Storia della fotografia [2 ed.]
 8861591582, 9788861591585

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Nuova edizione aggiornata Una panoramica completa della storia della fotografia lunga quasi centosettant'anni, in cui vengono messe a fuoco alcune delle problematiche più importanti. Ogni capitolo del libro ha un testo introduttivo seguito da schede che approfondiscono movimenti e singoli autori: il tutto pensato per un'agile consultazione anche da parte di studenti universitari. Sono considerati, inoltre, movimenti e personalità degli ultimi trent'anni che non hanno an­ cora trovato spazio nelle storie della fotografia pubblicate sino a oggi in Italia. Completano il volume alcune interviste a professionisti della fotografia: una restauratrice, un'archivista, uno stampatore e alcuni artisti, nonché esperti dell'ambito fotografico.

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Angela Madesani, storica e critica d'arte, collabora con diverse riviste d'arte e ha curato nu­ merose mostre presso istituzioni pubbliche e private. Insegna alla Laba di Brescia e presso l'Istituto Europeo del Design di Milano (Storia della fotografia), l'Accademia di Brera, il GIOCA dell'Università di Bologna e l'Istituto Italiano di Fotografia di Milano. Tra le sue pubblicazioni: Rubare l'immagine. Gli artisti e la fotografia negli anni settanta; Il mondo di Carpi (Mazzotta, Milano 2001) e Luigi Veronesi e Cioni Carpi alla Cineteca Italiana di Milano (con L. Caramel, il castoro, Milano 2002). Per la Bruno Mondadori ha pubblicato Le icone fluttuanti. Storia del cinema d'artista e della videoarte in Italia (2002 e 2005).

In copertina: sequenza fotografica di E. "'' uybridgc.

€ 18,00

792.20

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Economica

Angela Madesani Storia della fotografia

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Bruno Mondadori

Tutti i diritti riservati Prima edizione © 2005, Pearson Paravia Bruno Mondadori Nuova edizione aggiornata © 2008, Pearson Paravia Bruno Mondadori Per i passi antologici, per le citazioni, per le riproduzioni grafiche, cartografiche e fotografiche appartenenti alla proprietà di terzi, inseriti in quest'opera, l'editore è a disposizione degli aventi diritto non potuti reperire nonché per eventuali non volute omissioni e/o errori di attribuzione nei riferimenti. È vietata la riproduzione, anche parziale o ad uso interno didattico, con qualsiasi mezzo, non autorizzata. Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun volume dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall'art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 194 1 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da aidro, corso di Porta Romana n. 108, 201 22 Milano, e-mail [email protected] e sito web www.aidro.org La scheda catalografica è riportata nell'ultima pagina del libro. www.brunomondadori.com

Indice

XI

Premessa e ringraziamenti

l 2 6 12 15

I presupposti Gli esordi I primi decenni Qualche anno più tardi ... Fotografia e scienza

17 19 20 21 22 24 25 26 27 29 30 32 34

Schede: l. Williarn Henry Fox Talbot 2. Mathew B. Brady 3. Roger Fenton 4. Robert Adarnson e David Octavius Hill 5. Nadar 6. Henri Le Secq 7 . Felice Beato 8. Tirnothy O'Sullivan 9. Eadweard Muybridge 10. Lewis Carroll 1 1 . J ulia Margaret Carneron 12. Eugène Atget 13 . Guillaurne Duchenne de Boulogne

35 Il pittorialismo 41 43 45 47 49 50 52

Schede: 1 4. Alfred Stieglitz 15. "Carnera Work" 1 6. Edward ]. Steichen 17. Pau! Strand 18. Léon-Robert Dernachy 19. Wilhelrn von Gloden 20. Giorgio Sornrner

Indice 53 Dal pittorialismo alla fotografia diretta 67 68 70 72 74 76 77 79 81 82 84 86 88 90 92 94 95 97 99 101 103 105 107 109 1 10 1 12 1 14 1 16 1 18 120 122 123 125 127

Schede: 2 1 . Alexandr Rodcenko 22. li Bauhaus 23. August Sander 24. Raoul Hausmann 25. Karl Blossfeldt 26. Albert Renger-Patzsch 27 . André Kertész 28. Alfred Eisenstaedt 29. John Heartfield 30. Bill Brandt 3 1 . Man Ray 32. Cecil Beaton 33. Luigi Veronesi 34. Fotografia futurista 35. Occhio quadrato 36. Ghitta Carell 3 7. Federico Patellani 38. Brassal 39. Florence Henri 40. Jacques-Henri Lartigue 4 1 . Edward Weston 42 . lmogen Cunningham 43 . Ansel Adams 44. Gruppo F64 45 . Tina Modotti 46. Walker Evans 47 . Dorothea Lange 48. Lewis Wickes Hine 49. Margaret Bourke-White 50. William Eugene Smith 5 1 . Aaron Siskind 52. Paul Outerbridge jr 53. Harry Callahan 54. Joseph Sudek

Indice 129 Dagli anni quaranta ai sessanta 137 Italia 147 Intervista a Uliano Lucas 157 159 161 163 165 167 169 171 172 174 176 180 182 184 186 187 189 191 193 195 197 199 201 203 205

Schede: 55. Robert Capa 56. Henri Cartier Bresson 57. Chim 58. Werner Bischof 59. Weegee 60. William Klein 61. Diane Arbus 62. Lisette Model 63 . Minor White 64. Irving Penn 65. Richard Avedon 66. Rayrnond Depardon 67. Robert Frank 68. Elliot Erwitt 69. Ralph Eugene Meatyard 70. Les Krims 7 1 . Duane Michals 72. Lee F riedlander 73. Garry Winogrand 74. Jan Saudek 75. Josef Kudelka 76. Giuseppe Cavalli 77. Paolo Monti 78. Mario Giacomelli 79. Ugo Mulas

209 La fotografia di moda 219 22 1 222 224

Schede: 80. Erwin Blumenfeld 81. George Hoyningen Huene 82. Horst Paul Horst 83 . Helmut Newton

Indice 226 227 228 230

84. Bruce Weber 85. Herb Ritts 86. Robert Mapplethorpe 87. David LaChapelle

233 Arte e fotografia tra gli anni sessanta e settanta 253 Conversazione con Franco Vaccari 259 Dagli anni ottanta a oggi (I) 293 Intervista a Mauro Ghiglione 297 Anni ottanta e novanta (II) 309 Intervista a Gabriele Basilico 3 16 320 322 324 326 328 330 332 334 336 338 339

Schede: 88. Luigi Ghirri 89. Olivo Barbieri 90. Mirnmo Jodice 9 1 . Guido Guidi 92. Vincenzo Castella 93 . Giovanni Chiaramonte 94. Mario Cresci 95. Francesco Radino 96. Martin Parr 97. Joel-Peter Witkin 98. Sebastiao Salgado 99. Ferdinando Scianna

341 n digitale 343 Appendice. Le professioni della fotografia 345 L'Arte della fotografia. Tecniche e materiali dall'Ottocento a oggi, di Silvia Berselli 351 Intervista a Laura Gasparini 363 Intervista ad Arrigo Ghi 365 Intervista a Fabio Castelli 369 Intervista a Cristina De Vecchi 375 Bibliografia 397 Indice delle schede

Premessa e ringraziamenti

Pensare di ricostruire una storia della fotografia internazionale, a oltre centosessant'anni dal­ la sua invenzione, può essere ritenuto un progetto quanto meno presuntuoso, me ne rendo conto. Ma la mia è stata una necessità legata alla professione di docente di questa materia: uno dei più significativi problemi dei miei studenti, infatti, è quello di non riuscire ad avere uno strumento sistematico aggiornato a cui fare riferimento. Di necessità virtù, o almeno spe­ ro. Ho quindi cercato di colmare, almeno in parte, le lacune. Ci saranno delle dimenticanze, delle inesattezze non volute, ovviamente, e me ne rammari­ co. Forse ad alcuni fotografi è stato dedicato troppo spazio ad altri troppo poco. Del resto, il mio tentativo non è la totalità: è piuttosto quello di cercare di evidenziare dei fili rossi all'in­ terno di questa storia, privilegiando certe figure, che hanno contribuito con le loro ricerche a passi che io reputo significativi. Soprattutto per quanto riguarda la contemporaneità, le trattazioni di artisti e movimenti non sono in un ordine perfettamente cronologico, che, a mio parere, non avrebbe avuto sen­ so più di tanto. Ho preferito invece operare per problematiche e per punti di vista teorici, of­ frendo una visione il meno schemati ca possibile. Come tutte le ricostruzioni storiche, o presunte tali, l'obiettività è solo un'aspirazione, un lido a cui si tende utilizzando ogni mezzo. In virtù dell'esperienza accumulata in questi anni di insegnamento, ho cercato di dare vita a un libro anomalo, in cui dal tronco dell'albero, la storia della fotografia, si dipartono molti ra­ mi: le singole storie di fotografi e movimenti. Non ho fatto la stessa cosa per i capitoli dedicati all'ambito artistico contemporaneo, per i quali ho preferito affrontare un discorso d'insieme. E ho chiesto quindi ad alcuni esperti, fotografi e artisti di farsi intervistare per chiarire ulte­ riormente certi problemi. A Silvia Berselli, alla quale rivolgo un particolare ringraziamento, esperta di restauro e con­ servazione, ho chiesto, invece, un intervento che possa servire a fornire delucidazioni di ca­ rattere tecnico. Dedico questo lavoro a mia madre. E ringrazio i miei alunni dell'Istituto Europeo del Design e dell'Istituto Italiano di Foto­ grafia, che con le loro domande e le loro curiosità mi hanno fatto aprire nuove porte. Quindi: Gabriele Basilico, Fabio Castelli, Cristina De Vecchi, Laura Gasparini, Arrigo Ghi, Mauro Ghiglione, Oliano Lucas, Franco Vaccari. Cioni Carpi, che mi ha donato i suoi materiali relativi alla fotografia d'artista, Archivio Azi-

XI

Storia della fotografia bui, Galleria Rubin, Galleria Raffaella Cortese, Catalina Soler, Alessandra Lazzaroni, Mar­ guy Conzemius, Pino Casagrande, Galleria Monica De Cardenas, Suzy Shammah, Sergio Poggianella, Franco Marinotti, Christian Marinotti, Viviana Falcomer, Silvia Achilli. E tutti gli artisti, i fotografi e i galleristi che mi hanno donato materiali e mi hanno mostrato il loro la­ voro aiutandomi durame il faticoso percorso.

XII

I presupposti

Dare un inizio preciso alla storia della fotografia è complicato e, forse, tutto sommato impos­ sibile. Si potrebbe scegliere, convenzionalmente, la registrazione del brevetto da parte di Da­ guerre nel 1839, sebbene la questione sia assai più complessa. Si è rivelato fondamentale a tale proposito l'apporto teorico fornito da Peter Galassi: «Le ori­ gini prime della fotografia - tecniche ed estetiche - risiedono nell'invenzione quattrocentesca della prospettiva lineare. Sotto l'aspetto tecnico si può dire che la fotografia non è che un mezzo per produrre automaticamente delle immagini in una prospettiva perfetta. Il lato estetico è più complesso e acquista significato soltanto in termini storici più ampi».1 La fotografia, o meglio la necessità di registrare nel modo più obiettivo e scientifico possibile il "circostante", il fenome­ nico in senso filosofico, ha avuto un periodo di gestazione di ben quattro secoli. Se si considera tale distanza temporale, per chiarire il percorso che precede l'invenzione vera e propria della tecnica fotografica sono fondamentali le figure di artisti-studiosi quali Paolo Uccello, Piero della Francesca, Caravaggio. Quest'ultimo aveva acquisito certi proce­ dimenti tecnici dal contatto con personaggi a lui vicini, quali Giovanni Battista Della Porta, uno scienziato sui generis che orbitava nella cerchia romana del Cardinal del Monte, mecena­ te dell'artista. Della Porta pubblica, nel 1558, il Magiae naturalis sive de miraculis rerum natu­ ralium, in cui sostiene la necessità di potenziare la vista per capire la vita, suggerendo l'uso della camera oscura come aiuto nel disegno: «Se non sapete dipingere, con questo strumento potete disegnare [il contorno dell'immagine] con una matita. Poi vi restano solo da stendere i colori. Questo risultato si ottiene riflettendo l'immagine verso il basso su un tavolo da dise­ gno coperto da un foglio di carta. Per una persona dotata di talento è un'operazione molto facile».2 Temi sui quali torna nel De re/ractione del 1953 . Ferdinando Bologna scrive ne I:incredulità del Caravaggio e l'esperienza delle «cose natura­ li», pubblicato nel 1992: L'«osservanza della cosa» di cui aveva parlato Giulio Mancini, per il Caravaggio consisté ap­ punto nella reiterazione di un esperimento che non può essere definito ottico nel senso specifi­ co: tenere l'oggetto da dipingere esposto tanto a lungo ai propri occhi nel proprio studio, fino a raggiungerne col colore la verità. A considerare bene, «rem pingendam in conclavi suo tam 1 P. Galassi, Prima della fotografia. La pittura e l'invenzione della fotografia, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 1 8. 2 TI testo è riportato in H. Gemsheim, Storia dellafotografia. Le origini, Electa, Milano 198 1 , p. 7.

l

Storia della fotografia diu oculis exponens, donec veritatem colore assecutus esset» è un'espressione intercambiabile con la terminologia tecnica dei fotografi d'oggi; e ciò perché tira in causa non meno la parola che il concetto di "esposizione", con cui appunto i fotografi indicano la lunghezza del tempo durante il quale bisogna che una supedkie sensibile rimanga esposta alla luce attraverso !"'oc­ chio" dell'obiettivo, affinché resti "impressionata".3 Ancora nel XVII secolo lo scienziato italiano Angelo Sala scrive: «Se si espone del nitrato di argento in polvere alla luce del sole, esso diventa nero come l'inchiostro». Quasi un secolo dopo, nel 1727, Johann Heinrich Schultze, professore tedesco di medicina, riesce a produrre un'immagine effimera attraverso la carta e il nitrato d'argento. Illustre predecessore della fotografia è il Canaletto, non soltanto per l'utilizzo strumentale della camera ottica, quanto piuttosto per il suo atteggiamento nei confronti della realtà da narrare. Il pittore veneziano cerca di registrare il " circostante" in maniera obiettiva e lo ri­ propone nei suoi dipinti. Sono numerosi, poi, gli artisti e i viaggiatori - da Johannes Vermeer a J oshua Reynolds a Wolfgang Goethe - che fra XVII e XVIII secolo utilizzarono la camera ottica: per alcuni divenne un vero e proprio strumento di lavoro, mentre per altri fu un mezzo per prendere appunti visivi. Nello stesso modo avevano fatto i pittori nordici che registrava­ no, con straordinaria precisione, le micrografie del quotidiano. Nel XVIII secolo, inoltre, si afferma la tecnica della silhouette, un profilo nero dei personag­ gi ottenuto attraverso un'apposita macchina: è un'immagine "leggera", come indicava il termi­ ne stesso "silohuette" , che proviene dal nome di un "leggero" e frivolo controllore generale delle finanze di Luigi XV. Si awertiva dunque, da parte degli artisti e degli scienziati, il bisogno di registrare e fissare con precisione i fenomeni: è da questa esigenza che nasce la fotografia. Si è compreso, come ha sot­ tolineato Galassi,4 che si trattò di una vera e propria competizione, e che diversi personaggi ave­ vano lavorato a questa mirabolante invenzione contemporaneamente, ma in luoghi e con pre­ supposti diversi. Interessante è anche notare che i vari partecipanti alla "gara" sono arrivati a ri­ sultati assai simili pressappoco nello stesso momento, sebbene solo Daguerre e Nièpce si siano incontrati e abbiano collaborato direttamente, al contrario degli altri, che non si conobbero mai. Quattro protagonisti, più uno stuolo di comprimari, si sono avvicinati all'invenzione ma uno so­ lo, Daguerre, nel 1839, l'ha registrata e ha legato a essa il suo nome.

Gli esordi Verso la fme del XVIII secolo Thomas Wedgwood, che aveva una certa pratica nell'arte della ceramica (di cui il padre era maestro), aveva cercato di fissare le immagini prodotte dalla came­ ra oscura conservata nel laboratorio paterno. L'esperimento non andò in porto, ma generò un 3 F. Bologna, I.;incredulità del Caravaggio e l'e�erienza delle «cose naturali», Bollati Boringhieri, Torino 1992, p. 153 . 4 P. Galassi, Prima dellafotografia, Bollati Boringhieri, Torino 1989, p. 15 . 2

I presupposti ceno dibattito tra gli amici chimici, fra i quali Humphry Davy. Ne nacquero delle semplici fo­ toincisioni, ma proprio dalla fotoincisione qualche anno più tardi sarebbe panito Nicéphore Nièpce, il primo che riuscì a fissare stabilmente un'immagine ripresa dal vero, l'ormai celeber­ rima Veduta della sua finestra di Grasse. La fotografia nacque dunque in ambito empirico-scientifico, figlia della cultura sperimenta­ le empirista a cavallo fra Settecento e Ottocento. Nièpce non era uno scienziato di formazione, bensì un autodidatta, un erudito e un inventore, con un'ottima preparazione classica e indub­ bie conoscenze scientifiche; inoltre era anche litografo, con una preparazione pratica che si ri­ velò fondamentale ai fini della sua ricerca. Senza dubbio Nièpce fu uomo d'intelligenza straor­ dinaria, le cui ricerche si orientarono su più aspetti tecnici. Egli sapeva che un certo tipo di asfalto, il bitume di Giudea, si induriva quando veniva esposto all a luce. Sciolse questo bitume in olio di lavanda, un solvente usato nella preparazione delle vernici, poi stese uno strato di questo miscuglio su una lastra di peltro. A contatto con la su­ perficie spalmata egli collocò un disegno al tratto, precedentemente unto per renderlo traspa­ rente, poi espose la lastra e l'illustrazione alla luce del sole. Il bitume si indurì in tutti i punti in cui le zone bianche del disegno permettevano alla luce di raggiungere la lastra, ma nelle parti in cui i tratti neri del disegno la schermavano dalla luce esso rimase molle e solubile. Dopo avere tolto il disegno Nièpce lavò la lastra con olio di lavanda asportando il bitume non indurito dal­ la luce. Le pani della lastra corrispondenti ai tratti neri del disegno furono ripulite fino alla ba­ se di peltro e bagnate con un acido che intaccò il metallo sul quale si produsse una copia del­ l'originale. Nièpce chiamò il procedimento eliografia.5 L'invenzione ufficiale della fotografia è però da attribuire a Louis-Jacques Mandé Daguerre, che studiò scenografia presso Degotti, scenografo dell'Opéra di Parigi. Dopo numerose esperienze in quest'ambito egli diede vita, insieme a Charles Bouton, al Diorama, un partico­ lare tipo di spettacolo che, attraverso un sapiente gioco di luci, riusciva a creare l'illusione della realtà, suscitando stupore fra un pubblico ancora molto ingenuo. Si trattava di immagi­ ni di tredici metri di altezza e ventuno di larghezza proposte agli spettatori a circa tredici me­ tri di distanza: per questa ragione il Diorama è considerato una sorta di cinema ante litteram. Per comprendere il senso e la portata dell' awento della fotografia bisogna considerare il rapporto che gli uomini di quel tempo avevano con l'immagine: fino ad allora (fatta eccezio­ ne per le registrazioni attraverso la camera obscura, che pure non erano /issate) l'immagine era stata un'icona e non un indice, una traccia di qualcosa. Si poneva dunque ora la necessità di fermare, di registrare e di analizzare in maniera oggettiva. Anche per Daguerre il vero problema fu quello di riuscire a fissare le immagini ottenute. Nel frattempo, già dal 1826, anno a cui risale la prima "fotografia" , era incominciata una pragmatica corrispondenza fra Daguerre e Nièpce. Nel 1829, su proposta di quest'ultimo, diventarono soci con il progetto di migliorare il procedimento eliografico. Per quattro anni la loro corrispondenza sui progressi ottenuti fu fittissima. 5 Redazioni delle edizioni "Time"-"Life" no 1978, p. 47.

(a c. di), La fotografia, la luce e la pellicola, A. Mondadori, Mila­

3

Storia della fotografia Nel 1835 Daguerre (Nièpce a quel tempo era già morto) scoprì casualmente la possibilità di sviluppare l'immagine latente, sebbene si dovette aspettare il 183 7 perché le immagini riuscisse­ ro a essere fissate dalla camera. Di quest'anno fu il primo dagherrotipo,6 il cui soggetto era una natura morta ripresa nello studio di Daguerre, ormai sicuro di avere inventato qualcosa di nuo­ vo, di autonomo rispetto al metodo eliografico di Nièpce. Così si rivelò al mondo, che lo avreb­ be considerato il vero inventore della fotografia: nel gennaio del 1839 fu presentato all'Accade­ mia delle Scienze da Arago. Importante all'annuncio di Daguerre fu la risposta di Francis Bauer, che infatti pubblicò una difesa a favore di Nièpce su "The Literary Gazette" e organizzò una piccola mostra dove, oltre ai lavori di Nièpce, furono esposti anche dei "disegni fotografici" di William Henry Fox Talbot [scheda l ] e delle "fotografie" di Sir John Herschell, che parecchi anni più tardi sarebbe diven­ tato uno dei modelli preferiti di Julia Margaret Cameron [scheda 1 1 ], ancora a testimoniare lo spirito di quel particolare momento e i legami fra i vari personaggi. «Da oggi la pittura è mor­ ta!» fu il commento all'invenzione da parte di Paul Delaroche, che non fu di certo l'unico a crederlo: si pensi all'atteggiamento di Charles Baudelaire, inferocito detrattore del nuovo mezzo. Sempre in ambito letterario interessante fu, invece, l'entusiasmo di Émile Zola, che si ispirava alle immagini fotografiche per creare le ambientazioni dei suoi romanzU La nuova invenzione aveva gettato nel panico molti artisti e incisori, e la risposta più interessante a ri­ guardo l'avrebbe offerta molti anni dopo M an Ray [scheda 3 1] : Lo sviluppo della fotografia negli ultimi cento anni ha dato un colpo mortale alla pittura aned­ dotica. Era quanto molti pittori dell'Ottocento temevano, e che qualcuno tuttora rimpiange. Comunque, costoro sono ancora liberi di continuare la loro gara con la fotografia, e avranno sempre un loro pubblico. Per un altro verso, la pittura è stata affrancata dalla sua schiavitù pu­ ramente aneddotica e "utilitaristica", e grazie alla fotografia non è mai stata tanto creativa co­ me nel corso delle due ultime generazioni. Essa ha ottenuto uno statuto artistico mai prima pos­ sibile. In pari tempo la fotografia, ritenuta sulle prime una tecnica scientifica e documentaria, è stata a sua volta affrancata dalla sua funzione puramente utilitaristica.8 Così avvenne, e da quel momento l'arte avrebbe cambiato rotta. L'Impressionismo, solo per fare un esempio, è stato il figlio naturale di quella invenzione in un momento in cui la modalità di porsi di fronte alla realtà era cambiata e la ricerca pittorica si era liberata da qualsiasi tensio­ ne naturalistica. La nuova invenzione ebbe un successo immediato: il manuale tecnico, com­ missionato a Daguerre da parte del governo, fu immediatamente esaurito e in un anno ne vennero pubblicate ventinove edizioni. Tutti erano stregati dalla nuova scoperta, che stava cambiando il modo di vedere la realtà. Fu così che la dagherrotipia divenne una moda e pos6 Tra i testi di approfondimento in tal senso, si veda Q. Bajac, D. Planchon-de-Font-Rèaulx (a c. di), Le

daguerréotypefrançais. Un object photographique, Réunion cles Musées Nationaux, Paris 2003. 7 Sul rappono tra intellenuali e fotografia è assai interessante la trattazione di P. Sorlin, I figli di Nadar. Il «secolo» dell'immagine analogica, Einaudi, Torino 200l, p. 61 ss. 8 M. Ray, I.:arte non èfotografia, s. d., pubblicato inJ anus (a c. di), M. Ray, Tutti gli scritti, Feltrinelli, Mila­ no l98l, p. 228.

4

I presupposti sedere un dagherrotipo quasi una necessità. La maggior parte delle persone non ne faceva una questione di ordine scientifico-intellettuale, ma gridava al miracolo di fronte al fatto che, attraverso una macchina, si potesse catturare la realtà in tutta la sua veridicità e che finalmen­ te la si potesse registrare. Come abbiamo detto, non ha senso attribuire l'invenzione della fo­ tografia a uno solo o a due personaggi: parecchie persone arrivarono vicine al traguardo, ma come molto spesso accade, uno solo fu proclamato vincitore. Divertente e al contempo amara è l'immagine di Hippolyte Bayard, che si autoritrae come suicida dopo la delusione per il mancato riconoscimento dei suoi sforzi in veste di fotografo: La salma che qui vedete è quella di M. Bayard, inventore del procedimento che vi è stato ap­ pena illustrato e di cui vedrete presto i meravigliosi risultati. Per quanto ne so, questo ingegno­ so e instancabile sperimentatore ha dedicato circa tre anni al perfezionamento della sua sco­ perta. L'accademia, il re e tutti coloro che hanno visto le sue immagini le hanno ammirate come le ammirate voi in questo momento, benché egli le consideri ancora imperfette. Ciò gli ha pro­ curato molto onore, ma nemmeno un soldo. li governo, che ha sostenuto M. Daguerre più del necessario, ha dichiarato di non essere in grado di fare qualcosa per M. Bayard e l'infelice si è gettato nel fiume per disperazione. Oh, incostanza umana! Per molto tempo artisti, scienziati e la stampa si sono interessati a lui, ma ora che giace da giorni alla Morgue nessuno lo ha ricono­ sciuto o ha reclamato la sua salma! Signore e signori, parliamo d'altro in modo che il vostro sen­ so dell'odorato non venga offeso, perché, come probabilmente avete notato, il volto e le mani hanno già cominciato a decomporsi. H.B., 1 8 ottobre 1840. Tre settimane dopo che Daguerre aveva presentato la sua invenzione, precisamente il 25 gen­ naio 1839, l'inglese Fox Talbot presentò alla Royal lnstitution il suo nuovo sistema negativo­ positivo, dopo un lavoro di ricerca durato diversi anni. Desideroso di "prendere appunti" della realtà intorno a lui, ma incapace di disegnare, si serviva della camera oscura: così nac­ que il desiderio che le immagini si imprimessero da sole sulla carta, senza il bisogno della ma­ no dell'uomo. Riprendendo la stessa tecnica di Wedgwood, Fox Talbot poneva alcuni oggetti sulla carta fotosensibile (procedura portante nella speculazione in ambito fotografico) e poi li esponeva alla luce, dopo avere immerso la carta in una soluzione salata e averla spennellata con una soluzione di nitrato d'argento. Fox Talbot si accorse che nelle zone dove la concen­ trazione di sale era eccessiva la sensibilità della luce era praticamente nulla, e quindi iniziò a immergere il foglio in una soluzione concentrata di sale dopo l'esposizione (vedi l'intervento di Silvia Berselli) . Su segnalazione di John Herschell, Fox Talbot iniziò ben presto a usare il tiosolfato di sodio, riuscendo così a ottenere dei positivi dalle immagini negative: il negativo veniva posizionato su un foglio di carta sensibile, il tutto poi veniva esposto alla luce. La luce che filtrava attraverso le zone bianche del negativo creava un'immagine scura sul foglio, mentre le zone scure bloccava­ no la luce rimanendo bianche. Stava nascendo la fotografia moderna. Nel giugno 1 840 una seconda e ancora più importante comunicazione riguardante la messa a punto di una nuova sostanza altamente sensibile permise di registrare un'immagine latente su carta. L'immagine, che non si vede immediatamente dopo l'esposizione, è registrata e la si può fare apparire in tutta la sua perfezione mediante un procedimento chimico di sviluppo. 5

Storia della fotografia Fox Talbot inventò la «calotipia», letteralmente "bella immagine" . Tale procedimento chimi­ co venne perfezionato nel corso degli anni e brevettato dal suo inventore 1'8 febbraio 184 1 . Si tratta del primo passo per il procedimento negativo-positivo. Un impulso decisivo alla stampa su carta venne dato in seguito, tra il 1 844 e il 1847, da Louis-Désiré Blanquart-Évrard, che mise a punto il metodo per ottenere molteplici positivi da un solo negativo, un altro principio fondante della moderna fotografia. Il negativo in que­ sto caso è ancora su carta e impedisce il perfetto nitore dell'immagine.9 Sarà un nipote di Nièpce, Nièpce de Saint-Victor, a sostituire la carta con il vetro, recuperando la nitidezza del dagherrotipo.10

l primi decenni

Un'altra data importante per la storia della fotografia è il 185 1 , quando, durante la prima Esposizione Universale di Londra, viene organizzata la prima grande mostra internazionale di fotografia, alla quale partecipano, fra gli altri, Mathew Brady [scheda 2], Bayard e Mayall, sebbene a questa data non esistano ancora associazioni fotografiche o riviste. Solo due anni dopo, nel dicembre 1852, si costituirà la Photographic Society, con Roger Fenton [scheda 3] in qualità di segretario onorario, ma prima di quella data alcuni di quelli che ne saranno membri organizzano la prima mostra al mondo dedicata soltanto alla fotografia.11 Moltissime sono le personalità che nei primi vent'anni della storia della fotografia hanno fat­ to ricerca e sperimentazione con il nuovo mezzo. Tra queste sicuramente sono da ricordare Robert Adamson e David Octavius Hill [scheda 4], che tra il 1 843 e il 1847 hanno prodotto oltre milleottocento calotipi. La vera e propria fioritura della fotografia coincide, negli anni cinquanta dell'Ottocento, con il moltiplicarsi degli studi fotografici, che realizzavano soprattutto ritratti.12 Ed è proprio in questo periodo che aprì lo studio uno dei più importanti protagonisti della storia della fotogra­ fia: Félix Toumachon, detto Nadar [scheda 5 ] . 9 Anche Roger Fenton per le sue fotografie i n Russia usava il negativo s u carta, come altri fotografi di mo­ numenti quali Henri Le Secq e Thomas Sutton per le sue fotografie italiane. Ben presto, tuttavia, sull'esem­ pio di Fenton anche altri fotografi come Gustave Le Gray e Charles Nègre, per motivi di praticità, sarebbe­ ro ricorsi al collodio. 10 Per i ritratti in molti casi si passò dal dagherrotipo all'ambrotipo, un negativo al collodio su vetro, parti­ colarmente trattato, che posto su fondo nero appare positivo. 11 Nel 1854 vedrà la luce la Société Française de Photographie. Nel dicembre del 1854 André-Adolphe Disdéri trasforma la sua impresa in società per azioni e ottiene il permesso di fotografare tutti gli oggetti presentati al Palais de l'Industrie, fondando così la Societé pour le Palais de l'Industrie, dove l'anno succes­ sivo lavorano quasi ottanta persone. 12 In tal senso, di solo ambito italiano, di grande interesse è stata la mostra fotografica a c. di A.C. Quinta­ valle, I.:Italia nel cassetto 1859-1945, Bologna 1978, in cui erano in mostra centinaia di ritratti. Prima della rassegna era stato fano un appello al pubblico, attraverso la televisione, di inviare i ritratti di familiari e amici realizzati appunto nel periodo sopra citato.

6

I presupposti Nel 1858 nasce anche la carte de visite, una particolare forma di fotografia commerciale che in breve si diffonde in tutto il mondo. A brevettarla è André-Adolphe Disdéri, che in un opuscolo pubblicato nel 186 1 spiega il suo brevetto: .19 L'archivio completo

fu acquistato, fortunatamente, dall' ar­

cheologo Gaston Maspero, direttore del museo archeologico di Luxor, che lo mantenne intatto. Fotografi di questo tipo si trovano anche in India, a Ceylon,20 dove la fotografia ha i tratti del fotoreportage nel senso moderno del termine.21 Tra i fotografi presenti in India vi è la curiosa fi­ gura di Federico Peliti, nobiluomo piemontese, scultore di formazione e allievo di Vincenzo Vela, trasferitosi in India, dove si divertiva a fare il cuoco-artista presso amici inglesi e, in forma dilettantesca, il fotografo, dando vita a immagini interessanti e raffinate che ritraggono luoghi e persone, europei e indigeni. 22 Il terzo filone della fotografia di viaggio

è rappresentato da immagini perlopiù di natura

pornografica, che rappresentano donne nere a seno scoperto, efebi dall'aria ambigua, scene di bordello che, in quanto extraeuropee, non costituivano scandalo anche presso gli occiden­ tali più puritani. Maestri in questo settore furono la coppia di fotografi tedeschi Lehnert e Landrock, che per primi hanno fotografato il deserto con un taglio lascivo e ambiguo. Nell'ambito della fotografia geografica vi sono anche molti fotografi impegnati a documen­ tare i territori europei, come Roger Fenton, che dal 1 858 inizia la pubblicazione della Stereo­

scopics Views in North Wales. Tuttavia, è negli Stati Uniti che si sviluppa maggiormente la fo­ tografia di paesaggio, che diviene una sorta di arte nazionale sostenuta dalla volontà di cele­ brare un territorio ancora giovane, alla ricerca della propria storia. Salomon Carvalho, Char­ les Weed, Carleton EugeneWatkins, Eadweard Muybridge23 [scheda 9] hanno fotografato la 19 A. Madesani (a c. di), Da Istanbul

a Yokohama. Fotografie storiche di viaggio tra '800 e '900, Milano 1998, p. 23 ss. 20 Le fotografie di Ceylon di questo periodo, principalmente di mano dell'inglese Charles Scowen, un fo· tografo operante a Kandy e a Colombo, capitale dell'isola, tra il 1875 e il 1 890, sono più colorate e ammic­ canti rispetto a quelle indiane. 21 A. Madesani, Una nuova donazione per la Raccolta Bertarellz:· lefotografie di Antonio Candeo viaggiatore, collezionista efotografo in Rassegna di Studi e Notizie delle Civiche Raccolte Achille Bertarelli, Milano 1998. 22 M. Miraglia (a c. di), Federico Peliti. Un fotografo piemontese in India al tempo della regina Vittoria (1844-1914), Peliti Associati, Roma 1993. Si tratta del catalogo della mostra omonima che ha avuto luogo presso l' Istituto Nazionale per la Grafica Calcografia di Roma. 2J Eadweard Muybridge va considerato come l'inventore della cronofotografia, merito che deve dividere con il medico e fisiologo francese É tienne-Jules Marey, che arriva alla fotografia dopo avere visto le ricerche di Muybridge che si era recato in Europa nel 1882. Attraverso la fotografia Marey dà vita a un'operazione di carattere prettamente scientifico sul movimento animale, con un taglio più approfondito rispetto alla ricer· 10

I presupposti Yosemite Valley, scoperta poco prima, William Jackson, negli anni settanta, il parco di Yel­ lowstone, mentre Timothy O'Sullivan segue numerose spedizioni geologiche.24 Nel 1855 il barone James de Rothschild, proprietario della compagnia del Chemin de fer du nord, commissiona al noto fotografo Édouard Baldus un album con cinquanta fotografie, stampato in venticinque copie. Nel 1 857 sempre in Francia prende avvio una collaborazione fra Collard e l'amministrazione dei ponti e delle strade francesi, operazione che darà vita a ot­ to album sull'argomento. Jean-Louis-Marie-Eugène Durieu, amico di Viollet-le-Duc e di Delacroix, fonda insieme ad altri personaggi la Société française de photographie in un clima di grande entusiasmo per il neonato mezzo fotografico. Amici di Delacroix sono anche i fratelli Bisson, titolari dell'o­ monimo atelier fotografico, salotto e circolo culturale, che pubblicano numerosi volumi con riproduzioni di opere d'ane e architettura antiche e moderne.25 Tra le curiosità della storia della fotografia vi è quella del lavoro collettivo sulle isole anglo­ normanne condotto da Charles Victor, Victor e Auguste Vacquerie, in cui il ruolo del più ce­ lebre Victor è quello della scrittura e del disegno, in cui è panicolarmente bravo. Tra i più significativi personaggi di questo mondo si deve ricordare Edward S. Curtis, foto­ grafo americano, figlio di un pastore anglicano, che gira sin da ragazzo insieme al padre nei vil­ laggi rurali del Wisconsin, trovando in questi paesaggi e tra queste popolazioni una sorta di paradiso terrestre: di lì a poco sarebbe ritornato per fotografarlo. Le sue immagini scattate du­ rante numerose campagne, datate all'inizio del Novecento, hanno per oggetto gli indigeni, i nativi, i cosiddetti pellirossa. Curtis lavora come uno scienziato, un glottologo, registra su na­ stri di cera voci narranti, storie e tradizioni, ed è interessato alla dimensione più fortemente spirituale. Fissa le immagini su lastre, utilizzando l'oroti pia, ancora in fase sperimentale, di cui si conservano splendidi esemplari.26 Vi è nel suo lavoro un'idea pastorale della terra di mezzo, dove la natura è un luogo incontaminato, la versione americana del primitivismo europeo, del­ la riscoperta delle civiltà africane e oceaniche.27 Già nel 1899 Cunis lavora a stretto contatto con gli antropologi in Alaska e rimane fortemente colpito dalla decimazione dei bufali. Nel 1906 viene incaricato dal presidente Theodor Roosevelt di fotografare il cuore degli Stati Uni­ ti in un progetto che dura ventiquattro anni, anziché i cinque preventivati all'inizio, e alla fine del quale sono state realizzate immagini straordinarie che influenzeranno in seguito molti foca solo fotografica dell'americano. La cronofotografia permette di approfondire, tuttavia, anche i problemi legati alla locomozione umana. Marey farà pure esperimenti di carattere cinematografo, utili agli sviluppi della nuova atte. 24 S. Dowell, S. Weber (a c. di), Segnali di fumo. L'avventura del West nella fotografia, Alinari, Firenze 1994. 25 In questo ambito è anche da segnalare l'attività di Charles Hippolyte Aubry, Adolphe Braun, entrambi disegnatori di stoffe poi dedicatisi alla fotografia, di Crespon, del più giovane Eugène Cuvelier. 26 Alcune foto di Curtis sono state presentate recentemente in una mostra a Palazzo Magnani a Reggio Emilia. Si veda C. Cardozo (a c. di), Sacred Legacy. Edward S. Curtis and the North American lndian, Simon & Schuster, Taranto 2000. n Molte notizie su questo argomento si possono trovare in F. Boas, Arte primitiva. Forme, Simboli, Stil� Tecniche, Bollati Boringhieri, Torino 1927, 1981. Un ottimo lavoro sulla fotografia del paesaggio americano dell'Ottocento si trova in N. Leonardi, Ilpaesaggio americano dell'Ottocento, Donzelli, Roma 2003.

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Storia della fotografia tografi, da Alfred Stieglitz [scheda 14] agli autori della Farm Security Administration. Da se­ gnalare tra i fotografi di questo periodo l'americano Hickman, un dilettante che realizza, in­ torno al 1890, delle vedute del Dakota in cui le presenze umane, sebbene apparentemente in­ vadenti, riescono a rendere coinvolgente il rapporto con la natura diventando modular di essa.

Qualche anno più tardi ... Nei primi decenni dell'invenzione della fotografia numerosi furono i progressi attuati, le nuove tecniche, i miglioramenti operati sui diversi procedimenti, dei quali si farà cenno. Fon­ damentale per l'invenzione della moderna fotografia è stato l'apporto di George Eastman, un modesto impiegato di banca di Rochester, nel nord degli Stati Uniti. Appassionato di foto­ grafia, poiché non amava il procedimento al collodio, a suo parere eccessivamente macchino­ so, si mise da assoluto dilettante a fare esperimenti in ambito chimico: «Sperimentai un'e­ mulsione a base di gelatina di mia invenzione che non era un gran che, alla fine scoprii un'e­ mulsione di gelatina e di bromuro d'argento che aveva tutti i requisiti necessari. All'inizio vo­ levo rendere più semplice la fotografia solo per mia comodità personale, ma presto pensai al­ la possibilità di una produzione su scala commerciale».28 Di lì a poco sarebbe nata la pellicola a rullo, che tuttavia pochi potevano permettersi, dal momento che era troppo pesante e co­ stosa. Così Eastman lanciò nel 1888 il Kodak, un apparecchio leggero, economico e facile da usare che veniva venduto già carico, con cento fotografie. Una volta scattate tutte le immagini il rullino e l'apparecchio venivano rinviati in fabbrica, dove si procedeva allo sviluppo. Molti furono i cambiamenti con l'avvicinarsi della fine del secolo. L'aspetto più importante che caratterizzava quegli anni fu sicuramente la fiducia nel progresso, sostenuta anche dal­ l'affermarsi del Positivismo. Le classi sociali più agiate amavano guardare alle classi più pove­ re con occhio paternalista, a metà fra la pietà e il distacco. Molte immagini, in qualche modo caratteristiche e tipiche alla fine del secolo, hanno per soggetto le classi sociali meno abbienti. John Thomson, dopo aver realizzato dei reportage sul tema della quotidianità in Cina, si oc­ cupa della Londra più povera in reportage impietosi accompagnati da testi scritti, destinati a un pubblico di estrazione sociale alta, che ama solo commuoversi. Sempre sulla umile vita londinese lavora anche Adolphe Smith Headingly e i soggetti delle immagini sono ancora le servette, i cocchieri, le fiammiferaie, i vecchi, i giovani orfani in una visione del mondo pateti­ ca e strappalacrime. Anche nel panorama italiano non mancano fotografie di questo tipo, in particolare quelle di Carlo Ponti che, sebbene porti i "suoi" miserabili in studio, produce immagini non diffe­ renti da quelle dei colleghi inglesi, che erano soliti mettere i soggetti ugualmente in posa, an­ che se in mezzo alla strada. I due fotografi inglesi appena citati sono alcuni dei nomi che caratterizzano maggiormente la fotografia d'età vittoriana, di cui fanno parte personalità come Lewis Carroll, Julia Marga­ ret Cameron e Anna Atkins, interessante fotografa, figlia del botanico John George Chil28 Redazioni delle edizioni "Time"-"Life" (a c. di), op. cit., Milano 1978, p. 56. 12

I presupposti dren, in rapporti con Fox Talbot e Herschell. Atkins era membro della Società Botanica di Londra. Nel 1841 fa esperimenti di calotipia con Fox Talbot, in seguito con Herschel si dedi­ ca alla cianotipia, della quale lo scienziato era l'inventore (1842). Tra il 1843 e il 1 853 pubbli­ ca il primo libro fotografico inglese in tre volumi intitolato: British Algae: Cyanothipe Impres­ sions. In quei dieci anni Atkins produce più di cinquemila stampe. Si segnalano, inoltre, Winifred Casson, Lady Hawarden, Henry Peach Robinson. ll giornalista fotografo Jacob A. Riis, colto, emigrato dalla Danimarca negli Stati Uniti, se­ gnato da un credo politico socialisteggiante, è una delle figure più significative nell'ambito del­ la fotografia che ha per soggetto le classi meno abbienti. Riis realizza delle inchieste illustrate sulle condizioni di vita delle classi più umili, ma nel presentarle non si esime dal fare commenti di narura razzista su questioni di razza e provenienza, con una non troppo sottile esaltazione per le popolazioni emigrate dal Nord Europa, le uniche in grado di riscattarsi, a suo parere, dalla povertà. Le sue immagini sono forti, volutamente provocatorie, ai limiti del cattivo gusto, tese a provocare del sensazionalismo gratuito. In Francia tra i fotografi di questo genere si annovera Pau! Martin, che documenta gli umili in atteggiamenti di convivialità e di allegria, come accade in alcuni dipinti di scuola impres­ sionista. La Parigi della Zone, quella appena fuori la addizione hausmanniana, è raccontata da Eugène Atget [scheda 12], una delle figure più complesse e intelligenti della fotografia fran­ cese a cavallo tra il XIX e il XX secolo. In Germania la figura più vicina a questo genere di ricerca è Heinrich Zille, che realizza centinaia di lastre con scenette di genere, sempre incentrate sulla vita della povera gente.29 Nel 1897 nasce in Inghilterra la National Photographic Record Association, presieduta da sir Benjamin Stone, il cui scopo era quello di documentare l'esistenza quotidiana, gli usi e i co­ stumi del popolo inglese, alla quale faranno seguito iniziative analoghe in altri paesi europei. Frances Benjamin Johnston è una delle più interessanti rappresentanti della fotografia na­ turalista, con i suoi interni di scuole riservate a soli alunni neri, accompagnati da articoli gior­ nalistici di chiaro impegno sociale. La fotografia naturalistica vuole un'immagine pulita senza trucchi di sorta, che non si nasconda dietro speciali artifici. Uno dei portavoce di questo tipo di fotografia è Peter Henry Emerson, scienziato e medico assai vicino alla moderna fotografia documentaria, guidato dal sentimento, dalla poesia delle piccole cose, che dona alle immagini un'aura tutta particolare, in grado di emozionare senza patetismi di sorta: è lo stesso Emerson che dichiara più volte di fotografare ciò che il suo oc­ chio vede. La figura più importante in tal senso è quella di Lewis Wickes Hine [scheda 48] ,3° anch'e­ gli con una formazione scientifica. Hine è prima di tutto un insegnante e proprio in virtù del suo ruolo pedagogico inizia a realizzare le sue prime immagini. La fotografia può contribuire, secondo Hine, al miglioramento sociale, alla crescita dei ceti più deboli, può insegnare molte 29 Tra gli altri fotografi tedeschi di questo periodo Cari Friederich August Kotzsch, Heinrich Cari Chri­ stian Kiihn. lO M. Panzer, Lewis Hine, Phaidon, London 2002.

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Storia della fotografia cose e può divenire senza dubbio uno strumento didattico come la fotografia di viaggio. Hine dà vita a un'importante ricerca sul lavoro minorile in miniera, realizzata tra il 1906 e il 1914, una vera e propria denuncia, di grande modernità, in cui ogni foto è accompagna da una scheda-didascalia che informa sulla storia di ogni singolo bambino. Per l'epoca una denuncia di tal genere fu di importanza fondamentale, sebbene l'aspetto rivoluzionario rimanga il fatto che Hine si serva dell'immagine per rendere l'operazione sociale assai più forte rispetto a una semplice denuncia scritta. A questo tipo di fotografia fanno da contraltare le immagini di Giuseppe Primoli, nobile italiano, vissuto tra Roma e Parigi nella seconda metà del XIX secolo, fotografo della sua stessa classe sociale in ritratti in posa e durante i numerosi momenti di svago, dal teatro all'ip­ pica, al passeggio, allo sport.31 Immagini assai vicine a quelle del più conosciuto, e posteriore, Jacques-Henry Lartigue [scheda 40] . All 'inizio del secolo prende piede l'uso della cartolina, cui i fratelli Jules e Louis Seeber­ ger32 forniscono numerosi soggetti, lavorando per l'editore Léopold Verger, che chiede loro i campioni più riconoscibili e connotanti delle più importanti città francesi. In seguito si unirà a loro il terzo fratello, Henri. Tra i maggiori fotografi italiani dell'800 vi sono Leopoldo Alinari,33 fondatore fiorentino della nota dinastia, e Giacomo e Carlo Brogi. Di quest'ultimo è importante ricordare la curatela di un librino assai interessante, intitolato Il ritratto in fotografia, pubblicato a Firenze nel 1895, che contiene molte delucidazioni sulla fotografia commerciale di quel periodo. Inoltre si devono ri­ cordare il veneziano Carlo Ponti, autore di numerosi panorami e tipiche vedute di Venezia, e il "lucigrafo" Luigi Sacchi, che ha lasciato numerosi panorami milanesi, così come Icilio Calzola­ ri.34 Un caso particolare è quello di Ignazio Cugnoni ( 1822-1903 ), «astronomo, matematico, in­ gegnere, architetto»35 e naturalmente fotografo, legato all'alto clero e alla nobiltà nera romana, che ha un particolare interesse per la fotografia di architettura. Tra le sue immagini più cono­ sciute ci sono quelle realizzate con la tecnica della calotipia in Spagna, durante un viaggio di studio, con soggetti architettonici particolari, accompagnati da una scala graduata per fornire una corretta informazione e potere stabilire le giuste proporzioni. La fotografia è per Cugnoni uno strumento di aiuto nella professione di architetto.

31 ll maggiore studioso di Prirnoli è stato Lamberto Vitali, che gli ha dedicato un'ampia monografia: L. Vitali, Un fotografo/in de siècle. Il Conte Primo/i, Einaudi, Torino 1981 [prima edizione 1968]. Primoli fo­ tografo di anima qualità ha fotografato anche molto per le strade, in particolare di Roma e di Venezia, ri· prendendo così anche le persone del popolo e i mendicanti. La sua, a mio parere, non è una ricerca di matri· ce sociale, Primoli è più interessato al pittoresco, al caratteristico. Pittoresco che si ritrova anche fra le sue immmagini di soggetto bucolico. 32 Nati intorno al 1870 i tre fratelli Seeberger hanno iniziato come disegnatori per dedicarsi alla fotografia prima di paesaggio e quindi di moda e di costume, come si dirà in seguito . H W. Senimelli, F. Zevi, Gli Alinari Fotografi a Firenze 1852-1920, Alinari, Firenze 1977. }4 In tal senso interessante il volume M. Miraglia, M. Ceriana (a c. di), Brera 1899, un progetto di/ototeca pubblica per Milano. Il "ricetta fotografico"di Brera, Electa, Milano 2000. 35 S. Porretta, Ignazio Cugnoni/otogra/o, Einaudi, Torino 1976. Numerose sono le immagini di Cugnoni dedicate a Roma.

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l presupposti

Sempre appartenente all'ambito dell'aristocrazia nera romana è Francesco Chigi ( 1881 1953),36 d i cui s i conservano milletrecento negativi e l'attrezzatura tecnica. Tra le immagini più belle ve ne sono alcune che anticipano il moderno fotoreportage e sono state scattate in Italia e all'estero, con un particolare interesse per la Russia zarista. Francesco Negri (1 841 - 1924), avvocato di Casale Monferrato ed esperto di botanica e mi­ crobiologia, ha fotografato il bacillo di Kock e ha sperimentato le tecniche di colore in tricro­ mia: per lui l'immagine fotografica è testimonianza, documento degli usi e costumi della sua terra. Lo svizzero ticinese Roberto Donetta ha realizzato pregevoli immagini di documentazione delle sue terre. Spesso fotografava le persone davanti a fondali di fortuna fatti di stoffe e tappe­ ti chiesti spesso in prestito ad amici facoltosi. Non di rado le scene sono rese più mosse dalla presenza di "teatrini" di sua stessa fabbricazione. n suo è un lavoro di grande sensibilità che dopo molti anni di completa dimenticanza è stato riscoperto negli anni ottanta del XX secolo. Da segnalare Luca Comerio ( 1 878- 1 940) ,37 fotografo e cineasta milanese, autore di un'inte­ ressante documentazione cinematografica, ma anche documentarista delle campagne colo­ niali italiane, e la famiglia triestina Wulz,38 per cui la fotografia diviene occupazione precipua per oltre cent'anni a partire dal 1 860.

Fotografia e scienza Fondamentale è il rapporto fra scienza e fotografia, dal momento che nell'ambito del positivi­ smo la fotografia acquista un'importanza decisiva. Famosa è la dichiarazione di Émile Zola: «Non si può pretendere di avere visto realmente qualcosa prima di averlo fotografato». Zola è stato un fotografo di qualità, così come lo sono stati altri due "naturalisti" e importanti protago­ nisti della storia della letteratura: Giovanni Verga e Federico De Roberto. Già fra gli anni cin­ quanta e gli anni settanta dell'Ottocento, per esempio, in Inghilterra, in Germania e negli Stati Uniti si sviluppa la microfotografia applicata a problemi di ordine scientifico. Alla fine del secolo la fotografia diviene strumento di misurazione: metro fotografia per le rilevazioni fotografiche, o fotografia microscopica in ausilio alla fisiologia, alla biologia. Trent'anni dopo gli esperimenti e le ricerche del padre, Paul Nadar, insieme ai fratelli Tissandier, porta avanti la fotografia "dall'alto" attraverso riprese verticali di Parigi. Nel 1852 Warren de la Rue fotografa la luna e lo stesso farà Lewis Rutherford negli anni sessanta, grazie a un sofisticato apparecchio di precisione. Una delle scienze che maggiormente si era sviluppata nel corso del XIX secolo era la fisio­ gnomica, a cui si era avvicinato anche Nadar. Negli ultimi anni del secolo la fisiognomica vie­ ne applicata a studi più ampi: Cesare Lombroso, collezionista di crani e fotografie di uomini e donne delinquenti al fine di studiare le regole e le modalità delle perversioni e delle varie

36 E.P. Amendola, Uno sguardo privato. Memorie fotografiche di Francesco Chigi, Einaudi, Torino 1978. 37 C. Manenti, N. Monti, G. Nicodemi, Luca Comerio fotografo e cineasta, Electa, Milano 1979. 38 E. Guagnini, I. Zannier, P. Costantini, La Trieste dei Wulz. Volti di una storia. Fotografie 1860-1980, Ali­ nari, Firenze 1989.

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Storia della fotografia devianze, ne fa largo uso come accompagnamento delle sue teorie criminologiche. Interes­ santi in tal senso gli studi di Guillaume Duchenne de Boulogne [scheda 13] sui meccanismi della fisiognomica, mediante la stimolazione elettrica dei muscoli facciali. In questi anni nascono all'interno degli ospedali le prime fototeche, legate soprattutto al­ l'ambito medico legale. La fotografia viene applicata alla diagnostica: si pensi alle scopene di Rontgen, ma anche alle diagnosi del fotografo Secondo Pia, che analizza la Sacra Sindone, le cui foto assumono una valenza sacra, poiché a loro volta indice e registrazione del sudario di Cristo. Importante anche la fotografia relativa ai fatti del Risorgimento italiano, studiata da uno dei padri della storiografia fotografica italiana, Lambeno Vitali,39 costituita principal­ mente da ritratti di vivi, di feriti e di morti, ma anche di luoghi di battaglia. Di grande interes­ se è anche la fotografia relativa al brigantaggio, che raffigura perlopiù scene di morti e di ese­ cuzioni, sviluppata principalmente nel meridione d'Italia. In questo ambito potrebbe essere collocata anche la fotografia archeologica, che può esse­ re divisa in due gruppi: quella turistica, tesa a documentare scavi e monumenti a uso del grande pubblico, e quella scientifica, a uso di archeologi e studiosi, che documenta i lavori di scavo e di rinvenimento, le opere riscoperte, le varie modalità del restauro degli oggetti e dei monumenti. Tale fotografia ha per oggetto l'Italia, l'Egitto, il Medio Oriente e tutti quei luo­ ghi dove sono fiorite le antiche civiltà.40

39 L. Vitali, Il Risorgimento nella fotografia, Einaudi, Torino 1979.

40 Alcune mostre e studi sono stati dedicati all'argomento. In particolare mi preme qui segnalare: B. Telli ­

ni San toni, A. Manodori, A. Capodiferro, M. Piranomonte (a c. di), Archeologia in posa. Dal Colosseo a Ce­ cilia Mete/la nell'antica documentazionefotografica, Electa, Milano 1998, e G. H uebner (a c. di), La fortuna degli Etruschi nellafotografia del/'800. GliArchiviAlinari, Alinari, Firenze 1985.

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I presupposti l . Wi l l iam H en ry Fax Ta l bot ( 1 800- 1 8 7 7 )

William Henry Fox Ta lbot, lA porta aperta , 1843.

«Come sarebbe affascinante se queste immagi ni naturali si imprimessero da sole e in modo duraturo e rimanessero fissate sulla carta.» Wil liam Henry Fox Ta lbot nasce nel 1 800 nel Dorset, in I nghi lterra ; fin da ragazzo mostra grande passione e acume per diverse discipline: la geologia, l'astronomia, la botanica, la ma­ tematica . Si di ploma all'età di quindici anni, frequenta il Tri n ity Col lege a Cam bridge, e una volta tornato a casa , nel 1 82 1 , decide di far costrui re una scuola che esiste tuttora . Tal bot è stato uno scienziato, un inventore, un proprietario terriero, mem bro del Parlamento e della Roya l Society per il suo lavoro matematico e scientifico. Gli si devono moltissime scoperte: la polarizzazione del microscopio, l'i nvenzione dei positivi e negativi , dai quali deriva la fotogra­ fia; apre inoltre la strada all'incisione fotografica a stampa e negli ultimi vent'anni della sua vi­ ta si dedica a tradu rre la scrittura cu neiforme degli assiri. L'avvicinamento di Tal bot alla fotografia avviene nel 1 833, quando, in viaggio di nozze sul lago di Como, pensa alla possibilità di poter util izzare agenti ch imici per fissare le immagini. Inizia i suoi esperimenti, una volta tornato a casa , a Lacock. !.!estate del 1 835 si rivela strepi­ tosa per una serie di significativi progressi . Ma la scoperta più sensazionale è quella di riuscire a fissa re le immagini del microscopio solare usando una carta particola rmente sensibile: >. Weston pensa che le uniche possibil ità della fotografia, al meno in questo periodo, siano la ritrattistica e gl i studi di figura. « È soltanto med iante la capacità di saper riconoscere nel pro­ prio soggetto una posa significativa - u n gesto oppure un'espressione - che si può raggiungere qualsiasi valido risultato nell'arte del ritratto. » I n questo periodo inizia l a sua ricerca sulle n uvole. Continui sono i viaggi tra gli Stati Uniti e il Messico insieme ai figli e alla compagna Tina Modotti , che là si è stabilita . Alla fine degli anni venti forti sono i contatti con i fotografi tedeschi da Albert Renger-Patzsch a Karl Blossfeldt. Le sue immagi ni tendono all'essenziale, alla purezza delle cose e delle forme: in tal senso si può cogliere un legame con la cultura zen, orientale, da cui Weston è profondamente affasci­ nato, come è affasci nato dall'arte delle avanguardie. Nelle sue immagini è l'astrazione, anche di fronte alle figure che sono estra polate dal loro contesto e diventano entità autonome. Nel 1 929 scopre il paesaggio di Point Lobos che diviene un soggetto prediletto della sua fo­ tografia. Come con gl i oggetti e i n fondo con i ritratti, per Weston non è importante la narrazio­ ne, ma fondamentale diventa la capacità di concentrarsi sull'inq uadratura e sui tempi dell'im­ magine, mentre l'oggetto diviene un pretesto per le sue ricerche sull'immagine, sulla forma. Di Pepper, del 1 930, forse una delle sue più belle fotografie, annota sul suo diario: « È clas­ sica , pienamente soddisfacente: un peperone, più di un peperone: astratto, in quanto del tutto fuori tema». Tra gli anni trenta e quaranta le sue fotografie, oltre ad alcuni nudi, hanno come soggetto so­ prattutto il paesaggio. Tra le cose più intense di questo periodo i nudi real izzati a Ocea no, il cui soggetto è la sua compagna Charis Wilson, in cui si fondono fisicità , sensual ità e purezza astratta. Al l 946 risale una grande retrospettiva al M o Ma di New York. Nel 1 948 si ritira definitiva­ mente dall'attività a causa del morbo di Parkinson che l 'ha colpito irri mediabil mente.

