Scienza e Filosofia nel Medioevo. Saggi sui Secoli XIII e XIV 8816401192

Sono qui presentati alcuni dei numerosi saggi coi quali Anneliese ha indagato la filosofia della natura nella tarda scol

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Italian Pages [443] Year 1983

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Table of contents :
Copertina
Retro
Indice
PREFAZIONE
INTRODUZIONE
LA STRUTTURA DELLA SOSTANZA MATERIALE
LE PREMESSE
LA CORRENTE AVERROISTA
LA CORRENTE «MODERNA»
IL PROBLEMA DEL TEMPO
LA REALTÀ DEL TEMPO
TEMPO E MOVIMENTO
UNITÀ E UNICITÀ DEL TEMPO
CONTINUO, MINIMI E INFINITO ATTUALE
IL PROBLEMA DEL CONTINUO
MINIMA NATURALIA
INFINITO ATTUALE
NECESSITÀ, CONTINGENZA E CASO
IL PRINCIPIO DELLA DOPPIA VERITÀ
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Scienza e Filosofia nel Medioevo. Saggi sui Secoli XIII e XIV
 8816401192

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Anneliese Maier

SCIENZA E FILOSOFIA NEL MEDIOEVO Saggi sui secoli XIII e XIV prefazione di

Mario Dal Pra introduzione e traduzione di

Massimo Parodi e Achille Zoerle

Jl Jaca Book Il

Biblioteca di Cultura Medievale diretta da INos BrFFI E CosTANTE MARABELLI

Ringraziamo le Edizioni di STORIA E LETTERATURA, Roma per la gentile concessione a riprodurre i testi di A. Maier qui raccolti traduzione

Massimo Parodi Achille Zoerle

©

1983

Editoriale Jaca Book SpA, Milano per l'introduzione proprietà letteraria riservata edizione italiana febbraio 1984 Copertina e grafica Ufficio grafico Jaca Book in copertina

Immagine del mondo, miniatura del XII sec., Parigi, Bibliothèque Nationale

ISBN 88-16-40119-2

Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma

ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book Spa, via Saf!ì 19, 20123 Milano Telefono: 8 057055- 8057088

INDICE

IX

Prefazione

l

Introduzione La struttura della sostanza materiale Le premesse a) La dottrina degli elementi e il problema: se rimangano nel misto (utrum maneant in mixto) b) Le soluzioni classiche del problema La corrente averroista

15 32 46 100

La corrente «moderna» Il problema del tempo

155

l. La realtà del tempo

2. Tempo e movimento

177

3. Unità e unicità del tempo

212

Continuo, minimi e infinito attuale I.

Il problema del continuo

271

II.

Minima naturalia

299 319

III. Infinito attuale Necessità, contingenza e caso

341

Il principio della doppia verità

385

VII

PREFAZIONE

Nella Introduzione i traduttori dei saggi compresi in questo volu­ me hanno chiarito i motivi da cui è stata suggerita questa particolare scelta, hanno lumeggiato l'importanza della ricerca storica di Anneliese Maier cosl puntualmente e largamente informata sugli autori dei se­ coli XIII e XIV, non solamente in base agli scritti più noti e già acqui­ siti, ma anche mediante la accurata lettura di moltissimi manoscritti non altrimenti disponibili, hanno infine chiarito come questi studi sul­ la filosofia della natura della tarda Scolastica contribuiscano ad impo­ stare in modo criticamente più valido di quanto non sia stato in pre­ cedenza fatto da Pierre Duhem il rapporto che intercorre fra le ricer­ che di questa fase terminale del Medioevo e quelle degli inizi della scienza moderna quali si vengono determinando nel corso del secolo XVII e ciò nel senso che i primi hanno indubbiamente inciso nella pre­

parazione di quella più rilevante crisi dell'aristotelismo che si ebbe al­ le origini dell'età moderna, senza tuttavia averli immediatamente pre­ corsi e anticipati. Specialmente intorno a quest'ultimo problema molte sono le ricerche di cui oggi disponiamo; ma Anneliese Maier ha con­ tribuito come pochi a precisare che, nonostante le apparenti vicinanze, si tratta pur sempre di due fasi distinte della storia del pensiero, nel­ la prima delle quali il quadro complessivo della visione della natura, oltre ad essere incorniciato in un contesto teologico meno immediata­ mente presente o meno direttamente influente agli inizi dell'età mo­ derna, ha uno spiccato carattere qualitativo, di cui non si libera nem­ meno quando l'elemento quantitativo vi prenda un peso abbastanza rilevante, mentre nella seconda la considerazione dei fenomeni nei loro IX

Prefazione distinti livelli e la stessa considerazione unitaria della realtà naturale sono costruite ed elaborate in termini rigorosamente quantitativi: che è quanto dire che nelle costruzioni scientifiche del Seicento la crisi dell'aristotelismo, pur senza essere conclusa, è giunta ad un punto mol­ to avanzato in cui la struttura sostanzialistica del mondo è ormai supe­ rata ed abbandonata, almeno nei suoi assunti più tipici e determinanti. Io vorrei invece soffermarmi su un altro aspetto degli studi della Maier che non mi pare meno rilevante, anche se concerne anziché di­ rettamente la materia trattata e cioè la filosofia della natura scolastica nel suo complesso, il metodo di ricerca storica da lei seguito e che le ha consentito di raggiungere risultati cosl rilevanti. Si tratta di quello che indicherei come metodo dell'analisi, per distinguerlo da quello che potrebbe invece indicarsi come metodo sistematico. Quest'ultimo consiste nel tener presente, nella ricostruzione stori­ ca, il criterio dell'individualità del singolo pensatore, di cui si indaga la soluzione data ai vari problemi filosofici, ma nell'intento di consi­ derarli specialmente collegati in una struttura sistematica, cioè nella formazione di una dottrina filosofica avente un suo carattere di unità.

È vero che, a volte, tale unità non mette capo ad un vero e proprio

sistema filosofico; è vero che spesso la considerazione dei vari proble­ mi filosofici si viene formulando distintamente, in momenti distinti della riflessione; ma, anche in assenza del sistema vero e proprio, vi è pur sempre quel legame che tra le differenti soluzioni a distinti pro· blemi viene offrendo la base entro certi limiti unitaria dell'individua­ lità del filosofo; l'individualità del filosofo è sempre, infatti, un tenue, ma non irrilevante, filo unitario attraverso il quale i diversi momenti si vengono disponendo; e la stessa individualità suggerisce spesso di cercare, e consente di trovare, una relazione anche tra momenti altri­ menti distinti della riflessione filosofica. Si ha cosl la ricerca mano­ grafica nel senso che il carattere unitario è dato dall'individualità, appunto, del filosofo. Ovviamente in questa prospettiva accade poi che l'individualità di un filosofo si percepisce meglio e si determina con migliore precisione quando quella individualità, nel suo insieme, ven­ ga confrontata nelle due dimensioni che sono state indicate, rispetti­ vamente, come quella orizzontale e quella verticale. La dimensione oriz­ zontale consente di mettere a fronte una individualità filosofica con le altre individualità dei pensatori contemporanei; mentre invece la dimensione verticale consente di mettere a confronto l'individualità filosofica in questione con le altre individualità del passato o del fux

Prefazione turo con cui quella possa essere posta in qualche relazione. E così s1 può conseguire una rete abbastanza vasta ed ulteriore rispetto al sin­ golo pensatore. Non è difficile cogliere ciò che questo metodo sistematico o del­ l'individualità del pensatore può consentire di conseguire; può indi­ viduare quale unità di pensiero accompagni l'unità dell'individuo, se tale unità risponda a criteri sistematici rigorosi, nei confronti dei quali pare quasi che il trascorrere del tempo sia inesistente o ininfluente, oppure se essa risulti più o meno estesamente determinata dalla suc­ cessione temporale e con quali continuità all'interno della successione. Per non dire che la stessa cosa che si consegue con riferimento ad una determinata individualità, si può conseguire rispetto alle molte indi­ vidualità, o riunite in un contesto sincronico o relazionate in un pro­ cesso diacronico. Ciò che complessivamente in tale procedimento sem­ bra acquisire maggior rilievo è il passaggio da una dottrina o comples­ so di dottrine più unitario, ad un altro complesso altrettanto unita­ rio; ciò che pertanto acquista importanza è la connessione che inter­ corre tra varie dottrine rispetto ad un orizzonte più vasto in cui si possano collocare; e si può dire che, in generale, tale orizzonte è esi­ stenziale, nel senso che a collegare le dottrine è propriamente o l'esi­ stenza di un singolo pensatore, o l'esistenza di molti pensatori con­ temporanei o successivi. In questa prospettiva dunque l'elemento più importante è quello esistenziale, non quello strutturale delle stesse dottrine. Non accade così col metodo che abbiamo indicato come analitico, e che è quello di cui si giova in modo esemplare la stessa Maier. Esso è analitico in quanto poggia sull'individuazione di una distinta dottrina filosofica, non di un insieme variamente determinato di dot­ trine filosofiche; quella dottrina viene colta nella sua autosufficienza, cioè nel suo costruirsi secondo determinati criteri ed in base ad alcuni procedimenti argomentativi; il che significa che la dottrina viene col­ ta nella sua struttura di dottrina, nel suo modo di organizzarsi. Si tratti, per esempio, della dottrina del tempo, così come viene elabo­ rata dai pensatori dei secoli

XIII

e

xrv;

oppure delle loro dottrine del

movimento, oppure ancora del problema di come accada che una for­ ma sottentri ad un'altra in una stessa materia ecc. Indubbiamente cia­ scuna di tali dottrine non è a se stante, ma si connette con molte altre dottrine;

e

la stessa connessione non è un problema semplice né uni­

voco. Ma avendo considerato come è costruita una dottrina singola XI

Prefazione e parnco1are, nel testo o ne1 testi dì un singolo autore, si è in grado di metterla a confronto col modo con cui è costruita la stessa dottrina in altro o in altri autori; e, cogliendo le analogie, le identità e le dif­ ferenze di quella dottrina, se ne colgono, per cosl dire, i movimenti storici. Propriamente parlando qui si opera un'astrazione; infatti quel­ la particolare dottrina non sussiste da sola rispetto ai singoli autori che l'hanno professata; eppure ciascuno di quegli autori in un con­ testo determinato ha considerato quella dottrina; e considerandola co­ sl, analiticamente, si è in grado di cogliere le differenze interne che es­ sa è venuta accogliendo, la genesi diversa o identica che ha avuto nei casi individuali; soprattutto si è in grado di cogliere come la stessa dottrina si sia venuta modificando attraverso la discussione, la dispu­ ta e il dibattito e come, attraverso una simile evoluzione, a volte essa sia riuscita a dar luogo a una dottrina diversa. Anche in questo modo, dunque, si colgono dei mutamenti; ed essi non sono propria­ mente riconducibili alla fine alle distinzioni esistenziali, ma sono sem­ pre considerati sotto l'aspetto strutturale. Non è dunque un caso che le ricerche della Maier, costruite se­ condo il metodo analitico, siano riuscite a chiarire le differenze tra il modo complessivo di considerare la natura da parte dei pensatori della tarda scolastica e il modo adottato dagli scienziati del secolo xvu. Proprio puntando essenzialmente sulla costruzione delle singole dottrine, le differenze strutturali emergono con maggiore evidenza; tali differenze sono, per cosl dire, messe a fronte tra loro, immedia­ mente, senza tener conto delle determinazioni esistenziali che le me­ diano. E insomma questo un metodo che sembra privilegiare la stessa struttura delle dottrine e riuscire

a

coglierne i diversi andamenti in­

terni. Non sempre in questo procedimento di ricostruzione storica si riesce ad evitare un certo senso di astrattezza, quasi che il confronto avvenga sempre tra elementi dottrinali, rispetto ai quali gli elementi personali e individuali o scompaiono o passano in secondo piano; sem­ bra di assistere ad una ricostruzione storica di fantasmi, privi di vita. D'altra parte, però, la storia della filosofia non può dimenticare di es­ sere, appunto, storia, ma della filosofia, cioè appunto di dottrine, di teorie, e, per di più, di quel tipo di teorie che è propriamente quello filosofico, cioè delle più generali e comprensive. E pertanto non è af­ fatto secondario che una storia della filosofia sia conseguita attraverso la considerazione della costruzione della struttura stessa delle dottrine filosofiche. XII

Prefazione Ne risultano spesso dei processi particolarmente sìgmhcatlvl e pre­ gnanti; se, pertanto, da un lato, con tale procedimento storico, si ha quasi l'aria di muovere degli schemi astratti in un'atmosfera partico­ larmente rarefatta, dall'altro si coglie il risultato puro della riflessio­ ne, cioè si riesce a dare consistenza ai puri momenti strutturali della dottrina e pertanto a costruire dei processi che si riferiscono intenzio­ nalmente alle continuità teoriche stesse ed alle fasi distinte del loro sviluppo. Si consideri, per esempio, il saggio della Maier dedicato alla struttura della sostanza materiale; e si coglierà come, nella riflessione dedicata alla costituzione interna della materia, da parte della tarda scolastica, si sia sviluppata una concezione in cui le strutture metafi­ siche della forma e della materia si sono venute gradualmente corro­ dendo rispetto ad una composizione iniziale e nei confronti di un risultato terminale. Altra volta, per contro, si potrà cogliere, nell'evol­ vere della struttura di una dottrina, una sorta di vario «platiner sur place», oppure un andamento discontinuo di avanzamenti e di retro­ cessioni, oppure ancora uno sviluppo verso punti di crisi e di scacco, singolarmente significativi. Pare insomma che il metodo analitico seguito dalla Maier consen­ ta di cogliere le varie movenze interne alla struttura di una dottrina, di indicarne le direzioni, di valutarne le differenze e le analogie, e per­ tanto di meglio costruire il senso del processo storico, al di fuori di scherni troppo ottimisticamente orientati nel senso di un costante pro­ gresso, oppure rivolti a degli impossibili «precorrimenti». Tale proce­ dimento poi, guardando più propriamente alla struttura della dottri­ na, è più idoneo a cogliere la connessione della stessa o di suoi ele­ menti con altre dottrine e quindi a determinarne meglio il significato complessivo. Vi è dunque un modo di conseguire meglio l'insieme delle dottrine, anziché una dottrina sola, anche per mezzo del proce­ dimento analitico, quando la singola dottrina sia considerata nei suoi legami con le altre a cui si riferisce e da cui dipende. Difficilmente uno storico della filosofia si trova egualmente dispo­ sto all'uno ed all'altro dei metodi accennati, a quello sistematico ed esistenziale, e a quello analitico e strutturale. Entrambi sono neces­ sari ed utili allo sviluppo degli studi storici; ma oggi che la sensibi­ lità per i motivi esistenziali è prevalente e sembra incidere spesso in direzione della soggettività e del suo aumentato peso nella costru­ zione della scienza e della filosofia, la lezione della Maier può risul­ tare, anche sotto tale rispetto, più istruttiva e ricordare con efficienza XIU

Prefazione quanto sia utile allo storico della filosofia un interesse sincero ed at­ tento alla «struttura» delle dottrine, cioè alla loro costruzione come ciò che vi è di più proprio, di più teoricamente pertinente, nell'ela­ borazione della riflessione. È in qualche modo un tornare a dare cre­ dito alle 'essenze' nella storia della filosofia; purché questo termine sia purgato di ogni significazione necessitaristica e pesantemente onto­ logica, e si riferisca a strumenti finiti e sempre rivedibili della ragio­ ne, esso può essere di giovamento ad una migliore penetrazione della stessa costruzione filosofica e dei suoi specifici elementi astratti. Mario del Pra

XIV

INTRODUZIONE

Anneliese Maier, nata a Tiibingen nel 1905, svolse la maggior parte del proprio lavoro scientifico presso la Biblioteca Apostolica Va­ ticana di Roma, del cui vasto materiale, edito e inedito, si servi per le sue numerose ricerche. Gli studi sulla filosofia della natura nella tarda Scolastica, iniziati nella seconda metà degli anni trenta e pro­ seguiti fino alla morte avvenuta a Roma nel 1971, hanno rappresen­ tato un contributo decisivo per illuminare la riflessione scientifica del XIII e XIV secolo. Agli inizi del Novecento Pierre Duhem 1 ave­ va mostrato l'assoluta infondatezza dei sommari giudizi storiografìci che tradizionalmente negavano l'esistenza di un pensiero scientifico nel Medioevo. Tuttavia la scienza da lui documentata e approfondi­ ta rimase sostanzialmente la scienza classica di Galileo e Descartes, alcune delle cui fondamentali

acquisizioni venivano, per cosi dire,

retrodatate di tre secoli. Anneliese Maier, ampliando e completando il lavoro dello studioso e scienziato francese, ha invece ricostruito in

tutta la sua complessa ricchezza e articolazione una scienza o, per me­ glio dire, una filosofia medievale della natura caratterizzata da pro­ blemi, teorie e metodi specifici. Le ricerche fondamentali di Anneliese Maier sulla storia della

P. Duhem, E.tudes sur Léonard de Vinci: ceux qu'il a lu, ceux qui l'ont lu, 3 voli., Hermann, Paris 1906-13 (rist. 1955); Le système du monde. Histoire des doctrines cosmologiques de Platon à Copernic, 10 voli., 1-v, Hermann, Paris 1913-17 (rist. 1954); vr-x, Hermann, Paris 1954-59, in particolare vol. VII. l

Scienza e filosofia nel Medioevo scienza medievale sono contenute nei cinque volumi, editi tra il 1949 e il 1958, apparsi con il titolo complessivo di Studien zur Naturphilo­

sophie der Spatscholastik 2• Da questi volumi provengono gli articoli

qui tradotti, ma non vanno dimenticati i numerosissimi contributi pub­

blicati nel corso di un'intensa vita di studio, gran parte dei quali rac­ colti nei tre volumi, editi tra il 1964 e il 1977, con il titolo comune Ausgehendes Mittelalter. Gesammelte Aufsiitze zur Geistesgeschichte des 14. Jahrhunderts. «Negli ultimi decenni si è molto discusso sulla filosofia della na­ tura della tarda Scolastica, soprattutto dopo che Pierre Duhem ha cercato di provare che questa scienza scolastica ha posto i principi fondamentali della fisica classica di Galileo e dei suoi contemporanei e che la fisica moderna è, in realtà, l'applicazione e la continuazione di idee già formulate nel corso del XIV secolo. Nella letteratura po­ sterior� questo punto di vista è stato molto spesso riprodotto senza verificarlo



anchè esagerato, ma ha ugualmente provocato contraddi­

zioni molto vive, senza che, da una parte o dall'altra, si sia seriamen­ te cercato nell'insieme di verificare le tesi di Duhem rifacendosi al­ le fonti. In definitiva Duhem ha senz'altro ragione quando scorge nella concezione della scienza esatta del XIV secolo una preparazione della fisica classica. Tuttavia egli ha interpretato gli insegnamenti della fi­ sica scolastica in un senso troppo moderno. La storia delle scienze esat­ te in Occidente, dai suoi inizi nel XIII secolo fino al XVIII secolo è la storia del graduale superamento dell'aristotelismo. Questo superamen­ to non si è compiuto in una sola importante rivoluzione, come per lungo tempo si è creduto, e neppure è consistito in un processo di emancipazione progressivo e costante estendentesi lungo l'arco di più secoli, ma si è invece realizzato in due grandi fasi la prima delle qua­

li ha il suo punto culminante nel XIV secolo, la seconda nel XVII» 3. 2

Die Vorliiufer Galileis im 14. Jahrhundert, Storia e Letteratura, Roma 1949, 2• ed. 1966; Zwei Grundprobleme der scholastischen Naturphilosophie. Das Pro· blem der intensiven Grosse. Die lmpetustheorie, Storia e Letteratura, Roma 1951; An der Grenze von Scholastik und Naturwissenschaft. Die Struktur der materiellen Substanz. Das Problem der Gravitation. Die Mathematik der Formlatituden, Sto­ ria e Letteratura, Roma 1952; Metaphysische Hintergriinde der spiitscholastischen Naturphilosophie, Storia e Letteratura, Roma 1955; Zwischen Philosophie und Mechanik, Storia e Letteratura, Roma 1958. 3 Die Vorliiufer Galileis, pp. 1 -2. 2

Introduzione La lezione tondamentale che emerge dal complesso dell'opera di Anneliese Maier è, come accennato, l 'esistenza di una riflessione tar­ domedievale sui problemi scientifici e naturali contraddistinta da ca­ ratteri peculiari che si vanno delineando fin dai primi decenni del XIII secolo, in stretta relazione con la riscoperta e la diffusione nel­

l'Occidente latino degli scritti scientifici di Aristotele. Lo stesso pro­ cesso di riscoperta dell'aristotelismo è accompagnato da un impegno critico di approfondimento da parte degli scolastici occidentali, a par­ tire dal quale si costruisce e si consolida una tradizione indipenden­ te. Esaminandole in modo analitico e puntuale, Anneliese Maier met­ te in evidenza come le critiche rivolte all'aristotelismo nascano cer­ tamente in parte da un punto di vista cristiano e da motivazioni di carattere teologico, ma non solo. «Un pensatore cristiano può certamente non ammettere con Ari­ stotele che il mondo, il tempo e il movimento siano eterni e quindi increati, oppure che la causa prima, il

primum movens,

Dio, agisca

solo con una necessità naturale e non seguendo il suo intelletto e la sua volontà, ma questi sono problemi ideologici e non questioni fisi­ che e la loro soluzione è senza vitale importanza per ciò che riguar­ da le ricerche scientifiche» 4• Fin dall'inizio si possono individuate ri­ ferimenti all'autorità della ragione e dell'esperienza destinati ad as­ sumere un peso sempre maggiore e a costituire appunto un ambito di riflessione scientifica indipendente. Per chiarire origini e sviluppo di tale processo, la studiosa tede­ sca delinea e approfondisce le diverse correnti presenti nella cultura occidentale del XIII secolo e sottolinea come il richiamo alla ragione e all'esperienza sia riscontrabile chiaramente anche nelle opere di pen­ satori francescani come Bacone e Olivi, che discutono talune tesi aristoteliche,

e

talvolta le giudicano errate, da un punto di vista spe­

cificamente scientifico, naturaliter loquendo, e non teologico. Già nel Duecento si può dunque collocare l 'origine di un'effettiva riflessione sulla natura che, proponendo nuove interpretazioni di Aristotele e talora autonome soluzioni, porta all'affermazione di una concezione complessiva della natura inorganica fondamentalmente

originale

ri­

spetto all'aristotelismo. «Nella filosofia della natura del XIII e del XIV secolo, per lo meno Die Stellung des scholastischen Naturphilosophie in der Geschichte der Physik, in Ausgehendes Mittelalter. Gesammelte Aufsiitze zur Geìstesgeschìchte des 14. ]ahrtmderts, vol. I, Storia e Letteratura, Roma 1964, p. 417. 3

Scienza e filosofia nel Medioevo nei pensatori che vi svolgono un ruolo dominante, non si nota In real­ tà quella fede nell'autorità di Aristotele, spesso attribuita alla Scola­ stica, che si trasformava nel principio dimostrativo dell ips e dixit. Tra '

i pensatori minori, i molti magistri artium che hanno commentato i

libri natura/es e i cui commenti ci sono in parte rimasti, accade cer­ tamente che essi si arrestino a una interpretazione letterale di Ari­ stotele, ma essi non appartengono a coloro che hanno plasmato la storia spirituale di questo periodo» 5• Nel xrv secolo poi gli interes­ si scientifici si fanno ancor più precisi e lo studio della natura, con­ dotto in modo indipendente dall'aristotelismo e autonomo dalla teo­ logia, permette di parlare, secondo Anneliese Maier, di physikalisches

Denken a pieno titolo. Tre sono le scuole principali in cui si sviluppa il pensiero scien­ tifico nel XIV secolo. La scuola parigina di Buridano, Oresme, Alber­ to di Sassonia e Marsilio di Inghen è caratterizzata soprattutto dalla proposta di vere e proprie teorie fisiche e dall'impegno nella ricerca di precise definizioni concettuali e nella elaborazione di pochi princi­ pi fondamentali. Nella scuola di Bradwardine, a Oxford e in partico­ lare nel Merton College, si sviluppano interessi più metodologici che speculativo-teoretici e soprattutto i procedimenti di tipo calcolatorio alla cui piena comprensione il lavoro di Anneliese Maier porta un contributo decisivo. Infine gli averroisti italiani forniscono un appor­ to essenziale per il mutamento dei presupposti di fondo su cui si ba­ savano le concezioni tradizionali del mondo fisico e rappresentano un importante elemento di continuità tra le linee di pensiero condanna­ te nel 1277 e l'averroismo rinascimentale. Proprio in questa pluralità di tendenze e in questo complesso e articolato lavoro di riflessione e confronto emerge quello che secon­ do la studiosa tedesca è il merito principale della filosofia tardosco­ lastica della natura: l'aver indicato non tanto conclusioni e teorie in forma definitiva, quanto vie e metodi destinati ad avere un peso as­ sai significativo nell'altra grande fase di sviluppo della scienza occi­ dentale nel XVII secolo. Soltanto nel Seicento si giunge a un muta­ mento radicale, quando l'imporsi di una concezione corpuscolare e meccanicista consente di accantonare i principi di carattere qualita­ tivo e i problemi di ordine ontologico per affermare una lettura globale del mondo alternativa alla tradizionale visione cristiana. E

s

Ibià.,

p. 419.

4

Introduzione tuttavia nel XVII secolo questo processo si compie attraverso l'utillz­ zazione di tutta una serie di concetti elaborati proprio dalla filosofia della natura tardoscolastica. A proposito della « questione cosi dibattuta e discussa se la Sco­ lastica abbia preparato, o addirittura 'anticipato' la fisica classica», Anneliese Maier afferma:

«Non siamo in grado di dare una risposta

esauriente. Bisogna cercare, caso per caso e problema per problema, quali siano stati realmente i rapporti storici. Infatti è naturalmente anche pensabile che un Galileo e un Descartes siano giunti da sé a . determinate conoscenze e a risultati già formulati in precedenza da altri, senza che essi ne fossero a conoscenza. Questo vale, come noi crediamo, nel caso della formulazione della legge di caduta dei gravi, suiia quale il XIV secolo aveva già idee molto chiare e corrette, ma espresse in testi che possiamo considerare, quasi con sicurezza, sco­ nosciuti a Galileo. Sarebbe quindi stolto e scorretto voler qui am­ mettere dipendenze che senz'altro avrebbero potuto esserci ma che

probabilmente non ci sono state; e lo stesso vale per altri problemi» 6 .

