Semiotica delle passioni. Dagli stati di cose agli stati d'animo [1 ed.]
 8845229564

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Studi Bompiani Il campo semiotico a cura di Umberto Eco

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Il campo semiotico a cura di Umberto Eco

AA.W., L’analisi del racconto AA.W., Semiotica: storia teoria interpretazione Gianfranco Bettetini, Cinema, lingua e scrittura Gianfranco Bettetini, Il segno dell’informatica Gianfranca Bettetini, La conversazione audiovisiva Gianfranco Bettetini, La simulazione visiva Gianfranco Bettetini, L’audiovisivo: dal cinema ai nuovi media Gianfranco Bettetini, Semiotica della comunicazione Gianfranco Bettetini, Tempo del senso Massimo A. Bonfantini, La semiosi e l’abduzione Andrea Bonomi, Lo spirito della narrazione A. Bonomi (a cura di), La struttura logica del linguaggio Francesco Casetti, Dentro lo sguardo Maria Corti, Principi della comunicazione letteraria Jonathan Culler, Sulla decostruzione Marco De Marinis, Semiotica del teatro Umberto Eco, I limiti dell’interpretazione Umberto Eco, Lector in fabula Umberto Eco, Trattato di semiotica generale U. Eco - Th.A. Sebeok (a cura di), Il segno dei tre (prosegue in fondo al volume)

Algirdas-Julien Greimas e Jacques Fontanille SEMIOTICA DELLE PASSIONI Dagli stati di cose agli stati d’animo

Traduzione italiana e cura di Francesco Marsciani e Isabella Fezzini

Bompiani

Titolo originale SEMIOTIQUE DES PASSIONS Des états de choses aux états d’àme © Avril 1991, Éditions du Seuil 27, rueJacob, Paris VI’

© 1996 R.C.S. Libri & Grandi Opere S.p.A. - Milano Via Mecenate 91 - 20138 Milano I edizione Studi Bompiani novembre 1996

ISBN 88-452-2956-4

INDICE

Premessa (di Francesco Marsciani e Isabella Pezzini) INTRODUZIONE

Il mondo come discontinuo L’esistenza semiotica Il mondo come continuo

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P“g- 1 2 3 6

1. L’epistemologia delle passioni

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DAL SENTIRE AL CONOSCERE

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Il sentore La vita L’orizzonte tensivo Le precondizioni (della significazione) Le valenze Instabilità e regressione - Lestesia - L'instabilità attanziale Il divenire e le premesse della modalizzazione - Protensività e divenire - Le modulazioni del divenire - Modulazioni, modalizzazioni e aspettualizzazioni Per un mondo conoscibile - La determinazione - La categorizxazione

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LA SINTASSI NARRATIVA DI SUPERFICIE: GLI STRUMENTI DI UNA SEMIOTICA DELLE PASSIONI

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Le strutture modali Il soggetto, l’oggetto e la giunzione Dalla valenza al valore Le strutture attanziali I soggetti modali — La passione e il fare — L’essere del fare — Modi di esistenza e simulacri esistenziali — Soggetti modali e simulacri esistenziali I simulacri -1 simulacri modali — I simulacri passionali Gli attanti narrativi e le passioni

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DISPOSITIVI MODALI: DAL DISPOSITIVO ALLA DISPOSIZIONE

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Il concatenamento modale dell’essere - L’eccedente passionale -1 paradossi dell’“ostinazione” Descrizione del dispositivo modale - Ancora l’ostinazione - Le contraddizioni interne del soggetto Dal dispositivo alla disposizione - La disposizione come “stile semiotico” - La disposizione come programmazione discorsiva - La disposizione come aspettualizzazione La sintassi intermodale

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METODOLOGIA DELLE PASSIONI

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La terminologia Le tassonomie passionali connotative -Laprassienunciazionale e iprimitivi - Specie e livelli della tassonomia - La nomenclatura passionale L’universo passionale sociolettale - Lumiliazione pedagogica

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— Teoria delle passioni e teoria del valore L’universo passionale idiolettale — Una disperazione ottimista — Un volere pessimista Filosofia e semiotica delle passioni — La tassonomia cartesiana — Algoritmi e sintassi in Spinoza

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2. A proposito dell’avarizia

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LA CONFIGURAZIONE LESSICO-SEMANTICA

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La performanza: l’accumulazione e la ritenzione - La competenza passionale - Una modulazione comunitaria I parasinonimi - Lavidità - La spilorceria, la taccagneria - Il risparmio e l’economia Gli antonimi - La dissipazione - La prodigalità - La generosità, il disinteresse e la larghezza

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COSTRUZIONE DEL MODELLO

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II microsistema e la sua sintassi La doppia modalizzazione I livelli dell’oggetto I simulacri esistenziali del soggetto Simulacri e modi di esistenza « La lattaia e il bricco di latte”: investimento o dissipazione? — Passione e veridizione - Il ré-embrayage sul soggetto tensivo

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DUE GESTI CULTURALI: LA SENSIBILIZZAZIONE E LA MORALIZZAZIONE

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La sensibilizzazione

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- Variazioni culturali - La sensibilizzazione in atto - Il corpo sensibile - La costituzione passionale - Abbozzo di un percorso patemico La moralizzazione - Dall’etica all’estetica - Delle passioni socializzate - La stratificazione del discorso morale - La moralizzazione del comportamento osservabile - Labbozzo dello schema patemico (sèguito) Note finali

135 136 138 140 142 142 142 144 145 147 150 151

NOTE SULLA MESSA IN DISCORSO DELL’AVARIZIA

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La prassi enunciazionale L’attorializzazione: ruoli tematici e ruoli patemici L’aspettualizzazione - La scansione - La pulsazione - Lintensità

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3. La gelosia

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LA CONFIGURAZIONE

167

Attaccamento e rivalità Prima configurazione generica: la rivalità - Rivalità, concorrenza e competizione - liemulazione - liinvidia - Dalladombrarsi alla gelosia - Punto di vista e sensibilizzazione - Il geloso difronte allo spettacolo Seconda configurazione generica: l’attaccamento - liattaccamento intenso - Lo zelo - Il possesso e il godimento - liesclusività La gelosia all’intersezione tra due configurazioni

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LA COSTRUZIONE SINTATTICA DELLA GELOSIA

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I costituenti sintattici della gelosia -L inquietudine — Sfiducia o diffidenza? ~ Abbozzo del modello della gelosia - Ruoli e dispositivi patemici

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LA GELOSIA, PASSIONE INTERSOGGETTIVA

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Il simulacro dell’oggetto-soggetto amato: dall’estetica all’etica — Un resto di speranza — Universalità ed esclusività La conversione di attante I simulacri dei rivali e l’identificazione — Il merito del rivale — Dall’emulazione all’odio — La tracotanza del geloso Manipolazioni passionali — Richiesta e confessione di dipendenza — La scena e l’immagine — Contro-manipolazione: far finta di non credere più La moralizzazione — Disprezzo o sopravvalutazione? — Onore e vergogna del geloso — La pressione della totalità sociale — la morale del contegno Dispositivi attanziali e modali della gelosia — Dispositivi attanziali — La sintassi modale — Macrosequenza e microsequenza — La macrosequenza — La microsequenza -1 simulacri esistenziali

201 201 202 204 205 205 206 207 210 210 213 214 215 215 217 219 220 223 223 224 228 229 230 235

LA MESSA IN DISCORSO: LA GELOSIA NEI TESTI

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Aspettualizzazione: la componente sintattica Gli schemi discorsivi passionali: forme canoniche

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- Ld macrosequenza - La microsequenza Gli schemi passionali: realizzazioni concrete - Gli amori fiduciari di Rossana - Le vestigio dello schema narrativo in La gelosia - Disseminazione e agitazione in Un amore di Swann - Perturbazioni e uscite premature Forme realizzate della microsequenza - Linquietudine di Swann -1 sospetti di Otello - Swann e la passione della verità - La prova: Otello nel labirinto - Un investigatore lobotomizzato - Una aspettualizzazione sensibile - La finestra illuminata: simulacri figurativi e aspettualizzazione spaziale - Della scena in quanto trappola - La gelosia: Ego è scomparso

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LA GELOSIA MESSA IN DISCORSO: LA COMPONENTE SEMANTICA

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- Il piccolo dettaglio concreto - Il minerale e il vitale - Il potere isotopante della sofferenza: idioletti e socioletti Nota sulla quantificazione

275 276 278 285

Quasi una conclusione

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Indice dei termini

293

PREMESSA DI

Francesco Marsciani e Isabella Pezzini1

I. Verso una semiotica delle passioni

1. Il tema delle passioni

Quando, alla fine degli anni Settanta, Greimas scelse per il suo seminario parigino dell’EHESS di “Sémantique générale” il tema delle “passioni”, queste ultime potevano apparire un oggetto teori­ co abbastanza singolare: le teorie delle passioni costituivano un campo all’interno della tradizione filosofica in quel momento non di particolare attualità, mentre apparivano sostituite da più moder­ ni apparati concettuali nell’ambito di psicologia e psicoanalisi. Per quanto riguardava le discipline linguistico-semiotiche, qui un’anti­ ca scepsi invitava, ancora in quegli anni e salvo eccezioni, ad attac­ care gli aspetti apparentemente più oggettivi e ben contornabili di significazione e di comunicazione. Questo benché, se non altro da Benveniste in poi, l’idea di una soggettività pienamente e peculiar­ mente iscritta nelle forme linguistiche si lasciasse sempre meno confinare o sopra le righe, negli usi considerati “speciali” del lin­ guaggio, come quelli estetici, o viceversa sotto le soglie semiotiche.2 1 Questa introduzione è stata pensata c discussa interamente da entrambi gli autori. Ma­ terialmente, tuttavia, Isabella Pezzini ha scritto la prima parte (I. Verso una semiotica delle passioni) che riprende, assai ampliata, parte di Pezzini 1994, e Francesco Marsciani la se­ conda (II. Il soggetto dell'enunciazione: un riesame). 2 Può essere interessante a questo proposito rileggere l’ultimo capitolo del Trattato (1975) di Eco, dedicato appunto al “Soggetto della semiotica”, in cui si accoglie piena­ mente l’ipotesi di un soggetto dell’enunciazione da disimplicare e “ricostruire” esclusivamente a partire dai suoi enunciati. In realtà a fare problema è il versante “affettivo”, piut­ tosto che “cognitivo", anche di un soggetto di questo tipo. Per una ricognizione del tratta­ mento della soggettività nelle scienze del linguaggio cfr. Violi 1986.

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E MARSCIANI - I. PEZZINI

Nell’ambito della ricerca sulla narratività, sviluppatasi soprat­ tutto nei termini di una “logica dell’azione”, la messa a fuoco sul tema della passione, anzitutto intesa nel senso etimologico di “ri­ svolto” dell’azione, del patire come punto di vista sull’azione a partire da chi la subisce, si presentava invece quasi come un’esi­ genza strutturale di crescita interna. Lo mette in evidenza con grande chiarezza Paul Ricoeur, nella sua lettura critica di Greimas, quando appunto afferma che una fenomenologia del patire e delXagire, dove quest’ultimo presuppone necessariamente il primo, è implicita nelle operazioni della grammatica narrativa, e contribui­ sce in modo essenziale a dar loro senso.3 Ma anche le estensioni e le applicazioni della semiotica testuale nel campo della comunicazione sociale, con l’approfondimento di tematiche come l’interpretazione, la manipolazione, la credenza, individuavano nel campo delle passioni - stavolta considerate an­ che in quanto “manufatti culturali” dotati di una loro organizza­ zione interna, di un loro ambiente e di una loro storia — un terre­ no di riflessione sull’interazione, sulla regolazione dei comporta­ menti e dell’affettività di estremo interesse.4 La strategia di approccio al tema, come usuale nella pratica di ricerca del gruppo greimasiano, e come testimoniano i primi do­ cumenti sull’argomento,5 fu quella di saggiare la questione con­ temporaneamente in campi diversi: si avviò una rilettura appunto delle teorie delle passioni in filosofia e in psicologia, si analizzaro­ no testi letterari e discorsi appassionati, si procedette all’analisi se­ mantica del lessico passionale. Ma, soprattutto, si avviò una rifles­ sione approfondita sugli aspetti teorici che il tema affrontato invi­ tava a focalizzare, nel tentativo di trarne tutte le conseguenze. Co5 “La nozione di un paziente affetto da un certo stato precede logicamente quella di ogni modificazione (o conservazione di stato). La privazione di un oggetto di valore, subita da un soggetto, e l’attribuzione di questo stesso oggetto a un altro soggetto sono modificazio­ ni che coinvolgono un paziente. Ciò che l’ultima tappa della costituzione del modello [quella della serie performanziale, N.d.T] aggiunge è dunque una fenomenologia del patire-agire, all’interno della quale prendono senso nozioni come quelle di privazione o dono”, in Ricoeur 1980:22, trad. nostra). 4 D'altronde da tempo anche uno storico come Braudel si era espresso sulle Annales sul­ la necessità di procedere a una ricostruzione della “storia delle sensibilità”. Su questi temi cfr. in particolare Fabbri-Sbisà 1985a e 1985b. Vedi anche Vegetti Finzi (a cura di) 1995; Tumaturi 1994. 5 Vale la pena di ricordare che lo sviluppo della ricerca di Greimas avveniva nell’ambito del suo seminario di “Sémantique generale” all’École dcs Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, e si caratterizza per il contributo di numerosi ricercatori che facevano capo al Groupe de Recherches Sémio-linguistiques, i cui studi trovavano espressione nella rivi­ sta Actes Sémioliquet (bulletin e Documenti. In queste pubblicazioni troviamo i primi con­ tributi all’analisi delle passioni, come, oltre alla prepubblicazione dei saggi di Greimas, Thurlemann 1980, Fontanille 1980, e poi Parret 1982, Marsciani 1984.

PREMESSA

xm

me vengono rappresentate le passioni? Come si “esprimono” e vi­ ceversa si comprendono gli affetti? Che significato attribuiscono loro le diverse culture? Quali sono gli strumenti che abbiamo a di­ sposizione per restituirne concettualmente la specificità? Come sono rappresentabili semioticamente le “radici” dell’affettività? Qual è il “senso” passionale? Come si possono riarticolare le rela­ zioni fra soggetti, e fra soggetti e oggetti, alla luce di questi pro­ blemi? Di fatto si trattò di un’occasione di grande stimolo e di­ battito, che contribuì a precisare non poche questioni che attra­ versavano criticamente l’area della semiotica strutturale.

Per quanto riguarda il clima culturale, oggi le cose sono cam­ biate: passioni e sentimenti conoscono come oggetti di studio una nuova fortuna. In filosofia il tema delle passioni è stato riattivato in modo importante, soprattutto in riferimento ai campi dell’etica e dell’economia politica,6 ma anche in filosofia del linguaggio lo sviluppo della pragmatica e della riflessione legata agli atti lingui­ stici ha richiamato alla necessità concettuale dell’affetto,7 neces­ sità condivisa in ambito sociolinguistico, degli studi sull’apprendi­ mento del linguaggio, di quelli di poetica, in sociologia e in antro­ pologia... anche nell’ambito delle scienze cognitive il binomio emozione/cognizione viene guardato con sempre maggiore, inelu­ dibile interesse.8 Oggi dunque questo libro intitolato a una “semiotica delle pas­ sioni”, il penultimo che Greimas ha visto edito, prima della sua scomparsa,9 non potrebbe più ragionevolmente sorprendere nes­ suno, almeno per il suo oggetto di studio. Riserva invece non po­ che sorprese, come vedremo, proprio ai lettori cui Greimas è un poco più familiare. Mentre la pertinenza più generale del suo tema e di altri conti­ gui si è andata infatti espandendo nell’ambiente culturale, le que­ stioni che esso ha posto all’interno dell’edificio concettuale greimasiano stabilito nella forma standard - come è diventato uso di­ re - già nel 1979 con Sérniotique. Dictionnaire raisonné de la théorie du langage, hanno scavato a fondo, e hanno vivamente reagito 6 Cfr. in particolare Bodei 1991. 7 Cfr. Sbisà 1987 e 1990. 8 Su quest’ultimo aspetto cfr. in particolare Bruner 1986 c 1990, ma anche Parisi 1989. 9 La pubblicazione di Sérniotique des passioni ha di poco preceduto quella del Diclionnaire dti francali rnoyen, scritto da Grcimas in collaborazione con Teresa Kean (Paris, Hachette, 1990).

XIV

F. MARSCIANI -1. PEZZINI

con altre questioni altrettanto di fondo che negli ultimi anni sono state poste e discusse all’interno del paradigma strutturale.

2. Dall’azione alla passione: lo sviluppo della grammatica narrativa

I primi risultati della ricerca sulle passioni trovano una sistema­ zione soprattutto in alcuni dei saggi del secondo volume di Del senso dello stesso Greimas (1983). E non sarà forse inutile, a par­ tire proprio da quel volume, ripercorrere in modo estremamente sintetico, e forzatamente lacunoso, i lineamenti essenziali del pro­ getto greimasiano.10 La forma più nota tramite cui esso si caratterizza è quella di una grammatica narrativa ben sviluppata, che si è progressivamente stabilita e organizzata nel cosiddetto percorso generativo del senso. Nell’“Introduzione” alla raccolta citata, tracciando le linee di forza del proprio sviluppo teorico, Greimas afferma di volersi misurare soprattutto rispetto al primo volume di Del senso, di quindici anni prima, ma il suo costante punto di riferimento è in realtà più antico. Egli vede il proprio lavoro costantemente anco­ rato agli sviluppi seguiti alla descrizione di V. Propp della fiaba russa, “considerata come modello analogico suscettibile di interpre­ tazioni multiple" (Greimas 1983: 6 trad. it., corsivi nostri). La rielaborazione e la generalizzazione dei risultati di Propp hanno di fatto una valenza fondamentale nell’edificio teorico di Grei­ mas: la narratività viene infatti a occupare un posto centrale nel­ l’insieme della sua semiotica, fin da Sémantique strutturale, sino a rappresentare l’organizzazione basilare del mondo umano di pro­ durre la significazione. Greimas specifica la propria prospettiva nei termini di una estensione quanto più possibile ampia del campo di applicazione dell’analisi narrativa, e della progressiva formalizzazione dei mo­ delli successivamente messi a punto, tramite l’uso di categorie semio-linguistiche, che dovrebbero garantire la ricercata universalità di questi modelli, e la possibilità di integrare le strutture narrative in una teoria semiotica generale. II successo ottenuto dall’applicazione, negli anni Cinquanta e 10 Un’eccellente esposizione critica della teoria greimasiana standard è in Petitot 1985a (IH. “Strutture narrative e pregnanze ascmantiche"), mentre per un’introduzione alla se­ miotica generativa si rimanda a Marsciani-Zinna 1991. Segnaliamo inoltre anche 1”*Intro­ duzione” di P. Magli e M.P. Bozzato a Greimas 1983 (trad. it.) c Hénault 1992.

PREMESSA

XV

Sessanta, dell’analisi narrativa in campi diversi da quelli del rac­ conto porta a un generale consenso sulla distinzione fra due livel­ li di rappresentazione e di analisi: un livello apparente delle narra­ zioni, in cui le sue diverse manifestazioni dipendono dalle sostan­ ze linguistiche utilizzate, e un livello immanente, costitutivo di una sorta di tronco strutturale comune, ove la narratività si tro­ va situata e organizzata anteriormente alla propria manifestazione. Si dà quin­ di un livello semiotico comune, distinto dal livello linguistico e logicamente anteriore ad esso, qualunque sia il linguaggio scelto per la manifestazione. (Greimas 1970: 168 trad. it.) Si tratta di un punto centrale della prospettiva greimasiana: una teoria semiotica generale che abbia come scopo il dar ragione «"dell’articolazione e della manifestazione dell’universo semantico come totalità del senso, sia d’ordine culturale che individuale” (Greimas 1970: 169 trad. it.), dovrà riconoscere al suo interno questa “falda strutturale autonoma”. Il progetto linguistico generativo - grande punto di riferimento teorico di quegli anni - viene a essere in qualche modo rovesciato: non si tratta più di generare per combinatoria, a partire da un nu­ mero ridotto di elementi semplici, l’infinita varietà degli enuncia­ ti di superficie e poi del discorso, ma di impostare la ricerca su quelle che vengono denominate le istanze “ab quo” della genera­ zione della significazione'.

di modo che, a partire da agglomerati di senso elementari, sia possibile otte­ nere percorrendo stadi successivi articolazioni significative sempre più com­ plesse, al fine di raggiungere contemporaneamente i due scopi cui mira il sen­ so quando si manifesta: configurarsi come senso articolato, vale a dire come significazione, e come discorso sul senso, vale a dire come una grande para­ frasi che sviluppi a suo modo tutte le articolazioni anteriori del senso. In altre parole: la generazione della significazione non passa affatto, inizialmente, at­ traverso la produzione degli enunciati e la loro combinazione in discorsi; essa è retta, nel proprio percorso, dalle strutture narrative e sono queste che pro­ ducono il discorso articolato in enunciati. (Greimas 1970: 169 trad. it.) È in questo modo che si delinea il progetto che assumerà la for­ ma detta “percorso generativo” del senso: una grande istanza di mediazione, di cui fanno parte anche le strutture narrative, posta fra le istanze fondamentali, dove la sostanza semantica riceve le prime articolazioni, e le istanze terminali, dove la significazione si manifesta attraverso i diversi linguaggi.

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XVI

F. MARSCIANI - I. PEZZINI

In Greimas 1979 il percorso generativo viene sostanzialmente a coincidere con il progetto semiotico nel suo complesso, viene de­ finito “una costruzione ideale, indipendente dalle (e anteriore al­ le) lingue naturali o dai mondi naturali in cui questa o quella se­ miotica può investirsi in seguito per manifestarsi” (Greimas 1979: 159-160 trad. it.). Com’è noto, vi si distinguono tre campi problematici autono­ mi: le strutture semio-narrative, le strutture discorsive e le struttu­ re testuali. Le prime due forme vengono considerate come due li­ velli sovrapposti di profondità, mentre la problematica della te­ stualità viene considerata come “del tutto diversa”, un campo di ricerca autonomo, di pertinenza fra l’altro della linguistica testua­ le. La rappresentazione schematica del percorso generativo - lo ri­ cordiamo, prima del libro che stiamo presentando — è la seguente: PERCORSO GENERATIVO

Componente sintattica

Strutture sernionarrative

Strutture discorsive

Componente semantica

Livello profondo

Sintassi fondamentale

Semantica fondamentale

Livello di superficie

Sintassi narrativa di superfìcie

Semantica narrativa

Sintassi discorsiva

Semantica discorsiva

Discorsivizzazione: temporalizzazione attorizzazione spazi alizzazione

Tematizzazione Figurativizzazione

Le strutture semio-narrative costituiscono dunque il livello più astratto, e si presentano come una grammatica semiotica e narrati­ va a due componenti - una sintattica e una semantica - e due li­ velli di profondità: a livello profondo una sintassi fondamentale e una semantica fondamentale, e a livello di superficie una sintassi narrativa e una semantica narrativa. Nella semantica fondamentale trova posto la struttura elementa­ re della significazione, organizzata dal modello costituzionale, me­ glio noto come “quadrato semiotico”, modello dell’articolazione dei contenuti che sono le sostanze semantiche: “Si intende per quadrato semiotico la rappresentazione visiva dell’articolazione

PREMESSA

xvn

logica di una categoria semantica qualunque” (Greimas 1979: 275 trad. it.). Esso, considerato al di fuori di qualsiasi investimento, corrisponde a una forma, a un principio semiotico alla base di una grammatica fondamentale. La struttura elementare della significazione è concepita come “lo sviluppo logico di una categoria semica binaria, del tipo bian­ co vs nero, i cui termini stanno, tra loro, in relazione di contrarietà, mentre ciascuno di essi, contemporaneamente, è suscettibile di proiettare un nuovo termine quale proprio contraddittorio; i ter­ mini contraddittori possono, a loro volta, stipulare una relazione di presupposizione nei riguardi del termine contrario opposto” (Greimas 1970: 171 trad. it.): Si

S2

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dove —► indica la presupposizione e - Si, s2, Sj,... Sn

in cui “1, 2, 3, ... n” rappresentano i carichi modali successivi. Questi soggetti modali sono necessari allo stabilimento delle tra­ sformazioni modali che saremo condotti a postulare all’interno delle configurazioni passionali.

Modi di esistenza e simulacri esistenziali

In semiotica narrativa è stata repertoriata una serie di ruoli del soggetto che caratterizzano i differenti modi di esistenza dell’ai­ tante narrativo nel corso delle trasformazioni. Nel suo uso più cor-

l’epistemologia delle passioni

45

rente, questa serie si limita a tre ruoli, ciascuno fondato su un tipo di giunzione:

soggetto virtualizzato (non congiunto)

'l'

soggetto attualizzato (disgiunto)

soggetto realizzato (congiunto)

Ma, se si prendono in considerazione i diversi termini costrui­ bili a partire dalla categoria della giunzione, si può constatare l’e­ sistenza di una quarta posizione, che non appare nell’inventario dei modi di esistenza. CONGIUNZIONE

DISGIUNZIONE

NONDISGIUNZIONE

NON­ CONGIUNZIONE

Dato che i modi di esistenza del soggetto della sintassi di su­ perfìcie si definiscono in funzione della sua posizione nell’ambito della categoria della giunzione, si può constatare che anche la “non-disgiunzione” definisce una posizione e un modo di esisten­ za del soggetto che sinora non erano stati reperiti. Si propone di denominare questo ruolo “soggetto potenzializzato”, nella misura in cui risulta da una negazione del soggetto attualizzato e in cui es­ so è presupposto dal soggetto realizzato. A questo proposito si pongono però due questioni. La prima, che ci obbliga a fare un passo indietro, concerne l’u­ so che si può fare di questo termine e della nozione che esso rico­ pre nell’economia generale della teoria. In effetti, nella prospetti­ va di una teoria semantica considerata come un percorso di co­ struzione dell’esistenza semiotica, i modi di esistenza caratterizza­ no le diverse tappe di questa costruzione e scandiscono il percor­ so del soggetto epistemologico dal livello profondo sino alla manifestazione discorsiva. È in questa prospettiva epistemologica che il soggetto del discorso può essere detto “realizzato”, mentre il soggetto narrativo non è che “attualizzato”, e il soggetto opera­ tore delle strutture elementari della significazione è “virtualizzato”. In seguito ai tentativi che precedono per installare e concettualizzare un livello anteriore a quello delle strutture elementari della significazione, si sarebbe tentati di riservare il ruolo di “sog-

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A. J. GREIMAS - J. FONTANILE

getto potenzializzato” al soggetto tensivo che appare nello spazio della foria. Questo “quasi soggetto” è certo dell’ordine del poten­ ziale, suscettibile di essere convertito in soggetto virtualizzato/attualizzato da una doppia negazione-determinazione, e di essere convocato direttamente al momento della messa in discorso per la realizzazione del soggetto discorsivo appassionato. Ma questa de­ stinazione non è priva di problemi, dato che, situato tra il sogget­ to attualizzato e il soggetto realizzato nella sintassi stabilita a par­ tire dalla categoria della giunzione, il soggetto potenzializzato prenderebbe posto in questo caso all’inizio del percorso, prima del soggetto virtualizzato. Torneremo su questa difficoltà. La seconda questione riguarda il rapporto con i soggetti moda­ li definiti in precedenza. E chiaro che i modi di esistenza del sog­ getto della sintassi narrativa di superficie non si confondono con i ruoli modali evocati più sopra, né coincidono necessariamente con essi sul piano sintattico. Si sa per esempio che, al momento della conversione della sintassi in sintassi narrativa antropomorfa, e al momento dell’acquisizione delle competenze, il volere e il do­ vere determinano un soggetto narrativo “virtualizzato”, mentre il sapere e il potere determinano un soggetto “attualizzato”: bisogna aspettare la performanza per vederlo “realizzarsi”. Non si vede bene, in mancanza di analisi più concrete, che posto si potrebbe assegnare fin d’ora al soggetto potenzializzato in questo percorso. Provvisoriamente si potrebbe immaginare che il soggetto della quète, prima di ricevere il volere e il dovere, si installi quando sco­ pre l’esistenza di un sistema di valori, e che questa instaurazione preliminare ne farebbe un soggetto potenzializzato. Ma, qualun­ que sia la soluzione scelta, resterebbe il fatto che, per tutto questo percorso, solamente due modi di esistenza corrisponderebbero a modalizzazioni “classiche”. Gli altri due, il “soggetto potenzializ­ zato” e il “soggetto realizzato”, sembrano sfuggire alla serie cano­ nica delle quattro modalità. Si potrebbe allora fare osservare che l’instaurazione, riallacciandosi al “presentimento del valore”, non è del tutto estranea alla modalizzazione, se non altro perché pro­ duce il fiduciario, e si avrebbe dunque a che fare, in questo caso, con il credere. Allo stesso modo, la performanza non è priva di un effetto modale, poiché il fare può essere colto al secondo grado come essere del fare-, sarebbe, intuitivamente, tutta la differenza tra un soggetto “agente”, soggetto del fare colto al primo grado, e un soggetto “attivo”, soggetto dell’essere del fare, colto al secon­ do grado. Detto altrimenti, il soggetto detto “attivo” è caratteriz­ zato nel suo essere dalla realizzazione della performanza stessa,

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l’epistemologia delle passioni

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caratterizzazione che non comporta alcuna considerazione sulla “competenza modale” propriamente detta. Queste osservazioni lasciano pensare che i soggetti passionali non possono essere definiti unicamente grazie alle quattro modalizzazioni generalmente identificate, in particolare nel quadro del­ la competenza in vista del fare. Si parlerà per esempio di “iperattività” per designare uno stato modalizzato che non deve niente specificamente al volere, al sapere, al potere, al dovere o al crede­ re, ma che nondimeno ne è sensibilizzato e convocato, per esem­ pio, come criterio di identificazione di una certa forma di ansietà. Indipendemente dai carichi modali definiti in termini di cate­ gorie modali (volere, potere ecc.), il soggetto appassionato è di fatto suscettibile di essere “modalizzato” dai modi di esistenza, il che significa che la giunzione in quanto tale è una prima modalizzazione. Colto al di fuori di ogni configurazione passionale, il mo­ do di esistenza non fa che tradurre una certa tappa nel percorso delle trasformazioni narrative; ma, all’interno delle configurazioni passionali, diviene modalizzante per il soggetto. Esaminiamo bre­ vemente, a titolo di esempio, 1’“umiltà”: 1’“umile”, che volentieri si considera insufficiente, non per questo è non competente, po­ vero e idiota. Senza prendere posizione in una discussione di eti­ ca religiosa, si potrebbe far notare che l’umiltà non ha tanto a che vedere con un modo di esistenza caratteristico di uno stato di co­ se, ma con un modo di esistenza caratteristico di uno stato d’ani­ mo. In altri termini, che l’umile sia povero o ricco, disgiunto o congiunto, quel che importa è la disgiunzione in cui si rappresen­ ta e verso cui tende. Per distinguere tra i due tipi di funzionamento, converrebbe forse designarli in due modi differenti: riservando l’espressione “modi di esistenza” a ciò che è servita in semiotica fino a ora, de­ nomineremo “simulacri esistenziali” le proiezioni del soggetto in un immaginario passionale.

Soggetti modali e simulacri esistenziali La relativa indipendenza dei simulacri esistenziali e dei carichi modali specifici non deve dissimulare il fatto che è tramite la me­ diazione dei carichi modali che tali simulacri possono costituirsi. Per esempio, fuori configurazione passionale, un soggetto attua­ lizzato è un soggetto disgiunto, e questa disgiunzione è attestata non solo dal suo punto di vista, ma nell’intero discorso enunciato.

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Ma nell’“apprensione”, per esempio, che comporta un voler-nonessere, se il soggetto può proiettarsi come “attualizzato” e di­ sgiunto, non è affatto in funzione di uno stato di cose, ma per la mediazione del carico modale del “volere” così come, nell’“avidità”, se il soggetto può essere rappresentato come “realizzato” e con­ giunto, quale che sia la sua posizione nello stato di cose e, dunque, quale che sia il modo di esistenza effettivo da cui è affetto, è anco­ ra per effetto del carico modale. L’esame dei simulacri esistenziali modali ci porta dunque ad accordare un ruolo fondamentale ai ca­ richi modali nella costituzione degli immaginari passionali: po­ nendosi fra l’enunciato narrativo e la sua effettuazione nel discor­ so, il carico modale apre uno spazio semiotico immaginario in cui il discorso passionale può dispiegarsi. In questa prospettiva, gli “immaginari passionali”, lungi dal nascere in una eventualepsyché dei soggetti individuali, risultano dalle proprietà del livello semionarrativo, che è generalmente riconosciuto come la forma semio­ tica dell’immaginario umano, in senso antropologico e non psico­ logico. È per questo che il confronto fra le due serie, quella delle iden­ tità modali transitorie e quella dei simulacri esistenziali, sarà una procedura dell’analisi delle passioni. Di fatto, il carico modale principale che caratterizza un soggetto appassionato non procura necessariamente e direttamente tutti i simulacri esistenziali richie­ sti per l’interpretazione del suo percorso: per esempio, un sogget­ to “terrorizzato” è caratterizzato da un voler-non-essere, ma il suo percorso immaginario resta fondato su una congiunzione (temu­ ta) con un anti-oggetto, cioè sull’immagine disforica di un sogget­ to realizzato; nello spazio immaginario aperto dal carico modale del volere, lo stato virtualizzato presuppone uno stato realizzato; quest’ultimo è, per parte sua, sovradeterminato da un credere prospettivo, un’attesa disforica che lo modalizza, e così via. La so­ vrapposizione tra due serie avrebbe inoltre una virtù euristica.

I simulacri

L’emergenza di un “immaginario modale” ci obbliga a interro­ garci sullo statuto della dimensione passionale del discorso. In ef­ fetti, la passione presentifica in seno al discorso di accoglimento di un insieme di dati sia tensivi che figurativi, come fa per esempio la nostalgia per una situazione che è stata o che avrebbe potuto es­ sere, o la gelosia, per una situazione stereotipata, che riunisce l’og-

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getto amato e il rivale, che è oggetto di una forte apprensione. In molti casi si è proprio obbligati a constatare che la passione è in­ differente al modo di esistenza assegnato al soggetto nello stato delle cose, al momento di referenza del discorso. La nostalgia, e il rimpianto di un momento che si vorrebbe rivivere che essa com­ porta, possono benissimo invadere un soggetto perfettamente fe-

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lice.11 I simulacri modali Per questi motivi la messa in opera dei soggetti modali nel qua­ dro della semiotica delle passioni deve andare di pari passo con una teoria dei simulacri modali. Questa teoria può benissimo dar­ si come punto di partenza una osservazione più generale, che con­ sisterebbe nel rilevare la grande instabilità dei ruoli attanziali nel­ le configurazioni passionali. Nella passione amorosa, per esempio, si vede l’oggetto amato trasformarsi in soggetto, cosa tanto più toccante nel caso in cui questo oggetto non è un essere animato, ad esempio nei racconti fantastici, ma anche, più banalmente, nei comportamenti feticisti. Anche la curiosità tende a trasformare il suo oggetto in soggetto, o meglio in antisoggetto, che resiste, che fugge, che dissimula ecc. Non mancano poi certi avari, che tratta­ no il loro “tesoro” come un soggetto, vero e proprio alter ego. In­ semina, l’oggetto, nella passione, avrebbe la tendenza a divenire il partner-soggetto del soggetto appassionato. Da qui l’ipotesi che la sola struttura generalizzabile, per descrivere la passione, sia una struttura intersoggettiva, o, più precisamente, una struttura in cui ogni relazione oggettale ricopra una intersoggettività potenziale, una sorta di interattanzialità dai contorni sfumati: si tenterà di mo­ strare, a proposito dell’avarizia, che si dà ostinatamente come una passione d’oggetto, come il prototipo della passione solitaria, che essa ricopre di fatto una (de)regolazione intersoggettiva e che ciò che potrebbe passare per proprietà degli oggetti di fatto non è al­ tro che un insieme di regole che funzionano in seno a una comu­ nità di soggetti. L’instabilità dei ruoli di fatto rivela la dissociazione tra due uni­ versi semiotici: quello del discorso di accoglimento della passione e quello della passione stessa: “oggetto” rispetto al primo, la “cas­ setta” diventa “soggetto” per l’avaro nel secondo. Il soggetto ap11 Si veda l’analisi di AJ. Greimas “Della nostalgia”, trad. it. in I. Pezzini cit. [N. convocazione -------------------►

livello del discorso (istanza dell’enunciazione, operazioni della messa in discorso)

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Per quanto concerne il nostro obiettivo immediato, le relazioni fra tazSP°SltlV1 6 6 che significa prima di tutto “avere” e “possedere”, è un “es­ sere di” rovesciato, il che spiega il fatto che il verbo stesso, nei suoi impieghi intransitivi, e soprattutto il suo derivato nominale, pos­ sano designare modi d’essere tanto acquisiti (cfr. “abitudini”) quanto innati (cfr. “costituzione”). Potremmo dunque considerare, a titolo di ipotesi di lavoro, la héksis sensibile come una sovradeterminazione culturale delle pregnanze biologiche, la quale si tradurrebbe in una articolazio­ ne specifica della zona propriocettiva e proietterebbe “schemi sensibili” sull’esistenza semiotica. Le disposizioni e immaginiscopo convocate nei discorsi realizzati troverebbero o non trove­ rebbero un’eco in tali schemi sensibili e, per questo, produrreb­ bero o non produrrebbero effetti di senso passionali. La sensibi­ lizzazione presupporrebbe in questo caso, al livello delle precon­ dizioni della significazione, una “costituzione” del soggetto del sentire. Da un altro punto di vista, se si ammette che la sensibilizzazio­ ne può essere colta sia grazie ai suoi effetti nella prassi enunciazionale sia come operazione discorsiva, abbiamo il diritto di chie­ derci se la “costituzione” del soggetto della passione non possa anch’essa essere considerata sotto due diverse luci. Fino ad ora abbiamo esaminato, come ipotesi difficilmente verificabile per il momento, soltanto l’eventualità di una “predisposizione” del sog­ getto del sentire all’interno del percorso della costruzione teorica, partendo dall’idea che la propriocettività potrebbe già essere co­ stitutiva del soggetto appassionato. Ci possiamo chiedere ora qua­ le sarebbe la forma discorsiva di una costituzione “in atto”, cioè 47 In questo trascenderebbe tanto l’opposizione innato/acquisito quanto la dualità corpo/mente.

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come si installa, nel percorso patemico del soggetto, il terreno fa­ vorevole allo sbocciare della passione. Nella configurazione dell’avarizia si incontrano più volte figure che, senza essere a loro volta passioni, appaiono come condizioni presupposte, come, appunto, il terreno sul quale la sensibilizza­ zione potrà operare; così la sensibilizzazione del dispositivo mo­ dale dell’avarizia è immaginabile solo se un certo “attaccamento” lega il soggetto agli oggetti; nello stesso modo la generosità pre­ suppone una forma di distacco. L’attaccamento e il distacco inter­ vengono anche quando il dispositivo modale non è installato e, a fortiori, quando non è sensibilizzato. Entrambi caratterizzano la relazione tra il soggetto e il mondo, indipendentemente da qua­ lunque oggetto di valore o anche da un sistema di valori particola­ ri. In un certo senso l’attaccamento e il distacco definirebbero due diversi modi, per un soggetto che non conosce ancora gli oggetti di valore, di entrare in rapporto con i significanti del mondo na­ turale, una volta questi interiorizzati. In mancanza di oggetti e di sistemi di valori, il soggetto si troverebbe a che fare soltanto con quelle “ombre di valore” che gli propone la fiducia, e l’attacca­ mento o il distacco sarebbero due posizioni estreme sulla grada­ zione continua della fiducia. Ma nella configurazione che ci interessa più da vicino l’attacca­ mento come il distacco occupano una posizione nel percorso sin­ tattico del soggetto, e non solo nella costruzione teorica; in effetti essi sono presupposti dalle figure propriamente passionali e pos­ sono essere manifestati nel discorso allo stesso titolo che la sensi­ bilizzazione. Mme de Bargeton non sarebbe diventata avara e non sarebbe spaventata dal tenore di vita parigino se non vi fosse stata prepa­ rata precedentemente. Il fatto è che, se pure il cambiamento del contesto è sufficiente a trasformarla in avara dal punto di vista del­ l’osservatore sociale, non può spiegare da solo l’apparizione di nuove passioni (inquietudine, spavento, timore) nel suo percorso discorsivo; in altri termini, la sensibilizzazione che osserviamo non fa altro che attualizzare nel discorso una proprietà del soggetto, precedente a quest’ultima e della stessa natura dell’“attaccamen­ to” o del “distacco”. Se guardiamo più attentamente, possiamo trovare una traccia di una tale proprietà: “le usanze della provin­ cia avevano finito per reagire su di lei”; la spiegazione fornita da Balzac non può ridursi all’allestimento di un ruolo tematico per opera della ripetizione; in effetti le “usanze” sono “abitudini” co­ dificate e integrate in una cultura e non si confondono con la ri-

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petizione; è un fatto che il ruolo tematico del “cacciatore” si co­ struisce per apprendimento e ripetizione, ma non per questo esso induce ipso facto una “abitudine” e “usanze”. Ritroviamo a questo punto la héksis, il che permette di dire che Mme de Bargeton è “costituita” per essere avara prima ancora di diventarlo e che la sensibilizzazione propriamente detta, provoca­ ta dal cambiamento di contesto discorsivo, trae origine da questo stato preliminare. L’abitudine, beninteso, è solo una delle forme possibili (acquisita, in questo caso) della costituzione del soggetto della passione.

Abbozzo di un percorso patemico La costituzione si presenta, indipendentemente dal suo caratte­ re “acquisito” o “innato”, come una predisposizione generale del soggetto discorsivo nei confronti dei percorsi passionali che lo at­ tendono, definendo il suo modo di accedere al mondo dei valori e selezionando in anticipo determinate passioni piuttosto che altre. Risalendo il corso della sintassi discorsiva a partire dalla manife­ stazione passionale, incontriamo allora in successione: la sensibi­ lizzazione, che si applica a una disposizione, la quale a sua volta è il prolungamento di una costituzione. Nell’altro senso si può ragio­ nare solo in termini di probabilità: Mme de Bargeton avrebbe po­ tuto subire l’influenza delle usanze e delle abitudini provinciali senza per questo acquisire una vera e propria disposizione all’ava­ rizia; tale disposizione avrebbe potuto non essere mai sensibilizza­ ta, se il cambiamento di contesto non fosse intervenuto. La sintas­ si discorsiva del soggetto della passione si stabilisce dunque, prov­ visoriamente, nel seguente modo:

COSTITUZIONE---- > DISPOSIZIONE----> SENSIBILIZZAZIONE

La moralizzazione

Dall’etica all’estetica Nella configurazione dell’avarizia numerosi giudizi etici segna­ lano l’attività di un attante valutatore. Tali giudizi moralizzano comportamenti che, di per se stessi, sarebbero neutri; l’economo

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è un ruolo non moralizzato, o valutato positivamente, e l’avaro è valutato negativamente; il comportamento cosiddetto “interessa­ to” è valutato negativamente nella configurazione che stiamo stu­ diando, mentre viene valutato positivamente in economia politica a partire da A. Smith, tra gli altri, ma anche in pedagogia, dove viene considerato una chiave del successo. La moralizzazione può imboccare altre strade oltre a quelle del­ l’etica o della giustizia. Il dandysmo riorganizza l’universo passio­ nale intorno a un saper-essere 4S mettendolo in opposizione con i valori economici borghesi, organizzati essenzialmente intorno al­ l’utilità; in questo senso tutte le passioni vengono allora giudicate in funzione del “mantenimento” o della “tenuta” che permettono di controllarne le manifestazioni; la valutazione del saper-essere poggia in questo caso su un’estetica della vita quotidiana. Nello stesso modo, ma con altri riferimenti, il “galantuomo” deve, nella Francia dell’epoca classica, dar prova di una qualità che, in man­ canza di un lessema adeguato, si designa con una perifrasi: “Il ga­ lantuomo non si picca di nulla”. Avremmo a che fare in questo ca­ so con un saper-non-essere valutato positivamente che permette di non esprimere passioni e che partecipa anch’esso a un progetto estetico applicato alla vita interiore. In realtà la moralizzazione introduce nell’universo passionale un relativismo più generale che fa problema. Nelle definizioni dei dizionari si incontrano giudizi morali che stabiliscono soglie su una scala di intensità, una scala orientata che permette di decide­ re dell’eccesso o dell’insufficienza, a seconda che ci si collochi al di là o al di qua della soglia; il desiderio, l’attaccamento, il senti­ mento o l’inclinazione vengono allora qualificati, nella configura­ zione che stiamo esaminando, come “vivi”, “eccessivi”, “bassi” ecc. Ma si arriva presto a una impasse poiché, per questi stessi di­ zionari, la “passione” è già definita in quanto tale da un eccesso: moralizzare in funzione dell’eccesso o dell’insufficienza vorrebbe allora dire semplicemente riconoscere che tale o talaltro dispositi­ vo modale appartiene o non appartiene a un registro passionale, il che risulta un’inutile ripetizione rispetto alla sensibilizzazione. 48 Bisognerà aver cura di distinguere tra un saper-essere, che si potrebbe parafrasare co­ me “sapere che verte sul contenuto deU’esscre”, c un saper-essere, che potrebbe essere pa­ rafrasato come “saper organizzare c presentare l’essere"; si tratterebbe, insomma, della dif­ ferenza tra la conoscenza e la tenuta. Paragonata alle modalizzazioni del fare, la prima ver­ sione del saper-essere corrisponderebbe a un “sapere che verte sul contenuto del lare", e la seconda versione al saper-fare definito come abilità. Il saper-essere che ci interessa qui, quel­ lo della seconda accezione, è una forma dell’intelligenza sintagmatica, proprio come il saperfare nella sua accezione più corrente.

