Sé e identità. Modelli, metodi e problemi in psicologia sociale 8843017489, 9788843017485

Una ricognizione sistematica e una chiave di lettura integrata dei più importanti contributi che la psicologia sociale h

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Sé e identità. Modelli, metodi e problemi in psicologia sociale
 8843017489, 9788843017485

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STUDI SUPERIORI PSICOLOGIA

/ 68 I

A mio nipote Riccardo

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a : Carocci editore Corso Vittorio Emanuele Il, 229 ooi86 Roma telefono o6 42 8 I 84 I 7 fax o6 42 74 79 3I

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Tiziana Mancini

Sé e identità Modelli, metodi e problemi in psicologia sociale

Carocci editore

a l ristampa, luglio 2018 13 edizione Studi Superiori, marzo 2011 la edizione Università, 2001 (2 ristampe) © copyright 2001 by Carocci editore S.p.A., Roma

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art . 1 7 1 della legge 22 aprile 1 94 1 , n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Introduzione

II Parte prima

Gli approcci teorici allo studio del sé e dell'identità

I.

I. I.

Approcci cognitivi

Il sé come oggetto di conoscenza I.I.I. Il sé come struttura cognitiva l 1.1.2. Schemi e rappresentazio­ ni di sé l I.I.3. Le fonti della conoscenza di sé l I.I+ Gli stati ipo­ tetici del sé l I.I.5. n sé operativo e la dinamica del concetto di sé

! .2 .

Le caratteristiche funzionali del sé I.2.I. n sé come schema anticipatorio l !.2.2. n sé nella percezione sociale e nella cognizione degli altri l I .2.3. n sé come regolatore del comportamento l 1.2.4. La teoria cibernetica della regolazione del sé l !.2.5. n sé come mediatore dei comportamenti interpersonali

Lo sviluppo della conoscenza di sé 1.3.1. Le diverse forme di conoscenza di sé nel corso dello sviluppo l 1.3.2. n concetto di sé come rete di assunti e di teorie l I.3·3· Cono­ scenza di sé e sviluppo cognitivo l I.3+ Il modello multidimensiona­ le dello sviluppo della conoscenza di sé di Damon e Hart

2. 2.!.

Approcci sociali

79

Le dimensioni sociali del sé

Bo

2.1.1. Gli studi classici l 2.1.2. n sé sociale nella prospettiva interazio­ nista l 2.1.3. Identità sociali multiple e ruolo del linguaggio nella co­ struzione del sé. La prospettiva socio-costruzionista l 2.1.4. La dimen­ sione costruttiva del sé. Dall'interazione sociale ai sistemi normativi e culturali l 2.1.5. L'approccio ego-ecologico di Zavalloni e Louis-Gué­ rin

7

2 .2 .

Identità sociale e identità personale 2.2.r. Identità sociale, identità personale e identità di ruolo. Definizio­ ni concettuali l 2.2.2. La teoria dell'identità sociale (siT) l 2.2.3. La teoria della categorizzazione del sé (scT) l 2.2.4. Identità sociali e con­ fronti multidimensionali l 2.2.5. Identità sociale e identità personale. Quale rapporto?

Identità sociale e processi di identificazione

! 20

2.3.r. Componenti cognitive, affettive e relazionali dell'identificazione sociale l 2.3.2. Dinamiche identitarie e dinamiche sociali l 2.3-3- Le stra­ tegie possibili per far fronte all'identità sociale negativa l 2.3-4- Iden­ tità sociale, motivazioni e comportamenti



Approcci motivazionali

I motivi del sé 3.r.r. Gli "errori cognitivi" funzionali alla salvaguardia del sé l 3.1.2. La stima di sé l 3.r.3. I compiti del sé

L'identità dell'Io

r6r

3.2.r. "Diffusione" vs "identità": la proposta di Erikson l 3.2.2. il modello degli stati d'identità di Marcia l 3.2.3. Stati di identità e ca­ ratteristiche personali l 3.2.4. Stati di identità e trend evolutivi l 3.2.5. Ambiti di formazione/costruzione dell'identità

3 · 3·

Io, identità e sé: approcci integrati 3.3.r. Stati di identità e sentimento di identità l 3.3.2. Stati di identità e struttura del sé l 3-3-3· L'identità come "processo" e come "pro­ dotto" l 3·3·4· Costruzione dell'identità e contesti sociali

Parte seconda Lo stato della ricerca: questioni teoriche e aspetti metodologici



L'identità etnica

2 07

La crescente composizione multietnica della società italiana Etnia, cultura e territorio

208 2II

4.2.r. Definizione dell'identità etnica l 4.2.2. Etnicità e identità etnica l 4.2.3. I contenuti dell'identità etnica: logos, genos, ethos l 4.2.4. L'in­ terazione tra dimensione culturale e territoriale delle appartenenze

8

4·3 ·

L'identificazione etnica

4 · 4·

Identità etnica ed etnocentrismo

2 23

4·3·I. I modelli evolutivi l 4.3.2. L'identità etnica e la sua rilevanza l 4·3+ Dinamiche intergruppi

Aspetti metodologici

2 35

Le tecniche utilizzate per lo studio del sé e dell'i­ dentità Contenuti e processi identitari nella ricerca psico-so­ ciale

237

5.2.r. La rilevazione dei contenuti dell'identità l 5.2.2. La rilevazione della struttura e del sentimento di identità l 5.2.3. La rilevazione degli stati di identità l 5.2+ L'analisi delle dimensioni dell'identità sociale

6.

Riflessioni conclusive

6.I . 6.2 .

Temi e prospettive di analisi Un possibile percorso per una lettura più integrata del sé e dell'identità

257

Riferimenti bibliografici

9

Introduzione

In psicologia la nozione del " sé " è stata utilizzata in modi molto di­ versi, tanto è vero che oggi ci troviamo di fronte ad un panorama così vasto ed articolato di ricerche e di paradigmi di riferimento che diventa difficile ricostruirne le coordinate d'insieme. La distinzione tra approcci cognitivi, sociali e motivazionali che riproponiamo nella Parte prima di questo volume risponde all'obiettivo di cogliere le principali differenze e di fornire una chiave di lettura integrata e cri­ tica dei più importanti contributi che la psicologia sociale ha propo­ sto per lo studio del sé e dell'identità. Muovendoci all'interno di una prospettiva psico-sociale e di una concezione interattiva delle relazioni che collegano la dimensione psi­ chico-individuale a quella sociale-collettiva, particolare rilievo verrà attribuito ai processi e ai meccanismi che i principali approcci teorici ed empirici considerano implicati nello sviluppo del sé. L'articolazione del volume prende avvio dalla presentazione di alcuni lavori teorici ed empirici che privilegiano una prospettiva cognitiva. Interessati soprattutto ad analizzare i processi attraverso i quali le co­ noscenze circa il sé vengono elaborate ed organizzate a livello cogniti­ vo, questi approcci tendono a considerare la persona come un attivo " costruttore " delle informazioni rilevanti relative al proprio sé. La no­ zione di sé viene riferita ai sistemi di conoscenze, di credenze e di teorie che, come ogni altra forma di conoscenza, vengono costruite attraverso processi di selezione, elaborazione e immagazzinamento in memoria di informazioni che generalmente riguardano gli aspetti og­ gettivi del sé (il Me) . Analizzando alcuni dei più importanti contribu­ ti riconducibili a questa prospettiva, si possono distinguere gli studi che esaminano il modo in cui le conoscenze circa il sé vengono orga­ nizzate anche nel corso dello sviluppo (approcci strutturali) e quelli più interessati alle relazioni tra il concetto di sé e le azioni guidate da scopi (approcci che si muovono all'interno della teoria dell'azione) . II

SÉ E IDENTITÀ

Diversamente dagli approcci cognitivi, le teorie e le ricerche che privilegiano una prospettiva sociale enfatizzano l'importanza dei con­ testi sociali ed interattivi assunti come matrici entro i quali il sé si sviluppa. All'interno di questa prospettiva, diversi sono comunque i percorsi che i vari autori seguono nel descrivere e spiegare lo svilup­ po del sé: non solo quelli riconducibili all'interazionismo simbolico, o al più specifico concetto di autorispecchiamento, ma anche quelli che valorizzano la dimensione del ruolo e della posizione sociale. Il ten­ denziale riduzionismo sociologico che sembra accomunare queste pur diverse prospettive di studio risulta almeno in parte superato dall' ap­ proccio socio-costruzionista proposto da Zavalloni, Louis-Guérin ( r 984 ) . Pur considerando la nozione di identità come inseparabile da quella di appartenenza sociale, queste autrici introducono infatti il concetto di "mediazione rappresentazionale " : il mondo sociale acqui­ sta significato e svolge un ruolo solo passando attraverso processi psi­ cologici (individuali) di tipo costruttivo. La teoria dell'identità sociale di Tajfel, Turner ( 1 979) sposta decisamente il focus dell'attenzione dal livello dei rapporti interpersonali a quello dei rapporti intergrup­ po. Il concetto di identità sociale è il costrutto più centrale all'interno di questa prospettiva e di quelle ad essa ispirate. Neppure gli approcci che considerano i processi motivazionali e i bisogni psico-sociali come motori dello sviluppo del sé trascurano la dimensione sociale. In questo caso, il contesto sociale diventa comun­ que un milieu che facilita o inibisce lo sviluppo del senso del sé. An­ che nell'approccio motivazionale si possono individuare orientamenti che si diversificano in relazione all'importanza attribuita ad alcuni co­ strutti piuttosto che ad altri. Uno dei costrutti più noti ed utilizzati all'interno di questa prospettiva, è quello della stima di sé o bisogno di autoaccrescimento. Il bisogno di raggiungere o di mantenere una stima di sé positiva costituisce il postulato fondamentale della teoria dell'identità sociale di Tajfel e delle sue derivazioni, ma è anche, come Greenwald ( 1 988) sottolinea, uno dei costrutti centrali all'inter­ no della letteratura sul concetto di sé. Altri motori dello sviluppo del sé sono stati individuati nei bisogni di continuità, di coerenza, di competenza, di autonomia e di connessione con gli altri. Tra gli approcci motivazionali rientrano anche i lavori di alcuni autori che, ispirandosi in particolare all'orientamento psicoanalitico di Erikson ( r 96 8 ) , tendono a collocare l'origine del sé nell'interazione dinamica che coinvolge i bisogni psico-sociali e i processi di identifi­ cazione con gli scopi, le norme e i valori del contesto sociale di riferi­ mento. La proposta avanzata da Marcia ( 1 966, 1 99 3 a) attraverso il paradigma degli stati di identità, costituisce uno degli esempi più si12

11'\TRODUZIONE

gnificativi a questo riguardo. Tale paradigma rappresenta oggi il rife­ rimento non solo teorico, ma anche empirico più frequentemente adottato nello studio dei processi di formazione e di costruzione del­ l'identità. Dal momento che l'approccio proposto da Marcia focalizza l'attenzione più sui processi che sui contenuti dell'identità stessa, le ricerche che ad esso si ispirano tendono a privilegiare lo studio dei soggetti in età adolescenziale. Come abbiamo già sottolineato, il più dettagliato lavoro di rasse­ gna dei vari contributi sinteticamente richiamati sopra ha come prin­ cipale obiettivo quello di mettere a fuoco le potenzialità e i limiti che i rispettivi nuclei concettuali sembrano offrire per lo studio del sé e dell'identità. In linea con questo obiettivo, Connel, Wellborn ( I 99 I ) hanno sintetizzato le posizioni assunte dai diversi approcci prendendo in considerazione non soltanto il modo con il quale viene considerato lo sviluppo del sé, ma anche il ruolo attribuito al contesto sociale in tale sviluppo e il rapporto configurato tra il sistema di sé e il compor­ tamento diretto ad uno scopo. Rinviando ai capitoli successivi l'esame più approfondito di queste tematiche, ci sembra in questa sede utile familiarizzare il lettore con alcune delle principali differenze che emergono tra gli approcci cognitivi, sociali e motivazionali. T ali diffe­ renze vengono sinteticamente riportate nella TAB . I . In accordo con l'esigenza che è venuta emergendo in letteratura (Lapsley, Power, I 9 88; Abrams, Hogg, I 999) il percorso seguito nella nostra analisi muove dall'ipotesi che sia possibile cogliere elementi di complementarità tra le diverse prospettive considerate. D'altra parte la pluralità degli approcci presenti in questo settore di studi non è solo una testimonianza della molteplicità e diversità degli orientamen­ ti teorici a cui viene fatto di volta in volta riferimento, ma anche della complessità del fenomeno studiato e della pluralità delle componenti che entrano in gioco nei processi che vi sono implicati: da quelle co­ gnitive, emotive, comportamentali e motivazionali, a quelle riguardan­ ti i sistemi di esperienze che si strutturano attraverso l'interazione con l'ambiente. In questo senso, l'immagine dell'individuo come "elabora­ tore di informazioni " sottostante all'impostazione statunitense degli studi sulla cognizione sociale di cui anche le riflessioni sul sé sono parte deve quindi fare i conti con quella europea che vede invece l'individuo come " attore sociale della vita quotidiana " . Affinché l'in­ dividuazione di spazi di complementarità possa essere considerata un passo avanti verso una conoscenza più integrata dei processi identita­ ri, l'articolazione dei nuclei concettuali rintracciabili nei diversi ap­ procci, deve comunque essere anche specificata in termini di livelli di

SÉ E IDENTITÀ

TABELLA I

Sintesi comparata degli approcci allo studio del sé e dell'identità

Approcci cognitivi

Approcci sociali

Approcci motivazionali

Sviluppo del sé

- enfasi sugli aspetti oggettivi-contenutistici del sé (Me)

- enfasi sulle basi relazionali e/o sociali del sé (condizionamento ambientale)

- enfasi sui proces­ si emozionali e/o sui bisogni dell'organismo

Caratteristiche at­ tribuite alla perso­ na

come - persona " acquisitore di co­ noscenza" (cogni­ zer) elo " processore " delle informa­ zioni riguardanti gli aspetti oggettivi del sé

- persona come "interiorizzatore " delle definizioni sociali che la riguardano

- persona come soggetto che cerca di soddisfare i suoi bisogni

Ruolo del contesto sociale nella costruzione e sviluppo della conoscenza di sé

- irrilevante (non operazionalizzato)

- determinante anche se molteplici sono i meccanismi/ processi responsabili dello sviluppo

- ruolo di sosten­ tamento ( fornisce risorse per soddi­ sfare i bisogni del sé/ definisce i limiti di tali bisogni)

Relazione tra il sé e le azioni guidate da scopi

- la conoscenza di sé regola i compor­ tamenti intra ed in­ terpersonali condi­ zionando gli scopi, le strategie e i pro­ cessi dell'azione - i feedback pro­ venienti dalle azio­ ni modificano la conoscenza di sé

- la matrice rela­ zionale del sé gene­ ra implicazioni per le relazioni succes­ sive

- i bisogni psico­ sociali condiziona­ no la direzione del­ l'azione - i bisogni insod­ disfatti conducono ad esiti maladattivi

Livello di analisi privilegiato

intra personale

interpersonale/in­ tergruppi

intrapersonale/so­ ciale

Ambiti del confronto

Fonte:

Connel, Wellborn (199 1 ), rielaborata.

analisi da essi privilegiati (Doise, 1 986). Lo studio dei processi intra­ personali, i problemi connessi con le dinamiche interindividuali e i processi di individuazione, gli effetti legati alle posizioni sociali e l'in­ fluenza dei sistemi di credenza più generali vanno a questo scopo considerati come livelli di analisi complementari e non alternativi. Come Doise ( r 986) sottolinea, «si può considerare ciascun livello come un filtro che cattura un aspetto di realtà mentre gli altri gli

11'\TRODUZIONE

sfuggono [ . . ] . Limitarsi ad una singola teoria comporta sempre un impoverimento ed è spesso necessario utilizzare analisi complementari a diversi livelli per poter spiegare i cambiamenti in un processo de­ scritti da una particolare teoria» (trad. it. 1 989, p. 2 9 ) . .

L a Parte seconda d i questo volume sarà dedicata all'analisi dello stato attuale della riflessione teorica e della ricerca empirica, con particola­ re riferimento ad alcuni degli aspetti metodologici implicati nello stu­ dio del sé e dell'identità. Le possibili modalità in cui gli approcci cognitivi, sociali e moti­ vazionali possono essere utilizzati per lo studio dei processi identitari verranno esemplificate soffermandoci su una tematica oggi di grande rilevanza sociale anche nel contesto italiano: quella relativa alla "iden­ tità etnica " . Il CAP . 4 di questo volume verrà quindi dedicato allo stu­ dio dei processi attraverso cui le persone procedono alla costruzione e definizione della propria identità in quanto appartenenti a specifici gruppi etnici, culturali e/o territoriali. Numerosi studi sono d'accordo nel considerare l'appartenenza et­ nica come una delle dimensioni rilevanti che entrano in gioco nei processi di formazione del sé e dell'identità; diversi sono tuttavia, an­ che in questo caso, gli approcci di volta in volta seguiti. L'accento posto soprattutto sulla diversità dei sistemi simbolici e culturali di ri­ ferimento porta gli approcci cognitivi a privilegiare lo studio delle differenze che emergono tra le informazioni che compongono la struttura del sé rispettivamente nelle persone appartenenti a culture orientate all'individualismo vs il collettivismo (Markus, Kitayama, 1 99 1 ) . Le dinamiche di identificazione con il proprio gruppo di ap­ partenenza e di differenziazione dagli outgroup e gli effetti ad esse connesse sono gli argomenti di cui si occupano soprattutto gli studi che si ispirano alla teoria dell'identità sociale e alle sue derivazioni. Mettendo in luce l'esistenza di modalità diverse di rapportarsi alla cultura autoctona e a quella ospitante, le ricerche sui modelli di ac­ culturazione (Berry, Trimble, Olmedo, 19 86) tendono ad evidenziare i livelli di benessere-adattamento ad esse associate. Privilegiando infi­ ne un approccio di tipo più individualistico ed evolutivo, gli studi ispirati al paradigma degli stati di identità di Marcia tracciano un percorso di formazione della componente etnica dell'identità stessa, i cui esiti conducono a diversi livelli di benessere psicologico (Phinney, 1 99 2 ) . Oltre a riportare i risultati delle ricerche condotte in contesti dove la diversità etnica è da tempo un dato acquisito, verranno pre­ sentati alcuni dei più significativi risultati degli studi italiani. A questo 15

SÉ E IDENTITÀ

proposito verranno soprattutto prese in considerazione indagini effet­ tuate su ragazzi e ragazze in età preadolescenziale. Mettendo a fuoco i significati emergenti dalle diverse definizioni concettuali, la Parte seconda di questo volume cerca anche di mettere in luce le modalità con cui i concetti di " sé " e di "identità " sono stati operazionalizzati e rilevati empiricamente. In accordo con l'obiettivo di cogliere la complementarità delle di­ verse prospettive al quale si è fatto più sopra riferimento, viene infine suggerito un possibile percorso verso un'analisi integrata dei concetti del sé e dell'identità. Tale percorso si propone di ridefinire la nozione di identità da un lato come processo e dall'altro come prodotto. Nel primo caso (processo) , l'attenzione è focalizzata sulle modalità con cui le persone giungono a definire e ridefinire se stesse; nel secondo (pro­ dotto o esito dei processi), sulle dimensioni costitutive del "concetto di sé " che un individuo struttura e sulle modalità in cui tali dimen­ sioni vengono integrate e conferiscono un senso di unicità e continui­ tà all'individuo stesso. Prima di entrare nel merito degli argomenti brevemente presenta­ ti, abbiamo ritenuto utile per il lettore accennare ai principali interro­ gativi attorno ai quali si articola ancor oggi gran parte del dibattito scientifico sulla nozione del sé. Tali interrogativi affrontano infatti al­ cuni nodi concettuali che, assumendo una posizione tutt'altro che ir­ rilevante rispetto al percorso di analisi da noi seguito, verranno an­ ch'essi ripresi ed ulteriormente approfonditi. Sé rigido o fluido?

Una delle questioni più dibattute nella letteratura sul sé e l'identità è quella concernente la struttura del sé. Con questo primo interrogativo l'accento viene posto sulle contrapposte caratteristiche della rigidità/ fluidità. La molteplicità delle articolazioni individuate in proposito (van der Werff, 1 985 , 1 990; Markus, Wurf, 19 87) fa tuttavia pensare ad un continuum di posizioni che vanno da una caratterizzazione del sé come struttura unitaria e monolitica che rappresenta il nucleo cen­ trale della personalità, ad un sé visto come una struttura multipla e complessa che include aspetti diversi e a volte contraddittori. Le controversie che questi due diversi orientamenti (fluidità vs ri­ gidità del sé) hanno aperto nell'ambito degli studi sulla personalità, sono state in parte superate grazie agli sviluppi, a partire dagli anni Settanta, delle ricerche che fanno capo al filone di studi della Social Cognition . Considerando il sé non più come un'entità monolitica, sta16

11'\TRODUZIONE

bile e compatta, ma come una costellazione di immagini, di schemi, di concezioni, di teorie, di prototipi e di compiti, molti autori (cfr. CAP. I ) hanno proposto modelli teorici in grado di conciliare il pro­ blema della continuità e stabilità del sé (che rappresenta, come ve­ dremo nel CAP . 3 , uno dei principali motivi del sé) , con quello della sua adattabilità ai diversi contesti e situazioni della vita quotidiana. Tra questi modelli, il più conosciuto e trattato nei manuali di psicolo­ gia sociale, è quello che fa riferimento al concetto di sé operativo (Markus, Nurius, I 986). Sé unico o molteplice?

L'idea che il sé sia costituito da diverse parti non ha certo ong1n1 recenti. Già nel I 890, J ames , uno dei padri fondatori della psicologia americana, considerava il sé come una dualità composta da un Io (sé conoscente) e da un Me (sé conosciuto) . L'Io rappresenta in questo caso la parte attiva del sé, è il soggetto consapevole di conoscere, l'i­ stanza capace di riflettere, l'attore che agisce nel presente consapevole delle sue percezioni interne ed esterne. È la parte autentica e sentita del sé. È, in altri termini, la consapevolezza che ciascuna persona ha della propria capacità di agire e di modificare gli eventi (sentimento di agency) , dell'unicità della propria esperienza di vita (sentimento della differenza) , della propria continuità (sentimento di continuità) e della propria consapevolezza (sentimento di riflessione) . I l Me è l'oggetto della riflessione propria e d altrui, è il prodotto dell'attività dell'lo; è costituito dall'insieme degli attributi sui quali l'Io riflette. Secondo J ames il Me è composto da tre elementi ordinati in modo gerarchico: il Me materiale, il Me sociale e il Me spirituale. Il Me materiale include le conoscenze che il soggetto possiede del proprio corpo e dei domini ad esso affini (i vestiti, l'abitazione, i mezzi privati di trasporto) . Il Me sociale è costruito nell'interazione sociale e si struttura a partire dalle percezioni e valutazioni reciproca­ mente rimandate tra le persone. Il Me spirituale, infine, include tutte le conoscenze che l'individuo possiede rispetto alle sue qualità psico­ logiche interne (tratti, motivazioni, atteggiamenti, interessi) . La distinzione tra lo e Me è tutt'oggi ampiamente condivisa all'in­ terno degli studi e delle ricerche sul sé e l'identità . Gli approcci che verranno presentati in questo volume tendono di volta in volta a pri­ vilegiare ora lo studio degli aspetti oggettivi del sé (sé-come-oggetto) , ora quello degli aspetti soggettivi (sé-come-soggetto) che vengono ge­ neralmente ricondotti alle " attività cognitive " dell'Io.

SÉ E IDENTITÀ

Sé come oggetto o sé come soggetto?

J ames considera l'Io e il Me come due istanze inscindibili del sé. Questa inscindibilità mette in luce il carattere processuale della cono­ scenza di sé, dove il Me è costruito attraverso l'Io e dove i processi dell'Io traggono nutrimento dagli aspetti più oggettivi della conoscen­ za di sé. La necessità di trovare modelli interpretativi che permettono di coniugare la realizzazione del sé come soggetto conoscente (Io) e come oggetto della conoscenza (Me) costituisce tutt'oggi uno dei pro­ blemi più dibattuti all'interno dei molti paradigmi che si occupano dello studio del sé e dell'identità. Nei capitoli che seguono vedremo come questo dibattito è stato affrontato nell'ambito dei diversi ap­ procci. Markus, Wurf ( 1 9 87 ), due esponenti dell'approccio cognitivo, sottolineano come in seguito ai cambiamenti nelle ricerche sul con­ cetto di sé verificatesi negli ultimi dieci anni, i teorici del sé abbiano abbandonato gli sforzi di descrivere l'Io, la parte attiva del sé, e si siano invece dedicati allo studio delle caratteristiche strutturali del concetto di sé. Come è stato sottolineato anche da Amerio ( 1 995 , p. 209 ) , «la dinamica tra Io conoscente e Io conosciuto che animava il pensiero di James e in una certa misura anche la concezione di Mead, è rimasta per lunghi anni ignorata: la ricerca si è piuttosto appuntata su un sel/-concept quasi irrigidito». Non mancano tuttavia, soprattutto nell'ambito della psicologia dell'età evolutiva, modelli teorici e ricer­ che empiriche che hanno tentato di cogliere la duplice natura del concetto di sé (Damon, Hart, 1 98 8 ) . S é e identità: sinonimi o concetti diversi?

Nell'ambito della letteratura internazionale, l'uso dei due termini sé e identità sembra evocare la distinzione tra la psicologia sociale statuni­ tense (ed in particolare il filone della Social Cognition) e la psicologia sociale europea. Una distinzione che, per quanto riguarda il nostro specifico ambito di analisi, sembra soprattutto riprodursi attraverso il prevalente uso della terminologia associata alla nozione di sé nel pri­ mo caso e di quella legata al concetto di identità nel secondo. Al di là di questa precisazione, facendo riferimento agli studi con­ dotti da Gordon ( 1 968) e Gergen ( 1 97 1 ) , ci sembra di poter definire la nozione di sé come un concetto più generale ed esteso del concet­ to di identità, quasi una sintesi delle diverse identità che le persone si trovano a sperimentare nella propria quotidianità. In realtà la distin­ zione concettuale tra sé e identità è molto meno chiara di quanto 18

11'\TRODUZIONE

possa apparire in questi primi lavori e molti autori (Palmonari, 1 995b; Serino, 1 996, tra gli altri) sono d'accordo nel riconoscere che queste due nozioni vengono spesso trattate come sinonimi nell'ambito degli studi e delle ricerche a questo proposito condotte. Volendo fare una prima specificazione di tali nozioni, potremo ri­ ferirei alle puntualizzazioni che considerano il "sé" come il " conteni­ tore " dei pensieri e dei sentimenti che una persona ha disponibili quando tenta di definire se stessa (Amerio, 1995 ; Arcuri, Maass, 1 995 ) . Come Palmonari ( 1 989) sottolinea, il concetto di sé è in stretto rapporto con le diverse forme di esperienza che le persone hanno di se stesse. L'esperienza di sé comprende: - le varie forme di conoscenza (Neisser, 19 88) e di consapevolezza di sé (Damon, Hart, 1 98 8 ) ; - il concetto di sé, ossia le teorie che i soggetti utilizzano per defini­ re se stessi (Eptein, 1 973 ; Harter, 1 983 ; Berzonsky, 1 988); - le rappresentazioni o immagini di sé che i soggetti costruiscono in rapporto a determinate situazioni sociali (Kihlstrom, Cantor, 1 984; Markus, Wurf, 1 987) ; - le presentazioni di sé che, attraverso il proprio comportamento o descrizioni verbali di se stessi, le persone danno o tentano di dare agli altri in diverse situazioni di interazione sociale (Snyder, 1 979; Fe­ nigstein, Scheier, Buss, 1 975 ; Wicklund, Dieter, r 9 8o) . Con la nozione di "identità " , altri autori (Erikson, 1 968; Marcia et al., 1 993 ; Codol, r 98o) tendono soprattutto a fare riferimento a quell'esperienza di natura fenomenologica che si fonda sul sentirsi se stessi nonostante i cambiamenti sperimentati nel tempo e nello spazio e sull'essere riconosciuti come tali dagli altri significativi. Come Erik­ son ( r 968) sottolinea, «si può parlare di identità dell'Ego quando si parla del potere sintetizzante dell'Ego alla luce della sua funzione psi­ co-sociale centrale e di identità del sé quando si vuole alludere alle immagini del sé e dei ruoli dell'individuo» (trad. it. 1 974, p. 25 1 ) . Sintesi delle esperienze cognitive e d affettive che strutturano il rap­ porto sé-mondo, l'identità si fonda quindi soprattutto sulla consape­ volezza di essere un oggetto unico diverso da tutti gli altri oggetti presenti nel mondo fisico e sociale, relativamente costante nel tempo e nelle diverse situazioni (Codol, r 9 8o) . Al di là dei vari tentativi di interpretazione unitaria, diverse conti­ nuano comunque ad essere le modalità in cui la ricerca psicologica utilizza le nozioni del sé e dell'identità. Mentre la nozione di sé di cui si avvalgono gli approcci cognitivi fa soprattutto riferimento all'insie­ me delle informazioni autoriferite costruite attraverso l'esperienza soggettiva ed attivate in situazioni specifiche, la stessa nozione utiliz-

SÉ E IDENTITÀ

zata all'interno degli approcci sociali richiama invece alla molteplicità delle immagini riflesse dagli altri significativi e/o acquisite nei proces­ si di interazione sociale. Allo stesso modo, mentre la nozione di iden­ tità di cui fanno uso gli approcci motivazionali ispirati al paradigma degli stati di identità di Marcia fa riferimento alla sintesi emergente dalle " esplorazioni" che le persone compiono prima di "impegnarsi" a sostenere le proprie scelte identitarie, la stessa nozione utilizzata al­ l'interno del filone di studi che si rifà alla teoria dell'identità sociale di Tajfel e Turner chiama invece in causa i diversi livelli di definizio­ ne-categorizzazione del sé. A quest'ultimo proposito, non si può non citare la più classica delle distinzioni, tuttora presente in letteratura, tra identità " personale " e " sociale " . Queste distinzioni costituiscono gli spunti sulla base dei quali, nella Parte seconda di questo volume, è stato suggerito un percorso per una lettura più integrata delle problematiche affrontate dagli stu­ di psico-sociali sul sé e l'identità. Vorrei ringraziare alcuni tra i tanti che, in vario modo, hanno con­ tribuito alla realizzazione di questo volume. Un ringraziamento parti­ colare va a Gianfranco Secchiaroli per la paziente ed attenta revisione di questo lavoro. A Laura Fruggeri per l'incoraggiamento e il prezio­ so scambio di idee e di suggerimenti. A Paola Villano per l'aiuto e l'amicizia mostrata nei diversi momenti di realizzazione di questo vo­ lume. Alle " ragazze " del nostro gruppo di ricerca per il tempo che mi hanno " regalato " con la loro inestimabile collaborazione. A Simo­ na Mazza per l'aiuto nel reperimento dei materiali bibliografici e a Cinzia P avesi per l'assistenza nella sistemazione del materiale carta­ ceo. A Patrizia Mancini per la collaborazione nel controllo della bi­ bliografia e per il suo affettuoso sostegno.

20

Parte prima Gli approcci teorici allo studio del sé e dell'identità

I

Approcci cognitivi

Il sé come struttura complessa ed articolata costltutsce il leit motz/ che accomuna gli approcci presentati in questo capitolo. Rifiutando l'idea di un sé visto come un'entità monolitica e compatta, gli autori e le ricerche che presenteremo, pur partendo da angolazioni diverse, considerano il sé come un insieme di elementi, un sistema di cono­ scenze, di credenze e di teorie la cui configurazione tende a fluttuare a seconda delle diverse situazioni sociali. Interessati soprattutto ai processi attraverso i quali le conoscenze circa il sé vengono organizzate a livello cognitivo, gli studi sul sé rea­ lizzati nell'ambito della Social Cognition tendono a privilegiare l'anali­ si degli aspetti strutturali e contenutistici, trascurando il ruolo che i contesti sociali e relazionali svolgono sui processi di costruzione del sé. Il modo in cui il sé funziona nella vita quotidiana viene messo a fuoco soprattutto dagli approcci che si muovono all'interno della teo­ ria dell'azione. Le modalità attraverso le quali le conoscenze circa il sé vengono organizzate a livello cognitivo nel corso dello sviluppo è invece il tema prevalente negli studi che adottano una prospettiva evolutiva. I. I

Il sé come oggetto di conoscenza

r . r . r . Il sé come struttura cognitiva Gli autori che si collocano all'interno degli studi sulla cognizione so­ ciale considerano il sé come una rete di conoscenze e di informazioni in qualche modo correlate tra di loro. Le nozioni più spesso utilizzate per rappresentare questa struttura di conoscenze sono quelle di sche­ ma, di rete di memoria, di rappresentazione cognitiva, di prototipo, di script (Eptein, r 98o; Carver, Scheier, r 98 r ; Markus, Sentis, r 982; Greenwald, Pratkanis, 1 9 84; Kihlstrom, Cantar, 19 84; Kihlstrom et 23

SÉ E IDENTITÀ

al. , I 9 88; Kihlstrom, Klein, I 994; Greenwald, I 9 8 8 ) . Il concetto di sé, utilizzato in un'accezione generica e spesso confuso con quello più specifico di rappresentazione di sé (Palmonari, I 99 5 a) , viene quindi a configurarsi non come un sistema monolitico e compatto, ma come una struttura formata da diverse componenti. Le componenti o aspetti di cui il sé è formato possono essere de­ finite come strutture di conoscenza organizzate attorno a specifici nu­ clei tematici o a differenti tipi di situazioni (Markus, Sentis, I9 82; Kihlstrom, Cantor, I 9 84) . Gli autori che si muovono nell'ambito del­ la cognizione sociale sono concordi nel ritenere che il sé non può es­ sere considerato come una singola struttura cognitiva, ma piuttosto come «una gerarchia di concetti contesto-specifici, ognuno relativo alle diverse impressioni di sé in differenti tipi di situazioni» (Kihl­ strom et al. , I9 8 8 , p. I49). In questa prospettiva, una persona può quindi avere un concetto di sé composto da diverse concezioni par­ ziali che dipendono dai campi di interesse, di attività e di interazione nei quali è impegnata e/o inserita. Una di queste concezioni parziali può ad esempio essere rappresentata da ciò che una persona pensa di essere rispetto al proprio ambito lavorativo. È plausibile pensare che rispetto a questo ambito, così centrale nell'esperienza di molte perso­ ne, sia possibile costruire una rappresentazione di sé tanto più com­ plessa e articolata, quante più sono le esperienze a cui può essere fat­ to riferimento. Diversi sono i modi attraverso i quali il sé come struttura di cono­ scenze viene raffigurato in letteratura. Kihlstrom, Cantor ( I 984 ) , Kihl­ strom et al. ( I 9 88) e Kihlstrom, Klein ( I 994) rappresentano il sé al­ l'interno di una struttura a rete i cui "nodi " riproducono concetti collegati e i cui "legami" simboleggiano le relazioni tra essi. A questi nodi, associati tra di loro, viene in particolare riconosciuta la capacità di delineare preposizioni utili a fornire indicazioni sul tipo di rappre­ sentazioni mentali elaborate da un ipotetico soggetto rispetto ad un particolare ambito comportamentale. La mappa cognitiva presentata nella FIG . I . I riproduce la rappresentazione del sé nella memoria. Come si può vedere, la "porzione " del sé del soggetto ipoteticamente descritto è rappresentata da concetti (nodi) di varia natura. Alcuni di questi rappresentano informazioni che derivano dalla " conoscenza ca­ tegoriale sul mondo" (conoscenza semantica) , come ad esempio i nodi corrispondenti alla descrizione di una persona " gentile " , che "vive a Ypsilanti " , che " ama Stravinskij " ; altri derivano da conoscen­ ze più episodiche ed autobiografiche, come ad esempio quella riguar­ dante l'azione di aiuto ad una persona anziana che attraversa la stra­ da. Alcuni di questi concetti possono essere legati direttamente al sé,

I . APPROCCI COGNITIVI

FIGURA I . I Modello " a rete" del sé Aiuto ad un vecchietto per attraversare la strada Vive a Ypsilanti

Gentile

SELF

Ha dato ad un derelitto la possibilità di cambiare Ama Stravinskij

Buono Onesto

Colto Ha restituito al proprietario un portafoglio

Fonte: Kihlstrom et al. ( 1 988, p. 1 49) .

altri possono non esserlo, ma possono ugualmente contribuire a defi­ nire dimensioni che diventano rilevanti o accessibili alla persona nel momento in cui tenta di descriversi. I legami che uniscono il sé (nodo centrale) agli specifici concetti, sono considerati più o meno forti a seconda del numero di esperienze che possono esser riferite al sé legate a quel concetto (Markus , Sentis, 1 98 2 ) . In questo senso, alcune esperienze possono addirittura diven­ tare parte della struttura del sé o sovrapporsi ad essa. Prendiamo ad esempio l'insieme di conoscenze in base a cui le persone strutturano l'immagine che hanno di sé in relazione alle proprie caratteristiche fisiche. La presenza di questa struttura o rete di conoscenze può esse­ re riscontrata a tutte le età, ma ciò non comporta che gli elementi depositati in memoria abbiano legami stabili con il sé. In particolari circostanze, resta tuttavia aperta la possibilità che alcuni di tali legami 25