Occorre approfondire in modo analitico i principi e l'apparato concettuale messi a punto dai medievali, più che insistere sul proble­ ma di quali rapporti intercorrano tra pensiero medievale e fisica clas­ sica. Si tratta, ad esempio, non di retrodatare il principio di inerzia ma piuttosto di comprendere a fondo perché il XIV secolo, e Buridano in particolare, giunga fino aiie soglie delia concezione del movimen­ to come stato, senza compiere però quell'ultimo passo che verrà rea­ lizzato dalla fisica seicentesca. Un ambito privilegiato di indagine è rappresentato appunto, in questa prospettiva, dalle discussioni sul movimento, sia perché su questo terreno in particolare si avrà quel­ l'utilizzo cui si è accennato di strumenti concettuali tardoscolastici da parte della fisica classica, sia soprattutto perché le diverse teorie sul movimento appaiono decisive entro lo stesso pensiero medievale. È in fatti in questo contesto particolare che risulta più evidente il pas­ saggio, già nel XIV secolo, da una riflessione filosofica sulla natura a un atteggiamento che più propriamente può essere definito scientifico per il suo tentativo di concepire in modo sistematico un gran nume­ ro di fenomeni a partire da pochi e ·ben definiti principi. Particolarmente

significative

sono le

osservazioni

di Anneliese

Maier circa il giudizio ricorrente sulla diversità tra lo studio della 6

Ibid.,

p. 421.

Scienza e fì.losofia nel Medioevo natura e dei suoi fenomeni proprio della Scolastica e quello della scienza moderna: per la prima, si ritiene tradizionalmente, si tratta di un approccio e di una spiegazione «qualitativi», per la seconda in­ vece «quantitativi». Se è senz'altro vero, afferma la studiosa tede· sca, che la fìlosofia scolastica della natura ha fondato la propria in· terpretazione della natura su momenti qualitativi, volendo spiegare an· che i fenomeni puramente meccanici in analogia a quelli qualitativi, ciò non significa che essa non abbia mai perseguito una considera· zione «quantitativa». «Al contrario. Forse non c'è mai stata, né pri· ma né dopo, un'epoca che abbia professato un ideale quantitativo con la stessa convinzione della Scolastica. Omnia in mensura et numero

et pondere disposuisti: con queste parole del libro della Sapienza, ci­ tate infinite volte, viene infatti data una legittimazione allo. sviluppo sempre maggiore di quelle ricerche dette calculationes. Si era pro­ fondamente convinti che nel mondo non solo tutto fosse misurabile

ma avesse anche una misura» 7•

Se quindi vogliamo cogliere l'innegabile differenza esistente tra la fisica scolastica e quella moderna, si deve piuttosto dire che «que· st'ultima persegue una considerazione esclusivamente quantitativa della natura, astraendo sistematicamente da ogni altra prospettiva, mentre la Scolastica si pone come fine in primo luogo una spiegazio­ ne metafisico-ontologica e solo nell'ambito di questa anche una com­ prensione quantitativa dei fenomeni». La fì.losofia della natura tardo· medievale ha considerato tutte le qualità fisiche, le forze e i movi­ menti, come grandezze intensive la cui latitudo poteva venire espres­ sa da un numero ed è quindi corretto concludere:

«La diversità

tra l'interpretazione medievale della natura e quella dei secoli suc­ cessivi è che la prima intende costruire la propria immagine del mon­ do con elementi qualitativi mentre la seconda ricorre a fattori 'mec­ canici' o, in altre parole: nel primo caso si tratta di una fisica delle grandezze intensive, nel secondo di grandezze estensive. È questa la differenza fondamentale tra la considerazione della natura del XIV e quella del xvu secolo» 8• Bastano questi rapidissimi cenni all'impostazione metodica del la­ voro di Anneliese Maier e alla sua ricchezza di produzione scientifi­ ca, per rendersi conto dell'estrema difficoltà che si incontra quando si

Metaphysische Hintergriinde, p. 340. Ibid., p. 341. 6

Introduzione voglia dare conto della sua opera attraverso una selezione forzatamen­ te limitata di articoli. Nella presente traduzione non sono volutamente compresi saggi specifici sul tema del movimento, malgrado la centralità che esso as­ sume nelle ricerche di Anneliese Maier. Sarebbe stato necessario, in primo luogo, operare tagli troppo netti, e quindi discutibili, entro l'ampio arco di studi dedicati al problema. In secondo luogo, proprio le questioni riguardanti dinamica e cinematica sono state probabil­ mente le più approfondite entro il pensiero scientifico medievale an­ che successivamente alle ricerche di Anneliese Maier e su questi pro­ blemi assai numerose e decisive sono pure state le acquisizioni di edi­ zioni e studi, largamente disponibili ormai anche in traduzione ita­ liana 9• Ma soprattutto la nostra scelta è derivata dal fatto che una

traduzione, per di più incompleta, degli studi sul movimento avreb­ be quasi inevitabilmente portato il lettore ad accentuare l'importan­

za del tema continuità o discontinuità tra scienza medievale e scien­ za moderna che non è invece interesse centrale dell'autrice. Come si è accennato sopra, intento principale della sua opera cri­ tica è lo studio delle diverse problematiche nella loro specificità en­ tro il pensiero medievale .E anzi motivo ricorrente nelle sue pagine .

la sottolineatura dei tratti assai differenti tra la scienza del XIV e quel­ la del xvn secolo, e il richiamo a non lasciarsi abbagliare dalle somi­ glianze apparenti, spesso derivanti dalla semplice identità, in gene­ rale, dell'oggetto studiato nei due periodi. In questo senso i pensa­ tori del Trecento appaiono precursori,

Vorlau/er,

solo come chi per­

corre per primo una strada su cui poi altri otterranno risultati del tut­ to originali. Compito dello storico del Medioevo è di chiarire come le cose stavano effettivamente nel periodo preso in considerazione. Da questo punto di vista, ci è parso che gli articoli tradotti fos­ sero in grado, anche se con gli inevitabili limiti connessi a ogni scel­ ta di carattere antologico, di offrire un'idea il più possibile adegua­ ta del metodo e delle tesi della studiosa tedesca. Innanzitutto essi rappresentano ricerche in qualche modo compiute, o a> di materia e forma è nello stesso tempo un «misto» dei quattro elementi? La filosofia araba aveva offerto alla Scolastica due possibili so­ luzioni ma entrambe, come vedremo in seguito in modo più partico­ lareggiato, contraddicono i principi fondamentali della metafisica ari­ stotelico-scolastica. Ad esse l'alta Scolastica ha contrapposto una terza soluzione che evita le difficoltà nelle quali quelle

s

i imbattevano ma

che, d'altra parte, relega in secondo piano l'aspetto del problema che interessa direttamente la filosofia della natura. In un primo tempo questa soluzione che salva i principi metafisici poteva bastare poiché per l'alta Scolastica i problemi propri della scienza e della filosofia della natura rivestono ancora un interesse marginale. Ma sul finire del XIII secolo, e in modo particolare durante il xrv, la situazione si presenta diversa. Una teoria che nel conflitto tra metafisica e filosofia della natura attribuisce alla prima il peso determinante e, più o me­ no, sacrifica la seconda, stimola la discussione e la ricerca di una cor­ rezione. Il problema diviene allora sempre più urgente ma nel con­ tempo si avverte sempre più profondamente l'intrinseca impossibili16

La struttura della sostanza materiale tà di trovare una soluzione. Si spiega quindi il motivo per cui nessun altro problema tra quelli di cui si occupa la filosofia della natura ab­ bia suscitato tanto interesse e sia stato tanto dibattuto nel corso del xrv

secolo. La riflessione scientifica infatti era gradualmente divenu­

ta un fattore importante accanto alla pura speculazione filosofica e in

più contesti dipendeva dalla soluzione del problema di cui ci stiamo occupando. Prima di affrontare direttamente la storia di questo problema, premettiamo alcune osservazioni sulla dottrina scolastica degli elemen­ ti come tale, !imitandoci ad un abbozzo dei tratti fondamentali che si ritrovano identici in tutti i pensatori. Le diverse correnti dottrinali,

infatti, per quanto concerne queste premesse generali, si trovano tutto sommato concordi. Esistono occasionalmente alcune sfumature e di­ versità di opinioni su singoli punti, in modo particolare laddove una questione

e

la sua soluzione rimandano a problemi più ampi, ma es­

se non riguardano di regola i principi fondamentali dai quali dipen­

de il problema che stiamo considerando. La dottrina degli elementi è stata oggetto di discussione in diver­ si contesti. Possiamo distinguere le fonti in tre gruppi: scritti di

fi­

losofia, di medicina e di teologia. Tra le opere dedicate alla filosofia

della natura vengono in primo luogo i Commenti al De generatione et corruptione di Aristotele nei quali gli elementi vengono studiati mol­ to attentamente secondo ogni concepibile punto di vista. Interessan­ ti sono poi i Commenti al De caelo et mundo, al libro IV dei Meteo­ rologica e in parte anche quelli ai Parva naturalia. Questioni relative a questo tema vengono discusse ulteriormente in alcuni capitoli dei Commenti alla Fisica e alla Metafisica e talvolta anche in paragrafi dei Commenti al Liber de animalibus. Esiste inoltre una serie di singo­ le questioni, sia quaestiones quodlibetales sia quaestiones ordinariae o disputatae, e di trattati dedicati in modo specifico alla dottrina de­ gli elementi o ad alcuni problemi ad essa attinenti. Tra le fonti di carattere teologico bisogna ricordare soprattutto il libro II dei Com­

menti alle Sentenze : la riflessione sulla creazione del mondo, in par­ ticolare sulle opere del quinto giorno in cui vengono creati i pesci e gli altri animali che vivono nell'acqua, gli uccelli dell'aria ecc., offre lo spunto per discutere in forma generale la costituzione delle sostan­ ze materiali

1 • Da ultimo la dottrina degli elementi si ritrova in scrit-

Con il trascorrere del

XIV

secolo questa fonte viene a mancare quasi del tutto

17

Scienza e filosofia nel Medioevo ti di medicina nell'ambito della cosiddetta teoria degli umori con i relativi commenti ad Avicenna e a Galeno, nella letteratura sulla com­ posizione delle medicine e in una serie di singoli trattati dedicati al­ la dottrina degli elementi. Tuttavia questa letteratura medica è per sua natura orientata verso problemi di altro genere. Più che a una spiegazione teoretica del mondo corporeo inorganico essa è rivolta alla conoscenza delle qualità e delle virtù degli elementi, delle loro variazioni di intensità, del loro equilibrio nelle sostanze organiche e delle loro possibilità di agire in quelle inorganiche. Il problema che interessa in modo specifico la filosofia della natura, e cioè la costi­ tuzione del mondo corporeo nei suoi componenti ultimi, in questi scritti viene discusso poco o niente del tutto. Le quattro sostanze che la filosofia aristotelico-scolastica chiama elementi e considera come materie costitutive più semplici sono : ter­ ra, acqua, aria e fuoco. Esse sono oggetto di una duplice conside­ razione. In primo luogo vengono viste come sostanze cosmiche, come

efementa mundi o partes mundi. Questo punto di vista si trova gene­ ralmente nei Commenti al De Caelo e considera gli elementi come so­ stanze fisiche concrete esistenti in sé, con la riserva naturalmente che nessuna di queste sostanze si incontra mai nella realtà allo stato pu­ ro e che quindi tutte le asserzioni e tutte le regole formulate nei lo­ ro riguardi valgono solamente per il caso limite, da concepire in astratto, degli elementi puri. La proprietà fondamentale di questi ele­ menti considerati come sostanze cosmiche è di avere una reciproca disposizione spaziale rispetto alla quale si determina il loro peso re­ lativo. La terra è l'elemento più pesante, il fuoco quello più legge­ ro. Tra questi due

elementa extrema si collocano i due elementa me­

dia-i due «mezzi» della fisica moderna-acqua e aria e, relativamen­ te a questa disposizione, ad ognuno dei quattro elementi appartiene un luogo naturale . Su questo punto esistono opinioni in parte diver­ genti. Abbastanza diffusa è la concezione secondo cui le sfere degli elementi sono globi concentrici disposti attorno al centro del mon­ do che, secondo la visione aristotelico-scolastica, coincide con il cen­ tro della terra . La

sphaera o regio della terra sarebbe allora una sfe­

ra avente come centro il centro della terra, disposta intorno a questa

poiché in genere solo il libro r delle Sentenze viene ancora estesamente commen­ tato. Talvolta succede che questioni riguardanti questo argomento vengano di­ scusse anche nel commento a questo libro. 18

La struttura della sostanza materiale ci sarebbe poi quella concentrica dell'acqua, quindi quella dell'aria e infine quella del fuoco, la più esterna, anch'essa posta al di sotto del­ la

sphaera lunae 2 • Le parti di un elemento che si trovano lontano dal

suo luogo naturale tendono a ritornare verso di esso dando origine al cosiddetto «movimento naturale» dei corpi pesanti e leggeri, vale a dire al movimento verso il basso dei corpi pesanti duta libera-e a quello verso l'alto dei corpi leggeri

(gravia)-la ca­ (levia), del fuo­

co per esempio, la cui spiegazione comporta una serie di problemi di cui ci occuperemo in seguito 3• Per ora ci limitiamo a questa osserva­ zione il luogo naturale di un elemento può essere inteso anche in senso relativo: una data quantità di un elemento si trova dunque nel suo luogo naturale, relativamente ad un altro, quando la disposizio­ ne locale naturale resta invariata:

quando la terra sta in basso, al di

sopra di essa si trova l'acqua, poi l'aria e infine il fuoco. Lo stesso vale nel caso della collocazione reciproca di due o tre elementi sol­ tanto. In secondo luogo i quattro elementi sono le parti costitutive ul­ time, chimiche per così dire, di tutti i corpi fisici, sono le materie fondamentali da cui è formato il mondo materiale. Questo è il pun­ to di vista secondo cui essi vengono considerati nei Commenti al

De generatione et corruptione. Ma in quale modo deve essere intesa questa loro funzione? Certamente non come se determinate quantità dei quattro elemen­ ti si mescolassero nelle sostanze fisiche concrete, nei cosiddetti

mixta.

La soluzione va ricercata a un livello più profondo della struttura og­ gettiva. I quattro elementi per la Scolastica sono costituenti ultimi se considerati dal punto di vista della scienza della natura ma non da quello della metafisica. Infatti gli elementi sono essi stessi sostanze fisiche e in quanto tali «composti» di materia prima e forma, come ogni altra sostanza materiale. La materia è esattamente la stessa in tutti i composti

4:

materia prima senza forma, priva di qualità, pura-

Di tale problema si incontrano però anche altre interpretazioni. Così nel xrv secolo ha svolto un certo ruolo anche la questione se sia una sfera solo il luogo naturale della terra oppure quello di entrambi gli elementi terra e acqua in­ sieme: un'idea suggerita dal reale rapporto con il globo terrestre. 3 Cfr. in An der Grenze il saggio Das Problem der Gravitation, p. 143 sgg. Più avanti incontreremo opinioni differenti che ammettono una differenzia· zione all'interno della materia, ma si tratta di eccezioni. 19

Scienza e filosofia nel Medioevo mente potenziale

5,

comune a tutti e in tutti identico sostrato di tut­

te le forme corporee. I componenti metafisici di un qualsiasi misto sono questa materia prima e la forma del misto

(forma mixti), quel­

li di un elemento ancora la materia prima e la rispettiva forma ele­ mentare. Gli elementi costitutivi del mondo fisico effettivamente ul­ timi sono quindi la materia e le quattro forme elementari. L'esigen­ za fondamentale secondo cui le sostanze corporee superiori devono essere composte dagli elementi significa dunque :

le quattro forme

elementari devono in qualche modo essere contenute nel misto co­ me componenti metafisici. Il

come di questo essere contenuto è il

grosso problema di cui si sono occupati il XIII secolo e in modo par­ ticolare il xrv. Affinché il suo significato e la sua reale importanza vengano giustamente compresi dobbiamo aggiungere ancora alcune os­ servazioni. In questa discussione ci troviamo in presenza del tentativo di spie­ gare la costituzione del mondo ricorrendo a principi ultimi qualitati­ vo-formali. L'idea di unità ultime quantitative è del tutto assente 6• Le forme elementari possono informare quantità di materia grandi o piccole a piacere senza che per questo la natura dell'elemento subi­ sca un cambiamento . La dottrina aristotelica degli elementi si oppone dunque esplicitamente alla concezione atomista. La definizione più stretta delle quattro forme elementari è inti­ mamente connessa alla ricerca delle qualità originarie, che non è pos­ sibile ricondurre a nessun'altra e dalle quali tutte le altre si lasciano dedurre. Queste qualità prime, semplici e originarie, devono essere qualità tattili-il che è già implicito nel loro concetto, come viene dimostrato in molti modi-poiché il tatto è il senso con cui un cor­ po viene in primo luogo percepito sensibilmente come corpo. Inoltre devono essere di natura attiva e, da ultimo, devono presentare la caLa nota controversia se la materia prima sia pura potenza o se le appartenga un minimo di atto non riguarda il nostro problema. 6 Per meglio dire: essa viene respinta. Le concezioni atomiste, infatti, erano certamente note alla Scolastica. Vennero spesso discusse nei Commenti al De gene­ ratione et cormptione seguendo il rifiuto di Aristotele verso gli antichi atomisti e solamente in alcuni casi eccezionali-il più noto è quello di Nicola d'Autre­ court-furono condivise, poiché accettarle avrebbe significato contraddire non solo l'autorità del Filosofo ma anche quella della chiesa. Il problema molto dibat­ tuto dei minimi naturali (minima naturalia), che appartiene ad un contesto com· pletamente diverso, non ha nulla a che vedere con le concezioni atomiste (cfr. nella presente traduzione il saggio Continuo, minimi e infinito attuale, p. 299 sgg. 20

La struttura della sostanza materiale ratter1st1ca di costituire coppie di contrari

(contrarietates) 1• Questo

significa che delle sei coppie di contrari in cui si suddividono le qua­

lità tattili-caldo e freddo, umido e secco, pesante e leggero, den­ so e raro, ruvido e liscio, duro e molle 8-devono essere definite qua­ lità prime quelle coppie che possiedono un carattere attivo e che possono per questo motivo determinare mutamenti qualitativi. Tali

qualitates alterativae sono unicamente le coppie caldo-freddo e umi­ do-secco. Infatti quando un corpo più caldo viene a contatto con un

altro corpo lo riscalda, uno bagnato ne bagna un altro, ma un corpo più duro non ne rende duro un altro come uno più pesante non ren­ de pesante un altro corpo. Per la stessa ragione non vengono consi­

qualitates motivae e cioè la pesantezza (gravitas) e la (levitas) che pure, secondo un diverso punto di vista, pos­

derate prime le leggerezza

siedono senza dubbio una natura attiva. Le quattro qualità caldo e freddo, secco e umido, sono quindi le qualità originarie e come tali costituiscono le qualità degli elementi. Unendosi ogni termine di una coppia di contrari a uno dell'altra, so­ no possibili quattro combinazioni e con queste quattro combinazioni sono date le determinazioni qualitative dei quattro elementi: la ter­ ra è fredda e secca, l'acqua fredda e umida, l'aria è calda e umida e il fuoco infine caldo e secco. Con quanto detto la definizione essen­ ziale degli elementi è cosl esaurita per Aristotele e per i suoi anti­ chi commentatori ma non per la Scolastica. Con questo elenco infat­ ti vengono enunciate solo le forme accidentali degli elementi, ma ogni elemento possiede in primo luogo una forma sostanziale: la forma terrae, aquae, ariae o ignis. Il rapporto tra forme sostanziali e acci­ dentali deve essere concepito in maniera tale che queste ultime deri­ vino dalle prime oppure, in altri termini, che la forma sostanziale de­ termini gli accidenti che le sono propri, cosicché con l'introduzione nella materia della forma sostanziale per ciò stesso vengano introdot­ te anche le forme accidentali. La dottrina della forma sostanziale è in un certo qual senso un'aggiunta che la Scolastica introduce nel­ l'aristotelismo e che non si incontra in Aristotele, per lo meno non nella forma cosl marcata e dominante con cui si trova nella metafìsiPer questa ragione la luce non viene considerata «qualità prima>> benché sia di natura attiva; l'oscurità infatti non ne costituisce un contrarium ma una ne­ gazione.

8

La settima coppia di contrari che Aristotele enumera (De generatione et cor­ ruptione, II, cap. 2)-lubricum (o viscosum) e aridum-viene solitamente omessa.

21

Scienza e filosofia nel Medioevo ca scolastica. Vedremo che il nostro problema si sviluppa proprio muovendo da questo concetto. Succede allora che nell'aristotelismo scolastico si produce una profonda discrepanza tra la dottrina degli elementi e la comune metafisica forma-materia, discrepanza la cui trac­

cia nell'aristotelismo genuino non esiste oppure è molto labile 9 •

La forma sostanziale in sé non possiede la capacità di agire ma agisce solamente tramite le sue forme accidentali, nella misura in cui queste sono attive. Qui sorge un'ulteriore difficoltà. Aristotele, infatti, delle quattro qualità prime ha definito attiva la coppia caldo-freddo e precisamente la capacità di riunire e quella del separare

(congregare) propria del freddo (segregare) propria del caldo, mentre secco e umi­

do gli apparivano qualità passive. Al contrario i filosofi della natura scolastici furono concordi nel sostenere che tutte le quattro qualità prime sono sia attive sia passive, poiché ognuna di esse può agire sul proprio contrario oppure subire l'azione di questo. L'affermazione di Aristotele, però, doveva venire spiegata in qualche modo e tale spie­ gazione è stata proposta in maniere diverse, sostenendo prevalente­ mente che freddo e caldo sono qualità

più intensamente attive di sec­

co e umido. Gli elementi non rimangono invariati ma possono trasformarsi uno nell'altro . Questo principio è stato combattuto con particolare acca­ nimento dai filosofi della natura del XVII secolo. Esso, tuttavia, è del tutto coerente con i presupposti della dottrina scolastica degli ele­ menti poiché non afferma altro che questo : la stessa porzione di ma­ teria prima, se possiamo esprimerci cosl, che per un certo tempo è stata informata dalla forma sostanziale della terra può essere succes­ sivamente informata da quella dell'acqua, del fuoco e dell'aria oppu­ re anche da una

forma mixti. Si tratta di un'affermazione del tutto evi­

dente nell'ambito della metafisica aristotelica. Oltre a ciò è importan­ te considerare che una stessa materia prima non può mai essere in­ formata

contemporaneamente da più forme elementari. Questo po­

s tulato non ha nulla a che vedere con l'accoglimento o il rifiuto di una pluralità delle forme sostanziali nello stesso composto e con la controversia che ha origine da questo problema, ma deriva dalla deSi spiega cosl il rimprovero che la Scolastica ha sempre rivolto ad Alessandro eli Afrodisia eli aver identificato le qualità prime con le forme sostanziali degli elementi. Naturalmente egli non ha fatto questo: non gli era ancora noto il con­ cetto eli una forma sostanziale separata e (con Aristotele) ha considerato la «so­ stanza» nella totalità delle forme accidentali essenziali. 22

La struttura della sostanza materiale finizione delle forme elementari come tali. Infatti nel concetto di forme sostanziali elementari si trova come dato essenziale il fatto che possano succedere una all'altra ma mai essere presenti contempora­ neamente nella stessa materia. Questo principio viene accolto da tut­ ti i pensatori, a qualunque corrente appartengano. Le forme elemen­ tari sono le forme originarie e informano la materia prima immedia­ tamente senza una disposizione o una forma preparatoria. Per que­ sto è impossibile che una forma elementare informi una porzione di materia che già possiede un'altra forma elementare. L'introduzione di una nuova forma elementare richiede sempre la completa distruzio­ ne della forma precedente, sia essa una

forma mixti-nel caso della

scomposizione di un corpo composto nei suoi elementi, cosa ammes­ sa come possibile in via di principio in tutti i casi-, sia invece quel­ la di un elemento, nel caso della reciproca trasformazione degli ele­ menti. La trasformazione di un elemento in un altro dipende da determi­ nate condizioni esterne e viene ammessa quasi esclusivamente nel so­ lo caso in cui una quantità rilevante di un elemento, di acqua per esempio, ne assimili-per dir cosi-una piccola di un altro, di terra per esempio. Quando un pezzo di terra viene immerso in una gran­ de quantità d'acqua può succedere che si trasformi esso stesso in ac­ qua. Come precisamente avvenga questo processo è una questione che comporta opinioni differenti e solleva problemi che si ritrovano anche in altri contesti. Si tratta qui della generazione di una forma sostanziale e il problema principale si riassume in questo interrogati­ vo : qual è la causa di tale generazione o, in altre parole, chi o che

generans? Infatti per generazione (generatio) e corruzione (corruptio) nel senso più stretto del termine si intende sempre gene­ razione e corruzione di sostanze. Per Aristotele il generans è senza cosa è il

dubbio semplicemente l'elemento che assimila ma la Scolastica non ri­ tiene del tutto accettabile questa soluzione poiché ne derivano nu­ merose difficoltà. Spieghiamoci meglio: il problema concerne la cau­ sa transeunte-causale, la

causa efficiens, che produce il cambiamento. (principium effectivum

Qual è il principio che effettivamente produce

et productivum) la nuova forma sostanziale e le forme o qualità ac­ cidentali a essa congiunte? Innanzitutto è escluso che sia la stessa forma sostanziale, sia essa quella dell'elemento originario oppure quella dell'elemento assimila­ to, ad operare come causa immediata poiché una forma sostanziale 23

Scienza e filosofia nel Medioevo non può agire direttamente ma solo tramite degli accidenti che essa determina (ammesso che siano di natura attiva). D'altra parte que­ ste

qualità agiscono soltanto in virtù della forma sostanziale che

sottosta ad esse, per cui quest'ultima è la causa indiretta o remota, mentre le qualità costituiscono le cause immediate. Sorge quindi la domanda :

qualità, cioè accidenti, possono produrre una forma so­

stanziale? Si tratta di un problema che non riguarda naturalmente so­ lo la dottrina degli elementi ma che si incontra anche in altri conte­ sti

e

la sua soluzione, nella maggior parte dei casi, è negativa. Walter

Burley costituisce una delle rare eccezioni: egli ammette infatti che gli accidenti producano una forma sostanziale e in generale che essi agiscano sulla forma sostanziale

