus s’est ensuite diffusé au sein du clergé de Dendera sous Ptolémée X Alexandre Ier (110-88 av. notre ère), puis de celui de Kom Ombo, vraisemblablement à l’époque romaine, sous Néron (37-68 de notre ère)8. Parmi les thèmes principaux développés par ces textes, il faut mentionner au premier chef celui de la pureté, puisque sans celle-ci, aucun rite, aucun culte ne sont possibles dans un temple égyptien. La divinité réside au sein du temple, dans le naos (voir fig. 1, p. 272), l’endroit le plus sacré et le plus inaccessible du temple, et elle doit y être préservée de toute impureté. Les commandements qui sont reproduits le plus grand nombre de fois — ils ouvrent d’ailleurs les Recommandations d’Edfou, de Kom Ombo et de la seconde salle hypostyle de Dendera — sont les suivants : « Ne pénétrez pas en étant entaché. N’entrez pas en étant souillé » (E1, KO1, D.H1, D.H3). On lit encore, par exemple : « Purifiez-vous au moment convenable dans son lac pur » (E3) ; « Soyez purs pour Sa Majesté : elle est contentée par la pureté » (E4). Régularité absolue dans l’exécution du rite et ferveur religieuse tiennent également une bonne place : « Réglez les heures. Consacrez les offrandes à leur (bon) moment » (E3), « Servez-le au moment voulu. N’oubliez pas le moindre instant. Ne soyez pas négligents dans l’exercice de son culte » (E4), « Faites apparaître (en procession) le dieu à son bon moment (D.I2 et D.H3) ; « Servez Sa Majesté à chaque instant. Sans cesser de réciter (l’office) du mois » (E3). À Dendera, l’exhortation à respecter scrupuleusement le rite tel qu’il est écrit revient à plusieurs reprises : « Observez les instructions dans le rouleau du rituel divin. Portez vos regards sur les écrits 8

Les Recommandations aux prêtres de Philae présentent un texte différent ; leur inclusion dans le corpus n’est d’ailleurs pas sans poser question. Elles datent de Ptolémée XII Néos Dionysos (80-51 av. notre ère). Pour une discussion de tous les éléments qui précèdent, nous renvoyons à la publication de notre thèse : Les Recommandations aux prêtres (cf. nt. 3), 295-307. 333-334. Notre reconstitution de la transmission des Recommandations aux prêtres s’oppose à celle que propose A. Gutbub, dans ses Textes fondamentaux de la théologie de Kom Ombo (Le Caire 1973) : voir N. LEROUX, Les Recommandations aux prêtres (cf. nt. 3), 298-312, et spéc. 298303. Au fil de cet article, nous serons amené à citer des extraits des diverses Recommandations aux prêtres ; nous le ferons en suivant la nomenclature que nous avons adoptée dans notre thèse, où le lecteur trouvera toutes les références bibliographiques relatives à chaque texte. Le principe est le suivant : une racine (E = Edfou ; KO = Kom Ombo ; D.H = Dendera, temple d’Hathor ; D.I = Dendera, temple d’Isis ; Ph = Philae) est suivie du numéro du texte.

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anciens » (D.H3) ; « Ne transgressez aucun des rituels du temple de Sa Majesté » (D.H4). L’attitude corporelle à adopter dans l’enceinte sacrée est aussi évoquée : « Ne courez pas à l’intérieur de son temple. N’élevez pas la voix dans son sanctuaire » (E3). Du fait de leur contenu, ces textes ont jusqu’à présent été considérés comme des productions à caractère essentiellement normatif et cultuel pouvant nous éclairer sur l’organisation et le fonctionnement du clergé égyptien à l’époque ptolémaïque. La dimension rhétorique de la version d’Edfou des Recommandations aux prêtres est pourtant, ainsi que nous allons le voir, digne de la plus grande attention. À notre connaissance, seul H. Brugsch, un égyptologue allemand de la seconde moitié du XIXe siècle, y a été réellement sensible.

II. LES RECOMMANDATIONS AUX PRÊTRES DU TEMPLE D’EDFOU À la fin de sa Grammaire hiéroglyphique, publiée en 1872, H. Brugsch consacre de fait quelques pages au « Génie de la langue égyptienne ». Pour illustrer le style poétique des anciens égyptiens, il choisit un texte qui n’est autre que celui que nous nommons E79. Après en avoir donné une transcription et une traduction présentée sous forme de distiques, H. Brugsch commente : « En étudiant ces beaux vers, […] le lecteur remarquera, tout de suite, le parallélisme des idées qui sont exprimées dans ces cinq membres de phrases. » Quelques lignes plus loin, il évoque un « parallélisme par synthèse » et un « parallélisme par antithèse »10. L’analyse de cet auteur est faussée par un contre-sens à la fin de la traduction, mais elle n’en demeure pas moins remarquable par la perspicacité dont elle fait preuve concernant la présence de parallélismes de membres ici. H. Brugsch ne cite pas le nom de R. Lowth, mais l’emploi des expressions « membres de phrases », « parallélisme par synthèse » et « parallélisme par antithèse » nous montre qu’il était familier avec l’œuvre du bibliste anglais, puisqu’il s’agit de catégories définies par R. Lowth. En 1872, les textes de Recommandations d’Edfou, tout comme celui de Kom Ombo, n’étaient pas encore publiés ; seuls ceux du temple d’Hathor de Dendera l’étaient, et encore depuis peu11. Il n’est dès

9

Nous en traduisons ci-dessous, p. 269, la principale partie. H. BRUGSCH, Grammaire hiéroglyphique (cf. nt. 1), 94-95. 11 Les textes E1 et E2 d’Edfou seront publiés pour la première fois en 1879, par E. von Bergmann, dans ses Hieroglyphische Inschriften: gesammelt während einer im Winter 1877/78 unternommenen Reise in Ägypten (Vienne, 42-43 et pl. LX-LXI). Les textes E3 à E7 devront attendre 1931 pour l’être intégralement avec l’avancement de la publication Le temple d’Edfou, par Émile Chassinat (E3 = vol. V, 392,13-393,2 ; E4 = vol. V, 344,5-11 ; E5 = vol. V, 392,4-11 ; E6 = vol. V, 343,13-34,3 ; E7 = vol. VI, 348,17-349,8). Le texte de Kom Ombo sera publié en 1902 (J. de MORGAN – U. BOURIANT – G. LEGRAIN, G. et al., Catalogue des monuments et inscriptions de l’Égypte antique, t. III, Kom Ombos. 2e partie, Vienne 1902, 245, n° 878B). Les textes du temple d’Hathor de Dendera venaient juste d’être publiés (D.H1 et D.H2 = J. DÜMICHEN, Altägyptische Tempelinschriften II, Leipzig 1867, pl. XXVII et A. MARIETTE, Dendérah : 10

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lors pas surprenant que ce savant n’ait pu étendre son analyse aux autres textes de Recommandations aux prêtres, ceux d’Edfou au premier chef. Si l’on se réfère à des critères formels, les Recommandations d’Edfou peuvent être scindées en deux groupes : celui de la porte de la grande salle hypostyle (textes E1 et E2) et celui de la cour (textes E3 à E6) ; le texte E7 constitue la conclusion des Recommandations aux prêtres. Il y a bien, en effet, un ordre de lecture pour ces textes : c’est l’ordre de numérotation des textes que nous avons adopté12. Les deux textes de l’hypostyle, nous allons le voir, se caractérisent par une structuration régulière en distiques. Dans les textes de la cour, on observe une plus grande diversité de constructions, et en même temps une régularité moins grande de structuration : des distiques, des tercets, des quatrains et des strophes de cinq ou six vers. Il est possible, cependant, que cette hétérogénéité observée soit en réalité partiellement due à la méconnaissance que nous avons du fonctionnement précis de la rhétorique égyptienne. S’il n’est donc pas possible de proposer une structuration régulière pour les textes de la cour — si tant est qu’il y en ait — quelques exemples permettront néanmoins, dans un premier temps, de montrer que ces textes ne sont pas exempts d’une rédaction exploitant les trois principales formes de parallélisme, telles qu’on les rencontre dans la rhétorique biblique et sémitique. La nature idéographique de l’écriture hiéroglyphique fait qu’une autre forme de parallélisme, inconnue en rhétorique sémitique, pourra occasionnellement être employée : un parallélisme de type graphique, fondé sur des jeux de signes, parallélisme perdu lors du passage du texte en version translittérée. Ce survol des textes de la cour permettra dans un second temps de faire apparaître d’autant plus nettement la spécificité des deux textes de la salle hypostyle. 1. LES TEXTES DE LA COUR (E3-E6) Les Recommandations aux prêtres de la cour sont marquées par la présence de phrases fonctionnant par paires et reprenant ou adaptant des lieux communs de la phraséologie égyptienne. On lit ainsi par exemple13 : « CELUI QUI va sur (Hr) ta route, et CELUI QUI vient sur (Hr) ton eau14 » (E6),

soit deux phrases qui expriment métaphoriquement la notion de fidélité15. Ici, le parallélisme est très serré : sémantique et grammatical (emploi des formes partidescription générale du grand temple de cette ville I, Paris 1870, pl. 63c et d ; D.H3 et D.H4 = A. MARIETTE, Dendérah I, pl. 16d et 15c) et nous ignorons si H. Brugsch en a eu connaissance. 12 Pour la justification de cet ordre de lecture, nous renvoyons à notre ouvrage (cf. nt. 3), 112113.123.271-273. 13 Nous nous inspirons de la présentation typographique préconisée par R. Meynet (L’analyse rhétorique [cf. nt. 5], 303-304) ; voir aussi, ID., Traité (cf. nt. 5), Chap. 5, « La réécriture », 283344. 14 pr Hr wA.t=k // h(A) Hr mw=k.

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cipiales des verbes et de constructions prépositionnelles). D’autres phrases fonctionnent de la sorte : « ENTREZ en paix. SORTEZ en paix16 » (E6) ou encore « LOUÉ, est celui qui sait. PUNI, quant à lui, est l’ignorant17 » (E3).

On constate en outre que des phrases en parallèle dans un texte donné peuvent être parallèles presque terme à terme à d’autres qui sont gravées sur le montant symétrique de l’autre côté de la cour. Les deux passages suivants se répondent ainsi à distance : « LA VIE est dans sa main. LA SANTÉ est dans son poing18 » (E6) et « LA VIE est dans ton pain.LA SANTÉ est dans ta [bière(?)]19 » (E5)

de même que : « IL N’Y A PAS DE chagrin pour celui qui t’est fidèle. IL N’Y A PAS DE destruction pour celui qui adore ton ka20. » (E5)

est un distique qui trouve un écho dans le distique qui lui est symétrique : « IL N’Y A PAS DE souillure infecte pour celui qui vit de ses biens. IL N’Y A PAS DE destruction pour celui qui est à son service21. » (E6)

Dans la strophe suivante, les trois dernières phrases sont en parallèle grammatical du fait de l’emploi d’un vétitif liminaire. Un parallélisme sémantique lie en revanche ensemble les phrases 1 et 2 d’une part, et 3 et 4 d’autre part (on sait en effet par d’autres inscriptions que le fait « d’être loin de » pouvait exprimer métaphoriquement la négligence22), avec en outre la présence d’un parallélisme consonantique entre sX-Hr r et Hr r doublé d’un effet de type rimique (irw=f / pr=f) : « SERVEZ-le au moment voulu. N’OUBLIEZ PAS le moindre instant. NE SOYEZ PAS NÉGLIGENTS (m sX-Hr) dans (r) l’exercice de son culte. NE VOUS ÉLOIGNEZ PAS (m Hr) de (r) son sanctuaire23. » (E4)

15

Voir G. VITTMANN, Altägytische Wegmetaphorik, Vienne 1999, passim. aq m Htp // pr m Htp. 17 Hs(.w) rxy // xbd(.w) ir=f xm. 18 anx m a=f // snb m xfa=f. 19 anx m t=k // snb m [Hnq.t(?)]=k. 20 n(n) mH n ir Hr mw=k // n(n) sk n dwA kA=k. Le ka, notion difficile à cerner précisément, peut être considéré comme « une manifestation des énergies vitales » d’une personne ou d’une divinité (S. SAUNERON, « ka », dans G. POSENER, ed., Dictionnaire de la civilisation égyptienne, 1992²). 21 n(n) DA.t Dw n anx m x.t=f // n(n) sk n wnn m Sms=f. 22 Voir N. LEROUX, Les Recommandations aux prêtres (cf. nt. 3), 120-121. 23 Sms s(w) r-tr // m xm A.t kt(.t) // m sX-Hr r ir(.t) irw=f // m Hr r pr=f. 16

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Il est possible, par ailleurs, qu’un parallélisme consonantique soit également présent au sein de chaque phrase. Nous mettons ci-dessous en valeur dans la translittération les allitérations pour chaque phrase : Smss s(w) r-tr m xm m A.tt ktt(.t) m sX X-HHr r irr(.t) irrw=f m Hrr r prr=f

La strophe suivante est constituée de phrases simples, tant dans leur rédaction que dans leur contenu. Un examen attentif permet cependant d’y distinguer une construction concentrique soignée : + NE courez PAS à l’intérieur de SON TEMPLE. :: N’élevez PAS la voix dans SON SANCTUAIRE. * Servez Sa Majesté à chaque instant :: SANS CESSER de réciter (l’office) du mois. + SANS étendre le bras pour voler dans SON SANCTUAIRE. » (E3)24

Les phrases 1 et 2 sont en parallèle grammatical (emploi du vétitif, présence d’un complément de lieu introduit par une préposition dans chacune d’elles : mXnw et m) et sémantique (son temple / son sanctuaire). Les phrases 4 et 5 sont en parallèle grammatical (emploi d’un infinitif négatif), mais la phrase 1 est également en parallèle sémantique avec la phrase 5 ainsi que la phrase 2 avec la phrase 4 (notion de mouvement corporel, d’une part : « courir » (litt. : « être rapide des jambes ») / « étendre le bras » ; modes antithétiques d’utilisation de la voix humaine, d’autre part : « élever la voix » vs « réciter (l’office du mois) », donc « faire du bruit » vs « prier »). Il en résulte que la phrase 3, qui se trouve de la sorte isolée, sert de pivot, de point d’articulation entre ces deux distiques. Or, cette phrase se distingue justement par le fait qu’elle est la seule des cinq de la strophe à être rédigée au positif : son contenu n’en est que mieux mis en valeur, et plus encore, l’élément qui se trouve en son centre : « Sa Majesté », tout comme le dieu réside au cœur du temple, dans le naos. La strophe qui clôture les Recommandations de la cour, tirée du texte E6, constitue également un excellent exemple du caractère rhétorique des textes d’Edfou. Son apparente simplicité masque une rédaction où rien n’a été laissé au hasard (la protection dont il va être question est celle qui est promise au prêtre exemplaire) : « SA PRÉSERVATION va jusqu’au (r) ciel, SA SAUVEGARDE va jusqu’à (r) la terre : SA PROTECTION est assurément plus (grande) que (r) (celle de) tous les dieux25 ! »

24 m x(A)x rd.wy m-Xnw Hw.t-nTr=f // m qA-n-xrw m pr=f // Sms{=f} Hm r nw nb // tm Ab n Sd(.t) Abd // tm dwn a r iT m pr=f. 25 xw=f r p.t // mk.t=f r tA // sA=f Ay r nTr.w nb(.w).

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Cette strophe est constituée de trois phrases assez élémentaires. Elle joue cependant subtilement avec les ressources du parallélisme : un premier parallélisme sémantique lie les termes initiaux des trois phrases. Ce parallélisme sémantique est renforcé aux phrases 1 et 2 (« ciel » / « terre »), doublé d’un parallélisme grammatical (emploi de la préposition r, avec sens directionnel), et complété par un chiasme de genre26. Ce distique est cependant également parallèle à la phrase 3 par l’emploi de la même préposition r, mais cette fois pour noter un superlatif relatif, et, graphiquement, par le choix du signe permettant d’écrire le mot « dieu » : (au lieu du classique ). En effet, ce signe, dans ce contexte, n’est pas sans rappeler le signe , qui note, quant à lui, le terme Douat, le nom du monde souterrain que traverse le soleil lors de son parcours nocturne. Or, « ciel », « terre » et « Douat » constituent les trois régions du monde créé, tel que le concevaient les anciens Égyptiens. À partir d’un double parallélisme sémantique somme toute assez banal, nous aboutissons ainsi à un mérisme typiquement égyptien subtilement suggéré par les ressources de l’écriture hiéroglyphique. La phrase 3, sémantiquement et stylistiquement plus riche que les deux précédentes (du fait de l’emploi de la particule Ay et de la plus grande ampleur de cette phrase), prolonge et complète le distique liminaire. Les quelques exemples qui précèdent n’épuisent pas toutes les finesses de composition des textes de la cour — il y aurait en outre beaucoup à dire du texte E7, qui clôt les Recommandations d’Edfou. Nous nous sommes néanmoins efforcé de donner un aperçu de la variété des parallélismes à l’œuvre ici, derrière des phrases d’apparence souvent prosaïque. Nous allons voir à présent que dans les deux textes de la salle hypostyle, le soin apporté à la composition a été poussé à un degré encore supérieur. 2. LES TEXTES DE LA SALLE HYPOSTYLE (E1, E2) Texte E1 Plus éloigné du naos que ne l’est le texte E2, le texte E1 se lit en premier. Contrairement à E2, ce texte débute d’ailleurs sur un appel assez développé aux prêtres pénétrant dans le sanctuaire27, et qui occupe toute la première colonne, signe de sa prévalence : Ô les prophètes, les grands prêtres purs, les supérieurs des secrets, les purificateurs du dieu, tous les prêtres habilités à entrer chez les dieux, les prêtres ritualistes qui êtes

26 « Gender chiasmus » (G.W. WATSON, Classical Hebrew Poetry, 206 ; voir aussi A. BERLIN, The Dynamics (cf. nt. 5), 41). « Préservation » (xw) et « terre » (tA) sont masculins ; « ciel » (p.t) et « sauvegarde » (mk.t) sont féminins. 27 Sur ce type d’appels, voir deux récentes thèses de doctorat : S.B. SHUBERT, Those who (still) Live on Earth: a Study of the Ancient Egyptian Appeal to the Living Texts, Toronto 2007 et V. DESCLEAUX, Les Appels aux passants en Égypte ancienne, Université Lumière-Lyon 2, 2014.

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dans le temple, tous les juges, les administrateurs, et les intendants qui êtes dans votre mois (de service) dans le temple d’Horus Béhédéty28, le grand dieu, maître du ciel !

Le texte se poursuit sur la première partie des Recommandations aux prêtres à proprement parler, composée d’un incipit (§ a et b), d’une série de commandements au vétitif (§ 1 à 9) – exprimé en égyptien ancien au moyen de m, impératif de l’auxiliaire de négation imi29 –, et d’un explicit (§ c et d)30. Nous en donnons ci-dessous une traduction aussi littérale que possible (voir en annexe une traduction suivie ainsi que la translittération) : PLACEZ-votre-visage31 vers-cette-demeure A-PLACÉ-vous-Sa-Majesté à-l’intérieur-d’elle. IL-navigue dans-le-ciel en-y32-regardant. conformément-à-l’ordre. IL-est-contenté d’eux33 N’entrez-PAS en-état-d’être (m)-entaché. NE-pénétrez-PAS en-état-d’être (m)-souillé. NE-dites-PAS un-mensonge dans (m)-sa-demeure. NE-soyez-PAS-avide concernant-un-bien par (m)-tromperie. N’acceptez-PAS un-pot-de-vin. NE-défavorisez-PAS le-petit pour-le-grand. N’ajoutez-PAS sur-le-poids et-le-cordeau. VEUILLEZ-NE-PAS-retrancher en-eux. NE-soyez-PAS-irréguliers dans-la-mesure. N’endommagez-PAS les-éléments-de-l’œil-de-Rê34. NE-révélez-PAS concernant-une-chose que-vous-verriez EN (m)-quelque-secret dans-les-sanctuaires. NE-TENDEZ-PAS LE-BRAS vers (r) un-bien de-sa-demeure jusqu’à (r)-saisir son-bien. NE-SOYEZ-PAS-LIBRE Évitez, en-outre, que-DISE-l’insensé dans-son-cœur : + « On-vit des-nourritures des-dieux35 ».

§a §b §1 §2 §3 §4 §5 §6 §7 §8

28

Béhédéty est le nisbé de Béhédet, un des noms égyptiens d’Edfou. A. GARDINER, Egyptian Grammar3, Oxford 1957, § 341 et M. MALAISE – J. WINAND, Grammaire raisonnée de l’égyptien classique, Liège 1999, § 837 et 840. 30 R. Meynet nous a fait part de sa suggestion de rattacher le § 1 à l’incipit, de voir dans le § 2 le début des Recommandations et dans les § 4 et 5 le centre d’une structure concentrique. Nous l’en remercions. Les autres versions des Recommandations aux prêtres démontrent néanmoins que le § 1 est bien le premier distique des Recommandations ; il ne saurait dès lors faire partie de l’incipit (voir cependant notre remarque infra, nt. 40, concernant la possibilité que l’intégralité des Recommandations, soit les § 1 à 9, soient le centre d’une structure concentrique). 31 Expression métaphorique signifiant le fait de porter toute son attention à, de faire attention à quelque chose. 32 Le pronom adverbial renvoie à « cette demeure ». 33 Comprendre : « des gens qui sont à son service ». 34 Désignation métaphorique des instruments de mesure, par analogie avec l’œil d’Horus, dont les différentes parties servent chacune à noter un élément de la suite de fractions de numérateur 1 ଵ ଵ ଵ ଵ ( , , , … , ) dont la somme équivaut à 1. ଶ ସ ଼ ଺ସ 35 Ce distique et le suivant font référence au système de réversion des offrandes qui avait cours dans les temples égyptiens et qui entrait dans la « rémunération » des prêtres : les dieux ne se nour29

Parallelismus membrorum aux portes des temples égyptiens §9

§c §d

259

+ On DIT « nourritures » concernant ce-qui-ressort sur (Hr)-la-table-d’offrande (Htp) Après la-réversion-des-offrandes est-contenté (Htp)-le-dieu au-sujet (Hr)-d’elles VOYEZ, IL-navigue dans-le-ciel } // à § a IL-parcourt la-Douat36, SES-deux-yeux sont-fixés } // à § b sur-SON-bien à-leur-place.

Tout au long de ce texte, un parallélisme sémantique souvent très net est à l’œuvre et structure l’ensemble : sont ainsi passées successivement en revue les notions d’impureté (§ 1), de mensonge (§ 2), d’injustice (§ 3), d’inégalité (§ 4), d’irrégularité (§ 5), d’indiscrétion (§ 6), d’avidité (§ 7), et d’impiété (§ 8). Certains distiques fonctionnent de toute évidence par deux : ainsi, les § 4 et 5 concernent tous deux la justesse de la mesure. De la même manière, le § 9 est apparié avec le § 8 en ceci qu’il constitue une correction de la parole de l’insensé en rappelant le fonctionnement fondamental du cycle des offrandes divines quotidiennes. La présence, dans les deux distiques, du verbe « dire » (Dd), du pronom impersonnel « on » (=tw) et du substantif « nourriture », formalise d’ailleurs ce parallélisme. Le distique liminaire des Recommandations, avec ses multiples formes de parallélisme, mérite une attention toute particulière. Ici, le parallélisme sémantique synonymique (première forme de parallélisme) est très prononcé et il est délicat de saisir la nuance de sens qui distingue les éléments principaux de chaque vers : « pénétrer » / « entrer » d’une part et « être entaché » / « être souillé », d’autre part37. Le parallélisme grammatical (deuxième forme de parallélisme) est en outre rigoureux, avec l’emploi de la même structure dans les deux phrases (vétitif + complément introduit par la préposition m). Le parallélisme est également d’ordre rythmique (troisième forme de parallélisme), puisque se succèdent dans les deux phrases 1 + 2 + 1 + 3 phonèmes. La répétition du graphème m — intercalé entre chaque mot, et de nature alternativement verbale et prépositionnelle — scande le texte. Par cette répétition du m et la présence du couple DA.t / sAt, les deux phrases sont enfin en relation de parallélisme consonantique (quatrième forme de parallélisme), lequel est lui-aussi particulièrement rigoureux car outre le fait que les allitérations soient communes aux deux vers (m, A et t), on peut constater que celles-ci interviennent aux mêmes endroits dans chaque vers, constituant ainsi autant de « rimes » internes : rissent que des fumets des aliments ; c’est pourquoi, chaque matin, après leur avoir été présentées, les offrandes étaient récupérées puis redistribuées aux prêtres. La tentation pouvait donc être grande pour un prêtre à la foi mal enracinée de considérer son sacerdoce comme une simple source de revenus alimentaires. Un autre passage des Recommandations d’Edfou répète la même idée de manière très explicite : « Les aliments, ce sont les restes de son approvisionnement » (E6). 36 Dénomination du monde souterrain que parcourt le soleil durant son périple nocturne quotidien. 37 Voir N. LEROUX, Les Recommandations aux prêtres (cf. nt. 3), 17-24.

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Il nous paraît remarquable que le distique où le parallélisme est le plus serré intervienne précisément au tout début des Recommandations : on peut en effet se demander si l’intention du rédacteur ou des rédacteurs de ces textes n’était pas d’indiquer la manière de comprendre la structure de la suite du texte. Dans les autres distiques, les effets de parallélisme ne manquent pas. La place nous manque pour les énumérer tous. Signalons cependant que sur le plan sémantique (synonymique ou antithétique), verbes et substantifs peuvent être en parallèle (par ex. au § 3, « pot-de-vin » est parallèle à « défavoriser » et au § 6, « révéler » est parallèle à « secret »). L’ordre des termes parallèles n’est pas fixe : peuvent entrer en parallèle les termes initiaux, médians ou finaux de chaque vers. Sur le plan syntaxique, on relève la même tendance que dans les textes de la cour à mettre en parallèle des compléments prépositionnels introduits par la même préposition, mais employée avec des nuances de sens différentes. Ainsi, au § 2, le premier m introduit un complément de lieu, tandis que le second introduit un complément de manière. Au § 7, le premier r note une direction, le second un but. Au § 9, de même, le premier Hr introduit un complément de lieu, le second ce qui pourrait être qualifié de complément de manière. Un phénomène identique se rencontrera volontiers dans le texte E2 (voir ci-dessous). De manière remarquable, on constate également que les distiques ne sont pas tous formés de deux phrases. Il arrive en effet qu’une seule phrase couvre un distique entier. C’est le cas des § 6, 9 et d. Le cas du § 6 est particulièrement intéressant, car la seconde moitié du distique débute par la préposition m, qui entre ainsi en parallèle avec le vétitif (m) du premier vers. En l’état, il paraît délicat de déterminer si le parallélisme est d’ordre graphique (les m vétitif et 38 préposition sont notés dans les deux cas avec le signe ), phonologique ou les deux. Plus généralement, on observe une tendance à donner à la seconde partie de certains distiques une dimension plus abstraite ou métaphorique. Au § 3, le terme « pot-de-vin » nous semble plus concret que la notion de « défavoriser ». Au § 5, l’expression « les éléments de l’œil de Rê » du second vers est clairement une métaphore désignant les instruments de mesure. Au § 7, le texte présente de prime abord quelque chose de redondant : ce qu’un texte dogmatique aurait formulé en une seule phrase (du type « ne volez pas ses biens »), notre paragraphe le développe en deux propositions. Dans celles-ci, le texte évolue cependant vers un plus grand raffinement de la pensée : de l’expression de l’action brute à la phrase 1 (tendre les bras pour voler), nous passons avec la phrase 2 à une approche plus intérieure, plus psychologique de l’action en question. Nous touchons en quelque sorte à l’état d’esprit qui pourrait être à l’origine du désir de voler. De la même manière, dans le § 2, à l’action brute, 38

Alors que d’autres signes tout aussi courants auraient été possibles :

ou

.

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261

directe, de dire un mensonge dans la demeure du dieu, répond celle de satisfaire son avidité par le biais d’une tromperie, ce qui implique une étape d’abstraction supplémentaire39. Une structuration plus générale englobe l’ensemble du texte E1. Les quatre phrases de l’incipit sont en effet réparties en distiques : le premier est particulièrement net, puisqu’on y relève un parallélisme sémantique rigoureusement ordonné (successivement : « placez » / « a placé », « votre » / « vous » ; « vers » / « à l’intérieur » ; « cette demeure » / « elle »), ainsi qu’un parallélisme grammatical (emploi d’un complément prépositionnel de lieu en fin de vers). Le basculement grammatical de la fonction sujet dévolue aux prêtres au premier vers (« placez ») vers la fonction objet au second vers (« vous ») met en relief, selon nous, la présence du dieu (« Sa Majesté »), sujet du second verbe, ainsi que, par voie de conséquence, la relation de subordination des prêtres à la divinité. De la même manière, les quatre phrases de l’explicit se laissent analyser sans difficulté en membres parallèles. Les choses ne s’arrêtent cependant pas là, car incipit et explicit sont également parallèles entre eux. En effet, dans ces deux passages le thème de la navigation divine est présent, et celui du regard, qu’il soit humain ou divin, est exploité de manière remarquable. L’impératif « voyez » du § c répond au « placez » du § a, de même que les deux compléments de lieu de ces deux paragraphes se répondent. À la première phrase du § b, le dieu « regarde » dans le sanctuaire, tandis qu’à la première phrase du § d, il a les « deux yeux fixés (sur son bien dans le sanctuaire) » ; la seconde phrase du § d nous assure que les biens du dieu sont à leur juste place, ce qui fait écho au « bon ordre » (tp-mtr) du second vers du § b40. L’inclusion ainsi formée constitue un effet de cadre remarquable pour la première partie des Recommandations aux prêtres. Dans le texte E1, la conduite du prêtre était essentiellement envisagée dans son rapport avec la divinité. Dans le texte E2, ainsi que nous allons le voir, c’est la dimension plus spécialement sociale de l’activité du prêtre qui est mise en avant.

39

Un phénomène assez similaire s’observe dans les textes E3 et E4 de la cour, où des questions rhétoriques se répondent une à une : celles du texte E3, qui se lisent donc avant celles de E4, comportent des termes plus objectifs que celles de E4. Ce point serait trop long à développer ici : nous renvoyons le lecteur à N. LEROUX, Les Recommandations aux prêtres (cf. nt. 3), 114-115. 40 Le fait que la phrase « il navigue dans le ciel » se lise aux § b et c pourrait suggérer qu’incipit et explicit sont en construction spéculaire (A-B-B'-A'), ou peut-être mieux encore, en construction concentrique si l’on veut bien admettre que l’ensemble des Recommandations du texte (§ 1 à 9) forme une unité : nous obtiendrons dès lors le schéma A-B-C-B'-A'. Le parallélisme entre, respectivement, les § b et c, d’une part, et a et d, d’autre part, est cependant moins clair que celui que nous avons retenu.

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Texte E2 §1 §2 §3 §4

§5 §6 §7 §8 §9

§ 10 § 11 § 12

NE-faites-PAS de-mal aux-serviteurs de-son-sanctuaire : ⸢il-aime⸣ ses-gens beaucoup-beaucoup. N’ayez-PAS-de-relation-sexuelle de-manière-criminelle. N’imposez-PAS de-contrainte. NE-faites-PAS de-mal aux-gens, à (m)-la-CAMPAGNE et à (m)-la-VILLE, parce-qu’ils-sortent de (m)-SES-YEUX, ils-procèdent-de (im)-LUI41. Souffre-son-cœur d’(Hr) une-mauvaise-action (autant que) d’(Hr) une-punition. Il-n’y-a-pas-de-réalisation d’une-chose dans (m)-la-PRÉCIPITATION ni-dans (m)-l’IMPÉTUOSITÉ. NE-laissez-PAS-aller la-parole en (Hr)-discutant. N’ÉLEVEZ (qA)-PAS (n) la-voix sur (Hr)-la-voix d’(n) un-AUTRE (ky). NE-prêtez-PAS-serment concernant (Hr)-des-biens. NE-préférez-PAS-le-mensonge-à-la-vérité à cause (Hr)-d’une-amertume. Gardez-vous-d’être-la lors-d’agir aux-moments-voulus. Il-n’y-a-pas de-RECHIGNEMENT pour-lui42 exempt-de-PUNITION. NE chantez PAS dans (m) son sanctuaire ni à l’intérieur (m-Xnw) du temple à (m) l’endroit réservé aux femmes. NE-faites-PAS dans (m)-un-lieu ce-qu’on-N’y (im)-fait-PAS. Que-n’advienne-pas de-fêtes (wp.w) dans-son-sanctuaire, à-l’exception (wpw-Hr) de-l’endroit devant-lequel il-est-chanté par-lesensembles de-musiciens. N’ouvrez-(wp)-PAS de-jarre à-l’intérieur-du-temple. ÉVITEZ qu’on-s’enivre-là. NE-FAITES-PAS les-choses selon-votre-fantaisie : REGARDEZ-DONC vers-les-écrits-anciens. PLACEZ (imy) la-« Conduite-du-temple43 » sous-votre-vigilance EN TANT QUE (m) enseignement pour-vos-enfants. »

Le texte E2, gravé sur le montant d’en face (nord), présente la même structuration en distiques que le texte E1, distiques qui sont essentiellement fondés sur un parallélisme d’ordre sémantique, même si d’autres formes de parallélisme sont également exploitées.

41

Référence au mythe de la création des hommes (rmT) avec les larmes (rmy.t) du dieu démiurge (voir par ex. S. SAUNERON – J. YOYOTTE, « La naissance du monde selon l’Égypte ancienne », dans La naissance du monde, Sources orientales I, Paris 1959, 39-40. 42 Comprendre : « à son encontre ». 43 Le livre dit de la « Conduite du temple », traduit également parfois par « Règle du temple » est connu par quelques autres occurrences d’époque ptolémaïque. On ignore cependant son contenu exact car il ne nous est pas parvenu, si tant est qu’il ait jamais désigné une authentique composition. Il ne s’agit pas, en tout cas, d’une désignation des Recommandations aux prêtres (voir N. LEROUX, Les Recommandations aux prêtres [cf. nt. 3], 86-87).