SÉ E IDENTITÀ

entrino in collegamento con la struttura centrale ed emergano come tratti autodescrittivi. Se consideriamo il caso di un preadolescente che sta affrontando il non facile compito della sua crescita fisica e pube­ rale, non ci rimane difficile immaginare quanto stretto possa configu­ rarsi il legame tra le conoscenze riferite alle sue caratteristiche fisiche e il concetto di sé. Come hanno evidenziato alcune ricerche condotte su soggetti in età compresa tra gli I I e i I4 anni (Mancini, I996; Varvaro, I 999), molto forte è la tendenza dei preadolescenti a descri­ versi attraverso caratteristiche fisiche. Altri studi hanno inoltre rileva­ to che la forte sensibilità mostrata nei confronti dei propri cambia­ menti e del modo in cui i cambiamenti corporei vengono valutati e considerati dagli altri significativi ha spesso ripercussioni importanti e non positive sulla stima che i preadolescenti stessi hanno di sé (Har­ ter, I 99o; Bariaud, Rodriguez-Tomé, I 994) . Si può quindi pensare che, in questa età, alcune esperienze legate a questo dominio diventi­ no talmente centrali da sovrapporsi alla struttura del sé. Il modello "a rete" proposto da Kihlstrom, Cantar ( I 9 84) e da Kihlstrom et al. ( I 988) è sicuramente quello più sistematicamente ar­ ticolato all'interno degli studi e delle ricerche sul sé. Altri autori si limitano a rappresentare il sé come un insieme di schemi e concezioni in qualche modo correlate tra di loro (Neisser, I 976; Markus, Sentis, I 98 2 ) . Altri ancora lo descrivono come uno spazio semantico multidi­ mensionale (Greenwald, Pratkanis, I 984) . Al di l à della diversità dei modelli teorici, dei paradigmi d i ricerca e delle diverse nozioni e metafore utilizzate per rappresentare il concetto di sé, gli studi orientati verso la cognizione sociale sembrano condivide­ re due ipotesi di fondo (Amerio, I 995 ) . La prima è che il sé, come ogni altra forma di conoscenza, si costruisce nell'ambito dell'esperienza e in modo non casuale, cioè attraverso fasi di rilevazione, di organizzazione e di fissazione in memoria delle informazioni rilevanti per il sé (cfr. PAR. 1 . 1 .2 ) . La seconda è che, una volta organizzate nella mente, queste strut­ ture di conoscenza funzionano come "schemi anticipatori " , come ele­ menti che hanno funzioni direttive e di organizzazione. Esse aiutano le persone ad integrare e spiegare il proprio comportamento; influenzano il modo in cui le informazioni che gli individui raccolgono circa se stessi e gli altri vengono selezionate ed elaborate; condizionano il comporta­ mento e fungono da guida per il comportamento stesso cfr. PAR. 1 .2 ) . 1 . 1 .2 . Schemi e rappresentazioni di sé Secondo la prima delle ipotesi indicate, le informazioni rilevanti per il sé vengono organizzate nella memoria entro categorie di conoscenza

I . APPROCCI COGNITIVI

(schemi o rappresentazioni di sé) omogenee e funzionali. Attraverso un processo continuo di generalizzazioni, derivato da ripetute valutazioni e categorizzazioni del proprio e altrui comportamento, l'individuo si forma un'idea sempre più precisa e diversificata del tipo di persona che pensa di essere in relazione ad un determinato dominio compor­ tamentale. Al termine di questo processo, l'individuo possiede una struttura di conoscenze autoriferite, sulla base della quale vengono organizzati e guidati i successivi processi di selezione, valutazione e categorizzazione delle informazioni riguardanti non solo il sé, ma an­ che gli altri (Markus, Sentis, r 982 ; Kihlstrom, Cantor, r 984; Markus, Nurius, 1 986; Markus, Wurf, 1 987; cfr. anche PARR. r.2.r e r.2.2) . Il termine utilizzato dalla Markus (r977 ) , una delle principali rap­ presentanti degli studi ispirati alla cognizione sociale, per indicare questi insiemi di conoscenze legate a specifici domini comportamen­ tali o campi di competenza degli individui, è quello di schema di sé. Tali schemi rappresentano le componenti centrali del concetto di sé e corrispondono alle dimensioni cognitivo/ affettive con le quali i sog­ getti si descrivono. L'autrice distingue infatti gli schemi di sé che con­ sidera come concezioni complesse, stabili ed articolate che derivano dalle esperienze passate, dalle concezioni di sé più episodiche e di­ pendenti dal contesto nel quale vengono attivate. Gli schemi di sé definiscono le aree rispetto alle quali gli individui hanno accumulato più conoscenze e mostrano maggiori investimenti. Queste strutture di conoscenza (schemi di sé) hanno maggiori proba­ bilità di quelle invece più episodiche e periferiche (concezioni di sé) di essere " cronicamente " accessibili quando una persona pensa o de­ scrive se stessa (Markus, Nurius, r 9 86; Markus, Wurf, 1 987). Esem­ plificando, potremmo quindi ipotizzare che, per uno studente univer­ sitario, il fatto di essere "studente " rappresenti una dimensione cen­ trale del proprio concetto di sé (uno schema di sé) e che in virtù dell'investimento continuo e delle conoscenze accumulate in questo dominio di competenza, tale schema diventi facilmente accessibile nel momento in cui il soggetto in questione cercherà di descrivere se stesso. Un'ipotesi, questa, che ha d'altra parte trovato conferma nei risultati di recenti indagini condotte su studenti iscritti al secondo e al quarto anno di un Corso di laurea in Psicologia (Ceci, 1999; Ceci, Mancini, 1 999 ; Fruggeri, Mancini, Ceci, 2ooo) 1 • Dall'applicazione della tecnica del " Chi sei tu? " (Kuhn, McPartland, 1 954; cfr. CAP. 5 ) , r. Le ricerche in questione sono state condotte a partire dall'a.a. 1997-98 nel­ l'ambito di un progetto di ricerca sul Diventare psicologi realizzato da un gruppo di psicologi sociali dell'Istituto di Psicologia dell'Università di Parma. I dati qui riportati

SÉ E IDENTITÀ

è infatti emerso che la definizione di sé come studente è una di quel­ le più spesso indicate dai soggetti. Rinviando alla TAB. I. I per una descrizione più dettagliata dei risultati di questa ricerca, ci interessa qui sottolineare che oltre allo schema di sé in quanto studente, le al­ tre modalità in cui i soggetti studiati si descrivono sembrano nella maggior parte dei casi fare riferimento a contesti o ambiti di compe­ tenza che la letteratura considera di particolare rilievo in questa fascia d'età. Gli ambiti di competenza rispetto ai quali si presume essi pos­ siedano uno schema di sé, vale a dire un insieme di conoscenze ben organizzate, facilmente accessibili e centrali nel concetto di sé, sono ad esempio quelli legati alle proprie caratteristiche personali, all'auto­ nomia/ dipendenza, all'impegno nel sociale e, più in generale, ad una molteplicità di attività (da quelle legate allo studio a quelle che impe­ gnano il loro tempo libero) , all'autonomia/dipendenza. Il fatto che una categoria di persone come quella degli studenti possa condividere alcuni schemi di sé certo non stupisce, così come non stupisce trovare che due amici appassionati di windsurf _possano en­ trambi descriversi prima di tutto come amanti della vela. E importan­ te tuttavia sottolineare che le dimensioni costitutive del concetto di sé possono essere profondamente diverse da persona a persona non solo rispetto al contenuto, ma anche rispetto alla loro centralità. Così ad esempio una dimensione autodescrittiva come quella dell'essere stusi riferiscono ad una rilevazione realizzata su un gruppo di 223 studenti (29 maschi e 194 femmine) iscritti nell'a.a. 1 998-99 al secondo anno del Corso di laurea in Psicolo­ gia. Ad essi è stato somministrato un questionario semi-strutturato composto da di­ verse parti che ricostruiscono rispettivamente: a) le immagini che gli studenti hanno dello "studente ideale" e dell"'insegnante idea­ le" attraverso l'accordo/disaccordo con una serie di affermazioni tratte da precedenti ricerche; b) le rappresentazioni di sé espresse da gli studenti sia rispetto alla dimensione del presente, sia rispetto alla dimensione del futuro, attraverso risposte libere a tre diverse domande (Chi sei tu ? , Chi vorresti essere fra dieci anni ? , Chi sarai fra dieci anni? ) ; c) i dati socio-anagrafici (sesso, età, status socio-economico delle famiglie) , quelli re­ lativi al proprio percorso di studi (esami frequentati e superati, tipo di maturità) e l'importanza attribuita ad alcuni valori di riferimento (es. solidarietà, successo ecc.) . Ad alcuni di questi studenti ( 86) verso la conclusione dell'a.a. , è stato somministrato un secondo questionario che mira a ricostruire le rappresentazioni di sé in rapporto al proprio ruolo di studente (In quanto studente di psicologia, chi sei tu? ) e di futuro psicologo (In quanto futuro psicologo, chi sarai tu? ) . Un questionario in parte analo­ go ai precedenti e in parte più finalizzato a rilevare le strategie messe in atto per diventare futuri psicologi, è stato somministrato nell 'a.a. 1 999-2000 ad un campione di studenti iscritti al secondo ( 1 97) e al quarto anno (95) dello stesso Corso di lau­ rea.

I . APPROCCI COGNITIVI

TABELLA I . I

Rappresentazioni d i s é nel presente e nel futuro, espresse d a u n gruppo d i 223 studenti di Psicologia (% sul tot. dei soggetti)

Chi sarai Chi sei vorresti Chi 10 tu? essere fra fra anni? 10 anni? Me fisico

- caratteristiche e connotazioni fisiche; età

22,5

49, I

39,9

Me attivo

-

capacità/incapacità attività extra-studio attività studio livello di attività autonomia, libertà comportamenti positivi/negativi

6,8 3,6 I 3, I 47,3 I 2,6 5,4

I 3,5 3,6 2,7 29,7 28,4 I ,9

6, I 4,2 0,9 36,2 32,0 2,3

relazioni con . . . relazioni di aiuto soddisfazione/insoddisfazione relazionale appartenenza a cat. di crescita, di genere ecc. impegno nel sociale studente/laureato professione: psicologo altra professione, disoccupato benestante, ricco ruoli familiari (moglie, madre ecc.)

23,9 8, I 25,7 I 4,0 8, I 3 I,5 I,8 3,2 0,9 9,0

24,8 3I , I 49,5 7,7 I2,6 3 I ,6 53,7 22,6 26, I I I 8,o

28,6 I 5,0 I 9,7 9,3 I 7,8 36, I 47,4 3 I ,9 7,5 I o8,5

- tratti relazionali Me 83,8 psicologico - preferenze, interessi, scopi, desideri, filosofie 4 I , I - aspetti emotivi I I 4,4 - tratti personali 229,3 5 I ,8 - capacità intellettive - crisi I34,2 - autorealizzazione 30,2 37,9 - crescita, essere se stessi 5,0 - tratti determinati da fattori esterni, fortuna 964,9

36,o 20,3 85, I 92,3 28,8 5,4 I o8,6 60,4 I ,4 944,6

42,7 I 8,7 69,5 I05,2 22,5 3I,9 67,6 76,7 2,3 882,2

2. I 42

2.097

!.879

222

222

2I3

Me sociale -

Totale risposte Casi validi

dente può essere particolarmente importante per un dato soggetto, ma del tutto periferica e poco articolata o addirittura irrilevante per un altro. Dovrebbe a questo punto essere chiaro che, secondo questa pro­ spettiva di studi, le informazioni sulla base delle quali il concetto di sé viene costruito derivano soprattutto dai dati di esperienza che ven29

SÉ E IDENTITÀ

gono ri-elaborati attraverso processi di tipo inferenziale. Secondo Markus, Nurius ( r 986, p. 1 5 8 ) , «gli schemi di sé sono generalizzazio­ ni circa il sé che derivano dalle esperienze passate e che, una volta organizzate in memoria, aiutano le persone ad integrare e spiegare il proprio comportamento». Alcune di queste strutture di conoscenza possono essere legate a sentimenti, pensieri, attributi individuali; altre possono derivare dalla collocazione degli individui all'interno della struttura sociale; altre ancora possono configurarsi come l'esito di " costruzioni creative e selettive" legate ad anticipazioni di possibili stati futuri. «Gli schemi di sé definiscono quindi un sé passato e pre­ sente, ma, cosa più importante, definiscono un futuro, un sé possibi­ le» (ivi, p. 1 5 9 ) . Kihlstrom, Cantor ( r 984) e Kihlstrom et al. ( r 988) distinguono due diversi tipi di rappresentazioni di sé: quelle basate sui significati e quelle basate sulla percezione. Le prime vengono definite come strut­ ture di conoscenza - paragonabili agli schemi di sé - che derivano da processi di astrazione e generalizzazione delle informazioni che ri­ guardano il soggetto (conoscenza semantica) . Le rappresentazioni ba­ sate sulla percezione sono invece considerate più concrete in quanto più direttamente legate alle esperienze, ai pensieri ed alle azioni. La stessa elaborazione delle informazioni implicate nella formazione di questo ultimo tipo di rappresentazioni è d'altra parte attribuita agli organi della percezione sensoriale. A non tutte le rappresentazioni o schemi che compongono il sé può essere quindi riconosciuta la stessa natura. Come abbiamo già in parte sottolineato, alcune di queste rappresentazioni possono essere più importanti e centrali di altre ed essere quindi più organizzate, fa­ cilmente accessibili e recuperabili dall'insieme delle conoscenze auto­ riferite disponibili in memoria. Alcune possono basarsi su conoscenze procedurali, altre su conoscenze semantiche o episodiche (Kihlstrom et al. , 1 98 8 ) . Inoltre, come vedremo in seguito, le rappresentazioni di sé possono differenziarsi a seconda della dimensione temporale o di realtà privilegiata (cfr. PAR. r . r .4) ed essere positive o negative. Per quanto riguarda quest'ultima differenziazione (schemi di sé positivi e negativi, vorremmo sottolineare che la maggior parte degli studi sulle immagini negative di sé è stata condotta su campioni di soggetti depressi. Uno dei principali risultati suggeriti da queste ricer­ che (cfr. ad esempio quelle di Kuiper, Derry, r 98 r ) è che le persone clinicamente depresse siano inclini ad elaborare le informazioni ri­ guardanti il sé in modo tendenzioso a causa di strutture di conoscen­ ze o schemi di sé organizzati principalmente attorno a contenuti ne­ gativi. Poca attenzione è stata invece dedicata alle immagini negative

I . APPROCCI COGNITIVI

riscontrabili nei soggetti sani. Wurf, Markus ( 1 983 ) hanno a questo proposito dimostrato che anche soggetti clinicamente non depressi sono in grado di articolare immagini di sé negative e di considerarle come aspetti importanti della definizione di sé, senza che tuttavia questo incida in maniera rilevante e negativa sulla loro autostima. Come mostrano anche i risultati della ricerca sugli studenti di psico­ logia alla quale abbiamo fatto più sopra riferimento (TAB. I.I ) , le rap­ presentazioni negative di sé risultano in particolare più frequenti in quei momenti dell'esistenza umana caratterizzati da importanti cam­ biamenti. In questo senso, e come suggeriscono Wurf, Markus ( 1 983 ) , gli schemi di sé negativi possono anche essere considerati come catalizzatori dei processi di cambiamento che investono il con­ cetto di sé. Per quanto riguarda le funzioni più prettamente cogniti­ ve, la letteratura sull'argomento (Fiske, Taylor, 1 99 ! ) mostra infine che gli schemi di sé negativi funzionano diversamente dagli schemi di sé positivi. Mentre chi possiede uno schema di sé positivo identifica più facilmente i tratti che lo caratterizzano rispetto a quelli che inve­ ce non gli sono propri, chi possiede uno schema di sé negativo tende a riconoscere con maggiore facilità i tratti che non lo caratterizzano, mentre ha maggiori difficoltà nel riconoscere quelli che possiede. I. I. 3. Le fonti della conoscenza di sé

Quali sono quindi, secondo gli autori che si collocano in questa pro­ spettiva teorica ed empirica, le principali fonti di conoscenza del sé? La prima è senza ombra di dubbio rappresentata dal proprio comportamento. Le persone arrivano cioè a conoscere chi realmente sono soprattutto osservando il modo in cui si comportano nei diversi contesti della loro vita quotidiana. Un'idea, quest'ultima, che trova ri­ scontro nella teoria dell'autopercezione di Darryl Bem ( 1 967 ) . Secon­ do Bem, questa fonte della conoscenza di sé viene utilizzata soprat­ tutto per gli aspetti più secondari, meno importanti del sé e quando le altre fonti di informazione sono insufficienti e ambigue. Si possono inferire i propri sentimenti dal comportamento, quando ad esempio non si è certi delle proprie credenze, atteggiamenti e preferenze per­ sonali. Si può ricorrere a questo tipo di inferenza, anche quando le pressioni esterne impongono una certa urgenza. Le inferenze che si traggono dalle proprie azioni riguardano soprattutto i comportamenti liberamente scelti, cioè guidati da una motivazione intrinseca. I com­ portamenti strumentali al conseguimento di una ricompensa esterna, invece, non possono essere di molta utilità per dedurre le proprie

SÉ E IDENTITÀ

abilità proprio perché governati da una motivazione estrinseca (Deci, I 975 ) . Una parte più rilevante e centrale della conoscenza di s é deriva tuttavia dalle inferenze che le persone fanno sui propri stati psicologi­ ci interni, sulle proprie cognizioni, emozioni e motivazioni. Secondo Andersen, Ross ( I 984 ) , queste inferenze sono maggiormente in grado di fornire informazioni su se stessi di quanto non lo siano gli indizi che derivano dall'osservazione dei propri comportamenti. Infatti, i pensieri e i sentimenti, diversamente dalle azioni, difficilmente posso­ no essere modificati o controllati dai soggetti. Essi sono piuttosto «espressioni spontanee del sé», fonti di conoscenza che vengono vis­ sute come interne, come «inestricabilmente legate al vero processo di esame del sé» (ivi, p. 2 82 ) . I risultati delle ricerche condotte da questi autori mostrano che i pensieri e i sentimenti hanno una capacità dia­ gnostica superiore a quella derivante dai comportamenti oggettiva­ mente osservati sia rispetto alla conoscenza di sé, sia in relazione alla conoscenza degli altri (Andersen, Ross, I 9 84; Andersen, I 984) . Una conclusione, questa, che può almeno in parte spiegare perché, nei compiti di descrizione di sé, i soggetti tendono ad un ampio uso dei termini che descrivono gli stati psicologici interni e ad un meno fre­ quente ricorso ad attributi legati ai loro comportamenti e alle loro attività. Le descrizioni di sé fornite dai 223 studenti di psicologia in­ tervistati nella ricerca più sopra presentata (cfr. nota I ) e i risultati di un'indagine condotta su ragazzi di età compresa tra gli I I e i I 4 anni 2 ci permettono tuttavia anche d i precisare che l e persone arriva­ no a conoscere qualcosa di sé non soltanto attraverso l'osservazione del proprio comportamento e le inferenze che traggono dai propri stati psicologici interni, ma anche attraverso la percezione dell'am­ biente e attraverso il confronto e l'interazione con gli altri. Pur non negando l'importanza degli effetti provocati dalle reazio­ ni degli altri e di quelli derivanti dal confronto e dall'interazione so­ ciale (Markus , Wurf, I 987 ) , il filone di studi sulla cognizione sociale solo raramente arriva a considerare tali fonti come variabili esplicative della conoscenza di sé. Come vedremo successivamente (cfr. CAP . 2 ) , le origini sociali del sé sono state più ampiamente analizzate all'inter-

2. La ricerca alla quale si fa riferimento è stata condotta su un campione di 207 ragazzi ( r 1 2 ) e ragazze (9 5) frequentanti alcune scuole (medie) della provincia mode­ nese. Obiettivo della ricerca era quello di rilevare in che misura e secondo quali mo­ dalità le appartenenze etniche e di genere incidono sulla ridefinizione del sé in età preadolescenziale. I dati ai quali si fa qui riferimento riguardano le risposte fornite al " Chi sei tu? " (per approfondimenti cfr. Varvaro, 1 999; Mancini, Secchiaroli, 1 9 9 8 ) .

32

I . APPROCCI COGNITIVI

no di altre prospettive (dall'interazionismo simbolico all'ambito degli studi sull'identità sociale) . Un aspetto a cui gli studi sulla cognizione sociale hanno invece rivolto un'attenzione particolare è quello della conoscenza di sé derivante dai processi di comparazione fra stati reali ed ipotetici del sé. I. 1 .4. Gli stati ipotetici del sé

La letteratura mostra come sia ormai largamente condivisa la conside­ razione secondo cui i sistemi di conoscenze che le persone possiedo­ no ed utilizzano quando pensano o descrivono se stesse non riguar­ dano soltanto le caratteristiche che esse ritengono di possedere al mo­ mento attuale, ma anche stati ipotetici del sé proiettati nel futuro. Tali stati vengono definiti come sé possibili (Markus, Nurius, 1 986) . Con questa espressione ci si riferisce in particolare alle rappresenta­ zioni cognitive che le persone costruiscono riguardo a ciò che esse possono, vogliono o temono di diventare (Markus, Wurf, 19 87; Cross, Markus, 1 99 ! ) . Alcune di queste rappresentazioni possono ri­ guardare la realizzazione di obiettivi ai quali le persone aspirano (sé desiderati) , altre possono essere invece legate a possibili timori più o meno fondati (sé temuti) . Nel descriversi le persone possono tuttavia anche rappresentarsi nei termini di come vorrebbero essere (sé ideale) o di come dovrebbero essere (sé normativa o imperativo; Higgins, Klein, Strauman, 1 987 ) . In quanto «manifestazioni cognitive degli scopi, delle aspettative, delle paure, dei bisogni e delle minacce» (Markus, Wurf, 1 987, p. 1 5 8 ) , i sé possibili (desiderati e temuti) vengono considerati come mediatori dell'esperienza. Il ruolo che viene loro riconosciuto è quel­ lo di fungere da incentivi, da motori o da guida delle azioni rivolte al conseguimento di uno scopo, vista soprattutto l'opportunità che of­ frono all'individuo di " simulare" ruoli o eventi associati al sé deside­ rato o al sé temuto. Agendo sulla motivazione, i sé possibili assolvono cioè alla funzione di promuovere comportamenti atti a ridurre (nel caso che il confronto riguardi i sé desiderati) o ad aumentare (nel caso invece che il confronto riguardi i sé temuti) le discrepanze per­ cepite tra il sé attuale e quello possibile (futuro). Proprio in virtù di questo processo di confronto con il sé attuale e della percezione di discrepanza rispetto a quello desiderato o temuto, i sé possibili assol­ vono anche la funzione di fornire un contesto valutativo ed interpre­ tativo del sé attuale che può, in qualche misura, facilitare un rafforza­ mento (affermazione o difesa) dell'Io (Cross, Markus, 1 99 1 ) . Per rendere più chiari questi concetti, vorremmo ancora una volta 33

SÉ E IDENTITÀ

accennare alle rappresentazioni di sé fornite dagli studenti di Psicolo­ gia. In queste ricerche (Ceci, Mancini, 1 999; Fruggeri, Mancini, Ceci, 2ooo), le dimensioni possibili del sé sono state rilevate chiedendo ai soggetti di descrivere chi avrebbero desiderato di essere in futuro. Le risposte fornite lasciano emergere che ciò a cui questi soggetti sopra t­ tutto aspirano è " avere una famiglia " , " un buon lavoro " e " sentirsi personalmente e professionalmente realizzati " . L'ottimismo con cui essi tendono a connotare le rappresentazioni dei loro sé possibili de­ siderati risulta in parte attenuato quando si considerano le rappre­ sentazioni di sé che gli stessi soggetti immaginano più realisticamente concretizzate. È in risposta a questo interrogativo che gli studenti più esplicitamente manifestano i propri timori, legati soprattutto ad una mancata realizzazione in ambito lavorativo. Con riferimento alla pre­ messa teorica sopra descritta, potremmo ipotizzare che questi sé sia­ no in grado di direzionare e favorire il raggiungimento degli obiettivi prefigurati da questi soggetti (ad esempio quello di conseguire la lau­ rea in Psicologia, di adoperarsi per fare tutto ciò che è necessario ad intraprendere la professione di psicologo ecc.) e nello stesso tempo li mettano nella condizione di valutare il proprio sé attuale ( '' sono sod­ disfatto di me stesso perché sto impegnandomi seriamente per diven­ tare un bravo psicologo " ) . Come suggeriscono le stesse Cross, Mar­ kus ( r 99 r ) , affinché i sé possibili siano in grado di guidare il compor­ tamento verso i sé desiderati e lontano dai sé temuti, è necessario che essi sintetizzino prospettive rilevanti per il sé, che siano chiari, vicini al sé attuale e di ragionevole difficoltà. Nel formulare queste precisazioni le autrici appena citate fanno riferimento ad una ricerca da loro stesse condotta su un campione di soggetti in età compresa tra i r 8 e gli 86 anni 3 • Assumendo una pro­ spettiva evolutiva, Cross e Markus hanno rilevato che i sé possibili sono presenti nella rappresentazione di sé dei soggetti di ogni età. Al­ cune differenze distinguono tuttavia i più giovani dai più anziani. Nei loro sé desiderati, i soggetti più giovani attribuiscono maggiore im­ portanza alle proprie caratteristiche fisiche e alle prospettive occupa­ zionali. Quelli più anziani allo stile di vita. Alcune differenze rilevanti

3· Lo scopo della ricerca era quello di esaminare la natura dei sé possibili lungo l'intero arco della vita. A questo scopo il campione è stato diviso in quattro gruppi di età: r 8-24 (n. 69), 25 -39 (n. 43 ) , 40-59 (n. 30) e più di 6o anni (n. 3 1 ). l soggetti hanno compilato un questionario che comprendeva: la libera indicazione dei sé desiderati e temuti; la capacità di realizzare i due aspetti del sé indicati come più importanti; una scala sulla stima di sé (Rosenberg Self-esteem Scale; Rosenberg, I 9 65 ) ed altre misure sintetiche (cfr. Cross, Markus, I 99 I ) . =

=

=

34

=

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sono state riscontrate anche a proposito dei sé temuti: mentre per i più giovani gli ambiti maggiormente implicati sono quello lavorativo e quello familiare, per i più anziani i timori sono per lo più legati ai cambiamenti fisici e di stile di vita. Il numero dei sé possibili deside­ rati e temuti diminuisce inoltre progressivamente con l'età, così come in funzione di quest'ultima varia anche l'importanza attribuita ad al­ cuni aspetti piuttosto che ad altri. Ma il risultato più interessante è forse quello relativo ai maggiori livelli di discrepanza rispetto alle ca­ ratteristiche del sé attuale, riscontrati dalle autrici nei soggetti più giovani. Questo dato coincide con quanto altre ricerche hanno rileva­ to a proposito del modo in cui si strutturano le rappresentazioni di sé nel corso dell'adolescenza (cfr. PAR. 1 . 3 ) . Rispetto ai risultati della ricerca di Cross, Markus ( I 99 I ) , vorrem­ m o comunque porre l'accento sulla relazione inversa tra livelli di di­ screpanza emersi dal confronto sé possibili/sé attuali e ruolo motiva­ zionale degli stessi. Nel campione studiato erano infatti proprio i sog­ getti più anziani che, esprimendo contenuti più vicini al sé attuale, si mostravano maggiormente in grado di prendere in considerazione un numero più alto di azioni e di strategie necessarie per raggiungere lo stato desiderato o allontanarsi da quello indesiderato. Come sottoli­ neano le autrici, le discrepanze che le persone percepiscono tra le ca­ ratteristiche che esse pensano di possedere e quelle che desiderereb­ bero avere non sono quindi sempre in grado di svolgere funzioni mo­ tivazionali, di spingere cioè le persone verso il raggiungimento delle proprie mete, ma possono anche avere conseguenze negative sulla sti­ ma di sé e sul livello di soddisfazione personale. Questo può soprat­ tutto accadere quando i sé possibili non sono chiari, vicini al sé at­ tuale e quindi difficili da raggiungere; quando le discrepanze tra sé attuali e sé possibili diventano prolungate e tendono a cronicizzarsi. Le ricerche condotte da Higgins ( I 989) e Higgins, Klein, Strau­ man ( ! 985 , I 987) hanno dimostrato che i sentimenti negativi generati dalle contraddizioni che le persone percepiscono tra le varie dimen­ sioni del sé possono essere di natura diversa a seconda del tipo di conflitto che le ha generate. Quando il conflitto è prodotto da un'in­ congruenza tra ciò che le persone pensano di essere (sé effettivo) e ciò che esse desiderano idealmente essere (sé ideale) , i sintomi disa­ dattivi possono soprattutto manifestarsi attraverso sentimenti di de­ pressione, di insoddisfazione e di abbattimento. Una discrepanza tra sé effettivo e sé imperativo (ciò che le persone ritengono di dover es­ sere, magari per non deludere le aspettative degli altri significativi) può invece generare più frequenti sentimenti di paura, di minaccia e di agitazione. 35

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Secondo altri autori (Cantor et al. , 1 987) un altro elemento che va tenuto in debita considerazione per prevedere gli effetti delle discre­ panze tra le diverse dimensioni del sé è quello dell'importanza e della valutazione (positiva o negativa) del compito al quale tale discrepanza si riferisce. Basandosi sui risultati di uno studio longitudinale 4 , questi autori arrivano a constatare che è soprattutto nei domini considerati come "minacciosi" che la discrepanza tra sé attuale e sé ideale produ­ ce conseguenze negative (misurate in termini di stress e percezione di difficoltà) , mentre in quelli valutati positivamente assolve funzioni motivazionali (misurate in termini di capacità di prendere iniziative che conducono ad esiti positivi) . Gli ambiti presi in considerazione sono quelli legati ai " compiti della vita" che generalmente assumono importanza e centralità nel momento di passaggio dalla scuola supe­ riore al college: i compiti accademici o strumentali e quelli sociali. Come emerge dai risultati, soltanto i primi vengono vissuti dai sog­ getti come difficili e minacciosi e soltanto in questo caso la discre­ panza tra la propria immagine attuale e quella ideale produce conse-

4· Lo studio è stato realizzato longitudinalmente su un campione centrale di I 47 soggetti iscritti al college. Gli obiettivi principali erano quelli di : a) rilevare i processi attraverso i quali gli studenti fanno fronte all'importante cam­ biamento rappresentato dal passaggio dall'high school alla vita del college e, in parti­ colare, ai compiti strumentali (legati alla preparazione accademica) e ai compiti legati alla vita sociale tipici dell'esperienza del college e nuovi rispetto alle esperienze scola­ stiche precedenti; b) individuare le strategie che essi attivano per farvi fronte; c) rilevare in quale misura le discrepanze tra i loro sé effettivi ed ideali incidono sul benessere psicologico. La ricerca, durata tre anni, ha utilizzato strumenti diversi: que­ stionari strutturati, interviste in profondità, interviste telefoniche. I dati ai quali si farà riferimento in questa sede riguardano le risposte fornite prevalentemente attraverso la compilazione dei due questionari somministrati all'inizio del primo anno di college e alla fine del primo semestre. Nel primo questionario, semi-strutturato, i soggetti dove­ vano: fornite Io descrizioni di sé come studente e Io di sé come studente ideale; elen­ care i compiti che essi associavano alla loro nuova vita nel college, classificare tali compiti in 6 diverse categorie (delle quali tre legate ai compiti strutturali e tre ai com ­ piti sociali) ; valutare attraverso scale a I I punti le categorie costruite su dieci dimen­ sioni (importanza, difficoltà, controllo, stress, cambiamento, tempo impiegato ecc.) ; indicare i piani di azione che avrebbero previsto di attuare per far fronte a 6 ipoteti­ che situazioni (due rappresentative di un compito strumentale, due di un compito in­ terpersonale e quattro di entrambe); compilare una scala di ottimismo/pessimismo di­ fensivo. TI secondo questionario, somministrato alla fine del primo semestre di college, comprendeva una valutazione oggettiva (media dei voti ottenuti) e soggettiva (media dei voti che si aspettavano di ottenere) del proprio rendimento, dei progressi compiu­ ti nei due ambiti considerati (compiti strumentali e sociali) e dello stress percepito. I risultati più significativi di questa ricerca verranno commentati nei prossimi para­ grafi.

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guenze negative. In una ricerca sui sé possibili legati allo schema cor­ poreo, Marsh ( I 999) giunge a risultati analoghi, dimostrando che l' ef­ fetto delle discrepanze tra le dimensioni attuali e quelle ideali del sé dipende dall'importanza attribuita a tale schema nel più generale con­ cetto di sé. Seguendo queste premesse, la ricerca condotta sugli studenti di Psicologia (cfr. nota I) muove dall'ipotesi che le discrepanze percepi­ te da questi soggetti tra la rappresentazione attuale di sé e quella ideale-futura possa avere implicazioni sul concetto di sé e, più in par­ ticolare, possa in alcuni casi costituire fonte di preoccupazione ed es­ sere sperimentata come una minaccia all'identità positiva. Questo sembrerebbe plausibile soprattutto per quegli studenti che, conside­ rando la scelta universitaria come importante e centrale nel concetto che hanno di se stessi, non trovano riscontro a questa importanza nelle loro prestazioni. Attraverso una più mirata analisi lessi cale 5 , le risposte fornite dai soggetti che hanno avuto modo di descriversi an­ che in termini di "studenti di Psicologia " e di "futuri psicologi " , rile­ vano che coloro che mostrano di possedere immagini più confuse di " sé in quanto studenti " sono anche quelli che appaiono più confusi e lontani dalle caratteristiche che il " sé di psicologo futuro " dovrebbe avere (Ceci, Mancini, I 999) . Secondo gli studi di Higgins ( I 989) e Higgins, Klein, Strauman ( I 985 ) , la discrepanza percepita tra le pro­ prie attitudini e prestazioni attuali e il desiderio/aspettativa di diven­ tare uno psicologo professionista (sé ideale) potrebbe generare in al­ cuni di questi studenti sentimenti di abbattimento, di insoddisfazione e di crisi, o stati di agitazione e di ansia nei casi in cui sono le attese degli altri significativi ad essere deluse (sé normativo) . Sentimenti che gli stessi soggetti non esitano d'altro canto ad esplicitare nel descrive­ re chi essi sono (cfr. TAB. r. I ) . Questa conclusione non può tuttavia prescindere dalla constata­ zione che i sé possibili sono soggetti a cambiamenti nel corso della vita umana, cambiamenti che possono essere visti come funzionali o al servizio della protezione e del mantenimento di un concetto positi­ vo di sé (Cross, Markus, I 99 I ) . Le persone possono quindi modifica­ re il contenuto dei propri sé possibili ed evitare così che discrepanze prolungate e croniche tra sé reali e sé possibili in ambiti importanti e

5 . In questo caso le risposte fornite dagli 86 soggetti sono state lemmatizzate e sottoposte all'Analisi delle Corrispondenze Lessicali Multiple (Amaturo, 1 9 89). Del­ l' applicazione di tale procedura alle risposte fornite al " Chi sei tu? " , parleremo più ampiamente nel CAP. 5 .