10•

Questa idea venne tuttavia respin­

ta. Al massimo resta la possibilità, altrettanto discutibile, che l 'intro­ duzione delle forme sostanziali

venga preparata dalla azione delle

qualità, che quindi la materia venga disposta dall'actio

qualitatum

alla recezione della nuova forma sostanziale, concezione che sosten­ gono Tommaso d'Aquino e numerosi tomisti, non tutti, e che costi­ tuisce uno degli aspetti più violentemente combattuti della dottrina tomista. Oppure esiste la possibilità che, per esprimersi in termini generali, il prodursi della forma sostanziale sia preceduto da una cer­ ta

alteratio, vale a dire da un'azione reciproca delle qualità interes­

sate. Ma l'introduzione della forma sostanziale non avviene propria­ mente tramite questo processo e non è determinata causalmente da qualità e potenze

(virtutes) terrene bensl interviene-questa è per lo virtus caeli

meno la concezione più diffusa-una potenza superiore, la o una delle intelligenze 1 1•

Non una sostanza o una forza terrena, dunque, ma le stesse in­ telligenze che muovono i cieli sono considerate il

generans dell'ele­

mento, per lo meno in via generale, e questo aspetto ci interesserà

10 Cfr. sotto p. 129 sgg. Pietro Aureolo sostiene questo punto di vista (Sent. IV, dist. 1, qu. l, art. 3) come anche l'autore anonimo del ms. Vat. lat. 4452 e 2170 (cfr. sotto p. 91 sg. e p. 1 12 sgg.). Anche Guglielmo d'Ockham è stato di que­ sto avviso, sebbene con alcune riserve. (Cfr. An der Grenze, p. 167). Il Occasionalmente si incontra anche un esplicito rifiuto di questa concezione e, in modo particolarmente drastico, in Pietro Aureolo che spiega (loc. cit. ; cfr. Zwei Grundprobleme der scholastischen Naturpbilosopbie, Roma 1 95 1 , p. 182, n. 29): «Questa è la scappatoia degli ignoranti in filosofia, come Dw è la scap­ patoia degli ignoranti in teologia» (Hoc est refugium miserorum in philosophia,

sicut deus est refugium miserorum in theologia). 24

La struttura della sostanza materiale ancora di più in un altro contesto. La generazione in senso stretto, l'introduzione quindi della forma sostanziale, è un processo che si compie istantaneamente (in instanti) e non successivamente (in tem­ pore) : non è un movimento (motus) come l'alteratio che la precede poiché, come vuole Aristotele, non esiste un movimento verso la so­ stanza

(motus ad substantiam). Si tratta di una mutatio, di un cam­

biamento cioè che si realizza nell'istante privo di durata e non nel tempo. Con ciò viene offerto un ulteriore argomento per sottrarre questo fenomeno alla causalità di forze terrene. Come visto, oltre alle quattro forme elementari sostanziali ne esi­ stono quattro accidentali: e secco. Da queste

le quattro qualità caldo e freddo, umido

primae qualitates hanno origine le qualità restanti

cosiddette seconde 12• Queste ultime si dividono in due gruppi: qua­ lità tattili e qualità sensibili specifiche non tattili

13•

Abbiamo già elen­

cato sopra le qualità tattili. Esse possiedono la particolarità di deri­ vare direttamente dalle qualità prime e per questo motivo apparten­ gono anche agli elementi sebbene non come qualità attive e quindi «prime». Le rimanenti qualità, quelle specifiche-odori, sapori e co­ lori; i suoni vengono quasi sempre esclusi perché, come le figure, han­ no origine da movimenti locali

(motus locales)

derivano solo da de­

-

terminate mescolanze di qualità prime, mescolanze che si ritrovano unicamente nelle sostanze composte, nei

mixta, non negli elementi. Gli

elementi in quanto tali possiedono unicamente qualità tattili. Resta però oscuro il modo preciso con cui le qualità seconde derivano da quelle prime, in particolare per quanto riguarda le qualità sensibili specifiche. Nel caso delle qualità tattili

(tangibiles) viene occasionai­

mente tentata una spiegazione. Si dice, per esempio, che la durezza 12 Si trova anche l'espressione qualitates secundariae (invece di secundae), per esempio nel Commento anonimo al De generatione et corruptione contenuto nel ms. Vat. lat. 2185 di cui ci occuperemo in seguito (p. 141). Non abbiamo invece mai incontrato l'espressione qualitates primariae. Nicola Oresme, nei Quodlibeta, distingue questi due gruppi come qualità «se­ 13 conde» e (Puto quod

isti qui student paucitati rerum innitentes in principio Philosophi et Commen­ tatoris primo Phys. comm. 41 et 50, quod potest fieri per finita frustra ponenda sunt propter illud infinita, et ita quod per pauciora ita potest fieri sicut per plu­ ra, melius fit per pauciora quam per plura... , puto, dico, quod isti, si non sen­ tirent species in oculis suis nec sonos perciperent in auribus, omnino non cre­ derent talia esse, sed dicerent, quod visus esset sua visio, auditus auditio, et aer lucidus esset lumen, sicut ego quendam valentem aliquando audivi dicentem. Sicut etiam dicunt aliqui, quod omnis color est lux et omnis sapor est qualita­ tes primae commixtae et odor est sapor. Immo ego aliquando non credebam aliquid esse nisi substantiam ve! aliquam quinque qualitatum, scilicet quatuor elementares et lucem, innitens paucitati rerum. Et causa fuit, quia cogitabam de paucis, et illa poteram salvare positione tali. Et ideo credebam illam esse veram secundum illud principium positum. Et sic errant homines convenienter exercitati in logica ad nimis pauca respicientes, alii vero e converso logicam igno­ rantes cuilibet sermoni rem novam additiunt ( ! ) ponentes plures res quam un­ quam Deus realiter ordinavi!) (Sent. II, qu. l, art. 2 ; Vat. lat. 1 1517, fol. 1 3 1' a-b). Che Fitzralph con quel quidam valens voglia riferirsi a Guglielmo d'Ockham? 27

Scienza e filosofia nel Medioevo

trariae, dove non ci si riferisce ad una gradazione intensiva ma qua­ litativa. Nel caso dei colori, per esempio, gli estremi sono il nero e il bianco mentre rosso, verde, giallo ecc. sono colores medii 16 • Per i sapori gli estremi sono il dolce e l'amaro, per gli odori soave e sgra­ devole e i medi, in entrambi i casi, i gradi intermedi. I suoni vengo­ no concep1t1 o meccanicamente, e quindi non sono considerati in que­ sto contesto, oppure si scorge in essi una graduazione che va dell'al­ to al basso. Generalmente viene sostenuta la tesi secondo cui le qualità me­ die derivano da quelle estreme, ma che cosa significa questa affer­ mazione e come può conciliarsi con la concezione secondo cui le stes­ se qualità derivano dalla miscela di

qualitates primae? Non si dà in­

fatti questa situazione : che daiie qualità prime derivino in primo luo­ go gli estremi specifici e da questi successivamente i gradi intermedi. La Scolastica generalmente ha ricavato la teoria di questa origine

De sensu et sensato. In questo scritto vengono discusse caso per caso le sin­

delle qualità medie dalle estreme dall'opera di Aristotele

gole qualità specifiche spiegando che in ogni caso la qualità media deriva da una particolare miscela di qualità estreme:

il grigio, per

esempio, è prodotto da una miscela di nero e bianco. Tuttavia nei suo complesso la dottrina delia dipendenza delie qualità seconde da quelie prime non è dei tutto chiara. Esistono due spiegazioni diffe­ renti che, come spesso accade in Aristotele, non concordano comple­ tamente . La Scolastica, non limitandosi semplicemente a riportare e commentare il testo aristotelico, ha cercato di appianare questa di­ screpanza 17• Per essa le qualità specifiche, estreme o medie, deriva­ no da determinate combinazioni di qualità prime. Nel caso in cui ap­ parentemente le qualità medie sono prodotte da una miscela di qua­ lità estreme, come quando alcuni colori vengono combinati tra lo­ ro, si tratta solamente di una

mixtio per accidens. L'effettivo pro·

cesso che qui ha luogo è un'azione reciproca e una modificazione dei16 Nel caso dei colori, tra gli «estremi» bianco e nero, viene inclusa anche un'altra scala di media: la serie delle tonalità grigie. Secondo il punto di vista della Scolastica, queste hanno la particolarità di appartenere alla stessa specie degli estremi. In altri termini: questa scala viene quasi sempre intesa come scala intensiva, non qualitativa. 17 Solitamente anche in accordo con un passo di Aristotele: Metaph. IX, cap. 7 (Bekker 1057 a, 18 sgg.), dove viene discussa in forma generale la composizione dei medi a partire dai contrari.

28

La struttura della sostanza materiale le qualità prime cui corrispondono le qualità estreme e dalle nuove combinazioni delle qualità prime derivano le qualità medie. Il pas­ so di Aristotele che concerne la composizione delle qualità medie

a

partire dalle estreme, deve essere interpretato quindi diversamente:

(componi) genetico-causale né di (realiter contineri) come se le qualità

non si tratta di un essere composto un essere realmente contenuto

estreme entrassero in certo qual modo come parti di quelle medie, ma di una

convenientia

naturale del medio con gli estremi. Infatti

una qualità media possiede una certa somiglianza o affinità con ognu­ no degli estremi, somiglianza e affinità che questi ultimi non possie­ dono tra loro. Si tratta dunque di un rapporto di affinità antologica tra le specie-infatti all'interno della graduazione qualìtativa, che pro­ cede da un estremo all'altro , ogni qualità costituisce di per sé una specie-e non di una relazione causale tra le singole qualità indivi­ duali. Le qualità medie

«contengono» le qualità estreme semplice­

secundum convenientiam oppure, e il significato non cambia, secundum virtutem. In seguito ci imbatteremo spesso nel concetto di compositio e nella teoria ad esso connessa. mente

Concludendo queste osservazioni di carattere introduttivo soffer­ miamoci ancora brevemente sul concetto di misto come tale e sui suoi diversi tipi. Come già sappiamo viene considerata misto ogni sostanza fisica che non sia un elemento. Da un punto di vista gene­ rale le sostanze materiali o rie:

composita

si suddividono in due catego­

elementi e misti, e questi ultimi in misti inanimati

nimata)

e animati

(animata) .

(mixta ina­

Rispetto alla loro struttura materiale i

misti animati e inanimati non presentano differenze, cosicché i proble­ mi che si pongono in questo contesto sono gli stessi per entrambi. Si chiamano misti perché sono miscele dei quattro elementi. Principio fondamentale è che ogni misto è composto da tutti e quattro gli ele­ menti 18-secondo proporzioni diverse, in base alle quali di volta in volta viene determinato il carattere particolare del misto-e infatti quando il misto viene scomposto successivamente si suppone che si risolva nei quattro elementi. Il concetto di

mixtio

deve però esse­

re interpretato correttamente. Generalmente si opera una distinzio­ ne, di origine aristotelica 19, tra

mixtio ad sensum

e

mixtio secundum

1B l çosiddetti mixta imperfecta çostituiscono un'eccezione, come il vapore che consiste di a (Ratio autem in omnibus istis est una, et est, quod corpus compositum disponitur per

33

sui complexionem ad recipiendum positionem vel formam vel potentiam, et in­ fluitur ei a datore formarum et virtutum absque alia ... Sed appropriatio istius influentiae in ilio et non in alia est per dispositionem completam quae evenit ei per sui complexionem) (Lib. IV Naturalium, Urb. lat. 186 fol. 147v). 34

La struttura della sostanza materiale (che naturalmente si aggiunge alle forme sostanziali conservates1 del quattro elementi) e, insieme alla nuova forma sostanziale, tutti gli ac­ cidenti ad essa inerenti o da essa derivanti. Per questi propriamente

complexio, che non è altro se non la remissae dei quattro elementi. Questo punto ri­

e in primo luogo si richiede la fusione delle qualità

mane piuttosto oscuro, ma Avicenna sembra in definitiva aver pro­ spettato la seguente soluzione :

le virtù elementari, cioè le qualità

prime dei quattro elementi, agiscono una sull'altra e producono una reciproca riduzione intensiva. Queste qualità indebolite nella loro in­ tensità si fondono nella

complexio nello stesso istante in cui viene

introdotta la nuova forma sostanziale, cosicché tale nuova forma so­

complexio. In altri complexio si adatta alla nuova forma sostanziale 34• In questo modo la complexio non deriva solamente dall'agire e patire stanziale determina il particolare carattere della

termini :

la

reciproco delle qualità elementari ma, per sua essenza, costituisce una conseguenza della

forma mixti. Le azioni e le passioni reciproche de­

gli elementi hanno dunque solo il carattere di predisposizione. Ana­ logo è il caso del rapporto tra qualità prime e seconde: queste ulti­ me sono date con la

forma mixti, non derivano dalle qualità prime

che però preparano in maniera del tutto generale l'introduzione delle qualità seconde, disponendo la materia alla recezione della

forma mixti

e quindi anche delle qualità seconde che da questa derivano. Tuttavia non sono state queste difficoltà-che ritroveremo in di­ verse soluzioni del XIV secolo--a provocare il rifiuto della tesi di Avi­ cenna, bensl l'idea della permanenza nel misto delle quattro forme elementari. Si tratta, infatti, di una concezione che né Averroè né la Scolastica potevano accettare. È possibile che il motivo determinan­ te di questa divergenza di opinioni sia che per Avicenna la forma sostanziale non era ancora un concetto cosl rigido come divenne poi per i pensatori successivi. Avicenna vuole dedurre la propria dottrina dall'affermazione ari­ stotelica :

cr> (Et intendit (Aristate/es) per potentiam illud actuale

quod est forma, et non intendit dicere quod inveniantur in potentia, quae qui­ dem potentia consideratur in receptione actionis quam habet materia per sui es­ sentiam. Iste namque homo voluit dicere ac etiam ostendere super rem, quam habent quae non corrumpuntur. Et hoc erit quando remanserit sua potentia, quae est forma sua essentialis) (De gener., Urb. lat. 186 fol. 114'). 36 Questo significato di latitudo è uno dei molti attribuiti dalla Scolastica a questo termine (dr. Zwei Grundprobleme, p. 32 e sotto p. 49) e probabilmen­ te deriva da Avicenna. 37 «E la qualità di ognuno di questi elementi ha una latitudo secondo il più e il meno, poiché tale qualità naturale o accidentale potrà aumentare o diminuire conservando ancora la sua forma e la sua specie. Nondimeno questa intensione e remissione avviene entro limiti determinati, superati i quali viene persa la 36

La struttura della sostanza materiale

o di entrambe le qualità allora l'elemento risulta distrutto, la mate­ ria perde la corrispondente forma elementare e ne assume immedia­ tamente un'altra preparata dalla combinazione delle nuove qualità. Nel caso del prodursi di un misto, questo limite non viene superato (poi­ ché non si produrrebbe un misto ma l 'elemento prevalente assimile­ rebbe l'altro), ma le qualità raggiungono un grado intermedio e si fondono nella

complexio. complexio formulata da Avicenna ha svolto un

La dottrina della

ruolo importante nella letteratura medica, diventando un concetto fondamentale della medicina medievale. Al contrario, la sua teoria della permanenza delle forme sostanziali nel misto è stata respinta totalmente dalla Scolastica. L'idea infatti che le forme elementari ri­ mangano intatte e immutate nel misto è insostenibile per due ragio­ ni : contraddice sia il concetto di elemento sia quello di misto. Que­ ste difficoltà, che nulla hanno a che vedere con la controversia sulla pluralità delle forme, sono le medesime per tutti i pensatori scola­ stici, sia per coloro che ammettono che ogni composto possiede una sola forma sostanziale, la

forma mixti- che può però assumere aspetti

diversissimi: dalla forma sostanziale di un corpo inanimato fino all'ani­ ma razionale-, sia per coloro che sostengono la presenza nei compo­ sti superiori di più forme sostanziali, reciprocamente ordinate una so­ pra l'altra oppure una accanto all'altra. Il passaggio degli elementi nel misto presenta per tutti gli stessi problemi. La questione dell'unità

o

della pluralità delle forme concerne non le forme elementari ma esclu­ sivamente quelle superiori e la controversia verte su questo punto: se sia necessario ammettere in un composto la presenza di una o più

disposizione che esiste nella materia verso quella forma e si crea una disposi­ zione verso un'altra forma>> (Et quodlibet istorum elementorum habet latitudi­

nem in sua qualitate secundum magis et minus, quia sua qualitas naturalis vel accidentalis poterit intendi et remitti observando adhuc formam et speciem suam. Nihilominus ista intensio et remissio habent terminos limitatos, quos quando transcendit, deperditur completa dispositio, quae est in materia ad illatn formam, et disponitur dispositione completa ad aliam formam). Lo stesso vale per le so­ stanze SU)?eriori: «Poiché ogni corpo generato possiede una debita complexio che può variare intensivamente fino ad un certo limite superiore e inferiore, su­

perato il quale perde la disposizione tramite la quale venne introdotta la sua forma» (Quia quodlibet generatorum ita bene habet complexionem, et sua com­

plexio recipit magis et minus usque ad certum terminum necessitatum latitudi­ nis inter duo extrema. Et quando transcendit illud, deperditur eius dispositio, qua induitur forma sua) (De gener., Urb. lat. 186 fol. 1 3 1'). 37

Scienza e filosofia nel Medioevo

formae mixti. Una pluralità di forme elementari è senz'altro esclusa poiché l'essenza della forma elementare consiste in questo: informa­ re direttamente ed esclusivamente la materia prima, la quale può ac­ cogliere diverse forme elementari successivamente, mai contempora­ neamente. L'introduzione quindi di una nuova forma sostanziale ri­ chiede necessariamente la distruzione della precedente. Per i pensa­ tori che ammettono una pluralità di forme sostanziali è concepibile l 'unione di una forma elementare e di una

forma mixti, ma questa

ipotesi non costituisce affatto una soluzione poiché, e veniamo al se­ condo punto, il concetto di misto la esclude. Abbiamo visto che un misto in senso stretto deve essere una sostanza omogenea, ogni par­ te della quale, per quanto piccola, è della stessa natura (eiusdem ra­ tionis) dell'intero. Il mixtum ad sensum, formato semplicemente dal­ la giustapposizione di parti piccolissime, non viene preso in conside­

mixtum sono ancora con­ substantialiter, i quattro elementi, non bisogna im­

razione. Ma questo significa : quando in un tenuti realmente,

maginare che parti minime di tutti e quattro gli elementi siano ma­ terialmente mischiate e che oltre a ciò l'intero possieda la forma del misto che gli si sovrappone 38• Al contrario bisogna pensare che in ogni minima parte di materia devono essere contenute tutte e quat­ tro le forme elementari (e anche la

forma mixti) . E questo non è

possibile. Queste difficoltà di fondo, insolubili per la Scolastica, portarono all'esclusione della teoria di Avicenna come possibile soluzione del problema. Anche Averroè la respinge, sostituendola con la dottrina seguen­ te: non solo le qualità degli elementi ma anche le loro forme sostan­ ziali patiscono una remissione e rimangono nel misto come forme

fractae

o

remissae e non come forme intatte e in nulla diminuite, co­ remissae si uniscono poi alla nuo­ va forma mixti. Oggetto di discussione divenne poi la questione se la forma mixti sia identica al complesso delle forme elementari che han­ me voleva Avicenna. Queste forme

no patito una riduzione intensiva oppure se si aggiunga ad esso, se cioè debba essere ammessa una

forma mixti superaddita oppure se

33

Questa concezione ha trovato un sostenitore nel corso del XIV secolo in Mat­ teo da Gubbio, averroista bolognese, che ha creduto di ravvisarvi l'opinione «Pro· pria» del Filosofo e del Commentatore. Tuttavia questa interpretazione è stata respinta come scorretta e non aristotelica anche dai suoi discepoli più stretti (cfr. sotto p. 1 14). 38

La struttura della sostanza materiale siano le forme remissae degli elementi nella loro totalità e nella lo­ ro unione a costituire la forma mixti senza che sia necessario postu­ lare un'ulteriore forma aggiunta. La concezione genuinamente avver­ roista è senza dubbio che la forma mixti viene costituita dalla som­ ma delle forme elementari ridotte. Dalla mescolanza delle forme ele­ mentari si genera la nuova forma che informa la materia prima non direttamente ma mediante le forme degli elementi. Tale rapporto è tuttavia concepibile solo se le forme elementari permangono non in atto ma avendo subito una remissione: «E quindi è necessario, quando da esse si genera una sola forma, che le forme degli elementi si corrompano solo in parte, poiché se si corrompessero completamente allora la materia prima riceverebbe in primo luogo ed essenzialmente tutte le forme e non riceverebbe le for­ me dei composti mediante questi corpi» 39• Tuttavia

a

questa concezione si oppone un'osservazione che lo

stesso Averroè ha rilevato e riconosciuto come obiezione :

principio

aristotelico fondamentale è che le forme sostanziali non possono pa­ tire alcuna intensione e remissione. Un uomo non è più «uomo»

(magis homo) di un altro, e neppure in un certo momento più uo­ mo e in un altro meno uomo. Anche Averroè lo sa, ma escogita una soluzione : le forme elementari, a suo avviso, non sono forme pienamen­ te sostanziali (formae perfectae), ma intermedie tra sostanza e acci­ dente 40• Per questo motivo possono partecipare delle proprietà degli accidenti e quindi patire intensione e remissione. Avicenna ha nega­ to questo e ha sostenuto l'impossibile teoria secondo cui gli elemen­ ti rimangono immutati in atto nel misto 41 • 39 Et ideo necesse est, cum ex eis generatur una forma, ut corrumpantur for­ mae elementorum secundum medietatem, quoniam si corrumperentur secundum totum, fune prima materia reciperet primo et essentialiter omnes formas, et non reci­ peret formas compositorum mediantibus istis corporibus (De caelo m, comm. 67).

40

«Sosteniamo che le forme sostanziali di questi elementi sono ridotte rispetto alle forme sostanziali perfette e che il loro essere è quasi un essere intermedio tra le forme e gli accidenti>> (Dicemus quod formae istorum elementorum sub­

stantiales sunt diminutae a formis substantialibus perfectis, et quasi suum esse est medium inter formas et accidentia) (De caelo, Ioc. cit.).

41 La critica ad Avicenna si conclude con l'osservazione: (Nec erit forma mixti natura media inter calidum et frigidum tamquam illa sit nobilior et formalis-Pelzer suggerisce giustamente la correzio­ ne formalior-in mixto respectu alterius naturae mediae inter humidum et siccum). Anche qui dunque Bacone respinge l'idea che più tardi sosterrà nell'Opus minus. 60

La struttura della sostanza materiale egli si esprima unicamente secondo la concezione di Averroè (secun­ dum mentem Averrois), poiché effettivamente-abbiamo già richiama­ to l'attenzione su questo punto--l a tesi averroista là presentata non si adatta del tutto alla sua teoria dell'intensione e remissione delle forme sostanziali. Ma allora il passo dell'Opus minus che potrebbe valere come la sua esplicita spiegazione andrebbe interpretato nel sen­ so della soluzione tomista:

gli elementi permangono solamente per

quanto concerne le loro qualità, senza che le forme elementari stesse entrino nei misto 38• Tuttavia vogliamo lasciare aperto questo pro­ blema. L'aspetto significativo

ed importante di questa teoria piuttosto

complessa è l'ammissione di una partecipazione della materia al pro­ cesso della mixtio. Domandandosi come ciò possa essere pensato, è essenziale rilevare che nella costituzione dei corpi composti devono in­ tervenire non solo le forme e le qualità elementari ma anche le ma­ terie specifiche degli elementi corrispondenti. Ancor più significativa è l'altra nuova idea introdotta da Bacone: l'interpretazione dell'inten­ sione e remissione delle forme elementari in senso modale, come un accrescimento o una diminuzione dell'essere attuale che conduce dal­ la pura potenza all'atto puro. Enrico Bate di Mecheln-probabilrnente discepolo di Sigieri di Bra­ bante-nel suo Speculum divinomm et quorundam naturalium, com­ posto approssimativamente negli anni 128 1-1302, ha realizzato una enciclopedia del sapere del suo tempo che, destinata all'istruzione di un principe, raccoglie tutte le conoscenze che per quell'epoca costitui­ vano la base di una cultura generale 39 • Naturalmente non manca nep­

pure il problema di cui ci stiamo occupando. Esso viene così formu­

lato : «In quale modo nel misto esistono gli elementi e più materie proprie proporzionali alle proprie forme» (Qua!iter

elementa sunt in

mixto et (ut?) materiae plures propriae propriis formis proportiona­ les) 40 • Per comprendere correttamente la questione dobbiamo getta38

H. Hover (Roger Bacons Hylomorphismus als Grundlage seiner philosopbi­ schen Anschauungen, Limburg 1912, p. 2 1 2 ) ammette che Bacone identifichi le qualità prime con le forme sostanziali degli elementi, tuttavia parla anche della

distinzione assolutamente chiara che egli pone tra esse nei

39

Pars I e n sono edite da G. Wallerand

Communia naturalium. (Philosophes belges Xl, Lovanio 1 9 3 1 ) .

Per l a parte IV, che riguarda i l nostro problema, abbiamo usato i l ms. Vat. lat.

