Peplum. Il cinema italiano alle prese col mondo antico 9788868434359, 8868434350

Fin dagli albori del cinema, l'antichità greco-romana ha sempre rappresentato una fonte inesauribile di storie e te

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Peplum. Il cinema italiano alle prese col mondo antico
 9788868434359, 8868434350

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Indice

Parte prima. Dinamiche produttive e culturali L

Nel segno di Roma: per una storia culturale del peplum 1.

Le origini del genere storico-mitologico

Un «principio formale e sociologico» 3. Maciste, dalle Alpi all1infemo 2.

n. Antichissimi e moderni allo stesso tempo 1.

La «manipolazione modernistica del mito»

«Il Duce è più bello e anche più bravo di Scipione» 3. Dalla resistenza alle catacombe, e ritorno 2.

m. npeplum mostra i muscoli 1.

Le regole del peplum

L'arte del risparmio 3. Politica1 corpo1 consumo: muscoli e bellezza 2.

1v. 11eredità del peplum 1. Poetiche della nostalgia 2. Conclusioni

Parte seconda. I film L

nparadigma e l eccezione del genere storico. 1

Cabiria (Giovanni Pastrone, 1914)

n. ncorpo melodrammatico. Scipione l'Africano (Carmine Gallone, 1937) nL

Dalle catacombe alla guerra fredda. Fabiola (Alessandro Blasetti, 1949)

iv.

Due americani all>r:ur. O.K. Nuone (Mario Soldati, 1951)

v. Un Ulisse in sedicesimo. Le fatiche di. Ercole (Pietro FX'ancisci, 1958) vi. Un antieroe del miracolo economico.

Ercole alla conquista di Atlantide (Vittorio Cottafavi, 1961) vn. Per una legittimazione digitale. Gladi.atori di Roma (lginio straffi, 2012)

Nota bibliografica Elenco delle illustrazioni

Parte prima

Dinamiche produttive e culturali

Nel segno di Roma: per una storia culturale del peplum

1.

«Péplum• è un termine coniato dalla critica francese a proposito dei film italiani di ambientazione storico-mitologica che banno dominato gli incassi nelle sale di periferia - aprendo al contempo la strada all'esportazione di massa di film italiami di genere negli Stati Uniti - tra la fine degli anni cinquanta e la metà degli anni sessanta•. Quest'etichetta deriva dal peplo, UDa veste femminile iD uso presso le donne greche fino al VI secolo a.e., e come altre designazioni, tra cui l'anglosassone csword and sandal» Oetteralmente «spada e sandalo») o l'italiano «sandaloni•, allude a UD UDiverso ispirato, genericamente, all'antichità. Di conseguenza, quest'etichetta è passata dall'indicare uno specifico tipo di produzione italiana degli anni sessanta, ad abbracciare progressivamente contesti produttivi lontani nel tempo e nello spazio: dai kolossalstatunitensi degli anni cinquanta e del decennio successivo - quali Quo Vadis (Men'}'ll LeRoy, 1951), Ben Hur (\'l'illiam \Vyler, 1959) o Cleopatra (Joseph L Mankie\\icz, 1963) - alle grandi produzioni del muto italiano degli anni dieci (Quo Vadis?, Enrico Gua.zzoni, 1913; Cento di un genere storico-mitologico nei primi anni del muto italiano rientra nel solco di una produzione imperniata sulla messa in scena di eventi storici che risale ancora all'apparizione deDa prima pellicola a soggetto realizzata in Italia, La presa di Roma di Filoteo •.\lberini (1905). Si potrebbe affermare che nel peplum questa dimensione venga estremizzata per ~ia della dimensione fortemente identitaria, quando non originaria, che per la cultnra italiana assumono di volta in volta il mito dell'antica Roma, il mondo classico o l'immaginario religioso a seconda delle diverse epoche. Il già citato Scipione l'Afria,.no, per esempio, si situa nel più vasto ambito del film storico degli anni trenta, cui appartengono opere ambientate nel passato risorgimentale, come 186o (Alessandro Blasetli, 1934), o rinascimentale, come Condottieri (Luis Trenker, 1937). Tuttavia esso assume anche una dimensione peculiare, che deriva non solo dall'inedito sforzo produttivo profuso daDe strutture statali coinvolte nella sua raJiwzione, ma anche, come si è già rilevato, dal fatto di essere l'Unica pellicola ambientata nell'antica Roma a venire wdizzat:t in un'epoca, ossessionata dall'idea della romanità, come quella fascista~. Allo stesso tempo, un'analisi di questo tipo e,1denzia come il peplum sia una presenza costante quando il cinema italiano si appresta a marcare una svolta dal punto di vista dei modelli industriali, narrati~i o tecnologici. Per esempio, all'alba degli anni dieci e fino alla prima guerra mondiale, il cinema storico-mitologico svolge nna complessa funzione catalizzatrice che coinvolge profonde trasformazioni nelle strutture industriali e nel modo di rappresentazione coITente, così come il processo di legittimazione artistica oppure la nascita di una ,oera e propria critica cinematografica. Similmente, negli anni cinquanta e sessanta, il peplum ha un ruolo determinante nello sviluppo dei rapporti di coproduzione con la Francia e nell'anio delle runaway productions americane sul territorio italiano Oe cosiddette «lavorazioni per conto•), ma effettua anche un'opera di negoziazione di istanze apparentemente da esso assai distanti, come qnelle legate alla nascente (almeno in Italia) società dei consumi. Infine, così come negli anni dieci il genere storico-mitologico aveva a\11to un ruolo di rilievo nel sostenere il passaggio al lungometraggio, il peplum postbellico contribuisce significativamente all'adozione del colore o dei nuo,i formati panoramici. In questo contesto, la recente scelta di realizzare UD lungometraggio di animazione digitale ambientato nell'antica Roma si spiega con la disponibilità del genere a farsi utilizzare come banco di prova per tecnologie ancora relativamente estranee al contesto produttivo nazionale. I punti chiave dell'indagine condotta in questo lavoro saranno pertanto il rapporto con il contesto produttivo, con le pratiche filmiche e tecnologiche, e infine con il mnte\'ole immaginario della società italiana: nella consapevolezza che, lUDgi dall'essere soltanto un genere storicamente determinato, il peplum è- così come l'edificio della cultura classica - un serbatoio d~ 11h7inarcl.aDa bisogna, uno strumento di cui attrezzarsi per affrontare i cambiamenti e le sfide della contemporaneità. 1. Le origini del genere storico-mitologico.

