Psiconeuroendocrinoimmunologia. I fondamenti scientifici delle relazioni mente-corpo. Le basi razionali della medicina integrata 8874473451, 9788874473458

Antecedente di questo libro è Psiconeuroimmunologia, uscito nel settembre 1995 e da allora ristampato ogni anno. Dopo di

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Italian Pages 306 [501] Year 2015

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Psiconeuroendocrinoimmunologia. I fondamenti scientifici delle relazioni mente-corpo. Le basi razionali della medicina integrata
 8874473451, 9788874473458

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Francesco Bottaccioli

PSICONEUROENDOCRINO IMMUNOLOGIA

Ifondamenti

scientifici delle relazioni mente-corpo. Le basi razionali della medicina integrata

Questo libro* (iLa 'grande connessione' tra sistema neuroen­ docrino, sistema immunitario e tra questi e il sistema nervoso emerge e si rafforza progressi­ vamente nel libro di Francesco Bottaccioli, pagina dopo pagina, in una descrizione che, se è partecipe e appassionata, è altresì sempre documentata da una ricca e godibile iconogra­ fia e da puntuali e aggiornati riferimenti bi­ bliografici. «Il volume, pertanto, se da un lato, con uno stile leggero e volutamente non pedagogico, si rivolge al grande pubblico e lo intrattiene e contemporaneamente lo educa su un argo­ mento affascinante e complesso, dall'altro può rappresentare una base di partenza assai valida per un giovane cultore delle neuro­ scienze e della biologia che desideri avere sin dall'inizio una visione non riduttiva e nozio­ nistica della biomedicina. È auspicabile che, nel panorama non certo esaltante della divul­ gazione scientifica nel nostro Paese, Psiconeu­ roimmunologia incontri quel riconoscimento editoriale che ampiamente merita.» Eugenio Miiller, presidente della Scuola superio­ re Società italiana Neuroscienze «Questo libro dimostra il ritardo della nostra cultura universitaria.» Aldo Brancati, fisiologo, rettore della Seconda Università di Roma

«Il libro di Bottaccioli costituisce un intelli­ gente strumento per inquadrare il nostro lavo­ ro quotidiano in una dimensione più vasta.» Felice Piersanti, presidente della sezione laziale della Società italiana Medicina di laboratorio «Un testo completo, approfondito e con illu­ strazioni molto efficaci.» Paolo Marrama, cattedra di Endocrinologia, Università di Modena «La medicina occidentale sta decisamente cambiando i suoi fondamenti. Francesco Bot­ taccioli ci guida con chiarezza all'interno di questo 'nuovo mondo'.» Lucio Sotte, direttore della 'Rivista italiana di medicina tradizionale cinese ' «Questo libro è scritto e raccontato in modo ve­ ramente valido. Questo permette di riconosce­ re il valore del lavoro di Francesco Bottaccioli. Credo che molti lettori gli saranno grati. La materia, nuova e affascinante, è molto tecnica e piena di difficoltà, poiché chiede di presentare e integrare concetti e temi provenienti da cam­ pi molto lontani tra loro. Scrivere un libro di questo tipo richiede una preparazione sul piano scientifico e un'abilità non comuni.» Massimo Biondi, cattedra di Psichiatria, Uni­ versità La Sapienza di Roma

*I giudizi si riferiscono all'antecedente di questo libro, Psiconeuroimmunologia.

Prefazione Il mio lavoro di cartografo 1997, in un paese dell'entroterra marchigiano arrampicato su una collina, durante un conve­ gno sulle medicine non convenzionali, l'altro re­ latore si rivolge al pubblico in questo modo: meopatica, il due­ centocinquantesimo anniversario della nasci­ ta del fondatore dell'omeopatia, Cristiano Fe­ derico Samuele Hahnemann. Hahnemann infatti è nato il 7 aprile del 1 75 5 a Meissen, i n Sassonia. Una vita lunga e tra­ vagliata, segnata dallo scontro aspro con la me­ dicina ufficiale, che non si conclude con la sua morte, avvenuta il 2 luglio 1 843 a Parigi. A distanza di tanti anni, l'omeopatia è ancora 'fumo negli occhi' per la medicina scientifica. In Europa, in particolare, l'omeopatia è la me­ dicina alternativa per eccellenza. Ricorrono alle cure omeopatiche soprattutto donne giovani con titolo di studio medio-al­ to. In Italia è la medicina non convenzionale più nota e utilizzata dalla popolazione. 285

È pur vero che il padre dell'omeopatia non era tenero verso la medicina, non solo della sua epoca, ma di tutta la tradizion�. Il suo ber­ saglio sono «diciassette secoli di medicina, da Galeno in avanti», scrive nella sua opera prin­ cipale, Organon dell'arte delguarire, pubblica­ ta per la prima volta nel 1 8 1 0. E prosegue: «Vi sono due metodi principali di cura. Uno che fonda ogni suo procedimento sull'osservazione precisa della natura, su espe­ rimenti accurati e sulla pura esperienza, ossia il metodo omeopatico (prima di me mai cor­ rettamente usato); il secondo metodo (etero­ patico) allopatico (talvolta lo chiamerà anti­ patico, N dA.) , che tutto questo non fa. I due metodi sono contrari l'uno all'altro e solo chi non li conosce può illudersi che si possano av­ vicinare od anche abbinare e può perfino ar­ rivare alla ridicolaggine di curare il malato a suo piacere, ora allopaticamente ora omeopa­ ticamente. Questo procedimento costituisce un tradimento delittuoso verso la divina o­ meopatia>> (§ 52) . Nell'epoca presente, questo delitto viene con­ sumato dalla gran parte dei medici omeopati, che, passata la fase della contrapposizione dog­ matica, segnata da comportamenti da setta re­ ligiosa, ora, molto giustamente, si orientano verso un modello di medicina integrata. Ma perché Hahnemann scava un solco così profondo nel campo della medicina? Si dice che fosse spinto soprattutto dall'inef­ ficacia e dalla dannosità delle pratiche medi­ che della sua epoca e che quindi ponesse alla base della sua azione il vecchio comandamento ippocratico: «Primum non nocere>> (innanzi tut­ to, non nuocere). In realtà, il suo libro è dedicato all"arte del guarire' e, se lo si legge, si è attraversati dalla forte passione, direi dall'anelito del medico te­ desco a guarire, non solo a non nuocere. Hahnemann è convinto che sia possibile gua­ rire i malati e che questo «è scopo unico e prin-

LA MODULAZIONE DEL NETWORK UMANO

cipale del medico», come scrive nella prima ri­ ga del suo libro. Ma come si fa a guarire un malato? La medicina allopatica, dice Hahnemann, punta a utilizzare sostanze e procedure che hanno un effetto contrario ai sintomi. È il principio di curare con i contrari: contraria contraribus. Hahnemann è convinto invece che occorra rovesciare il principio terapeutico: si­ milia similibus. È il principio del simile, la pie­ tra angolare su cui fonda la sua dottrina. La contrapposizione è radicale, proprio per­ ché Hahnemann è convinto di aver trovato un principio generale alternativo a quello domi­ nante, che cambia letteralmente la storia del­ la medicina: prima e dopo di lui. Secondo questo principio, la terapia risoluti­ va consiste nella somministrazione di un ri­ medio che, sperimentato nel sano, dà sintomi simili a quelli riscontrati nella malattia. Questo principio, a prima vista controintui­ tivo, si fonda su una concezione dell'organi­ smo umano e della malattia che è figlia del vi­ talismo, un'importante corrente medico-fi­ losofica settecentesca, che avrà la sua culla pro­ prio in Germania. Il vitalismo nasce con il sensismo e costituisce la reazione più forte allo strapotere della fisi­ ca, al razionalismo meccanicista, alla medici­ na meccanica (iatromeccanica) che equipara­ va l'organismo umano agli orologi e come ta­ le soggetto alle pure leggi della meccanica new­ toniana. Nella seconda metà del Settecento, il furioso scontro scientifico sullo sviluppo embrionale contrappose coloro che pensavano che nel­ l'embrione ci fossero già tutti gli organi prefor­ mati e i vitalisti, detti anche epigenisti, se­ condo i quali le parti dell'organismo erano frutto dello sviluppo, che era diretto da una vis vitalis, una forza vitale le cui caratteristiche non erano note, ma gli effetti sì. Noto, per inciso, che anche uno storico della biologia come Ernst Mayr, radicalmente anti­ vitalista, ammette che il vitalismo rappresen­ tava il progresso scientifico, che poi darà vita

alla fisiologia scientifica in Francia con Bichat e Bernard e, nel Novecento, depurato di o­ gni visione ingenua, all' olismo scientifico 1 9• Il centro del ragionamento di Hahnemann è proprio la forza vitale, il principio dinamico che consente la vita. La malattia è una per­ turbazione della dinamica della forza vitale. I sintomi che registra il medico sono l' espres­ sione di questa alterazione. Al medico è concessa solo questa forma di co­ noscenza, non essendo accessibile la conoscen­ za della forza vitale che anima l'organismo. Il medico deve pertanto registrare la totalità dei sintomi del paziente e trovare un rimedio che, sperimentato nel sano, produca una ma­ lattia artificiale simile il più possibile a quella registrata nel malato. «Dando un rimedio che somiglia alla malattia,» scrive Hahnemann nel suo altro libro fonda­ mentale, Le malattie croniche, «la forza vitale è spinta ad aumentare la propria energia finché essa diviene più forte della malattia, la quale fi­ nalmente si dissolve. Quindi, interrompendo il trattamento, ritorna lo stato di salute.» E nel­ l' Organon chiarisce il concetto con queste pa­ role: «La nostra forza vitale cerca di opporsi al­ l'azione del medicamento. [azione che ne de­ riva ha carattere conservativo per la vita, è un'at­ tività automatica della forza vitale» (§63). Ma con quali strumenti possiamo evocare la reazione secondaria curativa della forza vitale? «Poiché ogni malattia (che non spetta alla chi­ rurgia) consiste in una perturbazione patolo­ gica dinamica nella nostra forza vitale (essa) nella cura omeopatica viene attaccata da un'af­ fezione più forte, simile, artificiale, determi­ nata dalla somministrazione di una medici­ na potentizzata e scelta esattamente per la so­ miglianza dei sintomi.» (§29) Troviamo qui l'altra peculiarità della terapia omeopatica: l'uso di medicine preparate con una procedura che prevede un'estensiva tritu­ razione dei prodotti di partenza (piante, mi­ nerali, prodotti animali), seguita da diluizio­ ni in acqua e alcol e da 'succussioni'. Ecco co-

286

LA MODULAZIONE DEL NETWORK: LE TERAPIE NATURALI

me Hahnemann descrive la succussione: «Tap­ pata bene, la boccetta (con la diluizione, NdA.) riceverà cento scosse forti, eseguite con la mano contro un corpo duro ma elastico, per esempio un libro rilegato in pelle» (§270) . Si racconta che Hahnemann usasse la Bibbia per questa funzione! Questa procedura viene ripetuta in serie, e­ seguendo successive diluizioni e 'succussioni'. In origine tale metodo era utilizzato per ri­ durre la tossicità di sostanze spesso partico­ larmente pericolose, come il veleno di ser­ pente, ma in seguito Hahnemann notò che, procedendo nelle diluizioni e succussioni, cre­ sceva la capacità di cura del medicinale. Per questo parlò di potenze crescenti e definì la procedura 'dinamizzazione'. Per questo, ancor oggi, per trattare un disor­ dine di tipo sistemico, che coinvolge la forza vitale nel suo più puro aspetto energetico, il medico omeopata usa medicinali a elevata po­ tenza, cioè molto diluiti e dinamizzati.

La scienza e l'omeopatia L azione del rimedio omeopatico non è quin­

La scienza farmacologica tradizionale nega che dosi molto basse di una sostanza abbiano ef­ fetti significativi. Così, una sostanza viene clas­ sificata in base a determinati effetti, che, di re­ gola, sono sempre quelli, indipendentemente dallo stato del soggetto che la riceve. In realtà, è tutto molto più complicato e più vicino ai paradossi omeopatici di quello che si possa pensare. Quarantacinque anni dopo la morte di Hah­ nemann, nel 1 888, Schulz, uno studioso te­ desco interessato a comprendere i meccanismi dell'omeopatia, lavorando sui lieviti, dimostra che la dose del farmaco può avere effetti op­ posti: stimolanti nel caso di basse dosi, inibenti nel caso di alte dosi. Questo effetto, che nei te­ sti di Farmacologia si chiama anche 'effetto a U rovesciata' o 'effetto bifasico', nel 1 943 ven­ ne incorporato in un nuovo concetto, chia­ mato 'ormesi' (dal greco ormdo, 'stimolare') da due fitopatologi, Southam ed Ehrlich, che ri­ scontrarono la validità della legge di Shulz (meglio nota come 'legge di Arndt e Schulz'), studiando la risposta di dosi variabili di estratti di cedro rosso sulle infezioni fungine. Recentemente, Edward Calabrese, tossicolo­ go ambientale dell'Università del Massachu­ setts, ha ricostruito la storia del concetto di or­ mesi, dimostrando: primo, che il concetto di ormesi, per studiare gli effetti di sostanze tos­ siche, carcinogeni e altro, è molto più effica­ ce del tradizionale concetto di soglia, secondo cui gli effetti si vedono solo se la concentra­ zione del tossico supera una determinata con­ centrazione; secondo, che per un secolo que­ sto concetto è stato messo all'indice a causa del suo accoppiamento con l'omeopatia20• Calabrese parla dell' ormesi come della «lette­ ra scarlatta scientifica», alludendo allo splen­ dido romanzo omonimo, La lettera scarlatta, di Nathaniel Hawthorne, nel quale si raccon­ ta l'ostracismo della comunità verso una don­ na sposata che aveva in tessuto una relazione sentimentale con un Pastore. Scoperta, venne messa alla gogna e condannata a portare sul petto una lettera scarlatta, la '1\ dell'adultera.

di diretta verso la malattia o le sue cause (stres­ sor di vario tipo), bensì è di tipo indiretto, es­ sendo rivolta a sollecitare una reazione rie­ quilibrante della forza vitale. È per questo che si dice che in omeopatia non interessa la malattia, bensì il malato, inteso co­ me individuo dotato di un 'principio vitale', che, se opportunamente sollecitato, è in gra­ do di eliminare il disordine e riconquistare la salute. Detto in linguaggio scientifico moderno, la medicina omeopatica sarebbe quindi in gra­ do di sollecitare i meccanismi di riequilibrio dinamico dell'organismo, meccanismi che sap­ piamo essere molto articolati e diffusi sia a li­ vello cellulare sia a livello di grandi sistemi. Sorgono a questo punto alcuni problemi: può un farmaco molto diluito avere questo effet­ to? E, assieme a questo, l'altro: perché un ri­ medio che nel sano produce malattia, nel ma­ lato produce guarigione? 287

LA MODULAZIONE DEL NETWORK UMANO

Solo negli ultimi anni, la tossicologia e la farmacologia stanno riaccostandosi al con­ cetto di ormesi, all'idea cioè che anche dosi molto basse possano avere effetti significati­ vi. Concetto che viene ulteriormente allar­ gato dagli studi sul sistema immunitario se­ condo i quali è centrale non solo la dose, ma anche la via di ingresso (mucosa, cute o san­ gue) . Per esempio, è noto che se si vuole in­ durre una risposta di riequilibrio immunita­ rio (tolleranza) , servono basse dosi, e la via da seguire è quella della mucosa, per esem­ pio sublinguale 21 • Anche l'altro problema, cioè la diversità de­ gli effetti di una sostanza a seconda dello sta­ to in cui si trova chi la riceve, può essere spie­ gata in base a osservazioni scientifiche degli ultimi cento anni. È noto, infatti, che la medesima sostanza, per esempio una sostanza eccitante come l' adre­ nalina, se somministrata in uno stato di for­ te attivazione del sistema simpatico produce un debolissimo e breve incremento della pres­ sione arteriosa e della frequenza cardiaca, se­ guito da una potente e prolungata depressio­ ne di ambedue le funzioni. Al contrario di quello che accade se la stessa sostanza viene somministrata in uno stato di vagotonia, cioè di iperattivazione del parasimpatico. Del resto, è noto sul piano clinico che, in cor­ so di tachicardia parossistica (incremento ec­ cezionalmente elevato della frequenza dei bat­ titi del cuore, spesso accompagnata da altre alterazioni del ritmo cardiaco), l'adrenalina, che dovrebbe aumentare la frequenza cardia­ ca, in realtà la rallenta. Molto noto anche il cosiddetto effetto re­ bound, cioè la comparsa di un effetto opposto a quello desiderato. Questo accade soprattut­ to in corso di trattamenti cronici. Per esem­ pio, i clinici sanno che i broncodilatatori, che sembrerebbero essere i farmaci di elezione per l'asma, non possono essere usati a lungo per­ ché provocano costrizione bronchiale. Lo stes­ so fenomeno riguarda i cardiotonici. Oppu­ re il paradosso dei beta-bloccanti che, essen288

do per definizione dei farmaci che bloccano la ricezione da parte del cuore del segnale ecci­ tante della noradrenalina, non dovrebbero es­ sere usati nell'insufficienza cardiaca, cioè in un cuore che fatica a pompare. In realtà, i beta-bloccanti, se nel breve perio­ do possono dare problemi, alla lunga hanno effetti positivi sul cuore scompensato. Qualcuno ha chiamato queste e altre innu­ merevoli osservazioni «farmacologia para­ dossale». In realtà, è paradossale l'ostinazione di alcu­ ni farmacologi, che si presentano come vesta­ li della scienza, nel vedere la realtà di organi­ smi complessi con gli occhiali infantili delle relazioni causali lineari. Il mondo rettilineo, ordinato, conoscibile e prevedibile, che disegnano con i loro esperi­ menti, semplicemente non esiste, è il frutto della loro immaginazione!

