Reclusi. Il carcere raccontato alle donne e agli uomini liberi 8843086774, 9788843086771

Se il carcere può essere compreso davvero solo da chi ne ha fatto esperienza diretta, ciò non vuol dire che conoscerlo s

285 106 17MB

Italian Pages 303 [306] Year 2017

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Reclusi. Il carcere raccontato alle donne e agli uomini liberi
 8843086774, 9788843086771

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BIBLIOTECA DI TESTI E STUDI/ 1117 SOCIOLOGIA

I lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele II, 229 00186 Roma telefono 06 / 42 81 84 17 fax 06 I 42 74 79 31

Siamo su: • • www.carocc1 .1t www.facebook.com/caroccieditore www.twitter.com/ caroccieditore

Anna Paola Lacatena

Giovanni Lamarca

Reclusi Il carcere raccontato alle donne e agli uomini liberi Prefazione di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

Carocci editore

Il volume è corredato di materiali consultabili online sul sito Internet di Carocci editore

edizione, marzo 2017 © copyright 2017 by Carocci editore S.p.A., Roma 1

a

Realizzazione editoriale: Elisabetta Ingarao, Roma Finito di stam are nel marzo 2017 da Grafiche VD srf., Città di Castello (PG)

ISBN 978-88-430-8677-1

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Ringraziamenti

II

Cenni introduttivi

13

Prefazione di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

19

Parte prima L'istituzione totale e la privazione della libertà

25

1.2.

Costituzione e prigionizzazione Oltre il muro Bibliografia

25 32 34

2.

Il luogo fisico della detenzione

35

2.1.

Brevi cenni sul carcere nella storia L'architettura carceraria T ipologia degli istituti penitenziari in Italia

35

1. 1.1.

2.2.

2.3. 2.4. 2.5.

2.6.

2.3.1. Istituti di custodia cautelare / 2.3.2. Istituti per l'esecuzione delle pene detentive / 2.3.3. Istituti per le misure di sicurezza detentive

Simili cum similibus. I circuiti penitenziari Corte europea dei diritti dell'uomo: la "sentenza Torreggia­ ni" (8 gennaio 2013) e le conseguenze per il nostro Ordinamento Popolazione detenuta al 31 luglio 2015

37

39 44

50 SS

6

INDICE

Bibliografia Sitografia

57

3.

Organizzazione penitenziaria. Operatori e funzioni

58

3.1.

Inquadramento normativo

58

Le macroaree

59

Il Corpo di Polizia penitenziaria

63

3.5. 3.6. 3.7. 3.8.

Dai Centri di servizio sociale per adulti (cssA) ali' Ufficio esecuzione penale esterna (uEPE) Riordino della sanità penitenziaria Medicina penitenziaria, medicina di frontiera Volontariato Il cappellano Bibliografia Sitografia

67 69 74 77 78 79 79

4.

Carcere e sostanze stupefacenti

80

4.1.

4.2. 4.3. 4.4. 4.5.

"Fatti" e misfatti normativi Effetti della carcerazione e tossicodipendenza Terapia sostitutiva Recidiva e lavoro terapeutico Un tema impopolare: le sostanze entrano in carcere? Bibliografia

80 83 86 89 93 96

5.

Donne e carcere. Il doppio muro

100

5.1.

Le "invisibili" I reati

100

testa fuori dal carcere La detenuta madre Bibliografia

106

3.2.

3.3. 3.4.

5.2.

5.3. 5.4.

3.1.1. Il Direttore

3.2.1. Area dell'organizzazione e delle relazioni (area segreteria) / 3.2.2. Area amministrativo-contabile / 3.2.3. Area educativa o del trattamento / 3.2.4. Area sanitaria / 3.2.5. Area sicurezza 3.3.1. Il comandante del Reparto

Orange is the New Black. Non puoi vivere in carcere con la

56

102

109 114

INDICE

7

6.

Carcere e stranieri

116

6.1. 6.2. 6.3.

Stranieri in "terra" straniera Criminalità e immigrazione. Il mito da sfatare La legge 30 luglio 2002, n. 189 - "Bossi-Fini': Miopia o leggerezza istituzionale? Bibliografia

116 120 123 126

Parte seconda Nota metodologica

131

7.

Lavoro, istruzione e attività culturali, sportive e ricreative

133

7.1. 7.2. 7.3. 7.4.

Lavoro ergo sum L'Italia è una Repubblica fondata sul lavoro

Istruzione e attività culturali, sportive e ricreative Bibliografia

133 138 143 145 153

8.

Libertà di culto

154

8.1. 8.2.

Almeno liberi di credere A ciascuno il suo...

154 156

9.

Affettività e sessualità

161

9.1. 9.2.

Legami e legacci Insieme... sia pur a debita distanza Bibliografia

161 165 17 3

10.

Ordine, sicurezza e carcere

174

10.1. 10.2.

Il regime disciplinare I regimi in deroga

174 177

Art. 14-bis. Regime di sorveglianza particolare / 10.2.2. Art. 41-bis, comma 1 °. Situazioni di emergenza / 10.2.3. Art. 41-bis, commi 2° e seguenti 10.2.1.

Bibliografia

188

8 I I.

INDICE

Socrate non deve morire

I 1. 2.

La libertà di espressione Parola al detenuto Bibliografia

12.

Il corpo e la mente

1 99

12.I.

Il corpo come megafono Lo sciopero della fame Il suicidio L'autolesionismo La soppressione dell'ospedale psichiatrico giudiziario ( o PG) Bibliografia

1 99

II.I.

12. 2. 12.3. 12.4. 12.5.

200 203 209 214 218

13.

Il sistema organizzativo e i suoi attori

221

I 3. 1.

Breve orientamento teorico Addetti ai lavori Stress lavorativo, burnout e conflittualità Bibliografia

221

13. 2. I 3.3.

225 227 234

14.

La cella

14.1. 14. 2.

Lo "spazio" della pena Mai veramente da solo Bibliografia

15.

Semplicemente "grazie"

16.

Carcere e giornalismo

255

I6.1.

255

I6.3.

Scrivere di carcere La "Carta di Milano" ( 2013) La "Carta di Roma" ( 2008)

17.

Prison Movies

17.1.

Carcere e cinematografia

16. 2.

257

259

INDICE

9

17.3.

Carcere femminile Carcere maschile

18.

Carcere e arte

268

18.1.

Tratti, simboli e colori

268

19.

Prison Songs

27 0

19.1.

"Note" di detenzione

270

Appendice 1. La grammatica del detenuto Appendice 2. Piccoli espedienti utili alla donna e all'uomo in carcere Appendice 3. "Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati". Allegato al decreto del ministero della Giustizia s dicembre 2012 Appendice 4. Il documento finale degli Stati generali sull'esecuzione penale

274

17.2.

284 288 299

Ringraziamen ti

Da persone prima che da autori il nostro grazie. A Nicola Gratteri, Procuratore della Repubblica e Capo della Direzione Distrettuale Antimafia di Catanzaro e Antonio Nicaso, giornalista, saggista, docente universitario tra i più importanti esperti al mondo di 'ndrangheta per la disponibilità e la generosità. Si è davvero "grandi" nella capacità di pre­ stare attenzione ed esperienza anche e soprattutto a chi non lo è. A Carmelo Cantone, Provveditore dell'Amministrazione penitenziaria regionale della Puglia-Basilicata, per l'incitamento e l'entusiasmo mostrati. A Stefania Baldassari, Direttrice della Casa circondariale "Carmelo Ma­ gli" di Taranto, per la sensibilità e il sostegno fiducioso e incondizionato ma­ nifestati sin dal momento in cui questo libro era solo un'idea. A Vincenza Ariano, Direttrice del Dipartimento delle dipendenze pa­ tologiche della ASL di Taranto, per l'intelligenza di comprendere che nono­ stante semantiche diverse si può e si deve collaborare con realtà istituzionali e non, se si vuole davvero riconoscere centralità alla persona. Ad Antonella Labianca, Gabriele Sabatini, Elisabetta Ingarao, a tutta la casa editrice Carocci per aver creduto in questo libro, per essersene presi cura, perché nello stesso hanno visto più di un manoscritto da mandare in stampa. Alle Aziende Indivior e Molteni per l'attenzione rivolta al libro e ali' i­ dea di informazione e sensibilizzazione che lo stesso ha inteso sottendere. Senza il loro apporto sarebbe stato più difficile riuscire ad arrivare quanto più possibile agli operatori del settore e non. Al personale di Polizia penitenziaria della Casa circondariale di Taranto e di tutte le strutture della detenzione che ogni giorno si spendono con im­ pegno e partecipazione. Senza sarebbe tutto più difficile. A Vincenzo Lamonaca e Francesco Picozzi, Commissari capo della Po­ lizia penitenziaria, amici benché colleghi, per aver condiviso generosamente la loro scienza e conoscenza. A quanti nel quotidiano operano, a diverso titolo e con ruoli differenti, ali' interno del carcere per rendere lo stesso un posto migliore.

12

RECLUSI

A Giuseppe Inciardi e Tony Lacatena che generosamente hanno colla­ borato per la parte grafica. A Elena, a Piero, alle persone amiche che hanno sostenuto il progetto con il loro incoraggiamento, con le competenze, con la conoscenza. Non so­ no poche e, con la loro bellezza d'animo, sono state fondamentali. A quanti vorranno leggere e promuovere riflessioni sulle pagine di que­ sto testo, muovendo anche critiche costruttive e generative rispetto al come . ' e stato scritto. A tutti i detenuti per aver fatto sentire la propria voce e conoscere i pro­ pri bisogni. Perché possano credere nella possibilità reale che le donne e gli uomini liberi non ignorino la loro condizione di reclusi. A chi non smette di credere che, nonostante tutto, c'è sempre qualcosa dentro ogni essere umano che vale la pena di essere conosciuta. Si ricorda che gli autori hanno rinunciato interamente ai proventi delle ven­ dite del libro a favore della Casa circondariale di Taranto.

Cenni introduttivi

Un pomeriggio di giugno ho ricevuto la telefonata del comandante della Po­ lizia penitenziaria della Casa circondariale di Taranto. Ero in ufficio e non mi aspettavo l'invito ad un incontro in cui mi sareb­ be stata prospettata la possibilità di un progetto editoriale. Nel 2010 ho avuto il privilegio di collaborare con i referenti della realtà detentiva della mia città per una ricerca condotta sugli eroinomani presenti nella struttura e l'indulto. La stessa ha portato alla pubblicazione del testo Dal tossicodipendente de jure alla persona de facto1 Il ricavato delle vendite del libro, unitamente alle donazioni di alcuni tra i più importanti scrittori italiani e non solo scrittori, il progetto denominato Il dono, deliberatamente parafrasando il pensiero e l'opera di Marcel Mauss, ha permesso l'allestimento della nuova biblioteca della Casa circondariale di Taranto, inaugurata nel giugno del 2010. Mi permetto di segnalare alcune delle adesioni al progetto che è andato avanti sino a qualche mese fa: al Santo Padre Francesco e all'ex Presiden­ te della Repubblica, Giorgio Napolitano, si sono uniti nel tempo Margaret Mazzantini, Andrea Camilleri, Giorgio Bocca, Massimo Gramellini, Con­ cita De Gregorio, don Andrea Gallo, Antonio Nicaso, Massimo Cacciari, Susanna Tamaro e tanti altri. Tutto a costo zero, comprese le scaffalature e i mobili offerti da aziende pugliesi. Ecco, dunque, una nuova occasione per avvicinarmi, studiare, approfondi­ re ancora una volta una realtà che suscita in me grande interesse; mi sono detta che quest'ultimo non può che scaturire dalla mia formazione. La sociologia, infatti, forse più di qualsiasi altra disciplina si è occupata di istituzioni totali. Tutte le società tentano di assicurarsi la conformità ai propri valori so­ ciali e alle norme stabilite, proprio perché sono sempre esistiti comporta­ menti, atti, credenze che li hanno violati e li violano. In realtà credo non possa bastare. •

1.

Laterza, Roma-Bari 2010.

14

RECLUSI

Ripartendo da quella stessa formazione e ritornando a quello che ho let­ to, studiato, imparato mi sono detta che la sociologia è pensiero critico, è la scienza della liberazione, di chi subisce, dell'umanità che spesso viene esclu­ sa, il tutto all'insegna della concezione relazionale dell'essere umano. La sociologia in cui credo è, dunque, riflessività e relazionalità. E la possibilità di raccontare oltre che di informare. Può perdere qualcosa in termini di oggettività, comunque a vantaggio della possibilità di conversare con le persone, di conoscerle e far conoscere il proprio vissuto. Ho accettato di collaborare a questo progetto con la precisa finalità di rendere quanti leggeranno un po' più consapevoli di una realtà troppo spes­ so lasciata al sensazionalismo. Si parla poco di carcere in Italia e quando lo si fa ci si abbandona con fa­ cilità alle esternazioni ideologiche. L'obiettivo di questo lavoro è quello di far conoscere, informare, sensi­ bilizzare senza gli eccessi che un certo tipo di cronaca o di denuncia utilizza talvolta in maniera strumentale. Perché di carcere si deve parlare e si può parlare per raccontare un mondo sconosciuto che il dramma a tutti i costi rischia di confinare in una sorta di profezia autoavverante. Questo libro, cercando di strappare qualche sorriso con leggerezza, pur rifuggendo la superficialità, vuole provare a rompere il confortevole riparo offerto da una credenza unificante che allontana dall'altro che, spesso, incu­ te solo paura. Mi sono chiesta nel corso della precedente esperienza editoriale2 se an­ che i detenuti provano paura nei confronti di quanti sono all'esterno. Mi sono convinta l'avvertano forte quando sentono il disinteresse e il pregiudi­ zio di chi da fuori si permette di dire "di te che stai in un carcere non me ne importa nulla': Ecco, dunque, l'obiettivo di questo testo: far conoscere un po' di più un mondo solo apparentemente distante, provare ad avvicinare il lettore alle problematiche ad esso connesse, restituire quel profilo umano a qualcosa, che con i suoi personaggi, le sue regole, i suoi linguaggi troppe volte diamo per scontato o per estraneo. La sociologia mi ha insegnato che la conoscenza libera e che nessuna scienza più della sociologia può rendere mentalmente (e forse non solo) liberi. ANNA PAOLA LACATENA

Dirigente sociologa, Dipartimento dipendenze patologiche - ASL TA 2.

A. P. Lacatena, Dal tossicodipendente de jure alla persona de facto, Laterza, Roma­

Bari 2010.

CENNI INT RODUTTIVI

15

*** Quando nel 2006 entrai a lavorare per la prima volta in un istituto peniten­ ziario non avevo la minima idea di cosa avrei trovato. O meglio, avevo tut­ ta una serie di nozioni in testa, frutto di studi, corsi e approfondimenti ma anche una serie di immagini che si erano formate nella mia mente leggendo articoli di giornale, guardando servizi in TV, ma soprattutto vedendo film incentrati sull'argomento. Quanto mi sbagliavo! Il carcere lo conosci solo vivendolo quotidianamente, percependo rumori, odori, grida ma anche risa­ te e calore. Ascoltando richieste, reclami e ugualmente buoni propositi. Co­ gliendo rabbia, disperazione, ma soprattutto speranza. E quanta umanità c'è dentro! In tutte le sue dimensioni. Una volta un magistrato di sorveglianza mi disse: "col diritto penitenziario puoi farci tutto". Gestendo la vita in car­ cere di esseri umani il diritto deve essere plastico e flessibile per adeguarsi alla molteplicità e complessità delle situazioni, uguali e diverse allo stesso tempo. Per chi è fuori da questo mondo viene quasi naturale l'analisi semplici­ stica e omologante. Da una parte si vedono i detenuti come una categoria omogenea e indistinta di pericolosi ed efferati criminali, privi di alcuna mo­ rale e rispetto per i valori maggiormente condivisi dai consociati. Dall'altra si considerano i ristretti vittime del sistema o del nucleo sociale di prove­ nienza che li ha determinati al crimine senza che abbiano un'alternativa so­ stanziale ai loro comportamenti. Ai primi rispondo che nella mia esperienza ho avuto a che fare anche con persone dotate di grandi valori, senso di soli­ darietà, di attenzione a temi sociali, di amore incondizionato verso i figli, la famiglia, di rispetto per le persone con cui si confrontavano. Insospettabili grandi lavoratori, persone dotate di capacità manuali inimmaginabili, persi­ no artisti a volte inconsapevoli. Una volta un detenuto mi disse, riferendosi a tutti coloro che temporaneamente condividevano la sua condizione: "che spreco!" Ai secondi mi sento di replicare che, purtroppo, il lupo cattivo esi­ ste. Gente che, in gergo, "ha la malavita in testa': che attinge dalla propria indole e si fa forte della famiglia, del gruppo per costituire un nucleo forte volto alla sopraffazione, alla violenza per influire sulle vite degli altri e ac­ quisire potere. Persone che affrontano la vita e tutte le sue conseguenze con schemi mentali ormai irrimediabilmente deviati volti esclusivamente al per­ seguimento ad ogni costo dei loro obiettivi. Chi lavora in carcere deve raggiungere un grande equilibrio per riuscire a gestire persone così diverse, coniugando fermezza e autorevolezza con at­ tenzione e umanità. Direttori, educatori, assistenti sociali, psicologi, medici, infermieri, operatori del SERD cercano ogni giorno di risolvere i problemi derivanti dalla convivenza coatta di questa variegata moltitudine. Ma in par-

16

RECLUSI

ticolare i poliziotti penitenziari, lavorando nelle sezioni detentive, hanno un costante contatto con i reclusi. Oltre a essere responsabili del mantenimento dell'ordine e della sicurezza interna, acquisendo un patrimonio informativo utile alla tutela dell'intera collettività, si trovano spesso, per forza di cose, ad assumere il ruolo di tutte le figure anzidette. Non è facile confrontarsi ogni giorno con la miseria umana, il dolore, la violenza e rimanere impassibili. Nel corso degli anni ho visto agenti, che sembravano rocce, piangere dopo aver sventato suicidi, tremare dopo violente aggressioni ricevute, fremere di rabbia dopo essere stati destinatari di insulti e minacce. Il personale diminu­ isce e i posti di servizio aumentano, l'età media cresce e i turni diventano più pesanti. Eppure i poliziotti penitenziari si sacrificano quotidianamente sor­ vegliando più sezioni, reprimendo comportamenti contrari al regolamento, prevenendo atti violenti e reati e nel contempo garantendo le attività trat­ tamentali. A volte il sacrificio può essere estremo come nel caso di Carmelo Magli, poliziotto in servizio al carcere di Taranto, che gli è intitolato, vittima nel 1994 di una vile aggressione di stampo mafioso-terroristico per il solo fatto che indossava una divisa e faceva onestamente il suo lavoro. D'altra parte tra i detenuti ci sono mafiosi, rapinatori, ladri, omicidi, spacciatori, pedofili, violentatori, che nella vita penitenziaria sono persone che aspettano ansiosamente il colloquio con la famiglia, la telefonata con i figli, il pacco degli indumenti, la lettera di un amico. Apprendono di scom­ parse dei loro cari, del procedimento di separazione intentato dalla moglie, degli esiti scolastici o professionali dei figli. Vivono, si ammalano, a volte, purtroppo muoiono. In alcuni casi tentano di farla finita. Quasi sempre li salviamo in tempo. Quasi. Ricordo un detenuto che per ben tre volte in po­ chi mesi tentò il suicidio e riuscimmo in tutti e tre i casi a intervenire in tem­ po. Dopo un po' fu scarcerato. Mi chiesi cosa avrebbe fatto della sua vita. Dopo alcuni anni ritornò tra noi. Ma questa è un'altra storia. Da quando sono comandante della Polizia penitenziaria di Taranto ho conosciuto tanti detenuti e ascoltato tante storie. Ci sono alcuni che vivono il carcere come un imprenditore affronta la possibilità che i conti della sua azienda per un certo periodo vadano in rosso. Fa parte del rischio d'impresa. Ci sono altri che giurano che questa sarà l'ultima volta. Ci credono davvero. Fino alla prossima volta. Altri ancora entrano in carcere un po' per caso e lo vivono come un brutto sogno. Ricordo evasori fiscali, studenti universitari beccati con la scorta di stupefacenti mentre andavano a fare campeggio con amici, contadini che avevano rubato il legname del vicino, pescatori di dat­ teri di mare, piccoli commercianti che avevano emesso assegni a vuoto, una squadra di calcio particolarmente riottosa che durante una partita aveva ag­ gredito i carabinieri intervenuti a salvare l'arbitro. Ci sono infine quelli che,

CENNI INT RODUTTIVI

17

per il ruolo che ricoprono nella società libera, entrano per la prima volta in un territorio che mai avrebbero pensato di esplorare, non più di quanto io immagini di risalire il Rio delle Amazzoni in canoa: medici, imprenditori, avvocati, politici, persino un magistrato. Questi ultimi, dopo lo smarrimen­ to iniziale, restano invariabilmente colpiti di come in carcere si trovi tutta la schiera dei sentimenti umani, negativi o positivi che siano, dalla cattiveria, frustrazione, dolore alla solidarietà, amicizia e persino, strano a dirsi, alla gioia. Si stupiscono immancabilmente della loro stessa capacità di adatta­ mento e di come in una situazione simile, tra una notte insonne e un pian­ to liberatorio, riescano anche a sorridere, a volte a crescere. Molti mi hanno espresso nel tempo il desiderio di realizzare un libro della loro esperienza, per spiegare fuori "quello che c'è dentro". Sono usciti tutti e di libri non ne ho ancora visti, ma li capisco. Dopo un'avventura così dolorosa si vuol ri­ prendere la vita di sempre e cercare di dimenticare. Io però ho sempre pensa­ to che sarebbe stato bello scrivere qualcosa di serio sul carcere senza negare i suoi momenti di improvvisa e inattesa leggerezza. Un libro che partendo dai fondamenti della materia arrivasse al nocciolo della questione: le perso­ ne che dentro ci vivono e ci lavorano con le loro voci. Grazie ad Anna Paola Lacatena .. . eccolo qui! GIOVANNI LAMARCA

Comandante del Reparto della Polizia penitenziaria Casa circondariale "Carmelo Magli" di Taranto

*** Questo libro, come tutte le altre iniziative che coinvolgono il carcere e la sua comunità, parte integrante della società civile, è uno dei tasselli fondamenta­ li nella costruzione di una effettiva coscienza della realtà carceraria. Senza la società esterna è infatti destinato a fallire qualsiasi tentativo di rieducazione del condannato che, tra gli obiettivi del mio lavoro, è certa­ mente quello di più difficile realizzazione. Non smetti mai di lavorare se sei direttore di un carcere. Questo lavoro per certi aspetti assomiglia a una diretta televisiva. Prepa­ rato e organizzato, devi essere pronto in ogni istante ad affrontare e gestire problemi inaspettati, a volte molto gravi, spesso anche fuori dall'orario lavo­ rativo, trovando la lucidità per risolverli. Devi fare ricorso a tutte le tue risorse interiori, alla conoscenza di norme, cose e persone. I libri servono ma soprattutto serve il buon senso che deve guidarti in ogni scelta.

18

RECLUSI

Molto è stato scritto sul carcere. Dai manuali classici di Diritto peniten­ ziario ai libri con un taglio più prettamente sociologico, ai vari report di as­ sociazioni che si occupano dei problemi penitenziari. Ho sempre avvertito un grande divario tra le pagine scritte e la realtà palpitante che vivevo quotidianamente. Situazioni ogni giorno diverse e mai preventivabili. Ricordo in particolare il decesso improvviso di un detenuto. Trovandoci nell'infermeria del carcere, attorno a quel corpo che pochi minuti prima era vivo, ci informarono che i parenti erano fuori dall'istituto, in attesa del re­ golare colloquio. Semplicemente non esisteva uno strumento giuridico per permettere loro di entrare e stare vicino al loro caro, prima della traslazione della salma in altro luogo. In quel frangente, come in numerosi altri, ho sen­ tito addirittura di essere di troppo. Ricordo ancora che, in occasione di un altro decesso, in questo caso di una donna, le altre ristrette chiesero tutte di improvvisare una sorta di breve veglia attorno al corpo della loro compagna. In quell'occasione, autorizzai e partecipai io stessa a quella commemorazione inusuale, rimanendone molto colpita. Il carcere è così. Lo conosci solo se lo vivi. Ciò che apprezzo particolarmente in quest'ultimo lavoro di Anna Paola Lacatena è che, grazie alla collaborazione del Commissario capo Giovanni Lamarca ed al materiale da lui raccolto in tanti anni al comando del repar­ to di un istituto penitenziario, finalmente i principi, le norme, le statistiche si manifestano nelle voci di chi "sta dentro" e da quei principi e norme vede indirizzata la propria vita quotidiana, lungi dall'essere semplicemente il nu­ mero di una statistica. STEFANIA BALDASSARI Direttrice Casa circondariale "Carmelo Magli" di Taranto

Prefazione di Nicola Gratteri e Antonio Nicaso

'

E un libro che coniuga con grande efficacia lo studio scientifico della società con il lavoro quotidiano della Polizia penitenziaria. Uno spaccato a più voci su "quello che c'è dentro': uno sguardo negli abissi della natura umana. Chi non è mai entrato in un carcere immagina i detenuti come tanti danna­ ti dell' Inferno dantesco, schiacciati dal peso dell'errore commesso. I gior­ nali parlano di sovraffollamento e Papa Francesco ricorda continuamente l'importanza di migliorare le condizioni carcerarie, nel rispetto della dignità umana. Chi come noi è convinto dell'origine ambientale del male, pensa che non esistano persone geneticamente predisposte al delitto, ma persone psi­ cologicamente più fragili, spesso spinte al crimine da fattori esterni, come la famiglia, la cultura, il disagio sociale o psichico. Se si accetta questo presup­ posto scientifico, si è consapevoli che il compito della giustizia non è la ne­ mesi, la vendetta, ma il ravvedimento, la metanoia, e dunque la rieducazione e, in caso di successo, il reinserimento sociale. Bisogna provarci, anche se ci sono detenuti che sfuggono alla possibilità del ravvedimento, avendo giurato fedeltà a un'organizzazione mafiosa che non consente deroghe alla dissoluzione anticipata del contratto di status. Più volte, è stata proposta l'idea di impegnare i detenuti in attività lavo­ rative, suggerendo la modifica della legge sul lavoro stipendiato nelle carce­ ri. Ma, nonostante le statistiche confermino l'importanza dell'occupazione sia come garanzia di riabilitazione sia come calo delle recidive, sono ancora proposte ignorate. Purtroppo, quasi l' 80% dei detenuti continua a guardare il soffitto della cella. Una brava giornalista come Milena Gabanelli, durante una puntata di Report, ha suggerito di cambiare la norma, . Eppure per uno stato di diritto, dunque, con il termine "rieducazione" si dovrebbe intendere il ravvedimento cosciente, nonché la possibilità di rein­ serimento nella società. Affinché questo processo si compia con successo, è necessario, però, te­ nere vivo il contatto tra il detenuto e la società esterna, quale fondamento irrinunciabile della piena risocializzazione, intesa proprio quale stadio finale del processo rieducativo. Non si può negare che il carcere ad oggi debba fare i conti con l'erosione dell'individualità, con la perdita dei valori e, spesso, delle attitudini proprie del soggetto, con i danni fisici e psicologici determinati dalla reclusione, con

,

'

I . L I STIT U ZIONE TOTALE E L A P RIVA ZIONE DELL A LIBE RTA

3I

l'isolamento, con la povertà di stimoli e con le conseguenze del processo di estraniamento, inteso come incapacità di riadattarsi al mondo esterno. Al di là di ogni intervento espressamente tecnico e normativo, sarebbe necessario rivedere il sistema dell'attenzione e dell'ascolto alle esigenze e ai bisogni del detenuto, soprattutto nelle prime fasi della carcerazione, attivan­ do percorsi di rielaborazione del bagaglio individuale, socio-culturale e del reato. Pur assistendo negli ultimi anni, infatti, ad un'attenzione crescente e ad una disponibilità maggiore rispetto al passato, non si può non pensare al margine di ulteriore miglioramento che questo aspetto potrebbe perseguire. Inoltre sarebbe opportuno incentivare il lavoro e la percezione dell'uti­ lità della riparazione attraverso la pena, favorire la relazione con il mondo esterno (a cominciare dalla famiglia) e incrementare la formazione del dete­ nuto con corsi scolastici e percorsi professionalizzanti. A tal proposito non si può non considerare come una parte dei tentativi suicidari in carcere sia da imputare ad una scarsa attenzione nei confronti di quanto la persona emotivamente vive con la carcerazione, sia dal punto di • • • • vista emotivo sia pratico. Tecnicamente, l'Organizzazione mondiale della sanità definisce il sui­ cidio come . La soppressione della figura del pretore operata dalla normativa che ha istituito il giudice unico (D.Lgs. 1 9 febbraio 1 9 9 8, n. 5 1 ) e il conseguente svuotamento del concetto di "mandamento"

2 . IL L UO GO FISICO DELL A DETEN ZIONE

41

hanno fatto venir meno la distinzione di carattere funzionale con le case circondariali: entrambe sono destinate alla custodia degli imputati a dispo­ sizione dell'autorità giudiziaria e delle persone fermate o arrestate nonché a quella dei detenuti in transito. '

2.3 .2. I ST I T U T I PER L E S E C UZI O NE D ELLE PENE DETENT IVE

Gli istituti per l'esecuzione delle pene, secondo quanto stabilito dall'art. 6 1 della legge 3 5 4/ 1 9 7 5 , sono le case di arresto per l'espiazione della pena dell'arresto e le case di reclusione per l'espiazione della pena della reclusione. Le case di arresto non sono mai state istituite a causa di difficoltà di ca­ rattere organizzativo dovute anche all'esiguo numero di condannati a questa pena. Sezioni di case di reclusione, inoltre, secondo quanto stabilisce la stessa norma, possono essere istituite presso le case di custodia circondariali. Per esigenze particolari vi può essere anche una diversa assegnazione dei condannati, secondo le regole stabilite dall'art. 1 1 0 del D.P.R. 3 0 giu­ gno 20 0 0, n. 2 3 0 (Regolamento di esecuzione) : i condannati alla pena della reclusione, o con un residuo di pena non superiore a due anni e che non pre­ sentino particolari problemi di custodia, possono essere assegnati anche alle case mandamentali; i condannati alla pena dell'arresto e i condannati ad una pena, o con un residuo di pena, non superiore a cinque anni, possono essere assegnati alle case circondariali. 2 .3 . 3 . I ST I T U T I PER LE M I SU RE D I S I C UREZZA DET ENT IVE

Presso gli istituti per le misure di sicurezza detentive ( individuati dall'art. 6 2 della legge 3 5 4/ 1 9 7 5 ) si eseguono le misure individuate dai numeri 1 , 2 e 3 del primo capoverso dell'art. 2 1 5 del codice penale: 1. le colonie agricole; 2. le case di lavoro; 3. le Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza (REM S) che dal ° 1 aprile 20 1 5 hanno sostituito (provvedimento non ancora pienamente at­ tuato) le case di cura e custodia e gli ospedali psichiatrici giudiziari in attua­ zione dell'art. 3-ter - Disposizioni per il definitivo superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari nel D.L. 2 2 dicembre 20 1 1 , n. 2 1 1 , relativo a interventi urgenti per il contrasto della tensione detentiva determinata dal sovraffolla­ mento delle carceri. Di fatto, la psichiatria forense e il manicomio giudiziario nascono all' i­ nizio del secolo X I X . In Italia il primo manicomio criminale nacque in ambi­ to penitenziario presso la casa penale per invalidi della "Sezione per mania-

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RECLUSI

ci" ad Aversa (NA) nel 1 876 e si caratterizzò per la sua funzione sussidiaria al carcere, seguita pochi anni dopo dagli istituti di Montelupo Fiorentino e di Reggio Emilia. Le tre strutture più importanti in Italia ( Napoli, Barcellona Pozzo di Gotto, Castiglione delle Stiviere) furono invece attivate nel corso del Novecento. Il R.D. n. 26 0 del febbraio del 1 89 1 regolamentò tale struttura, includen­ do tra gli stabilimenti di pena speciali i Manicomi giudiziari, termine utiliz­ zato per la prima volta proprio all'interno del disposto in questione. Il "Codice Rocco" ( 1 9 30 ) , con l'introduzione del sistema del doppio bi­ nario ( pene e misure di sicurezza) , diede una definitiva collocazione ai Ma­ nicomi giudiziari e tale normativa è stata vigente sino a pochi mesi fa. L'Ospedale psichiatrico giudiziario (legge 3 54/1 9 7 5 ) nel nostro ordina­ mento svolgeva la funzione di internamento dei soggetti responsabili di reati compiuti in uno stato di incapacità di intendere e volere, causato da infermi­ tà di mente. Tutto ciò determinando il difetto di imputabilità e la susseguen­ te condanna a pena detentiva. In tali casi, dunque, il reo era prosciolto dal reato, ma, se considerato so­ cialmente pericoloso, veniva disposta una misura di sicurezza da scontare in uno specifico istituto penitenziario denominato appunto Ospedale psichia­ trico giudiziario ( art. 62 O P legge 3 54/1 975) . La durata della misura in questione ( art. 222 c.p.) è determinata col cri­ terio della gravità del reato ed era così articolata: 1. dieci anni, se per il reato commesso la legge stabilisce la pena dell'erga­ stolo; 2. cinque anni, se per il reato commesso la legge stabilisce la pena della re­ clusione non inferiore minimo a 10 anni; 3 . due anni, negli altri casi. Tale misura, al pari delle altre, è sottoposta alla giurisdizione del magi­ strato di sorveglianza che può disporre al riguardo (artt. 207-20 8 c.p.): la revoca anticipata, dichiarando cessata la pericolosità, nel caso di eventuale riesame prima della scadenza fissata ; la revoca al termine della scadenza, da­ ta del riesame obbligatorio; la proroga, se viene confermata la permanenza della pericolosità. Da un modello di struttura meramente custodiale, è in atto un processo teso ad affermare la necessità di organizzare un modello che preveda cure effettive e proiezione verso la realtà territoriale locale, considerato che la di­ missione dei pazienti deve realizzarsi con la presa in carico e le conseguenti assistenza e cura da parte dei servizi psichiatrici (Accordo del 26 novembre 20 09 a seguito di Conferenza unificata, ai sensi dell'art. 9 del D.Lgs. 28 ago­ sto 1 9 97, n. 28 1 ) .

2 . IL L UO GO FISICO DELL A DETEN ZIONE

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Gli ospedali psichiatrici giudiziari e le case di cura e custodia sono stati gradualmente dismessi, come previsto dalla legge 17 febbraio 2012, n. 9 di conversione del decreto del 22 dicembre 2011, n. 211.

TABELLA 2. 1

Tipologie degli istituti penitenziari in Italia '

Carcere ( o istituto E il nome generico con il quale si indicano gli istituti di custodia penitenziario) preventiva, quelli per l 'esecuzione delle pene e quelli per l 'esecu­ zione delle misure di sicurezza. Casa mandamentale Sono istituti, ormai quasi tutti dismessi, nei quali sono detenute le persone in attesa di giudizio per reati lievi, oppure condannate a pene fino a un anno. Casa circondariale

Sono gli istituti più diffusi, presenti praticamente in ogni città sede di tribunale. Vi sono detenute le persone in attesa di giudi­ zio e quelle condannate a pene inferiori ai cinque anni ( o con un residuo di pena inferiore ai cinque anni).

Casa di reclusione Sono gli istituti adibiti all 'espiazione delle pene. In molte Case ( o casa penale) circondariali c 'è una "Sezione penale" e, in alcune Case di re­ clusione, c 'è una "Sezione giudiziarià' destinata alle persone in attesa di giudizio. Carcere "speciale" Con questo nome furono chiamati gli istituti costruiti all 'epoca ( o "Supercarcere") del terrorismo e poi destinati anche ai detenuti della criminalità organizzata di tipo mafioso. Oggi non esistono più carceri in­ teramente riservate a questi detenuti, anche perché negli ultimi anni è aumentata di molto la presenza di condannati per reati di microcriminalità e tutti gli spazi disponibili sono stati occupati. Le vere "Supercarceri': pertanto, non esistono più. Ospedale psichiatri­ In questi istituti si trovano sia internati sia detenuti inviati in "os­ co giudiziario servazione" per motivi psichiatrici. Spesso le condizioni di vita sono peggiori di quelle della "normale" detenzione. Centro diagnostico­ In genere non sono istituti a sé stanti, ma sezioni autonome di terapeutico ( Centro Case circondariali o di reclusione. In queste strutture i detenu­ ti sono sottoposti alle cure che non possono essere prestate loro clinico) nelle infermerie delle varie carceri. Istituto a custodia attenuata per il trat­ tamento dei tossico­ dipendenti ( I CATT)

Sono istituti nati a partire dalle previsioni contenute nel Testo unico sugli stupefacenti del 1 9 9 0. Vi si svolgono numerose atti­ vità per la riabilitazione fisica e psichica dei tossicodipendenti, anche in collaborazione con comunità terapeutiche esterne al carcere.