Visto nella prospettiva dello sviluppo del cinema muto italiano, il genere storico-mitologico - e in particolare Gabiria (Giovanni Pastrone, 1914), ineludibile punto di riferimento di un'intera stagione - può essere visto come nna sorta di valvola verso la quale confluiscono processi iniziati nel primo decennio del Novecento e dalla quale defluiscono i diveisi rami di un cinema che ha assunto una fisionomia completamente di\'ersa. Rami che vanno a comporre l'immagine di un cinema nel pieno del suo S\>iluppo ma che allo stesso tempo, già alla fine degli anni dieci, volge \'erso il proprio declino. Quest'immagine può essere indagata da una serie di punti di vista, segnatamente da quello produtth'O, liDguistico, tecnologico, oltre che dalla prospetm•a della suddivisione in generi e della composizione sociale del pubblico. Si partirà dalla dimensione produttiva. Quando nel 1908 Luigi Maggi realizza per la torinese Ambrosie il primo adattamento italiano da Gli ultimi giorni di Pompei'°, un'opera scritta nel 1834 dall'inglese Edward Bulwer-Lytton seguendo il modello del romanzo storico di \Valter Scott11, il cinema italiano sta per attraversare la prima delle sue numerose, cicliche aisi". Essa è d0v11ta, tra le altre cose, a una certa stancbena sopravvenuta nelle formule su cui si era basato il cinema italiano (ma non solo) nel suo primo decennio di esistenza e alla sfrenata concorrenza tra le case italiane raggruppate nei vari centri in cui si era sviluppato il nuo\'O mez:zo nel nostro paese: Roma, Milano, Napoli, la Sia1ia e soprattutto Torino. Proprio nel capoluogo piemontese si trovano però le realtà industriali di maggior rilievo, che più investiranno in un fenomeno destinato, per nn breve periodo, ad attirare l'attenzione del pubblico internazionale, il film storico. Tra le ragioni che spingono le case uscite dalla crisi più forti di prima, o quelle create ex novo subito dopo, a pontare su questo genere, caratterizzato da soggetti che incarnano fortemente l'identità e il patrimonio culturale nazionali, \1 è il progressivo ingresso nella produzione cinematografica di capitali provenienti da esponenti dell'aristocrazia e dell'alta borghesia. Un elemento che determina profondi cambiamenti nella scelta dei soggetti, nella struttura delle pellicole e nella composizione del pubblico. Inizia così anche in Italia un processo di a\'\icinarnento del cinema aD'orizzonte culturale della classe borghese, che accomuna il nostro paese ad altre nazioni europee: per esempio alla F?ancia, dove nel 1908 era stata fondata con simili presupposti Le Film d'Art, compagnia dedicata alla reallnazione di pellicole di dem'llZione letteraria interpretate da membri della Comédie-F?ançaise'3j oppure alla Germania, dove nel decennio successivo si affermerà l'Autorenjilm, una serie di pellicole tratte o sceneggiate da esponenti del mondo letterario tedesco. La realinazione di pellicole ambientate nell'antica Roma va cosi contestualizzata in un più generale processo di adattamento di testi che fanno parte di un repertorio perfettamente conosciuto dalla cultura borghese dell'epoca, e in una più generale tiasformazione del cinema in un «luogo pri,i!egiato e capace della più ampia ricadnta e diffusione comunicativa entro cui confluiscono e vengono esibiti orgogliosamente alcuni simboli "forti• dell'identità nazionale• 14• rn primo luogo, infatti, i film storici pescano da un canone ormai consolidato nel secolo precedente, in ari oltre al romanzo di Bulwer-L;tton vanno annoverali almeno anche Fabiola o la Chiesa delle catarombe di Nicholas Patrici( ,viseman (1854), Salammbo di Gusta\-e Flaubert (1862), Ben Hur di Lew \Vallace (188o), il già citato QUo vadis? di S!enld8\,icz (1894-1896), ma anche, all'interno del contesto italiano, lo Spartaco di Raffaello Gìo\-agnoli (1874)15 e il più recente cartagine in.fiamme (1906-1908). Una produzione letteraria che a sua volta entra in contatto con il teatro lirico coevo, dal momento che molti di questi romanzi vengono adattali per il palcoscenico. t il caso per esempio del volume di BulwerLytton, all'origine di Jo/e o L'ultimo giorno di Pompei di Errico Petrella (1858) e di Le demierjour de Pompéi di Victorin de Jonclères, mentre il romanzo ~i Sienkiewicz ha avuto due adattamenti in forma melodrammatica, l'incompiuta Ligia di Emil !'.Dp1arski (1989) e il Quo Vadis? di JeanNouguès (1908)' 5• In secondo luogo, ll mondo antico in generale e il mito romano in particolare svolgono un ruolo strategico rispetto alle aspirazioni nazionaliste di aristocrazia e borghesia in un momento in cui lo Stato italiano di recente fondazione (proprio nel 1911 si festeggerà il cinquantenario dell'unità nazionale) e reduce dalla disfatta di Adua (1896) coltiva ambizioni espansionistiche nel bacino del Mediterraneo: ambizioni che raggiungeranno il loro apice nella guerra italoturca che tra il settembre 1911 e l'ottobre 1912 vedrà impegnata l'Italia giolittiana contro l'Impero ottomano e che si concluderà con la conquista della Cirenaica e della Tripolltanla. Questa campagna condotta nell'attuale Libia, così come le future imprese coloniali dell'Italia fascista in Africa orientale, si rifletteranno in un continuativo interesse per la rappresentazione di cartagine, o più in generale dell'Africa settentrionale, all'interno di UDa serie di pellicole che ,,a da Lo schiavo di cartagine (Arturo Ambrosio, Luigi Maggi, Roberto Omegna, 1910) a cabiria'~, passando per il Marcantonio e Cleopatra realizzato nel 1913 da Enrico Guazzoni per la romana Cines.s. Oltre che per il potenziam•l\to della dimensione nazionalista do\11to alla guerra in Libia, il 1911 è UD anno cardine anche sotto l'aspetto dell'aggiornamento linguistico. Infatti, se già G1iùio Cesare (Gio~-anni Pastrone, 1909) e Nerone (Luigi Maggi, 1909) rappresentavano un passo in avanti dal punto di vista dell'acruratezza della ricostruzione rispetto al primo adattamento da Gli ultimi giorni di Pompei uscito l'anno precedente, è a partire da La caduta di Troia (Gio,-anni Pastrone, 1911) che il cinema muto italiano inl2ia ad adottare strategie discorsive sempre più complesse e soprattutto ad affrontare, gradualmente, il P"'Sii ggio al lungometraggio: un fenomeno che accomuna l'Italia ad altre cinematografie nazionali, ma che proprio il film storico contribuirà a istituz!nnallnaM in maniera piuttosto rapida. Come sottolinM Giulia carluccio, il periodo che \11 da La caduta di. Troia a Cabiria - due film che tra il 1911 e il 1914 marcano il passaggio da circa trenta minuti alle oltre tre ore di proiezione - è contraddistinto non solo dal progressivo allungarsi del metraggio e da UDa costante ricen:a di soluzioni espressive sempre più sofisticate, ma anche da un parallelo percorso di consolidamento e legittimazione della nozione d'autore e in particolare della critica cinematografica. Infatti iD questo periodo

