Donne e uomini contro il maschilismo 1028079414, 9788885562134


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Donne e uomini contro il maschilismo
 1028079414, 9788885562134

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A LT E R N AT I V E

A LT E R N AT I V E

Mariana Camps

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© 2021 Prospettiva Edizioni services & publishing srl sede legale località Casa al Dono 96 - 50066 Reggello (Fi) telefono 055 8622714 ccp 1028079414 www.prospettivaedizioni.it [email protected] [email protected]

traduzione di Sara Rodríguez Carreño progetto grafico Paola Di Michele copertina Francesca La Sala in copertina: Paul Gauguin, Tre tahitiani (particolare), 1899 finito di stampare nel mese di novembre 2021 presso GECA, San Giuliano Milanese (Mi) telefono 02 99952 stampato in Italia - printed in Italy ISBN 9788885562134

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Alle donne e agli uomini comuni che sono stati in prima fila nell’impegno di cura contro la pandemia A Violeta e a Lucio

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INDICE Introduzione

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NAtI per VIVere INsIeme Che genere di cooperazione Un riconoscimento naturale ma insufficiente La prima differenza: problema o ricchezza?

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IL roVesCIAmeNto deL moNdo Invidia originaria Addestramento al maschilismo patriarcato in declino violento

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per UNA NUoVA possIbILe ALLeANzA Genere femminile in testa «La libertà delle donne è anche la libertà degli uomini» scegliere di essere donne e uomini migliori

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Conclusioni

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Consigli di lettura

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INTRODUZIONE

tempo fa, mentre tornavo da un presidio che si era tenuto di fronte al Congresso di buenos Aires – il giorno in cui è stata approvata, dopo una lunga lotta, la legalizzazione dell’aborto –, mi sono detta: «Che conquista importante, che soddisfazione averla ottenuta dopo anni e anni di impegno di tante donne e che piacere aver condiviso questa conquista con le mie compagne!». ma ho anche pensato a quante macerie restano sul cammino, quante difficoltà bisogna ancora superare, in primo luogo nella coscienza delle donne, nella ricerca di libertà. Con tali riflessioni composite mi sono immersa nella scrittura di questo breve libro in cui cercherò di evidenziare alcune delle radici antropologiche di una possibile alleanza tra le donne e gli uomini contro il maschilismo, mettendo in luce il principale ostacolo da affrontare: l’instaurazione del patriarcato qualche migliaio di anni orsono, e di sbozzare alcune premesse e dei presupposti per una convivenza benefica. si tratta veramente di una sfida molto grande; il titolo di questo libro non pretende di offrire una «ricetta facile» ma

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propone di assumere sinceramente come punto di partenza un interrogativo, forse comune a tante persone, che senz’altro accompagna il mio impegno e quello delle mie compagne e dei miei compagni nella Corrente umanista socialista (Cus): è possibile che le donne e gli uomini si uniscano contro il maschilismo? possiamo superare insieme migliaia di anni di violenza, soprusi, denigrazioni che il genere femminile ha sofferto da parte del genere maschile? possiamo cercare insieme la felicità? Come contribuire a quest’obiettivo dal punto di vista ideale e pratico? In queste pagine cerco di affrontare un problema che attraversa la vita di tutte e tutti e che spesso sembra non avere soluzione. molte donne sono colte da una rabbia sempre più profonda per la violenza femminicida, ma tante sono prese dallo sconforto anche di fronte alle piccole prepotenze o insensibilità quotidiane, comprese quelle che vengono da uomini ben intenzionati o dai più cari. Come dicevo, la sfida è molto grande perché la situazione è grave, ma lo è anche e soprattutto perché esige uno sforzo di pensiero per trovare la visuale teoretica adeguata e la giusta postura: non possiamo limitarci a constatare il dramma né soltanto a criticare l’esistente. Vorrei trasmettere l’importanza di assumere una logica che ci aiuti a rin-

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introduzione

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tracciare i percorsi più intimi, quelli propriamente umani, perché se si impara a riconoscere quello che più profondamente e positivamente caratterizza la vita delle donne e degli uomini è possibile indirizzare meglio, scegliere meglio e cominciare a mettere le basi per una convivenza benefica. prima di tutto si tratta di avere chiari i punti di partenza, andare con decisione alla radice senza dare per scontate verità basilari e universali: siamo esseri umani, tutte e tutti componiamo la specie umana che è il termine maggiore. La specie umana è costituita da due generi, quello femminile e quello maschile, e ogni donna e ogni uomo è un individuo unico, differente dagli altri, che interpreta a suo modo, peculiare, il proprio essere femminile o maschile. Il genere femminile è la fonte prima di tutta l’umanità grazie alla sua capacità di generare e di educare: è il genere primo per ragioni esistenziali ed essenziali (come cercherò di argomentare). Questa primarietà è possibile rintracciarla in ogni aspetto della vita comune e contro di essa il patriarcato reagisce assumendo vecchi e nuovi volti. Non potremmo affrontare nessun dilemma di convivenza tra donne e uomini se disconoscessimo ciò, vale a dire l’umanità delle e dei protagonisti. Un’umanità immediatamente connotata dal punto di

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vista del genere: sempre femminile o maschile fin dalla nascita. riconoscere i generi della specie e riconoscersi parte di uno o dell’altro è un presupposto indispensabile per realizzare scelte di vita libere e autentiche. Queste possono sembrare verità ovvie ma nell’attualità per alcune persone, ahimè troppe in alcuni paesi occidentali, già non lo sono: da alcuni anni infatti è stata orchestrata e sta avanzando una brutale campagna di menzogne, ridicola e pericolosa, che consiste nel negare l’idea stessa di genere femminile – e di conseguenza maschile – o nel ridurla a una semplice autopercezione, persino momentanea, tra tante altre opzioni possibili. Il principale portavoce di questa campagna – che si basa e divulga pseudoteorie antropologicamente e biologicamente inconsistenti, confezionate da Judith butler e paul preciado tra gli altri – è il cosiddetto transfemminismo, che incarna una nuova offensiva patriarcale mettendo in pratica i deliri della pseudoteoria queer nell’unico modo possibile: attraverso la violenza verbale, gli attacchi fisici e la censura. secondo alcuni uomini malintenzionati, che dicono di essere donne perché così si «autopercepiscono», definire donna una persona con attributi femminili visibili sarebbe offensivo e discriminatorio verso coloro che si

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sentono donna senza avere questi attributi. pertanto, in virtù di questa considerazione, pretendono di imporre la cancellazione del termine «donna» così come i pronomi e le desinenze femminili e maschili e di sostituirli con termini o riferimenti fisici apparentemente neutri ma umanamente orrendi, quali «persone con un buco davanti», «persone mestruanti» o «corpi gestanti». Il malinteso linguaggio inclusivo, tanto di moda in Argentina e in altri paesi, è una specie di gergo decadente che rende un gran favore al patriarcato perché punta ad escludere nuovamente dal lessico le donne che per quasi due secoli hanno lottato per essere nominate e considerate nelle diverse forme di espressione orale e scritta. Alcune delle mie compagne della Corrente umanista socialista hanno detto e scritto con ragione che le proprie madri e nonne non avrebbero capito queste assurdità e ne avrebbero riso a crepapelle, non per mancanza di capacità di comprensione ma perché sarebbe risultato loro illogico mettere in discussione il proprio essere e il chiamarsi donne; ed è veramente così. Con la recente popolarizzazione delle pseudoteorie no gender a cui ho accennato sta diventando pericolosamente più problematico il processo di autoidentificazione umana, di per sé complesso e

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ostacolato da millenni dai poteri patriarcali oppressivi. I margini di scelta di qualunque persona nella conformazione della propria identità sono molto ampi ma per essere esplorati positivamente, al di fuori degli stereotipi imposti, è necessario riconoscere anche quello che non può essere scelto: ovvero che siamo esseri umani dell’uno o dell’altro genere fin dal giorno della nascita. Infiniti sono i modi di essere donne e uomini, tanti quante le persone che vivono, vivranno e hanno vissuto; però scoprire e interpretare questi modi è possibile solo partendo dalla propria umanità femminile o maschile – che è inseparabilmente l’umanità femminile e maschile degli altri e delle altre – per dispiegare le potenzialità insite in ogni essere. molte e molti, bimbe e bimbi e adolescenti, già stanno soffrendo per i frutti avvelenati di questa dissennata campagna ideologica, mentre aumentano i profitti di laboratori e di medici senza scrupoli grazie alla somministrazione di ormoni in età prematura a coloro che si sentono a disagio nel proprio corpo. penso che nella società maschilista e patriarcale nella quale viviamo provare malessere verso il proprio corpo durante l’infanzia e l’adolescenza sia una possibilità frequente perché gli stereotipi impediscono di

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esprimere e di realizzare liberamente le proprie emozioni e i propri sentimenti, i propri interessi, le vocazioni, gli stili. ma questo non dovrebbe essere un motivo per negare il proprio genere quanto piuttosto per liberarlo. Il disagio verso il proprio corpo è un sintomo del danno che il patriarcato ha provocato imponendo modelli di condotta e ruoli soffocanti: di questo bisogna liberarsi, non dei generi! È sempre più presente e urgente il bisogno di immaginare e progettare un’educazione stimolante e creativa nella prospettiva che ogni bimba e bimbo possa fin dall’inizio scoprire se stessa e se stesso mentre sperimenta, in un clima affettuoso, il valore delle qualità femminili, specialmente umane, per rispettarle e apprenderle. e così è fondamentale difendere il diritto di qualunque persona ad autodefinirsi liberamente, ma nessuno può fare del proprio autoritratto una ragione legittima per negare l’idea della specie umana, dei suoi generi, femminile e maschile, e quello che ne deriva per la crescita, le scelte e l’affermazione individuale, relazionale e collettiva. Non a caso il transfemminismo sta attaccando e cancellando gli spazi di libertà e di organizzazione che le donne hanno conquistato grazie a decenni e decenni di lotta, stanno impadronendosi delle sacrosante assemblee femminili e,

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quel che è peggio, ciò avviene con la complicità attiva di quei falsi femminismi che si sono completamente prostrati all’offensiva neopatriarcale. Questo ostacola la comprensione del fatto che siamo di fronte a una nuova e feroce reazione contro il protagonismo femminile, un nuovo attacco alle donne, pertanto a tutta l’umanità e alle sue possibilità di autoemancipazione. Una prova contundente di questo è la rapidità con la quale gli stati stanno cominciando a legiferare sull’autodefinizione dei generi. In Argentina esiste la legge sull’identità di genere dal 2012; c’è anche un progetto di modificazione di questa, sebbene non ancora discusso in parlamento, per impedire che nell’ambito pubblico e privato ci si riferisca alle persone alludendo al loro genere. In spagna si sta discutendo una legge ancora più grave, perché permetterebbe l’assunzione di ormoni a minori di 18 anni senza autorizzazione dei genitori, che per fortuna sta incontrando l’opposizione di settori crescenti dell’opinione pubblica e di settori femministi. Quanto tempo manca perché gli stati arrivino a decidere per legge chi possa definirsi umano? Che cosa ci ricorda questo? Chi in passato ha sancito nei propri codici che alcuni umani fossero considerati tali, mentre altri fossero condannati alla subumanità, se non i nazisti?

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tornando al titolo di questo libro, non può iniziare nessuna buona convivenza senza fare i conti con questo attacco ideologico feroce. Non può esserci nessuna alleanza con coloro che, in nome di una presunta lotta contro le discriminazioni, fanno il gioco del patriarcato negando le donne e le loro potenzialità, la loro lotta storica e le condizioni in cui vivono per colpa dell’oppressione patriarcale maschilista. perché negando i generi si negano e si relativizzano anche le responsabilità dei maschi in questa oppressione. Impegnarsi dunque per un’alleanza benefica contro il patriarcato implica unirsi anche contro queste aberrazioni in una lotta senza quartiere. È necessario affermare con più chiarezza che mai: una specie, due generi. riconoscere ciò è una premessa imprescindibile per chi aspira a che l’umanità viva meglio e quindi prospetti un cambio positivo nelle relazioni tra i generi. dal momento che su questi temi sono tanti gli ostacoli ideologici che nuocciono alla comprensione e alla chiarezza, vorrei ribadire d’entrata alcuni aspetti relativi al mio punto di vista sui generi avvalendomi delle elaborazioni della Corrente umanista socialista. Quella di genere è un’idea chiave e utile dal punto di vista

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autoemancipatorio sempre e quando si prenda come punto di partenza l’umanità, in generale e la propria, per comprenderla e migliorarla. secondo la visione antropologica umanista socialista non è possibile separare la categoria di genere da quella di specie né viceversa, ma il termine maggiore è la specie: i generi, femminile e maschile, si inquadrano nella specie e al tempo stesso la costituiscono. d’altronde parlare di generi significa parlare di biologia, perché la prima differenziazione in senso cronologico si manifesta su questo piano: comincia dai presupposti fisici e fisiologici umani con le sue distinzioni femminili e maschili; si potrebbe dire che sia il maschile a distinguersi dal femminile perché nelle prime 8 settimane dell’esistenza qualsiasi embrione umano è femminile e questa matrice lascia tracce in tutti gli individui lungo il corso dell’intera vita. La biologia è il bandolo della matassa, la prima dimensione dell’esistenza: da lì cominciamo, è l’inizio fondante della nostra definizione di specie, così come della differenziazione in due generi, niente di più e niente di meno. però anche la dimensione biologica umana non è solo fisico-chimica: c’è un di più qualitativo che ci rende umani, donne e uomini. siamo intrisi delle qualità essenziali che ci permettono di sentire, pensare e agire, progettando la vita

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con le altre e gli altri: qualità umane e inseparabilmente di genere che derivano dalla nostra fisicità ma che a propria volta l’attraversano, la stimolano, la qualificano, vanno al di là della fisicità senza separarsi da essa, al contrario sviluppandola. sono queste qualità essenziali che ci permettono di scegliere quali donne o uomini essere. Le idee di specie e di generi che percorrono questo libro considerano tale interezza corpo-mente. I generi compongono la nostra comune umanità differente e, come ho già detto, sono la prima differenza della nostra umanità, non la prima «frattura». La frattura tra i generi è arrivata abbastanza tardi nel percorso umano ovvero circa 5.000 anni fa rispetto ad una traiettoria lunga almeno 250.000 anni, secondo gli studi più recenti. Non era necessaria né inevitabile ed è credibile che fu indotta da una logica mortifera e proprietaria (patriarcale) incarnata da una minoranza di uomini frustrati e violenti. purtroppo l’idea che l’esistenza dei due generi sia sinonimo di conflitto ineludibile è fra le motivazioni che hanno alimentato la concezione secondo cui sarebbe necessario «superare» o ancora peggio negare i generi. Al contrario, come cercherò di spiegare nel I capitolo, le differenze di genere possono essere interpretate come una sfida e come una

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possibilità di arricchirci; per questo un altro aspetto fondamentale da tenere in conto è la vera estensione della storia e in particolare la lunghissima era precedente al patriarcato, un’era nella quale, come tante tracce rivelano, furono possibili comunità pacifiche le cui guide erano molto probabilmente gruppi di donne. Come tratterò nel II capitolo è contro questa guida femminile – più o meno presente, più o meno cosciente – che si affermò il patriarcato, i cui tratti generali permangono e continuano a mortificare le donne, i bimbi e perciò l’umanità tutta. L’intento del III capitolo è quello di delineare un’ipotesi di nuova convivenza benefica tra le donne e gli uomini partendo dalle tracce della lunga esperienza umana e delle potenzialità insite nelle essenze più profonde che questa rivela. * * * tutti i contenuti che sviluppo in questo testo sono ispirati e fanno riferimento alla Corrente di pensiero e di azione umanista socialista, alle sue idee e alle sue coordinate. sono state decisive opere come Fondamenti di un umanesimo socialista, esseri relazionali e sentimentali entrambi di dario renzi e L’origine femminile dell’umanità di sara morace