Istituto penale mi­ Sono istituti adibiti alla detenzione dei minorenni ( oltre i 1 4 anni), sia in custodia cautelare, sia condannati alla pena della re­ norile clusione.

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RECLUSI

(segue) Tipologie degli istituti penitenziari in Italia

TABELLA 2 . 1

Casa di lavoro

Vi sono assegnate le persone dichiarate "delinquenti abituali, professionali o per tendenza", una volta che abbiano scontato la pena alla reclusione. Il regime, in questi istituti, è di normale de­ tenzione e, spesso, manca pure la possibilità di lavorare.

Colonia agricola

Vi sono assegnate le persone dichiarate "delinquenti abituali, professionali o per tendenza", una volta che abbiano scontato la pena alla reclusione. Il regime, in questi istituti, è di normale de­ tenzione e, spesso, manca pure la possibilità di lavorare.

Casa di cura e cu- In questi istituti sono "ricoverati" ( una volta scontata la condan­ stodia na) , per un periodo minimo di un anno, i condannati che hanno usufruito di una diminuzione della pena a causa di una parziale infermità mentale. Fonte: http: / /www.ristretti.it/ glossario/ nomicarceri.htm.

A queste tipologie va aggiunto l'1cAM, ossia l'Istituto a custodia attenuata per detenute madri con prole fino a tre/ sei anni. Si tratta di strutture detentive più leggere, istituite in via sperimentale nel 2006 per permettere alle detenute madri che non possono beneficiare di alternative alla detenzione in carcere, di tenere con sé i figli. Pur presen­ tandosi come spazio più colorato e a misura di bambino, di fatto non si può uscire liberamente e ci sono sbarre alle finestre. La Casa famiglia protetta per donne con bambini, infine, è pensata per l'esecuzione di misure alternative.

2.4

Simili cum similibus. I circuiti p enitenziari Ali' interno degli istituti penitenziari esistono ulteriori differenziazioni, rela­ tive ai cosiddetti "circuiti': Il "circuito penitenziario" è stato efficacemente ap­ profondito dagli studi di Della Casa (2015) e Ardita (2007 ). Quest'ultimo ne suggerisce una puntuale definizione in termini di: . Per "trattamento" deve intendersi, a norma dell'art. 1 del D.P.R. 230/20 0 0 (Regolamento di esecuzione) , >. Il secondo stabilisce che > . Pertanto appare evidente la duplice ratio del dettato legislativo volta in­ nanzitutto a favorire il buon esito degli interventi trattamentali in relazione all'omogeneità e affinità del gruppo "ricevente" nonché a separare i detenuti maggiormente pericolosi dalla restante popolazione detenuta al fine di evi­ tare che il più elevato spessore criminale di taluni possa determinare feno­ meni di sopraffazione e corrispondente sudditanza, con effetti pregiudizie­ voli per l'attività risocializzante. Secondo Canepa, Merlo ( 2010) la sicurezza costituisce un elemento co­ stante e indefettibile dell'ordinamento penitenziario. Gli illustri autori chia­ riscono tuttavia che > ( ivi, p. 197) . Va tuttavia evidenziato, come chiarisce Falzone ( 20 1 6, p. 2 ) , sulla scorta della costante giurisprudenza di legittimità costituzionale e convenzionale, che > . Tale compito è affidato al personale di Polizia penitenziaria. L'organizzazione dei circuiti è stata regolamentata da una serie di circo­ lari del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che si sono succe­ dute dal 1 9 9 1 al 201 1. In particolare, a seguito delle modifiche introdotte con la circolare n. 3 9 1 9 / 6 0 6 9 del 2 1 aprile del 20 0 9, l'organizzazione dei circuiti penitenziari oggi può così essere schematizzata: a) il circuito 41-bis, comma 2 °, O P. A differenza degli altri circuiti comporta una rilevante compressione delle normali regole trattamentali derogando pertanto all'ordinario regime penitenziario. Per motivi di logicità sistematica si è scelto di approfondire l'esame dell' istituto nella seconda parte del libro, a cui si rimanda. Per ora è sufficiente dire che l'applicazione dell'art. 41 -bis, comma 2 ° , O P disposta con decreto motivato dal ministro della Giustizia, comporta, per i detenuti imputati e condannati ex art. 4-bis, comma 1 ° , O P o comunque per un delit­ to che sia stato commesso avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare l'associazione di tipo mafioso, la sospensione, in tutto o in parte, delle regole di trattamento e degli istituti previsti dall'ordinamento penitenziario che si­ ano in contrasto con le esigenze di ordine e sicurezza pubblica. La finalità al­ la base di tale provvedimento è quello di prevenire e impedire i collegamenti fra detenuti che stanno ai vertici delle organizzazioni criminali nonché tra questi e gli appartenenti a tali organizzazioni ancora in libertà. b) Il circuito alta sicurezza. La rigida separazione tra gli appartenenti a tale circuito e la restante popo­ lazione detenuta è determinata sia da motivi di prevenzione, data la spiccata pericolosità e l'elevato spessore delinquenziale, sia, soprattutto, dai limiti stes-

2 . IL L UO GO FISICO DEL L A DETEN ZIONE

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si fissati dall'ordinamento penitenziario che li esclude dai benefici premiali e ne limita in parte gli aspetti trattamentali, salvo che dimostrino la loro fuo­ riuscita dalla compagine criminale di appartenenza tramite la collaborazione con la giustizia. Si consideri, infatti, che come evidenziato nella circolare DAP n. 20 del 9 gennaio 2007, l'inserimento nel circuito ordinario di soggetti, che hanno alle spalle lunghe esperienze criminali e scelte di vita orientate dalla dimensione organizzata dell'attività delittuosa, può determinare permanenti relazioni con la realtà criminale esterna. Nella gestione delle sezioni "alta sicu­ rezza" è previsto un maggior livello di controllo mediante una presenza mag­ giore di personale di Polizia penitenziaria e il tendenziale svolgimento delle attività trattamentali ali' interno delle sezioni stesse al fine di evitare contatti con detenuti di tipologie differenti. La Direzione generale dei detenuti e del trattamento cura le assegnazioni e i trasferimenti all'interno dei sottocircuiti alta sicurezza presenti sul territorio nazionale, emanando un provvedimento che dispone l'inserimento nel circuito ( cosiddetta "classificazione" ), per cia­ scun soggetto interessato, individuando il gruppo criminale di appartenenza. L'individuazione avviene sulla base degli atti dell'autorità giudiziaria con cui si contesta, si imputa, o si accerta taluno dei reati di cui ali' art. 4-bis, 1 ° com­ ma, O P e, inoltre, delle specifiche informazioni trasmesse da organi di Polizia giudiziaria operanti a livello centrale o, almeno, interprovinciale specializzati, secondo quanto previsto dai rispettivi ordinamenti, nel settore della crimina­ lità organizzata. Per i medesimi fini, le Direzioni sono chiamate a formulare anche proposte di cosiddetta "declassificazione': per la fuoriuscita dal circuito AS e inserimento in quello di media sicurezza, per i soggetti per i quali è stata accertata l'interruzione di qualsiasi collegamento con la criminalità organiz­ zata. Le proposte saranno valutate dalla Direzione generale detenuti e tratta­ mento, competente a emanare il relativo provvedimento. Ali' interno del circuito alta sicurezza si distinguono: - sottocircuito AS I, destinato al contenimento dei detenuti e internati ap­ partenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, per i quali sia venuto meno il decreto di assegnazione al 41 -bis dell' o P. L'assegnazione a questa categoria e l'ulteriore distinzione rispetto ai detenuti classificati in circuito AS 3 trova fondamento nel ruolo di spicco rivestito nell'ambito delle consor­ terie criminose di stampo mafioso ed è volta ad evitare posizioni carismati­ che di leadership, atti di proselitismo e quindi influenze nocive reciproche ; - sottocircuito AS 2, per detenuti imputati o condannati per reati di terro­ rismo, anche internazionale, o eversione dell'ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza ( delitti di cui agli artt. 27 0, 270 -bis, 270 -ter, 270 -quater, 270 -quinques, 28 0, 28 0-bis, 28 9-bis, 306 c.p.). La creazione di un circuito specifico per tali soggetti mira a prevenire fenomeni di proselitismo

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nei confronti di detenuti comuni e a prevenire aggregazioni, potenzialmen­ te pericolose, tra criminalità mafiosa e terrorismo; - sottocircuito AS 3, per coloro che si siano macchiati del reato di asso­ ciazione di stampo mafioso ( art. 41 6-bis c.p.), dei delitti punibili commes­ si avvalendosi delle condizioni previste dall'art. 41 6-bis del codice penale ovvero al fine di agevolare l'attività delle associazioni previste dallo stesso articolo ( art. 7 della legge 2 3 1 / 1 9 9 1 ) , di sequestro di persona ( art. 630 c.p.) nonché di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope, limitatamente ai capi, promotori, organizzatori (art. 74 D.P.R. 3 0 9 / 1 9 9 0 ) poiché nella maggior parte dei casi i semplici partecipi a tali ul­ time consorterie non rivestono posizioni di particolare rilievo in ambito criminale. e) Il circuito di custodia attenuata. Destinato ai detenuti tossicodipendenti a bassa pericolosità sociale. Per i detenuti tossicodipendenti il Testo unico in materia di disciplina degli stu­ pefacenti prevede che la pena detentiva inflitta venga scontata in "istituti idonei per lo svolgimento di programmi terapeutici e socioriabilitativi': Con decreto ministeriale nel 1 9 9 1, alcune carceri vennero trasformate in Istituti a Custodia attenuata per il trattamento della tossicodipendenza ( I CAT T). d) Il circuito per detenuti collaboratori di giustizia. Destinato a coloro che collaborano o hanno prestato attività di collabo­ razione con l'autorità giudiziaria. Fin dagli anni Novanta l'Amministrazione penitenziaria assegnava i detenuti collaboratori di giustizia a sezioni detentive destinate in via esclusiva al loro contenimento, disciplinate in modo tale da evitare i pericoli derivanti dai contatti con le altre sezioni o con l'esterno. Con decreto ministeriale del 7 febbraio 200 6, n. 1 44, il legislatore ha dettato nuove regole sulla detenzione dei collaboratori di giustizia, prevedendo uno speciale regime di protezione a tutela della incolumità di tutti i detenuti che collabo­ rano con la giustizia. Sono assegnati, con provvedimento della Direzione ge­ nerale dei detenuti e del trattamento del Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, ad appositi istituti o sezioni di istituto: - i detenuti e gli internati che risultano tenere o aver tenuto condotte di collaborazione previste dal codice penale o da disposizioni speciali relativa­ mente ai delitti previsti dall'art. 9, comma 2 °, del decreto legge 1 5 gennaio 1 9 9 1, n. 8, e che siano ammessi alle speciali misure di protezione o per i quali sia stata avanzata la proposta di ammissione a misure speciali di protezione, ovvero per i quali sia stata avanzata richiesta di piano provvisorio di prote­ zione, ovvero che siano sottoposti a piano provvisorio di protezione, ovvero che siano sottoposti a misure di eccezionale urgenza ai sensi dell'art. 1 3, com­ ma 1 ° , del decreto legge 1 5 gennaio 1 9 9 1, n. 8 ;

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- i soggetti che sono stati sottoposti nel passato alle speciali misure di pro­ tezione e ne sono fuoriusciti con misure di reinserimento sociale ai sensi dell'art. 1 3, comma 5 ° , del decreto legge 1 5 gennaio 1 9 9 1, n. 8, salvo che, anche sulla base di informazioni provenienti dall'autorità giudiziaria, il nuovo sta­ to di detenzione o di internamento non sia conseguente a fatti incompatibili con le condotte di collaborazione con la giustizia ; l'assegnazione a questo circuito ha la doppia finalità di proteggere il detenuto collaboratore e di ga­ rantire la genuinità delle dichiarazioni rese. Sono istituite altresì sezioni specifiche ove sono ristretti i congiunti di collaboratori di giustizia ( cd. "Sezioni Z" ) in regime di totale separazione dal resto della popolazione detenuta al fine di salvaguardarne l'incolumità prevenendo possibili vendette trasversali. Sono attualmente previste negli istituti di Parma, Larino e Lanciano. e) Il circuito per detenuti precauzionali-protetti. Esistono pochi istituti interamente destinati a questo circuito mentre la maggior parte delle strutture medio-grandi dispongono di sezioni all'uopo previste. Vengono allocati quei soggetti che hanno commesso reati cosiddetti "di riprovazione sociale" quali la violenza sessuale, in particolare sui minori ( art. 609-bis e seguenti c.p.), la prostituzione minorile ( art. 600-bis c.p.), por­ nografia minorile ( art. 600 -ter e seguenti c.p. ) . Le ragioni della separazione di questa categoria dalla restante popolazione detenuta risiedono nel particola­ re disfavore sociale verso i responsabili di tali reati e nella assoluta avversione degli altri ristretti che rifiutano categoricamente di condividere alcun tipo di spazio con i medesimi. Al fine di prevenire atti di aggressione e ritorsione, pertanto, questi detenuti sono ammessi alla vita in comune limitatamente ai compagni di sezione, restando rigidamente separati dai restanti ristretti. Ciò comporta di fatto una seria limitazione della fruizione di attività trattamenta­ li per l'impossibilità di condividere i pochi spazi comuni ( ad esempio le aule scolastiche). Tale vulnus è superato negli istituti interamente destinati a tale circuito ove non vi è la necessità di garantire i cosiddetti "divieti d'incontro': Tuttavia già dalla fine degli anni Novanta l'Amministrazione penitenziaria aveva avvertito l'opportunità di avviare programmi rieducativi specifici. Tale esigenza è ora cristallizzata nell'art. 1 3-bis O P secondo il quale i responsabili di reati contro i minori > ( Canepa, Merlo, 2010, p. 9 9 ) . Lo stesso art. 72, quasi a voler certificare la dipendenza gerarchica dall'Amministrazione penitenziaria ma rimarcandone esperienza e compe­ tenze, prescrive che gli attuali Uffici di esecuzione penale esterna . L'art. 81 stabilisce, poi, che gli assistenti sociali . Rimarcando il ruolo degli educatori adulti, l'art. 80 O P puntualizza la competenza del personale presente negli Uffici relativamente a compiti isti­ tuzionali, precisandone il ruolo anche ali' interno del carcere. Attraverso gli assistenti sociali, l'uEPE partecipa alle attività di osserva­ zione scientifica della personalità dei detenuti e apporta il suo contributo all'équipe d'osservazione e trattamento per la stesura del programma indi­ vidualizzato. Altro compito è quello di riferire sulla rete sociale e famigliare del de­ tenuto, garantendo il proprio contributo alle attività di trattamento, par­ tecipando alle commissioni interne dell'istituto per l'organizzazione delle

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attività culturali, ricreative e sportive, per la gestione della biblioteca e per la stesura del regolamento interno. Effettua colloqui con i detenuti per ciò che attiene soprattutto alla vita esterna della persona e alla possibilità di creare o ricucire i legami famigliari. In relazione ali' attuazione delle misure alternative, l'azione di questi operatori trova la più ampia applicazione nella gestione dell'affidamento in prova al Servizio sociale ( art. 4 7 o P), oltre che ali' affidamento, in casi parti­ colari, alla detenzione domiciliare e alla semilibertà. Va precisato che il T.U. in materia di stupefacenti ( D.P.R. 9 ottobre 1 9 9 0, n. 309) ha puntualizzato alcuni aspetti fondamentali relativi ali' affidamento in prova in casi particolari, ossia rivolto a tossicodipendenti e alcoldipen­ denti che intendono intraprendere o proseguire un programma terapeutico, concordato con il Dipartimento dipendenze patologiche-SERD dell'Azien­ da sanitaria locale e da altri enti pubblici e privati come previsto dall'art. 1 1 5. Ali' insegna del recupero e del reinserimento, dunque, la riabilitazione avviene in questi casi specifici attraverso il programma presso il S ERD o pres­ so una comunità terapeutica accreditata, nel rispetto delle prescrizioni stabi­ lite e su cui proprio l'uEPE è chiamato a vigilare. Nella traccia del lavoro integrato, va precisato che l' Ufficio in questione mantiene la titolarità e la responsabilità circa l'esecuzione dell'affidamento in prova dei soggetti tossico/ alcoldipendenti, considerato che il direttore è responsabile del programma di trattamento mentre il responsabile/ coordi­ natore del S ERD è responsabile degli obiettivi terapeutico-riabilitativi. Nei riguardi del magistrato di sorveglianza, l'operatore dell' Ufficio di esecuzione penale esterna fornisce, come stabilito dalla legge, informazioni circa l'andamento della misura anche al fine di migliorare, attraverso l'indi­ vidualizzazione della stessa, esiti e valutazioni circa eventuali trasgressioni. A conclusione del percorso, l'assistente sociale fornisce una relazione finale. Nella detenzione domiciliare ( art. 4 7-ter o P) il Tribunale di sorveglianza può disporre di interventi di sostegno del servizio sociale, indicandone mo­ dalità e tempi. Nella detenzione domiciliare speciale ( art. 47-quinquies O P) riservata alle detenute madri, poi, i compiti di controllo sono attribuiti prioritariamente agli operatori UEPE. In regime di semiliberta ( art. 48 o P) l'attività di vigilanza e di assistenza è espletata quasi completamente dall' Ufficio mentre funzioni meramente di sostegno e assistenza sono previste nella liberazione condizionale ( art. 176, 1 77 c.p.). I compiti attribuiti riportano, effettuando controlli sull'adesione alle prescrizioni e non solo, a quella necessità del carcere e dei suoi ospiti di be-

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neficiare di una sorta di ponte, ossia un modo di mantenere, ampliare, ali­ mentare continuamente il contatto con il mondo esterno. La partecipazione della comunità in generale alla rieducazione (art. 68 reg. esec.), la preparazione del dimittendo (art. 88 reg. esec.), i contatti con il nucleo famigliare in vista del rientro (art. 89 reg. esec.), la possibilità di inter­ venire su sollecitazione della Direzione penitenziaria per vedere tutelati i di­ ritti e la dignità degli ammessi al lavoro esterno (art. 48 reg. esec. in relazione ali'art. 21 O P ) sono altre competenze che, se utilizzate al meglio, possono dav­ vero contribuire al recupero e alla rieducazione del detenuto.

3.5 Riordino della sanità p enitenziaria Chi dovrebbe occuparsi della salute dei cittadini-detenuti? Riprendendo la storia meno recente, va ricordato che fu Costantino nel 320 d.C. a compiere un primo atto medico, consentendo ai detenuti di pren­ dere aria e fare moto nei cortili. Nel XVI secolo, il Granduca di Toscana consentì ali'anatomista Gabriele Falloppio di utilizzare i detenuti per la sperimentazione medica. Tra il XVI e XVI I secolo, anche in ragioni del degrado fisico e morale del­ le prigioni, compare la prima forma di trattamento attraverso il lavoro. Il Beccaria, sotto l'influenza dei grandi pensatori dell'Illuminismo, pub­ blicò il libro Dei delitti e delle pene, avviando una vera e propria analisi delle condizioni delle carceri e dei detenuti, con la collaborazione degli amici del "Caffè': tra i quali primeggiava Alessandro Verri, che in quel tempo ricopriva l'ufficio di protettore delle carceri. Non meno significativa fu l'opera di John Howard che nel 1756, mentre si recava in Portogallo, fu catturato dai corsari francesi e tenuto in prigione a Brest. L'esperienza lo mise personalmente in contatto con la promiscuità, le pessime condizioni igieniche, la corruzione dell'epoca. Pubblicò nel 17 77 il suo libro più famoso, Lo stato delle prigioni, cui fece seguito dodici anni do­ po L a storia dei lazzaretti, destando clamore e attirando l'attenzione dell'o­ pinione pubblica sulle terribili condizioni dei detenuti. Egli affermò che il lavoro e la religione sono i mezzi migliori dell'emenda e che rendere l'uomo diligente vuol dire renderlo onesto. Nel 1 8 21 Giulia Colbert, marchesa di Barolo, educatrice e benefattrice, colpita dalle urla delle prigioniere delle carceri della "Curia Maxima': se ne interessa e si fa nominare Sovrintendente delle carceri delle Forzate, dove

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riunisce solo le donne, riuscendo a conquistare la loro fiducia e operando a favore di un pieno recupero. Scriverà in proposito che bisogna considerare una prigione come una casa di cura per anime malate. Nella seconda metà del XIX secolo e sino al 1 9 3 1 non si rileva particolare attenzione alla condizione umana nelle carceri. Gli obiettivi principalmente perseguiti restano il controllo e l'emarginazione, con l'idea che il delinquen­ te deve essere isolato e guarire dalla sua delinquenza. La presenza di personale sanitario negli istituti penitenziari venne ori­ ginariamente prevista dal Regolamento per gli istituti di prevenzione e pena del 1 9 3 1. Detto regolamento, prevedeva la presenza di un medico ali' interno di ogni istituto penitenziario, senza precisare, tuttavia, la natura del rapporto di lavoro che legava il professionista al ministero di Grazia e giustizia. Non va dimenticato che all'epoca non esisteva un unico organismo pub­ blico preposto alla tutela della salute dei cittadini, essendo stato istituito di fatto il ministero della Salute solo a partire dal 1 9 5 8. Al regolamento in questione ha fatto seguito la legge 9 ottobre 1 970, n. 740 che ha disciplinato il rapporto di lavoro di tutte le categorie di personale sanitario con attività lavorativa negli istituti penitenziari e non inserite nei ruoli organici dell'Amministrazione penitenziaria. Con l'Ordinamento penitenziario del 1 9 7 5 , è stata più puntualmente normata l'organizzazione dei servizi sanitari negli istituti penitenziari con la finalità di rispondere alle effettive esigenze di salute della popolazione de­ tenuta. Nel dettaglio, il comma 10 ° dell'art. 1 1, ha attribuito all'Amministrazio­ ne penitenziaria la facoltà di avvalersi per l'organizzazione e il funzionamen­ to dei servizi sanitari della collaborazione dei servizi pubblici sanitari locali ospedalieri ed extraospedalieri. Il quadro normativo sulla materia è stato completato dal successivo D. P.R. 29 aprile 1 9 76, n. 43 1, Regolamento di esecuzione della legge 2 6 lu­ glio I975, n. 354, Ordinamento Penitenziario, successivamente modificato dal D. P.R. 3 0 giugno 200 0, n. 230. Il Consiglio di Stato, con il pronunciamento n. 3 0 5 del 7 luglio 1 9 8 7, ha confermato l'esclusiva competenza della Amministrazione penitenziaria in materia di diritto alla salute della popolazione detenuta, dirimendo la con­ trapposizione nata tra quanti sostenevano l'autonomia della sanità peniten­ ziaria e quanti la inserivano, in mancanza di altre espressioni di legge, nel Servizio sanitario nazionale (ssN).

3 . O R G ANIZ Z A ZIONE PENITEN ZIA RIA

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La legge 22 dicembre 1975, n. 685, ha ulteriormente sostenuto l' idea del­ la collocazione della sanità penitenziaria nell'ambito della sfera di attribu­ zioni del ministero della Giustizia. Negli anni Ottanta e Novanta, ali' indomani dell' introduzione del S SN e nonostante le indubbie spinte esercitate verso l'apertura ali'esterno della "legge Basaglia" (legge 13 maggio 1978, n. 180) iniziarono ad essere stipu­ lati accordi in tema di salute e cura dei detenuti tra il DAP e alcune Regioni italiane, senza però che queste collaborazioni auspicassero o anche solo si ponessero il problema di riordinare nel complesso il sistema sanitario peni• • tenz1ar10. Indagini parlamentari e sopralluoghi compiuti da autorità regionali e nazionali hanno squarciato, soprattutto a partire dal 1994, il velo sul biso­ gno/ domanda di salute presente nelle carceri italiane. La svolta in tal senso si ha nel 1998 quando, ali' interno dell'obiettivo del Governo di portare a compimento la riforma sanitaria e la regionalizzazione del S S N, viene approvata la legge 30 novembre 1998, n. 419, il cui art. 5 avvia il non ancora del tutto esaurito processo di Riordino della medicina peniten­ ziaria nel nostro paese. I criteri direttivi di tale riforma consistevano in un passaggio graduale delle competenze di sanità penitenziaria al S S N, con l' intento di tener co­ munque conto delle condizioni peculiari di detenzione e mantenendo al ministero della Giustizia le funzioni di sicurezza. Il passaggio sarebbe stato realizzato attraverso il trasferimento delle risorse finanziarie, professionali e dei beni e servizi alle Regioni e alle Aziende sanitarie locali, . In data 22 giugno 1999, viene approvato il D.Lgs. n. 230 per il Riordino della medicina penitenziaria, con il quale si ha (Benigni, 2008, p. 68). L'art. 2 del D.Lgs. n. 230 stabilisce che . L'art. 117 della Costituzione sancisce, però, che spetta alle Regioni la po­ testà legislativa anche per la tutela della salute, ali' interno della legislazione concorrente.

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RECLUSI

Alla vigilia del 1 gennaio 20 0 0, i provvedimenti richiesti dalla legge per il passaggio delle risorse finanziarie e professionali alle Regioni erano lonta­ ni dalla piena e concreta realizzazione. °

Anzi. [ . . . ] La burocrazia ministeriale non era solo sorda e tardiva, ma anche accorta e conformista, decisa a non toccare la sostanza del sistema, ma attenta a non passa­ re dalla parte del torto formale. Cosicché il ministero della Giustizia, per coprirsi le spalle, emanava la Circolare che passava le competenze alle Regioni, ma senza accompagnare il provvedimento con l' individuazione delle risorse professionali e finanziarie corrispondenti. Una finzione in piena regola >> (ivi, p. 8 7 ) .

Solo il 2 0 aprile 2 0 0 0 vengono individuate le Regioni che daranno avvio alla sperimentazione (Toscana, Lazio, Puglia) e bisognerà aspettare il 20 0 3 per un provvedimento, per di più incompleto, che saldi il conto sulle risorse. Gli effetti immediati sono l'incremento della precarietà del sistema sani­ tario e della sfiducia nella riforma da parte degli operatori. Il D.Lgs. n. 2 3 0 ha inoltre disposto il contestuale passaggio delle funzio­ ni, del personale, delle attrezzature, degli arredi e degli altri beni strumentali, nonché delle risorse predisposte. La piena attuazione dell'art. 6, comma 1 ° , del D.Lgs. n. 2 3 0 ha neces­ sitato di un decreto interministeriale ad hoc (della Salute e della Giustizia, adottato di concerto con la Funzione pubblica e l'Economia e finanze) del 1 0 aprile 20 0 2 . Il trasferimento ha dovuto necessariamente riguardare la sola titolarità dei rapporti convenzionali con i medici, gli psicologi e gli infermieri addetti al presidio delle tossicodipendenze. Per il solo Presidio delle tossicodipendenze, i rapporti trasferiti riguar­ dano poco più di 6 0 0 unità ( 1 7 2 stipulati con i medici, 3 0 2 con gli psicologi e 1 3 2 con gli infermieri; Esposito, 20 0 7 ) . La tutela della salute in carcere è ad oggi disciplinata dal decreto del pre­ sidente del Consiglio dei ministri del 1 ° aprile 20 0 8 , Modalita e criteri per il trasjèrimento al Servizio sanitario nazionale dellefunzioni sanitarie, dei rap­ porti di lavoro, delle risorsefinanziarie e delle attrezzature e beni strumentali in materia di sanita penitenziaria. L'allegato A prevede che: lo Stato, le Regioni, i Comuni, le Aziende sanitarie e gli istituti peni­ 1. tenziari uniformano le proprie azioni e concorrono responsabilmente alla realizzazione di condizioni di protezione della salute dei detenuti e degli internati, attraverso sistemi di informazione ed educazione sanitaria per l'attuazione di misure di prevenzione e lo svolgimento delle prestazioni di

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diagnosi, cura e riabilitazione contenute nel Piano sanitario nazionale, nei piani sanitari regionali e in quelli locali; 2. l'assistenza sanitaria ai detenuti e agli internati è organizzata secondo principi di globalità dell'intervento sulle cause di pregiudizio della salute, di unitarietà dei servizi e delle prestazioni, di integrazione dell'assistenza socia­ le e sanitaria e di garanzia della continuità terapeutica; 3. alla erogazione delle prestazioni sanitarie provvede l'Azienda sanitaria. L'Amministrazione penitenziaria provvede alla sicurezza dei detenuti e a quella degli internati ivi assistiti. In particolare, il servizio sanitario nazio­ nale assicura ai detenuti, agli internati ed ai minorenni sottoposti a provve­ dimenti penali: 1. azioni di protezione, di informazione e di educazione ai fini dello svi­ luppo della responsabilità individuale e collettiva in materia di salute; 2. informazioni complete sul proprio stato di salute ali'atto dell'ingresso nell'istituto penale, durante il periodo di esecuzione della pena e ali'atto del­ la immissione in libertà; 3. interventi di prevenzione, cura e sostegno del disagio psichico e sociale; 4. l'assistenza sanitaria della gravidanza e della maternità; 5. l'assistenza pediatrica e i servizi di puericultura ai figli delle donne dete­ nute o internate che durante la prima infanzia convivono con le madri negli • • • • • • 1st1tut1 pen1tenz1ar1. Nel passaggio da un servizio erogato dall'Amministrazione penitenzia­ ria centrale a quello fornito dalle ASL, la sanità intra-carceraria registra pro­ fondi cambiamenti: non è più uno dei rami in cui si organizza un organo istituzionale, ma diviene un servizio che si rivolge al bisogno e al diritto di salute della singola persona detenuta, ed è da qui che emerge la sua legitti­ mazione e giustificazione. Cambia la sua funzione perché cambia la persona a cui si rivolge, o forse finalmente questa diviene tale agli occhi dell'istituzione. Non un colpevole, un reo, o peggio semplicemente la personificazione di un reato, ma un cittadino a cui dare risposte in tema di salute (Benigni, 2008). ' E bene rimarcare che, ad oggi, restano ancora aperte due importanti questioni: perché, a distanza di più di sette anni dal D. P. C.M. 1 ° aprile 2008, si deve ancora fare riferimento a una riforma incompiuta? Come risponderà il sistema giudiziario e penitenziario italiano (e l'intera società), al supera­ mento degli Ospedali psichiatrici giudiziari (O P G ) , legge 17 febbraio 2012, n. 9, di conversione del D.L. 22 dicembre 2011, n. 211?

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RECL USI

RIQUADRO 3 . 1

Riordino della sanità penitenziaria in sintesi Legge delega 3 0 novembre 1 9 9 8 , n. 41 9, Delega al Governo per la razionalizzazione del Servizio Sanitario Nazionale, art. 5 , Riordino della medicina penitenziaria; D.Lgs. 2 2 giugno 1 9 9 9 , n. 23 0, Riordino della medicina penitenziaria, a norma dell 'art. s legge 41 9 / 1 9 9 8 ; decreto interministeriale 20 aprile 20 0 0, Individuazione delle Regioni nelle quali avviare ilgraduale trasferimento, inJonna speri1nentale dellefunzioni sanitarie svolte dall:Ammi­ nistrazione penitenziaria al Servizio sanitario nazionale. Determinazione della durata dellafase sperimentale prevista dall'art. S comma 2 del D.Lgs. 22 giugno I999, n. 230 ; decreto interministeriale 21 aprile 2 0 0 0 , Approvazione delprogetto obiettivo per la tutela della salute in ambito penitenziario; D.Lgs. 22 dicembre 20 0 0, n. 43 3 , Disposizioni correttive del Decreto Legislativo 22/0 6/99 n. 230, recante il Riordino della medicina penitenziaria; decreto interministeriale 1 6 maggio 20 0 2 , Commissione mista di studio per il rinnova­ mento del Servizio sanitario penitenziario; D.P.C.M. 1 ° aprile 2008, Modalita e criteri per il trasferimento al Servizio sanitario nazio­ nale dellefunzioni sanitarie, dei rapporti di lavoro, delle risorsefinanziarie e delle attrez­ zature e beni strumentali in materia di sanita penitenziaria; legge 1 7 febbraio 20 1 2 , n. 9 , di conversione del D.L. 22 dicembre 2 0 1 1 , n. 21 1.

3.6 Medicina penitenziaria, medicina di frontiera Unica prospettiva percorribile da parte del S S N è quella di definire con estre­ ma chiarezza, nell'ambito di una più ampia strategia di sistema, il ruolo e gli obiettivi dei servizi di medicina penitenziaria, in maniera da poter realisti­ camente interpretare e rispondere alle esigenze della popolazione detenuta. ' E evidente la necessità di un dialogo aperto tra la singole realtà istituzionali. Il linguaggio, la semiotica, il senso del lavoro sanitario non possono dirsi uguali a quelli dell'ambito della pena e della detenzione. L'esperienza maturata sul campo, però, deve farsi patrimonio comune finalizzato al concetto di salute che non può conoscere differenti e contrap• • • poste 1nterpretaz1on1. La malattia è stata definita (Prodi, 1981 ). ' E possibile, però, applicare questa definizione al contesto carcere? Corpo e mente, infatti, sono continuamente sollecitati da fattori di stress: an­ gosce, paure, limitazioni nell'agire e la conseguente adattabilità del proprio corpo ad un ambiente con il quale armonizzarsi.

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Quello che Foucault ( 1 9 6 9, p. 1 4 1 ) definiva > viene condizionato dal contesto della detenzione nella re­ lazione che esiste tra medico e paziente detenuto. Intanto, nella realtà odierna il detenuto trova un medico imposto dall' i­ stituzione come risposta ai suoi bisogni di salute, potendo ricorrere ad altre figure mediche solo nell'ambito di un rapporto privatistico. La scienza medica può e deve essere praticata in carcere come da Costi­ tuzione italiana non scindendo il corpo dalla psiche, la sofferenza del corpo da quella generata dalla mente in assenza di libertà. La psichiatria moderna ci parla del cervello come organo plastico, capace di rimodellarsi anche e soprattutto in ragione del contesto e degli stimoli esterni. Queste evidenze scientifiche debbono sollecitare riflessioni, che inducano l'universo sanita­ rio e penitenziario a produrre risposte appropriate, insieme, collaborando. La medicina penitenziaria deve farsi strumento di conoscenza e integraz1one per: 1. prevenire la malattia mentale ed individuare precocemente gli individui "sotto-soglia" in cui la detenzione potrebbe slatentizzare reazioni psichiche anomale ; 2. riconoscere il disagio psichico e sociale, come fattori di rischio per il de­ tenuto; 3. pianificare l'attività sanitaria in modo specifico secondo i classici schemi di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione ; 4. orientare la presenza e gli obiettivi del personale medico ed infermieri­ stico secondo le reali necessità assistenziali degli istituti dove operano; 5 . individuare e attrezzare i luoghi più adatti al trattamento; 6. riconoscere l' inadeguatezza dell'attuale organizzazione al trattamento; 7. affermare il ruolo dell'affettività, della sessualità, del lavoro, della socia­ lità come strumenti terapeutici a disposizione del trattamento; 8. sostenere gli operatori penitenziari attraverso iniziative di informazio­ ne, formazione, sostegno; 9. adeguare la formazione del personale agli obiettivi propri di ogni livello assistenziale; 10. formulare un intervento più mirato delle Aziende sanitarie locali, di­ versificando e contestualizzando in ragione della tipologia dell' istituto, in termini di prevenzione primaria, secondaria, terziaria, in termini di politica del farmaco e di livelli essenziali di assistenza ( LEA) ; 1 1. provare a deflazionare il ricorso a visite specialistiche esterne al carcere, con aggravio di lavoro per la Polizia penitenziaria.

RECLUSI

Ad una medicina che studia la patologia, in carcere si deve affiancare una medicina dello spazio sociale perché mai come in questo contesto è necessa­ rio capire alcuni aspetti: 1. una lettura di tutti i fattori ambientali quali il sovraffollamento, la caren­ za di risorse, le già richiamate relazioni tra soggetti; 2. le caratteristiche specifiche di quel contesto: un carcere con la maggio­ ranza di detenuti appartenenti a quel territorio va letto in modo diverso ri­ spetto ad un istituto con una maggioranza di detenuti stranieri, così come il clima in una casa di reclusione rispetto al classico istituto "giudiziario" citta­ dino sarà comunque diverso. Coltivare una medicina dello spazio sociale significa anche fare i con­ ti con una realtà dove molte volte il sintomo è già di per sé la malattia, con conseguenze immediate e ben conosciute da chi lavora nei reparti detentivi. Ma la conflittualità emerge soprattutto quando si attuano o si temono pratiche si­ mulative da parte del detenuto; la diffidenza e le preoccupazioni del medico che deve fronteggiare questo rischio in questi casi sono sempre comprensibilmente tra­ smesse ad altri operatori, che siano il poliziotto penitenziario o il direttore, perché un'eventuale simulazione in carcere non deve, non può passare; comprometterebbe la legittimazione del medico, andrebbe a ledere il rapporto di fiducia che gli altri operatori mantengono con il medico. Il tema della simulazione è di una drammaticità assoluta e non fa altro che av­ vilire la qualità dell'assistenza sanitaria. Diffidenza e preoccupazione possono spin­ gere il medico ad adottare "tattiche" di attesa o di rinvio, anche attraverso ulteriori richieste di accertamenti specialistici, evitando di pervenire a diagnosi conclusive anche quando scienza e buon senso lo richiederebbero. Le condizioni ambientali e umane, di cui cerchiamo di dare conto, ci dicono che all' interno degli istituti penitenziari l'obiettivo di una sanità efficace ed effi­ ciente ha componenti parzialmente ma significativamente diverse da quelle in uso nella società libera. L'aver voluto sottolineare che parliamo non solo di pazienti, ma di pazienti-detenuti e soprattutto di detenuti sottolinea e non smentisce un percor­ so della sanità nel mondo libero: la centralità della persona. Una buona medicina dello spazio sociale non parla solo di patologie ma anche di prevenzione, di analisi del disagio nelle sue varie espressioni e di qualità delle relazioni. Nella mia prima esperienza di direzione di istituti penitenziari notavo come giornalmente c'era un numero giornaliero elevatissimo di detenuti richiedenti visita medica, un dato in proporzione molto più alto rispetto alle richieste di colloquio con altri operatori (Cantone, 2 0 1 2, pp. 1 0 - 1 ) .