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Dal pittorialismo alla fotografia diretta 42 . lmogen Cu n n i ngham ( 1 883- 1 976)

lmogen Cunn ingham, Nude, 1 9 3 2 .

li lavoro fotografico di lmogen Cunningham riflette i molteplici ruoli da lei assunti nel corso della vita: il suo essere artista, madre, insegnante e amante della botan ica. Nasce a Portland , neii'Oregon, ma si trasferisce molto presto a Seattle, dove freq uenta l'università e si laurea i n chimica. N e l 1 909 va in Germania, a Dresda, per stud iare l e tecniche fotografiche con il pro­ fessar Luther. La sua tesi verrà pubbl icata dalla rivista "Photographische Rundschau und Pho­ tographisches Centralblatt". Ritorna in America dopo poco e apre a Seattle uno studio fotogra­ fico. Le sue foto, che trattano temi così universa l i , senza però mai cadere nel la generalizzazio­ ne, si caratterizzano per una profonda poeticità e per la capacità di unire forma e contenuto. Cunningham i ntuisce la straordinaria possibil ità della macchina fotografica di rappresentare attraverso l'ordine degli elementi formali tutti i soggetti : dalle persone alla leggerezza di un fio­ re, uniti da un senso universale di bellezza . Esplora, attraverso la fotografia, la relazione che intercorre tra il mondo reale dell 'esperienza e quello formale. Le sue prime immagini, negl i an­ ni dieci , riflettono il suo interesse per il periodo preraffaelita: ritratti di amici e colleghi i n fat­ tezze romantiche e pose spiritual izzanti , tipiche di certo pittorialismo. Nel 1 9 1 5 si sposa e si trasferisce a San Francisco. È a partire da questo momento che si de­ dica a immagi ni di soggetto botanico. Ciò che colpisce rispetto ai primi lavori non è tanto il repentino cambiamento di tema, ma il fatto che essi vengano realizzati con una intensa concisione grafica e risentano del l'influenza delle metodologie di altri fotografi americani, tra i quali Ansel Adams. Nel corso degli anni trenta e quaranta le diverse caratteristiche dei suoi lavori fotografici sembrano unirsi: la preci105

Storia della fotografia sione formale si somma a l l 'istintualità per creare ritratti assai penetranti . La Cunningham ha fotografato persone e piante e ha , inoltre, combinato i negativi per produ rre ritratti astratti . Collabora con lo scultore Asawa ; dalla colla borazione nascono una serie di studi profonda­ mente innovativi. Nel 1 932, i nsieme ad Ansel Adams e ad altri fotografi , fonda il gruppo F64 per la promozio­ ne della fotografia pura. Dalla metà degli anni quaranta diventa insegnante di fotografia pres­ so la California School of Fine Arts di San Fra ncisco. Le fotografie degli anni sessanta possono essere messe in relazione con gli svil uppi del mo­ vimento artistico del Dadaismo, mentre invece quelle realizzate negli anni settanta riflettono un profondo studio sull 'evoluzione del tempo e dell 'età : ci sono moltissimi ritratti di persone anziane, ultranovantenni, in particolare donne, tutte, comunque, più vecchie di lei , la cui componente fondamentale è l'allegria. Le immagini sono raggruppate all'interno di un volume i ntitolato After Ninety, pubbl icato postumo. La Cunningham si rende conto, nel corso del suo percorso artistico, del fatto che la fotografia come attività autoreferenziale non può avere u n gran valore: quello che conta è la produzione e la visione dell'oggetto artistico più che l'oggetto in sé. Sicuramente fu affascinata dalla possibi­ lità che offre la fotografia di narrare gl i awenimenti e di riscriverl i, ma la cosa per lei più impor­ tante è l'abilità del mezzo fotografico di unire insieme fotografo, soggetto e spettatore.

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Dal pittorialismo alla fotografia diretta 43 . Ansel Ada m s ( 1 902-1 984)

Ansel Adams, Mount Williamson: schiarita dopo il temporale, 1 944.

Ansel Adams è stato un fotografo-natural ista a cui il movimento ecologista americano deve moltissimo. Le battaglie del Sierra Club, i nsieme alle sue foto, sono riuscite a preservare buo­ na parte dei parchi naziona li del sud-ovest americano. Nel 1 9 1 5 Adams visita l'esposizione fotografica Panama-Pacific lnternational in onore dell'apertura del Canale di Panama, che lo colpisce in maniera straordi naria. Nel 1 9 1 6 , in vacanza nello Yosemite, riceve in rega lo la pri­ ma macchina fotografica , che diviene lo strumento più idoneo per immortalare la bell ezza del­ la va llata. Oltre allo Yosemite, il soggetto privilegiato delle pri me fotografie del giova n e Adams è la Sierra Nevada. Egli celebra, attraverso il medium fotografico, la natu ra selvaggia dell'A­ merica del Nord, ricercando il sublime nei l uoghi più comuni e impensabili. Adams sperimenta le tecniche dei fotografi pittorialisti e i ntuisce, fi n da subito, l'importanza della luce; una luce rivelatrice, capace di rendere la fotografia uno specchio fedele della realtà esistente e non un vago ricordo di qualcosa. Gli anni venti e trenta sono per lui fondamental i per approfondire le sue concezioni e conoscen­ ze estetiche, grazie a una serie di incontri e di letture importanti . John Carpenter, per esempio, gli fa capire come la macchina fotografica non debba essere un surrogato della pittura, ma un mez­ zo attraverso il quale awicinarsi alla realtà in modo di retto e immediato. Questi i nsegnamenti si ritrovano espressi nella raccolta Parmelian Prints of the High Sierras , che comprende le fotogra­ fie della montagna Half Dome, scattate utilizzando la tecnica della visualizzazione. Nel 1 932 Adams i nsieme ad altri fotografi come Cunningha m, Swift, Noskowiak, Weston e Van Dyke, dà vita al gru ppo F64 per la promozione della fotografia diretta e pura: « La pura fo1 07

Storia della fotografia tografia è definita come assenza di qual ità tecniche, compositive e ideative, che siano derivate da altre forme artistiche». U na delle caratteristiche dei lavori del gruppo è l'util izzo del primo piano anche nei panorami. Nel 1 933 si reca a New York, dove conosce Stieglitz, su suo invito fa una mostra personale intitolata An American Piace. Nel frattempo Adams intensifica i rapporti con il Sierra Club per denunciare, attraverso le sue fotografie, il disinteresse della nazione per l'ambiente naturale e per le sue risorse. Gli anni quaranta sono stati per Adams molto importanti : il suo sti le fotografico ormai ha raggiunto una piena consa pevolezza, crea dipartimenti accademici per insegnare la fotografia e pubbl ica le tecniche del cosiddetto Zone System (dividere la scala tonale in undici zone dal nero al bianco). Scatta inoltre fotografie eroiche, per partecipare alla guerra mostra ndo all'A­ merica le i mmagi ni gloriose del paese che immortalano la grandiosità dei paesaggi e del l'am­ biente selvaggio: u na dichiarazione di amore reverenziale nei confronti della natura americana pura e incontami nata. Adams è stato uno degli a rtisti in assoluto più vicini alla natura, a cui si è fortemente ispirato nel corso degli anni. Non ha mai avuto bisogno di altri soggetti o idee per esprimere il proprio spirito. I nsieme alla moglie si è dedicato alla promozione per la diffusione della fotografia creando fondazioni e istituzioni e lasciando numerosi scritti che testimoniano le sue tecniche e il suo lavoro, come per esem pio Camera and Lens e the Negative (entrambi del 1 948).

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Dal pittorialismo alla fotografia diretta 44 . Gru ppo F64

Edward Weston, Peperoni, 1 929.

Gruppo di fotografi american i che dettero vita , fra il 1 932 e il 1 935, a San Francisco, a u n so­ dalizio composto da Anse! Adams, il fondatore, l mogen Cunningham, Edward Weston, Sonya Noskowiak, John Paul Edwards, Consuelo Kanaga , Henry Swift e Willard Van Dyke. Essi si posero apertamente contro qua lsiasi forma di pittorialismo e cercarono di affrancarsi dalla tu­ tela di Alfred Stieglitz. Il nome deriva dall'apertura più piccola del diaframma sul grande formato, che permette un'ampia profondità di campo e una migliore precisione nel la resa del l'immagine. La fotogra­ fia, sempre di grande formato, rea lizzata con il banco ottico, deve essere pura e non deve ser­ virsi di alcuna manipolazione, registrazione obiettiva del circosta nte. l fotografi del gruppo guardano con particolare i nteresse al Bauhaus e alla fotografia diretta tedesca. Importante è nelle loro immagini il ruolo svolto da lla luce, che deve riuscire a conferire la massima precisio­ ne e importanza all'oggetto fotografato. Dopo lo scioglimento del gruppo, Weston e Cunni n­ gham conti nuano a portare avanti il discorso, soprattutto attraverso l'esaltazione del paesag­ gio dell'America occidentale.

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Storia della fotografia 45. Tina Modotti ( 1 896- 1 942)

Tina Modotti, Mani di operaio, Messico, 1 9 2 7 .

In poche righe scritte da Tina Modotti a Edward Weston nel 1 930 si chiarisce la sua doppia identità: «Spero, Edward, che tu abbia fatto una bel la risata quando hai sentito che mi aveva­ no accusata di avere partecipato a l tentativo di uccidere il Presidente Ortiz Rubio. Chi l'avreb­ be mai pensato eh? Una ragazza così gentile che faceva fotografie così carine di fiori e di bam­ bini». Tina Modotti fotografa e rivol uzionaria o rivoluzionaria e fotografa? Entra mbe le cose so­ no portanti nel la sua breve esistenza . Nata a Udine da una famiglia operaia di idee socialiste, nel 1 9 1 3, dopo varie vicissitudini, rag­ giunge i l padre e la sorella Mercedes negli Stati U n iti, a San Francisco. Inizialmente fa la sarta, la­ vora in una fabbrica tessile e nel tempo libero recita nella filodrammatica della comunità italiana. Curiosa e intelligente, Tina prende a frequentare sin dall'inizio ambienti assai diversi da quello da cui proviene. Così nel 1 9 1 7 a una mostra conosce il pittore e poeta Roubaix de I'Abrie Richey, con cui si sposa nello stesso anno, e si trasferisce a Los Angeles. Con il marito frequenta quotidiana­ mente un ambiente di artisti e intellettual i. Nel 1 920 i nterpreta un fi lm, a Hollywood, The Tiger's Coat. La coppia decide di trasferirsi in Messico, ma il marito muore di vaiolo. Nel 1923 Tina si stabil isce in Messico con il suo nuovo compagno, il fotografo Edward We­ ston. Questo segna l'incontro di Tina con la fotografia, i n particolare con la fotografia diretta, di cui Weston è forse il massimo rappresenta nte. La Modotti, tuttavia, crea un suo li nguaggio personale, autonomo da quello del suo maestro. Le prime i mmagini, datate tra il 1 924 e i l 1 925, gli anni della loro relazione, hanno per soggetto soprattutto fiori e piante: calle, cactus osservati con un'i ntensità straordinaria, senza trucchi. Le immagin i sono sensual i , piene, car-

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Dal pittorialismo alla fotografia diretta nose, come Rose, forse la sua fotografia più conosciuta, dove Tina Modotti riesce a rendere tutta la forza della materia che sta rappresenta ndo. A partire dalla fine del 1 92 5 si i ntensifica il suo interesse per la dimensione politica , la rela­ zione con Weston va sgretolandosi e la sua fotografia cambia. Tina Modotti si guarda i ntorno, inizia a fotografa re i paesaggi, gl i i ntern i, le architetture. Nelle sue immagi n i , in cui le luci e le ombre si alternano in un gioco straord inario di bianchi e neri , vi è una grande eleganza che mai sconfina nell'estetismo fine a se stesso. Basti pensare a Serbatoio n. l ( 1 926) o a Edificio puntellato ( 1 926). Le ultime fotografie note di Tina sono datate 1 930. Le im magi ni degli ulti­ mi tre anni sono di taglio sociale e politico. Simbol ica è Falce e martello ( 1 927), uno still life del 1927 , che pa re aprire la strada a una serie di im magini che hanno per soggetto la gente. Già in precedenza Tina aveva realizzato alcuni ritratti: i poveri , gli oppressi, la gente del Messi­ co, così diversa eppure così uguale ai friulani del quartiere proletario udi nese dove Ti na era nata. Sono immagi ni pure, delicate e d rammatiche al tempo stesso. Intense le foto che Ti na fa alle dimostrazioni si ndacal i , alle assemblee di partito, ai gruppi di persone, alle ri unioni contadine. La fotografia, soprattutto quella diretta, diviene per lei sem­ pre più uno strumento di denuncia. In neppure dieci anni di cam mino, Tina giunge a una for­ ma di fotoreportage intenso. Bellissime le foto delle mani dei braccianti , quelle delle donne vessate dal lavoro e dalle troppe maternità . Espulsa dal Messico, in cui la situazione politica si era capovolta , si trasferisce a Berl ino, dove scatta con u na macchina di piccolo formato le sue ultime foto conosciute. A questo punto decide di trasferirsi a Mosca, dove raggi unge Vittorio Vidali, compagno dei suoi ultimi anni. A Mosca viene organizzata la sua ultima mostra , pre­ sentata dal regista Sergej Ejzenstejn, che poco tempo dopo andrà in Messico a girare Que viva Mexico! Tina entra nel Soccorso rosso internazionale e da questo momento abbandona la foto­ grafia dedicandosi alla causa della rivol uzione. I n Spagna, dove combatte con il nome di Ma­ ria dal 1936 al 1 939, conosce Robert Capa [scheda 55] e Gerda Taro, che cercano di convin­ cerla a tornare alla fotografia. La sua vita è conti n uamente in movimento, torna in Messico, dove viene annul lata l'espulsione sotto la n uova presidenza Cardenas e qui rista mpa alcune sue foto. Nel 1 942 muore di infarto a Città del Messico in u n taxi che la sta portando a casa, dopo una cena consumata nel la casa di Han nes Meyer, architetto del Bauhaus. Di rado la figura di un fotografo è assurta alla notorietà di Tina Modotti , che nel corso degli anni è diventata un simbolo del fem minismo e della lotta politica . Di conseguenza si sono puntati i riflettori sul suo lavoro fotografico di i ndubbia qualità , facendolo diventare, erronea­ mente, anche una sorta di feticcio. «Ogni volta che si usano le parole "a rte" o "artistico">> , scrive la Modotti in Mexican Fo/kways del 1929, «in merito al mio lavoro fotografico, ho un'impressione sgradevole, certamente deter­ minata dal cattivo uso e dall'abuso che di questi term ini si fa. «Mi considero una fotografa , nulla di più e se le mie fotografie si differenziano da quello che genera lmente viene prodotto in questo campo è proprio perché io cerco di produ rre non arte, ma fotografie oneste, senza trucco né manipolazioni, mentre la maggioranza dei fotografi cer­ ca ancora "effetti artistici" o l'imitazione di altri mezzi di espressione e ne risulta un prodotto ibrido che non riesce a dare all'opera prodotta il carattere più im portante che dovrebbe essere: la qualità fotografica . >>

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Storia della fotografia 46 . Wa l ker Eva ns ( 1 903- 1 975)

Walker Evans, New Or/eans, 1935.

Dopo una formazione letteraria alla Sorbona, du rata un anno ( 1 926), Walker Evans torna negli Stati Uniti , dove scopre la fotografia di retta e in particolare quella di Paul Stra nd. Le immagini realizzate alla fine degli anni venti sono, infatti , assai vicine a questo tipo di fotografia. Ben pre­ sto Evans inizia a interessarsi soprattutto alla gente e al quotidiano, pur non disdegnando la fo­ tografia di architettura: dell'inizio degli anni trenta è il lavoro sugli edifici vittoriani. Straordinario è il suo uso della l uce, che evidenzia i particolari e le fisionomie dei personag­ gi. In tal senso di grande valore sono anche i lavori di reportage di viaggio, per esempio quello su Cuba. A metà degli anni trenta , quando entra in contatto con Roy Stryker, è uno dei fotogra­ fi chiamati per la Farm Security Administration, per cui realizzerà immagini di grande inten­ sità , in cui è colto lo spi rito più i ntimo degli Stati Un iti ; una società povera , i ndebolita dalla crisi , che Eva ns mostra nella sua verità, attraverso immagini puntuali di rara raffinatezza ese­ cutiva. Dura nte gli anni quaranta Evans, dopo la rottura con la Fa rm Security Administration, conti­ nua a fotografare il circostante, la società americana con la sua forza , la sua mora l ità , ma an­ che le sue contraddizioni più o meno aspre. Evans dà vita , quindi, a Labor Anonymus: ritratti di uomini e donne, a nonimi, ripresi sotto la metropolitana, rea lizzati con una macchina di piccolo formato, nascosta in tasca. N u l la a che fare, tuttavia , con i lavori di reportage di un Cartier Bresson, in cui l'attimo colto è particolare, spesso venato di ironia. Qui è solo la registrazione, la volontà di fermare il non cosciente, l'i­ stintività , dove la fotografia diviene "stile documentario". 1 12

Dal pittorialismo alla fotografia diretta Tra i suoi lavori più origi nali le Views from the Train degli anni cinquanta , fotografia i n movi­ mento, a cui molti fotografi hanno guardato con interesse. Evans è attento a nche al "non fotografico", ai marciapiedi, ai detriti, a ciò che si vede, ma non si guarda con attenzione: motivi iconografici che vengono ri presi più e più volte dalla foto­ grafia a noi contemporanea. La letteratura rimane per l u i , durante tutta la vita, un serbatoio da cui attingere: il suo meto­ do di lavoro, di rettamente ispirato a Flaubert, si awale di una metodologia scientifica, essen­ ziale e disciplinata. Lui stesso pubbl ica nu merosi li bri fra i qual i: American Photographs, del 1 938, in cui illu­ stra un testo di Kirstein o Let's Now Praise Famous Men , del 1 94 1 , su un testo di Agee, in cui il ruolo di Evans non è sempl icemente quello di i l l ustrare il testo. Negli ultimi anni della sua vita inizia a usare il colore, le sue immagi ni sono particolari della realtà . Luigi Ghirri [scheda 88] e certa fotografia del "banale" hanno guardato a lui con interes­ se. Straordinarie le sue polaroid in cui compare l'evocazione di atmosfere e di momenti della me­ moria. Interessante è la lettura fatta da Jean-Fra nçois Chevrier sul lavoro di Evans, che lo mette in diretta comparazione con quello dell'a rtista Dan Graham.

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Storia della fotografia 47. Dorothea La nge ( 1 895- 1 965)

Dorothea Lange, In fuga dalla siccità da Abilene (TexasJ alla California, 1 936.

Dopo avere studiato fotografia, Dorothea Lange inizia a lavorare, a New York, nel lo studio di un fotografo ritrattista . Ritorna, quindi, a studiare con Clarence H. White presso la Columbia U niversity, per aprire subito dopo uno studio in proprio nel 1 9 1 9 . La sua ricerca dei primi anni è di matrice pittorialista . La produzione più conosciuta della Lange è quella legata alla documentazione di matrice paesaggistica e sociale, in cui l'avvicina mento al gruppo F64 determina un mutamento nel suo operare fotografico, soprattutto da un punto di vista tecnico. Si un isce, così, al gruppo di Pau l Taylor, suo marito, denomi nato California State Emergency Relief Administration e quindi a Roy Stryker del la Resettlement Admin istration. El emento fondamentale per comprendere la sua fotografia di questi anni è la conoscenza della scuola di pittura tedesca della Nuova Og­ gettività . Grazie a una borsa di studio dalla Guggenheim Foundation, nel 1937 arriva final mente alla Farm Security Administration. Le sue sono i mmagin i di si ntesi, dove persone e ambiente si fondono i n u n unicum di grande armonia costruttiva: esiste sempre un rapporto di una certa entità tra foto e commento scritto, in una sorta di "fototesto". Dopo la seconda guerra mondiale conti nua a viaggiare e partecipa alla realizzazione di alcu­ ni documentari . Le sue immagini, nelle quali sono evidenziati i cieli e le profondità degli spazi, sono assai toccanti. Molto attenta a nche alla di mensione umana, Dorothea Lange offre una vi­ sione del femminile particolarmente profonda e coraggiosa, i n anni i n cui il femminismo era ancora una posizione rischiosa e sporadica. 1 14

Dal pittorialismo alla fotografia diretta Lange è in grado di offrire un taglio dell 'America e degli americani estremamente coinvol­ gente. l suoi personaggi, come lei stessa ha avuto modo di dichiarare, avevano «Coraggio, co­ raggio vero. Coraggio innegabile . . . L'ho i ncontrato molte volte, in l uoghi i naspettati. E ho im­ parato a riconoscerlo quando lo vedo» . 1 Un coraggio che possedeva a nche lei. Il coraggio di osservare e di raccontare al di là dei filtri e del le convenzioni.

1 Le parole sono tratte da un'intervista alla Lange condotta da Richard K. Doud il 22 maggio 1964 e ristampata in

H.M. Levin, K. Northrup (a c. di), Dorothea Lange: Farm Security Administration Photographs 1935-1939, Text-Fi­

che Press, Glencoe (Ili.) 1 980, vol. l, p. 85.

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Storia della fotografia 48. Lewis Wickes H i ne ( 1 874- 1 940)

Lewis W. Hine, Filatura di cotone in Carolina, 1 908.

Lewis Wickes H i ne potrebbe essere definito il padre della fotografia di denuncia. Di umili origi­ ni, dopo avere studiato disegno e arte frequenta un corso di sociologia all'università di Chica­ go, per poi dedicarsi alla fotografia, u na fotografia che deve educare e informare. A partire dal 1 903 lavora a Ellis lsland, l'isola di prima "accoglienza" degli immigrati, e de­ nu ncia situazioni disagiate e drammatiche. Nel 1 908, dopo numerose altre esperienze, si associa al National Child Labour Comm ittee, che si occupa di lavoro e di sfruttamento mi norile. I l suo lavoro è fondamentale anche in senso politico, tanto da influire sull'approvazione di nuove leggi sul lavoro nel 1 9 1 6 , 1eggi che, tuttavia, saranno abolite già nel 1 9 1 8. Dopo la grande del usione provata viene a lavorare in Europa : in Francia, in Belgio, nei Bla­ cani per la Croce Rossa. Un'esperienza, questa, che muta rad ical mente il suo modo di vedere. Matura molti aspetti del suo carattere e quando torna in America si interessa molto al rapporto di collaborazione, sempre in ambito lavorativo, tra l'uomo e la macchina. Segue cosi la crescita e lo svi luppo degli Stati Uniti, soprattutto nel campo dell'edil izia e del­ l'i ndustria. Scartato dalla Farm Secu rity Ad ministration entra a fare parte della Work Progress Administration nel 1 936. Soggetto delle sue fotografie sono ancora principal mente i lavoratori e gli sfruttati . Il suo sguardo all'i ndustria ha segnato e influenzato molta del la fotografia successiva . I n vita non è riuscito a ottenere il successo che si sarebbe meritato. Alla sua morte lascia il suo archivio e i suoi materiali ai giovani fotografi della Worker Fi l m and Photo League, tra i 1 16

Dal pittorialismo allafotografia diretta quali

sono Margareth Bourke-White, Berenice Abbott, Paul Strand, Ralph Steiner, che era an­

che cineasta. Si tratta di un'organizzazione con forti connotati pol itici, che in America prende

vita nel 1928 come ramificazione del la l nternational Arbeiter Hilfe, un'orga nizzazione di pro­ paganda del partito comun ista con sede a Berl i no. I l soggetto delle immagini del gruppo ame­ ricano è la lotta contro la miseria dura nte gli anni del la depressione. L'organizzazione prevede inoltre corsi di tecnica e di storia della fotografia ai quali partecipano numerose personalità , anche europee.

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Storia della fotografia 49. Marga ret Bourke-Wh ite ( 1 9 04- 1 97 1 )

Margaret Bou rke-White, Il Pueblo di Acoma, New Mexico, 1 935.

Margaret Bourke-White è stata una delle fotogiornal iste più famose al mondo, capace di im­ mortalare con la sua macchina fotografica , lungo tutto il corso della sua carriera, persone, av­ venimenti e luoghi protagonisti della storia del XX secolo. Nasce nel 1 904 nel Bronx e ben presto si trasferisce con i genitori nel New Jersey. Profondamente legata al padre, ingegnere e fotografo dilettante, si avvici na dapprima alla scrittura e in seguito alla biologia. Nel 1 9 2 1 inizia a freq uentare la Columbia U niversity e un corso di fotografia alla Clarence H. White School di Philadelphia: sono anni difficili per la giovane fotografa , scossa da espe­ rienze negative, la morte del padre e la fine di u n breve matri monio burrascoso. Non riesce, in­ fatti , a trovare una propria identità, fi nché nel 1 9 2 7 , dopo essersi di plomata alla Cornell Uni­ versity, decide di trasferirsi a Clevel and. Respirando il clima ruggente di questa città Bourke­ White arriva in pochi mesi al successo: ottiene uno studio nella Terminai Tower e dà vita a fo­ tografie insieme poetiche e d rammatiche, che rispecchiano la sua trasci nante passione. Pas­ sione che la porta ad arrampicarsi su ponteggi traballanti a svariati metri di altezza pur di ave­ re la possi bilità di vedere da vicino le acciaierie e la fusione del metallo. Nel 1 930 Henry Lu­ ce, caporedattore di "Time", la vuole tra i fondatori di due nuove riviste: "Fortune" e "Life". Contri buisce anche a far entrare nel li nguaggio fotografico due nuovi concetti: il "corporate photography", il reportage industriale realizzato su commissione, e la "photo essay" , il saggio fotografico. Nel giugno del 1 930 parte per la Germania per fotografare le i ndustrie tedesche, che a fati­ ca si stanno risollevando dalla distruzione della prima guerra mondiale, ma in realtà decide 1 18

Dal pittorialismo alla fotografia diretta poi di spostarsi in Russia perché affascinata dalla nascente industrial izzazione di questa na­ zione. Nel corso della sua permanenza i n U n ione Sovietica le sue foto, pur documentando la massiccia industrializzazione, aggi ungono un elemento nuovo: l'uomo, il lavoratore. Da que­ sto momento si ina ugura la fotografia di documentazione sociale che accompagnerà la Bou rke-White lungo tutto il corso della sua carriera. Collabora anche con lo scrittore Edwin Caldwel l , uno dei più noti osservatori del sottoproletariato e pubblica il testo You Have Seen Their Faces.

Negl i anni quara nta si dedica alla fotografia di guerra, come invi ata per la rivista "Lite": foto­ grafa i bombardamenti su Mosca , l'Aviazione Americana in Inghilterra e Nordafrica, l'esercito in Italia e Germania. Alla fine del confl itto va i n I ndia, dove fotografa la disastrosa condizione umana, i n Sudafri­ ca per documentare l'apharteid e real izza dei ritratti che documentano l'ingiustizia sociale. Partecipa alla guerra di Corea. Margaret Bourke-White muore nel 1 97 1 , dopo anni di lotta contro il morbo di Parkinson che l'aveva colpita nel 1 957.

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Storia della fotografia 50. Wi l l ia m Eugene Smith ( 1 9 1 8- 1 978)

William Eugene Smith, Senza titolo (Donna che corre sotto la pioggia), 1 954.

Dalla ricerca e dall'eredità di Robert Frank sono nati molti protagonisti importanti e significa­ tivi della seconda metà del XX secolo come, per esempio, Elliot Erwitt [scheda 68] , che attra­ verso l'ironia realizza immagini taLnente semplici da apparire surreali. Uno sguardo particolare è rivolto alla società americana, in cui è determinante l'effetto ap­ portato dalla mostra The Family ofMan, che, come si è già detto, ha messo in luce una foto­ grafia di matrice umanistica. Importante anche la risposta che il successore di Steichen alla direzione del dipartimento fotografico del MoMa, John Szarkowski, offrì con la mostra The Photographer's Eye ( 1964) in cui è sempre più il mezzo, lo strumento, ad avere una sua auto­ nomia concettuale, libero da qualsiasi forma di dipendenza. Tutto diviene evento, anche gli aspetti più banali della realtà, che assumono importanza proprio perché fotografati. Nei primi anni sessanta è stato certamente fondamentale lo sviluppo della fotografia di ri­ cerca e ancora una volta determinante è stato il suo rapporto con la scienza: basti pensare all'o­ pera dell'americano Ralph Eugene Meatyard [scheda 69] . Da segnalare anche la figura di Jerry Uelsmann, che ha realizzato con mezzi fotografici sempre più avanzati alcune fotografie di matrice surrealista, evocando atmosfere di sapore onirico e poetico. Ogni fotografia è una sorta di storia dove si awicendano personaggi colti nei loro pensieri e nella loro sfera più intima. Negli anni sessanta gli Stati Uniti hanno vissuto profondi mutamenti sociali: nel 1965 esplode­ va il ghetto nero di Los Angeles, con una delle più violente guerriglie urbane della storia, nel 1968 veniva ucciso il leader nero Martin Luther King dopo gli omicidi dei Kennedy. In Cina tra il 1965 e il 1967 Mao Zedong mobilitava gli studenti nella rivoluzione culturale e i suoi "libretti rossi" di­ venteranno il simbolo di un'epoca. n presidente del Vietnam del Nord Ho Chi Minh divenne me­ tafora della rivolta dei deboli contro la grande potenza americana. n medico argentino Ernesto Che Guevara, compagno di Fide! Castro, fu ucciso sulle montagne dell'America Latina nel 1967. La sua immagine, usata anche da Andy Warhol, divenne un'icona della nuova idea. Verso la fine degli anni sessanta, a partire dal 1966, iniziavano a comparire le prime immagini di Leslie Krims [scheda 70] e Duane Michals [scheda 7 1 ] , che hanno segnato fortemente la storia dell'immagine. Tra le storie più intense e controcorrente della storia della fotografia si ricorda quella di Larry Clark, uno dei più interessanti testimoni degli anni sessanta, autore del libro Tulsa (1971). Un documento straordinario con immagini di giovani che si drogano, fanno sesso, provano esperienze di inaudita violenza, divenuto manifesto dell'emarginazione e della di­ versità. L'emarginazione è al centro degli interessi, in un'operazione fotogiornalistica forte­ mente influenzata dalle esperienze dell'arte, dal concettuale alla body art. Undici anni dopo Clark realizzava Teenage Lust, altro fondamentale libro incentrato sui continui mutamenti della società, in cui il soggetto è la sessualità giovanile esibita e provocata. Billy Owens, fotografo della "normalità americana" , ha dedicato un importante lavoro, dal titolo Suburbia, ai luogi di periferia delle grandi città, dove vive il ceto medio: quei dormitori

13 J.-C. Lemagny, A. Rouillé (a c. di), op. ai., p. 193 ss.

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Storia della fotografia privi di storia dove proliferano, oltre ai praticelli ben curati e alle facciate delle case continua­ mente ridipinte, quei valori di scarsa pregnanza e soprattutto il totale disinteresse nei con­ fronti degli avvenimenti reali del mondo. Sono roccaforti caratterizzate da una tranquillità fa­ sulla, dove la gente si rifugia dopo il lavoro, estraniandosi dal mondo, da tutto quello che suc­ cede, sorda a tutti i cambiamenti. Il lavoro di Owens è ironico, pungente di forte condanna. In Francia si assisteva alla formazione di nuovi gruppi, particolarmente attenti da una parte all'esperienze europee e americana della fotografia diretta e dall'altra alla fotografia d' avan­ guardia della prima metà del secolo. Tra questi gruppi significativo fu il Groupe Libre Ex­ pression, che inaugurò la sua prima mostra a Parigi nel 1 965. La fotografia di reportage senti­ va l'esigenza di aggiornarsi. In Francia nacque l'agenzia Viva, sensibile a questo tipo di pro­ blematiche. Il quotidiano "Libération" iniziò a dedicarsi alla fotografia in senso puro. I fotografi ricercavano nel loro lavoro l'aspetto della spontaneità, non certamente quella dei fotoreporter alla vecchia maniera, bensì una "spontaneità" capace di far parlare il mondo da raccontare. Due eccezionali protagonisti di questa nuova spontaneità fotografica sono Lee Friedlander e Garry Winogrand [scheda 73 ]. Il primo, più intellettuale e preciso, tenta di dare vita a una costruzione per certi versi concettuale, mentre il secondo, molto più anarchi­ co e fantasioso, realizza immagini che sembrano nascere per caso, per una perfetta coinciden­ za spazio-temporale, diversa però da quella di un Cartier Bresson; in realtà nelle immagini di Winogrand tutto è voluto, cercato e perfettamente programmato. Entrambi i fotografi guar­ dano con interesse a Robert Frank e alla poesia essenziale dello sguardo. La figura forse più inquietante della storia del fotoreportage è quella di Diane Arbus. Prota­ gonista assoluta, ha rappresentato una sorta d i vertice oltre il quale è stato difficile spingersi. Si suicidò, giunta a un particolare quanto drammatico momento della sua storia personale e professionale. I lavori della Arbus mettono in crisi il nuovo concetto di fotoreportage, di cui si è precedentemente parlato. A questo punto si avvertiva la necessità di aria nuova per evita­ re di cadere nella maniera, nell'imitazione fine a se stessa. In un panorama di questo tipo l'originalità stava nella diversità radicale, talvolta spinta al­ l'eccesso, nell'interpretazione personale del reale in chiave espressiva. Come quella esasperata e fuorviante del boemoJan Saudek [scheda 74] , il cui lavoro è fortemente radicato nella cultu­ ra che lo ha partorito, come era stato, per esempio, per Mario Giacomelli [scheda 78] . Josef Kudelka [scheda 75], pur ammirando fortemente il grande patriarca Cartier Bresson, cerca e trova un linguaggio personale nel fotoreportage, dedicandosi per molto tempo alla fotografia di gruppi zingari. Altri fotografi si affermano in quel particolare momento come, per esempio, il giapponese Daido Moriyama, il cui primo lavoro, a metà degli anni sessanta, ha come sog­ getto le basi americane di Yokosuka. TI suo stile è particolare e, fin dal primo libro Japan as a Theater, caratterizzato da una sorta di collage di immagini sovrapposte, caratteristica del suo stile anche nelle sue opere più recenti. Originalissimi i suoi lavori sulle textures. La fotografia per lui non è documentazione o strumento di comunicazione, bensì traccia del suo vissuto, della sua esperienza personale, con una sua autonomia rispetto alla realtà registrata. In Giap­ pone nasceva l'agenzia Vivo, fondata, tra gli altri, da Eikoh Hosoe, strettamente legato all'am­ bito letterario. La fotografia pubblicitaria è stata invece la specializzazione di Yoshihiro Tat­ suki, che è stato inoltre il ritrattista preferito di alcune attrici del cinema giapponese. Nasce co136

Dagli anni quaranta ai sessanta me ritrattista anche Shoji Ueda, che già negli anni sessanta realizza alcuni lavori sull'ambiguità delle scale, delle grandezze e dello sguardo, che sottolineano la relatività dell'essere e la man­ canza di un'unica verità possibile. La fotografia di viaggio è invece l'interesse principale di Hi­ roshi Hamaya. Non è qui possibile esaminare dettagliatamente la situazione della fotografia in tutti i paesi del mondo. Da segnalare sono alcune personalità e alcune situazioni. In Svezia, per esempio, si costituirono gruppi di fotografi, in particolare Unga, da cui mosse i primi passi il fotografo svedese Lennart Nilsson, autore di una fotografia di genere scientifico, con cui esplora l'in­ remo del corpo umano, con immagini immediatamente riconoscibili e di grande originalità. :\el 1965 è stato pubblicato il volume È nato un bambino, in cui la fotografia investiga il cor­ po umano nel suo interno, trasformandolo in una sorta di paesaggio. Cristina Garda Rodero è una fotografa di grande interesse per la dimensione popolare ed etnografica della cultura. Nativa di Puertollano a Ciudad Real, ha realizzato un importante lavoro sulla Spagna, dal titolo Espafia acuita. Il vietnamita Nick Ut (Ut Cong Huynh) si è dedicato alla ricerca fotografica dopo la morte in servizio del fratello fotoreporter. Sua è la celebre immagine della bambina vietnamita, di­ ventata il simbolo della guerra del Vietnam. Dopo essersi stabilito negli Stati Uniti egli torna in Vietnam, dove ritrova la stessa bambina, che rifotografa in una seconda immagine che gli vale l'ambito premio Pulitzer. li suo obiettivo è puntato sulla gente e sulla sua sofferenza. In questi anni si assiste infine allo sviluppo della fotografia di moda, a cui dedicheremo una trattazione a parte.

Italia La situazione della fotografia in Italia nel dopoguerra è complessa: da una parte si assiste allo sviluppo del fotogiomalismo, di cui ci si occupa in seguito (vedi l'intervista a Uliano Lucas), dall'altra il verbo neorealista prendeva piede anche in ambito fotografico. Il gruppo della Bussola, riunito intorno alla figura di Giuseppe Cavalli, potrebbe apparire in contrapposizione a quest'ultimo, sebbene questa lettura mi sembri scarsamente analitica. È semplicistico riconoscere nell'ispirazione filosofica di matrice crociana l'elemento caratteriz­ zante della Bussola e dello stesso Giuseppe Cavalli. In realtà, infatti, il problema è ben più complesso. Se indubbiamente questi fotografi ebbero un interesse di tipo idealistico, in spe­ cial modo Cavalli, è anche vero che per la maggior parte di loro il problema rimase essenzial­ mente legato alla fotografia, alla scelta dei soggetti, all'uso delle luci, all'utilizzo del mezzo, ovvero si trattava di un problema di linguaggio e di interpretazione della fotografia. Inoltre è sempre difficile separare in maniera netta gruppi e formazioni i cui esiti sono talvolta molto più vicini di quanto non sembri da un punto di vista poetico e ideologico. Molte immagi­ ni realizzate dai fotografi della Bussola sono assai vicine a quelle degli autori del neorealismo, in una situazione borderline che ci conferma, ancora una volta, l'inutilità di distinzioni ed etichet­ te. Da un punto di vista strettamente teorico, invece, le situazioni si pongono in antitesi. Non è possibile affrontare la questione del neorealismo senza dare uno sguardo più ampio 137

Storia della fotografia alla situazione culturale in cui la contingenza storica ha un peso di tutto rilievo.14 Una volta ter· minata la guerra e uscita da un ventennio vessante, l'Italia si trova ad affrontare per oltre un decennio un periodo molto complesso: da un lato la miseria, in attesa degli anni del boom, dal­ l'altro un grande sviluppo e voglia di cambiamenti. La gente, in larga parte ancora dedita all'a­ gricoltura alla fine della guerra, iniziava a lasciare le campagne per andare a lavorare nelle in­ dustrie cittadine per migliorare, nella maggior parte dei casi, le proprie condizioni di vita. La campagna rimaneva così un luogo di anziani, bambini e, in alcuni casi, di donne, come hanno documentato numerosi fotografi di quel momento. n concetto di famiglia stava cambiando come, del resto, il suo ruolo all'interno della società: la fotografia, come il cinema e la letteratu­ ra, ne sono stati testimoni. La democrazia politica portava con sé grandi cambiamenti. Questo è il nucleo che muove la fotografia neorealista: la documentazione, la denuncia, la satira, l'ironia. Non si tratta, in realtà, solamente di una forma di documentazione, ma di un vero e proprio mutamento di sguardo. Cominciano a cadere le censure e i tabù, si guarda sen­ za filtri alla realtà dell'Italia, a neppure un secolo dalla sua unificazione. Fondamentali in tal senso sono state numerose e diverse esperienze: da Occhio quadrato di Alberto Lattuada alle novità proposte da Luchino Visconti in Ossessione, per il quale, come si è già detto, era stato fondamentale l'incontro in Francia con Cartier Bresson. Fondamentale anche la pubblicazio­ ne, negli anni quaranta, dell'annuario "Domus" e la scoperta, con la fine della censura fasci­ sta, della grande parabola della fotografia americana in cui la FSA fu un episodio di tutto rilie­ vo; l'esperienza italiana di Paul Strand, chiamato da Cesare Zavattini a fotografare Luzzara in occasione della pubblicazione di Un paese per l'editore Einaudi, che nei primi anni cinquan­ ta si stava avvicinando alla fotografia. Un altro libro di grande interesse per la scoperta di un diverso modo di fare fotografia rispetto a quello autarchico è stato New York di William Klein, pubblicato da Feltrinelli, che influenzò in maniera particolare - solo per fare un esem­ pio - il giovane Mario Carrieri, che diede alle stampe non molto tempo dopo, con Lerici, Mi­ lano Italia. Come già detto, molti fotografi protagonisti di questa stagione neorealista, e non solo - ba­ sti pensare a Giuseppe Cavalli che si riteneva un amateur - provenivano da un ambito fotoa­ matoriale: da Mario De Biasi, presente nel 1956 a Budapest, la città dei sogni infranti, a Paolo Monti [scheda 77], tuttora troppo poco considerato rispetto all'importanza che ebbe soprat­ tutto per le generazioni successive. Tra i fotografi di architettura più acuti vi fu Giorgio Casa­ li, che iniziò questo genere nel 1948 per Piero Bottoni, per poi continuare con "Domus" e di­ venire il fotografo ufficiale di quasi tutti gli architetti italiani. Il fotoclub veneziano La Gondola fu un luogo per fotoamatori che divenne punto di riferi­ mento storico, così come accadde per il marchigiano Misa. Nel 1 955 i più informati vennero a conoscenza della mostra The Family o/Man, organizzata da Edward Steichen per il MoMa di N ew York, allestita successivamente a Milano nel 1959. Un ruolo importante ebbero anche le riviste: "Ferrania" , che pubblica a partire dal 1947 si­ no al 1967, la cui parte teorica e quella tecnica erano dirette rispettivamente da Guido Bezzo14 Interessante in tal senso lo spaccato dato da una mostra newyorchese di qualche anno fa, che poi è pas­ sata anche alla Triennale di Milano: G. Celant (a c. di), The Italian Metamorphosis 1943-1968.

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Dagli anni quaranta ai sessanta la, storico della letteratura italiana, e da Alfredo Ornano, fotografo raffinato. Tra i suoi colla­ boratori più significativi citiamo Luigi Veronesi e Giuseppe Cavalli; "Progresso fotografico", diretta dagli eredi di Rodolfo Namias, chimico fondatore (1894), che contava su Stefano Bri­ carelli. In quegli anni i due più importanti critici fotografici sono stati Giuseppe Turroni e !ta­ Io Zannier, tuttora molto attivo. Turroni arrivava dal mondo del cinema e firmò nel 1959 l'im­ portante volume Nuova fotografia italiana, uscito per Arturo Schwarz, altra figura di rilievo nel panorama artistico internazionale. L'apertura non awenne solo verso la fotografia, bensì verso altri mondi e in particolare verso il cinema. Turroni lavorò per un lungo periodo al Centro Informazioni Ferrania e collaborò per vent'anni con " Il Corriere della Sera". Italo Zannier ar­ rivava da un'esperienza più intimamente legata al mondo della fotografia, dal suo Friuli, dove sono state fondamentali le presenze di Pier Paolo Pasolini e di Giuseppe Zigaina. Nel 1955 fu fra i costituenti del gruppo friulano " Per una nuova fotografia" con Fulvio Roiter, Aldo Bel­ trame, Carlo Bevilacqua, Gianni e }ano Borghesan, Toni Del Tin e, in seguito, Bepi Bruno, Gianni Berengo Gardin e Nino Migliori. Nel corso degli ultimi cinquant'anni le pubblicazioni e le mostre curate da Zannier sono state di fondamentale interesse per lo sviluppo della foto­ grafia italiana da un punto di vista storico e critico. Molti sono stati poi i suoi allievi in ambito universitario, da Mario Cresci a Paolo Costantini, grande e rimpianto studioso della storia del­ la fotografia Il bolognese Nino Migliori è stato fotografo e sperimentatore di qualità, influenzato dal verbo veronesiano. Le sue immagini di documentazione dell'Italia, da nord a sud, apparten­ gono all'immaginario collettivo di un paese in via di trasformazione: vecchi, bambini, anima­ li, paesi abbandonati, colti con un'umanità, un lirismo, un'intelligenza dawero strepitosi, che hanno consacrato Migliori anche oltre confine. Da ricordare inoltre Gianni Berengo Gardin/5 fotografo documentarista assai interessante, attivo nel gruppo della Gondola e "Per una nuova fotografia" , collaboratore de "Il Mondo" , "Telegraph" ed "Epoca" , autore, tra l'altro, della "seconda puntata" del libro di Zavattini su Luzzara, intitolato Un paese vent'anni dopo (Einaudi).16 Molte delle immagini di Berengo Gardin costituiscono un punto di riferimento obbligato nella costruzione dell'iconografia italiana degli ultimi cinquant'anni. Tra gli altri protagonisti della complessa storia del neorealismo si ricordano: Piergiorgio Branzi, Cesare Colombo, acuto teorico, oltre che interessante fotografo, Franco Pinna, 17 Fo­ sco Maraini, Enrico Pasquali, Mario Cattaneo, Ernesto Fantozzi, Alfredo Camisa, Stanislao .

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Tra i suoi libri più conosciuti Venùe de saison del 1965, Dentro le case del 1977, Dentro il lavoro del

1 978, Italiani del2000.

16 Vent'anni dopo ancora, nell'ambito di Linea di confine della Provincia di Reggio Emilia farà inoltre se­ guito il lavoro di Stephen Shore su Luzzara. 17 Pinna è uno dei più intelligenti narratori del sud, senza intenti patetici o esasperatamente drammatici: il suo lavoro riesce a dare un'idea oggettiva e obiettiva delle condizioni sociali e culturali del meridione in de­ ciso anticipo sui tempi. Di grande interesse i lavori su Lucania e Puglia, sui riti dei tarantati che negli stessi anni venivano studiati da un punto di vista etnico e del costume dal sociologo Ernesto De Martino, autore, tra l'altro, di Sud e magia. Numerose le immagini scattate anche in altre zone della penisola. Ha, inoltre, rea­ lizzato intensi ritratti di alcuni personaggi dello spettacolo e della moda. Può essere utile la consultazione del volume: G. Pinna, M.S. Bruno, C . Domini, G. Olmoti (a c. di), Franco Pinna. Fotografie 1944-1977, Fe­ derico Motta, Milano 1996.

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Storia della fotografia Farri, Tranquillo Casiraghi, Pietro Donzelli, Luigi Crocenzi, Sergio Del Pero, Enzo Sellerio18 e Alessandro Brembilla. 19 I primi fermenti della Bussola, a cui abbiamo accennato prima, si trovano già nel volume 8 fotografi italiani d'oggi, realizzato dall'Istituto d'Arti Grafiche di Bergamo nel 1942, un'o­ pera nata dall'iniziativa di Mario Finazzi che coivolse Cavalli, Balocchi e Vender che, a loro volta, segnalarono Walter Faccini, Alex Franchini Strappo - che lavorava con Giuseppe Van­ nucci Zauli e insieme erano autori del volume Introduzione per un'estetica fotografica pubbli­ cato dall'editore Cionini di Firenze nel 1943 - e per ultimo Ferruccio Leiss. Il nome " Busso­ la" scelto è significativo e si pone sin da subito come una sorta di guida attraverso la fotogra­ fia, con le sue immagini di " tono alto " . Cavalli a tal proposito dichiara: La necessità di allontanare la fotografia che abbia pretese di arte, dal binario morto della cronaca do­ cumentaria. Chi dicesse che la fotografia artistica deve soltanto documentare i nostri tempi, ad esem­ pio le rovine della guerra, o macchine e uomini negli aspetti dell'attuale civiltà veloce e meccanica, ecc. commetterebbe lo stesso sorprendente errore d'un critico letterario che volesse imporre a pittori o poeti l'obbligo di trarre ispirazione da cose e avvenimenti determinati solo da quelli, dimenticando l'assioma fondamentale, che in arte il soggetto non ha nessuna importanza.

Nel 1 947 il manifesto venne pubblicato su " Ferrania " , firmato soltanto da Cavalli, Finazzi, Leiss, Veronesi e Vender. Contemporaneamente una serie di esposizioni cominciava a essere ospitata nel foyer del neonato Piccolo Teatro di Milano, fondato da Giorgio Strehler e Paolo Grassi, destinato a divenire uno dei luoghi cardine della cultura italiana. Sono immagini di "tono alto" in cui è fondamentale il ricercato e colto aspetto compositivo. Nel 1948 al gruppo si aggiunse Vincenzo Balocchi e nel 1 950 Fosco Maraini, che fece com­ prendere come le distanze fra i vari movimenti fossero una questione sottile, complessa e non così determinata. Molte furono le personalità coinvolte nel movimento più o meno attiva­ mente.20 Alla fine del 1953 Giuseppe Cavalli, con gli altri protagonisti della Bussola, fondò la Misa, associazione fotografica che si riunì per la prima volta a Roma nel 1954. Della Misa hanno fatto parte, tra gli altri, oltre allo stesso Cavalli: Vincenzo Balocchi, Piergiorgio Branzi, Adria­ no Malfagia, Mario Giacomelli, Bice De' Nobili, Giulio Parmiani, Lisa Ricasoli e Bruno Si­ moncelli. La Misa cercò di tenere vive le istanze della Bussola con un'attenzione particolare alle nuove richieste tecnologiche e alla situazione artistica e culturale, attraverso le testimo-

18 Interessante la cultura artistica di questo maestro della fotografia italiana, con cui, all'interno del grosso volume a lui dedicato qualche anno fa, è stato ricostruito il parallelismo. E. Sellerio, Enzo Sellerio. Fotografo in Sicilia, Ani Grafiche Friulane, Udine 1996. 19 Ottimo strumento in tal senso è il volume di G. Tani, S. Lusini, C. Colombo, P. Barbaro, M. Manfroi, Gli anni del Neorealismo. Tendenze della Fotografia Italiana, Federazione Italiana Associazioni Fotografi­ che, Prato 200 l . 20 Per la storia della Bussola, di Misa e dei suoi protagonisti strumento utilissimo è l. Zannier, S. Weber (a c. di), Forme di luce. Il gruppo "La Bussola" e aspetti dellafotografia italiana del Dopoguerra, Alinari, Firenze 1997.

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Dagli anni quaranta ai sessanta nianze dei suoi giovani protagonisti, una sorta di terza via nel confuso panorama della pro­ vincia fotografica italiana. Sulla scia della Bussola - per quel che riguarda la costituzione del gruppo, non tanto per l'apporto ideologico - alcuni fotografi incominciarono a riunirsi nel piccolo negozio " Foto re­ cord" in piazza San Marco a Venezia, gestito dai fratelli armeni Vasken e Ram Pambakian, che possedevano libri di storia e di tecnica fotografica. Il negozio era fequentato perlopiù da fotoa­ matori e la figura più significativa fu quella di Ferruccio Leiss. Dopo la guerra, a pochi passi dal "Foto record" , abitava Paolo Monti, che si fece portavoce delle istanze del neonato grup­ po della Gondola, strettamente legato al contemporaneo e alle novità artistiche e culturali, ri­ spetto allo storicismo della Bussola. Se alcune immagini realizzate dai membri del gruppo so­ no ancora caratterizzate dal "tono alto" , Paolo Monti era decisamente più affascinato dalla Subjective Fotografie di Steinert e il suo riferimento fu la fotografia di reportage francese. La storia del fotogiornalismo stava vivendo una fase interessante in Italia, tra la fine del se­ condo conflitto mondiale e gli anni sessanta e settanta: molti furono i suoi protagonisti, dai primi fotografi giornalisti formatisi durante il fascismo ai giovani free !ance di oggi. Come ha sottolineato Uliano Lucas nell'intervista pubblicata qui di seguito, la rivista "Epoca " , fonda­ ta nel 1950 da Alberto Mondadori sul modello delle riviste americane, ha giocato un ruolo di grande interesse. Per " Epoca" lavoravano alcuni dei protagonisti di questa storia, da Mario De Biasi a Giorgio Lotti, da Mauro Galligani a Nino Leto e Walter Bonatti. Figura particolare del fotoreportage italiano è stata quella di Tazio Secchiaroli, identificato in maniera troppo semplicistica con il "paparazzo" della Dolce vita di Federico Fellini. In realtà, come sottolinea Uliano Lucas, Secchiaroli è stato un personaggio complesso, in grado di de­ nunciare una certa Italia, quella della bella vita, annegata nel moralismo e negli scandali. Tra le sue foto più conosciute quella di " Anitona", la bionda nordica Anita Ekberg, che si bagna nella Fontana di Trevi, a cui si è poi ispirato Fellini per il suo film. Di Fellini, come di Sophia Loren, Secchiaroli divenne il fotografo ufficiale. Le sue immagini di reportage - che si tratti di reporta­ ge cronachistico, di cinema o di gossip - sono forti, intelligenti e colpiscono sempre nel segno. li grande archivio che gli è stato dedicato con tutte le sue immagini dal 1945 al 1992 (circa) ri­ percorre gran parte delle vicende che hanno caratterizzato la cronaca italiana del secondo No­ vecento. Nel 1950 Secchiaroli fondò l'agenzia " Roma Press Photo", impegnata nella documen­ tazione di manifestazioni di piazza, vita nelle borgate, fino ai primi scandali come il caso Monte­ si, per il quale le immagini di Secchiaroli diventarono una prova processuale. "Le Ore", diretto da Salvato Cappelli, fu senza dubbio un'altra importante esperienza edi­ toriale. Tra i fotografi che hanno fatto la storia del fotogiornalismo italiano un posto di spicco è occupato da Mario Dondero, che a Milano frequenta Ugo Mulas [scheda 79] e di cui diviene molto amico, come anche dei fotografi Alfa Castaldi, Giulia Niccolai, Carlo Bavagnoli, della giornalista Camilla Cederna e dello scrittore Luciano Bianciardi. Per lui il volto umano è una storia da raccontare, una geografia da esplorare e nel corso degli anni, come ha recentemente scritto Giorgio Agamben/1 ha praticato lafltinerie, la " deriva" fotografica, in cui le occasioni non si cercano, ma capitano sotto gli occhi, senza nessun intento di rubare le immagini. 21

G. Agamben, Il Giorno del Giudizio, I sassi nottetempo, Roma 2004.

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Storia della fotografia In Italia Mario Dondero, che ha trascorso la maggior parte della sua vita a Parigi, è ancora relativamente poco conosciuto, nonostante l'importanza del suo lavoro, che lo ha portato in Africa, in Asia, in America Latina. Scriveva quasi vent'anni fa: Vorrei segnalarvi gli affascinanti pregi di un mestiere che non ha bisogno di ore d'ufficio per esistere quan· to dd favore degli dei, degli dementi atmosferici e dei mutevoli empiti dd vostro ingegno. [. .. ] Mentre di­ ventano sempre più labili i confini fra giornalismo e pubblicità, la fotografia testimonianza sta perdendo terreno nei confronti della fotografia spettacolo. Cresce magari la finzione tecnica, l'involucro estetico, ma si fa debole il discorso interiore. n documento semplice e duro lascia il posto all'illustrazione degante, alla macchia cromatica, fine a se stessa. Quella che Willi Ronis chiama la "photo humaniste", la "concerned picture" cara a Simon Guttmann, la foto "d'impegno civile", come la si è chiamata in Italia, mi sembra per­ dere nei confronti di immagini nelle quali l'attenzione è volta ad altri terni, ad altri interessi.22

Le sue immagini riescono a raccontare situazioni, a evocare mondi, atmosfere, sentimenti, senza mai essere sdolcinate. In un'epoca in cui l'impegno politico e sociale era di ordinaria amministrazione, Dondero riesce a offrire una visione originale il cui protagonista è sempre, e comunque, l'uomo. Straordinaria è anche la sua capacità di ritrattista. Ugo Mulas è forse il più noto fotografo italiano in ambito internazionale. Dopo un'intensa attività di fotoreporter, di fotografo di moda, di teatro e di still li/e, dedicò gli ultimi tre anni della sua breve vita alla ricerca e alla sperimentazione con le Verifiche, importante riflessione sul senso e la metodologia della fotografia. Tino Petrelli realizza un importante servizio su Africo, paese della Calabria, denunciando­ ne le tragiche condizioni di vita. Nel 1937 Vincenzo Carrese aveva fondato la Publifoto, insieme a Fedele Toscani. All'inizio degli anni quaranta, con l'omonima agenzia, ereditata dal padre, Tullio Parabola, svolse un'interessante attività. In questi anni si assisteva infatti alla nascita di numerose agenzie (ve­ di l'intervista a Uliano Lucas) come, per esempio, quella di Giancolombo. Tra gli altri fotoreporter italiani ricordiamo: Christian Schiefer, del quale sono famose le fo­ to scattate ai corpi di Benito Mussolini, Claretta Petacci e degli altri gerarchi impiccati a piaz­ zale Loreto nell'aprile del 1945, Tranquillo Casiraghi, Arturo Zavattini, protagonista del Neo­ realismo, attento alle realtà del lavoro e in particolare delle fabbriche della provincia di Milano, Cesare Galimberti, specializzato in fotografia sportiva. Lo sguardo di Carla Cerati sulla Milano dei cocktail e delle serate mondane rimane un capo­ saldo nella storia della fotografia di documentazione giornalistica e una pietra miliare di quella sociale. Il suo libro più conosciuto è Morire di classe, realizzato insieme a Berengo Gardin, sulla legge 180, riguardante le strutture manicomiali, con i testi del medico Franco Basaglia, ideatore della legge e figura fondamentale nella cultura italiana wnanistica e scientifica di quel periodo.23 Di grande intensità anche le sue immagini sulla Milano dei poveri degli anni sessanta. Come

22 M.

Dondero, Mario Dondero, Edizioni Fermo, Fermo 1986. 23 Si pensi in tal senso, per comprendere ilsegno lasciato da Basaglia nella società italiana, al riferimento

che a lui e alla sua legge viene fatto nd film La meglio gioventù di Marco Tullio Giordana.

