281 61 42MB
Italian Pages [581] Year 1992
FO DAZIO L LUIG I I·IRPO CE TRO DI TUOI UL PE SI ERO POLITlCO STl DI L Tf'STI
BOTERO E LA
' l~AGION
l)l STATC)'
Atti del convegno in memoria Ji Luigi Firpo Cf orino 8- 1O marzo 1990)
a cura di A. ENzo BAI.DINJ
FIRENZE
LEO S. OLSCHKI EDITORE MCMXCII
!»: L ...
~~
FONDAZIONE LUIGI FIRPO CENTRO Dl STUDI SUL PENSIERO POLITICO STUDI E TESTI
1
BOTERO :E Ll\ 'ItAGION I)l STATO' Atti del convegno in memoria di Luìgi Firpo (Toririo 8-10 marzo 1990) a cura di A. ENZo BALDINI
FmENZE
LEO S. OLSCHKl EDITORE MCMXCII
PREMESSA
Aveva abbracciato subito con entusiasmo l'idea di celebrare la ricorrenza deì quattrocento anni dalla pubblicazione della Ragion di Stato di Botero (Venezia, 1589). Aveva anzi progettato di far uscire per l'occasione una nuova edizione dell'opera boteriana, impreziosita dall'aggiunta di altri testi politici, tra cui il De regia sapientia in traduzione italiana, e aveva subi:,. to concordato con la casa editrice UTET tempi di consegna e di stampa. Sul carattere della manifestazione non aveva avuto dubbi: doveva costituire un'occasione per sottoporre la Ragion dt Stato dì Botero ad urta nuova let'tura approfondita e affinata dal punto di vista concettuale. Per questo riteneva che il taglio seminariale fosse il più idoneo. Un numero lìmitato di studiosi (pensava anzitutto ad alcuni membri del nostro Dipartimento di studi politici e a collaboratori della rivista «>) riunìti a Torino per non più di due giorni, con un fitto programma di interventi e · soprattutto di discussioni. La giorte ha impedito a Luigi Firpo di veder realizzato questo progetto scientifico su uno dei «suoi>> autori, al quale aveva dedicato studi ininterrotti a partire dall'immediato dopoguerra e sul quale continuava a lavo.., rare, come testimoniano trascrizioni, fogli di appunti e soprattutto edizioni di testi, in qualche caso pressoché pronte per le stampe. Firpo è morto il2 inarZo 1989 dopo una malattia di pochi mesi: l'incontro boteriano; previsto per il novembre di quell'anno~ av~ya appena cominciato a prendere corpo •. L'iniziativa non poteva esSere abbandonata; anzi si imponeva ora con maggior forza e non .soltanto per realizzare quello che era stato un suo preciso disegno Ct!ltùì:ale. Toccò a me il compito di organizzarla solo per.., ché ne avevo parlato a lungo con lui, come con lui avevo progettato il mio corso unj~ersitario su Ma:chiavelli e Botero per r·a:.a. 1988-1989: un corso, che nei nostri intendimenti avrebbe dovuto costituire una sorta di supporto organizzativo per il seminario e che prevedeva, tra l'altro, l'utilìz-
-5-
PREMESSA.
zaziorie çlella nuova edizione della Ragion di Stato, purtroppo negataci dalla séo:tripatsa dì Fitpo . .. Preoccupato per l'impegno assuntoi non ho esitato a coinvolgere nella definizione. delle lìrtee del progetto tutti gli amiCi del Dipartimento di studi politici e in particolare coloro che come me avevano avuto in Firpo un iilsostituibile punto di riferimento umano e scientifico. Fummo subito convinti che la manifestazione dovesse rispettare l'impostazione originaria, ma ci patve opportuno allargarla ad un maggior numero di contributi italiani e straiiieri. Prese così corpo l'idea di fame un convegno in memoria dì firpo, da. tenersi a Torino ad. un anno dalla sua morte e da organizzare sotto l'egida della nascente «Fondazione Luigi Firpo», quel «Centro di studi sul pensiero politico» da lui voluto con ostinata detennirtazione e a1 quale aveva scelto di donare la sua preziosa biblioteca. Le adesioni all'iniziativa, organizzata grazie alle strutture del Dipartimerito di studi politici dell'Università di Torino e con l'ausilio del «Cen-tro studi di scienza politica Paolo Farneti»; andarono ben oltre le nostre previsioni Al di là dell'interesse per Botero, affermati studiosi e giovarti ricercatori accettarono infatti di buon grado il nostro invito soprattutto per attestare la loro stima e la loro rid:moscenza per lo studioso e per il mae'"' stro scomparso. II seminario si è così trasformato in tin convegno interna.. z1onale nel quale i nomi di Boteto e di Firpo sorto stati continuamente accomunati. Vengono qtii pubblicate le relazioni e le comunicazioni presentate rtei tre giorni del convegno (8-10 marzo 1990), con l'aggiunta di quelle che, pur inizialmente previste, per impedimento dei relatori non sono state allora tenute . In appendice figura una Bibliogrtifia boteriana, nata da una solle~ Citazione di Firpo, il quale, irt vista della nuova edizione della Ragion di Stato di cui ho detto; n:ù aveva ·proposto di aggiornare quella inserita nella sua edizione del194K Nelle fasi iniziali dell'organizzazione del convegno IDi è sembrato utile riprendere ed ampliare tale bibliografia, che avrebbe potuto costituire uno strumento di lavoro per i relatori, ai quali è stata infatti inviata alcuiii mesi prima dell'appuntamento torinese. La realizzazione del convegno sì deve ai contributi della Città di To.. rino, della Regione Piemonte, della Cassa di Risparmio di Torino e soprattutto della FIAT s.p~a ..La sua organizzaz~one non sarebbe però stata possibile senza l'assidua collaborazione degli amici del Dipartimento di studi politici di Torino e in particolar modo del suo Direttore Luigi Bonartate e del Segretario amministrativo Angelo Giannone. A tutti costoro va la riconoscenza mia e di quanti hanno avuto a cuore la buona riuscita dell'in1ziati.va. Un ringraziamento infine alla «Fondazione Luigi Firpo -
-6-
PREMESSA
Centi()· di studi sul pensiero politìc()». che ha voluto inaugurare con. qtte~ sti Atti la sua collana: scientifica; e al Conùtato per le scienié gìuridìche e politièhe del Consiglio Nazionale delle Ricerche che ha finanzìato la pubblicazione. · A.E.B.
-7-·.
I
'RAGION Dl STATO·' E POLiTICA
ALBERTO TENENTI
DALLA «RAGION DI STATO» DI MACHIAVELLI A QUELLA DI BOTERO
Aristotelicamente, per non dire scolasticamente, proprio all'inizio della s~la celebre opera il B9tero si esprime in questi terlnìni: ). 1 Potrebbe apparire quasi banale osservare che quella sorta di assiniilazio.., ne della 'ragione' al, principe sanzionava in certa misura l'approdo di un assai lungo proçesso durante il quale l'accostamento si era venuto delineando, dopo un'altra fase nella quale esso non era sussistito affatto. Fra: le va:riè visuali entro le quali può essere articolato il nostro assunto attuale, consideriamo che la scansìone cronologica appena evocata possa fungere da filo conduttore all" analisi. Senza ovviamente voler diminuire affatto i[ rilièvo che la ragion di Stato ha avuto sul piano della dottrina e della politica dopo l'opera di Botero, ci sì propone ora di ritessere la p:trabola che essa percorse in. precedenza ìn tre tempi distinti: pn.ma: del Machìavelli, fur lui ed il Botero e nell'opera di quest'ultimd. Ogni divisione cronologica ha dell'artificiale, ma ancor più dell'indispensabile~ anche s~ è dubbio che la sostanza delle cdse possa essere ridotta alla sola trama della cronologia:, In questa sede si adotta; quella scansìone almeno perché ci sembra che essa, ab"'" bìa un senso rispetto all'opera gell)otero, di cui essenzìalmente ci ìncombe di trattare. , , In primo luogo; e senza la minima' intenzione dissacrante, si ricorderà iri breve quale poteva essere la fisionomia della ragion di Stato prima della riflessione e degli scritti del Segretarìo fiorentino. Anche se ' la famosa espressione o fotrnu,la di cui è questione ora non s'incontra mai esplidta'mente nelle sue pagine, nessuno ha fatto a meno di riconoscere che se non proprio l'inconSapevole o involontario padre egli ne fu una delle cause ed G~ BoTERo,
Della ragion di Stato; Torino, UTET, 1948; 1. I, § 1, p .. 55.
-11-
J\LBERTO TENENTI
almeno l'implicito o indiretto assertore, Assai meno ìnvece ~.·stato ricono~ sciuto finora che la rag1on di Stato si delineò in fonn:e non dichiarate ma non proprio inconsapevoli, anche se non prevalentemente teoriche, lungo un periodo che ingloba praticamente tutto il Quattrocento e si radica persino nel secolo precedente. Anche se riteniamo che non vi sia molto bisogno di conforti del genere, ricorderemo che proprio 'per delineare il ca:m.mino della ragion di Stato da Machiavelli a Botero si è fatto di recente assai ampiamente ricorso alla ricerca ed alla messa in luce di ciò che era implicito o appena esplicito, e soprattutto non teorizzato, nelle prese di posizione che intercorrono fra i due autori} Ma a parte qualche anticipazione del Meinecke, peraltro da lui sommariamente sviluppata, di ragion di Stato prima di Machiavelli non si è ritenuto di poter parlare, come se al di là di quanto scrisse. vi fosse soltanto il silenzio per non dite il vuoto. Non è questa l'occasione per riversare l'abbondante materiale reperibile per dimostrare che la riflessione del Segretario fiorentino affondò le proprie lunglle raditi in tutto un humus precedentemente costituitosi di cm egli largamente, anche se in buona parte inconsapevolmente, si nutrì. Se mai sarebbe il caso di sottolineare che il campo della storia delle dottrine politìche può essere vantaggiosamente esteso a quello della pratica politica e delle sue espressioni anonime o collettive - ma non per questo meno provviSte di peso specifico e di reale portata. Ad esse è legittimamente çstendìbile q~:~eU'analisi serrtantica che già si è ampìamente applicata ai pro:dotti fonnati da questo o da quell'autore ìdentificato o riconosciuto come sìgriificativo. D'altra parte, almeno liminarmente ci sì permetterà di affer11lare che la rifl~ssione sulla politica può essere assai utilmente investita da luci apparentemente esteriori e cioè d.alle risultante dei linguaggi propri ad altre dirn.ensìonì, da quella della filosofia a quelle dell'economia o della vita n.:illitare . . per •. esempìo •. In breve si dirà, in mancanza di uno studio sufficientemente ampio sulla rag1on dì. Stato nell'Italia del Quattrocento, che nel caso di quel secolo s'incontrano senza difficoltà i tasselli incontrovertibili della percezione di essa. Naturalmente non si vuole dire con questo ch'essa sia del tutto la medesima di quella di cui tratteranno il Botero, i suoi contemporanei o successori. Riteniamo che si possa ammettere che non solo la tormula ma an,.. che l'oggetto mentale che vi si espresse hanno avuto una loro storia. Se Ci riferiamo in partiColare a R. DE MATTE!, n problema della «ragion di Stato}) nell'età della Controriforma, Milano, Ricciardì; 1979; passim e soprattutto pp.. 53-63,
-12-·
«RAGION DI STATO>>: DA MACHIAVELLl A BOTERO
quindi non senza qualche motivo non sì è risaliti in genere al di là de] Machiavelli, non è proprio sostenibile che non ci si debba spingere oltre i suoi scritti. Questo hon significa tanto reperite le sue eventuali fonti quan:to ricostituire un tessuto della cuì trama il Segretario .fiorentino si servi ìnserendovisi e ritrovare delle prese di posizione ch'egli fu tutt'altro che il primo a mettere in circolazione. Certo altra può parere la conoscenza dei mezzi atti, come dice il Botero, alla conservazione di un dominio 3 altro l'intento di impiegarli tutti - o almeno tutti quelli a disposizione - per tale scopo. Ma quando tale proposito è esplicitamente dichiarato (anche se non in trattati o teorizza"'zioni personali, ma da parte di un governo) e pubblicamente proclamatocome avviene ad esempio da parte dei Fiorentini nel 1401 - si potrà nega,re che, in mancanza della formula successiva, non solo sussista il fondamento della cosa ma la sua stessa enucleazione? 4 L'esempio, scelto fra tanti, rinvia inevitabilmente ad una rielaborazione risalente al Trecento, essendo escluso che si tratti di una primizia assoluta (che perfino in questo caso rimanderebbe a delle premesse e a degli antecedenti). Da uri altro esempio dello stesso anno risulta la graduata distinzione e l'affermata endiadi della utilità e della necessità di un atto politico per la conservazione degli Stati delle parti contraenti. 5 La conoscenza dei mezzi da impiegare e degli stessi criteri ai quali il loro uso si ispira appare quindi già palese. Senza dubbio lo stadio in cui sopravverrà la formula definitiva costituirà una ulteriore tappa ed avrà un proprio significato. Ma l'esistenza di un insieme di priil'cipi del comportamento politico era già scopertamente presente intorno al,.. la fine del Secolo XIV. Qu~ndo si passa a scorrere quanto emerge dai documenti venezu:ni del secolo XV, anche a prima vista si può osservare che il panorama si articola in prese di posizione che non hanno nulla da invidiare ·a quelle che seguiDella ragion di Stato cit., l. J, § l, p. 55. concludere potest, imo debet" yestra ,serenitas (rimperatore Roberto di Baviera} quod nos [Fiorentini} nichil, quod possibile nobìs sit; pro statu conservationeque vestre magnitudinìs aut beneplacitis vestr~ clementie, quarilvis grave quamvisque plus quaril ar• duum, omissuros»; cfr~ Le ((Consulte>> e ((Prai{che>i della repubblica fiorentina nel Quattrocento, I, a cura di E. Conti, Uniyersità di Firenze; 1981, P• 165, nota 4. Il passo appartiene ad un documento con~erva~ò alla Biblioteca Columbina di Siviglia, cod. · 5.5.8 . . .. E, narr.ltò questo, direte per nostra parte che se per questi suoi figlluoli e servi~ dori si vede punt& o cognosce delle cose del mondo, questa unità [alleanza], la quale esso disse non è sola:niente utile; ma necessaria, se la sua Santità wole conservare suo, Stato e noi [Fiorentini] il nostro ... »; cfr. ibid., p. 108. Il passo appartiene alle Legazioni e àimmissa-. rie, reg. 2; ( 45v (4 aprile 1401).
-13-
ALBERTO TENENTI
rann& anzi forse offrono lo spettacolo di un insieme organiCo che malage'volmt;titè si potrà ritrovare in seguito. La nozione di sicurezza dello Stato Vi a:p.paté; gìà' ·ç}Uara; nella prifua metà dèlQuàtttòtehtò~ con iliisvolto ddl~ Iriìstite prese per garantirla -' coine la relegaztone dd sospetti in inodo che non possano affatto nuocere. 6 ln maniera non meno espliCita è con-. temporaneamente evocato a Venezia il concetto di interesse di Stato 7 e nello stesso tempo quello di necessità. di Stato.~ In quest'ultimo caso si può osservare altresì che il cerchio fra i coscienti imperativi politici si chiude, in quanto lo scopo e la funzione di tale necessità sono proprio la salvezza e la conservazione dello Stato oppure la sua sicurezza} · Va sottolineata la forte differenza che v'è tra la nozione fiorentina di Stato è quella venezìatia, in questo periodo ed anche al di là del 1500; Mentre per la prima, semplificando molto le cose, Stato è situazione di governo o di dominio effettivo in mano ad un gruppo o ad urta persona, per la seconda esso è sornrtl.a di valori superindividuali e potenza collettiva di uri popolò (o per lo meno del ceto che lo incama e dirige). Le due concezioni e rappresentazioni sono sottese da visuali diverse: a Firenze la logica che si è imposta: è quella del potere in quanto tale, a Venezia è ìnYece quella di un•istanza comunitaria e della sua espressione globale; Sin da OI dovrebbero fornìre al re la più sicura nornia per aspirare a: quei poteri e vittorie che dipendono esclusivamente da un supremo disegnO e da tin giudizio assoluto. Illuminato dalla ) che risiede solo in Dio ed in lui ha ragione e fondamento 12 (ma anche dai canoni della dottrina Controriformistica che pone là «tagiori di Chiesa» al primo luogo & ogni scelta po1inca), il sovrano potrebbe così affrontare il proprio compito con la certezza dì meritare il proprio successo che ritiene confonrie alla volontà divina. Ibid. Vinsistenza del Botero sull'assoluta «sovranità» di Dio, supremo «principe» e supremo volere da cui dipende ogni evento presenta singolari affinità con l'atteggiamento religioso conclusivo di un autore a lui molto familiare, Jeari Bodin, espresso particolarmef!te nei1'Universae Naturae 71ieatrnm (edito a Lione nel1596); ed al Bodin pure l'avvicina la fort.e accentuazione «vetero testamentaria» del potere e dell'«auctoritas» divini. Ma, a. proposito del concetto di «sovranitàlY, al tempo stesso «giuridìco-politico» ed «etico-religioso», nella teoria bodiniana, cfr. le acute analisi di A. TENENTI; Teoria della sovranità e ragùm di statO. di)ean Bodin, in Stato: un'idea, una logica; Bologna, 1987,. pp. 259-279. De regia sapientià, p. +3r; lbid. p. L
-·44-
LA «DIGRESSIO IN NICOLAUM MACHIAVE.LLUM»
2; Si limita, però, davvero a questo la > del Vangelo, signore della pace, o piuttosto quel «Dio degli eserciti» dell'AntiCo Testamento, al quale così spesso si appellavano i combatten~ ti delle opposte confessioni e che, per la ferma credenza nella propria , costituiva il grande mito ideologico opposto dalle correnti più radicali della Riforma ai poteri ed alle istituzioni costituite? E, ancora: nelfaffermazione dell'assoluta dipendenza dalla volontà divina di ogni evento umano e, soprattutto, di quelli politici (i «mutamenti» degli Imperi e il loro pereime ascendere e discendere), non è forse sottintesa l'idea che solo la credenza di essere al > fiorentìni. E, rileggendo anche i diversi giudizi formulati dallo stesso Machiavelli sul Rinvio al contributo di A.E . BAi.DINI, in questo stesso volume, pp. 335-359. Cfr. F .. GùiCCIARDINI, Ricordi. Edizione critica a cura di R .. Sl>oNGANo, Firenze, 1951, 1, p. 3. E s1 ricorQ.i1a celebre frase: «Fede non è altro che Credere con openione ferma e quasi certezza le . cose che non sono ragionevole, o se sono ragionevole; crederle con più resoluzione ch~:·hon persuadono le ragione. Chi adunche ha fede diventa ostinato in quello che crede; é procede al cammino suo intrepido e resoluto, sprezzando le difficoltà: e pericoli, e mettendosi a soportare ogni estremità: donde nasce che, essendo le· cose del mondo sottoposte a mille casi e accidenti, può· nascere per molti versi rtella lunghezza del tenipo aiuto imperato e chi ha perseverato nella ostinazione 13
14
-45-.
CESARE VASOLI
conto del Savonarola, viene da chledersi se Fautore del Prindpe noti avesse anch'egli mutato le sprezzanti opinioni sul domenicano espresse nella lettera a Ricc1ardo Becchi. 15· Certo, i. «profeti disarmati>> erano sempre «ruitiati»; ma adesso, in Europa, i «profeti» e i loro seguaci erano «armati>>; e soldatì ed eserciti combattevano in nome di opposte confessioni, mentre controve'esisti, teologi e predicatori tornavano a cercare nella Bibbia anche le loro ai'lili politiche, affidate alla scelta dei «loci» più efficaci per motivare la ribellione contro gli «empi» tiranni, condannatì dall'«ira Dei>>. Orbene: si legga ora proprio la «>· del I libro, Il Botero vi ricorda di aver già mostrato come la. «sapientia regis>> consista soprattutto nel riconoscere che i regni e le vittorie dipendono da Dio e che, pertanto; la conservazione e i successi degli Stati sono legati a quegli atteggiamenti ed atti che ci conciliano o alienano la divinità. Proprio per questo, è necessario confutare l'opinione del Machi.avelli, il quale ha ardito affermare che la legge dì Cristo ha reso gli uomint inetti alla guerra ed alla virtù militare. Sicché il punto .. Penso, in patticolare; a quel passo vulgatissimo dei Discorsi (L. I, 11 ), o ve, parlando della «religione de; Romani&, Machiavelli scrive che «come la osservanza del culto divino è cagione della grandezza délle republiche, così il dispregio di quello è cagione della rovina: d'esse. Perché dove manca il timore· di Dio·, conviene· o che quel regno rovini; o: che sia sostenuto dal timore d'urio principe che sopperisca a' difetti della religione~ E perché i principi sono di corta. vita, conviene che quel regno manchi presto; secondq che manca la. virtù d'éi~o»; e conclude: «Non è, adunque; la salute di una tepublica o d;un regno avere uno prìncipe che prudentern:eiltc governi mentre vive; ma uno che l'ordini in modo che, morendo ancora, la s1 mantenga». Segtie .poi, appunto; il rìcordo del Savonarola: («d'imo tanto uomo se ne debbe parlare con riverelria»). che persuase il popolo dl Firenze di «par'-' fare con Dio» e su questa. «persuasione~ fondò il SU() potere. Ma è pure da ben ricordare almeno il passo iniziale del capito!() seguente, con la frase rio n meno celebre: «Quelli prìncipi o ·quelle ìepubliche, h: quali si vogliOno mantenere ìncortotte, hanno sopra: ogni altra: C()Sa . a.roantenereincorrotte.le cerimonie della loro religione; perché nessun maggiore in:" dizio si puote avere della: rovina d'una provincia:,. che vedere dispregiato il culto divino» (cfr~ N. MAcHIAvau; Tutte le opere; a cura di M. Martelli, Firenze, 1971, pp. 94-95; per la lettera: al. Becchi; Ibid:, pp. 1010-1011).. te conclusioni dell'«eretko& Machiavelli sul valore e sulla «forza» pòlltica delle religioni e delle loro potenti consiste nel respingere l'immagine «pacifista» del Vangelo e quella sua interpretazione che aveva ispirato uno dei più celebri testi erasmiani, la Quaerela pacis; ed alcuni passi sintomatici della Institutia. Certo, anche il Botero riconosce che la dottrina cristiana vieta le guerre ingiuste, mostrando quanto sia «empio» il comportamento di chi, con la forza, vuole rovesciare l', abbattere con le armi le leggi e perturbare gli Stati con le sedizioni; e condanna costoro alle pene eterne, se non si pentono, incutendo in loro la vera paura della morte. Ma questa condanna (di cui il Botero lascia facilmente comprendere l'utilità politica) non significa che il cristianesimo predichi la pace come un bene da ottenere ad ogni costo e neghi o rifiuti le virtù militari. Al contrario, è una fede che fornisce la più forte ragione per combattere «pro aequitate, pro religione, pro aris et focis>>, per affrontare questa lotta con animo invitto e per disporsi a rischiare e subire la morte, con audacia e ferma costanza, giacché a chi muore lottando in una guerra giusta spetta la gloria immortale della vita eterna. La forza di questa promessa che estende oltre la morte la certezza della continuità e di una felicità assoluta e perfetta è considerata, dal Botero, la più forte motivazione per una virtù militare molto superiore a quella dei pagani e degli eroi antichi, così esaltati dal Machiavelli e posti così spesso come «exempla». Ora è difficile dire se, scrivendo queste parole, egli pensi agli eventi del suo tempo e all'intensità e tenacia delle guerre di religione, o si limiti semplicemente a ripetere certi tradizionali. È però sintomatiCo che citi subito l'esempio della «legione tebana>>, costituita da cristiani, perch,é; sotto Antonino; si era mostrata arditissima nella guerra contro i Marconìanni. Non solo: il cristianesimo è capace di trasformare in «eroi>> anche le donne, come mostra il caso di Agnese, di Prisca e di Cecilia che non poterono essere piegate da promesse, minacce e dalla paura della mor:... te a rinnegare la loro fede. Semplici fanciulle furono, dunque, capaci di disprezzare la potenza del più gran,de Impero dell'antichità e di vincerla, perché con il loro esempio indJJssero molti altri al vero culto e religione di Dio. Il Botero ritiene che proprio questo assoluto disprezzo della morte (che non è più la fine, ma, pér i crédenti, rinizio della vita) sìa la prova: che il cristianesimo JlOn «infiacchisce» o rende imbelli gli uomini e che, invece, è una sc11ola di virtù militare e di fortezza bellica. La vera forza d'animo - scrivé- sì manifesta solo di fronte ai massimi pericolì e quando è in gìuoco la vita stessa. Ma nessuna: dottrina fornisce, come la fede cri~ stialia nell'immortalità dell'anima, una così forte difesa contro il terrore della morte. Il cristiano credente sa, infatti, che lo attende la contempla-
-47-
CESARE. VASOLI
zio ne di Dio che tutto abbraccia nella sua inunensìtà, la felicìtà immutabile della Gerusalemme celeste~ l'eternità della vita beata; ed ha molte altre ragiòrù per profondere la sua vita e respingere e scacCiare ogni timore. Per questo, il vero soldato cristiano odìa addirittura la vita presente, desidera la futura, e può precipitarsi audacemente contro tutti i pericoli e la morte. O, come scrive il Botero, riassumendo questa apologia del cristiano «combattente» e > guerriera e politica, di capacità militare e di sagacia di governo, non meno che di «pietà» e di devota sottomissione ai voleri divini di cui egli si considerò l'umile strumento) può così concludere queste due paginette di diretta ed esplicita polemica antimachiavellica. Si dirà che il Botero ripete, anche in questo caso, non peregrini. Ed è vero. Ma credo che il vero significato della «digressio» e di tutto il De regia sapientia sia sub1to messo a fuoco dalla lettura dei capitoli seguenti dai quali emerge una concezione dì Dio di schietta ascendenza biblica, che non ha alcun tratto in comune con quella proposta dalla tradizione umanistica «evangelica», ed è - se sì vuole - più «giudaica» che > e delle «preces» con i quali si vuol placare l'ira divìna, ri1a che valgono, in pace e in guerra, più de1le armi e degli strumenti bellici, perché rendono condottieri e soldatì consapevoli dell'aiuto divino e, per questo, più decisi e fermi contro il neinicb («Si Deus pro nobis, quis contra nos»}; 26 attribuisce le «incredibili>> vittorie di David e altre narrate clalla storia sacra o dalle cronache più vicine alla fiducia nella protezione divina, suscitata un tempo anche dalla predid:zìone profetàle.27 Iddio, signore della guerra e degli eserdti, arria però esaltare gli umili ed abbattere i superbi, rovesciando le sortì degli imperi e dei regni. E, dunque, anche i re, se vorranno conservare il lorb potete, dovranno mostrarsi. umili al suo cospetto, in riconoscimento di quella tota'le potenza che appartiene :i Lui solo/8 e tendere ossequio ai sacerdoti ed alla Chiesa, così come hanno fatto sempre tutti i sovrani fortunati e vincìtorioi9 4. Tralascio i vari consigli ed obblighi relìgiosi che il Boteto propone negli altri capitoli di questo libro, tutti volti comunque ad assicurate l'insupètabile protezione della telìgtone, con una sottile ambiguità che non serripte permette di comprendere se i comportamenti indicati debbano és'sérè cissefvati pet ùri'intirria coriV1nztone di cosòenta o, ptu:ttosto, per propìziarsi il successo polìtico. 30 E vengo ad esaminare rapidamente il terzo li-:bro, nel quale sono esposte le cause d:i cuì nascono le crisi e le rovìne dei regni e dei re. ·· Sono - non occorre ripeterlo ...... cause del tutto incoinprensibilì alla
Ibid., Pi?• 29~3!t
Ibid;; pp. 42-46. PP• 46-49~ 28 Ibid., pp. 49-51. Z il Botero ha già più volte anurtonito, ma che appaiono evidenti a chi segua l'insegnamento della Scrittura e, dunque, ripercorra i , il disprezzo dei deboli e dei poveri, la preferenza attribuita ai consigli dei giovani, la crudeltà contro i profeti e i servi di Dio, che sono conie suoi «legati)) e debbono essere onorati e rispettati assai più di quanto si faccia per glì ambasciatori umani. 39 Non sperare nell'aiuto divino, vantarsi di fronte e contro Dio, essere crudeli contro coloro che non hanno difesa o protezione umana e sono cosi posti sotto la cura ed il «patrocinio>> divino, abusare della vittoria e del potere, compiere sacrilegi sono altre colpe dei re che hanno sempre condotto alla loro perdizione. 40 Tuttavia, un pericolo non minore è costituito dall'ingiustizia elevata a sistema di potere che, non solo trasforma il regno ìn tirannide, secondo la classica dottrina aristotelica e tomista, ma suscita l'odio e il disprezzo del popolo, rende insicuro e breve il doniinio. 41 Il Botero considera, però, altrettanto teniibile l'aperto esercizio della «libidine)) che, come mostra la sorte di Sodoma e Gomorra, ha provocato cataclismi e distruzioni irreparabili. 42 Ma il peccato, in generale, in quanto disprezzo della legge divina è, in ogni caso, la prima e fondamentale causa di ogni miseria, l'insidia che dissolve e condanna ogni stabilità e potere umano. 43 5 Non è difficile, rileggendo queste pagine, metterle sul conto del «moralismo» controriformista che vuol cancellare l' «eresia)) rnachiavelliana e ristabilire il primato della religione e delle sue norme di condotta alle quali dovrebbero sottostare anche i principi. Però, se si riflette sugli «exempla>> proposti nel De regia sapientia e sull'atteggiamento mentale del suo autore, due dati di fatto risultato subito evidenti. n primo è che tutti i re citati come «esemplari>> sono sovrani guerrieri e che la loro >, 46 che chiude il libro. Senza dubbio, l'Impero turco è il regno del male che si fonda sul costante uso della paura e che, pertanto - secondo gli stessi principi aristotelìci -, essendo «violento•>, non dovrebbe essere stabile e duraturo. È pure un dominio di «barbari>), ossia di un popolo che, sempre a giudizio di Aristotele; dovrebbe essere destinato alla schiavitù:. Eppure questo dominio «barbaro» e > degli lta-' liatii, come ha spento la ~ollerzia degli Spagnoli, l'impeto déi Francesi e la forza dei Tedeschi: la comun.e empietà che, mentre divide i regni e ne dìspetde la potenza m perpetue lotte, ci rende sempre inferiori ai barbari}7 Si tratta, evidentemente, di ragioni che il Botero poteva trarre facilmente da una già lu:rtga letteratura religiosa e da una tradiz1one predìcatoria e profetica che, con sempre maggiore insistenza; presentava i Turchi come ~ e strumento deltespiazione dei peccati e delle colpe innumerevoli dei Cristiani.48 Ma anche adesso, da queste «cause» divine e sovrannaturali l'autore del De regia sapientia scendeva a pìù dirette considerazioni politiche, quando voleva indìcatne gli «effetti•>, a loro volta, causa dettanti mali dellà Cristianità. Questi etàtio, infatti, l'inerzia dei principi, la .perdita della disciplina militare, i conflitti tra i sovrani che il Botero considerava non «radici» della rovina, ma piuttosto «propaggini» dél pecca~ to. Ed è, di nuovo, sintomatico che estendendo ulteriormente qut:;ste considerazioni,. egli tracciasse un «quadro» per molti sensi non dissimile da quello che Machiavelli aveva indicato per spiegare la decadenza e la crisi
IbicL, PP' 1i4-115. Cfr.. part~ J. l)m...y, Les pseudo-prophéties concernant les Tures au XVI' siècle, «Revue des études islamìques», X, 1936, pp. 209:..212; M. BATAILLON, Mythe et. connaissance de la Turquie en OCddent; in AA.VV Venezia. e l'Oriente fra tardo Medioevo e Rinascimento, Firenze, 1966, pp.. 451-470; .M. REEvEs, The Injluence. of the Prophecy in the LAter Middle Ages, Oxford, 1969; a>
politica e militare italiana: il generale infìacchimento di una gioventù ignara della «virtù>> militare, i principi che volevano soddisfare solo la loro avi"' dità, gli odi dei re, la generale tendenza ad un imbelle cedimentO che rende inermi di fronte al. nemico.49 La conclusione pessimistica è che l'impero turco, per la sua superbia e ; sarà esso stesso sovv'ertito e sconfitto dall'attacco di una qual.:.. siasi altra gente. Ma i cristiani non potranno cessare di averli per nemici, finché non cesseranno di peccare e non finirà così la causa prima, divina, della loro debolezza militare. E, del resto, dove mancano i Turchi ~. scriveva Botero - ci sono gli eserciti degli eretici, luterani e calvinisti, e di a}:.. tre sette che - potremmo pure aggiungere - si consideravano anch'essi i soldati «eletti» di un Dio non meno guerriero di quello descritto dai «topoil> raccolti dall'ex gesuita piemontese. 50 La breve analisi del De regia sapientia potrebbe a questo punto terminare. Ma, poiché si è adesso parlato dei Turchi e di come Botero considerava questo inevitabile «flagelluril Dei», non sarà inopportuno aggiungere un breve codicillo che richiama, ancora una volta in causa, il complesso rapporto tra Boteto e Machìavelli, così schermato dail'apologia del «soldato cristiano» tracciata nella «Digressio)). Come ha ricordato, proprio nel corso di questo convegno, l'amico Baldini, 51 oltre dieci anni dopo la pubblicazione del De regia sapientia e quando era già apparsa la Ragion di Stato; le dottrine del Botero furono oggetto di discussione e di critica, nell'Accademia Vaticana che si riuniva, tutte le settimane, di lunedì, nelle carriere di Cinzio A}dobrandini. E chi trattò della «ragion di stato», criticando appunto il Bot~ro, fu «uti chierico di camera molto ascoltato e potente», Goffredo Lomellini, di cui ci sono noti gli «accenti>> e le simpatie niachiavellianL Ma non basta; perché l'Accademia - come ha ben sottolineato sempre il Baldini- era stata inaugurata; due settimane prima, i130 maggio del1594, da una lezione di Francesco Patrizi da Cherso, dedicata, appunto al problema turco ed ai mezzi con i q:t;~:ali lo si doveva fronteggiare; Ora, può essere che il trovarsi a pochi giorni di distanza;. dalla sua comparizione davanti alla Congregazìone dell'Indice, per presentare la versione emandata della Nuova de universis philosophià e le Declcmtiones; consigliasse al filosofo una particola-
51.
