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italiano Pages 247 [122] Year 1990
Gerasimos Santas
Platone e Freud Due teorie dell'eros
Nel corso dei secoli poeti, scrittori, filosofi, teologi, psicologi, antro pologi e persino biologi si sono applicati a descrivere e spiegare la natura enigmatica dell'amore. La letteratura sull'argomento è im mensa; se in essa ci diamo a cercare le concezioni più articolate e compiute, le troviamo ai capi opposti della nostra civiltà: nella Gre cia classica di Platone e, con Freud, nel nostro ventesimo secolo. Il presente saggio è appunto dedicato a esporre, discutere e infine mettere a confronto le teorie di Platone e Freud: due concezioni che, pur nella distanza non solo temporale che le separa, hanno avuto un'enorme influenza sul nostro pensiero. Per Platone all'eros, figlio di necessità e mancanza, dobbiamo ogni forma di creatività e di bellezza, ma anche il desiderio di immortalità, il bene e la giustizia, mentre Freud lega più concretamente l'eros alla fisiologia, alla strut tura, alla dinamica e all'economia della psiche e alla segreta irra zionalità dell'inconscio. Se pure entrambe ricche di spunti e di suggestioni, le due teorie non rispondono del tutto all'infinita gam ma di interrogativi sulla natura e le forme dell'amore che l'uomo via via si pone. Esse piuttosto aprono la via a continuare nella ricerca. Gerasimos Santas è direttore del Dipartimento di Filosofia nell'Università della Ca lifornia, a lrvine.
il Mulino
L 25.000 �.i.)
Indice
Prefazione
p.
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I.
Lo studio dell'amore
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II.
La teoria dell'eros platonico nel «Simposio»
29
III. L'eros passionale nel «Fedro» di Platone
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IV. Platone sull'amicizia e l'amore familiare
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La nuova teoria sessuale di Freud
133
V.
VI. La teoria dell'amore di Freud
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VII. Le due teorie dell'amore a confronto
203
Epilogo: altre domande sull'amore
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ISBN 88-15-02760-2 Edizione originale: Plato and Freud. Two Theories of Love, Oxford, Basil Blackwell, 1988. Copyright © 1988 by Gerasimos Santas. Copyright © 1990 by Società editrice il Mulino, Bologna. Traduzione di Loretta Ca salboni. È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico, non autorizzata.
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Cavalcando l'altr'ier per un cammino, pensoso de l'andar che mi sgradia, trovai Amore in mezzo de la via in abito leggier di peregrino. Ne la sembianza mi parea meschino, come avesse perduto segnoria Dante Vana è la gloria del cielo, vana la bellezza del campo e del frutteto se, mentre guardiamo con occhi pieni di stupore, non impariamo anche ad amare Wordsworth
Prefazione
In questa edizione italiana, per quanto riguarda le opere di Plato ne e di Freud sono state utilizzate le seguenti traduzioni: Platone, Dialoghi, Bari, Laterza, 1988 (Fedro, Repubblica e Simpo sio) Platone, Dialoghi, Torino, Utet, 1970 (Pedone e Liside) S. Freud, Opere, 12 volumi, Torino, Boringhieri, 1977.
Il modesto scopo che mi ha spinto a scrivere questo libro è stato quello di chiarire due grandi, coerenti e autorevoli teorie dell'amore. Non è stato un obiettivo semplice. Come la vita stessa, l'amore sembra un grande mistero. Desiderio, ragione, piacere, il perpetuarsi della specie umana, la crea zione artistica e scientifica, l'immortalità, la teoria delle idee, il bello e il bene, l'anima umana e l'essenza divina tutto questo, ma non solo, troviamo nello studio di Platone sull'amore. A ciò Freud aggiunge i fatti concreti dell'anato mia e della fisiologia, l'evoluzione della specie, l'incipiente vulnerabilità del bambino, le vicissitudini dello sviluppo umano nella famiglia e nella cultura, la struttura, la dinami ca e l'economia della psiche e la segreta irrazionalità dell'in conscio. Lo studio dell'amore ha confini naturali? I nostri autori, inoltre, hanno affrontato questo tema in molte loro opere, talvolta implicitamente, non sempre con convinzione, e talvolta discutendone apertamente. Essi hanno cambiato posizione varie volte ed entrambi si sono accostati ai misteri dell'amore con timoroso rispetto ed umiltà. L'umiltà di Socrate nel Simposio e nel Fedro va ben oltre l'usuale apostasia socratica. Freud non scrisse mai quel libro che secondo Ernest Jones aveva annunciato sulla «vita amorosa dell'uomo», ma negli ultimi anni della sua vita dis se che ben poco si conosceva sull'amore. E naturalmente la letteratura secondaria sui due autori dimostra ampiamente che molti dei testi importanti presi in esame sono stati giu stamente interpretati in modi diversi. Ho persino sentito contestare il fatto che Freud avesse una teoria dell'amore distinta dalla sua teoria generale della sessualità, cosa che secondo me è vera, anche se naturalmente riconosco che la sua teoria dell'amore si è sostanzialmente basata sulla sua teoria della sessualità.
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Prefazione
Per tutte queste ragioni, raccogliere le opinioni sull'a more di ciascun autore e «ricostruirle» come «teorie dell'a more» è un'impresa più difficile e rischiosa di quanto a pri ma vista non possa sembrare. Nondimeno, tenendo conto della diversa prospettiva delle varie opere, dello sviluppo delle idee e delle difficoltà di interpretazione, ritengo che Platone e Freud abbiano creato due grandi teorie compiute dell'amore che hanno resistito piuttosto bene nel corso del tempo. Io spero che il tentativo di accostarle secondo un'ot tica ben precisa, come teorie dell'amore, ci aiuterà a com prendere meglio le loro idee, a capire qualcosa dell'amore e forse a stimolare ulteriori studi e ricerche. Il piano generale del lavoro consiste nel delineare breve mente la natura e gli obiettivi di questo studio, nel ricostrui re abbastanza dettagliatamente ciascuna teoria dell'amore nell'ambito del rispettivo contesto, nel metterle a confronto ed infine nel sollevare alcune domande critiche. Nel capito lo introduttivo verranno fatte alcune distinzioni a proposito dello studio dell'amore e verranno esposti i motivi che han no determinato la scelta di Platone e Freud. Con una serie di domande cercherò poi di mettere in lu ce sommariamente quali sono gli obiettivi di una teoria del1'amore, ed esaminerò il background linguistico della teoria erotica di Platone. I capitoli 2, 3, 4 sono dedicati ad una dettagliata esposizione critica delle teorie platoniche dell'e ros, dell'amicizia e dell'amore familiare. Nel capitolo 5 deli neerò brevemente la nuova concezione freudiana della ses sualità, sottolineando gli elementi più chiarificatori della sua teoria dell'amore; e nel capitolo 6 tale teoria verrà spie gata in maniera più dettagliata. Infine metterò a confronto le due teorie nel capitolo 7 per poi concludere con alcune domande critiche. È impossibile riconoscere fino in fondo tutto l'aiuto che ho ricevuto negli ultimi otto anni durante i miei studi sulle teorie erotiche di Platone e Freud per scrivere questo libro. Gli interrogativi acuti sollevati dai miei studenti della Uni versity of California a Irvine e a Stanford, dove ho tenuto dei corsi sulle teorie dell'amore di Platone e Freud, hanno contribuito a bilanciare la mia ammirazione per questi due 10
Prefazione
grandi autori con un distaccato scetticismo. Non avrei potu to fare a meno della splendida edizione del Simposio a cura di Bury, mentre i sottili punti di divergenza espressi da Do ver nei confronti_della concezione erotica di Platone hanno rappresentato un vero e proprio antidoto contro il potere magico di Platone, che per molti di noi è ancora ciò che Par menide era per lui, «una figura venerabile che suscita terro re e rispetto» - persino Freud lo chiama «il divino Plato ne». Per i rituali letterari drammatici e religiosi con cui Pla tone a volte presenta le proprie concezioni ho ricevuto un aiuto prezioso da Guthrie. Ha avuto una notevole impor tanza anche l'opera polemica di Vlastos e Moravcsik sulla teoria dell'amore di Platone. Devo inoltre ringraziare il Prof. David Halperin, Chris Slupik, e numerosi lettori ano nimi per l'utilità dei loro numerosi commenti. Devo molto specialmente al Prof. Charles Kahn, che lesse una prima versione del manoscritto e mi aiutò a correggere vari errori di omissione e sovrabbondanza nel caso di Platone; gli sono soprattutto grato per il tempo che generosamente mi ha de dicato. Per capire le idee di Freud e la loro evoluzione mi sono soprattutto basato sull'opera editoriale di James Stra chey e sulla splendida biografia intellettuale di Ernest Jones e, in misura minore, sull'opera di Ellenberger, D. Rappa port, Wollheim e Sullaway. Sono particolarmente ricono scente al Prof. Irvin Yalan, che lesse una prima versione dei capitoli su Freud e sollevò molte domande utili, e al cui se minario su Freud tenuto alla Stanford Medical School impa rai molto sul primo Freud. Sono grato anche al Prof. Louis Gottschalk della University of California, presso la Irvine Medical School, che lesse una successiva versione dei capi toli su Freud e mi incoraggiò a proseguire. Naturalmente nessuna di queste persone eccelse è responsabile delle mie interpretazioni o di errori che senza dubbio sussistono. Infi ne, ringrazio mia moglie Ann per il suo sentito incoraggia mento e per il suo amore costante. G.S.