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Dagli anni quaranta ai sessanta due facce di una stessa medaglia che ci riportano a un mondo ormai scomparso di cui la Cerati è riuscita a cogliere lo spirito. Non si trattava solamente di catturare l'attimo e la scenetta, quello della Cerati è stato un lavoro assai più ampio, capace di cogliere un'intera città: le strade, i giar­ dini, la gente, la topografia, anticipando lavori di molti anni più tardi. La Milano di Carla Cerati è quella degli anni della contestazione, la città borghese, del lavoro, la capitale morale di un'Ita­ lia che stava irrimediabilmente cambiando, che stava voltando pagina. Le sue foto fanno da coté nel senso più alto e completo del termine - alle immagini della contestazione a firma di grandi fotoreporter. Cerati, che oggi è una stimata scrittrice, non è stata una reporter tradizionale, ov­ vero non vendeva i suoi scatti alle redazioni dei giornali, ma lavorava a progetto, dando vita a vere e proprie ricerche d'indagine sulla città per coglierne l'anima più profonda. Gli anni della contestazione, di cui parla Uliano Lucas nel suo intervento, hanno rappre­ sentato una grande occasione per la storia della fotografia di reportage. Un'occasione che ha determinato, per molti versi, una rottura fondamentale, una svolta epocale nel modo di fare fotografia. Sono foto di violenza e di scontri, e gli stessi fotografi furono considerati in un pri­ mo tempo dei "compagni" da parte degli studenti e dei lavoratori, fino a quando gli aweni­ menti non assunsero la piega tragica che tutti conosciamo. Tra i fotografi: Romano Cagnoni, il p rimo fotografo al mondo non legato ai partiti al quale viene concesso di entrare nel Viet­ nam del Nord ( 1965) insieme al giornalista James Cameron e che ha documentato in maniera avventurosa guerre ed eventi portanti lungo tutta la seconda parte del XX secolo. Gilles Ca­ ron,24 Fausto Giaccone, Adriano Mordenti, Maurizio Bizziccari, Paola Agosti/5 Gian Buttu­ rini,26 che ha realizzato con gli hippies e i movimenti underground un importante lavoro su Londra e ha lavorato sul tema della malattia psichiatrica; Luciano D'Alessandro, autore de Gli esclusi, tra i suoi libri più significativi; sul disagio mentale, Chiara Samugheo,27 Gianni Berengo Gardin,28 Silvestre Loconsolo (particolarmente significative sono le sue immagini -

24

Gilles Caron (1939-1970) muore durante

un

reportage in Cambogia. Lavora all'Agenzia Apis, dove

scopre la fotografia di attualità. D suo primo scoop è sull 'a.ffaire Ben Barka. Nel 1967 fonda, insieme a De­

pardon, l'agenzia Gamma. Insieme coprono la guerra dei sei giorni e molte altre storie drammatiche fra Eu­ ropa e Africa. Fotografo ufficiale di De Gaulle nei suoi viaggi in Romania e Turchia all a fine degli anni ses­ santa, oltre ad aver seguito il Maggio francese, si è interessato anche di fotografia pubblicitaria e di moda. 25 La fotografa piemontese ha fotografato, tra le altre cose, il Cile di Allende, gli emigranti italiani in Ar­ gentina. Uno dei suoi lavori più conosciuti è un reportage con Nuto Revelli sui vinti delle montagne cuneesi pubblicato da Einaudi. 26 Butturini, D'Alessandro, Lucas e altri in parte hanno dedicato molte immagini anche al drammatico problema degli ospedali psichiatrici, alla legge 180, alla riforma Basaglia. 2; Nome d'arte della barese Chiara Paparella, compagna del grafico, illustratore e editore Pasquale Pru­ nas, lavora nella redazione della rivista da lui fondata "Le Ore", che si occupava di fotogiornalismo interna­ zionale sullo stile di "Paris Match". I suoi primi lavori di reportage hanno un taglio sociale, da segnalare quello sui " tarantolati" o "tarantati" pugliesi. Negli anni realizza molti libri e partecipa a un gran numero di mostre. Famosi i suoi ritratti di attrici, in particolare quelli di Claudia Cardinale e Monica Vitti, con le quali stringe un profondo rapporto di amicizia. Recentemente ha realizzato un lavoro sulle donne di Parma: Le parmigiane. Fotografie di Chiara Samugheo, Palazzo Pigorini, Parma 2004. 28 Autore fra l'altro del lavoro Un paese vent'anni dopo, con Cesare Zavattini. La seconda puntata delle immagini su Luzzara.

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Storia della fotografia sull'autunno caldo a Milano) , Paola Mattioli,29 Roberto Masotti, il cui lavoro sullo spettacolo, insieme a Silvia Lelli, con la quale è fotografo ufficiale ufficiale del Teatro alla Scala di Mila­ no, costituisce un importante punto di riferimento, Francesco Cito, che da anni viaggia come fotografo di guerra e che nel 1 996 ha vinto il World Press Photo con le sue immagini sul Palio di Siena, Elio CioP0 Una sezione a parte va dedicata ai fotografi di ritratti che iniziano a lavorare tra gli anni ses­ santa e settanta: Vittorugo Contino, specializzato in ritratti di letterati; Paolo Mussat Sartor, interessante per i suoi ritratti creativi di artisti; Elisabetta Catalano/1 attiva a Roma nell'im­ mortalare personaggi dell'arte, della nobiltà, della politica e della cultura, impegnata inoltre sul versante dell'arte; Maria Mulas, che ha fotografato con grandi capacità luministiche e d'introspezione psicologica il mondo dell'arte e della cultura; Giorgio Colombo, ritrattista di artisti e performance, che ha seguito gli ultimi trent'anni della storia dell'arte con grande pas­ sione, operando scelte ben precise;32 Enrico Cattaneo, che ha seguito il cammino di molte gallerie milanesi, ancor oggi attento frequentatore delle più diverse situazioni artistiche e fo­ tografo di ricerca, interessato al linguaggio fotografico e ai suoi significati. Giovanna Borgese si è dedicata soprattutto alla fotografia industriale e ai reportage dal Mezzogiorno. Un ruolo curioso è quello occupato da Gianfranco Gorgoni, vincitore nel 1984 del World Press Photo, impegnato a documentare la storia di Iran, Afghanistan e Cuba, attivo nel mondo dell'arte con le mostre presso la celebre galleria newyorchese Leo Castelli e il prestigioso Studio Trisorio di Napoli. Assistente di Ugo Mulas alla fine degli anni sessanta, Paola Mattioli è autrice di intensi ritratti e di lavori di fotoreportage. Le sue immagini di Giu­ seppe Ungaretti sono pubblicate su un libro di Enzo Paci dedicato al poeta. Mattioli si dedi­ ca inoltre alla fotografia di ricerca. Gli anni della contestazione - che nella loro corretta accezione storica non possono essere analizzati in questa sede - hanno mutato molte cose, e non soltanto a livello sociopolitico. ll ruolo dell'immagine stava trasformandosi e, con la fine degli anni settanta e con il risveglio dal lungo sogno, la società si awiava a intraprendere altri cammini. La fine degli anni sessan­ ta e l'inizio degli anni settanta erano stati caratterizzati da un grande mutamento: la storia sta­ va cambiando, i giovani volevano fare la rivoluzione e il Sessantotto è una sorta di prova ge­ nerale destinata a cambiare molte cose. Molti fotografi documentarono tutto questo. E ancora: la rivoluzione femminile, la cultu­ ra che stava mutando, la situazione delle università. La società era in fermento: i lavoratori e gli operai scendevano in piazza chiedendo nuovi contratti di lavoro, e dal 1969 prendeva il via la stagione dello stragismo nero. Gli anni settanta hanno assistito al tragico fenomeno 29 Di formazione fùosofica, Paola Mattioli documenta soprattutto la storia dd movimento femminista. Interessante anche il suo lavoro sulla Risiera di San Sabba a Trieste, l'unico campo di concentramento in suolo italiano. 3° Ciol ha realizzato bdlissirne immagini di padre David Maria Turoldo. 31 Elisabetta Catalano ha realizzato anche molte immagini di performance per Fabio Mauri. 32 Oltre a quelli nominati, tra i fotografi di artisti e opere segnaliamo: Johnny Ricci, Paolo Vandrasch, Sal­ vatore Licitra, a sua volta artista, Aurdio Amendola, Buby Durini, che ha dedicato buona parte ddla sua at­ tività aJoseph Beuys, Lorenzo Capdlini.

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Dagli anni quaranta ai sessanta delle Brigate Rosse. La baby boom generation, prima generazione cresciuta all'ombra della bomba atomica, come scrive Hannah Arendt nel 1969, figlia del miracolo economico, usci­ va allo scoperto nei diversi paesi d'Europa. Alle lotte studentesche, soprattutto in Italia, si affiancavano le lotte operaie e il 1969 fu ricordato come l'anno dell'" autunno caldo" per il rinnovo dei contratti. Dal 1 968 al 197 4 la conflittualità operaia si diffondeva in tutta Euro­ n pa. Dopo il colpo di stato in Cile del 1 973 , Enrico Berlinguer, segretario del Pci, mentre tentava di traghettare il suo partito sempre più lontano dall'egemonia sovietica, elaborò la strategia del " compromesso storico", un accordo di governo fra comunisti, socialisti e catto­ lici, approvato in ambito democristiano solo da Aldo Moro, poi sequestato e ucciso nel 1 978 dalle Brigate Rosse. Nella seconda metà degli anni settanta nasceva a Milano la prima televisione di proprietà di Silvio Berlusconi, Milano 58, e da quel momento il ruolo dell'informazione in Italia avrebbe preso un'altra piega: era terminata l'epoca dell'immaginazione al potere come volevano gli slogan degli studenti della contestazione. Le riviste politicizzate in cui la fotografia aveva as­ sunto un'importanza fondamentale erano destinate a chiudere. Con gli anni ottanta la figura del fotoreporter cambia radicalmente. Per molti aspetti la golden age del 1945-73 incrementò l'interdipendenza e la globalizzazione del mondo [ .. . ] . Sul finire degli anni sessanta i processi avviatisi all'indomani della seconda guerra mondiale giunsero a un punto culminante, producendo al tempo stesso alcune tendenze di segno contrario che si tradussero rapidamente in una svolta. La globalizzazione del sistema monetario in­ ternazionale si risolse in una nuova instabilità e tornarono ad affermarsi i protezionismi nazionali.

[ .. ] In un saggio di grande successo, I Persuasori occulti del 1 957, Vance Packard mostrò il nuovo .

potere della pubblicità nel manipolare il gusto e le opinioni dei consumatori; la forza dei mass me­

dia divenne oggetto di ricerca scientifica ad hoc, come dimostrano i pionieristici lavori del sociolo­ go canadese Marshall McLuhan (Il medium è il messaggio, 1 967 ). L'"immagine del villaggio globa­ le" da lui coniata prendeva spunto dal lancio del satellite Telstar nel 1962, specificamente dedicato alle telecomunicazioni, che di lì a pochi anni rese possibile la mondovisione, cioè il collegamento televisivo dell'intero pianeta.J4

Significativo in questi anni anche lo sviluppo della fotografia di moda - di cui si parlerà nel prossimo capitolo - e di quella pubblicitarial5 con la figura di Aldo Ballo, fratello del critico Guido, autore di una fotografia di tipo creativo molto raffinata. Le sue immagini, in cui la lu­ ce gioca un ruolo fondamentale, sono fortemente costruite e segnate dalla lezione dell'arte fi­ gurativa.

JJ

Questa è solo una traccia approssimativa. Un approfondimento chiaro ed equilibrato si ha in T. Detti,

G. Gozzini, Stona contemporanea, II. Il Novecento, Bruno Mondadori, Milano 2002. }4

35

Cfr. ivi, p. 334. Da ricordare anche Alfredo Pratelli.

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Dagli anni quaranta ai sessanta I ntervista a U l iano Lucas

Uliano Lucas, Parma, in una via della città , 1 984.

D. Mi piacerebbe ricostruire una storia del fotoreportage in Italia.

R. Si dovrebbe partire dal setti manale "Tempo" di Alberto Mondadori, del 1 939-40. È con questo giornale che nasce, infatti , il fotoreportage in Italia nell'accezione europea o anglosas­ sone del termine, con la form ula del fototesto, teorizzata da Federico Patellani in un lungo arti­ colo sul primo annuario di fotografia, l'annuario "Domus" del 1 943, e poi da lui appl icata pro­ prio sul le pagine di "Tempo", insieme ad altri giornalisti -fotografi come Lamberti Sorrentino. Con l'avanzare del conflitto questa esperienza di "Tempo" e del fototesto si interrompe, per essere poi ripresa nel dopoguerra con il proliferare dei setti manali ill ustrati. La forza dell'idea si scontra però contro l'inadeguatezza dei fotografi. Con il 1 945 a pubblicare sui nuovi gior­ nali o a lavorare per le agenzie, che si vanno formando, sono i fotografi cresciuti sotto il regi­ me fascista, un regime che non aveva permesso la li bertà di stampa e che soprattutto non aveva permesso una circolazione di idee intorno alla fotografia. Da questo punto di vista , stia­ mo scontando, ancora oggi , i danni provocati dal ventennio fascista, durante il quale tutta l'informazione era sotto il controllo dell' Istituto Luce. Ricostruire una storia del fotoreportage significa ripercorrere gli ultimi sessa nt'a nni della storia italiana: storia politica e di costume, ma soprattutto cu lturale ed economica, perché, come si può ben immaginare , la storia del fotogiornal ismo le è insci ndibil mente connessa. È una storia complessa, che segue le peculiarità delta cu ltura e della politica italiana e ha dei percorsi suoi propri , spesso slegati dall 'evol uzione del fotogiornal ismo straniero. Almeno fino agli ultimi dieci anni, quando la globalizzazione dell'informazione ci ha immesso in mecca ni­ smi di produzione e d iffusione della notizia internaziona l i . Da al lora si potrebbe forse cessare

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Storia della fotografia di parlare di fotogiornalismo italiano e iniziare a pa rlare di fotogi ornalismo in Italia, anche se certe specificità proprie del nostro paese, sia a livello estetico, ma soprattutto politico ed eco­ nomico, rimangono. D. Che cos 'è il fototesto?

R. È il racconto di un evento attraverso una sequenza di immagi ni e una serie di corpose di­ dascalie - o brevi testi che dir si voglia - scritti dal fotografo stesso. È l'imporsi della fotografia sul lu ngo testo didascalico, sull 'elzeviro, il capovolgersi almeno parzia le delle parti, che ca rat­ terizza la nuova stampa setti manale del dopoguerra , in cui non è più la foto a essere ill ustra­ zione del testo, ma il testo a spiegare brevemente la foto: una rivol uzione. Nel caso di "Tempo" testo e i mmagini venivano poi assemblati da chi curava l'impagi nazio­ ne: Bruno M unari. E anche questo è un dato da non trascurare: l'acquisizione di importa nza della grafica nei primi esperimenti di giornalismo fotografico, di settimanali per im magini. Ba­ sti pensare, nel dopoguerra , al "Politecnico", ancora con Albe Steiner e Gi useppe Trevisani, o a "Le Ore", la cui grafica era affidata a Pasq uale Prunas. È l'inizio dell' idea , purtroppo poche volte applicata nel nostro fotogiornalismo, che foto e testo debbano essere abil mente integra­ ti sulle pagine di un giornale per fornire un'informazione efficace e incisiva, per incuriosire il lettore, ma a nche per comunicare al meglio il messaggio o l'informazione che si intende dare. Poco appl icata, dicevo, proprio per il retaggio del Luce e di una cultura crociana che non era awezza alla com unicazione visiva, per cui anche qua ndo la foto si impone diviene spesso riempitivo della pagina, medium privo di un reale sign ificato. D. Non c'era qualcuno che riusciva a fare qualcosa in controtendenza?

R. Nell'a nteguerra c'erano delle piccole agenzie, come la Fotovedo di Roma di Adolfo Porry Pastore! e la Publ ifoto con Vincenzo Carrese, che poi sarebbe diventata una delle protagoni­ ste del fotogiornal ismo del dopoguerra , e che al lora aveva stretto contratti con agenzie e gior­ nali stran ieri , a cui forniva immagini più neutre rispetto a quelle del Luce. Ma non avevano potere, erano ai margini della produzione visiva e soprattutto, in un paese cu ltural mente arre­ trato, non avevano i mezzi per coltivare il linguaggio della fotografia, se non, è il caso per esempio di Pastore!, attraverso una in nata ironia e u n forte senso della notizia. D. E poi?

R. Nel dopoguerra nascono alcuni giornali che iniziano a servirsi massicciamente della fo­ tografia , non sono più settimanali ill ustrati , ma settimanali per immagini. Ma solo pochi di es­ si mostrano una vera sensibil ità verso le immagini e iniziano a preferire alle foto d'agenzia scatti di fotografi free lance che, sia pur raramente, vengono anche assunti in redazione. Ri­ cordo "Settimo Giorno", "l!Europeo", "li lavoro", "Le Ore", diretto da Salvato Cappelli. I noltre è spesso l'eccezi onalità del momento storico, il desiderio di scoprire e narrare il paese, a pro­ durre foto straordi narie, come quelle di Tino Petrelli della Publ ifoto su Africo o come gli scatti delicati e intensi di Fara boia sulla Mi lano della ricostruzione, che fa nno il paio, si potrebbe di­ re, con Miracolo a Milano di De Si ca. Ma è un periodo breve e il ritardo rispetto al fotogiornali­ smo degli altri paesi è abissale. Francia, Stati U niti, Germania aveva no già avuto un grande

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Dagli anni quaranta ai sessanta giornalismo fotografico. Penso a personaggi come Felix Man, come Alfred Eisenstadt e all'e­ sperienza del giornal ismo tedesco degli anni venti e trenta. In Italia nel dopoguerra si usano per il fotoreportage ancora le macchine a lastre o la 6 x 6 , mentre già negli anni trenta la Germania aveva scoperto la 35 mm, sicuramente più adatta a un racconto fotografico per giornal i, che si articola appunto sulla sequenza di fotogra mmi im­ pressi rapidamente sulla stessa pel licola. Decisiva per la storia d' Italia e del nostro fotogior­ nalismo è, poi, anche la sconfitta del Fronte Popolare del 1 948, che divide il paese e il mondo dell'informazione in due. Da al lora e per l u nghi anni la grande sta mpa conti nuerà a servirsi dalle agenzie fotografiche che producono foto neutre, funzionali al potere, e i free lance che inizieranno a operare nel nostro paese vivranno ai margini di questo mercato dell'i nformazio­ ne pubblicando su testate di partito o su fogl i m inoritari. Questo non vuoi dire che non ci sia stato buon fotogiorna lismo, vuoi dire che questo buon fotogiornal ismo non ha trovato il com­ plesso della società ital iana pronto a capirlo e a sostenerlo. E, come ebbe a dire una volta Franco Lefevre, questa è stata dawero una grave perdita, perché c'era un potenziale di cu ltu­ ra, di creatività , che è stato sfruttato solo in minima pa rte. D. Qual era la formazione culturale dei fotografi di quegli anni?

R. Patel lani, per esempio, era un awocato, ma era u n'eccezi one. l fotografi del prim issimo dopoguerra erano raramente persone con un titolo di studio. Poi c'erano i fotoa matori e i free lance, spesso uomini colti , che si erano awici nati alla fotografia per vie traverse, con una formazione ora di medici , ora di architetti, ora di scrittori. Ma alla fine degli anni quaranta e nei primi cinqua nta sono a ncora pochi, e soprattutto pochi si dedicano al reportage per i set­ timanali. In questi anni rinasce "Tempo" con il nome di "Tempo nuovo", diretto da Arturo Tofanel li. Ma i fotografi che lavorano nella rivista sono a ncora quelli dei trenta-quaranta: Patellani, che vi pubblica i suoi straordinari servizi sulla ricostruzione, e Lamberti Sorrentino, spesso sono giornalisti prestati per un periodo più o meno l u ngo alla fotografia, più che fotografi, che scri­ vono le didascalie per i loro fototesti. Si può dire dawero che il nostro fotogiornalismo fosse ancora agli albori . Basta sfogliare "Epoca" per accorgersene. l primi dieci numeri sono tutti con fotografi stra nieri di a ltissimo l ivello: Robert Capa, Chim, John Phill ips. È certo un'apertura al grande fotogiornal ismo da parte del di rettore Alberto Mondadori e di Cesare Zavatti ni, che partecipa all'ideazione del giornale, ma è a nche una prova della debo­ lezza del fotogiornalismo nostrano. Non per nulla il setti manale è di altissimo livell o, i repor­ tage escono in contemporanea su "Epoca", "Lite", " Post" e "Paris Match", ma dura, nel la sua form ula iniziale, solo pochi numeri . Il paese non è in grado di recepire il tipo di giornalismo che gli viene proposto. Eppure questa esperienza dà una possibilità insieme di educazione vi­ siva e di espressione ai giova ni che iniziano in questi anni la professione e saranno protagoni­ sti del reportage degli anni cinquantacinque-sessanta: Mario Carrieri , Ugo Mulas, Mario Don­ dero, Carlo Bavagnoli . . . Lo stesso merito va a "Le Ore", su cui pubblicano Caio Garrubba, Nicola Sansone, Chi ara Samugheo, Carlo Cisventi . . . I ntanto l' Italia si awia al miracolo economico e le maggiori testa­ te si adeguano alle richieste e alle esigenze del potere economico, politico, della nascente

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Storia della fotografia pubbl icità e tale potere decide che non devono ricorrere al reportage realista, i ncentrato sulla vita di tutti i giorni , sulla documentazione del quotidiano, ma devono promuovere i miti di quegl i anni, con foto che celebrino i divi e i regnanti: Patellani fa le foto a M iss Ita lia e si im­ pongono con sempre maggior forza setti manali come "Oggi" e "Gente", che da cinquant'anni si muovono nella stessa direzione con grande successo, vendendo al lettore queste fiabe dei nostri tempi. "Epoca", diretto da Enzo Biagi , racconta il neocapitalismo. Con l'introduzione del colore nascono giornali femminili importanti. Sono questi gli anni del trionfo della plastica, il moplen della Montecati ni, che awia il processo del consumismo domestico. Nasce Carosello . Politi­ camente l' Italia è insta bile. Ci sono intensi conflitti sociali e politici. Alla periferia delle grandi città del Nord crescono i quartieri dormitorio legati ai fenomeni dell' ind ustrializzazione e del­ l'emigrazione, o sempl icemente all'imporsi della società di massa. Ma pochissimi fotografi raccontano tutto questo, sono free lance legati al Pci o al sindacato, che però non trovano spazio per le loro immagini se non in giornali come "Vie N uove", "Noi Donne", "L' Espresso" , "li lavoro", un settimanale della Cgi l . E sono straordinari narratori. Accanto alla documentazione delle trasformazioni del Nord vi è un particolare interesse nei confronti del l 'indagine antropologica dell' Italia ancora contadi­ na del Sud documentata da Franco Pi nna, Nicola e Antonio Sansone, Caio Garrubba, Erman­ no Rea , Pa blo Volta , che hanno finito con il lavorare più con i settimanali stranieri che con quelli italiani. Se i fotoreporter milanesi Mulas, Dondero, Niccolai e Bavagnoli trovano in per­ sonaggi come Pietrino Bianchi, direttore dell ' " l l l ustrazione Italiana" e "Tempo Ill ustrato", de­ gli intellettuali che amano le loro fotografie e gliele comprano per i propri giornal i , altri fatica­ no molto a trovare dei referenti . D. E il fotoreportage come ne risente?

R. Come dicevo prima è una grande perdita , u n'occasione mancata, perché l'assenza di com mittenza impedisce la produzione di reportage che avrebbero potuto essere oggi di gran­ de valore, sul piano sia storico sia estetico, e che soprattutto avrebbero potuto imprimere al­ lora una diversa direzione alla storia culturale e politica italiana. Lo stesso si può dire, al meno in parte, per quel processo che vede negli anni sessanta l'assunzione di diversi fotografi nelle redazioni dei giornali. In questi anni gli editori sono ricchi, possono investire e, accortisi del­ l'importanza della fotografia nella fattura del proprio giornale, si dotano di staff fotografici per avere i servizi in esclusiva , attingendo però più dalle agenzie e dal mondo fotoamatoriale che dai validi free lance sulla piazza. I noltre quello che appare, e per molti versi è un passo avanti per la fotografia, cui viene ri­ conosciuta un'influenza decisiva sulla vendita , sul successo della testata , è a nche al meno parzialmente una vittoria di Pirro, se si pensa che ai fotografi viene com unque negata la qua­ lifica di giornal isti e che essi conti nuano a essere considerati degli esecutori delle idee del di­ rettore o del giornalista di penna. Ciò non toglie che settimanali del tempo abbiano avuto al loro interno alcuni bravi autori che hanno saputo arricchire il giornale con la loro intell igenza e creatività . Penso a Duilio Pal lottelli, Gianfra nco Moroldo e Evaristo Fusar per "L'Europeo" , a Sergino Del Grande, Giorgio Lotti, Mario De Biasi per "Epoca".

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Dagli anni quaranta ai sessanta D. A questo punto ha ancora senso l'esistenza delle agenzie ?

R. Ben poco, almeno se si pensa alle agenzie artigia nali come erano concepite e organizza­ te negl i anni cinquanta . Tant'è vero che l'assunzione dei fotografi da parte dei giornali segna la fine di molte agenzie fotografiche e l'affermazione delle nuove agenzie Ansa e Agenzia Ita­ lia organizzate su sca la nazionale e capaci di coprire le richieste dei quotidiani 24 ore su 24. Il problema delle agenzie tradizionali non è fra l'altro soltanto organizzativo, ma anche cultu­ rale. � Italia sta entrando in una nuova fase, che richiede altri registri per essere raccontata , un diverso uso del mezzo fotografico, ma anche una generazione im mersa nelle trasformazio­ ni sociali in corso. l fotografi d'agenzia non riescono a comprendere queste nuove realtà , non riescono a capire che il mondo sta cambiando. D. Da noi non esistevano le fotoagenzie come quelle straniere?

R. Non siamo stati in grado di creare delle agenzie o del le cooperative con i nvestimento di capitale e organizzazione ta li, da permettere la crescita e la valorizzazione dei fotografi. l set­ ti manali erano ben felici di avere delle armate Brancaleone, male orga nizzate e da pagare po­ co, con un conti nuo turn over di fotografi che producevano immagi ni standard. Il fotografo non aveva uno status e a molti non i nteressava averlo. La fortuna per i giova ni fotografi come me, è stata , come dicevo, l'esistenza di alcune ecce­ zioni, giornali come "Il Mondo", "l' Espresso", "Vie nuove", i cui direttori e redattori cercava no la foto più incisiva dei free lance. Al radical-borghese "L'Espresso" si forma il megl io della fo­ tografia ital iana. D. Riassumendo. . .

R . U n a parte della fotografia ital iana arriva dalle agenzie: Publ ifoto, Farabola, Gian­ colombo, Roma Press Foto, un'altra dal fotoamatorismo, e una terza da letture preziose, dal­ lo studio vorace del fotogiorna l ismo i nternazionale, dalla scoperta di riviste come "Lite" e dei vari Cartier Bresson , Strand, Capa. Sono tre anime che non si sono né i ncrociate, né guardate. D. E Tazio Secchiaroli?

R. Ecco Secchiarol i è proprio l 'eccezione, è forse uno dei pochi in cui queste tre anime con­ vivono. Tutti parlano del Secchiaroli della Dolce Vita . È quantomeno l i m itativo. Secchiaroli si forma nel la Roma degli anni qua rantotto-cinquanta come fotografo d'agenzia , di una agenzia particolare però, la Fotovedo di Porry Pastore! che abbiamo già avuto modo di citare in questa conversazione per i l suo fiuto della notizia , per l 'efficacia della sua foto di cronaca. A Roma però Secchiaroli incontra anche i fotografi americani che visitavano in quegli anni il Sud Italia e attraverso le loro im magi ni ma, soprattutto, grazie a u n'esperienza di assistente al seguito di Gjon Mili, capisce cos'è la fotografia. Con questo background, acca nto agl i scatti da paparazzo, Secchiaroli real izza, per settima­ nali come "�Europeo" e "Le Ore", reportage di grande capacità e intel l igenza . Fotografa per la prima volta Bruno Pontecorvo, il fisico scappato in U n ione Sovietica, gli incidenti i ntorno al­ l'altare della patria nel 1 956, le apparizioni di Madonne intorno a Roma, la Roma corrotta dei 151

Storia della fotografia ra mpolli dell'aristocrazia "nera". Nella "dolce vita" trova , come tanti fotografi di cronaca di quegl i anni, un'occasione, ma la sua original ità e bravura lo portano poi a fare il salto al lavo­ ro di fotografo sul set, che Secchiaroli arricchisce di nuove formule mutuate proprio dalla fo­ tografia di strada e dai cambiamenti nella rappresentazione della celebrità , di cui il paparaz­ zismo è causa ed espressione allo stesso tempo. D. E i paparazzi. . .

R . Erano tutti "borgata ri" , fotografi d i cronaca cittadina, che trovavano negli scatti rubati al­ la Hol lywood sul Tevere un modo per mandare la moglie a Rimini in vacanza e u n'occasione di rivalsa . Il problema principale era : «Qua nto vale Ava Gadner?». Avevano però il senso della notizia (Secchiaroli, per esempio, fotografa l'incontro tra Piccioni e Montagna, che dicevano di non conoscersi nell'ambito del delitto Montesi). E avevano lo spirito imprenditoriale per fa­ re lo scoop e venderlo ai giornal i . La loro esperienza ha senz'altro contri buito a uno svecchia­ mento della fotografia italiana. D. E con gli anni settanta?

R. Come dicevo, ci si trova di fronte a un paese cambiato. Si affermano nuovi protagonisti, nuove dinamiche nei rapporti social i , politici ed economici. E molti fotografi non riescono più a capire il paese, fa nno tutto come se fosse cronaca: dalle assemblee universitarie, ai cortei degli opera i , alle femmin iste, tentando fra l'altro di dare una rappresentazione in negativo del movimento antiautoritario, fu nzionale alla politica del governo e della maggior parte delle te­ state. Si awerte l'esigenza di nuovi narratori, che raccontino dall' interno le nuove spi nte prove­ nienti dalla società. l più intel l igenti fra i vecchi si ritirano. Prendiamo l'esempio della Fran­ cia: Cartier Bresson torna a Parigi dall 'America per fotografare il maggio francese, ma in bre­ ve si accorge che non c'entra e molla la presa. Saranno Gi lles Caron e Raymond Depardon a raccontare il movimento parigino con i loro lunghi reportage eseguiti con la 35 mm, indispen­ sabile per entrare nelle manifestazioni, per seguire con velocità gl i awenimenti, per trasmet­ terne lo svolgersi febbrile. Anche una certa forza fisica è necessaria, bisogna capire e inter­ pretare lo spettacolo che si ha davanti e per farlo, forse, è necessario essere della nuova gene­ razione, abituata a vedere in modo n uovo. D. E in Italia ?

R. Questa n uova generazione è rappresentata da giovanissi mi, spesso autodidatti, usciti dal movimento e da altri , più a nziani, come me, Gianni Berengo Gardin, Toni N icol ini, Carla Cerati, Cesare Colombo, Massimo Vita l i , Francesco Radino, che muoveva allora i suoi primi passi. Ma se noi , che avevamo comunque in iziato a fotografare prima del Sessantotto, abbia­ mo saputo capire questa stagione senza farcene irretire o meglio riuscendo a prenderne le di­ stanze quando precipitava nell'epoca del terrorismo e della strategia della tensione, tanti dei più giovani, fortemente ideologicizzati e legati a una fotografia militante, hanno ceduto agli stereotipi della propaganda e, finito il tempo delle manifestazioni di piazza , non hanno saputo sdoganarsi da quel tipo di scatti , da stereotipi culturali e visivi stu pidi e inuti li.

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Dagli anni quaranta ai sessanta D. Chi sono questi fotografi?

R. Sono nomi perlopiù scomparsi , perché con la "normal izzazione" negli anni ottanta non sono appunto stati in grado di far fronte alle nuove richieste in campo fotografico. Nella mag­ gior parte dei casi non c'era una vera padronanza del mestiere, una reale professionalità. Forse le foto più significative di cronaca di quegli anni sono quelle di Tana D'Amico e mie. Carla Cerati e Berengo Gardin hanno firmato Morire di classe, sono usciti diversi li bri fotogra­ fici che hanno aiutato a capire di volta in volta il mondo del lavoro, la questione psichiatrica, l'istituzione mil itare o la realtà delle carceri nel clima del movimento antiautoritario e operaio del Sessantotto. Accanto a l l e lunghe ricerche pubbl icate in volumi su specifici temi dai foto­ grafi , vi erano poi gl i scatti per i giorna li di noi fotogiornal isti, che abbiamo continuato a docu­ mentare gli awenimenti e gli sconvolgi menti sociali anche negli anni settanta . D. Qual è la differenza tra fotografi e fotoreporter?

R. Noi eravamo chia mati dai giornali, mentre gli altri appu nto lavoravano su progetti spesso a lungo term ine che davano poi vita a li bri o a mostre. In realtà c'è ancora molta confusione

nei ruoli. Per un fotoreporter free lance il dato fondamentale era il rapporto insta urato con il direttore del giornale. Il direttore scegl ieva il fotografo per le sue capacità, le sue intuizioni, la sua simpatia. Inoltre, tratto disti ntivo del reporter, rispetto al fotografo, è la collaborazione con il giornalista, talora motivo di attriti per l' ignoranza e la supponenza del giornal ista di penna nei confronti della fotografia, ta l altra fonte di un importante scambio di idee, di una com plicità che era alla base della riuscita del servizio. D. Carla Cerati, in fondo, non è stata compresa in tutta la sua grandezza?

R. Sicuramente. Carla ha lavorato per anni su due soggetti che, fra i tanti da lei trattati , fan­ no a mio awiso la sua grandezza : il territorio di Milano e il mondo intel lettuale e culturale de­ gli anni sessanta , un'indagine della città che ce ne offre a distanza di decenni un ritratto cor­ poso, intenso, lucido nel raccontare l'importanza del capol uogo lombardo e insieme il grumo delle sue contraddizioni. D. Chi erano le altre fotografe donne?

R. Le più significative: Lisetta Carmi negli anni sessanta e Paola Agosti , Giovanna Borgese, Paola Mattiol i , Nini Mulas negli anni settanta. D. Chi era Aldo Bonasia ?

R. Un fotografo formatosi nel mondo delle agenzie, che ha fondato la DFP, un'agenzia come le altre a livel lo qual itativo, che si è affermata nel panorama milanese grazie a un equ ivoco. Aveva infatti al suo interno giovani fotografi legati ai movimenti , che seguivano le manifesta­ zioni per i giornali di cui avevano la tessere e poi le davano alla DFP da vendere agli altri, ai giornali "borghesi". L'equivoco si frantuma proprio quando Bonasia fotografa Autonomia Ope­ raia in determinate circostanze e Autonomia non gli perdona quelle foto. In molti sono passati da lui: Al berto Roveri , Roby Schi rer, Edoardo Fornaciari , Wa lter Battistessa . Si può dire che q uesti fotografi sia no stati usati. Era un momento terribile, in cui la lotta per conq uistarsi gior-

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Storia della fotografia nal mente la notizia e le foto a essa relative (in funzione politica oltre che giornalistica) era dawero violenta . . . E tuttavia tutto questo h a fatto fare u n balzo a l l a fotografia come strumento d i informazio· ne, ha svi l uppato la consapevolezza della valenza informativa delle immagi ni. D. Ma un'agenzia come la DFP che ruolo aveva?

R. Certamente importante. In q uegl i a n n i , accanto all'agenzia De Bellis, legata aii"'Unità", aveva fra le mani tutte le foto sui movi menti, a parte i servizi fatti dai free lance. Nel 1 977, però, tutto muta . Cessa quel rapporto privilegiato fra fotografo e man ifestante che aveva permesso il meccanismo di reperimento della notizia (anche di foto violente che solo la con­ discendenza del servizio d'ordine dei movimenti permetteva) da parte delle agenzie in que­ stione. Da questo momento il fotografo è visto dal manifestante come un nemico, e la sua fotogra­ fia non come una fotografia di cronaca , ma di delazione. È owio che con questo cambiamen­ to si chi ude tutta una stagione della fotografia italiana. E gli anni ottanta fa nno il resto: con la normal izzazione del paese e la concorrenza della televisione chiudono molti giornali d'infor­ mazione e della si nistra tradizionale o extra parlamentare. Non riescono a reggere: la televi­ sione richiama tutta la pubbl icità e impone nuovi ritmi nel l'i nformazione. In quel momento finisce la storia del fotogiornalismo ita l iano, certo con alcuni intriganti col pi di coda: giornali divertenti e bel l i come "Ki ng" e il supplemento del "Corriere", "Sette". Poi l'editoria prende altre direzioni, caratterizzate dalla dipendenza dagl i investimenti pubbl icitari da un lato e dal legame con le agenzie fotografiche stra niere, da cui proviene il 70% del materi ale fotografi­ co. Ma nca l'i nteresse per il reportage d'approfondi mento, per l'inch iesta giornal istica per im­ magini. Un esempio: qualche tempo fa u n fem minile ha pubblicato un'i nchiesta su Treviso, eppure per accompagnarla non si è scelto un reportage fotografico sulla città e i suoi disagi , ma una serie di immagi ni di Luca Campigotto, bravo fotografo di architetture, che proietta no però l'osservatore in un ideale passato, e non certo nella contemporaneità di una città dai molti stringenti problemi. Ancora una volta , sia pure con una n uova raffi natezza , si scegl ie di non raccontare il paese, si rifiuta il giornalismo fotografico e si usa l'immagine come strumento di evasione da lla rea ltà . D. E ora?

R. Un awenimento importante negli anni ottanta è stata l'apertura dell'agenzia Contrasto, fondata da Roberto Koch nel 1 983-84. Con essa l'Ita lia si è alli neata alle tendenze nella pro­ duzione fotografica internazionale, sul piano sia estetico sia economico e organizzativo, af­ fiancando alla prod uzione giornal istica l 'attività editoriale ed espositiva e promuovendo una fotografia in cui si fan no sempre più labili le etichette di genere. Di questa nuova produzione sono espressione lo stesso Koch e una nuova generazione, formatasi appunto all'i nterno della sua agenzia: da Paolo Pellegrin a Gian Siracusa a Francesco Zizola. È una nuova stagione per molti versi separata dalla precedente da una netta cesura e più legata ai modelli europei e statunitensi che non al passato ita l iano.

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Dagli anni quaranta ai sessanta D. Oltre a Contrasto esistono altre realtà?

R. Ci sono, ma non dove pensiamo, non nel fotogiornalismo per l'ed itoria quotidiana e pe­ riodica che, come dicevo, gravita su lle agenzie i nternazionali o appunto su Contrasto e Grazia Neri. In passato il giornal ista fotografo era legato alla redazione che vi vedeva una preziosa fonte di notizie e contava su cinque o sei collaboratori fidati. Oggi questo tipo di rapporto è ve­ nuto meno e i comm ittenti dei reportage sono a ltri , enti statali o privati che fi nanziano mostre e ricerche in un meccanismo che purtroppo è però molto spesso quello della commercial izza­ zione e mercificazione dell' immagine fotografica , legato all'i ngresso della fotografia nel mon­ do dell'arte. Per dirla in breve, oggi vai in Afgha nistan e torni a casa con la medaglietta per fa­ re la mostra a Cantù. M entre dieci dei più bravi fotografi internazionali conti n uano a coprire l'informazione per i giornali. D. Chi sono?

R. Quell i della Magnum, della vecchia Sygma , della Seven, della Fra nce Presse; i fotorepor­ ter di "El Pals" e del " New York Ti m es" . D. Non mi ha parlato di Letizia Battaglia e di Franco lecchin.

R. La loro è una delle tante storie che hanno fatto la storia del nostro fotogiornal ismo. Lavo­ ravano aii'"Ora" di Palermo, che nel 1 974 chiama per i servizi fotografici Santi Caleca, che lavorava ai tempi insieme alla Battaglia per "ABC", un giornale di Mi lano che ha avuto un ruo­ lo importante nello svecchiamento dell'informazione e anche della cultura visiva italiana. Be­ ne, questi fotografi portano sulle pagine del giornale palermitano il nuovo linguaggio del re­ portage, i nuovi canoni estetici della fotografia 35 m m im postasi in questi anni e così facendo si inseriscono in quella più ampia storia della fotografia di cronaca dei fotografi assunti nei giornali a cui gli anni sessanta e settanta hanno dato il compito di testimoniare la quotidiana mattanza del terrorismo da u n lato e della mafia dall'altro, con foto incisive, senza preoccupa­ zioni per l'estetica e l' inquadratura, ma solo per la notizia restituita nella sua brutalità. Caleca, Battagl ia e Zecchin partecipano però anche di un'altra tradizione fotografica, quel­ la siciliana. Palermo ha una storia di fotografia straordinaria, basti pensare a Romeo Martinez o Nicola Scafidi. D. A questo punto parliamo di lei.

R. l miei primi passi li ho fatti al Gia maica (bar storico milanese, n . d. r. ) , formandomi attra­ verso le conversazioni con Piero Manzoni ed Enrico Castel lani, poi sono andato a Roma. Nel 1 965 ho iniziato a col laborare con la " Domenica del Corriere", con Dino Buzzati. Scattavo le mie foto, ancora incerto sul mio futuro, in quel sistema del l'i nformazione che le ho descritto. E ho continuato a farlo per trent'anni seguendo i miei interessi. Se molti giornali chi udevano altri ne aprivano e io ho sempre trovato spazi per pu bblicare, ' cerca ndo di controllare il più possi bile l' iter dei servizi che facevo, le testate su cui finivano, i testi che li accompagnavano. Me lo ha insegnato un episodio in particolare: un lungo reporta­ ge che rea lizzai in Albania nel 1 970, fotografando indisturbato per quattro setti mane tutto ciò che desideravo in quel paese comunista. Venne pubbl icato da " Epoca" con il titolo Un fo-

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Storia della fotografia tografo cinese ha fotografato l'Albania , per giustificare un racconto altrimenti inconcepibile

nel clima della guerra fredda. D. Lei è un teorico della fotografia ?

R. No, sem pl icemente un divulgatore che non ha mai delegato la sua storia ad altri. Ma an­ che un a utodidatta , che ha sempre creduto che per fare della buona fotografia bisogna essere curiosi.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 55. Robert Ca pa , pseudonimo d i Endre Friedman, ( 1 9 13- 1 954)

Robert Capa, Battaglia de Sierra, vicino a Cerro Muriano, Espana, 1 936.

«Il corrispondente di guerra è libero di mettere o no la propria vita in gioco. Dipende da lui. La può puntare su questo o quel cavallo, o rimettersela in tasca all' ultimo min uto. lo sono un gio­ catore.>• Robert Capa ha attraversato oltre vent'a nni di campi di battaglia e li ha fotografati tutti. In ogni scatto c'è una storia, u na vita: i volti deformati dalle smorfie di paura , uomini fer­ mati nel momento della morte o nella corsa verso la vita. Accusato di militare nel le fila del partito com unista u ngherese, viene dapprima inca rcerato e quindi successivamente li berato, a condizione che abbandoni l'U ngheria. Esu le politico, si trasferisce dunque a Berlino, dove trova lavoro presso l 'agenzia fotografica Dephot, il cui diret­ tore Guttmann lo spedisce a Copenaghen per fotografare il rivol uzionario russo in esi l io Lev Trotzkij . Nel 1 933 Hitler viene nomi nato cancell iere e per Capa, ebreo com unista , non c'è altra scel­ ta che la fuga. Giunge a Parigi e dopo un primo periodo di stenti inizia a lavorare per alcune ri­ viste francesi, tra le quali "Vu", pubblicando fotografie sulle manifestazioni del Fronte Popola­ re e sugli scioperi. Conosce anche Chim e Cartier Bresson. Nel 1 935 riceve l'i ncarico dal suo ex capo G uttmann di recarsi in Spagna , ma non riesce a vendere nessuna delle sue foto alle ri­ viste; decide al lora di i nventarsi un nome n uovo, misterioso, americano: Robert Capa (« Così cominciai a muovermi con la mia Leica, scattai delle foto e ci scrissi sopra Bob Capa , il che si­ gnificava guadagnare il doppio»). Nel 1 936 è ancora in Spagna per svolgere un reportage, pubblicato dalle riviste "Vu" e "Lite", sulla resistenza del governo repubblicano contro l'eserci­ to del generale Franco. Da questo momento diviene fotografo di guerra e utilizza la macchina

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Storia della fotografia fotografica come mezzo efficace di denu ncia. I n Anda lusia, durante la guerra civile spagnola, scatta la sua foto più famosa , Il miliziano colpito a morte, una delle immagini più controverse nella storia del giornalismo fotografico, perché non c'è modo di sapere se l' uomo sia caduto accidental mente, se sia stato ucciso o se abbia simu lato la propria morte. Nel 1 937, dopo la morte della sua compagna Gerda Taro, va a New York e ottiene un con· tratto di coll aborazione con "Life". Nel 1 938 è in Cina , dove fotografa la resistenza del popolo ci nese contro l'invasione giapponese. A partire dal 1 94 1 inizia per "Life" la sua documenta­ zione sulla seconda guerra mond iale: Inghi lterra, Nordafrica, Italia, Francia. Il 6 giugno 1944 sbarca con la prima ondata di truppe americane in Normandia, a Omaha Beach: delle cento­ sei foto scattate da Capa, le foto in assoluto migl iori del lo sbarco in Normandia , se ne salvano solo otto, perché il lavorante nella camera oscura , emozionato, mentre fa asciugare le foto dà troppo ca lore e l'emulsione si scioglie. «Capa sapeva che la guerra , fatta in così larga misura di emozione, non si può fotografare, ma egli spostò l 'angolo e la fotografò. Su un volto di un bambino sa peva rivelare le emozioni di tutto u n popolo. I l suo apparecchio coglieva le emozio­ ni e le conservava» (John Steinbeck). Capa si accosta alla gente con passione e attenzione, gli interessano le persone, i ba mbini, la gioia , la morte, la desolazione, i pensieri. Il suo viaggio continua fino a ritrarre la liberazione di Parigi e della Germania e, proprio a Parigi, che diviene la sua base operativa , fonda nel 1 947 la cooperativa fotografica Magnum Photos lnc. In que­ sti anni nel la città francese Capa si dedica alla bel la vita, corse di cavalli, night, stringe una re­ lazione con l ngrid Bergman. Al termine del loro rapporto Capa conosce John Steinbeck e i due insieme decidono di partire per l'Unione Sovietica alle prime awisaglie di guerra fredda. All'i­ nizio del 1 948 va in Israele per documentare i comprensori ebrei disseminati tra i vil laggi ara­ bi sotto i colpi senza sosta dei bombardamenti aerei: su questi awenimenti scrive un li bro con l rwin Shaw intitolato Report on lsrae/. Nel 1953 il governo americano gli ritira il passaporto, che aveva ottenuto nel 1 946, con l 'accusa di coll usione con i l com unismo, e Capa ri mane bloccato in Francia fino al 1 954. Si reca prima in Giappone, per poi accettare, principalmente per questioni economiche, di anda­ re in l ndocina a documentare l 'ennesima guerra, la quinta . Giunge ad Hanoi e si unisce all'e­ sercito francese dirigendosi verso il Nord del Vietnam, dove muore saltando su una mina an­ tiuomo. L'esercito francese lo decora con la Croce di Guerra, una del le più alte onorificenze al valore militare. Lo scoop fotografico fu alla base del lavoro e della fama di Capa, ma ciò che lo ha reso grande è stata la sua capacità di mostrare l'inumanità delle guerre attraverso i volti del la gente, la fuga, la desolazione dei vinti e dei feriti e la pietà che compare sotto le divise degli esseri umani.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 56. Henri Ca rtier Bresson ( 1 908-2 004)

Henri Cartier Bresso n, Romania , 1975.

«La fotografia confezionata non mi interessa . . . Per me la macchina è ... uno strumento di intui­ zione e sponataneità, il padrone dell' istante.» In altre occasioni Henri Cartier Bresson disse che la Leica, la sua macchina fotografica , era il prolungamento del suo occhio. Nato in una famiglia benestante e di un certo prestigio sociale, si interessa inizial mente alla pittura, prima a Parigi, e poi presso l ' U niversità di Cambridge. Scopre tuttavia ben presto che la pittura e la letteratura non sono la sua strada e a partire dal 1 93 1 decide di dedicarsi alla fotografia . I nizia da qui la sua carriera di free la nce, interrotta e ripresa più volte. L'am biente borghese che lo circonda lo opprime, lo rende incapace di dedicarsi completamente a l la foto­ grafia. Così inizia a viaggiare: prima in tutta l a Fra ncia poi in Italia e in Messico, in Spagna , sempre accompagnato dalla sua Leica . Fotografa di tutto, mantenendo un grande rispetto per ogni soggetto: i contadi ni, gli operai, i ricchi signori e i poveracci, la città , la campagna , facen­ do rivivere in tutte le immagi ni la realtà, la concretezza , la verità. Fotografa mettendo «sulla stessa l inea di mira la testa , gli occhi , il cuore » . La rigorosità della forma si unisce alla genia­ lità nel catturare il momento. Affronta la fotografia come affronta la vita: curioso e partecipe, appassionato e lucido, ironico e interessato. La fotografia è la vita. In ogni sua im magine si percepisce una tensione li beratoria, tocca nte, rivelatrice. La sua prima grande mostra è in Messico nel 1 933; negli anni successivi si dedica anche al cinema in America con Paul Strand. Durante la seconda guerra mondiale cade prigioniero dei tedeschi , tenta la fuga più volte, e ci riesce a ppena in tempo per partecipare alla Resistenza francese, che documenta con una serie di fotografie. Straordinario il suo servizio sulla libera­ zione di Parigi. Nel 1 945 torna a fare il free l ance e nel 1 94 7, insieme a Chi m e a Robert Capa

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Storia della fotografia fonda l'agenzia fotografica Magnum. «Con la fondazione della Magnum, Cartier Bresson e compagni, rendendosi proprietari dei loro negativi attraverso l'istituzione di un archivio comu­ ne, riuscirono a ribaltare il rapporto di potere prima esistente e a divenire gestori , in prima per­ sona , del loro lavoro. Questa idea del possesso del negativo non va però intesa come ri pristino dell'aura del l'un icità e dell'immagine originale, ma invece, pi uttosto, come possibil ità di con­ trollo su quel principio, tipicamente fotografico, che è la ri prod ucibil ità all'infinito. E tutto que­ sto per la fotografia in genere, ma a ncora più a mbiziosamente si potrebbe dire per la cu ltura tutta, risulta veramente determ inante, perché diviene metafora del passaggio dall 'idea moder­ na di possesso della "cosa" a quella postmoderna di controllo sull'i nformazione e sulla circola­ zione del prodotto.» 1 Ri prende a viaggiare i n tutto il mondo, i n particolar modo i n Estremo Oriente. Nel 1952 pubbl ica il libro di enorme successo lmages a la sauvette . I n questi anni lavora per quasi tutte le più grandi testate giornalistiche internazionali. Lascia la Magnum nel 1966, con ogni pro­ babilità rattristato e amareggiato per la morte di alcuni dei suoi compagni di awentura nel corso degli anni, e dopo una lunga serie di pubblicazioni e retrospettive riduce drasticamente la sua attività di fotografo, ogni tanto facendo ancora qualche ritratto o immortalando un pae­ saggio e riscoprendo la sua prima passione: il d isegno, la pittura. Cartier Bresson è stato nella sua lu nga carriera di fotografo un attento osservatore che ha saputo raccontare attraverso le sue immagini u n secolo di storia e di vita.

1 C. Marra, Henri Cartier Bresson. /:istantanea come modo di relazione con il mondo, in F. Alinovi, C. Marra, La fotografia. l/lusione o rivelazione?, cit., p. 248

ss.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 57. Chim , pseudonimo di David Szym i n , ( 1 9 1 1 - 1 9 56)

Chi m, Vaccinazione a scuola ,

1 948 ca.

Nasce a Varsavia con il nome di David Szym in, frequenta il ginnasio in Polonia , poi nel 1 929 si trasferisce in Germania , a Lipsia, dove si diploma all'Accademia di Grafica e di Arte del Li­

bro. Nel 1 932 va a Parigi per com pletare gl i studi alla Sorbona e, per non essere di peso sulla famiglia, inizia a scattare fotografie adatte per la pubbl icazione presso l'agenzia Rap, firman­ do i suoi lavori a partire dal 1 933 con lo pseudonimo Chim. Fin da ll' inizio Chim si dimostra un fotografo sempre interessato, affascinato, in cerca di informazioni, di contatti. La sua opera è pervasa da una dicotomia tra lo studioso che fa pro­ grammi a priori, che studia le mosse, e la spontaneità dell'artista. Chim si ostina a considerare il suo lavoro artigianato e non arte, ma la sua si ncerità e la sua passione lo rendono ta le. Tutte le sue fotografie sono caratterizzate da un profondo senso della storia e dalla forza dello spirito umanitario. Il suo scopo è quello di informare gli esseri umani sui loro si mili. A Parigi conosce Robert Capa e Henri Cartier Bresson e tra loro nasce un'amicizia profonda. l tre insieme fondarono la cooperativa fotografica Magnum Photos l nc. Nel 1 934 inizia la col laborazione con la rivista francese " Regards", che si occupa principal­ mente di far conoscere le deplorevoli condizioni economiche e sociali della cl asse operaia francese, rivendicando la coalizione del Fronte Popolare. Il lavoro di Chim, durante gli anni di collaborazione con la rivista , si caratterizza per una spiccata sensibil ità nei confronti dei sog­ getti fotografati e per la sua abilità nel riprenderli senza che questi se ne accorgano. Ritrae le più sva riate situazioni , le dimostrazioni contro il fascismo, contro la guerra , con un'adesione tota le alla realtà e priva di qualsiasi sentimentalismo. N el 1935 "Regards" lo invia in Spagna:

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Storia della fotografia in realtà , pur documentando gli orrori della guerra civile, Chim non scatta molte fotografie al fronte, ma si concentra sui servizi dedicati ai sostenitori della causa repubblicana. Uno stile fotografico non eroico ma informativo. Due giorni dopo lo scoppio della seconda guerra mondiale Chi m si trasferisce a New York e cambia il nome in David Seymour per paura di cadere in mano ai tedeschi a causa delle sue origini ebraiche. Arruolatosi nell 'esercito, non risulta idoneo come soldato al fronte per la sua vista mediocre e viene assegnato alla lettura delle foto aeree. Riesce a tornare alla fotografia solo nel 1 94 7 , quando parte nuovamente per l'Europa ri per­ correndo con la macchina fotografica i l uoghi dell'ava nzata dell'esercito americano. Nel 1 948 I'Unicef gli chiede di fare fotografie per un libro che testimoni il bisogno di aiuto dei bam bini europei. Questo gruppo di opere, intitolato l bambini di Chim , è lo specchio più fedele del lavoro del fotografo, in cui non trapelano artifici o virtuosismi: nei volti dei bambini, real i e drammatici, c'è sempre posto per la speranza. Durante gli anni cinquanta Chim trascorre molto tempo in Italia e realizza per un l i bro sul Vaticano molte fotografie che mostrano i l papa , la basilica di San Pietro e il profondo senso di fede che si respira in quel luogo. Questi sono gli anni in cui le sue fotografie ritraggono i prota­ gonisti della vita culturale e sociale del periodo. Chim fa la spola tra Roma e Pa rigi , dove nel 1 953 riceve l'i nca rico di gestire le finanze della Magnum. Senza abbandonare la fotografia e fino al 1 956, a nno della sua morte, documenta la situazione dello Stato di Israele, divenuto indipendente nel 1 948.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 58. Werner Bischof ( 1 9 1 6- 1 9 54)

Werner Bischof, Stazione di Patna (India) , 1 9 5 1 .