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Le § 1 concerne la violence physique commise à l’encontre des autres desservants du temple. Le § 2 évoque plus spécifiquement les violences à caractère sexuel. Le § 3 élargit la perspective en envisageant les gens en général, et se prolonge sur un distique de dimension étiologique (§ 4). Aux § 5 et 6, il est question des mauvaises actions susceptibles d’être commise par la voix : le fait de s’emporter en discutant (§ 5) et le fait d’en faire mauvais usage (mentir ou prêter serment au sujet de biens matériels : § 6). Aux § 7 à 10, le texte se recentre sur l’activité du prêtre dans l’espace du temple : participer aux rites avec ponctualité et ferveur (§ 7), adopter en chaque lieu l’attitude convenable (§ 8), se garder des manifestations de joie intempestives (§ 9) et surtout de l’ivresse (§ 10). Les § 11 et 12 concluent le texte en opposant d’une part la fantaisie de tout un chacun aux écrits anciens qui contiennent les prescriptions à suivre à la lettre (§ 11), et d’autre part en rappelant aux prêtres qu’il est de leur responsabilité de faire appliquer le règlement et de le transmettre aux générations à venir (§ 12). Contrairement aux Recommandations du texte E1, celles du texte E2 ne sont pas constituées d’une suite de vétitifs. On observe par ailleurs la présence de phrases plus complexes. De ce fait, le parallélisme à l’œuvre dans chaque distique est parfois légèrement moins net que dans le texte E1, notamment aux § 7 à 10, où les liens paraissent plus lâches, ou à tout le moins plus difficiles à cerner précisément sur le plan formel même si, sur le plan sémantique, le parallélisme reste relativement clair. Au § 7, on peut remarquer qu’« être las » s’oppose à « agir » et que la mauvaise volonté du prêtre (le « rechignement ») est nécessairement associée à la notion de « punition » puisque rien n’échappe à l’omniscience de la divinité. Au § 8, les compléments de lieu précis que sont « dans son sanctuaire » et « à l’intérieur du temple à l’endroit réservé aux femmes » sont parallèles au terme général « lieu » et au pronom adverbial « y ». Au § 9, « dans son sanctuaire » est cette fois parallèle à « l’endroit devant lequel il est chanté par les ensembles de musiciens ». Dans ces deux derniers distiques, le contraste entre la longueur de certains syntagmes mis en parallèle est remarquable : le parallélisme sémantique peut sans difficulté s’affranchir complètement du parallélisme grammatical ou rythmique. Une autre raison qui peut donner l’impression que le parallélisme est moins marqué dans le texte E2 que dans le texte E1 est que le parallélisme sémantique ne se situe pas nécessairement entre les deux membres du distique, mais peut concerner deux segments du même membre. Au § 8, « ne faites pas » est bien entendu parallèle à « ce qu’on n’y fait pas », et le rapport entre les deux vers tient surtout à un parallélisme grammatical : la phrase « Ne faites pas dans un lieu ce qu’on n’y fait pas » est de portée tellement générale qu’elle aurait pu être employée dans n’importe quel autre distique. De la même manière, au § 4, le parallélisme sémantique est interne à chaque membre : entre « mauvaise action »

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et « punition », d’une part, et « précipitation » et « impétuosité »44, d’autre part, sans que les deux vers soient liés entre eux par une logique nécessaire. Au § 3, le parallélisme entre « campagne » et « ville » d’une part et « sortir » et « procéder » d’autre part est d’autant plus fort que l’expression « à la campagne et à la ville » est une expression à caractère juridique connue par d’autres textes et donc en quelque sorte figée45. Les phrases « ils sortent de ses yeux » et « ils procèdent de lui », quant à elles, rappellent toutes deux le mythe de la création de l’humanité, et expriment donc la même idée. Le lien logique entre les deux vers est en revanche ici formellement exprimé par la locution conjonctive « parce que » (Dr-nty). Cependant, le texte E2 est à notre sens spécialement remarquable pour les parallélismes grammaticaux qu’il contient. En effet, outre les constructions parallèles employant la même préposition, mais avec une nuance de sens différente, telles que celles que nous avons relevées pour les textes de la cour et le texte E1 (dans le texte E2, voir les deux prépositions Hr du § 6 et du § 546), le texte E2 présente également des structures plus complexes. Dans le § 3, comme nous venons de le voir, chaque vers du distique est marqué par un parallélisme sémantique interne fort, et les deux vers sont logiquement liés par la locution « parce que ». On observe en outre, à chaque vers, la présence de deux syntagmes prépositionnels, tous introduits par la même préposition (m47) ; au premier vers pour indiquer un lieu et au second pour indiquer une provenance. Il résulte de ces observations le tableau de correspondances suivant : Ne faites pas de mal aux gens parce qu’ils sortent

à

la campagne (et)

de

ses yeux

(parce qu’)ils procèdent

à

la ville

de

lui

Ce tableau met en évidence le fait que la force du parallélisme à certains endroits peut permettre de surmonter l’hétérogénéité de certains éléments entre eux ; en l’espèce « Ne faites pas de mal aux gens », qui constitue une proposition autonome, en regard de la subordonnée « parce qu’ils sortent », et la simple conjonction « et » en regard de la forme verbale « ils procèdent ». Un tel constat permet de proposer une interprétation du § 4, lequel avait jusqu’alors posé des difficultés d’interprétation48. Si l’on admet en effet qu’il s’agit de nouveau d’un distique dont chaque vers est construit avec deux compléments prépositionnels — et dès lors que la forme verbale « son cœur souffre » corres44

Le parallélisme entre ces deux termes est d’autant plus net qu’il s’agit dans les deux cas de la traduction de formes nominales d’un verbe : « précipitation » rend As Tb.ty, littéralement « se dépêcher des sandales », et « impétuosité » rend khb A.t, littéralement « détruire l’instant ». 45 Voir N. LEROUX, Les Recommandations aux prêtres (cf. nt. 3), 64-66. 46 Dans ce dernier paragraphe, la première préposition est construite avec un verbe à l’infinitif, la seconde avec un nom. 47 La préposition im, que l’on lit au second vers, est la forme pronominale de la préposition m. 48 Voir notre discussion sur les propositions des précédents traducteurs dans N. LEROUX, Les Recommandations aux prêtres, 66-70.

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pond dans l’autre vers à l’expression de la non-existence « il n’y a pas de réalisation d’une chose », sans que ces deux éléments soient en relation de quelque manière que ce soit (sémantique, syntaxique, etc.) —, alors le sens général du paragraphe devient, il nous semble, clair. Le parallélisme consonantique est également présent dans ce texte. L’exemple le plus frappant de ce type de parallélisme se lit au § 5. Dans le second vers de celui-ci (« N’élevez pas la voix sur la voix d’un autre »), un chiasme complexe met en relation presque l’ensemble des termes, répartis autour de la préposition Hr, « sur » :

D’autres exemples sont dignes de remarque, tels le premier vers du § 2, qui se lit m dAdA m HaDDA, le second vers du § 6 où kn répond à Tn : m Tn grg r mAa.t Hr kn ou encore le second vers du § 4 qui présente peut-être un chiasme consonantique : nn wn ir(.t) x.t m As Tbb.ty m khbb A.t. Il est notable, en outre, que ces parallélismes se situent tous à un niveau interne au vers, ce qui rejoint ce que nous avons constaté pour le parallélisme sémantique. Aux § 9 et 10, cependant, un parallélisme consonantique outrepasse la frontière du vers : la racine wp est présente dans trois termes différents, et qui se trouvent dans trois vers différents : « fête », « à l’exception de » et « ouvrir ». Dans ce cas précis, le parallélisme n’est en outre pas seulement consonantique puisque la répétition du signe wp ( ) scande aussi graphiquement le texte. Pour conclure, faisons remarquer que si le texte E2 ne présente pas une inclusion aussi nette que le texte symétrique E1, la présence d’un appel aux prêtres, aussi modeste soit-il, au début du texte pose déjà un cadre énonciatif précis. Le texte s’achève en outre sur une paire de distiques qui constitue, nous l’avons vu, une excellente conclusion au texte. Les deux textes E1 et E2 constituent ainsi deux textes autonomes, mais parfaitement structurés d’un point de vue rhétorique, suivant le modèle du distique. Dans la cour, nous l’avons vu, la composition est également recherchée et soignée, mais n’a pas la régularité de l’hypostyle. À un changement d’espace correspond donc une élévation formelle. Il se trouve que ce constat rejoint ce que nous savons de la circulation du clergé au sein d’un temple égyptien : plus on s’approche du naos — où seul le grand-prêtre était en théorie autorisé à pénétrer —, plus l’accès est restrictif. Or, de ce fait, la salle hypostyle est, vis-àvis de la cour, plus sacrée. Des prêtres du bas clergé autorisés à accéder à la cour pouvaient se voir interdire l’accès à la salle hypostyle. Les décorateurs d’Edfou ont donc formalisé cette distinction hiérarchique dans la rédaction des textes, en fonction du lieu de destination de ces derniers. Nous ne connaissons pas d’autre exemple d’un tel phénomène dans la littérature pariétale égyptienne.

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III. RÉCEPTION DES RECOMMANDATIONS D’EDFOU Ainsi que nous l’avons indiqué dans la première partie, des versions proches ou identiques des Recommandations d’Edfou se lisent dans d’autres temples : dans celui d’Isis et celui d’Hathor à Dendera, et dans celui de Kom Ombo. Il ne reste presque plus rien de celles du temple d’Isis ; les autres sont mieux conservées. Une comparaison attentive de ces différentes versions avec celle d’Edfou permet de se faire une idée de l’état d’esprit dans lequel celles-ci ont été gravées, et donc d’avoir une idée de la perception que les clergés de ces temples avaient de la dimension rhétorique des textes d’Edfou. 1. LES RECOMMANDATIONS AUX PRÊTRES DE KOM OMBO À Kom Ombo, ce sont trois extraits entiers qui ont été repris d’Edfou et mis bout à bout pour constituer un seul texte : du § 1 au § d de E1 ; de la fin du § 4 au début du § 7 de E2 ; des § 11 et 12 de E2. La reprise est quasi littérale, mais les divergences n’en deviennent dès lors que plus significatives, ainsi que nous allons le voir. Voici le texte en question : § 1. Ne pénétrez pas en étant entaché. N’entrez pas en étant souillé. § 2. Ne dites pas de mensonge dans son sanctuaire. N’accaparez pas un bien par tromperie. § 3. N’acceptez pas de pot-de-vin afin d’être partial en faveur du grand. § 4. N’ajoutez pas au poids ni au cordeau, et veuillez ne pas les réduire. § 5. Ne faites pas fluctuer la mesure. Ne faussez pas les éléments de l’Œil de Rê. § 6. Ne révélez pas quoi que ce soit que vous verriez en quelque secret des dieux. § 7. N’étendez pas le bras vers un bien de son sanctuaire. Ne vous laissez pas aller à saisir ses biens. § 8. Gardez-vous que l’insensé ne dise en son cœur : “On vit des nourritures des dieux !” § 9. On appelle “nourriture” ce qui paraît sur l’autel après la réversion des offrandes et (après) que le dieu s’en est contenté. § 10. Qu’il navigue de par le ciel ou qu’[il] parcoure [le firmament], § 11. Ses deux yeux demeurent fixés sur ses biens à leur place. § 12. Ne vous pressez pas. Ne soyez pas impétueux. § 13. Ne laissez pas aller (votre) bouche lors des paroles rituelles. N’élevez pas la voix au-dessus des paroles d’un autre. § 14. Ne prêtez serment sur quoi que ce soit. Ne préférez pas le [mensonge] à la vérité à cause d’une amertume. § 15. Grandissez-vous en agissant aux moments voulus. § 16. Ne faites pas les choses selon votre fantaisie : (mais) portez vos regards sur les écrits anciens. § 17. Placez la “[Règle] du temple” sous vos mains en tant qu’enseignement pour vos enfants.

La première chose que l’on constate est que le texte E1 — qui concernait, rappelons-le, l’attitude du prêtre vis-à-vis du dieu et du sanctuaire — est largement mieux représenté à Kom Ombo que le texte E2, qui concernait pour sa part la conduite du prêtre, dans sa dimension sociale. Par ailleurs, si l’on examine quels sont les passages de E2 qui ont été conservés à Kom Ombo, on se rend compte qu’ont été écartés ceux où cette dimension sociale était justement le plus affirmée : les § 1 à 3 traitant de la violence, et les § 8 à 10 évoquant les festivités mal venues auxquelles pourraient prendre part les prêtres. En revanche, ont été

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maintenues les Recommandations qui pouvaient se prêter à une interprétation légèrement différente de celle qu’on se faisait à Edfou. En effet, sous l’influence de l’extrait du texte E1, les passages du texte E2 tendent à perdre leur dimension sociale au profit d’une interprétation cultuelle, recentrée sur la divinité et l’activité au sein du temple. Cela apparaît clairement à la lumière d’un détail : le terme DAis employé dans le § 5 de E2 est noté au pluriel dans la version de Kom Ombo (§ 13). Ce terme est attesté comme verbe, avec le sens de « discuter, parlementer49 » et comme substantif, avec le sens de « parole, propos50 ». Lorsque ce dernier est employé au pluriel, il peut également avoir un sens plus restreint : « paroles rituelles ». À l’époque ptolémaïque, qui est donc celle où nos textes ont été gravés, le verbe DAis peut également avoir le sens plus large de « parler51 ». Selon nous, à Edfou, c’est le verbe DAis qui a été employé, avec ce sens large. À Kom Ombo, en revanche, il s’agit nécessairement du substantif. Dans les temples ptolémaïques, c’est toujours au pluriel que ce terme est employé, et toujours avec le sens de « formules, paroles rituelles »52. C’est donc très certainement ce sens qui est à retenir pour la version de Kom Ombo. Au vu de ce qui précède, il nous paraît donc possible d’avancer que le clergé de Kom Ombo a été essentiellement sensible à l’aspect rituel des Recommandations d’Edfou. Que dire, dès lors, de la dimension rhétorique des textes d’Edfou ? Dans la mesure où la version de Kom Ombo reprend le texte d’Edfou, il n’est pas étonnant d’y retrouver une structuration en distiques. Ce qui l’est plus, en revanche, c’est de constater que cette structuration n’est pas aussi régulière à Kom Ombo qu’à Edfou. On constate ainsi que le § 15 de Kom Ombo n’est pas un distique, mais un vers isolé, ce qui a pour effet de ruiner complément l’organisation parfaitement régulière en distiques des textes originaux. Dans le même ordre d’idées, l’inclusion que nous relevée à Edfou est absente à Kom Ombo : l’explicit d’Edfou a été conservé à Kom Ombo, mais pas l’incipit, de sorte que l’explicit se trouve isolé et placé au milieu de la version de Kom Ombo. L’effet structurant du texte E1 est donc perdu à Kom Ombo. Par ailleurs, suite à ce que nous tenons pour une mécompréhension du texte original d’Edfou, le distique du § 3 de E1 qui présentait un double parallélisme grammatical et sémantique est devenu à Kom Ombo un segment bimembre où le parallélisme grammatical est perdu. Il en résulte un affaiblissement de la version de Kom Ombo par rapport à celle d’Edfou. Quelques raffinements stylistiques présents à Edfou ont également disparu dans la version de Kom Ombo. Le plus notable est le changement de xrw en md.wt, que nous venons de signaler pour le § 13 de Kom Ombo : m kA n xrw Hr 49

A. ERMAN – H. GRAPOW, ed., Wörterbuch der aegyptischen Sprache (ci-après abrégé Wb) V, Leipzig 1931, 521,4. 50 Wb V, 521,11-13. 51 Wb V, 521,5. 52 P. WILSON, A Ptolemaic Lexikon, Louvain 1997, 1215-1216.

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mdw.t n ky. Le chiasme complexe de la version d’origine d’Edfou que nous avions relevé est dès lors perdu. Dans ces conditions, s’il semble difficile de déterminer dans quelle mesure le clergé de Kom Ombo a été conscient de la dimension littéraire des textes d’Edfou, nous pouvons néanmoins avancer que si cette dimension a été identifiée, elle a été jugée secondaire en regard de la dimension cultuelle que l’on pouvait trouver dans les textes d’origine. 2. LES RECOMMANDATIONS AUX PRÊTRES DE DENDERA Dans le temple d’Hathor de Dendera, les choses sont plus complexes : il y a deux versions des Recommandations aux prêtres, indépendantes l’une de l’autre : une première dans la seconde salle hypostyle (un texte réparti sur les deux montants d’une porte), une seconde, plus récente, dans la seconde salle hypostyle (deux textes distincts, un sur chaque montant de la porte). Le lien entre ces deux versions et celle d’Edfou est indubitable (on trouve des distiques communs aux trois versions) mais plus difficile à caractériser de prime abord. Si l’on compare les textes d’Edfou avec ceux de la seconde hypostyle, on constate que plusieurs passages possèdent un sens général commun, mais une rédaction différente. Ainsi, aux deux distiques d’Edfou consacrés à la mesure juste, où apparaissent les images du cordeau et du boisseau et la métaphore de l’œil de Rê (§ 4 et 5 de E1) correspond en D.H1 : « N’augmentez pas la ration. Ne réduisez en rien les offrandes divines. » Il s’agit bien d’un distique, mais qui témoigne, ici encore, d’une réinterprétation rituelle du texte original. De la même manière, au distique suivant d’Edfou gravé dans la cour : « Allez et venez dans sa cour : La rosée rafraîchit, l’ombre maintient en bonne santé. » (E4) répond à Dendera : « Allez et venez à chaque début de mois. » (D.H2). Là où le texte d’Edfou commande l’activité sacerdotale en décrivant de manière presque poétique le bien-être que le prêtre en retire, la version de Dendera est un rappel sec et technique du caractère mensuel du service sacerdotal. Le distique suivant de Dendera, inconnu à Edfou, paraît tout droit issu d’un règlement relatif à l’admission des prêtres dans le sanctuaire : « N’introduisez pas chez le dieu celui qui n’est pas expert en écriture. Celui qui est exempt de faute est digne d’entrer dans le sanctuaire. » (D.H1) À la lecture de ce distique, comme de celui qui suit, il ne subsiste aucun doute sur le fait que l’activité décrite est celle qui se déroule dans le sanctuaire, et que le dieu est l’unique point de focalisation : « Ne faites pas obstacle(?) à celui qui la sert quotidiennement, la maîtresse des dieux et souveraine des déesses. » (D.H2). Cette révision du texte original dont tout artifice littéraire est banni, et dans laquelle tout est ramené à l’activité cultuelle du temple est perceptible jusque dans la version de l’explicit de la seconde hypostyle d’Hathor : « Le dieu préfère la pureté pour son sanctuaire à un million de (pièces) d’argent et d’or. » (D.H2). La paire de mots « argent » et « or », qui plus est employés dans cet ordre, est un lieu commun des textes égyptiens. La version d’Edfou donnait en revanche un

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texte bien plus élaboré : « Gardez-vous d’entrer en état de souillure, car le dieu préfère la pureté à un million d’offrandes, à des centaines de milliers de (pièces) d’or. Il se rassasie de la maât, il s’en contente, son cœur est contenté par la grande pureté. » (E7) Il semble donc manifeste que lors de la gravure de la première version des Recommandations aux prêtres à Dendera, il y a eu, de la part du clergé local, une volonté de « lisser » les effets de style issus du texte original. Lors de la gravure des Recommandations aux prêtres dans la première salle hypostyle, quelques années plus tard, il semblerait qu’une inflexion dans la perception de la nature des textes se soit produite. On constate en effet dans cette seconde version que, si la dimension cultuelle demeure dominante53, un soin plus important a été apporté à la structuration des textes. Il y a ainsi la volonté manifeste de faire se correspondre entre eux les textes de chacun des deux montants : la même structure (appel, incipit, quatre strophes, explicit) se trouve dans les deux textes, avec parfois des thèmes communs abordés aux mêmes endroits. Cette remarquable symétrie a cependant été réalisée au détriment du contenu, car les textes sont émaillés de paraphrases. Ainsi au distique « Observez les instructions dans le rouleau du rituel divin. Portez vos regards sur les écrits anciens » (D.H3) correspond, de manière symétrique, celui-ci : « Ne transgressez aucun des rituels du temple de Sa Majesté. N’enfreignez pas les instructions des anciens » (D.H4). Le distique liminaire d’Edfou déjà mentionné et présent en D.H3 : « Ne pénétrez pas en étant entaché. N’entrez pas en étant souillé » est réécrit en D.H4 sous une forme plus prosaïque où le parallélisme consonantique si fort d’origine a disparu : « Entrez en état de pureté. Pénétrez en état de purification » (aq m abw bs m twr). Nous voyons ainsi que même les textes de la première salle hypostyle de Dendera restent bien en-deçà du raffinement rhétorique constaté à Edfou. L’inflexion que nous venons de montrer entre la première et la seconde version des Recommandations du temple d’Hathor de Dendera témoigne cependant d’une évolution dans la perception que le clergé de Dendera avait du corpus des Recommandations aux prêtres d’Edfou, au profit d’une plus grande attention portée à leur élaboration rhétorique. La comparaison des Recommandations d’Edfou avec celles qui ont été gravées à Kom Ombo et à Dendera fait ainsi avant tout apparaître la singularité de la perception que les clergés de chacun de ces deux temples avaient des Recommandations d’Edfou. À Kom Ombo, la dimension rhétorique a semblé tout à fait secondaire en regard de la dimension cultuelle. À Dendera, en revanche, la première version des Recommandations a été gravée avec la volonté manifeste de lisser la dimension littéraire et rhétorique des textes d’Edfou. La 53

Voir, par exemple : « Observez les instructions dans le rouleau du rituel divin. Suivez donc les écrits anciens. Ne vous hâtez pas lors de son jour. Ne manquez pas son moment fixé. » (D.H3) ou encore : « Ne transgressez aucun des rituels du temple de Sa Majesté. N’enfreignez pas les instructions des anciens. Entrez en état de pureté, Pénétrez en état de purification. [La pureté(?)] est l’aliment [de Sa] Majesté(?) » (D.H4).

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seconde version de Dendera montre cependant une plus grande recherche formelle, laquelle n’atteint pas la richesse des originaux d’Edfou, mais atteste d’une évolution dans la perception tentyrite des Recommandations aux prêtres. C’est donc en dernière analyse à une histoire de la réception des Recommandations aux prêtres d’Edfou que conduit l’analyse rhétorique de ce corpus en apparence homogène que constituent les Recommandations aux prêtres. L’analyse rhétorique des Recommandations aux prêtres d’Edfou, de Kom Ombo et de Dendera nous a en effet permis de déceler deux ensembles : celui des textes d’Edfou, richement élaboré du point de vue rhétorique, et celui des textes de Dendera et de Kom Ombo, où la dimension rhétorique est, à divers degrés, secondaire, selon les temples et les versions. Comme nous l’avons vu, il faut par ailleurs distinguer, au sein même du corpus d’Edfou, deux ensembles de textes, selon l’ampleur du recours au parallelismus membrorum : celui de la cour et celui de la salle hypostyle. Dans ce dernier, contrairement aux textes de la cour, le parallélisme des membres ne se contente pas d’enrichir la rédaction de tel ou tel passage : il structure intégralement les deux textes, qui sont composés sur le modèle du distique. Ce saut qualitatif vis-à-vis des textes de la cour correspond à un changement de qualité de l’espace de destination : les textes de l’hypostyle sont gravés dans un espace considéré comme plus sacré et plus pur que ne l’est la cour du temple et ils s’adressent à des membres plus élevés du clergé du temple. La version de Kom Ombo se distingue par ailleurs de celle de Dendera par l’importance accordée à la dimension cultuelle, cependant que les Recommandations de Dendera ne constituent pas non plus un bloc unitaire. C’est pourquoi ce corpus de textes constitue un exemple tout particulièrement propre à faire apparaître la fécondité de l’analyse rhétorique des textes égyptiens, analyse rhétorique dont on ne peut dès lors que souhaiter l’extension à d’autres textes égyptiens. En particulier, les textes littéraires — tant moyenségyptiens que néo-égyptiens —, récits, chants d’amour, littérature sapientale, autobiographie, etc. tout comme la littérature religieuse — hymnes, prières — offrent un champ d’investigation considérable.

V. ANNEXE : TRADUCTIONS SUIVIES & TRANSLITÉRATIONS 1. TEXTE E1 Portez toute votre attention sur ce sanctuaire dans lequel Sa Majesté vous a placés ! S’il navigue de par le ciel, c’est en y regardant, et c’est lorsque tout est en ordre qu’il est satisfait des gens. Ne pénétrez pas en étant entaché. N’entrez pas en étant souillé. Ne dites pas de mensonge dans son sanctuaire. N’accaparez pas un bien par tromperie. N’acceptez pas de pot-de-vin. Ne défavorisez pas le petit en faveur du grand. N’ajoutez pas au poids ni au cordeau, et veuillez ne pas les réduire. Ne faites pas fluctuer la mesure. Ne faussez pas les éléments de l’Œil de Rê. Ne révélez pas une chose que vous voyez en quelque secret dans les sanctuaires. N’étendez pas le bras vers un bien de son sanctuaire. Ne vous laissez pas aller à saisir ses biens. Gardez-vous, en outre, que

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l’insensé ne dise en son cœur : « On vit des nourritures des dieux ! » On appelle « nourritures » ce qui paraît sur la table d’offrande après la réversion des offrandes et (après) que le dieu s’en est contenté. Voyez ! Qu’il navigue de par le ciel ou qu’il parcoure la Douat, ses yeux demeurent fixés sur ses biens à leur place. §a §1 §3 §5 §7 §9 §d

imy Hr=tn r pr pn rdi tn Hm=f m-xnt=f m bs m DA.t m aq m sAt m Ssp sHw m nma Sri n wr m iT-in m HqA.t m HD dbHw n Ir.t Ra m dwn a r x.t n pr=f m wstn r iT x.t=f Dd=tw DfA.w r pr Hr Htp m-xt wDb Htp nTr Hr=sn ir.ty=f(y) mn(.w) Hr x.t=f m s.t=sn

§b §2 §4 §6 §8 §c

nay=f m p.t Hr mAA im Htp=f Hr=sn xft tp-mtr m Dd grg m pr=f m iAd Hr x.t m snm-ns m wAH Hr qd.t Hna nwH imi=tn xb im=sn m pr Hr (sic) x.t mAA=tn m sStA nb m rA.w-pr.w sAw gr Dd wxA m ib=f anx=tw m DfA.w n nTr.w mt(n) nay.n=f m p.t pXr.n=f ¨wA.t

2. TEXTE E2 Ne faites pas de mal aux serviteurs de son sanctuaire : ⸢il aime⸣ extrêmement ses gens ! N’ayez pas de relation sexuelle de manière criminelle. N’imposez pas de contrainte. Ne faites pas de mal aux gens, à la campagne et à la ville, parce qu’ils sortent de ses yeux, ils procèdent de lui. Son cœur souffre d’une mauvaise action (autant que) d’une punition. Il n’y a pas de réalisation d’une chose dans la précipitation ni dans l’impétuosité. Ne vous laissez pas aller dans (vos) propos en discutant. N’élevez pas la voix sur la voix d’un autre. Ne prêtez pas serment au sujet des biens. Ne préférez pas le mensonge à la vérité à cause d’une amertume. Gardez-vous d’être la lors d’agir aux moments voulus. Il n’y a pas de rechignement à son encontre qui soit exempt de punition. Ne chantez pas dans son sanctuaire ni à l’intérieur du temple à l’endroit réservé aux femmes. Ne faites pas dans un lieu ce qui ne s’y fait pas. Que n’advienne pas de fêtes dans son sanctuaire, à l’exception de l’endroit devant lequel il est chanté par les ensembles de musiciens. N’ouvrez pas de jarre à l’intérieur du temple. Évitez qu’on s’y enivre. Ne faites pas les choses selon votre fantaisie : (mais) portez vos regards sur les écrits anciens. Placez la « Règle du temple » sous votre vigilance en tant qu’enseignement pour vos enfants. §1 §3

§5

m ir sp Dw r Hm.w n pr=f sw ⸢mr=f⸣ wnDw=f wr wr m wd qn r rmT m SA m niw.t Dr-nty pr=sn m ir.ty=f(y) xpr=sn im=f m wstn rA Hr DAis m qA-n-xrw Hr xrw n ky

§2 §4

§6

m dAdA m HaDA m wd sDb mr ib=f Hr sp n nfy Hr xsf(.t) nn wn ir(.t) x.t m As Tb.ty m khb A.t m wd anx Hr x.t m Tn grg r mAa.t Hr kn!

272 §7

§9

§ 11

Nicolas LEROUX ⸢sAw⸣ wr=tn m ir(.t) r-tr.w n(n) wn kn n=f Sw m xsf.t tm xpr wp.w m pr=f wpw-Hr s.t Hs.tw r-xft=s in dmA.w n iwnty.w m ir x.t n ib=tn mAA tn r sS.w is.w

§8

m ⸢Hs⸣ m pr=f m-Xnw Hw.t-nTr m

§ 10

s.t-rd.wy n.t Hm.wt m ir m s.t n ir=tw im m wp hbn(.t) m-Xnw Hw.t-nTr sAw nwH=tw im

§ 12

imy sSm Hw.t-nTr Xr a.wy=tn m sbAy.t n ms.w=tn

Fig. 1 : Plan de situation des Recommandations aux prêtres du temple d’Edfou (d’après É. CHASSINAT, Edfou I, Le Caire, pl. I). 1. Propylône et accès principal du temple. 2. Cour intérieure. 3. Grande salle hypostyle. 4. Naos. 5. Couloir de ronde à ciel ouvert.

F.R.S.-FNRS – UNamur Groupe de recherche AcanthuM Rue de Bruxelles 61 B-5000 Namur, Belgique E-mail : [email protected]

Nicolas LEROUX

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RÉSUMÉ Cet article présente la mise en œuvre du parallelismus membrorum, sous ses différentes formes, dans la composition de textes nommés « Recommandations aux prêtres » et gravés dans certains temples égyptiens entre le IIe siècle av. notre ère et le Ier siècle de notre ère. C’est surtout dans le temple d’Edfou que le parallélisme a été exploité. L’étude des autres versions permet néanmoins d’approcher la perception que le clergé des autres temples a pu avoir de la valeur rhétorique des textes d’Edfou qui leur ont servi de modèle. Mots-clefs : Égypte, époque ptolémaïque, temple, clergé, Recommandations aux prêtres, parallelismus membrorum. ABSTRACT This article presents the implementation of the parallelismus membrorum, in its different forms, in the composition of texts named «Recommendations to priests» and engraved in certain Egyptian temples between the 2 nd century BC and the 1st century AD. It is especially in the temple of Edfu that parallelism was exploited. The study of the other versions nevertheless makes it possible to approach the perception that the clergy of the other temples could have of the rhetorical value of the texts of Edfu which served as a model for them. Keywords: Egypt, Ptolemaic Period, Temple, Clergy, Recommendations to Priests, Parallelismus membrorum

Raoul VILLANO – Giuliano LANCIONI

Qurʾanic Pairs and Semitic Rhetoric Self-Similarity as an Exploring Device1

I. INTRODUCTION: BINARITY AND THE QURʾĀN The most important results achieved in last years in the study of form and structure of the Qurʾān are undoubtedly due to the systematic application, starting from the work of M. Cuypers, of the methodologies elaborated in the field of the Biblical and Semitic Rhetoric to the study of the Qurʾān2. According to R. Meynet and M. Cuypers binarity and symmetry are the most important characteristics of both Biblical and Qurʾanic language and style3. The concept of pair underlies, on closer inspection, both characteristics since only pairs (of terms, verses, or verse-groups) can actually generate parallel and mirror composition4, while for concentric composition it is clear that the center of the composition, itself often composed by a pair or a double pair of verses, may split into two halves (parallel or mirror-like) the single verse, the pair of verses or even the group of verses5. II. PAIRS IN THE QURʾĀN6 The Qurʾān is a self-similar and binary book (kitāban mutašābihan maṯāniya)7. The text proposes, on a conceptual level, a radically dichotomous vision of the world built over three great original dichotomies8: the separation between the lower world in which man lives and the high heaven in which God resides (great

1

This paper is the result of joint work. However, authorship can be attributed as follows: sections I, II and III have been written by R. Villano; sections IV and V by G. Lancioni. 2 See, ad es.., M. CUYPERS, «Structures rhétoriques dans le Coran. Une analyse structurelle de la sourate “Joseph” et de quelques sourates brèves», MIDEO 22 (1995), 107-195 ; ID., Le Festin. Une lecture de la sourate al-Māʾida, Paris 2007. 3 M. CUYPERS, La composition du Coran, Paris 2012, 27s. Cf. R. MEYNET, Traité de rhétorique biblique, RhSem Paris 20132, 15. 4 M. CUYPERS, La composition (cf. nt. 3), 71-117. 5 M. CUYPERS, La composition (cf. nt. 3), 119-140. 6 See S. SCHMIDTKE, «Pairs and Pairing», in J. D. MCAULIFFE, ed., Encyclopaedia of the Qurʾān, Leiden – Boston 2001-2006 (5 vols.), IV, 1-9. A complete volume dedicated to this topic is R. VILLANO, La struttura binaria del Corano, Roma, Istituto per l’Oriente C.A. Nallino, 2018. 7 Q. 39:23 (author’s transl.). Unless stated otherwise, Qurʾān’s English translations are taken from M. A. S. ABDEL HALEEM, The Qur’an: A New Translation, Oxford 2004. 8 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 57-76.

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spatial dichotomy)9, the separation between ǧāhiliyya, the age of ignorance, and Islām, the actual possibility to surrender to the (revealed) will of God (great temporal dichotomy)10 and the separation between those who are guided (man ihtadā) and follow therefore the sabīl al-rušd, the path of rectitude, and those who go astray (man ḍalla) and follow, therefore, the sabīl al-ġayy, the path of error (great moral dichotomy)11. The structure of the Qurʾān, too, reflects, on the textual level, this same vision of the world and is built, consistently, on a pyramidal expansion of pair’s structural potential, thus repeating the same pattern from the smallest text fragment to the biggest group of structures. 1. PAIRS OF TERMS AND CONCEPTS12 On the lexical and conceptual level, at first, every single aspect of reality is defined through the progressive combination of pairs of terms and concepts, whether it is about the nature of creation, the world of man and the ethical sphere, the other world and the eschatological sphere, or even God himself and His high nature. In every possible field Qurʾanic lexicon is rooted in the idea of pair, at such a point that it is inappropriate to speak of isolated Qurʾanic terms, being much more appropriate to define them as the half of one or more possible pairs: every single term becomes semantically relevant, in Qurʾanic discourse, when it is possible to pair it with its antithetic mate-term, when the pair concern the ethical or eschatological domain, or with its complementary mate-term, when the pair concern the nature of creation, or with its synthetic mate-term, when the pair refers to the nature of God, His prophets, or the Books He revealed13. Pairs of synthetic terms and concepts are, therefore, to be found in double divine epithets, like, e.g.14, al-raḥmān al-raḥīm (the Lord of Mercy, the Giver of Mercy, Q. 1:1 et al.), al-ġafūr al-raḥīm (most merciful and forgiving, Q. 2:173 et al.), al-ḥalīm al-ġafūr (mostforbearing, most forgiving, Q. 17:44 et al.), altawwāb al-raḥīm (ready to accept repentance, full of mercy, Q. 4:16 et al.), alʿafuww al-ġafūr (ready to pardon and forgive, Q. 4:43 et al.), al-ʿalīm al-ḫabīr (all-knowing all-aware, Q. 4:35 et al.), al-ʿaliyy al-kabīr (most high and great, Q. 4:34 et al.), al-samīʿ al-baṣīr (hears and sees everything, Q. 4:58 et al.), in the descriptions of Muḥammad and previous prophets like, e.g., bašīr wa-naḏīr 9 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 60-62. Cf. S. WILD, «“We have sent down to thee the Book with the Truth...”, Spatial and temporal implications of the Qur’anic concepts of nuzūl, tanzīl, and ʾinzāl», in ID., ed., The Qurʾan as Text, Leiden 1996, 137-153 (141-142). 10 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 62-63. 11 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 66 sqq. Cf. IZUTSU, Ethico-Religious Concepts, 105 sqq. 12 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 78-148. Cf. T. IZUTSU, Ethico-Religious Concepts in the Qurʾān, Montreal 1966, 24-41; S. SCHMIDTKE, s.v. «Pairs and Pairing» (cf. nt. 6), 3-6. 13 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 78-80. 14 Much more examples can be found in S. SCHMIDTKE, s.v. «Pairs and Pairing» (cf. nt. 6), 5-6, and R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 88-94.

