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Italian Pages 622 Year 1990
HOBBES OGGI scritti di
B. Willms, F. Viola, A. Pacchi, K.M. Kodalle N. Malcolm, M.A. Bertman, Y.Ch. Zarka, A. Robinet G. Giorello, J. Bernhardt, E.C. Stroud A. Napoli, K. Schuhmann, G. Paganini, A~ Lupoli G.A.J. Rogers, G. Canziani, O. Bloch, N. Robbio, A. Colombo, M. Dal Pra, U. Scarpelli
6 • PRVDXN.TIA,
FILOSOFIA E SCIENZA NEL CINQUECEN1D E NEL SEICEN1D
FRANCO ANGELI
«Filosofia e scienza nel Cinquecento e nel Seicento» Nei suoi sviluppi più recenti, la ricerca storiografica ha messo in luce l'articolazione e la complessità delle categorie, che presiedono al costituirsi del sapere moderno. All'idea di una ragione 'pura' e tutta risolta nella sua consistenza speculativa, è venuta sostituendosi una consapevolezza più larga e approfondita delle svariate connessioni che legano la riflessione filosofica agli altri ambiti e alle pratiche dell'esperienza culturale. L'immagine di un'unica 'svolta copernicana' si è così arricchita con il riferimento alle molteplici 'rivoluzioni' che hanno attraversato le vicende del nostro pensare. Studiare oggi il Cinquecento e il Seicento significa confrontarsi con questo insieme di problemi e di suggestioni: la collana, che raccoglie i risultati dell'attività promossa dal Centro di studi del Consiglio Nazionale delle Ricerche in collaborazione con l'Università di Milano, riflette nelle sue distinte sezioni l'esigenza di intervenire sui punti nodali ove i percorsi delle filosofie e delle scienze si intrecciano con le ragioni della vita civile e con il complesso mondo delle credenze. Accanto agli studi monografici, la collana comprende una serie di volumi nella quale vengono presentate edizioni critiche di testi inediti o rari; un terzo settore, infine, è riservato a strumenti bibliografici di particolare interesse filosofico e scientifico. Dallo scavo di nuovi materiali, al reperimento di importanti fonti documentarie, alla ricostruzione di ambienti e figure rilevanti: sono queste le prospettive a cui si rivolgono le pubblicazioni del Centro, nell'intento di contribuire agli orientamenti multidisciplinari della storiografia contemporanea.
PUBBLICAZIONI DEL «CENTRO DI STUDI DEL PENSIERO FILOSOFICO DEL CINQUECENTO E DEL SEICENTO IN RELAZIONE Al PROBLEMI DELLA SCIENZA» DEL CONSIGLIO NAZIONALE DELLE RICERCHE Università degli Studi di Milano - Via Albricci 9, 20122 Milano Direttore: ENRICO RAMBALDI
HOBBES OGGI RELAZIONI E INTERVENTI DI J. BERNHARITT, M.A. BERTMAN, O. BLOCH, N. BOBBIO, G. CANZIANI, A. COLOMBO, M. DAL PRA, G. GIORELLO, K.M. KODALLE, A. WPOLI, N. MALCOLM, A. NAPOLI, A. PACCHI, G. PAGANINI, A. ROBINET, G.A.J. ROGERS, U. SCARPELLI, K. SCHUHMANN, E.C. STROUD, F. VIOLA, B. WILLMS, Y.Ch. ZARKA PREFAZIONE DI MARIO DAL PRA INDIRIZZO INAUGURALE DI FRANCESCO BARONE Atti del Convegno internazionale di studi promosso da Arrigo Pacchi (Milano-Locarno 18-21 maggio 1988) a cura di Andrea Napoli con la collaborazione di Guido Canziani
FRANCO -ANGELI
alla memoria di Arrigo Pacchi
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INDICE
Prefazione, di Mario Dal Pra
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Avvertenza, di Andrea Napoli
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Indirizzo inaugurale, di Francesco Barone
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Parte I - Orientamenti degli studi Il Leviatano e i tuffatori di Delo. Gli sviluppi della ricerca su Hobbes dal 1979, di Bernard Willms Hobbes tra moderno e postmoderno. Cinquant'anni di studi hobbesiani, di Francesco Viola
Parte II - Filosofia e teologia Hobbes e la teologia, di Arrigo Pacchi "Sterbliche Gotter": Martin Luthers Ansichten zu Staat, Recht und Gewalt als Vorgriff auf Hobbes, di Klaus M. Kodalle
Parte III - Le ragioni della politica Hobbes's Science of Politics and his Theory of Science, di Noel Malcolm Hobbes on the Character and Use of Civil Law, di Martin A. Bertman Droit de résistance et droit pénal chez Hobbes, di Yves Charles Zarka 5
Parte IV - Il linguaggio e le scienze Le "Léviathan" aujourd'hui: de l'automate langagier, di André Robinet Pratica geometrica e immagine della matematica in Thomas Hobbes, di Giulio Giorello L'oeuvre de Hobbes en optique et en théorie de la vision, di Jean Bernhardt Light and Vision: Two Complementary Aspects of Optics in Hobbes' Unpublished Manuscript A Minute or First Draught of the Optiques, di Elaine C. Stroud Metafisica e fisiologia dell'emotività in Hobbes, intervento di Andrea Napoli
pag. 199 »
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Norberto Robbio Arturo Colombo Mario Dal Pra Uberto Scarpelli Rernard Willms Norberto Robbio Arrigo Pacchi
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579 585 590 594 603 607 610
Indice dei nomi
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Parte V - Fonti e interlocutori Hobbes and Renaissance Philosophy, di Karl Schuhmann Hobbes, Gassendi e la psicologia del meccanicismo, di Gianni Paganini ... Omnino est impossibile cogitare se cogitare ... , intervento di Agostino Lupo/i
Parte VI - Ricezione e fortuna L'influenza nascosta di Thomas Hobbes, di G.A.J. Rogers Tra Descartes e Hobbes: la morale nel Système di PierreSylvain Regis, di Guido Canziani · Hobbes et le matérialisme des Lumières, di Olil'ier B/och
Tavola rotonda: Attualità e presenza di Hobbes
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PREFAZIONE di Mario Dal Pra
Era troppo naturale che Arrigo Pacchi, nella sua qualità di Direttore di un Centro del C.N.R. rivolto allo studio del pensiero filosofico e scientifico del '500 e del '600, ma soprattutto nella sua veste di autorevole specialista hobbesiano, si proponesse di cogliere l'occasione del terzo centenario della nascita del grande pensatore inglese per organizzare un importante convegno internazionale, che ha fatto confluire qui a Milano un gruppo scelto di studiosi, per ricordare i punti salienti dell'opera hobbesiana e le linee maestre della riflessione ivi consegnata. Per parte sua, Arrigo Pacchi aveva affrontato queste tematiche sin dalla giovinezza, percorrendo una via originale: anziché soffermarsi sui più consueti motivi della politica, egli aveva preferito affrontare i fondamenti del sistema, per lumeggiarli nella loro singola determinazione. Aveva così individuato connessioni problematiche e passaggi delicati ed importanti, che gli avevano consentito di delineare una più chiara lettura dei testi, un loro più organico rapporto e, insomma, un quadro più nitido e persuasivo della vasta costruzione hobbesiana. Per la prima volta in modo ampio e sistematico, venivano utilizzati a questo scopo gli importanti inediti lasciati dal filosofo inglese, i quali poi - anche per il merito della ricognizione di Pacchi - sarebbero stati pubblicati e messi così a disposizione degli storici. I risultati di queste ricerche confluirono prima in Convenzione e ipotesi nella formazione della filosofia naturale di Hobbes del 1965 e successivamente nella Introduzione a Hobbes del '71. Il Convegno, di cui qui si pubblicano gli Atti e per il quale è stato scelto il titolo significativo "Hobbes oggi", scaturisce sia dall'impegno appassionato che vi profuse Pacchi, sia dal lavoro collettivo degli studiosi e delle istituzioni che lo promossero: in primo luogo, il "Centro di studi del pensiero filosofico del Cinquecento e del Sei7
cento in relazione ai problemi della scienza". I membri del Consiglio scientifico di questo Centro hanno costituito in gran parte l'ossatura del Comitato preposto all'iniziativa. Ne hanno fatto parte: Francesco Barone, Guido Canziani, Mario Dal Pra, Giambattista Gori, Giorgio Lanaro, Gianni Paganini, Dino Pastine, Enrico Rambaldi, Carlo Augusto Viano, naturalmente insieme ad Arrigo Pacchi che ne è stato la guida tenace, laboriosa ed illuminata. Al Convegno ha assicurato un appoggio determinante, in quanto ente promotore, anche il Dipartimento di Filosofia dell'Università degli Studi di Milano, al quale vanno pertanto i più vivi ringraziamenti. Lo stesso Ateneo e la sua Facoltà di Lettere e Filosofia hanno dato il loro patrocinio, insieme al comune di Milano, al Dipartimento della Pubblica Educazione della Repubblica e Cantone del Ticino, alla Intemational Hobbes Association, oltre al British Council e all'Istituto Lombardo - Accademia di Scienze e Lettere - di Milano. Nel ringraziare tutti questi enti per il loro prezioso apporto, desidero qui esprimere particolare riconoscenza al Vicesindaco di Milano, Luigi Corbani, che ha assicurato il più largo sostegno del Comune allo svolgimento dei lavori, e all'Assessore all'Educazione, dott.ssa Marilena Adamo, che ha efficacemente rappresentato le autorità comunali durante il Convegno. I lavori (18-21 maggio 1988) si sono svolti in gran parte a Milano, fra l'Università e il Palazzo delle Stelline; l'intera tornata del 19 maggio ha avuto luogo presso la Biblioteca Regionale di Locarno. Il Direttore di questa istituzione, Antonio Spadafora, si è adoperato per la riuscita della giornata locarnese ed ha altresì promosso la pubblicazione di alcune fra le relazioni presentate al Convegno (quelle di Olivier Bloch, Guido Canziani, Arrigo Pacchi, Gianni Paganini, Francesco Viola, Yves Ch. Zarka, precedute da una introduzione biobibliografica di Andrea Napoli), su un "numero speciale" della rivista ticinese "Ragioni critiche" (n. 5/6, ottobre 1988): per tutto ciò va vivamente ringraziato. I testi raccolti in questo volume credo mostrino la notevole articolazione e il grado di approfondimento raggiunti dagli studiosi convenuti; in vari casi, anzi, i contributi presentavano un'ampiezza mag~iore di quanto i limiti fissati per l'esposizione orale consentissero. E parso perciò opportuno dare qui spazio ai testi integrali, nella convinzione che essi possano utilmente arricchire il quadro delle ricerche hobbesiane. Si deve al "Centro di studi del pensiero filosofico del '500 e '600", se il volume degli Atti compare nella collana che ad esso fa capo. 8
Particolare gratitudine desidero esprimere al Consiglio Nazionale delle Ricerche, al suo Presidente e al Comitato per le scienze storiche, filosofiche e filologiche, che, grazie al fattivo interessamento del collega Valerio Verra, hanno assicurato un generoso apporto alla riuscita del Convegno. Tale apporto è risultato tanto più prezioso, in quanto l'iniziativa ha visto un vasto concorso di studiosi. Tra essi, oltre ai nomi già citati, vorrei ricordare: Jeffrey Barnouw, Miguel Benitez, Davide Bigalli, Carlo Borghero, Gianfranco Borrelli, Giancarlo Carabelli, Paolo Casini, Fiorella De Michelis, Paolo Farina, Raffaello Franchini, Emilia Giancotti, Alfonso Ingegno, Agostino Lupoli, Tito Magri, Michel Malherbe, Gianni Micheli, Anna Minerbi, Andrea Napoli, Onofrio Nicastro, Franco Restaino, Giovanni Santinello, Antonio Santucci, Mario Sina, Fulvio Tessitore, François Tricaud, Cesare Vasoli, Mario Vegetti. A chiusura dei lavori del Convegno, si è svolta una tavola rotonda che ha messo in luce alcune ragioni dell'attualità di Hobbes, proponendola alla discussione di studiosi quali Norberto Bobbio, Arturo Colombo, Uberto Scarpelli, Bemard Willms. La relazione di Pacchi presentata al Convegno milanese esprime l'orientamento al quale da ultimo si erano indirizzati i suoi studi e manifesta cioè il vivo interesse che in questi anni era venuto maturando per il nesso di teologia e filosofia all'interno del pensiero hobbesiano. In questa direzione erano rivolti anche i numerosi lavori da lui preparati per altri convegni (Oxford, Capri, Modena, Urbino, ecc.), per raccolte di studi (fra cui segnalerò il saggio comparso nel volume collettivo Perspectives on Thomas Hobbes, Clarendon Press, Oxford 1988) o per nuove traduzioni hobbesiane da lui curate: Scritti teologici, Franco Angeli Editore, Milano 1988 e Leviatano, in corso di stampa presso l'Editore Laterza. Era ovvio che dovesse essere Arrigo Pacchi a scrivere questa prefazione e a licenziare per la stampa gli Atti del Convegno milanese. Ed invece, dopo la pausa operosa delle vacanze estive, una grave malattia lo ha assalito ed in breve, tra l'angoscia di tutti noi che gli volevamo bene, il 18 gennaio 1989 lo ha portato alla morte. È allora naturale che questo intero volume ne ricordi la memoria di studioso e di maestro e sia quasi il suggello delle sue lunghe accurate ricerche. Questi Atti siano dedicati al suo perenne ricordo.
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Avvertenza L'ordine con cui i testi si succedono nel volume di questi Atti riflette senza modifiche sostanziali quello seguito nello svolgimento del convegno "Hobbes oggi". Alla versione integrale delle sedici relazioni si sono inoltre aggiunti due interventi di studiosi che hanno preso parte ai lavori. I contributi di B. Willms e di G.A.J. Rogers vengono dati qui in traduzione italiana, d'accordo con gli autori. Il volume comprende infine i testi completi degli interventi dei cinque partecipanti alla tavola rotonda conclusiva. Segnaliamo, da ultimo, che è possibile leggere una cronaca dettagliata del convegno, a cura dello scrivente, sulle pagine della "Rivista di storia della filosofia", XLN (1989), pp. 163-173.