De regia japientia; p. 115. Ibid. Cfr,. in questo volume, pp. 352:...358.
-57
CESARE. VASOLl
re prudenza. 52 Ma è certo difficile che si allontanasse dalle idee esposte nello stesso anno nellvolume dei suoi Parallelimilitari (e ribadltenelllvolu,.. me, àpparso nel '95),S3 ispirate; nel modo più evidente proprio all~«eresia>> del Machiavelli, dalle cui opere principalì erano tratti principi, giudizi e, addirittura, frasi capitali. Ancora tina volta, dunque, su uno dei temi più drammatici del dibattito politico, tornavàno a confrontarsi la dichiarata · boteriana e la celata >, e cioè la forma della .U Ma anche la sorte contribuisce a segnare nella politica una natura duale, il valore dì un'esperienza che, pur se tenta la sintesi1 non può evitare di partire da una scissione, da una lìmitazìone. In questo senso è possibile per il principe dominare o regolare la «fortuna>>, 12 sottraeridole ogni effetto di imponderabile casualità e di cieco limite, ma ìn nessun caso è possibile costruire un disegno, un'intenzione, se non partendo dal dato contingente come inamovibile presupposto e limite di qualsiasi azione politica. «Ma sendo l'intento mio - avverte Machiavelli - scrivere cosa Utile a chi la intende, mi è patso più conveniente andare drieto alla Verità effettuale della cosa, che alla imaginazione di essa. E molti si sono imaginatt tepu:blkhe e principati che non si sono mai visti né conosciuti essete 1n vero; perché egli è tanto discosto da come si vive a come si dovrebbe vivere, che colui che lascia quello che si fa per quello che si dovrebbe fate impara piuttosto la ru:ina che la perservazione sua». 13 Ma ìn Il Prindpe, Machiavelli tratta l'argomento a,ttribuendo alla «realtà effettuale»; topos d'obbligo per qualsiasi riferimento a Machiavelli, U:n significato beri oltre l'idea del rifiuto dell'utopia, per così dire, ben oltre u:n realismo senza ali~ egli accede così ad U:n concetto di realtà fortemente congiunto cori una visione e U:na scelta d.el tempo da cui esordire~ La politica, condizionata dalla cogenza del suo stesso limite, accetta che la volontà aspiri a costituirsi Ìri pciteriza solo se: non omette mai la «certezza)) del presente, la. specifica immediatezza del dato:-ambiente in cui la politica stessa muove il suo processo. Lo scenario, o se si vuole, il prologo, per Machiavelli non è discuti:bilei è solo un dato, un limite; il politico non può, nel suo muoversi e «cornìnciarel>, non tener conto, put già Principe, del non-politico; del non àncora mediato da cui prendere avvio. Questo elemento del non-politico, Machiavelli lo definisce come ambiente, come costume, «i tempi», egli diçe,. cornice generale della recezione della politica. .
12
N. MAcHiAVF.I.Li, Il Principe, 17, in Opere cit., p. 282b. lvi; 25; p. 295a-b. Ivt; 15; p. 280a.
-· 66-
RAGIONE POLITICA E RAGIONE DI STATO
Ma, restririgendomi più. a' particolari, dico come si vede oggi questo prindpe felicitate, e domani ruina:re, sanza averli veduto mutare natura o qualità alcuna. Il che credo che nasca, prima, dalle cagioni che si sono lungamente per lo adrieto discorse, cioè che quel principe che si appoggia tutto in sulla fortuna, rovina,. come quella varia. Credo, ancora, che sia felice quello che riscontra el modo dd procedere suo con le qualità de' tempi, e similmente sia infelice quello che con il procedere suo si discordano e' tempi. Perché si vede gli uomini, nelle cose che li conducono al fine quale ciascuno ha innanzi. .. procedervi variamente ... Vedesi ancora due respettivi, l'uno pervenire al stio disegno, l'altro no, il che non ha'sce da altro, se non dalla qualità de' tempi; che si conformano o no col procedere loro. 14
Ragione e tempo; volontà (disegno) e carattere specìfico di un'epoca, sono essi stessi termini di una tensione, fortemente allusivi alla: tensìone più am~ pia e strutturale della politica. Quest'ultima si propone come un cai:npo privo di e di verità assolute. La duplicità è la sua verità; infatti richìamando un proverbio popolare, Machiavelli ricorda: che gli uomini di governo «hanno uno animo in piazza, ed uno in palazzo». 15 La legge reale della politica è pertanto quella del movimento e della trasformazione; il suo problema più grave è quello del cominciare, altro modo di leggere il nesso necessità-libertà. Il rapporto fra politica e cominciare, va. ancora ripreso più approfonditamente, ma intanto un primo ordine di temi è evidenziato in Machiavelli. Diverso è il discorso per Botero.
3} Botero.' LA politica. La continuità. Lo Stato Inrtartzitutto il temperamento culturale di Botero si presenta: assai diverso da quello di Machiavelli, rton solo per la loro differente estrarione e biografia intellettuale, per la diversità stessa del tempo storico della loro presenza, ma anche e soprattutto per le categorie dìstìnte del loro pensiero. Senza tentare una descririone: rillnuta della figura di Botero, superflua in questa sede perché già largamente realizzata da una copiosa indagine filologica di grande livello, 16 basterà tener conto della duplice costante tendenza lvi, pp. 295b-296~. passim. N. MhCHIA\(EILI, Discorsi, 1-47, in Opere cit., p. 130b. i 6 Una ricc}J:i~~ima bibliografia boteriana è quella di A. Enzo Baldini, particolarmente accurata e puntu:il.e. In questa sede è d'obbligo farvi riferimento per gli scritti di Botero e su Botero, così come per la sua utilìtà a rappresentare anche la fortuna di questo autore. La Bibliografia boteriana di Baldini è riportata in appendice all'intero volume; 14
15
-· 67-
SILVIO SUPPA
di Botero, o verso orizzonti geografici e culturali ìneditì, e assunti nel loto significato di universi vitali, o verso una scienza politica più incline al consiglio e alla massìrtllzzazione delle «tegole»~ Di toriSègttenza, la sua forte. at;_ tenzìon:e agli aspetti materiali, economiCi e quasi antropologici dei paesi lontani, dei popoli di culture non europee - si pensì alle Relazioni universali 11 e alla sua lettura del mondo americano - fa quasi da contrappunto alla esposizione in forma di massime e avvertimenti dottrinari, della teoria o dell'arte del governo" Colpisce il titolo stesso della sua opera di maggiore fort1ina: 7 Della ragion di Stato, 18 carico di riferimenti trasparenti ad uri tema: e ad uri «luogo)> dell'epoca, ma: soprattutto indicativo di un orientamento che ha pure una. sua specificità. La: ragione di Stato appare in Botero un'esperienza possibile ed attuale solo grazie alla già consolidata realtà della costituzione sia dello Stato, sia delia. politica; ma nella sua portata compiti e fini appaiono disposti secondo una diversa intensità. In ogni caso, per Botero non è il Principe il punto di esordio del ragionamento politi.co; se esso è uri modo per dare corpo storico all'aVvio della vicenda dello Stato e dell'intelligenza della politica, la figura centrale che al presente consente la visibilità della: politica è la ragione di Stato; Questa raccoglie e riassume in sé ogni altra forma di ragione chei pur non negata; resta tuttavia assorbita e secondaria rispetto alla forza regola:trice della ragione di Stato, alla sua capacità di imporre le regole del ragionamento e del pensiero, le regole del gioco irtsoinrha. ; nella solidità dunque del «dominio>>, quasi che 11n dominio incerto non sia suscettibile di una valenza politiCostatale. Integra e completa questo assunto, il fàtto che maggiore importanza investa nella ragione di Stato, il problema della conservazione, rispetto a quello della fondazione e dell'ampliamento dello Stato. L'idea della continuità ispira dunque l'intera nozione della politica in Botero. La fondazione dello Stato, aspetto ormai assorbito e scenario dello spazio teorico della politica, appare in qualche modo inattuale. La fase «eroica» dell'esordio dello Stato si rivela ormai come un semplice presupposto storico e logico dell'arte della politica, che ora si orienta alla irreversibilità della forma statuale del dominio. «Ma l'arte del fondare - dice ancora Botero - e dell'ampliare è l'istessa; perché i principì, e i mezi sono della medesima natura. E se bene tutto ciò, che si fa per le sudette cagioni, si dice farsi per Ragione di Stato, nondimeno ciò si dice più di quelle cose, che non si possono ridurre a ragione ordinaria e comune>>. 2° Fondazione e ampliamento dello Stato, appartengono dunque ad un atto umano, in quanto atto storico, legato perciò ad una sua finitezza. Diverso è il discorso sulla conservazione dello Stato, campo proprio di esercizio della ragione politica, il quale sfugge ad ogni finitezza; appartiene anzi ad una esperienza ìn cui il finire coincide con il fallimento, con l'annullamento dello scopo, ed è dunque organicamente contraddittorio. In questo senso si orienta la consapevole affermazione di Botero che, dopo aver separato la storia e la politica in un tempo - finito - del «fondare>> e in un tempo - infinito e presente - d,el «mantenere», spezza anche la ragione fra un livello ; del problema della durata. In queSto senso in Botero non si prospetta una dimensione del limite ~ella politìca, almeno nel significato della compresenza di soggetti antagopìsti, della loro potenziale reciproca negazìone e del peso
19
G. BoTERo, Della ragion cit., p. 9.
20
Ibid.
-69-
SILVIO SUPl'A
vincolante della «verità effettuale». Il finire è la fine stessa dell'idea dell'or~ dine e dello Stato; si tratta per lui di un concetto che si presta a rappreseri'tare il mutamento e le contraddizioni neì rapporti fra ordini e schieramenti sociali diver81. Questa mancanza dd principiò del limite; che. come meglio si vedrà, in Botero è in qualche modo riposto soltanto nello stretto rapporto fra morale e religione, e quindi nella finalizzazione e secolarizzazione della politica, è del resto congiunta ad una nozione della politica chiara:.. mente destinata ad un impiego pratico, alla ricerca di una relazione continuistica, ad una contiguità fra passato e presente. La comune attinenza: di queste due dimensioni del tempo alle esigenze della ragione di Stato, spinge Botero a ricercare nella storia una sorta di campionario delle vicende ed esperie1:1ze da utilizzare nella conduzione e conservazione dello Stato. Una simile veduta, di tipo quasi utilitaristico della storia, il suo adattamento a bagaglio e patrimonio consolidato per il Principe, rende ancora più evidente il senso pratico della politica, e la rarefazìone in lui dì qualsiasi acceZione dialettica che non intenda ridursi al primato della certezza della continuità: Ma. non è cosa più necessaria ._ egli dice - per dar perfezione alla Prudenza, e pet lo buon maneggio della Republica, che l'esperienza, madre della suddetta virtù. Perché molte cose paiono fondate su la ragìone mentre si discorre oziosamente in camera, che messe poi ad effetto non riescono; molte paiono facili ad effettuare, che la pratica mostra esser impossibili, non che difficilì. Or l'esperienza è di due sorti; perché; o s'acquista immediatamente da noi, o per mezo d'altri. La pri-ma è necessariamente molto ristretta, e da' luoghi, e da' tempi ... V altra è dì due sorti; perché si può imparare; o da viventi, o da morti. La prima; se. bene non è molto grande quanto al tempo; può nondimeno abbracciare moltissimi luoghi; ma molto maggìor campo d'imparare è quello, che cì porgono i morti con l'istorie scritte da loro, e in vero l'istoria è il più vago teatro,. che si possa imagìnare. lvi, a spese d'altri, l'uomo impara quel che conviene a sé. Ivì si veggono i naufragì senza orrore; le guerte senza pertcolo, i costumi dì varie genti, e gl'istituti di diverse Republiche senza spesa. 21'
Vi è un animo a metà fra cinismo e distaccata contemplazione nel modo di assumere la storia in Botero; la sua forte convinzione di poter leggere passato e presente in un'unica logica, lo spinge, dopo una. classificazione scolastica e pedante dei tipi di esperienza storica, ad un atteggiamento quasi imdente nei confronti della dimensione teorica, ridotta ad astrazione, D'altro canto la tendenza ad allargare l'ambito della veduta solo in senso
-70-·
RAGIONE. POLITICA E RAGIONE Dl STATO
quantitativo - molteplicità ed eterogeneità dei casi da analizzare -; non introduce una discussione sulla natura delle cose, cioè sulla politìca medesima, oggetto e corpo della veduta, Ben si comprende, a questo punto, l'insistenza di Botero sulla solidità dello Stato e sulla continuità del potere. In linea con una sorta di filosofia della medietas e della continuità, anzi della stessa simbiosi tra autorità e continuità, egli sceglie come modello dello Stato forte e duraturo, quello più contenuto; nella sua giusta dimensione territoriale - ancora un riferimento quantitativo - e dunque più equilibrato nelle sue capacità di tenuta, In primo luogo, vero capolavoro sul piano dell'agire umano, è l'arte del conservare e del sottrarre al rischio del mutamento: «Senza dubbio- dice Botero -, che maggior opera si è il conservare, perché le cose umane vanno quasi naturalmente ora mancando, ora crescendo, a guisa della luna, a cui sono soggette: onde il tenerle ferme, quando sono cresciute, sostenerle in maniera tale, che non scemino e non precipitino, è impresa d'un valore singolare, e quasi sopra umano». 22 Una vocazione a contrastare il movimento e la differenziazione fa da contrappunto in Botero, alla sua put vivacissima curiosità verso un mondo geografico e di valori, di tipo nuovo ed inedito, che va proponendosi alla cultura europea. Grandi scoperte, discussione dei confini materiali e morali dello Stato all'indomani della sua proposizione nel moderno, non coincidono in Botero con la scelta dell'esito dell'equilibrio, che in lui è anche sbocco ottima:le, specialmente sul piano politìco, e insieme filosofia della medietas. Molti sono i passaggi da citare in Botero, sulla maggiore importanza e difficoltà della. difesa e conservazione dei territori e degli Stati, rispetto alla fase ìniziale della conquista;23 ma particolare significato assume in lui l'affennazione che con una lunga espen:enza delle cose moderne e una continua lezione delle antique». 32 Conoscenza ed esperienza marciano di conserVa, in una dimensione in cui il passato, suscettibile di conoscenza, ed il presente, af.-. fidato all'esperienza, si mediano proprio intorno all'azione, ai segni della presenza attiva deì condottieri e degli uomini dì governo, dei capi, insomma, nel lento evolversi e mutare dei tempi.
5) Botero: Autorità. Ordine. Religione
Botero si accosta alla figura del Principe, lungo un itinerario un po' Ispirandosi al principio della ragione dì Stato; egli si dilunga sulle qualità dì fondo del Principe; ma ìn primo luogo pone alla base dell'equilibrio dello Stato, la più stretta osservanza dell'autorità politica e un impianto gerarchico rigidissimo. «Il fondamento principale d'ogni Stato egli dice ~, si è l'obedìenza de' sudditi al suo Superiore; e questa si fonda sull'eminenza della virtù del Principe: perché sì come gli elementi e i corpi, che di essi si compongono, ubìdiscono, senza contrasto,. a' movimenti delle sfere celesti; · per la nobiltà della natura loro, e tra i cieli gl'iiiferiori segliono il moto. de' superiori; così i popoli si sottomettono volentieri al Prencipe; in cu.i risplende qualche preminenza dì virtll:; perché niuno si sdegna d'ubidìre e dì star sotto a chi gli è superiore, ma bene. a chi gli è inferiore; o. anche pari~.33 La visione quasi eroico-ìndivi~ duale del Principe di Machiavelli, cede il passo ad un'idea pure fortemente incentrata sul prestigio del capo-sovrano, qual è quella di Botero; ma qui il prestigio~ l'autorità; sono elementi connaturati e propri della cul~ura politìca del rispetto del superipre. Se per Machiavelli il principe crea le condizioni della sua stessa funzione, o rischia dì sminuire il suo primato; in Boteto è nella: relazione politica già immesso un dato di inegualia:Iiza fra suddito e sovrano~ Si può discutere solo se l'obbligazione è sopportata «volentieri», non certo se deve essere vincolante. Tutto il resto può rafforzare o indebolire le ragioni dì questo schema; ma mai revocare, itrgenerale, la fondazione del rapporto politico come rapporto dì obbligo e di diversa posizione de1 soggetti. L'impianto così fortemente ispirato ad diverso~
lv{, p.. 257a.
G. 136-rE!to,. Della ragion cit., p. 23.
-76-
RAGIONE POLITICA E RAGIONE DI STATO
un'imin3'gine filosofico-scolastica di gerarchie date, domanda le qualità del principe solo come condizione di facilitazione del dominio; una: certa ìdea della contingenza può, al massimo; influire su queste condizioni, non certo sulle ragioni del dominio, ricondotte ad una sorta di identificazione dei sudditi verso il loro sovrano, e quindi di rea1izzazione dei primi, per mediazione del secondo. «l popoli sono obligati a dare al suo Prencipe - dice ancora Botero - tutte quelle forze, che sono necessarie; acciò ch'egli li mantenga in giustizia tra sé, e li difenda dalla violenza de' nemici». 34 Appare evidente la logica di scambio fra cessione della sovranità, e acquisizione di sicurezza fra i sudditi. Il ruolo vincolante e senza alternative del Principe, viene puntualmente confermato da: Botero, quando egli si addentra riella distinzione di forme e compiti intellettuali propri di chi detiene la sovranità, e di chi ne è fuori. In primo luogo il nesso fra «Prudenza» e «Valore>>, stabilisce nel linguaggio di Botero quella compresenza di intelhgenza e di esecuzione~ di pensiero e di decisione attiva, senza della quale sarebbe impossibile la «riputazione>> del principe. 35 Più in particolare, il Principe si presenta al centro di un'esperienza morale, meglio ancora, di una condotta morale: il suo risvolto pratico non è altro che il sapere politico, assunto però secondo una finalità ben precisa: moderare e compensare insieme le contrastanti spinte del teatro della politica. In questo senso in Botero la vocazione della politica, la sua verità, o almeno il suo profilo più acuto, non è come in Machia:velh, nel cominciare, nella prospettiva del nuovo inizio, ma - in linea con l'ideale della conservazione-continuità - in un esito di armonia che predilìga l'evidenza dell'organismo immateriale in cui il potere si diffonde, :llla concreta presenza dei suoi protagonisti reali, l'urgenza del presente, illa costruzione del futuro. La figura del Principe eccelle così non per una motivazione eroica di condizionamento infungibile dell'agone' politico, ma per essere identificata, nella sua portata simbolica, con la rappresentazione personale e secolarizzata dell'altrimenti indicibile e non visibile istanza di governo e di ordine. Dare lin volto umano-storico alla politìca e all'ordine, sembra essere l'intento di Botero; meglio ancora: accreditare di superiorità il Principe; all'insegna dìuna ra:refazione della sua umanità concreta e di una accentuazione qella sua essenzìalità all'ordine. «A niuno conche al Prencipe, la cui dottrina viene di saper più cose - egli afferma può essere d'utilità, e di giovamento a tanti suoì soggetti; ma in particolare lvi, p. 28. Si veda a questo proposito l'inizio del «Libro secondo», in Della ragion dt., p. 53, intitolato appunto «Della Prudenza». 34 35
-77-
SILVIO SUPPA
gli è necessaria, non che titile 1 la notizia di tutte quelle cose che spettano alla cognizione degli affetti e de' costumi (che st. dichiarano copiosamente da' Filosofi morali) o alle maniere de' governi (che si esplicano da': polìtièì) perché la morale dà la cogniztòne della passioni comuni a tutti, la politica insegna a temperare, o secondare queste passioni, e gli effetti, che ne seguitano ne' sudditi, con le regole dd ben govemare,>. 36 Prevale dunque la preoccupazione di assicurare tenuta ad un corpo politico, adattando la lezìotie dei tempi, che è quella del consolidamento dello Stato, e non più della sola spinta alla sua costituzione, Quel senso di incertezza, di relativizzazione della politica, proprio di Machìavelli che, pur aprendo ìn modo irr:uento il tempo moderno dello Stato, lo fa tuttavia secondo un approcciò tanto positivo alla sdetiza politica, quanto aflidato al senso di un precario dubbio e dualismo logico, in Botero è diventato certezza. metastorica dell'ordine, a fronte del quale la scienza politica deve solo segnalare la persona storica del principe, più adatta ad espnriietile l'adeguata responsabilità. La ratefazìorte dell'ordine in una qualità che motiva e scandisce la funZione· del principe, s:l accompagna a prime esetn:plificazioni della distiriziòne fra politica e «mestieri», come di:stiriZiòrie fra movimento concettuale, e atto concreto, legittimato dalla sua utilità e dalla sua > al comando, proprio perché particolare~ In questo, Botero è ben coerente con la sua veduta «spezzata» di tagiorie di Stato e ragtone comune, e la sua distanza rispetto a Machiavelli appare ailtota puY marcata, solo se si pensi alle prime parole di n Principe, ancorate all'idea di una reciproca delimitazione, ma di una reciproca comple'filentarità, fra i due mondi distinti del govemo e dei sudditi. . 48
Ivi; pp. 62-63. lvi; p. 65, passim~ Per completezza va ricordato, sull'argomento della «Prudenza• del Principe, rintero scritto De regia sapientia, una sorta di «siunrrta» su principi e criteri dì 48
un retto regime. Sarebbe troppo lungo soffermarsi sui dibri tres•, che compongono questo scritto e basterà dunque richiamame i caratteri generali, anche perché. essi non presentano, se non nella radicalizzaz.ione di alcune posizioni, novità dì rilievo rispetto al Della ragion di Stato. Nelle primissime pàgine dd volume; alcune «Sententiae insignes» ne anticipano l'intero contenuto: «Ut solem aspicere, sine solis luce, - dìce Botero - nemo potest; ita neque Deuin; sine. Dei. dono, agnoscere. Regna: pietate fundantur, atque conservantur. Pietas; extra. Ecclesiam Christianam nulla est.. Semper videtur gloria militaris cum religione fuisse coniuncta». E ancora: «Religio est omnis principatus fundamehtuin. Ad vìctoriam obtinendain pltis confert Sacertos, quarrt Imperator Reges debent, ut dignitate caeteros antecedunt, ita Deo sese quarn maxime subinittere». (Cfr. G. BoTERO, De regia sapientià, Milano, 1583, nelle pagine inttoduttive al testo propriamente detto, non rtuinerate). Questo scritto; procede sostanzialmente lungo il nesso logico religione-disciplina-governo, e la brevità dello spazio rion consente un'analisi puntuale dei testi; ancora pìù determinati che nel Della ragion di Stato~ Va comunque ricordato che nel De regia sapientia, è compresa la cdebre «Digressìo» contro Machia:velli, in cui Botero prende decisamente le distanze dal Fiorentino, proprio sul rapporto fra fondamento dei fini politici e loro radice rdigiosa. L'esordio è inequivocabile: «Quaniarn supra demostratum est a Deo Opti. Max. bella, viCtoriasque pendere, minuenda hoc loco est Nkolai Macchiavelli opinio: is enim non irtepte minus, quarrt: false, atferre ausus est; Christi doinirii nostri leges homines ad rem bellicam, milita:.. remque virtutein ineptos efficere. Avocat,. fateor; Christi doctrina homirtes ab initistis bellis:: docet enim quantum in se scelus adtnittant, quantum facinus suscipìant, qui ni aequita'tem, arm.iS leges, seditionibus Reip. Statum convellere, et perturbare conantur: ostendit eos, qui his sceleribus se se obstrinxerint, nisi peniteat; constituta, aptid inferos supplicia effugere, nulla ratìone posse ... ». De regia sapientia cit, p. 12 (la punteggiatura del brano riportato è stata qui lievemente modificata, solo per quanto riguarda il punto fermo, seguito da una minllscola nell'originale: in questo caso il punto fermo è diventato «due punti»).
82-
RAGIONE POLITICA E RAGIONE DI STATO
6) Machiavelli: Religione. Morale. Dedsione
Anche Machiavelli afferma un vincolo strettissimo fra religione e go'"" verno; ma vi è un significato profondamente differente rispetto a Botero: il suo rapporto religione-ordine civile si riferisce al passato, attraverso l'esempio dì Numa Pompilio, principe e sacerdote, al contrario di Romolo, così come si riferisce ad una regola generale della politica, attiva anche al presente. «AVV'enga che Roma avesse il primo suo ordina:tore Romolo 'dice Madùavelli '-, nondimeno, giudicando i cieli che gli ordini di Romolo non bastassero a tanto imperio, inspìrarono nel pettò del Senato romano di eleggere Numa Pompilio per successore a Romolo, acciocché quelle cose che da lui fossero state lasciate indietro, fossero da Numa ordinate. Il quale, trovando un popolo ferocissimo, e volendolo ridurre nelle obedienze civili con le arti della pace, si volse alla religione, come cosa al tutto necessaria a volere mantenere una civiltà».49 Una congiunzione solidissima lega alla religione l'intero esito dì una civiltà; secondo una funzione anche qui sicuramente individuale e quasi mitica del capo politico, insieme carismatico e spirituale. La conclusione in Machiavelli è che «come la osservanza del culto divino è cagione della grandezza delle republiche, così il dispregio di quello è cagione della rovina d'esse. Perché, dove manca il timore di Dio, conviene o che quel regno rovini, o che sia sostenuto dal timore d'uno principe che sopperisca a' difetti della relìgione. E perché i principi sono dì corta vita, conviene che quel regno manchi presto, secondo che manca la: virtù d'esso. Donde nasce che gli regni i quali dipendono solo dalla vìrtù d'uno uomo, sono poco durabili, perché quella virtù manca con la vita di quello>>. 50 La relìgione, la sua utilità al governo, ha qui lo scopo specifico dì conservare oltre la breve durata fisica del sovrano, l'idea e la pratica di una virtù, di una moralità. Il riferimento di Machiavelli è non tanto al principio dell'obbedienza e della soggezione generica, quanto all'esigenza di affidare una condotta compatibile con la sovranità, ad un valore capace di durare per tutta la civiltà in cui si esprime. La relìgione appare qui nei suoi connotati generali, come la testimonianza di un'esigenza di virtù, come esigenza di ordine e d.1 regole. Altro giudizio comporta invece la riflessione sulla organizzazione temporale della Chiesa. Il ragionamento dì Machiavelli a questo proposito tende proprio a distinguere una linea di 49 50
N. MAtHIAVEI.LI, Discorsi, I, 11, in Opere cit., p; 93b. lvi, p. 94b.
-
83-·
SILVIO SUPPA.
rispetto della religione, e della sua forza morale, da quella della forrtla storica della religione cristiana nel contesto italiano. Qui la condanna della forza politica della Chiesa e del suo peso nella vita pubblica è decisa, e assolutamente agli antipodi delle posizioni di Botero. di proporsi e dalla sua capacità di convivere con la contraddizione. Che la politica; insomma, non sia armonia, è già chiaro nella veduta di. Machiavelli; egli ora articola ancora di più questa drammatica impossibilità di armonia, proprio intorno all'originalità del sapere della politica, quella appunto di sapersi come scienza della contraddizione, sia verso gli avversari, sia all'interno stesso del suo movimento. La trama delle forme non è altro che l'esercizio di sentimenti e di valori attraverso i quali un pubblico molteplice è chiamato al destino non più individuale del principe-istituzione. il gioco fra simulazione. e verità non è diretto ad esaltare il cinismo e la dopptezza, ma è solo la risposta offerta alla differenza di ragione e di interessi con cui ci si accosta alla politica. La posizione del principe, sotto il profilo individuale, deve comunque ispirarsi ad un rigo're morale, cioè ad un comportamento in grado di non barattare l'interesse' dello Stato contro quello del privato. Essere principe non è essere in vantaggio, essere in franchigia rispetto al dovere morale e alla realizzazione di. una immagine adeguata al ruolo del governo. Le concessioni e la molteplicità dei mezzi, rispondono del resto ad un primato che è sempre della politica, e mai della persona del principe. Machìavelli, infatti, all'ampiezza dÌ mezzi utili alla difèsa dello Stato, contrappone invece il valore yincolante della condotta del principe. Egli sostiene infatti > (ivi, 3-4). 2. Nella Ragion di Stato la categoria di sapienza acquista più complesse articolazioni semantiche; mentre, attraverso un radicale mutamento di prospettiva, verrà esaltato il ruolo autonomo e produttivo della prudenza dvile. In realtà, tra la fine del Cinquecento e gli inizi del secolo successivo, queste due categorie presentano una notevole diversificazione di significati: per quanto riguarda l'Italia, gli esiti tardo-rinascimentali di divaricazione tra le due categorie sono stati egregiamente descritti da De Matteì; per il contesto europeo, basterà qui accennare dapprima alla lettura in chiave neo-stoica del concetto di prudenza offerta da Lipsio Oa cui opera verrà
4 Dei rap orti tra sapieniia e ntdentia nel pensiero olitico del tardo umanesimo fie. no ai pensatori della controrifonna tratta R. DE MATTE!, Sapienza e enza nel pensiero polHico 1tahano dall'Umanesimo al sec. XVIII, in E. C11sTEUI (a cura. di), Umcinesimo e scienza politica. Atti del secondo Congresso internazionale di Studi umanistici, Roma-Milano, 1953; lo stesso saggio modilicato. compare nella raccolta pensiero politico nell'età della controriforma, Milano-Napoli, 1982, pp. 68~83, con il titolo Dal primato della Sapienza al primato della Prudenza. Per qu~nto concerne poi la trasformazione della prudenza da virtù cardinale a tecnica comportamentale e politica vedi il bel lavoro di V. DtNI, i..a prudenza da virtù a regola di comportamento: tra ricerca de/fondamento ed ossewazione empirica, in V. DrNi e G. STIIBRE, Saggezza e prudenza. Studi per la ricostruzione di un'antropologia in prima età moderna, Napoli, 1983.
n
-93-
GIANFRANCO BORRELLI
per la prima volta pubblicata nello stesso anno della Ragion di Stato boteriana) e, ancora, lo sforzo impegnato da Charron al fine di configurare un diverso modello di sagesse. 5 Questi contributi teorici intendono rispondere in forma propositiva alle gravi difficoltà della politica ecclesiastica ed al tracoflo del giusnaturalismo cristiano denunciato con innegabile evidenza dalle violenze conseguenti ai contrasti civili e religiosi di fine secolo. Lo stesso Botero - interprete attento dei conflitti che affliggono l'Europa, e partìcolannente la Francia - in molti luoghi della sua opera esprime esplicitamente la propria sfiducia nel contributo della ragione: bisogna allora analizzare con attenzione gli strumenti praticì cui il principe può ricorrere allo scopo di > e di eliminare «l'occasione e la commodità delle rivolte» (ivi, 159). Com'è noto, nell'impianto espositivo della Ragion di Stato, l'indagine prende avvio dalle argomentazioni relative a sapientia ed a forza; queste costituiscono le condizioni fondamentali per l'azione di ogni governo: «s'acquista con forza, si conserva con sapientia; e la forza è comune a molti: la sapientia è di pochi» (ivi, 58). La Ragion di Stato interviene dunque per suggerire percorsi e dispositivi finalizzati alla produzione di obbedienza civile con modalità che salvaguardino, da un lato, le indicazioni poste dalla apienza, e che, d'altra parte, possano comunque rendere sicuro l'impiego . . inevitabile della forza; a questo progetto contribuisce in maniera decisiva il mezzo della prudenza civile. Per cogliere più da vicino le particolari forme di sviluppo che Botero assegna ai due distinti percorsi di sapienza e prudenza risulta utile acquisire un ùrtportante presupposto argomentativo: s.
A niuno conviene di sapere più cose, come dice Vegezio, che al Prencipe, la cui dottrina può essere d'utilità, e di giovamento a tanti suoi soggetti; ma in partiColare li è necessaria, non che utile, la notizia di tutte quelle cose che spettano alla cognizione degli affetti e de' costumi, che sì dichiarano copiosamente da' Fi-
5
L'importante opera di Joost Lips (Iustus Lipsius) - Politicorum sive dvilis doctrinae libri
Vl- segna storicamente la attivazione dell'influenza del pensiero stoico nella cultura europea di fine Cinquecento, con esiti importanti per la riflessione etico-politica del secolo mccessivo; per questo aspetto vedi lo scritto di G. 0ESTREICH, Antiker Geist und moderner Staat bei Iustus Upsius (1547c 1606). Der Neustoizismus als pofitj~çche Bewegung, Berlin, 1954; ed i saggi raccolti in Neostoidsm and the early modern State, Cambridge, 1982 (una parziale traduzione italiana è in G. 0EITR_Erci:~.,Filosofia t! costituzione dello Stato moderno, a cura di P. Schiera, Napoli, 1989). Per:qtfirt1:6-nguarda l'opera e la vita di Pierre Charron una buona introduzione critica è nei saggi raccolti in La saggezza moderna. Temi e problemi dell'opera di Pierre Cha"on. Atti del convegno di studi in memoria di Giampiero Stabile, a cura di V. Dini e D. Taranto; Napoli, 1987, con preziosa appendice bibliograficà.
-·94-
SAPIENZA, PRUDENZA ED OBBEDIENZA
losofi morali, o alle maniere de' governi, che si esplicano da' politici, perché la morale dà la cognizione delle passioni comuni a tutti, la politica insegna a temperare. o secondare queste passioni, e gli effetti, che ne seguitano ne' sudditi, con le regole del ben governare (ivi, 95-96).