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Capitolo primo
Lo studio dell'amore
Introduzione La letteratura sull'amore è vastissima. Nel corso dei se coli nelle sue svariate forme è stato descritto, spiegato, defi nito, rappresentato e celebrato da poeti, letterati, filosofi, teologi, psicologi, antrop�logi e persino biologi. Ormai, nu merosi studi storici e comparati hanno distinto concetti di versi e diverse fasi storiche in Occidente 1. In Platone c'è la distinzione fra eros e filìa, l'amore erotico, l'amicizia e I'a more familiare; nella letteratura cristiana il concetto di aga pe, l'amore di Dio, l'amore per Dio e l'amore fraterno; poi nascono l'amore cortese e quello romantico. Sarebbe utile distinguere la letteratura d'amore prodot ta da poeti, romanzieri e letterati da un lato, e da filosofi, teologi e scienziati dall'altro 2, anche se si tratta di un'opera zione sommaria. Tale distinzione non vuole essere offensi va. Saffo, Dante, o Shakespeare possono descrivere e rap presentare l'esperienza d'amore con una bellezza, una deli catezza, ed una forza drammatica che i filosofi, i teologi e gli scienziati non pretendono nemmeno di emulare, sebbene alcuni di essi siano anche grandi scrittori. Ciò che caratte rizza quest'ultimo gruppo di scrittori, Platone, Tommaso d'Aquino o Freud, è che essi affrontano lo studio dell'amo re in modo più sistematico. Essi cercano di distinguere, classificare e definire diverse forme del fenomeno, tentano di scoprirne le origini e le cause nell'ambito della natura e della condizione umana, e anche di interpretarne il signifi cato e l'importanza all'interno della loro visione della vita e del destino umano. Perciò nel loro caso possiamo parlare forse di teorie dell'amore. In questo libro ricostruiremo e confronteremo due teorie di questo tipo. Perché i filosofi dovrebbero interessarsi dell'amore? La
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Lo studio dell'amore
ragione è in parte da ricercare nella tradizione storica. Pla tone, padre di tanta filosofia, vi dedicò tre importanti dialo ghi: il Liside sull'amicizia e il Simposio e il Fedro sull'amore erotico. Molti altri filosofi, come ad esempio Aristotele, Agostino e Tommaso d'Aquino, affrontarono seriamente lo studio dell'amore. Ma la ragione fondamentale è al di là del la storia. Platone e Aristotele videro nell'amicizia un ele mento molto positivo ed importante per la felicità. Platone concepì l'eros come una potente forza ispiratrice in grado di permettere agli esseri umani di realizzare le loro opere più grandi nell'arte, nella scienza e nella filosofia. Nella sua teo ria della sublimazione Freud sostiene una concezione simile e considera l'amore sessuale come la fonte della nostra più intensa esperienza di piacere e come elemento fondamenta le della nostra ricerca della felicità. I filosofi cristiani come Agostino e Tommaso d'Aquino sminuirono l'amore erotico ma elevarono l'amore per Dio a principio conduttore di una vita virtuosa nella strada della salvezza. Lo studio dell'amo re, quindi, è inevitabilmente connesso allo studio dell'etica, di ciò che è giusto e bene. Che alcune forme dell'amore pos sano fungere da principio fondamentale di rettitudine è di scutibile - ad esempio John Rawls lo pone in discussione a proposito della benevolenza 3. Ma penso che non ci siano dubbi sul fatto che non è possibile migliorare in quanto es seri umani, realizzarsi ed essere felici, a prescindere da alcu ne forme d'amore. Platone e Freud sarebbero senz'altro d'accordo. Ma perché mettere a confronto Platone e Freud? Uno studio storico e teoretico più esauriente sarebbe molto interessante per la filosofia, la psicologia, e forse anche per l'educazione e l'estetica: un lavoro che ricostruisse e con frontasse le grandi teorie dell'eros e dell'amicizia di Platone e Aristotele, le teorie cristiane dell'agape, le teorie dell'a more cortese e romantico, la teoria di Freud e le numerose teorie post-freudiane di questo secolo, opera soprattutto di psicologi. Ma uno studio di tali dimensioni va oltre le mie conoscenze e probabilmente diventerebbe un'opera artico lata che abbraccia diverse discipline. Per quanto mi riguar da farò una ricostruzione ed un confronto fra due grandi e
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Lo studio dell'amore
coerenti teorie che ritengo pietre miliari nella storia di que sto concetto. La scelta di Platone e Freud è stata determinata da di verse ragioni. Pri�a di tutto, è Freud stesso che suggerisce il parallelismo. In varie occasioni egli cerca di sostenere le proprie teorie della sessualità e dell'amore facendo riferi mento al «divino Platone>>; e in Psicologia delle masse e ana lisi dell'io egli stesso fa un paragone ben preciso: «nella sua origine e funzione e nel suo rapporto con l'amore sessuale, l'Eros del filosofo Platone coincide esattamente con la for za amorosa, la libido della psicanalisi. .. ». Se si considerano le numerose differenze di fondo fra Platone e Freud, per quanto riguarda il linguaggio, la cultura e le condizioni del la loro conoscenza scientifica e filosofica, questa è una af fermazione di notevole importanza che merita di essere ap profondita. A parte questo, Platone e Freud possono benissimo es sere considerati due grandi innovatori, due rivoluzionari nello studio dell'amore, due filosofi e scienziati che si av valsero di teorie e metodi completamente nuovi nell'analisi dei concetti e nella comprensione dell'esperienza. Platone fu il primo grande filosofo ad affrontare seriamente lo stu dio dell'amore. Con la sua psicologia morale e le sue teorie della persona e dell'anima individuò l'origine dell'amore nell'imperfezione umana e nella mortalità; ricorse ai nuovi metodi filosofici, creati da lui stesso e da Socrate, per defi nire diverse forme d'amore e alla sua teoria metafisica delle idee per dimostrare che l'amore può elevarci e metterci in contatto col divino. A proprio giudizio, Freud fu il primo scienziato ad affrontare lo studio dell'amore in termini scientifici, a tentare di esplorare i suoi misteri e spiegare i suoi aspetti irrazionali 4. Avvalendosi delle sue nuove teorie della mente e dello sviluppo psicosessuale dell'individuo e basandosi su dati ricavati dai suoi pazienti grazie ai metodi della psicanalisi, egli cercò di individuare le origini di tutte le espressioni dell'amore nelle prime esperienze dell'in�ivi duo e di definire e spiegare geneticamente le sue svariate forme nella vita adulta. A mio parere, il risultato di tutto ciò è notevole: due grandi, coerenti e ambiziose teorie che
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Lo studio dell'amore
chiariscono in misura considerevole numerosi concetti ed esperienze interrelate. A quanto mi risulta, le due teorie non sono mai sfate ri costruite e paragonate in modo abbastanza sistematico e dettagliato 5• Entrambe sono complesse per cui i confronti vanno fatti con attenzione e larghezza di vedute. Ad esem pio, non dobbiamo dare per scontato sin dall'inizio che Platone e Freud avessero lo stesso interesse per l'amore o che si ponessero esattamente le stesse domande, né tanto meno che le loro teorie della mente umana o i loro metodi di ricerca fossero simili. Innanzitutto ciascuna teoria deve essere ricostruita in se stessa e all'interno del più ampio contesto teorico di ciascun autore, mentre i confronti veri e propri vanno fatti solamente in un secondo momento. Spero che in tal modo si potranno mettere in luce le carat teristiche essenziali di ciascuna teoria, indicarne i pregi e difetti principali e persino stimolare ulteriori studi. Questa è la strategia che seguirò in questo libro.
Domande sull'amore Abbiamo parlato delle teorie dell'amore di Platone e Freud ed abbiamo fatto una distinzione fra le opere sull'a more dei poeti e quelle dei filosofi e degli scienziati. Natu ralmente anche questa distinzione può essere discutibile, cosl come l'implicazione che i poeti non hanno teorie sul1'amore. Senza affrontare quest'ultima controversia, sareb be certamente utile farsi un'idea di che cosa sia una teoria dell'amore. Potremmo definirla per sommi capi consideran do brevemente le principali domande sull'amore formulate da vari filosofi e scienziati e ritenute abbastanza importan ti da meritare una risposta. Questo ci permetterà di capire che senso ha una teoria dell'amore, orientandoci quindi nell'esposizione e nella valutazione delle due teorie di Pla tone e Freud, e consentirà di dare un rapido sguardo alle principali controversie che caratterizzano la letteratura ero tica. La serie di domande che analizzeremo ha una ragione 16
Lo studio dell'amore
d'essere e non è arbitraria nel senso che si tratta di doman de che i teorici dell'amore hanno ritenuto importanti e a cui hanno veramente cercato di rispondere. Questa serie non contiene certo tutte le domande poste sull'argomento, ma solamente le più importanti e una teoria che non ri sponda a gran parte di esse può senz'altro considerarsi in completa. Platone e Freud non formulano esplicitamente tutte queste domande - difficilmente può farlo un solo autore - ma le loro teorie sono abbastanza complete da cont,enere o perlomeno suggerire quasi tutte le risposte. E universalmente riconosciuto che l'amore è una rela zione costituita da almeno due termini, l'essere che ama, l'amante, e l'essere che è amato, l'amato o l'«oggetto» d'a more. E inoltre chiaro che l'amore non è sempre recipro co 6. L'amore che si prova può essere contraccambiato, ma può anche non esserlo ed è forse per questo motivo che gli studi sull'amore sono di solito studi sull'amante. La prima domanda che si pone riguarda le possibili categorie di '� sulla domanda che conclude il Liside, che cos'è un amico. E evi dente che essa soddisfa il modello egoistico di mancanza e include anche il desiderio di bene, per cui può essere consi derata una forma dell'eros generico del Simposio. E come nel Simposio l'eros, generico o specifico, non era limitato al le relazioni interpersonali, anche qui il concetto di amicizia 118
Platone sull'amicizia e l'amorefamiliare
è ampliato: può anche essere un r.appo7to con un ?gg.e!to inanimato. In generale, essere amico di qualcosa sigmfica rendersi conto che è un bene di cui si ha bisogno a causa della presenza di un male. . Socrate espone poi alcuni dubbi che egli nutre a p�oposi to di questa ipotesi e alla fine la abbandona. Innanzitutto, talvolta siamo amici di qualcosa a causa di qualcos'altro; ad esempio un uomo malato è amico del medico perché gl� s!a a cuore la salute. Noi diamo valore a cose come la medicma, l'argento e l'oro in vista di qualcos'altro. Ma non può ess�re sempre così: ci deve essere qualcosa per la quale apprezzia mo tutto il resto, e non per altre cose. Ed è questa, secondo Socrate, la «prima» cosa «veramente» arnie�, men�r� le altre cose di cui siamo amici ne sono solo delle immagm1. «Dun que ciò che è realmente l'amico è amico, ma non in vista di un'altra cosa amica» (220 b).Questo è il «bene», qualunque cosa sia. L'amicizia vera, o quella più vera, quindi, va defi nita come un bene non strumentale rispetto al quale tutti gli altri sono beni strumentali. Si potrebbero fare osservazioni simili a proposito dell'eros generico nel Simposio e anche dell'eros specifico: il vero eros specifico, potrebbe dire Pla tone, è l'amore per la Bellezza in sé, non per ciò �he è bell� in relazione ad essa. Finora non si tratta necessariamente di un'obiezione all'ipotesi, poiché possiamo avere, per così di re una «scala dell'amicizia», in cui l'amico dell'oro e dell'ar ge�to si trova più in basso rispetto all'amico della sapienza e così via. A questo punto, però, Socrate è un po' perplesso, so prattutto di fronte alla parte dell'ipotesi che dice «che il be ne è amato a causa del male» (220 b).Questo lo lascia incer to per come viene espresso, specialmente pe7c�! egli no? . riesce a distinguere chiaramente fra «a causa di cio» e «m vi sta di ciò» (220 e). Naturalmente sembra assurdo pensare che amiamo il bene in vista del male e comunque l'afferma zione originale era che noi desideriamo e amiamo il bene perché ci guarirà dal male che è in noi. Eppure Socrate è al quanto dubbioso anche di fronte a quest� pur corretta �ffer mazione: secondo lui ciò implica che se il male non esistes se, il bene non sarebbe di alcuna utilità e così non sarebbe 119
Platone sull'amicizia e l'amore familiare
Platone sull'amicizia e l'amorefamiliare