Andrea Napoli
IO
INDIRIZZO INAUGURALE di Francesco Barone
Prima di dare inizio alla tornata di apertura del Convegno internazionale, che ci vedrà riuniti per più giorni in occasione delle celebrazioni per il quarto centenario della nascita di Thomas Hobbes, sono lieto di introdurre i lavori con qualche parola di saluto a nome del "Centro studi del pensiero filosofico del '500 e '600 del Consiglio Nazionale delle Ricerche", Centro che ho qui l'onore di rappresentare. Il Convegno dedicato a Hobbes è il nono tra i Convegni organizzati dal Centro a partire dal 1976. E quasi sempre la presenza di qualificati studiosi stranieri ha dato all'aspetto "congressuale" dell'attività del Centro una tipica impronta internazionale. Del resto, l'attività congressuale è solo una delle direzioni in cui si sviluppa il lavoro di ricerca che il Centro persegue, nell'intento di contribuire al chiarimento della complessa articolazione di categorie che ha condizionato il costituirsi del sapere moderno. Le altre direzioni sono quella dell'edizione critica di testi inediti o rari, quella delle ricerche monografiche su autori e momenti culturali di particolare significato e, infine, quella dell'approntamento di strumenti bibliografici fondamentali per la ricerca. A vendo avuto la possibilità di seguire la vita del Centro sin dalle sue origini, sono tuttavia certo di non esagerare se affermo che la preparazione e l'attuazione dell'attuale Convegno su Hobbes sono state tra le imprese che più hanno impegnato le energie scientifiche del Centro e richiesto a tutti i suoi membri anche dedizione sul piano tattico della realizzazione. Una non cercata circostanza ha fatto sì che - durante la fase di preparazione del Convegno-, per le ferree disposizioni burocratiche, nella direzione del Centro al professor Mario Dal Pra - a cui tanto deve il Centro stesso - sia succeduto il professor Arrigo Pacchi, che è ben noto, anche fuori d'Italia, come studioso di Hobbes. La sua competenza ha grandemente facilitato il 11
lavoro del Comitato scientifico del Convegno, Comitato che è unanimemente grato a Pacchi per il suo prezioso contributo. Ma il contributo scientifico non bastava per attuare un "mega-congresso" qual è l'attuale. Ovviamente il "mega" è relativo alla dimensione dei Convegni sinora realizzati dal Centro: per lo più essi si sono svolti in quattro tornate di lavoro. Il nostro Convegno hobbesiano, invece, di tornate ne prevede sette; e, inoltre, due di esse, quelle del giovedì 19 maggio, si terranno a Locarno presso il salone della Biblioteca Regionale. Così il Convegno è internazionale non solo per le nazionalità dei partecipanti (e ben undici relatori su venti non sono italiani), bensì anche per la duplicità delle sedi di svolgimento. Quando si dibattono idee così a lungo, si va incontro a "costi" elevati: non solo nel senso metaforico di 1'costo" delle energie psichiche ed intellettuali, che devono essere spese dai partecipanti per seguire il dibattito, bensì anche nel senso economico dei "costi" richiesti dai vari aspetti pratici dell'organizzazione. E si spazia dalle sedi del Convegno ai viaggi dei relatori - compresi, nel nostro caso, gli spostamenti durante il Convegno stesso-, sino ad una ospitalità che sia non del tutto indegna dell'alto livello a cui gli intervenuti sapranno portare la discussione. Se tutto ciò sarà ottenuto non spetta certo a me il dirlo. E non sarebbe nemmeno possibile nel momento in cui il Convegno si apre. Il giudizio - mi auguro benevolo - spetterà, alla fine dei lavori, ai partecipanti stessi. Tuttavia, ciò che qui posso e debbo ricordare è il lungo e intenso lavoro di "organizzatori sul campo", che, unitamente al professor Pacchi, hanno svolto i ricercatori del Centro: la dottoressa Maria Teresa Monti ed i dottori Guido Canziani e Gianni Paganini, che compaiono entrambi anche come relatori nella penultima tornata del Convegno. Sin da ora è possibile constatare una loro "bravura": quella di aver saputo coagulare attorno all'iniziativa del Centro per questo Convegno hobbesiano l'interesse e l'appoggio di numerosi Enti patrocinatori. Mi pare doveroso ricordarli qui partitamente. In primo luogo, l'Università degli Studi di Milano; ed anche la Facoltà di Lettere e Filosofia della stessa Università. In particolare, poi, il Dipartimento di Filosofia ha direttamente collaborato col Centro nell'organizzazione del Convegno, ed i professori Giambattista Gori ed Enrico Rambaldi hanno fatto parte del Comitato scientifico del Convegno unitamente ai membri del Comitato scientifico del Centro. Infine, per completare la mia enumerazione degli Enti promotori, devo ancora ricordare: il Comune di Milano, il Dipartimento della 12
Pubblica Educazione della Repubblica e Cantone del Ticino, la International Hobbes Association, il British Council e l'Istituto Lombardo Accademia di Scienze e Lettere. A tutti questi Enti, ed alle persone che li hanno rappresentati, va il nostro cordiale ringraziamento. Questo Convegno su "Hobbes oggi" non si distingue però dai precedenti Convegni organizzati dal Centro soltanto per le particolarissime "dimensioni" che ho appena ricordato. Anche l'argomento del Convegno è del tutto particolare, in quanto ci chiama a fissare l'attenzione su una delle figure filosofiche che più hanno inciso nella formazione del pensiero moderno ed anche contemporaneo. Da un secolo, circa, le classiche opere di George Croom Robertson, di Georges Lyon e di Ferdinand Tonnies hanno ormai rivoluzionato l'immagine stereotipa che per due secoli aveva fatto di Hobbes uno scrittore "maledetto" ed un rappresentante di non troppo spicco della scuola empiristica baconiana. Ed in quest'ultimo secolo, il lavoro di molti studiosi ha messo in luce l'importanza dei motivi che fanno di Hobbes una figura di primo piano della filosofia moderna: sia attraverso l'analisi interna della sua opera - al fine di determinarne il carattere più o meno unitario e la sua posizione tra razionalismo e teologia-, sia anche attraverso i termini di un suo confronto con Descartes e con il sorgere della scienza galileiana. Fare il punto sullo stato delle ricerche storiografiche dedicate a Hobbes negli anni più recenti è quindi il compito primo del Convegno, di là dalla pura occasione celebrativa. Ed è un compito che sarà certo risolto nel modo migliore, data la statura dei relatori. C'è quasi una continuità ideale nel fatto che tale opera di aggiornamento avvenga a Milano e su proposta del Centro, cosl come era stata milanese l'iniziativa presa nel I 962 dalla "Rivista critica di storia della filosofia", diretta da Mario Dal Pra, di dedicare a Hobbes un intero fascicolo, a cui avevano collaborato - oltre a numerosi studiosi italiani, di cui alcuni sono presenti pure a questo Convegno - anche relatori stranieri come il Polio e il Warrender, che furono, negli anni Cinquanta, studiosi di spicco del pensiero hobbesiano. Ma un convegno intitolato "Hobbes oggi" non può avere soltanto un rilievo storiografico. Come sempre avviene per le figure dei "grandi" filosofi, la loro grandezza non è legata semplicemente a schemi storiografici consolidati dall'abitudine, bensì all'attualità che il loro pensiero ha anche per le epoche successive, pur diversissime per le condizioni storiche e culturali. È l'attualità del tessuto problematico affrontato dai "classici" della filosofia ciò che ci spinge di 13
continuo a "confilosofare" con essi, anche quando le soluzioni da essi proposte ci paiono controverse e discutibili. Nel caso di Hobbes ho presente, come esempio, il saggio (del 1976) di fohn Watkins, che è stato anche l'autore dell'importante studio complessivo sul pensiero di Hobbes, pubblicato nel 1965, e che ha per titolo Hobbes' s System of ldeas. Nel saggio del '76, Watkins trova spunto nel pensiero di Hobbes - movendo in particolare da una critica alle tesi hobbesiane circa la a-socialità e la a-moralità, per natura, degli uomini - per un esame teorico del nostro comportamento linguistico e morale, nella prospettiva di quella che oggi si suole chiamare "epistemologia evoluzionistica". Questo è solo un esempio tra i molti che si potrebbero citare. Ed io mi auguro, in conformità ad un certo mio qual gusto per le questioni teoriche, che il nostro Convegno incrementi con ulteriori esempi anche questo aspetto. Ma proprio questa speranza è un validissimo motivo che mi induce a non sottrarre ancora tempo ai relatori. Ringrazio dunque tutti i partecipanti, sia a nome mio che a nome del Centro. E formulando un reciproco augurio di buon lavoro, do la parola al primo relatore, il professor Bemard Willms.
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Parte prima
ORIENTAMENTI DEGLI STUDI
IL LEVIATANO E I TUFFATORI DI DELO. GLI SVILUPPI DELLA RICERCA SU HOBBES DAL 1979 * di Bernard Willms "Quello che ho capito rivela uno spirito elevato; come pure, credo, quello che non ho capito; solo che per ciò sarebbe necessario un tuffatore di Delo" Socrate a proposito di Eraclito; Diog. Laert., II, 22
Thomas Hobbes ha vissuto a lungo, tant'è vero che l'anno 1988 è il secondo anniversario hobbesiano in una stessa decade ( 1979: tricentenario della morte - 1988: quattrocento anni dalla nascita). L'intensità della ricerca non è diminuita nel periodo a cui ci riferiamo. In media ogni settimana appare nel mondo un contributo hobbesiano più o meno importante - se dunque nella Repubblica Federale
* Questa relazione si basa su una rielaborazione della conferenza tenuta il 18 maggio 1988 a Milano, in occasione del convegno "Hobbes oggi" organizzato da Arrigo Pacchi. Una versione in parte diversa è stata pubblicata in Germania su "Der Staat", XXVII (1988). Dopo quelle del 1962 (Einige Aspekte der neueren englischen Hobbes-Literatur, "Der Staat", I (1962), pp. 93-106), del 1967 (Von der Vermessung des Leviathan. Aspekte neuerer Hobbes-Literatur, "Der Staat", VI (1967), pp. 75-100 e pp. 220236) e del 1979 (Bemard Willms, Der Weg des Leviathan, "Der Staat", fascicolo 3, in seguito citato come Weg) questa è la quarta relazione sullo sviluppo della ricerca su Hobbes presentata dall'autore. Essa si differenzia dal volume precedente del 1979, ove si ambiva alla completezza riguardo alla letteratura hobbesiana, per il fatto di concentrare nuovamente l'attenzione su una scelta di testi nei quali gli orientamenti si esprimono nel modo più chiaro. Questa limitazione è risultata tanto più semplice in quanto nel 1988 è già stato pubblicato un Bulletin Hobbes I in "Archives de Philosophie", LI (1988), quaderno 2 (in seguito citato come: Bull. /), che analizza e documenta bibliograficamente lo stato della ricerca nei singoli paesi. Come ulteriori importanti bibliografie dovremmo citare Charles H. Hinnant, Thomas Hobbes. A Reference Guide, Boston 1980; William Sacksteder, Hobbes Studies (1879-1979). A Bibliography, Bowling Green (Ohio) 1982; Alfred Garcia, Thomas Hobbes. Bibliographie internationale de /620 à 1986, Centre de Philosophie Politique et Juridique Université de Caen, Caen 1986. Anche questa relazione si basa sulla conoscenza di tutta la letteratura che il lavoro bibliografico di Peter Collier ha reso possibile all'autore. Collier ha anche redatto le indicazioni bibliografiche in B. Willms, Thomas Hobbes. Das Reich des Leviathan, Miinchen 1987. 17
Tedesca ci si lamenta degli "hobbisti" 1 , a livello internazionale la stima e la risonanza di questo autore crescono continuamente. Per quanto riguarda i contenuti, negli ultimi anni essi appaiono variegati e molteplici come non mai; spaziano dalla questione del significato del riso in Hobbes fino a quella del valore della fede cristiana 2 - due cose che, come sappiamo da Umberto Eco in poi, per lungo tempo sono sembrate a molti del tutto inconciliabili. L'evento più importante del periodo a cui ci riferiamo è stato senza dubbio la pubblicazione dei primi due volumi di un'edizione critica delle opere. Da cinque anni sono disponibili la versione latina e quella inglese del De cive di Hobbes 3 - merito di Howard Warrender e della Oxford University Press - il cui apparato critico è pressoché inappuntabile. Questa edizione - pur dopo un periodo di preparazione effettivamente abbastanza lungo - ha finalmente "facilitato un po' la vita" 4 ai ricercatori. Si può sperare che il gruppo che è succeduto a Warrender, defunto nel 1985, manterrà gli standards di qualità di questi due primi volumi e forse accelererà un poco i tempi della pubblicazione 5 • Questa relazione prende in considerazione, nel senso già accennato, quattro diverse tendenze, che, nel loro insieme, danno il quadro dell'ultima decade. Essa tratta dapprima dei lavori relativi alla tradizione filosofica accolta da Hobbes e alla storia dell'influenza da lui esercitata (I); in seguito si rivolge alla questione del rapporto di Hobbes con la "scienza" in senso moderno (Il); passa poi a discutere un indirizzo che vorrei provvisoriamente chiamare il tentativo di "addomesticamento del Leviatano" (Ili). Verrà infine preso in considerazione il significato dei "tuffatori delici", ovvero di quel gruppo di lavori più recenti che si sforzano di restituirci l'immagine di un "Leviatano integrale" (IV).
I. Cfr. Jiirgen Habermas, Dìe neue Uniibersicht/ìchkeit, Frankfurt a.M. 1985, p. 107 ss. 2. David Heyd, The Piace of Laughter in Hobbes' Theory of Emotions, "Joumal of the History of ldeas", XLIII (1982), pp. 285-295. Per la teologia politica vedi più sotto. 3. Thomas Hobbes, De Cive, The Latin Version, e Idem, De Cive, The English Version. Criticai Edition by Howard Warrender. (The Criticai Editions of the Philosophical Works of Thomas Hobbes, Voi. Il e Voi. lii). Oxford 1983. 4. Richard Tuck, Warrender's De Cive, "Politica! Studies", XXXIII (1985), p. 315. 5. Al riguardo si è mostrato ottimista, durante il convegno milanese su Hobbes nel maggio 1988, Noel Malcolm, che appartiene a questo gruppo di successori e che ha fatto sperare nella pubblicazione entro breve tempo di un volume del "Carteggio".
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I Anche il più grande dei classici deve avere delle preferenze, e quanto più grande egli è, tanto più intense saranno le influenze da lui esercitate, e tanto più importanti saranno le ricerche intorno alle sue preferenze o alle tradizioni da lui recepite e più o meno elaborate. La storia delle tradizioni fatte proprie da Hobbes, come pure quella delle sue influenze, non è stata ancora scritta in modo scientificamente soddisfacente, nonostante i lavori eccellenti di Pacchi e nonostante i numerosi aspetti particolari che già sono stati trattati 6 • Per quanto riguarda singoli confronti, se ne trovano numerosi negli ultimi anni: da "Hobbes e Aristotele" a "Hobbes e Kelsen", "Hobbes e Jean-Paul Sartre"
7•
Manfred Riedel ha già cercato nel I 981 di "portare a una definizione la discussione intorno al rapporto tra Hobbes e Aristotele" 8 • Questa formulazione è piuttosto esigente; comunque anche qui si mostra una volta di più come proprio nella prospettiva hegeliana, che distingue Riedel, si possa giungere a istituire una correlazione storica sicuramente plausibile tra i due pensatori. Sviluppando ulteriormente l'approccio di Spragens, che parla della trasformazione del paradigma politico da Aristotele a Hobbes, Riedel sceglie una formulazione che in apparenza mitiga la contrapposizione: quella di "evoluzione del paradigma". Ciò significa che - nonostante la netta presa di distanze verbale assunta da Hobbes nei confronti di Aristotele - egli colloca il pensatore inglese nella tradizione della teoria politica fondata dallo Stagirita e da Platone (ibid., p. 102). La differenza risulta da sviluppi storici reali: "La trasformazione del cittadino in suddito, che in quanto uomo tende al privato, è in re ipsa," (ibid., p. 109). Riedel però continua: Hobbes lascia cadere la formula classica dell'identità, senza scoprire la
6. Per es. A. Pacchi, Convenzione e ipotesi nella formazione della filosofia naturale di Thomas Hobbes, Firenze 1965; riguardo a Pacchi cfr. Willms, Weg, pp. 183 e 228. . 7. Cfr. Manfred Riedel, Paradigmawechsel in der politischen Philosophie? Hobbes und Aristoteles, in: Otfried Hoffe (ed.), Freiburg (Schweiz) 1981; C. Johnson, The Hobbesian Concept of Sovereignity and Aristotle's Politics, "Joumal of the History of Ideas", XLVI (1985), pp. 327-347; Francesco Gentile, Hobbes et Kelsen. Elément pour une lecture croisée, "Cahiers Vilfredo Pareto/Revue Européenne des sciences sociales", XX (1982), pp. 379-392; Jean Roy, Hobbes et Sartre, "Cahiers Vilfredo Pareto/Revue Européenne des sciences sociales", XX (1982), pp. 393-430. 8. M. Riedel, art. cit., p. 95.
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formula moderna della differenza: che lo Stato e la società civile sono separati (ibid.).
Ora, se si considera di nuovo la cosa dal· punto di vista di Hegel, bisogna certo acconsentire; ma - va detto - qui non si tiene conto del fatto che già lo stesso Hobbes reca, in nuce, un cospicuo contributo nella prospettiva di separazione fra Stato e società civile 9 • È ancor sempre utile paragonare per qualche aspetto Hobbes a Rousseau 10 , sebbene, nel periodo a cui questa relazione fa riferimento, i confronti numericamente più frequenti siano quelli con Spinoza 11 • L'argomento "Hobbes e Spinoza" sembra quasi svilupparsi in una propria disciplina speciale, ma ogni ulteriore lavoro in questo campo dovrà confrontarsi con le profonde analisi di Jean Bernhardt e Karl Schuhmann 12 , il secondo dei quali a ragione afferma in un recente lavoro: Solo attraverso un'adeguata ricostruzione del contesto che si delinea in base alla teoria della scienza antica, alla sua interpretazione rinascimentale e alla sua continuazione nel diciassettesimo secolo, si può arrivare a risultati validi nella questione della posizione di Spinoza verso la dottrina del metodo di Hobbes 13 • 9. Riguardo a questo problema in Hobbes cfr. B. Willms, Vermessung, art. cit., p. 93. IO. Janine Chanteur, Nature humaine et pouvoir politique chez Hobbes et Rousseau; Franck Tinland, La souveraineté et la moderation des pouvoirs se/on Th. Hobbes et J.J. Rousseau; Jean Pierre Duprat, Le statut de la religion dans la pensée politique de Hobbes et de Rousseau; tutti in: "Cahiers Vilfredo Pareto/Revue Européenne des sciences sociales", XX (1982), p. 191 ss. 11. Cfr. Manfred Walther, Die Transformation des Naturrechts in der Rechtstheorie Spinozas, "Der Staat", XXV (1986), p. 55 ss.; i fascicoli delle riviste "Archives de Philosophie", XLVIII (1985), n. 2, e "Revue Philosophique de la France et de l'Etranger", 1985, n. 2 (numero speciale: Hobbes e Spinoza); Micheline Triomphe, Hobbes, Spinoza et "The Reasonablenes of Christianity", "Cahiers Vilfredo Pareto/Revue Européenne des sciences sociales", XX ( 1982), p. 136 ss. Nell'ottobre 1988 si è tenuto a Urbino un convegno sul tema "Hobbes e Spinoza". Cfr. anche i benemeriti "Studia Spinozana", pubblicati dal 1985 a Hannover, editi da Giancotti, Matheron e Walther, in part. il voi. 3 (1987): Centrai Theme: Spinoza and Hobbes. 12. Si rimanda qui soprattutto al contributo eccezionalmente profondo di Jean Bernhardt riguardo allo Short Tract di Hobbes, in : Thomas Hobbes, Court Traité de Premiers Principes. Le "Short Tract on First Principles" de /630-163/. La naissance de Thomas Hobbes à la pensée modernes, Texte, traduction et commentaire par Jean Bemhardt, Paris 1988. Gli ulteriori lavori di Bernhardt sono elencati nel Bui/. I, p. 268 ss. 13. Karl Schuhmann, Methodenfragen bei Spinoza und Hobbes: Zum Problem des Einjlusses, "Studia Spinozana", III (1987), p. 80.