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Dal punto di vista dell’osservatore sociale la moralizzazione pre­ suppone e ricopre la sensibilizzazione, ma non è una buona ragio­ ne per confonderle. Delle passioni socializzate Per meglio capire la moralizzazione possiamo interrogarci pri­ ma di tutto su colui che ne è responsabile. Di solito, quando si in­ contra in semiotica una valutazione sul fare o sull’essere di un sog­ getto, si cercano le tracce di un Destinante-giudicatore e si consi­ dera che il suo fare giudicativo appartenga alla fase terminale del­ lo schema narrativo canonico. Ma qui non abbiamo a che fare con lo schema narrativo canonico, e il percorso del soggetto della pas­ sione si trova preso all’interno di un simulacro che vieta di trattar­ lo come un percorso narrativo classico. Inoltre il giudizio può por­ tare sulle forme passionali della competenza, sulla disposizione stessa, prima di qualunque passaggio all’atto: si parlerà di “cattivi sentimenti”, di “tendenza meschina”. Se il fare dell’economo vie­ ne giudicato solo in quanto fare, dal punto di vista della sua effi­ cacia e della sua opportunità, lo stesso non avviene per l’avaro; quest’ultimo sarà giudicato sull’esistenza, all’interno della sua competenza, di una disposizione passionale in eccedenza: per questo Mme de Bargeton, addirittura prima di avere avuto il tem­ po di spendere o di economizzare il benché minimo franco a Pari­ gi, verrà giudicata sulla base della sola apprensione che manifesta, cioè sulla base della sua capacità di rappresentarsi nell’atto di spendere o di economizzare. Non è più il fare o l’essere che viene giudicato, bensì un modo di fare o un modo d’essere; la sfumatu­ ra talvolta è minima, in pratica, ma fa tutta la differenza: riguarda un certo arrangiamento modale e una maniera di manifestarlo. Di conseguenza il responsabile del giudizio non può essere, in senso stretto, un Destinante-giudicatore che dovrebbe soltanto giudicare della riuscita e della conformità del fare. Abbiamo visto Pattante valutatore confondersi con un Destinatario frustrato (la taccagneria, la dissipazione) o con un Destinatario soddisfatto (la generosità). Simili osservazioni spingono a pensare che Pattante valutatore possa essere uno qualunque dei partner potenziali del soggetto della passione all’interno della configurazione; ma que­ sto equivale a dire — dato che ogni passione è per principio valu­ tabile e moralizzabile, e che il valutatore appartiene alla configu­ razione allo stesso titolo che il soggetto appassionato - che non c’è

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passione solitaria. Qualunque configurazione passionale sarebbe intersoggettiva, con al suo interno almeno due soggetti: il sogget­ to della passione e il soggetto che si assume la moralizzazione. Il carattere intersoggettivo delle passioni - o, più in generale, interattanziale - non si limita alla messa in discorso e all’interven­ to dell’osservatore sociale. L’analisi delle modulazioni soggiacenti alla configurazione dell’avarizia ha messo in evidenza l’esistenza di forze coesive e di forze dispersive, tra le quali equilibri e dise­ quilibri instabili tracciavano il posto dei valori collettivi e indivi­ duali. La scissione del proto-attante dallo spazio tensivo libera in questo modo forze avversative che possiamo interpretare come la prefigurazione degli attanti: possiamo parlare in questo caso di interattanti. Al momento della convocazione in discorso, se la configurazio­ ne è organizzata esclusivamente dal punto di vista del soggetto ap­ passionato, solo la sensibilizzazione viene manifestata; e se la con­ figurazione è organizzata dal punto di vista di un osservatore so­ ciale, appare la moralizzazione, la quale nello stesso tempo pre­ suppone e maschera la sensibilizzazione. La stratificazione del discorso morale Inoltre, dopo aver constatato l’instabilità dell’attante osservato­ re, ci si potrebbe chiedere se essa non deriva dalla natura delle va­ lutazioni stesse. In realtà questa instabilità si spiega in gran parte con la sovrapposizione dei criteri di valutazione. Nelle definizioni del dizionario, per esempio, si nota che una data passione può es­ sere valutata negativamente perché poggia su un’opinione errata come la vanità o l’avere delle pretese - o perché è semplicemente eccessiva - come l’orgoglio; un’altra può essere valutata positivamente perché è fondata su un’opinione giusta (la stima). Da un ca­ so all’altro il valutatore stabilisce il suo giudizio a partire da con­ dizioni veridittive (il falso per la vanità, ma anche per la spilorce­ ria, il segreto per l’ipocrisia), epistemiche (per la sufficienza o la presunzione), aspettuali (l’eccesso) ecc. Ma, qualunque sia la cate­ goria modale in nome della quale viene enunciato il giudizio, il motivo che sembra suscitare il giudizio stesso è sempre dell’ordi­ ne del “troppo” o del “troppo poco”. L’avaro e l’avido desiderano troppo forte, il dissipatore spende troppo, lo spilorcio economiz­ za cose troppo piccole, il taccagno estende troppo la propria spi­ lorceria; il vanitoso e l’orgoglioso hanno una 1troppo buona opi-

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nione di loro stessi, il fatuo e il presuntuoso la mostrano in modo troppo evidente. Tutto avviene come se il fondamento tensivo degli universi pas­ sionali tornasse in superficie assumendo l’apparenza di una cate­ goria modale e/o aspettuale; i giudizi etici si impadroniscono del­ le modalizzazioni (veridittive, epistemiche, volitive, deontiche ecc.) e delle aspettualizzazioni per proiettarvi scale di intensità do­ tate di soglie e per riattualizzarvi le modulazioni tensive. L’osservatore sociale ha dunque accesso diretto soltanto a ruoli etici, i quali, a seconda dei casi, ricoprono ruoli epistemici, ruoli veridittivi, ruoli deontici, riformulati nella maggior parte dei casi come ruoli patemici. Sembra tuttavia che al di qua di tutti questi ruoli egli si interessi più in particolare al senso della misura. La va­ lutazione delle passioni, allora, mette in luce un criterio soggia­ cente a tutte le assiologie sovrapposte e rinvia, come abbiamo già suggerito, a una regolazione del divenire. Una volta riconosciute la diversità e la stratificazione dei siste­ mi di riferimento della moralizzazione, si capisce meglio anche il ruolo dell’osservatore stesso: la sua “instabilità” è di per se stessa funzionale. In effetti, grazie alla variazione dei punti di vista adottati e a quella dei sincretismi nei quali può entrare il valutatore con gli attanti di una data configurazione passionale, il sog­ getto d’enunciazione fa luce ora sull’una ora sull’altra passione, esplora la combinatoria e la tassonomia in maniera tale da far apparire gli arrangiamenti modali riconosciuti in una data cultu­ ra e in modo da poter aggiungere loro, in vista della moralizza­ zione, le assiologie proprie di tale o talaltro partner del soggetto della passione. L’instabilità della valutazione e la sovrapposizione apparente­ mente aleatoria delle assiologie di riferimento non devono tut­ tavia impedirci di considerare la moralizzazione come una di­ mensione autonoma del discorso, poiché, malgrado le apparen­ ze, le condizioni di questa autonomia sono tutte date. In effetti la moralizzazione è garantita da un attante che, pur appartenen­ do alla configurazione passionale, non per questo è meno indi­ pendente da essa di quanto lo sia il soggetto della passione. Inoltre essa non deve nulla all’orientamento delle traiettorie esi­ stenziali o alla polarizzazione tunica. Da un lato l’avidità (realiz­ zazione) come la dissipazione (attualizzazione) sono ugualmente condannate; dall’altro il risparmio (potenzializzazione) come il disinteresse (virtualizzazione) sono ugualmente valorizzati. La tristezza può essere molto morale - quando testimonia, per

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esempio, di un lutto sincero — e l’assenza di reazione, l’atimìa, può essere tanto violentemente rimproverata a Meursault in Lo straniero quanto caldamente consigliata al galantuomo del clas­ sicismo francese. I ruoli etici sarebbero dunque altrettanto indipendenti dai ruo­ li modali quanto i ruoli patemici dai ruoli tematici, e tale indipen­ denza tradurrebbe l’esistenza di un’isotopia che è loro propria e comune: l’isotopia della misura. I ruoli etici sarebbero, in una cul­ tura data, i termini di una tassonomia connotativa coestensiva a quella della sensibilizzazione, ma che presenterebbe un taglio dif­ ferente. La sovradeterminazione morale dei dispositivi modali passionali “perverte” in un certo senso la tassonomia dei ruoli pa­ temici redistribuendoli in vizi e in virtù, sia esplicitamente, e il ruolo viene allora considerato come una “qualità” o un “difetto” nel discorso, sia implicitamente, grazie alla proiezione dei semi “migliorativi” o “peggiorativi”. L’insieme di tali distorsioni, in un testo o in un corpus di testi, apparirà come una deformazione coe­ rente dell'universo passionale, la quale può essere costruita duran­ te l’analisi come una isotopia morale', il ricorrere degli stessi criteri di giudizio (cioè di un medesimo tipo di scala di intensità, di una medesima posizione attanziale di valutazione) garantisce allora una lettura omogenea dell’universo morale del soggetto dell’e nunciazione. Lo sdoppiamento del campo analizzato consente di prendere i considerazione lo studio, nel quadro dei linguaggi di connotazio ne, del discorso morale: un discorso che verte sulla misura e sul­ l’eccesso, sulla lucidità e sull’illusione, sulla discrezione e sull’in­ discrezione delle manifestazioni passionali e, più in generale, sul rispetto delle regole e dei codici impliciti in vigore in una data cul­ tura. Lo studio del discorso morale, parallelamente a quello del discorso passionale, sfocia su una classificazione delle culture nel­ la misura in cui, dato che i dispositivi modali restano le costanti, la sensibilizzazione e la moralizzazione che le influenzano costitui­ scono due classi di variabili grazie alle quali le culture - le aree e le epoche - si distinguono.

La moralizzazione del comportamento osservabile Rispetto al percorso della costruzione teorica, la moralizzazio­ ne sembra quindi poggiare su una regolazione del divenire socia­ le, su assiologie modelli sovrapposte (a livello semio-narrativo) e

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sul senso della misura (a livello discorsivo). Come la sensibilizza­ zione, anch’essa può essere considerata un’operazione discorsiva. Per coglierne il ruolo nel percorso discorsivo del soggetto appas­ sionato possiamo ora partire da alcune passioni moralizzate in ma­ niera particolarmente forte, come la taccagneria, nella configura­ zione dell’avarizia, e la vanità, in quella della stima. Sia l’una che l’altra sono valutate attraverso manifestazioni parallele al percorso passionale principale. Al trattenimento dei beni, nocciolo modale e aspettuale della passione, si aggiungono manifestazioni “sordi­ de”, vale a dire una maniera di essere avari qualificata come “bas­ samente interessata”. All’opinione sovrastimata del proprio valo­ re il vanitoso aggiunge manifestazioni “esagerate”: non solo è ille­ gittimamente soddisfatto di se stesso, cosa che costituisce il noc­ ciolo modale della passione, ma, inoltre, egli “mette in mostra” questa soddisfazione; si tratta, in parallelo alla “confessione di in­ teresse”, della confessione ostensibile della soddisfazione di sé, tradotta in modo specifico dai parasinonimi: fatuità, sufficienza, pretesa. Moralizzando la passione si valuta non soltanto una certa ma­ niera di fare o di essere, ma anche una certa maniera di essere ap­ passionato, poiché nella vanità, per esempio, un primo ruolo etico viene definito, in un certo senso indipendentemente dalla manife­ stazione passionale, a partire da una valutazione veridittiva (l’opi­ nione sovrastimata) e un secondo a partire dalla manifestazione passionale vera e propria (l’esagerazione). La moralizzazione se­ condo il senso della misura presuppone dunque che il percorso discorsivo del soggetto appassionato sia compiuto, che le sue con­ seguenze siano manifestate e osservabili sotto forma di figure di comportamento. Nei nostri due esempi, la taccagneria e la vanità, la condanna ha di mira più in particolare l’ostentazione di queste figure di comportamento; l’ostentazione potrebbe essere interpre­ tata come il confronto (intersoggettivo) tra il voler-far-sapere (nel caso della vanità) o il non-poter-non-far-sapere (nel caso del tacca­ gno) del soggetto della passione, da una parte, e il non-voler-sapere del valutatore, o quantomeno dell’interattante di cui egli adotta la posizione, dall’altra. La moralizzazione in questo caso influen­ zerebbe ancora delle modalizzazioni, ma solo quelle che riguarda­ no le proprietà informative del comportamento passionale; si trat­ ta, in realtà, delle modalizzazioni interattive della coppia informa­ tore/osservatore. Mme de Bargeton non sfugge a questa regola: dopo la sensibi­ lizzazione che le procura una grande varietà di passioni seconda-

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rie innestate sull’avarizia, ella manifesta suo malgrado la ripugnanza che le ispirano le grandi spese:

[...] temeva già di non avere abbastanza e di fare dei debiti. Chàtelet la informò che il suo appartamento le costava solo seicento franchi al mese. - Una miseria, disse vedendo il sussulto che fece Naìs. Avete a vostra dispo­ sizione una vettura per cinquecento franchi al mese, che in tutto fa cinquan­ ta luigi. Vi rimarrà solo da pensare alla vostra toilette. Una donna che fre­ quenta il gran mondo non potrebbe cavarsela altrimenti. [...] Qui si dà solo ai ricchi.49 Il comportamento osservabile, un “sussulto”, è una splendida occasione per l’osservatore, Chàtelet, che si lancia in una sorta di lezione di morale sociale alla parigina. Si capisce allora retro­ spettivamente che il giudizio di avarizia, ripreso dal soggetto d’e­ nunciazione, è in realtà addotto dallo stesso Chàtelet all’interno dell’interazione enunciata; l’osservatore sociale entra in questo caso in sincretismo con uno dei partner del soggetto appassiona­ to, non nella configurazione dell’avarizia, ma in quella della se­ duzione, che qui si trova implicata nella precedente. Il sussulto è il messaggio finale che emana dal percorso passionale di Mme de Bargeton, messaggio messo in circolazione nell’interazione e su­ scettibile, come in questo caso, di fornire un appiglio alla strate­ gia manipolativa dei partner. La natura della risposta di Chàte­ let, la lezione di morale economica, inscrive esplicitamente que­ sto “sussulto” su un’isotopia morale. L’esempio scelto si compone dunque di due segmenti: il com­ portamento manifestato e la moralizzazione che lo segue; il com­ portamento manifesta la congiunzione del soggetto della passio­ ne con l’oggetto timico (la disforia, nel nostro caso) e la moraliz­ zazione sopraggiunge a sanzionare questa congiunzione. Il com­ portamento passionale appartiene alla classe delle manifestazioni somatiche della passione: rossore, pallore, angoscia, sussulto, contrazione, tremore ecc. Possiamo decidere di chiamare emo­ zioni tali manifestazioni. L’effetto di “irruzione” del somatico sulla superficie del discorso, che caratterizza molto in generale l’emozione, deriva dal ré-embrayage sul soggetto tensivo che noi abbiamo postulato per giustificare l’installazione del simulacro passionale nel discorso: convocando nella catena discorsiva le modulazioni del sentire e del divenire, il ré-embrayage prepara l’irruzione somatica dell’emozione; è infatti in questo preciso 49 Op. di., p. 175; corsivo nostro.

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momento del percorso passionale che il soggetto del sentire ri­ corda che ha un corpo.

L1abbozzo dello schema patemico (sèguito)

Siamo ora in grado di affrontare nel suo insieme, e a titolo di ipotesi di lavoro, lo schema patemico che lo studio dell’avarizia permette di ricostituire e che supponiamo organizzi la sintassi passionale discorsiva in generale. La moralizzazione interviene alla fine della sequenza e verte sul­ l’insieme di essa, ma più in particolare sul comportamento osser­ vabile. Presuppone dunque la manifestazione patemica, chiamata emozione, la cui apparizione nel discorso segnala il fatto che la giunzione tùnica è compiuta e viene data la parola al corpo pro­ prio. La sensibilizzazione è presupposta dall’emozione: è la tra­ sformazione tùnica per eccellenza, l’operazione con la quale il soggetto discorsivo è trasformato in soggetto sofferente, sentente, reagente, commosso. Presuppone anch’essa quella programma­ zione discorsiva che abbiamo chiamato disposizione e che risulta dalla convocazione dei dispositivi modali dinamizzati e seleziona­ ti dall’uso; mette in opera una aspettualizzazione della catena mo­ dale e uno “stile semiotico” caratteristico del fare patemico. La cotituzione determina infine, all’inizio della sequenza, l’essere del soggetto, per far sì che egli sia in grado di accogliere la sensibiliz­ zazione; questa tappa richiede la postulazione, al livello del di­ scorso, di una determinazione del soggetto discorsivo precedente a ogni competenza e a ogni disposizione: un determinismo - so­ ciale, psicologico, ereditario, metafisico, poco importa - presiede allora all’instaurazione del soggetto appassionato. Il simulacro passionale, che è per definizione riflessivo, dato che il soggetto vi proietta la propria traiettoria esistenziale e la propria disposizione modale, non ricopre per questo la totalità della sequenza: si entra nel simulacro con la disposizione e se ne esce con l’emozione; la costituzione, per il fatto di supporre una sorta di necessità esterna sulla quale il soggetto appassionato non ha nessun controllo, e la moralizzazione, per il fatto di mettere in opera una valutazione esterna, sono tappe transitorie della se­ quenza e non appartengono al simulacro passionale propriamente detto. Tutte queste proposte devono senza dubbio essere precisa­ te e ulteriormente convalidate in vista della loro eventuale genera­ lizzazione.

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Note finali

Sia dal punto di vista della teoria che da quello del metodo lo studio della moralizzazione presuppone quello della sensibilizza­ zione. In effetti, nella misura in cui si ammette che la moralizza­ zione interviene alla fine del percorso, essa ne segnala il compi­ mento. Se ci si colloca in una prospettiva di costruzione dell’atto­ re, la moralizzazione ne è la fase finale: qualunque giudizio etico presuppone, non importa se a torto o a ragione, che l’attore abbia “fatto le sue prove” e che abbia mostrato di cosa è capace; la mo­ ralizzazione comporta quindi di per se stessa sia il tratto termina­ tivo sia il tratto compiuto. Avviene tutto come se, al momento in cui interviene il giudizio etico, l’attore fosse arrestato nel suo svi­ luppo, fissato nell’ultima immagine che il giudizio seleziona per produrre un ruolo etico. D’altra parte il giudizio morale che verte sulle figure di com­ portamento presuppone una disposizione del soggetto, senza la quale le figure in questione potrebbero sembrare accidentali e senza rapporto con l’essere del soggetto. La moralizzazione può solo impadronirsi di comportamenti osservabili che presuppon­ gono una disposizione; a questo fine è necessario che venga rico­ nosciuta preliminarmente una intenzionalità della passione, sot­ to forma di un’immagine-scopo e di un dispositivo modale sensi­ bilizzato. Per questo insieme di ragioni la moralizzazione pre­ suppone la sensibilizzazione, ed è la ragione per cui lo studio del discorso morale si fonda sulla conoscenza degli universi passio­

nali. In quanto procedure costitutive delle tassonomie culturali, la sensibilizzazione e la moralizzazione svolgono anche un ruolo nel­ la regolazione dell’intersoggettività. Infatti, classificando gli attori in funzione dei ruoli patemici e dei ruoli etici che essi possono in­ terpretare sulla scena della comunicazione, queste due procedure consentono di prevedere il comportamento degli individui. Nelle relazioni sociali o interindividuali la conoscenza delle tassonomie passionali e morali permette a ciascuno di anticipare le condotte altrui e di adattare le proprie: il soggetto identificato come “colle­ rico”, “avaro”, “prodigo” o “credulo” offre un appiglio alla mani­ polazione nella misura in cui, dato che la sintassi del suo percorso è nota in anticipo, strategie e controstrategie possono essere in gran parte programmate fin dall’inizio dell’interazione. Poiché i ruoli patemici e i ruoli etici non possono essere ricostruiti per pre­ supposizione a partire dalla performanza, ma solo conservati “in

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blocco” nella memoria di una cultura, essi mostrano direttamente le “istruzioni per l’uso” del soggetto, e l’osservatore-manipolatore dotato della griglia culturale adeguata può allora adoperare la chiave modale più appropriata. La sensibilizzazione e la moraliz­ zazione non sono dunque soltanto procedure di descrizione, ma vere e proprie operazioni disponibili per gli attanti dell’enunciato e dell’enunciazione; anche le tassonomie culturali che esse contri­ buiscono a costruire rappresentano una delle poste in gioco delle strategie di comunicazione: sono esse che presiedono in gran par­ te allo scambio dei simulacri, e colui il quale ha il controllo delle tassonomie passionali in una interazione può intervenire a monte su questo scambio. NOTE SULLA MESSA IN DISCORSO DELL’AVARIZIA

Costruire la configurazione dell’avarizia significa nello stesso tempo costruire le fondamenta semio-narrative di un universo passionale e tener conto di ciò che pertiene alla messa in discorso. Avendo constatato che la maggior parte delle teorie delle passioni restavano legate a universi discorsivi particolari, ci era parso po­ co ragionevole voler produrre una teoria di più la quale, in nome della trascendenza e della deduzione, avrebbe come le altre razio­ nalizzato e sistematizzato una tassonomia legata a una cultura par­ ticolare. Ma il prezzo da pagare, per quel che riguarda il metodo, non è da poco: a partire da manifestazioni discorsive, e sullo sfon­ do di un numero esiguo di ipotesi teoriche, occorre liberare pro­ gressivamente ciò che appartiene (a titolo di ipotesi) agli universa­ li e ciò che appartiene alla messa in discorso. Non è questo il luogo per ricostruire la teoria del discorso, ma solo per comprendere come si articolano tra loro le diverse istan­ ze che sono comparse durante lo studio dell’avarizia e della sua configurazione. Prima di tutto, al livello della tensività forica, po­ che modulazioni determinano “stili semiotici” all’interno di un principio generale di circolazione del valore. In seguito, al livello semio-narrativo, alcuni percorsi esistenziali e alcuni dispositivi modali sensibilizzati, fissati e immagazzinati come “primitivi”, co­ stituiscono la base sintattica degli effetti di senso passionali. Infi­ ne, a livello discorsivo, la convocazione delle grandezze preceden­ ti suscita immagini-scopo e disposizioni che si riuniscono per for­ mare simulacri passionali.

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La prassi enunciazionale La difficoltà principale, nel trattamento degli universi passio­ nali, riguarda il ritorno ostinato dell’istanza culturale, la quale in­ terviene quasi ovunque e a tutti i livelli. L’abbiamo incontrata na­ turalmente a livello discorsivo, con le due operazioni di sensibiliz­ zazione e moralizzazione, caratteristiche della prassi enunciazio­ nale nel campo preso in esame, ma anche a livello semio-narrativo in virtù della selezione che essa opera, di ritorno, fra tutti i dispo­ sitivi modali immaginabili. Ma, cosa meno sospettabile, sembra che essa si manifesti anche a livello delle precondizioni tensive; le modulazioni caratteristiche della configurazione studiata, in effet­ ti, sembrano inseparabili da una componente quantitativa, in mo­ do tale che la posta in gioco delle tensioni che si creano tra le for­ ze coesive e le forze dispersive risiede nella stabilizzazione di un aitante collettivo; inoltre, in questo caso, il divenire è oggetto di un’interpretazione restrittiva che lo riduce a un principio di circo­ lazione di un flusso di valori in seno alla comunità. D’altra parte né la sensibilizzazione né la moralizzazione ottengono una spiega­ zione sufficiente senza che si faccia riferimento a tale o talaltro fe­ nomeno appartenente al livello epistemologico, qual è, tra gli altri, la “héksis sensibile”. Abbiamo considerato fino ad ora, come ipotesi di lavoro, che la prassi enunciazionale potesse risolvere tutte queste difficoltà; in effetti essa è sufficiente, grazie al va e vieni tra il semio-narrativo e il discorsivo, per spiegare come le tassonomie connotative, elabo­ rate prima di tutto dall’uso, si integrano poi alla “lingua” instal­ lando in essa dei primitivi. Ma sembrerebbe che la cultura inter­ venga anche in un altro modo: se si ammette che l’esistenza se­ miotica si costituisce grazie all’omogeneizzazione dell’interocettivo e dell’esterocettivo da parte del propriocettivo, si afferma nel­ lo stesso tempo l’esistenza di macrosemiotiche del mondo naturale che in un certo senso attendono il soggetto della perce­ zione per diventare significanti. Ora, le “morfologie” del mondo naturale non sono solo fisiche o biologiche; sono anche, tra l’altro, sociologiche ed economiche, cioè, in un certo senso, specifiche delle aree culturali e delle epoche storiche. In altri termini, i signi­ ficanti del mondo che sono integrati all’esistenza semiotica da par­ te della percezione non sarebbero tutti “naturali”, e l’orizzonte dell’essere che si disegna dietro la tensività forica sarebbe in parte determinato culturalmente, o meglio economicamente, come nel caso di cui ci stiamo occupando.

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Così, nella configurazione dell’avarizia, sembrerebbe che le tensioni, prima ancora della categorizzazione e della formazione degli attanti sintattici, subiscano già in parte la torsione dovuta a ! ' che abbiamo " ' " ...................... quello chiamato il' “flusso circolante del valore”, illi quale sarebbe come la traccia lasciata sull’orizzonte ontico dalle determinazioni socio-economiche. D’altra parte nulla vieta di pensare che questa torsione risulti anche dall’uso e dalla prassi enunciazionale; questa, in effetti, può agire sulla presenza di pri­ mitivi culturali a livello semio-narrativo solo stereotipizzando i prodotti della convocazione in discorso: le grandezze convocate vengono selezionate, modellate, dall’uso e rinviate nella memoria semio-narrativa. Si potrebbe immaginare che la stessa cosa avven­ ga a livello tensivo, dato che anch’esso è oggetto di “convocazio­ ni” nel discorso: è in questo modo che abbiamo concepito gli stili semiotici. Se torniamo ora alla messa in discorso propriamente detta, do­ vremo distinguere due ordini di fenomeni: da un lato, un insieme di fenomeni relativamente ben conosciuti in semiotica, come l’at­ torializzazione o l’aspettualizzazione, sui quali lo studio dell’avari­ zia e della sua configurazione getta una nuova luce; dall’altro lato, un altro insieme di fenomeni, poco o mal conosciuti, come lo schema patemico canonico o i simulacri passionali, sui quali par­ rebbe prudente raccogliere ulteriori informazioni, in particolare attraverso lo studio della gelosia, prima di prendere posizione. Per quanto riguarda i primi possiamo fin d’ora tentare un bilancio provvisorio. L’attorializzazione: ruoli tematici e ruoli patemici L’attorializzazione è una procedura che consiste nel proiettare, tramite débrayage, attori che hanno lo statuto del “non-Io” e che riceveranno investimenti sintattici, sotto forma di ruoli attanziali e modali, e investimenti semantici, sotto forma di ruoli tematici. È all’interno di questa procedura molto generale che conviene inter­ pretare la comparsa dei ruoli patemici e dei ruoli etici. Rispetto ai ruoli attanziali, il cui concatenarsi obbedisce alla successione delle prove e delle modalizzazioni, il ruolo patemico appare globalmente come un segmento del percorso attanziale, segmento dinamizzato dalla sintassi intermodale; l’enunciazione dovrà ricorrere, per la messa in discorso, a questi segmenti già £at-

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ti, stereotipati, per manifestare le zone sensibilizzate del percorso attanziale. Rispetto ai ruoli tematici, che possiamo encatalizzare a partire dalla disseminazione dei contenuti semantici, sullo sfondo di un percorso tematico, il ruolo patemico sarà un segmento sensibiliz­ zato del percorso tematico, il quale è già di per se stesso uno ste­ reotipo. In entrambi i casi l’attore è investito di segmenti di ruoli sensibilizzati e moralizzati. Tuttavia la distinzione tra ruoli temati­ ci e ruoli patemici presenta spesso difficoltà e merita un esame più approfondito. Tenuto conto delle analisi che precedono, è possibile rintrac­ ciare una prima differenza che ha a che fare con l’orientamento delle procedure di costruzione. Tra l’avaro e l’economo non c’è differenza di competenza se si esamina solo il contenuto delle mo­ dalità in questione, ma ne appare una non appena si prende in considerazione la procedura. In effetti, per l’analista, la compe­ tenza dell’economo è esclusivamente retrospettiva: l’economo è colui di cui si sa soltanto alla fine, tenuto conto dei risultati otte­ nuti, che è capace di moderare le sue spese; al contrario quella del­ l’avaro sembra prospettiva, nella misura in cui l’avaro è colui di cui si può prevedere, prima di qualunque risultato, che non spen­ derà. Ma le cose sono più complesse, perché il ruolo tematico com­ porta anch’esso una programmazione discorsiva dell’attore, e dunque un fattore di previsione. La differenza, un po’ troppo sot­ tile per essere operativa, riguarda il fatto che il ruolo patemico è prospettivo nel momento stesso della sua costruzione, mentre il ruolo tematico lo diventa dopo la sua costruzione. Si potrebbe, forse con maggior fortuna, interrogarsi sull’aspettualizzazione di ciascun tipo di ruoli. La competenza dell’econo­ mo si manifesta solo se la situazone vi si presta, quando si presen­ ta l’occasione di fare economie; la competenza dell’avaro è sempre manifestabile, indipendentemente dalla situazione narrativa, per esempio in una fisionomia, in una mimica, in una gestualità, poi­ ché il ruolo patemico modifica l’attore nella sua totalità. Il ruolo tematico è iterativo e il ruolo patemico è permanente; per questo cercheremo, nella descrizione dell’avaro, di reperire sul suo volto, nei suoi sguardi, manifestazioni della passione, mentre non ver­ rebbe in mente a nessuno di scrutare la fisionomia di un economo per scoprirvi tracce delle sue capacità. La spiegazione è relativamente semplice: la manifestazione del ruolo tematico obbedisce strettamente alla disseminazione del te-

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ma all’interno del discorso, mentre quella del ruolo patemico ob­ bedisce alla logica dei simulacri passionali, a una disseminazione immaginaria indipendente dal tema. Una tale distinzione dovrebbe consentire non solo di differen­ ziare tra loro i due tipi di ruoli, ma anche di reperire nel discorso il passaggio dal tematico al patemico: quando il ricorrere del ruo­ lo sembra anarchico, cioè dal momento in cui non obbedisce più alla disseminazione del tema, possiamo pensare di avere a che fa­ re con un ruolo patemico; l’economo diventa avaro dal momento in cui la resistenza alla circolazione dei valori interviene nel di­ scorso “a sproposito”, là dove non ce lo si aspettava. Questa par­ ticolarità aspettuale riguarda tanto la permanenza che caratterizza qualunque disposizione quanto la forma ossessiva che può assu­ mere una passione come l’avarizia.50 Come nell’apprendimento, la ricorrenza del fare e la ricorrenza modale sono costitutive del ruolo tematico: è attraverso la ripeti­ zione, il controllo e l’intervallo dei fare che l’economo apprende il suo ruolo.

NB Bisognerebbe distinguere qui la “ricorrenza” dall’aspetto “iterativo”. L’a­ varo è un ruolo “permanente”, mentre il collerico è un ruolo “iterativo”: si tratta in questo caso dell’aspettualizzazione interna del ruolo e l’opposizione “permanente/iterativo” ha un valore distintivo per le due figure. Ma sia l’ava­ ro che il collerico, in quanto stereotipi, presentano entrambi una ricorrenza funzionale che permette di identificare il ruolo come una classe di comporta­ menti. E la ricorrenza funzionale che assicura la prevedibilità del comporta­ mento. In un certo senso e su un’altra dimensione le classi di comportamen­ ti, tematici o passionali, sono omologhe alle classi funzionali di Propp. La ricorrenza che produce stereotipi permetterebbe anche di ridefinire alcuni termini della nomenclatura passionale delle lin­ gue naturali come, per esempio, il “carattere” e il “temperamen50 È notevole, per esempio, il fatto che un ruolo come quello di “madre" possa apparire come una passione non appena l'iterazione del fare “materno” è disseminata “a sproposi­ to”. Mine Bridau, in La rabouillctise di Balzac, è il perfetto prototipo di una madre appas­ sionata. Da un lato, nei confronti di Joseph, suo figlio cadetto, c semplicemente madre te­ matizzata: Io aiuta, lo cura, gli prepara i pasti ccc.; dall’altro, nei confronti del primogeni­ to, Philippe, il cattivo, ella è madre appassionata, cioè soprattutto quando le situazioni nar­ rative non vi si prestano: in occasione di varie malversazioni, indebitamenti, furti, di cui egli si rende colpevole. Incapace di riconoscere nei comportamenti di suo figlio quelli che com­ portano il tema “filiale-materno”, perdona tutto, dimentica tutto, si lascia rovinare, poi re­ spingere; tutto ciò è tanto più significativo in quanto questo ruolo patemico, rintracciabile essenzialmente per la sua ricorrenza apparentemente anarchica, è altrove oggetto di un giu­ dizio morale senza appello, al momento di una confessione che precede di poco la morte della responsabile.

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5a £attere ^er^va direttamente dalla ricorrenza funzionale: t- e 15?sSe semPre come classe, come permanenza di uno ipo di risposte tematiche e passionali a situazioni variabili e, m questo senso, il carattere, in quanto stereotipo, riduce l’ar­ mamentario modale e tematico dell’attore a un numero esiguo di isotopie e di ruoli. Il “temperamento”, in compenso, che si fonda su Rumori e gerarchie tra diversi ruoli e diverse isotopie modali, potrebbe definirsi come la dominazione di un ruolo patemico su­ gli altri. Nello stesso modo in cui, in un dispositivo modale, si in­ contrano modalizzazioni reggenti, così, nell’insieme dei ruoli at­ traversati da uno stesso attore, si potrebbe incontrare un segmen­ to modale che funzionerebbe come segmento reggente rispetto al­ la totalità del percorso. Non si tratta di tentare di salvare i termini della nomenclatura passionale, ma di approfittare di questa occa­ sione per notare che, dato che gli attori accumulano lungo il di­ scorso dispositivi modali e vari tipi di ruoli, si può essere portati a immaginare dei “macrodispositivi”, all’interno dei quali possono apparire fenomeni di rezione. D’altra parte, ruoli tematici e ruoli patemici intrattengono rela­ zioni gerarchiche, fondate essenzialmente sulla presupposizione. Quando un ruolo patemico presuppone un ruolo tematico, la ri correnza, dal punto di vista semantico, è coerente, vale a dire iso topa, e il segmento modale stereotipato e sensibilizzato si sostitui­ sce al segmento modale soltanto stereotipato; inoltre il ruolo pate­ mico vede le proprie potenzialità semantiche ridotte dal ruolo te­ matico: così, dire di qualcuno che è “avido di onori” significa re­ stringere il ruolo patemico dell’avaro aggiungendogli una tematica sociale. Quando un ruolo patemico non presuppone al­ cun ruolo tematico, la ricorrenza, dal punto di vista semantico, è in gran parte aleatoria, vale a dire anisotopa; tutte le virtualità se­ mantiche del ruolo possono allora essere attualizzate. Si possono prendere in considerazione altre associazioni, più complesse ma anche più rivelatrici. Il machiavellismo, per esem­ pio presuppone, da una parte, una sequenza di comportamenti e di strategie fissate nella competenza, sull’isotopia politica, e, dal­ l’altra una disposizione passionale. La sequenza tematica è una certa forma, sofisticata ma stereotipata di saper-fare e di poter-fare dove, in questo caso, il primo regge il secondo; la disposizione è óuella fornita dalla diffidenza. Invece di sostituirsi alla totalità del segmento modale tematizzato come 1 avaro si sostituisce all’e­ conomo la disposizione passionale del soggetto mach.avellico si “serisce nel percorso tematico e ne occupa solo una parte. I pert

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corsi tematici di tipo politico comportano una tappa in cui si de­ cide della natura contrattuale e/o polemica del fare, e in cui il sog­ getto può essere modalizzato dal credere} nel caso del machiavelli­ smo la diffidenza viene a prendere il posto della credenza. Questo non è un esempio isolato: la maggior parte delle configurazioni in­ contrate nei discorsi concreti presentano ruoli misti e imbricazioni di questo tipo. La differenza con l’avaro è forse, in ultima istan­ za, puramente lessicale: negli incastri di ruoli e di percorsi che, nei discorsi realizzati, sarebbero tanto complessi in un caso quanto nell’altro, la lessicalizzazione trattiene solo, da un lato, il segmen­ to sensibilizzato (l’avaro) e, dall’altro, la totalità del percorso (il machiavellico). A questo proposito sorge tuttavia una domanda di fondo: in questo agglomerato di ruoli (modali, patemici, tematici) articola­ ti tra loro, che ne è del soggetto? L’attore che riveste più d’uno di questi ruoli è ancora in grado di produrre un “effetto sogget­ to”? Se ci si limitasse alle associazioni di ruoli, gli attori-soggetti sarebbero tutti schizofrenici in potenza, ma l’aspettualizzazione ristabilisce una certa coerenza. La messa in discorso, grazie al débrayage, permette a un universo discorsivo autonomo di di­ spiegarsi; ma questo débrayage è pluralizzante e occorre l’inter­ vento àeWembrayage per ristabilire una certa omogeneità. Ricor­ sivamente, come le modulazioni del divenire, il discorso è in preda anch’esso a forze coesive e dispersive. La forza coesiva che permette all’attore di ritrovare bene o male la sua omoge­ neità è, nel nostro caso, l’aspettualizzazione. In effetti, al di là dell’agglomerazione più o meno regolata dei ruoli, si disegna un processo di costruzione dell’attore che potrebbe prendere la for­ ma della sequenza passionale, quell’abbozzo di schema patemico canonico che abbiamo creduto di poter riconoscere: la costi­ tuzione, la disposizione, la sensibilizzazione, l’emozione e la mo­ ralizzazione sarebbero allora interpretabili come l’apertura, l’av­ vio, lo sviluppo e l’installazione dei ruoli patemici e sussumereb­ bero di conseguenza gli agglomerati di ruoli soggiacenti. Ci torneremo.

L’aspetti! ali zz azione Si distinguono in maniera molto generale due procedure aspettualizzanti: la demarcazione, che stabilisce soglie e limiti se­ condo un modo continuo (c£r. perfettivo/imperfettivo), e la seg-

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mentazione, che tende a fissare alcune tappe secondo un modo discontinuo (cfr. incoativo/durativo/perfettivo). Ma le cose sono senza dubbio un po’ più complesse dal momento che, per la messa in discorso, si convocano al contempo grandezze continue e modulate e grandezze discontinue e modalizzate. Lo schema patemico, per esempio, aspettualizza il processo su un modo di­ scontinuo; ma d’altra parte, come abbiamo appena suggerito, reintroduce continuità e omogeneità là dove le diverse tappe della modalizzazione all’interno del percorso generativo, come anche il débrayage, avevano generato in fin dei conti una polve­ rizzazione dei ruoli. In realtà l’aspettualizzazione delle passioni riveste varie forme. Senza voler trattare qui in extenso tutta la questione, vorremmo soltanto trarre quei pochi insegnamenti che lo studio dell’avari­ zia e della sua configurazione ci suggeriscono. Abbiamo già in­ contrato almeno quattro differenti piani dell’aspettualizzazione; prima di tutto la ricorrenza funzionale dei ruoli tematici e patémici, che è fin da subito esclusa in quanto appartenente non già ai sememi analizzati, ma alla procedura che li ha costruiti; in se­ guito abbiamo rintracciato un’aspettualizzazione che procede per segmentazione delle tappe della passione, ma che non è an­ cora sufficientemente puntellata; rimane, da un lato, l’aspettualizazione delle occorrenze della passione, che è in qualche modo incaricata di gestire il continuo e il discontinuo delle manifesta­ zioni passionali nel discorso, e, dall’altro, l’aspettualizzazione in­ terna di ogni occorrenza, che sarebbe in qualche modo costituti­ va della passione in quanto tale, indipendentemente dalle sue occorrenze in discorso.

La scansione

L’aspettualizzazione delle occorrenze del comportamento ap­ passionato scandisce la manifestazione: distingueremo così pas­ sioni scandite (quella del collerico, per esempio) e passioni non scandite (quella dell’avaro). Nel caso delle figure non scandite, il riconoscimento della passione è sufficiente per prevedere il com­ portamento: riconoscere un avaro procura un potere di previsio­ ne massimale; nel caso delle figure scandite, bisognerà distinguere le passioni prevedibili da quelle che non lo sono: alcune saranno frequentative, e la conoscenza del loro periodo di manifestazione consentirà di prevedere il comportamento; altre saranno puntuali,

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cioè non prevedibili.51 Uno stesso dispositivo modale sensibilizza­ to può ricevere ognuna di queste forme aspettuali; così, quello della collera apparirà sia come durativo e non scandito (irritabile), sia come frequentativo (collerico), sia come puntuale (furioso); qualunque ruolo patemico può ricevere di diritto tutta la panoplia delle forme della scansione, ma, di fatto, il lessico la concede sol­ tanto ad alcuni di essi. La categoria della scansione passionale, nella misura in cui met­ te le occorrenze del comportamento passionale sotto il controllo di un osservatore che aspettualizza, gioca un ruolo essenziale nel­ la regolazione interindividuale e sociale. In effetti, al di là del suo ruolo descrittivo e distintivo all’interno dell’analisi, bisogna tener conto del fatto che, una volta integrata a una tassonomia cultura­ le come uno dei tratti definitori dei ruoli patemici, essa permette a un eventuale partner del soggetto della passione di prevedere nel percorso di quest’ultimo gli accessi, le crisi e le stasi affettivi.

La pulsazione L’aspettualizzazione interna di ogni occorrenza procura alla manifestazione passionale una pulsazione che regola le tensioni e le distensioni del processo passionale propriamente detto. La pul­ sazione comprende, tra l’altro, la triade classica “incoativo/durativo/terminativo”. Per un verso la pulsazione non è altro che la for­ ma discorsiva che assume la sintassi intermodale e che consente di spiegare come i dispositivi modali possono diventare disposizioni nel discorso. Ma, per un altro verso, essa può aver subito torsioni, e queste variazioni giocano allora un ruolo distintivo tra le passioni. Così, tra le varianti della “paura”, si possono rintracciare, quali tratti aspettuali distintivi, Yanteriorità nell’“apprensione”, Yincoatività nello “spavento”, la duratività nel “terrore”. In realtà, nella serie 31 Théodule Ribot {op. rii., nota 23) utilizza, con altre denominazioni, queste stesse ca­ tegorie per distinguere i sentimenti (non scanditi), le passioni (frequentative) e le emozioni (puntuali). Le stesse distinzioni le si ritrovano anche nel discorso dei medici generici che, di fronte a un sintomo, in particolare nel campo dei disturbi immunitari, sono obbligati ad appoggiarsi a categorie aspettuali per fare una diagnosi: per esempio, di fronte a un distur­ bo che si ripete, ma dove non riconoscono nessuna regolarità e nessun fattore di previsio­ ne, essi ne concludono la puntualità e stabiliscono il trattamento secondo questa diagnosi. L’analogia non è senza fondamento, perché, nel caso dei disturbi immunitari come in quel­ lo della semiotica delle passioni, la procedura d’analisi deve mostrare fino a che punto l’«sere del soggetto è implicato nelle manifestazioni concrete osservate.

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“apprensione-spavento-terrore ”, l’aspettualizzazione della passio­ ne è inseparabile dal percorso dell’antisoggetto, dato che il sog­ getto appassionato è in questo caso egli stesso l’osservatore che aspettualizza grazie a una messa in prospettiva: a seconda che col­ ga la minaccia anteriormente, incoativamente o in coincidenza, egli prova l’una o l’altra di queste passioni. Non c’è nulla di sor­ prendente in questo, nella misura in cui nella maggior parte dei casi l’aspettualizzazione dei programmi pragmatici stessi è funzio­ ne delle peripezie e dell’interazione tra il soggetto e l’antisoggetto. Sarebbe questa, d’altronde, una proprietà che meriterebbe di es­ sere esaminata più a lungo ed eventualmente generalizzata: le va­ riazioni di tensione che osserviamo nella componente aspettuale del discorso si spiegano spesso con variazioni di equilibrio tra for­ ze antagoniste. Le variazioni di tensione e distensione regolate dalla pulsazione passionale sono anche inerenti alla traiettoria esistenziale che si dà il soggetto appassionato; l’avaro, per esempio, conosce la tensione in “non-congiunzione”, una tensione superiore in “disgiunzione”, una tensione massimale in “non-disgiunzione” (trattiene), poi la distensione in “congiunzione ” (accumula). Simili variazioni fanno eco in generale alle modulazioni tensive del divenire. In realtà sembra sempre più difficile mantenere l’aspettualizzazione a un livello determinato del percorso della costruzione teo­ rica. Numerose ricerche suggeriscono quasi unanimemente che si tratta di una determinazione semiotica di grande generalità, che equivale probabilmente a quella del quadrato semiotico. Come avviene per il modello costituzionale, di cui si fissa il posto all’in­ terno delle strutture profonde e che in pratica vi sfugge continuamente, l’aspettualizzazone sembra ricoprire proprietà che sfuggo­ no anch’esse a qualunque assegnazione del genere. È la ragione per cui abbiamo previsto, a livello delle precondizioni della signi­ ficazione, un insieme di modulazioni tensive che prefigurano già l’aspettualizzazione propriamente detta.

^intensità L’analisi concreta di una configurazione passionale come l’ava­ rizia fa emergere, in ogni angolo della struttura, la categoria del­ l’intensità. Essa appartiene alle procedure dell’aspettualizzazione: da una parte è una delle forme della distribuzione delle tensioni e delle distensioni nello svolgersi del processo; dall’altra implica un

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atlante osservatore che può confrontare tra loro intensità, orienta­ re scale graduate attraverso una messa in prospettiva e stabilirvi delle soglie. È sufficiente inoltre incontrare sulla scala d’intensità della passione da un lato l’eccesso e dall’altro l’insufficienza per capire che la demarcazione ha compiuto il suo lavoro. Abbiamo già notato, nel campo dell’avarizia, che l’intensità del desiderio rinviava sempre a una certa rappresentazione della divi­ sione e della circolazione dei beni all’interno della comunità e a certe modulazioni del flusso sociale. E come dire che l’intensità è una forma discorsiva che manifesta grandezze semio-narrative o tensive che, in se stesse, non hanno nulla di “intenso”. Questo fatto è altrettanto evidente in altre configurazioni, co­ me quella, per esempio, della “stima-ammirazione-venerazione”. La stima è definita come un “sentimento che nasce dalla buona opinione che si ha del merito, del valore, di qualcuno”; l’ammira­ zione è “un sentimento di gioia o di serenità di fronte a ciò che si giudica bello o grande in modo superiore”; la venerazione è “un grande rispetto fatto di ammirazione e di affetto”, che assume spesso un’accezione religiosa dove l’adorazione si mescola al ti­ more. Per l’enunciatario di un discorso dove appaiono in succes­ sione queste tre passioni, l’effetto prodotto è quello di un’inten­ sità crescente. Ma un esame più approfondito rivela che l’intensità ricopre, in questo caso, cambiamenti strutturali. Per quel che ri­ guarda la stima, essa procede attraverso il confronto con altri in­ dividui (supposti o reali) per trarne una conclusione relativa al merito o al valore; l’ammirazione paragona l’individuo con la to­ talità degli individui che appartengono alla stessa categoria: dal superlativo relativo si passa al superlativo assoluto; infine, nel ca­ so della venerazione, è l’osservatore-valutatore stesso, rispettoso e timoroso, e dunque dominato, che fa di se stesso l’umile operato­ re di paragone al quale viene commisurato l’oggetto del paragone. L’apparente graduazione della valutazione poggia dunque di fatto su una serie di variazioni discontinue del termine di riferimento, e le variazioni di intensità ricoprono in successione: un superlativo relativo transitivo (per la stima), un superlativo assoluto transitivo (per l’ammirazione) e un superlativo assoluto transitivo e riflessi­ vo al contempo (per la venerazione). In questo modo l’intensità ri­ sulterebbe un effetto di senso di variazioni quantitative nella strut­ tura attanziale e modale della configurazione. Ciò nondimeno es­ sa le traduce in discorso su un modo continuo e tensivo. Senza dubbio bisognerebbe distinguere tra la funzione distinti­ va dell’intensità e la sua funzione costitutiva. È distintiva quando

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permette di differenziare in superficie, per esempio, la stima dal­ l’ammirazione; in questo senso l’intensità è un’informazione che i partner del soggetto appassionato possono sfruttare per identifi­ care immediatamente il ruolo patemico di cui dovranno tener conto nell’interazione. Grazie all’intensità il soggetto della passio­ ne diventa informatore per il suo partner osservatore; questa pre­ cisazione, d’altra parte, vale per qualunque intensità, perché un blu intenso è, tra l’altro, un blu che attira lo sguardo, come un “dolore violento” è, prima di tutto, un dolore che si impone al­ l’osservatore meno attento. L’intensità appare allora come la ma­ nifestazione sensibile di un far-sapere, ritenuto come ciò che met­ te in allerta i partner del soggetto appassionato. Ma questa funzione distintiva superficiale gioca su variazioni dell’intensità costitutiva della passione, intensità che permette di stabilire la differenza tra ciò che è passione e ciò che non lo è; in questo senso l’intensità manifesta la sensibilizzazione del disposi­ tivo modale. Per comprendere come fenomeni discontinui, cambiamenti di posizione dell’osservatore, come nell’avarizia, nella generosità o nella dissipazione, e cambiamenti di riferimento, come nella sti­ ma, nell’ammirazione e nella venerazione, possano essere manife­ stati in maniera continua e tensiva, occorre senza dubbio tornare alle modulazioni del divenire. Abbiamo già suggerito che l’inten­ sità del desiderio dell’avaro potrebbe essere interpretata come uno squilibrio tra le forze di coesione e le forze di dispersione col­ lettive e individuali: la costituzione di un posto individuale ed esclusivo a spese della coesione del collettivo è in questo caso la fonte dell’effetto di intensità. Questa proposta, prendendo tutte le precauzioni che occorro­ no, potrebbe essere generalizzata. Nella serie “stima-ammirazio­ ne-venerazione”, le posizioni rispettive dell’oggetto-soggetto va­ lutato e dell’osservatore appassionato evolvono in senso contra­ rio: man mano che si afferma e si impone la posizione dell’altro, quella dell’osservatore si attenua; senza che questo si traduca esplicitamente e categorialmente in variazioni modali, si capisce che il rapporto di forza si inverte e che questa inversione potreb­ be essere eventualmente esplicitata grazie a trasferimenti di pote­ re o di sapere. Il fenomeno che stiamo tentando di cogliere sareb­ be di conseguenza situato al di qua della modalizzazione e della categorizzazione. Tutto avviene come se, all’interno dell’intersoggettività, qualunque emergenza passionale potesse rimettere in questione il posto di ciascuno degli interattanti, come se la passio-

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ne li reimmergesse in uno strato presemiotico dove l’identità di ciascuno è ancora instabile e dipende dall’identità altrui; ci sareb­ be da condividere un’identità interattanziale e ogni identità indi­ viduale si stabilirebbe a spese delle altre. Riappare l’idea che l’intensità, come qualunque aspettualizzazione, poggi su variazioni di equilibrio tra la coesione e la disper­ sione, la cui posta è rappresentata dalla stabilizzazione delle posi­ zioni attanziali. Sarebbe per il momento l’unica spiegazione plau­ sibile di cui disporremmo per tentare di conciliare una quantifica­ zione che si esprime attraverso variazioni di equilibrio tra forze avversative con variazioni di intensità che manifestano cambia­ menti discontinui. Una simile ipotesi apre nuove prospettive per comprendere come regolazioni, assiologie arcaiche, si abbozzino in uno spazio presemiotico. Torniamo all’eccesso, definito come una “quantità troppo grande, un superamento della misura e dei limiti”; l’intensità, in questo caso, è dotata di una soglia, di una frontiera al di là della quale qualcosa cambia. Nel campo dell’avarizia l’eccesso appare come uno squilibrio distruttore: l’eccesso del trattenere mette in pericolo la circolazione all’interno della comunità, l’eccesso dello spendere mette in pericolo i “posti” individuali, e l’insufficienza degli oggetti desiderati fa comparire delle esche che perturbano il flusso sociale; ugualmente la venerazione filiale o amorosa può es­ sere considerata come eccessiva dal momento che mette in peri­ colo l’identità stessa del soggetto appassionato. Si potrebbe dire altrettanto dell’eccesso di disperazione o dell’eccesso d’autorità. Ogni volta che un dispositivo interattanziale raggiunge un certo grado di stabilità, qualunque figura passionale che possa farlo re­ gredire a uno stato precedente meno stabile sarà considerata co­ me eccessiva. n giudizio etico che compare allora nel discorso non fa che riformulare nei suoi termini la regressione che minaccia il diveni­ re interattanziale. Si osserva spesso il fatto che l’eccesso, a livello discorsivo, segnala un cambiamento di isotopia, il che, in genera­ le, non è il caso dell’intensità. Così, tra un dolore ordinario e un dolore “intenso” o anche “violento”, ciò che viene modificato è soltanto l’equilibrio tra l’euforia e la disforia; al contrario, con un dolore “eccessivo”, si supera un limite col quale si passa su un’al­ tra isotopia, quella, per esempio, dell’affettazione o della patolo­ gia. Qualunque sia alla fine l’interpretazione adottata, è interes­ sante notare il fatto che essa comincerà sempre col rimettere in causa lo statuto del soggetto: o il suo statuto veridittivo (egli fa

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troppo) o il suo stesso statuto di soggetto semiotico (c’è una falla da qualche parte); il cambiamento di isotopia che si osserva in su­ perfìcie, il superamento di una frontiera, rinviano sempre a una destabilizzazione dei dispositivi interattanziali. Dal lato dell’intensità abbiamo a che fare con un divenire in corso di evoluzione, con dispositivi proto-attanziali che tentano di stabilizzarsi e in cui la sensibilizzazione, letteralmente, si incorpo­ ra. Dal lato dell’eccesso abbiamo a che fare con un divenire già evoluto ma che minaccia di regredire verso dispositivi proto-at­ tanziali destabilizzati; l’osservatore sociale, prendendo posizione contro questa regressione minacciosa, moralizza la manifestazione passionale per riaffermare uno stato di cose a spese di uno stato d’animo.