Sapienza è preliminarmente capacità di riconoscere quei moventi che determinano pratiche e comportamenti degli uomini; funzione conoscitiva che prende direttamente a proprio oggetto le dinamiche delle passioni, la morale, al fine di potere indirizzare i mezzi idonei al governo delle passioni stesse. Sapienza e giustizia riguardano innanzitutto quel complesso di leggi morali e naturali contemplate nelle tavole dei comandamenti divini; il principe è l'interprete di questi fini di lungo termine, che possono così sintetizzarsi: rendere stabile la pace, assicurare l'esistenza fisica del suddito e della comunità, «conservare ad ognuno il suo con giustizia» (ivi, 71); a questi si aggiunge la finalità della salvezza spirituale, che il principe renderà possibile promuovendo la professione della fede cattolica. Inoltre, la sapienza del principe è capacità di intervento pratico, innanzitutto quella di amministrare ed accrescere la finanza statale e soprattutto gli averi dei sudditi grazie al mantenimento di una stabile condizione di pace. Per questi ultimi significati, oltre che erndizione e dottrina, sapienza è saviezza: particolare disposizione del sovrano ad educare se stesso ed i sudditi alla conservazione del benessere e della stabilità politica. Essere savio risponde dunque anche ad un principio di economia ed utilità: riguarda quindi le maniere di trattare il popolo secondo i mezzi decisivi di abbondanza, pace e giustizia (ivi, 147). Al riguardo, Botero descrive un codice comportament::~;le preciso attraverso il quale l'uomo di governo deve tendere al perseguimento del consenso attivo da parte dei sudditi, facendo in modo che essi siano motivati economicamente dal benessere materiale, dai premi e dalla promozione degli interessi privati: «Il popolo che, senza paura dì guerra straniera o civile e senza tema d'essere assassinato in casa per violenza o per fraude, ha i cibi necessan a buon mercato, non può se non essere contento e d'altro non si cura» (ivi, 147). Dì qui, pure, quella nozione di liberalità, che individua un legame tra consenso dei sudditi e capacità del re di emancipare i sudditi dal disagio economico con le dovute forme di moderazione: «Finalmente deve avvertire di non dare in una volta tutto ciò che vuol dare, ma apoco a poco; sì perché chi riceve resta legato con la speranza di ricev~re d'avantaggio, che ricevendo ogni cosa in un tratto sì ritira, e si accomoda con quello» (ivi, 94). In definitiva, Botero descrive lo sforzo di sapienza del principe come l'intento determinato di collegare le movenze di individui e ceti a com:-
-95-
GfANFRANCO BORRELLI
portamenti di disciplina ed autodisciplina nello stretto riferimento all'attua:zione di finalità morali ed economìche da conseguire sul lungo periodo. 3. Passìamo ora ad analizzare le funzioni proprie della prudenza, ars practica per eccellenza, che impegna in inodo specifico il campo dell'azidne politica. Per il maneggio del governo, la prudenza esalta la via conoscitiva dell'esperienza: il principe deve vivere direttamente l'azione politica e, quindi, deve poter contare sulla approfondita: notitia delle cose e delle pratiche di governo. In particolare, la prudenza cerca di riconoscere e di fissare in codici i tempi individuali dell'esperienza umana; il soggetto di decisione politica deve appropriarsi di questa importante conoscenza, e tanto gli è reso possibile a secondo che l'esperienza- scrive Botero- s'acquista immediatamente da noi oppure per mezzo degli altri, attraverso il sapere storico. 6 Grazie al sicuro possesso della notizia di tutti i tempi utili, il principe rife'"' risce produttivamente quella conoscenza alla pratica diretta dei tempi concreti dell'azione politica; infatti, la prudenza civile traduce quella form:a particolare di conoscenza in tecniche pratiche di intervento sui comportamenti umani, che diventano oggetto di continua osservazione e di possibile disciplina. Il progetto articolato della prudenza è difatti quello della codificazione delle tecniche finalizzate al governo del principe su di sé, sui sudditi, sulle cose; e questo progetto di prudenza risulta tanto più necessario nelfu considerazione dello stravolgimento estremo in cui versa il vivere quotidiano. Incostanza, inganni, ipocrisie:: sono questi modi comportamentalì a non consentire riferimenti sicuri di verità e di ragione. Scrive Botero nei Detti memorabili che di tanto l'uomo è povero di tempo nella propria esistenza, di quanto inversamente la sua vita risulta ricca di una serie infinita di menzogne e di simulazioni: >, ove riferisce dì aver . 30 In altri termini occorre conoscere il presente per comprenderne le trasformazioni e i mutamenti. Compendio dal successo immenso, le Relazioni Universali rispondevano
Della ragian di Stato, pp. 98-99, Cfr. A. ALBòNJco, op. cit. 29 Quinta Parte delle Relationi Universali, in c GroDA, op. dt., m~ pp. 36-37. 30 Ibid., p. 37. Si ricordi il continuo richiamo all'esperienza in Guicciardini (cfr. R. DE MATIEI, n pensiero politico italiana nel '600, in lo., n pensiero politico italiano cit.; I, pp. 1819). Ma colpisce ancor più l'analogia con jJ. segu:ente passo del De Pace di Le Roy: «Mihi quidem a pueritia plurimum fuit et studìi et temporis in percepiendis omnibus artibus, sed niaxime illis qui sunt nobis Graeciae et Italiae monimentis disciplinisque traditae, Nec laboravi solum ut ex libris et in umbra otioque eruditorum ingenuas ac liberales doctrinas discerem: sed quae de naturis rerum, de hominum moribus et de rebus publicis erant di~ sputata, in medio rer11niusu et in luce hominum percipere conatus sum. Ac non contentus disciplinis quas Gailia suppeditabat, exteras nationes atque terras quascurnque potui; propter discendi çupiditatem peragravi» (L. LE Rov, Oratio ad invictissimos potentissimosque principe! Henricum Il et Philippum Hispan. reges; De Pace et concordia nuper inter eos inita et bello rellgionis christianae hostibus iriferendo, Parisiis; apud Federicum Morellum, 1559. La citazìone è tratta da A. H. BEcKER, Un humaniste au XVI• siècle cit., p. 50). 28
-111-
MARIA GRAZIA: BOTTARO PALUMBO
quindi a questi scopi. La fortuna che fu immediatamente tributata a quest'opera costituisce, mi sembra, un segno in tal senso.31 Nell'a.fftoritare l'esame delle cagioni della grandezza degli stati - rtel Proemio della Parte Seconda - egli individua quattro fattori principali: «uri Prencipe, o un popolo acquista dominio sopra l'altro per qualche eccesso, e vantaggio: e il vantaggio ò nella moltitudine, ò nel valore (di cui instrumenti sono l'arme; e la forma di usarle) e il denaro, ò nell'opportunità del sito, ò nell'occasione».:~2 Botero riprende qui, ampliandoli, gli elementi indicati nella Ragion di Stato. 33 Dopo aver affermato che «l'estendere il dominio è quasi uri abbracciate, e un fermar molti paesi sotto la propria obbedienza», per la qual cosa «si ricerca necessariamente moltitudine d'huomini)>/4 egli si sofferma sul valore: «Il valore consta nell'accortezza dell'ingegno: con la quale si conoscono, e si abbracciano opportunamente le occasioni, e si schivarto ò si spianano le difficoltà: si conciliano e si guadagnano gli animi de' popoli». 35 All'interrogativo su quale delle due qualità sia più utile - accortezza o ingegno - egli risponde che occorrono entrambe. L'argomentazione ha sapore machiavelliano: «Perché l'accortezza senza vigor d'animo, è astutia più che prudenza: l'ardire senza l'avvedimento, è temerità più che valore)>. 36 Un rigoroso naturalismo, che ricalca in parte la teoria dei climi di Bodin, contraddistingue il ragionamento sul sito.37 Più interessante il discorso circa l'occasione: «Ma poco giovano tutte le cose suddette per la grandezza dell'imperio, se l'occasione non ti apre la strada, e occasione si chiama uri concorso di circostanze; che ti facilitano l'impresa in un
31
Pet: le edizioni e le traduzioni delle Relazioni Universali cfr. A ALaòNico, op. cit.,
cap. I.
Relazioni Universali, Parte Seconda, Proemio. Della ragion dt' Stato. 34· Relazioni Universali, Parte Seconda, Proemio. 35 Ibid. 36 Ibid. Cfr. in proposito, F .. CHABOD, op. dt,, p. 344; A. ALBòNICO; op. dt. Circa l'influenza del «sito» sulle forme di governo, Botero è strettamente debitore di Bodiil (République; livre V, chap. I): cfr. R. DE MATIEI, L'ottima forma di governo secondo il criterio della > 41 istituendo tra l'altro un parallelo tra assolutismo e esosità fiscale. Passando al Regno di Svezia, l'A. richiama l'attenzione su di esso a causa delle sue dimensioni: «Se bene il regno di Svetia, per esser posto quasi fuori del mondo, non è in molta consideratione appresso noi, che 38 Relazioni Universali, Parte Seconda, Proemio. Sulla dottrina dell'occasione in Bote~ ro cfr. F. CHABOD, Giovanni Botero cit., pp. 361-362; W J BouwsMA, Venezia e la difesa della libertà repubblicana. I valori del Rinascimento nell'età della Controriforma, Bologna, Il Mulino, 1977, p. 173 (ed. orig. Berkeley-Los Angeles, 1968). 39 Relazioni Universali, Parte Seconda, Libro Primo, p. 2. Sull'interesseche la Francia di quel periodo - , 1989, 2, pp. 301-324. 40 Relazioni Universali, Parte Seconda, Libro Primo, p. 15. Quando parla di «governo regino» si riferisce ovvian:~ente alla regina Elisabetta. Botero sembra così ricalcare il giudiZÌ9 negativo dì Bodinstilla monarchia fenuninile «contraria al diritto naturale» {cfr. A. TENENTt; Sovranità e sovrano: l'ideologia di Bodin, in In., Stato: un'idea, unci logica cit., p. 288). Traspare un atteggiamento di marcata ostilità per l'Inghilterra che ncorre anche in altre opere, tra cui ricordo La Primavera e La prima parte de' prendpi chn'stiani: «siete a predarsì fattamente intesi l sopra al christian, che ogni honor vostro è spento~. Relazioni Universali, Parte Seconda, Libro Primo, p. 15.
-113-
MARIA GRAZIA BOTIARO PALUMBO
habbiamo tomniercio, ne affare con. quei popoli; nondìmeno, per la sua grandezza, egli è degno dì esser messo tra gli altri regni; compresi da noi in queste :R.elationì,>. Interessante, e già rilevato, quanto egli scrive a proposito della forma dì governo polacca: «fl governo di Polonia è di Repubblica anzi~ che di regno. Conciosia che i nobili (che hanno grandìssima auttorità nelle dìete, e ne' consigli) eleggono il Rè, e li danno quell'auttorità che li piace: e la podesta loto si fa tuttavia maggiore>>. D'altra parte le Diete e le Consulte, «macchine dì più pezzi e dì molti ordegni1>, sono molto lente nel loro funzionamento. 42 Da parte sua, il Granduca di Moscovia «è signore d'un grandìssimo paese, entro ì cui confini sono compresi diversi stath>. Egli «governa i suoi popoli più despoticamente d'ogni altro prencipe, dì cui si habbia notitìa. Conciosia ch'egli dispone assolutamente delle persone de' sudditi e de' beni loro».43 Il significato attribuito qui al tennine dispotico rientra in quello tradizionalmente corrente all'epoca (specie in riferimento al sovrano bizantino dopo il X secolo, o a sovrani degli antichi popoli orientali) come padrone, appunto, della vita e dei beni.44 Ma è interessante, a mìo avvìso, la trasposizione del termìne per definire la situazione inglese dì cui sopra e le implicazioni di tale uso •. L'Impero va considerato con attenzione~ in quanto presenta elementi di debolezza che non sono affatto sostanziali, mentre la sua forza è inficiata da fattori interni essenZiali quali la mancanza dì «unione de' giì animì1> e la scarsa «agilità e prontezza,> delle sue forze militari (ma si possono ricordare al riguardo le efficaci; quasi plastiche notazioni riservate al soldato tedesco).45 Non bisogna inoltre dimenticare che tin fattore esterno fondamentale quale il pericolo turco «consuma» la stia energia potenziale. Anontanahdosì dall'Europa e procedendo verso Oriente troviamo poi governi dìfferenti per forma politica e sempre più dìspotici nel senso allora tradìzionale del termine. Infatti «il Governo della Cina ha del dìspostico assai: conciosia che non è in tutta la China altro Signore che il Rè». 46 Cosi 42 Ibld:, p. 26. Cfr. M.L. Doouo, Principe, nazione, regni clt.; A. TAMBoRRA, LA Polonia di G, Botero e le suggestioni di Krz. Warszewicki1 in Cultura e nazione in Italia e Polonia cit~. pp. 317-329. Sull'uso improprio dd termine «regno» per la Polonia si veda quanto scrive Raffaele Della Torre: cft. R. DE MATIEI, Verifiche dei termini politici cit., p. 203. Relazioni Universali, Parte Seconda, Libro Primo; p. 36, ·'4 Si veda infra, nota: 52 .. " Relazioni Universali•. Parte Seconda, Libro Primo, p. 50. Ibid;, p. 65.
-114-
«DELLA CAGIONE DELLA GRANDEZZA DEGLI STATr»
il Re del Siam: «il suo dominio è più dispotico che regio, conciosìa ch'egli è padrone dì tutto il terreno de' suoi paesi; e l'affitta ai lavoratori per un tanto, o lo dà à Baroni per loro trattenimento à tempo, ò in vita, ma non mai con ragione hereditaria .•. ». 47 Dopo il Re di Narsinga, il Re di Calicut, il Gran Mogol, il Re di Persia ecco il Giappone, del quale si sottolinea la peculiarità rispetto alle esperienze polìtiche e socialì europee: «Il Governo del Giapone è molto differente dalle maniere de' governi conosciutì nell'Europa: conciosia che la potenza, e la grandezza di quello Prencipe non consiste in entrate ordinarie, o in amor de' popoli; ma nell'auttorità, e nell'Imperio ... ». 48 Nel libro quarto delle Relazioni Universali Botero illustra pol l'Impero turco: «) (ibid.). 50 Della ragion di Stato, Libro I, p. 108. Si veda anche Discorso intorno allo Stato della Chiesa (Roma, 1599), p. 176. 51 F. GurccrARDINr, Storia d'Italia, passim. 47
43
n
-
115
MARIA GRAZIA BOTTARO PALUMBO
Un vasto affresco, quello delineato qui sommariamente, in cui, pm che l'originalità, può interessare appunto l'uso delle fonti, 1 termìni usati (per esempio per tradurre btarri tratti da Bodin 52 o da altri autori 53), il valore di compendio unitario facilmente accessibile, tratto da fontì diverse - quasi un bilancio delle conoscenze acquisite - e il suo intento e la sua capaCità d1 divulgazione, in risposta alle esigenze dei tempi nuovi: il risultato fu infatti, come si è accennato, un successo europeo ampio ed immediato. 54 Ma le Relazioni Universali sono, per sua stessa ammissione, un vasto affresco in cui compaiono unicamente monarchie concretamente esistenti nel suo tempo. E le repubbliche? Esse appaiono di tanto in tanto fin dalle sue prime operei trattate in rnodo indiretto ma, per lo più, incisivo. Già nel De Regia Sapientia Botero si sofferma in tre momenti sulla Repubblica di Venezia, a proposito del suo splendore, della sua licenza e della sua libertà. 55 Nella Ragion di Stato troviamo poi Genova e Venezia a confronto; repubbliche entrambe floridissime, esse tuttavia si differenziano perché «nel.., la prima, tutta la ricchezza del ptencipe dipende dalla facoltà de' particolari» mentre in Venezia prevale il senso del bene pubblico. 56 Sempre nella Ragion di Stato, allorché l'A. classifica gli stati secondo le loro dimensioni, «il .dominio de' Signori Venetianì» è collocato tra quelli mediocri e mezzani.51 E troveremo in opere successive la contrapposizione tra una Repubblica di Genova «democratica>> e una Repubblica di Venezia «oligarchica». 58 E ancora, parlando di «prudenza» Botero sembra indirizzare un monìto significativo al principe, allorquando consiglia che «non rompa con repubbliche potenti, se non è, per lo gran vantaggio; sicuro della vittoria,
52 Si veda, in particolare, quanto scrive M. lsnardi Parente circa la traduzione del ter'-' li1ine «seigneuriali> in «dispotico»: Io., ]ean &din su tirannide e signoria nella «République», in lA «République» di ]ean &din. Atti del Convegno di Perugia, 14-15 novembre 1980, «Il Pensiero politico», 1981, 1, pp. 61-77; Io,, Le 'metabolai politeion' cit., p. 16. 5l· Si veda supra, nota 13. Si veda supra, note 24 e 31. G. BoTERO, De Regia Sapientia libri tres, Milano, Apud Pacificum Pontitim, 1583, p. 84. Sb Della ragiim di Stato; pp. 78-79, 57 Ibid., p. 56. sa. Discorso dell'eccellenza della monarchia cit., p. 234.
-116-
«DELLA CAGIONE DELLA GRANDEZZA DEGLI STATI»
perché l'amor della libertà è tanto veemente ed ha tante radici negli animi di chi l'ha goduta qualche tempo, che il vincerlo ha del difficile e l'estirparlo quasi dell'impossibile: e l'imprese e i consigli de' p:tendpi muoiono con loro, i disegni e le deliberazioni delle città libere sono quasi immortali».59 L'assenza delle repubbliche dalla sua trattazione nelle Relazioni Universali; salvo alcuni cenni,6(f viene parzialmente colmata con la Relatione della Republica Venetìana pubblicata a Venezia; per i tipi di G. Varisco, nel 1605, insieme al Discorso intorno allo Stato della Chiesa/1 La Relazione, dedicata al doge Marino Grimano e al Senato della Repubblica,62 ebbe tuttavia uno strano destino: sottoposta infatti all'approvazione preventiva di quella Repubblìca fu ampiamente censurata con drastici tagli che amareggiarono molto il Botero. 63 Terminata ve:rSo il 1602, la Relatione fu infatti esaminata dai Riformatori dello Studio di Padova e dal Consiglio dei Dieci tra il gennaio e il giugno del 1603, come si legge
59 Ibld., p. 108. Sul concetto dì «prudenza» in Botero cfr. R. DE MATTE!, Dal primato della sapienza al primato della prudenza, in Io., Il pensiero politico italiano cit., I, pp. 68-83: p. 80. Circa la «libertàn nelle repubbliche cfr. E.O.G. HArTsMA MULIER, The Myth of Venice and Dutch republican thought in the seventeenth century; A'iSen, V an Gorcum, 1980, p. 44 o ve dta, tra gli altn, E. de La Boétie, il duca dì Rohan, Boccalini e Campanella. Per quest'ultimo cfr. Antiileneti, a cura di L. Firpo: «vergine sempre, libera sempre ...& (riferito a Venezia). 60 Relazioni Universali, Parte Prima, Libro Primo, passim. 61· G. BoTERo, Relatione della Republica Venetiana, Venezia, G. Varisco, 1605. Ne esiste
anche un'edizione del 1608 dello stesso editore, uguale alla precedente, salvo alcune varianti tipografiche nel frontespizio. Un esemplare dell'edizione del1605 si trova nelle seguenti biblioteche italiane: Nazionale Centrale di Roma, Statale dì Lucca, Nazionale Centrale di Napoli, Universitaria di Napoli, Palatina di Parma, Universitaria dì Pavia, Braidense dì Milano. L'eruzione del 1608 è posseduta dalla Nazionale Centrale di Roma, dalla Braidense di Milano, dall'Universitaria di Pavia. 62 Relatione della Republìca Venetiana (1605): «Al Serenissimo Prendpe Marino Grimano, et all'Illustrissimo, et Eccellentissimo Senato di Venetia». . 6J· Nella Quinta parte delle Relazioni Universali; riferendosi a una sua proposta volta a ridimensionare l'estensione territoriale dell'Impero Turco, Botero scrive: «Questo discorso era stato fatto da noi, come altri parecchi, nella Relatione della Republica Venetiana; mà, essendo stata quella relatiorte alterata, r in mille maniere strappazzata, e di cose indegnissime di noi avvilita, habbiamo animo d'inserire alcuni di quei dìscorsi nell'opera, che noi, col favor di Dio, daremo di mano i~tinano, in luce» (Quinta parte delle Relazioni Universali cit., III,. p; 178). Per questo motivo Chabod non prende in considerazione la Relazione della Republiea Venetiana (cfr. F. C~!.noo, Giovanni Botero cit., p. 335, nota 1). E.O.G. H!.rTsMA MOLiER ha: tuttavia rilevato come i luoghi su Venezia che si trovano nella Ragion di Stato, nelle. Relazioni Universali o ne Le cause della grandezza delle città, così come in I Capitani concordano ampiamente con i corrispondenti passi della Relatione in oggetto (E.O.G. HAITSMA MuuER, op. cit~, p. 32, nota 30).
-
117 -·
MARIA GRAZIA .BOTTARO PALUMBO
dopo la d~dica dell'A.: in Studi storici in onore di G. Volpe, Firenze, 1958, pp. 447-479; F. CHAiloD, Venezia nella politica italiana ed europea del Cinquecento, in LA civiltà veneziana del Rinascimento, Firenze; Sansonì, 1958; pp. 27-55, rist. in Scritti sul Rinascimento; Torino, Einaudi, 1967, pp. 665683; F. GAETA, Alcune considerazioni sul mito di Venezia, «Biblìothèque d'Humanisme et Renaissancel), 1961, pp. 58-75; R. DE MATTE!, Il problema delle forme di governo; L'apprezzamento del regime aristocratico e La fortuna della formula del «governo misto», in Io., Il pensiero politico italiano cit., Il, pp. 3-15; 58-89; 112-129; W.J. BouwsMA; op. cit.; F. GJLBERT, Machiàvelli e Venezia, «Lettere italiane», 1969, pp. 289-398; N. MArrEucci, Machiavelli, Har• rington, Montesquieu e gli 'ordini' di Venezia, «Il Pensiero politico~, 1970; 3, pp. 337-369; G. BENzoNI, Gli tiffanni della cultura. Intellettuali e potere nell'Italia della controriforma e barocca; Milano, 1978; J.G.A. Pococx, momento machiavelliano~ pensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, Il Mulino, 1980, 2 voli~ (ed. orig. Princeton, 1975); E.O.G. Ht.ITSMA MuuER, op. dt.; F. GAETA, L'idea di Venezia; ìn Storia della cultura veneta, a cura di G. Arnaldi e M. Pastore Stocchi, Vicenza, Neri Pozza, 1976-86; 10 voli.; III-3, pp. 545-641; Io., Venezia da "stato misto" ad aristocrazia esemplare, ivi, IV-2, pp. 437-494; V. CoNTI, Introduzione a P.M. CoNTAR.INI, Compendio universal di republica, Firenze, CET, 1990, pp. v-xxxvu. 67· Sul ruolo delle repubbliche nell'età moderna cfr., in particolare, F. VENTURI' Utopia e riforme nell'Illuminismo, Torino, Einaudi, 1970; Y. DuRAND, Les répubUques au temps des mon~rchies, Paris, P.U.F., 1973; Republiken und Republikanismus im Europa der Fruhen Neuzeit; a cura di H.G. Koenigsberger, Miinchen, R. Oldenbourg Verlag, 1988. Per gli scrittori politici italiani che considerarono aristocratico il regime veneziano (tra 1 quali Campanella, Boccalini, Nardi, Capaccio, Settala, Manzini, Chiaramonti:, Leti) cfr. R. DE MATTE!, L'apprezzamento del regime aristocratico, in Io., pensiero politico italiano cit., II, pp. 56-89. Francesco Piccolomini ritiene invece che Venezia si collochi tra i «governi nùsti~ pur non avendo una costituzione democratica (cfr. A.E. BALDINI, lA· politica «etica» di Francesco Piaolomini; «> - dei va..;. Iori che hanno «la preminenza assoluta sulle istanze della politica». Anzi. Botero «finisce per asserite che solo la rettitudine e la religiosità assicurano il dominio felice». Ebbene. Secondo Firpo il «successo» della Ragion di Stato «non fu dovuto a!Je poche e fragìli pagine dottrinali, bensì alla vasta e sisteniatka esposizione, che ad esse si affianca, di tutta la nuova problematica che lo stato moderno sorgente portava con sé: esazione fiscale, or'ganizzazione militare, commercio, industria, amministrazione della giustizia, annona, urba:nistica».8 In effetti la mappa della bibliografia boteriana mostra. il tentativo di coprite ognuno di questi problemi posti dalla formazione dello stato moderno, Lutgi Firpo ha insistito ripetutamente sul fatto che nella produzione religìosa di Botero si assìste a una sorta di. parziale sacrificio della «personalità>> e dell'>; favore è «tUtto ciò che può procedere da noi per aiutar e ampliare la religione e 'l nome di dio perché a questo fine si ha da referir ogni cosa>>. E si diventa atti al culto divino e al servizio ecclesiastico in due modi: immediatamente - per mezzo delle «virtù che si chìaman:o volgarmente theologali» (fede, speranza, carità) e che sì possOno comprendere sotto il «nome di religione>>; mediamente - attraverso le virtù «che si dicono morali» e che il cristiano pratica in ausilio della «religione». Ma soprattutto si diventa attì al culto divino e al seririzìo ecclesiastico attraverso la «dottrina>> e le «lettere», che sono un «affinamento» e un della personalità etica; le «arti nobili>>, che servono «alla pietà e al servizio>> di dio: «pittura>>, «scoltura», «architettura». Quest'ultimo è appunto il campo del «favore», il terreno d;intervento del «cardinale>> (p. 5). Il lavoro conclamato da Botero per esercitare il servizio nell'attività promozionale della dottrina e della religione viene ritagliato come un intervento «straordinano» in opposizione al dovere «ordinario», corn:e un'obbligazione fondata sulla «carità» al posto della «giustizia», come > quasi indipendentemente dalla personalità del singolo («non sai bene se sia· favorita essa o la compagnia che ha seco>>), quella portata avanti dall'iniziativa personale del cardinale è «povera», «mendìca», «tapltta» (pp. 2:...3). Il cardinale che ), della «historia sacra» e quella degli avvenimenti temporali («i successi») della chiesa. Dall;altro lo zoccolo duro della «invincibile fermezza della fede,> cristiana e quella della > (p. 8). Non è facile iinmaginare come sarebbe stato, nella concretezza dei fatti, il commento alla sacra scrittura commissionato da Botero a un collegio di esegeti letteralisti che, per rispondere a un bisogno organizzativo di cui il Cardinale si faceva interprete, si disponevano a un'azione apologetica e polemica. Per tentare un avvicinamento al possibile risultato d'una tal~ impresa (che esiste solo - ma un po' più tardi - in modo frammentario e che coinvolgerà nel secolo successivo anche il mondo luterano) è opportuno tenere presente che Cesare Baronio aveva incorporato alla prosa dei suoi Annali l'esperienza, consegnatagli da Filippo Neri a partire dal 1584, di narratore popolare delle vicende storiche dèUa chiesa cattolica; che il compito fondamentale dell' Historia ecclesiastica era pur sempre quello di ritrovare intatti, nel corpus neotestanientario, i dogmi e le istituzioni del cattolicesimo; che la tesi principale dello scrittore oratoriano era che il papato ha: conservato immutata nel corso del t~mpo la dottrina 1scritta nei libri sacri del cristianesimo. Per quanto ri:guarda le lezioni bellarminìane al collegio romano (1576-1588) è necessario ricordare che la loro struttura è decisamente sincronìca dal momento che rappresentano un ordinamento organico di tuttì i punti controversì della: fede cristiana, indipendentemente dall'emergenza storica del dissenso, in funzione di lotta contro la riforma. Botero è comunque convinto che, «se alle suddette due opere, si aggiungesse una espositione della scrittura» corne quella cui si è accennato, non si capisce «quale altra cosa si potesse desiderare per l'ìntegrità della sapienza cattolica e per l'esterminio totale dell'heresie moderne» (p. 9). 4. Dobbiamo ora riprendere il discorso sulla «povertà» che abbiamò abbandonato senza commento nel secondo paragrafo. Per avviare «l'impresa» filologica della controriforma, dice Giovanni Botero, sono necessari :libri, tem:po e scrittori. «Le persone che possono a ciò attendere» debbono essete «favorite e soccorse» con «grossa somma di denari>>. L'ingegno umano «penetra>> ormai ovunque e e «la spesa>> ovvero il capitale (p. 12).26 Ci sono molti documenti cinquecenteschi nei quali appare chiaramente la coscienza della dipendenza del sapere dal potere, della condizione di sudditanza dell'intellettuale rispetto alla politica, della relazione di subordinazione tra la mente e il denaro. Ma non credo si possa trovare una formulazione così chiara e lapidaria come quella del Cardinale. Botero- nell'accettare come provvidenziale la dipendenza sociale dell'ingegno («dio [ha] voluto che l'ingegno humano, per condur i suoi pensieri a perfettione, havesse bisogno d'aiuto e di favore>>) -non può fare a meno, lo si è visto, d'insistere sul facile motivo della servitù della mente come remedium al culto di sé da cui l'intellettuale potrebbe essere tentato. L'autore del Cardinale è certamente molto interessato al problema della naturalità della mancanza: «Debbono i principi far la lor parte» per mezzo > sollevando la «povertà>> degli uomini di genio e adempiendo il «difetto» con il quale vengono segnati. Ma è incomparabilmente più interessato al suo rimedio sociale e allo scambio tra sapere e potere. Il cardinale deve infatti , il Botero mette all'ordine del giorno la necessità di preparare una «historia christiana,> del secolo che sta concludendosi dal punto di vista della chìesa di Roma (p~ 16).
v Non deve trarre in inganno l'organizzazione controversistica del discorSo. GBC; pp. lT-18: «Non mancano di scrivere a lor favore gli heretici. E non passa anno che non mandino fuora molte historié. Ma con tarite falsità che non crederà di leggieri chi non ha prattica: delle historie scritte da: Giacopo Smìdellino piene di fole e di malignità infinite. E da: quelle si può far giuditio dell'altre~. Non capisco bene a quali opere. del cosiddetto Schmiddein inten. Da che cosa dipende questa mancanza di basi che Botero rileva nello storico cattolico? Da un lato dipende dal fatto che i cattolicì «non hanno notitia piena delle. cose». Dall'altro - e questo sembra essere il versante che maggiormente attira il Botero - dipende dal fatto che i cattolici hanno «poco gusto•> delle «materie ecclesiastiche•> .. Le descrizioni che ci vengono offerte si diffondono ìn «descriver le guerre e i fatti d'arme>> delle lotte religiose del secolo. È come se considerassero «le batterie, gli assalti, le prese e le rovine delle città» come «materia principale e più curiosa». Non che si tratti di cose itrilevanti. È che si tratta di cose che fanno affiorare un «giudizio» che non è «sufficiente» a comprendere la complessità del reale. I cattolici trattano infatti «dell'origine dell'heresie e de' successi loro non con spirito christiano, ma con senso politico», Che cosa significa? Significa che hanno un solo metro per misurare «le cose spirituali e le temporali, le divine e le humane». E si tratta di cosa estrerilamente grave perché manifesta un'incomprensione radicale della forza della religione, della capacità che una fede ·ha di cambiare il mondo spesso anche senza il ricorso agli eserciti. Insomma: i cattolici che fanno storia del presente «riescono più simili a scrittori gentili» che a scrittori «cnsttani». È, in altri. termini. come se fossero del tutto indifferenti o estraneì al «fatt6 della religione>> e alla «causa. di dio1.1 (p. 18). La storia non è cosa che possa essere affidata a uno scrittore qualsiasi («non è cosa da ogni uno lo scrivere una historia>>}. Essa comporta delle
-138-
GU SCRITTI RELIGIOSI Dl GIOVANNI BOTERO
conoscenze specifiche. Ebbene, per e per >. Inevitabile conseguenza:: «Per fabricar chiese nuove si trascurano le vecchie» (p. 30). Se è vero che gli antichi luoghi del culto cristiano («le chiese vecchie1>) sono le matrici della «pietà christiana», le «bàlìe della divotione», le «maestre dei riti>>, le «conservatrid dei corpi santi>>; le «testi:ficatrici delle virtù dei martiri», le «rammentatrici>> dei doveri religiosi delle origini («la pietà antica))), è bene che si costituisca una cultura del restauro e sì rinunci alla fabbricazione. di nuovi edifici. Anche per ragioni economìche. Per di più le «chiese nuove cagionano il deterioramento dell'antiche» perché la «generation d'una cosa è corrottione dell'altra» (pp. 30-31).
-1.40-
GLI: SCRITTI RELIGIOSI DI GIOVANNI BOTERO
7. La parte relativa alla pittura e alla scultura deriva da una riflessione e da un adattamento (ma anche da un rovesciamento) del Discorso intorno alle immagini sacre e profane pubblicato quasi vent'anni prima dal Paleotti. 29 La pittura, , che nella predicazione della parola di dio. Anzi. Disse d'essere stato mandato dal padre proprio per esercitare il munus della predicazione. La parte del De praedicatore in cui si comincia a mettere in chiaro il seguito del disegno cui ho fatto precedentemente cenno comincia con il paragrafo Quae res concionatorem constituant. Il munus del «perfectus concionaton> contiene quattro parti: dottrina, eloquenza, spirito, prudenza che «gerunt)> tanto la materia quanto la forma. L'uffido della predicazione, scpve Botero nel Cardinale, ha - più d'ogni altro istituto ecclesiastico toccato dalla corruzione - «bisogno di riforma)>. In ogni caso il sacerdote che vi si consacra «come a ufficio proprio dell'apostolato)> qev' essere liberato dal lavoro amministrativo dei sacramenti. La lezione del protestantesimo è - come si vedrà in seguito ben compresa relativamente alla centralità del sermone evangelico nell'azione pastorale; ma è, per così dire, capovolta. L'istituzione del predicatore cattolico di professione senza base amministrativa veniva dalle necessità del lavoro di controriforma. La chiesa romana sembrava aver com.,..