è significati\'O che lo spazio aitico non solo si ampli in conispondenza dell'ampliarsi del film (come durata, ma anche come ambizione e portata culturale), dalla recensione di massimo ima/due pagine~ film come I.il caduta di Troia, nel 1911, aJ \'ffl> e proprio inserto con antologia altica per Gabiria, nel 1914; ma pure che, fin dall'inizio, la recensione vi appaia come una «forma forte• [...] ben distinta da altri tipi di interv-entoe con unasuastrutturazioneearchitettura'''· Naturalmente questo processo di istituzionalizzazinl\e che coinvolge la critica non è una mera funzione dell'espansione del metraggio delle pellicole, ma anche della loro crescente complessità dal pnnto di vista iconografico e linguistico. Quello che si delinea nel periodo che ,,a dal 1911 allo scoppio della prima guerra mondiale è un progressi\'O passaggio dalla dimensione puramente «mostrativa:. del modo di rappresentazione primitivo - più statico e basato sull'esibizione di un evento che si consuma all'interno dei margini dell'inquadratura - a un altro regime che non è identificabile con il modo di rappresentazione istituzionale"" - imperniato \iceversa sulla sintassi tra inquadrature di diversa scala, articolata attraverso il montaggio - ma rispetto al quale costituisce un'alternativa, tipica di questa fase del muto italiano e destinata a cadere in disuso nel corso degli anni venti, per via del rapido declino che investirà il cinema nazionale. L'idea è che a partire almeno dal dialogo tra massa e individuo offerto nelle scene finali del Quo Vadis? di Enrico Guazzoni (1913) - il primo grande successo internazionale del genere - il film storico-mitologico funga da laboratorio per la sperimentazione di UDa via italiana all'evoluzione del linguaggio cinematografico, nena quale un'articolazione più complessa della narrazione non passa tanto per il montaggio, come a\'viene nel coevo cinema americano, quanto per una complessa dialettica tra i piani interni all'inquadratura o, specie in Gabiria, attraverso l'uso dei mo\'imenli di macchina e in particolare del carrello. Una soluzione ibrida che permette di salvaguardare la preminenza delle attrazioni visi\:e - caratteristiche del cinema delle origini, ma destinate a sopra,'\•hoere, integrate nel tessuto deDa narrazione, anche nel modo di rappresenta2ione istituzionale - integrandole comunque nella narrazione ma evitando di segmentare lo spazio scenico". Questo rapporto tra UDa dimensione spettacolare ipertrofica, che risulta irriducibile alle esigenze della narrazione, e la messa in scena della storia contraddistinguerà lo storico-mitologico fino agli anni venti'°, ed è all'origine dello straordinario successo internazionale riscosso dal genere, soprattutto negli Stati Uniti d'.-\rnerica. A sua volta, questa dimensione spettacolare si nutre di un reticolo intermediale in cui èinserito il cinema muto dei primi anni'3 e che comprende, oltre airnmanzi e alle opere liriche sopra citate, anche le architetture dello stile art nouveau, che era stato introdotto in Italia dall'Esposizione d'arte figurativa moderna tenutasi a Torino nel 1902 e che entra in una complessa relazione con le costruzioni scenografiche di film come Marcantonio e Cleopatra e Cabiria"", così come sofisticati riferimenti pittorici quali John Everett Millais e Amold Bocklin, rin\'eDIDili rispettivamente nelle veisioni di Maggi e di Eleuterio Rodolfi. de Gli ultimi giorni di Pompin'>S, o ancora la musica contemporanea di Ildebrando Pinetti, il qual~ realizza l'! partitura della Sinfonia delfuoco per C. Carluccio, Scrittw'e della visione cit., pp. 39-40. Sulla messa in scena di Cabiria come alternati\'a sia al modo di rappresentazione primiti,~ che a quello istituzionale si veda anche S••-\lo\'isio, Poteri della messa in scena: Cabiria.fra attrazione e racconto, in Il restauro di Cabiria, a cura di S. Toffetti, Museo Nazionale del Cinema, Torino 1995:.:..: E risulta particolarmente e\idente effettuando un confronto tra diverse versioni dello stesso soggetto, come fa Giulia Carluccio a proposito dei due Quo Vadis? diretti rispettivamente da Enrico Guazzoni nel 1913 e da Gabriellino D'Annunzio e Georg Jacoby nel 1924, e\idenziando come il cinema italiano degli anni venti abbia ormai introiettato le regole del montaggio del modo di rappresentazione istituzionale. Cfr. Carluccio, Scritture della visione cit., pp. 45-55. Allo stesso modo, confrontato con i kolossal storici degli anni dieci, anche il tardo La run,-e di Gabriellino D'Annunzio e :Mario Roncoroni (1921) appare come «un film dal montaggio a tratti frenetico. Consta di oltre 550 inquadrature, cui si aggiungono i 200 stacchi dovuti alle didascalie>. Cfr. G. l',fanzoli, lln affollato rito wa.gneriano. La nave di Gabriell.ino D~4nnunzio e Mario Roncoroni, in cLa Valle dell'Eden>, n, 2000, 6, pp. 53-66. :.::i Si fa qui riferimento alla nozione di reticolo intermediale S\iluppata da André Gaudreault in A. Gaudreault, Dal letterariD alfilmico. Sistema del racconto, Lindau, Torino 2007. Per un'applicazione di questo concetto al cinema muto italiano si veda Manzoli, Un affollato rito tt,,agnuiaTW cit, pp. 53-8. :.:.; Cfr. G. De Vmcenti, Il kolossal storico-romano nell'immaginario del primo 1\"'ot'(!cento, in «Bianco & Nero», :\.1JX, 1988, 1, pp. 7-26. :.:.·, Cfr. Alovisio, Cabiria cit., p. 29. :.-t. Didascalie che verranno poi nuovamente rielaborate dallo stesso Pastrone per risultare più fruibili Cfr. AlO\isio, Cabiria cit., pp. 43-6. -.:.: Ibid., p. 43. :.:..