Il medico penitenziario è un medico di frontiera in una condizione di vita, quella determinata dalla detenzione, che è spesso la frontiera dell'esclusione.

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3 .7 Volontariato In Italia il volontariato penitenziario, secondo quanto previsto dal ministero della Giustizia (http: //www.giustizia.it), può assumere tre diverse tipologie: 1. volontariato realizzato da persone singole, che costituisce la forma più tradizionale; 2. volontariato costituito da singole associazioni; 3. volontariato attuato da gruppi di associazioni e coordinate da un'orga. . . ' . n1zzaz1one p1u ampia. In ogni caso l'autorizzazione per l'accesso in istituto viene rilasciata no­ minativamente ai singoli volontari ed è disciplinata dagli arte. 18 e 78 O P (legge 354/1975). L'art. 17 consente l'ingresso in carcere a tutti coloro che . La persona interessata deve presentare una domanda scritta, ai sensi dell'art. 17 O P, contenente i propri dati personali e le motivazioni per le quali intende svolgere questo tipo di attività direttamente al direttore dell'istituto. Quest'ultimo, dopo aver valutato la compatibilità delle iniziative pro­ poste dal volontario . Per tale ragione il documento raccomanda l'opportunità >, suggerendo tra le indicazioni operative di:

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RECLUSI

garantire misure e azioni concrete per prevenzione delle patologie correlate all'uso di sostanze stupefacenti in carcere, alle pratiche sessuali, ai tatuaggi ecc. (contat­ to precoce e con adeguate informazioni, estesa disponibilità di farmaci sostitutivi, programmi di screenings calibrati per durata di detenzione, offerta attiva di contact­ tracing e partner noti.fication, campagne vaccinali, programmi mirati alle differenze di genere ecc.) anche attraverso procedure sperimentali.

Per provare a spiegare il fenomeno del consumo delle droghe in ambito pe­ nitenziario è, forse, necessario partire dall'equivoco non ancora superato giocato tra i concetti di pena e cura. L'intervento di aiuto non può essere imposto né reso obbligatorio, ver­ rebbe meno l'aspetto fondante della relazione terapeutica, ossia la complian­ ce paziente-operatore/ terapeuta. Allo stesso tempo, però, sarebbe opportuno monitorare la motivazione e la scelta del percorso terapeutico-riabilitativo onde scongiurare posizioni strumentali al solo fìne di evitare la carcerazione. Il carcere non può, però, essere utilizzato come strumento di deterrenza o di costrizione nei confronti delle persone tossicodipendenti. Lo scambio sinallagmatico con reciproche obbligazioni e aspettative non può funziona­ re nel contesto della cura. Appare molto più probabile, infatti, un fallimento dettato dal timore di andare incontro a pretese troppo elevate rispetto alla possibilità dell' impe­ gno individuale là dove si dovessero confondere pena e cura. La dipendenza patologica va interpretata come una qualsiasi altra malat­ tia (definizione propria dell'Organizzazione mondiale della sanità) che può colpire un detenuto. Per l'OMS le persone ristrette dovrebbero avere accesso a tutti i tipi di trattamento efficace per l' addiction disponibili, inclusi i far­ maci agonisti per gli oppiacei a mantenimento. A tal proposito, nel Piano d'azione dell' Unione Europea di lotta alla droga per il triennio 2009 -12 viene rimarcata con chiarezza: . Il contesto detentivo, pur con gli indubbi limiti dettati anche da una visione più verticistica rispetto al modo di approcciarsi e di lavorare degli operatori della cura in senso stretto, può rappresentare, però, un momento importante, consentendo quel!'aggancio con la persona portatrice della pro­ blematica che, spesso, risulta difficile quando non improbabile da parte del più specifico servizio sanitario preposto.

4 . CA RCE RE E SOSTAN ZE STU PE FACENTI

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L'attuale recente misura di messa alla prova, mutuata dall'esperienza del penale mi­ norile, ed estesa agli adulti per i reati di più lieve entità fino a una pena detentiva di quattro anni, può costituire uno strumento che, insieme agli altri già sperimentati, abbina il trattamento della dipendenza alla reintegrazione sociale, senza necessaria­ mente passare, per le situazioni meno gravi, attraverso la permanenza in comunità terapeutica (Grosso, 2 0 1 5 , p. 6).

Riuscire a cogliere l' importanza della continuità dell' intervento fuori e den­ tro il carcere, prima e dopo lo stesso, significa riuscire a vincere quella mio­ pia politica che limita la possibilità di contrarre la spesa della doppia recidiva (dipendenza e comportamenti illeciti) . In conclusione, forse, le droghe entrano in carcere perché i detenuti tos­ sicodipendenti sono persone che commettono reati in relazione allo stato di malattia e quindi hanno bisogno di cure piuttosto che di reclusione. E già, perché mica credete alle papere co' i pattini ? Che ve pensate che in carcere non se trova la droga ? Ma in carcere trovi tutto, la differenza è solo che tutto costa di più. Trovi quello che vuoi: eroina, cocaina, fumo e pasticche. Io penso che è più facile trova' la droga in carcere che a piazza dei Cinquecento. In tante celle tra si­ garette e canne non c'è molta differenza. Anzi ti dirò che la droga che gira di più, e meno male, è il fumo, cioè l' hashish. E un calmante che te fa' sta tranquillo. Poi c'è l'eroina. Costa di più, ma c'è. E come se stai a Londra e te vie' voglia di mozzarella. La trovi, ma la paghi cara. Ecco la stessa cosa è l'eroina in carcere. Casomai il pro­ blema so' le siringhe. Spesso in una cella o all'ora d'aria ci si fa in 3 o in 4 con la stessa siringa. Oppure, se riesci a fregartene una in infermeria, la siringa diventa merce di scambio. T i faccio usare la siringa mia, in cambio di una dose. Se c ' hai l'eroina e non c ' hai la siringa vie' il bello. E già perché a quel punto o te la sniffi, ma non è la stessa cosa, oppure si usa la penna BIC. Istruzioni per l'uso: trovi un ago, lo metti al posto della punta a sfera della bic e usi la penna come stantuffo. Facile no ? Mo' io la butto in caciara, ma tanti tra siringhe scambiate e penne BIC si so' presi l' HIV in carcere ! Poi ci sono quelli, soprattutto extracomunitari, che proprio non c'hanno nien­ te e allora si drogano con le bombolette del gas che si usano in cella per cucina­ re. Mettono la testa dentro una busta di plastica e ci fanno entrare il gas. Per loro questo è lo sballo. Uno sballo facile ma pericoloso. Tanti rimangono con la testa dentro al sacchetto e muoiono così [ ... ] . Anche se tanti si riempiono la bocca con il recupero dei drogati in carcere, la verità sta dentro le celle. E se la vedi quella verità ti accorgi che ancora oggi poco si fa per il detenuto tossico. Certo è meglio rispetto a prima, ma tanto c'è ancora da fare. Ancora oggi un drogato in carcere è uno che sta dentro un girone infernale e per lui è difficile trovare l'uscita. I più fortunati, o quelli selezionati come più recuperabili, vengono seguiti meglio e inseriti in comu­ nità, ma gli altri ? ( Osvaldo, 3 2 anni, carcere di Regina Coeli di Roma, da Istruzioni

RECLUSI

per l'uso: ecco come drogarsi in galera, in "Il Riformista': rubrica "Radio carcere': 30 maggio 2007) . '

E bene precisare che la diagnosi clinica della dipendenza dovrebbe costituire l'unico criterio per l'accesso alle misure alternative alla carcerazione, indi­ pendentemente dalla sostanza consumata, dalle vie di assunzione della stes­ sa, dal reato commesso, perché le misure alternative, pur non trovando molti sostenitori, non possono essere considerate uno sconto di pena o un premio alla devianza.

In questo scenario di pandemiche richieste sicuritarie le misure alternative alla de­

tenzione non trovano molti sostenitori nell'opinione pubblica. Ci si dimentica che l'attività di rieducazione e le misure di reinserimento sociale vanno proprio nell 'ot­ tica sicuritaria per eccellenza. Infatti, quando si parla di "sicurezza", non si dovrebbe parlare solo del tempo "certo" di incapacitazione o reclusione di soggetti devianti ma soprattutto del tempo più lungo che trascorreranno una volta liberati (Baccara, 2009 ) .

I politici improntano parte delle proprie campagne elettorali sul concetto di una pressante richiesta di sicurezza dei cittadini. Questi ne hanno indub­ biamente diritto, però: > ( Bucceri in Cam­ pelli, Faccioli, Giordano, Pitch, 1 9 9 2, p. 1 43 ) . Un corpo costretto al silenzio, ali' immobilità ed alla solitudine fa del sintomo fisico il suo megafono. Con una forte spinta alla medicalizzazione dei sintomi psichici, la rispo­ sta dell'istituzione è essenzialmente farmacologica, con grande uso di psi­ cofarmaci ( sedativi, ansiolitici) che finiscono per soffocare ogni apparente disagio. Per alcune detenute, poi, la tossicodipendenza pregressa e l'uso ( abuso) di psicofarmaci durante la detenzione fanno pensare ad una dimensione di grande sofferenza e depressione e di conseguenti tentativi di automedicaz1one. Grange is the New Black è una serie televisiva statunitense ideata da Jenji Kohan ispi­ rata alle memorie di Piper Kerman (Boston, 1969 ), scrittrice, autrice e memorialista statuni­ tense condannata per riciclaggio di denaro sporco. La serie trae origine dal suo libro Grange is the New Black: My Year in a Women s Prison. 1.

5 . DONNE E CA RCE RE . IL DO P PIO M U RO

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L'astinenza sessuale forzata e il carattere unisessuale degli ambienti car­ cerari sono alla base del sistema penitenziario forgiatosi sul modello delle istituzioni monacali. In era moderna, la repressione sessuale è stata uno dei principali stru­ menti impiegati per consentire alla pena di > ( Fou­ cault, 1976, p. 1 8 ). Il diniego della sessualità in carcere non è un effetto se­ condario della disciplina ; esso è piuttosto il suo sostrato, la struttura incon­ scia dell'apparato repressivo. In molti paesi, europei e non, si è ritenuto necessario superare questo strumento disciplinare arcaico e fortemente afflittivo ( Balbo, 2002) . Nel carcere italiano il bisogno di sessualità è completamente trascurato. Gli operatori, come la stessa opinione pubblica, sono chiamati a non tener­ ne conto, almeno finché non diviene un problema per l'ordine ali' interno della struttura. Il carcere è un luogo metaforico e ai corpi delle persone recluse non sem­ bra così necessario dedicare troppe attenzioni. La stessa letteratura sociolo­ gica e giuridica hanno approfondito di rado il tema della sessualità delle de­ tenute e dei detenuti. Anche questi ultimi non sembrano parlare con facilità della propria sessualità in quanto concepita come una dimensione privata e inconciliabile con la carcerazione. La definizione e la gestione della sessualità, del rapporto fra questa e l' i­ dentità di genere, il controllo della riproduzione sono piuttosto da consi­ derarsi per le donne come > (Pitch, 1 9 8 7, p. 9 ). E indubbio che la donna abbia una vita emotiva differente rispetto a quella maschile, con un forte vuoto di affettività che, spesso, a fronte di un vissuto particolarmente doloroso e traumatico, diviene sessualizzazione ol­ tre il desiderio specifico. Una sorta di travisamento che conduce, spesso, ali' acuirsi del senso di abbandono e solitudine. Il bisogno di tenerezza, di affetto, di contatto fisico, di complicità im­ plica allora una scelta omosessuale, concedendosi in questa maniera la pos­ sibilità di avere ancora un'identità femminile in un ambiente che tende alla spersonalizzazione e ali'anonimato. Come in ambito maschile l'omosessualità è praticata ma, contrariamen­ te alla detenzione degli uomini, le detenute sembrano non stigmatizzarla, arrivando in diversi casi ad ostentarla apertamente. Talvolta la tipicità di questi rapporti viene mascherata con atteggiamen­ ti di empatia quasi materna: > ( Genchi, 1 9 8 1, p. 3 6 ). Solitamente, nella distribuzione di ruoli e funzioni, alle donne recluse da più tempo generalmente viene assegnato il compito di p roteggere le più giovani, nonché quello di dettare le regole non scritte della sezione. Di fatto ciò che le donne trovano nella relazione con altre detenute è una sorta di conferma di legami emozionali e interumani che funzionano da surrogato alle relazioni sociali. Inoltre, la sessualità è vissuta più come relazione famigliare, rapporto affettivo-sentimentale, con episodi di vera e propria gelosia tra partner, spes­ so da intendersi come forme compensatorie di lacune affettive determinate da nuclei famigliari di origine piuttosto carenti e disgregati ( Gonin, 1 9 94). Molte detenute ripropongono lo schema della coppia etero e della fami­ glia, assegnandosi ruoli e compiti ( la cura della cella, la cucina ecc.) anche per offrirsi una nuova possibilità rispetto a quello stigma sociale che le vuole cattive madri e mogli, quando non cattive donne tout court, per il solo fatto di aver commesso un reato. La vita in carcere si fa, dunque, rappresentazione quotidiana di un gioco che non può non creare implicazioni anche rispetto ali' identità sessuale e di genere. Non è improprio sostenere che il carcere implementa la virilità più che la femminilità e questo per uomini e donne ( Ravasi Bellocchio, 20 0 5). La privazione della libertà personale compresa quella sessuale e affettiva può costituire un importante fattore per la perdita dell'identità. La progres­ siva desertificazione dei sensi può condurre la detenuta alla disgregazione della propria individualità. > ( Gallo, 1994). Nelle sezioni femminili degli ambienti penitenziari troviamo, poi, mol­ te donne immigrate, quindi alla differenza di genere si aggiunge la differenza culturale. Molte di queste detenute straniere vivono, spesso, la restrizione in modo estremamente problematico, in quanto non hanno ( o non vogliono avere dal carcere) contatti con i famigliari rimasti nel paese d'origine. Molte di loro non hanno nessun punto di riferimento neanche nel paese ospitante. Par Carlen e colleghi ( 1 9 85) hanno raccolto, in una ricerca condotta nelle prigioni britanniche, i resoconti autobiografici di alcune detenute dai quali emerge prepotente la presenza di episodi di violenza carceraria fem­ minile. Anne Campbell nel 1 9 8 6, appena un anno dopo, ha studiato alcune bande femminili di New York, confermando la prospettiva che la violenza

5 . DONNE E CA RCE RE . IL DO P PIO M U RO

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non è caratteristica esclusiva dell'uomo, sebbene non si possa negare che ad oggi la criminalità è ancora segnata dal genere. Pur in presenza di bande femminili, di reati specificamente riferibili al­ le donne, i livelli più alti della criminalità sono a tutt'oggi ad appannaggio degli uomini. Nel modello carcerario per le donne, è possibile riscontrare, spesso, la riproposizione del modello famigliare di socializzazione al ruolo femminile. Dal ricatto e dalla sopraffazione con cui le detenute devono confrontarsi quotidianamente nell'istituzione totale sembrano emergere caratteri simili alla violenza con cui le stesse hanno dovuto confrontarsi a partire dalle mura domestiche. La stessa organizzazione del lavoro ali' interno del carcere sembra chiama­ ta a rispondere ad alcune aspettative di femminilità, con scarse opportunità di acquisire qualificazioni utili a trovare un lavoro al momento del rilascio. Probabilmente ancor oggi donne e ragazze non vengono concepite co­ me possibili lavoratrici, capofamiglia o semplicemente come persone cui at­ tribuire funzioni significative e remunerative. Il lavoro, infatti, oltre a permettere una certa autonomia economica per il mante­ nimento proprio e della famiglia, rappresenta una efficace "terapià' contro la sin­ drome di incarcerazione o "prigionizzazione": l' insorgere, o il crescere di reazioni aggressive auto e etero dirette, il pensare solo ed esclusivamente ai propri "guai giu­ diziari': a volte deformandone la realtà (Marotta, 1 9 8 9, p. 1 10) .

Riprovazione o consolazione, il rapporto tra le detenute e la struttura non può risolversi esclusivamente in questo anche tenendo conto della presenza di don­ ne con una soggettività e una capacità di autodeterminazione differenti rispet­ to al passato. Va detto che l'Amministrazione Penitenziaria prevede regolamenti specifici interni per le sezioni femminili degli istituti. E inoltre prevista la possibilità di acquisto di generi ultronei (smalto, tinture per capelli ecc.) ri­ spetto a quelli riservati ai detenuti di sesso maschile presso il sopravvitto. La domanda è: la privazione di libertà può essere accompagnata dal pie­ no rispetto della condizione di donna e reclusa o si tratta di una sorta di in­ sanabile contraddizione?

5.4

La detenuta madre L'Ordinamento penitenziario del 1975 affronta il problema della donna de­ tenuta quasi esclusivamente in relazione alla maternità.

IIO

RECLUSI

Un po' come se questa condizione fosse l'unica "qualità" degna di con­ siderazione; come se la donna detenuta dovesse essere concepita in maniera differente dall'uomo ristretto solo in virtù del suo essere madre. La criminologia ha per lungo tempo analizzato la criminalità femminile come un non senso, una sorta di anomalia della natura in quanto, essendo la funzione fondamentale della donna la maternità, questa appare inconcilia­ bile con la condotta criminale. L'istituzione penitenziaria ha inteso ribadire, dunque, la sacralità della funzione materna e l'indissolubilità della famiglia, consentendo alla donna detenuta di tenere con sé il proprio figlio. Lo stato di detenzione provoca inevitabilmente un'interruzione del­ la quotidianità dei rapporti affettivi in quanto > ( Marotta, 1 9 8 9, p. 1 1 0 ) . L'art. 1 1, comma 9 ° , dell' O P ha di fatto stabilito la centralità della figura materna nell'ambiente carcerario e, nel caso in cui essa non abbia nessuno cui poter affidare la prole, la possibilità di tenere con sé il piccolo fino all'età di tre anni. La stessa Convenzione dell' ONU sui diritti dell'infanzia stabilisce ine­ quivocabilmente che: > . Tale norma a livello internazionale, però, non ha tenuto conto della ne­ cessità di modificare il contesto ambientale. La madre ha il dovere di non fare avvertire al bambino gli ostacoli e i di­ sagi che caratterizzano il carcere ma in un ambiente così fortemente conno­ tato il tutto appare piuttosto complesso. I bambini in carcere non hanno grandi possibilità di socializzare con in­ dividui di pari età. Di fatto hanno contatto soprattutto con la madre, con le altre detenute, con gli agenti penitenziari e i volontari e sono continuamente disturbati dai rumori della detenzione. Il gioco più frequente è quello di aprire la porta, dove il piccolo mette in mostra la necessità di una rielaborazione individuale di quanto lo circonda. Potere e chiavi come simboli dell'ambiente ospitante nonché la man­ canza di stimoli, spesso, condizionano lo sviluppo cognitivo e in particolare il linguaggio del bambino che finisce per esprimersi più con il gesto che con la parola. Nel nostro paese i bambini in carcere con la loro madre sono all' incir­ ca cinquanta, distribuiti tra gli istituti penitenziari, secondo gli ultimi dati dell'Associazione "Bambini senza sbarre".

5 . DONNE E CA RCE RE . IL DO P PIO M U RO

III

La scelta per queste donne prevede l'impossibilità di recidere il legaccio maternità-colpa, con la consapevolezza che quest'ultimo non potrà non pe­ sare sul piccolo e sul suo sviluppo, nella condizione inevitabile di dover con­ dividere con lui il contesto della detenzione. Il rapporto madre-figlio assume il tratto del dualismo esasperato: da una parte l'attaccamento, dall'altra la separazione, vissuti non come sarebbe più naturale nella realtà esterna al carcere. Il rischio è che possa svilupparsi una vera dipendenza determinata da una simbiosi alimentata per attutire il dolore di una separazione che giunge­ rà per legge al compimento dei tre anni, sebbene nonostante le buone inten­ zioni del legislatore con l'istituzione dell'1cAM (legge 21 aprile 2011, n. 62) , particolari esigenze cautelari rischiano di portare la permanenza dei bambi• • • • • • n1 1n carcere sino a1 sei anni. L'angoscia della separazione, poi, può condurre alla negazione irreale della stessa o ad una drammaticità che, in ogni caso, altera il normale equili­ brio madre-figlio. La madre e le altre figure di attaccamento dovrebbero rappresentare per il bambino una "base sicura': senza la quale l'intera esistenza dell'individuo ' . ne potra rimanere segnata. Bowlby (1980 ) , infatti, tra i maggiori studiosi nel settore, afferma che l'interazione tra madre e bambino può essere compresa solo come risultato del contributo di entrambi. La perdita della figura materna assieme ad altre variabili può generare processi che permangono poi nell'adulto che ancora può risentire della separazione sofferta nella prima infanzia. La detenzione, determinando nella madre evidenti limitazioni, condi­ ziona la possibilità di esprimere la propria maternità e il proprio ruolo ge­ nitoriale, comportando ripercussioni sul vissuto psicologico ed emotivo del bambino. Una madre in carcere assume, spesso, un comportamento contraddito­ rio. Se, infatti, da una parte esaspera il controllo, in quanto la capacità di educazione del bambino diventa il segno della sua rispettabilità sociale, dall'altra assume un atteggiamento permissivo e iperprotettivo per compen­ sare la situazione, il contesto, il senso di colpa. L'impossibilità di contare su terzi, il timore che il figlio venga affidato a sconosciuti, il bisogno di averlo accanto per riconoscersi una possibilità altra dal ruolo di rea, inducono la madre detenuta a vivere una doppia pena, una sorta di doppio muro di recinzione che finisce per sottoporla continuamen­ te ad ansia e frustrazione.

I I2

RECLUSI

Il bambino, attraverso le primissime interazioni con la figura di attacca­ mento, interiorizza un'immagine di sé e dell'altro tale da influenzare tutta la sua vita futura. Da questo punto di vista, non è da escludere la costruzione di un nuovo anello nella storia di devianza e disagio di cui la madre è portatrice e, a que­ sto punto, involontaria perpetuatrice. E stato dimostrato, infatti, che gli adolescenti con attaccamento insicuro (paura di non essere amati, paura dell'abbandono) sviluppano attitudini disfunzionali riguardo al sé; queste, una volta attivate, comportano un con­ seguente abbassamento del livello di autostima e autodeterminazione che possono condurre ad una strategia di gestione dell'affettività negativa con ricorso all'uso di sostanze (Kassel, Wardle, Roberts, 2007 ). Un vissuto meno disfunzionale della relazione genitoriale è associato a livelli più alti di autostima e ad un livello più basso di comportamenti a ri­ schio, quali condotte legate alla dipendenza ma più ancora alla criminalità, per altro con esordi in età adolescenziale (Dobkin, Charlebois, Tremblay, 1997; Parker, Benson, 2005). In estrema sintesi, Bernardi (1984) ha raggruppato i rischi collegati alla permanenza in carcere del bambino in tre grandi categorie. La prima fa rife­ rimento al contesto, precisando che le caratteristiche proprie dello stesso so­ no del tutto negative per quel che riguarda l'evoluzione dell'essere umano e, dunque, del bambino nello specifico. Si tratta, secondo lo studioso italiano, di un ambiente estremamente monotono con variazioni sostanzialmente ir­ rilevanti, sprovvisto di capacità di stimolazione sia personale, sia oggettivo. La seconda mira al verificarsi della destrutturazione del modello fami­ gliare, considerata l'assenza della figura paterna. La terza è legata all'assuefazione ad una vita simbiotica con la madre, pe­ raltro, con intromissioni regolari, previste e regolamentate di estranei. La legge 354/1975 consentiva alle madri di tenere presso di sé i figli fi­ no all'età di tre anni e prevedeva l'inserimento negli istituti penitenziari di specialisti (ostetriche, ginecologi, e pediatri) allo scopo di tutelare la salute psicofisica dei bambini e delle loro madri. La "legge Gozzini" - legge 10 ottobre 1986, n. 663 - consentiva alle don­ ne incinte o madri di minori di tre anni di scontare la condanna (a condi­ zione che il reato prevedesse una pena inferiore a due anni di reclusione) presso la propria abitazione o in altro luogo privato o pubblico di cura o di assistenza. La "legge Simeone-Saraceni" - legge 27 maggio 1998, n. 165 - modificò ulteriormente la normativa e da due a quattro anni il limite di pena da scon-

5 . DONNE E CA RCE RE . IL DO P PIO M U RO

113

tare, anche se in parte residua di maggiore pena, e da cinque a 10 anni l'età del figlio/ a purché convivente con la condannata. La legge sulle misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto ma­ dre-figlio, più nota come "legge Finocchiaro': legge 8 marzo 2001, n. 40, ha provato ad aiutare quelle categorie di persone incompatibili con le disposi­ zioni del regime detentivo in carcere. Nel tentativo di tutelare il rapporto ge­ nitori-figlio, ha inteso creare due istituti: la detenzione domiciliare speciale e l'assistenza all'esterno di figli minori. Di fatto si riferisce alle detenute madri a cui vengono equiparati i padri al fine evidente di assicurare una più adeguata tutela del rapporto con la prole ed impedire, nell'interesse del minore, le con­ seguenze negative che la vita in carcere inevitabilmente comporta. In sintesi la legge del 2001, n. 40 prevedeva la presenza dei figli con la madre senza precisare quale sarebbe stato il destino di questi bambini com• • • • p1ut1 1 tre anni. La legge 24 aprile 2011, n. 62, Modifiche al codice di procedura penale e al­ la legge 2 6 luglio I975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra dete­ nute madri efigli minori ha stabilito, in seguito, che quando imputati siano una donna incinta o madre di figli di età non superiore a sei anni e un padre, qualora la madre sia deceduta o impossibilitata ad assistere i figli, non può essere disposta la custodia cautelare in carcere fino a quando i bambini non avranno compiuto il sesto anno di età (art. 275, comma 4° , c.p.p.), amplian­ do quanto già previsto dalla legge n. 40 del marzo del 2001, Misure alterna­ tive alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute efigli minori. Se per casi eccezionali si rende necessaria la detenzione carceraria essa è disposta presso un istituto di custodia attenuata (1 cAM) (art. 28 5-bis c.p.p. ). Presso i medesimi istituti è possibile espiare la parte di pena necessaria per accedere alla detenzione domiciliare speciale, ai sensi del nuovo comma 1 ° bis dell'art. 47-quinquies, legge n. 354 del 1975. Le nuove disposizioni intervengono essenzialmente su tre istituti della normativa precedente: le misure cautelari personali, la detenzione domici­ liare e le visite al minore infermo da parte del genitore detenuto. L'applicazione di tali disposizioni legislative ha visto il suo avvio a par­ tire dal 2014 . Come già detto, dai dati dell'ultimo Rapporto nazionale dell'Associa­ zione Antigone ( 2016 ) , gli I CAM per le detenute madri, però, sono solo tre: a Milano, Venezia e Cagliari. Dodici sono invece le sezioni nido con bam­ bini in Italia. Nel 2011 la stessa legge di riforma, ossia la n. 62, prevedeva poi per le de­ tenute madri prive di una casa e con un profilo di bassa pericolosità le Case famiglia protette come alternativa al carcere, o alla carcerazione attenuata

114

RECLUSI

delle cosiddette I CAM . A tutt'oggi, però, secondo l'ultimo rapporto di "Ter­ re des Hommes': non ne risulta aperta nessuna in Italia e i bambini rimango­ no in carcere, con gravi conseguenze sul loro benessere e corretto sviluppo. Il problema sembra essere di carattere squisitamente economico: le Case famiglia protette infatti devono essere identificate dagli enti locali e da loro finanziariamente sostenute. Nulla invece può essere fatto ricadere sull'Am­ ministrazione penitenziaria, come chiarisce la legge 6 2/ 2011 laddove affer­ ma il principio del > . Con la Risoluzione 13 marzo 2008, il Parlamento europeo aveva già af­ frontato la difficile situazione delle donne detenute e l'impatto della carce­ razione dei genitori sulla vita sociale del bambino. Di fatto ha invitato gli Stati membri ad investire risorse a vantaggio dell'ammodernamento e dell'adeguamento delle strutture penitenziarie, ad adottare misure necessarie per garantire l'ordine negli istituti di pena po­ nendo fine agli episodi di violenza e abuso di cui sono vittime le donne, so­ prattutto quelle appartenenti a minoranze etniche e sociali. Il Parlamento europeo ha chiesto, poi, agli Stati membri di integrare la parità tra donne e uomini nella rispettiva politica penitenziaria nonché di tenere maggiormente presenti le specificità femminili ed il passato trauma­ tico di queste donne, soprattutto attraverso la sensibilizzazione e la forma­ zione appropriata del personale medico e carcerario e la rieducazione delle donne ai valori fondamentali. Non sono mancati i richiami al mantenimento dei legami famigliari e di amicizie delle detenute, aiutandole nella qualificazione finalizzata all' impie­ go professionale.

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5 . DONNE E CA RCE RE . IL DO P PIO M U RO

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6 Carcere e stranieri

6. 1

Stranieri in "terra" straniera La stima dei cittadini stranieri regolarmente presenti in Italia secondo i dati dell'ultimo Dossier statistico sull 'immigrazione dell' uNAR, con elaborazio­ ne del Centro studi e ricerche ID O S del 20 1 3 riferita a dati del 20 1 2, è pari a 4.9 22.0 8 5 presenze con un'incidenza sulla popolazione residente dell' 8,1 %, e una distribuzione che vede il Nord al primo posto con il 6 0,1 %, seguito dal Centro con il 25,4 % e dal Sud con il 1 4,6%. I continenti di origine sono così suddivisi: Europa 5 2, 8 %, Africa 20,9 %, Asia 1 8,3%, America 7,9 %, Oceania 0,0 %. I soggiornanti non comunitari sono 3 . 8 74.726 ( di cui 5 6,3 % di lungo pe­ riodo), mentre le prime cinque collettività di soggiornanti non comunitari si distribuiscono in: Marocco 525.0 0 0 ; Albania 50 3.0 0 0, Cina 3 21.0 0 0, Ucrai­ na 23 4.0 0 0, Filippine 1 6 6.00 0. Le prime tre collettività di residenti comunitari sono: Romania ( 9 3 3 .0 0 0 ) , Polonia ( 89.0 0 0 ) , Bulgaria ( 48.0 0 0 ) . I permessi di soggiorno scaduti e non rinnovati sono 1 45.670. '

E accaduto che, per un intero decennio, le elite europee abbiano sottovalutato il

problema della criminalità connessa con l' immigrazione: negandone l'esistenza; parlando di insicurezza immaginaria; trattando come razzisti i cittadini che, abitan­ do nelle zone più a rischio, denunciavano il degrado dei loro quartieri; tollerando zone di impunità per la delinquenza urbana; dando alla criminalità un' interpreta­ zione esclusivamente sociologica. Le elite culturali europee non hanno saputo dare ai cittadini risposte adeguate, capaci di tranquillizzarli; non sono riuscite ad argina­ re le paure generate dalla globalizzazione (Borgna, 2 0 1 1 , pp. s e 1 3 ) .

Forse anche sulla scorta di una certa perdita di credibilità, negli ultimi anni una parte della sociologia ma più ancora i media e l'opinione pubblica han-

6 . CA RCE RE E ST RANIE RI

I 17

no orientato una grande attenzione alla devianza straniera e alla presenza di cittadini stranieri all'interno del sistema detentivo italiano. A tal proposito è bene precisare che in generale la popolazione detenu­ ta nel nostro paese è prevalentemente giovane con ben 4.100 detenuti con meno di 25 anni. La grande maggioranza della popolazione detenuta ha meno di 44 anni (66,24%), e quasi la metà si colloca nella fascia compresa tra i 30 e i 44 anni (45,78 %). Ci sono ben 3.550 detenuti con più di 60 anni, mentre i detenu­ ti stranieri hanno un'età media significativamente più bassa: circa un terzo (33,37 %) ha meno di 29 anni (contro il 20,46 % se consideriamo il totale dei detenuti), mentre il 73,02 % ha meno di 39 anni (contro il 51,54% se conside­ riamo il totale dei detenuti). Nell 'x1 Rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione dell'Associa­ zione Antigone (2015, p. 4) si legge che: il 21 % dei detenuti in Europa è straniero. Il paese con la percentuale più alta è la Svizzera (dei suoi 4.8 9 6 detenuti il 74,2% è straniero, e la gran parte di questi è irregolare), seguita dall'Austria con il 46,75%, e dal Belgio con il 42,3%. Inoltre, dei circa 370.000 detenuti stranieri in Europa, il 3 2,4% è di origine comunitaria. Questo significa che in tutta l' uE i detenuti extracomunitari sono circa 250.000, ossia il 1 4% del totale. La percentuale di stranieri nelle carceri italiane è del 3 2% ovvero 1 1 punti in più rispetto al dato europeo. Non sono giustificati, quindi, gli eccessivi allarmismi e le conseguenti spinte xenofobe che pure sono presenti in molti paesi UE. Fino al 1 996 la quota di stranieri detenuti in Italia si mantiene piuttosto bassa, sia in ter­ mini assoluti che percentuali. Dopo quell'anno, e ancora più segnatamente dopo l'entrata in vigore del T.U. sull' immigrazione, la componente straniera nelle car­ ceri italiane comincia a crescere. Tra il 1 9 9 8 e il 2000 toccherà la soglia del 30%, dalla quale non scenderà più. Nel 200 2, poi, la così detta "legge Bossi-Fini" porta a compimento il progetto di etnicizzazione del diritto penale, con l' introduzione di fattispecie delittuose intrinsecamente connesse all' immigrazione. Poi arrivano i pacchetti sicurezza. Si sfiora nel 20 08 una percentuale del 37%. Al 3 1 dicembre del 201 4 i detenuti immigrati sono scesi a 17.462 unità, pari al 3 2,56% del totale. In pochi anni la loro presenza in carcere è dunque diminuita percentualmente di ben 5 punti. Gli immigrati sono puniti per reati meno gravi rispetto agli italiani. Da ottobre 2014 sono rinate nuove campagne contro gli immigrati che potrebbero riportare a un aumento generale della popolazione reclusa, soprattutto straniera. Per quanto riguarda le donne, le detenute straniere sono 8 67, ossia il 4,9% sul totale degli stranieri detenuti, e il 4,3% sul totale delle detenute, sia italiane che straniere. Le nazionalità più rappresentate sono il Marocco, la Romania, l'Albania, la Tunisia, la Nigeria, l' Egitto, l'Algeria, il Senegal, la Cina, l' Ecuador.

II8

RECLUSI

TABELLA 6. 1

Detenuti presenti e capienza regolamentare degli istituti penitenziari per regione di detenzione - situazione al 3 1 agosto 2015 Regione di detenzione

Detenuti presenti

Numero istituti

Capienza regolamentare*

Totale

Abruzzo

8

1.5 8 1

1.8 0 0

70

Basilicata

3

470

41 7

Calabria

12

2.6 63

Campania

17

Emilia-Romagna

di cui Donne stranieri

Detenuti presenti in semilibertà** Totale

Stranieri

21 6

12

I

II

52

3

o

2. 150

39

363

17

o

6.07 1

6.8 0 0

3 27

849

169

4

II

2.8 0 2

2.853

1 21

1.3 0 3

27

4

Friuli Venezia Giulia

5

484

6 67

25

246

13

I

Lazio

14

5.272

5.8 04

377

2. 5 5 3

52

3

Liguria

7

1. 1 5 0

1.456

67

8 01

25

IO

Lombardia

19

6. 1 3 3

7.607

3 84

3. 455

55

16

Marche

7

811

862

14

3 49

8

I

Molise

3

263

278

o

27

I

o

Piemonte

13

3.841

3.579

112

1. 457

39

9

Puglia

II

2.3 6 9

3.205

158

53 6

75

2

Sardegna

IO

2.730

1.9 9 6

32

48 7

18

2

Sicilia

23

5.839

5.6 6 9

118

1.23 2

79

o

Toscana

18

3.43 2

3.246

114

1.48 0

86

23

Trentino-Alto Adige

2

509

332

12

229

I

o

Umbria

4

I.3 24

1.3 19

34

371

6

o

Valle D 'Aosta

I

181

1 22

o

66

o

o

IO

1.6 99

2. 227

116

1.232

30

3

198

49.624

17.304

716

79

Veneto Totale nazionale

5 2.3 89 2. 1 3 1

* I posti sono calcolati sulla base del criterio di 9 mq per singolo detenuto + s mq per gli altri, lo stesso per cui

in Italia viene concessa l 'abitabilità alle abitazioni, più favorevole rispetto ai 7 mq + 4 stabiliti dal CPT. Il dato sulla capienza non tiene conto di eventuali situazioni transitorie che comportano scostamenti temporanei dal valore indicato. ** I detenuti presenti in semilibertà sono compresi nel totale dei detenuti presenti. Fonte: Dipartimento dell'Amministrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica.