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Con i suoi studi fino ad ora pubblicati, proprio Karl Schuhmann ha compiuto in questo campo un lavoro eccellente, così come pure François Tricaud nella sua opera, indispensabile da decenni, sui testi di Hobbes e i loro riferimenti 14 • Rimando qui allo studio di Schuhmann del 1986, nel quale egli dimostra l'origine della annihilatio metodologica a partire da Francesco Patrizi (1529-1577), e allo studio del 1985 sugli aspetti ermeneutici del pensiero di Hobbes 15 • Per quanto riguarda la questione del rapporto di Bacone, Vico e Leibniz con Hobbes, vi sono eccellenti lavori sia di Schuhmann che di Jeffrey Barnouw: la loro profonda erudizione arricchisce tutta la ricerca intorno a Hobbes di fondamenta sempre più solide 16. Un recente ampio lavoro - per ora in forma di dissertazione - è stato presentato da Johann Hans Joseph Schneider 17 , il quale cerca di presentare l'influenza di Duns Scoto e di Guglielmo di Ockham su Hobbes, in particolare per quel che concerne le dottrine dell'ambizione, della volontà e della obligatio, come pure per l'ambito della teologia politica. Nemmeno Schneider però riesce a dimostrare un'influenza diretta di Scoto e di Ockham, e sembra che anche in futuro si dovrà rinunciare a una siffatta dimostrazione, cosa non priva di rilievo per la discussione sul nominalismo di Hobbes 18 . Ma l'ipotesi di Schneider sembra plausibile sotto il profilo dei contenuti, dal momento che egli, presupponendo l'evidente conoscenza di Aristotele da parte di Hobbes, la motiva sostenendo che questi dovrebbe aver
14. I lavori di Tricaud si trovano in A. Garcia, op. cit., p. 197 ss. Particolarmente importante è il capitolo redatto da Tricaud, Hobbes und sein Umkreis, in: Jean-Pierre Schobinger (ed.), Die Philosophie des 17. Jahrhunderts (Ueberweg, Grundriss der Geschichte der Philosophie, Bd. 3, vollig neu bearbeitet Ausgabe), Base! 1988, p. 91 ss. 15. K. Schuhmann, Thomas Hobbes und Francesco Patrizi, "Archiv fiir Geschichte der Philosophie", LXVIII ( 1986), pp. 253-279; Idem, Rapidità del pensiero e ascensione al cielo: alcuni motivi ermetici in Hobbes, "Rivista di storia della filosofia", XL (1985), p. 203-227; cfr. anche,dello stesso autore, Geometrie und Philosophie bei Thomas Hobbes, "Philosophisches Jahrbuch der Gorres-Gesellschaft", XCII (1985), pp. 161-177. 16. Riguardo a Schuhmann ibid.. Jeffrey Barnouw ha pubblicato una quantità di lavori relativi all'argomento; i più importanti sono elencati in Bull. I, pp. 305 e 314. 17. J.H.J. Schneider, Thomas Hobbes und die Spatscholastik, Diss., Bonn 1986. 18. Che Hobbes sia "nominalista" è un fatto che generalmente viene sostenuto, anche se non si conoscono influenze dirette. L'attribuzione è però resa problematica da nuove ricerche, che mettono ampiamente in dubbio il complesso globale del "nominalismo" - almeno per quanto riguarda le osservazioni fino ad oggi ritenute ovvie. Cfr. riguardo a ciò: Jakob Taubes (ed.), Gnosis und Politik (Religionstheorie und politische Theologie, Bd. 3), Miinchen u.a. 1986.
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conosciuto il filosofo greco in una forma già influenzata da Scoto e Ockham. "Hobbes e Locke" vengono riuniti in due pubblicazioni autonome: di Mace nel I 979 e di von Leyden nel 1982 19 • Entrambi tendono a portare il raccolto hobbesiano nel granaio liberale e si volgono in tal modo contro Coleman, che nel 1977 aveva invece denunciato questa eredità di Hobbes come "liberalismo", indicandola come responsabile di tutti i mali odierni della società americana 20 • Questa tesi venne confutata con argomentazioni relativamente deboli nel 1984 da Terry Heinrichs, il quale cercò di dimostrare che la teoria di Hobbes non è né liberale né democratica e che essa non ha assolutamente nulla a che vedere né con il pensiero liberale né con la pratica dei liberali di oggi negli Stati Uniti 21 . Al riguardo, von Leyden e Mace hanno avuto- indirettamente - maggior successo, soprattutto perché essi, e in particolare von Leyden, analizzano il legame tra libertà, dovere e ordine, che sarebbe peculiare di questo liberalismo originario in Hobbes e in Locke. In tal modo si descrive al tempo stesso una specie di forma originaria di liberalismo, che è pur sempre appropriata a criticare la sua deformazione moderna 22 .
II In questa sezione vogliamo soprattutto richiamare l'attenzione su un libro che a nostro avviso rientra fra le più eccitanti esperienze di lettura in questo campo. Si tratta dell'opera: Leviathan and the Air pump di Steven Shapin e Simon Schaffer, 1985 23 . Gli autori avevano pubblicato una parte del loro capitolo II già l'anno precedente, nella rivista "Social Studies of Science", con il titolo musicale Pump
19. George Mace, Locke, Hobbes ami the Federalist Papers, London, Amsterdam 1979; Wolfgang von Leyden, Hobbes and Locke. The Politics of Freedom ami Obligation, New York 1982. 20. Frank. M. Coleman, Hobbes and America: Exp/oring the Constitutional Foundations, Toronto, Buffalo U.P. 1977; e Idem, The Hobbesian Basis of American Consistutionalism, "Polity", VII (1974/75), pp. 57-89. Per Coleman cfr. Willms, Weg, p. 175 ss. 21. Terry Heinrichs, Hobbes ami the Coleman Thesis, "Polity", XVI (1984), pp. 647-666. 22. Cfr. a questo riguardo le osservazioni su Eisenach e Botwinick nella IV sezione del presente lavoro. 23. Steven Shapin/Simon Schaffer, Leviathan ami the Air-pump. Hobbes, Boy/e ami the Experimental Life, Princeton 1985.
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and Circumstances 24 • Per caratterizzare il valore di questo libro notevole, dobbiamo partire da più lontano. Per quanto la ricerca tradizionale su Hobbes abbia messo in evidenza il significato del pensiero politico di questo autore, essa tuttavia si è sempre trovata in un certo imbarazzo quando le venivano rimproverate le deficienze riscontrabili nelle concezioni hobbesiane relative ai fondamenti delle scienze naturali, o addirittura se ne facevano notare i difetti matematici o gli errori fisici. È stata infatti la scienza naturale, per esempio di Boyle e dei suoi successori, costruita sul riconoscimento di fatti dimostrati sperimentalmente, ad avere in apparenza "ragione" sul piano storico. Nonostante le ricerche in proposito di Bernhardt, Ronchi e altri, questa opinione si è fondamentalmente mantenuta 25 . Ora, Shapin e Schaffer dimostrano che l'atteggiamento di spontanea adesione rispetto all'esperimento e al concetto di fatto proprio della moderna scienza esatta può essere assunto solo all'interno di un paradigma di scienza che nel frattempo è esso stesso divenuto storico e che nella sua autorità assoluta viene oggi, davanti a noi, sempre più scosso - non da ultimo per effetto delle assurdità della tecnica nucleare, prodotte dall'osservanza di questo paradigma, sempre definito in sede critica come "fede nella scienza". Se ci si chiarisce che questa concezione della scienza, secondo Wittgenstein, è solo un "gioco linguistico" - nel senso di attività sociale sulla base di regole riconosciute, ma da relativizzare - allora il paradigma della dominanza della razionalità politico-sociale, proposto a suo tempo da Hobbes, diviene di grande interesse. La storia, anche la storia delle scienze naturali, viene scritta dai vincitori. A partire dal diciassettesimo secolo, la società si è orientata sempre più secondo il paradigma della conoscenza dei fatti e ha così stabilito un'autorità in apparenza sospesa in aria, puramente razionale. Ma osservano giustamente Shapin e Schaffer al riguardo: But for Hobbes any profession that claimed such a segregated area of competence, whether priestly, legai, or natural philosophical, was thereby subverting the authority of the undevided state. The events of the restauration made that authority a vi tal concem for philosophy 26 .
24. "Socia! Studies of Science", XIV (1984), p. 481 ss. 25. Riguardo a Bemhardt, op. cit.; Vasco Ronchi, Preface a: Thomas Hobbes, De Homine. Traité de l'homme. Traduction et cornmentaire par Paul-Marie Maurin, Paris 1974, pp. 5-26. Riguardo a questo autore cfr. B. Willms, Weg, p. 23 ss. 26. Shapin/Schaffer, op. cit., p. 284.
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In quanto Shapin e Schaffer per così dire riabilitano la proposta di Hobbes, partendo sia dalla logica della storia sia da riflessioni epistemologiche moderne, il loro libro non diviene solo un contributo alla questione del "Leviatano integrale", bensì la prima grande monografia su Hobbes dell'epoca postmoderna. Gli aspetti di moda della disputa intorno al "moderno e postmoderno" non devono qui essere sopravvalutati. Il nocciolo di questo sviluppo del pensiero e delle idee politiche sembra però consistere nel fatto che il paradigma centrale dell'epoca moderna, quello cioè che definisce il rapporto produttivo dell'uomo col mondo come intervento sperimentale, scientifico-fattuale, tecnico s,ulla natura, da molto tempo ha perso il suo carattere di ovvietà. E naturale che divenga di nuovo interessante una filosofia che fin dall'inizio si è posta in modo scettico nei confronti del paradigma decisivo dell'epoca moderna. Hobbes diventa qui autore postmoderno avant la lettre, e con ciò si aprono alla ricerca prospettive decisamente nuove. In questo senso si potrebbe naturalmente anche formulare ex novo la domanda, e rispondervi, indicando per quale motivo Hobbes non sia mai diventato una delle figure di integrazione dominanti dell'epoca moderna: egli si è subito collocato oltre quest'epoca. E perciò si vede anche come possa essere più fruttuoso discutere Hobbes in confronto a Hans Jonas o Jean François Lyotard piuttosto che in confronto a Rawls, per esempio, il quale al massimo può appartenere all'epoca moderna 27 • Che si sia preso in esame più da vicino proprio questo lavoro, non significa voler tralasciare i meriti di studi quali quelli di Bernhardt o altri 28 • Soprattutto, è necessario accennare alla sempre maggiore importanza dell'analisi sul significato della lingua in Hobbes, per la quale si possono citare ad es. Sacksteder, Danford o Terence Bali 29 , ma soprattutto deve essere ricordata l'edizione inglese della Computatio sive logica, comprendente un commentario e un'esauriente prefazione, realizzata da Isabel Hungerland, prematuramente scomparsa, insieme a George R. Vick 30 • 27. La repulsione dell'epoca "moderna" nei confronti di Hobbes si rivela sempre nelle battaglie di retroguardia: cfr. per questo Habermas, op. cir. 28. Vedi le opere sopra citate degli stessi autori. 29. William Sacksteder, Some Ways of Doing Language Philosophy. Nominalism, Hobbes and the Linguistic Turn, "Review of Metaphysics", XXXIV (1981), pp. 459-486; John W. Danford, The Problem of Language in Hobbes's Politica{ Science, "The Joumal of Politics", XLII (1980), pp. 102-134; Terence Bali, Hobbes's Linguistic Turn, "Polity", XVII (1985), pp. 739-760. 30. Thomas Hobbes, Computatio Sive Logica. Logie, Translation and Commentary by Aloysius Martinich. Edited and with an Introductionary Essay by Isabel C. Hungerland and George R. Vick, New York 1981. Il saggio introduttivo comprende più di 160 pagine.
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III La reputazione di gui gode la ricerca su Hobbes incoraggia una gran quantità di fellow-travellers. E in particolare la filosofia pratica di Hobbes si presta sempre a qualche breve esercizio. Ecco un saggio sulla rappresentazione, poi uno su che cosa possa significare veramente legge di natura e un altro ancora sull'"egoismo psicologico". Lavori di questo tipo vengono prodotti ali' incirca secondo il seguente modello: "Il più delle volte (o frequentemente, o prevalentemente) si dice che il problema X si scinde in Hobbes nei fattori A, B, Ce D. Io cerco qui di mostrare che oltre a questo esiste anche un fattore d, che o Hobbes stesso ha dimenticato o che in lui non è stato notato, senza il quale però quel tale problema non può essere visto nella sua giusta luce". Di queste categorie di lavori fanno parte quasi un terzo dei saggi prodotti nel periodo considerato dalla relazione, in particolare quelli provenienti dagli Stati Uniti. Il rapporto tra questo tipo di saggi e gli importanti lavori di cui qui si parla e si parlerà è assimilabile a quello che intercorre tra i bambini che pescano le monetine dalla fontana di Trevi e i "tuffatori delici". Ciò però non significa affatto che si possa semplicemente sorridere di tutta questa montagna di carta. In primo luogo, anche qui si può mostrare come la orthodox undergraduate view 31 degli anni ottanta si distingua rispetto a quella degli anni sessanta per una particolare visione dei problemi, nel senso che determinati· modelli interpretativi tradizionali, provenienti da manuali come ad es. quello di Sabine, vengono man mano superati. Anche la ricerca su Hobbes sottostà alla legge della distribuzione media gaussiana, combinata con l'idea risaputa secondo cui ogni cosa può essere fatta bene, mediamente bene, o male. Se tutti questi lavori non vengono qui menzionati, ma piuttosto caratterizzati un po' globalmente, questa ampia zona intermedia ci deve però interessare, perlomeno per ciò che attiene alle modificazioni di tendenza cui s'è accennato. Del resto è fuori questione che nell'ambito della saggistica si trovino molte perle, e io vorrei qui espressamente menzionare la discussione sul rapporto di Hobbes con Tucidide alla quale hanno preso parte George Klosko, Daryl Rice e Clifford W. Brown jr., e dalla quale risulta che la costruzione hobbesiana dello "stato di natura" deve a
31. Rispetto a questa fonnulazione assai calzante, cfr. B. Willms, Weg, p. 23.
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Tucidide molto di più di quanto finora non si fosse compreso 32 . Una discussione originale è anche quella che tratta in Hobbes la questione della legge e della giustizia in riferimento allo stolto. L'origine è biblica: "Lo stolto dice nel suo cuore che non esiste giustizia". Alla discussione presero parte, tra gli altri, Alan Zaitchik e Thomas Scally 33. Naturalmente non si possono dimenticare gli importanti e poderosi volumi nei quali sono documentati i convegni degli anni dal 1979 fino al 1987, quelli di Boulder, Leusden, Strasburgo o Amburgo, per citarne solo alcuni 34 • Un aspetto particolare che deve essere inoltre rilevato con piena soddisfazione è costituito, tra gli altri, dal fatto che il Behemoth venga inserito sempre più nella ricerca su Hobbes. Dopo che in Germania già negli anni trenta Schmitt e Schelsky vi hanno richiamato l'attenzione, e dopo i lavori di Mc Gillivray e Ashcraft 35 , si può oggi far riferimento a una ulteriore serie di studi sul Behemoth: voglio citare soprattutto quello di Paulette Carri ve 36 , in cui si mostra con quale univocità il Behemoth, impostato come storia della guerra civile e come analisi delle sue cause, corrisponda nei suoi risultati alla struttura del Leviatano - in particolare allo "stato di natura". È questa un'indicazione assai importante sia riguardo al ruolo della guerra civile come provocazione e occasione del pensiero hobbesiano in generale, sia riguardo al significato della lingua e delle definizioni politiche. A questo si aggiungono i lavori di Mark Hartman e di Robert Kraynak 37 . 32. George Klosko/Daryl Rice, Tukydides and Hobbes's State of Nature, "History of Politica! Thought", VI (1985), p. 405 ss.; Clifford Brown Jr.. Thukydides, Hobbes and the Derivation of Anarchy, "History of Politica! Thought", VIII (1987), p. 33 ss. 33. Thomas Scally, The Foo/'s Heart and Hobbes's Head, "Dialogue. Canadian Philosophical Review", XX (1981), pp. 674-689; Alan Zaitchik. Hobbes's Rep/y to the Fool. The Problem of Consent and Obligation, "Politica) Theory", X (1982), pp. 245-266. Cfr. anche il capitolo 4-3, "Cooperation and the Fool" in Gregory S. Kavka, Hobbesian Mora/ and Politica/ T/1eory, Princeton 1986. 34. Craig Walton/Paul J. Johnson (eds.). Hobbes's Science of Natural Justice, Dordrecht 1987 (Boulder); J.G. van der Bend (ed.), Thomas Hobbes. His View of Man, Amsterdam 1982 (Leusden); "Revue Européenne des sciences sociales, Cahiers Vilfredo Pareto, XVIII (1980) n. 49 (StraBburg); Udo Bennbach/Klaus Kodalle (eds.), Furcht und Freiheit, Opladen 1982 (Hamburg). 35. Rispetto a queste discussioni meno recenti, cfr. B. Willms, Weg, p. 147 ss. 36. Paulette Carrive, Béhémoth et Léviathan, "Cahiers de Philosophie politique .!t juridique de l'Université de Caen", III ( 1983), pp. 9-48. 37. Mark Hartman, Hobbes's Concept of Politica/ Revolution, "Journal of the History of Ideas", XLVII (1986), p. 487 ss.; Robert Kraynak, Hobbes's Behemoth and the Argument for Absolutism, "The American Politica! Science Review", LXXVI (1982), pp. 837-847.