-i Brunetta, Il cinema muto italiaTW cit, p. 58. :.,i Giaime Alonge e Francesco Pitassio, in un contributo dedicato a Maciste alpino (Luigi Romano Borgnetto e Luigi Maggi, 1916), ne individuano tre: una dimensione pertinente a una vasta ciroolazione attraverso i mass media; una relativa alle politiche istituzionali e alla costruzione di valori condivisi a livello nazionale; infine la presenza di elementi propri del vernacolo delle classi basse, e come tale rifiutato da quelle alte. Fino a un certo punto, come si vedrà, nel cinema storico mitologico questi elementi risulteranno diffìcilmente discernibili. Cfr. G••-\longe - F. Pitassio, Body Poatics: National Ide:ntity, Perfonnance, and Modernity in Maciste Alpino (191.6), inHumor, Entertainment, andPopularCultureduring w·orld ·war I, a cura di C. '11lolas-Disset e K. A. Ritzenhoff, Palgrave Mc1cmi11an, London-NewYork 2015, pp. 41-57. A. Farassino,Anatomia del cinema muscolare, in Gli uomini/orti, a cura di.-\. Farassino e T. Sanguineti, Mazzotta, Milano 1983, p. 29. :\• Ibid. :,.;.: Pre-acquisto che a\'\iene dietro preventivi accordi relami alla durata, al numero di comparse ecc. Cfr. Brunetta, Il cinema muto italiano cit., pp. 55-6. SUI successo del film storico italiano negli Stati Uniti si veda anche G. Muscio, In Hoc SigTW Vmces: Historical Films, in Italian Silent Cinema. .4 Reader, a cura di G. Bertellini, John Libbey, New Barnet 2013, pp. 161-9. Per un esame relati\,o alle strategie pubblicitarie dei distributori americani, con particolare riferimento alla promozione dello Spartaa, di v·idali da parte di Kleine, si veda Wyke, Projeding the Past cit., pp. 34-6. Per un'analisi del generale andamento delle esportazioni in •.\merica del cinema muto italiano, con particolare attenzione alle case torinesi, si veda anche P. Cherchi Usai, Maciste all'Hell's Kitchen: il cinema muto torinese negli Stati Uniti, in Ca.b'iria e il suo tempo, a cura di P. Bertetto e G. Rondolino, Museo Nazionale del Cinema-Il Castoro, Torino-Milano 1998, pp.132-48. :1:i ~L Dall~-\sta, Un cinbn.a musclé, Yellow Now, Crisnée 1992, p. 32. Tutte le citazioni da testi pubblicati in lingue di,~rse dall'italiano sono da considerarsi traduzioni mie. :•M Sulfinfluenza linguistica esercitata da Cabiria sul muto americano si ,'eda il capitolo Il laboratorio di Cabiria. Un modell.o italiano per gli americani, in Carluccio, Scritture dell.a visione cit., pp. 36-44. :..-. Cfr. Farassino, .4natomia del cinema muscolare cit, p. 30. :•.~ Cfr. Aziza, Le péplum cit., p. 64:r.: Già giunti a una sintesi durante la guerra italo-turca, sostenuta anche dal partito socialista: un meccanismo destinato a ripetersi all1ingresso italiano nella prima guerra mondiale. :,,-. Tuttavia essa era già presente nel cinema comico, per esempio nella serie iniziata nel 1909 in cui Domenico Gambino interpreta il personaggio di Saltarello. Cfr. Farassino, Anatomia del cinema muscolare cit., p. 30. :N Per un esame del rapporto tra forzuto e colletti1,ità e un confronto dei processi di identificazione delle masse nel cinema, nello sport e nel nazionalismo, si veda Dall'Asta, lln cinbna. musdé cit, pp. 28-30. 1 40 Per un analisi del nome scelto da D'Annunzio e sulle suggestioni da esso attivate si ,'eda D. Camrnarota, Il cinema peplum: la prima guida critica ai film di Conan, Ercole, Goliath, .\.!aciste, Sansone, Spartaco, Th(llJJ', Ursus, Fa.nuoci, Roma 1987. 1 -1• Dall . ~ , Un cinbna. musdé cit., pp. 37-8. Nella lettura di Dall'Asta, il mondo antico visto in una logica nazionalista è da considerarsi una forma di alterità temporale, in quanto esso conferisce prestigio e legittimazione allo status quo, ma al tempo stesso costituisce qualcosa di irrimediabilmente «altro> rispetto al presente. 4 ;.: Dall1Asta infatti e\idenzia come, fino a dopo Cabiria, il forzuto non costituisca un personaggio autonomo, in quanto è caratterizzato semanticamente da un «potere» privo di cvolere»: un'altra forma di contraddizione, che nel genere ,:iene rappresentata appunto da un contrasto tra il trattamento visivo di questi personaggi e la loro effettiva funzione narramc1, specialmente nel caso di Ursus. Cfr. il capitolo lln szuhomme incomplet, in Dall'Asta, lln cinbn.a musclé cit., pp. 40-6. n F. Peizetti Tonion, Corpo della visione, corpo della narrazione: Maciste in Ca.b'iria, in Cabiria l!z Cabiria cit, p. 145-1-1 Cfr. Dall'Asta, lln ciné:ma musclé cit., p. 43. 4 -~ Per la transizione etnica del personaggio da Ca.b'iria a Maciste si veda ramcolo di J. Reich, The Metamorphosis o/Maciste in Italian Silent Cinema, in cFilm History>, ~-X"\', 2013, 3, pp. 32-56, mentre per un più ampio esame dei film dedicati a questo personaggio all1epoca del muto si rimanda al recentissimo volume della stessa autrice The Maciste Films ofItalian Silent Cinema, Indiana University Press, Bloomington 2015- Per un1analisi della dimensione razziale del solo Cabiria si ,'eda im·ece A. Lant, Spazio per la razza in Cabiria, in Cabiria e il suo tempo cit., pp. 212-22. -1 11 Maciste e il nipote dj,tmerica (Eleuterio Rodolfi, 1924). -1:.- Maciste all'inferno (Guido Brignone, 1926). -is Maciste imperatore (Guido Brignone, 1924). -1•, Maciste contro lo sceicco (Mario camerini, 1926). ~~' Per un'analisi del film e delle implicazioni relam-e alla dimensione popolare e al nazicmaJiSJDn proprio del genere, si rimanda nuovamente ad Alonge - Pilassi, Body Politics cit. ~.• Dall'Asta, Un ciné:ma musclé cit., p. 54. ~.:.: Ibid. ~,\ Maciste contro i mostri (Guido Malatesta, 1962). ~,-1 2:crro contro Maciste {Umberto Lenzi, 1963). ~... L'esempio limite è costituito da Maciste innamorato (Luigi Romano Borgnetto, 1919), nel quale il protagonista, quasi fosse un esponente dell1arditismo, attacca degli scioperanti per difendere i rappresentanti del potere economico. Cfr. Dall1. ~ , Un cinbna. musdé cit., pp. 77-81. 0 :,.