Nella tipizzazione dei reati da parte di italiani e stranieri appaiono sostanzia­ li ed evidenti differenze.

6 . CA RCE RE E ST RANIE RI

I19

TABELLA 6. 2

Italiani e stranieri per tipologia di reato Tipologia di reato

Percentuale italiani

Percentuale stranieri Totale numero reati

Associazione di stampo ma­ fioso

98,4

1 ,6

6.8 8 6

Economia pubblica

9 7, 3

2,7

697

Armi

9 1 ,1

8 ,9

10. 3 9 6

Contro la famiglia

75 ,4

2 4 ,6

2.0 5 8

Contro la personalità dello Stato

74 , 7

2 5 ,3

1 26

Contro il patrimonio

72 , 3

27,7

3 2. 4 27

Ordine pubblico

7 1 ,1

2 9,9

3 . 250

3 0,3

22. 9 74

Contro la persona Contro la pubblica amministraz1one

7.5 7 1

Fede pubblica

4 . 3 91

Reati legati agli stupefacenti

3 7,1

Prostituzione

22,6

77, 4

Immigrazione

8,5

9 1 ,5

1 . 220

Fonte: Dipartimento dell 'Amm inistrazione penitenziaria - Ufficio per lo sviluppo e la gestione del sistema informativo automatizzato statistica ed automazione di supporto dipartimentale - Sezione Statistica.

Nei paesi dell'Europa mediterranea che presentano i tratti dell' immigrazio­ ne recente e della contiguità geografica con i paesi di emigrazione, la deten­ zione dei migranti incide, dunque, sui sistemi penitenziari nazionali con si­ gnificative percentuali: Grecia 41,7 %, Malta 35%, Italia 32 %, Spagna 29,7 %. In Italia quasi la metà dei detenuti stranieri è originaria del continente africano. Le nazionalità più rappresentate sono il Marocco, la Romania, l'Alba­ nia, la Tunisia, la Nigeria, l'Egitto, l'Algeria, il Senegal, la Cina, l'Ecuador. Nel dettaglio, 5.786 sono i detenuti di fede islamica, 30.794 quelli di fe­ de cattolica. I paesi dell'Europa che si affacciano sul Mediterraneo, negli ultimi anni, sono stati caratterizzati da un benessere economico inferiore rispetto ai paesi dell'Europa nord-occidentale, sono stati attraversati da una certa instabilità economica, da una vera e propria sperequazione in termini di distribuzione

120

RECLUSI

del reddito, da modelli culturali e politici non sempre edificanti e dalla cre­ scita della popolazione straniera di origine extraeuropea. Più alti sono il sommerso, la corruzione, i comportamenti illegali nella società di arrivo, più appare alto il numero degli stranieri in carcere. Nel pensiero di Melossi (2002, p. 283 ) le radici della devianza sembrano sempre interne alla società in cui la devianza si manifesta, precisando che:

( ivi, p. S 3). Inoltre, a sostegno delle conclusioni, secondo cui non è possibile affer­ mare che i clandestini in media delinquono più dei regolari e degli italiani, Valeria Ferraris ( 201 2) sostiene che non esiste una statistica attendibile della criminalità straniera. Da ciò è possibile concludere che i numeri relativi alla presenza carcera­ ria non possono assurgere a indicatore idoneo della corretta quantificazione della delittuosità degli stranieri rispetto agli italiani. A tal proposito il Dossier statistico sull'immigrazione dell'uNAR per l'anno 2014 (www.dossierimmigrazione.it) , costruito sui dati provenienti dalla Direzione centrale della Polizia dal 2004 al 2012, rimarca che le denun­ ce contro gli italiani nel periodo in esame sono aumentate del 37,6 % a fronte di un aumento del 29,6 % degli stranieri ( dato comprensivo anche del 17,7 % delle denunce per il reato di clandestinità, introdotto nel 2009) . Dalle risultanze del documento conoscitivo si può concludere, dunque, che la maggiore presenza carceraria di stranieri non è da imputare a un nu­ mero maggiore di denunce o di condanne, ma a una maggiore sottoposizio­ ne alla custodia cautelare e a un'oggettiva difficoltà ad accedere e beneficiare delle misure alternative alla detenzione, passando per una burocrazia afflit­ tiva nell'iter processuale che pesa maggiormente sugli stranieri. Inoltre, così come è possibile leggere nelle pagine dell'ultimo Rapporto dell'Associazione Antigone (2016) , il calo della popolazione detenuta non ha inciso sulla criminalità, sfatando il nesso socialmente diffuso, secondo cui più criminali sono chiusi in carcere, meno delitti vengono commessi fuori. Nel 2014, l'indice di delittuosità in Italia è diminuito del 14 % , nono­ stante la popolazione reclusa fosse anch'essa diminuita, > . Più specificamente, gli omicidi sono diminuiti dell' 1 1,7 %, le rapine del 1 3 % e i furti dell' 1,5 %. Riprendendo il pensiero del sociologo Pierre Bourdieu, esiste una discri­ minazione che deriva dalla povertà di capitale economico, sociale e culturale che spinge quanti ne sono portatori alla marginalità. Nella storia dell'umanità non è difficile trovare esempi di persone poco abbienti o di stranieri criminalizzati, secondo i riti della ben nota mitologia del capro espiatorio e del sistema vittimario ( Girard, 1980 ). In sintesi, nei momenti di crisi collettiva ci si trova di fronte ad una parti­ colare tipologia di risoluzione del problema: le singole rivalità tra gli uomini degenerano dando vita ad un desiderio comune e indifferenziato di vendet­ ta. Dal propagarsi di tale sentimento discenderebbe la quasi unanime volon­ tà di trovare una vittima verso cui polarizzare l'odio. Una volta individuata essa viene sacrificata dalla comunità in preda a mimetismo violento e degenerato, innescando un meccanismo finale di ap­ parente ricomposizione della situazione conflittuale. Girard (ibid. ), partendo dall'analisi del mito e della storia, è giunto alla conclusione che la folla in preda a frenesia mimetica sceglie le proprie vit­ time non in base ad un criterio di colpevolezza provata, ma a seconda di caratteristiche fisico-biologiche. Da tutto ciò non scaturirebbe un normale procedimento incriminante tipico dei processi democratici, ma un vero e proprio scagliarsi contro la causa potenziale della crisi che ha investito quel­ la data comunità. La socialità, secondo Bauman ( 2000) , si estrinseca, infatti, talvolta in orge di compassione e carità, talaltra in scoppi di aggressività smisurata con­ tro un nemico pubblico designato. L'ansia collettiva, in attesa di trovare una minaccia tangibile contro cui manifestarsi, si mobilita contro un nemico qualunque. Lo straniero viene identificato tout court con il criminale che insidia l' in­ columità personale dei cittadini, mentre contestualmente i politici sfrutta­ no questo disagio a fini elettorali. Il tessuto della solidarietà umana, sempre secondo il sociologo polacco, si sta disgregando rapidamente a sostegno di società sempre più pronte e disposte a respingere più che ad accogliere (Bau­ man, 2007 ) . Diviene difficile, conseguentemente, muoversi in un apparato penale che prevede garanzie pensate per i cittadini, ossia persone inserite e dotate di strumenti di cui i migranti quasi mai dispongono.

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La legge 3 0 luglio 2 0 0 2 , n. 1 8 9 - "Bossi-Fini': Miopia o leggerezza istituzionale ? La "legge Bossi-Fini" ( 30 luglio 20 0 2, n. 1 8 9 ) , dal nome dell'allora vicepre­ sidente del Consiglio e ministro per le Riforme istituzionali nel Governo Berlusconi-bis e sostituendo la precedente "legge Turco-Napolitano" (legge 6 marzo 1 9 9 8, n. 40 ), ha inteso regolare le politiche sull'immigrazione in Italia in termini di: 1. Espulsioni immediate con accompagnamento allafrontiera. L'espulsione degli immigrati irregolari ( in assenza di permesso di soggiorno e senza validi documenti d'identità) , è emessa in via amministrativa e deve essere imme­ diatamente eseguita con l'accompagnamento alla frontiera da parte della forza pubblica. Gli immigrati irregolari privi di documenti di identità validi vengono portati in centri di permanenza temporanea, istituiti dalla legge precedente, al fìne di essere identificati e poi respinti; 2. permesso di soggiorno solo con certificato di lavoro. L' ingresso e la perma­ nenza degli immigrati sono rigidamente subordinati ali'esercizio di un' atti­ vità lavorativa, che deve essere certificata tramite il contratto di soggiorno e il rilascio di un permesso di soggiorno della durata fino a due anni per i rapporti a tempo indeterminato ( fìno a un anno negli altri casi). Il diniego del visto di ingresso non deve essere più motivato, salvo alcune eccezioni; 3. restrizioni nella durata del permesso e dei criteri per restare in Italia. La legge ha ristretto la durata del permesso di soggiorno degli immigrati disoc­ cupati da dodici a sei mesi. Ha inoltre aumentato il numero degli anni, da cinque a sei necessari per ottenere la carta di soggiorno. Il requisito è stato successivamente riportato a cinque anni per l'adeguamento a una direttiva europea ; 4. respingimenti in acque extraterritoriali e reato difavoreggiamento. La nor­ ma ammette i respingimenti al paese di origine in acque extraterritoriali, in base ad accordi bilaterali fra Italia e paesi limitrofi. L'intenzione è far sì che le imbarcazioni che trasportano migranti non attracchino sulle coste italia­ ne e che l'identificazione degli aventi diritto ali' asilo politico e a prestazioni di cure mediche e assistenza avvenga direttamente in mare, sui natanti delle forze dell'ordine. Chi aiuta i migranti a entrare nel paese rischia l'accusa di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, reato punito con la reclu­ sione fino a tre anni e con una multa fino a 1 5.0 00 euro per ogni persona . ,, "f avor1ta ;

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5. impronte digitali e restrizioni delle tutele. La norma ha introdotto l'obbli­ go di rilevamento e registrazione delle impronte digitali degli immigrati al momento del rilascio o del rinnovo del permesso di soggiorno, imponendo restrizioni alla possibilità di tutela in caso di respingimento, innalzando da 30 a 60 giorni il tempo massimo di trattenimento nei centri di permanenza temporanea. Il tetto è stato stabilito fino ad un massimo di 180 giorni dal pacchetto sicurezza del 2009. Questa stessa legge 15 luglio 2009, n. 94 ("legge Maroni" ) ha introdotto anche il reato di immigrazione clandestina, con un'ammenda da cinquemila a diecimila euro per lo straniero che entra illegalmente nel territorio dello Sta­ to. In alternativa viene prevista una pena da uno a cinque anni di reclusione. Nel corso degli anni la "legge Bossi-Fini" oltre che attraverso la "legge Maroni" è stata più volte integrata e rimaneggiata in nome della sicurezza. Di fatto, è considerata la legge più severa in Europa per quanto riguarda la regolamentazione sull'immigrazione. Nonostante su molti aspetti sarebbe opportuno ritornare a riflettere, va ricordato che il Governo ha dato mandato al Parlamento italiano di aboli­ re il reato di clandestinità (detto anche reato di immigrazione clandestina), con pubblicazione in "Gazzetta Ufficiale" del 2 aprile 2014, intervenendo sulla parte relativa al reato di ingresso e soggiorno clandestino, introdotto dalla legge 94 del 2009 in materia di pubblica sicurezza, a modifica della "Bossi-Fini': Dopo la bocciatura della Consulta del 2010, infatti, è stata poi la Corte di giustizia dell'Unione Europea a cassare anche il reato di clandestinità (per­ ché in contrasto con la direttiva europea sui rimpatri), dichiarando illegale il carcere. Il reato di immigrazione clandestina resta applicato solo in caso di un secondo ingresso clandestino in Italia, ma viene punito con una sanzione pe­ cuniaria e non, come prevedeva il pacchetto sicurezza, con la reclusione da • 1 a 4 anni. Con la proposta di abrogazione ancora ferma in Parlamento invero il reato non è abolito ma si configura solo dopo aver ricevuto un decreto di espulsione. Forse oltre a regolare gli ingressi bisognerebbe provare a puntare l'atten­ zione sullo status giuridico e la condizione di uomini e donne provenienti da altri paesi. Appare evidente ad oggi come sia stata più forte nel legislatore la volon­ tà di regolamentare i flussi migratori, piuttosto che riconoscere i diritti degli • • stran1er1.

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Forse, trasformare in illecito amministrativo il reato di immigrazione clandestina non inciderebbe sulla funzione preventiva di deterrente della sanzione, ma avrebbe il merito di consentire alla magistratura di interrogare i soggetti entrati nel nostro paese clandestinamente senza considerarli inda­ gati, ma vittime del reato di traffico di essere umani. Questo profilo giuridico ( persona informata dei fatti o indagati di im­ migrazione clandestina) può davvero rappresentare una questione dirimen­ te nel trattamento processuale dei migranti e nelle indagini atte a colpire i trafficanti di esseri umani. Infatti, se la persona viene sentita come imputata può tacere notizie e fat­ ti trincerandosi dietro la facoltà di non rispondere o, peggio, confondendo le indagini. Sentita come persona informata dei fatti, è obbligata a rispondere e a dire il vero. Inoltre, evitando di sentire il migrante come imputato, lo Stato italiano avrebbe la possibilità di risparmiare i costi del difensore d'ufficio nelle fasi delle audizioni e fino alla conclusione del processo. In estrema sintesi, non essendo quasi mai, per mancanza di risorse, ese­ guita la pena pecuniaria, sarebbe più utile, trasformata l'immigrazione clan­ destina in un illecito amministrativo, conservare il rilievo penale solo per chi viola gli eventuali provvedimenti amministrativi di espulsione, tenendo conto che di frequente, in un secondo momento, ai migranti viene ricono­ sciuto lo status di rifugiato. L'applicazione della norma sulla clandestinità ha prodotto nel tempo discrezionalità e storture sino alla quasi completa assenza di uniformità. In alcuni casi è stata invocata per escludere il reato con la discriminante di do­ versi salvare la vita raggiungendo la costa, in altre fattispecie si è ritenuto che il solo mettersi in viaggio senza regolari autorizzazioni integrasse il reato. In altri casi ancora, lo stesso è stato escluso in quanto l'ingresso sarebbe avve­ nuto ad opera dei soccorritori con la cessazione della condotta illegale fuori dalle acque territoriali ( dunque, non punibile). Non si può nascondere, poi, come la "legge Bossi-Fini" abbia letteral­ mente riempito le carceri italiane soprattutto di immigrati che non si sono allontanati dall'Italia dopo l'espulsione, etnicizzando il diritto penale italia­ no con l'introduzione di reati connessi ali' immigrazione. E innegabile l'impennata di presenze registrate nelle strutture di detenzione tra il 1998 e il 2000 già a seguito del T.U. sull'immigrazione. E con il 2002, però, che la presenza di stranieri supera percentuali mai raggiunte (circa 32 % ) da cui ancora oggi l'intero sistema penitenziario è gravato. La legislazione italiana è ancora troppo centrata sull'idea del detenuto italiano e questo è dimostrato dal bassissimo numero di mediatori culturali presenti nelle carceri, nonostante la raccomandazione del 2012 del Consiglio

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d' Europa atta, attraverso il supporto di questi operatori, a ridurre la conflit­ tualità che, spesso nasce dall' incomprensione e dalla scarsa padronanza della lingua e dei suoi significati da parte dei detenuti stranieri. Sarebbe opportuno, inoltre, prevedere l' inserimento della lingua ingle­ se fra le materie d'esame obbligatorie per l'accesso ai vari ruoli della carriera penitenziaria e del servizio medico così come una formazione orientata alla comprensione, da parte del personale che opera nelle carceri, delle differenti identità culturali e religiose. Non meno significativo sarebbe offrire ai detenuti stranieri l 'opportu­ nità di comunicare con i propri parenti lontani e, spesso impossibilitati ai normali colloqui, attraverso l'uso di internet e Skype. In tempi di mancanza quasi totale di certezze esistenziali, cui corrispon­ dono una sempre più crescente precarizzazione e deregolamentazione dei sistemi e dei rapporti sociali, i nuovi immigrati sono percepiti come messag­ geri di cattive notizie ( Bauman, 2000) . Sotto questo aspetto l ' irritante dello straniero consiste nel non riuscire a ricondurlo a nessuna delle nostre categorie. Essi sono in sostanza cittadini stranieri che non obbediscono agli stereotipi dei cittadini autoctoni ( Beck, 2000

).

Ci ricordano quanto preferiremmo rimuovere e invece, pur mettendo in conto un prezzo da pagare nell' immediato in termini di sacrificio, a lungo termine, la solidarietà rimane l'unica via possibile per dare una forma reali­ stica alla speranza di arginare futuri disastri. Dato che la tipicità, però, non è naturale ma un costrutto sociale, gli stra­ nieri sono una smentita dei confini netti e delle basi naturali su cui gli Stati hanno fondato la loro identità e appartenenza. In quella differenza che è solo costruzione socio-culturale dove lo stra­ niero si contrappone o attraversa tutti i concetti dell'ordine sociale, met­ tendo in discussione la validità delle distinzioni e dei confini comunemen­ te accettati, il sociologo tedesco Ulrich Beck (ibid. ) auspica un' Europa de­ gli individui perché l' individualizzazione non dovrebbe essere intesa come una forza disgregante ma, al contrario, la lotta per conquistare una vita pro­ pria in grado di accomunare tutti gli europei e non dall'alto ma nel nucleo dell'autocoscienza di ciascun cittadino.

Bibliografia (a cura di) ( 2015) , Oltre i tre metri quadri. XI Rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione, Edizioni Gruppo Abele, Torino.

ASSOCIAZIONE ANTIGONE

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(a cura di) ( 2016 ) , Galere d'Italia. XII Rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione, Edizioni Gruppo Abele, Torino. BARBAGLI M. ( 20 0 8 ) , Immigrazione e sicurezza in Italia, il Mulino, Bologna. BAUMAN z. (20 0 0 ) , La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, Milano (trad. it. di Giovanna Bettini) . ID. ( 2007) , Modernita liquida, trad. it. di S . Minacci, Laterza, Roma-Bari. BECK u. ( 20 0 0 ) , I rischi della liberta. L'individuo nell'epoca della globalizzazione, il Mulino, Bologna. BORGNA P. ( 2011) , Clandestinita (e altri errori di destra e di sinistra), Laterza, BariRoma. FERRARIS v. ( 2012) , Immigrazione e criminalita, Carocci, Roma. GIRARD R . (19 8 0 ) , La violenza e il sacro, Adelphi, Milano. MELOSSI D. ( 20 0 2) , Stato, controllo sociale, devianza, Mondadori, Milano. ID.

Parte seconda

Vado convincendomi di essere molto più forte di quanto mai potessi credere, perché, a differenza di tutti, me la sono cavata con la semplice stanchezza. Ti assicuro che, eccettuate pochissi­ me ore di tetraggine una sera che hanno tolto la luce dalle nostre celle, sono sempre stato allegrissimo ; lo spiritello che mi porta a cogliere il lato comico e caricaturale di tutte le scene era sempre attivo in me e mi ha mantenuto giocondo nonostante tutto. Antonio Gramsci ( 1 891-1937) Lettere dal carcere, 1926

Nota metodolo gica

I sistemi di indicazione metrica non possono valutare aspetti qualitativi ine­ renti le azioni, le motivazioni e soprattutto le percezioni delle persone. Al numero, al dato quantitativo mancano quegli aspetti socio-psico-cul­ turali che meglio di qualsiasi indicatore possono dirci se gli interventi effet­ tuati hanno realmente raggiunto gli obiettivi previsti. A tal proposito, in questa seconda parte si intende approfondire e arric­ chire quanto descritto nella prima, avvalendosi di documentazione originale, ossia dei rapporti degli agenti della Polizia penitenziaria, delle "domandine" e delle lettere dei detenuti e delle detenute della Casa circondariale di Taranto indirizzate alla Direzione e al comandante della Polizia penitenziaria. L'obiettivo di questa scelta, che possiamo collocare nell'ambito sociolo­ gico del paradigma interpretativo, è quello di ricostruire il profilo culturale di ciò che si intende approfondire dal punto di vista dei suoi membri, pro­ vando a individuare meglio la loro visione del mondo e a delineare le regole ( anche implicite) che governano l'interazione sociale della realtà osservata. Attraverso il pensiero degli stakeholders ( portatori di interesse) l'intento è quello di leggere il documento provando, in questa maniera, a dare parola • • • a1 protagon1st1. Di fatto, per documento si intende materiale informativo su un deter­ minato fenomeno che esiste indipendentemente dall'azione di chi intende studiarlo. Si presenta in forma scritta o in alcuni casi sotto forma di "tracce materiali': Esso viene prodotto dai singoli individui o dalle istituzioni per finalità diverse da quelle della ricerca sociale 1 • Se lo svantaggio di una simile scelta è legato alla non generalizzabilità e alla soggettività di quanto analizzato, il vantaggio è nella possibilità di avere informazioni non reattive, ossia non legate all'interazione tra chi ascolta/ legge e il testimone privilegiato, evitando così possibili distorsioni. Allo stes­ so tempo, i documenti possono riguardare anche il passato e dunque offrire una visione diacronica. 1.

P. Corbetta, Metodologia e tecniche della ricerca sociale, il Mulino, Bologna 1999, p. 437.

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Generalmente, si distingue in documenti personali o espressivi, ossia quel­ li di natura "personale': prodotti dagli individui ad uso privato, rientrando in questa categoria autobiografie, diari, lettere, testimonianze orali (storie di vita e storie orali); oppure in documenti istituzionali di natura "pubblica': Questi vengono prodotti da istituzioni o da individui appartenenti alle stesse. Rien­ trano in questa categoria documenti aziendali, verbali di processi o di consigli di amministrazione, discorsi pubblici, articoli di giornale, organigrammi di società, atti parlamentari, certificati di matrimonio o di nascite ecc. Centrale nella ricerca storica, l'analisi dei documenti personali offre una visione dal di dentro, mentre nella ricerca sociale l'uso dei documenti si orienta verso le dinamiche e le relazioni sociali delle persone comuni, a par­ tire dalla visione dei protagonisti stessi. In modo particolare la lettera (spes­ so accompagnata a quella che in gergo è chiamata "domandina"), strumento utilizzato nella seconda parte dello scritto per ciò che attiene ai detenuti del­ la Casa circondariale di Taranto, è espressione dell'interiorità della persona non limitandosi esclusivamente al mondo dello scrivente ma anche renden­ do più comprensibile l'interpretazione che ne dà il ricevente. Non si può parlare di informazione pura ma certamente di un prodotto rappresentativo dell'interazione fra detenuto e sistema della detenzione. Per ciò che attiene alla documentazione del carcere e di quanti operano al suo interno, va precisato non c'è un atto istituzionale che non generi un documento e che, conseguentemente, non rappresenti una chiave di lettura dell'intero assetto culturale di una certa comunità. Si tratta di documenti scritti che riportano aspetti normativi ma anche tracce di vita quotidiana, con lo svantaggio, da considerare con attenzione, dell'incompletezza dell'informazione e della rappresentazione di un'ogget­ tività necessariamente istituzionale. La documentazione raccolta nella Parte seconda di questo lavoro è stata trattata con il desiderio di far conoscere il mondo della detenzione anche attra­ verso gli strumenti e la voce dei suoi protagonisti, provando a garantire il mas­ simo rispetto per la privacy delle persone, sottolineandone l'indubbia soffe­ renza ma anche la creatività, la gratitudine e in alcuni casi l'ironia e la genialità. I documenti che vedono come mittente il detenuto sono tutti scritti a mano. Non sembra inesatta la percezione che gli stessi ristretti siano ormai tra le pochissime persone ad utilizzare carta e penna nell'era del dominio de­ gli ausili tecnologici " 2.0 ': conferendo all'intera raccolta esaminata un tratto ed un fascino davvero di altri tempi. Senza nulla togliere alla serietà degli argomenti, dunque, si è pensato, nel disegno di questo lavoro, di provare a dire cose importanti ricorrendo di tanto in tanto ad un sorriso.

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Lavoro, istruzione e attività culturali, • • sp ortive e r1creat1ve •

dettata dell'art. 35 della Costituzione italiana, Giuseppe Pera sostenne che al lavoro penitenziario dovessero applicarsi le regole del diritto del lavoro co­ mune (1971 ). Riconoscendo l'atipicità del lavoro svolto in ambito detentivo, sostenne la qualificazione pubblicistica del lavoro penitenziario, frutto di un atto amministrativo, e non di un negozio giuridico ( il contratto di lavoro) con alla base la volontà delle parti. La diversa qualificazione giuridica non doveva, però, comportare l'ap­ plicazione di due discipline differenti del rapporto di lavoro. Nonostante ciò, dopo l'entrata in vigore della "legge Gozzini': la Corte di Cassazione ha avuto modo di affermare che: benché il lavoro carcerario, prestato dal detenuto all' interno o all'esterno dello sta­ bilimento detentivo a favore dell'amministrazione penitenziaria oppure ali'esterno a favore e alle dipendenze di altri datori di lavoro, sia assimilabile all'ordinario la­ voro subordinato, la competenza del giudice del lavoro per le relative controversie

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deve ritenersi derogata a favore del magistrato di sorveglianza per effetto dell'at­ tribuzione a quest 'ultimo dei reclami dei detenuti concernenti l'attribuzione della qualifica lavorativa, la mercede e la remunerazione, lo svolgimento delle attività di tirocinio e lavoro, e le assicurazioni sociali, nell'ambito di una competenza di tale giudice alla quale deve riconoscersi natura giurisdizionale nel quadro della discipli­ na introdotta dalla riforma penitenziaria di cui alla legge 10 ottobre 1 9 8 6, n. 663 , che prevede lo svolgimento di uno speciale procedimento nel quale sono garantiti i diritti di difesa e la decisione con ordinanza impugnabile per cassazione (Corte Cass., Sez. U., sene. n. 490, del 21 luglio 1 9 9 9) .

Secondo molti giuristi l'attribuzione alla magistratura di sorveglianza della competenza in materia di lavoro penitenziario comporta una tutela debole dei diritti del detenuto lavoratore (Vitali, 2001 ; Furfaro, 2008) . Nella Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati - Allegato al decreto del ministero della Giustizia del 5 dicembre 2012 - la complessità sembra articolarsi ulteriormente in quanto: Il lavoro è uno degli elementi fondamentali del trattamento carcerario. I detenuti imputati possono partecipare, a loro richiesta, ad attività lavorative, sia all' interno dell' istituto (cuciniere, barbiere, magazziniere . . . ) che all'esterno. Il lavoro ali'ester­ no è una modalità di esecuzione della pena: per i condannati per reati comuni è applicabile senza alcuna limitazione, per i condannati alla pena della reclusione per delitti particolari è applicabile dopo l'espiazione di 1 /3 della pena e per i condannati all'ergastolo è applicabile dopo l'espiazione di almeno 10 anni. Il magistrato di sor­ veglianza approva il provvedimento del direttore dell' istituto e indica le prescrizio­ ni cui attenersi. I condannati e gli internati sottoposti alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro hanno l'obbligo di prestare attività lavorativa. La mercede è stabilita in misura non inferiore ai due terzi del trattamento economi­ co previsto dai contratti collettivi di lavoro.

Richard Wortley, nel suo Situational Prison Contro! ( 2002) , adotta il para­ digma del controllo situazionista degli ambienti detentivi, affermando che i programmi di attività delle prigioni includono interventi trattamentali, istruzio­ ne, formazione professionale, lavoro, sport ed attività ricreative. La gran parte di questi programmi non hanno l'obiettivo esplicito di facilitare il controllo, di solito sono giustificati in termini dei loro presunti effetti terapeutici o riabilitativi. Cio­ nonostante, da un punto di vista situazionista tali programmi possono aiutare il controllo perché scandiscono la giornata dei reclusi e gli impongono una routine (ivi, p. 9 s) .

La prima fonte di diritto internazionale ad occuparsi del trattamento peni­ tenziario dei detenuti è rappresentata dalle Standard Minimum Rulesfar the

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Treatment o/Prisoners adottate nel 1955 dal I Congresso delle Nazioni Unite sulla "Prevenzione del crimine ed il trattamento dei criminali". Il testo, giu­ ridicamente non vincolante, di fatto consiste in una dichiarazione di diritti del detenuto con l'obiettivo di codificare alcune pratiche trattamentali, con­ siderate diffuse e generalmente accettate. Le Standard Minimum Rules ( sMR) riprendono il modello che stava fa­ cendosi largo subito dopo il finire della Seconda guerra mondiale e che a distanza di venti anni diventeranno i principi guida del pensiero di Michel Foucault nel testo Sorvegliare e punire (1976 ). Il lavoro, dunque, assume sempre più le sembianze di strumento di ria­ bilitazione del reo, ossia da afflizione ed emenda del condannato a mezzo di formazione, riabilitazione e reinserimento sociale, sebbene la discussione ri­ spetto all'obbligatorietà o meno non sembra essersi ancora del tutto esaurita. Le SM R con l'art. 71 stabiliscono che il lavoro nel carcere deve perdere la sua funzione afflittiva e deve somigliare il più possibile al lavoro svolto fuori dalle mura carcerarie. Dunque, nulla che faccia pensare all'obbligatorietà dello stesso. Le disposizioni della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti del!'uomo e delle libertafondamentali del 1950 affermano, infatti, che (art. 5), precisando, però, che non è considerato lavoro forzato o obbligatorio . I limiti al potere delle Amministrazioni penitenziarie derivano ora da raccomandazioni e da standard trattamentali relativi al rispetto della digni­ tà umana, ma ancor più dal riconoscimento formale dei diritti dei detenuti ( Grevi, 1 9 74) . Le attività ricreative, educative e di lavoro hanno la semplice finalità di minimizzare gli effetti desocializzanti della detenzione in carcere, ma non più l'ambizione di modificare le attitudini individuali dei detenuti in vista del reinserimento sociale. Le EP R suggeriscono a proposito del lavoro del detenuto, così come pre­ visto dall'art. 6, che > , incoraggiando a tal fine > ( art. 7). Il lavoro penitenziario diventa, dunque, solo un'opportunità da offrire al detenuto per garantirgli un minimo di reddito da usare per una miglio­ re qualità della vita in carcere ( il detenuto nei limiti fissati dall'istituto può acquisire beni consentiti dal regolamento), per sostenere economicamente le famiglie e, infine, per mettere da parte una somma utile a conclusione del periodo detentivo ( cfr. Appendice 4 , Il documentofinale degli Stati generali dell 'esecuzione penale e, dunque, possibilità dell'esistenza di un diritto al la­ voro anche per l'utenza del detenuto) (Lamonaca, 20 09). Se il lavoro in carcere non è considerato alla stregua di un obbligo, tan­ tomeno è definito dalle E P R un diritto. L'Amministrazione deve mettere in atto quanto possibile per creare occasioni di lavoro e formazione professionale, servendosi all'occorrenza

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anche della disponibilità di soggetti privati (art. 26, comma 9 ° dell' O P del 1 9 7 5 ) , sebbene il detenuto non abbia alcun diritto tutelabile in sede giurisdi­ zionale di pretendere un'occupazione. Il diritto al lavoro dei detenuti, infatti, è un diritto sociale che crea in capo ali'amministrazione un obbligo di attivarsi per reperire occasioni lavorative. Il mancato adempimento a tale obbligazione, però, non crea un corri­ spondente diritto soggettivo esigibile in giudizio con eventuale pretesa ri­ sarcitoria, dal momento che esso può dipendere dalla contingente indispo­ nibilità di risorse o da altre oggettive esigenze organizzative (sebbene sulla irrilevanza della mancanza di risorse lato sensu nel caso di lesione prodotta a diritti fondamentali è opportuno ricordare la sentenza della Corte costitu­ zionale n. 8 0 /2010 ) . Non a caso l'art. 1 5 dell' O P stabilisce che l'amministra­ zione penitenziaria deve assicurare il lavoro > (anche in questo caso sulla risarcibilità del diritto al lavoro in ambito deten­ tivo, sarebbe opportuno leggere Lamonaca, 20 09 e ancor prima sulla risarci­ bilità della lesione del diritto al lavoro della persona, anche se non detenuta, Garofalo, 20 0 4, pp. 27 1 ss. ). Le attività tradizionalmente considerate come parte del trattamento ri­ abilitativo (lavoro, istruzione, formazione) continuano a dover essere garan­ tite dalle Amministrazioni penitenziarie, ma le stesse evidentemente non so­ no più considerate come una priorità.

7. 2

L' Italia è una Rep ubblica fondata sul lavoro

DaII'x1 Rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione dell'Associazione

Antigone, Oltre i tre metri quadri ( 201 5 ) , si legge:

I detenuti nelle carceri italiane hanno lo stesso contratto di lavoro adottato per la propria categoria nel resto della società, ma con alcune specifiche limitazioni. La prima è che la loro retribuzione è inferiore fino ad un terzo rispetto agli altri lavoratori della stessa categoria. La seconda è che, mentre fuori dal carcere gli stipendi previsti dai contratti nazionali sono nel tempo cresciuti, in carcere sono rimasti bloccati alle tariffe degli anni Novanta. Per avere l'adeguamento è necessaria un'azione giudiziaria. La terza è che parte della retribuzione è trattenuta dalla Amministrazione pe­ nitenziaria per le spese di giustizia, per il mantenimento in carcere e per eventuali . . pene pecun1ar1e.

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Il risultato di tutto questo è che i detenuti che lavorano guadagnano molto poco. Ma loro di questo non si lamentano. I detenuti che lavorano infatti sono una minoranza fortunata. Il dato ufficiale è il seguente: al 3 1 dicembre 201 4, mentre erano detenute 5 3 .623 persone, lavoravano in carcere 14.550 detenuti, 1 2.226 per l'amministrazione peni­ tenziaria e 2.3 24 per altri datori di lavoro. In effetti però il lavoro è meno di quello che sembra. Negli ultimi anni il numero complessivo dei "lavoranti" è rimasto più o meno costante, ma questo perché, negli ultimi anni, i posti di lavoro sono stati notevolmente frazionati, con una conseguente riduzione degli orari di lavoro e della spesa per l'Amministrazione penitenziaria. Per fare un esempio, dove prima lavo­ rava una persona, oggi ne lavorano ad esempio due, ciascuno per metà del tempo. Il numero assoluto dei lavoranti nell'anno è quindi rimasto costante, ma il budget speso per il lavoro dalla amministrazione penitenziaria, e dunque anche gli stipendi, sono calati moltissimo. Si è passati dai 7 1,4 milioni del 2006 ai 49,6 del 201 3 . Se si divide questa cifra per gli 1 1.700 detenuti che nel 201 3 hanno lavorato per l' ammini­ strazione penitenziaria si ottiene un budget lordo di 3 63 euro al mese. E, come det­ to, siamo ancora al lordo, a cui vanno tolte tasse, contributi previdenziali, spese di giustizia, mantenimento in carcere e le eventuali pene pecuniarie. Non resta molto. Come abbiamo detto, al 3 1 dicembre 2014, 2.3 24 detenuti non lavoravano per l'Amministrazione penitenziaria, ma per altri datori di lavoro. Di costoro però 1.259, più della metà, lavoravano fuori dal carcere, uscendo di giorno e rientrando la sera. 707 detenuti lavoravano in carcere per cooperative sociali, e solo 3 58 per azien­ de profit. Per difficoltà organizzative e burocratiche le imprese faticano moltissimo ad entrare in carcere.