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con dario renzi. ma hanno sollecitato la mia riflessione anche vari testi di altre ispiratrici e altri ispiratori della Cus, nell’ambito della quale da quasi 20 anni mi impegno e grazie alla quale ho imparato che cercare il miglioramento della condizione umana è profondamente legato a indagare concretamente le potenzialità più intime delle persone e come queste qualità comuni, analoghe, si esprimano da un punto di vista di genere. tra questi testi vorrei sottolineare Il genere primo di martina Caselli. Allo stesso modo mi sono convinta che riconoscere la primarietà femminile sia un percorso vitale per la libertà e il bene di tutte e tutti e che da questa prospettiva possa potenziarsi la battaglia contro il maschilismo e possano chiarificarsi le autentiche e vere possibilità affinché le donne e gli uomini si uniscano in questo impegno, senza false illusioni in rapide «decostruzioni» maschili in assenza di riferimenti positivi teorici e pratici o saltando delle tappe. In modo inseparabile sono stati per me potenti e permanenti l’ispirazione e lo stimolo risultanti dall’esperienza decennale della Corrente da sempre in prima linea nella battaglia per coniugare la liberazione umana – oggi diremmo la ricerca dell’autoemancipazione – con la libertà delle donne e la lotta contro ogni tipo di maschilismo. È stato così in tutto il

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suo percorso e lo è attualmente anche perché La Comune in Italia, socialismo libertario nelle terre iberiche e Comuna socialista in Argentina – le organizzazioni che si riferiscono alla Corrente – costituiscono in modi differenti un’avanguardia in questo senso. di più, le nostre maestre e maestri dell’umanesimo socialista, a cominciare da sara morace e dario renzi suoi principali ispiratori, hanno rappresentato e rappresentano un esempio di vita; hanno sempre cercato di costruire ambiti animati da una visione secondo la quale la sorellanza sia un principio fondante e stimolante di una migliore comunanza tra donne e uomini, offrendolo a partire dal vissuto in prima persona. Il risultato è che, grazie a un lungo impegno che comprende profonde battaglie che vogliamo senz’altro proseguire, il rispetto per le donne è un fondamento non negoziabile di tutti gli aggregati collettivi della nostra Corrente e delle organizzazioni nelle quali tendenzialmente le compagne e i compagni riescono a realizzarsi sempre più in ragione delle proprie vocazioni e potenzialità. Questo si manifesta in modo particolare nel fatto che le donne si distaccano qualitativamente e quantitativamente per le loro capacità come ispiratrici e dirigenti senza che si impongano «quote rosa». tra queste esperienze va messa in evi-

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denza la segreteria de La Comune, dalla forte e cosciente impronta femminile, nella guida di una nuova organizzazione umana per l’autoemancipazione, e la comunanza-comunità che da più di 20 anni si sta conformando alla Casa della cultura di Vallombrosa (Firenze), della quale siamo soliti dire che non vige il patriarcato, ma continuiamo ancora e continueremo a fronteggiare gli elementi di maschilismo. Le sfide che ci siamo proposti in questo luogo ideal-tipico, cuore della nostra Corrente, sono così alte che ovviamente le difficoltà non mancano, ma altrettanto importante è la soddisfazione dell’impegno intrapreso in prima persona e assieme. I tempi di pandemia, che viviamo da un anno e oltre, sono stati leniti dall’impegno di tante persone solidali e ancora una volta le donne sono state in prima fila nella cura e nella progettazione della vita: a loro ho pensato e agli uomini più sensibili che mi hanno «accompagnato» mentre scrivevo. Infine i miei ringraziamenti vanno in particolare a dario renzi e sara morace perché sono stati i primi a credere nella possibilità che scrivessi questo libro, a propormelo e a guidarmi nella sua strutturazione; sono i miei maestri di vita e di impegno che mi hanno aiutato a scopri-

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re gran parte di quello che io posso essere e a sceglierlo. In special modo dario, che si è dedicato alla mia formazione complessiva negli ultimi 15 anni. A Carla Longobardo, ispiratrice della Corrente, investigatrice saggia dei temi di questo libro, esperta del lavoro editoriale, che mi ha aiutato a migliorarlo con suggerimenti e proposte fondamentali. A sara rodríguez per il contributo alla traduzione in italiano e a prospettiva edizioni, in particolare a Francesca Vitellozzi. Voglio dedicare anche un pensiero speciale alla mia maestra e sorella di elezione simona Cavalca, alla direzione di Comuna socialista (Ana Gilly, Ignacio russell, Julia rohastch e mario Larroca), alla mia amica e compagna Candela Chila e alla banda stimolante e contraddittoria con la quale quotidianamente condivido queste riflessioni e questo intento, la mia vita e il mio impegno, l’amore e l’amicizia. mC

buenos Aires, settembre 2021

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NATI PER VIVERE INSIEME

Che genere di cooperazione La nostra specie ha una storia segnata dalla cooperazione. molto più di quanto non si pensi e si sostenga. Vivere come esseri umani implica mutuo aiuto. eppure molte persone potrebbero avere dubbi su questa affermazione per quanto il peso della terribile permanenza delle guerre, della violenza e della distruttività sembri aver schiacciato gli aspetti migliori della nostra umanità. In effetti, siamo stati educati ed educate a credere che le caratteristiche fondamentali della nostra specie siano la competizione e la conflittualità. Non succede per caso, è negli interessi degli oppressori: secondo le visioni dominanti questi tratti sarebbero utili per il «progresso», giacché il tentativo di alcuni settori di prevalere sulla natura e sulle altre persone sarebbe il movente delle invenzioni tecnologiche più importanti, della creazione delle culture, delle forme di organizzazione, ecc. È innegabile che la sottomissione, la disuguaglianza e l’aggressività abbiano fortemente segnato le relazioni e le comunità umane negli ultimi 5.000 anni, ed è anche vero che questi fattori abbia-

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no spinto in avanti un certo tipo di invenzioni: innanzitutto hanno contribuito a rendere più efficaci le tecnologie di distruzione. tuttavia, sono state la ricerca di cooperazione e la pratica di reciprocità a motivare le creazioni più durature della storia, orientate e rivolte alla crescita e al benessere comune degli aggregati umani. È molto probabile ipotizzare che per la maggior parte del suo percorso l’emersione umana – ovvero il processo di affermazione costante della specie (cioè quella dell’Homo sapiens, comparsa, come ricordato, circa 250.000 anni fa) – sia stata segnata dalla collaborazione tra le donne e gli uomini. per millenni questa caratteristica fu l’impronta distintiva – non l’unica – delle relazioni e delle collettività umane. È verosimile l’ipotesi che per lunghi periodi di tempo durante il paleolitico e il neolitico, abbiano vissuto delle comunità tendenzialmente benefiche e ugualitarie nelle quali il genere femminile e il genere maschile condividevano la vita in maniera pacifica. Non c’erano le guerre, pur esistendo qualche grado di violenza, e le differenze non venivano interpretate in termini di gerarchizzazione oppressiva. L’era storica caratterizzata dal prevalere della logica bellica è recente e molto più breve in relazione all’ampiezza della vicenda della nostra specie. ma sono

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proprio i criteri bellici e patriarcali, il terrore e gli inganni, oltre alle abitudini sedimentate nella mentalità delle persone, che in gran parte ostacolano il riconoscimento di tutto questo. riscoprire dunque le impronte della cooperazione è un compito fondamentale che non implica soltanto immergersi nel passato. perché, malgrado la violenza sistematica scatenata negli ultimi millenni, queste orme si possono rintracciare ancor oggi in ogni aspetto dell’esistenza quotidiana. stiamo parlando di tratti connaturati alle persone; di qualità che s’interpretano e si scelgono in modi diversi a seconda dei tempi, dei luoghi, dei contesti relazionali, sociali e delle personalità, ma che non possono essere cancellate definitivamente. Avversate, condizionate, distorte e negate da parte delle ideologie dominanti, la cooperazione e la solidarietà sembrerebbero sparire per alcune fasi della storia, ma non smettono mai di manifestarsi, in modo nitido o contraddittorio, come caratteristiche umane intime e universali. Irrompono, per esempio, nei momenti drammatici. di fronte ad alcune tragedie sembrerebbe affiorare più pienamente la nostra umanità più profonda, la solidarietà si mette in moto e le persone operano assieme per aiutare chi ne ha bisogno. In modo forse meno appari-

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scente ciò è parte anche della nostra vita quotidiana. Lo scorgiamo tanto in una sincera amicizia che nel tentativo disperato di una donna di rendere più vivibile la vita in una periferia degradata oppure in un campo profughi; lo percepiamo sia nel sorriso e nella complicità delle bimbe e dei bimbi che nel soccorso prestato da un eroe sconosciuto che ferma un assalitore di strada nelle metropoli disumanizzanti. ogni giorno possiamo scoprire uno o più gesti che ci dicono di questo volto del nostro essere umani. e se è vero che entrambi i generi sono coinvolti nella cooperazione, molte prove evidenziano che l’impronta primaria di questa capacità è femminile. In ogni pagina della storia umana, in ogni sfera dell’esistenza, le donne sono prime nel pensiero e nell’azione del benessere comune. È a cominciare dalla stessa biologia femminile – particolarmente predisposta a contenere e a nutrire gli altri, presupposto che ha implicazioni corporee e mentali – che questo tratto è accentuato. si riscontra anche nel modo in cui le donne si rapportano alla materialità, tendendo a pensarla come occasione di condivisione dei benefici. sono solite pensare l’alimentazione e la ricerca di riparo intrecciando le proprie esigenze a quelle degli altri e delle altre, e tendono a immaginare soluzioni e proposte di

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natura collaborativa. sul piano sociale è piuttosto evidente che sono innanzitutto le donne ad avere maggiore coscienza – seppure iniziale e persino precaria – della necessità e dell’utilità del mutuo aiuto per il bene delle persone che compongono un gruppo umano e dell’importanza di accrescerlo e renderlo stabile. sono state e sono coloro che per antonomasia trasmettono la cultura, cominciando dall’educazione dei più piccoli e delle più piccole, attività che si svolge, salvo eccezioni, collettivamente (almeno con la collaborazione della propria madre oppure di qualche donna conosciuta). e anche la coscienza femminile, il sapersi donna a partire dal proprio corpo e dalla propria intimità fisica e transfisica, include necessariamente altre donne. ovviamente con un’enorme differenziazione individuale queste caratteristiche umane hanno una peculiare accentuazione nel genere femminile. Il genere femminile è tendenzialmente inclusivo del genere maschile proprio per il fatto di essere peculiarmente cooperativo. In primo luogo perché tende maggiormente a collegare il proprio bene a quello delle altre persone. per questo motivo può definirsi il genere primo dell’umanità.1 ma questa primarietà femminile, rintracciabile in ogni sfera dell’esistenza, non implica «secondarietà» maschile. È una

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primarietà in relazione alla vita che può essere scelta più consapevolmente da ogni donna ma perseguita anche dai maschi. essi possono riconoscere l’impronta del genere femminile in ogni passaggio importante della propria esistenza e, con molto coraggio e determinazione, imparare a sentire nel proprio essere come queste caratteristiche possono essere scelte e coltivate se si assume la guida femminile. Quanti uomini si sono sentiti dire da tanti altri uomini – e purtroppo anche da alcune donne – che per crescere dovevano smetterla di essere «femminucce sentimentali»! Questo messaggio patriarcale è emblematico dell’offensiva ideologica per separare gli uomini dalle caratteristiche della sentimentalità. È possibile invece imparare a migliorarsi, il che implica riconoscere la primarietà femminile, ispirarsi ad essa e rintracciarla anche dentro di sé, nella propria intimità. Il genere femminile è «specialmente umano» e compone, insieme al genere maschile, la specie unitaria a cui apparteniamo. Allo stesso tempo il tratto spiccatamente cooperativo dell’umanità (seppur difficile da identificare a causa delle distorsioni imposte) è una delle prove che siamo una specie generalmente e primariamente femminile. Verificarlo è parte di un’opera d’assieme, di un impegno teoretico, razionale-senti-

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mentale, per il riconoscimento delle migliori potenzialità umane dal punto di vista dell’autoemancipazione possibile, per cominciare a dispiegare queste possibilità coscientemente, contrastando i tragici ostacoli imposti dagli oppressori. siamo abituati, da millenni, a pensare in termini di primato violento ed escludente (maschile). possiamo invece imparare a pensare in termini di primarietà benefica e includente (femminile). solo così potremo riscoprire la cooperazione come capacità umana permanente e fondamentale, sebbene condizionata e deformata dai poteri oppressivi. riscoprire queste impronte è il migliore punto di partenza per pensare e prospettare il disegno di una migliore convivenza umana, vale a dire fra donne e uomini di tutte le età e provenienze. sembra un punto di partenza difficile perché la tragedia quotidiana può essere talmente sconvolgente da convincerci che siamo fatti per soffrire o per farci del male, che non c’è soluzione al conflitto tra i generi e che l’unica cosa che possiamo fare è esigere leggi che servano a contenere parzialmente la violenza tramite punizioni più severe ed efficaci. per chi invece non aspira soltanto a lenire la violenza ma vuole cambiare la vita, questa prospettiva di miglioramento implica, sì, riconoscere la tragedia,

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capirla e affrontarla alla radice, ma non limitarsi a questo. Non si tratta di partire dalla tragedia né dalle profonde lacerazioni che il patriarcato e la prepotenza maschilista quotidiana producono e hanno prodotto, ma prendere le mosse dalla nostra specie nel suo divenire possibile, come recitano le Ipotesi che ci hanno permesso di sviluppare organicamente la ricerca umanista socialista e avere un nuovo sguardo sull’umano e all’umanità tutta.2 si tratta di identificare e indagare nelle loro essenze più profonde, di esplorare dal punto di vista mentale e sentimentale, teoretico e pratico, le possibilità che abbiamo come umanità se mettiamo all’opera coscientemente e in comune le nostre migliori caratteristiche. penso che questo sia l’approccio migliore per affrontare – davvero con maggior forza, determinazione e saggezza – le distorsioni e le mostruosità che una parte dell’umanità ha causato. sapere allora che siamo una specie cooperativa costituisce una premessa indispensabile perché implica interpretare creativamente, e allo stesso tempo recuperare, le risorse che già ci appartengono intimamente. risorse che bisogna scegliere, teorizzare e orientare. Non è una strada facile. È vitale sapere che si tratta di una sfida e che necessariamente bisognerà superare grandi sco-

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gli. Viviamo in un’epoca in cui centinaia di migliaia di donne nel mondo devono ancora «spiegare» qualcosa che dovrebbe essere evidente: che la violenza contro il genere femminile è un affronto e che i colpevoli non sono le donne, magari per come si vestono, se vengono stuprate o molestate. esistono luoghi al mondo dove le donne possono essere punite, persino fisicamente, per il fatto di parlare con un uomo estraneo alla propria famiglia, oppure dove è impedito loro di guidare o assistere a un evento sportivo. Ancora oggi, persino nelle università cosiddette di prestigio, s’insegna che le civiltà umane si sono realizzate principalmente grazie alle invenzioni tecniche e bellicopatriarcali, ovvero quelle che in primo luogo hanno messo a rischio la vita umana, e si ignorano o si rifiutano invece le ricerche che mettono in evidenza, in modo documentato, il peso determinante delle creazioni e delle invenzioni culturali più benefiche che hanno avuto come protagoniste le donne nella storia; e si ignora l’importanza delle comunità prepatriarcali come ambiti per la crescita umana. Il punto di vista alternativo che ci proponiamo si alimenta del valore di milioni di donne che vogliono cambiare la vita e del coraggio degli uomini più disposti a

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mettersi in discussione. Ci proponiamo un’opera tanto ardua e combattiva quanto preziosa e soddisfacente. Un riconoscimento naturale ma insufficiente Viviamo un enorme paradosso: come detto finora – e come sara morace e dario renzi hanno spiegato in diverse opere,3 e con ricche argomentazioni –, l’impronta femminile nella vita umana è evidente, quasi innegabile; la percepisce ogni persona, però allo stesso tempo la si dà per scontata, non la si riconosce, non la si pensa né tantomeno la si teorizza. Questa impronta è dappertutto: in ogni sfera dell’esistenza, in qualsiasi passaggio della vita di ciascuna persona. È evidente nella naturalità di ogni nascita (tutte e tutti nasciamo da una donna) così come nel ruolo primario, indispensabile, quotidiano, permanente, rasserenante che le donne svolgono nel provvedere alle garanzie materiali per la vita. si esprime nel loro protagonismo prevalente (e includente) nel creare tessuto sociale e relazionale, così come nella trasmissione di insegnamenti e saperi. Inoltre, ed è una questione particolarmente significativa, tendenzialmente il genere femminile ha e offre una coscienza di sé più lega-