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3. LA GELOSIA

Il primo obiettivo di uno studio dedicato alla gelosia era quello di disporre, accanto a una passione che poteva passare in un pri­ mo momento per una “passione d’oggetto” (l’avarizia), di una passione intersoggettiva che coinvolge almeno potenzialmente tre attori: il geloso, l’oggetto, il rivale. Certo, l’avarizia si è rivelata es­ sere intersoggettiva, almeno implicitamente e soprattutto al mo­ mento della moralizzazione. La gelosia tuttavia offre il vantaggio di esplicitare, a partire dalla manifestazione lessicale della confi­ gurazione, e a fortiori all’interno del discorso, una scena passiona­ le con diversi ruoli, un intreccio di strategie, una vera e propria in­ terazione dotata di una storia e di un divenire. Nel percorso discorsivo dell’avaro, in effetti, le relazioni inter­ soggettive appaiono solo al momento della valutazione; costitui­ scono certo, in profondità, la molla del “flusso circolante del va­ lore”, ma, a livello discorsivo, hanno tendenza a sparire a vantag­ gio delle relazioni di oggetto; è dunque soltanto alla luce della mo­ ralizzazione che ci si rende conto che le ricchezze accumulate e trattenute sono tali a spese di qualcun altro. Al contrario la gelo­ sia appare subito sul fondo di una relazione intersoggettiva com­ plessa e variabile, presente per definizione lungo tutto il percorso passionale: la paura di perdere l’oggetto, in questo caso, si com­ prende solo in presenza di un rivale almeno potenziale o immagi­ nario e il timore del rivale nasce dalla presenza dell’oggetto di va­ lore che svolge la funzione di posta in gioco. Notiamo fin d’ora che il percorso passionale, in questo caso, è funzione di relazioni duali fra tre attanti e l’insieme è orientato dalla prospettiva adottata dal geloso; la gelosia, a questo riguardo, può rappresentare sia un pericolo e una sofferenza che un timore e

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un’angoscia, a seconda che l’evento decisivo sia anteriore o poste­ riore alla crisi passionale. Se l’evento — la giunzione del rivale con l’oggetto - è colto prima del suo verificarsi, la relazione di rivalità (S/S2) passa in primo piano e suscita il timore: si tratta allora di sorvegliare l’altro, di sventare i suoi approcci, di distoglierlo dal­ l’oggetto, di accaparrarsi quest’ultimo per escludere il rivale. Se l’evento è colto a cose fatte, è evidente che, per il geloso, a meno che non tenti di vendicarsi, non resta molto da fare riguardo al ri­ vale; in compenso passa in primo piano la relazione di attacca­ mento (Si/O,S3). H geloso si volge allora all’oggetto e ci si chiede chi quest’ultimo ami veramente e se gli si possa dare fiducia. E so­ lo a questo punto che la sofferenza si nutre di variazioni fiduciarie ed epistemiche. Ma questa è solo una variazione di prospettiva, sull’asse del­ l’anteriorità e della posteriorità, che presuppone un dispositivo attanziale unico e che riguarda la messa in discorso; da un lato focalizza gli effetti di una sintassi, poiché le forme della gelosia evol­ vono di pari passo con quelle della giunzione; dall’altro presup­ pone la costanza di una configurazione. La descrizione della pas­ sione in quanto tale comincia da quella delle costanti soggiacenti alla messa in discorso e alle sue variazioni. D’altra parte, visto che l’analisi lessicale ha rivelato i suoi limiti e i suoi presupposti, essa ci servirà ora in maniera secondaria e la costruzione della gelosia trarrà nutrimento essenzialmente dal­ l’apporto dei moralisti, dei drammaturghi e dei romanzieri. In ef­ fetti, grazie a uno studio “in espansione” della passione, e sulla ba­ se di dati testuali più numerosi e diversificati, puntiamo ora ad ar­ ricchire i modelli sintattici e a cogliere l’organizzazione di un’inte­ ra configurazione. LA CONFIGURAZIONE

Attaccamento e rivalità

Un primo approccio, ispirato alla semantica lessicale, consi­ sterà nel lasciarsi guidare un momento dalle definizioni del dizio­ nario. Sembra utile, per farsi una prima idea di ciò che è la gelosia, sapere a quali configurazioni più vaste essa appartiene. Visti le de­ finizioni, i correlati, i sinonimi e gli antonimi, pare che la gelosia

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stia all’intersezione tra la configurazione àeWattaccamento e quel­ la della rivalità, le quali corrispondono rispettivamente alla rela­ zione tra il geloso e il suo oggetto (S/CXSj) e alla relazione tra il geloso e il suo rivale (Sj/S2). Tutte le definizioni della gelosia tengono conto, direttamente o indirettamente, di un antisoggetto che minaccia di infierire o che ha già infierito. Per esempio, un antonimo come “bonario” si chiosa, tra l’altro, con “compiacente”, “inoffensivo”, “pacifico”, il che conferma il carattere “combattivo” e “offensivo” del geloso, e dunque la presenza sul suo territorio di un rivale almeno poten­ ziale. D’altra parte il geloso è prima di tutto — e in virtù della sua stessa etimologia — qualcuno di “particolarmente attaccato a...”, che “tiene assolutamente a...”, ed è la ragione per cui la gelosia rinvia anche al desiderio, allo zelo, all’invidia. L’attaccamento re­ sta presente negli antonimi, questa volta in negativo: “indifferen­ te” si chiosa come “insensibile” o “distaccato”, per esempio. Bisogna però notare che queste due configurazioni sono, se non parenti prossime, per lo meno accuratamente articolate nella gelosia; in una sorta di presupposizione alternata, l’attaccamento trae rinforzo dalla rivalità e la rivalità si acutizza con l’attaccamen­ to che la motiva. La conseguenza di questa articolazione di due configurazioni in gran parte autonome è tutt’altro che trascurabi­ le; da una parte la rivalità non sarà mai, per il geloso, gioiosa e con­ quistatrice, ma apparirà piuttosto come dolorosa e amara, avendo come prospettiva la perdita dell’oggetto; d’altra parte l’attacca­ mento sarà fondamentalmente inquieto e preoccupato perché mi­ nacciato dal rivale: nel momento stesso in cui conta soltanto la re­ lazione con l’essere amato, per esempio, un’inquietudine conserva la traccia dell’attività insidiosa e più o meno immaginaria di un an­ tisoggetto. E la ragione per cui Proust fa notare, a proposito del­ l’amore che Swann consacra a Odette de Crécy, che, sforzandosi incessantemente di conservare l’amata per sé soltanto, l’amante non pensa più a gustare ciò che, all’inizio, era per lui fonte di de­ lizia. L’intersezione tra le due configurazioni non è dunque un semplice accumulo semantico o una connessione di isotopie: cia­ scuna di esse è notevolmente influenzata dall’altra, esattamente come, all’interno di un dispositivo modale fisso, ogni modalità viene modificata nei suoi effetti di senso dall’influenza delle altre. Una delle spiegazioni possibili va senza dubbio cercata nel di­ spositivo attanziale che abbiamo postulato fin dal principio: il triangolo S/S2 /O-S3 non è l’addizione aritmetica di due relazioni duali, ma un'interazione. Così il geloso è un soggetto preso tra due

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relazioni che lo sollecitano per intero, ma alle quali non può mai consacrarsi in maniera esclusiva: preoccupato dal suo attaccamen­ to quando lotta, si vede all’inverso ossessionato dalla rivalità quando ama. Prima configurazione generica: la rivalità

Rivalità, concorrenza e competizione La “rivalità” sarebbe, secondo il Retti Robert, la “situazione di due o più persone che si disputano qualcosa” (soprattutto il pri­ mo posto, la prima posizione). “Situazione” rinvia a un dispositi­ vo attanziale e narrativo indipendentemente da qualunque mani­ festazione passionale; si tratterebbe del nocciolo sintattico di tut­ ta la configurazione. Si noterà l’esistenza di una relazione polemi­ ca archetipica, eventualmente organizzata attorno a un oggetto (il “qualcosa”), ma più spesso attorno a una qualificazione dei sog­ getti (la superiorità) che potrebbe essere interpretata come il ri­ sultato di un confronto tra competenze modali. La “concorrenza”, “rivalità tra più persone o più forze che perseguono uno stesso obiettivo”, specifica la rivalità attribuen­ do agli antagonisti uno stesso interesse oggettuale e programmi narrativi paralleli. Nella rivalità l’oggetto è soltanto un posto vuo­ to, un “qualcosa” che l’interazione tra i due rivali sembra avere come posta; è soltanto nei correlati che l’identità di tale oggetto si precisa - ancora in maniera allusiva — come “risultato” o “van­ taggio”. È la stessa cosa per quanto riguarda la “competizione”, che aggiunge alla specificazione precedente una “ricerca simulta­ nea”, cioè un percorso discorsivo temporalizzato e aspettualizzato. La categoria della giunzione e la struttura polemica presentano in questo caso un’articolazione molto particolare: la prima sareb­ be solo una variante della seconda, dal momento che l’oggetto non è altro che l’identità di interesse dei rivali. In altri termini, questo posto vuoto cui puntano i rivali essi lo suscitano col fatto stesso di averlo di mira, e la convergenza dei loro sforzi disegna un oggetto. E anche ciò che traduce la simultaneità dei percorsi, rile­ vata a proposito della competizione: la sovrapposizione aspetta­ le non è un incidente discorsivo, bensì il segno dell’identità degli interessi.

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^emulazione L’“emulazione”, “sentimento che porta a eguagliare o superare qualcuno in merito, in sapere, in lavoro”, è un antico sinonimo di “rivalità” e di “gelosia”. Essa aggiunge alla rivalità una nuova spe­ cificazione. Lungi dal battere la stessa strada della concorrenza e della competizione, dove si vedeva prender forma un oggetto, l’e­ mulazione mette a fuoco il confronto tra le competenze di S! e S2; questa competenza può essere colta in quanto tale, come saper-fare o poter-fare, o attraverso il giudizio etico che la trasforma in “merito”. Dato che l’oggetto che emerge dalla rivalità è un ogget­ to modale, l’antagonismo assume come posta in questo caso l’es­ sere stesso dei soggetti. Nella lingua contemporanea, tuttavia, il “merito” è diventato il “merito di qualcosa”, merito che si misura in riferimento a un og­ getto di valore acquisito o atteso. L’interesse di oggetto è dunque ristabilito, ma viene sottomesso a una condizione di competenza e di riconoscimento. In realtà il merito di un soggetto è apprezzato sull’insieme del suo percorso: si valuta la sua maniera di fare, la sua maniera d’essere, il suo comportamento nel corso delle peri­ pezie e il suo atteggiamento di fronte agli ostacoli incontrati, e non solo il risultato ottenuto. Definito in questo modo, il merito sem­ bra poggiare sugli stessi effetti modali che la passione: è una for­ ma della competenza, non si esaurisce nella realizzazione della performance, non è ricostruito per presupposizione a partire dalla competenza, appare come un “eccedente modale” che caratteriz­ za l’essere del soggetto al di qua o al di là della competenza ri­ chiesta per la realizzazione del programma. L’emulazione inoltre, tramite l’intermediario del merito, separa radicalmente il fare polemico, associato alle prove qualificanti e decisive, dall’attribuzione dell’oggetto, associata alla prova glorifi­ cante. E solo al momento del riconoscimento, sotto la responsabi­ lità di un Destinante, che il soggetto riceve la ricompensa che me­ rita. Una tale distribuzione in due tappe conferma la doppia in­ terpretazione che possono ricevere le modalizzazioni della com­ petenza: da una parte in termini di efficacia e di necessità (è così che appaiono per presupposizione a partire dal successo o dal fal­ limento), dall’altra in termini di modo di fare o d’essere del sog­ getto (è così che appaiono attraverso il giudizio etico). L’emulazione aggiunge infine un’ultima specificazione alla con­ figurazione della rivalità, e non è una specificazione da poco: defi­ nita come un “sentimento che porta a...”, essa è la prima figura, in

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questo insieme, ad accedere allo statuto di passione. Nel momen­ to stesso in cui il merito dell’emulo sembra già poggiare su un “ec­ cedente modale” simile a quello degli effetti passionali, la termi­ nologia ne fa un ruolo patemico che include una competenza sen­ sibilizzata, il che ci inciterebbe a persistere nell’idea che sia l’etica che la passione compaiono nel discorso nel momento in cui gli ef­ fetti modali dell’essere sembrano staccarsi dalla competenza pre­ vista dal fare. D’altra parte il dispositivo attanziale e modale della rivalità si vede sensibilizzato nel momento stesso in cui l’insieme viene posto nella prospettiva di un solo soggetto. La rivalità, la con­ correnza e la competizione, che non presentano alcuna particola­ re messa in prospettiva, non sono trattate come ruoli patemici, ma come “situazioni”. Perché vi sia emulazione bisogna che S2 abbia compiuto le sue prove, poi che Sj eguagli o superi S2, cosa che ren­ de Si l’“emulo” e S2 il modello, il soggetto di riferimento; la riva­ lità o la competizione, allora, non sono più simmetriche: non ab­ biamo più a che fare con una coppia di processi aspettualizzati in simultaneità, ma con un processo incompiuto, quello di Sb in rap­ porto con un altro, quello di S2, trattato come compiuto e che in­ dica a Sj un limite, una soglia di competenza da raggiungere. Da questo momento l’emulazione ha senso solo se la rivalità è colta dalla prospettiva di Sb ed è così che diventa una passione. L1invidia

Nelle definizioni del dizionario si incontrano due forme di “invi­ dia”: da una parte è un “sentimento di tristezza, di irritazione o di odio che ci anima contro chi possiede un bene che non abbiamo” e, dall’altra, essa può anche intendersi come il “desiderio di godere di un vantaggio, di un piacere uguale a quello altrui”. La configurazio­ ne della rivalità sembra ora dover scegliere tra la relazione polemica e la relazione d’oggetto; la particolarità dell’invidia è quella di poter manifestare una soltanto delle due relazioni alla volta; occorre pre­ cisare a questo riguardo che la scelta è necessaria soltanto in ragio­ ne dell’attualizzazione sempre più netta dell’oggetto (un bene, un vantaggio, un piacere). La figura ricopre dunque due sememi che erano complementari nelle figure precedenti e che sembrano di­ ventare in questa esclusivi l’uno rispetto all’altro. E tuttavia, in ciascuno dei due sememi, il terzo attante non è scomparso, e neppure è stato occultato; esso viene relegato in se­ condo piano come mediatore della relazione focalizzata. Nell’invi-

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dia di tipo S/S2, Pattante oggetto O media l’invidia di Sj nei con­ fronti di S2; nell’invidia S/O Pattante S2 media il desiderio di SP II ruolo di mediatore potrebbe essere interpretato, all’occorrenza, a partire dall’interesse del soggetto Sp attraverso O, S, mira a S2 e, attraverso S2, Sj mira a O.52 Simili mediazioni sono pensabili sol­ tanto se il dispositivo attanziale non è ancora stabilizzato; sembre­ rebbe che all’interno della mira protensiva del soggetto appassio­ nato Pinterattante possa ancora esitare tra lo statuto di oggetto e 10 statuto di soggetto, in modo tale che al di qua del rivale si dise­ gni per Si il posto dell’oggetto e, al di qua dell’oggetto, si disegni 11 posto del rivale. La mediazione suppone dunque come condi­ zione che il soggetto Si sia suscettibile di rappresentarsi una scena attanziale “internalizzata” dove l’insieme dei ruoli attanziali pos­ sono ancora essere scambiati. La mediazione interattanziale si manifesterà in discorso in due direzioni complementari: da una parte, alla prima messa in pro­ spettiva che abbiamo rintracciato a proposito dell’emulazione, e che sensibilizza l’insieme del dispositivo (l’orientamento nella prospettiva di S,) si aggiunge un’altra prospettiva, sempre dal punto di vista di S1} che focalizza sia il rivale sia l’oggetto; dall’al­ tra parte, il fatto che si releghi l’altro attante in posizione di me­ diatore si traduce in una superiore intensità della relazione focalizzata: la mediazione tramite l’oggetto intensifica la rivalità, e la mediazione tramite il rivale intensifica il desiderio d’oggetto. An­ cora una volta l’intensità non è altro, nel discorso, che la manife­ stazione dell’instabilità del dispositivo attanziale soggiacente.

Dall’adombrarsi alla gelosia

L’“adombrarsi”53 è un “sentimento di sfiducia”, un “timore di essere eclissati, messi in ombra da parte di qualcuno”. La partico­ larità dell’adombrarsi salta agli occhi quando lo si confronta con l’invidia e con l’emulazione. Dell’invidia resta poca cosa, poiché l’oggetto torna sullo sfondo e il desiderio non è più manifestato. Quanto all’emulazione, l’adombrarsi sembra invertirne la struttu­ ra: invece di cercare di superare, di eclissare un altro, il soggetto 52 R. Girard utilizza la nozione di mediazione per descrivere il funzionamento del desi­ derio mimetico nelle sue diverse varianti; il mimetismo, in questo caso, come anche la sua versione psicoanalitica, l’identificazione, rinviano a uno stadio arcaico della cultura o della psiche [si veda soprattutto Des choses cacbées..., cit.: N.J.C.]. 3J In francese otubrago. [N.d.C.]

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teme in questo caso di essere superato o eclissato; l’emulazione presuppone la superiorità del rivale, l’adombrarsi la paventa. Il di­ spositivo di base è sempre lo stesso: la configurazione della riva­ lità, senza oggetto definito, ma colta dalla prospettiva di uno solo dei soggetti. Solo la forma discorsiva è cambiata; da un lato, men­ tre l’emulazione assume a riferimento la competenza di S2, l’a­ dombrarsi prende a riferimento la competenza di S,; si potrebbe d’altra parte immaginare un’unica situazione che indurrebbe l’a­ dombrarsi nel soggetto di riferimento e l’emulazione nell’altro. Abbiamo dunque a che fare con un’altra variazione di prospetti­ va, dato che l’emulazione si costruisce nella prospettiva di colui che cerca di superare l’altro e l’adombrarsi si costruisce nella pro­ spettiva di colui che è suscettibile di essere superato. La “gelosia” si dà, all’interno di questa configurazione, come un compimento della serie di specificazioni e di articolazioni già rileva­ te nelle precedenti figure: di tutte quelle che abbiamo considerato fino ad ora, essa è infatti la più complessa. Poggia sul dispositivo attanziale Si/S2/O,S3; si fonda anch’essa sulla prospettiva di un solo soggetto, Sj; può focalizzare sia la relazione di rivalità, e si specializ­ za allora come un “timore”, in prospezione, sia sulla relazione d’og­ getto, e si specializza allora come una “sofferenza”, in retrospezione. Inoltre si avvicinerà piuttosto all’adombrarsi che all’emulazio­ ne, giacché la prospettiva sarà sempre quella di colui che teme di es­ sere superato o che soffre per esserlo stato; detto altrimenti, la com­ petenza di riferimento è quella del geloso e, dal momento che il sistema si inverte e la competenza di riferimento diventa quella del rivale, si esce dalla gelosia per entrare nell’emulazione. Punto di vista e sensibilizzazione Nella configurazione dell’avarizia le variazioni del punto di vi­ sta erano imputabili soltanto alla moralizzazione; infatti, poiché si potevano opporre le due varianti morali della disgiunzione, la prodigalità e la generosità, partendo esclusivamente dal cambia­ mento di punto di vista (non-destinatario/destinatario), si vedeva che i giudizi etici si fondavano sulle trasformazioni discorsive del­ l’osservatore. Tanto più che, sotto un altro aspetto, la differenza tra un ruolo tematico non sensibilizzato come il risparmio e un ruolo patemico sensibilizzato come l’avarizia non dipendeva per nulla dai cambiamenti di punto di vista. Al contrario, nella configurazione della rivalità, alla quale ap-

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partìene la gelosia, è la sensibilizzazione quella che poggia sulle va­ riazioni di punto di vista; si tratta di volta in volta tanto di restrin­ gimenti della localizzazione quanto di cambiamenti di punto di vi­ sta stricto sensu. I restringimenti e i cambiamenti di punto di vista giocano a diversi livelli della configurazione, come una serie di messe in prospettiva che si sovradeterminano le une con le altre. La prima messa in prospettiva è quella che riorganizza il trian­ golo attanziale Si/S2/O,S3 dal solo punto di vista di Sn e che pro­ duce in questo modo la serie “emulazione-invidia-gelosia”, che si vede così distinta dalla serie delle non-passioni. La soglia che vie­ ne superata in questa maniera, grazie all’orientamento del dispo­ sitivo nella prospettiva di uno solo degli attanti, è quella della sen­ sibilizzazione propriamente detta: grazie a questo orientamento vengono riconosciuti i dispositivi sensibili. La seconda messa in prospettiva è quella che, all’interno del punto di vista di Sn mette in primo piano sia la relazione S/O, sia la relazione S,/S2. Nell’emulazione la relazione Sj/S2 prende il sopravvento grazie a una focalizzazione/occultamento dello sche­ ma narrativo soggiacente; infatti la relazione polemica e l’attribu­ zione dell’oggetto sono dissociate sintatticamente, dato che l’ima precede l’altra e l’altra è occultata dal dispiegamento della riva­ lità e relegata al ruolo di ricompensa eventuale per quello dei ri vali che avrà la meglio. A una tale messa in prospettiva dei di spiegamenti sintagmatici della narratività si oppone la prospetti­ va paradigmatica che permette di distinguere sotto un altro aspetto due invidie e due gelosie diverse: in questo caso la rela­ zione occultata non viene relegata in un altro segmento narrativo rispetto a quello considerato, ma mantenuta sullo sfondo della relazione focalizzata. Siccome in questo caso la messa in prospettiva fa parte della sensibilizzazione dei dispositivi attanziali e modali, può essere trat­ tata sia come un’operazione discorsiva che interviene nel percorso del soggetto appassionato, sia come una procedura esplicativa nel percorso della costruzione teorica. Da un lato, in quanto operazio­ ne discorsiva, la messa in prospettiva svolge il ruolo di trasforma­ zione patemica, tanto più intensa quanto la prospettiva è comples­ sa, e per far questo attraversa le operazioni classiche della costru­ zione dei punti di vista. D’altro lato, in quanto procedura di co­ struzione teorica, essa farà la sua parte nella prassi enunciazionale e rinvierà eventualmente all’analisi tensiva di un’interattanzialità mal stabilizzata. La mediazione che abbiamo identificato nell’invi­ dia e nella gelosia gioca in entrambi gli ambiti: come un dispositi-

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vo figurativo e attoriale e come una manifestazione dell’instabilità tensiva dell’interattante; in effetti la relazione occultata continua a manifestarsi nello stesso tempo come “mediatizzante” e come “in­ tensificante” nei confronti della relazione focalizzata.54 La procedura di scissione del proto-attante che abbiamo imma­ ginato quale precondizione tensiva, una volta assunta concreta­ mente dal gioco a incastro delle messe in prospettiva, si vede pre­ cisata: dopo aver liberato un interattante che gli consenta di rap­ presentarsi di fronte a un “altro” (è la nascita del “sé per sé”), egli cercherà, orientando la protensività, di suscitare dietro a questo interattante sia un oggetto, sia un soggetto. La realizzazione in di­ scorso di simili variazioni di tensione, e soprattutto la loro mani­ festazione in quanto effetti di senso distinti, richiedono un osser­ vatore suscettibile di convocarle sotto forma di variazioni della prospettiva; il soggetto appassionato, invidioso o geloso, è questo soggetto discorsivo “focalizzante”.55

Il geloso difronte allo spettacolo

Si può far notare a questo riguardo che la gelosia specifica Pat­ tante osservatore incaricato di orientare il dispositivo attanziale. Il geloso infatti soffre di “vedere un altro godere” o “teme di perde­ re”; nel primo caso è S2 che viene focalizzato, nel secondo O,S3; 54 J. Petitot ha mostrato, partendo dalla catastrofe cosiddetta “a farfalla”, che al suo in­ terno vi si incontra per prima cosa uno strato di puro conflitto, poi degli strati mediatizzati dall’oggetto, e che ciò mette in valore, secondo il suggerimento dell’autore, due differenti forme àe&'intenzionalità, paragonabili alle due forme dell’invidia e della gelosia, S -> 0 c Sj -> Sj {Morphogenèse du sens, Paris, PUF, 1986; trad. it. Monogenesi del senso, Milano, Bompiani, 1990), 55 In realtà non bisogna attribuire né troppo né troppo poco alle strutture discorsive. Se per esempio si considera la nozione di punto di vista, è bene distinguere tra il punto di ri­ sta come configurazione discorsiva e il punto di vista come strumento metodologico della descrizione. Il primo caratterizza il modo in cui viene trattato il sapere al momento della messa in discorso; il secondo punta, tra le virtualità delle strutture semiotiche, ai dispositi­ vi particolari che esse possono presentare. Si sa per esempio che gli enunciati complessi a due soggetti e un oggetto comprendono virtualmente, tra l’altro, sia il punto di vista della rinuncia che quello dell’attribuzione; ma non per questo si tratta di una struttura discorsi­ va. La struttura attanziale permette di prevedere dispositivi attanziali, combinazioni che so­ no paragonabili alle combinazioni che si ottengono facendo incrociare tra loro strutture modali e che noi abbiamo chiamato “dispositivi modali”. L’enunciazione avrà il compito di scegliere, in vista della linearizzazione dei programmi, alcuni di questi dispositivi. A parti­ re da qui, dato che la selezione viene compiuta tra le combinazioni possibili, si può imma­ ginare una collocazione discorsiva del punto di vista, a partire da un osservatore e dai suoi fare cognitivi. Non deve dunque stupire il fatto che i meccanismi della sensibilizzazione si manifestino, in quanto meccanismi di scelta e di selezione, come punti di vista discorsivi, e tuttavia restano indipendenti in quanto tali dalle strutture discorsive che li manifestano.

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ma la particolarità della gelosia è che, pur mettendo in primo pia­ no sia un attante sia l’altro, ha sempre di mira la relazione S2/O,S3; infatti, qualunque sia la prospettiva adottata, lo spettacolo che si offre a Sj è sempre quello della giunzione tra il rivale e l’oggetto. Che un altro goda di O o che O possa essere perduto a vantaggio di qualcun altro, al di qua della variazione di prospettiva, la stessa scena genera sempre la stessa passione. La gelosia obbedirebbe al­ specifi-­ la stessa distinzione che l’invidia, ma sullo sfondo di una specifi cazione che le sarebbe peculiare. Se lo spettacolo fondamentale della gelosia è quello della giun­ zione modalizzata del rivale e dell’oggetto, il geloso è, in quanto osservatore, escluso dalla relazione di giunzione. L’invidioso do­ veva scegliere tra due prospettive di cui era sempre il polo princi­ pale: sia St/S2, sia 5/0,83. Per parte sua il geloso può scegliere sol­ tanto. in definitiva, tra due prospettive su S2/O,S} e lui stesso si trova sempre in secondo piano: sia (S,) 52/O, sia (SJ S2/O,S3. E la ragione per cui il soggetto geloso si trova nell’impossibilità di seg­ mentare altrimenti il dispositivo attanziale e la scena odiata o te­ muta gli si impone; egli stesso si presenta, nei confronti del pro­ prio simulacro passionale, come un soggetto virtualizzato, un sog­ getto senza corpo che non può accedere alla scena. Questa posizione molto particolare nel dispositivo attanziale s‘ tradurrà a livello discorsivo nell’attribuzione di una specifica po sizione di osservazione: l’osservatore della gelosia sarà infatti unc “spettatore”, cioè un osservatore le cui coordinate spazio-tempo­ rali si riferiscono a quelle dello spettacolo che gli è offerto, ma che non può in nessun caso figurare come attore in questa stessa sce­ na. Come vedremo tra poco, infatti, quale che sia la posizione spa­ ziale o temporale del geloso rispetto alla scena dove il rivale e l’og­ getto si congiungono, quest’ultima è sempre “presente” alla sua immaginazione - è opera delle sue determinazioni spazio-tempo­ rali - ma egli ne è sempre escluso. Seconda configurazione generica: l’attaccamento L’attaccamento intenso

Ci limiteremo qui all’esame dell’“attaccamento” propriamente detto, poi dei correlati “possesso” ed “esclusività”. Nella defini­ zione stessa della gelosia l’attaccamento è associato da una parte

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all’intensità, poiché esso è “vivo”, e dall’altra al “desiderio di pos­ sesso esclusivo”. L’intensità dell’attaccamento sovradeterminerebbe la giunzio­ ne, poiché il dizionario precisa che si tratta di “un sentimento che ci unisce...”. Nella misura in cui l’attaccamento appare come la costante soggiacente a tutte le alee della relazione tra il soggetto e l’oggetto, esso può venire interpretato come una necessità che le variazioni della relazione non modificano, nello stesso modo in cui in linguistica un presupposto è considerato come necessario nella misura in cui non è interessato alle variazioni (negazione, in­ terrogazione ecc.) che modificano il posto. L’attaccamento poggerebbe su un dover-essere che modalizzerebbe non l’oggetto, ma la giunzione, qualunque essa sia. Un dover-essere che impegna in qualche misura l’esistenza semiotica del soggetto; tutto avviene in­ fatti come se, una volta interrotto l’attaccamento, il soggetto do­ vesse regredire a uno stadio presemiotico dove nulla avrebbe più per lui alcun valore. Non si vede come l’intensità potrebbe modificare direttamente questa modalità, visto che è categoriale: come può una necessità che si rispetti essere più o meno forte di un’altra necessità? Le so­ le risposte che vengono in mente sono di tipo discorsivo o tensivo: si può ammettere che alcune necessità siano gerarchicamente su­ periori ad altre, che alcune siano più urgenti, prioritarie. La ne­ cessità non conoscerebbe altre gradazioni, insomma, altre diffe­ renze d’intensità se non quelle che obbligano, al momento della messa in discorso, a distribuire temporalmente e spazialmente i programmi in vista della loro linearizzazione: l’intensità dell’attac­ camento si riconoscerebbe in particolare sia in virtù dell’antece­ denza dei programmi o dei comportamenti che afferiscono all’og­ getto, sia in virtù della loro collocazione in primo piano nella rap­ presentazione figurativa che il soggetto si dà del proprio fare. Ma è difficile ammettere che tale traduzione figurativa dell’in­ tensità non sia, poco o tanto, prefigurata in immanenza; in quanto manifestata presuppone una manifestante. La soluzione si trova forse nelle modulazioni tensive che prefigurano le modalità. Il do­ vere è prefigurato, a questo livello, da una modulazione puntua­ lizzante che sospende il divenire, lo trasforma in una semplice “di­ lazione piatta” e neutralizza tutte le potenzialità di cambiamento; per il soggetto tensivo ciò significa che le zone di valenza sono tut­ te unificate: l’insieme delle modulazioni del suo divenire viene riu­ nificato attorno a un’unica valenza, quella dell’oggetto dell’attac­ camento. Nello spazio tensivo della foria l’intensità del dover-esse-

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re è dunque pensabile, poiché l’effetto della modulazione puntua­ lizzante può essere più o meno esteso. Inoltre, più l’attaccamento è forte, più il soggetto appassionato ha tendenza, figurativamente parlando, a confondersi col suo oggetto di valore: il che si può tra­ - durre, in termini tensivi, nel fatto che un’intensità superiore ma­ nifesta una rimessa in causa della differenziazione attanziale. Se si considerano ora gli attanti narrativi e le giunzioni, si nota per cominciare che l’intensità dell’attaccamento si traduce nel gra­ do di investimento del soggetto da parte del suo oggetto. Questo “grado” ricopre in realtà due fenomeni; da un lato l’investimento del soggetto da parte dell’oggetto è più o meno forte a seconda che esso possa ancora accogliere o no altri oggetti; così come ci so­ no oggetti “esclusivi” o “partecipativi” che possono entrare in giunzione sia con un solo soggetto sia con più soggetti alla volta, nello stesso modo ci sarebbero soggetti “esclusivi” o “non esclusi­ vi” che potrebbero ammettere sia uno solo sia numerosi oggetti. Ritroviamo qui la componente quantitativa già incontrata a proposito dell’avarizia, e con essa i suoi effetti coesivi e dispersivi. Un soggetto “attaccato” al suo oggetto sarebbe, a questo riguar­ do, un soggetto la cui totalità integrale risulta consacrata a quel­ l’oggetto. Da un altro lato il soggetto resta attaccato all’oggetto sia che gli sia disgiunto, sia che gli sia congiunto; si considera in ge­ nerale che il soggetto è semantizzato dall’oggetto di valore al mo­ mento della giunzione; il soggetto attaccato è, per parte sua, se­ mantizzato dal proprio oggetto qualunque sia il modo di giunzio­ ne, in un certo senso prima che la giunzione venga categorizzata in disgiunzione/congiunzione, cioè quando ancora non è altro che fiducia. Ciò significa tra l’altro che si può misurare l’intensità del­ l’attaccamento (e dunque del dover-esseré) dall’importanza delle alee narrative che il soggetto attraversa; tenuto conto di ciò, l’in­ tensità sarebbe allora un effetto di senso della resistenza dell’at­ taccamento alle alee della giunzione: resistenza alla perdita, all’as­ senza, all’abbandono, così come al godimento e alla sazietà; l’at­ taccamento che resiste alla distruzione dell’oggetto, l’attaccamen­ to al di là della morte, ci rivela appieno il principio dell’intensità: quest’ultima manifesta una certa maniera d’essere del soggetto fi­ duciario, indipendentemente dall’oggetto di valore che l’occupa. Ci sarebbero in realtà due tipi di relazioni possibili tra il sog­ getto e l’oggetto di valore. Infatti non significherebbe gran che di­ re che il dover-essere modalizza la giunzione con l’oggetto se tutte le varietà della giunzione fossero coinvolte; in compenso, se si considera che la modalizzazione apre un simulacro, si può allora

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immaginare che il dover-essere modalizzi un simulacro di realizza­ zione. Il simulacro è prima di tutto débrayato, per dissociarlo da­ gli enunciati di giunzione altrimenti attestati, poi ré-embrayato sul soggetto tensivo per poter convocare direttamente la modulazio­ ne che prefigura il dover-essere e giocare sulla sua estensione: la re­ sistenza del nuovo simulacro a un eventuale ritorno al discorso che lo accoglie è funzione dell’ampiezza della modulazione. Il débrayage e il ré-embrayage permettono di comprendere perché, malgrado l’evoluzione effettiva delle relazioni tra il soggetto e l’oggetto, l’attaccamento può restare intoccabile: il soggetto può così continuare a sognarsi congiunto al proprio oggetto di valore, perfino al di là della morte o della scomparsa di quest’ultimo.

Lo zelo

Lo zelo intensifica e moralizza al contempo l’attaccamento. È, si dice, “un vivo ardore a servire una persona o una causa alla qua­ le si è sinceramente votati”. L’intensità si manifesta qui come “ca­ lore”, il sentimento è diventato una disposizione a fare (a servire) e l’attaccamento è soltanto presupposto; inoltre l’attaccamento è riformulato come “dedizione”, cosa che, se si mette tra parentesi il fatto che la relazione è in questo caso intersoggettiva e gerarchizzata, toma a segnalare l’investimento esclusivo del soggetto da parte del suo oggetto: egli è “consacrato”, vale a dire “sacrificato” al suo oggetto, e i correlati “fedeltà”, “lealtà”, una volta sospesa la moralizzazione che li sovradetermina, confermano l’indipendenza del dover-essere in questione nei confronti delle peripezie narrati­ ve.56 Inoltre, col presupporre la fiducia, questi due ultimi correla­ ti ci ricordano che, al di qua della moralizzazione, il dover-essere genera l’attesa, o che, più profondamente, la modulazione che li prefigura si staglia sullo sfondo del fiduciario. 56 In L’homme qui rit (libro I, cap. I) Victor Hugo disegna un ritratto particolarmente dettagliato della fedeltà e delle sue conseguenze narrative. Lord Clancharlic, contempora­ neo di Cromwell, è un pari d’Inghilterra che è stato sedotto dai princìpi repubblicani e che è loro rimasto fedele sotto la Restaurazione, quando regnavano prima Carlo II, poi Giaco­ mo II. In uno sviluppo di dieci pagine, che illustra in maniera magistrale l’indi pendenza dell’attaccamento nei confronti delle trasformazioni narrative, Hugo evoca parallelamente e simultaneamente, da una parte, l’evoluzione storica dell’Inghilterra e gli adattamenti suc­ cessivi ai quali sono obbligati coloro che si sottomettono alle trasformazioni del contesto, e, dall’altra, l'immobilismo del repubblicano fedele. A quel punto Lord Clancharlie, legato col suo “attaccamento" a un’idea storicamente “superata", può ormai apparire agli occhi di coloro che si sono adattati al nuovo dato politico soltanto come un soggetto rinchiuso in un simulacro passionale, un soggetto che ha scelto di vivere nel suo immaginario piuttosto che

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Ci si può chiedere perché, a partire da un semema comune, quello dell’“attaccamento intenso”, si ottenga, da un lato, una passione moralizzata positivamente, così come tutti i suoi correla­ ti (lo zelo), e, dall’altro, una passione moralizzata negativamente (la gelosia). La cosa è ancor più sorprendente se si pensa che in molte lingue europee tutte queste figure passionali sono perfetta­ mente unificate attorno all’etimo zèlos, da cui derivano sia lo “ze­ lo” che la “gelosia”; si noterà inoltre che zèlósis, il derivato del ver­ bo zelo, raggruppava senza distinguerli i significati “emulazione, rivalità, gelosia”. Viene alla mente un’ipotesi che permetterebbe in parte di capire quel che è successo: man mano che l’attacca­ mento e lo zelo si distinguevano dalla rivalità, le forme miste come la gelosia (e, in minor misura, l’invidia) vengono moralizzate ne­ gativamente, e le forme “pure”, come l’emulazione da un lato e lo zelo dall’altro, vengono moralizzate positivamente: è una prova ulteriore della preminenza della moralizzazione nelle risistemazio­ ni culturali delle tassonomie passionali. Mentre i greci accettava­ no che lo zelo per l’oggetto e la rivalità si mescolassero, o meglio li derivavano l’uno dall’altro, sembra che noi oggi mettiamo in valo­ re la loro distinzione.

Il possesso e il godimento U possesso esclusivo che il geloso reclama apre due strade paral­ lele per l’indagine, una che riguarda il possesso e l’altra l’esclusività. È vero che talvolta si intende per “atteggiamento possessivo” un at­ teggiamento esclusivo, ma questa contaminazione di un termine da parte dell’altro è solo un effetto delle loro frequenti associazioni. Il “possesso” sarebbe la “facoltà di usare un bene di cui si di­ spone”, e rinvierebbe così a “detenere”, “servirsi di”, “godere di”. Il soggetto del possesso non è un soggetto di fare che miri alla con­ giunzione, ma un soggetto già congiunto che punta al godimento del proprio oggetto. Si riconosce anche un soggetto di fare che nella realtà politica', per questo non stupisce che gli vengano attribuiti ruoli patemici che appaiono come infiorescenze passionali delT“attaccamento”: follia, orgoglio, “ostinazione puerile”, “cocciutaggine senile” ecc. Inoltre il débrayage e il ré-embrayage passionali rice­ vono in questo caso una rappresentazione spaziale e tematica: Lord Clancharlie si è esilia­ to, lontano dal teatro del cambiamento politico, in riva al lago di Ginevra, e il débrayage passionale traspare perfino nel suo atteggiamento: “si scorgeva quel vecchio vestito con gli stessi abiti del popolo, pallido, distratto, [...] a mala pena attento alla bufera e all’inverno, che procedeva come a caso" (Idbomme qui rit, Paris, Garnier-Flammarion, voi. I, p. 247; trad. it. Milano, Garzanti, 1976).

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produce del piacere al soggetto di stato, ma sarebbe situato sulla dimensione tùnica e non più sulla dimensione pragmatica che ha portato alla congiunzione con l’oggetto: si sceglie e si compera la propria casa (dimensione pragmatica) e la si gode una volta che se ne dispone (dimensione tùnica). Una volta congiunto con il sog­ getto, l’oggetto perde in qualche modo il suo statuto pragmatico e si trasforma in oggetto ùmico, oggetto di godimento e fonte di euforia (o di disforia: la casa può essere comoda o scomoda). Ciò che più conta, casomai, riguarda il fatto che, una volta la congiun­ zione pragmatica acquisita e non rimessa in questione, qualcosa continua a succedere; perché la storia non si fermi lì, bisogna pu­ re che compaia un soggetto operatore competente. “Disporre” di qualcosa sarebbe, tra l’altro, “servirsi di:” o “fame ciò che si vuole”. Il soggetto del possesso sarebbe dunque prima di tutto, poiché si presuppone che debba disporre dell’oggetto, un sog­ getto volitivo che, una volta congiunto, dispiegherebbe tutta l’e­ stensione del suo volere sull’oggetto. L’analisi del possesso sembra gettare nuova luce sull’eccedente modale che incontriamo conti­ nuamente nell’universo delle passioni: una volta realizzata, la ricer­ ca dell’oggetto non ha esaurito il “voler-essere-congiunto” e un’al­ tra forma prende il suo posto, senza dubbio la stessa che fa sì che l’avaro voglia godere dei suoi tesori e che non gli basti accumularli. Più precisamente, “fame ciò che si vuole” è sempre fare, ma sul­ la dimensione tùnica; e tuttavia il cambiamento di dimensione si ac­ compagna all’emergere discreto di una clausola quantitativa: “fame ciò che si vuole” è anche padroneggiare la totalità integrale dell’og­ getto; la figura oggetto si è trasformata in immagine del volere del soggetto, non è altro che questo volere. In realtà non si tratterebbe neanche di un altro volere, di un “voler-godere” per esempio, ma, al contrario, di un godimento che nasce dal fatto che il voler-essere è coestensivo all’oggetto, che l’oggetto di valore descrittivo, suscetti­ bile di appartenere a qualunque altro soggetto, è diventato ora l’og­ getto modale caratteristico di un soggetto in particolare. D’altra parte il possesso permette di cogliere al suo inizio un processo che incontreremo spesso, quello, apparentemente, della trasformazione dell’oggetto in soggetto. Infatti, se il godimento è l’azione di trarre da una cosa “tutte le soddisfazioni che essa è ca­ pace di procurare”, l’oggetto è ancora considerato come un ogget­ to modale, in questo caso un poter-fare\ il godimento risulterebbe in qualche modo da una certa adeguazione tra il volere proiettato dal soggetto e il potere che sembra emanare dall’oggetto (la cosa posseduta è “capace”, “suscettibile” di procurare delle soddisfa-

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zioni). Le metafore della lingua quotidiana vanno prese sul serio e i sensi “figurati” come altamente significativi. Da un lato, volendo estendere il suo volere alla totalità integrale dell’oggetto, il sogget­ to del possesso agisce come se la minima frammentazione di que­ st’oggetto costituisse una resistenza; allora, modalizzando una versione quantificata del suo oggetto, il possessore vi proietta una competenza suscettibile di trasformarlo in soggetto: la minima “parte” dell’oggetto che gli sfuggisse ne farebbe un soggetto resi­ stente. Da un altro lato la ripartizione delle modalizzazioni tra i due aitanti presuppone che sia il possessore colui che dispone del volere e il posseduto del potere. La microanalisi modale mostra che, una volta che il discorso è passato sulla dimensione timica, le modalizzazioni proiettate dal soggetto appassionato sull’oggetto di valore suscitano un soggetto competente: è così che la figura oggetto contiene allo stesso tempo un oggetto di valore pragmati­ co e un soggetto operatore timico.