2191. 40

Pars IV, cap. 42 (foll. 68'a - b). 61

Scienza e filosofia nel Medioevo re un rapido sguardo sul contesto in cui essa viene posta

41 •

Bate so­

stiene, come già Bacone, sebbene in modo differente da questi, una particolare dottrina della pluralità e della molteplicità della materia. A suo giudizio, il mondo fisico non è costituito in modo tale che ogni forma di un corpo inanimato o animato informa direttamente una materia in tutto identica, priva di forma, di figura

e

di ogni deter­

minazione, ma la materia, prima di accogliere una forma sostanziale, deve essere opportunamente disposta rispetto alla quantità, alla quali­ tà e alle rimanenti proprietà. Questo diventa particolarmente chiaro nel caso di un corpo animato. L'anima non può entrare in una qual­ siasi materia ma solo in una materia che possieda una disposizione op­ portuna, che cioè sia preformata in debito modo. Parlare quindi di ta­ li plures materiae, ognuna delle quali costituisce la materia propria e adeguatamente disposta verso la forma ad essa ordinata, significa na­ turalmente parlare solo di materie prossime (materiae propinquae), non della materia prima, della materia remota. La materia informata da una forma sostanziale inferiore diviene materia della forma supe­ riore successiva e, d 'altra parte, le forme sostanziali superiori non en­ trano direttamente nella materia prima ma in una materia già forma­ ta, che tuttavia è in potenza verso la forma superiore. Bate, tuttavia, lascia insoluta la questione se egli intenda riferirsi ad una pre-formazione sostanziale, cioè ad una pluralità delle forme sostanziali secondo una particolare interpretazione della dottrina che ammette una subordinazione riguardo alla disposizione (subordinatio per modum dispositionis), oppure solamente ad una disposizione nel senso di Tommaso, che in effetti richiede per la recezione della for­ ma sostanziale anche una precedente disposizione della materia, ma una preparazione tramite momenti qualitativi, tra i quali è natural­ mente inclusa anche una forma sostanziale, senza tuttavia che quest'ul­ tima entri nella materia cosl disposta e nel nuovo compositum formato­ si. Osserviamo brevemente in quale modo Bate concepisca questo caso generale. Dapprima si tratta della permanenza degli elementi nel mi­ sto, e qui la dottrina delle plures materiae propriae si fonde con l'ipo­ tesi averroista di una remissione delle forme sostanziali elementari. Tale remissione viene intesa, come da Bacone, in senso modale. Se­ condo Aristotele gli elementi non devono permanere in atto ma nep-

41

Soprattutto cap. 41 (foll. 68'a - 68•a). 62

La struttura della sostanza materiale

virtus. virtualiter et potentia

ciò che rimane è la loro

pure essere interamente distrutti :

Questo significa che nel misto essi rimangono

seu potestate e precisamente non nel modo in cui la materia prima è in potenza verso ogni forma ma secondo un diverso grado di poten­ za

(alterius gradus potentiae) , cioè nel modo in cui, secondo Aristo­

tele, il meno caldo è in potenza verso il più caldo e il meno freddo verso il più freddo. Bate stabilisce dunque un parallelo tra l'intensio­ ne e la remissione nella comune accezione del termine e il passaggio dalla

potentia essendi all'actus.

Si tratta di un'idea che incontreremo spesso e che quindi è oppor­ tuno approfondire. Come si perviene a questa nuova interpretazione modale che non si incontra nella storia del problema dell'intensione e remissione delle forme e come deve essere correttamente intesa, so­ prattutto nelle particolari sfumature che presenta, quella sostenuta da Bate? La conclusione di quest'ultimo afferma infatti: la potenza in cui secondo Aristotele permangono le forme elementari è la medesima po­ tenza propria della qualità

remissa rispetto alla qualità intensa e il

passaggio dall'atto alla potenza che patiscono le forme elementari è dunque una remissione. Sulla base di quali presupposti giungono a questa conclusione lui

e

tutti gli autori successivi che sosterranno

questa tesi? La spiegazione si trova nel concetto di movimento e nella nota de­ finizione universalmente accettata:

il movimento è l'atto di ciò che

(motus est actus entis in po­ tentia secundum quod in potentia) e nell'ulteriore specificazione che il movimento si compie nel tempo (in tempore) e non istantaneamen­ te (in instanti). Il movimento nel senso stretto del termine, come ab­ esiste in potenza in quanto in potenza

biamo già detto, è possibile nell'ambito delle tre categorie della quan­ tità, della qualità e del luogo, mentre nella categoria della sostanza, almeno secondo l'opinione dominante, esiste solo mutamento istanta­ neo o

mutatio. La generatio, la generazione di una sostanza, che con­

duce dalla pura possibilità di esistere o dalla pura potenza all'essere­ reale, al puro atto, si realizza non nel tempo, non è dunque un di­ venire successivo, ma in un sorgere istantaneo privo di durata tem­ porale. Chiaramente in questo caso tra potenza e atto non esiste al­ cun momento intermedio. Per alcune forme sostanziali però, per quel­ le degli elementi, viene fatta un'eccezione e si ammette una genera­ zione successiva, una

generatio in tempore, il che significa ammettere 63

Scienza e filosofia nel Medioevo l 'esistenza in questo caso tra potenza e atto di momenti intermedi che nella loro successione formano un continuo. Con ciò viene dunque posta un'analogia con i tre comuni tipi di movimento. I punti inizia­ li e finali (termini motus) sono per l'intensione e remissione delle qualità--considerando l'alteratio nel caso particolare più importante -il grado di minor intensità (gradus remissus) e il grado di maggior intensità (gradus intensus), per l'augmentatio la quantità iniziale e quella finale, per il movimento locale il punto di partenza e quello di arrivo, per la generazione, infine, il non-esistere della forma-la sua pura possibilità nella materia--e l'essere totalmente reale. In ognu­ no dei quattro tipi di movimento, il momento iniziale e quelli inter­ medi sono «in potenza» rispetto al momento finale (terminus ad quem). In ogni movimento esiste tuttavia un altro tipo di potenza che di volta in volta riceve la sua particolare sfumatura dalla categoria nel­ l 'ambito della quale il movimento si compie. Si tratta di un esse in

potentia che è proprio di una qualità rispetto al grado maggiore o minore sulla scala delle intensità, che una quantità possiede in un mo­ mento dell'aumento o della diminuzione oppure un corpo in movi­ mento in un ubi che non è ancora il punto terminale del movimento, il terminus motus. Questi tre tipi di potenza sono diversi dalla po­

tenza che costituisce la possibilità di esistere e per la quale il rispet­ tivo atto o terminus ad quem costituisce la realtà effettuale. La diffi­ coltà che a prima vista presenta questa concezione si spiega con la nostra abitudine di intendere la coppia di concetti atto-potenza come due categorie modali. Da qui è breve il passo per giungere all'obiezio­ ne: una qualità ad un grado minore di intensità non è meno attuale né meno reale di una ad un grado di intensità maggiore e, viceversa: una qualità reale non è più intensa di una solamente possibile pro­ prio come cento talleri reali non sono più di cento talleri possibili. Obie­ zioni di questo genere tuttavia non producono alcun effetto. L'esse in potentia, infatti, è un concetto relativo che deve essere sempre pen­ sato in relazione a qualcosa (respectu alicuius) e l'essere (esse) non è sempre un esistere (esse existere) . Può esserlo : allora siamo in pre­ senza del caso particolare della generazione e corruzione e il proces­ so che conduce dalla potenza all'atto corrispondente è quello della ge­ nerazione e corruzione assolute che, in generale, appartiene per se uni­ camente alle sostanze ma che, in condizioni particolari, viene ammesso

per accidens anche in altre categorie. Le diverse potenze possono na­ turalmente sovrapporsi e uno stesso ens può trovarsi in movimento, 64

La struttura della sostanza materiale e quindi in potenza, in diversi modi 42• Un corpo che si muove di mo­ to locale può patire contemporaneamente un mutamento qualitativo, oppure, mentre esso si muove, il suo volume può aumentare o dimi­ nuire (per rarefactio o condensati o) ed anche essere distrutto. Il cor­ po, dunque, mentre è in movimento è in potentia in altrettanti modi. In generale, come detto, per l'esse existere non viene ammesso al­ cun motus tra potenza e atto ma unicamente un mutamento istanta­ neo. Per le forme elementari, tuttavia, viene fatta un'eccezione e per spiegare questo caso particolare si ricorre a tre esempi offerti dai co­ muni tipi di movimento. Tra queste tre possibilità si privilegia l'al­ teratio nel caso specifico dell'intensione e remissione e il motivo va ricercato nella dottrina averroista della remissione delle forme elemen­ tari. Cosl, d'altra parte, questa remissione che Averroè stesso ha in­ terpretato in analogia e in stretto rapporto con quella delle qualità ri­ ceve la sua nuova interpretazione antologica all'interno dell'apparato concettuale della filosofia scolastica . Accade allora che la generazione delle forme elementari, che si compie attraverso una successione, ven­ ga concepita come una intensione modale e che, viceversa, la remis­ sione averroista che le forme elementari patiscono nel misto appaia come una riduzione modale. Tramite il parallelo con il processo del­ l'intensione e remissione delle qualità, come fenomeno ricorrente, il processo che deve condurre dalla potentia essendi all'actus della pie­ na realtà, processo evidentemente non concepibile in termini di suc­ cessione, mantiene per lo meno un certo significato antologico.

Sul finire del XIV secolo, il problema se una qualità oppure una velocità pos­ 42 sano prodursi istantaneamente in un determinato grado senza percorrere i gradi precedenti, diviene ricorrente e svolge un ruolo importante nella letteratura dei sophismata. Regola fondamentale è il principio secondo cui un determinato gra­ do di intensità può essere acquisito solo tramite un aumento intensivo che ini­ zia dal grado zero (a non gradu) e che quindi deve essere percorso l'intero con­ tinuo intensivo tra il punto zero e il grado in questione. Esistono però casi in cui appare un incrociarsi di due «movimenti». Questo problema viene illustrato da Alberto di Sassonia (Phys VI, qu. 8) con questo esempio molto chiaro: se un cane precipita da una delle torri di Notre Dame e muore quando è giunto a metà del percorso, allora nella seconda parte del percorso non sarà più un cane a precipitare ma un cadaver canis, e precisamente con una certa velocità che non inizia a non gradu velocitatis. Si tratta del tipico caso di una generatio per accidens, in cui una qualità o una velocità ha origine come conseguenza di una forma sostanziale prodottasi istantaneamente e non successivamente tramite un motus intensionis. 65

Scienza e filosofia nel Medioevo Ma ritorniamo ora al nostro testo. Nel misto dunque patiscono una remissione non solo le qualità degli elementi, cosicché si generi una qualità media, ma anche le loro forme sostanziali. Il loro rapporto vie­ ne pensato in completo accordo con Averroè : la forma elementare esi­ ste in atto completamente quando le sue qualità attive e passive pos­ siedono il grado maggiore e ad ogni remissione delle qualità corrispon­ de una remissione della sostanza, che tuttavia deve essere intesa in sen­ so modale. Questi sono i presupposti sulla base dei quali Enrico Bate risolve il problema del modo in cui gli elementi esistono nel misto co­ me più materie proprie proporzionali alle proprie forme (qualiter e/e­ menta sunt in mixto ut 43 materiae plures propriae propriis formis proportionales). L'essere delle forme elementari che nel misto si tro­ vano in questo modo remissae e commixtae, non è dunque un sussi­ stere (se tenere) nella forma del misto (ex parte formae mixti) ma nella materia (ex parte materiae) . Al complesso delle forme elementa­ ri ridotte intensivamente e mescolate si aggiunge la forma mixti uni­ taria e semplice che costituisce per il misto la causa e il principio d'essere (principium essendi et causa ipsi mixto), proprio come quel­ la commixtio di forme elementari ne costituisce la materia propria. Infatti, «bisogna pensare che le forme sostanziali degli elementi sono mol­ to vicine alla natura della materia e che differiscono appena dalla na­ tura di questa» 44• Per questo motivo tali forme possiedono una attività cosl debole e un essere cosl nascosto (occultum) che ad esse nei composti spetta il ruolo di materia (ratio materiae) 45• Questa inoltre è la ragione per cui si dà anche la possibilità che siffatte sostanze siano passibili di più e meno, in quanto hanno un carattere materiale, in quanto cioè sono parti costitutive di un misto, ma non in quanto sostanze cosmi­ che a sé stanti. Segue poi una generalizzazione che costituisce una novità rispetto

43

Correggiamo l'et del manoscritto (cfr. sopra p. 61) in ut, come il senso richiede.

44 Opinandum enim est formas elementorum substantiales propinquissimas esse

naturae materiae ac minime ab eius natura di!ferre (ibid.). Un simile cedere in partem materiae è possibile solo verso una forma supe­ riore e non tra le forme elementari che sono sub eodem genere proximo tam­ quam unius et eiusdem gradus ordinis. Si tratta della vecchia regola per cui la

45

stessa materia non può accogliere contemporaneamente più forme elementari. 66

La struttura della sostanza materiale a quanto preannunciato. Ciò che è stato specificato sul rapporto esi­ stente tra le forme elementari e la forma mixti deve infatti valere in generale anche per le forme superiori nelle loro reciproche relazioni e inoltre per tutti gli enti nella misura in cui stanno l'uno sotto l'altro nell'ordine della sostanza (in ordine substantialis) e non appartengono allo stesso genere prossimo (genus proximus), vale a dire nella mi­ sura in cui l'uno costituisce rispetto all'altro una forma inferiore. Co­ me esempio Bate porta l'anima vegetativa nella sua relazione con l'ani­ ma sensitiva e con l'intelletto. Questa relazione deve essere pensata proprio come quella esistente tra gli elementi e le formae mixti infe­ riori: la forma di volta in volta inferiore patisce una determinata re­ missione, divenendo cosl materia per la forma superiore. «Nulla impedisce che la forma più imperfetta, persa la propria na­ tura formale, divenga in un certo modo materia e non possieda assolu­ tamente in atto l 'essere e la natura di forma, ma che rispetto a ciò essa sia corrotta e sia in potenza verso una forma successiva più perfetta alla quale è subordinata nella gradualità dell'ordine sostanziale» 46 • Fino qui il ragionamento non presenta nulla di insolito : si tratta della dottrina delle pluralità delle forme sostanziali in una disposizio­ ne più ordinata, dottrina che in questo contesto viene chiaramente enun­ ciata benché quanto detto prima la renda senz'altro inattesa. Bate, tut­ tavia, non si arresta qui ma compie un ulteriore passo in avanti che lo avvicina sensibilmente alla dottrina di Bacone sulla pluralità delle forme e delle materie. L'idea fondamentale è questa: ad ogni forma corrisponde una materia ordinata, e vale chiaramente anche l'inverso : ad ogni materia specifica o relativa corrisponde una forma propria. La graduazione fìn qui esaminata, secondo cui la forma inferiore diviene di volta in volta materia per quella superiore, è considerata, da questo punto di vista, una semplice gradazione nell'ambito della materia: una pluralità di materie sempre più complesse, sempre più perfette, la cui particolarità viene di volta in volta determinata da una forma sostan­ ziale ridotta (forma substantialis remissa) . Bate definisce queste ma­ terie: materiae compositae . Ad esse devono corrispondere, come for­ me proprie, forme in un certo modo composte nelle loro essenze (quo46 Nihil prohibet formam imperfectiorem a propria quidem formalitatis ratione destitutam in partem quasi materialem quodammodo cedere et non simpliciter actu esse neque formae rationem habere, sed quantum ad hoc corrumpi et esse in potentia, perfectiori quidem adveniente forma, ad quam est in ordine Sttbstan­ tialitatis (ibid.) .

67

Scienza e filosofia nel Medioevo

dammodo compositae in suis essentiis) e precisamente rispetto ai prin­ cipi delle diverse potenze (quantum ad potentiarum principia diversa­

rum) 41• Infatti, benché la forma in quanto tale sia indivisibile-si tratta di una esigenza fondamentale-essa è tuttavia divisibile nume­ ricamente quantum ad actualitatem essendi (vale a dire in quanto si moltiplica come forma materiale in diversi tipi particolari) e una ana­ loga divisibilità vale anche per la eduzione della forma sostanziale dal­ la potenza della materia (eductio actus formae substantialis ex poten­

tia materiae) . Con ciò si afferma ancora una volta che per le forme sostanziali è ammessa una generazione e una corruzione successiva, oppure una intensione e remissione in senso modale che, già richie­ sta per la concezione delle materiae compositae, deve ora spiegare an­ che l'idea dell'unione delle forme in quanto tali. Questa idea tuttavia non viene sviluppata in termini più precisi e la graduazione delle

formae compositae che deve essere coordinata alla graduazione delle materiae compositae rimane così oscura. È comunque chiaro come Bate concepisca la permanenza degli ele­ menti nelle sostanze fisiche superiori: le quattro forme elementari su­ biscono una riduzione modale e, in questo stato tra potenza e atto e mescolate una all'altra (ed evidentemente insieme alla materia prima in cui tutti questi fenomeni avvengono), costituiscono la materia pro­ pria per la forma mixti che, da parte sua, è il sostrato delle formae compositae, proprio come tale materia così composta costituisce il so­ strato delle materiae compositae. Teodorico di Freiberg, neoplatonico tedesco vissuto tra la fine del XIII secolo e l'inizio del XIV, ancora troppo poco apprezzato nel suo

valore di filosofo della natura e scienziato, ha composto un trattato

De miscibilibus in mixto 48 in cui sviluppa una teoria veramente ori­ ginale. Anch'egli sostiene la concezione della pluralità della materia unitamente alla supposizione di una riduzione modale delle forme so-

47

Bate chiama dunque le forme superiori poiché da esse derivano più forze e più qualità che dalle forme elementari. I pensatori successivi conclu­ sero diversamente: per essi le forme sostanziali superiori sono semplici come quelle degli elementi, e solamente in quanto determinano più e più perfetti accidenti (cfr. p. 146). In definitiva si tratta di una differenza più ter­ minologica che sostanziale. 48 Vat. lat. 2183 foll. 121ra - 124'b. Cfr. E. Krebs Meister Dietrich (Theodori­ cus Teutonicus de Vriberg), sein Leben, seine Werke, seine Wissenschaft, in «Bei­ triige zur· Gesch. der Phil. des Mittelalters>>, v, Heft 5-6, p. 45 sgg. ,

68

La struttura della sostanza materiale stanziali nel misto. Questa riduzione modale, questa diminuzione del­ l'attualità, non viene identificata da Teodorico con la remissione di tipo averroista, poiché Teodorico respinge la possibilità di intensione e re­ missione non solo per le forme sostanziali ma anche per gli accidenti. Intensione e remissione significherebbero in certo qual modo un au­ mento e una diminuzione all'interno della forma e presupporrebbero quindi in essa delle parti, il che è impossibile. Una forma, sia pure ac­ cidentale, non ha parti. Il fenomeno dell'intensione e remissione quali­ tativa deve essere invece spiegato così: esso avviene nell'essenza di una qualità da differenziarsi in individui della stessa specie diversi tra loro secondo più e meno e questo la distingue dalla forma sostanziale, poi­ ché per quest'ultima non esistono differenze di questo tipo nell'ambito della stessa specie. Quando allora un soggetto da meno bianco diviene più bianco, non è la bianchezza numericamente identica che subisce una variazione ma il soggetto, che ha perso la bianchezza originaria per acquisirne una nuova più intensa. Per gli accidenti si dà dunque più e meno ma nessuna intensione e remissione. Esistono differenze intensi­ ve ma nessuna variazione intensiva all'interno della forma. Solo i sog­ getti della qualità subiscono una variazione intensiva accogliendo suc­ cessivamente qualità numericamente differenti che in questo modo si diversificano l'una dall'altra 49• Ogni variazione significa distruzione del49 Su questa teoria dell'intensione cfr. Zwei Grundprobleme, p. 59 sgg. Goffre­ do di Fontaines viene considerato come il principale sostenitore di questa dottrina ma in realtà-almeno nelle opere pervenuted--egli non solo non sostiene que­ sta teoria ma la respinge esplicitamente (vedi ibid., p . 62 sgg.). Alle nostre pre­ cedenti osservazioni possiamo aggiungere che questa interpretazione della varia­ zione intensiva si incontra in una breve quaestio che si trova nel Codex Borgh. 303 (fol. 140'b). Si tratta di una delle diciassette quaestiunculae anonime che occupano le ultime pagine del volume (foll. 140'b - 142'b). A. Pelzer (Les philoso­ pres belges, xrv, p. 278 sgg.) ha indicato il loro titolo nella descrizione del mano­ scritto. La nostra quaestio dice: > (Utrum formae miscibilium qualitatum differunt realiter a sua activitate) (Ed. Roma 1605). 65 Roma Bibl. Naz. 1405 foll. 44' - 128v; cfr. il catalogo di Pelzer dei Codices Vat. lat. 679-1 134, p. 297 sg. In seguito facciamo uso del ms. Vat. lat. 3063. 66 Vat. lat. 3063 foll. 41' b - 46' a. Secondo l'indice dei capitoli posto all'inizio del ms. (foll. l' a - b) il trattato comprende quattro parti; in entrambi i mano­ scritti romani esso si interrompe nello stesso punto e con la stessa parola (cfr. Pelzer, op. cit.).

80

La struttura della sostanza materiale nel Commento alle Sentenze e nel Quodlibet, nonostante l'esposizione presenti particolari spesso differenti . La tesi, tuttavia, gli argomenti e gli esempi presentano una coincidenza così evidente da non lasciare al­ cun dubbio sull'identità dell'autore, tanto più che si tratta di una dot­ trina originale, diversa dalle altre e mai più ripresa da altri autori. Pro­ prio in questa corrispondenza si può ravvisare quindi una prova in fa­ vore dell'autenticità del trattato . La sua composizione è senz'altro anteriore, o tutt'al più contempo­ ranea, alla prima redazione del Commento alle Sentenze. Iniziamo quin­ di il nostro esame dal trattato dedicandogli particolare attenzione per rivolgerei poi più brevemente al Commento alle Sentenze in cui non esistono sostanziali differenze di contenuto. Abbiamo scelto questo mo­ do di procedere perché, come detto, del trattato esistono solo pochi manoscritti mentre del Commento alle Sentenze ci sono edizioni facil­ mente accessibili. Sulla forma dei corpi misti, così inizia Aureolo, esistono due punti

di vista: secondo il primo la forma di un qualsiasi misto è semplice e non mescolata, come quella degli elementi, poiché questi ultimi non so­ no presenti nel misto secondo le proprie essenze (secundum essentias

suas) ma la forma del misto contiene le forme elementari solo virtual­ mente 67• La seconda concezione è invece che le forme degli elementi

partecipano realmente alla generazione dei misti subendo una remis­ sione 68• Si tratta quindi di due concezioni divergenti. «Queste due posizioni, senz'altro autorevoli, sembrano tuttavia al­ lontanarsi completamente dalla soluzione indicata da Aristotele e da Averroè» lfJ. Per mostrare allora quale sia la giusta soluzione di questo proble­ ma e quale l 'intendimento dei due filosofi (quid est veritatis in hac ma­

teria et quid sit intentio istorum duorum philosophorum), Aureolo propone e discute tre propositiones : «La prima è che nella forma di ogni misto si trova qualcosa delle quattro forme elementari, contrariamente a quanto afferma la prima con67 Dicuntur autem formae mixtorum formas elementorum continere in virtute (ibid.). Si tratta dunque della dottrina tomista. 68 Alii vero dicunt formas elementorum realiter concurrere ad constitutionem mixtorum, tamen sub esse remisso et gradu diminuto (ibid.). È la tesi averroista. 19 Sed hae duae positiones, licet valde solemnes sint, videntur tamen a via Phi­ losopbi et Commentatoris sui totaliter deviare (ibid.).

81

Scienza e fìlosofia nel Medioevo cezione. La seconda è che le forme elementari non sono presenti m nessun grado, né perfetto né ridotto, nella forma del misto, contraria­ mente a quanto afferma la seconda concezione che viene attribuita ad Avicenna ( ! ) . La terza, infine, è che la forma di ogni misto è prodotta essenzialmente dalle realtà delle quattro forme elementari e non è qual­ cosa che si aggiunge ma è essenzialmente e sostanzialmente qualcosa di intermedio e di misto, contrariamente a ciò che aggiungeva la seconda concezione» 70• Allora : non le forme stesse degli elementi, né in grado perfetto né ridotto, permangono nel misto, bensl certe realitates di queste forme che costituiscono la forma del misto. Quest'ultima infatti è essenzial­ mente composta da tali realitates delle forme elementari, è una forma media e composta, non una forma nuova che si aggiunge. Innanzitutto viene addotta la prova a favore della prima tesi, se­ condo cui «qualcosa» delle realtà delle forme elementari rimane real­ mente nel misto. Poi si afferma che questa è la concezione di Aristo­ tele e di Averroè e quindi si perviene ancora una volta ad una for­ mula riassuntiva : «Da quanto detto deriva quindi che le fodne degli elementi sono nel misto sostanzialmente e che si mischiano secondo qualcosa che ap­ partiene loro essenzialmente» 71• Infine viene l'esplicita confutazione della prima opinio secondo cui gli elementi rimangono nel misto solo virtualmente-la prima tesi di Aureolo, infatti, della cui dimostrazione innanzitutto si tratta, è chia­ ramente diretta contro questa prima opinio tomista-e delle ragioni addotte in suo favore. Tra queste la più importante è costituita dal principio secondo cui le forme sostanziali non patiscono alcuna inten­ sione e remissione. Inoltre bisogna dire che le forme sostanziali non sono suscettibili di più e meno, tuttavia sono soggette ad una fractio

(substantiales formae magis et minus non suscipiunt, tamen suscipiunt 70

Prima est, quod aliquae realitates ex quattuor formis elementorum concur­ runt ad formam cuiuslibet mixti, contra primam positionem. Secunda est, quod ipsae /ormae elementorum in nullo suo gradu, nec intenso nec remisso, concur· rtmt ad formam mixti, contra secundam positionem, quae attribuitur Avicennae (!). Tertia est, quod /orma mixti cuiuslibet est essentialiter conflata ex realitatibus quattuor e/ementarium formarum, nec est aliquid additum, sed aliquid essen­ tialiter et substantialiter medium et mixtum, contra illud quod secunda positio addebat (ibid.). Cioè contro l'ammissione di una forma mixti superaddita. 7 1 Sequitur igitur ex bis dictis quod formae e/ementorum substantialiter sint in mixto et essentialiter misceantm secundum aliquid sui (ibid. ) .

82

La struttura della sostanza materiale

fractionem) e Aureolo intende chiarire meglio questo aspetto. In pri­ mo luogo si accenna alla spiegazione secondo cui anche la possibilità della commixtio qualitatum si fonda non sulla disposizione all'intensio­ ne e remissione ma sulla disposizione alla fractio. La bianchezza, per esempio, è presente nel rosso non in atto in un certo grado ma in es­ se fracto, per cui «non vi è presente in un grado ridotto ma in

e medio tra la potenza e l'atto» 72•

un

essere diminuito

Lo stesso avviene per le quattro qualità prime rispetto alla forma complexionalis : esse sono nel misto non in gradu remisso ma in una forma media da esse composta (ex ipsis conflata) . In modo analogo bi­ sogna pensare la fractio delle forme elementari. Per Aureolo dunque, per lo meno sulla base di questo primo accenno, tale fractio non è al­ tro che la reductio in senso modale che già conosciamo, tenendo pre­

sente però che il modo in cui Aureolo perviene ad essa e la descrive è insolito e come tale venne generalmente considerato.