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(bearing good news and warning, Q. 2:119 et al.), mubašširīn wa-munḏirīn (bring good news and warning, Q. 2:213 et al.), in the descriptions of Books revealed by God like, e.g., imam wa-raḥma (guide and mercy, Q. 11:17 et al.), hudā wa-nūr (guidance and lightQ. 5:44 et al.), and many others15. Pairs of antithetic terms and concepts16 can be found in contrasts between good and evil deeds, like, e.g., sayyiʾa / ṣāliḥ (evil / good, Q. 40:40 et al.), ṣāliḥ /asāʾ (good / evil, Q. 41:46 et al.), maʿrūf / munkar (right /wrong, Q. 3:110 et al.), ḫayr / šarr (good /evil, Q. 41:49 et al.), in the contrast between faith and disbelief (imān /kufr, Q. 16:106 et al.), or between lawful and forbidden things (ḥalāl / ḥarām, Q. 3:50 et al.), in descriptions of humankind on the basis of the great moral dichotomy, like, e.g., kāfir / muʾmin (disbeliever /believer, Q. 64:2 et al.), ḫabīṯ / ṭayyib (corrupt / good, Q. 24:26 et al.), and in descriptions of the hereafter, like, e.g., ǧaḥīm / ǧanna (Hell / Paradise, Q. 81:12,13), or nār / ǧanna (Fire / Garden, Q. 88:4,10). Pairs of complementary terms and concepts17 can be found in descriptions of the creation and of the harmonic character of the nature, like, e.g., šams / qamar (sun /moon, Q. 10:5 et al.), or layl / nahār (day / night, Q. 10:6 et al.), and they are sometimes used to represent the totality of the creation or some idea of totality, like, e.g., samāwāt / arḍ (heavens / earth, Q. 2:216 et al.), / mašriq / maġrib (east / west, Q. 2:115 et al.), barr / baḥr (land / sea, Q. 10:22 et al.), ġayb / šahāda (seen / unseen, Q. 6:73 et al.), and many others. 2. PAIR OF VERSES18 Synthetic and antithetic parallelisms are sometimes found within a single verse, as in Q. 112:3 «He begot no one nor was He begotten (lam yalid wa-lam yūlad)» and in Q. 24:26 «Corrupt women are for corrupt men, and corrupt men are for corrupt women; good women are for good men and good men are for good women (al-ḫabiṯātu li-l-ḫabiṯīna wa-l-ḫabiṯūna li-l-ḫabiṯāti wa-l-ṭayyibātu li-l-ṭayyibīna wa-l-ṭayyibūna li-l-ṭayyibāti)», but, more often, synthetic and antithetic parallelism occurs within a pair or even a group of verses19. Pair of verses built on antithetic parallelism can be found both in parallel composition, as in Q. 91:9-10 «The one who purifies his soul succeeds – and the one who corrupts it fails (qad aflaḥa man zakkāhā - wa-qad ḫāba man dassāhā)», and in mirror composition, as in Q. 87:16-17 «Yet you [people]

15 More examples can be found in S. SCHMIDTKE, s.v. «Pairs and Pairing» (cf. nt. 6), 3, and R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 81-82. 16 More examples can be found in R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 83-85. 17 More examples can be found in S. SCHMIDTKE, s.v. «Pairs and Pairing» (cf. nt. 6), 3-4; R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 85-88. 18 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 149-160. Cf. S. SCHMIDTKE, s.v. «Pairs and Pairing» (cf. nt. 6), 7-8. 19 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 152.

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prefer the life of this world – even though the Hereafter is better and more lasting (bal tuʾṯirūna al-ḥayyāta al-dunyā - wa-l-āḫiratu ḫayrun wa-abqā)»20. Pair of verses built on synthetic parallelism, instead, are found more often in parallel composition, as in Q. 10:42-43 «Some of them do listen to you: but can you make the deaf hear if they will not use their minds? – Some of them look at you: but can you guide the blind if they will not see? (wa-minhum man yastamiʿūna ilayka a fa-anta tusmiʿu al-ṣumma wa-law kānū lā yaʿqilūna – waminhum man yanẓuru ilayka a fa-anta tahdī al-ʿumya wa-law kānū lā yubṣirūna)»21. Double pair of verses can be found too, both in parallel composition, as in Q. 101:6-9 «the one whose good deeds are heavy on the scales – will have a pleasant life, – but the one whose good deeds are light – will have the Bottomless Pit for his home (fa-ammā man ṯaqulat mawāzīnuhu - fa-huwa fī ʿīšatin rāḍiyatin – wa-ammā man ḫaffat mawāzīnuhu - fa-ummuhu hāwiyatun)»22, and in (double) mirror composition, as in Q. 109:2-5 «I do not worship what you worship, – you do not worship what I worship, – I will never worship what you worship, – you will never worship what I worship (lā aʿbudu mā taʿbudūna – wa-lā antum ʿābidūna mā aʿbudu – wa-lā anā ʿābidun mā ʿabadtum – wa-lā antum ʿābidūna mā aʿbudu)»23. Moreover Q.109 is also an example of concentric composition in which both center and borders of the composition are respectively made by mirror compositions in a kind of chain proliferation system characterized by perfect symmetry in the borders as well in the center of the same composition and built over a figura etymologica made up by 8 repetitions of verbal and nominal forms derived from the same root ʿ-B-D in just 4 verses24: (a) Say [Prophet], (b) «Disbelievers:

(a) qul (b) yā-ayyuhā ’l-kāfirūna

(c) I do not worship (d) what you worship, (d´) you do not worship (c´) what I worship, (c″) I will never worship (d″) what you worship, (d‴) you will never worship (c‴) what I worship: (b´) You have your religion (a´) and I have mine.»

(c) lā aʿbudu (d) mā taʿbudūna (d´) wa-lā antum ʿābidūna (c´) mā aʿbudu (c″) wa-lā anā ʿābidun (d″) mā ʿabadtum (d‴) wa-lā antum ʿābidūna (c‴) mā aʿbudu (b´) la-kum dīnu-kum (a´) wa-li-ya dīni

Ivi, 153. Cf. S. SCHMIDTKE, s.v. «Pairs and Pairing»(cf. nt. 6), 8. R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 153. Cf. S. SCHMIDTKE, s.v. «Pairs and Pairing»(cf. nt. 6), 8. 22 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 153. Cf. S. SCHMIDTKE, s.v. «Pairs and Pairing»(cf. nt. 6), 8. 23 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 153-154. 24 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6). 20 21

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Pair of verse-group built on parallelism are also to be found in parallel compositions, as, e.g., in the eschatological scenes of Q. 78:21-29 and of Q.78:31-3925: 21. Hell lies in wait, (inna ǧahannata kānat mirṣādan) 22. a home for oppressors (li-l-ṭāġīna maʾāban) 23. to stay in for a long, long time, (lābiuṯīna fīhā aḥqāban) 24. where they will taste no coolness nor drink (lā yaḏūqūna fīhā bardan wa-lā šarāban) 25. except one that is scalding and dark (illā ḥamīman wa-ġassāqan)

26. a fitting requital, (ǧazāʾan wafāqan) 27. for they did not fear a reckoning, (innahum kānū lā yarǧūna ḥisāban)

28. and they rejected Our messages as lies. (wa-kaḏḏabū bi-āyātinā kiḏḏāban)

29. We have recorded everything in a Record. (wa-kulla šayʾin aḥṣaynāhu kitāban)

25

31. For those who were aware of God there is supreme fulfilment: (inna li-l-muttaqīna mafāzan) 32. private gardens, vineyards, (ḥadāʾiqu wa-aʿnāban) 33. nubile, well-matched companions, (wa-kawāʿibu atrāban) 34. and an overflowing cup. (wa-kaʾsan dihāqan)

35. There they will hear no vain or lying talk: (lā yasmaʿūna fīhā laġwan wa-lā kiḏḏāban) 36. a reward from your Lord, a fitting gift (ǧazāʾan min rabbika ʿaṭāʾan ḥisāban) 37. from the Lord of the heavens and earth and everything between, the Lord of Mercy. They will have no authority from Him to speak. (rabbi l-samawāti wa-l-arḍi wa-mā baynahumā al-raḥmān lā yamlikūna minhu ḫiṭāban) 38. On the Day when the Spirit and the angels stand in rows, they will not speak except for those to whom the Lord of Mercy gives permission, who will say only what is right. (yawma yaqūmu l-rūḥu wa-l-malāʾikatu ṣaffan lā yatakallamūna illā man aḏina lahu l-raḥmān wa-qāla ṣawāban) 39. That is the Day of Truth. So whoever wishes to do so should take the path that leads to his Lord. (ḏālika al-yawmu l-ḥaqqu fa-man šāʾa ttaḫaḏa ilā rabbihi maʾāban)

R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 154-155. Cf. N. ROBINSON, Discovering the Qurʾan. A Contemporary Approach to a Veiled Text, Washington D.C. 20032 [I ed. London 1996], 174-176.

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3. PAIR OF SŪRAS26 A groundbreaking innovation of twentieth century Qurʾanic exegesis is the idea of A. A. Iṣlāḥī (d. 1418/1997) according to which most, if not all, Qurʾanic sūras occur as pairs characterized by some kind of complementarity. The sūrapairs, in Iṣlaḥī’s slightly rigid view, must necessarily be composed of two consecutive sūras, and so sūra 2 is paired by him with sūra 3, sūra 4 with sūra 5, sūra 6 with sūra 7 and so on27. It is undeniable, indeed, that certain sūras constitute some kind of obvious pairs, as in the case of Q. 2 and Q. 3: both in fact, deal with the theme of faith and of the conduct of the faithful, but focusing, Q. 2 mainly on faith, while Q. 3 on the conduct of the faithful; both, then, discuss the people of the book, but, while Q. 2 focuses mainly on Jews, Q. 3 shifts to Christians; finally, both, while developing their polemics against those who do not accept revelation, present arguments based on natural phenomena as well as on earlier scriptures, but, while Q. 2 presents mainly arguments of the first type, Q. 3 switch preferably to the second type28. It is an extremely effective reading, since the notion of complementarity offers the possibility of framing both sūras inside a broader topic that still could not emerge from the reading of just one of the two single sūras: the new faith and the new community created by Qurʾanic revelation and the relationships of this new community with the depositaries of previous revelations proportionally distributed by the Qurʾān between the two different sūras, emphasizing in each sūra a particular aspect of the topics covered29. Moreover, although clearly innovative, it must be said that this kind of reading is also consistent with tradition and with the famous general rule, unanimously agreed, according to which the best exegetical approach ever (inna aṣaḥḥ al-ṭurūq fī ḏālika) is, in the very words of Ibn Taymiyya (d. 728/1328), to explain the Qurʾān through the Qurʾān itself (an yufassira al-Qurʾān bi-lQurʾān): for what the Qurʾān explains in general terms in a point is normally explained in detail in another (fa-mā ujmila fī makān fa-inna-hu qad fussira fī mawḍiʿ aḫar) and what is briefly exposed in one point is regularly widely treated in another (wa-mā uḫtuṣira fī makān fa-qad busiṭa fī mawḍiʿ aḫar)30. 4. EXPLICIT AND IMPLICIT PAIRS On closer inspection, however, tradition does not say anything about the alleged consecutiveness of complementary sūras invoked by Iṣlāḥī for the order of 26

R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 161-174. M. MIR, «Iṣlāḥī’s Concept of Sura-Pairs», The Muslim World 73 (1983) 22-32 (23 sqq). 28 M. MIR, «Iṣlāḥī’s Concept of Sura-Pairs» (cf. nt. 27), 26. 29 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 163. Cf. M. MIR, Iṣlāḥī’s Concept (cf. nt. 27), 27

23. 30

IBN TAYMIYYA, Taqī al-Dīn Aḥmad, Muqaddima fī uṣūl al-tafsīr, ed. ʿAdnān Zarzūr, Bayrūt 1972, 93.

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sūras found in the Muṣḥaf ʿUṯmān (i.e. the Qurʾanic textus receptus). The greatest limitation of his exegetical approach, indeed, it is precisely his claim to be able to identify the one and only correct reading of the Qurʾān31, whereas tradition is there to demonstrate right the absence, or undesirability, of a univocal and indisputable approach to, and reading of, the Qurʾanic text32. There is a further pair of terms of which nothing has yet been said, here, and which played an essential role in the development of Qurʾanic exegesis, being clearly referred to the nature of the text itself and to the same possibility of a positive exegesis of the text: the pair composed by muḥkam and mutāšabih33, explicit and implicit, indeed, as in the reading proposed by K. Cragg for this pair of terms34. Explicit pairs are those pairs that are given as such by the text itself, because they are made up of two terms whose pairing is suggested by the Qurʾān itself being found in the span of a verse, or a verse-group or a sūra. Implicit pairs, instead, constitute the range of action, the semantic spectrum of a single term and the very limit of its applicability35. Explicit concerns the linear sequence of verses and sūras and the linear reading of the Qurʾān, whereas implicit involves a synthetic vision of the text in which every single sūra, verse and even term is interconnected with all others sūras, verses and terms: the whole Qurʾān, indeed, according to Faḫr al-Dīn alRāzī (d. 606/1209), is like a single sūra, because of the internal relationships that binds its parts to each other (al-Qurʾān kullu-hu ka-l-sūra al-wāḥida li-ittiṣāl baʿḍi-hi bi-baʿḍin) and the proof of that, says Rāzī, is in the very fact that the Qurʾān often raises an argument in one sūra, and then reports the answer to this same argument in another sūra (wa-l-dalīl ʿalay-hi anna-hu qad yaḏkuru al-šayʾ fī sūra ṯumma yağīʾ ğawāba-hu fī sūra uḫrā)36. As for implicit pairs of terms, therefore, they are those terms whose mutual interconnection is not solely and/or necessarily linked to the linear sequence of verses and sūras, the obvious Qurʾanic pairs, on the one hand, as faith and disbelief, or guidance and misguidance, and, on the other, the limit of a single term’s applicability, the complete range of the Qurʾanic communication process,

31

See R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 171-174. Cf. R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 245-256 and 310-311. 33 Q. 3:7. Cf. Q. 11:1 and Q. 39:27. 34 K. CRAGG, The mind of the Qurʾān: chapters in reflections, London 1973, 38-53. 35 See R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 100-104. 36 RĀZĪ, Faḫr al-Dīn Abū ʿAbd Allāh Muḥammad b. ʿUmar (al-), al-Tafsīr al-kabīr, ed. ʿAbd al-Raḥmān Muḥammad, Bayrūt 2008 (11 vols.), X, 719. Cf. R. VILLANO, «Phonological deletion in the Qurʾān: the alternation of isṭāʿa and istaṭāʿa in Sūrat al-kahf», Jerusalem Studies in Arabic and Islam 43 (2016) 66; G. LANCIONI – R. VILLANO, «Self-similarity as Form and Structure: Reading Strategies in Medieval and Contemporary Exegesis of the Qurʾān», in G. LANCIONI – C. SOLIMANDO, ed., Didattica dell’arabo e certificazione linguistica; riflessioni e iniziative, Roma 2018, 251-272 (254-255). 32

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as God and man, by the way, the pair of terms in the name of which the Qurʾān begins and ends up, as suggested once by A. Shari’ati37. As for implicit pairs of verses and sūras, instead, it must be introduced, here, the other basic meaning of the term mutašābih, scil. self-similar. Self-similarity is a very well know feature of Qurʾanic text. The āyāt mutašābihāt (self-similar verses) are, thus, very similar, although not quite identical verses and they are implicitly paired right because they are self-similar, as they may be said selfsimilar partly precisely because they have been perceived as a pair in this synthetic and holistic approach to the text. The same applies to sūras too: a pair of sūras that contains two self-similar verses are implicitly paired and can be read and perceived as a pair, in this very sophisticated approach to Qurʾanic form and structure. The huge presence of self-similar verses, indeed, has given rise, in classical Islam, to a specific exegetical genre that has been called Mutašābih al-Qurʾān (Self-similarity in the Qurʾanic text)38. Began as early as in the second/eighth century with the Muštabahāt al-Qurʾān of the celebrated Kūfan grammarian and philologist al-Kisāʾī (d. 189/805)39, the genre sees its greatest development in the period between the fourth/tenth and the seventh/thirteenth centuries, in works like the Durrat al-tanzīl wa-ġurrat al-taʾwīl of al-Ḫaṭīb al-Iskāfī (d. 420/1029)40, the Asrār al-takrār fī al-Qurʾān of al-Kirmānī (d. ca. 505/1111-2)41, and the Milāk al-taʾwīl of Ibn al-Zubayr al-Ġarnāṭī (d. 708/1308)42. In the texts of those scholars, a new, very sophisticated, approach to the question of form and structure of the Qurʾān is developed in which the starting point consists in connecting the various part of the Qurʾān on the basis of their self-similarity (rather than on the basis of their textual proximity), but, then, the main exegetical task consists in the explanation of the diversities that are found within self-similar verses on the basis of the linguistic or semantic context in which single verses are found43. This kind of exegesis has been resumed and revitalized, recently, by contempo37

A. SHARI’ATI, On the sociology of Islam, Oneonta (NY) 1979, 117. On the exegetical genre Mutašābih al-Qurʾān see R. VILLANO, «Phonological deletion in the Qurʾān», 61-100; G. LANCIONI – R. VILLANO – F. R. ROMANI, «The Self-Similar Qur’an Project: Automatic Detection of Internal Similarity in Classical Arabic Texts», in M. EL-MOHAJIR – al., ed., Proceedings of the 4th CIST IEEE (International Colloquium on Information Science and Technology, Tangier – Assilah, Morocco, October 24-26, 2016), Piscataway (NJ) 2016, 355-360, R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6); G. LANCIONI – R. VILLANO, «Self-Similarity as Form and Structure» (cf. nt. 36). 39 KISĀʾĪ, Abū al-Ḥasan ʿAlī b. Hamza (al-), Muštabahāt al-Qurʾān al-ʿaẓīm aw mutašābih alQurʾān, ed. Aḥmad ʿAdnān Ṣāliḥ al-Ḥamadānī, al-Qāhira 2008. 40 ISKĀFĪ, Abū ʿAbd Allāh Muḥammad b. ʿAbd Allāh al-Iṣbahānī (al), Durrat al-tanzīl waġurrat al-taʾwīl, ed. Muḥammad Muṣṭafā Āydīn, Makka 2001. 41 KIRMĀNI, Maḥmūd b. Ḥamza (al-), Asrār al-takrār fī-l-Qurʾān – al-musammā al-burhān fī tawğīh mutašābih al-Qurʾān li-mā fī-hi min al-ḥuğğa wa-l-bayān, ed. ʿAbd al-Qādir Aḥmad ʿaṭāʾ, al-Qāhira 1997. 42 ĠARNĀṬĪ, Aḥmad b. Ibrāhīm b. al-Zubayr (al-), Milāk al-taʾwīl al-qāṭiʿ bi-ḏawī al-ilḥād wal-taʿṭīl fī tawğīh al-mutašābih al-lafẓ min āy al-tanzīl, ed. Saʿīd al-Fallāḥ, Bayrūt 1983. 43 R. VILLANO, «Phonological deletion» (cf. nt. 36), 68. 38

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rary scholars like Ṣ. ʿA. al-Ḫālidī44 and F. S. al-Sāmarrāʾī45. In their books it is the whole Qurʾān, and not the single sūra or the single pair of sūras, that is perceived as a rhetorically relevant unity and self-similarity between different verses and sūras is perceived finally as an exploring tool, a path, or better a map through which the reader can try to grasp the highest truths and the most beautiful subtleties hidden in the concrete form in which God revealed His book46.

III. SELF-SIMILARITY AS AN EXPLORING TOOL IN CONTEMPORARY EXEGESIS Following examples are taken from contemporary readings of the story of Moses in the Qurʾān. The story of Moses is scattered, throughout the Qurʾān, in no less than 28 sūras47. Examples chosen aim to demonstrate that self-similarity has been used, in Qurʾanic scholarship, as an exegetical and exploring tool able to extract unexpected meanings from the text itself, as well as to better understand the inner formal cohesion and semantic coherence of the text, while suggesting unexplored, but textually relevant, reading paths. 1. SĀMARRĀʾĪ ON Q. 20:70 AND Q. 26:46-4848 The first example deals with the stories of Moses found in Q. 20 and in Q. 26. The verses proposed are very similar (although the pericope is composed by one single verse in Q. 20 and by three small verses in Q, 26) in both form and meaning, however some small divergence can be found between the pair of verses, namely the alternation between two different plurals of the active participle sāǧid (suǧǧadan and sāǧidīna), the addition (ziyāda) of the small pericope rabbi l-ʿālamīna in Q. 26, and the reverse order by which the names of Moses and his brother Aaron close both sentences. Here’s Sāmarrāʾī analysis of this last divergence, namely the anticipation (taqdīm) of the name of Aaron, or delay (taʾḫīr) of the name of Moses in Q. 20 and the anticipation (taqdīm) of the name of Moses, or delay (taʾḫīr) of the name of Aaron in Q. 26: Q. 20:70 «[So it was, and] the sorcerers threw themselves down in submission. “We believe,” they said, “in the Lord of Aaron and Moses.” (fa-ulqiya l-saḥaratu suǧǧadan qālū āmannā bi-rabbi Hārūna wa-Mūsā)» 44

See ḪĀLIDĪ, Ṣalāḥ ʿAbd al-Fattāḥ (al-), Laṭāʾif Qurʾāniyya, Dimašq 1992; ID., Iʿjāz alQurʾān al-bayānī wa-dalāʾil maṣdari-hi al-rabbānī, ʿAmmān 2000. 45 See SĀMARRĀʾĪ, Fāḍil Ṣāliḥ (al-), al-Taʿbīr al-Qurʾānī, ʿAmmān 2009 (6th repr.) [1st ed. ʿAmmān 1998]; ID., Balāġat al-kalima fī al-taʿbīr al-Qurʾānī, ʿAmmān 2008 (5th repr.) [1st ed. ʿAmmān 1999]. 46 See also R. VILLANO, Phonological deletion (cf. nt. 36), 66. 47 To wit, references to the story of Moses can be found in Q. 2, 4, 5, 6, 7, 10, 11, 14, 17, 18, 19, 20, 21, 23, 26, 27, 28, 29, 32, 33, 37, 40, 41, 43, 44, 51, 73, 79. 48 R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 204-207.

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Q. 26:46-48 «and the sorcerers fell down on their knees, – exclaiming, “We believe in the Lord of the Worlds, – the Lord of Moses and Aaron.” (fa-ulqiya l-saḥaratu sāǧidīna - qālū āmannā bi-rabbi l-ʿālamīna - rabbi Mūsā wa-Hārūna)»

The case is particularly interesting since it would be actually possible to explain this small diversity (iḥtilāf) even on the basis of the necessities (ḍarūra, pl. ḍarāʾir) imposed by the constraints dictated by the rhyming scheme (fawāṣil alāy)49, as the rhyme itself would actually require, on the one hand the delay (taʾḫīr) of the name of Moses (Mūsā) and the anticipation (taqdīm) of the name of Aaron (Hārūna) in Q. 20 (rhyme in -ā) and, on the other, the anticipation (taqdīm) of the name of Moses and the delay (taʾḫīr) of the name of Aaron in Q. 26 (rhyme in -ūna / -īna), but Sāmarrā'ī, in accordance with the well-known general rule according to which it is not acceptable to explain Qurʾanic formal oddities on the basis of prosodic necessities (wa-laysa fī al-Qurʾān ḍarūra)50, tries to explain the formal divergence between the two self-similar verses on the semantic level, analyzing the general context of the two different sūras. Firstly, thus, he notices that Aaron himself is named much more times in Q. 20 than in Q. 26. In Q. 20, indeed, Moses asks explicitly God to give him his brother Aaron as an assistant (vv. 29-32), God himself addresses directly both brothers asking them to go to Pharaoh with His signs (v. 42) and keeps speaking to them with the dual in the following verses (vv. 43-44). Their answer, too, is built on the dual (v. 45), since both brothers express fear that Pharaoh could use violence against them. Again, God reassures them both (v. 46) and again He assigns to both brothers the task of going and speaking (v. 47). Pharaoh's speech, too, is addressed simultaneously to both brothers (v. 49), and in the same way he puts them both in relation to magic (v. 63). Aaron is left by Moses as his vicar in the period of his absence (v. 90) and Aaron, again, is the one who will be scolded by Moses for not having called him when he saw his people going astray (vv. 92-93). In Q. 26, instead, Aaron name is not mentioned if not a few times and, in all those points of the story in which the speech, in Q. 20, is addressed to both brothers, in Q. 26 it is addressed to Moses solely. In general terms it could therefore be said that, if the story of Moses in Q. 20 is entirely built on the dual and on the relationship between Moses and Aaron, in Q. 26 it is built rather on the singular and on the unicity of figure of Moses, and this is why the anticipation of the name of Aaron with respect to that of Moses can be said to be appropriate (munāsib) in the case of Q. 20, but not in the case of Q. 26, in which the anticipation of the name of Moses is more consistent with the general context of the whole sūra51. 49

And in this way it has been often explained, see, e.g., KIRMĀNĪ, Asrār, 128. SĪRĀFĪ, Abū Saʿīd al-Ḥasan b. ʿAbd Allāh b. al-Marzubān (al-), Šarḥ kitāb Sībawayhi, ed.. Ramaḍān ʿAbd al-Tawwāb – Maḥmūd Fahmī Ḥiǧāzī – Muḥammad Hāšim ʿAbd al-Dāyim, alQāhira 1986-1990 (2 vols.), II, 119 (Cf. II, 132). See, about that, R. VILLANO, Phonological deletion (cf. nt. 36), 62-64. 51 SĀMARRĀʾĪ, Taʿbīr (cf. nt. 45), 226-228. Cf. R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 205-206. 50

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From another point of view, moreover, Sāmarrāʾī notices that in Q. 20 there is an explicit reference to the fear of Moses (67) of which there is no trace in Q. 26. This could signify that the whole story, in Q. 26, is built on the exaltation of the strength and completeness of the figure of Moses, while in Q. 20 the same story seems rather built to bring out and emphasize the human dimension of Moses’s character52. Finally, Sāmarrāʾī turns to a completely different reading of the two sūras and points out that both sūras begin with the letter tāʾ, but, while the initial letters (fawātīḥ) of Q. 20 (ṭāʾ, hāʾ) end up with the first letter of the name of Aaron (Hārūn) and do not contain any letter of the name of Moses (Mūsā), the initial letters of Q. 26 (ṭā, sīn, mīm) end up with the first letter of the name of Moses, and do not even contain a single letter of the name of Aaron, which, by author’s own admission, could be branded as an over-interpretation (iġrāqan fī al-ta'līl). Nevertheless, he points out that all sūras beginning with the letter ṭāʾ, that is Q. 20 (ṭāʾ, hāʾ), Q. 26 (ṭāʾ, sīn, mīm), Q. 27 (ṭāʾ, sīn) and Q. 28 (ṭāʾ, sīn, mīm), expose the story of Moses at the beginning of the sūra, or anyway before other stories, and this very order is found only in those sūras and never in any other sūras starting with different separate letters. Yet, it is also possible to notice that in all sūras beginning with ṭāʾ, sīn, mīm (Q. 26 and Q. 28), the story of Moses is exposed in greater detail and takes up more space than in any other sūras, as if the addition of the letter mīm at the end of the fawātīḥ could indicate the presence of a detailed exposition of the story of Moses53. The relationship between initial letters (fawātīḥ) and the content of sūras, by the way, had been already observed by Ibn al-Zubayr al-Ġarnāṭī who openly claimed that there is always a direct relationship between separate letters that appear at the beginning of a sūra and the actual lexicon and letters that are to be found in the same sūra (inna hāḏihi l-suwar inna-mā waqaʿa fī awwal kulli sūratin min-hā mā kaṯura tardādu-hu fi-mā turakkabu min kalimi-hā)54. 2. ḪĀLIDĪ AND SĀMARRĀʾĪ ON Q. 18:60-8255 Q. 18:60-82 proposes a very unusual story of Moses focused on the encounter of Moses with an unnamed, learned and well-guided servant of God that Islamic tradition identifies with al-Ḫiḍr (the green one). This is the full Qurʾanic story: Q. 18 60 Moses said to his servant, «I will not rest until I reach the place where the two seas meet, even if it takes me years!» 61 but when they reached the place where the two seas meet, they had forgotten all about their fish, which made its way into the 52

SĀMARRĀʾĪ, Taʿbīr (cf. nt. 45), 228. Cf. R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 206. SĀMARRĀʾĪ, Taʿbīr (cf. nt. 45), 228-229. Cf. R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 206-207. 54 ĠARNĀṬĪ, Milāk al-taʾwīl (cf. nt. 42), 176. Cf. SĀMARRĀʾĪ, Taʿbīr (cf. nt. 45), 9; R. VILLANO, La struttura binaria (cf. nt. 6), 207. 55 G. LANCIONI – R. VILLANO, «Self-Similarity as Form and Structure» (cf. nt. 36), 257-261; cf. R. VILLANO, «Phonological deletion» (cf. nt. 36), 88-89. 53

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sea and swam away. 62 They journeyed on, and then Moses said to his servant, «Give us our lunch! This journey of ours is very tiring,» 63 and [the servant] said, «Remember when we were resting by the rock? I forgot the fish – Satan made me forget to pay attention to it – and it [must have] made its way into the sea.» ‘How strange!’ 64 Moses said, «Then that was the place we were looking for. « So the two turned back, retraced their footsteps, 65 and found one of Our servants – a man to whom We had granted Our mercy and whom We had given knowledge of Our own. 66 Moses said to him, «May I follow you so that you can teach me some of the right guidance you have been taught?» 67 The man said, «You will not be able to bear with me patiently (qāla innaka lan tastaṭīʿa maʿī ṣabran). 68 How could you be patient in matters beyond your knowledge?» 69 Moses said, «God willing, you will find me patient. I will not disobey you in any way.» 70 The man said, «If you follow me then, do not query anything I do before I mention it to you myself.» 71 They travelled on. Later, when they got into a boat, and the man made a hole in it, Moses said, «How could you make a hole in it? Do you want to drown its passengers? What a strange thing to do!» 72 He replied, «Did I not tell you that you would never be able to bear with me patiently (qāla a-lam aqul innaka lan tastaṭīʿa maʿī ṣabran)?» 73 Moses said, «Forgive me for forgetting. Do not make it too hard for me to follow you.» 74 And so they travelled on. Then, when they met a young boy and the man killed him, Moses said, «How could you kill an innocent person? He has not killed anyone! What a terrible thing to do!» 75 He replied, «Did I not tell you that you would never be able to bear with me patiently (qāla a-lam aqul laka innaka lan tastaṭīʿa maʿī ṣabran)?» 76 Moses said, «From now on, if I query anything you do, banish me from your company – you have put up with enough from me.» 77 And so they travelled on. Then, when they came to a town and asked the inhabitants for food but were refused hospitality, they saw a wall there that was on the point of falling down and the man repaired it. Moses said, «But if you had wished you could have taken payment for doing that.» 78 He said, «This is where you and I part company. I will tell you the meaning of the things you could not bear with patiently (qāla haḏā firāqu baynī wa baynika sa-unabbiʾuka bi-taʾwīli mā lam tastaṭiʿ ʿalayhi ṣabran): 79 the boat belonged to some needy people who made their living from the sea and I damaged it because I knew that coming after them was a king who was seizing every [serviceable] boat by force. 80 The young boy had parents who were people of faith, and so, fearing he would trouble them through wickedness and disbelief, 81 we wished that their Lord should give them another child – purer and more compassionate – in his place. 82 The wall belonged to two young orphans in the town and there was buried treasure beneath it belonging to them. Their father had been a righteous man, so your Lord intended them to reach maturity and then dig up their treasure as a mercy from your Lord. I did not do [these things] of my own accord: these are the explanations for those things you could not bear with patience (ḏālika ta'wīlu mā lam tasṭiʿ ʿalayhi ṣabran)».