amato. Il bene è forse cosl per sua natura, egli chiede, che «a causa del male esso è amato da noi, che, siamo a metà tra il male e il bene, mentre esso per se stesso non ha alcun utili tà?» (220 d). Egli pensa poi a cosa succederebbe se il male sparisse e conclude giustamente che certi desideri quali la fame e la sete, che di per sé non sono né buoni né cattivi continuerebbero ad esistere, poiché è assurdo credere che s� il male sparisse sparirebbero anche le cose non cattive. Per desiderare o amare il bene non è necessario avere una cosa cattiva o un male, ma solo che ci manchi il bene. Questa è la concezione del modello di mancanza del Simposio: in realtà non è il male che ci porta ad amare e desiderare la bellezza e la bontà, ma solo la mancanza di queste, perché si desidera ciò di cui si è privi. Pertanto, l'espressione «a causa del male» viene elimina ta dall'ipotesi preferita. Amicizia significa desiderare e ama re un be?e che non abbiamo e di cui abbiamo bisogno, e la _ forma migliore e ideale di amicizia non è fondata sul deside rio e sull'amore di beni strumentali ma sull'amore del bene in sé. Ma ancora una volta Socrate intravede delle difficoltà. Apparentemente senza motivo, egli lascia cadere la questio ne del bene e si concentra invece sul desiderio e sulla man canza come «la causa» dell'amicizia. Forse chi desidera è amico di ciò che egli desidera, e dal momento che desidera qualcosa di cui è privo, egli è amico di ciò di cui è privo. Ma se uno è privato di qualcosa, lo è quando ciò gli viene tolto cosl può darsi, egli dice, che l'oggetto dell'eros e dell'amici: zia e del desiderio sia ciò che gli è proprio (to oikeion). Due persone allora sono amiche quando sono «affini» l'una all'al tra. �oiché_ Socrate . ?a scartato il bene dall'ipotesi, egli ha motivo d1 cercare c10 che possa caratterizzare l'amico (o l'a mante) e gli oggetti di desiderio. Senza il bene infatti il concetto di mancanza resta aperto e si potrebbe p'ersino dire che se uno vien� privato del male, è proprio il male che gli manca. Inoltre, il concetto che Socrate sostituisce al bene to oikeion, è accettabile perché è proprio quella nozione eh� caratterizza gli oggetti dell'amore familiare, accezione ap120
punto del termine filia assieme ad «amicizia». Nell'amore familiare noi amiamo nel vero senso della parola i nostri oi keioi, quelli della nostra famiglia, padre, madre, o figli e co sl via. Oltretutto, concetto che ciò che amiamo ci appar tiene, non necessariamente il bene, è un concetto radicato: Aristofane se ne servì nel Simposio per definire l'eros, il de siderio di ciò che un tempo era parte della nostra natura. Lo stesso Freud ne fa uso nello studio sul narcisismo e persino Platone, come vedremo, nella Repubblica. Tuttavia il significato letterale di oikeioi, i consangui nei, non ci aiuta molto a proposito dell'amicizia, poiché na turalmente gli amici non rientrano nella cerchia dei parenti. Così Socrate cerca in qualche modo di caratterizzar� «ciò che è affine», ma invano. Se diciamo che «ciò che è affine» è «il simile» incorriamo nelle difficoltà di prima: i malvagi saranno amici, ma ciò non è possibile poiché si oltraggiano, e i buoni saranno amici, il che non rispetta il modello di mancanza (222 b). E se stabiliamo che «il bene è affine ad ogni cosa e il male estraneo a tutto» (222 e), in modo che «il buono e l'affine sono la stessa cosa, non diciamo forse che solo il buono è amico solo del buono?» (222 cd), ragiona mento che è stato già a sua volta confutato. Tutto questo lascia Socrate un po' confuso, ma poi la discussione viene interrotta dai tutori dei ragazzi e il dialo go termina con l'osservazione di Socrate che sebbene essi credano di essere amici, non sanno ancora «che cos'è l'a mico». Qual è la mor,ale del Liside? E quali idee platoniche pos siamo dedurne? E abbastanza chiaro che, come nel Simpo sio, il desiderio di bene e il modello egoistico di mancanza del desiderio dominano la discussione. E come nel caso del l'eros, Platone non concepisce la /ilia solamente come un rapporto interpersonale: come può esistere l'amore per og getti inanimati e astratti, che in realtà è la specie migliore, cosl egli dice nel Liside che la migliore forma di amicizia è legata al bene. Ma risulta anche evidente che il caso dellafi lia trattato nel Liside era più complicato di quello dell'eros affrontato nel Simposio e nel Fedro, e forse ciò è dovuto a una differenza fondamentale fra eros e amicizia: l'eros non
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Platone sull'amicizia e l'amore familiare
deve essere necessariamente reciproco, dato che si può amare in senso erotico senza mai essere ricambiati, ragion per cui possiamo definirlo senza troppi p�o?lef1:1i tramite �l desiderio, che è appunto una relazione umdirezionale. S�h tamente Platone chiama i due termini del rapporto erotico «amante» e «amato», dei quali l'«amato» potrebbe essere un oggetto inanimato e astratto. Ma è a dir p�co difficile non pensare ali'amicizia come a un rapporto :eciproco fra ��rso ne. Forse ciò che impediva a Platone di avere una vis10ne più chiara era il fatto che il termine/ilia indicava anche l'.a more familiare, che come l'eros non deve essere necessaria mente ricambiato, e che probabilmente Platone era propei: so a credere che lo stesso termine ha sempre lo stesso sigm ficato. Mentre Aristotele non si lasciò confondere e imperniò l'analisi dell'amicizia sul mutuo rapporto fra persone, Pla tone rivolge tutta la sua attenzione alla domar:ida «Che co s'è l'amico?» lasciando cosl in sospeso la questione della re ciprocità dell'amicizia. Perciò se da un lato egli afferma che colui che ha bisogno del bene e lo desidera è amico del be ne, dall'altro egli definisce il bene un amico. �a jl bene no? è di certo amico nostro nello stesso senso, poiche non ha bi sogno di noi, né ci cerca né tantomeno ci ama. Si pu� presu� mere che il bene sia un «amico» in tal senso perche non si rivela mai dannoso ma solo utile. Ciò nonostante, Platone non esclude affatto l'amicizia come mutuo rapporto interpersonale. S?crate !nfatti terD:1-i� na la discussione dicendo che «noi crediamo di essere amici tra noi» e certamente lo annoia il fatto di non aver p�tuto spiegare il caso dell'amicizia fra due persone buone. E ov vio che se qualsiasi persona può essere amica di un'altra, ciò vale anche per quelle buone, come si affer�a c?iara�ent� nel Fedro (255 b): «è assurdo che un malvagio sia amico di un malvagio e che un buono sia amico d'un buon?»-. Può darsi che l'origine del problema sia il fatto che applichiamo il modello di mancanza del desiderio a /ilein, amare, e che forse il nostro concetto di persona buona è troppo rigido. Perché due amici siano tali devono amarsi, ma per amarsi l'un l'altro è necessario che a ciascuno manchi un certo be122
Platone sull'amicizia e l'amore familiare
ne, una virtù, che spera di ricevere dall'altro. Se però sono entrambi buoni, allora sono già in possesso di tutte le virtù, perlomeno secondo la teoria socratica dell'unità delle virtù, in base alla quale se. un uomo possiede una virtù, ne possie de automaticamente tutte le altre. Sebbene qui non venga presa in considerazione, tale concezione permetterebbe di risolvere i problemi che il caso dell'amicizia fra due uomini buoni solleva. Resta da verificare se vengano superati nella Repubblica.
Amicizia e amore familiare nella «Repubblica» Non potranno essere mai divisi gli spiriti che ama no e vivono nello stesso principio divino; radice e prova della loro amicizia. Willian Penn
Sebbene nella Repubblica Platone non approfondisca i temi dell'eros, dell'amicizia o dell'amore familiare, o non li definisca in qualche modo, egli attribuisce tuttavia all'ami cizia e all'amore familiare un ruolo molto importante. Co me ha osservato Vlastos, «La società ideale della Repubblica è una comunità politica sorretta dai vincoli dell'amore fra terno» 9. Questo amore fraterno o amicizia cittadina è la fi lia, che ora Platone concepisce insieme come amore familia re e amicizia, essendo anzi l'uno ide�tico all'altra. Ma come possono confondersi o coincidere? E l'amore familiare che viene assimilato all'amicizia, o l'amicizia all'amore familia re o entrambi a qualcos'altro? Distinguere l'amore familiare dall'amicizia è per noi più facile di quanto non doveva esserlo per Platone, poiché non solo noi possiamo pensare che genitori e figli o fratelli e so relle non siano amici e che degli amici non appartengano al la stessa famiglia, ma abbiamo anche parole diverse per in dicare questi legami, laddove Platone disponeva di un unico termine per entrambi. In un passo significativo all'inizio del Liside (210 cd), Socrate dice a Liside che se egli fosse inutile, non solo suo padre ma nessun altro lo amerebbe, 123
Platone sull'amicizia e l'amorefamiliare
mentre invece se diventasse sapiente, utile e onesto, tutti sarebbero suoi amici e oikeioi (familiari). Ciò che qui va sottolineato è l'idea che sembra essere scartata, cioè che un padre non amerebbe il proprio figlio semplicemente perché è suo figlio, una continuazione di se stesso. A quanto pare l'oggetto dell'amore familiare è il bene, proprio come nel l'amicizia. Un padre, come ogni altra persona, ama il bene, e se suo figlio è buono lo ama e gli è amico come tutti gli al tri. A giudicare dal Liside, dunque, l'amore familiare e l'a micizia sono due specie del desiderio di bene. Ma è questa la prospettiva della Repubblica? Sempre nel Liside (207 e) troviamo un'idea che Platone affronta poi piuttosto seriamente nella Repubblica: le cose degli amici sono comuni. La ritroviamo alla fine del Fedro (279 e) e, anche se più indirettamente, nel Simposio (209 e), dove si afferma che gli amanti dell'anima godranno di una comunione più intima e di un'amicizia più salda (di quella che viene dall'avere figli) perché condividono delle creazioni più belle e immortali. Questa diviene l'idea centrale della Repubblica: l'essenza della filia, amicizia e amore familiare, è avere ogni cosa in comune, condividere tutto. Il principio secondo il quale le cose degli amici sono co muni compare per la prima volta ai paragrafi 423-424, a proposito dell'unità dello stato ideale. Viene brevemente applicato al possesso delle mogli e dei figli, per essere poi ri preso nel Libro V, quando vengono proposte riforme im portanti delle due classi più elevate, i guardiani e i gover nanti. A Socrate viene ricordata la massima di cui egli ave va precedentemente parlato a proposito della famiglia e gli viene chiesto di specificare meglio ciò che ha inteso dire (449 e). Dopo una digressione sull'uguaglianza delle donne, egli ritorna all'argomento principale con tre audaci propo ste: prima di tutto, i guardiani e i governanti avranno «case e pasti comuni e nessuno possedendo nulla di simile a titolo personale» (proprietà) (458 cd). In secondo luogo, «[le] don ne di questi nostri uomini siano tutte comuni a tutti, e nes suno abiti privatamente con alcuno; e comuni siano poi i fi gli, e il genitore non conosca la propria prole, né il figlio il genitore» (457 c-d). In tal modo nessun guardiano potrebbe 124
Platone sull'amicizia e l'amore familiare
«considerare o trattare un collega come un estraneo» (l'op posto di oikeion); perché «chiunque uno incontri, crederà di incontrare o un fratello o una sorella o il padre o la ma dre o un figlio o un� figlia o prole o avi di costoro» (463 e). Si ha quindi l'abolizione della proprietà privata e della fa miglia, che vengono sostituite da una grande famiglia con la comunanza dei beni in cui tutto e tutti appartengono a cia scuno. Tutti saranno amici e parenti di una stessa famiglia. Queste tre proposte hanno la loro giustificazione nel fatto che per uno stato non esiste un male peggiore «di quello che divide e lo fa di uno molteplice... o un bene maggiore di quello che lega lo stato e lo fa uno» (462 ab). Con la pro prietà e la famiglia privata, i guardiani e i governanti use rebbero espressioni come «il mio» e «non il mio» in riferi mento a beni diversi, mentre con la comunanza di famiglia e proprietà le riferirebbero alle stesse cose; nel primo caso si avrà divisione e conflitto, nel secondo unità. Però anche queste riforme non sono poi cosl rivoluzio narie. In terzo luogo, «è elemento di coesione la comunanza di piacere e dolore», e «sono fattore dissolvente i piaceri e i dolori particolari, quando, pur essendo identici i casi che toccano sia allo stato sia ai privati cittadini, gli uni provano massimo dispiacere, gli altri massima gioia» (462 be). Per tanto i custodi e i governanti non devono condividere solo la proprietà e la famiglia ma persino i sentimenti. L'ultimo modello infatti non è la famiglia, bensì l'individuo: Ebbene, quello stato in cui la maggioranza usa con l'identico scopo e alla stessa maniera l'espressione «il mio» e «non il mio», rion è uno stato ottimamente amministrato? (462 c).