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Uno spazio eccessivo occupa nella letteratura, soprattutto nei saggi, la questione del rapporto di Hobbes con il neocontrattualismo, in particolare con quello di Rawls. Parlo di eccesso, perché sostengo qui l'opinione che la discussione Hobbes-Rawls possa solo condurre su false strade. Il neocontrattualismo di Rawls non è che la riproduzione generalizzata di una autocomprensione politico-liberale specificamente statunitense con il sostegno del "modell-D contrattualistico" del XVII e XVIII secolo. Né tale generalizzazione né tale sostegno fanno di Rawls un teorico veramente attuale - al massimo lo rendono un teorico troppo moderno. Nella prospettiva odierna bisognerebbe capire che non è possibile prescindere dal fatto che il pensiero contrattualistico è già stato annullato e sorpassato dalla dialettica hegeliana, come anche Riley sembra mostrare nel suo libro del 1982 38 , senza tener conto del successivo sviluppo della dottrina dello Stato nel XX secolo. Trattare Hobbes dal punto di vista di Rawls mi sembra il vero "addomesticamento del Leviatano", cioè una minimizzazione utilizzabile quanto vantaggiosa delle idee antropologiche di Hobbes, del suo atteggiamento scettico, della sua concezione non edificante della libertà e delle sue severe conseguenze politiche. Questa riduzione del potenziale del pensiero hobbesiano attraverso il confronto con Rawls - il quale intelligentemente non nomina Hobbes - è però solo un aspetto dell '"addomesticamento del Leviatano" riscontrabile nella letteratura. Si tratta di una riduzione che può essere fatta risalire alla differenza fondamentale tra la comprensione anglosassone e quella continentale della filosofia, differenza che ha un ampio significato a livello delle idee politiche. In base alla discussione su Hobbes vogliamo analizzare più approfonditamente questa differenziazione. Per prima cosa è necessario premettere che essa non è esclusiva. Da un lato, non è possibile qualificare in questo modo tutti gli sforzi anglosassoni intorno a Hobbes: ancora una volta vogliamo espressamente fare riferimento al complesso dell'argomentazione di Pocock e Skinner 39 , come pure a quei lavori che si collocano nella tradizione di Leo Strauss, Eric V oegelin o anche di Hannah Arendt, fra i quali soprattutto il primo è responsabile - oltre che dei propri lavori di un libro assai importante per l'ambito più ristretto della ricerca su Hobbes: quello di Irene Coltman 40 • Anche qui si può del resto trova38. Patrick Riley, Will and Political Legitimacy. A Criticai Exposition of Social Contract Theory in Hobbes, Locke, Rousseau and Hegel, Cambridge, London 1982. 39. Cfr. riguardo a questo B. Willms, Weg, p. 38 ss. 40. Irene Coltman, Private Men and Public Causes, London 1962.
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re un notevole sforzo di approfondimento ne11a prospettiva de11a storia delle idee. AJlo stesso modo, neppure l'Europa continentale è stata risparmiata da questa tendenza anglosassone - ciò che, quanto a11a Repubblica Federale Tedesca, non poteva non verificarsi, data la situazione di tipo quasi neocoloniale in cui si è trovata sotto il profilo del1e idee politiche. Così i lavori di Otfried Hoffe vanno sicuramente addebitati a11 'orientamento anglosassone 41 • La differenza è però da vedersi fondamentalmente in quanto segue. Da quando G. E. Moore e B. Russe11 fondarono intorno a11a fine del secolo la filosofia analitica, essa si è costantemente sviluppata soprattutto nell'ambito linguistico anglosassone, influenzata sia dal neopositivismo viennese (R. Camap), sia dal primo e poi dal tardo Wittgenstein delle Ricerche filosofiche (] 953). Questa evoluzione conduce, in fondo, all'abbandono della filosofia tradizionale attraverso un'esigenza di esattezza, che si orienta in base a11o sviluppo de11e scienze positive. Da un lato i contenuti della filosofia tradizionale vennero assorbiti, uno dopo ]'altro, nell'ambito di un'attività scientifica che aveva di sé una autorappresentazione positiva, e da11 'altro gli stessi contenuti apparivano come metafisici, insostenibili secondo criteri di esattezza. Alla filosofia quindi rimaneva apparentemente solo l'ambito delle strutture formali; essa divenne logica della scienza e analisi de11a lingua. 11 fatto che potesse guardare indietro a una ricca tradizione logica e di analisi formale (Frege, Brentano), rafforzava la sua autocoscienza tanto quanto il livello che aveva raggiunto di esattezza formalizzata, anche matematica 42 . 41. Otfried Hoffe, che pure ha dei meriti negli studi su Rawls, rappresenta un buon esempio per vedere quanto sia sterile questo approccio per la storia delle idee, almeno nella letteratura su Hobbes. Cfr. Otfried Hoffe, Widerspriiche im leviathan. Zur Aktualitiit der Staatsphilosophie von Tlwmas Hobbes, "Merkur", Xli (1979), pp. 1186-1203; e Idem, Zur Aktualitiit der Sraatsphilosophie von Thomas Hobbes, in: Idem, Anthropologie, cit.. Hoffe sovranamente ignora i risultati della ricerca svoltasi fino ad oggi e "nella giustificazione più brillante e metodologicamente più coerente del potere statale illimitato" di Hobbes ( !) (art. cit., p. 1186) si costruisce l'immagine di una filosofia dello Stato, le cui "contraddizioni" e il cui "fallimento" costituiscono evidentemente una provocazione attuale a far meglio. E dunque egli presenta subito anche la propria filosofia dello Stato: Otfried Hoffe, Politische Gerechtigkeit. Grundlegungen einer kritischen Philosophie von Recht und Staat, Frankfurt a.M. 1987. Chi scrive si riserva di valutare tale opera in una prossima pubblicazione. 42. Nel processo descritto, in verità Ludwig Wittgenstein ebbe più che altro l'effetto di un catalizzatore, mentre è meno facile integrarlo in quello sviluppo. Pur potendo essere considerato come una delle ultime manifestazioni filosofiche del "moderno", egli fu altresì tra i fondatori più importanti del "postmoderno", ed è perciò esposto a una ricezione nuova e del tutto diversa, che si evidenzia per es. in Jean-François Lyotard. Cfr. per es. di questo autore, Das postmoderne Wissen, Graz, Wien 1986.
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L'arroganza della filosofia analitica aveva una corrispondenza, sul piano delle idee politiche, nella pretesa degli Stati Uniti di definire il "mondo libero". Nel nostro contesto è di particolare importanza il fatto che negli Stati Uniti e da parte di una concezione della scienza politica lì sviluppatasi si dichiarasse semplicemente "defunta" la filosofia politica. In verità due cose intralciavano il passo a questa dichiarazione di morte: innanzitutto il complesso della filosofia storicopolitica a partire da Platone e Aristotele e le pretese conoscitive e teoriche ivi incluse. La considerazione di tutto ciò doveva far saltare i vincoli troppo stretti di un modo di filosofare solo analitico, e la temporanea autonomizzazione - delineatasi negli anni cinquanta e sessanta - di un ambito specialistico attinente alla Politica[ Philosophy, nel senso di "Storia delle idee politiche", rimase alla lunga insoddisfacente. Il secondo motivo, per cui quella dichiarazione di morte rimase un errore, va visto senza dubbio nell'esigenza di dare legittimazione teorica al sistema politico occidentale, un'esigenza alla quale la filosofia politica storicamente aveva in apparenza corrisposto, per lo meno dal punto di vista della posterità. In ogni caso l'assillo creato da una realtà densa di problemi era tale, che non era possibile affrontarlo né con la sola "storia delle idee" né con analisi formali astrattamente esatte. Tra queste due, comunque, la filosofia politica, dichiarata defunta, condusse in un primo tempo un'esistenza insicura, e non c'è da stupirsi che da un lato essa presentasse - per es. nell'ambito della ricerca su Hobbes che qui ci interessa - lavori che erano tanto più significativi quanto più si dedicavano al loro oggetto senza tener conto del metodo 43 , e che, dall'altro lato, nel 1972 un libro come A Theory of Justice di John Rawls venisse accolto come l'acqua dalla terra inaridita 44 • Per quanto riguarda la posizione di Rawls bisogna ricordare un'altra cosa: si tratta della ripresa di un concetto formalizzato della teoria - senonché la ripresa della scienza della politica statunitense sociologicamente influenzata potrebbe essere a certe condizioni ancor più esiziale della dichiarazione di morte sopra citata. Se infatti questa
43. Nell'ambito che qui ci interessa vogliamo citare: Michael Oakeshott, Hobbes on Civil Association, Oxford 1975; Sheldon S. Wolin, Hobbes antf the Epic tradition of Politica! Theory, Los Angeles, 1970; J.G.A. Pocock, Time, History antf Eschatology in the Thought of Thomas Hobbes, in: J.H. Elliott/H.G. Koenigsberger, The Diver~ity of History. Essays in Honour of Sir Herbert Butterjield, London 1970, pp. 149-196. 44. John Rawls, A Theory of Justice, London, Oxford, New York, 1972.
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lasciava perlomeno ancora in vita la "storia delle idee politiche" 45 , ora il Rawls-ismo, che per le ragioni sopra accennate gode così grande successo, penetra anche nella storia delle idee - esito che in effetti porta a conseguenze come quelle che nell'ambito di nostra pertinenza sono state definite con la formula di "addomesticamento del Leviatano". Questa concezione della teoria può essere chiarita nel modo seguente. Una teoria è una serie di frasi - assunzioni o affermazioni - legate formalmente una con l'altra, che insieme formano un modello - appunto teorico - con l'aiuto del quale un sistema politico reale può essere spiegato e giustificato, eventualmente anche criticato. In effetti, il neocontrattualismo di Rawls, così costruito, funziona nel modo dianzi caratterizzato. La sua ripresa del pensiero contrattuale del XVIII sec. e di Kant ha costituito propriamente il punto di partenza della tendenza all'addomesticamento, giacché filosofie come quella kantiana, non solo non vengono qui comprese a partire da se stesse - e anche dal loro tempo - , ma sono per giunta trasformate in "modelli", dai quali si assumono le affermazioni basilari in considerazione dell'utilizzabilità per i propri scopi. Ciò che può accadere quando questo genere di teoria politica si collega con la storia delle idee, e nel nostro caso con la ricerca su Hobbes, si mostra al meglio in un libro estremamente rappresentativo di questa tendenza che è stato pubblicato nel 1986 da Gregory S. Kavka 46 • La sua struttura argomentativa si può caratterizzare come segue: il modello di Hobbes - dunque l'insieme delle assunzioni e affermazioni che determinano la sua teoria - è da un lato estremamente illuminante ("illuminating") per lo sviluppo di principi morali e politici moderni, ma d'altro canto non riesce a soddisfare le sue proprie severe pretese di metodo. Nell'insieme delle proposizioni si insinuano assunzioni non sufficientemente motivate e connessioni 45. Non aveva del tutto torto Quentin Skinner, quando nel 1964 notava "the tendency to treat the study of intellectual history as ersatz philosophy" (Hobbes's Leviathan, "The Historical Joumal", VIII [1964), p. 333). Ma cfr. a questo riguardo anche B. Willms, Weg, p. 39 ss. 46. Gregory S. Kavka, op. cit. Già nel 1983 fu rilevato che, in Rawls, "il concetto di fondo della teoria contrattualistica ... veniva ripreso in un modo sorprendentemente astorico": cfr. Karl Graf Ballestrem, Vertragstheoretische Ansiitze in der politischen Philosophie, "Zeitschrift fiir Politik", XXX (1983), p. 1. Rispetto a questo argomento vedi anche Peter Koller, Neue Theorien des Sozialkontrakts, Berlin 1987; altri esempi per una interpretazione di Hobbes provenienti dalla filosofia analitica si trovano ad es. in: Karl-Peter Markl (ed.), Analytische Politikphilosophie und okonomische Rationalitiit, Bd. I, Vom Hobbes' schen Wissenschaftsbegriff zum liberalen Paradox, Opladen 1985; Hartmut Kliemt, Antagonistische Kooperation. Elementare spieltheoretische Modelle spontaner Ordnungsentstehung, Freiburg, Miinchen 1986.
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formali contraddittorie ("methodological confusions"). Se però viene corretto nelle parti opportune ("repair"), il modello hobbesiano può essere certamente svolto in una filosofia politica utilizzabile - e anche consistente. La sua utilizzabilità si misura poi con il grado della qualità di giustificazione in riferimento a un liberalismo che non mette in discussione se stesso ("more liberal conclusions ... retaining . . . conservative insights", ibid. , p. XII). Il pensiero riferito a questo status quo viene qualificato come filosofia. È evidente che con una siffatta correzione la dimensione della "teologia politica" cade, ma deve risultare altrettanto chiaro che questa castrazione fa perdere al Leviatano la voce con la quale esso richiama "ali' ordine", in un senso assai sostanziale, sistemi politici e sociali contemporanei. L'eco positiva, che il libro di Kavka ha trovato, mostra la comprensibile esigenza dei filosofi politici statunitensi di far valere all' interno della loro società la pretesa dell'utilità politica della loro attività. Il convincimento che una società come quella degli Stati Uniti abbia bisogno di confrontarsi con la pretesa ferocia del Leviatano, con l'asprezza di una teoria della politica non giustificativa o edificante, esigerebbe però una presa di distanza filosofica, alla cui maturazione il clima intellettuale degli Stati Uniti non sembra essere troppo favorevole. Che esistano delle eccezioni è dimostrato non solo dalle citate tradizioni - Strauss e altri - ma soprattutto dai "tuffatori delici" americani, che verranno trattati nella prossima sezione. A questo punto, resta ancora da caratterizzare brevemente quella posizione europea continentale, che porta globalmente una così evidente differenziazione nella ricerca su Hobbes. Nei lavori di Bernhardt, Tricaud, Polin, Pacchi, Schuhmann, Goyard-Fabre, Villey, Freund 47 e di molti altri, è presente un modo di trattare la filosofia che prende le mosse da una accezione della storia affatto diversa, in parte certo riconducibile alla formula di Ranke, secondo la quale ogni epoca si trova "immediatamente presso Dio" - e che peraltro vede in ciò anche la possibilità dell'attualizzazione, in quanto il 47. Cfr. a questo riguardo, oltre alle opere già citate, tra gli altri: R. Polin, Politique et philosophie chez Thomas Hobbes, Paris 1953, reprint 1977; Idem, Hobbes, Dieu et les hommes, Paris 1981; S. Goyard-Fabre, Le droit et la loi dans la philosophie de Thomas Hobbes, Paris 1975; Idem, Montesquieu adversaire de Hobbes, Paris 1980; M. Villey, Le droit de l'individu chez Hobbes, "Archives de Philosophie du Droit", XIl1 (1968), pp. 209-231; Idem, Préface au "De Cive". Hobbes en notre temps, "Archives de Philosophie du Drmt", XXV (1980), pp. 285-304; J. Freund, Le Dieu mortel, in: R. Kosseleck/R. Schnur (eds.), Hobbes-Forschung, Berlin 1%9, pp. 33-52; Idem, Pouvoir et personne, "Cahiers Vilfredo Pareto/Revue Européenne des sciences sociales", XXXIV (1975), pp. 57-64. 31
tempo presente è ogni volta risultato della sua storia. A ciò si aggiunge un rapporto con la filosofia, per cui in un "'opera di pensiero" non si cerca alcuna utilità particolare - singole affermazioni strumentalizzabili per propri scopi di giustificazione - ma piuttosto un'opera compiuta, che come un tutto unico porta in sé la pretesa della comprensione di se stessa e al contempo rappresenta - come le grandi opere d'arte - una esigenza per quel particolare tempo presente: come dice Rilke per l'opera d'arte figurativa:" ... poiché questo non è un punto che non ti vede. Devi cambiare la tua vita" 48 . Questo diverso approccio dà come risultato un rispetto sostanziale dell'opera, di Hobbes in questo caso, che però non va assolutamente inteso come posizione sentimentale o come pura stima di ciò che è stato pensato e deve essere conservato. Piuttosto, questo rispetto legato alla cultura si trasforma, in un senso molto preciso, in un principio di metodo, che verrà discusso nella prossima sezione. Rimane qui ancora da sottolineare che non si tratta di classificazioni globali. Su entrambe le sponde dell'Atlantico o della Manica vi sono eccezioni troppo evidenti. Se d'altra parte si considera nell'insieme la ricerca più recente, successiva alla seconda guerra mondiale, allora sono proprio queste differenziazioni di idee politiche a diventare molto evidenti in quanto tendenze determinanti.
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Ci proponiamo ora di presentare l'orientamento che va valutato come l'aspetto più importante della ricerca su Hobbes nell'ultimo decennio. Per definire questa tendenza può essere utile un' espressione che, sulla scorta di un passo del libro Thomas Hobbes di Miche) Malherbe, viene formulata nei termini di "Léviathan intégral", Leviatano integrale o totale 49 . Si tratta in primo luogo, con riferimento alla distinzione delineata nella precedente sezione, dell'accoglimento di un principio ermeneutico, che allo storico professionale delle idee e al filosofo dovrebbe essere tanto più familiare in quanto esso è stato spesso dimenticato o trascurato proprio nella ricerca su Hobbes: ossia la supposizione di
48. R. M. Rilke. Der neuen Gedichte anderer Teil. I. Archaischer Torso Apollos. 49. Michel Malherbe, Thomas Hobbes ou l'oeuvre de raison, Paris 1984. In panicolare riguardo alla teologia politica ivi è detto: "Qui lit intégralment le Léviathan ... " (p. 218).