^esclusività L’“ esclusività”, così come l’aggettivo “esclusivo” e il verbo “escludere”, comportano nello stesso tempo una modalizzazione secondo il dover-non-essere, e una quantificazione. Qualunque esclusione suppone una totalità e una parte di que­ sta totalità considerata come una unità; ciò che in realtà delimita l’esclusione è un’unità derivata dalla totalità, individuo, gruppo o frazione; si può estrarre questa unità sia in maniera transitiva - un partito esclude dalle sue file uno dei suoi membri - sia in maniera riflessiva — un gruppo o un individuo afferma i propri diritti esclu­ sivi a tale o talaltro privilegio. D’altra parte essere esclusivo vuol dire “rifiutare di dividere, rifiutare qualunque partecipazione”, di modo che l’esclusione può anche riguardare la distribuzione degli oggetti di valore in una data società. Vi sarebbero allora due modi di ripartire (o di rifiutare di ri­ partire) gli oggetti di valore all’interno di una comunità: sia sul­ l’asse diacronico, dato che ciascuno può sperare di avere la pro­ pria parte a un dato momento, a condizione che la circolazione dei beni non venga intralciata, sia sull’asse sincronico, dato che ciascuno può partecipare simultaneamente al godimento dei beni disponibili. Se l’avarizia e i suoi antonimi perturbavano la circola­ zione dei beni sull’asse diacronico, l’esclusività ostacola ora la par­ tecipazione sull’asse sincronico. La circolazione dei beni poggia

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sulla nozione di “parte”, che corrisponde al “partitivo definito” della grammatica; la partecipazione presupporrebbe, al contrario, una indifferenziazione delle parti che corrisponde agli “indefiniti” grammaticali, dato che gli oggetti restano a ogni istante libera­ mente accessibili da parte di tutti i soggetti; l’esclusività determi­ na un’unità singolare, ritirata dalla partecipazione, che corrispon­ derebbe al “definito singolare” della grammatica. Due questioni restano in sospeso: da un lato lo statuto dell’u­ nità in seno alla totalità e dall’altro lo statuto degli oggetti di fron­ te ai soggetti esclusivi. I soggetti esclusivi interrompono o rimet­ tono in causa il processo di costituzione dell’attante collettivo. Per cominciare si possono ipotizzare individui trattati come unità in­ tegrali, nel senso che, in quanto unità, essi comportano tratti di in­ dividuazione; l’insieme dei tratti che sono loro comuni li trasfor­ ma in unità partitive; la sommatoria di tali unità partitive costitui­ sce allora una totalità partitiva che a sua volta, dato che presenta, in quanto totalità, tratti di individuazione direttamente derivati dai tratti comuni che sono stati raccolti nel percorso, può diventa­ re una totalità integrale. L’esclusività concerne “unità-soggetti” che si individualizzano a scapito della collettività e che affermano, contro i tratti comuni costitutivi di tale totalità, tratti differenziatori: ciò si può interpre­ tare come una resistenza alla costituzione di una totalità partitiva. In rapporto alla distribuzione degli oggetti di valore nella comu­ nità, il ragionamento implicherebbe che l’unità partitiva, e poi la totalità partitiva, siano definite a partire da quegli oggetti di valo­ re che fanno funzione di tratto comune; allora il soggetto esclusi­ vo intralcerebbe l’operazione affermando unilateralmente l’origi­ nalità di un oggetto di valore. Abbiamo già incontrato un fenome­ no analogo a proposito dell’avarizia, e il suo ricorrere nell’univer­ so passionale è per lo meno curioso; tuttavia per l’avaro si trattava soprattutto di rallentare o di fermare il flusso di una circolazione e bastava questo rallentamento per trasformare la sua parte (unità partitiva) in unità integrale; il soggetto esclusivo, come abbiamo suggerito, inventa la propria parte e se ne appropria immediata­ mente. Due operazioni sono dunque necessarie: prima di tutto la creazione di un’unità partitiva, in seguito la sua trasformazione in unità integrale; né la gelosia né l’esclusività presuppongono una qualche circolazione, giacché le parti non sono ancora installate nella comunità considerata. Se prendiamo ora in esame lo statuto degli oggetti, non risol­ viamo nulla dichiarandoli “partecipativi” o “non partecipativi”;

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abbiamo già notato che il carattere partecipativo non era proprio agli oggetti di valore in quanto tali: da un lato le terre possono es­ sere distribuite o messe in comune, dall’altro il sapere può essere gelosamente conservato. Il carattere partecipativo degli oggetti non è altro che l’effetto di senso dovuto al consenso dei soggetti in vista della costituzione della totalità partitiva: basta che uno solo dei soggetti non dia il suo accordo (rifiuti la ripartizione), perché il suo oggetto sia considerato come “non partitivo” e, lui, come “esclusivo”. Gli individui possono dettar legge in questo campo: si può essere gelosi della propria donna, del proprio prestigio o delle proprie scoperte, ma questo vale anche per le culture, che stabiliscono che i beni o le donne siano messi in comune, o che il sapere è appannaggio del clero o degli stregoni. D’altra parte l’esclusività poggia su un dover-non-essere; sia es­ sa cognitiva o logica (due proposizioni inconciliabili sono dichia­ rate esclusive l’una rispetto all’altra), epistemica (è “escluso” ciò che è riconosciuto impossibile) o giuridica (è dichiarato “esclusi­ vo” un privilegio o un diritto riservato a una persona o a un grup­ po designato), l’estrazione di un’unità integrale fuori dalla totalità partitiva è regolata dal dover-non-essere, e questo su due piani: d un lato è la relazione del soggetto collettivo con l’oggetto di vale re scelto che deve non essere; dall’altro è la relazione tra il sogget to unico e la collettività che, anch’essa, deve non essere. Insomma, l’esclusività prepara il terreno alla rivalità. Nell’attaccamento stes­ so la collettività si introduce in negativo, in qualche modo, come una presenza attanziale con la quale il soggetto intrattiene, per presupposizione, relazioni polemiche. È sullo sfondo di questa rottura del consenso, di questo rifiuto della totalità partitiva, che emergerà il rivale. In questo senso il rivale non è altro che la con­ cretizzazione (l’attorializzazione) di questa presenza nello stesso tempo rifiutata e postulata dall’esclusività. L’accostamento con la rivalità fa emergere una sorprendente simmetria. Nella prospettiva della rivalità il conflitto tra gli antago­ nisti, presentato dapprima come una ricerca della superiorità, pote­ va in seguito darsi un oggetto la cui apparizione era in un certo mo­ do suscitata dall’antagonismo stesso. In compenso, nella prospetti­ va dell’attaccamento, la decisione di ritirare l’oggetto dalla comu­ nità, di affermarne l’“originalità-per-sé” e di rifiutare di riconoscer­ vi il tratto partitivo che fonda Pattante collettivo suscita l’ombra di un rivale, disegna il posto dove l’antagonista verrà a inserirsi. Nello scrupolo di sfuggire alle tassonomie culturali, dobbiamo evitare di scegliere tra queste due soluzioni: quella che vede il con-

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flirto generare l’oggetto o quella che vede l’oggetto generare il conflitto. Ma le due soluzioni presuppongono parimenti un assenza di consenso nella comunità o, più in generale, una difficolta nella costituzione dell’attante collettivo. A questo proposito ne l’oggetto né la rivalità risultano pertinenti: all’interno di una co­ stellazione attanziale dislocata, forze coesive lavorano per la nunione in un aitante collettivo e forze dispersive vengono a oppor­ si ad esse. Per questo i tratti “partecipativo” ed “esclusivo” sono proprietà interattanziali proprie all’elaborazione del collettivo che assumeranno in seguito, per manifestarsi, sia la mediazione del­ l’oggetto, sia quella del rivale. Si conferma così una certa immagine dell’universo passionale che non è né specifica né certamente universale, ma soltanto ge­ neralizzabile: le passioni che stiamo esaminando appaiono come configurazioni che gestiscono le relazioni tra l’individuo o il grup­ po e la collettività, relazioni le cui dinamiche convocano ostinatamente la costituzione (in corso) dell’attante collettivo. Ciò sembra costituire la sola spiegazione per il ricorrere dei fenomeni quanti­ tativi; ed è sullo sfondo degli equilibri e degli squilibri così creati che si profilano sia l’ombra del rivale che l’ombra dell’oggetto. La gelosia all’intersezione tra due configurazioni

Se consideriamo ora la gelosia come posta all’intersezione tra la rivalità e l’attaccamento, molti compiti ci si prospettano. Prima di tutto, in quanto figura mista, la gelosia potrebbe essere oggetto di uno studio che si applichi alle variazioni di equilibrio tra la rivalità e l’attaccamento, secondo lo stesso principio che regola le varia­ zioni di dominanza all’interno del termine complesso; si trattereb­ be allora di uno studio interculturale, dove i mutamenti nella rap­ presentazione culturale della gelosia, tanto tra le diverse aree quanto tra le diverse epoche, sarebbero funzione del peso rispet­ tivo di ciascuna delle due configurazioni; abbiamo già sottolinea­ to, con una breve allusione alla gelosia “greca”, l’interesse di uno studio del genere; non è tuttavia il nostro proposito. L’intersezio­ ne tra le due configurazioni non consiste in una semplice giustap­ posizione, ma genera, come abbiamo già suggerito, molteplici in­ terazioni. sarebbe utile a questo riguardo, da un lato, esaminare gli effetti dell attaccamento sulla rivalità e quelli della rivalità sul1 attaccamento, e, dall altro, in una prospettiva sintattica, studiare

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la distribuzione, attorno alla gelosia propriamente detta, delle componenti rispettive delle due configurazioni. Se di nuovo consultiamo le definizioni del dizionario, notiamo che esse distinguono quattro sememi, caratterizzati ciascuno da un termine generico. Incontriamo così un attaccamento', “attacca­ mento vivo e ombroso”; un sentimento cattivo-, “cattivo sentimen­ to che si prova vedendo un altro godere...”; una inquietudine', “in­ quietudine che ispira la paura di condividere...”; e infine un senti­ mento doloroso', “sentimento doloroso provocato, presso colui che 10 prova, dalle esigenze di un amore inquieto, dal desiderio di pos­ sesso esclusivo della persona amata, dal sospetto o dalla certezza della sua infedeltà”. La differenza tra il “sentimento cattivo” e l’“inquietudine” si ri­ conduce in gran parte, l’abbiamo visto, a una variazione di pro­ spettiva che gerarchizza in maniera diversa la relazione con l’og­ getto e la relazione col rivale. Il primo semema (con l’“ attacca­ mento”) radica esplicitamente la gelosia nella relazione con l’og­ getto, riservando alla rivalità il ruolo di sovradeterminazione su­ perficiale (l’adombrarsi); il quarto adotta la stessa gerarchia, centrando l’insieme del dispositivo passionale sull’“amore”, for­ ma specifica dell’attaccamento, e poi sovradeterminandolo grazie agli effetti della rivalità (inquietudine, sospetto ecc.). Nell’insieme entrambe le opzioni si trovano dunque realizzate: il primo e il quarto semema accordano la preminenza all’attaccamento, il se­ condo e il terzo alla rivalità, il che consente di osservare in manie­ ra più precisa gli effetti dell’“intersezione” su ciascuna delle con­ figurazioni. Si nota da un lato, parallelamente alla comparsa dell’“adom adom-­ brarsi”, il ricorrere dell’“inquietudine”; siccome d’altra parte l’a­ dombrarsi comporta anch’esso, in almeno una delle sue accezioni, l’indicazione di inquietudine, si può supporre che quest’ultima fi­ gura sia una delle innovazioni di rilievo della gelosia rispetto al­ l’attaccamento: l’innamorato geloso sarebbe prima di tutto un in­ quieto. Se si presta fede alle definizioni dell’inquietudine, il geloso conoscerebbe l’“agitazione”, l’insoddisfazione perpetua e la “preoccupazione”. Tale assenza di riposo, questo turbamento che impedisce di godere in pace dell’oggetto desiderato si fondano es­ senzialmente su un’oscillazione tra l’euforia e la disforia, tale per cui il geloso non è né veramente euforico né veramente disforico. 11 principio stesso di una tale oscillazione andrebbe cercato in una difficoltà a polarizzare i termini della feria: così la congiunzione con l’oggetto amato non basta a rendere il soggetto euforico. Cer-

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to, ciò che impedisce al soggetto di godere del suo oggetto è la ri­ valità: è essa che assume la forma patemica dell’inquietudine e dell’adombrarsi, in contatto con l’attaccamento. Infatti, per quan­ to sovradetermini l’attaccamento, la rivalità subisce la sua influen­ za e offre così un esempio delle mutazioni che si operano all’inter­ no dei macro-dispositivi passionali. Da un altro lato si assiste allo sviluppo della sfiducia, del so­ spetto e del timore: ecco allora un valoroso combattente o un emulo meritevole che, non appena possiede un bene gelosamente amato da difendere, viene pervaso dall’apprensione; infatti, oltre a dover preservare la propria integrità, o dimostrare la propria su­ periorità, ha pure bisogno di preoccuparsi di quell’oggetto che egli conserva per sé in maniera esclusiva. La sfiducia, il sospetto e il timore poggiano tutti su una pertur­ bazione fiduciaria che modifica i dati originari dell’attaccamento. Quest’ultimo, infatti, presuppone un dover-essere che fonda la fi­ ducia, non già una fiducia intersoggettiva, dato che ci si può ap­ plicare altrettanto a un oggetto, ma una fiducia generalizzata, la possibilità per il soggetto di dare un senso alla propria vita. L’e­ mergere della rivalità sullo sfondo dell’attaccamento rimette in causa questa fiducia, a tal punto che la relazione con l’oggetto amato può venirne influenzata: sotto l’influsso della rivalità l’at­ taccamento si trasforma dunque in sfiducia. Incapace di godere serenamente dell’oggetto, impedito nelle sue schermaglie contro il rivale, il geloso si agita invece di agire e si insospettisce invece di fidarsi. Le distorsioni apportate a ciascu­ na delle due configurazioni da parte di quella che la sovradetermina generano figure specifiche della loro intersezione, che sono le figure stesse della gelosia. La costruzione della gelosia passerà allora attraverso lo studio di tali figure di sovradeterminazione. LA COSTRUZIONE SINTATTICA DELLA GELOSIA

I costituenti sintattici della gelosia

La gelosia si organizza attorno a un evento disforie© che può es­ sere situato sia in prospettiva, sia in retrospettiva, e che trasforma così il geloso sia in soggetto pauroso, sia in soggetto sofferente. Inoltre, a seconda che egli ponga in primo piano il rivale che gode del suo oggetto oppure l’oggetto che gli sfugge, risulterà ombroso

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oppure diffidente. Queste variazioni dei ruoli patemici che si di­ spiegano al momento della messa in discorso non modificano la “gelosia in sé”, ed è questa che si tratta ora di costruire a partire dai dati raccolti nei discorsi realizzati. Va detto anche che, nel di­ scorso stesso, il simulacro passionale della gelosia, e in particolare la scena che il geloso si offre, non vengono modificati dalle varia­ zioni di prospettiva. Se si presta attenzione ancora una volta alle diverse varietà del­ la gelosia, si nota in effetti una strana e paradossale indifferenza della passione alla giunzione; certamente, nei suoi diversi ruoli pa­ temici, il soggetto geloso non è indifferente al fatto di essere o no congiunto con l’oggetto e al fatto che il suo rivale possieda o no l’oggetto, ma la passione resta identica a se stessa quali che siano gli enunciati convocati. Tutte le combinazioni fanno gioco: - 5; congiunto/S2 congiunto (vedere un altro godere di un van­ taggio che si desiderava possedere in maniera esclusiva); - S, congiunto/S2 disgiunto (la paura di condividere o di perde­ re); - Sj disgiunto/S2 congiunto (vedere un altro godere di un van­ taggio che non si possiede); -5; disgiunto/S2 disgiunto (la paura che un altro ottenga ciò che non si possiede ma che si desidera possedere). Tuttavia la gelosia è indifferente soltanto alle varietà della giun­ zione che il soggetto prova al momento in cui è geloso, giacché es­ sa ammette pur sempre come costante un dispositivo sintattico che è quello in cui il rivale possiede l’oggetto e in cui il soggetto se ne vede privato. Ma tale dispositivo è attualizzato dalla passione stessa, indipendentemente dalla situazione narrativa in cui si tro­ vano i tre aitanti, e appare come il contenuto “esistenziale” del si­ mulacro. Le variazioni di prospettiva inerenti alla messa in discor­ so sono dunque in parte l’effetto degli spostamenti relativi tra questi due tipi di giunzione, le giunzioni effettive e le giunzioni si­ mulate, e la costruzione della gelosia in quanto tale può essere sol­ tanto la costruzione del dispositivo proprio al simulacro, sola co­ stante discorsiva in questo caso. Einquietudine

L’inquietudine sembra essere più generale della paura o dell’adombrarsi, ed è la ragione per cui sarà considerata come uno dei costituenti sintattici fondamentali della gelosia. La sola paura pre-

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suppone soltanto un sapere e un credere, un’attesa modalizzata nello stesso tempo e in modo conflittuale dal poter-essere (1 even­ tualità) e dal voler-non-essere (il rifiuto). In compenso 1 inquietu­ dine introduce, tramite la permanenza e 1 iterazione, un ruolo patemico stereotipato, una costante della competenza passionale del soggetto. Circoscritta alla paura, la gelosia sarebbe soltanto un sentimento puntuale, incidente, dato che la paura trae ragione sol­ tanto da un evento futuro che in questo caso fa funzione di ogget­ to di sapere e che mobilita l’attesa; sarebbe, in un certo senso, una gelosia dettata dalle circostanze. In compenso, con l’inquietudine che, per definizione, è senza oggetto preciso, la gelosia diventa una proprietà del soggetto stesso, inscritta non nella circostanza, ma nella competenza, come un modo di essere del geloso. Paragonata all'adombrarsi, l’inquietudine conserva anche una posizione generica, giacché l’adombrarsi è solo una fase effìmera della gelosia o dell’inquietudine, la sola in cui si profila l’ombra del rivale. Dal punto di vista della sintassi, quindi, l’inquietudine regge tutta la catena e si traduce di passaggio sia nell’adombrarsi, quando il rivale si manifesta, sia nella paura, quando si attende l’e­ vento disforico. L’inquietudine, in particolare, può innestarsi altrettanto bene sia sull’attesa dell’evento sia sull’attesa della sofferenza propria­ mente detta. In questo senso essa fa rivivere al soggetto appassio­ nato lo scuotimento forico fondamentale, quello che genera il “sentire” minimale. Inoltre, se l’agitazione tra euforia e disforia impedisce al soggetto inquieto la polarizzazione che farebbe di es­ so un vero e proprio soggetto di quète, essa lo riconduce, tramite una regressione nel percorso generativo, alla tensività forica, pre­ cedente alla categorizzazione. L’oscillazione infatti non può essere interpretata come un percorso tra posizioni estreme: l’inquieto non è un ciclotimico; essa consiste in una perpetua esitazione al1 interno di una figura mista che non giunge a fissare i propri ter­ mini. E la ragione per cui si può comprendere l’inquieto come un soggetto immerso nelle modulazioni tensive. Il soggetto inquieto potrebbe passare per il prototipo del sog­ getto appassionato, poiché, non potendo percorrere posizioni di­ scontinue ah interno delle categorie modali, in seno alle quali egli può solo oscillare, 1 unico percorso che gli si offre è quello tra una modahzzazione e 1 altra, cioè all’interno dei dispositivi modali. Vietando al soggetto le trasformazioni discontinue offerte dalie categorie modali, 1 inquietudine lo predispone a piegarsi alla sintassi intermodale all interno dei dispositivi passionali. L'inquieto

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sarebbe un prototipo del soggetto appassionato anche in un altro senso, complementare al precedente. Infatti, se si cerca di identi­ ficare il suo specifico dispositivo modale, o addirittura il suo per­ corso esistenziale, non ci si riesce: sia il volere che il sapere, sia il potere che il dovere, possono altrettanto bene fondare l’inquietu­ dine; i soggetti realizzati, virtualizzati, attualizzati e potenzializzati sono tutti suscettibili, per ragioni diverse, di essere soggetti in­ quieti. L’inquietudine non è altro che questa oscillazione che installa un simulacro disponibile per un’altra passione, che opera il ré-embrayage sul soggetto tensivo in vista di percorsi più specifici. L’in­ quietudine prepara in qualche modo il terreno per altre passioni: essa definisce una certa costituzione del soggetto; si particolarizza soltanto in funzione delle passioni che in seguito investiranno il si­ mulacro e gli procureranno un’armatura modale. È così che, se l’inquietudine modifica un attaccamento, essa di­ viene l’inquietudine di qualcuno che ha qualcosa da perdere, quella di un soggetto realizzato, e al contempo un’inquietudine che turba un dover-essere. In questo caso si potrà parlare di una “preoccupazione”. In realtà la preoccupazione è una figura ibrida che risulta dall’incontro tra l’attaccamento e l’inquietudine; nell; lingua il termine stesso può designare altrettanto bene sia l’ogget to che assorbe e preoccupa il soggetto, sia la preoccupazione stes­ sa, ovvero la sofferenza morale che può discenderne. Essa, da un lato, trae dunque qualcosa dall’attaccamento - è l’assorbimento del soggetto da parte dell’oggetto, questo investimento integrale e alienante del soggetto - e, dall’altro, dall’inquietudine - è la sotto­ missione alle oscillazioni della foria. La preoccupazione si presen­ ta allora come un’inquietudine che abbia ricevuto la sua armatura modale dall’attaccamento.

Sfiducia o diffidenza? La sfiducia e la diffidenza sono componenti sia dell’adombrarsi sia del sospetto e della paura: sfruttano la componente fiducia­ ria sottesa all’attaccamento. Bisognerebbe a questo riguardo di­ stinguere due diverse occorrenze della diffidenza nella configura­ zione: da un lato c’è una diffidenza presupposta dalla gelosia e che trae origine dalla rivalità; è la diffidenza nei confronti dell’avver­ sario, la quale non è per nulla specifica della gelosia, ma le è ne­ cessaria. Dall’altro lato c’è la diffidenza suscitata dalla gelosia: dif-

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fidanza nei confronti dell’essere amato di cui si sospetta l’infe­ deltà, per esempio. Questa risulta allora in modo molto preciso da una perturbazione della fiducia propria all’attaccamento; tale dif­ fidenza implicata non è necessaria alla gelosia, ne è soltanto una delle eventuali varianti, che può essere sospesa per esempio nel caso in cui il geloso acceda di colpo alla certezza e si accontenti, se così si può dire, di soffrire per il tradimento. Esaminiamo per il momento la diffidenza presupposta e inerente alla rivalità. Per cominciare va notato che la dimensione fiduciaria è inscrit­ ta allo stesso tempo sia nella definizione modale dell’attaccamen­ to sia in quella dell’esclusività: da una parte il dover-essere deter­ mina un’attesa fiduciaria che restringe l’orizzonte del soggetto a un solo oggetto; dall’altra, il dover-non-essere determina una di­ versa forma di attesa fiduciaria - questa volta negativa - grazie al­ la quale il soggetto protegge il suo territorio. Ma, in un altro sen­ so, la fiducia e la diffidenza emergono dal fiduciario, quell’insieme di modulazioni tensive dove si delineano le valenze; una volta compiute la discretizzazione e la categorizzazione delle modalità, il fiduciario viene convertito in dimensione fiduciaria. E tuttavia non è possibile derivare direttamente quest'ultima, e in particola­ re la fiducia e la diffidenza, a partire dalle sole modalità. In una prima tappa le modalizzazioni aietiche, sia che si espri­ mano sotto forma di dover-essere che sotto forma di poter-essere, consentono al soggetto cognitivo di emettere giudizi di adegua­ zione, i quali, a loro volta, proiettano sulle giunzioni convertite in oggetti di sapere modalizzazioni cosiddette epistemiche; il passag­ gio da un poter-essere a un non-poter-non-essere^ per esempio, verrà riformulato, a questo livello superiore di articolazione, come un passaggio dal “probabile” al “certo”. Sono le modalizzazioni epistemiche a venire in seguito moralizzate per generare la cate­ goria fiduciaria. Il giudizio etico che allora interviene sovradeterminerà ogni modalizzazione epistemica in funzione di una tasso­ nomia prestabilita: la certezza apparirà, per esempio, secondo i casi, sia come “fiducia”, sia come “credulità”. L’insieme di queste tappe della procedura generativa rende conto in qualche modo della maniera in cui il credere si costituisce, dal fiduciario genera­ lizzato e sprovvisto di articolazioni fino alle raffinate strutturazio­ ni della dimensione epistemica e della sua moralizzazione. Nel caso della gelosia la “certezza” sarà sempre valorizzata, sia essa positiva o negativa, certezza positiva prima della crisi passio­ nale, certezza negativa durante la crisi stessa. La certezza positiva, nata dall’attaccamento, si manifesterà come una “fiducia” (e non

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come una “credulità”); la certezza negativa, che nasce dall’esclusi­ vità, si manifesterà come diffidenza generalizzata, una sorta di pessimismo intrinseco alla gelosia; il geloso infatti preferisce sem­ pre “sapere”, così dice, a qualunque costo, il che, visto dall’ester­ no del simulacro passionale, viene interpretato generalmente co­ me una grande attitudine al credere. Se la si proietta sul quadrato semiotico, la dimensione fiducia­ ria si organizza nel modo seguente: FIDUCIA

DIFFIDENZA

?? PREFIDENZA

SFIDUCIA57

Tornando alla gelosia ci si accorge che la diffidenza, fondata su una certezza negativa, può intervenire soltanto dopo la “prova”, reale o immaginaria, del trionfo del rivale; si tratterà dunque di un esito del percorso fiduciario, nel caso in cui l’evento è ancora atte­ so quando si manifesta la gelosia, e un punto di partenza del per­ corso, nel caso in cui l’evento è già compiuto. Per quanto riguarda l’adombrarsi, col quale il geloso scorge al­ meno l’“ombra” di un eventuale rivale, esso provoca semplicemente la sospensione della fiducia, vale a dire la sfiducia (Si ha smesso di essere fiducioso). Quest’ultima si dispiega in “sospetti”, attraverso i quali, anche se il soggetto non sa veramente a cosa ap­ pigliarsi dato che non ha ancora nessuna prova, egli suppone che vi sia qualcosa da sapere. La sospensione della fiducia non proce­ de dunque da un’acquisizione di sapere, bensì dall’acquisizione di un metasapere, un sapere che porta sulla presenza degli oggetti di sapere. L’adombrarsi è un ruolo patemico del geloso indotto da un fare del rivale; ora, questo fare gioca di fatto un ruolo informa­ tivo per la ragione che trasmette un metasapere. La relazione po­ lemica, nella gelosia, è prima di tutto un’ipotesi di Sb ipotesi che gli suggeriscono i presupposti associati all’esclusività e che l’in­ quietudine rinforza. Si potrebbe sostenere che la fiducia, in tali condizioni, è parti­ colarmente fragile; è certamente richiesta dall’attaccamento, giac­ ché il soggetto deve credere nel valore del suo oggetto per crede­ re nella propria identità, ma è nello stesso tempo minata dal rifiu571 termini utilizzati nel testo francese, leggendo in senso orario a partire da in alto a si­ nistra, sono: confiance, méfiance, défiance e préfiance. [N.J.C.]

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to della partecipazione che, nel caso della gelosia, è coestensivo al­ l’attaccamento stesso. Era evidente, fin dalla formulazione moda­ le di questi ruoli patemici, che ci si doveva attendere un conflitto tra il soggetto del dover-essere e quello del dover-non-essere\ que­ ste due modalizzazioni che fondano due ruoli dello stesso sogget­ to, attaccato ed esclusivo, lo mettono in contraddizione con se stesso. La contraddizione, in questo caso, ha a che vedere col fat­ to che, per garantirsi da ogni perdita, il geloso deve essere diffi­ dente, mentre, per rendere perenne il suo attaccamento, deve re­ stare fiducioso. A partire dall’ipotesi secondo la quale attorno a lui si va profi­ lando la figura di un rivale, il soggetto geloso proietta scenari pro­ babili che lo collocheranno nella sfiducia per tutto quel che ri­ guarda il suo attaccamento; tali scenari costituiscono la messa in scena figurativa della relazione S2/O,S3. Occorrerà poi una prova per trasformare uno di questi scenari probabili in certezza. Il per­ corso del geloso comporta di conseguenza due trasformazioni fi­ duciarie, una per passare dalla fiducia alla sfiducia, l’altra per pas­ sare dalla sfiducia alla diffidenza. La prima, data la situazione con­ flittuale stabilita dal principio, addirittura prima della crisi di ge­ losia, si compie alla minima occasione: il fatto più insignificante, il minimo segno comprometterà l’equilibrio instabile dell’attacca­ mento esclusivo, dando così la preminenza al versante negativo della contraddizione interna. In questa fase il geloso è un puro ri­ cettore di indizi e di segni; in seguito la sospensione della fiducia scatena una ricerca cognitiva che rende possibile il metasapere. La seconda trasformazione dovrà provocare una scelta tra le ipotesi; tale scelta appartiene in tutto e per tutto alla sequenza della gelo­ sia, e avremo l’occasione di tornarci più a lungo, testi alla mano. L’insieme del percorso si presenta così: FIDUCIA

DIFFIDENZA

(indizi)

(prova)

^\(segni)

SFIDUCIA

Tuttavia un soggetto inquieto, la cui identità è assicurata da un ré-embrayage sul soggetto tensivo, non può sperare in un percorso

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così netto. Per quanto sfiduciato e sospettoso nei confronti delle ombre rivali che si agitano intorno a lui, egli resta fiducioso sino alla fine del percorso, e talvolta oltre, nei confronti dell’oggetto amato. Si possono certo immaginare tutte le eventualità che stan­ no tra la fiducia legata all’attaccamento e la diffidenza legata alla struttura polemica; ma il geloso sarà sempre diviso tra due ruoli fi­ duciari, poiché, all’interno del simulacro passionale, la sua diffi­ denza non si potrebbe comprendere senza l’attaccamento e, di conseguenza, essa continua a presupporlo. È la ragione per cui, quando ha fiducia da un lato e sfiducia dall’altro, lo stato in cui si trova non potrà mai essere descritto come “termine complesso”: sarà un’oscillazione, un’asserzione e una negazione simultanee che, riecheggiando lo scuotimento forico dell’inquietudine, po­ tranno solo amplificarlo. Le modulazioni tensive hanno messo in movimento la massa forica e la dimensione fiduciaria vi aggiunge l’instabilità di un’asserzione/negazione simultanea dei contrari: ecco la prima figura dell’auto-generazione, dell’auto-amplificazione, che ritroveremo spesso nei discorsi realizzati e che sembra ca­ ratteristica della passione della gelosia.

Abbozzo del modello della gelosia La gelosia, nella sua versione più complessa, sfrutta una strut­ tura attanziale composta da tre attanti, Sn S2 e O,S3, che viene con­ vertita in dispositivo sensibile da tre messe in prospettiva succes­ sive: la struttura viene posta sotto la prospettiva di Sn in seguito vengono proposte parallelamente due messe in prospettiva secon­ darie: S,/S2 da una parte e S/CXSj dall’altra, e infine un’ultima messa in prospettiva viene applicata ai risultati delle due prece­ denti e consiste in entrambi i casi nel ricostituire la coppia S2/O,S3 sotto forma di una scena da cui S, rimane escluso. Provvisoriamente potremmo considerare che le relazioni di giunzione tra questi attanti sono modalizzate come segue: St/O-S3 è modalizzata dal dover-essere (attaccamento) e dal voler-essere (possesso); Sj/S2 è modalizzata dal dover-non-essere (l’esclusione rispetto alla comunità); S2/O,S3 è modalizzata dal dover-non-esse­ re e dal voler-non-essere (esclusività). Tutte queste modalizzazioni, beninteso, sono proiettate dal punto di vista di S, che, procuran­ do un primo orientamento al dispositivo, ne ha sensibilizzato le modalità. D’altra parte, l’inquietudine e la preoccupazione, defi­ nite come “oscillazione” e “assorbimento”, possono ricevere

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un’interpretazione solo al livello tensivo, in quanto modulazioni. Insomma, la “gelosia-in-sé” convocherebbe, per la propria defini­ zione, (1) la conversione delle strutture attanziali in dispositivi prospettivi, (2) modalizzazioni sensibilizzate poggianti su modula­ zioni tensive e (3) modulazioni tensive direttamente convocate al­ l’interno del simulacro. Due tra gli elementi di costruzione sembrano disputarsi lo sta­ tuto di presupposto: da un lato l’attaccamento e dall’altro l’in­ quietudine; il loro ruolo sintattico, tuttavia, è assolutamente di­ verso. H primo offre all’insieme della gelosia, in quanto configura­ zione e percorso, una rezione morale che, anche se poggia su un fenomeno tensivo, si trova espressa a un dato momento nel per­ corso generativo come la categoria del dovere, la seconda, in com­ penso, non può ricevere alcuna formulazione modale specifica e pur tuttavia procura all’insieme del percorso sintattico al contem­ po un motivo di scatenamento e uno stile semiotico il quale, su­ perficialmente, potrà apparire come aspettuale; in quanto “scate­ namento” essa ricopre il ré-embrayage sul soggetto tensivo; in quanto “stile semiotico” assicura le transizioni tra le diverse tappe della crisi di gelosia e mantiene un’omogeneità al di là delle tra­ sformazioni modali e dei cambiamenti di ruoli patemici. L’attac­ camento sarebbe dunque il presupposto modale della gelosia, men­ tre l’inquietudine ne sarebbe il presupposto forico. Ruoli e dispositivi patemici

Possiamo ora considerare il fatto che la gelosia si presenta sot­ to due forme: una vasta configurazione, da una parte, in cui essa è solo una delle eventualità passionali immaginabili e, dall’altra, un evento passionale specifico che abbiamo fin qui designato intuiti­ vamente come “crisi passionale” o “crisi di gelosia”. La crisi pas­ sionale propriamente detta comprenderebbe: il sospetto, che è una forma di sapere il cui oggetto rimane segreto (un metasapere), l’amministrazione della prova e la messa in scena decisiva, che in­ ducono l’acquisizione di una certezza da cui nascerà la diffidenza, e infine la sofferenza che potrà essere, secondo i casi, sia una an­ goscia (retrospettiva), sia una paura (prospettiva). In un altro senso, a causa della complessità della sua organizza­ zione, la gelosia non appartiene a una configurazione e a un mi­ crosistema patemico, ma a molti: quello dell’attaccamento, quello dell’esclusività, quello delle strutture polemico-contrattuali, quel-

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lo delle passioni fiduciarie, e altri ancora. Non solo la gelosia non è una passione isolata, dato che appartiene a microsistemi nei qua­ li essa occupa semplicemente una posizione tra altre, ma, va ag­ giunto, essa partecipa di numerose costellazioni patemiche. H gio­ co delle intersezioni e dei confronti, che ci ha consentito di passa­ re dalle categorie modali ai dispositivi modali, si riproduce ora e ci permette di passare dalle strutture patemiche, come quella dell’a­ varizia, ai dispositivi patemici, come quello della gelosia. Così come l’intersezione di numerose strutture modali genera un dispositivo modale e, successivamente, un ruolo patemico, allo stesso modo l’intersezione di numerosi ruoli patemici genera un dispositivo patemico. Proprio come le modalità all’interno di un dispositivo modale, i ruoli patemici si legano e si trasformano gli uni con gli altri all’interno di un dispositivo patemico e definisco­ no così un ulteriore grado di articolazione sintattica dell’universo passionale. Una passione come l’invidia, per esempio, avrebbe po­ tuto nel suo insieme essere circoscritta all’interno della configura­ zione della rivalità e nel microsistema delle strutture polemicocontrattuali; la collera, invece, partecipa di numerosi microsiste­ mi, proprio come la gelosia. Così potremmo opporre tra loro le passioni “semplici” e le passioni “composte”, e tuttavia ci pare preferibile, per evitare di ricadere nelle tassonomie e nello studio delle passioni isolate, mantenere l’espressione “dispositivo pate­ mico”. La costruzione della gelosia richiede dunque preliminarmente che si stabiliscano microsistemi patemici sullo sfondo dei quali si delinea il suo dispositivo specifico. Il microsistema dell’attaccamento, per esempio, regolato dalla struttura modale del dovere, si presenterebbe in questo modo: ATTACCAMENTO

FOBIA

(dover-esserc)

(dover-non-essere)

? TOLLERANZA?

DISTACCO

(non-dovcr-non-essere)

(non-dovcr-essere)

Quello delle strutture polemico-contrattuali applicate all’attac­ camento farebbe apparire, accanto alla gelosia che è una passione dell’antagonismo, passioni della discordia come l’“esigenza” e la “durezza”, passioni della conciliazione come 1’“indifferenza”, e infine passioni della collusione come la “compiacenza”, a meno

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che non si incontri in questa posizione l’“abnegazione”, in una versione diversamente moralizzata. Se consideriamo ora il sistema dell’attante collettivo e indivi­ duale, sistema che fonda l’esclusività, la gelosia verrebbe a collo­ carsi in un microsistema la cui distribuzione poggerebbe sull’e­ splosione della categoria quantitativa, vale a dire sulle unità partitiva (Up) e integrale (Ui) e sulle totalità partitiva (Tp) e integrale

(Ti): PASSIONI (Up) SIMPATICHE

PASSIONI (Ui) ESCLUSIVE

(Ti ) PASSIONI IDENTITARIE

(Tp) PASSIONI COMUNITARIE

U metatermine costituito dalla riunione delle passioni simpati­ che ed esclusive definisce l’insieme delle passioni individualizzan­ ti-, l’altro metatermine, costituito dalla riunione delle passioni identitarie e comunitarie, definisce l’insieme delle passioni colletti­ vizzanti. La gelosia appartiene in pieno alle passioni individualiz­ zanti esclusive; la “compassione” sarebbe una passione individua­ lizzante simpatica, caratteristica del soggetto individuale partitivo, per il fatto che egli condivide, attraverso la passione, un tratto in comune con i suoi simili. La “convivialità” sarebbe una passione collettivizzante comunitaria; e, se si ammette di considerare l’“opinione pubblica” un soggetto di passione, allora essa può es­ serlo nel quadro delle passioni collettivizzanti, sia comunitarie sia identitarie. Per finire, le passioni del soggetto collettivo integrale sono quelle tramite le quali un intero gruppo determina la propria identità: la “coscienza di classe” è una di esse, ma anche tutte quelle passioni nazionali che, a seconda del fatto che siano colte dall’esterno o dall’interno, possono essere interpretate talvolta co­ me logori stereotipi, talvolta come fermenti dell’identità collettiva. Questo rapido sguardo su alcuni dei microsistemi ai quali ap­ partiene la gelosia non pretende di essere esaustivo (l’esaustività non avrebbe molto senso in questo caso), ma permette comunque di comprendere in che senso essa è un “dispositivo di dispositivi”; in ogni microsistema, infatti, le passioni che ne occupano le diver­ se posizioni poggiano su dispositivi sensibilizzati; nella misura in cui la gelosia partecipa di tutti questi microsistemi, essa articola in un macrodispositivo le passioni particolari che riunisce. A tali ar­ ticolazioni volgeremo ora la nostra attenzione.

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LA GELOSIA, PASSIONE INTERSOGGETTIVA

Una volta installato il triangolo S/S/S,, la gelosia appare come un vasto campo di manovre e di eventi passionali di cui è possibi­ le fin da ora prevedere alcuni sviluppi. L’intersoggettività verrà analizzata in cinque tipi di interazioni: Gz) Sj/O,S3: le trasformazioni della relazione amorosa, (b) S,/S2: le variazioni sulla rivalità, (c) S2/S3: la congiunzione temuta, (d) S,/S2 + S3,O: il geloso e il suo spettacolo, (e) S/Sp il geloso e il proprio giudice. Tutte queste interazioni implicano confronti, dominazioni, manipolazioni e contro-manipolazioni, nei dettagli delle quali non entreremo in maniera sistematica; nell’ambito della gelosia, alcune sono più redditizie di altre; per esplorarle utilizzeremo il discorso dei moralisti e le difficoltà che presenta la sua anali­ si. Per questo incontreremo di passaggio Barthes, Beaumarchais, La Bruyère, La Chaussée, La Rochefoucault, Racine, Stendhal. All’interno della configurazione sono stati preliminarmente de­ finiti tre attanti in rapporto agli enunciati di giunzione riscontrati nel discorso d’accoglimento. Il carattere proprio delle interazioni passionali è quello di suscitare all’interno della configurazione una comunicazione dove gli oggetti-messaggi scambiati sono esclusivamente o prima di tutto oggetti modali; esse operano in­ fatti all’interno di un simulacro che risulta dal débrayage passiona­ le, e l’“infedeltà” stessa, che, da un altro punto di vista, può pas­ sare per una trasformazione eminentemente pragmatica, funzio­ nerà all’interno della configurazione passionale come un oggetto modale. La prima conseguenza di ciò è che gli “attanti” del trian­ golo iniziale si scinderanno tutti in soggetti modali e in differenti ruoli che non coincidono più obbligatoriamente con la ripartizio­ ne iniziale. La seconda conseguenza, che discende dalla prima, ri­ guarda lo statuto di questi soggetti modali rispetto agli attanti nar­ rativi che sono il “geloso”, il “rivale” e l’“oggetto-soggetto ama­ to”. Nella misura in cui ciò che viene scambiato nella comunica­ zione gelosa ha carattere esclusivamente modale, la sensibilizza­ zione che opera nell’insieme della configurazione agisce sui dispositivi modali messi in circolazione: all’interno del macro-si­ mulacro appaiono allora ruoli patemici che sono altrettanti simu­ lacri che i partecipanti si scambiano.

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NB Ci richiamiamo qui a due tipi di simulacri: da un lato la passione si in­ scrive interamente in un simulacro; dall’altro i partecipanti si scambiano si­ mulacri che consistono in dispositivi modali sensibilizzati. In realtà la signifi­ cazione è la stessa, solo l’estensione cambia, poiché la gelosia si presenta co­ me un macro-dispositivo patemico - primo tipo di simulacro - che compren­ de numerosi ruoli patemici - secondo tipo di simulacro. Già lo statuto del rivale nella gelosia è incerto; tanto per co­ minciare, il fatto che sia riscontrato o che non lo sia, che sia un ai­ tante narrativo del discorso d’accoglimento o che sia soltanto una costruzione dell’immaginario del geloso, non toglie nulla alla sua efficacia passionale; poi, basta che Si rifiuti di entrare nella totalità partitiva perché si installi per presupposizione un antisoggetto vir­ tuale e perché, a partire da quel momento, la minima “ombra” che si stenda sull’oggetto amato dia corpo a tale antisoggetto. Che questi abbia un riscontro o che sia una creazione di Sj, il risultato è sempre lo stesso, giacché il “rivale”, effettivo o sognato, non svolge altro ruolo nella configurazione che quello che gli attribui­ sce il geloso e non è altro che il simulacro che St proietta a partire dalle modalizzazioni dell’attaccamento, del possesso e dell’esclu­ sività. Per quanto riguarda l’oggetto-soggetto amato, abbiamo già constatato fino a che punto il suo statuto veniva profondamente modificato dalle modalizzazioni proiettate da Sp il volere del pos­ sessore lo converte in oggetto ùmico e modale; infatti alla gelosia sono sufficienti un desiderio di possesso esclusivo e una congiun­ zione semplicemente sperata. A questo riguardo anche l’oggetto non svolge altro ruolo nella configurazione che quello proiettato dal geloso sotto forma di un simulacro attraverso il quale egli per­ segue il proprio sogno di possesso esclusivo. Mostreremo infine che anche l’identità del soggetto appassio­ nato è interamente modellata dall’interazione, e in particolare dai disposiùvi modali che sorgono in essa, vi circolano e vi si scam­ biano. L’indagine che segue porta dunque sui simulacri messi in opera nella comunicazione gelosa e sulle trasformazioni che essi subi­ scono per effetto delle diverse strategie e manipolazioni di cui è occasione la passione della gelosia.

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Il simulacro dell’oggetto-soggetto amato: dall’estetica all’etica Un resto di speranza Si giunge al colmo dei tormenti, cioè all’estrema infelicità, avvelenati da un re­ sto di speranza.58

La sola via d’uscita per il geloso infelice sarebbe quella di non amare più, di spezzare l’attaccamento, poiché la fiducia intrinseca all’attaccamento rimane indipendente dalle sfiducie e dalle diffi­ denze che nascono dall’attività del rivale; essa serve da fondamento a tutte le trasformazioni fiduciarie proprie della gelosia, ma non vie­ ne modificata finché l’identità di S, non è rimessa in causa; in parti­ colare l’affondamento fiduciario provocato dall’entrata in lizza di S2, soprattutto le marcate preferenze di S3 per S2, non può influen­ zare il credere fondamentale tramite il quale il soggetto assume il proprio investimento semantico. Il “resto di speranza” mantiene dunque la sofferenza, perché rende perpetuo il presupposto ultimo della gelosia. Ma si vede già che, se tutto comincia e perdura con questo credere presupposto, tutto può anche finire insieme a lui. Si è mostrato in molte occasioni che la negazione di un presup­ posto sintattico costituisce la messa in causa dell’universo di di­ scorso che esso fonda (cfr. Eco e Violi 1987).59 Ora, l’attaccamen­ to è il presupposto fondatore dell’universo di discorso che costi­ tuisce il macro-simulacro passionale, quello che implica e contie­ ne al contempo tutti gli altri. Il credere che si accompagna all’at­ taccamento non può scomparire senza provocare la rovina dell’intero universo passionale. Anche la dissociazione tra il cre­ dere fondamentale, questo “resto di speranza”, e le varie fiducie e diffidenze legate alle alee della struttura polemico-contrattuale implica una stratificazione del macro-simulacro in sotto-spazi pas­ sionali dotati d’una relativa autonomia; il ruolo del geloso ricopri­ rebbe già due soggetti “fiduciari” distinti, quello dell’attaccamen­ to e quello del possesso esclusivo; il carattere perenne del primo e la sua resistenza alle trasformazioni del secondo sono la condizio­ ne perché la passione duri e, con essa, la sofferenza. 58 Stendhal, De l’amour, Gamier-Flammarion, XXXV, pp. 122-123 [trad. it. Dell’amore, Torino, Einaudi, 1980’: qui e in seguito, trad. nostra]. 59 Op. àt.,pp. 11-14.

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Universalità ed esclusività Qualunque perfezione aggiungiate alla corona dell’oggetto che amate, lungi dal procurarvi un godimento celeste, vi rimanda un pugnale nel cuore. Una voce vi grida: “Di questo piacere così attraente è il tuo rivale che ne godrà”.60

Il fare cognitivo attraverso cui il soggetto riconosce il proprio oggetto di valore è in questo caso il programma d’uso di un fare ùmico; in effetti il soggetto “possessore” tortura il soggetto di sta­ to “gaudente” attraverso l’intermediario della contemplazione dell’oggetto. Stendhal ritrova qui le operazioni propriamente co­ gnitivo-ùmiche associate all’esercizio del “possesso”. Vi si ricono­ sce in effetti l’operazione con cui l’oggetto amato viene trasforma­ to in oggetto modale: la proiezione del “voler-essere” da parte del possessore; ma, a causa dell’esclusività, questa proiezione modale suscita al tempo stesso il simulacro di un altro possessore virtuale, colui che si appellerebbe ai diritti della totalità partitiva. Spostan­ do il peso della modalizzazione dalla giunzione sull’oggetto, egli si condanna all’infelicità; in effetti, “oggettivando” l’attesa di godi­ mento - vale a dire situandola nell’oggetto - il geloso le conferisce un’autonomia che la rende accessibile per il rivale. Ciò che più particolarmente è in discussione nella costruzione del simulacro dell’oggetto amato è la sua universalità. Si fa strada una contraddizione insuperabile tra un oggetto sintattico che non si può condividere e un valore riconosciuto come universale o, per lo meno, generale. In questo caso siamo portati a considerare il ge­ loso sia come un soggetto individuale che come un soggetto socia­ le; il soggetto sociale, costituendo il proprio oggetto in quanto “amabile”, in quanto oggetto modale inscritto in un sistema di va­ lori, provoca l’infelicità del soggetto individuale esclusivo. La con­ traddizione consisterebbe in definitiva nell’opposizione tra l’uni­ versalità e l’esclusività. L’universalità si riallaccia alla totalità parti­ tiva, o almeno la impegna, poiché le “perfezioni” che creano l’at­ tesa di un “godimento celeste” obbediscono a criteri assiologici che sono comuni a tutti i soggetti dell’attante collettivo, mentre l’esclusività rimane fondata su un’unità integrale. La contraddizione tra universalità ed esclusività farebbe dun­ que della gelosia una passione al contempo, e paradossalmente, comunitaria e esclusiva: rendendo evidente il suo desiderio di ri­ servare per sé l’oggetto di valore, il geloso presuppone in effetti che esso possa interessare molti. Si potrebbe inoltre far notare che 60 Stendhal, De 1‘amour, cit., XXXV, p. 122.