11. Antichissimi e moderni allo stesso tempo

n genere storico-mitologico e il cinema dei fomiti sono tra le vittime della profonda crisi che si abbatte sul cinema italiano nel corso degli anni venti. Le ragioni sono molteplici e \'aDDO da questioni relative all'andamento dei mercati internazionali, tra cui sono da segnalare il calo delle esportazioni conseguente alla prima guerra mondiale e la panllela conquista dei mercati europei da parte di Hollywood, a errori di strategia da parte delle case di produzione italiane, molte delle quali, nel 1919, si raccolgono intorno a un trust chiamato ua (Unione cinematogJ"afica italiana), destinato a crollare in seguito al fallimento della Banca italiana di sconto, che lo sostiene; ma tra di esse \'aDDO annoverate anche cause di matrice macroeconomica - per esempio la recessione del 1921 - e soprattutto altre che concernono una dimensione più marcatamente estetico-linguistica, in particolare il mancato rinno,-amento dei generi e dei moduli espressivi da parte del cinema italiano a partire dal primo dopoguerra•. La conseguen2a principale della crisi sarà il fallimento a catena della case produttrici e la drammatica riduzione del numero di pellicole prodotte, che alla fine del decennio arri"a ad assestarsi su una media di poche decine l'anno. Nonostante tutto, la realizzazione di film appartenenti sia al genere storico che al cinema muscolare riesce a proseguire fino alla metà degli anni venti. nprimo ripropone gli stessi ingredienti che banno contribuito alla sua fortuna tra il 1909 e la guerra: ,-alori di prodll2ione enormemente dispendiosi, ricostruzioni scenografiche monumentali, riletture del mondo antico dalla forte componente nazionalista.•\Dcbe i soggetti sono Sp"·oodiani. Tutta,ia, come sottolinea Pasquale laccio, questa campagna si estende ben al di fuori del settore della stampa specializzata e coinvolge UDa complessa operazione di merchandising, all'interno della quale si possono annoverare la riedizione da parte della Nerbini di Firenze del romanzo di Giuseppe Petra.i Scipione l'Africano. Duce delle legioni romane vittoriose in Africa e in Spagna. Romanzo storico del suolo IVdi Roma (235-183 a.G.C.), UD'opera che si conclude con UD esplicito parallelismo tra .Mussolini e il oondottierol-'; UD volume illustrato pubblicato dalle edizioni carroccio di Milano, uscito nel 1937, firmato da Mariani dell'Anguillara (uno degli sceneggiatori della pellicola di Gallone) e legato a UD concorso {realiznto in collaborazione con 1•.,.,c} al quale il pubblico poteva partecipare acquistando in edicola UD apposito kit di costruzioni raffigurante il foro romano del film35; infine, calendari da barbiere illustrati con immagini che ritraevano i momenti salienti di Scipione l'Africanos6. L'elemento più interessante è però

costituito da alCUDe proiezioni effettuate nel novembre del 1937 nelle classi tene, quarte e quinte delle scuole elementari, io seguito alle quali veni\'a chiesto agli alunni di S\'olgere un tema e di realizw:A ,,, 1936, 8, pp. 296-300. :~ Ciak, Notizie tecnich.t. nprimo ctJJTello-gru italiano, in eCinema», 11 1936, 10, p. 397. :, , D. F'alcoDi, Filtro giallo (tjibn nuovi), iD •Cinema illustra.zione•, xu, 1937, 45, p. 9. · .:,on '" .w;:o _, ..-.,..-rone "'"". ....... - , p. 66. ·« Cfr. lacao, x; Cfr. ibid., pp. 67-9. '" Cfr. ibid., p. 67, ~f • Il cint:ma e i bambini, in •Bianco & Nero», m, 19391 8. :v-t L Chiarini, Prcmssa, in cBia.Dco & Nero>, m, 1939, 8, p. 10.

