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Italian Pages [421] Year 1995
FOND~ONELillGIFrnPO
CENTRO DI STUDI SUL PENSIERO POLffiCO STUDI E TESTI
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ARISTOTELISMO POLITICO E RAGION DI STATO Atti del convegno internazionale di Torino 11-13 febbraio 1993 a cura di
A.
ENZO BALDINI
FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE MCMXCV
ISBN 88 222 4358 7
PREMESSA
Sul progetto del convegno avevamo discusso a lungo nel corso di alcuni seminari dedicati a problemi metodologici e ad aspetti peculiari del pensiero dell'età della Controriforma; avevamo iniziato a Napoli nel novembre del 1991, proprio in occasione della nascita dell'l{il'Etat~ Poliiique etrationalité; Paris, PUF; 1992, entrambe a cura di C. Lazzeri e D. Reynié. A questa ricca produzione si aggiunge il recente volume Raison et déraison d'Etat. Théoiiéittù ei tliéones de la ralson d'Etat aux XVJe et XVIIe Siècles, sous la direction de Y. c: Zarka:, Paiis, PUF; 1994. 4 Oltre al convegno boteriano in memoria di Luigi Fiipo ai cui Atti ho già fàtto riferimento, cfr~ Ragwn di Stato e ragioni dello Stato, Napoli 9-10 luglio 1990, a cura di Pierangelo Schiera, in corso di stampa. Dopo il convegno torinese qui pubblicato, sono stati organizzati: «Necessitas ndn habet legem. The Politics of Necessity and the Language of Reason of State» (Cambridge 14-16 aprile 1993), ispirato e organizzato daJ. Dunn e l. Hont; «Souveraineté et gouverrtement: Jean Bodin et les théoriciens de la raison d'Etat» (Parigi 17-18 giugno 1994), i cui Atti sano m corso di stampa a cura di Y.C. Zarka; «La Ragion di Stato dopo Memecke e Croce. A proposito di recenti contributi» (Torino 21-22 ottobre 1994), i cui Atti, da me curati, saranno pubblicati nell' «Archivio della ragion di Stato». Ma già nel 1985 era stato organizzato in Polonia un convegno sulla ragion di Stato, analizzata nella sua dimensione ·storica e nella sua perdurante attualità (Racja Stanu. Historia, teoria~ wsp&lcznesnosé, mate-' rialy konferencji 22-24 maja 1985, red .. E. Olszewski, Lublin, Miçdzyuczelniany Instytut Nauk Politycznych, Uniwe:rsytet Marii Curie-Sldodowskiej, 1989).
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PREMESSA
siderazione del fatto che esso si è prepotentemente imposto - al di fuori di qualsiasi forma di coordinamento- all'attenzione di studiosi provenienti da differenti esperienze culturali e scuole di pensiero, mossi da obiettivi e programmi di ricerca spesso marcatamente diversi tra di loro.5 Ovviamente il convegno «Crisi dell'aristotelismo politico e ragion di Stato» si poneva in una prospettiva sostanzialmente diversa rispetto a quelle sviluppate nelle opere e nelle iniziative di cui ho detto. Del resto, l'idea che aveva portato alla scelta del tema dell'incontro era basata sulla necessità di battere nuove strade; di avviare cioè un esame il più possibile ampio e variegato del problema «ragion di Stato» affrontandolo da molteplici prospettive e coinvolgendo studiosi con alle spalle diverse esperienze di ricerca. Ecco perché tra i relatori e tra coloro che hanno preso parte al dibattito figuravano non solo storici delle dottrine e delle istituzioni politiche o storici delle idee in senso lato, ma anche filosofi, storici e filosofi del diritto, politologi e storici della letteratura italiana. Anche come conseguenza di questa scelta il dibattito ha avuto un ruolo tanto centrale. Ai due intensi giorni di lavoro presso la Fondazione Firpo, durante i quali ogni relazioneè stata immediatamente sottoposta a discussione, è infatti seguita, presso il Dipartimento di Studi politici dell'Università di Torino, una sessione dedicata interamente al dibattito: le tematiche principali emerse dal convegno sono state così riprese e approfondite, e soprattutto tradotte in ulteriori progetti di ricerca. D'altra parte, proprio al fine di rendere il dibattito più incisivo e aderente agli obiettivi del convegno, erano stati inviati con largo anticipo a tutti i partecipanti non solo ampi Abstracts delle relazioni previste dal programma, ma anche materiali a stampa e bibliografie appositamente elaborate. Sono qui pubblicati i testi, rivisti dagli autori, di tutte le relazioni previste ed effettivamente tenute durante il convegno, comprese quelle di Enrico Nuzzo e di Yves Charles Zarka che si sono felicemente aggiunte nel corso della sessione inaugurale e di quella conclusiva. Da più parti mi è giunta la richiesta di riprodurre, almeno in parte, lo schietto e intenso dibattito che ha animato i tre giorni di lavoro. Dopo alcune esitazioni e col conforto degli intervenuti, ho pregato coloro che avevano preso parte alla discussione di rielaborare in maniera concisa le loro argomentazioni, an5
Per le recenti iniziative e pubblicazioni sulla ragion di Stato cfr., tra l'altro, G. BoRIU!LLI,
R.agion di Stato e modernizzazione politica. Informazioni sulla ric.erca e nota bibliografica, cScienza e politica», 1993, 9, pp. 11-24; v. DINI, n ritorno della 'Ragion di Stato', «Filosofia politica~. VIII, 1994, pp. 235-241; Notiziario, •Archivio della ragìon di Stato•, II, 1994, pp. 89-103; A. BLACK. Book Reviews, •History of Political Thought», XV, 1994, pp. 299-303.