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consistenza a favore dell'autore 50 . Intendiamo questo: quando si legge un autore filosofico del calibro di Thomas Hobbes e si riscontra nel testo una contraddizione, non si deve certo cedere alla facile tentazione di rallegrarsi per aver colto il grand'uomo in fallo, con il risultato di mettersi in tal modo in luce. Una gran parte delle opere critiche più sopra nominate, soprattutto quelle di provenienza americana, adopera questo procedimento: qui una piccola contraddizione, là un'evidente discordanza, poi di nuovo un'ambiguità nell'utilizzo dei concetti - e subito si stigmatizza l'errore, la cecità rispetto ai problemi o addirittura il fallimento di questo pensiero, che viene poi o condannato o corretto in modo pedante. Al contrario, il principio della supposizione di consistenza a favore dell'autore ha un effetto soprattutto autocritico. La constatazione provvisoria di siffatte discordanze deve valere come dimostrazione di una mancanza di lettura approfondita fintanto che, più o meno dopo la decima o dodicesima volta, assolutamente non prima, non si può far altro che accettare provvisoriamente, e sempre solo provvisoriamente, questa incoerenza. Non vi è dubbio che la supposizione di consistenza a favore dell'autore rappresenti uno degli strumenti basilari che portano alla realizzazione di buoni libri filosofici e storico-filosofici - per es. su Hobbes. Ma qui sta il grande passo compiuto dalla ricerca negli ultimi anni. Vogliamo brevemente ricordare come si delineava la situazione di partenza. Le grandi interpretazioni ormai classiche della moderna ricerca su Hobbes, dunque quelle etico-kantiane di Taylor e Warrender, quella del dualismo metodologico di Leo Strauss, quelle teologiche di Hood e Kodalle, quella socio-economica di Macpherson: tutte queste interpretazioni, significative nel loro genere, erano peraltro così divergenti da spingere Quentin Skinner letteralmente alla disperazione e da fargli creare, insieme a J.G.A. Pocock, un nuovo metodo, che poteva essere, e infatti venne ritenuto, rivoluzionario 51 . Ma questo punto di vista rivoluzionario non impedì fortunatamente ai
50. Cfr., per un contesto metodologico più ampio. B. Willms. Politische /deengeschichte, Politikwissenschaft und Philosophie, in: Udo Bermbach (ed.) Pulitische Teoriegeschichte. Probieme einer Teildisziplin der Politikwissenschafi. Sonderheft 15/1984 der "Politische Vierteljahrsesschriften", pp. 33-64. 51. J.G.A. Pocock, art. cit.; per il suo approccio vedi anche: Virtue. Commerce and Historv. Essavs on Politica/ Thought and Historv, Cambridge U.P. 1985; Q. Skinner, a;t. cit.; ictem, Meaning and Understandin,: in the History ofldeas, "History and Theory", VIII (1969); per ulteriori indicazioni e per un commento all'argomentazione di Skinner e Pocock vedi B. Willms Weg, p. 40 ss.
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due autori di fornire eccellenti contributi alla ricerca su Hobbes, e nel corso dello sviluppo si fece strada, tranquillamente e con sempre maggior forza, il principio della supposizione di consistenza. Esso era già stato preparato dalle analisi formali di McNeilly e GoyardFarbre 52 , e negli anni ottanta si è espresso compiutamente in lavori come quelli di Aryeh Botwinick, Eldon J. Eisenach, Lonnie Johnson, David Johnston, Miche) Malherbe e Yves Charles Zarka 53 . Si noti che la successione alfabetica dei nomi, in questo caso, significa anche un accrescimento dell'intensità dell'interpretazione consistente. Tra i migliori studi nel nostro campo troviamo i contributi di Aryeh Botwinick. Con un linguaggio talvolta quasi laconico, Botwinick mette in evidenza la figura di Hobbes come fondatore del liberalismo, un liberalismo che però nella sua forma illuminata, divenuta dominante in occidente, insiste fino all'assurdo su una contrapposizione tra razionalità e potere. Ma Botwinick sottolinea chiaramente in Hobbes il riconoscimento. questo sì sovversivo, del fatto che il "power" del Leviatano è in ogni caso da attribuire al campo del razionale. Botwinick nella sua interpretazione di Hobbes è il critico acuto di un tardo liberalismo, un critico a cui importa soprattutto che l'uomo possa rimanere ancora "soggetto di storia" 54 . Anche Eldon J. Eisenach è interessato a dimostrare che il liberalismo nella sua fom1a classica ha sempre cercato un sostegno etico e storico. Eisenach analizza da questo punto di vista Hobbes, Locke e John Stuart Mili. Nella sezione su Hobbes egli argomenta la sua tesi attraverso la dimostrazione della stretta connessione di Leviatano I e Il con Leviatano III e IV. Naturalmente questo rapporto è solo una dimensione di un "Leviatano integrale". L'aspetto metodologico viene accennato mostrando ad esempio che la posizione argomentativa
52. Frcdcric S. McNeilly. The A11aromr o{Le1·it1rha11. London ecc. 1%8: GoyardFahre. Le droit, l'it.: cfr. a questo riguardo B. Willms, W,•x. p. 131 ss. e p. 165 ss. 53. Aryeh Botwinick. Hohhes llll{f Modemitv. Lanham. New York. London 1983: Eldon J. Eisenach. Two Worlds o/Lihaalism. Rc/igùm and Politics i11 Hohhes, Locke, and Mili, Chicago U.P .. London 1981: Lonnie Johnson. Tlwmas Hobh,•s. Architekro11ik - lllferprnation -Amhropoloxie, Dissen. Wien 1986: David Johnston. The Rhetoric of th,· L,·viuthan. Tlwmas Hohbes and the Po/itics of Cultura/ Transf,,rmarion. Princeton U.P. 1986: Miche! Malherhe. op. cir. e Yves Charles Zarka. La Décisimr Métaph_vsique de 1/ohhes. Paris 1987. 54. Cfr. per questo soprattutto il capitolo VI in A. Botwinick, op. cit.: "In an imponant sensc if human hcings do noi make history. they no longer have a history" (p. 67). Qui stupisce soprattutto l'audace attualizzazione di Hobhcs per il presente come "age of scarcity" - anche qui si potrebbe trovare qualcosa come una "postmodemità" di Hobbes.
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dello stato di natura corrisponde alla annihilatio mundi epistemologica 55_ 11 libro di Lonnie Johnson si pone di fronte al compito di ricercare un "Leviatano integrale" in quanto analizza in Hobbes una molteplicità di significati che avrebbe la sua base nel collegamento di un momento "architettonico" con un momento "strategico". Facendo ciò egli accetta, in modo non privo di plausibilità, una differenziazione tra politica "provvisoria" e "definitiva", coniata da White, riferita a Bacone e tratta da Descartes. La politica provvisoria è la politica che porta a produrre uno stato di cose nel quale diviene possibile la politica definitiva 56 • Analogamente il libro di David Johnston, The Rhetoric of Leviathan, merita di essere considerato per il fatto di attenersi tenacemente alla supposizione di consistenza nella ricerca di un "Leviatano integrale". Secondo Johnston. in Hobbes si collegano, fin da principio - dunque a partire dagli Elements 57 - due linguaggi: quello razionale della dimostrazione e quello etico-politico. In essi si esprimono due intenzioni di Hobbes: da un lato l'intenzione di una "trasformazione culturale" nel senso di un illuminismo razionale; e dall'altro l'intenzione di una "trasmissione" ottimale delle proprie idee - questo dunque il lato della retorica 58 . Anche per Johnston la conseguenza politica del Leviatano rimane in sostanza nell'ambito della raziona!ità univoca - nella misura in cui l'illuminismo posteriore e i suoi derivati borghesi e socialisti negano questa possibile razionalità, Johnston potrebbe però essere facilmente frainteso con la sua piuttosto sommaria definizione di "Hobbes come illuminista" 59 . Con il libro di Michel Malherbe ci troviamo di fronte ad un primo 55. E. Eisenach, op. cit., pp. 7, 18. 33, 67. Vedi anche D. Johnston, op. cit., p. 189. M. Malherbe, op. cit .. pp. 67, 92. dove però Malherbe non nomina lo stato di natura come "annihilatio" pratica. In Y. Zarka, op. cit., p. 183 ss., p. 250. 56. Cfr. L Johnson, op. cit., p. 17 ss. 57. Ci si riferisce a The Elements of Law, lo serino di Hobbes del 1640, edito nel 1889 per la prima volta, nella forma valida fino ad oggi, da Ferdinand Tonnies. 58. È comunque più sensato riferire, in questo modo, due livelli linguistici a due intenzioni diverse, di quanto non sia il constatare solo "inconsistenze" o "contraddizioni" in base al primo dei due livelli. 59. In D. Johnston, op. cit., vi è una certa indeci~ione sul problema del rapporto fra razionalità del singolo e razionalità istituzionale del Leviatano (cfr. ad es. ihid.. p. 213). In quanto prevalga la prima, potrebbe esservi anche qui una certa tendenza all"'addomesticamento" nel senso sopra detto. Che per il resto questo significativo studio si rifaccia a un seminario di Wolin conferma la "posizione di eccezione" sopra notata anche per Wolin.
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trionfo della supposizione di consistenza, in quanto esso offre una ricostruzione coerente ed esatta del sistema, partendo dalla fisica, passando per il linguaggio. fino ad arrivare all'elemento politico del Leviatano, con l'inclusione della terza e della quarta parte. Forse Malherbe è ancora un po' troppo orientato verso il modo di esposizione proprio di Hobbes, ovvero alla forma assegnata al sistema, e che non necessariamente deve essere quella della nascita reale dei pensieri 60 ; in ogni caso la fisica appare come "Prima Philosophia", col che però bisognerebbe accennare al fatto che il Leviatano è la condizione della possibilità di ogni situazione normale - dunque anche la condizione della possibilità della lingua, cioè di discorsi razionali, e, di conseguenza, della scienza stessa. Ma proprio quest'ultimo punto è ora uno dei più importanti nel libro riflessivo e dotto, profondo e convincente, di Yves Charles Zarka: La décision métaphysique de Hobbes, del 1987 61 . Assistiamo qui a un trionfo del principio della supposizione di consistenza e a una interpretazione generale del pensiero di Hobbes che. insieme al lavoro postmoderno di Shapin e Schaffer, eleverà a un nuovo gradino la futura ricerca su Hobbes. Per dirla con le parole di Jeffrey Barnouw: L'importance de la parole comme puissance humaine pour la fondation de la science et de l' état n · a jamais été aussi soigneusement et profondé meni étudiée que dans La décision métaphysique de Hobbes. L'analyse de Yves Charles Zarka sur la théorie de l'autorisation, qui consoliùe le fondement de la souveraineté, n'est qu'un des accomplissements qui fera de ce livre une oeuvre capitale pour la litterature sur Hobbes 62 .
Nessuno potrà in futuro non tener conto della concezione del Leviatano di Zarka come "Protofondation". Se si volesse mettere in 60. La distinzione operata da Marx tra "modo di esposizione" e "modo di ricerca" è istruttivo per tutto l'approccio a Hobbes, il quale dal punto di vista metodologico ("modo di esposizione") inizia con la fisica o l'antropologia o la "philosophia prima" nel senso delle defini1.ioni: ma nell'insieme ("modo di ricerca") per lui la prima cosa è l'esperienza concreta della guerra civile. Marx: "D'altronde il modo di esposizione deve distinguersi formalmente dal modo della ricerca. La ricerca deve appropriarsi della materia in dettaglio, deve analizzare le sue diverse forrne di sviluppo e deve trovare il suo filo interno. Solo quando questo lavoro è compiuto, il vero movimento può essere adeguatamente esposto. Se questo riesce e la vita della materia ora si rispecchia idealmente. può sembrare allora che si abbia a che fare con una costruzione apriori". (MEGA 23, 27). 61. Y. Zarka, op. cit. 62. Cfr. Bull. I, p. 329 ss.
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evidenza un libro che esprima nel modo più chiaro e più incisivo lo sviluppo della ricerca negli ultimi dieci anni, non si potrebbe scegliere - secondo la nostra opinione, e con tutta l'ammirazione per Shapin e Schaffer - che il libro di Yves Charles Zarka 63 . Una delle conseguenze immediatamente comprensibili del lavoro intorno a un "Leviatano integrale" è il fatto che la discussione sulla teologia politica di Hobbes venga nuovamente vivificata. Accanto a Polin sarebbero qui anche da citare Eisenach, Geach, Johnston, Schwartz e Sherlock 64 - l'argomento è di tale rilievo che a ragione in questo anniversario hobbesiano 1988 gli viene dedicato un apposito convegno; qui si intende solo accennare a questo importante motivo 65 . Ma anche rispetto alla più significativa letteratura hobbesiana di cui abbiamo parlato bisogna fare un'ulteriore osservazione critica circa la carenza di comunicazione internazionale. Gli americani non leggono i francesi e i francesi non leggono gli americani; entrambi naturalmente non leggono i tedeschi. Quando un autore americano presentato qui come eccellente, nei suoi ampi indici bibliografici cita opere esclusivamente di lingua inglese, forse non esprime arroganza, ma in ogni caso rivela le carenze della comunicazione scientifica 66 . Ed è amaro constatare che una nuova interpretazione, anche se ben fatta, non ha preso atto di importanti precursori nell'altra lingua 67 . 63. Questo significherebbe, almeno a nostro giudizio, che non solo per il penultimo decennio - cfr. B. Willms, Weg, p. 165 - , ma anche per l'ultimo, il primo posto spetterebbe a un libro francese, e dunque il primato rimarrebbe al continente europeo. 64. R. Polin, Hobbes. Dieu, cit.; E. Eisenach, op. cit.; Peter Geach, The Religion of Thomas Hobbes, "Religious Studies", XVII (1981), pp. 549-558; D. Johnston, op. cit.; Joel Schwartz, Hobbes and the Two Kingdoms of God, "Politi', XVIII (1985/86), pp. 7-24; Richard Sherlock, The Theology of Leviathan, "Interpretation" (Den Haag) X ( 1982), pp. 43-60. Gli autori citati rappresentano solo una scelta. Chi scrive è stato indotto a rinunciare a una presentazione esauriente proprio di questo problema di primaria importanza - nella prospettiva della problematica di Cari Schmitt attinente alla "teologia politica" - dalla notizia che Klaus Michael Kodalle conta di presentare, nell'89, un'ampia relazione di ricerca su questo argomento. 65. Nel mese di ottobre 1988 è stata organizzata da K.M. Kodalle a Hofgeismar un convegno internazionale su Hobbes, dedicato esclusivamente alla sua "teologia politica". 66. Intendiamo qui A. Botwinick, op. cit. 67. Così Y. Zarka, op. cit., evidentemente non conosce A. Botwinick, op. cit., il quale per alcuni punti di decisiva importanza è da considerarsi come precursore. Si confronti anche R. Polin, Hobbes. Dieu, cit., p. IO ss., con B. Willms, Die Antwort des Leviathan, Neuwied 1970 (!), p. 176 ss. Qui il periodo di tempo di 11 anni non ha impedito che problematiche fondamentali siano state ripetute quasi testualmente - e senza riferimenti.
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Infine, l'importanza della comunicazione internazionale e la sua mancanza di fatto hanno portato alla fondazione della lnternational Hobbes Association. Questa è comunque l'intenzione del suo presidente Martin Bertman, cui va il merito non solo di aver realizzato importanti lavori hobbesiani, ma anche di aver esteso l'International Hobbes Association in una grande rete di comunicazione che interessa il mondo intero 68 . Vogliamo chiudere questa relazione con una citazione tratta da La mort de Léviathan di Gilbert Boss, il libro che collega nel modo più chiaro il significato della ricerca su Hobbes con i problemi del nostro tempo: C'est en effet toute la paix qu'il faut réinventer une deuxième fois, et cela en un temps extremement court, et sans ce tromper, car la falsification expérimentale de nos théories tatonnantes signifieraits aussi en ce cas la déstruction définitive de l'humanité. C'est pourquoi. dans ces conditions, il semble préférable d'envisager les nouveaux problèmes dans la lumière de l'analyse froide et lucide de Hobbes, qui révèle, avec la structure qui permet aux république de fonctionner les exigences concrètes de l'instauration de la paix par un réel aménagement des puissances, dénonçant du meme coup le caractère illusoire et fatai des solutions qui n ·en tiennent pas comptent 69 .
68. I lavori più importanti di Martin A. Bertman sono apparsi in raccolta: Hobhes. The Natural and the Artifacted Goucl. Bern, Frankfun a. M .. Las Vcgas 1981. Martin A. Bcrtman è una sorta di Mersenne della ricerca su Hobbes. 69. Gilbert Boss, La mort dc Léviat/11.111. Hoh/,es. Rwl'/s et notre situatio11 politique, Ziirich 1984. Egli non è in grado di dissipare i dubbi circa i "'Rawls-ismi". ma rimane ugualmente importante nel confronto con i problemi attuali.