I regolamenti penitenziari italiani, del biennio 18 6 0 - 6 2 e quelli del 1891 e del 19 31, contenevano una disciplina generica in materia di organizzazione peni­ tenziaria, rimettendo di fatto il compito di stabilire concretamente i criteri di gestione del lavoro alla sola discrezionalità dei singoli istituti. L' O P del 197 5 ha tentato di superare questa prassi dettando ali'art. 20 una serie di criteri per l'assegnazione dei detenuti al lavoro. L'amministra­ zione, infatti, deve tener conto nel programma di trattamento rieducativo del condannato. La stessa è contemplata come strumento di approfondimento della for­ mazione scolastica del detenuto e dell'internato nonché come mezzo per stimolare in questi soggetti nuovi interessi, ampliando le loro conoscenze ed eventualmente migliorandone la personalità. Inoltre l'art. 48 dell' O P e l'articolo 94 del regolamento del 19 7 6, con­ siderano rispettivamente l'istruzione come elemento di valutazione per la concessione della semilibertà e della liberazione anticipata. L'articolo n. 103 del D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230 ribadisce tale stretto collegamento in re-

RECLUSI

!azione ali' impegno dimostrato dal detenuto nel trarre profitto dalle oppor­ tunità offertegli nel corso del trattamento. Secondo quanto previsto dalla Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati - Allegato al decreto del ministero della Giustizia del s di­ cembre 2012 - dunque: Negli istituti penitenziari si svolgono corsi scolastici a livello di scuola d'obbligo e di scuola secondaria superiore. I detenuti possono ricevere un sussidio giornaliero, nella misura determinata con decreto ministeriale, per la frequenza ai corsi di istruzione secondaria di secon­ do grado. Ai detenuti che seguono corsi di istruzione secondaria di secondo grado o corsi universitari, e che hanno superato tutti gli esami di ciascun anno, vengono rim­ borsate, qualora versino in disagiate condizioni economiche, le spese sostenute per tasse, contributi scolastici e libri di testo, e viene corrisposto un premio di rendi­ mento. Ai detenuti che si sono distinti per particolare impegno e profitto nei corsi scolastici e di addestramento professionale sono concesse ricompense. E altresì consentita la possibilità di svolgere la preparazione da privatista per il conseguimento del diploma di scuola secondaria superiore e della laurea universitaria. Gli istituti sono forniti di una biblioteca, alla cui gestione collaborano gli stessi detenuti. L'accesso ai locali della biblioteca delle rispettive sezioni avviene in giorni ed orari stabiliti nel regolamento interno di istituto. Nell' istituto vengono organizzate attività culturali, sportive e ricreative che fanno parte del trattamento rieducativo. La loro organizzazione è curata da una commissione composta dal direttore, da uno o più educatori, da uno o più assistenti sociali e da una rappresentanza di detenuti. Per partecipare ai corsi e alle altre attivi­ tà è sufficiente una richiesta scritta. Durante la permanenza all'aperto è consentito ai detenuti lo svolgimento di attività sportive.

Il Consiglio d'Europa - Comitato dei ministri attraverso la Raccomanda­ zione R (2006 ) 2 ha posto l'accento sulle regole penitenziarie europee da promuovere in tutti gli istituti penitenziari (ministero della Giustizia, 2007 ). Le funzioni della politica penale comprendono anche, e soprattutto, la riabilitazione del reo, assegnando un ruolo quasi dirimente, per la promo­ zione di modelli e valori alternativi, alla diffusione dell ' istruzione e deIIafor­ mazione dei detenuti ed ex detenuti. In Italia le diverse raccomandazioni comunitarie sono state recepite ed hanno dato vita ai "Centri territoriali permanenti per l'istruzione e l'educa­ zione degli adulti" (EDA), divenuti, a seguito dell'emanazione del D.M. 25 ottobre 2007, Centri provinciali per l 'istruzione degli adulti. Queste linee guida hanno trovato ospitalità anche ali' interno del Re­ golamento di esecuzione della legge penitenziaria (D. P.R. 230/ 2000) che ha istituito presso ciascuna struttura carceraria uno strumento in grado di

7. L AVO RO , IST RUZIONE E ATTIVITA CULTU R A LI

1 47

promuovere la collaborazione tra operatori penitenziari e docenti, con la fi­ nalità di sviluppare una > , ° ( ossia la > art. 41, comma 6 ). Il regolamento pe­ nitenziario stabilisce, infatti, che ali' interno degli istituti devono essere pre­ visti corsi di scuola dell'obbligo ( art. 41, comma 1 ° ) e di addestramento pro­ fessionale in base alle esigenze della popolazione detenuta e alle richieste del mondo del lavoro ( art. 42, comma 1 ° ) . La presenza di corsi di scuola secondaria di secondo grado, invece, è le­ gata alla discrezionalità del direttore dell'istituto e resa fattiva con la sot­ toscrizione di protocolli operativi tra ministero della Giustizia e ministero dell'Istruzione, dell'università e della ricerca. Secondo l'ultimo Rapporto nazionale sulle condizioni di detenzione dell'Associazione Antigone ( 201 5) per l'anno accademico 20 1 3-1 4, nelle car­ ceri italiane sono stati attivati 219 corsi di scuola elementare, 3 3 1 corsi di scuola media, 3 63 corsi di scuola superiore, con 5.609 iscritti ( stranieri 23 %). I pro­ mossi sono stati 2.978 ( di cui stranieri per il 22%). Per un totale con i corsi di alfabetizzazione di 1.141 contro i 991 dell'anno precedente. Davvero significativi sono i dati relativi ai tassi di scolarizzazione riscontrat1: Al 3 1 dicembre 20 14: il 2% dei detenuti era analfabeta, il 4,4% privo di titolo di studio, il 20,5% aveva la licenza elementare, il 59,3 % aveva la licenza media, l' 1,3% un diploma di scuola professionale, il 10,8% un diploma di scuola superiore e l' 1,7% era laureato. La percentuale dei laureati sale per i detenuti stranieri ( 2 % ) , così come quella dei diplomati alla scuola superiore ( 1 2,4%) .

Inoltre, sono stati 21 4 i corsi professionali avviati nel secondo semestre del 20 1 4, sebbene solo 57 degli stessi non abbiano visto la loro piena realizza• z1one. Il numero totale degli iscritti è stato 2.59 8 ( 599 gli stranieri) , meno del 4,5 % della popolazione detenuta al 30 giugno 20 1 4. Di questi, 1.8 8 8 ( 3,25% del totale) erano iscritti a corsi che sono stati portati a termine. Tra questi, i promossi sono stati 1. 456, dei quali 3 8 8 stranieri. Massimamente rappresentati sono i corsi di cucina ( 40, per 5 3 9 iscritti, ma solo 23 i corsi terminati) , seguiti da quelli di giardinaggio e agricoltura (24 per 3 20 iscritti e quasi tutti terminati) , edilizia ( 22 per 294 iscritti, dei quali 1 6 terminati) ed informatica ( 21 per 20 5 iscritti con 1 7 corsi portati a termine) , per chiudere con quelli per elettricista e artigiano. L'offerta for­ mativa ha fatto registrare anche alcune iniziative relative ali' area dell' arte e della cultura.

RECLUSI

Consapevoli che il fine precipuo dell'educazione e dell'istruzione sia quello di promuovere il cambiamento e la partecipazione sociale, nonostan­ te l'istruzione e la formazione in carcere rientrino nel programma di inter­ venti che gli operatori devono garantire ispirandosi al principio di indivi­ dualizzazione, nella realtà, anche se teoricamente viene garantito a tutti il diritto, in pochi istituti sono attivati più di due corsi per ogni livello d' i­ struzione (dati del ministero della Giustizia, 2007 ) . A tal proposito vi sono lodevoli eccezioni tra cui la C.C. di Taranto con i suoi 4 differenti corsi d' i• • struzione superiore. Aspetti organizzativi e strutturali, caratteristiche socio-demografiche, bassa scolarizzazione generale ed elevata presenza di stranieri finiscono, poi, per mettere in crisi il modello tradizionale di insegnamento e apprendimen­ to, sollecitando offerte formative più innovative e diversificate. Per ciò che attiene alle attività culturali, sportive e ricreative, così come previste dall'art. 12 dell' O P, la situazione nelle carceri italiane è piuttosto di• somogenea se pur variegata. Molto sembra dipendere dalla volontà dell'istituto di aprirsi ali'esterno, coinvolgendo risorse del territorio. Non di meno, il tutto è condizionato da quelle interne e dalla possibilità di usufruire di spazi utili presenti in struttura. Attività teatrali e biblioteca, radio e sport, artigianato e cinema offrono al detenuto la possibilità di intraprendere un percorso di autoconoscenza e autodeterminazione. Nei processi psichici delle persone detenute, l'emozione viene vissuta direttamente sul corpo (via somatica) e senza elaborazione mentale. Molto spesso non è interpretata cognitivamente, né concettualizzata per immagini o parole in grado di restituire sintesi o farsi contenitore. La difficoltà (o non volontà) di identificare i propri sentimenti, quella provata nel descrivere quelli altrui, il pensiero orientato quasi solo all'ester­ no, e raramente verso i propri processi endopsichici, subiscono stimoli im­ portanti da attività culturali ben organizzate e condotte. Dismettere il tacitamento emotivo in favore di una maggiore consape­ volezza di sé e del proprio Sé autentico frutto di dinamiche conoscitive ed esplorative, può restituire alla persona un Io meno frammentato. La modalità centrale dovrebbe essere l'educazione dello sguardo che non prova a sottrarsi ai modelli precostituiti, ma che si volge ali' incontro­ scontro con la materia della narrazione, dell'azione, del sentire. La dimen­ sione dovrebbe essere volutamente orientata verso se stessi in maniera sana e conseguentemente verso l'alterità, la famiglia, la società. La motivazione ludica, l'entusiasmo, il desiderio, l'arbitrio rievocativo sono ingredienti importanti, così come il desiderio di raccontarsi e di vivere

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7. LAVO R O , I S T RU Z I O N E E AT T I VI TA C U LT U RA L I

1 49

il tempo della detenzione in una maniera più costruttiva e creativa. Questo potrà risultare ancora lento ma con la possibilità di coltivarsi e crescere come persone, non necessariamente e incontrovertibilmente inutile. Questo spazio è dedicato ai detenuti. Sarebbe incompleto e, probabilmente, anche improprio, scrivere o discutere di carcere senza ascoltare il sentire di chi vive in prima persona questa realtà.

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--- Si ricorda che un detenuto convalescente o non autosufficiente ha diritto a una persona che lo assista. Di solito si tratta del compagno di cella, il cosiddetto "piantone ': In questo caso si segnala l ' impossibilità da parte del detenuto di conciliare il compito attribuito con lavoro e istruzione.

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RE C LU S I

o � A favore di verità, si precisa che l'anno scolastico è stato poi ripristinato ... A prescin�

dere "da minacce di alcun genere':

Et motivo per il quale �

La detenuta a seguito di W1 diverbio con W1' altra ospite ha visto la revoca del lavoro, è stato inoltre disposto anche il "divieto di incontro" tra le due. Si precisa che quest 'ultimo è adottato al fìne di tutelare l'incolumità delle parti protago­

niste del litigio.

7. L AVO R O , I S T RUZI O NE E AT TIVITÀ CU LT U RA LI

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RE C LU S I

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... Referenze qualificate.

... ad avercela una piscina in carcere !

7. L AVO RO , IST RUZION E E ATTIVITA CULTU R A LI

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8

Libertà di culto Il vivere libero è assai più bello del vivere in carcere ; chi ne dubi­ ta ? Eppure anche nelle miserie d'un carcere, quando ivi si pensa che Dio è presente, che le gioie del mondo sono fugaci, che il vero bene sta nella coscienza e non negli oggetti esteriori, puossi con piacere sentire la vita. Silvio Pellico, Le mie prigioni, 1 8 3 2, cap . VII 8.1

Almeno liberi di credere La riforma penitenziaria del 1975, eliminando l'imposizione delle pratiche religiose ai detenuti, riconosceva per la prima volta la loro libertà religio­ sa, conformemente ali'art. 19 della Costituzione e alle previsioni contenute nelle Regole minime per il trattamento dei detenuti - O N U (30 agosto 1955 ) : se lo stabilimento ospita un numero sufficiente di detenuti appartenenti alla stessa religione, deve essere nominato o accolto un rappresentante qualificato della predetta religione. Se il numero dei detenuti lo giustifica e le circostanze lo permet­ tono, l' impiego dello stesso deve essere previsto a tempo completo; 2. il rappresentante qualificato, nominato o accolto a norma del n. 1 , deve essere autorizzato ad organizzare periodicamente servizi religiosi e a fare, tutte le volte che è stabilito, visite pastorali, in particolare ai detenuti della sua religione ; 3 . non deve essere mai negato ad alcun detenuto il diritto di prendere contatto con un rappresentante qualificato di una religione. Al contrario, se un detenuto si oppone alla visita del rappresentante di una religione, si deve rispettare pienamente il suo atteggiamento; 4. ogni detenuto deve essere autorizzato, nei limiti del possibile, a soddisfare le esigenze della sua vita religiosa, partecipando ai servizi organizzati nello stabilimen­ to e tenendo in suo possesso libri di edificazione e di istruzione religiosa della sua confessione. 1.

Le Regole minime del Consiglio d'Europa per il trattamento dei detenuti fu­ rono adottate con risoluzione del Comitato dei ministri del Consiglio d'Eu­ ropa il 19 gennaio 1973. Entrambe le normative sancivano il diritto per il de­ tenuto di soddisfare le esigenze della propria vita religiosa, spirituale e mora­ le e di entrare in contatto con il rappresentante qualificato della religione di appartenenza. Pur susseguendosi alcuni aggiornamenti delle stesse, non si è assistito, in materia di assistenza religiosa, a grandi trasformazioni.

8 . LIBE RTÀ DI CULTO

155

La legge 26 luglio 1 97 5, n. 3 54, Norme sull 'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta e il relativo Re­

golamento recante norme sull'ordinamento penitenziario e sulle misure priva­ tive e limitative della liberta, emanato con D.P.R. 29 aprile 19 7 6, n. 43 1, a tal

riguardo precisano che:

Il trattamento del condannato e dell' internato è svolto avvalendosi principalmente dell' istruzione, del lavoro, della religione, delle attività culturali ricreative e sportive e agevolando opportuni contatti con il mondo esterno ed i rapporti con la famiglia [ ... ] I detenuti e gli internati hanno libertà di professare la propria fede religiosa, di istruirsi in essa e di praticare il culto. Negli istituti è assicurata la celebrazione dei riti del culto cattolico. A ciascun istituto è addetto almeno un cappellano. Gli apparte­ nenti a religione diversa dalla cattolica hanno diritto di ricevere, su loro richiesta, l'assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti.

Per ciò che attiene alla sfera delle Manifèstazioni di professione religiosa, si legge ancora: I detenuti e gli internati possono liberamente partecipare ai riti della loro confessione religiosa. E consentito ai detenuti e agli internati che lo desiderino di esporre, nella propria camera individuale o nel proprio spazio di appartenenza nella camera a più posti, immagini e simboli della propria confessione religiosa. E consentito, durante il tempo libero, a singoli detenuti e internati, di praticare il culto della pro­ pria confessione religiosa, purché non si tratti di riti pregiudizievoli all'ordine e alla disciplina dell' istituto.

Il citato D.P.R. 43 1 /1 9 7 6 è rimasto in vigore fino al nuovo regolamento sull'ordinamento penitenziario D.P.R. 3 0 giugno 200 0, n. 230, che si disco­ sta dal precedente per le maggiori aperture e garanzie riconosciute ai dete­ nuti ed agli internati in materia di libertà religiosa. In ragione di tutto ciò, è loro conferita la libertà di partecipare ai riti della propria confessione, la facoltà di tenere ed esporre immagini e simbo­ li religiosi e di praticare il culto nel tempo libero ( art. 5 8 ) . A tal proposito, va detto che il fenomeno migratorio ha determinato la necessità da parte dell'Amministrazione penitenziaria di adeguare le norme interne all'elevato numero di praticanti culti e religioni differenti. Nello specifico, nel caso dei detenuti di fede mussulmana, è previsto che durante il Ramadan vengano favoriti i cambi cella tra detenuti al fine di permettere l'osservanza comune del digiuno, e vengano impartite disposizioni specifiche per le cucine degli Istituti al fine di fornire il vitto nelle ore serali. Viene, inoltre, consentita la creazione di sale comuni per la preghiera.

RECLUSI

Particolare interesse suscita la questione inerente l'esposizione dei simboli religiosi sul corpo attraverso l'utilizzo di un abbigliamento simbolico da par­ te dei detenuti. L'art. 7 dell'o p del 19 7 5 afferma che al detenuto deve essere fornito vestiario in quantità sufficiente > , in realtà imputati e condannati indossano abiti di loro proprietà. E evidente che con questo si intende permettere un abbigliamento liberamente scelto ma in ogni caso non lesivo della dignità umana sostenendo in tal modo > . Stabilito il princi­ pio della libertà religiosa negli istituti di pena si può però affermare che per­ mane una diversità di trattamento soprattutto per ciò che riguarda gli spazi e i mezzi messi a disposizione, anche in ragione dell'esiguità degli stessi. La riforma carceraria del 1975, quindi, mantiene il servizio di assistenza cattolica come servizio stabile ed interno alla struttura penitenziaria, rimuo­ vendo, però, il cappellano dal Consiglio di disciplina e dalla quasi totalità del­ le funzioni amministrative che il regolamento precedente gli riconosceva. E stato, inoltre, abolito il suo potere di controllo sulla corrispondenza, il governo della biblioteca e la redazione dei rapporti per l'osservazione del detenuto. I suoi compiti sono, dunque, sintetizzabili in: organizzare e presiedere alle pratiche di culto, istruire ed assistere i detenuti, collaborare alla redazio­ ne del regolamento interno di ogni istituto ( art. 1 6 ), partecipare alla Com­ missione che cura l'organizzazione delle attività ricreative ( art. 27).

8.2

A ciascuno il suo ... L'art. 26 O P del 1 9 7 5 riconosce ai detenuti e agli internati la libertà di pro­ fessare la propria fede, di "istruirsi" nella propria religione, di praticarne il culto. Negli istituti penitenziari è assicurata la celebrazione del culto cattolico e la presenza di almeno un cappellano, mentre i detenuti e gli internati di al­ tre religioni hanno il diritto di ricevere, su richiesta, l'assistenza dei ministri del proprio culto e di celebrarne i riti, purché siano compatibili con l'ordine e la sicurezza, non si esprimano in comportamenti molesti per la comunità o contrari alle legge. L'art. 5 8 del Regolamento di esecuzione ( D.P.R. 230/ 2000) stabilisce che le direzioni devono avvalersi dei ministri di culto di religioni diverse da quella cattolica indicati da quelle confessioni religiose i cui rapporti con lo

8 . LIBE RTÀ DI CULTO

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Stato italiano sono regolati con legge oppure indicati dal ministero dell'In­ terno. In alternativa l'ingresso dei ministri di culto può essere autorizzato in base all'art. 1 7 O P in quanto queste figure possono essere ricomprese tra gli operatori appartenenti alla comunità esterna che collaborano all'azione rie­ ducativa, promuovendo . Per ovviare alla mancata compilazione di un elenco di ministri di culto islamici le circolari n. 5 3 54554 del 6 maggio 1997 e n. 50 8 1 1 0 del 2 gennaio 200 2 hanno individuato una procedura che prevede la comunicazione del­ le generalità del ministro di culto nonché della moschea o della comunità di appartenenza alla Direzione generale detenuti e trattamento e al ministero dell'Interno per l'acquisizione di parere sull'autorizzazione all'ingresso in carcere. La procedura prevede l'invio alla Direzione generale detenuti e tratta­ mento anche dei nominativi di tutti i rappresentanti di fede islamica auto­ rizzati all'ingresso negli istituti penitenziari ai sensi dell'art. 1 7 O P. Confessioni religiose diverse dalla cattolica presenti negli istituti italiani1: testimoni di Geova - in 53 istituti; 2 . musulmani - in 33 istituti; 3 . Chiese ortodosse - in 1 9 istituti; 4. evangelici - in 1 6 istituti; 5 . buddisti - in 1 4 istituti; 6. ebrei - in 5 istituti; 7. Chiesa avventista - in 3 istituti; 8. Chiesa cristiana cattolica apostolica - in 2 istituti; 9. Chiesa evangelica pentacostale - in 2 istituti; 1 0. Assemblee di Dio in Italia - in I istituto; 1 1 . Chiesa valdese - in I istituto; 1 2 . confessioni non precisate - in 1 4 istituti. 1.

Come è possibile intuire con una certa facilità, la popolazione carceraria ita­ liana negli ultimi anni è mutata profondamente. Come mostra il rapporto annuale dell'Associazione Antigone: gli stranieri ammontano al 3 2% di tut­ ta popolazione carceraria, sia pur in diminuzione rispetto al 200 9, con un 66,9 % di persone provenienti dall'Africa subsahariana e dal Maghreb e circa 5 .5 0 0 dichiaratesi islamiche. Non è irragionevole pensare che gli stessi possa­ no essere di numero superiore al dato ufficiale, evitando, però, di dichiararlo apertamente anche al fine di evitare attenzioni e sospetti. Dati tratti dalle schede trasparenza sul carcere, ministero della Giustizia ( '\VWW.giusti­ zia.it - aggiornati a giugno 20 1 4 . I dati riguardano 1 9 0 dei 1 9 9 istituti italiani). 1.

RECLUSI

A tutti gli effetti, dunque, l'Islam è la religione più diffusa tra gli stranieri. In Italia, su circa duecento strutture, cinquanta garantiscono un luogo di culto per i musulmani, mentre nella maggior parte dei contesti detentivi si celebra la preghiera in cella o in spazi comuni. Il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, nel febbraio del 2015 in un'intervista al "Corriere della Sera" ha parlato dell'impegno (Enrico 1v).

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-..J Grande e Fondamentale... I migliori aggettivi per qualificare ciò in cui si crede ve-

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RECLUSI

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- ... (vere) amicizie altolocate !

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- ... con la speranza sia "padrino" solo di battesimo o di cresima.

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Affettività e sessualità La somma solitudine può tornar vantaggiosa all'ammendamen­ to d'alcune anime ; ma credo che in generale lo sia assai più se non ispinta all'estremo, se mescolata di qualche contatto colla . ' soc1eta. Oh qual brama ha il prigioniero di veder creature della sua specie ! La religione cristiana, che è sì ricca d'umanità, non ha dimenticato di annoverare fra le opere di misericordia il visitare . . 1 carcerati. Silvio Pellico, Le mie prigioni, 1 8 3 2, cap. LXXXIV

9. 1 Legami e legacci La responsabilità penale come previsto dall'art. 27, comma 1 ° , della Costitu­ zione italiana è davvero solo personale ? In teoria la definizione stessa di reclusione dovrebbe fare riferimento al­ la pena individuale, nella realtà, però, è innegabile come la carcerazione di una persona comporti una sorta di pena suppletiva, dettata dall'assenza e scontata dal partner/ coniuge e dagli eventuali figli. Se il mantenimento dei rapporti famigliari costituisce una risorsa di grande rilievo nell'esperienza della detenzione, assurgendo in alcuni casi a fattore dirimente nella resistenza alla vita carceraria, è anche vero che essa rappresenta l'elemento maggiormente indicato dai detenuti ( e dalle detenu­ te) come principale causa di sofferenza ( Clemmer, 1 94 1 ) . Lo stesso Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria nella circo­ lare del 26 aprile 2010 ha evidenziato come la mancata cura delle relazioni affettive rappresenti la principale fonte di disagio individuale nonché un ul­ teriore fattore predisponente al rischio suicidario. Anzani ( 2006) definisce la detenzione una sorta di > in grado di intaccare quando non distruggere il tessuto circo­ stante l'obiettivo. Dello stesso avviso è Sacerdote ( 2006, p. 20) , sostenendo che > .

RECLUSI

Inoltre la carcerazione dei genitori (ibid.). Non si possono, poi, non fissare alcune differenze legate al genere del ge­ nitore. La paternità, infatti, è una relazione fondata sull' enunciazione laca­ niana, ossia della parola pronunciata che si carica di senso più che sull'espe­ rienza, al contrario della maternità che rappresenta a tutti gli effetti un'espe­ rienza diretta (grembo materno, allattamento al seno). La prima si costitui­ sce attraverso due livelli: quello della madre che indica il padre del bambino che ha partorito, e quello del bambino che attende dal padre l'assunzione delle sue responsabilità. Il legame padre-figlio è il frutto di relazioni tratteg­ giate da reciproche identificazioni. Il padre vede in suo figlio quello che era e/ o quello che avrebbe voluto essere. Questo attaccamento, fisiologico e na­ turale in un quotidiano regolare, può essere esacerbato sul piano dell' imma­ ginario, non potendo essere vissuto nel reale. Più il padre perde il contatto con il figlio, infatti, più sembra proiettarlo in un quadro ideale (Bouregba, 2002).

Lo stesso può avvenire da parte del figlio e della sua spinta all' identifi­ cazione. Per questi il genitore è una sorta di eroe, salvo in un successivo per­ cepito più realistico, e con un grosso carico di sofferenza, dover affrontare sentimenti di delusione o rifiuto (Hemmerlin, 1992). Nella fattispecie, l'atteggiamento dei figli è comunque influenzato da molti fattori esterni, tra i quali svolge un ruolo primario l'atteggiamento del genitore non detenuto nei confronti di quello recluso. In alcuni casi la fa­ miglia tiene nascosta al figlio la devianza del genitore. Mentre nei casi in cui viene rivelata, questa può essere presentata con atteggiamenti minimizzanti e giustificativi sul piano culturale, o quanto meno affettivo, il che può avve­ nire anche dietro suggerimento delle figure circostanti. Questa percezione può rivestire grande importanza nei processi di identificazione, che potran­ no declinarsi più facilmente, però, in senso negativo o deviante (Luzzago, Pietralunga, Solera, 1992). Nel caso in cui ad essere detenuta sia la madre, le ripercussioni sul nucleo famigliare, ed in particolare sui figli, potrebbero essere ancora più determi­ nanti. Quando questa viene arrestata, il bambino rischia di perdere non solo

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9 . A F FETTIVITA E SESSUALITA

la principale fonte di affetto e accudimento, ma l' intero gruppo famigliare. Tutto ciò perché spesso si tratta di ragazze madri, separate, vedove. A donne e madri che delinquono, poi, si accompagnano, spesso, compagni reclusi o non disposti a farsi carico della prole (Shaw, 1992). Quando è possibile i figli delle madri recluse risiedono con altri membri della famiglia (nonni, zii), ma quando questa soluzione non è praticabile il Tribunale dei minori dispone un affidamento, in alcuni casi con conseguen­ ze particolarmente dolorose per l'affidante e l'affidato. Non è raro che le donne detenute guardino a questa istituzione con so­ spetto quando non con aperta ostilità (Daga, Biondi, 1988). In estrema sintesi, affettività, capacità intellettive e relazioni possono ri­ sultare alterate dall'assenza di uno dei genitori nei vari stadi della crescita del bambino sia durante sia nel post carcerazione. E realistico prevedere che il nucleo famigliare per una sorta di processo omeostatico decida implicita­ mente di darsi un nuovo assetto interno. Al contrario, favorire le relazioni famigliari, e non solo, consentendo ai detenuti di non perdere il proprio ruolo sociale e affettivo, permettendo agli stessi di continuare a percepirsi quali membri attivi della famiglia e della comunità, faciliterebbe il cosiddetto effetto di deistituzionalizzazione, ossia di cancellazione dell'etichetta di recluso, soprattutto in termini di reinseri­ mento sociale con una contrazione del bisogno e della necessità di interventi assistenziali post detentivi nonché di ulteriori sofferenze. La tutela dei rapporti famigliari, in conformità all'evoluzione socio-cul­ turale e giuridica del concetto di famiglia, viene estesa anche alle famiglie di fatto e alle convivenze more uxorio. La circolare DAP n. 3478 del 1998, con­ cordemente con la dottrina prevalente, reputò che sia la legge 26 luglio 1975, n. 354, sia il Regolamento di esecuzione, utilizzassero i termini "congiunti" e "famigliari" come equivalenti e che fosse utile considerare un concetto di famiglia in termini più sociologici che giuridici. La norma, poi, prevede un ibrido di diritto e concessione per le perso­ ne estranee alla famiglia (e comunque parenti e affini oltre il quarto grado), ossia rispetto alle relazioni affettive non connotate da coabitazione e convi­ venza. A tal proposito, si pensi a rapporti tra fidanzati o a conoscenze affetti­ ve infieri o nate in modo epistolare e non ancora corroborate da conoscenza fisica, o ancora a quelle situazioni in recupero dopo l'eventuale separazione determinata dalla detenzione stessa. In questi casi, la decisione sull'ammis­ sibilità ai colloqui di tali soggetti è lasciata alla discrezionalità dell'ammini­ strazione che, peraltro, viene invitata, dalla circolare in questione, ad usare criteri di particolare favore nei confronti delle relazioni affettive, con parti­ colare riguardo ai rapporti costruttivi e strutturati ( il richiamo è all'art. 307

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c.p.), pur precisando di attenersi al concetto giuridico di conviventi e inten­ dendo con essi le persone che coabitano in uno stesso alloggio. Altro invito della circolare n. 3 47 8 è quello di non attribuire alcuna ri­ levanza all'identità del sesso (ad esempio relazioni omosessuali) o alla tipo­ logia dei rapporti concretamente esistenti con il detenuto, siano essi more uxorio, di amicizia, di collaborazione domestica, di lavoro alla pari, o altro. La solitudine, la lontananza, l'impossibilità di avere continui e regolari contatti con i propri cari sono spesso all'origine di veri e propri crolli psico­ fisici e di tutti i progetti di vita (Santoro, 20 0 4) . A tal proposito va ricordato il disposto del comma 3 ° dell'art. 27 della Costituzione: secondo cui: . In merito a ciò, il magistrato Elvio Fassone ha scritto (1980, p. 69): Quanto ali' ambizione di rendere scientifica la base della rieducazione, non si nega che la conoscenza del soggetto sia la premessa del suo reinserimento, ma si auspi­ ca che alla premessa segua qualcos'altro. Se rieducazione vuol dire essenzialmente motivare una persona in modo autonomo e durevole verso obiettivi accettati come validi, è sorprendente che si voglia motivare il detenuto ad una vita di lavoro, di responsabilità e di partecipazione, senza offrirgli mai né queste né quello; che gli si chieda, insomma, di credere in ciò che non può sperimentare.

L'art. 1, comma 4° , dell'Ordinamento penitenziario vigente, riprendendo la circolare di Adone Zoli, sesto presidente del Consiglio dei ministri della no­ stra Repubblica, del 1951, stabilisce che i detenuti siano . L'art. 70 reg. esec. (D. P.R. 3 0 giugno 20 0 0, n. 2 3 0 ) precisa che nei re­ ciproci contatti tra detenuti e operatori penitenziari debba essere usato il . Punto di partenza del legittimo riconoscimento dell'identità del sogget­ to detenuto, argine alla fisiologica (ma non inevitabile) spersonalizzazione del detenuto, si tratta di aspetti che necessitano non solo di reale e concreta applicazione ma di conseguenze rispondenti alle aspettative. Evidentemente essere appellati con il proprio nome non può compensa­ re l'esiguità dei rapporti con l'esterno, la privazione dei contatti con le per­ sone care, la più o meno inevitabile violazione di altri imprescindibili diritti (vedi privacy) ma soprattutto nulla può dinnanzi alla privazione più impor­ tante: quella di non sentirsi appellati come mamma o papa.

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9 . A F FETTIVITA E SESSUALITA

9.2

Insieme ... sia p ur a debita distanza Nel percorso della stesura del presente libro, solo l'occasione della discus­ sione relativa alla possibilità per i detenuti di vivere la sessualità ali' interno della struttura penitenziaria non ha raccolto un'interazione tale da portare a una sintesi tra i due autori. Il dissenso, insanabile, tra l'idea che il praticare la sessualità con il/la proprio/ a compagno/ a debba considerarsi prerogativa inalienabile per l'essere umano al di là della pena e della detenzione da una parte, e quella che ciò non si coniuga con la condizione della reclusione, della sua organizzazione logistica, delle funzioni dell'assessment interno alla prigione, alle aspettative dell'opinione pubblica e del senso della condanna e della pena dall'altra, ha indotto gli autori ad affrontare sì la tematica, ren­ dendo noto, però, che il dissenso in proposito non è stato risolto. Sociologia e sicurezza, in questo caso e più che in tanti altri, hanno dia­ logato, ricordando così come affermava Hannah Arendt che il pensiero è la più solitaria delle attività umane. La logistica e le regole, il carico di limitazioni e disagi non riguardano solo le persone ristrette. Il tutto implica il coinvolgimento dei loro fami­ gliari soprattutto in termini di orari di accesso, liste di generi consentiti e non, tempi di attesa, atteggiamenti, luoghi, informazioni, trasferimenti, lontananza. E soprattutto su questi aspetti che si consumano le rimostranze dei famigliari e una sorta di pena accessoria per il detenuto stesso ( Sacerdote, 20 0 6 ; Sacerdote, Costa, 20 07 ) . Dai dati del DAP si evince che dal 20 0 6 al 20 1 4, il numero dei detenuti coniugati è progressivamente aumentato, nonostante un calo significativo del numero totale di detenuti nel 201 1 e 20 1 2. Lo stesso dicasi per i detenuti • • conv1vent1. Alla fine del 20 1 4, dunque, la composizione dello stato civile della popo­ lazione ristretta era il seguente: più di un terzo delle persone ristrette era celi­ be/ nubile ( 3 6,63 %) . Quasi un terzo ( 3 1, 41 %) coniugato/a, 1'1,0 3 % vedovo/a, il 2,77 % divorziato/ a, il 4, 4 % separato/ a legalmente, il 10,79% convivente, mentre nel 1 2,8 6% dei casi il dato non è stato rilevato. Il sesso in carcere è, forse, un argomento volutamente trascurato. > . Tale strumento, però, non riguarderebbe tutti i detenuti, perché conce­ dibile ( in particolari condizioni di premialità) solo a ristretti condannati, dunque, escludendo tutti quelli giudicabili e una parte di quelli definitivi. Tra gli strumenti implementativi dell'area affettività-sessualità, van­ no ricordati i due progetti di legge, "proposta Boato" ( 2002) e "della Seta" ( 2012) , che sostenendo l'art. 28 della legge 354/197 5, hanno affermato con forza un vero e proprio specifico diritto del detenuto in proposito. L'obiettivo espresso è quello di: > . Più specificamente, già dal 19 97 nel nostro paese si parla della possibilità di realizzare le "stanze dell'amore': con un'ultima proposta di legge proprio del 2015 sulla scorta di quanto caldeggiato dal Comitato nazionale di bioeti­ ca (La salute dentro il carcere, settembre 2013) . Le modifiche suggerite alla legge n. 354 del 197 5 in sintesi propongono, oltre alla possibilità di locali ove vivere momenti d'intimità con il/la part­ ner, permessi fino a 15 giorni per ogni semestre di carcerazione, possibilità di incontri con i propri famigliari in aree ali'aperto delle strutture carcerarie, concessione di telefonate più lunghe di quelle attuali per i detenuti che han­ no i propri famigliari ali'estero. Attualmente, al di là di questioni ideologiche, il vero ostacolo alla pos­ sibilità di spazi per la sessualità in carcere è dato dall'inesistenza di ambienti ad hoc, come previsto dalla proposta "Margara" del 2004 e da tutte le pro­ poste di legge in materia (tra le più importanti: la n. 1503 del 13 giugno 1996, il progetto di legge n. 3331 del 28 febbraio 19 97, la proposta di legge n. 2422 del 9 maggio 19 97, il progetto di legge n. 3020 del 12 luglio 2002, il progetto di legge n. 63 del 26 aprile 2006, la proposta di legge n. 3810 del 21 ottobre 2010, il disegno di legge n. 3420 del 24 luglio 201 2, sino ad arrivare ai nostri giorni con la proposta del senatore Alessandro Zan, nel novembre del 2015) . Non è difficile immaginare le alternative percorse dal detenuto in assen­ za di tutto ciò. La magistratura di sorveglianza aveva più volte negato ai detenuti di po­ ter possedere riviste pornografiche, rifacendosi al divieto per i minori. Sin­ teticamente ne è vietata l'esposizione e l'esonero di responsabilità per la loro divulgazione solo per gli edicolanti e i librai, non per l'Amministrazione • • • pen1tenz1ar1a. Rivendicando il diritto a possedere tali riviste, rifacendosi ali'art. 18, comma 6 ° , O P, di fatto non si può negare la sussistenza del diritto del dete-

16 8

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nuto a ricevere stampa la cui vendita sia autorizzata per i cittadini in stato di libertà, ricompresa la stampa pornografica. La stessa non essendo considerata oggetto di indispensabile utilizzo e, pertanto, ricomprendibile nell'elenco dei beni acquistabili all'esterno per il tramite di imprese convenzionate con la struttura penitenziaria, secondo quanto stabilito dalla Suprema Corte con la sent. n. 45410/2011, potrà essere acquistata direttamente dalla casa editrice o spedita da famigliari o altri sog­ getti dopo averla acquistata all'esterno. In estrema sintesi, il carcere per sua stessa natura mette a rischio la tenuta dei rapporti di coppia, producendo rotture e solitudini. In più, è impensa­ bile sostenere l'astrazione di una sessualità sospesa per il solo fatto di essere ristretti, senza con questo valutare la possibilità-rifugio dell'autoerotismo, peraltro da considerare atto osceno in luogo pubblico all'interno del carcere e, dunque, illegale oltre che pratica mal sopportata e rigettata dalla maggior parte dei detenuti per ragioni sanitarie legate alla condivisione degli spazi. Non si può credere che la stessa possa dirsi eliminata senza contemplare una sorta di temporanea omosessualità imposta (e scelta) dalla ristrettezza del contesto, ad alto tasso di contagi da H IV, epatiti e altre malattie sessual­ mente trasmissibili. Infine, non è certo più facile avere una vita sentimentale all'interno del carcere tra uomini e donne rinchiusi nella stessa struttura. A tal proposito va ricordata la pratica del panneggio ossia la comunicazione tra celle attraverso l'uso di panni agitati secondo codici e significati definiti che rappresentano l'unica possibilità di conoscersi di più. Se l'innamoramento è vissuto come sollievo e opportunità per il/la detenuto/a, lo stesso solitamente non avviene per l'Amministrazione carce­ raria che cerca di mantenere separate ( in alcuni casi, quanto più è possibile) l'area femminile da quella maschile. Come precisato nell'introduzione al paragrafo, fornite alcune informa­ zioni, mai come in questo caso si lascia in merito alla tematica trattata la va­ lutazione finale al lettore.