L'omeopatia e la scienza I principi alla base della medicina omeopati­ ca, il simile, le basse dosi, appaiono quindi scientificamente plausibili. Ed è per questo che l'intervento omeopatico può funzionare da modulatore del network umano. Questo vuoi dire allora che è tutto a posto e che la 'divina omeopatià uscirà dalla congiu­ ra allopatica e conquisterà la medicina? In realtà, non sembra che si possa tracciare quel solco che provò a scavare, due secoli or sono, Cristian Hahnemann. Alla luce dei fat­ ti, non ci sono di qua i buoni e di là i cattivi. Anche l'omeopatia ha bisogno di ripensare il proprio rapporto con la scienza, oltre che di ragionare sulle proprie fonti teoriche. Rispetto alla scienza, non è possibile evitare lo scoglio delle altissime diluizioni che, oltre la soglia del Numero di Avogadro, non presen­ tano più traccia delle sostanze di partenza. È da tempo che alcuni fisici e biochimici cer­ cano di dimostrare che in realtà è il solvente (acqua e alcol) , modificato dalle ripetute di­ luizioni e dinamizzazioni, a fungere da me-

LA MODULAZIONE DEL NETWORK: LE TERAPIE NATURALI

di cina. A tutt'oggi non si ha una dimostra­ zione accettata di questa ipotesi (cosiddetta 'memoria dell'acquà). Resta il fatto che, anche in ambito clinico, le basse e medie diluizioni sono le più usate e so­ no più numerosi gli studi clinici positivi con queste dosi rispetto a quelli che impiegano al­ te diluizioni. Sempre sul piano scientifico, c'è un problema di fondo: per Hahnemann, quello che accade nella forza vitale è inconoscibile e il medico non deve curarsene, deve badare al messaggio che veicolano i sintomi. Non credo che sia accettabile, per scienziati e medici del Terzo millennio, avere questo pro­ gramma scientifico. Rendere conoscibili i mec­ canismi regolatori dell'organismo umano, an­ che tramite l'impiego di strumenti tecnologi­ ci sofisticati di indagine, credo sia un pro­ gramma condivisibile da tutti coloro che han­ no a cuore la cura degli umani e lo sviluppo della conoscenza. Cura e conoscenza che, anche se non in mo­ do lineare, sono fortemente relazionare. Certo, questo non vuol dire riabbracciare la cieca fede razionalista sul progresso e sulla scienza; sappiamo che è necessario un nuovo paradigma scientifico e filosofico, fondato sul­ la complessità e sull'incertezza, e questo libro vuole esserne testimonianza, ma ciò non to­ glie che la rotta vada mantenuta. Ci sono poi, almeno a me pare, alcuni pro­ blemi di coerenza interna all'omeopatia. Innanzi tutto il problema dell'aderenza al prin­ cipio hahnemanniano della registrazione del­ la totalità dei sintomi e della ricerca di rimedi che riproducano, nel sano, il più possibile quella totalità. Totalità dei sintomi, infatti, vuol dire identi­ ficare una sindrome, e cioè un insieme rela­ zionato di segni. Ora, è noto che la vasta spe­ rimentazione che gli omeopati hanno fatto nel­ l' arco di due secoli e che ha portato alla reda­ zione di repertori di rimedi e di sintomi a es­ si associati, conosciuti come 'Materia Medicà, non tiene conto delle sindromi ma dei singo-

li sintomi. Questo crea evidentemente dei pro­ blemi di aderenza ai principi hahnemanniani. Non a caso questa difficoltà ha dato spazio al­ la cosiddetta omeopatia clinica, e cioè a quel­ la corrente medica che parte non dai sintomi o dalla loro totalità, ma dalla diagnosi clinica tradizionale, somministrando miscele di ri­ medi omeopatici per lo più a basse diluizioni (cosiddetto 'complessismo'). La cosiddetta 'omotossicologià, fondata da H. Reckeweg negli anni Sessanta, è anch'essa un tentativo di sintesi tra l'omeopatia classica e le più recenti conoscenze scientifiche in campo immunologico, biochimico e di regolazione tra sistemi. E poi la medicina antroposofica, fondata da Ru­ dolph Steiner, che usa anche farmaci omeopati­ ci, e poi l'isopatia, la terapia con nosodi e altro ancora. Insomma, sotto il cappello dell' omeo­ patia ci sono spesso molte realtà diverse tra loro. Il rischio principale, comunque, non sembra tanto la babele delle lingue, piuttosto la ten­ denza a omologare la pratica omeopatica a quella medica tradizionale. Lomeopata come prescritto re di prodotti, cer­ to diversi dai farmaci, ma frutto della stessa re­ lazione terapeuta-paziente che bada alle ap­ parenze, al sintomo, che va veloce, che ri­ sponde con una ricetta alla richiesta di aiuto. Ma riprenderemo questo tema nel capitolo finale del libro. In conclusione, è assolutamente plausibile che determinate pratiche omeopatiche abbiano la capacità di influenzare il network. E questo è confermato da prove di efficacia di cui darò conto nel capitolo finale. [acrimonia con cui alcuni trattano l'omeopa­ tia non pare quindi dettata dall'amore per la scienza, ma da pregiudizi o da altri interessi. Al tempo stesso, ci si aspetta dagli omeopati che hanno a cuore lo sviluppo della conoscen­ za e della medicina un impegno vigoroso e un elevato sforzo teorico di sistemazione dell'edi­ ficio hahnemanniano e di ripensamento delle sue relazioni con la scienza avanzata 22 • 289

LA MODULAZIONE DEL NETWORK UMANO

La fitoterapia È il più antico modulatore del network uma­ no. Il suo uso sapiente è antico quanto l'uo­ mo, confondendosi con l'alimentazione. La capacità di riconoscere le piante e le sostanze utili per ristabilire la salute è ben precedente al­ la sua sistematizzazione in erbari che hanno ac­ compagnato la medicina in tutta la sua storia e che hanno avuto il loro massimo splendore, in Oriente e in Occidente, nel XVI secolo, con Li Shi zhen e Pietro Andrea Mattioli. È noto che scimpanzé e gorilla si tramandano una conoscenza molto precisa sull'uso di un centinaio di piante, a cui ricorrono con com. petenza per i loro principali problemi di salu­ te. Ma basta vedere il comportamento di un cane o di un gatto domestici che vivono in un ambiente naturale, e quindi con piante a di­ sposizione: animali essenzialmente carnivori, quando ne hanno bisogno, vanno a cercare e mangiano fili d'erba, fiori e foglie per curarsi. Gran parte della nostra moderna farmacolo­ gia deriva dalle piante. Negli ultimi anni, in tutto l'Occidente, c'è u­ na notevole crescita dell'interesse e dell'uso delle piante a fini preventivi e terapeutici. È stato calcolato che nel 200 l , negli USA, sono stati spesi quasi 340 milioni di dollari per l'acquisto di piante medicinali e di pro­ dotti derivati 23. C'è una grande crescita dell'offerta di prodot­ ti che contengono estratti di piante titolari e standardizzati, che quindi garantiscono la qua­ lità necessaria. Al tempo stesso, anche in Italia si sta svilup­ pando un sistema di sorveglianza sugli effetti avversi e sulle interazioni con farmaci e ali­ menti 24. A prima vista, le piante sono dei farmaci me­ no potenti. In realtà, la differenza non è di ti­ po quantitativo, ma qualitativo. Un farmaco contiene di regola un solo prin­ cipio attivo, mentre l'erba medicinale contie­ ne una varietà di sostanze: per questo viene an­ che definita 'fitocomplesso'. 290

Ciò ha diversi vantaggi: consente l'uso pluri­ mo della stessa pianta (per esempio, l'iperico è un ottimo antinfiammatorio e cicatrizzante locale, ma è utile anche come antidepressivo); garantisce una minore tossicità rispetto alle singole molecole, e una migliore biodisponi­ bilità dei singoli principi attivi. Sulle erbe medicinali, su alcune di loro in par­ ticolare, è in atto uno scontro sordo tenden­ te a screditarne l'immagine e l'efficacia. È evi­ dente, infatti, che la pianta in quanto tale non può essere brevettata. Da parte dell'industria c'è quindi interesse so­ lo all'isolamento di principi attivi da brevet­ tare, da mettere in commercio sotto forma di farmaco e da cui ricavare profitti. Il fatto è che le piante, di solito, funzionano co­ me fitocomplesso. Per capirci, non c'è un prin­ cipio attivo da estrarre dall'iperico per farne un nuovo farmaco antidepressivo. C'è l'iperico, un suo estratto, che funziona in quanto tale. È intuibile che, se si dimostra senza ombra di dubbio che l'iperico, per stare all' esem­ pio, funziona come e meglio dell' antide­ pressivo di ultima generazione, può andare a ramengo un'intera classe di farmaci che hanno un mercato notevole e in crescita e­ sponenziale. Di qui, il clima non limpido di cui parlavo. Per non appesantire questa parte del libro, rin­ vio al capitolo 'Depressione e ansià l'esame di due piante nel mirino: l'iperico e il kava kava. Voglio, invece, dare solo un saggio della dut­ tilità e dell'efficacia dei rimedi naturali nel mo­ dulare il network umano in formazione. È noto infatti che i bambini, a causa del­ l'immaturità del loro sistema immunitario, sono dei grandi consumatori, loro malgrado, di antibiotici. Questi hanno effetti deleteri sull'equilibrio immunitario e, al tempo stes­ so, incrementano il pericoloso fenomeno del­ la antibiotico-resistenza. Ma è possibile uscire dalla spirale antibioti­ ca, ricorrendo alle sostanze naturali.

LA MODULAZIONE DEL NETWORK: LE TERAPIE NATURALI

Echinacea e propoliper allenare le difese dei bambini Quando si è piccoli è molto facile ammalarsi in inverno. Diversi studi hanno calcolato che 1'80% dei bambini sotto i 5 anni, in inverno, si ammala almeno una volta a causa di infe­ zioni delle vie respiratorie: raffreddori, sinusi­ ti, faringiti, tonsilliti, otiti, ma sono frequen­ ti anche bronchiti e polmoniti. La risposta terapeutica tradizionale è basata su­ gli antibiotici. Una ricerca danese25 dimostra che i due terzi dei bambini, nei primi due an­ ni di vita, ricevono da uno a cinque cicli di an­ tibiotici e che circa un 7% ne riceve più di sei. Solo un piccolissimo su quattro ha quindi la for­ tuna di non ricevere antibiotici appena nato! Da alcuni anni, le istituzioni scientifiche, in Europa e in Usa, hanno evidenziato il proble­ ma della prescrizione di antibiotici in genera­ le, ai bambini in particolare, cercando di li­ mitare le prescrizioni generalizzate e sbagliate di questi farmaci. Con risultati variabili. Dai primi anni Novanta, le istituzioni medi­ che americane hanno lanciato l'allarme sulla diffusione dei ceppi batterici resistenti agli an­ tibiotici proprio a causa dell'uso sempre più massiccio e sconsiderato di questi farmaci, sia tra gli umani sia negli allevamenti animali. Si calcolò che oltre il 50% delle prescrizioni di antibiotici, fatta da medici di base e pedia­ tri, era sbagliato. Oggi, negli Usa 26, sembra che ci sia una leg­ gera inversione di tendenza. Non è così per l'Europa, dove occorre fronteggiare una ten­ denza all'aumento delle prescrizioni di anti­ biotici per i bambini. Di fronte a questa situazione, soprattutto tra immunologi e pediatri va crescendo l'atten­ zione verso rimedi e strategie alternative. Ri­ porto qui uno studio che mi pare esemplare nella sua forza e semplicità. Su 'Archives of Pediatric Adolescential Medi­ cine'27, un gruppo di pediatri e ricercatori i­ sraeliani ha documentato che l'uso prolun29 1

gato di uno sciroppo molto usato in Israele (denominato Chikuzit) , contenente estratto di echinacea e di propoli e una modestissima quantità di vitamina C, è stato in grado di ab­ battere di oltre il 50% gli episodi di malattie invernali in bambini sotto i 5 anni di età. Lo studio è particolarmente importante poi­ ché è stato realizzato in doppio cieco con pia­ cebo. 430 bambini sono stati casualmente di­ visi in due gruppi e, per tre mesi, ognuno di loro ha assunto tutti i giorni un cucchiaino dello sciroppo, senza sapere se conteneva il far­ maco naturale oppure sostanze inattive. I pediatri hanno anche dato precise istruzioni di incrementare a quattro volte al giorno la so­ lita dose in caso di febbre o altri disturbi. L'osservazione dei bambini ha coperto il pe­ riodo critico: dal l o novembre al 30 marzo. La Tabella di pag. 292 mostra i risultati otte­ nuti, davvero molto incoraggianti. I bambini che hanno assunto echinacea e pro­ poli si sono ammalati in media meno della metà e, quando è successo, la malattia si è ri­ solta più rapidamente. Di rilievo è l'abbattimento degli episodi di o­ tite media acuta di quasi il 70%. Questa pa­ tologia è una vera e propria piaga tra i bam­ bini sotto i 5 anni di età, ed è anche causa di ripetuti cicli di antibiotici. Se questo studio controllato venisse confer­ mato da altri studi, avremmo quindi risultati di grande rilievo. Innanzi tutto, ridurremmo l'uso di antibiotici, che sono causa della dif­ fusione di batteri resistenti ai farmaci. Inoltre, spenderemmo molto meno in medi­ cine. Infine, ma non ultimo, i bambini sta­ rebbero meglio, sia perché prenderebbero me­ no infezioni respiratorie, sia perché costrui­ rebbero un sistema immunitario equilibrato, presupposto per una buona salute da adulto. Gli antibiotici e la combinazione echinacea e propoli hanno, infatti, due diversi modi di a­ gire. I primi hanno come bersaglio i batteri: li distruggono, ma possono anche alterare il nor­ male equilibrio immunitario. I secondi, inve-

LA MODULAZIONE DEL NETWORK UMANO

Numero tota le d i episod i di malattia

1 38

308

-55%

Numero tota l e d i giorni di malattia

423

1 040

-59%

Numero di bam b i n i con più di 1 episod io

85

1 50

-43 %

Numero di episodi p e r bambino

0.9

1,8

-50%

Giorni d i malattia per bambino

2.6

6.2

-58%

Otite media acuta

31

73

-68%

Polmoniti

13

38

-66%

Faringo-tonsill iti

10

25

-60%

Raffreddori, sinusiti

79

1 58

-50%

Fonte: H.A. Cohen e al. Effectiveness of an herbal preparation containing Echinacea, Propo/is and vita m in C in preventing respiratory tract infection in children, 'Arch Pediatr Adolesc Med', 2004; 1 58: 2 1 7-22 1 .

ce, stimolano una risposta immunitaria effi­ cace nei confronti dei batteri e anche nei con­ fronti dei virus, verso i quali gli antibiotici so­ no inefficaci.

7. L.R. Watkins, S . F. Maier Beyond neurons: evidence that

immune and glia! cells contribute to pathologicalpain sta­ tes, 'Physiological Review', 2002; 52 98 1 - 1 0 1 1 . 8 . G . Biella et al. Acupuncture produces centrai activations in pain regions, 'Neuroimage', 200 1 , 14: 60-6. 9. J. Parieme e al. Expectan cy and beliefmodukzte the neu­ ral substrates ofpain treated by acupuncture, 'Neuroimage',

L'echinacea e la propoli hanno quindi la ca­ pacità di non interferire, ma anzi di aiutare il processo di maturazione del sistema immuni­ tario del bambino, che giungerà a compi­ mento non prima della pubertà, quando, non a caso, l'incidenza delle malattie respiratorie sarà del tutto simile a quella dell'adulto.

2005; 25 : 1 1 6 1 -1 1 67 . l O. H . M . Langevin e al. Mechanical signaling trough con­

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292

intracellular free calcium concentrations are mediated by

LA MODULAZIONE DEL NETWORK: LE TERAPIE NATURALI

Na+ICa2+ exchanger and L-type calcium channel 'Mol Celi

Biochem', marzo 2005; 27 1 ( 1 -2):5 1 -9. 19. E. Mayr Ii modello biologico, McGraw-Hill, Milano, 1998. 20. E. Calabrese Toxicological awakenings: the rebirth ofhor­ mesis as a centrai piliar oftoxicoiogy, 'Toxicology and Ap­ plied Pharmacology', 2005; 204: 1 -8. 2 1 . F. Bottaccioli Il sistema immunitario, la bilancia delia vita, Tecniche Nuove, Milano, 2002. 22. P. Bellavite Biodinamica, malattia, simiiitudine, artico­ lo in tre parti pubblicato in 'Il medico omeopata', 2004; numeri 25, 26, 27. 23. F. Capasso e al. Phytotherapy, A quick refèrence to her­ bal medicine, Springer, Berlino, 2003, p. 5 . 24. F. Firenzuoli Fitoterapia, II ed., Masson, Milano, 2002. Dello stesso autore segnalo Interazioni tra erbe, alimenti e farmaci, Tecniche Nuove, Milano, 200 1 . Infine il sito del­ l'Istituto Superiore di Sanità per la segnalazione degli ef­ fetti avversi www. epicentro.iss.it 25. H.B.M. Otters e al. Trends in prescribing antibiotics for children in Dutch generalpractice, 'JAC', 2004; 53: 361-366. 26. J .A. Finkelstein e al. Reduction in antibiotic use among US children 1996-2000, 'Pediatrics', 2003; 1 12: 620-627. 27. H.A. Cohen e al. Ejjèctiveness ofan herbalpreparation

OPERE GENERALI E DI RIFERIMENTO

Sulla medicina e sulla filosofia cinese Fung Yu-Lan Storia della filosofia cinese, Monda­ dori, Milano, 1 990. C. Larre, F. Berera Filosofia della medicina tradi­ zionale cinese, Jaca Book, Milano, 1 997. G. Maciocia Ifondamenti della medicina tradizio­ nale cinese, Ambrosiana, Milano, 1 996. E. Rossi Shen, aspettipsichici nella medicina cinese, Ambrosiana, Milano, 2002. P.U. Unschuld Medicine in China. A history ofi­ deas, University of California Press, 1 98 5 .

containing Echinacea, Propolis and vitamin C in preven­ ting respiratory tract infèction in children, 'Arch Pediatr A­

do lesc Med', 2004; 1 58: 2 1 7-22 1 .

293

Sull'omeopatia C. Hahnemann Organon dell'arte delguarire, Red Edizioni, Milano, 1985. Sulla fitoterapia F. Capasso e al. Phytotherapy, A quick rejèrence to herbal medicine, Springer, Berlino, 2003.

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

«Solo cinquant'anni dopo la rivoluzione copernicana, gli astronomi occidentali videro per la prima volta un mutamento nei cieli fino ad allora ritenuti immutabili. I cinesi, invece, le cui dottrine cosmologiche non erano incompatibili con i mutamenti celesti, avevano registrato la comparsa di macchie solari e l'apparizione di molte stelle nuove nel cielo molti secoli prima della scoperta del telescopio galileiano. La facilità e la rapidità con cui gli astronomi videro cose nuove, guardando oggetti vecchi con vecchi strumenti, ci fa affermare che essi, dopo Copernico, vissero in un mondo differente.>> Thomas S. Kuhn

La struttura delle rivoluzioni scientifiche

Le malattie infettive

Le malattie infettive sono parte integrante della storia dell'umanità. Sotto questo profilo, gli storici della medicina e della sanità dividono gli ultimi diecimila an­ ni, dalla scoperta dell'agricoltura in avanti, in tre grandi epoche. La prima, la più antica, è caratterizzata dalla comparsa sempre più massiccia, negli insedia­ menti umani, di animali da allevamento. Uomi­ ni e animali vivranno sotto lo stesso tetto per mi­ gliaia di anni. E da questo stretto e prolungato rapporto, che d'altra parte è stato uno spettaco­ lare volano per lo sviluppo della ricchezza e della civiltà, che si selezioneranno patogeni capaci di fare il 'salto di specie', cioè di adattarsi a infettare le comunità umane (si veda la Tabella nella pa­ gina seguente). Da questo momento in poi, le epidemie non abbandoneranno più l'umanità.

delle guerre. Le popolazioni si mischiano, e con loro si diffondono i fattori di contagio. L'esempio più celebre è quello della 'peste di Atene', nel 430 a.C., che per il grande storico Tucidide veniva dall'Etiopia. Ma nei secoli successivi, lungo la Via della Seta, tra Roma e la Cina, assieme a preziosi carichi viaggiava­ no anche il vaiolo e il morbillo. Famose le epidemie del Medioevo. La peste bubbonica arrivò in Europa nel 1 347, facen­ do stragi che si replicarono, anche se con in­ tensità minori, nei successivi cinque secoli.

La seconda fase è quella dell'incremento dei viaggi, degli incontri e, ahimè, degli scontri, 297

La terza fase inizia con la nascita dell'età mo­ derna, con Cristoforo Colombo. Una fase di disseminazione e di scambio di agenti infettivi tra le varie popolazioni del pianeta. La scoperta delle Americhe, com'è noto, di­ strusse letteralmente i nativi al Nord e al Sud, che si ammalarono e morirono di vaiolo e morbillo, malattie a loro sconosciute. In un bellissimo libro, Armi, acciaio e malttt-

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATIIE

Malattia

Morbi llo

Animali da c u i si selezionano i patogeni u ma n i

Buoi (peste bovina)

Tubercolosi

Buoi

Vaiolo

Buoi (vaiolo vaccino) e altri animali affetti da Poxvirus

Influenza

Maiali, anatre, uccelli

Pertosse

Maiali e cani

Malaria

Uccelli (forse pol li e anatre)

Fonte: J. Diamond Armi, acciaio e malattie, Einaudi, Torino, 2000, p. 1 59.

tie, Jared Diamond, fisiologo dell'Università di Las Angeles, con una passione per l'etna­ antropologia, racconta con molti dettagli le orrende stragi tra le popolazioni del N uovo Mondo compiute dai bacilli al seguito dei conquistadores spagnoli. «Ciò che dette agli spagnoli un vantaggio deci­ sivo,» scrive J. Daimond, «fu il vaiolo, che era stato portato in Messico nel 1 520 da uno schia­ vo. Quasi la metà della popolazione azteca morì a seguito dell'epidemia che scoppiò, e tra le vit­ time ci fu l'imperatore Cuiclàhuac. I soprawis­ suti erano comunque demoralizzati da questa malattia misteriosa, che sembrava risparmiare gli spagnoli, quasi a mostrare la loro invulnera­ bilità. Un secolo dopo, nel 161 8, i venti milioni di abitanti del Messico precolombiano erano di­ ventati poco più di un milione e mezzo 1 .» Questo spiega perché spedizioni con poche cen­ tinaia di soldati riuscirono a piegare awersari ben più numerosi. Altro che superiorità militare o, come dicevano i conquistatori, di civiltà! Furono i germi europei a vincere le guerre di conquista delle Americhe! Nell'epoca attuale, le grandi epidemie, sotto varie forme, non ci hanno abbandonato. Mi­ liardi di persone sono sotto l'incubo della ma­ laria, della tubercolosi, dell'Aids. Ma anche l'epidemia ricorrente che più conosciamo e che fa meno paura, l'influenza, sta allarmando le autorità sanitarie internazionali. Come vedremo, mentre è scarso il nostro arma­ mentario farmacologico, notevoli potrebbero 298

essere i risultati, se, chi si occupa di medicina preventiva, avesse un orientamento meno 'vac­ cino-centrico' e più orientato a politiche di massa di riequilibrio del sistema immunitario.