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nuovi della propria esistenza possano generare sentimenti di insoddi­ sfazione e sintomi disadattivi. I . I . 5 . Il sé operativo e la dinamica del concetto di sé Le teorie e le ricerche che si muovono all'interno della prospettiva cognitiva concordano nel considerare la conoscenza di sé come molto vasta ed articolata. Il concetto di sé viene visto come una costellazio­ ne di rappresentazioni di sé di natura diversa. «Le rappresentazioni di sé possono essere cognitive e/o affettive; possono essere espresse verbalmente, sotto forma di immagini, attraverso il sistema neurologi­ co e sensomotorio; possono rappresentare il sé passato e futuro, così come il sé nella dimensione del presente [ . . . ] . Alcune sono organizza­ te in strutture di conoscenza ben elaborate [ . . . ] . Altre sono più prov­ visorie» (Markus, Wurf, I 987, p. 3 07 ) . Secondo questa impostazione teorica, ogni informazione autorife­ rita (concezione di sé) e ogni sistema di conoscenze costruito in rife­ rimento a particolari aspetti o ambiti dell'esistenza (schemi o rappre­ sentazioni di sé) vengono considerati come un contributo che incre­ menta il patrimonio mnestico. Non tutti gli elementi che vengono de­ positati in memoria possiedono tuttavia stabili legami con il sé, sono cioè costantemente e simultaneamente presenti alla consapevolezza del soggetto. Alcuni di questi possono però, in particolari circostanze, diventare accessibili, entrare in collegamento con la struttura centrale ed emergere così come tratti autodescrittivi o come fattori regolatori del comportamento. Secondo Kihlstrom et al. ( I 98 8 , p. I48), «in ter­ mini strutturali il sé come oggetto è una struttura di conoscenze di tipo dichiarativo che risiede nella memoria operativa», in quella parte cioè della memoria non processuale che contiene le rappresentazioni di sé, dei propri scopi e dei propri desideri, che vengono attivate in un dato momento. Per spiegare in che modo e quali costellazioni di rappresentazioni di sé diventano presenti alla consapevolezza del soggetto in un dato momento, Markus, Nurius ( I 986) ricorrono alla nozione di sé operati­ vo (working sel/-concept) . Con tale nozione viene in particolare indi­ cata «quella costellazione di concezioni di sé che sono accessibili al pensiero e alla memoria in un dato momento» (ivi, p. I 63 ) . Secondo queste autrici, l'attivazione di una determinata costellazione dipende da fattori diversi: a) dalla disponibilità dei concetti di sé già presenti in memoria, vale a dire dai contenuti delle precedenti costellazioni di rappresentazioni di sé;

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b) dalle caratteristiche della situazione sociale e cioè dalle richieste e dalle aspettative sociali per far fronte alle quali i soggetti attivano, modulano determinate costellazioni di concezioni di sé; c) dallo stato motivazionale in cui si trova il soggetto, ad esempio dal suo proposito di arrivare ad un sé desiderato o di evitare un sé temuto. È quindi in relazione alle caratteristiche della situazione e alle esperienze precedenti del soggetto che alcuni aspetti delle conoscenze di sé diventano importanti e oggetto di riflessione consapevole, men­ tre altri rimangono sullo sfondo pronti ad essere attivati se le situa­ zioni lo richiedessero. Alcuni studi (Markus, Kunda, 1 986; Nurius, Markus, 1 990) hanno messo in evidenza che nel rispondere ad una domanda come quella del " Chi sei tu? " , i soggetti tendono a dare maggior rilievo e a focalizzarsi di più su quegli aspetti del sé che sono distintivi della situazione sociale specifica in cui si trovano. Chiedendo ad alcuni soggetti di indicare quali di una serie di tratti (simpatico, sicuro, ammirato ecc.) considerano descrittivi della rap­ presentazione che essi avevano di se stessi nel presente, nel futuro desiderato e in quello probabile, Nurius, Markus ( 1 994) hanno in particolare rilevato che tali rappresentazioni variavano in funzione delle diverse condizioni sperimentali. I soggetti che avevano immagi­ nato di ascoltare una conversazione in cui due interlocutori si accin­ gevano ad invitare il soggetto ad una festa (condizione di accettazio­ ne) e quelli che dovevano immaginare di avere una normale conversa­ zione con un amico (gruppo di controllo) giudicavano il proprio sé attuale e futuro (desiderato e possibile) in termini più positivi di quanto non facessero i soggetti che avevano immaginato una conver­ sazione durante la quale i due interlocutori li escludevano deliberata­ mente dalla festa (condizione di rifiuto) . Risultati analoghi sono stati ottenuti in un'altra ricerca nella quale i soggetti dovevano eseguire diverse prove autodescrittive dopo essere stati indotti a sentirsi rispet­ tivamente unici ed originali, oppure del tutto simili agli altri presenti (Markus, Kunda, 1 986). I soggetti " unici" tendevano a valorizzare gli aspetti di somiglianza con gli altri, mentre i soggetti "simili " metteva­ no in risalto la loro originalità. Come sottolineano diversi autori (Markus, Wurf, 1 9 87 ; Arcuri, Maass, I 99 5 ) , il sé operativo non viene tuttavia attivato solo in fun­ zione delle pressioni provenienti dall'ambiente, ma anche dello stato motivazionale in cui il soggetto si trova. Quest'ultimo può consistere nel desiderio di conservare una immagine positiva di sé (self-enhance­ ment) , di mantenere un senso di coerenza e di continuità (self-consi­ stency) , di cambiare e/o rafforzare il proprio sé (self-actualisation ) o, 39

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più in generale, di rispondere a qualsiasi altro bisogno riferito al sé. Il modo in cui le persone presentano il proprio sé non viene quindi considerato come unicamente determinato dagli stimoli salienti in una determinata situazione. Ad esse è infatti riconosciuta anche la possibi­ lità di decidere, in modo più o meno consapevole, quali particolari schemi di sé o costellazioni di schemi di sé attivare in risposta a si­ tuazioni specifiche. Queste considerazioni ci introducono al modo in cui gli studi co­ gnitivi affrontano il problema della fluidità vs rigidità del concetto di sé. Con la nozione di sé operativo, la Markus e le sue collaboratrici sostengono l'ipotesi di un concetto di sé fluido che tende a fluttuare in funzione degli aspetti resi attivi dalla situazione sociale. Nello stes­ so tempo però, queste autrici ipotizzano anche l'esistenza di un nu­ cleo concettuale stabile, formato da strutture di conoscenza delle quali le persone sono consapevoli per la maggior parte del tempo. Questo "nucleo " rappresenta una sorta di punto di riferimento che garantisce un senso di continuità e di identità, almeno a quelle perso­ ne che, avendo stabilizzato una identità sociale e personale, sono in grado di distinguere gli aspetti permanenti da quelli mutevoli delle loro concezioni di sé (Arcuri, Maass, I 995 ) . Markus, Wurf ( I 987) suggeriscono quindi di distinguere i cambiamenti temporanei che di­ pendono dalla costellazione di schemi di sé resi salienti e accessibili alla memoria del soggetto in un dato momento o situazione, da quelli più durevoli che investono gli schemi di sé e che possono essere de­ terminati dall'acquisizione di nuove conoscenze o da cambiamenti nelle relazioni o nei significati attribuiti alle rappresentazioni di sé. La FIG . I .2 riproduce la rappresentazione della dinamica del con­ cetto di sé secondo Markus, Wurf ( I 9 87 ) . Come si può vedere, il concetto di sé è composto da un insieme di schemi, di prototipi, di sé possibili, di script, di standard e di strategie, che fanno parte del sistema cognitivo-affettivo della persona. Il sé operativo è a sua volta costituito da quella costellazione di rappresentazioni di sé che diven­ tano accessibili in un dato momento. I comportamenti che una perso­ na mette in atto in una particolare situazione sono guidati e regolati da questa costellazione di rappresentazioni di sé, che a sua volta può essere modificata dai comportamenti da essa stessa direzionati. Come queste autrici sottolineano, «il sé operativo rappresenta non soltanto il presupposto a partire dal quale le azioni individuali vengono messe in atto, ma anche la base per l'osservazione, il giudizio e la valutazio­ ne di queste azioni» (ivi, p. 3 I 5 ) . Al sé operativo viene in particolare riconosciuta la funzione di controllare ed influenzare l'andamento di due principali processi rispetto ai quali il sé operativo svolge un ruo-

I . APPROCCI COGNITIVI

F I G U RA I . 2

L a dinamica del concetto d i s é secondo Markus e Wurf AMBIENTE SOCIALE PERSONA SISTEMA COGNITIVO-AFFETTIVO COMPORTAMENTO 1:\'TRA PERSO:\'ALE

CONCETTO DI SÉ

COMPORTAMENTO INTER-PERSONALE

OPERATIVO Fonte: Markus, Wurf ( r 987, p.

3 1 5), trad. autore.

lo di mediazione: da un lato quelli di tipo intraindividuale, che ri­ guardano ad esempio l'elaborazione delle informazioni e la regolazio­ ne degli stati affettivi; dall'altro i processi di tipo interpersonale, quali ad esempio la percezione sociale o le strategie di interazione. In questo senso i comportamenti che le persone mettono in atto o che hanno intenzione di mettere in atto, così come i loro pensieri e le loro emozioni, risultano quindi influenzati e modellati dalle concezio­ ni che esse elaborano a proposito di se stesse. Una volta organizzate nella memoria, queste strutture di conoscenza funzionano cioè come "schemi " . A tali conoscenze viene infatti riconosciuto il compito di: guidare i processi di selezione, elaborazione ed organizzazione delle informazioni che riguardano non solo se stessi, ma anche gli altri; aiutare le persone ad integrare e spiegare il proprio comporta­ mento, a disporre di una guida per l'azione. Un saldo concetto di sé è quindi destinato a regolare molti aspetti

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della vita delle persone, con ripercussioni sui pensieri, sulle emozioni e sulle azioni. 1 .2

Le caratteristiche funzionali del sé

Quanto è stato appena sottolineato a proposito della funzione di " sche­ ma" riconosciuta al sé, costituisce una premessa particolarmente utile ad introdurre il tema delle ulteriori e più specifiche funzioni che il sé può esser chiamato a svolgere nella vita delle persone. Accanto allo stu­ dio di come il sé si forma e di come le rispettive conoscenze vengono organizzate in memoria, tale tema risulta infatti particolarmente centra­ le nella letteratura ispirata alla Social Cognition. Come si è cercato di evidenziare nei precedenti paragrafi, le teorie riguardanti la formazione del sé tendono soprattutto a focalizzarsi sul sé come oggetto della conoscenza (Me) e su quanto può esser altret­ tanto " oggettivamente " conosciuto di esso. Negli studi che analizzano il funzionamento del sé nella vita quotidiana, emerge invece più chia­ ramente la considerazione del ruolo che l'approccio cognitivista rico­ nosce al soggetto (Io). Come sottolineano Kihlstrom et al. ( 1 98 8 , p. 1 66) «il sé come oggetto - il deposito di attributi ed immagini che rappresentano i sé passati, presenti e futuri - fornisce il data base per le operazioni del sé come agente. Il sé come oggetto è la struttura che (in condizioni normali) deve essere ben costruita, protetta dalle minacce e percepita come coerente». Da ciò deriva quindi che per costruire, difendere, proteggere o consolidare una certa immagine di sé, le persone attiveranno strategie non solo cognitive, ma anche emo­ tive elo comportamentali. Considerando i modelli teorici e le verifiche empiriche concernen­ ti lo studio delle caratteristiche funzionali del sé, una distinzione che può essere tracciata è quella basata sull'attenzione rispettivamente ri­ volta ai processi di elaborazione dell'informazione e a quelli implicati nell'azione. Mentre nel primo caso la funzione attribuita al sé è cioè quella di filtrare le informazioni e di facilitare le relative elaborazioni (sé come schema anticipatorio), nel secondo è invece quella di mediare il comportamento (sé come regolatore del comportamento) . 1 .2 . 1 . Il sé come schema anticipatorio Secondo quanto evidenziato dalla vasta letteratura sul tema (per alcu­ ne rassegne cfr. Markus, Wurf, 1 9 87; Kihlstrom, Cantor, 1 9 84; Kihl­ strom et al. , 1 9 88; Fiske, Taylor, 1 99 1 ) , molteplici sono gli aspetti del

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processo di elaborazione dell'informazione su cui può incidere il con­ cetto di sé. Numerose ricerche hanno dimostrato che le persone sono partico­ larmente sensibili agli stimoli che considerano rilevanti per il concetto che hanno di sé. Esse tendono ad esempio a distrarsi se alcuni tratti autodescrittivi vengono introdotti come disturbo nell'esecuzione di un compito sperimentale in cui devono ricordare coppie di parole presentate in successione (Bargh, 1 98 2 ) o a mostrare una spiccata preferenza per le lettere contenute nel proprio nome se devono sce­ gliere, nel minor tempo possibile, tra le due lettere di ciascuna delle coppie presentate in sequenza (Nuttin, 1 9 85 ) . Le informazioni congruenti con l'immagine che le persone hanno di se stesse risultano elaborate più velocemente e con maggiore facili­ tà di quelle non congruenti. Analizzando il ruolo degli schemi di sé nell'acquisizione e nel ricordo delle informazioni autoriferite, Markus ( 1 977) ha tra l'altro dimostrato che gli schemi di sé facilitano il recu­ pero delle informazioni ad essi legate. Dopo aver diviso i suoi sogget­ ti sperimentali in tre gruppi - " dipendenti " , "in dipendenti" e " asche­ matici" rispetto alla dimensione autodescrittiva della dipendenza-indi­ pendenza - ella notò che schematici e aschematici si comportavano in modo molto diverso in relazione a compiti sperimentali collegati al tema della dipendenza-indipendenza. Gli schematici consideravano come caratteristiche autodescrittive un numero significativamente maggiore di tratti coerenti con il proprio schema; impiegavano meno tempo a riconoscere i tratti congruenti con il proprio schema e più tempo per decidere se tratti incoerenti potessero descriverli. Essi for­ nivano inoltre un numero significativamente maggiore di esempi per­ tinenti con il proprio schema (comportamenti di dipendenza o di in­ dipendenza nel passato) ed erano in grado di prevedere con maggiore sicurezza, rispetto agli aschematici, il comportamento che li avrebbe caratterizzati nel futuro. Oltre a facilitare il recupero delle informazioni pertinenti con la dimensione attivata in una certa situazione, gli schemi di sé risultano influenzare anche la memoria autobiografica; essi facilitano cioè l'or­ ganizzazione dei ricordi delle nostre esperienze passate, permettendo di ricordare con maggiore facilità esempi di comportamenti pertinenti con lo schema considerato. Come alcuni autori suggeriscono (Ross, McFarland, 1 98 8 ) , nel ricostruire le nostre sensazioni e i nostri atteg­ giamenti passati, tendiamo a concettualizzare il sé passato come simi­ le (teoria della stabilità) o come diverso (teoria del cambiamento) dal sé presente, a seconda che l'una o l'altra strategia risulti più funziona­ le alla valorizzazione degli aspetti positivi del sé (cfr. PAR. 3 . 1 . ! ) . 43

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Le ricerche condotte all'interno di questa prospettiva teorica, han­ no ampiamente dimostrato che gli schemi di sé facilitano infine i pro­ cessi di inferenza e di attribuzione, permettendoci non solo di preve­ dere con una certa sicurezza i nostri comportamenti futuri (Markus, 1 977; Markus et al. , 1 9 82 ; Andersen, 19 84; Andersen, Ross, 1 984) , ma anche d i fare inferenze al servizio del sé, attribuendo a d esempio i nostri comportamenti a fattori disposizionali o situazionali rispetti­ vamente a seconda che questi siano percepiti come coerenti o in con­ trasto con l'immagine che abbiamo di noi stessi (Kulik, Sledge, Mah­ ler, 1 986). Utilizzando una diversa procedura sperimentale Rogers, Kuiper, Kirker ( I 977) 6 hanno dimostrato che gli schemi di sé facilitano il ri­ cordo di informazioni anche quando queste non sono direttamente riconosciute come autodescrittive. I risultati delle loro ricerche mo­ strarono che i soggetti che dovevano giudicare se ciascun aggettivo li descriveva ricordavano molti più termini degli altri ai quali era stato chiesto di esprimere giudizi di tipo semantico o strutturale, anche se erano ancora i tratti giudicati come autodescrittivi ad essere ricordati con maggiore facilità. Come Kihlstrom et al. ( 1 9 88, p. 1 5 0) sottoli­ neano, «il sé è una delle più ricche ed elaborate strutture di cono­ scenza immagazzinate in memoria». Proprio in virtù di questa com­ plessità, si può plausibilmente ipotizzare che esso possieda legami molto più frequenti con altri nodi di conoscenza presenti in memoria. Ecco perché, secondo questi autori, un insieme di informazioni può essere ricordato con più facilità se riferito al sé. Commentando i ri­ sultati ottenuti in vari studi condotti con analoghe procedure speri­ mentali (Kuiper, Rogers, 1 979; Klein, Kihlstrom, 1 986; Mross, Kihl­ strom, 1 986), Kihlstrom et al. ( 1 988) giungono tuttavia alla conclusio­ ne che, oltre a quello sopra descritto, probabilmente esistono altri processi responsabili del più facile recupero dalla rete della memoria delle informazioni quando queste possono essere riferite al sé. Uno dei più probabili è quello legato alla possibilità di organizzare le in6. La procedura sperimentale utilizzata da questi autori consiste nel misurare il numero dei tratti ricordati e/o i rispettivi tempi di latenza delle risposte fornite da soggetti collocati in diverse condizioni sperimentali. Una di tali condizioni è gene­ ralmente quella nella quale i soggetti devono giudicare (nella fase di pretest) quali tratti li descrivono (Rogers, Kuiper, Kirker, 1 97 7 ) e/o descrivono lo sperimentatore (Kuiper, Rogers, 1 979) o altre persone a loro più o meno familiari (Chew, Kihlstrom , 1 9 8 6 ) . Nelle altre condizioni sperimentali le stesse liste di tratti di personalità vengo­ no sottoposte a giudizi di tipo semantico (decidere se il tratto in questione ha o no lo stesso significato di un altro termine) o strutturale ( decidere se la parola presentata è scritta in minuscolo o maiuscolo, se fa o meno rima con un'altra parola ecc. ) .

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formazioni utilizzando un processo di categorizzazione o, più in gene­ rale, una procedura di organizzazione delle conoscenze. L'attivazione di un processo di questo genere è facilmente riscontrabile nelle situa­ zioni sperimentali in cui i soggetti hanno il compito di collocare gli stimoli (ad esempio i tratti) in due categorie che comprendono rispet­ tivamente gli aggettivi che li descrivono e quelli non autodescrittivi. Non si può dire la stessa cosa quando invece il compito consiste ad esempio nel valutare se due termini hanno lo stesso significato o pos­ sono appartenere alla stessa frase. Controllando l'effetto generato dal­ l' attivazione di processi di organizzazione delle conoscenze sul recu­ pero delle informazioni, Klein, Kihlstrom ( r 986) arrivano a dimostra­ re che, più che la possibilità di ancorare gli aggettivi al concetto di sé, è l'attivazione di tali processi a facilitare il ricordo dei tratti pre­ sentati.

r .2 . 2 . Il sé nella percezione sociale e nella cognizione degli altri La ricerca ha evidenziato come il concetto di sé non si limiti ad in­ fluenzare le modalità in cui vengono elaborate le informazioni autori­ ferite, ma anche il modo in cui gli altri vengono percepiti e valutati. Gli studi sulla percezione sociale suggeriscono che in genere le persone tendono a valutare gli altri su dimensioni ritenute importanti per se stessi, a dare cioè giudizi sugli altri ancorandoli alla valutazio­ ne di sé (Markus, Wurf, 1 987 ; Arcuri, Boca, Bucchieri, 1 994) . Diversi possono essere gli effetti legati a questo ancoraggio. Uno di questi consiste nella tendenza a descrivere gli altri utilizzando le stesse cate­ gorie con le quali siamo soliti descrivere noi stessi, come se negli altri cercassimo indizi che confermano o disconfermano la presenza delle caratteristiche che ci contraddistinguono. Come mostra la letteratura, l'intento di individuare analogie tra la conoscenza di sé e la conoscenza delle altre persone non ha portato la ricerca a focalizzarsi unicamente sulle modalità in cui queste ultime vengono percepite (percezione sociale) . Un'attenzione particolare è stata infatti rivolta anche agli aspetti più propriamente cognitivi che possono specificare tali analogie. Uno dei principali interrogativi a cui si è cercato di rispondere in questa direzione riguarda le possibili analogie e differenze riscontra bili tra le conoscenze schematiche (or­ ganizzazione e funzioni) che vengono rispettivamente strutturate (ed utilizzate) nella cognizione di se stessi e in quelle concernenti altre persone. Secondo alcuni autori (Kihlstrom, Cantor, 1 9 84; Kihlstrom et al. , 1 988) gli schemi di sé e quelli relativi ad altri vengono organizzati in 45

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memoria secondo modalità analoghe, così come analoghe sarebbero le funzioni cognitive da essi svolte. Utilizzando un paradigma speri­ mentale simile a quello impiegato per studiare gli effetti generati dalle conoscenze autoriferite (Rogers, Kuiper, Kirker, 1 977; cfr. nota 6), Kuiper, Rogers ( 1 979) hanno in particolare evidenziato la somiglianza delle due strutture di conoscenza rispetto ai processi di elaborazione delle informazioni. I risultati di tali ricerche suggeriscono che la co­ noscenza autoriferita e quella riferita agli altri svolgono la stessa fun­ zione nel processo di recupero delle informazioni; il recupero mne­ stico è cioè facilitato sia quando un insieme di informazioni può esse­ re ancorato agli schemi di sé, sia quando viene collegato agli schemi degli altri. Rimane da chiedersi se questo effetto non dipenda anche dal grado di familiarità dell'altro al quale viene riferito un insieme di caratteristiche. Gli studi a questo proposito condotti da Chew, Kihl­ strom ( 1 9 86) mostrano che il livello di familiarità dei soggetti bersa­ glio non ha effetti rilevanti né sul ricordo, né sullo sforzo implicato nel recupero delle informazioni. Nonostante le analogie riscontrate tra gli schemi di sé e gli schemi degli altri rispetto ad alcuni processi di elaborazione delle informazio­ ni, nonché rispetto al modo in cui vengono organizzati in memoria, la conoscenza di sé differisce dalla conoscenza degli altri in vari modi. Come sottolinea Palmonari ( I99 5 a) , mentre la conoscenza di sé è or­ ganizzata in memoria soprattutto in termini verbali, quella degli altri lo è per lo più in termini visivi. A questo si aggiunge il fatto che gli schemi di sé sono più immediatamente accessibili e recuperabili dalla memoria degli schemi degli altri (Linville, 19 8 2 ) . Infine, la conoscen­ za di sé è sicuramente più intensa dal punto di vista emotivo e questo è vero soprattutto quando gli altri ci sono poco familiari. Un altro tipo di incidenza del concetto di sé sulla percezione de­ gli altri è quello che in letteratura è stato definito come "effetto del falso consenso , . In questo caso, l'attenzione è focalizzata sulla ten­ denza degli individui ad esprimere aspettative egocentriche nei con­ fronti degli altri, ad assumere cioè che esiste una certa similarità tra il proprio modo di sentire, di pensare e di comportarsi e quello degli altri. Una tendenza, questa, che permette agli individui stessi di con­ siderare le proprie caratteristiche come appropriate e normali rispetto al contesto preso a riferimento (Kulik, Sledge, Mahler, 1 9 86). Gli stu­ di condotti a questo proposito hanno tuttavia sottolineato che la ten­ denza in questione risulta mediata da una serie di condizioni. Le ri­ cerche di Kulik e collaboratori hanno in particolare evidenziato il ruolo svolto dalla congruenza o incongruenza percepita tra i propri comportamenti e le immagini di sé precedentemente costruite. Quan-

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do i comportamenti messi in atto sono coerenti con le immagini di sé, gli attori sociali tendono infatti a sottostimare il numero di sogget­ ti dai quali essi si aspettano comportamenti simili. È quindi possibile, concludono questi autori, che tale tendenza sia legata al bisogno di mantenere la stabilità del sé. A sostegno dell'ipotesi che in questo caso la somiglianza con gli altri potrebbe significare una minaccia per la stabilità del sé, Kulik e collaboratori richiamano infatti ulteriori in­ dicazioni emerse dalle loro stesse ricerche. In particolare quella ri­ guardante la positiva relazione che sembra collegare la coerenza tra comportamento e concetto di sé, alla tendenza ad attribuire le pro­ prie azioni a fattori soprattutto disposizionali. Secondo Markus, Smith, Moreland ( r 985 ) , le condizioni che pro­ ducono o inibiscono le aspettative egocentriche e gli effetti del falso consenso sono invece legate alla quantità di conoscenze che i soggetti possiedono sia riguardo a se stessi, sia riguardo agli altri osservati. Il giudizio sugli altri sarebbe cioè influenzato dalla percezione di sé so­ prattutto quando le persone possiedono uno schema di sé molto ela­ borato, quando le informazioni disponibili riguardo alla persona os­ servata sono poche ed ambigue e quando le circostanze richiedono giudizi rapidi. Nel caso in cui i soggetti non possiedano conoscenze schematiche rispetto ad una particolare dimensione del concetto di sé, gli stimoli rappresentati dagli altri, con i quali essi si confrontano, si configurino come particolarmente ricchi e non ambigui e le circo­ stanze di per sé si prestino - o addirittura incoraggiano - alla consi­ derazione dell'altro, sono invece gli altri a diventare un punto di rife­ rimento per la conoscenza di sé. Secondo le indicazioni di queste au­ trici, il rapporto tra percezione di sé e percezione degli altri non deve essere quindi considerato come unidirezionale, dal momento che pos­ sono appunto essere individuate situazioni nelle quali è il giudizio su di sé ad essere influenzato dalla percezione degli altri. 1 .2 . 3 . Il sé come regolatore del comportamento Pur non ignorando il ruolo dei molteplici fattori che possono rendere conto delle azioni delle persone, gli studi che si muovono nell'ambito della Social Cognition tendono a considerare il concetto di sé come uno dei più potenti regolatori delle condotte umane (Markus, Wurf, r 9 8 7 ) . Seppure a livelli diversi, il concetto di sé viene considerato come strettamente implicato nelle diverse componenti che entrano in gioco nei processi di auto-regolazione e l'attenzione viene principal­ mente rivolta al ruolo che questo svolge sui mediatori cognitivi ed 47

SÉ E IDENTITÀ

affettivi (aspettative, valori, scopi, competenze) responsabili dell'atti­ vazione di comportamenti specifici (Ravenna, 1 99 8 ) . Con il termine d i auto-regolazione s i fa soprattutto riferimento al processo attraverso il quale le persone arrivano a compiere determi­ nate azioni. Contrastando il modello teorico comportamentista - se­ condo il quale le azioni sono risposte agli stimoli e ai rinforzi che provengono dall'ambiente - e quello psicoanalitico freudiano - se­ condo il quale i comportamenti sono principalmente riconducibili alle dinamiche intrapsichiche che si svolgono al di fuori della consapevo­ lezza degli individui - gli approcci cognitivi che si muovono all'inter­ no della teoria dell'azione considerano l'individuo come dotato di in­ tenzionalità, capace di elaborare e di concettualizzare gli eventi con i quali si confronta e di modificare il corso delle sue azioni al fine di perseguire determinati obiettivi. In questa prospettiva le concezioni che una persona elabora a proposito di se stessa e le valutazioni ad essa associate assumono un ruolo determinante come fattori che in­ fluenzano - o sono in grado di influenzare - i mediatori cognitivi ed affettivi delle condotte umane (Markus, Wurf, 19 87) . L e componenti ( o fasi) del processo di auto-regolazione prese in considerazione all'interno della molteplicità di teorie sviluppate in questo ambito riguardano principalmente: - la definizione degli scopi; - la preparazione cognitiva necessaria per agire in modo finalizzato al raggiungimento dei propri obiettivi; - il ciclo cibernetico del comportamento che comprende forme di automonitoraggio e di valutazione delle proprie azioni. La FIG . 1 . 3 illustra tali componenti evidenziando in sintesi quali sono le dimensioni del sé implicate in ciascuna di esse.

Concetto di sé e definizione-selezione degli scopi Gli scopi vengono considerati come uno dei più potenti mediatori delle azioni umane. La definizione degli scopi che le persone intendo­ no perseguire può essere condizionata da diverse dimensioni del con­ cetto che esse hanno di sé. Secondo Markus, Wurf ( 1 9 87 ), una di queste è costituita dalle credenze e dalle aspettative concernenti il controllo e l'efficacia personale. Le aspettative che le persone nutrono circa la possibilità di con­ trollare le proprie azioni e di portarle a termine con successo (senti­ menti di efficacia personale, Bandura, 1 986, 1 997) consentono all'atto­ re di indirizzare i propri sforzi e di mantenere l'impegno richiesto per il raggiungimento di obiettivi complessi. La letteratura sul coping (cfr.

I . APPROCCI COGNITIVI

FIGURA I · 3

Dimensioni del sé implicate nelle diverse componenti (fasi) del processo d i autore­ golazione Definizione-selezione degli scopi - Sentimenti di efficacia e di competenza - Sé operativi r+ - Sé possibili - Presentazione ed espressione di sé

Definizione dei piani strategici - Schemi di sé e script - Discrepanze tra le diverse dimensioni del sé

f-+

Osservazione valutazione - Consapevolezza di sé - Confronto con gli standard interni ed esterni (sé desiderati, sé futuri, sé normativi)

CAP. 3 ) ha dimostrato che il sentimento di controllo permette di af­ frontare con successo compiti impegnativi e di superare eventi negati­ vi e stressanti (Bosma, J ackson, I 990; Zani, Cicognani, I 999 ) . In una ricerca longitudinale condotta su un vasto campione di adolescenti inglesi di due corti di età ( I 5 · I 6 e I 7 - I 8 anni) 7, Breakwell ( I 992) ha trovato che i sentimenti di efficacia personale incidono significativa­ mente sull'interesse che essi esprimono nei confronti della politica e sul loro livello di coinvolgimento in questo ambito di attività. Anche le credenze più specifiche che le persone hanno rispetto alle proprie abilità nel perseguire obiettivi legati a particolari ambiti di competenza (sentimenti di competenza) svolgono importanti funzio­ ni regolatrici. Come mostra anche la ricerca longitudinale condotta da Cantor et al. ( I 9 87 ) , la percezione dell'efficacia rispetto al supera­ mento di un determinato compito può infatti aiutare le persone a persistere anche di fronte ad eventuali fallimenti e a migliorare la qualità della loro prestazione.

7 . Lo scopo della ricerca era quello di analizzare i cambiamenti che si verificano nella tarda adolescenza nel sentimento di efficacia e in quello di estraneità (vacuum) e di analizzare come tali cambiamenti si connettano con le diverse esperienze scolastico­ professionali da un lato e gli atteggiamenti espressi nei confronti della politica dall 'al­ tro. La ricerca è stata condotta in tre diverse fasi ( I 987-88-89) attraverso la sommini­ strazione di questionari strutturati. Sono 220 i soggetti che hanno partecipato a tutte e tre le fasi della ricerca. I risultati indicano che i sentimenti di efficacia, inversamente correlati a quelli di estraneità, aumentano con l'età, sono più elevati negli adolescenti che studiano soprattutto rispetto a quelli disoccupati e si associano ad un maggiore interesse e coinvolgimento nei confronti della politica.

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SÉ E IDENTITÀ

Un 'altra credenza in grado di indirizzare gli attori verso il perse­ guimento di scopi ed obiettivi personali è infine quella che chiama in causa le aspettative circa i risultati che essi pensano di raggiungere (Ravenna, 1 99 8 ) . I sentimenti d i controllo e d i efficacia personale possono essere quindi considerati come dimensioni cognitive del concetto di sé in grado di condizionare la definizione degli scopi che gli attori si pre­ figgono e cercano di raggiungere attraverso azioni finalizzate. Tale de­ finizione può tuttavia essere influenzata anche da componenti più prettamente affettive che sono sempre parte del concetto che le per­ sone hanno di sé, quali, ad esempio, i bisogni, i motivi (motives) e i valori di riferimento (Markus, Wurf, 1 987) . Introducendo la nozione di sé operativo (Markus, Nurius, 1 9 86; cfr. PAR. I. 1 .5 ) abbiamo già accennato all'importanza che deve essere attribuita allo stato motiva­ zionale in cui il soggetto si trova per l'attivazione di determinate co­ stellazioni di concezioni di sé. I bisogni, i motivi e i valori di riferi­ mento contribuiranno perciò a determinare quali concezioni di sé verranno attivate in una determinata situazione. T ali concezioni gui­ deranno il comportamento sociale e saranno, a loro volta, da questo modificate (FIG. 1 .2 ) . Al concetto d i s é è stata anche riconosciuta l a capacità d i influen­ zare direttamente le azioni dei soggetti (e quindi non soltanto quella di mediarle attraverso la sua influenza sugli scopi da perseguire) . Tra­ mite le rappresentazioni cognitive di ciò che le persone vogliono, de­ siderano, temono di diventare, il loro sé diventa esso stesso uno degli obiettivi dell'azione. Gli scopi che un individuo si prefigge, insieme alle sue paure e ai suoi desideri, risultano infatti direttamente rap­ presentati all'interno del concetto di sé nelle dimensioni dei sé possi­ bili. Secondo Markus, Nurius ( 1 986), i sé possibili (cfr. PAR. 1 . 1 .4) individualizzano, rendendoli più concreti e personali, gli scopi che i soggetti si pongono e costituiscono quindi le componenti cognitive della motivazione. Ed è proprio a partire dalla specificità individuale di tali rappresentazioni che viene attribuita ad esse la funzione di fa­ cilitare la regolazione del comportamento. Un'ipotesi, questa, condivi­ sa anche da Schlenker ( 1 9 85 , p. 74) , secondo il quale i sé desiderati, definiti in termini di «ciò che le persone desiderano diventare e pen­ sano diventeranno realmente», mediano le azioni agendo sia come strutture cognitive che elaborano le informazioni del setting in cui vengono attivate, sia come standard a cui uniformare il comporta­ mento. Ci sembra comunque importante precisare che per quest'ulti­ mo autore, i sé desiderati attivati in un dato momento non sono solo 50

I . APPROCCI COGNITIVI

plasmati dalle costrizioni situazionali, ma anche dall'anticipazione del­ l' audience del comportamento. Le concezioni di sé possono inoltre diventare fonti dirette della motivazione. Questo accade soprattutto quando le azioni dei soggetti hanno lo scopo di fornire a se stessi o agli altri una certa presentazio­ ne di sé. Secondo Wicklund, Gollwitzer ( r 9 8 2 ) , le persone impegnate nella definizione di sé (un compito che questi autori considerano im­ portante) cercano di raggiungere uno stato di completezza, di proce­ dere cioè in modo che la propria autodefinizione appaia come dura­ tura e non opinabile, anche attraverso la messa in atto di specifici comportamenti. Il mancato raggiungimento di questo obiettivo po­ trebbe originare uno stato di tensione e portare i soggetti stessi a sce­ gliere strade simboliche alternative: potrebbero ad esempio ostentare particolari comportamenti o determinati simboli, per presentarsi agli occhi degli altri come persone che hanno acquisito l'identità desidera­ ta. In questo caso poco conta se l'impressione suscitata negli altri sia o meno accurata, l'importante è riuscire a controllare l'immagine che viene trasmessa. Lo scopo è infatti quello di accattivarsi il favore al­ trui (fare buona mostra di sé, autopromuoversi) , al fine di ricavarne potere, influenza o approvazione (Jones, Pittman, 1 98 2 ) . A questo proposito gli studi condotti da Goffman ( r 9 59) hanno messo in ri­ salto quanto complesse siano le strategie che i soggetti mettono in atto per presentarsi agli altri in modo adeguato. La motivazione a scegliere comportamenti finalizzati a creare negli altri l'impressione che si desidera dare di sé (autopresentazione) va di­ stinta da quella che riflette il bisogno di esprimere il proprio autenti­ co sé interiore (autoespressione) . Tutti gli individui tendono a mettere in atto comportamenti che, di volta in volta, servono a presentare se stessi e/o ad esprimere quello che realmente sono, anche se è fre­ quente la tendenza a praticare più spesso una di queste due strategie. A questo proposito, Snyder ( 1 979) parla di automonitoraggio per sot­ tolineare che la tendenza a perseguire con maggiore frequenza l'uno o l'altro dei due obiettivi può esser definita come caratteristica di personalità. Questo autore descrive infatti gli individui ad alta capaci­ tà di automonitoraggio (Hsm) come particolarmente attenti e abili nel modulare la presentazione che danno di sé nei diversi contesti inte­ rattivi. La tendenza che li caratterizza è la flessibilità con cui riescono ad offrire, di volta in volta, quella presentazione di sé che meglio ri­ sponde alle richieste normative della situazione sociale. Oltre a non possedere quest'abilità, le persone a bassa capacità di automonitorag­ gio (Lsm) non sono neppure motivate a differenziare il loro modo di essere dal loro modo di presentarsi agli altri. Il loro principale obiet51

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tivo sarebbe invece quello di mantenere una certa coerenza tra sé au­ tentico e sé presentato agli altri attraverso i propri comportamenti o attraverso descrizioni verbali di se stesse, anche a costo di apparire inadeguate in situazioni specifiche. Sintetizzando, possiamo quindi affermare che al concetto di sé viene attribuita la funzione di mediare molte delle azioni che le per­ sone mettono in atto nella loro vita quotidiana. Attraverso i sentimen­ ti di efficacia e di competenza, il sé incide sulla definizione e sulla scelta degli obiettivi-scopi che le persone stesse si prefiggono; le di­ mensioni desiderate, temute, future o normative del concetto di sé promuovono comportamenti finalizzati alla riduzione delle discrepan­ ze percepite con il sé attuale; i bisogni di presentazione o di espres­ sione di sé spingono inoltre all'adozione di comportamenti che renda­ no esplicite agli occhi degli altri certe caratteristiche di sé. Ma il con­ cetto di sé influenza anche i compiti o i problemi che le persone si prefiggono di affrontare in un certo momento della loro vita e le stra­ tegie adottate per farvi fronte. Cantor et al. ( r 987) hanno messo in evidenza che i significati attribuiti dagli individui a determinati com­ piti (come ad esempio a quelli interpersonali e a quelli più strumenta­ li considerati in questa ricerca; cfr. nota 4) risultano strettamente le­ gati alle conoscenze che essi hanno di sé. Queste ultime incidono sui giudizi che i soggetti stessi esprimono sull'importanza e sulle difficol­ tà legate a tali compiti. Le difficoltà riscontrate a questo proposito mostrano importanti ripercussioni sui processi di autoregolazione: sono in particolare i compiti giudicati come più difficili e stressanti a richiedere piani strategici più elaborati e a produrre più evidenti sen­ timenti di ansietà nel caso di alte discrepanze tra sé desiderato e sé attuale.

