Progetto Incontro - materiali di ricerca e di anaisi 9788896094150


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Italian Year 2011

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Progetto Incontro - materiali di ricerca e di anaisi
 9788896094150

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Università di Cagliari Dipartimento di Studi Storici Geografici e Artistici

INCON TRO Duilio Caocci Ignazio Macchiarella

Progetto INCONTRO materiali di ricerca e di analisi Edizioni Isre

design Simone Riggio Editore Edizioni Isre Nuoro, 2011 Isbn 9788896094150

Duilio Caocci Ignazio Macchiarella

Progetto INCONTRO: materiali di ricerca e di analisi

Edizioni Isre

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INDICE 6 12

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1 - Introduzione ‘transfrontaliera’ 1.1 Pietro Clemente, Il caleidoscopio IN.CON.T.R.O 1.2 Antonio Fanelli, Un mare di incontri. Note di viaggio e seminari-concerti: il racconto di IN.CON.T.R.O. 2- Saggi ‘transfrontalieri’: 2.1 Fabrizio Franceschini, Vite, lotte, versi: poeti popolari del Risorgimento tra Toscana, Corsica e Sardegna 2.2. Ignazio Macchiarella, La dimensione musicale dell’improvvisazione poetica in Corsica, Sardegna e Toscana 2.3 Valentina Zingari, L’improvvisazione poetica e l’Unesco. Note di viaggio 2.4 Pietro Clemente - Heritage Frictions, dibattiti immateriali. Etnografie riflessive 2.5 Felice Tiragallo, Antonio Maria Pusceddu, Francesco Bachis, Performance, contesti e rappresentazioni in una ricerca sulla poesia estemporanea 2.6 Valentina Zingari, Sulle onde del web. Riflessioni sul sito internet e sull’archivio on line 3. La ricerca. Analisi e riflessioni sull’oralità tradizionale 3.1 La Sardegna

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3.1.1 Paolo Zedda, La tradizione sarda meridionale de su mutetu longu 3.1.2. Sebastiano Pilosu, Poesia logudoresa 3.1.3 Marco Lutzu, La repentina 3.1.4 Paolo Bravi, Poesia improvvisata a mutos 3.1.5 Duilio Caocci, Questioni retoriche della gara poetica centro-settentrionale. Note sul saludu 3.1.6 Ignazio Macchiarella, Appassionati e tifoserie: il ruolo attivo degli ascoltatori 3.1.7 Fabio Calzia, Sos mutos de Carrasecare. Competitività e astrazione nella poesia improvvisata a Lodine (NU) 3.1.8 Michele Mossa, Poesia e mass media: fare un film su una gara 3.1.9 Daniela Mereu, La gara poetica campidanese tra promozione massmediatica e locale (con particolare riferimento al ruolo di pubblico-promotore degli appassionati di Sinnai). 3.1.10 Ivo Murgia, La lingua de is cantadoris 3.1.11 Ignazio Murru, Didattica e trasmissione 3.1.12 Diego Pani, Poeti e “tifosi”: scenari della contemporaneità 3.1.13 Paolo Piquereddu, L’attività di ricerca dell’ISRE sull’oralità (a cura di Daniela Mereu) 3.2 - La Corsica 3.2 Centru Culturale Voce (en partenariat avec les associations FALCE /Associu di U Chjam’è rispondi) Impara u Chjam’è Rispondi. 3.2.1 Una pidagugia di u Chjam’è rispondi. 3.2.1.1 Centru Culturale Voce, Falce, Mettre en œuvre. 3.2.1.2 Francescu Simeoni, Scontri di l’improsa e di a voce incù i pueti di l’Isule di e Baleare 3.2.2 Pruposte 3.2.2.1 Lisandru Bassani,. Un chjassu pidagogicu d’amparera 3.2.2.2 Lisandru Bassani, Rima, forma, sensu 3.2.2.3 Nicole Casalonga (Centru Culturale Voce), U tempu di l’impruvisata 3.2.2.4 Olivier Ancey (Associu Chjam’è Ripondi), Rima/ Ritimu/ Lingua 3.2.2.5 Nando Acquaviva, Versu 3.2.3 Rimarche

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3.2.3.1 Claudiu Bellagamba, Un parè annantu à l’amparera di u Chjama È Rispondi 3.2.3.2 Cristofanu Limongi (Associu Chjam’è Rispondi), Qualchi rimarca 3.2.3.3 Francesca Graziani (Direttrice di u Serviziu Lingua Corsa, CTC), Pà nutrisce u travagliu 3.2.3.4 Petru Santucci (Associu Chjam’e Ripondi). Forse su puderia … 3.2.4 Prova 3.2.4.1 Sonia Foti, Travagliu annantu a puesia 3.2.4.2 Cristofanu Limongi, Spirienze 3.2.4.3 Nicole Casalonga, Spirienza pratica À a scola 3.2.4.4. Ghjuvan Petru Ristori (Associu Chjam’è Rispondi), Iniziazione 3.2.4.5 Elisabetta Volpei, Centru d’immersione linguisticu di savaghju 3.2.4.6 Paulu Santu Parigi, Centru d’immersione linguisticu di savaghju 3.2.5 Etat des travaux 3.2.5.1 Toni Casalonga, Breve description du Chjam’è rispondi 3.2.5.2 Petru Santucci, Cuntribuzione à una furmalisazione di u Chiam’è rispondi: vistighera di qualchì andatu pè l’amparera 3.2.5.3 Olivier Ancey, Impruvisazione è puesia 3.2.5.4 Ghjuvan Petru Ristori, Terzine o sestine? 3.2.6 Annexes 3.2.6.1 Rapport du comite scientifique à l’assemblee de Corse 3.2.6.2 Scheda azzioni V. Patrimoniu tramandatu, Rif Azioni I.4.2 3.2.6.3 Felip Munar i Munar (Universitat de les Illes Balears), Curs accelerat per a començar a improvisar . Vols Apprendre a glosar? (I-IV) 3.2.7 Cume si diventa… 3.2.7.1 Petru Santucci, Introitu Ghjuvan’ Battista (Battì) Albertini Paulu Calzarelli Olivier Ancey Jacques Ferrari Cristofanu Limongi Roccu Mambrini Carlinu Orsucci Paulu Santu Parigi Ghjuvan’ Petru Ristori Petru Santucci Luiggi Savignoni Anghjulu Francescu Simeoni Ghjuvan’Federiccu Terrazzoni 3.2.7.2 Anna Catalina Santucci (Associu di u Chjam’e Rispondi), Cantu impruvisatu in Corsica: risposte d’Oghje 3.2.7.3 Petru Santucci, À u tirà di e rete 3.2.8 Nicole Casalonga, Anghjula Maria Leca. Une grande improvisatrice de Guagnu 3.3. La Toscana: Pietro Clemente, Ritorno al futuro. Il teatro popolare toscano e il progetto INCONTRO 3.3.1 Paolo Nardini, Le tradizioni orali del grossetano 3.3.2 Maria Elena Giusti, Etnografia sul teatro dei Maggi. Un bilancio degli ultimi 30 anni. 3.3.3 Giovanni Luca Mancini, Iggy Pop e il Maggio Drammatico Garfagnino 3.3.4 Paolo De Simonis “Compagnie riconoscenti”. Confini e legami fra Maggi, attori, comunità, intellettuali 3.3.5 Paolo Nardini, Cinema e poesia: documentare e rappresentare la tradizione. Ribolla aprile 2010 3.3.6 Giulia Pelosini, Maggio e televisione a Buti negli anni Cinquanta (dal carteggio Baroni-Giannessi) 3.3.7 Alessandro Orfano Canti ebraici e bagitti al tempo di IN.CON.T.R.O.

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Progetto INCONTRO: materiali di ricerca e di analisi

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Pietro Clemente Il caleidoscopio IN.CON.T.R.O

Questo libro somiglia a… Questo libro nasce dal progetto transfrontaliero INCONTRO che metteva in rapporto di dialogo e scambio culturale, sui temi del patrimonio culturale immateriale (oralità), due paesi (Italia e Francia) e tre Regioni (Corsica, Sardegna, Toscana), in realtà alcune parti di amministrative di esse: la Provincia di Massa-Carrara, di Lucca, Pisa, Grosseto, ovvero Toscana marittima senza Livorno), mentre per la Sardegna e la Corsica, i centri culturali che hanno lavorato (ISRE di Nuoro, Università di Cagliari, e Associazione Voce di Pigna in Balagna, non avevano limiti territoriali per la ricerca, a Pigna è stato forte anche il contributo dell’Associazione Chjama e rispondi che raccoglie poeti improvvisatori e appassionati, ed ha dato un supporto di partecipazione a tutto il progetto. INCONTRO ha transitato tanti luoghi e piccoli paesi e frazioni ricche di cultura e marginali nell’immagine pubblica. Ha connesso amministrazioni, pubbliche, Università, centri di documentazione e di ricerca, festival, uomini di spettacolo legati alla cultura popolare, pubblico. Da quell’insieme di viaggi attraverso il Tirreno, di incontri, di iniziative sono nate esperienze che forse continueranno, ma al compimento del lavoro e del finanziamento biennale, ciò che di più visibile resta è un sito, residente presso l’Istituto Superiore Regionale Etnografico (ISRE) di Nuoro (www.incontrotransfrontaliero.com), e questo libro, che è una specie di panoramica sui temi di ricerca e di promozione culturale e di valorizzazione delle culture locali. Questo libro somiglia a una delle figure della conoscenza che ho sempre amato, il caleidoscopio, uno strumento sia ottico e tecnologico sia un gioco, uno strumento che si serve di specchi e pezzetti di vetro o plastica colorati, per creare infinite strutture simmetriche, e che letteralmente significa vedere bello. E così facendo questo libro somiglia anche ai nostri vissuti istituzionali, artistici, scientifici, giocosi, spettacolari e umani del progetto IN.CON.T.R.O ovvero Iniziative CONdivise Transfrontailere di

Introduzione ‘transfrontaliera’

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Ricerca sull’Oralità. Un acrostico che è stato anche un motto e che ha potuto essere verificato. I partners erano diversi come i pezzi di vetro del caleidoscopio, diversi al loro interno, dove c’erano politici (pochi) amministrativi, testimoni della tradizione, performers, studiosi di varie età e varie appartenenze, diversi tra loro, perché le province di Massa, Pisa, Lucca, Grosseto già si somigliano poco. La Toscana marittima (senza Livorno), priva del contesto di piano-colle contadino e urbano che ne fu lo scheletro centrale, si apre alle sue storiche diversità, di dominî, di lingue, di contiguità, di tradizioni, quasi ligure o quasi laziale. Toscana di mare in cui spesso le tradizioni stanno nel retroterra montano. Toscana di mare, con Pisa che è stata capitale del Tirreno e ha lasciato tracce forti nella storia corsa e sarda. Sardegna centrarle e Sardegna del sud, Nuoro e Cagliari, due capitali della storia sarda, l’una pastorale e letteraria, l’altra commerciale e universitaria, con due mondi dell’improvvisazione poetica. Corsica, che porta nel progetto la Francia, ma che ne rifiuta il riferimento, che si ritrova invece nel ‘suo’ mediterraneo di ambientazione tra Pisa e Lucca e la Sardegna del Nord e la Gallura. Uniti, divisi, più uniti nell’insieme, più divisi nelle parti. Il progetto INCONTRO ci ha fatto scoprire mondi di memoria, anche solo evocati, dagli scambi tra etruschi e sardi della civiltà nuragica, alla pax medievale pisana, fino alle guerre europee in cui nei momenti di firmare la pace Corsica e Sardegna cambiavano padrone. Mondi di dolore, con le lotte forti dei corsi per non essere ridotti a isola di turismo e senza lingua, dei sardi per non perdere la loro. Questi viaggi hanno anche seguito i percorsi dell’emigrazione dei pastori e delle genti della montagna, una Toscana ricca di sardi, una Corsica ricca di toscani di generazioni e strati diversi, avvicinati dalle miniere, dai boschi, dall’allevamento, e infine dal turismo. Mondi uniti in una diversità congeniale, dentro la quale anche le somiglianze sono diverse: così i poeti improvvisatori , che abbiamo scoperto come aspetto più comune alle tre terre, cantano in modi diversi, la Sardegna ci ha mostrato quattro forme improvvisative , una delle quali (quella logudorese legata alle gare con normative più canoniche) più apparentata con l’improvvisazione in ottave dell’Italia centrale; in un altro modo cantano i corsi, in un altro ancora i toscani. Solo dopo che vedi le differenze puoi riconoscere le ‘somiglianze di famiglia’, quelle somiglianze che da INCONTRO ci hanno portato a immaginare un progetto esteso : poeti improvvisatori di tutta la terra unitevi. Guardate su youtube alla voce ottava rima, canto a braccio, zajal, repentismo, payada, jota improvisada, cantadores o improvvisatori sardi, e vi si apriranno mondi che in paesi diversi con lingue diverse cantano improvvisando per lo più a contrasto, con o senza strumenti e voci corali di sottofondo. Ecco il caleidoscopio INCONTRO, arricchito poi dalle perle più specificamente locali, nuove in alcuni viaggi per il mediterraneo, i Maggi epici cantati di Buti e della Garfagnana hanno varcato il mare come antiche corti reali che si spostano, per cantare nella Fortezza di Pigna e in una struttura polivalente moderna di Nuoro. Le voci del canto sardo a chitarra sono risuonate a Ribolla, a Pigna, sempre molto forti, poderose, isole di stupore. I maggerini della Lunigiana, hanno cantato per le strade di Nuoro, fuori della loro stagione, raccogliendo ospitalità e doni, i poeti corsi hanno cantato in tanti luoghi della Toscana, dalle selve del Maggio epico, al teatro di Scansano. I preziosi palchi di un teatro storico Il progetto INCONTRO aveva avuto degli esploratori, negli ultimi decenni già i poeti si scambiavano i percorsi, sardi in toscana, corsi in Toscana, tutti in Corsica, e poi cubani a Siena, a Pomonte. Il progetto INCONTRO ha aperto quasi per caso alla tradizione mediorientale, con un improvvisatore palestinese emigrato nell’Italia del nord che ha cantato a Buti, nel teatro del Maggio. Cosa potevamo immaginare di tutto questo all’inizio? Forse chi immaginò e costruì il progetto a tavolino : lo staff della provincia di Grosseto, già competente di progetti europei, ed io come docente dell’Università di Firenze e coordinatore, non avevamo idea di cosa avremmo trovato e scoperto. Alcuni interlocutori erano già legati da rapporti amministrativi, altri da amicizia, o da consuetudini di ricerca, o solo dal riconoscersi stima . Ma nessuno aveva mai avuto vincoli così forti per approfondire incontri. Non immaginavamo un melting pot così intenso, talora anche conflittuale, e così ‘fantastico’ infine. Quando nel gran finale di fine Aprile Toni Casalonga , leader dell’associazione Voce di Pigna, nella Balagna

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Progetto INCONTRO: materiali di ricerca e di analisi

corsa, ci ha diretto in uno spettacolo di sintesi di tutti i viaggi fatti nella cultura delle tradizioni e dei luoghi, nel teatro di Scansano , il ritratto di famiglia è stato fatto, forse la sequenza più bella tra le molteplici connessioni del caleidoscopio. Connessi dalla Musa, cui i poeti improvvisatori ci hanno insegnato a credere, maggianti, maggerini, poeti di tutte le terre transfrontaliere, adulti, anziani e bambini apprendisti di tradizioni, si sono uniti sul palco di volta in volta a cantare, mentre agli studiosi veniva chiesto di improvvisare ma con le sole parole parlate. C’era anche il senso del viaggio: vedersi nel confronto della diversità, riconoscersi, capire di più l’altro e se stessi era un messaggio incorporato nelle metafore visive che scorrevano sulla scena, che passavano per il loggione e per i preziosi palchi di un teatro storico. Forse la sorpresa più forte per ciascuno è stata trovarsi spinti ad uscire dai propri ruoli e ricavarne una senso nuovo e vitale di operatività. Così è stato da un lato per i ricercatori più e meno giovani, che sono stati anche operatori e organizzatori di cultura, che si sono misurati con i problemi della schedatura, dei siti Internet, della documentazione on line, del turismo, della didattica, spinti da chi aveva quella vocazione. Così per gli amministrativi che si trovavano a condividere una missione di natura scientifica e culturale, che per loro diventava anche ‘identità’, appartenenza, così per il comitato scientifico, che posto davanti a un grande specchio come nelle palestre dove si impara a danzare, si è visto nella relazione, più che nella solitudine o nella distanza. I corsi avevano meno “università” e più organizzazione di arte e di cultura, ed hanno reagito elaborando per l’occasione, anche in questo libro, una grande fioritura di voci riflessive e documentarie. Essi avevano ed hanno più “comunità” tra organizzatori d’arte e cultura e poeti, e su questo terreno hanno un po’ insegnato ai toscani che non avevano questa dimestichezza e arrivavano al progetto INCONTRO solidali ma non abituati a stare insieme, a pensare insieme, e spinti invece anche dagli errori compiuti a farlo. I sardi si trovavano tra Nord e Sud, ma anche tra un ente regionale di forte impronta istituzionale, abituato a procedure pubbliche rigorose , e un gruppo di ricerca universitario cagliaritano invece mobilissimo, dinamico, aperto, molto agguerrito sia nelle attività di ricerca empirica che di interpretazione, che nasceva intorno a un utile differenza, l’asse dell’etnomusicologia, e quella delle letterature comparate. Il gruppo toscano a livello scientifico aveva alle spalle una comunità più consolidata, ma anche legata a un ambito di studi di tradizioni popolari (e linguistico dialettologici) con scarsa attenzione da parte del territorio e della regione, con poco lavoro di ricerca comune negli ultimi anni, che ritornava su territori di un intenso lavoro negli anni 70 e 80, ma poi meno transitati, vivevamo una riscoperta, ma anche la forte diversità delle aree di riferimento di ciascuno: Massa con il Maggio in crisi e senza improvvisatori, Lucca con un glorioso passato di gestione provinciale delle tradizioni ormai lasciato senza riferimenti scientifici, gestito dall’amministrazione che aveva da riaprire confronti tra gestione e ricerca intorno alla grande Opera territoriale che è il molteplice teatro del maggio che connette la Garfagnana piuttosto all’Emilia (alla Bismantova) che non al resto della Toscana, e senza tradizioni di poesia improvvisata. La Provincia di Pisa, l’unica a vedere presente in prima fila l’assessore alla cultura , si è caratterizzata per dei casi di tradizioni importanti ma quasi uniche, il teatro del Maggio di Buti, e la poesia improvvisata di Buti – Pontedera : un teatro attivo, vitale, trasmesso alle generazioni, confrontato con la ricerca sperimentale di Pontedera, ma arroccato nel suo territorio, e una grande memoria poetica, quella di Vasco Cai, trasmessa poi a Nello Landi di Buti, e poi al più giovane Emilio Meliani di Santa Maria al Monte (Pontedera), per ora erede quasi unico, benché di grande maestria, di un paese dove da almeno trent’anni non si cantava. La Maremma ancora molto ricca di forme tradizionali ora legate al turismo e alla nuova agricoltura, in cui ci sono due manifestazioni importanti di poesia , Ribolla e Pomonte (Scansano) ,che hanno già praticato scambi e incontri tra poeti, e dove è nata la LIPE (Lega Italiana di Poesia Estemporanea). Diversi anche tra i territori regionali (e nazionali) i tempi e i ritmi della ripresa e revival, le crisi quasi agoniche talora delle forme della tradizione. Più continui i sardi, più alternanti i toscani, più ‘risorti’ i còrsi. Ma tutti con qualche dubbio sul futuro. Sono come le gemme di vetro del caleidoscopio, diverse , che compongono immagini. Noi coordinatori dell’Università di Firenze, (Pietro Clemente, Valentina Zingari, Antonio Fanelli) abbiamo dato molti colpi di remo e d’ala, all’inizio, per dare il ritmo, lo stile, poi ciascuno ha avuto la parola e ha guidato parti di progetto. Il seminario-

Introduzione ‘transfrontaliera’

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concerto, il laboratorio, il tema della creazione di un pubblico nuovo, il dialogo tra forme diverse, le note di viaggio e la connessione tra storie culturali lunghe delle tre aree fanno parte dei vari lanci in avanti fatti nel lavoro. Ma poi Massa ci ha spinto a lavorare sul turismo, Lucca sulla didattica, Pigna sulla messa in scena, Cagliari sulla ricerca e il pubblico, Nuoro sul sito e la documentazione, Grosseto sulla ritualità e la cerimonialità del ciclo dell’anno, Pisa sul cinema e sul teatro, per dire solo le cose più evidenti, e ogni appello ha trovato attenzione. Ci sarebbe anche una lista delle cose che non siamo riusciti a fare, ma in questo rendiconto finale le mettiamo in sordina, non escludiamo che riflettendoci esse possano essere di guida per attività future. Molte di queste riflessioni sono deducibili dalla visita al sito www.incontrotransfrontaliero.com, che dà vita attualmente fruibile ai documenti, ai percorsi, alle note di viaggio, alla gamma varia delle forme di cultura incontrate, a frammenti degli spettacoli, il sito è un parallelo visivo e multimediale del libro, e riproduce anch’esso l’esperienza della diversità ricondotta ad unità, senza perdere le differenze. Anche il sito è a suo modo un libro aperto e un caleidoscopio, benché a ramificazioni d’albero. Nell’incontro finale di Scansano ci è stato comunicato che il progetto INCONTRO è stato considerato dal comitato di garanzia dei progetti transfrontalieri, fonte assai autorevole, un progetto riuscito sia nella missione portata a termine, sia nella gestione delle risorse. Una notizia forse inattesa, che ci risarciva anche delle fatiche fatte da tutti nell’ affrontare le regole di spesa, i vincoli, i rendiconti, di una gestione amministrativa non sempre facile. Dunque abbiamo fatto bene. E ne siamo orgogliosi. Anche quando, nello slancio del lavoro che ormai ci legava da due anni ed era diventato tempo atteso, forse avremmo pensato di continuare e ci troviamo invece a star fermi, o quando vediamo che qualcuno dei risultati stenta a manifestarsi. In parte questa attesa viene oggi giocata dal più importante aspetto di eredità di INCONTRO, l’idea di creare una sorta di rete mondiale della poesia estemporanea, una internazionale della poesia contro la guerra. Una eredità che continuerà a farci lavorare insieme. Il ciclo dell’anno del biennio di INCONTRO Ci siamo incontrati in un ciclo di quasi 20 eventi di scambio, di musica, di studio, di cinema, di dibattito metodologico, in una gamma che spesso abbiamo verbalmente semplificato, definendoci ‘antropologi’, ma in realtà eravamo etnomusicologi, comparatisti letterari, dirigenti di istituzioni , film makers, scenografi, artisti, poeti, organizzatori e attori del teatro popolare cantato, musicisti, storici, linguisti e storici della lingua, storici delle tradizioni popolari, studiosi di fonti orali, antropologi, assessori. Anche noi stessi un caleidoscopio . Ecco noi stessi in una lista di attività, le liste vanno di moda: 1) “Conferenza di lancio del progetto INCONTRO” Gavorrano (Grosseto), 30 maggio 2009 2) ESTIVOCE, Pigna (Corsica), 10 luglio 2009 3) Varliano (Lucca), 2 agosto 2009 4) Santa Fiora (Grosseto), 3 agosto 2009 5)ETNU. Festival italiano dell’etnografia, Nuoro, 11-14 settembre 2009 6) Buti (Pisa), 23-24 ottobre 2009; 7)“Documentare il patrimonio culturale immateriale”, Massa - Antona, 28-30 gennaio 2010 8)“Documentare e rappresentare la tradizione”, Ribolla (Grosseto), 9-11 aprile 2010 9)“Maggio, cultura orale, cinema, di qua e di là dall’Appennino e attraverso il mar Tirreno”, Buti (Pisa), 28-30 maggio 2010 10)ESTIVOCE/INCONTRU, Pigna 9-13 luglio 2010 11) “La transumanza”, Volterra (Pisa), 19 luglio 2010 12)“Intimo da esibire? Turismo, patrimoni immateriali, comunità locali”, Bagnone, Massa-Carrara, 9-11 settembre 2010 13) “Promozione del dialogo culturale e trasmissione alle nuove generazioni”, Lucca, 7-8 ottobre 2010 14) “Giornate Cagliaritane”, Cagliari, 31 gennaio- 1 febbraio 2011

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15) “Condividere passati, seminare futuri: trasmettere memorie plurali nel mondo globale”, Castelnuovo Garfagnana, Lucca, 7-9 aprile 2011 16) INCONTRO in teatro, evento finale, Scansano (Grosseto), 29-30 aprile 2011 Alla lista vanno aggiunte le riunioni più formali del Comitato Scientifico , come quella di Villafranca in Lunigiana, ospiti del Comune e del Museo, o le occasioni speciali, come quella,dell’Università di Firenze , il 13 dicembre 2010, nel quadro de “L’anno dei mezzadri” e della dedica a Santa Lucia, in cui è stata lanciata l’ipotesi comune di un dossier di candidatura UNESCO per l’improvvisazione poetica Sono date che ricorderemo, vissute con entusiasmo, esperienze di diversità e di bellezza, e con grandi confronti, anche conflitti (il n.7 fu quasi un conflitto europeo, tra metodi di documentazione pubblica in Italia e in Francia, il n.9 registrò delle ricchissime heritage frictions …). Le ricorderemo anche per l’ospitalità dei luoghi che ci hanno offerto spettacoli straordinari, come quelli della narratrice teatrale Elisabetta Salvatori (a Lucca e a Castelnuovo di Garfagnana) , come il libro dei fotografi Bruttini e Muzzi a Scansano La dolce Maremma, e la straordinaria qualità delle esperienze di offerta dei cibi locali, sia in contesti associativi, si con catering che in ristoranti, con un impegno ad offrire il cibo come rito di un territorio che si fa corpo, che fa diventare profumo, sapore, la differenza. Forse nel libro ci sarebbe voluto un testo ‘trasversale sui cibi’, certo c’è nella nostra memoria. Questo libro somiglia al progetto INCONTRO, non è un libro di saggi scientifici, è invece un libro di note di viaggio, di rendiconti, di documenti visivi (che rinviano al sito Internet www.incontrotransfrontaliero.com), di prime riflessioni, e quindi anche di saggi. Mostra la cultura nel suo farsi, nelle varie componenti, e l’antropologia che sorveglia le proprie pratiche con l’occhio riflessivo. Ritrova così anche varie forme della sua scrittura: le note di campo, le note di viaggio, i resoconti descrittivi, le tecniche di schedatura e documentazione. Le sezioni, già dall’indice, si mostrano diverse: quella sarda ha voci di poeti, di documentatori, di interpreti, di organizzatori delle associazioni, è la più compatta , quella corsa sembra un fuoco d’artificio in una notte d’estate tanto è ricca 43 testi, 6 sezioni, in meno di 100 pagine, una sistematicità leggera, uno sguardo di insieme polifonico e unitario, che ha scelto il còrso come lingua di dialogo transfrontaliero; la Toscana ha alcuni ampi, poderosi testi di etnografia riflessiva sui suoi grandi ‘classici’ della cultura popolare (maggi, maggiolate, ottava rima a contrasto), centrati sul ritorno e/o sulla scoperta, e con nuovi approcci come quello sui canti ebraici. Nell’insieme la riflessione sull’improvvisazione poetica appare ancora in processo , ma qui c’è già un nuovo ‘corso d’opera’ che vede nel 2011 e nel dossier di candidatura UNESCO, fatto con una pratica plurale, democratica e internazionale, un nuovo impegno comune . Uno sguardo dal cielo coglierebbe INCONTRO come un continente ancora in formazione ; misureremo negli anni futuri, sia nelle attività pubbliche, sia nelle nostre singole esperienze quel che il progetto comune ci avrà lasciato dentro, e se resteremo ancora in altri e nuovi modi partners che , diventati amici, restano in rete, e cercano di lavorare ancora in buona compagnia.

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Antonio Fanelli Un mare di incontri. Note di viaggio e seminari-concerti: il racconto di IN.CON.T.R.O.

In questo articolo vi presentiamo il lungo viaggio di una carovana eterogenea partita dalla Maremma il 30 maggio 2009. Essa ha attraversato il Mar Tirreno molte volte e si è arricchita dell’esperienza della ricerca e del dialogo: dell’incontro. Ha superato il mare mosso in più di un’occasione e dopo due anni di viaggi la carovana si fermerà per una grande festa finale, a fine aprile, in Maremma, da dove era partita. Essa lascia in eredità molte cose: un libro di ricerca e delle esperienze didattiche con le scuole; un sito internet ricco di materiali utili per la comunicazione e la libera fruizione, e al tempo stesso denso delle problematiche della archiviazione on line degli audio-visivi. Il nostro progetto ha avviato un processo di candidatura trans-nazionale della poesia improvvisata come bene immateriale riconosciuto dall’Unesco, attraverso una rete che nasce dal basso, dal lavoro con i poeti e le associazioni locali e guarda al mondo, dialogando con i paesi del Mediterraneo, dell’America Latina e del Medio Oriente. I risultati veri e propri di IN.CON.T.R.O. si vedranno nel medio tempo, molti sono i semi che stanno sbocciando e alcuni dei frutti più importanti stanno maturando proprio ora che ci apprestiamo a concludere il progetto da un punto di vista burocratico e ufficiale. Seguiamo allora, passo dopo passo, attraverso gli incontri disseminati lungo due anni di lavoro comune, il processo di crescita della comunità di IN.CON.T.R.O. Si tratta di un taccuino di appunti, di note di viaggio. Il racconto di cosa è stato il progetto, come IN.CON.T.R.O. si è presentato all’esterno, negli eventi pubblici, con i passi in avanti fatti nella sperimentazione di forme nuove dello spettacolo e della didattica, che abbiamo condensato attorno alla formula del seminario-concerto.