Self-similar verses found inside this story revolves all around the inability of Moses to bear with patience and remain silent while facing the weird conduct of al-Ḫiḍr: 67 qāla innaka lan tastaṭīʿa maʿī ṣabran (You will not be able to bear with me patiently)

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72 qāla a-lam aqul innaka lan tastaṭīʿa maʿī ṣabran (Did I not tell you that you would never be able to bear with me patiently?) 75 qāla a-lam aqul laka innaka lan tastaṭīʿa maʿī ṣabran (Did I not tell you that you would never be able to bear with me patiently?) 78 qāla haḏā firāqu baynī wa baynika sa-unabbiʾuka bi-taʾwīli mā lam tastaṭiʿ ʿalayhi ṣabran (This is where you and I part company. I will tell you the meaning of the things you could not bear with patiently) 82 […] ḏālika taʾwīlu mā lam tasṭiʿ ʿalayhi ṣabran (these are the explanations for those things you could not bear with patience)

The case studied is the deletion (or syncope) of the formative tāʾ of the tenth derivative form in the verb of the [in]ability (ḥaḏf tāʾ istafʿala fī fiʿl al-istiṭāʿ). According to the explanation given by Ḫalīdī56 the comparison must be made between vv. 78 and 82, the only two occurrences that contains a reference to the explanations (taʾwīl) required by Moses57. The first occurrence (v. 78) is found in a particularly critical point in the development of the story: after having seen al-Ḫiḍr making a hole in a boat and killing a young boy without any apparent reason and finally repair a damaged wall without asking anything from the inhabitants of the town who had just refused them the hospitality, Moses falls into a state of temporary confusion and affliction for his inability to interpret and explain those events (waqaʿa Mūsā fī ḥayra fī taʾwīl wa-taʿlīl al-aḥdāṯ), like if he was in a heavy spiritual and psychological concern (ka-annahu ṣāra fī hamm nafsī wa-šuʿūrī ṯaqīl) and so the Qurʾān chose, in the first case (v. 78), to leave the verb in its complete, heavy, form, to better adapt it to the spiritual and psychological heaviness experienced by Moses (fa-aṯbata al-tāʾ […] li-yattafiqa ḏālika maʿa al-ṯiql al-nafsī allaḏī yaʿīšuhu Mūsā)58. The second occurrence (v. 82), instead, is found in a completely different point of the story, when al-Ḫiḍr has already explained to Moses the reasons behind the three strange actions and now Moses is aware of the justice that there was therein (ʿarafa Mūsā anna alḤiḍr ʿalā ḥaqq wa-ṣawāb fī taṣarrufātihi al-ṯalāṯa), and so the spiritual and psychological concern that had taken his soul, previously, now vanishes and with it also the heavy spiritual weight previously felt by Moses is finally disappearing (wa-bi-ḏālika zāla al-hamm allaḏī sayṭara ʿalayhi wa-l-ṯiql al-nafsī allaḏī ʿāṣahu), and this is why the Qurʾān chose to lighten the verb and give it in its syncopated, shorter and lighter form to better adapt the form of the text to the meaning of the story and make it formally participate in the lightening of the spiritual and psychological concern experienced by Moses with a lightening in its letters (fa-ḥuḏifat al-tāʾ min al-fiʿl tasṭiʿ li-tušārika al-taḫfīf al-nafsī ʿinda Mūsā bi-ḫiffa fī ḥurūf al-fiʿl)59. 56

ḪĀLIDĪ, Laṭāʾif Qurʾāniyya (cf. nt. 44), 52-54. ḪĀLIDĪ, Laṭāʾif Qurʾāniyya (cf. nt. 44), 53. 58 ḪĀLIDĪ, Laṭāʾif Qurʾāniyya (cf. nt. 44), 53-54. 59 ḪĀLIDĪ, Laṭāʾif Qurʾāniyya (cf. nt. 44), 54. 57

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In the point of view of Sāmarrāʾī, too, the comparison must be made between vv. 78 and 82, but his explanation is rather based on formal and stylistic data. According to his point of view, indeed, the first occurrence (v. 78) is found in the linguistic and stylistic context of commentary, clarification and explanation (maqam šarḥ wa-īḍāḥ wa-tabyīn) and it is well known that, in those contexts, in Arabic, detailed and full exposition is considered much more appropriate to the general stream of the speech, and this is why the Qurʾān does not delete here anything and gives the verb in its complete, heavier form, while the second occurrence (v. 82) is found in the context of final greetings (maqām mufāraqatin) and after this expression there is no more than one or two single words and then the final goodbye (wa-lam yatakallam baʿdahā bi-kalima wafāraqahu), and, in those second contexts, it is also very well known that, in Arabic, concise and abridged style is considered much more appropriate and this would, therefore, be why the Qurʾān delete, here, a letter from the verb and gives it in its syncopated, incomplete and lighter form (fa-ḥaḏafa min al-fiʿl)60. As it can be seen, while the explanation given by Ḫalīdī tends to emphasize the coherence of the text on a strictly semantic level, the explanation given by Sāmarrāʾī tends to emphasize the cohesion of the text on a mainly formal level. Be this as it may, it is true that, if we look at the story of Moses in Q. 18 from a stylistic point of view, we can notice that the weight (ṯiql) of the pericope related to the inability of Moses to bear with patience without criticizing the strange behaviour of al- Ḫiḍr goes heavier and heavier (tawkīd) from v. 67 to v. 75 (67 innaka lan tastaṭīʿa maʿī ṣabran – 72 a-lam aqul innaka lan tastaṭīʿa maʿī ṣabran – 75 a-lam aqul laka innaka lan tastaṭīʿa maʿī ṣabran), until the turning point of v. 78 (sa-unabbiʾuka bi-taʾwīli mā lam tastaṭiʿ ʿalayhi ṣabran) which introduces the end of the story and in which al-Ḫiḍr starts to finally give the explanations required by Moses. In this respect it would even be possible to say that the entire story of Moses in Q. 18 is built over the inability of Moses to bear with patience expressed, at a formal level, by the verb (mā) istaṭāʿa and so, just as soon as, with the knowledge, this inability begins to disappear, also the verb that was used to express this inability begins to fall apart. Although both examples are taken from contemporary exegesis, it is important to stress the continuity of those explanations with the approach of Classical Islamic exegetical tradition: it was indeed al-Kirmānī (fl.V/XI century) the first scholar of the Qurʾān who, in a very brief and deep insight, proposed that the syncopated form of Q. 18:82 it is lightened because it is the last derivation of all previous, self-similar, pericopes (ʿalā al-taḫfīf li-anna-hu farʿ)61.

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SĀMARRĀʾĪ, Balāġat al-kalima (cf. nt. 45), 19. KIRMĀNI, Asrār al-takrār fī-l-Qurʾān (cf. nt. 41), 171. Cf. R. VILLANO, «Phonological deletion» (cf. nt. 36), 88. 61

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IV. THE MODELIZATION OF SIMILARITY 1. INTRODUCTION Qur’anic exegesis, especially the tradition line explored in previous chapters, explored extensively the issue of similarity in the Qur’an, by gradually developing new heuristic strategies and collecting a growing number of verse pairs, coupled by similarity. However, one key issue in traditional approaches to similarity in the Qur’an is the lack of objectivity in analysis. While «similar» is a relatively intuitive definition, the actual detection of similarity among different segments of text is another matter, that depends heavily on interpretation and is biased towards what a given author aims to show, which explains widely different results in different authors. If an objective definition of similarity is required, some formal, nonintuitive method to determine is obviously needed. In information theory terms, determination of similarity among sequences (of whatever kind) can be defined as computing the distance between each couple of sequences and to find a threshold above which the couple is regarded as similar. While the computation of distance is objective (as far as the distance algorithm is reasonable), the threshold is arbitrary: distance is a continuous greatness and there is no natural point where two sequences cease to be similar and become different. This issue is inherent in the definition of «similarity»: even in natural language, there is no clear-cut distinction among what is similar and what is not. Therefore, the first issue is determining a measure of distance that fits well the text domain of the Qur’an, the second one is to fix a reasonable threshold to establish up to which maximum distance two text sequences can still be regarded as (relatively) similar. 2. LEVENSHTEIN DISTANCE Among distance metrics, a time-honored one is Levenshtein distance. Originally introduced by the Soviet mathematician Vladimir Levenštejn in 196562, the idea behind this measure of distance is very simple: the distance between two sequences is the minimum number of operations (deletions, insertions, substitutions) needed to transform one of them into the second one. For instance, the distance between garden and hardens is 2, because the transformation between the two words requires a substitution (g →h) and an insertion (the final s). In formal terms, the recursive definition of Levenshtein distance between sequences a and b is leva,b(|a|, |b|), where:

62

V. I. LEVENŠTEJN, «Dvoičnye kody s ispravleniem vypadenij simbolov», Doklady Akademij Nauk SSSR 163 (1965) 845-848 [Engl. transl. ID., «Binary Codes Capable of Correcting Deletions, Insertions and Reversals», Soviet Physics Doklady 10 (1966) 707-710].

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where 1(ai≠bj) is the indicator function, which is = 0 when ai=bj and =1 otherwise, and leva,b(i, j) is the is the distance between the first i characters of a and the first j characters of b. Levenshtein distance has some highly desirable properties (including the possibility of performing implementation), that led it to be one of the most widespread techniques in addressing such issues as finding most similar words in spell checkers. One of its downsides, namely sensitiveness to sequence length, can be minimized by parametrizing the resulting distance within the minimum and maximum possible distance between sequences of lengths, respectively, |a| and |b|: the parametrized distance becomes lev(a,b) - abs(|a|-|b|) , max(|a|-|b|) - abs(|a|-|b|) that is, the distance is expressed in the continuous range (0,1), where it is 0 when it is equal to the different in length between the two sequences (which means that the shorter sequence is entirely contained in the longer one) and 1 if it is equal to the longer sequence (which means that the two sequences are entirely different). 3. COMPUTATION OF SIMILARITY As we said before, computation of distance requires an arbitrary threshold to establish when two sequences as close enough to be regarded as similar. To this aim, we first made a computer program (a Python script written by Giuliano Lancioni) calculate distance from all possible couples of Qur’anic verses. Since vocalization is the thorniest issue in reading Arabic texts (as happens in other Semitic traditions), and a different choice of vowels is the primary source of variants in different Qur’anic readings, or qirāʾāt, we decided to use the unvocalized text of the Qur’an as an input for the computation of similarity. Another choice we made was to merge verses that appear identical in different parts of the Book, rather than considering them as cases of 100% similarity: in other words, we decided to consider repetition/citation a different textual issue from similarity. Once the experiment was concluded, we tried different threshold and decided to fix 0.4 (that is, distance not greater than 60% of the maximum possible distance) as the limit to consider a verse couple as similar. This threshold was tested by asking non-specialist testers with a university education level to evaluate randomly selected couples of verses in translation (in order to get a

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«semantic» evaluation of similarity) along a qualitative scale of similarity: «almost identical», «quite similar», «similar enough», «quite different», «totally different». Average evaluations showed that the threshold outputs results that fit the qualitative evaluation by testers.

V. RESULTS AND FURTHER RESEARCH 1. QUANTITATIVE RESULTS AND BASELINE COMPARISON The computation through Levenshtein distance and the 0.4 threshold yields a total of 2,395 similar couples out of 6,236 verses. This result seems intuitively to corroborate tradition, since it is clearly a much higher level of similarity than expected in any succession of text units that do not use internal partial repetition as an organizing strategy. However, in order to test independently how relevant this similarity level is within the linguistic and stylistic context of classical Arabic religious text, we decided to perform an analogous experiment with a text that could be reasonably be compared to the Qur’an: the Arabic translation of the Diatessaron, which our research group studied within the Arabic Diatessaron Project63. The Arabic Diatessaron is linguistically comparable to the Qur’an (it is written in Classical Arabic with many features clearly modeled on Qur’anic style), has a relatively similar length and, as a Gospel harmony, shares many subjects and lexical domains with the Qur’an. As expected, the search for similarity in the Diatessaron showed much lower results: 615 couples out of about 5,000 text units (we used verse subdivisions in the Ciasca edition). That is, the level of similarity in the Qur’an is significant even in comparison with other religious texts of the Arabic Middle ages, and can be regarded as a peculiar stylistic and rhetoric device employed by the text. 2. VISUALIZATION OF RESULTS The results of the similarity experiment can be visualized as a very large graph, whose nodes are verses that are linked by edges to other, similar verses. The whole graph, depicted in Fig. 1, gives an overall, almost impressionistic image of density of similarity in the text.

63

G. LANCIONI – N. P. JOOSSE, «The Arabic Diatessaron Project: Digitalizing, Encoding, Lemmatization», Journal of Religion, Media and Digital Culture 5 (2016) 205-227.

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Fig. 1: The complete graph of similarity in the Qur’an

A close-up of a section of the graph (in Fig. 2) shows a very interesting derived feature: couples that share a common verse form a more complex structure, a path that passes through couples of similar verses and shows an alternative way to read the text. The suggestion, implicit in the exegetical tradition, that the Qur’anic text can be read, and interpreted, with a different logic than the linear succession of verses is explicitly proposed by our formal experiment on similarity. All 471 paths found by the similarity experiment are listed in Appendix. As a cursory analysis of paths shows, similarity does not involve text segments in the same sūras only, but also verses that are very far apart in the linear ordering of the text. In other words, similarities suggest a structural principle that governs the overall organization of the text and not just its local organization. An analysis of similarity couples and paths prompts a series of comment that are a subject of current and future research.

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293

First, there is an important overlap between the similarity map and verse couples empirically found by the exegetical tradition. The amount of this overlap is currently under formal investigation by our research group, but sample examination clearly shows that agreement between tradition and formal analysis is relevant. A second point to be investigated is building a phenomenology and, hopefully, a typology of similarity in the Qur’an. Examples provided in this paper show that tradition conflated under the concept of similarity somewhat different types of relation: a preliminary survey of couples and paths found in other experiment shows a similar need for classification. Some couples, although similar, might perhaps be considered as instances of «formulaic similarity», since the repeated part is functional-structural and the variation affects more or less strongly the content. In other cases, especially when shorter and longer verses are coupled, partial citation rather than similarity could be affected. This issue, as other issues raised by our research, are left for further discussion and show in our opinion the great interest that the exegetical tradition and its contemporary formalization have for Qur’anic research and for the larger field of study of Arabic and Semitic rhetoric.

APPENDIX: CONNECTED COMPONENT SUBGRAPHS The Qur’anic similarity graph includes a series of paths, that is verses that are connected with one another and can be reached in a finite number of similarity passages. These paths are called «connected component subgraphs», since they are subsets of the larger graph and are composed of components that are connected by a continuous path64.

64

For a more formal introduction to the relevant concepts of graph theory, see J. A. BONDY – U. S. R. MURTY, Graph theory, London 2008.

294

Raoul VILLANO – Giuliano LANCIONI

Fig. 2: Detail of the similarity graph of the Qur’an

The following list lists all paths sorted in progressive order of the first verse; for conciseness’ sake, only sūra and verse numbers are reported in brackets, separated by a comma (with possible textually identical verses separated by a semicolon); similar verses in a path are divided by a dash. The list includes 471 paths.

(2, 2) - (32, 2) (2, 3) - (8, 3) (2, 16) - (2, 175) (2, 27) - (13, 25) (2, 38) - (20, 123) (2, 43) - (24, 56) (2, 47); (2, 122) - (2, 40) (2, 53) - (25, 35) - (28, 51) - (44, 58) - (23, 49) (2, 56) - (2, 52) (2, 58) - (7, 161) (2, 63) - (7, 171) (2, 69) - (2, 68) (2, 92) - (2, 51) (2, 117) - (19, 35) - (40, 68) (2, 123) - (2, 48) (2, 129) - (62, 2) - (3, 164) - (2, 151) (2, 136) - (3, 84) (2, 146) - (6, 20) (2, 157) - (2, 5); (31, 5) (2, 173) - (16, 115) (2, 174) - (3, 77) (2, 183) - (2, 21) (2, 193) - (8, 39) (2, 234) - (2, 240) (2, 242) - (7, 174) - (6, 55) (2, 262) - (2, 274) - (5, 69) - (2, 112) - (2, 277) - (2, 62) (3, 44) - (12, 102) (3, 56) - (3, 22) (3, 60) - (2, 147) (3, 71) - (2, 42) (3, 74) - (62, 4) (3, 82) - (23, 7); (70, 31) (3, 87) - (2, 161) (3, 89); (24, 5) - (5, 34) (3, 98) - (3, 70) (3, 130) - (3, 200) - (8, 45) - (22, 77) (3, 141) - (29, 11) (3, 149) - (3, 100) (4, 70) - (33, 3) (4, 116) - (4, 48) (5, 85) - (4, 13) - (20, 76) - (9, 89) (5, 88) - (16, 114) (5, 92) - (64, 12) (5, 104) - (2, 170) - (31, 21) (5, 119) - (98, 8) (6, 15); (39, 13) - (26, 135) (6, 24) - (11, 21) (6, 29) - (23, 37) (6, 117) - (68, 7) - (53, 30) (6, 131) - (11, 117) (6, 142) - (2, 168) - (2, 208) (7, 9) - (23, 103) (7, 19) - (2, 35) (7, 42) - (64, 10) - (2, 82) - (31, 8) - (34, 38) - (22, 57) - (18, 107) (19, 96) - (18, 30) - (5, 10); (5, 86) - (98, 7) - (34, 4) - (30, 15) (41, 8) - (22, 50) - (11, 23) - (22,

51) - (84, 25) - (90, 19) - (13, 29) - (11, 11) - (103, 3) - (30, 45) (32, 19) - (45, 30) - (30, 16) - (2, 39) - (7, 36) - (5, 9) - (29, 9) (95, 6) - (35, 7) - (34, 5) - (3, 57) (7, 45) - (11, 19) (7, 59) - (23, 32) - (23, 23) - (7, 65) - (11, 50) (7, 70) - (46, 22) - (11, 32) (7, 79) - (7, 93) (7, 80) - (29, 28) - (27, 54) (7, 81) - (27, 55) (7, 82) - (27, 56) (7, 94) - (6, 42) (7, 98) - (7, 97) (7, 103) - (10, 75) (7, 104) - (7, 67) - (7, 61) (7, 106) - (26, 31) (7, 109) - (26, 34) (7, 110) - (26, 35) (7, 112) - (26, 37) (7, 115) - (20, 65) (7, 120) - (26, 46) (7, 141) - (14, 6) - (2, 49) (7, 162) - (2, 59) (7, 181) - (7, 159) (7, 182) - (68, 44) (7, 200) - (41, 36) (8, 10) - (3, 126) (8, 13) - (59, 4) (8, 51) - (3, 182) - (22, 10) (8, 52) - (8, 54) - (3, 11) (8, 55) - (8, 22) (9, 32) - (61, 8) (9, 33); (61, 9) - (48, 28) (9, 85) - (9, 55) (9, 87) - (63, 3) (9, 116) - (2, 107) - (29, 22) - (42, 31) (10, 9) - (22, 14) - (14, 23) - (4, 57) - (47, 12) - (22, 23) - (29, 58) - (85, 11) - (4, 122) (10, 20) - (29, 50) (10, 29) - (17, 96) (10, 33) - (40, 6) (10, 42) - (10, 43) (10, 46) - (13, 40) - (40, 77) (10, 48); (21, 38); (27, 71); (34, 29); (36, 48); (67, 25) - (32, 28) (10, 73) - (7, 64) (10, 82) - (8, 8) (11, 2) - (51, 50) (11, 13) - (10, 38) (11, 39) - (39, 40) (11, 63) - (11, 28) (11, 66) - (11, 58) (11, 96); (40, 23) - (23, 45) (12, 2) - (43, 3) (12, 22) - (28, 14) (13, 7) - (13, 27) (13, 32) - (6, 10); (21, 41) (14, 29) - (38, 56)

(15, 1) - (43, 2); (44, 2) - (10, 1) (26, 2); (28, 2) - (27, 1) - (31, 2) (12, 1) (15, 5) - (23, 43) (15, 10) - (43, 6) (15, 17) - (37, 7) (15, 19) - (50, 7) (15, 23) - (50, 43) (15, 28) - (38, 71) (15, 31) - (15, 32) - (38, 74) (15, 35) - (38, 78) (15, 36); (38, 79) - (37, 144) - (7, 14) (15, 52) - (51, 25) (15, 73) - (15, 83) (15, 74) - (11, 82) (15, 93) - (56, 24) - (26, 112) (16, 55); (30, 34) - (29, 66) (16, 58) - (43, 17) (16, 93) - (42, 8) (16, 109) - (11, 22) (16, 119) - (16, 110) - (7, 153) (16, 123) - (3, 95) (17, 9) - (18, 2) (17, 65) - (15, 42) (17, 98) - (37, 53) - (37, 16) - (17, 49) - (56, 47) - (23, 82) - (50, 3) (18, 46) - (19, 76) (18, 75) - (18, 67) - (18, 72) (18, 85) - (18, 89); (18, 92) - (74, 23) - (79, 22) - (74, 22) (19, 14) - (19, 32) (19, 33) - (19, 15) (19, 36) - (43, 64) - (3, 51) (19, 51) - (19, 54) - (19, 56) - (19, 41) (19, 53) - (19, 50) (19, 63) - (43, 72) (19, 73) - (46, 7) (19, 87) - (19, 78) (20, 2) - (76, 23) (20, 8) - (23, 86) - (3, 2) - (27, 26) - (23, 116) (20, 9) - (79, 15) - (88, 1) - (85, 17) (20, 23) - (53, 18) (20, 26) - (20, 32) (20, 43) - (20, 24); (79, 17) (20, 110) - (22, 76) (20, 112) - (21, 94) (20, 116) - (2, 34) - (17, 61) (21, 2) - (6, 4); (36, 46) - (26, 5) (21, 7) - (16, 43) (21, 12) - (43, 47) (21, 31) - (16, 15) (21, 49) - (67, 12) (21, 53) - (26, 74) (21, 55) - (15, 55) (21, 75) - (21, 86) (21, 85) - (38, 48) (21, 107) - (48, 8) - (25, 56) - (33, 45)

296

Raoul VILLANO – Giuliano LANCIONI

(22, 3) - (22, 8) (22, 7) - (40, 59) (22, 62) - (31, 30) (22, 69) - (32, 25) (23, 10) - (56, 11) - (80, 42) (23, 16) - (39, 31) (23, 21) - (16, 66) (23, 26); (23, 39) - (26, 117) (26, 12) (23, 42) - (23, 31) (23, 48) - (26, 160) - (31, 3) - (54, 33) - (26, 141) - (15, 77) - (20, 3) - (37, 80); (37, 121); (37, 131); (77, 44) - (37, 181) - (26, 153); (26, 185) - (56, 90) - (27, 77) (15, 75) - (69, 48) - (56, 92) - (15, 95) - (26, 158) - (45, 3) - (37, 123) - (27, 2) - (26, 105) - (7, 15) - (37, 143) - (37, 141) - (37, 110) - (37, 105) - (26, 192) - (91, 11) (54, 23) - (74, 43) - (37, 139) (26, 42) - (26, 200) - (26, 8); (26, 67); (26, 103); (26, 121); (26, 174); (26, 190) - (69, 50) - (15, 62) - (77, 18) - (26, 196) - (26, 139) - (79, 26) - (15, 12) - (37, 133) - (15, 37); (38, 80) - (26, 123) - (23, 30) - (56, 88) - (56, 91) - (36, 3) - (37, 34) - (7, 114) (23, 52) - (21, 92) (23, 53) - (20, 62) - (21, 93) (23, 74) - (17, 10) (23, 83) - (27, 68) (23, 85) - (23, 87) - (23, 89) (23, 102) - (7, 8) (24, 9) - (24, 7) (24, 10) - (24, 20) (25, 9) - (17, 48) (25, 36) - (7, 177) (25, 50) - (39, 27) - (17, 89) (25, 57) - (12, 104) - (26, 109); (26, 127); (26, 145); (26, 164); (26, 180) - (38, 86) (25, 59) - (32, 4) (25, 76) - (25, 66) (26, 1); (28, 1) - (7, 1) - (2, 1); (3, 1); (29, 1); (30, 1); (31, 1); (32, 1) (26, 6) - (6, 5) (26, 26) - (37, 126) (26, 36) - (7, 111) (26, 41) - (7, 113) (26, 43) - (10, 80) (26, 49) - (20, 71) (26, 52) - (26, 45) - (7, 117) (26, 58) - (44, 26) (26, 59) - (44, 28) (26, 64) - (26, 120) - (56, 13); (56, 39) - (69, 46) - (77, 17) - (80, 26) - (56, 40) - (26, 66); (37, 82) (26, 172); (37, 136) - (56, 14)

(26, 78) - (43, 27) (26, 90) - (50, 31) (26, 91) - (79, 36) (26, 92) - (56, 63) - (56, 58) - (40, 73) - (26, 75) (26, 102) - (51, 35) (26, 108); (26, 110); (26, 126); (26, 131); (26, 144); (26, 150); (26, 163); (26, 179) - (15, 69) (26, 115) - (35, 23) (26, 116) - (26, 167) (26, 137) - (74, 25) (26, 147); (44, 52) - (26, 134) (37, 43); (56, 12) (26, 149) - (15, 82) (26, 152) - (27, 48) (26, 154) - (26, 186) (26, 170) - (26, 65) - (37, 115) (37, 76) - (37, 134) (26, 173); (27, 58) - (7, 84) - (43, 25) (26, 176) - (15, 80) (26, 201) - (10, 97) (26, 208) - (15, 4) (26, 213) - (51, 51) (27, 13) - (10, 76) - (43, 30) (27, 57) - (7, 83) (27, 69) - (6, 11) - (3, 137) - (47, 10) - (30, 42) (27, 70) - (16, 127) (28, 31) - (27, 10) (28, 46) - (32, 3) (28, 47) - (20, 134) (28, 52) - (43, 21) (28, 69) - (2, 77) - (27, 74) - (36, 76) - (16, 19) (28, 72) - (28, 71) (28, 84) - (6, 160) (29, 37) - (7, 78); (7, 91) - (11, 67) (29, 61) - (43, 9) - (29, 63) - (31, 25) (29, 68) - (39, 32) - (10, 17) - (6, 21) (30, 14) - (30, 12) (30, 24) - (16, 65) (30, 37) - (10, 67) - (40, 61) - (27, 86) - (39, 52) (30, 52) - (27, 80) (30, 53) - (27, 81) (31, 26) - (4, 132) - (30, 26) - (62, 1) - (55, 29) - (57, 2) - (42, 4) (24, 42) - (85, 9) - (43, 84) - (3, 189) - (26, 24) - (4, 126) - (48, 7) - (44, 7) - (21, 16) - (22, 64) - (14, 2) - (44, 38) - (45, 36) - (34, 1) (57, 5) - (59, 1); (61, 1) - (38, 66) - (26, 28) - (20, 6) - (38, 10) - (42, 53) - (45, 37) - (64, 1) - (43, 82) -

(5, 120) - (30, 18) - (37, 5) - (78, 37) - (3, 109) - (4, 158) - (57, 1) (31, 29) - (39, 5) (32, 9) - (23, 78) - (67, 23) (32, 23) - (17, 2) (32, 26) - (20, 128) (33, 21) - (60, 6) (33, 41) - (2, 153) - (61, 2) - (33, 70) - (2, 278) - (8, 20) - (3, 102) (8, 27) - (9, 119) - (47, 33) (34, 36) - (17, 30) (35, 20) - (35, 21) (35, 24) - (2, 119) (35, 25) - (3, 184) (35, 38) - (49, 18) (35, 44) - (40, 82) - (40, 21) (35, 45) - (16, 61) (36, 5) - (37, 106) - (15, 50) - (26, 23) - (44, 57) - (26, 217) - (26, 98) - (26, 9); (26, 68); (26, 104); (26, 122); (26, 140); (26, 159); (26, 175); (26, 191) - (7, 121); (26, 47) - (37, 60) - (1, 2) - (15, 86) - (69, 51) - (101, 4) - (56, 95) - (41, 2) - (26, 220) - (1, 1) - (56, 80); (69, 43) - (1, 3) - (37, 182) (44, 49) - (83, 6) - (15, 70) - (37, 87) - (44, 6) (36, 10) - (2, 6) (36, 24) - (26, 97) (36, 29) - (37, 19) - (36, 53) (36, 57) - (43, 73) (36, 65) - (24, 24) (36, 74) - (19, 81) (36, 77) - (16, 4) (36, 82) - (16, 40) (37, 10) - (15, 18) (37, 15) - (74, 24) (37, 17); (56, 48) - (26, 76) (37, 27); (52, 25) - (37, 50) - (68, 30) (37, 48) - (38, 52) (37, 54) - (26, 39) (37, 58) - (26, 138) (37, 59) - (44, 35) (37, 78); (37, 108); (37, 129) (37, 119) (37, 81); (37, 111); (37, 132) (37, 122) (37, 91) - (51, 27) (37, 95) - (109, 2) (37, 98) - (21, 70) (37, 109) - (37, 130) (37, 116) - (43, 76) (37, 117) - (1, 6) - (4, 68) - (37, 118) (37, 124) - (26, 70) - (37, 85) (26, 106) - (26, 142) - (26, 177) (26, 161) - (26, 124) (37, 152) - (15, 64) - (23, 90)

Qurʾanic Pairs and Semitic Rhetoric (37, 153) - (52, 39) (37, 159) - (37, 180) (37, 165) - (37, 166) (37, 169) - (37, 40); (37, 74); (37, 128); (37, 160) - (15, 40); (38, 83) (37, 178) - (37, 174) - (68, 21) (37, 90) (38, 1) - (85, 15) - (50, 1) - (36, 2) (38, 40) - (38, 25) (38, 49) - (38, 55) (38, 82) - (15, 92) (39, 26) - (68, 33) (39, 39) - (11, 121) (39, 41) - (10, 108) (39, 68) - (27, 87) (40, 2) - (39, 1); (45, 2); (46, 2) (40, 76) - (16, 29) - (39, 72) (41, 7) - (27, 3); (31, 4) (41, 18) - (27, 53) - (10, 63) - (12, 57) (41, 25) - (46, 18) (41, 46) - (45, 15) (41, 51) - (17, 83) (42, 32) - (55, 24) (42, 36) - (28, 60) (42, 49) - (3, 129) - (48, 14) (43, 7) - (36, 30) - (15, 11) (43, 50) - (7, 135) (43, 65) - (19, 37) (44, 25) - (26, 57) (44, 34) - (26, 54) (44, 36) - (56, 87) - (37, 157) (68, 22) (44, 40) - (78, 17) (44, 41) - (52, 46) (44, 42) - (52, 28) (45, 6) - (2, 252) - (3, 108) (45, 7) - (26, 222) (45, 20) - (3, 138) (45, 33) - (39, 48) - (16, 34) (46, 3) - (15, 85) (46, 19) - (6, 132) (46, 34) - (6, 30) (47, 8) - (4, 167) - (47, 1) (47, 9) - (47, 28) (47, 23) - (4, 52) (48, 5) - (9, 72) (48, 23) - (33, 62) (49, 8) - (24, 18) (49, 16) - (3, 29) (50, 2) - (38, 4) (50, 12) - (38, 12) (50, 25) - (68, 12) (50, 40) - (52, 49) (51, 40) - (28, 40) (51, 46) - (53, 52) - (43, 54) (52, 2) - (83, 9); (83, 20) - (56, 28) - (85, 22) - (56, 78) (52, 10) - (56, 5)

(53, 13) - (20, 37) - (37, 114) - (7, 122); (26, 48) - (37, 120) (53, 20) - (53, 47) (53, 27) - (27, 4) (53, 33) - (96, 9) - (53, 19) (53, 48) - (53, 43) - (53, 44) (54, 16); (54, 21); (54, 30) - (54, 18) - (54, 39) (54, 17); (54, 22); (54, 32); (54, 40) - (54, 15) - (54, 51) (55, 2) - (55, 4) (55, 3) - (96, 2) - (96, 5) (55, 8) - (89, 11) (55, 13); (55, 16); (55, 18); (55, 21); (55, 23); (55, 25); (55, 28); (55, 30); (55, 32); (55, 34); (55, 36); (55, 38); (55, 40); (55, 42); (55, 45); (55, 47); (55, 49); (55, 51); (55, 53); (55, 55); (55, 57); (55, 59); (55, 61); (55, 63); (55, 65); (55, 67); (55, 69); (55, 71); (55, 73); (55, 75); (55, 77) - (53, 55) (55, 27) - (55, 78) (55, 43) - (83, 17) - (36, 63) - (37, 21) - (52, 14) (55, 50) - (55, 66) (55, 56) - (55, 74) (56, 15) - (37, 44) (56, 25) - (78, 24) - (78, 35) (56, 27) - (56, 8) - (56, 41) - (56, 9) (56, 30) - (56, 43) (56, 34) - (88, 13) (56, 38) - (74, 39) (56, 50) - (26, 38) (56, 55) - (56, 54) (56, 64) - (56, 59) (56, 68) - (56, 71) (56, 69) - (56, 72) (56, 70) - (56, 65) (56, 75) - (81, 15) - (37, 179) (84, 16) - (69, 38) - (37, 175) (68, 5) (56, 79) - (69, 37) (56, 81) - (53, 59) (57, 6) - (22, 61) (58, 17) - (3, 116) - (3, 10) (62, 7) - (2, 95) (62, 8) - (9, 105) (63, 2) - (58, 16) - (9, 9) (64, 4) - (27, 25) (64, 5) - (59, 15) (64, 13) - (9, 51) (64, 15) - (8, 28) (64, 18) - (13, 9) - (32, 6) (67, 1) - (39, 62) - (11, 4) (67, 24) - (23, 79) (68, 2) - (52, 29) (68, 26) - (83, 32)

297

(68, 31) - (21, 14) - (68, 29) (68, 34) - (15, 45); (51, 15) - (52, 17) - (54, 47) - (54, 54) - (77, 41) - (44, 51) (68, 52) - (38, 87); (81, 27) (69, 2) - (101, 1) - (69, 1) - (101, 2) (69, 15) - (56, 1) (69, 19) - (69, 25) (69, 31) - (80, 20) (69, 34); (107, 3) - (89, 18) (69, 40); (81, 19) - (56, 77) (69, 42) - (69, 41) (70, 8) - (70, 9) - (52, 9) - (101, 5) (70, 12) - (80, 36) - (80, 35) (70, 15) - (74, 54) - (80, 11) (70, 21) - (70, 20) (71, 19) - (71, 17) (72, 20) - (18, 38) (74, 1) - (73, 1) (74, 19) - (74, 20) (74, 40) - (78, 1) (74, 46) - (83, 11) - (75, 20) - (82, 9) - (95, 7) - (89, 17) - (74, 53) (70, 26) (75, 3) - (75, 36) (75, 6) - (51, 12) - (82, 15) (75, 26) - (56, 83) (75, 30) - (75, 12) (75, 35) - (75, 34) (75, 39) - (53, 45) - (92, 3) (76, 25) - (73, 8) (76, 30) - (81, 29) (77, 12) - (81, 9) (77, 21) - (23, 13) (77, 25) - (78, 6) (77, 35) - (37, 154); (68, 36) (37, 92) - (37, 25) - (84, 20) (77, 42) - (56, 20) - (56, 21) (78, 5) - (78, 4) - (102, 4) - (102, 3) (78, 7) - (79, 32) (78, 8) - (71, 14) (78, 11) - (78, 10) (78, 12) - (78, 9) (78, 20) - (78, 19) (78, 21) - (89, 14) (78, 23) - (18, 3) (79, 2) - (77, 1) - (51, 3) - (51, 4) - (51, 2) - (79, 5) - (77, 5) - (77, 4) - (77, 3) - (37, 1) - (79, 4) (100, 3) - (77, 2) - (37, 3) - (37, 2) - (79, 3) - (100, 1) - (100, 2) - (79, 1) - (51, 1) (79, 8) - (75, 22) - (80, 38) - (75, 24) - (88, 8) - (88, 2) - (80, 40) (79, 25) - (92, 13) - (53, 25) (79, 41) - (79, 39) - (53, 15) (79, 44) - (53, 42) - (96, 8) - (26, 50) - (7, 125) - (43, 14)