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la passione prende la forma di un conflitto tra simulacri: da un la­ to, il simulacro dell’oggetto, modalizzato in modo indipendente e che partecipa del consolidamento dell’attante collettivo, e, dall’al­ tro, il simulacro del soggetto che comprende una sorta di oggetto interno, modalizzato diversamente. Per finire, al momento di in­ vestirlo semanticamente, il soggetto inscrive 1’“oggetto interno” in un sistema di valori che sottoscrive ma che sfortunatamente non gli è specifico. L’estetizzazione dell’oggetto rappresenta una indicazione pre­ ziosa riguardo al processo di costruzione del simulacro di O,S3. A uno sguardo ravvicinato, in effetti, si nota il fatto che l’oggetto amato in questo caso non è considerato soltanto come un oggetto particolare, investito dei valori semantici caratteristici di una as­ siologia. Esso si presenta anche come una potenzialità d’oggetto nella quale può investirsi qualunque tipo di contenuti. Il termine stesso di “perfezione”, pur facendo direttamente allusione a cano­ ni di bellezza che presuppongono un investimento semantico, è a questo riguardo significativo. Certo, esso rinvia a un fare creatore, a un “divino operaio” del cui talento testimonierebbe la creatura particolarmente riuscita, ma questa ricostruzione rimane insoddi­ sfacente, poiché è soltanto un’estrapolazione meccanica, una cata­ lisi che viene sfruttata per esempio dalle celebrazioni del corpo femminile. Ciò che lascia intendere l’aforisma di Stendhal, al cor trario, e senza che sia necessario estrapolare, è un’aspettualizzj zione dell’oggetto estetico; la “perfezione”, in effetti, che venga » no presa in carico da un saper-fare, è una figura estetizzata della terminatività. Se il lettore torna con la memoria all’incoatività ca­ ratteristica degli oggetti di valore in Capitale del dolore (cfr. supra, capitolo primo), non avrà alcuna difficoltà a dedurre il fatto che la “perfezione” evocata da Stendhal manifesta una valenza. Ciò può significare che il geloso ritrova, grazie all’attaccamen­ to, l’estesia originale; poiché si trova ré-embrayato sul soggetto tensivo, egli è in grado di ri-sentire la scissione tensiva che abbia­ mo interpretato come il primo sussulto del senso. Il conflitto tra i due simulacri non può tuttavia essere spiegato tramite un conflit­ to tra una valenza esclusiva e una valenza “perfettiva”, perché non è chiaro ciò che potrebbe opporle. D’altra parte, la valenza “per­ fettiva” prosegue il suo cammino lungo il percorso generativo: viene convertita in oggetto sintattico, poi in oggetto modalizzato e infine in oggetto di valore inscritto in un’assiologia collettiva. Al contrario, la valenza “esclusiva” resta una valenza e verrà convo­ cata al momento della messa in discorso per quantificare i percor-

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si degli attori presenti. Di conseguenza la contraddizione nasce­ rebbe dalla differenza di procedura: l’esclusività definisce un og­ getto “interno” proprio del soggetto individuale, nella misura in cui continua ad ancorarsi direttamente a una valenza accessibile soltanto al soggetto tensivo; l’universalità definisce un oggetto che, per quanto lui stesso provenga da una valenza, è stato “esternalizzato”, semantizzato, assiologizzato ed estetizzato lungo tutto il percorso generativo. L’opposizione tra l’universalità del valore e l’esclusività della valenza conferisce al geloso due ruoli distinti: un soggetto cogniti­ vo che si fa carico dell’estetizzazione dell’oggetto e che si appella alla totalità partitiva, e un soggetto ùmico che si fa carico del pos­ sesso esclusivo; il primo tortura il secondo facendogli sapere che il suo godimento celeste non è esclusivo. La “tortura” morale, con­ trariamente alla tortura fisica, si potrebbe allora definire come una trasformazione tùnica negativa i cui strumenti sarebbero co­ gnitivi; in quanto processo, inoltre, essa si presenta sotto l’aspetto iterativo e durativo. Qui il passaggio alla dimensione tùnica è col­ to dal punto di vista del soggetto esclusivo, colui che soffre; que­ sti vi trascina in qualche modo e suo malgrado il soggetto cogniti­ vo che decreta l’universalità dell’oggetto, confermando così il ca­ rattere “contagioso” degù effetti passionali all’interno dell’intera­ zione.

La conversione di attante Abbiamo un bell’imputare la gelosia all’amore; si tratta sempre di una man­ canza di stima.61

Contraddizione? Come possiamo nello stesso tempo riconosce­ re e misconoscere? In realtà abbiamo cambiato di dimensione e siamo passati, con La Chaussée, all’etica amorosa. L’estetica trat­ tava l’essere amato come oggetto, l’etica lo tratta come soggetto; è la ragione per cui il riconoscimento estetico e doloroso riguarda Pattante O, e la mancanza di stima riguarda Pattante S}. Il ricorso all’estesia permette di spiegare questa trasformazione: il ré-embrayage sul soggetto tensivo attualizza in effetti questo stra­ to presemiotico e quasi fusionale in cui gli statuti di oggetto e di soggetto sono a mala pena decidibili e dove Punica differenza ha a 61 P.C.N. de La Chaussée, Le retour imprévu, atto II, scena 8.

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che fare con una ineguale ripartizione dell’intenzionalità (nella sua forma protensiva). Tra i molti scenari possibili che il geloso proiet­ ta a partire dal primo sospetto, ve ne è un certo numero in cui l’es­ sere amato fa la parte di soggetto competente, suscettibile di allear­ si con S2. La “mancanza di stima” poggia su uno di questi scenari. D’altronde, al livello passionale propriamente detto, la man­ canza di stima risulta dalla generalizzazione dei simulacri e da una sensibilizzazione che si diffonde nell’insieme dell’interazione. Ci si potrebbe rappresentare il macro-simulacro passionale, al mo­ mento della crisi di gelosia, come uno spazio inter-attanziale inte­ ramente occupato da modalizzazioni sensibilizzate suscettibili di modificare uno qualunque degli interattanti; così un attante og­ getto può captare le modalizzazioni che gli sono necessarie per adottare un ruolo patemico all’interno del simulacro. La formula­ zione stessa di La Chaussée, situando la modalizzazione e la mo­ ralizzazione di O,S3 nella prospettiva di Sj (la mancanza di stima), presuppone che il ruolo di infedele sia appunto un simulacro proiettato da SP

I simulacri dei rivali e l’identificazione Il merito del rivale La gelosia è come una confessione obbligata del merito.62

Il rivale che fa oggetto della gelosia viene valutato come sogget­ to meritevole, altrettanto o più meritevole che il geloso. Ma in que­ sto caso, contrariamente all’emulazione dove S2 è posto immedia­ tamente come riferimento di S„ dove il rivale è in qualche modo la figura del Destinante delegato che designa col suo solo esempio qual è il risultato da raggiungere e quale il percorso da seguire per arrivarci, la gelosia implica una “confessione obbligata”, modalizzata da un non-poter-non-fare. Il confronto tra le competenze pren­ de in questo caso a riferimento, come nel caso dell’“adombrarsi”, non già la competenza del rivale, bensì quella del geloso. L’“obbligatorietà” di cui si tratta potrebbe anche essere sempli­ cemente una presupposizione: temendo che il rivale abbia la me­ glio su di lui e ottenga il suo oggetto, il geloso presuppone che egli 62 J. de La Bruyère, Les caraclères, cap. XI [trad. it. Torino, Einaudi, 1981; trad. nostra].

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ne sia capace o, nell’accezione della lingua classica, che egli lo me­ riti. In questo senso la manifestazione passionale funzionerebbe come un far-sapere che propone come messaggio esplicito la “paura di perdere” e come messaggio implicito presupposto la “confessione del merito”. In un altro senso, tuttavia, la confessio­ ne è obbligata perché va contro gli interessi del geloso: per que­ st’ultimo riconoscere il merito del rivale significa contemporanea­ mente aumentare le chances dell’altro, riconoscendogli il diritto al­ l’oggetto di valore e le proprie ragioni di temere. Per finire c’è “confessione”, cioè riconoscimento di un torto o di una mancan­ za, nella misura in cui, in ultima istanza, è la propria inferiorità che il geloso presuppone. Una gran parte dell’interazione si gioca in effetti sul peso rispettivo dei meriti e delle coi.ipetenze di Sje di S2.

Dall’emulazione all’odio

La gelosia delle persone superiori diventa emulazione, quella della gente dap­ poco odio.63 H riconoscimento della superiorità di S2 fa funzione di contrat­ to per un eventuale programma di superamento (l’emulazione) e introduce nella rivalità una componente morale positiva; ma esso può anche volgere al conflitto puro, e la rivalità è allora moraliz­ zata negativamente. Si mantiene in questo caso un equilibrio in­ stabile che può rompersi sia da una parte che dall’altra: Balzac at­ tribuisce lo squilibrio positivo alla superiorità morale del geloso e lo squilibrio negativo alla sua “dappocaggine”. Si tratta evidente­ mente di una competenza il cui contenuto resta da determinare; si sa tuttavia che è proprio questa competenza che mette in scena il simulacro del rivale: sia come riferimento ed esempio da seguire, tramite identificazione positiva e attrattiva, sia come nemico odia­ to, tramite identificazione negativa e repulsiva. Tale competenza creatrice di simulacri parrebbe fatta di due tipi di contenuti. Un contenuto assiologico, prima di tutto. In effetti la moraliz­ zazione che accompagna le due passioni susseguenti della gelosia, l’emulazione e l’odio, indica per presupposizione che il geloso avrebbe dovuto rispettare un codice condiviso da tutti. Per quel che riguarda l’altro contenuto, esso è modale e regge il processo di identificazione. Si può supporre che la superiorità del rivale, dato 63 H. de Balzac, Le contrai de mariage.

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che viene valutata in rapporto al geloso, reclami preliminarmente un certo livello di competenza presso quest’ultimo; in altri termi­ ni, nel momento in cui il geloso elabora il simulacro del suo riva­ le, è egli stesso e per se stesso un simulacro. Da questo momento il processo di identificazione passa attraverso il confronto tra due immagini modali: quella del rivale in rapporto a quella del geloso. La valutazione della propria competenza da parte del geloso stesso, implicita e presupposta dal momento che egli si impegna nel processo comparativo che la gelosia mette in moto, può essere rimessa nettamente in discussione, come vedremo, dal rivale stes­ so, per quel tanto che egli non gradisca di essere trattato, col pre­ testo della gelosia, come il primo venuto; la parola a Racine, nella prefazione che scrisse per Bérénice. La tracotanza del geloso Tutte queste critiche sono il retaggio di quattro o cinque autorucoli sfortuna­ ti che non hanno mai saputo da soli eccitare la curiosità del pubblico. Aspet­ tano sempre l’occasione di qualche opera che abbia successo per attaccarla, non già per gelosia, perché su che fondamento sarebbero gelosi? ma nella spe­ ranza che ci si dia la pena di rispondere e che li si tiri fuori da quell’oblio in cui le loro opere li avrebbero lasciati per tutta la vita.64

Se i critici non possono essere gelosi è perché sono troppo in­ feriori, perché non hanno alcuna competenza: nessun poter-fare, nessun saper-fare, e la sanzione del pubblico è sufficientemente chiara a questo proposito. Il ragionamento per presupposizione permette di definire le modalità della competenza partendo dal­ l’oggetto preso di mira e i valori modali devono adattarsi agli og­ getti di valore ricercati; dato che l’oggetto di valore che i critici si sforzano di disputare a Racine è la gloria letteraria (vs l’“oscu­ rità”), è chiaro che essi non hanno la competenza richiesta L’as­ senza di competenza dei soggetti di fare comporta la disgiunzio­ ne irrimediabile dei soggetti di stato; fino al momento in cui que­ sta prefazione è stata enunciata, i critici non hanno potuto cono­ scere la gloria; rifiutandosi di citare i loro nomi e di risponder lo­ ro personalmente - cioè di congiungerli con l’oggetto di valore “gloria” - Racine li modalizza secondo il dover-non-essere. Ed è la mancanza di competenza, già causa della disgiunzione, che im­ pedisce loro, per di più, di essere gelosi.

w J. Racine, Bérénice, prefazione; corsivi nostri.

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Affinché Sj possa essere geloso bisogna dunque che presenti le stesse modalità di S2 e la differenza tra le due competenze deve es­ sere soltanto graduale. Per essere confrontati, i due simulacri dei rivali devono essere confrontabili: un truismo, certo, ma un trui­ smo che resiste all’analisi. Tutta la difficoltà proviene dal fatto che Si e S2 devono essere ugualmente modalizzati (per essere confron­ tabili) e tuttavia diversi (perché la superiorità di uno di loro possa essere pronunciata). La differenza quindi sarebbe graduale, o me­ glio aspettuale; la regola soggiacente potrebbe essere definita co­ me “principio di identità avvicinata”. È possibile tuttavia prendere in considerazione un’interpreta­ zione non graduale e categoriale. L’identità e l’alterità apparten­ gono in effetti a uno stesso microsistema, all’interno del quale può fare la sua comparsa un percorso discontinuo: STESSO IDENTICO

ALTRO DIVERSO

Il principio di identità avvicinata si interpreta allora, su un percorso che condurrebbe dall’“altro” allo “stesso”, come la messa a fuoco del processo di identificazione al momento della contraddizione, cioè sulla posizione “identico”. H rivale non può essere né lo “stesso” né l’“altro”; la confrontabilità dei due rivali si interpreta dunque co­ me presupposizione sul quadrato, e il confronto tra di essi come im­ plicazione dell’“identico” versolo “stesso”. Si capisce perché il gelo­ so che rispetta i codici etici dia egli stesso vita all’implicazione, con l’eguagliare il suo modello per emulazione, mentre il geloso astioso tenderà a tornare, regressivamente, in posizione “altro”. L’ipotesi secondo la quale le competenze dovrebbero differire tra loro solo per gradi resta accettabile, a condizione che si aspettualizzi il processo di identificazione descritto qui sopra; potrem­ mo rappresentare così i due percorsi possibili: STESSO

ALTRO

tica dello scambio dei simulacri modali nella comunicazione, una riguardante essenzialmente i valori descrittivi, l’altra i valori mo­ dali sensibilizzati. Nella misura in cui l’universo delle passioni poggia interamente, a livello semio-narrativo, su dispositivi moda­ li sensibilizzati, si può dire che i codici che regolano la circolazio­ ne di tali dispositivi nell’interazione sono specificamente e per definizione codici dell’etica passionale.

Dispositivi attanziali e modali della gelosia Dispositivi attanziali Gli aitanti S„ S2, O,S„ dal momento che vengono coinvolti nel simulacro passionale di Sn si trovano in qualche modo demoltipli-

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cari in un insieme di ruoli necessari alla messa in scena della gelo­ sia. Fino ad ora sono emersi tre tipi di ruoli: ruoli attanziali, ruoli patemici e ruoli tematici. Gli attanti di base corrispondono nella maggior parte dei casi a tre attori: il geloso, il rivale e l’essere ama­ to; tuttavia un tale dispositivo stereotipato costituirebbe in un cer­ to senso la versione “da commedia” del sistema; in versioni tea­ trali più sofisticate intervengono altri attori per rivestire tale o ta­ laltro ruolo isolato: Iago, per esempio, che è al contempo l’inquisitore e il regista di Otello, in Shakespeare, o Enone, che contri­ buisce a far nascere il sospetto e la diffidenza di Fedra, in Racine. Questo significa che la passione non è limitata al mondo interiore di un attore, ma che può anche essere socializzata e distribuita su numerosi attori, in particolare per quel che riguarda i ruoli cogni­ tivi e gli operatori della trasformazione tunica. Si trovano, d’altra parte, tre tipi di ruoli attanziali: innanzitutto due soggetti di stato concorrenti (Sj/S2), tra i quali circola l’ogget­ to di valore; poi soggetti manipolatori (S2 e S$. nei confronti di Sh e Si nei confronti di S2 e S3); infine soggetti cognitivi che valutano, indagano e percorrono le diverse posizioni fiduciarie. È bene distinguere inoltre due tipi di ruoli patemici: quelli di Sn da una parte, che appare in successione come possessivo, adombrato, orgoglioso, geloso..., e quelli di S2 e S}, dall’altra, che, per quanto appaiano qui accessori, non per questo interagiscono meno con i primi; la crudeltà, la civetteria, l’indelicatezza dei due partner di Si partecipano, lo si è visto, all’evoluzione della gelosia. I ruoli tematici, infine, possono sovradeterminare tale o talaltro ruolo passionale o sostituirvisi, senza che li si possa prevedere al­ l’interno della configurazione della gelosia; è il caso del “marito” che sostituisce all’attaccamento un dover-essere istituzionalizzato e stereotipato. L’apparizione di questi ruoli tematici dipende in realtà dagli investimenti semantici particolari - in Le nozze di Fi­ garo si tratta del “matrimonio” - che può ricevere l’oggetto di va­ lore, investimenti ai quali la gelosia propriamente detta resta in­ differente. In ogni caso, per inserirsi nel dispositivo generale della passione, questi blocchi modali stereotipati devono essere gli stes­ si, tranne che per la sensibilizzazione, di quelli che rimpiazzano.

La sintassi modale All’interno dell’intersoggettività, lungo le diverse fasi dell’inte­ razione, tutti questi ruoli costituiscono degli arrangiamenti varia-

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bili che si disfano e si rifanno incessantemente. L’analisi del di­ scorso dei moralisti ha permesso di coglierne alcuni, ma potreb­ bero esserne immaginati ben altri. Restano ora da stabilire i gran­ di principi del loro concatenamento e delle trasformazioni moda­ li che sono loro sottese, anche a costo di sacrificare per il momen­ to la varietà discorsiva delle loro evoluzioni. Per caratterizzare la totalità del percorso modale del geloso, se accettiamo di restare sull’isotopia amorosa, si può cominciare con l’osservare la trasformazione che vi si opera: l’amore cam­ bia di natura e diventa aggressivo, esclusivo, sospettoso. Tale modificazione è certo discutibile; a proposito di Swann e di Odette, in Un amore di Swann (Proust), Merleau-Ponty {Feno­ menologia della percezione)11 rifiuta l’idea di una tale trasforma­ zione. A una prima lettura, come fa notare lo stesso Swann alla fine del racconto, potrebbe sembrare in effetti che la preoccu­ pazione di togliere Odette a chiunque altro privi Swann di quella tranquillità che sarebbe necessaria per contemplarla e amarla come all’inizio; il filosofo propone al contrario di pren­ dere in considerazione il fatto che, fin dall’inizio, l’amore di’ Swann era di quel tipo; era un certo modo di amare che emerg e, a un tratto, si legge “tutto il destino di questo amore”. Swan ha un’attrazione per Odette, certo, ma, prosegue Merleat Ponty, cos’è “avere un’attrazione per qualcuno”? Proust rispon de altrove: è sentirsi esclusi da quella vita, volere entrarvi e oc­ cuparla interamente. L’amore di Swann non provoca la gelosia; è già, dal principio, in tutto e per tutto gelosia; il piacere di contemplare Odette era il piacere di essere il solo a contemplar­ la. E Merleau-Ponty aggiunge che vi sarebbe in questo caso co­ me una “struttura di esistenza” che caratterizzerebbe la persona stessa di Swann. Il dispositivo modale sensibilizzato sarebbe, per riprendere un’espressione del filosofo, un “progetto globale di personalità”, cioè atemporale in quanto tale. Potremmo concordare con Mer­ leau-Ponty nel dire che la gelosia in quanto tale sfugge alla durata, come anche alle leggi che reggono gli eventi di tipo narrativo. Ma ciò non significa che essa non comporti sintassi e che non subisca trasformazioni, anche se queste trasformazioni sono atemporali. Come richiede la correttezza di metodo, cominciamo dalla fine. Il geloso è in un certo senso “riattivato” nel suo amore, ma molto 71 M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Paris, Gallimard, 1945 (trad. it. Milano, Il Saggiatore, 1965).

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meno per contemplare (c£r. Proust) — cosa che provoca al mo­ mento più sofferenza che piacere (cfr. Stendhal) - che per difen­ dere il suo bene. Tale riattivazione si manifesta in due direzioni: da un lato il desiderio si fa più forte, al punto che talvolta si potreb­ be avere l’impressione che la gelosia faccia nascere l’amore (cfr. Proust, a proposito di Albertine), mentre in realtà ne è solo il ri­ velatore; d’altro canto appare un comportamento possessivo ostensibile. A questo stadio, dunque, voler-essere e voler-fare si trovano associati. Il volere sarebbe allora in questo caso il momento terminale della sequenza modale; da un lato modalizza la relazione tra il soggetto di stato S3 e il suo oggetto, dall’altro modalizza Sj in quanto soggetto di fare “possessivo” o “esclusivo”. Questo vole­ re presuppone la gelosia in senso stretto, cioè in quanto crisi pas­ sionale e trasformazione ùmica. Più precisamente, esso presup­ pone paradossalmente un credere-non-essere, la certezza dell’infe­ deltà o della sconfitta, il quale a sua volta si fonda su un non-poter-essere che definisce l’esclusione del geloso dalla “scena”. Le modalizzazioni proprie della crisi di gelosia presuppongono esse stesse la sfiducia e l’adombrarsi, nati nello stesso tempo da un ambiente ostile e dall’atteggiamento esclusivo; la sfiducia si basa su un non-creder-essere. Infine, come abbiamo visto, la sfiducia e l’adombrarsi si comprendono soltanto se si presuppone un attac­ camento fiducioso, cioè al contempo un dover-essere e un crederessere. Parallelamente si vede costituito il simulacro del rivale ed evolve anch’esso in funzione delle modalizzazioni della relazione S2/S3, e in corrispondenza delle quattro grandi tappe della se­ quenza modale del geloso. Beninteso, poiché la gelosia presup­ pone la messa in prospettiva dell’insieme della configurazione a partire dal punto di vista di S15 tali modalizzazioni sono quelle che il geloso proietta sul rivale. Alla fine del percorso S, vuole to­ gliere definitivamente S3 al suo rivale (voler-non-essere)\ il che presuppone che egli creda alla propria riuscita presso S3 (crederessere): in effetti, nella “scena”, S2 e S3 sono riuniti; credere alla riuscita del rivale è postulare la possibilità stessa del suo inter­ vento (poter-essere) e suscitare così 1’“ombra” del rivale. Bisogna infine risalire fino alla decisione di esclusività per ritrovare un dover-non-essere che vieta a S2, in linea di principio, qualunque ac­ cesso all’oggetto. Otteniamo in questo modo due sequenze modali associate che si presuppongono reciprocamente:

LA GELOSIA (Sj)

dover-essere creder-essere T non-creder-essere

i

(S2) dover-non-essere

i

poter^essere

non-poter-essere credere-non-essere

creder-essere

voler-essere voler-fare

voler-non-essere

, i

227

Il non-creder-essere di Sj e il poter-essere di S2 si presuppongono nella misura in cui l’irruzione del rivale nel territorio del geloso gli fa perdere fiducia, a meno che non sia un difetto di fiducia a su­ scitare l’ombra del rivale; la stessa cosa vale per le due credenze della gelosia: credenza di Sj nella propria evizione e credenza di S, nel successo di S2. Nella misura in cui l’esame delle stringhe mo­ dali si limita a quelle che pertengono soltanto al soggetto geloso, le presupposizioni che le legano provengono direttamente dal prin­ cipio di esclusività: a parte qualche sfumatura, ogni modalizzazione di Sj presuppone la modalizzazione contraria di S2, e inversa­ mente. Per quanto si sia scelto di limitarsi al punto di vista di Sj, poiché il nostro proposito è soltanto quello di costruire la gelosia e non già le diverse efflorescenze passionali che vi si possono innestare, non bisogna dimenticare che i dispositivi modali che circolano nell’interazione possono decomporvisi e ricomporvisi dipenden­ temente dal fatto che il punto di vista adottato sia quello di S2, di S3 o di Sj. Se non ci sono passioni solitarie, non possono esserci passioni isolate, né da un punto di vista tassonomico (cfr. l’avari­ zia), né, come nel nostro caso, da un punto di vista sintattico. L’insieme della sequenza modale si presenta allora come un rima­ neggiamento regolato e interattivo di numerose stringhe modali. In questi rimaneggiamenti dell’equipaggiamento modale dei soggetti in interazione si delinea un percorso sintattico canonico e isotopo, quello del creder-essere, che articola fra loro fiducia, sfiducia e diffi­ denza, e in cui si potrebbe vedere la modalizzazione che regge l’in­ sieme del dispositivo; tuttavia non è possibile estrarre questo per­ corso dall’insieme, pena la distruzione dell’effetto di senso passio­ nale specifico della gelosia. Ognuno di questi arrangiamenti suc­ cessivi della modalizzazione corrisponde a un ruolo patemico, il quale occupa qui una posizione definita nella sequenza passionale:

228

A. J. GREIMAS - J. FONTANELLE (Sj)

(S2)

RUOLO PATEMICO

dover-essere creder-essere

dover-non-essere

ATTACCAMENTO ESCLUSIVO

poter-essere

SFIDUCIA OMBROSA

non-poter-essere creder-non-essere

creder-essere

CRISI DI GELOSIA

voler-essere voler-fare

voler-non-essere

AMORE/ODIO RIATTIVATI

i

poter-non-essere non-creder-essere

i

I I I

i

I I

L’insieme va letto su due dimensioni; ogni ruolo comporta il proprio dispositivo modale, i suoi confronti e le sue trasformazio­ ni interne; i dispositivi stessi si trasformano gli uni negli altri, in particolare per effetto dei percorsi del credere e del potere, che modificano l’equilibrio specifico di ogni dispositivo e che in que­ sto modo convertono ogni ruolo patemico in un altro. Questa doppia lettura consente di distinguere, nel caso della gelosia, due sequenze incassate l’una nell’altra: la microsequenza e la macrose­ quenza. Macrosequenza e microsequenza

Si può considerare la sintassi della gelosia in due modi com­ plementari: sia attraverso la macrosequenza passionale, caratteri­ stica dell’intera configurazione, che ingloba allora i presupposti (o antecedenti} e gli implicati (o susseguenti} della passione e sus­ sume le trasformazioni tra i dispositivi; sia attraverso la microse­ quenza passionale, che si fa carico di uno solo di questi dispositi­ vi, quello in cui si produce la trasformazione passionale specifica della gelosia. Tuttavia bisogna aver chiaro che la microsequenza è quella del­ la gelosia soltanto nella misura in cui si inserisce nella macrose­ quenza, nello stesso modo in cui la macrosequenza si presenta co­ me quella della gelosia soltanto nella misura in cui comprende la microsequenza. Insomma, macro- e microsequenza si interdefiniscono, dato che qualunque dispositivo patemico è un arrangia­ mento di ruoli patemici, cioè un dispositivo di dispositivi, all’in­ terno del quale si trova il ruolo caratteristico della configurazione.

I LA GELOSIA

229

Possiamo rappresentare questa proposta come una sintassi a due livelli, che avrebbe allora la forma seguente:72 Pil

P

-► Pi, P2, P3, ....PZ

PÌ2 Pb PÌ4

.Pn

. P? La macrosequenza Lo studio della macrosequenza riguarda sempre il livello semio-narrativo: si tratta ora di considerare a quali condizioni le ca­ tegorie modali coinvolte si organizzano in un dispositivo. L’insie­ me può leggersi sia in modo retrospettivo, per presupposizione, come abbiamo fatto al momento della costruzione, sia in modo prospettivo, seguendo le trasformazioni intermodali; in questo se­ condo caso l’attaccamento si trasforma in attaccamento ombroso, che a sua volta si trasforma in gelosia, la quale infine riattiva l’at­ taccamento sotto forma di desiderio possessivo, o addirittura di odio distruttivo. Una tale lettura comporta, nei dettagli, alcune costrizioni: j rottura del contratto fiduciario può essere compresa in questo d so soltanto in rapporto all’attaccamento o a un sostituto stereoti pato e tematizzato come il ruolo del “marito”, perché preliminar­ mente occorre una fiducia e non un semplice desiderio. Inoltre la rottura del contratto fiduciario può essere compresa solo se si è colta l’ombra di un rivale (il suo poter-essereY senza la rivalità que­ sto incidente dell’amore può sfociare soltanto nel “dispetto” o nel “dolore”, ma non nella gelosia; d’altra parte l’adombrarsi, che sa­ rebbe in un certo senso una presa di coscienza della rivalità, ha senso nel nostro caso soltanto se viene logicamente preceduto dal­ l’attaccamento, altrimenti si esce dal quadro vero e proprio della gelosia per ritrovare una forma di “concorrenza” o di “emulazio­ ne”. Infine, il fatto che la gelosia possa essere provocata dall’esse72 Questo modello generale è già stato affrontato empiricamente e illustrato in alcune monografìe: a proposito della collera, in particolare (A.J. Greimas, “De la colere", Actes sémiotiques, Documents, Parigi, CNRS, III, 1981,27 [trad. it. “Della collera", in Del senso 2, Milano, Bompiani, 1985]), c della disperazione (J. Fontaniile, “Le désespoir”, ibid., 1980, 16); la sua costruzione è stata abbozzata e ha ricevuto una prima formulazione teorica in “Le tumulte modal” (J. Fontaniile, Actes sérniotiques, Bulletin, Parigi, CNRS, XI, 1987,39).

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A. J. GREIMAS - J. FONTANILE

re amato allo scopo di ottenere la “confessione di una dipenden­ za”, o un amore più ardente, mostra che la passione dell’“amore” è, in questa strategia, al contempo un antecedente della gelosia, nella forma dell’attaccamento, e un susseguente, nella forma del “desiderio riattivato”; l’attaccamento amoroso può restare soggia­ cente, segreto o dissimulato per pudore, e il suo carattere intrin­ secamente possessivo ed esclusivo diventa allora la “leva” modale sulla quale poggia S3 per obbligare Si a manifestare la totalità del dispositivo soggiacente. Tutto avviene come se, tra le numerose possibili variazioni a partire dall’“attaccamento esclusivo”, una di esse fosse particolarmente sensibile e provocasse la sofferenza e la confessione di Sp la strategia di S3 consiste allora nel ricercare quella variante che è più sensibile delle altre e nel farla comparire nell’interazione; globalmente, la manipolazione si presenta come un “far-apparire” che consisterebbe, all’interno della sequenza passionale, nel far passare l’attaccamento dallo statuto di presup­ posto implicito (l’antecedente) a quello di comportamento osser­ vabile (il susseguente). Tutte questa costrizioni, che possono essere trattate sia al livel­ lo degli effetti di senso passionali sia a quello delle modalizzazioni, garantiscono l’omogeneità della gelosia come macrosequenza, poiché ogni modalizzazione produce un effetto di senso particola­ re che dipende nello stesso tempo dal suo contenuto modale pro­ prio e dalla sua inserzione in un posto determinato all’interno del dispositivo globale. In realtà la specificità di tali effetti di senso si spiega in tutti i casi, in ultima istanza, con la presenza di modalizzazioni reggenti, quelle dell’attaccamento e della rivalità. Il princi­ pio del “tout se tient”, che è sotteso a questa analisi sintattica del dispositivo passionale, può essere formulato in due modi: da un lato, l’effetto di senso del dispositivo risulta dall’associazione del­ le componenti e, dall’altro, l’effetto di senso di ogni componente dipende dal suo posto nel dispositivo d’insieme. Questa condizio­ ne reciproca si applica più particolarmente alle relazioni tra la mi­ crosequenza e la macrosequenza. La microsequenza

Ogni costituente della macrosequenza è esso stesso un disposi­ tivo modale. Tra i quattro che abbiamo preso in considerazione per la macrosequenza, affronteremo soltanto quello della gelosia in senso stretto, situato al momento della crisi passionale. La mi­

LA GELOSIA

i I

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crosequenza, nello stesso tempo presupponente nei confronti degli antecedenti e presupposta nei confronti dei susseguenti, verrà detta “costitutiva” della passione studiata, nella misura in cui essa contiene la trasformazione tùnica specifica che abbiamo fino ad ora identificata come “crisi passionale”. La riattivazione, complesso di amore e di odio che può tradur­ si, per esempio, sia in una adorazione incondizionata, sia in un se­ questro o una vendetta (cfr. La prigioniera di Proust), presuppone in generale tutta la gelosia, ma, più in particolare e immediata­ mente, un comportamento o un atteggiamento osservabili, trami­ te i quali il geloso si manifesta ostensibilmente in quanto tale. In effetti i volere (essere e fare) che emergono in quest’ultima tappa della macrosequenza presuppongono una mobilitazione globale del soggetto appassionato: tutti i ruoli che l’attore può rivestire ùmici, cognitivi, pragmatici - sono modificati in blocco, cosa che si traduce tra l’altro con il carattere figurativo misto dell’“atteg­ giamento” o del “comportamento ” in causa, nello stesso tempo somatico e psichico. Abbiamo già visto il “sussulto” d’avarizia di Mme de Bargeton; in II conte di Montecristo Alexandre Dumas ci offre un campione molto più inquietante di mobilitazione passio­ nale, in un italiano geloso:

Per quel che lo riguardava, Luigi sentiva nascere in lui un sentimento scono­ sciuto: era un dolore sordo che dapprima gli attanagliava il cuore, e da lì, co­ me tutto un fremito, correva per le sue vene e si impadroniva di tutto il sue corpo; seguiva con gli occhi i più piccoli movimenti di Teresa e del suo cava­ liere; quando le loro mani si toccavano avvertiva degli abbagli, le sue arterie battevano violentemente, e si sarebbe detto che il suono di ima campana vi­ brasse contro le sue orecchie. Quando si parlavano, per quanto Teresa ascol­ tasse, timida e con gli occhi bassi, il discorso del suo cavaliere, poiché Luigi leggeva negli occhi ardenti del bel giovane che tali discorsi erano delle lusin­ ghe, gli pareva che la terra girasse sotto di lui e che tutte le voci dell’inferno gli suggerissero idee di crimine e di assassinio. Allora, temendo di lasciarsi trasportare dalla sua follia, si aggrappava con una mano ai rami della siepe presso la quale si trovava, e con l’altra stringeva con un movimento convulso il pugnale dal manico scolpito che era infilato alla cintura e che, senza accor­ gersene, egli talvolta estraeva quasi del tutto dal fodero. Luigi era geloso! sentiva che, trasportata dalla sua natura civettuola e orgo­ gliosa, Teresa poteva sfuggirgli.75 Ritroviamo in questo cliché della gelosia “italiana” tutti gli ele­ menti del dispositivo, e in particolare quelli della microsequenza 75 Le corrile de Monte-Cristo, cap. XXX11I, “Bandita romains”, Parigi, Gallimard, “Bible de la Plèiade”, pp. 386-387 [trad. it. Milano, Mondadori, 1984; trad. nostra].

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A. J. GREIMAS - J. FONTANELLE

passionale: lo spettacolo che si offre a S15 la sofferenza, il poternon-essere (“ella poteva sfuggirgli”) e l’esclusione dello spettato­ re: Teresa ha allestito una quadriglia dove non c’è più posto per un altro ragazzo, e il testo, sfruttando figurativamente in questo modo la cifra dispari, traduce in superficie la posizione dell’unità integrale rispetto alla totalità partitiva. Ma qui faremo attenzione soprattutto al fatto che, attraverso le figure che descrivono la ma­ nifestazione della gelosia, si impone fin da subito un intreccio del somatico, del cognitivo, del fiduciario e del passionale: brutal­ mente il dolore opera una connessione, quindi una rottura di iso­ topia a vantaggio del somatico, fatto questo che ci rinvia all’im­ magine del corpo proprio come un possibile archetipo del sog­ getto di stato. Inoltre, in questo frammento, il passaggio all’atto, imminente ma trattenuto, e soprattutto il voler-fare che esso pre­ supporrebbe, viene esplicitamente presentato come un effetto immediato della mobilitazione globale dei ruoli rivestiti dall’atto­ re; innamorato, adombrato, violento, bandito, impulsivo, crude­ le: Luigi è tutto questo in successione e in funzione delle situa­ zioni narrative che si presentano, ma lo è anche tutto insieme a questa tappa precisa della gelosia che segue la sofferenza e che precede il passaggio all’atto. Così egli non è solo un soggetto del voler-fare, dato che la mobilitazione globale dei suoi ruoli inseri­ sce qui altre disposizioni oltre a quella della gelosia; è il caso, per esempio, dell’irresistibile tensione incoativa verso il fare che deve essere tanto vigorosamente combattuta e che proviene dall’“im­ pulsività”. Nella catena delle presupposizioni, seguendo a ritroso l’itinera­ rio modale del geloso, incontreremmo dunque, prima di un even­ tuale passaggio all’atto, la moralizzazione (che trattiene o sollecita la mano armata di pugnale...); quest’ultima verte su un comporta­ mento osservabile che non è altro, lo vediamo nel testo di Dumas, che il percorso figurativo associato all’ultima modalizzazione del­ la catena. Il comportamento osservabile è un’emozione che qui si definisce al contempo come una mobilitazione di tutti i ruoli e co­ me fondata su un non-poter-non-fare\ questa modalizzazione ren­ de conto sia dell’agitazione irreprimibile, esterna e interna, che colpisce il geloso, sia della manipolazione tùnica (e in parte rifles­ siva) dalla quale il soggetto viene mobilitato nel suo insieme; sulla dimensione cognitiva essa caratterizza inoltre il far-sapere incon­ trollabile col quale egli si tradisce agli occhi di un osservatore e che potrà essere, alla fine del percorso, oggetto di una valutazione etica.

LA GELOSIA

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L’emozione qui è disforica, poiché è una sofferenza risultante da una trasformazione tunica; la sofferenza corrisponde, nella se­ quenza modale, all’acquisizione del credere-non-essere che forni­ sce al geloso la certezza della sua privazione e del suo scacco; giun­ to a questo punto, questi ha raggiunto l’ultima fase del percorso fiduciario. Riassumiamo: in una stessa tappa incontriamo uno stato timico risultante da una trasformazione (al livello semio-narrativo), un’emozione (al livello discorsivo) e un comportamento (il per­ corso figurativo). In questa tappa si sovrappongono due modalizzazioni, una modalizzazione dell’essere {credere-non-essere) e una modalizzazione del fare (non-poter-fare)\ quest’ultima tutta­ via sembra specifica all’esempio esaminato e proviene dall’in­ serzione, all’interno del percorso proprio alla gelosia, di un blocco modale specifico dell’attore Luigi, l’“impulsività”. Per quello che riguarda la gelosia propriamente detta, la sofferenza, l’emozione e il comportamento si basano sul solo credere-nonessere. La sofferenza e l’emozione presuppongono esse stesse l’opera­ zione che le suscita, il “far-soffrire”. Ora, nel caso della gelosia, la trasformazione timica è di natura essenzialmente cognitiva; in ef­ fetti essa viene mediata da uno “spettacolo”, quello dell’“immagi­ ne” secondo Barthes, che traduce figurativamente il non-poter-essere risultante dall’esclusione. Letteralmente, l’esclusione è messa in scena figurativamente sotto forma di uno spettacolo offerto al geloso, e questo spettacolo, che fa funzione nello stesso tempo di oggetto di sapere e di soggetto del far-credere, persuade St del suo infortunio e comporta la trasformazione disforica; abbiamo visto che, in Dumas, il carattere esclusivo della scena veniva tradotto con la figura chiusa della quadriglia. La “messa in scena”, lo “spettacolo”, l’“immagine” ricoprono dunque una strategia co­ gnitiva la cui conseguenza è timica. Se ci si rappresenta la trasformazione timica come un fare, essa comporta uno stato risultativo (la sofferenza), un’operazione (lo spettacolo esclusivo), alcuni operatori (gli attori della scena) e un soggetto di stato (il geloso sofferente); il geloso può rivestire di­ versi ruoli e trovarsi nello stesso tempo dalla parte dell’operatore in quanto regista e dalla parte del soggetto di stato in quanto sog­ getto sofferente. Lo spettacolo stesso cristallizza la “prova” attesa e richiede per questo una competenza cognitiva; in effetti, poiché la trasforma­ zione timica adotta essenzialmente un programma d’uso cogniti-

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A. J. GREIMAS - J. FONTANILLE

vo, è necessario prevedere per quest’ultimo una tappa di acquisi­ zione delle competenze cognitive. Dati gli stretti legami che uni­ scono il cognitivo e il ùmico, il saper-far-soffrire consisterà allora nella maggior parte dei casi in un voler-osservare e in un saper-indagare. L’insieme della competenza cogniùva del geloso si riduce talvolta al sentimento che “c’è qualcosa da sapere”, quel metasapere che abbiamo riconosciuto nel “sospetto”. La rottura del con­ tratto fiduciario, suscettibile di ben altri sviluppi nella fase preli­ minare alla crisi di gelosia, prepara tuttavia la comparsa di un nuo­ vo ùpo di soggetto, un soggetto cognitivo “sospettoso”, vero e proprio Sherlock Holmes infelice. Vale a dire che la sintassi pas­ sionale comporta una “memoria” e che, malgrado le trasforma­ zioni modali che vi si osservano, ogni posizione incontrata nel per­ corso non cessa di produrre i suoi effetù al momento stesso in cui viene superata. Resta il fatto che il sospetto e la competenza cognitiva che es­ so condensa non si accontentano di ima precedente sfiducia e che la rottura del contratto fiduciario spiega solo parzialmente l’avvio della ricerca cognitiva. E certamente necessario sapere che c’è “qualcosa da sapere”, ma occorre poi che questo “qual­ cosa” non sia “quasi nulla”; il sospetto sfocia in un'indagine solo se il “qualcosa da sapere” coincide con una valenza, vale a dire con un’ombra di valore che, per definizione, non può essere cono­ sciuta da un soggetto cognitivo, ma solo captata da un soggetto tensivo; il nostro Sherlock Holmes geloso non è infatti animato dalla curiosità, bensì dal sentimento che il dispositivo d’esclusio­ ne che egli ha installato venga minacciato. Bisognerebbe allora supporre, per spiegare il fatto che il sospetto geloso seleziona per così dire una categoria potenziale di oggetti, che esso stesso presupponga, all’interno della microsequenza, una posizione modale indeterminata che segnalerebbe il ré-embrayage sul sog­ getto tensivo; tale posizione verrà identificata qui come una in­ quietudine. L’inquietudine sta al fare ùmico come l’emozione sta al fare somatico: è una mobilitazione del soggetto timico ottenuta trami­ te ré-embrayage. Abbiamo avuto modo di notare che il geloso era “agitato”, “preoccupato”, “inquieto”, cioè assorbito per intero dall’oscillazione forica generata dalla tensione insolubile che è sottesa all’insieme della configurazione, tensione tra l’attacca­ mento e la rivalità. Affinché l’insieme della configurazione possa essere messo in discorso come un simulacro, un débrayage deve garanùre la disgiunzione col discorso d’arrivo e un ré-embrayage

LA GELOSIA

1

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sul soggetto tensivo deve dare l’avvio alla crisi passionale pro­ priamente detta. È la ragione per cui l’inquietudine, che è già ap­ parsa come uno dei presupposti della crisi di gelosia, ci sembra senz’altro indicata a occupare questa posizione presupposta dal sospetto. Anche la “mobilitazione tùnica” è tensiva in questo ca­ so: i presupposti della gelosia, l’attaccamento e la rivalità, sono condensati e convertiti in inquietudine grazie al ré-embrayage\ la sfiducia è convertita in sospetto e, in un certo senso, il metasapere da cui esso deriva opera come una “determinazione” su una valenza cognitiva nelle oscillazioni della foria, determinazione che consentirà successivamente di conoscere, e non più soltanto di sentire. Ciò che abbiamo chiamato intuitivamente la “crisi passionale” ricopre di fatto due operazioni decisive che permetterebbero di definire la microsequenza costitutiva e di distinguerla dalle altre componenti della macrosequenza: sono il ré-embrayage sul sogget­ to tensivo e la trasformazione ùmica. Alla fine della “crisi”, grazie all’emozione, interviene un débrayage che autorizza eventualmen­ te un passaggio all’atto, ma che può sfociare anche su una nuova passione.

I simulacri esistenziali L’ipotesi di partenza era che all’interno del simulacro passiona­ le una traiettoria esistenziale venisse a sovrapporsi alla sintassi in­ termodale e le fornisse un’armatura sintattica prevedibile. L’ipote­ si a questo punto si verifica, poiché è possibile mostrare agevol­ mente che la microsequenza modale si sviluppa sullo sfondo di una traiettoria esistenziale canonica. L’inquietudine, questa preoccupazione del soggetto assorbito da un attaccamento minacciato, discende da una posizione, alme­ no immaginaria, di congiunzione - quel tipo di congiunzione si­ mulata che resiste a tutte le eventualità delle giunzioni effettive. Il soggetto inquieto sarebbe allora un soggetto che ha qualcosa da perdere, un soggetto realizzato. Il sospetto e il voler-sapere che ne deriva dissociano il geloso dal suo oggetto: la congiunzione non è più sullo sfondo, nella misura in cui, tramite il sospetto, il geloso si trova distolto dall’oggetto di valore e parte alla ricerca del sapere sui suoi partner, a cominciare dalla semplice determinazione di una valenza: è quindi diventato un soggetto virtualizzato.

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L’esclusione, messa in scena all’interno dello spettacolo dato da S2/S3, riconduce il geloso di fronte al suo oggetto, ma nel modo della disgiunzione; davanti allo spettacolo che gli si offre Sj misu­ ra la distanza che lo separa da S3; diventa così un soggetto attua­ lizzato. Infine, l’emozione, in quanto produce un comportamento os­ servabile, almeno interiormente per il geloso stesso, fa nuovamen­ te uscire il geloso dall’area della giunzione: il rapporto con l’og­ getto di valore importa meno in questa fase che il rapporto con se stesso o il rapporto con gli altri. Le figure ulteriori della padro­ nanza di sé, della moralizzazione delle manifestazioni passionali, testimoniano di tale cambiamento. Inoltre, attraverso la mobilita­ zione di tutti i ruoli che lo costituiscono, il geloso riafferma la pro­ pria identità di soggetto discorsivo e prepara così un’eventuale riaffermazione dei propri diritti e dei propri desideri. L’emozione conclude dunque il percorso collocando il geloso nella posizione del soggetto potenzializzato. I due percorsi si trovano dunque in fase, avendo come “imma­ gine scopo” comune quella di un geloso il cui attaccamento pos­ sessivo ed esclusivo viene riattivato, come un volere, sotto forma di desideri di vendetta, di possesso o di sequestro. L’insieme può venire così riassunto:

SOGGETTO REALIZZATO moralizzazione/inquietudine

SOGGETTO ATTUALIZZATO visione esclusiva

emozione SOGGETTO POTENZIALIZZATO

sospetto SOGGETTO VIRTÙALIZZATO

f

Malgrado la sua apparente complessità, l’organizzazione gene­ rale della disposizione e della traiettoria esistenziale poggia su una trasformazione globale molto semplice: un dispositivo modale fondato su dei “doveri” genera un dispositivo modale fondato su dei “voleri”; la quasi-totalità dei cambiamenti osservati sia nella macrosequenza che nella microsequenza concorrono a questa mo­ dificazione progressiva dell’equipaggiamento modale del geloso. Sarebbe in qualche modo la storia di un soggetto inquieto “fissa­ to” e orientato dall’avversità, o meglio convertito a una monoma­ nia, ma anche di un soggetto che, nella sua relazione con gli og­ getti di valore, impara a non contare più passivamente su un certo “stato di cose”, su un ordine del mondo in cui egli avrebbe il suo

LA GELOSIA

237

posto, e che, invece, prende a volerlo intensamente e anche, even­ tualmente, a fare in modo di ottenerlo. LA MESSA IN DISCORSO: LA GELOSIA NEI TESTI

La messa in discorso dell’avarizia, per il fatto che veniva consi­ derata essenzialmente a partire da un corpus lessicografico, met­ teva in luce le due operazioni fondamentali della convocazione collettiva o individuale delle strutture semio-narrative, la sensibi­ lizzazione e la moralizzazione, e, in minor misura, l’aspettualizzazione della passione. La messa in discorso della gelosia verrà con­ siderata nei testi letterari e questa scelta consentirà un’esplorazio­ ne ulteriore dell’aspettualizzazione in tutte le sue forme. In effetti, al momento della messa in discorso nei testi, la procedura di espansione obbliga a rendere operative su larga scala le regole - e le loro trasgressioni - del dispiegamento sintattico della passione. E così per esempio che le cinque componenti della microsequen­ za, l’inquietudine, il sospetto, lo spettacolo, la sofferenza e l’emo­ zione moralizzata, sono, per come le ha costruite la presupposi­ zione, atemporali: possono altrettanto bene trovarsi invertite, ma­ nifestarsi simultaneamente o succedersi secondo l’ordine canoni­ co. Ci restano dunque da esaminare, fra l’altro, le condizioni nelle quali simili disposizioni possono essere spazializzate, attorializzate, temporalizzate e, per cominciare, dispiegate in uno schema po­ lemico canonico. Inoltre, di fronte ai testi, il modello costruito si vede messo alla prova. Se il modello è adeguato, la sua operatività deve corrispon­ dere all’intuizione di un lettore colto; se è euristico, deve far com­ parire nel testo articolazioni del contenuto che una lettura intuiti­ va non avrebbe saputo riconoscere; se è esplicativo, deve permet­ tere di render conto delle manifestazioni deviami e incomplete. Sotto questo profilo il testo appare come un laboratorio dove ven­ gono esplorati sperimentalmente i casi limite, dove la pertinenza viene sfidata fin nei suoi più riposti nascondigli; se il modello per­ mette di rispondere alla domanda “perché costui è geloso”, deve anche permettere di dire perché un altro non lo è. Col prendere in esame la gelosia nei testi, Otello di Shakespeare, Un amore di Swann e La prigioniera di Proust, La gelosia di Robbe-Grillet, ol­ tre ad alcune scene di Racine, passiamo dunque in un certo senso agli esercizi pratici. Distingueremo nel seguito due componenti della messa in di­

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A. J. GREIMAS - J. FONTANELLE

scorso: la componente sintattica, da un lato, che comprende l’a­ spettualizzazione del processo e le sue diverse figure spaziali, tem­ porali e attoriali, e la componente semantica, dall’altro, che com­ prende gli investimenti semantici e le manifestazioni figurative delle diverse modalizzazioni.