Concetto di sé e predisposizione cognitiva strategica Ma vediamo ora in che cosa consiste la seconda fase o componente del processo di autoregolazione: quella relativa alla selezione dei piani e delle strategie di azione (cfr. FIG . r .3 ) . Come Markus, Wurf ( r 987) sottolineano, il concetto di sé influenza le strategie che i soggetti scel­ gono per la realizzazione dei propri obiettivi a due livelli. Il primo livello è quello legato al repertorio delle strategie di coping di cui i soggetti sono a conoscenza. Il secondo livello riguarda invece la capa­ cità di scegliere le strategie più utili in determinate situazioni (meta­ conoscenza) . La conoscenza delle procedure e delle strategie possibili per il raggiungimento di un determinato obiettivo viene in primo luogo 52

I . APPROCCI COGNITIVI

considerata come derivante dall'esperienza soggettiva e dalla sua strutturazione in schemi di sé e script. Di fronte ad un compito che si presenta come particolarmente difficile, una persona che ad esem­ pio possiede uno schema di sé legato alla " dipendenza " ricorrerà a strategie basate sul supporto sociale, molto più di quanto non fareb­ bero in una situazione analoga i soggetti con uno schema di sé legato alla dimensione dell'autonomia. Allo stesso modo, di fronte a situa­ zioni critiche, chi ha uno schema di sé organizzato principalmente at­ torno a contenuti negativi attiverà un repertorio di strategie di coping di tipo prevalentemente emotivo e/o difensivo, con maggiore proba­ bilità di un soggetto con immagini in prevalenza positive di sé. Agli schemi di sé non è soltanto riconosciuta la funzione di facili­ tare il recupero delle conoscenze dichiarative, ma anche di quelle procedurali (Kihlstrom et al. , 1 98 8 ) . Alcune delle conoscenze proce­ durali, come ad esempio quelle legate alla produzione di ruoli (An­ derson, 1 9 82 ) e all'esecuzione di script (Schank, Abelson, 1 977), pos­ sono essere eseguite in modo automatico e riescono quindi a coinvol­ gere in modo inconsapevole il sé nei processi di autoregolazione. Ri­ chiedendo l'utilizzo di conoscenze meta-cognitive, la costruzione di nuovi piani strategici non può invece prescindere da un più consape­ vole ruolo di mediazione del sé. Nella scelta dei piani strategici necessari al conseguimento di obiettivi specifici, un ruolo importante viene anche attribuito a ciò che le persone desiderano o temono di diventare (sé possibili) . Tale ruolo diventa determinante nella scelta delle strategie di azione, dal momento che sono proprio i sé possibili ad incidere sul livello di complessità dei piani di azione prospettati (Cantar et al. , 1 987). Se ad esempio uno studente considera il " diventare uno psicologo " come una componente importante e centrale del proprio sé, e se questo aspetto desiderato del sé non è troppo lontano dal suo sé attuale (es­ sere uno studente di Psicologia) , allora possiamo aspettarci che il confronto con tale dimensione futura del sé sia in grado di guidare le sue scelte strategiche verso il raggiungimento dell'obiettivo prefissato. Possiamo in particolare ipotizzare che la spinta motivazionale deri­ vante da tale confronto aiuterà lo studente in questione a scegliere le strategie di coping più adeguate. Le ricerche condotte in quest'ambito (Cantar et al. , 1 987; Cross, Markus, 1 99 1 ; Fruggeri, Mancini, Ceci, 2ooo ) sembrano suggerire che le discrepanze tra sé attuali e sé desi­ derati esercitano un'influenza positiva sia sulle azioni, sia sulle strate­ gie adottate per raggiungere gli esiti desiderati, ma a condizione che i sé possibili siano considerati importanti per il concetto di sé e che i relativi contenuti siano vicini al sé attuale e quindi di ragionevole dif53

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ficoltà (cfr. PAR. 1 . 1 .4 ) . Cantor et al. ( r 9 87) hanno inoltre dimostrato che l'effetto di tali discrepanze si diversifica in funzione di come i soggetti valutano gli ambiti ad esse pertinenti. Come abbiamo già ac­ cennato, è soprattutto negli ambiti considerati come minacciosi che la discrepanza è vissuta come fonte di preoccupazione e di ansia. Questi esiti sembrano tuttavia diversificarsi in funzione delle aspettative di controllo e di efficacia personale. I risultati di questa ricerca mostra­ no in particolare che le discrepanze tra sé attuale e sé ideale rispetto all'essere studenti sono in grado di indirizzare le azioni dei soggetti che utilizzano strategie cognitive di tipo pessimistico-difensivo, ma non anche quelle degli studenti ottimisti circa le proprie capacità di far fronte a situazioni stressanti. I soggetti che mostrano minore fidu­ cia nelle proprie capacità e nelle proprie competenze strumentali (pessimisti) tendono ad esprimere immagini ideali di sé che risultano più incongruenti con quelle attuali di quanto non risultino quelle espresse dai soggetti ottimisti. Tale maggiore incongruenza tende tut­ tavia ad associarsi alla progettazione di piani strategici più complessi e coerenti di quelli articolati dagli studenti ottimisti che ritengono cioè di avere maggiori possibilità di controllo. Secondo diversi autori (Wicklund, Dieter, r9 8o; Markus, Wurf, r 987; Kihlstrom et al. , 1 9 88), gli standard rappresentati nelle dimen­ sioni dei sé possibili non sono gli unici modelli presi a riferimento nei processi di autoregolazione. Il processo di confronto con un mo­ dello è implicato in molte delle prese di decisione che riguardano molteplici ambiti della vita sociale; i modelli ai quali confrontare le proprie caratteristiche possono tuttavia, come meglio vedremo nei pa­ ragrafi successivi, essere diversi. Questi modelli possono essere rap­ presentati da standard interni, quali ad esempio quelli determinati dai sé possibili, o da standard esterni, rappresentati ad esempio da un "ideale altro" o dalle norme sociali. r .2 ·4- La teoria cibernetica della regolazione del sé

L'ultima tappa del processo di autoregolazione riguarda l'esecuzione della performance che attiva quello che viene definito come il ciclo cibernetico della regolazione del sé. Esso comprende fasi di monito­ raggio delle azioni, di giudizio sulle stesse e di valutazione e rinforzo del sé secondo un processo di circolarità dove il sé al tempo stesso modella ed è modellato dal comportamento (cfr. FIG. 1 .2 ) . Due sono l e dimensioni del sé implicate nelle operazioni di moni­ toraggio e di valutazione delle azioni umane (FIG. 1 . 3 ) . La prima di­ mensione riguarda l' autoconsapevolezza, generalmente intesa come l'o54

I . APPROCCI COGNITIVI

rientamento a dirigere l'attenzione verso di sé, piuttosto che verso l'e­ sterno definito dagli elementi contestuali salienti in una determinata situazione (Duval, Wicklund, 1 97 2 ; Fenigstein, Scheier, Buss, 1 975 ; Wicklund, Dieter, 1 980) . La seconda chiama ancora una volta in cau­ sa le diverse dimensioni di realtà del sé - come ad esempio il senso idealizzato del sé che regolano i comportamenti umani in quanto standard con i quali confrontare e ai quali uniformare le azioni messe in atto in situazioni specifiche (Scheier, Carver, 19 8 8 ) . Nella teoria cibernetica della regolazione del s é l' autoconsapevo­ lezza viene considerata come una delle condizioni che attivano i pro­ cessi di monitoraggio e di valutazione del comportamento. Anche se non c'è totale accordo rispetto a questa problematica, gli autori che si muovono in questa prospettiva tendono di fatto a distinguere i com­ portamenti mediati dal sé dai comportamenti automatici, che non ri­ chiedono cioè decisioni consapevoli e che quindi non possono essere guidati dal sé (Wicklund, Dieter, 19 8o) . Secondo la teoria deltautoconsapevolezza di Duval, Wicklund ( 1 97 2 ) , perché il sé possa controllare e guidare i comportamenti uma­ ni è necessario che l'attenzione venga centrata su di sé. L' autoconsa­ pevolezza di cui parlano questi autori non fa riferimento ad uno stato di mistica contemplazione in cui gli individui sono consapevoli di tut­ ti gli aspetti del sé, ma ad una condizione in cui l'attenzione viene focalizzata su quegli aspetti del sé resi salienti dal contesto di riferi­ mento. Vedere la propria immagine riflessa in uno specchio, ascoltare la propria voce incisa su un nastro, trovarsi in un contesto non fami­ liare, sentirsi minoranza all'interno di un gruppo sono alcune delle situazioni attraverso le quali la consapevolezza di sé è stata sperimen­ talmente indotta. Oltre ad esser stata analizzata come "stato " indotto da situazioni contestuali specifiche, l' autoconsapevolezza è stata anche considerata come una caratteristica disposizionale. A questo proposito Fenigstein, Scheier, Buss ( 1 975 ) hanno messo a punto una scala di misurazione della consapevolezza del sé che permette di valutare la propensione dei soggetti ad essere focalizzati su di sé. Gli stessi autori hanno indi­ viduato due dimensioni dell' autoconsapevolezza: quella privata e quella pubblica. Nel primo caso (autoconsapevolezza privata) si tratta della propensione a focalizzarsi sugli aspetti interni delle proprie esperienze; della tendenza, ad esempio, a dare spazio, in termini di pensiero e di riflessione, ai propri stati d'animo, ai propri sentimenti e alle proprie sensazioni corporee. I soggetti che manifestano queste tendenze sono in genere molto consapevoli delle preferenze e dei principi personali sui quali tendono ad uniformare i propri comporta-

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menti non lasciandosi condizionare dalle mode o dalle opinioni degli altri. Nel caso dell' autoconsapevolezza pubblica, ci si riferisce alla di­ sposizione a concentrarsi sugli aspetti esterni delle proprie esperienze ed in particolare sulle modalità in cui si è visti o percepiti dagli altri. Questo stato viene raggiunto quando il soggetto diventa consapevole della prospettiva che gli altri hanno nei suoi confronti (Mead, r 9 34) . Le persone ad alta autoconsapevolezza pubblica sono in genere molto attente a come appaiono agli altri ed è su questo principio che tendo­ no a modulare i propri comportamenti. Riprendendo questa distin­ zione, Carver, Scheier ( r 9 8 r ) sottolineano che, nonostante l'analogia con il concetto di automonitoraggio di Snyder ( 1 979), i due costrutti risultano almeno in parte diversi. Ma in quale modo l' autoconsapevolezza, sia essa privata o pub­ blica, influenza il comportamento? Secondo Wicklund, Gollwitzer ( 1 97 2 ) , e Wicklund, Dieter ( r 9 8o) , quando l'attenzione è rivolta verso di sé, le persone possono procedere alla valutazione delle azioni effet­ tivamente messe in atto confrontandole con gli standard ideali interni (norme personali) od esterni (norme sociali) . Percepire i propri com­ portamenti come lontani o non congruenti con gli standard ideali può generare uno stato di disagio che i soggetti tendono ad affronta­ re riducendo la discrepanza percepita o ritraendosi dallo stato di con­ sapevolezza. Manipolando sperimentalmente il livello di autoconsape­ volezza indotto nei soggetti sperimentali, varie ricerche (Duval, Wick­ lund, 1 97 2 ; Gibbons, Wicklund, 1 976; Beaman et al. , 1 979) hanno dimostrato che quando non è possibile evitare gli effetti negativi d eri­ vanti da tali discrepanze, le persone tendono ad uniformare il proprio comportamento ai valori personali o sociali di riferimento per ristabi­ lire uno stato di equilibrio. L'esistenza o l'attivazione di determinati standard ideali costitui­ sce tuttavia solo uno degli elementi del processo di regolazione del sé. Il modello a questo proposito formalizzato da Scheier, Carver ( r 988) e illustrato nella FIG . 1 .4 presuppone che il comportamento sia regolato da un meccanismo di retroazione le cui attività funzionano in maniera simile a quella dei servomeccanismi. La percezione della situazione in corso (input) , composta «dalle attività, dagli stati d'ani­ mo o dalle qualità che ad un dato momento le persone percepiscono o costruiscono» (ivi, p. 3 07 ) , viene confrontata (attività di confronto, comparatore) con alcuni valori di riferimento. Se da tale confronto emerge una discrepanza tra il comportamento effettivo e gli standard di riferimento, le persone cercheranno di ridurre tale discrepanza ag­ giustando il proprio comportamento che entra a questo punto in gio­ co con una funzione di output. Attraverso il proprio impatto sull'am-

I . APPROCCI COGNITIVI

FIGURA 1 . 4

Il modello della regolazione del sé

Standard di riferimento

Confronto (comparatore)

Funzione di input (percezione)

Funzione di output (comportamento)

Impatto sull'ambiente

Influenze esterne Fonte:

Scheier, Carver

( 1 988, p. 307 ) ,

trad. autore.

biente, ogni cambiamento nella funzione di output crea cambiamenti nella funzione di input, vale a dire nella percezione della situazione, in «un continuo interscambio tra aggiustamento delle azioni e valuta­ zione degli effetti di tali cambiamenti» (ivi, p. 308). Come sottolineano gli autori, la funzione di questo sistema di controllo non è quella di produrre comportamenti, ma di ridurre la discrepanza percepita tra le azioni messe in atto e gli standard di rife­ rimento. Il comportamento «è solo il veicolo attraverso il quale tale corrispondenza viene creata» (ivi, p. 307 ). I valori di riferimento che vengono confrontati con la percezione della situazione attuale posso­ no essere molto astratti, come ad esempio quelli legati al " senso gene­ ralizzato del sé che le persone cercano di mantenere nello spazio e nel tempo " o al " senso idealizzato del sé" , oppure più vicini a ciò che le persone stanno concretamente facendo. In questo ultimo caso 57

SÉ E IDENTITÀ

la funzione del comparatore è simile a quella svolta da un processo di autoriflessione nel quale ciò che si sta facendo viene confrontato con ciò che si ha intenzione di fare. Riprendendo le riflessioni suggerite da Powers ( 1 97 3 ) , questi au­ tori affermano che ogni decisione, anche minima, implica una se­ quenza di feedback organizzati gerarchicamente dai livelli più bassi (muscolari) a quelli più alti (di ordine concettuale) . È tuttavia solo nei livelli più alti che la consapevolezza di sé gioca un ruolo rilevante nei processi di autoregolazione. A questi livelli i valori di riferimento possono riguardare qualità personali astratte (se il livello è quello dei principi) o aspetti diversi del sentimento di identità (se il livello è quello del sistema concettuale) e le attività di regolazione del sé pos­ sono mirare a promuovere «quel senso di concretezza e di integrazio­ ne personale che l'attualizzazione del sé comporta» (ivi, p. 3 r 5 ) . L a FIG. 1 .5 riporta un esempio d i tale sistema gerarchico. In essa vengono raffigurati i tre livelli più alti che , come abbiamo detto, sono quelli sui quali il sé gioca un ruolo rilevante. Come si può notare, i sistemi raffigurati sono organizzati in termini gerarchici: gli output dei sistemi a livello più astratto forniscono i valori di riferimento ai sistemi immediatamente successivi. Il sistema più astratto, definito da Powers ( r 973 ) come " sistema concettuale " , fa riferimento alle imma­ gini idealizzate del sé. Nell'esempio qui riportato, l'immagine idealiz­ zata del sé è quella comunemente articolata dagli studenti di Psicolo­ gia: diventare uno psicologo professionista. T ale immagine idealizzata viene attivamente perseguita attraverso il principio dell'impegno (si­ stema di controllo dei " principi " ) che si manifesta e viene continua­ mente controllato mediante le attività programmate a questo scopo, più in particolare attraverso lo studio e la preparazione agli esami (si­ stema di controllo dei " programmi" ) . L'esito dell'esecuzione di tali attività, valutato ad esempio in termini di voti ottenuti agli esami o in termini di numero di esami sostenuti in un anno, può mantenere o ridurre la prestazione se il risultato è conforme allo standard previsto (ad esempio il voto auspicato o il numero minimo di esami previsti in un anno) , oppure rafforzarla fino ad ottenere un risultato conforme con gli standard previsti. I risultati raggiunti produrranno cambia­ menti nella percezione della situazione che potranno contribuire a promuovere: a) ulteriori azioni volte alla riduzione della discrepanza percepita nel caso in cui gli esiti non sono conformi ai valori di riferimento; b) quel senso di completezza e di integrazione personale se conformi con i valori di riferimento. Anche se il modello formalizzato da questi autori non prevede la

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l Esecuzione programmi

Funzione di output

1

il

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Valori di riferimento

Funzione di output 2

L'esempio raffigura alcuni dei comportamenti ipoteticamente messi in atto da un altrettanto ipotetico studente impegnato a ridurre la discrepanza che percepisce tra attuale - in quanto studente - e il sé ideale - in quanto futuro psicologo.

-

lnput percettivo 2

lnput percettivo 3

V alari di riferimento 2

Funzione di output 3

Superare gli esami con successo

Essere un bravo studente: impegno

Sé ideale: diventare uno psicologo

Valori di riferimento sovraordinati

(Programmi)

(Principi)

Livelli: (Sistema concettuale)

1 .5 Diagramma schematico degli ultimi tre livelli di controllo dell'azione

FIG U RA







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SÉ E IDENTITÀ

possibilità che gli esiti dell'esecuzione dei programmi di azione possa­ no modificare i valori di riferimento collocati a livello più astratto, è comunque plausibile ipotizzare che costrizioni esterne o anche inter­ ne al soggetto possano impedire l' attualizzazione del sé a livello più astratto. Come Wicklund, Dieter ( 1 9 8o) suggeriscono, per far fronte agli effetti derivanti dalla percezione di discrepanze tra gli standard ideali e i propri comportamenti effettivi, le persone possono anche arrivare a modificare le proprie immagini ideali del sé. 1 .2 .5 . Il sé come mediatore dei comportamenti interpersonali Per concludere questa parte dedicata alle caratteristiche funzionali del sé, vorremmo accennare al ruolo che il sé, secondo questa pro­ spettiva teorica, svolge rispetto ai comportamenti interpersonali (cfr. FIG . 1 .2 ) con particolare riferimento alla scelta delle situazioni e dei partner interattivi (Markus, Wurf, 1 98 7 ) . Nel PAR. 1 .2 .2 abbiamo già parlato dell'impatto che l a conoscenza di sé può avere sulla percezione sociale. Oltre ad influenzare il modo di percepire gli altri e a condizionare i processi di elaborazione del­ l'informazione relativa ad essi, il concetto che le persone hanno di sé viene anche considerato come una variabile capace di incidere sui modi in cui le persone stesse conducono le interazioni sociali. I fatto­ ri responsabili dei comportamenti interpersonali sono stati individuati soprattutto nella disposizione individuale a modellare in maniera so­ cialmente desiderabile la presentazione di sé (automonitoraggio; Sny­ der, 1 979) e nella tendenza a confrontarsi con persone che hanno ca­ ratteristiche o gusti simili ai propri. Attraverso le loro ricerche, Sny­ der, Gangestad ( 1 9 82) hanno dimostrato che le persone a basso auto­ monitoraggio, essendo soprattutto preoccupate di restare coerenti con se stesse, tendono a preferire situazioni interattive che consentono loro di dare libera espressione alle proprie caratteristiche, mentre quelle che manifestano alto grado di automonitoraggio preferiscono invece situazioni più strutturate. Un'interessante ricerca condotta da Niedenthal, Cantar e Kihlstrom ( ! 985 ) mostra inoltre che i soggetti a basso automonitoraggio, posti di fronte al compito di prendere deci­ sioni importanti (nel caso specifico la scelta dell'alloggio universitario per l'anno successivo) , tendono ad utilizzare strategie di confronto sociale molto più spesso di quanto non facciano i soggetti ad alto grado di automonitoraggio. In questa ricerca gli studenti che mostra­ vano un più forte bisogno di coerenza (basso automonitoraggio) ten­ devano infatti a considerarsi più simili ai "soggetti tipo" (coloro che avrebbero cioè scelto la tipologia di alloggio da essi stessi preferita) , 6o

I . APPROCCI COGNITIVI

che non gli studenti ad alto grado di automonitoraggio. Questo so­ prattutto accadeva quando le scelte erano guidate da considerazioni personali e non pratico-economiche. Secondo Markus, Wurf ( 1 987) , le concezioni di sé non si limitano a condizionare il processo di decisione attraverso cui le persone arri­ vano a scegliere tra situazioni interattive diverse, ma possono anche indirizzare la scelta dei partner con i quali interagire e/o incidere sul livello di soddisfazione che può essere ricordato da tale relazione. Sarebbe certo limitante definire l'abilità di scelta e di conduzione delle interazioni soltanto nei termini di una capacità ad adattarsi alle diverse situazioni; a modellare cioè la propria immagine di sé in fun­ zione di ciò che è socialmente atteso e desiderabile in quella situazio­ ne. Alcuni studi hanno dimostrato che le abilità sociali dipendono an­ che dalla capacità di gestire la presentazione pubblica di sé. A questo proposito è stato in particolare evidenziato come l'utilizzo di tecniche di gestione della propria immagine consenta alle persone di costruire "identità situate" , le cui caratteristiche dipendono sia dagli scopi per­ sonali, sia dal pubblico per il quale tali immagini vengono costruite. Pubblici diversi tendono infatti ad suscitare interazioni sociali che ri­ spondono a scopi diversi. Quando l'attenzione viene rivolta verso un pubblico esterno (Goffman, 1 95 9 ) , la scelta di strategie e partner in­ terattivi può essere dettata soprattutto dal desiderio di ottenere l' ap­ provazione e il consenso degli altri (Cheek, Hogan, 1 983 ) e/o dal bi­ sogno di imporre il proprio potere e di esercitare la propria influenza (Jones, Pitman, 1 98 2 ) . Quando l'attenzione viene spostata verso un'audience interna (Baumeister, 1 982 ), ad esempio verso i valori in­ teriorizzati, i comportamenti interpersonali possono essere guidati so­ prattutto dal desiderio di ristabilire una coerenza interna, di raggiun­ gere i propri sé desiderati (Wicklund, Gollwitzer, 1 982 ), di mantene­ re alta la stima di sé (cfr. CAP . 3 ) . S e la conoscenza d i sé può influenzare le prese di decisione e le strategie utilizzate nei processi di interazione sociale, le situazioni interattive forniscono a loro volta nuove informazioni che possono essere integrate nell'immagine che le persone hanno di sé e modifi­ carne gli elementi di conoscenza. Come Markus e Wurf sottolineano, i feedback che derivano dal modo in cui ci presentiamo agli altri e dai nostri comportamenti interattivi costituiscono elementi di cono­ scenza che, attraverso processi di selezione, elaborazione e immagaz­ zinamento in memoria, rientrano in quella struttura di conoscenze da cui il sé è formato. Ma quali sono i processi attraverso cui, nelle di­ verse età della nostra vita, costruiamo sistemi di conoscenze che ci permettono di definire, capire e descrivere (van der Werff, 1 985 , 61

SÉ E IDENTITÀ

I 990) chi siamo? È questo l'interrogativo a cui cercherà di rispondere il prossimo paragrafo. I .J

Lo sviluppo della conoscenza di sé

I modelli teorici e le ricerche che, privilegiando una prospettiva co­ gnitiva, si sono occupati dello studio dello sviluppo della conoscenza di sé dalla prima infanzia all'età adulta tendono a condividere l'assun­ to di fondo secondo il quale l'acquisizione e l'elaborazione delle in­ formazioni circa il sé sono processi le cui caratteristiche evolutive sono strettamente legate ai cambiamenti riscontrabili nelle più gene­ rali modalità del funzionamento cognitivo. Partendo da questi pre­ supposti, le tematiche su cui è stata in particolare focalizzata l'atten­ zione si articolano in due principali direzioni: l'una più chiaramente interessata ai cambiamenti evolutivi emergenti in quei processi che, riguardando soprattutto la percezione, il funzionamento della memo­ ria e del pensiero, si considerano più direttamente implicati nello svi­ luppo della conoscenza di sé; l'altra più orientata invece verso lo stu­ dio delle modalità attraverso cui, nel corso dello sviluppo, le cono­ scenze circa il sé vengono organizzate a livello cognitivo. I . 3 . I . Le diverse forme di conoscenza di sé nel corso dello sviluppo Il processo di conoscenza di sé descritto secondo la prospettiva dello sviluppo trova un'interessante sistematizzazione concettuale in un ar­ ticolo scritto da Neisser nel I 98 8 . Basandosi su numerosi risultati di ricerca, Neisser ( I 9 8 8 , I 993 , I 997) distingue cinque tipi di conoscen­ za di sé che definisce rispettivamente come sé ecologico, sé interper­ sonale, sé concettuale, sé esteso e sé privato. Secondo l'autore, queste forme di conoscenza di sé vengono elaborate in modi ed in tempi diversi nel corso dello sviluppo: all'inizio si definiscono soprattutto tramite la p ercezione, più tardi tramite il pensiero e infine tramite la memoria. E importante sottolineare che le diverse forme di conoscen­ za di sé, alle quali le persone accedono attraverso altrettanto diversi tipi di informazioni riguardo a se stessi, non rappresentano per Neis­ ser parti del concetto di sé, ma definiscono piuttosto aspetti diversi del sé, ciò che le persone sono da punti di vista diversi. Il sé ecologico si sviluppa a partire da informazioni che derivano dall'ambiente fisico. Esso si origina dalle percezioni ottiche e cineti­ che (sensoriali) che specificano le caratteristiche del sé in rapporto con l'ambiente. Il sé ecologico è il sé agente attivo nell'ambiente fisi-

I . APPROCCI COGNITIVI

co circostante che, oltre agli oggetti del mondo fisico, percepisce an­ che se stesso in termini di posizione (dove è), di movimento (come e in che direzione si sta muovendo) , di attività (cosa sta facendo) e di produzione di effetti sull'ambiente (cosa ha fatto) . Secondo quanto riportato dallo stesso Neisser ( r 993 ) , le ricerche sulla percezione in­ fantile dimostrano che il sé ecologico compare molto precocemente: già a partire dal terzo mese di vita, il bambino è in grado di percepi­ re lo stesso mondo, composto da oggetti solidi e distinti (di cui uno è il sé) , percepito dagli adulti. La percezione ecologica del sé viene soli­ tamente considerata come un'esperienza cosciente sia nei bambini che negli adulti, ma non diventa necessariamente oggetto del pensiero (consapevolezza di sé) . La psicologia dell'età evolutiva ci ricorda d'al­ tra parte che i bambini molto piccoli non strutturano rappresentazio­ ni interne di cui essere consapevoli e sulle quali riflettere. La consa­ pevolezza di sé si sviluppa solo più tardi, quando il bambino inco­ mincia a padroneggiare la comunicazione simbolica (Emiliani, Caru­ gati, r 98 5 ) . S e il sé ecologico viene dunque presentato come un agente del mondo fisico, il sé interpersonale viene descritto come un agente del mondo sociale; è il sé impegnato nelle relazioni faccia a faccia con altre persone, il sé che viene specificato dal fluire delle comunicazioni e delle emozioni reciproche che scaturiscono dai rapporti spontanei con altre persone. Le informazioni, di tipo prevalentemente cinetico, sulla base delle quali il sé interpersonale si forma, derivano quindi dall'interazione immediata e non riflessiva con un'altra persona, ma sono ben presto accompagnate, nel corso dello sviluppo, da altre for­ me di conoscenza. Molti studi dimostrano come il sé interpersonale venga acquisito in età molto precoce e come, a partire dai 2 -3 anni di vita, questa forma di conoscenza di sé si arricchisca di dati che d eri­ vano da processi di inferenza. Come Neisser ( r 99 3 ) riporta, i bambini acquisiscono una «teoria della mente» imparando che gli altri non sono semplicemente partner interattivi, ma hanno credenze, teorie, sentimenti che riferiscono sia a se stessi sia agli altri. Dopo essersi basato quasi esclusivamente sui dati percettivi 8, il processo di conoscenza di sé descritto secondo la prospettiva dello sviluppo procede attraverso attività di pensiero di tipo riflessivo che,

8. In accordo con l a teoria ecologica della percezione di Gibson ( r 966, 1 979) , Neisser considera la conoscenza ecologica e quella interpersonale di sé come diretta­ mente legate ai dati di realtà. Queste due forme di conoscenza vengono considerate "oggettive" in quanto generate da informazioni che sono oggettivamente rilevabili e che come tali (come oggetti reali) vengono percepite dalle persone.

SÉ E IDENTITÀ

a partire dalla fine del primo anno di vita, fanno emergere il sé con­ cettuale o concetto di sé. Questa forma di conoscenza di sé compren­ de la vasta gamma di teorie e di credenze che le persone elaborano riguardo a se stesse. Secondo gli studi evolutivi, il sé concettuale si sviluppa quando i bambini diventano in grado di considerare se stessi come oggetto del pensiero, oltre che come oggetto dell'attenzione di altre persone. È solo a partire dal terzo anno di vita che si forma il sé esteso, definito da Neisser come la consapevolezza che ogni persona ha delle proprie esperienze passate e delle proprie attese nei confronti del fu­ turo. La conoscenza estesa di sé trascende quindi il presente, l' hic et nunc delle proprie azioni nel mondo fisico e sociale, basandosi preva­ lentemente su quanto ciascuno di noi ricorda o anticipa. La dimen­ sione del passato partecipa alla formazione del sé esteso attraverso il ricordo delle esperienze avute in certi luoghi e in dati momenti della vita e attraverso la consapevolezza che tali esperienze sono parte di una routine (abitudine) che ci è propria. La capacità dei bambini di 3 anni di ricordare come si svolgono alcune delle sequenze di azione più routinarie (alzarsi, mangiare ecc.) testimonia che già a questa età essi sono consapevoli di un sé che si colloca al di fuori del momento presente, cioè possiedono un primo, seppure rudimentale, sé esteso (Nelson, Gruendel, 1 9 86) . La conoscenza implicata nella definizione di questo sé si fonda dunque su quanto i bambini ricordano delle loro esperienze, ma non ancora su ciò che essi riescono ad anticipare. La capacità di articolare attese nei confronti del proprio futuro si svi­ luppa infatti molto più tardi e in stretta connessione con le abilità del pensiero astratto. Il sé esteso non può esser considerato come indipendente dal sé concettuale. Come evidenziano le ricerche presentate nei paragrafi precedenti (cfr. in particolare PAR. r .2. r ) , il recupero delle informa­ zioni dalla memoria risulta chiaramente influenzato dalle teorie e dal­ le credenze che le persone hanno a proposito di se stesse e, più in particolare, dalla costellazione di rappresentazioni di sé che diventano salienti in un dato momento (Markus, Nurius, 1 986) . Come sottolinea N eisser ( r 9 8 8), il sé esteso può essere inoltre arricchito dal ricordo di esperienze vissute che vengono attribuite solo a se stessi e non condi­ vise con altri. Il sentimento che rimanda all'unicità e all'intimità delle proprie esperienze emozionali è una manifestazione del sé privato che, secondo questo autore, viene acquisito quando il bambino si ac­ corge per la prima volta che certe esperienze emozionali sono solo sue e non sono condivise da altri. La maggior parte degli studi evolu-

I . APPROCCI COGNITIVI

tivi mostra che la consapevolezza di un sé privato tende a manife­ starsi intorno ai 4 anni e mezzo di vita (Wimmer, Perner, 1 9 8 3 ) . r . 3 . 2 . I l concetto d i s é come rete d i assunti e d i teorie

Prima di passare all'analisi di ulteriori modelli di sviluppo della cono­ scenza di sé, vorremmo considerare più da vicino la nozione di con­ cetto di sé e gli elementi che in genere vengono utilizzati per definire tale concetto. Abbiamo appena visto come per Neisser ( 1 9 88) il sé concettuale rappresenti la prima forma di conoscenza di sé che risulta svincolata dai processi percettivi. Per questo autore il concetto di sé è composto dalla rete di teorie e di assunti che le persone elaborano a proposito di se stesse. Alcune di queste teorie possono riguardare i ruoli che ciascuno individuo svolge quotidianamente, le caratteristi­ che derivanti dai gruppi e dalle categorie alle quali ritiene di apparte­ nere o dalla cultura di riferimento; altre possono essere legate a ca­ ratteristiche idiosincratiche quali i tratti fisici e/o gli attributi psicolo­ gici personali; altre ancora possono fare riferimento a costruzioni solo ipotetiche del sé (sé possibili) , alle esperienze passate, al significato attribuito ai propri sentimenti e pensieri. Come Palmonari ( 1 995 a, p . 1 65 ) sottolinea, «sebbene il concetto d i s é sia normalmente considera­ to in modo unitario, si deve riconoscere che comprende varie sub­ teorie più o meno distinte». Tali subteorie tendono il più delle volte a ripercorrere la distinzione tracciata da J ames tra caratteristiche ma­ teriali (quelle riguardanti il corpo e i domini affini) , sociali (relazioni, ruoli) e spirituali (pensieri, meccanismi psicologici) che formano il sé come oggetto conosciuto. Una distinzione, questa, che viene di volta in volta arricchita da nuove componenti. Damon, Hart ( 1 982 , 1 988) parlano a questo proposito di quattro diversi costituenti o schemi del sé-come-oggetto: gli schemi fisici, di attività, sociali e psicologici 9 • Gli schemi fisici, quelli riguardanti le attività che le persone svol­ gono, assieme agli schemi sociali e a quelli psicologici, sono stati stu­ diati in funzione dei cambiamenti evolutivi riscontrabili in ogni fase dello sviluppo. Gli studi condotti a partire da una prospettiva socio­ cognitiva (Damon, Hart, 1 982 , 1 988; Garda, Hart, Johnson, 1997; Hart, Fegley, 1 997) tendono a presentare una cronologia dello svi­ luppo della comprensione di sé che si organizza in tre diversi periodi della vita umana: l'infanzia, la fanciullezza e l'adolescenza. A partire 9· Anche le descrizioni di sé fornite dai preadolescenti (Mancini, 1 996; Varvaro, 1999) e dagli studenti di Psicologia (Ceci, Mancini, 1999) sono state analizzate se­ condo quest'ultima distinzione (cfr. TAB. 1. 1 ) .

SÉ E IDENTITÀ

già dai primi mesi di vita la costruzione di tale comprensione si fonda prevalentemente sulle caratteristiche fisiche; dall'età di 2 anni essa co­ mincia invece ad articolarsi anche sulla consapevolezza delle proprie capacità/abilità (sui costituenti attivi del Me) . Le caratteristiche socia­ li e psicologiche del sé emergono invece verso la fine dell'infanzia per diventare poi predominanti nella descrizione di sé durante r età ado­ lescenziale. Attraverso una rassegna di numerosi studi concernenti l' evoluzio­ ne della comprensione di sé dall'infanzia all'adolescenza, Hart e colla­ boratori (Damon, Hart, 1 9 82, 1 988; Garda, Hart, Johnson, 1 997) in­ dividuano anche altri percorsi evolutivi messi a fuoco da ricercatori diversi. In tali percorsi non viene soltanto incluso il passaggio da una concezione di sé in termini fisici ad una in termini psicologici e di qualità sociali stabili o il più generale aumento della differenziazione della concezione di sé al crescere dell'età; l'accento viene in particola­ re posto anche sulla dimensione volitiva del sé, nonché sull'evolversi e sulla progressiva strutturazione di un sistema di credenze che, a partire dalla tarda adolescenza, permette di integrare i diversi, e a volte contraddittori, aspetti del sé in una teoria più astratta, unitaria e coerente. Nel riprendere i diversi aspetti evolutivi messi a fuoco dalla letteratura evolutiva, Damon, Hart ( r 98 8 ) li rielaborano e li integrano in quello che definiscono il «modello multidimensionale della cono­ scenza di sé». Occorre tuttavia precisare che, oltre ad avvalersi delle indicazioni fornite dalle numerose ricerche sul tema, tale modello co­ stituisce anche respressione della posizione critica che questi autori assumono soprattutto nei confronti dell'approccio teorico privilegiato dalla ricerca stessa, con particolare riferimento alla concezione lineare dello sviluppo cognitivo. Per questo motivo, prima di procedere all'il­ lustrazione del modello multidimensionale, è forse opportuno soffer­ marsi sulle principali caratteristiche di tale approccio teorico (conce­ zione lineare dello sviluppo) e, in particolare, sulle connessioni che alcuni degli autori (Harter, 1 983 , Greenwald, 1 988) più rappresenta­ tivi hanno sottolineato tra sviluppo della conoscenza di sé e sviluppo cognitivo. r. 3 . 3 . Conoscenza di sé e sviluppo cognitivo

Muovendoci all'interno degli studi di matrice socio-cognitiva, non possiamo fare a meno di soffermarci sulla sistematizzazione dello svi­ luppo della conoscenza di sé messa a punto da Greenwald ( 1 98 8 ) . In accordo con altri autori che seguono la stessa prospettiva della Social Cognition (Markus, Wurf, 1 987 ; Kihlstrom et al. , 1 988), Greenwald 66

I . APPROCCI COGNITIVI

considera il sé come una struttura cognitiva complessa e composta da strutture di conoscenze, definite come rappresentazioni mentali. Se­ condo questo autore, le rappresentazioni mentali di cui è formato il sé possono essere distinte in cinque diversi livelli che, in ordine di complessità crescente, utilizzano come loro elementi rappresentativi le caratteristiche, gli oggetti, le categorie, le proposizioni, gli schemi. De­ scrivendo un'articolazione che viene considerata alla base di ogni processo di rappresentazione mentale (Five Levels o/ Human Repre­ sentation , LORh5 ) , questi cinque livelli sono organizzati in modo gerar­ chico: ad ogni livello viene cioè riconosciuta la funzione di elaborare qualità dell'ambiente che non sono elaborate dal livello precedente. Le proprietà dell'ambiente rappresentate al primo livello di elabo­ razione (caratteristiche) sono quelle più direttamente legate ai processi sensoriali di base (come ad esempio i colori, i suoni, la temperatura) . Soltanto dopo essersi combinate tra loro in una specie (Gestalt) , tali proprietà danno luogo ad una rappresentazione mentale di secondo livello (oggetti) . Passando attraverso il più elementare dei processi di organizzazione cognitiva, gli oggetti vengono raggruppati in classi. In questo modo le proprietà dell' ambiente rappresentate vengono a d eli­ ne arsi in termini delle relazioni di somiglianza/differenza tra oggetti che appartengono ad una stessa categoria (identità astratta) . Il fatto che le classi vengano collegate alle funzioni che gli oggetti in esse in­ cluse possono svolgere è ciò che contraddistingue il terzo livello di elaborazione, caratterizzato dalla formazione di proposizioni. Seguen­ do Greenwald ( 1 98 8 ) , le proprietà emergenti a questo livello sono due: la prima è quella specificata dalla relazione che connette l'attore con la sua azione (agency) ; la seconda è invece quella derivante dalla connessione che si stabilisce tra l'azione e l'oggetto che questa utilizza (strumentalità) . Nel più complesso dei livelli di elaborazione descritti d a questo autore sono infine implicate combinazioni di proposizioni organizzate in schemi attraverso i quali le rappresentazioni assumono la forma di " script" , di " frames " e di modelli mentali. A questo proposito Green­ wald prevede la possibilità di diversi schemi di coerenza, quali ad esempio la coerenza narrativa, l'equilibrio cognitivo, la coerenza con se stessi (self-consistency) , con le leggi sociali (legalità) , con i propri principi interni (moralità) , con i dati empirici di esperienza. Come è già stato accennato in apertura del presente paragrafo, questa descrizione dei processi della rappresentazione mentale artico­ lata in cinque livelli non si limita a definire una gerarchia basata sul loro grado di complessità, ma scandisce anche un percorso evolutivo che segue le principali tappe dello sviluppo cognitivo. Particolarmen-

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te evidente risulta a questo riguardo la corrispondenza concettuale tra i livelli delle "proposizioni" e degli " schemi " e i due stati che, se­ condo Piaget (Inhelder, Piaget, 1 95 6 ) , indicano uno dei cambiamenti più complessi e rilevanti dello sviluppo cognitivo: rispettivamente lo stadio delle operazioni concrete e quello delle operazioni formali. Ma un'ulteriore continuità concettuale può esser rintracciata tra gli altri tre livelli e l'articolazione dello stadio senso-motorio proposta da Bru­ ner ( 1 966) . Chiara emerge infatti la corrispondenza tra il livello delle " caratteristiche" e lo stadio " enactive " indicato dallo stesso Bruner, tra quello degli " oggetti" e la fase iconica, tra quello delle " classi" e il pensiero simbolico. Secondo Greenwald ( 1 98 8 ) , lo sviluppo del sé segue lo stesso or­ dine evolutivo in cui sono coinvolti i più generali processi della rap­ presentazione umana. Per questo autore, l' articolazione dei cinque li­ velli appena descritta può esser quindi proficuamente applicata allo sviluppo del sé. In questa prospettiva, al livello più basso, le "caratte­ ristiche " degli stimoli sono quelle che forniscono una prima base per la distinzione sé-altro, mentre è al successivo livello degli " oggetti" che il sé incomincia ad essere visto come un oggetto distinto dal con­ testo. Il pensiero simbolico e la concomitante organizzazione della co­ noscenza di sé in termini di " classi " permettono al bambino di iden­ tificarsi con una particolare categoria sociale. A livello delle "proposi­ zioni" , il sé viene vissuto come capace di modificare e di controllare gli eventi del mondo circostante (senso di agency) . Il livello degli " schemi" presuppone infine una conoscenza di sé molto più comples­ sa. Come abbiamo già accennato, gli schemi possono articolarsi in maniere diverse: da quelli centrati sulla descrizione di sé, a quelli nar­ rativi, passando attraverso gli schemi di valutazione del sé. E proprio a quest'ultima modalità di organizzazione della conoscenza di sé che Greenwald dedicherà gran parte delle sue riflessioni. Nel rimandare ad un momento successivo l'analisi di tali riflessio­ ni (cfr. PAR. 3 . I . I ) , ci preme qui sottolineare che nonostante l'allinea­ mento tra livelli della rappresentazione mentale e stadi dello sviluppo cognitivo, l'autore considera prematuro associare i livelli di sviluppo della conoscenza di sé alle stesse fasce d'età che scandiscono le tappe dello sviluppo cognitivo previste da Piaget. Una simile scansione è stata invece più chiaramente condivisa da altri autori tra i quali vor­ remmo soprattutto ricordare la Harter ( 1 98 3 , 1 999). Nell'affrontare lo studio delle modalità in cui si costruisce l'immagine di sé nel corso dello sviluppo, questa autrice ha infatti messo a punto un modello di cambiamento del concetto di sé che è particolarmente rappresentati­ vo a questo riguardo. 68

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Secondo la Harter ( 1 9 8 3 ) , i pochi studi che hanno documentato i cambiamenti evolutivi nelle descrizioni di sé hanno evidenziato un graduale passaggio da una tendenza a privilegiare l'indicazione di ca­ ratteristiche concrete (ad esempio fisiche) , a crescenti preferenze per tratti o costrutti riguardanti la personalità, per passare quindi a defi­ nizioni di sé sempre più basate su caratteristiche psicologiche. Poche sono invece le ricerche che hanno messo in luce come si costruisce la conoscenza di sé nel corso dello sviluppo. Quest'autrice considera tali conoscenze come il prodotto dell'interazione tra lo sviluppo delle ca­ pacità cognitive e le esperienze di socializzazione. L'evoluzione dell'a­ bilità cognitiva e le esperienze di socializzazione in cui le persone sono implicate giocano quindi un ruolo rilevante rispetto ai cambia­ menti che riguardano sia i contenuti che compongono le immagini di sé, sia i processi attraverso i quali tali conoscenze vengono elaborate, valutate ed integrate in teorie di sé sempre più astratte 1 0 • A partire da tali presupposti, Harter ( 1 983 , 1 994) sviluppa un modello di cambiamento del concetto di sé che si articola su due di­ mensioni. La prima dimensione riguarda il contenuto del concetto che le persone hanno di sé e coglie i cambiamenti negli attributi at­ traverso i quali il sé viene descritto nel corso della vita. La seconda dimensione, definita " strutturale" , riguarda invece il modo in cui le conoscenze (contenuti) circa il sé vengono cognitivamente organizzate nel corso dello sviluppo. Rispetto al contenuto, l'autrice distingue gli aspetti più direttamente osservabili (quali ad esempio gli attributi fisi­ ci e i comportamenti) , ai quali viene fatto soprattutto riferimento nel­ le prime fasi dello sviluppo, dagli aspetti psicologici (quali ad esem­ pio le emozioni e gli affetti, le cause e gli scopi, i pensieri e i processi del pensiero) , come riferimenti più comuni nelle fasi successive. I cambiamenti strutturali del concetto di sé dalla prima infanzia all'età adulta vengono invece descritti attraverso una sequenza di quattro stadi che in gran parte riprende gli stadi dello sviluppo cognitivo ela­ borati da Piaget. Ogni stadio della descrizione di sé presenta caratteIO. In accordo con i paradigmi della Social Cognition (Markus, Wurf, I 987; Ber­ zonsky, I 98 8 , tra gli altri) secondo i quali il sé può essere considerato come una " teo­ ria " (costruzione cognitiva) , Harter ( I 9 8 3 ) ripercorre le linee teoriche tracciate da Ep­ tein ( I 973 ) e assume i processi di costruzione della conoscenza di sé come analoghi a quelli implicati nella costruzione di una teoria scientifica. Le persone sono quindi vi­ ste come degli "scienziati sociali" che costruiscono teorie su di sé attivando processi di natura cognitiva. Muovendo dalla considerazione del sé-come-oggetto, una simile prospettiva rivolge in particolare l'attenzione ai processi riguardanti la formulazione delle ipotesi, la ricerca di informazioni e la convalida delle teorie personali basata sui dati di esperienza.