Lo stesso si può dire per l'individuo: quando prova do lore o piacere in una sua parte, tutto il corpo prova queste sensazioni e non solo le parti da cui esse provengono 10. ... assai prossimo a un simile individuo è lo stato con ottima costituzione. Se dunque, penso, un solo cittadino è colpito da un caso qualsiasi, buono o cattivo, questo stato riconoscerà subito che quel caso lo tocca direttamente e condividerà tutto il piacere o il dolore del suo cittadino (462 de).
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Platone sull'amicizia e l'amorefamiliare
La migliore forma di governo dello stato si avrà quando tutti, possibilmente, ma senz'altro i custodi e i sovrani, condivideranno proprietà e famiglia e, cosa ancora più im portante, quando godranno e soffriranno per le stesse cose. E possiamo certamente aggiungere che, per Platone, non potranno godere e soffrire per le stesse cose se non avranno tutti la stessa concezione del bene e del male, amando e odiando le stesse cose. Il principio che afferma che i beni degli amici sono comuni è stato preso alla lettera ed è stato applicato spietatamente ad ogni cosa, diventando così l'ele mento emotivo fondamentale per la coesione dei cittadini che garantisca l'unità dello stato 11.
Amicizia come comunanza di conoscenza e desiderio di bene Dato che Platone non formula una definizione della fi . lza nella Repubblica, è difficile poter dire quale sia la sua funzione precisa. Nei dialoghi che precedono la Repubblica, soprattutto nel Liside e nel Simposio, la tesi di Platone sem bra proprio essere quella che non si può amare- (filei) un og
getto se non lo si considera un bene mancante di cui si ha bisogno.Ed è questa la proposizione essenziale con cui cer ca di spiegare che cos'è l'amicizia, come del resto anche l'e ros, benché in questo caso anche il concetto di bellezza ab bia un ruolo speciale. Ma nella Repubblica egli si occupa di una gamma molto più vasta di problemi sociali, politici ed etici, in particolare di un concetto essenzialmente sociale la giustizia, e della possibilità e stabilità di uno stato ideal; giusto. Una condizione necessaria per realizzare tale socie tà, seco?do lui, è che le classi dirigenti, i guardiani e i go _ vernanti, facciano dei propri interessi gli interessi della cit tà.Perciò all'inizio del terzo libro, parlando della selezione e dell'educazione dei guardiani, egli dice: Ma uno avrà una cura particolare di ciò che ama....E certo amerà di un amore particolare ciò cui ritiene siano utili le stesse cose che a lui, e quando crede che il massimo successo dell' ogget to amato s1_ traduca nel successo suo proprio, e viceversa (412 d). 126
Platone s14l/'amicizia e l'amore familiare
I guardiani devono quindi essere educati ed istruiti a considerare il proprio interesse identico a quello dello stato. A questo punto pare che l'obiettivo delle prime due riforme a cui abbiamo accennato, la comunanza di proprietà e fami glia, sia quello di garantire l'effettiva realizzazione di que sta condizione. Ogni guardiano non avrà una sua proprietà e nemmeno quella di un altro. Tuttavia, è difficile dire a quale proposizione fondamentale Platone faccia riferimen to, poiché a quanto pare egli non parte dalla proposizione che si ama ciò che si considera proprio - i beni personali e la famiglia privata.Forse egli pensa all'amore familiare, nel suo significato fondamentale e originario: è naturale amare ciò che ci appartiene, per cui se diamo ad ogni guardiano tutti i nostri beni e come famiglia tutti i membri della ·co munità, ogni guardiano amerà l'intera comunità e non ve drà alcuna differenza fra il suo interesse e quello generale. Comunque, qui Platone non pone all'amore familiare quella condizione che era emersa nel Liside, e cioè che un padre non potrebbe amare il figlio se non credesse nella sua bontà e utilità. Ciò riflette la nuova psicologia che Platone presenta nella Repubblica, la divisione tripartita dell'anima in parte razionale, irascibile e appetitiva. Questa nuova psicologia è collegata alla proposizione socratica fondamentale secondo la quale tutti desideriamo ciò che consideriamo un bene di cui siamo privi e abbiamo bisogno, in ultima analisi, il be ne. Talvolta desideriamo o amiamo una cosa solo e solo per ché la nostra ragione la giudica un bene o il bene. Si tratta quindi di desideri razionali o di desideri e amori nutriti dal la ragione, che corrispondono a quella che nel Fedro veniva chiamata passione della ragione, la passione per l'Idea di Bellezza contemplata in una esistenza precedente. Platone rappresenta dunque così la proposizione fondamentale di Socrate. Ma altre volte è nostra tendenza considerare buo na una cosa perché l'abbiamo già desiderata e amata, come se questo desiderio o amore precedesse la conoscenza o la credenza e derivasse invece da necessità corporee (fame, se te, desiderio sessuale) o forse da condizioni sociali quali la proprietà e la famiglia. In questi casi il desiderio, l'amore o 127
Platone st1ll'amicizia e l'amore familiare
Platone sull'amicizia e l'amorefamiliare
l'attrazione precedono la ragione, senza per questo essere necessariamente irrazionali. Non razionali all'inizio, diven tano irrazionali se persistono e vengono soddisfatti anche dopo aver capito che l'oggetto di desiderio non è un bene. La ragione ha i suoi desideri e le sue passioni e queste ten dono alla bontà e alla bellezza, ma anche le altre parti del1'anima hanno i loro desideri, ad esempio di piaceri o di onori, e i loro oggetti possono anche non aver a che fare col bello e col bene. Può darsi che Platone concepisse l'amore familiare come un'affezione non razionale di questo genere e che nella sua proposta di «allargare la famiglia» egli cer casse di far leva su questo amore originario perché «l'amore del proprio» diventasse «l'amore del proprio paese». Ma è possibile che la /ilia platonica sia solo questo? Io credo di no. Dopo tutto, anche il desiderio di bene, nella sua nuova versione platonica, ha un suo ruolo come testi moniano vari punti del dialogo. Innanzitutto, sin dal primo libro Socrate dà una descrizione prettamente socratica del1'amico e del nemico: il primo è un uomo onesto e utile che fa del bene, il secondo è un uomo malvagio che fa solo del male (334-5). Non c'è ragione di ritenere che Platone cambi idea in proposito anzi, al contrario i guardiani e i governan ti, a cui sono rivolte le tre riforme fondamentali prese in considerazione nell'ultima parte, devono essere persone che già rispondono al principio di giustizia sociale e individuale: essi sono cittadini onesti in quanto ciascuno svolge il com pito sociale che per natura ed educazione meglio gli si addi ce e sono persone oneste nel senso che ogni parte della loro anima svolge la funzione che gli è propria - l'elemento ra zionale guida il resto dell'anima con l'aiuto dell'elemento irascibile. I governanti, inoltre, sono uomini sapienti, in grado di contemplare le Idee Platoniche e in particolare l'I dea del Bene. I loro desideri sono quelli della ragione ed es si rivel�no ed insegnano agli altri ciò che è bene e ciò che è male. E in questo contesto sociale ed etico più ampio che vanno comprese le tre riforme principali. Quindi anche la terza proposta, quella più radicale sulla comunanza di emo zioni per custodi e governanti va considerata in un'ottica particolare: tutti provano piacere nel promuovere il bene, 128
vale a dire ciò che i governanti hanno razionalmente stabili to èome il bene, e soffrono di fronte al male. I piaceri e i dolori che essi condividono sono i piaceri e i dolori della ra gione, i piaceri e i dolori del bene e del male. La/ilia, la ve ra amicizia, consiste-nel condividere queste cose: non solo gli averi e la famiglia, ma la conoscenza, la concezione e i sentimenti del bene e del male. Per quanto concerne la co munanza dei beni e della famiglia può darsi che Platone fac cia riferimento al principio di «amare ciò che è proprio», ma nel più ampio contesto etico della Repubblica e nella terza proposta credo sia chiaro che la /ilia consiste nell'avere la stessa conoscenza o gli stessi concetti di bene e di male, e quindi nel provare gli stessi sentimenti e le stesse emozioni. Il modello di mancanza e le difficoltà emerse nel Liside sono ormai superate. Filia non significa amarsi direttamen te, né semplicemente desiderare il Bene, ma condividere la conoscenza o la dottrina e l'amore del Bene, e di conse guenza amare e odiare allo stesso modo gli stessi beni e gli stessi mali. Certamente gli uomini buoni possono realizzare tutto ciò. Ed è condividendo questo amore per il Bene che si diventa amici 12. Note 1 Ci sono sempre state vivaci controversie sulla distinzione e sul rap porto fra eros e filia in Platone, e quindi sul rapporto fra i temi del Liside e del Simposio. W.R.C. Guthrie, op. cit., vol. IV, pp. 137-43, ripercorre la disputa, che va da Friedlander, secondo il quale eros e filia in Platone sono la stessa cosa, a Wilamowitz, che sostiene si tratta di due emozioni sostanzialmente diverse. (Per alcune discussioni su questo argomento, si veda D. Bolotin, Plato's Dialogue on Friendship, Ithaca, N.Y., Cornell University Press, 1979, pp. 201-25). Guthrie dimostra in modo convin cente che non sono la stessa cosa. Ma il problema è in che rapporto stan no tra loro. La strategia qui seguita è basarsi sulla distinzione del Simpo sio fra eros generico e specifico e considerare la filia come un'altra forma (oltre all'eros vero e proprio) del desiderio di bene. 2 Guthrie passa brevemente in rassegna alcuni giudizi, completa mente diversi sul valore di questo dialogo, da quello di Cornford, «uno studio scuro e sconnesso», a quello di Edith Hamilton, «come illustrazio ne del metodo socratico... non ha paragone fra i dialoghi». Lo stesso Gu thrie non lo ritiene un'opera «riuscita» in quanto «completamente in ba-