-145-
VALERIO MARCHETTI
preso che vi era ancora una radicale impreparazione del clero secolare a farsi carico dell'amnùnistrazione della parola. Se infatti la «dottrina predicabile» è per ìntero definita dalle sacre scritture 38 questo significa che il vangelo dev'essere «materia e soggetto d'ogni homilia». Significa, di conSegUenza, che tutto il sistema di predicazione gestito dal clero che amministra l'insieme dei sacramenti dev'essere riformato sottraendo al sermone domeniCale l'alimento dell'immenso deposito d'oralità moraleggiante, esemplare, topìca (pp. 36-37). 39 Anche la figura del predicatore professionale - che nel corso del XVI secolo aveva subito un'evoluzione importante -ha bisogno d'una riforma che deve partire dall'alto, «perché egli è cosa verissima che, sì come il genere humano vive in servitio e a grandezza di pochi, così anche le sue operationi da pochi dipendono»~ Qui l'obbiettivo polemico di Botero sembra essere l'esito della retorica rinascimentale. Molti «predicano la parola di dio>> rivestendola di colori e di movenze che non convengono al vangelo. Ne consegue un sermone che vuole colpire l'orecchìo come un quadro che, volendo >. Sono essì infatti che, approvando con la loro «assistenza» il nuovo modus praedicandi, «ingannano il popolo». Ed è dunque contro di loro che deve reagire il cardinale dando «credito»,. «autorità» e «riputazione>> ai . È contro di loro che il principe ecclesiastico deve, con l' ostentazìone della sua presenza, favorire il predicatore cui dìo ha fatto «tanta parte dei suoi talenti>> (pp. 37~40).
Non «si meravigli alcuno - conclude Botero - che io prema tanto nel buoti modo di predicare». Il fatto è che l'autore del Cardinale è convinto che nella chiesa la scelta della «maniera» con la quale si «porge» la parola di dìo al «popolo» è cosa dì fondamentale importanza. Nell'impostare la questione in questo modo egli sembra suggerire che il clero romano. avendo abbandonato l'amministrazìone della parola di dìo secondo le modalità evangeliche, sìa pienamente responsabile della riforma proteVedi l'elenco delle citazioni contenuto in GBC; pp. 37-38. GBC, p. 38: «Dalle sudette maniere con le quali gli evangelisti e gli apostoli circoscrivono la dottrina di Christo si può agevolmente comprendere qual debba essere la materia e il soggetto delle homilie e d'ogni ragionamento evangelico}}. · 38
39
-146-
GLI SCRITTI RELIGIOSI DI GIOVANNI BOTERO
starite.40 D'altra parte tutta la seconda parte del primo libro del Cardinale ncin fa altro che mostrare «l'ampliazione della fede tra gli heretici>> tramite b predicazìone della parola dì dio ..41
>. Nella parte conclusiva della dedica Botero aggìunse pure che Stanislao Kostka ebbe un ruolo importante «nell'amministratione, e nel gover~ no di Prussia, reina del mar Baltico>>. n Non c'è dubbio che grazie a stretti contatti con i rappresentanti della famiglia dei Kostka, non interrotti anche negli anni successivi, 14 Botero poté conoscere meglio degli altri storici e scrittori politìci occidentali la realtà della lontana Polonia. T. GLEMMA, Piotr Kostka cit., p. 97. Cfr. A. ToMCZAK, Kostka Piotr, in: Polski Slownik Biograficzny, XIV, pp. 354-355. Si può aggiungere che l'ispiratore dell'opera di Botero dedicata a Enrico di Valois, Mateusz Dziwìsz Piskorzewski, è anche l'autore di: Oratio In Funere D. Sigismundi Augusti Regis Polont'ae Dieta XV Calendi Martii Anno M.D.LXXIIII, Cracovìae, In Officina Matthaei Siebeneycher. 12 G. BoTERO, Detti memorabili di personaggi illustri, Torino, 1614, Parte. II, Libro Il, p. 365. All'ntustrissimo Signor Stanislao Costca Governatore di Marienborgo; dedica che si trova in: G. BoTERO, Relatione del mare, Venetia, 1600, pp. 84-84v. Botero rimase in contatto epistolare con Piotr Kostka, anche quando questi assunse l'incarico di vescovo di Culma, cioè negli anni '80 del XVI secolo. Da Milano Botero scrisse a Kostka il28 giugno 1586. Una parte di questa lettera è stata pubblicata dal conte Giammaria Mazzuchelli; il testo è il seguente: «Quanto poi a' successi miei V.S. Riv;n:ia può. sapere, che da cinque anni in qua per alcune necessità di Casa mia, io sono vissuto fuori della Compagnia con buona contentezza de' Padri, in la quale io non aveva àncora fatto Professione. Cosìscrivendorni, potrà. nell'iscrizione lasciar quella particola della Compagnia di Gesù», Gli Scrittori d'Italia cioè Notìzie Ston·che, e Critiche intorno alle vite, e agli sm'tti dei Letterati Italiani del conte Giammaria Mazzuchelli Bresciano, vol. II, parte III, Brescia, 1762, p. 1870, notà 3.
-154-
LA BIOGRAflA STORICA IN BOTERO
3. Ancora più edificante e scritta con chiaro intento educativo, oltre che apologetico, è la relazione sulla morte del card. Carlo Borromeo. Si tratta di due scritti: una Lettera indirizzata al card. Andrea Bathory; nonché un Discorso sopra i compimentiJaiti dall' nl.ssimo Card~ Borromeo; dedicato al card. Vincenzo Laureo. Luigi Firpo sottolinea il fatto che la Lettera e il Discor5o hanno in comune l'argomento, ma sono due scritture affatto distinte e inconfondibili. 15 Il destinatario della Lettera (datata 10 novembre 1584) fu il cardinale Andrea Bathory (1562-1599), nipote del re di Polonia Stefan Bathory. Questa Lettera non è soltanto un significativo documento che si diffuse rapidamente in diversi paesi europei grazie anche alla versione latina, ma anche un'importante espressione letteraria di Botero nel settore biografico. Dobbiamo aggiungere che lo scrittore italiano, allora segretario del card. Carlo Borromeo, incontrò Andrea Bathory personalmente a Lodi, durante il soggiorno di questi in Italìa nel 1584. 16 Il Discorso è invece dedicato al card. Vincenzo Laureo al quale Botero dedicherà anche le lettere da lui scritte per conto del card. Borromeo. 17 Il card. Vincenzo Laureo svolse un ruolo importante nella storia del Piemonte e in quella riguardante i rapporti diplomatici tra la Santa Sede e la Polonia; fu anche vescovo di Mon15 L. FtRPo, Gli scritti cit., p. 66. Le opere di Botero riguardanti la morte del card. Carlo Borromeo sono intitolate: Lettera del Sig. Gio. Botero, Sopra la morte dell'Illustrissimo Cardinale di & Prassede, Milano; 1584; Discorso del D. Gio. Botero sopra i compimentifatti dall'nlustriss. Cardinale Borromeo nell'ultimo atto della vita sua, Milano, 1585. i 6 Il titolo della Lettera nella versione latina è il seguente: Epistola de morte Ill.mi ac RerUni Cardinalis S. Praxedis, Mediolani, 1584. Dei soggiorni del card. Andrea Bathory in Italia ha~iio scritto due autori ungheresi nella raccolta degli studi polacchì ed ungheresi pubblicati in lingua francese: Etienrie Batory, Roy de Pologne, Prince de Transylvanie, Cracovie, 1935. Mi riferisco ai saggi degli autori: A. AtoASY, LA g~n~alogie de la famille Bathory; pp. 8-9; A. DE DtVEKY, Les Hongrois en Pologne à l'~poque d'Etienne Bathory. Quest'ultimo menziona soprattutto l'educazione del giovane Bathory nel Collegio dei Gesuiti a Puhusk, nonché i suoi soggiorni in Italia: nel1584 quando fu nominato cardinale e l'altro nel1586 quando fu inviato dal re di Polonia St~n Bathory al papa Sisto V: «afin d'obtenir son appui politique pendant la guerre contre l'Émpire moscovite. .Le pape reçut affi.blement André, mais ne donna pas satisfaction à la demande du roi, car il cherchait à se rapprocher du tsar. Pendant son séjour à Ronie Bàthory, 'ainsi que le cardinal Georges RadziwiH se proposaient de fonder pour les Polonais pauvres un hospice à proximité de l'église de St~ Starii:.O slas et d'en confier la direction aux: chanoines réguliers. C'est à Rome qu'il apprit la niort subite du roi Etienne, a:u~sl revint-il iinrnédiatement en Pologne~ (p. 126). I soggiorni italiani di Andrea Bathory sono stati ricostruiti anche in un saggio dello studioso polacco: E. KumzE, Les rapports de la Pologne avec la Saint-Siege à l;époque d'Etienne Batory, in: Etienne Batory cit., pp. 1.,57, 178 e 202-203. Cfr. ]. KoLBERG, Beitriige zur Geschichte des Kardinals und BiSchofs 11011 Ermeland Andreas Bathory, Braunsberg, 1910. Ioannis Boteri Benensis Epistolarum fllustrissimi ac Reverendissimi D.D. Caroli Cardinalis Borromr:iei nomine scriptr:irum. Libri II Eiusdem Theologic. Uber, Parisiis, MDLXXXV.
-155-
STEFAN BIELANSKI
dovì e negli anni 1569-1573 ebbe l'incarico di nunzio apostolìco presso il Duca di Savoia Emanuele Filiberto e negli anni 1574-1578 pressoil re di Polonia. Il card~ Laureo che dopo il suo ritorno dalla Polonia diventò di nuovo nunzio presso la corte di Torino (1580~1587), fu legato ad alcu:nì illustri rappresentanti della Controriforma europea, come il card. Carlo Borromeo e Ignazio Loyola. Può essere significativo notare che applicò con severità nella sua diocesi le norme giuridiche e religiose eri:lanate dal Concilio di Trento e dalla curia romana, ma lo fece «con somri:la prudenza»/8 quindi con «stile>> quasi boteriano. Si deve aggiungete che tanto la versione latina come quella italiana della Lettera di Botero acquìstarono U:na vasta popolarità tra i contemporanei. Questo ìnter'esse fu dovuto in gran parte all'impressione che suscitò la morte di uno dei pìù noti esponenti della Chiesa Cattolica, All'ammirazione di cui godeva tra i lettori la Lettera contribui senza dubbio lo stile di Botero. Aggiungiamo anche che l'autore si basò su fatti reali e presentò dei dati. concreti e facili da. verificate. Botero dedicò inoltre un'altra delle sue opere ad u:n personaggio della famiglia dei Borromeo. Va infatti ricordato che lo scrittore svolse un ruolo di «aio e consigliere» del conte Federico Borromeo e nel 1587 quando Federico divenne cardinale, per celebrare quell'av-venimento compose una lode latina. 19 · . 4. Dopo che era divenuto famoso negli anni '80 e '90 del XVI secolo come scrittore politico (con Della Ragion di Stato) e come geografo (con Le Relationi Universalt), Giovanni Botero tornò in Piemonte, nella sua terra natale; per assumere alla corte di Carlo Emanuele I l'ufficio di precettore dei figli del Duca di Savoia. Per «ottemperare a doveri del suo ufficio», come scrive Federico Chabod, Botero compose un'opera di. pura biografia Cfr. A. Miciii!LOT"n; Storia del Mondovi~ Mondovì, 1920; pp. 255:..258. Un giudizio negative> sul ruolo del nunzio apostolico Vincenzo Laureo durante il breve regno polacco di Enrico. dì Valoìs è stato espresso dallo storico polacco S. GR.zvliowSKI, Henryk Walezy; Wi:odaw, 1980, p. 118. I materiali di base riguardo al soggiorno dd Laureo in qualità di nunZio in Polonia sì trovano in T. WIERZBOWsKI; Vincent Laureo, Eveque de Mondov~ Nònce Apostolique en Pologne 1574~ 1578 et ses depeehes au cardinal de Come, Varsavie,. 1887; nonché inL.BoR.Afv!CisKI; Stefan Batory i Plim ligi przedw Turkom (1576~1584); Krak6w; 1903; Bor;i.tyiiski dii frammenti di lettere del Laureo che si riferiscono. ai rapporti polacco-'turchi; SUlla sua ilùss.ione di nunzio in Polonia ai tempi del regrto di Stefan Bathory scrive in modo :un_pì() K KuN-rzE', Les rapports cit., p. 155. Il ruolo politico del Laureo è stato ricordato anche da s. GRUSZECKl, Walka o i.vladzç w Rzeczypospolitej Polskief po wygasnirciu dynastii Jagiellon6w (1572'·1573); Watszawa, 1969, p. 232~ nota 203. · · ntu$lrissimo ac Reverendiss. D. D. Gomiti Federico Bomwmeo Cardinali Create, Ode, Romae, MDLXXXVIL
-· 156-
LA BIOGRAFIA STORICA IN BOTERO
storica: I Prettcipi (Torino, 1600). I personaggi descritti da Botero furono grandi eroi dell'antichità: Alessandro Magno, Giulio Cesare e Scipione Mricano. Negli anni 1601 e 1603 videro poi la luce due parti dell'opera I Prendpi Christiarii. La Prima Parte comprende le 15 biografie accuratamente ripartite tra i maggiori regni cristiani; si tratta ovviamente delle biografie dei sovrani cattolici di Gerusalenune, di Francia, di Spagna, d'Inghilterra e di Portogallo. Nella Seconda Parte Botero descrisse invece le vite di tutti i presunti ed i veri conti e duchi di Savoia, cioè a partire da Beroldo fino ad Emanuele Filiberto. Ai duchi di Savoia a lui contemporanei dedicò inoltre un'appendice all'opera L Capitani (1607), dove descrisse la vìta di Emanuele Filiberto, nonché quella del proprio protettore, Carlo Emanuele I. L'opera I Capitani contiene le biografie di 6 personaggi dei tempi delle guerre religiose in Francia e in Fiandra: i duchi di Guisa (Francesco ed Enrico), Enrico III re di Francia, Anne de Montmorency, Alessandro Farnese e il Duca d'Alba. L' opìnione degli storici, per quanto riguarda il valore delle opere biografiche di Botero, è assai critica e Federico Chabod afferma che nei Prencipi Christiani «(... ) il desiderio di mostrar applicate in concreto le dottrine della Ragion di Stato, e anche, nella Seconda Parte, l'intento apologetico ne' riguardi della dinastia sabauda, soffocarono la libertà spirituale dello scrittore e lo trassero verso le forme più banali della storiografia precettistica e della storiografia cortigiana». 20 Ma ci sembra che non siano da trascurare anche le opinioni dello stesso Giovanni Botero, che nella dedica al Duca Carlo Emanuele I (Seconda Parte de' Prencipi Christiam), difese il suo metodo storico, polemizzando nello stesso tempo con gli storici a lui contemporanei. Testualmente Botero scrisse: «Alcuni volendo i fatti de' gran personaggi magnificare; fanno con l'adulatiorie eclisse al vero, e con concetti degni più tosto di un gioveriìle madrigale, che d'una grave compositione, tolgono il credito, e la riputatione alla historia. Tacciono le cose avverse; amplificano le prospere, favellano finalmente de lor campioni (... )»; così invece presentò il proprio lavoro storico: «Quindi (oltre alla fuia 6rdinaria brevìtà) è proceduto, che
2° F. CHAl3oo, Giovanni Botero, in: Scritti sul Rinascimento, Torino, 1967, p. 358. Cfr. G.B. BoGuow, Uni,t.fonte sconosciuta del Botero: l'Historia de la China di ]uan Gcnzales de Mendoza, in: Miscellanea di Storia: delle esplorazioni, II, a cura dì F. Surdich, Genova, 1977, pp. 68-78; nonché le opinioni di M.L. DoGLio, Dall'institutio al monumento: l'inedito «Simulacro del vero principe» di Carlo Emanuele l di Savoia; in: L'arte dell'interpretare~ Studi critici offerti a Giovanni Getto, Cuneo, 1984, p. 246.
157-
STEFAN BIELANSKI
questa mia fatica sia maggiore in sostanza, che in apparenza, e più grande d'anima, che di corpo riuscita». 21 Qna prova degli sforzi di Botero è senz'altro l'uso delle fonti del sape;... re dello storico .. Furono fonti divel"Se, ma che confermano la versatilità degli interessi dello scrittore pìemontese.22 Oltre alla letteratura antica, a quella medievale e a quella a lui contemporanea, Botero si servì di iscrizioni e di documenti d'archivio. I riferimenti alla letteratura antica greca e romana si trovano prima di tutto nelle biografie dei grandi personaggi dell'antichità descritti da Botero nell'opera I Prencipi~ Nella biografia di Alessandro Magno Botero osservò del resto che le vicende di quel grande personaggio erano offuscate a causa del fatto che Alessandro favorì tanti scrittori i quali «le sue prodezze aWinimortalità, parte in verso, parte in prosa, consecrarono», quindi la maggior parte di quegli scrittori «non è credibile». Botero sottolineò quanto importante è per il monarca essere un mecenate degli storici, perché: «poco importa alla fama di un Prencipe, che egli faccia cose grandi, s'egli non ha chi ne faccia conserva: e le mandi alla notitia della posterità,>.23 Va sottolineato anche il fatto che Botero in queste biografie di Alessandro, di Giulio Cesare e di Scipione Africano si riferì - fra tanti autori dell'antichità - ad uri autore di grandi biografie; Plutarco. 24 In particolare Giovanni Botero si servì delle fonti del sapere storico nella Seconda Parte de' Prencipi Christiani. Lo scrittore piemontese in quest'opera che doveva essere un'elogio della dinastia sabauda, si voleva presentare come uno scrittore imparziale e non troppo fiducioso delle fonti medievali. Tale sfiducia, già notata da F. Chabod, era. evidente per quanto riguarda l'opinione di Botero sulla Cronica vo{gare della casa di Savoia; e non a caso l'autore dei Prencipi Christiani fece ricorso ai materiali provenienti dall'archivio di Altacomba. 25 Ma con tutto ciò Botero rimase fedele alla linea adottata nella seconda G. BoTERo, Seconda Parte de' Prencipi Christiani, Torino, 1603, p. 3 n.n .. F. C!iAI!oo; op. cit, p. 572. Sulle fonti principali di Botero nelle sue opere biografiche (Erasmo. da Rotterdam, F. Patrizi e C. de Sey5sell} scrive M.L. DoGuo, op. cit., p. 252. Sulla influenza di Bodin sul pensiero di Botero cfr. C. MoRANDI, Botero, Campanella, Sdoppio; Bodin, «Nuova Rivista Storica», 1929, pp. 339-344; F. CHABoo, op. cit., pp. 298-299 e 307:;.312; L. FiR.ro, Introdr.tzione, in: G. BOTERo, Della Ragion cit;, Torino 1948, pp. 22, 2831 e recentemente A.E. BAiDrNr, I.e guerre di religione francesi nella trattatistica italiana della ragion di stato: Botero e Frachetta, «Il Pensiero Politico», 1989, pp. 301-324. G. BòTERo, I Prenc:ipi, Torino, 1600, pp. 17V-18. Ibid., pp. 4, 4v; 7, 9, 15v (nella biografia di Alessandro Magno); p. 36 (in quella di Giulio Cesare}; p. 54 (nella biografia di Scipione Africano). 25 Cfr~ E C!iABoo, op. dt~, p. 359, nota 2~ n
21·
-158-
LA BIOGRAFIA STORICA IN DOTERO
metà del Cinquecento dagli storici piemontesi, la linea che volle collegare
gli inìzi della dinastia sabauda con la casa imperiale sassone, personificando questo legame nel personaggio di Beroldo. 26 In questo caso Botero si servì delle opere di uno storiografo di Carlo Emanuele I, Filiberto Pingon (o Pingone). Botero poté approfittare delle carte di Pingon, che si trovano oggi nell'Archivio di Stato di Torino. Ci riferiamo qui in modo particolare alla sua storia di Savoia in lingua latina, dove ricorrono gli stessi motivi che nell'opera di Botero. 27 Ma, come già accennato, l'autore deì Prencipi Christiani si rifeò anche in modo diretto alle fonti provenienti dall'archivio d' Altacomba e da quello di S. Giovanni di Moriana. In una biografia del conte Tommaso, Botero riflettendo su diverse opinioni riguardanti il nome del tutore dello stesso Tommaso nei tempi della sua giovinezza, scrisse che lui «restò sotto la tutela del Conte di Borgogna, come la più parte del'li scrittori afferma: o di Bonifacio, Marchese di Monferrato, come pare che si provi manifestamente per più scritture dell'archivio d'Altacomba e di S. Giovanni di Moriana. Ve n'è tra l'altre una, ove esso Conte Tomaso e Bonifatio, suo tutore, dell'anno millesimo centesimo ottantesimo nono notificano le conventioni passate tra il Superior di Altacomba e Pietro da S, Genese, e in un'altra dell'archivio di Moriana, dell'anno millesimo centesimo nonagesimo quinto, esso conferma e collauda le cose ordinate dal Marchese Bonifatio, suo tutore». 28 Botero si servì anche della Cronica d'Altacomba dove si trova una descrizione del matrimonio di Amedeo III con «la figliuola del conte di Albon». Infatti, in questa cronaca (che si trova pure nell'Archivio di Stato di Torino) possiamo leggere: «Comes quartus fuit Amadeus (... )et uxor eius fillia Còmitij Albonensis». 29 Fra gli storici moderni (cìoè quelli del XV e del XVI secolo) Botero fece riferimento, soprattutto nella Seconda Parte de' Prendpi Christiani, ad
26 F. COGNASSO, Umberto Biancamano, Torino, 1.937, p. 41. Vedi anche l'altro lavoro clello stesso autore: I Savoia, Milano, 1971. v G. BOTERo, Seconda Parte de'Prendpi cit., p. 15 ed anche Ph. Pingoni Sabaudiae Histonae Liber III, c. 91, in: Archivio di Stato di Torino, Ms. Real Casa, cat. 2, mazzo 4, n. 2; ibidem, mazzo 3, n. 2, 28 G. BoTERo, Seconda Parte de' Prendpi cit., p. 155. 29 Ibidem, p. 182 ed anche Chronicon Altaecombae (anonimo autore: Ms. del secolo XVI: Contiene la genealogia della Reale Casa di Savoia, principiando da Beroldo sino al Duca Ludovico), iri: Archivio di Stato di Torino, Ms. Rea! Casa, cat. 2, mazzo 2, n. 2, c. 1. In questo Archivio si trovano inoltre: Considerazioni fatte da Giuseppe Vernazza sopra la Cronaca latina di Altacomba con copia della Cronaca stessa, ibidem, mazzo 1 d'addizione, n. 3.
-159-
STEFAN BIELANSKI
autori come Alfonso Delbene,30 Lamberto Vanderburchio (Lambertus Van,der,-l:lurc:hiusX1 e a G1,1illaume Paradin (Paradino):~2 E proprio con quest'ultimo Hotero polemizzò, descrivendo, nella biografia di Amedeo VI, le Vicende dell'Imperatore di Costantinopoli Alessio e la sua proposta di reaiiz'zare l'unione fra. la: Chiesa Greca e quella Romana (in cambio dell'aiuto contro i turchi). Lo scrittore piemontese difese le buone intenzioni del papa e respinse l'accusa del Paradino circa l'«avaritia de i Cardinali» per quanto riguarda l'aiuto contro i mussulinani.33 Hotero affermò anche che tanto il Paradino come il Va:nderburchio «seguono l'usanza e lo stile de gl'historici Oltramontani, i quali 81 com:e le mosche, lasciando le parti sìncere de.' pom:i, o d'altra cosa si appigliano improntamente a quel che hanno qualche apparenza dì corrottione e di macchia; così essi ricoprendo molte volte cori silentio le attioni predare de' pontefici, si attaccano, e mostrano la loro appassionata eloquenza in quel, che si possono anche con poc;tprobabilità; sinistrainente interpretare». E proseguendo poi con la difesa della Sede Apostolica, concluse così: «meglio fu rimandar l'Imperator senza aiuto, acciocché non potendo egli esser con forze pari a i bisogni, e alla necessità soccorso, i pensìeri della guerra lasciasse, e con la negotiatione s'aiutasse>>.34 Come si vede l'uso delle fonti storiche permise a Botero anche di presentare le proprie convinzioni storiografiche, di polemizzare con gli storici avvero alla dinastia sabauda, oppure -' nel caso degli storici «oltra:m:orttani» - con quelli che disprezzavano l'operato dei papi romani.
30· AiroNso DELBENB; abbate d'Altacomba e vescovo di Albi fu l'autore di: Deprincipatu &baudiae et vera ducum· origittae a Saxcmiite principibus; Altae Combae, 1581; e di: De regno Bilf'$undiae, Lugduni, 1602. L'autore dell'opera: Historiae Gentilitiae Libri Duo {ristampata in: Sabaudiae Respublica et historia; Lugduni, 1643). Cronique de &voye. Pour maistre Guillaume Paradin, Lyon; MDLIL Paradin scrisse: «Et ne faillit. bien tost apres l'Empereur de venir à Rome trouver le
Pape, auquel exposa que à l'instance requeste de Amé Conte de Savoye son cousìn, il se vouloit soubmettre lui et son Empire de LeV'ant à la subiection, creance et obeissance du saintsiege Apostoliqiie de Leglise Romaine, à la cond1tion toutefois, que le Pape l'ayderoit dci: secouis M qualque nombre de Galleres pour resister aux invasions des Tures: ce que les CardinauX rie voulurent accepter; de maniere que. maudite avarice empescha l'union de Leglise OrieJ1tale, avec l'Occidentale: et pour bien peu de despense; demeura Un bori oeuvre, bien comencé par le Conte de Savoye», ibidem, Chap. LVI. Voyage du conte en Grecè; potir le ddiurance de Len:ipereur Alexe; detenu prisonier en Bulgarie, pp. 306-307~ l4 Là polemica di Botero con Paradin si trova. nella Seconda Parte de.' Prencipi dt., pp. 388-390.
-160-
LA BIOGRAFIA STORICA IN DOTERO
5. In un'aggiunta a I Capitani si trova il Discorso della eccellenza della moBotero cercò di dimostrarvi la superiorità del sistema monarchico rispetto agli altri sistemi polìtid, e quindi valorizzare la persona stessa di un monarca. Naturalmente sapeva benissimo che c'erano tante forme dì governo e anche di monarchie; si domandò fra l'altro: .37 Nelle sue opere biografiche Botero delineò anche un modello del Prencipe a cui Dio ha affidato «la cura de' popoli, e r amministratione della Città»; 38 quindi un Prencipe che avrebbe posseduto diritti come dei doveri. Uno dei concetti principali del pensiero politico di Botero è quella famosa «prudenza» dì un Prencipe che consiste: «non tanto iri constituir, o in acquistar uno stato (... ) quanto in stabilirlo, e in fare, che si possa lungamente niantenete, egli deve procurare, che sì nell'acquisto, come riel governo habbia pochissima, o nissurta parte la violenza, e la forza». 39 Ma Botero, scrittore realista, volle anche insegnate ai principi con quali mezzi potevano governare. E così ne' I Capitani, descrivendo il conflitto fra Enrico III e il Duca dì ç;uisa, e riflettendo sui modi che il re usò per «sbrigarsene», attaccò quel re di Francia reo dì non aver agito «o per via di giustitia (... ) o per essecutione secreta» ma «per pura forza>>, Botero narchia~
G. BoTERO, Discorso detl'eccellimza della monarchia, Torino, 1601, pp. 1-2 n.n. Ibid., p. 233. Ib{d., pp. 237:-238. 38· G. BOTER.ci; Prima Parte de' Prencipi Christiani, Torino, 1601, pp. 1-2 n.n, 39 Sull'immagine di un Principe nelle opere biografiche composte alla corte di Torino vedi anche M.L. DoGLIO; op, cit., pp. 246-247. 35
36
-161-
STEFAN BIEI..ANSKI
aggiunse: «lmperoché un Prencipe, che non voglia essere stimato tiranno, non deve mai usar la forza, ove può la vìa ordinaria adoperare»}0 Botero volle anche rivolgere l'attenzione da parte deì prlncipi sulle possibilità che dava il ntetodo di scaricare tutte le colpe del potere a:i «cattivi consiglieri». Nella vita di Lodovico figlio di Am:edeo VIII, Botero scrisse: «I Prencipi accorti si scaricano alle volte della mala satisfattione~ che i sudditi hanno di loro, in un offi.tiale scandaloso». 41 Il P:rencipe cristiano, secondo Botero, non doveva ricorrere alla crudeltà im:itile. · Quest'atteggiamento fu evidente nella biografia del Duca d'Alba, come è stato già sottolineato da Luigi Firpo. Nel caso del Duca d'Alba Botero vide non solo l'orrore della politica repressiva, cioè pura crudeltà, ma anche gli errori che la provocano. Quindi al Duca d'Alba: l'autore de' Prencipi Christiani rimproverò la durissima politica fiscale che fu poi la cagione del sollevamento da parte dei popoli di Fiandra. 42· Per Botero il modello di Prencipe perfetto fu naturalmente il Papa, l'autorità suprema del mondo cristiano. 43 Le conseguenze di tale atteggiamento furono. ovvie: l'obbedienza del governo civile a quello ecclesiastico. Non c'è quindi da stupirsi quando si trova - nella Seconda Parte de' Prencipi Christiani .;... un giudizio negativo sul conte Filippo il quale passò da uno stato sacerdotale a. quello di un principe civile. Tale gesto per Botero poteva provocare soltanto delle conseguenze negative e lo storico ne fece anche un esempìo, parlando del personaggio a lui ben conoscìuto: «Andrea, Cardinal Battoriò; che lasciata la sua ·residenza, e Chiesa di Varmia, per farsi Prencipe di Transilvania, fu in battaglia tra i Turchi, e i Tartari, truddato>>. 44 Per Boteto la. superiorità dei fini religiosi doveva realizzarsi anche in un'azione comune dì tutti i prìndpi cristiani contro i veri nemici~ cioè i Maomettani. Nella Prima Parte de' Prencipi Christiani lo storico piemontese sottolineò con forza: «Le guerre che sì fanno tra Christiani (...) sono per lo pii! illecite, ìngiuste, detestabili»; spiegò anche l'inutilità di tali guerre: «Perché, che monta alla Repubblica Christiana.,,
I Capitani; Torino; 1607, p. 33. Cfr~ A.E. B:O.miNi, op. cit; seconda Parte de' Prencipi cit., P· 497. 42 G. BoTERO, I Capitani cit., ppc 73, 75. Cfr~ L. FIRPO, Introduzione cit, p. 16. . Disco.rso della Nobiltà del Signor Giovanni Botero Benese, Torino, 1607, p. 241. Sull'aùtorità della Sede Apostolica Botero scrisse anche tiel Discorso •'ntorno allo Stato della Chiesa; preso dalla parte dell'ujficio dd Cardinale che noti è stata stampata, del Signor Giovanni Botero Benese,. Torino, 1607, pp .. 175-176. G .. BoTERo; Seconda Parte de' Prencipi cit., pp. 253-255, G.
BoTERO,
G~ BOTERO;
-162-
LA BIOGRAFIA STORICA IN BOTERO
che un paese sia più tosto sotto un Prencipe, che sotto uh altro pur che l'uno, e l'altro sia Christiano>>!5 6. In tutte le opere biografiche; scritte nel primo decennio del Seicento, Botero esaminò le vite e le azioni dei re, dei principi e dei capitani europei; un posto particolare spettò ai conti e duchi di Savoia, protagonisti della Seconda Parte de' Prendpi Christiani. Non meno interessante però sotto vari aspetti ci sembra la vita del personaggio già elogiato nella prima pubblicazione di Botero: Enrico di Valois. Ora invece l'Enrico III re di Francia protagonista dell; opera I Capitani è preso in esame dal Botero storico delle guerre di relìgione. Nel periodo del regno di Carlo IX, Enrico «maneggiò lodevolmente le arme per la fede Catolìca», ma poi «pervenuto alla Corona incespò miseramente, per il mal governo, e cadde>>.46 I problemi iniziarono con la sua elezione al trono polacco. Botero scrisse, coli un accenno di disprezzo, che, quando Enrico assediava La Rochelle, ebbe >. 47 Nella Prima Parte de' Prencipi Christiani, nella biografia di Carlo IX, Botero criticò apertamente quell'elezione di Enrico al trono polacco, affermando che «quella promotione recò maggior horiorevolezza>>, ma sicuramente non «utilità a i. Francesi»; e chiedendosi: «che profitto poteva un Re di Polonia, tanto lontano di paese, tanto differente d'interessi, alla Francia arrecare?». 48 Nessuno quindi si meravigliò quando Enrico lasdò la Polonia dopo la: morte dì suo fratello e risalì sul trono di Francia. Botero, come del resto altri autori italiani del tempo, 49 descrisse il viaggio di ritorno di Enrico e mise in rilievo il soggiorno del re francese a Torino dove: «> dei cardinali è il promuovere «la conversione de gli infedeli e la: riduzione de gli eretici».S Qualche a:nno più tardi, nei Detti memorabili, aggìunse che con le .Relationi Universali il suo intento era stato non quello di appagare unìcamente la curiosità dei lettori > (tale ricorso è documentato, per es~, per le notizie sulle incursioni corsare in America) o informazioni contenute nelle relazioni degli ambasciatori veneti. 3. Il metodo di Botero è servirsi di una o due opere specifiche per costruire una «trama pesante»: sti questa viene tessuto lo scritto integran.dolo qui e là soltanto occasionalmente. Nel caso nel Mondo Nuovo, la trama la fornisce strettamente la Historia Generai de las Indias di Francisco Lépez de G6mara, che fa aggio su ogni altra fonte (il Ramusio, per es.). Per il Brasile, di cui G6mara non tratta, Botero ricorre al Maffei. Poi, però, poco dopo l'ultimazione della prill,la parte delle Relationi Universali, Botero si imbatte nell'opera del gesuitaJosé de Acosta, e allora cancella una parte di quanto scritto in precedenza- un ealco·pesante da G6rriara- e lo sostituisce con osservazioni acostiane. Infatti, nel libro quarto della Seconda Parte vi è, fit1 dal 1593, l'arrinlontate degli introiti forniti dalle miniere di Potodel Botero: l' «Historia de la China» di ]uan Gcnzalez de Mendoza, in Miscellanea di siorid delle esplorazioni Il, Geribva, Bozzi, 1977, pp. 51-7R L'attento lavoro conferma esplicitamente i limiti dell'oblato e il suo metodo acritico; tra l'altro, nel caso specifico una superficiale lettura impedì a Botero di rilevare le molte contraddizioni presenti nell'opera di quel religioso agostiniano spagnolo.