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ristiche peculiari ed è distinto al suo interno in due diverse sottofasi: una di generalizzazione, l'altra di differenziazione. Nella prima infanzia ( I0 stadio) le caratteristiche del pensiero p re­ operatorio non consentono al bambino di andare oltre una descrizio­ ne del sé composta da un insieme disarticolato e instabile di caratteri­ stiche direttamente osservabili. Il «giovane infante» procede in manie­ ra analoga a come procederebbe un demografo, un «behaviourista estremo» che raccoglie solo gli elementi autodescrittivi manifesti. Come testimoniano le ricerche, la descrizione di sé fornita dai bambi­ ni piccoli risulta prevalentemente ancorata ai propri comportamenti, alle proprie preferenze, alle proprie caratteristiche fisiche, agli oggetti che essi possiedono. A metà dell'infanzia, l'abilità a compiere «operazioni concrete» (2 ° stadio) è quella che permette di integrare attributi particolari e comportamenti specifici in rappresentazioni di sé di livello più astrat­ to, fondate dapprima soprattutto su tratti di personalità o su caratte­ ristiche emozionali, poi sempre più articolate su caratteristiche inter­ personali. È in questo periodo che, procedendo attraverso una logica prevalentemente induttiva, i bambini arrivano a descriversi sulla base di caratteristiche personali (come ad esempio «intelligente», «genti­ le») che diventano un'integrazione dei comportamenti e degli attribu­ ti più direttamente osservabili. Considerando che nello stadio delle operazioni formali i bambini stessi sono in grado di immaginare cosa pensano di loro gli altri significativi, Harter riconosce ad essi anche la capacità di costruire una prima, seppur rudimentale, «idea di sé» e di sottoporla al confronto sociale. È tuttavia soltanto durante l'adolescenza che la conquista del pen­ siero formale (3° stadio) renderà possibile l'introspezione e la rifles­ sione su se stessi, sui propri pensieri, sentimenti, scopi e valori; è cioè questa la fase in cui diventa anche possibile sperimentare l'Io come attivo costruttore delle teorie su di sé e nella quale emergono conce­ zioni di sé più astratte ed individualizzate. Prevalentemente focalizza­ to sulle proprie caratteristiche interiori e/o psicologiche e orientato verso l'introspezione, l'adolescente è inoltre considerato dall'autrice come soggetto capace di integrare le precedenti rappresentazioni di sé (tratti personali) in astrazioni di livello superiore. E ciò, in analogia a quanto segnalato da Greenwald ( 1 9 88) attraverso la sua descrizione del livello degli " schemi" . Secondo la Harter ( 1 983 ) , anche se la capacità di riflettere su se stessi costituisce una nuova importante premessa per la costruzione di "teorie di sé" durante l'adolescenza, la validazione empirica di tali teorie presenta alcuni aspetti problematici. Nella ricerca di elementi

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sulla base dei quali costruire il sé, gli adolescenti utilizzano infatti la capacità, ormai acquisita, di procedere attraverso inferenze. Ma tale capacità è anche quella che li porta ad andare al di là dei dati empiri­ ci di esperienza e a condurli verso rappresentazioni anche solo ipote­ tiche della realtà. In altri termini ciò significa che la propria espe­ rienza non è più l'unico fattore che determina se un certo attributo verrà assimilato nel concetto di sé. Altri sono infatti i fattori emergen­ ti che giocano un ruolo sempre più rilevante e che costituiscono l'e­ spressione di nuovi bisogni. Tra questi, il bisogno di mantenere un'organizzazione complessiva del sistema di sé che conservi una cer­ ta coerenza tra i suoi diversi aspetti costitutivi, una continuità nel tempo (Eptein, I 97 3 ) e il riconoscimento da parte degli altri (Erik­ son, I 968 ) . È tuttavia evidente come la soddisfazione di questi nuovi bisogni diventi un compito non facile per gli adolescenti, consideran­ do soprattutto la molteplicità dei cambiamenti che essi si trovano ad affrontare: non soltanto quelli legati al passaggio da una concezione monolitica ad una concezione sempre più differenziata e complessa del sé, ma anche quelli riguardanti il crescente numero di ruoli con cui gli adolescenti stessi sono chiamati a misurarsi nelle diverse situa­ zioni che scandiscono i loro percorsi di socializzazione. Come è stato ampiamente documentato dalla ricerca (per alcune rassegne cfr. Da­ mon, Hart, I 982 ; Harter, I 9 83 ) , una consistenza altrettanto crescente viene inoltre assunta dai conflitti che essi percepiscono tra le diverse dimensioni o i diversi " piani di realtà " : tra sé ideale e sé reale, tra sé pubblico e sé autentico, tra sé desiderato o temuto e sé attuale. Se­ guendo Harter (I 990) , la possibilità che tali conflitti vengano o meno vissuti come una minaccia per la propria identità dipende da una molteplicità di fattori: se il primo tra tutti è proprio quello riguardan­ te la numerosità dei cambiamenti che caratterizzano la fase adolescen­ ziale, altri fattori che non possono certo esser trascurati sono costitui­ ti sia dalla tendenza a sentirsi più o meno responsabili di queste flut­ tuazioni (Harter, I 98 8 ) , sia dalla più generale difficoltà che gli adole­ scenti incontrano nel controllare con efficacia le nuove strutture co­ gnitive. Come sottolinea infatti l'autrice (Harter, 1 990, pp. 3 62 - 3 ) , l'avvento di ogni nuova abilità cognitiva comporta la difficoltà legata ad un efficace controllo ed applicazione di essa. Questa tendenza può esser osser­ vata nell'utilizzo delle abilità di perspective taking e di giudizio autoriflessivo. Il teenager ha ad esempio difficoltà a distinguere quelle che sono le proprie preoccupazioni da ciò che gli altri pensano di lui, fino ad arrivare ad una forma di egocentrismo nota come «pubblico immaginario» (Elkind, 1 967). Gli adolescenti che assumono erroneamente che gli altri siano altrettanto

SÉ E IDENTITÀ

preoccupati del proprio comportamento e del proprio aspetto quanto lo sono essi stessi [. .. ]. È interessante notare che l'incapacità di controllo e di efficace utilizzazione delle nuove strutture cognitive può manifestarsi non solo attraverso una mancanza di differenziazione tra sé e gli altri, come au­ dience immaginaria, ma anche attraverso una differenziazione eccessiva o ir­ realistica. Quest'ultima tendenza può esser osservata in un 'altra forma di egocentrismo che Elkind ha definito della «favola personale». Nel ricostruire la propria storia di vita, gli adolescenti affermano che i loro pensieri e i loro sentimenti costituiscono un'esperienza unica. Nessun altro ha la possibilità di capire o sperimentare l'ebbrezza del loro entusiasmo, l'intensità della loro disperazione.

I risultati delle ricerche condotte da Harter ( 1 983 , 1 999) e da Harter, Monsour ( 1 992) mostrano che i problemi di conservazione del sé su­ biscono un significativo e drammatico incremento nel passaggio dalla prima ( 1 2 - 1 3 anni) alla media adolescenza ( 1 4- 1 5 anni) . In questa fa­ scia d'età gli adolescenti si scoprono infatti più sensibili e più distur­ bati dalle discrepanze percepite tra i vari aspetti del sé. Interpretando questi risultati alla luce della teoria dello sviluppo cognitivo di Fisher ( 1 98o) , la Harter traccia ancora una volta un parallelismo tra la natu­ ra del concetto di sé e lo sviluppo del pensiero astratto. Secondo l'autrice, nella prima adolescenza l'incapacità di controllare con effi­ cada alcune funzioni delle nuove strutture cognitive non consente ai teenager di confrontare quelle singole astrazioni su di sé che pur essi sono in grado di costruire attraverso i dati di esperienza. La percezio­ ne delle contraddizioni insite nei diversi aspetti del sé e le relative preoccupazioni, si accentuano in modo evidente verso l'età di 14- 1 5 anni, con l'acquisizione d i nuove abilità del pensiero cognitivo (livello definito abstract mapping; Fisher, 1 980) , per diminuire progressiva­ mente in età adulta, quando gli individui sono ormai capaci di inte­ grare a livello più astratto anche aspetti apparentemente contradditto­ ri del sé e di coordinare le proprie identità con quelle degli altri si­ gnificativi, in accordo con le aspettative sociali (livello cognitivo defi­ nito dei "sistemi astratti " ) . È tuttavia solo nell'ultima fase dell'età adulta (system o/ abstract) che lo sviluppo del pensiero astratto per­ metterà agli individui non solo di integrare le proprie diverse identità, ma anche di collocarle all'interno di un percorso e di un progetto unitario e coerente sia rispetto alla propria storia di vita, sia rispetto alle aspettative degli altri significativi e ai valori culturali del contesto di riferimento. Anche nell'età adulta quindi, secondo la Harter ( 1 983 ) , la conoscenza di sé si sviluppa in stretta connessione con i cambiamenti che avvengono nel pensiero astratto. Cambiamenti di cui sembrano rendere conto anche approcci teorici di matrice diversa

I . APPROCCI COGNITIVI

rispetto a quella seguita dall'autrice (Erikson, 1 95 9 ; Back, Gergen, 1 96 8 ; Levinson, 1 97 8 ) . Tornando alla seconda dimensione del modello d i cambiamento del concetto di sé proposto dalla Harter ( 1 983 ) , quello dei contenuti, è forse sufficiente precisare alcune delle principali tendenze che la stessa autrice ha rilevato con le sue ricerche. In contrasto con molti degli studi evolutivi che hanno sottolineato una graduale progressione da descrizioni di sé basate su caratteristiche concrete, osservabili, a preferenze per tratti e costrutti di personalità, verso definizioni di sé più astratte, basate su caratteristiche psicologiche, le ricerche in que­ stione mostrano che le prime forme di conoscenza di sé non sco m­ paiono nelle successive fasi dello sviluppo; piuttosto esse vengono in­ tegrate e organizzate in astrazioni di ordine superiore. Un'indicazio­ ne, quest'ultima, che ritroviamo anche, sia pure formulata in maniera diversa, nel "modello multidimensionale dello sviluppo della com­ prensione di sé" di Damon, Hart ( r 982, 1 98 8 ) . r . 3 4 Il modello multidimensionale dello sviluppo della conoscenza di sé di Damon e Hart ·

·

I risultati dei numerosi studi condotti sui cambiamenti della cono­ scenza di sé in età evolutiva costituiscono i riferimenti di base da cui Damon, Hart ( r 982 , 1 988, 1 992 ; Hart, 1 988) partono per sviluppare le loro riflessioni ed avanzare la proposta di un modello di analisi al­ ternativo. Come è stato precedentemente accennato, questi autori as­ sumono infatti una posizione critica nei confronti dell'unidirezionalità che caratterizza in genere l'impostazione degli studi in questione. Il modello da loro proposto per lo studio dello sviluppo e della com­ prensione di sé, si articola su tre dimensioni: il Me, l'Io e i livelli dello sviluppo. Le tre dimensioni sono graficamente rappresentate come larghezza (Me) , profondità (lo) e altezza (livelli dello sviluppo) di una figura geometrica cubica che gli autori presentano come sintesi del loro modello. Ciascuna dimensione è suddivisa in sottodimensio­ ni. Il Me, che corrisponde al sé-come-oggetto di J ames, è suddiviso nei quattro costituenti o schemi di sé di cui abbiamo parlato nel PAR. 1 .3 .2 . L'lo o il sé-come-soggetto è invece suddiviso nei tre processi che gli autori considerano implicati nella " presa di consapevolezza del sé " : i processi rispettivamente sottostanti all'acquisizione dei sen­ timenti di continuità, di unicità e di efficacia (agency) . La dimensione verticale, che descrive i principi attraverso i quali la conoscenza e consapevolezza di sé viene cognitivamente organizzata, è distinta in quattro livelli di sviluppo: rispettivamente, seguendo la sequenza evo73

SÉ E IDENTITÀ

lutiva, il livello delle "identificazioni categoriali " , quello delle "valuta­ zioni comparate " , delle " implicazioni interpersonali" e dei " piani e credenze sistematiche" . Ogni sottodimensione del Me e dell'Io segue un proprio percorso evolutivo, anche se gli autori, criticando le impo­ stazioni teoriche basate sul principio dell'unidirezionalità, ammettono un certo grado di comunanza soprattutto lungo la dimensione oriz­ zontale del sé-come-oggetto. L'assunto fondamentale a cui è ispirata la costruzione di questo modello a più dimensioni è che a tutte le età i soggetti abbiano qual­ che conoscenza del proprio sé in termini di attributi fisici, di attività, di caratteristiche sociali e/o psicologiche, così come una qualche for­ ma di consapevolezza del proprio senso di continuità, di unicità e di controllo sui propri sentimenti e sulle proprie azioni. Ciò che cambia dall'infanzia all'adolescenza è piuttosto il modo in cui tali conoscenze e consapevolezze vengono organizzate ed integrate. I quattro diversi livelli di sviluppo della comprensione di sé che gli autori hanno di­ stinto a questo proposito corrispondono alle conoscenze e consapevo­ lezze circa il sé organizzate rispettivamente nella prima infanzia, nella media e tarda fanciullezza, nella prima adolescenza e nell'adolescenza più avanzata. N ella prima infanzia prevale il livello delle identificazioni catego­ riali. Il sé viene descritto come una costellazione di attributi fisici, di attività tipiche, di appartenenze di gruppo o di caratteristiche psicolo­ giche, che hanno la funzione di semplici facciate descrittive. Tali identificazioni costituiscono l'unico elemento sul quale i bambini pic­ coli costruiscono il proprio senso di continuità e di distinzione dagli altri, mentre il sé come " realtà" e la sua formazione vengono fatte risalire a forze sovrannaturali, biologiche o sociali. Il livello delle valutazioni comparate riguarda la modalità di orga­ nizzazione delle conoscenze di sé più comune nella media e tarda fanciullezza. A questo livello il sé tende ad essere definito attraverso un'intensa attività di confronto con gli altri (reali o immaginari) , con riferimenti standardizzati (di natura normativa, fisica e sociale) , con le diverse forme che il sé può assumere in circostanze diverse (ruoli e piani di realtà) . Se le proprie capacità, talenti, abilità vengono consi­ derati alla base del proprio sentimento di efficacia, è la percezione dell'immutabilità e della permanenza di alcune caratteristiche del pro­ prio sé a fornire un senso di continuità con il proprio passato; men­ tre è il confronto con gli altri su alcune dimensioni della propria per­ sonalità a determinare l'unicità del sé. Nella prima adolescenza prevale il livello delle implicazioni inter­ personali. La descrizione di sé tende ad essere espressa prevalente74

I . APPROCCI COGNITIVI

mente attraverso quelle caratteristiche fisiche, attività, tratti sociali o aspetti psicologici che influenzano la propria interazione con gli altri o riflettono la propria capacità/incapacità di essere attraenti ai loro occhi. Come gli autori sottolineano, è infatti soprattutto nella prima e media adolescenza che la costruzione del concetto di sé è più stretta­ mente incorporata ai contesti relazionali della famiglia, degli amici, dei compagni di classe. Gli adolescenti tendono a conoscere e a defi­ nire se stessi soprattutto attraverso le loro interazioni sociali; credono cioè che la natura del sé sia determinata prevalentemente dalle comu­ nicazioni e dalle interazioni con gli altri significativi; trovano nella propria collocazione all'interno di questa rete di relazioni sociali il proprio senso di continuità e di distinzione dagli altri. Solo nell'adolescenza più avanzata i vari aspetti del sé sono incor­ porati ed integrati in teorie che riflettono credenze o progetti di vita personali. Il modello di Damon, Hart ( r 982 , 1 9 88) presenta dunque molti punti di convergenza con quello messo a punto dalla Harter ( r 9 8 3 ) . Oltre a suggerire che i diversi aspetti o "schemi di sé " sono com­ presenti a tutte le età, entrambi i modelli teorici sono infatti d' accor­ do sulla possibilità che le persone possano contemporaneamente uti­ lizzare diversi livelli di organizzazione della conoscenza di sé. Come in particolare viene suggerito da Damon, Hart ( r 9 88), le prime forme di conoscenza del sé, che in genere riguardano soprattutto gli attribu­ ti fisici, non scompaiono nei livelli successivi dello sviluppo. Queste vengono invece integrate con quelle acquisite in seguito e continuano quindi a caratterizzare la descrizione che i soggetti forniscono di se stessi, anche se con funzioni diverse. Per superare l'unidirezionalità che caratterizza l'impostazione degli studi sui cambiamenti della co­ noscenza di sé in età evolutiva, Damon e Hart applicano il loro mo­ dello di sviluppo alle singole dimensioni della conoscenza del sé (schemi di sé) e non alla persona intesa nella sua globalità. Con que­ sta ipotesi gli autori spiegano perché le descrizioni che un soggetto fornisce di se stesso tendono generalmente ad includere elementi de­ scrittivi che , per il modo in cui vengono presentati, risultano ricondu­ cibili ai livelli diversi di sviluppo della comprensione di sé. Una tendenza, quest'ultima, che è emersa anche da una ricerca esplorativa condotta su un gruppo di 65 ragazzi e ragazze in età prea­ dolescenziale (Mancini, 1 996) . In accordo con altri studi (Secchiaroli, Mancini, 1 996), i risultati di tale ricerca mettono in luce descrizioni di sé caratterizzate da un certo livello di complessità (per quanto ri­ guarda i contenuti e le modalità di organizzazione della conoscenza di sé) e di problematicità (per quanto riguarda la continuità e la coe75

SÉ E IDENTITÀ

renza delle proprie esperienze) . I protocolli delle risposte al "Chi sei tu? " , analizzati utilizzando le indicazioni del modello di Damon, Hart ( I 988; cfr. PAR. 5 .2 . I ) , evidenziano in particolare che i soggetti tendo­ no a descriversi soprattutto attraverso i propri attributi psicologici o sociali, mentre con il crescere dell'età aumenta l'attenzione dedicata agli aspetti fisici del sé. Abbandonando a poco a poco il loro ruolo di semplici "facciate descrittive" (il livello delle identificazioni categoria­ li) , le caratteristiche utilizzate dai preadolescenti studiati per definire chi sono, ed in particolare quelle riguardanti tratti o attributi di ca­ rattere fisico, sembrano sempre più riflettere un processo di confron­ to con gli altri, con gli standard fisici, sociali o normativi o con se stessi visti in altre situazioni (livello delle valutazioni comparate) . In altri soggetti, le proprie caratteristiche vengono invece valutate e con­ siderate alla luce dell'influenza o delle conseguenze che queste hanno sull'interazione con gli altri (livello delle implicazioni interpersonali) . In entrambi i casi le espressioni utilizzate dai soggetti tendono a se­ gnalare difficoltà nella definizione di sé. Come altri studi hanno indi­ cato rispetto all'età adolescenziale genericamente intesa (van der Werff, I 985 , I 99o) e come emerge anche dalle risposte fornite da un campione più vasto di preadolescenti (Mancini, I 996, I997a) alcu­ ne di queste difficoltà sono legate alla percezione di contrasti tra aspetti diversi del sé; altre alla mancanza di punti di riferimento ai quali ancorare le proprie esperienze. I contrasti percepiti dai preado­ lescenti considerati riguardano in particolare la dimensione temporale e spaziale all'interno della quale awengono i cambiamenti che li ri­ guardano, i diversi piani di realtà del sé (sé desiderato, ideale, temu­ to, normativa) , il riconoscimento da parte degli altri significativi delle caratteristiche da essi considerate come proprie, reali ed autentiche, la difficoltà di riconoscersi in una delle due categorie sociali che se­ guono la distinzione tra chi è adulto e chi è ancora bambino (margi­ nalità sociale; Lewin, I 9 5 I ) . È invece alla molteplicità di riferimenti I I ,

1 r . La ricerca ha coinvolto un campione di 3 7 6 ragazzi ( 1 8 5 ) e ragazze ( 1 9 1 ) equamente distribuiti per classe (età media pari a 1 2 ,6 anni) e livello socio-economico del bacino di utenza delle scuole medie pubbliche considerate. Ai soggetti in que­ stione sono stati somministrati collettivamente (in classe) tre questionari strutturati. n questionario sugli stati di identità (del quale parleremo più diffusamente nel PAR. 5 .2 . 3 ) mira a cogliere come i preadolescenti fanno fronte alla costruzione dei diversi aspetti della propria identità in termini di esplorazione e di impegno. n questionario sui problemi della definizione di sé (i cui risultati sono commentati in questo para­ grafo; cfr. anche PAR. 5 . 2 . 2 ) è finalizzato a rilevare la natura e l'intensità dei problemi che i ragazzi incontrano nel costruire teorie di sé coerenti ed unitarie. L'ultimo que­ stionario mira a ricostruire i loro contesti di vita e di relazione quotidiana.

I . APPROCCI COGNITIVI

percepiti ormai come possibili che vanno ricondotte quelle espressio­ ni attraverso le quali i preadolescenti lamentano un senso di vuoto ed una difficoltà di percepire e di descrivere chi realmente essi sono. Per concludere questo capitolo dedicato all'analisi degli approcci che abbiamo definito come cognitivi, vorremmo anticipare alcuni degli spunti di riflessione che verranno meglio articolati nel CAP . 6. Più in particolare, vorremmo sottolineare che nonostante la diversità dei modelli teorici e degli interessi empirici di volta in volta privilegiati, gli approcci che abbiamo presentato tendono a condividere tre assun­ ti di fondo. Il primo assunto riguarda il ruolo giocato dalla persona nei processi di costruzione del sé. Sia gli studi focalizzati sui processi cognitivi che presiedono alla formazione del sé (pAR. I . I ) , sia quelli interessati soprattutto alle funzioni che il sé in quanto struttura co­ gnitiva complessa svolge nella vita quotidiana (PAR. r.2) , sia infine i modelli orientati alla spiegazione dei cambiamenti evolutivi riguar­ danti i modi in cui la conoscenza di sé viene organizzata cognitiva­ mente (PAR. r . 3 ) vedono infatti la persona come un protagonista atti­ vo nella costruzione dell'immagine di sé. È la persona stessa, l'Io del­ la definizione di J ames, a selezionare, elaborare ed immagazzinare le informazioni rilevanti relative al proprio sé, ad indirizzare le proprie azioni verso il conseguimento di obiettivi di autorealizzazione o di au­ toaffermazione, ad articolare i dati di esperienza sulla base delle abili­ tà cognitive di cui dispone. Il secondo assunto che accomuna gli approcci presentati è quello relativo ai contenuti attraverso i quali il sé viene descritto. Nell'ottica privilegiata dagli studi cognitivi descritti in questo capitolo, il sé è considerato come una struttura cognitiva. Gli autori che si riconosco­ no in questo presupposto ipotizzano quindi l'esistenza di una struttu­ ra di conoscenze autoriferite la cui complessità ed articolazione di­ pendono dall'importanza soggettivamente attribuita a particolari am­ biti di competenza, dai comportamenti intra ed interpersonali messi in atto e mediati dalle precedenti costellazioni di immagini di sé, dal­ le abilità cognitive via via acquisite nel corso dello sviluppo. Il terzo e ultimo assunto riguarda il ruolo attribuito al contesto nel quale le informazioni che compongono il sé vengono raccolte. Le teorie e le ricerche che abbiamo presentato tendono a trascurare il ruolo dei contesti sociali e relazionali sui processi di conoscenza del sé. Il sociale non viene quasi mai considerato come una matrice che influenza significativamente i processi di costruzione del sé. Semmai il sociale al quale questi autori tendono a fare riferimento è quello che si specifica nella natura di alcune delle informazioni che le persone 77

SÉ E IDENTITÀ

elaborano per costruire immagini di sé e/o nelle caratteristiche situa­ zionali - peraltro mai precisate - che attivano determinate costellazio­ ni di rappresentazioni di sé. Un'osservazione, quest'ultima, che si connette a quella relativa al livello di analisi privilegiato da questa prospettiva di studi, un livello che , riconducendo il sociale allo psico­ logico-individuale, possiamo considerare come in prevalenza intraper­ sonale (Doise, 1 986) .

2

Approcci sociali

L'attenzione rivolta alle dimensioni sociali del concetto che le perso­ ne hanno di sé, è ciò che accomuna gli approcci presentati in questo capitolo. Diversamente dagli studi cognitivi gli approcci " sociali" en­ fatizzano l'importanza dei contesti entro i quali il sé si sviluppa. Di­ versi sono tuttavia i livelli e le dimensioni di tali contesti che vengono di volta in volta presi in considerazione. Mentre alcuni studi, condotti secondo la prospettiva interazionista, si sono infatti focalizzati sul li­ vello "interpersonale" , altri, in accordo con i teorici dell'identità so­ ciale, hanno invece privilegiato il livello delle " relazioni intergruppo " . Altri ancora, seguendo l a prospettiva del socio-costruzionismo, hanno infine considerato come principale la dimensione più propriamente simbolico-linguistica, privilegiando in questo modo il livello "ideolo­ gico" dei contesti. Il passaggio a questo orientamento di studio sposta il focus della nostra attenzione verso prospettive teoriche ed empiriche che da un lato si ancorano alla corrente pragmatista e funzionalista della psico­ logia sociale americana e, più in particolare, a quella tradizione di studi e ricerche che trova i suoi precursori nel pensiero di J ames pri­ ma e nell'interazionismo di Cooley e Mead poi, fino all'approccio proposto dall' etnometodologia, dall'altro lato fanno riferimento agli studi riguardanti i processi di categorizzazione e i rapporti intergrup­ pi della Scuola di Bristol. Un passaggio questo, che si accompagna, tra le altre cose, anche ad un cambiamento nella terminologia utiliz­ zata. Come risulterà evidente dalla lettura dei paragrafi che seguono, la nozione di sé privilegiata negli studi classici viene infatti sostituita con quella di "identità " , utilizzata nella maggior parte degli studi e delle ricerche che presenteremo. Partendo da una sintetica esposizione delle intuizioni che J ames ( r 89o) , Cooley ( r 9o2 ) e Mead ( r 934) hanno articolato rispetto alla natura sociale del sé, verranno presentati alcune delle più recenti ri­ flessioni emerse all'interno degli studi psico-sociali: da quelle più vici79

SÉ E IDENTITÀ

ne alla prospettiva socio- costruzionista, a quelle in qualche modo le­ gate alla teoria dell'identità sociale di Tajfel, Turner ( 1 979). La descrizione di questi diversi approcci sarà in particolare svi­ luppata con riferimento sia ai contenuti delle dimensioni sociali ri­ spettivamente considerate, sia ai relativi processi attraverso cui tali di­ mensioni si originano. 2.1

Le dimensioni sociali del sé

2 . 1 . 1 . Gli studi classici L'idea che il sé sia inestricabilmente legato alla vita sociale e da essa in buona parte determinato costituisce uno dei presupposti sui quali si fondano le teorie sul sé proposte da autori le cui opere vengono a tutt'oggi annoverate tra i " classici , della psicologia sociale. Molti dei lavori più recenti rispecchiano le intuizioni di Cooley sul sé-specchio, ,, le riflessioni di Me ad sul concetto di " altro generalizzato e la conce­ zione drammaturgica secondo la quale Goffman descrive la vita socia­ le di cui il sé è un prodotto. Ma, come molti autori contemporanei sottolineano (Rosenberg, 1 988; Amerio, 1 995 ) , il vero precursore del­ l' origine sociale del sé, nonché l'autore al quale molte delle riflessioni di Cooley e Mead si ispirano è William J ames. Nei suoi Principles o/ Psychology ( 1 89o) , il sé viene per la prima volta considerato come l'e­ lemento centrale di collegamento tra il mondo psichico e mentale dell'individuo e il mondo esterno. Distinguendo all'interno della no­ zione di sé un Io conoscente ed un Io conosciuto, J ames utilizza il gioco dinamico delle due parti come elemento esplicativo dei processi che collegano le attività del pensiero e della coscienza individuale con il mondo degli oggetti fisici e sociali. La natura più esplicitamente so­ ciale del sé è quella che scaturisce (come Me conosciuto) dall'intera­ zione sociale, o meglio dalla rete delle percezioni e valutazioni che reciprocamente le persone si rinviano. Secondo J ames noi abbiamo tanti sé sociali quante sono le persone che, entrando con noi in rela­ zione, ci riconoscono e portano un'immagine di noi nella loro mente. Diversi sono i riferimenti esterni attraverso i quali il sé sociale viene costruito: dalle opinioni espresse dai membri dei gruppi ai quali ap­ parteniamo e con i quali condividiamo idee e stili di vita, alle relazio­ ni significative stabilite con persone intime, a quelle caratterizzate da contrapposizione e conflitto (Amerio, 1 995 ) . L a concezione sociale del sé è ripresa e rielaborata d a Cooley ( 1 902 ) . Interessato soprattutto ad analizzare i processi responsabili 8o

2 . APPROCCI SOCIALI

della formazione del sé sociale, Cooley introduce il concetto di auto­ rispecchiamento Uooking glass selj) . Anche per Cooley la conoscenza di sé e il sentimento della propria identità si sviluppano attraverso l'interazione sociale, ma rimangono in un certo senso al di fuori di essa. Secondo questo autore, il concetto che le persone hanno di sé si sviluppa, più in particolare, osservando quanto gli altri mostrano di pensare di noi stessi, osservando cioè le immagini di noi stessi che gli altri significativi ci rimandano. Il sé sociale viene cioè definito da Cooley come un'idea che le persone prendono dalla loro vita comuni­ cativa e tesaurizzano come propria attraverso il processo di autori­ specchiamento. In tale processo sono implicate diverse dimensioni: la capacità di immaginare come appariamo agli occhi degli altri e di prevedere la natura del giudizio che questi altri esprimeranno rispetto all'immagine che gli inviamo, si accompagna infatti al sentimento di orgoglio o di umiliazione che scaturisce dali' osservazione delle imma­ gini di noi stessi che gli altri ci rinviano. Assumendo una prospettiva più interazionista, Me ad (I 9 34) pro­ pone una teoria sull'origine sociale del sé nella quale i ruoli del socia­ le e dei processi psicologici, unitamente ai loro relativi meccanismi di interscambio, vengono maggiormente precisati (Amerio, I 99 5 ) . Se­ condo tale teoria il sé si forma nel corso dell'interazione con gli altri appartenenti allo stesso gruppo o alla stessa comunità a cui l'indivi­ duo stesso appartiene, attraverso l'interiorizzazione delle risposte, so­ cialmente condivise, che i nostri atteggiamenti suscitano negli altri, così come in noi stessi. Partendo dal presupposto che l'esperienza interiore, oggetto di studio privilegiato dalla psicologia, possa essere colta non solo attra­ verso l'introspezione, ma anche tramite l'osservazione oggettiva delle condotte umane, Mead assume i concetti di " atteggiamento " e di "ge­ sto " come elementi centrali della sua formulazione teorica. L' atteggia­ mento viene da lui visto, contrariamente al modo in cui il concetto era stato tradizionalmente definito, non solo come espressione di uno stato mentale, ma anche come punto di partenza di un'azione. Nel corso dell'interazione sociale l'atteggiamento, collegandosi con una potenziale azione che da esso può scaturire, diventa "segno " , tende cioè ad assumere un significato proprio e quindi ad essere ricono­ sciuto e suscitare negli altri risposte adeguate. Il gesto diventa, per chi lo compie, simbolo significante quando è in grado di suscitare in lui le stesse risposte che si presume susciterebbe negli altri a cui tale gesto è indirizzato. L'osservazione oggettiva degli atteggiamenti e dei gesti, intesi soprattutto come simboli significanti, costituisce quindi 8I