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1) La conferenza di lancio del progetto: Gavoranno (Grosseto), 30 maggio 2009. Apriamo con una dedica in ottave, con i versi di Irene Marconi, giovane poetessa e madre di un bimbo nato poche settimane prima dell’evento di Gavoranno. La Marconi ha cantato in questo incontro di lancio del progetto, tra le varie, a contrasto con altri poeti toscani (Edilio Benelli, Emilio Meliani, Umberto Lozzi) tre ottave dedicate alla riflessione sulla tradizione del canto improvvisato. La poesia che riflette su se stessa è una buona immagine per il nostro lavoro e per iniziare questo viaggio attraverso gli incontri del progetto. Irene Marconi

Mi fa piacere di partecipare di salutarvi colgo l’occasione in così tanti state ad ascoltare quest’argomento della tradizione certo è una cosa sì da preservare

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Progetto INCONTRO: materiali di ricerca e di analisi

e qui vedo si coglie l’occasione se siete interessati tutti quanti son certa andranno avanti i nostri canti. Vedete che è una storia ‘un è finita che parte oggi qui e poi va lontana che lunga noi speriamo abbia la vita varcando il territorio di Toscana e tutti insieme l’abbiamo capita che la parola d’oggi non sia vana se qui si parte per collaborare vedo due ponti che varcano il mare Dicono che sia un dono di natura se viene bene l’improvvisazione ed altri che ci vuole la cultura e tanto studio ed esercitazione sul palco ci s’ha tutti un po’ paura e a volte poi ci frega l’emozione e se la rima oggi mi viene strana ho fatto un bimbo da una settimana

In questa occasione Pietro Clemente, presidente del Comitato Scientifico di IN.CON.T.R.O. presenta un testo di avvio dei lavori, per una comunità di studiosi, poeti, attori del maggio, amministratori e funzionari pubblici che si incontrano per la prima volta: Esiste uno spazio culturale tosco-corso-sardo? Nel mondo globale questa domanda ha poco significato: può esistere come tanti altri spazi culturali. Noi siamo chiamati a farlo esistere un po’ di più di quanto non sia evidente oggi. Ma ha senso farlo? Certo potevano esserci altri modi, altri dialoghi, ma intanto questo spazio è stato riconosciuto come possibile e a noi tocca di renderlo il più possibile efficace. Non è uno spazio casuale, nel fare incontrare due nazioni d’europa, due isole del mediterraneo, tre sponde di un mare comune, questo spazio evidenzia una storia di scambi e di incontri. Sono attestati quelli d’età preromana: tra civiltà nuragica ed etrusca, ma più forti ed evidenti sono in età medievale sia i problemi comuni, sia la partecipazione nell’area storica del dominio della repubblica marinara di Pisa. Qui si elaborano certo i tratti più vicini: architettura romanica, storie e nomi di santi, santuari marittimi, tradizioni votive, cognomi e nomi, lingue con aria di famiglia. Non dappertutto, non in modo uguale. Sardegna e Corsica hanno avuto irrisolte questioni nazionali, sono state mercanteggiate dalle potenze europee. Ma la Toscana di IN.CON.T.R.O. è anche Lunigiana, Garfagnana; Lucca e Massa rappresentano storie diverse, come in parte Grosseto, terra di maremma e di bosco, sud di Siena oggi dotata di propria storicità. Nel frattempo compagnie di navigazione e attività economiche connettono in modo moderno le nostre terre; agricoltura e mare hanno aperto nuovi dialoghi, tra Sardegna e Toscana, nuove migrazioni riuscite hanno fatto sì che il pecorino toscano sia in gran parte fatto da pastori e da pecore sarde. Ed anche i poeti improvvisatori hanno cominciato a viaggiare e incontrasi, con una certa predilezione per le sponde del nostro IN.CO.N.T.R.O. Non è che tocchi a noi fare bilanci storici, o che si debba riflettere sulla pax pisana. E’ giusto per vedere come la storia ha connesso il nostro spazio transfrontaliero. Nelle epoche dei contatti di civiltà preistorico e medievale occorre ricordare il mare come luogo di vicinanza e non come muro o frontiera. Il mare come autostrada antica. E’ in onore del mare che ci fa da IN.CON.T.R.O. che in un precedente progetto transfrontaliero si diede evidenza alla pittura votiva, e al tema del movimento delle popolazioni. In un testo teatrale in corso L’abbracciu si diede memoria del fatto che tra la gente di mare si è ospitali. A quel precedente transfrontaliero vorrei richiamarmi per una prima considerazione antropologica e etica che viene dalla storia dei nostri luoghi. Ricordando i mari e le coste come luoghi di incontro e di asilo, ricordando le grandi tradizioni di accoglienza e di ospitalità delle nostre terre, dobbiamo dichiarare che il nostro lavoro per riconoscere e trasmettere culture locali, non è compatibile con le identità che escludono, che respingono. La storia mostra che le nostre identità sono il frutto degli scambi e dei contatti, delle egemonie delle guerre e dei poteri, della vocazioni regionali tra mare, colline e monti, e che queste continueranno a vedere i nostri mondi come luoghi di scambio e di incontro. Una patria comune nel nostro tempo, della quale si possa essere fieri, è quella in cui l’appartenenza è anche accoglienza dell’altro. Così vorremmo fosse la nostra regione transfrontaliera. Quando Cristo girava per il mondo dicono le leggende locali delle nostre terre, sotto le spoglie di un povero che chiedeva asilo, spesso con San Pietro, premiava chi lo accoglieva e puniva chi negava ospitalità. Nel mediterraneo antico queste storie giravano nella forma detta della teoxenia: in ogni straniero che bussa alla nostra porta c’è un possibile dio.

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Siamo all’inizio di IN.CON.T.R.O. e speriamo che alla fine ne sappiamo di più di noi stessi e delle reti che ci connettono, ma anche che siamo riusciti a dare un significato al nostro lavoro tale da lasciare rapporti privilegiati di collaborazione e iniziativa tra le nostre regioni, ad aprire percorsi perché musei, gruppi di spettacolo, archivi, centri culturali restino in dialogo e in rete nel futuro, e favoriscano così anche scambi, turismo, forme leggere e sostenibili di sviluppo. I viaggi che i poeti hanno iniziato a fare suggeriscono una guida a quelli che noi ora cominceremo a fare: viaggi nello spazio transfrontaliero, e nel tempo di calendari intensi e veloci, le cui scadenze dobbiamo massimizzare. Per me un buon pronostico è dato dal fatto che anni fa in Corsica ho conosciuto per la prima volta alcuni degli interlocutori di IN.CON.T.R.O., Ignazio Macchiarella, Toni Casalonga, e altri studiosi italiani; nella Casa della musica acquistai una scatola sonora da regalare al mio primo nipote, doveva essere il 2000, e sentii Mauro Chechi improvvisare anche alla ’corsa’. Visitai anche il museo di Corte, interessante per me antropologo museale perché uno dei primi in Europa allestito in modo moderno ma secondo criteri autoriali, secondo il modello delle conoscenze del collezionista. Questi scambi già in atto suggeriscono anche i modi per gli scambi futuri. Intanto dobbiamo comprendere tutto ciò che è in atto: ci sono molte realtà attive negli scambi. Capire come interfacciarsi con esse senza rinunciare a un proprio progetto, offrire possibili potenziamenti dell’offerta conoscitiva, interpretativa, documentaria, spettacolare. Ridurre la concorrenza tra soggetti vicini a favore della sinergia, delle iniziative solidali, ma senza mai negare stili e soggettività di quanti già operano nel territorio. Far crescere i punti di riferimento e di potenziamento legati alla rete, al mettere insieme studi, immagini di identità, forme di spettacolo, lasciando buoni esempi da continuare, buoni luoghi cui attingere, fonti nuove di connessione e ispirazione per la società civile e gli attori sociali, più che scritti e precetti. Nel primo anno il nostro compito è di fare ricerca finalizzata al censimento delle realtà attive, all’aggiornamento delle conoscenze, alle forme di documentazione, alla definizione dei modi di operare con i concetti del patrimonio immateriale, delle schede BDI, con siti, portali, archivi a disposizione della società civile interfrontaliera. Nel secondo anno dovremo riuscire a tesaurizzare il lavoro del primo, e a trasferirlo sul territorio: archivi, siti, portali, restituzione anche col mezzo dei Bus - museo/archivio itinerante. Traggo buoni auspici dal lavoro in corso sulla poesia improvvisata tra Sardegna e Toscana, e con la Corsica. Ci sono nuovi libri in uscita, che possiamo presentare in un nuovo contesto comparativo, per dare notorietà e per produrre confronti e dibattiti metodologici anche tra noi. Ci sono momenti pubblici di lavoro sui temi della schedatura sia in Italia che in Francia che ci possono aiutare nel definire standard realistici, adatti a un progetto di riuso pubblico. C’è una ripresa di riflessioni sul teatro popolare. Possiamo fruire di queste iniziative per fare sinergia, per accelerare le nostre. Ci saranno problemi di comprensione, soprattutto in Toscana, sui confini, sulla possibilità di dialogare con le aree esterne al transfrontaliero, o dentro di esso con iniziative non previste, anche con aree vicie. Ho già segnali di questo tipo. Non possiamo disperdere il nostro lavoro, lo sguardo esterno ci da responsabilità, dobbiamo chiedere alla Regione Toscana di favorire il dialogo anche con altre realtà provinciali (Siena, Firenze, Pistoia, Arezzo) o interregionali (ad es. il Museo del brigantaggio di Viterbo dedicato a Tiburzi), in un sistema di coordinamento difficile, perché non sta nelle regole e nella attività amministrative proprie del nostro IN.CON.T.R.O. Una delle cose evidenti del nostro lavoro è che non possiamo permetterci di usare le risorse in modo sommario: sia perché è tempo di scarse risorse, sia perchè solo un uso adeguato può produrre i risultati successivi e positivi che sono in progetto. In questo quadro propongo alcuni temi per definire la missione del comitato scientifico: - Produrre conoscenze comparate nuove e farle circolare nel contesto transfrontaliero fuori della dimensione degli studi. - Contrastare stereotipi regionali sulle identità, costruire modelli aperti e dinamici, farli circolare e farli interagire: ogni dialogo transfrontaliero decostruisce gli essenzialismi locali. - Raccogliere e classificare documenti di pratiche vitali in modo collaborativo, tecnologicamente adeguato, classificatoriamente efficace, scientificamente fondato, comparato con altre esperienze. - Contribuire a creare e diffondere forme di rappresentazione pubblica (concerto/seminario; concerto scientificamente presentato) che accrescano la conoscenza diffusa delle forme della diversità culturale e contrastino gli stereotipi correnti. - Costruire insiemi interregionali vitali ed efficaci in rete e in scambi di persone, in forme anche associative. - Favorire protagonismo, autorganizzazione, messa in rete dei soggetti locali. - Impegnarsi nella efficace messa a disposizione dei documenti prodotti, catalogati, e pregressi costruendo un rapporto centro, realtà locali di efficace scambio. - Lavorare alla restituzione e diffusione delle conoscenze anche nella modalità ‘itinerante’. - Favorire la messa in rete intorno al progetto anche delle attività precedenti e collaterali, degli stessi e di altri soggetti, chiedendo a tali fine la collaborazione delle istituzioni regionali coinvolte. - Stabilire relazioni positive, anche se autonome e critiche, con l’UNESCO, sui temi del patrimonio immateriale.

A Gavorrano ci troviamo immersi in un luogo simbolo della storia locale, il Centro Convegni del Parco minerario. L’emigrazione dei lavoratori delle miniere tra i territori di IN.CON.T.R.O. sarà un dato storico che accompagnerà il nostro viaggio nella poesia e avrà risalto anche nei versi dei poeti. Questo

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legame è suggellato dalla presenza di un ‘antenato fondatore’ del nostro progetto: Sergio Lampis, poeta di Ribolla, figlio di sardi. A lui è dedicata l’associazione Improvvisar cantando presieduta da Domenico Gamberi, che negli anni ’90 ha rilanciato in Toscana la poesia in ottava rima grazie all’incontro annuale di poesia estemporanea di Ribolla1. Sin dal primo incontro sperimentiamo la ricchezza che deriva dalle sinergie tra poeti e studiosi e le difficoltà a creare contesti adeguati di esecuzione e perfomance, la sfida costante degli eventi del progetto sarà proprio quella di favorire gli scambi culturali senza disorientare gli attori sociali coinvolti con tempi e luoghi inadeguati. Ignazio Macchiarella conduce a Gavorrano il primo seminario-concerto. Si tratta di una lectio magistralis, che mescola il racconto all’esemplificazione poetica. Macchiarella intervista in presa diretta due poeti: Paolo Zedda, campidanese, e Celestino Mureddu, logudorese. Figure di spicco della poesia sarda, protagonisti delle gare e attivi nell’associazionismo di base dei cantadores sardi. Zedda è anche autore di uno studio di carattere storico sui testi della gara campidanese (Zedda, 2008). Ci parlano della complessità metrica, del contesto e l’etica della gara, dei temi trattati e il ruolo del pubblico: una forte immersione nel mondo della poesia sarda. Toni Casalonga introduce i poeti corsi. A Gavorrano emerge subito un nodo problematico, quello della lingua. Sul nostro sito troviamo nella Home Page una riflessione a quattro mani attorno alla ‘torre di Babele’ delle lingue del progetto. Valentina Zingari: 

Le lingue di INCONTRO sono le lingue della poesia: non possono essere solo nazionali, ma devono permettere scambi internazionali e di ricerca, quindi delle lingue nazionali non possiamo fare a meno; le nostre lingue saranno anche il corso, il sardo campidanese e logudurese, il toscano con le sue parlate. La lingua, nelle sue diverse forme di suoni e scritture, è al cuore del progetto. Ma lasciamo parlare i poeti attraverso la penna di Toni Casalonga, che immagina cosi, con la metafora del tessitore, il nostro progetto come una felice torre di Babele:

Toni Casalonga: 

Comment ne pas imaginer une Babel heureuse? Car ce que l’on raconte comme une malédiction n’est après tout que l’écroulement de la première construction de l’uniformité mondiale. La diversité retrouvée, certes est complexe, et c’est à nous d’en gérer les différents niveaux avec l’habileté du tisserand. En laissant, sur la trame des deux langues d’état, clés pour ouvrir les accès officiels et académiques, les variétés idiomatiques tisser leurs fantasques figures. Celles du toscan, du sarde et du corse, mais aussi et bien sur à l’intérieur de chacune d’entre elles les délicieux particularismes qui donnent aux mots tant de saveurs. Profiter du fait que nos trois territoires aient en commun la possibilité d’une intelligence inter-linguistique n’empêche nullement de recourir à l’art délicat de la traduction, parfois totale ou parfois synthétique. Mais comme un jeu littéraire plus que comme une nécessité formelle.

I poeti corsi sono quattro, una comitiva un po’ speciale: i due maestri più anziani: Ghjuvan Petru Ristori e Tintin Navarri, e i giovanissimi Cristofanu Limongi e Ghjuvan Federicu Terrazzoni. Le vite di questi poeti condensano tutta la ricchezza antropologica che gravita attorno alla poesia improvvisata: la trasmissione della tradizione, l’apprendistato, le generazioni; la didattica delle tradizioni (Limongi è un insegnante della scuola primaria e la poesia corsa è fortemente presente nelle scuole); l’oralità mediata dalla tecnologia (entrambi i più giovani hanno iniziato a poetare nelle chat su internet); l’associazionismo e la partecipazione dei poeti alle politiche del patrimonio culturale (Ristori è il presidente dell’Associazione del “Chiama e rispondi” che riunisce gran parte dei poeti dell’isola).

1 Gamberi è in sala a Gavorrano, al fianco di Corrado Barontini, ricercatore grossetano, animatore del Coro degli Etruschi e collaboratore dell’Archivio delle tradizioni popolari della Maremma Grossetana. Vedi la foto: (http://www. incontrotransfrontaliero.com/notadiviaggio.php?id=10).

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L’altro asse tematico di IN.CON.T.R.O. assieme alla poesia improvvisata è il teatro popolare della Toscana del Nord. A Gavorrano ascoltiamo una esemplificazione del Maggio di Buti. La messa in scena si svolge nell’atrio e nelle scale del complesso dell’Auditorium del Parco, fra peripezie, bravura e capacità di adattamento dei maggianti butesi. Infine un sentito e doveroso ricordo e una piccola curiosità. A Gavorrano c’è stata una delle ultime esibizioni in pubblico del poeta maremmano Edilio Benelli. Una foto lo ritrae assieme a Umberto Lozzi (“Puntura”) la sera a cena. Si tratta di un ricordo acuito anche dal dolore per il ritiro a vita privata di Lozzi per motivi di salute2. Piergiorgio Zotti, coordinatore dell’Archivio delle Tradizioni Popolari della Maremma Grossetana, crea la prima connessione transfrontaliera, chiedendo ai poeti di corsi di eseguire il canto “Dio vi salvi Regina”, noto in Maremma per essere la colonna sonora della processione di San Guglielmo a Buriano. È un canto religioso composto in latino nel 1097 da Adhemar di Monteil. È stato poi scritto in volgare italiano nel 1676 da Francesco di Geronimo. Fu adottato come inno nazionale della Corsica nel 1735 con la proclamazione dell’indipendenza: Dio vi salvi Regina È madre universale Per cui favor si sale Al paradiso. Voi siete gioia è riso Di tutti sconsolati Di tutti i tribolati Unica speme. A voi sospira è geme Il nostro afflitto cuore In un mar di dolore E d’amarezza. Maria, mar di dolcezza I vostri occhi pietosi Materni ed amorosi A noi volgete. Noi miseri accogliete Nel vostro santo velo Il vostro figlio in celo A noi mostrate. Gradite ed ascoltate O vergine Maria Dolce è clemente è pia Gli afflati nostri accogliete. Voi da i nemici nostri A noi date vittoria E poi l’eterna gloria In paradiso3.

2 Ibidem. 3 Ringrazio Paolo Nardini per avermi fornito delle accurate note storiche sul canto.

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2)“Slam e rispondi”(Estivoce 2009), Pigna, Corsica PROGRAMMA: VENDREDI 10 JUILLET, Vaccaghja di Pigna, à 22 h SLAM E RISPONDI: figures de la poésie improvisée d’aujourd’hui L’OTTAVA RIMA de Toscane; Les GLOSADORS des Iles Baléares; La GARA POETICA de Sardaigne; Le SLAMEUR DGIZ; Le CHJAMA E RISPONDI de Corse.

Nella presentazione inaugurale del Festival Pietro Clemente tiene un discorso di apertura, che focalizza due punti nodali del progetto, la densità del seminario-concerto: Il secondo livello al quale dobbiamo lavorare è la trasmissione delle conoscenze delle forme culturali alle nuove generazioni, questo è nell’obiettivo dell’Unesco, ed è nell’obiettivo del programma transfrontaliero. Uno dei modi che noi abbiamo per trasmettere le competenze alle nuove generazioni è quello di innovare le forme di spettacolo, facendo conoscere il più possibile queste forme di spettacolo, coinvolgendo le nuove generazioni. Uno dei modi è di sperimentare delle forme di concerto e al tempo stesso di seminario, presentazione didattica, in modo da creare un nuovo pubblico consapevole tra i giovani del valore di queste forme culturali.

e la sfida dell’archivio audivovisivo on line: Il terzo livello di lavoro è quello di creare un archivio comune dei documenti della cultura popolare, un archivio che possa essere accessibile da tutte le regioni e quindi che possa essere anche un sito web on-line dove uno può trovare ciò che cerca. Abbiamo previsto che questo sito sarà gestito dall’ISRE della Sardegna, di Nuoro ... e noi questo sito lo vediamo, appunto, come un bacino di conoscenze, come un punto di scambio, un punto di interpretazioni e anche come un’eredità che viene lasciata a quelli che vorranno lavorare in questo settore. Una nota di viaggio di Toni Casalonga ci porta al cuore delle riflessioni attorno alla formula del seminario-concerto:

 

Nata l’idea di fà seminarii-cuncerti, à a quale subitu aderiscu, mi si pone a quistione: cume fà? A capiscu bè ch’ellu s’agisce di mesculà artisti e studiosi. Ma ci hé dinò un altra esigenza chi stà indè a natura stessa di u prugettu INCONTRU: fà chi Sardegna, Toscana e Corsica s’incontrinu. Ne parlu incù Ghjuvan Petru, e a mè chi mi si paria d’esse di u mistieru, ellu risponde subitu incù una tranquilla sicurezza: hè simplice, sò trè terre separati per u mare. Basta à pone trè tavulini separati, e à fà pusà a l’ingiru i pueti. -Iè, d’accordu,dicu tandu eu, ma l’incontru? -E bè, mi risponde ellu, sempre tranquillu e sicuru, a un certu mumentu fà d’issi tre tavulini unu solu maiò. L’idea he semplice, e ùn’hè ancu detta chi a vecu cum’hè un muvimentu tectonicu, cume un lentu avvicinamentu di e terre stesse. Entusiastu sò, e subitu sviluppemu u cuncetu. Perchè avemu decisu, per allargà a cumpagnia, d’invità i pueti balearini e u «slameur» Dgiz. Per i balearini, basta un tavulinu di più. Una terra di più, chi si bagna indè u listessu mare. Ma u slam? U discorsu di a terra ùn ci entre più, perchè Dgiz hè senza ligame (senza pastoghje?) e porta tutte e so radiche à l’internu di se stessu. Allora Dgiz starà arrittu, abbraciatu a à so enorma contra bassa cume Ulisse a u so maghju. Ma, liberamente andarà di quà e di là, da terra a terra e a mezu mare. Sempre discutendu incù Ghjuvan Petru, hè stabilitu a scenografia, urdine e u modu di cantà e di prisentà: - A l’iniziu, ogni cumpagnia di pueta a u cumpletu stà a u so tavulinu, Dgiz arritu in un scornu cum’ellu si deve.  - A Corsica, ella, ùn ne prisenta che due soli, u più anzianu (Roccu) e u piu ghjovane, Cristofanu. Facenu elli u primu dialogu di prisentazione di i toscani. - I toscani cantanu. - Due altri pueti corsi, a pusà indè u publicu, s’arrizanu, avanzanu cantendu per prisentà i balearini. - E cusì via, pianu pianu sò i pueti corsi, a due a due, à arrizassi, à vene, avanzassi, cantà i pueti e cumedianti invitati, e dopu pusà incù l’altri. - E, quandu tutti hannu cantatu, avvicinemu tutti i tavulini, «femu una sola terra» di quatre terre chi s’incontrenu. E, indè u fratempu, Dgiz si move e s’intramette facendu interventi brevi e forti. E cusì fù, incù una sola differenza, ma d’inpurtanza: i sardi ùn hannu pussutu veni! Ci fù ancu un’altra cosa chi per noi un’era privista, l’intervenzioni di i nostri partenarii ricercatori e studiosi per prisentà «l’ottava rima» e «il maggio». Tutti interessantissime, di cumpetenza e di valore. Ma tandu ci ne semu avvisti chi u tempu di u spettaculu, chì hè quellu di u cantu, di u teatru, ha una misura altra che quellu

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di a «cathedra», è chi u publicu rissente l’unu cume tropu breve è l’altru tropu stesu. E chi, sopra tuttu, quandu si mette unu a buleghju di l’altru, a percezione d’issi due tempi si rompe. A questione resta posta: quale pò esse a forme di u seminariù – cuncertu?

Cambiare la geografia culturale dei territori di IN.CON.T.R.O. La scenografia ideata a Pigna ci restituisce questo avvicinamento poetico attraverso il movimento dei tavoli dove siedono i poeti, le “isole di poesie” che si avvicinano e si uniscono. I poeti corsi e l’associazione Culturale “Voce” sono già immersi da alcuni anni in questo processo di ridefinizione degli spazi e della comunicazione e lo spettacolo di “Estivoce” rilancia il nostro dialogo, aprendolo all’incontro con i poeti delle Isole baleari e le nuove forme di imprivvisazione poetica, come lo “slam” urbano, ironico e arrabbiato di Dgiz. Una traccia importante per la prosecuzione del lavoro. Allo stesso tempo, in modo molto chiaro, Toni Casalonga avverte il disagio della commistione tra i tempi della “cattedra” e il ritmo della scena; i poeti in particolar modo esprimeranno, assieme alla gratificazione del tentativo comune di creare un pubblico competente, una decisa critica alla ristrettezza dei tempi. La poesia ha bisogno di distendersi lentamente e di avere i suoi ritmi, senza essere compressa in brevi pillole. A Pigna c’è anche il Maggio di Buti. Esso esercita una forte attrazione verso i partners sardi e corsi, ma si trova in questa situazione a essere ridotto, quasi schiacciato dai tempi. Tra i maggianti spicca un attore, che nella parte finale dello spettacolo, quando i poeti improvvisano tutti assieme, attraverso un interessante processo di osmosi creativa e di ibridazione delle forme, si cimenta per la prima volta con la poesia improvvisata: un esordio in diretta. La poesia e l’atmosfera magica di Pigna ci portano in una dimensione speciale, fuori dalle beghe del mondo. Ci pensa allora Ignazio Macchiarella a riportarci con i piedi a terra spiegando in diretta al pubblico che i poeti sardi non sono giunti nella vicina isola corsa per un blocco dei traghetti e la sospensione del trattato di libera circolazione europea per via del summit mondiale del G8. Alcuni di essi non avevano con sé i documenti necessari per viaggiare in una situazione del genere. Torniamo invece all’inizio, al discorso di apertura di Pietro Clemente, per sottolineare un punto che ha notevoli implicazioni sulle politiche del patrimonio del nostro futuro; Clemente parla del “modello Pigna”: Oggi in questa giornata, come nella giornata precedente a Gavorrano [30 maggio 2009], funzionari delle amministrazioni interessate, studiosi, hanno lavorato insieme, hanno discusso su che cosa fare, e poi alla fine della giornata poeti, performer, di tutte le province, di tutti i territori, faranno degli spettacoli, e in questi spettacoli ci saranno delle presentazioni che cercano di spiegare come questi spettacoli funzionano, in modo da facilitare la loro comprensione. È quindi uno stile, diciamo così, impegnato nel valorizzare piccole culture che però hanno una storia importante, e mi sembra di buon auspicio un incontro a Pigna, in un paese piccolo, piccolissimo, che però è stato capace di mantenere la magia della sua storia, che è stato capace di evitare che la musica fosse legata a uno stile moderno, al senso dello spettacolo di massa, ma ha saputo mantenere la qualità degli stili tradizionali e al tempo stesso aprirsi al mondo e noi, credo, riusciremo bene se saremo capaci di imitare lo stile di Pigna su un piano transfrontaliero e mediterraneo.

Il viaggio in Corsica presenta molte altre implicazioni e coinvolgimenti personali con la storia e il territorio locale che vanno ben oltre la giornata del progetto. Nella sezione note di viaggio trovate delle mail di Pietro Clemente ricche di riferimenti al migliacciu e a Niccolò Tommaseo, ai suoi nipotini e al Museo antropologico di Corte.

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3)”La selva è la poesia e ogni albero è una parola4” Varliano (Lucca), 2 agosto, 2009 PROGRAMMA Ore 10.30 Piazza della Chiesa Parrocchiale Magliano (Giuncugnano) COMPAGNIA I MAGGIANTI DI MONTIGNOSO (MS) Selezione di brani di Maggio Drammatico Ore 11.00 Sala del Consiglio Comunale - Magliano (Giuncugnano) Saluti Fabio Reali Sindaco del Comune di Giuncugnano Stefano Baccelli Presidente della Provincia Lucca Manrico Testi Presidente del Centro Tradizioni Popolari della Provincia di Lucca Interventi di M. Elena Giusti Università di Firenze - responsabile scientifico INCONTRO Provincia di Lucca Fabrizio Franceschini Università di Pisa - responsabile scientifico INCONTRO Provincia di Pisa Paolo de Simonis Università di Firenze - responsabile scientifico INCONTRO Provincia di Massa Carrara Antonio Fanelli Università di Firenze - coordinatore eventi progetto INCONTRO Paolo Zedda poeta improvvisatore sardo POETI SARDI CAMPIDANESI canto di improvvisazione COMPAGNIA I MAGGIANTI DI MONTIGNOSO (MS) maggiolata Ore 15.30 Selva di Varliano (Giuncugnano) COMPAGNIA POPOLARE DI CASTEL DEL BOSCO (PI) Bruscello Pia de’ Tolomei COMPAGNIA DEI MAGGIANTI DI GRAGNANELLA – FILICAIA – CASATICO (LU) Maggio Romolo e Remo di Giuliano Grandini POETI SARDI CAMPIDANESI canto di improvvisazione POETI IMPROVVISATORI CÓRSI Chjama e rispondi Saranno presenti Comunità Montana della Garfagnana; Azienda di promozione turistica (APT) di Lucca; Progetto Ponti nel tempo Associazione culturale La Giubba; Centro di documentazione della tradizione orale di Piazza al Serchio (LU); Fondazione Paolo Cresci per la storia dell’emigrazione italiana; Centro per la raccolta,lo studio e la valorizzazione delle tradizioni popolari della provincia di Lucca Percorsi eno-gastronomici per la promozione dei prodotti locali a cura di Slow-Food Garfagnana.

4 Si tratta di un frammento di memoria personale del finale della gara poetica campidanese, sono versi di Paolo Zedda, nella traduzione simultanea fatta da Ivo Murgia.

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Dopo Pigna la carovana di IN.CON.T.R.O. si ritrova in un altro piccolo villaggio. Siamo in Garfagnana e questa volta è la provincia di Lucca a fare gli onori di casa. Ciò significa che al centro della scena c’è il Maggio drammatico. In mattinata una presentazione pubblica con gli amministratori e la comunità locale. Si tiene inoltre un “laboratorio musicale” sulla poesia campidanese a cura di Paolo Zedda. Prima della conferenza assistiamo a una messa in scena della Compagnia massese del Maggio di Montignoso, un tentativo ben riuscito di rivitalizzare una tradizione locale in stato di sofferenza. Il paese è accogliente e ben disposto all’incontro con i maggerini. Nella seconda parte della giornata, nella Selva di Varliano, ci troviamo nei luoghi del Maggio. Un bosco di notevole bellezza e l’atmosfera che si respira è particolare. Senza stacchi tra palco e pubblico, delle sedie poste tra gli alberi, molte persone anziane. I tempi della performance sono adeguati e non ci costringono a fare un tour de force. Il ricordo di Varliano ci porta a rendere un altro omaggio a un maestro della tradizione che ci ha lasciati. Si tratta di Serafino Soldani. A Varliano è in scena un grande classico, la “Pia dei Tolomei”, con il Bruscello di Castel del Bosco, della provincia di Pisa. Il bruscello, forma di teatro popolare della Toscana meridionale, è stato portato nel pisano da Soldani, originario della Valdichiana. Tra gli scatti fotografici realizzati con la mia telecamera spiccano quelli di Soldani, sottovoce, con il labbiale egli ripeteva le battute di tutti gli attori. Soldani è un pezzo importante della cultura popolare toscana, autore di Bruscelli e di una preziosa autobiografia utile per capire la mezzadria classica e le forme espressive tradizionali toscane (Soldani 1990; Soldani 2006; Franceschini 1987). I poeti corsi e sardi sono a loro agio. Zedda ci impressiona con il verso che chiude la gara: “la selva è la poesia e ogni albero è una parola”. Grazie alla traduzione simultanea eseguita con particolare competenza da Ivo Murgia riusciamo a entrare nel significato onirico e misterioso della poesia campidanese. Lucca inaugura anche una sorta di mini-collana di IN.CON.T.R.O., presentando al pubblico un agevole libretto con i testi del Maggio e delle note introduttive. Il cibo proposto da Slow Food – Garfagnana riscuote successo, c’è il clima giusto per cantare in libertà, e così molte persone anziane si avvicinano al gruppo dei poeti. A Varliano abbiamo capito le ragioni per cui Gianni Bosio nel 1966 dopo una campagna di ricerca nella Bismantova scriveva: «perché sopravviva … non è necessario che il Maggio emigri: il Maggio in città rovinerebbe. Attrezziamoci dunque perché la città venga al Maggio». (Bosio 1966). 4) Santa Fiora (Grosseto), 3 agosto 2009. PROGRAMMA ore 18,30 – 20,30 Messaggio di benvenuto del Sindaco di Santa Fiora Renzo Verdi e dell’Assessore provinciale alle Politiche giovanili, cooperazione internazionale e Pari opportunità Tiziana Tenuzzo Presentazione del progetto e delle finalità scientifiche della ricerca e delle iniziative Valentina Zingari Poeti grossetani Elino Rossi, Alessandro Cellini Ottave di saluto e presentazione in ottava rima dei poeti corsi Poeti corsi Ghjuvan Petru Ristori, Cristofanu Limongi, Petru Santucci presentazione di Petru Santucci Elino Rossi, Alessandro Cellini presentazione in ottava rima del Maggio drammatico

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Progetto INCONTRO: materiali di ricerca e di analisi

Maggianti della Compagnia di Gorfigliano (Lucca) “La guerra di Troia” presentazione di Maria Elena Giusti Elino Rossi, Alessandro Cellini presentazione in ottava rima dei poeti sardi Poeti sardi Presentazione di Paolo Zedda Poeti corsi e poeti grossetani Intreccio di sestine e ottave improvvisate, ringraziamenti e saluti. Il progetto INCONTRO si interseca e dialoga con il Festival delle Province, che propone all’Auditorium “La Peschiera”, alle 21, lo spettacolo dell’Opera dei pupi di Aci-reale (CT) con il maestro Turi Grasso e la presentazione del professor Fabio Mugnaini dell’Università di Siena.