La prova a favore della seconda propositio si sviluppa in modo analogo: dapprima con alcuni argomenti diretti, poi confutando le ra­ gioni a favore del punto di vista opposto, vale a dire della concezione genuinamente averroista. La deduzione della remissione delle qualità elementari da una remissione delle forme elementari viene ugualmente respinta con la considerazione che anche nel caso delle qualità non si tratta di remissione ma di fractio, da intendersi nel modo spiegato. Viene poi la prova della terza e fondamentale tesi, secondo cui la forma di ogni misto è composta da alcune realtà delle forme elemen­ tari (quod forma cuiuslibet mixti sit conflata ex realitatibus aliquibus elementarium formarum). Le difficoltà presenti in questa soluzione ven­ gono sintetizzate in tre considerazioni : come può una forma elemen­ tare avere realtà e parti, dal momento che essa è realmente una forma semplice e indivisibile? La stessa riflessione vale per la forma del mi­ sto: come può essere composta da più realtà? E infine: ammesso-per impossibile--che ne esistano, come possono le realtà e le parti di più forme elementari amalgamarsi in una nuova forma? «Nonostante questi interrogativi, poiché alcune realtà delle forme elementari sono nel misto, come è stato dimostrato sopra, bisogna allon

Unde non est ibi in gradu remisso, :sed in esse diminuto et medio inter po­ tentiam et actum (ibid. ) . 83

Scienza e fìlosofia nel Medioevo ra affermare che è necessario ammettere che la forma del misto non è altro che una forma media composta da quelle realtà» 73• Le prove consistono nel mostrare una serie di analogie che si ap­ poggiano su fatti empirici e su una serie di citazioni di Aristotele e

Averroè che offrono la conferma per auctoritates e nello stesso tem· po indicano come la tesi sostenuta sia la vera opinione di entrambi questi filosofi. Manca però una prova antologica più precisa. Delle ana­ logie esplicative la più importante-che ritorna anche nel Commento

alle Sentenze-e mediante la quale in seguito divenne abitudine ricor­ rente indicare la tesi di Aureolo, è la seguente: la mescolanza degli elementi si verifica in modo analogo alla composizione delle sillabe con le lettere dell'alfabeto. Infatti anche il suono delle sillabe è una qua­ lità sola e un suono unico (una qualitas et unus sonus) e non può es­ sere scomposto in più suoni, ma ciò nonostante si può dire trattarsi di un suono medio che possiede e rinchiude in sé qualcosa dei suoni del­ le lettere (sonus medius, habens et retinens aliquid de sonis literarum) anche se non questi stessi suoni. Similmente la forma del misto è una forma in senso stretto e la sua essenza (ratio quidditativa) è indivisibi­ le e tuttavia è una forma media e composta (constituta) da qualche sor­ ta di realtà delle forme elementari, ma non dalle forme elementari stesse. Altri esempi con cui dimostrare la giustezza del ragionamento sono gli ibridi vegetali e animali nei quali si conserva un'aliqua realitas del­ le forme da cui hanno avuto origine ma non queste stesse ed ancora i colori medi nel loro rapporto con gli estremi, come è già stato spiega­ to in precedenza. Un'ultima prova infine viene ricavata «considerando lo stato di queste realtà che · io ritengo vengano trat­ te dalle forme elementari per costituire la forma media del misto» 74• In questa occasione veniamo a sapere qualcosa di più preciso sul­ la natura di queste realtà che rimangono nel misto e che non sembra­ no ancora essere sufficientemente caratterizzate dal concetto di fractio modale.

73 His tamen non obstantibus dicendum est, quod ex qua realitates aliquae ex formis elementorum in mixto sunt, ut superius est probatum, necesse est dicere /ormam mixti non esse aliud quam medium ex illis realitatibus (ibid.). Ex conditione huiusmodi realitatum, quas ex formis elementorum dico assu 74 mi ad constituendum mediam formam mixti (ibid.). 84

La struttura della sostanza materiale

«Queste realtà mancano di due caratteristiche: della preclSlone e della determinatezza in primo luogo, di un preciso carattere formale in secondo luogo. Per questo non possiedono interamente un carattere for­ male né una realtà completa e precisa» 75 • Di nuovo l'esempio è quello della composizione delle sillabe con le lettere dell'alfabeto e si insiste ancora nel ricordare che la forma è semplice (unica) e che per questo non può avere parti. Si tratta dun­ que solo di frazioni di forma, forme parziali che non hanno il carat­ tere completo della forma e che costituiscono non partes ma piuttosto fractiones formarum elementarium. La fractio di Aureolo quindi è non solo una riduzione modale ma anche una diminuzione del carattere formale oppure una perdita parziale della formalitas in quanto tale. Cosi diviene anche definitivamente chiaro come gli elementi per­ mangano nel misto : « Da quanto detto appare dunque in quale modo gli elementi so­ no nel misto in esse confracto, in potenza, con un essere medio tra la pura potenza, il puro atto e la perfezione ultima» 76• Tutto questo inoltre sarebbe già stato detto da Aristotele e da Averroè. La proposizione centrale del capitolo conclude ancora una vol­ ta che «le forme di tutti i misti inanimati sono veramente forme medie che derivano essenzialmente da realtà appartenenti alle forme elemen­ tari>) 77• Nel Commento alle Sentenze 78 la disamina del problema si suddi­ vide in due articoli o questioni e precisamente: l) se nella forma del misto gli elementi permangano in un certo grado oppure se si corrom­ pano completamente; 2) se la forma del misto sia composta da realtà appartenenti alle forme elementari 79 •

75 Huiusmodi enim realitates carent duobus: carent quidem praecisione ac signa­ bili/ate, carent secundo ratione et praecise formalitate, unde nec aliquam rationem formalem integre participant, nec habent realitatem integre et praecise (ibid.). 76 Apparet quoque ex hoc, quomodo elementa suni in mixto in esse confracto, et sunt in virtute, et sunt in esse medio inter puram potentiam et purum actum ac ultimam perfectionem (ibid.). 77 Formae omnium corporum mixtorum non habentium animas stmt vere me­ diae ex realitatibus formarum elementarium essentialiter resultantes (ibid.) . 78 Sent. u , dist. 1 5 , qu. 2 . 79 l) Utrum i n forma mixti remaneant elementa secundum gradum aliquem vel 85

Scienza e fìlosofia nel Medioevo Dapprima vengono confutate le opinioni di Avicenna, di Averroè e di alcuni autori moderni (opiniones Avicennae, Averrois et quorundam

modernorum)-e cioè quella tomista-, poi viene formulata in due te­ si la propria dottrina che viene presentata come la vera opinione di Aristotele e di Averroè: l ) le essenze (essentiae) degli elementi non rimangono nel misto in alcun grado formale che conservi la natura e il nome di forma (secundum nullum gradum formalem retinentem ratio­ nem et nomen formae); 2) esse non vengono completamente distrutte ma permangono secundum realitates aliquas. Come nel trattato De principiis naturae, entrambe queste proposizioni vengono dimostrate dapprima con alcuni argomenti diretti, poi ricorrendo alla confutazio­ ne degli argomenti contrari tra cui gioca il ruolo principale ancora una volta la tesi dell'impossibilità dell'intensione e remissione. Contro di essi bisogna ribadire che gli elementi non rimangono nel misto in gra­ du formali, cioè non secondo una realtà in cui si conservi la natura del­ la stessa forma (secundum aliquam realitatem in qua reservetur ratio ipsius formae) , ma quella realtà è una realtà imperfetta e fracta (sed illa realitas est realitas diminuta et fracta). Di nuovo viene proposta la differenza tra diminutio e fractio: la prima significa una riduzione del grado di perfezione intensiva (gradus perfectionis intensivae) che non coinvolge il carattere della forma come tale, la seconda invece to­ glie alla forma attualità e determinatezza (tollit terminationem a for­ ma et actuationem). Di conseguenza la realtà della forma fracta non è una forma ma solo qualcosa della forma (aliquid formae) . In que­ sto senso le forme elementari possono essere fractae pur non paten­ do alcuna remissione e cosl fractae permangono nel misto. La risposta alla seconda quaestio-se la forma del misto sia com­ posta dalle realtà degli elementi-viene data ancora suddivisa in due tesi delle quali in un primo momento viene discussa e dimostrata solo la prima: la forma del misto è effettivamente costituita da quelle real­ tà che rimangono dopo il processo di mescolanza delle forme elemen­ tari e che non devono essere identificate con le forme elementari stes­ se sia pure in gradu minimo. Questa affermazione viene dimostrata co­ me nel trattato, ricorrendo innanzitutto ad analogie, tra cui viene datotaliter corrumpantur, 2) Utrum forma mixti sit conflata ex realitatibus forma­ rum elementarium. Nell'edizione troviamo scritto: ex qualitatibus elementorum,

il che è privo di senso. La nostra correzione--qui e talvolta anche in seguito­ segue il Vat. lat. 942 che contiene un manoscritto del libro II del Commento

alle Sentenze. 86

La struttura della sostanza materiale to il rilievo maggiore al paragone con la formazione delle sillabe trami­ te le lettere dell'alfabeto, e poi alle auctoritates con citazioni di Aristo­ tele e di Averroè. In questo caso si sottolinea più decisamente che nel trattato che queste realtà 80 degli elementi di cui si compone la forma del misto non conservano il carattere e la specie di forma.

Gli elementi nel misto non patiscono alcuna remissione ma una

fractio e precisamente in questo senso: «Essi subiscono una fractio non in sé ma nella nuova realtà cui han­ no dato origine, cosicché si uniscono in qualcosa secondo alcune loro realtà dopo aver perso la loro determinatezza e in questo modo danno 81 • origine tutti insieme ad una unica cosa indivisa e determinata» Riecheggia qui un'idea sulla quale Aureolo in seguito non ritorne­ rà più : una simile fractio delle forme elementari è possibile solo nel misto, quindi non sono concepibili forme fractae isolate ma esse si uniscono istantaneamente, nel processo del frangi, ad una nuova for­ ma e possiedono un'esistenza reale solo se vincolata a questa forma. Aureolo però non spiega come concepisca in particolare questo feno­ meno. La stessa fractio è nella sua essenza una perdita parziale del ca­ rattere formale, della ratio formae, ma solamente parziale, e proprio per questo motivo--che in seguito viene ancora ribadito in una obie­ zione e nella sua soluzione-, poiché nel caso di queste forme non si tratta di forme perfette, è possibile che esse si uniscano ad una nuo­ va forma indivisibile e omogenea. Tutto questo viene poi spiegato ri­ correndo ad argomentazioni lunghe e complesse. Tra esse degna di es­ sere menzionata è soprattutto quella secondo cui la disposizione alla

/ractio di questo tipo delle forme elementari deve dipendere da una certa instabilità e imperfezione . La seconda tesi di cui si compone la questione afferma che nel mi­ sto non è necessario porre una forma diversa dalla forma degli ele­ menti che è la forma composta (in mixtis non oportet ponere formam

aliam ab ipsa forma elementorum, quae est forma conflata) . Lo si de­ duce da quanto affermato precedentemente e Aureolo rinuncia a portare anche una sola prova. La conclusione è costituita da alcune obiezioni e 80

Nell'edizione si trova più volte qualitates al posto di realitates abbiamo corretto.

e

di nuovo

81 Franguntur non in se sed in tertio conflato, ifa qetod illa veniunt ad ttnita­ tem alicuius tertii secundum suas realitates amissa terminatione, et hoc modo conflant unam rem indivisam et terminatam (ibid. ).

87

Scienza e fìlosofia nel Medioevo dalla loro soluzione, senza che venga aggiunto più nulla di significativo. Il quadro dunque è il medesimo del Tractatus de principiis natu­ rae. Esiste tuttavia una differenza: nel trattato la fractio è intesa più nel senso di una riduzione modale, di una riduzione del grado d'esse­ re, mentre nel Commento alle Sentenze questo fattore certamente non manca ma passa in secondo piano e al suo posto viene maggiormente sottolineata la perdita parziale del carattere formale che deve com­ piersi in questa fractio. Si tratta di un'idea tipica in Aureolo e che egli usa anche in altri contesti, soprattutto nell'ambito della teoria dell'in­

tensione e remissione delle qualità 82• Egli si ricollega alla concezione comune nell'ambiente francescano, e in particolare nella scuola scoti­ sta, secondo cui l'intensione di una qualità-esempio classico è sempre

l'aumento della carità-si deve spiegare con l'addizione di una nuova parte intensiva della qualità. Aureolo risolve in maniera analoga al pro­ blema della mixtio la principale difficoltà che questa dottrina compor­ ta: come possa avere origine una nuova forma indivisibile e omogenea dall'addizione di due forme. La parte di qualità che viene ad aggiun­ gersi non è propriamente una forma, non possiede l 'intera ratio for­

mae-non è caritas ma concaritas-e per questo può dare origine a una nuova unità congiungendosi a un'altra forma. Questa dottrina del­ le forme che non sono forme è, come detto, una particolarità di Au­ reolo e come tale venne sempre vista. Considerata nel contesto del nostro problema, si può dire èhe la remissione averroista delle forme elementari abbia trovato nella dot­ trina di Aureolo una nuova interpretazione : come remissione non del­ l'attualità o del modus essendi, ma come remissione del carattere for­ male o della ratio formae. Giovanni Baconthorpe, il noto princeps Averroistarum 83, che ha let­ to le Sentenze a Parigi all'incirca nello stesso periodo di Aureolo, nel libro III del Commento alle Sentenze 84 esamina le due questioni: se le forme elementari rimangano nel misto (utrum formae elementales

maneant in mixto) e se le forme elementari siano suscettibili, come le accidentali, di più e meno (utrum formae elementales suscipiunt ma­ gis et minus sicut accidentales). Per procedere alla soluzione della pri82

Cfr. Zwei Grundprobleme, p. 55 sg. Circa la questione fin dove Baconthorpe debba essere considerato effettiva­ mente un averroista, cfr. B. M. Xiberta, De scriptoribus scholasticis saec. xrv ex ordine Carmelitarum, Bibl. de la Rev. d'hist. ecci., fase. 6, Uiwen 1931, p. 213 sgg. Sent. III, dist. 16, qu. unica (Ed. Venezia 1526 e Cremona 1618). 84

83

88

La struttura della sostanza materiale ma di esse viene esposta innanzitutto e minuziosamente la dottrina di Aureolo 85 che, secondo Baconthorpe, deve essere cosl corretta: è giu­ sto affermare che «qualcosa» delle forme elementari rimane realmen­ te nel misto, ma questo «qualcosa» deve essere inteso diversamente da una realitas fracta degli elementi. Per giungere alla soluzione vera­ mente corretta è necessario distinguere i tre significati che può assu­ mere l'espressione manere in mixto. Si può infatti pensare che nelle forme elementari si compia una vera e propria remissione, nonostan­ te la quale le specie si conservano. Si tratta, come sappiamo, di una delle proprietà essenziali dell'intensione e remissione in senso stretto. Poi si può intendere, come fa Aureolo, che si formino certe partes /ractae che non possiedono il carattere di gradus remissi ma hanno origine da una divisione che si compie del tutto al di fuori del pro­ cesso dell'intensione e remissione. Infine si può pensare di attribuire alle forme elementari una remissione in senso improprio, avvenuta la quale le specie non si conservano ma le forme elementari si trasfor­ mano immediatamente dalle proprie specie in una terza forma compo­ sta da esse (transmutantur a propriis speciebus immediate in tertiam /ormam completam ex his), senza un precedente passaggio in partes materia/es. Questa idea viene illustrata con un esempio : è possibile. immaginare che nel caso dell'alimentazione il nutrimento venga tra­ mutato immediatamente nella sostanza di ciò che deve nutrire (substan­

tia rei alendae) senza trasformarsi prima in una natura nutritiva (in ali­ quam naturam nutritivam) . Questa terza interpretazione del manere in mixto è quella giusta. Qualcosa degli elementi rimane nel misto--aliquid elementorum manet in mixto--nel senso che una piccola realtà di quelle forme elementari rimane nel misto (aliqua realitas m odica illarum formarum elementa­ lium manet in mixto) ma non sotto la propria specie (sub propria spe­ cie), bensl nel mutamento della singola specie in un'altra, cioè nel mu­ tamento nella forma mixti. Come si debba intendere più precisamente ·

questo aspetto lo ricaviamo dal secondo articolo che tratta del proble­ ma dell'intensione e remissione delle forme sostanziali. La questione

85

Baconthorpe illustra questa dottrina ricorrendo ad un esempio molto chiaro

che in Aureolo non si trova: se si spezza un cerchio, le parti ottenute sono ar· chi di cerchio ma non possiedono più la qualità del cerchio. Se con esse si

compone una nuova figura, questa conterrà indubbiamente il cerchio ma solo in quanto

fractus, proprio come il misto contiene gli elementi. 89

Scienza e filosofia nel Medioevo viene risolta negativamente : non esiste per le sostanze più e meno e neppure per le forme elementari, poiché non è necessario ammettere­ come vuole Averroè--che alla remissione delle qualità elementari ne corrisponda una delle forme elementari. Il processo di remissione del­ le qualità, e in generale l'agire e patire reciproco delle qualità, non ri­ guarda la forma sostanziale degli elementi che rimangono completa· mente intatti, nonostante le qualità subiscano una riduzione intensiva. Solo nell'ultimo istante di questo processo, allorché l'alterazione o la corruzione delle qualità si è compiuta, le forme elementari stesse pati­ scono una remissione (in ultimo alterationis et corruptionis qualitatum

corrumpitur forma elementalis ad medietatem aut ad gradum remis­ sum ) . Ma contemporaneamente, proprio nello stesso istante della re­ missione, le forme elementari vengono trasformate in una nuova na­ tura, cioè nella forma del misto (in novam naturam sci!. formam mixti) . Si tratta della privazione del proprio esse speci/icum che era posta come condizione. Così, poiché durante la graduale distruzione delle qualità le forme elementari sono rimaste immutate e poiché alla fine del processo questi gradus remissi prodotti istantaneamente non permangono ma costituiscono immediatamente la forma del misto, le forme elementari non subiscono alcuna remissione in senso proprio: «Poiché quindi nel processo di corruzione della forma elementare non vi sono parti o gradi nella forma elementare né a causa della cor­ ruzione viene abbandonato un grado ma quel grado si trasforma in un altro, allora risulta chiaro che le forme elementari non sono suscetti­ bili di più e meno» 86 • L'autentica remissione infatti, come la riscontriamo negli acciden­ ti, consiste essenzialmente in questi due aspetti: il processo si compie gradualmente, in tempore (è m otus, non mutatio), e il grado ultimo, il terminus remissionis o corruptionis, dura e si conserva. Il processo che avviene nel caso delle forme elementari invece è completamente differente: si tratta di una diminutio istantanea e non successiva e il terminus di questo processo, cioè il gradus remissus, ha carattere tran­ sitorio poiché si trasforma immediatamente in una forma che appartie­ ne a un'altra specie.

86 Igitur cum ibi non sint partes aut gradus in forma elementari eundo in via ad corruptionem formae elementaris nec relinquitur ibi gradus per corruptionem, sed il/e gradus transmutatur in aliud, patet manifeste, quod formae elementa· res non suscipiunt magis et minus (ibid.). 90

La struttura della sostanza materiale Ciò nonostante il fenomeno è in un certo senso analogo alla re­ missione che subiscono gli accidenti e precisamente in tre modi: «Nella mescolanza le forme elementari divengono qualcosa di me­ dio, perdono il proprio essere specifico, dalla loro unione ha origine la forma del misto che è specificamente diversa» 87• Si può allora parlare di intensione e remissione della forma ele­ mentare da questi tre punti di vista, ma non da un quarto, vale a dire «che abbia dei gradi nell'ambito della propria specie secondo i quali possa essere acquisita o persa poco alla volta come avviene per la for­ ma accidentale» 88• Con questa esclusione-la specie non viene mantenuta-la dottri­ na di Averroè sull'intensione e remissione delle forme elementari è corretta. La teoria di Baconthorpe è allora in breve questa : le forme elemen­ tari patiscono effettivamente una remissione in senso averroista, che però si compie istantaneamente e non successivamente. Le formae re­

missae che hanno così origine non possiedono un'esistenza indipenden­ te ma solo in quanto parti integranti e non isolate della forma mixti. Le formae remissae degli elementi non entrano quindi nella materia propria del misto ma nella sua forma e la costituiscono senza che sia necessario introdurre una forma del misto superaddita 89• Nelle questioni anonime sul De generatione et corruptione conte-

87

Quod in mixtione veniunt ad medietates suas et quod perdunt proprium esse specificum, et quod ex eorum collectione constituitur forma mixti quae est alia secundum speciem (ibid.). 88 Scii. quod habeat gradus in/ra propriam speciem, secundum quos possit pau­ latim acquiri et corrumpi sicut (forma) accidentalis (ibid.) . 89 L'averroista italiano Zabarella (De rebus naturalibus, liber d e mixtione, capi­

tolo 8, ed. Venezia 1590, p. 325) ha sostenuto più tardi la stessa dottrina del­ l'intensione e remissione delle forme elementari secondo cui le specie non riman­ gono ed essa avviene istantaneamente, tra l'altro senza conoscere la teoria di Baconthorpe e convinto di essere il primo ad aver colto la vera opinione di Aver­ roè. Alla fine egli racconta che quando espose a Padova questa dottrina uno scolaro carmelitano si recò da lui avvertendolo che Giovanni Baconthorpe aveva già spiegato così Averroè, cosa di cui poi Zabarella si convinse da sé. Questo aneddoto è anche segno di come la teoria di Baconthorpe non abbia svolto un inllusso rilevante, se era caduta in tale dimenticanza nell'ambiente averroista del XVI secolo.

91

Scienza e filosofia nel Medioevo nute nel Codex Vat. lat. 445 2 90, troviamo una concezione stretta­ mente affine a quella di Baconthorpe e probabilmente anteriore ad essa.

Forse sono di un medico bolognese dell'inizio del

XIV

secolo : magister

Antonio da Parma 91 • In esse troviamo scritto 92 che secondo Averroè esistono tre diversi tipi di forme: forme perfette, che non subiscono in alcun modo intensione e remissione e non possono amalgamarsi per dare origine ad una nuova forma; forme accidentali, che possono subire inten­ sione e remissione ed anche mescolarsi per produrre qualcosa di nuovo; infine forme medie, simili in parte alle sostanze e in parte agli acci­ denti: si tratta delle forme elementari. Queste ultime sono affini alle sostanze in quanto non è possibile alcuna acquisizione successiva delle forme elementari (motus ad formas elementorum) ed anche agli acci­ denti, poiché dalla loro mescolanza può avere origine una nuova for­ ma. La soluzione è dunque che le forme elementari subiscono una re­ missione istantanea. «La remissione delle forme e la loro unione in quella forma media avviene istantaneamente. Infatti, nello stesso istante in cui si realizza questa forma media, le forme perfette subiscono una remissione secon-

90

Foll. 49' a - 58• a (Ine. : De generatione autem et corruptione etc. Circa istum librum quaeratur primo utrum de generabilibus et corruptibilibus possit esse scientia). 91 II codex contiene una serie di reportationes di lezioni (lecturae) di medicina e di questioni (Quaestiones disputatae e Quodlibeta) indicanti tutte Bologna. Tra gli autori troviamo i magistri Antonius de Parma (su di lui cfr. M. Grabmann, Der lateinische Averroismus des 13. Jahrhunderts und seine Stellung zur christli­ chen Weltanschauung, Miinchener Sitz. Ber. 1931, Heft 2, p. 55 sgg.; da parte nostra penseremmo che Antonio non sia l'autore di questo Commento all'Etica), Albertus Bononiensis (che si incontra sia come reportator del magister Antonio sia come autore di alcune questioni), Julianus Bononiensis, ]ohannes de Parma, Bar­ tholomaeus de Varignana. Le nostre questioni-scritte prima del 1323, poiché Tommaso d'Aquino viene aru:ora citato come frater Thomas nel codex se­ guono direttamente le Recollectiones super primam fen primi canonis Avicennae recollectae sub magistro Antonio de Parma... per me Albertum Bononiensem (foll. l' a - 47• b), scritte dalla stessa mano. Già questo contesto esterno lascia sup­ porre che l'autore di entrambe queste parti sia il medesimo. Questo diviene poi sicuro grazie ad una citazione di un averroista bolognese più giovane che espii· citamente attribuisce ad Antonio da Parma la dottrina del tutto originale soste­ nuta nelle questioni in esame (cfr. sotto p. 116). 9! Foll. 53' h - 55' a: «Se il misto sia formato dagli elementi che rimangono oppure dagli stessi ma corrotti» (Utrum ex elementis salvatis fiat mixtio an ex ipsis corruptis). -

92

La struttura della sostanza materiale do il loro essere in atto. Tuttavia la remissione che avviene nelle qua­ lità degli elementi, quando in esse avviene una remissione successiva, produce una disposizione verso questa remissione delle forme che av­ viene istantaneamente» 93• Si tratta esattamente della soluzione di Baconthorpe, con una sola differenza: la remissione istantanea delle forme elementari è qui intesa in senso modale. Su questo punto veniamo poi a conoscere qualcosa di ancora più preciso: un simile essere suscettibile di più e meno (susci­ pere magis et minus) appartiene a tutti gli indivisibili imperfetti (in­ divisibilia imperfecta) verso i quali non può esserci movimento (ad quae non potest esse m otus) : figure, numeri e tutte le altre cose che non costituiscono forme perfette. Un quadrato contiene due triangoli in cui può essere diviso

in actu remisso, cioè in un essere medio tra

l'atto puro e la pura potenza (in esse medio inter actum purum et

potentiam puram) e ugualmente deve essere concepita la permanenza degli elementi nel misto. A giudizio dell'autore, anche Averroè ha con­ diviso proprio questa interpretazione della remissione e non quella che comunemente gli viene attribuita (non autem intelligebat eo modo quo sibi imponitur) . Il rapporto tra la forma del misto e gli elementi de­ ve essere pensato, rifacendosi ancora ad Averroè, in questo modo : la forma del misto informa la materia prima mediante le forme degli ele­ menti poiché questa consiste nel complesso delle forme elementari ri­ dotte secondo il modo che sappiamo, in quanto «la forma del misto che dà perfezione alla materia è composta da più forme elementari che si sono trasformate in un'unica forma me­ diante la fractio» 94 • Un ampliamento della remissione averroista, che per molti versi ri­ corda la teoria di Aureolo ed è anche influenzata da questa, si trova nello scotista italiano Francesco della Marca, il quale gode generalmen­ te di poca considerazione nella storia della filosofia, benché in più di un'occasione abbia percorso vie originali 95 , proprio come accade nel ca93 Il/a autem remissio formarum et permixtio ipsarum in tali forma media fit in instanti, nam in eo instanti in quo fit illa forma media, in ipso instanti re­ mittuntur formae extremae secundum esse eorum in actu. Ad hanc autem remis­ sionem formarum, quae fit in instanti, disponi! remissio, quae fit in qualitatibus elementorum, quando est motus et remissio circa eas (ibid.). 94 Quia forma mixti, quae perficit materiam, constituitur ex pluribus formis de­ mentorum trans/ormatis et refractis in unam formam (ibid. ) . 95 Cfr. Die Vorliiufer Galileis, passim e Zwei Grundprobleme, p . 1 6 1 sgg.