HOBBES TRA MODERNO E POSTMODERNO. CINQUANT'ANNI DI STUDI HOBBESIANI di Francesco Viola
Chi si aspetta da questo scritto una rassegna degli studi italiani su Hobbes negli ultimi cinquant'anni, resterà ben presto deluso. È difficile smettere i panni dell'interprete di Hobbes per assumere quelli dell'interprete dei suoi interpreti 1 • Allora cercherò di porre rimedio al mio disagio, limitandomi ad affrontare una questione siffatta: quale immagine globale del pensiero di Hobbes si può trarre dagli studi italiani a partire dagli anni trenta del nostro secolo fino ai nostri giorni? È ingenuo pensare che per una sorta di armonia prestabilita o di astuzia della ragione gli interpreti italiani abbiano lavorato ad edificare un'immagine unitaria, e perciò "italiana", del pensiero di Hobbes. D'altronde il periodo considerato è troppo lungo e travagliato sul piano culturale per concedere spazi ad omogeneità interpretative. 1. Bilanci e bibliografie della letteratura hobbesiana in Italia non mancano di certo. Cfr. A. Pacchi, Bibliografia hobbesiana dal 1840 ad oggi, in "Rivista critica di storia della filosofia", XVII (1962). pp. 528-547; dello stesso, Cinquant'anni di studi hobbesiani, in "Rivista di filosofia", LVII (1966), pp. 306-335 e Studi hobbesiani negli ultimi venticinque anni in Italia, in "Cultura e Scuola", VII (1968), pp. 118-126. D. Felice, Studi hobbesiani in Italia dal /880 al /9/4, in Studi sulla cultura filosofica italiana fra Ottocento e Novecento, Clue, Bologna 1982 e Thomas Hobbes in Italia: bibliografia (1880-1981), in "Rivista di filosofia", LXXIII (1983), pp. 440-470; dello stesso, /talian literature on Thomas Hobbes after the Second World War, Part I: 1946-1955, in "Topoi", IV (1985), pp. 121-128 e Part li: 1956-1965, in "Topoi", V (1986), pp. 201-208. F. Viola, Hobbes en ltalie (19761987), in "Archives de Philosophie", LI (1988), pp. 254-264. A questi bisogna aggiungere le rassegne critiche comprendenti anche la letteratura straniera di G. Sorgi, Hobbes: d/fjico/tà di una interpretazione, in "Nuovi Studi politici", 1981, n. 2, pp. 91-118 e n. 3, pp. 101-124 e. per la sola letteratura anglosassone, A.L. Schin0, Tendenze della letteratura hobbesiana di lingua inglese degli ultimi venticinque anni, in "Materiali per una storia della cultura giuridica·•, XVII (1987), pp. 159-198.
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Come non esiste (o non esiste più) una filosofia italiana, così non è mai esistito un Hobbes italiano. Pertanto, nella ricostruzione delle linee di tendenza dell'ermeneutica hobbesiana bisogna collocarsi ad un elevato livello di generalità, che necessariamente pone tra parentesi variazioni pur significative. Di conseguenza molti scritti, anche se lo meriterebbero, non saranno presi in considerazione. Che di Hobbes non si possa avere una raffigurazione unitaria, è suggerito anche dalla considerazione, spesso ripetuta persino da interpreti simpatizzanti, che rileva le incoerenze e le contraddizioni presenti nel suo pensiero 2 • In generale si può affermare che il tono della letteratura italiana è molto prudente e circospetto. Non si cerca di rendere coerente il pensiero di Hobbes a tutti i costi. come succede qualche volta nella letteratura anglosassone 3 . È significativo che dal secondo dopoguerra ai nostri giorni non sia apparsa in Italia nessuna opera che abbracci il pensiero di Hobbes in tutti i suoi aspetti. Le analisi regionali abbondano a testimoniare la convinzione che l'importanza di Hobbes è circoscritta a particolari settori del sapere. Ciò significa che Hobbes non è considerato rappresentativo di una corrente di pensiero, ad esempio dell'empirismo 4 , ma solo significativo per un certo tipo di problematica, come, ad esempio, quella politicogiuridica. È più un filosofo del (del diritto, della politica, della morale, della scienza, del linguaggio ... ) che un filosofo tout court. L'atteggiamento prudente degli interpreti italiani è ben espresso da queste due notazioni: "Hobbes è troppo originale per accettare la trattatistica logica degli aristotelici suoi contemporanei nel suo spirito, che è troppo razionalista per andare d'accordo con i ramisti, troppo concettualista per essere puro nominalista, troppo nominalista d'altra parte per incontrarsi con gli zelatori della lingua universale e reale. troppo euclideo per essere lulliano, o solo baconiano, troppo materialista o galileiano per essere zabarelliano o cartesiano" 5 . "Indubbiamente si soggiace all'immagine che Hobbes ha voluto dare di sé, anche se le metafore. con cui descrive il suo Stato, sono 2. "La coerenza di Hobbes è meno invulnerabile di quel che appaia a prima vista". N. Bobbio, Hobbes e il giusnaturalismo ( I %2), ora in Da Hobbes a Marx. Saggi di storia della filosofia, Morano, Napoli 1965. p. 58. 3. Cfr. da ultimo T. Sorel!. Hobbes. Routledge and Kegan Paul, London 1986. 4. Solo in Bacone e Locke si riconoscono i padri fondatori dell'empirismo. Cfr. le ben note monografie di Paolo Rossi e C.A. Viano. 5. M. Dal Pra, Note sulla logica di Hobbes. in "'Rivista critica di storia della filosofia", XVII (1962), p. 432.
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solo dei paradossi, dato che il predicato è in aperta contraddizione con il soggetto: infatti lo Stato è un Dio, ma mortale; un uomo, ma artificiale; una macchina, ma che possiede un'anima; un drago marino, che non vomita fuoco, ma esprime la sola razionalità mondana possibile" 6 . Nell'ultimo decennio l'interesse per il pensiero di Hobbes è enormemente cresciuto sul piano quantitativo 7 . Tuttavia si approfondisce ulteriormente il processo di destrutturazione dell'unità della concezione hobbesiana. Si privilegiano fronti di ricerca molto trascurati in passato (teologia, estetica, economia, linguistica e, soprattutto, antropologia). Si procede ad un'ulteriore frammentazione. Ad esempio, l'esame della filosofia politica si sgancia da quello della filosofia giuridica, a cui era stato sempre strettamente collegato. All'interno della politica stessa l'interesse si sposta dai meccanismi della grande macchina dello Stato ai suoi fondamenti antropologici e teologici. Queste caratteristiche sono, peraltro, riscontrabili anche nelle letterature degli altri paesi. Dalla considerazione globale di cinquant'anni di scritti per lo più settoriali e, molto spesso, frammentari emerge chiaramente una vicenda interpretativa che vede dapprima, e per lungo tempo, lo sforzo di ricondurre il pensiero hobbesiano ad alcune categorie concettuali tipiche della modernità e, poi, la progressiva presa di coscienza dell'impossibilità di catturare in tal modo tutta la complessità di questa concezione 8 • Tutto ciò è· ancora molto generico e potrebbe sembrare anche ovvio, perché si sa bene quanti siano i legami di Hobbes con quel mondo che ha preparato la modernità ed è stato a sua volta travolto da essa. Non vorremmo scambiare per postmoderno ciò che è semplicemente premoderno, come spesso capita oggi a causa del furore iconoclasta contro la modernità 9 • Tuttavia, nonostante questo pericolo, si deve riconoscere che emergono aspetti del pensiero hobbesiano 6. N. Matteucci, Alla ricerca dell'ordine politico. Da Machiavelli a Tocqueville, Il Mulino, Bologna 1982, p. 109. 7. Cfr. Viola, Hobbes en ltalie, cit. 8. "Invero, la dottrina di Hobbes non sarebbe viva, non sarebbe studiata seriamente se il progresso della modernità fosse separabile dalla decadenza stessa della modernità". L. Strauss, Che cos'è la filosofia politica? Scritti su Hobbes e altri saggi, a cura di P.F. Taboni, Argalìa, Urbino 1977, p. 355. 9. Cfr. T. Maldonado, Il futuro della modernità, Feltrinelli, Milano 1987, p. 16 e le giuste osservazioni di Paolo Rossi, Idola della modernità, ora i~ Modern_o postmoderno. Soggetto, tempo, sapere nella società attuale, a cura d1 G. Man, Feltrinelli, Milano 1987, pp. 14-31.
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che vanno incontro in modo singolare alla percezione del mondo dell'uomo contemporaneo. Hobbes è oggi più vicino a noi di Bacone e di Cartesio. In breve possiamo per il momento dire che egli non solo ha prefigurato alcune categorie dominanti della modernità, ma ha anche avvertito i limiti e le imperfezioni che le corrodono, le illusioni e le delusioni che esse producono. In più, ed è questo un carattere tipico del postmoderno, Hobbes non solo ha ritenuto impossibile, ma neppure desiderabile cancellare del tutto il mondo naturale del disordine e della contraddizione. Prima di mostrare il modo in cui si è articolata questa vicenda interpretativa nell'ambito di temi specifici, occorre aggiungere alcune notazioni di carattere un po' esteriore, ma senza dubbio orientative 10 . I decenni a cavallo tra l'Ottocento e il Novecento registrano la prima grande fioritura di scritti italiani su Hobbes, anche se il loro atteggiamento è in generale sfavorevole 11 • Durante il regime fascista Hobbes è decisamente trascurato. I motivi sono facilmente comprensibili: l'anglofobia, il disprezzo idealista per il rozzo empirismo e utilitarismo, la concezione mistica dello Stato avversaria dello Statomacchina 12 • Nel secondo dopoguerra gli studi hobbesiani, abbandonando l'atteggiamento ostile, riprendono vigore con una progressiva accelerazione ed una dapprima timida, ma poi sempre maggiore apertura nei confronti dell'influsso proveniente dalla letteratura anglosassone. La messa a punto di ottime traduzioni delle tre opere politiche di Hobbes (tra cui segnaliamo quella del De Cive del 1948, degli Elementi del 1968 e del Leviatano del 1976) favorisce il proliferare degli studi rivolti a questo settore di ricerca. Tuttavia si tende a considerare la concezione etico-politica di Hobbes, a differenza della sua filosofia della scienza, come un tutto compatto sostanzialmente rimasto invariato nel tempo, finché nel ! 967 Mario Corsi sottolinea le differenze tra il Leviatano e i precedenti scritti politici 13 . Da quel momento in poi si va a caccia delle variazioni tra gli Elementi di legge naturale e politica, il De Cive e il Leviatano con risultati a volte fruttuosi. Conseguentemente la costruzione politica hobbesiana
10. Cfr. l'ottima bibliografia di Felice, Thomas Hobbes in Italia, cit. 11 . È da notare il grande interesse per il confronto tra Hobbes e Spinoza considerato come "il vero anti-Hobbes", interesse che si mantiene fino ai nostri giorni. Cfr. A. Meozzi, Le dottrine politiche e religiose di B. Spinoza. Parallelo con T. Hobbes, Vallerini, Pisa 1914, p. 128. 12. Cfr., ad esempio, J. Evola, Modernità di Hobbes?, in "Lo Stato", 1939, pp. 24-33. 13. M. Corsi, Introduzione al Leviatano, Morano, Napoli 1967.
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perde la sua sicurezza teorica ed appare come percorsa da incertezze e travagli. Con ciò si pongono condizioni più favorevoli per l'effettiva comunicazione tra gli studi di filosofia pratica e quelli di filosofia della scienza, comunicazione che l'eccessiva frammentazione delle ricerche ha finora reso assai difficile. Quest'immagine di Hobbes filosofo della modernità e, insieme, del suo tramonto potrà essere verificata soltanto se le vicende interpretative relative ad alcuni temi fondamentali confluiranno a disegnarla in modo convincente. 1. L'unità della scienza
Uno degli interrogativi caratteristici della letteratura hobbesiana del nostro secolo è quello relativo ai rapporti tra filosofia naturale e filosofia politica: continuità sostanziale o frattura profonda? 14 • Ma questo modo di affrontare il problema non è fruttuoso e mal si adatta alla concezione di Hobbes. In effetti qui gli interpreti sembrano condizionati dalla divisione neokantiana tra natura e cultura, che non è certo una chiave di lettura adeguata al monismo tendenziale di Hobbes. La stessa filosofia naturale non è affatto intesa come un blocco compatto e unitario, mentre la filosofia morale ora è agganciata alla fisica, ora gravita nell'ambito politico. Non si tratta, dunque, di collegare o opporre l'orientamento scientista e quello umanistico, ma di osservare nella sua globalità e complessità il concetto hobbesiano di scienza. Il problema dell'unità del sistema filosofico di Hobbes si risolve alla fin dei conti in quello dell'unità del concetto di scienza. Si rispetta in tal modo sicuramente l'intento originario di Hobbes, per cui le singole parti dell'universo scientifico sono concepite come costituenti un disegno armonico in conformità, d'altronde, agli orientamenti sistematici del suo tempo. Le tesi di Strauss e di W arrender, che sono i due interpreti di Hobbes più noti in Italia, pur essendo accolte con una certa freddezza e non di rado respinte, lasciano l'impressione che Hobbes sia più un teorico della politica che un epistemologo affidabile. Sia i neoempiristi che i filosofi analitici, al di là di riconoscimenti molto circoscritti, preferiscono far ricorso a Bacone, Locke e Hume. Tuttavia le incertezze e le insicurezze epistemologiche di Hobbes sono istruttive e forse non hanno trovato negli orientamenti filosofici del passato
14. Cfr. Pacchi, Cinquant'anni di studi hobbesiani, cit. 43
una chiave di lettura capace di evidenziarne le potenzialità culturali. Proprio per questo i testi più interessanti sulla filosofia hobbesiana della scienza sono quelli provvisti di un taglio storico, cioè quelli che seguono passo passo gli sviluppi di un pensiero inquieto e contorto. È proprio questo l'orientamento della sparuta schiera degli studiosi italiani che si sono occupati di questo problema. Dall'esame della letteratura italiana risulta che non esiste soltanto una teoria hobbesiana della scienza, ma che ne esistono tante. Senza dubbio esse sono tra loro collegate da preoccupazioni costanti, mosse dal tentativo di mettere insieme istanze contrapposte e, tuttavia, indicano un continuo mutamento di prospettive che non troverà mai un assetto definitivo. 1.1 Il modello deduttivistico Innanzitutto dobbiamo prendere le mosse dal più completo affresco del pensiero di Hobbes che la letteratura italiana del nostro secolo fino ad oggi ci offre 15 • Hobbes è ricondotto nell'alveo del razionalismo e il suo pensiero è sostenuto dalla metafisica del materialismo-meccanicismo che costituisce l'intuizione ontologica fondante 16 • Razionalismo, nominalismo, fenomenismo, realismo, materialismo e meccanicismo sono gli ingredienti del sistema hobbesiano 17 • Alla concezione della scienza è demandato l'arduo compito di tenere insieme queste tendenze contraddittorie e dilaceranti. Dallo Short Tract in poi Hobbes persegue con costanza e senza mutamenti di rilievo un ideale puramente deduttivistico di scienza ispirato al metodo euclideo. Il suo obiettivo è quello di una deduzione unitaria di tutto lo scibile dai concetti di spazio, tempo, corpo e moto. In tal modo le singole scienze vengono omologate all'interno di un'architettura unitaria, che tiene ben poco conto della particolarità dei loro oggetti. "La filosofia o scienza è una conoscenza razionale dei fenomeni che ricerca verità universali, necessarie, eterne e immutabili; ma essa
15. A. Levi, La filosofia di Tommaso Hobbes, Soc. ed. Dante Alighieri, Milano 1929. 16. Qui è evidente il forte influsso delle tesi di Brandt. 17. G. Bontadini, Materialismo e fenomenismo in Hobbes. Fenomenismo metafisico e fenomenismo gnoseologico, in "Rivista di filosofia neo-scolastica", XXXVI (1944), pp. 14-28.
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può raggiungere il suo scopo soltanto se parte da definizioni iniziali che poi collega e sviluppa, formando procedimenti dimostrativi, perché possiedono i caratteri richiesti dal conoscere scientifico (anzi, sono vere nel senso stretto della parola) esclusivamente le proposizioni che hanno un predicato equivalente in tutto o in parte al soggetto" ts. Levi esclude in modo deciso che si possa attribuire ad Hobbes una concezione convenzionalistica della scienza 19 . Sarebbe strano accusare la scienza tradizionale di "verbalismo" e poi fondare tutto sul mero convenzionalismo. La scienza deve in qualche modo mordere la realtà, altrimenti come distinguerla dal mondo dei sogni? Se la scienza è una conoscenza razionale degli effetti mediante le cause generatrici, avanza senza dubbio la pretesa di fornire una spiegazione della realtà 20 . D'altronde, una scienza operativa deve essere capace di relazioni con la realtà esterna. Per questo bisogna sottolineare l'importanza dell'intuizione metafisica originaria, a cui sono appese le ragnatele dei nostri pensieri: il mondo è corporeità e il moto è la causa prima degli universali. Questa precomprensione dell'oggetto è il nocciolo duro del realismo hobbesiano. L'analisi lavora ali' interno di questo magma pre-analitico per raggiungere le cause dei fondamenti, cioè le nozioni universali delle cose. Non è l'analisi a legittimare in ultima istanza gli universali, perché questi di per sé sono più noti dei particolari (naturae nota), sono evidenti di per sé. Pertanto, se occorre il processo risolutivo affinché la ragione se ne renda conto, tuttavia, non appena li ha appresi, li riconosce come evidenti. Quest'evidenza riposa ovviamente sull' intuizione metafisica originaria della corporeità e del moto. La scienza si presenta, così, come un'opera di difesa concettuale della precomprensione originaria, come un'eliminazione degli elementi che ne inquinano la purezza. Si può, dunque, parlare di innatismo hobbesiano solo a patto di tenere presente che questo modo fondamentalmente psicologico d'intendere l'evidenza è basato sull'intuizione metafisica. C'è qui un influsso sia dell'ideale apodittico aristotelico, sia del1'evidenza cartesiana 21 • L'ideale apodittico della scienza riceve, però, un duro colpo dal18. Levi, op. cit., pp. 370-371. 19. Ibidem, p. 372. È interessante notare la grande attenzione che Levi dedica alla logica hobbesiana (ib., pp. 92-157). 20. Ibidem, p. 115. 21. A. Pacchi, Convenzione e ipotesi nella formazione della filosofia naturale di Thomas Hobbes, La Nuova Italia, Firenze 1965, p. 204 e 207. 45
l'ammissione che degli oggetti naturali si può avere conoscenza solo per supposizione e ipotesi. A questo punto non c'è che da registrare il fallimento di un'epistemologia che era partita con l'ambizione di fornire il sistema razionale di tutta la realtà. L'ammissione del carattere ipotetico della scienza naturale ha effetti ctirompenti che vanno ben al di là della fisica. Bisognerebbe, infatti, sostenere che anche la scienza politica, che si basa sulle tendenze generali della natura umana, ha lo stesso carattere. Di conseguenza fallirebbe l'intento principale di Hobbes, che era quello di comunicare il rigore deduttivo delle matematiche alla scienza dell'uomo e alla politica 22 • Ancor più in profondità, la debolezza del sistema hobbesiano risiede nella contraddizione tra le premesse metafisiche di tipo materialistico-meccanicistico e la concezione razionalistica della scienza. Le prime, infatti, dovrebbero condurre ad una spiegazione radicalmente empiristica della genesi della conoscenza. La contraddizione insanabile è, dunque, tra materialismo e razionalismo 23 • La concezione hobbesiana della scienza non è, pertanto, affidabile sia per la sua mancanza di unità, sia per la sua intima contraddittorietà. 1.2 Il modello convenzionalistico Quest'atteggiamento negativo nei confronti dell'epistemologia hobbesiana trova una conferma negli studi di Mario M. Rossi, che ha scoperto e trascritto un abbozzo del De Corpore 24 • Dall'interpretazione meccanicistica della sensibilità non si può trarre alcuna visione generale del reale, neppure lo stesso meccanicismo su cui si fonda. Si riconferma così l'accusa di contraddizione mista alla convinzione del carattere approssimativo della filosofia hobbesiana e della sua scarsa originalità. Ce n'è abbastanza per spiegare il disinteresse che l'empirismo italiano dell'immediato dopoguerra ha nutrito per la filosofia della scienza di Hobbes. Tuttavia sono proprio le indagini sulla formazione del pensiero scientifico hobbesiano a ridestare l'interesse per esso. La scoperta di una lunga serie di manoscritti, alla cui identificazio-
22. 23. 24. Italia,
Levi, op. cit., p. 154 ss. Ibidem, p. 463. M.M. Rossi, Alle fonti del deismo e del materialismo moderno, La Nuova Firenze 1942, pp. 103-194.