L'influenza: epidemie e pandemie La malattia la conoscono tutti: chi infatti non l'ha avuta almeno una volta? Febbre alta, tos­ se, dolori muscolari, spossatezza, sintomi che, di solito, si risolvono in 3-5 giorni, anche se tosse e stanchezza possono persistere per una o due settimane. La causa della malattia è il virus influenzale, che è costituito da un nucleo awolto da una protei­ na che presenta due antigeni che ci consentono di riconoscerlo, battezzati emoagglutinina (H, in sigla) e neuraminidasi (N, in sigla). Il box di pag. 299 fornisce altre informazioni sui virus influenzali e la nomenclatura estesa stabilita dall'Organizzazione Mondiale della Sanità. Il virus varia le caratteristiche degli antigeni praticamente ogni anno. Se le variazioni sono limitate non ci sono grossi problemi, perché la popolazione nel suo insieme è parzialmente, naturalmente, vaccinata, e cioè il nostro siste­ ma immunitario, che ha già incontrato il vi­ rus, lo riconosce e ne limita la diffusione. Se invece le mutazioni sono rilevanti nel senso

LE MALATTIE INFETTIVE

l virus influenzal i sono della fam ig l ia deg l i Or­ tomixoviridae, i l cui genoma è costituito da RNA segmentato. Esistono tre tipi fondamen­ tali, denomi nati A. 8, C. l sottoti p i vengono identificati in base alle g l icoprotei ne d i super­ ficie: emoaggl uti n i na (HA) e neura m i n i dasi (NA). Ad ogg i sono stati identificati 1 5 sottoti­ pi HA e 9 NA. Le principa l i riserve natura l i dei virus i nfluen­ zali di tipo A sono gli ucce l l i, che funzionano da portatori sani, cioè non si ammalano. Nelle loro feci e in acqua contam i nata i l virus può resistere per settimane. Mentre è mo lto d iffi­ c i le il passaggio da ucce l l i a umani e molto più sempl ice quello tra ucce l l i e poll i . M a per poter acq u is i re elevata diffusi b i l ità tra

g l i umani il virus di origine aviaria deve com­ binarsi con virus analoghi già adattati a l l 'am­ biente umano. l mai a l i sembrano essere l 'a­ nel l o i ntermed io tra vol ati l i e umani, in quan­ to in q uesti a n i m a l i circo lano sia virus aviari sia virus u m a n i . I l p r i m o virus influenza l e d i tipo A è stato identificato nel 1 933. Ogni qualvolta si identi­ fica un nuovo virus di origine umana si usa la segu ente nomenclatura. Ti po di a ntigene (A) Luogo d i origine (Pana­ ma) Nu mero (2007) Anno di isola mento (1 999) Sottotipo Emoag g l utinina e Neurami­ nidasi (H3N3). La seq uenza, nel l 'esempio citato, sarà quindi scritta così: A/Panama/2007/99/ (H3N3) .

Fonti: WHO A revision of the system of nomenc/ature for influenza viruses, 'Bul letin o f the WHO', 1 980; 58: 585-91 ; N.J. Cox, K. Subbarao Global epidemiology of influenza: past and prese nt, 'Annual Review of Medi­ c in e , 2000; 51 : 407-42 1 . '

Sud nel febbraio del 1 957, ad aprile era già a Singapore, a giugno-luglio negli USA: a ot­ tobre e nel gennaio del 1958 si registrarono i due principali picchi epidemici. A essere par­ ticolarmente colpiti furono i giovanissimi, tra i 5 e i 1 9 anni di età. Il virus che causò la terza pandemia, la cinese del l 968 (era proprio l'anno della Cina!), non era un virus completamente nuovo, aveva conservato l'antigene N dell'asiatica, ma cam­ biato l'H: la sua sigla infatti è H3N2. Fu una pandemia lunga: partita nel luglio del 1 968 da Hong Kong, è arrivata in USA nel­ l'inverno 1 968-69, e in Europa l'inverno suc­ cessivo. Anche in questo caso, bersagli privile­ giati i ragazzi tra i l O e i 1 4 anni.

che compare praticamente un nuovo virus (quello che gli immunologi chiamano antige­ nic shiftJ, allora possono essere guai, perché, non essendo mai stato incontrato in prece­ denza, il virus può disseminarsi facilmente e aumentare anche la percentuale di persone che, purtroppo, muoiono. In questo caso si parla di 'pandemie'. Nell'ul­ timo secolo, tre sono state le pandemie: la ce­ lebre e nefasta spagnola, 1 9 1 8- 1 9; l'asiatica, 1 956-57; la cinese, 1 968-69 2 • La spagnola, causata dal virus H l N l , fece 4050 milioni di morti soprattutto in modo di­ retto, causando emorragie polmonari. È ancora un mistero scientifico la ragione di questa eccezionale virulenza e letalità. Non è chiara nemmeno l'origine del contagio. Qual­ cuno parla della solita origine asiatica, altri in­ vece sostengono che il virus è partito da campi dell'esercito degli Stati Uniti nel marzo del 1 9 1 8 . Resta il fatto che nell'agosto del 1 9 1 8 arrivò una seconda ondata di influenza nel Nord America, in Europa e in Mrica. Una ter­ za ondata compì l'opera nell'inverno 1 9 1 8- 1 9. Anche l'asiatica non scherzò, in quanto era originata da un nuovo virus, H2N2. Questa volta è ceno che partì dalla Cina del

Aspettando la prossima pandemia L'Organizzazione Mondiale della Sanità, che da decenni ha istituito un ramificato sistema di sorveglianza a livello mondiale, dice che una nuova pandemia sarà inevitabile. Non sappiamo quando, ma dobbiamo essere pronti. Come? 299

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

Innanzi tutto rafforzando la sorveglianza sulla comparsa di nuovi virus. E in effetti, sia nel 1 997 sia nel 2003, si è presentato in Asia un nuovo virus che ha causato marie di polli e anche l'infezione e la morte di un numero limitato di persone che vivevano a stretto con­ tato con gli animali. Nell'agosto del 2005, il virus H5N l (che quindi ha una parentela con l'Hl N l della spagnola) è stato segnalato nella Russia orientale. La prossima tappa sa­ ranno i Paesi europei. Per ora, questo nuovo virus ha scarsa capacità di diffusione tra gli esseri umani, ma non è detto che non possa acquisirla riarrangiando il suo patrimonio genetico con virus già selet­ tivamente adattati all'ambiente umano. Anche se qualche autorità sanitaria, come quella italiana, si lancia in sbruffonate sulla adeguatezza delle misure preventive, se si leg­ gono i rapporti dell'Organizzazione Mondiale della Sanità e gli studi degli infettivologi esperti in pandemie, il quadro è abbastanza al­ larmante. Soprattutto perché, scrivono 3, non ce la faremo a preparare e a diffondere in tem­ po un vaccino specifico per il nuovo virus. Tutto quindi è affidato al sistema di sorve­ glianza e di allenamento che l'OMS ha artico­ lato in oltre cento Paesi, e alle misure di isola­ mento messe in atto nel tentativo di circoscri­ vere il contagio. Infine, poiché è già quasi pronto il vaccino contro H5N l , si spera che se pandemia deve esserci sia causata da questo ceppo. Ma non è detto, perché, come abbiamo visto, penetrando in ambiente umano, il virus muta e potrebbe quindi collocarsi fuori della porta­ ta del vaccino.

La vaccinazione antinfluenzale

vremmo seguire tutti questo consiglio? Studi autorevoli dicono che non ci sono evidenze scientifiche per seguire la strada della vaccina­ zione di massa. Una recentissima e ampia rassegna del gruppo di ricerca epidemiologica più autorevole e in­ dipendente su scala internazionale, 'The Cochrane Collaboration', ha scandagliato tut­ ta la letteratura esistente per rispondere alla domanda: chi deve vaccinarsi contro l'in­ fluenza 4? La risposta è netta: «l dati non supportano la vaccinazione di tutti gli adulti che sono in buona salute». Perché? Perché l'efficacia del vaccino è limita­ ta, protegge solo poco più del 20% delle per­ sone vaccinate e fa risparmiare, statisticamen­ te, poche ore di lavoro a persona. Insomma, non conviene. Rimane la raccomandazione di vaccinare i gruppi ad alto rischio: cardiopatici, diabetici, immunodepressi, persone con gravi problemi respiratori, persone molto anziane. E i bambini? Una normale influenza non è un grave problema per un bambino che non sia già malato. Anzi, potrebbe essere una buona occasione per allenare il suo sistema immuni­ tario a contrastare le infezioni. Come affrontare allora l'influenza e le altre malattie invernali? Migliorando l'equilibrio del nostro sistema immunitario con terapie naturali e con la gestione dello stress. Indicazioni fondamentali anche per chi ha ne­ cessità (o comunque ha deciso) di vaccinarsi, come mostrano gli studi illustrati qui sotto.

Emozioni negative ed efficacia del vaccino antinfluenzale

Ma, lasciando sullo sfondo la questione pan­ demia, che speriamo colga l'umanità mag­ giormente preparata, come affrontare le nor­ mali epidemie influenzali? Vaccinarsi, vaccinarsi, vaccinarsi, questo il martello che viene battuto sulla nostra testa tra novembre e dicembre di ogni anno. Do-

Come abbiamo visto sopra, l'efficacia del vac­ cino antinfluenzale è limitata e variabile: ba­ stano mutazioni, anche apparentemente non rilevanti, al ceppo virale su cui è stato costrui­ to il vaccino per ridurne l'efficacia. 300

LE MALATIIE INFETIIVE

Ma importanti sono anche le condizioni del sistema immunitario della persona che riceve la vaccinazione, che è una vera e propria ri­ sposta immunitaria indotta a fini terapeurici: si ha bisogno cioè che le cellule immunitarie riconoscano la sostanza estranea (l'antigene) che è stata introdotta, e producano una rispo­ sta, basata sul coinvolgimento di particolari cellule (linfociti) che conservano la memoria dell'incontro, in modo che, quando arriverà il virus influenzale, venga prontamente rico­ nosciuto e bloccato sul nascere tramite una ri­ sposta complessa, imperniata sulla produzio­ ne di un'adeguata quantità di anticorpi speci­ fici per gli antigeni del virus. Su 'Proceedings of National Academy of Sciences', la rivista dell'Accademia americana delle Scienze, un gruppo dell'Oniversità del Wisconsin, guidato dal neuroscienziato Ri­ chard J. Davidson, ha dimostrato che uno sta­ to psicologico negativo è correlato a una peg­ giore risposta al vaccino, evidenziando cioè che chi è più ansioso e depresso produce me­ no anticorpi antinfluenzali 5• Questo risultato, anche se davvero rilevante, non è nuovo in assoluto, è una conferma di studi condotti alcuni anni fa dai coniugi Gla­ ser, pionieri nel campo della ricerca psiconeu­ roimmunitaria. Ronald Glaser, immunologo, e J anice Kie­ colt-Glaser, psichiatra, tutti e due dell'Uni­ versità dell'Ohio, dimostrarono che persone dedite all'assistenza di familiari con Alzheimer rispondevano peggio di altre al vaccino antin­ fluenzale. Più avanti riprenderò in dettaglio gli studi dei Glaser e di altri, ma ora voglio far notare un'importante novità nello studio del gruppo di Davidson. Infatti, per la prima volta, si cerca di indivi­ duare anche le vie nervose che producono il deficit immunitario. I cinquantadue volonta­ ri, tra i 57 e i 60 anni, che a metà novembre hanno ricevuto il vaccino antinfluenzale sono stati sottoposti a una sofisticata batteria di prove di stimolazione psicologica e di misure 30 1

elettroencefalografiche. Le persone con uno stile emozionale più negativo presentavano anche una maggiore attivazione del cervello destro, in particolare delle cortecce prefronta­ li. Al tempo stesso mostravano una risposta esagerata a stimoli somministrati per provoca­ re spavento (per esempio, un forte suono im­ provviso). Nel sangue di queste persone, prelevato alcu­ ne settimane dopo la vaccinazione, c'era un più basso titolo anticorpale verso il virus del­ l'influenza, di quello riscontrato nelle provet­ te dei loro colleghi con un umore migliore.

Lo stesso vaccino quindi ha prodotto risultati differenti, a seconda dello stato emozionale dei partecipanti allo studio. Il legame tra iperattivazione delle cortecce prefrontali destre e indebolimento della rispo­ sta immunitaria è oggetto di una ricca lettera­ tura scientifica, che si basa sia su lesioni speri­ mentali su animali, sia su studi, meno cruenti, su umani con danni cerebrali o anche su bam­ bini piccoli. Per esempio, in bambini di sei mesi è stato di­ mostrato che una maggiore attivazione dell'e­ misfero destro si accompagna a un aumento del cortisolo, sia in condizioni di base sia sotto stimolo. L'iperattivazione delle cortecce prefrontali de­ stre porta quindi all'attivazione dell'asse dello stress, con sovrapproduzione di cortisolo e conseguente soppressione della risposta im­ munitaria ai virus, e cioè del circuito Thl (si veda il capitolo 'Il sistema immunitario'). Insomma, la psiche è una risorsa anche contro l'influenza! Questo fatto è dimostrato dal seguito di que­ sta istruttiva storia. Sempre il gruppo di Davidson ha documenta­ to, su 'Psychosomatic Medicine', che è possibi­ le correggere l' iperattività dell'emisfero destro, e quindi proteggere il sistema immunitario 6• Otto settimane di un programma di tecniche antistress, sperimentato da decenni, in ambito clinico, da J. Kabat-Zinn 7, psichiatra dell'U­ niversità del Massachusetts, corregge la pre­ dominanza emozionale dell'emisfero destro e

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

aumenta l'attività immunitaria misurata con il titolo anticorpale del vaccino antinfluenzale. Viene da concludere che la miglior vaccina­ zione è quella che si fa con il cervello! E che la prevenzione, anche delle popolazioni a ri­ schio, non può essere unicamente affidata al vaccino, la cui resa, in termini di costi e bene­ fici, è davvero deludente.

La malattia infettiva rompicapo per eccellenza, l'Aids Il primo caso segnalato di Aids (Sindrome da immunodeficienza acquisita) è del 1 98 1 . Si stima che, al 2005, abbia fatto più di 20 mi­ lioni di morti e che circa 40 milioni vivano con l'infezione. Il virus HIV (virus dell'immunodeficienza umana), responsabile della malattia, venne isolato nel 1 983 da Luc Montagnier dell'Isti­ tuto Pasteur di Parigi. Nei successivi decenni, grandi risorse ed ener­ gie sono state concentrate nella ricerca di far­ maci e, soprattutto, di vaccini, preventivi e te­ rapeutici.

sta sia anticorpale sia cellulo-mediata. Ma non è detto che anche questa strategia funzioni. Del resto, non abbiamo vaccini efficienti per altre temibili infezioni: per la tubercolosi, per la malaria, per l'epatite C. Sarebbe quindi il caso di essere meno trionfa­ listi e, possibilmente, usare meglio le ingenti risorse a disposizione. Nella prima edizione di questo libro, al ri­ guardo, riportavo la previsione di un autore­ vole immunologo italiano, Sergio Romagna­ ni, i cui lavori sui circuiti Th1 /Th2 abbiamo già incontrato. Nel 1 993, in una relazione al Congresso della Società italiana di Medicina interna, scriveva: «Ci sono ragionevoli motivi per ritenere che sarà necessario abituarsi all'i­ dea di dover convivere, ancora per diversi de­ cenni, con questa temibile infezione» 9• Dieci anni dopo, Richard Horton, direttore di 'Lancet', una delle più prestigiose riviste mediche del mondo, dichiarava: «Bisogna pianificare il controllo dell'infezione da HIV, per il prossimo decennio, senza assume­ re che un vaccino sarà disponibile» 10•

Buone notizie dagli antivirali Mentre il vaccino è di là da venire e, a livello mondiale, non si arresta la diffusione del­ l'HIV, la mortalità per Aids è nettamente di­ minuita. Negli Stati Uniti, tra il 1 995 e il 1 997, la mortalità è crollata del 44o/o, con punte anche superiori nelle singole città. Per esempio, a Chicago, la mortalità è dimi­ nuita del 6 1 o/o, con un andamento uniforme anche tra i gruppi a maggior rischio come afroamericani, ispanici, tossicodipendenti 1 1 •

Il vaccino non è all'orizzonte Solo il National Institutes ofHealth degli Sta­ ti Uniti spende ogni anno 500 milioni di dol­ lari per la ricerca sul vaccino. Periodicamente, i mass media annunciano che è stato fatto un altro passo in avanti e che il vaccino è prossimo. E, in effetti, numerosi sono gli studi speri­ mentali in corso, anche in Italia, ma sono sempre più gli scienziati che si interrogano sulla fattibilità del vaccino contro l'HIV 8• Da quello che si capisce, tutta la linea di ricer­ ca, che ha puntato a stimolare la produzione di anticorpi contro proteine di superficie del virus, è in un vicolo cieco. Una nuova linea di ricerca punta invece a stimolare una rispo-

L'altro aspetto ragguardevole è la netta dimi­ nuzione delle nascite HIV-positive che si ri­ tiene sia collegata alla capacità dei nuovi far­ maci di eliminare il virus dal sangue e dalle se­ crezioni vaginali, e cioè da quelle che si pensa siano le vie di esposizione del nascituro alla contaminazione materna. È quindi evidente che le nuove terapie antire302

LE MALATTIE INFETTIVE

La sindrome l i podistrofica si presenta come un i nsieme di a lterazioni fisiche e bioch i m iche che si accompagnano a l l a terapia soprattutto con i n i bitori delle proteasi. e Deposito di g rasso nella zona cervicale (C6T2): cosiddetta 'gobba di bufa lo'. e Aumento dei depositi di grasso i n area ad­ dominale. e I n g rossamento del seno nelle donne. e Dimagri mento delle g a m be e delle braccia.

trovirali, che combinano inibitori della tra­ scriptasi inversa e inibitori delle proteasi virali, stanno dando alcuni significativi risultati. Non senza problemi, però, che possono essere riassunti come segue. l . I farmaci, in linea generale, non riescono a sradicare il virus che, seppur non rintraccia­ bile nel sangue, vegeta e si replica ' a basso re­ gime' all'interno delle cellule immunitarie infettate (macrofagi, cellule dendritiche e linfociti CD4), pronto ad aumentare la

l farmaci per la terapia dell 'Aids, attual mente approvati, sono 1 3, d ivisi in tre classi .