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A. BNZO BAIDINI
che sulla ba5e ddle registrazioni che sono state messe a loro disposizione~ Numerosi studiosi hanno accettato di buon grado l'invito e ora agli « (e sua «crisi») pone una serie estesissima di gravosi quesiti storiografici, e innanzitutto metodologici. Elemento fondamentale di tale premessa è che - soprattutto in considerazione dell' «asimmetria» tra le due categorie storiografi.che in questione, «aristotelismo politico» e «ragion di stato» («asimmetria» che dovrà essere argomentata tra poco) - quei quesiti investono preminentemente, e comunque prioritariamente, la prima di esse: verso la quale perciò è marcatamente curvato questo mio intervento. Conseguenza di tale premessa è che un lavorio sistematico attorno ai rapporti fra le «tradizioni», i «linguaggi», i «Vocabolari concettuali», di «aristotelismo politico» e , il sedicesimo, e nel secolo successivo (i «grandi secoli della ragion di stato•...), nonché ancora nel diciottesimo.
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:ENRICO NUZZO
l' . E tuttavia una tale storia appare se non altro significativamente debitrice verso questa linea di indagine - a mio avviso - innanzitutto per lo stimolo che da essa è venuto a una considerazione allargata delle problematiche dell'«aristotelismo politico» ben oltre i confini tradizionali delle «dottrine politiche», in direzione di una considerazione della questione della loro solidarietà con la più generale riflessione sul di fondare una rinnovata logica delle scienze sociali sul modello del sapere pratico classico, l'acutezza della critica non resta tanto affidata all'indicazione dei motivi essenziali per i quali ci risulterebbe ormai estranea l'antica politica, quanto, anche qui, al rilievo dell'estrema implicazione del pensiero politico aristotelico nel suo quadro metafisico. Anche da questa linea critica (della quale non vanno qui richiamati testi e luoghi) può essere rafforzata una sollecitazione indiretta ad esaminare quanto nella storia degli ambiti tematici dell'aristotelismo politico si sia assistito a un rafforzamento o viceversa ad un allentamento o a una perdita dei vincoli originariamente intrattenuti con un quadrO generale di linguaggio di impianto metafisico. 13 La produzione di Ritter, della quale è doverosa almeno una menzione; si colloca all'intersezione tra l'indagine storico-filologica sulla formulazione aristotelica della filosofia pratica
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CRISI DELL'ARISTOTELISMO POLITICO E RAGlON DI STATO
Dall'insieme di questi studi, comunque - per quanto le indagini precipuamente versate allo studio della tradizione politica aristotelica siano state in fondo non tanto numerose - è sicuramente eme.rso un: apporto di rilievo alla questione della definizione delle tradizioni dell'aristotelismo politico e alla detenninazione del suo quadro concettuale e tematico. Da questa corrente di studi, infatti, oltre che un generale importante contributo di riflessione metodica, in primo luogo è venuta una convinta risposta all'interrogativo formulato inizialmente circa la validità dell'impiego della nozione di aristotelismo politico, o tradizione politica aristotelica. almeno per quanto attiene a ciò che si potrebbe definire l'area tematica dei saperi della vita pratica (e quindi anche della politica). Non soltanto. Dall'interessante produzione sulla diffusione e incidenza dell' «aristotelismo politico>> in Germania nella quale quella corrente di studi si è prolunga.;. ta, o con la quale ha confinato o si è intrecciata - sulla base della comune collocazione su di un osservatorio (appunto quello della cultura tedesca) dal quale gli elementi di persistenza del linguaggio politico aristotelico appaiono molto forti - sono emersi tanto il conforto all'idea di una tradizione assai prolungata del «linguaggio» dell' «aristotelismo politico» che, più o meno in rapporto con tale idea, una proposta di intendere la Politica come un «paradigma» (dotato di vitalità assai prolungata), nell'accezione kuhnia..,;. na del tennine. 