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Ila delle ambiguità di quella parola greca filia che indica quel concetto at tribuito a dei ragazzi minorenni che ancora subivano le frustate dei geni tori». W.R.C. Guthrie, op. cit., voi. IV, pp. 143-4 e note. 3 Per queste ambiguità si veda, ad esempio, ibidem, pp. 136-7, e più recentemente D. Bolotin, op. cit., p. 55, n. 26. Bolotin però non concor da con Guthrie sul fatto che la conversazione sia «del tutto in balla» di queste ambiguità. Allo stesso modo, David Glidden non trova «alcuna negligenza filosofica nell'uso platonico del caso o della voce riguardante filos», anzi secondo lui Platone chiarirebbe il senso attivo o passivo difi los ai paragrafi 212 b-213 d, dove sembra che Socrate distinguafilon efi loumenos. D.K. Glidden, The «Lysis» One's Own, in «Classica! Quar terly», voi. 31, n. 1, 1981, pp. 40-1 e note. È probabile, ma resta comun que il fatto che Socrate non riconosce esplicitamente alcuna ambiguità nelle sue domande o nelle sue argomentazioni: non si può certo dire, in conformità del resto con quelli che sono per definizione i dialoghi «socra tici», che vengano definiti concetti diversi in differenti punti della di scussione. Può darsi, tuttavia, che Socrate sia più abile nell'uso delle pa role greche di quanto Guthrie sembri credere, e che quindi la discussione socratica resti sostanzialmente plausibile e interessante da un punto di vista filosofico. 4 W.R.C. Guthrie, op. cit., pp. 136-7. 5 Alcuni degli aspetti principali a cui accenna, come vedremo, sono il fatto che un amico non può far del male alla persona di cui è amico, e che l'amicizia e l'inimicizia sono contrari. Alcuni fatti «linguistici» in secon do piano sono la possibilità di parlare di amico del vino o della sapienza e l'uso del terminefilia nelle due accezioni di amore familiare e amicizia. 6 La tesi di Socrate è più complessa perché rispondendo alla sua do manda «Quando uno ama un altro, quale dei due diventa amico dell'al tro: chi ama di colui che è amato o chi è amato di colui che ama?»; egli affronta separatamente le due possibilità citate nella domanda dopo aver premesso che in tal caso entrambi sono amici. È a questo punto che l'am biguità circa la forma attiva o passiva e il fatto che ci siano composti gre ci come «amico del cavallo», «amico della sapienza» complicano la com prensione della discussione. 7 Va comunque sottolineato che per Socrate tali confutazioni non implicano che ci possa essere amicizia senza amore: perlomeno più avanti egli presuppone che «chi non ama (jilein) non è un amico» (215 b) per confutare un'ipotesi e nell'«ipotesi preferita» l'amico del bene è colui che desidera il bene. 8 Questa è la ragione per cui, quando Socrate prende in considera zione l'ipotesi successiva, cioè che coloro che sono «simili» sono amici, si riferisce solamente a coloro che sono simili perché onesti o perché malva gi. Sembra che la somiglianza in altri campi, come la ricchezza ad esem pio, non sia ritenuta pertinente. A parte la validità di tutto questo, che fra l'altro (come vedremo) non corrisponde propriamente a quanto si af ferma nel Libro V della Repubblica, c'è comunque una connessione ne-
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cessaria fra bontà e amicizia: per definizione sia l'uomo onesto sia l'ami co fanno del bene (e lo stesso vale per il malvagio e per il nemico: en trambi, per definizione, fanno del male). Questo è quanto emerge, perlo meno, dalla conversazione fra Socrate e Polemarco nel Libro I della Re pubblica, che può esser� definito «socratico». 9 G. Vlastos, op. cit., p. 11 e nn. 28 e 29 per i punti in Platone in cui filia e i vocaboli della stessa radice hanno il significato di amicizia e di amore familiare. 10 Questo importante brano forse ci dimostra che nella sua teoria so ciale di giustizia Platone era un utilitarista (non· edonistico), perlomeno se accettiamo la visione di Rawls, secondo il quale gli utilitaristi non dan no troppa importanza alla differenziazione individuale. J. Rawls, op. cit., pp. 26-7 e 186-7. 11 La stessa idea si trova espressa anche in Politico 311 b e Leggi 73940, sebbene in quest'ultimo dialogo Platone riconosca i limiti della sua applicazione. 12 Il Prof. Vlastos ha criticato la concezione platonica di filia nella Repubblica perché essa non ammette la possibilità di diversi «giudizi va lutativi», di diverse preferenze emozionali ed estetiche e soprattutto la «libertà personale nel suo significato più profondo - la libertà di prova re qualsiasi cosa si voglia provare», G. Vlastos, op. cit., pp. 18-9. Ritengo che la critica sia valida, ma l'obiettivo che si propone è troppo comples so. Ciò che la rende pertinente è il fatto che nella Repubblica Platone fa dellafilia un ideale politico che lo stato ideale sarebbe giustificato a pro muovere attraverso una educazione rigida e obbligatoria (per quanto concerne sentimenti e giudizi) e altre sanzioni (per la proprietà e la fami glia). Ma come ideale privato, il concetto platonico della filia nella Re pubblica non è necessariamente oggetto della stessa critica. Persone che a livello critico ed emozionale la pensano allo stesso modo possono nutrire più di altri l'amicizia più intima e duratura. Contrasti e divergenze pos sono essere superati o anche porre fine alla loro amicizia, ma mai tale amicizia comporterebbe una limitazione della libertà personale.
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Capitolo quinto
La nuova teoria sessuale di Freud
I misteri dell'amore crescono nell'anima. ma è il corpo il suo libro J. Donne
Introduzione Fra Platone e Freud c'è un lungo intervallo di circa ventitre secoli, durante i quali comparvero nella cultura oc cidentale molte nuove teorie dell'amore 1. Queste teorie esulano dai limiti di questo studio, ma possiamo sottolinea re alcuni fatti di una certa importanza dai quali non si può prescindere. Tanto per cominciare, la grande teoria dell'amore di Platone divenne abbastanza autorevole da assicurare al suo autore l'immortalità, niente di più adatto come ricompensa platonica per il suo amore della filosofia. In particolare Platone riuscì ad inculcare nella mente occidentale l'idea che l'amore è sempre amore di bellezza o di bontà e che non ha niente a che vedere con ciò che si percepisce o si considera come malvagio o brutto 2 . Anche quando è pas sionale e folle l'amore non è mai irrazionale: dal momento che il suo oggetto è la bellezza o la bontà o una loro imma gine, esso è sempre più o meno un bene. L'idea della scala dell'amore, costruita in base ai diversi gradi di bontà o bel lezza dell'oggetto o alla possibilità di passare dall'amore terreno a un amore divino, è naturalmente una conseguen za logica che si rivelò ugualmente autorevole 3 . Tuttavia, per quanto riguarda un importante aspetto, la teoria di Platone non si affermò. Nel Simposio, come ab biamo visto, Platone si avvicinò a una teoria unica dell'a more: egli sostenne che l'eros, l'amore erotico, è una forma del desiderio di bene, da lui chiamato eros generico. L'a micizia sarebbe un'altra forma del desiderio di bene, e ab biamo avuto modo di constatare che anche l'amore familia re era concepito in questo modo. Pertanto possiamo soste nere la tesi platonica, per così dire, dell'«Unità dell'Amo-
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La nuova teoria sessuale di Freud
re»: ogni specie di amore è una forma del desiderio di be ne. Però la lingua greca, non avendo un unico termine con cui indicare questo amore generico, non favorl questa tesi ed in parte è forse per questo che la teoria unificata di Pla tone non si affermò e fu addirittura a malapena individua ta dai commentatori. Aristotele non solo continuò a distin guere fra amore erotico, amore familiare e amicizia, ma non concepl l'amicizia secondo i modelli platonici di man canza ed egoismo 4. Nei Vangeli e in S. Paolo comparve la parola agape, mai usata da Platone, per indicare l'amore di Dio verso l'uomo e che l'uomo nutre per Dio e per il pros simo. Se ad esempio prendiamo in considerazione il famo so brano in cui S. Paolo descrive questa forma d'amore (Corinzi, I, 13) è difficile riscontrare qualche punto di con tatto con l'Eros o anche con la /ilia di Platone: nulla fa pensare che questo amore nasca da una mancanza, è tutto fuorché egoistie::o e il suo oggetto non deve essere necessa riamente bello o buono; in realtà è Dio il bene supremo, ma il nostro prossimo potrebbe essere brutto, deforme e anche malvagio 5. Come il greco antico, anche la lingua la tina non aveva un'unica parola per indicare tutte le forme d'amore. S. Agostino e i filosofi del Medioevo tentarono di unire l'Eros platonico o neoplatonico e l'Agape cristiana nel concetto di Caritas, creando quelle grandi sintesi così ben ricostruite da Nygren. Ma queste sintesi si frantuma rono con la Riforma e del resto per questi scrittori l'amore sessuale era distinto dalla caritas e veniva indicato con un termine diverso 6• Fu Dante, forse, a tentare un passo notevole verso la ri conciliazione dell'amore erotico e di quello cristiano: egli pone il suo amore per Beatrice, non del tutto desessualizza to, sulla stessa scala che conduce all'amore per Dio. Nella Divina Commedia la figura di Beatrice lo guida attraverso il Purgatorio fino al Paradiso e alla Visione Beata 7. Ma nem meno questa visione resistette a lungo. Nel Rinascimento l'amore romantico e l'agape cristiana sono ancora una volta due concetti distinti e indipendenti 8. Ad ogni modo, fino al momento in cui Freud rivolse il proprio interesse allo studio dell'amore, agli inizi del vente-
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La nuova teoria sessuale di Freud