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�. 6: t

• Non tappiamoci le orecchie !

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-- ... se la fede nuziale non presenta sporgenze o pietre, può essere indossata dal detenuto secondo il Regolamento penitenziario.

RECLUSI

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-• ... amore d.1 mamma.'

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_,.., • ... solo chi non ha mai avuto un cane, può ignorare quanto lo stesso possa considerarsi parte integrante del nucleo famigliare.

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9 . A F FETTIVITA E SESSUALITA

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• ... pet therapy !

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- ... ironico e geniale !

... . .

RE C LU S I

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--- No comment.

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,,., _,. t • La mamma è sempre la mamma.

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9 . A F FETTIVITA E SESSUALITA

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IO

Ordine, sicurezza e carcere Si dovranno installare dei meccanismi di sicurezza attorno a quanto di aleatorio vi è in ogni popolazione di esseri viventi. Foucault ( 1997, p . 212 )

I O. I

Il regime discip linare La necessità di punire le violazioni delle regole è stata avvertita sin da quan­ do gli essere umani hanno iniziato ad aggregarsi in comunità. Infatti > . In pratica, grazie alle donazioni della Fondazione Ford, professori del Bard College sono entrati in varie carceri americane cercando di reclutare detenuti per il programma studi. Solo nel penitenziario di Eastern ne hanno convinti quasi 300. Tra questi si sono distinti in tre che hanno accettato la proposta di sfidare la squadra di Harvard in un pubblico dibattito sul tema: è giusto che le scuole pubbliche e, dunque, finanziate dai contribuenti, siano aperte a immigrati senza documenti e ai loro figli? L'origine del "gioco" riporta all'Inghilterra del Settecento dove l'idea, che permane ancora oggi, non è quella di dimostrare l'infondatezza delle ar­ gomentazioni dell'avversario ma la capacità di difendere le proprie tesi, rin­ tuzzando con ordine e argomentando senza insulti o toni elevati. Sempre secondo Zucconi: . I risultati statistici del Bard College dovrebbero a tal proposito far riflet­ tere. Del 67,8% di recidivi, solo il 3% di coloro che sono riusciti ad acquisire un titolo di studio durante la detenzione ritorna in carcere. In estrema sintesi, il giornalista chiude la notizia con una fiduciosa e con­ divisibile morale: , potrebbero sorgere invece fiori nuovi (Recalcati, 201 4).

I I.

SOCR ATE NON DEVE MO RI RE

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L' incontro con l 'Altro, secondo l'approccio lacaniano, nel quadro della lettura so­ ciale della depressione di Alain Ehrenberg ( 1999 ), è tra le poche strade percorribili per la piena realizzazione di sé. Nelle società moderne, la misura del valore dell ' individuo non è più data dal rispet­ to delle regole e dalla sottomissione alla disciplina interiore, bensì dallo spirito d' inizia­ tiva, dalla capacità progettuale, dai risultati concreti che è in grado di esibire. L' individuo non sembra più regolato da un ordine esterno, dalla conformità alla legge, la cui infrazione produce sensi di colpa, ma si vede costretto a fare affidamento sulle proprie risorse personali, sulle sue doti intellettuali, sulle sue prestazioni oggettive, al fine di raggiungere quei risultati in base ai quali verrà valutato. In questo modo, dagli anni Settanta in poi, la depressione ha cambiato radicalmen­ te forma. Essa non sembra più alimentata dal conflitto nevrotico tra norma e trasgres­ sione, ma, in uno scenario sociale dove, in seguito al venir meno delle norme tutto sem­ bra permesso (è quindi potenzialmente possibile), la principale causa della depressione si configura come un senso di insufficienza per ciò che sarebbe possibile fare e non si è in grado di fare, per ciò che gli altri si aspettano da noi e la pochezza di risultati che potremmo invece ottenere (Borgna, 1 9 9 2) . ... E possibile sostenere che quando il sociale non è più praticato, il privato resta senza ricambio d'aria. La domanda che ci si pone è se può esistere una cura, una possibilità di riappropria­ zione di quel Sé autentico, capace di rimettere in equilibrio il sentire profondo. Forse la strada è proprio quella dell 'esperito, del percepito, del sentito. Né situa­ zioni che coprono il sintomo, né percorsi che possono problematizzare qualsiasi espe­ rienza. Semplicemente provare a ripercorrere, in condivisione con gli altri, ciò che ci è accaduto, in una sorta di rituale infantile che ridisegni e conformi la nostra identità di adulti.Attraverso il pensiero, la logica, il sentimento, la parola. Dunque nel linguaggio si riscontrano tante voci, tutte le voci della nostra vita, quelle che ricordiamo e quelle che non ricordiamo, e poi emerge quello che era prima della nostra vita, questa sorta di pluralità che agisce in noi anche quando non ce ne accorgiamo. Siamo uniti a qualcuno, e nello stesso tempo ci differenziamo, e più asco!tiamo e più sentiamo tante voci. (Borgna, 20 1 5 , p. 20 ) .

A questo punto, rivolgendoci ai "filosofi penitenziari": > . Nel 2008 l' OMS ha presentato i lavori conclusivi della Commissione sui determinanti sociali di salute, istituita nel 2005 e presieduta da Michael Marmot. L'obiettivo della salute per tutti non può non fare i conti con questioni sociali ed economico-politiche. Nella conclusione del documento si legge, infatti: . I determinanti della salute possono essere raggruppati in diverse catego­ rie (cui è possibile aggiungerne altre): 1. comportamenti personali e stili di vita; 2. fattori sociali che possono rivelarsi un vantaggio o uno svantaggio;

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condizioni di vita e di lavoro; • • • • • accesso a1 serv1z1 san1tar1 ; condizioni generali socio-economiche, culturali e ambientali; fattori genetici. Le società che mettono tutti i cittadini nelle condizioni di vivere un ruolo pieno e utile nel contesto della vita sociale, economica e culturale saranno nel complesso più sane di quelle in cui le persone affrontano l'insicurezza, l'esclu­ sione e la deprivazione socio-culturale (Mitchell, Blane, Bartley, 2002). E evidente che condizioni di vita difficili, instabili, precarie definiscono nella persona condizioni di stress prolungato, di ansia, bassa autostima, isola­ mento sociale, aggressività. La continua sollecitazione del sistema endocrino e nervoso operata dagli alti e persistenti livelli di stress distraggono energie e ri­ sorse dai fisiologici meccanismi di mantenimento della salute, impattando sul sistema immunitario e cardiovascolare (Brunner, 1997; Marmot et al , 1 9 9 7 ; Brunner et al., 2002; Kivimaki et al., 2002; Marmot, Stansfeld, 2002) . Alcuni studi, poi, confermano l'equazione secondo la quale quanti sono stati ospiti presso le cosiddette istituzioni totali ( carcere, riformatorio, ospe­ dali psichiatrici) sono particolarmente vulnerabili soprattutto rispetto alle patologie cardiovascolari ( Claussen, Davey Smith, T helle, 2003 ; Kawachi, Berkman, 2003 ; Hemingway, Kuper, Marmot, 2003) . Le lamentele più diffuse dei detenuti, in materia di salute, riguardano l'assenza di attrezzature o farmaci specifici, i ritardi nell'esecuzione di visite e ricoveri, spesso dettate dalla scarsità di risorse e di personale necessario alla tutela della sicurezza. Per il detenuto, il corpo è anche uno strumento per negoziare la pro­ pria condizione, un mezzo per rivendicare una salute messa in pericolo, nella propria percezione, da rimandi e ritardi. Il personale sanitario, e il medico in modo particolare, può diventare alleato o avversario. Può corrispondere a legittime aspettative determinate dal suo ruolo o approcciarsi in maniera assente e poco attenta. Può relazionare e diventare così la chiave che apre la cella o la chiude definitivamente, conferendo nuovi tratti alla pena. Il corpo, spesso, è il più grande, o forse l'unico, megafono per proporre e far ascoltare i propri bisogni e le proprie istanze. 3. 4. 5. 6.

12.2

Lo sciopero della fame Uno sciopero della fame ( in alcuni casi e/o della sete) è una forma di prote­ sta nonviolenta caratterizzata dall'astensione dal cibo ( in alcuni casi e/ o da liquidi) da parte di quanti vi aderiscono.

1 2 . IL CO R PO E L A MENTE

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Il digiuno è una pratica antichissima. Originariamente era da intendersi come un'usanza di carattere mistico-religioso, attraverso la quale le persone purificavano il proprio corpo per sentire di potersi avvicinare al divino. Nel tempo ha assunto anche valenza medico-scientifica con precise fina­ lità terapeutiche. Il digiuno, poi, è stato individuato come forma pacifica nel manifestare proteste contro ingiustizie e soprusi con il chiaro messaggio di non voler "combattere" l'avversario ma addirittura portando a sfinimento il corpo e la sua stessa aggressività. Il digiuno fu usato come forma di protesta già nell'Irlanda pre-cristiana. In India la pratica del dharna ( risposta all'ingiustizia subita nell'antica prati­ cajainista) prevede che il manifestante digiuni dinnanzi alla porta dell' isti­ tuzione che intende sensibilizzare. Fu abolita nel 1861, sebbene le sue origini si perdano nel tempo. ' E proprio con il Mahatma Gandhi, incarcerato dai colonialisti inglesi nel 19 22, 1930 e 1933, che il mondo torna prepotentemente a fare i conti con questa pratica. Ali' insegna della nonviolenza, per protestare contro le rego­ le inglesi prima e contro le regole autocratiche dell'India indipendente, poi, Gandhi riuscì a raggiungere gli obiettivi che si era prefissato. Sempre agli inizi del xx secolo, le suffragette fecero frequentemente ri­ corso alla pratica dello sciopero della fame nelle prigioni inglesi. Marion Dunlop, nel 19 09 , fu la prima ad essere rilasciata dalle autorità che non volevano fare di lei una martire. A Mary Clarke e ad altre, invece, toccò sorte meno favorevole con l'obbligo del nutrimento forzato e succes­ sivo decesso. Nel 19 13 il Prisoner's Temporary Discharge of 111 Health Act modificò la posizione del governo inglese in proposito. Gli scioperi della fame erano tollerati ma, al sopraggiungere di problemi di salute, le prigioniere venivano rilasciate per ricevere cure mediche, per fare ritorno in cella non appena le condizioni di salute fossero migliorate. In Irlanda, nel 19 23, oltre 8.000 prigionieri dell'Irish Republican Army fecero uno sciopero della fame per protestare contro la loro detenzione con­ tinua. Lo stesso, successivamente revocato, non causò perdita di vite umane. Tra il 19 80 e il 1981 ci furono due analoghe manifestazioni nel carcere nordirlandese di Long Kesh (più noto come "Maze") . Bobby Sands fu il primo di dieci prigionieri repubblicani irlandesi, mi­ litanti dell'I RA, a morire durante il secondo sciopero della fame, non accet­ tando la revoca del governo inglese dello stato di prigionieri di guerra per i paramilitari dell' Irlanda del Nord.

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Il sostegno esterno della popolazione civile ai militanti portò ali'aumen­ to della popolarità dei protagonisti e della loro causa sino a condurre il go­ verno inglese a posizioni più dialoganti. Meno positivi furono i risultati raccolti dai prigionieri politici turchi e curdi filo-socialisti (69 giorni e 12 vite perse) dopo il colpo di Stato del 1980. Intellettuali come Kemal, Livaneli, Pamuk riuscirono a far loro riacqui­ stare i diritti, sensibilizzando l'opinione pubblica in merito alle condizioni disumane in cui versavano nelle prigioni locali. Nel 2000, una nuova ondata ha coinvolto il paese della Mezzaluna. In questo caso la protesta è stata orientata ali'apertura delle prigioni di "T ipo F': spazi destinati ai detenuti politici. Il risultato è annoverabile tra le pagine più atroci della storia penitenziaria e non solo della Turchia. L'operazione dell'allora coalizione di governo "Ritorno alla vita" soffocò la protesta paci­ fica con circa trenta morti, tra detenuti e agenti. Le perdite sono continuate nel tempo, anche tra quanti hanno lasciato il carcere per mano degli antago­ nisti politici. Dal 2000 sono state accolte 189 domande di grazia indirizzate al presidente turco. Ancora più sanguinose sono state le pagine della "Primavera nera" del 2001 in Cabilia (Algeria). I delegati dei villaggi del "Movimento cittadino" hanno fatto ricorso allo sciopero della fame senza, però, beneficiare di una reale esposizione mediatica. Dopo quarantuno giorni i prigionieri di T izi Ouzou hanno dovuto revocare l'iniziativa di protesta, scoraggiati dall' indif­ ferenza pressoché totale del governo in carica. L'Associazione mondiale dei medici nell'articolo 6 della Dichiarazione di Tokyo del 1975 affermò che gli stessi medici non devono mettere in atto l'alimentazione forzata in alcune circostanze: Quando un prigioniero rifiuta l'alimentazione ed è considerato dal medico come capace di formare un giudizio oggettivo e razionale riguardo alle conseguenze di tale rifiuto volontario di alimentazione, sul prigioniero o sulla prigioniera non sarà eseguita alcuna operazione. La decisione relativa alla capacità del prigioniero di for­ mare un tal giudizio dovrebbe essere confermata da almeno un medico indipen­ dente. Le conseguenze del rifiuto di alimentazione saranno spiegate dal medico al . . . pr1g1on1ero.

Questo principio fu ribadito nel 1998 dalla World Health Organization e adottato nello stesso anno dal Consiglio dei ministri della Comunità euro­ pea (ce.98.008, artt. 60-63) dove si precisa, però, che se le condizioni dello scioperante dovessero peggiorare in maniera significativa, i medici devono fare rapporto ali'autorità appropriata che deciderà in accordo con la legisla­ zione nazionale.

1 2 . IL CO R PO E L A MENTE

20 3

Va precisato che alcune associazioni mediche (vedi quella degli Stati Uniti) sono membri della più ampia Associazione mondiale ma non neces­ sariamente sono tenuti a seguirne i dettami, non essendoci rapporti conven­ zionali in grado di vincolarli. L'intenzione non violenta dello sciopero della fame ha garantito a que­ sta forma di protesta l'appellativo di protesta altruista e dignitosa per anto­ nomasia. La stessa, infatti, consumata silenziosamente e senza generare di­ sordine o disagio alla comunità, appare come espressione di lotta profonda­ mente rispettosa del proprio "nemico" e della collettività. In Italia le circolari del DAP attualmente vigenti prevedono, in caso di avvio di sciopero della fame, la presa in carico immediata da parte dello staff di accoglienza e sostegno che comporta colloqui di supporto con psicolo­ gi, psichiatri e funzionari giuridico-pedagogici. Il detenuto viene sottopo­ sto, inoltre, a stretto controllo medico, con rilevazione giornaliera dei valori pressori e pesatura frequente al fine di verificare eventuali drastici cali pon­ derali. Il caso viene discusso collegialmente, all'esito degli interventi, con la va­ lutazione finale del Direttore in ordine al proseguimento o meno del monitoragg10. Fin dall'inizio il detenuto deve dichiarare espressamente al personale di Polizia penitenziaria le motivazioni che lo inducono alla protesta, in modo che si possa eventualmente giungere alla soluzione del problema. Le ragioni di tale protesta sono tra le più varie, di carattere giudiziario in opposizione a decisioni del magistrato durante il processo; di carattere sanitario, per lamentare deficit di assistenza medica; contro provvedimen­ ti dell'Amministrazione penitenziaria (ad es. avverso sanzioni disciplinari). Non può tacersi la tendenza sempre più diffusa a usare strumentalmen­ te lo sciopero della fame quale strumento di pressione per ottenere piccole concessioni, quali un cambio cella o piccoli generi non consentiti dal Rego­ lamento. Si segnala altresì il ricorso simulato a tale strumento, non osservan­ do il digiuno effettivo, bensì sostituendo il vitto dell'Amministrazione con generi alimentari reperiti da altri detenuti. Da qui il costante monitoraggio ponderale al fine di individuare le effettive condizioni del detenuto.

12.3

Il suicidio Secondo il Rapporto stilato dall'Associazione Antigone sulla condizione dei penitenziari italiani ai primi mesi del 2015, i detenuti erano 53.982. I dati che

204

RECLUSI

emergono dal X I I Rapporto ( Galere d'Italia), presentato a Roma il 15 aprile 2016, evidenziano come, dalla fìne del 2015 al 31 marzo 2016, ci siano 1.331 de­ tenuti in più. Il tasso di affollamento è attualmente al 108% e 3.950 persone sono prive di un posto regolamentare. Di fatto il nostro paese ha approssima­ tivamente 9 0 detenuti ogni 100.000 abitanti. Circa tre anni prima, ossia il 31 dicembre 2013, sette mesi dopo la sentenza della Corte europea dei diritti umani nel "caso Torreggiani': che puniva l'Italia per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione sul divieto di tortura, pene o trattamenti inumani o de­ gradanti, e stabiliva il termine di un anno perché il nostro paese si adeguasse a criteri internazionali di civiltà carceraria, i detenuti erano ben 62.536. Qualcosa sembra essere cambiato, dunque, e tra le nuove concessioni va ricordata la regola della permanenza fuori dalle celle per almeno 8 ore al giorno, portata a regime formalmente per la totalità dei detenuti di media • sicurezza. Nonostante ciò, quello dei suicidi in carcere, però, permane come una delle principali patologie del sistema penitenziario italiano con quarantadue morti nel 2015 ( fonte www.ristrettiorizzonti.it). Se i suicidi fuori dal sistema detentivo nel nostro paese sono lo 0,67 % , nel 2014 sono stati 44 i detenuti che si sono tolti la vita nelle carceri italiane, con una media di suicidi ogni 10.000 ristretti pari al 7,7 % (la media europea è del 5,4%) . Statisticamente, in prigione ci si toglie la vita in una percentuale ben 12 volte superiore rispetto alla vita libera. Verrebbe da dire... e come potrebbe essere diversamente considerate le caratteristiche di una parte considerevo­ le di popolazione detenuta ( vedi portatori di problematiche psichiatriche, tossicodipendenti, persone con deficit socioculturali ecc.) ? Sempre in rife­ rimento allo stesso anno, poi, 6.9 19 sono stati i detenuti coinvolti in atti di autolesionismo e 933 i detenuti che hanno tentato il suicidio, non riuscendo a portare a compimento il proponimento. A questi numeri vanno aggiunte altre centinaia di tentativi sventati grazie soprattutto al tempestivo interven­ to degli agenti di Polizia penitenziaria. Secondo il rapporto un detenuto su due soffre di una malattia infettiva, quasi uno su tre di un disturbo psichiatrico. Il suicidio è un comportamento rivolto al proprio corpo, una sorta di at­ tacco, di manifestazione estrema di un disagio profondo e radicato. Il cor­ po costituisce l'elemento verso cui esercitare il proprio controllo, cercando di contenere o al più eludere il senso di impotenza e passività. Il "soma" si fa, dunque, veicolo di una comunicazione agita a forte impatto emotivo e sociale. I comportamenti suicidari assumono forme diverse, anche in ragione della scelta del metodo utilizzato. Leonardo Tondo (2000) presenta una

1 2 . IL CO R PO E L A MENTE

205

classifica dei comportamenti suicidari che vanno dal suicidio riuscito, al pa­ rasuicidio o chiamato anche tentato suicidio, al gesto che rappresenta solo un comportamento iniziale di una più complessa ideazione. Ad essi andrebbe aggiunto il suicidio parziale, molto frequente tra i più giovani, dove il rischio accettato non si sposa con l'idea del voler mettere fi­ ne alla propria vita. Tecnicamente, l'Organizzazione mondiale della sanità definisce il sui­ cidio come ,\.-"'

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·• ... evidentemente, ci dissociamo dall 'esergo del presente capitolo ... Buontemponi !

DIRETTORE -SED(· Al llftpgnwWle Arei Amm .vo Contabile

-SEDE-

Oggetto: Pulizie ufficio. Con la presente la scrivente - rilc,ra che sulla scrivania alla stessa assegna� vi ha trovato un pelo. Ora; posto che può capitare, la stessa coglie l'occasione per tvidenziarc che non è la prima volta che ci si ritrova a lavorare in condizioni igieniche non sufficientemente decorose. Tanto per dovere. Taranto, 1-

In fede � :::,.. r· • ... quando si dice per un pelo !

1 3 . IL SI STE M A O R G ANIZ Z ATIVO E I S UOI ATTO RI

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-- - probabili significati di "pizza'': a) focaccia sottile fatta di farina impastata con acqua e lievito, condita in vario modo e cotta nel forno ; b) persona ( o cosa) molto lenta, noiosa, priva di estro, brio e vivacità; e) espressione gergale dell'area tarantina utilizzata come sinonimo di fallo. AL SIG COMANDANTE DI REPARTO St:DE

Ogetto:

Pnlaaza pltl al p6uo terra.

in qualità di �. Cortili pmcgi informa la S. V. U ,oao,çriuo V .So\Tinlcndeate di quanto segue: in daaa odiana , giunto alle ore 1.00 al piano temi per iniziare il turno di servizio poteva constatare • uniwnmle agli allri oolleglu presenti. çhe vi era WI forte odore di wina diffusa . Si pro'VVCdcva ad eff� un giro di a:,ntrollo cstao al corridoio esperti ove l'odore cn pi� forte, sul posto erano evidenti tracce di urina probabilmcme caus1•1 da ptti riusciti ad introdursi da qualche apenura sufficiente a farli �. verosimilmente da qualche fi1.estaa la cui infcrriala non costituisce un oSIICOlo al pamgio dei felini che dh-erse volte sono mli visti qairarsi nei conidoi. Al fine di lavare e disinf� le aree ciel piano terra mensionaae nonché alcuni uffici rimesti aperti durante la notte, si � pnwveduao ad impicpre il lavoranac piano terra. Successivameale madre si effettuava un controllo nel deposito in fondo al corridoio esperti si notava la di WI pUO nascosto sono le brande depositate. si � rimcili unitamente, al llep u:s.c. far uscire il pno facendo rumore, subito dopo ne sono mciii allri due che 10DO scappali veno i pllS'IClli ponandosi alrmemo . Del fano � stato infonnato l"addetto mof affine� bonifica.uc il deposito e munisse la porta d'i11p:s.10 di un chiavistello per tenerla chiusa. poicM mollo probabile che i pni, rintanali nel deposito siano uscili di notte urinando dove capitava. Si chiede pertanlO, al fine di salvapardare la salubrità dei posti di lavoro e deali uffici ove vi la'\'Of1IIIO operatori esterni. di portt idonei sbarmmenti alle fincstre e ove vi siano aperture suff"tcimti aU "introcluni dei gatti in questione. Alla S. V. per dO'\'crosa informazione. �.

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·• la lotta al crimine non risparmia nessuno ...

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RECLUSI r•

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Dipar1ùn�nlo .k/J ·AmnriniJlra:iuru- r�nitoi:ic,riu DJr�:ion� C,uc, Circondariale Turanio

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0�110: Verbale delle dichiarazioni re-� !i-pnlancilfflcnt c J.d Jc1e nu10 .-...... - nato il ••Pa residente in - al l a Via di (:neo .111ualmcnte riMrcllo in q uc.'\I0 i�riruto pe r -�pc nsione pruvvi.soria detenzione domiciliare.

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L Jnno a,;iddl 9kl mt!.e di •• :alle ore 1 5 .CX> negli U ffici della Cas.3 Circondari�le di Tannto, i nnanzi .1 noi :wllo'.\Crilti Uffici::t li d i P.G. c: nt�rnbi apparte nenti al Corpo di Pol iz ia Pc natcn�iMia, in sco- izio prcs..� il Cora�ndo di \.."\J i sopra. t pre� nte il detenuto n ogg,euu mc io iCnerali�zato. il qual(' �pont.anc.1mcntc dichiara:

d i c�iluinni a i Car:ibinieri d .._.. cd ho dimc nricalo che a-.·c:vo , � ��tanza occultalu ncl l ':.no. �on ho allro d:a ri (c ri re. >> · · · - ·· · · ··· ·· · · · · · · · · · · · · · · · • - · · · · ·• · - ·· ·······---- · · · ··· · · · · · · · · - · · · · · · · -· · · · · · · · F.st to, letto, confe rm:.110 e soct()S(..--r illo i n daCJ e l u ogo di '-"U I �pra. - - ··· ·· · · · · ·· · · · ······· ····-· ···· · · · · ,.//i.'i 0

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CASA ORCONDARIALE • Cal1Mlo Mogi/• di Toronto ASl 01 TARANTO

Ufficio del Sanitario Tel. 099/7786174

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CASA CIRCONDARIALE " Carmelo Magi/" di Taranto ASL DI TARANTO Ufficio del Sanitario Tel. 099/7786174 06.01.

Detenuto: Appare in posizione eretta . Non parla, serra i pugni, d igrigna i denti, solleva il letto e

lo sbatte contro il muro della cella. PLACEBO 1 fl. i.m . . Risoluzione del quadro.

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23 3

234

RECLUSI

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• ... manifestazione di protesta descritta dall'accurata penna di un osservatore partecipante e sedante ...

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14

La cella Tutto il problema della vita è questo : come rompere la propria solitudine, come comunicare con gli altri. Pavese (2014)

14.1

Lo "sp azio" della pena Fare giustizia non è solo punire l'autore di un crimine, né vendicarsi di lui, ma aiu­ tarlo a riabilitarsi dentro di sé e nella società, così come prendersi cura con scrupolo delle vittime. E un errore identificare la riparazione solo con la punizione, confondere la giustizia con la vendetta, che aumenterebbe solo la violenza, anche se è isti­ tuzionalizzata [ ... ] . Aumentare o inasprire le pene non risolve i problemi sociali, né porta a una diminuzione dei tassi di criminalità (Papa Francesco I, giugno 201 4) .

Lo stesso potrebbe avere importanti e negative (ibid. ) . La questione del carcere, negli ultimi anni, ha catalizzato l'attenzione istituzionale sino alle sue voci più rappresentative. Il 28 luglio 2011 il presi­ dente della Repubblica parlò di . Lo stesso Napolita­ no si vide recapitare una lettera aperta, sottoscritta da 139 giuristi e da alcuni garanti dei diritti dei detenuti. L' 8 ottobre 2013 , fu il Parlamento ad essere investito dall'appello a rispettare livelli di civiltà e dignità nelle strutture detent1ve. La Corte europea dei diritti umani, con la "sentenza Torreggiani" (ri­ corsi nn. 4 3 517 / 20 09, 4 6 8 82/20 09, 55 40 0 / 20 09 ; 5 7 8 7 5 / 20 09, 615 3 5 / 20 09, 3 5 315 /2010, 3 7 818 /2010) - adottata 1 ' 8 gennaio 2013 con decisione presa ali'unanimità - ha condannato l' Italia per la violazione dell'art. 3 della Cor­ te europea dei diritti umani (cEnu). Esecutivo dal 28 maggio 2014, il pro­ nunciamento sottolineava i trattamenti disumani o degradanti, unitamente al malfunzionamento cronico del sistema penitenziario italiano. Raggiunto il livello di circa 6 8.o o o presenze a fronte di una capienza re­ golamentare di 4 5.0 0 0 posti, il sovraffollamento chiedeva a gran voce rime­ di strutturali e funzionali urgenti. Va ricordato a tal proposito che più che provvedimenti particolari, la sentenza della Corte costituzionale del febbraio 2014, con la conseguente

1 4 . L A CELL A

23 7

cancellazione della legge "Fini-Giovanardi': ha portato ad una sensibile di­ minuzione del numero di detenuti nelle carceri del nostro paese. Già nel 2013 una commissione ministeriale per le questioni peniten­ ziarie diretta da Mauro Palma definì interventi e adeguamenti immediati come l'apertura delle celle per almeno otto ore al giorno. Pratica già diffusa negli istituti femminili, ora la stessa poteva estendersi anche alle strutture maschili. La seconda parte della raccomandazione Rec(2006)2 del Comitato dei ministri agli Stati membri sulle regole penitenziarie europee ( adottata l'11 gennaio 2006, nel corso della 952 a riunione dei delegati dei ministri) è de­ dicata alle condizioni di detenzione. Nei suoi passaggi pertinenti al caso di specie essa è così formulata: i locali di detenzione e, in particolare, quelli destinati ad accogliere i detenuti durante la notte, devono soddisfare le esigenze di rispetto della dignità umana e, per quanto possibile, della vita privata, e rispondere alle condizioni minime richieste in materia di sanità e di igiene, tenuto conto delle condizioni climatiche, in particolare per quanto riguarda la superficie, la cubatura d'aria, l' illuminazione, il riscaldamen­ to e l'aerazione; 2. nei locali in cui i detenuti devono vivere, lavorare o riunirsi: a ) le finestre devono essere sufficientemente ampie affinché i detenuti possano leggere e lavorare alla luce naturale in condizioni normali e per permettere l'appor­ to di aria fresca, a meno che esista un sistema di climatizzazione appropriato; b) la luce artificiale deve essere conforme alle norme tecniche riconosciute in ma­ teria; e un sistema d'allarme deve permettere ai detenuti di contattare immediata­ mente il personale ; 3 . la legislazione nazionale deve definire le condizioni minime richieste relative ai punti elencati ai paragrafi I e 2 ; 4. il diritto interno deve prevedere dei meccanismi che garantiscano il rispetto di queste condizioni minime, anche in caso di sovraffollamento carcerario; 5 . ogni detenuto, di regola, deve poter disporre durante la notte di una cella indi­ viduale, tranne quando si consideri preferibile per lui che condivida la cella con altri detenuti; 6. una cella deve essere condivisa unicamente se è predisposta per l'uso collettivo e deve essere occupata da detenuti riconosciuti atti a convivere; 7. se possibile, i detenuti devono poter scegliere prima di essere costretti a condi­ videre una cella per dormire; 8. nel decidere di alloggiare detenuti in particolari istituti o in particolari sezioni di un carcere bisogna tener conto delle necessità di separare: a ) i detenuti imputati dai detenuti condannati; b) i detenuti maschi dalle detenute femmine; e) i detenuti giovani adulti dai detenuti più anziani; 1.

RECLUSI

9. si può derogare alle disposizioni del paragrafo 8 in materia di separazione dei detenuti per permettere loro di partecipare assieme a delle attività organizzate. Tut­ tavia i gruppi citati dovranno sempre essere separati durante la notte a meno che gli stessi interessati non consentano a coabitare e che le autorità penitenziarie ritenga­ no che questa misura si iscriva nell' interesse di tutti i detenuti interessati; 10. le condizioni di alloggio dei detenuti devono soddisfare le misure di sicurezza meno restrittive possibili e proporzionali al rischio che gli interessati evadano, si feriscano o feriscano altre persone.

In conclusione, preso atto del fatto che il sovraffollamento carcerario in Italia non riguarda esclusivamente i casi dei ricorrenti, la Corte europea ha deci­ so di applicare la procedura della sentenza pilota al caso di specie, tenuto con­ to del crescente numero di persone potenzialmente interessate in Italia e delle sentenze di violazione alle quali i ricorsi in questione potrebbero dare luogo. Considerata la mancanza, e non solo in Italia, di regole certe utili a defi­ nire i requisiti minimi cui devono rispondere i locali di detenzione, i giudi­ ci di Strasburgo hanno ritenuto che lo spazio vitale minimo da assicurare a ciascun soggetto vada determinato in ragione di vari fattori, quali la durata della privazione della libertà personale, le possibilità di accesso al passeggio ali'aria aperta, le condizioni mentali e fisiche del detenuto. Nonostante ciò, gli stessi hanno individuato in uno spazio disponibile inferiore ai 3 mq a persona la circostanza tale da giustificare, di per sé, la con­ statazione di violazione dell'art. 3 C ED U. In assenza di situazioni di tale gravità, ossia tra i 3 e i 4 mq, la Corte so­ stiene infine che il problema della sussistenza di eventuali trattamenti proi­ biti dalla Convenzione debba essere risolto, di volta in volta, prendendo in considerazione diversi aspetti delle condizioni detentive, tra i quali la possi­ bilità di utilizzare i bagni in maniera privata, l'aerazione disponibile, la qua­ lità del riscaldamento, il rispetto delle condizioni sanitarie di base. Si legge, inoltre, nella sentenza che: Non spetta alla Corte suggerire agli Stati delle disposizioni riguardanti le loro po­ litiche penali e l'organizzazione del loro sistema penitenziario. Tali processi solle­ vano un certo numero di questioni complesse di ordine giuridico e pratico che, in linea di principio, vanno oltre la funzione giudiziaria della Corte. Tuttavia, essa de­ sidera rammentare in questo contesto le raccomandazioni del comitato dei Ministri del Consiglio d' Europa che invitano gli Stati ad esortare i procuratori e i giudici a ricorrere il più possibile alle misure alternative alla detenzione e a riorientare la loro politica penale verso il minimo ricorso alla carcerazione allo scopo, tra l'altro, di risolvere il problema della crescita della popolazione carceraria (si vedano, in parti­ colare, le raccomandazioni del Comitato dei ministri REC (99) 22 e REC (20 06) 1 3 ) .

1 4 . L A CELL A

239

14.2

Mai veramente da solo Quando il progetto architettonico di un qualsiasi ambiente sociale non tie­ ne conto delle relazioni e dell'esigenza di riservatezza e privacy dell' indi­ viduo, le conseguenze possono essere piuttosto gravi in termini di salute e benessere generale. Non si tratta, dunque, solo di metri quadri disponibili per detenuto ma della piena applicazione delle norme previste dalla riforma del 1975 e dal re­ golamento di attuazione del 2000 in materia di diritti e condizioni di vita. E indubbio come l'ambiente fisico e sociale influenzino sentimenti, pensieri, percezioni al pari delle relazioni sociali stesse (Hayes, 1995). Si muovo­ no come voci apparentemente inudibili ma che in realtà segnano profonda­ mente il modo di essere con se stessi e con gli altri. Vi sono diversi studi condotti sugli effetti delle condizioni di prigionia sul benessere del detenuti, soprattutto in termini di perdita dell'autonomia e minaccia ambientale, da cui sembrano scaturire reazioni crescenti di colle­ ra, infelicità, disagio, paura, depressione, aggressività verso gli altri e verso se stessi (autolesionismo, tentativi suicidari). Gli psicologi sociali Cox, Paulus e McCain nel 1984 focalizzarono l'at­ tenzione proprio su questo tema dimostrando che con l'aumento dell'affolla­ mento nelle prigioni aumentano morti, suicidi, infrazioni e ricoveri psichia• • tr1c1. Fin dai primi giorni di detenzione, peraltro i più pericolosi in termini di rischio suicidari, nei soggetti reclusi prendono avvio vere e proprie modifica­ zioni dei sensi dovute ali'assenza di riferimenti abituali, a spazi limitati e poco vari, con possibilità di fare esperienze sensoriali stimolanti davvero ridotte. Il primo ad essere intaccato è il senso dell'equilibrio dovuto, spesso, alla perdita di stabilità e di riferimenti spazio-temporali. La cattiva illuminazione e le finestre generalmente piccole e con grate inci­ dono sulla vista e sull'udito, che diventa sempre più acuto fìno a diventare esa­ sperato, per paura, necessità di controllo, alto livello di vigilanza individuale. Il tatto viene mortificato a cominciare dal corpo con la quasi totale as­ senza di contatto fisico. Inoltre, non avendo più a disposizione oggetti co­ munemente utilizzati all'esterno, la persona comincia a perdere familiarità e dimestichezza con la sua manualità. Non dovrebbe essere difficile comprendere quanta importanza ricopre per una qualsiasi persona (evidentemente non solo reclusa) la possibilità di trascorrere delle ore alla luce del sole, in uno spazio dove recuperare, anche

RECL USI

se solo per poco, la dimensione dello stare all'aria aperta; da qui l'esigenza che vengano usufruite ore di passeggio nei cortili. Ridefinire l'architettura delle nostre carceri e contenere il più possibile il numero di detenuti presenti al loro interno è una priorità ineludibile per ragioni umane e, non ultima, di spesa sanitaria.