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ta alla presenza delle altre persone. per soddisfare i bisogni più urgenti e imprescindibili – così come la ricerca di vicinanza umana, di affetto, serenità, sostegno, sfogo e calore – qualsiasi persona si rivolge in primo luogo verso le donne. sono loro che offrono senza sosta queste garanzie vitali – il che non significa che siano le uniche e nemmeno che lo facciano sempre nel modo migliore. Questo paradosso è un grande limite che vive la nostra specie. È uno dei principali ostacoli che abbiamo di fronte quando si tratta di pensare seriamente al miglioramento delle relazioni tra le persone. ma le responsabilità di questo limite non sono paritarie tra i generi. Come già detto, da qualche millennio settori ampi, se non maggioritari, del genere maschile sono stati, più o meno coscientemente, protagonisti attivi dell’occultamento della primarietà femminile oppure direttamente della sua negazione violenta e strumentale. di più, l’instaurazione del patriarcato ha implicato la sistematizzazione di questo disconoscimento. sono talmente forti le impronte femminili che l’istituzione patriarcale – nelle sue diverse articolazioni religiose e politiche – non si è potuta limitare a negarle: ha dovuto e deve negoziare costantemente con le donne delle concessioni e questa è una

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prova per la negativa della forza della primarietà femminile. A un altro livello le donne, per la loro stessa fragilità coscienziale – in parte indotta dal patriarcato, in parte frutto della mancanza di coltivazione di un pensiero al riguardo oppure per complicità con l’oppressione maschile –, sono responsabili secondarie di questa grave distorsione. precisiamo dunque il carattere del paradosso: è stato causato dalla maggior parte del genere maschile nella «seconda era», quella dell’oppressione, ed è stato in qualche misura accettato oppure non contrastato adeguatamente da una parte consistente del genere femminile. ma ritorniamo invece a quel lungo segmento della vicenda umana in cui le impronte femminili erano considerate come qualcosa di naturale che riguardava il normale e benefico corso della vita, che nella teoresi umanista socialista definiamo «prima era». diversi reperti archeologici dell’ultimo paleolitico e del neolitico – inerenti l’arte, le costruzioni, l’architettura, le tecnologie usate, gli utensili e la tipologia delle tombe (ovvero le impronte, tra le altre, lasciate inconsciamente dai nostri e dalle nostre antenati/e) – hanno permesso la formulazione di ipotesi su diversi aspetti della vita. Le congetture sviluppate da alcuni dei ricercatori e delle ricercatrici sosten-

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gono che gli aggregati umani si siano verosimilmente costituiti e organizzati per lunghissimi periodi di tempo intorno alla guida delle donne, la cui autorevolezza promanava dalla loro capacità di generare e curare amorevolmente la vita e non dall’esercizio di una dominazione prepotente e violenta. Il corpo delle donne, così come i molteplici simboli della dimensione femminile, veniva rappresentato in modi differenti e associato a diverse funzioni fondamentali per la vita umana e in generale. migliaia e migliaia di statuine femminili rinvenute in tanti scavi archeologici in vaste aree del pianeta rappresentano una costante: piuttosto che ritenerla espressione di un semplice culto della fertilità, secondo una lettura riduttiva, molto più credibile è interpretare questi molteplici segnali come prove di una visione del mondo e di un’idea della vita diversa da quell’attuale, dove il potere era associato più alla responsabilità e all’amore che all’oppressione, ai privilegi e alla paura; una visione secondo cui il rispetto si guadagnava in funzione della capacità di dare e non di togliere. Addirittura, come si spiega in alcune ricerche, è molto probabile che le donne per le loro accentuate capacità creative, educative, curative, cooperative, di progettazione e di visione d’assieme fossero considerate madri della specie,

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indipendentemente dal fatto di avere o meno partorito: ritenute cioè coloro che erano in grado di esercitare un’autorità benefica, non oppressiva. ed è altrettanto fondamentale avere presenti anche segnali che non sono stati ritrovati. In generale, questi aggregati umani e di comunità non hanno lasciato tracce di un sistematico esercizio di violenza fra esseri umani, né di sottomissione, né di disuguaglianze spropositate. Ci sono molteplici e solide impronte di un possibile «matrismo» che non era il corrispettivo inverso del patriarcato, ossia non implicava la sottomissione violenta del genere maschile da parte di quello femminile. È un indice significativo del fatto che le impronte femminili, per periodi estremamente lunghi e fruttuosi della storia umana, fossero riconosciute e accettate dalle donne e dagli uomini come aspetto vantaggioso per la vita nel suo assieme. Un tale stile di vita fu così beneficamente potente da richiedere poi migliaia di anni di guerra e annientamento patriarcali per sostituirlo, come vedremo più avanti. oggigiorno non soltanto tutto ciò non viene riconosciuto ma viene negato, nascosto, distorto. Quello che non hanno potuto comunque cancellare del tutto sono le tracce, le permanenze che perdurano in tantissimi miti e credenze popo-

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lari, spesso reinterpretate al servizio delle religioni monoteiste patriarcali: cos’altro è il culto della madonna, mater dei, se non una concessione all’esteso sentimento popolare che riconosce l’esistenza di una figura materna persino di dio? sottolineare le peculiarità positive delle comunità benefiche, d’impronta matrista, non significa sostenere che fossero perfette. erano popolate da esseri umani reali. ma gli evidenti vantaggi da loro vissuti lasciano dei segnali preziosi riguardanti chi siamo più profondamente come umani e come potremmo essere se lo scegliamo e ci impegniamo per cambiare. d’altra parte è importante avere presente che accettare e persino riconoscere una concezione non è la stessa cosa che assumerla organicamente. La fase assai lunga di accettazione da parte del genere maschile della primarietà femminile è stata molto importante ma per certi versi parziale e insufficiente. Il riconoscimento/accettazione avveniva nei fatti: si esprimeva in tante forme ma molto probabilmente non era assunto nel suo significato più profondo né tanto meno teorizzato, nemmeno dalle stesse donne. È probabile che l’ammirazione provata dagli uomini nei confronti delle capacità femminili, dalla spiegazione misteriosa, si combinasse con una dose di timore e di venerazione. Il rispetto per la forza

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creatrice delle donne era a sua volta parte di un rispetto più generale per la vita, per cui le attività più squisitamente umane e l’ambiente naturale erano percepiti non soltanto come un tutto inseparabile ma anche indifferenziato. È anche molto plausibile che le qualità femminili abbiano risvegliato negli uomini sentimenti di invidia e di frustrazione e che abbiano dato luogo all’insorgere, da parte di alcuni segmenti della popolazione maschile – all’inizio non maggioritari –, di rancore e voglia di mettersi in competizione. Allo stesso tempo è ipotizzabile che le donne avessero una coscienza molto ridotta della propria stessa potenza creatrice. Le donne sono – credibilmente saranno e probabilmente sono state – più avanti nel pensiero e nella pratica della vita. Loro stesse lo intuiscono, ma non lo sanno abbastanza e al contempo tante volte le donne interpretano concretamente la propria dedizione agli altri come una rinuncia a se stesse. L’odierna fragilità è il risultato di millenni di attacchi patriarcali. È una conseguenza dello schiacciante ma non definitivo prevalere di una coscienza dell’umanità al maschile: bellicosa e aggressiva. Ciò quindi mette in luce l’esigenza delle donne di approfondire una positiva coscienza del modo tutto femminile di interpretare e vivere

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le caratteristiche umane. È credibile ipotizzare che neppure in epoca prepatriarcale le donne avessero un’autocoscienza sufficientemente piena del significato per l’insieme della vita umana del proprio essere donne. È possibile invece che anche attraverso miti e riti, le donne delle antiche comunità, insieme agli uomini, abbiano cominciato a sacralizzare aspetti dell’esistenza quotidiana interamente dipendenti da loro stesse, come per esempio il dare la vita, ponendo fuori di sé capacità proprie, dando così inizio a un tipo di estraniazione spirituale che forse non era già religiosa ma che a questa avrebbe aperto la strada. riconoscere che per periodi molto lunghi la matrice femminile sia stata accettata è dunque una premessa da considerare. È un primo passo nella ricostruzione di una storia più autentica della nostra vita come specie e apre delle possibilità di indagine per il futuro e di reimpostazione per il presente. Il costante tentativo attuale da parte del patriarcato di negare il ruolo primario delle donne in ogni aspetto della vita implica un grande sforzo che punta a coinvolgere a questo scopo diversi apparati di oppressione. La portata di un simile impegno dovrebbe dare la misura di quanto sia poco naturale la negazione

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della potenza delle donne e di quanto sia una forzatura inaccettabile. Cosa succederebbe se le donne smettessero di curare la vita in ogni dettaglio? e se cessassero di contenere la violenza? o se smettessero di crescere, di insegnare, di dare riparo, di offrire soluzioni alle molteplici esigenze alle quali ogni giorno sono chiamate a rispondere? esisteremmo ancora come specie? d’altronde accettare le impronte femminili non basta. È necessario qualcosa di più: un’assunzione organica del significato benefico e d’assieme che tutto ciò rappresenta per la vita intera delle donne e degli uomini e delle potenzialità che esso comporta. La prima differenza: problema o ricchezza? Come la marea che a volte si allontana calma e all’improvviso irrompe con forza rinnovata, una caratteristica dell’ultimo decennio è il ritmo dell’attivo protagonismo femminile che sta mettendo in discussione alcuni gangli della dominazione patriarcale, come l’esercizio della violenza sulle donne. L’enorme mobilitazione contro di essa che percorre diversi continenti del pianeta si intreccia – perlopiù implicitamente – con alcune

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scoperte scientifiche relativamente recenti. dalle scienze biologiche e cognitive provengono tantissime evidenze, da cui poi non si traggono le adeguate conclusioni, sull’importanza primaria delle impronte femminili. si rivela in modo macroscopico e microscopico la matrice che il genere femminile rappresenta per ogni componente, processo e funzione dell’organismo di ciascun essere umano, sia donna che uomo. per esempio, come già detto, l’embrione umano è femminile sino all’ottava settimana di gestazione e tutti i fattori biologici fondamentali per lo sviluppo e la crescita di ciascuno, dalla nascita e per tutto il corso della vita, provengono dalla madre biologica. Ad essi dopo la nascita si aggiungeranno fattori concernenti l’ambiente in cui si vive. Inoltre, in ogni donna e uomo la corteccia cerebrale e tutte le componenti del cervello traggono origine dall’espressione dei geni materni.4 Queste sono alcune delle dimostrazioni della scaturigine femminile della nostra specie. È un’evidenza molto forte, seppure insufficiente per bandire tutte le assurdità patriarcali che inquinano tantissime ricerche scientifiche, fin dal loro stesso approccio. per la specie umana la differenziazione sessuale, ovvero il sostrato biologico del genere, non è semplicemente funzionale

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ma viene impersonata da ogni essere umano, da ogni donna e ogni uomo. Questa interpretazione non è soltanto individuale: è possibile perché tramite le relazioni, il vivere e il riconoscersi nella collettività – sempre in rapporto all’epoca e al luogo in cui si vive – ogni individuo si identifica come essere umano dell’uno o dell’altro genere, sviluppando in tutto ciò un’ineludibile impronta personale più o meno accentuata, unica e irripetibile. Insomma, la differenziazione di genere è una distinzione chiaramente individuale ma anche relazionale e inseparabilmente comune. si è donna, oppure uomo, insieme alla metà dell’umanità, ma allo stesso tempo lo si è sempre a modo proprio. Questa differenziazione in due generi dev’essere per forza fonte di disuguaglianze e di oppressione? dovremmo piuttosto nutrire il sogno di una specie neutra – in realtà l’incubo che propongono alcuni –, negando ciò che effettivamente siamo e le potenzialità che ne conseguono? La guerra patriarcale cominciata alcuni millenni orsono è una condizione insuperabile alla quale siamo condannati? oppure le differenze nella nostra specie, a cominciare da quelle di genere, rappresentano una possibilità di apprendimento, un potenziale arricchimento da esplorare, avvalendosi di coordinate migliori?

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La capacità di pensarci come una specie unitaria con tutte le sue differenze interne è una delle grandi complicazioni della vicenda umana. Come sostiene dario renzi ne L’origine femminile dell’umanità, differenza non vuol dire necessariamente contrarietà, non vuol dire inevitabilmente contraddizione; la differenza non è una difficoltà, ma un problema inteso come opportunità di crescita, di miglioramento, di comprensione della vita, del pensiero e dell’azione della vita stessa.5

È cruciale capire il rapporto che c’è tra la nostra unitarietà come specie e la sua differenziazione. si è già accennato che la matrice di tutti gli esseri umani è femminile. Vale a dire che è femminile la «struttura tipo» a partire dalla quale si sviluppano i due generi e quindi l’unitarietà della specie è d’impronta femminile. possiamo intendere bene la differenziazione umana nei generi soltanto se partiamo dall’unitarietà, cioè dal fatto che siamo una specie unitaria: donne e uomini parte della stessa specie. tutte e tutti parenti, tutti differenti. Insomma, non ci sono fondamenti seri, scientifici per posizioni ideologiche e atteggiamenti che sostengano la superiorità di un genere o di un’etnia con conseguenze nefaste come l’etnocidio o il femminicidio. Allo stesso tempo possiamo capire effettivamente l’unitarietà riconoscendo

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e sapendo la differenziazione da cui è segnata sin dall’inizio l’umanità, giacché «letteralmente, biologicamente, originariamente, primariamente, antropologicamente l’unitarietà della specie nasce dalla differenza, anzi in particolare dalla struttura femminile».6 Questa riflessione è fondamentale per mettere bene a fuoco la sfida della convivenza fra donne e uomini. essere due generi non implica necessariamente un conflitto. La concezione che ispira questo testo è molto lontana da tutte quelle che – attraversate da una logica patriarcale – suppongono che l’unica alternativa all’oppressione maschile sia «rovesciare la frittata»: un rovesciamento al femminile, uguale e contrario, speculare a quello maschile, e che l’affermazione femminile sia necessariamente il contraltare di quella maschile. L’alternativa ha invece a che vedere con la possibilità di trasformazione e di autosuperamento in comune. se per la maggior parte della storia dell’umanità – la prima era – le differenze di genere sono state interpretate come «il corso naturale», le virtù delle donne accettate come benefiche per la vita di tutti e viceversa nell’era dell’oppressione – la seconda era, gli ultimi drammatici cinque millenni –, come occasione di depravazione, violenza e sottomissione, significa che ci sono

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diverse possibili interpretazioni di una stessa condizione. Vogliamo andare alla radice di tutto ciò per essere protagonisti, assieme, di una vita migliore: progettare una convivenza benefica a partire dal sereno riconoscimento che siamo una specie composta da due generi non paritari, nemmeno speculari; dall’assunzione che il genere femminile è il primo genere dell’umanità in relazione alla vita. solo a questa condizione si possono esplorare le risorse più positive di cui disponiamo per migliorarla. Le differenze di genere sono costitutive dell’unitarietà della nostra specie, che non è condannata allo scontro permanente al suo interno, tant’è che questo ha riguardato solo un segmento della nostra storia. ma non siamo nemmeno predestinati automaticamente alla felicità. Questa è una vera e bella possibilità se rintracciamo le sue autentiche premesse. È una prospettiva impegnativa, ma fortemente basata sui tratti essenziali di ciò che siamo, sulle caratteristiche intime che ci accomunano. mi riferisco alle essenze umane proprie di tutti gli esseri umani, che ogni persona incarna e indirizza nella vita in modo diverso, in base alle proprie idee e convinzioni, in base alle condizioni biologiche, materiali, sociali, culturali e coscienziali in cui vive. essenze orientate all’affermazione della vita, con-

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cepite e poi agite in modo diverso da ognuna/o, spesso in modo pessimo. si tratta in primo luogo della tensione affermativa alla vita: un fascio di tensioni diverse e combinate fra di loro, che si sviluppa in primo luogo tramite la tensione al bene. È identica per entrambi i generi? Come ricercano il bene le donne e gli uomini? si può riscontrare in questa tensione connaturata agli esseri umani un’accentuazione diversa: è più forte nelle donne che negli uomini perché sono le prime che tendono a viverla, a percepirla in un modo più immediatamente associato al bene comune, al bene della collettività (poi è importante vedere quanto è estesa la collettività e quali sono i criteri a cui risponde). Verosimilmente da questa particolare accentuazione femminile della tensione al bene derivano le capacità di cura e attenzione alla crescita altrui. Così come appare abbastanza evidente una maggiore intensità della tensione verso le altre e gli altri. possiamo riflettere sulla peculiarità anche della tensione all’astrazione, che nelle donne implica un maggiore intreccio con ciò che si sente, e maggiore calore. La stessa tensione alla trascendenza nel genere femminile è vissuta in modo più accentuato dal momento che le donne sembrano dotate di una maggiore capacità di immaginare andan-

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do oltre se stesse, una caratteristica che si esprime nel loro pensiero-previsione del futuro, in cui tendono a coinvolgere in maggiore misura le altre e gli altri. d’altra parte questo ha anche un risvolto problematico perché è pur vero che in essa tante volte le donne dimenticano se stesse. e si può ipotizzare infine che la tensione alla coscienza nelle donne emerga in modo più compiuto, più legato agli altri e all’interezza mente-corpo? per evitare ogni fraintendimento, insisto sul fatto che mi sto riferendo a caratteristiche proprie di tutti gli esseri umani, che donne e uomini di solito interpretano con diverse accentuazioni. Allora, proprio se cominciamo dall’origine – da quelle essenze che ci accomunano e che allo stesso tempo viviamo diversamente, che possiamo pensare e orientare coscientemente –, potremo progettare meglio il loro sviluppo in chiave benefica. Nell’era che viviamo, nonostante le differenze analizzate, la specie umana indirizza molto male queste tensioni. Le responsabilità del genere maschile a riguardo sono maggiori, ma ciò non esonera le stesse donne dal bisogno di autotrasformarsi alla ricerca dell’autoemancipazione possibile. Non si tratta dunque di un’esaltazione in sé del genere femminile, ma di presupposti e potenzialità (che d’altra parte non sono cose da poco).