-181-
ALDO ALBÒNICO
si, che non si trova invece nella sezione peruviana delle Relationi Universali, passo che è sicuramente desunto da Acosta. 53 Grazie a tale riscontro è possibile indicare che, con ogniprobabilità, Botero entrò in possesso della Historia Natura/ all'incirca alla metà del 1592,54 subito dopo aver scritto l'iniziale versione della prima parte, e prese a servirsi dell'opera di Acosta già nella redazione della seconda parte; tornò a impiegare il lavoro del gesuita spagnolo in occasione della revisione della prima parte, ultimata nel 1595, ecc. Nella quarta parte, quella sulle relìgioni americane, è Acosta a fornire la «trama pesante». C'è di più. Nella quinta parte, al tempo lasciata inedita, Botero presenta un aggiornamento dei dati americani. Bene, la più sìgnifi-' cativa di tali aggiunte è una descrizione generale;. abbastanza dettagliata, delle ripartiziotii amministrative civili, e delle diocesi, nel Nuovo Mondo. Non è che la Descripdon de las Indias Oddentales di Antonio de Herrera y Tordesillas, che verme pubblicata nel1601 sia autonomamente 55 sia inclusa aWinizio .~ella grande #istoria Generai de los Hechos de los Castellanos en las islas y TferraJìrme del Mar: Océano del medesimo autore.56 Botero non cita mai la sua fonte, facendo torto allo storico spagnolo~ 4~ Quanto capitato con Herrera è uno dei molti casi che confermano Finipiego non dichiarato di fonti, il che - mancando la coscienza di plagio odierna - è da considerare legittimo o qua5i. Ma ìn uri caso Botero nega esplicitamente di aver maneggiato un 'altra opera di Acosta, il De procuranda Inddrum salute: invece, può dimostrarsi che l'aveva davanti a sé quando scrisse il suo famoso discorso sull'incivilimento. Quelle pagine sono giustaniente considerate tra le più acute e moderne dì Botero, uno dei suoi colpi. di genio; non va però diiilentìcato che l'imbeccata al riguardo la riceve da Atosta; egli poi amplia la questione con altre considerazìoni, effettua ti:tl() spostamento dal sìncronico al diacronico e aggiunge altri corollari interessantì.S7
Cfr. Historia Natura! y Mora! de las Indias, in Obras del Padre ]osé de Acosta; Madrid, Relationi Universali, seconda parte, ediz. 1593;pp. 284-285. La dediCa di Ferrari al cardinal Sarnano è datata l luglio i592~. 53
At:la~ (B.A.E.}; 1954, libr~ IV; cap. VII, p. 98, e
Descripcion de las Indias Oddentale de Antonio de Herrera Coronista Mayor de su magestad de las lndias y Coronista de Castilla, En Madrid, en la emplenta Real, 1601. Ricordo che nel1601 si pubblicarono la Descripcion e le prime quattro delle decadi in cpi J;opera ~' articola. lljmando; per una dettagliata illustrazione della suddetta questione, al mio più ampio studiò Il mondo americano di Giovanni Botero cit, ·
-· 182-
.LE 'REtATIONI UNIVERSAi( DI GIOVANNI BOTERO
5. Risulta confermato quanto già rilevato da Chabod. C è in Botero, cioè, un'accentuata mi:triesi con le fonti maneggiate. Le opinioni e giudizi pronunciati sono in gran parte funzione degli autori che usa in quel momento. Uno dei casi clamorosi di mutamento di opinioni da parte dell'oblato - che non mi risulta mai segnalato dalla critica - riguarda un tema invero trascendente, quale quello, assai controverso, dell'universale predicazione del Vangelo e delle somiglianze tra i culti precolombiani e la religione cattolica. Va ricordato che nell'epistola latina De Catholicae religionis vestigijs 58 e pure nella versione iniziale della prima parte delle Relationi Universali, del 1591, Botero aveva sottolineato alcune somiglianze tra i culti precolombiani e quello cristiano. Per spiegare tali affinità aveva là accettato l'antica predicazione apostolica. Nella quarta parte in esame - come già anticipato - il nostro abbandona del tutto tale ipotesi e - uniformandosi strettamente ad Acosta - ricorre a una spiegazione più ortodossa e meno pericolosa: l'imitazione diabolica dei sacramenti. Contraffazione demoniaca dell'eucarestia etano quindi i riti di comunione a base di «tortelli» o di «finte ossa» di peruviani e messicani; 59 del sacramento della penitenza, le confessioni indigene; 60 della Trinità, le varie incarnazioni triadiche degli dei precolombiani, 61 ecc. 62 Merita rimarcare l'eliminazione anche - dalla terza parte, dedicata alle religioni asiatiche - dei richiami, già presenti nel De Catholicae religionis vestigijs, a una presunta antica predicazione apostolica in Estremo Oriente. Infine, Botero è aggiornato? Soltanto occasionalmente, quando ha ottenuto notizie fresche, per lo più in modo casuale. Per quanto riguarda i
ss Cfr. sempre ibid~, dove quel testo è pure parzialmente riprodotto. 59 La fonte è J. DE AcosTA, Historia Natura/ cit., libr. V, capp. XXIII-XXIV, pp. 166168. Acosta cita come autorità; per il Perù, lo scritto redatto da Polo de Ondegardo per l'arcivescovo di Lima, Jer6nimo de Loa'ysa; per il Messico, quanto affermato dal canonico, poi gesuita, Jtian de Tovar (ibid., l:ibr. VI, cap. l, p. 183). 60 Ibid., libr; V, cap. XXV, pp. 168~ 170. Ibid:, cap. XXVIII, p. 174. 6a Botero omette altri riti descritti da Acosta, come battesimo, matrimonio, unzioni demoniache dei sacerdoti,; ecc. Mentre il gesuita spagnolo si limita a ricordare che ulteriori liturgie vigevano nel(;tiatemala e in altre terre americane (op. cit., libr. V~ cap. XXVII, p. 174), il nostro - ilqtiale in precedenza si è soffermato sul tema utilizzando G6mara- accenna qui, qUasi iri termini di diritto canonico, ai modi con cui gli indi boliviani scioglievano il matrimonio (già nel De Catholicae religionis vestigijs aveva inserito digressioni sul tema}, ecc. Nuovo è pure il ~cappello» che Botero appone al capitoletto in esame, che amplia la questione estendendo la contraffazione diabolica alla religione greco-romana.
-· 183-
ALDO ALBÒNICO
testi, e anche le rappresentazioni cartografiche, non si può dire che lo sia. E tale rimane anche per le concezioni geografiche, come ha ricordato ieri
anche Stegmann. Un solo esempio, Che l'America fosse un continente distinto, e separato dalF Asia dallo stretto allora chiamato Anian, era un dato formulato come certo da G6mara già a metà del secolo, e rappresentato cartograficamente sulle mappe del Gastaldì un decennio dopo, poi nell'Atlante di Ortelio, ecc. Botero, invece, glissa sull'argomento e lascia la questione di Anian impregiudicata. Conclusioni, Le lascio trarre agli ascoltatori. Un'ultima nota.- aggiun~ go - sul presunto rapporto tra le Relationi Universali, l'utopia, e i miti americani riguardanti il «buon selvaggio». John E. Elliott, al termine di un suo notissimo studio, rileva che: «E forse i sogni sono sempre stati più importanti della realtà nel determinare i rapporti tra il vecchio e il nuovo mon~ do». 63 In materia di temi americani, Botero sognò invece sempre poco. Lo fece, ma senza alcun intento messianico o utopico, cedendo alla favola della predicazione apostolica in tempi preispanìci: dopo che l'autorità di più reputati scrittori gli consigliò di mutare opinione, le sue opere non contennero più idee appena un po' azzardate. L'ex gesuita aderì ai fatti - se così si può dire - nel modo più piattamente possibile. A discostarlo da una rappresentazione tendenzialmente obiettiva della realtà, però, c'erano i suoi intenti fìlocattolici e, in poco minor misura, fìloispanici, ai quali si deve il costante abbellimento della colonizzazione iberica e la completa sordina messa alla «leggenda nera». Nonostante ciò, e malgrado i pesanti limiti di vera originalità delle sue sillogi, la sua opera americanistica operò forse come >. 4 Ma gli argomenti trattati nelle Relazioni sono ben più vasti e i dati raccolti riguardano la configurazione fisica, la popolazione, il governo, la produzione, il culto dei diversi paesi della terra. È noto che le Relazioni furono scritte per compiacere il cardinale Federico Borromeo, quali ragguaglio statistico della diffusione della relìgione cristiana nel mondo. Lo scopo ultimo che Botero si proponeva con la sua opera emerge chiaramente sia nella dedica al cardinale Carlo di Lorena della prima edizione della prima parte delle Relazioni, apparsa a Roma presso Giorgio Ferrari nel 1591, sia nella dedica a Carlo Emanuele I della prima edizione completa delle quattro parti, apparsa a Bergamo nel1596, dove dichiara d'esser stato mosso all'impresa dal «desiderio di conoscere lo stato della Religione Cristiana per il mondo>>. 5 Ma, accintosi al lavoro, Botero vi «s'era abbandonato senza preoccuparsi troppo rigidamente dello l Il volumetto, diviso ìn tre libri, uscì a Roma, presso Giovanni Martinelli nel 1588, dedicato a Cornelia d'Altemps Orsini, duchessa di Gallese e apparve già in appendice alla Ragion di Stato nell'edizione di Venezia del1589. Le connessioni in tema politico ed economico sono tanto notevoli che lo stesso Botero pensò di trasferire un intero capitolo delle Cause (il settimo del libro II, importante dedica a Carlo Emaimele l della Quinta parte delle Relazioni, scritta alla corte di Torino nel1611, sulle . Se Botero accetta la concezione degli umanisti secondo cui «dagli accadimenti trascorsi si può far giudizio dei presenti», contrappone tuttavia all'autorità dei vecchi testi quella crescente dell'esperienza dei moderni «Per siffatta cagione,>, aggiunge, «mi misi a scrivere le Relazioni universali più tosto che le guerre de' Greci, o le imprese dei Romani; delle quali nulla cosa si può dire, che non sia stata satievolmente replicata». Con questa ultirna parte egli SI propone infatti di aggiornare il lettore su quanto accaduto negli ultimi trent'anni, soprattutto nei paesi europei. 9 «Tramontato il mito di Roma e dell'antichità classica, subentrava quello dei primitivi, al passato veniva sostituendosi un mondo presente e sconosciuto; ai libri l'esperienza,>.10 Quindi Botero cita le sue fonti vive ed attuali costituite dalle dirette informazioni degli ambasciatori, dei missionari, dei Viaggiatori, degli esploratori, dei mercanti. Pochi forse come Botero poterono trar profitto da tanti e così svariati mezzi d'informazione. La fama che godeva l'autore della Ragiort di Stato, il segretario di S. Carlo, l'ambasciatore di Carlo Emanuele l, doveva renderlo una delle personalità pìù in voga del suo tempo, dandogli al tempo stes'so il modo di accostare tutte quelle categorie di persone che erano meglio ìn grado & fornirgli direttamente le notizie necessarie allo scopo cui mirava. Come si rileva dalle sue lettere e dalle dediche delle sue opere, dappertutto. egli era in intimità con personaggi cospicui; conosceva e trattava con principi, cardinali, ambasciatori (con quelli del re di Persia a Torino, con quelli abissìni è giapponesi a Roma); passava buona parte della sua vita a
. Rimasta: inedita, è stata pubblicata per la f!rima volta da C. GrooA, La vita e le opere di Giovanni Botero, voL III, Milano, Hoepli, 1895; pp. 36-37; la Dedicatoria, senza data; precede il testo inedito della Quinta parte (pp. 38'--327); ed è pubblicata dal cod. O.VI.6l della Nazionale di Torino, poi distrutto nell'incendio. A, Mi\cN'AGHl, Le «Relazioni» cit., pp. 26-27 e M.L. DoGuo, Principe, nazione cit., p ..
304.
N.
MAtrEUCCl,
n mito
dei primitivi; « che sono stati molti anni in India e in Persia, «gentilhuomini portoghesi» degnissimi di fede per la Cina, mercanti; relazioni di viaggiatori come Barros, Pigafetta, Osorio, Acosta ... Botero quindi fa uso di fonti moderne e si attiene a criteri di scelta e valutazione ben diversi da quelli che adoperavano i geografi del suo tempo; ed è per questo, oltreché per il fine pratico ch'egli si proponeva, che la sua opera riesce in larga parte nuova. Nonostante la ben nota polemica Magnaghi-Chabod circa l'utilizzazione delle fonti da parte di Botero e la sua mancanza di originalità, 12 le Relazioni «Segnarono un progresso enorme rispetto alle analoghe opere allora in uso, e per quasi un secolo rimasero un testo istituzionale e informativo di larghissima diffusione». 13 Si può quindi riconoscere a Botero se non altro il merito di aver reso accessibili le
Gerolamo Brusoni nel volume Varie osservaz1om sopra le Relazioni Universali di Giovanni Botero, pubblicato in Appendice all'edizione delle Relazioni Universali, Venezia, Bertani, 1659, riporta le date degli avvisi e dei bollettini delle missioni con i nomi dei padri che li redassero; sulle fonti di Botero cfr. anche A. MAGNAGHI, Le ((Relazioni}) cit., pp. 195-202. 12 A. MA.GNAGHI, Processo e condanna di Giovanni Botero, Memorie della reale Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche, serie I, t. 68, 1936, pp. 87-148: si tratta di una replica ai giudizi critici sviluppati da Chabod, nell'Appendice al Botero del 1934, attraverso una serie di confronti tra il testo di Botero e le sue fonti. 13 t. FlRPo, G. Botero, l'unico gesuita dt., p, 82. Già G. GALEANI NAP!ONE nell'Elogio di G. Botero, in Pl'emontesi illustri (Tomo I, Torino, Briolo, 1781, pp. 151-353) scriveva: «Ben !ungi di pensare come gli eruditi suoi contemporanei persuaso era egli, che a formar giusto concetto dell'uomo convien osservarlo iri tutti i secolì, in tutti i climi, in tutte le contrade, e in tutte le çondizioni~> (p. 181); e accostando Botero a Fénelon e a Montesquieu, lo riteneva più grande per aver «scoperte o accennate o ttavedute le più importanti cognizioni di cui l;t scienza dei moderni per questo conto si vanti» (pp. 237-238); e C. DeNINA, La Prusselittéraire sous Frédéric II (Berlin, Rottrrianri, 1.790; vol. I, p~ 183) scriveva: «Oil seta surpris d'entendre que l'économie politìque et la science qu'on appelle statistique, ait été en Italie, il y a deux cents ans, préciséments au meme point où elle est acti.tellement en Allemagne. L'économiste le plus profond, l'auteur statistique le plus judicieux,
-· 189-
MARIA TERESA PICHETTO
nozioni di cui si disponeva: ai suoi tempi e di aver compendiato «le preesistenti descrizioni di singoli stati in una trattazione universale dedicata a tutte le fotrn:e sOCiali dell'Europa, dell'Africa: e dell'Asia, aprendo così la strada a un'ottica globale che superasse quella Iinùtata all'Europa». 14 Ma ci sono altri elementi più profondi ancora e più importanti ai fini di valutare l'influenza (almeno indiretta) di Botero sulle utopie del Seicento. Infattì il senso complessivo che ebbero tutte le notizie e la documentazione raccolta sulla vita, le pratiche religiose, il governo dei selvaggi, per chi partecipava alla colonizzazione e per che vi assisteva dall'Europa, si può definire. corne una «esperienza della varietà culturale». 15 C'è in Botero, come in molti suoi contemporanei, un ((rovesciamento di posizioni mentali che avrebbero condotto lontano le generazioni future. La scoperta del Nuovo Mondo e l'accresciuta conoscenza dei due vecchi continenti, l'Asia e l'Africa, conùnciavano ad operare in profondità, provocando uno sconvolgimento non meno ricco di conseguenze di quello causato nella vita econonùca europea, proprio in quella seconda metà del sec. XVI, dall'afIl venir meno di vecchie dottriflusso dell'oro e dell'argento americano ne tramandate per secoli dagli antichi e ora riconosciute erronee alla prova dei fatti, la conoscenza di paesi e di uonùni, di consuetudini morali e di fenomeni fisici ignoti ai testi della vecchia sapienza dei Greci e deì Romani, la contemplazione dì quelle "infinite maraviglie non conosciute dagli antichi" che nel mondo nuovo si offrivano allo sguardo degli Europei, tutto ciò contribuiva potentemente a una nuova coscienza di sé dell'uomo; e la conclusione conùnciava a essere che non gli antichi, ma i moderni fossero giunti a più alto grado di sapere e di civiltà ... ~>. 16 Dì siffatto stato d'animo era partecipe anche Botero, che dalle letture geografiche, dalla conoscenza dei nuovi mondi e dall'ampliarsi dell' orizzoi1te fisico traeva. occasione per istituire paragoni tra i popoli del suo tempo, anche tra quelli di cui era recente la notizia, e gli antichi, rico-
le plus originai ... a été Jean Botero Le Relations forment les corps de géographie historique moderne le pltis complet qu'on eut encore vu>~. M. STòttEis, Zur Rezeption von Giovanni Botero in Deutschland; relazìone presentata al Convegno su «Botero e la Ragion di Stato~, Torino, marzo 1990, p. 10; Stolleis cita un apprezzamento di H. lliEITZEL, Protestantischer Aristotelismus und absoluter Staat, 1970, p. 116. A LENARDA, L'esperienza della diversità. 1580-1180. I selvaggi e il Nuovo Mondo, Torino, Loescher, 1979, p. 15. F. C:f!ABoD, Botero cit:, pp. 331-332.
-
190
tE 'RELAZIONI UNIVERSALI'
noscendo che non solo gli europei erano
s~periori
agli antichi ma anche
i cosiddetti: barbari. 17
Come nota Romeo, la constatazione della immensa varietà dei popoli rivelati dalle scoperte mostrava il carattere contingente di istituzioni e credenze fino allora ritenute espressione di leggi eterne e universali della natura umana. Poligamia, nudità, idee diverse sulla bellezza e sull'onore, in qualche caso persino l'ateismo: tutto ciò appariva agli occhi dell'europeo un panorama sostanzialmente nuovo. 18 Mutava così completamente in Botero anche il significato di uno dei termini più caratteristici della mentalità umanistica, «barbaro», assunto 19 a indicare «quei popoli i cui costumi si dilungano dalla ragione e dalla vita comuile», che voleva poi dire fuori della civiltà cristiana ed umanistica: definizione questa, osservava Botero, che «se fosse vera, il nome de' Barbari converrebbe (quanto alla seconda particella) più a' Greci e a' Latini, che al resto delle genti; perché se vita comune si deve dir quella che mena la più parte degli uomini e Barbari quelli che se n'allontanano, essendo che i Greci e i Latini vivono differentemente da altri e son meno degli altri, a loro converrebbe il nome di Barbari. Diciamo dunque che Barbari si debbono stimare quelli le cui maniere e costumi si dilungano straordinariamente dalla dritta ragione ... ». 20 Qui è significativo il raffronto tra Botero e Montaigne a proposito del concetto di barbarie. Montaigne giunge a far dubitare della legittimità di ogni criterio discriminatore tra barbari e civili e a far riflettere quindi sul pregiudizio etnocentrico con la celebre affermazione che «ognuno chiama barbarie quello che non è neì suoi usi; sembra infatti che noi non ab~iamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l'e17 G. BoTERO, Relazioni Universali, parte II, l. IV; c(r. anche F. CHABOD, Botero cit., la nota 3 alle pp. 334-335 dove cita tutti i passi in cui Botero esalta gli Incas per le strade o la ripartizione delle terre, la semplicità ~ schiettezza dei popoli del Perù, la loro religione, il saggio governo della Cina ... 18 R. RoMEo, ù scoperte americane nella cosde!'IZa italiana del Cinquecento, Bari, Laterza, 1989, p. 125 (ristampa dell'ed. del 1954).' 19 A. PAGDEN, LA caduta de/l'uom,o naturale. L'indiano d'America e le origini dell'etnologia comparata, Torino, Einaudi, 1989, pp. 256-257, sostiene che già per Acosta barbarie include rion uno ma parecchi ,tipi culturali diversi, che tutti i popoli del mondo, quanto a civiltà e al posto occup~tò nella scala dell'evoluzione sociale, sono classificabili in base alle istituzioni politiche,,alle usanze e al grado di raffinatezza linguistica, e che ogni giudizio sulla natura e la cçtidizione dell' «altro~> deve fondarsi comunque su una serie di dati empirici. Pagden ritiene inoltre che ci sia stata una diretta influenza su Botero del De procuranda Indorum salute di Acosta (Salamanca, 1589}. io G. BoTERO, Relazioni Universali, parte IV, 1. III, ed. Venezia, 1659, p. 525.
-191-
MARIA TERESA PICHETTO
sempìo e l'idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo ... >>. 21 Anche Botero restringeva il concetto dì barbarie a coloro che vivevano fuort della > apre spazio e possibilità all'utopia, come invenzione di tutti i possibili > ulteriore delle Relazioni Universali, ma assumere le due operazioni editoriali come esempi delle diverse opzioni culturali cui approda in questo periodo il diffuso interesse della trattatistica politica per i dati storici, geografici, economici, istituzionali e militari degli stati. 6 Cfr. J.G.A. PococK, ll momento machiavelliano. npensiero politico fiorentino e la tradizione repubblicana anglosassone, Bologna, 1980 (ed. orig. Princeton, 1975), I, pp. 203 sgg.
7 Proprio a Luigi Firpo si deve l'iniziativa di una nuova e più completa edizione delle relazioni degli ambasciatori venezìani, oggi in via di completamento: Relazioni di ambasciatori veneti al Senato, tratte dalle miglfori edizioni disponibili e ordinate cronologicamente; a cura di L. Firpo, Torino, 1965. · 8 Per un primo orientamento si vedano: r,Jmanesimo europeo e Umanesimo veneziano, a cura di V. Branca, Firenze, 1964; U. Tucc1, Mercanti, viaggiatori, pellegrini nel Quattrocento, in Storia della cultura veneta, III: Dal primo Quattrocento al Concilio di Trento, a cura di G, Arnaldi e M~ Pastore-Stocchi; ViCenza, 1980, t. 2, pp. 317-353; G. LuccHETTA, L'Oriente Mediterraneo nella cultura di Venezia tra Quattro e Cinquecento; in Storia della cultura veneta, III: Dal primo Quattrocento dt., t~ 2. pp. 375-432; M. ZANCAN, Venezia e il Veneto, in Letteratura italiana. Storia e geogrqfia, II, L'età moderna, Torino, 1988, t. l, pp. 624 sgg.; G. LuccHEITA, Viaggiàtori e raccqnti di viaggi nel Cinquecento, in Storia della cultura veneta, III: Dal primo Quattrocento cit,, t. 2; pp. 433-489; G. Cozzi; Cultura politica e religione nella si riducono qui alla rapidissima descrizione dell'ufficio dei «Sei Commissari>> preposti alle milizie del contado e allo schizzo della «Guardia», accanto alle ma"' gistrature maggiori e alla «Rota» compaiono gli uffici deputati al «buon governo» della città, da quello della sanità a quello dell'abbondanza, da quello della loggia; con competenza sui forestieri. a quello dei «discoli», preposto al controllo e alla messa al bando di quanti si davano ai vizi «et all'altre cose che son contrarie alle bene istitute regole del vivere civile, et politico». 29 Ecco poi l'incuriosita attenzione con cui il Sansovino dà conto dell'assetto costituzionale genovese, quello spartirsi della città in due comunità, la prima governata dal «Palazzo», l'altra sottoposta al governo dell'ufficio di San Giorgio/0 caratteristica che gli fa concludere: «Et certo che è cosa IIiaravigliosa, et non più trovata né da Filosofi, né da altri che habbia trattato la materia delle Repubbliche scrivendo, poi che in un medesimo circoito di mura, et in un medesimo tempo può esser et tirannide et v Cfr. F. VENTURJ, Re e repubbliche tra Sei e Settecento, in lv., Utopia e riforma nell'nlumi~ nismo, Torino, 1970, pp. 29-59. 28 F. SANSOVJNO, Del governo et amministratione cit, p. l46v. 29 lbid., p. 148r. 30 Ibid:, p. 227rtSu questo aspetto della costituzione genovese cfr. il bel saggio di R. SAVELLI, Tra Machiavelli e S. Giorgio. Cultura giuspolitica e dibattito istituzionale a Genova nel Cinque-Seicento, in Finanze e ragion di Stato in Italia e in Germania nella prima età moderna, a cura di A. De Maddalena e H. Kellenbenz, Bologna, 1984, pp. 249-321.
-209-
DANIELA FRIGO
libertà, la vita civile, et la corrotta, la giustitia, et la licenza».31 L'immagine della repubblica cittadina come ambito del «buon governo'> è poi ribadita con ben più profonda convinzione e con ben maggiore ampiezza a propo~ sito di Venezia. Qui il Sansovino, autore nello stesso anno dello scritto Delle cose notabili che sono iti Venetia, preludio della ben più celebre Venetia città nobilissima che uscirà nel1581, ci offre l'ampia descrizione delle magistrature veneziane fatta alcuni decenni prima da Gasparo Contarini nel De magistratibus et Republita Venetorum, uscito a stampa nel 1543, e in seguito più volte ristampato. 3z In questo scritto, com'è noto, la perfezione del modello veneziano era imputata alla razionalità dei suoi processi decisionali e delle sue istituzioni: a Venezia, insomma; «degli uomini, che non erano esponenti di una razionalità pura e totale, agivano come membri di un organismo istituzionale, che, invece, era tutto razionalità>>.33 Per Venezia Sansovino sceglìe quindi un'opera tutta incentrata sugli uffici e sulle magistrature, colte soprattutto ilei loro aspetti procedurali: affidato alle virtù dei cmadìnf anziché al carisma e alla volontà di un sovrano, il buon governo delle' repubbliche era possibile solo con un sapiente equilibrio di cariche, responsabilità e regole di funzionamento. Se l'interesse per gli aspetti istituzionali non viene certo meno per i regnì, qui esso. appare in certo qual modo bilanciato dagli aspetti economici e finanziari, da quelle «forze» costitUtive della potenza degli stati che proprio Botero saprà poì comporre in un quadro di gran lunga più coerente. Non dì meno, anche per i regni distribuzione dell'autorità ed equilibrio nelle cariche appaiono aspetti irrinunciabili di un ordinato assetto politico: quaJ1d,o nelle edizioni successive la raccolta del Sansovino si arricchirà della descrizione del regno di Polonia, proprio il carattere perpetuo delle cariche pubbliche sarà additato come causa della debolezza di quel~ l'ordi)1amento, poiché > e altre forme letterarie traducevano ad uso di un pubblico più vasto le acquisizioni del dibattito politico-filosofico di tutto un secolo. IIL In un ambiente e in un clima culturale assai diversi maturarono come è noto le Relazioni Universali di Giovanni Botero; la cui prima parte vide la luce un trentennio dopo la raccolta del Sansovino.38 Dettata da esigenze di propaganda cattolica, l'opera risente fortemente del eli:.. ma della Roma della Controriforma, altro importante centro di raccolta delle inforinazioni sugli stati e sulle corti, e in particolare sulle Americhe, qur filtrate, peraltro, da una visione del mondo come campo dell'azione evangelizzatrice della Chiesa. È singolare che proprio Botero utilizzi, tra le sue tante fonti, sia le relazioni degli ambasciatori veneri, che i resoconti di viaggio confluiti nella grande raccolta delle Navigationi e viaggi di Ramusio, trascritti a volte in modo letterale: 39 fonti alle quali il Sansovino aveva invece scarsamente attinto. Se l'utilizzazione acritica delle fonti pone il Botero, molto spesso, su un piano inferiore rispetto a quelle, la seconda parte delle Relazioni Universali, l'unica accostabile al~ la raccolta di Sansovino, mostra invece una scansione più ordinata, un disegno più coerente, ed anche se non vale ad ampliare alle «nazioni» il tipo di indagine condotta nello scritto Delle cause della grandezza e magnifìcertza delle città,40 gli storici interessati alla genesi delle moderne scienze sociali vi hanno scorto l'origine di un approccio statistico e geopolitico allo studio degli stati destinato ad avere nei secoli successivi ·38· Sulle fasi della composizione e sulle complesse vicende delle diverse edizioni posso ora tranquillamente rinviare alla relazione del prof. Albònico che mi ha preceduto. Sempre utili comunque le pagine di F. CHABOD, Giwanni Botero; Roma, 1934, ora in Scritti sul Rinascimento; Torino, 1967; pp. 271-458, e in particolare P' 284 n. 1, nonché M.L. DoGuo, Pri,dpe1 ~azioni, regni nelle «Relazioni Universali» del Botero. Il modello della Polonia, in Cultura eniiZioife in Italia e Polonia dal Rinascimento all'nluminismo, a cura di V, Branca e S. GraCiotti, Firenze, 1986, pp. 299-316. .i9 Si vedano i raffronti diretti fatti da F. CHAlioo, Giovanni &tero cit. . Per un confi:onto fra le due opere si veda L. FIRPo, Introduzione a G. BOTERO, Della ragion di Stato con tre libri Delle cause della grandezza delle dttiJ, due Aggiunte e un Discorso sulla popolaz1one di Roma; a cura di L. Firpo, Torino, 1948.
-· 212-
SANSOVINO E .BOTERO
ampia applicazione. 41 Nelle Relazioni Universali Boteto si occupa peraltro solo dei regni e degli stati maggiori, trascurando completamente le repubbliche: se la Relatiorie di Vetietia edita nel 1605 colmerà in parte la lacuna/2 l'interesse di Botero sarà sempre rivolto ai regni, non solo per la preferenza da lui accordata alla monarchia, che sarà poi esplicitata nello scritto Dell'eccellenza della monarchia, ma soprattutto perché regni e imperi appaiono come i soli protagonisti della scena internazionale qui delineata, e dunque i soli a contare realmente nel piano dell'opera. Si attua infatti. nelle Relazioni Universali una sorta di apertura dei modelli politici in direzione del «sistema degli Stati»: lo sguardo dell'autore si appunta sulla scena internazionale fin dalle prime battute della parte seconda, là dove l'Europa del suo tempo è detta «piena, e quasi pregna di donrinij, e di regni», e governata da un >. 47 Un buon governo che molto dipende, ìn Bòtero, dalla dimestichezza dd popolo alle armi: come subito afferma sempre a proposito della Francia, è la pratica che fa gli uomini guerrieri. 48 Ed è poi ovviamente legato alla difesa e alla conservazione della religione c:nstiana: nuovamente il caso francese è emblematico di ciò che può acca-
lbid., lbid., lbid;, lbid:;
p. 99. pp. 4-6. p. s~ p. 6; Anche a proposito delle fortificazioni Botero nota che oltre alla predisposizìone natt1rale del territorio; a rendere il regno francese ben munito di fortezze è «ilon meno la diligenza, e l'attitudine dei popoli à ciò&: ibld.
-214-
SANSOVINO E BOTERO
dere ad un regno che «riducendo ogni cosa à ragìon di stato, sciocca, e bestiale)> permette che si sciolga «l'unione de' popoli nella fede)>. 49 Un «buon governo» che è infine riconducibile al nodo cruciale della dottrina di Botero così come era stato espresso nella Ragion di Stato, ossia con la convinzione, qui enunciata con chiarezza in riferimento alle imprese dei Duchi di Moscovia in paesi lontanissimi che avevano avuto l'effetto di diminuire la popolazione del paese, che «il primo capo di stato si è il conservare; e gli acquisti, che si fanno con diminutione delle forze, sono a ciò contrarij)>,50 e che «non è cosa ave si scorga meglio la prudenza d'un Prencipe che nel conoscere qual impresa sia utile à gli stati suoi, e qual dannosa; e nel non lasciarsi muovere da non so, che apparenza di grandezza, e di ampiezza; e tirar fuor de i termini della stabilità, e sicurezza)>/1 perché . 54 Proprio dal ritratto che il Botero ci offre del signore di Moscovia, viene un'ulteriore conferma, a rovescio, dell'utilità che la conoscenza degli altri paesi, degli altri stati e dei loro ordinamenti può avere non solo per i sovrani, ma anche per i popoli: se i sudditi del gran duca di Moscovia, os-
Ibid., p. T Ma a proposito del giudizio di Botero sulle vicende francesi cfr. ora E. Le guerre di religione francesi nella trattatistica italiana della ragion di Stato: Botero e Frachetta, dl Pensiero politico)), XXII, 1989, pp. 301-324. 50 G. BonRo, Delle Relationi Universali cit., p. 29. Ibid., p. 28. 52 Ibid., p. 29. 53 Ibid, s. lbi&, p. 30, ove anche l'immagine ieratica del gran duca di Moscovia è usata a confenrta del suo potere assoluto e quasi sacrale: «Usa poi maestà inestimabile nella pompa del suo vestire, perché, coniungendo quasi la gravità pontificale con la maestà regia, porta in testa una mitra adorna di perle; e di gioie finissime: e se non la porta la tiene innanzi à se nel suo trono e la muta per grandezza più, e più volte ... », e così via fino a segnalare la sua veste lunga come quella del Papa o la sua «accuratezza esquisita» nelle cerimonie religiose. 49
BALDtNr,
-215-
DANIELA FRIGO
serva Boteto, tengono il loro principe come un Dio, la ragione è che non hanno «notitia d'altro, che delle cose sU:e>>/5 essendo loro proibito uscire dal paese e avete contatti con gli stranieri. IV. Due modelli diversi di osservazione e di lettura della «fortuna» degli stati, dunque. Il primo, quello di Sansovino, utilizzando le fonti esistenti così come si presentavano, finiva per riproporre l'immagine del «buon governo)) come equilibrio «costituzionale», con una decisa accentuazione degli aspetti istituzionali, dalle magistrature alle cariche pubbli:che fino alle procedure e alle tegole di funzionamento degli organi di governo. Prevaleva insomma l'idea che il «buon governo» fosse in primo luogo il risultato di una sapiente distribuzione di cariche e di funzioni, e che nel caso dei regni molto dipendesse dalla prudenza e capacità politica del sovrano. L'ordinata ricognizione di Botero invece, soffermandosi a considerare, per ogni stato, sempre gli stessi elementi; quelli appunto elencati nel proemio, non solo rendeva possibile una diretta comparazione, ma enunciava anche una precisa dottrina della «grandezza» degli stati, costituita per Botero dalla fortunata combinazione di fattori naturali e di sapienza politica, ma soprattutto dalla capacità del sovrano di agire in armonia con i caratteri dei territori e dei popoli a lUi sottoposti. Botero mostra in definitiva una piena e consapevole accettazione dell'idea, solo affacciata qua e là nelle fonti del Sansovino, che la grandezza e la fortuna degli stati si misuravano ormai con parametri nuovi, in cui la forza militare non poteva più prescindere da un accorto utilizzo delle risorse finanziarie dello stato. Quanto nel Sansovino era carattere proprio dei regni; in Botero diventa unico criterio fondamentale di lettura della realtà degli stati: ricchezze naturali, risorse e finanze pubbliche dei regni sono misurate e valutate soprattutto in vista dei loro utilizzo per scopi militari, lungo la linea di quel binomio finanze/ armi che nel pensiero politico del tempo si era consolidato nella formula pecunia nervus belli. 56 Anche in Botero, dove pure la ritroviamo, l'idea machlavelliana della virtù militare come elemento primo della forza di tino stato sembra onnai lasciare il posto ad una ordinata ri-
Ibid., p. 31. Cft. H. KEi.LENBENZ, Finanze e ragion di Stato nel primo periodo dell'epoca moderna; in Finanze e. ragion di Stato cit., pp. 13-20; M. STOLLEIS, Pecunia nervus rerum. Il problema delle fi" naiize nella letteratura tedesca: della ragion di Stato nel XVII secolo, in ibid~. pp. 21-44.