L'opera creativa di Werner Bischof si divide i n due periodi distinti: prima del 1 945, quando vi­ ve stabil mente in Svizzera , e dopo il 1 945, quando inizia a viaggiare per l ' Europa e nel resto del mondo. Bischof ha dato vita a un lavoro fotografico eccellente sia per la perfezione formale sia per l'impegno sociale, paradigmatico nello svi lu ppo e nella problematica della fotografia moderna. Nel 1932 si iscrive alla Scuola di Arti e Mestieri di Zurigo. I l suo avvicinamento alla fotografia awiene per caso: voleva fare il pittore, ma «la cl asse di arte grafica era già piena ». Così inizia a seguire le lezioni di grafica di Hans Finsler ( 1 89 1- 1972), che promuove l' idea della fotografia come Nuova Oggettività. Questo modello influenzerà la prima parte del lavoro di Bischof. Nel 1936, finita la scuola di Arti e Mestieri , apre il suo primo studio fotografico a Zurigo, orientato verso una fotografia grafica e pubbl icitaria. Bischof non è un reporter: lavora con gli elementi grafici della fotografia allo scopo di chiarire e i nterpretare l'oggetto. La natura è la fonte primaria della sua ispirazione: i fiori, le conchigl ie, la sabbia. Studia ore e ore per mani­ polare luce e ombra, indaga sulle cose più delicate e sotti li nella ricerca di una loro purezza come solo un poeta o u n sognatore possono fare. A partire dal 1 94 1 inizia lentamente la sua trasformazione: collabora con la rivista il lustrata "Du", il cui capo redattore Kubler diventa per l u i una guida e un mentore. Egli trasforma infat­ ti Bischof da fotografo della Nuova Oggettività a fotoreporter, facendogli scoprire un nuovo modo di fare fotografia. La macchina fotografica diventa un mezzo per confrontarsi con il pre­ sente, uno strumento che assume una propria identità.

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Storia della fotografia Nel 1 942 Bischof pubbl ica le sue prime i mmagi ni su "Du", ma l'anno cruciale è il 1 945: mette da parte tutto quello che aveva creato precedentemente, sale su una jeep e viaggia per il mondo devastato dalla guerra : Germa nia, Fra ncia, Olanda, Italia, Grecia. Qui documenta la situazione dei profughi e gli aiuti umanitari dell'organizzazione svizzera Schweizer Spende at­ traverso una serie di reportage inviati a "Du". La guerra spazza via le tenere ed eleganti imma­ gini del passato e l'obiettivo della machina fotografica di Bischof penetra in una realtà di tra­ ged ia e disperazione: «Poi venne la guerra, e con essa la distruzione della mia torre d'avorio, il volto del l'uomo sofferente divenne il nucleo centrale» . 1 La violenza delle immagi ni rimane sempre mitigata da una eleganza compositiva a cui Bischof non ri nuncerà mai. Nel conflitto del mondo rimane il suo sogno di purezza: nelle sue immagini si percepiscono contempora­ neamente l'orrore per ciò che bisogna mostrare e una fede che non vuole lasciarsi spezzare. Bischof sa cogliere senza enfasi il respiro dei superstiti , di coloro che sono scampati al massa­ cro e che intendono riprendere la vita. Nelle sue foto trapela la speranza. Nel 1 947 inizia un lungo viaggio nell'Europa Orientale: U ngheria , Romania , Cecoslovacchia. Lavora per "Du". Documenta gli orrori che la guerra si era lasciata alle spalle con un particolare interesse per le persone. Intanto a Zurigo iniziano i dissapori con la rivista " Du". Prende i primi contatti con "Lite", la rivista americana per la q uale real izza una serie di reportage dall'I ndia, dal Giappone e dalla Corea . Nel 1 948 Bischof entra a far parte della Magnum Photos lnc. , la prima cooperativa internazionale di fotografi , dove conosce Robert Capa e Chim. A partire dal 1 9 50 in izia a viaggiare quasi soltanto fuori da ll'Europa . Dal 1 950 al 1 952 è in India dove, su incarico di "Lite", ritrae la morte atroce per fame in un reportage intitolato Foodstory. Immagini che generano grande scal pore. All'inizio del 1952 va in Giappone: un paese che lo affasci na, dove cerca di registrare le situazioni dal punto di vista dei giapponesi. Per "Lite" rea lizza il reportage Generazion e X. Durante questo anno si reca anche in Corea , fo­ tografa la gente della zona dei combattimenti . Ne nascono immagi ni di grande forza , impieto­ se. Va a nche a Hong Kong e in l ndoci na, dove rea lizza alcuni servizi per la rivista francese "Paris Match": sono, questi, lavori diversi dal suo stile, più facili e più compiaciuti. Nel 1 953 va in America : visita prima New York, dove non si sente a suo agio, poi va in Su­ damerica su incarico della Magn um. Ne nasce Generazione W. Dura nte uno spostamento in macchina sulle Ande muore precipitando in un burrone.

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Dal diario di Werner Bischof pubblicato dal figlio Marco.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 59. Weegee, pseudon imo d i Usher Fel l i ng, ( 1 899- 1 9 68)

Weegee, Vittima di un incidente sotto shock, s.d.

«Le fotografie di Weegee sono, per la maggior parte, come un colpo diretto alle ginocchia con una mazza da basebal l . » Usher Felling, conosciuto con i l nome d i Weegee, nasce a Zfoczew, un piccolo villaggio del­ l'Impero austroungarico. Nel 1 9 1 O con la madre e tre fratelli raggi unge il padre a New York, do­ ve assume il nome di Arthur. Inizia a lavorare a ventiquattro anni presso la Acme News Pictures (UPI ), ma rifiuta l'obbligo della Acme di vestirsi in giacca e cravatta per eseguire servizi foto­ grafici. Preferisce lavorare nella camera oscura , finché una notte, per un'emergenza, realizza la documentazione di un incendio. Da questo momento inizia a lavorare come fotografo, ma solo di notte. Nel 1935 abbandona l'Acme News per diventare free l ance. l suoi studi sono luoghi improbabili come le Stazioni di Polizia. Le sue fotografie hanno come soggetti scene di crimine, incidenti, persone in mezzo alla strada : « I l crimine è la mia ostrica». Fotografa gli incendi e i pompieri, i gangster e le loro vittime, le persone agonizzanti , in stato di shock. Documenta i disastri , gl i orrori , i volti del le vittime stravolti dal dolore. Traccia la mappa della realtà che scorre nel le viscere di una grande città come New York. Non vuole immortalare paesaggi , stili /ife , simboli evanescenti , rifiuta l'arte fotografica di Lisette Model o di Berenice Abbott. Non ha alcun interesse per la teoria , la disciplina : quello che vuole fare è usare la mac­ china fotografica per raccontare, senza alcun tipo di celebrazione, le persone, la loro vita, le lo­ ro storie. Non ama pianificare le sue immagi n i , non si cura della loro tessitura , della luce. Le sue fotografie sa nno unire la sofferenza, l'agonia, la crudezza alla gioia travolgente e tur­ bolenta ; sono istantanee di sentimenti.

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Storia della fotografia Weegee ha lavorato per dieci anni come free l ance per testate quali " Herald Tribune" , "New York Times", "Daily News". Nel 1 945 esce il primo dei suoi cinque libri , Naked City. Dal 1 948 al 1 952 lavora a Hol lywood e tenta la carriera di attore. Viene chiamato da Stan­ ley Kubrick come consulente per gli effetti speciali.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 60. Wi l l iam Klein ( 1 928)

William Klein, Club Allegro Fortissimo, Paris, 1 990.

·Clic. Ti viene dalla testa. La somma di ciò che vedi , credi di vedere, ricordi, proietti . » William Klein è fotografo, oltre che pittore e ci neasta, capace d i far crollare gli schemi tradizio­ nali della fotografia, allargando il suo e il nostro campo visivo. Ha saputo immergere l'uomo nel suo universo contemporaneo sconvolto dalle guerre, dalle rivoluzioni e dai capovolgimenti tecnolo­ gici. «Nelle mie fotografie si potevano vedere impegno sociale, violenza, caricatura ; ma erano pri­ ma di tutto pagine del mio diario di famigl ia. Il flusso di coscienza originario.» In effetti le fotografie di Klein rappresentano un flusso, una serie di fotogrammi del mondo. Le sue immagini si pongono l'obiettivo di immortalare il mondo nel la sua totalità: nel bene e nel male, nell'ordine e nel caos. Klein nasce a New York, ma a vent'anni si trasferisce a Parigi , dove lavora nell 'atelier di Fer­ nand Léger, dipingendo tele astratte e geometriche. Nel 1 952 si avvicina alla fotografia: dap­ prima fotografa i suoi pannelli mobi li in movimento, poi , quasi per caso, traccia il movimento di forme geometriche. Da questo momento il suo legame con la macchina fotografica diventa insci ndibile. Il ritorno a New York, nel 19 54, rappresenta un'ottima occasione per una docu­ mentazione fotografica della sua città natale, che sarà raccolta in un li bro pubbl icato, con grandi difficoltà, nel 1 956. I noltre inizia anche una collaborazione decen nale con "Vogue America". Le immagini del li bro, in cui il ri mando è alla cultura giornalistica, ci mostra no una rea ltà in cui convivono persone e oggetti , l uce naturale e artificiale, parodia, tabloid, anti-foto­ grafia. Deforma le regole tradizionali. A differenza di Henri Cartier Bresson e dei suoi seguaci, Klein abbandona tutto quanto è ele­ ganza, sobrietà e misura facendo emergere il caos del quotidiano, il disordine del le strade, il

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Storia della fotografia movimento, il flusso del mondo. l protagonisti delle sue foto non sono mai inquadrati in costri­ zioni formali o schematiche o in rappresentazioni classiche, ma sono colti nella loro essenza, nel loro divenire. Sono ritratti molto spesso di sorpresa , senza alcuna inquadratura specifica, per cogliere l 'attimo. « fotografie: cercare il coup de foudre.» Non ci sono esigenze di sublima­ zione o celebrative, non c'è volontà narcisistica : la fotografia è lo strumento per interiorizzare, far proprio e immagazzinare il mondo contemporaneo e i suoi abitanti. Oltre al li bro su New York, Klein ha pubbl icato un libro su Roma, uno su Mosca e uno su Tokyo; in tutti è presente l'idea di creare un giornale di bordo, in cui vengono eliminate le im­ magini mani polate e i pregiudizi, per svelare la realtà così come è. Pier Paolo Pasol ini, quando esce il libro su Roma , manifesta stupore per il fatto che un newyorchese avesse permesso ai romani di conoscersi così a fondo. Sowertendo le leggi tradizionali della fotografia Klein è riu­ scito a creare con lo spettatore un rapporto di fiducia e affi nità . Klein, oltre a essere pittore e fotografo, è stato anche un grande ci neasta. A partire dal 1958 ha gi rato moltissimi fi l m , tra cui quattro su M ohammad Alì, altri di polemica sul mondo della moda e dei media. Ha lavorato con i Movimenti di li berazione africani riprendendo il festival panafricano, e dal 1 977 ha fatto una serie di fi l m sugli Usa.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 6 1 . Diane Arbus ( 1 923 - 1 97 1 )

Diane Arbus, Travestito al suo party di compleanno, N. Y. C. , 1 969.

«Una del le cose di cui ho sofferto di più nella mia infanzia è che nulla, nessuna contrarietà mi poteva accadere. Ero chiusa in un clima di irrealtà che per me non era altro che irrealtà . » Una dichiarazione, questa , che è utile a capire le reazioni di Diane Arbus nel corso del tempo e il desiderio di emozioni che ha segnato radical mente la sua ricerca esistenziale e, quindi, foto­ grafica. Diane Arbus è una dell e figure più importanti della fotografia del XX secolo, un cardine attorno a cui ruotano molte situazioni. Ancora oggi punto di riferimento fondamentale per la fotografia moderna. Figlia dell'alta borghesia america na, dopo studi a rtistici , in cui si appassiona all' Espressio­ nismo tedesco di George Grosz e Otto Dix, apre all'i nizio degli anni quaranta , appena venten­ ne, insieme al ma rito Allen Arbus, uno studio di fotografia commerciale a New York. Diane awerte, sin da subito, l'esigenza di consolidare la sua formazione , così decide di studiare fo­ tografia con Brodovitch e con Lisette Model , con cui condividerà la passione per quelle narra­ zioni favolose del quotidiano che diventeranno la cifra e il nucleo portante della sua ricerca fotografica. La sua ricerca si colloca immediatamente su un piano assai diverso da quello che propone­ va la fotografia trad izionale. Basti pensare al l'a ntitesi in cui si pone con la mostra The Family of Man . Arbus riesce a rendere mostruosa la banalità del quotidiano e allo stesso tempo a ren­ dere banale e usuale la diversità. l suoi soggetti sono spesso transessual i , ermafroditi, prosti­ tute, nani , deficienti , handicappati, paralitici. Un mondo ai margini che Arbus fotografa nella più assoluta normalità , in aperto contrasto con una middle class banale e crudele.

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Storia della fotografia La sua visione degli Stati Uniti è decisamente in anticipo sui tempi. Il suo non è un lavoro di denuncia in senso stretto, bensì di osservazione, dove tutto è apparentemente normale. l suoi personaggi sono colti nelle pose del quotidiano, magari nel salotto di casa però nudi, oppure mentre ballano, al dancing, però fra maschi. U n uomo è a letto forse dopo un rapporto occasio­ nale, ha accanto una bottiglia di whisky e ha il cappello in testa. Ma si tratta di un nano. Di fronte alle sue foto viene in mente una frase di Fra nco Basaglia, il padre ita liano dell 'anti­ psichiatria: « Da vicino nessuno è normale». Così è. La mamma che tiene in braccio il suo par­ golo neonato sembra schiacciargli lo sterno. U n modo diverso di guardare a una maternità sin troppo mitizzata . E quindi il giovane patriota con lo sguardo idiota in un paese che la bandiera ce l ' ha anche nei cessi pubblici. È la rottura. Sono gli anni della Beat Generation, a cui Diane Arbus guarda con interesse an­ che tramite le straordinarie immagi ni di Robert Frank, da lei amatissimo, che con Jack Ke­ rouac aveva girato l'America on the road. Nel 1 967 la sua opera viene scelta per rappresentare gli anni sessanta insieme a quella di Fried lander e di Winogrand nella mostra New Documents . Le ultimi i mmagini, realizzate nel 1 97 1 , sono le più drammatiche. l soggetti sono perlopiù giovani affetti dalla sindrome di down : sono in spiaggia, ballano, si mascherano. Vi è una amarezza di fondo senza li miti. La condizione u mana è profondamente ingi usta e forse non si trova neppure una via d'uscita. Arbus è sempre più in crisi sociale, etica, personale. Nel 1 971 si suicida. Alla Biennale di Venezia del 1 972 sono esposte le sue immagini, documento fortissimo e scioccante della contemporaneità , in cui tecnica , l"'arma speciale" di cui si serve, e pensiero si fondono alla perfezione. « Per farci comprendere meglio a cosa corrisponda il suo atteggia­ mento nei confronti della vita Arbus definisce i « mostri» come degli «aristocratici », nel la mi­ sura in cui «essi hanno già su perato il loro test per la vita» e dunque, in pratica, si tratterebbe di persone che avendo accantonato la pa ura e l'angoscia per qualcosa di traumatico che da un giorno all'a ltro potrebbe accadere - paura e angoscia che invece tutti i "normali" conti nuano a coltivare - possono permettersi di guardare la vita con distacco e con un senso di ironica sfida. La macchina fotografica al lora non presenta tanto il personaggio in sé, ma il suo atteggiamen­ to, rivela ciò che esso rappresenta , favorita , in questo, da una sorprendente quanto misteriosa coincidenza tra il suo particolare modo di operare e questa tensione verso una realtà altra «ri­ spetto all 'esperienza di tutti i giorni.»1

1 C. Marra, Diane Arbus: i nostri mostri quotidiani, i n F. Ali novi, C. Marra, La fotografia. Illusione o rivelazione?,

cit., p. 262

ss.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 62. Lisette Model , pseudonimo d i Elise Seybert, ( 1 906- 1 983)

Lisette Model, Promenade des Anglais, Nizza, 1937.

Lisette Model è molto colta : ha studiato musica con Schonberg, quindi si è dedicata alla pittu­ ra, per volgersi infine alla fotografia. Si stabi lisce a New York nel 1 938 e col labora con nu me­ rose riviste, tra cui "PM" e "Harper's Bazaar". A New York entra nel giro di Brodovitch , il famo­ so art director e, quindi , di Paul Strand e Berenice Abbott. le sue foto di quegli anni toccano vette di grande intelligenza : Mode! riesce a cogliere i suoi personaggi in tutta la loro veridicità . Sono persone che incontra per caso, in strada , in spiaggia. Celebri e meno. Il suo stile costitui­ to da riprese con obiettivi grandangolari, di flash puntati, di immagini rubate, riesce a raccon­ tare un'America diversa, popolata da mendicanti , suonatori di jazz, gente comune. Ci dà del­ l'umanità una visione vera e terrificante al tempo stesso. Il suo è un lavoro di matrice sociale tramite il quale riesce a penetrare nei meandri delle sto­ rie del mondo. Negli anni cinqua nta, presso la New School for Social Research, ha come all ieva Diane Ar­ bus, che riuscirà , con un coraggio estremo e una partecipazione straordinaria, a svi luppare al­ cuni spunti del suo lavoro.

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Storia della fotografia 63 . M i nor Wh ite ( 1 908- 1 976)

Minor White, l tre terzi, 1 957.

Secondo Minor White la buona fotografia deve aderire, come una seconda pelle, alla vita. La macchina fotografica è stata per lui, un mezzo per raccontarsi, per registrare le sue esperienze. Nel 1 9 1 5 riceve la sua prima fotocamera in regalo dal nonno, appassionato fotoa matore, che gli regala a nche il suo archivio di diapositive e fotografie di viaggi. Ma è nel 1927, dopo essersi diplomato presso la West H igh School , che apprende le prime nozioni sui processi fo­ tografici. Da questo momento in poi , la sua vita e le sue esperienze del reale si rispecchiano nelle sue opere; il rapporto con la fotografia cresce e si svi luppa di giorno in giorno. Diventa il complemento della sua esistenza , lo strumento attraverso il quale li berare i suoi sentimenti e indagare al di là delle apparenze. Notevole è stata l'i nfluenza delle teorie di Stieglitz, conosciuto nel 1 946, sul concetto di equivalenza e sull' uso del la sequenza. Una delle opere più significative di White è la Fourth Sequence, perché in essa sono contenuti tutti gli elementi tipici del fotografo americano uniti al simbol ismo astratto. Tutta la vita di White, del resto, è una sorta di sequenza , come dimo­ stra il suo spostarsi ini nterrotto da un posto all'altro: dalla East alla West Coast, da Minneapo­ l is a Portland, a San Francisco a Rochester ad Arl ington. I n tutti questi luoghi la sua vita di fo­ tografo è sempre stata affiancata all'i nsegnamento. White ha insegnato per circa trent'anni, dal 1 940 fino agli anni setta nta , in scuole e istituti di notevole importanza: ha affiancato e poi sostituito Ansel Adams presso il San Fra ncisco Art lnstitute, per tre anni è stato presso il GEH (George Eastman House) , e a partire dal 1 955 ha iniziato a cond urre gli workshops e ad aprire la sua casa agli studenti. Per White l'i nsegnamento diventa una sorta di missione per trasmet172

Dagli anni quaranta ai sessanta tere se stesso come uomo e come fotografo e per trasformare l'idea del la fotografia da espres­ siva a creativa .

Gran parte delle sue convinzioni gli arrivano dalle dottrine fi losofiche del mistico russo Geor­ ges lvanovic Gurdj ieff ( 1 877- 1 949) , basate su l l 'importanza della riscoperta di se stessi e sul­ le terapie di gruppo. G l i esercizi sulla concentrazione svi luppati da Gurdjieff, che comprendo­ no movimento e danza , diventano una parte fondamentale del suo metodo di insegnamento. Le fotografie di White riflettono gli amori, la sensualità, il desiderio, la passione e la sofferen­ za: tutti sentimenti che egli ha provato nei confronti delle persone conosciute dura nte la vita e nei confronti dei luoghi, delle terre, degli odori e dei profumi che scorrono nel la sua esistenza. Nel 1 966 White scopre di soffrire di gravi problemi cardiaci ma questo non gl i impedisce di continuare a fotografare, insegnare e investigare su di sé per rendere pubbl ici i suoi senti menti.

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Storia della fotografia 64 . l rving Pen n ( 1 9 1 7)

l rving Penn , Truman Capote, New York, 1 948.

« Per me la fotografia non è niente di nuovo. La macchina è nuova, ma la fotografia è solo lo stadio attuale della storia visiva dell'uomo.» l rving Penn nasce a Plainfield, nel New Jersey, e studia alla School of I ndustriai Art di Phi la­ delphia. Grazie alla conoscenza di Alexey Brodovitch, uno dei suoi i nsegna nti, inizia a lavorare per la rivista "H arper's Bazaar". Nel 1 943 conosce Alexander Liberman, che lo assume come suo assistente presso la rivista "Vogue", indirizzandolo verso la fotografia. Lo stesso Li berman gl i commissiona la prima copertina di "Vogue" che rappresenta una natura morta. È l'i nizio di un lungo periodo felice e fecondo per il fotografo statunitense, la cui produzione artistica si spo­ sta senza problemi dagli stili /ife alla moda , ai ritratti, al mondo esterno, mantenendo sempre una fedeltà verso l'i ntel ligenza formale e la sempl icità com positiva per dare risalto alle forme. Tutte le fotografie di Penn pubbl icate su "Vogue" sono realizzate per valorizzare i contributi scritti ma anche per i nvitare il lettore a guardare con maggiore attenzione. l ritratti di Penn, per la maggior parte si tratta di personaggi famosi, sono caratterizzati da uno studio particolare sullo spazio; uno spazio ristretto, racchiuso da due pannel l i angolari che incuneano i soggetti costretti ad assumere atteggiamenti e posizioni originali. Ciò che emerge è il volto, o la testa tagliata, che riesce a dare una lettura i mmediata del personaggio e il senso di quiete che cattura il transitorio. Durante gli anni della seconda guerra mondiale il sodalizio tra Penn e "Vogue" diviene anco­ ra più saldo: il fotografo crea delle i mmagin i d i moda che contribuiscono alla trasformazione del costume. Penn diventa il fotografo ufficiale della moda americana e della donna emanci-

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Dagli anni quaranta ai sessanta pala : riesce ad a mericanizzare i soggetti rendendoli moderni ed essenzia li, ta li da comunicare immediatamente il loro significato. Riceve, poi , da "Vogue" l'incarico di fotografare gli "in novatori" , da Duchamp a Cage. Penn, che aveva già i nventato la sua luce, i nventa anche il suo spazio e incastra i personaggi in un angolo acuto, in una posizione claustrofobica , che non lascia spazio per la fuga. Come se si trattasse di un interrogatorio visivo. Nel corso degli anni cinquanta si dedica a im magini di nudo fem mini le. Le sue fotografie so­ no distanti dai canoni estetici dell 'epoca : non corpi algidi ma soffici e pieni, rilassati e lontani da qualsiasi possibile i ntesa sessua le. In essi predomina il nitore dei toni e degli spazi l u mi no­ si, così come nelle fotografie etnografiche e sui mestieri scattate agl i i ndigeni del Peru, della Nuova Gui nea e del Messico. Penn si trasforma in un tu rista "innocente", ma sofisticato. Già qui si riconosce uno sguardo attento alla fotografia antica dei maestri. Un'attenzione, questa , ancora più accentuata nel ciclo dei Petits Métiers . I mmagini sulle professioni con un uso straordinario del le luci, in un contrasto sapiente di bianchi e di neri. Sono immagini diverse, uniche, sofisticate e corpose al tempo stesso, in cui è forte il senso della materia. La stessa raffinatezza si ritrova negli stili /ife che comprendono oggetti di pubblicità , cibi, materiali trovati per strada (come i mozziconi d i sigaretta), nature morte che usano scarti di materiale in decomposizione, ava nzi, metalli e teschi usati come memento mori. Molte di queste im magi ni, nelle quali è contenuto un elemento astratto, spesso raccontano u na storia attraverso un l inguaggio compositivo molto elegante. l l leitmotiv che le accomuna è la metafo­ ra e l'antropomorfizzazione degli oggetti : caratteristiche presenti anche nelle immagini pubbli­ citarie scattate dal 1 967 per la Cl inique, marchio di cui Penn è stato testimoniai per più di trent'anni . Gli stili /ife degli ultimi anni si distinguono per la presenza di materiali poveri e per la totale assenza di composizione dello spazio; uno spazio in cui gli oggetti sono impilati gli uni sugli altri, ma ciò non togl ie la presenza di una forma chiara e sempl ice.

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Storia della fotografia 65. Richard Avedon ( 1 923-2004}

Richard Avedon, Ronald Fischer, apicoltore , Davis, California, 9 maggio 1 9 8 1 .

Tra le personal ità più intense della fotografia del nostro tempo, Richard Avedon ha dato vita nel corso degli anni a uno stile immediatamente riconoscibile. Fi n da ragazzo, oltre a frequentare l'attività commerciale del padre, nel campo della moda femminile, Avedon ha consuetudine con la fotografia, la sua modella è la sorella mi nore Loui­ se, che fotografa alla maniera delle grandi personal ità dell 'obiettivo, ma anche la madre e la cugina, che nel 1 940 immortala nello stile di Martin M unkacsi. Studia con lo scultore Ossip Zad kine e nel 1 942 si arruola nella marina mercantile, dove di­ viene aiuto fotografo e dove scatta alcune fotografie che attirano l'attenzione di Al exey Brodo­ vitch e che ne determinano l'ingaggio a "Harper's Bazaar". Subito dopo il secondo confl itto mondiale inizia viaggiare per il mondo, anche i n compagnia della prima moglie, la modella Doe. Risalgono al 1 946 le i mmagini scattate a Roma , in cui Avedon riesce a cogliere l'anima più profonda dell'Italia. Di qualche an no successive sono le fotografie scattate i n Sici lia. In alcune di esse è già pre­ sente l'idea del vuoto, tipico della sua fotografia, che, quando vuole essere ancora più dram­ matica, ha perlopiù sfondi bianchi o grigi. Tra i suoi pri mi lavori , pubbl icato nel 1 949 dalla rivista "Theatre Arts", un lavoro sulla gente di teatro che ha provocato un certo scandalo nell 'America più chi usa e benpensante. Si tratta di un fi l m in cui compaiono spesso travestiti e personaggi ambigui. Le attrici hanno pose nor­ mali che escono dal sol ito divismo. N onosta nte le sue reticenze nei confronti del fotogiornali­ smo, nel 1 949 accetta per " Life" di fare un servizio su New York, per il quale riceve un antici176

Dagli anni quaranta ai sessanta po di venticinquemila dollari, anticipo che restituisce prontamente perché non riesce a farsi convincere dal suo lavoro, sentendosi frenato dall 'idea di "cogliere" le im magi ni senza il per­ messo dei fotografati. Ritirerà fuori i l lavoro, straordinario, circa quarant'anni dopo. Negl i anni è tornato più volte su questo problema , fotografando feste e bal l i per metterne in luce i l senso dell'effimero, l'inutilità. Tra le sue foto di strada più significative quelle che fa nel 1 963, quan­ do chiede alla gente di posare con in mano il giornale che annuncia la morte del presidente Kennedy. La filosofia è com unque quella di rendere consa pevole il soggetto, di non violentarlo nella sua privacy. Dalla col laborazione con Brodovitch nasce i l suo primo li bro, nel 1 959, intitolato Observa­ tion . La veste grafica elegantissima con caratteri di stampa Bodoni è quella che Avedon avreb­ be riuti lizzato, con piccoli muta menti , a nche in seguito, per offrire un'im magi ne del suo lavoro riconosci bile nel corso degl i anni. Nel li bro sono pubbl icati i ritratti di alcune celebrità del mondo del la cultura e dello spettacolo. Il testo è di Tru man Capote. Spesso dello stesso perso­ naggio sono messe più pose, quasi si trattasse d i u na sequenza. Si può quasi tracciare la storia della fotografia che da Nadar alla Cameron passa da Frede­ rick Evans e da Beaton per giungere sino a lui. li li bro successivo, del 1 964, è intitolato Nothing Personal, i n cui col labora con il successo­ re di Brodovitch , Marvin lsrael . La stampa è perfetta , come già nell'altro. l toni dei grigi, dei bianchi, dei neri sono equili brati armoniosamente. Lo stampatore è lo svizzero J .C. Bucher. Vi è in tutto il libro u na vena ironica nel raccontare le assurdità , le difficoltà del mondo; è un la­ voro politico in cui Avedon attraverso le immagi ni esprime un'aperta critica a l la società ameri­ cana; qui è contenuta una delle sue im magi ni più forti, l generali delle Daughters of American Revolution . Si posso riconoscere notevoli affinità con il lavoro di Diane Arbus. Intense e fortemente accusatorie sono le im magini riprese nel manicomio di Jackson, i n Louisiana , per le qual i Avedon s i serve di u n formato 6 x 6. Trova il 3 5 mm troppo stretto, an­ che se afferma : « Ho sempre pensato che la macchina in sé non fosse importante, un ingom­ bro necessario, che si trattasse di un'automatica o di una m icrocamera Mi nox o una 8 x 1 0 pollici ». I n realtà i suoi ritratti sono passati attraverso un'importante evol uzione tecnica: dal 1945 al 1 969 si serve di una Rolleiflex, che i m pone pastu ra e formato; quadrato da 6 scarso, che talvolta viene ela borato in camera oscura. Dal 1969, dopo avere abbandonato per qual­ che anno il ritratto, sente sempre più l'esigenza di passare del tem po in ogni fotografia, si ser­ ve di una Rol leiflex di grande formato, 8 x 10 pol lici. « La Rolleiflex era diventata una tale abi­ tudi ne che mi sembrava fosse la macchina a prendere la foto, e dovevo guardare attraverso il mirino, il che provocava un'intrusione fisica e psicologica tra me e il soggetto. Con la 8 x 10 sul treppiedi, sto vicino all'obiettivo, di fronte al soggetto con nulla tra di noi, in una specie di relazione bloccata. Il più piccolo movimento porterà i dettagli fuori fuoco - un occhio o un dito -o distruggerà del tutto la composizione. La macchina fotografica grande formato non può se­ guire ogni cosa che si muove, così siamo entrambi, il soggetto e io, ancorati alla disciplina dei suoi li miti. Questo crea una specie di tensione che è parte di ciò che io sto cercando.» Con il passare del tempo a ndava sempre più svi l uppandosi il suo interesse per la superficie, in tal senso mi pare esemplare il ritratto del padre, in cui sono evidenziate in modo micrografico tut­ te le macchie della pelle. 177

Storia della fotografia Nel 1 962, i nvitato a fare una mostra personale alla Smithson ian Gal lery, rompe gl i argini, esponendo foto di diversi formati , anche grandissi mi, in modo poco ortodosso, appese fuori dalle cornici. Al l'inizio degli anni setta nta va in Vietnam: « La ragione per la quale sono venuto i n Vietnam era che tutta la gente che ho fotografato nel l ' ultimo anno e mezzo è stata molto colpita dal Vietnam come lo è stata tutta la vita americana. I l Vietnam è un'estensione - sfortunatamente - di tutto ciò che è disgustoso in America ». Nel 1 979 si imbarca quindi nella grande impresa che avrebbe dato vita a uno dei suoi più bei li bri, quella dei ritratti del West americano, in cui sono ritratte persone di diversa provenienza , gente comune, barboni. Lo svelare anche questa faccia degli Stati Uniti provoca reazioni di ogni tipo e molta stampa lo condanna. L'America non può offrire al mondo un'i mmagine di se stessa di questo tipo. Sono i mmagi n i intense, straordi narie, in cui Avedon si svela al massimo delle sue potenzia lità, in cui ogni passaggio è curato in man iera estrema dal progetto dell'immagine, in genere disegnato alla scelta del sog­ getto, allo scatto, alla stampa. U n esempio per tutti la foto dell'a picoltore, che Avedon studia nei minimi dettagl i. Avedon progetta ogni sua immagine finalizzando la tecnica al suo scopo, come qua ndo uti­ lizza il col lage per la famosa fotografia con i ritratti di Audrey Hepburn dal collo lunghissimo replicata, come una sorta di eroina medioevale, che si ispira sia a Gaudf e alle sue torri sia ad Alice nel paese delle meraviglie di Lewis Carroll [scheda 1 0]. Tra i lavori più forti degli ultimi anni, quelli sul muro di Berl ino, i n cui si percepisce la man­ canza di una regia esistenziale. Il tema del paradosso morale che ha segnato tutta la sua esistenza è anche nelle im magini degli anni novanta relative al Ballo Volpi a Venezia. Sono in realtà immagini sull'alienazione, sulla sconnessione tra i vari soggetti , sulla lontananza tra loro delle diverse persone presenti al bal lo. Si al lontanano a nche da quanto Avedon ha sempre proclamato sulla partecipazione del soggetto alla fotografia. l personaggi presenti, come anche un paio di anni dopo quelli della notte degli Oscar, fa nno parte di un mondo " malato" della stanchezza del vivere, apparente­ mente sconnessi tra loro, resi mostruosi da uno sguardo decisamente impietoso. Nei lavori successivi del la metà degli anni novanta Avedon comincia a i nserire il movimen­ to, in modo da portare un elemento in più nei ritratti monolitici che hanno segnato per cin­ quant'anni la sua ricerca. I mportante nella sua prod uzione è anche la fotografia di moda: i suoi modelli già a pa rtire dagl i anni quaranta d iventano attori e vengono i m mortalati per strada . Ta lvolta costruisce set in cui ambientare le foto, simula la pioggi a , la notte, i nserisce i mode l l i tra la gente, gl i attori , gl i animali. In tal senso dice di essere stato i nfl uenzato dal regista Ernst Lubitsch, ma a nche dalla visione del fi l m di Cari Dreyer Giovanna d'Arco del 1 928, i n cui sono numerosi e di rara i ntensità i pri m i pia n i della protagonista. Ma anche il cinema di Jean Vigo, Jean Re­ noir, Roberto Rossellini, Vittorio De Sica, M ichelangelo Antonian i , l ngmar Bergman hanno avuto un grande peso per la sua form azione. Come a nche lo stile di movimento i nventato da Martha Graham e l'approccio teatral e di Jerry Grotowski. Avedon ama a nche la fotografia d'assalto, che l u i non pratica, quella dei papa razzi a cui si è ispirato più volte per le immagi­ ni di moda.

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Dagli anni quaranta ai sessanta Tra i pochi fotografi che si sono formati con lui Hiro Yamagata e Ch uck Close, che è stato suo allievo a Vale negli anni sessa nta, e che ha dato vita a ritratti di grande formato in cui sono messi a fuoco i particolari, anche quelli apparentemente meno significativi.

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Storia della fotografia 66. Raymond Depardon ( 1 942}

Raymond Depardon, Bagni per signore del magazzino Geo a New York, 1 98 1 .

Raymond Depardon inizia a fotografare e a stampare i n giovane età. Le sue prime immagini hanno per soggetto u n cane. l pri mi anni sono difficili, segnati da gra ndi difficoltà economiche; a sedici anni è assistente di Louis Foucherand. A partire dagl i anni sessanta si occupa preva lentemente di reportage, con uno specifico interesse nei confronti della fotografia di viaggio, punto nodale della sua ri­ cerca iconografica. Al l'inizio degli anni sessanta fotografa la costruzione del muro di Berlino, di cui fotograferà poi la caduta nel 1989, nel 1 964 le Oli mpiadi di Tokyo, quindi la guerra d'Algeria, sempre con grande capacità narrativa . In breve diviene il fotoreporter di punta per l'Agenzia Dalmas. I n seguito crea, insieme a Hubert Henrotte, Huges Vassal e Léonard De Raemy l'agenzia Gamma , in cui entra an­ che Gilles Caron. La formula dell'agenzia, decisamente n uova rispetto a quanto era stato fatto sino a quel momento, significa una maggiore autonomia per il fotografo. All'attività fotografica Depar­ don a partire dalla fine degli anni sessanta affianca anche quella di documentarista. Nel 1 969 in Cecoslovacchia gira un documentario su la n Palach. Nel 1 970 iniziano i viaggi africani: la fotogra­ fia di questo periodo è segnata da una profonda umanità nello sguardo. Tenera, delicata ma anche forte, la sua è una denuncia per immagi ni che risulta decisamente scomoda per il potere ufficiale. Nel 1 973 assume la direzione della Gamma e segue il terri bile colpo di stato in Cile. Dell'anno successivo è il suo lavoro sull'etnologa Françoise Claustre, detenuta in Ciad per motivi politici. La sua fotografia è strettamente segnata dallo spi rito del tempo: dai grandi sogni, da lle lotte, dalle guerre.

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Dagli anni quaranta ai sessanta Significativo è negli stessi anni il lungometraggio sulla campagna elettorale di Valery Gi­ scard d' Esta ing.

Nel 19 79 passa alla Magnum, di cui in breve diviene vicepresidente. La partecipazione alla DATAR nel 1 984 è un'occasione per tornare nei luoghi della sua infan­ zia, nel la zona del Rodano: una missione dalla quale avrebbero preso spunto, da un punto di vista teorico, quasi tutte le altre m issioni europee di quegli anni. Le sue immagini a cavallo fra il reportage e il paesaggio sono difficil mente collocabili nelle ristrettezze dei vari ambiti. A questo proposito Philippe Dubois1 ha scritto: «Certi fotografi o certi amatori dell'immagine preferiscono qualche volta "non correre il rischio della rivelazio­ ne": a l lorché hanno tutta la libertà di "scattare", di "fare una fotografia", essi scelgono di non fotografare, come se volessero deli beratamente "fallire l 'occasione". Si accontentano, secon­ do la loro form ula, di "fotografare con gli occhi", di registrare mental mente l'i mmagine. Niente di più. Non vogl iono andare più lontano. È un rifi uto della "rivelazione". Non vogl iono che la loro "visione" si attual izzi , si fissi, si metta a di mora, come se si trattasse di preservare quella visione privilegiata da ogni violazione, da ogni impurità , da ogni obl iterazione dovuta alla mes­ sa in immagine effettiva. Ormai, per loro, questa visione sarà tanto più perfetta , bella o pun­ gente, quanto più sarà, per sempre, immaginaria. Per metà rea le, per metà sognata. È in qual­ che modo la poesia della latenza perpetuata . Si troveranno di questi atteggiamenti, per esem­ pio, in un Raymond Depardon, o un Hervé G i u bert, o un Claude Neri . Per loro guardare sem­ pl icemente, non fotografare, è qualche volta tanto importante quanto fotografare. Senza dub­ bio, questo genere di posizione costituisce in effetti un allungamento all'infinito, lettera lmente senza term ine, della distanza tempora le propria della fotografia. Lo scarto è così assoluto, reso irrecuperabile» .

1 B. Valli, Ph. Dubois (a c. di), t:atto fotografico, cit., p. 97.

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Storia della fotografia 6 7 . Robert Fra n k ( 1 924)

Robert Frank, Mabou, 1 991.

Robert Frank inizia molto presto a dedicarsi alla fotografia per trasferirsi a ventitré anni negli Stati Uniti, dove lavora come fotografo di moda per "Fortune", "Lite", "Harper's Bazaar". Importante è il suo rapporto con il grande art di rector Alexey Brodovitch , che lavorava anche con Avedon e che riusciva a far uscire i l meglio da tutti i fotografi con cui aveva occasione di instaurare una collaborazione. Il suo interesse principale, tuttavia , non è la moda, bensì il sociale, l'osservazione del mondo in via di trasformazione. Così in questi anni gira l'America Latina e l'Europa. Le realtà che vede sono complesse, talvolta dolorose. Le sue immagini sono sempl ici , prive di trucchi, con un'at­ tenzione particolare nei confronti della gente. Spesso costruite prospetticamente come a dare vita a una sorta di cammi no, talvolta della speranza. Indi menticabile la strada peruviana del 1 948, con la linea dell 'orizzonte. I mmagine a cui hanno guardato molti fotografi dopo di lui. Particolare a nche il lavoro sulla Parigi dei pri mi anni cinquanta , in cui fa la sua comparsa un mondo struggente, a nche se mai lacrimoso, o quello della Spagna, con la corrida . Nebbiose e dai toni più scuri sono le immagini che scatta i n I ngh ilterra e in particolare a Londra. Fotogra­ fie di trasparenze, di del icatezze, in cui ha valore il sentimento, non il sentimental ismo. Soggetti, tra l'altro, a cui sarebbe tornato più tardi attraverso sequenze perlopiù di matrice concettuale, in cui spesso compare anche la scrittura. Importante per la sua formazione è l'in­ contro con Walker Evans per un verso e quello con i poeti e gli artisti del la Beat generation per l'altro. Bel lissi mi e anticonvenzionali i suoi ritratti, da quello di De Kooning a quelli di Allen Gi nsberg e Peter Orlovs ky. Ritratti a cui ha guardato anche Diane Arbus.

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Dagli anni quaranta ai sessanta Durante tutti gl i anni ci nquanta viaggia per gl i Stati Uniti, entrando nella vita delle persone, nelle case, nel le metropol itane, nelle piazze, nei rad uni. Frank è un osservatore straordinario, che riesce a svelare i lati più veri dell'America : il nazionalismo, la multirazzial ità , la trasgres­ sione, la solitudine. Frank racconta la musica , il sole della Cal ifornia con dei bianchi e neri strepitosi. Del 1 958 è Les Americains curato da Robert Delpire, pubbl icato nel 1 959 in Ame­ rica con una prefazione di Jack Kerouac. A partire da questo momento Fra nk si interessa al cinema sperimentale e nel 1 962 è tra i fondatori del New American Ci nema e della Film-Makers Coperative. La monografia The Unes of My Hand del 1 97 1 è fortemente segnata da questo nuovo interesse. A partire dalla metà degli anni setta nta real izza delle polaroid, graffiate e rovinate, arricchite da parole che creano uno stile fotografico. A partire dal 1 969 Frank vive in Nuova Scozia e in Canada e talvolta è tornato alla fotografia di moda e di reportage.

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Storia della fotografia 68 . Elliot Erwitt, pseudoni mo di Elio Romano Erwitz, ( 1 928)

Ell iot Erwitt, Puerto Val/arta, Messico, 1 973.

Elliot Erwitt scopre la fotografia, che conosceva solo da un punto di vista tecnico, attraverso Henri Cartier Bresson. I l suo rapporto con il mezzo è scanzonato, capisce sin dall'inizio che non occorre qualcosa di speciale per fare grand i fotografie: piuttosto, serve un modo personale per vedere le cose. Va a vivere a New York e comincia a gi rare il mondo. Ritorna in Europa, du­ rante il servizio militare, negli anni cinquanta , e conosce Robert Capa , che lo fa entrare alla Magnum, dopo avere visto le immagini scattate quasi di nascosto ai commiliton i . l a sua peculiarità fondamentale è u n a straordi naria capacità di osservazione d e l mondo, in cui l'ironia riesce a model lare le varie situazioni, continuando, tuttavia , a sottolineare con luci­ dità la realtà degli eventi . Si pensi allo straordinario lavoro sui cani che compie nel corso degli anni, in cui riesce a mettere in luce gl i aspetti più divertenti e per certi versi inquietanti del rapporto uomo-cane. Tra l'altro, in più occasioni Erwitt ha sosten uto di avere un dialogo particolare con questi ani­ ma l i , i n quanto lui è i n grado di abba iare. Il suo scopo, con un ri mando a Charlot, è quello di riuscire a far ridere e piangere la gente quasi allo stesso tempo. Così riesce a svelare con grande sem plicità la "Commedia umana" in tutte le sue più recondite esibizion i. Erwitt rea lizza con lo stesso stile anche numerosi fotoreportage. Il suo rapporto con il mezzo fotografico è molto libero, e può a rrivare a presupporre a nche il taglio stesso della fotografia. A suo pa rere quello del fotografo è un mestiere da pigri : «N on c'è bisogno di esercitarsi come un musicista, un medico, un bal lerino. È necessario avere un

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Dagli anni quaranta ai sessanta certo senso della composizione e un po' d i ingegno. Le cose migliori scaturiscono nell'ozio, nella contemplazione. La fotografia altro non è che una concentrazione di ozio e di contem­ plazione, impressa su una pell icola in bia nco e nero, ben fissata perché non sbiad isca troppo in fretta » . 1

1 E. Erwitt, Elliot Erwitt, Idea Books, Milano 1 989, p . 7. 185

Storia della fotografia 69. Ra lph Eugene Meatyard ( 1 92 5 - 1 972)

Ralph Eugene Meatyard, Senza titolo , s.d.

Ralph Eugene Meatyard ha studiato la fotografia da adulto, tra gli altri con Minor White, ma si è comunque sempre dedicato al mestiere di ottico. Ha trovato spesso ispirazione per la sua fotogra­ fia nella letteratura. Le sue immagini, tutte in bianco e nero, raccontano paesaggi della memoria in cui la sua famiglia svolge un ruolo portante. Sono particolari rovinati, muri scrostati che ci offrono una visione del mondo marginale. Le sue sono immagini misteriose in cui difficilmente è chiaro il soggetto rappresentato. La particolarità delle situazioni, inoltre, è sottol ineata dalla tecnica: stuc­ cata , flou. Sembrano immagini romantiche, che riportano anche a certe espressioni del pittoriali­ smo, ma in cui tuttavia vengono a crearsi delle microstorie non facilmente comprensibili. Meatyard non util izza mai il flash, per cui si vengono a creare ampi contrasti di chiaroscuro. Util iz­ za una tecnica antica e sviluppa le sue immagini una volta l'anno, nel mese di febbraio. Il suo è un lavoro fortemente evocativo, dì una certa complessità , in cui ci sono rimandi visi­ vi , sentimenta l i , letterari, al dì là dì qua lsiasi destinazione commerciale. L'ultimo lavoro, po­ stumo, dal titolo The Family Album of Lucibelle Carter, è assai inquietante. l personaggi , adul­ ti e ba mbini, sono mascherati anche durante la quotidianità. Si tratta di una sorta di lavoro d'addio: quando lo inizia , intorno al 1 9 70, M eatyard sa dì essere mi nato da un cancro, che non gli lascia scampo. Le persone stanno perdendo la loro fisionomia , come se si allontanas­ sero dall'interprete. Gli ultimi autoritratti non è mai riuscito a vederl i , perché alla sua morte non erano ancora stati svi luppati: sembrano all udere al suo imminente desti no. I n queste foto Meatyard scompare dietro i rami dì un al bero nod uloso in cima a una collina. Sì tratta di una visione fortemente poetica dei vari aspetti del l'esistenza e anche della morte.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 70. Les Kri ms, pseudon imo di Leslie Robert, ( 1 943)

les Krims, !:effetto elettrostatico di Minnie

sui palloncini di Topolino , 1969.

Dopo una formazione di tipo artistico, Les Kri ms si dedica alla fotografia per dare vita a imma­ gini di "messa in scena", in tal senso vicino a Duane Michals. Si prende gioco di miti e credenze della società , i n particolare della società americana , della noia ostinata della middle class , la cui vita è fatta da una serie di ritua li per lui completamente privi di senso. Nel 1 972 su questo argomento realizza due lavori intitolati The Uttle Peop/e of America , in cui i protagonisti sono dei nani, e The Deerslayers , sulle scarpe delle donne. Sono entrambi lavori ironici , nei quali con un senso del l'umorismo sferzante egli riesce a mettere i n crisi la costruzione sociale su cui l'America posa. Successivamente la ricerca diviene ancora più cinica in un lavoro che simula un delitto, di cui non viene risparmiato nessun dettaglio: The lncredible Case of the Stack O'Wheat Murders . Il suo lavoro è in grande anticipo su quanto la fotografia avrebbe proposto successiva mente. Les Krims ricrea del le situazioni in cui am bienta le varie foto, come delle fiction. Provocatorio è il suo lavoro Chicken Soup , in cui fotografa sua madre n uda . Si tratta di un lavoro che porge decisamente il fianco a qua nto stava avvenendo in ambito artistico. I l confine si fa sempre più complesso da defi nire. Sempre più nel corso degli anni settanta le sue im magi ni vengono ri­ toccate ed elaborate come in Fictcryptokrimsographs o in Seven Miracles , il cui esito produce immagini pesanti, barocche, cariche di presenze e significati. Anche in 24 /diosyncratic Pictu­ res (1 979-80) è tutto un prol iferare confuso di presenze umane e non, n ude o vestite. Persino lo stesso fotografo si ritrae i n costume adamitico. Total mente incomprensi bile la di nam ica de­ gli eventi, ossia quello che accade nella scena. 187

Storia della fotografia Nei lavori degl i ultimi anni l'oggetto della parodia è il reportage con chiari significati politici. Il suo è un tentativo di prendersi gioco, di mettere in crisi i meccanismi apparentemente seri di cui il mondo vive, che ci vengono proposti quotidiana mente. Forse la verità , se è possi bile tro­ varne una, è proprio la loro parodia .

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Dagli anni quaranta ai sessanta 7 1 . Dua ne M i chals ( 1 932)

Duane Michals, Timothy a diciassette anni, 1 962.

Duane Michals può essere considerato u n precursore della Na rrative Art. Dopo avere studiato all'Un iversità di Denver decide di dedicarsi alla fotografia. Scatta , ancora giovane, in Un ione Sovietica, delle immagini di grande pregnanza , che lo indirizzano sempre più verso questa strada. Un particolare della sua biografia è importante per comprenderne e leggerne più approfondi­ tamente il lavoro. La madre di Duane sceglie di chiamarlo così in onore del figlio della famiglia presso cui lavora , e sin dalla prima infanzia Dua ne sente così di avere una sorta di doppio. Il ra­ gazzo si suicida durante il primo anno di un iversità , episodio che colpisce e segna profonda­ mente la storia del fotografo, che spesso lavorerà sul tema della morte e della scompa rsa (i suoi autoritratti non sono quasi mai a fuoco), che sente particola rmente vicino in una sorta di osses­ sione del doppio, che segna tutta la sua ricerca e anche la sua carriera di fotografo professioni­ sta1 e artista. Non è casuale la presenza assidua dello specchio nelle sue immagini. cc l'impor­ tante non è l'apparenza delle cose, ma la loro natura filosofica . >> In Le voyage de l'esprit après la mort vi è un'atmosfera misteriosa e sacra le. I n tal senso non si deve dimenticare che M ichals è cresciuto in una famiglia cattolica pratica nte.2 In realtà per lui il tema religioso è complesso. Anche nei titoli delle opere vi fa spesso riferimento: anima, paradiso, spirito, Gesù Cristo. 1 Ha lavorato per la pubblicità e per "Vogue" e "New York Times". 2 1n questo lavoro si scorge la luce, che può intendersi in senso di sacralità divina.

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Storia della fotografia l suoi lavori sono spesso costituiti da immagi ni in sequenza, alle quali a partire dal 1 974 ag­ giunge la scrittura. « La vista di queste parole su una pagina mi piace. È come una pista che ho lasciato dietro d i me, i ndecise e stra ne tracce, che provano che sono passato di l à . » Ritrovia­ mo più volte anche giochi di parole e calambour. Le sue im magin i rivelano la mali nconia della riflessione profonda su se stesso e sull'esisten­ za in senso più ampio, con un legame profondo con la poesia , in particola re quella di Constan­ tinos Kavafis. In Paradise Regained una giovane coppia in un appartamento si vede progressivamente spogl iata o li berata dai vestiti , dagli oggetti, come i n una sorta di tensione verso la purezza esi­ stenziale. U n tentativo di tornare a u n'età pri migen ia di nudità fisica certo, ma anche cultura­ le, spirituale. Tra i suoi lavori più conosciuti Letters from My Father, realizzato nel 1 975 con materiali ri­ salenti al 1 960, in cui compaiono il pad re e D uane, interpretato, però, dal fratello psichiatra. Nel 1 979 aggiu nge a nche la pittura, sino a creare una strana commistione di li nguaggi del­ l'arte. Dopo il 1 988 i nizia a lavorare ai li bri per l'i nfanzia. Importante e significativa la sua produzione di ritratti . Molti sono i personaggi passati dal suo obiettivo: da Andy Warhol con la madre a Marcel Duchamp, a René Magritte, a cantanti come i Mamas and Papas, ad attori come Glenn Close, Warren Beatty, Clint Eastwood . Sono ritratti in posa in cui, tuttavia , Michals aggiunge dettagli che sottolineano la personalità dei di­ versi soggetti.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 72. Lee Friedla nder ( 1 934)

Lee Fried lander, Austin, Texas, 1 979.

Lee Friedlander studia fotografia all'Art Center di Los Angeles. Fondamentale per la sua ttività sono stati i lavori di Walker Evans e Robert Frank, ancora prima di Eugène Atget. Nei primi anni di attività, negli anni cinquanta , si guadagna la vita per qualche anno facen­ do i ritratti ai musicisti per le copertine dei dischi: sono perlopiù immagini a colori di grande intensità psicologica, in cui i protagonisti non sono quasi mai in posa. l personaggi sono collo­ cati all'interno dello spazio che lo ha prodotto, pieno di dati , di notizie, fortemente connotato dalla cultura americana. Friedlander, come Diane Arbus e Garry Winogrand , 1 rappresenta la nuova scuola di fotogra­ fia americana. Friedla nder e Winogrand reinventano la fotografia di strada , l'istantanea che si differenzia totalmente da quella di Cartier Bresson per l'essenzia lità , la costruzione. Si tratta di un modo nuovo di vedere, in cui i personaggi sono colti con forza , privi di orpel l i . Sono im­ magini "vere" in cui non si pongono filtri mora l i , che tanto peso avrebbero avuto per i fotografi della generazione successiva alla loro. Da Atget impara a guardare anche la realtà marginale, ciò che sta, normalmente, oltre l'o­ biettivo, quello che si vede ma non si guarda con attenzione. A metà degl i anni sessanta Friedlander inizia il suo lavoro sui monumenti america n i , che prosegue per oltre dieci anni e culmina, nel 1 976, con la pubbl icazione del li bro American Monument, in cui anal izza il paesaggio e ne mette in evidenza la disumanizzazione. N el cor-

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li loro lavoro è consacarto dalla mostra del 1 967 New Documents, al MoMa di New York.

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Storia della fotografia so degli anni contin uerà a fotografare paesaggi, in modo da riuscire a sottoli nearne il muta­ mento. Nel 1 977 rea lizza il li bro Lee Friedlander Nudes, dove compie un'approfondita ricerca su questa particolare branca della fotografia e dove anal izza il li nguaggio. Spesso la sua ricerca ha una componente autobiografica. Del 1 970 è Self Portrait, in cui, per molti versi, si ispira a Walker Evans. Originale, e per taluni versi di matrice concettuale, è il lavoro che dedica alla moglie Maria De Paol i, che fotografa nel corso degli anni (dal 1 958 al 199 1 ), dando vita a una mostra e a una pubblicazione. Si viene in questo modo a creare un curioso progetto di ri mando concet­ tuale che si svi lu ppa nel corso del tempo, senza possibilità di previsione. Degli anni novanta è Letters from the People , un lavoro in cui Friedlander fotografa dei parti­ colari del paesaggio con le lettere del l'alfabeto e i numeri : dalle insegne, ai tombini, alle scritte sui muri. È una sorta di lettura trasversale del mondo compiuta dal no photographer in cui la fo­ tografia non è narrazione nel senso che si i ntende tradizionalmente, è, invece, un modo di guar­ dare attraverso le cose. Di anal izzarle con attenzione, di cogl ierne i particolari più apparente­ mente insignificanti. Viene così a crearsi un alfabeto semiotico in cui la fotografia registra delle tracce. Di tutto questo fa parte la gente, il paesaggio, la natura, che non è protagonista. È come se si fossero invertiti i rapporti. Il marginale diviene fuoco e il fuoco diviene margine. Si tratta di un altro modo di guardare al circostante, attraverso la forza sconvolgente del dettaglio.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 73. Garry Winogra nd ( 1 928- 1 984)

Garry Winogrand, Dimostrazione per la pace al Centrai Park, New York, 1 970.

•Non ho mai deciso di diventare un fotografo. M e lo sentii dentro e lo afferra i . » Garry Wino­ grand è stato un uomo di straordi naria i ntell igenza e sensibilità che ha saputo dar vita a un la­ voro fotografico di grande i nteresse, denso di significati ma anche difficoltoso e problematico. !:ambizione di Winogrand è stata quella di conoscere la vita attraverso la fotografia, senza puntare l 'attenzione esclusivamente sull'i mportanza di una bella immagine. Ha sottolineato diverse volte di non essere un fi losofo e ha cercato di costruire un lavoro in cui le impl icazioni morali restano distanti dalle sue idee. Nasce e cresce nel Bronx. Dopo le scuole superiori e due anni nell'esercito, studia pittura presso la Columbia U niversity. Nel 1 948 incontra George Zimbe l , studente e fotografo del "Col umbia Spectator", e decide di abbandonare la pittura per dedicarsi alla fotografia (scelta di cui non si è mai pentito). l primi lavori fotografici rispecchiano il suo temperamento: sono energici, pieni di curiosità ma anche privi di qualsiasi conoscenza tecnica e formale. Nel 1 9 5 1 diventa corrispondente per la Pix Agency e riceve il suo primo incarico da "Har­ per 's Bazaar"; le sue immagi ni vengono pubbl icate da molte riviste: "Col lier's" , "Men", "Gen­ try", "Sports lll ustrated", sebbene siano poco distinguibili da quelle degli altri giovani fotografi della sua generazione. Nelle sue immagini un ruolo fondamentale è giocato dalla bellezza. Nel 1 960 inizia a foto­ grafare le donne per la strada: sono immagini semplici , in cui si ritrova un profondo entusia­ smo e una spiccata vitalità. Vengono pubbl icate in un volume intitolato Women are Beautiful, che, però, non ottiene grande successo di critica , come il volume The Animals , uscito nel

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Storia della fotografia 1 969. I n esso si raccolgono le fotografie che Winogrand scatta al Centrai Park Zoo. Lo zoo di Winogrand è una sorta di teatro nel quale gli ani mali e gli uom ini sono uniti in un pecul iare ti­ po di simbiosi per riuscire ad affrontare il dramma della moderna vita urba na. La condizione di contingenza e di precari età di questa vita rappresenta uno dei temi central i affrontati da Wino­ grand, che riesce a trovare nelle strade, negli zoo, negli aeroporti , nel le partite di football le ci rcostanze che lo stimolano a produrre le sue opere più rappresentative. A partire dal l a fine degli anni sessanta Winogrand si awicina alla fotografia commerciale per la pubbl icità , ma la abbandona ben presto, perché in questo ruolo non si sente a suo agio. Nel 1 963 riceve la prima delle tre borse di studio assegnategl i dalla Fondazione Guggenheim per portare avanti un progetto fotografico che riguarda la vita quotidiana in America e l'in­ fluenza che i media possono esercitare sugl i eventi . Comincia a nche a i nsegnare i n diverse scuole: alla Scuola d'Arte di New York, a l Chicago l n­ stitute of Design e all'Università del Texas, dove si trasferisce con la terza moglie nel 1972. In Texas Winogrand fa alcune del le sue foto più belle e lavora alla pubbl icazione del l ibro Public Relations. Rimane i n Texas per cinque anni, poi si trasferisce a Los Angeles, dove insegna part time all'Università della California. In questo periodo produce in modo i ncessante, irrazionale e incontrollabile, quasi preso da un impulso creativo. Per questo motivo non è facile dare un senso esatto a questi lavori : essi risultano i nfatti fram mentati, dominati da una curiosità com­ pulsiva , ostinati e disordinati, liberi da qualsiasi tipo di richiesta o di limite artistico. Con i suoi lavori Wi nogrand ha voluto di mostrare come la fotografia possa rendere visibile e permanente il significato evanescente del le esperienze esistenzia l i .