Arriviamo di nuovo in Maremma, attraversiamo un lungo pezzo di Toscana e ne cogliamo le notevoli differenze. Siamo tutti un po’ trafelati da questo spostamento, ma gli ospiti apprezzano molto questi luoghi, è la scoperta di un’altra toscana, diversa da quella promossa mediaticamente a suon di arte rinascimentale e città medievali, anche il paesaggio è più vivo, aspro e non da cartolina. A Santa Fiora la formula del Seminario-concerto, sul modello di Pigna, muta e la poesia è introdotta in versi e non in prosa, sono i poeti maremmani Elino Rossi e Alessandro Cellini a presentare i colleghi sardi e corsi. Due aspetti interessanti, infine. La collaborazione con il Festival delle province – Rete Italiana di Cultura Popolare e l’interesse da parte di una emittente televisiva locale per il nostro progetto5. 5) ETNU. Festival dell’etnografia, Nuoro, 14 settembre 2009 PROGRAMMA ore 10 ETNUpoesia / IN.CON.T.R.O Conferenza stampa e presentazione del progetto IN.CON.T.R.O. Incontri condivisi transfrontalieri di ricerca sull’oralità tra le province di Grosseto, Pisa, Lucca, Massa Carrara, Università di Firenze, ISRE, Università di Cagliari, Associazione Voce (Pigna, Corsica) finanziato dalla Comunità Europea ore 11 Presentazione dei due gruppi di canto del Maggio che faranno il giro itinerante per Nuoro: Paolo De Simonis presenta i “Maggianti di Rossano (Zeri - Massa Carrara)”); Paolo Nardini presenta il gruppo “Mangia e bevi” di Baccinello (Grosseto) ore 12 -13 Laboratorio sulla poesia estemporanea campidanese a cura di Michele Mossa e Paolo Zedda Ore 15 “U Chjama e rispondi”: poesia improvvisata corsa; con i poeti: Ghjuvan-Petru Ristori, Paulu-Santu Parigi, GhjuvanFedericu Terrazzoni; introduce e canta: Petru Santucci; a cura di Toni Casalonga ore 16 I poeti toscani: “Omaggio al poeta Realdo Tonti”  presentazione del libro-film L’albicocco e la rigaglia. Un ritratto del poeta Realdo Tonti, a cura di Pietro Clemente e Antonio Fanelli, Gorée 2009; proiezione parziale (15 min) del film di Enrico Gualandi e Carlo Coda allegato al libro coordina Toni Casalonga;

5 Vedi l’intervista sul sito: http://www.incontrotransfrontaliero.com/notadiviaggio.php?id=7

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interventi di Fabrizio Franceschini, Paolo Apolito, Maria Elena Giusti intervista a Realdo Tonti di Pietro Clemente e Antonio Fanelli l’improvvisazione poetica toscana in ottava rima: Realdo Tonti e Enrico Rustici in contrasto ore 19 Ritorno dei gruppi del maggio al centro polifunzionale; resoconto del giro nuorese e saluto musicale al pubblico ore 20,30 Il teatro di Buti (Pisa) presenta il Maggio drammatico La Medea ore 21,30 Gara poetica campidanese (parziale) con Omero Atza, Antonio Orrù e Paolo Zedda; accompagnano Gianni Cogoni e Agostino Valdes; traduzione in simultanea di Ivo Murgia e Michele Mossa segue Gara poetica logudorese con Mario Masala e Celestino Mureddu; accompagna il coro di Abbasanta traduzione in simultanea di Paolo Pillonca L’allestimento “IN.CON.T.R.O. si Mostra” è a cura di Paolo De Simonis e Gabriella Lerario, gruppo di lavoro Valentina Zingari, Antonio Fanelli, Paolo Nardini.

IN.CON.T.R.O. sbarca in Sardegna, nel cuore di un evento nazionale. Siamo ospiti dell’ISRE, un’istituzione unica nel panorama italiano. Il programma dell’intera manifestazione dura quattro giorni, ed è ricchissimo di convegni, presentazioni di libri, eventi e mostre. Al nostro progetto è interamente dedicata una giornata della manifestazione, l’ultima. Ma anche nelle altre sessioni sono disseminate delle tracce di IN.CON.T.R.O. Partiamo proprio da uno di questi casi, con la presentazione del libro di Ignazio Macchiarella sul canto a concordu di Santu Lussurgiu, una monografia innovativa, un’opera dialogica in cui il ricercatore e i cantori sono co-autori del lavoro (Macchiarella, 2009). Presentano due studiosi di rilievo, gli etnomusicologi Maurizio Agamennone e Bernard Lortat-Jacob. Due sono i punti da mettere in evidenza, da un lato questa presentazione inaugura le heritage’s frictions (di cui scrive in questo libro Pietro Clemente) dall’altro si consolida la formula del “laboratorio musicale”. La presa di posizione dei cantori rispetto alle osservazione di Lortat-Jacob testimonia la vitalità del dialogo e la rottura delle barriere che in passato vedevano gli studiosi e gli attori sociali della tradizione su sfere separate. Le esemplificazioni del canto, con un alternanza di frammenti di performance, note storiche e momenti di intervista, forniscono un utile esempio-modello per arricchire la formula del Seminario-concerto. Grazie al carattere nazionale di ETNU possiamo scavalcare i confini burocratici del progetto e aprire il dialogo con i poeti toscani delle altre province non transfrontaliere. Così a Nuoro si tiene un omaggio al poeta Realdo Tonti, maestro della poesia toscana e del canto popolare, di Agliana, nel pistoiese (Clemente, Fanelli 2009). Con lui si esibisce Enrico Rustici, uno de più giovani poeti toscani, abile sperimentatore di formule nuove della poesia, con l’attore teatrale Francesco Burroni, e poeta ‘tranfrontaliero’in dialogo con poeti dell’America Latina. Di notevole interesse saranno a ETNU la visione del film di Michele Mossa “Il canto scaltro” e il “laboratorio” sulla poesia campidanese tenuto da Mossa con Paolo Zedda. A ETNU trova spazio, assieme al Maggio drammatico di Buti, che riscuote un notevole apprezzamento, anche il Maggio lirico, il canto itinerante con questua della notte tra il 30 aprile e il 1 maggio. Ne abbiamo due esempi, uno massese e l’altro grossetano. Al disagio della esecuzione ‘a freddo’, sul palco di ETNU, segue invece un appaesamento mirato e meglio contestualizzato con un giro itinerante per le via di Nuoro. Nelle serate del Festival assistiamo agli spettacoli che ci mostrano tutta la forza e la ricchezza della musica orale sarda, dalla tradizione dei tenores, del concordu e del canto a chitarra, fino alle forme nuove dell’improvvisazione, come il rap. Nella gara campidanese è ancora Zedda a lasciare un segno importante: il grande morbo che egli

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paventa nei suoi versi, la grave malattia che mina il popolo sardo, è quella della perdita di conoscenza e di uso della lingua sarda. Così chiude la sua performance il medico-poeta-studioso (e uomo politico) di Sinnai. La formula del Seminario-concerto trova a ETNU il suo slogan. Nella mostra curata da Paolo De Simonis e Gabriella Lerario, grazie alla Provincia di Massa, troviamo questo breve dialogo: Antonio Fanelli: salve, ti ricordi? Ci siamo conosciuti a Pigna Ghjuvan Petru Ristori: si, mi ricordo, ma anche tu sei un poeta? Antonio Fanelli: no, veramente sono uno studioso … però qualche volta canto Ghjuvan Petru Ristori: e anche io, qualche volta studio

6) Comitato Scientifico, Villafranca in Lunigiana (Massa), 28 settembre 2009 È un incontro interno, per gli addetti ai lavori. Ma è importante segnalare il primo contatto con il territorio di Massa-Carrara. In questa occasione si aprono delle piste interessanti che troveranno poi spazio negli incontri successivi: il tema del turismo legato agli itinerari culturali dell’oralità; una forte immersione nel territorio attraverso dei momenti di stage presso musei locali e siti storici; la considerazione delle culture alimentari locali in ambito transfrontaliero. 7) Buti (Pisa), 23-24 ottobre 2009 PROGRAMMA: Venerdì 23 Ottobre, h. 9.30-11 Frantoio Rossoni Comitato di Pilotaggio: Stato di avanzamento del progetto Stato dell’arte di censimento e schedatura h. 11-12 Frantoio Rossoni Comitato Scientifico: Presentazione e discussione progetti di ricerca h. 12 Frantoio Rossoni Conferenza Stampa di Presentazione del Progetto IN.CON.TR.O Interventi Condivisi Transfrontalieri di Ricerca sull’Oralità Roberto Serafini (Sindaco di Buti), Andrea Pieroni (Presidente della Provincia di Pisa), Gianbruno Ravenni (Dirigente Area Cultura della Regione Toscana), Cristina Mazzolai (Dirigente Provincia di Grosseto, capofila del progetto), Pietro Clemente (Università di Firenze, coordinatore scientifico del progetto), Ignazio Macchiarella (Università di Cagliari), Toni Casalonga (Direttore CasaMusica di Pigna, Corsica), Fabrizio Franceschini (Università di Pisa, responsabile scientifico per l’area pisana) h.15,30 Frantoio Rossoni Workshop tecnico e cantiere progettuale Esperienze e progetti di incontro dell’oralità e del teatro popolare col cinema, il teatro sperimentale e la cultura moderna. Presiede Assessore Provinciale Silvia Pagnin. Introduzione dei lavori: Fabrizio Franceschini Interventi di Anna Barsotti, Paolo Benvenuti, Pier Marco De Santi, Michele Feo, Paolo Billi, Dario Marconcini, Armando Punzo e Carte Blanche, Maria Elena Giusti, Elisabetta Salvatori, Paola Marcone, Gilda Ciao, Toni Casalonga, Ignazio Macchiarella, Paolo De Simonis, Paolo Nardini, h. 21 Teatro di Buti Interventi di presentazione: Isa Garosi, Dario Marconcini Compagnia “P. Frediani” di Buti, Rappresentazione del Maggio della Natività di Gesù Bambino di Dino Landi

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Sabato 24 Ottobre h.14.45 Teatro di Buti Presentazione del libro-DVD a cura di Isa Garosi Per Nello Landi. Una festa per un maestro dell’ottava rima Presiede Assessore Provinciale Miriam Celoni Interventi di Roberto Serafini, Pietro Clemente, Maria Elena Giusti, Petru Santucci, Sebastiano Pilosu Intervento parlato e cantato di Nello Landi Contrasto in ottava rima, improvvisazione poetica toscana Intervento di presentazione: Fabrizio Franceschini Poeti: Pardo Fornaciari, Umberto Lozzi, Irene Marconi, Emilio Meliani, Enrico Rustici, Realdo Tonti h. 17.15 Teatro di Buti Chjama e rispondi, improvvisazione poetica corsa Intervento di presentazione: Jean Pierre Giudicelli Poeti: Ghjuvan Battista Albertini, Cristofanu Limongi Tittu, Ghjuvan Petru Ristori, Ghjuvan Fredericu Terrazzoni h. 18.30 Teatro di Buti Presentazione del volume di Maria Manca Cantare in poesia per sfidare la sorte. Un approccio antropologico alla gara poetica logudorese in Sardegna Presiede Pietro Clemente Interventi di Toni Casalonga, Fabio Dei, Fabrizio Franceschini Paolo Piquereddu, Ignazio Macchiarella h. 21.30 Teatro di Buti Gara poetica, improvvisazione poetica sarda (logudorese) Intervento di presentazione: Ignazio Macchiarella Poeti: Giuseppe Porcu e Bruno Agus, tenores di Orgosolo; traduzione simultanea a schermo di Sebastiano Pilosu Conclusione dell’Incontro e nell’Incontro Intervento del poeta improvvisatore palestinese Dahdman. Auguri dei poeti toscani, corsi e sardi al Mediterraneo e al pubblico

La carovana di IN.CON.T.R.O. sbarca in provincia di Pisa. Siamo a Buti, un’altra delle capitali dell’oralità transfrontaliera. Buti è un set cinematografico, nel vero senso della parola, Jean Marie Straubb e Paolo Benvenuti l’hanno immortalata nel cinema. Al Teatro “Francesco Di Bartolo” è conservato il Leone d’oro alla carriera del cineasta belga che ha ormai eletto il borgo pisano come patria culturale. Il Maggio di Buti con la sua storia si intreccia con un filone di studi letterari e antropologici, grazie al lavoro di Fabrizio Franceschini (Università di Pisa) e si apre a delle sperimentazioni innestate dalla cinematografia filologica e epica di Paolo Benvenuti e dalla ricerca di una sintesi fra la tradizione e i nuovi linguaggi espressivi, grazie al lavoro dei registi Dario Marconcini e Paolo Billi. La rappresentazione del “Maggio della Natività di Gesù bambino” di Dino Landi alla quale assistiamo ce ne fornisce una prova emozionante. A Buti rendiamo un omaggio-festa ad un grande poeta improvvisatore e autore di Maggi, un maestro: Nello Landi, decano dell’ottava toscana. Landi ha cantato a lungo con i grandi poeti della generazione precedente, figure mitiche come Alberto Neri e soprattutto Vasco Cai (Franceschini 1981). Negli ultimi anni ha esercitato una rigorsa critica alla perdita del senso della poesia, che secondo la sua visione, è l’aulicità classica, l’epica, il rigore metrico e la corretta impostazione del canto, a fronte di uno svilimento dell’ottava a mera tecnica di improvvisazione che scivola verso la battuta e il cabaret (Garosi 2009). Un proficuo dialogo generazionale si è instaurato negli anni tra Nello Landi e Emilio Meliani, poeta di Santa Maria a Monte (Cred, 2007). La riflessività di Landi è bene espressa nel volume a cura di Isa Garosi che viene presentato nelle giornate di IN.CON.T.R.O. Le storie di vita dei poeti: una nuova frontiera nel mondo degli studi, utile per capire il loro punto di vista sulla poesia e carpirne i legami

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con la vita sociale delle comunità. L’approfondimento scientifico a Buti ha una ulteriore tappa: la presentazione del volume di Maria Manca sulla poesia logudorese (Manca 2009). Un libro che nasce da una tesi di dottorato in Francia e viene edito dall’ISRE. La gara poetica viene presentata come un orizzonte rituale che riesce a mediare simbolicamente i conflitti. Gli sguardi sul mondo poetico si allargano a Buti. IN.CON.T.R.O. attira l’interesse di un poeta palestinese, medico-dentista che vive e lavora a Padova. Dopo un contatto con Ignazio Macchiarella l’incontro si realizza. Alla fine suggelliamo l’apertura di sguardi sulla poesia e la vocazione transfrontaliera del progetto, con l’esibizione del poeta palestinese, a chiusura della manifestazione, assieme al cantastorie Pardo Fornaciari che propone brani della tradizione ebraica livornese. Mi piace concludere questa nota butese con le ottave che Nello Landi ha ricordato a proposito di un contrasto con Vasco Cai tra la ‘poesia scritta’ e la ‘poesia improvvisata’ (Cred, 2007): Nello Landi: Quando sotto il camin bolle il paiolo nelle lunghe serate dell’inverno io mi c’avvicino solo solo e sui classici scritti mi c’interno son certo non mi reca pena o dolo lo scritto resterà quasi in eterno mentre l’estemporanea parola è come nebbia che nel vento vola Vasco Cai: Non son d’accordo, benché nuda e sola se ne va l’estemporanea poesia io voglio contraddirti una parola per me l’è tutta pien di melodia guarda il poeta è l’ambulante scuola che talora può dettar filosofia la melodia di questi versi vive e forse conta più di chi la scrive.

8)“Documentare il patrimonio culturale immateriale”, Massa - Antona, 28-30 gennaio 2010 PROGRAMMA: Giovedì 28 Gennaio ore 11 “Tradizione e oltre. Etnografia del contemporaneo” Relazioni di: Fabio Dei, “Subalterna, folklorica, popolare, tradizionale, locale e altri attributi differenziali della cultura” Pietro Clemente, “Cultura popolare oggi: cambiare gli sguardi e le parole.” Fabio Mugnaini, “Quien sabe para quien trabaja? Documentare, tutelare e conoscere le tradizioni popolari oggi”. Ogni intervento sarà seguito da un tempo di dibattito, animato da Antonio Fanelli, Paolo De Simonis, Maria Elena Giusti, Valentina Zingari, Fabrizio Franceschini, Costanza Lanzara, Luca Mancini ore 15.30 Dibattito con: Paolo De Simonis, Maria Elena Giusti, Fabrizio Franceschini ore 18 Proiezione del video “Un mare di incontri” realizzato da Paolo Nardini, con la collaborazione di Antonio Fanelli e Valentina Zingari ore 21.30 Teatro di narrazione oggi:

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La Bella di Nulla: performance di Elisabetta Salvatori Venerdì 29 ore 9.30 “La catalogazione dei patrimoni immateriali. Contributi transfrontalieri” Coordina Valentina Zingari Pietro Clemente, Introduzione alla giornata Valentina Zingari, Patrimoni immateriali, schede, inventari. Questioni aperte tra etnografie e politiche del patrimonio culturale. Relazioni di: Roberta Tucci, (Funzionario, antropologa regionale) La scheda BDI per la catalogazione dei beni demoetnoantropologici immateriali: contesti, impostazione, “filosofia” Elisabetta Simeoni, (Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione) La scheda BDI. ridotta sperimentale. Esempi di catalogazione. Véronique Ginouvès, (MSH di Aix en Provence) Dall’archivio della «Phonothèque di Aix en Provence» al «portail du patrimoine oral» , riflessioni sui metodi di schedatura dei patrimoni immateriali, gli standard internazionali in uso, la messa in rete degli archivi. Immagini dal futuro. Interventi di : Emanuela Rossi, Esperienze di lavoro con la scheda BDI tra Toscana e Lazio. Schedare le feste Stefano Morandini, “Etnotesti”: i lavori di schedatura attraverso l’esperienza del laboratorio friulano ore 15 Laboratorio- dibattito con i ricercatori di INCONTRO Per Massa: Benedetta Lanza e Luca Madrignani Per Grosseto: Paolo Nardini, Valentina L.Zingari, Antonio Fanelli Per Lucca: Luca Mancini Per Pisa: Isa Garosi Per la Sardegna (Università di Cagliari): Francesco Bachis ore 21.30 Paolo Benvenuti presenta il suo ‘corto’ “Medea. Un Maggio di Pietro Frediani” girato a Buti nel 1972 Sabato 30 Stage etnografico a Antona Ore 9: Visita collezione privata (raccolta di testi, costumi ed altri oggetti del Maggio) con Gian Carlo Bertuccelli, autore di Maggi Epici e rappresentante dell’associazione “I cantori della Pinotta”. ore 15 Laboratorio musicale con una compagnia del Maggio. Rappresentazione di frammenti di Maggi, epici e lirici. Esperimenti di schedatura. Ore 17 “Sacra Rappresentazione della Natività e della Strage degli Innocenti”, eseguita dai Cantori di Gragnanella nella chiesa di Antona. Chiusura dei lavori

Siamo ad un giro di boa decisivo per IN.CON.T.R.O. Il seminario di Massa fa il punto sulla metodologia della schedatura dei beni immateriali e ci offre un interessante dibattito teorico sull’etnografia del contemporaneo che mostra la tensione tra i due poli del lavoro antropologico, tra la ricerca sulle forme della cultura popolare contemporanea e il ruolo degli studiosi nelle politiche del patrimonio culturale immateriale. Sul fronte della catalogazione e della schedatura l’incontro massese vede impegnati i ricercatori di IN.CON.T.R.O. nel dialogo con le ideatrici della scheda ministeriale italiana (BDI): Roberta Tucci e Elisabetta Simeoni e con Véronique Ginouvès che lavora al coordinameno degli archivi on line

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francesi. Grazie al dibattito di Massa si apre una fase nuova nel lavoro dei ricercatori di IN.CON.T.R.O. Il nostro progetto continua la sperimentazione della scheda BDI per il riconoscimento del patrimonio nazionale e contestualmente si apre alle problematiche della fruizione on line dei documenti sonori e audiovisivi corredati di schede di archiviazione in sintonia con gli standard internazionali. Grazie al lavoro congiunto di Valentina Zingari e di Antonio Deias dell’ISRE, il nostro progetto si dota di una “scheda modello” per la sezione “Archivi” del nostro sito internet. La ricchezza del territorio massese viene vissuta a fondo attraverso una giornata di stage sul campo ad Antona. I materiali raccolti confluiranno in un documento di montaggio a cura dei ricercatori di IN.CON.T.R.O. Si apre sul territorio massese una proficua collaborazione con il gruppo degli Archivi della Resistenza “Circolo E. Bassignani” di Fosdinovo. 9) “Documentare e rappresentare la tradizione”, Ribolla (Grosseto), 9-11 aprile 2010 PROGRAMMA: Venerdì 9 Aprile ore 17.00 – 20.00 – Ex cinema Mori – Centro civico Presentazione degli atti del convegno “Improvvisar cantando” del 2007. La valorizzazione delle attività promosse dalle organizzazioni territoriali attraverso organismi internazionali: il ruolo svolto dal Progetto transfrontaliero IN.CON.T.R.O. Relazioni di Paolo Piquereddu, Paolo De Simonis, Valentina Zingari, Antonio Fanelli ore 21.00 TEATRO “Li sposi di San Bisognino” commedia di Morbello Vergari, Compagnia del Teatro Studio di Mario Fraschetti con il “Coro degli Etruschi” e Luciana Pollini “Argia” Presentazione di Paola Pannozzo Sabato 10 Aprile ore 10.00 – 11.30 Ex cinema Mori – Centro civico Attività istituzionale del Progetto IN.CON.T.R.O.: Comitato di pilotaggio e Seminario di verifica della ricerca ore 11,30 – 13,00 CONFERENZA STAMPA: l’aggiornamento dei risultati raggiunti dal progetto Comunicazione e condivisione della ricerca svolta: il sito internet di INCONTRO ore 15,00-19,30 CINEMA DI POESIA: La poesia improvvisata in cinema. Rassegna di film: Maurizio Ricci (soggetto di G. Kezich), Contadini e poeti (1986) Michele Mossa e Michele Trentini, Il canto scaltro, 60 min. (2009) Marco Lutzu e Valentina Manconi, In viaggio per la musica, 22 min.(2004) Angelo Paoletti, La memoria cantata, min. 44,40 – (--) Marcello Arduni, Poeti a braccio della Maremma Altolaziale (1986-1996) Elisabetta Lanfredini, Aspetti sociali e politici del canto in ottava rima attraverso le parole dei poeti, 2007/08 Introduzione e commento di poeti e studiosi ore 21.00 – 23.30 Ex cinema Mori – Centro civico SEMINARIO-CONCERTO di canto a chitarra con i poeti Francesco Fais e Cristian Fodde; Salvatore Carboni alla chitarra in dialogo con i gruppi locali: “Coro dei Minatori di Santa Fiora” e “Torelli Maremmani” di Ribolla Domenica 11 Aprile Ex cinema Mori – Centro civico ore 10.00 – 13.00 Seminario: Il canto, lo scambio, il dono Le cerimonie di questua: la tradizione della Befanata, della Maggiolata, del Sant’Antonio Coordina Pietro Clemente, interventi di Paolo Piquereddu, Matteo Aria, Gabriella Pizzetti, dibattito. Ore 15.00 – 19.00 Sala Arci IN.CON.T.R.O. fra i poeti corsi e i poeti toscani e laziali XVIII APPUNTAMENTO DI POESIA ESTEMPORANEA

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L’incontro di Ribolla si colloca nel bel mezzo dell’evento più importante per la rinascita dell’ottava rima toscana e dell’Italia centrale, visto il forte dialogo e la grande amicizia instaurata con i poeti del Lazio e dell’Abruzzo dal circolo “Sergio Lampis” di Domenico Gamberi. “Ribolla 2009” mette un attimo da parte la sperimentazione del Seminario-concerto e pone al centro del lavoro di IN.CON.T.R.O. il tema della rappresentazione visuale e della cinematografia sull’oralità popolare. Il film di Michele Mossa e Massimo Trentini “Il canto scaltro” riapre un filo di alta tensione che aveva attreversato la Maremma nei decenni precedenti. A Ribolla torniamo al film capostipite nella cinematografia dedicata alla poesia improvvisata: “Contadini e poeti”, regia di Michele Ricci (Rai, 1986), soggetto e testi di Giovanni Kezich. Questo film scatenò un confitto tra studiosi e poeti al convegno “L’arte del dire” nel 1996 (Nardini 1997). Il caso-madre delle nostre heritage’s frictions scatenato dal rifiuto dei poeti toscani del nesso instaurato nel film tra la poesia e la socialità delle osterie e il vino. Una scintilla che fece esplodere le diffidenze dei poeti verso gli studiosi e rappresentò la prima presa di parola dei protagonisti dell’arte dell’improvvisazione. Apprezziamo il valore del film del 1986 all’interno di una ricca rassegna organizzata da Paolo Nardini. Nelle giornate di Ribolla hanno un notevole successo di pubblico gli spettacoli serali, con la commedia di Morbello Vergari, figura storica della cultura maremmana, e con la riuscita accoppiata del canto a chitarra sardo e del “Coro dei minatori” di Santa Fiora, reduce dal successo ottenuto con la collaborazione del cantautore Simone Cristicchi (Cristicchi, 2011). Nelle note di viaggio del sito trovate il resoconto, la sorpresa e la gratificazione espressa da Francesco Fais6. Le giornate di Ribolla sono ricche di eventi e di incontri e viene preparato per l’occasione un librettoomaggio a Sergio Lampis, a cura di Paolo Nardini, con interviste biografiche e poesie in ottava rima (Nardini, 2010). La preziosa nota di viaggio di Ristori ci riporta il punto di vista dei poeti e la ricerca di una maggiore sensibilità per distinguere i tempi lunghi della “cattedra” e quelli troppi stretti della “poesia”: Cum’è sempre in Tuscana è particularmente in Maremma, accolta calurosa in a quale amicizia, simpatìa è ancu un pocu d’affettu inspiranu a puesìa. Ma, quantunque, ghjurnate longhe pè a maior’ parte di i pueti Discorsi à l’usu castristu, interessanti, certu, ma fastidiosi pè noi altri paisanelli. Sosta di meziornu tardìa è curtissima poi, attesa lunghissima nanzu à l’interventu in scena. Ancu bellu pocu tempu di cantu pè noi, moltu più chì, à ogni passata ci facìanu cennu d’accurtà. Propiu nuiosu quand’omu sà chì a nostra impruvisata chere un tempettu pè tastassi è piglià u filu. Da dumandassi s’elli sò lochi pè noi. Per furtuna ci simu sbramati, fendu strada è in i caffè di Ribolla. À ritene dinò chì a ghjurnata di u Luni ci pone sempre prublemi. Difatti, i giovani chì sò occupati un si ponu dispone è sò guasi sempre e listesse persone chì si movenu è dunque, participazione ridutta, suscittìbule di crià antagunismi trà l’assuciati. Malgradu tutti st’azzinghi, à chì a si sente pò cuntinuà. À tutti, abbracciu fraternu !!! D’un pussibile disertore.

10) “Maggio, cultura orale, cinema, di qua e di là dall’Appennino e attraverso il mar Tirreno”, Buti (Pisa), 28-30 maggio 2010 PROGRAMMA: Venerdì 28 Maggio 2010 (Frantoio Rossoni – Museo del Maggio e della civiltà contadina) h. 16.00 Apertura dei lavori. Saluti istituzionali: Sindaco di Buti Roberto Serafini, Presidente della Provincia di Pisa Andrea Pieroni, Assessore alla Cultura della Provincia Silvia Pagnin, Rettore o Prorettore Università di Pisa, Responsabile

6 http://www.incontrotransfrontaliero.com/notadiviaggio.php?id=13.

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progetto Incontro Cristina Mazzolai, Direttore di Europa Cinema Viareggio Pier Marco De Santi Milvia Dabizzi, Fabrizio Franceschini, Maria Elena Giusti, Valentina Zingari presentano il volumetto promozionale Maggio, cultura orale, cinema/La figura e l’opera di Enzo Pardini a cura di Isa Garosi, la mostra Enzo Pardini: Maggi, poesie e scritture per il teatro e le postazioni fisse di video-documentazione etnografica (Toscana, Emilia, Sardegna e Corsica). h.18 Paolo De Simonis (Università di Firenze) e Andrea Zagli (Università di Siena) presentano il volume di Fabrizio Franceschini–Filippo Mori, Le ottave inedite di Pietro Frediani “Origine dei Bientinesi e la sua festa del 1840”. Con uno studio sul palio e sul pallone nella Bientina del primo Ottocento, Pisa, Felici Editore, 2010; saranno presenti gli autori. h.21.30 (Teatro Francesco di Bartolo) La Compagnia “P. Frediani” di Buti rappresenta il Maggio “Otello” di Enzo Pardini. Sabato 29 Maggio (Frantoio Rossoni– Museo del Maggio e della civiltà contadina) Workshop tecnico Maggio, cinema di ricerca e documentazione etnografica. Coordina Paolo Nardini h. 9.30 Materiali video sul Maggio lucchese e garfagnino. Presentazione di Maria Elena Giusti h. 10.30 La ricerca dell’Istituto Ernesto de Martino sui Maggi della Bismantova e la documentazione cinematografica di Giuseppe Morandi. Interventi di Antonio Fanelli e Giuseppe Morandi h.12 Materiali cinematografici dell’ISRE sul teatro e la cerimonialità popolare in Sardegna. Presentazione di Paolo Piquereddu h. 15.00 (Teatro F. Di Bartolo) Maggio e cinema d’autore. Coordina Lorenzo Cuccu Proiezione del documentario televisivo di Ghjuvan Carlu Marsily Chjama e rispondi, 2008/9, durata 52 min. Presenta Damien Delgrossi 16.00 Il cinema di Paolo Benvenuti: “Medea”, 1973, durata 45 min. Presentano Fabrizio Franceschini e Paolo Benvenuti, intervento di Nello Landi h.17.15 Il cinema di Jean Marie Straub e Danièle Huillet: “Dalla nube alla Resistenza”, 1979, durata 1 h. Presenta Lorenzo Cuccu, intervengono Andrea Bacci e Guelfi h.18.30 Citto Maselli, Giovanni Soldati e il Maggio dell’Appennino Emiliano “Cantamaggio a Cervarezza” di Citto Maselli, 1953, durata 15-20 min. “Maggio di Romanoro” di Giovanni Soldati, 1976, durata 15-20 min. Interventi di Citto Maselli, Giovanni Soldati, Maggianti di Romanoro h. 21.30 “Novecento atto II” di Bernardo Bertolucci, 1976, durata 2h. 30 Presenta Pier Marco De Santi Domenica 30 Maggio (Frantoio Rossoni– Museo del Maggio e della civiltà contadina) h.9.30 Tavola rotonda. Presiede l’assessore Silvia Pagnin, “L’incontro tra cinema, intellettuali e teatro popolare nell’area tosco-emiliana. Un nodo della cultura italiana nella seconda metà del Novecento” Interventi di Gianfranco Azzali, Paolo Benvenuti, Lorenzo Cuccu, Pietro Clemente, Piermarco De Santi, Damien Delgrossi, Fabrizio Franceschini, Ignazio Macchiarella, Dario Marconcini, Citto Maselli, Giuseppe Morandi, Paolo Piquereddu, Giovanni Soldati, Giorgio Vezzani.