-216-
SANSOVINO E BOTERO
cogn1z10ne di un assai più vasto intreccio di motivi economici e finanziari.57 Nel successo europeo delle Relazioni Universali, nelle numerose traduzioni e nei molti rifacimenti dell'opera, gli storici hanno colto il punto d'avvio della sistemazione delle informazioni sugli stati nei modelli descrittivi ed interpretativi della «geografia politica»,58 difficilmente separabile, del resto, da tutto un genere della riflessione politica volto a fornire alla comparazione degli stati un supporto teorico più robusto. Lungo questa direzione si collocano la fortunata collana delle républiques elzeviriane/9 ma anche numerose opere spagnole sulle quali si è di recente soffermato Maravall,60 e delle quali non è qui possibile dar conto. Ma è soprattutto nella pubblicistica tedesca che le notizie sull'amministrazione, sulle ricchezze, sulle finanze e sulla forza militare degli stati, già parte integrante della
57 La cura delle finanze pubbliche come componente imprescindibile del «blion govemof> era in quegli anni riproposta anche all'interno della stessa: tradizione aristotelica, con il recupero degli Economici pseudo-aristotelici, e con la fortuna in ambito francese del commento a questi di Lefevres d'Etaples, fenomeni che di recente sono stati posti alla radice della coniugazione, per la prima volta in Montchrétien, di économie e politique, due termini fino a quel momento inconciliabili per i commentatori di Aristotele: G. BRAzziNI, Dall'economia aristotelica all'economia politica. Saggio sul «Traicté>> di Montchrétien, Pisa, 1988, passim. Anche Boteto sembra. lasciarsi alle spalle, nello scritto sulla città, la separazione tipica della filosofia pratica fra economica e politica. Là dove nella tradizione aristotelica la politica si poneva come fine della vita associata, ma al tempo stesso escludeva dal proprio raggio d'azione la sfera della produzione e conservazione dei beni materiali, oggetto delle cure delpadre di farniglìa, in Botero lo sguardo si affaccia appunto su: queste zone «fi:an~ che» della dottrina politica, suggerendo che è attraverso la cura di questi settori, e la tutela attiva del principe sulla produzione e sugli scambi; che uno stato o una città diventano potenti: sul puntO, mi sia consentito il rinvio a D. fRIGO, Ld dimensione amministrativa nella riflessione politica (secoli XVI-XVIII); «Archivio ISAP», n.s. 3, Ilamministrazione nella storia moderna, Milano, 1985, I, p. 21-94, e più in generale a Io., Il padre di famiglia. Governo della casa e governo dvi/e nella tradizione dell 1,TERo, Relazioni universali, ed. 1591; dedica a Carlo di Lorena (dal 1596 essa venne completamente mutata e destinata a Carlo Emanuele I). .. voll.,
r.
-228-
SULL'iDEA DI CIVILTA IN BOTERO
Il suo discorso prende le m:osse dalle condizioni deì > e da quelli che «tengono il Creatore dell'universo per supremo, ma non per solo Dio», come i «Messicani» e i «Cuzcani». A differenza degli altri che non hanno alcuna forma di riti, questi ultimi hanno cerimonie «ferme e legittime, stabili e solenni». Il secondo grado è in relazione al tipo di nutrimento, in quanto esso partecipa a determinare la natura dell'uomo; Nello stato di natura gli individui. sono «fieri» perché «non seminano né attendono all'agricoltura, ma mangiano come animali ciò che la terra produce». Quella «certa bestialità>> coililessa a tale stato diventa però completa presso gli antropofagi. Il loro esecrabile primitivismo li pone, agli occhi di Botero, fuori dalla: condizione umana e ne d~creta l'alterità assoluta. Il terzo grado consiste nelle varie forme di nudità che in alcuni gruppi evolve nella pratica di portare rozzi abiti come . Costoro «partecipano di politia» in quanto «conducono seco cammelli o altra sorte d'animali, da quali dipende la lor vita, e mutano non l'abitazione, ma il sito d'essa secondo la comodità della pastura ch'essi vanno cercando)>. L'ultimo grado risiede nelle forme di governo istituite dai diversi gruppi. Quelli più barbari sono ancora quelli che vivono .35 Il Gesuita non mancò tuttavia di tessere i tratti del perfetto principe in cui vìrtù morale e politica si uniscono. 36 Se il Bettini è orientato a porre in subordine la politica alla morale - che sarebbe un riferire l'azione all'insegnamento divino e non allo Stato - per il francescano Evangelista Sartonio la politica giustifica la propria esistenza in quanto alleata con la fede rispetto ai fini assoluti del vivere umano, come mezzo per giungere alla vita contemplativa. 37 Il Sartonio merita di essere ricordato anche perché tra i pochi autori politici bolognesi del proprio tempo che faccia espliciti e frequenti riferimenti nella sua opera a scritti di contemporanei come l'Ammirato, il Lottini o il Frachetta, preferendo però fra tutti il Lipsio, autore accostato di recente, per alcuni versi, al Botero. 38 Alla base degli scritti del Francescano è il convincimento che esista una consonanza tra la vita dei Regolari e la vita civile, tesi alla cui dimostrazione dedica il supporto di tutto il suo patrimonio di sapere. Nell'Esserdtio politico si trova citato, seppur di rado, il concetto di ragion di Stato, con la prefigurazione di un
34
35· J6.
Cfr. ivi, in part. p. 110. L. Rossi, Gli scrittori;. p. 173. Cfr. Asirea Panegyricm in annuo fonere sereniss. R.anutii Farriesii Parmae, Placentiae, Ca-
stri, et duds publice pronunciatus. Proponitur singulare spedmen regiae al: politicae virtutis; Corona regia, sive enchirichion prindpum e lumine naturae, in Lycei pars secunda. Un rapporto, ahneno indiretto, che lega il Sartonio al Botero può essere stabilito attra:verso il Panigarola, il quale, presso Carlo Borromeo assieme al Benese, ne approvò il De. praedicatione verbi Dei: Il Panigarola, infatti, fu ricevuto nell'Ordine francescano presso il convento della SS. Annunziata in Bologna da Luigi da Borgonovo - in seguito generale dell'Ordine -, mantenendo poi con lui un solido legame di amicizia. Alla Provincia bolognese appartenne appunto il Sartonio, che risiedette per lungo tempo proprio nel convento della SS. Annunziata; ove ebbe modo di venire a contatto con un ambiente nel quale non si erano ancora: probabilmente spenti gli echi della lezione di Luigi e sopiti gli stimolì di un mondo culturale e religioso del quale egli era stato tra i protagonisti. Per quanto concerne le vicende legate all'a:ccoglirnento del Panìgarola tra i Francescani e al suo sodalizio con Luigi da Borgonovo mi permetto di rinviare al mio: Note per la biografia del cardinal Ser'!firio Olivier Razzali: gli anniprecedenti l'arrivo a Roma, il testamento, l'amicizia con i Sozzi'ni; «Bullettino senese di storia patria», 93; 1986, nota: 71 a p. 444. Cfr; V.l. CoMPARATO, n pensiero politico europeo dalla >; R. MEROLLA, Lo Stato della Chiesa, in Letteratura italiana. Storia e geografia, II. L'età moderna, Torino, 1988, p. 1034. 67 Sotto questo punto di vista il loro pensiero ben si accorda con quello del Benese se è vero che «lo Stato del Botero era pertanto sì lo Stato confessionale, non più attento a conciliarsi la religione, quale ella si fosse, ma una religione, la cattolica - e in questo era la grande differenza dallo Stato del Machiavelli» (F. CHABOD, Scritti sul Rinascimento; Torino, 1967, p. 324). 68 Fa forse eccezione il Capponi che, probabilmente per la matrice culturale stessa del suo lavoro, non prende in esame in termini complessivi tali questioni. Tuttavia. temi come quello del valore delle armi per la salute dello Stato, uniti, a un esplicito antimachiavellismo, fanno parte integrante della sua opera. 69 A esempio il Mirandola (Ragione di Stato, p. 39) lo definiva }. 77 Lo Spontone, che indica nel «Demonio» il «maggior Macchiavellista»/ 8 ricorre all'esplicito richiamo della lezione del Possevino 79 - il Mirandola si richiamerà invece al «Ribandinera>> 80 - a sostegno della polemica contro il Machiavelli proprio sul tema del rapporto tra armi e fede, ricordando i weri Campioni della Christiana Religione, i quali con l'arme la defesero, amplissima strada le apersero per dilatarsi in fino agli ultimi termini del mondo e intrepidi la Maestà di lei conservarono>>. 81 D'altra parte i riferimenti all'importanza delle armi per garantire la prosperità degli Stati non si fermano nello Spontone a questi tre libri 82 o a questa sola opera, ma ne percorrono gli scritti accompagnandosi alla citazione del valore che, per offrire certezza a tale prosperità, va dato alla religione, la cui gloria è il fine ultimo dell'esistere degli Stati stessi. 83 Il «Prencipe>> poi, investito del suo compito direttamente da Dio, può essere giudicato solo da lui o dal - forza l'uno dell'altro 85 - il binomio che si trova anche nella Ragion di Stato di Botero «>. Scrive ancora lo Spontone: «la prudenza senza la potenza poco giovamento reca>> (ivi, p. 204) e «segga il Principe fra la pace et 76
n
-315-
GiAN LUIGI BETTI
sotto i nomi di «valore» e «prudenza>). 86 «Potenza» e «prudenza», perché senza di questa la prima è solo forza bruta e ingitistificata, ma senza l'appoggtd di tale forza la prudenza non ha possibilità di agire cori efficacia, poste entrambe a sostegno della: Chiesa e da essa garantite di ogni possibile successo nella loro azione. Questi, che costituiscono i punti essenziali di un nucleo di pensiero attorno al quale si realizza il vero momento d'incontro tra i diversi interpreti del pensiero politico bolognese tra la fine del '500 e il Seicento, quale che sia la loro specifica posizione nei confronti della ragion dì Stato, sono già stati indicati, per la parte essenziale, come i fondamenti attorno cui il Botero costruì il De regia sapientia: «la stretta dipendenza del potere secolare dallo spirituale, la doverosa divozione del monarca e la sua sottomissione al clero quale pegno pieno di prosperità e dì successo, la sventura che colpisce già nella sfera mondana i reprobi e gli empi».87 Quindi ciò che nianca nei testi di quegli interpreti è il riferimento chiaro ed esplicito alla Ragion di Stato del Benese e alle novità che vi erano presenti rispetto al De regia sapientia; anzi a trovarvi larga accoglienza è il m:edesirrio nucleo concettuale presente in quest'ultimo lavoro del Botero. Non è pertanto l' «originalità» del Benese, il suo «porsi a studiare in concreto le condizioni reali della vita sociale»; il suo «fondare la scienza non più soltanto sulla psicologia sottile d'un Machiavelli o d'un Guicciardini, ma sull'indagine positiva delle componenti complesse che operano negli aggregati umani» 88 a fare breccia nel mondo bolognese di quegli anni, ma è invece la parte più tradizionale del suo pensiero a trovarvi molti e qualificati interpreti. Qualora sì tenga conto di questo. dello scarso seguito che avrebbe avuto il De regia sapientia 89 - tale da non far pensare a una sua vasta influenza diretta -, del pressoché inesistente richiamo esplicito a lavori dì Botero fatto dagli autori bolognesi presi in esame - neppur il 'discepolo' Spontone ritiene di doverlo chiamare direttamente in causa ~, e dell'evidente consonanza su alcuni aspetti tra il loro pensiero e quello del Benese, fra la guerra. Quella con le leggi governa lo Stato, et questa con l'arme lo difende» (ivi, p.
205). Nell'edizione torinese, a cura di L. Firpo, 1948, p. 95. L. Fnuo, La «R.agion di Stato'' di Giovanni Botero: redazione, rifacimenti, Joriuna, in Ci~ viltà del Piemonte. Studi in onore di Renzo Gandolfo nel suo settantacinquesimo compleanno, Torino, 1975, p. 139. L. FIRPo, Introduzione, in G. BoTERO, Della ragion di Stato, p. 31. Sulle differenze tra i due testi del Benese cfr. anche Io., Dizionario biogrq{ICO degU Italiani, XIII, 1971, p. 150. Cfr. ID,, Gli scritti, p; 20. 86
-316-
BOTERO E LA RAGION DI STATO
mi pare prenda ulteriore consistenza l'ipotesi, prima affacciata, che a fungere da punto di riferimento dei teorici della politica del tempo, almeno per quanto riguarda Bologna, non fosse l'opera del Botero. Si potrebbe invece pensare a un patrimonio di idee, di elementi polemici e di scelte teoriche, a quel tempo piuttosto comuni, al quale si poteva attingere senza far riferimento al Benese, anche se egli lo aveva accolto, preferendovi magari l'autorità di altri, come a esempio il Lipsio. Così che la quasi sostanziale omogeneità delle opere politiche prodotte in ambito bolognese tra la fine del '500 e il '600 riguardo al loro nucleo centrale di pensiero, una volta che siano state cancellate le tracce lasciate in esse dal tema della ragion di Stato o da altre questioni di carattere marginale, induce a ritenere che tale tema non vi abbia esercitato un ruolo centrale, comunque a non fame il punto di riferimento obbligato su cui misurare differenze o punti d'incontro tra autori o tra opere. È forse questo il motivo per il quale la celebre operetta del Benese mostra così scarsa influenza diretta sugli autori politici bolognesi di quegli anni. Questione aperta diviene però allora quella di determinare il motivo o i motivi di un simile silenzio, pressoché generale~ riferito agli scritti di un autore come il Botero, «solo preoccupato di ristabilire la sottomissione esteriore della politica alla morale, restaurando così quella concezione teocratica del mondo, quella subordinazione d'ogni interesse mondano alla legge divina, cui l'età sua aspirava». 90 Un fine sul quale nessuno degli autori considerati avrebbe avuto, almeno esplicitamente, a ridire.
90
Io., Introduzione, p. 23.
-317-
PAOLO PISSAVINO
BOTERO E ZUCCOLO: UN RAFFRONTO METODOLOGICO
Col richiamate insieme, nel titolo di questo intervento, i nomi di Botero e Zuccolo, si intende dichiaratamente mettere a confronto chi - come sostenne Conring - «Primus de ratione status scripsit» 1 e chi rappresentò per Croce 2 e Treves 3 un esempio pur geniale di chiarezza nella trattazione della problematica della ragion di stato, ben sapendo specificare nell'undicesimo oracolo delle sue Considerationi politiche, e morali la peculiare connessione di ciascuna forma di governo con i comportamenti politici che devono essere perseguiti: «la ragione di stato consisterà in fare quello che la costituzione e la forma della Republica richiede». 4 A ben guardare, un tale confronto non può esaurirsi nel riconoscere la HERMANNUS CoNRINGJus, Opentm ... , Brunswigae, 1730, ma non differente restava la definizione fornita dal Naudé nella sua Bibliographia politica, riedita appunto dal Conring:. doannes Boterus et ingenio fuit admodum fàcile, et ad Politicas dissertationes nato, rem omnem primus, quod sciam, ordine et methodo praeclarissime distinxit», cfr. Gasperis Scioppii, Paedia politices et Gabrielis Naudaei, Bibliographia politica nova editio cura H. Conringii, Hehnestadii, 1663, p. 71. a Cfr. B. CRocE,. Uomini e cose delta vecchia Italia, Bari, 1927, vol. I, pp. 183-199 e Io., Storia dell'età barocca in Italia, Bari, 19533. 3 P. TREVES, La ragion di Stato nel Seicento Italia, «Civiltà moderna», III, 1931, p. 212. 4 LoooVJco ZuccoLO, Considerationi politiche, e morali sopra cento oracoli di illustri personaggi antichi, In Venetia, Appresso Marco.Ginammi, 1621, Oracolo Xl, pp. 54-73; la citazione segue l'edizione del trattatello approntata per Politid e moralisti del Seicento. StradaZuccolo- Settala- Accetto- Brignole Sale- Malvezzi, a cura di B. Croce e S. Caramella, Bari, 1930, p. 39. Il testo di questo Oracolo è stato riproposto da L. FtRPO, pensiero della Rinascef'iza. Protestantesimo e Riforma cattolica, in Grande antologia .filosqfìca~ diretta da M. F. Sciacca, Milano, 1964, vol. X; pp. 671-684. Le Considerationi furono riedite Riviste e corrette, e aggiuntavi una breve risposta alle oppositioni dell'Accademico Pellegrino, come recita il titolo, sempre «>, Considerazioni politiche, e morali cit., Oracolo XI, Della ragione di Stato, p. 38. Tuttavia non aveva disdegnato, in altre pagine delle Considerationi, di riprenderne alcuni terni, come nell'Oracolo LXXXIII, Che la guerra ricerca a dismisura huomini, danari, arme, munitioni, e vettovaglie, sostenendo che «se ben fu detto, che nervi belli pecunia, non però sì dee premere tanto nella copia di denari, quanto nel numero di soldati ben disciplinati, i quali sono atti a fare loro preda l'argento e l'oro degli inirnici», ivi, p. 364. L'ovvio rimando è infatti a Nic~ coLò MAcHIAVELLI, Discorsi sopra la prima deca di Tito Livio, II, 10. 10 LoooVJco Zuccow, Considerationi politiche, e morali cit., Oracolo primo, pp. 1-19. Per un'analisi delle scritture politiche che durante l'età della Controriforma esaltarono l'aristocrazia come la migliore forma di governo si veda il saggio di R. DE MATTE!, L'apprezzamento del regime aristocratico, in Io., n pensiero politico italiano nell'età della Controriforma, Tomo II cit., pp. 54-89. Per la ripresa, nell'Oracolo primo, di un tema politico ben presente nelle discussioni che si svol~ev;mo nella corte di Francesco Maria II d'Urbino - presso cui lo Zuccolo soggiornò dal1608 al 1617-, si ricordi il «dubbio: Qual sia migliore: la republica, o 'l principato, che vogliam dirlo perfetto e non durabìle, o 'l men perfetto, che possa lungamente conservarsi>> al quale il Tasso si piccò di rispondere con la Lettera politica al Sig. Giulio Giordani, riedita recentemente in ToRQUATO TAsso, Tre scritti politici, a cura di di L. Firpo, Torino, 1980, pp. 129-147. Per le amichevoli relazioni che il Faentino sempre mantenne con Giulio Giordani, gentiluomo della corte urbinate, cfr. B. NEmANI, Altre di-
-321-
PAOLO PJSSAVINO
fondare, conservare ed ampliare un dominio>> che fosse «fenno sopra popoli», aggiungendo subito, però, che «ella .. . pare che più strettamente abbraccì la conservazione che l'altre». Infatti a rafforzare questa stia posizione, il Botero avrebbe successivamente ribadito il fatto che negli acquisti territoriali «ha gran parte l'occasione, ed i disordini de' nemici, e l'opera altrui, ma il mantenere l'acquistato è frutto d'una eccellente virtù». 11 Pure, a ben vedere, soffermarsi solo a considerare tali caratteri, comuni ai due autori, non permette di cogliere nella compiuta distanza da quella di Botero, la riflessione politica dello Zu.ccolo. Perché, sebbene non si sottragga all'immagine cogente della conservazione che deve presiedere all'ordinato svolgersi della vita dello stato, lo Zuccolo è ben lontano dall'accettare le forme e il tono del presupposto statuale che il Benese pone all'inizio della sua trattazione: «la ragione di Stato suppone il principe e lo Stato (quello quasi come artefice, questo come materia)>>.t2 Piuttosto, per lo Zuccolo la ragion di stato non si presentava come norma assoluta di una dimensione politica e statuale ristretta all'immagine del principe, ma restava espressione della convenienza dei comportamenti perseguiti dai detentori del potere alla forma di governo per la quale essa ragion di stato veniva ad essere impiegata: Ma perché il fine prossimo di chi dee reggere è di introdurre e di conservare quel1;1 partiColar forma di republica la quale si ha proposta per iscopo, ne avviene che la ragìone dì stato tutta si rivolga intorno al conoscer que' mezzi e a valersene, i quali siano opportuni per ordinare o per conservare qualsivoglia costituzione di republica, qualunque ella sì sìa. 13
ciannove lettere Inedite di Lodovico> Zuccolo riformatore politico faentino del Seicento, «Studi roniagiJ.Oli», xr. 1960, pp. 359'-378. 11 GIOVANNI Bol'ERo, Della ragion di Stato cit., Libro primo, I, Che cosa sia ragione di stato, p; 55; e V, Qual sia opera maggiore: l'aggrandire o il conservare uno stato, p. 58. Per il vero, a questo proposito, ben differente, se non opposta, restava la posizione dello Zuccolo che; nell'Oracolo XXXIX, Se più diffìcil sia conservare gli Imperi o l'acquistarli; si diceva certo •che niuna ragione ci convince ad anteporre assolutamente la: virtù, la quale si richiede nel mantenimento degli stati, al valore, col quale si acquistano, che questo è frutto d'esquisita prudenza, e di vigor d'animo singolare ... , quella altra è opera di senno commurie a molti», Considerationi politiche, e morali cit., p. 183. Per altro vale aggiungere che mentre il Bo• tero si peritava di ricomporre regole e prescrizioni militari eritro la dottrina della ragion di
la
stato, lo Zuccolo puntuahnente e recìsamente affermava che si doveva •ben distinguere da: quelle cose che sono proprie della guerra», Considàationi politiche, e morali cit., Oracolo XI; Della Ragione di Stato, in Politici e moralisti cìt., p. 31. 12 GIOVANNI BoTERO, Della ragion di Stato cit., p. 55. 13 Looov1co Zuccoto, Considerationi politiche; e morali cit,, Oracolo X/1 Della ragione di Stato, in Politici e moralisti cit., p. 27. Lo Zliccolo, sottolineando poi con forza •il senti-
-· 322-
BOTERO E ZUCCOI.O
Tale posizione - appare subito evidente - recava con sé conseguenze teoriche di notevole importanza, che mette appunto conto di sottolineare. Infatti lo Zuccolo non solo riconosceva specifiche attuazioni della ragion di stato per ciascuna delle forme rette di governo che la tradizione aristotelica aveva indicato, ma concedeva anche che fosse plausibile parlare di ragion di stato per specificare alcune delle prassi seguite da qualsivoglia governo, compreso, ovviamente, quello tirannico. Come sì può notare, siffàtte considerazioni portavano con sé acquisizioni di ben ampia portata, tali appunto da rimettere in discussione alcune delle risposte più significative che la cultura politica italiana aveva saputo fornire al problema della ragioii di stato. Recuperare come manifestazioni della ragion di stato le prassi politiche messe in atto non solo dal governo tirannico ma anche da quello regio, aristocratico o democratico, significava, da un lato, contraddire efficacemente l'immagine prodottane dall'Ammirato quale deroga dalle leggi cìvili.14 Intendeva, poi, dall'altro, porre a margine l'affaticato tentativo, messo mento disgiuntivo~ con cui «si debbono pigliar quelle parole» riportate qui nel testo, chiariva con maggiore rigore la propria posizione: «E, per levar via ogni ambiguità, la: quale potesse nascere nelle parole, dico che la ragione di stato non considera quello che assolutamente convenga alla republica, né quello che del pari si appartenga alla tirannide e al regno, o pure alla oligarchia e aristocrazia, ma si travaglia attorno a quelle ultime differenze, per le quali si distingue l'una spezie di governo dall'altra; né pure, verbigrazia considera come la costituzione regia sia differente dalla tirannica o l'aristocratica dalla oligarchica, ma anco più precisamente come la forma regia di Francia sia diversa dalla regia di Spagna o la popolare svizzera dalla olandese», ivi, p. 32. 14 lvi, p. 26: «Non sono le leggi e la ragione di stato incompatibili, come si credette Scipiorte Ammirato, ancorché alcuna volta per accidente l'una ripugni all'altre~. Sicché la ragion di stato era definita dallo Zuccolo nel senso di un differente statuto politico da quello che era ascritto allo «ius», e che aveva portato conseguentemente l'Ammirato a Sosteneme il carattere derogativo, coll'affermare che > che si opponeva «sfacciatamente alla legge di Dio», Botero colpiva la posizione di quanti ritenevano «che alcune cose sono lecite per ragione di Stato, altre per 22
-325-
PAOLO PISSAVINO
Certo non mancarono tentativi, condotti in altri scritti, per compiere una sorta di reductio ad unum del più articolato quadro di risorse e strategie indicato al principe nella Ragiori di Stato. Sicché, presentando nei Detti litemorabili una massima di stato dei Cinesi, i quali ritenevano «si debba Vietare a i nimici l'entrata nel suo paese, e non uscire alla conquista de gli stati altrui», nel conunentarla:, così restringeva gli obiettivi che dovevano essere perseguiti dal principe: «lnvero, la cosa più desiderabile in un dominio si è la sicurezza, la quale non consiste nell'ampiezza di confini, ma nella lontananza di pericoli».25 Ancora, proprio nelle Aggiunte alla sua opera maggiore, il Botero aveva finito. con l'identificare la ragion di stato con la ragion d;interesse, come si legge nel Discorso della neutralità: «perché in conclusione ragion di stato è poco oltre che ragion d'interesse>>. 26 Mette certo conto, per comprendere la critica che lo Zuccolo portava alle posizioni del Botero, notare come la: sila prosa fosse sollecita nel liquidare in poche battute tale flgurazione, ponendo ben in chiaro un carattere essenziale della ragion di stato. Così, ìnfatti, scriveva il Faentino, opponendo alla «ragione dell'utile~ il quale si contraddistingue all'onesto, al giocondo e può aver luogo in tutti gli umani affari>> una «ragione che sia propria allo stato solo, come credo io che si abbia ad intendere la ragione di stato, se vogliamo prenderla nel suo vero e nativo sentimento>>. In questo brano si .mostra non solo la puntuale affermazione, propria allo Zuccolo, della specificità delle prassi politiche che dovevano esser perseguite per ragione di stato, ma ne emerge con chiarezza la volontà di confrontare la sua definizione con i pìù rilevanti acquisti teorici compiuti dal dottrinarisrno italiano. Se, insomma, in Botero sì trovava la aperta giustificazione del restringersi della pratica della ragion di statO al segno dell'utile e dell'interesse, ecco che lo Zuccolo avvertiva che, quando si volesse sostenere tale posizione, bisognava correttamente ritenere in questo caso «che. la ragion di stato si maneggi solo intorno a quegli interessi, i quali toccano la costituzione e la forma della repu~ blica». Invero, a voler rettamente intendere il senso della ragion di stato per quanto la definiva lo Zuccolo, non si deve inglobarvi tutte le azioni che riguardavano l'interesse del principe, ma «quelle solamente le quali socoscienza». Non solo, ma per questa opposizione si sforzava di definire - con quanto successo e quanta chiarezza si è già visto - il vero referente di ogni comportamento politico: la coscienza con «la sua giurisdizione universale di tutto ciò che passa tra gli uomini», cfr. Della ragion di Stato cit., p. 52. lnutile dire che di tutto questo non si trova traccia nell'analisi dello Zuccolo. 25 GioVANNi BoTERO; Detti memorabili di personaggi illustri, In Napoli, 1674, p. 407 .. 26 (]IOVANNI BoTERO, I Prendpi . con le aggionte alla Ragion di Stato, In Torino, Appresso Gio~ Domenìco Tarino, 1601; pp. 110-111.
-326-
BOTERO E ZUCCOLO
lJ.p indirizzate a ben costituire o mantenere in essere quella spezie di go""' verna, la quale si averanno proposta per iscopo». 27 Frutto che dovessero essere di attenta meditazione e di assidua adesione al fine politìco proposto, sotto il titolo di ragìon di stato il Faentino non poneva certo né gli atti casuali dei detentori del potere né quelli causati da affezioni momentanee che cancellano la razionalità dell'uomo. Espungendo dalla lezione delle regole della ragìon di stato tutte quelle azioni provocate da passioni e non da calcolo razionale, Io Zuccolo veniva a tratteggìarne un quadro essenziale, utile per poterla distinguere puntualmente dalla corrente prassi politica. A tal proposito resta infatti importante rilevare come il rifiuto di riassumere le forme della statualità sub specie principatus veniva a determinare, nelle riflessioni contenute nell'Oracolo XI, una ben articolata immagine della politica su cui ricomporre il rapporto tra questa e la ragion di stato. Così, proprio ricordando come solo il .fine «al quale communemente risguarda ne può senza molta difficoltà far conoscere la natura sua», subito introduceva la distinzione tra politica e ragion di stato: La politica pare chç miri principalmente al ben publico, e la ragione di stato più al bene di coloro che sono capi della republica; e in conseguenza la prima ci si mostra con f.àccia onesta e pia, e quest'altra con apparenza malvagia ed empia. Quella rassembra che abbracci tutto il corpo della republica, e questa pare che non si adoperi se non in certi pochi casi particolari. 28
Vale subito notare che la ragìon di stato in tanto assumeva connotazioni specifiche non in quanto, per lo Zuccolo, restava dichiarata espressione dei comportamenti usualmente seguiti da un governo tirannico/9 ma in quanto non abbracciava tutto il corpo della repubblica. Una così ristretta estensione delle azioni che venivano ad essere prodotte per ragt:Oii di stato decideva anche ed immediatamente del suo rapporto con la politica: esserne cioè «membro o facoltà ed arte subaltema>>.30
v LoooVJco Zuccow, Considerationi politiche; e morali cit., Oracolo XI, Della ragione di Stato, in Politici e moralisti cit., pp~ 39-40. 2s Ivi; p. 26. 29 Ivi, p. 33, ov;e controbatte l'opinione «di coloro i quali si sono dati a credere che ogni ragione di stato sia perversa, non si accorgendo che, se quella delle male republkhe è rea, buona sarà quella delle rette». 30 lvi, p. 26. Così almeno nelle buone republiche, ove «la ragione di stato risguarda al bene di chi conunanda e di chi ubbidisce; né si discosta dal giusto e dall'onesto». Invece negli stati corrotti; «le prave republiche•, dove appunto «la politica non si propone per
-327-
PAOLO PISSAVTNO
Rispetto all'immagine onnivasiva che Botero aveva alla fine e lungo il suo libro costruito della ragion di stato, quella che lo Zuccolo seppe darne era senza dubbio ristretta e peculiare. In verità, là critica che Zuccolo muoveva a Boteto non si limitava a tale posizione, anzi, puntigliosaménte osser'vàva: «Si sono alcuni dato a credere che la ragion di stato supponga il principe e lo stato già in essere e che però non si travagli attorno alla costruzione della republìca, attendendo solo alla conservazione; ma sono "'"""' conclude - caduti in grave errore1>. Facile quindi allo Zuccolo restava propome la correzione: «quantunque non possa porsi in essere (la. ragion di stato) quando nianchi l'operante o lo stato, può comunque mettersi in opera prima che si faccia l'introduzione di quella forma particolare di stato».31 Nell'Oracolo XI Io Zuccolo continuava sostenendo come la ragion di stato fosse una dimensione di intervento politico selezionata e particolare, e come si distinguesse in, e distinguesse forme di governo specifiche prima di separare, ovviamente, le prassi delle forme rette da quelle delle forme malvagie di governo. Eppure, mette certo conto di osservare che rispetto a tale articolato quadro concettuale - in cui, giusta l'osservazione del De Mattei, 32 si dava corso, piuttosto che ad una presentazione originale, ad una chiara impostazione di concetti già prima diffusi anche se non correttamente fissati - lo Zuccolo, ritornando in altre opere a trattare dì ragion di stato, finiva per accoglierne una prospettiva ristretta, eppure conseguente alla posizione espressa nell'Oracolo XI. 33 E ciò appare con ogni evidenza allorché si consideri come, illustrando iscopo, non potrà dirsi a modo alcuno che la ragione di stato sia parte della politica; ma né. forse anco che sia ad essa subalternata, ché da subalternante buona non è facile a capire come. subalteinata malvagia derivi». Insomma, in siffatti stati tra politica e ragion di stato vi sarà un rapporto di «Somiglianza e di analogia~. Come avvenga è presto detto: la ragion di stato vi «farà quello ufficio ... che quella parte di politiCa, la quale mira all'introdurre e al conservare la forma, fa nelle buone e rette forme di governo», ivi, p. 36. lVi; pp. 30-31. 32 R. DE MATTE!, n problema della «ragion di StatOIJ nel Seicento cit., P· 711. 33 Invero non manca anche nell'Oracolo XI una sorta di reductio che assumerebbe bene, nell'esaltazione della centralità della prudenza, toni propri non solo a Botero ma soprattutto a Federico Bonaventura- un gentiluomo urbinate autore di un'opera appunto intitolata Della ragione di Stato et Prudenza Politica, libri quattro, edita postuma, dn Urbino, Appresso Alessandro Corvini, 1623» - se non differisse, e molto, il quadro concettuale in cuì è iscritta: «>, ivi, p. 28. LoiioviCo Zuccor:o, Discorso deli'Honore, in Discorsi cit~. p. 190.