simo secolo, il concetto restò piuttosto frammentario: l'a more familiare, l'amicizia, l'amore romantico e la «carità» cristiana erano considerati concetti ben distinti senza alcun apparente rapporto fra loro. A differenza però del greco e del latino, il tedeséo e l'inglese hanno in effetti un termine generico per tutti questi concetti, «liebe» e «love», fatto, questo, che non mancò di colpire l'attenzione di Freud 9• Per questo, e anche per altri motivi più importanti, Freud fu il secondo pensatore a tentare di elaborare sistematica mente una grande teoria unica dell'amore, una teoria nuova e controversa. La nuova ipotesi avanzata in Psicologia delle masse e analisi dell'Io è che tutte queste forme d'amore, per q�anto indipendenti possano sembrare, hanno in realtà un'unica origine sessuale. L'amore comunemente definito come ero tico o «romantico» non è altro che desiderio sessuale unito ai sentimenti dell'affetto e della tenerezza, ma questo affet to nasce da vecchie pulsioni sessuali represse. Anche il sen timento dell'amicizia e dell'amore familiare è sessualità re pressa e l'attaccamento a entità astratte e a ideali estetici è sublimazione, energia sessuale deviata dal suo oggetto ses suale originario. Questa tesi si fonda sul «concetto ampliato di sessualità» di Freud e sulle nuove risposte che egli diede alla domanda «Che cosa è sessuale?», a cui presto rivolgere mo l'attenzione. A prescindere dalle questioni di unità, il concetto del1'amore è rimasto sconcertante e misterioso, soprattutto nelle sue forme di amore cortese e romantico, che derivano dall'eros platonico vero e proprio. Nella sua pratica psicoa nalitica Freud ebbe modo di conoscere a fondo la vita amo rosa dei suoi pazienti: le loro reminiscenze, per ipnosi o li bera associazione, e i loro sogni rivelarono un'incredibile quantità di fenomeni inquietanti, quali perversioni, inver sioni, impotenza psichica, scelte amorose apparentemente irrazionali di persone molto più giovani o molto più vecchie e tracce di sentimenti incestuosi. Come capire e spiegare tutte queste «anormalità»? E qual è il loro rapporto con l'«amore normale»? Il comune amore romantico, inoltre, è davvero meno sconcertante? Consideriamo Romeo e Giu135
La mwva teoria sessuale di Freud
lietta, esempio classico di amore romantico. Quando Ro meo vede per la prima volta Giulietta è innamorato ?i Ro salina o almeno crede di esserlo, ma nel breve arco d1 qual che m'inuto si innamora di Giulietta - «amore a prima vi sta». È un caso di «selezione istantanea» e «idealizzazione istantanea» e il sentimento è del tutto reciproco. Inoltre questo amore si rivela reale e intenso: entro poche ore Ro meo le chiede la mano e dimostra chiaramente di non poter vivere senza Giulietta, che lo ricambia fino in fondo. Come spiegare tutto ciò? Un platonico o un neoplatonico potreb bero dire che Romeo vide in Giulietta l'incarnazione della bellezza e della bontà e poiché era già innamorato della Bel lezza e della Bontà attraverso la vista, il più potente stru mento di attrazione fisica, poté indirizzare il suo amore a questa bellezza particolare. Questo spiega la scelta, mentre l'intensa passione che poi divampa giustifica l'idealizzazio ne. Una spiegazione come questa si può ricavare anche dal Simposio e dal Fedro, ma il problema è se riesce veramente a chiarire il mistero. La soluzione del problema sembra trop po generica e astratta. Dopo tutto, Romeo vide molte �ltr� _ belle fanciulle ma non si innamorò di tutte e molti altri bei giovani videro Giulietta ma non si innamorarono di lei. Perché fu proprio questo gentiluomo a innamorarsi di que sta particolare bellezza? Potremmo porci la stessa domanda anche per Dante e Beatrice e infiniti altri casi minori di «normale» amore romantico, ma quando la nostra domanda sull'amore diventa così specifica, è difficile non rendersi conto che per trovare una risposta è necessario conoscere meglio Romeo e Giulietta, sapere di più sulla loro vita e sul la loro personalità. Ma che cosa della loro vita e personalità ci aiuterebbe a risolvere la questione della scelta e a com prendere il fenomeno dell'idealizzazione - ciò �he car�tte rizza l'amore romantico? Anche a questo proposito le rispo ste di Freud furono rivoluzionarie e suscitarono numerose discussioni: le scelte amorose che si fanno nel periodo della pubertà e della maturità sono modellate sulle scelte sessuali e amorose fatte molto tempo prima durante l'infanzia e la fanciullezza, solitamente all'interno della cerchia familiare e anche l'idealizzazione ha la sua origine in questi legami 136
La m,ova teoria sessuale di Freud
precedenti. Come nel caso della sua nuova teoria unificata dell'amore, fu la nuova teoria freudiana della sessualità e la sua nuova visione dello sviluppo psicosessuale a rendere possibili e a fondate queste idee. _Per cap�re quin�i la nuova teoria freudiana dell'amore dobbiamo prima analizzare bre vemente il suo concetto ampliato di sessualità e la sua visio ne sullo sviluppo della pulsione sessuale.
I vecchi e i nuovi concetti di sessualità Quando Freud espose la sua nuova teoria sulla sessuali tà nei Tre saggi sulla teoria sessuale egli aveva già formulato la sua nuova teoria della psiche, coi concetti di inconscio, rimozione e resistenza, conflitto mentale e difesa 10• Il suo interesse per la sessualità fu destato dal fatto che nell' ezio logia delle nevrosi erano sempre più _freq:1enti i fattori ses _ suali 11• La teoria che egli presenta nei suoi Tre saggi era nuo va e rivoluzionaria come la sua teoria della psiche. Nella prima pagina egli descrisse quella che considerava la conce zione dominante della sessualità - la concezione comune mente accettata da migliaia di anni - che egli riteneva er rata e imprecisa. Vale la pena citare il paragrafo per intero: L'opinione popolare si fa idee ben precise sulla natura � le proprietà di questa pulsione sessuale. Dovrebb� m�ncare all �- n fanzia subentrare intorno all'epoca della puberta e m connessio ne co� il suo processo di maturazione, esprimersi in fenomeni di attrazione irresistibile esercitata da un sesso sull'altro; la sua me ta dovrebbe essere l'unione sessuale o perlomeno quelle azioni che ad essa conducono. Abbiamo ogni motivo per scorgere in queste caratterizzazioni una riproduzione assai infedel� �ella realtà; a un esame più acuto esse si dimostrano tra�occant1 d1 er rori, inesattezze, conclusioni affrettate (Opere, clt., vol. 4, p. 451). Questa concezione popolare della sessualità è totalm�n�e incompatibile con la teoria dell'amore che Freud elaboro m seguito. Se la sessualità è assente nell'infa?zi�, l'a1:1or� che i bambini in effetti mostrano nei confronti dei gemtori non 137
La nuova teoria sessuale di Freud
potrebbe essere di natura sessuale e le scelte amorose fatte dal periodo della pubertà in poi non potrebbero essere mo dellate sulle scelte sessuali dell'infanzia e della fanciullezza, né tantomeno l'idealizzazione potrebbe derivare dai primi legami sessuali. Freud comincia la sua critica della concezione popolare facendo la distinzione fra l'oggetto e la meta della pulsione sessuale, la libido. L'oggetto sessuale è «la persona dalla quale parte l'attrazione sessuale», la meta sessuale «l'azione verso la quale la pulsione spinge» (Ibidem, p. 451). Secondo la credenza popolare l'oggetto è una persona di sesso oppo sto e la meta è l'unione sessuale, ma l'esperienza indica, so stiene Freud, numerose deviazioni per ciò che riguarda sia la scelta dell'oggetto sia la meta sessuale. Fra le deviazioni rispetto all'oggetto Freud cita l'inver sione o omosessualità in cui l'oggetto è una persona dello stesso sesso, casi in cui un bambino o persino un animale viene scelto come oggetto e il «feticismo», in cui persino un oggetto inanimato, come un fazzoletto o una giarrettiera, diventa oggetto sessuale. Dopo aver cercato di dare diverse spiegazioni possibili di tali deviazioni dall'oggetto sessuale «normale», la principale conclusione a cui giunge Freud è che il legame fra la pulsione sessuale e qualsiasi oggetto non è innato; come egli afferma, «tra pulsione sessuale e oggetto sessuale non vi è che una saldatura... la pulsione sessuale probabilmente è in un primo tempo indipendente dal pro prio oggetto» (Ibidem, p. 462). Inoltre, «l'elemento essen ziale e costante nella pulsione sessuale» non è l'oggetto ma qualcos'altro. Questa conclusione indica chiaramente il pri mo errore della concezione popolare. Contrariamente ad es sa, infatti, gli esseri umani devono trovare un oggetto che soddisfi più o meno bene il loro desiderio sessuale e trovare un oggetto è qualcosa che si impara. Se questo avviene du rante i primi anni di vita, nella prima e nella seconda infan zia, ciò significa che la scelta dell'oggetto sessuale nella pu bertà e nella vita adulta è un processo evolutivo che va spie gato per stadi. Passando poi alle deviazioni riguardo alla meta sessuale, Freud osserva che anche nel più «normale» degli atti sessua138
La nuova teoria sessuale di Freud
li, l'unione dei genitali, sono riscontrabili altre attività, co me toccare e guardare, che sono mete sessuali preliminari, e altre zone del corpo oltre ai genitali che sono fonte di ecci tamento sessuale,_come ad esempio la bocca quando viene baciata. Queste operazioni e queste aree del corpo sono col legate esse stesse al piacere e inoltre aumentano l'eccita mento che deriva dall'unione dei genitali. In condizioni particolari queste altre attività e aree del corpo - le zone erogene - possono diventare «perversioni». «Le perversioni sono: a) o prevaricazioni anatomiche delle regioni del corpo destinate all'unione sessuale, o b) in dugi in relazioni intermedie con l'oggetto sessuale (mete preliminari) che normalmente debbono essere rapidamente sorpassate sulla via della meta sessuale finale» (Ibidem, p. 464). Ciò che va qui sottolineato è che queste attività pos sono essere perversioni non per gli atti in sé, ma quando si allontanano dalla normale meta sessuale e dai genitali di ventano fini a se stesse. In casi estremi, quando le perver sioni diventano patologiche, sono caratterizzate da «esclusi vità e fissazione» (Ibidem, p. 474). Nella scopofilia, ad esempio, guardare i genitali di un'altra persona diventa una fissazione invece di essere considerato un passo verso l'u nione sessuale e tale atto sostituisce completamente, in ogni circostanza, la normale attività sessuale, cioè l'unione ses suale. Anche in questo caso, non è l'attività in sé ad essere perversa, ma il fatto di essere diversa dal normale. Almeno nella loro forma più attenuata, queste prevaricazioni costi tuiscono un elemento «che di rado manca nella vita sessuale degli individui sani» (Ibidem, p. 473). Dallo studio delle perversioni Freud trae due conclusio ni essenziali: in primo luogo, la pulsione sessuale «deve combattere contro certe potenze psichiche che fanno da re sistenze», ideali culturali ed etici, pudore e disgusto che de terminano la repressione della normale meta sessuale (Ibi dem, p. 4 74). In secondoluogo, «che forse la stessa pulsione sessuale non è qualcosa di semplice, bensl è composta di elementi che nelle perversioni se ne distaccano» (Ibidem, p. 474). Ciò mette in evidenza il secondo errore della conce zione popolare della sessualità, cioè che la pulsione sessuale 139
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ha un'unica meta, l'unione sessuale e che «sessuale» ha lo stesso significato di «genitale».