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Vedi La comunanza, pp. 73 e segg. Vedi Ipotesi per un umanesimo socialista. 3 Vedi sara morace con dario renzi, L´origine femminile dell´umanità, e s. morace-d. renzi-martina Caselli-micol drago-Chiara raineri-sara rodríguez, prime nella vita comune. 4 Vedi Antonella pellilo, La mente affermativa, in particolare pp. 22-25. 5 s. morace con d. renzi, op. cit., p. 16. 6 Idem, p. 19. 2

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IL ROVESCIAMENTO DEL MONDO

Invidia originaria sebbene donne e uomini abbiano accettato o parzialmente riconosciuto per un lungo periodo della storia le impronte del genere femminile e la sua guida nella vita, ciò non significa che questo aspetto sia stato condiviso come concezione della vita in comune. perché – come già detto – accettare non significa concepire organicamente. Il riconoscimento delle impronte femminili costituisce una buona premessa ma è insufficiente. esso è stato probabilmente collegato all’intuizione che la guida delle donne fosse un beneficio per tutti. e d’altra parte è importante sapere anche che tale accettazione non sia qualcosa di completamente dimenticato, legato ad un passato remoto che non tornerà mai più. sebbene sia vero che il passato non può riproporsi in quanto tale, vale la pena sottolineare che, pur con tutti i cambiamenti intercorsi nella vicenda umana, le persone che vivono, vivranno o che hanno vissuto millenni orsono sono molto simili tra di loro; la nostra antropologia, e ciò che ci appartiene più intimamente,

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è sempre presente in ogni componente della specie umana. La cosa importante è scegliere di scoprirlo. Il riconoscimento implicito della primarietà femminile trapela in molti modelli della vita quotidiana odierna, anche se in prevalenza permeata da un impianto patriarcale. per esempio, persistono tracce di rispetto per la propria madre malgrado la violenza sofferta da milioni di donne, ma al tempo stesso l’idea della maternità che attraversa il senso comune è tendenzialmente ridotta a una funzione di servizio e di dedizione, molto distante dalla libera scelta. oppure pensiamo all’uso che gli stati fanno delle figure femminili per rendere più credibile la propria immagine, come parte dei margini concessi alle donne per continuare a coinvolgerle nel dominio istituzionale o come esempio del modo in cui sfruttano, distorcendole, le speciali capacità del genere primo. La primarietà femminile dal punto di vista della naturalità umana è, sarà ed è stata sempre garanzia di vita. Una tale autenticità non può essere annullata, pena l’annientamento definitivo della nostra specie. È necessario assumere il significato più profondo di tutto ciò, farne motivo di riflessione. La negazione della primarietà impoverisce l’identità autentica della specie umana così come è limitante darla per scontata. Non per-

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mette di teorizzare e sviluppare i motivi benefici all’origine del riconoscimento della guida femminile così come impedisce di combattere le questioni più contraddittorie o problematiche. proprio la mancanza di una consapevolezza più d’assieme del significato profondo di questa primarietà, il fatto che non sia stata trasmessa in maniera più intenzionale e progettuale la concezione di «un modo benefico e armonico di vivere», può aver permesso o favorito l’imposizione di un altro modello di comportamento: il patriarcato. La mancanza di teorizzazione del valore delle impronte femminili ha potuto favorire il prevalere di caratteristiche umane secondarie, quali la violenza, come scorciatoie per risolvere questioni riguardanti l’esistenza. È credibile pensare che, a un certo punto del percorso storico, si sia iniziato a rompere il relativo equilibrio dei rapporti degli esseri umani con le altre specie con cui si conviveva, nell’ambito della natura prima di cui si era parte. Alcuni esseri umani, in particolare maschi, che vivevano in ambienti meno favorevoli, meno ricchi di risorse, possono aver trovato nell’esercizio della violenza la via più breve per soddisfare i propri bisogni. e così l’abbiano trasferita gradualmente, con gli stessi obiettivi, anche all’interno delle relazioni umane e

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dunque con il genere femminile: il più prossimo alla vita, il più attento e dedito alla cura e allo sviluppo di ogni aspetto del benessere di bambini, anziani e adulti, il più attivo nel tessere relazioni e nell’unire le persone e per definizione il meno propenso alla violenza, anche se capace di agirla. La crescente sottomissione violenta di animali e specie viventi e il suo utilizzo poi nelle relazioni tra le persone, rappresentò dunque una distorsione antropologica. La connaturale positiva tensione affermativa alla vita fu interpretata dal genere maschile come la ricerca della via più veloce per trarre dei vantaggi immediati arrivando a negare persino la vita stessa. Ciò provocò una profonda frattura all’interno della specie, una delle prime e più gravi sovversioni: sottoporre il genere femminile, le bimbe e i bimbi a una posizione di soggezione, di sottomissione. si è trattato di un cambiamento profondo, e non lineare, che richiese probabilmente secoli e secoli di violenza così come nuovi miti per instaurare un cambio di paradigma, per arrivare a negare tutto ciò che fino ad allora era stato garanzia di vita quotidiana e a farlo accettare con naturalezza. Nel solco di questa frattura e di questa sovversione si inscrivono i rapporti che viviamo oggi tra uomini e donne. e, sebbene grazie

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alla lotta di milioni di donne tante cose siano cambiate e il patriarcato sia in declino inarrestabile, la violenza misogina e l’assoggettamento femminile permangono. Non smettiamo di chiederci perché e come sia stato possibile l’imporsi di un modo di vita prevalentemente violento e una simile distorsione delle tensioni connaturate al bene e agli altri proprie di ogni essere umano. Una risposta risiede nel fatto che, come già accennato, queste tensioni non hanno un orientamento predefinito, ma sono interpretabili e interpretate da ogni persona nelle sue relazioni e nei gruppi di cui fa parte; ciò significa che, ad esempio, si può interpretare la tensione al bene in chiave egoistica, contrapponendo il proprio bene (e quello delle persone più vicine) al bene degli altri. ma è verosimile ipotizzare anche delle motivazioni legate all’accentuazione negativa di caratteristiche maschili: è probabile che questa lunga e gigantesca trasformazione negativa ai danni della potenza generatrice e del rapporto con la vita sia basata tanto sull’invidia quanto sulla frustrazione di fronte alla potenziale superiorità femminile. L’odierno maschilismo è basato proprio sulla difficoltà (o resistenza) di gran parte dei maschi di capire più profondamente tale

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superiorità come espressione della migliore umanità, quindi come potenzialità comune, a vantaggio della vita di tutti e tutte. È verosimile ipotizzare che la distorsione si sia poggiata anche sulle difficoltà delle donne a riconoscere ciò, ad assumerlo coscientemente e, pertanto, a trasmetterlo organicamente; così come sulle difficoltà che diversamente esprimono sia uomini che donne nel pensarsi come specie unitaria nelle sue differenziazioni, a cominciare da quella di genere. purtroppo ci sono innumerevoli espressioni di frustrazione maschile. L’incapacità di tanti maschi di tollerare che le donne scelgano liberamente, senza chiedere permesso a padri, mariti e padroni, ne è una chiara espressione: denota che il patriarcato ha conferito agli uomini un potere basato solo sul controllo autoritario delle donne e su una fasulla, e perciò improbabile, ideologia della superiorità maschile. La frustrazione di fronte all’indiscutibile prevalere delle impronte femminili nella vita ha spinto e porta una parte del genere maschile – da un certo momento storico in poi – a una corsa permanente e affannosa per dimostrare la presunta inferiorità femminile. Uno sforzo dalle terribili conseguenze e che non finisce mai, perché punta a un obiettivo indi-

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mostrabile. Questo rende il maschilismo insaziabile: motiva un approccio e una pratica altamente pericolosi per la vita, in primo luogo quella delle donne, delle bimbe e dei bimbi  di conseguenza per la vita di tutti , come viene tristemente dimostrato ogni giorno dall’aumento incessante di violenze, abusi, femminicidi. ma il maschilismo può essere combattuto, non è una condizione inesorabile. Il fatto che gli uomini si possano interrogare senza timore e con onestà su questo sentire negativo e su questi disvalori, può essere benefico e vantaggioso per affrontare i propri limiti, scoprendo che nella potenziale superiorità femminile si può trovare una via per l’autosuperamento e il miglioramento in comune degli esseri umani di entrambi i generi. può essere pure utile riflettere su quanto la potenziale superiorità venga percepita in tanti momenti concreti della propria vita. È possibile farlo pensando alle figure femminili più vicine: madri, nonne, zie, sorelle, amiche, donne amate? È possibile scrollarsi di dosso la logica formale che ci hanno inculcato secondo cui la superiorità implica necessariamente l’inferiorità? Quando la potenziale superiorità è basata sul bene, sulla bellezza, sulla verità; quando si sprigiona grazie alla libertà

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e la promuove a sua volta; se tende a equilibrare il bene proprio e altrui, quando ce ne sia bisogno, può non essere una superiorità basata sull’inferiorità altrui, ma una superiorità che conduce gli altri al possibile miglioramento. Non sentiamo la stessa cosa quando, ad esempio, guardiamo un’opera d’arte che ci arricchisce e non ci sminuisce? Certo, questo implica da parte del genere femminile maggiore capacità di coinvolgere e guidare la specie nella ricerca del bene comune. È la potenziale superiorità dell’umanità stessa. Assumerla significa riconoscere che tutta la nostra specie, ovvero entrambi i generi, possono migliorare. ogni donna e ogni uomo la possono riconoscere e rintracciare per essere protagonisti del miglioramento della (propria) vita. Addestramento al maschilismo sebbene il maschilismo si basi sull’invidia e la frustrazione maschili, ciò non significa che sia la conseguenza fatale e inevitabile dei nostri limiti come specie. È probabile che anche nel passato più remoto esso sia esistito come rischio che le nostre antenate hanno cercato di contenere, ma ciò non significa che da sempre sia stato una pratica agente in modo

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diffuso, come accaduto poi nell’era dei poteri oppressivi. Il maschilismo è una concezione e una pratica negativa della vita. Il fatto che ad un certo punto abbia prevalso ha comportato che tutto ciò che è primario e fondamentale dal punto di vista dell’affermazione della vita – e perciò più delicato e creativo – diventasse secondario. e che tutta una serie di questioni che mettono in pericolo la vita oppure ne ostacolano l’affermazione – che richiedono azioni ripetitive, meccaniche e poco coscienti – diventassero invece elementi «di valore». Forse è per questo che viene considerato più importante essere il responsabile economico di un’azienda capitalistica, che sfrutta centinaia o migliaia di lavoratori e lavoratrici e che approfitta di ardite speculazioni finanziarie, piuttosto che essere colei che gestisce l’economia quotidiana di un gruppo familiare – certe volte lavorando otto o dieci ore al giorno, altre disponendo dei pochi soldi lasciati dal marito – che fa miracoli per il bene dei suoi cari, occupandosi di mille richieste, contemporaneamente e in modo equo. oppure che si consideri più significativo saper usare un’arma piuttosto che saper allevare dei bambini. Il maschilismo è una pratica che attraversa in molti modi la vita quotidiana. Ha avuto origine nell’esacerbazione dei

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limiti propri della nostra specie (tutti affrontabili e perfettibili se lo si sceglie) e si è sedimentato e istituzionalizzato in un vero e proprio sistema patriarcale: il potere autoritario e negativo dei padri contro la potenza curativa e creativa, accrescitiva delle madri. Il sistema ha ulteriormente teorizzato l’inferiorità del genere femminile, avvalendosi delle religioni e della scienza; persino quando alcuni rami di quest’ultima, come già detto, offrono tacitamente elementi della primarietà femminile (tacitamente perché gli scienziati non lo riconoscono apertamente e non ne fanno parte sostanziale di un nuovo sguardo per conoscere l’umano). Il patriarcato fornisce delle basi ideologiche fasulle al maschilismo ed esso a sua volta lo alimenta: è una sua palestra. È per questo che, se donne e uomini iniziano ad affrontare assieme il maschilismo, in modo necessariamente differenziato, la vita può migliorare e il patriarcato può perdere sempre di più la sua ragion d’essere. Il maschilismo implica una pratica che sovverte la vita e le relazioni tra i generi. prospetta un «mondo alla rovescia». È una distorsione mortifera e indotta tardivamente nella vita della nostra specie ed è necessario «giustificarla» continuamente, fare degli «esempi», trasformarla in abitudini ripetitive e mec-

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caniche, non pensate. È una concezione che si alimenta e si «insegna» in diversi modi e perlopiù in maniera brutale. Le Chiese e gli stati, la famiglia patriarcale e gli istituti di istruzione pubblici o privati sono le principali scuole di maschilismo. A tal proposito l’Antico e il Nuovo testamento sono dei testi «fondativi» pieni di riferimenti all’inferiorità femminile e al bisogno di sottomettere l’anima e il corpo delle donne. L’Antico testamento fu scritto a più mani in un periodo della storia in cui la memoria della libera potenza benefica delle donne era più recente, pertanto gli sforzi per negarla sono forti ed evidenti, e puntano a sottrarre completamente al genere femminile la genesi della vita stessa. e ancora oggi le pratiche egemoniche religiose di tutte le Chiese obbligano le donne, tra le altre gravi questioni, a rinunciare alla propria libertà, rinnegare il proprio piacere e vergognarsi del proprio corpo. I tentativi di riforme interne continuano ad essere infruttuosi. La sensibilità autentica che papa Francesco ha dimostrato nei confronti del dramma di milioni di immigrati non è altrettanto acuta nei confronti delle libertà di scelta per cui da tempo si battono tante donne, contro le quali invece si ostentano i valori patriarcali. È tuttora attuale, per esempio, l’opposizio-

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ne delle Chiese cattolica ed evangelica alla legalizzazione dell’aborto in tanti paesi del mondo in cui ancora non esiste, mentre migliaia di donne indigenti muoiono interrompendo la gravidanza in clandestinità. Allo stesso tempo, in altri paesi dove l’Islam è religione di stato le donne possono essere lapidate per infedeltà (la quale macchierebbe l’onore dei loro mariti), mentre l’adulterio maschile è esaltato socialmente come dimostrazione di «sana virilità». ma ogni stato, religioso o laico, ha nelle sue leggi una norma (più o meno evidente) che sottintende la presunta superiorità maschile; e un insieme di giudici e giuristi preposti a difendere qualunque tipo di messa in discussione di questi assetti. solo più di recente e in alcuni paesi avvocatesse e avvocati coraggiosi, attivisti in difesa delle donne, stanno riuscendo a far sì che i femminicidi siano riconosciuti formalmente come un crimine patriarcale, anche se purtroppo tante volte questa formalità non si traduce in una punizione concreta degli assassini e degli stupratori. tornando al vissuto quotidiano, è proprio la famiglia, quella che tra le scuole di maschilismo sembra la meno istituzionale, il luogo per eccellenza di istruzione quotidiana al patriarcato insieme alle pratiche religiose. Il nucleo familiare è la struttura basilare dove l’op-

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pressione si insegna e si impara, soffrendola ed esercitandola. sin da piccoli i bimbi e le bimbe vengono addestrati alla presunta superiorità maschile, spesso in modo crudele, con violenze e maltrattamenti. È nell’ambito familiare che avviene la maggior parte dei femminicidi e degli stupri che si stanno moltiplicando con una frequenza inquietante. secondo i dati dell’onu, una donna su tre è vittima di violenza di genere e milioni di bambini nel mondo rimangono soli per l’uccisione delle loro madri da parte dei mariti o ex partner. Inoltre, secondo lo stesso organismo, una bambina su cinque e un bambino su tredici subiscono una qualche forma di violenza sessuale; nel 75% dei casi le molestie si danno in ambito familiare e nell’89% l’aggressore è un maschio adulto. Altre volte l’istruzione al maschilismo in famiglia è molto più sottile e non ricorre alla violenza esplicita. per esempio quando viene dato per scontato il ruolo d’assieme svolto dalle donne, come garanzia di quasi tutti gli aspetti della vita familiare (dalla cura dei bambini, degli anziani e dei malati, all’alimentazione e alla pulizia fino ad arrivare all’ideazione e alla gestione degli aspetti chiave dell’economia quotidiana) e lo si considera un ruolo di poco valore a cui le donne sono destinate necessariamente.