"' Ibid. '" G. Bottai, Prefazione, i\'i, p. 6. ~• Tema di Primi Lucia, classe n•, i\i, p. 46. "Per la situazione delle strottweprodulll\-e ilallane all'indot!Wli della flnedtlla gut,n si rimanda a L Quaglietti, ston·a ttenomito-politica dt1 dnana italiano 1945-19&>, Editori Riuniti, Roma 198o, e a B. Corsi, Con qutdche dollaro in meno. storia economica del cinona italiano, Editori Riuniti, Roma 2001. , :, Cfr. N. Steimatsky, Cinecittà c,mpo profe4hi (1944·1950), pubblicato iJJ due palli in «Bianco & Nero>, 2oo8, 56o e 561/2. "Per le leggi Andttottldel 1949 sl ,'Odano V. Z,agarrio,LYndustria Ualkmafra crisi dt1la produzione e boom dell'am:izio, in storia del r:inema italiano 1945/1941], a cara di C. Cosulim, Marsilio-Edizioni di Bianco &1'.ffO, Venezia-Roma 2003, \11, pp. 363-87; Quaglietti, storia ro,nomia>-po/Ufca del dn,ma italiano cii., eCorsi, Con qualche dollaro in m.mociL

" Perw,a storia dell'Uni•1ersaliae un'analisi della sua produzione si vedano t. Lonero.l\. .-\nziano, La storia della Orb'is-Univusalia. cattolici e neorealismo, Effa.tà, Cantalupa 2004, e O. Treveri Gemlali, Po:st·War Italian Onema. American Intuvention, Vatican Intercsts, Rootledge, London·NewYort.2ou, pp. 65-S. ••Perle quali si ,..ia almeno .I\. fllrusino, 'Viraggi d,l n,ormllsmo: rosa e a1lr1 colori, in Stwia d,I cinema italiano 1949-1953, a aua di I. De Giusti, )lamlio•F.dmoni di Bianco&: Nero, Venezia•R.oma 2003, v11, pp. 203·22, 4 •• «Se molti di questi film erano ambientati nella Roma antica, la loro componeo te storica seniva a ricbiamaN"; alla memoria degli spettatori il glorioso passato non tanto della loro rw;iooe, quanto della loro industria del dcema. l ~male di 61m storici che a\"e\UO reso f.amoso il cinema ttallano nei primi d«ennl del steolo pennette,-ano alle case di produzione di attirare comumatori attraverw la pura e sempliSabile dei mer,:ati esle,i, e non dall'Un;.-.rsalia stessa. Cfr. Cineteca di Bologna, Fondo Alessandro Bla.selli, b. CRS 10, fase. 0462. •·• Come all'erma lo stesso monsig)lor Galletto, presldenledtlla C,,mml0rt), una società finalizzata a consolidare la penetrazione del film italiano sul mercato statunitense attraverso una rete di agenzie distributivel, Nonostante sia destinata a crollare miseramente nel 1957, quest'esperienza è però interessante per due moti.\i: in primo luogo perché e,'idenzia come la speranza di controllare in prima persona la distribuzione sia un miraggio irraggiungibile per le case italiane, che anche negli anni di maggior successo del cinema italiano negli Usa non riusciranno a svincolarsi dal meccanismo della vendita forfettaria dei diritti dei propri film; in secondo luogo perché l'iniziativa dell11n: è guidata dalla Lux Film, la realtà produttiva e distributiva più potente e prestigiosa fino alla metà del decennio, nonché una pioniera nei tentativi italiani di conquista del mercato americano. Infatti, seppur compromessa dallo sforzo produttivo di Senso (Luchino Visconti, 1954), fino alla fine degli anni cinquanta questa casa di produzione avrà un ruolo in tutti i passaggi che porteranno il peplum italiano a diventare un fenomeno internazionale. Proprio dalla Lux, infatti, vengono Dino De Laurentiis e Carlo Ponti i quali, fuoriusciti nel 1950, creano una società autonoma che punta con decisione alla realinazione di film sulla base di accordi distnl>utivi, o direttamente in compartecipazione, con case americane. Da questo punto di vista, il salto di qualità per i due produttori avviene nel 1954, anno in cui escono nelle sale Attila (Pietro Fraucisci) e Ulisse (?\farlo camerini), due kolossal distribuiti dalla Lux ma concepiti per il mercato internazionale, con star straniere (Henri \lidal ed Anthony Quinn nel primo, Kirk Douglas e ancora Anthony Quinn nel secondo) affiancate ad attrici italiane allora in costante ascesa (rispettivamente Sophia Loreo e sll,•ana Mangano), e che raggiungono entrambi, seppur con tempi e modalità differenti, le platee americane.Attila verrà infatti acquistato dalla Embass}' di Joseph E. Levine, un piccolo distn1iutore della costa est che di qui a poco avrà un ruolo fondamentale uell'internazioualinazione del cinema italiano; l.1lisse, invece, che in origine doveva essere diretto dall1aoziaoQ regista tedesco Georg w·. Pabst, pur non essendo formalmente una vera e propria coproduzione con gli stati Uniti nasce dalla collaborazione tra la Ponti-De Laurentiis e la Paramount, che partecipa alla realinazione della pellicola e ne preacquista i diritti. L1 major hollywoodiana fa adattare i dialoghi del film per la versione americana (da Ben Hecht e Hugh Gray), fornisce le star Kirk Douglas e Anthony Quinn, e inoltre mette a disposizione dei comparti tecnici abituati a lavorare col colore (che in Italia era stato introdotto appena da due anni) o con gli effetti speciali, rispettivamente il direttore della fotografia Harold Rosson e il celebre operatore tedesco Engen Schiifftan, già collaboratore di Fritz Lang sul set dL,fetropolis (1927). concepito dallo sceneggiatore Ennio De Concini (per molti aspetti il Yero padre del genere nei suoi anni d'oro), Ulisse si rivela essere una tappa fondamentale nel passaggio dal peplum degli anni cinquanta, ancora realizzato nel solco di Fabiola, ai grandi successi del decennio successivo. n film è imperniato prevalentemente su di un personaggio maschile4 - mentre molti film dell'epoca, come Messalina (Carmine Gallone, 1951) o Teodora, imperatrice di Bisanzio (Riccardo Freda, 1954), avevano protagoniste femminili che operavano in un impianto melodrammatico -, ha come protagonista un attore americano, usa la fotografia a colori (in origine il film dO\'eva essere anche girato in 3D, ma la decisione fu poi accantonata) e soprattutto concepisce il mito come un serbatoio di avventure cui attingere per comporre un'opera in cui l'azione assume sempre più una dimensione modulare. La struttura narrati,-a di Ulisse, infatti, è basata sul susseguirsi di una serie di avventure tratte dal poema omerico che corrispondono ad altrettante sequenze d'azione imperniate sull'eroe protagonista - la gara di lotta alla corte di Alcinoo, l'episodio di Polifemo, la strage dei Proci - le quali vengono raccordate le une alle altre per mezzo di flashback. D tutto secondo una tendenza al prevalere della singola attrazione sullo sviluppo narrativo che contraddistingue il cinema di genere italiano a partire dal dopoguerra;.