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ne hanno contribuito anche studiosi italiani 25 , ha infatti permesso di seguire in una certa misura la travagliata elaborazione del concetto di scienza anteriormente alla stesura del De Corpore pubblicata nel 1655. Inoltre, viene recepito dalla scuola di Marburgo un modo diverso d'intendere il ruolo del materialismo nel pensiero hobbesiano, cioè non più in senso ontologico, ma metodologico 26 • È questo un cambiamento di rotta molto rilevante, perché viene meno il presupposto metafisico su cui Levi aveva fondato tutta la sua interpretazione. Il percorso del nuovo modello interpretativo ha irnzio con la metafora dello specchio, che si basa sul De Principiis 27 • Anche se non la si intende in modo rozzo e ingenuo e si ritiene che essa indichi la necessità di una rielaborazione accurata delle nostre idee, non si potrà mai eliminare da essa una forte carica rappresentativa 28 • E tuttavia essa dovrà fare i conti con l'ipotesi annichilatoria, che sembra muoversi in senso opposto. A questo punto le interpretaziorn possibili sono due: o si va alla ricerca di un modo d'intendere la metafora speculare che non la ponga in contraddizione con il fenomeno dell'ipotesi annichilatoria o la si considera come un puro e semplice incidente di percorso in seguito sostanzialmente superato da Hobbes 29 • La metafora speculare è strettamente connessa alla filosofia della mente e alla distinzione fra mente e realtà esterna. Il problema che essa pone è quello del rapporto tra interno e esterno. Hobbes non rinuncerà mai a cercare un qualche legame tra realtà e mente piuttosto che ammettere un radicale divorzio 30 . La difficoltà sta nel fatto che nella Logica, che costituirà la prima parte della stesura definitiva del De Corpore, egli si muove verso una concezione arbitraristica totale dei primi principi della scienza. Il disordine del mondo esterno fa sì che ogrn cosa possa essere 25. Pacchi, Convenzione e ipotesi, cit., p. 15 ss. 26. N. Abbagnano, Storia della filosofia, voi. ll, Utet, Torino 19662 , pp. 217219. 27. "The Minde of man is a Mi"oir capable of receiving the representation and image of ali the world". Questa metafora scompare nei successivi abbozzi del De Corpore, anche se nella sostanza si trova ancora nel Leviatano. 28. Cfr. R. Rorty, Philosophy and the Mirror of Nature, Princeton University Press, Princeton, NJ, 1979 e A.G. Gargani, Il passaggio dalla verità al senso della verità, in Meta11Wrfosi. Dalla verità al senso della verità, a cura di G. Barbieri e P. Vidali, Laterza, Bari 1986, p. 15. 29. La prima soluzione interpretativa è quella seguita da Pacchi, Conve:1zione e ipotesi, cit., la seconda da D. Neri, Teoria della scienza e forma della politica in Thomas Hobbes, Guida, Napoli 1984. 30. Pacchi, Convenzione e ipotesi, cit., p. 60.
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teoreticamente collegata con innumerevoli altre e, di conseguenza, possa avere innumerevoli nomi a seconda dell'aspetto che _si vuole sottolineare e delle altre cose a cui si vuole collegare 31 . E quindi arbitrario il legame tra i nomi e, subordinatamente, anche quello tra i concetti. I primi principi sono assolutamente indimostrabili, perché sono costituiti unicamente da definizioni e le definizioni prime dipendono unicamente dall'arbitrio dell'uomo. Il convenzionalismo integrale 32 sembra essere la terza via tra l 'evidenza cartesiana e l'induizionismo generalizzante di Bacone. Anche l'applicazione del metodo geometrico viene compiuta in quest'ottica stipulativa. La stipulazione delle definizioni prime è del tutto simile al patto iniziale e alle leggi del sovrano 33 . Si deve però notare che l'arbitrarismo dei principi è del tutto compatibile con il deduttivismo e non implica affatto la rinuncia al carattere rappresentativo delle idee qualora il mondo esterno venga concepito come aperto ad un'infinità di ordini possibili. La differenza sta nell'introduzione da parte della scienza di vincoli logici. Alla verità come corrispondenza si sostituisce la verità come coerenza interna, per cui, se sono arbitrari i principi, non lo sono le conseguenze. Per portare fino in fondo questa linea di pensiero bisognerebbe rinunciare alla stessa filosofia della mente, cioè alla distinzione tra interno ed esterno, ed ammettere che la scienza si nutre solo di se stessa, divenendo autoreferenziale e autopoietica. Ma Hobbes non pensa neppure alla possibilità di un esito del genere, che tra l'altro riproporrebbe il problema della legittimazione dell'impresa scientifica. Ed è per questo che non può condurre fino in fondo l'arbitrarismo e il convenzionalismo. Abbiamo già visto che il procedimento deduttivistico viene messo in crisi dall'orientamento suppositorio della fisica. La dimensione probabilistica degli enunciati della fisica indica senza dubbio un legame con il concetto premoderno di scienza (Grossatesta, Ruggero Bacone e Occam) 34 , ma anche un'esigenza di tipo realistico 35 . Il probabilismo che esso implica è una rinuncia a partire dai principi, piuttosto indica una logica della scoperta che è mossa dal desiderio di un
31. Ibidem, p. 145 ss. 32. Hobbes si muoverà decisamente nella direzione della tesi arbitraristica nella Logica del 1645, di cui ci rimangono alcuni estratti. Cfr. ibidem, p. 146. 33. Cfr. la prefazione del 1646 al De Cive. 34. A.G. Gargani, Hobbes e la scienza, Einaudi, Torino 1971, p. 151 ss. 35. Considera, invece, arbitrarismo e orientamento suppositorio come strettamente alleati Pacchi, Convenzione e ipotesi, cit., p. 187.
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incontro con la realtà esterna, rendendo coerenti le esperienze discordanti e contraddittorie offerteci dai sensi. L'orientamento suppositorio si fonda sull'autocorrezione e richiama alla mente un procedimento di tipo ermeneutico. Il senso si corregge con il senso 36 • Il concetto, o immagine, è ciò che permane della sensazione quando l'oggetto esterno, che l'ha prodotto, è rimosso. Possiamo, pertanto, sperare di accostarci alla realtà esterna, rendendo coerenti le esperienze discordanti e contraddittorie offerteci dai sensi 37 . La commistione tra orientamento suppositorio e convenzionalismo conduce alla convinzione che i fenomeni naturali si possono spiegare in vari modi e che i paradigmi, le versioni del mondo e gli schemi concettuali possono essere i più diversi, tutti egualmente veri 38 . Tuttavia non tutto può avere lo stesso grado di ipoteticità. La fisica può forse fare a meno della "ipotesi" dell'esistenza dei corpi in movimento come fondamento e principio della realtà esterna? Sembra che quest'ipotesi sia "necessaria", ma allora non è in senso stretto "un'ipotesi". Sia l'apodittica aristotelica che l'orientamento suppositorio spingevano, dunque, Hobbes a ritenere che non tutte le associazioni tra le idee (train of thoughts) hanno lo stesso grado di scientificità o hanno la stessa importanza per la scienza, ma solo quelle che introducono la nota della necessità. Ed è per questo che la nozione di causa ha il ruolo fondamentale. Per sfuggire ai pericoli del mero convenzionalismo non resta che sostenere che i primi principi sono definizioni puramente descrittive di concetti universali autoevidenti 39 • Di conseguenza il nominalismo dovrà far posto al concettualismo 40 • Non bisogna, infine, dimenticare che per Hobbes, come per Bacone, la conoscenza scientifica ha una finalità pratica. L'attività conoscitiva è legata alla nostra tendenza verso un fine in connessione con il movimento del desiderio o della repulsione. Se dalle nostre connes-
36. Elementi, I, Il, 9. 37. Pacchi, Convenzione e ipotesi, pp. 62-63. Da ciò deriva anche la grande importanza che Hobbes, seguendo d'altronde le indicazioni della cultura scientifica del tempo, attribuisce all'ottica, che è l'applicazione della geometria ai prodotti del senso, cioè alle immagini sensibili. 38. A.G. Gargani, Scene di verità, in Moderno postmoderno. Soggetto, tempo, sapere nella società attuale, cit., pp. 109-116. Hobbes considera la stessa teoria copernicana come una pura ipotesi. Cfr. Pacchi, Convenzione e ipotesi, p. 178. 39. De Corpore, VI. 40. Dal Pra, art. cit., p. 428.
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sioni dobbiamo attenderci nn risultato sperimentale, cioè pragmaticamente verificabile, i primi principi non possono essere arbitrari. La distinzione tra le associazioni "unguided'' e quelle "regulated'' è possibile solo sulla base del carattere pratico della scienza. Le associazioni propriamente scientifiche (e quindi propriamente "umane") sono quelle che dalla causa derivano tutti i suoi possibili effetti 41 • Il modello interpretativo elaborato da Pacchi trova il suo compimento nel VI capitolo del De Corpore, dove c'è l'estremo tentativo di compattare le scienze in un disegno unitario. Tuttavia già si notano i segni della disgregazione che esploderà nel De Homine. La fisica è separata dalle altre scienze, perché è ipotetica. La politica è deducibile a priori a partire da principi suoi propri, che a loro volta risultano evidenti, perché appartengono all'esperienza individuale di ciascuno di noi. L'ideale scientifico unitario sembra, così, definitivamente tramontato 42 • 1.3 Il modello costruttivistico
L'interpretazione di Pacchi è recepita come canonica dalla filosofia della scienza del tempo 43 • Essa si presta ovviamente alle possibili accentuazioni del versante logico-linguistico dell'epistemologia d'ispirazione analitica 44 . Tuttavia già s'introducono aspetti in grado di trasformare dall'interno il modello convenzionalistico nella sua versione puramente razionalista. Innanzitutto si nota la grande rilevanza che Hobbes dà alle sensazioni, che sono la vera sede dell'universalità, poiché consegnano l'intero non ancora differenziato o articolato dalle procedure logicolinguistiche. Queste non hanno "la funzione di scoprire e consegnare ali 'uomo un ordine e una trama di essenze e di forme prestabilite nelle cose, ma di articolare attraverso le tecniche della divisione e della definizione le rappresentazioni confuse e precarie offerte dai sensi" 45 . La scienza, che va dall'universale al particolare, costruisce l'oggetto sensibile con gli strumenti del ling~aggio e della logica. 41. È significativo che questa teoria dell'associazione delle idee si trovi già sviluppata negli Elementi e nel leviatano. Comincia così ad apparire l'importanza epistemologica della scienza politica. 42. Pacchi, Convenzione e ipotesi, p. 217. 43. L. Geymonat, Storia del pensiero filosofico e scientifico, voi. II, Gananti, Milano 1970, pp. 301-303, 311-323. 44. Gargani, Hobbes e la scienza, cit., p. X. 45. Ibidem, p. 69.
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Così l'ipotesi annichilatoria non deve essere interpretata nella direzione del fenomenismo - come vorrebbero Cassirer e Pacchi - , ma è il modo in cui la mente umana estende in una direzione artificiale i processi naturali, realizzando modalità alternative a quelle della natura 46 • Ciò che viene messo implicitamente in discussione è proprio il carattere rappresentativo della mente. Questa non è altro che una funzione del comportamento cinetico della materia 47 . La natura artificiale dei procedimenti mentali non si pone di fronte alla realtà esterna, ma è indistinguibile da essa. Non c'è più differenza tra esterno e interno ed è questo il significato del rigetto della scissione moderna tra res cogitans e res extensa. Si naviga verso una continuità indifferenziata tra natura e artificio, tra sensazioni e loro articolazioni linguistiche. L'artificio linguistico offre un quadro di possibilità di collegamenti senza indicare un modello privilegiato. La scelta e la decisione cadono fuori della scienza. Il sistema hobbesiano può presentare solo un quadro, di cui può servirsi la decisione e il potere di determinazione. Come si vede, siamo ancora sostanzialmente nell'ottica arbitraristica. Le entità geometriche, gli istituti giuridici e eolitici e i fenomeni fisici sono il risultato di un processo operativo. E la decisione originaria che dà un volto alla scienza, anche se ciò avviene secondo gradi e modalità differenti. A questo punto il problema epistemologico fondamentale diviene quello di introiettare in qualche modo la decisione, cosicché la scienza ritrovi la sua autonomia e la sua capacità regolativa. Ciò non è possibile per la fisica, in quanto chi decide è l'autore della natura, ma è possibile per la scienza politica. Finora si è scarsamente valorizzata la scienza politica come modello epistemologico direttivo. Il tendenziale monismo metodico di Hobbes lo spinge a cercare di comunicare a tutte le scienze lo statuto epistemologico della ragion pratica 48 • A differenza di Vico, che accetta il pluralismo metodico, Hobbes non si rassegna 49 . Bisogna, pertanto, trarre tutte le conseguenze dall'applicazione del principio verum-factum, cioè dall'identificazione tra conoscere e operare.
46. Ibidem, pp. 145-146. 47. Ibidem, p. 252. 48. Hobbes "politicizza la geometria". Cfr. Pacchi, Convenzione e ipotesi, cit., pp. 170-171. 49. F. Focher, Vico e Hobbes, Giannini, Napoli 1977, p. 58.
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II nuovo modello interpretativo è, dunque, il costruttivismo 50 • È ovvio che c'è del costruttivismo in tutta la storia della scienza moderna. Lo scienziato costruisce modelli che non fanno parte delle cose di cui ha esperienza e che in seguito impone alla natura. Anzi spesso questi modelli sono controfattuali. La scienza è tecnol?gica già nel suo nascere, cioè nella formazione dei concetti di base. E un progetto umano che non si sottomette alla natura, ma s'impone ad essa con la coercizione e il comando 51 . Tuttavia quest'atteggiamento è pur sempre in funzione della realtà esterna da ordinare e da governare. Invece il costruttivismo verso cui si muove Hobbes appare più vicino agli sviluppi più recenti e alla sua versione postmoderna 52 , perché è preso non già dalle scienze della natura, ma dalle scienze dell'uomo. Hobbes insiste che i procedimenti dimostrativi devono avere un carattere genetico, cioè produrre l'oggetto 53 . Ciò significa che non tutti i principi sono accettabili, ma solo quelli che sono capaci di generare un ordine significativo. L'adattamento biologico e cognitivo non deve essere inteso come una progressiva ottimizzazione della corrispondenza con la realtà esterna, ma piuttosto nel senso del ritrovamento di vie agibili che attraversino il caos. La più chiara professione di costruttivismo si trova nella prefazione del De Corpore. Qui Hobbes invita il lettore a considerare il processo conoscitivo come creativo. La ragione umana si libra sui pensieri e sui dati sensibili, come lo spirito di Dio sul caos primordiale 54 • Tuttavia nello stesso tempo Hobbes afferma contraddittoriamente che il metodo scientifico deve corrispondere alla natura delle cose. Ciò che qui Hobbes vuole riaffermare è il valore oggettivo della scienza, la sua portata decisamente realistica 55 . La contraddizione tra costruttivismo e realismo si può risolvere non solo eliminando del tutto il carattere rappresentativo della nostra conoscenza, ma soprattutto rendendosi conto che ciò presuppone a
50. Neri, Teoria della scienza, cit., p. 87. Qui si dà una versione libera dell'interpretazione di Neri, che appare ancora molto legata ad un costruttivismo di tipo kantiano. 51. W. Barrett, La morte dell'anima. Da Cartesio al computer, trad. di R. Rini, Laterza, Bari 1987, pp. 81-83. 52. R. Trigg. Reality at Risk, Harvester Press, Brighton 1980 e, da ultimo, P. Watzlawick (a cura). La realtà inventata, ed. it. a cura di A. Ancora e A. Fischetti, Feltrinelli, Milano 1988. 53. "Se i primi principi, cioè le definizioni, non contengono la generazione dell'oggetto, niente vi può essere dimostrato come dovrebbe" (Six Lessons). 54. La stessa metafora si trova all'inizio del Leviatano. 55. Neri, Teoria della scienza, cit., pp. 27-28.