1 4. 1 Aggressività, apprendimento e ambiente RIQUADRO

Lo psicoanalista francese Didier Anzieu nel 1975 ha evidenziato l'ambivalenza della di­ mensione di gruppo quale contemporaneamente luogo della generazione dell' identità individuale e della minaccia alla stessa (Anzieu, 1979 ). Gli altri ci permettono di esistere e di costruire la nostra personalità, riconoscendo­ ci individui grazie alla differenziazione dagli altri. All ' interno di un gruppo gestito da norme strutturanti e magmaticamente aggre­ ganti, l' individuo avverte la minaccia alla propria unità personale. Anzieu parla anche di "illusione gruppale" come difesa dei gruppi e talora anche dei loro conduttori, determinando un vero e proprio ritiro narcisistico su di sé piuttosto che una spinta a perseguire obiettivi reali propri del gruppo. Lo psicoanalista René Kaes nel suo libro L'apparato pluripsichico (1976 ) parla del gruppo come uno spazio mentale che può funzionare come un apparato unico a piu menti. Perché ciò avvenga è importante che vi siano degli organizzatori di questo feno­ meno transitorio dell 'essere che è il gruppo. Per comprendere i tratti salienti di queste dinamiche occorre tenere conto dei con­ tenitori/ organizzatori culturali in cui i processi interpersonali avvengono (garanti meta sociali e dinamiche affettive organizzativo-istituzionali; Scoppola, 1996). Questi ultimi possono essere orientati verso fenomeni di supporto e coesione o sofferenza, fondamentalmente legati al prevalere della pulsione di vita o di distruzione come afferma Long (20 0 6 ) . Essere uomini, poi, non è necessariamente essere aggressivi. Il sociobiologo E . O. Wilson ( 1 9 78, p. 1 19 ) ha precisato che : > . Di fatto, secondo una lettura socio-psico-antropologica del fenomeno, si impara a diventare aggressivi nello stesso modo in cui si interiorizzano i pregiudizi. ' E pensabile che il sistema delle sanzioni sia in grado di far diminuire l'aggressività ? Richard Walters ( 1 9 6 6 , p. 6 9 ) , psicologo dell 'età evolutiva, ha affermato che : . Alcune ricerche hanno dimostrato che un sistema di sanzioni potrebbe controllare con successo l'aggressività. In contrasto con queste conclusioni, però, la punizione po­ trebbe anche incoraggiarla, determinando una sorta di controaggressione. Due sembrano essere le ragioni principali di questa inadeguatezza. La prima è che la gente di solito crede di avere il diritto - se non il dovere - di ripagare l 'offesa, in secondo luogo, la reazione abituale di chi è punito è la rabbia e i risultati delle indagini di Baron ( 1 973, cit. in Gergen, Gergen, 1 9 8 6 ) dimostrano che chi è arrabbiato (Jhafis Quintero, ex detenuto a Panama e artista intervi­ stato alla Biennale di Venezia del 201 3 ) .

Prison Songs Mi concedevo, ogni sera, un momento di musica che era per me solo. Certamente questo piacere solitario è un piacere sterile, ma nessun piacere è sterile quando rimette il nostro essere in armo­ nia con la vita. M. Yourcenar (1903-1987 ), Alexis o il trattato della lotta vana, 1929

1 9.1

"Note" di detenzione Nascite premature, lesioni cerebrali, performance sportive, problemi cardia­ ci, alfabetizzazione sono solo alcuni dei campi in cui alla musica vengono riconosciute applicazioni scientifiche e funzioni positive, agendo sulle aree più remote e antiche del nostro cervello. Innegabile, poi, come la stessa pos­ sa aiutare chi è ristretto ad allontanarsi con la mente dalla cella, a ricordare momenti belli, a evocare pagine felici della propria esistenza, persone, amori lontani. Nella Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati si legge: > . Inoltre, pur in presenza di regime di sorveglianza particolare disposta dal Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (di propria iniziativa o su segnalazione del direttore o dell'autorità giudiziaria con parere favo­ revole del Consiglio di disciplina) in relazione a reiterati comportamenti offensivi dell'ordine e della sicurezza negli istituti penitenziari, le eventuali restrizioni non possono riguardare l'uso di apparecchi radio del tipo con­ sentito. Solo nel carcere speciale è vietato l'ascolto delle FM (onde a modu­ lazione di frequenza). Sono numerosi nel nostro paese, e naturalmente anche in altri Stati, i progetti che hanno portato e continuano a portare la musica ali' interno del carcere, in termini di attività che coinvolgono direttamente i detenuti (lezio­ ni per imparare a suonare uno strumento, attività radiofoniche, allestimento di cori ecc.) o con concerti eseguiti anche da grandi nomi della musica o con veri e propri festival (vedi "San Vittore Sing Sing" dal 2005 al 2009 ) . Di seguito sono riportate alcune tra le più note canzoni che affrontano a diverso titolo il tema del carcere:

19 . PRIS ON S ONGS

27 1

4 0 -pass (Davide Van de Sfroos, 2008); 54-4 6 (that' s my number) (Toots & T he Maytals, 1968); Black Steel in the Hour o/Chaos (Public Enemy, 1989); Canzone in prigione (Cristiano Godano, 2009); Canzone in prigione (Marlene Kuntz, 2012); Carcerato (Mario Merola, 1982); Carcere (24 Grana, 2008); Chain Gang (Sam Cooke, 1960 ); Cool Hand Luke (cantata da Harry Bellafonte per il Film Nick manofredda, 1967 ); Don Raffae (Fabrizio De André, 1990 ); Fish in the]ailhouse (Tom Waits, 2006 ); Folsom Prison Blues (Johnny Cash, 1955); Generai Penitentiary (Black Uhuru, 1979 ); Generai Penitentiary (T he Nitty Gritty, 2011 ); Hurricane (Bob Dylan, 1976 ); In prigione in prigione (Edoardo Bennato, 1977 ); Istitutionalized (Suicidial Tendencies, 1983); ]ail Guitar Doors (T he Clash, 1977 ); ]ailbreak (Ac/nc, 1974); Jailbreak (T hin Lizzy, 1976); ]ailhouse Rock (Elvis Presley, 1957 ); Jailhouse (Sublime, 1996); Jhonny 99 (Bruce Springsteen, 1982); Kanzone su un detenuto politico (24 Grana, 2012); Killing in the Name (Rage Against T he Machine, 1991 ); Knoxville Giri (T he Louvin Brothers, 1956 ); L a ballata del miche (Fabrizio De André, 1968); L a casa in riva al mare (Lucio Dalla, 1971 ); Le mante/late ( Giorgio Strehler e Fiorenzo Carpi per Ornella Vanoni, 1959 si ricorda anche un'interpretazione indimenticabile di Gabriella Ferri del 1966 ); Lift in Prison (Merle Haggard, 1964); Locked Up (Akon, 2004); Mama Tried (Merle Haggard, 1971 ); Ma Mi (Giorgio Strehler, 1962); Midnight Special (Creedence Clearwater Revival, traditional folk song, 1969 ); Murder Was the Case (Snoop Doggy Dogg, 1995); Nella mia ora di liberta (Fabrizio De André, 1973);

RECLUSI

Never Leave Me Alone (Nate Dog, Snoop Dogg, 1998 ); Noa goa]ail (Peter Tosh, 1987 ); On the Rock (lsrael Vibration, 1997 ); One Love (Nas, Q-tip, 1994); Patrie galere (24 Grana, 2008); Penitentiary Dub (T he Nitty Gritty, 201 1 ); Policy Story (Black Flag, 198 1 ); Prison Grove ( Warren Zevon, 2003); Prison Ovai Rock (Barrington Levy, 1985); Prison Sex (Tool, 1994); Prisoner ofLove (musica di Russ Columbo e Clarence Gaskill e parole di Leo Robin, cantata da diversi nomi della musica internazionale, 1931); Ride the Lightning (Metallica, 1984); Roadblock (Bob Marley &T he Wailers, 1974); Rusty Cage (Soundgarden, 199 1 ); San Quentin (Johnny Cash, 1969 ); Stay Free (T he Clash, 1978); Weighted Down (The prison song) (Alexander "Skip" Spence, 1969); Women' s Prison (Loretta Lynn, 2004). Va ricordata l'enorme mole di componimenti dedicati al carcere che rien­ tra nella tradizione della canzone popolare italiana, andata modificandosi ali' interno dei tanti contesti storico-geografici e antropologici attraverso i quali è stata tramandata. Sempre per ciò che riguarda il nostro paese, un fenomeno recente che ha visto una impressionante chiamata alle note da parte del carcere è la musica neomelodica. Con questo termine, usato per la prima volta nel libro Concerto napole­ tano di Peppe Aiello nel 1997, si intendeva qualificare un ampio e articolato filone musicale, inizialmente sotterraneo, che intendeva distinguersi dalla canzone classica napoletana, proponendo una rivisitazione in chiave "2.0". Sicuramente tra le prime voci a distinguersi, a cominciare dagli anni Ot­ tanta, va ricordato il cantante Nino D'Angelo, superato dal grandissimo se­ guito registrato, in anni più recenti, dal cantautore Gigi D'Alessio. In estrema sintesi dall'iniziale poetica della borghesia napoletana di fine Ottocento e inizi Novecento si è passati ali'attuale retorica dove fruitori e compositori appartengono e si esprimono secondo analoghe modalità, at­ tingendo dalla vita reale, dalla sua quotidianità, dai suoi valori e sentimenti. Se precedentemente Napoli era stata disegnata con i colori del romanti­ cismo e con quei tratti che ne avevano definito l'iconografia anche per I'o-

19 . PRIS ON S ONGS

27 3

recchio e l'occhio del turista straniero, ora la stessa città vuole cantare i suoi problemi, i disagi, i conflitti. I temi più trattati, infatti, sono ora amori finiti, tradimenti, divorzi, aborti, tossicodipendenza, guerra di mala, latitanza e carcere. Dunque, i neomelodici in Italia sono molto seguiti dalla popolazione detenuta e non solo campana, rappresentando peraltro per gli stessi una fon­ te di ispirazione. Amare canzoni di questo tipo è un po' come riconoscere a chi ha scritto le parole e le canta in pubblico la capacità di non dimenticare chi sta peggio. Non va sottovalutato, però, come il mercato di questo filone musicale sia fortemente condizionato, in termini di facilità di accesso al pubblico, alla registrazione, alla vendita dei C D , ai passaggi in radio dalle organizzazioni criminali. A mero titolo di curiosità ( inquietante, peraltro), la rivista americana "T ime" ha stilato la classifica delle cinque canzoni più usate dall'esercito de­ gli Stati Uniti (ma non solo) per indurre sofferenza e pressione psicologica a soldati, detenuti e nemici politici. Si fa fatica a crederci ma si tratta delle seguenti: 1. I Love You (Il dinosauro Barney, 1993); 2. Panama (Van Halen, 1984); 3. The Real Slim Shady (Eminem, 2000); 4. Copacabana (Barry Manilow, 1978); 5. Born in the USA (Bruce Springsteen, 1984). Allo stesso modo "T he Guardian" ha pubblicato dal "Torture Report" del 2014 la lista delle 10 canzoni utilizzate dalla C IA per condurre gli inter­ rogatori o, sparate ad altissimo volume e per ore, per indurre smarrimento e vertigini nei prigionieri reclusi nelle carceri di Guantanamo, in Iraq, in Af­ ghanistan e Marocco: 1. (Hit Me Baby) One More Time (Britney Spears, 1999); 2. March ojthe Pigs (Nine lnch Nails, 1994); 3. Dirrty (Christina Aguilera, 20 o 2); 4. The Beautiful People (Marilyn Manson, 1998); 5. Baby (Justin Bieber, 2010); 6. Assimilate (Skinny Puppy, 1985); 7. The Real Slim Shady (Eminem, 2000); 8. Macaren a (Los del Rio, 1993); 9. Enter Sandman (Metallica, 1991 ); 10. I Love You (Il dinosauro Barney, 1993).

Appendice 1 La grammatica del detenuto

'

E piuttosto curioso, leggendo il glossario che segue, come le mansioni attribuite al detenuto (vedi "spesino': "scopino") o lo strumento con cui lo stesso comunica con l'amministrazione dell'istituto ("domandina") siano caratte­ rizzati da un suffisso diminutivo. Il detenuto deve rispondere recuperando tutta la propria responsabilità e autodeterminazione eppure, stranamente, nella prassi sembra essere ancora concepito e trattato come un bambino... Introdotto nel 1991, rende più difficile l'accesso ai be­ nefici ed alle misure alternative alla detenzione per chi è condannato per reati gravi ( omicidio, rapina, traffico di droga) , impedendolo a chi è condannato per reati associativi ( associazione mafiosa, sequestro di persona, associazione finalizzata al traffico di droga). Introdotto nel 1 99 2, e conosciuto come "carcere duro", "41-bis" OP per contrastare la criminalità mafiosa, doveva rimanere ' in vigore fino al 1 99 5. E stato prorogato fino ali' anno 20 0 3 . Può essere applicato a tutti i condannati per reati inclusi nell 'articolo 4-bis, se vi sono "motivi di sicurez­ za" che lo richiedano. Prevede e punisce il reato di associazione a delinquere " 41 6 - bzs' " c.p. di stampo mafioso. Si tratta di un reato che preclude l'accesso a tutti i benefici e le misure alternative alla de­ tenzione, tranne nel caso che il condannato collabori con la giustizia oppure che la sua collaborazione sia im­ possibile perché tutti i fatti sono già stati accertati. Agenti di Polizia penitenziaria Così si chiamano gli addetti alla custodia. "Secondini" o "agenti di custodia" sono termini impropriamente utilizzati. Sezione del carcere in cui sono riuniti tutti i condanna­ Alta sicurezza (As) ti per reati di tipo associativo (mafia, traffico di droga ecc.) , sottoposti ad una sorveglianza più stretta rispetto ai detenuti comuni. Amnistia L'amnistia estingue il reato e fa cessare l'esecuzione della condanna e le pene accessorie relative ai reati per i quali è stata concessa (artt. 1 5 1 c.p. e 672 c.p.p.). Va

A P PENDICE I

Appellante

Area penale esterna Aria (permanenza all 'aperto)

Attività extramurale Attività intramurale Attività trattamentale Battitura di protesta Battitura sbarre Braccialetto elettronico

Casellario Cellulare Colloquio

27 5

distinta dalla grazia e dall ' indulto che fanno cessare la pena ma non estinguono il reato. Condannata in primo grado, la persona ha presentato appello contro questa sentenza. Può essere libera o de­ tenuta. L'appello può essere presentato anche dal Pub­ blico ministero. Indica il complesso delle persone ammesse alle misure alternative alla detenzione, al lavoro esterno ed ai bene­ fici "extram urali ': A quanti non prestano lavoro all 'aperto è consentito di permanere almeno per due ore al giorno ali ' aria aperta. Tale periodo di tempo può essere ridotto a non meno di un 'ora al giorno soltanto per motivi eccezionali. La permanenza ali ' aria aperta è effettuata in gruppi sal­ vo casi eccezionali e se possibile deve essere dedicata ad esercizi fisici. ' E l 'attività che i condannati possono svolgere all'esterno del carcere (permessi premio, il lavoro esterno, la semilibertà ecc.). È l'attività ( scolastica, lavorativa, culturale, sportiva) che si svolge ali' interno del carcere con finalità di riso­ cializzazione dei detenuti. Comprende sia l 'attività intramurale sia quella extra­ murale ( benefici e misure alternative) atte a risocializ­ zare i detenuti. Fatta dai detenuti, che sbattono le pentole e altre sup­ pellettili sulle porte e le finestre per richiamare I' atten­ zione su questioni particolari. Fatta dagli agenti, quotidianamente, per accertarsi che qualche detenuto non abbia manomesso le sbarre. Nel disporre la misura degli arresti domiciliari il giu­ dice può prescrivere procedure di controllo mediante mezzi elettronici se l ' imputato acconsente (art. 275-bis c.p.p.). Il consenso all'eventuale utilizzo di queste pro­ cedure di controllo viene richiesto al detenuto ali' in­ gresso in carcere ( art. 2 3 OP). "Deposito" del carcere dove ogni detenuto conserva gli oggetti che non gli è consentito di tenere in cella. Li potrà ritirare al momento della scarcerazione. Furgone blindato per il trasporto dei detenuti. I colloqui dei condannati, degli internati e quelli degli imputati dopo la pronuncia della sentenza di primo gra­ do sono autorizzati dal direttore dell ' istituto. I colloqui con persone diverse dai congiunti e dai conviventi sono autorizzati quando ricorrono ragionevoli motivi. Per i colloqui con gli imputati fino alla pronuncia della sentenza di primo grado, i richiedenti debbono presen­ tare il permesso rilasciato dall 'autorità giudiziaria che procede.

RECLUSI

Cumulo Definitivo Detenuto Dimissione

Le persone ammesse al colloquio sono identificate e, inoltre, sottoposte a controllo, con le modalità previste dal regolamento interno, al fine di garantire che non si­ ano introdotti nell ' istituto strumenti pericolosi o altri . . oggetti non ammessi. Il personale preposto al controllo sospende dal collo­ quio le persone che tengono un comportamento scor­ retto o molesto, riferendone al direttore, il quale decide sulla esclusione. Appositi locali sono destinati ai colloqui dei detenuti con i loro difensori. Per i detenuti e gli internati infermi i colloqui possono avere luogo nell ' infermeria. I detenuti e gli internati usufruiscono di sei colloqui al mese. Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei de­ litti previsti dal periodo I, comma 1 ° dell 'articolo 4-bis O P e per i quali si applichi il divieto di benefici ivi pre­ visto, il numero di colloqui non può essere superiore a quattro al mese. Ai soggetti gravemente infermi, o quando il colloquio si svolge con prole di età inferiore a dieci anni ovvero quando ricorrano particolari circostanze, possono esse­ re concessi colloqui anche fuori dei limiti appena visti. Il colloquio ha la durata massima di un'ora. In con­ siderazione di eccezionali circostanze, è consentito prolungare la durata del colloquio con i congiunti o i conviventi. Il colloquio con i congiunti o conviventi è comunque prolungato sino a due ore quando i medesi­ mi risiedono in un comune diverso da quello in cui ha sede l ' istituto, se nella settimana precedente il detenuto o l' internato non ha fruito di alcun colloquio e se le esigenze e l 'organizzazione dell' istituto lo consentono. A ciascun colloquio con il detenuto o con l ' internato possono partecipare non più di tre persone, ma è con­ sentito di derogare a tale norma quando si tratti di con. . . . giunti o conviventi. Cumulo giuridico delle pene, ossia la somma matemati­ ca di tutte le singole condanne. Persona con condanna esecutiva. In ragione della con­ sistenza della stessa e delle condizioni della persona può scontare la pena all'esterno del carcere o al suo interno. Termine generico per indicare una persona ristretta in un istituto di pena. La dimissione dei detenuti e degli internati è eseguita senza indugio dalla Direzione dell' istituto in base ad ordine scritto della competente autorità giudiziaria o di pubblica sicurezza. Il direttore dell ' istituto dà notizia della prevista di­ missione, almeno tre mesi prima, al Consiglio di aiuto

A P PENDICE I

Domandina Essere nei termini Fermato

Fornitura Fungibilità della pena

Gratuito patrocinio

Grazia

Gruppo di osservazione Igiene (barba e capelli)

277

sociale e al Centro di servizio sociale del luogo in cui ha sede l ' istituto ed a quelli del luogo dove il soggetto intende stabilire la sua residenza, comunicando tutti i dati necessari per gli opportuni interventi assistenziali. Il Consiglio di disciplina dell' isti tuta, ali' atto della dimissione o successivamente, rilascia al soggetto che lo richieda un attestato con l'eventuale qualificazio­ ne professionale conseguita e notizie obiettive circa la condotta tenuta. I soggetti, che ne sono privi, vengono provvisti di un corredo di vestiario civile. Modulo 3 9 3 dell'Amministrazione penitenziaria con il quale si formulano richieste alla Direzione della strut­ tura detentiva. Significa aver scontato una parte tale della pena e poter accedere ai benefici ed alle misure alternative. Persona "trattenuta" in via provvisoria, in attesa che il giudice delle indagini preliminari la interroghi e con­ validi o meno il fermo, trasformando quest 'ultimo in arresto o rimettendo la persona in libertà. Può durare al massimo tre giorni. Prodotti per l ' igiene personale e la biancheria che sono consegnati ad ogni persona arrestata. Trascorso in carcere un certo periodo di custodia caute­ lare e giunta l 'assoluzione, il periodo d' ingiusta deten­ zione può essere detratto da un 'eventuale pena succes• s1va. Consiste nel riconoscimento dell 'assistenza legale gra­ tuita in favore dei non abbienti per agire e difendersi davanti al giudice penale nel giudizio e anche nei pro­ cedimenti di sorveglianza. La grazia condona, in tutto o in parte, la pena inflitta o la commuta in un' alt�a pena stabilita dalla legge ( artt. 1 74 c.p. e 6 8 1 c.p.p.). E un provvedimento di indulgen­ za a carattere individuale, a differenza dell ' indulto che è a carattere generale. La domanda di grazia, sottoscrit­ ta dal condannato o da un suo congiunto o avvocato, è diretta al presidente della Repubblica tramite il mini­ stro della Giustizia. Se il condannato è detenuto o in­ ternato, va presentata al magistrato di sorveglianza che la trasmette al ministro della Giustizia con il proprio . parere motivato. L' insieme degli operatori incaricati di seguire il per­ corso detentivo del condannato ( educatore, psicologo, assistente sociale ecc.). In ciascun istituto sono organizzati i servizi per il pe­ riodico taglio dei capelli e la rasatura della barba. Può essere consentito l'uso di rasoio elettrico personale. Il taglio dei capelli e della barba può essere imposto sol­ tanto per particolari ragioni igienico-sanitarie.

R ECLUSI

Imputato Indagato Indulto

Isolamento

Lettera

Persona "rinviata in giudizio" al termine dell 'udienza preliminare. Nell 'attesa di essere processata può essere detenuta o in libertà. Può essere detenuto o in libertà e si tratta di persona alla quale è stato consegnato !' "avviso di garanzia". Os­ sia è stato informato di essere coinvolto in indagini. L' indulto condona, in tutto o in parte, la pena inflit­ ta o la commuta in un 'altra pena stabilita dalla legge (arte. 1 74 c.p. e 672 c.p.p.). Viene applicato direttamen­ te dal giudice che ha emesso la sentenza di condanna. Nel caso in cui la sentenza preveda l 'applicazione di misure di sicurezza, le eventuali modifiche conseguenti ali ' indulEo sono di competenza del magistrato di sorve­ glianza. E un provvedimento di indulgenza a carattere generale, mentre la grazia è a carattere individuale. L' isolamento è ammesso : a) quando è prescritto per ragioni sanitarie ; b) durante l'esecuzione della sanzio­ ne della esclusione dalle attività in comune ; e) per gli imputati durante l ' istruttoria e per gli arrestati nel pro­ cedimento di prevenzione, se e fino a quando ciò sia ritenuto necessario dall 'autorità giudiziaria. I detenuti e gli internati sono ammessi a inviare e a ri­ cevere corrispondenza epistolare e telegrafica. La Dire­ zione può consentire la ricezione di fax. Al fine di consentire la corrispondenza, l'amministra­ zione fornisce gratuitamente ai detenuti e agli internati, che non possono provvedervi a loro spese, settimanal­ mente, l 'occorrente per scrivere una lettera e l 'affran­ catura ordinaria. Presso lo spaccio dell' istituto devono essere sempre disponibili, per l'acquisto, gli oggetti di cancelleria necessari per la corrispondenza. La corrispondenza in busta chiusa, in arrivo o in par­ tenza, è sottoposta a ispezione al fine di rilevare l 'even­ tuale presenza di valori o altri oggetti non consentiti. L' ispezione deve avvenire con modalità tali da garanti­ re l'assenza di controlli sullo scritto. La Direzione, quando vi sia sospetto che nella corri­ spondenza epistolare, in arrivo o in partenza, siano inseriti contenuti che costituiscono elementi di reato o che possono determinare pericolo per l 'ordine e la sicurezza, trattiene la missiva, facendone immediata segnalazione, per i provvedimenti del caso, al magistra­ to di sorveglianza, o, se trattasi di imputato sino alla pronuncia della sentenza di primo grado, all'autorità giudiziaria che procede. Il detenuto o l ' internato deve essere immediatamente informato che la corrispondenza è stata trattenuta. Non può essere sottoposta a visto di controllo la cor­ rispondenza epistolare dei detenuti e degli internati indirizzata ad organismi internazionali amministrativi

A P PENDICE I

Matricola Mercede

Misure alternative

27 9

o giudiziari, preposti alla tutela dei diritti dell 'uomo, di cui l ' Italia fa parte. ' E l' Ufficio anagrafe del carcere, dove sono conservati tutti gli atti giuridici che riguardano ogni detenuto. ' E la retribuzione per il ti po di lavoro che si svolge ali ' interno del carcere. Si chiama così perché si tratta di un lavoro "atipico" che svolge una funzione fondamentale tra gli elementi del trattamento rieducativo. Non può essere inferiore ai due terzi del trattamento economi­ co previsto dai contratti collettivi di lavoro per attività similari. Alla mercede viene detratta, per i detenuti de­ finitivi, una quota, non superiore ai 2/5 , per le spese di . . mantenimento 1n carcere. Le misure alternative alla detenzione previste dall' OP danno la possibilità di scontare la pena fuori dal carcere e vengono concesse solo a determinate condizioni. Si applicano esclusivamente ai detenuti definitivi: a) af­ fidamento in prova al servizio sociale (pena residua 3 anni) , art. 47 O P ; b) detenzione domiciliare (pena resi­ dua 4 anni o nei casi di condizioni di salute incompati­ bili con il regime detentivo pena residua anche superio­ re ai 4 anni) , art. 47-ter O P ; e) semilibertà (metà pena o 2/ 3 se reati gravi ( reati dell 'art. 4-bis) o 6 mesi solo dalla libertà) , artt. 46, 5 0 OP; d) liberazione condizio­ nale (pena residua s anni) ; art. 1 76 c.p.; e) sospensione della pena per gravi motivi di salute (incompatibilità con il regime detentivo - qualunque sia la durata della pena) art. 1 47 c.p. L' iter classico dei benefici è il seguente : prima si otten­ gono i permessi premio, poi l 'art. 2 1 (lavoro all'ester­ no) , poi la semilibertà, infine l 'affidamento ai servizi sociali. Per i tossicodipendenti : /J affidamento e sospensione pena per tossicodipendente (pena residua 4 anni) , artt. 94 e 90 D.P.R. 9 ottobre 1 99 0, n. 309 ; g) misure per malati di AIDS in condizioni gravi con programma te­ rapeutico ( affidamento e detenzione domiciliare qua­ lunque sia la pena da espiare) , art. 47-quater O P ; h) in prova al servizio sociale (pena residua 3 anni) , art. 47 O P.

Misure alternative per malati di AID S o grave deficienza immunitaria

In linea di principio le misure alternative sono applica­ bili e dovrebbero essere applicate nei confronti di qua­ lunque detenuto. L'affidamento in prova ai servizi sociali ( art. 47 O P ) e la detenzione domiciliare ( art. 47-ter O P ) possono essere applicati, anche oltre i limiti di pena ivi previsti, nei confronti di malati di AIDS conclamato o da grave de­ ficienza immunitaria che hanno in corso o intendono intraprendere un programma di cura presso apposite unità ospedaliere. Il caso di AIDS conclamato è defi-

28 0

Nuovo giunto Ora d'aria

Peculio

Pena pecuniaria

Pericolosità sociale Permesso di necessità Permesso premio

Permesso di soggiorno

Perquisizione personale Piantone

R ECLUSI

nito dalla circolare del ministero della Sanità n. 9 del 29 aprile 1994. Il caso di grave deficienza immunitaria quando la persona presenti anche uno solo dei seguenti parametri: a) numero di linfociti TCD 4+ pari o inferio­ re a 100/mmc ; b) indice di Karnofsky pari al valore di 50 ( D.M. 21 ottobre 1 999 ). Persona appena arrestata, che arriva in carcere e deve essere immatricolata e poi alloggiata. Indica il tempo concesso al detenuto da trascorrere ali ' aria aperta: almeno 2 ore al giorno, come previsto dall' O P, o al mattino o al pomeriggio, a seconda degli . . . 1st1tut1. ' E costituito dalla mercede più il denaro posseduto dal detenuto al momento dell' incarcerazione o ricevuto da terzi. Si distingue in un fondo vincolato, 1/ s della re­ munerazione e in un fondo disponibile. Nel diritto romano, somma di denaro che il capofami­ glia affidava in amministrazione e godimento al pro­ p rio figlio o schiavo. E una delle due tipologie di pena che vengono inflitte dal giudice penale al condannato ( l'altra è la pena de­ tentiva) . Si distingue in multa, applicata per i delitti, e ' in ammenda, applicata per le contravvenzioni. E anche una delle sanzioni sostitutive di pene detentive brevi previste dalla legge 24 novembre 1 9 8 1, n. 689, Depena­ lizzazione e modifiche al sistema penale ( artt. 53 e ss.). La pena pecuniaria può essere rateizzata o convertita in p ena detentiva. E socialmente pericolosa la persona che ha commesso reati, qualora sia probabile che ne commetta nuova­ mente ( art. 20 3 c.p.). Può essere concesso ai detenuti ( imputati o condanna­ ti) per gravi motivi famigliari. Può essere concesso ai detenuti condannati, dopo che hanno scontato un quarto o metà del resto della pena per favorire il reinserimento famigliare, culturale o per opportunità di lavoro. Sono previsti non più di 45 gior­ ni di permesso premio ali' anno. Autorizzazione amministrativa rilasciata al cittadino straniero. La richiesta del permesso deve essere presen­ tata entro otto giorni lavorativi dall' ingresso nel territo­ rio italiano allo Sportello unico per l' immigrazione nel caso sia stato già rilasciato il nulla osta per ricongiungi­ mento famigliare o lavoro, altrimenti alla questura. I detenuti possono essere sottoposti a perquisizione per motivi di sicurezza nel pieno rispetto della loro persona ( artt. 3 4 OP e 74 reg.). Un detenuto convalescente o non autosufficiente ha di­ ritto a una persona che lo assista. Di solito si tratta del compagno di cella, il cosiddetto "piantone': Essendo

A P PENDICE I

Protetti

Quartino Rapporto

Recidiva

Reclamo/istanza

Ricorrente

Saletta Sballamento Scopino

Scrivano

prevista una retribuzione, in alcuni casi se ne fa a meno, con non pochi disagi per la persona in condizione di bisogno. Sono detenuti che non possono vivere nelle sezioni comuni perché hanno tenuto comportamenti contrari all 'etica della maggioranza della popolazione detenuta ( collaborare con la giustizia, compiere reati di natura sessuale, in special modo la pedofilia) . Sono quindi ri­ uniti in apposite sezioni e non hanno contatti con gli altri detenuti. Contenitori di vino che il carcere consente e vende. Ogni detenuto può acquistare due quartini di vino al giorno (mezzo litro). Rilievo disciplinare a carico dei detenuti, di solito contestato da un agente. Produce l'avvio di un proce­ dimento disciplinare che può sfociare in una sanzione. Comporta la mancata concessione dello sconto di pena per la buona condotta. Condizione personale di chi, dopo essere stato condan­ nato per un delitto con sentenza passata in giudicato, ne commette un altro (art. 99 c.p.). La recidiva com­ porta la possibilità di un aumento di pena. Ai detenuti e agli internati che lo richiedono è fornito l 'occorrente per redigere per iscritto istanze e reclami alle autorità. Qualora il detenuto o l ' internato intenda avvalersi del­ la facoltà di usare il sistema della busta chiusa, dovrà provvedere direttamente alla chiusura della stessa ap­ ponendo all'esterno la dicitura "riservata': Se il mitten­ te è privo di fondi, si provvede a cura della Direzione. Il magistrato di sorveglianza e il personale dell 'Ammini­ strazione penitenziaria devono informare nel più breve tempo possibile il detenuto o l ' internato che ha pre­ sentato istanza o reclamo, orale o scritto, dei provvedi­ menti adottati e dei motivi che ne hanno determinato il mancato accoglimento. Condannata in secondo grado, la persona ha presenta­ to ricorso in Cassazione. Può essere libera o detenuta. Il ricorso può essere presentato anche dal Pubblico mi. n1stero. Luogo nel quale, a ore prestabilite del giorno, è possibi­ le ritrovarsi in gruppo per attività culturali o ludiche. Trasferimento forzato e inatteso da un carcere all'altro, effettuato per motivi vari. Addetto alle pulizie degli spazi comuni: corridoi, doc­ ce, salette ecc. In genere, q�esto lavoro viene svolto a turno da tutti i detenuti. E un incarico retribuito e, dunque, particolarmente ambito. Aiuta a redigere le domandine ( soprattutto gli stra­ nieri), a scrivere le istanze da presentare al Tribunale, a

R ECLUSI

Sintesi

Socialità

Sopravvitto Spesino Telefono

spiegare il contenuto delle sentenze, spesso di difficile . comprensione. Relazione sul comportamento tenuto dal detenuto durante la sua permanenza in istituto, particolarmente importante per un'eventuale richiesta di misura alter. nativa. Tempo da trascorrere in compagnia di altri detenuti fuori dalle attività di lavoro o di studio. Si svolge nel­ le celle, all 'ora dei pasti (riunendosi in piccoli gruppi), oppure nella "saletta". Generi alimentari che i detenuti possono acquistare a proprie spese entro limiti fissati. Addetto alla consegna della spesa, che deve essere ordi­ nata tramite un apposito modulo allo spaccio interno, chiamato "sopravvitto': In ogni istituto sono installati uno o più telefoni secon­ do le occorrenze. I condannati e gli internati possono essere autorizzati dal direttore dell ' istituto alla corrispondenza telefoni­ ca con i congiunti e conviventi, ovvero, allorché ricor­ rano ragionevoli e verificati motivi, con persone diverse dai congiunti e conviventi, una volta alla settimana. Quando si tratta di detenuti o internati per uno dei de­ litti previsti dal periodo I, comma 1 ° dell 'articolo 4-bis della legge O P, e per i quali si applichi il divieto dei be­ nefici ivi previsto, il numero dei colloqui telefonici non può essere superiore a due al mese. L'autorizzazione può essere concessa, oltre i limiti ap­ pena visti, in considerazione di motivi di urgenza o di particolare rilevanza, se la stessa si svolga con prole di età inferiore a dieci anni, nonché in caso di trasferimen­ to del detenuto. Gli imputati possono essere autorizzati alla corrispon­ denza telefonica dall 'autorità giudiziaria procedente o dopo la sentenza di primo grado, dal magistrato di sor­ veglianza. Il detenuto o l ' internato che intende intrattenere cor­ rispondenza telefonica deve rivolgere istanza scritta all 'autorità competente, indicando il numero telefo­ nico richiesto e le persone con cui deve corrispondere. L'autorizzazione concessa è efficace fino a che non ne intervenga la revoca. Il contatto telefonico viene stabilito dal personale dell' istituto con le modalità tecnologiche disponibili. La durata massima di ciascuna conversazione telefonica è di dieci minuti. L'autorità giudiziaria competente a disporre il visto di controllo sulla corrispondenza epistolare può disporre che le conversazioni telefoniche vengano ascoltate e registrate a mezzo di idonee apparecchiature. Invece, è

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Terminale Tradotta Traduzione

Transito

sempre disposta la registrazione delle conversazioni te­ lefoniche autorizzate su richiesta di detenuti o internati per i reati indicati nell 'articolo 4-bis della legge o P. La corrispondenza telefonica è effettuata a spese dell' interessato, anche mediante scheda telefonica prepagata. Posto di guardia di ogni " blocco", o "sezione" detentiva. Gli agenti registrano gli ingressi e le uscite dei detenuti, li perquisiscono ecc. Vagone ferroviario allestito appositamente per il tra­ sporto dei detenuti. Trasferimento di detenuti, effettuato con un furgone blindato ed una scorta, in occasione di processi o di altre eventualità esigenti la presenza del detenuto all'e­ sterno dell' istituto. Cella o più genericamente spazio allestito per ricevere i detenuti "di passaggio" destinati ad altre carceri, temporaneamente "appoggiati" in quel luogo.

Fonte: http/ www. ri.stretti. org; http :/ /www.dirittiincarcere.it/ materiali/ glossario, ultima consultazione 10 . gennaio 2017.

Appendice 2 Piccoli espedienti utili alla donna e all'uomo in carcere

Due gruppi di detenute del carcere di Rebibbia hanno deciso di far cono­ scere come si vive ristrette, provando a fornire degli arguti accorgimenti per fronteggiare l'indisponibilità di alcuni prodotti o rimedi finalizzati a neces­ sità quotidiane. Nelle pagine che spiegano l'utilità della lettura del libro a cui queste ri­ flessioni hanno portato, Ricci, limoni e caffettiere ( Edizioni dell'Asino, Roma 2013) , si legge: Vorremmo che passasse di mano in mano, che arrivasse dappertutto, a tutte le don­ ne, dentro e fuori dal carcere [ ... ] ma vorremmo che arrivasse anche agli uomini, in tutte le carceri, nelle biblioteche, nei centri sociali, e a tutte le persone fuori che non sanno quello che si prova qui dentro. [ ... ] Sicuramente alla camera dei Deputati. Nelle scuole, nei centri per persone anziane, alle persone sole. E a me. Vorrei che ar­ rivasse alle persone che non si rendono conto di che cosa vuol dire essere detenute, la realtà del carcere non è conosciuta, viene raccontata, ma mai veramente, soprat­ tutto quella femminile, quindi vorrei che arrivasse a tutte le persone che ignorano che cosa vuol dire essere detenute; donne e detenute. Non tenertelo con te quindi, ma passaparola, per piacere ! ( ivi, p. 21 ) .