298

Raoul VILLANO – Giuliano LANCIONI

(80, 3) - (80, 7) (80, 10) - (80, 6) (80, 22) - (80, 21) (80, 24) - (86, 5) (80, 31) - (56, 32) (80, 32) - (79, 33) (80, 33) - (79, 34) (81, 14) - (82, 5) (81, 18) - (87, 14) - (51, 7) - (91, 5) - (85, 5) - (86, 11) - (89, 4) (84, 18) - (81, 17) - (91, 7) - (92, 2) - (53, 1) - (91, 3) - (85, 1) (91, 1) - (74, 34) - (91, 4) - (86, 1) - (92, 1) - (91, 2) - (84, 17) - (74, 33) - (91, 10) - (93, 2) - (86, 12) (91, 9) - (91, 6) (82, 14) - (82, 13); (83, 22) (83, 1) - (107, 4) - (77, 15); (77, 19); (77, 24); (77, 28); (77, 34); (77, 37); (77, 40); (77, 45); (77, 47); (77, 49); (83, 10) - (52, 11) (83, 8) - (82, 17) - (90, 11) - (101, 10) - (69, 3) - (86, 2) - (104, 5) (90, 12) - (97, 2) - (82, 18) - (74, 27) - (77, 14) - (101, 3) - (69, 28) - (83, 19) (83, 16) - (37, 68) (83, 18) - (83, 7)

(83, 21) - (83, 28) (84, 10) - (84, 7) (84, 24) - (37, 101) (85, 2) - (52, 4) - (52, 6) - (52, 5) (85, 3) - (90, 3) (85, 12) - (52, 7) - (77, 7) - (51, 5) (85, 19) - (84, 22) - (70, 36) - (38, 2) (87, 1) - (56, 74); (56, 96); (69, 52) (87, 16) - (79, 38) (87, 17) - (93, 4) (88, 3) - (56, 3) (88, 15) - (88, 16) (88, 19) - (77, 10) - (81, 12) - (81, 6) - (81, 2) - (81, 4) - (84, 1) (77, 9) - (81, 13) - (81, 5) - (82, 2) - (82, 3) - (81, 10) - (77, 8) - (88, 20) - (84, 3) - (77, 11) - (81, 1) (81, 7) - (81, 8) - (82, 1) - (82, 4) - (81, 11) - (81, 3) - (88, 18) (88, 25) - (88, 26) - (75, 19) (90, 2) - (75, 2) - (90, 1) - (75, 1) (90, 4) - (95, 4) - (23, 12) - (15, 26) (90, 5) - (90, 7) (90, 16) - (90, 15) (92, 7) - (92, 10) - (87, 8)

(92, 8) - (80, 5) - (96, 7) - (80, 8) (92, 9) - (92, 6) (92, 16) - (96, 11) - (87, 3) - (87, 2) - (96, 13) - (82, 7) - (75, 32) (92, 17) - (87, 11) (93, 8) - (93, 7) (93, 9) - (93, 10) (94, 2) - (94, 4) (94, 5) - (94, 6) (94, 8) - (74, 3) - (108, 2) - (74, 7) - (74, 4) (99, 2) - (99, 1) (99, 8) - (99, 7) (100, 4) - (100, 5) (100, 6) - (70, 19) - (103, 2) (101, 6) - (101, 8) (103, 1) - (89, 1) (105, 1) - (89, 6) (107, 5) - (70, 34) - (70, 33) - (23, 8); (70, 32) - (23, 58) - (52, 12) (23, 9) - (23, 59) - (23, 5); (70, 29) - (23, 4) - (23, 57) - (70, 23) (23, 3) - (51, 11) - (44, 9) - (70, 27) - (23, 2) (111, 2) - (26, 207) - (83, 14) (15, 84) (113, 1) - (114, 1) (113, 5) - (113, 3) (114, 2) - (114, 3)

Dipartimento di Lingue, Letterature e Culture Straniere Università Roma Tre via Ostiense, 236 00146 Roma (Italy)

Raoul VILLANO – Giuliano LANCIONI

ABSTRACT An important exegetical trend within traditional Qurʾanic scholarship, starting with statements in the Qur’an itself about its internal structure, identifies self-similarity as a key feature of the Book and as an alternative strategy for reading and interpreting the text than ordinary, linear reading modeled on the standard arrangement of sūras and verses. This paper examines this tradition and illustrates some examples of how selfsimilarity can be identified and classified, and can be used as an exploring and exegetical tool. The second part of the article reports an experiment in information retrieval that tries to model programmatically the basic principles of similarity identification in term of sequence distance, and specifically of Levenshtein distance, with a threshold. The application of this method to the Qur’anic text shows a remarkable internal structure of the text and a pervasive presence of similarity paths across verses in different parts of the Book, together with a high degree of overlap with similar couples identified by the exegetical tradition. Keywords: Qurʾān, Qur’anic Exegesis, Self-Similarity, Reading Strategies, Ring Structures, Information Retrieval RIASSUNTO Un importante genere esegetico, interno alla tradizione islamica classica e generatosi sulla base di alcune affermazioni autoreferenziali del testo in merito alla sua stessa forma e struttura, identifica l’auto-similarità come una caratteristica fondamentale del Corano e come una strategia alternativa per leggere e interpretare il testo stesso rispetto all’approccio maggioritario basato su una lettura lineare delle sure e dei versetti. Questo articolo esamina tale tradizione e la illustra attraverso alcuni esempi che mostrano come l’autosimilarità può essere identificata, classificata e infine usata come uno strumento esegetico per l’esplorazione di percorsi inediti nella lettura del testo. La seconda parte dell’articolo riporta un esperimento di information retrieval che tenta di modellare algoritmicamente i principi di base dell’identificazione della similarità in termini di distanza fra sequenze, utilizzando in particolare la distanza di Levenshtein con un valore-soglia. L’applicazione di questo metodo al testo coranico mostra una notevole strutturazione interna del testo e una presenza pervasiva di percorsi di similarità attraverso versetti di diverse parti del Libro, oltre a un elevato livello di compatibilità con le coppie simili identificate dalla tradizione esegetica. Parole chiave: Corano, esegesi coranica, auto-similarità, strategie di lettura, strutture ad anello, information retrieval

QUARTA PARTE

Metodologia

Michel CUYPERS

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran INTRODUCTION Jusqu’à présent, j’ai toujours conduit mes analyses de la composition des sourates du Coran selon les principes de la rhétorique sémitique, tels qu’ils sont exposés par R. Meynet, dans son Traité de rhétorique biblique1, et résumés par moi dans mon petit livre méthodologique intitulé La composition du Coran2. On peut y lire notamment, à propos des indices de composition (p. 21) : « [Les marqueurs d’une symétrie peuvent être] une simple répétition, une synonymie, une antithèse, une assonance ou une paronomase [...] voire une homographie [...], cela peut être aussi une même forme grammaticale : deux verbes à l’impératif [...], ou deux phrases de même structure syntaxique ». Certains coranologues m’ont reproché de ne pas avoir utilisé ou plutôt de ne pas m’être contenté d’utiliser dans mes analyses certains traits stylistiques caractéristiques du Coran, pourtant repérés depuis longtemps, qui marquent le début ou la fin des sourates ou de blocs textuels à l’intérieur d’une sourate, tels que : – l’impératif « Dis ! » (qul), adressé au Prophète (plus de deux cent fois en début d’un verset, cinq fois en début de sourate) ; – les vocatifs en débuts de discours (« Ô ceux qui croyez ! », « Ô gens de l’Ecriture ! », « Ô mécréants ! ») ; – les serments (« Par le temps ! », début de S. 103 ; « Par les juments qui courent ! », début de S. 100, « Par le ciel aux constellations », début de la sourate 85…) ; – la rime en fin des versets ; – les clausules théologiques en fin de versets ou de blocs textuels (« En vérité, Dieu est terrible dans ses châtiments », fin du verset S. 5,2, « En vérité, Dieu est pardonneur, miséricordieux », fin du verset S. 5,3) ; – la conjonction de subordination « quand » (idhā), en début de sourate (« Quand le ciel se déchirera », S. 85,1) ; parfois répétée en cascade en début de versets, comme dans les treize premiers versets de S. 81,1-13 ; – la particule d’insistance inna (« certes », « en vérité… »), en début de phrase.

1 2

R. MEYNET, Traité de rhétorique biblique, RhSem 12, Paris 20132 (dorénavant, Traité). M. CUYPERS, La composition du Coran, RhSem 9, Pendé 2012.

304

Michel CUYPERS

Je voudrais ici aborder directement ces caractéristiques stylistiques du Coran (que j’appellerai, pour faire court, « les indices coraniques »), pour voir dans quelle mesure elles peuvent ou doivent faire partie de la panoplie des indices de composition du texte coranique ; autrement dit, pour voir s’il faut intégrer ces caractéristiques dans une rhétorique sémitique proprement coranique. Je me référerai pour ce faire aux sourates dont j’ai publié l’analyse rhétorique, dans mes deux livres Le Festin et Une apocalypse coranique3. On pourra ainsi confronter mes analyses avec ces indices coraniques et voir quelle place ceux-ci y tiennent ou n’y tiennent pas. Cela m’a amené à reconsidérer certaines de mes analyses. On distinguera deux cas : les sourates à versets très brefs et de style plus poétique, situées à la fin du Coran, et considérées comme datant des débuts de la prédication de Mahomet à la Mecque (à l’exception de la sourate 110), et les sourates aux versets plus longs et de style plus prosaïque, considérées comme datant de l’époque de Mahomet à Médine. Cette distinction entre deux styles de sourates correspond d’ailleurs à celle de mes deux livres mentionnés.

II. LES SOURATES À VERSETS BREFS La musicalité de ces sourates doit être prise en compte comme un élément essentiel, voire structurant, du texte. Elle s’exprime par le rythme, la rime, les assonances et les paronomases (ou quasi-homonymes). Le Coran en général, et ces sourates courtes en particulier, est fait pour être récité et même plutôt chanté. La création du chant du Coran (le tajwīd), d’une extrême complexité et subtilité en est le signe évident4. La rime étant l’indice le plus immédiatement manifeste de cette musicalité, elle nous servira de fil conducteur. Nous distinguerons les sourates à rime unique, et celles à rimes multiples.

LES SOURATES À RIME UNIQUE. Il semble bien que les versets, en ce cas, correspondent le plus souvent sinon toujours à un membre, dont la rime indique la fin. Dans le chant du Coran (tajwīd), on recommande d’ailleurs une très courte pose marquant la fin du verset. Voici la toute dernière sourate du Coran, une prière pour demander la protection de Dieu contre le mal.

3

M. CUYPERS, Le Festin. Une lecture de la sourate al-Mâ’ida, RhSem 3, Paris 2007 ; ID., Une apocalypse coranique. Une lecture des trente-trois dernières sourates du Coran, RhSem 15, Pendé 2014 (dorénavant, Festin et Apocalypse). 4 Voir notamment le site https://orientalia.live/2014/06/07/les-regles-de-recitation-du-corantajwid-‫اﻟﺘﺠﻮﯾﺪ‬/

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran

305

Sourate 114, al-Nās, « Les hommes »5 1

Dis :

···········

– « Je me réfugie AUPRÈS du Seigneur –2 Souverain –3 Dieu =4 =5 =6

des hommes, des hommes, des hommes,

(-nās) (-nās) (-nās)

CONTRE [min] le mal qui chuchote

du chuchoteur furtif, (khannās) dans la poitrine des hommes, (-nās) [qu’il soit] des [min] djinns ou des hommes. » (-nās)

On y reconnaît deux indices coraniques : l’impératif initial « Dis » (qul), mis ici en facteur, suivi d’un discours, dont chaque verset se termine par la même rime en -nās. Celle-ci n’indique pas autre chose que la fin de chaque verset. En termes de rhétorique sémitique, on dira que chaque verset correspond à un membre contenant un syntagme. La composition du discours en deux segments trimembres sémantiquement antithétique, est signalée par les prépositions de sens opposés « auprès » ↔ « contre », à titre de termes initiaux des deux segments parallèles. La rime, ici, découpe le texte en versets ou membres, mais n’indique rien de plus.

Sourate 112, al-Ikhlās, le Culte pur6 1

Dis

··········

– « LUI [est] –2

Dieu, Dieu,

UN (aḥad), le Rocher,

= 3 Il n’a pas engendré et n’a pas été engendré, = 4 et il n’y a pour LUI d’égal pas UN » (aḥad).

-ad -ad -ad -ad

Dans ce bref credo islamique, les seuls indices coraniques y sont ici aussi l’impératif initial, et la rime unique qui termine les versets ou membres. La composition du discours est rendue par l’antithèse sémantique (propositions positives ↔ négatives) entre les deux segments bimembres parallèles. Notons cependant que la rime des membres extrêmes est la dernière syllabe d’un même terme « un », aḥad, et que ces membres extrêmes ont un rythme ternaire, alors que les membres contigus 2 et 3 ont un rythme binaire, ce qui m’a conduit à suggérer une composition sémantiquement et rythmiquement en miroir, AB/B’A’, en surimpression de la composition parallèle7. 5 Apocalypse, 312. On ne reprend pas ici le détail de l’analyse des sourates, que l’on trouvera dans le livre de référence. 6 Apocalypse, 290. 7 Apocalypse, 291.

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Michel CUYPERS

Sourate 111, al-Masad, « les Fibres »8 Cette courte sourate est une sorte de satire triomphale lancée contre Abū Lahab, un oncle de Mahomet, et sa femme, ennemis personnels acharnés du Prophète. Abū Lahab est un surnom ou un sobriquet, signifiant : « Le père de la flamme ». Je m’attarderai un peu plus sur cette sourate, car je veux en corriger ici la composition que j’avais proposée. Voici d’abord comment j’ai analysé cette sourate dans Une apocalypse coranique. – 1a Elles ont péri, les deux-mains – b et il a péri = 2a Pas a servi à lui = b et ce qu’ il a acquis. + 3 Il sera brûlé + 4 Et sa femme + 5 À son cou,

à un feu porteuse une corde

d’Abū Lahab

(-ab) -ab

sa fortune -ab (dhāt) de flamme. -ab de bois. -ab (min) de fibres [masad]. -ad

J’ai découpé les versets 1 et 2 en deux segments bimembres, pour respecter le principe selon lequel un membre correspond généralement à un syntagme ou à une proposition (or, selon la rhétorique sémitique, un membre peut éventuellement contenir deux syntagmes voire deux propositions9). Au v. 1, une rime interne en –ab (Lahab / tab) semble même justifier un tel découpage, respectant ainsi aussi bien la grammaire (distinction de deux propositions) que la rime. J’ai proposé une composition concentrique de la sourate : les deux segments extrêmes portant sur le châtiment eschatologique d’Abū Lahab et de sa femme, le segment central, sur sa vie manquée, ici-bas. La rime, le rythme martelé de ces versets et leurs assonances ainsi que la distinction sémantique entre les v. 1-3 et 4-5, invitent cependant à considérer les versets 1 et 2 plutôt comme deux membres contenant chacun deux syntagmes et non comme deux segments bimembres. Je propose donc de corriger mon analyse, de la manière suivante : – 1 Elles ont péri, – 2 À rien lui ont servi 3 – Il sera brûlé

les deux MAINS sa fortune à un feu

d’Abū Lahab et il a péri ! et ce qu’ il a acquis. (dhāt) de flammes (lahab).

-ab -ab -ab

+ 4 Et sa femme, + 5 À son COU,

porteuse une corde

de bois. (min) de fibres (masad).

-ab -ad

8 9

Apocalypse, 287. Traité, 140-143. M. CUYPERS, La composition du Coran, RhSem 9, Pendé 2012, 38.

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran

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Le v. 1 est encadré par deux formes du même verbe et rythmé sur la syllabe AB : tABat yadā ABī lahAB wa tABBa ; le v. 2 est rythmé sur les syllabes MĀ et NĀ : MĀ aghNĀ ‘an-hu MĀlu-hu wa MĀ kasaba (selon les règles du tajwīd du Coran, le mot final du v. 1, tabba, doit être prononcé tab). Le troisième verset, puisqu’il concerne toujours Abū Lahab, peut se joindre aux deux premiers pour former un segment trimembre, dont les membres extrêmes contiennent d’ailleurs le même terme « lahab ». On retrouve ici le concentrisme, mais à l’échelle du trimembre : les membres extrêmes (1 et 3) portent sur le châtiment eschatologique d’Abū Lahab, le membre central (2), sur sa vie (manquée) ici-bas. L’indice coranique de la rime détermine effectivement les versets ou membres, mais c’est ici encore la sémantique qui compose la sourate en deux segments parallèles, le premier (trimembre) concernant Abū Lahab, le second (bimembre), sa femme (termes initiaux des deux segments, v. 1 et 4). Une formule grammaticalement semblable (préposition + nom), quoique rendue en arabe par deux prépositions différentes : dhāt / min (un feu de flamme / une corde de fibre), termine les deux segments (v. 3 et 5). La dernière rime en -ad annonce la sourate suivante, 112, qui sera entièrement en -ad. C’est une sorte de terme médian, entre deux sourates qui forment une paire (antithétique)10. plus souvent un verset comme un membre, la rime indiquant la fin du verset ou du membre. La sourate 92, « la Nuit », compte 21 versets. Je n’y ai coupé en deux membres que le v. 11 (deux propositions, une principale suivie d’une subordonnée temporelle) : 11a b

et pas servira à lui sa fortune, quand il sera précipité [dans l’abîme].

La sourate 91, « le Soleil », compte 15 versets dont deux (13 et 14) plus longs que les autres, que j’ai découpés en plusieurs membres, selon les syntagmes. La sourate 87, « le Très-Haut » contient 19 versets. J’en ai découpé 5 (v. 6, 7, 9, 10, 14) en plusieurs membres, selon les syntagmes. À la relecture, je n’en retiendrais qu’un seul (v. 7).

10

Apocalypse, 298-299.

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Michel CUYPERS

LES SOURATES BRÈVES À RIMES MULTIPLES Dans ces sourates à rimes multiples, la rime peut jouer un rôle d’indice de composition. Angelika Neuwirth, la première à avoir étudié la structure des sourates mekkoises (1981), en fait l’un des critères de composition des sourates.

Sourate 94, al-Sharḥ, « l’Ouverture »11 – 1 N’avons-Nous pas DILATÉ = 2 et mis a bas 3 – qui = 4 et ÉLEVÉ + 5 (inna) Oui, + 6 (inna) Oui,

pour toi de toi écrasait

ta poitrine ton fardeau ton dos,

ak ak ak

pour toi

ton renom ?

ak

à côté de l’adversité à côté de l’adversité

est une félicité. est une félicité.

ra ra

= 7 Alors, quand tu seras LIBÉRÉ, DRESSE-TOI = 8 et à ton Seigneur, aspire.

ab ab

Au niveau des membres et des morceaux, il y a ici une parfaite et rare concordance du découpage des versets en trois morceaux, selon la sémantique (une sentence de sagesse universelle répétée deux fois au centre, encadrée d’un discours adressé au Prophète, en deux temps : concernant le passé, 1-4, et le futur, 7-8) et la variation des rimes, le premier morceau rimant en -ak, le deuxième en -ra et le troisième en -ab. Notons cependant que si les trois rimes indiquent bien une distinction entre les trois morceaux, elles ne suggèrent en rien une composition concentrique. Celle-ci ne se révèle que par d’autres indices courants de la rhétorique sémitique : les correspondances grammaticales et sémantiques entre les morceaux extrêmes. Au niveau des segments, on peut hésiter sur la structure des v. 1-4. Dans Une apocalypse (p. 186), j’ai adopté, non sans hésitation, la composition en un trimembre et un unimembre, par respect de la grammaire qui joint la relative du v. 3 à la proposition principale, v. 2. Les correspondances phonétiques et sémantiques des paronomases inviteraient plutôt à bousculer la grammaire, en proposant deux segments bimembres parallèles :

11

Apocalypse, 188.

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran – 1 N’avons-Nous pas dilaté = 2 et mis à bas (wAḍA‘-NĀ)

pour toi de toi

TA POITRINE TON FARDEAU

(ṣAdR-AK) (wIzR-AK)

– 3 qui écrasait = 4 et élevé (rAfA‘-NĀ)

pour toi

TON DOS TON RENOM

(ẓAhR-AK), (ḍIkR-AK) ?

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Faut-il choisir ? Grammaticalement, la première composition s’impose, mais phonétiquement, c’est la deuxième qui prévaut. Si l’on tient compte de la grande musicalité de ces sourates brèves (comme il convient de le faire), on préférera la deuxième composition.

Sourate 113, al-Falaq, « l’Aurore »12 Avec la sourate 114, cette sourate constitue une paire de deux prières prophylactiques en finale du Coran. 1

Dis :

···········

– Je me réfugie – 2 contre le mal

AUPRÈS du

Seigneur de ce qu’Il a créé

de l’AURORE

(al-fALAQ) khALAQ)

= 3 et CONTRE le mal = 4 et contre le mal = 5 et contre le mal

d’une OBSCURITÉ des souffleuses d’un envieux

quand (idhā) elle s’étend, dans les nœuds, quand (idhā) il envie.

(wAQAb) (uQAd) (ḥAsAd)

La rime ici distingue les deux premiers membres, qui riment en -alaq, des trois membres suivants qui ont des rimes variées : -aqab,-‘uqad et -asad. Sémantiquement, on serait tenté de joindre le v. 2 aux trois suivants, pour obtenir la même antithèse « auprès » / « contre » que dans la sourate 114, sa jumelle. Les deux premiers versets se réfèrent toutefois à Dieu (« Seigneur », 1 / « Il », 2) et se terminent par une paronomase : fALAQ / khALAQ. Les trois membres du deuxième segment se terminent par des termes assonancés plus variés, jouant sur la voyelle courte a et, en 3 et 4, la consonne q, les mêmes phonèmes qui terminent la paronomase de 1-2. La rime suit donc la division sémantique qui réfère les deux membres du premier segment à Dieu (« le Seigneur » / « Il »), et les trois membres du trimembre suivant à trois réalités néfastes. Ici, c’est donc l’antithèse « aurore » ↔ « obscurité » qui joue le rôle de termes initiaux des deux segments, et non les prépositions « auprès » / « contre ». La consonne dure q joue un rôle musical évident dans cette sourate, car on la trouve encore dans le terme initial qul (« Dis ! ») et dans le corps du v. 3 : ghāsiq (« obscurité »), alors que cette consonne est absente de la sourate suivante, sa jumelle, de sonorité plus douce, avec la rime en ās. 12

Apocalypse, 310.

310

Michel CUYPERS

Le changement de rime représente donc ici un discret indice structurant. Mais il ne se suffit pas. Notons encore l’impératif initial « dis », déjà rencontré deux fois.

Sourate 103, al-‘Aṣr, « le Temps »13 – 1 Par LE TEMPS (Wa l-‘AṢR) ! – 2 (inna) Certes l’homme

est certes en perdition,

= 3a (illā) hormis ceux qui = b et effectuent

croient les bonnes-œuvres,

+ c et se-conseillent-mutuellement + d et se-conseillent-mutuellement

la vérité LA PATIENCE

(al-ṢAbR).

‘aṣr khusr

ṣabr

Comme plusieurs de ces sourates courtes, celle-ci commence par un serment, au v. 1, suivi de son apodose, au v. 2. Serment et apodose sont des indices coraniques caractéristiques de début de sourates ou de blocs textuels du Coran. La particule d’insistance « inna », placée fréquemment au début de propositions ou de phrases arabes, peut également être considérée comme un « indice coranique ». La phrase complexe du v. 3 constitue une antithèse d’exception introduite par la particule d’exception illā, au v. 214. Elle a son unité sémantique (le bon agir des croyants), mais doit être découpée, en raison de sa longueur disproportionnée par rapport aux autres versets. La rime des trois versets est remplacée par des assonances jouant sur les sons s et r, et pour les membres extrêmes, par la paronomase ‘AṢR / ṢAbR. Le rythme permet de découper le verset 3 en quatre membres de rythme binaire, correspondant à autant de propositions coordonnées, regroupées en deux segments bimembres. Il y a donc ici convergence entre la grammaire, le rythme et les paronomases finales des membres extrêmes.

Sourate 110, al-Naṣr, « Le Secours »15 – 1 Quand viendra – 2a et que tu verras les gens – b entrer dans la religion

le secours

de Dieu

de Dieu

en foules,

– 3a alors, glorifie par la louange = b et demande-Lui pardon. ‫ج‬ = c En vérité Lui est

de ton Seigneur

13

et la victoire

celui-qui-accueille-le-repentir.

(fatḥ) AfWĀjA

tAWWĀbA

Apocalypse, 248. La particule d’exception illā, caractéristique du style coranique, figure 663 fois dans le Coran. Dans les courtes sourates de la fin du Coran étudiées ici, elle apparaît presque toujours en début d’un verset (84,25 ; 87,6 ; 88, 23 ; 92,20 ; 95,6 ; 103,3). Dans les sourates 85 et 98, elle apparaît à l’intérieur d’un verset, mais au début d’un membre. On peut donc la considérer comme un indice coranique. 15 Apocalypse, 284. 14

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran

311

Dans mon découpage de la sourate, le premier segment (trimembre, 1-2a), est une subordonnée temporelle en trois propositions, introduite par la conjonction de subordination « quand » (idhā), nouvel indice coranique marquant fréquemment le début d’un développement, dans la Coran16. Le deuxième segment (bimembre, 3a et b) est la principale en deux propositions coordonnées, le troisième (unimembre, 3c), une clausule théologique (indice coranique fort, comme on le verra plus loin), introduite ici, comme souvent, par la particule d’insistance « inna ». Les deux segments extrêmes se terminent par une paronomase, AfWĀjA / tAWWĀbA (le v. 1 ne se termine pas vraiment sur une rime, bien que le dernier mot contienne les phonèmes f et a, comme la finale du v. 2). La sourate est réputée la dernière révélée dans le Coran, donc médinoise. Certains versets (2 et 3) sont plus longs et se prêtent à un découpage. La clausule du v. 3c semble en tout cas devoir être distinguée des deux membres précédents, soit comme un segment unimembre indépendant, soit comme dernier membre d’un trimembre 3a-b-c. Un signe d’arrêt (possible mais non obligatoire, ‫ )ج‬dans la récitation, en fin de 3b, marque d’ailleurs la distinction entre le début du v. 3ab et la clausule 3c. Ce découpage de la sourate ne tient cependant pas suffisamment compte du rythme. Il conviendrait en effet de découper plutôt la sourate en deux bimembres parallèles. – 1 Quand viendra – 2 et que tu verras les gens

le secours entrer

3a

de ton Seigneur et demande-Lui-pardon ; l’accueillant-le-repentir.

b

alors glorifie en vérité Lui

par la louange est

de Dieu et la victoire fatḥ dans la religion de Dieu en foules, AfWĀjA -firh tAWWĀbA

Le premier segment coordonne deux subordonnées temporelles, avec des verbes de sens voisin (« viendra » / « entrer ») ; le deuxième juxtapose deux principales coordonnées à l’impératif (« glorifie » / « demande pardon ») dans le premier membre, suivi d’une phrase indépendante, dans le deuxième membre (la clausule théologique). Les deux membres se terminent par des termes de même champ sémantique (pardon demandé et accordé) : « demande pardon » (3a) / « celui-quiaccueille-le-repentir » (3b). Les deux segments se terminent par une paronomase AfWĀjA / tAWWĀbA qui fait ici nettement fonction d’indice de composition. Rythme, assonances et sémantique jouent un rôle plus important, dans ce découpage, que la distinction des membres en syntagmes ou propositions. En conclusion de ce parcours (partiel) des sourates à versets brefs, on constate que la rime des sourates à rime unique indique la fin d’un verset, qui correspond le plus souvent à la fin d’un membre, sauf pour les versets un peu plus longs, qui peuvent être découpés en deux ou trois membres constituant un segment. Un 16

On la trouve 409 fois la conjonction de subordination idhā, dans le Coran. Elle se trouve en terme initial de quatre des trente-trois dernières sourates du Coran (81, 82, 84 et 110) et vingt fois en début d’un membre, dans ces mêmes trente-rois sourates.

312

Michel CUYPERS

changement de rime, dans les sourates à rimes multiples, peut indiquer une composition rhétorique, mais il n’est jamais un indice suffisant pour analyser la composition d’une sourate. Celle-ci doit être confirmée par d’autres indices, tels que le rythme, la sémantique et la grammaire. On constate également, qu’un membre peut contenir plusieurs syntagmes ou propositions. Mon erreur, dans certaines analyses est d’avoir oublié, qu’un membre peut contenir plus d’un syntagme ou une proposition, ce que signale pourtant le Traité de R. Meynet : « Il existe des membres qui contiennent plus d’une proposition »17, et que « la nature du membre n’est pas d’abord syntaxique, mais rythmique »18. Ceci est particulièrement important pour ces sourates courtes, très rythmée et assonancées.

II. LES SOURATES À VERSETS LONGS Les versets de la sourate 5, « La Table servie », al-Mā’ida, sont le plus souvent longs, allant de quelques lignes à plus d’une demi-page. Ils se terminent sur des rimes peu variées, qui correspondent le plus souvent à des désinences de pluriel de noms ou de verbes : ūn, īn. Rime et rythme y jouent un rôle moins important que dans les sourates à versets courts. Ce sont plutôt les autres indices coraniques déjà rencontrés incidemment, qui marqueront le découpage ou la composition du texte. Nous allons le vérifier en parcourant les versets des trois premières séquences de la sourate (v. 1-40). Les tableaux sont reproduits tels qu’ils figurent dans Le Festin. J’y souligne en plus les indices coraniques par un trait épais, afin de les repérer plus facilement.

SÉQUENCE 5,1-11 19

La première sous-séquence (1-4)

Les v. 1 et 2 sont les deux parties parallèles d’un premier passage. Elles commencent toutes deux par le vocatif : « Ô ceux qui croient ! » et se terminent par une clausule théologique introduite par la préposition « inna » : « (inna) En vérité, Dieu ordonne ce qu’il veut » (1, rime en īd), « (inna) En vérité, Dieu est terrible dans ses châtiments » (2, rime en āb). On reconnaît les classiques correspondances de termes initiaux et finaux de deux parties parallèles d’un même passage. La rime (en īd et āb), à ce niveau, n’indique rien, si ce n’est la fin de chaque verset.

17

Traité, 142. Traité, 144. 19 Festin, 58. 18

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran

313

1a

Ô CEUX QUI CROIENT, b soyez fidèles aux engagements ! c EST RENDUE-LICITE POUR VOUS, la bête des troupeaux, d sauf celle qui vous sera énoncée. e N’est pas licite la CHASSE f quand vous êtes en état de sacralisation. g (inna) En vérité, Dieu ordonne ce qu’il veut. (-īd) 2a

Ô CEUX QUI CROIENT, ne profanez pas les rites de Dieu ni le mois sacré b ni les offrandes ni les guirlandes, c ni ceux qui se dirigent vers la Maison sacrée d [et] désirent une faveur de leur Seigneur et une satisfaction. e Et quand vous vous êtes désacralisés, alors CHASSEZ ! f Et que ne vous incite pas la haine d’un peuple g qui vous a écartés de la Mosquée sacrée h à transgresser. i Et entraidez-vous à la rectitude et la crainte [de Dieu], j et ne vous entraidez pas dans le péché et l’hostilité. k CRAIGNEZ DIEU ! l (inna) En vérité, Dieu est terrible dans ses châtiments (‘IqĀB) 3a

SONT RENDUES ILLICITES POUR VOUS la bête-morte et le sang et la chair de porc, b et celle sur laquelle a été invoqué un autre que Dieu, c et la bête-étouffée, ou assommée ou morte d’une chute ou morte d’un coup de corne, d et celle qu’a dévorée le fauve, e – sauf si vous l’avez saignée – f et celle qui est égorgée devant les stèles, g et que vous consultiez le sort par des flèches, h cela est pour vous perversité ! i

Aujourd’hui, CEUX QUI SONT INCRÉDULES désespèrent de votre religion. j Ne les craignez pas ; k CRAIGNEZ [-MOI]. l Aujourd’hui j’ai parachevé pour vous votre religion m et ai parfait pour vous mon bienfait, n et ai agréé pour vous l’islam comme religion. o

Et celui qui est dans la détresse durant une famine, p sans se laisser aller à une transgression, q eh bien (inna), Dieu est Pardonneur, Miséricordieux. (-īm) 4a

Ils t’interrogent sur ce qui a été rendu-licite pour eux. b Dis : « ONT ETE RENDUESLICITES POUR VOUS les bonnes-choses. c Et si vous enseignez quelques carnassiers, les dressant comme des chiens, d et leur enseignez de ce que vous a enseigné Dieu, e mangez de ce qu’ILS ONT ATTRAPÉ pour vous f et invoquez le nom de Dieu sur cela. g CRAIGNEZ DIEU ! h (inna) En vérité, Dieu est prompt dans ses comptes ! (ḥIsĀB) »

Le deuxième passage (v. 3) est terminé par une clausule théologique, introduite par la préposition inna : « (inna) En vérité, Dieu est Pardonneur, Miséricordieux » (rime en īm). Le troisième passage (v. 4) commence (presque) par l’impératif « Dis » et se termine par une clausule théologique, introduite par inna : « (inna) En vérité, Dieu est prompt en ses comptes » (rime en āb). Les v. 1-4 forment une sous-séquence de trois passages. La sous-séquence commence par le vocatif : « Ô ceux qui croient ! ». Les trois passages se terminent par une clausule théologique. Dans les deux passages extrêmes, cette clausule est une menace de châtiment et elle se termine par une paronomase : ‘IqĀB (2) / ḥIsĀB (4), alors que le passage central (3) est une promesse de pardon et de miséricorde et se termine par une rime en īm. Les indices coraniques sont certes des indices rhétoriques, mais ils ne suffisent pas pour déterminer la composition du texte. C’est la sémantique antithétique des clausules théologiques (« châtiment » ↔ « promesse de salut »), et surtout d’autres correspondances et antithèses sémantiques, tels que « licite » ↔ « illicite », la chasse… qui manifestent la composition concentrique de la sous-séquence.

314

Michel CUYPERS 20

La deuxième sous-séquence (5-11)

Cette sous-séquence nous arrêtera davantage, car elle a fait l’objet d’une critique légitime, et je veux la corriger ici en montrant en quoi je me suis trompé dans mon analyse. Les erreurs peuvent être bénéfiques, à condition qu’on les corrige ! Selon mon analyse dans Le Festin, la sous-séquence serait composée de trois passages 5/6/7-11. Le v. 5 est un passage sans indice coranique particulier de début ou de fin. Rime en īn (marque de pluriel). Le v. 6 serait un autre passage en deux parties, commençant par le vocatif : « Ô ceux qui croient ! »21. Rime en ūn (marque de pluriel). 6a

Ô ceux qui croient, quand vous vous préparez pour la prière, b lavez vos visages et vos mains jusqu’aux coudes c et passez [la main] sur vos têtes et vos pieds, jusqu’aux chevilles. ······································································· d

Et si vous êtes pollués, e PURIFIEZ-VOUS.