1 . lnibitori nucleosidici della trascriptasi inver­ sa. Sono i primi a ntiretrovira l i . La Zidovudi­ na (Retrovir della G laxo-We l l come), essen­ do la più antica, è quella che ormai i nduce più facilmente resistenza. Gli effetti col l ate­ rali di questa classe di farmaci sono alquanto defi n iti: si va dal l'anemia a l l a neutropenia, a danni epatici e pancreatici, fino a rash cuta­ neo, con più o meno g ravi forme di i poten­ sione, difficoltà respi ratoria e shock. 2. lnibitori non nuc/eosidici della trascriptasi inversa. Una resistenza a q u esti farmaci si svi l uppa rapidamente se vengono assunti da sol i . L'effetto i ndesiderato più freq uen­ te e grave è i l rash cutaneo, che talvolta può essere anche grave. 3. lnibitori delle proteasi. L'impiego di q uesti farmaci in associazione con g l i a ltri ha pro­ dotto un netto migl ioramento dell'effica-

1

e Formazione di rughe su lla faccia (specie in

area naso-labiale) con perdita del grasso buccale. e Testosterone basso i n maschi e femm i ne. e I pertensione. e M od ificazione del profilo l i p idico, con fre­ quente a u mento d i colesterolo e trigl icerid i e c o n costante au mento deg l i acidi grassi saturi e d i m i nuzione dei poli nsaturi del la serie omega 3 e omega 6.

velocità di replicazione e a diffondersi nel­ l' organismo allorquando la terapia venga sospesa. 2. Una quota ragguardevole di pazienti (dal 25 al 45%) sviluppa resistenza alla terapia. 3. Alla vecchia lista di effetti collaterali noti (quelli derivanti dall'uso dei primi antire­ trovirali) si aggiunge ora un'altrettanto si­ gnificativa lista di effetti indesiderati, deri­ vanti dall'uso degli inibitori delle proteasi (si veda il box in alto nella pagina).

eia della tera pia. Anche q uesti farmaci i n i­ ziano a indurre resistenza. L'impiego di questi farmaci ha mostrato un aumento del d i abete (comparsa o peggioramento), perdita e redistribuzione di tessuto adipo­ so ('gobba di bufalo'), i perlipidemia. La cosiddetta 'terapia a nti retrovirale altamen­ te attiva' (in sigla HAART, Higly Active Antire­ troviral Therapy) si fonda usualmente su di­ verse combinazioni d i fa rmaci. Secondo il D i p a rtimento d i sal ute pubbl ica di M ontréal, in Canada, che ha effettuato un'ac­ cu rata ricerca sul costo di queste terapie, para­ gonando l'era della HAART (dal 1 997 a l 200 1 ) c o n q u e l l a precedente (1 99 1 -95), si è avuto un incremento dei costi a n n u i di 1 2 8 1 3 dollari per og n i persona trattata. Certo, q uesto alto costo economico ha, in cambio, p i ù che tri p l icato la speranza di vita media d i u na persona con i nfezione concla­ mata da H IV ( da 3,8 a 1 3, 3 a n n i) 1 •

E.J. Beck e al. The cost-effectiveness of HAART, Canada, 1 99 1 -2001 ; 'AIDS', 2004; 18: 241 1 -8. 303

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

4. Troppe pillole e troppo rigidi i tempi e le

pliance difficile) . (si veda il

5. Costi elevati

importante. Alcuni studi dimostrano che ma­

box relativo ai far­

da HIV. Mentre, al contrario, se sono presen­ ti, in maschi e femmine, infezioni, batteriche,

schi circoncisi sono più resistenti all'infezione

maci, a pag. 303, in basso) .

fungine o virali, herpes in particolare, la pene­

Nonostante ciò, è fuori dubbio che si è aperta una situazione nuova, segnata dal passaggio da una fase in cui la malattia si presentava a rapida ingravescenza e incurabile a una fase in cui invece essa si presenta trattabile e a de­ corso cronico per una quota non piccola di pazienti. Anche se è ancora presto per quanti­ ficare esattamente le dimensioni e le caratteri­ bile che questo passaggio sia in atto. per interventi terapeutici che non hanno co­

ristiche del virus e quindi di impedirne la pe­ netrazione. Questi ricercatori hanno ipotizza­ to che la messa in commercio di queste

sibilmente la diffusione del contagio 13•

Infine, rilevante è la presenza, nella zona di

del recettore CCR5 sembra essere la causa della non infezione da HIV nonostante ripe­

controllare la carica virale, ma con effetti tos­

tuti contatti sessuali con persone infette.

sici su numerosi sistemi fisiologici e anche sul

Questo fenomeno è stato riscontrato in cop­

sistema immunitario della persona con infe­

pie cosiddette 'discordanti', e cioè un partner

zione da HIV.

infetto e l'altro no, nonostante non protegges­

Ma prima di affrontare il capitolo nuovissimo

sero i loro rapporti.

della immunoricostruzione, è bene passare in rapida rassegna gli elementi fondamentali del­

Sempre nel campo della resistenza naturale al­

la disorganizzazione del sistema immunitario

l'infezione, occorre segnalare l'esistenza di long survivor e cioè di quel 5o/o di sieropositivi che, a

causata dalla infezione da HIV.

distanza di oltre un decennio dal contagio, non

L 'infezione da HW: meccanismi e resistenze

rpanifesta segni di malattia.

E evidente quindi che, come in ogni grande epidemia, ci sono persone che non si infetta­

La trasmissione dell'HIV avviene, come è no­

no e altre che, pur infette, non manifestano la

to, tramite sangue o secrezioni sessuali infette.

malattia. Il che vuol dire che il loro sistema

Durante un rapporto sessuale non protetto con

immunitario ha trovato un equilibrio, una

una persona infetta, il virus, presente nello

convivenza non distruttiva con l'HIV.

sperma o nelle secrezioni vaginali, penetra la

XI-2,

cali (microbicidi) , capaci di alterare le caratte­

so del virus. Una particolare conformazione

e dallo stesso

uso dei farmaci antiretrovirali, efficaci nel

Come mostra la Fig.

britannico di produzione di agenti chimici lo­

ne, il CCR5, che funziona da porta di ingres­

viene disorganizzato da una lunga guerra di

mucosa genitale.

dimostrata dallo sviluppo di un programma

che esprimono un recettore per le chemiochi­

rio che dovrebbe neutralizzarlo, e che invece

XI- l)

L'importanza della prima fase di contatto è

contatto, di linfociti T CD4 o di macrofagi

me bersaglio il virus, ma il sistema immunita­

Fig.

12•

come quelle sub-sahariane, possa ridurre sen­

Si apre quindi una significativa opportunità

(si veda la

trazione della mucosa è facilitata

sostanze, soprattutto nelle zone endemiche,

stiche del fenomeno, pare però incontroverti­

posizione

della vagina e del glande del pene è un fattore

com­

modalità di assunzione (la cosiddetta

Del resto, questo è quello che accade, per

esempio, nell'animale che è l'ospite natu­

dalla mucosa

rale del virus dell'immunodeficienza della

l'HIV inizia un lungo viaggio che, nel giro

scimmia (SIV) , l' equivalente scimmiesco

4i un mese, lo disseminerà a tutto l'organismo

del l ' H IV.

E evidente che lo stato della mucosa genitale,

Questi animali, pur avendo sostenuti livelli di 304

LE MALATTIE INFETTIVE

LA STO RIA NATU RALE DE LL'AIDS

(y1 )

1 1 00

(y)

1 000 Possibile manifestazione acuta della malattia

900

Morte

800 E E � Cl u ·a;

""C

e QJ E :l z

Malattie opportunistiche

700

1 : 512

QJ :l Cl c: 1 : 256 � a; c:

1 : 1 28 600 1 : 64 500 1 : 36 400 1 : 16 300

2

·;; a;

""C

QJ c: o ·;;;

gc: QJ u c:

8

""C





1 :4 200 1 :2 1 00 o L.L__J___j_---' o 3 6 9

E

12

r�r:

2

3

4

5

6

7

8

9

10 1 1

- La linea continua indica l'evoluzione della malattia. •••• La l i nea tratteggiata ind ica l ' i nvoluzione delle d ifese i m m u n itarie. Nell'ordi nata di destra vengono dati i valori del tasso di concentrazione del virus, nel sangue, m i n i m i y nel periodo d i latenza, massimi nella p r i m a e nell'ultima fase del l a m a l attia. Nell 'ordinata di sinistra vengono dati i valori del numero di l infociti T helper (CD4) presenti in un m m. y1 di sangue. x Nell'ascissa viene indicata l'evoluzione temporale, in settimane la prima fase e in a n n i la seconda.

Fonte: G. Pa nt a l eo e al. The lmmunopathogenesis of Human /mmunodeficiency Virus lnfection,

Journal of Me d i c i n e' , 1 993, 328: 327-335.

in

'New E n g l a nd

(l'infettato non accusa alcun sintomo o malattia) battaglia decisiva per circa 8- 1 0 anni. Lentamente vengono infettati e distrutti i linfociti T CD4 nonché, alla fine, lo stesso luogo di battaglia, il linfonodo. A questo punto il virus è pronto a invadere tutto l'organismo, che verrà letteralmente aggredito dalle malattie 'opportunistiche ' che colpiscono anche il cervello.

Fig. Xl- 1 . Lo schema illustra l'evoluzione dell'infezione da HIV. Il suo esordio può essere completamente senza sintomi, oppure (più frequente) con febbre alta e ingrossamento delle ghiandole linfatiche. In questa fase il virus è ampiamente diffuso e determina una violenta reazione del sistema immunitario che induce il virus a 'rintanarsi' nei linfonodi. È qui che si svolgerà una silenziosa 305

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

CO M E IL VIRUS HIV PEN ETRA E SI D I FFON D E NELL'ORGANISMO Virus H IV

M ucosa

Cervello

M i lza

Sistema i m m u n itario i ntestinale

Linfonodi

Apparato g e n ito-urinario

Fonte: immagine adattata da C. Pilcher e al. Acute HIV revisited: new opportunities for treatment and preven­ tion, 'The Journal of Clin ica l lnvestigation', 2004; 1 1 3:937-945.

Fig. Xl-2. Il virus HIV penetra la mucosa genitale e viene catturato da cellule che presentano l'antigene, come le dendritiche, le quali espongono i virioni ai linfociti T helper (CD4), che fanno entrare al loro interno il virus.

Le dendritiche, nel giro di pochi giorni, raggiungono i linfonodi locali (inguinali e addominali). Tramite la circolazione linfatica il virus fa il suo ingresso nel sangue, con il quale, in poco più di un mese, infetta tutti gli organi.

306

LE MALATTIE INFETTIVE

replicazione del virus nel sangue, sono in gra­ do di mantenere elevati livelli di efficienza del sistema immunitario. Quindi, pur infetti, non solo non si ammala­ no, ma vivono quanto i non infetti 14•

Da quello che si capisce, quindi, il sistema im­ munitario può trovare un compromesso con l'HIV. Vediamo di focalizzare meglio questa impor­ tante questione. Come sappiamo, tra il momento del contagio e quello della comparsa dei primi sintomi del­ la malattia passano diversi anni, talvolta anche dieci. In questa fase asintomatica, gli unici segni che si riscontrano sono una diminuzione della massa magra e una maggior suscettibilità alle infezioni, e se poi si dosa la vitamina B 1 2 nel plasma s i nota spesso una sua carenza. La fase sintomatica è invece caratterizzata da un insieme davvero imponente di fenomeni riassumibili come: infezioni opportunistiche a carico di vari organi e apparati, tumori (sar­ coma di Kaposi, ma non solo), malattie neu­ rologiche (demenza Aids-correlata, spasticità, neuropatie periferiche, miopatie), grave de­ perimento organico con cachessia. In questa fase, i livelli ormonali sono squilibrati, nel senso di un generale aumento della cortisole­ mia e di un abbassamento degli androgeni, sia nei maschi sia nelle femmine. Sensibili le carenze vitaminiche, soprattutto di B 1 2 > acido folico, vitamina B6, vitamina E, vitami­ na C, vitamina A e betacarotene, nonché la carenza di due minerali chiave per l'immuni­ tà: lo zinco e il selenio.

Sarebbe sbagliato pensare che la netta riduzio­ ne dei livelli dei linfociti T CD4, che è un marker inequivocabile di malattia, sia il risul­ tato della progressiva e inarrestabile diffusione del virus. Anche quando i CD4 sono a livelli minimi, per esempio al di sotto di 50 per mm cubico, i linfociti T helper CD4 realmente in­ fettati dal virus sono una minoranza. Questo vuoi dire che la principale forza del vi­ rus HIV è la sua capacità disregolatoria del normale equilibrio del sistema. Si potrebbe quindi affermare che non è l'HIV che uccide direttamente i CD4, ma che la loro dramma­ tica riduzione sia il prodotto dell'attività squi­ librata dello stesso sistema immunitario. In effetti, quando il sistema immunitario en­ tra, per la prima volta, a contatto con il virus HIV, di solito scatena una fortissima reazio­ ne, che mette sotto controllo la diffusione del virus nel sangue (viremia) . Questa rispo­ sta è mediata soprattutto dai linfociti B, che producono alti livelli circolanti di anticorpi, le immunoglobuline G e A (lgG e IgA), le quali hanno la capacità di abbassare la vire­ mia, ma non quella di distruggere radical­ mente il virus. La distruzione del virus richiede invece l'in­ tervento di cellule che sono capaci di distrug­ gere le cellule infettate dal virus medesimo, in sostanza richiede una risposta di tipo Th l , mentre normalmente il sistema rimane squili­ brato su una risposta di tipo Th2. Non a caso, nell'Aids troviamo molte patolo­ gie di tipo Th2, derivanti da deposito di im­ munocomplessi, come mialgie, artralgie, ma­ lattie renali e vasculiti, oppure derivanti dal non controllo di infezioni virali, fungine e dal non controllo della crescita delle neoplasie (che richiedono una risposta Th l ) .

Dal punto di vista immunitario, centrale è il fenomeno della progressiva riduzione di linfa­ citi T helper CD4, chiave della disorganizza­ zione del sistema, poiché questa classe di cel­ lule svolge funzioni di organizzazione e rego­ lazione della risposta immunitaria di tipo specifico, in grado cioè di distruggere il virus.

Ma perché il sistema rimane squilibrato sulla polarità Th2? Le attuali conoscenze scientifiche non per­ mettono di dare una risposta certa a questo quesito, ma da un lato pare interessante che la ricerca vada concentrandosi sul ruolo im­ munosoppressore delle proteine virali (come

L 'HW e il sistema immunitario

307

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

la gp4 1 ) , nonché sulla capacità dell'altra pro­ teina virale (gp 1 20) di trasformare una singola cellula infetta in una potente calamita capace di attrarre altre cellule, formando così un 'sin­ cizio', e per questa via distruggere un maggior numero di cellule CD4. Dall'altro lato, però, sembrano fondamentali !"ambiente interno' della persona infettata, i suoi livelli ormonali, vitaminici, l'assetto del sistema dello stress, e cioè di quei fattori che influenzano potentemente la risposta immu­ nitaria adeguata a contrastare l'HIV, quella di tipo Thl .

ne centrali per un'adeguata risposta di tipo Thl , e cioè la vitamina B 1 2 e i folati, la vita­ mina A, la vitamina E. Di grande rilievo è la carenza ripetutamente dimostrata di glutatione ridotto, il principale antiossidante all'interno della cellula. Fortemente squilibrato è poi il profilo lipidi­ co, che, a causa dell'uso di inibitori delle pro­ teasi, presenta ipercolesterolemia (e in genera­ le iperlipidemia) , ma che presenta soprattutto una carenza di acidi grassi polinsaturi, sia omega 3 sia omega 6, a favore di un eccesso di acidi grassi saturi. Anche questo è ovviamente un aspetto crucia­ le nella produzione di un'adeguata risposta immunitaria, perché è dall'equilibrio tra le due famiglie di acidi grassi polinsaturi, a livel­ lo della membrana cellulare e dell'endotelio vasale in particolare, che si produce una cor­ retta risposta immunitaria. È chiaro quindi che un medico, che abbia in cura una persona HIV positiva o con segni della malattia, avrà molto da lavorare anche dal punto di vista alimentare! Così, per l'incremento della massa magra sembra fondamentale abbinare l'attività fisica con una terapia androgenica sostitutiva: di­ versi studi dimostrano l'efficacia e la sicurezza di questa accoppiata terapeutica. Ma un pilastro dell'approccio integrato è, na­ turalmente, il controllo dello stress. Come ve­ dremo subito, cominciano a essere numerosi e significativi gli studi che ne documentano l'importanza nell'evoluzione dell'infezione.

Approccio integrato alla immunoricostruzione La ricerca e la sperimentazione scientifica in questo campo puntano alla stimolazione della risposta Th l somministrando interleuchine, soprattutto Il-2 e Il- 1 2, singole o combinate. Gli studi controllati in corso ci diranno a qua­ li risultati può arrivare un approccio di questo tipo; resta il fatto che pare molto più interes­ sante e utile disegnare un approccio integrato alla immunoricostruzione della persona infet­ tata dall'HIV e/o che ha sviluppato segni di Aids, tenuti sotto controllo della terapia anti­ retrovirale. Alimentazione e integrazione vitaminica, atti­ vità fisica, riequilibrio ormonale, piante im­ munostimolanti, gestione dello stress: questi i cardini dell'approccio integrato. Ma vediamo più da vicino che cosa si può fare con la nutrizione. Abbiamo già visto che uno dei segni della ma­ lattia, incrementato anche dalle più moderne terapie, è la diminuzione progressiva della massa muscolare, la cosiddetta massa magra. Il peso e il livello di massa magra sono fattori critici: è stato calcolato che se il peso scende al di sotto del 66% del peso ideale e la massa magra al di sotto del 55% del normale, la per­ sona è in pericolo imminente di vita. Altro aspetto cruciale è la carenza delle vitami-

Il controllo dello stress può incidere sull'evoluzione dell'infezione Studi su uomini con infezione da HIV hanno dimostrato che lo stress incrementa la pro­ gressione della malattia, cioè rende più veloce la comparsa dell'Aids. Per esempio, uno studio di tipo prospettico ha valutato l'andamento della malattia a 5 an­ m e mezzo dall'inizio, caratterizzato dalla

308

LE MALATTIE INFETTIVE

completa assenza di sintomi. Le persone con maggior livello di stress e/o con minor sup­ porto sociale hanno sviluppato Aids con una frequenza tre volte maggiore di quelle che avevano un miglior controllo dello stress e/o un maggiore supporto sociale 1 5• Così, altre ricerche hanno riportato che ma­ schi omosessuali, che tendono a nascondere la propria identità sessuale, hanno un' accele­ razione della malattia 1 6 • Infine, vanno segnalati studi sugli animali so­ ciali più vicini a noi, sui macachi, che si amma­ lano di una malattia molto simile all'Aids a cau­ sa di un virus simile all'HIV chiamato SIV. Sono studi crudeli, che dimostrano, in modo sconvolgente, quanto conti lo stress nell'evo­ luzione della malattia. Animali ai quali era stato inoculato il SIV, che vivevano in un ambiente sociale stabile, ave­ vano concentrazioni del virus molto più basse di altri macachi che avevano ricevuto lo stesso virus, ma che vivevano in condizioni instabili (per esempio, il gruppo di riferimento cam­ biava ogni giorno). E ciò si rifletteva ovvia­ mente sull'andamento della malattia. I primi, socialmente stabili e quindi con uno stress mi­ nore, sono vissuti più a lungo degli altri, che hanno fatto una vita instabile e stressata 17• Stesso virus, stesse condizioni sperimentali, unica variabile la stabilità dell'ambiente di vi­ ta. Ed è proprio questa che determina l'anda­ mento della malattia. Ma vediamo di allargare il quadro sul rappor­ to tra stress e infezioni.

Stress emozionale, malattie infettive e guarigione delle ferite

I cadetti di West Point Stanislaw Kasl, della Yale University nel New Haven, Connecticut, sul finire degli anni Set­ tanta realizzò uno studio di ampie dimensio­ ni per verificare l'incidenza dello stress sulle malattie infettive 18• Il terreno era privilegiato: la elitaria accademia militare di West Point. Un luogo in cui lo stress si mangia a colazio­ ne, nel quale la particolare stupidità della di­ sciplina militare si somma alle aspettative di carriera che nutrono giovani e famiglie, così come ci hanno raccontato decine di film amencant. Vennero reclutati circa 1 400 cadetti appena entrati in accademia. All'analisi del sangue si vide, come è nella nor­ ma, che circa i due terzi mostravano anticorpi contro il virus Epstein-Barr. Occorre conside­ rare che la maggior parte degli esseri umani presenta, senza ammalarsi, questo virus, il quale però, in determinate circostanze, può provocare una febbre con ingrossamento delle ghiandole linfatiche, conosciuta come 'mono­ nucleosi infettiva'. Un terzo dei cadetti quindi, nello studio di S. Kasl, non era: mai entrato in contatto con il virus. Dopo un anno di vita militare, però, il 20% di loro mostrò nel sangue gli anticorpi contro il virus. Ma di questi soltanto uno su quattro si ammalò di mononucleosi. Perché? Kasl elaborò un dettagliato questionario che somministrò ai cadetti. Giunse alla conclusio­ ne che i soggetti che soffrivano per le aspetta­ tive che non erano in grado di soddisfare, o quelli che avevano i propri padri sul collo, si ammalavano molto più facilmente dei sogget­ ti che, per una ragione o per l'altra, vivevano con più rela:x la propria carriera.

Gli astronauti

Gli studi sulle relazioni tra stress e malattie, infettive in particolare, iniziano negli anni Cinquanta e alternano esperienze su animali (topi perlopiù) ed esseri umani. Qui citerò solo gli studi sugli umani.