Nel nostro piccolo ci proviamo, fornendo qualche consiglio tratto testual­ mente dal libro sopracitato: crema depilatoria: mezzo bicchiere d'acqua, mezzo bicchiere di zucchero, mezzo li­ mone. Miscela tutti gli ingredienti in un pentolino (sulla piastra a livello 3), fino a creare un caramello bianco che lasci asciugare. In alternativa per aiutarti puoi stendere la crema depilatoria intiepidita su un panno pulito a strati sottili. Il panno ti servirà come una striscia depilatoria. 1.

maschera idratante per il viso e il corpo :flocchi di avena, yogurt, miele. Metti in un bicchiere l'avena con lo yogurt e falli sciogliere bene finché diventano una "pappa". Poi aggiungi due cucchiai di miele. Spalma la crema sul viso e sul corpo per quindici minuti. Poi sciacqua. 2.

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3 . maschera schiarente al limone: zucchero e limoni, o semplicemente miele d'api. Per pulire o schiarire il viso: se usi il limone e lo zucchero ti "sfoglia". Lo lasci sulla pelle per dieci minuti poi risciacqui. Se hai punti neri difficili, fai prima una vaporizza­ zione con la camomilla. Avrai un viso di stella ! 4. maschera contro le rughe: I bicchierino come contenitore, I coltello di plastica, I sapone di Marsiglia, sale e acqua. Con il coltello di plastica tagli l'angolo del sapo­ ne di Marsiglia, lo deponi in un bicchierino con un goccio d'acqua per scioglierlo. Aggiungi un pizzico di sale e amalgami il tutto finché non diventa crema. Lo passi sul viso e lo lasci agire per un'ora, poi sciacqui il viso e ti rimane la pelle morbida e liscia ! 5 . per la tosse persistente: I litro di latte, I cipolla piccola. Dividi la cipolla in quattro e falla bollire sul fuoco con il latte. Poi bevine un bicchiere al mattino e uno alla sera, caldo ! La tosse se ne andrà. Unico fastidio è l'odore di cipolla, però, per fortuna, non sa di niente ! Oppure, mezza cipolla. Metti a cuocere la mezza cipolla sulla padella fino a che si ammorbidisce. Poi prendi un panno, ci metti dentro la cipolla e spremi bene il succo. Prendi un cucchiaio del succo ricavato al mattino e uno di sera, aggiungendo lo zucchero perché è amaro. Oppure, acqua, foglie di alloro, miele. Fai bollire le foglie di alloro insieme all'acqua per qualche minuto. Poi aggiungi del miele e lascia in infusione per circa quindici minuti. Bevilo, vedrai che starai meglio. 6. rimedio diuretico: buccia di limone. Fai bollire una buccia di limone e poi bevine il succo, come acqua normale. E un diuretico naturale e ti fa espellere tante tossine. 7. per abbassare la tensione arteriosa: buccia di mandarino. Il mandarino è un otti­ mo rimedio. Metti a mollo la buccia per un giorno e l' indomani bevila come acqua normale. Se lo fai sempre non avrai più bisogno di medicine. 8. contro i dolori mestruali: acqua, cannella e noce moscata. Fatti una tisana con la cannella e con la noce moscata grattugiata sopra. 9. contro i dolori cervicali: un panno, sale. Scalda del sale (preferibilmente grosso ma va bene anche quello fino) in una padella sulla piastra. Quando è bollente mettilo in un panno e chiudilo. E un toccasana. per un bernoccolo: burro, sale e un cucchiaio. Prendi un po' di burro e sale in uguale quantità. Crea una mistura e mettila sulla parte lesionata, massaggiandola con un cucchiaio freddo (ivi, pp. 5 3-9) . 1 0.

Nella guida elaborata dalle detenute del carcere di Rebibbia, si apprendono alcuni espedienti utili alla vita quotidiana, frutto della capacità di adattarsi

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RECLUSI

e di dare fondo ali'abilità di problem solving, in assenza di altre possibili so­ luzioni. tavoletta per il water: prendi la forma esatta su un pezzo di cartone e la ritagli, dopo lo avvolgi con una fodera che può essere di carta o di stoffa; 2 . portaoggetti sottoletto: per utilizzare lo spazio, puoi costruire un'amaca sot­ to il letto come portaoggetti, legando un telo resistente grande quanto le dimensio­ ni del letto ai quattro angoli della rete, tenendolo morbido, ma senza che tocchi il pavimento. In questo modo si ottiene un ottimo armadio ripostiglio per gli oggetti che non si desidera tenere in vista e in modo che non tocchino a terra; 3. per stirare i panni (e i capelli ! ) : la caffettiera serve per stirare i panni, ma serve anche per stirare i capelli. Devi scaldarne due, devi reggerle con l'asciugamano o lo straccio perché dovranno essere bollenti. Una persona mantiene la ciocca e l'altra, con le caffettiere pulite e caldissime, stira i capelli. Ci vuole attenzione e velocità, perché sennò i capelli si bruciano. Bisogna scorrere velocemente. Dura una setti­ mana ! La calza sul rotolo di carta igienica per i bigodini. Prima prendo la ciocca, la arrotolo sul cartone e poi la fermo con la calza; 4. per arricciare i capelli: tagli dei pezzi lunghi da un canovaccio o qualcosa di stoffa che non ti serve, poi lavi bene i capelli, li arrotoli con le strisce di stoffa e il giorno dopo li sciogli e saranno ricci. C 'è chi lo fa con la carta di giornale; 5 . la tenda "scurino" per ripararsi dalla luce: attaccando insieme pezzi di jeans vecchi con la colla ottieni delle tende molto spesse che possono creare l'oscurità adatta a dormire senza luce; 6. il mobile ripostiglio sotto il lavandino: mescola acqua e farina in modo da ottenere una colla abbastanza liquida. Attacca il pezzo di stoffa lungo il perimetro del lavandino. Otterrai un ripostiglio piuttosto spazioso in bagno dove potrai con­ servare tutti gli oggetti per la pulizia o altro che non vuoi tenere a vista (ibid. ) . 1.

Fuori dalle indicazioni della pubblicazione di Rebibbia, una delle pratiche più note e rischiose delfai da te carcerario è, poi, quella del tatuarsi in cella. Proibito dal regolamento interno degli istituti penitenziari per motivi sanitari e di igiene, basti ricordare in proposito i numeri del contagio da vi­ rus dell'epatite C e H IV, il tatuaggio viene, ancora oggi, frequentemente rea­ lizzato da detenuti ad altri detenuti, nei momenti di minore sorveglianza da parte degli agenti. Incidersi la pelle in questi contesti assume dei significati precisi: ci si ri­ appropria del corpo, si scambiano favori, si definisce una vecchia o nuova "appartenenza" a gruppi o clan, oppure si trascorre il tempo o più tristemen­ te si cerca di alleviare o coprire con il dolore fisico quello più profondo. I simboli prescelti parlano di arte, psicologia, antropologia. Quelli più comu­ ni sono nomi e riferimenti ad affetti (mamma, moglie, figli), immagini re­ ligiose (volti di santi, corone, crocifissi), animali associati ali' idea di libertà

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(farfalla, aquila), la croce o la bara per trasmettere un messaggio di omertà, i tribali. Ci sono simboli, poi, che solo i boss o gli affiliati di un certo clan possono sfoggiare (armi specifiche, teste di animali, insetti). Ve ne sono al­ cuni minuscoli ma fortemente identificativi come il puntino vicino all'o­ recchio ("non sento"), quello vicino alla bocca ("non parlo"), i cosiddetti cinque punti della malavita, i quattro punti con uno al centro ad indicare la condizione di detenuto ("io tra quattro mura"), i simboli che richiama­ no specifiche sostanze stupefacenti (ad esempio l'eroina viene rappresentata con una "E" rovesciata) ecc. Generalmente, per realizzarli sono necessari pochi strumenti non diffi­ cilmente reperibili nell'ambiente della detenzione come la cannuccia di una penna, un ago per cucire e il meccanismo interno del walkman. Si utilizza un pentolino (preferibilmente di rame), si bruciano con l'accendino delle lamette per ricavarne la china. Il fumo che la lametta emana rimane sul fon­ do del pentolino, recuperandolo lo si dispone in un piccolo contenitore e lo si mescola a una ridotta quantità di bagnoschiuma, di sapone o shampoo. A questo punto è possibile cominciare ad incidere la figura prescelta sul corpo. Il colore ricavato è un nero-blu con sfumature verdi, che conferisce al tatuag­ gio una sorta di monocromia facilmente riconoscibile all'esterno come un motivo realizzato in carcere. In conclusione, come si può riportare equilibrio nella vita di una perso­ na o aiutarla a costruirlo per la prima volta? Il brutto molte persone, prima di arrivare in carcere e anche attraverso il carcere, lo conoscono bene. Magari sanno destreggiarsi e trovare soluzioni fino ad estremizzare capacità e limiti, ciò a cui sono meno avvezzi è la bellezza in tutte le sue sfumature. Aiutare il detenuto a prendersi cura realmente della propria interiorità e della propria esteriorità non sono canali disgiunti o, peggio ancora, inutili orpelli di una pena che, spesso però, non sa fare altro che punire.

Appendice 3 "Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli internati". Allegato al decreto del ministero della Giustizia s dicembre 2 0 1 2

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Diritti e doveri : quadro normativo Con decreto del ministero della Giustizia del 5 dicembre 201 2 è stato stabi­ lito il contenuto della "Carta dei diritti e dei doveri dei detenuti e degli in­ ternati" di cui all'art. 69, comma 2°, D.P.R. 30 giugno 2000, n. 230, Regola­

mento recante norme sull 'ordinamento penitenziario e sulle misure privative e limitative della liberta, come modificato dal D.P.R. del 5 giugno 2012, n. 136.

La Carta è consegnata a ciascun detenuto o internato - nel corso del pri­ mo colloquio con il direttore o con un operatore penitenziario ali'atto del suo ingresso in istituto - per consentire il migliore esercizio dei suoi diritti ed assicurare la maggiore consapevolezza delle regole che conformano la vita nel contesto carcerario. Al fine di consentire ai famigliari di prenderne conoscenza, la Carta è pubblicata sul sito internet http: / /www.giustizia.it e una copia è a disposi­ zione per la consultazione nella sala colloqui di ogni singolo istituto. Al detenuto, oltre alla Carta, sono consegnati gli estratti della legge 26 luglio 1 9 7 5, n. 3 54, Norme sull 'ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della liberta, del decreto del presidente del­ la Repubblica 30 giugno 2000, n. 230, Regolamento recante norme sull 'ordi­ namento penitenziario e sulle misure privative e limitative della liberta, del regolamento interno dell'istituto e delle altre disposizioni, anche sovrana­ zionali, attinenti ai diritti e ai doveri del detenuto e dell'internato, alla disci­ plina e al trattamento penitenziario, tra cui la "Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali': Contestual­ mente viene indicato al detenuto il luogo ove è possibile consultare i testi integrali delle predette norme. 1. Ingresso dalla libertà. L'ingresso in istituto è curato dal personale di Po­ lizia penitenziaria preposto all'Ufficio matricola. Il detenuto ha il diritto

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di avvertire i propri famigliari, sia in caso di provenienza dalla libertà, sia in caso di trasferimento da altro istituto. Il detenuto ha diritto di nominare uno o due difensori di fiducia (in mancanza, gli viene nominato dal magistrato un difensore di ufficio) . Inoltre, salvo che l'Autorità giudiziaria ponga al momento dell'arresto un divieto (che non può essere superiore a s giorni), il detenuto ha diritto ad avere colloqui con il proprio difensore sin dal momento dell'ingresso e per tutta la permanenza in carcere, negli orari e con le modalità stabilite, facen­ done richiesta attraverso l'Ufficio matricola. Il detenuto è sottoposto al prelievo delle impronte digitali e alla perqui­ sizione e deve consegnare denaro, orologio, cintura e oggetti di valore. Deve anche sottoporsi a visita medica e psicologica durante la quale po­ trà riferire eventuali problemi di salute, dipendenze, intolleranze e necessità di assunzione di farmaci. Egli può chiedere di non convivere con altri detenuti per motivi di tutela della propria incolumità personale. 2. Vita quotidiana. Gli istituti penitenziari devono essere dotati di locali per le esigenze di vita individuale e di locali per lo svolgimento delle attività in comune, locali che devono essere di ampiezza sufficiente, areati e riscalda­ ti, e muniti di servizi igienici riservati. Il detenuto ha diritto di ricevere biancheria, vestiario e corredo per il let­ to; deve averne cura e provvedere alla pulizia della cella e al decoro della sua persona. Gli è assicurata la possibilità di fare la doccia e di fruire di un perio­ dico taglio di barba e capelli. Ciascun detenuto o internato ha diritto di permanere ali'aperto almeno per due ore al giorno o, in determinati regimi di custodia, per un tempo più breve ma non meno di un'ora. Il detenuto o internato ha diritto a un'alimentazione sana e adeguata alle proprie condizioni. Ha diritto a tre pasti al giorno, somministrati negli orari stabiliti dal re­ golamento interno di istituto. Ha diritto di avere a disposizione acqua potabile e di utilizzare, nel ri­ spetto delle regole di sicurezza, un fornello personale. E pure consentito l'acquisto, a proprie spese, di generi alimentari e di conforto (cosiddetto "sopravvitto") ed è garantito il diritto di ricevere dall'e­ sterno analoghe merci in pacchi, ma entro limiti di peso prefissati. Una rappresentanza dei detenuti controlla sia la preparazione del vitto che i prezzi dei generi venduti in istituto.

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Sono salvaguardati il diritto alla salute e l'erogazione delle prestazioni di prevenzione, diagnosi, cura e riabilitazione, previste nei livelli essenziali e uniformi di assistenza. I servizi disponibili all'interno di ciascun istituto sono indicati nella Carta dei servizi sanitari per i detenuti e gli internati. E riconosciuto il diritto di praticare il proprio culto, di fruire dell'assistenza spirituale del cappellano cattolico e di partecipare ai riti religiosi nelle cappelle cattoliche o nei locali adibiti ai culti acattolici. 3. Doveri di comportamento. Il detenuto deve osservare le norme che re­ golano la vita dell'istituto e le particolari disposizioni impartite dal persona­ le di Polizia penitenziaria. Le infrazioni disciplinari (tra cui la negligenza nella pulizia e nell'ordi­ ne, il volontario inadempimento di obblighi lavorativi, il possesso o traffico di oggetti non consentiti, denaro e strumenti atti ad offendere, le comuni­ cazioni fraudolente con l'esterno o ali' interno, le intimidazioni o sopraffa­ zioni, i ritardi nel rientro e tutti i fatti previsti dalla legge come reato) sono sanzionate - secondo la loro gravità - con il richiamo, l'ammonizione, I'e­ sclusione dalle attività ricreative e sportive ( fìno a un massimo di dieci gior­ ni) , l'isolamento durante la permanenza all'aria aperta (per non più di dieci giorni) e l'esclusione dalle attività in comune (fìno a un massimo di quindici giorni) . Il detenuto ha l'obbligo di sottoporsi a perquisizione tutte le volte che sia necessario per motivi di sicurezza. Egli ha diritto a non subire mezzi di coercizione fisica a fini disciplinari ( quali l'uso delle manette) e può proporre reclamo al magistrato di Sorve­ glianza in ordine alle condizioni di esercizio del potere disciplinare. Più in generale, egli può proporre reclamo al magistrato di Sorveglianza per far valere i diritti riconosciuti dalla legge penitenziaria, e può rivolgersi per ogni tipo di doglianza al direttore dell'istituto, agli ispettori, al ministro della Giustizia, al magistrato di Sorveglianza, alle Autorità giudiziarie e sa­ nitarie in visita all'istituto, al presidente della Giunta regionale e al Capo dello Stato. 2

Istruzione e attività culturali, sportive e ricreative Negli istituti penitenziari si svolgono corsi scolastici a livello di scuola d'ob­ bligo e di scuola secondaria superiore.

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Istruzione e attività culturali. I detenuti possono ricevere un sussidio giornaliero, nella misura determinata con decreto ministeriale, per la fre­ quenza ai corsi di istruzione secondaria di secondo grado. Ai detenuti che seguono corsi di istruzione secondaria di secondo gra­ do o corsi universitari, e che hanno superato tutti gli esami di ciascun anno, vengono rimborsate, qualora versino in disagiate condizioni economiche, le spese sostenute per tasse, contributi scolastici e libri di testo, e viene corri­ sposto un premio di rendimento. Ai detenuti che si sono distinti per particolare impegno e profitto nei corsi scolastici e di addestramento professionale sono concesse ricompense. E altresì consentita la possibilità di svolgere la preparazione da privatista per il conseguimento del diploma di scuola secondaria superiore e della laurea universitaria. Gli istituti sono forniti di una biblioteca, alla cui gestione collaborano gli stessi detenuti. L'accesso ai locali della biblioteca delle rispettive sezioni avviene in giorni ed orari stabiliti nel regolamento interno di istituto. Nell'istituto vengono organizzate attività culturali, sportive e ricreative che fanno parte del trattamento rieducativo. La loro organizzazione è curata da una commissione composta dal direttore, da uno o più educatori, da uno o più assistenti sociali e da una rappresentanza di detenuti. Per partecipare ai corsi e alle altre attività è sufficiente una richiesta scritta. Durante la permanenza ali' aperto è consentito ai detenuti lo svolgimen­ to di attività sportive. 2. Lavoro. Il lavoro è uno degli elementi fondamentali del trattamento car• cerar10. I detenuti imputati possono partecipare, a loro richiesta, ad attività lavo­ rative, sia ali' interno dell'istituto ( cuciniere, barbiere, magazziniere . . . ) che ali'esterno. Il lavoro all'esterno è una modalità di esecuzione della pena: per i con­ dannati per reati comuni è applicabile senza alcuna limitazione, per i con­ dannati alla pena della reclusione per delitti particolari è applicabile dopo l'espiazione di 1 / 3 della pena e per i condannati ali'ergastolo è applicabile dopo l'espiazione di almeno 10 anni. Il magistrato di Sorveglianza approva il provvedimento del direttore dell'istituto e indica le prescrizioni cui attenersi. I condannati e gli internati sottoposti alle misure di sicurezza della colonia agricola e della casa di lavoro hanno l'obbligo di prestare attività lavorativa. La mercede è stabilita in misura non inferiore ai due terzi del trattamen­ to economico previsto dai contratti collettivi di lavoro.

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Ricompense: i detenuti e gli internati che si sono distinti per particolare impegno nel lavoro, nello studio, nell'aiuto prestato agli altri o in atti meri­ tori, sono premiati con l'encomio del direttore o con la proposta - formula­ ta dal Consiglio di disciplina - di concessione della grazia, della liberazione condizionale, della revoca anticipata della misura di sicurezza o di altri be­ nefici. Trasferimenti: le istanze di trasferimento devono essere rivolte, tramite il direttore dell'istituto, al Provveditore regionale quando è chiesto il trasfe­ rimento in un carcere dello stesso distretto, ovvero al Dipartimento dell'am­ ministrazione penitenziaria del ministero della Giustizia quando si chiede il trasferimento in un carcere fuori dalla circoscrizione. ' E favorito il criterio di destinare i detenuti ad istituti prossimi alla residenza delle famiglie. I detenuti hanno il diritto a non essere trasferiti d'ufficio se non per gra­ vi e comprovati motivi di sicurezza, per esigenze dell'istituto e per motivi di • • • g1ust1z1a. Peculio e gestione dei rapporti economici con le istituzioni: è vietato il possesso di denaro; le somme di cui il detenuto dispone al momento dell' in­ gresso in istituto e quelle che successivamente riceve tramite vaglia postale o con deposito in portineria ( peculio), sono depositate e possono essere libe­ ramente destinate dal detenuto ali'acquisto di prodotti, per la corrisponden­ za o per comunicazioni telefoniche. Il detenuto è obbligato al pagamento delle spese di mantenimento, com­ prensive del costo dei pasti e dell'uso del corredo personale fornito dall'Am­ ministrazione penitenziaria (materasso, lenzuola, piatti, posate ecc.). Su istanza del detenuto, il magistrato di sorveglianza può disporre la re­ missione del debito in caso di difficoltà economiche, se l'interessato ha man­ tenuto una buona condotta. Rapporti con la società esterna: i detenuti e gli internati hanno il diritto di avere colloqui visivi con i famigliari o con persone diverse (quando ricor­ rono ragionevoli motivi), oltre che con il difensore e con il garante dei diritti dei detenuti. Durante il colloquio, che si svolge in appositi locali senza mezzi divisori e sotto il controllo visivo e non auditivo del personale di Polizia penitenzia­ ria, il detenuto deve tenere un comportamento corretto; in caso contrario, può essere escluso dai colloqui. Ogni detenuto in regime ordinario ha diritto a sei colloqui al mese, ciascuno per un massimo di un'ora e con non più di 3 persone per volta. Il detenuto ha pure diritto a colloqui telefonici con i famigliari e convi­ venti, e in casi particolari (per accertati motivi) con persone diverse; tali col-

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loqui sono concessi una volta a settimana per la durata massima di 10 minuti ciascuno, nonché al rientro in istituto dal permesso o dalla licenza. Le spese sono a carico del detenuto. Regole più restrittive sono previste per i regimi speciali. La richiesta deve essere indirizzata, per gli imputati, all'Autorità giudi­ ziaria che procede; per i condannati (anche con sentenza di primo grado) e per gli internati, invece, essa va inoltrata al direttore dell'istituto. La corrispondenza può essere ricevuta in carcere senza limitazioni nel re­ gime ordinario; quella indirizzata dal detenuto a difensori, o a membri del Par­ lamento, rappresentanze diplomatiche o consolari del paese di appartenenza, organismi di tutela dei diritti umani, non può subire limitazione alcuna. Ogni detenuto può ricevere quattro pacchi mensili non eccedenti i 20 kg, sia in occasione dei colloqui, sia se siano stati spediti per posta qualora nei quindici giorni precedenti egli non abbia fruito di alcun colloquio visivo. E assicurata la relazione dei detenuti con le proprie famiglie. Ai famigliari deve essere comunicato il trasferimento ad altra struttura detentiva. Il detenuto ha il diritto di indicare i famigliari ai quali vuole sia data tem­ pestiva notizia in caso di decesso o grave infermità, ed in relazione ai quali vuole ricevere le medesime notizie. I detenuti e gli internati hanno il diritto di esercitare il voto in occasione di consultazioni elettorali in un seggio speciale, previa dichiarazione della volontà di esprimerlo, indirizzata entro il terzo giorno antecedente la vota­ zione al sindaco del luogo ove si trova l'istituto. E consentito usare un apparecchio radio personale, nonché computer e lettori di dvd, per motivi di studio o di lavoro.

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Misure p remiali Permessi: i permessi sono parte integrante del programma di trattamen­ to, perché consentono di coltivare interessi affettivi, culturali e di lavoro. Possono essere concessi dal magistrato di sorveglianza permessi premio ai condannati che non risultino socialmente pericolosi, se hanno tenuto una condotta regolare ed hanno già espiato una parte considerevole della pena. I permessi premio non possono avere una durata superiore a 1 5 giorni e non possono essere concessi per più di 45 giorni complessivi in un anno. Sono stabilite limitazioni ed esclusioni in relazione ai condannati per reati gravi e a coloro i quali sono evasi o hanno avuto la revoca di una misura alternativa.

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Nel caso di imminente pericolo di vita di un famigliare o di un convi­ vente, il giudice che procede o il magistrato di sorveglianza può concedere agli imputati, ai condannati e agli internati il permesso di recarsi a visitare l'infermo. Il detenuto che senza giustificato motivo non rientra in istituto allo sca­ dere del permesso è punito in via disciplinare se l'assenza si protrae per oltre 3 ore e non più di 12; negli altri casi è punibile per il reato di evasione. In caso di diniego del permesso, il detenuto può proporre reclamo entro termini brevissimi. 2. Liberazione anticipata: il magistrato di sorveglianza può concedere ai detenuti condannati la liberazione anticipata, che consiste in una riduzione di pena pari a 45 giorni per ogni 6 mesi di pena espiata. Il beneficio della liberazione anticipata compete soltanto a chi ha tenuto una regolare condotta ed ha partecipato alle attività di osservazione e trat­ tamento. ' E riconosciuto anche per il periodo trascorso in custodia cautelare ed agli arresti domiciliari. Può essere concesso, dietro analoghe condizioni, an­ che in relazione alla misura dell'affidamento in prova al servizio sociale. Avverso la decisione del magistrato di sorveglianza può essere proposto motivato reclamo al tribunale di sorveglianza entro 10 giorni dalla notifica del rigetto. 3. Misure alternative alla detenzione: a ) affidamento in prova al servizio sociale: se la condanna o il residuo della pena è inferiore a tre anni, il detenuto, in base ai risultati dell'osservazione della sua personalità, può essere affidato al servizio sociale per il periodo di pena ancora da scontare, durante il quale egli verrà seguito dall' Ufficio ese­ cuzione penale esterna. L'istanza di affidamento è rivolta al magistrato di sorveglianza e la misu­ ra può essere concessa dal tribunale di sorveglianza. Lo stesso tribunale di sorveglianza, se accerta l'esito positivo del periodo trascorso in affidamento, dichiara l'estinzione della pena e di ogni altro ef­ fetto penale della condanna. La persona tossicodipendente e/ o alcoldipendente, con condanna o re­ siduo di pena inferiori a 6 anni (4 anni per reati particolari), che abbia in corso un programma di recupero o che ad esso intenda sottoporsi (d'accor­ do con il servizio tossicodipendenze della sua AU S L) può beneficiare dell'af­ fidamento "terapeutico". La misura dell'affidamento non può essere concessa più di due volte.

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b) detenzione domiciliare: il Tribunale di sorveglianza concede la deten­

zione domiciliare a chi ha compiuto 7 0 anni, se non è stato dichiarato delin­ quente abituale, professionale o per tendenza e non è recidivo reiterato. Possono ottenere la stessa misura, per una pena o un residuo di pena in­ feriore ai quattro anni, la donna in stato di gravidanza, la madre o il padre con prole convivente di età inferiore ai 10 anni, la persona in particolari con­ dizioni di salute o di età anagrafica superiore ai 60 anni (se inabile) o inferio­ re ai 21 anni; la persona con una pena o residuo di pena inferiore ai due anni. e) esecuzione presso il domicilio delle pene detentive non superiori a di• • c1otto mesi: Oltre ai casi anzidetti, la legge prevede che la pena detentiva non supe­ riore a diciotto mesi - anche se parte residua di pena maggiore - sia eseguita presso l'abitazione o altro luogo di dimora, salvo che si tratti di soggetti con­ dannati per i reati gravi di cui all'art. 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354. La madre con prole di età non superiore a 10 anni, qualora abbia espiato un terzo della pena (15 anni se la pena è quella dell'ergastolo), può benefi­ ciare dell'esecuzione presso il domicilio se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli. d) semilibertà: la semilibertà consente al condannato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. E concessa dal tribunale di sorveglianza a chi è: - sottoposto ad una misura di sicurezza; - condannato ali'arresto o alla reclusione non superiore a 6 mesi; - condannato ad una pena superiore ai 6 mesi ed abbia scontato metà pena (2/3 per i reati più gravi indicati ali'art. 4-bis, comma 1 ° O P ) ; - condannato all'ergastolo ed abbia scontato 26 anni di detenzione. e) liberazione condizionale: la liberazione condizionale può essere conces­ sa a chi ha scontato almeno 3 0 mesi e comunque almeno metà della pena in­ flitta, qualora il rimanente della pena non superi i s anni (se recidivo almeno 4 anni di pena e non meno di 3/4; se si tratta di condannato all'ergastolo, gli anni scontati devono essere almeno 26). Per ottenere il beneficio bisogna aver tenuto, durante il tempo di ese­ cuzione della pena, un comportamento tale da far ritenere sicuro il ravve­ dimento. La liberazione è subordinata ali'adempimento delle obbligazioni civili derivanti dal reato, salvo che si dimostri l'impossibilità di adempierle. j) sospensione dell'esecuzione della pena detentiva per tossicodipendenti o alcoldipendenti: il Tribunale di sorveglianza può sospendere l'esecuzione della pena per cinque anni a colui che deve scontare una pena o un residuo

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pena non superiore a 6 anni ( 4 se condannati per reati particolari) per reati commessi in relazione allo stato di tossicodipendenza/ alcoldipendenza e si è sottoposto con esito positivo ad un programma terapeutico e socio-riabili­ tativo presso una struttura pubblica o autorizzata ai sensi di legge.

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Re gimi di detenzione sp eciali a) Regime di sorveglianza particolare: può essere disposto dal Dipartimen­

to dell'amministrazione penitenziaria ( di propria iniziativa o su segnalazio­ ne del direttore o dell'autorità giudiziaria con parere favorevole del Consi­ glio di disciplina) in relazione a reiterati comportamenti offensivi dell'ordi­ ne e della sicurezza negli istituti penitenziari. Esso comporta particolari restrizioni che riguardano l'accesso alle attivi­ tà lavorative e alle attività in comune, la corrispondenza epistolare e telefo­ nica, la detenzione di oggetti normalmente consentiti. Le restrizioni non possono riguardare l'igiene e le esigenze della salute, il vitto, il vestiario ed il corredo, la lettura di libri e periodici, le pratiche di culto, l'uso di apparecchi radio del tipo consentito, la permanenza all'aperto per almeno un'ora al giorno, i colloqui con i difensori nonché quelli con il coniuge, il convivente, i figli, i genitori e i fratelli. Avverso il provvedimento del Dipartimento dell'amministrazione pe­ nitenziaria può essere proposto reclamo al Tribunale di sorveglianza nel ter­ mine di dieci giorni. b) Regime dei condannati per particolari delitti: i detenuti e internati per i gravi delitti elencati nell'art. 4-bis legge 3 54/ 1 9 7 5 ( vedi Glossario) possono usufruire di non più di quattro colloqui visivi e due colloqui telefonici al mese, e subiscono limitazioni nell'applicazione dei benefici dell'assegnazio­ ne al lavoro all'esterno e alle attività culturali e sportive, dei permessi premio e delle misure alternative. e) Isolamento continuo: è ammesso per ragioni sanitarie nei casi di malat­ tia contagiosa ; può essere disposto durante l'esecuzione della sanzione della esclusione dalle attività in comune (con divieto di comunicare con gli altri) , nonché durante l'istruttoria penale e nel procedimento di prevenzione quan­ do sia ritenuto necessario dall'autorità giudiziaria. Sono assicurati il vitto or­ dinario e la normale disponibilità di acqua, nonché i controlli medici. I detenuti in isolamento possono comunque ricevere la visita delle au­ torità politiche, giudiziarie, amministrative e religiose indicate nell'art. 67 della legge 3 54/ 1 9 7 5.

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d) sospensione temporanea delle normali regole di trattamento: il mini­ stro della Giustizia, in casi eccezionali di rivolta o di altre gravi situazioni di emergenza, ha facoltà di sospendere nell'istituto interessato o in parte di esso l'applicazione delle normali regole di trattamento dei detenuti e degli internati al fine di ripristinare l'ordine e la sicurezza e per il tempo stretta­ mente necessario a tale fine. Il ministro della Giustizia ha altresì la facoltà di sospendere, in tutto o in parte, l'applicazione delle normali regole di trattamento nei confronti dei detenuti o internati per delitti commessi per finalità di terrorismo o di ever­ sione dell'ordine democratico, o per delitti di associazione di tipo mafioso, in relazione ai quali vi siano elementi tali da fare ritenere la sussistenza di collegamenti con un'associazione criminale, terroristica o eversiva. La sospensione comporta le restrizioni necessarie ad impedire i contatti con le organizzazioni criminali (un solo colloquio al mese con famigliari e conviventi, con controllo auditivo e registrazione - fatta eccezione per i col­ loqui difensivi; limitazione di somme e beni ricevuti dall'esterno, esclusione dalle rappresentanze, sottoposizione a visto di censura della corrisponden­ za, limitazione della permanenza all'aperto); ha durata pari a quattro anni, prorogabile per successivi periodi di due anni. I detenuti sottoposti al regi­ me speciale di detenzione devono essere ristretti all'interno di istituti a loro esclusivamente dedicati o comunque all'interno di sezioni speciali e logi­ sticamente separate dal resto dell'istituto, custoditi da reparti speciali della Polizia penitenziaria. Avverso il provvedimento applicativo può essere proposto reclamo al Tribunale di sorveglianza di Roma, nel termine di venti giorni dalla comu• • n1caz1one. Il detenuto o internato in regime di 41-bis legge 354/1975 partecipa alle udienze a distanza, con le modalità previste dall'art. 1 46-bis delle norme di attuazione del c.p.p. e) detenute gestanti, puerpere e madri con prole: non può essere disposta né mantenuta la custodia cautelare in carcere nei confronti di donne incinte o madri con prole di età non superiore ai sei anni, salvo che sussistano esi­ genze cautelari di eccezionale rilevanza. L'esecuzione penale è differita nei confronti di donne incinte o madri di infanti di età inferiore a un anno; può altresì essere differita l'esecuzione penale nei confronti di madri con prole di età inferiore ai tre anni; l'esecu­ zione della sanzione della esclusione dalle attività in comune è sospesa nei confronti delle donne gestanti e delle puerpere fìno a sei mesi e delle madri che allattano la propria prole fino a un anno; le condannate e le internate possono essere ammesse alla cura e all'assistenza all'esterno dei figli di età

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non superiore a dieci anni; è assicurata alle gestanti e alle madri con bambini assistenza adeguata di medici specialisti, ostetriche e operatori in puericul­ tura e le detenute sono ospitate in luoghi adeguati. j) detenuti stranieri: hanno il diritto di chiedere che le autorità consolari del loro paese siano informate dell'arresto, di ricevere l'estratto delle norme nella propria lingua, di effettuare telefonate e colloqui con l'ausilio di un • interprete. Hanno il diritto di soddisfare le proprie abitudini alimentari e le loro esigenze di vita religiosa e spirituale. I detenuti stranieri che devono scon­ tare una pena, anche residua, inferiore ai due anni, hanno il diritto di essere espulsi verso il loro paese di origine. Con la condanna penale può essere applicata la misura di sicurezza dell'espulsione, eseguita dopo aver scontato la pena detentiva. In ogni caso non può essere espulso il detenuto che nel suo paese di provenienza rischia di subire persecuzioni per motivi razziali, politici, religiosi, di sesso, lingua, cittadinanza ecc. Il detenuto può chiedere il trasferimento nel paese di cui è cittadino per scontare la condanna (superiore a sei mesi) subita in Italia; la relativa richie­ sta va presentata al ministero della Giustizia italiano oppure, se il fatto co­ stituisce reato in entrambi i paesi, al ministero della Giustizia dello Stato di cui è cittadino. g) dimissione: i detenuti e gli internati ricevono un particolare aiuto nel periodo di tempo che immediatamente precede la loro dimissione dall' isti­ tuto, con interventi di servizio sociale e con un programma di trattamento orientato alla soluzione dei problemi specifici connessi alle condizioni di vita a cui dovranno andare incontro. La dimissione ha luogo nel giorno indicato nel relativo provvedimento, a meno che non debba seguire una misura di sicurezza detentiva. Ali'atto della dimissione vengono consegnati ali' interessato il peculio e gli altri og­ getti di sua proprietà. Seguono in allegato ali' interno del documento, peraltro distribuito in tutte le lingue, il Glossario e le Fonti del Diritto penitenziario.

Appendice 4 Il documento finale degli Stati generali sull'esecuzione penale

Sull'onda dei provvedimenti adottati dopo la condanna inflitta all'Italia dalla Corte europea dei diritti dell'uomo per trattamento inumano e degra­ dante di persone detenute, il ministero della Giustizia ha convocato nella primavera 2015 gli Stati generali sull'esecuzione penale. Con questa inizia­ tiva si è voluto non solo avviare un percorso di studio a 360 gradi sulla re­ altà carceraria nel Paese, sottraendola al cono d'ombra in cui è relegata, ma anche costituire un laboratorio di idee e di proposte per una revisione e un aggiornamento della normativa attuale che, a quarant'anni dalla sua defini­ zione, mostra un'evidente distanza tra dichiarazioni di principio e pratica quotidiana. I lavori degli Stati generali sono durati circa un anno, coinvolgendo in diciotto distinti tavoli tematici oltre duecento esperti di differenti discipli­ ne. I risultati sono stati riassunti in un documento finale, presentato il 18 e il 19 aprile 2016 nella Casa circondariale Rebibbia a Roma e messo a dispo­ sizione del Parlamento nel quadro del progetto di riforma del sistema peni­ tenziario contenuto, in forma di delega, nel disegno di legge riguardante il processo penale. Un contributo per la società civile e i legislatori realizzato - si sottolinea nel testo - da (p. 8) per individuare i tratti qualificanti , da svolgersi una volta all'anno aprendo le porte dei penitenziari