14 (e la storia della tradizione che da essa prende le mosse fino a spegnersi definitivamente con Hegel) e la condivisione degli intenti riabilitatori del «modello aristotelico•, a correzione della radicale separazione tra «moralitàt e «legalitàt instauratasi con il tramonto della tradizione aristotelica. Si vedano soprattutto di]. R.rm!R, Zur Grundlegung der praktischen Philosophie bei Aristoteles, c.Archiv fiir Rechts- und Sozialphilosophie•, XLVI, 1960, pp. 179-99, poi in Relutbilitierung ... Band Il, op.cit., pp. 479-500, e i saggi compresi in Metaphysik und Politik. Studien zu Aristoteles und HegeL Frankfurt a.M., Suhrkamp, 1969, pp. 9-179, tr. it., Casal Monferrato, Marietti, 1983. Testimoniano l'interesse degli allievi di Ritter per la storia della «tradizione aristotelica» le pagine precedentemente richiamate del lavoro di G. Bien. Ma anche chi non può essere ascritto propriamente alla sua «Scuola», come Riedel, ha debiti dichiarati verso il suo insegnamento. Pensando a Riedel ancora, si deve ricordare come Ritter abbia stimolato l'interesse all'esame dei legami profondi che rapportano la riflessione politica di Aristotele ai princìpi metafisici del suo discorso. In questa direzione importante appare il lavoro di A. KAMP, Die politische Philosophie des Aristoteles und ihre metaphysischen Grundlagen, Freiburg-Mi.inchen, Karl Alber, 1985. 14 «Nella tenninologia della stOria della scienza, la Politica di Aristotele potrebbe essere interpretata - scrive Riedel con esplicito riferimento a Kuhn - come un «paradigma», che per secoli ha mantenuto in attività la «scienza normale• in questo campo e anche con il mutare dei presupposti ha permesso che ciò si traducesse soltanto in una precisa?.ione e specificazione del linguaggio e delle procedure abituali»: cfr. M. Rmom., Metafisica e metapolitica, cit., p. 52. Ma qui bisognerebbe almeno chiarire che per Riedella continuità da lui riconosciuta del «linguaggio» dell'aristotelismo politico non significa persistenza di effettivi significati. Di qui, come sopra si accennava, l'interessante delineazione di una «tradizione» di «linguaggio» lo studio della quale - con un approccio metodologico su ciò a mio avviso da condividere appieno
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BNRICO NUZZO
In particolare quest'ultima proposta -'- non isolata, come si avrà conferma tra poco - appare, come è evidente, di notevole rilevanza per un generale discorso metodologico e storiografico sull' «aristotelismo politico» e la sua «crisi>>. Tuttavia, anche se accompagnata dalla cautela e dall'intelligenza critica che contrassegnano le tesi di Riedel, essa non manca a mio parere di suscitare diverse perplessità. Essa offre infatti il verso per adottare troppo estensivamente l'«aristotelismo politico» nel senso di «linguaggio politico tradizionale», laddove - per cominciare -a mio avviso quello non aveva, nella cultura primomoderna e moderna, la stessa compattezza, ampiezza e pervasività del «paradigma>) della , e quindi copriva un'area per un verso più ridotta di quella del «linguaggio tradizionale>>, per altro verso al proprio interno non univoca, ma plurale. Questo mi pare un punto problematico assai importante per il nostro tema, e sul quale vale la pena pertanto di cominciare a soffermarsi. Considerare infatti la Politica (o anche un «linguaggio>> di (nel suo senso più ampio di «costellazione di credenze, valori», etc.) nella considerazione della storia dell'«aristotelismo politico», sarebbe forse opportuno provare a fissare più paradigmi al suo interno di diversa compattezza ed efficacia, tra i quali pare giusto ancora approfondire quale (o quali) si avvicini alle caratteristiche di un effettivo paradigma affme a quello elaborato da Kuhn per quanto concerne la storia della scienza. Se infatti un forte aspetto «paradigmatico» va reperito nella storia dell'«aristotelismo politico», esso probabilmente può essere individuato a fini euristici innanzitutto in una certa modulazione dell'aristotelismo politico tardomedievale (più «aristotelico» di Aristotele ... ) nella quale si intensificano fortemente, sistematicamente, dottrinariamente, i rapporti tra politica, metafisica e cosmofisica di impronta aristotelica (e la prima tende ad essere riassorbita nel carattere paradigmatico dell'ultima, entro l'orizzonte, effettivamente concorde, di una grande «ideologia dell'ordine»). Quanto appena detto non nega certamente la vantaggiosità di un'energica innovazione nei confronti di tradizionali impostazioni di storia delle idee - aduse a isolare autori, testi e idee dai loro contesti linguistici - la quale alimenti un tipo di domanda critica che possa essere rivolta sia all'analisi delle note di interna coesione o più o meno forte vitalità e scorrimento degli elementi di un linguaggio, «paradigmatico» se si vuole, sia, e magari primariamente, all'analisi dei caratteri di forte scarto tra diversi linguaggi, momenti, orizzonti di senso, nella storia del pensiero: nello studio della quale l'attenzione alla dimensione «orizzontale» e «Verticale» delle idee può incrociarsi con lo studio della loro dimensione - per così dire- «intraparadigmatica» ed «interparadigmatica». E ciò in special modo per quanto riguarda la ricerca sulla genesi e sui caratteri della >, etc., nella storia delle idee politiche. Si