-330-
BOTERO E ZUCCOLO
osservare come gli stessi ubbidiscano ((anco Principi mal forniti di Riputatione••.41 Anche venendo ad altra opera, diversa dai Discorsi, si trova. a fondamento dell'immagine corretta di organizzazione politica delineata dallo Zuccolo non l'insieme delle risorse prescritte dal Botero al suo principe (prudenza, valore, giustizia, religione), bensì la rete complessa di ìnterazioni che rende sicura e stabile la vita dei cittadini solo che si ammanti delle forme della reciproca considerazione e amicizia. In tale prospettiva non si vuole tanto richiamare la partecipata adesione che lo Zuccolo dimostrò con suoi scritti quali Il Secolo dell'Oro rinascente 42 o la Nobiltà commune, et heroica 43 - alla lunga contesa sulla trista amicizia tra i due nobilì veneziani Niccolò Barbarigo e Marco Trevisan, 44 quanto, piuttosto, si vuole far riferimento al dialogo Il Molino, overo dell'Amidtia scambievole de' dttadini. 45 È significativo ricordare che in questo scritto lo Zuccolo sostituiva, alla disamina delle forme della ragion di stato l'indagine della ragione armonica che nella città è sempre in grado di unire soggetti socialmente differenti. 46 Sottraendo la sua indagine alla dimensione forte e pregnante di una statua41 LoooVJco.Zuccow, Discorso della Riputatione, in Discorsi cit., pp. 223-224. Al Bote~ ro delle Aggiunte (Della riputazione del prendpe) era rivolta anche la critica della «poca avve... dutezza» nel pensare che «la Rìputatione fosse un misto di amore, et di timore, quasi un Ermafrodito composto di due sessi», ivi, pp. 225-226. 42 Looov1co Zuccow, Il secolo dell'oro rinascerlte nell'amicitia tra Nicolò Barbariga e Marco Trevisano, In Venetia, Appresso Marco Ginammi, 1629. 43 Looov1co Zuccow, Nobiltà commune, et heroica, pensier nuovo, e curioso, In Venetia, Appresso Marco Ginammi, 1625, il cui Capitolo XX recava appunto questo titolo: Demostratione heroica di reciproco amore fra due nobili Venetiani, l'uno per nome Nicolò Barbariga e l'altro lvlarco Trevisani. 44 Su tale ambigua amicizia si veda G. Cozzi, Una vicenda della Venezia barocca: Marco Trevisan e la sua 'eroica amidtia', «Bollettino dell'Istituto dì storia della società e dello stato veneziano», n; 1960, pp. 61-154. ·~ Mette comunque conto di notare che questo dialogo, rivolto a dichiarare i sensi politici che l'amicizia tra cittadini doveva assumere, aveva come propri interlocutori due nobili veneziani, Domenico Moli11o e, appunto, Marco Trevisan. 46 Osservando, sulla sicura scorta del Laelius ciceroniano e dell'Ethica Nicomachea dì Aristotele, le due specie di amicizia che nascono tra «i simili» e «i dissimili», lo Zuccolo affermava infatti che se la «prima spetìe pare, che sì restringa il più delle volte al piacere: la seconda si estende quasi del pari all'utile, all'honesto, all'honore; né però dal piacere intìeramente si discosta» .. Immediatamente dichiarava i significati politici che stretti rapporti ìnterpersonalì potevano as.~umere: «Per l'unione, e per la tranquillità de' Cittadini serve l'una, e l'altra amidtia, ma più la seconda assai. Perché quella col tener concorde ciascun ordine da per sé, vien quasi a fare più Città d'una sola Città, ma questa unendoglì tutti insieme, di più membri difformi costituisce un corpo uniforme. Là prima sì vale di proportione Aritmetica, la seconda di Geometrica, e dell'una, e dell'altra insieme ne risulta ragione simile all'armonica», LoJ)OVICO Zuccow, Il Molino, in Dialoghi cit., p. 175.
-331-
PAOLO PISSAVINO
lità che aveva la stia ragione di produzione nel prudente comportamento di tin principe, che con l'uso delle virtù fondava la propria reputazione nei confronti dei sudditi, lo Zuccolo faceva riferimento ad altro modello politico. La lettura che delle regole di interazione sociale lo Zuccolo compiva nelle pagine del dialogo intitolato Molino restava sicura espressione di una sua peculiare posizione. Non tanto e non solo dal punto di vista ideologico - che pur si dava -, non nascondendo il Faentino interesse e preferenze per il regime aristocratico veneziano, 47 quanto, piuttosto, metodo logico. Infatti, al di là del confronto non rado che venne ad instaurare con la pagina del Botero; si coglie l'orgogliosa affermazione di voler perseguire lo studio dei fenomeni politici «con chiarezza, con: realtà, con evidenza,>; e questa scelta lo aveva portato a non esaurire la propria indagine nelle regole della principesca ragion di stato, ma ad allargarsi a tutte le altre forme politiche. Mette forse conto di notare, a conclusione, che prima e dopo Botero; prima e dopo la sua diffusa precettistica tesa a restringere i fenomeni politici eritro il presupposto della statualità, e questa stessa alla retta e cristiana ragion di stato - opera di un principe valoroso e prudente -, pensatori come il Della Casa - che nel De l!fficiis inter potentiores et tenuiores amicos 48 si era soffermato sulle norme che dovevano presiedere ai rapporti di potere - e lo stesso Zuccolo, avrebbero ricomposto le dimensioni specifiche della razionalità politica entro una trama di indagini che sapeva analizzare e orme, ìa emplici he orrtplesse, el ivere ivile.
n
Lo Zuccolo, infatti, lodava «la provvidenza» che «si è veduta in Venetia, più che in altra antica o moderna città~ al fine di poter «preservarsi almeno lungo corso d'anni». lnvero palese doveva risultare questa sua preferenza per Venezia, se egli stesso aveva posto nell'avviso «L'autore a chi legge» delle Considerationi tali affennazioni: «Chi mi taccia di essere inclinato al nome Veneto, pensa di biasimarmi e mi loda» e «Però degna di eterna lode può stimarili Venetia:, la quale senza: mai essere venuta a guerre ciVili . .. si trova già Vicina al decimo terio secolo libera, grande, augusta», cfr. Considerationi politiche, e morali cit., p. 19 e ~, Annibale Chieppio, inviato del duca di Mantova a Roma, scriveva il 7 maggio 1594: «pare che ormai il papa si dichiari per Aldobrandino» in quanto più adatto «al negotio», e che il card. San Giorgio (Cinzio Aldobrandini) stia «cedendo accortamente», ma non senza opporre resistenza (ASMa, Archivio Gonzaga, busta 963, f. 156). Il Montecatini riferirà a più riprese del diminuito prestigio e dell'atteggiamento altezzoso di Cinzio Aldobrandini (ASMo, Ambasciatori, Roma, busta 160, dispacci del 25 maggio, 22 giugno 1594); tuttavia, il 7 maggio 1594 il duca di Modena dovette riconoscere formalmente San Giorgio come «nipote principale» (ivi, bust{ 153, dispaccio del Gilioli). Secondo L. voN PASToR (Storia dei papi dt., vol. XI, p. 39) la superiorità di Pietro Aldobrandini fu indiscussa a partire dall'autUnno 1594.
-357-
A. ENZO BALDINI
una questione di tempo; in ogni caso erà una decisione che il papa aveva Q~Ì Wittul(ltO dentro di sé. 80 Per poterla ip1porre ai cardinàli più riottosi, Clemente VIU doveva tuttavia pagare non pochi pedaggi, primo fra tutti quello dell'eliminazione da Roma di voci particolarmente dissonanti, fossero esse di :filosofi o di prelati autorevoli. E comunque non doveva difenderli ulteriormente dàgli attacchi che venivano loro· mossi. Pare quindi verosimile che questo fosse uno dei motivi della sconfitta delle istanze di mutamento che diedero vita all'Accademia Vaticana. Ma, pare anche verosimile che proprio queste istanze siano state alla base delle critiche mosse alla Ragion di Stato di Botero, beli cinque anni dopo la sua pubblicazione. Il Piemontese andava aftaccato Iion solo perché filospagnolo, non solo perché ostile ad Enrico di Navarra, ma perché aveva confuso ragion di Stato con politica, proprio lui che nelle pagine sulla Francia delle sue Relazioni universali aveva mostrato di sapere bene cosa fosse la ragion di Stato. 81 Ancora una volta siamo ticondotti ai rapporti tra Botero e la Francia, come conferma in maniera inequivocabile la falsa lettera attribuita a Frachetta e a lui indirizzata, che era per l'appunto tutta centrata sul problema francese e che citava in maniera puntuale l'attacco sferrato contro di lui dà Lomellini. 82 Questi fu anzi quasi certamente l'autore del falso, che fu comunque scritto subito dopo la sua lezione accademica. 6. Le critiche di Lomellini mi suggeriscono tuttavia un'ultima notazione. Non è vero che Botero nella sua Ragion di Stato tratti solo di politica, senza peràltro defii:lirla. Già nella prima edizione veneziana del1589, all'inizio dell'importante capitolo sulla prudenza - quello che da più parti viene indicato come il capitolo machìavelliano dell'opera - Botero fornisce una definizione dì moràle e di politica che di certo sarebbe degna di ulteriori riflessioni. Ma sentiamo cosa scrive: «la moràle dà la cognizione delle passioni comuni a tutti, la politica insegna a temperare o a secondare queste passioni e gli effetti che ne seguitano sui sudditi, con le regole del ben
80 Il 24 maggìo 1594 Antonio Montecatini poteva scrivere al duca di Modena: «pare al signor conte Girolamo [Gilioli] et a me dì aver ritratto dalle parole di Sua Beatitudine et da queste dell'Ill.mo Aldobrandino, che il pensiero di Sua Santità fosse di ribenedire Navarra, però con satisfattione del Re Cattolico, et non potendosi, ad ogni modo» (ASMo; Ambasciatori; Roma, busta 160, alla data). &t In ogni caso Botero lamentava che la sua milizia filospagnola gii aveva attirato contro la malevolenza «de algunos en Italia» (cfr. sopra, nota 50). 82 Cfr. A.E. B.UmNr, Le guerre di religione francesi cit., p. 308.
-358-
BOTERO E LA FRANCIA
governare•>. Dunque la morale è lo studio delle passioni e la politica è la messa in atto di misure volte a controllare le passioni dei sudditi. Siamo qui molto lontani dalla concezione controrifonnistica di una politica fondata sulla morale e intesa come espressione della vera religione cristiana. Questa definizione boteriana sembrerebbe anzi rimandare a quella dimensione eterodossa del dibattito politico francese di fine Cinquecento, che Anna Maria Battista ha ben delineato nel suo saggio dall'eloquente titolo: Nasdta della psicologia politica. 83 In realtà, al di là di questa stimolante sugge;... stione, non v'è dubbio che tale collegamento sia decisamente troppo ardito; ancora una volta ci troviamo molto verosimilmente di fronte ad un significativo debito di Botero nei confronti di Machiavelli, o forse riemerge qui, in tutta l~ sua prepotenza, quel realismo politico che di certo ha caratterizzato i c'oiloqui parigini di Botèro con René de Lucinge.
83 A.M. BATIISTA, Nasdta della psicologia politica. Prefazione di A.M. Lazzarino Del Grosso, Genova, 1982.
-359-
ENRICO STUMPO
LA FORMAZIONE ECONOMICA DI BOTERO E I SUOI RAPPORTI CON IL PIEMONTE E LA CORTE SABAUDA
Come spesso succede il titolo di una relazione può riuscire più o meno felice; nel mio caso, leggendolo a posteriori, mi sembra vagamente errato se non addirittura fuorviante; ci terrei quindi a fare due piccole precisa~ìoni preliminari: in questa sede non parlerò tanto della formazione economica di Botero quanto delle sue conoscenze economiche; formazione è in effetti definizione a un tempo tanto più impegnativa quanto poco adatta; almeno nel caso di Botero e della sua fin troppo nota formazione culturale. Inoltre, per i suoi rapporti con la Corte sabauda, mi limiterò ad un singolo episodio in particolare, visto che tale tema sarà affrontato, sicuramente con maggior completezza, domani, da Franco Barda. Le conoscenze economiche: altri già da tempo hanno scritto ampiamente su tale tema: Botero economista, Botero demografo, Botero precursore della statistica, geografo e naturalista, economista politico, mercantilista, anticipatore di Malthus. Così Gobbi, Supino, Ricca Salerno, Prato, De Bernardi; per citarne solo alcuni: quasi tutti, si noti, autori che hanno scritto fra Otto e Novecento; fino agli anni Trenta del Novecento; nell'entusiasmo creatosi con la nascita di tante discipline: demografia, statistica, economia politica ... poi molto silenzio è calato ... , solo la leggenda su Malthus è stata ripresa negli anni Sessanta da Helleiner, nel suo saggio di demografia storica in uno deì volumi della Storia economica Cambridge; e da H. Denis in una piccola nota sulla sua Storia del pensiero economico. Note e tenni di poche righe tuttavia, quasi a rendere conto di un atto o una citazione dovuta, . .. un piccolo omaggio alla rnemoria, dato quasi più per tradizione che per convinzione; mentre maggior attenzione al Botero mercantilista hanno dedicato nel dopoguerra De Maddalena o Deyon, nei loro studi sul mercantilismo.
-361-
ENRICO STUMPO
Sembrerebbe quindì che la fama del Botero economista abbia subito un graduale declino; nel secondo dopoguerra, sia fra gli storici delle dottrine econom.ìche sia fra gli storici economici e sociali. E in effetti fra gli autori più vicini a noi gli aspetti economici scompaiono a favore della politica; valgano fra i tanti i ben conosciuti lavori di De Mattei, Chabod, Firpo. Le conoscenze economiche di Botero: ricostruirle è possibile certo ma attraVerSo quale chiave interpretativa? Quella tradizionale, classica da storia delle dottrine economiche, già affrontata dagli autori sopra ricordati, in modo da riproporre questo o quell'aspetto, quell'idea originale o antiCipatrice o precorritrice? e segnalare viceversa i passi non originali, quelli dovuti alla lettura dì Bodin o di altri autori del tempo? Ma può ancora veramente essere utile oggi scoprire questo o quel temie rapporto; questa o quella inedita lettura? certo potrebbe forse esserlo per un teorico delle dottrine e allora raffrontare le nozioni di Botero sulla moneta o sui prezzi con quelle del Davanzati, la cui analisi per lo stesso Schumpeter «rappresenta un modello insuperato, in quel periodo, anche per l'eleganza letteraria, della teoria metallista sull'origine e la natura della moneta» potrebbe offrire qualche successo. Magari per proseguire così alla ricerca di questa o quella concordanza o eventuale discordanza. Magari con alcune idee di Antonio Serra o dello Scaruffi ... ma tale strada è già stata egregiamente percorsa e ad essa rimanderò, essendo stato sempre personalmente piuttosto scettico riguardo le grandi costruzioni teoriche, le felici anticipazioni, la ricerca deì precursori Le letture di questo o quel passo possono essere infatti anche fuorvianti: come interpretare ad esempio il seguente accenno alla vendita degli uffici fatto dal Botero, e ricordato dal Costantini nel suo volume sulle monarchie assolute del Seicento? «Chi vende gli uffici vuole gli ufficiali ladri ... ». Banale? generica? conosceva già Botero la situazione francese? quella pxemontese o quella romana? e le implidtazioni sociali connesse alla pratica della venalità degli uffici, il ricambio che poteva fornire tale politica a una classe nobiliare rivelatasi inadeguata a sostenere la politica del principe o dello stato? E l'enorme importanza che il sorgere dì una borghesia o una nobiltà d'ufficio avrebbe comportato proprio sul piano Sociale? In realtà dalla recente storiografia «economico-sociale» Botero è ri:... cordato soprattutto come fonte per questo o quell'aspetto statistico o geografico o descrittivo dell'Impero turco, o di quello moscovita o per descrizioni particolari di costume, a volte quasi accostato a quella fonte fin: troppo sfruttata che furono le relazioni degli ambascìatori veneti al
-362-
LA FORMAZIONE ECONOMICA DI BOTERO
Senato~ E così per fare un solo esempio, Botero non viene praticamente utilizzato dal Braudel autore dei tre volumi su Civiltà materiale, economia e capitalismo; se non per una breve descrizione; mentre lo è sicuramente con maggior interesse dal Braudel di Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II; anche qui certamente più coine fonte, ma anche per alcune osservazioni o giudizi del piemontese~ accolti dal grande storico francese. Le ricorderemo soprattutto come esempio di quanto fossero più che altro dovute a buone letture che a improbabili felici intuizioni. Così Braudel sottolineava, a proposito dei domini spagnoli di Filippo II, come tra gli osservatori contemporanei il Botero (~ ... è ben più lucido ed esatto ... )) nel far rilevare l'importanza delle vie marine per i collegamenti fra i diversi domini e il ruolo svolto dalla marina spagnola e portoghese nel tenere unito un simile impero così diviso. Un buon giudizio certo, applicabile in seguito all'Olanda, alla Gran Bretagna, o anche oggi agli Stati Uniti e prima ancora, nel Mediterraneo medievale a Genova, o Venezia ... in una parola a tutti quegli stati che hanno creato un dominio commerciale e coloniale sul mare. Un'altra osservazione di Botero ricordata da Braudel è dovuta alla distinzione fra guerre interne ed esterne: ovvero ai vantaggi di combattere nel proprio territorio o fuori dai propri confini, secondo in verità il ben noto principio che nel primo caso le spese militari effettuate in loco coprono largamente i danni di guerra provocati dagli eserciti Combattenti. E ancora Braudel ricordava le osservazioni boteriane sugli abitatori delle pianure ... «... accorti e savii e quelli dei monti, che sono assai d'animo e d'ardimento ... l> e illustrando tali osservazioni con l'esempio dei castigliani e degli aragonesi in Spagna: (< ••• i primi s'accomodano volentieri a quel che più piace al loro principe i secondi per li molti privilegi vivono quasi in libertà ... l>. E così per l'Italia ricorda ancora come la Lombar'dia, in pianura, è sempre stata più quieta che la Toscana distinta in monti e valli! 1 Ma anche qui più che novità di pensiero c'è da sottolineare ambivalenza di posizioni, come già aveva ricordato felicemente F. Chabod:
Ecco pertanto non solo ... la stretta correlazione posta fra natura del suolo e produzione ma bensì fra clima e natura del suolo, da una parte e costumi e caratteri degli uomini dall'altra.
F. BRAUDEL, Civiltà e imperi del Mediterraneo nell'età di Filippo II; tr. it., Torino, Einaudi, 1953, pp. 276, 355-357, 361, 364, 406.
-363-
ENRICO STUMPO
Riappare qui per il Botero - secondo Chabod - il non risolto problema cinquecentesco della conciliazione fra il detem'linismo naturalistico, che pu:r sembrava stesse per trionfare e l'esaltazione della forza intelligente dell'uomo. ma: anche qui il teorìco si mostra oscillante a volte attribuendo il predominio all'industria e alla disciplina umana, altre volte passando ad affermare la prevalenza dell'elemento fisico su quello umano, della natura sull'arte ... così a fianco di una storia fatta dagli uomini determinata dalle passioni e dagli interessi degli uomini, c'è una storia fatta dalla natura, dove regnavano configurazioni del suolo e aria e venti le due procedendo spesso su piani paralleli, senza che si potesse decidete cOn sìcurezza quale fosse la dominante. 2
Ecco allora come la chiave d'interpretazione più semplice per comprendere le conoscenze economiche del Botero sarebbe quella di verificare alla luce della concreta esperienza economica dd tempo non già con quella teorica e in larga misura astratta di un Davanzati o un Serra ma con quella posseduta da un banchiere genovese, un tesoriere generale di Piemonte, un mastro auditore camerale~ un generale delle finanze, un tecnico delle fiere di cambio. O dalla stessa informazione che circolava ampiamente e diffusamente in quegli anni: quella ricca e particolareggiata che fornivano gli avvisi, le gazzette, i fogli volanti, le lettere mercantili. È stato giustamente rilevato a proposito della tesi mercantilistica che lo stato aumenta la propria forza favorendo l'arricchimento dei cittadini, come gli autori che difesero questa impostazione furono spesso dei mercanti, dei finanzieri, dei proprietari di manifatture .. . essi difendevano lo stato perché allo stato e ai suoi suc~essi era legato Io sviluppo deì commerci e della prosperità della nazione. Conosceva Botero tali personaggi? ne apprezzava le idee? o si limitava a raccoglierne nelle sue letture ì passi più interessanti? In quegli stessi anni in cui Botero attendeva alla compilazione dei suoi lavori in Piemonte mercanti, banchieri, appaltatori delle imposte e delle gabelle divennero via via il nucleo centrale dell'apparato amininistrativo e finanziario dello stato: ufficiali delle imposte, tesorieri, generali delle finanze, consiglieri di stato e finanze, auditori camerali, presidenti della Camera dei Conti in parte proprio tramite il ricorso alla vendita degli uffici che tanto spaventava il Botero. La Camera dei Conti di Piemonte era l'organo centrale di tutta l'amz F. CHABoo, Giovanni Botero, ora in Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi, 1967, pp. 341-345.
-364-
LA FORMAZIONE ECONOMICA Dl BOTERO
ministrazione finanziaria e contabile dello stato sabaudo; proprio come la Reverenda Camera Apostolica lo era per lo Stato della Chiesa. Erano istituti e organi di controllo e di governo di fondamentale importanza (e di cui ahimè non conosciamo ancora in realtà quasi nulla ... ). Eppure erano proprio i funzionari camerali a Roma come a Torino o a Napoli a gestire e a far funzionare, bene o male, le finanze, la contabilità, il debito pubblico l'economia del paese. Si pensi solo ai problemi connessi a Roma alla gestione del debito pubblico pontificio: Monti camerali, uffici, gestione delle risorse finanziarie, appalti delle tesorerie provinciali, capitalizzazione degli avanzi, paga'menti degli interessi, stabilizzazione del mercato fondiario e immobiliare, inflazione e svalutazione monetaria ... Diminuendo il tasso degli interessi annuali pagati sui luoghi di Monte crescevano gli investimenti negli uffici e viceversa; riducendo quello di entrambi aumentava il valore «de beni stabili», aumentando il valore nominale di emissione dei luoghi di Monte o pagando in oro gli interessi invece che in argento si modificavano profondi equilibri economici e sociali. Conosceva sia pur indirettamente il Botero, che pur si vantava di essere stato a 4 conclavi «et vi ho fatto la mia parte» o di conoscere «Cosa sia Corte Romana e Conclave: ove l'interesse è il mastro delle cirimonie ... » tali meccanismi? Conosceva o almeno avrebbe più semplicemente potuto capire un'operazione invero non complicata come la seguente? Nel1603 venne eretto a Roma dalla Camera apostolica il Monte delle Comunità per permettere alle comunità dello stato di estinguere i vecchi debiti contratti ad alti tassi d'interesse e consolidarli ad un minor tasso d'interesse annuale. Prassi che fu poi seguita fino alla metà del Seicento, e che fu imitata, ma solo più tardi da altri stati italiani. O ancora comprendeva il Botero il circuito finanziario legato al debito pubblico dello Stato della Chiesa? o a quello di Firenze, Venezia o Genova? Comprendeva che le imposte _riscosse in tutto lo Stato ecclesiastico e pagate da un numero assai alto di contribuenti andavano poi a pagare gli interessi dei Monti e degli uffici camerali e quindi a favore di un numero assai minori di inve~titori? di coloro che avevano investito capitali piccoli e grandi nei titoli del debito pontificio? o di quello veneziano o fiorentino? e che tale circuito finanziario in parte contribuiva a drenare capitali fuori dallo stato? E quindi a modificare la sua fin troppo semplice dottrina della bilancia commerciale? Problemi si noti ovviamente conosciuti ai contemporanei, ai mastri -365-
ENRICO STUMPO
auditori camerali, ai mercanti e banchieri genovesi o :fiorentini che dom:lnavano allora. la piazza romana o le fiere dei cambi o il debito pubblico spagnolo o le piazze di Anversa, Lione, Piacenza. Ma, sembra, del tutto ignoti al Botero egli come altri autori del tempo del resto, compreso lo stesso Bodin, continuavano ancora a scrivere sull'usura e sui gravi inconvenienti che poteva provocare. Giusto certo come scrive il Botero lamentare che: . 20 Nei primi mesi il principe di Piemonte Filippo Emanuele rimpiangeva la vita libera e un po' viziata di Torino e desiderava tornare a casa. 21 Vittorio Amedeo, che sembrava destinato al cappello cardinalizio, si era mostrato più studioso del consueto e voleva parlare in latino con Botero ».:i4 Botero non limitava i suoi interventi ai principìni, svolgeva anche il compito dì informatore politico e comunicava al duca tutto ciò che poteva interessarlo, le sue impressioni e i consigli su come agire. Egli consiglia a Carlo Emanuele di inviare qualcuno presso l'imperatore a >, segno apparente di una «prudente e quasi velata assimilazione delle 'novità' teorico-politiche>>, indice (almeno a prima vista) di una «tendenza del Grégoire a far 'scivolare', per così dire, in modo quasi inavvertito nel testo proposizionii concetti, formule estranee alla tradizione giuridico-politica e teologico-politica medievale, che pure resta alla base del suo 'quadro della realtà'». 5 La tacita recezìone di Botero nel De Republica (la Ragion di Stato è citata espressamente solo molto più avanti nel testo, quasi a puro titolo documenta-
2 Per tutto ciò sì rinvia all'importante relazione dì A.E. BAIDINI; Botero e la Franda, negli Atti di questo Convegno. l Cfr. ancora, L. GAMB!NO, n «De Republii:a•> di Pierre Grégoire cit., p. 15 e passim; ulteriori spunti in D~ QuAGLIONI, Tirannide e tirannicidio cit:, p. 341 sgg., e Io., Legge e legislatore nel «De Republiw> cit., p. 103 sgg. De Republica libri sex et viginti, in duos tomos distinai. Authore Petto Gregorio Tholozano, Pontimussani; MDXCVI: V, 1, tol11. I, p. 235; qualche prima osservazione sul passo è in D. QuAGLIONI, Tirannide e tirannicidio cit., pp. 343-344. 5· D~ QuAGLIONI, Tirannide e tirannicidio cit., p. 343.
-396-
IL 'DE REPUBLICA' DI PIERRE GRÉGOIRE
rio, nell'ultimo capitolo del libro XX) 6 assume una speciale importanza inrianzi tutto in ragione della rapidità dell'attestazione. L'opera del Grégoire, come si sa, apparve a stampa nel 1596, dieci anni dopo il rifacimento latino della République di Bodin e sette anni dopo la Ragion di Stato; tale data porrebbe la 'lettura' boteriana del Grégoire come pressoché contemporanea a quella di molti altri autori dei quali la critica storica si è occupata, dall'Ammirato al Toppi al Mancini; 7 ma se si ha la pazienza di indugiare sulle fitte pagine del gran libro del Grégoire, si scoprirà che quella lettura ha da essere, con buona verosimiglianza, retrodatata al1591, a due anni di distanza dunque dall'apparizione della Ragion di Stato; e ciò per testimonianza dello stesso Grégoire, che sostiene di scrivere «in nostro anno millesimo quingentesimo nonagesimoprimo [...J vbi saeuiunt arma, vbi nihil colitur, et seritur, vbi fames maxìmam partem populi consumpsit ... >>. 8 Drammatica testimonianza, che si legge nel capitolo V del libro XXI e che, oltre a stabilire con maggior sicurezza la data di redazione del De Republica, mostra come proprio nel pieno delle guerre religiose e nel turbamento più acuto delle cose di Francia, e non nel momento di 'assestamento' delle cose di Francia, un giurista della statura del Tolosano andasse all'affannosa ricerca di una risposta a quesiti fondamentali, rivolgendosi non più (o non più solo) alla tradizione ma allibro del Botero ancor fresco di stampa. Più importanti ancora della rapidità della recezione, tuttavia, sono i modi stessi di quella recezione, le particolarità, nella traduzione della formula boteriana con la quale si apre il V libro del De Republica, di quel «reipublicae tractatus seu solicitudo» che volge in un latino a prima vista alquanto innocuo la più 'pericolosa' locuzione («l'arte del fondare e dell'ampliare>>, in Botero), ma
6 De Republica libri sex et viginti , .. Authore Petro Gregorio Tholozano, cit., tom. II, p. 216. Ricorda quest'ultimo luogo L. GAMBrNo, Il «De Republica» di Pierre Grégoire cit., p. 17 e nota 37. 7 Per i quali cfr. R. DE MATIEl, Il problema della ~>. 22 Che tutto ciò fosse non già del Toppì, ma «una illum.lnazione del pensiero del Botero, superiormente riassunto secondo una comprensione generale»/3 come qualche moderno interprete ha voluto, è cosa che non mi sentirei dì affermare a cuor leggero. , Simili 'traduzioni', con le loro inevitabili forzature, non riescono a celare il timore che l'antidoto boteriano sia volto a salvare le «utili ricette machiavelliche».24 Ancora, esse intendono che la formula boteriana intacca non un aspetto marginale della dottrina giuspolitica dominante, ma intacca una concezione generale del diritto e della politica: nell'età della Controriforma cit.,
.
Ibid., p. 54. lbid. 22 Ibid., p. 55. La citazione del Toppi è tratta dal suo commento a D. 1, 3, 31: FRANciSCI TciPII PomiANI, Ad legem Princeps Dig. de Legibus Commentarla ... , Romae, Apud Al. Zannettum, 1594 (ma cfr. anche il successivo Tractatus de potestate principis secularis, Florentiae, Apud Iuntas, 1607). Di due anni successiva è l'opera di CELSo MANCINI, De iuribus principeituum, Romae, Ex typographia Guilelmi Facciotti, 1596. 2.l R. DE MAm1, Il problema dflla {tRagion di Stato>> nell'età della Controriforma cit., pp. 20
~~~
.
u Cfr. ancora E MEINECKE, L'idea della ragion di stato nella storia moderna cit., p. 67. 25 W. CESAR.INI SFoRiA, L'eterna ragion di Stato, in Cristianesimo e Ragion df Stato. L'Umanesimo e il demoniaco nell'arte, Atti del Il Congresso Internazionale di Studi Umanistici~ a cura di E. Castelli, Roma-Milano, 1953, pp. 5-9: 7.
-400-
IL 'DE REPUBLICA' DI PIERRE GRÉGOIRE
terque administranda~ come recita già il sottotitolo del De regia sapientia del Botero. 26 E per il giurista formato alla tradizione romanistica, ciò vuoi dire (come beh vide Rodolfo De Mattei) 27 emersione in forme nuove del problema della deroga, della ragione di Stato (come ragionava l'Ammirato qualche anno dopo Grégoire) come «contravvenzione di legge ordinaria, p et rispetto di pubblico beneficio, ovvero per rispetto di maggiore e più univer;.. sale ragione». 23 A fine Cinquecento, nell'avanzare della crisi della tradizione romanistica e nell'emergere di sempre più forti istanze di secolarizzazione e di positivizzazione del diritto, un complesso imponente di dottrine giuridiche mostrava la sua insufficienza. La formula stessa dell'Ammirato non può non richiamare la concezione bodiniana della sovranità come potere di de'rogare al diritto ordinario. La teorica dell'immutabilità e inviolabilità dei diritti naturali come limite al potere del principe legislatore subiva essa stessa dei colpi irreparabili, e Bodin poteva chiedersi se il magistrato potesse ragionevolmente opporsi a quei comandi del principe che egli ritenesse contrari al diritto di natura: 29 car la iustice & raison qu'on dit naturelle, n'est pas tousiours si claire qu'elle ne treuue des aduersaires: & bien souuent les plus grands iurisconsultes s'y trouuent empeschés, & du tout contraires en opinions ... 26 L. FrRPo, Gli scritti giovanili di Giovanni Botero. Bibliografia ragionata, Firenze, 1960 («Biblioteca degli eruditi e dei bibliofili», XLV), pp. 20-24. 27 R. DE MATTE!, n problema della nell'età della Contror!forma cit., p. 50; cfr. ancora F. M.EL" e un sulla popolazione di Roma, a cura di L. Firpo, Torino, 194:8, p. 198. 39 De Republica libri sex et viginti ... Authore Petro Gregorio Tholozano cit., X, l, tom. I, p. 592. 40 Ibid. Ibid.; cfr. ancora D. QuAGLIONI, Legge e legislatore nel t. 10 L'utopia di Machiavelli è la stabilità monarchica o repubblicana; l'utopìa di Botero è la lega universale dei popoli cristiani sotto la presidenza della: Spagna. Botero stima solo la conservazione. Ma, aggiunge Ferrari, dotato di cultura internazionale, stima altresì la democrazia svizzera e l'aristocrazia veneta. È indubbio che l'opposizione politica al Piemonte risorgimentale si riflette nell'analisi del piemontese Botero, in cui Ferrari vede le caratteristiche a suo giudizio tipiche dell'atteggiamento politico subalpino: Botero è un politico amministrativo, un gesuita, un conservatore; cauto, sornione, privo di ingenuità e di innocenza, «n'est que le gnnd prince cles médiocrités contemporaines». Ciò non impedisce a Ferrari di vedere in Botero anche uno spirito aperto, osservatore di fatti economici, autore di considerazioni utili al commercio, all'industria, all'uguaglianza, assertore dell'importanza dell'economia, l'economia politica che per Ferrari condiziona; sotto apparenze guerriere e politiche, la composizione e la scomposizione degli Stati, 11 sulla base della tendenza naturale dell'uomo a perseguire i propri interessi. In Ferrari non c'è, e non poteva esserci, un'analisi più sottile dell'opera di Botero sulla ragion di Stato, e in generale della trattatistica da lui originata, considerata frutto di un'epoca dominata dalla paura della Riforma, dal timore del libero esame e del disinteresse della scienza, data la sua distinzione netta tra assolutismo e assetto costituzionale, ossia tra i vizi consi-
lvi, pp. 255-256, 398. G. FERRARI, Corso sugli scrittori politici italiani e stranieri, Milano, Monanni, 1929, pp. 269-297; Histoire cìt., pp. 60, 299-303. 10
11
-439
SILVIA ROTA GHIBAUDI
detati tipici dell'Italia tradizionale (declamazione, cattolicesimo, vanità, raggiro, gesuitismo 12) e chiarezza e pubblicità della vita politica costituzionale. «]e parle d'mie science occulte, tuée par la publicité moderne et solennement proscrite pa.r la révolution de 1789>>, dice nella Préface all' Histoite de la raison d'État: Tuttavia nella sua trattazione ci sono indicazioni generali illuminanti, segno che il tema non è passato inavvertito: la fortuna dei politici in Italia - dice - è rivoluzionaria: ovunque la teoria è in contraddizione con i fatti; essi protestano con un'idea contro il governo che li opprime. 13 Finché ITtalia fu iibera i suoi scrittori invocano il dispotismo. Quando la nazione cade sotto il dominio spagnolo; allora la repubblica, la libertà, la federazione incitano al progresso. 14 Gli scrittori della ragion di Stato sono sottomessi come autori alle leggi della ragion di Stato, che essi hanno supposto, senza poter comprendere. 15 Qui il tennine ragion di Stato è assunto in un'accezione generale, come la risultante dì situazioni particolari, in gran parte indipendenti dalla volontà individuale, e nello stesso tempo la condizione del mutamento politico di realtà nazionali e internazionali. Sono le cause generali, e non gli uomini più o meno grandi, a guidare il mutamento storico, Inoltre; osserva il Ferrari, le parole, la discussione, l'elaborazione teorica divulgano segreti, istruiscono amici e nemici, turbano i c1ttadini. 16 Scopo di Machiavelli è il successo, ma - aggiunge il Ferrari nell'opera dedicatagli - «il suo genio, più potente delle intenzioni sue, lo trascina al cospetto del publico, divulga i suoi secreti, trasforma la misteriosa sua scienza in una splendida e scandalosa satira dei vantaggi della menzogna e degli inconvenienti della verità». 17 Ferrari vede nella trattatistica della ragion dì Stato l'opposizione ai pericoli della Riforma, e quindi la difesa dei poteri costituiti. Ma l'analisi, per quanto riguarda la condotta politica interna dei governanti, nonostante le premesse generali ricordate, non scava in profondità. Ferrari trascura che nell'esplicita adesione al potere costituito si nasconde tuttavia anche una critica alla condotta politica dei governi. La di-
Machiavelli cit., p. 254. Histoire de la rai;on d'État cit., p. 248.