93

Scienza e filosofia nel Medioevo so del nostro problema. Non solo perché qui egli si discosta interamen· te dalla dottrina di Scoto e della sua scuola--che segue non la tesi aver· roista ma quella tomista-: egli perviene ad una interpretazione non solo originale e personale ma veramente significativa per il suo con· tenuto. Il problema del misto viene discusso con attenzione in diverse que· stioni del libro n del Commento alle Sentenze 9!i non però nella forma usuale, ma elencando e confutando dapprima le opinioni contrarie e ri· prendendo poi da capo la discussione del problema stesso. Risulta evi· dente la conoscenza che Francesco ha delle diverse interpretazioni che la tesi averroista ha incontrato ed egli fin da principio mette in discus· sione la tesi della riduzione in senso modale. La prima questione sull'argomento dice: se gli elementi rimanga· no nel misto soltanto in una potenza passiva (utrum elementa maneant in mixto tamquam in potentia passiva) e la risposta è: bisogna distin­ guere due modi in cui qualcosa può rimanere in potenza in qualcos'al­ tro, vale a dire o in potenza remota o in potenza propinqua. Nel ca­ so degli elementi vale il secondo modo . Ma anche la potenza deve es­ sere intesa in due maniere : una infatti comprende l'atto o sta insieme all'atto (est enim quaedam includens actum seu stans cum actu), men­ tre l'altra esclude l'atto (excludens actum) . Francesco della Marca ri­ tiene probabile che gli elementi rimangano nel misto in potentia pro­ pinqua non excludente actum. Le questioni che seguono devono poi portare maggiore chiarezza. Egli domanda ancora: se gli elementi sia­ no soltanto virtualmente in atto nello stesso modo in cui l'effetto è nella causa efficiente (utrum elementa sint tantum in actu virtualiter per modum qua effectus est in causa efficiente) e risponde : no, gli elementi rimangono realmente nel misto in un certo atto (in aliquo actu), non tuttavia in un atto virtuale come accade per la causa uni· voca ed equivoca (non tamen in actu virtuali per modum causae uni· vocae nec aequivocae) . La questione successiva pone l'interrogativo : se gli elementi esistano nel misto soltanto in un atto perfezionale, se­ condo una certa somiglianza equivoca delle stesse perfezioni proprio come le qualità contrarie esistono nelle qualità medie (utrum elemen96

Del Commento alle Sentenze di Francesco della Marca esistono due redazio· ni. Fino a quando non indicato diversamente in nota, seguiremo il ms. Chis. B VII 1 13 , più completo. Le questioni che ci interessano occupano qui il fol. 14Sr a . 149• b, mentre quelle corrispondenti (tutte in forma più abbreviata) della secon­ da redazione si trovano in Va t. lat. 943 foll. 29' b - 30' a. 94

La struttura della sostanza materiale

ta sìnt tantum zn actu perfectzonatt secunaum quanaam cunvenu::nuam aequivocam perfectionum ipsarum in mixto, qua contrariae qualitates sunt in mediis) . Come vedremo si tratta della dottrina scotista che de­ ve essere qui messa in discussione. Francesco risponde: no, neppure in questo caso, benché gli elementi in certo modo rimangano ugual­ mente nel misto, così come le qualità opposte in quelle medie, se quest'ultimo manere viene inteso giustamente. Segue poi la questione principale: se gli elementi siano nel misto in atto formale e secondo le proprie essenze e le proprie forme (utrum elementa sint in mixto in actu formali et secundum proprias essentias et formas eorum). In es· sa si dimostra che gli elementi non rimangono nel misto in actu for­ mali, conservando le proprie essenze specifiche, e viene spiegato in quale modo allora essi rimangano in actu. Bisogna considerare ancora che potenza e atto devono essere inte­ si in due sensi. Esiste una potenza che è semplicemente privativa (sim­ pliciter privatit-·a) e in cui la cosa non possiede nihil de actu, viceversa esiste un atto in senso assoluto in cui nulla è in potenza; esiste infi­ ne una potenza commista all'atto (potentia permixta actui) o un atto commisto alla potenza (actus permixtus potentiae) . La differenza tra atto puro e atto commisto alla potenza consiste in questo : nel primo la specie o ratio specifica della forma rimane, non invece nel secondo. Precisamente, nell'atto in senso assoluto la specie viene mantenuta in qualsiasi grado, essa è dunque indipendente dall'intensione e remissio­ ne, come d'altronde l'essenza di queste ultime consiste proprio nel la­ sciare immutate le specie. Dopo questa distinzione preliminare può essere finalmente risolta la questione posta. Per quanto concerne la permanenza degli elemen­ ti nel misto vale il principio: essi rimangono nello stesso atto com­ misto alla potenza in cui non vengono mantenuti i loro caratteri spe­ cifici (manent in ipso actu permixto potentiae in qua non salvantur eorum specificae rationes). E se Averroè--cosi prosegue della Mar­ ca-ha inteso in questo senso la sua remissione, sono d'accordo, ma se egli ha pensato che gli elementi rimangono secondo un essere ri­ dotto (secundum esse remissum) in cui tuttavia si salvano i caratteri specifici delle forme (in qua tamen salventur rationes specificae for­ marum ipsarum), non sono d'accordo (nego ipsum) . All'obiezione che una forma sostanziale non può essere suscettibile di intensione e remissione, bisognerebbe rispondere che una tale inten­ sione e remissione è possibile di nuovo in due modi. In senso stretto 95

Scienza e filosofia nel Medioevo come mantenimento del carattere specifico della forma, come nel caso degli accidenti, e una tale intensione e remissione è esclusa nel caso delle sostanze. L'intensione e remissione può venire poi intesa

magis

aequivoce, nel senso cioè che una forma può essere in atto in due modi o, in altre parole, che può avere un duplice atto: uno in cu1 s1 mantiene la specie (in quo salvatur species) e un altro in cui questo non avviene. «E secondo questo atto medio tra la potenza privativa e l'atto in senso assoluto, in cui si mantiene la specie della cosa, non ritengo sba­ gliato sostenere che la forma sostanziale è suscettibile di più e meno» 'TI . Questo actus medius viene illustrato con alcuni esempi tra cui il rapporto esistente tra qualità medie ed estreme. «Gli elementi rimangono nel misto nello stesso modo in cui le qua­ lità contrarie rimangono in quelle medie. Ma le qualità contrarie riman­ gono in quelle medie in questo modo: in un atto commisto alla potenza senza che in esso si conservino i loro caratteri specifici e formali, quin­ di ecc.» 98• Viene poi la prova che la concezione di Aristotele coincide con la dottrina esposta e infine troviamo alcune obiezioni unitamente alla loro confutazione. Tra le ultime si trova ancora una volta chiaramente e­ spressa la riflessione che costituisce la risposta all'interrogativo posto nel titolo : gli elementi rimangono effettivamente nel misto secondo le proprie essenze (elementa sunt in mixto formaliter secundum proprias

eorum essentias) 99, ma solo in gradu remisso, cioè in quello stato in­ termedio tra atto e potenza. Come della Marca lo immagini risulta ancora più chiaramente dal­ la seguente affermazione: «Cosi dunque duplice è l 'atto della forma. In primo luogo un atto in senso assoluto in cui si conserva il carattere specifico della forma e '11

Et secundum istum actum medium inter potentiam privativam et actum sim­ pliciter, in qua salvatur species rei, non habeo pro inconvenienti ponere sub­ stantialem formam suscipere magis et minus (ibid.). 98 E o modo elementa manent in mixto, qua qualitates contrariae manent in mediis. Sed qualitates contrariae isto modo manent in mediis, vide!. in actu per­ mixto potentiae, non salvatis in ipso earum rationibus specificis et /ormalibus, ergo etc. (ibid.). 99

Questa è l a formulazione più precisa che troviamo nella seconda redazione (Vat. lat. 943 fol. 30' b). 96

La struttura della sostanza materiale che si differenzia secondo una maggiore o minore intensità. In secondo luogo un atto commisto alla potenza in cui non si conserva in nessun grado il carattere specifico della forma o della cosa. Quest'ultimo si può chiamare actus aptitudinalis o actus confusionis poiché non possiede un suo nome proprio» 100• Questa dottrina presenta alcuni tratti eclettici e si avverte la co­ noscenza di soluzioni anteriori. Essa tuttavia contiene qualcosa di fon­ damentalmente nuovo, l'idea cioè che la variazione patita dagli elemen­ ti nel misto, l'unio alteratorum miscibilium aristotelica, non costitui­ sce un fenomeno originario e indipendente che non può essere ricon­ dotto ad altro, ma che per esso deve essere trovato un appropriato concetto antologico:

si può parlare di acttts confusionis poiché man­

ca una vera e propria indicazione.

Giovanni Canonico 101 accetta lo stesso punto di vista di France-

100 Sic ergo est duplex actus formae, sci!. simpliciter in quo salvatur ratio spe­ cifica formae, et iste subdistinguitur per intensum et remissum. Alius actus est permixtus potentiae, in qua non salvatur ratio specifica formae sive rei in quo­ cumque gradu. Et iste potest vocari actus aptitudinalis ve! actus confusionis, quia non babet nomen proprium. Questo brano è citato ancora dalla seconda reda­

zione (fol. 30' b). 101 Giovanni Canonico, che deve aver insegnato a Oxford verso il 1320, viene considerato generalmente diretto discepolo di Duns Scoto. E. Longpré (La pbi­ losophie du B. Duns Scot, :E:tudes Francisc., 36, p . 365 sgg.) ha invece mostrato che egli deve essere identificato nel catalano Giovanni Marbres e che il suo inse­ gnamento si è svolto non a Oxford ma a Tolosa. Lo stesso studioso ha poi cer­ cato di provare che Giovanni Canonico non ha insegnato verso il 1 320 ma ver­ so il 1450, ricorrendo ad argomenti tra cui è determinante il fatto che Longpré abbia conosciuto manoscritti solo della metà del xv secolo. Ora invece è noto un manoscritto della Fisica di Giovanni Canonico contenuto nel Vat. lat. 3013 e che, senza dubbio, risale alla prima metà del XIV secolo. Nell' explicit esso viene attribuito a un Franciscus Marbres : Expliciunt quaestiones libri Physico­ rum compilatae a venerabili J•• Francisco Marbres {poi, dopo la raschiatura) An­

glici hic sacrae theologiae baccalario et magistro in artibus Tbolosae doctoris Scoti... dictis hic tamquam magistri veritatis in omnibus adbaerendo (fol. 75' lj) _ Le parole che originariamente stavano sotto la raschiatura al posto di Anglici hic, non si lasciano più leggere {forse Catalani). La caratteristica di questo codice è che esso, fatto insolito, riporta in margine molte citazioni. Non solo vengono annotati in margine i nomi citati nel testo, ma spesso si trovano anche quelli di pensatori che nel testo sono indicati con aliqui. Tali nomi appartengono tutti alla prima metà del XIV secolo. Particolarmente ricorrenti sono quelli di Gerardo di Odone--collega quasi contemporaneo di Giovanni Canonico, se rimaniamo del vecchio avviso che quest'ultimo abbia insegnato a Tolosa verso il 1320-e di Francesco della Marca che ha insegnato a Parigi verso il 1320. Una dipen· 97

Scienza e filosofia nel Medioevo sco della Marca. Nel libro v del Commento alla Fisica 102 egli indaga se la generazione della forma sostanziale si compia in instanti oppure in tempore e discute preliminarmente le due questioni: se la sostan­ za abbia gradazioni nella sua essenza, secondo le quali essa sia suscet­ tibile di più e meno (utrum substantia habeat in sui essentia gradus

secundum quos ipsa suscipiat magis et minus) e se gli elementi sia­ no nel misto formalmente e secondo le loro forme sostanziali (utrum

elementa sint in mixto formaliter et secundum eorum formas substan­ tiales). La risposta alla prima questione è affermativa: le sostanze in genere-non solo quelle elementari-possono differenziarsi secondo più e meno, ma è anche possibile che una sostanza numericamente identi­ ca subisca intensione e remissione. Giovanni condivide dunque una concezione propria anche di altri scotisti 103 • La soluzione della secon­ da questione, se cioè gli elementi rimangano substantialiter nel misto, non riveste grande importanza . Egli segue in tutto la dottrina di Francesco della Marca e proprio come lui spiega in primo luogo che gli elementi non rimangono nel misto né in actu virtuali, come suc­ cede per la causa negli effetti, né secondo una somiglianza o conve­ nienza degli stessi con il misto (secundum similitudinem seu conveniett­

tiam ipsorum cum ipso mixto), né in actu formali (perfecto o remisso), in cui la specie si conserva, né infine soltanto secondo le loro quali­ tà (tantum secundum eorum qualitates) . Essi rimangono piuttosto in una attualità unita però ad una certa potenzialità (aliqua actualitate permixta tamen cum aliqua potentialitate) nella quale non si conser­ va l'esse specificum. Spiegando più precisamente questi diversi tipi di atto e potenza Giovanni segue quasi alla lettera della Marca e cosl pu­ re nella definizione accennata : questo atto commisto alla potenza può venire chiamato actus cuiusdam confusionis. Giovanni è convinto che la propria soluzione coincida con quella di Aureolo--della Marca, che egli per altro cita molto spesso, in questo contesto non viene mai espli­ citamente nominato-ed in un certo senso ha ragione poiché la solu­ zione di della Marca è sulla linea della teoria di Aureolo e ne sviluppa i concetti fondamentali. Tra le prove molto dettagliate che Giovanni

denza di Giovanni Canonico da quest'ultimo si manifesta anche in altri contesti, cfr. Die Vorliiufer Galileis e Zwei Grundprobleme, passim. 102 Phys. v, qu. 2, Vat. lat. 3013 foll. 58 v a - 61r a; del suo Commento alla Fi­ sica esistono numerose edizioni: Padova 1475, Venezia 1492, 1516, 1520. 103 Cfr. sotto p. 120. 98

La struttura della sostanza materiale Canonico adduce in favore della propria tesi non manca il parallelo con il rapporto esistente tra qualità contrarie e medie. Di nuovo dunque gli elementi rimangono nel misto in actu confu­ sionis. Questa risposta non è altro che la definitiva rinuncia a ogni ten­ tativo di spiegazione ma tuttavia indica una soluzione del problema e cioè il riconoscimento di una relazione oggettiva che non è possibile concepire mediante i concetti tradizionali. È una soluzione possibile so­ lo nel xrv secolo e nella quale opera già il mutamento in atto nella teo­ ria della conoscenza ma, d'altra parte, si tratta forse dell'unica «vera» soluzione cui la Scolastica può giungere percorrendo la via tracciata da Averroè.

99

LA CORRENTE « MODERNA»

Per il XIV secolo, la dottrina autorevole ed effettivamente domi­ nante non è stata la teoria del misto averroista ma quella tomista. La

tertia opinio, affiancandosi alle due soluzioni arabe, diviene gradual­ mente l 'opinio modernorum per eccellenza. Infatti la maggior parte dei filosofi della natura del XIV secolo ha condiviso la soluzione te­ mista o, per lo meno, è partita da essa per svilupparla o trasformar­ la all'interno delle proprie dottrine. Iniziamo il nostro esame con una serie di pensatori molto vicini al­ la filosofia dell'Aquinate che hanno accolto la sua soluzione senza ap­ portare alcuna modifica sostanziale. Pietro d'Auvergne, che portò a termine il Commento di Tommaso al De caelo et mundo, discute in

un

Quodlibet composto nel 1298 la

questione : se la forma sostanziale possa subire intensione e remissio­ ne oppure essere suscettibile di più e meno (utrum forma substantia­ lis possit intendi et remitti ve! suscipere magis et minus) 1• Egli respin­ ge decisamente questa possibilità per tutte le forme, anche per quel­

le degli elementi. Per la permanenza di queste ultime nel misto va­ le il principio: ogni forma sostanziale inerisce direttamente alla ma­ teria prima (omnis enim forma substantialis immediate inhaerit mate­ riae primae) ed è dunque impossibile sia una preformazione della ma­ teria per mezzo delle forme elementari (ridotte), sia una composizione della forma mixti tramite esse, in modo tale che quest'ultima informi

Quodl. m, qu. 7; Vat. lat. 932 fol. 135' a - 135• b. 100

La struttura della sostanza materiale la materia con la loro mediazione. Il rapporto tra la forma del mi­ sto e quella degli elementi deve essere concepito piuttosto come un tipo di successione necessaria nell'informazione della materia, per cui le forme precedenti permangono solo virtualmente in quelle successive: «Le forme dei misti non derivano dalla materia prima se questa non sarà stata prima informata dalle forme degli elementi, le quali ri­ mangono nelle forme dei misti non in atto ma solo virtualmente>> 2• In seguito troveremo concezioni analoghe, solo espresse in forma più precisa. Egidio Romano ha composto una Expositio su entrambi i libri del De generatione et corruptione 3 che in seguito acquistò una certa im­ portanza : divenne infatti l'interpretazione classica di questo testo nel­ l'ambiente dei terministi parigini del XIV secolo che nei propri com­ menti erano soliti trarre spunto da essa. Egidio ha poi scritto anche delle quaestiones ma solo sul libro I e per di più in modo incomple­ to; in ogni caso manca il nostro problema, generalmente discusso nel­ l'ultimo capitolo del libro I 4• Cosi della sua teoria del misto abbia­ mo solo un accenno nell'Expositio in una breve spiegazione della de­ finizione aristotelica : mixtio autem est miscibilium alteratorum unio 5 • Per quanto concerne la forma sostanziale degli elementi vi si affer­ ma, in completo accordo con Tommaso: «Gli elementi non rimangono formalmente e in atto secondo la so­ stanza, ma rimangono in potenza. Infatti la loro potenza si conserva poiché essi rimangono secondo le qualità attive e passive» 6• 2

Formae mixtorum non fiunt ex materia prima nisi prius fuerit sub formis elementorum, quae non manent in actu sub formis mixtorum sed virtute tantum (ibid. ). Per le numerose edizioni che per lo più contengono l'Expositio e le Que­ stioni sul libro I di Egidio Romano unitamente alle Questioni di Alberto di Sassonia e di Marsilio d'Inghen (cfr. sotto p. 130) vedi: G. Bruni, Le opere di Egidio Romano, Firenze 1936, p. 62 sgg. Noi usiamo l'edizione di Venezia 1502.

De gener. I, qu. 17 (Utrum substantia suscipiat magis et minus) non affron­ ta il nostro problema, cioè non troviamo alcun accenno alle forme elementari. Lo stesso vale per le Quaestiones metaphysicales (Ed. Venezia 1552), libro 1, qu. 27 (Utrum substantiis competa! aliquomodo suscipere magis et minus). 5 Ed. cit., fol. 30r a. Non autem forma/iter et in actu manent secundum substantiam, sed manent secundum virtutem, salvatur enim virtus eorum, quia manent secundum quali­ tates activas et passivas (ibid.). 101

Scienza e filosofia nel Medioevo Le qualità prime invece rimangono formalmente e in atto in qual­ che modo (formaliter et in actu aliquomodo). Egidio rimanda a una spiegazione più precisa in declarationibus 7 ma, come detto, nelle que­ stioni sul libro I manca quella riguardante il nostro problema 8 •

Dal trattato Contra gradus et pluralitatem formarum 9 è possibi­ le ricavare ancora qualcosa a proposito del nostro problema. Qui vie­ ne infatti discussa la questione

10

se nella trasformazione di un ele­

mento in un altro la qualitas symbola--cioè la qualità comune all'ele­ mento distrutto e a quello che si è prodotto: il freddo, per esempio, nel caso della trasformazione della terra in acqua-rimanga la stessa numericamente (numero) oppure solamente secondo la specie (eadem

specie) . La risposta ha un'importanza fondamentale, in particolare pro­ prio per il problema del misto. Tra gli accidenti, afferma Egidio, bi­ sogna distinguere quelli che stanno ex parte materiae e quelli che stanno ex parte formae. Per questi ultimi è impossibile rimanere nu­ mericamente identici se la forma sostanziale cambia, non per i primi: la materia, infatti, rimane numericamente identica in ogni cambiamen­ to e costituisce il principio comune in tutte le sostanze. Di una qua­ lità allora, che sia da attribuire più alla materia che alla forma-la mollezza, per esempio-si può affermare a ragione che «per quanto concerne la sua individuazione e la sua identità mate­ riale, una proprietà di questo tipo potrà rimanere numericamente iden­ tica» 1 1 • Egidio non si esprime esplicitamente sul rapporto esistente tra le

Egli dice anche che questo stesso problema viene toccato nel libro II nella spiegazione del passo De elementis autem ex quibus, ma in quel contesto non troviamo nulla di importante. 8 Bruni cita (op. cit., p. 170 al numero 168) una questione-An elementa ma­ neant immixta ( ! corr . : in mixto)--->. (Respondeo quod unum tempus est et ta­

men sunt infiniti motus et possunt esse, sicut patet in punctis locandis, quia si adveniat unus locandus, advenient infinita, (cum) non faciant distantiam, ergo per eandem positionem habebunt eandem mensuram localem. Similiter intelligendum de motibus, quia duae lineae secundum longitudinem non compatiuntur se, quia sic sunt dimensionatae, (sed) secundum latitudinem bene compatiuntur se infini­ tae; similiter duae superficies secundum latitudinem non compatiuntur se, quia 224

Il problema del tempo neamente in un solo e medesimo luogo, poiché sono privi di estensio­ ne e la somma di infiniti indivisibili non produce mai la benché mini­ ma estensione (magnitudo )-e cosl come infinite linee (rette) possono trovarsi contemporaneamente in un solo e medesimo luogo, poiché so­ no assolutamente prive di estensione secondo la larghezza e la profon­ dità (secundum latitudinem et profunditatem), o ancora così come in­ finite superfici (piane) sono compatibili rispetto alla dimensione delsic sunt dimensionatae, sed secundum profunditatem bene compatiuntur se. Cum ergo motus sit continuum quid, et continuum habens extensionem in longum so­ lum, quare similiter motus; sed hoc est secundum prius et posterius, quare re­ spectu praesentis duo motus non habebunt dimensionem, sed indistinctionem et indivisionem, quare poterunt duo motus esse in eodem tempore, et eadem ratio­ ne infiniti). Nei Communia Naturalium l'argomentazione è la seguente: : il fatto cioè che, da una parte, ogni singolo istante presente va verso il passato ma che, dal­ l'altra, l'istante per cosi dire permane e avanza contro la corrente del tempo. Si tratta di uno di quei fatti ultimi che non si lasciano ulteriormente spiegare e si devono al massimo illustrare ricorrendo a immagini più o meno esatte. Uno de­ gli esempi citati da Aristotele è appunto il rapporto con il movimento: come nel movimento il prima e il dopo sono separati dalla posizione del mobile, così nel tempo passato e futuro sono separati dall'istante presente; come il mobile rimane sempre lo stesso secondo la sua sostanza e cambia solo la sua posizione (il suo esse), cosi accade al n une nella corrente del tempo. Tommaso ha con­ cluso, per la proprietà commutativa (per commutatam proportionem): come tem­ po e movimento stanno in un rapporto reciproco, così si rapportano istante e mobile ; e poiché il tempo è misura per la durata del movimento, allora l'istante è misura per la durata del mobile, vale a dire per l'essere permanente di que­ st'ultimo. Questo nunc ha la particolarità di poter «coesistere» con un periodo lungo a piacere del tempo consueto (temporis nostri), e quindi con gli infiniti nunc contenuti in ogni arco di tempo, per piccolo che sia. (Si tratta comunque di un nunc di tempo, non di un nunc di aevum-Tommaso, nell'Opusculum de instantibus, respinge esplicitamente questa concezione-, ed è anche diverso dai nunc che compongono il tempo discreto e con i quali vengono misurate le ope­ razioni degli angeli). In questo modo viene rispettata anche l'affermazione di Aristotele che rappresenta il punto di partenza di tutta la costruzione: il nunc, che misura l'essere permanente del mobile, rimane sempre identico, mentre il 231

Scienza e filosofia nel Medioevo

del quale parleremo in seguito--non ha ammesso alcuna reale differen­ za tra essere ed essenza, per cui non poteva prendere in considerazio­ ne la derivazione dell'unità del tempo dall'unità dell'analogia. La spiegazione dell'unità del tempo proposta da Olivi si sviluppa in una direzione assolutamente nuova. Egli discute il problema nelle questioni riguardanti il libro n delle Sentenze redatte in forma defini­ tiva certamente dopo il 1283, diversi anni dopo la sua lettura delle Sentenze. La questione viene posta nella forma seguente: «Se dal punto di vista numerico le durate delle cose create siano solo due o siano più di due, oppure se dal punto di vista numerico le misure dell'esistenza delle cose create siano solo due o più di due o una sola» 187• Olivi dunque si domanda se esistano un aevum e un tempo o ne e­ sistano più di uno, oppure se non esista forse un'unica misura per l'e­ sistenza sia degli eviterni sia delle realtà temporali. Egli ha già in real­ tà risolto l 'ultima parte del problema nella questione precedente o, per lo meno, ha lasciato intravvedere quale soluzione riterrebbe personal­ mente più corretta. Si tratta qui 188 del problema molto discusso se nell'essere della sostanza separata (substantiae separatae) e quindi nel­ l'aevum si debba o non si debba ammettere una successione. Olivi propende per la concezione secondo cui l'essere di tutte le cose create

mmc

nel flusso del movimento è sempre diverso. Questa concezione, nonostante le gravi difficoltà che include, è stata condivisa da molti scolastici, particolar­ mente nel XIII secolo, e non solo dai tomisti. La critica decisiva giunge solo con Duns Scoto, il quale, tra le altre, solleva l'obiezione che la spiegazione tomista ammette due diversi e opposti nunc, uno dei quali rimane e l'altro scompare, mentre Aristotele intendeva sostenere che un solo e medesimo nunc sotto un punto di vista rimane identico, sotto un altro punto di vista è sempre diverso. Duns Scoto, da parte sua, ritiene che l'essere di tutte le realtà permanenti, sia delle sostanze corporee sia di quelle incorporee, venga misurato dall'aevum. Que­ sto punto di vista fu accolto non solo dagli scotisti, con una sostanziale unani· mità, ma anche da numerosi altri pensatori del XIV secolo: esso sembra presen­ tare minori difficoltà rispetto a quello di Tommaso benché anche quest'ultimo trovi nel XIV secolo molti sostenitori. !87 Sent. II (ed. B. Jansen, Quaracchi 1922-26), qu. 10: An sint solae duae du­ rationes numero rerum creatarum vel plures, seu an sint so!ae duae numero men­ surae existentiae rerum creatarum vel plures, aut una sola numero. 188 qu. 9: «Se l'essere delle realtà create, almeno di quelle spirituali, sia suc­ cessivo o abbia simultaneamente tutta la propria durata» (An esse rerum creata· rum, spiritualium saltem, sit successivum vel habeat totam durationem suam simul). 232