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Il viaggio nel cinema dell’oralità transfrontaliera è il tema dominante delle giornate di Buti. La ricerca dei film per la rassegna sul Maggio e il cinema avviene grazie alla collaborazione con il Festival EuropaCinema di Viareggio e i docenti di storia e critica del cinema dell’Università di Pisa: Pier Marco De Santi e Lorenzo Cuccu. L’incontro tra intellettuali, cultura popolare e Maggio epico rappresenta un nodo importante nella cultura italiana del dopoguerra. Le sorprese sono significative: dai cineasti Paolo Benvenuti e Jean Marie Straubb che hanno lavorato sul Maggio butese ampliando lo sguardo verso l’appennino emiliano ci imbattiamo in Giovanni Soldati, Citto Maselli e Bernardo Bertolucci. Il mondo epico con i contadini in costume che rappresentano sfide poetiche tra il bene e il male diventa oggetto di attenzione da parte di registi di rilievo nazionale e internazionale. Dallo sguardo neorealista di Maselli fino alle quartine del Maggio che danno il senso finale alla monumentale opera di Bertolucci “Novecento”. Il Maggio drammatico diventa una chiave interpretativa utile a rileggere la visione politico-ideologica dicotomica del capolavoro di Bertolucci. Uno sfondo epico-popolare visto come il modus vivendi per i contadini emiliani anche nel mondo reale e nella politica. Il cinema ha svolto un ruolo importante anche nel rilancio del “Chjama e rispondi” in Corsica e a Pigna avremo modo di approfondire il tema, con la visione di “U trionfu d’a poesia”, un mito di fondazione per la nuova vita della poesia corsa. Un libro a cura di Isa Garosi, ricco di interviste ad alcuni protagonisti del Maggio, ci racconta la vita di un importante autore butese: Enzo Pardini (Garosi, 2010). La discussione finale viene animata dal regista Paolo Benvenuti e da alcuni attori della compagnia di Buti: una nuova tappa nelle heritage’s frictions di IN.CON.T.R.O. Alla visione delle opere cinematografiche si affianca anche la proiezione della documentazione inedita di Giuseppe Morandi ( Lega di Cultura di Piadena) sui Maggi della Bismantova, realizzata all’interno di una campagna di ricerca dell’Istituto Ernesto de Martino, guidata da Gianni Bosio e resa celebre da Ivan Della Mea nel brano “A Costabona” (Della Mea, 1972).   11) ESTIVOCE/INCONTRU, Pigna 9-13 luglio 2010 Da una comunicazione del Coordinamento di IN.CON.T.R.O., un riassunto delle linee guida di “Estivoce” 2010, con il progetto IN.CON.T.R.O. al centro di tutte le giornate del festival: 9 LUGLIO Dopo la Presentazione di ESTIVOCE in piazza alle ore 18, che dà inizio alla manifestazione, assisteremo ad un concerto d’apertura.  10 LUGLIO Verrà presentato il sito dell’associazione Voce Comune, e nel pomeriggio si aprirà un dibattito sul tema “mutazione e creazione”, tema dominante nell’esperienza di Pigna. L’idea che ispira “Estivoce” è infatti quella di favorire i processi di invenzione e creazione artistica, a partire dalla conoscenza e dalla valorizzazione dei repertori tradizionali e locali. Nel Seminario sono previste tre Relazioni, per la Corsica: Toni Casalonga, per la Sardegna: Ignazio Macchiarella e per la Toscana: Pietro Clemente, con la partecipazione dei membri del comitato scientifico e dei ricercatori di INCONTRO. Lo spettacolo serale è pensato proprio come luogo di incontro di diverse tradizioni musicali mediterranee (L’ottava rima toscana, le polifonie femminili delle Assurd….) con una proposta jazz che ci viene dalla Corsica. I poeti e gli artisti saranno protagonisti di un nuovo esperimento di auto presentazione e riflessioni sulla loro arte. Ribaltando, o meglio, declinando diversamente la formula del Seminario-concerto, l’idea che ci viene da Pigna è quella di lasciare ai poeti e agli studiosi momenti diversi di espressione, che rispettino natura e ritmo delle loro “performances”. Sul filo del tema “trasformazione e tradizione”, saranno i poeti stessi a proporre una “critica della poesia”, in modo da ribaltare la relazione di potere che vede gli studiosi in una posizione di esclusività nell’esercitare analisi critiche delle forme espressive. Proprio per favorire il processo di costruzione di un dialogo tra poeti e studiosi, vorremo in questa occasione dare all’incontro poeti/studiosi  un taglio più sperimentale, di  seminario come laboratorio. Gli studiosi, in maniera informale, sono chiamati a intervenire con una “critica della critica”, più in veste di animatori di dibattito che di professori e specialisti. Il concerto del 10 avrà questa scaletta: jazz sperimentale a partire da musiche tradizionali – poeti corsi in versi improvvisati riflettono su ciò che hanno visto – gruppo italiano “Assurd” – poeti toscani in versi improvvisati commentano – alla fine

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siamo tutti invitati ad aprire a riflettere sull’esperimento e ad animare un dibattito che può iniziare nell’anfiteatro o nella “Casa della Musica” a fine concerto.  11 LUGLIO Al tema del Maggio epico è interamente dedicata la giornata di domenica 11 luglio, curata da Maria Elena Giusti con la collaborazione di Fabrizio Franceschini e Luca Mancini: una mostra video, con un seminario di presentazione e una Rappresentazione del Maggio lucchese. 12 LUGLIO In mattinata COMITATO SCIENTIFICO. Un momento forte sarà, lunedì 12, la proiezione pomeridiana del film “Trionfu di a poesia”, un film che è un mito di fondazione in Corsica. Questo momento ci ricollegherà alle riflessioni sviluppate in occasione dell’ultimo incontro di Buti sul Maggio, la poesia e il cinema. Seguirà alla proiezione un dibattito sul rapporto tra improvvisazione poetica, spettacolo e cinema. 13 LUGLIO In mattinata COMITATO di PILOTAGGIO. Al pomeriggio Seminario dedicato alla formula del “Seminario – Concerto”. Una riflessione sul percorso fatto con INCONTRO nelle varie tappe del progetto e sulla sperimentazione della formula Seminario-concerto, un commento all’esperimento di PIGNA e la possibilità di formulare proposte per gli incontri a venire. Nella giornata finale di martedì 13, in un grande fervore festivo che animerà l’intero paese, avremo la presenza sarda del Canto a chitarra e dei Tenores e buona parte dei gruppi musicali presenti a ESTIVOCE saranno dislocati nei vari angoli del paese per fare festa in musica. In questo ricco finale è da situare un percorso di questua attraverso le case di Pigna, sul modello del Maggio lirico toscano, come proposta di dono, offerto al paese che ci accoglie, di una tradizione in viaggio. L’idea, proposta da Paolo de Simonis, vuole tentare, attraverso l’eliminazione del palco, di costruire una più forte familiarità tra canto di questua e popolazione, aprendo sin da ora un dialogo tra le due comunità. Un esperimento da leggere anche come forma di riconoscimento reciproco di tradizioni, unite nella valorizzazione tra gesto di offerta e di accoglienza.

12) “La transumanza”, Volterra 19 luglio 2010 PROGRAMMA: I PARTE Ore 10:00 Apertura dei lavori | Sala Melani di Torre Toscano Saluti istituzionali Sindaco di Volterra Marco Buselli Assessore alla Cultura Provincia di Pisa Silvia Pagnin Ore 10:30 Riflessioni ed interventi sul tema della Transumanza: Fabrizio Franceschini (Università di Pisa) Pastore, pastori e poesia popolare toscana Sandra Becucci (Museo del Paesaggio, Castelnuovo Berardenga – SI) I pastori sardi in area grossetana e senese Petru Santucci (Pigna) Pastoralismo tra tradizione e formalizzazione dei saperi Francesco Bachis (Università di Cagliari) La transumanza nella poesia improvvisata sarda Felice Tiragallo Uno sguardo cinematografico sulla transumanza Presentazione di un video sulla pastorizia e la transumanza Valentina Zingari (Progetto IN.CON.T.R.O) Feste e riti del pastoralismo in Francia Alessandro Furiesi (Direttore pinacoteca civica di Volterra) Percorsi della transumanza nel territorio volterrano dal medioevo all’età moderna Giovanni Cannas (Pastore ed imprenditore) La Transumanza tra tradizione e innovazione Massimo Marino (Università di Bologna) La Transumanza è come il vento. Tra la paura e l’esaltazione di una rivelazione Coordina i lavori Fabrizio Franceschini (Università di Pisa) Ore 13:00 -14:30

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Pausa lavori | Cortile della Pinacoteca Civica di Volterra Apertura e presentazione della mostra fotografica sulla transumanza a cura di Paolo Piquereddu e Antonio Deias – ISRE–Istituto Superiore Regionale Etnografico della Sardegna. Rinfresco biologico a cura di Gabriella Tricca II PARTE I SENTIERI DELLA TRANSUMANZA Un itinerario lungo i sentieri lungo i quali pastori e greggi transumavano lungo l’Alta Val di Cecina. I partecipanti all’evento seguiranno le greggi guidate da Giovanni Cannas, figlio di pastori sardi emigrati in Toscana e a sua volta pastore ed imprenditore, e da altri pastori che lo coadiuveranno. L’evento vede la collaborazione e la consulenza di Yuri Bettini e Gabriella Tricca. Si partirà dal suggestivo ed inquietante scenario delle Balze dove è previsto il benvenuto dei due poeti improvvisatori Emilio Meliani e Realdo Tonti che accoglieranno i partecipanti con dei contrasti in ottava rima sul tema della transumanza. Il percorso si snoderà poi lungo un sorprendente ed affascinante itinerario che prevede una sosta ristoratrice presso il Podere Marcampo di Genuino del Duca, dove i transumanti saranno accolti dai I Tenores di Orgosolo di Supramonte – Franco Davoli – voce, Francesco Patteri – contra, Salvatore Floris – basso, Antonio Garippa – mezza voce, si cimenteranno nel tradizionale canto a tenore con canti a tema. La meravigliosa cornice della Fattoria Lischeto, sarà il punto di arrivo della Transumanza, dove si consumerà una grande festa che si protrarrà fino a tarda notte. Una fantastica cena a base di prodotti tipici del territorio e della cucina sarda in un connubio tra memoria storica e nuove tendenze. La serata si concluderà con il concerto di Lisetta Luchini accompagnata dai musicisti Luca Di Volo e Eleonora Tassinari. I SENTIERI DELLA TRANSUMANZA Itinerario in natura attraverso suggestivi paesaggi, eventi spettacolari e suggestioni gastronomiche guidati da Giovanni Cannas collaborazione di Yuri Bettini e Gabriella Tricca 16:30 - Partenza dal Piazzale delle Balze 17:00 - Contrasti in ottava rima dei poeti toscani improvvisatori Emilio Meliani e Realdo Tonti 19:00 - Sosta ristoratrice presso il Podere Marcampo di Genuino Del Duca con i canti a tenore sulla Transumanza de i Tenores di Orgosolo di Supramonte: Franco Davoli/voce, Francesco Patteri/contra, Salvatore Floris/basso, Antonio Garippa/mezza voce 21:00 - Arrivo alla Fattoria Lischeto Festa Popolare con cena tipica a base dei sapori della cucina sarda e toscana 22:30 - “Dove tu te ne vai bel pecoraro” concerto di musica popolare toscana, con Lisetta Luchini accompagnata da Luca Di Volo e Eleonora Tassinari

Da una nota di viaggio personale si ricavano delle informazioni sullo svolgimento dell’evento e sulla forte emozione suscitata dalla passeggiata transumante, con alcune divagazioni emotive e delle piste di approfondimento: Cari amici di INCONTRO-Pisa e di VolterraTeatro   un sincero ringraziamento per la giornata del 19, per l’accoglienza e l’organizzazione della Compagnia della Fortezza, per l’importante riuscita del Convegno coordinato da Fabrizio Franceschini e l’avventurosa transumanza guidata dalla famiglia Cannas con i poeti toscani e i tenores sardi. I tempi stretti e le relative difficoltà organizzative non hanno intaccato la buona riuscita della manifestazione. Nel convegno abbiamo avuto la sorpresa gratificante dell’interventro diretto del capo-famiglia Cannas e di alcuni dei tenores sardi che hanno preso la parola per confrontarsi con i relatori (Becucci, Franceschini, Petrucci, Bachis, Tiragallo) e dialogare con loro, trovando molta sintonia tra le riflessioni ascoltate e le lore esperienze dirette. Speriamo ciò si ripeta anche nei prossimi incontri. Franceschini ha preparato per l’occasione una raccolta di testi storici di rilievo (Toschi, Tommaseo, etc.) e di esempi di incontro fra canto e poesia in Toscana,  allargando la nostra attenzione dal mondo  dei mezzadri a quello dei pastori. Abbiamo visto un documentario di Vittorio De Seta con il commento del prof. Tiragallo e ascoltato le possibili connesioni con la Francia auspicate per il futuro da Valentinza Zingari, sulla base di alcuni importanti esempi d’oltralpe. Altro aspetto di rilievo, per la prima volta, con Francesco Bachis abbamo ascoltato una relazione dedicata al materiale di ricerca che sta emergendo grazie al lavoro dei ricercatori di INCONTRO.   Ero stato invitato da Fabrizio a prendere la parola nel convegno per parlare dei pastori molisani e abruzzesi ma ho glissato,

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pensavo, troppa passione e pochi studi, il convegno ha stimolato invece “il pastore che è in me” e ho preso diversi appunti. La pastorizia tosco-sardo-corsa riguarda l’Italia centrale che guarda verso  l’appennino tosco-emiliano; un altro pezzo del mondo pastorale italiano, dalla Maremma arriva all’appennino centro-meridionale, dal Lazio scendo verso l’Abruzzo, il Molise e poi ancora più giù  verso la Lucania. Pensavo,  il Centro è accomunato dall’ottava rima, il centro-sud dalla zampogna (in Calabria viene detta “la capra che suona”. La poesia dei pastori da un lato e la musica dei pastori dall’altra, con una intersezione feconda, la Sabina Laziale, ultimo lembo della poesia a braccio a Sud e confine Nord della diffusione della zampogna, che a Rieti si chiama “ciaramella”. Rieti è anche l’ultimo lembo dell’Italia mezzadrile ed era parte integrante delle regioni rosse, era socialista e non comunista e lì  ha mosso  i suoi primi passi in politica prima e poi negli studi Alberto Cirese, maestro dell’antropologia italiana e per varie genealogie anche di INCONTRO (dalla Sabina all’università di Cagliari e poi a Siena ... ). Con il pensiero rivolto a Rieti ho iniziato la transumanza con Valentina e il poeta toscano Emilio Meliani che ci ha sorpreso per una netta risalita verso le fonti classiche della poesia, dalle rime cercate al computer sul web alla lettura dell’Iliade e dell’Odissea e della poesia scritta, Meliani ci racconta del suo amore per i poeti reatini, per la poesia epica e sofferta che rifugge dalla battuta e dal taglio ironico-cabarettistico che sta affermandosi in Toscana, per Meliani in Toscana ci sono “improvvisatori” mentre a Rieti esistono ancora dei “poeti”.   Nel convegno ho pensato ai tratturi molisani, alle autostrade ecologiche dismesse e abbandonate e poco valorizzate che ancora segnano la bellezza del paeaggio, ma è meglio cambiare discorso, dovrei parlare male dei contadini della mia terra che non hanno difeso i passaggi in comune e hanno pensato agli interessi personali, di qui il passo sarebbe breve verso la classe politica locale, una delle tante sottoserie su scala minore della P3 o forse della P4, che specula sull’unica risorsa possibile, il paesaggio, e prospetta un interessante sviluppo di discariche abusive per  il futuro delle  antiche terre della transumanza, Molise e Abruzzo, un tempo insieme amministrativamente, sono adesso insieme con aree terremotate in grave pericolo, se l’Aquila soffre San Giuliano non se la passa meglio, anzi, reportage e inchieste di Corriere della Sera e Diario mostrano i legami criminali e lo sperpero delle risorse   Il nesso e le metafore erotiche della poesia pastorale sarda mi riportano invece verso ricordi di famiglia, penso al fratello di mio nonno, Salvatore, detto “Tore”, che secondo mio padre praticava spesso  il “pascolo abusivo”, e con maggiore emozione penso poi a Zio Attilio, cugino di mio padre, nato nel ‘33, non è mai andato a scuola perché suo padre era in guerra in Etiopia e lui doveva badare alle pecore, qualche anno fa una troupe del TG3-Molise lo ha incrociato per caso con il suo gregge, si sono fermati per intervistarlo e così in diretta tv zio Attilio ha raccontato che mentre è da solo al pascolo legge dei libri, poesie e romanzi, dice di tenerli nascosti sotto alcuni sassi che conosce solo lui; il legame forte tra il libro e il pastore anche quando è solo un sogno, la circolazione culturale dell’epica e delle capacità di lettura e scrittura si imbattano con maggiori problemi di sopravvivenza e maggiori condizioni di isolamento, può essere questa la spiegazione dell’arresto dell’ottava rima alle soglie del Meridione?   Sui canti dei pastori penso ai progetti di Gianni Bosio  e di  Sandro Portelli che  a fine anni ‘60 progettavano una serie Internazionale dell’etichetta “Dischi del Sole” con i canti dei mestieri, canti del lavoro da tutte le parti del mondo: i cavatori, i fabbri, i minatori e tra i primi progetti, un lavoro sui pastori, non so se qualcun’altro ha realizzato qualcosa di simile. Bosio aveva iniziato la sua ricerca sui pastori e nell’archivio sonoro dell’Istituto de Martino è conservata un’intervista con Emilio Lussu realizzata nel 1968.   Vorrei ancora parlare del pecorino tosco-sardo, forse andrebbe chiamato così, ma voglio  invece chiudere con un ringraziamento a Ignazio per averci segnalato in tempo utile i tenores sardi di Orgosolo, tra cui spicca il ruolo di Franco Davoli, che conserva nastri e registrazioni, ricerche (sa tutto su Orgosolo: De Seta, Cagnetta, Carpitella, etc.) e ha a lungo chiacchierato con me e soprattutto con Valentina durante la transumanza sul tema dell’Unesco e del riconoscimento del canto a tenore, dei suoi effetti e delle prospettive, un bell’esempio di protagonismo dei soggetti attivi della poesia e della tradizioni e di dialoghi possibili.   Grazie ancora agli amici pisani e una fresca estate a tutti Antonio

13) “Intimo da esibire? Turismo, patrimoni immateriali, comunità locali”, Bagnone, Massa-Carrara, 9-11 settembre 2010 PROGRAMMA Giovedì 9 settembre Bagnone, loggiato di Piazza Roma ore 15.00: ‘Cantate voi, che siete alletterato’ . Si apre una mostra di testi scritti dedicati ai patrimoni orali nei territori di IN.CON.T.R.O., a cura della Libreria antiquaria Mazzei.

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Bagnone, Sala Multimediale del Museo-Archivio della Memoria ore 15.30: ‘Un semu strangeri’ Saluti istituzionali, presentazione e introduzione ai lavori: Osvaldo Angeli (Presidente Provincia di Massa-Carrara); Gianfranco Lazzeroni (Sindaco di Bagnone); Cristina Mazzolai (Provincia di Grosseto, capofila del progetto IN.CON.T.R.O.Transfrontaliero); Paolo De Simonis (Università di Firenze, coordinatore del progetto IN.CON.T.R.O. per la Provincia di Massa-Carrara); Pietro Clemente (Università di Firenze, coordinatore del progetto IN.CON.T.R.O.) ore 16.00: ‘Vedrete un gioco bello/ed inaudito’ Federico Mento (Università “La Sapienza” di Roma): Turismi e truismi. Appunti di antropologia del turismo. Eleonora Antonelli, Kathleen Giuliani (Cooperativa “Sconfinando”): IperFonti: incontri diversi fra beni immateriali e nuove tecnologie  Paolo Lanari (Liberologico srl, Provincia di Lucca): Digitalizzazione del patrimonio culturale: ricadute economiche dirette e indirette ore 17.30: ‘Or con me farai duello’: discussione. ore 18.00: ‘Vincerà chi più ne vede’: spazio audiovisivo Io canto forte. Il canto del Maggio a Montereggio, a cura di “Archivi della Resistenza” Diario del maggio: riassunto del cammino di ricerca del progetto IN.CON.T.R.O., con interventi dei ricercatori Evoluzione del sito internet di IN.CON.T.R.O. e ipotesi di lavoro per il futuro del progetto, a cura di Gabriella Lerario e Valentina Zingari. ore 19.30: ‘A la cantamus una bruschistriglia’: discussione. ore 20.00: cena Bagnone, “Teatro F. Quartieri” ore 21.30: Kulturificio n. 7 presenta lo spettacolo teatrale Quando la montagna era alta davvero Venerdì 10 settembre Bagnone, Sala Multimediale del Museo-Archivio della Memoria ore 9.15: ‘Giunger gli ospiti suoi con nodo forte’ Saluti istituzionali: Sara Vatteroni (Assessore al Turismo Provincia di Massa-Carrara) ore 9.30: Interventi dei partner: Marina Babboni (Dirigente Settore Cultura, Centro Donna, Turismo Provincia di Massa-Carrara), Fare di necessità virtù. Se per dare valore alla cultura bisogna farla assaggiare: il caso Lunatica festival. Toni Casalonga (Directeur artistique du Centru Culturale VOCE, Pigna, Corsica): La tête d’oxymore Fabrizio Franceschini (Università di Pisa), Percorsi glottoetnogastronomici. ore 11.15 – Interventi degli operatori locali: Antonio Tarantino (Presidente APT Massa-Carrara); Norberto Ricci (Pres. Camera di Commercio di Massa-Carrara); Agostino Nino Folegnani (Presidente GAL Lunigiana); Francesco Tapinassi (Direttore APT Grosseto), Metodologie di comunicazione on-line della Maremma, con coinvolgimento del territorio; Roberto Guiggiani (Direttore APT Pisa). ore 12.00: Chjama e rispondi: discussione ore 12.45 – ‘Tres panis in sa mesa’: buffet di IN.CON.T.R.O., con assaggi e fabulazioni con interventi culinari, cibi-bandiera e percorsi gastronomici proposti dai partner dei diversi territori. Massa: cipolla di Treschietto ripiena, testaroli, torte d’erbi, barbotta, vino. Pisa: trippa di Sant’Antonio, zuppa di cavolo. Lucca: zuppa di farro, salumi e formaggi della Garfagnana, pane di patate e di castagne della Garfagnana, vino della Garfagnana, i prodotti saranno presentati da 2 relatori di Slow Food Garfagnana. Grosseto: acquacotta, cialde di Caldana, sfratto di Pitigliano e vino rosso di Montecucco. Sardegna: formaggi, pane carasau, pane frattau, accompagnati dalla proiezione del film Ciboall’ISRE, di Paolo Piquereddu e Ignazio Figus, Nuoro, ISRE, 2002, Colore, 120 min. Corsica: fiadone, cuggiole, moscato, presentazione di Dumè Prudenti, Chargée de production, CCVoce Livorno: cacciucco

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ore 14.30 – Visita al Museo-Archivio della Memoria di Bagnone ore 15.00: ripresa dei lavori e interventi dei partner: Franco Davoli (Boghe a Tenore, per conto dell’Università di Cagliari), I canti a tenores come patrimonio immateriale UNESCO. Processi locali e scene globali Maria Elena Giusti (Università di Firenze, Provincia di Lucca, Centro Tradizioni Popolari di Lucca) Conoscere, trasmettere, diffondere Paolo Nardini (Provincia di Grosseto), Proporre la poesia estemporanea per le liste UNESCO? Aspetti logistici, geografici, di opportunità. ore 17.00: interventi degli operatori territoriali Josée Martelli (Maire de Pigna), PIGNA, le nouveau souffle Antonella Poli (Ponti nel Tempo, Provincia di Lucca), Ponti nel tempo - un progetto di marketing territoriale della montagna lucchese. ore 18.15: ‘Sa guerra l’amus a faghere a sa bona’: discussione e conclusioni ore 19.00: ‘Vincerà chi più ne vede’: videoproiezioni Alla vostra destra sa carrela ‘e nanti. Feste tradizionali e turismo culturale in Sardegna - di Michela Caschili, Maria Ledda, Laura Marcis, Silvia Mastinu, Francesca Muroni, Alessandra Pinna, Luisa Piu, Maria Luisa Porcella Ciusa, Francesca Zucca; coordinamento Ignazio Macchiarella, durata 40 min. ore 20. 00: Cena Bagnone, “Teatro F. Quartieri” ore 21. 30: Tandarandan in concerto Sabato 11 settembre Carrara, loc. Cava di Fantiscritti ore 9. 30: visita della cava sotterranea del Ravaccione ore 10.00: Tra marmo e beni immateriali: proiezione di immagini e suoni del lavoro in cava. ore 10.30 – La cava nella memoria dei testimoni: un lizzatore, un bucinatore, un tecchiaiolo Massa, loc. Forno ore 12.00: visita alla Filanda di Forno, porta del Parco delle Apuane all’intersezione fra pastorizia, archeologia industriale, saperi naturalistici, memorie della Resistenza. ore 13. 00: pranzo e conclusioni a cura dei poeti di IN.CON.T.R.O.: ‘e se partissi senza dire addio’, contrasto in rima di Emilio Meliani e Irene Marconi.

L’incontro massese ci porta ad approfondire in prima perona le culture alimentari dei territori del progetto e propone un primo confronto a tutto campo tra la comunità di ricerca di IN.CON.T.R.O. e gli operatori del settore turistico. Massa ha messo a punto una piattaforma per realizzare delle cartine multimediali per scoprire i territori dell’oralità transfrontaliera. Sarà uno degli investimenti futuri per i partners del progetto. Uno dei risultati da raccogliere come eredità di IN.CON.T.R.O. La ricerca sul campo nella provincia di Massa Carrara trova un primo momento di approfondimento e divulgazione con la pubblicazione del volumetto: “Diari di Maggio” a cura di Paolo De Simonis, con la collaborazione di Benedetta Lanza e Luca Madrignani (De Simonis, 2010). 14)“Promozione del dialogo culturale e trasmissione alle nuove generazioni”, Lucca, 7-8 ottobre 2010 PROGRAMMA: GIOVEDI 7 OTTOBRE La trasmissione del patrimonio orale: esperienze scolastiche a confronto Ore 9.00 - 9.30 Iscrizione dei partecipanti STEFANO BACCELLI Presidente della Provincia di Lucca

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MARIA ELENA GIUSTI Progetto INCONTRO Provincia di Lucca/Università di Firenze Introduzione ai lavori VALENTINA ZINGARI Coordinamento scientifico progetto INCONTRO L’attività didattica e il patrimonio immateriale: presentazione del kit UNESCO PIERGIORGIO LENZI Compagnia del Maggio Filicaia-Gragnanella-Casatico (LU) Il maggio nella scuola: risultati e prospettive GABRIELLA PIZZETTI - NEVIA GRAZZINI Provincia di Grosseto Informatori tradizionali nei percorsi didattici e formativi: esperienze e metodi FABIO BARONI Dirigente Settore Cultura del Comune di Fosdinovo (MS) Insegnare/imparare dalle tradizioni - esperienze tra Lunigiana e Garfagnana. ANDREA BACCI Teatro Francesco di Bartolo/Compagnia del Maggio di Buti (PI) La didattica del Maggio a Buti LISABETTA VOLPEI Direttrice di U centru d’immersione linguistica di Savaghju (Corsica) 1. PAUOLU SANTU PARIGI Insignante Lingua e Cultura Corsa, impruvisatore Chjam’ e rispondi (Corsica) Da u tema a u puema 2. 3. CARLINU ORSUCCI, GHJUVAN PETRU RISTORI, FRANCESCU SIMEONI Poeti, Associu Chjam’e rispondi (Corsica) 4. U parè di i pueti UMBERTO BERTOLINI Dirigente Istituto Scolastico Comprensivo di Piazza al Serchio (LU) L’insegnamento del canto del maggio nella didattica curricolare 13.30 Pausa pranzo Ore 15.00 MANRICO TESTI Presidente del Centro Tradizioni Popolari della Provincia di Lucca BARBARA BERTACCHINI Responsabile attività progetto INCONTRO per la Provincia di Lucca Il Centro Tradizioni Popolari, il “Maggio delle Scuole”, il Protocollo d’intesa Scuola del Maggio: un’esperienza decennale che si rinnova FABIO BONVICINI Musicista, ricercatore ed esperto in attività didattica L’orco con le penne: allestimento di un maggio drammatico nella scuola elementare di Riolunato (MO) ANNALISA LARI – ANNA BARONI Insegnanti/ Compagnia del Maggio di Buti Cantar Maggio nella scuola d’infanzia Il Maggio: laboratorio didattico in collaborazione con le scuole primarie di Filicaia (Istituto Comprensivo di Camporgiano-LU), Insegnante Anna Balducci; Pieve San Lorenzo (Istituto Comprensivo di Piazza al Serchio-LU), Insegnante Valeria Martini; maggianti Renzo Comparini e Andrea Bertei, violinisti Giuseppe Rossi e Simone Tomei Riflessioni condivise con insegnanti e bambini VENERDI 8 OTTOBRE La Salvaguardia e la valorizzazione delle forme espressive dell’ oralità: esperienze extrascolastiche e obiettivi del progetto INCONTRO Ore 9.30 FRANCESCA ROSA CONTU ISRE Nuoro Esperienze didattiche del Museo Etnografico Sardo

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Progetto INCONTRO: materiali di ricerca e di analisi

FABIO BONVICINI Musicista, ricercatore ed esperto in attività didattica Con la guazza sul violino: il maggio nella provincia modenese MAURO CHECHI Poeta Comunicazione in versi: come si improvvisa cantando 5. 6.