'a. G.
FERRARI,
13
G.
FERRARI,
14
lvi; p. 355.
16
lvi, pp. 223-224. lvi, p. 380. G. FERRARI, MachiavelU cit., p. 170.
-440
IL BOTERO
m
GIUSEPPE FERRARI
stinzione tra ra:gion dì Stato e prudenza in Botero, tra ragion di Stato vera e falsa, buona e cattiva, degli ·altri trattatisti, avrebbe richiesto un'analisi particolare. Se Ferrari afferma che Tacito è repubblicano,ts e tali anche i tacitìsti, coinvolto nei problemi del Risorgimento italiano, storicamente giudicato come un esito collegato agli avvenimenti e alle tradizioni del passato, sottolinea che le istituzioni politiche sono il risultato della forza, della conquista, del dominio, e non indaga sulle teorie che, riferendosi alla religione, richiedono ai governi costituiti una condotta aderente ai principi cristiani e ai principi di giustizia. I consigli di buon governo sembrano contraddetti dall'invito alla forza, al raggiro, alla reptessione degli eretici. Obbedienza e soffocamento della ribellione appaiono anche a Ferrari, come a molti interpreti posteriori, le caratteristiche dominanti la trattatistica della ragion di Stato. Inizia la Préface all' Histoire de la raison d'Eta t con queste parole: «Ce n'est pas la justice qui fonde les royaumes, ni la vertu qui distribue les couronnes; le crime peut présider à l'origine cles empires, l'imposture crée parfois cles vastes religions, et une évidente iniquité fait souvent paraitre et dìspara1tre les États, comme si le mal était aussi riécessaire que le biem>. Ma, se così fosse, perché all'interno della stessa trattatistica è presente e ripetitiva la: distinzione tra buona e cattiva ragion di Stato, correlata anche alla distinzione aristotelica tra forme buone e degenerate? Il fatto è che tale trattatistica, tutta rivolta ai governi, e solo indirettamente ai governati, si snoda in una duplice direzione. La realtà europea delle guerre di religione detta i precetti di soffocare sin dai primi sintomi la dissidenza religiosa, il settarismo religioso e la ribellione religiosa, senza attendere che essi diven;... tino così forti da turbare irrimediabilmente l'ordine costituito. D'altra parte, è esplicita l'affennazione che una buona condotta di governo sotto l'aspetto economico e giuridico risulta la migliore prevenzione delle ribellioni in genere, e delle ribellioni religiose in particolare. In tale posizione è presente l'intenzione di sottoli11eare il disagio economico dei sudditi che può sfociare anche in ribellioni religiose. Quindi, attraverso questi consigli, si rivela la convinzione che buona.poli~ica è quella che tiene conto del bene comune, che si impone con l'abitudine ad un retto comportamento. Se si desidera stabilità, occorre rimuovere ogni tentativo di ribellione median.
l
13 G. FERRARI, Histoire cit., p. 100. E inoltre: «Tacito, laconico come il sapiente, veridico come la liq.ertà, impassibile come il destino, e nel medesimo tempo sublime e sprezzante a tal modo che mèntre ci fa abitare un cielo superiore all'Olimpo degli dèi, ci rende ragione delle calcolate nefandità nelle qualì si precipitano i popoli corrotti~> (G. fERRARI, Corso sugli scrittori politici cit., p. 326).
441 -.
SILVIA ROTA GH!BAUDI
te U:na. buona amministrazione della cosa pubblica: obbedienza da una par;... te, e buona gestione politica dall'altra. Se manca l'obbedìenza, si può repnmete cori ogni mezzo; in questo caso, però, la giustificazione della repressione riposa sull'interesse di tutti; ossia la pace sociale, unita al buon governo, rappresenta la maggiore garanzia di stabilità. l precetti enumerati ìn modo asettico e monotono trad!scono una critica all'esercizio usuale del potere, una critica espressa con il metodo tipico del discorso religioso, ma pur sempre critica, come ha sottolineato Rodolfo De Mattei. 19 Il bene agire dei governanti, sul piano religioso si fonda sul dettato divino, sul piano politico sull'interesse reciproco di governanti e governati. Con esso i primi conservano il loro potere, i secondi godono della pace e della giustizia. Fuori di tale reciprocità, vìen meno la garanzia di stabilità. L'esigenza di stabilità consente l'ìndividuazione dell'interesse comune, che si fa strada anche attraverso la forza. 20 Il discorso sulla ragion di Stato avrebbe potuto limitarsi, data la situazione europea, ai precetti relativi agli eretici, se scopo dei trattatisti fosse stato solo la conservazione dell'ordine esistente nei vari organismi politici. La gravità del problema, soprattutto dopo la notte di S. Bartolomeo, avrebbe pienamente giustificato una trattazione specifica. Ma, volutamente, il discorso politico si allarga a tutti gli aspetti della gestione politica, sottolineando indirettamente che in politica, · come in ogni aspetto della vita, tutto si collega, per cui, volendo risolvere un problema, occorre porre attenzione a tutti gli altri ad esso connessi. Questa caratteristica della analisi della ragion di Stato, che la rende tanto ambiziosa nella sua pretesa di completezza, tanto noiosa per il tono uniforrtle con cuì vengono affrontati i problemi, siano essi scottanti o tradizionali, tanto ripetitiva nei vari autori; che sembrano cantare in girotondo una stessa cantilena, è tuttavia la più significativa ed interessante nei fini perseguiti, Essa nasconde una critica precisa alla condotta governativa. È una critica cauta, in sordina del modo corrente di governare, così come era stata, ma in modo schietto e sonoro, in Machìavelli; in particolare il Machiavelli del princìpato civile.21 Chì, altrove, aveva avanzato la stessa critica, aveva adottato altre cautei 9. Cfr. in particolare R. DE MArrEJ, L'idea democratica e contrattualistica negli scrittori polit!'d italiani del Seìcentu, «Rivista storica italiana» (Napoli), LX, 1948. Per la discussione generale dd problema: cfr. A. TENENTI, Stato: un'idea, una logica. Dal Comune italiano all'assolutismo francese, Bologna, Il Mulino, 1987. Cfr. di G. SAsso, N. Machiavelli, Bologna, Il Mulino, 1980 e gli altri scritti dediCati a Machiavelli.
-442-
IL BOTERO DI GIUSEPPE FERRARI
le. È il caso, ad esempio, di Montaìgne, che cela: il discorso politico all'interno di considerazioni di altro tipo; mescolando i vari argomenti, frammentando quelli politici in modo da rendeme difficilissima la ricorrtposizìone. Ma il modello implicito dei trattatisti della ragioh di Stato è Bodin, il quale nella dedica: della sua opera dichiara che si devono aiutare i governanti , Ferrari passa sotto silenzio il tentativo dì rivalutare all'interno dell'organizzazione politica la funzione e l'influenza dell'apparato amministrativo in Bodln e di quello ecclesiastico in Botero, allo scopo di temperare sostanzialmente l'assolutismo formale~ O forse, per quanto riguarda Botero 7 l'esplicita. proposta di quest'ultìmo del Consiglio di coscienza e della capillare incidenza del clero nel tessuto sociale di assistenza e di educazione e nella mentalità dei sudditi contribuisce alla valutazione negativa della sua opera. Fetrilrila esprime nel momento dell'unificazione italiana e della irri'solta questione di Roma. In conclusione, Ferrari fa di Botero un precursore della politica piemontese risorgimentale, volta a conservare, anziché ad innovare. D'altronde le conquiste innovative, nella concezione politica generale di Ferrari, si trasformano ben presto in conservazione del nuovo potete. Il dispotismo genera la democrazia; nelle monarchìe le rivoluzioni sono repubblicane all'inizìo per diventare monarchiche alla fine. 30 Per Ferrari la scansìone degli
28
G.
29
G~ FE.RRARI,
30
G.
FERRARI,
FERRARI,
Teoria dei periodi politici, Milano, Hoepli, 1874, p. 158. Filosofia della rivoluzione, in G. FERRARI, Scritti politici cit., p. 503, HWoire de la raison d'État ck, pp, 26, 35, 404,
-444-
IL BOTERO DI GIUSEPPE FERRARI
avvenimenti politici si svolge in quattro tempi: preparazione teorica, mutamento, reazione, soluzione. La trattatistica della ragion di Stato si ìnserisce nel periodo politico della Riforma, dì cui rappresenta la reazione. Col trattato dì W estfalìa, dice Ferrari, gli scrittori della ragion di Stato spariscono e anche Tacito cade nell'oblio. ~ 1 Ma, aggiunge Ferrari, non è la ragion di Stato che è spenta, è l'ingenua speranza che i precetti di Machiavelli o di Botero possano comandare gli avvenimenti e formare una specie di necromanzìa sociale per produrre grandì uomini a volontà o rivoluzioni a piacere.32 Secondo Ferrari, il mutamento della realtà, che negli aspetti politici, sia ideologici che istituzionali, segue la suddetta scansione, nella sostanza trasforma lentamente la società. 33 Questa la posizione del Ferrari storico e scienziato della politica. Ma il Ferrari politico, partecipe degli avvenimenti del suo tempo, sottolinea con particolare enfasi espressiva il significato stimolante della Riforma che con'"' tinua il Rinascimento italiano (Ferrari usa il termine Risorgimento) e diventa poi illuminismo e costituzionalismo americano e francese. «Dopo Lutero - dìce nel 1849 - la Chiesa altro non è più che una tirannia»; «Da Lutero in poi ogni uomo era pontefice, nel secolo XVIII ogni uomo diventa re». 34 Ferrari distingue la teoria dall'azione. La teoria consente dì spogliarsi in qualche misura dei vincoli contingenti, sia mentali che pratici, per acquisire una visione universale e disinteressata. L'immersione negli avvenimenti vissuti condiziona invece in qualche modo la visione dei problemi. Questo per i pensatori politici. I governi invece sono completamente dominati dal contingente. «Poteva forse - dìce Ferrari 35 - un duca di Savoia dìventar repubblicano colla Svizzera, coll'insurrezione che lo spodestava e colla Riforma che lo esponeva debole, isolato e quasi detronizzato alla collera della Francia, della Spagna, dell'Impero e dell'Italia?». Ciononostante per Ferrari Botero mancava dell' «indomita libertà dì giudizio)> che faceva sì che Machiavelli e Guìcciardìni rimanessero sempre gli stessi, sia servendo i MediCl, sia propugnando la repubblica. 36 Ferrari non elabora una comparazione sistematica tra Machiavelli e lvi, pp. 351, 353. n lvi, p. 375. l3 G. FERRARI, Essai sur le pricipe et /es limites de la philosophie de l'histoire, Paris, Joubert, 1843, p. 324. 34 G. FeRRARI, Machiavelli cit., pp. 226, 230. ,s G. FERRARI, Corso sugli scrittori politici cit., p. 274 .. 36 lvi.
-445-
SILVIA ROTA GHIBAUDI
Boteto, sebbene essa emerga nitidamente dalla trattazione separata dei due autori. Machìavellì proclama il regno della ragione, la convinzione che la dìstinzione del bene e del male è completamente arbitraria, estranea alla politica e all\mìverso. Nemìco implacabile delle debolezze dei signori; dei loro tentennamenti e delle loro indecisioni, Machiavelli invita ad azioni tempestive e decise. Ma Machiavelli- dice Ferrari nel1849 37 ..... «non raggiunge mai lo scopo prefisso, e ne raggiunge sempre un altro infinitamente più elevato, a cui non pensa. Vuole difendete l'Italia, e inutilmente; eglì dimentica l'Europa, e prepara involontariamente una rivoluzione europea». «La sua dottrina - argomenta Ferrari - è individuale, e l'individuo nulla può, se non rappresenta le idee della moltitudine: l'individuo non ptiÒ creare se stesso, ma è creato dal stio secolo». 38 Machiavelli ; per lui. è «l'intelligenza ... che crea la religione»; >. Inoltre . 41 Ferrari conclude: «Nulla si compie nel mondo polìtico che possa scostarsi dalla teoria del successo indicata dal Machiavelli: eppure questa teoria non dispone di alcun successo», perché Machiavelli è e che si è sempre lamentato di essere plagiato da altri. 8 Può essere uno di quei casi, frequenti all'epoca, di manipolazione editoriale? Difficile rispondere, ma può essere, tenuto conto sia della diversità delle edizioni boteriane che dell'esistenza di codici campanelliani (soprattutto di quello esistente nella biblioteca di Sainte-Généviève di Parigi, verosimihnente corretto di pugno dallo stesso Campanella) assolutamente privi di rimpolpamenti boteriani. 9 A De Mattei pare intanto sufficiente aver portato un contributo esegetiCo, alla luce del quale riconsiderare l'apporto di Campanella alla cultura politica del Seicento e il suo debito pratico e ideale nei confronti del Botero.10 Senza per questo sottacere che , t. XXXIX, 1889, p. 271. 44 G. RiccA SALERNO, Storia delle dottrine finanziarie in Italia, Palermo, 18962, pp. 131-132.
n
45 Inventario del/i libri che sono presenti IJ.ella Biblioteca dell'Em.mo Sig. Cardinal Mazzarino in Roma, Paris, Bibliotéque Nationale, Mass. it. 478. 46 Cfr. G. NAUDÉ, Considerations sur les coups d'État, Roma, 1667, pp. 93-94.
Cfr. «Il Tevere», Roma, 23 settembre 1935. Le lettere d'incarico (17 giugno 1935) del podestà generale Massimo Soardi e del commissario prefettizio Camillo Moretti, su designazione della Confederazione Fascista Professionisti ed Artisti sono conservate nell'Archivio privato di Casa De Mattei. La conferenza (Giovanni Botero), tenuta in una chiesa saltuariamente adibita al culto, opera dell'architetto Gallo, sarà pubblicata in Celebrazioni Piemontesi, Urbino, 1936, vol. I, pp. 269-295, 49 R. DE MATIEI, Giovanni Botero cit., p. 273. 47
48
-455 -·
LUCIANO RUSSI
Omaggio all'attualità politica -' siamo nell'ìmniediata vìgilia della spe. . dizione mussoliniana in Mrica Orientale - è il recupero del ragguaglio di Botero sull'Abissinia (terra ricca e fertile) e sugli Abissini, i quali no11 mostrerebbero «ingegno e sottigliezza se non in rubbare (sic!) e in guer. . 50 reggiare1 alle quali due cose hanno inclinatione naturale». Sulla questione del plagio De. Mattei confenrta il ptinto di vìsta espresso otto anni prima: «un clamoroso esempio di utilizzazione dei ma~ teriali boteriani nelle intetpolazioni eseguite da un ignoto zelatore, che un magro testo della Monarchia di Tommaso Campanella imbottì con intere pagine della Ragion di Stato e della Grandezza delle dttà del Botero, fino ad indurre in inganno gli stessi amanuensi ed editori, sicché; ancor oggi, dopo una lunga serie di edizioni in tedesco, latino, inglese; italiano, un bel mucchio di pagine boteriane corre sotto l'etichetta di Tommaso Campanella>>.51 Sul piano intetpretativo lo storico del pensiero politico non condivide la tesi desanctisiana 52 di un Botero «conservatore», o meglio teorico dello Stato > sono definiti ; cioè incuranti eli Dio e del 68
69
Vangelo (pp. 1.7-18). 73 Sì veda la Lettera dedicatoria a >, Arcivescovo eli Salzburg. Cfr. anche la Ragion di Stato cit. l. X, cap. IX.
-460
IL BOTERO DI RODOLFO DE MATTE!
te da quanto va facendo Scipìone Ammirato/4 che pure sulle città ha ben px~esente
l'opera boteriarta/5 e successivamente farà Traì~mo Boccalini. 76
In conclusione, l'interpretazione dematteiana costituisce una ripresa filologicamente motivata ed ermeneuticamente assai equilibrata (fra liqUidazione semplicistica e apologetica infondata) della letteratura boteriana sulla ragion di Stato. Una vocazione studiosa che è durata oltre cinquant'anni, fatta di acribia filologica, di tanti aggiornamenti ed infinite riscritture, di continui ritorni ai documenti ed ai testi, di ricostruzione di ambienti storici e di atmosfere culturali. Una vocazione sempre priva, comunque, di pregiudizi o di quella tendenza (più o meno dichiarata) che non raramente sacrifica l'oggetto di ricerca ad una tesi storiografica pre-costituita; una vocazione costntita sulla esposizione/ descrizione di un pensiero o di una tematica, nell'impossibile speranza di annullare la propria soggettività; una vocazione sempre orientata ad astenersi dall'indicare le coordinate generali che carat~ terizzano un'epoca, un autore o una problematica. Sia lecito .insistere su queste scelte metodologiche e stilistiche perché esse gli hanno procurato non pochi rilievi critici. L'autore preso in esame è sempre rappresentato da De Mattei attraverso le opere, anche a costo di esaurire l'esposizione in urta lunga serie di citazioni o in un commento narrativo del testo. Lo studioso resta così essenzialmente un lettore che si serve di un armamentario tecnico per interrogare il testo. Gli strumenti di lavoro sono quelli classici di ogni artigiano: ìn parte pre-esistenti, in parte inventati al momento del bisogno, alcuni semplici, altri raffinati, tutti finalizzati alla comprensione anche di quello che sembra o può restare incomprensibile. Non solo su Botero, ma neppure su Machiavelli o Campanella, sui quali pure ha pubblicato centinaia di saggi," egli ha mai scritto tin volume organico e monografico, se co~ì vuole chiamarsi l'opera considerata conS. A.'1.1MIRATO, Discorsi sopra Cornelio Tadto, Firenze, 1594. R. DE MATTF.I, pensiero politico di Scipione Ammirato, Milano, 1963, p. 73. 76 T. BocCALINI, Commentari sopra Cornelio Tadto, Cosmopoli, 1677. Sulla questione Giuseppe Toffanin aveva pubblicato Machiavelli e il 11Tacitismo>>. La politica storica al tempo della Controriforma; J?adova, 1921. 77 A dieci anni dalla morte, manca ancora una bibliografia degli scritti di Rodolfo De Mattei. Una prima messa a punto è quella di L. RossJ, Rodo!fo De Mattei e la storia del/(! dottrine politiche, «Trimestre», XIII, 1980; pp. 127-134. Un inquadramento del contributo dematteiano alla fondazione della disciplina è dovuto a S. TESTONI, La storia delle dottrine politiche in un dibattito ancora attuale, «Il Pensiero Politico», IV, 1971, pp. 308-380. 74
75
n
-461-
LUCIANO, RUSSI
elusiva o terminale di una ricerca. I suoi libri sono stati sempre raccolte di saggi, a testimonianza di una vocazione al non-finito, al nonc..concluso. In questo atteggiamento, una persona a lui cara, ma cara anche a Luigi Firpo (e credo a molti di voi e non solo a me carissima), Anna Maria: Battista, ha visto un esempio massimo di probità scientifica ed una lezione di profonda umiltà da parte di chi, come personaggio pubblico, appariva invece altero ed it·onico, inondano e solitario. 78 A questo complesso intellettuale siciliano-romanizzato il piemontese Luigi Firpo riservò elogi e critiche, adesioni e dissensi, gratitudine e liquidazìoni: tutte oscillazioni, d'altra parte, proprie di ogni vero, grande rapporto intellettuale. . Con chi è stato pioniere (e De Mattei lo è stato in quella terra di cultura recintata a: fine secolo e nei polverosi anni-trenta accademicamente definita ((Storia delle dottrine politiche»), non si può avere un rapporto lineare, sempre troppo forte essendo il legame con lui, ma anche la voglia di recidere 11 cordone per andare oltre. Questo è stato il legame tra Firpo e De Mattei.79
Cfr. A.M. BATTISTA, Rodolfo De Mattei, «Trimestre~. XVII, 1984, pp. 121-126. Solo per un'esemplificazione, nel 1946 Firpo contrappose la «serietà e la preparazione}) con le quali De Mattei aveva curato l'edizione de La Repubblica di Evandria dì Ludovico Zuccolo (Ronia, 1944) al dilettantismo con cui Alberto S:ivinio aveva preparato La Città del Sole di Campanella (Roma, 1944). Cfr. «BelfagoD, I, 1946, pp. 632-638; rip. in L. FIRPO, Ricerche campanelliane, Firenze, 1947, pp. 210-212. 78 79
-462-
VITTOR Ivo CoMPARATO
IL BOTERO DI FEDERICO CHABOD
Non si può affrontare un testo densissimo e complicato, come il Botero dì Federico Chabod del 1934, 1 senza munirsi di strumenti molto affila'tì. Anche in questo caso, l'anatomia non è sicura: esauriti i percorsi bibliografici, documentari e filologici con completezza ammirevole, il giovane storico attingeva a risorse profonde della sua personalità, nelle quali certamente contavano non solo i datì esteriori della sua formazione storiografica, ma quelli della sua formazione spirituale. 2 È importante notare che in tutti i profili chabodiani di personaggi. del Rinascimento il dato biografico viene per primo. 3 Chabod è andato immediatamente alle fonti più dirette: le carte che testimoniano, a distanza di secoli, l' onnipresente e ordinata sorveglianza della Compagnia di Gesù sui propri membri. Lo si può immaginare, immerso nelle filze del silenzioso archivio romano della Compagnia, mentre cerca di giudicare il novizio «irrequieto difficile estroso», 4 poi il giovane e l'uomo maturo che si muove tra scatti di ribellione e subite depressioni morali. Botero stesso ha fornito il termine appropriato alla propria personalità; è un termine - malinconia 5 - che non sfugge a Chabod e che ritorna ogni tanto in: queste pa-
F. CHABOD, Giovanni Botero, Roma., Anonima Romana Editoriale, 1934, ora in Scritti sul Rinascimento, Torino, Einaudi, Ì981, pp. 269-4:5-~, da cui si cita. 2 La «Rivista Storica Italiana» dedicò alla memoria di Chabodjl quarto fascicolo dell'anno 1960. Vi sono studi e testimonianze di Fernand Braudel, Charles Webster, Mario Fubini; Arnaldo Momigliano, Giorgio Spini, Vittorio de Caprariis, Ernesto Sestan, Delio Cantimori, Giuseppe Galasso, Giorgio Falco, Walter Maturi, Armando Saitta, Leo Valiani, Alessandro ed Ettore Passerin d'Entrèves, Luigi Firpo. 3 Cfr: gli Scritti su Machiavelli dal 1924 al 1934 e, nel volume sul Rinascimento, quelli dedicati rispettivamente a Guicciardini, Giovio e Sarpi. 4 Giovanni Botero cit., p. 272. 5 lvi, p. 291.
-463-
VITTOR IVO COMPARATO
gine di alto stile narrativo,6 a definire tin carattere «nervoso ed eccitabile»/ ritroso~ ma non esente di «alcun po' d'ambizione» nel cuore. 8 Ecco come sono ricostruite psicologicamente le premesse del suo allorttariamento dalla Compagnià: «La malinconia del sentirsi messo in disparte si mutò in aspro risentimento contro i superiori; lo spirito di parte e d'intrigo, da cui non era mai stato del tutto alieno, risorsero, sotto l'impulso dell'orgoglio deluso; la quietitudine dell'animo lasciò. il luogo alla passione, e l'uomo, che tre anni innanzi aveva desiderato la vita aspra del missionario, ora ricadde in balia dello spirito mondano». 9 Tutto l'uomo appare a Chabod fluttuante e diviso: >Y Ricco di vigore d'animo e di pensiero - e scrittore in solitudine pen.sqsa per antonomasia ~ era stato, invece, Machiavelli. Chabod aveva scrit.#o \sUl Segretario fiorentino il suo primo lavoro e la sua: tesi di laurea. 14 (]on ogni evidenza egli istituiva una relazione tra le due figure, che non si ~illltàva. all'ovvio legame storiografico tra Botero e il suo modello politico ll.~g~tivo,. ma si estendeva alle due forme di eticità. Laddove in Botero le é()ntra:ddizioni, !ungi dal comporsi, restavano il segno di una complessiva fra.gilìtà dell'edifido etico, il Machiavelli, pur nel contrasto tra il suo sogno di uno stato nuovo e la realtà italiana, incapace non pur di seguire, ma di intendere quell'ideale, aveva dispiegato tutta la sua grandezza d'animo. Scriveva nella prefazione al Principe del '24: . 36 Andava, infatti, preparandosi quel mutamento di fede. che è fondamentale nel definire l'uom:o moderno: lo spostamento delle fonti spirituali dall'antichità al presente, un processo che avrebbe trovato il suo sbocco nell'illuministica idea di progresso. Botero, dunque, sia pure senza rendersene pienamente conto, si trovava nella cerniera tra due età, l'una ancora rivolta verso il passato e raltra verso il futuro. Al futuro, infatti, appartiene l'apertUra mentale che gli faceva riconoscere come presupposti della «civiltà>> non solo gli elementi religiosì, ma anche quelli economici, politici e giuridici; che gli suggeriva l'importanza dei fattori naturali. Anche nelle parti corisacrate alla storia religiosa, dove Botero tornava a riconsiderare l'interVento del volere divino sugli uomini, e lasciava trasparire il peso di una tradizione controversistica, si affacciavano nel contempo le ragioni della storia umana e della natura. Storia naturale; storia umana e storia divina, nell'interpretazione di Chabod, coesistono in Botero senza fondersi. Vi era un difetto di impianto ed una frammentarietà dell'opera, 37 ma, come si è visto, questa irrisolta contraddittorietà era iscritta sia nella personalità di Botero che nei suoi tempi. Nell'ultimo Botero, l'elemento gioioso della curiosità lascia il posto ad t1Iia atmosfera di crescente cupezza. Si fa strada un nuovo desiderio di pace e dì Dio. Prevale quel carattere della spiritualità barocca che vede il >,5 le sue espressioni hanno già perduto ogrtì punta crudamente svalutativa proprio in base a tali premesse, come l'avevano già perduta del resto nelle pagine di Chabod. Il 'compromesso' è atto realistico e concreto di medìazione; la riduttiva ottica desanctis:iana ha ceduto il paSso ad una valutazione più costruttiva. E tUttavia Chabod è certamente ancora più vicino alla critica ottocerttesca di quanto Firpo non sia, e si scopre in lui un tanto dì persistente desanctisianesimo che in Firpo non sussiste ormai più. Il Botero dì Chabod non è, in definitiva, il Botero della Ragion di Stato, opera che egli non amava, che considerava di fatto la parte pitJ: negativa della produzione boteriana. · Anche Chabod era interessato al Botero anzitutto in un'ottìca forte-' mente biografica. Firpo ha avuto un predecessore di gran peso nel tracciare le linee di questa biografia alquanto tormentata, la storia di un piemontese deradné anche se parte della sua vita fu spesa al servizio dei principi savoìardi (Chabod aveva detto: «il menq piemontese di animo fra i piemontesi di nascita»); collaboratore; non senza travagli, di Carlo e poi di Federico Borromeo~ conoscitore sia degli ambienti della corte di Francia sia di quelli della Curia romana in periodi travagliosi; passato dalla letteratura rugìadosa della giovinezza alle meditazioni economiche e politiche della maturità per poi tornare a temi di pietà religiosa alquanto stereotipa nel ripiegamento su se stesso degli ultimi anni. Chabod aveva parlato, e Fìrpo concorda in questo con lui, del senso della 'fine della città' nell'opera del Botero: il
5
Introd., p. 23.
-475-
MARGHERITA ISNARDI PARENTE.
quale vedeva ormai la città con gli occhi dell'economista, perduto ogni senso vivo della vita cittadina con la fine dell'età del Rinascimento; e gli sfuggiva la stessa parte più viva della politica sabauda nonostante la sua (cortigiana) devozione alla causa di quei princìpi. Nel 1948 Firpo affenn:a perentoriamente: «la vera patria del cuore di Botero è la Chiesa di Ro""' ma>>, 6 Anche più tardi, quando si soffermerà più in particolare sul Botero piemontese, non potrà non sottolineare, pur non ripetendo il drastico gìudizio di Chabod, il carattere pedantesco e sostanzialmente scialbo, nella sua descrittività, di quella Relazione di Piamonte che pure costituisce un atto di omaggio dell'autore verso la sua terra. Ma la divergenza fra le due inter~ pretazionì, la chabodiana e la firpiana, pur fra tanti consensi, sussiste, e tocca al cuore l'opera del Botero; essa sta nella sostanzialmente e significativamente diversa valutazione della Ragion di Stato nell'ambito dell'opera boteriana. Francesco De Sanctis aveva detto della Ragion di Stato: «quel libro è il codice dei conservatori»; non vi si era soffermato molto; aveva lasciato da parte il Botero per contrapporgli Paolo Paruta, nel quale continuava qualcosa dello spirito del MachiavellU Chabod si limitava a prediligere il Botero delle Cause delta grandezza delle città e delle Relazioni universali: là dove (e già una parte della critica ottocentesca aveva cominciato ad averne il sentore, se guardiamo al Ferrari) Botero si apre ad una considerazione non politica della vita della città, volta alla valutazione concreta di fattori economici, sodali, geografici; sì che, sulla mediocre visione politica ispirata a spirito di compromesso, prevalgono altri interessi che segnano l'introduzione di elementi nuovi nell'ambito della riflessione sulla vita delle città e degli Stati. Continuava insomma a operare sulla sua valutazione lo schiacciante paragone col Machiavelli, qualche volta facendosi esplicìto: la visione eroica della politica propria di questi è finita, e, poiché il Botero, nonostante la lezione appresa dal Bodin, è ben lungì dal saper fondare la sua concezione dello Stato su nozioni di diritto e su una precisa dottrina giuri6·
lvi, p. 31.. Storia della letteratura italiana, cap. XIX, S 3; cito dall'edizione degli «Scrittori d'Italia» a cura di B. Croce (4" ed., Bari, 1949, II, p. 271). Lapidario il giudizio: «A lui sembra che tutto sta benissimo come sta e che non rimane che prender guardia contro le novità: bonum est siC esse». Paolo Paruta, invece (del quale si sottolinea l'anno di nascita, lo stesso del Botero) è «il più vicino di spirito e di senno a Nicolò Machiavelli». Il giudizio non mutera del resto granché neanche nelle pa:gine di F. Meinecke, pur volto a. dar rilievo centrale all'idea di 'ragion di Stato': poche; e donùnate dall'idea del fondamentale 'conservatorismo' del Botero, sono le pagine a questi dedicate nel cap. III di Idee der Staatsrii.son.
-476-
IL BOTERO Dl LUIGI FIRPO
dica; non gli rimane che lo scadimento ad abile e astuto compromesso di quello che è il machiavelliano primato della politica. Così agli occhi di Chabod nella Ragion di Stato Botero non sa portare alle dovute conseguenze neanche il tendenziale economicismo delle Cause, e ricade in una versione inferiore del machiavellisrilo in omaggio a un primato della politica ormai svuotatasi del suo contenuto etico; al contrario, nelle Relazioni saprà aprirsi a nuove dimensioni con la ricchezza delle considerazioni geografiche sul mondo extra-italiano e sul mondo delle nuove grandi scoperte e saprà quindi, sì, mettere a frutto un'altra grande lezione bodiniana, quella delle considerazioni circa le relazioni intercorrenti fra ambiente geografico e carattere dei popoli In una parola, dobbiamo cercare il vero Botero là dove il confronto diretto col Machiavelli non sia più possibile. Se da questo tipo di valutazione passiamo alle pagine scritte più di un decennio dopo - e quale decennio! - da Luigi Firpo, non è difficile cogliere il punto nodale in cui le due interpretazioni divergono radicalmente. Nonostante Chabod avesse preso esplicitamente le distanze dagli aspetti risorgimentali dell;impostazione desanctisiana già dal 1926, col suo primo Machiavelli, 8 De Sanctis è nelle sue pagine ancora presente, come lo è nelle pagine scritte più o meno in quegli stessi anni, dal carcere, di Antonio Gramsci. 9 Non lo è più nelle pagine di Firpo: ove leggiamo non solo che il Botero, mettendo in luce quell'«ìntrico di nuovi interessi, demografici, finanziari, industriali, commerciali>> fa valere temi «ignoti all'angusta visione politica del primo Cinquecento»; ma la visione del Botero viene contrapposta a quella del Machiavelli definita