deve in particolare a Sheldon Wolin la proposta sistematica di estendere e adattare alla storia delle teorie politiche, e alla stessa scienza politica, ia teorizzazione kuhniana della storia della scienza nella chiave di una storia di «paradigmi», e con essa anche taluni suggerimenti che investono una storia degli «aristotelismi politici». Diverse considerazioni, che in questa sede non è il caso di sviluppare, relative alla persuasività (a mio avviso complessivamente debole) delle preoccupazioni teoriche e formulazioni metodologiche di tale proposta, si riverberano tuttavia anche sull'indicazione - che va comunque segnalata - da parte di Wolin, tra gli svariati paradigmi da lui suggeriti, di un «paradigma aristotelico» e di un altro individuabile nella «sintesi aristotelico-tomistica»: l'uno e l'altro fungenti come «scienza normale» e adottati - ma anche adattati creativamente, al fine interventi di S. Touhnin, o dibattiti sui nessi tra «antifoundationalism» e «practical reasoning», o, per quanto attiene agli interessi per la «conceptual history», contributi di M. Richter, etc.
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ENRICO NUZZO
di risolvere nuovi problemi e interrogativi - da «paradigm workers» come, nel primo caso, Giovanni di Parigi, Tolomeo di Lucca o Marsilio di Padova, nel secondo caso, Hooker o Vitoria e SuarezY Si conferma dunque non poco problematica la trasposizione della costruzione metodologica kuhniana sul terreno della storia delle idee politiche, e con essa il tentativo di affidare a tale tipo di «paradigmi» una configurazione dei caratteri e delle sequenze dell'«aristotelismo politico». Anche se nulla vieta - come già si è detto e si avrà modo di dire ancora più avanti - che la nozione di «paradigma» venga adoperata, con la consapevolezza dei suoi limiti, per rappresentare innanzitutto i caratteri di solidarietà interna posseduta da «linguaggi» o «lessici» propri di determinate tradizioni della storia del pensiero politico, e quindi anche dell' «aristotelismo politico». Ben diverso è comunque un approccio che si serva deliberatamente di questa ultima nozione come di un «modello» che si può definire «analitico-sistematico». In questo caso, rispetto ad approcci di tipo «storico», la restrizione secca del quadro concettuale di una vastissima serie di dispa;... rati fenomeni intellettuali a poche rigide note,, sistematicamente definite, corrisponde alla voluta radicalizzazione dell'operazione- necessaria nella determinazione di ogni categoria storiografica - di selezione e «accentuazione unilaterale» dei contenuti di questa. Si tratta, in tal caso, della prospettiva di massimizzare la chiarificazione teorica e la disamina comparativa di determinati elementi concettuali, considerati di fondamentale importanza nella tradizione della filosofia politica. In tal senso, in sostanza, t7 Cfr. S. WoLIN, Paradigms and Political Theories, in Politics and Experience, ed. by P. King-B. C. Parekh, Cambridge, Cambridge Univ. Press, 1968, poi in Paradigms and Revolutions, ed. by G. Gutting, Notre Dame (Indiana), Univ. ofNotre Dame Press, 1980, pp. 160-191; le parole cit. alle pp. 176-177~ Non è il caso di argomentare qui perché appaia scarsamente condivisibile innanzitutto il quadro di interessi e propositi di tenore «seientistico» entro cui W olin organiZza le sue argomentazioni. Interessa piuttosto osservare - in più stretta relazione al nostro argomento - le difficoltà a cui va incontro la prospettiva metodica di W olin quando si definisce poi in concreto con la proposta di prevedere una numerosa serie di paradigrni nello stretto senso kuhniano (come quelli associati ai nomi di Platone, Aristotele, Cicerone, Tommaso d'Aquino, Machiavelli, Hobbes, Locke, Marx, etc.): paradigrni che appaiono non facilmente idonei a rappresentare la vicenda di una «scienza normale» alla quale si opponga infine un paradigrna che risulti dominante, apprestando i requisiti della costituzione di un nuovo «sapere normale». In effetti rischiano così di trovarsi a rappresentare la situazione di «scienza normale» diversi paradigrni tra di loro collidenti. Questi saranno magari adatti a illustrare proficuamente il caso di specifici «modelli.o teorici capaci di dare luogo a peculiari «tradizioni» di idee politiche. Ma in questo caso non si vede perché scomodare Kuhn (anche tenendo presente il «secondo» e ormai corrente Kuhn) ... Può essere infine solo ricordato che le considerazioni e proposte metodologiche di Wolin (autore di altri interessanti interventi di tenore teorico e metodologico sulla storia delle teorie politiche, nonché anche sulla ragion di stato) aprirono negli anni '70 un dibattito a più voci, di critica o assenso.