Nel corso della seconda missione Skylab del 1 973, vennero fatti dei test immunitari sugli astronauti Conrad, Kerwin e Weitz. Per evita­ re dubbi interpretativi, i test non vennero fatti al loro rientro dallo spazio, ma tre giorni pri309

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

ma della partenza. Alle analisi risultò in tutti e tre una marcata immunodepressione (minore attività dei linfociti sottoposti a test di stimo­ lazione antigenica). Anche qui gli scienziati conclusero che era lo stress ad aver temporaneamente indebolito il sistema immunitario di persone per altri versi in perfetta salute. Studi replicati alla fine del secolo hanno dato gli stessi risultati 19•

Gli esami degli studenti di medicina È noto che un esame scolastico rappresenta una situazione di forte stress. Quando, in Italia, l'esame di maturità era par­ ticolarmente duro e selettivo, anche per il ca­ rico di programma che gli studenti erano ob­ bligati a portare, questo esame ha costituito un incubo onirico ricorrente per generazioni di persone! Quale miglior situazione, quindi, per verifica­ re l'incidenza dello stress? Le 'cavie' furono una settantina di giovani americani, studenti di Medicina, che vennero esaminati dai coniugi Ronald e ]anice Kiecolt Glaser, di cui abbiamo già parlato, sia con questionari psicologici sia con prelievi sangui­ gni, in diverse sessioni di esame. Il risultato dello studio fu univoco. Nel corso degli esami vi è una depressione del sistema immunitario: i linfociti T helper sono in nu­ mero minore, i NK sono meno attivi. I coniugi Glaser notarono però una particola­ rità: mentre i linfociti T e i NK diminuivano, cresceva il livello a�ticorpale contro il solito virus Epstein-Barr. E una contraddizione?

Ma, come sappiamo (si veda i l capitolo 'Il si­ stema immunitario'), questo tipo di risposta, cosiddetta 'umorale', contro i virus, è perlopiù inefficace, e comunque meno efficace di quel­ la che vede in azione i linfociti T (risposta co­ siddetta 'cellulo-mediata'). I Glaser verificarono puntualmente un au­ mento delle malattie infettive durante il corso degli esami (che negli USA si potraggono per alcune settimane). Ma c'è di più. I due studiosi stabilirono anche una relazione stretta tra la condizione psicolo­ gico-esistenziale degli studenti (per esempio, il livello di solitudine) e la frequenza con cui questi si ammalavano, che risultò più alta ne­ gli studenti con maggiori problemi di socializ­ zazione 20 .

Lo stress dell'assistenza ai malati cronici Sempre i coniugi Glaser hanno esaminato per un lungo periodo più di 2000 persone che as­ sistevano propri congiunti (coniuge o genito­ re) colpiti dal morbo di Alzheimer, una malat­ tia che distrugge il cervello 20. Le persone affette da questa terribile malattia, in forte diffusione e che colpisce specialmente individui tra i 50 e i 60 anni, non sono più autosufficienti. L'impegno assistenziale è quindi particolar­ mente pesante e si protrae per anni. L'SO% delle persone che assistevano i propri congiunti con questa malattia, nello studio dei Glaser, presentava tutti i sintomi della de­ pressione e un sistema immunitario con carat­ teristiche simili a quelle già descritte sopra: basso livello di linfociti T in generale, helper in particolare, e alto livello anticorpale contro il virus Epstein-Barr. Come era prevedibile, i coniugi Glaser riscon­ trarono, in queste persone sottoposte a uno stress cronico, un aumento dell'incidenza di malattie infettive.

No, significa che il virus latente, essendosi in­ debolito il controllo immunitario, diventa at­ tivo e costringe i linfociti B a produrre più an­ ticorpi, nel tentativo di renderlo inoffensivo. 310

LE MALATTIE INFETTIVE

È

Stress ed herpes È una delle esperienze più note e comuni:

la riapparizione delle vescicolette erpetiche, sulle labbra o sui genitali, dopo uno stress, anche di tipo fisico, come una febbre. Il virus dell'herpes simplex (HSV in sigla) ha infatti la capacità di rimanere latente nei gan­ gli nervosi sensoriali e riattivarsi sotto stress. Studi degli ultimi quindici anni, rivisti dai co­ niugi Glaser in una puntuale review nel 0 2005 2 , dimostrano che lo stress non solo au­ menta la diffusione e la gravità dell'infezione erpetica sia nel sistema nervoso periferico sia in quello centrale, ma è anche in grado di sop­ primere l'attività dei linfociti T citotossici me­ mona. Lo stress, cioè, disorganizza il circuito del si­ stema immunitario, che potrebbe liquidare o comunque controllare l'infezione da herpes. Inoltre, una serie di studi su animali, infettati dal virus, dimostra che lo stress riattiva l'infe­ zione. I nfine, studi su donne con herpes geni­ tale ricorrente o su anziani con herpes zoster (causato dalla riattivazione del virus della vari­ cella-zoster, VZV in sigla), dimostrano la me­ desima relazione. In proposito, come controprova, ho già avuto modo di segnalare (si veda il capitolo 'Le tera­ pie naturali') l'effetto positivo del Tai Chi Chuan sul sistema immunitario e sul control­ lo dell'herpes zoster. L'uso regolare di una 'meditazione in movi­ mento', come viene giustamente definito il Tai Chi, consente la regolazione del sistema dello stress, e quindi del sistema immunitario.

questo un limpido esempio della fonda­ mentale utilità dell'infiammazione: senza in­ terleuchina-1 beta (IL- l �) o, meglio, con una produzione insufficiente di questo e di al­ tri segnali immunitari, i lavori sul luogo del danno rallentano e vanno per le lunghe, nel senso che non si attiva quella cascata di eventi biochimici che consentono la rimozione dei detriti (con l'attività degli enzimi metallopro­ teinasi e delle cellule fagocitiche) e la produ­ zione di nuovo materiale (per esempio, colla­ gene dai fibroblasti) . Lo stress altera questo meccanismo e ritarda il riparo delle ferite. Uno studio dei Glaser ha documentato che donne che assistono propri congiunti malati di Alzheimer, e quindi con stress cronico, im­ piegano circa il 25% del tempo in più nella guarigione delle ferite. E se si studiano le cel­ lule immunitarie di queste donne si trova che producono meno IL- l � del normale 2 1 • Ma lo studio più spettacolare è certamente quello che ha indagato i tempi di guarigione di una ferita, negli stessi soggetti, in due situa­ zioni diverse dal punto di vista dello stress. Le cavie volontarie sono state, come spesso accade, studenti di Medicina, ai quali è stata praticata una piccola ferita sul palato duran­ te la sessione di esami e un'identica ferita durante le vacanze. Il tempo di guarigione della ferita durante gli esami è stato superiore del 40% rispetto al tempo registrato in vacanza! Anche in questo caso, le cellule immunitarie sotto stress producevano meno IL- l � 22• Mi pare oltremodo evidente l'importanza pra­ tica di questi studi inequivocabili. Quante complicazioni, durante un intervento chirurgico e dopo, si potrebbero evitare se l'o­ spedale conoscesse e riconoscesse (con misure appropriate) lo stress, la paura, l'ansia, quali fondamentali componenti del successo di un intervento! Quanto denaro si risparmierebbe! Lo stress pre-chirurgico, infatti, aumenta la

Stress e guarigione delle ferite Nella guarigione di una ferita, il sistema im­ munitario svolge un ruolo essenziale. Le so­ stanze infiammatorie, citochine e chemiochi­ ne, liberate nel luogo del danno, richiamano soprattutto fagociti (neuttofìli e monociti­ macrofagi) che svolgono una duplice funzio­ ne: bloccano eventuali infezioni e favoriscono il riparo della ferita. 311

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE 1 4 . S.G. Deeks, B.D. Walker The immune response to AIDS virus injèction. good, bad, or both? 'The Journal of

degenza, le complicazioni post-chirurgiche e la percentuale di rientri in ospedale 23• E invece, a tutt'oggi, salvo qualche lodevole eccezione in giro per il mondo, il centro della scena lo tiene colui che ha il coltello in mano.

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OPERE GENERALI E DI RIFERIMENTO

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312

Le malattie infiammatorie

In questo capitolo affronterò una tipologia di malattie molto diverse tra di loro nelle mani­ festazioni cliniche, ma che tuttavia presentano una base comune, ovvero il cattivo controllo dell'infiammazione. Si tratta delle malattie autoimmuni e di quelle cardiovascolari.

L'infiammazione come mezzo di difesa e come fonte di guai per l'organismo Nella ricerca e nella clinica più avanzate è de­ finitivamente tramontato il vecchio modo di vedere l'infiammazione come evento eccezio­ nale, circoscritto al cosiddetto 'focolaio in­ fiammatorio', causato perlopiù da un micror­ ganismo o da un irritante esterno. I fenomeni infiammatori, in realtà, non sono eventi eccezionali. Eccezionale può essere l'entità del fenomeno, la sua estensione, la du­ rata, eccetera, non il fenomeno stesso. Anzi, l'infiammazione rappresenta il principale mezzo di difesa che l'organismo ha contro le infezioni e le trasformazioni tumorali delle nostre cellule. E ciò perché il meccanismo del-

Ovviamente, farò una presentazione generale con degli esempi, essendo impossibile e inap­ propriato, per le finalità di questo libro, esa­ minarle nel dettaglio. Basti pensare che, a oggi, prima decade del Duemila, sono circa 80 le malattie autoim­ muni identificate e classificate come entità autonome. Si può immaginare che la lista si allungherà con il crescere delle conoscenze sui meccanismi di formazione delle malattie. Ma che cos'è l'infiammazione? Come e quan­ do viene prodotta e, soprattutto, come si può regolare? 313

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

l'infiammazione, con il suo potente 'arma­ mentario' distruttivo (liberazione da parte delle cellule immunitarie di sostanze che de­ terminano la rottura della parete cellulare del­ l' aggressore o delle cellule infette o trasforma­ te in senso tumorale), rappresenta il miglior sistema per spazzare via batteri, virus, tossine, aggregazioni tumorali. Microprocessi infiam­ matori avvengono dunque costantemente nel nostro organismo, sollecitati dalle conti­ nue modificazioni dell'ambiente esterno e di quello interno. Essi fanno parte della norma­ lità fisiologica del nostro organismo. Senza di loro e senza la capacità di produrre infiamma­ zione non ci sarebbe quindi la vita. D'altra parte, però, l'infiammazione è dotata di un eccezionale potere distruttivo dei tessuti del nostro organismo, sia di quelli della prima linea di difesa (le mucose) sia degli organi in­ terni (fegato innanzi tutto) .

matori l'elemento determinante è i l tipo d i ri­ sposta che l'organismo mette in atto: se con­ trollata, e quindi capace di sopprimere lo sti­ molo infiammatorio senza danneggiare le strutture proprie dell'organismo, o sregolata, potenzialmente dannosa all'organismo ben più dello stimolo in sé.

«Il terreno è tutto, il batterio è nulla», dicevano i medici dell'era preantibiotica: avevano sostanzialmente ragione

Il controllo dell'infiammazione e il coinvolgimento di organi e sistemi neuroendocrinoimmunitari L'infiammazione è un fenomeno controllato dai sistemi di regolazione generale dell'organi­ smo, in quanto, abbastanza rapidamente, nel focolaio infiammatorio giungono macrofagi, linfociti e altre cellule del sistema immunita­ rio, che danno luogo alla reazione immunita­ ria. Il controllo della reazione immunitaria è il fatto centrale. Ai fini della valutazione e della prevenzione dei danni prodotti all'organismo dall'infiammazione, infatti, quello che conta non è tanto o che cosa abbia prodotto l'in­ fiammazione, quanto il tipo di risposta del­ l' organismo. Ovviamente non è secondario il tipo di stimolo che ha prodotto l'infiamma­ zione, riguardo all'evoluzione e alle caratteri­ stiche che questa assumerà: se lo stimolo in­ fiammatorio è, per esempio, capace di repli­ carsi, come nel caso di batteri o virus, oppure no. Resta il fatto che per tutti coloro che si occupano di capire i fenomeni infiam314

Lo stimolo all'infiammazione può essere in­ fatti di varia natura, proveniente dall'ambien­ te esterno o da quello interno. Di fronte al­ l'invasione di microrganismi, all'esposizione ad agenti irritanti e tossici, oppure di fronte a fattori interni, la risposta è comunque sem­ pre la stessa, l'infiammazione. Per esempio, la reazione a un batterio o quella alla deposizione di cristalli di acido urico nelle articolazioni, in caso di attacco acuto di gotta, determinano un processo pressoché identico, perlomeno nelle sue fasi iniziali. «Il terreno è tutto, il batterio è nulla», diceva­ no i medici dell'era preantibiotica. Oggi, passata la 'sbornia' prodotta dagli anti­ biotici, dalle 'pallottole magiche' giudicate ca­ paci di guarire potenzialmente tutto, gli scien­ ziati affermano che il controllo della risposta, e quindi dell'infiammazione, è l'elemento principale, ciò che condiziona fortemente l'e­ sordio e l'evoluzione di una patologia.

I meccanismi infiammatori Stimoli infiammatori sia esterni, sia interni, per produrre effetti pertinenti devono rag­ giungere i vasi sanguigni. È la parete interna dei vasi, l'endotelio vasale, che costituisce la sede dell'attivazione infiammatoria. L'endotelio può essere attivato da una molte­ plicità di fattori. Per esempio, che cosa accade

LE MALATTIE INFIAMJ\1ATORIE

se applichiamo sulla pelle uno stimolo nocivo qualsiasi, una sostanza irritante, il calore, ec­ cetera? Lo stimolo viene raccolto dalle sottostanti ter­ minazioni nervose, che rilasciano sostanze chimiche, normalmente sostanza P, un neu­ ropeptide che trasmette il segnale dolorifico a livello cerebrale. La sostanza P, però, non è solo il messaggero del dolore, è anche in grado di indurre una ri­ sposta infiammatoria da parte delle cellule im­ munitarie presenti nel derma, come i mastoci­ ti, che libereranno istamina, e soprattutto da parte dell'endotelio dei vasi interessati, che darà vita a una serie di reazioni infiammatorie, con liberazione di numerose sostanze (bradi­ chinine, prostaglandine, specie reattive del­ l'ossigeno e dell'azoto, eccetera) che produr­ ranno dilatazione del vaso sottostante, perdita di fluidi da parte dei capillari, con gonfiore e rossore. Al tempo stesso, le modificazioni intervenute nell'endotelio (espressione di recettori e mole­ cole di adesione) consentiranno lo stravaso dei neutrofili di quel distretto sanguigno (si veda la Fig. XII- l ) . Se lo stimolo persiste o s e è d i entità adegua­ ta, si realizzeranno profondi cambiamenti al­ l'interno del sangue, con la contemporanea attivazione di tre sistemi (della coagulazione, delle chinine e del complemento; si veda il ca­ pitolo 'Il sistema immunitario') e la liberazio­ ne di sostanze (per esempio chemiochine o frazioni del complemento) che richiameran­ no altre cellule immunitarie nel luogo dell'in­ fiammazione, che saranno anche di tipo lin­ focitario. A questo punto l'infiammazione non sarà so­

stenuta solo dalle cellule di prima linea del­ l'immunità naturale (neutrofili, macrofagi, mastociti ... ) , ma anche dai linfociti T, con tutto l'armamentario infiammatorio che ab­ biamo già descritto nel capitolo sul sistema immunitario. 315

H o fatto l'esempio banale dello stimolo noci­ vo sulla cute, ma è chiaro che l'endotelio va­ sale può essere attivato da agenti infettivi e tossici, da turbolenze sanguigne (da fattori emodinamici), da citochine, da mediatori nervosi sollecitati a rilasciare sostanze attive sui vasi da una varietà di cause, incluse quelle emozionali e psichiche in genere, come vedre­ mo più avanti.

Sono i grassi della membrana dell'endotelio a fabbricare una miriade di sostanze infiammatorie Quando l'endotelio vasale è attivato, i fosfoli­ pidi della membrana cellulare, a partire dall'a­ cido arachidonico, acido grasso polinsaturo della serie omega 6, generano una miriade di sostanze infiammatorie, collettivamente denominate eicosanoidi (o autocoidi). Di rilievo è la constatazione che a partire dall'a­ cido diomogammalinolenico e dall' eicosapen­ tenoico si formano mediatori dell'infiamma­ zione, rispettivamente, della serie l e della serie 3, che hanno un'azione più blanda di quelli del­ la serie 2, generati dall'acido arachidonico. , E questo un fattore di regolazione, per via ali­ mentare, dell'infiammazione, nel senso che una dieta ricca di omega 3 (verdura ricca di alfa-linolenico e pesce ricco di eicosapente­ noico e docosaesaenoico) è in grado di alterare il rapporto tra le due famiglie di polinsaturi al­ l'interno dei fosfolipidi di membrana, e quin­ di di moderare la risposta infiammatoria. Diversi studi dimostrano che una sovrappro­ duzione di derivati dell'acido arachidonico è implicata in numerosi disordini infiammato­ ri: dall'artrite reumatoide alle malattie infiam­ matorie intestinali e cardiovascolari, fino a quelle neurodegenerative. Per questo, può essere utile nella terapia del­ l'infiammazione un regime alimentare povero di acido arachidonico e che è quindi in grado

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F i g . X l l- 1 .

Leucociti polimorfonucleati



Linfociti

Tessuto normale

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Membrana basale



Plasma

Sistema nervoso sensoriale afferente

Fi broblasto del tessuto

Sistema nervoso simpatico

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Recettori e molecole di adesione

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LE MALATTIE INFIAMMATORIE

di favorire la sintesi dei mediatori della serie l e 3 a scapito di quelli della serie 2. Infine, occorre inserire in questo contesto l'a­ zione di incremento del danno infiammatorio prodotta dalle specie reattive dell'ossigeno, del cloro e dell'azoto. Queste sostanze rappresentano le principali armi di cui dispongono le cellule immunitarie per distruggere i patogeni, ma, al tempo stes­ so, possono costituire un rischio di ossidazio­ ne dei tessuti dell'organismo, le cui cellule, per difendersi, mettono in campo sistemi (en­ zimatici e non) di tipo antiossidativo. Riprenderò questo argomento cruciale nel ca­ pitolo sull'invecchiamento. La centralità del sangue nella produzione del­ l'infiammazione viene ulteriormente confer­ mata dalla contemporanea attivazione di tre sistemi proteici, distinti, ma simili e che si autoalimentano (autopoietici). Si tratta dei si­ stemi: • della coagulazione; • delle chinine; • del complemento. Tutti e tre sono sistemi proteici a cascata, che hanno funzioni distinte: di coagulazione del sangue il primo, anticoagulante il secondo, immunitario il terzo. Queste strette relazioni spiegano il contempo­ raneo affacciarsi di disordini della coagulazio­ ne (Cid, coagulazione intravasale dissemina­ ta), della pressione arteriosa (ipotensione so­ stenuta dalla bradichinina) e dell'immunità, in quadri acuti gravi, come lo shock settico o emorragico 1 •

Istamina, serotonina e PAF. ed è subito infiammazione

. .

Nel quadro infiammatorio descritto sopra, centrato nel sangue, è utile sottolineare che la prima 'fiammata' viene sostenuta da sostan­ ze già formate e largamente disponibili, poi­ ché sono presenti nelle piastrine e nelle cellule

immunitarie stabilmente presenti nel sistema vascolare, come le mastoidi. Queste sostanze sono: • istamina; • serotonina; • bradichinina; • fattore attivante le piastrine. L'immagine dà un quadro sintetico dei pro­ cessi coinvolti (si veda la Fig. XII-2) . L'istamina si trova preformata sia nelle piastri­ ne sia, in larga quantità, nei granuli delle cel­ lule mastoidi, che possono riversare il loro contenuto infiammatorio nel sangue per di­ versi stimoli: fisici (freddo, caldo, danno fisi­ co), psichico-nervosi (sostanza P), immunitari (immunocomplessi, anafilatossine, reazioni allergiche). L'istamina è un potente vasodila­ tatore che aumenta la permeabilità vasale. La serotonina si trova preformata nelle piastri­ ne e viene rilasciata in corso di aggregazione piastrinica, la quale può essere sollecitata da numerose cause. Anche la serotonina altera i vasi sanguigni, interferendo sul loro calibro, ma, al tempo stesso, essa, in virtù della sua ca­ pacità di influenzare il sistema nervoso, agisce su uno spettro più ampio: sul neurovegetati­ vo, dove può causare la tipica sintomatologia (nausea, alterazioni pressorie), sul cervello, dove può alterare la peifonnance cognitiva (ri­ duzione della concentrazione) e sull'umore (irritabilità, depressione). Il carattere poliedrico della serotonina viene descritto nel box di pag. 3 1 9. Anche il Fattore attivante le piastrine, che vie­ ne liberato sia dalle piastrine sia dalle cellule infiammatorie (mastoidi, fagociti), sia dall'en­ dotelio stesso, agisce sui vasi incrementando­ ne la permeabilità. Ma soprattutto, la potenza infiammatoria di questa sostanza si manifesta nella capacità di stimolare il richiamo, l' aggre­ gazione e l'adesione dei leucociti al vaso san­ guigno. Al tempo stesso, il PAF stimola le cel­ lule immunitarie a produrre mediatori dell'in­ fiammazione (leucotrieni) e specie reattive dell'ossigeno.