Aspettualizzazione: la componente sintattica La convocazione delle trasformazioni nel discorso, discorso che le converte in processo, implica una resa del cambiamento. Ciò che può essere colto, a livello semio-narrativo, come una tra­ sformazione tra due enunciati di stato garantita da un fare, appa­ rirà a livello discorsivo come una concatenazione di tappe, di prove e di atti. La “resa” della trasformazione consiste nel dispie­ gare, al momento della manifestazione, i costituenti discorsivi di ciò che, in immanenza, poteva essere concepito come un’unica operazione narrativa, congiunzione o disgiunzione. Se questo è vero, siamo condotti a postulare, parallelamente alla convocazio­ ne discorsiva, un débrayage che pluralizzi la trasformazione per fame un processo. Ma la trasformazione semio-narrativa non è la sola a essere convocata in discorso per costituire il processo: anche le modula­ zioni del divenire, il cambiamento tensivo e continuo, lo sono; è la ragione per cui l’aspettualizzazione del processo produce al con­ tempo effetti continui ed effetti discontinui; allo stesso modo esi­ terà, a seconda che il punto di vista adottato conferisca il primato ai primi o ai secondi, tra la demarcazione e la segmentazione. La coabitazione di questi due tipi di proprietà nel discorso è certa­ mente il prezzo da pagare affinché, al di là della frammentazione prodotta dal débrayage, il processo rivesta un’omogeneità che nondimeno manifesta l’unicità della trasformazione; si potrebbe allora pensare che, in risposta al débrayage pluralizzatore, l’inter­ vento della tensività nel processo si accompagni con un ré-embrayage omogeneizzante. L’aspettualizzazione può dunque essere pensata come la ge­ stione discorsiva della pluralità ottenuta attraverso il débrayage fondatore. Ancora al di qua della manifestazione figurativa, di­ stingueremo per cominciare due grandi forme dell’aspettualizzazione che intervengono solo in ultima istanza. Una prima forma, che genera schemi discorsivi canonici, consiste nel proiettare un’organizzazione logica, la quale trasforma la pluralità in con­

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catenazione ordinata. Lo schema narrativo canonico, ricostruito per presupposizione, è l’esempio più noto di questo tipo di aspettualizzazione che definisce le tappe logiche del processo.74 Il responsabile di questa proiezione è quello che si chiama tradi­ zionalmente il “narratore”, il quale avrebbe in qualche modo “in deposito” tutto il saper-fare narrativo elaborato dalla cultura nella quale il discorso è realizzato. In compenso l’altro tipo di aspettualizzazione fa intervenire un “osservatore”, dotato di una competenza cognitiva variabile e su­ scettibile di venir débrayato nell’enunciato. Tale osservatore mette in prospettiva le diverse tappe del processo, stabilisce demarca­ zioni e produce per esempio la successione “incoativo, durativo, terminativo”, come pure le diverse forme della duratività: “pun­ tualità, iteratività...”, a proposito delle quali abbiamo già fatto no­ tare che esse supponevano una variazione della competenza di os­ servazione, in particolare per quel che riguarda la capacità di pre­ vedere e di identificare le diverse occorrenze.

Gli schemi discorsivi passionali: forme canoniche La macrosequenza

A partire dai segmenti riconosciuti intuitivamente, e poi dai legami di presupposizione che uniscono le diverse trasformazio­ ni del dispositivo modale della gelosia, abbiamo potuto stabilire un ampio sintagma modale che combina tra loro una macrose­ quenza inglobante e una microsequenza costitutiva. La macrose­ quenza è un tipo di dispositivo patemico, mentre la microse­ quenza rende conto più in particolare delle concatenazioni mo­ dali proprie alla crisi passionale. La loro combinazione dà il se­ guente risultato: 74 Lo schema narrativo canonico è fin troppo spesso impropriamente considerato come appartenente di diritto al livello semio-narrativo; in realtà non ha niente di universale, per­ ché, da una parte, si presenta come una costruzione ideologica adatta a render conto del modo in cui, in superfìcie, il soggetto narrativo organizza il proprio percorso per dare un senso al suo progetto di vita e, dall’altra, funziona come una griglia di lettura culturale: Paul Ricoeur direbbe che la nostra comprensione del racconto passa attraverso una prima apprensione i cui strumenti sono procurati dalla cultura alla quale apparteniamo. In que­ sto senso lo schema narrativo canonico sarebbe al massimo un primitivo collocato a livello semio-narrativo attraverso il procedimento retroattivo che abbiamo immaginato nel caso delle disposizioni passionali: l’uso collettivo fa nascere uno stereotipo culturale che figu­ rerà in seguito nel serbatoio disponibile per una nuova convocazione in discorso.

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ATTACCAMENTO ESCLUSIVO

SFIDUCIA —► OMBROSA

inquietudine sospetto visione esclusiva emozione moralizzazione

—►AMORE ODIO

In questo caso la macrosequenza adotta globalmente lo svolgi­ mento di una sequenza polemica, testimoniando del ruolo reg­ gente della rivalità all’interno della configurazione. Il confronto è implicato sia dall’attaccamento esclusivo sia dall'adombrarsi, con­ cepito come una presa di coscienza della rivalità e della minaccia. La sfiducia, scatenando la crisi fiduciaria, si presenta come una forma del dominio-, in effetti è in questa fase che il geloso ricono­ sce eventualmente i meriti del rivale e il suo “diritto all’oggetto”, e si svaluta lui stesso, il che è un altro modo di immaginarsi che il rivale avrà la meglio su di lui. La crisi di gelosia stessa, nel modo del simulacro, occupa il posto deWappropriazione e dello sposses­ samene, datocché fornisce a Si lo spettacolo della congiunzione tra S2 e O,S3. E possibile infine identificare, lungo tutta la prova, da un lato un equivalente del contratto preliminare, nell’attacca­ mento iniziale, e dall’altro una contro-prova, nella riattivazione fi­ nale grazie alla quale il geloso riprende l’iniziativa. A titolo d’ipotesi, e generalizzando, potremmo avanzare qui l’i­ dea che la macrosequenza di un dispositivo patemico obbedisca alla logica aspettuale dello schema narrativo canonico. Al mo­ mento della messa in discorso le presupposizioni tra i dispositivi modali, specifici di ogni ruolo patemico di base, sono reinterpre­ tate dal punto di vista della logica sintattica discorsiva, di modo che allora la sequenza modale appare come una concatenazione di tappe generalizzabile retta dalla competenza discorsiva di un nar­ ratore. La microsequenza

D’altra parte la microsequenza sembra obbedire a una logica strettamente patemica. L’aspettualizzazione della sequenza moda­ le costitutiva produce in effetti uno schema di cui abbiamo pro­ gressivamente riconosciuto, prima a proposito dell’avarizia e poi della gelosia, le tappe successive. L’inquietudine costituisce il sog­ getto appassionato, poiché comporta un ré-embrayage sul sogget­ to tensivo; indipendentemente dall’attaccamento stesso, essa de­ termina in effetti una certa “propensione” alla crisi passionale,

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qualunque essa sia. L’inquietudine mette in moto la dinamica mo­ dale e sfocia nella crisi di gelosia se il ré-embrayage opera nel cam­ po di un attaccamento esclusivo. La questione che sorge è la se­ guente: dove comincia il processo passionale propriamente detto? Da qui la seconda domanda: dove comincia, nella catena discorsi­ va, la tensione patemica specifica della passione in esame? Chia­ meremo costituzione la tappa che corrisponde al ré-embrayage, dove viene definito preliminarmente lo stile tensivo del soggetto della passione, tappa che, nel caso della gelosia, prende la forma di una oscillazione timica che non arriva a polarizzarsi. Dipenden­ temente dalle epoche, dalle culture e dagli autori, la costituzione verrà interpretata come un “temperamento” (in Stendhal o in Proust), come un “destino” (in Bacine) o addirittura come il sor­ gere del caos vitale (in Shakespeare). La costituzione del soggetto appassionato è dunque la fase che procura all’insieme del proces­ so il suo stile semiotico. NB Lo studio degli stili semiotici, a partire dalle modulazioni della tensione, è ancora tutto da fare; si tratta, per la semiotica a venire, di un importante campo di ricerca che avrebbe come obiettivo sia una teoria dell’aspettualizzazione sia un’indagine sulle manifestazioni passionali. Gli indugi della velleità, i languori della noia, a fianco dell’agitazione e dell’inquietudine, sarebbero al­ cune delle forme da chiarire.

Il sospetto e l’indagine che ne deriva procurano in seguito al gc loso le qualificazioni richieste per la visione esclusiva, come in una ricerca delle modalizzazioni necessarie per la performanza timica. Colui che conduce l’indagine, d’altronde, non è necessariamente il geloso: Swann ne condivide le difficoltà con i suoi amici o addi­ rittura con professionisti. Da questo punto di vista gli stereotipi sociali della gelosia sono quasi entrati nelle istituzioni, dato che gran parte dell’attività degli investigatori privati è tradizionalmen­ te consacrata a questo genere di indagini. Otello, lui, non si ab­ bassa fino al punto da ingaggiare un investigatore, e tuttavia chie­ de comunque a Iago di “fargli vedere” la cosa. Il sospetto e l’in­ dagine, nella misura in cui concorrono a installare nel geloso un dispositivo modale sensibilizzato, corrispondono alla disposizione. Si noterà a questo proposito che, anche se il fare cognitivo è dele­ gato ad altri attori, il geloso rimane il soggetto di stato (sospetto­ so, diffidente) che riceve le modalizzazioni sensibili. La visione esclusiva e l’acquisizione della certezza, che ricopro­ no la trasformazione timica principale, potrebbero essere genera­ lizzate e chiamate patemizzazione. Il risultato della patemizzazione

i i

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sarà una emozione, definita come uno stato patemico che investe e mobilita tutù i ruoli del soggetto della passione. Infine, l’emozio­ ne si manifesta attraverso un comportamento osservabile che è l’oggetto principale delle valutazioni etiche ed estetiche che ab­ biamo convenuto di chiamare moralizzazione. Se la crisi di gelosia è “raccontabile”, ciò dipende quindi dal fatto che obbedisce a una logica discorsiva, proiettata tramite aspettualizzazione sulle presupposizioni modali, perché si orga­ nizza secondo uno schema patemico canonico che potrebbe avere la forma seguente: COSTITUZIONE

SENSIBILIZZAZIONE

DISPOSI­ ZIONE

PATEMIZZAZIONE

MORALIZZAZIONE

EMOZIO­ NE

La costituzione, la sensibilizzazione e la moralizzazione sono state riconosciute altrove come i tre grandi modi di costruzione degli universi passionali connotativi, controllati dalle culture individua­ li e collettive.75 E la ragione per cui questi tre segmenti comporta­ no, all’interno dello schema patemico canonico, dei riferimenti al­ le assiologie passionali, e più in particolare a quelle che garanti­ scono la regolazione delle relazioni sociali e interindividuali; per farlo essi convocano delle griglie idiolettali e sociolettali di rap­ presentazione della passione, delle sue cause, dei suoi effetti, dei suoi criteri d’identificazione e di valutazione. D’altra parte, la di­ sposizione, la patemizzazione e l’emozione costituiscono le tappe in successione del processo passionale propriamente detto, attra­ verso il quale il soggetto si trova congiunto con l’oggetto ùmico.

Gli schemi passionali: realizzazioni concrete Gli amorifiduciari di Rossana

La sintassi generale della gelosia procura unità discorsive, e non unità testuali; così l’installazione di una forma aspettuale del pro­ 73 Cfr. supra, “A proposito dell’avarizia”, “La sensibilizzazione”.

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cesso non consente di per sé di prevedere l’ordine di apparizione lineare delle tappe della passione al momento della manifestazio­ ne. L’esame di alcune realizzazioni concrete dovrebbe consentirci di abbozzare un principio di variazione testuale. Possiamo cercare conferma e verifica in Racine, per esempio. Bajazet, attorno al personaggio di Rossana, offre una realizzazione quasi integrale e particolarmente dettagliata della macrosequenza. L’attaccamento è, tanto per cominciare, accuratamente giustifica­ to nel modo del dover-essere:

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stessa temerarietà, pericoli e timore comune unirono per sempre i loro cuori e le loro fortune.76

La fiducia stessa è richiamata, ma già come il negativo della sfìducia:

Voglio che al mio cospetto la sua bocca e il suo volto mi mostrino il suo cuore senza lasciarmi ombreJ1 La si può anche ottenere grazie a un primo “dono di fede” che fa eco alla “confessione di dipendenza”:

Giustificate la fede che vi ho dato.78

L’atto II è interamente consacrato alla proposta e all’accettazio­ ne del contratto fiduciario; la stipulazione del contratto si situa tra gli atti II e III e viene evocata solo per presupposizione all’inizio dell’atto III; molto presto compaiono l’adombrarsi e le scosse fi­ duciarie. Gli atti III e IV sono, per Rossana, quelli della crisi di ge­ losia; vi incontriamo, per cominciare, l’inquietudine: Questa luce mi procura qualche inquietudine.79

Segue la diffidenza, poi la visione esclusiva, suscitata da Rossa­ na stessa (S,), sotto forma di una trappola tesa a Bajazet e Atalide, cioè, rispettivamente, a S3 e S2. L’aspetto “spettacolare” della visione esclusiva non deriva solo dalle esigenze della rappresentazione teatrale, ma è dettato in questo caso dallo schema patemico 76 Atto I, scena 1; corsivo nostro. 77 Atto I, scena 3; corsivo nostro. 78 Atto II, scena Ì. 79 Atto III, scena 6.

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della gelosia; in effetti, a fianco delle trasformazioni epistemiche e veridittive che rivelano a Rossana l’indifferenza di Bajazet nei suoi confronti, e il suo amore per Atalide, trasformazioni che baste­ rebbero in una logica solo cognitiva, occorre allestire la trasfor­ mazione ùmica, la quale può avvenire soltanto tramite la messa in scena del simulacro figurativo della congiunzione tra S2 e S3. A questo punto della sequenza passionale Sj (Rossana) e S3 (Bajazet) non hanno ormai altro da scambiarsi che manifestazioni di cru­ deltà e di indifferenza, insieme a manipolazioni tùniche. D’altra parte la realizzazione canonica della macrosequenza è scrupolosamente articolata sul percorso delle trasformazioni fidu­ ciarie. Ogni posto di questo percorso fornisce all’attaccamento di Rossana una forma particolare; in successione: l’attaccamento fi­ ducioso, l’attaccamento sfiduciato e adombrato, l’attaccamento diffidente. Ma Bajazet offre anche una realizzazione del quarto posto, precedente all’attaccamento fiducioso stesso, sotto la for­ ma già incontrata del “dono di fede”, che corrisponderebbe a un attaccamento per “abbandono di diffidenza”. Il dono della fede si descrive più in particolare come una rinuncia (una negazione) tra­ mite la quale Si si rende a S3, tramite la quale l’amante si mette al­ la mercé dell’amato; il che permette, retrospettivamente, di capire perché, in Stendhal, la gelosia piace alle donne, che la suscitano come per ottenere un riconoscimento del loro potere. La concatenazione delle diverse forme dell’attaccamento pog­ gia di conseguenza su una strategia amorosa complessa, dove siala fiducia che la diffidenza presuppongono una reciprocità tra Sj e S3, scambio di favori timici in un caso e scambio di malefatte nel­ l’altro, e in cui la sfiducia e l’assenza di diffidenza presuppongono al contrario l’assenza di reciprocità, un atteggiamento amoroso unilaterale, dove Sj può, secondo i casi, impegnarsi o disunpe­ gnarsi, ma sempre senza contropartita. Il percorso delle trasfor­ mazioni fiduciarie rivela insomma nell’amore un percorso figura­ tivo che avrebbe la forma seguente:

reciprocità scambio jF amoroso

prova amorosa

dono amoroso

riserva amorosa unilateralità

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Un tale percorso spiega in parte il ricorrere della sequenza passio­ nale: per quanto nel suo insieme organizzata sul principio dello schema discorsivo, la gelosia può percorrere diverse volte la se­ quenza, ma conservando a ogni ripresa il “ricordo” dei tradimen­ ti, delle defezioni e delle rinunce precedenti. Le vestigia dello schema narrativo in La gelosia Se ora volgiamo lo sguardo verso realizzazioni non canoniche, qual è il romanzo di Robbe-Grillet La gelosia, ci troviamo di fronte a un’opzione completamente diversa: la sintassi della gelosia è nel suo insieme rispettata, ma la dimensione tunica risulta paradossalmenete assente dal romanzo. Allo stesso modo la fiducia, la diffi­ denza, la sofferenza e i loro equivalenti sono banditi dalla manife­ stazione. In compenso, tutto ciò che, in ciascuna delle tappe della sequenza passionale, riguarda il pragmatico e il cognitivo, è accura­ tamente riportato. Traspare l’attaccamento, ma solo come contem­ plazione della bellezza sensuale del personaggio chiamato A... (cioè S3) e senza che sia veramente possibile stabilire la differenza con 1contemplazione del millepiedi o con quella dei banani, altrettanta frequenti, se non di più. C’è anche l’adombrarsi, ma senza che sh manifestata alcuna sfiducia; si notano tutt’al più commenti sull’in­ discrezione di S2, e una serie di osservazioni pratiche che segnalano la presenza invadente di un terzo maschile all’interno della coppia:

Per quanto non si lasci andare ad alcun gesto eccessivo, per quanto tenga il cucchiaio in modo conveniente e inghiotta il liquido senza fare rumore, egli sembra adoperare, per questa modesta necessità, una energia e un impegno smisurati. [...] manca di discrezione.80 Franck racconta una storia di auto in panne, ridendo e gesticolando con un’e­ nergia e un impegno smisurati.81

Il testo è esplicito almeno su un punto: il carattere invadente del personaggio non è dovuto a un comportamento oggettiva­ mente eccessivo o spiazzato (“per quanto non si lasci andare ad al­ cun gesto eccessivo”); quel che tenta di cogliere, implicitamente, attraverso la manifestazione di un’energia estranea nel campo 80 A. Robbe-Grillet, La jalousie, Paris, Minuit, 1957, p. 23 [trad. it. Torino, Einaudi, 1958, 1982; trad. nostra]. e,tó4/.,p. 110.

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esclusivo di SH è l’emergere dell’ombra del rivale, di una posizio­ ne ostile che si disegna nel territorio visuale di SP La “discrezio­ ne”, in questo caso, sarebbe la trasposizione cognitiva del rispetto dell’unità esclusiva che Sj ha creato, e la mancanza di discrezione quella di un’invasione qualunque su questa unità esclusiva; rim­ proverare a S3 la sua mancanza di discrezione significa dunque presupporre l’esistenza dell’esclusività. La rottura del contratto fiduciario e la sfiducia sono evidenti, ma solo tramite presupposizione e catalisi; a partire da posizioni d’osservazione scomode, per esempio, il narratore esprime discre­ tamente conclusioni che presuppongono la sua sfiducia nei con­ fronti di S2 o S3:

impossibile controllare il volto di Franck, quasi in controluce, non mostra la minima impressione i tratti di A..., di tre quarti di dietro, non lasciano percepire nulla.

L’assenza di sapere, constatata incidentalmente nel corso della descrizione, viene attribuita non già a una incapacità intrinseca dell’osservatore, ma a uno scantonare dell’informatore, il quale “non lascia” vedere, il quale non “mostra” nulla; si tratta beninte­ so di una strategia di descrizione di una grande banalità, che con­ siste nel proiettare sull’oggetto i limiti imposti dalla fecalizzazione e nell’attribuirli a una presunta intenzione; tuttavia questa bana­ lità riveste una conversione attanziale che in se stessa è lungi dal­ l’essere banale (la conversione dell’oggetto in soggetto): è una del­ le fluttuazioni possibili dei dispositivi attanziali all’interno dei si­ mulacri suscitati dalla gelosia. Inoltre questa sfiducia nata dal non-sapere di Sj presuppone almeno un metasapere che verte sul fatto che c’è qualcosa da vedere (sul volto di A... o su quello di Franck); è in questo modo che nasce il sospetto. Tra le tappe della microsequenza non troviamo più l’emozione, poiché essa è esclusivamente timica e fondata sulla sofferenza; in compenso resta qualcosa dell’inquietudine, nella misura in cui può manifestarsi come una semplice oscillazione, senza che debba essere più precisa riguardo all’euforia e alla disforia; essa imbocca così la strada di alternative cognitive indecidibili che sorgono a ogni proposito: A... ha mangiato o no (p. 24)? A... rientrerà prima di notte o no (pp. 122-130)? D’altra parte è facilmente riconosci­ bile l’indagine gelosa, dato che questa è essenzialmente cognitiva; si assiste alla raccolta degli indizi, alla costituzione di un reticolo

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cognitivo. Mancano comunque la prova e la certezza; se avvicinia­ mo questa assenza a quella di qualunque manifestazione tùnica, siamo condotti a pensare che la seconda spieghi la prima: la prova e la certezza sopravverrebbero nella gelosia solo se richieste da una attesa inquieta, alla quale esse potrebbero apportare un sol­ lievo di natura tùnica e non più cognitiva. In questo modo l’inda­ gatore di Robbe-Grillet non supera i va e vieni tra gli indizi, il ri­ petersi delle stesse figure e delle stesse scene, senza che nessuna appaia decisiva: il ritiro testuale del timico vieta qualunque mani­ festazione del credere. Per terminare, constatiamo in questo romanzo l’onnipresenza della visione esclusiva; S2 e S3 se ne stanno in poltrona, S, in una poltrona a parte; S2 e S3 sono della stessa opinione, è di un’altra opinione; S2 e S3 hanno letto lo stesso romanzo che invece Si non conosce, e così via. La rappresentazione della coppia S2/S3 è al centro dei motivi narrativi: il pasto, l’aperitivo, la partenza, il ri­ torno, la lettura; la descrizione invade il testo perché il racconto non è altro che la giustapposizione delle “scene” che vengono of­ ferte a Si da parte di S2/S3. È così che la tecnica propria del nou veau roman si trova risemantizzata, rimotivata, all’interno delL configurazione della gelosia. In assenza della dimensione timica, il testo di Robbe-Grillet ha mantenuto soltanto l’impronta della sintassi passionale: vi ritrovia­ mo solo, come alcuni scogli che resistono all’erosione, le modifica­ zioni e modalizzazioni proiettate sulla dimensione pragmatica e cognitiva da parte del percorso passionale, ma senza che quest’ul­ timo sia direttamente testualizzato. L’impronta, come procedi­ mento di testualizzazione, trova un’eco metadiscorsiva esplicita nelle “impronte”, figure del mondo naturale, descritte nel roman­ zo stesso: impronta del millepiedi schiacciato sul muro o impronta delle parole e delle lettere sul sottomano di una scrivania. I limiti imposti al sapere del narratore non sono sufficienti per rendere conto di tale procedimento, poiché non si tratta soltanto di fecaliz­ zazione: l’effetto di “impronta” risulta da una vera e propria ero­ sione discorsiva, una forma di testualizzazione che va al di là del problema del modo narrativo. La configurazione passionale è trat­ tata in questo romanzo come un quadro di regole discorsive impli­ cite, che non appaiono in quanto tali, ma che determinano il testo per intero. Questo tentativo letterario è la prova, nello stesso tem­ po, della dipendenza e dell’autonomia della dimensione timica nei confronti delle altre due: dipendenza, perché il suo effetto di senso passionale non per questo è meno presente nelle modalizzazioni

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delle altre due dimensioni; autonomia, perché può essere resa to­ talmente implicita senza che ciò modifichi l’intelligibilità del testo.

Disseminazione e agitazione in Un amore di Swann In Proust, al contrario, è l’insieme delle presupposizioni e delle concatenazioni sintattiche che viene messo in discussione. Da una parte se ne riafferma il principio, dato che la presupposizione sin­ tattica è uno degli strumenti esplicativi più potenti dell’analisi psi­ cologica proustiana; dall’altra, viene costantemente sconvolto dal­ la permanenza e dalla ricorrenza delle stesse crisi o disposizioni passionali lungo tutto il romanzo. Veniamo a sapere così che un amore può nascere senza il deside­ rio iniziale, proprio come una storia può cominciare in medias resi Riconoscendo uno dei suoi [deD’amore] sintomi, noi ci richiamiamo gli altri, li facciamo rinascere. Siccome possediamo la sua canzone, incisa in noi per in­ tero, non abbiamo bisogno che una donna ce ne dica l’inizio [...] per ritro­ varne il seguito.82 Ma dobbiamo subito osservare che l’innamorato che si mostra capace di simili presupposizioni è un uomo d’esperienza, il quale “è stato più volte colpito dall’amore” e di conseguenza può com­ portarsi come narratore del proprio percorso passionale, dato che dispone del metasapere necessario; a questo riguardo la passione diventa una catena di eventi inscritta nella competenza che pos­ siamo cogliere senza alcun danno a partire dal mezzo: tutto il re­ sto si ricostituisce per presupposizione. Proust sottolinea così, in un certo senso, lo statuto di stereotipo culturale di questi schemi discorsivi: dato che l’esperienza o la memoria hanno “inciso in noi” tutta la sequenza, questa risorgerà sempre tutt’intera. Altra manifestazione della competenza discorsiva del soggetto appassionato: si può soffrire per molto tempo, nello stesso modo e con la stessa intensità, di un semplice ricordo:

L’antica sofferenza lo rendeva tale qual era prima che Odette parlasse: igno­ rante, fiducioso; la sua crudele gelosia lo rimetteva, affinché la confessione di Odette lo colpisse, nella posizione di qualcuno che non sa ancora [,..]85 82 Proust, A la recherchedu tempi perdu, al., 1.1, pp. 196-197; qui e in seguito, trad. nostra. « Ibid., p. 368.

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La capacità di mettere in opera presupposizioni appare ancora in questo caso come una proprietà del soggetto appassionato, come una componente della sua competenza tùnica; la sofferenza, pro­ prio a questo punto, resuscita l’attaccamento fiducioso iniziale, come se, in virtù della presupposizione, il geloso fosse program­ mato per rivivere, a ogni occorrenza, tutte le tappe della sua pas­ sione: esempio lampante della preminenza della sintassi nel mec­ canismo passionale, poiché la sofferenza può essere quella della gelosia solo a condizione che il soggetto ricostruisca e ogni volta percorra tutte le tappe precedenti, risalendo all’inizio, e ne cono­ sca di nuovo tutte le eventualità modali. Resta comunque il fatto che la sintassi canonica è perturbata e complicata dal ricorrere delle crisi di gelosia. Tutto avviene come se, a ciascuna delle tappe della macrosequenza, attaccamento esclusivo, adombrarsi e sfiducia, ..., il soggetto della passione in­ terpretasse già la scena cruciale della gelosia propriamente detta. Un abbozzo della microsequenza della gelosia, per esempio, com­ pare fin dal momento in cui viene posto l’attaccamento esclusivo: Fra tutti i modi di produzione dell’amore, fra tutti gli agenti di disseminazio­ ne del sacro male, uno dei più efficaci è certamente questo grande soffio d’a­ gitazione che talvolta ci travolge. Allora l’essere con cui ci piace stare in que’ momento, destino vuole, è colui che ameremo. [...] Ciò che mancava era ch( il nostro piacere per lui diventasse esclusivo.84 Prima di provare questo piacere esclusivo per Odette, Swann l’a­ veva soltanto notata come oggetto estetico (un Botticelli). L’agi­ tazione che lo coglie, la sera in cui la cerca per le strade di Parigi, trasforma la tranquilla certezza che egli aveva di ritrovarla dai Verdurin in inquietudine e sofferenza; tale sofferenza trasforma il dover-essere della prima fiducia in voler-essere e voler-farey che Proust traduce come “il bisogno insensato e doloroso di posse­ derla” (p. 231), nello stesso modo in cui la sofferenza della crisi di gelosia propriamente detta comporta una riattivazione dell’a­ more. Cosa che fa dire a tanti commentatori che in questo caso l’amore nasce dalla gelosia. È vero che leggendo Un amore di Swann si potrebbe essere ten­ tati di pensare che la gelosia vi è presentata per intero a ognuna delle tappe che la costituiscono. Infatti Proust può affermare:

84 Ibid., pp. 230-231.

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quello che crediamo il nostro amore, la nostra gelosia, non è una stessa pas­ sione continua, indivisibile. Essi sono composti da un’infinità di amori suc­ cessivi, di gelosie diverse ed effimere, ma attraverso la loro ininterrotta molti­ tudine danno l’impressione della continuità, l’illusione dell’unità.83

La dispersione della crisi di gelosia in tutte le tappe della macro­ sequenza si spiega in realtà in due maniere. Prima di tutto ogni ruolo che appartenga al dispositivo patemico può a sua volta esse­ re trattato come una microsequenza specifica, e l’attaccamento esclusivo, per esempio, può essere analizzato in “inquietudinesofferenza-bisogno di possedere”; siccome d’altra parte ogni ruo­ lo patemico riceve tutto il suo senso soltanto dall’insieme al quale appartiene, ciascuno di essi presenta, al livello dell’effetto di sen­ so che è quello in cui si colloca il romanziere, forti somiglianze col ruolo specifico, quello, nel nostro caso, della gelosia. Inoltre, la dispersione delle crisi di gelosia è un effetto dell’aspettualizzazione temporale e della posizione dell’osservatore: per un osservatore che ne facesse la sintesi in maniera retrospettiva, la passione si presenterebbe come unica e continua, suscettibile di venir raccontata come un processo omogeneo; per un osservatore che praticasse l’analisi, situandosi in coincidenza con ogni manife­ stazione, la passione non sarebbe più altro che una successione di crisi distinte. Ciò confermerebbe l’utilità dell’opposizione tra l’aspettualizzazione “segmentativa”, creatrice degli schemi discorsi­ vi, e l’aspettualizzazione “demarcativa”, creatrice degli effetti di continuità e di discontinuità nel discorso. Tutto questo perché, in realtà, la temporalizzazione discontinua e apparentemente ricorrente della macrosequenza non impedisce alla passione di svilupparsi secondo lo schema canonico che ab­ biamo stabilito: la sofferenza, per esempio, è continuamente pre­ sente, ma la sofferenza nata dall’incertezza (la sfiducia ombrosa) è diversa da quella nata dalla certezza (la visione esclusiva); nel mo­ mento in cui Odette confessa i suoi legami omosessuali - una del­ le sue rare confessioni - il narratore constata: 85 Ci sarebbe molto da dire a proposito di questa dialettica del continuo e del disconti­ nuo. Proust in questo caso sarebbe d’accordo nel considerare il discontinuo come primo e il continuo come secondo, risultante in qualche modo dall’infinitizzazione del primo: quando la segmentazione di un processo viene spinta ai suoi limiti estremi, esso appare co­ me continuo. Bisogna fare attenzione al fatto che tutto dipende dalla capacità di aggiusta­ mento dell’osservatore o dalla distanza da cui egli osserva. Qesto modo di presentare le co­ se è caratteristico della teoria della conoscenza sottesa a tutta La Recherche, secondo la qua­ le il sapere si costruisce soltanto all’interno della dialettica tra la pluralizzazione e l’omoge­ neizzazione delle figure, grazie a un va e vieni tra le posizioni di osservazione.

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La sofferenza che egli provava non assomigliava a nulla di ciò che aveva creduto [...] perché, anche quando si immaginava una cosa del genere, essa restava vaga, incerta, priva di quell’orrore particolare che si era liberato dalle parole “forse due o tre volte”, sprovvista di quella crudeltà specifica tanto diversa da tutto ciò che aveva conosciuto quanto una malattia che ci colpisce per la prima volta.86 Così, anche se c’è un ricorrere della sofferenza nella storia della gelosia di Swann, ogni sofferenza resta comunque specifica del ruolo patemico da cui nasce; nell’esempio precedente Odette ha appena fornito un’illustrazione concreta di un incontro omoses­ suale, le cui circostanze sono note a Swann; tutte le condizioni si trovano dunque riunite perché questa confessione si trasformi per lui in visione esclusiva, in “scena” della congiunzione S2/S3:

Questa seconda ferita infetta a Swann era ancora più atroce della prima. [...] Odette, senza essere intelligente, aveva il fascino del naturale. Aveva raccon­ tato, aveva mimato questa scena con tanta semplicità che Swann, ansimando, vedeva tutto-, lo sbadiglio di Odette, il piccolo scoglio. La sentiva rispondereahimè!, allegramente - : “Frottole!”.87

Tutte le tappe della macrosequenza comportano la loro parte di sofferenza, ma soltanto quest’ultima è caratteristica della certezza del geloso e presuppone tutte le altre. Vi si riconosce immediata­ mente uno spettatore “che vede tutto”, ma escluso dalla scena, e l’essere amato che, letteralmente, come un buon attore, recita il proprio ruolo nella scena a uso e consumo del geloso: il fare co­ gnitivo di cui Si è il destinatario deve quindi, per essere efficace e fondare la sua credenza, dispiegare concretamente i percorsi figu­ rativi attesi; da un altro punto di vista, se si cercassero criteri di­ stintivi per identificare in superficie i processi passionali, nella mi­ sura in cui essi richiedono un percorso figurativo che può solleci­ tare nel soggetto un’attività percettiva, uno di questi criteri po­ trebbe essere proprio Vefficacia figurativa. Perturbazioni e uscite premature La canonicità della macrosequenza dipende essenzialmente dal buon funzionamento delle presupposizioni. Dal momento in cui A la recherche du lernps perdu, cit., 1.1, p. 363. 87 Ibid., p. 366; corsivi nostri.

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viene a mancare un presupposto, la sequenza passionale subisce una deviazione, si interrompe, sfocia in passioni che non apparten­ gono più alla configurazione della gelosia; in modo tale che qual­ cuno che potrebbe essere geloso - se badiamo esclusivamente alla situazione amorosa colta in medias res — in realtà non lo è. Il teatro di Racine, dove la gelosia è un’istanza drammatica onnipresente, fornisce diversi esempi di una tale deviazione passionale. Se la gelosia di Teseo {Fedra) prende una scorciatoia a partire dalla sfiducia e vira in furore vendicatore, ciò dipende dal fatto che il presupposto di “rivalità”, e soprattutto di comparabilità dei riva­ li, in questo caso manca: Teseo è in posizione di Destinante rispetto a Ippolito e dispone di una competenza, in particolare dell’ordine del poter-fare, che manca a suo figlio. Se la gelosia di Antioco {Bere­ nice) si arresta indefinitamente allo stadio dell’inquietudine e si ri­ duce al supplizio inflitto dall’oscillazione indefinita tra le fasi della speranza e le fasi della disperazione, la ragione è che fin dal princi­ pio gli mancano il dover-essere e il credere', così la sua sofferenza non può presupporli. Antioco è un innamorato congelato, il cui attacca­ mento è unilaterale (sul modo del “dono di fede”) e che, non aven­ do mai acquisito il diritto di sperare, non può essere geloso. Si potrebbe pensare di calcolare le derivazioni possibili a partire dalla macrosequenza, basandosi sulla variazione dei presupposti; qui abbozzeremo solo a grandi linee un tale calcolo. Per comincia­ re occorrerebbe distinguere, come abbiamo fatto fin dall’inizio, tra i due grandi tipi di messa in prospettiva: o la congiunzione tra S2 e S3 è a venire, e la gelosia allora è un timore - una sofferenza pro­ spettiva — o la congiunzione è precedente, e la gelosia allora è un dolore - una sofferenza retrospettiva; si rifletterebbe così la dico­ tomia tra le due grandi tendenze dell’immaginario umano, rappre­ sentate da un lato dalle passioni dell’attesa, e dall’altro da quelle della nostalgia. Quale che sia la messa in prospettiva, l’inquietudi­ ne del geloso, come in Proust, riguarda sempre un evento presentificato nel simulacro passionale. Tuttavia il calcolo delle derivazioni deve tener conto di questo sdoppiamento, il quale torna in primo piano ogni qual volta il presunto geloso esce dal percorso canoni­ co. A ogni uscita gli si offrono due strade. Così, per un “geloso pauroso”, l’uscita alla tappa dell’attaccamento fiducioso sarà una forma di “speranza”, mentre, per un “geloso addolorato”, sarà una “sicurezza” o un “sollievo” (cioè il rivale non c’è più). La deriva­ zione a partire dall’adombrarsi darà una “apprensione” perii “ge­ loso pauroso” e un “risentimento” per il “geloso addolorato”, e così via. Non essendo più solidarizzate da una sintassi coerente, le

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passioni derivate assumono la loro autonomia e non è più possibile allora pensare che, per esempio, le coppie “speranza/sollievo” o “apprensione/risentimento ” costituiscano ciascuna una sola pas­ sione suscettibile di variare in funzione di un cambiamento di pro­ spettiva: si tratta di passioni diverse. L’insieme delle derivazioni passionali innestate sulla macrose­ quenza costituisce una configurazione patemica dove si dispiega­ no le potenzialità sintattiche della gelosia: a ogni tappa, dato che uno dei presupposti è assente o incerto, si disegnano scappatoie che sono sfruttabili al momento della testualizzazione, sia in con­ densazione sia in espansione, a tal punto da far deviare brusca­ mente lo sviluppo del ramo principale. Forme realizzate della microsequenza

L’avvio della crisi passionale richiede due operazioni discorsive: da una parte il ré-embrayage sul soggetto tensivo e, dall’altra, l’in­ scrizione del dispositivo sensibilizzato sull’asse del sembrare. Queste due operazioni hanno come effetto di senso 1’“entrata” ne simulacro passionale.

llinquietudine di Swann

La tappa iniziale della microsequenza, intorno all’inquietudine e alle sue varianti figurative, offre in Proust numerose manifesta­ zioni delle proprietà tensive della foria. U più bell’esempio della desemantizzazione dell’oggetto di valore, ridotto a essere solo una valenza, è senza dubbio l’associazione tra Odette e la piccola fra­ se di Vinteuil. Sotto la descrizione figurativa e sensoriale della fra­ se musicale si disegna un’impalcatura sintattica fondata intera­ mente su congegni aspettuali: ritardi, scadenze, attese, sorprese, incidenze e decadimenti. Queste figure aspettuali vengono espli­ citamente associate a Odette de Crécy, l’oggetto di valore; in un periodo in cui ogni audizione della frase evoca l’immagine di Odette, Proust racconta: Il fatto è che il violino era salito a note alte dove rimaneva come per un’atte­ sa, un’attesa che avrebbe potuto prolungarsi senza che tuttavia esso smettes­ se di tenerle, nell’esaltazione in cui era di scorgere già l’oggetto della sua atte­ sa che si avvicinava, e con uno sforzo disperato per tentare di durare fino al

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suo arrivo, di accoglierlo prima di spirare, di mantenergli ancora per un mo­ mento con tutte le sue ultime forze la strada aperta affinché potesse passare, come si sostiene una porta che altrimenti ricadrebbe.88

La metafora musicale non è innocente: essa consente di ridurre la totalità del percorso passionale - attesa, esaltazione, dispera­ zione — a questo ordinamento aspettuale proposto dai verbi “prolungare”, “smettere di”, “avvicinare”, “durare”, “tentare di”, “spirare”, “sostenere”. Da questo momento l’oggetto in cau­ sa non è più propriamente un oggetto di valore, poiché è soltan­ to un operatore di ritardo o di anticipo, di incidenza o di decadi­ mento aspettuale; il che significa disinvestirlo in quanto oggetto di valore, ridurlo a proprietà di tipo tensivo: 1’“oggetto” della passione sarebbe di fatto una valenza. Nello stesso modo il godi­ mento (prima della delusione) provato da Swann è un godimento che, neanch’esso, non corrispondeva ad alcun oggetto esterno e che tuttavia, invece di essere puramente individuale come quello dell’amore, si imponeva a Swann come una realtà superiore alle cose concrete.89

Il “neanch’esso” fa riferimento a un’impressione simile procurata dall’associazione di Odette a un’altra forma estetica. L’oggetto di Swann è un’“ombra di valore”; in quanto valenza, d’altra parte, è esplicitamente manifestato nel seguente commento: In modo tale che quelle parti dell’anima di Swann in cui la piccola frase ave­ va cancellato la preoccupazione degli interessi materiali, le considerazioni umane e valide per tutti, essa le aveva lasciate vacanti e in bianco, ed egli era libero di inscrivervi il nome di Odette.90

Le modulazioni della tensione, scrupolosamente tradotte qui sot­ to forma di variazioni nel continuum della frase musicale, disegna­ no in qualche modo il posto di un oggetto qualunque, il quale tut­ tavia dovrà tutto il suo valore, ulteriormente definito, al “profor­ ma” nel quale s’inserisce; ed è questa la ragione per cui qualunque nome d’oggetto, comunque accettabile, vi si può inscrivere. D’altra parte il soggetto si riavvicina in questo caso al sentire minimale: è ormai solo percezione, fuso nel suo oggetto, e si ritro­ va allora al di fuori della comunità umana: 88 Ibid., p. 345. 89 Ibid., pp. 236-237. 90 Ibid., p. 237; corsivi nostri.

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Grande riposo, misterioso rinnovamento per Swann [...] quello di sentirsi tra­ sformato in una creatura estranea all’umanità, cieco, sprovvisto di facoltà lo­ giche, quasi un fantastico liocorno, una creatura chimerica che percepisce il mondo soltanto con l’udito.91

!

Le proprietà che abbiamo attribuito alla tensività forica ci rendo­ no particolarmante attenti ai commenti che accompagnano tale estesia; notiamo per esempio che la percezione auditiva viene as­ sociata al sentire, mentre la percezione visiva fa parte dell’elabo­ razione cognitiva della significazione; la visione in effetti è incapa­ ce di operare come l’udito questa regressione al di qua del cogni­ tivo, regressione che permette di entrare in contatto con un mondo per il quale non siamo fatti, che ci sembra senza forma perché i nostri occhi non lo percepiscono, senza significazione perché sfugge alla nostra intelligenza.92

La visione comporterebbe una determinazione - di tipo gestaltista, per esempio - e porterebbe con sé la categorizzazione del mondo percepito, mentre l’udito si riserverebbe di cogliere modulazion7 infra-cognitive (Proust parla altrove di “un mondo ultra-violetto” le quali sarebbero, per definizione, “senza forma”. Si potrebbe ac dirittura pensare che Proust immagini l’identificazione delle “om bre di valore” come se si producessero sull’orizzonte ontico, rap­ presentato come un inconoscibile manifestato, la cui valenza sareb­ be la manifestante; ma egli si accontenta di sfiorare una tale idea: Forse è il nulla ad essere vero e tutto il nostro sogno è inesistente, ma allora sentiamo che bisognerà che queste frasi musicali, queste nozioni che esistono rispetto a lui, non siano nulla neanch’esse.93 Il motivo della piccola frase di Vinteuil ci porta quindi, seguendo in questo tutta l’evoluzione dello spazio tensivo, dallo schermo ontico che è solo presupposto dalle modulazioni tensive della melodia, fi­ no alla determinazione di un posto che è il primo atto necessario per entrare nel campo cognitivo dove si elabora la significazione. La fase di agitazione inquieta completa il ré-embrayage tensivo e l’ingresso nel simulacro passionale con l’installare il geloso sulla dimensione tùnica, dove questi potrà soffrire e gioire in quanto

91 Ibid. nIbid. 9Ì Ibid., p. 350.

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soggetto costituito della passione. Letteralmente, l’inquietudine fa di Swann un essere nuovo e il narratore dipinge come un’aliena­ zione e uno sdoppiamento di personalità la “schizia” che si pro­ duce tra il soggetto narrativo e il soggetto della passione per ef­ fetto del ré-embrayage tensivo: Fu costretto a constatare che in quella stessa vettura che lo portava da Prévost egli non era più lo stesso, e non era più solo, un nuovo essere era lì con lui, aderente, amalgamato a lui, del quale forse non avrebbe potuto sbaraz­ zarsi, col quale sarebbe stato costretto ad usare dei riguardi come con un su­ periore o con una malattia.94

Lo sdoppiamento dell’attore in un soggetto narrativo ordinario, da un lato, che si sposta in vettura e cerca una giovane donna e, dall’altro, in un soggetto appassionato “entrato in simulacro”, co­ mincia già, ricordiamolo, con il “liocorno”, questa “creatura chi­ merica” suscitata dalla percezione uditiva, questa forma ravvici­ nata del sentire minimale; l’inquietudine, dato che è “agitazione”, non fa che confermare o amplificare l’estraneità di questo nuovo tipo di soggetto. Così, dopo la dissociazione, il primo Swann, dal­ l’universo pragmatico e cognitivo in cui è rimasto, può nello stes­ so tempo assecondare gli scopi del soggetto appassionato (condu­ cendolo dalla sua amata, per esempio), ma anche recitare il ruolo di un osservatore esterno. Tutta la storia dell’amore di Swann è quindi fatta di alternanze di agitazione e di calma, d’inquietudine e di serenità ritrovata; ogni fase di inquietudine inaugura un abbozzo di crisi di gelosia, una microsequenza il cui sviluppo testuale più o meno considere­ vole dipende dalla solidità del sospetto e dalla competenza patémica - l’inclinazione a soffrire, tra l’altro — di cui il geloso dispone in quel momento. I sospetti di Otello

Sono da distinguere tre fasi modali nel sospetto: prima di tutto la specificazione e l’amplificazione cognitive dell’inquietudine, poi la modalizzazione epistemica delle fasi dell’indagine e, per fi­ nire, la modalizzazione veridittiva e la passione della verità. In Swann il sospetto nasce da una contraddizione nei compor*Ibùi.,p.228.

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lamenti o nelle parole di Odette; in questo senso esso discende da un metasapere, poiché occorre che il soggetto cognitivo passi a un livello superiore per confrontare tra loro due saperi e derivarne una contraddizione. Ciò vale anche per Otello, ma con questo di particolare, che il metasapere si presenta nel suo caso come un sapere che ha per og­ getto la passione stessa. Per esempio, ricordandosi che Desdemona ha scavalcato l’ostilità che suo padre aveva dichiarato nei ri­ guardi di Otello, e che l’ha addirittura deriso pubblicamente, il Moro saprà riconoscere in lei una tendenza a vivere passioni in­ tense e a sottomettersi ad esse.95 Il sapere sulla passione, e più pre­ cisamente la conoscenza dei ruoli patemici altrui, hanno tuttavia nella maggior parte dei casi una funzione regolatrice, per il fatto che consentono, all’interno dell’intersoggettività, di prevedere i comportamenti e le strategie; ma, nel caso della gelosia, al contra­ rio, qualunque sapere sulla passione - ed è sufficiente per questo che il geloso prenda in esame se stesso o l’essere amato - risulta sregolatore e alimenta la passione stessa. In effetti il geloso può decidere unilateralmente l’esclusività dell’oggetto di valore, ma non ha lo stesso potere sui simulacri passionali e sui dispositivi sensibilizzati, i quali continuano a cir­ colare e a scambiarsi. Il sapere sulla passione, e in particolare sul­ le passioni del rivale e dell’amato/a, è dunque, per un gelose preoccupato dell’esclusività, un sapere che porta sul carattere in gran parte imprevedibile e incontrollabile della circolazione dei ruoli patemici; un tale sapere può solo alimentare l’inquietudine, perché il geloso scopre per suo tramite una breccia nel suo siste­ ma di esclusività. Da qui la metafora ricorrente, in Shakespeare, del “mostro che si nutre di se stesso”, metafora che traduce, in un certo senso, la proprietà che abbiamo attribuito ai dispositivi sen­ sibilizzati di propagarsi nell’intersoggettività. Per quel che riguarda l’amplificazione cognitiva dell’inquietu­ dine, essa è particolarmente ben manifestata in Otello-. Per il cielo, io credo che mia moglie sia onesta e credo che non lo sia; credo che tu [Iago] sia giusto e credo che non lo sia; voglio avere qualche prova.96 95 W. Shakespeare, Othello, Gallimard, “Bibliothèque de la Pleiade”, atto IH, scena 3, p. 829; le citazioni in inglese sono tratte dall’edizione di K. Muir, New Penguin. 96 lbid.t atto III, scena 3, p. 833; cd. ingl., p. 119, w. 380-382: By thè world, I think my wifc he honest, and think shc is not; I think that thou art just, and think thou art not.