6. Klrk Doug]as in U!we (1954) di.Mario cameriill. È però solo quattro anni dopo, con Le fatiche di Ercole (Pietro Francisci, 1958), che il peplum assume i connotati definitivi che lo faranno diventare uno dei filoni di maggior successo fino alla metà degli anni sessanta, quando sarà soppiantato dal western all'italiana. Prodotto dalla piccolissima Oscar film ma finanziato in

larghissima parte dalla Lux, questo prototipo del peplum a venire ha un costo relati\'alDente contenuto (circa 300 milioni) 6, è girato a colori e in formato panoramico, e si avvale di una troupe tecnica estremamente versatile e tutta itallana, all'interno della quale spicca il direttore della fotografia Mario Bava, vero responsabile del «look» di questo tipo di produzioni. li protagonista maschile è ancora una volta un americano ma non è più, come nel film di camerini, una star di Hollywood, bensì un giovane e semisconosciuto culturista emerso nei concorsi internazionali Inoltre Le fatiche di Ercole ha una struttura ancora meno lineare di Ulisse in quanto, pur avendo un intreccio ben definito, è basato su una serie di bre\'i avventure che mettono alla prova i muscoli del protagonista. ll successo di pubblico è straordinario, specialmente nel cosiddetto «mercato di profondità», cioè le sale di seconda e terza \lisione dei piccoli centri della penisola, grazie alle quali il film supera in tempi relativamente rapidi la cifra di 700 IDJlioni di lire. Ma ancora più straordinario è il successo americano, dovuto all'abilità e ai contatti internazionali della. Galatea di Nello Santi, una casa di produzione che ha avuto un ruolo determinante nel finanziamento del film, cui ha fornito un anticipo proprio sulle vendite all'estero. La Galatea, cede Le fatiche di Ercole alla EmbaSS)' di Levine, che lo compra a un preno i:elativamente basso ma trasforma il film in un enorme successo investendo in un'imponente campagna pubblicitaria, che comprende una sontuosa cena di presentazione nella sala da ballo del \','aldorf Astoria di New York e un massiccio uso degli spot televishd. Lo straordinario exploit del film ha una grande risonanza nel mercato americano ed è all'origine di uno stretto rapporto tra i distributori statunitensi di media grandezza e il cinema di genere italiano che proseguirà fino agli anni ottanta- È così possibile delineare le ragioni che permettono il trionfo del peplum negli anni d'oro del genere (1958-1964) e lo distinguono da operazioni che, come Ulisse, ancora si rifanno a una formula produttiva già sperimentata, «il superspettacolo, che ambisce al coosenso non di una parte soltanto, ma della totalità del pubblico»3 , laddove negli anni sessanta il genere conquisterà soprattutto gli spettatori delle sale di periferia. Queste ragioni possono essere riassunte in costi di re;,lizzazione i:elativamente bassi, una struttura standard replicabile quasi all'infinito da più case di produzione allo stesso momento, un mercato di profondità che, dopo la crisi del 1956, sembra continuare a fornire alti incassi sul lungo periodo, ma soprattutto la presenza di distributori americani pronti ad acquistare i film a scatola chiusa e a prezzi forfettari, sotto forma di anticipo, ancora prima che l'opera sia prodotta9, A partire dal seguito Ercole e la regina di Lidia (Pietro Francisci, 1959), realiz2ato direttamente dalla Galatea insieme alla Lux, il genere decolla progressivamente coinvolgendo case di tutte le entità: dalla medio-grande Galatea (che prosegue realinando otto titoli e fu,aoziandone altrettanti fino all'esaurimento del filone) passando per la piccola Panda Cinematografica di Donati e carpentieri, responsabile del ritorno sugli schermi di Maciste con lfaciste nella 1.:alle dei re (Carlo campogalliani, 1960), e fino alla grandissima Titanus, che crollerà anche a causa del disastroso fallimento del kolossal biblico sodoma e Gomorra (Robert .tjdrich, 1962). A partire dal 1959, la produzione continua aumentando progressivamente il ritmo fino al 1965, quando il genere cederà il passo definitivamente al western: nel frattempo, i titoli realiz2ati nel giro di sette anni saranno circa duecento10• Intanto, il peplum contnòuisce a una vera e propria moderninazione del cinema di genere itallano, di cui reimposta le pratiche produttive di base - che vengono adottate da generi coe\i e maggiormente orientati verso l'e.-q>0rt come l'horror gotico degli anni sessanta o il giallo del decennio successivou - e al quale fornisce un aggiornamento tecnologico (il costante utilizzo del colore e del formato panoramico). Infine, e limitatamente alle produzioni di livello medio-basso, il peplum offre per la prima volta a un ampio novero di compagnie «la possibilità di sperimentare una produzione seriale i cui costi siano prevedi'bili""'· Questi ultimi, a seconda della fascia in cui si andrà a collocare il prodotto finito, possono assestarsi tra una media di 3-400 milioni (con punte verso il basso di 150-200, per esempio nel caso del tardo Roma contro Roma di Giuseppe Vari, 1964) e picchi di circa 600 (come nel caso di Nel segno di Roma di Guido Brignone, 1959) o addirittura 900 milioni (Romolo e Remo, Sergio Corbucci, 1961).