317

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

L' I N FIAMMAZIONE N E LLA FASE ACUTA

I NSULTI ESTERNI E INTERNI I nfezioni, i nterventi chirurgici, crescita tumora le

,

irritanti chimici, degenerazione dei tessuti

prodotta dall'interruzione del flusso sanguigno .

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1

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REAZIONE GENERALE Febbre e dolore REAZIONE LOCALE Leucocitosi (aumento del numero dei leucociti)

Dilatazione e permeabilità dei vasi sanguigni Aggregazione delle piastrine e formazione del coagulo Accumulazione dei neutrofili e dei macrofagi

MEDIATORI DELL'INFIAMMAZIONE l nterleuchi na

1 ·· Pmstaglandina

Rilascio di proteasì (enzimi che le proteine) e altri enli�

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Serotoni�.) .!>­ \.>.) .

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e sul processo aterosclerotico. Tutto ciò predispone all'infarto e peggiora la prognosi dopo l'infarto. Da notare il circolo vizioso che si crea: la depressione incrementa l'infiammazione e l'aterosclerosi, che, a loro volta, con le sostanze card iaco infiammatorie messe in circolo, possono peggiorare la depressione.

Risch io i nfarto Peg g iora mento prog nosi post-i nfarto



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Sistema i m m u n itario

Citochine i nfia m m atorie

Aterosclerosi Alterazioni della freq uenza e della va ria b i l ità cardiaca • Aumento della pressione a rteriosa • Aumento viscosità del sa ngue



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S i m patiCO



Stress

F i g . Xl l-6. La depressione e lo stress aumentano le citochine infiammatorie (IL-1, /L-6, IFN-gamma) e l'attività del sistema nervoso simpatico. Questi fenomeni hanno effetti diretti sul cuore (con aumento della frequenza e diminuzione della flessibilità cardiaca), sulla pressione arteriosa, sulle piastrine (il sangue diventa più denso)

Depressione

Ormoni

D E P R E SS I O N E E I N FARTO

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NUOVE IDEE PER VECCHIE MALAITIE

nisms offever, 'Annals of New York Academy of Sciences', New York, 1 998, vol. 8 56. 4. C.M. Blatteis Afferent pathway ofpyrogenic signaling, in Blatteis C.M. (a cura di) Thermoregulation, op. cit., pp. 951 07. 5. Q.J. Pittman e al. Vasopressin-induced antipyresis, in � .J. Kl�_t?;er, M. B arrfai, C. Dinarello Molecular mecha­ _ pp. 53-6 1 . msms ofjever, op. clt., 6 . A. Catania, J.M. Lip ton Peptide modulation offever and inflammation within the brain, in M.J. Kluger, M. Bartfai, C. Dinarello Molecular mechanism offever, op. cit., pp. 6268. 7. L.F. Agnati Fisiologia cardiovascolare, Piccin, Padova, 1 996. 8 . I. Kushner, D. Rzewnicki Acute phase response, in J.I. Gallin lnjlammation, III ed., Lippincott Williams&Wil­ kins, Filadelfia, 1 999. 9 . H . Wekerle e al. Neuronal contro! of the immune re­ sponse in CNS: ftom pathogenesis to Therapy, in P. Patter­ son, C. Kordon, Y. Christen (a cura di) Neuro-immune interactions in neurologic and psychiatric disorders, Sprin­ ger, Berlino, 2000. l O. R. Dantzer e al. Sikness Behavior: A neuroimmune-based response to infectious disease, in P. Patterson, C. Kordon, Y. Christen (a cura di) Neuro-immune interactions in neurolo­ gic and psychiatric disorders, Springer, Berlino, 2000. 1 1 . T.A. Luger e al. (a cura di) Cutaneous neuroimmuno­ modulation, 'Annals of New York Academy of Sciences', New York, 1 999, vol. 885. 12. C.A. Armstrong e al. Neurobiology ofskin, in T.A. Fitz­ patrick Dermatology in generai medicine, V ed., McGraw­ Hill, New York, 1 999, vol. I. 13. E.D. Acheson Some comments on the relationship ofthe

giare in modo salutare, controllare lo stress è possibile, scrive Alan Rozanski, cardiologo della Columbia University, se al paziente non arrivano solo direttive, ma anche indica­ zioni pratiche di autoregolazione, basate sulla conoscenza e sulla stima di sé. In questo senso, fondamentale è un program­ ma di tecniche antistress, come mostrano gli studi che ho presentato nella parte sulle tec­ niche meditative (si veda il capitolo 'La mo­ dulazione del network: tecniche per la men­ te').

Nuovi orizzonti terapeutici per il cardiologo Il cardiologo, da questo nuovo paradigma, può trarre nuovi orizzonti terapeutici. Le terapie di rilassamento e di controllo dello stress non sono 'pannicelli caldi', sono un modo concreto ed efficace per controllare la sovrapproduzione di neurotrasmettitori e peptidi. Anzi, forse, sono più utili dei beta­ bloccanti, la cui gestione non è semplice, vista la tendenza spontanea del cuore a ridurre i re­ cettori betadrenergici. Lo stesso controllo dei mediatori dell'infiam­ mazione e della reazione immunitaria, anche utilizzando piante antinfiammatorie, vitami­ ne antiossidanti e sostanze naturali a effetto antiaggregante (come l'olio di pesce), prescri­ vendo una regolare attività fisica e una dieta antinfiammatoria, diventa un aspetto centrale della terapia. NOTE l . T. Collins Acute and Chronic lnjlammation, in S. Rob­ bins, Pathologic Basis ofDisease, IX ed., Saunders Co., Fi­ ladelfia, 1 9 9 9. 2. C.M. Blatteis (a cura di) Thermoregulation, tenth inter­

national symposium on the pharmacology of thermoregula­ tion, 'Annals of New York Academy of Sciences', New

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344

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345

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OPERE GENERALI E DI RIFERIMENTO C. Betterle Le malattie autoimmuni, Piccin, Pado­ va, 200 1 . F. Bottaccioli Il sistema immunitario, la bilancia della vita, Tecniche Nuove, Milano, 2002. J.I. Gallin, R. Snyderman lnflammation, III ed., Lippincott Williams&Wilkins, Filadelfia, 1 999. P. Pancheri, A. Palma, R Romiti Cuore e cervello, una storia infinita, Momento medico, Salerno, 2000. 'Psychosomatic Medicine' Depression and heart di­ sease, 2005; 67: suppl. l . N.R. Rose, I. R Mackay The autoimmune diseases, Academic Press, San Diego, 1 998.

Depressione e ansia

Per iniziare a scrivere questo capitolo ho ripre­ so in mano un libro, letto oltre dieci anni fa, E liberaci dal male oscuro, scritto dalla giornalista Serena Zoli e dallo psichiatra Giovanni Batti­ sta Cassano, ordinario all'Università di Pisa. Fra le pagine ho trovato anche il ritaglio di una lunga intervista rilasciata da Cassano al quotidiano 'la Repubblica', che sintetizza il messaggio del libro 1 • Bisogna smetterla, dice Cassano, di disinfor­ mare la gente. Le malattie mentali sono come le altre malattie e vanno curate con i farmaci. Bisogna spezzare «antichi pregiudizi, ostraci­ smi, paura dei farmaci e della supposta dipen­ denza che procurerebbero». E prosegue: ,OJ

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Fonte: American Cancer Society Cancer statistics 2005 (da l sito ufficiale www.cancer.org, accesso del 3 1 agosto 2005).

Nella mortalità per cancro al polmone, dopo il picco del 1990, si registra una flessione, causata da un 'aggressiva politica governativa contro il fumo. In lieve flessione anche la mortalità per cancro intestinale e prostatico, mentre

quella per cancro allo stomaco continua la sua caduta, che del resto è assolutamente indipendente dalle terapie, essendo iniziata negli anni Trenta. Non flettono pancreas, fegato e leucemie.

meglio, che la malattia da incurabile è diven­ tata curabile, che i tassi di sopravvivenza sono ormai molto elevati, e via dicendo? Forse ne­ gli ultimi anni si è verificata davvero una net­ ta inversione di tendenza? Forse la medicina ha davvero imbroccato la stra­ da giusta? Esaminiamo i dati a disposizione.

In compenso, tra le donne, cresce il tasso di mortalità per tumore al polmone. La buona notizia per i maschi è legata alla sco­ perta di un nuovo farmaco? No, semplice­ mente a un'aggressiva politica governativa con­ tro il vizio del fumo. I maschi fumano di me­ no, e quindi si ammalano e muoiono di meno di tumore al polmone Cosa che non accade per le femmine, che fumano di più e si ammalano e muoiono di più per questa malattia. La (modesta) buona notizia per le femmine è legata a un nuovo fàrmaco o a una nuova procedura chirurgica? No, è legata alla diffu­ sione dello screeningmammografico, e quindi a una diagnosi precoce. Anche se qui non mancano polemiche e perplessità. Nel 200 1 , infatti, è stata pubblicata una 'Co­ chrane Review' che ha messo in dubbio la pos­ sibilità di trarre conclusioni positive, in ter­ mini di riduzione della mortalità, dagli studi

La mortalità per tumori: flessioni e rialzi Il grafico in questa pagina e quello a pag. 387, riferiti agli Stati Uniti, mostrano che, negli ul­ timi anni, per i maschi c'è una buona notizia: si registra una riduzione del tasso di mortalità per cancro al polmone. Per le femmine, invece, la flessione del tasso di mortalità per il cancro al seno, quello più diffuso, è molto più modesta. 386

IL CANCRO

TASSO DI MORTALITÀ P E R CAN CRO N E LLE DON N E (USA, 1 930-200 1 )

Polmone e bronchi

40

20

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Fonte: America n Cancer Society Cancer statistics 2005 (dal sito ufficiale www.cancer.org, accesso del 31 agosto 2005).

Prosegue il crollo della mortalità per cancro all'utero, anche come conseguenza dell'utilizzo del Pap-test su scala di massa a partire dagli anni Cinquanta. Anche per le donne prosegue il crollo della mortalità per tumore allo stomaco. A partire dagli anni Novanta, la mortalità per tumore alla mammella è in lieve flessione, così come

quella per tumore a l colon retto, che è in lieve discesa da alcuni decenni. Rilevante è il netto aumento di mortalità per tumore all'apparato respiratorio, come conseguenza della crescita del vizio del fumo tra le donne. Il cancro al polmone rappresenta la prima causa di morte per cancro tra le donne (27% di tutte le morti per cancro contro il 15% del cancro al seno).

pubblicati5• Negli anni successivi, tutti co­ munque hanno difeso l'efficacia dello screening mammografìco, solo però per le donne con più di 50 anni. Per le quarantenni, i dati di­ sponibili dicono che la mammografìa non ab­ bassa la mortalità6• Ma di quanto l'abbassa e a quale prezzo? Gianfranco Domenighetti, epidemiologo e stu­ dioso dei servizi sanitari dell'Università di Lo­ sanna, in un recente testo dedicato alla medici­ na dell'evidenza (evidence-based medicine), pre­ senta questo ragionamento. È stato calcolato, scrive, che l'uso della mammografìa, ogni due anni, per dieci anni, in donne sopra i 50 anni, salva 3 vite ogni mille donne. Luso intensivo del­ lo screeningperò evidenzierà 40 tumori alla mam­ mella. «Vi saranno quindi 37 donne a cui è sta­ to diagnosticato un tumore al seno con 4-5 an-

ni di anticipo, senza che abbiano avuto un van­ taggio in termini di riduzione della mortalità concomitante. Ora, per queste donne, l'antici­ po della diagnosi senza benefici sarà stato pro­ babilmente uno svantaggio7.»

387

Che vuol dire, allora, che bisogna smettere di proporre lo screening al seno? Certamente no, dice Domenighetti, bisogna solo smette­ re di fare del trionfalismo e di dare un'infor­ mazione a senso unico. Un'indagine seria, per esempio, sul materiale informativo usato per promuovere lo screening dimostra che gli o­ puscoli distribuiti alle donne peccano di que­ sta unilateralità e quindi inducono false e mi­ racolistiche aspettative8 • Sempre Domenighetti, in uno studio sulle donne italiane, dimostra che l'BO% di loro ha

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

Ali mentazione

30%

Tabacco

30% 5%

Ambiente d i lavoro Agenti i nfettivi

5%

Alcol

3%

Vita sedentaria

3%

Fattori genetici

2%

Inquinamento a m bienta le

2%

Raggi u ltravio l etti, g a mma, radon

2%

Additivi a l i mentari

1%

Farmaci e trattamenti medici

1%

Fonte: D. Trichopoulos Epidemiology of cancer, in V. T. DeVita Principles & Practice of Oncology, V ed., Lip­ p i ncott, Filadelfia, 1 997.

una percezione sbagliata, in senso ultraotti­ mistico, del ruolo della mammografia9 • Non pare proprio una buona strategia quella di enfatizzare i risultati raggiunti, in termini di prevenzione medica e di terapia. Anche perché urge un cambiamento. Ma in quale direzione? Credo che i dati dimostrino in modo inequi­ vocabile che i buoni risultati ottenuti per il cancro allo stomaco, all'utero, al polmone (nei maschi) e al seno (nelle donne) sono da attri­ buire all'efficacia della prevenzione e ai cam­ biamenti socio-economici (la refrigerazione e la migliore conservazione del cibo, nel caso del cancro allo stomaco). Nello stesso tempo, è certamente giusto ri­ conoscere i progressi medici realizzati. Per e­ sempio, la notevole efficacia della radioterapia nelle forme iniziali del linfoma di Hodgkin. Buoni risultati, ma ancora troppo modesti in rapporto alla smisurata 'galassia cancro'. E allora, bisognerebbe forse ridurre la ricerca? Dare forfait? Abdicare al sogno di sconfiggere il male del secolo (scorso) ? Se non vogliamo che sia anche il male di que­ sto secolo, occorre un radicale cambio di rot­ ta. In quale direzione? Rispondo con le parole del già citato Bailar: «Non si tratta di bloccare la ricerca sulle tera­ pie, ma si tratta di riallineare le risorse econo388

miche tra spese per la ricerca (diminuendole) e spese per la prevenzione (aumentandole))). Infatti, come vedremo, le cause del cancro so­ no in buona misura aggredibili e modificabili.

Le cause del cancro

Èpiù vecchio dell'umanità Pur essendo il male del XX secolo, il cancro è vecchio quanto l'umanità. Anzi, ancor più vec­ chio, se si pensa al fatto che in un dinosauro vissuto nel periodo cretaceo, alcuni milioni di anni fa, sono stati identificati i segni di un o­ steoma (un tumore benigno delle ossa) . Ci sono scienziati che sostengono che il can­ cro è probabilmente vecchio quanto la vita sul­ la Terra, perlomeno quanto la vita dell'orga­ nismo pluricellulare. E che il difetto sia inter­ venuto proprio in quel passaggio cruciale del­ la storia della vita sul nostro pianeta, avvenu­ to centinaia di milioni di anni fa, quando gli organismi viventi passarono da uno stato cel­ lulare a uno pluricellulare. Al di là delle speculazioni teoriche, resta il fat­ to che tumori sono segnalati in tutte le specie animali, perfino negli insetti.

IL CANCRO

Iprincipali imputati: ambiente e stili di vita

cancro non solo all'intestino, ma anche in al­ tre sedi dell'organismo. Nello stesso tempo, un eccesso di calorie, con sovrappeso e obesità, viene giudicato respon­ sabile di aumento del rischio di cancro alla co­ lecisti, alle vie biliari, all'utero (endometrio) e alla mammella in donne in post-menopausa. Infine, negli ultimi venticinque anni, molto lavoro è stato fatto per identificare le sostanze chimiche presenti nel cibo, nell'acqua, nel­ l' ambiente che possono causare il cancro.

Il 1 9 8 1 è una data importante perché in quel­ l'anno due scienziati inglesi, Richard Doll e Richard Peto, pubblicarono un libro sulle cau­ se del cancro che ha segnato una svolta nel­ l'identificazione dei principali fattori di rischio. Secondo Doll e Peto, oltre un terzo di tutti i tumori, negli Stati Uniti, ha cause alimentari e quasi un altro terzo è causato dal fumo di si­ garetta. Con questo studio, commissionato e pubblicato dal governo degli Stati Uniti, gli stili di vita e l'ambiente diventano i princi­ pali imputati. Il quarto di secolo di studi, che ha seguito il rapporto di Doll e Peto, ha pienamente con­ fermato le rivoluzionarie ipotesi avanzate dai due scienziati inglesi. La Tabella a pag. 388, tratta dal lavoro di uno dei più noti epidemiologi internazionali, mo­ stra che, se sommiamo gli stili di vita all'inqui­ namento, il risultato è che quasi 1'80o/o della mortalità per cancro rientra in un campo in cui la prevenzione e le misure sociali e individuali possono ottenere risultati che nessun farmaco miracoloso può sognarsi di raggiungere. Secondo Dimitrios Trichopoulos, capoepide­ miologo del Centro per la prevenzione del can­ cro della Harvard University, «la mortalità per cancro, nel giro di pochi anni, potrebbe esse­ re ridotta del 33o/o attraverso la prevenzione primaria, anche senza nuove scoperte farma­ cologiche e nutrizionali»10•

È sempre più chiaro infatti che il fumo di si­ garetta non solo è responsabile di oltre 1'80o/o di tutti i morti di tumore al polmone, ma che interviene anche in altri tumori, altrettanto micidiali, come quello del pancreas. Inoltre, studi sempre più convincenti hanno dimostrato che la qualità e la quantità della dieta incidono sul rischio tumori. Infatti, una dieta ricca di carne rossa e di gras­ si animali e povera di frutta e verdura si pen­ sa sia responsabile di un aumentato rischio di

Ma questi dati di fatto sulla centralità dei fat­ tori ambientali e individuali nella genesi del cancro ancora stentano a farsi strada tra i me­ dici, anche se è in crescita la sensibilità su que­ sti temi. Anche per formazione scolastica, il medico per lo più pensa al cancro come a un evento lineare, che potrebbe essere causato da virus oppure essere il frutto di un errore ge­ netico congenito.

Alla ricerca di una causa semplice: i virus Agli inizi di questo secolo uno scienziato pre­ mio Nobel, Peyton Rous, descrisse un can­ cro (sarcoma) trasmissibile nei polli. Già nel Medioevo si pensava che il cancro fos­ se infettivo, ma la credenza cadde definitiva­ mente con l'avvento della medicina scientifi­ ca che, con il grande patologo tedesco del XIX secolo Rudolph Virchow, identificò nella cel­ lula, nella sua trasformazione maligna, il mec­ canismo patogenetico del cancro. Di trasmissibilità e di infettività del cancro, a parte l'esperienza isolata di P. P. Rous, non si parlò più per molto tempo. Negli anni Sessanta, però, le osservazioni di P. P. Rous vennero riprese e si vide che effetti­ vamente alcuni tumori negli uccelli erano cau­ sati da virus. Nel 1 969 venne proposta una teoria per spiegare il meccanismo di azione vi­ rale nella genesi del cancro. R.J. Huebner e G.J . Todaro, questi i nomi dei due scienziati americani che la proposero, i­ potizzarono che il virus, una volta penetrato 389

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

nella cellula, inserisse dei propri geni nel pa­ trimonio genetico cellulare, costringendo co­ sì la cellula a produrre proteine per la ripro­ duzione virale e altre proteine 'aberranti' ca­ paci di indurre la cellula a trasformarsi da nor­ male a maligna.

La scoperta degli oncogèni La teoria dell'origine virale del cancro non ha retto alla prova della scienza. Oggi si pensa che i virus, al pari di altri fat­ tori ambientali nocivi, possano concorrere al danneggiamento del genoma, da cui può ave­ re origine una cellula maligna. I virus quindi sono oggi considerati dei cofat­ tori, cioè dei fattori che agiscono assieme ad altri nella genesi di alcuni tipi di cancro, co­ me il carcinoma del fegato (favorito dal virus dell'epatite B) , alcuni tipi di !infama (favori­ ti dal virus Epstein-Barr) , il carcinoma della cervice (favorito dal papilloma virus, HPV in sigla). Cofattori, elementi predisponenti, quindi, ma nulla di più. Se la teoria della genesi virale del cancro è caduta, è però rimasto in vita il suo nucleo intuitivo: l'esistenza di geni capaci di indurre la trasformazione neoplastica della cel­ lula, per questo chiamati 'oncogèni'.