······································································· f

Et si vous êtes malades ou en voyage, g ou si l’un de vous vient de la selle h ou si vous avez touché les femmes i et que vous ne trouviez pas d’eau, j faites ablution avec du bon sable k et passez-vous en sur vos visages et vos mains. l

Dieu ne veut pas vous imposer de gêne m mais il veut VOUS PURIFIER et parfaire son bienfait pour vous. o Peut-être que vous, vous serez reconnaissants ! (-ūn)

Les v. 7-11 serait un passage comptant trois parties (7-8/9-10/11)22. Le v. 7 est un morceau, terminé par une clausule théologique : « (inna) Dieu connaît l’être des poitrines ». Rime en ūr. Le v. 8 commence par le vocatif : « Ô ceux qui croient » et se termine par une clausule théologique : « (inna) Dieu est informé de ce que vous faites ». Rime en ūn. J’en ai fait deux morceaux combinés avec le v. 7 pour former la première partie du passage 7-11. Les v. 9 et 10 sont brefs : deux segments bimembres. Ils forment ensemble une seule partie de la taille d’un morceau et riment sur une assonance : ‘AẓĪM / jAḥĪm. Le v. 11 est une partie ne contenant qu’un morceau, commençant par le vocatif : « Ô ceux qui croient ». Rime en ūn.

20

Festin, 79. Festin, 69. 22 Festin, 74. 21

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran

315

7a

Et RAPPELEZ-VOUS LE BIENFAIT DE DIEU ENVERS VOUS b et son alliance par laquelle il vous a liés, c quand vous avez dit : « Nous avons entendu et nous avons obéi ». d ET CRAIGNEZ DIEU, e car (inna) Dieu est connaissant de l’être des poitrines. -ūr 8a

Ô CEUX QUI CROIENT, tenez-vous droits devant Dieu, b en témoins de l’équité. Et que ne vous incite pas la haine d’UN PEUPLE d à n’être pas justes. e Soyez justes ! f C’est le plus proche de la crainte[-de-Dieu]. g ET CRAIGNEZ DIEU, h car (inna) DIEU est informé de ce que vous faites. -ūn c

9a

Dieu a promis à CEUX QUI CROIENT et accomplissent les bonnes œuvres : à eux un pardon et une rétribution immense ‘AẓĪM ; 10a et à ceux qui sont incrédules et traitent de mensonge nos signes : b ceux-là sont compagnons de l’enfer jAḥĪm. b

11a

Ô CEUX QUI CROIENT, RAPPELEZ-VOUS LE BIENFAIT DE DIEU ENVERS VOUS, quand UN PEUPLE envisageait de porter sur vous ses mains, c et [qu’] Il détourna ses mains de vous. d ET CRAIGNEZ DIEU, e et qu’à DIEU s’en remettent tous les croyants. -ūn b

Dans un article critique, l’islamologue et coranologue Nicolai Sinai, a contesté mon découpage des v. 6-11. Selon lui23, j’aurais dû respecter les limites du v. 8, indiquées par le vocatif initial et la rime terminale, plutôt que de joindre ce verset au verset 7 pour former ensemble une partie. Le verset et la rime sont en effet pour lui des indices prioritaires du découpage du texte. Et il remarque en outre que le v. 7 conviendrait mieux à la suite du v. 6, en sorte que le v. 8 conserverait sa cohérence, ce qui donnerait les tableaux suivants :

23

N. SINAI, «Review Essay : Going round in Circles», JQS 19 (2017) 111-112.

316

Michel CUYPERS

Le premier passage 6a

Ô CEUX QUI CROIENT, quand vous vous préparez pour la prière, b lavez vos visages et vos mains jusqu’aux coudes c et passez [la main] sur vos têtes et vos pieds, jusqu’aux chevilles. ······································································· d

Et si vous êtes pollués, e PURIFIEZ-VOUS.

······································································· f

Et si vous êtes malades ou en voyage, g ou si l’un de vous vient de la selle h ou si vous avez touché les femmes i et que vous ne trouviez pas d’eau, j faites ablution avec du bon sable k et passez-vous en sur vos visages et vos mains. l

DIEU ne veut pas vous imposer de gêne m mais il veut VOUS PURIFIER et parfaire SON BIENFAIT POUR VOUS. o Peut-être que vous, vous serez reconnaissants ! -ūn 7a

Et rappelez-vous LE BIENFAIT DE DIEU ENVERS VOUS b et son alliance par laquelle il vous a liés, c quand vous avez dit : « Nous avons entendu et nous avons obéi ». d ET CRAIGNEZ DIEU, e car DIEU est connaissant de l’être des poitrines. -ūr

Le deuxième passage 8a

Ô CEUX QUI CROIENT, tenez-vous droits devant Dieu, b en témoins de l’équité. Et que ne vous incite pas la haine d’UN PEUPLE d à n’être pas justes. e Soyez justes ! f C’est le plus proche de la crainte[-de-Dieu]. g ET CRAIGNEZ DIEU, h car DIEU est informé de ce que vous faites. -ūn c

9a

Dieu a promis à CEUX QUI CROIENT et accomplissent les bonnes œuvres : à eux un pardon et une rétribution immense -īm; 10a et à ceux qui sont incrédules et traitent de mensonge nos signes : b ceux-là sont compagnons de l’enfer. -īm b

11a

Ô CEUX QUI CROIENT, rappelez-vous LE BIENFAIT DE DIEU ENVERS VOUS, quand UN PEUPLE envisageait de porter sur vous ses mains, c et [qu’] Il détourna ses mains de vous. d ET CRAIGNEZ DIEU, e et qu’à DIEU s’en remettent tous les croyants. -ūn b

Chaque passage commence par le vocatif « Ô ceux qui croient », suivi d’un verbe initial à l’impératif (6a et b ; 8a) et se terminent par des parties qui se répondent, avec des formules identiques : « rappelez-vous le bienfait de Dieu envers vous [...] quand » (7a-c et 11a-b), « Et craignez Dieu » (7d et 11d). Des termes médians relient aussi le deuxième passage au premier : « Et craignez Dieu » (7d et8g), et les clausules théologiques avec des verbes synonymiques : « Dieu est connaissant de l’être des poitrines » (7e) et « Dieu est informé de ce que vous faites » (8h).

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran

317

Chacun des deux passages a ainsi sa cohérence. Le premier a une composition concentrique, avec des verbes à l’impératif dans les parties extrêmes, commandant ce que les croyants doivent faire ; la deuxième partie a un verbe à l’inaccompli avec Dieu comme sujet, exprimant ce qu’il veut. Le deuxième passage a également une composition concentrique, avec, dans les parties extrêmes, le vocatif initial, suivi d’un verbe à l’impératif, et la formule terminale « Et craignez Dieu », avec même rime en ūn. La partie centrale a un verbe à l’accompli, exprimant ce que Dieu fait (ou promet). Ce centre est tourné vers l’eschatologie avec la double promesse antithétique du salut pour les croyants et de la perdition pour les incrédules. Très souvent, le centre des compositions concentriques, dans le Coran, est occupé par la double promesse eschatologique antithétique « salut / perdition ». Ce genre de versets eschatologiques signale donc fréquemment un centre d’une composition concentrique, et peut être considéré comme un des indices coraniques de composition. La sémantique générale des deux passages confirme ce découpage : le premier passage concerne les purifications, comme bienfaits de Dieu (6m et 7a) et signes de l’alliance avec les croyants (7b). Le deuxième est une mise en garde des croyants contre un peuple ennemi menaçant. En conclusion, pour cette sous-séquence, la critique de N. Sinai ne paraît que partiellement exacte. Selon lui, un verset ne peut pas être découpé entre deux unités rhétoriques, car il constitue l’indice fondamental du découpage du texte. Or, la correction que j’ai apportée ici aux tableaux du Festin, si elle restaure bien l’unité du v. 8 et renvoie le v. 7 à la suite du v. 6, maintient le découpage du v. 6 en deux parties (6a-k et 6l-o), dans un passage qui en compte trois (6a-k, 6l-o et 7). Ce qui a guidé ma correction, ce sont bien plutôt les indices coranique de début et de fin d’unités rhétoriques (vocatifs, clausules théologiques) et d’autres indices classiques de rhétorique sémitique : correspondances de formules identiques et de la sémantique des diverses parties. La rime est ici un indice faible, en tout cas très secondaire. N. Sinai critique par ailleurs ma manière, selon lui très excessive, de recourir à la composition concentrique dans mes analyses, alors qu’elle pourrait être souvent réduite à un simple parallélisme. Il propose donc de considérer les v. 7 et 8 ou éventuellement les v. 6-7 et v. 8, comme formant un parallélisme24. À analyser le texte de près, il n’en et rien : le v. 7 est la dernière partie d’un passage concentrique, et le v. 8, la première partie d’un autre passage concentrique, les deux passages (6-7 et 8-11) étant parallèles entre eux. (Je n’entre pas ici dans le niveau supérieur de la séquence, qui intègre aussi le long passage du v. 5). La remarque de N. Sinai doit cependant rendre attentif à ne pas trop rapidement voir un concentrisme, sans réelle nécessité. On en a vu des exemples plus-haut, avec les courtes sourates 110 et 111 que j’ai corrigées ici en morceaux de deux segments parallèles plutôt qu’en trois segments, disposés en concentrisme.

24

N. SINAI, «Review Essay: Going round in Circles» (cf. nt. 23), 112.

318

Michel CUYPERS

SÉQUENCE 5,12-26 Le premier passage (12-14)25 12a

(laqad) Et vraiment, DIEU A REÇU L’ALLIANCE DES FILS D’ISRAËL. b Et nous avons envoyé/suscité d’entre eux douze chefs. c Et Dieu dit : « Je suis avec vous. d Si vous accomplissez la prière, et donnez l’aumône, e et croyez en mes envoyés et les assistez, f et prêtez à Dieu un beau prêt, g certes, j’effacerai de vous vos méfaits, h et certes, je vous ferai entrer dans des jardins, i sous lesquels coulent les ruisseaux. j Et quiconque mécroit après cela, parmi vous, k vraiment il s’égare du droit chemin. » -īl 13a

Et puis, à cause de leur violation de leur alliance, nous les avons maudits b et nous avons rendu leurs cœurs durs. c Ils changent les mots de leurs places d et ILS ONT e OUBLIÉ UNE PARTIE DE CE PAR QUOI ILS FURENT RAPPELÉS. Et tu ne cesseras de f discerner quelque trahison d’eux, sauf d’un petit nombre d’eux. g Tiens-les pour quittes et pardonne ; h (inna) certes, DIEU aime les bienfaisants. -īn 14a

Et DE CEUX QUI DISENT : « NOUS SOMMES CHRÉTIENS », NOUS AVONS REÇU LEUR b ALLIANCE, mais ILS ONT OUBLIÉ UNE PARTIE DE CE PAR QUOI ILS FURENT RAPPELÉS. c

Donc, nous avons suscité entre eux l’hostilité et la haine jusqu’au jour de la résurrection. d (wa) Et DIEU les informera de ce qu’ils faisaient.

Le v. 12, une sous-partie, commence par la particule initiale « laqad » (affirmation d’un fait passé). Rime en īl. Le v. 13, une sous-partie, termine la partie 12-13 par la clausule théologique : « (inna) Certes, Dieu aime les bienfaisants ». Rime en īn. Le v. 14, une partie, se termine par une clausule théologique : « Et Dieu les informera de ce qu’ils faisaient » (sans inna initial, mais avec la conjonction wa !). Rime en ūn. Les v. 12-13 et 14 forment deux parties parallèles, chacune terminée par une clausule théologique. 26

Le deuxième passage (15-19)

Les v. 15-16 correspondent à deux morceaux d’une partie qui commence par le vocatif : « Ô gens de l’Ecriture ! » Rimes en īn (15) et īm (16). Le v. 17 constitue la première sous-partie de la partie 17-18. Elle commence par la particule laqad suivie d’une introduction de discours : « ils ont dit » (qālū, nouvel indice coranique), suivie de l’impératif « dis » et se termine par une clausule théologique (sans inna, mais avec la conjonction de coordination wa) : « et Dieu est sur toute chose puissant. » Rime en īr. Le v. 18 est la deuxième sous-partie. Elle commence par une introduction à un discours : « Et ont dit (qālū) les juifs et les chrétiens… », suivie de l’impé25 26

Festin, p. 97. Festin, 111.

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran

319

ratif « dis » et se termine par une clausule théologique (avec la conjonction wa) : « et vers lui est le devenir ». Rime en īr, comme le v. 17 avec lequel v. 18 forme une seule partie. La rime est donc ici un indice du parallélisme, de même que la clausule. Les deux sous-parties sont nettement parallèles, avec correspondances de termes initiaux et finaux. 15a

Ô GENS DE L’ÉCRITURE, b VOUS EST VENU NOTRE ENVOYÉ ; c IL EXPLICITE POUR d VOUS beaucoup de ce que vous cachiez de l’Écriture et il passe outre sur beaucoup. ··································································································································· e

Certes, vous sont venues de Dieu une lumière et une Écriture explicite ; par elle, Dieu guide ceux qui observent son bon plaisir sur les chemins de la paix, b et il les fait sortir des ténèbres vers la lumière avec sa permission, c et il les GUIDE VERS UNE VOIE DROITE. 16a

17a

(laqad) Certes, ont mécru ceux qui ont dit : « Dieu, c’est le Christ, fils de Marie ! » c Dis : « Qui donc possède quelque chose contre Dieu, d s’il veut faire périr le Christ, fils de Marie et sa mère et tous ceux qui sont sur la terre ? » b

························································································································· e ET À DIEU EST LA POSSESSION DES CIEUX ET DE LA TERRE ET DE CE QUI EST ENTRE LES DEUX. f g

Il crée ce qu’il veut, (wa) ET DIEU EST SUR TOUTE CHOSE PUISSANT.

18a

Et ont dit les juifs et les chrétiens : « Nous sommes les fils de Dieu et ses bien-aimés. » c Dis : « Alors, pourquoi vous châtie-t-il pour vos péchés ? humains, de ceux qu’il a créés. » b

d

Non, vous êtes des

································································································································

Il pardonne à ceux qu’il veut, f et il châtie ceux qu’il veut. ET À DIEU EST LA POSSESSION DES CIEUX ET DE LA TERRE ET DE CE QUI EST ENTRE LES DEUX. h (WA) ET VERS LUI EST LE DEVENIR. e

g

19a

Ô GENS DE L’ÉCRITURE, b VOUS EST VENU NOTRE ENVOYÉ ; c IL EXPLICITE POUR d e VOUS, après une interruption des envoyés, afin que vous ne disiez pas : « Il ne nous est pas venu d’annonciateur ni d’avertisseur ! » ··································································································································· f g

Pourtant, vous est venu un annonciateur et un avertisseur ; ET DIEU EST SUR TOUTE CHOSE PUISSANT.

Le v. 19 constitue une partie qui commence par le vocatif : « Ô gens de l’Écriture ! » et se termine par une clausule théologique (avec wa) : « Et Dieu est sur toute chose puissant ». Rime en īr. Même clausule et rime qu’au v. 17, signes de la fin des deux versants de la structure en miroir A (15-16), B (17) / B’ (18), A’ (19). Notons que les parties extrêmes ne commencent pas seulement par un même vocatif, mais par trois syntagmes identiques (15a-c et 19a-c). Cette correspondance, avec plusieurs autres, complète nécessairement les indices coraniques,

320

Michel CUYPERS

pour parvenir à la composition exacte du passage. À eux seuls, les ‘indices coraniques’ ne suffisent pas pour déterminer la structure du passage. Ils aident à découper le texte, mais ne deviennent un indice de composition qu’à la condition d’être en symétrie avec un indice correspondant. 27

Le troisième passage (20-26)

C’est un passage narratif et de dialogue (entre Moïse et son peuple) en concentrisme. Chaque verset constitue un morceau, la plupart d’entre eux introduits par le verbe « dire » : « il dit » (qāl, 20, 25, 26), « ils dirent » (qālū, 22, 23, 24). Les rimes sont en īn, (20, 21, 23, 25, 26) et ūn (22, 24), désinences de pluriels. Le passage ne contient pas d’autre indice coranique. La structure concentrique repose donc sur d’autres indices, principalement les correspondances sémantiques de termes. Je renvoie pour cela au Festin.

SÉQUENCE 5,27-40 28

Le premier passage (27-31)

C’est encore un passage (d’une partie), un récit de discours, dont les seuls indices coraniques sont l’impératif initial (« Et récite-leur l’histoire des deux fils d’Adam »), et la rime en īn qui termine chacun des trois morceaux, disposés en concentrisme. Je renvoie également au Festin. Les deux passages, 32 et 33-4029 Bien que N. Sinai ne signale pas ces passages, dans sa critique, je les critiquerai moi-même, en respectant l’unité des versets (principe qu’il défend absolument). Le v. 32 a été découpé entre deux passages : v. 32a-f / 32g-40 :

27

Festin, 118. Festin, 148. 29 Festin, 154-161. 28

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran

321

– 32a C’est pourquoi nous avons prescrit aux fils d’Israël = b que CELUI QUI TUE UNE ÂME, + c – non pour une [autre] âme, ou pour un désordre sur la terre – = d C’EST COMME S’IL AVAIT TUÉ L’HUMANITÉ ENTIÈRE. = e Et CELUI QUI LA FAIT VIVRE, = f C’EST COMME S’IL FAISAIT VIVRE L’HUMANITÉ ENTIÈRE. 32g

Certes, leur sont venus nos envoyés avec les preuves, h ensuite, en vérité, beaucoup d’entre eux, après cela, sur la terre furent des abuseurs. 33a La RÉTRIBUTION de ceux qui combattent Dieu et son Envoyé b et s’évertuent à semer le désordre sur la terre c sera qu’ils soient tués ou qu’ils soient crucifiés, d ou QUE SOIENT COUPÉES LEURS e f MAINS et leurs pieds opposés, ou qu’ils soient bannis de la terre : tel sera pour eux g une opprobre dans l’ici-bas, et pour eux, dans l’au-delà, un châtiment immense, 34a sauf CEUX QUI SE REPENTENT AVANT que vous ne les ayez appréhendés, b et sachez que DIEU EST PARDONNEUR, MISÉRICORDIEUX. 35a

Ô ceux qui croient, b Soyez pieux envers Dieu c et recherchez vers lui le moyend’accéder d et efforcez-vous sur son chemin, e peut-être serez-vous heureux. 36a

Certes, ceux qui mécroient b même si était à eux ce qui est sur la terre entière, et autant encore, c pour se racheter par cela du châtiment du jour de la Résurrection, d cela ne serait pas accepté d’eux : e et à eux un châtiment cruel. 37a Ils voudront sortir du feu b mais ils ne pourront sortir de lui : c et à eux un châtiment permanent. 38a

Et le voleur et la voleuse, COUPEZ LEURS MAINS, b en RÉTRIBUTION de ce qu’ils ont acquis, c en punition de la part de Dieu. d Et Dieu est puissant, sage. 39a Et QUICONQUE b c SE REPENT APRÈS son méfait et se réforme, Dieu se repentira à son égard. Certes, DIEU EST PARDONNEUR, MISÉRICORDIEUX. 40a

c

Ne sais-tu pas b qu’à Dieu est la possession des cieux et de la terre ? Il châtie qui il veut d et IL PARDONNE qui il veut. e Et Dieu est sur toute chose puissant.

Découper un verset entre deux passages, comme je l’ai fait pour le v. 32, est assurément étrange et suspect. Or, le v. 32 doit en réalité être considéré comme un passage d’une partie en deux morceaux, réintégrant donc les membres 32g-h qui avaient été renvoyés au passage suivant :

322

Michel CUYPERS

– 32a C’est pourquoi Nous avons prescrit aux fils d’Israël = b que celui qui tue une âme, + c – non pour une [autre] âme, ou pour un désordre sur la terre – = d c’est comme s’il avait tué l’humanité entière. = e Et celui qui la fait vivre, = f c’est comme s’il faisait vivre l’humanité entière. ········································································································

– g (laqad) Certes, leur sont venus Nos envoyés avec les preuves, = h ensuite, en vérité, beaucoup d’entre eux, après cela, sur la terre furent des abuseurs. (ūn)

Dans les deux morceaux, Dieu (« Nous » / « Nos ») parle des « fils d’Israël » (« leur »), et de « désordre sur la terre » (32c) / perpétré par ceux qui « furent des abuseurs sur la terre » (32h). De la sorte, le passage suivant (33-40), en concentrisme, a le même terme « rétribution » en terme initial des deux parties extrêmes (33a et 38b).

CONCLUSION Ces exemples suffisent pour tirer quelques conclusions méthodologiques générales. L’unité des versets, terminés par une rime, doit être prise en compte, dans l’analyse rhétorique du Coran. Les versets brefs correspondent le plus souvent à un membre contenant un syntagme ou une proposition. Quelquefois, s’ils sont plus longs et si le rythme le permet, ils peuvent être découpés en membres d’un segment bimembre ou trimembre. Les versets longs, eux, correspondent à l’un ou l’autre des niveaux de composition, connus dans la rhétorique sémitique (segment, morceau, partie ou passage). Si un verset peut être découpé en plusieurs unités d’un niveau inférieur (segments, morceaux, parties — voir le v. 5,6 découpé en deux parties d’un passage), il ne peut pas être découpé entre deux passages, puisque ceux-ci se définissent précisément comme des unités indépendantes. Les autres « indices coraniques » sont avant tout des indices de découpage du texte en unités distinctes. Ils ne deviennent un indice de composition qu’à la condition de figurer en symétrie avec un indice semblable, la symétrie étant la clé de toute la rhétorique sémitique. Ils entrent alors tout naturellement dans les catégories de termes initiaux ou finaux, bien connus de la rhétorique sémitique.

De quelques indices de composition caractéristiques du Coran IDEO (Institut Dominicain d’Études Orientales) 1, rue Masna al-Tarabich B.P. 18 Abbassiah 11381 Le Caire (Égypte) E-mail: [email protected]

323

Michel CUYPERS

RÉSUMÉ Les coranologues ont signalé depuis longtemps des marqueurs récurrents du découpage du texte coranique, tels que la rime, le vocatif initial, l’impératif « dis », la clausule théologique finale etc. Dans les deux livres Le Festin et Une apocalypse coranique, l’analyse rhétorique du texte coranique a toutefois été conduite selon les principes généraux de la rhétorique sémitique, c’est-à-dire selon les correspondances de termes figurant en symétrie. Le présent article vérifie la pertinence des indices plus spécifiquement coraniques pour l’analyse de la composition du texte du Coran, en reparcourant un certain nombre d’analyses des deux livres, ce qui aboutit le plus souvent à une confirmation de ces analyses, et parfois à leur révision. Mots-clé: verset, rime, rythme, vocatif initial, impératif initial « dis ! », clausule théologique ABSTRACT Coranologists have long reported recurring markers of the division of the Qur’anic text, such as rhyme, the initial vocative, the imperative «say», the final theological clausule, and so on. In the two books The Banquet and A Qur’anic Apocalypse, however, the rhetorical analysis of the Qur'anic text was conducted according to the general principles of Semitic rhetoric, that is, according to the correspondences of terms appearing in symmetry. This article verifies the relevance of more specifically Qur’anic indices for the analysis of the composition of the text of the Qur’an, by reparcouring a certain number of analyzes of the two books, which most often results in a confirmation of these analyzes, and sometimes to their revision. Keywords: verses, rhyme, rhythm, initial vocative, initial imperative, «say», theological clausule

Roland MEYNET

Une nouvelle figure : la composition à double foyer Dans sa thèse sur La composition de l’évangile de Matthieu, Francesco Graziano a montré que le premier évangile comprend trois larges sections, formant une sorte de triptyque (1,18–9,38 ; 11,1–17-27 ; 19,1–27,61) ; ces trois sections sont articulées par deux autres sections beaucoup plus courtes, de la dimension d’une seule séquence, les chapitres 10 et 18 (10,1-42 ; 18,1-35). Le tout est encadré par un « prologue » (1,1-17) et un « épilogue » (27,62–28,20)1. Il fait remarquer que ce genre de composition ressemble à celle de deux autres textes, un passage du discours de la plaine selon Luc (Lc 6,27-38) et le Ps 22, dont les parties majeures sont articulées par de courtes « unités de reliure »2. Ces rapprochements inédits ont fait jaillir dans mon esprit une étincelle, inaperçue, mais qui y a mis le feu. Celui-ci a couvé pendant quelques jours, puis à l’improviste, en pleine nuit, une flamme a jailli qui m’a réveillé. Pourrait-il se faire qu’il existât des compositions à double centre ? Les constructions parallèles ainsi que les spéculaires sont dépourvues de centre, ou, pour mieux dire, elles s’organisent autour d’un « centre absent »3. Les constructions concentriques, si fréquentes aux niveaux supérieurs, sont focalisées, comme leur nom l’indique, autour d’un centre qui en constitue la clé de voûte, celle qui fait tenir l’ensemble, la clé de lecture, « la clé du chiffre »4, qui permet de déchiffrer le message de l’ensemble du texte. L’image biblique qui représente ce genre de construction est celle de la menora, le chandelier à sept branches dont la branche centrale a pour fonction d’assurer la cohérence de l’ensemble, d’articuler les six autres branches qui lui sont attachées, comme sortant d’elle5. Alors que la composition concentrique serait comme un cercle tracé autour de son centre, la « composition à double centre » serait comme une ellipse tracée à partir de ses deux foyers (F1 et F2) grâce à une ficelle de longueur constante (F1 – M – F2) :

1

Voir le tableau, page suivante. F. GRAZIANO, La composizione letteraria del vangelo di Matteo, thèse de doctorat en théologie biblique, soutenue le 23 mars 2018 à l’Université Grégorienne, 145-152. 3 Voir P. BOVATI, « Il centro assente. Riflessioni ermeneutiche sul metodo dell’analisi retorica, in riferimento specifico alle strutture prive di centro », R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Retorica Biblica e Semitica 1. Atti del primo convegno RBS, Bologna 2009, 107-121. 4 Voir P. MAGNARD, Pascal. La clé du chiffre, La table ronde, Paris 20072. 5 Voir R. MEYNET, Traité de rhétorique biblique, RhSem 12, Pendé 20132, 193-195. 2

326

Roland MEYNET

La composition de l’évangile selon Matthieu6 1.478

PROLOGUE: la généalogie de Jésus le Messie

Section A 23.629

7.250

A1–A3: sous-section narrative A4–A8: DISCOURS DE LA NOUVELLE ALLIANCE «sur la montagne... S’ÉTANT ASSIS, ses disciples s’approchèrent de lui»

5,1–7,29

9.832

6.547

A9–A11: sous-section narrative

8,1–9,38

Section B 3.690

Section C 24.090

2.251

1,18–4,25

Discours sur la Vie Apostolique

7.200

C1–C3: sous-section narrative

4.952

C4–C5: DISCOURS EN PARABOLES SUR LE RÈGNE «IL S’ASSIT près de la mer» [...] «monté sur une barque IL S’ASSIT»

11.938

C6–C10: sous-section narrative

Section D 3.262

Section E 36.264

1,1-17

10,1-41

11,1–12,50 13,1-52

13,53–17,27

Discours sur la Vie Ecclésiale

18,1-35

17.004

E1–E3: sous-section narrative

7.969

E4–E6: DISCOURS DE L’ACCOMPLISSEMENT DU TEMPS 24,1–25,46 «sur le mont des Oliviers S’ÉTANT ASSIS, ses disciples s’approchèrent de lui »

11.291

E7–E9: sous-section narrative

ÉPILOGUE: la descendance de Jésus le Messie

19,1–23,39

26,1–27,61

27,62–28,20

A1 signifie la première séquence de la section A, A11 la onzième. 6

F. GRAZIANO, La composizione letteraria del vangelo di Matteo (cf. nt. 2), 144. Les comptes sont faits en nombre de signes, espaces, accents et esprits exclus (Nestle–Aland, 28e édition).

Une nouvelle figure : la composition à double foyer

327

Chacune des sections principales comprend deux sous-sections autour d’une sous-section discursive. Ainsi ces trois sections sont focalisées sur un long discours, « Le discours de la nouvelle alliance » au centre de la section A (les chapitres 5 à 7), « Le discours en paraboles » (13,1-52), « Le discours de l’accomplissement du temps » (les chapitres 24 et 25). Beaucoup plus courts que les trois autres discours, ceux des chapitres 10 et 18, qui se distinguent des autres parce qu’ils sont adressés aux seuls disciples, sont aussi bien liés à chacune des deux sections qui les entourent, sans en faire partie intégrante. Chacun d’eux forme en lui-même une section dont la fonction est de relier, d’articuler les trois grands volets du triptyque des grandes sections. Ils entretiennent évidemment des rapports étroits entre eux et avec les trois autres discours majeurs. Quand l’ensemble du premier évangile aura été analysé, à tous les niveaux, alors pourra être vérifiée la fonction de clé de lecture de ces deux unités de reliure. Encouragé par les deux autres exemples donnés par Francesco Graziano (Lc 6,27-38 ; Ps 22), j’ai décidé de faire une première enquête, limitée aux seuls textes que j’ai analysés, à la recherche d’autres cas susceptibles d’entrer dans la catégorie des constructions à double foyer : j’en ai compté quatorze autres7, en comprenant aussi Mt 4,12-25 analysé par F. Graziano dans sa thèse8. Cela fait un total de dix-sept exemples, de la taille du passage jusqu’à celui du livre : – Am 3,1-8 (passage) – Ps 22 (passage) – Ps 41 (passage) – Ps 51 (passage) – Ps 67 (passage) – Ps 96 (passage) – Ps 145 (passage) – Ct 5,2–6,3 (SÉQUENCE) – Mt 4,12-25 (passage) – Mt 19,27–20,19 (SOUS-SÉQUENCE) – Mt 1–28 (LIVRE) – Mc 14,1-52 (SÉQUENCE) – Lc 2,41-52 (passage) – Lc 6,27-38 (passage) – Lc 6,39-49 (passage) – Lc 10,25-37 (passage) – Chant I de la pré-fête de la Nativité (passage).

Tous ne pourront pas être présentés dans les limites du présent article. 7

Cette recherche m’a conduit à remettre en question mon analyse de Lc 9,10-17, où j’avais vu deux segments de reliure (voir L’évangile de Luc, Rhétorique sémitique 8, Pendé 20113, 398). En outre, j’ai repris mon analyse du Ps 37, intégrant désormais à la partie centrale du psaume les deux segments que je considérais comme segments de reliure (voir Les huit psaumes acrostiches alphabétiques, Retorica biblica e Semitica 6, Rome 2015, 118) ; repris et corrigé dans Le Psautier. Premier livre (Ps 1–41), RBSem 16, Leuven 2018, 493-521. 8 F. GRAZIANO, La composizione letteraria del vangelo di Matteo (cf. nt. 2), 385.

328 27

Roland MEYNET

Mais je le dis à vous qui écoutez :

: AIMEZ VOS ENNEMIS, : 28 bénissez ceux qui vous maudissent,

FAITES du bon

à ceux qui vous haïssent ; priez pour ceux qui vous calomnient.

··································································································································

+ 29 – et

À qui te frappe à qui prend

sur la joue, ton manteau,

présente aussi l’autre même ta tunique ne refuse pas ;

··············································································································

+ 30 – et

à quiconque à qui prend 31

demande, le tien,

Et comme vous voulez

DONNE

ne redemande pas. que FASSENT pour vous

LES HOMMES, FAITES

+ 32 Et = quelle : Car

semblablement.

pour eux

si vous AIMEZ reconnaissance même les pécheurs

ceux qui aiment vous ceux qui les aiment

vous, revient ? aiment.

··············································································································

+ 33 Et = quelle :

si vous FAITES-du-bien reconnaissance Même les pécheurs

à ceux qui ont fait-du-bien vous de même

à vous, revient ? FONT.

··············································································································

+ 34 Et + = quelle : : + 35 Mais + et + et

si vous à ceux dont vous espérez reconnaissance

vous

revient ?

Même les pécheurs

aux pécheurs afin de recevoir

prêtent autant.

AIMEZ

VOS ENNEMIS

FAITES-du-bien

sans rien

= et sera votre récompense = et vous serez les fils

36

Soyez

comme compatissant ne jugez pas ne condamnez pas

espérer ;

grande du TRÈS-HAUT,

.. parce qu’il est bienveillant

– 37 Et – et

recevoir

pour les non-reconnaissants

et les mauvais.

compatissants VOTRE PÈRE

est. et vous ne serez pas jugés ; et vous ne serez pas condamnés ;

··············································································································

+ + 38

DONNEZ

et il vous sera remis, et il vous sera DONNÉ.

··································································································································

= Une mesure bonne, tassée, secouée, débordante ils DONNERONT dans votre sein ; .. car à la mesure dont vous mesurez, il vous sera mesuré en retour.

Une nouvelle figure : la composition à double foyer

329

La première et la dernière partie se répondent en miroir9. Leurs morceaux extrêmes édictent d’abord des commandements (27b-28) puis promettent une récompense (38bc). Dans chacun des deux derniers morceaux de la première partie (29-30) alternent les commandements positifs et négatifs ; dans les deux premiers morceaux de la dernière partie les commandements positifs (37b-38a) suivent les négatifs (37ab), mais chaque fois, les seconds membres expriment la récompense. « Aimer » du début est ensuite décliné dans ses différentes manifestations concrètes, « faire du bon », « bénir », « prier », « donner » dans la première partie, « ne pas juger », « ne pas condamner », « remettre » et « donner » dans la dernière. La première partie se joue essentiellement entre les hommes, les disciples et leurs ennemis, dans la dernière un troisième personnage intervient, non nommé directement mais désigné par les cinq passifs divins (3738a.38c) et par « ils donneront » de 38b. Il faut dire cependant que Dieu est déjà présent au début en 28, comme celui que les disciples sont invités à prier et au nom duquel ils doivent bénir leurs ennemis. Dans la partie centrale les trois morceaux de la première sous-partie (32-34), clairement parallèles entre eux, correspondent à la première partie, non seulement parce qu’ils reprennent « aimer » et « faire du bien » en termes initiaux des premiers morceaux (32a.33a) comme en 27b, mais surtout parce qu’ils traitent eux aussi les rapports entre les disciples et leurs ennemis. Quant à la deuxième sous-partie (35), si le premier trimembre (35abc) fait écho aux premiers membres des morceaux de la sous-partie précédente, la suite fait intervenir « le TrèsHaut » dont les disciples deviendront les « fils » ; ainsi cette deuxième souspartie annonce la dernière partie du passage où est aussi énoncée la récompense que le Seigneur promet aux disciples. Les deux panneaux latéraux du triptyque peuvent en quelque sorte se replier sur chacune des deux moitiés du panneau central. Les trois panneaux sont articulés par deux autres parties très courtes, de la taille d’un segment bimembre, toutes deux de construction concentrique. Focalisée sur « les hommes », la première (31) relie donc la première partie et la première sous-partie de la partie centrale ; focalisée sur « votre Père », le deuxième segment de reliure (36) articule la deuxième sous-partie de la partie centrale et la dernière partie où « le Père » est présent, « le Très-Haut » dont les disciples sont les « fils » (35) et qui récompense ceux qui auront obéi aux commandements. Le premier foyer est traditionnellement appelé « la règle d’or »10 ; j’ai donc appelé le deuxième « la seconde règle d’or ». Il s’agit en fait de formules, proches des proverbes, qui condensent ce qui est développé par le texte qui les entoure. Leur fonction est tout à fait semblable au proverbe sur lequel sont focalisées certaines compositions concentriques, par exemple la parabole des invités et de l’invitant en Lc 14,7-14 : 9

Voir R. MEYNET, L’évangile de Luc (cf. nt. 7), 290-295. Sur l’origine de cette appellation, voir C. SPICQ, Agapè dans le Nouveau Testament : analyse des textes, ÉtB, Paris 1958, I, 105, nt. 3. 10

330

Roland MEYNET

. 7 Il disait

à ceux qui avaient été invités une parabole remarquant comment ils choisissaient les à eux :

. disant

:: 8 « QUAND tu es invité – ne t’étends pas : : 9 et

par quelqu’un

PREMIÈRES PLACES

à des noces, à la PREMIÈRE PLACE

un plus digne que toi ait été invité par lui venant celui qui t’a invité toi et lui te dise : .. “Donne à celui-ci la place.”