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In questo modo, aspetti che rimandano alle capacità femminili sono soffocati dalla gabbia patriarcale e diventano un obbligo opprimente da cui non ci si può sottrarre. Così il maschilismo si può trasmettere in modi subdoli, per esempio quando si considera naturale un certo grado di possessività e di gelosia come un ingrediente indispensabile dell’amore. Anche nelle scuole e nelle università si riproducono in modo acritico concezioni maschiliste e persino misogine. basti ricordare, per rendersene conto, che il concetto di «uomo» continua ad essere utilizzato come sinonimo di esseri umani. L’accademia è stata inoltre il tempio della diffusione del monumentale imbroglio reazionario e maschilista della dottrina freudiana e più di recente della pseudoteoria queer, che nega le potenzialità e le essenze femminili. secondo la principale portavoce di questa concezione, Judith butler, non è possibile pensare in termini di genere femminile al di fuori delle determinazioni oppressive; le donne sarebbero incapaci di essere soggetti di liberazione per la semplice ragione che... non sono soggetti! Questa nuova faccia del patriarcato sta intossicando le file più arretrate del movimento delle donne; combatterlo è uno degli attuali compiti di un femminismo autentico che guardi all’intera umanità.

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Non solo i luoghi deputati all’istruzione, ma tutti gli ambiti della vita sono attraversati dal maschilismo: lo sport, le relazioni lavorative, i mezzi di comunicazione... soltanto per fare qualche esempio. Il maschilismo contraddice la migliore affermazione possibile dell’umanità, ha bisogno della costruzione di miti e menzogne per sopravvivere. Il fatto che debba autogiustificarsi permanentemente è una prova della sua inconsistenza, della fragilità delle sue basi antropologiche. ma è proprio questa debolezza a renderlo violento. Nello stesso tempo il maschilismo è una scuola popolare per l’oppressione in generale. A partire dall’adolescenza, e ancora di più nell’età adulta, qualsiasi maschio di qualunque classe o provenienza sociale può esercitare la sua quota di potere negativo contro le donne. se si sente oppresso ha con chi rifarsi, con chi dimostrare la sua autorità, più o meno coscientemente. Questo fa sì che enormi porzioni del genere maschile siano partecipi e complici di un sistema di oppressione più ampio. Come è possibile immaginare la fine dello sfruttamento di classe o del razzismo se si continuano a considerare le donne inferiori oppure semplicemente proprietà degli uomini? Non si tratta solo e tanto di pensare quale sia l’oppres-

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sione più importante da cui partire, ma di avere uno sguardo d’assieme delle potenzialità essenziali dell’umanità e, di conseguenza, di ciò che ostacola la loro piena e libera realizzazione per combatterla globalmente. purtroppo, le correnti di liberazione non hanno dato un contributo in questo senso. Nella prima Internazionale – di cui erano protagonisti marx, engels e bakunin – per lungo tempo le donne non ebbero possibilità nemmeno di iscriversi. Nel movimento socialista ci furono notevoli resistenze a concepire la liberazione femminile, smentite soltanto da alcune eccezioni. Una di queste fu il dirigente socialdemocratico tedesco August bebel che dedicò parte della sua opera ad analizzare le cause dell’oppressione delle donne e a denunciare le condizioni di «schiavitù» a cui erano sottoposte. Così come fu significativo l’impegno di alcune dirigenti come la bolscevica Aleksandra Kollontaj o la socialdemocratica tedesca Clara zetkin, la quale denunciò chiaramente le responsabilità di molti partiti della terza Internazionale che non accettavano la lotta per il voto femminile come parte dei loro programmi o direttamente impedivano alle donne di entrare negli organismi di direzione. Nel migliore dei casi l’oppressione femminile veniva considerata solo come un effetto dello sfrut-

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tamento di classe, per cui la battaglia per la libertà delle donne era ritenuta come un aspetto secondario ad essa subordinato, giustificando in questo modo anche la prepotenza verso le donne nei contesti operai. oggigiorno l’approccio teorico negli ambiti del marxismo rivoluzionario continua ad essere lo stesso, giusto con alcune precisazioni in più, nel tentativo di fare i conti con il protagonismo diffuso di milioni di donne in tutto il mondo contro l’oppressione patriarcale. e tuttavia in tantissimi partiti e movimenti di sinistra il maltrattamento nei confronti delle compagne continua ad essere accettato oppure minimizzato. salvo eccezioni, non lo si considera una mancanza grave fra i rivoluzionari. molte militanti trovano difficoltà addirittura ad essere ascoltate quando vogliono denunciare fatti di violenza o di prepotenza maschilista. Un discorso ancora diverso meritano le correnti riformiste e neostaliniste in genere organicamente maschiliste, dal momento che il loro orizzonte ideologico contempla patriarchi indiscussi come Fidel Castro o Hugo Chávez. La denuncia nei confronti delle «scuole di maschilismo» è determinante, ma lo è anche riconoscere la complicità femminile. molte donne sono maschiliste. In tante occasioni lo sono per paura, in altre

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per abitudine, in altre ancora per convinzione. seppur di solito con una dose di inconsapevolezza, sono tante le donne che assumono un certo grado di sottomissione e insegnano alle bambine e ai bambini un’idea della vita che giustifica e riproduce la logica dell’oppressione bellica patriarcale. disconoscono la forza gentile del genere femminile e le potenzialità benefiche che può apportare il suo riconoscimento da parte delle più piccole e dei più piccoli; si fanno promotrici di ruoli rigidi e comportamenti che alimentano i rapporti di disuguaglianza e oppressione. Alimentano un’idea secondo la quale le caratteristiche femminili, in primo luogo la sensibilità, rappresenterebbero una debolezza. secondo questo punto di vista le donne avrebbero bisogno di figure maschili che le completino e le proteggano – nel migliore dei casi – o direttamente le indirizzino, dicendo loro cosa fare. perché tanta insistenza da parte di madri e nonne affinché le proprie figlie si sposino o nel chiedere se «hanno un fidanzato» e così poche domande invece su di un possibile sviluppo più libero della sentimentalità? A loro volta, in base a questa stessa logica, i maschietti sono educati per essere separati dalla propria sensibilità. Questa caratteristica potenzialmente fondamentale per la conformazione del mon-

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do interno viene considerata un semplice residuo del piacere infantile legato alle cure materne. per crescere davvero, i bambini dovrebbero cominciare a sviluppare un raziocinio più freddo e distaccato. Ciò finisce con il trasformarsi nel principio di un’alienazione rispetto a se stessi, così come un inizio di estraniazione rispetto a un’idea più calda delle persone e del bene più organico e d’assieme che la primarietà femminile costituisce nelle proprie vite, con conseguenze che, come sappiamo, possono essere molto gravi. dall’altra parte ci sono donne che, cercando un qualche tipo di alternativa alle imposizioni dei ruoli a cui il patriarcato costringe, criticano in modo schematico e formale, ad esempio, la distinzione tra «giocattoli per maschietti» e «giocattoli per femminucce» indipendentemente dal contenuto valoriale che essi esprimono. I giochi mettono in scena la vita e dovrebbero essere giudicati e promossi tra le bambine e i bambini per i valori positivi che possono ispirare o meno. purtroppo esistono anche ampi fenomeni di servitù volontaria. per esempio ci sono donne intossicate dall’ideologia patriarcale che ritengono che la prostituzione possa essere considerata una scelta «lavorativa» positiva, oppure che difendono il cosiddetto utero in affitto; come

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se il corpo potesse essere considerato un mero strumento o un contenitore. Queste concezioni nefaste attaccano l’integrità, la dignità e la libertà di tutto il genere femminile e, anche se ad alcuni non sembra, finiscono per favorire l’idea della «libertà di consumo» delle donne da parte dei maschi. Le proposte di liberare la prostituzione oppure di disciplinarne per legge il diritto all’esercizio non sono altro che il tentativo, da parte delle reti di sfruttatori della prostituzione e dello stato complice, di regolamentare le offese e la violenza contro le donne. per definizione, l’assunzione di qualsiasi di queste concezioni cancella alla radice qualunque prospettiva di solidarietà, rispetto e fiducia minima tra donne e uomini. Patriarcato in declino violento siamo lontani dall’avere superato il patriarcato, e il maschilismo continua a pervadere fortemente i rapporti umani. I risultati che questo comporta ogni giorno sono tragici. di più, sembrerebbe che i comportamenti offensivi contro le donne si siano aggravati. Le cifre dei femminicidi crescono e, nell’ultimo decennio, sullo scenario mondiale sono apparse forze neonaziste, come l’Isis, che hanno espresso in modo concentrato la misogi-

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nia più repressiva e violenta. per fortuna questi criminali hanno incontrato la resistenza anche di tante donne, come le kurde in siria e in Iraq, che li hanno combattuti armi alla mano costringendoli ad arretrare. mentre milioni di donne si mobilitano in centinaia di luoghi per la propria dignità e libertà, stati Uniti in testa, l’Ungheria e la russia, per fare qualche esempio, sono governate da presidenti – scelti democraticamente – il cui discorso è in molti casi improntato dall’odio contro le donne; questo è anche il caso del brasile di bolsonaro che ha vinto le elezioni presidenziali nel 2018 con una campagna in cui rientravano gli insulti alle donne. Altre forze di estrema destra crescono in Germania, in spagna e in molti altri paesi. ma perché così tanto accanimento? A cosa rimanda l’aumento della violenza maschilista che riemerge con ferocia in ogni dove? Negli ultimi due secoli si sono date in maniera concentrata diverse espressioni di ricerca di libertà da parte delle donne contro il maschilismo. Alcune in maniera più frammentata o individuale, ma altre sono state veri e propri movimenti. È successo principalmente negli stati Uniti e in alcuni paesi europei, ma ciò ha avuto un impatto planetario con diverse intensità nei vari continenti. sono i segni del perdurare di

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quel processo di lungo corso che sara morace ha definito come una vera e propria «lunga rivoluzione femminile»1 che, a partire dal xIx secolo, ha cominciato a cambiare le relazioni tra le donne e con gli uomini. si può associare la sua nascita alla dichiarazione di seneca Falls del 1848, quando le prime suffragette americane, tra cui elizabeth Cady stanton, si organizzarono e denunciarono l’oppressione a cui erano sottomesse le donne insieme a quella di altri settori. prima di loro tante pioniere avevano cominciato a dare utili contributi e ad aprire la strada: personalità divenute celebri come mary Wollstonecraft o Flora tristan, ma anche straordinarie donne comuni. della rivoluzione femminile furono e sono protagoniste tante correnti e teoriche femministe. Alcune hanno dato un grandissimo apporto interpretativo, aiutando a individuare la natura patriarcale della violenza contro le donne e spiegando che il patriarcato non è sempre esistito nella storia dell’umanità. ma non ci sono state né ci sono soltanto le femministe: milioni di donne cominciarono a scoprire assieme che la violenza e le umiliazioni che soffrivano nelle case e nelle strade non erano «il corso naturale della vita». si unirono in solidarietà, sostennero i movimenti antischiavisti, in alcuni casi lottarono

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contro le guerre come parte di uno stesso impegno per vivere valori più pacifici (mentre in altri cedettero alle lusinghe degli stati nazionalisti e della politica), cominciarono a scoprire una relazione più libera e benefica con il proprio corpo, a ricercare una maternità liberamente scelta e a esigere l’aborto legale, a denunciare la piaga della prostituzione senza per questo condannare le prostitute. Infine, con tantissime contraddizioni, cominciarono ad affermare la loro dignità, la loro libertà e a scoprire la propria forza gentile e includente. Una forza molto diversa da quella che nasce dalla prepotenza escludente a cui le donne sono sottoposte, ma non per ciò meno determinante, anzi. La «lunga rivoluzione femminile», ancora in corso, ha significato iniziare a identificare il patriarcato e il maschilismo che lo sostiene, a chiamarli con il loro nome e a combatterli collettivamente. Le donne hanno cominciato a sentire che cresceva qualcosa di nuovo fra di loro: libertà e solidarietà. e questo ha costituito l’inizio di una crisi definitiva per il patriarcato. ogni donna che dice no alle botte esprime un messaggio vitale: un sì alla dignità e alla libertà di tutte le donne. Le donne hanno messo in discussione il patriarcato con enorme coraggio, ma ancora non è finita.

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L’aumento della violenza patriarcale rappresenta dunque, in gran misura, la risposta disperata e scomposta al protagonismo attivo di milioni di donne che hanno messo e continuano a mettere in discussione il maschilismo, riuscendo persino ad attirare la simpatia di alcuni uomini. Ci sono esempi storici che lo confermano. Nell’attuale seconda era, quella dell’oppressione bellico-patriarcale, ci sono state diverse fasi di esacerbazione della violenza antifemminile in chiave repressiva. per esempio, nel periodo in cui furono attive la santa Inquisizione ed entità analoghe nei paesi protestanti, migliaia di donne furono accusate di stregoneria e bruciate vive sul rogo, in parte per schiacciare qualsiasi barlume dell’egualitarismo cristiano originario e anche per escludere completamente dall’esercizio della medicina le tradizionali curatrici che godevano di rispetto tra la popolazione comune per le loro comprovate capacità e la loro sapienza ancestrale nell’utilizzo delle piante terapeutiche. disgraziatamente, ma non sorprendentemente, moltissimi maschi vivono l’affermazione femminile e la crisi del patriarcato come un attacco frontale al loro potere, alla loro capacità di dominio e di controllo. Genera loro ancora più

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frustrazione, per cui si difendono e contrattaccano. per i peggiori maschilisti, che sono tanti, alla crisi del patriarcato bisogna rispondere incutendo ancora maggiore paura e sottomissione. Infatti alcuni si stanno organizzando in questa direzione. Ad esempio, in Argentina, gruppi di maschi si uniscono per difendere i personaggi pubblici accusati di stupro. Inoltre, in ogni tempo e luogo, i patriarchi di ogni tipo contano sempre sull’aiuto delle istituzioni statali, che però in alcuni casi si sono viste costrette a fare dei cambiamenti di facciata. È per questo che in alcuni paesi hanno adottato delle leggi per prevenire e condannare la violenza contro le donne. ma l’obiettivo prevalente di queste riforme è continuare ad avere sotto controllo la metà della loro popolazione, cioè quella femminile. Nella maggioranza dei casi i risultati concreti di queste innovazioni, più apparenti che sostanziali, sono poco significativi e le donne devono controllare permanentemente che non ci siano passi indietro nelle legislazioni. per le istituzioni oppressive la libertà delle donne è potenzialmente un rischio molto alto, perché può significare la liberazione di risorse che contribuiscono al libero accomunarsi delle persone al di fuori degli stati e di qualsiasi potere negativo. È per questo motivo che la

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libertà delle donne, il loro benessere, è un indice di prosperità più generale di ogni aggregato umano, ed essa non dipende dagli stati ma, al contrario, da quanto le persone cominciano a cambiare per migliorarsi. Non è vero che il patriarcato «se va a caer», come cantano in piazza alcune femministe in Argentina. Non «sta per crollare» né si tratta in primo luogo solo di farlo cadere. bisogna creare una nuova vita. Non basta e non è benefico che le donne da vittime passive diventino vittime arrabbiate. Noi donne possiamo essere, in primo luogo, protagoniste di relazioni benefiche che non generino violenza. In questo è necessario coinvolgere anche i maschi che, di fronte all’attuale crisi del patriarcato, siano disposti a cambiare e a imparare, a cominciare da una piccola e preziosa minoranza che prova a mettersi in discussione. essere protagonisti, cominciare a vivere il beneficio di trasformarsi, scoprendosi più profondamente e felicemente umani, è possibile con la guida tenace e combattiva delle donne. purtroppo le correnti femministe ossessionate dalla parità, che sono la maggioranza, si sono accontentate dello scenario del possibile accesso delle donne ai posti di potere negativo maschile, distorcendo e dissolvendo le migliori

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espressioni e motivazioni intime che sono alla radice del protagonismo femminile stesso. sono correnti rappresentate da donne che scelgono di fare un patto con il patriarcato in cambio di alcune misere concessioni, e preferiscono avere il diritto di opprimere come compenso al fatto di continuare ad essere oppresse loro stesse. La cooptazione è una delle strategie degli stati per controllare il movimento delle donne e rincanalarlo nella normalità patriarcale. Altre correnti femministe si ritengono soddisfatte delle misure di contenimento della violenza, senz’altro necessarie e importanti, ma insufficienti per chi voglia invece mettere in discussione la concezione della vita, la qualità delle relazioni fra le persone e con la natura. La difesa della vita può essere un inizio della sua trasformazione d’assieme. La prospettiva di un patriarcato «più controllato», l’orizzonte della riduzione della violenza non vanno alla radice umana affermativa di un possibile superamento delle lacerazioni nella vita della specie. di conseguenza contengono implicitamente l’idea che le donne saranno sempre e prima di tutto possibili vittime e non potenziali protagoniste di una vita diversa. La «lunga rivoluzione femminile» vive oggi una nuova ascesa con espressioni massicce in diverse parti del mondo.