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sua volta un'eliminazione della distinzione tra interno ed esterno. È proprio quel che si verifica in modo emblematico nella filosofia politica hobbesiana, il cui "mondo" è interno e viene sperimentato attraverso la conoscenza che ognuno ha di se stesso 56 . Ciò non deve essere inteso nel senso banale che i fatti della mente sono interni, ma nel senso più profondo che i pensieri sono realtà interne, in cui i fatti si presentano già linguisticamente interpretati e concettualizzati. Allora il mondo in cui si libra la ragione scientifica è già un mondo interpretato, il mondo delle opinioni, delle pratiche sociali e delle stesse pratiche scientifiche (Wittgenstein). È a questo "mondo" già costruito che si rivolge il costruttivismo nella sua opera di purificazione dal verbalismo della scienza scolastica. L'oggetto della scienza non sono i fatti, ma le interpretazioni dei fatti. Non è possibile fare alcuna distinzione tra i fatti e gli schemi di descrizione o di esplicazione, cioè le teorie scientifiche. Questo "realismo interno" 57 si può ben coniugare con il costruttivismo, perché si basa sulla convinzione che la verità oggettiva sia una questione interna ad una teoria scientifica, cioè dipenda dalla coerenza interna e dalla capacità esplicativa di questa. Bisogna osservare che questa linea interpretativa allontana vieppiù Hobbes da Bacone. L'incrocio tra costruttivismo e realismo interno fa sì che il primo non possa essere interpretato nell'ottica tecnologica del dominio della natura, perché quest'ultima si basa pur sempre sulla distinzione-opposizione tra interno ed esterno. Ora è la stessa pratica scientifica il tessuto del reale e la costruttrice di mondi, ma non già nel senso prometeico o decisionista. La tesi secondo cui la piena scientificità si trova laddove siamo noi a porre le cause non deve essere intesa nel senso decisionista dell'arbitrarismo, ma in senso squisitamente ermeneutico. Abbiamo sempre a che fare con interpretazioni di fatti, cioè con un universo linguistico che nessuno di noi ha posto, ma che è opera dell'uomo. Che la filosofia cominci dai nomi astratti 58 , vuol dire che rifiuta non solo l'induttivismo, ma anche l'intuizionismo. Tuttavia non cade 56. De Corpore, VI, 7. 57. Facciamo qui riferimento alla distinzione tra realismo metafisico e realismo interno di H. Putnam, Reason, Truth and History, Cambridge University Press, Cambridge, Mass., 1981. La prospettiva del realismo interno è assente nell'interpretazione di Neri, che invece pensa al realismo ontologico aristotelico, da cui Hobbes senza dubbio è suo malgrado segnato. 58. Hobbes afferma che della nozione di spazio "noi siamo il principio", cioè che si tratta di una formazione mentale diversa dall'immagine sensibile. Cfr. Neri, Teoria della scienza, cit., p. 68.
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nelle braccia dell'arbitrarismo, poiché considera la consolidazione delle pratiche sociali e scientifiche come una "tradizione di ricerca", che ha fatto giustizia del decisionalismo contenuto nella prima imposizione dei nomi concreti 59 . Bisogna riconoscere che questo modello costruttivista si adatta meglio ai problemi e alle esigenze contrapposte dell'epistemologia hobbesiana che alle soluzioni che essa ci offre. La fisica di Hobbes resta refrattaria ad essere internalizzata nell'universo costruttivista. Secondo Neri il carattere ipotetico di una scienza deve essere ben distinto da quello costruttivo 60 • Ciò fa comprendere che il costruttivismo, a cui Neri fa riferimento, è pur sempre quello kantiano, cioè legato alla struttura teoreticamente operativa della mente. Tuttavia Pacchi, con maggiore fedeltà ai testi hobbesiani 61 identifica ipoteticità e costruttività, anche se proprio per questo esclude che secondo Hobbes dei primi principi si possa avere una conoscenza costruttiva 62 • Possiamo, in conclusione, affermare che nella letteratura italiana degli ultimi cinquant'anni si raffigurano tre modelli interpretativi alternativi del concetto hobbesiano di scienza: quello razionalistico con presupposti ontologici, quello convenzionalistico compromesso dall'intuizionismo dei principi, quello costruttivistico collegato al realismo interno. Non v'è chi non veda un movimento che va dalla teoria moderna della scienza verso quella postmoderna.
2. Scienza e etica Hobbes non riesce a disegnare una visione unitaria del sapere, ma senza dubbio ha trovato il modello ideale nella scienza etico-politica, che è insieme a priori e empirica 63 . La scienza non è una pratica separata dal mondo della vita, ma appartiene al suo equipaggiamento esistenziale. La scienza serve a porre le condizioni che rendono possibile la vita, che altrimenti sarebbe "solitaria, misera, sgradevole, brutale e breve" 64.
59. 60. 61. 62. 63. mo, a 64.
Ibidem, p. 80. Ibidem, p. 94. De Corpore VI, 13. Pacchi, Convenzione e ipotesi, cit., p. 203. A. Negri, Introduzione, in T. Hobbes, Elementi di filosofia. Il corpo - L'uocura di A. Negri, Utet, Torino 1972, p. 35. Leviatano l, XIII.
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La scienza etico-politica è una navigazione nel mare dei fenomeni umani alla ricerca di quelle connessioni che possano introdurre l'ordine e, in questo senso, è prescrittiva 65 . La conoscenza scientifica porta l'ordine dove c'è il disordine, indica la via della sicurezza dove c'è la minaccia esistenziale, rende possibile il calcolo dove c'è l'imprevedibilità. Si tratta d'individuare e di connettere quei processi razionali che favoriscono la pace e, mediante questa, la conservazione della vita. Questo difficile e problematico rapporto tra scienza e etica è la ragione di fondo della ricerca dell'unità tra scienze naturali e scienze umane e del tentativo (fallito) di superare le barriere della divisione del lavoro scientifico per concepire la scienza come una prassi unitaria interna al mondo della vita. La compenetrazione tra scienza e etica è tanto profonda da non poter essere ridotta né ali' ambito puro e semplice degli effetti etici della scienza, né a quello degli effetti scientifici dell'etica. Secondo Hobbes, se vi sono un'infinità di percorsi della ragione, non vi sono doveri, perché nessuna via è "obbligata"; se, invece, v'è un'unica via dotata di necessità razionale, allora vi sono doveri ed è ~ssibile parlare di etica razionale. Se non c'è scienza, non c'è etica. E questo il vero senso dell' ethica more geometrico demonstrata. Per rendercene meglio conto ci soffermeremo sul tema della legge naturale e sul rapporto tra azione e libertà.
2.1 La legge naturale La riflessione "italiana" sulla legge naturale ha seguito binari propri nella sostanza indipendenti da quelli delle letterature straniere e solo di recente sembra ricongiungersi con queste. Quando nel 1957 è stata pubblicata la nota opera di Warrender 66 , che ha suscitato un ampio dibattito internazionale, l'approccio critico al concetto hobbesiano di legge naturale aveva già compiuto i suoi primi passi decisivi. L'opera di Warrender ha avuto sicuramente l'effetto di attirare sul problema dell'obbligazione le attenzioni della letteratura critica. In
65. T. Magri, Saggio su Thomas Hobbes. Gli elementi della politica, Il Saggiatore, Milano 1982, pp. 58-59. 66. H. Warrender, The Politica/ Philosophy of Hobbes. His Theory of Obligation, Clarendon Press, Oxford 1957. La traduzione italiana è del 1974.
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Italia, invece, forse anche per il forte influsso degli studi di Polin 67 , il tema dell'obbligo non è stato ritenuto centrale nel pensiero di Hobbes 68 . La tendenza generale, con qualche eccezione, è stata quella di considerare le leggi naturali hobbesiane come conclusioni prudenziali della ragione che non possono generare alcuna obbligazione in senso kantiano o, comunque, nel senso stretto del termine. C'è ancora da aggiungere che nel secondo dopoguerra in Italia sono stati prevalentemente i filosofi del diritto ad occuparsi di questo tema con il risultato di considerarlo prevalentemente nell'ottica della problematica giuridica. Infatti la preoccupazione maggiore sembra essere stata quella di stabilire se Hobbes fosse un giusnaturalista o un giuspositivista. Questo problema rifletteva il dibattito in corso nella filosofia giuridica del tempo, che vedeva, da una parte, il ritorno del diritto naturale e, dall'altra, la ricostruzione teorica del positivismo giuridico alla ricerca di antenati illustri. Nel rapporto tra legge naturale e legge positiva si può dare la prevalenza alla seconda (ed è questa l'interpretazione positivistica di Bobbio) oppure alla prima (ed è questa l'interpretazione giusnaturalistica di Warrender, seguito in parte da Corsi), oppure si può tentare di rendere l'una in una certa misura indipendente dall'altra (ed è questa l'interpretazione separatista di Cattaneo). Nel primo caso il diritto assorbe la morale, nel secondo la morale assorbe il diritto, nel terzo diritto e morale sono separati 69 . Tuttavia nessuna delle tre vie conduce ad una risposta netta. Tutti riconoscono che, se da certi punti di vista Hobbes può essere senza dubbio considerato giuspositivista, da altri è altrettanto indubbiamente giusnaturalista. La disputa può riguardare quali punti di vista debbano ritenersi più rilevanti 70 • 2.1. l La legge naturale come fondamento Per Bobbio il punto di vista più rilevante è quello della funzione della legge naturale. Quest'ottica s'impone in quanto l'etica hobbe67. R. Polin, Politique et philosophie chez Thomas Hobbes, P.U.F., Paris 1953. 68. Pacchi, Cinquant'anni di studi hohbesiani, cii., p. 324. 69. Questa ricostruzione si trova in G.M. Chiodi, Legge naturale e legge positiva nella filosofia politica di Thomas Hobbes, Giuffrè, Milano 1970, p. 18 ss. 70. "Credo che il modo più saggio di rispondere alla domanda se quel certo autore sia un giusnaturalista o un positivista sia di mettere le mani avanti dicendo 'dipende"'. N. Bobbio, Giusnaturalismo e positivismo giuridico, Ed. di Comunità, Milano 1977, Ili ed., p. 146.
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siana riguarda i mezzi e non il fine, cioè i comportamenti che l'uomo deve tenere una volta dato un certo fine come fine supremo. Questo fine è la pace ed essa si raggiunge lasciandosi governare dalle leggi positive. "La legge naturale è quel dettame della nostra ragione che suggerisce all'uomo, se vuole ottenere la pace, di obbedire in tutto e per tutto soltanto alle leggi positive" 71 . La funzione della legge naturale sembra così essere quella di giustificare la nascita dello Stato e l'obbedienza alle sue leggi, il suo scopo è quello di fornire un fondamento di legittimità al potere politico, svolgendo il ruolo di norma fondamentale à la Kelsen 72 . Una volta nato lo Stato la legge naturale ha esaurito il suo compito e non le resta che scomparire. Non si può dire neppure che obblighi, poiché l'obbligo esiste nella sua pienezza solo con le leggi positive, cioè quando si pongono le condizioni di possibilità della sua efficacia. In conclusione Hobbes è sostanzialmente un giuspositivista, ma è giusnaturalista per quanto riguarda il fondamento della legge positiva. Proprio per questo può considerarsi ben più di Grozio l'iniziatore del giusnaturalismo moderno 73 • Quesfinterpretazione della legge naturale richiederebbe il suo carattere normativo, poiché lo esige il suo ruolo di fondamento di legittimità. Tuttavia secondo Bobbio Hobbes considera le leggi naturali come teoremi e non norme, come principi scientifici che appartengono alla sfera dell'essere e non del dover essere 74 , fatta eccezione di quella che prescrive di mantenere i patti e di quella che fonda lo Stato sul contratto a favore di terzi 75 • Ma questa disparità di considerazione delle leggi naturali non è in alcun modo autorizzata dai testi hobbesiani. Perché mai solo alcune leggi naturali dovrebbero avere lo status normativo e non tutte?
71. N. Bobbio, Legge naturale e legge civile nella filosofia politica di Hobbes (1954), ora in Da Hobbes a Marx, cit., pp. 19-20. 72. Bobbio s'ispira a Kelsen sia per la considerazione del giusnaturalismo nell'ottica della sua funzione, sia per il modo di porre il problema del fondamento del diritto positivo. Sui rapporti tra Hobbes e Kelsen cfr., da ultimo, F. Gentile, Hobbes et Kelsen. Elements pour une lecture croisée, in "Revue européenne des sciences sociales", LXI (1982), pp. 379-392. 73. Bobbio, Hobbes e il giusnaturalismo, cit., 51. Questa tesi, presa da Tonnies, si basa sulla convinzione che il maggior merito del giusnaturalismo sia quello di essere progenitore del giuspositivismo. 74. Il problema della fallacia naturalistica è un'altra categoria della modernità proiettata nel pensiero hobbesiano. Cfr. F. Viola, Hobbes filosofo moderno?, in "Rivista internazionale di filosofia del diritto", LIX (1982), pp. 103-113. 75. Bobbio, Legge naturale e legge civile, cit., pp. 45-46.
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Un altro rilievo può essere avanzato a proposito del modo di considerare l'etica hobbesiana. Bobbio è mosso dalla convinzione che il fine cada fuori delle possibilità cognitive dell'etica, poiché secondo il neopositivismo non può darsi alcuna conoscenza oggettiva dei valori. Tuttavia non c'è dubbio che Hobbes pone a fondamento della sua morale un valore oggettivo supremo, cioè la conservazione della vita, che ha tutta l'aria di essere considerato un principio evidente. Anche quando vede la pace come fine supremo, la pone come prima legge di natura, cioè come pienamente dimostrabile per via razionale, e non già come un presupposto indimostrabile a cui appendere la catena delle deduzioni etico-giuridiche. Allora non si può affermare che l'etica hobbesiana riguardi soltanto i mezzi. Le leggi naturali sono da Hobbes concepite come norme finali-tecniche, cioè prescrivono sia il fine da perseguire che i mezzi più adatti per raggiungerlo 76_ Un ultimo rilievo concerne il formalismo etico. Secondo Bobbio il contenuto delle leggi naturali ha ben scarsa rilevanza, tant'è vero che esso non vincola quello della legge positiva 77 • Hobbes è un sostenitore della teoria formale della giustizia per cui la giustizia di un'azione sta nella mera conformità ad una norma e non già nel suo contenuto ("Non si può far torto, se non a quello con cui s'è stretto un qualche patto"). Tuttavia non c'è dubbio che molte leggi di natura indicano valori oggettivi "sostanziali" 78 . D'altronde l'utilitarismo è una filosofia etica oggettiva, che ha la pretesa d'individuare il contenuto delle azioni che debbono essere compiute in relazione ad un certo fine. Che poi le leggi naturali in mancanza dello stato civile obblighino solo in coscienza, non significa affatto che il loro contenuto sia irrilevante 79 . Al contrario ciò è una conferma del loro valore etico, che però sul piano dell'efficacia ha bisogno del sostegno del potere statale 80 . In realtà tutta l'interpretazione di Bobbio è condizionata dalla presupposizione che il modello moderno di giusnaturalismo sia caratterizzato dal tentativo di erigere un ordinamento giuridico naturale che 76. U. Scarpelli, Thomas Hobbes. linguaggio e leggi naturali - Il tempo e la pena, Giuffrè, Milano 1981, p. 27. 77. G. Bianca, Diritto e Stato nel pensiero di T. HobJes, Casa ed. libraria Humus, Napoli 1946, pp. 88-90. 78. M.A. Cattaneo, Il positivismo giuridico inglese. Hobbes, Bentham, Austin, Giuffrè, Milano 1962, p. 66. 79. Ibidem, pp. 65-69. 80. Sotto questo aspetto I"interpretazione di Warrender mi sembra più fedele alle reali intenzioni di Hobbes.
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si sovrappone a quello positivo ed ha validità indipendentemente da esso. Poiché Hobbes non si conforma a questo modello, Bobbio conclude che è un giuspositivista o almeno un giusnaturalista debole, che limita la funzione della legge naturale a quella fondativa. Il giusnaturalismo è una categoria tipica della modernità. Bisogna, però, tener conto della più volta constatata abilità di Hobbes nel piegare la terminologia consolidata dalla tradizione a nuovi obiettivi 81 • Come non è mai esistito uno stato naturale puro, bensì uno Stato naturale frammisto alla società civile secondo le indicazioni di Pufendorf, così la legge naturale ha bisogno per evidenziarsi della presenza della legge positiva, di cui è in qualche modo sostegno. Legge naturale e legge positiva, dovere e obbligo, appartengono allo stesso movimento d'introduzione dell'ordine nella natura umana disordinata e contraddittoria. Legge naturale e legge positiva s'integrano vicendevolmente non solo nel senso che la seconda porta la prima alla pienezza dell'obbligatorietà, ma anche nel senso che la prima costituisce la possibilità sempre aperta che impedisce una ricaduta irreversibile nello stato di natura. L'esigenza fondativa e legittimante è senz'altro presente in Hobbes, ma non già come un punto di partenza che si lascia dietro le spalle al modo della catena normativa. Al contrario si tratta di un sostegno continuo che lo stato civile riceve dall'esercizio della ragione. Hobbes, dunque, non intende la legge naturale come un ordinament