= Alors tu te mettras avec

HONTE

à occuper la

DERNIÈRE PLACE.

····································································································

:: 10 Mais QUAND + pars tomber : :

tu es invité, à la

DERNIÈRE PLACE

venant celui qui t’a invité .. “Ami, = Alors il y aura pour toi de la 11

Car

et

GLOIRE

quiconque qui

te dise : monte

PLUS HAUT.”

devant tous les convives.

S’ÉLÈVE

SERA ABAISSÉ

S’ABAISSE

SERA ÉLEVÉ.

»

. 12 Et il disait aussi à celui qui l’avait invité : ::

« QUAND – n’ appelle pas –

tu fais TES AMIS, ni TES PROCHES,

: eux aussi : et il y aurait pour toi

un déjeuner ou un dîner, ni TES FRÈRES, ni TES VOISINS RICHES,

ne t’invitent-en retour un don-en retour.

····································································································

:: 13 Mais QUAND + invite +

un banquet

tu fais, DES PAUVRES, DES BOITEUX,

DES ESTROPIÉS, DES AVEUGLES.

= 14 Et HEUREUX seras-tu = parce qu’ils n’ont pas de quoi te donner-en retour = car il te sera donné-en retour = à la RÉSURRECTION des justes. »

Le verset 11 articule les deux versants de la parabole, résumant ou généralisant leur contenu en une formule lapidaire11. Le même genre de construction à double foyer se retrouve dans le passage de Luc qui suit celui de la double règle d’or (Lc 6,39-49)12 :

11 12

Voir l’analyse de ce passage dans R. MEYNET, L’évangile de Luc (cf. nt. 7), 610-614. Voir R. MEYNET, L’évangile de Luc (cf. nt. 7), 299-308.

Une nouvelle figure : la composition à double foyer 39

331

Il leur dit aussi une parabole :

– « Un aveugle peut-il guider un AVEUGLE ? Tous deux ne TOMBERONT-ils pas dans un creux ? + 40 Le disciple n’est pas au-dessus du maître. Tout BIEN-INSTRUIT sera comme son maître. ······································································································

: 41 Pourquoi vois-tu la paille qui est dans l’œil de ton frère . et la poutre qui est dans ton œil tu ne la remarques pas ? 42

Comment peux-tu dire à ton frère : “Frère, laisse-moi enlever la paille qui est dans ton œil” et toi-même la poutre qui est dans ton œil tu ne la vois pas ?

. Hypocrite, enlève d’abord la poutre de ton œil : et alors tu verras la paille qui est dans l’œil de ton frère pour l’enlever. ······································································································

+ 43 Il n’est pas en effet d’ARBRE BON qui fasse du FRUIT MALADE – et il n’est pas non plus d’ARBRE MALADE qui fasse du FRUIT BON. 44

Chaque arbre en effet de son propre fruit est connu.

= Ce n’est pas des RONCES en effet qu’on cueille des FIGUES = ni non plus des ÉPINES que des RAISINS on vendange. :: 45 L’homme bon du BON trésor de son cœur produit le BON :: et le mauvais du MAUVAIS produit le MAUVAIS. Car c’est de l’abondance du cœur que parle sa bouche. – 46 Pourquoi M’APPELEZ-VOUS “Seigneur, Seigneur”

et NE FAITES PAS ce que je dis ?

············································································································

+ 47 Quiconque VIENT À MOI je vous montrerai à quoi il est semblable : qui a creusé et approfondi Une crue étant venue, et il n’a pas eu la force de l’ébranler

et qui écoute mes paroles et les fait, 48 il est semblable à un homme construisant une maison et a posé le fondement sur la pierre. s’est rué le torrent contre cette maison parce qu’elle était BIEN-CONSTRUITE. ·········································································

Qui a écouté et N’A PAS FAIT est semblable à un homme ayant construit une maison sur la terre sans fondement contre laquelle le torrent s’est rué et la ruine de cette maison fut grande. » 49



et aussitôt elle est TOMBÉE

Parlant d’« arbre » et de « son propre fruit », le premier foyer (44a) généralise ce qui est dit dans la partie précédente avec le « fruit bon » de « l’arbre bon » et avec « le fruit malade » de « l’arbre malade » (43) — images qui renvoient à « l’aveugle » qui conduit « un aveugle », lesquels s’opposent au « maitre » et à son « disciple bien instruit » (39b-40) — ainsi que ce qui est dit dans la première moitié de la partie centrale (44bc) où il est question de « ronces » et d’« épines » d’une part et des fruits que sont « figues » et « raisins ». De manière analogue le deuxième foyer articule la seconde moitié de la partie centrale (45) et la dernière partie (46-49) où il n’est plus question d’arbre et de fruit mais des disciples dont la « bouche » dit des choses bonnes mais ne les « font » pas.

332

Roland MEYNET

La composition à double foyer se retrouve aussi aux niveaux supérieurs à celui du passage. Ainsi dans la sous-séquence de Mt 19,27–20,19 : 19,27 Alors répondant Pierre lui dit : « Voici que NOUS nous avons tout laissé et t’avons suivi ; quoi donc SERA à nous ? » 28 Et Jésus leur dit : « En vérité je vous dis, vous qui m’avez suivi dans la nouvelle naissance, quand LE FILS DE L’HOMME siégera sur le TRÔNE de sa gloire, vous siégerez vous aussi sur DOUZE TRÔNES jugeant les douze tribus d’Israël. 29 Et quiconque aura laissé maisons, ou frères ou sœurs, ou père ou mère ou fils, ou champs à cause de mon nom, RECEVRA cent fois autant et la vie éternelle héritera. 30

Beaucoup des et les

PREMIERS

DERNIERS

seront DERNIERS PREMIERS !

20,1 En effet le RÈGNE des Cieux est semblable à un homme maître de maison qui sortit à l’aube pour embaucher des ouvriers dans sa vigne. 2 S’étant mis d’accord avec les ouvriers pour un denier par jour, il les envoya dans sa vigne. 3 Et, sorti vers neuf heures, il en vit d’autres qui étaient sur la place sans travail 4 et il leur dit : “Allez, vous aussi, dans ma vigne, et ce qui sera juste je vous le donnerai.” Et ils y allèrent. 5 Sorti de nouveau vers midi et vers trois heures, il fit de même. 6 Sorti encore vers cinq heures, il en vit d’autres qui étaient là et il leur dit : “Pourquoi êtes-vous ici toute la journée sans travail ?” 7 Ils lui disent : “Parce que personne ne nous a embauchés.” Il leur dit : “Allez, vous aussi, dans ma vigne.” 8

Le soir venu, le seigneur de la vigne dit à son gérant : “Appelle les ouvriers et DONNE-leur la paie, en commençant par les DERNIERS jusqu’aux PREMIERS.” 9

Ceux de cinq heures étant venus REÇURENT chacun un denier. 10 Et les premiers étant venus pensaient qu’ils auraient REÇU davantage ; mais ils REÇURENT eux aussi un denier chacun. 11 Cependant l’ayant REÇU, ils murmuraient contre le maître de maison disant : 12 “Ces derniers n’ont fait qu’une seule heure et tu as fait pour eux comme pour nous qui avons supporté le poids du jour et de la chaleur !” 13 Mais lui, répondant à l’un d’eux, dit : “Ami, je ne suis pas injuste avec toi ; ne t’es-tu pas mis d’accord avec moi pour un denier ? 14 Prends ce qui est à toi et va-t’en. Je veux donner à ce dernier aussi autant qu’à toi ; 15 est-ce que je ne peux pas faire ce que je veux de ce que j’ai, ou bien ton œil est-il mauvais parce que je suis bon ?” 16

Ainsi les et les 17

DERNIERS PREMIERS

seront PREMIERS

DERNIERS ! »

Et Jésus montant à Jérusalem prit les DOUZE à part et le long du chemin il leur dit : 18 « Voici que NOUS nous montons à Jérusalem et que LE FILS DE L’HOMME sera livré aux grands-prêtres et aux scribes, et ils le condamneront à mort ; 19 et ils le livreront aux païens pour qu’il soit bafoué et flagellé et crucifié mais le troisième jour il ressuscitera. »

Une nouvelle figure : la composition à double foyer

333

Les passages extrêmes se correspondent. Ils comprennent un discours de Jésus (19,28-29 ; 20,18-19), où, se présentant comme « le Fils de l’homme », il annonce son destin, royal au début (« siégera sur le trône de sa gloire »), livré et crucifié à la fin. Les paroles de Pierre (19,27b) et de Jésus (20,18a) commencent par « Voici que nous »13. Les deux passages s’achèvent avec une annonce positive, « la vie éternelle héritera » (19,29c) et « le troisième jour il ressuscitera » (20,19bc) qui jouent le rôle de termes finaux. Aux deux occurrences de « suivre » (19,27b.28a) correspondent les deux occurrences de « monter » (20,17.18a), puisque les Douze suivent Jésus dans sa montée à Jérusalem. Au centre, la parabole des ouvriers de la dernière heure où les « premiers » embauchés sont payés après les « derniers » (au centre 20,8). Le « ainsi » par lequel commence 20,16 signale que ce proverbe conclut la parabole qui précède. Comme l’a interprété la division en chapitres, le proverbe de 19,30 est habituellement considéré comme la conclusion du premier passage. Toutefois, le « en effet » par lequel commence la parabole indique clairement que celle-ci va illustrer le proverbe. « Les deux proverbes peuvent donc être considérés comme des passages en eux-mêmes qui assurent la transition entre les trois autres passages. Ils sont en quelque sorte les deux charnières qui articulent les trois panneaux de ce triptyque »14. On aura noté que ces deux proverbes, qui se correspondent en miroir, sont proches du centre de Lc 14,7-14 (voir p. 330) : + 30 Beaucoup des PREMIERS :: et les DERNIERS

seront DERNIERS PREMIERS.

:: 16 Ainsi les + et les

seront PREMIERS DERNIERS.

DERNIERS

PREMIERS

Ces proverbes ne s’appliquent pas seulement à la parabole centrale, en tant que son introduction et sa conclusion. En effet, par sa passion Jésus s’est fait le « dernier » et par sa résurrection le troisième jour il a été fait « premier » ; de même les disciples sont devenus les « derniers » quand ils ont tout abandonné pour suivre leur maitre, mais ils deviendront « premiers » quand ils recevront le centuple et la vie éternelle. On a donc là un autre exemple de double foyer de type proverbial, caractérisé cependant par le fait que les deux foyers sont pratiquement identiques, ce qui n’était pas le cas des exemples précédents. Que le phénomène du double foyer ait un rapport avec le centre unique des compositions concentriques est illustré par la comparaison de la sous-séquence de Mt avec son parallèle en Mc (10,28-34) : 13

La première fois le pronom hēmeis est utilisé ; la deuxième fois au contraire ce pronom n’est pas utilisé, mais le verbe « montons » est à la première personne du pluriel, comme l’est aussi « avons laissé ». 14 Voir R. MEYNET, Le fait synoptique reconsidéré, ReBibSem 7, Rome 2015, 248-253 (la citation se trouve p. 248).

334

Roland MEYNET

10,28 Pierre se mit à lui dire : « Voici que nous nous avons tout laissé et nous t’avons 29 SUIVI. » Jésus déclara : « En vérité je vous dis, il n’est personne qui ait laissé maison ou frères ou sœurs ou mère ou père ou fils ou champs, pour moi et pour l’Évangile, 30 qui ne reçoive le centuple, maintenant, en ce temps-ci, maisons et frères et sœurs et mère et fils et champs, avec des PERSÉCUTIONS, 31

et

et dans le siècle qui vient

Beaucoup de PREMIERS les DERNIERS

seront

LA VIE ÉTERNELLE. DERNIERS PREMIERS. »

32

Ils étaient sur la route montant à Jérusalem, et Jésus les précédait. Ils étaient stupéfaits et ceux qui SUIVAIENT étaient épouvantés. Prenant de nouveau les Douze, il commença à leur dire ce qui allait lui arriver : 33 « Voici que nous montons à Jérusalem; le Fils de l’homme sera livré aux grands-prêtres et aux scribes et ils le condamneront à mort et le livreront aux nations ; 34 ceux-ci se moqueront de lui et lui cracheront dessus, ils le flagelleront ; ils le

TUERONT

et après trois jours

IL RESSUSCITERA. »

Marc n’a pas la parabole des ouvriers de la dernière heure et les deux foyers de la sous-séquence de Mt sont réduits chez Marc au seul centre de sa composition concentrique (10,31)15. Il est aussi un autre genre de double foyer, celui de la double question. Ce cas rejoint celui, si fréquent, de « la question au centre » pour les compositions concentriques16. Le passage de Lc 10,25-37 comprend trois parties reliées par deux questions. La première partie (25-28) rapporte le dialogue entre Jésus et un légiste où la déclaration finale de Jésus (28) répond à la question initiale du légiste (25). Dans le court dialogue final (37) la réponse de Jésus, « va et fais de même », rappelle sa réponse à la fin de la première partie, « fais cela et tu vivras » (28). La longue partie centrale est occupée par la parabole du bon Samaritain (30-35). La parabole est déclenchée par une question du légiste (29) et elle est suivie par une question de Jésus (36). Ce sont là les deux foyers de l’ellipse. Ils en constituent la clé de lecture, en particulier par le retournement que Jésus opère : en effet, alors que pour le légiste le problème est de savoir qui est son prochain, l’autre qu’il doit aimer, pour Jésus il s’agit de savoir qui s’est comporté en prochain de l’autre. D’objet qu’il était dans la bouche du légiste, le prochain devient le sujet de l’action. En d’autres termes, le problème n’est pas celui de l’autre, il est celui de son interlocuteur, et c’est ce qu’il explicitera en finale quand il lui dira de faire comme le bon Samaritain17. 15

Voir R. MEYNET, Le fait synoptique reconsidéré (cf. nt. 14), 223.260-261. Voir R. MEYNET, Traité (cf. nt. 5), 417-436. 17 Voir R. MEYNET, L’évangile de Luc (cf. nt. 7), 496-502. 16

Une nouvelle figure : la composition à double foyer

335

– 25 Voici qu’un légiste se leva, le tentant en disant : 26

· « Maître,

FAISANT

quoi

Il lui dit :

. « Dans la Loi, .

quoi est-il écrit ? Comment lis-tu ? »

j’hériterai LA VIE éternelle ? »

················································································································ 27

Répondant, il dit : : « TU AIMERAS LE SEIGNEUR TON DIEU de tout ton cœur, de toute ton âme, de toute ta force et de tout ton esprit : et

TON PROCHAIN

comme toi-même. » + 28 Il lui dit : · « Tu as bien répondu ;

cela

FAIS

• 29 Mais lui, voulant se justifier, dit à Jésus :

et

TU VIVRAS.

»

« Et QUI est le PROCHAIN de moi ? »

+ 30 Jésus reprit et dit : : « Un homme descendait de Jérusalem à Jéricho et il tomba sur des brigands. : Ceux-là l’ayant dépouillé et l’ayant blessé, ,

le laissant À MOITIÉ-MORT.

··················································································································

. 31 D’aventure, .

32

De même aussi

un prêtre descendit et le voyant,

par cette route

un lévite vers cet endroit et le voyant,

venant

33

Un Samaritain en voyage et le voyant,

. .

vint vers lui fut pris de compassion.

. 34 Allant près (de lui),

il banda ses plaies,

y versant de l’huile et du vin ;

. et l’ayant chargé sur sa propre monture, il le conduisit à l’auberge

et prit-soin de lui.

··················································································································

: 35 Le lendemain, tirant deux deniers, et il dit :

il les donna à l’aubergiste

: “Prends-soin de lui à mon retour je te le redonnerai.”

et ce que tu aurais dépensé en plus,

• 36 QUI de ces trois penses-tu avoir été LE PROCHAIN

de celui qui était tombé sur les brigands ? »

– 37 Il dit : · « Celui qui + Jésus lui dit : · « Va et

A FAIT

la miséricorde

FAIS

de même. »

envers lui. »

336

Roland MEYNET

Un autre exemple de double foyer interrogatif est fourni par la séquence de Ct 5,2–6,3 : 5,2 Moi je dors, mais mon cœur veille ; « Ouvre-moi, ma sœur, MA COMPAGNE, car MA TÊTE est pleine de rosée, 3 « J’ai ôté ma tunique, J’ai lavé mes pieds, 4

MON BIEN-AIMÉ a passé LA MAIN par la fente, Je me suis levée, moi, et de MES MAINS A DÉGOUTTÉ LA MYRRHE, sur la poignée du verrou. 6 J’ai ouvert moi à MON BIEN-AIMÉ, J’ai rendu l’âme à cause de sa disparition, je l’ai cherché mais ne l’ai point trouvé, 5

7

M’ont trouvée les gardes, ils m’ont frappée, ils m’ont blessée, les gardes des remparts. 8 Je vous en conjure, FILLES DE JÉRUSALEM, que lui déclarerez-vous ? 9

Qu’a donc TON BIEN-AIMÉ de plus qu’UN BIEN-AIMÉ, Qu’a donc TON BIEN-AIMÉ de plus qu’UN BIEN-AIMÉ, 10

MON BIEN-AIMÉ est frais et vermeil,

11

SA TÊTE est d’or, des palmes, 12 Ses yeux comme des COLOMBES, se baignant dans le lait, 13 Ses joues comme des parterres embaumés, SES BOUCLES

Ses lèvres des anémones ;

et MON VENTRE a frémi pour lui. pour ouvrir à MON BIEN-AIMÉ ; de mes doigts la myrrhe liquide et MON BIEN-AIMÉ se déroba, s’enfuit ; je l’ai appelé, mais il n’a pas répondu. ceux qui font la ronde dans la ville ; ils m’ont enlevé mon manteau, si vous trouvez MON BIEN-AIMÉ, Que je suis malade d’amour, moi. ô la plus belle des femmes ? pour qu’ainsi tu nous conjures ? reconnaissable entre dix mille. d’or-pur ; noires comme le corbeau. au bord des eaux demeurant sur la berge. des massifs parfumés. DÉGOUTTANT DE MYRRHE vierge.

14

SES MAINS des globes d’or, SON VENTRE une masse d’ivoire, 15 Ses jambes des colonnes d’albâtre, Son aspect comme le Liban, 16 Son palais est la suavité même,

sertis de chrysolithes ; couverte de saphirs ; posés sur des bases d’or-pur. distingué comme les cèdres. et il n’est que délices.

Tel est MON BIEN-AIMÉ, tel est MON COMPAGNON,

FILLES DE JÉRUSALEM.

6,1 Où est parti TON BIEN-AIMÉ, Où s’est tourné TON BIEN-AIMÉ, 2

la voix de MON BIEN-AIMÉ frappe. ma COLOMBE, ma parfaite, MES BOUCLES, des gouttes de la nuit. » comment la vêtirais-je ? comment les salirais-je ? »

MON BIEN-AIMÉ est descendu à son jardin, pour paitre dans les jardins, 3 Je suis à MON BIEN-AIMÉ QUI PAIT parmi les anémones.

ô la plus belle des femmes ? que nous le cherchions avec toi ? aux parterres embaumés, et pour cueillir des anémones. et MON BIEN-AIMÉ est à moi

Une nouvelle figure : la composition à double foyer

337

Les cinq passages sont liés du point de vue narratif : le premier s’achève par une requête adressée par la bien-aimée aux « filles de Jérusalem » (5,8). Ces dernières lui demandent alors ce que son bien-aimé a de particulier (9). Elle leur répond en en brossant un portrait détaillé (10-16). Alors, avec une seconde double question les filles de Jérusalem lui demandent où son ami est parti (6,1), à quoi elle répond dans le dernier passage qu’ils se sont retrouvés (6,2-3). Au long récit initial où les deux amants se cherchent mais ne se trouvent pas correspond le court passage final où ils sont enfin réunis. Les trois passages principaux sont articulés par deux courts passages qui contiennent chacun une question redoublée (5,9 ; 6,1) ; les premières questions s’achèvent par la même apostrophe, « ô la plus belle des femmes », les secondes par une proposition subordonnée, causale dans le premier cas, finale dans le deuxième. Le premier passage a beaucoup de vocables en commun avec la description du passage central : « tête » et « boucles » jouent le rôle de termes initiaux (5,2c. 11ab), « colombe(s) » revient en 2b et 12a, « main(s) » et « ventre » en 4-5 et 14, enfin les deux occurrences de « filles de Jérusalem » (8.16) remplissent la fonction de termes finaux. « Ma compagne » du début du premier passage (5,2) trouve son correspondant avec « mon compagnon » de la fin du passage central (5,16) ; il faut ajouter que « qui fait paitre » (rō‘eh) à la fin de la séquence est en rapport de paronomase avec « compagnon » (rē‘î). « Bien-aimé » revient dix-sept fois dans la séquence. La deuxième partie relie les passages qui l’encadrent : d’une part, le lien avec la première partie est assuré par la reprise du verbe « conjurer » (5,8a.9b), d’autre part la longue description enthousiaste de la partie centrale répond à la question des filles de Jérusalem, qui demandent ce que le bien-aimé a de plus que les autres. L’avant-dernière partie (6,1) renvoie, par-delà la description centrale, à la première partie : le bien-aimé était « parti » (6,1), il s’était « enfui » (5,6), sa compagne l’avait « cherché » en vain (6c), et elle avait confié aux filles de Jérusalem un message pour lui au cas où elles le trouveraient. La réponse à leur dernière question est qu’il est revenu à elle : à la rencontre manquée du début s’oppose les retrouvailles de la fin. Les deux foyers de la construction elliptique représentent un cas particulier de binarité, qui est une des deux caractéristiques fondamentales de la rhétorique biblique18. Dans cette séquence du Cantique la binarité est redoublée, puisque chacun des deux foyers comprend deux questions.

18

R. MEYNET, Traité (cf. nt. 5), 15-21.

338

Roland MEYNET

+ 2,41 Ses parents allaient . tous les ans À JÉRUSALEM +

42

+

43

pour la fête de la Pâque.

Quand il atteignit douze ans, . ses parents MONTÈRENT avec lui

selon la coutume de la fête des Azymes.

Ayant achevé les jours, . tandis qu’ils s’en retournaient,

l’enfant Jésus resta À JÉRUSALEM.

: Et ses parents ne (le) surent pas. – 44 Or pensant . qu’il était

DANS LA CARAVANE,

– ils firent une journée de chemin, . et ils le cherchèrent

PARMI LEURS PARENTS ET CONNAISSANCES. ········································································································ 45 NE LE TROUVANT PAS, ils retournèrent À JÉRUSALEM EN LE CHERCHANT. ········································································································

– 46 Et il arriva – ILS LE TROUVÈRENT – assis

qu’après trois jours DANS LE TEMPLE, AU MILIEU DES DOCTEURS,

. les écoutant . et les interrogeant. 47

Et tous s’extasiaient

en l’écoutant

DEVANT L’INTELLIGENCE DE SES RÉPONSES. 48

En le voyant

ils furent frappés.

– Et sa mère lui dit : : « Mon enfant, pourquoi nous as-tu fait ainsi ? . Voici, TON PÈRE ET MOI étant angoissés . NOUS TE CHERCHIONS. » ·········································································································

– 49 Et il :

leur dit :

« Pourquoi . Ne saviez-vous pas . qu’il me faut être

ME CHERCHIEZ-VOUS ? CHEZ MON PÈRE

: 50 Mais eux ne comprirent pas la parole + 51 Et il DESCENDIT avec eux . et il vint À NAZARETH



qu’il leur disait.

et il leur était soumis.

Et sa mère gardait toutes ces paroles dans son cœur. +

52

Et Jésus grandissait . en sagesse, taille et grâce

devant DIEU et LES HOMMES.

Une nouvelle figure : la composition à double foyer

339

Le récit de Lc 2,41-52 présente une configuration particulière : en effet, les deux segments de reliure sont non seulement en relation d’identité entre eux, mais aussi d’opposition avec le centre de tout le passage, ce passage ayant le statut de séquence dans la première section du troisième évangile. Les parties extrêmes rapportent d’abord la montée de Jésus et de ses parents « à Jérusalem » jusqu’au moment où ils s’en retournent (41-43b) et en finale leur retour effectif « à Nazareth » (51-52). La troisième partie (44-46) raconte comment les parents de Jésus le « cherchent », d’abord dans la caravane puis à Jérusalem, jusqu’au moment où ils le retrouvent dans le temple. La partie symétrique (48b-49) rapporte le dialogue entre Jésus et sa mère : Jésus reproche à ses parents de l’avoir « cherché » et définit le temple où il était resté comme la maison de son « Père ». Enfin la partie centrale (47-48a) focalise l’ensemble du passage-séquence sur « l’intelligence » de Jésus. Quant aux deux foyers (43c.50), ils ont le même sujet, « ses parents », et les verbes, tous deux affectés de la négation, soulignent leur ignorance : d’abord ils « ne savent pas » que leur fils est resté à Jérusalem, tandis qu’ils s’en retournaient chez eux, ensuite ils « ne comprirent pas » ce qu’il leur disait. Cette double ignorance s’oppose à « l’intelligence » des réponses que Jésus fait aux docteurs au centre du texte. Il faut remarquer en outre que ce n’est pas « en écoutant » leur fils qu’ils sont « frappés », mais « en le voyant », comme s’ils n’avaient pas entendu ses réponses et n’avaient pas pu avoir connaissance de son « intelligence », ce qui serait encore une manifestation de leur ignorance. Cette composition est différente de celles qui ont été examinées jusqu’ici, car elle combine, pour ainsi dire, la composition concentrique avec la composition elliptique : en effet, le centre général (47-48a) est en relation étroite avec les deux foyers, relation d’opposition où « l’intelligence » de Jésus prend d’autant plus de relief qu’elle est mise en relation avec l’inintelligence de ses parents. Ce fait, évidemment, ne saurait être négligé, bien au contraire, pour l’interprétation de la séquence19.

L’exemple suivant est de la dimension d’une longue « séquence » (Mc 14,152), la première de la Passion de Jésus. Cette séquence, qui ne comprend pas moins de neuf « passages », est complexe, car ses trois sous-séquences sont reliées par deux passages qui sont en relation étroite avec le passage central de la séquence20. Cet exemple est donc du même type que le précédent.

19

Voir R. MEYNET, L’évangile de Luc (cf. nt. 7), 152-153 où l’interprétation se développe en deux paragraphes intitulés : « La sagesse de Jésus » et « L’incompréhension des parents ». 20 Voir R. MEYNET, La Pâque du Seigneur. Passion et résurrection du Seigneur dans les évangiles synoptiques, RhSem 14, Pendé 2013, 83-123 ; ID., L’évangile de Marc, RhSem 16, Pendé 2014, 429-468.

340

Roland MEYNET

Les autorités L’ONCTION JUDAS

cherchent à

tuer

Jésus

14,1-2 3-9

DE PARFUM

cherche

Les disciples invités

à

donner

À MANGER

Jésus annonce la trahison

Jésus

LA PÂQUE

10-11

avec Jésus

17-21

d’un disciple

LA CÉLÉBRATION DE LA PÂQUE Jésus annonce l’abandon

Les disciples invités

JUDAS LE COUP Les disciples

À BOIRE

trahit

Jésus

D’ÉPÉE

abandonnent

22-25 26-31

d’un disciple

LA COUPE

12-16

avec Jésus

32-42

43-46 47

Jésus

48-52

La première et la dernière sous-séquence (1-11 et 43-52) se correspondent. En termes médians, Judas cherche d’abord le moyen de livrer son maitre (10-11) et il réalise enfin son dessein (43-46) ; dans le premier passage (1-2) « les grands prêtres et les scribes » cherchent comment s’emparer de Jésus, à la fin Jésus leur dit que « c’est afin que s’accomplissent les Écritures » que cela arrive (49) ; enfin on peut voir un rapport entre la violence exercée contre la femme de Béthanie (5) et le coup d’épée à Gethsémani (47). Encadrant la sous-séquence centrale (17-31), deux passages symétriques (1216 et 32-42) qui, à première vue, sont très différents et n’ont pas grand-chose à voir l’un avec l’autre. Toutefois, si on les met en rapport avec le passage central de la séquence (22-25), des liens très forts se révèlent, signalés par quelques reprises lexicales. « Manger » se retrouve dans le premier foyer (12-16) et au centre de la séquence (22) ; « coupe » revient dans le passage central (23) et dans le second foyer (36). Jésus entend « manger la Pâque avec » ses disciples (14), eux qui avaient dit « afin que tu manges la Pâque » (12) ; il prend « avec » lui trois de ses disciples (33), mais dormant, ils ne sont pas avec lui. Reste une question sur cette composition : étant donné que les deux passages qui assurent le passage entre les trois sous-séquences sont développés, peut-on les considérer comme les deux foyers d’une composition elliptique ?

Une nouvelle figure : la composition à double foyer

341

14,1 Or c’était la Pâque et les Azymes après deux jours : les grands prêtres et les scribes cherchaient comment, s’emparant de lui par ruse, ils le tueraient. 2 Car ils disaient : « Pas durant la fête, de peur qu’il y ait un tumulte du peuple. » 3

Tandis qu’il était à Béthanie, dans la maison de Simon le Lépreux, tandis qu’il était à table, vint une femme ayant un flacon de parfum d’un nard pur de grand prix. Ayant brisé le vase, elle le versa sur sa tête. 4 Il y en avait certains à s’indigner entre eux : « En vue de quoi cette perte du parfum est-elle advenue ? 5 Car ce parfum aurait pu être vendu plus de trois cents deniers et être donné aux pauvres ! » Et ils s’irritaient contre elle. 6 Mais Jésus dit : « Laissez-la ; pourquoi lui causez-vous des ennuis ? C’est une bonne œuvre qu’elle a accomplie pour moi. 7 Car vous avez toujours les pauvres avec vous et quand vous voulez, vous pouvez leur faire du bien, mais moi vous ne m’avez pas toujours. 8 Ce qu’elle a pu, elle l’a fait : d’avance elle a parfumé mon corps en vue de la sépulture. 9 En vérité je vous dis : partout où sera proclamée la bonne nouvelle dans le monde entier, aussi ce qu’elle a fait on en parlera en souvenir d’elle. » 10

JUDAS Iscariote, L’UN DES DOUZE, alla vers les grands prêtres afin de le leur -donner. 11 Ayant entendu, ils se réjouirent et lui promirent de lui donner de l’argent. Et il cherchait comment il le -donnerait au bon-moment. 12

Et le premier jour des Azymes, quand ils immolaient la Pâque, ses disciples lui disent : « Où veux-tu que nous allions préparer afin que tu MANGES la Pâque ? » 13 Et il envoie deux de ses disciples et leur dit : « Allez dans la ville et vous rencontrera un homme portant une cruche d’eau ; accompagnez-le 14 et où il entrera, dites au maitre-de-maison que : “Le Maitre dit : ‘Où est ma salle, où je MANGERAI la Pâque AVEC mes disciples’ ?” 15 Et lui vous montrera une salle-haute grande, garnie, préparée ; et là préparez pour nous. » 16 Et les disciples sortirent et ils vinrent à la ville, et ils trouvèrent comme il leur avait dit et ils préparèrent la Pâque. 17

Le soir venu, il vient AVEC les Douze 18 et, tandis qu’ils étaient à table et qu’ils mangeaient, Jésus dit : « En vérité je vous dis que l’un de vous me -donnera, celui-qui mange AVEC moi. » 19 Ils commencèrent à s’attrister et lui dirent, l’un après l’autre : « Serait-ce moi ? » 20 Mais lui leur dit : « L’un des Douze, celui qui plonge 21 AVEC moi la main dans le plat. Car le Fils de l’homme s’en va comme il est écrit de lui, mais malheur à cet homme-là par qui le Fils de l’homme est -donné ! Il eût mieux valu qu’il ne soit pas né cet homme-là. » 22

Et tandis qu’ils MANGEAIENT, ayant pris du pain, ayant dit la bénédiction, il le rompit et le leur donna et dit : « Prenez, ceci est mon corps. » 23 Et ayant pris une COUPE et ayant rendu grâces, il leur donna et ils en BURENT tous 24 et il leur dit : « Ceci est mon sang de l’alliance, qui est répandu pour beaucoup. 25 En vérité, je vous dis que je ne BOIRAI plus du produit de la vigne, jusqu’au jour où je le BOIRAI nouveau dans le royaume de Dieu. » 26

Après le chant des psaumes, ils sortirent vers le Mont des Oliviers. 27 Et Jésus leur dit : « Vous serez tous scandalisés ; car il est écrit : “Je frapperai le berger et les brebis seront dispersées.” 28 Mais après m’être dressé, je vous précéderai en Galilée. » 29 Pierre lui déclara : « Même si tous sont scandalisés, du moins pas moi ! » 30 Et Jésus lui dit : « En vérité, je te dis que toi, aujourd’hui, cette nuit même, avant que le coq ne crie deux fois, tu m’auras renié trois fois. » 31 Mais lui disait de plus belle : « Même s’il me fallait mourir AVEC toi, non je ne te renierai pas. » Et tous en disaient autant. 32

Et ils viennent à un domaine dont le nom est Gethsémani et il dit à ses disciples : « Asseyez-vous ici tandis que je prierai. » Et il prend Pierre, Jacques et Jean AVEC lui et se mit à être effrayé et angoissé 34 et il leur dit : « Mon âme est triste à en mourir ; restez ici et veillez. » 35 Et s’étant éloigné un peu, il tombait à terre et priait afin que, s’il était possible, passe loin de lui l’heure. 36 Et il disait : « Abba, Père, tout est possible pour toi ; emporte cette COUPE loin de moi. Mais non ce que je veux, mais ce que tu veux toi ! » 37 Et il vient et les trouve endormis, et il dit à Pierre : « Simon, tu dors ? Tu n’as pas pu veiller une seule heure ? 38 Veillez et priez afin que vous ne veniez pas en tentation. L’esprit est prompt, mais la chair est faible. » 39 Et de nouveau s’en étant allé, il priait, disant les mêmes paroles. 40 Et de nouveau étant venu, il les trouva endormis, car leurs yeux étaient alourdis, et ils ne savaient quoi lui répondre. 41 Et il vient une troisième fois et il leur dit : « Vous dormez encore et vous vous reposez ? C’en est fait, l’heure est venue. Voici qu’est -donné le Fils de l’homme dans les mains des pécheurs. 42 Levezvous, allons : voici que celui qui me -donne est proche. » 33

43

Et aussitôt, comme il parlait encore, arrive JUDAS, L’UN DES DOUZE, et avec lui une foule avec épées et bâtons de chez les grands prêtres, les scribes et les anciens. 44 Celui qui le -donnait leur avait donné un signal disant : « Celui que j’embrasserai, c’est lui ; emparez-vous de lui et emmenez-le sous bonne-garde. » 45 Et étant venu aussitôt, s’étant avancé vers lui, il dit : « Rabbi. » Et il l’embrassa. 46 Or eux jetèrent les mains sur lui et s’emparèrent de lui. 47 48

Or l’un de ceux se tenant là, ayant tiré l’épée, frappa le serviteur du Grand Prêtre et lui enleva son oreille.