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La sofferenza, che qui non è ancora quella propria della gelosia, è provocata dall’instabilità fiduciaria; in quanto sofferenza, in quan­ to giunzione disforica, è una richiesta di stabilizzazione, cioè, nel nostro caso, un’attesa dell’altra sofferenza, quella procurata dalla certezza e dalla visione esclusiva. L’inquietudine non è dunque “incoativa” solo perché si situa all’inizio della crisi, ma soprattut­ to perché reclama una stabilizzazione ulteriore; la mancanza di stabilità forica è quindi più forte che la paura della verità, poiché mantiene il soggetto nell’universo insignificante delle tensioni non articolate e non polarizzate; ora, non si può uscire da questa insta­ bilità se non “aprendo” una fase del divenire, il che si traduce da un lato in una modalizzazione di tipo volitivo (il voler-sapere) e dall’altro in una aspettualizzazione di tipo incoativo (l’avvio del­ l’indagine). Il sospetto è quella figura cognitiva che si fa carico di questa modulazione, amplificando l’instabilità tùnica fino a ren­ derla intollerabile e instaurando il voler-sapere. Il futuro geloso può non avere, come Otello, alcuna disposizio­ ne precedente alla gelosia, cioè, in questo caso, né inquietudine né sospetto; l’eroe di Shakespeare è effettivamente sereno, sicuro di sé, moderatamente attaccato a Desdemona. Perciò deve venir ma­ nipolato perché conosca la gelosia e perché in particolare acquisi­ sca la competenza patemica richiesta; un altro attore, Iago, egli stesso geloso e fine conoscitore dei meccanismi della passione, si dedicherà a quest’impresa per vendicarsi. Semiologo intuitivo, co­ stui comincia dunque col procurare a Otello il metasapere del so­ spetto e col mettere in moto l’inquietudine: non dice nulla di con­ sistente, non sa nulla di certo, ma lo dice; esprime vaghi dubbi, li rifiuta, ma li lascia in sospeso (atto III, scena 3, inizio della sce­ na).97 Poi fornisce un contenuto a questo metasapere: è lui che, grazie a una vera e propria strategia didattica, insegna al suo pa­ drone il minimo necessario sui meccanismi della passione. L’in­ quietudine suscita allora, retroattivamente e per presupposizione, le prime componenti della macrosequenza, l’attaccamento esclu­ sivo e l’adombrarsi, poi dà l’avvio al processo passionale della mi­ crosequenza. Tutto avviene come se, una volta messa in moto, sia in Otello che in Swann, l’agitazione inquieta attualizzasse una 97 Per esempio, e tra l’altro (p. 104, w. 35-36): Iago Ha! I like not that. Othello What dost thou say? lago Nothing, my lord; or il -1 know not what. [Iago Oh, non mi piace... Otello Che dici? Iago Nulla, signore: comunque, non so che cosa.]

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competenza già acquisita, la quale consente nello stesso tempo al soggetto della passione sia di ricostituire tutti i presupposti man­ canti sia di continuare nel seguito del processo. La possibilità di pensare, come in questo caso, l’installazione di una disposizione passionale tramite manipolazione, mostra chia­ ramente il fatto che la competenza passionale non ha a che vedere con una “psicologia individuale”. Nel nostro caso due attori ven­ gono convocati per fare un soggetto di passione ed entrambi fan­ no deflagrare i sincretismi abituali.98 La ripartizione dei ruoli mo­ dali e delle tappe della microsequenza permette di affermare che Iago qui è il soggetto cognitivo, soggetto operatore del fare timico, mentre Otello è il soggetto di stato timico (e cognitivo), con­ giunto con i risultati disforici del fare di Iago; diventerà soggetto del fare solo al momento della riattivazione che prende in lui la forma di un odio omicida. La distribuzione dei ruoli, in questo ca­ so, mette in luce il funzionamento canonico della gelosia, dissimu­ lato per la maggior parte del tempo dai sincretismi: un soggetto del fare timico e cognitivo tortura un soggetto di stato timico. Non solo, ma verifichiamo in questo caso che i dispositivi modali sen­ sibilizzati non sono proprietà intrinseche dei soggetti individuali bensì simulacri che si scambiano all’interno di veri e propri sin tagmi intersoggettivi.

Swann e la passione della verità Il metasapere che appartiene al sospetto è un elemento di com­ petenza per due ragioni. Da una parte, come abbiamo visto, con l’amplificare le oscillazioni dell’inquietudine esso installa la dispo­ sizione del soggetto geloso; dall’altra parte, in quanto sospetto, es­ so installa il voler-fare di un soggetto di ricerca cognitiva. Questa ricerca si svolgerà su due piani distinti: da una parte su quello del­ le trasformazioni epistemiche che determinano la trasformazione fiduciaria e ùmica e, dall’altra, su quello delle trasformazioni veridittive colte dal punto di vista del soggetto geloso o dal punto di vista di un osservatore esterno. Bisogna effettivamente tener conto di entrambi i sistemi di rife­ rimento, poiché producono due diversi tipi di effetti di senso. Pri98 A questo punto bisognerebbe ricordare ancora una volta che varie teorie psicologiche e metapsicologiche attuali sono interattive e richiedono un sistema a più attori. In genera­ le sono piuttosto le teorie filosofiche delle passioni, anche al giorno d’oggi, a fondarsi su un soggetto unico, cgopatico, solo luogo immaginabile della passione.

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ma di tutto, globalmente, la veridizione è implicata dall’inscrizio­ ne del simulacro passionale sull’asse del sembrare; poi, a questo stesso punto dell’indagine, essa viene sollecitata dall’emergere nel geloso di una vera e propria passione della verità. Questo incastro conferma lo statuto veridittivo fondamentale delle articolazioni semiotiche dell’immaginario: interamente interpretabili secondo il sembrare, esse risultano puramente fenomeniche, e l’essere - il “noumeno” - è per la semiotica solo un presupposto congettura­ le, reso tuttavia sensibile, nel discorso passionale, dagli effetti di senso del ré-embrayage sullo spazio della tensività. Abbiamo già fatto notare come l’inquietudine creasse due ruo­ li distinti a partire dal personaggio di Swann; la nascita di un nuo­ vo Swann, secondo il sembrare, che si impegna nella passione, fa del vecchio Swann, per contrasto, un soggetto secondo l’essere. Intorno al nuovo Swann si installa tutto un universo di discorso che comporta un’altra forma di spazio, un’altra percezione del tempo, altri sistemi di riferimento, grazie alla generalizzazione del simulacro e alla propagazione del dispositivo sensibilizzato su tut­ ti gli attori, luoghi o momenti:

Gli esseri ci sono di solito così indifferenti che, quando abbiamo messo su uno di loro tali possibilità, per noi, di sofferenza e di gioia, ci sembra che egli debba appartenere a un altro universo, si circonda di poesia, fa della nostra vita una estensione commovente dove egli ci sarà più o meno vicino." È interessante il fatto che l’espressione “si circonda di poesia” evochi al contempo la propagazione della sensibilizzazione e il veicolo di questa propagazione: l’universo figurativo. In effetti la vita diventa una “estensione commovente”, dove si diffonde il di­ spositivo modale sensibilizzato, solo nella misura in cui la poetizzazione delle figure del mondo si fa carico di questa diffusione: esamineremo tra poco, ma abbondantemente, il principio di que­ sto “veicolo” figurativo della sensibilizzazione. Vista dall’interno del simulacro e dal nuovo Swann, questa estensione commovente sembra poetica; ma, vista dall’esterno e dal vecchio Swann, essa sembra totalmente fittizia. Swann-osservatore constata per esempio che il nuovo Swann cambia di tono quando evoca gli attori del suo universo passionale; egli denun­ cia il

"Ala recherche du temps perdu, di., 1.1, pp. 235-236; corsivo nostro.

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tono un po’ fattizio che aveva assunto fino a quel momento quando descrive­ va le attrattive della piccola tribù e esaltava la magnanimità dei Verdurài.100

Si tratta in questo caso di una vera e propria prova veridittiva, do­ ve si scontrano due punti di vista, il primo che installa l’illusione (sembrare e non-essere) e il secondo che falsifica questa illusione; la finzione sarebbe allora una sorta di falsità ottenuta tramite la denuncia di un’illusione e in seguito moralizzata. Sullo sfondo di una prima illusione fondatrice si svilupperanno le trasformazioni veridittive che appartengono alla gelosia. Per quanto in linea di principio esse facciano parte rispettivamente di due differenti livelli di modalizzazione, questi due tipi di trasfor­ mazioni vengono presentate nel testo proustiano come manifesta­ zioni complementari di una stessa finzione riguardante le relazio­ ni sociali e interindividuali. Inoltre, dal punto di vista di Swann, che arbitra due ruoli rispetto al simulacro, l’uno interno l’altro esterno, si tratta sempre degli stessi giochi d’ombra che accompa­ gnano il percorso passionale; in maniera tale che, per lui, scoprire la verità è nello stesso tempo soddisfare le esigenze della gelosia e provare di aver ragione. Tutto avviene come se, dato che il ruolo del soggetto della passione e quello del soggetto osservatore sono resi sincretici, la sola maniera di rendere lampante la verità all’in­ terno del simulacro fosse, paradossalmente, quella di uscire dal si­ mulacro. Resta comunque il fatto che all’interno di questo simulacro le posizioni veridittive sono anch’esse modificate dalla sensibilizza­ zione e trattate come disposizioni. Quando Swann cerca di capire perché Odette gli mente, per esempio, egli si pone la questione di sapere se le sue menzogne sono accidentali o se manifestano un ruolo patemico, una disposizione permanente. In un certo senso si sarebbe tentati di rispondere positivamente: Swann osserva in lei un vero e proprio saper-fare veridittivo che consiste nell’introdurre una parcella di verità in ogni menzogna, al fine di renderla au­ tentica (p. 278). Ma, per un geloso dotato del metasapere, l’artifi­ cio è evidente: Swann riconobbe subito in questo dire uno di quei frammenti di un fatto ve­ ro che i mentitori colti alla sprovvista si consolano col far entrare nella com­ posizione del fatto falso che stanno inventando.101 ,00/W.,p.286. 101 Ibid., p. 278.

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Tale competenza veridittiva — l’arte di rendere autentica la men­ zogna — viene presentata esplicitamente come una disposizione, dotata della propria dinamica sintattica e capace di generare una microsequenza passionale. Per cominciare si notano in Odette al­ cune manifestazioni della costituzione e della disposizione del sog­ getto appassionato: dal momento che si trovava in presenza di colui al quale voleva mentire, la co­ glieva un turbamento, tutte le sue idee sprofondavano.102 le quali sono seguite dalla patemizzazione e àaWemozione:

quell’aria dolorosa che ella continuava ad avere finì per stupirlo. [...] Le ave­ va già visto una volta una tristezza del genere [...] quando Odette aveva men­ tito parlando a Mme Verdurin [...] Quale deprimente menzogna stava dicen­ do a Swann per avere quello sguardo doloroso, quella voce lamentosa che pa­ revano flettersi per lo sforzo che ella si imponeva, e domandare grazia?105

In modo conforme con lo schema canonico, l’emozione in questo caso è seguita dalla vergogna e dal fastidio provati nei confronti della vittima della menzogna, vale a dire dalla moralizzazione. L’esistenza di una microsequenza completa segnala, agli occhi di quell’osservatore perspicace che è Swann, la presenza efficace di un ruolo patemico, di una dinamica modale sensibilizzata e ste­ reotipata e in seguito moralizzata. Tuttavia il ruolo non può per questo essere elevato al rango di “tratto di carattere”, perché Swann si rende conto che non si tratta per Odette di un sistema generale, ma di “un espediente di ordine particolare” (p. 291).104 In Swann, in compenso, la verità è una passione che può modi­ ficare durevolmente il carattere e viene paragonata a quella che può provare un uomo di scienza nella sua ricerca. Ritroviamo co­ sì nel suo caso i principali costituenti della microsequenza; tra gli altri, la moralizzazione: 102 Ibid., corsivi nostri. 105 Ibid.. pp. 280-281. 1W Questa sfumatura proustiana potrebbe forse permettere di affinare la differenza tra un “ruolo patemico” e un “ruolo tematico”. Il ruolo patcmico si riconosce al livello della manifestazione discorsiva per la canonicità della microsequenza che produce; al contrario il ruolo tematico si riconosce per il ricorrere sistematico della stessa competenza e dello stesso comportamento in una data circostanza. La particolarità delle menzogne di Odette consiste appunto nel fatto che non sono sistematiche, poiché, se ella può scegliere tra la ve­ rità e la menzogna, preferisce sempre la verità. Non è dunque una “bugiarda" (ruolo te­ matico), è semplicemente trascinata passionalmente alla menzogna (ruolo patemico) quan­ do la sensibilizzazione dell’interazione vi si presta, a causa della sua intensità.

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E tutte le cose per cui avrebbe provato vergogna fino a quel momento, spiare davanti a una finestra, chissà? domani forse, far abilmente parlare gli indiffe­ renti, assoldare i domestici, ascoltare dietro le porte, gli parevano ormai, co­ me la decifrazione dei testi, il confronto delle testimonianze e l’interpretazio­ ne dei monumenti, soltanto dei metodi di indagine scientifica di un vero e pro­ prio valore intellettuale e adeguati per la ricerca della verità.105

La passione della verità, curiosamente, sembra desensibilizzare l’in­ dagine; lo si può capire soltanto se ci si ricorda che Swann è per altri versi dotato del ruolo tematico dell’“intellettuale” e che, di conse­ guenza, la sua passione per la verità può essere sorretta da un’isoto­ pia tematica di tipo cognitivo, sensibilizzata e moralizzata in tutta autonomia; inoltre, la ricerca della verità intrapresa all’interno del simulacro per soddisfare la gelosia può sfociare, sempre che persista al di là di una semplice acquisizione della certezza negativa, in una uscita dal simulacro della gelosia, ultima prova veridittiva; il geloso sfugge allora alla sofferenza, fondendosi di nuovo col vecchio Swann capace di giudicare qualunque cosa in maniera sana. E la ra­ gione per cui assistiamo in questo caso a una vera e propria ricategorizzazione della “diffidenza/sfiducia ” gelose, la quale trasforma lo Sherlock Holmes infelice in una sorta di archeologo della vita d’ Odette, e questo grazie a un débrayage che conchiude il simulacrc della gelosia, salvo aprirne un altro, quello della curiosità scientifica.

La prova: Otello nel labirinto

Quello che sembra il tratto più caratteristico della gelosia, in questo caso, è che il nostro investigatore/archeologo non rispetta affatto le comuni regole della costituzione della prova. Come fa notare Iago in Shakespeare: Sciocchezze da nulla che hanno il peso dell’aria sono per il geloso conferme tanto forti quanto prove della Sacra Scrittura.106 Qui il fare cognitivo è sovradeterminato da una attesa, tramite quella tensione verso la stabilità che abbiamo identificato nell’in105 À la recherche dii tempi perda, cit., 1.1, p. 274; corsivi nostri. 106 Q/e/Zo, op. cit., atto III, scena 3, p. 382; ed. ingl. p. 116, w. 319-321: Triffles light as air Are for thè jealous confirmations strong As proofs of holy writ.

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quietudine e nel sospetto. Così la prova non risponde a un’esigen­ za strettamente cognitiva, ma a una domanda tùnica: che cessi in­ fine l’oscillazione forica, anche se la disforia dovesse avere la me­ glio; ed è indubbiamente questa attesa di stabilizzazione tùnica che permette di spiegare perché la ricerca della verità si trasforma per Swann al punto da diventare una “passione” della verità. H nostro Sherlock Holmes infelice è insomma un cattivo investiga­ tore e un uomo di scienza poco scrupoloso, poiché sa in anticipo quello che troverà e adotta le forme di superfìcie dell’indagine so­ lo per provare a se stesso che aveva ragione. Allo stesso modo basterà dare consistenza al sospetto, dare cor­ po a fatti sparsi. Come nella diagnostica medica, dove il fatto di stabilire il quadro sintomatico completo della malattia può pren­ dere il posto, a certe condizioni, della conoscenza diretta dell’“es­ sere” della malattia, mentre i sintomi isolati ne costituiscono solo il “sembrare”, l’indagine del geloso deve produrre il quadro com­ pleto del tradimento: Fammi vedere la cosa, o almeno provamela tanto bene che la prova non abbia né cerniera né cavicchio al quale si possa attaccare un dubbio.107

Qui la metafora traduce la completezza del quadro atteso. Il pro­ cedimento adottato evoca Xabduzione. In uno studio dedicato a questa procedura P. Boudon fa notare che il fare cognitivo dell’in­ vestigatore concerne l’abduzione, perché consiste, all’inizio, nella raccolta di indizi che devono formare una rete;108 ma la logica la­ birintica della rete giunge alla prova solo tramite un’operazione che potremmo chiamare metaforicamente una precipitazione'. “eco multipla” tra gli indizi, “hapax collettivo” da cui risulta la to­ talizzazione. Tuttavia, nel caso della gelosia, la stabilizzazione co­ gnitiva non spiega tutto; il processo di totalizzazione cognitiva è in realtà sovradeterminato dall’attesa fiduciaria che rende il soggetto passionalmente competente per usurpare la prova in senso stretto e il completamento del processo cognitivo propriamente detto. L’effetto figurativo di completezza, prodotto dalla “benché mini­ ma sciocchezza”, basterà a far precipitare la rete di indizi in qua107 Ibid., atto DI, scena 3, p. 833; ed. ingl. p. 118, w. 361-363: Make me to see’t: or, at least, so prove it That thè probation bear no hinge nor loop To bang a doubt on... 108 P. Boudon, “L’abduction et le champs sémiotique", Acles sémiotiques, Documents, dt., Vin, 1985,36.

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dio totalizzato. È la ragione per cui l’abduzione non è in questo caso un processo di ordine “logico” e obbedisce essenzialmente a costrizioni fiduciarie; la quantificazione, in particolare, poggia sempre, da un punto di vista semiotico, su fenomeni tensivi. Nfì Intendiamo per “quadro” sia un inventario gerarchizzato e ordinato sia una rappresentazione iconica, poiché la prova che dà consistenza alla rete de­ ve essere figurativa e deve di colpo suscitare lo spettacolo, almeno immagina­ rio, della congiunzione S2/S3. Ancora una volta, l’efficacia passionale è figu­ rativa perché solo il geloso, o qualunque altro soggetto di passione, accette­ rebbe come prova un fatterello concreto isolato.

Le metafore e le figure che descrivono la trasformazione degli in­ dizi in quadro probante, sia nel discorso letterario sia in un’anali­ si intuitiva, manifestano tutte l’arresto, il congelamento, la com­ piutezza: “consistenza”, “dar corpo”,109 “precipitare”, “cavic­ chio”, “cerniera”. Vi riconosceremo due componenti: una com­ ponente aspettuale e una componente figurativa. Dal punto di vi­ sta aspettuale l’accesso alla prova presuppone un saper-terminare molto particolare che permette di accelerare un processo per far­ lo giungere a termine prima di quanto autorizzerebbe il suo de corso strettamente cognitivo: una sorta di incidente aspettuale, ir somma. Dal punto di vista figurativo la prova deve produrre un effetti, di “solidità” (cfr. la “congruenza”, P. Boudon, ibid.)\ riconoscere la solidità e la congruenza di una rete di indizi significa poter as­ sociare con certezza una manifestazione figurativa a posizioni mo­ dali, a ruoli attanziali e tematici, a valori astratti. Non solo, l’effet­ to di “solidità” poggia sulla modalità del potere e, più precisamen­ te, su una resistenza a qualunque prova; ora, immaginare una resi­ stenza dell’oggetto cognitivo significa attribuirgli una competenza e trasformarlo in soggetto. Insomma, l’investigatore geloso non è soddisfatto se non quando è riuscito a trasformare l’oggetto della sua ricerca in soggetto che resiste ai suoi dubbi. Più in generale, la “precipitazione” della prova autorizza un’in­ ferenza che ricostituisce un essere immanente a partire da un sembrare manifesto. Vedere il fazzoletto donato qualche tempo prima a Desdemona nelle mani di Cassio è, per Otello, fare un’in109 W. Shakespeare, Otello, rii., p. 120, w. 426-427: And this may Help to thicken other proofs Than do demonstrate thinly. [Potrà servire, tutt’al più, a sostegno di prove scarsamente consistenti.]

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fetenza attraverso il percorso generativo, la quale potrebbe essere scomposta in questo modo: (a) ricostituire l’itinerario di quel fazzoletto (percorso figurati­ vo); (£) immaginare l’incontro tra S2 e S} (dispositivo attanziale); (cj acquisire la certezza a partire da un non-poter-non-essere (modalizzazione epistemica e fiduciaria); (d) supporre infine in Desdemona l’abbandono di tutti i valori sui quali poggiava il loro amore: purezza, nitidezza, tra gli altri. La precipitazione è insomma la fine, grazie a una sorta di tra­ versata catalitica di tutti questi livelli, del processo cognitivo; e la prova appare allora come l’elemento figurativo decisivo che rende evidente l’insieme delle conversioni immanenti del percorso gene­ rativo. Tuttavia l’aspetto propriamente cognitivo del fenomeno non deve occultare il ruolo acceleratore dell’attesa, perché è pro­ prio essa che, col suo potere sensibilizzante, spinge ad attribuire all’oggetto il ruolo di soggetto resistente.

Un investigatore lobotomizzato U romanzo di Robbe-Grillet ci fornisce la contro-prova che, in qualche modo, conferma questa affermazione. Da una parte in es­ so l’indagine segna il passo, al punto da non assomigliare più a un’indagine, dato che ci si limita allo stabilire una rete di indizi; dall’altra, come abbiamo visto, la dimensione timica è assente e la scelta compiuta dal romanzo ne manifesta solo gli effetti indiretti sulle dimensioni pragmatica e cognitiva. Cosa manca alla rete di indizi per “precipitare”? Il credere, parrebbe: la cancellazione di qualunque traccia fiduciaria o timica impedisce la precipitazione della prova, e il processo cognitivo non fa altro che rimescolare l’inventario degli indizi e delle correlazioni. È possibile a contrario immaginare cosa succederebbe se uno di tali indizi venisse eleva­ to al rango di prova: si sarebbe allora condotti, per presupposizio­ ne, a ricostituire un’attesa, una richiesta di stabilizzazione e, di conseguenza, una dimensione fiduciaria. Si capisce ora perché l’indagine non può essere raccontata, dal momento che non comporta né inizio né fine, né demarcazione aspettuale, più di quanto, per esempio, faccia la melopea emble­ matica cantata da un impiegato della piantagione. Il narratore er­ ra nel labirinto dei suoi indizi, passa più volte attraverso ciascuno di essi, ne trae nuove figure di sfiducia, ma confonde in questo

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modo ogni lettura cronologica, dato che la temporalizzazione di un processo presuppone di diritto la sua aspettualizzazione. Ciò che in questo caso viene testualizzato non è la storia di un’infe­ deltà e di una gelosia - che siamo obbligati a ricostituire per cata­ lisi e a partire da quello che si sa per altre vie dell’organizzazione sintattica della passione - ma l’errare di un narratore lobotomizzato, vale a dire atònico.110 Per via deduttiva, e confrontando tra loro l’esempio e il controesempio, ora si delineano meglio le condizioni di apparizione del credere nel geloso. La certezza del tradimento presuppone innan­ zitutto (1) un percorso in tutte le direzioni degli indizi, percorso che li trasforma in reticolo concepito come una totalità partitiva, poi (2) una anticipazione tùnica sui risultati del fare interpretati­ vo, capace di cogliere il minimo pretesto “iconico” per arrestare il percorso, e infine (3) la chiusura del reticolo, che ne fa una totalità integrale e congruente. L’oggetto cognitivo e fiduciario viene trat­ tato come un attante collettivo, la cui trasformazione in totalità in­ tegrale ne farebbe un soggetto resistente.

Una aspettualizzazione sensibile

Dall’inquietudine all’acquisizione della certezza grazie alla pr< va si dispiega un percorso aspettuale che accompagna la segmeL tazione canonica della microsequenza: incoativo “inquietudine” e “sospetto”

durativo, iterativo “indagine” e “abduzione”

terminativo “precipitato della prova” e “certezza”

(avvio)

(aumento delle tensioni)

(distensione)

Lungo tutto il percorso del geloso la sofferenza è quasi perma­ nente, ma nello stesso tempo è sempre rinnovata: la sua origine, la sua intensità e le sue conseguenze, infatti, cambiano a ogni tappa: seguendo passo passo Swann e Otello è possibile addirittura di1,0 La “scomparsa del tònico" in La jalousie di Robbe-Grillet potrebbe essere avvicina­ ta alla “scomparsa della e" in La Disparition di Perec. Sia in un caso che nell’altro sembra che i lettori e i critici abbiano impiegato un certo tempo per prendere coscienza del proce­ dimento messo in opera dal romanziere; si vede facilmente quali possono essere gli effetti e i limiti di una tale operazione sul significante, ma è tutta un’altra cosa quando essa atten­ de al significato: si tratta allora di una vera e propria sperimentazione che ha per oggetto la messa in discorso e la testualizzazione.

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stinguere, all’interno della crisi di gelosia, due sofferenze di tipo diverso; da un lato l’inquietudine e l’instabilità fiduciaria provo­ cano una sofferenza “arcaica”, la stessa delle tensioni originarie dell’insignificanza; dall’altro la certezza negativa e la “scena” pro­ vocano la sofferenza specifica della gelosia. La seconda è il prezzo da pagare per sollevarsi dalla prima. Bisognerebbe supporre in questo caso che la sensibilizzazione operi su due distinti livelli: avremmo, oltre alla sensibilizzazione dei dispositivi modali pro­ priamente detti, che riconosciamo nel secondo caso, una sensibi­ lizzazione delleforme aspettuali, che rende intollerabile l’incoativo e che fa sì che il geloso possa, nel momento stesso in cui la con­ giunzione S2/S3 lo tortura, sentirsi sollevato. L’indipendenza di questi due livelli di sensibilizzazione, e dei due percorsi ùmici che ne derivano, si riconosce inoltre per il fat­ to che, anche se rassicurato sulla fedeltà di S3, il geloso rimane “mosso” dalla prima sofferenza; è così che Swann, dopo l’episo­ dio della finestra illuminata, che si rivela poi non essere quella di Odette, continua a patire per l’incidente ed è pronto a far posto a nuovi sospetti. L’esistenza di questi due livelli di sensibilizza­ zione, modificando l’uno le modalità, l’altro le aspettualità, ten­ derebbe a confermare il fatto che la sensibilizzazione modifica anche le modulazioni tensive, producendo, come abbiamo sugge­ rito, stili semiotici che l’uso rende stabili e che possono a loro vol­ ta essere convocati al momento della messa in discorso, insieme ai blocchi modali stereotipati ai quali sono associati.

La finestra illuminata: simulacrifigurativi e aspettualizzazione spaziale All’interno della “scena” il simulacro riceve un investimento fi­ gurativo completo: il rivale prende forma, se ciò non è già avvenu­ to; le relazioni di congiunzione e di disgiunzione si spazializzano, secondo il principio di esclusione; l’insieme è presentificato, qua­ lunque sia l’epoca effettiva della congiunzione S2/S} nel racconto. In Proust, l’indipendenza della scena di esclusione nei confron­ ti degli attori e dell’epoca rivela la pregnanza dell’aspettualizzazione spaziale. Così, l’esclusione del bambino quando la madre ri­ ceve visite a Combray è identificata con l’esclusione dell’amante quando la donna amata si trova sola a una festa; contano poco gli attori e l’epoca, si tratta sempre di

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quell’angoscia che si prova nel sentire l’essere amato in un luogo di piacere dove non si è, dove non lo si può raggiungere.111 Ciò che funge da costante, in questo caso, è un dispositivo moda­ le (un voler-essere contraddetto da un non-poter-essere) e la sua manifestazione spaziale, che parrebbe emblematica delle relazioni astratte d’esclusione; il tipo passionale dominante è, a questo ri­ guardo, una variabile: quella “angoscia”, secondo Proust, può specializzarsi sia negli attori collocati in presenza sia nelle epoche della vita; tale specializzazione è una tematizzazione, dato che l’angoscia in questione può diventare, a seconda dei casi, “gelosia di bambino” (nei confronti della madre), “gelosia d’amico” (nei confronti dell’amico), “gelosia d’innamorato” (nei confronti della donna amata). Si direbbe dunque che la spazializzazione, qui, sia incaricata di manifestare la costante modale e passionale, di natu­ ra strettamente sintattica, mentre l’attorializzazione e la temporalizzazione sarebbero incaricate dei diversi investimenti semanticotematici. Così tutti gli spazi dell’esclusione della gelosia si assomigliano: un inglobamento determina le frontiere del luogo vietato al geloso; una direzione indica la zona di superamento possibile di questa frontiera. Le uniche operazioni possibili su un tale dispositivo so­ no: (1) superamenti — entrate o uscite — cioè movimenti direziona li alle frontiere dello spazio inglobato, e (2) accerchiamenti delle spazio inglobato, movimenti “peritopici” per il geloso, il quale non può superare la frontiera, e movimenti “paratopici” per gli al­ tri due, i quali restano confinati nello spazio inglobato. Allo stesso modo questa concatenazione spaziale definisce il dispositivo spettacolare che installa un enunciatario delegato in uno spazio disgiunto da quello in cui gli attori dell’enunciazione parlano e agiscono. Per Swann, così come per il pubblico di uno spettacolo, lo spazio inglobato e vietato è una scena, la quale na­ sconde delle quinte, e questo spazio è nello stesso tempo esposto sulla dimensione cognitiva, nel modo del non-poter-non-vedere, e rifiutato sulla dimensione pragmatica, nel modo del non-poter-accedere. La scena della finestra illuminata, in Un amore di Swann y è esemplare per questo: uno spazio inglobato, la camera, che si ri­ tiene contenga la scena di congiunzione tra S2 e S3, comporta una apertura, la finestra illuminata; Swann, rispetto a questo spazio,

111À la recherche du temps perda, cit., 1.1, p. 41.

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può effettuare soltanto movimenti peritopici che manifestano tra l’altro l’inquietudine e l’agitazione. E solo alla fine di una lunga decisione che egli si assume il rischio di essere “visto mentre vede” e bussa (i tre colpi dell’alzata di sipario) alla finestra. Su questo punto il testo è chiaro: la sensibilizzazione verte su un dispositivo spaziale che manifesta un dispositivo modale; è la ragione per cui la finestra illuminata, che segnala al contempo la presenza degli at­ tori all’interno e la possibilità di un accesso visivo dall’esterno, è lo strumento spaziale e modale della tortura: la luce [...] che ora lo torturava dicendogli: “lei è là con colui che aspettava...” [...] l’altra vita di Odette [...] egli la teneva in quel momento, illuminata in pieno dalla lampada, prigioniera inconsapevole in quella camera dove, quan­ do egli avesse voluto, sarebbe entrato a sorprenderla e a catturarla.112

Della scena in quanto trappola Tuttavia, come testimonia l’ultima frase, il dispositivo spaziale è ambiguo: la scena di esclusione che tortura St si trasforma in trap­ pola per S2/S3; può addirittura essere concepita a questo fine, già al principio, dal geloso stesso. Questi, in effetti, in particolare in Racine e in Shakespeare, è sempre più o meno il regista della visione esclusiva; regia che con­ sente di condensare in un solo luogo e in un solo momento due tappe della gelosia: da una parte l’acquisizione della certezza ne­ gativa e dall’altra la vendetta. Che sia Otello relegato dietro le quinte della scena allestita da Iago, che sia Nerone nascosto nel­ l’anticamera della scena che egli stesso ha preparato {òritannicus} o Rossana tenuta ai margini dalle regole del serraglio, sono tutti, per una ragione o per l’altra, sia osservatori presenti alla scena gra­ zie allo sguardo, all’udito o a una comparsa, sia attori esclusi in quanto tali, ma che hanno manipolato gli altri e diretto la messa in scena. Rossana ha provocato l’incontro tra Atalide e Bajazet; Ne­ rone ha indicato a Giunia il ruolo da tenere di fronte a Britannico; quasi alla lettera, Otello ha ordinato a Iago di allestirgli uno spet­ tacolo probante. La manipolazione della rappresentazione conferisce al soggetto appassionato una proprietà che abbiamo già suggerito: egli è un enunciatore di secondo grado ed è anche per questo che è escluso il2Ibid.,p. 273.

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dalla scena, perché il ré-embrayage sul proprio “discorso enuncia­ to” gli è vietato, salvo rimettere in causa la messa in discorso stes­ sa: in un certo senso il geloso sarebbe un enunciatore troppo roz­ zo, o non abbastanza perverso, per inscriversi grazie a un ré-em­ brayage parziale nella scena che egli ha provocato. In quanto enunciatore delegato, egli ha il potere di far variare la prospettiva e di cambiare l’orientamento dello spazio modalizzato senza metter mano ai dispositivi modali in quanto tali; è in questo modo che il non-poter-entrare diventa un non-poter-uscire, e lo sguardo catturato diventa uno sguardo catturante. Tutto avviene come se l’acquisizione della certezza indebolisse il potere di cattu­ ra di S3 nei confronti di S1 e, inversamente, ristabilisse il potere di cattura di Si nei confronti di S3. Vi si potranno riconoscere facilmente sia il potere di un narra­ tore diventato onnisciente, capace di derivare e di interpretare gli effetti modali secondari del dispositivo spaziale che egli stesso ha contribuito a installare, sia la competenza di un soggetto discorsi­ vo che ha “interiorizzato” una scena attanziale e può, per questo, farne variare le posizioni e le polarità. È a questo punto che egli si accorge che la sensibilizzazione della chiusura del luogo è funzio­ ne del punto di vista adottato: esclusione e sofferenza dal punto di vista del soggetto disgiunto, trappola e minaccia di ritorsione dal punto di vista dei soggetti congiunti; gli basta dunque, in quante enunciatore passionale, adottare il secondo punto di vista per in venire i segni della sensibilizzazione e l’orientamento dello spazio L’omologazione tra il funzionamento passionale e la messa in di­ scorso (messa in scena, enunciazione, variazioni della prospettiva) conferma in qualche modo il fatto che qualunque simulacro pas­ sionale si presenta nel discorso come un altro discorso incassato. La trasformazione dello spazio di esclusione in trappola fa eco all’ambivalenza dell’esclusività stessa. Swann, per esempio, finisce per capire che, se è il solo a essere escluso dai luoghi in cui Odette fa festa, è perché egli è il suo amante esclusivo (p. 349); gli altri, che non hanno questo privilegio, non ne subiscono neppure le conseguenze. Tale primo rovesciamento, prevedibile a partire dal­ l’analisi dell’esclusività (cfr. supra), può quindi essere seguito da un secondo rovesciamento che trasformerebbe la visione esclusiva in cattura. La successione di queste inversioni ci porta a interrogarci sul funzionamento sintattico dell’esclusività: in un primo tempo, quel­ lo del possesso esclusivo, Si cattura S3 ed esclude S2; in un secondo tempo, quello della visione esclusiva, S2 cattura S3 ed esclude St; in

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un terzo tempo, vero e proprio superamento dialettico dei primi due, Si cattura S2 e S3 sorpresi nella loro complicità (il fatto di cro­ naca!); questo terzo tempo prepara un rinnovamento del possesso esclusivo, che potrebbe allora essere un vero e proprio sequestro che terrebbe conto dell’esperienza acquisita. Manca tuttavia una tappa; per rovesciare l’esclusività occorre preliminarmente che il possesso di S3 da parte di S, sia stato rimesso in discussione: l’a­ dombrarsi e l’inquietudine di Sj testimoniano questo evento. La sintassi dell’esclusività potrebbe allora essere rappresentata così: POSSESSO ESCLUSIVO (Si cattura S3 ed esclude S2)

f

TRAPPOLA DEL GELOSO (Si cattura S2 e S3 insieme)

VISIONE ESCLUSIVA (S2 cattura S3 ed esclude St)

t

ADOMBRARSI DEL GELOSO (S3 sfugge a Sj e S2 ricompare)

A ogni nuovo passaggio sulla posizione “possesso esclusivo” le strategie si complicano o si irrigidiscono: le trasformazioni dell’e­ sclusività conservano la memoria delle posizioni precedenti, drammatizzando in un certo senso il percorso passionale. Universo passionale delle inversioni e delle ambivalenze, la ge­ losia è il campo di manovra per eccellenza in cui si propagano i di­ spositivi sensibilizzati; l’esistenza di una sintassi dell’esclusività che articola l’insieme del percorso passionale prova almeno due cose. La prima: che, qualunque siano le rispettive posizioni dei partner, il dispositivo modale caratteristico della passione - nel nostro caso quello dell’esclusività - è una costante atemporale che regge l’interazione passionale nel suo insieme. La seconda: che la variazione di queste posizioni è regolata, ordinata e raccontabile. Saremmo addirittura propensi a pensare che tale sintassi appartie­ ne alla competenza passionale del geloso, sotto forma di una “in­ telligenza patemica”; infatti, nel momento stesso in cui egli pro­ gramma la messa in scena della visione esclusiva, è già in grado di sapere che essa funzionerà come trappola per l’essere amato e per il rivale; inoltre, abbiamo visto che, decretando l’esclusione di S2, egli preparava la sua propria esclusione. La sintassi dell’esclusività funziona in un certo modo come una “disposizione”, vale a dire come una programmazione discorsiva dotata della propria dina­ mica e che si dispiega da se stessa se nulla ne arresta il corso.

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La gelosia: Ego è scomparso

Riguardo alla visione esclusiva La gelosia rappresenta ancora il laboratorio in cui provare le nostre ipotesi e in cui si disegnano i limiti della loro validità. Il testo è interamente circoscritto all’in­ terno del simulacro; la sua enunciazione non è altro che l’enuncia­ zione passionale, paradossalmente atimica, certo, ma che non la­ scia alcun posto per l’enunciazione primaria; lo spazio enunciato è per intero lo spazio inglobato da cui il geloso è escluso, uno spa­ zio colto da uno spettatore che è presente alle scene che racconta, ma che non vi partecipa in quanto attore. Il discorso enunciato d’arrivo è scomparso, la storia è fuori campo e solo il paziente la­ voro del lettore potrà ricostituirne alcuni frammenti. Questa con­ statazione è sufficiente per spiegare varie particolarità del testo; per esempio, la dislocazione temporale e aspettuale: non c’è più osservatore esterno che disponga della buona distanza per ordina­ re e delimitare i processi. Inoltre, poiché il testo stesso, nella sua enunciazione, è la verbalizzazione del simulacro passionale, e poiché il geloso non può essere un protagonista di questo simulacro, il soggetto del discor­ so, che qui si confonde col geloso, è scomparso. Un’altra scorr parsa, dunque: quella dell’io; infatti il soggetto del discorso è pr sente in quanto attante, ma assente in quanto attore, sia dalla se na sia dalla sua scrittura. E la ragione per cui, dato che il soggeti del discorso e il geloso sono perfettamente sovrapponibili, l’esclu­ sione del geloso si traduce nell’esclusione linguistica dell’io: im­ possibile per Ego dirsi Ego, perché questo sarebbe far apparire S, (Io) sulla scena della scrittura. In questo modo il soggetto del di­ scorso è solo un posto vuoto, che possiamo ricostituire solo per deduzione a partire da osservazioni come le seguenti:

Per recarsi in tinello la cosa più semplice è attraversare la casa [...] Le scarpe leggere con le suole di gomma non fanno alcun rumore. Per maggiore sicurezza ancora, è sufficiente chiederle se non le sembra che il cuoco sali troppo la minestra. “Ma no”, risponde lei, “bisogna mangiare del sale per non sudare”.114 Franck sorride a sua volta, ma non risponde nulla, come se fosse seccato per il tono che prende il loro dialogo - difronte a un terzo.115 115 A. Robbe-Grillct, La jalousie, dt., p. 48;. corsivo nostro. 1.4 Ibid., p. 24; corsivo nostro. 1.5 Ibid., p. 194; corsivo nostro.

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Non potendo elencare tutte le trasformazioni linguistiche che hanno per scopo, in La gelosia, di rendere implicitamente il complemento d’agente o il dativo quando potrebbero essere nominati solo tramite “Io” o “mi”, notiamo soltanto alcuni tipi rappresentativi negli enunciati citati: trasformazioni impersonali (“è sufficiente”), passaggio alla terza persona tramite perifrasi (“un terzo”), trasformazioni infinitive e generalizzazioni (“per recarsi”) o, ancora, elevazione del complemento di strumento in posizione di soggetto della frase (“le scarpe”) al posto dell’a­ gente. Il lettore deve allora avvicinare tra loro le manifestazioni indirette di un terzo attore e le modalizzazioni che, pur rinvian­ do alla soggettività del narratore implicito, devono essere attri­ buite a questo stesso terzo; è il caso della domanda narrativizzata e modalizzata “è sufficiente chiederle”, la risposta alla quale è in discorso diretto. La modalizzazione concerne il terzo indi­ retto (“è sufficiente”), ma, poiché la risposta è in discorso diret­ to, si suppone che l’interlocutore si confonda col terzo modalizzato. Esercizio di virtuosismo che acquista tutto il suo senso soltanto a patto che si integri nella sintassi della gelosia. Molto spesso la de­ duzione che permette di ritrovare il posto vuoto del soggetto del discorso è semplicemente aritmetica: ci sono quattro sedie sulla terrazza, una non è occupata, due sono occupate da S2 e S3, la ter­ za è occupata da un terzo che non può essere altri che S„ il narra­ tore-osservatore; infatti, per segnalare che la sedia è occupata, si spiega a lungo che la sua posizione è scomoda, a lato, di sbieco, il che impedisce di vedere bene S2 e S3. Il posto vuoto del soggetto del discorso è dunque testualizzato in quanto posizione e compe­ tenza di osservazione, e questo per il tramite dei limiti imposti a tale competenza nello spazio descritto. Una delle conseguenze di questa strategia di discorso, che con­ siste nel farsi carico del simulacro del geloso escludendo qualun­ que altro, è quella di implicare l’enunciatario all’interno di questo simulacro: in effetti quest’ultimo è continuamente sollecitato da questo posto vuoto, portato a fare inferenze, obbligato a occupa­ re mentalmente questo posto per capire le posizioni di ciascuno e l’organizzazione delle scene descritte. Strategia semiotica ed er­ meneutica al contempo, che trasforma il lettore in soggetto di­ scorsivo geloso: sarebbe la gelosia la passione prototipica degli enunciatari?

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LA GELOSIA MESSA IN DISCORSO: LA COMPONENTE SEMANTICA

Il piccolo dettaglio concreto U geloso è un maniaco del dettaglio, un instancabile feticista. La sofferenza propria della gelosia è intrinsecamente legata al “concre­ to”, cioè nello stesso tempo agli “effetti di realtà” e alle assiologie fi­ gurative. A tal punto che, nell’interazione, per far soffrire Sj è suffi­ ciente “fornire dettagli”; Odette, per esempio, sotto la pressione di Swann, non manca di farlo. Ma, da un altro lato, poiché l’astratto e il concreto sono graduabili, il geloso può controllare in parte l’inten­ sità della sua sofferenza facendo variare il grado di astrazione o di fi­ guratività della rappresentazione che offre a se stesso:

Egli si rendeva conto che tutto il periodo della vita di Odette trascorsa prima di incontrarlo, periodo che egli non aveva mai tentato di rappresentarsi, non era quell’estensione astratta che intravedeva vagamente, ma era composta da anni particolari, riempiti di incidenti concreti. Ma rendendosene conto teme­ va che questo passato incolore, fluido e sopportabile, assumesse un corpo tar gibile e immondo, un volto individuale e diabolico. E continuava a non tentai di concepirlo, non più per pigrizia di pensiero, ma per paura di soffrire.116

Il carattere “concreto” del simulacro non impegna soltanto la fìgurativizzazione sintattica - attoriale, temporale, spaziale - ma l’insieme delle isotopie semantiche convocate per la rappresenta­ zione della passione, il cui potere di figurazione è, l’abbiamo visto, una delle chiavi della sofferenza. Le metafore di Proust potrebbe­ ro costituire, a questo riguardo, un percorso esplorativo, poiché concepiscono l’invasione della rappresentazione da parte del con­ creto come una risalita del corpo nel discorso, “un corpo tangibi­ le e immondo, un volto individuale e diabolico”. Da un altro punto di vista l’invasione del concreto poggia su una competenza del geloso, competenza a enunciare figurativa­ mente e a elaborare una rappresentazione discorsiva del simula­ cro: un saper-raccontare, o saper-rappresentare:, il che mostra che per essere gelosi non basta essere esclusivi: occorre anche un mi­ nimo di immaginazione. Questa competenza non è obbligatoria ­ mente quella dell’attore appassionato; il saper-rappresentare e l’im­ maginazione possono senza dubbio appartenere a un altro attore: ne sarà dotata Odette al posto di Swann e Iago al posto di Otello. 1,6À la recherche du tempsperdu, op. cit., 1.1, p. 368.

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La concretizzazione della scena rinvia dunque a due componen­ ti: da una parte al principio stesso della figurativizzazione (opposta all’astrazione) e dall’altra alla competenza necessaria all’enuncia­ zione passionale. E la ragione per cui la preoccupazione del detta­ glio concreto è il marchio distintivo, nel discorso della gelosia, di un tipo di scrittura figurativa e rappresentativa regolata da figure isotopanti e dalle leggi di un “genere”: Iago è drammaturgo-regi­ sta, Odette è narratrice, piena di fascino, di naturalezza, dotata per la mimica, e il geloso di Robbe-Grillet è un descrittore ossessivo, che avrebbe in un certo senso reinventato il nouveau roman. Abbiamo richiamato più volte la “presentificazione” di un enunciato, di un evento, di una situazione, all’interno del simula­ cro passionale; appare ora un altro aspetto di questo effetto di senso. Un far-finta, una riproduzione iconizzata, che obbedisce al­ le leggi discorsive della rappresentazione proprie di ogni cultura e, all’interno di ogni cultura, proprie di ogni genere, si fanno cari­ co del simulacro; al débrayage e v^embrayage che lo installano sa­ rebbe dunque opportuno aggiungere un’operazione di testualizzazione. È per questo che la nostalgia si presterebbe piuttosto, in quanto scrittura figurativa, alla poesia, almeno in una cultura ro­ mantica, mentre la gelosia, come si vede, esita, a seconda che la si affronti in termini classici o moderni, tra la scena drammatica e la pausa descrittiva del romanzo.

Il minerale e il vitale L’affetto puro, lo stato timico allo stato bruto, non si dicono af­ fatto; salvo rimescolare gli elementi di un campo lessicale presto esaurito: soffrire, dolore ecc., la descrizione dello stato disforie© può essere solo laconica. I testi tuttavia abbondano su questo ar­ gomento, grazie a procedure simboliche o semi-simboliche che si fanno carico della manifestazione dello stato disforico: alcune iso­ topie figurative si specializzano allora in questo compito. In Otel­ lo si farà più particolarmente caso al “veleno”: Ho il forte sospetto che il Moro lascivo si sia inforcata la mia sella. Questo pensiero, come un veleno minerale, mi rode le interiora.117 117 Otello, al., atto II, scena 1, p. 813; ed. ingl., p. 87, w. 286-288: I do suspect thè lusty Moor Hath leapcd into my seat, thè thought whereof Doth, like a poisonous minerai, gnaw my inwards...

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Le idee funeste sono, per natura, veleni che fanno dapprima sentire il loro cattivo sapore, ma che, non appena cominciano ad agire sul sangue, bruciano come mine di zolfo.118

In queste metafore il minerale distrugge l’animale, attacca il prin­ cipio vitale stesso. Simili figure, che hanno il vantaggio di depsicologizzare la passione separando esplicitamente il soggetto e l’antisoggetto, ci ricordano opportunamente che la prova timica e la sua conseguenza, la sofferenza, obbediscono al ré-embrayage sul soggetto tensivo e minacciano la vita stessa o, almeno, il suo simu­ lacro. Nell’enunciazione verbale lo stato disforico si traduce nel caso di Otello, al momento della crisi, in un annientamento del sogget­ to del discorso: esclamazioni, disordine della sintassi, sincopi e pa­ ratassi sfociano alla fine nell’abolizione della parola e nella spari­ zione dell’attore. Anche in Proust la sofferenza del geloso è “come un veleno che si assorbirebbe” (p. 428) e l’amore geloso produce solo “frutti av­ velenati” (p. 429); il veleno viene di nuovo opposto all’animalità, e più precisamente al principio vitale, dato che il geloso che soffn di un semplice ricordo è come un animale morente agitato ancora dal sussulto di una convulsione che sem­ brava finita.119

Questo obbliga il geloso (e l’analista) a interrogarsi sull’ambiva­ lenza di S3: oggetto di valore a certe condizioni, anti-oggetto di va­ lore ad altre condizioni, esso fluttua a seconda delle tappe della gelosia. La sintassi passionale gli procura addirittura un percorso ordinato poiché, dopo aver figurato come “veleno”, esso ha anche tendenza a diventare un “calmante” o un “antidoto”. Che è come dire che, nella prospettiva del soggetto della passione, S3 è soltan­ to una valenza, non polarizzata, e riceve la polarizzazione e la categorizzazione unicamente tramite simulacri sensibilizzati che Si proietta successivamente. Proust non sfugge neppure alla metafora del minerale che at­ tacca il vitale, sotto forma, questa volta, della ferita: 118 Ibid., atto III, scena 3, p. 832; ed. ingl., p. 116, w. 323-326: Dangcrous conccits are in their natures poisons, Whitch at thè first are scarce found to ditaste, But, with a little act upon thè blood, Bum likc thè mines of sulphur. 119/ì la recberche du tempi perda, cit., 1.1, p. 429.