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CR.ISI DElL'ARISTOTELISMO POLITICO E RAGION DI STATO
Bobbio ha presentato, con la consueta limpidità, un «modello aristotelico» contrapposto al giusnaturalistico «modello hobbesiano». 18 Si tratta comunque, in questo caso, di un «modello teorico» il quale dichiaratamente debitore verso il «metodo dell'analisi concettuale» - è chiamato ad assolvere a funzioni definitorie e classificatorie, necessariamente schematizzanti, le quali possono contribuire al disegno di determinazione e storia dell'aristotelismo politico soltanto con significativi stimoli alla riflessione teorica e storiografica: in particolare - per quanto attiene al nostro argomento - sollecitando a individuare una radicale rottura con il linguaggio concettuale dell'aristotelismo politico soltanto nel «giusnaturalismo» hobbesiano, e non in Machiavelli e nella ragion di stato. Se con la ricerca di un «modello sistematico» - le cui ascendenze e istanze possono essere reperite soprattutto in linee di pensiero «analitico» - si perseguono soprattutto esigenze di definizione e classificazione concettuale, o anche di «ricostruzione razionale» piuttosto che «storica» delle idee, da un diverso tenore di finalità e ascendenze e strumentazioni teori:che è connotata la corrente «revisionista» nella storia delle idee politiche che poco sopra si è richiamata. Come è noto, è da circa un ventennio ormai che viene qualificato con l'attributo di «revisionista» l'indirizzo di riflessione metodologica e ricerca storiografica chiamata anche «contestualista», o «intenzionalista», o, tenendo presente sue ascendenze e primordi, «scuola di Cambridge», etc., e tra i cui principali protagonisti vanno annoverati Skinner, Pocock, Dunn. N elIa prospettiva del nostro discorso giova ricordare che da tale indirizzo sono venute: una polemica serrata verso le principali tendenze tradizionali della storia delle idee, e anche verso lo stesso concetto di tradizione; una critica impietosa alla nozione di tradizione politica classica (in ispecie quale impersonata dagli studi di Strauss, di Voegelin, etc., sopra ricordati); un insieme di proposte di metodo (in verità non univoche) in tema di storia ts Cfr. N. BoBBIO, Il giusnaturalismo, in Storia delle idee politiche economiche sociali, diretta da L. Firpo, vol. IV, L'età moderna, tomo l, Torino, UTET, 1980, specie la p. 515. Con qualche variazione e aggiunta il saggio - anticipato già nel 1973 - si legge anche in N. BoBBIO-M. BoVER.o, Società e stato nella filosofia politica moderna. Modello giusnaturalistica e modello hegelo-marxiiino, Milano, Il Saggiatore, 1979. Bobbio ha così individuato le caratteristiche del «111odello aristotelico», facendole seguire a quelle simmetricamente opposte, alternative, proprie del «modello hobbesiano», agiusnaturalistico»: «a) concezione razionalistica o storico-sociologica dell'origine dello Stato; b) lo Stato come antitesi o come complemento dell'uomo naturale; c) concezione individualistica e atomi2:2ante o concerione sociale e organica dello Stato; d) teoria contrattualistica o naturalistica del fondamento del potere statale; e) teoria dellà legittimazìone attraverso il consenso o attraverso la forza delle cose» (op. cit., p. 505). lu14r.inno esaminati altrove possibili pregi e limiti di un «modello aristotelico» quale quello disegnato da Bobbio in ordine alla definizione di aree tematiche la cui trasmissione si presti a configurarsi nei tennini di peculiari tradizioni concettuali.