Il cancro è una malattia genetica?

ro: il fatto che ci siano alcuni tipi di cancro e­ reditabili e il fatto che il nostro patrimonio ge­ netico, scritto sotto forma di DNA, possa es­ sere danneggiato e indotto a subire mutazio­ ni da fattori ambientali o endogeni, che poi daranno origine alla trasformazione neopla­ stica della cellula. Nel primo caso (il cancro e­ reditabile) ci troviamo di fronte a un nume­ ro molto limitato di situazioni e a tipi di tu­ more alquanto rari. L esempio più studiato di cancro ereditabile è il retina blastoma, una forma di cancro agli oc­ chi, che colpisce i bambini piccoli (un neo­ nato su 20 000) . Questo tipo di cancro, che per fortuna presenta un'alta percentuale di guarigione (85% dei casi), è ereditario nel 40% dei casi, ma anche in questa minoranza di ca­ si la sua trasmissibilità ai figli non è del l 00%. E precisamente: le probabilità che il figlio di un genitore con retinoblastoma ereditario ab­ bia anch'egli questo tumore sono del 50%. Così come possono esserci predisposizioni fa­ miliari anche per alcuni altri tumori dell' ap­ parato digerente e del seno, anche se gli stu­ diosi più affezionati all'idea dell'origine gene­ tica del cancro calcolano che non più del 5% di tutti i tumori sia addebitabile ai geni rice­ vuti in sorte.

Cambiando luogo di vita cambiano anche i tumori: gli studi sugli immigrati Il colpo di grazia alle cause genetiche eredi­ tarie è stato dato da numerosi studi sugli im­ migrati, cioè su quelle persone che, per varie ragioni, nel corso della loro vita, si sono tra­ sferite in un Paese diverso dal luogo di origi­ ne o sono nate e cresciute in un Paese che non è la loro patria 1 1 • Donne giapponesi, nate alle Hawaii, presen­ tano un tasso di cancro alla mammella quasi triplo di quello delle giapponesi residenti in Giappone (40,7 contro 1 4,2 ogni 1 00 000 donne) . Stessa cosa è accaduta alle italiane e­ migrate in Australia, mentre un vecchio stu-

Alla domanda: «Il cancro è una malattia ge­ netica?» di solito la risposta sarà: «SÌ». E in effetti, a rigore, è giusta. Il cancro è una malattia genetica a base cel­ lulare, ma questo non vuoi dire che ci amma­ liamo di cancro perché sta scritto nei cromo­ somi che abbiamo ereditato dai nostri genito­ ri. Almeno nella gran parte dei casi. Spesso, parlando del cancro come malattia genetica, si confondono due aspetti molto diversi tra lo390

IL CANCRO

Tumore

Frequenza della mutazione ( % )

Pancreas

90

Colon retto

44

Polmone (non a piccole cel l u le)

33

Fegato

30

Leucem i a m ieloide acuta

30

Fonte: M. Lopez Onco/ogia medica pratica, I l ed., Un iverso, Roma, 2005, pag. 64.

dio sui giapponesi emigrati in California mo­ stra che già il gruppo degli immigrati, dopo un po' di anni, presentava un 'adattamento' all'ambiente californiano, con una riduzione di morti per cancro allo stomaco e al fegato (tipici degli abitanti del Giappone) e una cre­ scita di quelle per cancro al colon e alla pro­ stata (tipici dei californiani). Adattamento pra­ ticamente completato dalla seconda genera­ zione, quella dei figli dei giapponesi immigrati.

zione di determinati geni, gli oncogèni (cau­ sata da mutazioni, traslocazioni di materiale genetico, indotta da vari fattori) e la disatti­ vazione di altri, chiamati 'geni oncosoppres­ sori', mettono in moto un meccanismo, un processo a più tappe, il cui esito finale può es­ sere una trasformazione cellulare maligna che darà origine a una replicazione cellulare in­ controllata, e quindi a un tumore.

La biologia del cancro:

L'ambiente è determinante, poiché può indurre modificazioni genetiche che produrranno il cancro

geni che lo inducono e geni che lo sopprimono R.J. Huebner e G.J. Todaro, che, come ho già ricordato, coniarono la parola 'oncogèni', pen­ sarono a geni virali introdotti nel genoma u­ mano capaci di indurre la trasformazione ma­ ligna della cellula. Oggi, invece, gli scienziati pensano agli on­ cogèni come a geni cellulari normali (per que-

Ciò dimostra che, nella genesi del cancro, l'ambiente è determinante. Ma in che senso? Quali sono i meccanismi che si ipotizzano essere alla base della formazio­ ne di neoplasie? Qui i geni c'entrano, nel senso che l'attiva-

Gene

Tumori

RB1

Retinoblastoma, osteosarcoma, mammella, p rostata, vescica, pancreas, esofago e altri

p53

Sarcomi, mammel la, cerve l lo, leucemia, a ltri

p16

Mammella, pol mone, pancreas, vescica e a ltri

BRCA1

Ovaio, m a m m e l l a

BRCA2

Mammella, pancreas

Fonte: M. Lopez Oncologia medica pratica, Il ed., Universo, Roma, 2005, pag. 67.

391

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

sto chiamati anche 'proto-oncogèni') che pos­ sono indurre la trasformazione neoplastica del­ la cellula solo se vengono alterati da danni o modificazioni del DNA cellulare.

ventualmente intervengono in riparazioni, chiamati caretaker, sorveglianti. La Tabella in basso a pag. 3 9 1 segnala alcuni oncosoppresson.

Oncogèni e oncosoppressori

Il più famoso degli oncosoppressori è il gene p53, che codifica per la proteina omonima, la quale si accumula nel nucleo in risposta a vari tipi di stress potenzialmente negativi per la cellula: farmaci, citochine infiammatorie, forti rialzi di temperatura, sostanze ossidan­ ti e altro ancora. La proteina p53 è portatrice di un messaggio inequivocabile: la cellula intanto deve fermarsi. Si blocca quindi il ciclo cellulare, impeden­ do che la cellula proliferi. Il blocco è temporaneo, ma, con questo pri­ mo atto, la p53 dà la possibilità di verificare gli eventuali danni subiti dalla cellula in con­ seguenza dello stress. Se il danno è riparabi­ le, entra in campo un meccanismo fantastico di riparazione di eventuali pezzi di DNA le­ sionati, se invece il danno è grave, allora la p 53 dà il via a un programma di suicidio cellula­ re, chiamato 'apoptosi' . La cellula troppo danneggiata, infatti, potrebbe trasformarsi in cellula maligna, e per questo va eliminata. Le proteine p53 e p l 6-Rb (dove Rb sta per retinoblastoma, il tumore ereditario agli oc­ chi di cui abbiamo già parlato) rappresenta­ no i due checkpoint fondamentali attivi a li­ vello cellulare: sono i guardiani dell'integrità cellulare 1 2•

Gli oncogèni più studiati sono i cosiddetti ras. Nella cellula normale, questi proto-oncogèni danno istruzioni per la sintesi di una protei­ na, chiamata Ras, la quale funziona da attiva­ tore di risposte cellulari di vario tipo, tra cui anche la divisione in due della cellula stessa (mitosi) . Se i geni in questione mutano, di­ ventano oncogèni, e cioè producono una pro­ teina Ras che non viene rapidamente disatti­ vata, come di solito avviene. La Ras mutata induce quindi una stimo lazio­ ne prolungata della cellula, con effetti di pro­ liferazione cellulare. Le mutazioni nei geni ras sono state trovate in diversi tumori umani. La Tabella in alto a pag. 39 1 ne dà un quadro. Più o meno negli stessi anni (anni Settanta) in cui gli scienziati si davano da fare sugli on­ cogèni, si scoprirono anche i controllori della cellula, battezzati oncosoppressori. L'esperimento che fece sospettare l'esistenza di questi geni venne realizzato nel 1 9 7 1 , quando si operò la fusione fisica (ibridizza­ zione in gergo) di una cellula tumorale con una normale, per vedere se il risultato fosse una cellula tumorale. Invece, l'ibrido non era una cellula prolife­ rante, il che voleva dire che nella cellula nor­ male c'erano fattori (geni) che erano in grado di controllare la crescita, geni che invece la cel­ lula tumorale aveva evidentemente perso o modificato. A oggi, gli oncosoppressori vengono raggrup­ pati in due grandi classi: quelli che control­ lano le vie di ingresso alla cellula, che portano segnali di attivazione e duplicazione, e per que­ sto chiamati gatekeeper, letteralmente guar­ diani dell'ingresso o portinai; quelli che inve­ ce controllano la stabilità del genoma ed e-

Se gli agenti stressanti sono troppo forti o pro­ lungati e quindi producono danni numerosi al DNA, l'alternativa alla morte è l'invecchia­ mento cellulare. La cellula non viene elimi­ nata, ma viene arrestato il suo sviluppo. Paiono evidenti le implicazioni per l'organi­ smo nel suo insieme di questa alternativa al­ lo stress: se funzionano bene, i guardiani (p 53 e p l 6), le nostre unità di base, bombardati da stressor di vario tipo, prenderanno la via del­ l'invecchiamento e del rapido esaurimento del-

392

IL CANCRO

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IL CANCRO

Lo svi l uppo di n uovi vasi richiede 4 tappe. • I n n anzi tutto la d eg radazione enzimatica della membra na basal e del vaso 'genitore', da cui uscirà u n germoglio d i cap i l lare 'fig l io'. • I l germog l i o è sotto forma d i cel l u l e endo­ teliali che vengono attratte e che migrano nel­ la d i rezione dello stimolo prodotto dai fatto­ ri ang iogenetici.

• La prol iferazione e la moltipl icazione del­ le cel l ule endotel i a l i, che si realizznoa proprio su bito d ietro l a p r i m a l i nea delle cel lule che ava nzano. • La maturazione e l a d ifferenziazione del le cel l u le endotel i a l i, l e quali andranno a forma­ re la membrana basale che delimiterà le pare­ ti del nuovo vaso sanguigno.

Fonte: S. Robbins e a l . Neop/asia Pathological Basis of Disease, V ed., Saunders Company, Filadelfia, 1 994.

ed è spesso costituito da piccoli vasi sanguigni che si ramificano in modo abnorme, serpeg­ giano in forme tortuose e prendono direzioni imprevedibili. La conseguenza di ciò è che la massa tumo­ rale, soprattutto se di un certo volume, non è ben vascolarizzata in tutte le sue parti, con­ tiene quindi al suo interno zone in cui sono prevalenti le cellule che muoiono rispetto a quelle che nascono. Ma, purtroppo per noi, questa vascolarizzazione inefficiente non co­ stituisce un problema alla diffusione del tu­ more, bensì può rappresentare un ostacolo al­ la terapia, perché impedisce un'efficace dif­ fusione e penetrazione dei farmaci all'interno della massa tumorale.

I nuovi vasi costituiscono anche la via difuga delle cellule maligne

zazione del tumore, maggiore sarà la probabi­ lità che quel tumore dia metastasi. Ma come avviene l' angiogenesi? Il tumore da dove prende questa capacità, che sembra ma­ gica, di far crescere e attirare verso di sé nuovi vasi sanguigni? , No, non è magia nera. E il frutto della pro­ duzione di numerosi fattori angiogenetici da parte delle cellule tumorali e anche dei ma­ crofagi che, accorsi senza essere riusciti a in­ nescare una reazione immunitaria di distru­ zione dell'indesiderato, inevitabilmente fanno ormai parte di quella composita compagnia che costituisce la massa tumorale (le cellule tu­ morali vere e proprie, infatti, non superano di solito il 50% del tumore; il resto è costituito da vasi, da cellule immunitarie, da matrice ex­ tracellulare ricchissima di collagene).

Le sostanze che stimolano la formazione di nuovi vasi

:Langiogenesi è anche la via di fuga delle cel­ lule maligne. Una via di fuga piuttosto age­ vole, in quanto i nuovi vasi 'creati' dal tumo­ re hanno le pareti molto porose, che possono quindi essere attraversate molto facilmente dal­ le cellule maligne. Una volta dentro il vaso, il gioco è fatto, o almeno in larga misura.

Quali sono queste sostanze capaci di stimola­ re l' angiogenesi? Sono alcuni fattori di cre­ scita che già conosciamo: il fattore di crescita dei fibroblasti (FGF) , il fattore di crescita tra­ sformante alfa e beta (TG F-a e TGF-�), il fat­ tore di crescita dell'epidermide (EGF), il fat­ tore di crescita derivato dalle piastrine (PDGF) e un fattore di crescita specifico, cui la ricer­ ca sta dando molta importanza, il fattore di crescita dell'endotelio vascolare (VEGF), det­ to anche fattore di penetrazione vascolare (VPF) .

Gli scienziati, in proposito, studiando impor­ tanti tumori umani come il melanoma, il car­ cinoma della mammella e quello del polmo­ ne, hanno rilevato una correlazione tra l'e­ stensione dell' angiogenesi e la probabilità di metastasi. Quindi, più estesa è la vascolariz399

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

Tutte queste molecole, prodotte in quantità dal tumore primitivo, sono in grado di 'far figlia­ re' un vaso sanguigno vicino e di attirare den­ tro di sé il germoglio di capillare prodotto. Il box di pag. 399 illustra le tappe di questo spettacolare processo, che fa parte della nor­ male capacità dell'organismo di riparare le­ sioni dei tessuti, ma che, in mano al tumore, diventa un'arma letale.

Le chemiochine indicano la strada alle metastasi Nel 200 1 , con uno studio pubblicato su 'Na­ ture', si è risolto il mistero del perché alcuni organi siano invasi da cellule tumorali meta­ statiche e altri, invece, ne siano privi14• Fino a questo studio, tre erano le teorie pre­ sentate per spiegare il mistero di un polmo­ ne pieno di metastasi di carcinoma mam­ mario e di un rene invece libero da cellule maligne. La prima teoria ipotizzava che le metastasi in realtà invadono tutti gli organi, ma che attec­ chiscono e si moltiplicano solo là dove trova­ no appropriati fattori di crescita. La seconda chiamava in causa l'espressione di molecole di adesione da parte delle cellule endoteliali. La terza, infine, ipotizzava l'ingresso di molecole chemiotattiche nella circolazione, con funzioni di segnalazione nei confronti delle cellule tu­ morali, le quali quindi verrebbero guidate a

Mamme l l a

destinazione seguendo il gradiente chemio­ tattico fornito dalle elevate concentrazioni di chemiochine. Il lavoro citato conferma la terza teoria. Gli scienziati hanno identificato negli organi ber­ saglio le chemiochine attraenti, e nelle cel­ lule metastatiche i recettori per quelle che­ miochine. Le cellule maligne dell'epitelio mammario, a differenza di quelle normali, sono ricche del recettore chemiochinico CXCR4. Le che­ miochine che si legano a questo recettore ven­ gono rilasciate in grandi quantità solo da cer­ ti organi, come midollo osseo, fegato e pol­ moni. Altri organi, come il rene, la pelle e il cervello, ne contengono basse quantità. Le cellule maligne, dopo aver penetrato la ma­ trice extracellulare e invaso la circolazione san­ guigna e linfatica, quando passano attraverso questi organi, che emettono un forte segnale di attrazione, escono dalla circolazione gene­ rale e penetrano nel loro interno. Quindi, la distribuzione finale delle metastasi riflette la diversa abbondanza e la varietà delle chemiochine nei vari organi. Per esempio, do­ po il lavoro citato, si è visto che il melanoma e­ sprime il recetto re CCRI O, che incontrerà la chemiochina corrispondente, innanzi tutto a livello cutaneo, ma anche in altri organi. La Tabella qui sotto fornisce un quadro delle principali sedi di metastasi.

50-70 %

Osso, polmone, fegato

Pol mone

30-50%

Cervel lo, osso, fegato, surrene

Intestino

40-70 %

Fegato, polmone, osso

Prostata

20-30%

Osso, polmone, fegato

Melanoma

50-7 0 %

Cute, polmone, fegato, cerve l l o, osso

Stomaco

40-50%

Fegato, cavità addominale

Endometrio

1 5-2 5 %

Polmone, fegato

Ova io

30-35 %

Cavità addom i n a le

Pancreas

50-70 %

Fegato, pol mone, cavità addom i n a le

Fonte: R. Gavazzi Invasione e metastasi, in M. Lopez Oncologia medica pratica, Universo, Roma, 2005. 400

IL CANCRO

Lance A. Liotta, commentando questo fon­ damentale lavoro, conclude: «CXCL1 2 e il suo recettore CXCR4 potrebbero diventare un bersaglio farmacologico importante per la che­ mioprevenzione, con l'obiettivo di bloccare il passaggio dalla fase pre-maligna a quella in­ vasiva»15. Un obiettivo non da poco.

La fisiologia del cancro: la grande connessione e la crescita tumorale

Inoltre, più che di due tappe, gli scienziati og­ gi parlano di un processo di formazione del cancro a più tappe ( multistep è la parola inglese usata) che può richiedere anche molto tempo (alcuni anni, anche fino a 20 anni) . Sappiamo infine che esiste una grande varia­ bilità individuale di fronte agli stessi carcino­ geni: non tutti i fumatori di sigarette, per e­ sempio, si ammaleranno di cancro al polmo­ ne, anche se è ormai chiaro che le circa 4000 sostanze cancerogene contenute nel fumo del­ le sigarette sono la causa del cancro al polmo­ ne. Da che cosa dipende questa variabilità?

Non tutti ci ammaliamo di cancro, anche a parità di esposizione a sostanze cancerogene: perché?

Cancerogenesi, processo a più tappe di lunga durata Fin qui ho riassunto i modelli interpretati­ vi, le linee di lavoro e i principali risultati cui è giunta la ricerca scientifica in tema di bio­ logia cellulare del cancro. L'orizzonte dell'indagine è la cellula, l'ogget­ to degli studi riguarda i meccanismi che la trasformano in maligna.

Un medico poco curioso dirà che dipende dal patrimonio genetico individuale. Una cate­ goria (il patrimonio genetico) che funziona come Dio funzionava nel pensiero filosofico della scolastica medievale, che non sapeva ri­ solvere per via razionale le difficoltà (le 'apo­ rie') della conoscenza.

Sappiamo che all'inizio del processo di cance­ rogenesi c'è un danno al DNA prodotto da car­ cinogeni ingeriti con i cibi, con l'acqua, oppu­ re diffusi nell'ambiente a causa dell'inquina­ mento dell'aria, di radiazioni, di virus, eccete­ ra. Questo danno genetico però non necessa­ riamente evolverà nel senso della trasforma­ zione maligna. La cellula, come si dice in ger­ go, può essere 'iniziatà al cancro, ma può an­ che non esserlo. E ciò perché il danno geneti­ co può essere riparato e la sequenza che con­ durrà alla trasformazione maligna arrestata.

Ricercatori molto curiosi, invece, stanno mi­ surando questa diversità individuale di fronte al cancro. Sono gli epidemiologi molecolari, studiosi che cercano le impronte dei carcino­ geni all'interno delle nostre cellule, le modifi­ cazioni sul DNA che induce per esempio la respirazione dei fumi che escono da un die­ sel o dalle fabbriche.

L'epidemiologia molecolare alla ricerca della variabilità individuale

Ma c'è di più. Ormai gli scienziati concorda­ no nel gettarsi alle spalle lo schema semplifi­ cato che divide in due la cancerogenesi: ini­ ziazione della cellula e promozione della tra­ sformazione maligna, l'una strettamente con­ seguente all'altra. Infatti, ci possono essere cel­ lule iniziate che rimangono tali, cioè che non si trasformeranno mai in maligne.