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Dagli anni quaranta ai sessanta 74. Jan Saudek ( 1 935)

Jan Saudek, The Dream, s.d.

Jan Saudek nasce a Praga e rimane i ndiscutibilmente legato all'atmosfera di questa città e della sua terra. I n più occasioni si è definito "Czech photographer". Ha saputo far proprie e rielaborare in modo del tutto personale la magia , il mistero, la fantasia che awolgono Praga da sempre. Per tutti gli anni dello stali nismo, Saudek è costretto all'isolamento a rtistico: i suoi la­ vori vengono osteggiati perché considerati pornografici. Dopo la "Primavera di Praga", nel 1 968, viene considerato "persona non gradita". Saudek non è mai stato attratto dall'esperienza del viaggio, dalle novità o dalla creatività of­ ferte da altre città , è un fotografo sedentario, ostinatamente legato ai pochi metri quadri della sua casa praghese. Non ama immagini claustrofobiche o soffoca nti, e perciò porta sempre nelle sue fotografie i l cielo, visto attraverso le tende di una finestra , solcato da lle li nee bianche lasciate dagl i aeroplani come simbolo di libertà , di speranza. Saudek ha saputo interpretare il teatro della vita, fotografando non le idee ma i sentimenti. «Ciò che faccio veramente sono i ritratti dell'anima.)) Pone al centro del suo lavoro alcuni sim­ boli: lo specchio, la maschera, le bambole di pezza , i cappel l i , le ghirlande, che sono parte del suo universo privato. Ha realizzato numerosi stili /ife, util izzando q uesti oggetti simbolici per evocare il ra pido pas­ saggio del tempo e la frammentarietà delle cose nel mondo. Il tema favorito di Saudek sono i fiori che appassendo perdono le foglie. Sceglie come soggetti uomini, donne, bambini: attori al­ l'interno delle sue immagini. l corpi delle donne sono quasi sempre eccessivi. La donna è es­ senza della bellezza intrigante, verso la quale egli prova un sentimento di "erotico odio" .

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Storia della fotografia Egli stesso è protagonista di alcuni suoi lavori i n cui compare completamente n udo. I l corpo maschile diviene un impareggiabile strumento di ironia e sofferenza , così diverso dalla morbi­ dezza dei corpi femminili o dalla fragil ità di quelli dei bambini. Nella sua ricerca non mancano gl i elementi kitsch , come qua ndo si fotografa sepolto in una catacomba. Il più delle volte le sue immagi ni sono real izzate con colori acidi che le rendono, a maggior ragione, sgradevoli, ma cariche di una forte tensione emotiva che riesce a catturare l'attenzio­ ne dell'occhio dello spettatore.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 75. Josef Kudel ka ( 1 938)

Josef Kudelka, Gitans, France, 1 9 79.

•Ho sempre sentito una pred ilezione per tutto quanto ha a che fare col passato piuttosto che col presente, per tutto quanto rischia di perdersi e morire piuttosto che per quello che si desti­ na all'awenire . >> Josef Kudelka nasce in un piccolo paese del la Moravia e spi nto dalla curiosità si awicina prestissimo alla fotografia, usando come soggetti fam i l iari e amici. Nel 1 956 si trasferisce a Praga , dove studia i ngegneria aeronautica e si laurea nel 1 96 1 . Non abbandona però la pas­ sione per la fotografia, che viene alimentata a nche attraverso la conoscenza del fotografo Jiri Jenirek e di Anna Farova , punto di riferimento e cardine della fotografia cecoslovacca , che hanno fatto conoscere il nome di Kudelka a nche fuori dai confini del suo paese natale. A partire dal 1961 Kudelka diventa il fotografo per il mensile di teatro Diavadlo : inizia così il lungo rapporto con la fotografia di teatro, che oltre a fornirgl i importanti insegnamenti tecnici , caratterizza tutta la sua produzione successiva. •• La mia maniera di lavorare è stata largamen­ te infl uenzata dalla mia prima esperienza praghese di fotografo di teatro.» Nello stesso anno inizia un lavoro sugli zingari , dappri ma nella Moravia meridionale, successivamente in Roma­ nia. Il progetto si rivela subito difficile per la diffidenza e le condizioni di estrema miseria in cui versa questa gente. Le immagini che ne nascono sono ca ratterizzate da una forte volontà di in­ terpretare q uesto mondo e di partecipare agl i eventi. Documenta anche l'invasione di Praga fotografando tutto quello che accade per le strade della città invase dalle truppe corazzate del Patto di Va rsavia : queste immagini passano la frontiera di nascosto e vengono utilizzate negli Usa da Elliot Erwitt per un cortometraggio. 197

Storia della fotografia Nel 1 970 lascia la Cecoslovacchia e trova asilo politico in I nghilterra . Nel 1 9 7 1 diventa membro della Magnum. Gli vengono assegnati diversi premi per i suoi lavori sugli zingari , sul­ le feste religiose e sulla vita quotidiana. Lo scopo della sua vita è quello di viaggiare, senza una meta ben precisa , per fare fotografie, per documentare un mondo che sta scomparendo, un passato che non è nostalgico, ma vivo e presente. I n tutte le fotografie di Kudelka c'è sempre una corrispondenza tra teatro, ritualità, passato ed emarginazione. Egl i ha sempre rifiutato la definizione di giornalista , oltre che qual­ siasi incarico professionale: non gl i interessa concretizzare il suo lavoro i n u:-�a mostra , in un li­ bro. Ciò che gli interessa dawero è fotografare incessantemente, a volte anche con frenesia e accanimento. Ritorna in Cecoslovacchia nel 1 990, dopo aver ricevuto la cittadinanza france­ se e molti riconosci menti, tra cui il premio Nadar. Ritrae il paesaggio più devastato d'Europa, il cosiddetto "Triangolo Nero", la regione dei monti metalliferi tra la Boemia, la Germania e la Polonia. In questi ultimi anni contin ua a fotografare il paesaggio europeo; il suo ultimo lavoro, Caos, privo di qualsiasi riferimento folkloristico o aneddotico, mostra un mondo ridotto in frammenti a causa dei disastri della civil izzazione. Apparentemente le immagi ni sono caratte­ rizzate da un ordine formale e geometrico, in cui non compaiono più uomini ma figure di gran­ di pianure. A uno sguardo più attento, però, ci si rende conto che la calma è solo apparenza, in realtà ciò che domina è la distruzione, il caos, il degrado.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 76. Gi useppe Cava l l i ( 1 904- 1 9 6 1 )

Giuseppe Cavalli, Nudo , 1 948.

Giuseppe Cavalli nasce a Lucera , in quella provi ncia pugliese storicamente segnata dall'im­ pronta di Federico I l di Svevia, che in quel luogo volle costruire uno dei suoi castelli. Si laurea in giurisprudenza a Roma con una tesi in filosofia del diritto, ma passa buona parte della sua non lunga vita nel le Marche, a Senigallia, soggetto di molte sue immagini. Nella sua formazione è fondamentale, oltre alla lettu ra dei classici greci e lati ni e della filo­ sofia, la frequentazione degli artisti, legati al fratel lo gemello Emanuele. La prima macchina fotografica arriva relativamente tardi, a metà degli anni trenta. Da que­ sto momento inizia la sua storia con una fotografia dai "toni alti", sempre fedele alla lezione di Achille Bologna e del suo Come si fotografa oggi ( 1 935) con le im magi ni di Cesare Giulio, di Itala Bertoglio, di Bologna stesso. A partire dal dopoguerra prende il via anche la sua intensa attività pubblicistica su "Ferrania", "Fotografia", "Il Progresso Fotografico", "Vita Fotografica Italiana", "Il Corriere Fotografico". Nel 1 947 promuove il gruppo La Bussola con Mario Finazzi, Ferruccio Leiss, Federico Ven­ der e luigi Veronesi . Nel 19 54 fonda e dirige un altro gruppo, il M isa di Senigallia (dal nome del fiume che attra­ versa la cittadina), di cui tra gli altri fanno parte Mario Giacomel li, suo pupil lo, Ferruccio Fer­ roni , Piergiorgio Branzi , Alfredo Camisa. Sulla sua carta da lettere si legge: «Gi useppe Cava lli amateur». Mi pare sign ificativo del suo essere fotografo e intel lettuale a trecentosessanta gradi. Amateur non è uno stato di fat­ to: Cavalli non è mai stato, in nulla di quello che ha fatto, un di lettante. Si tratta , pi uttosto, di 199

Storia della fotografia un atteggia mento nei confronti dell'ufficialità del la cultura artistica da cui è stato, perlopiù, escluso. Le sue immagini, che si tratti di nature morte, di paesaggi , di nudi o di ritratti, dai delicati toni di grigio, sono pervasi di quella sacralità universale che è privilegio di pochissimi, una sa­ cral ità che va a toccare le corde più profonde del lirismo, della tota lità delle cose. Di fronte alle sue fotografie, di rara bellezza , il più delle volte sembra di trovarsi di fronte a quel concetto di «poesia dei minimi» cosi ben descritto da Roberto Longhi , scrittore amatissi­ mo, a proposito di Piero della Francesca , ma a nche di Giorgio Morandi. Cavalli è stato un a rtista, un intellettuale, u n teorico della fotografia: le sue fotografie sono, prima di tutto, poetiche, mai sdolcinate o patetiche. Poetiche nel senso più intenso del termi­ ne, di quella poesia che è nel e del mondo, che cogl ie la verità del le idee. Cavalli riesce a co­ gliere più che il bello, che sarebbe limitativo, i l senso profondo dei fenomeni dell'esistenza . Una borsa , un tubo di stufa , le piume, un paesaggio di case scrostate, un nudo di donna, so­ no colti per quello che sono. Come se la conoscenza fosse mediata dalla continuità dell'osser­ vazione e dunque dalla possibil ità di fermare gli eventi, attraverso la fotografia, in grado di cat­ turare le tracce, di registrare la "cosal ità". Scattare una foto è u n modo di entrare nel mondo, per comprenderlo nella sua epifania. Antitetico in tal senso è l'atteggiamento dei coevi neorea­ listi , che usano la fotografia come luogo di denuncia sociale e politica. I n lui si percepisce l'e­ sercizio quotidiano del lo sguardo, ricerca conti nua sul senso della visione. È senz'altro possibile rawisare una vici nanza tra Cavalli e la ricerca fotografica in campo in­ ternazionale. Si può, in tal senso, rintracciare u n filo rosso tra le sue immagini e quelle del da­ daista Raoul Hausmann, ampliando così lo sguardo verso un mondo che non è solo quello del­ la fotografia e dell'arte italiana, ma che si proietta in una di mensione i nternazionale di cui Ca­ val l i è protagonista di tutto rispetto (si pensi in tal senso a l la foto La bambola cieca).

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Dagli anni quaranta ai sessanta 77. Paolo Monti ( 1 908- 1 982)

Paolo Monti, Via Matteotti, Pieve di Cento, 1 970.

Paolo Monti si laurea in economia politica all'Università Bocconi di Mi lano e si appassiona di fotografia a Venezia, dove viene trasferito a causa del suo lavoro di di rigente industriale nel do­ poguerra. In città è tra i fondatori del gruppo La Gondola nel 1 947. A partire dal 1 9 53 decide di occuparsi solo di fotografi a. Soggetti delle sue im magini sono Venezia, Milano, i ritratti , le ricerche astratte sulla materia condotte anche attraverso la violazione delle tecniche della fo­ tografia. Utilizza i chimigrammi. A partire dagli anni sessanta , per la Storia della letteratura italiana edita da Garzanti, i ntra­ prende una gra nde campagna di rilevamento delle emergenze storiche e artistiche delle varie regioni d'Italia, da cui deriva anche l'immenso lavoro di censimento dei centri storici del le città emiliane e romagnole. L!ultimo lavoro a cui si dedica è relativo al censimento dell'archi­ tettura e dell'ambiente del lago d'Orta e deii'Ossola, sua terra d'origine. Le sue im magi ni sono drammatiche, nel senso antico del termine che impl ica l' idea di azio­ ne, e fortemente segnate da un interesse di tipo sociale. In tal senso la lontananza dai "busso­ lanti". La sua Venezia non è quella dei circuiti ufficiali, è quella della gente comune, dei luoghi meno conosciuti, del le vetrine che si rispecchiano nell 'acqua, dei qua rtieri popolari. Quando negli anni cinquanta racconta Mi lano, la vede come una città buia, povera , vessata dal l e tra­ gedie della guerra, memore del le immagini di Occhio quadrato. Ma in tutto questo non vi è nulla di caratteristico, di facile. Anzi , le sue sono immagini perfettamente costruite, in cui si creano geometrie dello spazio. Accanto a una M i lano in fase di ricostruzione, con scheletri di palazzoni anonim i, si guarda alla gente, a quelli che dormono nei prati , ai bambini.

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Storia della fotografia Di grande modernità le sue foto con i cartelloni pubblicitari , che si pongono su un piano molto vicino al mondo del l'arte. Le foto con i manifesti strappati corrono parallele ai "decolla­ ges" di M immo Rotella. Di grande interesse le sue foto di muri , in cui è indagata la zona mar­ ginale dello sguardo. L:attività di Paolo Monti è alla base di molti lavori successivi sia di fotografia pura sia di ri­ cerca sull'immagine. «Al cuni trovano nelle mie fotografie un eccessivo gusto per le forme e altri per l'astratto e forse con qualche loro seria ragione; sta di fatto però che fra le prime cose che conosciamo della lontanissima storia dell' uomo troviamo una severa esigenza della forma e in certe epo­ che della forma astratta . A una rivista francese che nel 1963 mi chiedeva il perché di questa mia simpatia rispondevo: "Che lo si vogl ia o no apparteniamo tutti al nostro tempo ed io sono sicuro che senza l'esperienza astratta non sarei giunto a certe ricerche fotografiche. Oggi , do­ po la lezione del l'arte, il non figurativo ci guarda dai muri delle città dove le macchie, le corro­ sioni , i manifesti strappati ci emozionano come dei Pollock, dei Klei n, dei Soulages". »

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Dagli anni quaranta ai sessanta 78 . Ma rio G iacomel l i ( 1 925-2000)

Mario Giacomel l i , da Vita d'ospizio, 1 954- 1 9 56.

•lo cerco di fotografare i pensieri . » Mario Giacomel li nasce a Senigallia, dove all'età di tredici anni inizia a lavorare in una ti pografia e contem poraneamente dipinge e si interessa di poesia. Questa passione lo accom pagnerà per tutta la vita , creando un im portante con nubio con la sua produzione fotografica: poeti come Leopard i , Montale, Luzi , Borges sono parte i ntegrante del le sue fotografie. l temi trattati da Giacomel li sono tanti e diversi, ma tutti correlati con le situazioni dell 'esistenza: l'amore, la sofferenza , il trascorrere inesorabile del tempo, la vec­ chiaia, la memoria, il ricordo e la terra e sa nno unire realtà e poesia. Nel 1 953 compra la sua pri ma macchina fotografica e nello stesso anno scatta la prima fotografia, t.:approdo , che raffi­ gura la suola di una scarpa lasciata sulla battigia e cul lata dalle onde del mare. Freq uenta Giu­ seppe Cavalli, i cui insegnamenti sono fondamentali per com pletare la sua educazione, e di­ viene uno dei fondatori del gruppo Misa . Tra il 1 954 e il 19 57 partecipa a numerosi concorsi fotografici in Italia ed entra a far parte del gruppo La Bussola, ma se ne al lontana quasi subito. Il 1954 è un anno importante: ha infatti in izio la serie di fotografie scattate nell'ospizio di Senigallia e intitolate Vita d'ospizio. Giacomelli conosce l'ospizio fi n da piccolo, quando segui­ va la madre che vi lavorava, e in queste foto sembra ripercorrere il percorso della memoria che gli permette di su perare la tragicità di queste immagini. Esse devono essere considerate come una sorta di incontro tra reportage realistico e racconto lungo e poetico della sequenza. Sono foto in cui sono tangibili la disperazione, il degrado. La povertà fisica e morale sono però domi­ nate da un sentimento di uma nità e di speranza. Giacomelli stesso sostiene: « La mia fotogra­ fia non è mai di protesta o di denuncia . . . non comun ica fatti, ma stati d'animo, sensazioni».

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Storia della fotografia A partire dal 1 9 55 inizia la serie di fotografie sui paesaggi, che tra interruzioni e ri prese vie­ ne portata avanti fino al 1 992- Anche in queste foto ciò che ritrae non è effettivamente il pae­ saggio esterno, ma quello interiore, fatto di memorie e simboli. La terra marchigiana diventa il luogo dell'anima in cui la realtà viene trasfigurata. Tra il 1 957 e il 1 959 Giacomel li rea lizza delle foto di forte impatto emotivo su Scanno, un paesi no dell'Abruzzo, che aveva incantato altri grandi fotografi , tra i quali Cartier Bresson. l!intento dell'a utore non è quello di compiere u n' i ndagine sociale o di denunciare le condizioni quasi "pri mitive" di questo paese, ma di trasferi re il quotidiano in una di mensione magica, in cui l'emozione e la poesia prendono il soprawento sulla realtà . l primi anni sessanta sono ca­ ratterizzati da un' ulteriore sequenza fotografica : Non ho mani che mi accarezzino il volto , me­ glio conosciuta come l Pretini. Sono i mmagini rea lizzate nel Seminario Vescovile di Senigallia. Ancora una volta Giacomelli ferma il tempo e colloca i giovani semi naristi in una dimensione del la memoria, come sospesa, senza l imiti o referenti terren i. Queste fotografie hanno ottenu­ to un grande successo e hanno dato al fotografo marchigiano fama internazionale. l! amore per la poesia e la necessità di una riflessione sulla sua ricerca sono alla base delle fotografie intito­ late Caro/ine Branson , ispirate a l l 'Antologia di Spoon River di Edgar Lee Master, in cui i temi fondamentali sono l'amore e le forti emozion i : «Il mio è un bisogno di mettere i n forma per esprimere tutto quello che cresce nel la mia mente» . l!ultimo lavoro di Giacomelli, La mia vita intera (2000), sono trenta gelatin silver print stampate come commento alla poesia di Jorge Luis Borges.

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Dagli anni quaranta ai sessanta 79. Ugo Mulas ( 1 928-1 973)

Ugo Mu las, Fine delle verifiche per Marcel Duchamp, 1 9 7 1 .

Dopo avere i ntrapreso studi di giurisprudenza , Ugo M ulas lascia l'università per iscriversi ad alcuni corsi dell 'Accademia di Brera a Mil ano. Nel frattempo con un altro giovane fotografo, Mario Dondero, mette in piedi una sorta di l i bera società . Nei pri mi anni di attività, i ntorno ai primi anni cinquanta, sbarca il lu nario facendo fotografie di moda , di pu bblicità, di reportage di matrice sociale. Straordi narie sono le foto di quegl i anni sul mondo degli emarginati e dei diseredati. Della Milano del dopoguerra , in cui il protagonista è l' uomo collocato in un paesag­ gio vuoto industriale, pa rafrasa ndo il ci nema , si potrebbe parl are di una sorta di cammino del­ la speranza . Già in queste foto il giovane M ulas raggiu nge vette sorprendenti. In quegli anni lavora per numerose riviste: "Settimo giorno", " L' I l lustrazione Italiana", "Do­ mus", "Vogue". Le sue fotografie si mettono già in evidenza per la sensi bilità , la forza, la sa­ pienza con cui Mulas è in grado di util izzare i bianchi e i neri . Le immagini per la pubbl icità e per la moda conti nuano nel corso degli anni e sono forse la parte più sconosciuta della sua produzione. Anche qui l 'obiettivo è puntato sul personaggio. Ma il vero e proprio i nteresse di Mulas è fin dall'i nizio il mondo del l'arte: un panorama in forte trasformazione che egli riesce a cogliere a nche da un punto di vista critico. Riesce a pe­ netrare nei meandri delle poetiche degli artisti , a cogl iere il senso delle loro ricerche. M ulas è l"'anti Cartier Bresson": nel suo lavoro non si coglie mai l'attimo rubato, anzi i suoi personaggi sono ben consapevoli di essere oggetto del le im magini. Nessuno scoop, nulla di sensazionale. •Mulas recu pera coscientemente le avanguardie e la funzione delle avanguardie storiche. A dire il vero la sua è una coscienza intuitiva, come del resto lo fu quella di Schifano al tempo di

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Storia della fotografia Futurismo rivisitato, del valore dirompente ed - evidentemente - delle contraddizioni che ap­

punto assumono alcune ben precise avanguardie, comunque non è senza significato che la scelta di Mulas si sia indirizzata verso il Dadaismo. » 1 A partire dagli anni sessanta inizia a de­ dicarsi principal mente al mondo dell'a rte, a fotografare le varie edizioni della Biennale di Vene­ zia, a prendere contatto con i grandi artisti italiani e internazionali. Con Lucio Fontana, che si mette in posa per lui, sottol inea la poetica del taglio della tel a, la volontà di perforare lo spazio, di andare oltre. Come riesce perfetta mente a cogliere con il suo obiettivo il senso del la combu­ stione di Burri . A lui interessa il farsi dell 'opera, il lavoro dell 'artista, non la scena conclusa. Di grande forza le i mmagi ni su David Smith, scattate nel suo atelier di Voltri. Del 1 964 è il primo viaggio americano, alla scoperta degli svi luppi dell'arte contemporanea. Nei suoi tre viaggi americani, nel 1 964, nel 1 965 e nel 1 967, riesce a fornire una documentazione anco­ ra oggi fonda menta le del mondo dell 'arte newyorchese: da Rauschenberg a Chamberlain a Di­ ne a Johns. In questo periodo si situa la conoscenza fondamentale della fotografia di Robert Frank, in particolare di The Americans , e di Lee Friedlander. Tornato in Italia stabilisce anche un profondo rapporto con Giorgio Strehler e il Piccolo Teatro di Milano, che in quegli anni era all'avanguardia nella produzione e nella proposta teatrale, e dà vita a una fotografia che si basa sul principio di Bertolt Brecht, forse l'autore più rappresentato in quel­ la sede, dello straniamento. Come usava in quegli anni, realizza anche immagini fotografiche per la scenografia. Non è l'unico in tal senso, basti pensare al lavoro di Ciani Carpi. 2 «Nel teatro è la scena centrale, lo spazio "cubico" dell'impianto rinascimentale che conta , che deve essere reso, la i nvaria nte entro cui tutto accade, dove ogni evento si produce: nella moda le figure di donna sono costrette, costruite anzi entro uno spazio al ienato, e da ciò risul­ ta sì l'evidenza , ma anche la distruzione della modella come corpo, e quindi, la "critica" del la modella medesima. M ulas i nsomma rappresenta un personaggio cosciente di due culture, la europea e la americana e u n momento di profonda meditazione sulla funzione della fotografia nei diversi contesti.>>3 Tra i personaggi più interessa nti da lui incontrati in questi anni ricordiamo Marcel Du­ champ, che lo spinge a riflettere sul senso del suo lavoro e sul significato della fotografia. Quando nel 1 970 si ammala di ca ncro ed è costretto a stare in casa, Mulas comincia a dedi­ carsi a questa riflessione dando luogo alle Verifiche, un'operazione fondamentale, u na sorta di testamento spirituale al quale hanno guardato molti fotografi e molti artisti che hanno utilizza­ to la fotografia nel corso degli anni settanta. Le Verifiche sono un'anal isi approfondita di ogni momento della fotografia di matrice concettuale. «A un certo punto ho capito che proprio per chiarire i motivi di una certa mia, diciamo, scontentezza per quello che avevo fatto in tutti questi anni, forse mi sarebbe stato di aiuto smontare un po' questa macchina, smontare que­ ste operazioni così compl esse che avevo sempre fatto meccanicamente, e prendere in esame una per una tutte queste componenti del fotografare.>> 1

A.C. Quintavalle, Ugo Mulas. Immagini e testi, Istituto di Storia dell 'Arte del l'Un iversità di Parma, Parma 1 973.

2

Si veda L. caramel, A. Madesani, l.JJigi Veronesi e Cioni Carpi alla Cineteca Italiana di Milano, Editrice Il casto­ ro, Milano 2002. 3 A.C. Quintavalle, Mulas e la sua ricerca, in "D'Ars", anno XV, n. 7 1 -72, 1 974.

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Dagli anni quaranta ai sessanta La prima "verifica" è dedicata a Nièpce e al processo stesso della fotografia, la seconda al­ l'operazione fotografica. Mulas qui sottoli nea quella che lui chiama la «frustrazione del foto­ grafo»: " I l fotografo deve essere consapevole di questo fatto: è fotografo perché c'è questo ap­ parecchio, che non ha inventato, non ha costruito, ma che si è trovato lì, gli è stato messo in mano praticamente, e quindi usandolo l u i deve a poco a poco abituarsi al potere che questo mezzo gli dà, e quindi lo deve tenere i n grande considerazione e un po' temerlo. . . ». I l fotografo non può vedersi, i n qualche modo si annulla a servizio del lo strumento. I l rapporto tra foto­ grafo e macch ina è u no dei nodi fondamenta li della fotografia. Negli stessi anni sarebbe stato anal izzato anche da Franco Vaccari , di cui ci occuperemo. La terza "verifica" è ded icata al tempo fotografico, e in particolare a Jannis Kou nellis, che aveva usato una del le immagini che si ripetono sui trentasei fotogrammi di Mulas alla mostra Vitalità del negativo. Si tratta di un'immagine di performance in cui il tempo scorre, va , torna su stesso, ripetuta in trentasei fotogrammi, in cui si viene a creare una sorta di sequenza cinematografica focal izzata sul ge­ sto del pia nista. La quarta è dedicata all 'uso della fotografia. Si tratta di due ritratti del re Vit­ torio Ema nuele Il rea lizzati dallo Studio Alinari, uno ritoccato, ufficiale, e uno veritiero, ufficio­ so. Si apre quindi una riflessione sul ruolo dell'i mmagine, sulla verità ufficiale, quella che vie­ ne proposta sui libri , e sulla verità degli archivi , che ri mane nelle casse della storia. La quinta e la sesta sono dedicate all' i ngrandi mento, /.:ingrandimento. Il cielo per Nini, dove l'i mmagine del cielo viene ingrandita sino a renderla irriconoscibile. N e viene i ngrandito un solo dettaglio. Qui Mulas è giunto molto oltre il suo tempo: è arrivato alla logica del pixel, alla capacità di co­ gliere il particolare, ispirandosi ancora una volta al vero padre della fotografi a , N ièpce. La set­ tima è dedicata al laboratorio dove una mano svil uppa , l'a ltra fissa. L'ottava ha per protagoni­ sta un amico di Mulas, l'artista Davide Mosconi , colto con due obiettivi diversi sino a trasfor­ marne i li neamenti: un granda ngolo e un 300 mm. L'ottava è dedicata a Il sole, il diaframma, il tempo di prova , in cui il protagonista, ispirandosi a una pubbl icazione di Fox Tal bot, è il sole stesso. La nona "verifica" è ancora da fare. È dedicata allo scultore Arnaldo Pomodoro, da cui Mulas non ha avuto tempo di andare. È la fotografia che non c'è, la mancanza d'immagine. La decima, la didasca lia, è un omaggio a Man Ray. Si tratta di un'immagine in cui il protagonista , Man Ray, appunto, è i nsci ndibile dalla sua didascalia. L'artista sta infatti mostrando una scrit­ ta, che aveva i ncorniciato nell 'atrio ottocentesco del palazzo dove ha tuttora sede la galleria Marconi a Milano: « ç a, c'est mon dernier tablea u». L.:ultima è intitolata Fine delle verifiche Per Marcel Duchamp : si tratta dell'immagine della prima verifica con il ru llino svi luppato, posta sotto un vetro rotto. « Ho ded icato questa cosa a Duchamp perché, dopo averla fatta mi sono reso conto che la prima verifica, quella dedicata a Nièpce, non l 'avrei mai fatta se non vivessi in questo clima che si rifà in parte a certe ri bel lioni Dada e soprattutto a un certo spi rito di Ducham p, a quell'atteggia mento di apparente negazio­ ne che è stato la base dei suoi ultimi ci nquant'anni; direi che è stato la base di quasi tutto il suo lavoro, non soltanto dell' ultimo, anche prima . » In questo momento si chiarisce quanto for­ te sia il legame tra un'operazione fotografica di questo tipo e la ricerca artistica. Questo lavoro e, nel loro compl esso, gli ultimi anni di questo straordi nario personaggio possono essere du n­ que senz'altro considerati un momento fondamentale della storia dell 'arte contemporanea.

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La fotografia di moda

La fotografia di moda ha ormai cent'anni di storia. Alcuni suoi protagonisti sono già stati pre­ cedentemente citati o li si incontrerà più avanti nella trattazione in altri ambiti. Come era già avvenuto per la fotografia di cronaca e di viaggio, su giornali e riviste di moda l'immagine fo­ tografica si sostituì progressivamente all'illustrazione, che peraltro veniva ancora utilizzata in alcuni casi negli anni cinquanta e sessanta del Novecento. La storia della fotografia di moda si sviluppa attraverso conquiste tecniche, iconografiche e culturali per arrivare, di volta in volta, a risultati sempre più nuovi e interessanti, a partire

dalla brusca impennata degli anni venti, quando tutte le riviste del settore cominciarono a servirsi in maniera massiccia della fotografia.1 Precursore della fotografia di moda, in anni in cui non esisteva ancora la figura professionale della modella, fu lo studio Reutlinger, fondato

dal francese Charles Reutlinger a metà dell'Ottocento, attivo fino al 1 93 7 , data della morte di Léopold, nipote del fondatore. Lo studio Reutlinger realizzò immagini di modelli di haute coutu re, precursori delle future modelle. A partire dagli inizi del Novecento le fotografie ven­ gono pubblicate su "Les Modes" ,2 " Corring Modes" e "The Ladies Field " .

I Reutlinger, che

per primi fotografarono in esterno alcuni modelli vestiti per la rivista " Mode Pratique" , ap­ partenevano a una famiglia francese di origine tedesca. Grazie al loro lavoro fecero conoscere

la moda francese in America, soprattutto su " Harper's Bazaar", rivista nata nel 1 867. Agli inizi del Novecento lo studio Talbot - un caso di curiosa omonimia - iniziò a realizzare immagini di modelli di moda, dapprima colorate a mano con l' anilina, come si usava in Giap­ pone, e quindi in

héliogravure.

Le fotografie venivano pubblicate su numerose riviste a Pari­

gi, indiscussa capitale mondiale della moda di quegli anni, in particolare su "Les Mod es " . Spesso le fotografie d i moda nei loro primi anni di storia erano fortemente empiriche, co­ me quelle di D'Ora/ che utilizzava uno speciale obiettivo creato dal suo assistente Arthur Benda con il quale le modelle sembravano galleggiare su un fondale etereo, molto delicato e vagamente misterioso.

1 Lo sviluppo della fotografia di moda è parallelo per molti versi a quello della pubblicità. In tal senso, si segnalano per un interessante approfondimento i volumi: E. Grazioli, Arte e pubblicità, Bruno Mondadori, Milano 2001; C. Marra, Nelle ombre di un sogno. Storia e idee della fotografia di moda, Bruno Mondadori, Milano 2004. 2 Rivista francese dedicata alla moda, forse la prima, a partire dal 190 l, a servirsi di immagini fotografiche. 3 Pseudonimo della fotografa austriaca Philippine Kalmus ( 1881 - 1960).

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Storia della fotografia Per alcuni fotografi impegnati nell'awentura pittorialista la moda fu uno sbocco felice: ba­ sti pensare a Edward Steichen, che si dedicò a questo tipo di immagini a partire dagli anni venti. li più noto fra loro fu il barone Adolph de Meyer che introdusse, ancor prima di Steichen, il pittorialismo nelle fotografie d'alta moda, dando vita a immagini suggestive ed evanescenti, con delicati effetti di luce, uniche nel loro genere. Iniziò a collaborare già nel 1 9 13 con il gruppo Condé Nast, il gigante dell'editoria di moda. Il migliore discepolo di Steichen fu l'italiano Egidio Scaioni, che lanciò l'idea di ambienta­ re le foto di moda in diversi paesi europei, su sfondali chiaramente riconoscibili, a volte av­ volgendo le sue modelle nel cellophane. L'Italia era molto chiusa e tradizionalista, e a causa della difficoltà di riuscire a diffondere immagini di questo tipo, Scaioni si trasferì a Londra, dove aprì uno studio in società con Forest Thompson.4 Luise Dahal-Wolfe, nelle immagini realizzate già a partire dagli anni venti, ma pubblicate solo nel 1933 su "Vanity Fair" , utilizzò il colore in senso pittorico, prestando particolare at· tenzione al rapporto vestiti-ambiente in senso assai moderno. L'ungherese André Kerstéz, uno dei più importanti protagonisti della fotografia di ricerca, si dedicò alla fotografia di moda soprattutto per sbarcare il lunario negli anni del suo soggior· no parigino e poi, ancora, quando arrivò negli Stati Uniti con la moglie. Ma l'artista che ha avuto più influenza su questo tipo di fotografia è stato senza dubbio Man Ray, la cui attività in questo ambito non si può considerare per nulla marginale. Le sue immagini di moda, in realtà, sono strettamente legate alla sua ricerca artistica. Fotografa di grande interesse fu la sua assistente e modella preferita, Lee Miller, che nel 193 1 pubblicò il suo primo servizio su "Vogue" , chiaramente influenzata dalla lezione del maestro. Per tutta la vita, fino al 1 977, anno della sua morte, proseguì la sua attività nella mo­ da, dedicandosi alla ricerca, aiutata dal terzo marito Roland Penrose, fotografo e celebre sto· rico dell'arte. Tra le personalità più curiose del periodo si deve ricordare Madame Yevonde, che si oc­ cupò di moda, pubblicità e ricerca con studi sul colore. La fotografa inglese si dedicò a una straordinaria sperimentazione sul metodo Vivex, scoperto nel 1932, al quale lavorò fino al 1940, anno della chiusura del laboratorio specializzato e riguardo al quale tenne numerose conferenze presso la Royal Society.5

4 Lo studio londinese di Scaioni e Thompson viene distrutto da un incendio nel 1940.

5 «Il processo Vivex, brevettato dalla Colour Photographs Limited - come è spiegato nel catalogo a cura di B. Rogers e A. Lowe, Madame Yevonde, Mazzotta, Milano 2001 - brevettato dalla Colour Photographs Limited nel 1928-29, è una variante del processo originale per trasferimento di pigmenti. Come tutti i meto· di di stampa può sembrare complicato, mentre in realtà è una delle forme di fotografia più semplici e dirette. I principi di questa tecnica furono stabiliti negli anni sessanta dell'Ottocento da Louis Ducos du Hauron, il quale si servì di un prisma per scomporre la luce nei colori fondamentali. I raggi di luce rifratta venivano poi diretti su tre diverse lastre di vetro sensibili che fissavano le immagini sotto forma di negativo. Questi nega­ tivi, a loro volta, venivano esposti su fogli di gelatina sensibilizzata mescolata a pigmento rosso, giallo o blu, lavati in acqua calda per rimuovere la gelatina non esposta e riuniti per produrre l'immagine colorata. Il processo è per molti versi simile alla stampa in tricromia.»

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La fotografia di moda Negli anni trenta la fotografia di moda visse una grande esplosione: la moda divenne im­ portante in termini di mercato e molte furono le riviste, più o meno patinate, che le vennero dedicate, con il conseguente aumento del numero dei fotografi, dalla Germania alla Francia, dall'Inghilterra agli Stati Uniti. In Germania nel 1 936 Erwin Blumenfeld [scheda 80] approdò alla fotografia di moda, e commerciale in genere, con i suoi drappeggi bagnati e fortemente sensuali. Punto di riferimento obbligato per la fotografia di moda tedesca di quegli anni è il Bauhaus, dove si formò un'intera generazione di fotografi: Elsa Haertter, che collaborò come disegnatrice e fotografa per il femminile "Grazia" dagli anni quaranta in Italia, Herman Landshoff, costretto per motivi razziali a emigrare a Parigi e poi a New York, dove continuò a realizzare immagini di moda ambientate in esterno. Tra coloro che furono costretti a fuggire dalla Germania nazista vi fu Regina Relang, colla­ boratrice di "Vogue" a Parigi. Trasferitasi in Italia, Relang esaltò nelle sue immagini l'itaiia­ nità della moda. Paolo Barbaro scrive di lei: «Pare uno degli autori maggiormente attenti a connotare l"'italianità" delle creazioni. In diversi servizi per le sorelle Fontana e per Carosa fa posare le modelle nei luoghi archeologici di Roma e di Pompei oppure nei giardini di Bo­ marzo».6 Uno dei più importanti protagonisti della fotografia di moda fu l'inglese Ceci) Beaton, di­ \'enuto per i suoi meriti baronetto e fotografo ufficiale della famiglia reale. Il suo lavoro è sta­ to da molti assimilato a quello di George Platt Lynes le cui immagini, di sapore surreaiista, so­ no state pubblicate da "Harper's Bazaar" e "Vogue". Negli stessi anni in Inghilterra c'era Peter Rose-Puhlam, autore di immagini di sapore sur­ realista, come quelle di Beaton. Rose-Puhlam utilizzava una Rolleiflex e distruggeva i negativi in modo da attribuire alle immagini una sorta di unicità irripetibile. L'ungherese Martin Munkacsi, stabili tosi negli Stati Uniti, divenne il maestro per alcuni fo­ tografi della sua generazione, come il danese Renie Lohse e l'inglese Norman Parkinson, che da lui ereditò il concetto di «realismo in movimento». Munkacsi, pittore di formazione, ave­ l'a un'abilità straordinaria nel realizzare inquadrature non convenzionali, con angoli visuali estremi, con vedute a volo d'uccello, al di là di impostazioni prospettiche regolari, che gli de­ ril'avano dall'aver frequentato il mondo dello sport in veste di cronista sportivo. Tutto nelle sue immagini appare spontaneo, nulla sembra voluto e artificioso, come se si trattasse di foto­ reportage. Munkacsi è un fotografo originale, sempre alla ricerca di nuove ambientazioni, guardate con interesse dai fotografi più giovani come Avedon e Horvat. Come si è già detto, negli anni trenta Parigi era la capitale della haute couture e numerosi so­ no i fotografi francesi impegnati nella moda: da Philippe Pottier, la " Bibbia della moda" , così soprannominato per essere stato per ben venticinque anni il fotografo ufficiale de L'Of/iciel de la couture, a Roger Schail, famoso per i suoi ritratti a Coco Chanel, il cui lavoro fu pubblicato sulle più importanti riviste di moda fino agli anni settanta, quando passò l'attività ai figlio Jean-Fréderic, e a Maurice Tatard, assai influenzato dalla lezione di Man Ray e dei surreaiisti.

6 Per Regina Relang ( 1906-89) s i veda G. Vergani (a Pini Immagine, Milano 2004, p. 647.

c.

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di), Dizionario della moda, Baldini Castold.i Dalai­

Storia della fotografia François Kollar è un altro ungherese che, come Kerstéz, si trasferì a Parigi. Le sue immagi· ni di moda, pubblicate sulle più importanti riviste da "Harper's Bazaar" a "L'art et la mode" a "L'officiel de la couture" , sono realizzate secondo tecniche d'avanguardia con risultati di indubbia originalità. Negli anni trenta arrivò a Parigi anche Willy Maywald, in seguito foto· grafo ufficiale della Maison Dior, collaboratore dagli anni quaranta dello svizzero Christian Staub. Sempre negli anni trenta giunse a Parigi dalla Polonia Harry Ossip Meerson, impegnato a lavorare per molte riviste e per L'Oréal, studioso attento del ruolo e del senso dell'immagine, con un particolare interesse per il colore. In Italia, a partire dalla metà degli anni venti, la fotografia di moda iniziò a prendere piede contemporaneamente alla nascita e allo sviluppo delle grandi sartorie. A Roma nel 1929 aprì il suo studio Arturo Ghergo, che in breve tempo divenne, con la sua ricercatezza luministica e con le sue pose eleganti e graficamente strutturate, il più richiesto ritrattista delle dive, oltre che un apprezzato fotografo di moda. Fotografo di divi e dive del cinema dei telefoni bianchi prestato alla moda fu anche Elio Luxardo,7 che arrivò a Roma dal Brasile nel 1 932 dando vita a uno stile inconfondibile, forte· mente statuario, creato attraverso un sapiente uso delle luci e dei diversi toni del grigio.8 Luxardo fu vicino ad Arturo Ghergo, anch'egli ritrattista assai considerato. Realizzarono scatti di moda: Federico Garolla, Albe Steiner e Luigi Veronesi.9 Negli anni successivi alla fine del secondo conflitto mondiale New York iniziò a consolida· re il suo ruolo di sede di importanti riviste e di case di moda; ruolo che aveva iniziato ad assu· mere verso la metà del decennio precedente quando molti intellettuali e creativi furono co· stretti a fuggire dalla vecchia Europa dai regimi dittatoriali. Oltre a Munkacsi uno dei più si· gnificativi fotografi di questo periodo fu George Hoyningen Huene [scheda 81], fotografo colto, le cui immagini di moda sportiva divennero il simbolo dell'eleganza funzionale del pe· riodo. Nel 1 929 Paul Horst [scheda 82], uno dei più conosciuti fotografi di moda nel mon· do, era diventato suo assistente dopo aver posato come modello. Tra le altre figure che si so· no formate sulla scia di Horst, l'italo-americano Francesco Scavullo, riconoscibile per le sue immagini scanzonate e mai in posa. Gli anni quaranta furono indubbiamente assai dolorosi e complicati a causa della guerra e in un certo senso rappresentarono una sorta di stasi per la fotografia di moda. Solo alla fine del conflitto si registrò una straordinaria ripresa, segnata da un impaziente desiderio di rico· struire e di creare nuove cose. Proprio in questi anni mossero i loro primi passi negli Stati Uniti Richard Avedon e lrving Penn, che hanno segnato non solo la storia della fotografia di moda, ma anche la moda stessa influenzata dal loro particolare sguardo. Oltre alle loro indubbie capacità tecniche, i due di· 7 L. Violo (a c. di), Luxardo, Federico Motta, Milano 2000. 8 Luxardo si dedicherà alla moda con grande impegno soprattutto negli anni del dopoguerra, anche per motivi strettamente economici. Per approfondire il discorso su questo autore si consigliano: G. Tu roni Luxardo. I.:italica bellezza, Mazzotta, Milano 1980 e L. Violo, op. cit. 9 Assai interessanti in tal senso quelli sottoposti alla solarizzazione (vedi scheda 3 1 , p. 84 ). ,

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La fotografia di moda mostrarono una straordinaria consapevolezza dell'azione fotografica e del significato della fotografia di moda, per sua natura caratterizzata da grammatiche, stili e linguaggi diversi. Le loro creazioni, che resero fantastiche le riviste di moda, dimostrano la volontà di creare un linguaggio particolare, diverso, forte, capace di parlare di moda e di svelare immediatamente la personalità del fotografo che, nella maggior parte dei casi, non è votato solo a quell'ambito. Fondamentale è stato senza dubbio il ruolo giocato dalla grande rivista di moda "Vogue" , con le sue numerose edizioni, come vedremo tra poco. In questi anni si dedicò alla moda anche Gordon Parks, di cui si è parlato precedentemente in merito alla Farm Security Administration. Il suo servizio fu una sorta di unicum, dedicato alla modella Bettina, pubblicato sulle pagine di "Life", alla fine degli anni quaranta, a cui ne seguì solo un altro, riguardante la moda di Hollywood, pubblicato nel 1962 sulla stessa rivista. Lilian Bassman, per molti anni dimenticata, ricordata solo di recente in occasione del suo ottantesimo compleanno, dagli anni quaranta realizzò immagini pubblicate dalle riviste di Brodovitch,10 che l'aveva assunta. Formalmente molto originali, di rado soddisfavano la com­ mittenza, in cerca di operazioni più commerciali. In Italia la fine della guerra segnò lo sviluppo della fotografia, come si è già avuto occasione di sottolineare. Tra coloro che si dedicarono alla moda ci fu Federico Patellani, uno dei padri del fotogiomalismo con i suoi "fototesti " , pubblicati su "Marie Claire" e "Bellezza ". Pasquale De Antonis, fotografo abruzzese di ricerca, si affacciò al mondo della moda spin­ to dalla giornalista e critica d'arte Irene Brin e fino a quando, nel 1965, decise di abbandona­ re la fotografia commerciale, riuscì a dare una visione chiara e pulita dello sviluppo della mo­ da italiana. Spesso i fotografi di moda in Italia erano cavalli sciolti, senza particolari scuderie, il più del­ le volte professionisti prestati a diversi tipi di esperienza. Un caso esemplare è quello di Fer­ dinando Scianna, che arriva alla moda solo negli anni ottanta, dopo una precoce carriera di fotografo documentarista. Celebri le sue immagini con la modella Marpessa. Un'altra figura originale è quella di Chiara Samugheo, che si dedicò al giornalismo di moda a partire dagli anni cinquanta, sulle pagine del "Tempo", diretto da Arturo Tofanelli, con un interesse di matrice sociale e politica. Samugheo fotografava i personaggi del cinema calzati e vestiti dai più famosi sarti di allora.11 Gli anni cinquanta furono esplosivi per quel che riguarda la moda e la fotografia che la do­ cumentava. Oltre agli autori già citati, tra cui i più significativi sono Avedon e Penn, vennero alla ribalta William Claxton, che debuttò con una vecchia Rolleiflex, regalo di Avedon, Bob Richardson, un altro cavallo della scuderia Brodovitch, e Bert Stem, i cui servizi di moda e pubblicità sono connotati da glamour e romanticismo. 10

Alexey Brodovitch ( 1 898- 197 1 ) , di origine russa, è stato una figura fondamentale per il mondo della

moda: art director, pittore, illustratore, teorico dell'arte applicata e insegnante, ha lavorato dal 1934 al 1 958

a

"Harper's Bazaar". Le sue scelte in ambito grafico e ancor più fotografico sono state ardite e in tal senso la

sua influenza su un'intera generazione di fotografi, fra i quali lrving Penn, suo assistente a partire dal 1939, e di art director.

11 Da ricordare tra i fotografi di questo periodo anche Davide Less, che ritrae i vestiti dello stilista Emilio Pucci.

213

Storia della fotografia Allievo di lrving Penn a partire dal 1965 fu il canadese Douglas Kirkland che si impose per la sua capacità di narrare gli eventi della moda. Tra gli assistenti di Avedon si distinse il giap­ ponese Hiro, influenzato dalla lezione del maestro e di Brodovitch, per cui lavorò. Nelle sue immagini dai colori sgargianti e dagli accessori straordinari dominano la chiarezza e la preci­ sione di matrice " avedoniana ", in una monumentalità d'insieme. Eleganti e perfettamente costruite sono le immagini del polacco Victor Skrebneski che, do­ po aver aperto uno studio a Chicago nel 1952, avviò un'intensa collaborazione con importan­ ti maison della moda, della cosmesi e con riviste come, per esempio, "Vogue Italia". Per molti fotografi la moda, come si è detto, è stata una breve parentesi: basti pensare a Philippe Halsman, celebre per i suoi ritratti umoristici. Tra le figure più significative di questi anni bisogna citare William Klein, interessato sia al cinema sia alla fotografia. Dal 1954 lavora per " Vogue America" divenendo uno dei più noti fotografi a livello internazionale. In questi anni in America Amold Newman, collaboratore di numerose riviste di moda, si specializzò nei ritratti di personaggi famosi, da Picasso a John F. Kennedy. Il modello femminile fotografato da Henry Clarke, che a partire dagli anni cin­ quanta diede vita a uno stile personale e riconoscibile, è una donna vivace, sportiva, pronta a sedurre, capace di documentare il grande cambiamento di ruolo da parte della donna nella società. Clarke ha ambientato spesso le sue fotografie in atmosfere esotiche. Una delle personalità che hanno caratterizzato la fotografia di moda è l'australiano Helmut Newton [scheda 83] , che a partire dagli anni cinquanta ha lavorato per le più importanti rivi­ ste di moda, dando vita ogni volta a immagini stupefacenti che non passano inosservate. Alla fotografia di moda si dedicò per una decina di anni anche sua moglie, l'ex attrice australiana Alice Springs. Diane Arbus, insieme al marito Alan, si dedicò alla moda a partire dalla fine degli anni cin­ quanta, ma non sono certamente quelle le sue immagini più significative. Una figura particolare fu l'inglese Snowdon, pseudonimo di Tony Armstrong-Jones, più fa­ moso per il suo matrimonio con la principessa Margaret, sorella di Elisabetta II, che per le sue immagini, in cui liberava la modella dalla costrizione del set. Per la pubblicità e per la moda la­ voravano a Londra in quegli anni anche il gruppo The Three (Nyholn, Lincoln, Phillips), le cui foto sono corpose e materiche, dai toni caldi ed eleganti. «La fotografia di moda non esiste» ha affermato Jean-Loup Sieff, uno dei fotografi francesi che iniziò a lavorare a partire dagli anni cinquanta. Le sue immagini, pubblicate su "Elle", "Harper's Bazaar" e " Glamour", erano realizzate con obiettivi quadrangolari in cui i modelli, facilmente riconoscibili, si fondevano con il circostante. La sua posizione anti-moda provocò il suo distacco da questo mondo già a partire dagli anni settanta. Tra gli italiani che iniziarono in quel momento a occuparsi di moda ci fu l'istriano Frank Horvat, che pubblicò le sue foto su " Elle" , "Esquire" e " Harper's Bazaar" . Di formazione umanistica, allievo di Roberto Longhi, Alfa Castaldi è stato tra i giovani che tra gli anni cinquanta e sessanta scelsero la fotografia per esprimere se stessi e il mondo che li circonda, così come fece Ugo Mulas. Agli inizi degli anni sessanta Castaldi si convertì alla fo­ tografia di moda e collaborò con importanti testate e con noti stilisti tra i quali Lagerfeld, fo­ tografo oltre che stilista, Krizia e Valentino. 2 14

La fotografia di moda Ugo Mulas, una delle personalità più intelligenti e straripanti della fotografia italiana, si de­ dicò alla moda riuscendo a coglierne il senso nelle sue diverse situazioni e a esprimerlo attra­ \'erso le immagini. Anch'egli collaborò con numerose riviste e con alcuni sarti e stilisti fra cui Biki, Valentino e la Rinascente. Fra gli altri italiani che si sono dedicati alla fotografia di moda: Bob Krieger, Carlo Orsi, Al­ berta Tiburzi, giunta alla fotografia dopo una carriera da modella, Maria Vittoria Backhaus, le cui immagini sono strettamente legate alla storia dell'arte, dai fiamminghi a Piero della Francesca, e Felice Casorati. Quelle di Giampaolo Barbieri, che arriva alla fotografia nel 1 964, dopo avere abbandonato sogni cinematografici, sono immagini di sapore teatrale, a colori e in bianco e nero. Ha colla­ borato con le più importanti testate italiane e straniere, ha realizzato campagne pubblicitarie per numerosi stilisti, fra i quali Valentino, Armani, Versace e le sue immagini, di grande ele­ ganza formale, guardano in alcuni casi alla fotografia di moda degli anni trenta. Tra i fotografi più conosciuti degli ultimi anni: Oliviero Toscani, reso un personaggio da prima pagina sui quotidiani dalle sue immagini e dichiarazioni scandalose, contro cui si sono scatenate invettive e polemiche di ogni genere. Già nel 1966, all'età di ventiquattro anni, una sua foto viene bandita da "L'Osservatore romano" , e poi ritirata: si tratta della celebre immagine raffigurante il sedere della modella Donna Jordan, strizzato in un paio di jeans Jesus. Lo stesso Toscani aveva suggerito il nome della marca a Maurizio Vitali, proprietario della ditta produttrice di jeans, mentre l'autore dello slogan fu Emanuele Pirella: 2 o : «Considero la foto di moda come una forma di divertimento e voglio che

le m ie foto siano esattamente questo, tanto vivaci quanto brillanti sul piano visivo. >>3

LaChapel le guarda al particolare, che a suo pa rere è il modo migl iore per comprendere una persona: insomma meglio guardare vestiti e petti nature che coglierne lo sguardo. I l trionfo del­ l'effimero, secondo una filosofia molto in voga . •Cerco il brutto nel bel lo e il bello nel kitsch . l miei scenari preferiti sono i McDonald's e le auto da poco. All'in izio oziavo i n questi posti, ora li fotografo. >>4 Il desiderio di LaChapel le è quello che la gente ritagl i le sue immagini dal giornale per appen­ derle sul frigorifero di casa. I nsomma una fruizione "popular" delle stesse. Il tentativo di mutare in tal senso l'immaginario della gente. Per lui le riviste sono gallerie e i frigoriferi musei. La moda viene letta con lo stesso metro. Così da uscire dalla sua apparente seriosità per en­ trare in un ambito provocatorio, coloratissimo, spesso kitsch, in cui il dettaglio, il particolare diventano più importanti della visione d'insieme.

2

"Photo", edizione italiana, febbraio 1 997.

3

"Photo", edizione francese, maggio 1995.

4

"Joy", edizione tedesca, ottobre 1 996.

23 1

Arte e fotografia tra gli anni sessanta e settanta

A partire dall'inizio degli anni sessanta si è assistito a un massiccio uso della fotografia, con un picco ancora maggiore nel decennio successivo. In quel periodo si è registrato un vero e

proprio boom a livello sociale, come già era accaduto con le avanguardie, dovuto alla "non artisticità" del mezzo che, in forma più o meno economica, era entrato in quasi tutte le case del mondo occidentale. Si è assistito a una democratizzazione straordinaria che, ovviamente, ha avuto una certa influenza anche per autori e artisti. A partire dalla metà degli anni sessanta, che hanno immediatamente preceduto l'arte con­ cettuale, la fotografia divenne uno strumento di ricerca e di lavoro fondamentale per nume­ rosi artisti in Italia e all'estero, e principalmente negli Stati Uniti. L'arte concettuale - diretta nipote di Duchamp e delle avanguardie - la Land Art, la Body Art, la Narrative Art e Fluxus si servirono del valore di traccia e di documentazione della fotografia, senza attribuirle, nella maggior parte dei casi, un plusvalore estetico. Nel 1968 si svolge, presso la Duran Gallery di New York, la mostra Earthworks, dove furo­ no presentate sotto forma di fotografie opere di Michael Heizer, Richard Long, Dennis Op­ penheim e Sol Lewitt, accompagnate da scritti, grafici e schemi, due anni dopo la prima mo­ stra dedicata all'arte concettuale, Working Drawings and Other Visible Things on Paper not Necessarily Meant to Be Viewed as Art, tenutasi nel 1966 presso la School of Visual Arts di New York. Della fotografia si mettono in evidenza la peculiarità e la capacità di cogliere e di bloccare la realtà nel suo farsi. Nel 1969 Seith Siegelaub, uno dei più importanti critici del concettuale, scrive: Per la pittura e la scultura, dove la presenza visuale [. .. ] è importante, la fotografia o la descrizione non sono che mezzi impropri. Ma quando l'arte concerne delle cose che non hanno niente a che ve­ dere con una presenza fisica, il suo valore (comunicativo) intrinseco non è alterato dalla presentazio­ ne

stampata. L'uso di cataloghi e di libri per comunicare (e diffondere l'opera) è il modo più neutro

di presentare questa nuova forma d'arte. ll catalogo può ormai servire da informazione di prima ma­ no (primary information) per la mostra, in opposizione a quella di seconda mano (secondary informa­ tion) relativa all'arte nelle riviste ecc., e in certi casi la " mostra" può essere il "catalogo" .1

1 Intervista di S. Siegelaub con C. Harrison, On Exzbitions and the World at Large in Studio International, di­ cembre 1969, citato in F. Poli, Minimalismo, Arte Povera, Arte Concettuale, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 158. 233

Storia della fotografia In questo senso può essere letto il concetto di "ami-fotografia" di cui parla Nancy Foote,l che troverà un particolare sviluppo negli anni successivi. Gli "ami-fotografi" sono coloro che utilizzano la fotografia per un uso esclusivamente documentario come i Land Artists: Ri­ chard Long, Hamish Fulton, Walter De Maria, Robert Smithson e Nils Udo. Si cercava di abbandonare il concetto di stile e di trasformare la fotografia in uno strumen­ to neutro da utilizzare in quanto indice e traccia del reale. Si pensi alle parole di Marshall McLuhan, uno dei punti di riferimento di questa epoca e, in particolare, al suo Understan· ding Media (1964). Andy Warhol nelle sue operazioni Pop3 utilizzò l'immagine fotografica per rielaborarla e trasformarla in quadro, non discostandosi dalla tradizione. Lo stesso fece prima di lui nel 1956 Richard Hamilton, autore del collage Just What is It that Makes Today's Home so Di/le· rent, so Appealing?, esposto nella mostra This is Tomorrow. L'elaborazione e la traformazione dell'immagine fotografica caratterizzarono la ricerca di Robert Rauschenberg, che si impossessò delle foto tratte dai giornali attraverso un procedi­ mento chimico-tipografico basato sulla trielina. Già alla fine degli anni quaranta Francis Bacon aveva utilizzato per una sua opera pittorica un fotogramma del regista russo Sergej Ejzenstejn e di alcune immagini di Muybridge, ope­ rando una sorta di contaminazione di linguaggi. Sempre in quel periodo Edoardo Paolozzi si serviva di immagini fotografiche ritagliate dal· le riviste secondo una pratica già in voga tra i dadaisti e, ancor prima, tra i maestri del collage di derivazione cubista. Con il concettuale l'arte usciva dalla forma del quadro e dalla contestualizzazione del mu­ seo come luogo che ne certificava la valenza artistica. Nel 1969 si inaugurava la mostra Live in Your Head. When Attitudes Become Forms, curata da Harald Szeemann, che riuniva sessantanove artisti di diverse nazionalità, e dava uno spa· zio significativo alle opere fotografiche. L'esperienza di Fluxus, movimento internazionale di arte e vita fondato da George Maciu­ nas nel 196 1 , fu strettamente legata al dadaismo. La fotografia, nella sua accezione "fredda", era di fondamentale importanza quale strumento di registrazione, in grado di fissare e docu­ mentare le azioni e gli happening. Si pensi ad Allan Kaprow, Robert Filliou, Joseph Beuys, Giuseppe Chiari e Gianni Emilio Simonetti. In quegli stessi anni il libro stava diventando il luogo dell'opera,4 testimonianza e conteni­ tore. Forse primo esempio di questa nuova tendenza fu il libro di Ed Ruscha, Twentysix Ga­ soline Stations, realizzato nel 1963 , in cui erano riprodotte, senza alcuna pretesa artistica, im­ magini di stazioni di servizio lungo le strade americane. Ruscha stesso ha definito il suo meto­ do «ami-fotografico», modificando così la tradizionale distinzione tra finzione e documento. Negli stessi anni, in Germania, Bemd e Hilla Becher iniziarono un lavoro di documenta­ zione, in corso ancora oggi, di alcune tipologie di edifici industriali e agricoli del territorio te-

2 N. Foote, The Anti-Photographers, in " Artforum" , 15 settembre 1976, pp. 46-54. 3 Non è il solo Pop a utilizzarla, basti pensare a Rauschenberg, a Lichtenstein, a Dine, aJones.