NICOLE CASALONGA Centru Culturale VOCE di Pigna (Corsica) Imparà ballendu, incù a prisentazione di un videofilm

IGNAZIO MACCHIARELLA Progetto INCONTRO/ Università di Cagliari Fra magasinos e iscolas: la trasmissione delle forme espressive dell’ oralità nella Sardegna di oggi (con proiezione video) CRISTINA MAZZOLAI Responsabile Progetto INCONTRO per la Provincia di Grosseto, partner capofila Promozione del dialogo culturale e trasmissione alle nuove generazioni: gli obiettivi operativi del Progetto Ore 15.00 PIETRO CLEMENTE Coordinatore scientifico Progetto INCONTRO/ Università di Firenze Trasmettere la diversità. Tra antropologia delle generazioni e educazione alla complessità Dibattito

Un asse importante del lavoro di IN.CON.T.R.O: la didattica delle tradizioni, la trasmissione generazionale e il rapporto con le scuole del territorio. La provincia di Lucca guida questa sezione del progetto, sulla base della propria esperienza, maturata nel corso degli anni grazie al lavoro del “Centro tradizioni popolari” della Provincia, creato e animato per lungo tempo da Gastone Venturelli. La provincia propone un “Protocollo di intesa” con le scuole, frutto di uno scambio di esperienze con l’Emilia e la provincia di Modena. Dall’incontro lucchese nascono una serie di progetti didattici su scala locale dei partners di IN.CON.T.R.O. Alla fine del progetto faremo un resoconto critico di tali esperienze. Dai risultati emersi si delinea un forte investimento nelle infrastrutture necessarie allo sviluppo della didattica attraverso il web e gli archivi audiovisivi on line. La connessione fra didattica e archivio sarà al centro dell’incontro di aprile 2011 a Castelnuovo Garfagnana. 15) “Giornate Cagliaritane”, Cagliari, 31 gennaio- 1 febbraio 2011 PROGRAMMA: Lunedì 31 gennaio Ore 9:30- 11:00 Riunione comitato scientifico Ore 11:20- 13:00 Presentazione versione definitiva del sito internet a­ cura dell’ISRE Ore 13:00-14:00 Pausa pranzo Ore 14:00-15:00 Discussione evento finale di Aprile a cura di Toni Casalonga Ore 15:30- 19:00 Convegno di studi

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Apertura dei lavori Prof. Francesco Atzeni, direttore del Dipartimento di Studi Storici Geografici e Artistici, Università di Cagliari Pietro Clemente Heritage¹s frictions: il patrimonio culturale e INCONTRO Paolo Nardini Geografie dei poeti: nuove piazze e nuovi percorsi Paolo De Simonis Compagnie riconoscenti. Confini e legami tra Maggi, attori, comunità, intellettuali Luca Mancini Elena Giusti Etnografia di ritorno in luoghi noti: rimpianti e conflitti Fabrizio Franceschini Bastia 1830-1860: ottava rima, canti popolari e satire in italiano, còrso e giudeo-livornese Ignazio Murru Scelte didattiche, Trasmissione di forme poetiche da maestro ad allievo nella tradizione della Repentina Martedì 1 febbraio ore 9:30 13:00 Convegno di studi Valentina Zingari L’improvvisazione poetica e l’Unesco. Note di viaggio Duilio Caocci Retoriche della gara poetica logudorese Felice Tiragallo, Antonio Maria Pusceddu, Francesco Bachis Comporre in pubblico. Performance, competizione e poetiche in cinque occasioni di poesia estemporanea fra Sardegna e Corsica Daniela Mereu Il ruolo degli appassionati a Sinnai: da pubblico a pubblico-promotore Petru Santucci, Tonì Casalonga Cultura è spaziu in Corsica: cunfine virtuali Ore 13:00- 14:00 Pausa pranzo Ore 14:00- 16:00 Sfide degli archivi audiovisivi on line, tra dimensione locale e dialogo internazionale. La scheda sperimentale del sito di INCONTRO. A cura di Valentina Zingari Ore 16:00 -17:00 Questione Unesco: strategie in corso. Ore 17:00-19:00 Tavola Rotonda fra rappresentati di Associazioni di Poesia improvvisata di Toscana, Corsica e Sardegna, con interventi di Irene Marconi, Elisabetta Lanfredini, Paolo Nardini, Petru Santucci, Paulu-Santu Parigi, Bruno Agus, Efisio Caddeo, Salvatore Ladu, Celestino Mureddu, Remo Orrù, Antonio Pani, Antioco Patta, Giuseppe Porcu, Paolo Zedda

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Progetto INCONTRO: materiali di ricerca e di analisi

Ore 21:30 23:00 Chiesa Monumentale di Santa Chiara, Salita Santa Chiara Esemplificazioni di pratiche poetico-musicali estemporanee della Sardegna

Le “Giornate Cagliaritane” cominciano la sera del 30 gennaio, a Sinnai, con una festa di benvenuto offerta da Rita Pinna, segretaria del Dipartimento di studi storici, geografici e artistici dell’Università di Cagliari e membro del Comitato di Pilotaggio del progetto. Siamo all’ultima fase del progetto, quella dell’emersione dei risultati finali di IN.CON.T.R.O. A Cagliari il focus dei lavori è rappresentato dal Seminario di presentazione e discussione degli interventi destinati a confluire nel volume finale curato dal gruppo cagliaritano. In queste giornate il lavoro del sito si avvia ad una fase decisiva grazie alla nomina di un referente tecnico da parte dell’ISRE, Gian Piero Satta. La forma poetica della “repentina” è al centro della serata finale del nostro incontro. A Cagliari il dialogo tra studiosi e poeti si anima grazie a una Tavola rotonda. I poeti ci introducono al centro del dibattito sul futuro della poesia sarda portando l’attenzione verso il tema che a loro sta più a cuore: quello della lingua sarda. Dalla discussione pomeridiana sui campi linguistici della scheda di IN.CON.T.R.O. per la sezione archivi del sito passiamo all’incontro in presa diretta con il problema cruciale della definizione, condivisione e tramissione della lingua sarda. Viene lanciata da Macchiarella e approvata da tutti la proposta della creazione di una mailing list che renda stabile il dialogo fra ricercatori, poeti e associazioni, favorendo la collaborazione dei poeti al sito e una fruizione più larga dei materiali di IN.CON.T.R.O. La mailing list come strumento mediatico di partecipazione e dialogo in vista del processo di candidatura Unesco della poesia improvvisata. Un obiettivo importante per il progetto ma soprattutto uno stimolo per lavorare assieme da subito, grazie a IN.CON.T.R.O. Irene Marconi dalla Toscana ci fa pervenire il suo intervento in ottava rima: Poiché non posso esser lì presente, per cause più che altro di lavoro, mi dispiaceva di non dirvi niente oggi che si riunisce un grande coro di gente che lavora con la mente, di professori e collaboratori loro, che sul tema dell’improvvisazione oggi imbastiscono la discussione. Per dir qualcosa colgo l’occasione volendo più che altro fa un commento qui credo adatta sia la situazione in rima voglio fare il mio intervento. penso di parlar pe’ altre persone dar voce ai poeti questo è l’intento che ai convegni spesso sono assenti ma son protagonisti negli eventi. Non è facile far tutti contenti in questa difficile materia molti poeti sono diffidenti e la questione qui diventa seria quando si tratta di essere presenti oltre i contorni della propria meria, ovvero allontanarsi dai confini di casa propria e dei posti vicini. Se a improvvisare siamo infatti inclini, non è la stessa cosa che viaggiare questo coinvolge i “grandi” ed i “piccini”, che spesso preferiscono cantare

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con chi ben li conosce e sa i destini col pubblico che bene sa apprezzare, proporre nei contrasti giusta meta per valorizzare ogni poeta. Altro motivo che gli animi inquieta e che da qualche tempo viene in luce è l’accompagnatore del poeta cioè colui che l’evento conduce: come abile sarta unisce seta alla fodera e insieme ben le cuce, un accompagnatore competente tramite è tra chi canta e chi sente. Deve infatti spiegarglielo alla gente che questa arte non conosce bene ed ai poeti non proporre niente che possa provoca’ imbarazzo e pene deve tenere sempre ben presente che lo spettacolo è il frutto di un insieme in cui protagonisti so’ i cantori ma sono attivi anche gli spettatori. E’ meglio siano dei conoscitori che abbiano visto già quelle persone, piuttosto che soltanto conduttori che vogliono guidà una trasmissione e noi poeti, ‘un siamo professori, competenti in ogni situazione il tema dato, una rima sbagliata possono rovinare una serata! A conclusione io sono arrivata, ma prima di interrompere i miei versi altra questione venga analizzata quella cioè dei linguaggi diversi a cantare la rima improvvisata da molti luoghi i poeti so’ emersi realtà concreta e ‘un si può cancellare: lingue diverse, stesso improvvisare. Mi sembra giusto oltre non andare, con i miei spunti sulla discussione e un buon proseguimento ora augurare senza rubarvi oltre l’attenzione. mi auguro si possa organizzare come se fosse di un circo il tendone con IN.CON.TR.O un solo contenitore riconosciuto da ogni rimatore! Irene Marconi

Per concludere. Tra sacro e profano Il Seminario-concerto ha degli antenati a cui ispirarsi? Sicuramente il lavoro di resitituzione creativa della ricerca, inaugurato dalla celebre etichetta dei “Dischi del Sole”, resta un importante punto di riferimento della stagione pionieritisca degli anni ’60 e ’70 che univa la filologia alla militanza politica. Il magistero di Roberto Leydi e di Diego Carpitella ha sempre visto forme di collaborazione dello

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studioso di musica popolare con attività spettacolari, culturali e didattiche. Carpitella al Festival “Musica dei popoli” di Firenze nel 1981 inaugura una forma nuova di comunicazione della musica etnica attraverso l’allestimento di brochure e libretti ad hoc per il pubblico, un metodo di lavoro analogo a quello di Venturelli nella Lucchesia e nella Garfagnana e al contributo della Provincia di Lucca nella sperimentazione di IN.CON.T.R.O. Dall’esplosione del folk revival a oggi sono cambiate molte cose. L’attenzione per la musica popolare ha subito prima un rapido oblio negli anni ’80 e poi una forte ripresa che spazia dalla world music, alla “Notte della taranta”, alla riscoperta di lingue e dialetti locali, anche attraverso altri generi musicali come il rap, il raggae e il punk. L’affermazione del mercato discografico e il predominio della televisione e del web nella fruizione della musica problematizzano ulteriormente lo scenario generale del rapporto fra le pratiche musicali dell’oralità e la divulgazione attraverso le forme dello spettacolo. Si è acuita la distanza tra gli studiosi e i protagonisti dello spettacolo popolare. Estremizzando notiamo come nei libretti degli artisti, per fare un esempio molto semplice ma usaustivo, le note storiche scivolano sempre di più nelle formule vaghe per cui ogni cosa acquista valore se ha il carattere del mito pre-cristiano che si perde nella notte dei tempi. D’altra parte molti studiosi provocano feroci attacchi di sonno tra gli astanti o peggio ancora suscitano incomprensione e disorientamento per via del linguaggio specialistico che adoperano. Fra queste due diverse forme di incomprensione reciproca si collocano per fortuna anche tante esperienze postive. Ci piace citarne una in particolare. Il “Festival dell’oralità” promosso dalla “Rete italiana di cultura popolare” ha ideato la formula della “cattedra ambulante”, delle vere e proprie lezioni condotte dai protagonisti dell’arte e della cultura popolare, nelle piazze, nella aule, nei teatri dove la Rete opera attraverso le sue “antenne del territorio”, in dialogo con gli studiosi, le associazioni e le istituzioni locali7. Alcune forme di “traduzione” linguistica, come nel caso della poesia sarda, ci portano a considerare la centralità del concetto di traduzione in ciò di cui si stiamo occupando. Traduzione del linguaggio e del senso della poesia, sia per le comunità locali che in alcuni casi hanno perso familiarità con questi linguaggi, sia per un pubblico più vasto e generale. La ricerca di un pubblico consapevole: è questo uno degli obiettivi più forti che unisce le speranze e le aspirazioni degli studiosi e dei poeti improvvisatori. Toni Casalonga cerca di armonizzare attraverso l’allestimento scenografico la differenza dei linguaggi e dei ritmi, con formule sperimentali che troveranno a Scansano una ulteriore tappa, con gli studiosi che dovranno ‘improvvisare’ la loro presentazione e saranno pertanto costretti a smarcarsi dai tempi della cattedra per misurarsi con lo spazio ‘sacrale’ del palco e della performance in voce. Alla formula ‘sacrale’ di Toni Casalonga si affianca una soluzione ‘laica’ che possiamo individuare nel metodo di lavoro di Ignazio Macchiarella. Le sue lezioni di Gavorrano e di ETNU, indicate con la formula del “laboratorio musicale”, ci hanno mostrato una didattica-partecipata, con riflessioni generali, esemplificazioni poetiche e intervista in diretta con i poeti e i cantori. E così tra sacro e profano abbiamo ripercorso le tappe del lungo viaggio del progetto IN.CON.T.R.O.

7 http://www.reteitalianaculturapopolare.org

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Bibliografia:

Bosio Gianni, 1966, I Maggi della Bismantova (estate 1966). Milano, Edizioni del Gallo; Clemente Pietro, Fanelli Antonio (a cura di), 2009, L’albicocco e la rigaglia. Ritratto del poeta Realdo Tonti, Iesa (Siena), Gorèe; Cred, 2007, Cantar di poesia. Cantiere di letteratura orale. Censimento dei poeti in ottava rima in Toscana, s.l., s.e.; Cristicchi Simone, 2011, Santa Fiora Social Club, Milano, Rizzoli; Della Mea Ivan, 1972, Se qualcuno ti fa morto, Milano, Dischi del Sole; De Simonis Paolo (a cura di), 2010, Diari di Maggi, s.l., Progetto IN.CON.T.R.O.; Franceschini Fabrizio, 1983, I contrasti in ottava rima e l’opera di Vasco Cai da Bientina, Pisa, Pacini; Franceschini Fabrizio, 1987, Storie di eroine pisane: modelli narrativi, discorso storico, tradizioni popolari, Pisa, Nistri-Lischi; Garosi Isa, 2009, Per Nello Landi. Una festa per un maestro dell’ottava rima, Pontedera (Pi), Tagete; Garosi Isa, 2010, Maggio, cultura orale, cinema. La figura e l’opera di Enzo Pardini, Pisa, Felici; Macchiarella Ignazio, 2009, Cantare a concordu. Uno studio a più voci, Udine, Nota; Manca Maria, Cantare in poesia per sfidare la sorte: un approccio antropologico alla gara poetica logudorese in Sardegna, Nuoro, ISRE; Nardini Paolo (a cura di), 1999, L’arte del dire. Atti del Convegno di studi sull’improvvisazione poetica, Grosseto, 1415 marzo 1997; Grosseto, Biblioteca Chelliana-Archivio delle Tradizioni; Popolari della Maremma Grossetana; Soldani Serafino, 1990, Com’era intorno a noi, Firenze, Polistampa; Soldani Serafino, 2006, Il Bruscello di Castel del Bosco: storia del gruppo storico-popolare in occasione del Venticinquesimo anniversario, Montepluciano, Le Balze; Zedda Paolo, 2008, L’arte de is mutetus, Iesa (Siena), Gorèe;

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2.1 Fabrizio Franceschini Vite, lotte, versi: poeti popolari del Risorgimento tra Toscana, Corsica e Sardegna

1. Nella sua indagine antropologica sul canto di poesia logudorese Maria Manca presenta, in conclusione, il rapporto «a incastro» tra le tre figure del pastore, del poeta e del santo: da un lato «cantando le vicissitudini della sua esistenza da pastore, il poeta ripercorre la propria carriera iniziatica, associandola alla vita esemplare del santo», ma dall’altro è il poeta stesso, già pastore, che passando dalla sua dimensione sociale a quella estetica accede alla dimensione del sacro e giunge a integrarsi in essa (Manca 2009, pp. 317-318). Le pagine che seguono, sviluppandosi piuttosto sul piano storico-filologico, vorrebbero toccare questa stessa problematica. Il discorso, sotto il profilo geografico, riguarda però la dimensione più ampia del progetto IN.CON.TR.O, ossia la circolazione di uomini, testi e idee tra Toscana, Corsica e Sardegna, mentre sotto il profilo cronologico ci porta in quel periodo tra gli anni Trenta e Sessanta del secolo XIX che vide le lotte e le vittorie, le sconfitte e le disillusioni, i progressi e i compromessi del nostro Risorgimento. Per economia espositiva rinuncio a discutere ora il concetto di “poeta popolare”, che compare nel titolo; sottolineo invece, come già fatto in Franceschini 2008 e 2009, che l’improvvisazione poetica e la rimeria di ambito popolare non possono essere ridotte, specie nell’Ottocento, alla sola dimensione contadina e montanina, certo cara a osservatori romantici come il Tigri e il Tommaseo, ma trovano uno snodo cruciale negli ambienti urbani e nel vivo dei più avanzati sviluppi sociali e politici. Qui si parla infatti di quattro poeti popolari di città, le cui vite, le cui lotte e i cui versi si intrecciano in vario modo nelle dimensioni geografica e cronologica di cui si è detto. 2. Giovanni – o Gianni, Nanni, Giannino – G ­ uarducci (tav. 1) nasce a Livorno nel 1813 da Carlo, mezzano di pellami, e da Settimia Carboni; nel 1828 nasce il fratello Enrico destinato ad affiancarlo in tante lotte (Martini 1961, pp. 315, 299-300). Si inserisce da giovane nell’ambiente lavorativo del padre e, pur dedicandosi a varie attività, rimane legato all’intermediazione commerciale, portando

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nel movimento democratico livornese le istanze dei sensali, come altri capipopolo quelle di artigiani, facchini e navicellai (Bertini 2003, p. 4). Viene «ammaestra[to]» da «un sacerdote degno del Cristo», grazie al quale comprende che «l’eguaglianza degli uomini deve essere in ogni modo realizzata sulla terra dalle leggi e dalle forme di governo» (Guarducci 1860, p. 6). «Degli studj non [fa] il corso/ come certi garbati signorini», ma impara a far versi come «i dì di Maggio/ soglion del basso popolo i cantori/ cantar l’ottave» (Guarducci 1845, st. 8); la capacità di versificare e improvvisare costituiva infatti, negli ambienti del porto labronico, una marca di prestigio e leadership (Franceschini 2009) e queste abilità potevano anche consentire di camparsi la vita: so leggere – scrivere – son maestro di scrittura doppia – poeta da sonetti senza coda, suono il violino, campai talvolta in esiglio copiando discretamente la musica – […] e…insomma quando voglio so rendermi, su più d’uno, maggiore (Guarducci 1860, p. 9).

Ancora ventenne tenta la via del teatro con la commedia Il proscritto di Rimini (Guarducci 1840); nel 1842 per l’apertura del Cisternone, impianto idraulico di raccolta e depurazione delle acque di Livorno, scrive un satirico Dialogo tra Giro e Girella nello stile del Giusti (Guarducci 1889, pp. 93-96). Nel 1843 partecipa alla polemica poetica sui teatri di Livorno, attestata da vari manoscritti oggi alla

Tav 1 Giovanni Guarducci, comandante del battaglione Ferruccio, membro della Commissione governativa e comandante in capo della difesa di Livorno nel 1849, esule in Corsica sino al 1859, garidaldino combattente sul Volturno. Disegno di Pietro Martini, in Pietro Martini, Diario livornese. Ultimi periodi della rivoluzione del 1849, a c. di D. Novacco, Livorno, Amministrazione Comunale, 1961, tra p. 64 e 65

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Tav. 5 Gli occhiali. Scherzo poetico di Giovanni Guarducci, Bastia, Tipogr. di C. Fabiani, 1851. Paris, Bibliothèque Nationale de France, Yd 93, frontespizio.

BLL, pubblicando presso i Fabiani di Bastia le sestine Risposta a dei supposti Statuti, aperte da una premessa nel dialetto livornese della Venezia e stese in giudeo-livornese (tav. 3). Nel 1845 stampa le sestine Gli occhiali, ispirate alla maniera del Guadagnoli e destinate a successive rielaborazioni (tav. 5). Le sue poesie satiriche circolano in strenne come La spigolatrice. Anno II, uscita a Livorno, da Pozzolini, nel 1842 e comprendente anche scritti di Francesco Domenico Guerrazzi e di Ignazio Reynier, un giovane letterato di origine romana che, menomato nell’uso di un braccio, «colla penna e colla parola mantenne sempre vivo lo spirito del popolo livornese all’amore della libertà» (Martini 1961, p. 317). La strenna era curata e presentata da Gian Luigi Tognocchi, il secondo personaggio che ci interessa. Gian Luigi o semplicemente Luigi o Gigi nasce nel 1810, probabilmente a Salviano, paese presso Livorno

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che per le plebi urbane costituiva la più ravvicinata realtà contadina. Vestito l’abito ecclesiastico partecipa alla vita dei circoli culturali livornesi (Bertini 2003, p. 336) e pubblica opuscoli come La promessa tradita: novella storica morale del secolo 13 [di Luigi Alessandro Parravicini], raccontata ai suoi scolari dall’abate Luigi Tognocchi, Livorno, Migliaresi, 1839, e Agnesa. Storia domestica, Livorno, Pozzolini, 1845. Nel 1846 si sarebbe spretato ma già all’età di 16 anni, «la sera del 25 novembre 1826», era stato chiamato a impegni diversi da quelli religiosi: presso il cimitero di Salviano un misterioso cavaliere l’aveva avvicinato dicendogli «che fai neghittoso, la patria ti chiama» e quest’uomo era il medesimo che nel 1850 sarebbe stato costretto a «geme[re] nella stessa prigione» fiorentina delle Murate donde il Tognocchi poté invece uscire per esulare in Corsica (Tognocchi et alii 1850, pp. 7-8). Si trattava evidentemente di Francesco Domenico Guerrazzi, l’avvocato, scrittore e leader politico che nel 1849 ricoprì le cariche di triumviro e dittatore di Toscana, venendo poi imprigionato dal governo granducale, processato per alto tradimento ed esiliato, lui pure in Corsica (1853). Ma torniamo al 1826 e all’incontro tra Guerrazzi e Tognocchi. Era quello il momento nel quale le sette, dalla dimensione segreta e rituale della massoneria e della Carboneria, evolvevano in senso politico-sociale e si aprivano, come fecero i Veri Italiani e la Giovine Italia, agli strati popolari (Della Peruta 1975; Bertini 1985, 2007), sicché i nuovi leader Bini e Guerrazzi si incontravano con capipopolo come Enrico Bartelloni, Marco Mastacchi o i Guarducci nei circoli e nelle bettole, paragonabili per questo alle catacombe dei primi cristiani (Guerrazzi 1865, p. 7). In quest’ambiente dovette cementarsi, tra Guarducci e Guerrazzi, quel legame che tante turbinose vicende non avrebbero infranto, se è vero, come scrive Giovanni nel sonetto A F. D. Guerrazzi, che «Eteocle non siam noi né Polinice [ma] Pilade e Oreste» (Guarducci 1889,

Tav. 4 Un affetto: canto popolare in chiave di sol con accomp. di pianoforte. Poesia di Giovanni Guarducci, musica di Ernesto Mei (Op. 14), Milano, Stabilimento musicale di F. Lucca, s. d., Milano, Biblioteca del Conservatorio di Musica Giuseppe Verdi, A 55, 112.4, frontespizio.

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p. 10). Se già nel Dialogo tra Giro e Girella e ne Gli occhiali il Guarducci aveva rivelato posizioni democratiche, il suo orientamento radicale e anticlericale, ma basato su una forte ispirazione cristiana, emerge nella composizione Il terremoto, suggerita dal sisma che il 14 agosto 1846 colpì le colline pisano-livornesi. Se dopo il terremoto del 1832 i parroci emiliani e il duca di Modena Francesco IV ne avevano addossato la responsabilità ai liberali e ai popoli «vogliosi di cambiamenti e di rivoluzioni» (Della Pina 2004), ora il Guarducci si fa beffe di processioni, di vigliacchi e bacchettoni e invoca lui stesso un divino repulisti [che distrugga] frati e preti, monacacce e gesuiti […], voltagiubbe, moderati che ci hanno rovinati, [ed abbatta] il parlamento ch’è cagion di ogni tormento, perché mai s’approva il bene ma catene, ognor catene (Guarducci 1889, pp. 51-52).

La Livorno democratica e radicale di quegli anni attira da tutta la Toscana combattenti e agitatori, tra i quali Pirro Giacchi, nato probabilmente nel 1821 a Verghereto nella Romagna toscana (biografia in http://www.sanleolinodibucine.it). Frequentando la Facoltà di Legge egli si era legato ai circoli mazziniani fiorentini (Bertini 2003, ad indicem) e spesso si recava anche a Livorno: qui nel 1845 apprese la notizia del martirio dei fratelli Bandiera e su due piedi scrisse la canzone La morte dei fratelli Bandiera, sull’aria della Vaga Clori, «che poi per anni lunghi fu colle solite precauzioni cantata e servì a mantenere gli spiriti patriottici»; la composizione, dedicata alla madre dei martiri («una donna in bruno ammanto/ nova Niobe s’impetrò»), culmina nel loro sacrificio: Ecco i ferri e le ritorte gl’infelici circondar e, ministri della morte, gli archibusi luccicar. Fermo il piè, volto più fermo hanno i martiri del ver, né di benda si fa schermo l’occhio avvezzo a non temer. – Viva Italia! Il nostro sangue è battesmo a libertà: qual rugiada al fior che langue nuova vita apporterà! – (Giacchi 1875, pp. 17-22).

In questo e in molti altri casi il poeta popolare ritesse i suoi versi su un motivo musicale noto. Tra le musiche da lui riusate troviamo il coro dei Lombardi alla prima Crociata, il cui «O signore dal tetto natio» diviene «Vergin bella che al limpido lume», e il coro della Straniera di Bellini Pari all’amor degl’Angeli, volto ora a cantare il tema del maggio («Padre dei campi floridi/ lieto ritorna il maggio;/ tepido piove [fa scendere] il raggio/ il Re dello splendor») e quello dell’incombente crittogama, contro cui si invoca la Madonna nel mese a lei dedicato («Salva la messe tenera/ dalla crudel tempesta;/ rendi all’u-

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sata festa/ la vigna che languì»). In altri casi Giacchi ricorre a canzonette di gran voga come la napoletana Te voglio bene assaie diffusasi attorno al 1839 (D’Ancona 1908, pp. 434-435, che per questo e altri testi dà anche la musica), riprende temi del folclore toscano come la transumanza (Il Montagnolo che va in Maremma) o, sull’aria del Pescatore (Eravi un pescator: Giannini 1938, pp. 83, 103), dedica alla fidanzata di Bartolomeo Sestini Annina, colpita mortalmente da un fulmine, una canzone che sarebbe stata per molto tempo «canta[ta] dal popolo di Firenze sulla chitarra» (Giacchi 1875, passim). La stessa fortuna avranno, anche grazie a stampe di Ducci e Salani, altri suoi testi come la Vita del Lachera, Il Testamento del Lachera e La Plebe. Canzone popolare (Raccolta 1869 e 1879; Giannini 1938, pp. 83, 94). Pure il Guarducci riprende musiche note: in particolare Rondinella pellegrina nel Marco Visconti di Tommaso Grossi, la «canzone dei prigionieri toscani a Theresienstadt» (D’Ancona 1908, p. 453, con musica) divenuta nel 1849, dopo la caduta di Livorno, la Rondinella livornese (Fornaciari 2000, pp. 47-48; inc. Bermani 2011, CD1/4), sarebbe stata riutilizzata dall’esule Guarducci per La Fiducia («Quanto l’esule infelice/ è costante nel dolore/ se appagar non puole il core/ del desir che l’animò»: Guarducci 1850, pp. 22-23). Analogamente Demetrio Ciofi scrive La rondinella dell’emigrato iniziante «Rondinella passeggiera», divulgata da raccolte a stampa (Giannini 1938, pp. 83, 103), e Giuseppe Torelli riprende nel suo Ritorno della Rondinella, pure diffuso su foglio volante (Firenze, s. t. [1859]), le parole iniziali del Grossi per cantare poi la vittoria di Solferino. A partire dall’altra «gentile poesia» O Rondinella, che libere l’ali, stesa dal livornese Enrico Mayer nel 1840 a Castel Sant’Angelo (D’Ancona 1908, pp. 461-463), Enrico Talli scriverà la Rondinella d’Aspromonte e quindi la Rondinella di Mentana (Giannini 1938, pp. 83, 103; inc. Bermani 2011, CD1/11). L’originale intervento di un musicista caratterizza invece Un affetto: canto popolare in chiave di sol con accomp. di pianoforte, poesia di Giovanni Guarducci, musica di Ernesto Mei (Op. 14), Milano, Stabilimento musicale di F. Lucca, s. d. (tav. 4). Tornando al Giacchi, il suo Catechismo al popolo (Firenze 1847, p. 7) testimonia quanto egli seguisse da vicino l’istituzione della Guardia civica a Livorno, con la formazione di nuovi equilibri sociali e una decisa apertura alla componente ebraica. Nel settembre ’47, sull’esempio della pacificazione tra trasteverini e israeliti promossa a Roma dal capopopolo Angelo Brunetti detto Ciceruacchio, un complesso rituale urbano suggella infatti la fratellanza tra cristiani ed ebrei all’insegna degli ideali nazionali e patriottici; la città è attraversata da cortei festanti e le principali cerimonie si svolgono nella chiesa di Sant’Anna in Venezia e nella sinagoga, i due poli dei disordini del 1790 culminati nell’assalto al “ghetto” da parte dei popolani livornesi (Franceschini 2008, pp. 80-91); per la parte ebraica parlano il giovane e colto sensale David Busnach, detto Ciuci, e il giovanissimo rabbino Elia Benamozegh, mentre l’avvocato Luigi Giera, unendo le mani di un israelita e di un cattolico, chiama tutti i presenti a giurare un patto di unione e fratellanza (Bianciardi 1847; Scarpellini 1997, pp. 35-36). Le tensioni crescono nello scorcio del ’47 e la notte del 9 gennaio ’48 Guerrazzi, Mastacchi e altri democratici sono arrestati e tradotti a Portoferraio, mentre altri capi del movimento riescono a fuggire. La preparazione del processo a Guerrazzi e compagni crea nuove tensioni, ma nel marzo giungono da Vienna, Venezia e Milano le notizie di moti rivoluzionari; si ricompongono allora i rapporti tra liberali, democratici e rivoluzionari, si procede alla liberazione del Guerrazzi e lo stesso granduca Leopoldo II, il 21 marzo, chiama i volontari alle armi, come scrive con retrospettiva amarezza Guarducci nella sua Litania del 1848: il Lorenese,/ più austriaco di tutti,/ (fatto incredibile!)/ calpestate le imperiali divise/ in faccia ai deputati/ di tutte le province toscane/ si abbiglia alla liberale;/ armi, munizioni e capitani/ concede;/ quanti vogliono invia/ alla guerra contro lo zio;/ promette/ ai morti in battaglia/ marmoreo monumento,/ ai sorvissuti/ segno di onorata ricordanza/ dona./ Egli mentiva (Guarducci 1889, pp. 104-106).

I volontari livornesi formano allora due battaglioni di circa 600 uomini ciascuno con ufficiali sia borghesi che popolari, tra cui Giovanni Guarducci (mentre suo fratello Enrico è sergente: Martini 1961, pp. 297-299), e muovono verso la Lombardia dove il 29 maggio si svolge la battaglia di Montanara; i Guarducci cadono prigionieri e sono inviati nella prigione austriaca di Theresienstadt, presso i con-

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fini della Boemia, come testimoniano i Versi sciolti di Giovanni Guarducci scritti nella sua prigionia a Theresienstadt dedicati ai suoi compagni di sventura, poi editi in opuscolo. Nella fase finale della guerra e dopo la sconfitta di Custoza, i democratici livornesi formano un Circolo nazionale e vari circoli parrocchiali e lo stesso Giovanni Guarducci, una volta rientrato nell’ottobre 1848, diviene presidente del circolo di San Benedetto (Bertini 2003, pp. 508-509). Di fronte al carattere rivoluzionario della situazione livornese, il governo fiorentino invia a Livorno, come commissario straordinario, il corso-livornese Leonetto Cipriani, già combattente coi volontari toscani a Curtatone e a Goito, che sceglie la via della repressione suscitando una reazione armata e venendo costretto alla fuga (4 settembre ’48). Viene nominato governatore di Livorno il fucecchiese (ma di madre livornese) Giuseppe Montanelli, professore nell’Ateneo pisano e combattente di Curtatone che, presentandosi l’8 ottobre al popolo con la divisa di capitano della Guardia universitaria, lancia il progetto di una Costituente italiana nella prospettiva dell’indipendenza nazionale. Le crescenti tensioni portano alle dimissioni del governo toscano presieduto dal Capponi e alla formazione, il 27 ottobre, di un governo guidato non dall’aristocrazia di Firenze ma da intellettuali democratici di varia provenienza quali lo stesso Montanelli presidente e ministro degli esteri, i livornesi Guerrazzi agli interni e Adami alle finanze, il pratese Giuseppe Mazzoni alla giustizia, il pistoiese Francesco Franchini all’istruzione e il profugo dal Regno delle Due Sicilie Mariano d’Ayala al ministero della guerra. Nel programma di governo l’idea della Costituente compare ma attenuata, a causa dello scetticismo di Guerrazzi; d’altra parte Livorno, infiammato anche dal passaggio di Garibaldi (24-26 ottobre), accentua la sua immagine di «Capitale della libertà» con la nomina a governatore, il 7 novembre 1848, del mazziniano aretino Carlo Pigli, già professore all’Università di Pisa, che in un acclamato discorso proclama appunto Livorno non è la capitale dell’Italia, è però la capitale della Libertà; finora i prìncipi, i nobili, i ricchi hanno passeggiato sulle nostre teste; è tempo adesso che noi passeggiamo sulla loro polvere (Scarpellini 1997, pp. 122123).