La prima importante indagine di epidemiolo­ gia molecolare venne realizzata nel 1992 in Sle­ sia, regione altamente industrializzata e inqui­ nata a sud della Polonia. Il gruppo internazio­ nale di ricerca, diretto da Frederica P. Perera, ri401

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

DIVERSITÀ D I FRONTE AL CANCRO le tappe della formazione del cancro

Sesso e razza

Stato di salute

N utrizione

Età

Individualità genetica

Fonte: F. Perera Environment and cancer: who are susceptible ?, 'Science', 1 997; 278: 1 068-73 (modificata). Fig. XV-2. La parte superiore della Figura mostra il passaggio dall'inquinamento (idrocarburi policiclici aromatici, IPA, fumo di sigaretta, inquinamento urbano) al danneggiamento del patrimonio genetico cellulare, con formazione di 'addotti del DNA' (sostanze che si attaccano alle basi del DNA) fino alla

manomissione di meccanismi fondamentali di controllo, come l'oncosopressore p53, che darà origine al cancro. La parte inferiore mostra la diversità individuale di risposta a l cancerogeno, legata a sesso, età, stato di salute, alimentazione, stress e individualità genetica.

cercatrice della Divisione di scienze ambienta­ li della Columbia University, di New York, di­ mostrò che gli inquinanti presenti nell'aria agi­ scono direttamente sul DNA inducendo una serie di modificazioni genetiche (aberrazioni cromosomiche, formazione di composti chia­ mati 'addotti del DNA', eccetera) .

nonché della propria predisposizione geneti­ ca a metabolizzare il carcinogeno, a riparare e­ ventuali danni al DNA, e così via.

Negli anni successivi, la stessa Perera e Paolo Vineis, uno scienziato torinese di notevole va­ lore, attualmente all'Imperia! College di Lon­ dra, autore di testi fondamentali in campo e­ pidemiologico e di critica del modello bio­ medico dominante16, che riprenderò in con­ clusione del libro, hanno elaborato un mo­ dello interpretativo della diversità individua­ le nei confronti del cancro che sta orientando molte fruttuose ricerche. La Fig. XV-2, tratta da un lavoro di F. Pere­ ra, mostra come si possa reagire diversamente a uno stesso stimolo ambientale, capace di in­ durre il cancro a seconda della razza, del ses­ so, della giovane età, della nutrizione, dello stato di salute generale, del livello di stress, 402

Essere donna o afroamericano significa, infat­ ti, essere più suscettibile a determinati fattori carcinogenetici: per esempio, si sa che le don­ ne fumatrici corrono un rischio quasi triplo dei maschi di sviluppare un cancro al polmo­ ne, rischio aumentato dal concomitante uso di estrogeni (pillola contraccettiva o cerotto per la menopausa) . Essere bambino significa essere più vulnerabi­ li per l'immaturità del sistema immunitario e per lo stato, fisiologico, di elevata prolifera­ zione cellulare. Questo, per esempio, potreb­ be spiegare perché i bambini siano più suscet­ tibili degli adulti ai campi elettromagnetici. In­ fatti, l'unico rischio fino ad ora documentato dell'esposizione ai campi elettromagnetici è proprio l'aumento della leucemia infantile. Sugli stili di vita individuali (alimentazione, stress emozionale) dirò più avanti, ma adesso

IL CANCRO

CANCE ROG E N ESI, TAPPE E M ECCAN I S M I D I RISPOSTA E CONTROLLO

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Carci nogeni

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Sistema i mmunitario



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CANCRO

Antiossidanti

DI ETA ATTIVITÀ FISICA STRESS

PROGRESSIONE

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Diffusione

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di Dna danneggiati, la liquidazione della cellula che non può autoripararsi, fino al controllo della diffusione metastatica di un tumore primitivo. Gli stili di vita influenzano ognuna di queste tappe.

Il cancro è una malattia multifattoriale a tappe. In ognuna delle tappe fondamentali (contatto, iniziazione, progressione, diffusione) l'organismo ha a disposizione risorse che consentono l'espulsione del carcinogeno, la riparazione dei segmenti

403

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

voglio far notare che il nuovo modello emer­ gente dall'epidemiologia molecolare, che ben si combina con l'idea della cancerogenesi come processo multifattoriale e a più tappe, fa tor­ nare di attualità una vecchissima diatriba me­ dica: se il cancro sia da considerare un feno­ meno locale o un fenomeno di carattere gene­ rale dipendente dalle peculiarità individuali. Diatriba che, per esempio, in Italia, negli an­ ni Venti-Trenta, ha contrapposto i costituzio­ nalisti ai localisti, medici clinici i primi, chi­ rurghi i secondi17• Il cancro come errore biologico cellulare e non come prodotto di un disordine sistemico, di uno squilibrio endocrino e neurovegetativo come volevano i costituzionalisti, ha orienta­ to la pratica e la ricerca degli ultimi set­ tant'anni. Le conoscenze scientifiche oggi disponibili consentono un superamento di quello scon­ tro e dei suoi esiti: la separazione tra cellula e orgamsmo. È indubbio infatti che il cancro sia il frutto di alterazioni che intervengono in una cellula (o più cellule) trasformata (e) e che quindi, in questo senso, sia una malattia locale, la cui te­ rapia possa trarre vantaggio dall'aggressione, per via chirurgica o farmacologica, del clone o dei doni maligni. Ma pare altrettanto fuori discussione che que­ sto fenomeno patologico intervenga nel con­ testo della rete psiconeuroendocrinoimmuni­ taria e delle sue relazioni con l'ambiente fisi­ co e sociale. Uscire quindi dalla 'monade' cellula e vedere la genesi del tumore all'interno dei grandi cir­ cuiti generali dell'organismo non è un eser­ cizio intellettuale oppure una critica a coloro che si occupano di scovare oncogèni e onco­ soppressori. Pare invece un modo concreto per capire meglio cause e meccanismi della tra­ sformazione maligna.

sentono l'espulsione del carcinogeno, la ripa­ razione dei segmenti di Dna danneggiati, la li­ quidazione della cellula che non può autori­ pararsi e, infine, anche il controllo della dif­ fusione metastatica di un tumore primitivo. Gli stili di vita influenzano ognuna di queste tappe, in quanto influenzano i grandi siste­ mi di regolazione fisiologica (il nervoso, l'en­ docrino e l'immunitario) e i determinanti del­ l' equilibrio cellulare (pool di molecole antios­ sidanti, equilibrio della membrana, capacità autoriparativa della cellula) . Vediamo un po' più da vicino alcuni degli a­ spetti del rapporto organismo-cancro.

Sistema endocrino e cancro: quando gli ormoni atttvano oncogent e fattori di crescita .

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Il legame tra ormoni e cancro è stato indivi­ duato cento anni fa, quando, per trattare un carcinoma mammario, vennero asportate le o­ vaie con buoni risultati. Da allora è chiaro che gli ormoni c'entrano con i tumori e che ci so­ no alcune forme tumorali dipendenti dagli or­ moni. Con certezza sono stati individuati tu­ mori ormono-dipendenti alla mammella, al­ la prostata, all'utero. Per questo, la terapia è, a seconda dei casi, di sottrazione degli ormoni, oppure di aggiunta di ormoni, che antagonizzano quelli giudica­ ti essere all'origine della neoplasia.

Come mostra lo schema a pag. 403, in ognu­ na delle tappe fondamentali del cancro (con­ tatto, iniziazione, progressione, diffusione) l'organismo ha a disposizione risorse che con404

Il Tamoxifene, antiestrogeno usato nella terapia del cancro, sotto esame Per esempio, il Tamoxifene, un antiestrogeno, prodotto nel 1 963 come contraccettivo, che ora viene largamente usato come terapia del can­ cro alla mammella, o, meglio, come preven­ zione della cosiddetta 'ricaduta contro laterale'

IL CANCRO

(tumore all'altra mammella). Però, così come per altri farmaci anticancro, anche in questo ca­ so sono stati segnalati importanti effetti colla­ terali (tumori all'utero e, forse, al fegato). È un tremendo paradosso che un farmaco che

cura il cancro abbia come effetto indesiderato quello di produrre un cancro in un'altra sede del corpo, ma, purtroppo, questa è una regola molto diffusa tra i farmaci antineoplastici, che ne limita fortemente l'efficacia complessiva.

Tamoxifene: gli studi europei non sono piaciuti agli americani Per valutare efficacia e sicurezza del farmaco, negli anni Novanta sono iniziati quattro gran­ di studi che hanno coinvolto decine di migliaia di donne, alle quali è stato somministrato, per cinque anni, tamoxifene o placebo. Due di questi studi, uno inglese e l'altro ita­ liano, non hanno trovato alcun beneficio: il farmaco non era superiore al placebo nel pre­ venire una recidiva del tumore. Lo studio italiano, coordinato da Umberto Ve­ ronesi, autorità internazionale nel campo del cancro al seno per la sua innovativa tecnica chirurgica minimamente invasiva (quadran­ tectomia) , ha creato non pochi imbarazzi. Gli americani hanno giudicato lo studio poco attendibile, e quindi scarsamente significativo. Secondo la Task Force americana sulla pre­ venzione del cancro al seno, il farmaco sareb­ be in grado di ridurre la recidiva del 49%1 8 • Successive stime ne hanno poi ridimensiona­ to l'efficacia al 32%. Recentemente, U. Veronesi e l'équipe del Gruppo di studio italiano sul tamoxifene so­ no tornati sulla questione, proponendo un'ul­ teriore interpretazione dei loro dati. In realtà, scrivono, se si dividono le donne in alto e basso rischio, si vede che il tamoxifene è utile per quelle ad alto rischio e non per quel­ le a basso rischio. 405

Ora, anche sorvolando sui criteri davvero sin­ golari utilizzati per definire il rischio (l'altezza maggiore di 1 60 cm, le prime mestruazioni pri­ ma di 1 3 anni e l'assenza di gravidanza a ter­ mine prima dei 24 anni!), secondo lo studio italiano occorrerebbe usare il tamoxifene solo per le donne il cui tumore presenta recettori e­ strogenici positivi e che sono ad alto rischio (il 1 3% del campione studiato) 19• Resta il fatto che il farmaco viene proposto a tutte le donne operate con recettori estrogeni­ ci positivi. Oggi. Per decenni è stato prescrit­ to a tutte le donne operate al seno, soprattut­ to in post-menopausa. Ecco che cosa si legge in un, peraltro serio e aggiornato, manuale di oncologia degli anni Novanta: «Poiché il tamoxifene è di norma ben tollerato, appare logico consigliare questa te­ rapia a tutte le pazienti»20• E così hanno fatto gli oncologi in Italia e nel mondo. Ma è vero che il tamoxifene è ben tollerato? Studi dimostrano che il tamoxifene più che raddoppia il rischio di cancro all'endometrio, le trombosi venose profonde, l'embolia pol­ monare, mentre l'aumento del rischio di ictus è meno del doppio. Secondo questi studi, ci sono 80 casi di cancro all'utero in più ogni l O 000 donne trattate con il farmaco21• C'è da chiedersi: quante saranno le donne (con recettori negativi e/o a basso rischio) che han­ no avuto solo un danno da questa prescrizio­ ne medica, senza avere alcun beneficio? Attualmente, il tamoxifene sembrerebbe, co­ me si dice, in uscita, anche perché si stanno studiando altri farmaci, come il raloxifene e gli inibitori dell' aromatasi (l'enzima che au­ menta la disponibilità di estrogeni), che sem­ brano meno tossici, ma è presto per dire una parola chiara al riguardo22• Infine, nel quadro farmaci ormonali e cancro, vanno segnalati gli studi che dimostrano un aumento del 30% del rischio di cancro al se­ no in donne in post-menopausa che hanno as­ sunto per più di cinque anni la terapia armo­ naie sostitutiva. Ma riprenderò queste evidenze nel capitolo sull'invecchiamento.

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALAITIE

I meccanismi d'azione degli ormoni sui tumori Ma qual è il meccanismo d'azione degli or­ moni che contribuiscono alla trasformazione maligna della cellula? Gli ormoni agiscono sia nelle fasi precoci sia, soprattutto, nella fase di promozione del can­ cro. Essi sono in grado di influenzare il nucleo cellulare sia direttamente, attivando gli on­ cogèni, sia stimolando un aumento dei recet­ tori della membrana cellulare per i fattori di cre­ scita (GF), sia amplificando i segnali che dal re­ cettore attivato vanno al nucleo. Il risultato è sempre lo stesso: attivazione o potenziamento di messaggi che inducono il nucleo della cellu­ la a iniziare i procedimenti di divisione cellu­ lare, e quindi di proliferazione incontrollata. Lambiente endocrino quindi è provato che in­ fluenzi la genesi del cancro. Squilibri a livello ormonale possono diventa­ re rilevanti nel microambiente che dà origi­ ne alla cellula trasformata. Inoltre, immagino che il lettore avrà già in mente l'altro aspetto fondamentale della con­ nessione ormoni-cancro: l'influenza che il si­ stema endocrino ha sul sistema immunitario e, quindi, per questa via, sul cancro stesso.

Sistema immunitario e cancro

La storia di DeAngelo Nell'estate del 1 968, un giovane chirurgo, ti­ rocinante in un ospedale del Massachusetts, visitò al pronto soccorso il signor James DeAngelo, che accusava forti dolori addomi­ nali. Lo sottopose a colecistografia e conclu­ se che aveva la cistifellea piena di calcoli, che quindi andava, al più presto, asportata chi­ rurgicamente. Quando lo visitò, notò una grande cicatrice sulla pancia. Il giovane chirurgo chiese spiegazioni.

J. DeAngelo raccontò che, dodici anni prima, era stato ricoverato in quello stesso ospedale e che era stato operato di cancro o, meglio, a­ perto e richiuso e rinviato a casa a morire. Ma lui era lì, vivo e vegeto! Il giovane chirurgo, lì per lì, non credette a que­ sta storia francamente incredibile, anche se, per puro scrupolo, andò a cercare la cartella clinica di J. DeAngelo. La lesse e rimase allibito. La radiografia, allegata alla cartella, mostrava una grossa massa nello stomaco. Il chirurgo che aveva operato DeAngelo aveva aperto l'ad­ dome (aveva fatto quella che in gergo si chia­ ma una 'laparatomia esplorativa') e aveva tro­ vato un tumore allo stomaco delle dimensio­ ni di un pugno e anche tre masse più piccole al fegato, con linfonodi induriti chiaramente infiltrati di cellule maligne. La cartella clinica diceva anche che, all'esa­ me istologico, le masse in questione erano ap­ parse di tipo chiaramente tumorale. Lanato­ mo patologo che aveva fatto l'esame aveva an­ notato che il rumore pareva particolarmente aggressivo ed espansivo. Per alleviare i dolori, il chirurgo aveva rimos­ so il tumore allo stomaco, assieme ai due ter­ zi dell'organo, ma aveva lasciato le masse can­ cerose in crescita nel fegato e nei linfonodi. Non c'era niente da fare. Era stato rimandato a casa a morire. E invece era lì, dopo dodici an­ ni, vivo e vegeto! Il giovane chirurgo, ancora incredulo, ebbe l'opportunità di toccare con mano. Quando DeAngelo venne sottoposto all'asportazione della colecisti, le sue mani e quelle del chirur­ go anziano, che lo assisteva e guidava, fruga­ rono gli organi interni di DeAngelo: non c'e­ ra traccia di masse tumorali, né nel fegato né in altre zone. DeAngelo non aveva ricevuto cure. Il suo cor­ po aveva curato il cancro. Che cos'era successo? Verosimilmente, il suo sistema immunitario si era attivato, aveva riconosciuto i tumori e, semplicemente, li aveva distrutti. Il giovane chirurgo era Steven A. Rosenberg, oggi uno dei più famosi oncologi al mondo,

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IL CANCRO

inventore e propugnatore della terapia biolo­ gica del cancro, cioè di quell'insieme di tecni­ che che si propongono di rafforzare il sistema immunitario o che usano suoi prodotti po­ tenziati per combattere il cancro. Questo episodio è raccontato nel suo libro The Transformed Celi (La cellula trasformata, Mon­ dadori, 1 993).

Il sistema immunitario riconosce i tumori? Alla fine degli anni Sessanta, all'epoca della storia raccontata da Rosenberg, come abbia­ mo già visto nel capitolo 'Il sistema immuni­ tario', l'immunologia era in rapido sviluppo, ma le opinioni dominanti nel mondo medico erano che, siccome i tumori sono costituiti da cellule che fanno parte dell'organismo (del Sé), non presentano antigeni che possono essere riconosciuti come estranei dal sistema immu­ nitario. C'è però da ricordare che, ancora una volta, il grande Paul Erlich anticipò tutti di mezzo se­ colo. Nel 1 909 teorizzò che le cellule maligne si formano in continuazione nel nostro orga­ nismo, ma vengono scovate e uccise perché contengono marcatori specifici che le fanno riconoscere dal sistema immunitario. Era stata così proposta la teoria della sorve­ glianza immunitaria dei tumori. Teoria ripresa cinquant'anni dopo da Thomas ( 1 958) e, infine, nel 1 970, dall'altro grande dell'immunologia, F.M. Burnet.

tamente la decisione dell'FDA (Food and Drug Administration, l'ente governativo sta­ tunitense di controllo su farmaci e terapie con­ nesse) di autorizzare l'immunoterapia dei tu­ mori. Con ciò è stata implicitamente ricono­ sciuta l'esistenza degli antigeni specifici dei tumori, presupposto dell'immunoterapia.

I meccanismi di distruzione dei tumori sifondano su una risposta immunitaria variegata e potente Lorientamento prevalente oggi, quindi, non è più quello di negare l'esistenza di antigeni tumorali specifici, quanto quello di mettere in luce il fatto che l'antigenicità tumorale di per sé non significa capacità di riconoscimento e di attivazione del sistema immunitario. Un tumore, per essere riconosciuto e distrut­ to, deve essere anche immunogenico, cioè ca­ pace di attivare la risposta immunitaria. Come vedremo più avanti, i tumori sono ca­ paci di costruire strategie di grande efficacia per nascondere la propria naturale immuno­ genicità e quindi eludere la sorveglianza. Ma chi distrugge i tumori? Nell'aggressione e nella distruzione dei tumori intervengono praticamente tutte le cellule del sistema immunitario: linfociti T e B, NK, ma­ crofagi, granulociti. La risposta quindi è variegata e potente. In particolare, rilevante è l'attività delle cellu­ le NK, che è, per così dire, a tutto campo. Non è cioè ristretta dai classici meccanismi di presentazione dell'antigene tramite il MHC (il maggior complesso di istocompatibilità, si veda il capitolo 'Il sistema immunitario') . Le NK si mostrano infatti capaci di uccidere cel­ lule tumorali della stessa specie e anche di spe­ cie diverse. È stato visto, sperimentalmente, che un deficit di NK comporta una maggiore aggressività dei tumori, soprattutto sul piano della loro capacità di produrre metastasi.

Secondo la teoria dell'immunosorveglianza, i tu­ mori possiedono antigeni specifici che possono essere riconosciuti dal sistema immunitario. Pro­ ve dell'esistenza di antigeni tumorali specifici vennero, a metà degli anni Ottanta, dal labora­ torio di S.A. Rosenberg e da altri laboratori. La comunità scientifica è stata molto riluttante ad accettare l'idea dell'esistenza di antigeni spe­ cifici del tumore riconosciuti come estranei dalle cellule immunitarie. Un punto di svolta nel dibattito è stata cer407

NUOVE IDEE PER VECCHIE MALATTIE

non-Hodgkin, malattie difficilissime da trat­ tare. I risultati furono, invece, incoraggianti: circa il 20% reagì positivamente, o con re­ gressioni parziali o con la completa scomparsa di metastasi anche imponenti. Il passo successivo furono l'individuazione dei linfociti infiltranti il tumore (TIL in sigla) , la loro moltiplicazione in laboratorio e la suc­ cessiva reinfusione assieme a IL-2. I risultati, pubblicati nel 1 988 e nel 1 99426 , mostrarono quasi un raddoppiamento della risposta: oltre il 35% delle persone con tu­ mori metastatici, spesso resistenti all'azione della sola IL-2, ottenne remissioni parziali o totali.

C'è poi un altro importante meccanismo di distruzione dei tumori da parte del sistema im­ munitario: la massa tumorale viene rapida­ mente infiltrata da macrofagi e linfociti (chia­ mati 'linfociti infiltranti i tumori', in sigla TIL, Tumor Infiltrating Lymphocites). I TIL, se subiscono una forte stimolazione con IL-2 e IL-4, diventano cellule killer, chia­ mate LAK (cellule killer attivate dalle linfa­ chine) , molto efficaci nel distruggere il tu­ more. Questo meccanismo è alla base del­ l'immunoterapia.

L'immunoterapia del cancro: da eresia a realtà in rapido sviluppo «Per gran parte del XX secolo,» scrive, nel 200 l , Steven Rosenberg su 'Nature'23, ì