Che cos'è sessuale? Esaminando le aberrazioni sessuali, rispetto sia ali'og getto sia alla meta, Freud ha già esteso il concetto popolare di sessualità. La pulsione sessuale cambia a seconda dell'og getto; un tipo di oggetto può essere «rimosso» da un altro. Di conseguenza, né una persona di sesso opposto né alcun altro oggetto può servire a distinguere la pulsione sessuale da qualsiasi altra pulsione. Inoltre, anche se l'unione ses suale è indubbiamente una meta sessuale, ci sono altre mete e altre attività che sono di natura sessuale: toccare, guarda re, la curiosità, la crudeltà e persino il masochismo. Per di più, anche se i genitali sono indubbiamente un organo ses suale e quindi fonte di eccitamento e piacere sessuale, ci so no altri organi e altre parti del corpo che sono sessuali: la bocca, l'ano, gli occhi e tutta la pelle. C'è, quindi, qualche legame con la sessualità? Come distinguere la pulsione ses suale da altri istinti, in particolare dagli istinti di conserva zione o «pulsioni dell'Io» come la fame? Secondo Freud per pulsione si intende «la rappresen tanza psichica di una fonte di stimolo in continuo flusso, endosomatica, a differenza dello "stimolo", che è prodotto da eccitamenti isolati e provenienti dall'esterno» (Ibidem, p. 479). Il principio che permette di individuare le pulsioni è il seguente: Ciò che distingue le pulsioni l'una dall'altra e le fornisce di qualità specifiche è la relazione che esse hanno con le loro fonti somatiche e le loro mete. La fonte della pulsione è un processo ec citante in un organo, e la meta prossima della pulsione risiede nel1' abolizione di questo stimolo organico 12 (Ibidem, p. 4 79).
Un aumento dell'eccitamento è sgradevole, mentre il soddisfacimento dello stimolo organico è fonte di piacere; quest'ultimo è la «meta immediata» di ogni pulsione, e va distinta dalle «mete intermedie» quali mangiare nel caso 140
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della fame o l'unione sessuale nel caso della libido. Qui si ha in effetti l'enunciazione del famoso Principio di Piacere: il corso degli eventi psichici viene «invariabilmente messo in moto da una tens · one sgradevole e la sua direzione è tale che il risultato finale coincide con la diminuzione di quella tensione - cioè con l'annullamento della sensazione sgra devole o la produzione di piacere» (Opere, cit., val. 9, pp. 3 ss.). Freud sostiene che «gli organi del corpo forniscono ecci tamenti di due specie, le quali sono fondate su differenze di natura chimica. Una di queste specie di eccitamento noi la chiamiamo specificamente sessuale, e l'organo relativo lo definiamo "zona erogena" della pulsione sessuale parziale che ne deriva» (Ibidem, p. 480). A questo punto se noi conoscessimo la differenza chimi ca fra le due specie di eccitamento, saremmo in grado di di re quando si tratta di eccitamento sessuale e quindi quando la fonte di una pulsione è sessuale e anche la meta immedia ta, cioè l'eliminazione di tale eccitamento, e al piacere che ne deriva sono sessuali. Ma non è possibile. Secondo il principio di individuazione una pulsione è sessuale se la sua fonte e la sua meta sono sessuali, ma come facciamo a dire se sono sessuali? Potremmo cominciare con un punto su cui Freud e la concezione popolare della pulsione sessuale non sono in contrasto: i genitali sono per definizione organi sessuali, per cui l'eccitamento che da essi deriva è una fonte sessua le, lo scopo di soddisfarlo è sessuale e il piacere che ne deri va è un piacere sessuale. Quindi la pulsione che spinge a unire i genitali è sessuale. Ma come facciamo a dire che gli altri impulsi parziali che secondo Freud compongono la pul sione sessuale sono sessuali? - l'impulso a guardare, a toc care, a scoprire? La risposta ci è data nello studio delle per versioni (e dal caso ben più controverso delle «perversioni negative», le nevrosi). Questi altri impulsi sono di natura sessuale per il loro legame con l'impulso a unire i genitali, che senza dubbio è sessuale. In un normale rapporto sessua le, guardare, toccare e scoprire sono subordinati all'unione dei genitali: essi costituiscono mete preliminari - «prelu141
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dio» - e che conducono a un più intenso eccitamento deri vante dall'unione dei genitali. Nelle perversioni queste atti vità lo sostituiscono e anche altre aree e organi del corpo, come gli orifizi orali e anali, gli occhi e la pelle «si compor tano sotto ogni punto di vista come una parte dell'apparato sessuale» (Ibidem, p. 480). Pertanto nella scopofilia, quando si spiano morbosamente i genitali altrui, gli occhi diventa no, cioè «corrispondono a» una zona erogena: invece del desiderio di continuare il rapporto sessuale, sorge la fissa zione del guardare e all'eccitamento e al piacere dell'unione sessuale subentrano l'eccitamento e il piacere di guardare. Pertanto questo eccitamento è sessuale e il piacere che deri va dal suo soddisfacimento è una meta sessuale. Abbiamo visto finora come lo studio di Freud sulle per versioni (e le nevrosi) gli abbia permesso di chiarire alcuni errori impliciti nella concezione popolare del sesso e di estendere il concetto di sessualità, per lo meno in senso «anatomico»: l'elemento sessuale non è limitato ai genitali, poiché anche altre zone del corpo possono soddisfare ses sualmente. Arriviamo ora all'ultimo errore della visione popolare, cioè che la pulsione sessuale sia «assente nell'infanzia» e si risvegli nel periodo della pubertà. Freud, invece, affermò che le manifestazioni sessuali della pubertà costituiscono una seconda fase nello sviluppo pulsionale. La prima fase si manifesta nella prima e nella seconda infanzia ed è seguita da un periodo di latenza. La particolare forma che la vita sessuale assume dalla pubertà in poi è determinata in larga misura dalle particolari forme sessuali che si manifestano in quei primi anni. Di conseguenza, per capire la vita amorosa degli adulti è necessario risalire alle principali fasi dello svi luppo psicosessuale identificandone le varie forme dall'in fanzia in poi. Questa estensione del concetto di sessualità, all'infanzia e alla fanciullezza, si può chiamare genetica o evolutiva e, come riconobbe anche Freud, può essere più discutibile dell'estensione anatomica, che pare oggi ampiamente accettata. Sebbene sia possibile trovare nella letteratura dell'in fanzia osservazioni occasionali sulla «precoce attività ses142
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suale dei bambini piccoli», Freud sottolinea che «nessun au tore ha riconosciuto chiaramente la regolarità, la normalità di una pulsione sessuale nell'infanzia» (Ibidem, p. 484). Se condo lui ciò era q,ovuto in parte a «riguardi convenziona li», ma soprattutto al fenomeno psicologico dell'amnesia in fantile. Noi non ci ricordiamo ma ci viene raccontato che da bambini «avremmo mostrato amore, gelosia e altre pas sioni» (Ibidem, p. 485). Gli impulsi sessuali infantili, infat ti, sono stati rimossi, rifiutati dalla coscienza a causa di cer te potenze psichiche come «il disgusto, il sentimento del pudore, gli ideali estetici e morali» (Ibidem, pp. 485, 488). Le principali manifestazioni di sessualità infantile che Freud analizza sono la suzione (o il succhiare il pollice)., l'al lattamento al seno nel periondo dell'infanzia e la masturba zione nella fanciullezza. Secondo lui succhiare il pollice è esemplare, in quanto rivela l'essenza della sessualità infan tile. Con l'eccezione di Lindner, che egli cita poiché «ha chiaramente riconosciuto e sottolineato senza riserve la na tura sessuale di questa operazione, pediatri e psichiatri ri fiutarono questa concezione anche perché non avevano ben chiara la distinzione fra "sessuale" e "genitale"» (Ibidem, p. 491). Eppure, dice Freud, questa obiezione fa sorgere «un difficile interrogativo»: «Da quale carattere generale siamo noi in grado di riconoscere le manifestazioni sessuali del bambino?» (Ibidem, p. 491). Come possiamo affermare che la suzione o altri atti infantili che non coinvolgono i ge nitali, come la masturbazione, sono di natura sessuale? In realtà, sostiene Freud, succhiare il pollice è la secon da attività sessuale del bambino, poiché la prima è «il pop pare dal petto della madre (o dai suoi surrogati)» (Ibidem, p. 491). Vale la pena citare il brano per intero: Noi diremmo che le labbra del bambino si sono comportate come una zona erogena, e lo stimolamento per l'afflusso di latte caldo è stata la causa della sensazione di piacere. Da principio, il soddisfacimento della zona erogena era associato al soddisfaci mento del bisogno di nutrizione. L'attività sessuale si appoggia in primo luogo a una delle funzioni che servono alla conservazione della vita, e solo in seguito se ne rende indipendente. Chi veda un bambino abbandonare il petto della madre, ne veda le sue guance
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arrossate e come egli piombi nel sonno con un sorriso beato, do vrà dire che questa immagine rimane esemplare del soddisfacimento sessuale nel seguito della vita.
Quando il bambino succhia il dito, «il bisogno di ripetere il soddisfacimento sessuale viene diviso dal bisogno dell'as sunzione di cibo» e diventa una meta sessuale indipenden te, con una seconda zona erogena (oltre alle labbra) creata dal bambino nel suo stesso corpo, ragion per cui tale atto viene definito «autoerotico». Queste due attività, allattamento e suzione, ci pongono ancora una volta di fronte alla difficile domanda freudiana «Che cos'è sessuale?». Il caso dell'allattamento è nella mi gliore delle ipotesi ambiguo, dato che, come riconosce giu stamente Freud, ha la funzione di nutrire ed è quindi una manifestazione dell'altra pulsione, l'istinto di autoconser vazione o dell'Io, cioè la fame, che non è affatto sessuale. A questo proposito Freud dice che si tratta di un'attività an che sessuale. La suzione diventa invece estremamente im portante, poiché, come egli osserva, in essa «Io scopo del1'assunzione di cibo è escluso» (Ibidem, p. 490). Il bambino cerca un piacere che egli ha già provato poppando al seno materno e che ora ottiene indipendentemente dal bisogno di nutrirsi poiché continua a succhiare il dito pur non assu mendo alcun nutrimento. Tuttavia il caso resta difficile, perché a differenza dei casi di perversione adulta, nel neo nato non c'è un legame evidente fra la suzione e i genitali. Va sottolineato, però, che Freud come al solito non è dog matico su questo punto poiché, egli dice, la suzione ci indi ca «gli elementi per caratterizzare una zona erogena. Que sta è una zona della pelle o della mucosa, nella quale stimo lazioni di un certo tipo provocano una sensazione di piacere di qualità determinata». Ma poi aggiunge che è «meno sicu ro» se si possa definire sessuale il piacere derivante dalla su zione del pollice (Ibidem, p. 493). Comunque, in base al suo esame della suzione egli può dare una risposta alla difficile domanda che prima si era po sto circa la natura di una manifestazione sessuale infantile. Le sue «tre caratteristiche essenziali» sono: 144
La nuova teoria sessuale di Freud
Questa sorge appoggiandosi a una delle funzioni vitali del cor po (come la nutrizione e l'eliminazione); non conosce ancora un oggetto sessuale, è autoerotica; e la sua meta sessuale è dominata da una zona erogena ifbidem, pp. 492-3).