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ENRICO NUZZO
delle idee, imperniate su una riflessione attorno alle nozioni di «testo», «autore», «contesto», e conducenti a un privilegiamento teorico della ricerca sui «discorsi», i «linguaggi», del pensiero politico; per quanto attiene più da vicino il nostro argomento, infine anche una serie di tesi o indicazioni specifiche, emergenti dalla concreta ricerca storica, pertinenti alla configurazione di pratiche, e anche prolungate tradizioni «discorsive» (e qui si pone un problema di congruità con le premesse metodiche dichiarate), caratterizzate dalla presenza o preminenza di apporti di matrice «ari~ stotelica». A ciò si deve aggiungere che, data l'enorme influenza che tale indirizzo ha avuto in particolare nella cultura storica di lingua inglese, risultano non numerose le ricostruzioni recenti di tradizioni di linguaggi di impronta classica che non appaiano verso quello debitrici. Come largamente noto, la critica, implicita o esplicita, al concetto di tradizione, quale praticato comunemente dagli storici delle idee, prende corpo - specie in pagine di Skinner da tempo punto di riferimento del dibattito metodologico in questione - nell'insieme di accuse mosse nei confronti di quelle da lui considerate le due principali tendenze «ortodos-se» della storia del pensiero, la > di una > (indotta piuttosto a seguire singoli concetti che «campi concettuali», oltre che curvata verso il rischio dì una considerazione in qualche modo «oggettivistica» di quelli), sembra dunque poter dare fruttuosi, ma ancora parzìali suggerimenti e stimoli. Meno ancora questi paiono venire da una qualche ricaduta nel gusto del disegno dì bimillenarie tradìzìoni dì matrice «aristotelica» rinvenibile già in alcune assai note e fortunate formulazionì storiografiche di Pocock sulle quali si verrà tra breve. 21 Sarebbe intereSsante potere qui analizzare e discutere premesse e modi della prospettiva interpretativa, avanzata da Skinner soprattutto in The Foundations oJ Modem Politica[ Thought,
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CRISI DELL'APJSTOTBUSMO POLITICO E RAGION DI STATO
Il disegno di una assai prolungata tradizione di significativa impronta >, perché non v'è forma di associazione in cui non si verifichi una tale «patologia». Sicché, non a caso, Marsilio pone una stretta analogia tra la salute del corpo, fondata sull'equilibrio dei suoi elementi e la «buona disposizione» della città o «politia» «per cui ciascuna delle sue parti sarà capace di compiere perfettamente le operazioni che le sono pertinenti, secondo la ragione e la propria istituzione». 29 Altrove, domunitas... &; iv, 1, p. 16: «Est autem civitas secundum Aristotelem 1° Politice capitulo 1: perfecta communitas omnem habens terminem per se sufficiencie, ut consequens est dicere, facta quidem igitur vivendi gracia, existens autem gracia bene vivendi». 27 Ibid., iv, 2, pp. 16-17: «Hoc ergo statuamus tamquam demonstrandorum omniuni principium naturaliter habitum, creditum et ab omnibus sponte concessum: omnes scilicet homines non orbatos aut aliter impeditos naturaliter sufficientem vitam appetere, huic quoque nociva refugere et declinare; quod eciam nec solum de homine confessum est, verum de omni animalium genere secundum Tullium 1" De Officiis, capitulo 3 ...». 28 Ibid., 4, p. 18: «Verum quia inter homines sic congregatos eveniunt conteciones et rixe, que per normam iusticie non regulate causarent pugnas et hominum separacionem et sic demum civitatis corrupcionem, oportuit in hac communicacione statuere iustorum regulam et custodem sive fàctorem•. 29 Ibid., ii, 3, pp. 11-12: Debentes itaque describere tranquillitatem et suum oppositum, suscipiamus cum Aristotele primo et quinto Politice sue capitulis 2° et 3° civitatem esse sicut animatam seu animalem naturam quandam. Nam sicuti animai bene dispositum secundum naturam componitur ex quibusdam proporcionatis partibus invicem ordinatis suaque opera sibi mutuo communicantibus et ad totum, sic civitas ex quibusdam talibus constituitur; cum bene disposita et instituta fuerit secundum racionem. Qualis est igìtur comparacio ani-
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IL CARA'ITERE cNA'lURAJ..:s. DELLO STATO