In questo clima nella segreteria di governo di Livorno viene inserito anche Pirro Giacchi (Michel 1938, pp. 251 n. 15), che alimenta coi suoi versi l’entusiasmo popolare. Lo stesso fa un altro avvocato, rimatore e improvvisatore già ricordato, Demetrio Ciofi. Nato probabilmente a Firenze a cavallo tra gli anni ’10 e ’20, studia diritto all’Università di Pisa e vi si laurea nel 1840: in quegli anni scrive, come avrebbe fatto più tardi lo stesso Carducci (Franceschini 1989, pp. 108-111), composizioni per le feste patronali dei paesi pisani, quali l’ode leggibile nella Raccolta di versi per la festa di Santa Ubaldesca celebrata in Calcinaia (Pisa, Nistri, 1838). Divenuto procuratore legale, «non tralasciò mai di pubblicare prose garbate e versi da colascione, ch’egli era prontissimo nell’improvvisare» e che accrescono il suo prestigio e il suo ruolo nel movimento democratico, come mostra quest’Improvviso del febbraio ’49, non a caso assonante con le ardenti frasi del Pigli: Non gli schiavi s’uccidan tra loro, non uccida il tiranno lo schiavo ma lo schiavo trafigga il tiranno sì che più non si trovin corone, empio simbolo d’odio e d’inganno (Martini ed. 1918, pp. 210-211 n. 2).

Appunto col ’49 in Toscana e in altri stati italiani il movimento rivoluzionario sale all’acme. A Roma – dopo la fuga di Pio IX e la convocazione dell’Assemblea Costituente – il 9 febbraio viene proclamata la Repubblica. In Toscana il 22 gennaio si vara, con decreto granducale e dunque col consenso più o meno convinto di Leopoldo II, un progetto per l’elezione di trentasette deputati toscani alla futura Costituente italiana. In questa prospettiva il 28 gennaio il Comitato elettorale, emanazione del Circolo nazionale e dei circoli parrocchiali di Livorno,

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sulla proposta del suo Presidente De Benedetti e del benemerito maggiore Gio. Guarducci dichiarava, con fragorosi applausi del popolo che vi assisteva, soli candidati alla deputazione della Costituente Italiana per Livorno Giuseppe Mazzini e Giovanni La Cecilia («Il Corriere Livornese», 29 gennaio 1849).

Questo episodio indica sia il prestigio che circondava il Guarducci, combattente, prigioniero e reduce, sia il ruolo assunto da Salvatore De Benedetti, un giovane ebreo nato a Novara nel 1818, diplomato al Collegio Foà di Vercelli e giunto a Livorno nel ’44 come sovrintendente delle Pie Scuole Israelitiche (Di Porto 1984, pp. 842-846); accanto a lui un altro giovane intellettuale israelita, Mario Consigli, già autore di articoli giacobineggianti, cura una precoce raccolta di Prose politiche di Mazzini (Firenze 1848) e dà alle stampe un opuscolo sulla vita di lui, destinato dal «voto di molti Italiani a sedere fra i rappresentanti della Nazione nella Roma del Popolo» (Consigli 1849, p. 9 n. 1). Lo stesso Mazzini, partito da Marsiglia, approda a Livorno l’8 febbraio, viene festosamente accolto e dal palazzo del Governo annunzia al popolo la fuga da Firenze del granduca e della granduchessa Maria Antonia di Borbone, salutata dai livornesi con «canzoncine» come Dall’uscio alla finestra Maria Antonietta vai e la puttana fai con chi ti pare a te. Bargagliotti, Leopoldaccio, larì-larà, crudele se mi volevi bene [aliter se ci volevi bene] non mi tradivi accusì [aliter non ci lasciavi accussì] (Galletti 1896, p. 23; D’Ancona 1908, p. 450; Fornaciari 2000, p. 46, con musica. e inc. Fornaciari 1999/7).

Mentre si forma il “triumvirato” Montanelli-Guerrazzi-Mazzoni il leader genovese, sollecitando l’unificazione della Toscana con Roma, pone già il problema della difesa di Livorno da attacchi austriaci: Curate la difesa: presto o tardi ne avrete bisogno. Io ho insistito perché, in caso di assalto, il Governo ordinasse per ogni città e comune armato […] un sistema di barricate a punta […]. Dalla durata della resistenza [di Livorno] dipenderà l’insurrezione lombarda e le altre (Lettera a Carlo Notary, 2 marzo 1849, in Mazzini 1923, Epistolario, vol. XX, pp. 378-379).

In tale prospettiva i livornesi – che nella notte tra il 18 e il 19 febbraio avevano proclamato «la repubblica democratica di Livorno» e innalzato l’albero della libertà che secondo i loro canti non anderà mai giù (Bertini 2003, pp. 574-575, e vedi oltre) – formano una forza volontaria armata che avrebbe raggiunto le 900 unità, organizzata in due battaglioni sotto la guida dei maggiori Antonio Petracchi (battaglione Giovanni dalle Bande Nere) e Giovanni Guarducci (battaglione Ferruccio), cui si aggiunge poi un battaglione Cosimo Del Fante. Tramontata per le resistenze del Guerrazzi l’idea della Costituente italiana, si forma un’Assemblea costituente toscana e nelle votazioni del 12 marzo a Livorno sono eletti Guerrazzi, Montanelli, De Benedetti e Pigli. In quei giorni i circoli democratici danno vita a un altro momento simbolicamente forte: A dì 16 marzo. È arrivato da Roma e Civitavecchia il famoso Tribuno del popolo romano Angelo Brunetti detto Ciceruacchio, carrettiere e rivenditore di fieni […]. A mezzogiorno gli è stata fatta una dimostrazione di onore sotto il Palazzo del Governatore. Ciceruacchio si è affacciato dal terrazzo ed in dialetto romano ha detto poche e rozze parole sulla unione della Toscana con Roma. Dopo di lui un suo compagno ha letto un foglio nel quale si è esortato il popolo all’unione (Scarpellini 1997, p. 167).

Ciceruacchio, che avrebbe poi partecipato alla difesa di Roma contro i francesi e sarebbe accorso verso Venezia, trovando la morte sotto il piombo austriaco a Porto Tolle, ha molti tratti in comune con i

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capipopolo livornesi Petracchi, Bartelloni (pure fucilato dagli austriaci) e Guarducci, al quale l’unisce oltre all’impegno politico e militare il rapporto col dialetto, usato dal Brunetti nella comunicazione politica e dal suo compagno di lotte Giuseppe Benai in varie composizioni, dall’Omaggio poetico a Pio IX nel 1847 («Il Messaggero», 10 novembre 1930) alle Sestine in dialetto romanesco, in occasione del XXII anniversario del primo fatto d’armi e della formazione in Legione dei Cacciatori del Tevere in Orvieto (Roma, L. Cecchini, 1882). Di fronte agli eventi romani e toscani Carlo Alberto entra di nuovo in guerra con l’Austria, ma viene sconfitto a Novara. L’Assemblea costituente toscana affida allora pieni poteri al Guerrazzi (28 marzo ’49), che per quindici giorni esercita il ruolo di dittatore, cercando di porsi come garante dell’ordine di fronte ai moderati toscani e alle potenze italiane ed europee. D’altra parte il suo principale sostegno è costituito da Livorno e dai battaglioni livornesi, che l’8 aprile partono al canto di Addio mia bella, addio e muovono verso il pistoiese e quindi verso Firenze, ove si accasermano a S. Spirito e alla Fortezza da Basso (Martini 1961, pp. 47-55). Nella capitale si apre allora un aspro contrasto tra popolazione e volontari livornesi, culminato l’11 aprile in un sanguinoso scontro e nella cacciata dei “pretoriani” del Guerrazzi. Oltre alle armi si incrociano opposti canti popolari (Martini 1961, pp. 55-57), come da un lato: Noi semo livornesi veri ripubbriàni, lo sa anch’er Cipriani se noi si sa pugnar! E se trionfa la tirolese [ aliter E tu trionfa, prode ungherese] l’albero livornese non anderà mai giù! (Galletti 1896, p. 15 n. 1 e inc. Bermani 2011, CD1/2; variante in D’Ancona 1908, p. 449)

e dall’altro: Morte al Guerrazzi, ne siamo sazi non si vuol più!

Dopo la formazione di una Commissione provvisoria di governo con Capponi, Ricasoli, Serristori, Torrigiani e Capoquadri, il ripristino del potere granducale e l’arresto del Guerrazzi (12 aprile 1849), i beceri fiorentini possono cantare: Tutto il mondo fa allegria, non c’è più da far la spia, il capo tiranno è in prigionia; quel tiranno disgraziato con Livorno avea tentato fosse Firenze saccheggiato (Martini ed. 1918, p. 401; cfr. D’Ancona 1908, pp. 451-452 e inc. Fornaciari 1999/8 per Diceva un codino).

Intanto Guarducci e Petracchi coi loro battaglioni iniziano una marcia di ripiegamento verso Livorno; il 14 aprile sono a Pistoia e il 18 giungono nelle campagne pisane ma vengono accerchiati da «le bande dei villani armati, le truppe regolari, la guardia civica delle campagne, i cacciatori a cavallo comandati dal cav. Manetti di Navacchio»; mentre il Petracchi è catturato, il Guarducci, bloccato a Colignola, pur di poter rientrare a Livorno coi suoi uomini accetta di consegnare le armi (Martini 1961, pp. 9091). Quando il 19 arriva in città, dove nel frattempo era stato nominato membro della Commissione di governo repubblicana, la situazione è caotica. Di fronte a una piazza colma di folla i commissari,

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compreso Gianni, si affacciano dal Palazzo comunale e sono accolti da urla, fischi e imprecazioni. Il Guarducci ricorda allora di aver attraversato «un’infinità di rovesci, di disastri, di patimenti inauditi sofferti per la patria e per la libertà», si assume tutte le responsabilità davanti al popolo sovrano e unico giudice e offre ad esso la sua spada e la sua persona, ricevendo come collettiva risposta «No, no, no; si rimetta al fianco la sciabola; viva il maggiore Guarducci! Viva il soldato della libertà! Viva il soldato del popolo» (Martini 1961 pp. 98-99). Ormai Livorno è sola e, imprigionati Guerrazzi, Petracchi e altri, la responsabilità della difesa ricade sulle spalle del Guarducci. Il 28 aprile si sparano le prime fucilate: alcune compagnie di fanti granducali, detti bianchini dal colore della divisa, e di cacciatori volontari, detti invece carciofi per la divisa verde, si avvicinano agli avamposti livornesi ma sono accolti a colpi di cannone e si ritirano (Martini 1961, pp. 144-146): l’episodio è accompagnato ancora una volta da un canto popolare, probabilmente sull’aria di Io vorrei che sulla luna già diventato Io vorrei che a Metternicche (D’Ancona 1908, pp. 439, 442-443, con musica; Fornaciari 2000, p. 43, e inc. Fornaciari 1999/6): I’ vo fare una frittata di sparagi e carciofi! O Dio che brutti cosi, li vogliamo fucilar (Galletti 1896, p. 15).

Il 29 aprile le truppe granducali occupano il ponte del Calambrone e dagli avamposti livornesi si risponde con un fuoco nutrito (Martini 1961, pp. 146-147); il 1° maggio si riorganizzano le difese e si forma un comando militare con a capo «il maggiore Guarducci, eleva[to] al grado di tenente colonnello» (Scarpellini 1997, p. 193). Nei giorni successivi, su richiesta delle rappresentanze straniere e dei ceti commerciali, si allenta il divieto di uscire dalla città e inizia così l’esodo degli incerti e di «tanti eroi della lingua e della penna i quali, dopo aver acceso il fuoco, se la battevano per paura del fumo» (Martini 1961, pp. 149-157); in compenso il 6 maggio sarebbero arrivati da Bastia il colonnello Luigi Ghilardi, un lucchese che aveva combattuto in Spagna e in Lombardia, e il capitano Serre con alcuni ufficiali francesi. Tra volontari livornesi e profughi da altre città toscane e italiane i difensori raggiungono le 1800 unità circa (Bertini 2003, p. 632), ma contro di loro si muove la potenza dell’Austria. Il 5 maggio, sotto la guida del feld-maresciallo Costantino d’Aspre, già avversario dei volontari toscani a Curtatone e Montanara, un corpo di spedizione di circa 10.000 fanti e 2.000 cavalleggeri, con un centinaio di pezzi d’artiglieria e reparti di genio, entra in Toscana, giunge in serata a Lucca e il 6 raggiunge Pisa. Di fronte alle defezioni e alle incertezze i radicali di Livorno rilanciano la parola d’ordine meglio la morte che arrendersi e s’intonano baldanzosi canti come il seguente, sulla stessa metrica di O giovani ardenti ((D’Ancona 1908, pp. 445-446, con musica; Fornaciari 2000, pp. 41-43, e inc. Fornaciari 1999, CD/3): Coraggio fratelli siam giovani e freschi se viene i tedeschi paura non s’ha. Se viene i tedeschi quaggiù per l’Italia per loro la bara si preparerà! (Martini 1961, p. 161; Galletti 1896, p. 15).

Il 10 maggio comincia l’attacco austriaco. Nonostante sbandamenti e incertezze cui cercano di porre rimedio i comandanti Guarducci e Ghilardi, la difesa tiene e per tre volte l’esercito attaccante è costretto ad arretrare (Bertini 2003, pp. 631-632). La giornata si conclude con una vittoria morale, ma anche

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con la consapevolezza dell’inevitabile caduta di Livorno. Anche Ghilardi, Serre e gli ufficiali francesi decidono di abbandonare la città; restano il «bravo Gianni Guarducci […] capo supremo e ultimo della difesa» (Martini 1961, p. 251) e alcuni membri della commissione governativa, col profugo di Modena Giuseppe Piva e i suoi Bersaglieri modenesi, i capitani Enrico Bartelloni e Andrea Sgarallino e ufficiali e sottufficiali quali Enrico Guarducci, Marino Giurovich, Giovanni Pagano, Sabino Toccafondi e il giovane tenente ebreo Giacomo Eminente. L’attacco finale è sferrato dagli austriaci la mattina dell’11 maggio: l’artiglieria apre fra porta Fiorentina e porta S. Marco due breccie che, allargate dal genio, consentono l’ingresso delle colonne di fanteria; la loro avanzata è contrastata dal fuoco di moschetteria, dai bersaglieri che sparano dall’alto delle mura e da forti e numerose barricate che intersecano le strade ma, data la preponderanza delle forze austriache la città viene presa e molte decine di insorti, tra cui Enrico Bartelloni, sono catturati e fucilati (Martini 1961, pp. 248-249). 3. La scelta di resistere e la buona organizzazione della difesa tuttavia tennero alto l’onore dei democratici livornesi e italiani, che la propaganda codina rappresentava come briganti e sbandati, e permisero anzi al grosso dei difensori di mettersi in salvo, ritirandosi in piccoli gruppi verso il molo e imbarcandosi su vari battelli diretti in Corsica. Il Guarducci fu ospitato per qualche giorno dal consolato degli Stati Uniti in un alloggio sicuro e imbarcato poi su una fregata sicché, «in grazia del generoso console americano signor Giuseppe Binda e per merito e gloria della potente bandiera, scampò da morte […] ed esulò in Bastia» (Martini 1961, pp. 251-252). Anche Pirro Giacchi, leggermente ferito nella difesa di Livorno, sarebbe stato accolto in una casa amica per poi fuggire per mare travestito da marinaio (biografia in http://www.sanleolinodibucine.it, divergente però per il prosieguo da quanto detto qui sotto). Nel 1847 gli esuli italiani in Corsica erano solo cinque ma due anni dopo, e nell’arco di pochi giorni, raggiunsero quasi le mille unità, formando una vera e propria comunità con connotazione prevalentemente livornese (Cini 2009, pp. 157-159). Questa concentrazione di radicali mpensieriva le ripristinate autorità toscane, che temevano potessero «tenter un débarquement sur les côtes de Toscane» (Michel 1938, p. 251 n. 13). In realtà i profughi avevano anzitutto bisogno d’aiuto, per cui a Bastia si avviarono sottoscrizioni e iniziative in loro favore promosse da un Comitato comprendente il maire di Bastia Orazio Carbuccia, intellettuali, medici, possidenti e anche militari francesi. Di fronte a tanta solidarietà già il 15 maggio veniva redatto, forse da Giacchi o da Reynier, il manifesto bilingue Gli emigrati italiani ai cittadini corsi/ Les refugiés italiens aux habitants de la Corse, stampato dalla Tipografia Savelli di Bastia, nel quale si denunciava «che Livorno è caduta in balìa di un vincitore rapace e crudele, il quale saccheggia i templi e le case, passa per le armi i prigionieri, scanna i feriti e trafigge i bambini nel grembo delle madri», si ringraziavano i còrsi per l’ospitalità e il sostegno e si concludeva esclamando «Amore ai Corsi fratelli. Rispetto alle leggi di Francia. Anima e braccia alla Repubblica» (Michel 1938, pp. 252-253). Le collette e le iniziative di solidarietà continuarono nel mese di giugno e in questo quadro si distinse la famiglia Colonna, cui il Guarducci avrebbe rivolto il componimento In morte di un bambino figlio de’ signori Colonna in Bastia (Guarducci 1889, p. 44). Gli stessi esuli per raccogliere fondi organizzavano iniziative di ogni genere: in particolare Pirro Giacchi e Demetrio Ciofi dettero, a beneficio dei compagni indigenti, varie accademie di poesia estemporanea al teatro di Bastia e proprio durante una di queste, ai primi di luglio, giunse la drammatica notizia dell’ingresso in Roma repubblicana dei francesi, accolta da versi improvvisi tesi a rinsaldare gli animi per nuove lotte (Michel 1938, pp. 256-257). Col passare delle settimane però la condizione degli esuli si faceva sempre più pesante: i popolani livornesi – falegnami, ebanisti, carpentieri, meccanici, calafati, scaricatori, barchettaioli – non trovavano impiego nell’isola e dovevano arrangiarsi con lavori occasionali. Il Guarducci invece mise a frutto la sua esperienza di sensale e – come scriveva il 30 luglio il console toscano in Bastia Giacinto Cecconi – avviò «cose di traffico, facendo venire qua uova, butirro, tonno ed esportando limoni per Livorno» (Michel 1938 pp. 261), sì da poter far fronte coi ricavi ai bisogni suoi, di suo fratello Enrico e di altri compagni. L’attività degli esuli non si limitava comunque a fronteggiare i problemi quotidiani di vita: essendo

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Tav. 2 [Luigi Duclou], La Betulia liberata in dialetto ebraico, con una protesta in gergo veneziano. Scherzo poetico che l’autore dedica ai suoi amici, Bastia, Tipografia Fabiani, 1832. Livorno, Biblioteca Labronica, Stefanini 04 misc. S.0168 306315, frontespizio.

impraticabili quei disegni di rivincita paventati in Toscana, essi si rivolsero a difendere il valore della resistenza livornese, a denunciare il comportamento delle autorità toscane e austriache e a riaffermare i propri ideali nella prospettiva di nuovi moti di liberazione. Già da tempo editori come i Fabiani di Bastia lavoravano per il mercato italiano e pubblicavano, al pari delle tipografie di Lugano e Capolago oltre il confine lombardo-svizzero, libri proibiti o a rischio di censura nella penisola (Thiers-Cini 1998; Cini 2009b). Così, grazie anche a uno stretto rapporto con gli stampatori livornesi Vignozzi, Masi e Pozzolini, Bastia era divenuta sede editoriale privilegiata per le opere dei patrioti, poi introdotte in Toscana con la connivenza di comandanti ed equipaggi dei battelli in servizio tra Bastia e Livorno. Con la Toscana nella stretta del nuovo governo di Serristori e Livorno occupata dagli austriaci, i torchi dei Fabiani e dell’altra tipografia bastiaccia Savelli divennero gli strumenti fondamentali per far giungere in continente le posizioni della resistenza. Alle pubbliche concioni e ai comandi militari si sostituiscono dunque le prose e i versi, in un frenetico susseguirsi di iniziative rispondenti a bisogni di comunicazione politica, ma anche di tenuta psicologica dei singoli e di coesione del gruppo. Per primo il colonnello Ghilardi pubblica presso Savelli, il 18 maggio 1849, l’indirizzo Ai suoi compatrioti toscani, in cui critica la borghesia per lo scarso so-

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Tav. 6 Vincenzo Cuneo, Al Signor Pirro Giacchi e agli emigrati italiani, Bastia, Tipografia Savelli, 6 ottobre 1849, in Ersilio Michel, Esuli italiani in Corsica (1815-1861), Cappelli Editore, Bologna, 1938, tra p. 256 e p. 257.

stegno agli insorti livornesi, accusa Serristori di aver spinto gli austriaci contro Livorno per favorire altre città toscane, ringrazia calorosamente i còrsi e augura un futuro comune ai democratici d’Italia e di Francia confidando nella nuova repubblica di Luigi Napoleone (Ghilardi 1849, p. 18). Il 21 maggio è la volta di Guarducci che col Reynier, già suo aiutante di campo, pubblica da Savelli una lettera polemica all’indirizzo del Sig. Serristori (Cini 2009b, p. 228). Il 18 giugno, sempre da Savelli, esce Gli ultimi fatti di Livorno narrati dal capitano Ignazio Reynier, in cui si ricordano i meriti del Guarducci e si sviluppa un’ equilibrata critica sull’operato del Guerrazzi. Il 20 giugno Pirro Giacchi pubblica La prima settimana di un refugiato dedicato al maire di Bastia Orazio Carbuccia, con un’esaltazione del ruolo antiasburgico della Francia, un’aspra critica al Guerrazzi (pp. 5-8) e soprattutto, per quel che c’interessa, l’Improvviso con intercalare dedicato a La caduta di Livorno: Siam raminghi Livornesi, siamo profughi infelici

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ma terribili ai nemici della nostra libertà. Noi pugnammo un contro mille, vinti sì, ma senza scorno: la caduta di Livorno tutta Italia onorerà. […] Se alla patria vittoriosi alla fin farem ritorno, la caduta di Livorno tutta Italia onorerà (Giacchi 1849, pp. 14-15).

I nostri patrioti e poeti però non pubblicano solo prose e poesie politiche, se è vero che un’edizione delle poesie del Guarducci «in gergo ebraico vide la luce in Bastia nel 1849 […]. Erano soltanto ventiquattro paginette» (Toaff 1970, p. 458). L’opuscolo corrisponde, per contenuto e numero di pagine, a Leon Cesana, Bastia, s. n., 1853, contenente le sestine in giudeo-livornese Pensieri e mosse d’un Eroe della Nazione e Un passo abanti della Nazione. Sfogo di Coso, e a Leon Cesana e un passo avanti della Nazione. Scherzi poetici in Dialetto ebraico, Bastia, s. d., con l’indicazione probabilmente fittizia Tipografia Grilli e Cavalletti (Polese 1926, pp. 120, 123). Siamo in quel campo della letteratura bagitta che, in epoca preunitaria, ebbe a Bastia la sede editoriale privilegiata se non, addirittura, unica. La prima composizione del genere a noi nota è infatti La Betulia liberata in dialetto ebraico, con una protesta in gergo veneziano. Scherzo poetico che l’autore dedica ai suoi amici, Bastia, Tipografia Fabiani, 1832 (tav. 2), che si deve a Luigi Duclou, insegnante di francese a Livorno, e offre la prima attestazione dell’etnico e glottonimo bagitto per ‘giudeo-livornese’ (st. 54: «io son bagitta[...]/ vedoba sono e mi nomo Giuditta»). A tale composizione si era ispirato Guarducci nella sua prima composizione bagitta pure stampata, come detto, a Bastia, Fabiani, 1843, ossia la Risposta a dei supposti Statuti. Sestine. Scherzo che l’Autore dedica a’ suoi amici, Samaria, anni del mondo 5847 (tav. 3). Rinviando per un’analisi dettagliata a Franceschini 2011, basti dire che – mentre in questa Risposta e quindi nelle sestine Un passo abanti della Nazione Guarducci satireggia il crescente protagonismo di borghesi e intellettuali ebrei nella vita teatrale e culturale di Livorno – in Pensieri e mosse d’un Eroe della Nazione mette alla berlina gli israeliti impegnati nei circoli buonarrotiani, nella Giovine Italia e quindi nelle lotte degli anni ’40. L’“eroico” giovane Leone Cesana, vestiti i panni e le armi del volontario, si commiata dalla mamma in una scena degna di Induno o di Cabianca, chiama la popolazione del ghetto alle armi e proclama «Abbiamo in bista una riboluzione!» (st. 2-3): 5. E –All’armi, all’armi, una riboluzione! – i capi grideran della congiura. Si desteran Rascà, Elia, Citone Pacifico, Levì, Bonaventura, Passatutti, Fonseca, Spizzichino, Della Torre, Trionfo e Romanino. 6. Montefiore, Farfara, Sanguinetti, Villareale, Teglia, Montalcino, Aboderam, Guttierrez, Franchetti, Coen, Bocca di Gloria, Beniamino, Piperno il risoluto e Nunesvai, Corcos, il Babbuino e Mordocai. […] 10. Per la comica poi c’è Benedetti

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che bince a tutti, e come si è primo uomo! È foeta Consigli, e tra sonetti, odi, inni e canzoni stampa un tomo; poi se il censore non lo sdegna e tedia, butterà fuori presto una tragedia.

Si trovano qui, indicati con nome e/o cognome, gli ebrei buonarrotiani e spesso anche massoni affiliati alla famiglia dei Veri Italiani aperta a Livorno nel 1833 (Di Porto 1984, p. 825; Conti 2006 ad indicem), insieme con Aboderam ossia Emanuele Abudarham, già segnalato in rapporti di polizia nel 1841, maggiore della Guardia Civica nel 1847 e combattente nel ’48-’49 (Bertini 2003, pp. 195, 448); Abramo Montalcino, pure sceso sui campi di Lombardia nel ’48; Teglia ossia Raffaele Elia Teglio, accorso con Garibaldi alla difesa di Roma repubblicana; Piperno il risoluto, ossia al rabbino capo di Livorno Abramo Benedetto Piperno, autore nel 1847 di un inno patriottico (Di Porto 1984, p. 844), A essi si affiancano i già ricordati Salvatore De Benedetti, accusato di voler primeggiare in tutti i campi, e Mario Consigli, autore anche della tragedia Isabella Orsini e di molte poesie (Consigli 1847), entrambi impegnati su posizioni mazziniane contrastanti con quelle guerrazziane cui Guarducci aderiva. A queste personalità di rilievo, anche per la prospettiva dell’emancipazione ebraica, sono mescolate, per ottenere un effetto di comico degrado, figure marginali del mondo ebraico tradizionale e specialmente pasticcieri e droghieri di larga notorietà (Franceschini 2007a, pp. 131-133) quali Bocca di Gloria (st. 6.4), Romanino (st. 5.6), Corcòs (6.6 e vedi Un passo abanti della Nazione, st. 9). Completano la trasformazione della scelta schiera di patrioti in quella che oggi chiameremmo un’armata Brancaleone […] Errera il forte, arcifamoso nella nobil arte di cucinar la seppia dolce e forte; Ergas, levente [abile e truffaldino] giocator di carte, e il figlio di Bacrì…- Chi?- Salomone, che si mangia sei obi in un boccone! (st. 7).

II componimento, che si conclude con un gran pattone ossia una plateale caduta del nostro eroe che aveva immaginato tutto questo in sogno (st. 27 e ultima), contiene al proprio interno un elemento di datazione, giacché parla di «una ribolta nel quarantre» (st.4.1); una serie di altri riferimenti, e in particolare quelli a De Benedetti e Consigli portano però verso il ’47-’48. In ogni caso è notevole che il Guarducci abbia ripetutamente pubblicato queste composizioni nell’esilio còrso, quasi che il riproporre al pubblico e a sé stesso quelle vicende di lotte comuni e rivalità intestine riempisse di ricordi vitali il vuoto di azione dell’esilio.Non si deve d’altronde sottacere il risvolto materiale di tale attività editoriale, dato che appena queste stampe arrivavano a Livorno, l’edizione andava esaurita, e non per il suo intrinseco pregio: gli ebrei livornesi […], visto di che cosa trattava, avevano comprato in blocco tutta la edizione per distruggerla […]. Si trattava di un affare assicurato, in quanto si sapeva benissimo che gli ebrei non avrebbero lasciato vendere quel libretto che li metteva in ridicolo davanti ai loro concittadini e avrebbero sempre comprato tutto il blocco (Toaff 1970, p. 458; analogamente Polese 1926, p. 118).

Da questo successo sicuro ma deleterio per le stampe stesse, oggi effettivamente rare se non introvabili, si traevano dunque benefici economici che Guarducci utilizzava per i bisogni suoi e dei compagni. Le condizioni degli emigrati toscani infatti andavano via via peggiorando e crescevano le pressioni sul console toscano Cecconi perché concedesse il rimpatrio o qualche sussidio ai più bisognosi. In un primo tempo il Ministro toscano dell’Interno autorizzò il Cecconi a rilasciare il passaporto solo a chi lasciasse la Corsica per luoghi distanti dalla Toscana, come avrebbero fatto Giuseppe Ravenna e

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Tav. 7 Il bandito tempiese ossia le conseguenze di un omicidio involontario: dramma in 5 atti di Giovanni Guarducci, Sassari, Tip. ved. Ciceri, 1857, cm. 19, pp. 86. Sassari, Biblioteca Universitaria di Sassari, Misc. Sarda- E 263, frontespizio.