Il fatto che originariamente la pulsione sessuale si appoggi all'istinto di conservazione rende difficile, come è noto, una loro distinzione nei primi anni di vita ed è la ragione per cui l'attaccamento del bambino alle persone che lo nu trono e si prendono cura di lui viene definito «anaclitico». Ciò fa sorgere anche la difficoltà di decidere se tali legami così precoci siano di natura sessuale, elemento, questo, mol to importante per la concezione erotica freudiana. Queste difficoltà emersero poi con l'introduzione del narcisismo e forse fu anche per queste che Freud alla fine raggruppò gli istinti di conservazione e le pulsioni sessuali sotto il nome greco «Eros», contrapponendolo all'istinto di morte appena «scoperto», «Thanatos» 13. Prima di concludere questa parte andrebbe sottolineato che la difficoltà a distinguere le manifestazioni sessuali e di autoconservazione nel primo periodo di vita, circa da uno a tre anni, non si presenta necessariamente anche nella suc cessiva fase di sviluppo, cioè nel periodo che va circa dai tre ai cinque anni. Questa fase infatti è caratterizzata da attivi tà che è più facile definire sessuali, quali la masturbazione, la curiosità e l'interesse dei bambini per la diversità di ses so, la nascita dei bambini e le attività sessuali dei genitori (Opere, cit., vol. 8, p. 475). Dato che l'amore, l'unione di pulsioni sessuali e affetto, solitamente non compare prima di questa fase, quando inizia l'opera di repressione, le di spute sulla sessualità infantile non dovrebbero toccare la teoria freudiana dell'amore, perlomeno non quanto si po trebbe pensare in un primo momento. Resta comunque non chiara, e Freud ne era consapevo le, una parte essenziale della sua teoria dell'amore, in che modo cioè le pulsioni sessuali si tramutano in affetto (Ope re, cit., vol. 8, p. 476).
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Lo sviluppo psicosessuale e la prima manifestazione dell'amore Tu sei figlio di donna e non sai cos'è l'amore? Shakespeare
Come osserva Strachey nella sua Nota del curatore ai Tre Saggi, con la sessualità infantile la nuova teòria della ses sualità di Freud era completa 14. Se le pulsioni sessuali sono normalmente presenti nel neonato e nel bambino piccolo, la storia della pulsione sessuale è lunga e complessa. Non è nel periodo della pubertà che essa emerge per la prima volta e la storia del suo sviluppo, e delle sue vicissitudini servirà poi a Freud per spiegare l'origine dell'amore, la scelta del1'amato e le cause della sopravvalutazione. Non ci resta ora che descrivere brevemente le fasi principali dello sviluppo psicosessuale. Caratteristica straordinaria dello sviluppo della pulsione sessuale è che esso avviene in due fasi: interrotta dal perio do di latenza, l'evoluzione avviene in due ondate, la prima e seconda infanzia e la pubertà, e la seconda ondata è deter minata in larga misura dalla prima. Freud divide la prima in circa tre fasi, orale, anale e fallica. Abbiamo già parlato del le manifestazioni e delle caratteristiche della sessualità in fantile, che corrisponde alle prime fasi, ma la fase fallica è forse la più importante per la teoria erotica di Freud. In es sa emerge il Complesso di Edipo e per la prima volta si ma nifesta l'amore. La fase fallica ha ancora le caratteristiche della sessuali tà infantile: è dominata da una nuova zona erogena, i geni tali, e la principale attività sessuale di questa fase, la ma sturbazione, è ancora autoerotica. Contemporaneamente, però, cominciano ad emergere alcune caratteristiche della vita sessuale adulta. Freud ci dice che dopo la sessualità in fantile lo sviluppo psicosessuale ha due mete: «in primo luo go deve abbandonare l'autoerotismo, scambiare nuovamen te l'oggetto appartenente al proprio corpo con un oggetto esterno; in secondo luogo deve unificare i diversi oggetti delle singole pulsicJni sostituendoli con un unico oggetto» (Opere, cit., voi. 8, p. 486). Nella fase fallica questo svilup146
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po avviene fino a un certo punto, poi viene interrotto dal periodo di latenza per completarsi infine nella pubertà. I processi che danno luogo al rinvenimento dell'oggetto sono piuttosto intricati e non hanno trovato finora un'esposizione chiara ed esauriente. Sottolineiamo per i nostri intenti che, quan do il processo ha raggiunto una certa conclusione negli anni in fantili che precedono il periodo di latenza, l'oggetto trovato si di mostra quasi identico al primo, all'oggetto della pulsione di quel piacere orale che era stato raggiunto per appoggio. Anche se non è il seno materno, questo oggetto è tuttavia la madre. Noi chia miamo la madre il primo oggetto d'amore. Parliamo infatti di amore quando portiamo in primo piano il lato psichico delle ten denze sessuali e vogliamo far retrocedere, o dimenticare per un momento, le esigenze pulsionali fisiche o «sessuali» che ne stanno alla base. Nel periodo in cui la madre diventa oggetto d'amore è già cominciato nel bambino anche il lavoro psichico della rimo zione, la quale sottrae alla sua consapevolezza la nozione di una parte delle sue mete sessuali. A questa scelta della madre come oggetto d'amore si ricollega tutto... sotto il nome di complesso edipico (Ibidem, pp. 486-7).
Secondo Freud sia l'osservazione diretta dei bambini sia l'esame analitico dei nevrotici adulti (Ibidem, pp. 489-91) confermano ciò che la leggenda di Edipo descrive. Il bambi no si affeziona esclusivamente al genitore di sesso opposto mentre nutre gelosia e odio nei confronti del genitore dello stesso sesso e il suo comportamento verso i genitori, o il fra tello o la sorella che ne fanno le veci, è inequivocabilmente erotico o sessuale 15. A questo punto interviene la barriera dell'incesto e comincia la repressione psichica. Qui si dimentica completamente che da parte della legge e della morale non ci sarebbe bisogno di una tale inesorabile proibi zione se vi fosse una qualsiasi sicura barriera naturale contro la tentazione dell'incesto. La verità sta nel contrario. La prima scel ta oggettuale degli esseri umani è sempre incestuosa, diretta, nel caso del maschio, verso la madre e la sorella; e sono necessari i più severi divieti per trattenere dall'attuazione questa persistente in clinazione infantile (Ibidem, p. 492).
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Il risultato di questa repressione è che una parte delle mete sessuali del bambino - l'unione sessuale col genitore di sesso opposto - viene sottratta alla sua consapevolezza. La pulsione sessuale diventa «inibita nella sua meta» e si tra sforma in sentimento di affetto o tenerezza che poi, una volta trasferito a oggetti non incestuosi, può divenire una componente dell'amore «normale». Dopo il periodo di latenza, una sorta di interruzione dello sviluppo psicosessuale che Freud considera straordi nario e caratteristico della specie umana (Ibidem, p. 484), comincia il periodo della pubertà. Nella evoluzione norma le, dove le nevrosi e le perversioni sono relativamente as senti, durante il periodo della pubertà le singole pulsioni sessuali parziali della prima e seconda infanzia formanO una solida organizzazione subordinandosi al primato dei genita li; l'oggetto è ora una persona di sesso opposto e la meta (intermedia) è l'unione sessuale, in cui la meta immediata, cioè l'acquisizione del piacere, è entrata al servizio della funzione procreativa per il perpetuarsi della specie (Opere, cit., vol. 4, pp. 505 ss.). La storia psicosessuale che abbia mo descritto fino alla pubertà rende difficile lo sviluppo normale dell'ultima fase. Freud ne descrive alcune difficol tà e alcuni obiettivi: Rileviamo che all'epoca della pubertà, allorché per la prima volta la pulsione sessuale fa sentire le sue pretese, gli antichi og getti familiari e incestuosi vengono riassunti e libidicamente rein vestiti. La scelta oggettuale infantile era solo un debole preludio, che ha indicato però la direzione della scelta oggettuale nella pu bertà. A questo punto si svolgono, dunque, processi emotivi in tensissimi in direzione del complesso edipico o in reazione ad es so, i quali però, essendo le loro premesse diventate intollerabili, devono in grande parte rimanere lontani dalla coscienza. A parti re da questo momento, l'individuo umano deve dedicarsi al gran de compito di svincolarsi dai genitori e solo dopo la soluzione di questo compito può cessare di essere un bambino e diventare un membro della comunità sociale. Per il figlio, il compito consiste nello staccare i suoi desideri libidici dalla madre onde impiegarli nella scelta di un oggetto d'amore estraneo e reale, e nel conciliar si con il padre se è rimasto in antagonismo con lui o nel liberarsi dalla sua oppressione se, reagendo alla ribellione infantile, è in
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corso in un rapporto di soggezione nei suoi confronti. Questi compiti si pongono a ognuno di noi, ed è degno di nota quando raramente il loro assolvimento riesca in modo ideale, in modo cioè corretto sia psicologicamente, sia socialmente (Opere, cit., vol. 8, pp. 493-4). Freud aggiunge che ai nevrotici «questo non riesce affatto»: per tutta la vita il figlio resta piegato sotto l'autorità del pa dre e non è in grado di trasferire la sua libido su un oggetto sessuale estraneo». Nelle perversioni, invece, si giunge a una soluzione parziale ma non certo soddisfacente: le pul sioni sessuali o non formano mai una solida organizzazione sotto il primato dei genitali al servizio della riproduzione, o si disgregano di nuovo nelle pulsioni parziali infantili,· col possibile risultato, in entrambi i casi, di deviazioni rispetto all'oggetto o alla meta normale. Si presume che una soluzio ne sia socialmente adeguata - principio legato alla cultura - quando la barriera dell'incesto e le convenzioni sociali relative alle perversioni sessuali vengono rispettate e forse quando l'energia psichica sessuale viene almeno qualche volta messa al servizio di mete più accettate socialmente del piacere sessuale, come nel caso della sublimazione. Una so luzione è psicologicamente adeguata quando le trasforma zioni della pubertà conducono a una normale vita sessuale: La normalità della vita sessuale è garantita soltanto dall'esatto coincidere delle due correnti dirette verso l'oggetto e meta ses suale, la corrente di tenerezza e quella sensuale, delle quali la pri ma comprende in sé ciò che è rimasto della fioritura sessuale del l'infanzia vera e propria. Avviene come per la perforazione di una galleria da due lati (Opere, cit., vol. 4, p. 514).
La sessualità normale Ma perèhé Freud ritiene che questa sia «la normalità della vita sessuale»? E la normalità è forse un modello etico? A differenza di Platone, Freud non aveva una teo�ia eti ca, per cui nel suo caso è più difficile individuare i suoi
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principi di normalità sessuale e am?rosa. In gen�rale p�re che egli faccia riferimento a una sene d1_ fattori_ b10-med1c1,_ evolutivi e culturali. In questo caso, quando Freud parla di una soluzione «ideale» al Complesso di Edipo, egli sembra riferirsi a con cetti sociali, biologici ed evolutivi. «Cessare di essere un bambino» e «diventare un membro della comunità sociale» significa sottrarsi ali'autorità dei gen�tori e d�sto�l�er� i de _ sideri libidici dall'uno o dall'altro dei gemton, c10e risolve re i problemi della prima dipendenza del b� mbino d� lla fa miglia e della barriera dell'incesto. Questi pro�lem1 sono _ _ determinati dalla istituzione sociale della famiglia privata, dalla necessità socio-biologica della barriera dell'incesto e dal semplice fatto biologico che gli esseri umani nascono deboli immaturi e hanno bisogno di appoggiarsi a qualcu no. L; soluzione �