po aver paragonato la «cattiva disposizione» alla malattia del corpo animale, respinge con forza l' «opinione sofistica» che, identificando il sacerdozio con l'anima» e il potere politico con il «corpo», di fatto intende imporre il predominio di una parte sul tutto. 30 Proprio per questo, egli dichiara di voler chiarire sino in fondo quella causa di crisi e di conflitto politico che si è aggiunta a quelle già analizzate da Aristotele nel V libro della Politica: una ragione - sottolinea - che né lo Stagirita né altri filosofi del suo tempo potevano prevedere, perché è conseguenza dell'avvento del Cristianesimo e della convivenza nello stesso tempo e nella medesima società di un potere spirituale che intende imporre come superiori i propri fini e le proprie leggi (alle quali vorrebbe attribuire un potere coattivo anche in questa vita), e della legge e del governo «umani», il cui scopo è assicurare la pace e l'ordipe necessario delle comunità terrene. 31 5. Non è certo il caso d'indagare adesso sulla fortuna del Difensor Pacis nella cultura italiana ed europea del tardo Trecento e dei secoli seguenti: o di ripercorrere il lungo cammino dalle metafore aristoteliche, così usate anche da Marsilio, sul nesso tra «sanità» e «malattia» dei corpi e stabilità e crisi delle istituzioni politiche. Certo è, in ogni caso, che anche la prima e ben significativa presenza di Aristotele nella cultura umanistica fu legata proprio ai suoi scritti etici e politici che, in certo modo, furono contrapposti al primato scolastico delle opere logiche, fisiche e metafisiche, e considerati come insegnamento di sapienza civile, del tutto autonomo da ogni considerazione che trascendesse l'orizzonte umano. Come leggiamo nella prefazione che Leonardo Bruni prepose alla sua nuova traduzione dell'Etica: «••• cumque homo imbecillum sit animai et, quam per se ipsum non habet sufficientiam perfectionemque ex civili societate reportet, nulla profecto convenientior disciplina homini esse potest, quam, quid sit civitas et quid res publica intelligere, et, per quae conservetur intereatque civilis malis et suarum parcium ad sanitatern, talis videbitur civitatis sive regni et suarum parcium ad tranquillitatem [...]. Et quia bene diffiniens contraria consignificat, erit intranquillitas prava disposicio civitatis aut regni, quemadmodum infinnitas animalis, qua impediuntur omnes aut alique partes illius facere opera sibi conveniencia, simpliciter vel in complemento~. 30 Ibid., xix, 13, p. 136: «Quodque perniciosa pestis hec, humane quieti atque felicitati sue omni adversans penitus, ex eiusdem vicio corrupte radicis reliqua mundi regna fidelium Christianorum maxime posset inficere, ipsam repellere ·onmium necessariissimwn arbitror... ». 31 lbid., i, 3, p. 5: «Est enim hec et fuit opinio perversa quedam in posteris explicanda nobis, occasionaliter autem swnpta, ex effectu mirabili post Aristotelis tempora dudum a suprema causa producto, preter inferioris nature possibilitatem et causarum solitam accionem in rebus. Hec nempe sophistica, honesti atque conferentis faciem gerens, hominwn generi perniciosa prorsus existit, omnique civilitati ac patrie, s.i non prohibeatur, nocumentum tandem importabile paritura•.
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CESARE VASOU
societas, non ignorare».32 E questa scienza della sanità e malattia delle società umane, unico strumento della «civilis beatitudo», divenne presto la dottrina anche di quei molti umanisti che operavano nelle cancellerie cittadine o nelle segreterie signorili e, in genere, di tutti coloro che, nei testi di Aristotele, trovavano occasioni e ragioni per far luce nelle crisi e nell'instabilità ricorrente di società e istituzioni di cui non sfuggiva la profonda e inguaribile fragilità. Non stupisce che proprio dalle dottrine aristoteliche traesse forza e convincimento la così frequente analogia tra la politica e la medicina che già s'incontra in testi quattrocenteschi e che sarà - credo - una delle fonti anche di certi metodi di analisi e forme di linguaggio e di paragone tipiche del Machiavelli, al quale non fu certamente ignoto il «modello» aristotelico, fornito dal V libro della Politica. Per il resto, una lettura estesa e sistematica delle principali fonti dell'aristotelismo cinquecentesco (dall'elegante volgarizzamento di Bernardo Segni e dall'abile «Volgarizzazione» di Alessandro Piccolomini, sino agli scritti del Montecatini o di Giason de Nores) rivela come, nonostante talune note inflessioni platonizzanti o i propositi conciliatori di alcuni scrittori, restasse sempre attivo ed operante il proposito di servirsi dei grandi temi della Politica per