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molte delle ispiratrici e delle compagne della Corrente umanista socialista ne sono protagoniste di prima fila, così come è già stato in altri momenti. La nuova fase è ricca di segnali molto incoraggianti per cui impegnarsi e anche di limiti da superare in virtù di una crescita coscienziale. espressioni molto positive di sorellanza femminile come nella penisola iberica e di solidarietà come in Argentina si combinano con un dannoso e difensivo minimalismo, teorizzato da alcuni settori che cercano di indirizzare in questo senso i movimenti delle donne. Il risveglio della coscienza di tante, la forza che implica per alcune lo scoprire assieme le potenzialità del proprio genere nell’impegno comune sono offuscati da falsi femminismi e da concezioni reazionarie (come quelle queer e a favore della regolamentazione della prostituzione): annidate all’interno del movimento delle donne, cercano in tutti i modi di ostacolare la sua crescita coscienziale, promuovendo idee e pratiche letteralmente patriarcali, contrapposte agli interessi delle donne. oggi più che mai è necessario recuperare il meglio della «lunga rivoluzione femminile» e unire i femminismi autentici. raggruppando le migliori forze intorno ad alcuni punti fondamentali come la difesa incondizionata della libertà delle donne

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– presupposto indispensabile per la libertà di tutti – e del loro diritto a unirsi e a organizzarsi in modo indipendente, perché «la libertà delle donne dipende dalle donne stesse».2 La crisi del patriarcato non è di per sé garanzia di una vita migliore. tuttavia è indicativa della forza del protagonismo delle donne contro il maschilismo. Questa risorsa è un tesoro da coltivare con pazienza e dedizione: è fondamentale, ma è insufficiente per progettare una migliore convivenza fra donne e uomini, perché richiede una visione alternativa e d’assieme della vita che possa essere incarnata in prima persona.

1

Vedi sara morace, «150 anni di rivoluzione femminista», parte prima e seconda, e «150 anni di rivoluzione femminista/3. La fantastica seconda ondata», rispettivamente in Lucy 2006, 2007 e 2009. 2 Vedi d. renzi con s. morace, «3 passi verso il futuro», in d. renzi, Adesso la storia. editoriali 2014-2020, prospettiva edizioni, reggello (Fi) 2020.

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PER UNA NUOVA POSSIBILE ALLEANZA

Genere femminile in testa La lunga rivoluzione cominciata circa 170 anni fa è un’espressione concentrata, creativa e generalmente positiva dell’emergere femminile come aspetto intimo e costante, quotidiano e costitutivo dell’emergere umano in generale. La specie umana cerca continuamente di affermarsi e lo fa in base ai suoi tratti universali, vissuti in maniera diversa a seconda dei generi. Come già accennato le disponibilità connaturate a ogni essere umano hanno un’accentuazione diversa nelle donne e negli uomini: nel genere femminile la tensione al proprio bene si intreccia più profondamente a quello degli altri. La tensione agli altri è tendenzialmente più espansiva ed esprime contenuti più curativi e accrescitivi. La tensione all’astrazione tende a collegarsi maggiormente ai sentimenti. La tensione alla coscienza si svolge includendo in maggior misura gli altri e combinando più evidentemente la dimensione corporea a quella senti-mentale. Affermare che l’emergere femminile è la qualità più intima dell’emergere umano significa pensa-

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re in quale misura essa dia un’impronta generale all’emersione dell’umanità tutta, che si può pensare al femminile se le persone sono capaci di riconoscere quanto le donne colleghino di più il loro emergere al miglioramento della vita in comune. L’emersione femminile non implica di per sé una qualificazione positiva globale: essa dipende dalle scelte che si operano, da come si orienta il cammino. La sua qualità – quale idea della vita esprime, quali valori la animano – è uno degli aspetti più determinanti nel percorso verso una migliore convivenza umana; non risolve di per sé un’affermazione positiva dell’assieme degli esseri umani ma, per i segnali che contiene, per le potenzialità che esprime, apre la possibilità di pensare meglio la vita, in chiave più umana. può comprendere e stimolare a sua volta l’affermazione maschile, ed è tendenzialmente più legata a un’interpretazione benefica della vivibilità. Nell’era attuale – in questa seconda era dell’oppressione, statale e patriarcale e della prevalenza della guerra –, l’affermazione maschile ha assunto tratti di uccidibilità concentrata i quali, negando il genere femminile, negano di conseguenza l’affermazione della specie umana. L’affermazione del genere femminile è tutt’uno con l’affermazione della e per la specie

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per una nuova possibile alleanza

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tutta. Come abbiamo già visto nel I capitolo, questo processo si può rintracciare in tutte le sfere dell’esistenza. In qualche modo è qualcosa che le donne «sanno», ma non riescono a pensare in profondità, a generalizzare sufficientemente. per certi versi anche i maschi lo intuiscono ma la maggioranza reagisce con frustrazione. dario renzi ha trattato la relazione – che si può anche trasformare in dilemma – tra il riconoscimento di ciò che è e di quello che può essere: (...) qual è il valore costitutivo, fondamentale, complessivo, originario, affermativo positivo del genere femminile e, a partire da questo, basare anche una resistenza antipatriarcale, antimaschilista e pure di correzione delle caratteristiche maschili che tendono a essere caratteristiche contro il genere femminile e contro la specie? ragionare così significa qualificare la tensione affermativa del genere femminile e far sì che possa diventare immediatamente una tensione affermativa della specie tutta, quindi degli stessi maschi, significa trovare la ricongiunzione partendo da un’analisi seria di ciò che è.1

spesso nemmeno le stesse donne riconoscono le proprie potenzialità e dunque non le scelgono più organicamente e neanche le orientano. per farlo serve una visione dell’umano in grado di teorizzare e progettare questi aspetti. L’umanesimo socialista è una teoresi e una pratica della vita che ha, come uno dei suoi princìpi cardine, il riconoscimento del genere

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femminile come genere primo dell’umanità. tutta la ricerca teoretica della nostra corrente è attraversata da questa idea. L’identificazione, la spiegazione e l’argomentazione della palese funzione primaria delle donne e – allo stesso tempo – la denuncia e la disamina della loro drammatica condizione precaria è una premessa etica irrinunciabile per poter comprendere e collocarsi nel panorama d’assieme, per orientarsi nella vita. Inoltre, è una condizione basilare per pensare possibili percorsi di convivenza pacifica per la nostra specie, e per smascherare i colossali limiti fondativi di tante spiegazioni sui destini dell’umanità tutta. partendo da una nuova visione generale dell’umano, le donne possono cominciare ad assumere il beneficio e le responsabilità di affermare un modo migliore di vivere per tutte e tutti, praticando e insegnando la concordia, la cooperazione e la solidarietà; partendo da ciò che sono già e sviluppando coscientemente ciò che possono essere in funzione delle loro potenzialità. Un approccio femminista non basta per arrivare a questa prospettiva: la giusta lotta contro il maschilismo e il patriarcato non è sufficiente. È necessario prendere come punto di partenza la specie tutta – che è immediatamente due generi, non paritari né equipollenti – e le sue peculiari potenzialità; pensare come

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queste sono vissute da ognuno dei due generi e progettare come possono essere vissute in comune da entrambi. Il che può rafforzare a sua volta e dare un’enorme spinta alla sacrosanta lotta per la liberazione delle donne, prerogativa femminile che può trovare, come vedremo, possibili alleati nei maschi più sensibili. Gli uomini che lo desiderino e siano disposti possono rintracciare nella loro più profonda intimità i benefici dell’interpretazione al femminile dell’emersione umana e imparare a viverla come un cammino possibile in prima persona. senza pedanterie né scorciatoie, senza la pretesa di aver capito tutto, piuttosto predisponendosi a imparare. senza presumere, ma coltivando e scrutando la propria sensibilità in modo nuovo e più profondo. Cominciando a fuoriuscire, con sforzo tenace e costante, dal coro maschilista quotidiano, fronteggiandolo in ogni ambito, persino con i propri conoscenti e le persone care di genere maschile. Facendo i conti con l’enorme peso che ha lasciato nella coscienza degli uomini la pratica sistematica del maschilismo, di cui tutti in diverse misure sono responsabili, e riconoscendo quanto questa impregni quotidianamente il pensiero, i sentimenti, il vissuto della sensorialità, ogni aspetto dell’essere rappresentare agire.

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Gli uomini non possono superare il proprio maschilismo una volta per tutte. devono continuare sempre a prestare attenzione a queste cattive abitudini ormai consolidate. ma possono proporsi di migliorare ogni giorno. deve essere un impegno costante, una lotta day by day, una cura permanente ma possibilmente salvifica (perché ci si salva dal pericolo di perdere le qualità migliori della propria umanità). e se questo impegno lo si dichiara apertamente e sinceramente, le responsabilità che si prende nei confronti degli altri possono aumentare le opportunità di miglioramento e diventare un beneficio cosciente non solo in chiave individuale. se lo si assume seriamente si può imparare a guardare, ad ascoltare e persino a toccare meglio, in modo più integro: senza «separare» l’identità delle proprie interlocutrici – come invece generalmente si fa quando si pensa al corpo delle donne come un semplice contenitore – e senza separsi da se stessi. si può imparare ad essere più felici. essere una persona impegnata a fianco dei più oppressi di per sé non rende esente nessuno dall’essere maschilista. Né gli uomini, né le donne. Gli ambiti di sinistra sono affetti da atteggiamenti insopportabili verso le donne, persino violenti, e vi abbonda anche il paternali-

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smo. sono necessarie disponibilità e molto coraggio per cambiare, volontà di autotrasformazione, scelte teoretiche e pratiche solide. In questo modo gli uomini che se lo propongano, cominciando a imparare ad essere migliori, possono insegnare a loro volta. Imparare a riflettere concretamente e in profondità sulla nostra unitarietà umana che si manifesta proprio attraverso la differenziazione. Il fatto così evidente che nasciamo tutti e tutte da donne, una verità basilare della vita, è messo in discussione da parte dei negazionismi che traggono origine e fermentano nei marciumi delle decadenze dei poteri oppressivi, e che ostacolano fortemente gli esseri umani sin dall’infanzia nella ricerca della propria e condivisa libertà fondamentale.2 Come già detto nel I capitolo, ogni persona, donna o uomo, è unica e irripetibile. Non esiste un solo modo di essere uomo o donna; i ruoli indotti, gli stereotipi forgiati in maniera forzata durante millenni di patriarcato sono una ridicolizzazione negativa delle differenze di genere che costituiscono e arricchiscono l’umanità. Negare la differenziazione umana in due generi, dissolverli o associarli a semplici stereotipi, oppure a un assieme di pratiche ripetitive, sono modi per rendere invisibile la primarietà femminile, per nascondere alle donne la loro

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forza, le loro potenzialità e quindi negare le migliori risorse che le persone hanno per migliorare la vita. Come si può ridurre a un semplice ruolo imposto dal patriarcato il pensiero d’assieme che qualunque donna mette all’opera per crescere, curare, accompagnare i bimbi di cui si prende carico (siano o no suoi figli biologici)? Come negare la potenziale maggiore interezza psicofisica insita nel pensiero e nel vissuto della sessualità da parte delle donne? Non sono questi esempi di possibili risorse per tutte e tutti? Come contropartita, le interpretazioni che dissolvono i generi non permettono di riconoscere i responsabili del maschilismo e dell’oppressione patriarcale che sono, principalmente, componenti del genere maschile, che così viene assolto in modo sbrigativo. perciò bisogna combattere queste concezioni neopatriarcali doppiamente carenti di basi antropologiche e funzionali ai maschilisti di ogni risma. «La libertà delle donne è anche la libertà degli uomini» È già stato ricordato che il patriarcato non è sempre esistito: è una creazione piuttosto recente, se consideriamo l’assieme della vicenda umana. È perciò che

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possiamo ipotizzare, con sufficiente convinzione, che non durerà per sempre. Il maschilismo, invece, è un frutto velenoso prodotto dall’invidia e dalla frustrazione maschili nei confronti del potere potenzialmente benefico delle donne; come tale non sarebbe giusto considerarlo un problema eterno, ma, sì, un pericolo latente – non necessariamente un male agente – forse di più lunga durata. Il maschilismo è frutto delle difficoltà che la specie ha avuto nel considerare e progettare se stessa. ma, se lo riconosciamo come un rischio presente, possiamo imparare a pensare e ad agire perché non diventi un dramma inevitabile. Un primo aspetto su cui riflettere è che come donne e uomini siamo esseri elettivi, perciò è possibile scegliere di fronteggiare il maschilismo, contenerlo e cercare di superarlo in virtù di una nuova visione e pratica della vita, che abbia fra le sue premesse la liberazione delle donne, lo sprigionamento e la crescita delle loro migliori qualità per l’interesse dell’umanità tutta. La fondazione teoretica della Corrente umanista socialista ormai da più di 20 anni offre numerosi insegnamenti a riguardo. prendiamo innanzitutto in considerazione l’impegno vissuto portato avanti per tutto questo tempo, sapendo che gli ostacoli incontrati sono commisurati alla veracità

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della sperimentazione. Grazie alla nostra esperienza diretta, crediamo sia possibile creare ambiti di donne e uomini che vivono e si impegnano assieme, in cui non esiste il patriarcato, sebbene permangano elementi di maschilismo che cerchiamo di affrontare in virtù del loro superamento in comune. tale prospettiva richiede un protagonismo collettivo e differenziato da parte di entrambi i generi. Il ruolo delle donne è prioritario e imprescindibile, ma è anche necessario il sostegno di quegli uomini che siano sinceramente sensibili alle sofferenze provocate dal maschilismo e vogliano cambiare. La lotta per la libertà delle donne è un imperativo etico per tutti e tutte coloro che cercano una vita migliore: perché ogni donna possa scegliere liberamente chi vuole essere, senza obblighi né costrizioni di alcun tipo; perché possa vivere liberamente le proprie scelte sessuali, affettive, e riuscire ad amare le persone che sono considerate un bene nella propria vita; perché ciascuna possa pensare e scegliere liberamente la maternità. Le donne immaginano e cercano la libertà per sé e per i propri cari, perciò anche per gli uomini. Qualsiasi aggregato umano in cui esse siano più libere sarà un ambito in cui le persone sono più felici, perché il genere femminile tende ad

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avere un pensiero più inclusivo e attento degli altri; pertanto se il pensiero e la creatività delle donne si liberano, i benefici comuni si espandono. Al contrario, se soffrono violenza e sottomissione, si genera un malessere che non incide soltanto su di loro. In tal senso è fondamentale anche che le donne possano conquistare e difendere spazi e tempi propri – separati ma non «separatisti» – per un’esigenza difensiva, ma innanzitutto positiva. spazi e tempi per il riconoscimento del proprio essere, delle proprie caratteristiche più intime e generali, aspetto che di solito viene mortificato dalle condizioni di esistenza. È a partire dal riconoscersi come genere primo, costitutivo dell’unitarietà umana, che le donne possono cominciare a costruire e ad accrescere legami che tendano alla sorellanza. La sorellanza può essere, in prospettiva, un tessuto che nutre immensamente la comunanza. Implica l’attivo riconoscimento reciproco – diretto e indiretto – delle migliori capacità del genere femminile e la coltivazione di esse nella dimensione relazionale e collettiva da parte delle protagoniste, quindi il loro rafforzamento. Nella sorellanza le donne possono ritrovarsi reciprocamente non solo nel riconoscimento di comuni aspetti dolorosi (come l’esposizione alla violen-