4 Non si tratta del libro d'artista, ma del libro stampato in molte copie, al quale tutti si possono avvicinare.

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Arte efotografia tra gli anni sessanta e settanta desco - e non solo -, immortalati in una sorta di nudità e privi di soggettivizzazione. Bernd Becher iniziò con la pittura e i suoi soggetti furono fin da subito edifici industriali: Io all'inizio dipingevo usando delle fotografie come modello. Ma non ero soddisfatto dei risultati. Le foto continuavano ad apparirmi migliori dei miei dipinti. Poi ho cominciato a fare dei collages, rita­ gliando delle foto che scattavo io stesso, foto di miniere e case di minatori riprese sotto diverse ango­ lazioni. Per scattare queste foto salivo su una scala a pioli, affinché l'immagine non risultasse distorta, e

così ho scoperto che quando si riprende un soggetto dall'alto lo sfondo risulta più elevato e circon­

da completamente l'oggetto.5

Generalmente si trattava di due tipologie di immagini: lo stesso tipo di edificio, come per esempio silos, torri d'acqua, case contadine, fotografato in diversi luoghi, oppure un edificio ripreso da diversi punti di vista, in modo da sottolineare la relatività dello sguardo. I soggetti fotografati dai Becher sono le " cattedrali della modernità" . A cavallo tra Otto e Novecento, in p iena rivoluzione industriale, edifici di questo tipo diventarono il centro della comunità, il suo punto di riferimento, come lo era stata la cattedrale durante il Medioevo. Si pensi all'af­ fermazione di Hilla Becher: «Le differenze fra gli oggetti sono talmente sottili che si notano solo quando sono vicini l'un l'altro. Tutti gli elementi di una famiglia si assomigliano, ma pos­ siedono al tempo stesso una loro identità assolutamente specifica». Il progetto della coppia di artisti tedeschi è fin dall'inizio colossale: riuscire a classificare ogni costruzione della Ger­ mania, partendo da quelle della loro regione. Dopo la sconfitta della seconda guerra mondia­ le del 1945, la fotografia tedesca evita il soggetto del paesaggio distrutto per dedicarsi a realtà manipolate. Modello dei Becher è Uomini del XX secolo di August Sander. Il loro primo li­ bro, pubblicato nel 1 970, si intitola Anonyme Skulpturen. «In questo libro presentiamo og­ getti dal predominante carattere strumentale, le cui forme sono il risultato di calcoli e il cui processo di sviluppo risulta otticamente evidente. Si tratta in genere di edifici il cui anonima­ to viene accettato come stile. La loro particolarità sussiste nonostante la totale assenza di de­ sign ma proprio grazie a essa.» La loro ricerca dalla metà degli anni sessanta interessa forte­ mente gli artisti del panorama concettuale. All'inizio degli anni settanta di notevole impor­ tanza è il rapporto dei Becher con Robert Smithson, uno dei più interessanti esponenti della Land Art. Nelle sue immagini, come in quelle degli altri Land Artists, non c'era un filo con­ duttore. Importanti sono le fotografie aeree dei luoghi in cui lavorava, giustapposte ai reperti del territorio. Il suo era un interesse per il tempo geologico, troppo lento e profondo per rap­ portarsi ai ritmi dell'uomo. Tra i lavori più significativi di Smithson quello realizzato in Mes­ sico nel 1969 a partire da una serie di diapositive a colori. Nasceva così una sorta di minimale guida turistica destinata agli studenti dell'università dello Utah, sul tema delle rovine di un albergo, la cui costruzione è stata interrotta prima della fine dei lavori, divenendo quindi un' " archeologia del futuro" , che si poneva idealmente in rapporto con le antiche rovine delle civiltà precolombiane. La fotografia è utilizzata come strumento di ricerca per documentare la lettura filosofica di alcuni fenomeni. 5

B. Becher, inJ.F. Chevrier,J. Lingwood (a c. di), Un'altra obiettività, Idea Books, Milano 1989, p. 57.

235

Storia della fotografia Joseph Kosuth, nel suo lavoro lnvestigations, compie un'operazione di natura filosofico-lingui­ stica: accanto al testo scritto e all'oggetto - l'esempio più famoso è quello della sedia - vi è l'im­ magine dell'oggetto stesso che corrisponde fedelmente alla descrizione linguistica e all'oggetto. Dan Graham ha realizzato una serie di immagini di case popolari fabbricate in serie, pubblica­ te poi senza alcuna velleità artistica sulle pagine di "Art Magazine" tra il 1966 e il 1967. È importante che le foto non vengano viste isolatamente ma solo come parte dell'impianto grafico gene­ rale dell'articolo pubblicato su quella rivista. Sono, infatti, illustrazioni del testo o, viceversa, il testo funziona in relazione alle fotografie, modificando in tal modo il loro significato. Sia le foto che il testo sono parti separate del sistema della griglia prospettica bidimensionale. Le foto si collegano alle liste e alle colonne che documentano la loro possibilità seriale ed entrambe " rappresentano" la logica seriale dei complessi abitativi di cui si occupa l'articolo. Credo che il fatto che Homes /or America fosse in fm dei conti solo un articolo di una rivista, e che non ambisse a presentarsi come opera d'arte, sia la sua ca­ ratteristica più importante.6

Dopo le fotografie di Dan Graham e alcuni testi critici dello stesso artista, "Art Magazine" pub­ blicò la serie di fotografie di case in legno realizzate nel 1930 da Walker Evans che Graharn a quel tempo non conosceva, ma che in seguito ha profondamente apprezzato. Le foto di Evans degli anni trenta sono immagini strettamente legate alla fotografia europea, interessate a docu­ mentare lo spettacolo dell'America. Nel 1992 è stata organizzata una mostra dedicata al lavoro dei due fotografi, ospitata in diverse sedU Dan Graham ha lavorato direttamente con i media in maniera diversa rispetto agli artisti Pop, i quali, peraltro, avevano guardato a Walker Evans co­ me a colui che era riuscito a inventare l'immagine dell'America.8 L'operazione di Graham è concettualmente molto simile a quella di Douglas Huebler, che pone l'oggetto e la riproduzio­ ne dello stesso in un confronto serrato. TI lavoro che ha presentato a Prospect (1969) è costituito da 24 fotografie, scattate in un periodo stabilito di 24 ore, di un punto immaginario dell o spazio che si trova direttamente sopra ciascuna di 24 località geografiche che a loro volta esistono co­ me una serie di punti distanti fra loro 15° longitudinali lungo il 45° parallelo a nord dell'Equatore. La prima fotografia verrà presa a mezzogiorno, a 0° di latitudine, vicino a Cutrasd in Francia; la seconda e via via tutte le successive, verranno scattate a mezzogiorno mentre la serie continua fino a 15° di longitudine a ovest di Greenwich.9

Per Graham la fotografia si situa in una posizione ben definita: tra i media, la tecnologia e l'arte, con un riferimento chiaro alla poetica dadaista. 6 D. Graham, La mia posizione, in A. Zevi (a c. di), Dan Graham. Scritti e interviste 1965-1995, Zerynthia, Roma 1 996, p. 7 1. 7 J-F. Chevrier, Walker Evans & Dan Graham, Westfalisches Landesmuseum fiir Kunst und Kulturge­ schichte, Musée de Marseille, Whitney Museum of Arnerican Art, Olanda 1992. 8 In tal senso anche la vicinanza con Dan Graham. 9 La testimonianza di Huebler è contenuta nel volume di G. Celant, Precronistoria 1966-1969, Centro DI, Firenze 1976, p. 140.

236

Arte efotografia tra gli anni sessanta e settanta Nel l969 Michael Snow realizza Authorization,

un

autoritratto fotografico o meglio una

messa in atto della fotografia stessa. Si tratta di un grande specchio inserito in una cornice di metallo su cui sono incollate cinque polaroid in bianco e nero: una posta nell'angolo in alto a

sinistra, raffigurante ciò che il visitatore ha di fronte, e quattro attaccate al centro dello spec­ chio con un nastro adesivo grigio, poste in stretta progressione cronologica. Le cinque pola­ roid ci restituiscono la storia dell'opera nello stesso momento in cui la fanno. Sono simulta­ neamente l'atto stesso e la sua memoria.10 Al centro della ricerca di Urs Liithi c'è la sua stessa persona, raddoppiata attraverso la pre­ senza di un sosia, e travestita in una situazione borderline tra normalità e anormalità. Il tra­ sformismo e il doppio sessuale sono due dei suoi principali interessi in un'epoca di grande cambiamento e di liberazione sociale. La Biennale di Venezia del 1972, definita da alcuni come "Biennale della fotografia" , è sta­ ta in realtà una manifestazione di mutamenti. Nella sezione italiana, curata da Francesco Ar­ cangeli, Renato Barilli e Marco Valsecchi, erano presenti, tra gli altri, Germano Olivotto, scomparso precocemente e oggi purtroppo pressoché dimenticato, e Franco Vaccari con l'E­ sposizione in tempo reale. Lasciate una traccia del vostro passaggio. Olivotto realizza Sostituzio­ ni e Indicazioni, rispettivamente diapositive e fotografie e tubi al neon. In catalogo Renato Barilli scrive: «Germano Olivotto si incarica di sottolineare con tubi al neon abilmente dispo­ sti i ritmi generali di crescita degli alberi e del paesaggio. Si tratta di un programma di "sosti­ tuzioni": utile azione didattica per indurre le persone comuni a ragionare sui profondi carat­ teri strutturali del loro ambiente». Nella sezione Il libro come luogo di ricerca, a cura di Daniela Palazzoli e Renato Barilli, sono presenti, tra gli altri: Vincenzo Agnetti, Gianni Bertini, Giuseppe Chiari, Jan Dibbets, Hamish Fulton, Gilbert & George, Douglas Huebler, J oseph Kosuth, Ketty La Rocca, Jean Le Gac, Luca Patella, Edward Ruscha e Franco Vaccari. Nello stesso anno la Documenta di Kassel, curata da Harald Szeemann, 1 1 è caratterizzata da un grande numero di opere fotografiche. Sono in mostra: Edward Ruscha, Giulio Paolini, Christian Boltanski, Dan Graham, Giuseppe Penone con le "foto-emulsioni" , Gilbert & George, John Baldessari, i Becher, Jan Dibbets, Hamish Fulton. E nell'edizione successiva, nel 1977, la fotografia occupa un posto preminente, di totale autonomia rispetto agli altri lin­ guaggi artistici. La fotografia, utilizzata nel suo senso "freddo" di documentazione di azioni e happening, è strumento fondamentale per la Body Art, 12 in cui la presenza dello spettatore è necessaria, in modo da creare un rapporto dialettico fondante tra chi si esibisce e chi guarda, di cui la foto­ grafia è testimone. 10

Una spiegazione molto più approfondita di quanto detto si trova in B. Valli, Ph. Dubois (a c. di), I.:atto

fotografico, Quattroventi, Urbino 1996, p. 1 8 ss. 11

Una spiegazione assai elaborata del senso di questa Documenta è offerta da A. Cestelli Guidi, La "Docu­ menta" di K.assel. Percorsi dell'arte contemporanea, Costa & Nolan, Milano-Genova 1997, p. 49 ss. 12

Per avere una visione particolarmente chiara e documentata è di utile lettura e consultazione il volume

di Lea Vergine recentemente ristampato e aggiornato Body Art e ston'e similz: Arte come linguaggio, Skira,

Milano 2000.

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Storia della fotografia n lavoro di molti artisti si colloca in parte in questo movimento: da Piero Manzoni che ftrmava le modelle a Bruce Nauman in Autoritratto come una fontana. Tra gli altri: Ben Vautier, Marcel Broodthaers, Trisha Brown, Giuseppe Desiato, Terry Fox, Hermann Nitsch, 13 Gina Pane, prota­ gonista della Body Art come Marina Abramovic e Ulay, alcuni protagonisti dell'Arte Povera da Giuseppe Penone, a Giovanni Anselmo, Giulio Paolini, Luciano Fabro, Gianni Pisani. Spesso le immagini non sono realizzate dall'artista stesso, ma da un'altra persona che ha il com­ pito di registrare l' awenimento. La fotografia diventa documento nel suo significato più puro. Le testimonianze di sé, della propria vita, l'intera sfera del "privato" vengono impiegate come materia· le di repertorio. Tutto diventa recuperabile: una qualunque azione di un qualsiasi momento di

una

qualsiasi giornata; le proprie foto, le radiografie e le scopie; la propria voce; tutti i possibili rapponi con gli escrementi e con i genitali; ricostruzione dei fatti del proprio passato o messe in scena di sogni; l'inventario degli incidenti di famiglia; la ginnastica, la mimica e le acrobazie, le percosse e le ferite.1'

Un forte legame con il dadaismo è evidente nel lavoro dell'artista concettualeJohn Baldessari, caratterizzato dall'utilizzo con varie combinazioni di diverso materiale fotografico. Se è vero che si tratta, nella maggior parte dei casi, di materiale cinematografico americano, facilmente riconoscibile dal suo pubblico, tuttavia non è facile rintracciare un filo conduttore nella sua opera di sapore surreale: «Non è la scoperta della verità il centro della libido dell'opera, quan­ to il piacere di guardare. È l'erotismo dello sguardo e la nostra partecipazione a esso».15 David Hockney, esponente di punta della Pop Art inglese, scomponeva le immagini per poi ricomporle in coloratissimi collages. La sua è un'interessante osservazione dei media, con un'attenzione particolare per la televisione che dovrebbe essere " cubificata" , ossia resa tridi­ mensionale. A partire dagli anni ottanta si è dedicato quasi esclusivamente alla fotografia, e in particolare alla polaroid, con uno stile di matrice post cubista. La ricerca condotta da Gordon Matta Clark era incentata sul mistero dell'architettura: at­ traverso la fotografia ha cercato di rintracciare le tracce del passato in case diroccate. Archi­ tetto di formazione, era attratto dalla tradizione e dal passato e faceva parte del gruppo Site che progettava edifici nuovi come se nascessero già diroccati, bombardati e vittime come di una catastrofe.16 Le sue fotografie documentano, secondo una logica tipica della Land Art, i tagli degli edifici. Tra le sue opere più famose Splitting (1974), che raffigura una casa nel New Jersey divisa in due in senso verticale, immortalata dal suo obiettivo nel luogo esatto dove l'e­ dificio è stato materialmente sezionato, in un connubio fra vero e falso di forte ambiguità per­ cettiva. n suo ultimo lavoro Of!ice Baroque, realizzato ad Anversa nel 1977 solo come prodot-

13 Anche le performance di Nitsch e degli altri membri del Wiener Aktionismus ci rimangono attraverso la fotografia e il video. Come anche quelle di Gina Pane. In tal senso è da sottolineare la nozione di evento, che non ha solo una valenza temporale, come avevano sottolineato Harald Szeemann eJean-Pierre Bordaz in quel periodo. 14 L. Vergine, Il corpo come linguaggio (La "Body-art" e storie simi/t), Giampaolo Prearo Editore, Milano 1974, p. 14 ss. 15 J. Baldessari, in G. Belli (a c. di),]ohn Baldessan·, Skira, Milano 2000. 16 Cfr. F. Alinovi, C. Marra, Lafotografia. Illusione o n·velazione ?, il Mulino, Bologna 1981.

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Arte e fotografia tra gli anni sessanta e settanta to fotografico,

è costituito da una grossa entità solida, sezionata in una miriade di frammenti

in un ulteriore insieme compositivo secondo una logica d'avanguardia post cubista.

"Dog Art" è la definizione che viene data alla ricerca di William Wegman, in cui il cane funge da alter ego dell'artista, quasi fosse la sua ombra. La sua è un'arte elaborata e di cattivo gusto, tesa all'esasperazione, al grottesco e all'ironia. Robert Mapplethorpe, di cui si è precedentemente parlato nel capitolo dedicato alla foto­ grafia di moda, ha lavorato a cavallo tra fotografia e arte dando vita a un pensiero estetico punk-new wawe, riadattato in un linguaggio personale fortemente riconoscibile. Nel lavoro di Jimmi De Sana si dà libero sfogo a tutto ciò che per secoli era rimasto bloccato da una censura morale più o meno forte, con un chiaro rimando alla Body Art più esasperata, in particolare alla sua corrente austriaca, dove il corpo è terreno di violenze e masochismi. Un caso a parte è quello di Arnulf Rainer, che interviene con la pittura sulle immagini foto­ grafiche, in modo da renderle fortemente drammatiche ed espressionistiche. La fotografia è usata dunque come supporto al medium pittorico da trasformare attraverso la cancellazione. Allan Kaprow si serve della fotografia per documentare gli happening, termine da lui stes­ so coniato per indicare le sue azioni nelle quali coinvolge pubblico, spazio, oggetti, luci e suo­ no, cancellando definitivamente la distinzione fra arte e vita. Molti dei lavori di quegli anni possedevano una forte connotazione politica: Hans Hacke realizzava nel 197 1 Shapolsky et al. Manhattan Rea! Estate Holdings, a Rea!-Time Social Sy­ stem, as o/May 1 971 con le immagini di quarantasei uffici newyorchesi, dichiarata denuncia degli affari loschi di un noto speculatore immobiliare. La fotografia con la sua valenza di cro­ naca e di denuncia è l'unico strumento permesso per un'operazione del genere. TI Laboratorio di Comunicazione Militante, composto da Paolo Rosa, Ettore Pasculli, Tullio Brunone e Giovanni Columbu, che ha partecipato alla Biennale di Venezia del 1976, ha utilizzato immagini - generalmente fotografiche - tratte da giornali per denunciare la faziosità della politica ufficiale, la stupidità della censura, la parzialità dell'informazione anticipando le polemiche dei nostri giorni legate alla comunicazione. Uno dei centri dell'arte concettuale, così battezzata per la prima volta nel 1961 da Henry Flint, è la galleria Art and Project di Amsterdam, dove espose, tra gli altri,]an Dibbets, autore di lavori incentrati sulla relazione spazio-temporale: una stessa imma­ gine è ripresa a ore diverse in modo da crearne una sequenza. Nel 1969 definisce un sito che chia­ ma Temtonò di un pettirosso/Scultura, in cui la fotografia è utilizzata insieme ad altri mezzi grafici: L'idea era quella di modificare, di allargare il territorio dandogli la forma che mi piaceva. I fatti biolo­ gici non mi interessano: l'idea è nata piuttosto da una riflessione sui limiti delle arti visive. Dopo ave­ re preparato tutto, ho tracciato sul suolo la forma del nuovo territorio piantando dei paletti. La scul­ tura era costituita dai movimenti dell'uccello fra un paletto e l' altro.17

Dello stesso ordine di idee è il lavoro dell'inglese Tom Phillips, che fotografa lo stesso luogo a di­ stanza di tempo, riuscendo così a sottolinearne i microcambiamenti. Una ricerca simile, estesa al­ la dimensione temporale, è quella di Roman Opalka, che si dedica al genere dell'autoritratto. 17]. Dibbets, inJ.-F. Chevrier, J. Lingwood (a c. di), Un'altra obiettività, Idea Books, Milano 1989, p. 12.

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Storia della fotografia La fotografia è l'unica traccia rimasta della maggior parte degli interventi di Land Art. Come è avvenuto per le camminate e i territori attraversati da Hamish Fulton: il senso dell'opera non è tanto la fotografia quanto il viaggio, il camm inare stesso in una dichiarazione di antimonumen· talità. Con la Land Art la fotografia è testimonianza di ciò che è avvenuto, strumento "freddo" di registrazione, in cui l'arte copre il territorio dell'esperienza. Secondo Kaprow, per esempio, l'happening deve costituire una sorta di estensione attiva dell'action painting. n territorio di la· voro dei Land artisti sono le montagne rocciose, il deserto e i grandi territori desolati. A partire dal 1 968 John Hilliard si occupa del rapporto fra scultura e fotografia. Questo rapporto, mutatis mutandis, ricorda quello tra i due media nella ricerca del Medardo Rosso degli ultimi anni, in cui la fotografia svolge un ruolo precipuo. Come già per lo scultore tori­ nese, si assiste in Hilliard a un processo di smaterializzazione dell'arte che prende in esame la produzione plastica di periodi antecedenti alla ricerca fotografica. Photogrids18 è il titolo del lavoro di Sol Lewitt realizzato nel 1977 e composto da alcune se­ rie di immagini a colori di genere catalogatorio: porte, finestre, cancelli, grate, tombini, sel­ ciati, ponti, gallerie e manifesti pubblicitari. Vi è una vicinanza con certe ricerche di Lee Friedliinder: quella di Lewitt si concentra sulla vita dell'uomo, sulle costruzioni, sui dettagli, sulle presenze apparentemente marginali. Quelli di Anne e Patrick Poirier sono sogni archeologici, di recupero della classicità, come quelli realizzati prima di loro dai grandi architetti utopisti dell'illuminismo. La loro è una ri­ cerca apparentemente volta al passato, per quanto fortemente collocata nell'attualità sociale e politica. Nei loro lavori prodotti verso la fine degli anni sessanta la fotografia è stata strumento fondamentale. Negli anni novanta i Poirier hanno poi intrapreso una ricerca sul tema della fra­ gilità attraverso immagini in cui sono riprodotti dei petali di fiori incisi, caratterizzati da colori forti con una propensione per il rosso. Si tratta di un lavoro in cui eros e thanatos si rapporta­ no. Un lavoro di grande forza evocativa, della crisi e della precarietà del nostro quotidiano, in cui le singole sezioni prendono, tra gli altri, i nomi di Vanitas, Secolo infernale, Sangue. Due sono le mostre italiane dedicate alla N arrative Art presso lo spazio romano di Enzo Canna­ viello, tra il 1974 e il 1975. Nelle opere degli artisti presenti in mostra, testi e immagini vivono in ambiti separati, ma nessuno dei due ha una posizione di sudditanza. Si tratta perlopiù di immagini seriali, che non puntano certo all 'artisticità, in cui il vissuto è il nucleo portante e la memoria rico­ pre un ruolo particolarmente importante attraverso la fotografia, che diventa il mezzo ideale. Scrive Filiberto Menna nel catalogo della prima delle due mostre ( 197 4), che ha ospitato i la­ vori di David Askevold, Michael Badura, John Baldessari, Dieder Bay, Bill Beckley, Christian Boltanski, Robert Cumming, Jochen Gerz,19 Peter Hutchinson, Jean Le Gac, Franco Vacca­ ri, William Wegman e Roger Welch: Naturalmente non c'è alcuna ingenuità in questi artisti, ma, semmai, una sofisticata e spesso ironica volontà di ricondurre a modelli inusitati, magari anche assai antichi, l'ordine delle interferenze tra

18 S. Lewitt, Sol Lewitt.

Photogrzds, Paul David Press, Rizzoli, New York 1977.

19 La sua ricerca pane dalla poesia visiva per produrre oggeni lontani dai media, perché produrre arte si­

gnifica produrre artifici.

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Arte e fotografia tra gli anni sessanta e settanta immagini e parole; e c'è anche una buona dose di scaltrezza intellettuale nel loro rifarsi a un certo ti­ po di narrativa, che potremmo definire "bassa", in quanto descrive con minuzia analitica le cose più banali e insignificanti, sia che appartengano all'ambito del visibile, sia che facciano pane del flusso continuo, disordinato e casuale degli stati di coscienza.20

Si pensi ai lavori " cronachistici" di Michael Badura/1 intitolati Fakten Bzld, realizzati fra il 1972 e

il 1974, che indagano sui meccanismi della testimonianza: sono proposte storie con diverse ver­ sioni dei fatti, sullo stile di Rashomon del regista giapponese Ak.ira Kurosawa. Nella seconda edi­

zione dell'esposizione (1975),22 oltre agli artisti invitati alla prima, sono presenti: Cioni Carpi, Roger Cuthfort eJohn C. Femie. Numerosi artisti in mostra sviluppano contesti di relazioni tra testo/fotografia e tra pensieri contenuti nel testo e oggetti rappresentati nelle foto o, addirittura, fra le stesse foto, come accadeva nei lavori di Burgio, Badura, Wegman, Cumm ing, Askevold, Beckley e Pernie. In un recente catalogo dedicato al suo lavoro, Christian Boltanski scrive: lo utilizzo la fotografia ma non faccio mai fotografie. Non sono un fotografo. li rapporto tra la fotografia e le arti plastiche del Novecento è caratterizzato da diverse tendenze: la prima è riconducibile a uno come Man Ray, insieme vero fotografo e pittore, pur essendo questi due ambiti completamente distinti. L'altra tendenza va dal collage cubista o dadaista a Rauschenberg, e ha in sé il marchio del reale. Ma che si tratti di un'immagine o di un giornale, è la stessa cosa. È il marchio del reale che è incollato sulla tela, e io ap­ partengo a questa linea. Ciò che mi interessa nella fotografia è questo rapporto con la realtà, c'è sempre l'idea - senza dubbio perché la foto è fatta da una macchina - che se abbiamo la foto di uomo, questo de­ ve essere veramente esistito. In linea di principio la fotografia dice la verità e trasmette la realtà, anche se

non è del tutto vera. D'altra parte, la fotografia è un oggetto legato a un soggetto e alla sua assenza. Per questo motivo la fotografia evoca spesso la morte, perché vediamo un oggetto che ricorda un soggetto as­ sente. Io compio sempre il paragone fra un vestito usato, un corpo morto e la fotografia di qualcuno. In tutti e tre i casi si tratta di un oggetto che rinvia a un soggetto e alla sua assenza. Non c'è carne. Si può cal­ pestare una foto, la si può strappare, è un oggetto che si può torturare senza drammi. E come su un vesti­ to già portato c'è l'odore della persona, la sua mancanza. C'è sempre l'idea della persona assente in una foto. Nel mio lavoro, che io utilizzi un vestito o una foto, non vedo la differenza, una cosa non è priorita­ ria sull'altra. La cosa più importante è l'effetto di realtà.23

Il suo è un lavoro basato interamente sulla memoria personale e collettiva, alla ricerca di p ass a to che diviene evocazione

un

delle esistenze altrui. Annette Messager si ispira alla cultura popolare femminile, alla pubblicità, ai giornali illu­ strati creando una mitologia privata di sapore autobiografico. L'utilizzo della fotografia, dap­ prima sporadico, si intensifica nel 1976, quando realizza Images-modèles, tavole composte da fotografie e disegni il cui soggetto è l'archetipo della fortuna. Negli anni ottanta ha lavorato a 20 F. Menna, Na"ative Art, Studio Cannaviello, Roma 197 4. 21 Badura è assente nella seconda edizione, come anche Baldessari. 22 A. Bonito Oliva, F. M enna, Na"ative Art 2, Studio Cannaviello, Roma 1 975. 23 C. Boltanski, Photographie, in D. Eccher (a c. di), Boltanski, Milano, Charta 1997, p. 105.

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Storia della fotografia Chimere, incentrato sul corpo e sintesi di diversi linguaggi. Trophées e Cartes de Tendre sono murales fotografici ispirati agli ex-voto con un evidente richiamo alla tradizione popolare. Bill Beckley ricostruisce storie e thriller, il più delle volte a sfondo sessuale, con toni delica· ti e sfumati, lontani dalla provocazione frequente nel lavoro di altri artisti. La sua narrazione parte dagli indizi, dal particolare al tutto, attraverso la ricostruzione iconografica. Uno dei problemi principali su cui si concentra l'arte concettuale è quello della percezione. Numerosi sono gli artisti che portano avanti ricerche in questa direzione come, per esempio, Victor Burgin, che nel lavoro Photo Path ( 1969) ricopre parzialmente un pavimento di fotografie raffiguranti il pavimento stesso, creando una sona di ambiguità tra reale e sua rappresentazione. n lavoro degli artisti inglesi Gilben & George è difficilmente, o meglio inutilmente, ascrivibi­ le all'interno di movimenti e tendenze: essi stessi sono i protagonisti delle loro immagini di asso­ luta normalità, attraverso le quali hanno creato una mitologia del quotidiano. n loro è il trionfo della banalità, a partire dall'abbigliamento grigio, sempre uguale nel corso degli anni. «È il no· stro forte credo che l'arte sia vita e dove c'è vita c'è speranza.» Ogni momento della nostra esi· stenza può diventare frangente artistico: a loro detta l'arte deve contenere tutto, deve essere universale e in perfetto equilibrio. I loro lavori turbano, respingono e coinvolgono al tempo stesso: ci sono nudità e vestiti, sesso e ascetismo, bello e brutto, riso e pianto, tragedia e ridicolo. Dagli anni sessanta, il loro sguardo è indirizzato sulla contemporaneità: i due artisti hanno scat· tato centinaia di fotografie con una semplice macchina di piccolo formato, per poi elaborarle, mimetizzarle e convertirle. n lavoro di Sigmar Polke è caratterizzato da un rapporto osmotico fra pittura e fotografia, capace di offrire una risposta originale alla Pop Art, come ha fatto anche Gerhard Richter. Per Polke, registrazione e appropriazione delle immagini sono strettamente connesse: la fo· tografia possiede un valore pittorico, così come la pittura un valore fotografico in un conti· nuo scambio dove nessuna delle due è ancillare rispetto all'altra. Fra le due c'è uno scambio continuo, mentre per Gerhard Richter il rapporto fra i due linguaggi è da rovesciare. In Atlas è la fotografia che influenza la pittura e non viceversa. «La fotografia non è lo strumento che serve alla pittura, ma è la pittura che serve a una fotografia realizzata con gli strumenti della pittura.»24 Richter considera la fotografia, come Boltanski, un mezzo anonimo. Nel corso degli anni settanta la fotografia è rimasta uno strumento portante delle diverse ri­ cerche sia nel suo senso proprio sia come documentazione. Owero caldo e freddo. La fotogra­ fia può cioè essere soggetto stesso del lavoro, ossia calda, o può essere documentazione, ossia fredda, come nelle operazioni di Land Art o di Zoom Art. Negli stessi anni in Italia molti artisti utilizzano la fotografia: Franco Vaccari, Cioni Carpi, Bruno Di Bello, Michele Zaza, Giorgio Ciam. Claudio Costa, come anche Antonio Paradiso, si servono di immagini dirette o indirette per le loro ricerche di matrice antropologica. La fine di quegli anni ha rappresentato un intenso momento di trasformazione sociale che ha influito fortemente anche sul destino dell'arte. 24 L'affermazione è contenuta in E. Grazioli, Corpo e figura umana nella fotografia, Bruno Mondadori, Milano 1998, p. 257.

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Arte efotografia tra gli anni sessanta e settanta Ombra/ago, ovvero mangiatore di ombre, è un neologismo coniato da Luigi Ontani per il suo personaggio, da lui stesso rappresentato, in cui l'ombra funziona come identità. La foto­ grafia è il mezzo che utilizza principalmente per la produzione dei Tableaux caratterizzati dalla tematica del travestitismo: Ontani è in posa e mima la pittura antica. A partire dal l975, nei Tableaux vivants l'artista si traveste da personaggio storico: «Quando ho dato vita ai ta­ bleaux vivants con il pubblico erano degli appuntamenti in una definizione di infinito, ripeti­ rivi [. .. ]. In tali immagini è un'idea di ambiguità, di androginia, di non definizione. Ero pre­ sente nell'idea di ambiguità e altra estraneità)). Con Affreschi Franco Guerzoni realizza una sorta di campionatura di un edificio diroccato del quale viene fotografata ogni parte su cui è stata fatta una prova di colore. Il libro d'artista che accompagna il lavoro contiene un testo di Franco Vaccari: La fotografia serve a Guerzoni per bloccare questa situazione di effimero equilibrio e sottrarla al flus­ so

inesorabile della necessità, ma la parte più notevole della sua operazione consiste nel recupero, at­

traverso l'immagine così ottenuta, ombra del reale, di una nuova possibilità di azione tesa a ricostrui­ re

il reale. L'intervento che compie sulla fotografia non è pittura, ma archeologia della pittura, è me­

moria del fare pittorico diventata a sua volta emblema della memoria del fare.

Guerzoni non ha voluto inconsciamente dimenticare del tutto la pittura e in quegli anni è sta­ to fortemente influenzato dal verbo fenomenologico di Husserl che affermava: «Non posso mai dire che la determinazione che adesso esperisco è assolutamente quella che ho già esperi­ to». Il tentativo di Guerzoni è stato quello di dare al mezzo un'importanza primaria nella produzione dell'immagine altamente condizionante nel percepime il soggetto. L'atteggiamento di Cioni Carpi nei confronti della fotografia - e lo stesso vale per Vincenzo Agnetti - è paragonabile a quello di un uomo di scienza che dopo una scoperta si getta a ca­ pofitto in una successiva. Si tratta di un atteggiamento empirico, di tipo induttivo e caratte­ rizzato da una volontà di azzerare le esperienze precedenti. Lo stesso Carpi dice: Considero la fotografia come il mezzo più perfetto che la natura nel suo narcisismo più totale abbia escogitato, tramite l'intuizione dell'uomo, per registrare le sue meraviglie e i suoi orrori. Nel 1972 a Londra feci alcune sequenze fotografiche. Nel 1973 ricevetti il premio Piero Manzoni perché speri­ mentavo delle cose. Penso di essere sempre stato uno sperimentatore. Mi interessa molto cercare, studiare, utilizzare nuovi strumenti. E se a un certo punto lo strumento mi porta a un limite invalica­ bile, passo senza pormi assurdi problemi stilistici a un altro strumento che mi permetta di continuare. Questa è la ragione per cui non trovo differenza tra un'opera fotografica a parete o proiettata, un film piuttosto che una poesia o un testo. Sono solo mezzi, del resto la fotografia non è che un mezzo. Che ha delle caratteristiche particolari che devono essere studiate al massimo, perché bisogna essere in grado di padroneggiarle perfettamente dall 'inizio all a fine.25

25

Si tratta di un'intervista raccolta da chi scrive e contenuta in A. Madesani, Rubare l'immagine. Gli arti­

sti e lafotografia negli anni '70, Edizioni Tega, Milano 2000.

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Storia della fotografia Il lavoro fotografico di Bruno Di Bello dimostra un forte legame con il dadaismo, in partico­ lare con Raul Hausmann, che fu uno tra i primi artisti a usare la tecnica del fotomontaggio. Evidente inoltre un legame con la Pop Art, in particolare con Richard Hamilton. Di Bello in quegli anni si considera un «artista mentale», così come ha spiegato Filiberto Menna, secon­ do una definizione che si rifà alla tradizione duchampiana di un'arte mentale, non stretta­ mente retinica. Alla fine degli anni sessanta Di Bello si pone a stretto contatto con le nuove icone dell'allora nascente industria della comunicazione: «Al contrario dei lavori pressoché coevi di Giulio Paolini, io citavo non le opere d'arte del passato bensì "in effige" gli artisti dell'avanguardia storica; di cui (mi piaceva pensare) poter raccogliere il testimone e portare avanti, attualizzandolo, quanto dei loro messaggi sentivo allora attuale».26 Alberto Garutti fotografa e stampa le sue immagini per avere un controllo diretto, alla ri­ cerca di una dimensione di sensibilità percettiva. Ha voluto allontanarsi dalla concezione fredda dell'arte, legata a un atteggiamento politicizzato, molto analitico, per affermare, al contrario, una posizione più dubitativa e incline a un atteggiamento interrogativo. Aldo Taglia ferro si è awicinato alla fotografia verso il 1965, anno del suo primo lavoro La bella famiglia, di chiara matrice sociale, che ha dato poi inizio alla serie realizzata tra il 1965 e il 1 968, da lui stesso intitolata Rapporto quotidiano politico. Sono quelli gli anni della Mec Art guidata da Pierre Restany con Richard Antohi, Massimo Asnaghi, Serge Béguier, Gianni Ber­ tini, Maria Comba, Alessandra Bonelli, Emilio Cremonesi, Bruno di Bello, Alain Jacquet, Elio Mariani, Yehuda Neiman, Nikos, Luca Patella, Mimmo Rotella, Elio Santarella, Mario Schifano.27 Scrive Tagliaferro: Questo ciclo che ho chiamato Rapporto quotidiano politico è stato un'analisi critica di quegli eventi so· cio-politici che i mass media trasmettevano. Quindi una ricerca che è "documentazione" e lettura sogget· tiva della realtà, per questo ho usato il mezzo più vicino a essa: la fotografia, usando delle immagini recu­ perare dalla cronaca (giornali, riviste ecc.) perché documenti di quella realtà nella quale noi siamo diret­ tamente o indirettamente coinvolti.

Del 1966 è Condizioni e libertà, in cui l'artista utilizza la tecnica della decalcatura su colla vinavil. In America-America (1967) sono raffigurati i personaggi della storia politica della nazione con chiari riferimenti al clima di quegli anni, immediatamente precedenti il Sessantotto. Già qui è evi­ dente uno dei temi chiave del lavoro di Tagliaferro: la volontà di sottolineare l'ambiguità del lin­ guaggio e dell'immagine. In I;impegno e gli impegnati (1967) i protagonisti sono giovani contesta­ tori, e una madre che accudisce il suo bambino. In quel periodo la critica di Tagliaferro, sempre pungente e coraggiosa, era rivolta alla Chiesa (Per questi stessi eroi del 1967), agli Stati Uniti e, in particolare, alla loro politica estera e alla loro belligeranza (Ognuno di noi-spettatori del 1968). Della fine degli anni sessanta sono le lmmaginifusibili, in cui è evidente la ricerca di Taglia­ ferro sull'ambiguità dell'immagine, che è possibile guardare da diverse angolature: 26

L' affermazione di Bruno Di Bello è contenuta nel testo redatto da chi scrive in V. Fagone, A. Madesani,

Utopie quotidiane. I.:uomo e isuoi sogni nell'arte d4l 1 960 a oggi, Si!vana Editoriale, Milano 2002. 27

La Mec Art, Arte Meccanica, Mechanical Art, non è un gruppo o un movimento, quanto piuttosto un incontro di alcune personalità autonome, anche con storie profondamente diverse tra loro.

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Arte efotografia tra gli anni sessanta e settanta Quelle che ho chiamato "immagini fusibili" sono due immagini poste su una superficie composta da tanti piccoli angoli. Sui due lati degli angoli ho applicato le immagini, una per ogni lato; l'osservatore, per leggere le immagini, è costretto a porsi perpendicolarmente ai lati dell'angolo. Durante queste due letture, secondo il punto di osservazione, le due immagini interagiscono e si modificano conti­ nuamente. Queste viste frontalmente (anche per la rifrazione) tendono

a fondersi, creando così una

nuova immagine.

Nel 1972 Tagliaferro realizza Soggiorno temporale-soggiorno eterno come momento di identifi­ cazione, di cui ha scritto: «Questo lavoro vuol essere un momento di identificazione soggetti­ l'a del proprio rapporto con la morte. Per questa analisi ho "registrato" alcuni fenomeni che le ruotano attorno, come: condizione esistente (rituali, affissioni, costume, condizionamenti morali) , reazione soggettiva (comportamento dell'uomo in rapporto con la morte)».28 Memo­ ria-identificazione ( 1973 ) è giocato sulle tematiche della memoria e dell'identificazione, attra­ verso le quali si arriva alla conoscenza del proprio io, in una dimensione autobiografica. In questo lavoro l'elemento della variabile temporale è strettamente connesso a un suo più re­ cente lavoro (2000), Sopra/sotto un metro di terra. Tra i protagonisti italiani impegnati nella ricerca sul rapporto arte/fotografia la figura di Pao­ lo Gioii è difficilmente collocabile. Per lui, formatosi in una realtà artistica, è stata fondamen­ tale la scoperta dell'arte americana durante la Biennale di Venezia del 1964. Nel 1967 si reca a New York dove viene influenzato da molteplici realtà, senza mai perdere però lo stretto lega­ me con la sua terra, la provincia di Rovigo. Alla fotografia si è awicinato in modo autonomo e personale verso la fine degli anni sessanta. Gioii ha svuotato la macchina fotografica riducen­ dola a un mezzo elementare, totalmente scevro da implicazioni meccaniche. Da oltre trent'anni il suo strumento preferito è il foro stenopeico, utilizzato in varie dimensioni, rica­ vato da oggetti di vario tipo. li foro stenopeico è un modo di raccogliere immagini nel modo più puro. Che poi è più complicato, e dawero maledetto, poiché ti viene tolto addirittura quello di cui tutti si sono preoccupati nel mondo delle macchine fotografiche, e cioè i mirini [. .. ]. Con il foro stenopeico questo è cancellato: è negata la traguardazione, l'inquadratura. Viene tolto il mettere a fuoco, il destra-e-sinistra e l'alto-e-il basso. Qui è solo una misurazione mentale, dove metti in gioco tutto il tuo bagaglio di conoscenze anche sulle mi­

sure, dall'infinitamente distante all'infinitamente ravvicinato [. .. ] . Con il foro stenopeico uno può esprimersi comunque, al di fuori da qualsiasi limitazione [. .. ]. Arrivi cioè dove l'occhio non arriva, ma senza ottica [. . .] capisci ancora di più come sarebbe la realtà senza la complessità di occhio e cervello. Nel foro stenopeico vedi come sarebbe la vita, e la visione, senza il bilanciamento del cervello. 29

fotografica è ridotta al grado zero e nei suoi lavori la materia fotografica viene plasmata e lavorata acquistando d'intensità fino a ottenere effetti spiazzanti. Gioii ha utilizza-

La macchina

28 Le citazioni di Tagliaferro sono tratte da V. Fagone, A. Fiz,Aldo Taglia/erro 1965-2000, Fondazione Ban­ dera per l'Arte, Busto Arsizio 200 l, p. 27. 39 P. Gioli, in P. Costantini, Una conversazione con Paolo Gioii, in P. Costantini, S. Fuso, S. Mescola, I. Zannier (a c. di), Gran positivo nel crudele spazio stenopeico, Alinari, Firenze 1991.

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Storia della fotografia to nel corso degli anni materiali di vario genere tra cui immagini della storia della fotografia, come alcuni esempi di fotografia vittoriana ottocentesca, rivisitata senza per questo snaturar­ la o spoeticizzarla.30 Tra le personalità più interessanti del panorama dell'arte italiana di quel periodo c'è Fran­ co Vimercati.31 Nel foglio di presentazione della mostra alla galleria Martano di Torino, Vi­ mercati scriveva: Dopo la serie di ritratti fatti a gente della Langa durante l'estate del 1973 , intendevo realizzare altri la­ vori, ugualmente impostati, ma quando misi nuovamente mano alla macchina fotografica, mi accorsi che i risultati che andavo ottenendo non erano corrispondenti alle nuove esigenze che nel frattempo avevo maturato. Questa constatazione mi costrinse ad un riesame globale del problema " far fotogra­ fia", il cui esito mi portò alla sequenze di bottiglie di acqua minerale degli inizi del 1975. Da quel la­ voro in poi, il soggetto perse, così, ogni significato. Non sarebbe più stato rappresentante di contenu­ ti né tanto meno occasione per formalismi, e la realizzazione delle immagini fu oggettivata al massimo grado, al punto da poter essere affidata anche ad un altro fotografo. La fotografia singola, infine, re­ stò privata della sua autonomia e il progetto considerato realizzato solo nella sequenza, all'interno della quale, l'identità degli oggetti ripetuti avrà il solo scopo di far emergere gli elementi specifici del mezzo fotografico.

Per oltre dieci anni Vimercati, artista raffinato, si è dedicato a un unico oggetto: una zuppiera bianca trovata in casa, immortalata in una serie di " ossessive" e poetiche variazioni minime. li suo progetto consisteva nel cogliere l'essenza delle cose, eliminandone ogni orpello, ogni ele­ mento di fastidio, in un esercizio colto e metodico dello sguardo che quotidianamente si sof­ fermava sugli oggetti che sarebbero finiti al banco ottico. Franco Vimercati è stato influenzato dalla letteratura, dalla poesia e dalla storia dell'arte, spesso paragonato a Morandi per alcuni indubbi parallelismi come la ripetizione e la cono­ scenza " fenomenologica" degli oggetti. Tuttavia Vimercati è un artista moderno, legato al dramma esistenziale del suo tempo: si tratta di un dramma personale e collettivo profonda­ mente radicato nella sua ricerca di uomo e di artista. Nel testo di presentazione della sua mo­ stra Luigi Ghirri scriveva: Per Vimercati non è importante quello che è davanti alla macchina da presa, non vi è nessuna concessio­ ne ai contenuti, perché i contenuti sono la fotografia stessa. [ .. ] Non è un caso che Vimercati ami tanto .

30 Tra i lavori successivi più interessanti di Paolo Gioli è Sconosciuti, del 1995. L'artista aveva ricevuto in dono da uno studio fotografico numerose lastre per ritrani e fototessere ritoccate nella pane posteriore. Si trattava di un suggestivo archivio della memoria di un intero paese. Alle immagini avevano lavorato in due, un artigiano fotografo e un pittore fallito che si occupava del ritocco. Gioli è intervenuto facendo macrori­ prese dei ritratti su una pellicola 35 mm ricreando nuove lastre. In questo modo con i tre interventi i ritratti sono mutati divenendo un'altra nuova cosa che ha così ribaltato il con ceno di identità. 31 Franco Vimercati ( 1940-2000) ha lavorato a partire dagli anni settanta sino alla fine dei suoi giorni con lo strumento fotografico, dando vita a lavori straordinari in cui la dimensione intellettuale e teorica si in­ contrano con quella poetica. 246

Arte efotografia tra gli anni sessanta e settanta la pittura di Morandi. Perché in Morandi vi è la conclusione della cultura figurativa italiana, che parte dal concetto di spazio o dalla concezione unitaria del reale per dedurne la conoscenza del particolare.32

Complessa da definire è la ricerca di Ketty La Rocca, che utilizza la fotografia per il suo lavo­ ro sul corpo e per la registrazione di azioni di vario tipo. Uno dei suoi lavori più significativi è Le riduzioni: si tratta di alcuni polittici in cui la fotografia, in quanto indice, diviene man ma­ no disegno-scrittura e quindi segno. Le fotografie riproducono celebri opere d'arte e ritratti di artisti. «li David, per esempio, non esiste più, quello vero è quello delle cartoline o quello più raffinato delle fotografie per turisti o dei libri di storia dell'arte, eppure è per questo che è così misterioso e se io voglio un David tutto per me posso solo rifarmelo, ricostruirlo per i miei ricordi, su misura sul mio modo di essere, di sentire, di vivere.»33 Alla Biennale di Venezia del 1972, come si è già detto, era stato invitato Germano Olivotto, che nel 1969 realizzava una Sostituzione in un bosco del Veneto: in una teoria di alberi ne ave­ va sostituito uno per la prima volta (l'operazione continuerà nel corso del tempo) con un tu­ bo al neon in poliestere. La fotografia e il video servono per documentare questo tipo di ope­ razione, creando così una sorta di doppio gioco fra il reale e la sua stessa rappresentazione. La sua ricerca è caratterizzata dall'osservazione e dall'intervento sui fenomeni naturali, come per esempio quella di Dibbets. Olivotto, medico, uomo di scienza, instaura un rapporto deli­ cato con la natura, privo di violenza e intromissione, ma caratterizzato da una volontà di dia­ logo e confronto.34 Vincenzo Agnetti ha lavorato sulla memoria ed è riuscito a comprendere il determinismo dei mezzi tecnici, intervenendo sui loro stessi meccanismi operativi. Nel 1975 Achille Bonito Oliva scriveva di lui: «Egli ha adoperato in maniera dialettica il mezzo fotografico, evitando l'identificazione con esso, applicando intenzionalmente all'uso della fotografia un procedi­ mento interrotto. Esso consiste nell'eliminare alcuni elementi strutturali tipici del fotografa­ re: la macchina fotografica e l'oggetto estemo».35 L'assenza e la durata che trascorre dalla lettura dell'immagine alla sua memoria sono due pro­ blemi fondamentali nella ricerca di Luca Patella. L'immagine fotografica, come afferma egli stesso, è una image trouvée, una citazione di una realtà data, obiettiva e non costruita; ma nello stesso tempo è una image cherchée che, allargando il campo d'azione, lascia intuire la volontà dell'autore di istituire un'indagine più complessa, una discesa nel profondo, in una ricerca con­ tinua della propria immagine. Narciso cerca nello specchio la propria identità, la scorge riflessa

L. Ghirri, Franco Vimercati, Foglio per la mostra della serie Descrittiva, Comune di Rimini, aprile 1984. La citazione è riportata nel catalogo - in cui è anche una ricca e dettagliata serie di informazioni sull' ar­ tista - che accompagnava la mostra di Monsummano Terme in occasione dei venticinque anni dalla morte dell'artista, nata a La Spezia nel 1938. L. Saccà (a c. di), Omaggio a Ketty La Rocca, Pacini Editore, Pisa 2001. ).1 li lavoro di Germano Olivotto è ospitato anche nella mostra L. Carluccio, D. Palazzoli (a c. di), Com­ battimento per un'immagine. Fotografi e pittori, Amici dell'Arte Contemporanea Galleria Civica d'Arte Moderna Torino, Torino 1973 . La figura di Olivotto, forse per la sua prematura scomparsa, è di rado ricor­ data e studiata. 15 A. Bonito Oliva, Procedimento interrotto ''fotografare a mano lzbera" ''fotografare a occhio nudo", in "Domus", n. 545, aprile 1975. 12 ll

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Storia della fotografia e vi si riconosce.36 n suo potrebbe apparire un lavoro di tipo autoreferenziale, mentre invece in­ daga gli aspetti più reconditi della psicologia e del pensiero dell'uomo: la fotografia che Patella non ha mai abbandonato diventa il mezzo perfetto per questo tipo di operazione. Tra il 1969 e il 1970 ha realizzato una serie di fotografie e diapositive globalizzanti con un ampio angolo di campo di centodieci o centottanta gradi in un tondo iscritto in un quadrato, intitolate Immagini Azioni Foto globalzwnti (immagini "da lèggere" per "Analisi proiettive in atto" e "libri"). Autofoto Camminati "Sbadate" Auitodocumentazioni in atto ( 1 973-77), ottenuto tenendo in una mano la fotocamera (in certi casi la cinepresa) impostata su differenti ottiche di ripresa a va­ sto angolo, è un lavoro di autodocumentazione mentre l'artista stesso "liberamente" compiva diversi tipi di azioni: lavori, viaggi, osservazioni (solo o in compagnia) incontri e colloqui. A vol­ te uno specchio svela - riflettendola - la fotocamera, controcampo dell'inquadratura, l'altra metà nascosta del mondo. Ancora una volta lo specchio diventa rivelazione, assenza e presenza. Per Michele Zaza la fotografia è il mezzo di rappresentazione per eccellenza, capace di foto­ grafare il suo pensiero. Nel catalogo della mostra Dissidenza ignota, tenutasi presso la galleria Marilena Bonomo di Bari in cui i protagonisti sono i suoi familiari, come spesso avviene nei suoi lavori, è stata trascritta una frase di Epicuro: «Di attesa in attesa consumiamo la nostra vita e mo­ riamo tutti in travaglio». Nel suo lavoro fortemente drammatico la fotografia visualizza il pensa­ to in modo omogeneo, incontaminato e incondizionato, diventando mimesi del pensiero, senza alcuna modifica o intervento di tipo emotivo o mistificatorio. Si tratta della rappresentazione del non visto. La presenza dei genitori ha caratterizzato la sua ricerca di quegli anni, che partiva dalla concretezza dell'esistenza di ognuno di noi per stabilire un contatto con l'archetipo. Negli anni sessanta l'opera fotografica di Giulio Paolini è stata determinante per la compren­ sione dell'aspetto più teorico della sua ricerca. In un'intervista rilasciata dall'artista allo scritto­ re Nico Orengo nel 1973 dichiarava: «La fotografia dà modo allo stesso autore di "assistere" al quadro: la visione è la cosa già vista dall'obiettivo, l'immagine è la copia critica del vero>>.37 Diaframma 8 del 1965 documenta l'azione di Paolini stesso mentre porta un quadro. In D867 ( 1 967) l'artista è fotografato in una strada di Torino mentre trasporta l'opera Dia/ram­ ma 8. Il richiamo è duplice: soggetto dell'immagine è l'artista stesso che trasporta una sua im­ magine dove, ancora una volta, egli stesso è il soggetto. La fotografia offre la possibilità di moltiplicare all'infinito una forma già esistente: La fotografia mi permetteva di spaziare in un universo temporale che andava da Piero della France­ sca sino a ciò che si trovava sul mio tavolo, per questo mi è sembrata una grande risorsa. Ho parlato in alcune occasioni di " avvento" della fotografia e l'ho fatto perché " avvento" è una parola che ap· partiene più al linguaggio del sacro che a quello della tecnica. La fotografia, insomma, ha portato nel mio lavoro quella risorsa tecnica che superava di fatto l'uso del mezzo. Anche Barthes trovava un lato miracolistico nella fotografia: riesce a far sopravvivere qualcosa che non è più.38

36 l. Panicelli, L. Patella, Lafotografia di Luca Patella, Casa del Mantegna, Mantova 1978, p. 6. 37 L'intervista è contenuta in R Peccolo (a c. di), Aphoto, Studio Marconi, Milano 1977. 38 Si tratta di un'intervista raccolta da chi scrive e contenuta in A. Madesani, Rubare l'immagine. Gli artt� sti e lafotografia negli anni Settanta, Galleria Tega, Milano 2000.