affermare il carattere «naturale» e «mondano» di una scienza che teorizza la «Virtù civile,>, muovendo proprio dall'implicito riconoscimento dei bisogni originari delle comunità umane. Sicché non stupisce che, anche attraverso taluni aspetti dell'aristotelismo politico, potessero filtrare idee e atteggiamenti riconducibili alla lunga e «segreta» storia delle influenze machiavelliane. Ciò non esclude- sia chiaro- che l'aristotelismo ispiratore di molta letteratura teologico-politica cinquecentesca (e penso, in particolare, ai testi della «Seconda Scolastica», così ricchi peraltro di altri e ben diversi influssi) s'impegnasse, anche sulle orme di alcuni precedenti del tomismo tardomedievale, a «ordinare» la scienza politica verso le superiori finalità dell'ordine sovrannaturale, saldamente presidiato dal magistero ecclesiale; o che la stessa «conciliazione» tra l'Aristotele «physicus» e il Platone «theologus» potesse suggerire soluzioni non molto diverse nelle loro ultime conseguenze. Eppure, proprio sulla traccia di alcune celebri pagine ficiniane, la distinzione tra la «medicina dell'anima», affidata alla rinnovata teologia sapienziale dei «prisci» e quella del «corpo», disposta a recuperare anche le tecniche più ambigue del sapere astrologico, permise una signifiçativa ripresa dell'identificazione tra politica e medicina, nella convinzione che il compito delle istituzioni civili con32 Cfr. LEoNAllDO BRUNI AREnNo, Humanistisch-phifosophische Schriften, mit eine Chtonologie seiner Werke und Bri~, hrsg. von H. Baron, Leipzig-Berlin, Teubner, 1928, rip. Wies-Baden,
Martin Sandung, 1969, p. 12.
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IL CARATI'ERE cNATURAI.E• DELLO STATO
sistesse proprio nella cura dei «corpi» e degli «spiriti» che li rendono vivi. 33 I lettori della Città felice di Francesco Patrizi (un testo di cui proprio il Firpo sottolineò la singolarità nel panorama della letteratura utopistica cinquecentesca) sanno bene che, per lui, una società ordinata e governata dai nuovi sacerdoti-sapienti deve provvedere, per prima cosa, a questo compito, in modo che tutte le categorie dei suoi membri siano ottimamente disposte per il loro servizio da rendere ai supremi depositari della sapienza, vera «anima» di qualsiasi comunità umana. Ma questo filosofo, che, poneva le sue conoscenze di ex scolaro della facoltà medica patavina al servizio di un tale progetto, era un buon lettore del Machiavelli, le cui dottrine avrebbe presentato e rinnovato sotto varie «maschere», proprio sul cadere del secolo. 34 A questo punto, anche la vicenda dell'aristotelismo politico si avviava a concludersi, al confronto con una realtà non più confrontabile con gli schernì ormai della Politica. Il che non toglie che certe sue tracce dottrinali restassero ancora evidenti pure nelle teorie politiche del . 3 Si potrebbe parlare, senza troppa esagerazione, di una rivoluzione dimenticata. Dimenticata per noi, non per coloro che ne furono testimoni. Chiun-
l Ricavo questa definizione da quella canonica di G. BOTER.o, Della Ragion di Stato, a cura di L. Firpo, Torino, UTET, 1948, libro l, cap. 1. 2 Mi riferisco soprattutto agli storici anglosassoni; G. H SAmNB, A History oJ Politica/ Theory, New York, Henry Holt and Company, 1937; L. STRAuss and J. CR.oPSEY, History oJ Political Philosophi, Chicago, Rand McNally & Company, 1963; Ch. E. VAUGHAN, Studies in the History oJ Political Philosophy, Manchester, Manchester University Press, 1939; J. PLAMENATZ, Man and Scciety, New York and San Francisco, 1963. Una lodevole eccezione in Q. SKINNBR, The Foundations of Modem Political Thought, Cambridge, Cambridge University Press, 1978. 3 P. BURXE!, Tacitism, sceptidsm, and reason oJ state, in The Cambridge History oJ Political Thought 1450-1700, ed. by J. H. Burns, Cambridge, Cambridge University Press, 1991, p. 483. A p. 479, Burke scrive giustamente che la ragion di stato divenne nel tardo Seicento, ~an ìmportant new 'keyword'».
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MAOlUZIO VIROU
que abbia letto anche solo una parte della sterminata letteratura sulla ragion di stato sa che una delle questioni più dibattute era il rapporto fra la politica e la ragion di stato. Le risposte erano, com'è ovvio, diverse. Per alcuni la ragion di stato era una corruzione della politica. Oggi chiamiamo volgarmente «ragione di stato», scriveva Tommaso Campanella nel 1631, ciò che una volta si usava chiamare