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Egli ripeteva a se stesso le parole che ella aveva pronunciato: [...] “Due o tre volte”, “Frottole!”, ma esse non tornavano inermi nella memoria di Swann, ciascuna di esse aveva il suo coltello e gli infliggeva un nuovo colpo.120

Tutto avviene come se l’espressione letteraria della gelosia, e della sofferenza che ne deriva, obbedisse in questo caso a un inve­ stimento semantico stereotipato, che rinvierebbe allo statuto del soggetto appassionato in quanto corpo sensibile e a quello della crisi passionale in quanto messa in discorso del sentire minimale. Lo strumento della sofferenza (l’antisoggetto ùmico) deve essere rappresentato come un non-vivente, la crisi come un conflitto tra il vivente e il non-vivente\ il corpo del geloso che, sul piano sintat­ tico, era escluso dalla scena, reclama ora i suoi diritti alla semanti­ ca del patire. Nella misura in cui S} non appare polarizzato, in se stesso e al di fuori dei simulacri proiettati da Sb e dato che, in quanto veleno o antidoto, deve essere “assorbito” da Sj, siamo portati a pensare che tutta la rete figurativa costruita attorno al conflitto tra il vi­ vente e il non-vivente manifesti direttamente la preistoria del proto-attante: ritorno alla fusione, ma ritorno distruttivo che si risol­ ve soltanto in un annientamento nell’insignificanza. i

Il potere isotopante della sofferenza: idioletti e socioletti

Non ci si deve stupire di non incontrare nulla del genere in Robbe-Grillet, dato che la dimensione tunica in quel caso è sta­ ta sospesa: il corpo del geloso è tenuto a tacere e a imboccare altre vie, rispetto a quella del conflitto tra il vivente e il non-vi­ vente, per manifestare, in sordina, la propria sofferenza. In realtà, nella misura in cui la scrittura stessa è diventata in que­ sto caso l’istanza passionale propriamente detta, le figure della descrizione si incaricheranno di manifestare indirettamente il semantismo della gelosia, sia al livello dell’espressione sia al li­ vello del contenuto. Sotto questo aspetto l’isotopia della quantificazione è esempla­ re. In quanto tale, prima di tutto, essa invade la descrizione: si ri­ trovano il multiplo, il frammentato, in alcune figure che tornano incessantemente: le balaustre, le gelosie (delle finestre), la capi­ gliatura di A..., gli stridori e i crepitii, i banani nelle piantagioni e

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soprattutto il millepiedi schiacciato sul muro. La descrizione di quest’ultimo indica chiaramente la portata e il funzionamento di questa invadente isotopia: L’immagine del millepiedi si staglia allora, non già integrale, ma comjiposta da frammenti abbastanza precisi da non lasciare alcun dubbio.

Da un lato, al posto della figura del mondo naturale, appare la sua traccia enunciata, il grafismo di una forma, di cui viene preci­ sato altrove che non ha più alcuno spessore, che è come inchio­ stro: un simulacro fermato nel tempo. Da un altro lato il millepie­ di, per quanto identificabile, resiste alla totalizzazione e all’inte­ grazione; la sola certezza, per poterlo identificare, è fornita dal ri­ conoscimento di alcuni frammenti tipici, cioè di unità in cui è pos­ sibile rilevare alcuni tratti caratteristici: riconoscimento, dunque, di unità partitive, a tutto svantaggio della totalità integrale. Ora, la questione dell’integrale e del partitivo è emersa due vol­ te nello studio della gelosia: per la definizione dell’esclusività e per la descrizione dell’abduzione; il ricorrere del motivo rinvia al­ l’onnipresenza della quantificazione e della costituzione dell’attante collettivo nella configurazione della gelosia; per un verso, l’isotopia del frammentato, concepito come “multiplo non inte­ grabile”, manifesta figurativamente l’abduzione abortita, l’impos­ sibile precipitato della prova in questo romanzo; per un altro ver­ so, il frammentato, come collezione di unità partitive - collezione affascinante, ossessiva, dunque sensibilizzata — manifesta il con­ flitto tra il partecipativo e l’esclusivo, tra il partitivo e l’integrale, che sta al cuore dell’attaccamento geloso. Il conflitto volge qui a favore del partitivo, a tutto danno del geloso, campione delle unità integrali. Altrove, l’attaccamento geloso riceve, sulla stessa isotopia gene­ rica della quantificazione, una seconda manifestazione: in questo romanzo l’esclusività si esprime sotto forma di una vera e propria aritmetica della gelosia. La categoria “pari vs dispari” ne fornisce il principale argomento. Osserviamo, per cominciare, un insieme di manipolazioni aritmetiche, all’interno dell’enunciato, nella maggior parte dei casi orchestrate dalla stessa A... e che mirano a stabilire il ricorrere della cifra 3, sia per addizione (2 + 1), sia per sottrazione (4-1): per esempio tre poltrone di cui una in dispar­ te, o quattro coperti uno dei quali viene tolto. 121 La jalousie, di., p. 56; corsivi nostri.

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Ma la categoria “pari vs dispari” viene usata in maniera molto più generale: i banani, per esempio, sono disposti a quinconce (4 + 1) e in file la cui scomposizione irregolare - il descrittore consacra un bel po’ di tempo a tale scomposizione - obbedisce sempre anch’essa al principio dell’addizione e della sottrazione di un’unità. Questa categoria manifesta dunque al contempo l’e­ sclusività e l’esclusione: l’esclusività perché la scomposizione, questa aritmetica gelosa, costringe sempre a cogliere unità partirive a scapito della totalità; l’esclusione perché, attraverso il gio­ co delle addizioni e delle sottrazioni, come pure dei dispositivi prossemici, capita sempre, tra la massa, un individuo escluso. La contaminazione semantica delle figure del testo da parte del dispositivo della gelosia non è quindi il risultato di una semplice metafora: ci sarebbe metafora soltanto se questo dispositivo fosse esplicito nel testo, che non è qui il caso, tanto più che non si trat­ ta di un dato testuale, bensì del risultato di una ricostruzione per catalisi. Non si può non essere d’accordo sul fatto che qui la pro­ liferazione delle due categorie della quantificazione:

pari e frammentato

vs vs

dispari integrato

funziona come un tratto di competenza enunciazionale, come una forma del non-poter-non-dire che equivale, in un testo dove la sintassi passionale si rifugia nella scrittura, al non-poter-nonfar-sapere che caratterizza di solito il comportamento ostensibile del geloso. Se lo mettiamo in rapporto con la microsequenza della gelosia, questo tratto di competenza viene dunque a corrispondere con il comportamento osservabile e moralizzabile. Non è un caso che tanti commentatori abbiano interpretato il rimescolamento, il ri­ correre delle stesse immagini e l’invasione del testo da parte della quantificazione come una ossessione che esprimerebbe la soffe­ renza del geloso. Il ricorrere nel discorso delle stesse categorie se­ mantiche si spiegherebbe allora con il potere isotopante della sof­ ferenza; ne deriva che l’intensità dell’emozione può misurarsi at­ traverso l’espansione delle isotopie figurative che si fanno carico della sua manifestazione. Questa espansione ne fa un soggetto enunciazionale secondo il potere (non-poter-non-dire}, mentre il piccolo dettaglio concreto, fondamento del far-finta della rappre­ sentazione, ne faceva un soggetto enunciazionale secondo il sape­ re (saper-dire). In un certo modo, seguendo un modello molto dif-

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fuso nella letteratura moderna e contemporanea, da Marivaux a Proust tra gli altri, La gelosia ci racconta le circostanze nelle quali un osservatore ha acquisito la competenza per descrivere le cose tali quali esse ci sono, di fatto, presentate nel discorso. L’esistenza in Robbe-Grillet di un’isotopia del frammentato e di un’isotopia del dispari, in assenza di qualunque isotopia che si faccia carico direttamente della manifestazione della sofferenza, ci - porta a interrogarci sulla natura degli investimenti semantici figurativi della passione. Da un lato abbiamo riscontrato resi­ stenza di investimenti sociolettali, che si riconoscono per il loro aspetto stereotipato, incaricati di una manifestazione della soffe­ renza che pare diretta ed evidente solo in ragione del suo caratte­ re stereotipato all’interno di una data cultura: in questo caso la motivazione delle figure è dunque legata alla loro appartenenza a una tassonomia connotativa. Da un altro lato, La gelosia offre un esempio di investimento idiolettale che pare indiretto e implicito solo in ragione del suo carattere non stereotipato. Qualunque discorso appassionato può dunque associare tra lo­ ro i due tipi di investimento semantico; siamo quindi portati a supporre che in Proust o in Shakespeare la passione riceva anche investimenti figurativi idiolettali che possono essere mascherat dagli stereotipi del veleno, della ferita, del vivente e del non-vi vente. Incontriamo in realtà, per esempio in Proust, un’isotopia figu­ rativa che corrisponderebbe a questa definizione: il respiro. Al “grande respiro dell’agitazione”, comparso con l’inquietudine, fa eco l’immagine di uno Swann “ansimante” al momento della sof­ ferenza, quando Odette gli ha appena confessato i suoi amori omosessuali. Come prevedibile, calmarsi, riprendere fiducia, per il geloso equivale a “riprendere fiato” (p. 429). Questa isotopia è d’altra parte molto ben attestata lungo tutto il romanzo, attraver­ so le figure contrarie dell’“arioso” e del “confinato”, messe in lu­ ce qualche tempo fa da J.P. Richard,122 e che in tutte le loro oc­ correnze costituiscono la manifestazione dei dispositivi modali, in particolare venendo accompagnate da notazioni esplicitamente euforiche o disforiche. Shakespeare, al contrario, si accontenta di ridare vita allo ste­ reotipo sviluppandolo, appropriandosene, e in particolare combi­ nando l’animalità con l’anormalità: sono le figure del “mostro” e del forsennato: 122 Proust et le monde sensible, Paris, Éd. du Seuil, 1974, pp. 44 ss.

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qualche mostro troppo orrendo per essere mostrato.123

È il mostro dagli occhi verdi che produce l’alimento di cui si nutre.124

!

Pazienza, suvvia! o dovrò dire che siete decisamente un frenetico e per nulla un uomo.125

“Frenetico”, “mostruoso”, il geloso perde in Otello una parte del­ la sua umanità. L’“umanità” in questo caso si caratterizza per la socievolezza e la padronanza, cioè essenzialmente attraverso la re­ golazione delle manifestazioni passionali; ciò che nel Moro colpi­ sce di più i veneziani sono gli scarti di condotta in pubblico, la perdita del saper-essere sociale e lo scatenamento degli istinti. D’altra parte Otello aveva predetto, parlando di Desdemona: Eccellente creatura! che io possa perdere l’anima se non ti amo! E quando non ti amerò più, sarà il ritorno del caos.x2b

C’era dunque evidentemente in Otello una sorta di attaccamento retto dal dover-essere, ma questo dover-essere non ha nulla di sog­ gettivo; in questo caso l’attaccamento amoroso ispira la fiducia in un ordine umano e il suo indebolimento può solo portare al caos animale, alla contingenza, prima di annullarsi nel conflitto con il non-vivente. Gli ordini della natura: l’umano {saper e dover-esse­ re), l’animale {non-saper e non-dover-essere) e il minerale {non-essere) sono dunque in Shakespeare istanze modali gerarchizzate e ordinate in un ampio percorso epistemologico e passionale che il geloso segue regressivamente fino all’insignificanza. L’investimento figurativo della sofferenza presenta, nei tre testi esaminati, una straordinaria coerenza semantica che ci incoraggia nella ricerca della sua organizzazione sintattica. L’investimento idiolettale, prima di tutto, fornisce l’isotopia per la costituzione del 125 Otello, cit., atto III, scena 3, p. 827; ed. ingl., p. 108, w. 106-107: some monster in his thought Too hideous to he shown. 124 Ibid., p. 828; ed. ingl., p. 110, w. 164-165: It is thè green-eyed monster, which doth mock The meat it feeds on. 125 Ibid., atto IV, scena 1, p. 843; ed. ingl., p. 135, w. 86-88: Mai ry, patience! Or I shall say you’re all in all in spleen And nothing of a man. 126 Ibid., atto HI, scena 3, p. 826; corsivo nostro; ed. ingl., p. 107, w. 90-92: Excellent wretch! Perdition catch my soul But I do love thee! And when I love thee not, Chaos is corame again.

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soggetto della passione: l’agitazione è un respiro che, in Proust, di­ vora il respiro del soggetto; è una risalita del caos di fronte al doveressere in Shakespeare; in Robbe-Grillet ciò che riveste questo ruo­ lo è la frammentazione delle figure del mondo naturale. Si ritrova lo stesso investimento figurativo per manifestare la conseguenza tùnica, cioè la sofferenza e V emozione, attraverso la quale il principio vitale precedentemente messo in movimento si esaurisce, sia per arresto - il respiro è bloccato - sia per dispendio eccessivo - il caos conduce all’autodistruzione. Può anche servire da riferimento per valutare, al momento del­ la moralizzazione, il comportamento passionale, e in particolare il grado di padronanza (del respiro, degli istinti e dei suoi eccessi) che esso rivela. Infine, l’investimento figurativo procurerà, nel caso in cui il soggetto della passione divenga soggetto di fare, l’isotopia sulla quale il fare si inscriverà. Otello conta di cancellare attraverso l’o­ micidio di Desdemona la lordura animale di cui egli la accusa, ma nello stesso tempo si comporterà come un “frenetico” e adotterà una condotta caotica, più distruttiva ancora che la passione. Swann non agisce molto, salvo in quanto soggetto cognitivo, ma il narratore, in una fase ulteriore, in La prigioniera, passerà all’atto e, in un certo senso, “confinerà” Albertine nel campo chiuso e soffo­ cante della sua gelosia. L’isotopia figurativa del respiro, in effetti, viene mantenuta an­ che per manifestare le varianti tùniche del giovane Marcel. Tanto per cominciare, queste varianti sono paragonate, in una forma di ragionamento per analogia, a quelle dell’asma: la gelosia è una di quelle malattie intermittenti la cui causa è capricciosa [...] Ci sono asmatici che calmano le loro crisi solo aprendo le finestre, respirando il gran vento, un’aria pura delle altitudini; altri rifugiandosi nel centro della città, in una camera piena di fumo. Non c’è quasi geloso la cui gelosia non am­ metta alcune deroghe. Qualcuno ammette [...], qualcun altro [...].127

Così pure l’inquietudine è un confinamento e il sollievo un arrivo di aria libera. Al minimo segno rassicurante, l’atmosfera della casa diventava respirabile. Sentivo che al posto di un’aria ra­ refatta la riempiva la felicità.128 127 M. Proust, À la recherche du tempi perdu, di., t. ITI, La prisonnière, p. 29. 128 Ibid., p. 57.

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Un vero e proprio sistema semi-simbolico aggancia l’isotopia del respiro alla dimensione tùnica:

ventilazione: confinamento: felicità: infelicità in modo tale che, per metafora, la felicità può prendere il posto di un’aria rarefatta nello spazio della casa. A questo punto tutto è pronto perché, alla fine, il passaggio al­ l’atto prenda anch’esso a prestito la sua espressione dall’isotopia del respiro: infatti il possesso amoroso di Albertine prigioniera si compie come un’aspirazione del respiro; dopo una lunga fantasti­ cheria sul respiro dell’addormentata, il narratore constata:

La sua vita mi era sottomessa, esalava verso di me il suo respiro leggero. Ascoltavo il mormorio di quella emanazione misteriosa, dolce come uno zeffìro marino, fatata come un chiaro di luna, che era il suo sonno. [...] avevo il suo respiro accanto alla mia guancia, nella mia bocca che dischiudevo sulla sua, dove sulla mia lingua passava la sua vita.129 Se l’associazione del respiro con la gelosia fosse una semplice ana­ logia, non avremmo abbandonato il campo del confronto tra l’a­ sma e la passione, dato che l’asma è per il narratore il prototipo di qualunque sofferenza; ma l’associazione si prolunga nel fare amo­ roso, al di fuori della sofferenza. Metafora tirata, certo, ma non a caso: l’investimento figurativo deve apparire a tutte le tappe della microsequenza passionale, la quale in compenso procura all’isoto­ pia sollecitata la sua impalcatura modale e sintattica. Dobbiamo quindi riconoscere al soggetto appassionato in ge­ nerale, e in particolare al geloso, oltre alla competenza modale co­ stituita da dispositivi modali sensibilizzati e raccolti in una dispo­ sizione, una competenza semantica costituita da isotopie figurative sensibilizzate che egli seleziona, sia in quanto soggetto sociale, sia in quanto soggetto individuale, per rappresentare in modo speci­ fico i percorsi passionali. La figuratività serve insomma la passio­ ne, dispiegando sulla sintassi passionale propriamente detta moti­ vi (il veleno, il millepiedi, la ferita) e isotopie. Esclusi dagli ogget­ ti di valore passionali a causa della preminenza della sintassi mo­ dale, i contenuti semantici figurativi ritornano qui con discrezione grazie ai sistemi semi-simbolici che associano le diverse tappe del­ la sequenza a figure polemizzate.

“’/W-.pp. 70-74.

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Nota sulla quantificazione

Abbiamo potuto constatare come, lungo tutte le nostre analisi delle configurazioni patemiche, siamo stati portati a ricorrere a ta­ le o talaltro aspetto della quantificazione dei fenomeni considera­ ti; le stesse isotopie figurative patemizzate, entrando in relazione semi-simbolica con le categorie passionali, sfruttano figure quan­ tificabili: il frammento e il millepiedi in un caso, i cavicchi e le cer­ niere nell’altro, i quali tutti rinviano in un modo o nell’altro alla dialettica del tutto e delle sue parti, dell’uno e del molteplice. Così, l’avaro è parso moralmente condannabile perché sembra­ va turbare un certo ordine delle cose cercando di accumulare o ri­ fiutandosi di condividere, vale a dire affermando Y esclusività del­ le sue relazioni con gli oggetti di valore. Questo turbamento tutta­ via poteva essere compreso soltanto se si ammetteva per presup­ posizione una “non-esclusività” nella circolazione dei valori. Per poco che si consideri ogni universo assiologico come una totalità conchiusa e frammentata in parti che toccano a ciascuno, gli og­ getti di valore acquisiscono uno statuto di unità partitive, proprie dei soggetti ma non esclusive. L’intrusione dell’avaro consiste al­ lora in una trasformazione di unità partitiva in unità integrale o. meglio, nell’acquisizione, per tale unità, di un doppio statuto, ir quanto parte di un tutto e, nello stesso tempo, in quanto integra lità, vale a dire una grandezza autonoma. Quello che era, per il soggetto, un modo di partecipazione alla totalità dei valori, diven­ ta ora una forma della sua autonomizzazione, e tale trasformazio­ ne ricopre in un certo senso quella di un soggetto immerso nei si­ stemi di valori della sua cultura in un soggetto di passione. Ritroviamo così nello stesso tempo il ben noto modello propo­ sto da Lévi-Strauss, secondo il quale la circolazione degli oggetti — o la loro comunicazione - è fondatrice delle strutture sociali, quel­ le dei beni, delle donne e delle parole, dando vita alle tre dimen­ sioni fondamentali di ogni società. Ma occorrerebbe allora distin­ guere due diversi livelli dello scambio generalizzato: da un lato, oggetti discreti che si possono accumulare, dividere, distribuire e scambiare sulla base di equivalenze discontinue; dall’altro, ogget­ ti patemici che partecipano pure allo scambio, ma in un modo continuo e assumendo le forme della disseminazione, della flut­ tuazione e del contagio. E, nello stesso modo in cui, all’interno dei micro-universi pas­ sionali, il flusso circolante può intasarsi o bloccarsi nell’evoluzio­ ne delle società, è possibile concepire sia un processo distruttivo

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che, tramite una accelerazione sregolata degli scambi (potlatcb o dumping), mette in pericolo la collettività, sia un processo di ral­ lentamento esagerato dove l’appropriazione individuale (tesauriz­ zazione o stoccaggio) si compie a scapito della coesione sociale. Allora non c’è da stupirsi del fatto che le mutazioni o gli acciden­ ti socio-economici - la nascita della proprietà privata, l’accaparra­ mento speculativo, la collettivizzazione, i crack della borsa... - sia­ no anche eventi patemici. Si vede allora con quanta facilità si può scivolare, appoggian­ dosi alla gelosia, verso l’esclusività proclamata delle donne, garan­ tita dalle strutture della parentela, che consente una certa libertà di circolazione insieme all’appropriazione individuale. La scelta della gelosia, a questo riguardo, è esemplare; abbiamo notato che essa non si interpreta soltanto nel quadro dello scambio generaliz­ zato, dove si sostituisce vantaggiosamente ai rigori del matrimonio diventati insopportabili, ma che essa fa intervenire per ben due volte Vesclusione, in quanto processo cognitivo e immaginario, al fine sia di preservare l’esclusività dell’oggetto quando questa si ve­ de in pericolo, sia di escludersi dalla scena a tre, riconoscendo, di fatto se non di diritto, l’esclusività di cui allora beneficia il rivale. Più interessante in quest’ultimo caso è il fatto che essa non opera soltanto circoscrivendo, a vantaggio del soggetto, quell’oggetto di valore che è l’essere amato, ma che il velo d’esclusività ricopre l’in­ sieme dell’intersoggettività - poco importa se la coppia o il dop­ pio — stabilendo una linea di demarcazione tra la totalità e una nuova “unità partitiva” e ponendo di nuovo il problema della pre­ cedenza dell’uno o del doppio. L’ultimo esempio dell’esclusione in marcia, per così dire, si ma­ nifesta nel modo di condurre le operazioni cognitive al momento della ricerca della prova. Il soggetto geloso, per quanto desideri appassionatamente conoscere la verità, rifiuta tuttavia qualunque sapere parziale, e l’esclusività appare in questo caso, all’interno della manipolazione delle modalità epistemiche, come la soppres­ sione dei termini medi tra la certezza e l’esclusione, attraverso il ri­ fiuto del dubbio o della probabilità. La ricerca della certezza a ogni costo può essere allora interpretata come una sete della tota­ lità che si rischia di perdere, come una precipitazione dell’unità partitiva ansiosa di ritrovare la propria integralità. Le forme della quantificazione che incontriamo qui si ritrovano nelle grammatiche tradizionali - e meno tradizionali - sotto l’eti­ chetta di “indefiniti”, che si è proposto qualche tempo fa di con­ siderare come “quantitativi indefiniti”. Questo curioso assem-

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blaggio di grandezze insolite: pronomi, aggettivi, avverbi o artico­ li, da tempo rompicapo dei linguisti più attenti, per non menzio­ nare che Brindai o Guillaume, è diventato recentemente uno dei problemi ardui della filosofia. Così, quando Paul Ricoeur, solle­ vando la questione dell’identità del soggetto e, più precisamente, del “soggetto narrativo”, ci invita a distinguere, per evitare una confusione preliminare, tra i concetti di stessità e ipseità,130 vi ri­ troviamo stupefacenti somiglianze con la definizione àeWunus bròndaliano, termine complesso a dominanza variabile, composto dall’elemento discreto (cioè la “stessità”) e dall’elemento integrale (cioè ?“ipseità”), laddove il primo consente di distinguerlo dall’“altro” e il secondo di garantirne la consistenza, il tutto in op­ posizione con il concetto di totalità. Da un altro punto di vista, se si interroga il divenire, in partico­ lare quello delle comunità, esso si presenta, dicevamo, come una variazione continua degli equilibri e degli squilibri tra le forze coe­ sive e dispersive, il cui antagonismo ha come posta l’emergenza della significazione stessa e anche, più in particolare, dell’interattanzialità. Da un lato, nella descrizione delle con figurazioni passionali, i soggetti patemici, sia collettivi che individuali, ci sono parsi assi! lati da tutta una corte di soggetti modali, la cui messa in fase fi problema. In effetti un tale soggetto plurimodalizzato, esattamen te come l’atleta nello stadio, può disunirsi o riunirsi, radunare o la­ sciar disperdere le cariche modali che lo determinano. È la ragio­ ne per cui è stato necessario fare appello agli “stili semiotici” e agli stili aspettuali che li manifestano nel discorso, concepiti come equilibri/squilibri tra forze antagoniste, per procurare alle mire del soggetto tensivo forme relativamente stabili che potessero per­ durare malgrado la variabilità modale. Da un altro lato, i diversi aspetti quantificabili degli oggetti sembrano distribuirsi su tre strati principali: le figure-oggetti iconizzate si costituiscono prima di tutto in classi, stabilite sulla base di proprietà modali e sintattiche che permettono di parlare degli oggetti di valore. Sono queste classi di figure iconiziate che ricevo­ no le determinazioni grammaticali della quantificazione (indefini­ ti, partitivi, integrali, definiti ecc.); si può dire a questo riguardo, tenendo conto nello stesso tempo della quantificazione dei sog­ getti e di quella degli oggetti, che è la giunzione stessa a trovarsi al­ lora quantificata: un solo soggetto per n oggetti, un solo oggetto lJ0 Si veda soprattutto Soi-méme comme un autre, Paris, Seuil, 1990. [N.d.C]

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per n soggetti, un solo soggetto per un solo oggetto ecc., distin­ zioni queste che consentono di fondare e di differenziare per esempio la tesaurizzazione, il consumo, la distribuzione, la condi­ visione... Sorge allora il problema del criterio che permette di decidere dei valori: perché tale o talaltra classe, definita quantitativamen­ te, può rappresentare un valore per tale o talaltro soggetto? Sono le valenze che forniscono il criterio, consentendo di costituire classi d’oggetti di valore, a partire tra l’altro dalle loro proprietà partecipative o esclusive. Infine, al di qua delle valenze, si deli­ neano per il soggetto tensivo “ombre di valore” nelle fluttuazioni di un’interattanzialità in divenire, alle prese con le forze coesive e dispersive. Il caso dell’“oggetto” nella configurazione dell’avarizia è esem­ plare a questo riguardo. Esso si presenta prima di tutto come un isolato di resistenza all’interno della circolazione generalizzata, co­ me una zona di rallentamento, addirittura di blocco, del flusso co­ munitario: è 1’“ombra di valore”. La discretizzazione del flusso, e la sua riformulazione in termini di scambio, fanno di questa “om­ bra” una valenza, nella forma esclusività. In quanto oggetto di valore, infine, l’oggetto dell’avaro sussumerà tutte le figure iconizzate che obbediscono alla definizione di una unità integrale. Quali che siano le interpretazioni e le soluzioni adottate, esse giustificano la nostra preoccupazione di situare, come abbiamo fatto, i problemi della quantificazione e delle prime articolazioni del concetto indefinito di grandezza al cuore stesso dell’epistemo­ logia che tenta di enunciare le precondizioni dell’apparire del sen­ so. Il nostro richiamo al pensiero presocratico, preoccupato dal problema dell’uno e della sua esplosione, dalle tensioni che hanno di mira la ricostituzione della totalità, è potuto sembrare un po’ fuori luogo. Il nostro riferimento a una necessaria coabitazione, se non a una conciliazione, della doppia concezione dell’universo considerato talvolta come discontinuo, talvolta come continuo, sembra giustificarsi ora, nel momento in cui vediamo, a diversi li­ velli del percorso generativo, la necessità di ricorrere, in modo in­ termittente o nello stesso tempo, ai quantitativi definiti e discreti e ai quantitativi indefiniti, i quali, in seguito alla ripartizione della totalità, possono accedere allo statuto di integrali; il che permette di comprendere, tra l’altro, come può 1’esclusione essere un con­ cetto logico e un atteggiamento passionale.

QUASI UNA CONCLUSIONE

È curioso constatare come il problema della quantificazione che abbiamo appena discusso abbia potuto porsi in maniera tanto insistente nel momento in cui si è trattato di introdurre nella teo­ ria semiotica la sua componente passionale. Lo si capisce in parte se si tiene conto del fatto che la questione dello statuto delle gran­ dezze — soggetti o oggetti di valore - doveva necessariamente ri­ comparire allorché la tensività a fluttuazioni e contorni vaghi ve­ niva postulata all’orizzonte. La concezione, doppia e complemen tare, dell’universo come continuo e discontinuo, doveva allora ac cogliere in sé la comprensione della totalità come portatrice di ur doppio divenire, quello della ripartizione e della dispersione. Ciò non poteva far altro che ripercuotersi in seguito a livello dell’istanza dell’enunciazione, e render conto così dell’esistenza, a lato delle strutture articolate per discrezione, delle comunità inte­ grate e delle istituzioni socio-culturali, delle culture e dei sociolet­ ti. Diventa allora possibile capire quel gioco incessante che asso­ cia, da un lato, unità partitive e integrali, dando così luogo a indi­ vidui partecipativi e nondimeno integrati e, dall’altro, a soggetti integrati e discreti, dotati dell’“ipseità” e della “stessità”. La sto­ ria, in questa prospettiva, appare come un perpetuo divenire in cui si formano, si deformano e si riformano persone e culture. Così, le società commerciali possono essere costituite come fos­ sero totalità viventi, a partire da individui articolati in modo di­ screto, proprio come le società cosiddette arcaiche possono gene­ rare persone integrate e addirittura dotate del senso della pro­ prietà. Nello stesso modo ci sembra possibile immaginare che un armamentario quantitativo di questa natura possa servire da qua­ dro di riferimento per definire il “progetto globale di persona-

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lità”, che non si riduce alla semplice “identificazione”, ma anche per affrontare una tipologia degli umori e della costituzione delle persone. Perché - cosa che troppo spesso si tende a dimenticare - la se­ miotica è e deve restare, per non perdere la propria anima, un pro­ getto scientifico situato a “scala umana”: se il mondo del sentire ci è accessibile come un insieme di effetti di senso, esiste un “al di là” molecolare, nucleare ecc., che pertiene già a una forma che non è più semiotica, bensì scientifica strido sensu. In un certo modo, al­ l’interno stesso della presa semiotica, e facendo variare la distanza epistemologica per aggiustare lo sguardo, è possibile ottenere, a partire dagli stessi fenomeni, diverse immagini: modulazioni e fluttuazioni a grande distanza, categorizzazione e modalizzazione a distanza ravvicinata; resta tuttavia, per lo sguardo semiotico, un orizzonte insormontabile, quello che separa il “mondo del senso” dal “mondo dell’essere”. Alcune confusioni, certo, sono talvolta difficili da evitare; resta il fatto comunque che è la percezione come interazione tra l’uomo e il suo ambiente la pietra di paragone nei nostri sforzi per capire il mondo del senso comune e che è il corpo proprio ciò che per­ mette a questo mondo l’accesso all’universo del senso. Corpo sen­ tente, percipiente, reagente; corpo che mobilita tutti i ruoli sparsi del soggetto, in una tensione, un sussulto, un trasporto. Corpo co­ me barriera e arresto, che conduce alla somatizzazione, dolorosa o felice, del soggetto, ma anche luogo di transito e di patemizzazione che prepara l’apertura sui modi di esistenza semiotica. Se crediamo ancora al vecchio adagio secondo il quale è il pun­ to di vista saldamente mantenuto ciò che fa diventare “disciplina” un campo qualunque e gli conferisce lo statuto di oggetto di ricer­ ca, allora è proprio questo spazio semiotico popolato da forme co­ gnitive patemizzate, dove il razionale e l’irrazionale si sono fusi in razionalità diverse e in configurazioni patemiche molteplici, ciò che rappresenta il luogo omogeneo delle nostre esplorazioni. Omogeneità del luogo, pertinenza dello sguardo: la coerenza nelle cose e nei pensieri è l’unico fondamento del nostro fare che ci resta quando gli altri criteri di verità sono divenuti obsoleti. “Com-prendere”, cioè cogliere insieme determinati fenomeni, è il prolungamento atteso del “tout se tieni” saussuriano, dove la ri­ cerca del senso per il mondo si ricongiunge con l’intento del sog­ getto che si interroga sul proprio percorso. Comprendere il mon­ do significa rifiutarsi di parcellizzarlo in modelli locali, postulan­ do la sua coerenza, unico mezzo per avvicinare le “complessità”

QUASI UNA CONCLUSIONE

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che fanno paura o che appaiono troppo costose: le nostre rifles­ sioni sulle passioni hanno cercato di soddisfare a questa condizio­ ne, integrandole, col successo di cui si giudicherà a posteriori, nel­ la teoria semiotica d’insieme. Siamo stati condotti a interrogarci sul modo d’essere dei valori e sulle loro organizzazioni; vorremmo allora inserirvi, ai primi po­ sti, quello che ci ha guidato lungo tutto il lavoro: sia che la que­ stione dell’oggetto proprio del fare semiotico si ponga al livello delle precondizioni, sia che si ponga al livello del discorso o ai li­ velli intermedi, le diverse soluzioni devono sottostare all’esigenza di coerenza: forze coesive nell’universo tensivo, modello costitu­ zionale e dialettica sintattica a livello semio-narrativo, isotopia e aspettualizzazione a livello discorsivo. La coerenza ci pare quell’“ombra di valore” che riflette l’aspirazione dell’universo al­ l’unità, ma anche la valenza che ricopre i valori lungo tutto il per­ corso epistemologico: speranza dell’io introvabile del soggetto, sostegno del ricercatore in cerca di efficacia.

INDICE DEI TERMINI

abduzione: 264-265, 267,279 aspettualità: 18-19, 65, 79,268 aspettualizzazione: 7, 18, 26, 29, 40, 55,64-66, 68,71,7980, 88, 97-100, 107, 114, 118,122,125,134, 150,154156, 158-161, 164,203,237242, 250, 258, 267-268, 291 attaccamento: 96-97, 104, 107, 113-115, 117, 119, 123, 126, 141, 143, 168-170, 177-181, 185-188, 191-197, 200-201, 203, 210-213, 215-218, 220221, 223-224, 226, 228-230, 234-236, 240-241, 243-245, 249-250, 252, 258, 279, 282 categorizzazione: 8, 14, 16, 2324, 26-27, 30, 32, 34, 37-42, 62-63, 71, 132, 154, 163, 190, 192, 255, 277, 290 competenza: , 3, 7, 10, 42-44, 47, 54-58, 76, 79-81, 85, 90, 99-100, 106, 113-114, 127129, 131, 133-135, 137, 144, 150, 155, 157, 171-172, 174, 183, 190, 205-207,209,212, 216,218, 222,233-234,239240, 248-249, 252, 256, 258-

259, 262,265,271-272,274276,280-281,284 competenza passionale: 99100, 114, 190,218,259,272 configurazione: 21, 24, 47, 5051,55-56, 60, 75,84,86, 96, 100, 103-105, 107-114, 116, 119-122, 131-132, 134-135, 141-146, 148-149, 152-154, 159, 161-162, 167-172, 174177, 191, 196-197, 199-200, 9 216-217, 219-221, 224, 226, 228, 234, 240, 247, 252-253, 279, 288 contegno: 220-222 continuo: 5-6,25-26, 30-32,40, 42, 62, 67, 69-70, 98, 101, 117, 120-121, 159, 162,238, 250, 285, 288-289 conversione: 27, 39, 42, 46, 50, 62-63,71,117,196,204,246 convocazione: 5, 27, 50, 62-66, 68, 71, 73-74, 98, 136, 145, 150, 152, 154,237-239 corpo sensibile: 138, 278 costituzione: 28,48, 81, 84,121, 140,142,150, 158,163, 184-

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186, 191,221,241-242, 246, 262-263,279, 282,290 crisi passionale: 168, 192, 196, 219, 226, 231,235,239-240, 253,278 determinazione: 30-37, 42, 58, 71,150,161,235,255 diffidenza: 157-158, 191-196, 219-220, 224, 227, 243-245, 263 dimensione estetica: 22, dimensione tùnica: 54, 70-71, 84, 182-183, 204, 211, 245, 247, 255,266, 278, 284 discontinuo: 9, 17, 31, 35, 62, 70, 93, 101, 159, 208, 250, 288-289 dispositivo: 52, 54-62, 64-66, 69, 74, 76-77, 82, 87, 91, 101, 106-107, 109, 126, 134136,138, 141, 143,151,157, 160, 163-164, 168-170, 172177,187,189,191,195,197198, 212-218, 224-225, 227231,234, 236, 239-241,250, 253,260,266, 269-272, 280 dispositivo attanziale: 168-170, 172-174,176-177,266 dispositivo modale: 55-58, 6061, 64-66, 74, 76, 82, 87, 106-107, 109, 126, 134-136, 138,141,143,151,157,160, 163,169,191,197,212,215216,218,225,228,230, 236, 239, 241,260,269-270, 272 dispositivo patemico: 197, 228, 239-240,250 disposizione: 7, 13, 29, 52, 5457, 62, 64-66,71-72, 74, 7678, 80, 101, 107, 112-114, 125, 127, 134-136, 142, 144, 149-151, 156-158, 180, 212,

218, 236, 241-242, 258-259, 261-262,272,284 divenire: 24-28, 30, 32-34, 36, 39.4O, 49, 56, 61, 64-69, 71, 87, 101, 121-122, 124, 146147,149,153,158,161,163165,167,178,238,258,287289 emozione: 21, 23, 32, 77-80, 149-150, 158, 232-237, 240, 242.246, 262,280,283 esclusione: 102, 183, 195, 213, 226, 232-234, 236, 268-273, 280,286, 288 esclusività: 177, 181, 183-185, 192-193, 195, 198, 200, 202, 204, 209, 213, 220-221, 226227.246, 257,271-272,279280,285-286, 288 esistenza semiotica: 6-7, 10, 45, 133, 140, 153, 178, 290 etica: 19, 47, 90, 92, 97, 142143, 172, 201, 204, 220-221, 223,232 etno-tassonomia: 89 fiducia: 12, 19-20, 32-33, 38, 53, 61-62, 65, 96, 100, 141, 168, 179-180, 188, 192-195, 201,227,229, 243-245,249, 281-282 fiduciario: 20, 22, 30, 39, 46, 52, 69, 86, 100, 179-180, 192-193, 201, 229, 232-234, 243.246, 267 foria: 9, 11-12, 14, 17, 20-28, 32, 35-36, 38, 40, 46, 133, 187, 191,235,253 identificazione: 44, 47, 108, 173,205-209, 242,255,290 idiolettale: 68, 75, 84-85, 87, 89,91-93,281-282 inquietudine: 24, 28-29, 137,

INDICE DEI TERMINI

141, 169, 187-191, 193, 195196, 234-237, 240-241, 243, 246, 249, 252-253, 256-260, 267-268, 270, 272,281,283 intensità: 7, 16, 96-99, 106, 112, 118, 121, 143, 146-147, 161-165, 173, 178-180, 248, 262,267,275,280 interattanzialità: 49, 121, 175, 287-288 intersoggettività: 22-23, 49, 51, 151, 163, 199, 224,257,286 intersoggettivo: 108, 145, 148 macrosequenza: 228-231, 235236, 239-240, 243-244, 249253,258 mediatore: 173 mediazione: 5-7, 11, 17, 42-44, 47-48, 83, 90, 133, 138, 173, 175,186,209 microsequenza: 228, 230-231, 234-237, 239-240, 246, 249250, 253, 256, 258-259, 262, 267, 280, 284 microsistema: 110, 114-117, 122,196-198,208 modalizzazione: 5, 7-8, 13-14, 17, 24, 28-29, 35-36, 41, 44, 46-47,50, 57-58, 61,66, 7980, 83, 86-88, 91, 97, 107, 114, 117-119, 122, 124-125, 135,159,163,179,183,190, 192,202,205,211-213,215, 217,219, 227,230, 232-233, 256, 258,261,266, 274,290 modo d’esistenza: modulazio­ ne: 15, 26-30, 33-36, 39-40, 62, 65, 67, 69, 98, 101, 112113, 120-122, 134, 178-180, 258 modulazione comunitaria: 101 moralizzazione: 88, 91, 97,106,

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108-109, 112, 119, 130, 134135, 142-153, 158, 167, 174, 180-181, 192, 205-206, 215216,218, 221-223,232,236237, 240, 242, 262, 283 motivazione: 100, 135, 281 negazione: 11, 30-31, 34, 45, 59, 81, 104, 178, 195, 201, 244 nomenclatura: 77-80, 96-97, 106,134, 156-157 oggetto: 3-4, 16-19, 21-23, 26, 31,35-42,44, 49,51-53,56, 60, 67, 74, 82-83, 89, 96-99, 102-104, 107, 109, 111-112, 117-122, 126, 130, 141, 149, 153-154, 156, 162, 167-193, 195-196, 199-200, 202-207, 209-211, 213-216, 219, 221, 223-224, 226, 232-233, 235236,240,242,246,249,253254, 257, 265-267, 277, 286288, 290-291 oggetto di valore: 16,37-38,41, 44, 52-53, 102, 104, 107, 117,130,141,167,171,179180, 182-185, 202-203 , 206207,209,211,219, 223-224, 235-236, 253-254, 257, 277, 286, 288 ombra di valore: 18-19, 30-31, 38, 105,234,254,288,291 orientamento: 24-27,35-37, 61, 64, 102, 146, 155, 173, 175, 195,210, 271 orizzonte ontico: 4, 9, 12, 24, 66,154,255 parte: 4-5, 7-8, 10, 13, 19-23, 26, 30-31, 33-34, 36, 41-42, 44, 48, 50-51,54-55, 57, 6061, 64-65 , 67, 69, 72-75, 7782, 87, 89-93, 96-97, 99-101,

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A. J. GREIMAS - J. FONTANILLE

104, 107-108, 111-112, 114, 116-123, 125-126, 131, 134, 138, 145-146, 148, 151-154, 157-159, 161, 163, 165, 168169, 171-175, 177, 179-185, 187-189, 191-192, 195-196, 202-203, 205-207, 209-212, 216-220, 222-224, 227, 229, 232-235, 239-242, 244-248, 250-251, 253-255, 257, 259, 261, 266, 270, 272, 275-276, 279-282, 285, 289 partecipativo: 36, 185-186, 279 partitivo: 111, 120-121, 184185,198, 279 patema: patemi-processo: 71, 95 patemizzazione: 137, 241-242, 262, 290 percorso generativo: 7, 10, 12, 13, 16, 27-28, 32,39,41,50, 62, 65, 67, 72-74, 114, 121, 133, 159, 190, 196, 203-204, 266,288 percorso patemico: 121, 141142 possesso: 177-178, 181-183, 187, 195,200-202, 204,211, 218,221,236, 271-272,284 potenzializzato: 45-46, 123124,127, 133,136,236 potenzializzazione: 123-124, 127-129, 133,146 prassi enunciazionale: 53, 69, 72-74, 77, 80, 101, 109, 112, 125,133,136,138,140,153154,175 precondizione: 10, 20, 22, 2526,176 primitivo: 53,74,125, 136,239 protensività: 17-20, 22, 24-26,

30, 32-33,36,38,41,33,62, 64, 69, 74,120,176 ré-embrayage: 66, 130, 132134, 149, 180-181, 191, 194, 196, 204,214, 234-235,238, 240-241, 253, 255-256, 260, 271,277 riserva: 244, scena: 3,11,22-23, 38, 43, 50, 128, 151, 167, 173, 177, 189, 194-196, 204, 206,213-215,224, 226, 233, 236, 243-244,249, 251,257258, 263-264, 268-273, 276278,282, 286 schema patemico: 54, 71, 150, 154, 158-159, 237,242-243 sensibilizzazione: 6, 11, 13, 126, 130, 134-145, 147-148, 150-153, 158, 163, 165, 174176,199, 205,218, 224,237, 242,260-262,268, 270-271 sentire: 6-7, 11, 13-14, 16, 23, 30-31, 41, 66, 72, 78, 93, 133, 140, 149-150, 190,211, 235, 254-256, 269, 277-278, 290 serie modale: 59, 77, 106, 125 sfiducia: 173, 188, 191, 193195, 218-219, 226-228, 234235, 240, 243-246, 249-250, 252,263,266 simulacro: 10, 12, 15, 18, 5052,56,99-100,105,124-126, 128, 130, 132, 144, 149-150, 177, 179-180, 189, 191, 193, 195-196, 199-203, 205-207, 209-220, 226, 234-235, 240, 244, 252-253, 255-256, 260261,263,268, 271,273-277, 279 simulacro passionale: 56, 126, 130, 132, 149-150, 177, 180,

INDICE DEI TERMINI

189, 193, 195,211-214,218, 220, 235, 252-253, 255, 260, 271,273,276 simulacro passionale figurativizzato: 213 sintassi intermodale: 66-68, 70, 74, 77, 107, 124-126, 136, 154, 160, 190,221,235 sintassi modale: 35, 56, 86, 92, 114, 122,224,284 sociolettale: 5, 68, 75, 81-82 socio-tassonomia: 139 stile semiotico: 13, 55-56, 61, 64,68,87,134,150,196,241 struttura modale: 57, 76, 197 tassonomia connotativa: 79, 84, 92, 94, 126, 147,281 tassonomia passionale: 82, 85, 109 tensività: 9-11, 16-18, 21, 23, 25-26, 28-31,34, 40, 50, 62, 66-69,71,105,122,133-134, 152-153, 190, 238, 255, 260, 289 tensività forica: 18, 21, 23, 25, 28-30,40,62,66-69,71,105, 122,133,152-153, 190,255 totalità partitiva: 122, 184-185,

297

198, 200,202,204,209,213, 232,267 trasformazione patemica: 175 trasformazione tùnica: 150, 204,218-219, 221,224, 226, 231,233,235,241,244 unità integrale: 120-122, 184185,202,232,285,288 unità partitiva: 120-122, 184, 198,285-286 valenza: 18-20, 28, 30, 36-38, 41,53,86,104-105,111-112, 114-115, 118, 178, 203-204, 221, 234-235, 253-255, 277, 288, 291 valore: 8, 16-22, 25, 28-33, 3538, 40-42, 44, 46, 52-53, 6061, 69-70, 76, 82-83, 89, 9697, 102-105, 107, 110-112, 115, 117-120, 124, 130, 141, 148, 152, 154, 156, 162, 167, 171, 176, 178-185, 193,202204,206-207,209,211,216, 219-221, 223-224, 234-236, 253-255,257, 263,277,284289, 291

Il campo semiotico a cura di Umberto Eco (segue dall’inizio del volume)

Erving Goffman, Relazioni in pubblico Algirdas J. Greimas, Del senso Algirdas J. Greimas, Del senso 2 Gruppo p, Retorica generale Roman Jakobson, Lo sviluppo della semiotica Ju.M. Lotman - B.A. Uspenskij, Tipologia della cultura Patrizia Magli, Il volto e l’anima Charles S. Peirce, Le leggi dell’ipotesi Jean Petitot-Cocorda, Morfogenesi del sènso Augusto Ponzio, Tra semiotica e letteratura M.P. Pozzato (a cura di), L’idea deforme Ferruccio Rossi-Landi, Semiotica e ideologia Thomas A. Sebeok, Sguardo sulla semiotica americana Boris A. Uspenskij, Storia e semiotica

Storia e critica letteraria

Renato Barilli, Comicità in Kafka G.L. Beccaria (a cura di), I linguaggi settoriali in Italia P. Carravetta - P. Spedicato, Postmoderno e letteratura Cesare De Michelis, Fiori di carta Umberto Eco, Le poetiche di Joyce Thomas S. Eliot, H bosco sacro Giorgetto Giorgi, Mito, storia, scrittura nell’opera di Marguerite Yourcenar Lucien Goldmann, Per una sociologia del romanzo Antonio Pasqualino, Le vie del cavaliere Sergio Perosa, Storia del teatro americano Sergio Perosa, Teorie americane del romanzo Sergio Perosa, Teorie inglesi del romanzo Alessandro Serpieri, I sonetti dell’immortalità lan Watt, Le origini del romanzo borghese

Italianistica a cura di Maria Corti

Stefano Agosti, Poesia italiana contemporanea A.L. e G. Lepschy, La lingua italiana d’oggi Bice Mortara Garavelli, Manuale di retorica Sandro Orlando, Manuale di metrica italiana Giovanni Palmieri, Schmitz, Svevo, Zeno Flavia Ravazzoli, Il testo perpetuo

Antropologia e sociologia A. Dal Lago - R. Moscati, Regalateci un sogno Edward T. Hall, La dimensione nascosta Fred Hirsch, I limiti sociali allo sviluppo Albert O. Hirschmann, Lealtà, defezione, protesta Dell Hymes, Antropologia radicale Christopher Lasch, La cultura del narcisismo A. Le Pichon - L. Caronia (a cura di), Sguardi venuti da lontano Ferruccio Rossi-Landi, Il linguaggio come lavoro e come mercato Marshall Sahlins, L’economia dell’età della pietra Carlo Tullio-Altan, Manuale di antropologia culturale

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Finito di stampare nel mese di novembre 1996 presso il Nuovo Istituto Italiano d'Arti Grafiche - Bergamo Printed in Italy