Temistocle Pergola, passati a Costantinopoli, e i fratelli Jacopo e Andrea Sgarallino, che mossero il 3 agosto ’49 verso Marsiglia e quindi verso altre mete (Michel 1938, pp. 266-267). Altri esuli ottennero di passare nel Regno di Sardegna: una cinquantina di essi giunse a Genova il 5 ottobre, e tra questi anche «i consaputi avvocati Ciofi e Giacchi», come li chiama il console Cecconi che li aveva tenuti sotto vigilanza (Michel 1938, pp. 271 e 273). In procinto di partire Giacchi, il 4 ottobre 1849, pubblica da Savelli di Bastia uno scritto dedicato Al Signor Colonnello Giovanni Guarducci (Cini 2009b, p. 229), mentre il 6 ottobre viene stampato dallo stesso editore un indirizzo Al Signor Pirro Giacchi ed agli emigrati italiani a firma di Vincenzo Cuneo (tav. 6), che ringrazia gli esuli per la loro correttezza e sottolinea il beneficio da loro apportato alla vita dell’isola. Ma anche quelli che restano si fanno sentire: il 23 ottobre Guarducci pubblica un indirizzo Al cittadino Maggiore Giuseppe Piva, per elogiare i combattenti modenesi, e il Piva ricambia con una risposta Al cittadino Colonnello Giovanni Guarducci, datata Bastia 30 ottobre 1849, in cui esalta la modestia e le virtù del commilitone (testi in BNF). Il 21 novembre ’49 infine il granduca concede un’ampia amnistia grazie alla quale torna in patria gran parte degli esuli livornesi, compreso Enrico Guarducci che s’imbarcherà a Bastia il 12 dicembre (Michel 1938, pp. 274-276). Il 29 novembre compare da Savelli, a firma Gli emigrati livornesi, l’indirizzo Noi ti abbandoniamo, Isola fortunata (Cini 2009b, p. 229), mentre un analogo sonetto iniziante «Addio lidi ospitali» rivolgono Ai Cittadini di Bastia alcuni profughi italiani nell’atto di lasciare la Corsica (Michel 1938, pp. 264/265). Dall’amnistia sono però esclusi nemici capitali del granduca quali l’ex ministro guerrazziano Marmocchi e, tra i difensori di Livorno, Marino Giurovich, Reynier, Piva

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e Gianni Guarducci, che si rivolge al fratello in partenza per raccomandargli moglie e figli, esortarlo a educare questi ultimi «allo amor della patria,/ della vera religione» e invitarlo, «nella ora che il sole tramonta/ sovra lo scoglio ove giovinetti scherzavamo», a consacragli «un vale, un sospiro» (A mio fratello: Guarducci 1889, p. 107). Nel 1850 possono rientrare in Toscana altri profughi, come Francesco Agostini di Pisa, Gerolamo Gorretti di Lucca, Egisto Gonnelli di Firenze, Angiolo Rossetti di Livorno (Michel 1938, pp. 281-282). A confortare chi resta, in dure condizioni e senza un futuro, e a rinsaldare i legami di un gruppo ormai sparuto di cui il Guarducci era capo riconosciuto, giungono ancora una volta la scrittura e la poesia. Gianluigi Tognocchi, compagno di lotta e di esilio del Guarducci, promuove presso Savelli di Bastia una raccolta di testi degli emigrati intitolata Nostalgia, o il Male del paese. Il volume si apre con scritti dello stesso Tognocchi (pp. 7-14) e cioè una prosa iniziale datata 15 settembre 1850 e imperniata sul ricordo del suo incontro giovanile con Guerrazzi, una prosa su L’Italia del 1850 e un’ode A Bartelloni tesa a tener viva la memoria del martire livornese. Segue la sezione di testi del Guarducci comprendente «alcune poesie nate tra gli sgomenti della prigionia e l’isolamento dell’esilio» quali Una litania sui fatti del ’48 (p. 15), i Versi sciolti sulla prigionia a Theresienstadt (pp. 30-32), l’addio A mio fratello sul punto di lasciare la Corsica (p. 33) e quello All’amico Angelo il 15 settembre 1850, giorno della sua partenza da Bastia, ove l’autore ricorda le proprie benemerenze patriottiche, lamenta «che sia l’amor di patria/ sacrilego delitto/ e dia campo a’ carnefici/ proscriver chi l’amò» e raccomanda al «fortunato Angelo», probabilmente il summenzionato Rossetti, di pensare anche alla famiglia e alla memoria di chi restava (p. 33). Qui troviamo anche il sonetto Ai miei fratelli d’arme nell’occasione della mia malattia in Bastia (p. 28) e la citata poesia che sull’aria di Rondinella pellegrina sottolinea l’infelicità dell’esule e pur s’intitola La Fiducia (pp. 22-23). Chiudono il volume le Poesie e prose trovate alla tomba del Minelli (pp. 35-51), cioè varie composizioni satiriche tra cui Tutto in ordine, che al modo del Giusti rappresenta la condizione di Livorno e della Toscana dopo l’intervento austriaco: «Salute al Principe/ Poldo secondo/ che insegna l’ordine/ a tutto il mondo […]. Per Poldo d’Austria/ crepò il disordine:/ siam tranquillissimi,/ è tutto in ordine»(pp. 41-42). Lo stile di queste composizioni e riferimenti interni come quello al giornale Il Lampione, diretto a Firenze da Carlo Collodi (num. 115, 26 nov. 1848), fanno ipotizzare che l’autore sia Pirro Giacchi, che pure aveva abbandonato la Corsica. In effetti questa sezione è introdotta da una scherzosa «lettera senza data e senza paese firmata X» e indirizzata agli Amici emigrati Gigi e Nanni, ossia Tognocchi e Guarducci, in cui si dànno istruzioni, quasi da caccia al tesoro, per recuperare «dietro la tomba del Minelli [in] una casa diroccata» questi testi nascostivi da qualcuno ormai lontano dall’isola (p. 37). Che poi la raccolta fosse diretta al pubblico toscano lo indica il sequestro di 500 copie effettuatone nel novembre ’50 dal comando austriaco che teneva in stato d’assedio Livorno (Michel 1938, p. 285 n. 11). Nel gennaio 1851 esce dai Fabiani di Bastia una nuova edizione de Gli occhiali. Scherzo poetico di Giovanni Guarducci (tav. 5), pure tirata in 500 copie al prezzo di mezza lira ciascuna e rivolta alla comunità degli esuli ma soprattutto al mercato italiano (Cini 2009b, p. 229). Rispetto all’edizione livornese del 1845 qui viene introdotta, in riferimento agli eventi toscani e italiani, un’aperta polemica contro il Leopoldo II, «che al macel […] spinse in Lombardia/ la più valente gioventù fiorita» per poi rinnegarla, e contro «i Fernandi, gli Alberti ed i Pastori/ d’agnelli, fatti lupi traditori» (st. 37); ce n’è anche per «i nostri generali» che, se «si fossero muniti della lente/ e avesser combattuto cogli occhiali», avrebbero mantenuto l’Italia indipendente (st. 38), per il popolo impegnatosi ciecamente nella lotta e persino per il capo e amico «Cecco Guerrazzi/ che reggea delle cose il gran timone/ [con] ardir, ma un giudizio da ragazzi», sì da essere sorpreso dal «giorno della reazione/ e così presto [ricacciato] indietro/ perché gli rupper degli occhiali il vetro» (st. 41). A queste considerazioni si accompagna, nella Dedica, un’orgogliosa sfida alle autorità toscane, nel momento in cui su Guerrazzi e i patrioti incarcerati o esuli impendeva il giudizio per alto tradimento: Sig. Presidente [della R. Corte di] Firenze. Ho tre componimenti d’opportunità: Un par d’Occhiali, Un Consiglio e Un Bastone. A voi, che influenzato

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dall’attual Governo Austro-Toscano dovete compiere un atto solenne giudicando le mie azioni, dedico intanto gli Occhiali: dopo il vostro Giudizio avrete il mio Consiglio; il Bastone poi, lo sentirete in un gran giorno. E sono, Bastia, li 23 gennaio 1851 Giovanni Guarducci.

Comparando la prima redazione livornese del poemetto (Guarducci 1845), questa del ’51 e quella finale leggibile nelle raccolte postume, troviamo una serie di stanze sul tema degli Occhiali, nello stile in cui il Guadagnoli aveva cantato Il Naso, con però modifiche e aggiornamenti che fanno di questo testo, nel suo sviluppo redazionale, quasi un diario di vita. Ancora trentenne il Guarducci, spinto da «quanti hanno un bel dirmi: osa di scrivere,/ uno scherzo di tuo desideriamo,/ metti fuori qualcosa, facci ridere», si getta nell’agone poetico, benché «degli studj» non avesse «fatto il corso/ come certi garbati signorini» ma avesse imparato a far versi come «i dì di Maggio/ soglion del basso popolo i cantori» (Guarducci 1845, st. 1-8). Per alleviare il duro esilio, lo sconforto del presente e l’incertezza del futuro partecipa al volume collettivo Nostalgia, o il Male del paese, cui allude nell’edizione bastiaccia de Gli Occhiali (st. 1) ricordando di aver «associa[to]/ a pochi scritti miei, come sapete,/ un tal che per burletta facea il prete», con possibile riferimento al Tognocchi, prete a Livorno sino al 1846, o allo stesso Giacchi che, rimpatriato e rifugiatosi ad Arezzo presso il vescovo Fiascaini suo zio, abbracciò la carriera ecclesiastica per convenienza o «per combinazione» (Fucini s. d., pp. 504-505): la nuova edizione del poemetto offre l’occasione per una riflessione critica sugli eventi toscani, ma è anche una sfida al governo austriacante di Leopoldo II e al suo tribunale. Quando infine Guarducci rientra a Livorno, dopo la seconda guerra d’indipendenza, la deposizione del granduca e l’amnistia decretata dal governo provvisorio il 28 aprile 1859, viene ancora considerato un nemico pubblico e arrestato (Guarducci 1860), mentre sul piano culturale è condannato alla morte civile; la riproposizione de Gli Occhiali, con la denuncia del Risorgimento tradito e della corruzione dilagante dopo la morte di Cavour, è dunque un segno di vitalità personale e politica lanciato «in tempi guerci/ per meglio, s’è possibile, vederci»: Morto io alla società, dicon gli onesti, vivi e insigniti per gesta e virtù … degne di loro, proni sempre, presti a servir pria Barabba, poi Gesù… A inchiodarlo, se mai!... Di sensi privo entro nel senso, onde provar ch’io vivo. – Come, nel senso? –Sì, ma di un discorso per sostener che ad impedir de’ mali […serve] munirsi di un buon par d’Occhiali (st. 1-2: Guarducci 1868, pp. 34-46, e 1889, pp. 44-57).

Tornando al periodo dell’esilio, dopo l’ascesa di Luigi Napoleone ai poteri dittatoriali (2 dicembre 1851) e al trono imperiale di Francia (2 dicembre 1852) anche in Corsica si inaspriscono le misure repressive contro ogni effettivo o potenziale avversario dell’ordine costituito. La situazione precipita nel 1853 quando, in seguito a un tentativo insurrezionale promosso da Mazzini a Milano, gli esuli di Bastia, al pari dei democratici della penisola, sono sottoposti a controlli di polizia ancora più stretti. Il 16 maggio 1853, in un’osteria di Toga presso Bastia, scoppia un violento diverbio tra francesi e italiani e Giuseppe Piva, al grido di «Tu es une canaille, toi et ton Empereur!», aggredisce un operaio francese di nome Dubessé. Piva viene condannato a una breve carcerazione ma la sera del 10 giugno, durante una festa per la sua liberazione, scoppia un altro diverbio tra Guarducci e l’altro esule Giovanni Contarini, ritenuto un informatore della polizia. Il Guarducci poi, incontrando nel centro di Bastia il console toscano Cecconi, lo offende e lo minaccia nel caso avesse continuato a usare delle spie; le autorità francesi, che tenevano il Guarducci sotto controllo, lo arrestano con l’accusa di attentato a un diplomatico accreditato presso il governo imperiale (Michel 1838, pp. 316-317). L’episodio offre il

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pretesto per una stretta repressiva e le autorità francesi decidono di confinare «i refugiati che avevano preso parte agli ultimi fatti turbolenti […] in località lontane da Bastia e dal litorale» o di espellerli dal territorio francese (Michel 1938, pp. 318-319). Queste misure, che toccano anzitutto Guarducci, Piva e Reynier, trovano però ostacolo in un’autorevole personalità appena giunta ad accrescere la colonia toscana di Bastia e cioè Francesco Domenico Guerrazzi che, dopo la lunga prigionia e la condanna nel processo per perduellione, aveva visto la sua pena detentiva commutata nell’esilio. Avendo scelto come meta Marsiglia, egli il 17 agosto 1853 lascia Firenze, giunge a Livorno e si imbarca sotto scorta per Bastia, ove arriva il 18 ottenendo, dopo 52 mesi di carcere, la libertà. Gli esuli toscani e gli amici còrsi lo convincono a scegliere quella come terra d’esilio e, trascorso qualche giorno a Marsiglia, ne torna in compagnia di Ettore Nucci con l’intenzione di stabilirsi a Bastia (Nucci 1870, pp. 37-38). Le autorità toscane cercano di ostacolare questo progetto ma Guerrazzi, grazie all’appoggio del prefetto di Ajaccio e alle sue aderenze in Francia, ottiene il permesso di residenza e l’8 settembre chiede al prefetto analoga licenza per altri esuli toscani relegati ad Ajaccio ma che, come il Guarducci, avevano a Bastia legami personali e interessi commerciali. La richiesta è accolta temporaneamente ma il 2 ottobre, per le pressioni delle autorità toscane, il Guarducci e altri toscani devono spostarsi ad Ajaccio; intanto Ignazio Reynier, colpito da grave malattia, era morto l’11 settembre presso la Pieve del Nebbio mentre Piva, pure relegato ad Ajaccio, viene espulso e passa in Sardegna (Michel 1938, pp. 325-329). Anche il Guarducci, che varie voci avevano via via dato in Capraia o in continente (Michel 1938, pp. 261 e 326), nel gennaio 1856 davvero passa clandestinamente in Sardegna, ove si incontra con Ettore Nucci, già compagno e domestico del Guerrazzi in Corsica. Trovandosi a Sassari, i due portano aiuto alle vittime del colera e organizzano un commercio di castagne: Nella Sardegna la raccolta delle castagne è pel solito una bella messe di guadagno. In quell’isola fanno molto uso delle così dette bruciate o arrostite, ma però i sardi le cuociono non con il carbone e il fornello come è in uso fra noi, ma bensì con le frasche di olivo. Le castagne però sono di una piccolezza straordinaria; noi, osservando tuttociò, tentammo una speculazione, e per tale oggetto ci facemmo mandare dalla Toscana dei grossi marroni ed un fornello, e ci mettemmo al’opera. I sardi, che non avevano mai veduta quella bella qualità di castagne, né il nosro modo di cuocerle, cominciarono a gustarle, gustate che l’ebbero non potevamo supplire alle richireste, dimodoché si fece un discreto guadagno per tutto l’inverno (Nucci 1870, pp. 61-64; relative fonti archivistiche in Michel 1938, p. 360 n. 32).

Il Guarducci si interessa anche alla vita sarda e stringe rapporti con intellettuali ed editori locali, tanto da proporsi, come già a Livorno, nella veste di autore teatrale con Il bandito tempiese ossia le conseguenze di un omicidio involontario: dramma in 5 atti di Giovanni Guarducci, Sassari, Tip. ved. Ciceri, 1857 (tav. 7). Nel testo si esalta la grandezza della Sardegna, solcata però da divisioni interne che sfociano spesso in confronti armati: Quest’isola, che annovera uomini grandi, di fervida imaginazione, vedetela divisa in partiti, ed in continua guerra tra loro, guerra che alimenta questa volontà di portare pubblicamente le armi senza alcun riguardo, né riserva (p. 9).

In questo quadro la ricorrente parola-chiave è “vendetta” e il banditismo risulta l’unico rifugio per chi è accusato a torto – come i giovani Antonio e Paolo, imputati di un omicidio compiuto involontariamente dal loro amico Carlo – oppure è colpevole solo di difendere la propria dignità come il tempiese Gavino, costretto alla vita di bandito ma pronto a proteggere i due innocenti. In essi riconoscerà gli ignoti figli nati dall’amata Maria che, fatta quasi schiava dai parenti per punizione, accorgendosi di essere incinta era fuggita a Livorno, per partorirvi e tornare poi in incognito a Cagliari, principale luogo del dramma. Il Guarducci, benevolmente accolto in Sardegna da amici quali Antioco Murgia, cui il dramma è dedicato, affida così alla sua Livorno il ruolo di ospitale asilo in cui i figli del bandito vedono la luce, per poter poi ricongiungersi col padre e vedere infine riconosciuta la loro innocenza.

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Anche Demetrio Ciofi, passato nell’ottobre ’49 dalla Corsica al Regno di Sardegna, da Genova dovette a un certo momento spostarsi sull’isola o almeno intrattenere con essa stretti rapporti: infatti pubblica i suoi Canti a Cagliari, presso la Tipografia Nazionale, nel 1855, e si impegna in una polemica con l’avvocato e futuro deputato Gavino Fara (Bosa 1782-Cagliari 1881), come mostra la Risposta di Demetrio Ciofi a Gavino Fara difensore del giornale Il Capricorno, Cagliari, Tipografia Nazionale, 1856. Anche il Ciofi dopo la deposizione del granduca poté tornare in Toscana, incontrandosi di nuovo, anche sulle colonne de «Lo Zenzero, giornale politico popolare», con Guerrazzi e Pirro Giacchi. Quest’ultimo, vestita la tonaca di pievano di San Leolino di Bucine, continuò a comporre poesie popolari e satiriche, come mostrano i suoi Versi e canti popolari di un Fiorentino (Giacchi 1859), e sviluppò un’intensa attività di sostegno alle imprese risorgimentali e garibaldine. Il prete spretato Gian Luigi Tognocchi invece, dopo «il duro distacco da Guarducci nel periodo dell’esilio e una povera attività da intellettuale a Marsiglia», tornato a Livorno giunse agli alti gradi della massoneria divenendone nel 1871 maestro venerabile (Bertini 2006, pp. 172-173; Volpi 2006, p. 229). Quanto al Guarducci, dopo la nuova carcerazione e le ulteriori umiliazioni subite al suo rientro a Livorno, in occasione dell’impresa garibaldina toglie «via la ruggine dalla vecchia onorata sua spada» (Martini 1961, p. 286) e partecipa alla battaglia del Volturno (1 ottobre 1860). Negli anni seguenti da un lato ripubblica le poesie relative alle lotte del ’48-’49 e all’esilio (Raccolta di Poesie e Prose di Giovanni Guarducci, fascicolo primo, Livorno, Tipografia La Minerva, 1861), dall’altro denuncia con nuove satire e poesie politiche l’involuzione post-cavouriana e il tradimento degli ideali risorgimentali. Muore il 12 novembre 1863, «amato e onorato dagli amici, dimenticato dai più che sdegnano i modesti e gli onesti», come scrive concludendo il suo Diario l’amico e commilitone Pietro Martini, e il Guerrazzi gli dedica un’epigrafe che in persona del defunto sottolinea questo stesso aspetto: GIOVANNI GUARDUCCI per gli esili le carceri il perigliarmi sui campi in pro della patria che ebbi io mai!? una tomba ma lacrimata e basta. 4. Abbiamo seguito così le vicende di due avvocati fiorentini uno dei quali fattosi prete, di un prete di Salviano divenuto maestro venerabile della massoneria e di un sensale livornese capace di metter a frutto il suo mestiere anche in Corsica e in Sardegna. Siamo dunque in ambiente piccolo borghese o, nel caso del Guarducci, popolano ma cittadino.Trattandosi però di poeti popolari del Risorgimento dobbiamo aspettarci proprio questo, dato che «il Risorgimento fu opera di ceti colti e di una élite popolare, ma cittadina» (Santoli [1949] 1979, p. 153). Il pastore poeta di Buti Pietro Frediani († 1857), codino e già nemico di Napoleone, stava certo col granduca, come larga parte del mondo contadino: basti pensare al citato episodio di Colignola, quando «le bande dei villani armati, le truppe regolari, la guardia civica delle campagne, i cacciatori a cavallo comandati dal cav. Manetti di Navacchio» accerchiarono Guarducci e i livornesi costringendoli alla resa. Chiarita la condizione sociale dei nostri poeti, occorre considerare in che termini può dirsi popolare la loro poesia. Nella tradizione demologica italiana sono state adottate le categorie di «popolani poeti», per non dire “poeti popolari” (Toschi 1976, pp. 544-548), e «poesia popolareggiante», per delimitare la poesia popolare in senso stretto – definita dalla scarsa rilevanza dell’autore, dalla trasmissione orale e dalla creazione di varianti – rispetto a «creazioni che incontrano il generale favore del pubblico, ma che il pubblico ripete senza alterarle o ricrearle»; in questa seconda categoria confluiscono, secondo Santoli, «poesie di tono popolareggiante» dovute ad autori ufficiali, «composizioni di autori mediocri, oggi dimenticati […], parti di opere in musica e di melodrammi […], canzonette dai modi arcadici» e

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«altre, volgarucce anzi che no, diffuse attraverso fogli volanti, dovute alla penna di miserabili rimatori cittadineschi» (Santoli [1935] 1979, pp. 114-115 e n. 3). La distinzione ha un suo preciso senso ma difficilmente era percepita dagli attori sociali dell’Ottocento e certo non lo era negli ambienti popolari della seconda metà del Novecento. Nella Raccolta di canti popolari italiani stampata a Firenze nel 1869 dalla Tipografia popolare di Eduardo Ducci troviamo infatti una «mescolanza di poesie patriottiche, amorose, burlesche e satiriche», tra cui quelle del Giacchi e del Ciofi, insieme col Contrasto in ottava rima tra una Pisana e una Livornese e con ballate quali Il pescator dell’onde ossia La pesca dell’anello, La vendetta della bella Cecilia ecc. «che fan parte del patrimonio tradizionale del popolo italiano» (Giannini 1838, p. 85). Analogamente negli anni ’60 del secolo scorso mia nonna, mentre rigovernava, cantava di seguito La pesca dell’Anello, la Pia de’ Tolomei del Niccheri, La Pastora e il Lupo e storie di tema moderno diffuse dai cantastorie, mentre negli anni ’70, a Buti, dopo la mangiata del 1° Maggio si alternavano, con brani di maggi e canti di tradizione locale, la romanza dell’Antonio Foscarini passata dal dramma niccoliniano al maggio e alle stampe popolari (Giannini 1938, p. 87), canzoni come L’alba sul mare di Claudio Villa (1951), canti divulgati da Ci ragiono e canto di Dario Fo e altri canti politici con, al centro, il verdiano Va pensiero divenuto Vieni o maggio nelle parole di Pietro Gori. Tornando dunque a Guarducci, Giacchi e Ciofi, le loro composizioni stanno pienamente all’interno di quello che non gli stampatori di letteratura muricciolaia o i loro utenti ma uno studioso quale Alessandro D’Ancona considerava, semplicemente, Poesia e musica popolare italiana nel secolo XIX (D’Ancona 1908). Questo vale non solo per i citati testi cantati e suonati su musiche di riuso o originali, ma anche per le sestine bagitte del Guarducci che, nonostante gli sforzi per limitarne la diffusione, «ebbero molto successo […] anche tra gli Ebrei» ed entrarono nella tradizione orale (Bedarida 1957, p. 80; Polese 1926, p. 120). A questo punto riprendiamo il tema accennato all’inizio. I canti epico-lirici o ballate, i rispetti e gli stornelli, le canzoni iterative ecc., ossia la poesia popolare nel senso più stretto definito dal Santoli, possono avere un autore che però viene oscurato dal processo di trasmissione orale e di variazione dei testi. Nei casi che abbiamo considerato, come nel contrasto improvvisato toscano, nel Chjama e rispondi còrso o nella gara poetica logudorese, ci può essere testo solo se c’è e quando c’è l’autore, che come mostra Maria Manca non solo crea il testo ma ne viene definito a vari livelli. Si può anzi integrare lo schema triadico pastore-poeta-santo da lei proposto nella più ampia struttura simbolica trifunzionale associata da George Dumézil (1968) all’ambito indo-europeo, riscontrata da Jacques Le Goff (1977) nella cultura medievale e non ignota al nostro patrimonio leggendario (Franceschini 1987, pp. 111-117). Riferiamoci dunque a tre sfere, una della produzione e del consumo, una del conflitto e dell’agonismo e una della sacralità e regalità, e vediamo come possano collocarvisi i nostri poeti popolari e i loro versi. Nella sfera della produzione e del consumo si canta di poesia o si creano testi popolari per camparsi la vita o almeno per integrare modesti redditi. Nell’Europa moderna schiere di ciechi, mendichi e marginali hanno a lungo affidato alla voce e agli strumenti la possibilità della loro sopravvivenza ma, come abbiamo visto, anche le accademie di estempore poesia di Giacchi e Ciofi garantivano il sostentamento agli esuli toscani in Corsica, mentre Guarducci sottolineava con fierezza so leggere – scrivere – son maestro di scrittura doppia – poeta da sonetti senza coda, suono il violino, campai talvolta in esiglio copiando discretamente la musica.

La raccolta di beni attraverso la questua e il loro consumo nelle ribotte da parte dei cantori di maggi itineranti è analizzata da Clemente 1983 e gli stessi maggi drammatici, nell’Ottocento e ai primi del Novecento, si cantavano spesso per raccogliere offerte funzionali alle esigenze della comunità (costruzione di asili, abbellimenti di chiese, aiuto ai poveri). Questa dimensione riguarda infine i cantori professionali sardi e i migliori improvvisatori toscani, come mostra la testimonianza di Nello Landi secondo cui

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dall’Ottanta in poi andai in pensione per via dell’incidente, ero ancora più disponibile [per le serate di poesia] e rimediavo il mese come andà a lavorà, anzi di più, che dico! Io durante l’estate e’ rimediavo lo stipendio dell’anno (Garosi 2009, p. 39).

Nel conflitto e nell’antagonismo la poesia popolare e improvvisata, come indicano gli stessi termini contrasto, gara o sfida, trova una delle principali ragioni fondative e, analogamente, la dimensione agonistica è centrale nei più arcaici maggi toscani come nella moresca còrsa (Toschi 1976, pp. 473524).In determinati momenti, e certo nel periodo risorgimentale, la poesia e il canto sono anche formidabili strumenti di comunicazione politica e di organizzazione della lotta. Davanti al sacrificio dei fratelli Bandiera o alla caduta della Repubblica romana la risposta di Pirro Giacchi è affidata ai suoi canti; a Theresienstadt i prigionieri toscani intonano la Rondinella pellegrina del Grossi e su questa o sull’altra Rondinella del Mayer si ritessono canzoni che accompagnano l’esilio dei patrioti e l’epopea garibaldina. C’è però qualcosa di più. Se la Manca intitola il suo volume cantare in poesia per sfidare la sorte Ernesto De Martino, considerando alcuni canti lucani sulla nascita sventurata e la misera condizione contadina, vede in essi l’impegno «a difendere la possibilità stessa dell’elementarmente umano», pur senza quella «durevole energia unificatrice della presenza» propria della poesia “alta” (De Martino 1953, pp. 60-61). Nella prigionia, nel duro esilio o in un umiliante rientro in patria il canto o la scrittura poetica diventano strumenti essenziali per consolidare identità minacciate e dischiudere nuove possibilità di azione; per il vecchio combattente Guarducci dunque il toglier «via la ruggine dalla vecchia onorata sua spada» scendendo sui campi del Volturno e il «provar ch’io vivo» con le sue sestine a chi lo proclama «morto alla società» sono entrambi gesti vitali da considerare in tutto il loro valore reale e simbolico.

Tav. 8 Monumento con epigrafe a Giovanni Guarducci nel Cimitero di Livorno (foto di Roberta Pierini).

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Quanto alla sfera della sacralità e della regalità, la metamorfosi da montanari a grandi personaggi è una delle immagini-chiave legate alla Passione di Cristo di Oberammergau e questa stessa trasformazione da contadino a re apre il film di Paolo Benvenuti Medea. Un maggio di Pietro Frediani e campeggia nel manifesto del convegno-rassegna Il maggio drammatico in area tosco-emiliana del 1978. D’altra parte il “dono” o il “talento”, come dicono i poeti popolari, li eleva dalla terra al cielo, per cui la loro ispirazione è spesso paragonata all’alato «pegasèo cavallo» (Franceschini 2008, pp. 162-163). Riconsiderando in questo quadro la vicenda del Guarducci, l’umile mezzano divenuto capo della resistenza livornese e leader degli esuli italiani in Corsica diviene sacro alla patria e si merita non «una tomba/ ma lacrimata e basta» bensì un monumento nel cimitero di Livorno (tav. 8), accanto a quelli di Mazzini e degli altri eroi o martiri del Risorgimento livornese Bartelloni, Mastacchi, Chiusa, Sgarallino. La creazione di questi “Campi Elisi” livornesi costituisce la consacrazione di tali figure, ma alla memoria del monumento si unisce, nel caso del Guarducci, quella del documento ossia delle raccolte poetiche postume. Nel 1868, cinque anni dopo la sua morte, esce un’ampia Raccolta degli scritti editi ed inediti di Giovanni Guarducci, con falso luogo di stampa Malta. Nel 1874 Salvatore Fazzi, possessore di manoscritti e stampati guarducciani, assume una nuova iniziativa editoriale chiedendone il patrocinio allo stesso Garibaldi: escono così nel 1876, 1877 e 1889 tre edizioni, con differenze redazionali, dal titolo Raccolta delle poesie di Giovanni Guarducci livornese dedicata a Giuseppe Garibaldi. Come la discesa sui campi del Volturno e la nuova redazione de Gli Occhiali erano stati due forti e interconnessi gesti dell’ultimo periodo del Guarducci, così al monumento marmoreo si affianca una testimonianza poetica capace di consacrare alla posterità chi della poesia visse e con la poesia lottò. E questa testimonianza è avvolta da un’aura ancor più sacrale essendo accompagnata da un assenso inviato da Caprera, il 2 giugno 1874, da colui che nella dedica Al mio generale Giuseppe Garibaldi, già in Guarducci 1861, era salutato non solo come «rigeneratore del patrio italiano avvenire» ma come «la personificazione del Cristo».