SÉ E IDENTITÀ

per Mead il metodo per studiare il mondo interiore e soggettivo e il sé come espressione di questo mondo. Ritornando alla riflessione elaborata sulla nozione di sé, secondo Mead è l'interiorizzazione degli atteggiamenti e dei gesti (simboli si­ gnificanti) a portare le persone alla coscienza di sé. Tale coscienza «consiste in un risveglio in noi stessi del gruppo di atteggiamenti che facciamo sorgere negli altri specialmente quando si tratta di un im­ portante insieme di risposte che contribuiscono alla formazione dei membri della comunità» (trad. it. 1 97 8 , p . 1 7 8 ) . Mead distingue due diversi tipi di interiorizzazione che corrispondono a due diversi stadi attraverso cui la coscienza di sé viene acquisita. Il primo tipo di inte­ riorizzazione {interiorizzazione degli atteggiamenti degli altri) è più concreto e si basa principalmente sul linguaggio dei gesti. In questo primo stadio il fattore essenziale alla formazione del sé è il gioco semplice (play). Più astratto e basato sull'intercambiabilità dei ruoli e delle posizioni sociali, il secondo tipo di interiorizzazione (interioriz­ zazione degli atteggiamenti dell'altro generalizzato) si realizza invece soprattutto attraverso il gioco organizzato (game) . Secondo Me ad il sé non esiste infatti sin dalla nascita, ma emerge quando il bambino di­ venta in grado di designare come simboli gli oggetti del suo ambiente e di definire se stesso come uno di questi oggetti. L'acquisizione della coscienza di sé presuppone quindi che il bambino sia in grado di produrre e di rispondere adeguatamente ai gesti, di assumere gli a t­ teggiamenti degli altri. Il primo stadio di acquisizione della coscienza di sé viene quindi raggiunto attraverso il gioco semplice (play) . Il bambino impara a "giocare a qualcosa " ; assume sé immaginari, invisibili come riferimen­ ti che hanno la funzione di organizzare le risposte che sollecitano ne­ gli altri e in loro stessi. «Il bambino gioca, per esempio, a vendersi qualcosa e l'acquista; consegna una lettera a se stesso, e se la prende; si rivolge a se stesso come se fosse un genitore, come se fosse un insegnante; arresta se stesso come se fosse un poliziotto. Egli ha un insieme di stimoli che sollecitano in lui lo stesso tipo di risposte che sollecitano negli altri. Assume questo gruppo di persone e le orga­ nizza in un certo complesso» (ivi, p. r 67) . Questa è la prima e più semplice forma di oggettivazione del sé che assumerà un più alto gra­ do di completezza nel gioco organizzato (game) . Ciò che differenzia il gioco organizzato da quello semplice è la complessità e la diversa scansione temporale dei processi implicati nell'assunzione dei diversi ruoli. Mentre nel gioco semplice il bambino assume un ruolo alla vol­ ta, non avendo ancora interiorizzato gli atteggiamenti di tutti i com­ pagni che partecipano con lui al suo gioco, nel gioco organizzato

2 . APPROCCI SOCIALI

deve esser in grado di assumere le parti di tutti gli altri partecipanti a quel determinato gioco e di comprendere la posizione che ciascun ruolo ha rispetto a tutti gli altri. In questo stadio di acquisizione della coscienza di sé il bambino deve cioè possedere l'abilità di assumere gli atteggiamenti dell'altro generalizzato, ossia gli atteggiamenti di tut­ ti gli altri e del gruppo organizzato di cui fa parte. Mead non si limita a definire l'altro generalizzato come l'interio­ rizzazione del complesso di regole e di ruoli che strutturano l'espe­ rienza del gioco organizzato nei bambini, ma estende tale concetto all'intero tessuto sociale di cui gli individui di una determinata collet­ tività fanno parte. Con tale concetto viene quindi indicato l'insieme delle rappresentazioni e delle aspettative che i vari gruppi e la comu­ nità di cui l'individuo è parte trasmettono all'individuo stesso. L'inte­ riorizzazione di queste rappresentazioni e aspettative permette ai sog­ getti di diventare membri organici e consapevoli dei gruppi e delle associazioni di diverso tipo di cui fanno parte e dell'intera società. In questo processo di formazione della coscienza di sé, non è pos­ sibile, secondo Mead, «tracciare una stabile linea di demarcazione tra i nostri "sé" e i " sé" degli altri dal momento che i nostri stessi " sé" esistono ed entrano in quanto tali nella nostra esperienza in quanto esistono anche i " sé" degli altri, che entrano in quanto tali nella no­ stra esperienza» (ivi, p. 1 79 ) . Da questa affermazione si può desume­ re che la natura sociale del sé non è riferita soltanto alla sua origine, ma anche al suo contenuto. Formandosi attraverso l'interazione socia­ le, il contenuto - e l'essenza - del sé è determinato dalle idee e dalla morale del tessuto sociale di riferimento. Sarebbe tuttavia riduttivo pensare che il sé sia per Me ad soltanto il prodotto dell' interiorizza­ zione degli atteggiamenti dell'altro generalizzato. Il sé non è soltanto qualcosa plasmato dai giudizi che l'altro fornisce all'interno del con­ testo dell'interazione, ma è anche creatività, attività, apertura verso il futuro. Sé e società sono visti come implicati in un processo dinamico tra l'individuo e gli altri; tra il Me, che rappresenta gli atteggiamenti della società fatti propri dal soggetto, e l'Io che è la risposta indivi­ duale a tali atteggiamenti. Esiste quindi anche per Mead un Io-sog­ getto che permette all'individuo di reagire alla comunità, di trasfor­ mare gli atteggiamenti degli altri generalizzati e per questa via la co­ munità in cui vive, e un Me-oggetto che è il prodotto dell'interio­ rizzazione delle idee e della morale della società. Il sé emerge dall'in­ terazione, dal dialogo tra un lo e un Me, un dialogo nel quale l'altro generalizzato interiorizzato organizza ed orienta l'attività dell'Io verso comportamenti dotati di significato e mete socialmente approvate. È at­ traverso il riconoscimento di questa funzione attiva dell'Io che Mead

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sembra sfuggire a quel determinismo sociale al quale pare invece più ancorata la posizione di Vygotsky ( 1 97 8 ) . Condividendo con Mead l'assunto sull'origine sociale del sé, Vy­ gotsky ( 1 978) considera l'acquisizione del linguaggio come lo stru­ mento principale attraverso il quale i bambini vengono aiutati ad estendere la conoscenza di sé oltre la "zona di sviluppo prossimale " . L'internalizzazione del linguaggio, o meglio delle pratiche linguisti­ che, struttura i processi del pensiero in funzione delle caratteristiche dei contesti sociali all'interno dei quali tale linguaggio viene speri­ mentato. Lo sviluppo del pensiero del bambino, come quello del pro­ prio sé, risulta quindi fortemente determinato dai contesti di socia­ lizzazione in cui ha luogo; contesti nei quali tuttavia il bambino gioca anche un ruolo attivo. Esso può infatti utilizzare il linguaggio come uno strumento con il quale modificare il proprio ambiente e, di con­ seguenza, le proprie strutture mentali. Anche secondo Vygotsky, c'è quindi una relazione dinamica e dialettica tra i cambiamenti che si verificano nel bambino e quelli che si realizzano nei contesti sociali e culturali nei quali lo sviluppo si realizza. Si tratta tuttavia di una rela­ zione nella quale, in linea con la sua concezione marxista della socie­ tà, questo autore attribuisce agli aspetti sociali (strutturali) la funzio­ ne di condizionare fortemente i processi del pensiero (sovrastrutturali) . L'autonomia e l a creatività del s é che Mead ( 1 934) recupera attra­ verso la nozione di Io-soggetto e Vygotsky ( 1 978) introduce attraver­ so l'uso strumentale che gli individui possono fare del linguaggio sono quasi totalmente assenti nei lavori di Goffman. Rifacendosi alle intuizioni dei suoi predecessori, anche Goffman ( 1 959) considera il sé come un prodotto sociale, derivazione e riflesso delle risposte degli " altri " . Tuttavia il sé non è per questo autore un'entità autonoma, dotata di stabilità e creatività, ma soltanto un artificio drammaturgi­ co, una rappresentazione messa in scena durante un'interazione per ottenere conferme ed evitare discrediti. Come Mead, anche Goffman delinea una distinzione dell'individuo in due parti. Ma quella che in J ames e Mead era la dialettica tra Io e Me, diviene una dialettica tra il sé come personaggio o come «figura dotata di carattere positivo, il cui spirito, forza ed altre qualità eccezionali devono essere evocate durante la rappresentazione» (trad. it. 1 986, p. 28 8) e l'attore, «affati­ cato fabbricante di impressioni», necessario per far muovere il perso­ naggio. Come Giglioli ( 1 990) sottolinea, i requisiti dell'attore, ricetta­ colo di capacità biologiche e psichiche, non vengono mai, nei lavori di Goffman, organizzati e definiti in modo coerente, ma introdotti di volta in volta per rendere dinamiche le rappresentazioni drammatur-

2 . APPROCCI SOCIALI

giche: il suo interesse è infatti centrato sul sé come personaggio e sul­ le tecniche drammaturgiche utilizzate per porlo in una luce favorevo­ le. In questa impostazione quindi il sé non emerge, come invece acca­ de nel pensiero di J ames e di Mead, dall'interazione o dal dialogo tra l'attore (lo) e il personaggio (Me) . È il personaggio a guidare l'attore e il sé è il prodotto della rappresentazione che le persone evocano in accordo con i ruoli che la società, o il contesto nel quale si trovano, attribuisce loro. «Il sé è il prodotto di una scena che viene rappre­ sentata e non una sua causa. Il sé, quindi, come personaggio rappre­ sentato non è qualcosa di organico che abbia una locazione specifica, il cui principale destino sia quello di nascere, maturare e morire; è piuttosto un effetto drammaturgico che emerge da una scena che vie­ ne rappresentata [ . . . ] . Nell'analizzare il sé siamo quindi lontani dal suo detentore [ . . . ] perché lui e il suo corpo costituiscono semplice­ mente un gancio [ . . . ] . E i mezzi per produrre e mantenere il sé non sono da cercarsi nel gancio, ma sono spesso insiti entro l'istituzione sociale» (ivi, p. 2 89) . È l'istituzione sociale che attribuisce ruoli ed è attraverso la messa in scena di tali ruoli che le persone esprimono agli occhi degli altri ciò che vorrebbero che gli altri pensassero di loro. In questa prospettiva il sé è quindi una costruzione sociale, rigi­ damente determinata dalle attese di ruolo che strutturano i contesti nei quali le persone vivono. L'unico spazio alla creatività e alla libera espressione del sé è quello del retroscena, dove gli attori sociali pos­ sono abbassare la maschera e rilassarsi in nome della difesa della pro­ pria sfera privata. Con il pensiero di Goffman, la costruzione sociale del sé, costan­ temente sottolineata dall'interazionismo simbolico, viene quindi rigi­ damente sottoposta alla ritualità che caratterizza le interazioni sociali. Il ruolo attivo dell'Io scompare e con esso la preoccupazione di guar­ dare alle dinamiche intraindividuali responsabili dell'origine sociale del sé. Costituendo un ponte di collegamento tra l'interazionismo simbolico e la fenomenologia sociale di Schiitz ( 1 9 3 2 ) , la concezione drammaturgica della vita sociale di Goffman costituisce una premessa ad orientamenti più radicali che sfoceranno nel socio-costruzionismo di Gergen ( 1 9 82 ) . 2 . I . 2 . I l s é sociale nella prospettiva interazionista L'eredità di Mead e dell'interazionismo simbolico verrà accolta e svi­ luppata soprattutto all'interno della prospettiva sociologica. Come Rosenberg ( 1 9 88) sottolinea, l'avvento del paradigma behaviorista che dominerà la psicologia americana per tutta la prima parte del xx se-

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colo e la mancanza di una metodologia emptnca il cui rigore fosse paragonabile a quello del procedimento sperimentale con il quale la psicologia stessa tendeva ad identificarsi costituiscono i motivi princi­ pali della scarsa fortuna che il concetto di "socius" (sé sociale), elabo­ rato da Baldwin ( I 897) prima e da Cooley ( I 902 ) e Me ad ( I 9 34) in seguito, ha avuto nell'ambito della psicologia sociale. Solo più recen­ temente è emerso un più sistematico interesse verso il recupero e il rinnovamento di questa tradizione di studi. Partendo da una prospettiva interazionista, Rosenberg ( I 988) e R. H. Turner ( I 968, I 987) analizzano la natura sociale del sé colle­ gandola ai diversi ruoli e contesti sociali con i quali le persone si identificano. Riprendendo il concetto di " socius " proprio degli studi classici sul sé, ed in particolare facendo proprie le riflessioni sviluppate a questo proposito da Baldwin 1 ( I 897) , Rosenberg ( I 988) considera l'i­ dentità come un'organizzazione gerarchica di una molteplicità di rap­ presentazioni di sé emergenti dall'interazione dialettica tra Ego ed Al­ ter. Le componenti sociali del sé e la loro organizzazione all'interno dell'individuo, vengono da questo autore colte attraverso la messa a punto di un originale modello di analisi empirica definito set-theoreti­ cal mode!. Tale modello, grazie anche all'applicazione di un particola­ re algoritmo (HICLAS ) proprio dei metodi statistici di classificazione gerarchica 2 , permette di collegare le concezioni più stabili (abituali) che le persone hanno di sé e degli altri attraverso la descrizione dei diversi ruoli e delle diverse posizioni che esse occupano all'interno di un'organizzazione sociale 3 .

I . Riprendendo il concetto di M e sociale di ] ames, Baldwin ( I 897) elabora una teoria dello sviluppo del sé nella quale viene enfatizzata la natura squisitamente socia­ le del sé. Per questo autore, infatti, il "socius " (sé sociale) non rappresenta, come per James, un aspetto o componente del sé, ma è il se stesso. Tutti gli aspetti che com ­ pongono il sé sono per Baldwin prodotti sociali e culturali che scaturiscono dall 'inte­ razione tra due aspetti interrelati: Ego ed Alter. Ego (le idee che le persone hanno riguardo a se stesse) ed Alter (le idee che hanno riguardo alle persone che conoscono, che possono immaginare, o che sono solo fittizie) costituiscono due poli dialettici: sin dall'infanzia essi sono cioè intrinsecamente legati, si sviluppano insieme e formano il sé. n punto di vista su se stessi ha infatti bisogno del punto di vista sugli altri per avviare quel processo di imitazione che Baldwin considera motore primo dello svi­ luppo psichico. 2. Il metodo utilizzato dall'autore si basa sulla tecnica delle griglie di repertorio. Tale tecnica verrà più ampiamente illustrata nel CAP. 5 · 3 · L a matrice sulla base della quale i contenuti e l'organizzazione dei s é sociali vengono rilevati è una tabella a doppia entrata nelle cui colonne vengono elencate le caratteristiche e i sentimenti che ciascun soggetto attribuisce a se stesso (nel momento

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2 . APPROCCI SOCIALI

Risultati ottenuti dall'applicazione di questo modello sia su dati raccolti in laboratorio (Gara, Rosenberg, I 979), sia su materiali natu­ ralistici (Rosenberg S., I 986) mettono in luce che il sé tende ad asso­ ciarsi agli " altri significativi " (padre, madre, amici intimi ecc.) con i quali i soggetti condividono uno o più insiemi di attributi, mentre risulta più lontano da quelle categorie di persone con le quali essi intrattengono relazioni più superficiali, solo simboliche e/o negative. In questo modello, la natura sociale del sé viene dunque definita soprattutto sulla base dell'identificazione con i ruoli - o meglio con le caratteristiche associate ai ruoli - che le persone con le quali più fre­ quentemente interagiamo giocano nei nostri contesti di vita quotidia­ na. Gli studi condotti in laboratorio rivelano infatti che il sé viene elaborato in stretta connessione con gli altri, ed in particolare con quelle persone che assumono un ruolo significativo fin dall'infanzia e le cui immagini continuano a partecipare anche nell'età adulta all'ela­ borazione della concezione di sé e di quella degli altri. Il sé pensato da questo autore è quindi un sé interamente sociale, completamente determinato dall'interazione dialettica tra Ego e Alter. Per potersi de­ finire tale sé ha bisogno degli altri; è il punto di vista che lo stesso ha degli altri a proiettarsi sull'Ego. Procedure simili a quella appena indicata, sono state utilizzate da Deaux ( I 992 , I 99 3) per individuare le connessioni tra le identità e gli attributi ad esse associati (cfr. PAR. 2 .2 .5 ) , da Berzonsky, Niemeyer ( I 988) e da Berzonsky, Kenneth, Niemeyer ( I 99o) per rilevare i livelli di integrazione e di differenziazione tra le diverse dimensioni tempo­ rali e relazionali del sé (cfr. PAR. 3 .3 .2 ) , da Hart ( I 988) per analizzare l'importanza dei contesti interattivi nella costruzione dell'immagine di sé nella preadolescenza 4. Come vedremo, in questi casi diverso è tut-

attuale e/o nelle dimensioni desiderate o temute) e ad altri con i quali intrattiene rela­ zioni reali o simboliche, più o meno significative. n sé nelle sue diverse dimensioni (attuale, desiderato ecc . ) e gli altri ai quali i soggetti attribuiscono caratteristiche e stati d'animo, costituiscono le righe di questa tabella. Le dimensioni sociali del sé abi­ tuale vengono rilevate sottoponendo tale matrice ad un'analisi statistica classificatoria che consente di individuare una struttura gerarchica formata da due tipi di classi. n primo tipo di classi (classi di persone), generalmente sovraordinato, associa il sé (o le diverse dimensioni del sé) ai diversi altri descritti e tali diversi altri tra di loro, in funzione degli attributi e dei sentimenti condivisi . n secondo tipo di classi (classi di tratti) , in genere subordinato al primo tipo, raggruppa invece le caratteristiche percet­ tive ed affettive associate al sé e agli altri. n modello ideografico della struttura dell'i­ dentità ricavato da tale analisi, permette anche di specificare le relazioni tra queste due strutture di classi e di calcolare il suo livello (statistico) di adattamento ai dati. 4· Per alcune precisazioni metodologiche cfr. PAR. 5 . 2 . 2 .

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tavia il ruolo assegnato alla coscienza individuale, all'Io costruttore delle conoscenze su di sé. Per Rosenberg ( r 988) e per quanti seguono l'approccio socio-costruzionista, il sé è continuamente plasmato e ri­ plasmato da una realtà sociale che è, come sottolinea Amerio ( r 99 5 ) , «antologicamente posta al di l à del soggetto e al di fuori della sua portata». Il sé non è quindi una realtà sostanziale, ma è qualcosa di socialmente costruito all'interno di forme negoziate di linguaggio (Greenwood, 1 994; Harrè, r 9 83 , 1 99 8 ) . L'identità diventa così multi­ pla, costituita da tanti sé quanti sono i contesti all'interno dei quali le persone interagiscono scambiandosi segni e significati (Gergen, 1 979, I 99 I ) .

2 . r . 3 . Identità sociali multiple e ruolo del linguaggio nella costruzione del sé. La prospettiva socio-costruzionista L'idea di un sé multiplo (Gergen, 197 9 , 1 99 1 ) e socio-linguisticamen­ te costruito (Harrè, r 9 8 3 , 1 99 8 ) , è stata ripresa ed approfondita al­ l'interno del socio-costruzionismo più radicale. Partendo da una posizione interazionista, Gergen ( r 979) affronta il problema delle varie facce che il sé può assumere e assume nei di­ versi contesti sociali ed interattivi. Questo autore critica l'ipotesi, so­ stenuta dalla letteratura tradizionale, dell'esistenza di un sé stabile e relativamente duraturo che conferisce alle persone un necessario sen­ timento di identità (cfr. CAP . 3). Contraddetta, secondo Gergen, sia dall'analisi delle proprie esperienze personali, sia dall'osservazione delle condotte altrui, quest'ipotesi viene messa in discussione anchedai risultati di alcune ricerche (Gergen , r 9 65 ; Gergen, Wishnov, r 965 ) . T ali ricerche mostrano infatti che i cambiamenti nella presentazione di sé indotti da diverse situazioni sperimentali, non mettono affatto in discussione il sentimento di autenticità personale: in conformità con le richieste della situazione immediata, i soggetti modificano il modo di autopresentarsi senza tuttavia provare sentimenti di rottura e di alienazione. È sulla base di questi risultati che Gergen ( r 979, p. r 3 ) avanza in un primo momento l a tesi di un sé «fluido, sempre mutevo­ le, multiplo e pieno di contraddizioni». Diverse sono le fonti responsabili della fluidità che caratterizza, secondo questo autore, il concetto di sé: dall'adozione dei punti di vista degli altri significativi che Mead ( r 934) considera alla base della conoscenza di sé, all'osservazione di se stessi e delle proprie condot­ te, al confronto sociale (Festinger, 1 954) attraverso il quale «riuscia­ mo più chiaramente ad identificare la nostra posizione e a valutare 88

2 . APPROCCI SOCIALI

meglio la sua validità», alla «cancellazione mnestica» che ci permette di trovare prove a sostegno di qualunque concetto di sé diventi sa­ liente in particolari situazioni sociali. Tutti questi fattori fanno quindi dell'identità un prodotto totalmente fluido e determinato dall'intera­ zione momento-per-momento; tali fluidità e mutevolezza tendono a diventare particolarmente evidenti nelle società postmoderne. La tesi di un sé fluido, mutevole e multiplo verrà infatti ripresa e ri-elaborata da questo autore, fino a giungere all'idea di un sé saturato dalla mol­ teplicità di comunicazioni e di contesti che caratterizzano la vita nelle società postmoderne. Secondo Gergen ( 1 99 1 ) , la crescente complessità delle società postmoderne e le nuove tecnologie di comunicazione e di trasporto che le caratterizzano determinano una "saturazione sociale" che mo­ difica sostanzialmente la consapevolezza che le persone hanno di se stesse. La frammentazione delle concezioni di sé e delle relazioni so­ ciali prodotta dai nuovi mezzi di comunicazione rende possibile l' ac­ quisizione di una molteplicità di sé potenziali, mentre nello stesso tempo produce una condizione di «multifrenia»; una sindrome che Gergen descrive come «una nuova costellazione di sentimenti o di sensibilità, un nuovo pattern di autoconsapevolezza [ ] che fa gene­ ralmente riferimento alla divisione dell'individuo in una molteplicità di investimenti su di sé» (ivi, pp. 7 3 -4). L'acquisizione di una molte­ plicità di sé potenziali e gli svariati investimenti su di sé, rendono le persone sempre più consapevoli del carattere relativo delle concezioni di sé e mettono quindi in discussione l'esistenza di un sé autentico e conoscibile. Come lo stesso Gergen sottolinea, «incominciamo ad es­ sere consapevoli che ogni verità relativa a noi stessi è una costruzione momentanea, vera soltanto ad un dato momento e all'interno di certe relazioni» (ivi, p. 1 6 ) . La nostra identità è continuamente ri-formata, ri-diretta in ogni tipo di relazione sociale; essa non è il semplice ri­ flesso di ciò che ciascuno di noi pensa di essere, ma è piuttosto il prodotto delle comunicazioni sociali. L'identità esiste quindi solo nel linguaggio, nell'atto di comunicare se stesso ad un altro, e non c'è al di fuori di esso. La riduzione del concetto di sé ad una comunicazione sociale porta l'autore ( 1 987, 1 99 1 ) a mettere quindi in discussione le basi og­ gettive della conoscenza di sé. Da questa prospettiva, il concetto di sé non si fonda su dati oggettivi, siano essi legati all'osservazione delle proprie immagini riflesse, a quella dei propri comportamenti o alle attività di confronto sociale, ma è piuttosto il risultato di una nego­ ziazione pubblica. Come altre forme di conoscenza, anche il concetto . . .

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di sé è una forma di conoscenza socialmente costruita che emerge dalle interazioni e dalle comunicazioni immediate e continue tra gli attori sociali. Il ruolo del linguaggio nella costruzione del sé è al centro dell'a­ nalisi di Harrè ( I 983 , I 987). Harrè parte dalla distinzione, sottolinea­ ta da Strawson ( I 95 9 ) , tra sé e persona. La " persona" viene definita come una realtà corporea, socialmente costruita, capace di produrre azioni significative e di comunicare significati, mentre il "sé" è consi­ derato come un concetto trascendente, riferibile ad un sentimento di unicità personale. Se l'identità personale, legata soprattutto alla cor­ poreità, viene da Harrè definita come l'incarnazione della persona, il sé è un sentimento di "organizzazione personale " che non ha altra realtà se non quella emergente dal linguaggio (Harrè, I 98 7 ) . Il sé non esiste come entità oggettiva posta al centro dell'esperienza che abbia­ mo di noi stessi, ma piuttosto nei modi standardizzati (modelli gram­ maticali) con i quali esprimiamo tali esperienze. Collocando il sé nel contesto comunicativo, anche Harrè ( I 99 8 ) , come Gergen ( I 99 I ), considera quindi il concetto d i s é come i l pro­ dotto delle comunicazioni sociali. Diverse sono tuttavia le fonti di tale prodotto: mentre per Gergen il sé nasce ed è il risultato delle intera­ zioni e delle negoziazioni pubbliche, per Harrè sono i valori simbolici espressi dal linguaggio a determinare il contenuto delle diverse espressioni del sé. Tali espressioni riflettono, anche per Harrè ( I 998), quella molte­ plicità delle concezioni di sé tipica delle società postmoderne (Ste­ vens, Wetherell, I 997 ) . Diversamente da Gergen (I 99 I ) , Harrè ( I 998) considera tuttavia la molteplicità dei sé non come una prova dell'esistenza di entità diversificate, ma come una sorta di " artefatto " legato ai diversi livelli di espressione grammaticale e linguistica del sé. Considerando il sé come il centro della personalità, Harrè ribadisce l'importanza di tale nucleo psichico e ne sottolinea le funzioni di coordinamento e di integrazione delle diverse identità rese possibili dalle molteplicità di rapporti interpersonali e sociali.

2 . I 4 La dimensione costruttiva del sé. Dall'interazione sociale ai sistemi normativi e culturali ·

·

Partendo da una prospettiva interazionista, anche R. H. Turner ( I 9 68, I 987) analizza la natura sociale del sé collegandola ai contesti sociali e culturali nei quali le persone vivono. Se per R. H. Rosenberg ( I 988) il sociale che forgia il mondo rappresentazionale del soggetto è preva-

2 . APPROCCI SOCIALI

lentemente quello delle relazioni interpersonali, per R. H. Turner ( r 968, 1 987) l'interazione sociale responsabile dello sviluppo del sé è quella mediata dai grandi sistemi normativi e culturali. Il contenuto della concezione di sé, che l'autore distingue dalle immagini mutevoli di sé, consiste in un'organizzazione selettiva di valori e di modelli di riferimento che vengono continuamente rivisti nell'interazione sociale. I valori, le aspirazioni, gli scopi che gli individui si pongono costitui­ scono quindi la struttura di base della concezione di sé; nell'interazio­ ne sociale tale concezione viene costantemente modificata attraverso un processo in cui la fiducia e la responsabilità accordate al proprio sé sociale vengono negoziate nella relazione con gli altri. L'interesse che l'autore mostra per la natura sociale del sé non è quindi limitato agli aspetti contenutistici, come invece accade nel pensiero di Rosenberg ( r 9 88), ma si estende alla descrizione dei pro­ cessi. La dinamica attraverso la quale la concezione di sé si forma e funge da guida per il comportamento nasce dal confronto che gli at­ tori sociali realizzano, in situazioni interattive " orientate all'identi­ tà" 5 , tra la concezione di sé e il continuo avvicendarsi di immagini contestuali di sé. Secondo R. H. Turner ( 1 968), contrariamente a quanto accade nell'ambito di un'interazione " orientata verso un com­ pito " , nell'interazione orientata all'affermazione dell'identità le perso­ ne sono particolarmente sensibili alle immagini di sé che scaturiscono dai propri gesti e dai gesti degli altri. N el cercare di interpretare tali immagini, esse non si limitano a constatare l'approvazione o la disap­ provazione deducibile dai gesti degli altri, ma attivano un confronto con la concezione più stabile che hanno di se stesse. I cambiamenti attivati da tale confronto non riguarderanno quindi semplicemente la produzione di immagini di sé più conformi ai desideri degli altri, ma soprattutto la produzione di immagini di sé che confermino la pro­ pria vera identità. Il ruolo svolto dai processi psicologici nella formazione del sé,

5 · R. H. Turner ( 1 968, trad. it. 1 9 8 3 ) distingue due diverse situazioni interattive: quelle che definisce «orientate al compito» e quelle «orientate all'identità». Mentre nelle situazioni orientate al compito - che secondo l'autore sono quelle predominanti negli scambi tra l'individuo e l'ambiente sociale - il processo di attribuzione del si­ gnificato dei gesti propri ed altrui è organizzato in funzione degli scopi e degli obietti­ vi prefissati dalle persone interagenti, nelle situazioni orientate all'identità il focus del­ l' attenzione viene spostato verso le immagini che le persone comunicano di sé. Questa distinzione riprende, seppure da una prospettiva completamente diversa, la teoria del­ l' autoconsapevolezza di Duval, Wicklund ( 1 972 ) , presentata nel capitolo precedente (cfr. PAR. ! .2 .5 ) .

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completamente trascurato dall'approccio ideografico di Rosenberg ( r 988) e negato dalla prospettiva del socio-costruttivismo più radica­ le, viene quindi rivalutato da R. H. Turner soprattutto attraverso il riconoscimento della possibilità che gli individui hanno non solo di osservare, scoprire la loro vera identità, ma anche di affermare, co­ struire il tipo di persona che vogliono essere. Secondo R. H. Turner ( r 9 8 7 ) , il concetto che le persone hanno di sé e sulla base del quale orientano se stesse e i propri comportamenti non deriva soltanto dal­ le deduzioni tratte dai dati di esperienza, ma anche da un processo costruttivo che presuppone scelte e sforzi orientati all'affermazione di certi aspetti della propria identità. Così, una persona può arrivare a scoprire (selfdiscovery) una sua identità, quale ad esempio quella di studente, semplicemente riconoscendo, attraverso continue attività di monitoraggio, il contesto nel quale questa sua identità trova espres­ sione come un contesto nel quale si trova particolarmente a suo agio e con il quale tenderà quindi ad identificarsi. L'identità in questo modo garantita al soggetto, non è tuttavia un'identità volontariamente costruita, come potrebbe invece essere quella che scaturisce dall'in­ tenzione di affermare (selfa/firmation) la propria identità di studente impegnandosi attivamente non solo nello studio, ma anche ad esem­ pio in altre attività tipicamente associate a questo ruolo (partecipazio­ ne a seminari, organizzazione di feste, attività politica). Pur sostenendo l'ipotesi dell'origine e della natura esclusivamente sociale del sé, Turner ( r 987 ) , cerca quindi di salvaguardare uno spa­ zio di autonomia al soggetto nei confronti del sociale. Ed è in que­ st' ottica che elabora un modello teorico nel quale i processi di sco­ perta (osservazione) e di costruzione (affermazione) del sé, vengono analizzati alla luce di una serie di livelli diversi di esperienza del sé. Collocati lungo un continuum che da una concezione di sé disartico­ lata e contestuale si muove verso identità sociali e personali cariche di significati emotivi (FIG. 2 . r ) , i livelli di esperienza del sé presuppon­ gono un individuo sempre più consapevole ed attivo nei processi di costruzione del sé. Al primo livello, che Turner definisce anche come «sotterraneo», il sé è composto da un insieme disarticolato di caratteristiche ed identità che non possono essere rilevate in quanto non evocate nelle descrizioni che i soggetti forniscono di sé. Questo insieme disarticola­ to di caratteristiche costituisce la parte nascosta della concezione di sé, quella che, elaborata in precedenti momenti della vita, non viene considerata come saliente perché dimenticata o abituale. Pur essendo sommersa, questa parte del sé è in grado di orientare le condotte dei 92

2 . APPROCCI SOCIALI

FIGURA 2 . 1

I livelli dell'esperienza di sé secondo Turner ( 1 9 87 ) Concezione non articolata I0

livello

l Identità contestuale Identità non l valorizzata Identità 2 ° livello sociale 3 ° livello 4 ° livello

l Personificazione

5 ° livello

l Identità personale

6° livello

Livello sotterraneo Osservazione/scoperta del sé

Affermazione/costruzione del sé

soggetti e, in particolari circostanze, di riemergere (attraverso un pro­ cesso di ricognizione o scoperta) come aspetto distintivo del sé 6. La conoscenza che le persone possiedono di sé e di cui sono con­ sapevoli può essere espressa, ad un livello ancora molto descrittivo (secondo livello; FIG . 2 . ! ) , attraverso la descrizione dei contesti e delle relazioni nelle quali i soggetti sperimentano stati di benessere/males­ sere e/o sentimenti di autenticità/non autenticità. In questo caso, ad esempio, un qualsiasi studente potrebbe definirsi come una persona che sta bene in compagnia degli altri e soprattutto di quelli che con­ dividono la sua stessa esperienza di vita universitaria. Questo tipo di descrizione, che Turner definisce come contestuale, non presuppone che i soggetti si identifichino con questo o quel gruppo, contesto o persona con i quali interagiscono. Conoscere se stesso significa so­ prattutto individuare e descrivere i contesti in relazione a come ci si trova in essi e a quanto della parte vera o autentica del sé viene 6. Non è difficile ritrovare in questa formulazione alcune delle idee elaborate nell'ambito della prospettiva cognitiva. Possiamo a questo proposito ricordare (cfr. PAR. r . r .5 ) come per alcuni autori (Markus, Wurf, 1 987; Kihlstrom et al. , 1 98 8 ) , le costellazioni di rappresentazioni di sé attivate in particolari circostanze costituiscono solo una parte delle molteplici conoscenze accumulate nel deposito mnestico. Sono le conoscenze che entrano in collegamento con la struttura centrale del sé ad essere evo­ cate come autodescrittive.

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espressa al loro interno. Questo livello non implica quindi necessaria­ mente una connessione tra descrizioni di sé ed identificazioni catego­ riali. Se nel descriversi uno studente fa ad esempio riferimento a ca­ ratteristiche del proprio contesto relazionale universitario, questo non è cioè sufficiente a stabilire se egli sarà anche implicato in un pro­ cesso di identificazione con la categoria " studenti universitari " . Tur­ ner ammette comunque la possibilità che già a questo livello la ri­ flessione su di sé possa portare i soggetti verso scelte identitarie più consapevoli. L'identificazione con i contesti nei quali le persone si sentono o meno a proprio agio qualifica invece l'esperienza che esse hanno di sé nel livello successivo (terzo livello) . In questo caso, l'i­ dentificazione con il gruppo degli " studenti " o con qualsiasi altra ca­ tegoria, gruppo o contesto sociale, non comporta tuttavia ancora sen­ timenti di apprezzamento e di orgoglio che vengono invece valorizzati nel quarto livello. Le persone diventano orgogliose di definirsi e di essere riconosciute come studenti, giovani, figli di o membri di altri gruppi sociali. È a partire da questo livello che l'affermazione del sé diventa via via più importante. Combinandosi con caratteristiche per­ sonali, l'identificazione espressa al quinto livello denota infine una co­ noscenza del sé ancora più articolata. Le persone tendono a conside­ rarsi e a descriversi come " studenti" , "professionisti " di un certo ti­ po, come persone cioè che nel contesto sociale o relazionale col quale si identificano e del quale si considerano orgogliosi si distinguono per il proprio stile, per le proprie attitudini, per le proprie capacità. Nel­ l'ultimo livello di espressione del sé, l'identificazione «si stacca dai ruoli e dai gruppi» e diventa identificazione con caratteristiche e trat­ ti personali. La dimensione costruttiva dell'Io nei processi di identificazione sociale viene messa in evidenza anche in approcci che più esplicita­ mente fanno propria l'epistemologia socio-costruzionista. In un suo recente volume, Greenwood ( r 994) propone una teoria socio-psicolo­ gica della " identità intesa come progetto " nella quale possiamo ri­ scontrare molti punti di convergenza con le tesi proposte da Turner. Criticando gli approcci che considerano solo gli aspetti cognitivo-ca­ tegoriali dell'identità sociale, Greenwood distingue due diversi tipi di appartenenza e quindi di identificazione sociale . L' appartenenza ad aggregati di derivazione sociale costituisce, secondo l'autore, una base per l' etichettamento e il confronto sociale, ma non è in grado di for­ nire, ai soggetti che ne fanno parte, idee e risorse per la realizzazione di specifici progetti identitari. Così ad esempio, l'appartenenza alla categoria dei " divorziati " o a quella dei " disoccupati" , pur allargando lo spettro delle alternative identarie possibili, non permette ai soggetti 94

2 . APPROCCI SOCIALI

di " fissare " una propria identità. Al contrario, è l'appartenenza a col­ lettività sociali - che l'autore definisce anche come gruppi intrinseca­ mente sociali - come ad esempio le famiglie e i gruppi professionali, a fornire ai soggetti che ne fanno parte (sposati, professionisti) le ri­ sorse concettuali e pratiche necessarie per la formazione e il manteni­ mento di un " progetto " identitaria. L'identità è, anche per questo autore, un fenomeno intrinseca­ mente sociale, non solo per la sua origine, ma anche perché rappre­ senta il prodotto dell'investimento personale in " carriere morali " il cui contenuto è determinato dalle identità convenzionalmente ricono­ sciute come possibili all'interno di un determinato contesto sociale 7 • Le identità intese come progetto emergono e sono plasmate dal tem­ po storico e dal contesto culturale attraverso forme negoziate di lin­ guaggio. È infatti il linguaggio che struttura e ristruttura attraverso convenzioni, accordi e arrangiamenti, " l'ordine morale " delle colletti­ vità sociali (gruppi) all'interno delle quali i progetti identitari vengo­ no perseguiti. Ma le convezioni socio-linguisticamente costruite, come ad esempio quelle che regolano l'attività scientifica di un accademico o le interazioni all'interno di un'istituzione - matrimoniale, religiosa o politica che sia - assumono realtà sostanziale solo quando le persone partecipano a tali negoziazioni e a queste uniformano i propri com­ portamenti. Le identità non sono, secondo Greenwood ( I 994), solo un artificio retorico. Ciò che viene detto sul sé ha realtà oggettiva perché esprime ciò che le persone fanno, i loro investimenti ed impe­ gni per il perseguimento dei progetti identitari. «Per questo motivo il concetto che abbiamo di noi stessi può essere proprio considerato descrittivo e linguisticamente oggettivo» (ivi, p. I 3 7 ) . Nonostante che l'attenzione recentemente riposta sulla dimensio­ ne " costruttiva" del sé sociale abbia in qualche misura allentato la morsa deterministica tipica di molti degli approcci ispirati all'intera­ zionismo simbolico, rimangono ancora in buona parte inesplorati i problemi legati alla natura dei processi attraverso i quali gli individui (l'Io della definizione di J ames) mediano e ricostruiscono gli input provenienti dai diversi livelli della realtà sociale nella quale sono im­ mersi (dal livello dell'interazione con altri significativi, fino a quello dei grandi sistemi simbolici e culturali, passando attraverso i progetti identitari legati ai gruppi di appartenenza) integrandoli all'interno 7· L'idea dell'identità intesa come processo ed esito dell'investimento soggettivo in "progetti" o " alternative identitarie" rese disponibili dai contesti sociali e culturali di riferimento, non è nuova. Come vedremo meglio nel CAP. 3 (cfr. PAR. 3 .2 ) , que­ st'idea si ritrova in molti degli studi sull'identità dell 'Io di matrice eriksoniana.