Il problema del tempo è successivo (quod esse omnium creatarum est successivum), e replica all'obiezione secondo cui non esisterebbe allora alcuna differenza for­ male tra tempo ed aevum : «Confesso di non saper chiarire la differenza formale. E tuttavia non credo di dover ritenere per questo motivo che l'aevum non sia succes­ sivo, in quanto ritenere che l'aevum non sia successivo è un'incon­ gruenza maggiore, più pericolosa e, credo, più evidente, che non rite­ nere sia della medesima specie del tempo» 189• Rimane allora solamente la questione se esista un solo tempo o e­ sistano più tempi. Tra le opinioni che Olivi vuole confutare, quella di Bacone sta al primo posto: taluni (quidam) hanno ammesso che «tutti i movimenti che esistono simultaneamente non rappresenta­ no per il tempo che un unico soggetto, dal momento che esistono per il tempo secondo un'unica dimensione o un unico aspetto misurabile, e cioè secondo la lunghezza o il prima e il dopo» 190 • Gli argomenti con i quali Olivi intende confutare questa teoria di­ mostrano tuttavia soltanto che egli non l'ha compresa. Si sofferma in­ fatti su un solo punto, per di più non fondamentale, sul fatto cioè che un unico accidente numericamente identico potrebbe appartenere a più soggetti, e non si accorge che la ragione di ciò non sta né nell'uni­ tà della capacità di accogliere l'accidente (potentia susceptiva accidentis) né delle inclinazioni ad accogliere l'accidente (dispositiones suscepti­ vae), ma nella struttura dimensionale degli «accidenti» in questione . Infine è falsa l'idea per cui si ammette come soggetto del tempo una materia numericamente unica (pro subiecto temporis una materia lzu­ mero omnium )-si tratta quindi della concezione di Bonaventura­ poiché questo è impossibile per diverse ragioni, secondo quanto molti sostengono in modo probante (sicut a multis efjicaciter probatur). Anche la tesi averroista deve essere respinta :

1 89

Fateor me nescire dare differentiam formalem. Nec !amen propter hoc te11en­ dum mihi esse iudico aevum non esse successivum, quia maius et periculosìus inconveniens est et, ut credo, evidentius, tenere aevum non esse successivum quam tenere quod sit eiusdem speciei cum tempore (ibid.) . 190 Quod omnes motus simul existentes respectu temporis non habent nisi ratio­ nem unius subiecti, quia non habent nisi rationem unius dimensionis vel mensu­ rabilitatis respectu eius, scil. in longum vel secundum prius et posterius (ibid. ) . 2.3.3

Scienza e filosofia nel Medioevo

«Neppure si dovrà considerare soggetto primo del tempo un solo movimento e cioè il movimento del primo mobile» 191 • Il motivo che Olivi adduce è di importanza fondamentale: secondo il suo punto di vista Aristotele ha sbagliato 192 nel considerare, come u­ nico e diretto soggetto del tempo, il movimento e non l'esistenza attua­ le in quanto tale. Infatti, questo è il principale argomento di Olivi, ciò che vale per l 'essere degli eviterni, degli angeli-ed egli è veramen­ te convinto che tale essere sia una durata successiva- vale anche, e più, per quello delle creature temporali: «Se anche l'essere delle creature eviterne è effettivamente succes­ sivo nella propria continuità e non solo nelle proprie operazioni, ciò non sarà meno vero anche nel caso dell'essere delle realtà temporali che sarà effettivamente successivo nella propria permanenza e conti­ nuità e non solo nelle proprie modificazioni» 193• D'altra parte, egli è pure certo che il tempo appartenga alle realtà temporali anche quando sono in quiete : « Il tempo sembra inerire alle realtà temporali anche quando queste non si muovono in atto» 194, e precisamente non solo per accidens ma intrinsecamente, addirittura in senso più vero e reale di quanto appartenga ai movimenti, «poiché la persistenza di una forma introdotta dopo il movimento­ che qui si definisce quiete-possiede un essere e un'esistenza più veri 191 Non etiam erit dare unum motum pro subiecto primo temporis ut vide/. mo­ tum primi mobilis (ibid .) .

192

Olivi trova che Aristotele si sbagli spesso e, come una volta afferma molto chiaramente, non approva che alcuni filosofi lo valutino tanto, e lo ritengano un'autorità: 28, 1935, p . 406). 193

Si etiam esse aeviternorum in sua continuatione et non solum in suis opera­ tionibtts habet veram successionem, non minus hoc erit de esse temporalium, quod in sua permanentia et continuitate habebit veram successionem et non so­ lum in suis transmutationibtts (ibid.). 194 Tempus temporalibus inesse videtur etiam dum actu non moventur (ibid.). 234

Il problema del tempo del movimento, così come il permanere nel centro si considera attualiz­ zazione della gravità più perfetta che non il muoversi verso il cen­ tro » 195• E quando Aristotele sostenne che la quiete delle realtà temporali è nel tempo non in sé ma solo per accidens, giunse a tale conclusione in quanto ritenne che soggetto proprio e per sé del tempo (proprium et per se subiectum temporis) fosse il movimento e non l'essere o l'esi­ stere in atto nella permanenza, nella continuità o nella durata (actu es­

se ve! existere sub permanentia ve! continuitate seu duratione). Ma quale rapporto esiste tra il tempo così inteso, l'unità e l'u­ nicità? Olivi non dice esplicitamente quale sia la sua opinione perso­ nale in proposito ma si limita-come spesso in altri casi-a riferire come alcuni abbiano risposto a questo problema e quali argomenti ab­ biano addotto a sostegno della loro soluzione . È tuttavia evidente qua­ le soluzione egli condivida: «Alcuni talvolta sostennero che vi sono tante durate e tanti tem­ pi quante sono le realtà che durano o esistono in atto, e che l'unità nu­ merica attribuita al tempo gli viene attribuita dal solo intelletto, così come in modo specifico gli universali traggono dall'intelletto l'unità e l'essere comune» 196• Esistono dunque realmente tanti tempi quante sono le esistenze at­ tuali e l'unità del tempo è puramente ideale, posta dall'intelletto co­ noscente e J?aragonabile a quella degli universali 197 • È possibile addur195 Quia manentia formae post motum introductae-quae hic quies nominatur­ plus habet de veritate essendi et existentiae quam motus, ut manere in centro perfectiorem actum dicit gravitatis quam moveri ad centrum (ibid.). !96 Aliqui aliquando dicere voluerunt quod esseni tot durationes et tempora qual sunt durabilia seu actu existentia, et quod unitas numeralis, quae attribuitur /empori, attribuatur ei a solo intellectu sicut suo modo ab eo attribuitur unitas et communitas universalium (ibid.). '97 In un altro senso, un parallelo tra il problema del tempo e quello degli uni­

versali, era già stato proposto prima di Olivi e precisamente da Egidio Romano e da Enrico di Gand (cfr. sopra p. 183 sgg.). Tuttavia per loro si tratta di un altro problema, cioè della realtà del continuo temporale. Che all'istante presente spetti un essere al di fuori dell'anima (esse extra animam) è cosa certa per tutti, ma il problema era se e come dalla realtà dell'istante privo di estensione, che non è una parte del tempo poiché i punti non sono parti di un continuo, potesse derivare la totalità del tempo. Una delle soluzioni proposte era proprio la con­ cezione di Egidio e di Enrico secondo cui l'essere del continuo temporale è para­ gonabile a quello degli universali: ciò che l'intelletto abbraccia con un solo

235

Scienza e filosofia nel Medioevo re argomenti a favore di questa tesi muovendo da tre punti di vista : dal punto di vista del soggetto (ex parte subiecti) poiché « alla pluralità dei soggetti propri segue necessariamente la pluralità

degli accidenti e delle passioni» 198;

dal punto di vista della misura (ex parte mensurationis), poiché ogni grandezza e ogni misura presuppone nell'oggetto misurato una quanti­ tà che sia in effetti numericamente diversa dalla quantità della misura (alia numero a quantitate mensurae), ma simile per quanto si riferisce alla specie (consimilis in specie). Non si può misurare un tessuto per mezzo di cubiti o palmi se il tessuto non possiede de se e per se una quantità : «Se dunque il tempo, o qualunque altra durata, misura cose in cui non si trova come nel proprio soggetto, sarà necessario che, oltre a ta­ le tempo misurante, si abbia nelle cose da esso misurate, di cui si di­ ceva prima, una certa quantità numericamente diversa dal tempo mi­ surante, e tuttavia simile per specie, poiché in caso contrario non po­ trebbe essere misurata da quello» 199 • Lo stesso vale dal terzo punto di vista, cioè da quello della durata

(ex parte durationis) : «Ogni cosa infatti, così come possiede un essere proprio o un'esi­ stenza propria, possiede anche una durata propria» 200 , poiché con durata non bisogna intendere nient'altro che il persistere e il conservarsi della propria esistenza (permanentia et conservatio pro-

sguardo (così come comprende molti dati partico!ari-particularia-in un solo concetto universale) è, in questo caso, la molteplicità degli istanti che si succe­ dono nella direzione della dimensione temporale stessa. Per Olivi invece è, in certo modo, una molteplicità nel senso della estensione quella che viene raccolta in un unico concetto: sono le molte durate (durationes) simultanee, ognuna del­ le quali ha il proprio tempo specifico. 198

Ad plurificationem propriorum subiectorum sequitur necessario plurificatio accidentium et passionum (ibid.). 199 Si igitur tempus ve! quaecumque alia duratio mensurat aliqua in quibus non est tamquam in subiecto, necessario exigetur, quod praeter ipsum tempus men­ surans detur in praedictis mensuratis ab eo aliqua quantitas alia numero a tem­ pore mensurante, consimilis tamen in specie, quia aliter non posset mensurari ab eo (ibidi.). 200 Unaquaeque enim res, sicut habet esse vel existere sibi proprium, sic et du­ rationem (ibid.). 236

Il problema del tempo

priae existentiae), sia che si tratti di un essere concepito in mutamen­ 20

to continuo sia di uno in quiete e immutabile 1 • La soluzione di Olivi è dunque non che ci sono tanti tempi quanti sono i movimenti (tot tempora quot motus), ma quante sono le realtà esistenti (tot tempora quot existentiae). All'unità, sotto cui l'intellet­ to conoscente raccoglie tali tempi, non spetta alcun essere reale extra­ mentale. Si tratta di una teoria originale e ardita, e Olivi era senz'altro cosciente che difficilmente avrebbe trovato consensi e che anzi avrebbe provocato nuove difficoltà. Per questo motivo, nella conclusione, ha preferito ritrattare tutto e ammettere la concezione tradizionale :

«Questa opinione tuttavia è assai poco diffusa in quanto oggi, per quanto mi risulta, non è condivisa da alcun pensatore di rilievo. Tutti infatti generalmente ritengono che esistano secondo la specie due mi­ sure delle durate, e cioè tempo ed aevum e che il tempo sia uno sol­ tanto numericamente-anche se non tutti sono d'accordo sul fatto se esista un solo aevum o più-e negano in genere i principi su cui si ba­ sa l'argomento esposto prima. La maggior parte ritiene infatti che una pluralità di cose possa assumere la funzione di un soggetto unico nei confronti di taluni accidenti, e cioè del numero, del tempo e forse del 20 luogo 2 ; altri invece ritengono che il primo mobile possa essere il sog­ getto primo del tempo; altri infine che tale soggetto sia la materia pri­ ma che essi considerano numericamente una. E dunque tutti giudica­ no comunemente che gli argomenti prima esposti siano superficiali, in­ concludenti e non abbiano alcuna forza una volta negati i loro fonda­ menti. Non ci resta dunque che ammettere che il tempo è numerica­ mente uno, e ciò concorda sia con quanto dissero i santi sia con l'opi­ nione generalmente accettata (per quanto riguarda l'aevum si possono avere diverse opinioni, poiché alcuni ritengono ne esista uno solo, al­ tri ne esista più di uno)» 203• 201

Cfr. sopra n. 150. Questa formulazione della dottrina di Bacone rende ancora una volta evi­ dente che Olivi non l'ha rettamente intesa. Gli accidenti di cui parla Bacone sono tutti quantità caratterizzate da dimensioni (quantitates dimensionatae): pro­ prio per questo il loro è un caso eccezionale. Il numero invece non appartiene evidentemente a questo gruppo (cosa che Bacone afferma esplicitamente e pun­ tualmente). È da notare che Olivi qui parla di molti (plures) che condividono la tesi di Bacone. I due alii che seguono indicano i sostenitori della dottrina averroista e di quella di Bonaventura. 202

203

]sta autem via Ionge est ab aula, quia a nullo magno communiter badie, quod sciam, tenetur. Omnes enim communiter volunt, quod sint duae mensurae durationum specie, scii. tempus et aevum, et quod tempus sit unum solum nu­ mero--licet quidam magnorum in hoc diversificentur quod aliqui eorum ponunt 237

Scienza e filosofia nel Medioevo

Di queste diverse spiegazioni dell'unità del tempo sviluppatesi nel secolo accanto alla dottrina averroista, nessuna ha avuto un ef­ fetto e una diffusione pari a quella del Commentatore. Questa, alla fi­ ne del XIII e agli inizi del XIV secolo, divenne dominante e fu accet­ tata e ripresa da tutti coloro che non si interessavano in modo appro­ fondito al problema. Molto presto tuttavia subentrò una modificazione del pensiero averroista o, per meglio dire, venne completato riguardo a un punto sul quale il Commentatore non si era espresso, e in tal mo­ do il quadro complessivo assunse un aspetto diverso. Il tempo in sen­ so stretto è il «numero secondo il prima e il dopo» , oppure la quanti­ tà successiva (quantitas successiva), del movimento primo e appartie­ ne al movimento primo sia come determinazione inerente (accidens o passio) sia come misura. D'altra parte, per determinati motivi che la Scolastica ha poi esaminato in dettaglio, esso si presta come misura per tutti gli altri movimenti senza inerire loro. Fin qui la definizione concorda con il genuino pensiero averroista. Ciò che la Scolastica ag­ giunge è la seguente considerazione, già proposta da Olivi sebbene con diversa intenzione: se il tempo per i movimenti terrestri è una misura separata (mensura separata) , allora deve esistere in essi necessariamen­ te una quantità che viene misurata per mezzo di tale grandezza. Per questa via si giunge alla distinzione tra tempo intrinseco e tempo e­ strinseco, il primo dei quali è la quantità successiva dei singoli movi­ menti mentre il secondo è il tempo nel senso della definizione aver­ roista, il tempo in senso stretto (tempus propriissime dictum). Si tratta poi per il resto solo di differenze terminologiche, se si vuole riservare il termine « tempo» al tempo in senso stretto o se si parla di tempo in senso ampio o meno ampio (tempus large e minus large o, viceversa, proprie e minus proprie dictum) , ecc . : l'idea fondamentale rimane sempre la stessa. Secondo la concezione scolastica esistono realmente tanti tempi diversi quanti sono i diversi movimenti e l 'unità del temXIII

plura aeva, aliqui unum solum-negantque ut plurimum principia rationis prae­ missae. Volunt enim plures quod plura possint habere rationem unius subiecti respecttl aliquorum accidentium, scil. respecttl numeri et temporis et forte loci; alii vero quod primum mobile possit esse primum subiectum temporis, alii vero quod prima materia quam ponunt unam numero. Et ideo omnes communiter ra­ tiones praemissas et acephalas reputant, praemissis enim fundamentis negatis nihil roboris habent. Et ideo ad praesens nobis tenendum est (!) tempus esse unum numero, concorda! enim hoc tam dictis sanctorum quam opinioni communi (de aevo vero secundum diversos varie sentiri potest, quia quidam unum aevum tan­ tum ponunt, quidam plura) (ibid.). 238

Il problema del tempo po è garantita semplicemente dalla formula citata sempre: esse in tem­ pore est tempore mensurari: essere nel tempo «in senso stretto» non significa altro che un essere-misurato da questo tempo 204• Questa idea trova una buona formulazione nel Quodlibet di Gof­ fredo di Fontaines indicato dall'editore con il numero 15 205 e che pro­ babilmente è anche l 'ultimo che egli ha scritto (dopo il 1292}: «Bisogna precisare che in due modi si può intendere la misura di qualcosa . In un modo si intende la sua quantità, che le inerisce formal­ mente e la rende formalmente una quantità, come nel caso in cui si de­ finisce misura di un corpo la lunghezza per cui esso è formalmente lun­ go. Più generalmente, in un secondo modo, si definisce misura ciò me­ diante la cui applicazione si conosce la quantità di un'altra cosa, come nel caso in cui il braccio viene definito misura della stoffa. Ogni movi­ mento dunque, qualunque esso sia, possiede una misura intrinseca, in­ tesa nel primo modo, che lo rende formalmente una quantità ; in que­ sto senso, quanti sono i movimenti, altrettante sono effettivamente le quantità successive che li rendono formalmente quantità. Se si conside­ ra invece la misura nel secondo modo ricordato, allora esiste una sola misura di tutte le realtà temporali . . . , e cioè la quantità successiva che si trova nel movimento del primo mobile come nel proprio soggetto, e che per natura è la più sicura per conoscere la quantità degli altri mo­ vimenti . Perciò misuriamo anche la durata degli altri movimenti fa204 Gregorio da Rimini ha espresso più tardi questa idea in modo chiaro e pe­ rentorio (nel Commento alle Sentenze composto nel 1344 , libro n, qu. l, art. 1 ; ed. Venezia 15 18) : .

(Dicendum quod quaecumque res ponitur esse tempus, secundum nullam opi­ nionem cum dicitur aliquid esse ve! moveri in tempore, signi/icatur illud esse vel moveri in illa re quae est tempus. Unde nec qui ponunt tempus esse acci­ dens successivum caeli-sive sit motus sive distinctum a motu--cum dicunt equum currere spatium aliquod in tempore, intelligunt quod currat in aliquo accidente existente in caelo, sed intelligunt quod cursus illius potest mensurari per illam rem quae est tempus. Et sic etiam exponit Philosophus in 4• Physicorum dicens quod motui esse in tempore est tempore mensurari). 205 Quodl. xv, qu. 9 : (utrum primum aeviternum sit mensurabile aliqua mensura) (Les philosophes belges XIV, ed. O. Lottin, Louvain 1937, pp. 48 sgg.). 239

Scienza e :6losofìa nel Medioevo cendo riferimento al giorno, all'ora o ad altri periodi di questo ge­ nere» 206• Hervaeus Natalis, alcuni anni più tardi, s1 esprime in modo del tut­ to simile nel Commento alle Sentenze : «Bisogna precisare che in due modi si può intendere la quantità, il primo dei quali, ampio e meno proprio, è quello in cui si fa riferimen­ to a ogni quantità successiva. Se si intende il tempo in questo modo, vi sono tanti tempi quanti sono i movimenti, poiché ogni movimento possiede una quantità successiva che lo rende formalmente una quan­ tità di carattere successivo ... In modo diverso, in senso proprio e stret­ to, si definisce tempo la quantità successiva più uniforme e più sempli­ ce, adatta per natura a determinare le altre quantità cui viene applica­ ta, e in questo senso diciamo che qualcosa dura un giorno, un'ora o un altro periodo di questo genere. Se si intende tempo in questa ma­ niera, non può esistere che un tempo numericamente unico» '1JJ7 . 206

Sciendum est quod mensura alicuius potest duobus modis accipi. Uno modo pro quanti/ate sua formaliter sibi inhaerente quae facit ipsum formaliter quan­ tum, sicut si longitudo corporis qua formaliter est longum dicitur eius mensura. Alia modo dicitur mensura magis usitate illud quod ex sua applicatione ad alte­ rum facit certitudinem de quantitate alterius, sicut si dicatur quod telna est mensura panni. Modo dico quod omnis motus, quicumque sit ille, habet mensu­ ram intrinsecam primo modo dictum, facientem ipsum formaliter quantum, ita quod quot sunt motus, tot in veritate sunt quantitates successivae facientes ipsos formaliter quantos. Accipiendo autem mensuram secundo modo dictam, sic est una sola mensura omnium temporalium .. . , sci!. illa quantitas successiva quae est in motu primi mobilis ut in subiecto, quae certissima est nata certificare quan­ titatem aliorum motuum. Unde et alias motus mensuramus secundum quod du­ rant per diem ve! horam vel aliquid tale (ibid.). '1JJ7 Seni. II, dist. 2, qu. l: > (quia sicut locatum habet quantitatem, qua formaliter est

quantum, aliam a quantitate corporis locantis, et pannus habet quantitatem, qua forma/iter est quantus, aliam a quantitate ulnae mensurantis: ita videtur mihi quod quilibet motus habeat propriam quantitatem successivam aliam a quantitate successiva primi motus quod est tempus proprie dictum, quo alii motus mensu­ rantur sicut mensura extrinseca). La stessa distinzione di una duplice misura, mo­ tivata nello stesso modo, viene proposta da Hervaeus anche nel Quodlibet n , qu. 1 2 : > (tempus sumptum materialiter in esse

naturae respectu dìversorum motuum est diversum, nec est unum tempus ut sic omnìum temporalium, sed sunt plura tempora simul). 261

Scienza e filosofia nel Medioevo po non s1a altro che il movimento o, più correttamente, il mobile in movimento continuo (mobile continue motum ) . Le opinioni divergono più che altro su questo punto : quale movimento debba essere consi­ derato tempo in senso proprio ( tempus propriissime dictum) . Anche a questo livello la conclusione è sempre una completa relativizzazione. Alberto di Sassonia, per citare un solo esempio, dedica a questo pro­ blema un lungo capitolo del suo Commento alla Fisica (composto poco dopo la metà del XIV secolo) 268• In primo luogo egli precisa quali con­ dizioni debbano essere soddisfatte affinché qualcosa possa valere come misura per altre cose: deve essere, se possibile, simile, dello stesso ge­ nere (unigenium) di ciò che viene misurato; deve essere noto (commu­ ne et famosum) , immutabile e soprattutto il più semplice secondo il senso o secondo l'uso (minimum secundum sensum vel secundum usum) 269• Nel caso del movimento le conclusioni sono queste:

« l ) ogni movimento conoscibile può essere tempo»-poiché per mezzo di ogni movimento noto possiamo misurarne ogni altro-- ; 2) per chi non lo conosce, il movimento del cielo non è tempo ; 3 ) ogni movimento del cielo può essere il tempo cui si fa riferimento come al tempo principale; 4) la maggior parte delle persone definisce tempo il movimento del sole, in quanto è il più conosciuto; 5 ) per alcuni è tempo il movimento della luna; 6) il movimento proprio dell'ottava sfera non è il tempo» 270, poiché un movimento che in cento anni avanza solo di un grado-­ una rivoluzione delle stelle fisse avverrebbe, secondo la concezione dominante, in 3 6 .000 anni-non è praticamente percepibile e non sod­ disfa dunque le condizioni essenziali per essere misura. Con ciò viene negato il ruolo di tempo anche al movimento in cui Averroè aveva in­ dividuato l 'unico soggetto del tempo (subiectum temporis). Possono in­ vece venire considerati come tempo tutti i movimenti uniformi, celesti o terrestri, come il movimento di un orologio (sicut motus horologii). Oppure, secondo la formula di Marsilio di Inghen, la cui concezione del tempo dipende da quella di Alberto,

268 Phys. rv,

qu. 14, art. 3: > (Hic posset videri alicui, sicut mihi aliquando videbatur,

quod Deus posset simul producere infinita aequalia, et movebat me ad hoc istud: quod... partes proportionales infinitas, ut mihi tunc videbatur, potest Deus facere esse simul ab invicem diversas actu) (ibid.). Con quel aliquando egli pensa senz'altro al seguente passo del libro I : > (Via communis est mihi probabilior pro nunc) (fol. 79). Ad ogni modo egli aggiunge: artdi in esse, et ipsa finita est, quare est aliquod minimum illius virtutis, et in maiori corpore est maior virtus et in minori minor, quare erit devenire ad aliquid ita parvum, quod si dividatur non amplius manebit (ibid.). 76 Quaelibet virtus naturalis est determinata... ad minimum in quo potest sub­ sistere seorsum (Pbys. VI, qu. l ; Ed. Venezia 1551). Jandun discute questo 306

Continuo, minimi e infinito attuale Da ciò deriva senz'altro che nell'intero non esistono minimi-mi­

nima inexistentia, secondo l'espressione coniata sul finire del XIV se­ colo in opposizione ai minima per se existentia-; parti non separa­ te dall'intero, possono invece essere piccole a piacere. Ma quelle particelle che si trovano al di sotto del limite minimo in che cosa dovrebbero trasformarsi? Senza dubbio soltanto nella so­ stanza stessa dalla quale non sono separate e che per questo motivo rappresenta per esse il corpo ambiente (continens) . La teoria dei minima naturalia, così come viene qui formulata, non riguarda quindi il problema dell'infinita divisibilità delle sostanze continue, ma sostiene unicamente l 'esistenza di minima separata, ri­ velando inoltre altre connessioni . È questa la forma della dottrina che in seguito, seppure non immediatamente, divenne dominante. Riccardo di Mediavilla ricorre nuovamente alla concezione di Ba­ cone n . Egli pone la questione se la grandezza naturale sia divisibi­ le all'infinito (utrum magnitudo naturalis sit divisibilis in infmitum) e risponde proponendo le tre seguenti tesi: «L La grandezza matematica è divisibile all'infinito ; 2. La grandez­ za naturale rispetto all'atto dell'essere è divisibile all'infinito ; 3 . Rispet­ to all'atto secondo, che è generare ciò che è simile a sé, muoversi e sti­ molare i sensi, non è divisibile all'infinito» 78• Una «grandezza naturale »-sicu t magnitudo considerata in aere et in igne--è infinitamente divisibile in quanto sostanza e precisamen­ te nel suo essere sostanziale più pieno, con tutte le sue proprietà e forze. «Si potrebbe tuttavia pervenire a parti così piccole che in nessun modo potrebbero conservarsi in essere soltanto in virtù della forza inproblema in diversi passi, per esempio anche nelle Questioni sul De mbstantia orbis (qu. 8), e sempre in stretto rapporto con il pensiero di Sigieri. Questo vale in modo particolare per la qu. 16 del libro I del Commento alla Fisica: «Se i corpi naturali abbiano un limite massimo e uno minimo>> (An naturalia ad maximum et minimum terminata sint). Bisogna forse ravvisare in questa di­ pendenza un argomento a favore della discussa autenticità delle Questioni di Sigieri?