Et répondant, Jésus leur dit : « Comme contre un bandit vous êtes sortis avec épées et bâtons pour me prendre. 49 Chaque jour j’étais parmi vous dans le temple enseignant, et vous ne vous êtes pas emparés de moi. Mais (c’est) afin que soient accomplies les Écritures. » 50 Et l’abandonnant, ils s’enfuirent tous. 51 Et un jeune homme le suivait, enveloppé d’un drap sur sa nudité, et ils s’emparent de lui. 52 Mais lui, lâchant le drap, nu il s’enfuit.

342 1

Roland MEYNET

Au maitre de chant. Sur « la biche de l’aurore ». Psaume, de David. 2 3

MON DIEU, MON DIEU, pourquoi m’as-tu abandonné ? MON DIEU, j’appelle le jour et TU NE RÉPONDS PAS, 4

Et toi, tu es le Saint, en toi se fiaient NOS PÈRES, 6 vers toi ils criaient et ils échappaient, 5

7

Et moi, vermisseau et non homme, tous ceux qui me voient me bafouent, 9 « Il s’est remis à YHWH, qu’il le DÉLIVRE, 11

12

Car toi, tu m’as tiré du ventre, sur toi je fus jeté dès les entrailles;

NE SOIS PAS LOIN de moi 13 14

habitant les louanges d’Israël : ils se fiaient et tu les DÉLIVRAIS, en toi ils se fiaient et ils n’avaient-pas-honte. risée d’adam et mépris du PEUPLE : ils ricanent de leur lèvre, ils hochent la tête : qu’il le libère, puisqu’il s’est plu en lui ! »

8

10

LOIN de mon SALUT, les paroles que je rugis ! et la nuit et point de repos pour moi.

mis-en-confiance sur les seins de MA MÈRE ; dès le ventre de MA MÈRE, tu es MON DIEU, toi.

car l’angoisse est proche,

car point de SECOURANT !

Me cernent des TAUREAUX nombreux, bâille contre moi leur bouche,

de fortes-bêtes de Bashân m’encerclent ; LION lacérant et rugissant.

15

et se disloquent tous mes os ; fondant au milieu de mes viscères ; et ma langue est collée à ma mâchoire.

Comme l’eau je m’écoule mon cœur est comme la cire, 16 est sèche comme un tesson ma force,

Et dans LA POUSSIÈRE de LA MORT tu me couches. 17

Car me cernent des CHIENS,

une bande de vauriens m’entourent;

Ils ont troué mes MAINS et mes pieds, Eux observent, me regardent, 19 ils partagent mes habits entre eux

18

20

Et toi, YHWH, NE SOIS PAS LOIN, DÉLIVRE de l’épée mon ÂME, 22 SAUVE-moi de la bouche du LION, 21

Je raconterai ton nom à MES FRÈRES, « Les craignant YHWH, louez-le, Redoutez-le, toute LA DESCENDANCE d’Israël ! » 25 Car il ne méprisa ni ne dédaigna il n’a pas caché sa face de lui, 26 De toi ma louange dans l’assemblée nombreuse, 27 Ils mangeront les humiliés et seront rassasiés, « QUE VIVE votre cœur à jamais ! » 23 24

28

Se souviendront et reviendront vers YHWH et se prosterneront devant toi 29 Car à YHWH la royauté, 30 Ils ont mangé et se prosterneront devant lui se courberont et qui son ÂME NE FAIT PAS VIVRE. 31 32

UNE DESCENDANCE le servira, ils viendront et annonceront sa justice

je compte tous mes os.

et sur mon vêtement ils jettent le sort. ô ma vigueur, à mon SECOURS hâte-toi. de la MAIN du CHIEN, mon unique. et des cornes des BUFFLES. TU M’AS RÉPONDU. au milieu de l’assemblée je te louerai : toute LA DESCENDANCE de Jacob, glorifiez-le, la misère du miséreux, mais, invoqué par lui, il écouta. mes vœux j’accomplirai devant ses craignant. ils loueront YHWH ses cherchant : tous les lointains de la terre toutes LES FAMILLES des nations. et il est maître dans les nations. tous les gras de la terre, tous les descendant à LA POUSSIÈRE il sera raconté sur LE SEIGNEUR à la GÉNÉRATION ; à un PEUPLE À NAITRE, CAR IL A FAIT.

Une nouvelle figure : la composition à double foyer

343

Le psaume 22 est lui aussi de composition elliptique : ses trois grandes parties — toutes trois comprenant deux ou trois sous-parties — sont reliées par deux courtes parties (12 et 20-22) qui représentent les foyers de la construction21. Adressée à « mon Dieu » (2-3.11), la première partie (2-11) est la plainte que fait monter le psalmiste vers le Seigneur. Il reproche d’abord à Dieu de l’avoir abandonné, ce qu’il ne faisait pas avec ses pères ; il expose ensuite le mépris dans lequel il est tenu actuellement alors que dès avant sa naissance la confiance divine lui était acquise. La partie centrale (13-19) revient sur la situation terrible du psalmiste, agressé par des « vauriens » assimilés à des animaux féroces ; au centre (16b) seulement, le psalmiste s’adresse à Dieu, comme pour lui reprocher de le faire mourir. Dans la dernière partie (23-32) le psalmiste, désormais sauvé, raconte à ses « frères » comment sa plainte a été « écoutée » par le Seigneur (23-27) ; la louange s’étend à « toutes les familles des nations » (28-30), jusqu’aux générations futures rassemblées dans « un peuple à naitre » (31-32). Les parties de reliure se distinguent des trois autres, car ce sont les seules supplications du psaume. Si la seconde (20-22) est notablement plus développée que la première (12), c’est qu’elle suit la partie centrale où l’angoisse est portée à son paroxysme avec la perspective de la mort. Les deux parties commencent par le même impératif négatif. Alors que la première fois les paroles du psalmiste s’achevaient par la constatation qu’il n’y avait pour lui « point de secourant », la deuxième fois, le premier segment s’achève par un appel au « secours ». Ces parties ont nombre de points de contact formels avec les autres parties. – Avec la première partie : les deux occurrences de « ne sois pas loin » (12.20) rappellent « loin de mon salut » (2) ; de même « sauve-moi » (22) rappelle « mon salut » (2) et « délivre » (21) les deux occurrences de « délivrer » (5.9). « Tu m’as répondu » (22) s’oppose à « tu ne réponds pas » (3). « Et toi » de 20 se trouvait déjà au début de 4. « Lion » (22) renvoie à « rugit » de 2. – Avec la partie centrale : y sont repris « bouche » (14.22) et « main(s) » (17. 21), « lion » (14.22) et « chien(s) » (17.21 ; « buffles » à la fin de la deuxième partie de reliure (22) correspond à « taureaux » au début de la partie précédente (13). – Avec la dernière partie. « Âme » est le seul terme commun aux deux dernières parties (21.30c). À la fin de la dernière partie « car il a fait » (32) semble correspondre à « tu m’as répondu » à la fin de la deuxième partie de reliure (22) : non seulement ce sont des propositions en elles-mêmes, qui se détachent ainsi de ce qui précède, mais elles se correspondent aussi du point de vue du sens : ce que le Seigneur « a fait » fut de « répondre » à la supplication du psalmiste. Si tout le psaume est focalisé sur le segment central, « Et dans la poussière de la mort tu me couches », les supplications des deux parties de reliure peuvent être considérées comme les deux foyers d’une construction elliptique : c’est l’angoisse de la mort qui pousse le psalmiste à supplier avec foi son Seigneur. 21

Cf. F. GRAZIANO, « Il Salmo 22. La preghiera del Servo di Yhwh », in R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del terzo convegno RBS. International Studies on Biblical & Semitic Rhetoric, ReBibSem 2, Roma 2013, 65-85 ; R. MEYNET, Le Psautier. Premier livre (cf. nt. 7), 271-288.

344 1

Roland MEYNET

Du maitre-de-chant,

+ 2 HEUREUX + au jour

psaume

de David.

qui pense de MALHEUR

au faible le délivrera

YHWH.

························································································································

= 3 YHWH = et le FERA-HEUREUX .. et tu ne le donneras pas

le gardera sur la terre à LA GORGE

de SES ENNEMIS ;

le soutiendra tu retourneras

sur (son) lit dans sa maladie.

de souffrance

j’avais dit : MON ÂME

YHWH car j’ai péché

aie-pitié de moi, contre toi.

disent

LE MALHEUR

MOURRA-T-IL

ET PÉRIRA

pour moi : son nom ?

. 7 Et si un vient . une fausseté

pour (me) voir, parle

son cœur ;

. il rassemble . il sort,

l’iniquité dehors

pour lui il parle.

4

= YHWH .. toute sa couche 5

MOI, guéris – 6 MES ENNEMIS – quand

ET LE FERA-VIVRE

················································································································· 8 Ensemble contre moi

contre moi ils méditent

chuchotent LE MALHEUR

tous MES HAÏSSANT pour moi.

·················································································································

– 9 Une chose – et maintenant

de Bélial qu’il est couché

a fondu IL NE POURRA PLUS

sur lui SE RELEVER.

. 10 Même l’homme . lequel

de ma paix je me fiais

de lui

. en mangeant . lève

mon pain contre moi

le talon.

YHWH, et je repaierai

aie-pitié de moi eux.

= 12 À cela = quand ne-cria-pas-victoire

j’ai su

que tu t’es plu en contre moi ;

moi

MON ENNEMI

= 13 et moi = et tu me feras tenir

pour mon intégrité devant toi

tu as supporté pour toujours.

moi

11

Et TOI, et RELÈVE-MOI

······················································································································· 14

+ BÉNI + Dieu + de toujours

YHWH, d’Israël, et jusqu’à toujours.

+ Amen

et amen !

Une nouvelle figure : la composition à double foyer

345

Le Ps 41 est le dernier psaume du premier livre du Psautier. Au début de la première partie celui qui prend soin du « faible » est déclaré « heureux » (2a), car le jour où il tomberait dans le « malheur », le Seigneur l’en délivrerait (2b). Le second morceau développe le dernier membre du premier morceau : Yhwh le protégera contre ses ennemis (3) et même le soignera durant sa maladie comme le ferait une mère (4). Dans la longue partie centrale le psalmiste décrit la situation de « malheur » où il est tombé. Le premier morceau (6-7) est consacré à l’attitude de ses « ennemis » qui n’attendent qu’une chose : qu’il meure ! (6) ; l’un d’eux lui rend visite, mais ce n’est que pour l’accabler (7). Le morceau symétrique (9-10) est parallèle au premier : maintenant ce sont ses amis qui eux aussi prévoient sa mort (9) ; celui en qui il avait confiance se retourne contre lui tout en profitant de lui (10). Le court morceau central (8) joint les deux morceaux qui l’encadrent, en réunissant ennemis et amis qui « ensemble » le « haïssent » et « méditent » également son « malheur ». Dans la dernière partie (12-14) le psalmiste « bénit » Yhwh parce que, à cause de son « intégrité », son « ennemi » ne l’a pas emporté sur lui. Ainsi, la bénédiction finale (14) correspond au macarisme initial (« Heureux » en 2a et « le fera-heureux » en 3b). Quant aux deux courtes parties de reliure (5 et 11), elles sont les foyers de la construction elliptique. Alors que la première commence par « moi », la seconde commence par « Et toi », ce qui fait penser qu’un décentrement s’est opéré de l’une à l’autre. Dans le deuxième foyer le psalmiste demande à « Yhwh » d’« avoir pitié » de lui au présent, tandis que dans le premier il rappelle qu’il l’avait supplié dans le passé. La différence majeure entre ces deux parties se voit dans leurs seconds membres : au début le psalmiste attribue la maladie dont il souffre à son « péché », à la fin au contraire à ses ennemis qu’il promet de « repayer » ce qu’ils lui ont fait. C’est qu’il a fini par prendre conscience que sa maladie était causée par l’acharnement de ceux qui en voulaient à sa vie, qui avaient même réussi par leurs calomnies à éloigner de lui ses amis et à leur faire partager leur méchanceté, qui surtout avaient fini par l’amener à se persuader de sa culpabilité. Tel est le comportement habituel du pervers22. C’est en constatant la collusion entre ennemis et amis qu’il découvre que le péché n’est pas en lui, mais qu’il habite ses bourreaux ; et c’est pourquoi il ne demande plus au Seigneur de le « guérir » (5b), mais de le « relever » pour qu’il puisse affronter le mal qu’on lui fait (11b). C’est en ce retournement que consiste sa guérison. Cet exemple illustre bien comment les deux foyers de la composition remplissent la fonction de clé de lecture de l’ensemble du psaume.

22

Voir, par exemple, M.-F. IRIGOYEN, Le harcèlement moral. La violence perverse au quotidien, Paris 1998.

346 1

Roland MEYNET

Du maitre-de-chant, sur instruments à corde, psaume, chant. + 2 Que DIEU + qu’il fasse-briller

NOUS ait-en-pitié son visage

et NOUS BÉNISSE, sur NOUS,

– 3 pour que soit connu – chez TOUS

sur LA TERRE LES PAÏENS

ton chemin, ton salut.

: 4 Qu’ils te rendent-grâces : qu’ils te rendent-grâces 5

Que jubilent car tu juges et LES NATIONS

: 6 Qu’ils te rendent-grâces : qu’ils te rendent-grâces – 7 LA TERRE + il

LES PEUPLES,

LES NATIONS

LES PEUPLES

avec droiture tu conduis.

sur LA TERRE LES PEUPLES,

DIEU, !

LES PEUPLES,

TOUS

a donné

sa récolte

DIEU DIEU DIEU

lui

TOUS

BÉNIT

DIEU, !

TOUS

et chantent

NOTRE

NOUS

+ 8 il NOUS BÉNIT – et craignent

LES PEUPLES,

les confins

de LA TERRE.

Les parties extrêmes du Ps 67 sont les seules où apparaisse le pronom de première personne du pluriel. La première partie est une demande (2) motivée par une finalité (3) : que le « salut » de Dieu en faveur d’Israël (2) soit connu chez « les païens » (3). Dans la dernière partie, ce que le Seigneur « a donné » à Israël (7), sa bénédiction (7b-8a) provoque la crainte chez les païens jusqu’aux « confins de la terre » (8b). Au centre, il n’est plus question d’une quelconque distinction entre le peuple d’Israël et les autres peuples : le Seigneur y est présenté comme celui qui « juge » et « conduit » tous les peuples de « la terre » (5). Les parties de reliure confirment cette lecture (4.6) : ce sont « tous » les peuples qui sont invités à rendre grâce à Dieu. Le fait que ces parties sont identiques a pour effet de renforcer l’affirmation. En outre il faut remarquer que « Yhwh », le nom propre du Dieu d’Israël, n’apparait pas une seule fois, comme pour marquer que le « Dieu » invoqué tout au long du psaume est le Dieu de tous et pas seulement celui du peuple élu (7c). Préoccupée de trouver le Sitz im leben, la situation sociale qui aurait donné naissance au psaume, la critique historique y a reconnu, en s’appuyant sur le verset 7, un chant pour les récoltes. Le sens métaphorique de « récolte » est plus probable : le fruit que porte Israël est de transmettre à tous les peuples la lumière

Une nouvelle figure : la composition à double foyer

347

de la révélation. La composition concentrique du psaume qui rappelle celle du chandelier à sept branches, l’a fait appeler, au moins depuis le 14e siècle, le psaume-menora ; son sens aussi lui fait mériter ce beau nom23. Le parcours s’achèvera avec un texte non biblique, mais dû à la plume d’un homme tellement habité par la bible qu’il en partage la rhétorique24. – Vers BETHLÉEM – à la grotte

l’esprit et à la mangeoire

tournons, pour nous agenouiller,

1 2

:: là où repose :: LE VERBE :: au Père

l’incontenable co-éternel et à l’Esprit.

DANS LES CIEUX,

3 4 5

= Volontairement

dans notre nature

DIEU

-- Les chœurs -- de CHRIST -- annoncent :

des non-corporels avec les bergers, la descente à tous

s’est incarné.

6

sans aucun doute, les terrestres

7 8 9

+ « Gloire = et SUR TERRE

– criant – paix ! »

DANS LES HAUTEURS

10 11

+ LE CRÉATEUR

du monde

l’Éden

12

joyeusement du CHRIST et À LA TERRE

danse, prêchant de Judée,

a conçu natures :

sans semence, Dieu

– Isaïe – l’incarnation – à BETHLÉEM :: que la Vierge :: en deux

ouvre.

13 14 15 et homme.

16 17

Écrit en paléoslave au 9e siècle par saint Clément d’Ocrid — disciple et successeur des saints Cyrille et Méthode —, le premier chant du « Canon des trois chants de la pré-fête de la Nativité (ton 1) » présente un autre exemple de composition elliptique. Dans la première partie (1-5) ce sont les hommes du temps présent qui sont invités à se rendre à la « grotte » de « Bethléem » pour vénérer celui que « les cieux » ne peuvent contenir, « le Verbe » éternel. La partie centrale (7-11) rapporte ce que les anges ont « annoncé » lors de la naissance du « Christ ». Quant à la dernière partie (13-17), elle rappelle ce que, bien longtemps avant, le prophète Isaïe avait « prêché » à Israël : la naissance virginale du « Christ ». L’organisation de ce chant suit donc l’ordre chronologique inversé. 23 Voir R. MEYNET, « Le psaume 67. “Je ferai de toi la lumière des nations” », NRTh 120 (1998) 3-17. 24 Voir G. GJORGJEVSKI – R. MEYNET, « San Clemente di Ocrida e la retorica biblica », Gregorianum 98 (2017) 687-403 (692-695).

348

Roland MEYNET

Les segments de reliure offrent l’interprétation théologique des faits rapportés dans les trois parties les plus développées : d’abord l’incarnation de Dieu dans notre nature humaine (6), puis la réouverture de « l’Éden » que « le Créateur » avait fermé après la faute du couple originel. Là aussi, l’ordre chronologique est inversé. Au vu des douze exemples de composition à double foyer présentés — sans compter ceux qui n’ont pas pu trouver place ici25 —, il semble que l’on puisse conclure qu’il existe bien une figure de composition qui n’avait pas encore été mise en évidence de façon claire et documentée. Les exemples ne sont pas très nombreux, il est vrai, mais le corpus dans lequel ils ont été trouvés n’est pas très étendu. Il faut ajouter que, aux niveaux supérieurs — « passage », « séquence », « section » et « livre » —, si les compositions parallèles ne sont pas rares et si les concentriques sont fort nombreuses, le nombre des compositions spéculaires est au contraire très restreint. Le présent inventaire n’est le fruit que d’une première enquête. Connaissant désormais cette figure, ses caractéristiques et ses fonctions, les chercheurs ne manqueront pas à l’avenir d’en repérer d’autres et de poursuivre la réflexion méthodologique qui les concerne.

25

Am 3,1-8 : voir P. BOVATI – R. MEYNET, Le livre du prophète Amos, RhBib 2, Paris 1994, 103-112. Ps 51 : voir R. MEYNET, « Analyse rhétorique du Psaume 51. Hommage critique à Marc Girard », RivBib 45 (1997) 187-226. Ps 89 : inédit. Ps 145 : voir R. MEYNET, « Le psaume 145 », Annales du Département des lettres arabes (Institut de lettres orientales), Fs. Maurice Fyet, 6B (1991-92) 213-225 ; mis à jour dans StRBS 1 (01.02.2002 ; 31.03.2004) ; intégré dans Le Psautier. Cinquième livre (Ps 107–150), RBSem 12, Leuven 2017, 603-619. Mt 4,12-25: voir F. GRAZIANO, La composizione letteraria del vangelo di Matteo (cf. nt. 2), 385-389. Jn 2,13-25: voir J.M. CABRERA, « The Third Day. From the beginning of Jesus’ signs in Galilee to the announcement of his definitive sign in Jerusalem (John 2,1-25) », R. MEYNET – J. ONISZCZUK, ed., Studi del terzo convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, ReBibSem 2, Roma 2013, 152-155.

Une nouvelle figure : la composition à double foyer Pontificia Università Gregoriana Piazza della Pilotta 4 00187 Roma – RM (Italia) E-mail: [email protected]

349

Roland MEYNET

RÉSUMÉ Selon le Traité de rhétorique biblique les textes s’organisent selon trois figures de composition : la composition parallèle (ABC/A’B’C’), la spéculaire (ABC/C’B’A’) et la concentrique (ABC/x/A’B’C’ ou ABC/x/C’B’A’). Une quatrième figure doit s’ajouter aux trois premières, qu’on appellera la « composition à double foyer », ou « composition elliptique ». Comme son nom l’indique, le texte ne s’organise pas autour d’un centre unique mais d’un centre double. Mots-clés: rhétorique biblique, figures, composition elliptique, composition à double foyer ABSTRACT According to the Treaty of Biblical Rhetoric the texts are organized according to three compositional figures: parallel composition (ABC / A’B’C’), specular (ABC / C’B’A’) and concentric composition (ABC / x / A’B’C’ or ABC / x / C’B’A’). A fourth figure must be added to the first three, which will be called the «bifocal composition», or «elliptical composition». As its name indicates, the text is not organized around a single center but around a double center. Keywords: biblical rhetoric, figures, elliptical composition, bifocal composition

Elenco dei contributori Luísa Maria ALMENDRA Professora; Università cattolica di Lisbona (Portogallo) Marek BARANIAK Assistant professor; Department of Hebrew Studies – Warsaw University (Poland) Timothy CHIKWETO Professor of Biblical Theology; St Dominics Major Seminary (Tanzania) Michel CUYPERS, P.F.J. Chercheur; Institut Dominicain d’Etudes Orientales – Le Caire (Égypte) Roberto DI PAOLO, O.F.M. Conv. Insegnante di Sacra Scrittura; Direttore dell’ISSR «G. Toniolo» – Pescara (Italia) Francesco GRAZIANO Docente incaricato di teologia biblica; Facoltà di teologia, Pontificia Università Gregoriana – Roma (Italia). Tesoriere della RBS Gérard JOYAU, O.C.S.O. Rédacteur en chef de la revue Collectanea Cisterciensia; Abbaye de Scourmont (Belgique) Heon KIM Associate Professor; Seoul National University, Institute of Humanities (Korea) Giuliano LANCIONI Professore ordinario di lingua e letteratura araba; Università Roma Tre, Roma (Italia) Nicolas LEROUX Chargé de recherches ; Fonds National de la Recherche Scientifique – Université de Namur (Belgique) Javier LÓPEZ, S.I. Docente di teologia biblica; Facoltà di teologia, Università Gregoriana – Roma (Italia) Roland MEYNET, S.I. Professeur émérite de théologie biblique; faculté de théologie de l’Université Grégorienne – Rome (Italie). Secrétaire de la RBS

352

Studi del sesto convegno RBS

Ciro QUISPE Ex-director de estudios del Seminario Mayor San Antonio Abad de Cuzco; nuevo obispo prelado de la prelatura de Juli (Perú) Carlos Alberto SANTOS GARCÍA Profesor: Instituto de Ciencias Religiosas de la Arquidiócesis de Monterrey (Messico) Raoul VILLANO Assistente professore di lingua e letteratura araba all’Università Roma Tre, Roma, et de filologia araba all’Università di Bologna (Italia)

Indice Presentazione ............................................................................................... Sigle e abbreviazioni ...................................................................................

7 9

Carlos Alberto SANTOS GARCÍA El amor que nos hizo hijos, el amor que nos hace hermanos. Itinerario exegético del P. Jacek Oniszczuk SJ en los escritos joánicos

13

PRIMA PARTE: ANTICO TESTAMENTO .........................................................

21

Marek BARANIAK Janus parallelism in Gen 2:1. First and second account of creation from the perspective of the Biblical and Semitic Rhetoric Analysis .....

23

Luísa Maria ALMENDRA Reaching the full meaning of God’s Words (Part II). Remarks on the composition and meaning of Job 40,25–41,26 ............

43

SECONDA PARTE: NUOVO TESTAMENTO .....................................................

57

Francesco GRAZIANO Il Messia apre l’Alleanza per le Nazioni. Analisi retorica di Mt 15,1–16,12. Prima parte .....................................

59

Roberto DI PAOLO Il Figlio di Davide compie la Parola con autorità. Analisi retorica biblica di Mt 21,1–27 ...................................................

85

Carlos Alberto SANTOS GARCÍA «“Entre el Reino de Dios y la ira de Dios”. Cristología y soteriología en Jn 3,1-36» ................................................

111

Timothy CHIKWETO «From Where then do You have the Living Water?». Composition and Interpretation of John 4,5-18 .....................................

137

+ Ciro QUISPE Pablo y los Tesalonicenses: Análisis retórico semítico de 1Tes 2,17-3,13 .........................................

153

354

Studi del quinto convegno RBS

Javier LOPÉZ Un inicio insólito. Análisis retórico semítico de Ap 1,1-8 ....................

181

Heon KIM A Metaphorical Interpretation on Paul’s Sea Journey to Rome in Acts 27:1–28:15 ..............................

203

TERZA PARTE: ALTRI TESTI .........................................................................

225

Gérard JOYAU L’atelier du monastère. Le chapitre 4 de la règle de saint Benoît ................................................

227

Nicolas LEROUX Rhétorique et parallelismus membrorum aux portes des temples égyptiens : le cas des Recommandations aux prêtres du temple d’Horus à Edfou .................................................

249

Giuliano LANCIONI – Raoul VILLANO Qurʾanic Pairs and Semitic Rhetoric. Self-Similarity as an Exploring Device ..................................................

275

QUARTA PARTE: METODOLOGIA .................................................................

301

Michel CUYPERS De quelques indices de composition caractéristiques du Coran ............

303

Roland MEYNET Une nouvelle figure: la composition à double foyer ................................................................

325

Elenco dei contributori ................................................................................

351

RHÉTORIQUE BIBLIQUE Collection dirigée par Roland Meynet et Pietro Bovati 1.

ROLAND MEYNET, L’Évangile selon saint Luc. Analyse rhétorique, Éd. du Cerf, Paris 1988.

2.

PIETRO BOVATI – ROLAND MEYNET, Le Livre du prophète Amos, Éd. du Cerf, Paris 1994.

3.

ROLAND MEYNET, Jésus passe. Testament, jugement, exécution et résurrection du Seigneur Jésus dans les évangiles synoptiques, PUG Editrice – Éd. du Cerf, Rome – Paris 1999.

RHÉTORIQUE SÉMITIQUE Collection dirigée par Roland Meynet avec Jacek Oniszczuk 1.

ROLAND MEYNET, L’Évangile de Luc, Lethielleux, Paris 2005.

2.

TOMASZ KOT, La Lettre de Jacques. La foi, chemin de la vie, Lethielleux, Paris 2006.

3.

MICHEL CUYPERS, Le Festin. Une lecture de la sourate al-Mâ’ida, Lethielleux, Paris 2007.

4.

ROLAND MEYNET, Traité de rhétorique biblique, Lethielleux, Paris 2007.

5.

ROLAND MEYNET, Appelés à la liberté, Lethielleux, Paris 2008.

6.

ROLAND MEYNET, Une nouvelle introduction aux évangiles synoptiques, Lethielleux, Paris 2009.

7.

ALBERT VANHOYE, L’Épitre aux Hébreux. « Un prêtre différent », Gabalda, Pendé 2010.

8.

ROLAND MEYNET, L’Évangile de Luc, Gabalda, Pendé 20113.

9.

MICHEL CUYPERS, La Composition du Coran, Gabalda, Pendé 2012.

10. ROLAND MEYNET, La Lettre aux Galates, Gabalda, Pendé 2012. 11. ROLAND MEYNET, Traité de rhétorique biblique, Gabalda, Pendé 20132. 12. ROLAND MEYNET – J. ONISZCZUK, Exercices d’analyse rhétorique, Gabalda, Pendé 2013. 13. JACEK ONISZCZUK, La première lettre de Jean, Gabalda, Pendé 2013. 14. ROLAND MEYNET, La Pâque du Seigneur. Passion et résurrection de Jésus dans les évangiles synoptiques, Gabalda, Pendé 2013. 15. MICHEL CUYPERS, Apocalypse coranique. Lecture des trente-trois sourates du Coran, Gabalda, Pendé 2014. 16. ROLAND MEYNET, L’Évangile de Marc, Gabalda, Pendé 2014.

RETORICA BIBLICA collana diretta da Roland Meynet, Pietro Bovati e Jacek Oniszczuk EDIZIONI DEHONIANE ROMA 1.

ROLAND MEYNET, Il vangelo secondo Luca. Analisi retorica, ED, Roma 1994.

2.

PIETRO BOVATI – ROLAND MEYNET, Il libro del profeta Amos, ED, Roma 1995.

3.

ROLAND MEYNET, «E ora, scrivete per voi questo cantico». Introduzione pratica all’analisi retorica. 1. Detti e proverbi, ED, Roma 1996.

EDIZIONI DEHONIANE BOLOGNA 4.

ROLAND MEYNET, Una nuova introduzione ai vangeli sinottici, EDB, Bologna 2001.

5.

ROLAND MEYNET, La Pasqua del Signore. Testamento, processo, esecuzione e risurrezione di Gesù nei vangeli sinottici, EDB, Bologna 2002.

6.

TOMASZ KOT, La fede, via della vita. Composizione e interpretazione della Lettera di Giacomo, EDB, Bologna 2003.

7.

ROLAND MEYNET, Il vangelo secondo Luca. Analisi retorica, seconda edizione, EDB, Bologna 2003.

8.

GIORGIO PAXIMADI, E io dimorerò in mezzo a loro. Composizione e interpretazione di Es 25–31, EDB, Bologna 2004.

9.

ROLAND MEYNET, Una nuova introduzione ai Vangeli Sinottici, seconda edizione rivista e ampliata, EDB, Bologna 2006.

10. ROLAND MEYNET, Trattato di retorica biblica, EDB, Bologna 2008. 11. JACEK ONISZCZUK, La Prima Lettera di Giovanni, EDB, Bologna 2008. 12. ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Retorica biblica e Semitica 1. Atti del primo convegno RBS, EDB, Bologna 2009. 13. ROLAND MEYNET, Chiamati alla libertà, EDB, Bologna 2010. 14. ALBERT VANHOYE, L’epistola agli Ebrei. «Un sacerdote differente», EDB, Bologna 2010. 15. JACEK ONISZCZUK, La passione del Signore secondo Giovanni (Gv 18–19), EDB, Bologna 2011. 16. ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Retorica biblica e Semitica 2. Atti del secondo convegno RBS, EDB, Bologna 2011. 17. ROLAND MEYNET, La lettera ai Galati, EDB, Bologna 2012. 18. GERMANO LORI, Il Discorso della Montagna, dono del Padre (Mt 5,1–8,1), EDB, Bologna 2013.

RETORICA BIBLICA E SEMITICA Collection dirigée par Roland Meynet et Francesco Graziano 1.

JACEK ONISZCZUK, Incontri con il Risorto in Giovanni (Gv 20–21), G&B Press, Roma 2013.

2.

ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, Esercizi di analisi retorica, G&B Press, Roma 2013.

3.

ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Studi del terzo convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, G&B Press, Roma 2013.

4.

ROLAND MEYNET, Luke: the Gospel of the Children of Israel, G&B Press, Roma 2015.

5.

ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Studi del quarto convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, G&B Press, Roma 2015.

6.

ROLAND MEYNET, Les huit psaumes acrostiches alphabétiques, G&B Press, Roma 2015.

7.

ROLAND MEYNET, Le fait synoptique reconsidéré, G&B Press, Roma 2015.

8.

ROLAND MEYNET, Il vangelo di Marco, G&B Press, Roma 2016.

RHETORICA BIBLICA ET SEMITICA 9.

ROLAND MEYNET, Les psaumes des montées, Peeters, Leuven 2017.

10. MICHEL CUYPERS, Le Festin. Une lecture de la sourate al-Mâ’ida, deuxième édition, Peeters, Leuven 2017. 11. ROLAND MEYNET – JACEK ONISZCZUK, ed., Studi del quinto convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, Peeters, Leuven 2017. 12. ROLAND MEYNET, Le Psautier. Cinquième livre (Ps 107–150), Peeters, Leuven 2017. 13. JACEK ONISZCZUK, Incontri con il Risorto in Giovanni (Gv 20–21), Peeters, Leuven 2018. 14. ROLAND MEYNET, Il vangelo di Marco, Peeters, Leuven 2018. 15. JACEK ONISZCZUK, «Se il chicco di grano caduto in terra non muore…» (Gv 11– 12), Peeters, Leuven 2018. 16. ROLAND MEYNET, Le Psautier. Premier livre (Ps 1–41), Peeters, Leuven 2018. 17. MASSIMO GRILLI – † JACEK ONISZCZUK – ANDRÉ WÉNIN, ed., Filiation, entre Bible et cultures. Hommage à Roland Meynet, Peeters, Leuven 2019. 18. FRANCESCO GRAZIANO – ROLAND MEYNET, ed., Studi del sesto convegno RBS. International Studies on Biblical and Semitic Rhetoric, Peeters, Leuven 2019.