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delle concezioni, più o meno mutevoli, fluide e flessibili che essi han­ no di se stessi. Un'eccezione in tal senso è rappresentata dall' approc­ cio ego-ecologico di Zavalloni, Louis-Guérin ( 1 984, 1 98 8 ) . Un'atten­ zione particolare viene in questo caso dedicata proprio ai processi at­ traverso i quali il mondo esterno e quello interno si intrecciano ali­ mentando un unico repertorio di rappresentazioni. 2 . 1 .5 . L'approccio ego-ecologico di Zavalloni e Louis-Guérin In linea con la tradizione di studi che si riconoscono nell'epistemolo­ gia postpositivista, anche per queste autrici di origine canadese, il mondo sociale costituito dai gruppi ai quali gli individui appartengo­ no e dalle persone con le quali essi intrattengono relazioni reali o simboliche acquista significato passando attraverso i processi psicolo­ gici ricostruttivi. La realtà sociale esterna viene ricostruita all'interno della coscien­ za individuale (ambiente operatorio interno) seguendo un percorso scandito da tre fasi (Zavalloni, Louis-Guérin, 1 98 8 ) . Il primo momen­ to di questo processo è attivato dall'incontro di un desiderio del sé con una qualità o caratteristica posseduta da altre persone. Questo incontro costituisce un momento sinergico nel quale la qualità-parola viene impressa in modo automatico nella memoria e/mozionale 8 del soggetto, diventando un valore ed un progetto (Zavalloni, 1 986). Una volta memorizzata, tale qualità-parola con tutti i significati cognitivi ed affettivi ad essa associati, diventa parte del pensiero di fondo 9 dal quale può essere riattivata insieme ai prototipi di riferimento 1 0 che l'hanno originata. Il secondo momento è costituito dalla generalizza­ zione della qualità-parola identitaria e dal trasferimento dei contenuti

8. Taie termine (memoria e/mozionale) viene utilizzato per sottolineare la natura al tempo stesso affettiva, motivazionale della memoria e il suo rapporto con l'azione. 9· «Il pensiero di fondo è ciò che accompagna in periferia della coscienza e in modo subliminale tutti i discorsi che le persone fanno su di sé, sugli altri e sulla socie­ tà» (Zavalloni, Louis-Guérin, 1 9 8 8 , p. 1 75 ) . bile 1 irdi�te 50ntllnl artet� sal te sf1ata ·. 331 stablle ccnc:rets realiuats 1 -.382 soJ.J.tsria atCJ.dobile 1 a volte soca..vo pauente intece5Sata -. 0) 1 -.484 �tuale ritlessl va pl91'a t� 1 -.535 capacitA l ·.586 altruista Qe"U ie oatura -. 637 tollerante - l �11e ·.688 !less.lblle 1 -. 739 1 tratt1_C1sl -. 790 cblente -. 841 ·. 692 -.94 l 3 -.994 "-"">lure -L045 l • . 096 l ·1.147 l • • 198 l • .249 l ·1..300 l

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I risultati mettono in luce l'esistenza di due principali criteri di organizzazione delle risposte: il primo

(individuale) contrappone la tendenza a mettere in risalto gli aspetti dinamici (di azione e di comporta­ mento; zona di con/t'ne) vs quelli statici (caratteristiche personali; spazio di vita) del sé; il secondo, più direttamente connesso alle dimensioni relazionali e sociali del sé, mette in risalto da un lato gli aspetti ambientali e contestuali della rappresentazione che i soggetti hanno di loro stessi, dall'altro gli aspetti del sé riflessi dagli altri significativi (sé riflesso). Attraverso una classificazione effettuata sui soggetti, sono stati individuati tre gruppi di studenti che si differenziano in rapporto alla preferenza accordata ad una rappre­ sentazione "categoriale", "interpersonale" o "attiva" del sé. Come si può vedere dalla figura, la proiezione della variabile- detta "illustrativa"- "corso di laurea" sul grafico prodotto dall'analisi permette di analiz­ zare le variazioni riscontrate tra gli studenti di Psicologia e quelli di Scienze politiche: sono i primi a descriversi soprattutto attraverso ciò che fanno, i secondi a privilegiare tratti ed attributi personali.

Fonte: Ceci, Mancini (1999).

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Consentendo alle persone di descriversi lungo dimensioni definite a-priori, le tecniche strutturate non permettono tuttavia di conoscere quali sono le dimensioni identitarie più salienti ed importanti e corro­ no quindi il rischio di indagare su aspetti che non tutti i soggetti pos­ sono considerare rilevanti per la propria identità. Le risposte vengono di solito registrate utilizzando scale nominali, ordinali o ad intervallo. Diverse sono le tecniche autodescrittive strutturate utilizzate nelle ricerche sul sé e l'identità. Una di queste è quella del Q-Sort. Ideata da Stephenson nel I 9 5 3 , essa consiste nell'ordinare alcune schede, che riportano caratteristiche o frasi descrittive della personalità e del comportamento interpersonale, in mazzetti diversi a seconda del gra­ do di appartenenza al sé. Utilizzato per valutare diverse dimensioni del sé (Hauser, I 976), tale metodo consente di quantificare, attraver­ so un coefficiente di correlazione, il livello di discrepanza esistente ad esempio tra sé attuale e sé ideale, tra sé generico e sé sociale, o tra altre dimensioni o piani di realtà del sé. Ritroviamo un altro esempio dell'applicazione di tale procedura nella ricerca sui diversi tipi di identificazione sociale condotta da Deaux et al. ( I 99 5 ) . Chiedendo ai soggetti di categorizzare sulla base della loro reciproca somiglianza o differenza 64 diverse identità ed awalendosi di tecniche statistiche di classificazione, questi autori arrivano a distinguere cinque diverse ti­ pologie identitarie basate rispettivamente sulle relazioni, sulle proprie attitudini vocazionali, sull'affiliazione politica, sull'appartenenza a gruppi stigmatizzati e/o a gruppi etnici o religiosi (cfr. PAR. 2 .2 .4 ) . U n procedimento d i natura non classificatoria viene invece adotta­ to nelle tecniche basate sulle scale di punteggio, sulle liste di aggettivi e sul dzf/erenziale semantico. Nelle scale di punteggio i soggetti in par­ ticolare sono invitati a rispondere ad una serie di affermazioni (ad esempio: " essere bravo a scuola è la cosa in questo momento più im­ portante per me; io sono una persona simpatica" ecc.) indicando quanto ciascuna di esse "è vera per lui/lei " elo lo/la caratterizza. I punteggi, generalmente misurati su scale ad intervalli, vengono som­ mati per costruire un indice totale sulle affermazioni considerate. Le scale a punteggio possono essere utilizzate per rilevare aspetti genera­ li dell'identità o per misurare dimensioni più specifiche quali quelle legate ad esempio alle diverse componenti del sentimento di identità (Mancini, I996; cfr. PAR. 5 .2 . 2 ) , agli indicatori comportamentali dei processi attraverso i quali i soggetti formano/costruiscono le loro di­ verse identità (Marcia et al. , I 993 ; cfr. PAR. 5 .2 . 3 ) , ai livelli di identifi­ cazione con gruppo di appartenenza (Brown et al. , I 986; Phinney, I 992; Mancini, I 999c; cfr. PAR. 5 . 2 .4), al confronto sociale (PAR.

5 . ASPETTI METODOLOGICI

5 . 2 .4 ) . Oltre alle scale create per studiare i processi attraverso i quali le persone costruiscono, mantengono o difendono le proprie identità, le scale a punteggio sono state utilizzate anche per misurare alcune caratteristiche di personalità quali ad esempio la capacità di automo­ nitoraggio 6 (Snyder, 1 974) , la consapevolezza pubblica o privata di sé 7 (Fenigstein, Scheier, Buss , 1 975 ) o per rilevare le valutazioni associate alle caratteristiche identitarie (Rosenberg, 1979; Coopersmith, 19 8 1 ; Luhtanen, Cracker, 1992 ) . L e liste di aggettivi prevedono invece che il soggetto scelga, da liste in genere già predisposte, gli attributi che meglio lo caratterizza­ no. La lista di aggettivi più utilizzata in letteratura è quella messa a punto da Leary (Interpersonal Adjective Checklist, ICL ; 1 95 7 ) . Compo­ sta da 1 2 8 aggettivi, essa rappresenta il risultato di successivi aggiu­ stamenti finalizzati a cogliere gli aspetti più importanti del comporta­ mento interpersonale. Come Palmonari et al. ( 1 979, p. 234) sottoli­ neano, nonostante tale formulazione «rappresenti un contributo rile­ vante, sia da un punto di vista teorico che metodologico, occorre rile­ vare che non essendo incluse nella lista forme nominali (per esempio sostantivi) non è possibile ottenere mediante tale tecnica rappresenta­ zioni di sé in termini di status, ruoli sociali, appartenenza a gruppi ecc.». Una maggiore strutturazione caratterizza infine le tecniche basate sul differenziale semantico (ns; Osgood, Sud, Tannerbaum, 1 95 7 ) . Il differenziale semantico è un metodo di ricerca utilizzato per valutare diversi oggetti sociali. Esso consiste in una lista di aggettivi (in genere 20 o più) bi-polari, di significato opposto (ad esempio amichevole/ ostile, intelligente/stupido ecc . ) , separati da 5 o più spazi semantici. Questo metodo consente di rilevare quanto le caratteristiche scelte dal ricercatore sono percepite come proprie dai soggetti della ricerca. Esso può essere utilizzato per valutare e/o confrontare diversi aspetti o dimensioni del sé. Grazie al livello di formalizzazione delle risposte (scale ad intervalli supposti equivalenti) , tale tecnica offre dati che possono essere facilmente sottoposti a procedure statistiche quantita-

6. Esempi relativi alla scala dell'automonitoraggio sono: "in un gruppo di persone sono raramente il centro dell'attenzione" , "sono capace di recitare, magari inconsape­ volmente, per fare una buona impressione sugli altri o per intrattenerli ecc. " . 7 · Esempi della scala dell'autoconsapevolezza sono: "di solito c i tengo a fare una buona impressione" , "sono attento al modo in cui mi presento agli altri ecc. " per la sua dimensione pubblica e "rifletto molto su me stesso, esamino costantemente le mie motivazioni" ecc. per la consapevolezza privata di sé.

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tive. Le risposte al differenziale semantico vengono spesso sottoposte all'analisi fattoriale che permette in genere di identificare dimensioni valutative (giudizi positivi o negativi) e dimensioni più legate ai con­ tenuti dell'identità (ad esempio introverso/estroverso) .

Le tecniche in/erenziali Le tecniche presentate in questo paragrafo e la maggior parte di quel­ le che presenteremo in quelli successivi si basano sui resoconti perso­ nali. Il maggiore rilievo qui attribuito a tali metodi rispetto a quelli inferenziali non è soltanto legato alla maggiore diffusione delle tecni­ che autodescrittive, ma anche al fatto che sono proprio tali tecniche quelle che meglio si adattano agli interrogativi formulati all'interno della prospettiva psico-sociale. Basandosi sulle dinamiche della vita intra-psichica, le tecniche inferenziali hanno avuto una più larga dif­ fusione in altri settori disciplinari della psicologia. Al di là di questa premessa di carattere generale, in una rassegna sugli strumenti uti­ lizzati dagli psicologi sociali per studiare i diversi livelli di identità, non può certamente mancare la descrizione dell'Inventario di identità sociale (ns) utilizzato da Zavalloni, Louis-Guérin ( 1 984 ) . L'Inventario di identità sociale combina l e associazioni libere ad una tecnica di introspezione che le autrici definiscono come " intro­ spezione focalizzata" . Come abbiamo già visto nel PAR . 2. 1 .5 , parten­ do da un approccio vicino alla prospettiva costruzionista, Zavalloni, Louis-Guérin ( 1 984, 1 988) intendono analizzare le relazioni funziona­ li che connettono la coscienza soggettiva dell'identità (identità perso­ nale) agli attributi sociali oggettivi (identità sociale) . Utilizzando tale tecnica, lo scopo delle autrici è quello di rilevare le modalità attra­ verso le quali l'appartenenza a determinati gruppi influenza la perce­ zione di sé e i valori personali e viceversa, nonché di rilevare quali appartenenze sono quindi centrali nella concezione di sé. L'ns consiste in due fasi. Nella prima fase i soggetti devono dire tutto quello che viene loro in mente (associazioni libere) pensando ai membri di un gruppo al quale appartengono e rispondendo a due frasi stimolo "noi i . . . " e "loro i . . . " (ad esempio " noi" gli italiani e "loro " gli italiani) . Come la stessa Zavalloni ( 1 97 3 , p. 2 5 3 ) sottolinea, questi due livelli di risposta sono stati proposti «perché dal punto di vista teorico siamo partiti dalla considerazione che gli elementi conte­ stuali, che costituiscono un aspetto del versante oggettivo dell'identi­ tà, come i gruppi di appartenenza e le categorie sociali, potevano a loro volta essere posti in rapporto a categorie più generali di inclusio244

5 . ASPETTI METODOLOGICI

ne e di esclusione, come quelle rappresentate da NOI e da LORO» . Solo dopo aver ottenuto, per una determinata categoria, almeno 5 ri­ sposte per entrambi i livelli (noi e loro) di appartenenza, si passa a quelle successive. Le categorie prese in considerazione sono 8 e ri­ guardano: l'appartenenza nazionale, il genere, la professione, la classe sociale, la religione, l'affiliazione politica e lo status familiare. Le ri­ sposte a questa prima fase forniscono il materiale di "primo grado " che viene nella seconda fase utilizzato come stimolo sperimentale per produrre dati di " secondo grado " . L a seconda fase, detta di introspezione focalizzata, si articola in tre momenti. In un primo momento l'intervistatore chiede ai soggetti se gli attributi e le caratteristiche che essi hanno associato ad ogni categoria nella prima fase, si applicano o no a loro personalmente, se sono positivi, neutri o negativi, e quanto ogni associazione è ai loro occhi importante ed essenziale. In un secondo momento si chiede ai soggetti se nel momento in cui hanno effettuato le associazioni libere, erano o meno consapevoli della differenza tra le due consegne "noi i . . . " e "loro i . . . " ; se hanno fatto riferimento al gruppo nel suo insieme o ad un particolare sottogruppo; se ogni gruppo era giudicato per se stesso o in rapporto ad altri gruppi; se pensano di aver espresso il loro personale punto di vista o quello di altre persone. L'ultima fase dell'introspezione focalizzata mira a far emergere i significati conferiti alle caratteristiche che vengono utilizzate per descrivere sia il gruppo, sia se stesso. L'obiettivo generale dell'introspezione focalizzata è quel­ lo di accedere alle strutture sottostanti ai contenuti dell'identità, al pensiero di fondo. I risultati ottenuti dall'applicazione di tale metodo hanno dimo­ strato che gli attributi utilizzati per qualificare una categoria non han­ no la stessa connotazione quando sono applicati al sé. Gli attributi egomorfici (applicabili a se stessi) diventano più frequenti quando i soggetti devono associarli allo stimolo induttore "noi i . . . " che nella condizione "loro i . . . " ; in quest'ultimo caso essi esprimono un mag­ gior numero di descrizioni negative. Gli stessi risultati hanno anche messo in rilievo che nell'attribuire certe caratteristiche ad un gruppo, i soggetti non si riferiscono in genere al gruppo inteso nella sua tota­ lità, ma ad uno specifico sottogruppo, quando non anche a se stessi. Con questo risultato le autrici ( 1 9 84) dimostrano quindi che il con­ fronto tra un Noi e un Loro esiste anche all'interno di uno stesso gruppo di appartenenza. Un risultato al quale giungono anche alcune ricerche sperimentali ispirate alla teoria dell'identità sociale di Tajfel, Turner ( 1 97 9 ) .

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5 .2 . 2 . La rilevazione della struttura e del sentimento di identità Come abbiamo visto nei capitoli precedenti (cfr. CAPP . I e 3 ) , il pro­ blema di individuare indicatori empirici in grado di rilevare le discre­ panze tra le diverse dimensioni di realtà del sé accomuna sia gli studi cognitivi, sia quelli ispirati al paradigma degli stati di identità. Diversi sono gli strumenti di ricerca attraverso i quali tali discre­ panze sono state rilevate. Quello più utilizzato in letteratura fa in par­ ticolare riferimento alla tecnica del " Chi sei tu? " . Utilizzata da Hig­ gins, Klein, Strauman ( I 987) per indagare sulle discrepanze tra sé re­ ale e sé ideale e tra sé reale e sé imperativo (cfr. PAR. L L 4 ) , da Cross, Markus (I 99 I ) per analizzare la distanza tra sé attuale e sé possibili (desiderati e temuti) in diverse fasce d'età, da Cantor et al. ( I 987) per studiare l'impatto delle discrepanze tra sé effettivi e sé ideali sul be­ nessere psicologico degli studenti dei primi anni del college e da Ceci, Mancini ( ! 999) e Fruggeri, Mancini, Ceci ( 2ooo ) per esaminare le relazioni tra le immagini che gli studenti di Psicologia hanno di sé in quanto studenti e quelle che hanno di sé in quanto futuri psicolo­ gi, tale tecnica consiste nel chiedere ad ogni soggetto di indicare un certo numero di attributi (in genere I o ) per ogni dimensione del sé considerata. Le dimensioni del sé prese in esame possono essere di­ verse e riguardare, oltre alle caratteristiche temporali (sé passato, pre­ sente e futuro) e a quelle di realtà del sé (sé reale, possibile, desidera­ to, imperativo) , anche alcune specifiche identità sociali (sé in quanto studente, in quanto disoccupato ecc.) e identità di ruolo (sé in quan­ to padre, madre, figlio, amico ecc.) e/o combinazioni diverse di tali dimensioni (sé in quanto futuro psicologo, sé in quanto studente ideale, sé visto da altri significativi ecc. ) . Per valutare tali discrepanze le ricerche ricorrono spesso alla costruzione di indici calcolati divi­ dendo il numero totale delle sinonimie (tratti coerenti) - o sottraendo da essi - il numero totale delle antinomie (tratti non coerenti) riscon­ trate confrontando due dimensioni del sé. Se questo sistema di valu­ tazione presenta il vantaggio di arrivare alla formulazione di un indi­ catore numerico che può esser utilizzato per ulteriori confronti, esso richiede tuttavia tempi lunghi di elaborazione e accordo tra giudici che, dopo aver codificato le risposte dei soggetti riducendole ad un numero non troppo elevato di categorie, devono valutare le con­ gruenze o incongruenze riscontrate nei protocolli individuali. Per rile­ vare le discrepanze tra le diverse dimensioni del sé, Ceci, Mancini ( ! 999) e Fruggeri, Mancini, Ceci ( 2 ooo ) hanno utilizzato una strategia di elaborazione dei dati basata sull'utilizzo di tecniche statistiche mul-

5 . ASPETTI METODOLOGICI

tivariate 8 . Non richiedendo il ricorso all'accordo tra giudici, tale stra­ tegia consente di confrontare - attraverso tabelle di contingenza e test basati sulla distribuzione di Pearson - le rappresentazioni tipolo­ giche di sé rispetto ad una dimensione (ad esempio quella di sé in quanto studente) con quelle articolate rispetto ad un'altra dimensione di confronto (ad esempio quelle che derivano dalle descrizioni di sé in quanto futuri psicologi) . Una procedura simile a quelle fi n qui descritte, ma strutturata sul­ la base di liste di tratti già predisposte, è stata utilizzata da altri autori più interessati a rilevare i livelli di integrazione e/o di frammentazio­ ne nella struttura dell'identità. Partendo dal presupposto che ogni aspetto della configurazione dell'Io è riflesso nella concezione che ciascuna persona ha di sé, Hau­ ser (I 97 I , I 976) arriva a costruire cinque diversi tipi di identità che si differenziano sulla base di due variabili: l'integrazione strutturale e la stabilità temporale. La tecnica utilizzata da questo autore è quella del Q-Sort. Attraverso un'intervista strutturata, ogni soggetto è invitato a rispondere a ciascuna delle domande a lui rivolte ordinando 8 propo­ sizioni - selezionate sulla base dei risultati di interviste precedenti in rapporto al grado di appartenenza al sé. Le domande riguardano ad esempio chi la persona pensa di essere oggi, chi sarà fra dieci anni, chi dovrebbe essere per essere un buon figlio ecc. Mediante un coefficiente di correlazione che valuta la diversa distribuzione gerar­ chica dei singoli item nelle dimensioni del sé via via messe a con­ franto, viene misurato il livello di discrepanza esistente tra le diverse descrizioni del sé. Più in particolare, l'integrazione strutturale viene definita attraverso la media delle correlazioni tra gli 8 Q-Sort, mentre è la media delle correlazioni tra le risposte date in questa prima fase e quelle di una seconda e analoga somministrazione - a distanza di qualche mese - a definire il grado di stabilità temporale. Una tecnica simile viene utilizzata anche da Hart ( I 98 8 ) per rile­ vare l'organizzazione e il livello di somiglianza tra quattro diverse concezioni del sé sociale nell'adolescenza (sé con il padre, sé con la madre, sé con il migliore amico e sé con i conoscenti coetanei) , da Berzonsky e collaboratori per studiare i livelli di integrazione, di dif­ ferenziazione e di certezza delle teorie su di sé in diversi momenti temporali (Berzonsky, Kenneth, Niemeyer, I 99o) e in diversi ruoli o 8. Le risposte ad ogni dimensione del sé vengono lemmatizzate e sottoposte ad una analisi delle corrispondenze lessicali multiple sulla quale viene poi effettuata un cluster analisi (cfr. PAR. 5 . 2 . r e FIG . 5 . r ) .

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contesti sociali (Berzonsky, Niemeyer, I9 8 8 ) , da Deaux ( I 993 ) , Deaux, Reid ( I 996) e da Rosenberg ( I 9 8 8 ) , Rosenberg, Gara ( I 985 ) per cogliere gli aspetti strutturali delle diverse cognizioni di sé. Le tecniche utilizzate da questi autori fanno in particolare riferimento a versioni modificate del Role Construct Repertory Test di Kelley ( I 9 5 5 ) e a tecniche statistiche d i classificazione gerarchica che , per ogni sog­ getto considerato, forniscono rappresentazioni ideografiche dell'orga­ nizzazione delle diverse identità o sistemi di sé. Tale metodo, detto anche delle griglie di repertorio, utilizza generalmente una strategia definita bottom-up in quanto tutti i dati utilizzati per rappresentare una struttura identitaria sono generati dagli stessi individui. I soggetti vengono inizialmente invitati ad elencare tutte le identità che essi considerano più importanti ed in seguito a fornire una lista di ca­ ratteristiche associate alle diverse identità . Sulla base di queste infor­ mazioni viene costruita una matrice attributi x identità. I soggetti de­ vono a questo punto indicare (su una scala a più punti o semplice­ mente in termini di presenza/ assenza) se e quanto ciascun attributo è caratteristico di ciascuna identità (Deaux, I 993 ; Deaux, Reid, I 996) . Sottoponendo la matrice dei dati a procedimenti di classificazione ge­ rarchica (HICLAS , Analisi multidimensionale) è possibile rappresentare attraverso ideogrammi gruppi di caratteristiche, gruppi di identità e le loro associazioni reciproche (cfr. PAR. 2 . r .2 ) . Versioni più strutturate di tale strumento sono state utilizzate da Hart ( I 9 8 8 ) , Berzonsky ( I 988) e Berzonsky, Kenneth, Niemeyer ( I 99o) . Nella ricerca condotta da Hart ( I 9 88) le identità alle quali associare le diverse caratteristiche elencate dai soggetti vengono defi­ nite "a priori, dal ricercatore (sé con il padre, con la madre ecc. ) . Nella versione utilizzata d a Berzonsky e colleghi i soggetti sono invi­ tati a descriversi utilizzando quattro tratti positivi e quattro negativi. Dopo avere definito per ciascun tratto il suo esatto opposto - in modo da delineare una serie di 8 aggettivi bipolari - e 8 diverse si­ tuazioni temporali ( I 99o) o contestuali ( I 988), ogni soggetto è invita­ to ad indicare, su una scala a 7 punti, quanto ciascuna coppia di ag­ gettivi bipolari corrisponde al sé in ciascuna delle 8 diverse situazioni delineate (ad esempio introverso + 3 + 2 + I o -I -2 -3 estroverso) . Le matrici così costituite vengono in questo caso utilizzate per la costruzione di indici di integrazione, di differenziazione e di certez­ za di sé. Se le tecniche basate sulle griglie di repertorio hanno il vantaggio di fornire misure separate e continue dei diversi problemi che posso­ no minacciare il sentimento di identità, il carattere ripetitivo delle ri-

5 . ASPETTI METODOLOGICI

sposte e le complicate procedure di elaborazione delle matrici dei dati le rendono tuttavia di non facile applicazione. Non certo meno complesse - sia per quanto riguarda le procedu­ re di somministrazione, sia per quanto concerne il problema della co­ difica delle risposte - sono le interviste sulla "esperienza di sé " con­ dotte da Blasi, Milton ( 1 99 1 ) e Glodis, Blasi ( 1 993 ) (cfr. PAR. 3 ·3 · 1 ) . Il metodo messo a punto da questi autori consiste nella somministra­ zione di interviste semi -strutturate articolate attorno a 6 dimensioni: la scoperta (isolamento e identificazione) di un sé autentico; la sepa­ razione di tale sé autentico o vero da quello pubblico, accessibile agli altri; l'importanza attribuita alla sincerità e le risposte emotive attivate in caso di falsità; la natura e la frequenza della riflessione su di sé; le risposte affettive nei confronti delle proprie caratteristiche; la consa­ pevolezza e il desiderio di cambiamento del proprio sé. Le risposte fornite dai soggetti vengono registrate, trascritte ed utilizzate per co­ struire 6 scale con categorie di risposta organizzate lungo un ipotetico continuum evolutivo. La somma dei punteggi ordinali ottenuti dai soggetti sulle singole scale rappresenta l'indice globale dell'esperienza di sé. Pur permettendo un'analisi approfondita dello stato del senti­ mento di identità, il metodo utilizzato da questi autori richiede tutta­ via tempi di somministrazione e di preparazione dei dati piuttosto lunghi e validazione tramite l'accordo tra giudici. Proprio per questi motivi, come altri strumenti non strutturati, esso si presta ad essere utilizzato soltanto su gruppi limitati di soggetti. Una soluzione intermedia tra quella eccessivamente strutturata e quantitativa delle griglie di repertorio e quella dell'intervista e delle tecniche qualitative, è stata recentemente suggerita da van Halen, Bo­ sma ( 1 994 ) . Prendendo spunto dalle riflessioni teoriche di v an der Werff ( 1 985 , 1 990) , questi autori propongono un questionario sui problemi della concezione di sé (QPSC) composto da 48 proposizio­ ni 9• Ciascuna proposizione esprime o un problema legato alla perce­ zione di contrasti tra diverse dimensioni del sé o un problema legato al senso di vuoto determinato dalla mancanza di punti di riferimento significativi. Per ciascuna delle tre modalità di espressione della con-

9· Il QPSC è stato somministrato ad un campione di r .200 soggetti di 4 diverse fasce d'età (rispettivamente 1 7 , 40, 5 5 , 70 anni) e di entrambi i sessi residenti nella città di Groningen (Olan da). L'obiettivo della ricerca era quello di esplorare la natura e l'entità dei problemi della definizione del sé lungo tutto l'arco di vita, nonché quello di individuare le relazioni emergenti tra i problemi della concezione di sé e alcuni fattori esogeni (fattori situazionali, eventi recenti) o endogeni (fattori di personalità) .

249

SÉ E IDENTITÀ

cezione di sé (essere se stessi, conoscere se stessi, descrivere se stessi), ogni soggetto deve indicare se (sì, no) e quanto (raramente, qualche volta, spesso) riconosce come proprio quel determinato problema. Una versione semplificata di tale questionario è stata costruita e somministrata ad un campione di ragazzi e ragazze italiani in età compresa tra i Io e i I4 anni (Mancini, I 996; cfr. PAR. 1 .3 .4). Ri­ producendo quasi fedelmente alcune delle espressioni ricavate dalle composizioni libere con le quali un gruppo di ragazzi di questa età ha descritto " chi loro sono in questo momento della loro vita" , le 3 8 proposizioni di cui il questionario è composto prendono in conside­ razione diversi tipi di problemi nella concezione di sé: da quelli legati alla percezione di contrasti tra la dimensione attuale e quella ideale del sé ( "vorrei essere più grande per avere più libertà " ) e tra il sé privato e quello pubblico ( ''mi sento diverso da quello che appaio agli altri " ) , ai contrasti percepiti tra i diversi modi di comportarsi nel­ le diverse situazioni o ruoli sociali ( ''non riesco a riconoscermi perché sono diverso in ogni situazione " ) , alla percezione di una discontinuità tra ciò che si era e ciò che si è diventati ( '' sono cambiato così tanto che faccio fatica a dare un quadro coerente di me stesso " ) , fino al sentimento di alienazione che deriva dalla mancanza di punti di rife­ rimento ai quali ancorare l'esperienza di sé ( ''non so chi sono real­ mente, non so ancora cosa voglio fare con la mia vita " ) . Per ciascuna di tali affermazioni ogni soggetto deve indicare su una scala a 5 punti (da molto vero a per niente vero) quanto ognuna di esse è vera per lui/lei, quanto cioè ciascuna descrive realmente chi lui/lei è in questo periodo della propria vita. 5 . 2 . 3.

La rilevazione degli stati di identità

Tra le tecniche finalizzate a rilevare i processi attraverso i quali le persone acquisiscono le loro identità, non possiamo trascurare di con­ siderare gli strumenti utilizzati nell'ambito delle ricerche ispirate al paradigma degli stati d'identità (Marcia et al. , 1 99 3 ) . A partire dall'intervista sugli stati di identità (Identity Status Inter­ view, ISI ) messa a punto da Marcia nelle sue prime ricerche ( I 966) , molti sono gli autori che negli ultimi trent'anni si sono adoperati per trovare sistemi di codifica e strumenti di misurazione validi ed atten­ dibili (Marcia et al. , I 99 3 ) . T ali sforzi hanno prodotto una molteplici­ tà di strumenti più o meno strutturati applicati prevalentemente a po­ polazioni di adolescenti e giovani adulti. Alcuni di questi strumenti, come ad esempio l'Ego Identity-Incomplete Sentence Black (EI-ISB;

5 . ASPETTI METODOLOGICI

Marcia, 19 66) , sono stati appositamente costruiti per determinare la validità predittiva degli stati di identità; altri, tra i quali il Groningen­ Identity Development Scale (GIDS) di Bosma ( 1 985 ) , per costruire ver­ sioni più strutturate dell'intervista sugli stati di identità; altri ancora, come ad esempio l'Extended Objective Measure o/ Ego Identity Status (EOM-EIS2 ) di Adams, Shea, Fitch ( 1 979) e il Dellas Status Inventory­ Occupation (DISI-o) di Dellas, Jernigan ( 1 9 8 1 ) , sono questionari strut­ turati che rilevano direttamente la collocazione dei soggetti rispetto agli stati d'identità. Senza voler entrare nel merito di ciascuno di essi, ci sembra invece importante sottolineare alcune questioni metodologi­ che legate soprattutto alle modalità attraverso le quali vengono regi­ strati i diversi stati d'identità. I questionari strutturati, come le interviste, utilizzano misure glo­ bali degli stati d'identità. Nell'EoM-EIS2 e nella maggior parte dei questionari strutturati, ogni soggetto è invitato ad esprimere il pro­ prio grado di accordo/disaccordo su (o a scegliere) una serie di pro­ posizioni che, per ciascuna area analizzata (cfr. P AR . 3 .2 .5 ) , riflettono le caratteristiche dei quattro diversi stati descritti da Marcia ( 1 966, 1 994) . La somma dei punteggi che ciascun soggetto realizza in ognu­ na delle aree analizzate viene in questo caso utilizzata per esprimere la sua posizione rispetto ad uno stato di identità "globale " . Partendo dalla distribuzione di frequenza dei punteggi realizzati dai diversi soggetti e assumendo criteri quantitativi che possono variare da ri­ cerca a ricerca (valore medio, mediana, valore prefissato della devia­ zione standard) , queste procedure arrivano a distinguere i soggetti che hanno risposto al questionario in funzione della loro collocazione rispetto ad uno dei quattro stati di identità. Tal e suddivisione del campione in "tipi puri d'identità " viene in genere utilizzata per vari tipi di confronto (cfr. ad esempio i lavori di Berzonsky, Kenneth, Niemeyer, 1 990; Berzonsky, Niemeyer, 1 98 8 ) . Come sottolinea Mar­ cia ( 1 993a), nonostante queste tecniche presentino il vantaggio di una facile somministrazione ed eliminano i problemi legati all'accordo tra giudici, esse non danno tuttavia la possibilità di approfondire le ri­ sposte dei soggetti. Inoltre, l'utilizzo di misure continue, se da un alto permette elaborazioni statistiche più sofisticate, dall'altro rende com­ plessa e non sempre chiara la classificazione dei soggetti nei quattro profili. Diversamente dai questionari, le tecniche scalari ricostruiscono gli stati d'identità attraverso scale che misurano separatamente la quanti­ tà di esplorazione e la forza degli impegni che i soggetti manifestano nei confronti delle aree considerate rilevanti per la formazione/ co25 1

SÉ E IDENTITÀ

struzione dell'identità. L'uso di misure continue viene in questi casi spesso associato alla tecnica dell'intervista (Bosma, I 9 85 ) o impiegato per codificare i relativi protocolli di risposta (Matteson, I 977). La procedura utilizzata da Bosma ( GIDS, I 9 85 ) prevede ad esempio tre diverse fasi di somministrazione: a) conduzione di un'intervista semistrutturata sul modello di quella degli stati d'identità di Marcia; b) individuazione degli impegni che i soggetti considerano personal­ mente rilevanti; c) somministrazione di un questionario strutturato che misura la for­ za dell'impegno prescelto e la quantità di esplorazione implicata. Questa procedura viene ripetuta per ciascuna area considerata. Versioni più strutturate del GIDS sono state recentemente messe a punto da Meeus, Dekovié ( I 995 ) , Meeus ( I 996) e Mancini ( I 996). L' Utrect-Groningen Identity Development Scale ( u-GIDS ) di Meeus e Dekovic misura in particolare l'esplorazione e l'impegno che i sogget­ ti manifestano rispetto a tre specifici ambiti identitari: le relazioni in­ terpersonali, la scuola e il lavoro. Per ognuna di queste aree vengono somministrate due scale sulle quali ogni soggetto deve esprimere il proprio livello di accordo/disaccordo (da I = completamente vero; a 5 = completamente falso) . Gli item della scala dell'impegno mirano a rilevare quanto ogni soggetto è impegnato, trae sicurezza in se stes­ so, nella vita e nel futuro e quanto deriva un'immagine positiva di sé dalle proprie relazioni, dalla scuola frequentata e dal lavoro svolto. Gli item della scala dell'esplorazione misurano invece quanto ogni soggetto è attivamente impegnato a parlare, pensare, cercare informa­ zioni ecc. rispetto alle proprie relazioni, alla scuola e al lavoro even­ tualmente svolto. A metà strada tra la versione più complessa di Bosma ( GIDS , I 985 ) e quella più strutturata di Meeus, Dekovié ( U- GIDS , I 995 ) , il Questionario sugli Stati d)Identità messo a punto da Mancini ( I 996) su soggetti in età compresa tra gli I I e i I 4 anni prende in considera­ zione tre variabili: il contenuto dell'impegno, la sua forza e la quanti­ tà di esplorazione necessaria per raggiungerlo. Rispetto ad ognuna delle sei aree tematiche (famiglia, amicizia, scuola, tempo libero, rap­ porti con l'altro sesso, caratteristiche personali) indagate in tale que­ stionario 1 0 , ogni soggetto è invitato a:

1 0. Le aree e i contenuti degli impegni possibili all'interno di ciascuna di esse sono stati definiti sulla base dei risultati di uno studio esplorativo (Mancini, 1996).