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za maschilista), né soltanto nella similitudine delle condizioni di oppressione o in relazione all’autodifesa e alla solidarietà elementare; le donne possono rispecchiarsi vicendevolmente nelle potenzialità comuni proprie del loro genere, come qualità umane benefiche da vivere espansivamente alla ricerca di una concreta felicità. È possibile progettare sorellanza per ritrovarsi nella creatività amorosa, nella maternità condivisa, nella cura protettiva, nella cooperazione amplificante, nel bene pensato, donato e ricevuto per e dall’umanità? La libertà di essere sorelle è una dimensione chiave per la ricostruzione di un nuovo tessuto umano che alimenti beneficamente la relazionalità e la socievolezza. Non a caso le relazioni fra donne vengono così attaccate sotto il patriarcato, propagando la competizione, la gelosia e le divisioni; veleni che, purtroppo, le donne hanno via via assorbito ed esercitato facendosi a propria volta complici attive della loro stessa oppressione. Impegnarsi per costruire una libera sorellanza può essere principio costitutivo della comunanza, che alimenta e di cui si nutre a propria volta. Le donne sono propense ad associare la propria libertà con la ricerca del bene degli altri. Vogliono essere libere di vivere il bene individuale intrecciandolo a quello altrui. Il che, se pensato e coltivato

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bene, può comportare lo sprigionarsi dell’affettività nelle relazioni. tendenzialmente, le donne esprimono con più interezza la propria sentimentalità corporea; si può intuire come sta una donna a partire dall’osservazione dei suoi gesti, del suo sguardo, dal tono della sua voce, e persino da come si veste. e, in genere, preferiscono vivere le loro relazioni in modo più integro: soffrono di più a vivere ciò che sentono in modo separato da ciò che pensano. La repressione patriarcale dei sentimenti femminili, i luoghi comuni borghesi (che cristallizzano le possibilità affettive in un «menu» di rapporti obbligatoriamente codificati e prestabiliti nelle loro modalità e contenuti) e la diseducazione sentimentale che ci trasciniamo dietro come specie hanno spesso contribuito a ridurre questa qualità femminile a semplice emotività traboccante. ma se se ne riconosce la radice, ovvero quel maggiore congiungimento psico-corporeo, si possono aprire sentieri senti-mentali verso una relazionalità più libera, benefica, espansiva. tanti maschi in questo modo possono verificare l’opportunità di riconoscere e sviluppare la loro stessa affettività, superando l’assurda negazione dei sentimenti o la loro banalizzazione antiumana. Una ri-congiunzione sentimentale di ogni essere può essere una strada per la ri-congiun-

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zione fra donne e uomini migliori e più liberi. Cosa può significare poi associare la libertà alla sessualità? Le donne tendono generalmente a vivere, in modo organicamente più combinato, la dimensione psichica dell’affettività con quella fisica o a non separare il piacere dal bene: lo vogliono persino rendere un valore morale. se e quando li separano è perché hanno imparato a imitare le logiche patriarcali. Una possibile interpretazione della sessualità al femminile, cioè interpretata in chiave affettiva, gioiosa, creativa e comunicativa – libera dagli obblighi, dalle norme e innanzitutto dalla repressione, dalla prepotenza e dalla violenza – può essere fonte di conoscenza, di bene reciproco e condiviso per le donne e gli uomini che scelgano di unirsi in relazioni più o meno durature. e può essere di grande stimolo per pensare l’affettività tra gli stessi uomini. siamo arrivati a un dramma assurdo: quella che dovrebbe essere la comunicazione più intima, piena di empatia, di attenzione e di delicatezza, è stata trasformata dal patriarcato in un campo di battaglia. Il patriarcato riduce la sessualità al sesso, al mero «atto» funzionale, meccanico, presuntamente istintivo; ha propagato luoghi comuni tossici che associano l’unione fisica a un mero meccanismo di scarica di tensione e disconoscono la primarietà

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femminile su questo terreno in cui la spersonalizzazione può essere tanto forte da arrivare a permettere la violenza. Il patriarcato ha inventato lo stupro, il maggiore insulto alla dignità femminile, quindi alla dignità umana. La libertà delle donne è il potere di migliorare la vita. di conseguenza difenderla è un principio per chi afferma un impegno autoemancipatorio. se la potenza benefica del sentimento materno (che non dovrebbe essere legato all’avere partorito o meno), la calda saggezza educativa e curativa, la costanza amorosa (coniugata su piccola e grande scala) potessero essere vissute come scelte libere e coscienti, i benefici per tutti e tutte sarebbero immensi. possiamo trovare delle prove evidenti nella realtà storica. La stragrande maggioranza del genere femminile ha dimostrato un enorme coraggio per contrastare il più terribile dei mali: la guerra. La violenza bellica è stata il marchio originario dell’era oppressiva e patriarcale e ne costituisce il principale contenuto. La capacità di dare centralità alla vivibilità, che era stata la ragione principale dell’autorevolezza femminile per decine di migliaia di anni nella prima era, è stata rovesciata: nell’era attuale la capacità di dare la morte è invece il motivo principale del potere negativo, oppressivo. Il patriarcato è il regno

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dell’uccidibilità e il maschilismo lo approfondisce ogni giorno di più con ulteriori spargimenti di sangue. La stragrande maggioranza delle donne sono state antinomiche alle guerre.3 In tutte le epoche sono state innanzitutto milioni di donne, di classi e credenze diverse, coloro che hanno contrastato la furia bellica, in maniera più o meno cosciente o attiva. Le donne, cioè, sono le prime avanguardie nella protezione della specie tutta, la principale garanzia di sopravvivenza. Non siamo allora in presenza di un segno eloquente del potere positivo potenziale che incarnano? Non è forse un disegno sbozzato, ma potente, di un’altra idea della vita, più benefica e migliore per tutti e tutte? Quindi, non è la libertà delle donne un principio irrinunciabile, un impegno imprescindibile per il bene dell’umanità? I bimbi e le bimbe lo riconoscono più immediatamente, in generale lo vivono e ne traggono beneficio. Loro sanno o intuiscono cosa sono le donne per la vita della specie tutta. riconoscono con naturalezza quelle che si «occupano di tutto» e a chi rivolgersi in caso di disagi fisici o psicologici. Lo si può vedere nel modo in cui cercano lo sguardo delle loro madri, zie, nonne e in generale caregiver per rassicurarsi e per divertirsi; così come è altrettanto evidente se pensiamo alla prima parola che imparano e che ha un

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suono simile in una grande varietà di lingue. Il problema è che non si insegna loro a pensare e a valorizzare ciò che vivono e sentono. Anzi, nell’opinione popolare si considera parte fondamentale della maturazione dei bambini lo smettere di essere troppo sensibili, «effeminati», «attaccati alle donne». Non lo fanno nemmeno le stesse donne che piuttosto assumono per l’educazione dei propri figli le logiche dell’uccidibilità patriarcale a cui vengono sottomesse. tuttavia si potrebbe cominciare ad affrontare il maschilismo molto presto, visto che non è che si nasce con questo «difetto di origine». L’educazione delle bambine e dei bambini potrebbe basarsi sulle loro stesse intuizioni in proposito all’universalità umana e alla primarietà femminile. Qualsiasi bambina o bambino riconosce le capacità delle madri, ovvero di tutte le donne, e le richiede costantemente. purtroppo, una parte dell’istruzione patriarcale implica istigare i bambini sin da piccoli a superare l’identificazione con il femminile e a cominciare in questo modo un cammino di separazione affettiva dall’umanità propria, altrui e dall’umanità nel suo assieme. per affrontare questa distorsione precoce, si potrebbe invece cominciare a delineare un insegnamento affettuoso della libera scoperta delle benefiche e

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differenziate potenzialità che abbiamo come donne e uomini; un’educazione stimolante per dare valore alla primarietà femminile in virtù dell’imparare a scegliere per il bene comune. Scegliere di essere donne e uomini migliori All’inizio ci siamo chiesti se è possibile che donne e uomini convivano beneficamente, in pace. Questo testo è stato scritto cercando di contribuire a una riflessione che aiuti in questo senso, perché parte dalla convinzione che ne esistano le potenzialità. Non è un ricettario per «vivere bene»: le risposte abbozzate di carattere ipotetico, in chiave di possibilità, forniscono elementi per una lettura delle vicende umane più autentica e utile ai fini autoemancipatori. possono servire come tracce per capire meglio ciò che caratterizza più intimamente gli esseri umani di entrambi i generi. tuttavia non possono prescindere dal vissuto, hanno bisogno di verificarsi nella vita concreta, quotidiana. Nulla indica che le nostre migliori predisposizioni possano portare automaticamente al superamento del maschilismo. Né alle donne, né agli uomini. Non bisogna farsi delle illusioni ingenue o semplicistiche. ma è

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altrettanto vero affermare che nemmeno la comparsa di un lungo periodo bellico e patriarcale sia stata determinata da qualche evento inevitabile: non siamo condannati irrimediabilmente agli scontri e alla violenza. Le vicende umane, oggi e domani così come ieri, implicano sempre delle scelte personali, relazionali e comuni in tutte le sfere della vita. Le nostre possibilità di scegliere meglio come vivere, ovvero in virtù di un bene comune che abbia come riferimento tendenziale la specie tutta, dipendono molto dalle coordinate con cui pensiamo e dall’idea che abbiamo della specie umana e del mondo. sapere che siamo una specie cooperativa può essere determinante, perché significa sapere meglio ciò che ci connota per progettarlo. La negazione di questa caratteristica umana – condivisa con alcune specie animali ma che soltanto gli esseri umani possono rappresentare, ricordare, immaginare, conoscere, sentire, pensare… e perciò orientare coscientemente – è uno degli aspetti alla base delle ideologie della rassegnazione, dell’indifferenza, dell’«ognuno per sé», dell’egoismo. Gli oppressori di ogni tipo e i loro alleati sono molto interessati a che le persone pensino di essere inevitabilmente condannate all’egoismo, perché è una falsità che promuove l’apatia, la sfiducia tra le persone

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e il disimpegno. È questo il motivo per cui diffondono le loro ideologie che negano la vivibilità come tratto intimo dell’umano, per intonare invece la litania mortifera e monotona della prevalenza della negatività, della morte e dell’uccidibilità. Conoscere invece la permanenza della cooperazione tra donne e uomini lungo la storia, malgrado la virulenta aggressività maschilista, spesso femminicida, costituisce una base per poter scegliere una trasformazione positiva cosciente della vita. Ci sono stati esempi edificanti che offrono speranze. seppure hanno fatto di tutto per cancellarne il ricordo e le tracce, anche da questo punto di vista le rivoluzioni della gente comune, in egitto e siria del 2011, sono state un principio di rivoluzione umana: in funzione di obiettivi comuni le donne sono state in prima linea, lasciando la loro impronta in tantissimi aspetti. In siria sono state considerate la «spina dorsale» della rivoluzione. In egitto, durante le giornate rivoluzionarie di piazza tahrir, le donne si sono sentite più sicure tra la folla perché la violenza maschilista – sebbene, evidentemente, non fosse stata sconfitta – era stata attenuata grazie al loro protagonismo. molto probabilmente è stato questo il motivo per cui la controrivoluzione ha avuto e ha un carattere fortemente anti-

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femminile, interamente patriarcale e misogino, di cui l’Isis è stato ed è una delle più drammatiche espressioni. e sappiamo anche che ci sono – e ci sono sempre stati – degli uomini che inorridiscono davanti alla violenza contro le donne, che non la tollerano e solidarizzano con chi la soffre. Alcuni cominciano a reagire attivamente. Questi uomini, se lo scelgono, possono contribuire attivamente a fronteggiare il maschilismo e il patriarcato, provando in prima persona i benefici ottenuti dal cominciare a superarsi, affrontando i propri limiti senza autocompiacimento né giustificazioni. È così che gli uomini si possono unire alle donne in questo impegno, a patto che non cerchino di sostituirsi e di esautorare il protagonismo femminile; tanto meno di invadere gli spazi e i tempi di cui le donne hanno bisogno per ritrovarsi con il loro proprio essere in comune o i loro ambiti di lotta. Non serve nemmeno cercare delle scorciatoie o degli alibi per aggirare la messa in discussione del proprio maschilismo. Il contesto patriarcale non può fungere da giustificazione per relativizzare le proprie responsabilità. È invece importante fare i conti con esse negli ambiti della propria quotidianità, persino fronteggiando la prepotenza dei gruppi maschili a cui si partecipa. Ciò può rap-

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presentare un inizio di costruzione di migliori relazioni con le donne e anche con gli uomini, più sincere e benefiche, senza spavalderie ipocrite né silenzi complici. L’alleanza delle donne e degli uomini contro il maschilismo deve avere delle basi chiare. In primo luogo, ha bisogno di fondarsi sul riconoscimento della nostra comune umanità differente e dei tratti cooperativi che la connotano, che implica l’assunzione della primarietà femminile come primarietà dell’umanità tutta. Unirsi contro il maschilismo è possibile scegliendo la guida femminile, imparando da essa, e in questo modo insegnando a vivere meglio. In secondo luogo è imprescindibile identificare il patriarcato come un’effrazione nel percorso della specie tutta, come una sovversione perniciosa che ha alterato negativamente aspetti fondamentali della vita, subordinando al trionfo della logica di uccidibilità le caratteristiche più protese alla vivibilità. Inoltre, perché questa unione ci sia, è indispensabile che le donne possano e vogliano assumere il loro protagonismo nell’incarnare coscientemente la primarietà in chiave di bene comune, assumendola come una postura di vita, intraprendendo le battaglie necessarie per la libertà delle donne e contro i propri atteggiamenti indulgenti

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o di complicità col maschilismo. Gli uomini, dal canto loro, dovrebbero fare i conti con le responsabilità negative del proprio genere e affrontarle in funzione del miglioramento comune che implica rinunciare a comportamenti dannosi, in virtù della bellezza che può derivare dall’imparare la sensibilità, e non come un’ipocrita «autoflagellazione» o espiazione delle proprie colpe. L’autosuperamento degli uomini, nella prospettiva di un rincontro pacifico tra i due generi, può aprire percorsi di felicità. In definitiva, stiamo parlando di cominciare a fondare le premesse per una nuova convivenza benefica. si tratta di una scelta per niente semplice perché comporta affrontare ostacoli complessi, fare i conti con limiti millenari e grandi scogli coscienziali presenti in modi diversi praticamente in tutte le culture esistenti. C’è la tentazione delle scorciatoie, soprattutto da parte del genere maschile ma anche femminile. Gli uomini possono assumere un atteggiamento che sottovaluti le proprie difficoltà mentre le donne una postura maternalista, abbassando troppo presto la guardia. decenni di ricerca in questo senso della nostra corrente dicono che questo rischio è possibile, perché il percorso è irto di difficoltà che noi stessi affrontiamo. Ci vuole molta disponibilità, con-

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vinzione, determinazione e coerenza per essere controcorrente anche in questo campo. Importante è operare delle scelte che hanno bisogno di essere verificate nella vita di tutti i giorni, in modo indipendente dalle istituzioni e dagli stati, i quali hanno tutto l’interesse a ostacolare il fatto che le persone possano riconoscersi protagoniste del loro autosuperamento nella ricerca di una nuova vita in comune. Gli stati – tutti patriarcali – vogliono continuare ad essere gli arbitri dell’inimicizia tra le persone e si propongono, nel migliore dei casi, di moderare i livelli di maschilismo e tenere sotto controllo la violenza all’interno delle società – che loro stessi esercitano e propagano – tramite leggi e regole affinché la violenza non sfugga loro completamente di mano. Va da sé che i primi a violare quelle norme sono gli stessi rappresentanti delle istituzioni. Le conseguenze positive della scelta di un cammino di convivenza benefica possono essere immense per tutti. Questo implica in primo luogo teorizzarlo, rintracciarne le possibilità nelle caratteristiche più essenziali della nostra specie e creare le condizioni esistenziali perché si possano sviluppare. Innanzitutto il riconoscimento di ciò che è naturale tra gli esseri umani va trasformato in un impegno coscienziale e progettualmente

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culturale. Nel mondo decadente in cui viviamo bisogna avere solide coordinate teoretiche per poter scegliere bene e in modo duraturo, costante. occorre formarsi in questo senso, per scoprire nel proprio mondo interno tali possibilità e poter esprimerle, esserne protagonisti. educarsi ad una nuova idea di specie e di primarietà femminile scoprendola in ognuna e in ognuno, ovvero formarsi per imparare ad essere donne e uomini migliori, più felici. sceglierlo vuol dire costruire questo percorso con pazienza, condividerlo con generosità e rigore, offrirlo, espandere l’esempio alle persone più disponibili e più volenterose. proponendo quello che si comincia a vivere, spiegando che è una proposta impegnativa – perché siamo esigenti in primo luogo con noi stesse e noi stessi – ma possibile e utile. L’essere protagonisti di una immaginabile unione delle donne e degli uomini contro il maschilismo è parte costitutiva della costruzione di aggregati che abbiano nel loro orizzonte la comunanza. bisogna provare le conseguenze di una tale alleanza, ma cominciare il cammino implica già trasformarsi, migliorarsi, sperimentare veramente, con coraggio e senza vergogna, i vantaggi potenziali del sentire, del pensare, del vivere al femminile. Un vivere più umano.