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Arte e fotografia tra gli anni sessanta e settanta La conferenza ( 1 973 -75), composto da ventuno fotografie, è uno dei lavori fotografici più no­ ti di Michelangelo Pistoletto: il conferenziere e il pubblico sostituiscono l'immagine fotogra­ fica. Così il conferenziere guarda il pubblico, di cui c'è una sola immagine, mentre le altre ri­ producono il conferenziere. Si tratta di un lavoro sullo sguardo e sulla sua soggettività. Sempre degli stessi anni è l'opera La fecondazione, in cui un ragazzo e una ragazza si danno la mano, l'uno a fianco all'altra ma con i corpi rivolti al contrario. Le due fotografie sono state scat­ tate frontalmente, nello stesso momento. Le singole foto, quindi, comprendono forzatamente una parte dell'altra figura girata di schiena. Congiunte, nella parte che si sovrappone reciproca­ mente, secondo la descrizione di Pistoletto, formano la circolarità totale: da due fronti se ne ot­ tengono quattro per cui si ha contemporaneamente il davanti e il didietro.39 In Perimetro specula­ re, esposto alla galleria Ala di Milano, le immagini fotografiche poste a terra raccontano ciò che gli è speculare. Ancora una volta si tratta di un'indagine sullo sguardo. Ironico e intelligente è il lavoro di Pistoletto in cui egli stesso è fotografato mentre imita le pose dei personaggi della storia dell'arte: dal Mosé di Michelangelo ai protagonisti delle opere del Caravaggio. Si tratta in questo caso di un'azione di Body Art nei confronti dell'arte stessa, in un'operazione "metartistica". Nella seconda metà degli anni settanta è stata forse Bologna la città italiana più significativa nell'ambito della comunicazione. Nel capoluogo emiliano grazie a Radio Alice, storica emit­ tente radiofonica, a cui hanno collaborato numerosi artisti, pensatori e personalità della cul­ tura, si cominciavano a decostruire i dogmi del Sessantotto, politici e non. La radio era all'a­ vanguardia per quanto riguarda la comunicazione. Punto di riferimento in quel panorama bolognese è stato Umberto Eco. Nel panorama arti­ stico, precipua è la figura di Anna Valeria Borsari. Tra i suoi primi lavori fotografici, in La stel­ la della sera è la stella del mattino?, dedicato alla scienza, l'artista indossa le vesti sia del ricer­ catore scientifico sia del filosofo con l'esemplificazione di Zenone e del paradosso di Achille e la tartaruga. Già nei lavori degli anni settanta vi è un interesse nei confronti della memoria personale: in Testimonianze ( 1976) le immagini diventano testimonianza e traccia della sua vi­ ta di bambina e il lavoro sembra precedeme nn altro realizzato venticinque anni dopo nel­ l'ambito del gruppo Oreste, dal titolo Labirinto. Si tratta di una costruzione attraverso la foto­ grafia in cui l'unità individuale è scissa in tante facce poste come una sorta di carta topografi­ ca. La ricerca di Borsari in questi anni è stata caratterizzata dal tentativo di "attraversarsi" , di riuscire a entrare all'interno delle cose. Chi ha vissuto qui? Qui è vissuto ( 1 977) è un lavoro in­ centrato sul dettaglio, sulla ricerca di un'identità attraverso la scoperta del frammento. «Solo per caso è possibile introdursi nell'orto privato del custode del museo. In questo luogo ove un custode non è previsto, i significati e le intenzioni si trasformano liberamente.»40 Nel 1977 è il tentativo riuscito di evadere da una situazione in cui il fare artistico è ancora, nonostante tutto, legato ai canoni tradizionali: la cornice, il chiodo, la galleria. È questo un anno fatidico, il se-

39 G. Celant, M. Pistoletto, Pista/etto (catalogo mostra Palazzo Grassi, Centro Internazionale delle Arti e

del Costume), Electa, Milano 1976. '0 ll testo è contenuto in O. Calabrese, G. Giorello, A.V. Borsari, Anna Valeria Borsari. Opere, Electa, Mi­ lano 1996.

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Storia della fotografia condo sessantotto vissuto in modo più leggero quando si cerca di prendersi meno sul serio. Di ridersi un po' addosso. L'ironia è fondamentale anche per fare la rivoluzione, nel cui ruolo benefico tutti cre­ devano un po' meno.41 Nel 1 978 Borsari dà indicazioni a una paziente in cura dal marito, psicoterapeuta, per realiz· zare alcune fotografie, trasformandole poi nel lavoro Foto

di Carla B. Pur avendo il suo lavo·

ro delle implicazioni sociali, è già possibile scorgere il segno del cambiamento: la sua ricerca presuppone il concetto di dubbio ed è caratterizzata da uno specifico interesse verso l'indivi­ duo e la sua dimensione privata, come lo saranno i lavori dei giovani artisti degli anni novanta per i quali Anna Valeria Borsari è stata un più o meno dichiarato punto di riferimento. Tra coloro che hanno iniziato a lavorare in quegli stessi anni si deve ricordare l'americana Cindy Sherman, il cui lavoro di travestimento e trasformazione dell'immagine, sviluppatosi nel corso degli anni, era di matrice concettuale: si pensi a Film Stills a partire dal 1977, anno in cui arriva a New York insieme a Robert Longo. Secondo le sue stesse dichiarazioni, riportate da Claudio Marra: «Volevo passare il tempo a pensare l'immagine piuttosto che a produrla» e an­ cora: «L'esperienza della pittura in realtà mi ha aiutata per quanto riguarda il maquillage e la lu­ ce nel lavoro fotografico attuale»Y Oggetto del suo lavoro è sempre e soltanto lei stessa. n suc­ cessivo Backscreen

Projections è un lavoro prodotto negli anni ottanta incentrato sul doppio fo­

tografico: Sherman è fotografata sullo sfondo di grandi fondali precedentemente fotografati. Fondamentale è il legame con il cinema, con il noir, e in particolare con i film di Alfred Hitch­ cock, caratterizzati da un intenso interesse per il femminile. Il lavoro di Sherman si basa sul lin­ guaggio, sulle pose e sul loro significato. «L'impatto narrativo di queste immagini tende a som­ mergere gli elementi con i quali è costruito, come la profondità di campo, la grana, la luce ecc., che, sembrerebbe, è fin troppo facile licenziare come semplice " tutt'uno" formale, mentre fun­ zionano come significanti importanti per il risultato semantico».43 Tra i suoi lavori più sconvolgenti i Ritratti storici, operazioni mimetiche in cui l'artista in posa

A fin­

interpreta alcuni famosi protagonisti della storia della pittura, resi grotteschi ed esasperati. partire dai lavori degli anni ottanta compaiono immagini decisamente sgradevoli in cui la

zione appare manifesta. n corpo nel corso degli anni si è trasformato: è diventata una bambola­ robot inumana, con organi sessuali improbabili da cui escono escrementi e liquidi indefinibili. Siamo ormai vicini al concetto di post-human. Sherman riflette, attraverso la fotografia, sugli usi e costumi sessuali del nostro tempo, evi­ denziandone gli aspetti deteriori e di cattivo gusto. Il suo lavoro, difficilmente inquadrabile dal momento che si pone a cavallo di diversi ambiti, ha fortemente segnato il cammino della foto­ grafia contemporanea. Con grande autonomia e intelligenza Sherman è riuscita a passare, al di là delle mode più facili e convenienti, da un ambito p rettamente concettuale al post-human. Francesca Woodman, morta suicida a soli ventitré anni nel 1 98 1 , personaggio inquietante 41 A. Madesani, Anna Valeria Borsari. Visita guidata, Comune di San Donato Milanese, Edizioni Nuovi Strumenti, Brescia 200 l . 42 C . Marra, Fotografia e pittura nel Novecento. Una storia "senza combattimento", Bruno Mondadori, Mi­ lano 1999, p. 2 14 ss. 0 R Krauss, Celibi, cit., p. 128.

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Arte e fotografia tra gli anni sessanta e settanta di quegli

anni, faceva la modella di quasi tutte le sue fotografie e poco prima di morire scrisse: «M'interessa come l'individuo si relaziona allo spazio ... ho iniziato a fare le foto fantasma, le persone che svaniscono [. . . ] io e Francis Bacon». Le sue parole appaiono oggi una premoni­ zione, o forse rivelano solo il desiderio di andarsene. Già in House (1975-76) Woodman si na­ sconde dietro il riverbero della luce creando un effetto di presenza-assenza. Woodman è sta­ ta molto precoce e i suoi primi lavori risalgono al 1 973 -7 4 quando l'artista aveva solo quindici anni. La serie On Being an Angel realizzata nel 1977 a Roma, dove l'artista si recò grazie a una borsa di studio, la raffigura sollevata da terra con l'inconsistenza corporea di un angelo. Le sue immagini sono delicate e forti al tempo stesso, molto simili alla ricerca portata avanti da Duane Michals. Woodman sperimentava in continuazione creando performance esistenziali di cui era sempre protagonista. Tra gli altri artisti che operano in questo periodo: l'olandese, naturalizzato italiano, Amo Hammacher, gli italiani Adriano Altamira, Carlo Massimo Asnaghi, Mirella Bentivoglio, Toma­ so Binga, Vincenzo Cecchini, Claudio Cintoli, Fernando De Filippi, Beppe Devalle, Cosimo Di Leo Ricatto, Nicole Gravier, Bruno Locci, Libera Mazzoleni, Verita Monselles, Davide Mosco­ ni, Vettor Pisani, Emilio Prini, Mario Schifano, Berty Skuber, Giuliano Sturli, e coloro che sa­ rebbero poi confluiti nella transavanguardia;44 gli inglesi Joe Tilson, Mac Adams, Mark Boyle; i tedeschi Dieter Appelt, Anna e Bemhard Blume, Rebecca Horn, Klaus Rinke, Dieter Rot, Lothar Baumgarten, Dorothee von Windheim; il francese Miche! Joumiac; la portoghese Hele­ na Almeida; lo spagnolo Dario Villalba; l'olandese Ger van Elk; l'austriaca Valie Export; l'irlan­ dese Les Levine; il greco Lucas Samaras; gli americani Chuck Close, Peter Beard e Ian Wallace.

�· Mimmo Paladino, Francesco Clemente, Nicola De Maria.

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Arte e fotografia tra gli anni sessanta e settanta Conversazione con Fra nco Vaccari*

Franco Vaccari, Esibizione, 6 marzo 1 9 71 , particolare.

D. Come si è avvicinato alla fotografia e in quale ambito ha mosso i suoi primi passi?

R. Ero un ragazzo e frequentavo il liceo a Modena. Da queste parti c'erano molti circoli foto­ grafici : strutture consolatorie per gente che aveva perso tutti i treni. Ho provato ad avvicinarmi a loro. Ma mi hanno subito guardato male, già quei lavori da dilettante erano lontanissimi dal loro modo di guardare la fotografia. Mio padre in gioventù era stato un fotografo professionista e credo non volesse che mi avvici­ nassi alla fotografia. Oltre a un apparecchio fotografico, in casa avevo trovato l'antologia di scrittori d'oltreoceano, curata da Elio Vittorini, la famosa Americana , ed ero rimasto molto col­ pito dalle immagini pubblicate, senza il nome degli autori però. Erano fotografie eccezionali. Dopo un po' ho sentito l'esigenza di mettermi i n contatto con altri e l'unico sistema , ancora una volta , erano i circoli fotografici , ma è stata la sconfitta definitiva che me ne ha tenuto lon­ tano per tutta la vita : mi stimavano u n "anormale". Quindi mi sono iscritto all'università a Mi­ lano e ho partecipato a un concorso fotografico del Politecnico, dove sono arrivato secondo. Il primo è stato Toni Del Ti n. Ho contin uato a occuparmi del le mie ricerche, sino a quando nel 1966 ho pubbl icato a Bologna con l'editore Sam pietro il mio primo li bro Tracce.

L'intervista è stata raccolta nel mese di luglio del 2004 a Modena ed è stata integrata con un'intervista fatta da chi scrive a Franco Vaccari nel 2000 e pubbl icata in A. Madesani (a c. di), Rubare l'immagine, cit. ·

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Storia della fotografia In Italia c'erano fotografi interessanti in quel periodo, come Paolo Monti , ma avevano una visione molto classica del la fotografia. Sentivo quel mondo molto lontano, cosi me ne sono staccato e ho coniato il term ine > Francesco Radino nasce a Bagno a Ripol i , in provi ncia di Firenze. Si trasferisce a M ilano in­ sieme alla fa miglia nel 1 954 , dove termina gli studi superiori e poi si iscrive alla facoltà di So­ ciologia presso l ' U niversità di Trento, in q uegli anni città di grandi fermenti culturali e sociali. Contemporaneamente, verso la fi ne degli anni sessanta si awicina alla fotografia. Si dedica inizialmente al reportage sociale, spinto dai grandi fermenti politici, culturali e socia l i . A partire d a l 1 970, q uando diventa u n fotografo professionista , d à vita a dei lavori in gra n parte commercia li per l ' i ndustria (uno dei suoi cl ienti è I'Oi ivetti), fino al 1 97 7 , quando decide di abbandonare il campo commerciale per ded icarsi nuovamente al reportage e alle fotografie di architettura. Dal 1 976 collabora con il Touring Club Ita liano real izzando molti lavori meno­ grafi ci, tra i quali Irlanda, Danimarca e Islanda , Milano, Puglia . A partire dal 1 984 ha col laborato con I'AEM (Azienda Energetica Municipale, n.d.r.) di Mila­ no. Le fotografie di Rad i no, fuori da ogni tipo di catalogazione e serializzazione, narrano delle storie, sono dei racconti nei quali ogn i particolare si trasforma fino a diventare altro da sé. Non esiste alcuna volontà documentaristica , didattica o descrittiva : sono poesie che riflettono al le­ gramente e mali nconicamente lo sguardo dell'autore in un rapporto armon ioso di forme. Sem­ brano parlare per raccontarci la convivenza, non sem pre riuscita , tra l'uomo e la natura e per farlo uti l izzano l ' i ronia, la rapidità , la brevità, e un'apparente sempl icità. Sono narrazioni "leg­ gere", al di fuori da qualunque richiamo insistente sul soggetto o sul divagare, lontane dalla

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Anni ottanta e novanta monumentalità. E così sono le forme: essenzia l i , eq uili brate, lineari , indubbia mente influen­ zate dall'opera rigorosa d i Lee Fried lander, e dai suggerimenti di fotografi che hanno caratte­ rizzato il panorama della fotografia ita l ia n a , come Ugo Mu las, Luigi Ghirri , Gianni Berengo Gardin. Notevole è il riferimento di Radino all 'attività pittorica del padre, in particolar modo nella ripresa di alcuni tem i , come per esempio quello dell'al bero che d iventa molto spesso protagonista nelle sue foto: non come sempl ice elemento di paesaggio ma come presenza for­ te, simbolo del mondo infantile. Presente e passato, malinconia e al legria: mondi contrastanti che si incontrano e si uniscono nelle fotografie dell 'autore toscano. Tra i suoi lavori più recenti di maggior interesse ricordiamo quelli dedicati all'India e all'Estre­ mo Oriente.

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Storia della fotografia 96. Martin Pa rr ( 1 952)

Martin Parr, Betlemme, Israele, s.d. (tra il 1 987 e il 1 994).

Lo stile di Martin Parr è facil mente riconoscibile: i rriverente, ma non stupidamente provocato­ rio, i ronico, ma non offensivo. La sua storia inizia nella periferia inglese degli anni sessanta, spi nto da suo nonno a dedicar­ si alla fotografia e incoraggiato dal padre all'esercizio dell'osservazione. Parr realizza uno dei suoi pri mi lavori su un fish and chips in cui andava con il nonno, a sedici anni. Fin da ragazzo Martin mostra un i nteresse eccezionale per il banale, per l'ordinario con un'affascinazione spe­ ciale nei confronti della noia, che lui riesce a raccontare. « Parr percepisce e sfrutta il disagio degli inglesi nei confronti del cibo non meno d i quello che provano di fronte ai viaggi , al tempo libero e al prossimo. » 1 Tra i suoi primi lavori , uno sulla carta da parati , in cui è chiara l'influen­ za del concettuale, per la volontà catalogatoria. Parr riesce sin da questo momento a racconta­ re dei mondi fatti di fiori fi nti , di sdolcinatezze, di centrini e di oggetti di cattivo gusto posti sul­ la "tragica" scenografia di tappezzerie destinate ad abbell ire la home sweet home. Ancora in questi anni Parr è interessato agl i aspetti più stran i e anticonvenzionali della so­ cietà inglese, alle esposizioni ornitologi che, all 'Antico Ordine dei Mariti Tiranneggiati . Il suo non è tuttavia u n lavoro di matrice sociale nel senso più semplice, di denuncia di certi fatti , pi uttosto è un prenderne atto con una sorta di nostalgia. ccA me piaceva pensare al declino della Gran Bretagna . . . voglio dire, questo paese un tempo grande che lentamente perdeva il passato splendore, e quindi cercavo tutte quelle situazioni che mi consentivano di documen­ tarla. In quella fase, i vecchi valori, i valori tradizionali, scoperti relativamente di recente, for1 V. Williams, Martin Parr, Contrasto, Phaidon, Roma-London 2002, p. 26.

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Anni ottanta e novanta mavano per me u n forte contrasto con la m i a i nfanzia. Stabilirmi a Hebden Bridge e avere la possibilità di fare foto in modo intimo era per m e allettante. Comi nciai così a conoscere a p­ profondita mente un sacco di persone [che fotografavo] : pri ma non mi era mai successo. Le persone che frequentavano quella cappel la erano simpatiche e calorose: era come se ti i nvi­ tassero a entrare nel loro gregge. Erano m olto prese dall'idea che q ualcuno venuto da fuori s'interessasse alla loro vita, e questo facil itava il mio compito. »2 L! esperienza di Hebden Brid­ ge diviene tuttavia i nvasiva , al punto che sua mogl ie lo spi nge ad a l l ontanarsi da quella situa­ zione, che percepiva come intrusiva e "violenta" nei confronti della fiducia e della confidenza accordate al marito da quelle persone. Quelle fotografie sono a ncora uno dei lavori più forti e più intensi di Pa rr. Da qui si trasferisce i n Irlanda , dove realizza Bad Weather con una macchina subacquea : soggetto delle foto sono le persone sotto la pioggia. Quando Parr torna in I nghi lterra , il paese in poco tempo ha cam biato la sua fisionom ia, la società che lo accogl ie, agli inizi degli anni ottanta , è domi nata dal thatcherismo. La risposta di Parr è fatta di immagini coloratissime e chiassose, con una gran voglia d i fare emergere la sua voce fuori dal coro. Passa dal piccolo al medio formato e inizia a realizzare le immagini per cui è diventato famoso. l soggetti prevalenti sono interni di negozi di parrucchiere, salotti n i , prefab­ bricati , la miseria. Per questo Parr è stato accusato di cinismo, si è visto in lui l'approffittarsi delle contingenze. In realtà un lavoro di questo tipo è molto più significativo di i m magini mora­ leggianti di a perta condanna, che il più delle volte si dimenticano. Così è il contrario. A queste foto di Parr hanno in seguito guardato anche molti altri fotografi . Come non cogliere un legame tra queste foto e certi lavori di Richard B i l l i ngham o della giovane a rte inglese e non solo? Negli anni otta nta i noltrati Pa rr decide di fotografare gl i inglesi con un posto di lavoro sicuro, quel li con casa e vacanze assicurate, m a anche la vita di provi ncia , la famiglia con tutta la sua perversione. The cost of living è un campionario strabil ia nte della soci età inglese. Nel 1 992 lui stesso dichiara a proposito di questo lavoro: «A meno di non mettere in gioco un po' di se stessi , il lavoro non può prendere il volo. I n The cost of living ho parlato di me, sia come espo­ nente della middle class, sia come persona che deve il suo successo ad un clima politico che spesso sento estraneo, ma da cui comunque h o tratto vantaggio, e poi , come una persona che si sente in colpa per essere relativamente ricca nel l ' I nghilterra di oggi. Tento allora di fa r sì che tutte queste cose diano un significato a ciò che cerco e scopro. È perché sono un consumista che riconosco il consumismo negli altri e nella società i n generale» . 3 Parr riesce a cogl iere e a sottoli neare la normal ità di un quotidiano pieno di incongruenze. I n tal senso, fondamentale è Common Sense . Tra i suoi lavori più d ivertenti Autoportrait (2000), dove Parr si traveste, moderno zelig di un tempo, il nostro, senza personalità.

2 lvi, p. 76. 3 M . Parr, intervista del 1 992 pubblicata in ivi, p. 209.

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Storia della fotografia 97. Joei-Peter Witkin ( 1 939)

Joei-Peter W it k in , Saviour o f the Primates, New Mexico, 1 982.

«Credo che tutte le mie fotografie siano incarnazion i , nella forma e nella sosta nza , di ciò che la mente vede e cerca di comprendere . .. Le fotografie di Joei-Peter Witkin mettono i n scena il mondo del perverso e del sacril ego, toccando tutto quello che dalla società viene considerato come tabù o proibito. Nell'universo rappresentato dall'a rtista convivono "freaks" , donne incin­ te, transessual i , animali , fet i , cra n i , corpi i n decomposizione: su tutto domina la volontà di Witkin di sentirsi come i l creatore che può su pera re le differenze, per riportare un senso di un ità e creare un mondo, ill usorio e immagi nario, i n cui siano abol ite tutte le conflittualità. Witkin nasce a Brooklyn, New York, in una situazione familiare di disgregazione: i suoi geni­ tori divorziano presto a causa dei contrasti rel igiosi, il padre è un ebreo russo, la madre una cattolica napoletana. Vive un'infanzia non facile, caratterizzata da alcuni presunti episodi macabri che avranno una forte influenza sul suo lavoro futuro. Il suo awicina mento alla fotografia awiene negli an­ ni cinquanta. Sin da subito manifesta i l desiderio di creare l'i mmagine d i Dio e d i documentar­ ne la "Rivelazione". Il lavoro diviene, in realtà , una parodia, e Cristo viene rappresentato nei modi più estremi: non solo come omosessuale, ma vinto da Batman, come Anticristo o Signo­ re dell'Oscurità. L'altro tema che attrae Witkin sono i "freaks": in questi esseri deformi egli sembra vedere qualcosa di sacro e di messia nico, l'unione tra il bene e il male, tra il materiale e l'immateriale, un incontro tra il divino e il sessuale. L'idea del paradosso domina anche le fo­ tografie che ritraggono le donne: esseri vivi e capaci di dare la vita, ma solo attraverso il dolo­ re. In queste i mmagini la donna è accompagnata da simboli di segregazione, in continua ascii-

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Anni ottanta e novanta lazione dalla santificazione allo strazio, sottoposta alle fantasie più perverse dell'autore, frutto delle sue anomalie e deformazioni. Nel 1 975 Witkin lascia New York e si trasferisce nel N uovo Messico, ad Al buquerque, dove tuttora vive. Frequenta un corso di fotografia a l l ' U n ivers ità , ma i suoi metodi e le sue idee non si discostano da quelli precedenti , anzi crea i m magi ni ancora più macabre e crudeli di quelle create a New York. Cerca soggetti umani fragili e distrutti dal dolore, affi nché dalle fotografie traspa ia un'im magine di vera sofferenza : «l'oggetto diventava simbolo non solo dell'i mmagine ma anche del mio sad ismo». Nel 1 976 dà vita alla serie Anonyme Atrocites Trans/ucided, i n cui ricorre a delle manom is­ sioni del negativo, graffi o combinazioni tra aceto e acetone, per m utare la rappresentazione e renderla magica, così che la realtà possa rivelare la sua essenza . Il corpo si un isce ad altra en­ tità e diventa proiezione delle fantasie dell'autore, si m uove tra il sentimento della spiritual ità

e quello della sessual ità e diventa involucro del pensiero, del desiderio e dell'irrazionale. Witkin gioca con il senso del doppio perché esso può portare all'interscambiabilità tra il rea le e l' irreale, tra l' umano e il divino, tra la vita e la morte. Tutta l'opera di Witkin è orientata verso la ricerca di un'esistenza impenetrabile e indescrivi­ bile, che trasforma i suoi pensieri in simboli visibili, negando la realtà nelle i m magi n i .

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Storia della fotografia 98. Sebastiao Sa lgado ( 1 944)

Sebastiao Salgado, Equateur, 1 982.

La formazione scolastica di economista di Sebastiao Salgado lo porta a lavorare in Africa , dove inizia a produrre fotografie di reportage. Nel 1 974 lavora per l'agenzia Sygma e racconta la "Ri­ voluzione dei garofani" in Portogallo, la guerra in Angola, alcune guerriglie del Mozambico. Tutta­ via ben presto si accorge che non è interessato a un reportage di tipo giornal istico, preferisce rea­ lizzare delle ricerche più ampie, che affrontino delle problematiche e che, a differenza del l'imme­ diatezza dei fotoreportage, riservino tempi lunghi di riflessione. Nel frattempo passa all'agenzia Gamma. A partire dal 1979 si trasferisce alla M agnum ave diventa uno dei fotografi di punta , simbolo della fotografia contemporanea di reportage. Soggetto di uno dei suoi lavori più significa­ tivi, che lo hanno reso celebre in tutto il mondo, sono i contadini dell'America Latina. La sua è una fotografia di matrice sociale che riesce perfettamente a entrare e a sviscerare le diverse pro­ blematiche. U no dei temi che gli stanno più a cuore è la fame nel mondo. Le sue immagini han­ no, in tal senso, contribuito a denunciare tale dramma. Sono fotografie severe, dove nulla è la­ sciato all'immaginazione. Salgado non ha timori e affonda il suo obiettivo implacabile nelle più diverse situazioni . Le immagini i n tal senso diventano un'arma sottile e preziosa , che penetra nelle coscienze della gente più di qualsiasi discorso o testo scritto. Salgado vuole mostrare il grande divario, e ci riesce, fra il mondo ricco occidentale e gli altri mondi . Per sei anni s i è occupato delle precarie condizioni di lavoro dei minatori brasi liani; i mmagi­ ni di grande forza che, come in quelle scattate a lavoratori indiani in occasione della costruzio­ ne di una diga, riescono a fondere di mensione sociale e di mensione mistica, dove la religione in oggetto è la sacralità universa le della vita stessa .

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Anni ottanta e novanta 99. Ferd i na ndo Scianna ( 1 943)

Ferdinando Scianna, Pescatori di Bagheria , s.d.

«La ricerca formale fine a se stessa mi ha sempre irritato. I ntorno a noi c'è la vita. Le fotografie servono per raccontare le tue rabbie, i tuoi desideri . » Ferdinando Scianna nasce a Bagheria, i n Sici lia, e q u i vive "senza m a i m uoversi" fino alla prima giovinezza. Frequenta a l l ' U n iversità di Palermo la facoltà di Lettere e Filosofia senza porta rla a term ine. Gli anni sessanta sono un periodo d i grandi cambiamenti econom ici, politici e sociali per tutta l' Italia e in particolare per la Sicilia; Scianna partecipa a questi cambia menti , con la con­ sapevolezza di vivere un passaggio epocale, i m pegnandosi a fare politica all'un iversità , i n paese e soprattutto facendo fotografie. Fotografa l e feste religiose, le storie popolari , gli incon­ tri di piazza come simbolo e manifestazione sociale, per mostrare lo spaccato della vita di un paese senza alcun tipo d i pretesa, senza alcuna enfasi e con un grande senso di umiltà . In ef­ fetti Scianna ai suoi esordi non conosce praticamente nulla del l i nguaggio, della storia e della tecnica del la fotografia: in izia a documentarsi con un libro di Cartier Bresson, Da una Cina al­ l'altra , trovato su una bancarella di Palermo. A casa di Leonardo Sciascia, conosciuto nel 1 963, riesce a consultare altri testi del foto­ grafo francese, e si rende così conto di aver trovato la sua strada: la fotografia come immagine e parola, come gesto d i memoria. L'amicizia con lo scrittore è per lui fondamentale. Con Sciascia pubblica, nel 1 96 5 , i l suo primo libro, Feste religiose in Sicilia , che vince i l premio Nadar. Il sodalizio tra i due è lungo e produttivo: Scianna fotografa e Sciascia scrive i testi.

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Storia della fotografia Continua anche q ua ndo nel 1 967 i l fotografo siciliano si trasferisce a M i la no, dove inizia a lavorare per il settima nale "�Europeo" come fotoreporter, come inviato speciale e come corri­ spondente dall 'estero (da Parigi, dove vive per dieci anni}. Le sue foto però non si l i m itano ai servizi giornalistici; fotografa tutto quello che vede e che vive, utilizzando la macchina fotogra· fica, seguendo i dettami bressonia n i , come «protesi dell'occhio». La fotografia diventa un'esi­ genza per raccontare il mondo, per « riproporre in una sorta di lancinante presente ciò che non è pi ù » . N e l 1 982 entra nell'agenzia Magn u m i ntrodotto da Cartier Bresson e d a l 1 987 alterna re­ portage e fotografie di moda: assai famosi sono il suo lavoro con la modella Ma rpessa1 e le sue foto nel campo pubblicitario. Pubblica n umerosi li bri e svolge un'importante attività critica e giornalistica .

1 La modella, vestita o svestita, con abiti alla moda è spesso fotografata in mezzo a donne siciliane completamen­ te vestite di nero e il più delle volte in lutto, in modo da sottolineare la differenza culturale e sociale. Foto di questo ti­ po tendono a porre maggiormente in evidenza la bellissima figura della giovane modella.

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Il digitale

Uno degli argomenti di maggior dibattito degli ultimi anni in ambito fotografico è il passag­ gio dall'analogico al digitale. In tal senso si passa, semplificando molto, dal territorio del ma­ teriale a quello dell'immateriale. Régis Debray sottolinea: Nella storia dell'immagine, il passaggio dall'analogico al digitale instaura una rottura che nel suo principio è equivalente all'arma atomica nella storia degli armamenti o alla manipolazione genetica della biologia. Da via d'accesso all'immateriale, l'immagine informatizzata diventa essa stessa imma­ teriale, informazione quantificata, algoritmo, matrice di numeri modificabile a volontà e all'infinito tramite un'operazione di calcolo. Allo ra quel che coglie la vista non è più nient'altro che un modello logico-matematico, stabilizzato provvisoriamente.1

La fotografia digitale è un mondo a parte dove è comoda convenzione l'utilizzo del termine " fo­ tografia" . Il digitale, infatti, anche quando registra un'immagine è cosa altra rispetto alla foto­ grafia, intesa sia come indice sia come icona in senso artistico. Si tratta di un linguaggio, di un mondo diverso, che come tutte le rivoluzioni fa una gran paura. Mi pare in tal senso prevedibi­ le, anche se non giustificabile, l'atteggiamento negativo nei suoi confronti di molti fotografi. Si pensi all'accoglienza che oltre centosessant' anni fa è stata riservata alla fotografia: la paura del cambiamento che è insita nell'uomo, il timore di essere definitivamente sorpassati e cancellati. Molte operazioni, a questo punto, perdono di senso; l'operare in un certo modo non ha più ragion d'essere, ma non per questo perde di senso la fotografia in quanto tale. La ricerca sul territorio fotografico acquista, anzi, a maggior ragione un senso e un interesse ancora più pre­ cipuo e portante. Il digitale può aiutare, ma non sostituire. Mi pare un linguaggio diverso che può assolvere a certe operazioni meglio e più economicamente della fotografia analogica, ma questo non significa che si ponga come sostituto alla stessa. E ancora non è detto che un'ope­ ra realizzata in digitale perda il suo valore: mi paiono queste chiusure inaccettabili. Certo che entrano in crisi alcuni dettami che hanno segnato molta fotografia. Un esempio illuminante è quello del ritocco. Se fino a relativamente pochi anni fa il ritocco era addirittura considerato inconcepibile, oggi è tutto diverso. Con il digitale, con i programmi di Photo­ shop la situazione si è capovolta. 1 R Debray, Vita e morte dell'immagine. Una storia dello sguardo in Occidente, Editrice TI Castoro, Milano

1999, p. 23 1 (la prima edizione francese era del 1 992).

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Storia della fotografia Insomma, la storia della fotografia da questo momento in poi deve entrare per forza in un ambito più ampio: quello dell'immagine che può essere realizzata in modi diversi, sino qui analogici o digitali dove il pixel svolge un ruolo da protagonista. Come non ha mancato di sottolineare Régis Debray, infatti, l' awento del digitale è stato una vera e propria rivoluzione dello sguardo: La simtÙazione abolisce il simtÙacro, togliendo così l'immemorabile maledizione che accoppiava im­ magine e imitazione. La prima era incatenata al suo statuto speculare di riflesso, calco o illusione: nel migliore dei casi sostituto, nel peggiore dei casi inganno, ma sempre illusione. Sarebbe allora la fine del millenario processo delle ombre, la riabilitazione dello sguardo nel campo del sapere platonico. Con il concepimento assistito dal computer, l'immagine prodotta non è più copia seconda di un og­ getto anteriore, è l'inverso.2

Come di tutte le rivoluzioni tecnologiche, insomma, non si può che fare tesoro per guardare con occhio diverso alle cose. Sempre Debray sottolinea che le macchine a questo punto non esistono più solo per diffondere l'immagine, ma anche per crearla. Indubbio anche se relativo, perché la creazione delle immagini awiene solo relativamente per partire da una registrazione. In tal senso potremmo, dunque, affermare che l'immagine digitale riesce a essere pura ico­ na? Non solo, non sempre. Sarebbe meglio definirla un'icona, che, tuttavia, pane da un pro­ cesso di indicalità per svilupparsi autonomamente. Claudio Marra ha intitolato il capitolo relativo a questo argomento, nel suo Come in unafo­ tografia/ La falsa rivoluzione digitale. Nei termini in cui la questione ci viene proposta si trat­ ta certamente di una falsa rivoluzione. In tal senso interessante quanto scritto da Mario Co­ sta, riportato da Marra: La fotografia digitale porta alla superficie tutto quello che nella fotografia a supporto chimico, in qualche modo, appariva come rimosso: la perdita radicale del referente e la sua dissoluzione nella memoria di macchina: l'illusione analogica è eliminata del tutto, il rimando a una realtà qualunque si fa non essenziale, il ça a été di Barthes viene meno per sempre: il referente numerizzato è un referente composto comunque per sintesi e per esso valgono tutte le caratteristiche di irrealtà proprie delle im­ magini sintetiche.4

Dunque, ciò che il digitale potrebbe mettere e ha già messo realmente in crisi è l'artigianato fotografico che si è dovuto adeguare per potere stare al passo. Per il resto ci attendono tempi di ricerca e di sperimentazione in cui il digitale sarà uno de­ gli strumenti di lavoro privilegiati. E il cammino, probabilmente, è solo all'inizio. Dall'indice verso l'icona. 2 lvi, p. 23 1. C. Marra, Forse in una fotografia. Teorie e poetichefino al digitale, dueb, Bologna 2002. 4 M. Costa, Dellafotografia senZIJ soggetto, Costa & Nolan, Genova-Milano 1997, p. 102. 3

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Appendice Le professioni della fotografia

L'Arte della fotografia. Tecniche e materiali dall'Ottocento a oggi di Silvia Berselli

La fotografia non è solo un'immagine, come siamo comunemente abituati a considerarla. La fotografia è un oggetto complesso. Quell'immagine che noi chiamiamo fotografia si forma grazie all'azione della luce su sostanze fotosensibili, è costituita da leganti e sostanze chimi­ che tra loro diversamente combinate, ha un supporto che la sostiene come la carta o la pelli­ cola plastica. Come qualsiasi altro oggetto artistico la fotografia invecchia, si deteriora, si modifica. La fotografia non è il risultato di un semplice scatto, per quanto geniale, realizzato dal fotografo. Molte sostanze, materiali, e lavorazioni si nascondono dietro a ogni opera fotografica. E pro­ prio questa qualità duttile della materia fotografica, quasi sempre sconosciuta, ha permesso a molti artisti di trovare personalissime soluzioni tecniche. La fotografia, tecnica tutt'altro che meccanica e standardizzata, ha offerto un materiale da plasmare ricco e versatile, che dall'Ottocento a oggi ha rivoluzionato il mondo dell'arte.

Carte, leganti e chimici. Quando il fotografo era alchimista Il sogno tecnico dei primi sperimentatori era quello di riuscire a riprodurre il reale così come noi lo vediamo, in positivo. Questo concetto, naturale per la fisiologia dell'occhio, non lo è per la chimica della luce. Così, strani materiali si faranno strada a metà Ottocento, come il dagherrotipo, il ferrotipo o l'ambrotipo. Fotografie, queste, che tecnicamente negano il con­ cetto di riproducibilità dell'immagine fotografica. In tutti e tre i casi si tratta di procedimenti attraverso i quali si ottengono fotografie uniche: della stessa immagine, infatti, non possono esistere più copie. Fotografie che a noi appaiono positive ma che in realtà sono anche negative, procedimenti cha danno vita a oggetti quasi tridimensionali. Il dagherrotipo, che sancirà la nascita della fotografia nel 1 839, è costituito da un amalgama di argento e mercurio che poggia su una lastra di rame. L'immagine appare, a seconda del­ l'inclinazione della luce, ora in positivo ora in negativo. Si tratta di un oggetto così delicato da essere confezionato in eleganti cornici o astucci. Questi avevano la funzione di imprezio­ sire le lastre, e al tempo stesso ne proteggevano l'instabile immagine. L'ambrotipo ( 1 853 ) e il /errotipo ( 1 85 1), fotografie realizzate con procedimenti simili a base di collodio sensibilizza­ to con nitrato d' argento, si distinguevano per il supporto, ancora una volta alquanto inusua345

Storia della fotografia le, in lastra di vetro o in metallo. L'impossibilità tecnica di ottenere direttamente in ripresa una fotografia positiva in questi procedimenti al collodio era ovviata da un espediente, inver­ tire l'immagine naturalmente negativa per renderla leggibile in positivo utilizzando uno sfondo scuro. Chi darà una svolta determinate alla tecnica fotografica sarà William Henry Fax Talbot, da tutti considerato il padre della moderna fotografia. Talbot capirà infatti quanto sia più sempli­ ce ottenere prima un'immagine negativa (calotipo, 184 1 ) che potrà essere successivamente stampata su carta per ottenere un positivo (carta salata, 1833 ). La maggior parte della produ­ zione fotografica si basa oggi su questo semplice principio. La riproducibilità dell'immagine fotografica in più copie sarà un aspetto determinate della tecnica e del linguaggio fotografico. Mentre le intuizioni di Daguerre non avranno grossi sviluppi, dalle scoperte di Talbot segui­ ranno numerosi altri procedimenti e materiali. Talbot quasi per caso si accorse che un semplice foglio di carta bianca, se ricoperto con sa­ le da cucina (cloruro di sodio) e nitrato d'argento, diventava fotosensibile e quindi se espo­ sto alla luce si anneriva. Sopra questo foglio Talbot appoggiava piccoli oggetti, generalmente foglie e fiori, e quindi lo esponeva alla luce. Lentamente il foglio si anneriva ma non in corri­ spondenza del fiore, che non aveva permesso il passaggio della luce. Una volta tolto il fiore sul foglio rimaneva la sua sagoma chiara. Occorreva a questo punto fissare la carta, per evita­ re che le zone chiare una volta esposte alla luce continuassero a scurirsi. Il fissaggio poteva essere eseguito nuovamente con una soluzione di sale da cucina o con iposolfito di sodio. L'immagine era così stabile e visibile sulla carta. Utilizzando un procedimento simile Talbot introduceva un foglio sensibilizzato nella ca­ mera oscura, l'antesignana della macchina fotografica, ottenendo così un'immagine negati­ va. Il foglio, per essere più trasparente e quindi adatto alla stampa, veniva cerato. Il negativo così ottenuto veniva messo a contatto, come per le foglie, con una nuova carta sensibilizzata e quindi il tutto esposto alla luce del sole. Il risultato finale era una stampa fotografica positi­ va. I materiali di Talbot avevano comunque dei limiti. I calotipi non permettevano di ottene­ re delle stampe definite perché poco trasparenti, mentre le immagini sulle carte salate risul­ tavano deboli perché imbevute nel supporto stesso. Al negativo su carta di Talbot seguiranno altre sostanze e materiali destinati a migliorare la qualità di stampa, come le lastre al collodio ( 1 85 1 ) , le lastre alla gelatina ( 187 1 ) e le pellicole plastiche in nitrato ( 1 889), acetato ( 1934) e poliestere ( 1955 ). L'introduzione dei supporti pla­ stici a fine Ottocento permetterà l'utilizzo dei rullini fotografici e renderà prassi diffusa la stampa per ingrandimento. Più lunga e diversificata è invece l'evoluzione delle carte fotografiche. Per migliorare l'a­ spetto della carta fotografica un francese, Louis Blanquart-Evrard, pensò di utilizzare l'al­ bume d'uovo introducendo nel 1 850 le carte albuminate. Queste nuove carte erano più bril­ lanti e permettevano di ottenere immagini maggiormente definite. La carta all'albumina ri­ scuoterà grande successo e sarà il procedimento di stampa fotografica più utilizzato nell'Ot­ tocento. I procedimenti fin qui descritti si basano tutti sulla fotochimica dei sali d'argento, come la quasi totalità dei moderni procedimenti in bianco e nero. 346

Le professioni della fotografia La lavorazione artigianale della fotografia, dominante per tutto l'Ottocento, prevedeva che ogni fotografo si preparasse le proprie lastre e realizzasse le carte necessarie alla stampa, sperimentando spesso materiali e sostanze nuove, o semplicemente introducendo varianti personali alle ricette più classiche. Sono quindi numerosi i procedimenti fotografici di stam­ pa non tradizionali sperimentati in questo secolo. In alternativa all'argento si realizzeranno immagini fotografiche impiegando i sali ferrici (cianotipia, 1842) o i sali di platino (platinoti­ pia, 1873 ). Questi procedimenti permettevano di ottenere delle immagini con caratteristiche particolari: le cianotipie sono infatti di un azzurro molto intenso, mentre le platinopie offro­ no delle stampe dalle tonalità nere quasi violacee. Altri esperimenti ancora permisero di individuare nei bicromati alcalini delle sostanze po­ tenzialmente fotosensibili adatte all'utilizzo fotografico. Alphonse Poitevin pensò nel 1855 di addizionare un pigmento a un colloide (gelatina o gomma arabica) contenete bicromato. I procedimenti che derivano da questa intuizione, la gomma bicromata e il carbone, non si basano più sulla formazione dell'immagine a seguito dell'annerimento causato dalla luce, ma sull'indurimento prima e sulla successiva idrofobia dei colloidi, principi questi più vicini all'incisione che alla fotografia. I procedimenti alla gomma bicromata e al carbone rappre­ sentavano una risposta a un limite della fotografia di quel periodo, che tendeva con grande facilità a sbiadire e ingiallire. L'utilizzo di pigmenti in questi procedimenti offriva la possibi­ lità di realizzare fotografie colorate (ma non a colori) e garantiva una qualità dell'immagine stabile nel tempo.

La produzione industriale La fotografia amatoriale crebbe enormemente fra il 1 880 e il 1890. L'industria intuì che la fotografia sarebbe divenuta in pochi anni un ricco mercato, ma che per essere veramente al­ la portata di tutti doveva offrire materiali già pronti e semplici da utilizzare, riducendo al minimo la complicata preparazione e lavorazione di negativi e carte del periodo preindu­ striale. Nel 1884 la Kodak alleggerì i fotografi dalle pesanti e fragili lastre in vetro introducendo il più pratico rullino fotografico plastico non molto diverso da come lo conosciamo noi oggi. Anche le carte vennero modificate. L'industria introdusse nuovi materiali e pratici sistemi di lavorazione. La carta fotografica venne perfezionata laminandola con uno strato di barite, sostanza che rendeva le immagini più nitide e resistenti. Cambiò radicalmente anche il modo di stampare. Se prima i procedimenti argentici erano del tipo ad annerimento diretto ora si passava al sistema a sviluppo. Le carte all'albumina per essere stampate dovevano essere po­ ste a contatto con il negativo e lasciate ad annerire al sole. Chi seguiva la stampa verificava il grado di "imbrunimento" desiderato a cui seguiva un semplice bagno di fissaggio che avreb­ be reso stabile l'immagine. La possibilità di utilizzare la luce a gas prima e quella elettrica dopo permise di lavorare in interno e di sveltire le fasi di stampa. Le carte alla gelatina bromuro presensibilizzate richie­ devano tempi di esposizione molto brevi seguiti da un bagno di sviluppo per rendere visibile 347

Storia della fotografia l'immagine. Queste nuove carte permisero di realizzare ingrandimenti, prima quasi impossi­ bili da ottenere, aprendo la strada all'impiego di negativi di dimensioni molto ridotte e quin­ di di apparecchi fotografici leggeri e pratici. TI Novecento sarà il secolo della gelatina, legante utilizzato in combinazione con i sali d'ar· gento per la preparazione sia di carte sia di negativi. Se gli anni ottanta dell'Ottocento se­ gnarono questo passaggio epocale dalla fotografia fatta a mano a quella industriale pronta all'uso, i primi anni del secolo successivo videro la nascita della tanto agognata fotografia a colori. I fratelli Lumière, già conosciuti per l'invenzione del cinematografo, nel 1907 commercia­ lizzarono le autocromie. Si trattava del primo procedimento a colori praticamente utilizzabi­ le, anche se molto distante dalla fotografia a colori che conosciamo oggi. Le autocromie era­ no lastre in vetro che dovevano essere viste in trasparenza come una diapositiva: l'immagine a colori era formata da microscopici granelli di fecola di patate preventivamente colorati. Sarà solo alla fine degli anni trenta che si potranno ottenere delle stampe fotografiche a colo­ ri su carta, sebbene comunque in Italia la fotografia a colori si sarebbe diffusa solo negli anni settanta.

Tecniche di lavorazione della fotografia La fotografia del Novecento non è più caratterizzata come quella dell'Ottocento da tecni­ che, materiali e sostanze tanto diverse tra loro. La produzione industriale ha ormai reso uniforme a livello mondiale il procedimento fotografico. Cambia invece radicalmente, so­ prattutto nel campo della produzione artistica, l'uso della fotografia. Sono gli artisti apparte­ nenti alle avanguardie, dai futuristi ai dadaisti ai surrealisti, che intuiscono le nuove poten­ zialità artistiche offerte dal mezzo fotografico. Questi movimenti, con tecniche ed esiti diversi, si appropriano della fotografia manipolan­ dola a proprio piacimento. Con grande intelligenza e versatilità la fotografia viene smontata e rimontata facendo emergere aspetti di questa tecnica fino ad allora inimmaginabili. Artisti come Anton Giulio Bragaglia, Christian Schad o Man Ray riescono a capovolgere il significa­ to della fotografia, tradizionalmente considerato come mezzo meccanico e obiettivo, sfrut­ tandone appieno le qualità tecniche. Con le avanguardie non cambiano i materiali fotografi­ ci, che resteranno praticamente invariati fino ai giorni nostri, ma la loro lavorazione. La tecni­ ca delfotocollage utilizzata da numerosi autori ne è un chiaro esempio. La fotografia viene ri­ tagliata, applicata su un nuovo supporto e abbinata ad altri materiali con scritte a inchiostro o ritagli di riviste. Spesso l'opera così ottenuta viene rifinita con colorazioni o scontomature per ottenere l'effetto desiderato dall'artista. Comunemente poi il fotocollage originale viene rifotografato per ottenere un negativo che permetterà la stampa dell'opera definitiva. In questo senso lavorerà con risultati straordinari J ohn Heartfield. Un'altra tecnica, la stampa multipla, prevede la stampa di due o più negativi sullo stesso fo­ glio di carta fotografica. Mentre il fotocollage si realizza dopo la fase di stampa e spesso le 348

Le professioni della fotografia immagini sono recuperare da altri contesti, la stampa multipla avviene in carnera oscura sen­ za l'aggiunta di altri elementi non fotografici. Il terminefotomontaggio, tecnicamente meno corretto ma sicuramente più diffuso, viene utilizzato per indicare senza distinzione entram­ be queste tecniche. La stampa multipla, spesso abbinata a riprese in movimento, caratteriz­ zerà il lavoro degli artisti vicini al gruppo futurista come Tato o Wanda Wulz. La volontà di oltrepassare i confini tecnici della fotografia tradizionale porta alcuni artisti a fotografare senza macchina fotografica e senza negativo. La tecnica del fotogramma, deno­ minata anche schadografia o rayogra/ia dai nomi dei loro utilizzatori (Christian Schad e Man Ray), prevede l'impiego di elementi opachi o semitrasparenti (carte, oggetti metallici, piz­ zi. . . ) che, appoggiati e illuminati sulla carta fotografica vergine, riproducono la loro sagoma. Si ottiene così un risultato tutt'altro che "fotografico" dove l'immagine, trasparente e tridi­ mensionale, raggiunge livelli di astrazione non possibili con altri mezzi tecnici. In Italia Luigi Veronesi sperimenterà questa tecnica con risultati del tutto personali. Un'altra lavorazione che si realizza in carnera oscura è la solarizzazione, conosciuta anche come effetto Sabattier. Questo trattamento può essere eseguito sia su negativi sia su stampe. Il materiale fotografico da trattare deve essere parzialmente esposto e sviluppato (ma non fissato). Quindi viene sottoposto a un'illuminazione uniforme e quindi definitivamente svi­ luppato e fissato. L'immagine che si ottiene presenta una parziale inversione dei toni, mentre i bordi e i con­ torni delle figure vengono evidenziati da un bordo scuro. Man Ray eseguirà numerosi ritratti servendosi della tecnica di solarizzazione. La camera oscura diventa per i fotografi un luogo di infinite sperimentazioni. Il chimi­ gramma si inserisce in questo percorso di ricerca di effetti di astrazione senza passare per l'u­ tilizzo dell'apparecchio fotografico come nel caso del fotogramma. Per questo motivo en­ trambe le tecniche vengono definite "off carnera " . Paolo Monti è stato il principale utilizza­ rare di questa tecnica in Italia. Il chimigramrna prevede il solo uso di carte e acidi. La carta fotografica deve essere esposta migliaia di volte più del necessario, deve risultare "bruciata" . Questo provoca delle alterazioni nei sali d'argento, che sottoposti a delle colature di rivela­ tore generano delle tonalità inaspettate per una carta bianco e nero; tinte ruggine, bluastre, rosate. Neppure la più moderna tecnica Polaroid sarà immune da elaborazioni tecniche da parte degli autori più curiosi. ll procedimento istantaneo offerto dalla Polaroid permette di ottene­ re subito dopo lo scatto la stampa finale. Questo grazie a uno speciale "pacchetto" contenen­ te negativo, carta e chimici che si carica nella macchina fotografica come un normale rullino. Paolo Gioii, da sempre grande sperimentatore, ha realizzato con il materiale Polaroid i suoi lavori più interessanti. La tecnica della Polaroid trasferita comporta il distacco della pellicola con l'immagine dal supporto originario e il trasferimento su nuovo supporto. Gioli trasferi­ sce le sue emulsioni su fogli di cotone o su sottili garze di seta che poi integra con colori o con gli stessi chimici residui del trattamento. Molte altre sono le lavorazioni che spesso individualmente gli artisti hanno apportato alle loro opere, che purtroppo per motivi di spazio ci è impossibile elencare in questa sede. Oggi, più frequentemente di un tempo, si ricorre al termine mixed media per definire l'uso cambi349

Storia della fotografia nato di fotografia, pittura e applicazioni di materiali e sostanze tra i più disparati. Il rigido in· quadramento tecnico di un tempo, che distingueva le arti visive in pittura, scultura, fotogra· fia, cinema, oggi non ha più senso. La rivoluzione digitale che sta modificando radicalmente la fotografica porterà nuovi materiali, tecniche e sostanze che gli artisti sapranno plasmare per dar vita a nuove forme d'arte.

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Intervista a Laura Gasparini, curatrice della Fototeca della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia

D. In che cosa consiste esattamente il vostro archivio? R. L'archivio fotografico della Biblioteca Panizzi è nato nel 1 980 per raccogliere, riordina­ re, conservare e catalogare la memoria iconografica della comunità. All'inizio si cercò di raccogliere i materiali fotografici depositati nei diversi fondi della Bi­ blioteca, in seguito si è cercato di acquisire gli archivi dei fotografi che hanno operato in città e in provincia. Il progetto prevedeva, e prevede tuttora, l'implementazione di tutto ciò che ri­ guarda la memoria visiva della nostra comunità, cercando di documentarne la storia sia attra­ verso le immagini degli avvenimenti, dei volti dei protagonisti, sia attraverso la produzione dei fotografi locali. Seguendo questi criteri si è ricostruita una significativa e perlopiù scono­ sciuta tessera del ricco mosaico della storia della fotografia italiana. In un breve saggio sulla storia degli archivi fotografici in Italia (pubblicato in Segni di luce, un volume a cura di ltalo Zannier)I ho cercato di delineare un percorso metodologico, in cui l'archivio non è solamente un luogo di raccolta organizzata di immagini e luogo di conserva­ zione, di studio e di lavoro, ma è anche luogo della memoria collettiva. Mentre gli archivi di documenti cartacei sono frutto di un'attività amministrativa di un ente o di un'industria, gli archivi fotografici sono perlopiù la risultanza dell'attività commerciale, creativa o di ricerca di un fotografo o più semplicemente di una istituzione che vuole raccogliere e organizzare i materiali visivi per renderli disponibili alla comunità. Credo che l'aspetto più interessante del lavoro in un archivio, in particolare in quello foto­ grafico, sia la possibilità di un approccio di ricerca sia diacronico sia sincronico che viene of­ ferta dai materiali, che documentano infatti le trasformazioni nel tempo e nello spazio. Per i responsabili delle collezioni fotografiche è un'occasione davvero straordinaria poter lavorare su interi archivi e non solamente su raccolte o fondi singoli. L'aspetto più impegnativo, lavorando sugli archivi, è l'ordinamento, cioè la disposizione dei materiali fotografici in un ordine sistematico che cerca di ricomporre l'ordinamento ori­ ginario. Questa è una fase complessa perché coinvolge anche altri aspetti legati al patrimonio quali: l'individuazione dei procedimenti fotografici storici, degli esemplari che hanno neces­ sità di restauro o di riproduzione, la collocazione degli originali in contenitori a norma per la conservazione ecc. 1 L. Gasparini, Archivifotogra/ici efototeche in Italia, in I. Zannier (a c. di), Segni di luce. La fotografia ita­ liana contemporanea, Longo, Ravenna 1993, vol. m, pp. 225-243 .

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Storia della fotografia Individuare i criteri di ordinamento assegnati dall'autore al materiale fotografico e recupe­ rarli è importante per ricreare gli accessi originali al patrimonio e per ricostruire gli altri ele­ menti legati alla storia dell'archivio e quindi all'autore. Il riordino, per certi aspetti, restituisce i diversi percorsi mentali e di lavoro dell' autore o del collezionista che ha formato l'archivio.2 Negli archivi fotografici di scrittori, artisti e letterati preservare l'ordinamento o recuperar­ lo è assai importante, perché la fotografia è utilizzata come documentazione delle loro opere che spesso sono affiancate da lettere, manoscritti, appunti che contestualizzano il contenuto delle immagini. Estrapolare le fotografie da questo contesto significa privarle di informazioni fondamentali. L'archivio di Cesare Zavattini, conservato alla Biblioteca Panizzi, è estremamente interes­ sante anche per questi aspetti.3 La raccolta delle fotografie conservate nell'Archivio Zavattini riguarda la documentazione dell'opera pittorica di Zavattini (completata anche da cataloghi e da interventi critici); i ritratti dedicati a Zavattini da fotografi famosi (Avedon, Klein, Beren­ go Gardin, Michals, Zanca ecc.) e le fotografie di Luzzara, della Bassa Padana e del Po, cui Zavattini ha dedicato due memorabili libri. Vorrei ricordare la recente donazione alla Fototeca di Gianni Berengo Gardin, del suo la­ voro dal titolo Cesare Zavattini fotografato da Gianni Berengo Gardin:4 fotografie che sono state esposte per l'occasione nello spazio espositivo della Panizzi nel 2002. Negli archivi di studiosi di storia dell'arte, inoltre, salvaguardare o ricostruire l' ordinamen­ to del fondo è importante, perché sul retro delle fotografie gli studiosi riportavano note, ap­ punti, attribuzioni sulle opere d'arte raffigurate o sugli artisti; la collocazione delle fotografie in cartelle o contenitori indicano percorsi di studio, intuizioni, attribuzioni non sempre rico­ struibili per altre vie. Alcuni esempi: l'archivio fotografico di Bemard Berenson5 e quello di Federico Zeri.6 Vi è inoltre un altro aspetto interessante: la conservazione di interi archivi fo­ tografici permette di ricostruire il tessuto, il contesto della storia della fotografia e consente quindi una lettura più corretta degli autori più noti, la ricostruzione di legami, di riferimenti a modelli che non sempre la storia ha tramandato.7 Come non essere d'accordo, quindi, con Giovanna Ginex, quando scrive sulla necessità di costruire un repertorio generale degli ar­ chivi che ne riassuma i dati storici, di consistenza e di ubicazione?8

2 P. Carucci, Lefonti archivistiche: ordinamento e conservazione, La Nuova Italia Scientifica, Roma 1983 , pp. 13 1 - 15 1 ; A. Mignemi, Lo sguardo e l'immagine. La fotografia come documento storico, Bollati Boringhie­ ri, Torino 2003, pp. 182-184. 3 Archivio Cesare Zavattini, 4 Cesare Zavattinifotogra/ato da Gianni Berengo Gardin, 5 Villa I Tatti. The Harvard University Center for ltalian Renaissance Studies, 6 Fondazione Federico Zeri, Università di Bologna, 7 A.C. Quimavalle, Tempo dell'archivio, archivio del tempo, in Id., Messa afuoco, Feltrinelli, Milano 1983, pp. 25-52. 8 G. Ginex, Formazione e tipologie delle raccolte fotografiche, in G. Guerci, E. Minervini, R Valtona (a c. di), La catalogavone della fotografia. La documentavone fotografica dei beni culturali, Quaderni di Villa Ghirlanda l , Museo della Fotografia Contemporanea Villa Ghirlanda, Cinisello Balsamo 2003 , pp. 16-21.

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Le professioni della fotografia Il ritardo culturale italiano, inoltre, lamentato da Roberta Valtorta, nella creazione di spazi museali per la fotografia, ci costringe a lavorare su frammenti, su porzioni di storia;9 per que­ sto motivo la catalogazione e la digitalizzazione del patrimonio fotografico e la pubblicazione in internet dei dati è e sarà sempre di più per la comunità scientifica uno strumento indispen­ sabile non solo per lo studio della fotografia, ma anche per la storia del costume. I vantaggi della catalogazione e della digitalizzazione sono ormai noti: è possibile reperire immediatamente le informazioni sull'originale, sapere dove è ubicato, fare confronti tra esem­ plari differenti ecc. La catalogazione e la digitalizzazione, inoltre, pongono il problema della conservazione del patrimonio fotografico spingendo le istituzioni a intraprendere campagne di restauro e di conservazione prima della digitalizzazione.