252

5 . ASPETTI METODOLOGICI

a) scegliere da una lista di proposizioni che indicano i contenuti dei diversi impegni possibili la " cosa " personalmente più importante I I ; b) indicare quanto (da " spesso " a "mai " ) tale scelta da loro soddi­ sfazione, sicurezza nella vita e in se stessi, senso di direzione (ottimi­ smo e fiducia) nei confronti del futuro (scala delt impegno) ; c) indicare, sempre su una scala a 4 punti (da " spesso " a "mai " ) , quanto sono impegnati a d esplorare (pensare, parlare, confrontarsi con gli altri ecc.) ciascuna delle sei aree analizzate (scala dell'esplora­ zione) . Tale questionario presenta il vantaggio di considerare non solo ri­ spetto a quali aree, ma anche rispetto a quali specifici percorsi i denti­ tari i soggetti costruiscono le loro identità; la sua specificità non ne consente tuttavia l'applicazione a soggetti in età diversa da quella preadolescenziale. Sia i contenuti degli impegni, sia le dimensioni uti­ lizzate per misurare la forza di tali impegni e la quantità di esplora­ zione sono state infatti predisposti appositamente per questa fascia d'età. Se le tecniche scalari presentano il vantaggio di fornire misure se­ parate e continue dei processi di formazione dell'identità, anche in questo caso - come in quello dei questionari strutturati - rimane co­ munque in parte irrisolto il problema di come le due variabili posso­ no essere combinate per costruire i quattro stati d'identità (Marcia, 1 993a). Diversi autori (Marcia et al. , 1 99 3 ; Meeus, 1996; Mancini, 1 996) suggeriscono di considerare, area per area, la media o la me­ diana dei punteggi ottenuti su ciascuna delle due scale (esplorazione ed impegno) come punto di rottura della distribuzione delle risposte e di attribuire ciascun soggetto ad uno dei quattro stati di identità secondo le modalità qui sotto descritte: scarsa esplorazione e deboli impegni stato di dzf/usione dell'i­ dentità; ricca esplorazione e deboli impegni stato di moratorza; scarsa esplorazione e forti impegni stato di chiusura dell'identità; =

I r . P e r quanto ad esempio riguarda l'area della scuola, la lista dei contenuti degli impegni possibili comprende: il desiderio/volontà di imparare nuove cose e avere una maggiore istruzione, di essere bravo a scuola e prendere buoni voti, di continuare a studiare per trovare da grandi un buon lavoro, di finire la scuola media per andare a lavorare, di passare piacevolmente il tempo con i compagni, di andare bene semplice­ mente per fare contenti i propri genitori o altri liberamente aggiunti dai soggetti. Ogni lista include anche la possibilità che il soggetto non consideri importante l'area in questione (in questo caso la scuola) .

253

SÉ E IDENTITÀ

- ricca esplorazione e forti impegni stato d'acquisizione dell'i­ dentità. Oltre ad appiattire le differenze inter-individuali riscontrabili ri­ spetto alle modalità attraverso le quali i soggetti affrontano la costru­ zione dei diversi aspetti della loro identità, questa procedura non sembra risolvere in modo soddisfacente il problema della costruzione di una misura globale degli stati di identità. Molti sono d'altro canto ancora oggi i dubbi circa l'opportunità o meno di ottenere una misu­ ra globale degli stati d'identità sommando i punteggi dell'esplorazio­ ne e dell'impegno ottenuti nelle diverse aree. =

5 .2 .4. L'analisi delle dimensioni dell'identità sociale Prima di concludere questa rassegna sulle tecniche utilizzate per stu­ diare il sé e l'identità, vorremmo accennare brevemente ad alcuni de­ gli strumenti utilizzati per rilevare, attraverso ricerche di natura pre­ valentemente correlazionale, alcune dimensioni dell'identità sociale. Come è noto, la nozione di identità sociale data da Tajfel ( 1 9 8 1 ) in­ clude tre dimensioni: la consapevolezza di appartenere ad un deter­ minato gruppo o categoria sociale; il significato emotivo attribuito a tale appartenenza; il valore ad essa associato. L' autoconsapevolezza è stata in letteratura analizzata ricorrendo o a strategie basate su criteri oggettivi (maschio/femmina; italiano/stra­ niero ecc. ), a volte integrate all'utilizzo di indici di importanza sog­ gettiva (quanto è importante per te essere una donna, italiana ecc . ) , o a tecniche che, come quella del " Chi sei tu? " , si affidano a criteri soggettivi di definizione dell'identità ( autodefinizione) . Come Deaux ( 1 992) sottolinea, tali tecniche permettono al ricercatore di definire quanto e se un'identità sociale è rilevante per un soggetto, quanto cioè nel definire la propria collocazione all'interno di una certa strut­ tura sociale i soggetti si considerano come membri di determinate ca­ tegorie sociali. Esse tuttavia raramente forniscono informazioni sul­ l'organizzazione dell'identità (quanto essere una donna è importante e centrale per l'identità personale) e sul significato attribuito a tali dimensioni sociali della propria identità. Per rilevare il significato emotivo che lega un individuo al suo gruppo di appartenenza, alcuni autori (Brown et al. , I986; Brown et al. , 1 992; Phinney, 1 992 ; Mancini, 1 999c) hanno in particolare uti­ lizzato varie scale di identificazione sociale. Esse sono in genere com­ poste da una serie di affermazioni che descrivono diversi tipi di lega­ mi che le persone appartenenti a determinati gruppi (giovani, studen­ ti, italiani, stranieri ecc.) hanno con gli altri membri del proprio 254

5 . ASPETTI METODOLOGICI

gruppo di appartenenza. Esempi di tali affermazioni sono: mi sento un vero membro del mio gruppo, sento forti legami con questo grup­ po, mi considero simile ai membri del mio gruppo. Il significato emotivo attribuito alle proprie appartenenze è stato rilevato anche utilizzando tecniche non strutturate quali ad esempio interviste e completamento di frasi. Oltre a cogliere il rilievo emozio­ nale che lega un individuo al gruppo di appartenenza, tali strumenti permettono anche di conoscere i contenuti associati alle proprie iden­ tità sociali ed i motivi che giustificano tali definizioni sociali del sé (Mancini, Secchiaroli, 1 998; Mancini, 1 999b; cfr. PAR. 4.2 . 3 ) . Più complessa è risultata invece l a rilevazione del valore attributo alle proprie appartenenze. Secondo i presupposti sui quali la teoria dell'identità sociale si fonda, le persone cercano di far parte e/o di­ fendono la propria appartenenza ad un determinato gruppo sociale, fino a quando questo soddisfa, sostiene e valorizza la propria auto­ stima. Perché questo accada le persone devono poter valutare positi­ vamente le caratteristiche del proprio gruppo e ciò è possibile atti­ vando confronti con altri gruppi presenti sulla scena reale o simboli­ ca. Poche sono le ricerche non sperimentali che sono riuscite a co­ gliere gli aspetti dinamici del confronto intergruppi. La maggior parte degli studi si è piuttosto limitata a mettere a punto scale che misura­ no i livelli di autostima privata (Phinney, 1 992 ) e/o pubblica (Luhta­ nen, Crocker, 1 992) derivanti dall'appartenenza di gruppo. Le varia­ bili prese in considerazione nel primo caso (stima di sé privata) ri­ guardano i sentimenti di orgoglio o di vergogna che le persone asso­ ciano alle proprie identità sociali; quelle analizzate nel secondo caso (stima di sé pubblica) riguardano gli stereotipi condivisi e, più in ge­ nerale, gli atteggiamenti espressi nei confronti delle persone che ap­ partengono a determinate categorie o a gruppi sociali. Per rilevare l'influenza che il confronto con altri gruppi esercita sul significato emotivo e sul valore attribuito alla propria identità sociale, altre ricer­ che hanno tuttavia messo a punto scale che misurano i livelli di somi­ glianza/dzf/erenza percepita nei confronti di outgroup (Mancini, Sec­ chiaroli, 1 998, 2ooo) e/o nei confronti di diverse dimensioni di conte­ nuto (Brown, Haeger, 1 999) di volta in volta definite dal ricercatore sulla base delle ipotesi di indagine. Se gli strumenti che rilevano la stima di sé partono dal presupposto di misurare una delle conseguen­ ze (identità come "prodotto " ) legate all'appartenenza sociale, le scale di somiglianza/differenza, pur nei limiti propri degli approcci correla­ zionali, cercano di analizzare uno dei processi implicati nelle dinami­ che identitarie (identità come "processo " ) : quello del confronto so­ ciale. 255

SÉ E IDENTITÀ

Gli aspetti più dinamici dell'identità sociale sono stati presi tn considerazione anche negli studi finalizzati a cogliere quali sono le condizioni sociali che portano i soggetti a mettere in atto strategie di difesa o di cambiamento della propria identità sociale (cfr. PAR. 2 . 3 .2 ) . Sfruttando alcune peculiari situazioni sociali (Blanz et al. , I 998; Mummendey et al. , I 999) e/o misurando la percezione della ri­ gidità dei confini tra i gruppi e della legittimità e stabilità delle rela­ zioni tra essi all'interno di una determinata struttura sociale (Elle­ mers, I993 ), questi studi hanno cercato di individuare i fattori sog­ gettivi ed oggettivi che, in un dato momento storico e sociale, condi­ zionano le definizioni sociali che i soggetti danno di sé e le strategie che attivano (collettive vs individuali, cognitive vs comportamentali; Blanz et al. , I 998; collettivistiche vs individualistiche, relazionali vs autonome; Hinkle, Brown, I 990; Brown et al. , I 992 ) per acquisire, mantenere o difendere un'identità sociale positiva.

6

Riflessioni conclusive

La pluralità degli approcci presenti nell'ambito degli studi sul sé e l'identità non è solo una testimonianza della diversità dei riferi­ menti teorico-epistemologici che li guidano, ma anche della molte­ plicità delle componenti che entrano in gioco nei processi che vi sono implicati: da quelle psicologiche (cognitive, emotive e compor­ tamentali) , a quelle riguardanti i sistemi di esperienze che si strut­ turano attraverso l'interazione con gli altri, con l'ambiente fisico e sociale e con le specifiche articolazioni e caratteristiche che que­ st'ultimo può assumere, a quelle più legate alla soddisfazione dei bisogni personali e/o delle attese normative strutturate all'interno dei diversi contesti sociali. Pochi sono tuttavia i casi in cui vengo­ no utilizzati modelli teorici che tengono conto della complessità dei fattori in gioco e della dinamica interattiva attraverso la quale la componente psichica-individuale e quella sociale-collettiva contribui­ scono a definire le immagini che le persone hanno di se stesse. La tendenza dominante è invece quella di considerare i processi i denti­ tari funzione quasi esclusiva delle componenti che ciascun tipo di approccio privilegia. Gli studi cognitivi tendono così ad approfon­ dire gli aspetti cognitivi della conoscenza di sé, mentre quelli moti­ vazionali enfatizzano i processi emozionali. Sebbene la centralità del ruolo svolto da ambedue queste componenti non possa in nessun modo essere messa in discussione, altrettanto chiara emerge l' op­ portunità di analizzarne le rispettive dinamiche in maniera più inte­ grata. Un particolare arricchimento dell'analisi stessa potrebbe inol­ tre derivare dall'adozione di una prospettiva "ecologica " (Bronfen­ brenner, 1 979) nello studio dei processi implicati in tali dinamiche: una prospettiva cioè più attenta ai diversi contesti interattivi in cui, direttamente o indirettamente, si sviluppa e si struttura l'esperienza delle persone.

257

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6.1

T emi e prospettive di analisi

Gli studi che si sono interessati al tema del sé e dell'identità secondo una prospettiva psico-sociale hanno dunque affrontato tematiche di­ verse. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti, il panorama degli studi condotti è talmente vasto ed articolato da rendere complessa la ricostruzione di un quadro d'insieme. Lo stato della riflessione teorica e della ricerca sul sé e l'identità non è tuttavia altrettanto articolato sul versante delle ipotesi di integrazione tra le diverse prospettive di analisi e tra i diversi fattori implicati nei processi identitari. Pur costituendo un'utile premessa alla sistematizzazione, la stessa distinzione concettuale tracciata precedentemente tra identità intesa come " processo , e identità intesa come " prodotto , (cfr. PAR. 3 ·3 · 3 ) costituisce anch'essa un'occasione per verificare l a diversità d i aspetti, sia nei processi che nei prodotti, sui quali forniscono indicazioni i di­ versi approcci di studio. Se, come è stato ampiamente documentato, studiare l'identità come " processo, secondo un approccio cognitivo significa interrogar­ si sulle modalità in cui le conoscenze riguardanti il sé vengono orga­ nizzate in schemi o rappresentazioni cognitive, altre sono le risposte a questo proposito fornite dagli studi che adottano approcci sociali e motivazionali. Mentre nel primo caso l'attenzione è infatti rivolta alle modalità in cui le varie forme di interazione e comunicazione sociale contribuiscono a strutturare la dimensione sociale del sé, nel secondo caso i processi chiamati in causa sono quelli riguardanti la soddisfa­ zione di bisogni psicologici e/o sociali legati all'identità. Un'analoga differenziazione è rintraccia bile sul versante delle indi­ cazioni riguardanti l'identità come "prodotto , . Dagli studi cognitivi tale prodotto emerge configurato come una complessa mappa di in­ formazioni che, oltre a permetterei di conoscere chi siamo, costitu i­ scono il riferimento base per elaborare ulteriori informazioni e per orientare i nostri comportamenti. Gli approcci sociali mettono in luce quelle identità sociali che, nel momento stesso in cui definiscono la nostra posizione nella complessa rete dei rapporti sociali, supportano la valutazione positiva del nostro sé. Il prodotto a cui si interessano infine gli approcci motivazionali è quello che ha il suo nucleo portan­ te nei sentimenti di unicità, di continuità e di riconoscimento sociale derivanti dalle nostre scelte nell'ambito dei valori, delle norme sociali. Muovendo dall'ipotesi che la ricerca di una complementarità tra prospettive ed approcci diversi possa costituire un passo avanti nella direzione di una più approfondita conoscenza dei processi identitari e

6 . RIFLESSI0="/1 CONCLUSIVE

dei loro prodotti, alcuni autori (Breakwell, r 9 86; Deaux, 1 992 ; Coté, 1 996a, 1 996b; Berzonsky, 1 988; Mancini, 1 997a; tra gli altri) hanno avanzato proposte di modelli teorici e di percorsi metodologici che sembrano favorire una maggiore integrazione degli aspetti trascurati all'interno di ciascuna prospettiva. La proposta di " socializzare il sé e personalizzare l'identità" , arti­ colata da Deaux ( r 992 ; cfr. PAR. 2 .2 .5 ) , risulta soprattutto facilitare un'integrazione delle riflessioni prevalenti all'interno della psicologia sociale europea con il metodo ideografico adottato da alcuni teorici della personalità (Rosenberg, 1 988) per analizzare il contenuto e la struttura delle concezioni che le persone hanno di se stesse. Rivendi­ cando l'importanza degli aspetti soggettivi ed individuali, Deaux con­ sidera tale metodo come adatto a superare il determinismo sociologi­ co che, a suo avviso, tende a caratterizzare alcuni studi ispirati alla teoria dell'identità sociale. Personalizzare l'identità significa, per que­ sto autore, cogliere i significati soggettivamente attribuiti alle apparte­ nenze e il rilievo emotivo che lega un individuo al gruppo. Assumen­ do come unità di analisi l'individuo ed avendo tra gli obiettivi princi­ pali quello di cogliere la variabilità inter-individuale delle strutture identitarie, tale tentativo di personalizzazione dell'identità finisce tut­ tavia per cadere nell'individualismo tipico degli approcci ispirati al fi­ lone di studi sulla percezione e cognizione sociale. Il gruppo, nei suoi rapporti con gli altri gruppi che per la teoria dell'identità sociale co­ stituiscono il contesto imprescindibile per l'attivazione dei processi di identificazione sociale, diventa qualcosa di puramente nominalistico, che sta a monte della struttura identitaria, ma che non viene mai chiamato in causa nella sua formazione o mantenimento. A questo si aggiunga lo scarso interesse mostrato per i processi implicati nella formazione della struttura identitaria i cui cambiamenti vengono tut­ t' al più analizzati avvalendosi della prospettiva longitudinale o della descrizione dei contesti che li attivano. Una prospettiva più dinamica sembra invece caratterizzare il mo­ dello attraverso il quale Berzonsky, Niemeyer ( r 988) e Berzonsky, Kenneth, Niemeyer ( r 990) (cfr. PAR. 3 . 3 .2 ) propongono un'integrazio­ ne tra i processi con i quali l'identità viene acquisita e i cambiamenti strutturali che avvengono nelle teorie costruite su di sé. Pur partendo dai concetti di esplorazione e di impegno di matrice eriksoniana, l'i­ dea di integrare i presupposti sui quali si fonda il paradigma degli stati di identità (presenza/assenza dell'esplorazione e dell'impegno) , con i paradigmi delle teorie cognitive sul concetto d i sé, viene da questi autori interpretata in chiave esclusivamente cognitivista. Gli esiti derivanti dalla diversa combinazione delle due variabili compor259

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tamentali dell'esplorazione e dell'impegno (stati di identità) , diventa­ no infatti "stili " personali di elaborazione delle informazioni rilevanti su di sé, mentre quella configurazione di «dati costituzionali, esigenze libidiche idiosincratiche, capacità preferite, identificazioni significati­ ve, difese efficaci, sublimazioni ben riuscite e ruoli consistenti» (Erik­ son, 1 968; trad. it. 1 974, p. 1 92 ) che costituisce la struttura identita­ ria, viene considerata in termini di livelli di integrazione e di diffe­ renziazione tra le dimensioni che le persone utilizzano per descrivere se stesse. Ciò che in questo modello viene completamente a mancare è quell'interazione dinamica tra psichico-individuale e sociale-colletti­ vo che è alla base dei processi di costruzione dell'identità. Ancora una volta ci troviamo cioè di fronte ad un 'ipotesi di integrazione che tende ad anteporre il dato soggettivo-individuale a quello sociale. Un limite, questo, presente anche nel modello che abbiamo noi stessi tentato di elaborare (Mancini, 1 996, 1 997a; cfr. PAR. 3 · 3 · 3 ) . Nono­ stante l'attenzione in tale modello dedicata alla definizione "sociale " degli ambiti di formazione/costruzione dell'identità e delle scelte identitarie possibili all'interno di esse, è ancora un livello di analisi intra-individuale ad essere privilegiato. L'integrazione proposta ri­ guarda in questo caso il paradigma degli stati di identità e la lettera­ tura evolutiva sul concetto di sé e l'ipotesi che ci ha guidato è quella di una possibile complementarità tra i due modelli rispetto alla cono­ scenza dei processi di costruzione dell'identità e dei loro "esiti" (in termini di prodotto) nell'età preadolescenziale. In comune con molti degli studi ispirati al paradigma degli stati d'identità, anche questo modello tende tuttavia a dare per scontato il ruolo che le componenti relazionali e sociali giocano nei processi identitari. Una volta definita la natura " sociale " dei compiti legati alla cre­ scita (Havinghurst, 195 3 ) - tra i quali quello di costruzione dell'iden­ tità considerato come specifico e centrale nel periodo adolescenziale (Erikson, 1 968) - nonché delle modalità attraverso le quali essi ven­ gono affrontati, il sociale nelle sue diverse articolazioni viene in gene­ re considerato come un implicito di cui la maggior parte degli autori ispirati al paradigma degli stati di identità non rende conto in termini empirici. Operazionalizzato a volte in termini di relazioni significative con gli altri (stili educativi, supporto dei pari ecc.; cfr. PAR. 3 .2 . 4 ) , a volte in termini di appartenenze sociali (soprattutto economiche, cul­ turali ed etniche; cfr. PAR. 3 · 3 ·4 ) , il sociale stesso non viene quasi mai considerato come parte attiva nelle dinamiche implicate nella defini­ zione e costruzione del sé e dell'identità. I contesti interattivi, sociali, nonché quelli storici e culturali vengono generalmente considerati come presupposti per la formazione/costruzione di un' identità perso260

6 . RIFLESSI0="/1 CONCLUSIVE

nale che finisce per diventare soltanto l'esito di un processo di adatta­ mento alle richieste che da tali contesti provengono (Baumeister, 1 99 1 ; Baumeister, Muravan, 1 996; C6té, 1 996a, 1 996b) . Un passo in avanti verso una più adeguata considerazione del ruolo che il contesto relazionale e sociale gioca nei processi identitari è sicuramente presente negli approcci che in questo volume abbiamo definito come sociali (cfr. CAP . 2 ) . L'interazione dinamica tra le com­ ponenti individuali e quelle sociali-collettive trova in questo caso una sua più effettiva considerazione sia tra i socio-costruzionisti, sia tra i teorici dell'identità sociale. La posizione più radicale assunta dai re­ centi sviluppi di tali prospettive tende tuttavia a riportare la riflessio­ ne teorica sul sé e l'identità verso una sorta di riduzionismo di tipo soprattutto "linguistico " nel caso degli approcci socio-costruzionisti (Gergen, 1 99 1 ; Harrè, 1 998; cfr. PAR. 2 . 1 .3 ) e soprattutto " cognitivo " in quello degli studi ispirati alla teoria della categorizzazione del sé di Turner ( 1 987 ) e di Oakes, Haslam, Turner, 1 998 (cfr. PAR. 2 .2 .3 ) . L'attenzione rivolta ai processi inter-personali (interazionismo simbo­ lico) , inter-gruppi (teoria dell'identità sociale) ed intra-individuali (teoria della categorizzazione del sé) come responsabili della forma­ zione, del mantenimento e della difesa dell'identità porta spesso gli autori che si collocano all'interno di queste prospettive a trascurare gli aspetti più prettamente strutturali dell'identità. Il problema delle dimensioni costitutive del concetto che le persone hanno di sé, delle loro relazioni e del loro rapporto con l'identità intesa come «qualità temporale e relazionale dell'esperienza di sé» (Codol, 1 98o) viene nella maggior parte dei casi risolto ipotizzando la presenza di due classi o categorie di concetti (Gordon, 1 96 8 ) , l'identità sociale e quel­ la personale, considerate ora compresenti (modello della covariazione; Deschamps, Volpato, I 984) ora in antagonismo funzionale tra loro (modello del tutto o niente; Turner et al. , 19 87; cfr. PAR. 2 . 2 .5 ) . I modelli teorici che si sono adoperati per integrare paradigmi e approcci empirici diversi non sembrano, quindi, essere ancora appro­ dati ad una sistematizzazione delle tematiche connesse con il sé e l'i­ dentità che tenga contemporaneamente conto dei diversi livelli di analisi possibili. Un 'ipotesi in tal senso più compiuta ci sembra quella formulata da Breakwell ( 1 9 86). Quest'autrice elabora un modello teorico nel quale gli aspetti strutturali e quelli processuali dell'identità vengono considerati alla luce dell'interazione dinamica tra processi intra-psi­ chici e processi sociali. L'identità viene considerata come un «pro­ dotto sociale dinamico risiedente nei processi psicologici»; il suo con­ tenuto come derivante dalle relazioni interpersonali, dalle appartenen-

SÉ E IDENTITÀ

ze sociali e dalle dinamiche intergruppi alle quali le persone parteci­ pano all'interno dei contesti sociali. Ognuna di queste strutture rela­ zionali-sociali fornisce infatti ai soggetti ruoli, sistemi di credenze e valori di riferimento che possono essere adottati ed assimilati all'in­ terno della struttura identitaria. I processi attraverso i quali tali ele­ menti diventano parte delle identità personali sono per Breakwell quelli dell'assimilazione-accomodamento e quelli della valutazione. At­ traverso l'assimilazione, le nuove componenti identitarie vengono as­ sorbite all'interno della struttura preesistente che, nel processo di ac­ comodamento, si ristruttura inglobando i nuovi cambiamenti. È infine attraverso l'attivazione di processi di confronto e di valutazione che le nuove dimensioni identitarie acquistano significato e valore. La struttura attraverso la quale l'identità può essere rappresentata non è quindi, secondo questo modello, formata unicamente da di­ mensioni di contenuto, ma anche da dimensioni valutative che danno significato e valore ai contenuti identitari. Contenuti e valori della struttura identitaria si sviluppano con l'esperienza e nel tempo - sog­ gettivo - organizzandosi in " prodotti " dinamici, fluidi e sensibili ai cambiamenti che si verificano nei contesti sociali. È importante tutta­ via precisare come, secondo Breakwell, i cambiamenti identitari non riguardino soltanto i contenuti elo i valori di cui tale struttura è com­ posta, ma anche le relazioni che definiscono la sali enza relativa e/o la centralità di tali contenuti elo valori nella struttura identitaria. Se i cambiamenti identitari sono determinati soprattutto dalle di­ verse posizioni che gli individui possono occupare all'interno della struttura sociale, l'autrice sottolinea anche che l'individuo non è un'entità statica nel contesto sociale, ma si muove all'interno di esso sia per scelta, sia perché costretto da forze esterne. «Ogni, movimen­ to all'interno di tale contesto implica, almeno potenzialmente, che l'individuo processi contenuti e valori nuovi per l'identità» (Break­ well, 1 986, p. 3 9 ) . Ciò che tuttavia rende funzionali e guida tali cam­ biamenti identitari sono alcuni principi-bisogni quali quelli che fanno riferimento ai concetti di distintività, di continuità e di autostima. È per soddisfare o in difesa di tali principi-bisogni che gli individui possono cambiare la propria posizione nella matrice sociale, stabilen­ do, ad esempio, relazioni nuove o modificando quelle già esistenti, attribuendo una diversa importanza ai gruppi ai quali appartengono o entrando a far parte di altre realtà collettive, scegliendo l'una o l'altra delle ideologie che strutturano i rapporti gerarchici tra i gruppi. Se­ condo Breakwell, l'identità non è comunque soltanto il prodotto delle interazioni sociali, delle appartenenze ai gruppi e dell'adesione ai si­ stemi ideologici che guidano l'interpretazione della realtà, ma è anche

6 . RIFLESSI0="/1 CONCLUSIVE

il punto di riferimento per le azioni umane. Le dimensioni di conte­ nuto e di valore dell'identità guidano le azioni verso quei comporta­ menti considerati più appropriati rispetto alle domande della situazio­ ne sociale e/o per soddisfare quei principi-bisogni sui quali l'identità si fonda. Identità e azioni vengono quindi considerate come due aspetti dialetticamente correlati. 6 .2

Un possibile percorso per una lettura più integrata del sé e dell'identità

Fornendo una visione complessa delle dinamiche identitarie, il mo­ dello teorico proposto da Breakwell ( 1 986) costituisce un utile spunto sul quale articolare alcune riflessioni conclusive. Lontane dall'idea di proporre nuovi modelli di analisi del sé e dell'identità , tali riflessioni intendono soltanto suggerire un percorso di lettura che promuova in­ sieme una visione più completa dell'identità e un'ipotesi di integra­ zione tra prospettive teoriche diverse. La distinzione tra identità inte­ sa come "prodotto " e come " processo " costituisce il primo passo in tale direzione. Adottata a scopi puramente nominalistici, tale distin­ zione permette infatti di cogliere quelle che possono essere considera­ te come due facce della stessa medaglia. L'identità intesa come " pro­ dotto " altro non è se non l'esisto di un "processo " che trova i suoi presupposti in "prodotti " precedentemente acquisiti. In questa rela­ zione dialettica l'identità si costruisce attraverso un percorso a spirale dove ogni processo realizza prodotti che innescano nuovi processi in una logica di cambiamento continuo, ma non necessariamente e sem­ pre nella direzione di uno sviluppo lineare . È difficile immaginare la realizzazione d i questo percorso a l di fuori dei contesti relazionali, sociali, storici e culturali in cui le perso­ ne vivono, così come è difficile immaginare una dimensione identita­ ria che non sia in qualche misura un prodotto sociale. Il contesto so­ ciale forgia le immagini che le persone hanno di sé a diversi livelli: attraverso le interazioni più quotidiane ed immediate ed il gioco di reciproco rimando delle proprie immagini di sé; attraverso le apparte­ nenze che definiscono il proprio posto e i propri ruoli all'interno del­ la matrice sociale; attraverso la partecipazione alle pratiche di socia­ lizzazione, l'adesione ai sistemi culturali e norma ti vi, la più o meno consapevole esposizione alle ideologie e alle propagande, ai processi di influenza sociale. L'identità non è tuttavia solo il prodotto di tali influenze, ma è anche creatività, innovazione, tensione aperta verso il futuro e non soltanto perché, come molti tendono a sottolineare, di

SÉ E IDENTITÀ

fronte alla molteplicità delle alternative in gioco in una società artico­ lata e complessa come quella occidentale e contemporanea, gli indivi­ dui possono sempre scegliere quali identità acquisire o costruire, ma anche perché le influenze esterne acquisiscono significato e diventano parti dell'identità solo passando attraverso processi psicologici di tipo ricostruttivo. Questi non sono comunque gli unici processi attraverso i quali le persone ri -elaborano le informazioni che le riguardano e co­ struiscono teorie più o meno complesse sulle diverse dimensioni che compongono la loro identità (TAB . 6 . ! ) . Una ricca letteratura sottoli­ nea a questo proposito la rilevanza dei processi legati alle attività mnestiche e più in generale all'elaborazione delle informazioni (Kihl­ strom et al. , 1 988) e ai processi di ri-strutturazione cognitiva (quali quelli di assimilazione e accomodamento messi in evidenza da Break­ well o quelli di categorizzazione indicati dai teorici dell'identità socia­ le) , mentre da altre prospettive si considera l'importante ruolo gioca­ to dalle attività di valutazione e confronto. Tali attività (valutazione e confronto) possono originarsi a livelli diversi: a livello interpersonale, quando la propria unicità e specificità è riconosciuta confrontandosi con gli altri più simili (confronto interper­ sonale; Festinger, 1 95 4 ) ; a livello intergruppi, quando il confronto chiama in causa l e ap­ partenenze a categorie o gruppi sociali, le identità sociali (confronto sociale o intergruppi; Tajfel, Turner, 1 979 ) ; a livello intrapersonale quando l e dimensioni del confronto sono rappresentate da modelli di riferimento (standard) considerati social­ mente o personalmente desiderabili (Marcia et al. 1 99 3 ) e/o da rap­ presentazioni proiettate su altri piani temporali (sé passato, sé futuro) o di realtà del sé (sé desiderato, sé temuto, sé imperativo ecc.; con­ fronto con standard o intrapersonale; Markus, Nurius, 1 9 86; Higgins, Klein, Strauman, 1 987 ; Scheier, Carver, 1 9 88) . L'identità in quanto prodotto è l'esito di tali processi psicologici, ma anche il risultato delle forze agenti nel proprio spazio di vita (Le­ win, 1 95 1 ) . Tali forze comprendono le aspettative normative, le pres­ sioni sociali, i valori di riferimento, le relazioni interpersonali, i rap­ porti intergruppi e la rilevanza relativa attribuita alle proprie apparte­ nenze, le motivazioni e le esperienze personali, le proprie azioni 1, le informazioni già acquisite su di sé. Tutte queste componenti possono contribuire a costruire nel tempo una determinata concezione di sé e a 1 . Le azioni umane possono essere considerate come espressioni dell'identità e come veicolo attraverso il quale le caratteristiche dell'ambiente fisico e sociale esterno possono diventare parte dell'identità già costruita.

6 . RIFLESS IO�I CONCLUSIVE

TABELLA 6 . r

Livelli di conoscenza e dimensioni identitarie oggetto della ricerca empirica Dimensioni identitarie

Livelli di conoscenza Identità soggettiva

Fattori di campo Aspettative normati­ che nel tempo (sogve, pressioni sociali, gettivo e sociale) . . . rapporti interper­ contribuiscono a sonali ed intergrup­ costruire l'identità pi, motivazioni ed e­ soggettiva sperienze personali, comportamenti, in­ formazioni già ac­ quisite . . . Processi

Identità plurali

Presentazione di sé

che in un dato momento o situazione contribuiscono a rendere saliente una determinata costel­ lazione di elementi identitari

che in un dato mo­ mento o situazione influenzano la pre­ sentazione di sé

- cognitivi (elaborazione delle informazioni, ri - strutturazio­ ne cognitiva) - valutativi (confronti interpersonali, intergruppi, intraper­ sonali) - ideativi (attribuzione di significato ai contenuti identitari e al valore ad essi attribuito)

- evolutivi o di cambiamento

- di interazione - di interazione sociale a diversi li- attore-osservatore velli

Prodotti

contenuti

struttura

- identità soggettiva - stima globale di sé li -

- centralità ed importanza delle dimensioni identitarie - sentimento di identità

identità sociali - autopresentazione identità di ruolo - autoespressione identità personaidentità possibili

- centralità ed importanza relati­ va delle diverse identità - contributo relativo alla costruzio­ ne del sentimento di identità

rendere ad un dato momento saliente una specifica costellazione di im­ magini di sé. All'interno della nozione di identità in quanto " prodot­ to " , occorrerebbe quindi distinguere la struttura identitaria relativa­ mente stabile nel tempo e nelle modalità di espressione, dalle struttu­ re emergenti in momenti o situazioni diverse. La prima rappresenta il nocciolo centrale dell'identità soggettiva.

SÉ E IDENTITÀ

Essa si costruisce in una dimensione temporale che è al tempo stes­ so soggettiva ( autobiografica) e sociale (sociobiografica) ed è formata dall'insieme dei pensieri e dei sentimenti che una persona acquisisce, aggiusta, modifica nel corso dell'esperienza e ha disponibili per defi­ nire se stessa ad un livello molto generale. Le seconde sono formate dalla specifica combinazione delle conoscenze, delle immagini e dei sentimenti che diventano salienti in particolari contesti o in particola­ ri momenti dell'esistenza. Prodotto dell'interazione dinamica della persona con il suo ambiente psicologico in un dato momento e situa­ zione (Lewin, I 9 5 I ) , le identità in quanto strutture emergenti sono quei sotto-sistemi identitari che le persone di situazione in situazione utilizzano per capire, conoscere o descrivere se stessi (van der Werff, I 990) e/o per interpretare o dirigere le proprie azioni (Markus, Wurf, I 9 8 7 ) . Tali sotto-sistemi (identità plurali) possono riferirsi ad aspetti diversi: - ai pensieri e ai sentimenti associati alle appartenenze sociali (iden­ tità sociali) ; - alle teorie che le persone elaborano su se stesse e all'insieme di attributi che le caratterizzano (identità personali) ; - alle rappresentazioni che gli individui costruiscono in rapporto a specifiche dimensioni temporali o di realtà del sé (identità possibili) ; - alle immagini di sé strutturate in relazione ai diversi ruoli sociali (identità di ruolo). L'identità e le strutture identitarie emergenti in particolari situa­ zioni possono in tutto o in parte essere espresse nelle descrizioni ver­ bali che le persone fanno di se stesse e/o nei comportamenti che esse mettono in atto. Come viene sintetizzato nella TAB. 6. I , tre sono quindi i livelli di conoscenza dell'identità che possono diventare oggetto della ricerca empirica. Il primo riguarda l'identità in quanto insieme generale di cono­ scenze e di sentimenti che le persone hanno disponibili riguardo se stesse (identità soggettiva) . A tale livello la conoscenza dell'identità può riguardare: a) i contenuti che le persone utilizzano per descrivere genericamente chi sono; b) la misura della stima globale di sé; c) le relazioni (in termini di centralità e di importanza) tra tali con­ tenuti; d) i sentimenti di unicità, di continuità (diacronica e sin cronica) e di efficacia (agency) del sé. Il secondo livello di conoscenza dell'identità fa riferimento alle

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specifiche costellazioni di immagini di sé (identità plurali) che diven­ tano salienti in particolari momenti e/o in particolari contesti. L'o­ biettivo della ricerca empirica è in questo caso legato prevalentemen­ te all'individuazione dei " fattori di campo " e dei processi che, situa­ zione per situazione, momento per momento, possono dar luogo a " prodotti " identitari diversi. Un obiettivo, quest'ultimo, che non può comunque prescindere dall'analisi di alcuni aspetti che riguardano i contenuti e la struttura delle identità emergenti e, più in particolare, dalla conoscenza da un lato dei contenuti di tali identità, dei senti­ menti ad essi associati e delle loro reciproche relazioni (analisi della struttura identitaria emergente) , dall'altro della salienza relativa che tali strutture identitarie emergenti (identità plurali) hanno rispetto al­ l'identità generale e del loro " contributo " al più generale sentimento di identità. L'ultimo livello di conoscenza dell'identità riguarda ciò che le persone esprimono di se stesse attraverso resoconti linguistici, verbali, grafici e/o attraverso i propri comportamenti (presentazione di sé) . Anche le presentazioni di sé possono essere considerate come identità emergenti in particolari contesti ed in particolari situazioni. Le perso­ ne possono infatti presentarsi agli altri nel modo che ritengono più adeguato rispetto alle richieste della situazione in cui si trovano. Esse possono falsificare la propria identità al fine di creare negli altri l'im­ pressione che desiderano. Da un punto di vista più strettamente me­ todologico, il problema che a questo livello la ricerca deve affrontare è quello della congruenza tra ciò che le persone sono (identità o au­ toespressione) e come esse si presentano o si descrivono agli altri (au­ topresentazione) . Secondo alcuni orientamenti di ricerca l'a/simmetria tra identità ed autopresentazione è legata ad alcune caratteristiche di personalità quali, ad esempio, la capacità di automonitoraggio (Sny­ der, 1 979) e l'autoconsapevolezza pubblica o privata (Fenigstein, Scheier, Buss, 1 975 ). Enfatizzando un tale tipo di spiegazione, questo orientamento non si pone ovviamente il problema di individuare i fattori esterni che influenzano la presentazione di sé. La messa a pun­ to di strumenti conoscitivi che siano in grado di cogliere i " fattori di campo " che, portando rispettivamente le persone ad esprimere il pro­ prio autentico sé interiore (autoespressione) o a modulare la presenta­ zione che danno di sé (autopresentazione) , costituisce invece uno dei principali obiettivi della ricerca psico-sociale. La messa a punto di metodi e tecniche di ricerca adeguate è d'al­ tro canto un problema che coinvolge tutti i livelli di analisi dell'iden­ tità e che non riguarda soltanto l'individuazione dei fattori di campo, ma anche lo studio dei processi identitari e la rilevazione dei conte-

SÉ E IDENTITÀ

nuti e della struttura dei "prodotti " di tali processi. È ipotizzabile che una lettura più integrata dei modelli teorici utilizzati per lo studio del sé e dell'identità non possa prescindere da un'integrazione delle tec­ niche e degli strumenti di ricerca privilegiati dai diversi approcci. In questo senso, il percorso suggerito a conclusione di questo volume vuole offrire uno spunto utile per riflettere sulla molteplicità dei fat­ tori in gioco e sulla complessità delle dinamiche implicate nei pro­ cessi di formazione/costruzione della/e identità.

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