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1

dario renzi, intervento introduttivo, Affermazione del genere femminile come affermazione della specie umana, Quaderni della Casa della cultura, n. 2, Firenze, marzo 2009, p. 23. sottolineature mie. 2 Vedi dichiarazione della direzione teorico metodologica della Cus «di alcune verità e libertà fondamentali», inserto speciale de La Comune, n. 377, 26 aprile-10 maggio 2021. 3 Vedi sara morace, «Antinomiche alla guerra», in Utopia socialista, n. 3, febbraio/aprile 2002.

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CONCLUSIONI

dieci anni fa in egitto migliaia di donne sono state protagoniste in prima fila – e con esse migliaia di uomini – dell’agorà di piazza tahrir. Alcune di loro hanno poi dichiarato che, in quelle giornate in cui «tutto cambiò» e si scoprì che si poteva non aver paura gli uni degli altri, si era sperimentata una «gentilezza universale» e in piazza non si era verificato neanche un caso di molestie sessuali. ricordo la lettura di tante testimonianze dirette, pubblicate sui giornali durante le mie vacanze di quell’estate australe, alimentata dalle riflessioni originali e appassionate che la nostra corrente di pensiero e di azione maturava in tempo reale a proposito di quel principio di rivoluzione umana.1 Quasi due anni dopo a Nuova delhi una moltitudine di giovani donne riempiva le strade protestando per lo stupro collettivo di una ragazza di 23 anni avvenuto su un autobus. Nella capitale indiana solo in quell’anno, il 2012, erano stati registrati ufficialmente 630 casi di violenza. Il bisogno di dignità e libertà affiorato in quell’occasione ha continuato a espandersi: poco più tardi in Argentina si

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sarebbero susseguite le gigantesche e inedite mobilitazioni contro la violenza maschilista e a favore dell’aborto. Nella penisola iberica esplodeva la reazione contro la «manada» (il branco) che aveva violentato una ragazza alla festa di san Firmino. prendeva piede il me too nordamericano che ha avuto e ha un rilievo globale… sto elencando solo alcune delle espressioni della nuova radicalizzazione che l’emersione femminile ha vissuto nell’ultimo decennio. Lo faccio perché non posso smettere di pensare quanto sia venuta allo scoperto la necessità di ripensare le relazioni tra i generi e quella di valorizzare la solidarietà e la sorellanza come aspetti costitutivi di un bene comune più ampio. Il protagonismo del genere femminile non ha solo portato in primo piano la violenza contro le donne ma la loro sete di libertà e, come ho scritto, credo ci sia una relazione diretta tra la difesa della libertà delle donne e la difesa della vita di tutti. per noi umanisti socialisti si è accentuato anche il bisogno di interpretare con maggior forza idee che permettano, a coloro che lo scelgano, di cominciare a sviluppare in modo autentico queste ricerche, contrastando fragilità di coscienza e seri ostacoli culturali. spero che le voci di queste donne, e quelle dei maschi che le hanno accompagnate con

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conclusioni

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sensibilità e rispetto, abbiano risuonato in questo libro il cui intento è di offrire prospettive teoriche e pratiche per una convivenza benefica. Queste voci e queste vite possono essere interpretate come uno stimolo per ripensare la nostra umanità in una prospettiva autoemancipatoria. effettivamente cercare una ricomposizione potenzialmente benefica delle soggettività (cioè, che le persone possano vivere in modo libero e benefico lo sviluppo della propria personalità, grazie a relazioni scelte nel rispetto reciproco e a rapporti gentili in ambiti collettivi basati su valori condivisi, in cui ognuna/o sia e possa essere protagonista) implica pensare agli io e ai tu, alle relazioni e agli aggregati collettivi, tenendo conto della coscienza di specie e di genere di ogni protagonista. per questo è tanto necessario riconoscere – e pensare – l’identità umana e di genere con le sue potenzialità e l’espressione di queste nell’esistenza e lungo il corso della storia. È urgente soprattutto se quello che si cerca è poter scegliere e realizzare una storia migliore, più a misura delle donne e degli uomini. Le aspirazioni più profonde, che si appalesano seppur in modo contraddittorio nell’emersione femminile, a mio avviso evidenziano più che mai quest’esigenza e talvolta questa possibilità. dal tentativo

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di schiacciare le possibilità che le donne, e anche gli uomini, riconoscano le loro migliori potenzialità psicofisiche deriva il sostegno e la diffusione che i poteri oppressivi stanno dando ai negazionismi. da qui la negazione dell’interezza corpo-mente costitutiva dell’essere donna o uomo. da qui la propagazione dell’umanofobia,2 ovvero il timore, contenuto nelle pseudoteorie queer, che gli esseri umani riconoscano se stessi potenzialmente predisposti per il bene e la libertà. per questo è in marcia un attacco sistemico per incanalare gli aneliti di pace e libertà nell’alveo dell’oppressione borghese bellica e patriarcale. ed è quanto mai necessario respingerlo. Ho parlato della cooperazione tra i generi come un tratto preponderante dell’emersione umana nel corso di un lungo periodo. Ho riecheggiato l’ipotesi che le donne e gli uomini siano emersi insieme, costituendo in diverse aree del pianeta aggregati umani basati sulla collaborazione e la cooperazione, in cui la capacità di generare, di curare e di progettare la vita da parte delle donne era considerata come la caratteristica umana più squisita e fondamentale. Gruppi nei quali la scelta del mutuo aiuto per la gestione della vita quotidiana era una garanzia di pace e stabilità, almeno tra i componenti della stessa comunità.

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Ambiti dove non solo non esisteva la violenza verso le donne, ma queste ultime erano valorizzate e riconosciute per l’autorevolezza che esprimevano. probabilmente questo non è stato l’unico modo che le nostre antenate e i nostri antenati scelsero per vivere, ma sembra comunque sia stata una delle opzioni effettivamente sperimentate. perché allora non immaginarla anche come una possibilità futura? rintracciare questa capacità umana di cooperazione, dalla forte impronta femminile, che trova impulso e motivazione tanto negli aneliti della nostra intimità quanto negli stimoli provenienti da coloro che ci circondano, è parte dell’impegno di miglioramento. Chi ritiene che gli uomini abbiano sempre fatto la guerra alle donne sostiene un’enorme falsità. È importante recuperare un senso più affermativo (che valorizzi tutto ciò che in positivo caratterizza i tratti umani, affrontando al contempo quelli più negativi), più intero e profondo, del nostro costituire una specie composta di due generi, donne e uomini. riconoscere questo non significa dimenticare la violenza patriarcale. tantomeno concedere ai maschi un lasciapassare per aggirare facilmente il proprio maschilismo e le logiche patriarcali senza contrastarle; e neppure offrire

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uno sguardo edulcorato del genere femminile, che assolva le donne dalle loro complicità col patriarcato o dai loro difetti di autocoscienza. Al contrario, può stimolare le donne a essere più esigenti e rigorose con i maschi e con se stesse, e i maschi a essere più coraggiosi, umili e disposti a cambiare. molte volte, seppur partendo dalle migliori intenzioni, si finisce col ridurre l’integrità contraddittoria del nostro essere umane e umani ai ruoli di genere assegnati dal patriarcato. È importante contrastare e superare la falsa equiparazione tra genere e ruolo. sì, i ruoli imposti esistono (sebbene molto spesso siano infranti dalla gente comune) ed è comprensibile che molte donne e alcuni uomini – penso soprattutto alle e ai più giovani – in essi si sentano a disagio, giustamente perché sono modelli che rientrano nell’intento patriarcale di controllare le potenzialità del genere femminile e di negare la possibilità per tutti di umanizzarsi scoprendo la possibilità di pensare e sentire al femminile. per ogni donna scoprire le particolari accentuazioni femminili della propria umanità può essere un’occasione di sceglierle meglio, per il bene proprio e degli altri. e d’altra parte per gli uomini scoprire l’origine femminile comune può essere un’opportunità per rintracciare dentro di sé, a

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partire da una disponibilità a imparare, il beneficio di adottare uno sguardo della vita più sensibile e integro, più attento e profondo, pertanto più efficace in termini di un possibile bene condiviso. Anche di questo stiamo parlando quando pensiamo a un’unione positiva, a una possibile alleanza tra donne e uomini. Vale a dire molto più di una semplice (e necessaria) «condivisione dei compiti» in modo più egualitario e senza pregiudizi. Abbiamo identificato il patriarcato come la sovversione di quell’impronta femminile originaria in tutte le sfere dell’esistenza, nella vicenda della specie e nella traiettoria di ogni persona; e il maschilismo come una pratica che lo sostiene e lo alimenta. Una pratica che si basa sui limiti di un’umanità perfettibile, non perfetta, che, a partire da un certo punto del percorso della nostra specie, hanno cominciato ad essere sfruttati ed esacerbati al servizio del potere dei padri. Il potere patriarcale non è un tratto originario e il maschilismo, come insieme di idee e di pratiche sedimentate, tantomeno. per tali motivi questo non è un testo di critica ma un contributo che cerca innanzitutto di rintracciare nell’esperienza esistenziale e in ciò che di più profondo ad essa soggiace (le essenze umane) quello che conviene affermare positivamente; e in seconda battuta

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quello che è necessario negare, criticare, correggere, mitigare o superare nella ricerca dell’autoemancipazione. perciò è ingannevole l’idea della decostruzione. oggi molti e molte pensano si possa superare il patriarcato «decostruendo» quei comportamenti e quelle attitudini che esso ha fomentato attraverso l’istituzione familiare (in buona misura grazie alle donne) e l’istruzione statale o religiosa. molte volte sento dire: «sono un maschio in decostruzione». di che si sta parlando? di smettere di assumere degli atteggiamenti maschilisti? Un passo avanti, certo. ma tutto si riduce a non apparire maschilista e il problema sarebbe risolto? e in funzione di che cosa si darebbe questa cosiddetta decostruzione? semplicemente in base a quello che non bisognerebbe fare ? È possibile cambiare senza avere criteri ideali ed esempi concreti per la positiva? Considerare così una trasformazione di sé è molto problematico, per non dire controproducente. su quali radici si baserebbe la possibilità di essere effettivamente migliori ? Chiediamoci se non sarebbe piuttosto un cammino autentico e veritiero quello di scovare in sé, come esseri che rappresentano e agiscono, nella propria soggettività complessa – sempre individuale, relazionale e in comune – le possibilità (non il destino inevitabile) di

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un autosuperamento vantaggioso. Un autosuperamento non facile, foriero di crisi laboriose, ma possibile e auspicabile sotto la guida delle donne, coloro che in generale hanno dimostrato, e dimostrano ogni giorno, uno spirito di convivenza molto più pacifico e benefico. sono convinta sia sempre più importante trovare radici autentiche e valide nella nostra comune umanità differente per concepire e costruire un’alternativa di vivibilità che contempli la libertà delle donne come uno dei suoi princìpi costitutivi. di una simile prospettiva fa parte approfondire la conoscenza delle fondamenta umane biologiche, antropologiche, essenziali, esperienziali – per una costruzione nuova in cui donne e uomini si uniscano per un’esistenza più piena e felice, per una vita improntata e guidata al femminile. Allora, è possibile che le donne e gli uomini si uniscano contro il maschilismo? La risposta a questa domanda continua a essere ardua, perché il cammino è complesso ed è molto contaminato dalle ideologie apertamente o subdolamente oppressive. Al tempo stesso è innegabile che la vita quotidiana ci sorprenda con esempi di solidarietà, collaborazione, mutuo rispetto, reciproca sincera ammirazione. ma perché siano più che esempi e possano durare, accrescersi e moltipli-

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carsi devono essere pensati e fondati partendo da idee solide e valori che si arricchiscano alla prova della vita condivisa. Così può cominciare un autentico protagonismo per essere donne e uomini migliori. orizzonte che spero queste pagine contribuiscano a far intravedere.

1 per approfondire vedi mamadou Ly con dario renzi, dall’egitto alla siria. Il principio della rivoluzione umana e i suoi antefatti, prospettiva edizioni, pontassieve (Fi) 2014. 2 Vedi dichiarazione della direzione teorico metodologica della Cus «di alcune verità e libertà fondamentali», inserto speciale de La Comune, n. 377, 26 aprile-10 maggio 2021.

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CONSIGLI DI LETTURA

AA. VV., Lucy. Antropologia, storia, femminismo, prospettiva edizioni, roma 2000-2009. brIzeNdINe LoUANN, Il cervello delle donne, rizzoli, milano 2011. CAseLLI mArtINA, Il genere primo, prospettiva edizioni, reggello (Fi) 2020. CAVALCA sImoNA-VItALe beNIAmINo, Casa al dono. La sede del Centro studi Utopia, prospettiva edizioni, roma 2009. eIsLer rIANe, Il calice e la spada. La civiltá della grande dea dal neolitico ad oggi. Forum, Udine 2011. GImbUtAs mArIJA, Le dee viventi, medusa, milano 2005. GIUstI VALeNtINA-LoNGobArdo CArLAmorACe sArA-reNzI dArIo, sessualità, erotismo, amore, prospettiva edizioni, roma 2009. Ipotesi per un umanesimo socialista, Quaderni di Utopia socialista, prospettiva edizioni, roma 2007. LoNGobArdo CArLA, per piacere, con amore, prospettiva edizioni, roma 1998. morACe sArA, origine donna. dal matrismo al patriarcato, II ed., prospettiva edizioni, roma 1997 (I ed. 1993). morACe s., I racconti di domani, prospettiva edizioni, roma 2008. morACe s., Il viaggio di Kulía, prospettiva edizioni, reggello (Fi) 2019. morACe s.-reNzI d., L´origine femminile dell´umanità. dialoghi, lezioni, articoli, prospettiva edizioni, pontassieve (Fi) 2012.

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morACe s.-reNzI d.-CAseLLI m.-drAGo mICoLrAINerI CHIArA-rodríGUez sArA, prime nella vita comune. Impronte femminili nella specie umana, prospettiva edizioni, reggello (Fi) 2016. peLILLo ANtoNeLLA, La mente affermativa. spunti dalle scienze cognitive, prospettiva edizioni, reggello (Fi) 2015. «progetto Verso la Comune umanista socialista», in Umanesimo socialista, n. 1, luglio/dicembre 2014. rAINerI CHIArA, L´infanzia della nostra vita, prospettiva edizioni, reggello (Fi) 2020. reed eVeLyN, La evolución de la mujer. del clan matriarchal a la familia patriarcal, Fontamara, Coyoacán 2013. reNzI dArIo, La comunanza, prospettiva edizioni, roma 2007. reNzI d., Corso di teoria generale, libro I, Fondamenti di un umanesimo socialista, prospettiva edizioni, roma 2010. reNzI d., Corso di teoria generale, libro II, esseri relazionali e sentimentali. dalle conoscenze alle scelte, prospettiva edizioni, reggello (Fi) 2017. reNzI d., Le persone e le idee. dialoghi umanisti socialisti I, 3 voll., prospettiva edizioni, reggello (Fi) 2019. romANINI CLAUdIA, «Le capacità socializzanti al femminile», in Utopia socialista, n. 13, luglio/settembre 2005. VIteLLozzI FrANCesCA, La nascita della specie umana, prospettiva edizioni, roma 2006. VIteLLozzI F., La comune umanità differente, prospettiva edizioni, reggello (Fi) 2018.

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