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Garosi Isa (a cura di), 2009, Per Nello Landi. Una giornata di festa per un maestro dell’ottava rima, Pontedera, Tagete; Ghilardi Luigi, 1849, Ai suoi compatrioti toscani. Il colonnello Ghilardi, Bastia, Tipografia Savelli; Giacchi Pirro, 1847, Catechismo al popolo, Firenze, s. n.; Giacchi Pirro, 1849, La prima settimana di un refugiato, Bastia, Savelli; Giacchi Pirro, 1859, Versi e canti popolari di un Fiorentino, Firenze, Fratelli Cammelli editori-librai; Giacchi Pirro, 1875, Il Guazzabuglio, ossia varietà di poesie e saggio di prose, Firenze, Tipografia Editrice dell’Associazione; Giannini Giovanni, 1938, La poesia popolare a stampa nel sec. XIX, (O. N. D, Le arti e le tradizioni popolari d’Italia), Udine, Istituto delle Edizioni Accademiche; Guarducci Giovanni, 1840, Il proscritto di Rimini, Commedia in quattro atti, in Due commedie, Livorno, Vannini, 1840, pp. 41-83; Guarducci Giovanni, 1845, Gli occhiali. Scherzo poetico di Giovanni Guarducci livornese, Livorno, F. e G. Meucci; Guarducci Giovanni (con Reynier Ignazio), 1849, Sig. Serristori, Bastia, Tipogr. Savelli; Guarducci Giovanni, 1850: vedi Tognocchi et alii 1850, pp. 18-33; Guarducci Giovanni, 1851, Gli occhiali. Scherzo poetico di Giovanni Guarducci, Bastia, C. Fabiani; Guarducci Giovanni, 1853, Leon Cesana, Bastia; Guarducci Giovanni, s. d., Leon Cesana e un passo avanti della Nazione. Scherzi poetici in Dialetto ebraico, Bastia, Tipografia Grilli e Cavalletti; Guarducci Giovanni, 1860, Memoria di Guarducci Giovanni per l’arresto contr’esso e compagni, Bologna, s. n.; Guarducci Giovanni, 1861, Raccolta di Poesie e Prose di Giovanni Guarducci, fascicolo primo, Livorno, Tipografia La Minerva; Guarducci Giovanni, 1868, Raccolta degli scritti editi ed inediti di Giovanni Guarducci, Malta [ma Livorno], s. n.; Guarducci Giovanni, 1876 e 1877, Raccolta delle poesie di Giovanni Guarducci livornese dedicata a Giuseppe Garibaldi, Livorno, Tip. di F.co Marchetti; Guarducci Giovanni, 1889, Raccolta delle poesie di Giovanni Guarducci livornese dedicata a Giuseppe Garibaldi, Livorno, Tip. Franc. Vigo; Guerrazzi Francesco Domenico, 1865, Cerimonia per la inaugurazione del monumento a Enrico Bartelloni ed a Francesco Chiusa, Livorno, La Minerva; Le Goff Jacques, 1977, Società tripartita, ideologia monarchica e rinnovamento economico nella cristianità dal secolo IX al XII, in Tempo della Chiesa e tempo del mercante. Saggi sul lavoro e la cultura nel Medioevo, Torino, Einaudi, pp. 41-51; Manca Maria, 2009, Cantare in poesia per sfidare la sorte. Un approccio antropologico alla gara poetica in

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Sardegna, Nuoro, Istituto Superiore Etnografico della Sardegna; Martini Ferdinando (a cura di), 1918, Il Quarantotto in Toscana. Diario inedito del conte Luigi Passerini de’ Rilli, Firenze, Bemporad; Martini Pietro, 1961, Diario livornese. Ultimi periodi della rivoluzione del 1849, a cura di D. Novacco, Livorno, Amministrazione Comunale; Mazzini Giuseppe, 1848, Prose politiche, Firenze, Poligrafica Italiana; Mazzini Giuseppe, 1923, Scritti editi ed inediti, Imola, Cooperativa Tipografico-Editrice Paolo Galeati; Michel Ersilio, 1938, Esuli italiani in Corsica (1815-1861), Bologna, Cappelli; Nucci Ettore, 1870, Brevi cenni politico-biografici per Ettore Nucci, ufficiale in aspettativa, corredati da una lettera dell’illustre F. D. Guerrazzi, Livorno, G. Fabbreschi e C.; Nucci Ettore, 1875, Dal 1848 al 1866. Brevi cenni politico-militari per Ettore Nucci, ufficiale in ritiro, corredati da lettere gratulatorie di S. M. il Re d’Italia, di Giuseppe Garibaldi, dell’illustre F. D. Guerrazzi e di altri illustri personaggi, Livorno, Tipografia di Ernesto Pinto; Passerini Luigi, vedi Martini (a cura di), 1918; Polese Francesco, 1926, Letteratura vernacola livornese. Bibliografia, note storiche, testi inediti, Livorno, Giusti; Raccolta, 1869, Raccolta di canti popolari italiani, Firenze, Tipografia popolare di Eduardo Ducci; Raccolta, 1879, Raccolta di canzonette (in 100 fascicoli), Firenze, Stamperia Salani; Raccolta, s. d., Raccolta delle migliori canzonette cantate dal popolo italiano ecc., Firenze, Tipografia Adriano Salani; Santoli, Vittorio, 1979, Canti popolari italiani. Ricerche e questioni, Firenze, Sansoni; Santoli Vittorio, 1979/b, Problemi di poesia popolare, «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa» se. II, IV, pp. 93-119, (Santoli 1979, pp. 191-136); Santoli Vittorio, 1979/c, Stilizzazione e «contemporaneità» nella poesia popolare di argomento storico, «Lares», XV, pp. 1-7, (Santoli 1979, pp. 151-158); Scarpellini Giovanni, 1997, Torbidi di Livorno 1848-1849, Livorno, Nuova Fortezza; Thiers Jacques - Cini Marco, 1998, Libraires-Editeurs bastiais et toscans (1825-1862), in Les itinéraires de Salvatore Viale, Corte, Centre Culturel Universitaire-Université de Corse, pp. 135-155; Toaff Elio, 1970, Giovanni Guarducci: un poeta livornese antisemita, «La Rassegna Mensile di Israel», XXXVI, pp. 453-463; Tognocchi Gianluigi, 1839, La promessa tradita: novella storica morale del secolo 13 [di Luigi Alessandro Parravicini], raccontata ai suoi scolari dall’abate Luigi Tognocchi, Livorno, Migliaresi; Tognocchi Gianluigi, 1845, Agnesa. Storia domestica, Livorno, Pozzolini; Tognocchi Gianluigi et alii, 1850, Nostalgia, o il Male del paese, poesie e prose di varii emigrati italiani in Corsica,

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Bastia; Toschi Paolo,1976, Le origini del teatro italiano. Origini della rappresentazione popolare in Italia,Torino Boringhieri; Volpi Alessandro, 2006, Il periodo postunitario, in Conti (a cura di), 2006, pp. 205-278. Discografia (cui si rinvia con la sigla: inc.) Fornaciari Pardo, 1999, Pardo Fornaciari canta la Livorno ribelle, CD con la colonna sonora della mostra Livorno ribelle: dalle riforme liberali all’estrema difesa della città. 1847-1849, (Livorno, 10 maggio-6 giugno 1999); [Bermani Cesare], 2010, L’Italia nelle canzoni. La storia d’Italia cantata, Ala Bianca Records ABR 128554024-2, CD 1 L’Italia nelle canzoni 1797-1894; Bermani Cesare, 2011, Pane, rose e libertà. Le canzoni che hanno fatto l’Italia: 150 anni di musica popolare, sociale e di protesta, Milano, Rizzoli (RCS Libri), 2011, CD 1.

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Progetto INCONTRO: materiali di ricerca e di analisi

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Ignazio Macchiarella La dimensione musicale dell’improvvisazione poetica in Corsica, Sardegna e Toscana

La casa del poeta Azelio Puleri era in campagna, poco fuori Arezzo. In macchina, Fabrizio, il mio laureando che aveva organizzato l’incontro, mi diceva che il poeta era emozionato all’idea che qualcuno dell’università si interessasse a lui e voglia invitarlo a tenere una lezione nella facoltà di Lettere aretina dove all’epoca (2004) insegnavo. Puleri ci accolse con la massima cordialità, facendoci accomodare intorno ad un tavolo, in cucina, su cui troneggiavano i classici immancabili nelle case dei poeta d’ottava rima: La Divina Commedia, l’Orlando Furioso, La Gerusalemme Liberata e così via. Dopo pochi convenevoli e prendendo un volume in mano, solennemente, il poeta mi disse «Vede professore? È il dizionario dei sinonimi e dei contrari: io tutte le sere prima di addormentarmi ne leggo un po’ di pagine così imparo delle nuove parole!» Già: come meglio avrebbe potuto pensare di presentare se stesso, «poeta contadino da sempre ... con la licenza elementare conseguita nel 1940» (Puleri 2000, p. 21), ad un “professore dell’università” se non con un libro che dimostrasse la propria attenzione per il lessico, per la parola? Giusto il tempo di spiegare la particolarità della figura dell’etnomusicologo all’interno di una facoltà di lettere e filosofia che Puleri, illuminandosi, si lancia in una bellissima discussione sull’arte del cantare le ottave (così lui la chiama) e sul suono della poesia: «E l’è proprio vero! la poesia non è solo una faccenda di parole, l’importa anche come la si canta!». Poesia e musica (nell’estrema variabilità, talvolta difficilmente definibile, di espressioni comunemente designate dai due termini) sono in genere legate fra di loro. Un legame che la cultura accademica occidentale tende sovente a ignorare, separando la parola dall’intonazione, privilegiando decisamente

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la prima e trascurando quasi del tutto la seconda.1 Una separazione, sintetizza bene Jean Molino, «che 2 è il risultato della doppia evoluzione che ha portato da una parte, nel XIX secolo alla nozione di musica pura e, dall’altra, all’idea di una poesia soltanto scritta, divenuta anch’essa pura con l’abbandono della rima, della metrica regolare e di tutto ciò che la ricollegava al canto» (Molino 2002, p. 18). Nella sua artificiosità tale separazione, enfatizzando il senso della vista e mortificando quello dell’udito, viene a delineare l’idea, paradossale per certi versi, di un poetare muto che rinuncia alla forza espressiva del suono. Una dimostrazione evidente di ciò credo si abbia nelle occasioni in cui si assiste – per esempio nei mezzi di comunicazione di massa – a recitazioni di poesie che si risolvono in monotone scansioni di parole, spesso alquanto noiose da ascoltare. Costitutivamente, la poesia ha di norma a che fare con il “suono organizzato”, dal momento che, quanto meno, si tratta di qualcosa di diverso dal normale parlato; qualcosa che è caratterizzato da specifiche intonazioni entro cui, di norma, si individuano delle articolazione ritmiche, delle condotte melodiche, delle regolarità nelle combinazioni dei suoni e così via. Diverso a seconda dei casi, il legame poesia/ suono manifesta una considerevole varietà di espressioni frutto di complessi processi di costrizione e/o adattamento reciproci. Da un lato, le ragioni del comporsi delle sequenze sonore possono alterare il regolare fluire delle parole e dei versi, dall’altro le esigenze di comprensibilità del testo limitano decisamente l’articolarsi dei profili di intonazione. Tale campo di relazioni, «sfortunatamente ancora molto poco indagato, soprattutto a causa di una mancanza di collaborazione tra specialisti di poesia e di etnomusicologia» (Molino 2002, pp. 31-32), si presenta particolarmente variegato e diversamente significativo nell’ambito sterminato delle forme della poesia improvvisata. È con questo orientamento che l’unità di ricerca del Dipartimento di Studi Storici Geografici e Artistici dell’Università di Cagliari del progetto Incontro ha condotto la propria esperienza di documentazione e analisi sulle pratiche della poesia improvvisata in Corsica, Sardegna e Toscana, sviluppando la propria attenzione sullo specifico musicale in quadro di stretta interazione con altre prospettive di ricerca. Una esperienza assai articolata che lungi da intenti meramente comparativi ha cercato soprattutto di puntare sulla rappresentazione e interpretazione di comportamenti musicali (music making nel senso di Balcking 1995), privilegiando l’indagine sulla contemporaneità delle tradizioni in questione nel loro farsi nell’atto performativo, ma non mancando di dedicare attenzione alla riflessione sui processi diacronici mediante la raccolta e la disamina di materiali sonori d’archivio. L’indispensabile elemento irrilevante In prospettiva musicologica le pratiche di improvvisazione poetica qui in questione appartengono ad una diversa tipologia performativa. Quelle della Toscana e della Corsica sono delle forme monodiche (ossia canto solista senza alcun accompagnamento);3 quelle della Sardegna sono invece delle espressioni a più parti (multipart music) costituite da una parte di canto solista accompagnata da due (cantada

1 La sordità nei confronti della musicalità della parola è, credo, particolarmente radicata nell’università italiana dove, al di là dei (pochi) etnomusicologi e degli antropologi (e di qualche illuminato storico della musica), solo sporadicamente v’è un qualche interesse nei confronti della poesia orale.. 2 Il concetto di musica pura (o assoluta), sganciata da qualsiasi riferimento contestuale e destinata ad una fruizione su categorie puramente estetiche è una specificità della cosiddetta “musica d’arte” occidentale ed ha la sua sublimazione nella concezione del “concerto”. 3 Si hanno comunque testimonianze del passato relative a pratiche di accompagnamento anche per le pratiche poeticoimprovvisative di queste due regioni, vedi E Voce 1986; Agamennone 2009. Va altresì notato che in qualche caso, nelle chiusure a botta e risposta serrata delle gare, possono aversi fenomeni di sovrapposizione in tuilage fra il canto di due poeti.

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campidanesa) o da tre (otada logudoresa) parti vocali, oppure da una parte strumentale polifonica in genere affidata alla fisarmonica (repentina) o alla chitarra (versada campidanese) – ma al loro posto, in entrambi i casi, talvolta si possono trovare le launeddas. Quando si ha un accompagnamento vocale, le parti intonano sempre sillabe non sense e si intrecciano con il canto in maniera diversa a seconda dei casi (v. oltre i testi di Pilosu e Zedda). La parte strumentale polifonica d’accompagnamento, invece, si dipana per tutta la durata dell’esecuzione sostenendo il canto (vedi i testi di Lutzu e Bravi). Secondo un’opinione generalmente condivisa dai protagonisti (poeti e cultori) delle tre regioni il canto, l’articolazione melodica della poesia ha un rilievo secondario, viene di solito considerata in termini di mero supporto all’esposizione delle parole.4 Lo stesso vale per le eventuali parti di accompagnamento ritenute niente altro che un semplice elemento di abbellimento. Tali considerazioni, forse, si possono rapportare a condizionamenti più o meno diretti della “cultura dominante” (come visto nell’aneddoto riportato in apertura) oppure, più o meno consapevolmente servono a marcare una avvertita, sostanziale alterità della poesia: musica, in generale, rinvia ad un’idea di attività diffusa con una importante componente di divertimento; la poesia, invece, è “una cosa per pochi”, con una sua intrinseca serietà nei comportamenti e nei contenuti - e ciò anche quando con le parole si scherza come avviene nelle gare nel caso di temi umoristici (v. Manca 2009; Bravi 2010; Agamennone 1986). Nonostante ciò, la stessa opinione comune considera il canto indispensabile. Di esso nel momento della performance non si potrebbe fare a meno: improvvisare recitando (nell’accezione comunemente data al verbo) un’ottava o una terzina corsa o altro non avrebbe alcun senso. Nessun poeta logudorese, da parte sua, accetterebbe mai di fare una gara senza la presenza de su Tenore (ossia il trio formato da bassu, contra, mesaoghe del quartetto a Tenore)5 così come sarebbe pronto a censurarne il comportamento nel caso in cui le sue entrate non fossero puntuali o non ben in tono (della questione si ragiona molto, con l’aggiunta di numerosi aneddoti, in varie interviste ai poeti e appassionati ascoltatori realizzate dall’equipe cagliaritana di Incontro- vedi le schede nel sito internet) Una brutta voce, un continuo “stonare” nel canto compromette sicuramente la performance di un poeta, per quanto bravo egli possa essere nell’articolare i contenuti con le parole. Avere delle eccellenti qualità vocali non è una conditio sine qua non per essere poeti, ma sicuramente la piacevolezza del canto aiuta la trasmissione dell’atto poetico. Quel che va a farsi Come in generale tutte le espressioni della poesia improvvisata, anche quelle su cui ha lavorato Incontro, giova ribadirlo subito con molta chiarezza, non sono in alcun modo da intendere come “sopravvivenze”, come retaggi di “culture orali” del passato. Sarebbe fuorviante e sostanzialmente sbagliato studiarle come se si trattasse di modellazioni fuori del tempo di meccanismi dell’oralità. Esse vanno considerate ed analizzate per quello che in sostanza sono, ossia delle pratiche della contemporaneità che esistono perché rispondono ad bisogni, istanze, modi di stare insieme, di rappresentare se stessi e così via di persone dei nostri giorni: in caso contrario, semplicemente non esisterebbero (Macchiarella 2009: pp. 12 sgg.). In questo senso esse presentano dei caratteri propri (e diversi da quelli del passato a cui più o meno direttamente si rifanno), caratteri che risentono fortemente dell’influenza dei mass media e delle diverse declinazioni dell’oralità dei nostri tempi, primi fra tutti i processi della cosiddetta oralità secondaria dei media elettronici, secondo la ben nota definizione di Walter Ong (1986: p. 21). Pratiche

4 I poeti logudoresi, ad esempio, affermano di “non cantare” quando fanno poesia, rifiutando dichiaratamente qualsiasi connessione con le pratiche del canto tradizionale, e ciò nonostante tutto il loro vocabolario sia imperniato sul verbo cantare (a partire dal termine cantadores con cui solitamente sono denominati) e sulla stessa terminologia usata nei repertori vocali della loro stessa area (vedi il saggio di Pilosu). 5 Su questa coincidenza di definizioni e in generale per le questioni terminologiche interne alle pratiche poetico-musicali trasmesse oralmente della Sardegna vedi Macchiarella-Pilosu 2011.

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che presentano una molteplicità di elementi di interesse anche al di là degli aspetti – diciamo – più tradizionali come i legami con il passato e la continuità generazionale, i processi di simbolizzazione delle varie identità culturali, i contenuti dei discorsi e per gli usi linguisti proposti specifici, i moduli musicali e via dicendo. Soprattutto esse risultano preziose per i meccanismi performativi messi in atto basati sull’immediatezza e unicità dell’atto esecutivo, su una serrata collaborazione “a più voci” alternate fra gli esecutori, su un confronto creativo vis à vis, su particolari “conoscenze profonde” derivanti da attive interazioni consapevoli fra individui dotati di particolari competenze. Qualunque sia il suo impianto formale, la poesia improvvisata, infatti, ruota sempre intorno ad un concetto cruciale del fare nell’immediatezza della performance, ad un’idea di estemporaneità come costruzione di senso all’interno di situazioni di interazione collettiva. È la poesia nel suo farsi che conta mentre quella che è stata fatta (le successioni di versi realizzate in atti di improvvisazione trascorsi) ha di norma minore o nessun peso, e comunque non viene solitamente celebrata e esaltata come “oggetto artistico”. Conoscere i versi prodotti in performance che sono state già realizzate (attraverso l’ascolto di una registrazione o la lettura di una trascrizione) serve per acquisire conoscenze utili da mettere in gioco nelle successive occasioni performative, ma non viene fatto con atteggiamento di “contemplazione estetica” come si fa, ad esempio, con un testo poetico affidato alla scrittura. V’è dunque alla base delle manifestazioni improvvisate un intendere la poesia come atto del poetare, momento unico e transitorio che, per definizione, finisce allorché lo si ascolti. Una estemporaneità assoluta che trova ragione nel suo costruirsi e non è pensata per produrre qualcosa destinato a restare nel tempo. Il poeta estemporaneo parte dal presupposto che la sua performance finisca sul momento (e non a caso diversi poeti non amano essere registrati) e che di essa rimanga la memoria nella mente di chi l’abbia ascoltata, il giudizio positivo (o negativo), le tracce su cui si è sviluppato il suo argomentare un dato argomento (e magari qualche rima riuscita particolarmente bene). L’ascoltatore/appassionato di poesia, da parte sua, anche quando registri e dopo riascolti una performance, lo fa non tanto per giudicarla “a mente fredda”, si potrebbe dire “analiticamente”, ma per rivivere in qualche modo la concretezza della performance a cui ha preso parte, l’esercizio del suo giudizio, l’interazione con poeti ed ascoltatori e così via. La poesia improvvisata, infatti, propone con forza una rappresentazione dell’immediatezza e provvisorietà della performance che urta frontalmente contro la aspirazione a (o forse l’illusione di poter) “fissare il tempo” offerta dai mezzi di registrazione/riproduzione sonora. Ma soprattutto contrasta radicalmente contro il comune intendere l’esecuzione poetica e/o musicale come un riprodurre qualcosa che è già stato fatto, un testo (ossia una prevista successione di parole/suoni) che è stato creato in precedenza e posto “fuori dal tempo” attraverso una qualsiasi fissazione (una redazione scritta, una registrazione eccetera). O meglio quella improvvisata esalta la ricchezza, la varietà, la bellezza, in una parola l’umanità “dell’imprevedibilità del fare poesia/ musica”, contro la rigida e anodina sicurezza del riprodurre suoni che costituisce l’idea dominante dell’evento massmediale. Un evento che la tecnologia contemporanea rende priva di creatività e emotività anche perché in larga parte è possibile prevedere, cercando di controllare le possibili variabili che entrano in gioco, di prevenire errori, imperfezioni, silenzi. Il poeta improvvisatore, solo con la sua intelligenza e la sua voce, sa che solo fino ad un certo punto potrà prevedere quel che accadrà nell’atto performativo, mette in conto la possibilità di sbagliare, elabora strategie per fronteggiare ogni imprevisto mettendo in gioco, sic et nunc, tutto se stesso. Da parte sua l’ascoltatore/appassionato considera nel suo giudizio la sostanziale incertezza del momento performativo affrontata dal poeta, non condannando, ad esempio, l’eventuale errore in maniera assoluta, come pregiudizievole infrazione o difetto, ma come eventualità possibile, e pondera la qualità della risposta del poeta all’imponderabilità del fare. Insomma, in qualche modo la pratica della poesia improvvisata finisce metaforicamente per rappresentare l’imperfezione umana del fare versus la perfezione tecnologica del rifare (come ripetere), ma anche per delineare un’idea di creatività come attiva partecipazione collettiva ad un

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evento versus modelli di fruizione passiva che rimandano a processi di rievocazione del “già udito” tipici di tanti eventi massmediali – e in ciò forse va individuata la sostanziale inconciliabilità del far poesia improvvisata rispetto al main stream del pensiero unico oggi dominante. Allo stesso tempo le pratiche della poesia improvvisata portano in primo piano, mettendola in gran rilievo, la sonorità della parola. Un suono a cui la nostra cultura dominante, visivo-graficocentrica, rivolge poca o nessuna attenzione, che contribuisce a rinforzare e qualificare le specificità, le sfumature di significato della parola nella concreta realtà della comunicazione interpersonale. È attraverso il suono, l’intonazione, che le parole, nel loro continuo trasformarsi, acquisiscono senso nell’ambito dei contesto interattivi, secondo meccanismi mortificati dai processi di oggettivizzazione della scrittura o di altre forme di fissazione della parola, che vengono invece solitamente sublimati nel gioco dell’improvvisare versi. Scomparso o quasi dalla poesia d’accademia, affidata alla scrittura – quella che in Sardegna, con una bella sineddoche, si definisce a taulinu – il suono della parola nella poesia orale risulta insolito, preoccupa o perfino crea scandalo per le orecchie che non sono in grado di riconoscerlo e apprezzarlo. Si tratta di un suono forte, ricco simbolicamente, elaborato secondo modalità ricercate che rappresentando individui e relazioni fra individui, vale a dire le esistenze di specifiche personalità (i singoli poeti e ascoltatori) che interagiscono creativamente, risulta opposto rispetto alla tendenza alla spersonificazione del suono della parola fissata quando viene pronunciata. Un ruolo simbolicamente forte è dunque quello del suono nella poesia improvvisata (al pari di quanto avviene in altre espressioni incentrate sulla parola detta, come il teatro), diverso rispetto a quello ad esempio della musica perché agisce anche a livello semantico, di strutturazione di significati – mentre l’elaborazione sonora della musica, di per sé, resta a livello di significante ed acquisisce senso per l’azione di esecutori/ascoltatori. Un suono che, sì, può anche destare scandalo e forse anche per questo lo si tende ad esorcizzare relegandolo alla categoria del retaggio del passato. Non è così! Il suono della poesia estemporanea è un suono di oggi e nelle diverse varianti in cui si manifesta è una rivelazione di modi di concepire e vivere il presente da parte di uomini e donne che alla loro esposizione/partecipazione alla società massmediale affiancano (e talvolta perfino contrappongono) altri modi di far cultura. Dispositivi, saperi condivisi, rappresentazioni di strategie Al di là dell’impianto formale, l’improvvisazione poetica ruota dunque intorno ad un concetto cruciale di estemporaneità come costruzione di senso all’interno di situazioni di partecipazione collettiva. Una costruzione in cui quel che conta è la poesia nel suo farsi nel momento irripetibile dell’esecuzione, che si dipana nel tempo combinando, in maniera inestricabile e peculiare, parole e suoni: è proprio […][nell’]implacabile e bruciante produzione in tempo reale che risiede il senso profondo della combinazione testo poetico/musica nell’ottava cantata [nelle altre espressioni poetiche qui in questione]. L’esigenza di distendere in qualche modo l’istantaneità in cui si consuma l’esecuzione impone un adeguato regolatore della dimensione temporale e a questo proposito il musicale può fornire […] un supporto particolarmente efficace (Agamennone 1986: p. 180) Lo studio analitico della poesia improvvisata, dunque, deve cercare soprattutto di metterne in luce il carattere virtuale, puntare a dar conto di ciò è possibile realizzare. Insomma si tratta di tratteggiare dei dispositivi che illustrino le possibilità dell’emissione poetico-musicale cercando di interpretarne parimenti dei tratti condivisi e dei tratti di peculiarità individuali nell’unicità dei contesti di relazioni, in parte imprevedibili, che va a ri-costruirsi (irreversibile e irripetibile) in ogni performance, influenzato dalle circostanze contingenti, dall’interazione fra gli esecutori e fra essi e gli ascoltatori e così via. Come gran parte delle pratiche di poesia improvvisata anche quelle delle tre regioni qui in questione risultano particolarmente complesse sia sul piano formale sia su quello simbolico, e sono caratterizzate da dispositivi che idealmente rinviano a specificità culturali legate ad eredità del passato, ad un

Saggi ‘transfrontalieri’

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territorio, ad un “popolo” e così via. Nel concreto tali dispositivi fanno capo essenzialmente a dei saperi condivisi soprattutto da gruppi di persone che proprio in tale condivisione trovano le ragioni di reciproci legami al di là della condizione socio-economica, dell’attività lavorativa, dell’età. Ogni pratica poetica improvvisata, infatti, accanto ad un nucleo di esecutori specializzati comprende un pubblico di ascoltatori e cultori specializzati in grado di intendere, apprezzare e dar senso all’azione dei primi (vedi più avanti in questo volume, il saggio Appassionati e tifoserie: il ruolo attivo degli ascoltatori). Pur non prendendo parte attivamente alla performance, gli ascoltatori competenti contribuiscono in maniera considerevole alla validazione del dispositivo messo in atto dai poeti nell’atto della performance, orientando altresì le sue concrete manifestazioni. I commenti, i discorsi, i giudizi del pubblico competente, infatti, influenzano più o meno apertamente le consapevolezze degli esecutori e dunque finiscono per aver riscontri percepibili nell’elaborazione poetica così come nel risultato sonoro. Di fatto un approccio analitico ad un qualsiasi dispositivo di poesia improvvisata non può dunque trascurare il punto di vista degli ascoltatori competenti, la cui rilevanza, per certi aspetti, finisce per essere quasi paritetica rispetto ai poeti per il funzionamento di una tradizione di poesia improvvisata. In questo prospettiva le varie tradizioni di poesia improvvisata finiscono per delineare delle specie di sound group (Sorce Keller 2003) ossia dei gruppi non delimitati ed in continua trasformazione di uomini e donne che scelgono di coltivare, ciascuno con le proprie capacità e intenzionalità, una particolare espressione trasmessa oralmente cui attribuiscono particolari valori e significati, nell’ambito di molteplici costruzioni identitarie. Un dispositivo di poesia improvvisata è dunque una questione da specialisti che richiede una apposita preparazione (e dunque un apposito impegno) da parte di esecutori e pubblico. Gli esiti a cui ogni volta esso dà vita non sono immediatamente accessibili e richiedono comunque delle specifiche competenze: detto altrimenti, non basta padroneggiare il logudorese per comprendere una manifestazione di poesia improvvisata in tale lingua (e men che mai di praticarla direttamente), e lo stesso ovviamente vale per le altre lingue. Ciascun dispositivo concede agli esecutori più o meno ampi, comunque considerevoli, margini di libertà sulla base di regole condivise ed in rapporto a delle aspettative da parte degli ascoltatori. Tali margini, mai rigidi e prefissati nel tempo, soggetti a variazioni a seconda degli scenari esecutivi (vale a dire delle situazioni di interazione poeti/ascoltatori), garantiscono i forti processi di personalizzazione che costituiscono un aspetto sicuramente preminente nelle pratiche poetiche qui in questione, rappresentando l’essenza della sfida/confronto che le anima ed attraverso cui si realizzano delle complesse costruzioni di senso, il fulcro delle operazioni interpretative degli ascoltatori, di un intenso discorrere che vivifica continuamente la tradizione. Come (e per molti versi più di) altre espressioni legate alla trasmissione orale, infatti, i dispositivi della poesia improvvisata favoriscono soprattutto il manifestarsi di esistenze individuali: ciascun poeta è unico perché rivela non solo un modo peculiare di combinare le parole e i suoni, ma anche una unicità nell’interpretare e condurre la “ritualità della sfida”, nello stare sul palco, interagire con il pubblico e così via. Tale manifestarsi di individualità, su un altro versante, riguarda anche gli ascoltatori e il loro diverso protagonismo nell’interazione con i performer, nell’operare per la diffusione, la “salvaguardia della tradizione”, e via dicendo: ogni appassionato ascoltatore, infatti ha un suo modo di agire all’interno del proprio sound group sviluppando l’uno o l’altro aspetto, assumendo ruoli e funzioni spesso riconosciuti dai suoi sodali (si vedano più avanti gli articoli di Daniela Mereu e Diego Pani). Ciascuna dispositivo di poesia improvvisata viene così a delineare degli spazi di libertà espressiva individuale reciprocamente condizionati, per i poeti e per gli ascoltatori appassionati. All’interno di tali spazi i vari individui scelgono, ognuno a seconda delle proprie capacità e della propria passione, di coltivare la poesia nella sua dimensione ideale, come espressione alta, riservata e ricercata della propria cultura e allo stesso tempo nella concretezza dell’elaborazione concettuale attraverso le parole e nell’emissione del suono organizzato, nel music making.

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Progetto INCONTRO: materiali di ricerca e di analisi

Al di là delle schematizzazioni melodiche Per i protagonisti delle pratiche poetiche improvvisate i contenuti proposti dai singoli poeti nell’hic et nunc dell’esecuzione sono ovviamente al centro dell’attenzione mentre gli elementi performativi correnti vengono dati per scontati, costituendo una sorta di schema essenziale di riferimento o forse meglio un minimo denominatore sonoro comune che deve essere immediatamente e costantemente individuabile e riconoscibile. Di fatto, proprio perché favoriscono l’atto improvvisativo del singolo poeta, i “paletti musicali” di ciascun dispositivo risultano alquanto duttili, delineando “identità melodiche” più o meno sui generis, a seconda dei casi costituite da alcuni comportamenti sonori ricorrenti che si combinano con altri tendenzialmente idiolettali. Ad esempio, confrontando in prospettiva meramente musicale le performance dei poeti logudoresi professionisti, al di là del necessario riscontro dell’articolazione in macro unità corrispondenti all’unità di riferimento del testo verbale (l’ottava) e della regolare adozione della scansione metrica modellata sull’endecasillabo, è del tutto normale riscontrare procedimenti di canto piuttosto diversi. Per dire, l’articolazione interna delle stanze, ossia la segmentazione del materiale musicale rispetta tendenzialmente l’unità del testo verbale (il verso), con pause ben marcate dopo l’undicesima sillaba durante le quali entra su Tenore con i suoi corfos: ciò però non avviene in maniera sistematica dal momento che nella concretezza di una performance i poeti uniscono fra di loro due o tre (qualcuno perfino quattro) versi, senza pausa fra l’uno e l’altro (dunque senza entrata de su Tenore) cantandoli con una sola emissione di fiato o inframmezzando i versi con delle (necessarie) brevi prese di fiato. Nelle performance di alcuni poeti sembra riscontrarsi una certa ricorrenza al riguardo – per esempio Bernardo Zizi spesso unisce terzo e quarto verso dell’ottava – in quelle di altri invece si rileva una grande aleatorietà. Altro tratto caratterizzante è la netta prevalenza dell’andamento sillabico (una nota per sillaba) che favorisce l’immediata comprensione delle parole in corrispondenza della prima parte del verso (soprattutto le prime cinque sillabe) e la presenza di passaggi di tipo ornamentale (due o più note per sillaba) in coincidenza con le ultime sillabe, soprattutto con la decima.6 Anche in questo caso si può riscontrare una grande variabilità fino a realizzazioni di interi versi interamente in stile ornamentale (cfr. l’attacco di Bruno Agus nella gara di Orgosolo del 2009 documentata nel sito di Incontro http://www.incontrotransfrontaliero.com/scheda.php?cat=9&id=24). Una estrema aleatorietà si rinviene poi nelle condotte dei diversi segmenti melodici, tanto che dal semplice confronto fra i risultati di performance diverse, infatti, appare subito evidente la problematicità di una sistematica definizione fra elementi costanti e variabili (cfr. Macchiarella 2000). Con riferimento alle ben note schematizzazioni proposte da Adams (1976) si può certamente indicare un netto prevalere di curve discendenti (tipo IF=G) o ad arco (tipo I=F=G