Quodl. m, qu. 5 (Ed. Brescia 159 1 ) . 78 l . Quod magnitudo mathematica est divisibilis in infinitum. 2. Quod magni­ tudo naturalis quantum ad actum essendi est divisibilis in infinitum. 3. Quod quantum ad actum secundum qui est generare sibi simile et movere se et ma­ vere sensum non est divisibilis in infinitum (ibid.). n

307

Scienza e fìlosofìa nel Medioevo sita in esse e questo a motivo della debolezza della forza presente in quelle parti. Tuttavia Dio potrebbe conservare quelle parti» 79• Probabilmente Aristotele ha concepito proprio cosl la sua tesi

de carne minima. «Ma ciò non costituisce un impedimento, poiché la stessa carne po­ trebbe essere divisa senza fine, supposto che le parti vengano conser­ vate. Per cui, onde evitare ogni controversia : Dio potrebbe dividere la carne senza fine ed ogni parte possiederebbe la materia e la forma di carne e cosl la carne sarebbe divisibile all'infinito rispetto all'atto pri­ mo» 80• Riccardo respinge dunque i minima separata di Sigieri con gomento che sposta il problema ad un altro livello.

un

ar­

Diversa è la situazione per quanto concerne l'actus secundus. Dio, per esempio, potrebbe dividere il fuoco in scintille cosl piccole che se fossero ancora più piccole non sarebbero più in grado di trasfor­ mare in fuoco (cioè di bruciare) altre sostanze o di dividere il mez' zo e quindi di muoversi 81 o, infine, di stimolare i sensi, cioè di esse­ re percepite. «Cosl dunque appare-- 86• Questo non esclude assolutamente la divisibilità: «Da ciò non deriva che non appartenga a quello considerato in sé Clo che gli appartiene considerato secondo la quantità-infatti anche l'animale vede simpliciter-e quindi ogni ente naturale è divisibile in parti sempre divisibili, all'infinito» "'· Anche la seconda spiegazione non regge alla critica perché la (infi­ nita) divisibilità, come è essenziale per il quantum come tale, cosi è ugualmente essenziale per la parte come tale che può esistere per sé. «E se si afferma che essa immediatamente si trasformerebbe nel corpo ambiente: questa risposta non è utile alla comprensione del pro­ blema. Cerchiamo infatti un minimo che possa esistere per sé per una ragione intrinseca, cioè un minimo al quale, per una disposizione in­ trinseca, ripugni come contraddittoria l'esistenza di una parte minore di esso. Se l'intero si corrompesse, non si individuerebbe alcuna causa intrinseca di questa impossibilità» 88• Ammesso questo, risulta allora esserci al mondo un'unica sostanza senza dubbio divisibile in infinitum, l'acqua: non enim repugnat for­

mae acquae ista parvitas 89• 86 Sicut si diceretur quod anima! inquantum habet oculos videt, non inquan­ tum habet manus (ibid.). "' Ex hoc non sequitur quod simpliciter ei non conveniet quod convenit ei se­ cundum quantitatem ... Ita igitur absolute est omne naturale divisibile in semper divisibilia in infinitum (ibid.). 88 Et si dicas, quod statim converteretur in continens: ista responsio non vide­ tur esse ad intellectum quaestionis. Quaerimus enim minimum potens per se esse ex ratione intrinseca, h. e. cui per aliquod intrinsecum repugnat contradic­ torie minus eo per se esse. Nulla autem ratio huius impossibilitatis intrinseca assignatur, si totum corrumpatur (ibid.) . 9 8 Guglielmo di Alnwick segue Duns nella distinzione, nella critica e nel ri­ fiuto di entrambi i punti di vista (precisamente in una delle Determinationes del ms. Pal. lat. 1805, cfr. Die Vorliiufer Galileis, p. 263: utrum minimus ignis possit corrumpi, foll. 151·155); anche Walter Bur!ey propone la stessa distin­ zione in manifesto accordo con Duns, senza una cntlca, tuttavia, e senza pren· dere posizione, ma lasciando aperta la questione (Phys. III, Ed. Venezia 1491, fol. 17).

310

Continuo, minimi e infinito attuale Nel periodo seguente proprio questa concezione divenne dominante.

Le teorie, secondo le quali i continui sostanziali, considerati sotto qual­ siasi punto di vista, non sono divisibili all'infinito, scompaiono

e

il pro­

blema non viene addirittura più sollevato. Rimane semplicemente la dottrina dei minima separata basata sull'idea che forze al di sotto di un certo limite non possono resistere a forze esterne che agiscono su di esse, il che comporta il mutamento sostanziale del loro sostrato 90• Anche questi minima, tuttavia, con il passare del tempo vengono sem­ pre più relativizzati : si arriva a pensare che il supposto processo di corruzione si compie in ogni caso non istantaneamente ma successiva­ mente, cosicché al di sotto di un valore minimo esistono per lo meno quanti della materia in questione che vanno corrompendosi 91 e si per­ viene anche all'ulteriore ammissione che difficilmente si può parlare di

minima assoluti, ma che la grandezza dei quanti ancora in grado di op­ porre resistenza alle forze esterne dipende dalla natura di queste forze, vale a dire dalla natura della sostanza ambiente 92• Il risultato di que­ sta evoluzione che si protrae per tutto il XIV secolo è, alla fine, la com­ pleta negazione dell'esistenza di minima tzaturalia, per lo meno nel caso degli homogenea 93•

90

Così Guglielmo di Ockham esprime questa concezione ricorrente :

«Affermo

che non esiste un minimo naturale che non possa essere diviso all'infinito in parti sempre minori mantenendo la stessa forma naturale ... e per quanto riguarda il Filosofo, sostengo che egli pensa che esiste un minimo naturale e un minimo di carne che non può esistere per sé e resistere all'azione corruttrice di un agente esterna>> (Dico quod non est dare minimum naturale quin semper posset

dividi in partes minores in infinitum retenta eadem forma naturali... et ad Phi­ losophum dico quod intelligit quod est dare minimum naturale et mmsmam carnem quae non potest existere per se et resistere agenti extrinseco corrumpenti) (Sent. II, qu. 8 G, Ed. Lione 1495). La tesi dei minima naturalia viene dunque limitata: «Esiste una quantità 9l

così piccola che un corpo di quantità uguale o minore non potrebbe natural­ mente mantenersi distinto dagli altri della propria specie per un arco di tempo di durata rilevabile, ma senza sosta tenderebbe alla corruzione per essere subito

distrutto dai corpi vicini>> (Quod sic est dare parvam quantitatem quod sub tali

ve! minori non posset natura/iter aliquod corpus seorsum ab aliis de sua specie salvari lungo et notabili tempore, sed continue tenderei ad corruptionem et cito corrumperetur a corporibus sibi propinquis). Così leggiamo in Buridano (Phys. I, qu. 13, Ed. Parigi 1509). 92 Così Alberto di Sassonia, Phys. I, qu. 10, art. 3, Ed. Venezia 1504. 93

Questa idea si incontra già in Buridano e ancor più chiaramente in Alberto

di Sassonia. Marsilio d'lnghen, infine, la formula in modo chiaro : (Nec tamen, in hac

die possunt esse facti lapides infiniti; potest tamen facere (sci!. Deus) in infini­ tum lapidem post lapidem, et fecisse in infinitum lapidem ante lapidem (non: ab infinito lapidem post lapidem !), sicut etiam potest dividere continuum in infi­ nitum ... non tamen potest facere quod sit actu divisum; et sic de aliis) (Goffredo di Fontaines, loc. cit.) . 1 19 Nella quaestio : utrum mundus potuit fuisse a b aeterno (Borgh. 1 7 1 , foll. 22'-24'; cfr. sopra nota 12 e nota 27), contro la quale si sono poi rivolti sia Tommaso di Wylton sia Guglielmo di Alnwick, i quali però muovono da pre­ supposti diversi e opposti: Tommaso di Wylton sostiene la tesi tomista ed è quindi convinto che il mondo potrebbe esistere ab aeterno, vedendo in questa aeternitas un infinito potenziale, mentre Alnwick si attiene al tradizionale punto di vista della scuola francescana per cui non sarebbe possibile una aeternitas ab ante. Wylton, inoltre, respinge la soluzione di Harclay con questo caratteristico 323

Scienza e filosofia nel Medioevo mendo questo punto di partenza, egli respinge la concezione tomista dell'aeternìtas ab ante, definendo l'argomentazione di Tommaso rudis fuga. Enrico, tuttavia, non cerca di descrivere più da vicino l'attuale infinità del tempo passato e di determinarne la natura. Ad un chiarimento in questo senso, cioè ad una più precisa defini­ zione dell'infinità successiva attuale, si giunge successivamente in una interessante disputa tra Pietro Aureolo e Francesco della Marca. Au­ reolo spiega 120 che l'infinito in quanto tale possiede sempre il caratte­ re della successione : «Consiste in una certa successione, cosicché la natura dell'infinito . . . non è natura permanente ma piuttosto natura successiva» 121• La forma d'essere dell'infinito è quindi sempre una mescolanza di atto e potenza, come avviene per il movimento . Questa definizione de­ ve valere in generale per l'infinito in ogni sua forma, non solo per l 'ad­ dizione successiva della serie dei numeri o per il processo di divisione del continuo, come si potrebbe obiettare, ma anche per l 'infinito si­ multaneo: «Ciò che non può essere compreso se non come processo, include la successione nella propria natura» 122 • Un infinito può essere pensato dunque solamente per modum cuiu­ e si può affermare in via del tutto generale: la natura dell'infinito è formalmente successiva (ratio infiniti est formaliter suc­

sdam processus,

cessiva) . Di conseguenza, allora, il concetto di infinitum in actu (o in facto esse) in quanto tale implica contraddizione, poiché comporta due determinazioni formalmente contraddittorie: permanens e successivum. Infatti, questa è l'opinione di Aureolo, il concetto di actualitas equiva­ le a esistenza permanente e simultanea.

commento: > (Et tunc dico aliqua. Primum est quod motus caeli et quae sunt in superioribus nullo istorum modorum sunt contin­ gentia, quia non sunt impedibilia; 2o dico quod quaecumque sunt inferius, sunt contingentia primo modo, quia de natura sua; 3" quod aliqua sunt contingentia secundo modo et aliqua sunt etiam tertio modo. Ultimo dico quod de facto multa impediuntur per liberum arbitrium quin eveniant, etiam secundum com­ munem cursum naturae). Tuttavia con un'ultima considerazione molto interessante Oresme rovescia la conclusione cui era giunto. Ci si ricollega in modo alquanto illogico a quanto detto per mezzo di un patet, come se dalle considerazioni precedenti si volesse ricavare una prova, ma probabilmente il reportator ha omesso qualcosa. «A pro­ posito di molti fatti che appaiono certamente contingenti e dominati dal libero arbitrio venivano abitualmente e vengono fatti pronostici da parte degli astro­ logi» (de multis quae videntur valde contingentia et subiacere libero arbitrio fiunt prognosticationes ab astrologis, et solebant fieri). Ne risulta che anche i contingentia in senso stretto, che dipendono esclusivamente dal libero arbitrio dell'uomo, sono in certo modo determinati: «è dunque segno che tutte le cose accadono secondo qualche ordine e secondo il corso determinato della natura, che solo in pochi casi viene ostacolata dal libero arbitrio» (ideo bene signum est quod omnia eveniunt quodam ordine et cursu determinato naturae, quae in paucis impeditur per liberum arbitrium). f. questa l'ultima opinione sul problema. Nel secondo volume dell'edizione Wadding; il testo coincide con l'edizione 64 più rara di Lione 1518, apparsa sotto il nome di Joannes Marcilius Inguen (e della quale la Biblioteca Marciana di Venezia possiede un esemplare). 379

Scienza e filosofia nel Medioevo e anche ostacolare ciò che accadrebbe in condizioni diverse, se non vi fosse cioè la libera volontà. Lo si prova postulando in primo luogo che, affinché si verifichi un certo effetto, sono richieste tutte le cose neces­ sarie alla produzione di tale effetto e disposte nel modo per cui risul­ tano sufficienti a produrre tale effetto; si postula in secondo luogo che, una volta poste le cose necessarie e sufficienti alla produzione di un cer­ to effetto e disposte proprio nel modo per cui risultano sufficienti a produrre tale effetto, l'effetto si produce necessariamente)> 65 •

Vi è solo un'eccezione : «Pur essendo poste tutte le cause necessarie e nella disposizione per cui risultano sufficienti a produrre un effetto, ciò che agisce liberamen­ te può tuttavia non produrre tale effetto» 66• 65 Prima conclusio: aliquid evenit contingenter. Probatur, quia voluntas no­ stra est libera libertate contradictionis; igitur aliquid evenit contingenter. Se­ cunda conclusio: si non esset libertas voluntatis, omnia evenirent de necessitate, ita ut de facto res sunt taliter dispositae, qua/iter ad ipsas de necessitate seque­ rentur omnia futura, circumscripto libero arbitrio, quod potest impedire even­ tus aliquorum et etiam prohibere, quae evenirent a/iter, si non esse! libera vo­ luntas. Probatur supponendo l" quod ad productionem alicuius effectus requirun­ tur omnes causae requisitae ad productionem illius effectus et eo modo dispositae, qua/iter sufficiunt producere illum effectum; 2• supponitur quod positis causis ne­ cessario requisitis et sufficientibus ad productionem alicuius effectus et eodem modo dispositis qua/iter sufficiunt illum effectum producere, de necessitate pro­ ducitur il/e effectus (ibid.). 66 Nam positis omnibus causis requisitis et sufficienter dispositis eo modo quo sufficiunt effectum illum producere, adhuc agens liberum potest illum effectum non producere (ibid. ). Contro questa soluzione vengono poi sollevate alcune obie­ zioni e, tra le altre, la seguente: > (per divinam potentiam)-: «Prima conclusione è che nessun composto sostanziale generato dal nulla può durare perpetuamente. La si prova con gli argomenti addotti da Aristotele... Alcuni tuttavia ritengono che il ragia422

Il principio della doppia verità mente sull'atteggiamento verso il princ1p10 della doppia verità, atteg­ giamento che per i filosofi della natura della generazione seguente si orientò senz'altro nella direzione di Buridano e, più probabilmente,

namento di Aristotele non sia conclusivo da un punto di vista naturale, e affer­ mano invece che è possibile che un composto sostanziale generato dal nulla duri perpetuamente, come si dimostra nel caso del fuoco nella concavità del cielo della luna; dicono che ciò è vero solo a proposito dei corpi semplici. Ciò tutta­ via non è valido in quanto le prove di Aristotele riguardano sia il semplice sia il composto. - Seconda conclusione è che se alcuni movimenti dei corpi so­ pracelesti sono tra loro incommensurabili, è possibile che duri perpetuamente una luce che si produce a un certo momento senza che esistesse in precedenza. Lo si dimostra così : se esistono due movimenti ecc., due corpi in un certo momento staranno tra loro in un determinato rapporto, e anche se i movimenti · durassero in eterno mai starebbero tra loro in un tale rapporto. Se infatti non fosse così i loro movimenti non sarebbero più incommensurabili. Ciò posto, uno di tali corpi impedirà che si produca la luce dell'altro in una zona del cielo, in cui a un certo punto si genererà e non potrà mai essere eliminata... Terza conclusione è che una sostanza semplice generata dal nulla può durare perpetuamente, anzi durerà perpetuamente, e si tratta dell'anima intellettiva. Questa conclusione si crede per fede» (Ad quaestionem sit prima conclusio, quod nullum compositum substantiale de nova genitum potest perpetuari. Probatur per rationes Aristotelis... Tamen aliqui dicunt rationem Philosophi non conclu­ dere naturaliter, immo dicunt, quod possibile �st aliquod compositum substan­ tiale de nova genitum perpetuari, ut probatur de perpetuitate (così si deve leg­ gere, anziché de proportione come nel manoscritto) ignis in concavo orbis lu­ nae, et hoc dicunt esse verum in corporibus simplicibus tantum. Sed hoc non valet, quia rationes Aristotelis probant de simplici sicut de composito. - Secunda conclusio, quod si aliqui motus in corporibus supercaelestibus sint incommen­ surabiles, possibile est aliquod lumen de novo genitum perpetuari. Probatur, nam si aliqui duo motus sunt etc., aliqua duo corpora aliquando aliqualiter se habebunt, et si motus durarent in aeternum, nunquam taliter se haberent. Nam si detur oppositum, iam eorum motus [non] ef}icerentur incommensurabiles. Hoc posito, unum illorum corporum impediet ne lumen alterius generetur in aliqua parte caeli, in qua generabitur, et tamen nunquam poteri! idem corrum­ pi... - Tertia conclusio, quod aliqua substantia simplex de nova producta potest perpetuari, immo perpetuabitur, sicut anima intellectiva. Ista conclusio creditur ex fide). L'allusione a Oresme nell'obiezione alla prima conclusio e nella dimo­ strazione della seconda è innegabile. Le Questioni di Domenico di Clavasio so­ no state composte sicuramente prima della fine degli anni cinquanta-nel testo del ms. Vat. lat. 2185 è indicato l'anno 1357-; esse potrebbero quindi rife­ rirsi non al Traité du ciel et du monde di Oresme, ma solamente al suo Com­ mento latino al De anima (vedi nota precedente) al quale Domenico accenna anche in altri contesti, come abbiamo visto ricostruendo la storia della teoria del­ l'impetus (cfr. Zwei Grundprobleme, p. 241 sgg.) . 423

Scienza e filosofia nel Medioevo fu direttamente determinato dalla posizione assunta a proposito di ta­ le problema da questo autore. Alberto di Sassonia e Marsilio di Inghen, i due maggiori esponen­ ti della scuola di Buridano nella seconda metà del secolo, non si pro­ nunciano mai esplicitamente, in alcuna forma o in alcun contesto, sul problema della duplex veritas. Possiamo intravvedere il loro pensiero in proposito rifacendoci solamente ad alcune considerazioni occasionali. Alberto di Sassonia, nel Commento al De caelo et mundo, discute la classica questione: «Se qualcosa di creato possa durare perpetuamente e qualcosa di eterno possa corrompersi, se cioè qualcosa che non è perpetuo nel pas­ sato possa essere perpetuo nel futuro e qualcosa invece che è perpetuo nel passato possa non essere tale nel futuro» 63 • In primo luogo viene presentata una serie di argomenti che sem­ brano deporre a favore di una risposta positiva (quod sic) e tra essi si accenna anche alla immortalità dell'anima intellettiva. Ma l'opinio­ ne di Aristotele e di Averroè risulta contraria (oppositum videtur vel­

le Aristoteles et Commentator) . La soluzione propria di Alberto af­ ferma : «Se l 'anima intellettiva è una forma che inerendo alla materia de­ termina se stessa, per quanto riguarda il proprio essere, con qualità che possiedono caratteri contrari secondo l 'ordine della natura, non è perpe­ tua nel futuro se non è perpetua nel passato. Se affermassimo che l'ani­ ma intellettiva ha bisogno di qualità con caratteri contrari, per quanto riguarda il suo essere nel corpo e la sua capacità di eseguire operazioni corporee, mentre non ne ha bisogno quanto al suo essere indipendente dal corpo, si potrebbe concludere che non sarebbe contraddittorio che essa duri perpetuamente al di fuori del corpo. Probabilmente però Ari­ stotele non condividerebbe tali affermazioni, anche se noi dobbiamo am­ metterle, secondo la nostra fede e la verità>> 64 • 63 Lib. r, qu. 18 (Ed. Venezia 1492) : utrum aliquid de novo genitum possit per­ petuari et aliquid aeternum possit corrumpi, id est utrum aliquid non perpe­ tuum ab ante possit perpetuari a parte post et aliquid perpetuum a parte ante possit non esse perpetuum a parte post. si anima intellectiva est forma inhaerens materiae determinans sibi, quan­ 64 tum ad suum esse, qualitates habentes contraria secundum cursum natttrae, non est perpetua a parte post, si non est perpetua a parte ante. Si vellemus dicere, quod anima intellectiva, quantum ad esse in corpore et quantum ad exercere operationes corpora/es, indigeret qualitatibus habentibus contraria, sed non indi­ geret talibus quantum ad esse suum simpliciter, diceretur quod non esset incon­ veniens ipsam extra corpus manere perpetuo. Sed forte hoc Philosophus non •.•

424

Il principio della doppia verità Dalla risposta agli argomenti principali si viene a sapere come Ari­ stotele, secondo l'opinione di Alberto, avrebbe risolto il problema: «Aristotele e Averroè avrebbero detto che l'anima intellettiva non fu creata, ma è perpetua sià nel passato sia nel futuro ed è numerica­ mente unica in tutti gli uomini. Il chiarimento di tale tesi si colloca più opportunamente nel terzo libro del De anima» 65 _

Purtroppo non possediamo alcun commento di Alberto al De anima. Per Alberto dunque, come per Buridano, con argomenti puramen­ te filosofici si conclude la mortalità dell'anima umana. L'opposto si può accettare unicamente per fede, non dimostrare. Nelle questioni sul

De generatione et corruptione troviamo una considerazione simile nel­ la quaestio : se il succedersi delle generazioni sia un processo infinito (utrum in generationibus sit processus in in/initum) 66• Una delle tesi con le quali Alberto formula la propria risposta afferma : «Quarta conclusione: se una materia in un dato momento è infor­ mata da una certa forma, tornerà in un altro momento sotto una forma simile, e questo vale di ogni altra materia; questa affermazione risulta dunque necessaria: la materia che ora è sotto una certa forma, sarà in un altro momento sotto una forma simile . . . » 67• Ne derivano due correlaria, il primo dei quali ci interessa: «Data una qualunque materia, essa sarà per un numero infinito di volte sotto la forma dell'uomo e infinite volte sotto quella del cavallo . . . e ciò vale anche a proposito delle altre forme d i altre specie; tutto que­ sto è vero qualora si ammetta l'eternità del mondo» 68 • Tuttavia è possibile un'obiezione :

concedere!, licet nos secundum nostram fidem et veritatem concedere debeamus (ibid). Aristate/es et Commentator dixissent animam intellectivam non incepisse 65 de nova, sed esse perpetuam tam a parte ante quam a parte post et esse unam numero in omnibus hominibus, cuius determinatio magis pertinet ad tertium De anima (ibid. ) . 66 D e generatione e t corruptione I I , qu. 14 (ed. Venezia 1520). 67 Quarta conclusio est quod, si materia est modo sub aliqua forma, aliquando redibit sub consimili, et ita de quacumque materia alia, ita quod haec est ne­ cessaria: materia quae nunc est sub aliqua forma, aliquando erit sub consimili (ibid. ) . 68 Quacumque materia demonstrata, haec materia erit infinities sub /orma homi­ nis, et eadem materia erit infinities sub forma equi. .. et sic de aliis formis alia­ rum specierum; et hoc est verum supposita aeternitate mundi (ibid.). •.•

425

Scienza e filosofia nel Medioevo «Si potrebbe controbattere: se le cose stanno cosl, ne segue che la materia potrebbe per avventura essere passata sotto infinite forme di uomo, ma ciò è falso. Infatti, in tal caso, nell'ultimo giorno quando, con la resurrezione dei morti, ogni anima riprenderà la propria materia, una medesima materia sarebbe ripresa da infinite anime» 69• La risposta di Alberto è breve e concisa: « Si può dire brevemente che un filosofo naturale non darebbe mol­ ta importanza a questo argomento: poiché infatti egli ammette l'eter­ nità del mondo, nega una tale resurrezione dei morti>� 70• Nuovamente, allora, incontriamo la posizione di Buridano: per i filosofi della natura il mondo è eterno e l 'anima umana mortale 71 • La concezione di Oresme, secondo cui l 'immortalità dell'anima intelletti­ va è dimostrabile alla luce della ragione naturale, non viene mai men­ zionata. Consideriamo infine le considerazioni in proposito di Marsilio di Inghen. Come abbiamo già visto in un altro studio 72 , Marsilio nelle

Quaestiones sul De generatione, si attiene strettamente, spesso ripren­ dendolo alla lettera, al corrispondente commento di Alberto. Tuttavia sviluppa occasionalmente alcune interessanti osservazioni. Cosl nella questione di cui ci stiamo occupando. Contrariamente ad Alberto ha l'avvertenza di premettere alle

dubitationes circa la durata eterna del

mondo una considerazione generale : «Si deve notare che di per sé nulla, tranne Dio glorioso, è eterno e perpetuo poiché, eccetto Dio, tutte le cose sono prodotte ed esistono nel tempo. Bisogna quindi rispondere in termini negativi di fronte a tutti i dubbi mossi alla luce della verità della fede. La questione tutta­ via chiede probabilmente che cosa si debba dire quando si parla dal punto di vista naturale, escludendo la luce della fede. Voglio dunque

69 Sed dices contra: si sic, sequitur quod materia forte stetisset sub infinitis formis hominis, sed hoc est falsum. Nam tunc in novissimo die in resurrectione mortuorum, cum quaelibet anima recipiet suam materiam, eadem materia reci­ peretur ab infinitis animabus ( ibid. ). 70 Breviter, de ista ratione non multum curaret philosophus naturalis: ex quo enim ipse ponit aeternitatem mundi, negare! huiusmodi resurrectionem mortuo­ rum (ibid.). 71 Per Aristotele invece l'intelletto umano è, a giudizio di Alberto, eterno nel senso dell'interpretazione averroista. Non può affermare più chiaramente che con l'opinione della