Vorrei qui citare solo alcuni dei data base già presenti in internet; tra quelli italiani: la Banca dati del Patrimonio Fotografico della Regione Lombardia, gestita dal Sistema di Catalogazione del Patrimonio Culturale della Regione Lombardia (SIRBEC), , dove è possibile consultare gli archivi di Luca Comerio, Enzo No­ cera, Patellani ecc.; il Sistema informativo di catalogazione partecipata della Regione Friuli Venezia Giulia,

Per lo studio della storia dell'arte: Fototeca Nazionale dell'ICCD, Fototeca della Fondazione Federico Zeri - Università di Bologna,

Fototeca del Dipartimento di Storia e Tutela dei Beni Culturali,

Nel mondo delle biblioteche vorrei ricordare i seguenti data base: Library of Congress, Prints an d Photographs Division, Prints & Photograph Reading Room -, dove è possibile trovare le fotografie dei più famosi foto­ grafi americani come Dorothea Lange o degli inglesi come Roger Fenton; Bibiothèque Nationale de France e il progetto Gallica, ; National Library of Spain, ; The lnternational lnstitute of Social History di Amsterdam, < http://www. iisg.nl >; E naturalmente quello della Fototeca della Biblioteca Panizzi, Biblioteca Panizzi-Fototeca,

9 R Valtorta, Un progetto delicato, in R Valtorta (a c. eli), Il museo, le collezioni, Museo Fotografia Con­ temporanea e Tranchida, Cinisello Balsamo 2004, pp. 32-47.

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Storia della fotografia D. I.:archivio, dunque, è una magna mater dove sono altri piccoli archivi? Un contenitore? R. L'archivio è un complesso organico di documenti. TI conservatore deve conoscere la storia

dei pezzi che conserva, le relazioni con altre immagini in altre raccolte e naruralmente la storia della fotografia; in altre parole il conservatore è come uno storico dell'arte che guida alla visita di una mostra. La conservazione è ovviamente anche un fatto tecnico; essa richiede la riqualifica­ zione degli ambienti, il controllo costante dei parametri ambientali (umidità relativa e tempera­ rura), l'individuazione di arredi idonei per le diverse tipologie in relazione anche alla quantità, così come l'individuazione dei contenitori a diretto contatto con gli originali come le buste e le scatole che devono rispondere a norme per garantire la conservazione ottimale degli originali. Per fare tutto ciò è necessario formare il personale; è difficile individuare studenti o neo­ laureati indirizzati in questo ambito, perché in Italia non vi sono percorsi accademici o corsi di formazione, se non di recentissima costituzione, per la conservazione e catalogazione del patrimonio fotografico. 10 Nell'ambito delle biblioteche vi sono però strumenti, metodi e criteri ben consolidati che possono essere di valido supporto per la gestione e il trattamento catalografico del patrimo­ nio non librario o speciale quale, appunto, quello fotografico o grafico. 1 1 È quello che si è cercato d i fare nella Fototeca della Biblioteca Panizzi: per l a catalogazione si sono adottate regole internazionali (ISBD-NBM) in modo da essere allineati agli standard in­ ternazionali sia a livello del linguaggio di catalogazione, sia nella creazione degli accessi se­ mantici, accompagnando i dati catalografici con le immagini digitali che, come è noto, sono semplici traduzioni degli originali, ma che sono indispensabili per completare le informazio­ ni descrittive e di contenuto delle fotografie. Questa nostra esperienza è stata riconosciuta anche dall'Istituto Centrale per il Catalogo Unico (ICCU), che ci ha invitato a partecipare al gruppo di lavoro per definire le linee guida per la digitalizzazione del patrimonio fotografico nelle biblioteche. n gruppo di lavoro ha sti­ lato le Linee di indirizzo per i progetti di digitalizzazione del materiale fotografico, 12 ponendo l'attenzione, oltre che sugli aspetti di catalogazione e dei metadati, anche sulla conservazione, soprattutto durante le fasi di manipolazione degli originali, al fine di sviluppare i progetti di­ gitali secondo standard di tutela del patrimonio: le Linee indicano anche come digitalizzare l'oggetto fotografia: per esempio le immagini fotografiche dell'Ottocento vanno digitalizzate

10 Antonio Giusa ha svolto una recente indagine sulla formazione del personale addetto al patrimonio fo­ tografico, dal titolo Per un censimento delle espen"enze diformazione del personale, che ha presentato al con­ vegno di studi Problemi e pratiche della digitalizzazione del patnmonio fotografico storico, Ravenna, 27-28 maggio 2004. D convegno è stato organizzato dal Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali, Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, Archivio Storico dell'Università di Bologna­ Sezione Archivio Fotografico, Archivio Fotografico Toscano, Enea-Progetto Giano. 1 1 IFLA - lntemational Federation of Library Associations and Institutions, Pnncipi dell'IFLA per la cura e il trattamento dei matenali in biblioteca, a c. di E.P. Adcock con la collaborazione di M. T. Varlamoff e V Kremp, 1 2 Biblioteca Digitale Italiana (BDI), Linee di indirizzo per i progetti di digitalizzazione del materiale foto­ grafico, a cura del Gruppo di lavoro sulla digitalizzazione del materiale fotografico

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Le professioni della fotografia con il loro supporto, qualora vi siano marchi di fabbrica o timbri o semplicemente delle an­ notazioni che possano restituire una percezione completa dell'oggetto e della sola immagine. Nella nostra Fototeca, al fine di completare i dati relativi alla fotografia, stiamo digitaliz­ zando anche i marchi e le firme dei fotografi in modo da arricchire l'authority file degli autori. Questi aspetti tecnici come la catalogazione, l'indicizzazione, la digitalizzazione devono es­ sere condotti parallelamente allo studio di cosa si sta conservando: conoscere quindi la storia dell'oggetto, e non solo dell'immagine, il pensiero di chi l'ha prodotto; a volte lo studio di questi elementi porta lontano dall'archivio. D. Un esempio?

R. Sono diversi; provo a elencarne alcuni. Nella fotografia dell'Ottocento è importante il riconoscimento dei luoghi, fare ricerche su­ gli autori, reperire altri esemplari da confrontare per desumerne la data di scatto. Ho recentemente acquistato in antiquariato un dagherrotipo firmato di Camille Dolard; dopo diverse ricerche su fonti bibliografiche sono riuscita a individuare un autoritratto del­ l'autore, in dagherrotipia, conservato nel museo The Cleveland Museum of Art tramite la banca dati AMICO (Art Museum lmage Consortium)13 e ciò mi ha permesso di datare l'esem­ plare in possesso della Biblioteca Panizzi. Un altro esempio ancora: come è noto è stato ritrovato nel 1992 , durante le operazioni di riordino del patrimonio storico della Biblioteca di Imola, un dagherrotipo di Giroux esegui­ to nel 183 9 sotto la direzione di Daguerre.14 Quando ho iniziato a studiarlo ho potuto consul­ tare, pubblicati in internet, gli inventari e le schede degli oggetti della Gabriel Cromer Col­ lection pervenuta al George Eastman House lnternational Museum of Photography and Film15 di Rochester (N. Y.) che, come è noto, raccoglie i materiali più importanti per la storia della dagherrotipia francese e della sua fortuna. La libera consultazione a distanza di quei da­ ti mi ha permesso di stabilire quando e perché Daguerre e Giroux hanno realizzato l'esem­ plare in dagherrotipia conservato a Imola. Sino a qualche anno fa sarebbe stato impensabile poter svolgere ricerche così accurate senza finanziamenti specifici. Per altri motivi, non legati a date di scatto o al riconoscimento dei luoghi, anche lo studio dell'archivio di Luigi Ghirri pone l'esigenza di spostarsi dalla Fototeca. Quando riordiniamo un nucleo di suoi negativi ci si rende conto che bisogna vedere le stampe fatte da lui; innanzi­ tutto i provini a contatto che l'autore aveva fatto per rendere più consultabile l'archivio, co-

13 AMICO (Art Museum lmage Consortium) - - è una banca dati costituita da un consorzio dei più importanti musei americani ed europei che mettono a disposizione parte del loro pa­ trimonio i cui dati confluiscono in una unica banca dati per lo studio della storia dell'arte nelle diverse disci­ pline: pittura, scultura, fotografie ecc. l< TI dagherrotipo è stato ritrovato da Silvia Mirri, bibliotecaria di Imola nel 1992 ed è stato pubblicato in L. Gasparini, Il Ducato di Modena e Reggio Emilia e le Legazioni Pontificie, in M.F. Bonetti, M. Maffiol (a c. di), I.:Italia d'argento. 183911859 Storia del dagherrotipo in Italia, Alinari, Firenze 2003 , pp. 2 1 6-223 . Un ulteriore approfondimento verrà pubblicato in " History of Photography" , Autumn 2004. 15 George Eastman House Imernational Museum of Photography and Film,

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Storia della fotografia stituito perlopiù da negativi a colori. Sui provini Ghirri riportò appunti per la stampa, i tagli dell' immagine e altre note; è inoltre importante consultare anche le stampe originali (vintage prints). Se non esistono o sono di difficile consultazione perché in collezioni private, si rende necessaria la consultazione delle pubblicazioni ove esse sono state riprodotte. Nel caso di Ghirri possiamo dirci fortunati perché ha lasciato numerosi scritti a testimonianza sia del suo pensiero sia dei suoi progetti e delle sue ricerche ed è dunque relativamente semplice orien­ tarsi sulle fonti, che a volte possono essere un testo letterario, un dipinto, un brano musicale. Sembra un discorso banale, eppure in Italia sono ancora poche le banche dati sulla fotogra­ fia (nonostante sia già da molti anni che si parla di schedatura del patrimonio fotografico e di digitalizzazione), per non parlare dell'assenza di biblioteche specializzate. D. Ritorniamo all'opera di Luigi Ghirri: lavorava quindi virtualmente.

R. In un certo senso è così. Se si leggono i suoi scritti si comprende appieno sia la sua poeti­ ca sia il suo modo di lavorare. Il suo era un pensiero molto complesso, che svelava una grande cultura artistica, letteraria e fotografica. Per comprenderlo bisogna guardare la pittura fiam­ minga, e in fotografia gli autori come Walker Evans. Ricostruendo la bibliografia intellettuale dell'autore si riesce ad attribuire nuovi significati all'oggetto che si conserva. Mi piace citare Nicoletta Leonardi, perché ha definito il concetto dell'archivio fotografico secondo il pensiero di Luigi Ghirri: l'archivio è una metafora della bottega medievale, è il luogo di lavoro dell'artista, dove si conservano sì le fotografie, ma anche altri materiali: ap­ punti, lettere, scritti, i progetti dell'autore. Ma quello che forse è più significativo per la defi­ nizione dell'archivio, è che esso diviene «un più ampio sistema di significazione. Il riposizio­ nare continuamente le immagini collezionate e realizzate come tessere all'interno di un mo­ saico seguendo i principi dell'accostamento archivistico lo si ritrova, ad esempio, nel lavoro di Ghirri, in quel suo rimescolare, anche anni dopo, le fotografie del suo archivio come un mazzo di carte da gioco, creando sempre nuovi accostamenti». 16 Questa definizione si addice owiamente alla fotografia contemporanea, quella nata in par­ ticolare sotto l'impulso delle spinte di pensiero che tendevano a negare l'autore, l'artisticità dell'immagine a favore dell'idea che il mezzo suffragasse il progetto del fotografo. Sono stati Franco Vaccari17 e Luigi Ghirri,18 alla fine degli anni settanta del Novecento, a indicare que­ sto percorso della fotografia, che tanto è debitrice all'arte concettuale italiana. Pare essere una prerogativa della sola fotografia, questa facilità di trovare nuovi significati in situazioni di accostamento diversi; una prerogativa che riesce a chiarire il percorso intellettuale dell'auto­ re a volte complesso e articolato.

1 6 N. Leonardi, Paesaggi italiani. Appunti per un percorso, in Paesaggi italiani. Fotografie dall'Italia con­ temporanea, Bassilichi-Fondazione Studio Marangoni, Firenze 1998, pp. 2 1 -23. 17 F. Vaccari, Fotografia e inconscio tecnokJgico, Punto e virgola, Modena 1979. 1 8 L. Ghirri, Vincenzo Castella, in P. Costantini, G. Chiaramonte (a c. di), Niente di antico sotto il sole. Scritti e immaginiper un'autobiografia, Sei, Torino 1 997, pp. 59-60.

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Le professioni della fotografia D. Straordinarie le fotografie di Ghirri che hanno per soggetto la sua biblioteca, la sua raccolta di dischi. R. Ghirri aveva costruito nel tempo una ricca biblioteca composta perlopiù da volumi di poesie, saggistica, arte, narrativa e dischi, tanti dischi di musica classica e dell'adorato cantau­ tore Bob Dylan; questi sono gli oggetti che costituiscono uno dei suoi lavori più importanti dal titolo Identikit. Guardandoli, esposti nella libreria di casa sua, insieme ai soprammobili e alle fotografie e cartoline, si riesce a ritornare alle sue riflessioni, alla sua idea di dimensione dello spazio, alla sua percezione. Ghirri era geometra; nella sua formazione scolastica e in se­ guito in quella professionale la misurazione dello spazio era un elemento importante. Nella sua poetica e quindi nella sua fotografia la geometria dello sguardo è sempre stata una co­ stante importante e densa di significati. Vorrei ricordare un'altra ricerca di Ghirri dal titolo Catalogo, eseguita dal 1970 al 1979: per Ghirri il catalogo è per antonomasia l'insieme di immagini dello stesso tipo di oggetti; la se­ quenza aiuta la lettura attraverso la ripetizione dello sguardo, e allo stesso tempo, questa for­ ma di presentazione di immagini, attiva lo sguardo e dà inizio alla conoscenza. È interessante la riflessione di Ghirri sul concetto di sequenza, che viene interpretata dal­ l'autore come una forma di assenza della narrazione. Esemplare, secondo questo concetto, è il suo lavoro dal titolo Infinito oo del 1974, dove fotografa per 365 volte, una per ogni giorno dell'anno, il cielo nelle diverse situazioni. D. Nella Fototeca della Biblioteca Panizzi cosa è conservato dell'opera di Luigi Ghirri?

R. È depositato il suo archivio fotografico costituito da negativi e diapositive a colori realiz­ zati dal 1 969 circa sino al 1 992. Prima di depositare l'archivio in Fototeca, Ghirri aveva dato avvio al riordino dell'archivio, che è stato interrotto a causa della sua scomparsa improvvisa. La sensibilità della moglie Paola e della figlia Ilaria hanno permesso, con il deposito, di conti­ nuare il lavoro di Ghirri grazie anche alla costante e fondamentale presenza di Roberta, sorel­ la di Luigi, che ci affianca nel lavoro di riconoscimento dei luoghi e dei soggetti, al fine della catalogazione e della digitalizzazione. Conserviamo, inoltre, parte della mostra Esplorazione sulla via Emilia, 19 un progetto che parte sempre da Ghirri in collaborazione con gli amici scrittori quali Ermanno Cavazzoni, Gianni Celati e altri; come è noto Luigi aveva previsto il deposito delle opere in Fototeca per iniziare a raccogliere materiali sulla fotografia contemporanea.20 Conserviamo 150 vintage prints che ci sono pervenuti nel tempo grazie alla collaborazione di Luigi con la Biblioteca e, inoltre, le ristampe dell'antologica che si è tenuta a Reggio Emilia nel 200121 eseguite da Arrigo Ghi sotto la direzione di Paola Borgonzoni Ghirri.

19 G. Bizzarri e E. Bronzoni (a c. di), Esplorazioni sulla Via Emilia. Vedute nelpaesaggio, con fotografie di

O. Barbieri, G. Basilico, V. Castella, G. Chiaramonte, V. Fossati, L . Ghirri, G. Guidi, M. Jodice, K. Kinold, C. Nori, C. White, M. Willman, Feltrinelli, Milano 1 986. 20L . Ghirri, LAfotografia. Dalji'ume al mare, in P. Costantini e G. Chiaramonte (a c. di), op. cit., pp. 64-65 . 21

M. Mussini, Luigi Ghim·, Federico Motta Editore, Milano 2001.

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Storia della fotografia D. Davvero fondamentale per Ghim· il ruolo della memorta . . . R. In tal senso lo paragonerei ad Aby Warburg,22 che studiava le idee attraverso le immagi­ ni. Entrambi avevano una visione circolare e sincronica del proprio lavoro; entrambi avevano fiducia nel mezzo fotografico e nel suo potenziale comunicativo, strumentale, ma anche evo­ cativo, tanto che, entrambi, lavoravano per concetti figurati. Anche Luigi lavorava molto con e su altre immagini; nota è la sua collezione di materiali iconografici che, in parte, sono con­ fluiti nella ricerca Paesaggio Italiano.23 D. La catalogazione comefunziona? Cè un criterio di catalogazione nazionale? R. Nell'ambito delle biblioteche, come ho già avuto modo di dire, dobbiamo rispondere a uno standard preciso che sono gli ISBD, lnternational Standard Bibliographic Description. Un linguaggio di catalogazione internazionale che consente di dialogare con le altre istituzioni. A questo proposito vorrei ricordare che la Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (BNCF) ha annunciato al convegno "Problemi e pratiche della digitalizzazione del patrimonio foto­ grafico storico", tenutosi a Ravenna alla fine di maggio del 2004,24 che la fotografia verrà ca­ talogata nel Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN); da qualsiasi postazione in qualsiasi bi­ blioteca in Italia o dal portale web di SBN25 sarà possibile accedere anche alle informazioni inerenti al patrimonio fotografico. Credo sia veramente un passo in avanti per lo studio della fotografia perché sappiamo quali fondi straordinari sono conservati nelle biblioteche.26 Per citarne alcuni: il fondo di Emilia Sommaria alla Biblioteca Braidense di Milano,27 il fondo di Mario Nunes Vais alla biblioteca del Gabinetto Viesseux di Firenze28 e, sempre a Firenze, presso la Biblioteca Nazionale Centrale (BNCF) è conservato il fondo di Mario Pannunzio. La BNCF ha chiesto la nostra collaborazione per sperimentare la catalogazione della foto­ grafia in SBN. D. Per cui l'utente lavora sul materiale digitaliz.z.ato? R. L'utente accede a una prima informazione sia consultando nel data base i dati descrittivi sia visualizzando l'immagine digitalizzata; in seguito può richiedere di consultare il materiale originale seguendo, owiamente, le procedure di ogni istituzione in cui gli originali sono con­ servati.

22 K.W. Forster, K. Mazzucco, Introduzione ad Aby Warburg e all'Atlante della Memoria, a c. eli M. Cen­ tanni, Bruno Mondadori, Milano 2002. 23 L. Ghirri, Paesaggio italiano. Italian landscape, Electa, Milano 1989. 24 Problemi e pratiche della digitalizzazione del patrimonio fotografico storico, Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali, Facoltà eli Conservazione dei Beni Culturali, Ravenna, 2728 Maggio 2004. 25 Servizio Bibliotecario Nazionale, 26 A. Manodori (a c. eli), Disegnare con la luce. Ifondifotografici delle biblioteche statali, Retablo, Roma

2002.

27 Biblioteca Braidense. Progetto Sommaria, 28 Gabinetto Vìesseux, Firenze, < http://www.vieusseux.fi.it!>

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Le professioni della fotografia La Biblioteca Panizzi, per agevolare gli utenti, è dotata di un laboratorio fotografico inter­ no che provvede alla ristampa dei negativi originali in bianco e nero e all'eventuale riprodu­ zione degli originali. D. Il materiale digitalizzato si trova anche su internet?

R. Come ti dicevo, il catalogo della Fototeca è consultabile nel sito della Biblioteca Paniz­ zj29 e, accanto alla descrizione e agli accessi semantici, vi è il file digitale dell'originale. Il data base è costituito da circa 60.000 record. Mi piace ricordare, così come ha scritto Arturo Carlo Quintavalle, che il ruolo dell'archivio è anche quello dell'archiviazione dello sguardo, un inizio della conoscenza, del collezioni­ smo; la digitalizzazione permette questo tipo di approccio. D. A voi gli archivi sono arrivati per donazione di collezionisti?

R. In un primo tempo, agli inizi degli anni ottanta, abbiamo raccolto gli archivi e i fondi de­ positati in Biblioteca per raggrupparli e renderli più accessibili al pubblico. In seguito ci sono pervenuti altri archivi da altre istituzioni pubbliche della città. Abbiamo acquistato archivi di fotografi che hanno cessato la loro attività come lo studio Foto Ars, atti­ vo dal 1930 al 1 970 e importante perché documenta le trasformazioni urbanistiche della città in epoca fascista; l'archivio di Mario ( 1 880- 1943 )3° e Renzo Vaiani ( 1 9 15 - 1992),31 attivi a Reg­ gio Emilia dal 1904 al 1990: le oltre 100. 000 lastre negative in vetro documentano la vita so­ ciale, politica e urbanistica della città e del territorio. L'archivio di Roberto Sevardi ( 1 8651949)32 che documenta la vita cittadina e la civiltà contadina a cavallo delle guerre mondiali; l'archivio fotografico di Amanzio Fiorini ( 1 884- 196 1 )33 documenta invece la vita delle comu­ nità dell'alto Appennino reggiano. L'archivio di Stanislao Farri composto da oltre 35 .000 ne­ gativi relativi al patrimonio storico artistico della città e di circa 300 vintage prints relativi al suo lavoro di ricerca.34 L'ultimo acquisto consistente è stato quello della collezione di Andrea Mandarino di Torino, che è nota per documentare la storia della fotografia attraverso i nume­ rosi procedimenti fotografici: la dagherrotipia, la ferrotipia, la carta salata, l'albumina, la ste­ reoscopia ecc. Attraverso i protagonisti più noti quali Naya, Alinari, Brogi, Anderson, Peretti Griva, Sella, Ray e numerosi altri. La catalogazione del fondo di Andrea Mandarino è stata interessante perché si è potuto la­ vorare sui criteri, sul gusto e sul progetto del collezionista.

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Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia,

30 L. Gasparini, M. Mussini (a c. di), Mario Vaianifotografo, s.e., Reggio Emilia 1983. 31 - (a c. di), 10 anni difasàsmo a Reggio Emilia nella fotocronaca di Renzo Vaiani, s.e., Reggio Emilia

1985.

32 Roberto Sevardi premiato dilettante di fotografia (1865-1940), testi di L. Gasparini, M. Mussini, S. Ber­ selli, M. Paterlini, AGE, Reggio Emilia 1992. 33 Amanzio Fiorini "orologiaiofotografo", presentazione di I. Zannier, Punto e virgola, Modena 1980. c.

34 Stanislao Fam·. Fare fotografia, testo di M. Mussini, Comune di Reggio Emilia, Parma 1986; G. Tani (a di), Stanislao Farri, FIAF, Torino 1998.

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Storia della fotografia A questo patrimonio si sono aggiunte le piccole collezioni delle famiglie reggiane che per interesse alla storia locale hanno depositato o donato i loro archivi fotografici in Fototeca. Si è aperto quindi un canale o circuito virtuoso per cui la Biblioteca, garantendo la conservazio­ ne e la catalogazione, mette a disposizione degli utenti immagini che altrimenti sarebbero dif­ ficili da reperire. Alcuni esempi: di recente è stato ritrovato un nucleo di più di 100 fotografie del tutto ine­ dit�5 che documentano i danni del bombardamento del gennaio del 1944 a Reggio Emilia; ricordo, inoltre, il fondo Bergamini Paglia che raccoglie le fotografie di Camillo Prampolini, di Freja Zibordi relativo al padre Giovanni, degli eredi Manicardi, Chierici, Costetti inerenti agli artisti reggiani che più si distinsero a livello nazionale ecc. In altri casi, le famiglie che non hanno voluto privarsi del loro patrimonio fotografico ci hanno consentito di riprodurre le immagini in loro possesso. Questo è quello che è stato fatto e si cerca di fare sul patrimonio storico; sul versante con­ temporaneo si cerca di documentare l' attività dei nostri fotografi cercando di raccogliere te­ stimonianze significative della loro produzione. Si è partiti dal progetto A emilza. Progetto di ricerca fotografica su Reggio Emilia36 nel 1996 e si sono continuate a seguire le attività espositive e di ricerca al fine di avere una raccolta di da­ ti, appunto, sul contemporaneo. In Fototeca sono conservate fotografie di Vasco Ascolini,37 Olivo Barbieri,38 Paola De Pietri/9 Fabio Boni, Fabrizio Cicconi, Marcello Grassi, Paolo ]el­ li, Miro Zagnoli40 e numerosi altriY Vi è, inoltre, un altro caso del tutto atipico e per certi versi . . . straordinario ! Diversi anni fa la Fototeca ricevette in dono il vastissimo archivio di lastre, più di 70.000, di un fotografo del­ la nostra città, Virgilio Artioli, che svolse la sua attività durante la seconda guerra mondiale. Artioli si era specializzato, come molti fotografi di provincia, nel ritratto in studio e aveva svi­ luppato uno stile del tutto personale, tanto da aver guadagnato una buona fama in città e la stima dei colleghi. Da lui andarono a farsi fotografare un po' tutti . . . anche i partigiani e i fa­ scisti. Subito dopo la fine della guerra, in un clima terribile di caccia alle streghe, Virgilio Ar­ tioli si sentì in pericolo e gettò al macero le rubriche ove segnava il numero del negativo corri­ spondente al ritratto della persona effigiata. La Fototeca conserva, ora, un ricchissimo archi­ vio, che praticamente ritrae molti dei cittadini che abitavano la città in quel periodo, ma . . . muto!

35 L.Gasparini, Ilfondo fotografico Gallinari, in "Ricerche Storiche", a. XXIX, n. 77, ottobre 1995, pp. 141-145. 16 R Valtorta e L. Gasparini (a c.cli), Aemilia. Progetto di n'cercafotografica su Reggio Emtlia, Art&, Udine 1 996. 37 A. Scharf e L. Gasparini, VascoAscolim; I.:idea metafisica, Reggio Emilia 1992. 38 Olivo Barbien·. Rituali, testi di O. Barbieri e L. Gasparini, Art&, Udine 1997. 39 Paola De Pietn� Dittici, testi eli V. Coen, R. Valtorta, Art&, Udine 1998. 40 Miro Zagnoli. Fotografi'e, Reggio Emilia 2003 . 4 1 Le recenti mostre fotografiche allestite in Biblioteca a seguito della donazione delle immagini sono sta­ te quelle eli Gianni Berengo Gardin, Claudio Zavaroni, Mauro Buzzi e Giovanni Badocli e sono consultabi­ li in

3 60

Le professioni della fotografia Seppi che Susi Davoli, responsabile degli archivi del Teatro Municipale " Romolo Valli " di Reggio Emilia, insieme a Daniele Abbado stava curando un'iniziativa con Cristhian Boltan­ ski e le proposi di invitare l'artista a visitare la Fototeca, in particolare questo fondo. La quan­ tità delle immagini, lo stile del fotografo, l'idea che l'archivio fosse muto ha affascinato Bol­ tanski tanto che utilizzerà, per la mostra che si terrà a Reggio Emilia nell'ottobre del 2005, una cinquantina di immagini scelte che potrà elaborare per il suo progetto. Inoltre si ha attenzione al mercato d'antiquariato per l'acquisto di esemplari che completi­ no le nostre collezioni; naturalmente finanziamenti pubblici permettendo; in poche parole non possiamo permetterei le grandi aste; per fortuna il mercato della fotografia dello scorso secolo è ancora abbordabile presso gli antiquari e i collezionisti. In particolare abbiamo concentrato l'attenzione sulla storia locale e sull'arricchimento del­ la collezione dei dagherrotipi. Ora la Fototeca ne conserva più di cento. I criteri di scelta? Owiamente se sono firmati, principalmente se sono italiani: possediamo esemplari di Carlo Molino, Giovanni Battista Vercellone, Enrico Jahier, alcuni attribuiti a Michele Barzotelli; se­ guono i dagherrotipi stranieri eseguiti in Italia: molto bello è l'esemplare di Alphonse Ber­ noud che ritrae la contessa Sanvitale, figlia di Maria Luigia di Parma. Acquistiamo anche da­ gherrotipi firmati stranieri; possediamo, infatti, un dagherrotipo di Mayall, Dolard, Platret, Hamon, Coquet e altri. Acquistiamo esemplari di autori sconosciuti solo se interessanti per la storia del procedimento o caratteristici per la tipologia del montaggio, del formato ecc. Ne è stata allestita anche una mostra dal titolo Specchi di memoria. La raccolta dei dagherro­ tipi della Biblioteca Paniv..i, dove sono stati presentati i pezzi più significativi; la mostra com­ prendeva una sezione bibliografica di documenti per la storia del procedimento e la storia della dagherrotipia nello Stato Estense conservati alla Panizzi. Nel sito della Biblioteca è visi­ tabile la mostra virtuale; una traccia di quella . . . reale ! 42 Lavorare sulla storia della fotografia locale è altrettanto interessante perché ci si confronta con problemi legati al mondo amatoriale che, come è noto, è stato ed è ancora una grande parte della storia della fotografia italiana. Ghirri, a proposito della fotografia amatoriale, in occasione di un suo testo su Lartigue43 sostenne che la sua opera, proprio perché amatoriale e dilettantistica nell'accezione più alta del termine, sfugge alla catalogazione, ai generi, ma non per questo è meno importante o interessante per la storia della visione. Credo che questo approccio motivi ulteriormente la conservazione di archivi di autori mi­ nori o storicamente meno significativi.

42 Specchi di memoria. La raccolta dei dagherrotipi della Bzblioteca Paniz.zi, in 4 3 L . Ghi rri Pensieri su ]acques-Henri Lartigue, in P. Costantini e G. Chiaramonte (a c. di), op.cit. , pp. 91 -93. ,

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Intervista ad Arrigo Ghi, stampatore

D. Come è arrivato a /are questo lavoro? R. Mio suocero, che era costruttore, mi ha proposto di entrare in un laboratorio fotografico come socio. Io avevo fatto diversi lavori senza particolare interesse e ho accettato. Sono pas­ sati trentacinque anni da quel momento. All'inizio viaggiavo per conto del laboratorio, poi ho iniziato a stampare, mi sono messo in proprio, ho comprato un ingranditore, delle baci­ nelle di sviluppo e mi sono proposto a quelli che conoscevo.

D. Lei sapeva già/are quel lavoro? R. No. Sono un uomo versatile: imparo in fretta. All'inizio facevo delle prove. Poi piano pia­ no ho capito che il meccanismo della stampa è abbastanza semplice e ho incominciato a stam­ pare. Stampavo perlopiù matrimoni. La mia fortuna è stata che Luigi Ghirri abitasse da queste parti. Per curiosità lui e Franco Fontana erano venuti a vedere il mio laboratorio a Modena. D. Chi è passato dal suo laboratorio? R. Moltissimi autori della fotografia italiana da Gabriele Basilico, che ha stampato per la prima volta da me un lavoro commissionato dalla Pirelli negli anni ottanta (n.d.r. che poi non è stato utilizzato), Olivo Barbieri, Walter Niederrnayr e molti altri. D. Lei è noto per essere stato lo straordinario stampatore di Luigi Ghirri. R. Addirittura alcuni pensavano che " Ghi" fosse un diminutivo con cui Ghirri chiamava il suo laboratorio di stampa. D. Ha lavorato con gli artisti che usavano la fotografia negli anni settanta in tempi di arte con­ cettuale. R. Sono stati anni particolari in cui, tuttavia, difficilmente la fotografia riusciva a entrare nelle gallerie d'arte. Del resto, anche oggi il mercato della fotografia in Italia fatica a decolla­ re. Ci sono poche gallerie che supportano i nostri fotografi all'estero. Il mondo dell'economia in Italia, a differenza che in Germania, in Svizzera, negli Stati Uniti, non ha mai investito sulla fotografia. D. Com'era stampare per uno come Ghirri? R. Ancora adesso Ghirri è troppo poco conosciuto rispetto al suo reale valore, rispetto alla sua importanza. Quando l'ho conosciuto era un giovane fotografo su cui nessuno avrebbe 3 63

Storia della fotografia scommesso. Era un uomo riservato, umile, educato, tollerante. Gli andava bene il mio modo di lavorare. All'inizio mia moglie e io non capivamo nulla delle sue foto, poi un giorno, come se ci fossi­ mo svegliati, abbiamo iniziato ad apprezzarle e ad amarle. Aveva inventato un nuovo modo di vedere la vita. Era uscito dai canoni tradizionali, aveva un diverso modo di vedere le cose: più ironico. Ghirri ha sdrammatizzato la fotografia con la " f" maiuscola, ha preso in giro i "seris­ simi " , gli "impegnati " a tutti i costi. Era un uomo arguto, intelligente, velocissimo a capire le situazioni da cogliere. Ha fatto la storia della fotografia, è il capostipite di un nuovo modo di vedere le cose, senza sovrastrutture.

D. Che formatifaceva Ghirri? R. I suoi erano sempre formati medio-piccoli, Luigi non amava i grandi formati, non gli ap­ partenevano. Con lui ho imparato la filosofia dello stampatore. Bisogna che lo stampatore si liberi di se stesso, del suo gusto, della sua personalità. Deve fare un tipo di stampa che piaccia al cliente. Ci sono foto che al cliente piacciono e a me no. Ci sono foto che al cliente non piacciono e a me sì. Ma non importa. Chi sceglie è il fotografo non lo stampatore. È difficile sbarazzarsi della propria soggettività per mettersi a disposizione del committen­ te. Bisogna adeguarsi ai gusti della gente. Se al cliente non piace la foto io gliela rifaccio, nei laboratori commerciali non è così.

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Intervista a Fabio Castelli, collezionista e gallerista

D. A un certo punto della sua vita lei ha deciso di aprire una galleria difotografia solo italiana. Come è andata? R. È stata una particolare condizione che si è venuta a creare tra me e Nicoletta Rusconi (la proprietaria della galleria Fotografia italiana, n.d. r. ) . Vi è stato un incontro determinante tra il suo entusiasmo e il mio piacere di poter contribuire a far nascere una nuova galleria metten­ do a disposizione la mia precedente esperienza imprenditoriale e quella di più di trent'anni di studio e collezionismo fotografico e non. Limitarsi alla fotografia italiana ci offre la possibilità di creare una nicchia di mercato, ben riconoscibile anche a livello internazionale, oltre a quella di contribuire a far conoscere i no­ stri bravissimi artisti che nulla hanno da invidiare ai loro colleghi stranieri. Per ora la scelta si sta rivelando vincente.

D. A che tipo di collezionisti si rivolge "Fotografia Italiana"? R. Perlopiù a quelli di arte contemporanea. Un ambito dove c'è una situazione di crisi ge­ nerale, frutto di una più ampia incertezza. I collezionisti, in realtà, nonostante la difficile con­ tingenza economica, hanno bisogno di continuare a interessarsi al mondo dell'arte in quanto, per molti di loro, è il modo migliore per recuperare energia. Bisogna offrire opere che devo­ no possedere innanzitutto qualità, insieme alla sicurezza, sotto il profilo delle tirature e della conservazione, con un dispendio, tutto sommato, relativo di mezzi.

D. Ha parlato di tiratura, che mipare un problema oggi più che maifondamentale. R. Fermo restando che qualsiasi artista o autore è libero di fare una tiratura aperta o chiusa: l'importante è essere estremamente rigorosi. Ogni decisione, owiamente, comporta delle differenti conseguenze a livello di mercato e tutti - artisti, galleristi e collezionisti - devono esserne perfettamente consapevoli, cosa che spesso non accade. Come il fatto che la tiratura aperta comporta, owiamente, dei prezzi più bassi e la mancan­ za di interesse da parte di certi collezionisti. Spesso anche gli artisti che fanno la tiratura chiusa usano un escamotage: stampano dieci copie in un formato, altre dieci in un altro formato e così via. Questa è una truffa bella e buona. Bisogna dichiarare il numero degli esemplari nell'ambito del quale possono esistere formati differenti. Abbiamo copiato una brutta abitudine dal mer­ cato americano. 365

Storia della fotografia Certi operatori, collusi con loro, affermano che, essendo la dimensione dell'immagine fa­ cente parte del linguaggio, la stessa immagine in dimensioni diverse è un'opera diversa. Si giustifica così la ragione di tirature diverse. È chiaro come il ragionamento sia tirato per i capelli e rappresenti solo una sorta di alibi per permettere pratiche che vanno contro il mer­ cato che esige, invece, chiarezza e precisione.

D. Con alcuni che oggi vengono considerati artisti e che, per esempio, negli anni settanta lavo­ ravano comefotografi e non facevano le tirature come bisogna comportarsi? R. In questo caso i discorsi sono due: uno teorico e uno pratico. Il discorso teorico è che di immagini stampate allora in giro per il mondo ce ne possono essere quante se ne vuole. In realtà, probabilmente, ne esistono solo tre o quattro perché in quegli anni le abitudini erano diverse: si stampava poco. Il vintage, tuttavia, è facilmente riconoscibile sul mercato anche dalla carta su cui è stampato.

D. Mipare che siamo, comunque, nell'ambito del prevedibile. Potrebbero essercene cinque co­ me due. R. Effettivamente la certezza non si può avere. Nel nostro paese c'è il terrore di tutto quan­ to è multiplo. Anche nella grafica, di cui io sono stato originariamente collezionista, esistono gli stessi problemi. L'individualismo dell'italiano, probabilmente, si ripercuote anche in que­ sto atteggiamento. Bisogna però dire che se un collezionista vuole possedere un'opera, esi­ stente in pochi esemplari, di un determinato artista che rifiuta di produrre opere a tiratura li­ mitata, l'unica possibilità è l'acquisto di un vintage. Quest'ultimo, infatti, garantisce il posses­ so di certe caratteristiche che lo fanno essere diverso dalle opere di stampa più recente.

D. E le aste difotografia di cui si occupa per Farsetti? R. Per ora Farsetti è l'unico in Italia che fa questo tipo di aste, mi riferisco al fatto di presen­ tare le opere di arte contemporanea insieme ai photoworks. Sotheby's e Christie's, le due grandi case inglesi, per esempio, non fanno aste di questo tipo nel nostro paese.

D. In questi anni il collezionismo difotografia in Italia sta aumentando. Questo può determi­ nare una ripresa economica, un aumento dei prezzi, una valorizzazione di questo patrimonio? R. In realtà siamo ancora agli albori, è ancora molta la strada da fare. Posso però dire che attraverso il lavoro che stiamo facendo, Nicoletta Rusconi e io riusciamo ad avere un ricono­ scimento sui valori che noi proponiamo e che sono, secondo me, equilibrati ed estremamente favorevoli rispetto al mercato internazionale_ "Fotografia italiana" propone, infatti, opere che sono prodotte in modo estremamente sofisticato, con un costo, quindi, di produzione molto elevato. Tutti i materiali usati sono al massimo livello per garantire la durata e la mi­ glior conservazione delle opere con tirature rigorosamente controllate.

D. Parliamo della prova d'artista. R. La prova d'artista viene dalla grafica, è arrivata al mondo della fotografia per aggirare il problema della tiratura.

366

Le professioni della fotografia Alcuni fotografi poco corretti hanno prodotto e producono, infatti, al di fuori della tiratura numerose prove d 'artista non numerate. In realtà è indispensabile che le prove d'artista siano dichiarate nella tiratura. Se si vuole fare una tiratura di cinque accompagnata da tre prove d'artista (che di solito servono al parziale com penso di chi collabora alla produzione dell'o­ pera stessa), le prime cinque saranno scritte in numeri arabi, e le tre prove d'artista in numeri romani. Totale della tiratura: otto esemplari. È importante non usare i numeri romani nelle tirature "normali " , perché il numero roma­ no presuppone che ci siano tirature in numeri arabi. Si mutua questa consuetudine della gra­ fica: il numero romano distingue le prove d'artista.

D. Quindi le prove d'artista sono, sotto ogni profilo, di valore identico alle tirature? R. Sì.

D. Lei usa spesso il termine artista. Qual è secondo lei la differenza tra un artista e un autore in ambito fotografico? R. La differenza riporta a uno dei grandi distinguo della storia della fotografia: linguaggio dell'arte o fotografia pura? L'artista è colui che usa il mezzo fotografico come linguaggio per esprimersi nel mondo dell'arte, così come potrebbe usare la pittura, la scultura, l'acquaforte o la litografia; l'autore è colui che usa la fotografia per riprodurre la realtà in chiave giornalistica o per usi pubblici­ tari. Questi ultimi " autori" se fossero chiamati artisti si risentirebbero. Alcuni di loro sono andati oltre la mera riproduzione della realtà e hanno fatto confluire la loro ricerca creativa nell'ambito dell'arte.

D. Quindi, uno come Giuseppe Cavalli a suo parere è un artista? R. Senza dubbio.

D. E Weston? R. Anche lui un artista.

D. Penn, Avedon ? R. Mah .. border line molto vicini all'arte. Anzi forse, tutto considerato, non avrei grandi dubbi nemmeno sulla loro " artisticità" . La mia perplessità iniziale nel rispondere è dovuta al fatto che parte della loro opera rientra nel loro lavoro professionale. Così come molti altri ar­ tisti che provengono dalla professione svolta nell'ambito giornalistico o nel settore della mo­ da o del reportage o della pubblicità. .

3 67

Intervista a Cristina De Vecchi*

D. Di che cosa si occupava al Touring Club Italiano? R. Sono arrivata al Touring come consulente presso il Centro di Documentazione in qualità di esperta d'archivi di immagini e lì ho incontrato la fotografia. Nel corso degli anni ottanta il Touring ha intrapreso il riordino dell'Archivio e della Biblio­ teca, grazie all'intervento della Sovrintendenza che ha attribuito loro lo statuto di patrimonio storico da tutelare e al contributo economico della Regione Lombardia. In quegli anni mi ero da poco laureata con una tesi di filosofia dell'immaginazione sotto la guida di Giovanni Piana, della Cattedra di Filosofia teoretica e in seguito, mentre ancora collaboravo con l'università, la Cooperativa Archivistica e Bibliotecaria, della quale ero socia, mi ha mandato al Touring. La conoscenza con Cesare Colombo, che collaborava in qualità di esperto di fotografia, la sua amicizia e i suoi consigli, sono stati per me decisivi per orientarmi nel riconoscimento dei mate­ riali e delle tecniche e ancor più per apprendere una vera e propria metodologia di lavoro. Più tardi sono diventata consulente dell'archivio e ho iniziato a occuparmi dell'Ufficio Mostre.

D. Che immagini ci sono nell'archivio? R. L'archivio contiene una documentazione straordinaria della fotografia italiana a partire dalla fine dell'Ottocento - e cioè gli anni immediatamente successivi alla fondazione del TCI ­ fino agli anni novanta quando, per vari motivi essenzialmente di ordine economico, il Tou­ ring ha dovuto rinunciare a costruire i volumi delle grandi collane illustrate su campagne fo­ tografiche affidate ai migliori fotografi del momento. Un secolo di storia della fotografia ita­ liana, che si costruisce dapprincipio grazie all'apporto dei soci amatori. Un'idea di Luigi Vit­ torio Bertarelli, fondatore del Touring e fratello di Achille, quello della Raccolta Bertarelli del Castello Sforzesco.

D. Tutti e due erano amanti della fotografia? R. Achille è un appassionato collezionista di immagini in senso più ampio. Luigi Vittorio non è solo un sostenitore della "collezione" , dell'archivio fotografico, ma è anzitutto un foto­ grafo, anche piuttosto bravo, un vero teorico della funzione documentaria della fotografia

* Dopo aver collaborato per più di dieci anni all'archivio fotografico del Touring Club Italiano, Cristina il progetto Azibul, archivio fotografico vir­ tuale e reale dedicato all'immagine fotografica d'autore che si sviluppa attraverso il sito e lo spazio espositivo.

De Vecchi ha sviluppato, assieme ai fotografi e ai collaboratori,

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Storia della fotografia accompagnata dall'idea della conoscenza del "muoversi per vedere" . li Touring nasce come un'associazione di ciclisti e Bertarelli propone di associare la macchina fotografica alla bici­ cletta; la sua idea è che la fotografia possa realizzare in tempi rapidi [' " unificazione immagi­ naria del paese" di recente fondazione.

D. Quindi l'immagine avrebbe dovuto consolidare l'idea di unità delpaese? R. Sì, grazie alla fotografia il siciliano avrebbe potuto vedere Torino, le montagne, e il vene­ to potrà vedere il Gargano. Numerose iniziative (concorsi fotografici, raccolta delle cartoline ecc.) sono volte, fin dagli esordi, a convogliare flussi di immagini verso l'archivio. Nel frat­ tempo Luigi Vittorio invitava a girare l'Italia con la macchina fotografica appresso. Lui stesso è l'autore di foto straordinarie che ancora sono conservate in archivio. Inoltre Bertarelli ha scritto testi di un certo interesse sull'uso della fotografia come documento, attraverso cui rappresentare la varietà del paesaggio italiano, nei quali si awerte l'idea di un mondo che sta cambiando velocemente. La fotografia poteva contribuire a conservare l'immagine di ciò che sarebbe di lì a poco cambiato.

D. Si percepisce un'idea positivista difondo. R. Certamente, e ciò in accordo con i grandi progetti novecenteschi di " iconografia univer­ sale" . Inizialmente il Touring per le proprie pubblicazioni acquista le immagini dai grandi studi di fotografia: Giacomo e Carlo Brogi, i fratelli Alinari, Carlo N aya, Giorgio Sommer, Alfredo Noack. In questi primi contributi l'iconografia di paesaggio è influenzata diretta­ mente dalle arti maggiori, poi, a partire dagli anni venti, ci si rivolge direttamente ai più vivaci e originali professionisti locali e verso l'archivio cominciano a confluire le foto di alcuni "gio­ vani" e meno stereotipati fotografi: dalla Toscana, Ludovico Paciò (che diventerà direttore tecnico degli Alinari); dal Piemonte, Cesare Schiapparelli e il biellese Vittorio Sella; da Mila­ no, Luca Comerio; da Napoli, Giulio Parisio; dalla Sicilia, Eugenio Interguglielmi, per fare solo un esempio della parte, a mio awiso, più sconosciuta e nascosta dell'archivio.

D. Per documentare le diverse zone d'Italia? R. Sì certo. Dagli anni cinquanta in poi si inizia ad affiancare la ricerca dei "soggetti ", negli archivi degli studi fotografici, a delle vere e proprie campagne fotografiche prodotte su proget­ to Touring. Per queste vengono incaricati autori come Paolo Monti e Gianni Berengo Gardin. Lavorando in archivio mi sono resa conto che la fotografia di paesaggio è un genere ben pre­ ciso e ho iniziato a riflettere su questo tema anche da un punto di vista fenomenologico. Lì, a di­ sposizione del ricercatore, c'è l'intera storia della fotografia del paesaggio italiano, che precede la schiera dei grandi autori, il cui caposcuola è Paolo Monti. Ma non può non essere riconosciu­ ta l'importanza, per l'immagine del paesaggio del genere "turistico" , di Bruno Stefani che, pur essendo più conosciuto come fotografo dell'industria, ha ampiamente contribuito a caratteriz­ zare i lavori editoriali del Touring, perlomeno fino ai primi anni dell'ultimo dopoguerra.

D. Cioè con Bruno Stefanifinisce l'era dell'acquisto senza commissioni. . R. Sì, e comincia l'era della produzione Touring. 370

.

Le professioni della fotografia D. Anche Emilio Sommariva/a fotografie di paesaggio? R. Sì, e in archivio se ne trovano molte: Sommariva faceva parte del gruppo dei " pittoriali­ sti " , come Domenico Riccardo Peretti Griva e Stefano Bricarelli. Voglio ricordare altri due nomi pressoché sconosciuti: il fotografo piemontese Cesare Giulio e il bresciano Dante Bra­ vo (che è all'origine della mia conoscenza appunto con Angela Madesani . . . ). E poi i fotografi degli anni cinquanta: Vincenzo Aragozzini, Riccardo Moncalvo, Giulio Galimberti e, i "mo­ demisti" Bricarelli, Bologna e Baravalle, contemporanei di Stefani. Dopo di loro sono arriva­ ti Paolo Monti e Pepi Merisio.

D. Un bravo fotografo cheforse viene letto in maniera sbagliata. R. Per me straordinario, anche se non da tutti apprezzato. Riprendendo il filo della storia che si può leggere in archivio, direi che il gruppo che lavora tra gli anni settanta e ottanta e dà vita alle due grandi serie Attraverso l'Europa e Attraverso l'Italia lavora ancora sulle tracce del progetto redazionale di Bertarelli di documentazione paesaggistica. Un progetto in cui accanto all' interesse per il paesaggio vero e proprio soprav­ vive ancora l'attenzione sociologica per i famosi " usi e costumi", i modi di vita e il lavoro. Di questo gruppo fanno parte: Gianni Berengo Gardin, Toni Nicolini, Francesco Radino, Mim­ mo Jodice, Mario Cresci, Luigi Ghirri e Giovanni Chiaramonte.

D. Alcuni affermano che la storia della fotografia contemporanea di paesaggio in Italia nasce con Viaggio in Italia di Luigi Ghirri. Però questa mi pare un'altra storia. . . R. Sì, è proprio un'altra storia. Tuttavia Luigi Ghirri, anche quando lavora per i l program­ ma di inventariazione fotografica regionale del Touring (Emilia Romagna l e 2 della fine de­ gli anni ottanta) riesce a calare la sua idea di «paesaggio in mutazione» al cui interno «nel pas­ saggio dal mondo fiabesco a quello del fantastico [ ... ] si può spiegare l'aria di inquietante tranquillità che riempie luoghi e paesaggi, che sembrano essere abitati di nuovo dal mistero e dai segreti che ancora possiedono, sapendo alla fine che quello che ci è dato di conoscere, raccontare, rappresentare non è che una piccola smagliatura sulla superficie delle cose».1 Nel suo lavoro per il Touring, anche nelle pagine dedicate al "monumento" si ritrova intatta la sua consapevolezza di paesaggio come realtà metafisica.

D. Vorrei ritornare a Paolo Monti. R. Per far seguire una citazione a un' altra mi piace ricordare la sua postfazione al primo vo­ lume Foto d'archivio del Touring, del 1 979, dove Monti sostiene, con tono militante, un'idea di fotografia come documento che la dice lunga sulla distanza e ad un tempo sulla contiguità ideale che collega il " padre" del gruppo storico del Touring a uno dei suoi ultimi rappresen­ tanti, Ghirri appunto: «Oggi, dopo oltre un secolo di accanite polemiche, e ancora qualche incertezza, mentre all'estero la fotografia entra, a mio avviso, fin troppo trionfalmente nei musei e nei quadri di tanti nuovi pittori rompendo limiti e tradizioni della loro arte, siamo giunti alla conclusione, illuministica direi, che la fotografia è soprattutto documento. Ma solo

1 L. Ghirri, Niente di antico sotto il sole, cit., p. 17.

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Storia della fotografia documento di che?», aggiungeva subito in modo polemico. «Un documento è la certezza di una determinata cosa che la fotografia ci rappresenta e cui noi dobbiamo e vogliamo crede­ re», e in queste ultime due parole è tutto il dramma dell'ambiguità della fotografia.

D. Lei ha scritto un saggio (la rappresentazione del paesaggio. Funzione documentaria e ripro­ ducibilità tecnica, Cuem, Milano 2000, n.d.r.) su questo tema. Cosa c'è dell'esperienza Touring? R. Molto. Si tratta di una ricerca sul " paesaggio" commissionata dalla cattedra di Estetica dell'Università degli Studi di Milano, nel lontano 1994, e coordinata da Elio Franzini. Mi è piaciuto molto allora, ancora fresca di studi filosofici, cimentarmi con un'indagine fenomeno­ logica sulla nascita del genere paesaggio in fotografia e sull'idea che anche la fotografia potesse essere documento. Questo breve contributo poi ha visto la luce nel 2000, quando il mio pro­ fessore, Giovanni Piana, andando in pensione mi ha fatto l'omaggio di una pubblicazione. D. Da qualche anno sta lavorando all'idea dell'archivio Azibul, che ha aperto i battenti da cir­ ca un anno. Che cosa è esattamente? R. È una domanda difficile perché io mi ritrovo sempre a dire che cosa non è o meglio che

cosa non siamo, dato che al progetto collaborano anche altre persone. Non siamo agenti, non siamo galleristi. Azibul è un progetto dedicato all'immagine fotografica d' autore che si svi­ luppa attraverso il sito e lo spazio espositivo. Azibul infatti è un archivio virtuale, con oltre diecimila fotografie digitalizzate, ma è anche una fototeca che conta su molte più immagini e uno spazio espositivo. Lo scopo è quello di fare conoscere la fotografia. È una vecchia voca­ zione, un lavoro che ho fatto per molti anni e che dal punto di vista disciplinare ha origine nella figura, di cultura francese, del " documentarista" : colui che fa vedere, che fa circolare le informazioni. Nel nostro caso l'ambizione sarebbe di diffondere sempre di più la conoscenza e il gusto per la fotografia. Così abbiamo dato vita al sito-archivio-spazio espositivo proprio per "fare vedere" dei nostri autori sia la produzione più nota sia le immagini appartenenti ai loro archivi che sono state poco o mai viste...

D. Qual è il legame tra Azibul e l'esperienza Touring? R. Il rapporto con il Touring è esplicito; due dei fotografi tra quelli che ho citato fanno par­ te di Azibul, anzi sono tra i fondatori (Nicolini e Radino), e l'idea è nata praticamente in con­ tinuità con l'esperienza svolta presso il Touring: quando, per tantissimi motivi è diventato im­ possibile proseguire un certo lavoro di valorizzazione dell'archivio fotografico, per un po' ho cercato di dedicarmi ad altri lavori paralleli come il photoeditor, ma sempre con l'idea che quello rimaneva per me il lavoro più interessante. Il digitale, la rete, sono state la condizione per cominciare a pensare che riunire immagini e autori attorno a un'idea di fotografia, com­ pito che tradizionalmente poteva essere svolto solo da enti che disponessero di ingenti risor­ se, poteva diventare un'impresa alla portata dell'iniziativa privata. Il progetto ha un duplice riferimento: anzitutto l'idea di una piazza comune, funzione che tradizionalmente svolgeva l'archivio e che oggi può essere interpretata dalla rete (un luogo che riunisce foto di autori di­ versi, su soggetti differenti, dove la diversità diventa varietà e le differenze creano il valore); in secondo luogo, una convinzione che nasce da una lunga pratica professionale e che possie372

Le professioni dellafotografia de anche una giustificazione teoretica (le vie che ponano alla scelta di un'immagine non ap­ panengono alla logica discorsiva, hanno poco a che vedere con le parole che la vorrebbero descrivere). Si potrebbe dire che la fotografia, anche quando la si usa per illustrare, non è sta­ ta fatta per raffigurare concetti, ma per essere guardata, e questa è la sua meta ultima.

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396

Indice delle schede

Adams, A. 107 Adamson, R 2 1 Arbus, D . 169 Atget, E. 32 Avedon, R 176

Cunningham, I. 105

Barbieri, O. 320 Bauhaus 68 Beato, F. 25 Beaton, C. 86 Bischof, W. 163 Blossfeldt, K. 74 Blumenfeld, E. 219 Bourke-White, M. 1 18 Brady, M.B. 19 Brandt, B. 82 Brassii, pseudonimo di Gyula Halasz 97

Eisenstaedt, A. 79 Erwitt, E., pseudonimo di Elio Romano Erwitz 1 84 Evans, W. 1 12

Demachy, L.-R. 49 Depardon, R. 180 Duchenne de Boulogne, G. 34

Fenton, R. 20 Fotografia futurista 90 Fox Talbot, W.H. 17 Frank, R 182 Friedlander, L. 191 Ghirri, L. 3 16 Giacomelli, M. 203 Gloden, W. von 50 Gruppo F64 109 Guidi, G. 324

Callahan, H. 125 "Camera Work" 43 Cameron, J.M. 30 Capa, R, pseudonimo di Endre Friedman 157 Carell, G. 94 Carroll, L. 29 Cartier Bresson, H. 159 Castella, V. 326 Cavalli, G. 199 Chiaramonte, G. 328 Chim, pseudonimo di David Szymin 161 Cresci, M. 330

Hausmann, R. 72 Heartfield,J., pseudonimo di Helmut Herzfeld 81 Henri, F. 99 Hill, D.O. 2 1 Hine, L.W. 1 16 Horst Paul Horst, pseudonimo di Bohrmann Horst 222 Hoyningen Huene, G. 22 1

399

Indice delle schede Jodice, M. 322

Outerbridge, P. jr 123

Kertész, A. 77

Parr, M. 334 Patellani, F. 95 Penn, I. 174

Klein, w 167

Kudelka, ]. 197

Radino, F. 332 Renger-Patzsch, A. 7 6 Ritts, H. 227 Rodcenko, A. 67

LaChapelle, D. 230 Lange, D. 1 14 Lartigue, J.-H. 101 Le Secq, H., nome abbreviato di Henri Le Secq des Toumelles 24 Les Krims, pseudonimo di Leslie Robert 187

Salgado, S. 338 Sander, A. 70 Saudek, J. 195 Scianna, F. 339 Siskind, A. 122 Smith, W.E. 120 Sommer, G. 52 Steichen, E.J. 45 Stieglitz, A. 4 1 Strand, P. 47 Sudek, ]. 127

Man Ray, pseudonimo di Emmanuel Radnitsky 84 Mapplethorpe, R 228 Meatyard, RE. 186 Michals, D. 189 Model, Lisette, pseudonimo di Elise Seybert 171 Modotti, T. 1 10 Monti, P. 20 l Mulas, U. 205 Muybridge, E. 27

Veronesi, L. 88 Weber, B. 226 Weegee, pseudonimo di Usher Felling 165 Weston, E. 103 White, M. 172 Winogrand, G. 193 Witkin, J.-P. 336

Nadar, pseudonimo di Gaspard Félix Toumachon 22 Newton, H. 224 O'Sullivan, T. 26 Occhio quadrato 92

400

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Madesani, Angela.

770.9

Storia dell a fotografia l Angela Madesani. - [Milano] : Bruno Mondadori, [2005] . 4 1 6 p. ; 2 4 cm. - (Economica). EAN 9788861591585 l. Fotografia - Storia.

Scheda catalografica a cura di CAeB, Milano

Ristampa 01234

Anno 2008 09 10 1 1 12

Finito di stampare nel mese di febbraio 2024 presso Rotomail ltalia S.p.A. - Vignate (MI)