7. Cena di gala al Waldorf Astoria di New York per promum~re l'uscita americana de u fetiche di Ercole (Pietro Fl'allinterno del sistema produttivo, il filone diventa così un serbatoio di immagini, topo~ pratiche: un'eredità che da quel momento in poi il cinema italiano inizia ad aro ministrare all'interno di altri contesti. nwestern italiano, per esempio, ne trae una serie di elementi che vanno dalle strutture narrative alle pratiche produtth'e. Si verifica un «letterale travaso di registi, sceneggiatori e maestranze»2 , dal momento che Sergio Leone, Sergio Corbucci e Duccio Tessari, quando muovono i primi passi nel peplum, hanno in realtà già in mente il genere cui dedicheranno la maggior parte della loro carriera. Mentre i protagonisti dei loro film, che come Maciste appaiono dal nulla e partono alla ricerca di nuove avventure alla fine di ciascuna pellicola, pur non avendo la loro eccezionalità iscritta nelle carni come i culturisti della prima metà del decennio, compiono con la pistola quelle mirabili prove che i loro predecessori effettuavano con i muscoli. Infine anche il ricorso all'ironia, il rapporto con la politica e i meccanismi della negoziazione delle istanze della società dei consumi vengono ripresi e resi più leggibili al pubblico dal western all'italiana. :?i.la è soprattutto sul piano delle pratiche produttive che quest'eredità diviene manifesta: nel rapporto con le sale di profondità e il mercato estero; nella pratica delle runaway productions in Jugosla,iia o in Spagna; nella tendenza alla serializzazione, spesso basata esclusivamente su di un nome (Django, sartana, Sabata ecc.) come lo era nel caso di 11aciste; nelle pratiche del riutilizzo di set, ambienti e situazioni; nella dimensione transnazionale delle produzioni, spesso realizzat,e in coproduzione con altre nazioni europee e pre-vendute alla distribuzione americana. Una seconda e forse più interessante modalità di amministrazione dell'eredità del peplum si consuma nell'ambito delle diverse pratiche autoriali che si intersecano nel corso degli anni sessanta, le quali permettono di individuare un rapporto decisamente complesro con il materiale di partenza. Pratiche segmentate in altrettante poetiche, che non sarà possibile delineare in questa sede, ma che hanno in comune un distanziamento dalla dimensione prettamente industriale del genere a favore di un approccio che vada alle origini del mito, scelto come chia\'e di lettura per un discorso sul cinema o sulla realtà contemporanea. Un primo esempio può essere costituito dall'Odissea che l'anziano regista Fritz Lang sta girando all'interno di un film in coproduzione, Il disprezzo (Le mépris, 1963), diretto dal francese J ean-Luc Godard ma girato tra Roma e e.apri, tratto dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia (1954) e soprattutto prodotto, tra gli altri, dall'italiano cario Ponti e dall'americano Joseph E. Levine, artefice della fortuna internazionale del peplum. La figura di un regista tedesco era già presente nell'originale letterario (un evidente riferimento a Georg '\V. Pabst, che avrebbe dovuto dirigere Ulisse al posto di Mario camerini)3 ma il Lang presente nel film di Godard assume un ruolo molto più profondo: di\'iene il custode dei valori del cinema classico, che resiste trionfando sia sulle spinte verso il basso, che arrivano dal produttore americano Prokoscb (Jack Palance, allora reduce da peplum italiani come Barabba di Richard Fleischer, 1961, prodotto da Dino De Laurentiis insieme alla Columbia Pictures), che su quelle verso l'alto, come i tentativi di modernizzazione del testo omerico proposti dallo sceneggiatore Paul Javal (Miche) Piccoli). Tuttavia le scene che ci vengono mostrate, pur nella loro scarna essenzialità, non sono immuni a un gusto pop che, dopo il peplum degli anni cinquanta-sessanta, sembra aver definitivamente invaso la rappresentazione del mondo classico: le statue riprese sullo sfondo del cielo e accompagnate dalle struggenti musiche per archi di Goorges Delerue.; hanno gli occhi dipinti di colori sgargianti, e le tre inquadrature che ci mostrano rispettivamente Ulisse nell'atto di scoccare la freccia, un frontale primo piano di Penelope sorridente e Antinoo trafitto nella gola dalla freccia scagliata da Ulisse, sono incorniciate da campiture uniformi di colori primari, squillanti e antinaturalistici, i quali ricbiamanQ allo stesso tempo simili soluzioni espressive del Godard de La chinoise (1967), l'estetica dei ritratti seriali di Andr \Varhol e i cromatismi esasperati del contemporaneo cinema storico-mitologico. Una distorsione espressionista della messa in scena che crea un mondo primitivo ma contemporaneamente memore dell'estetica del peplum. Un effetto simile, sebbene frutto di una ricerca assai più radicale, può essere indi\'iduato nella rappresentazione dell'antichità concepita negli adattamenti pasoliniani da Sofocle ed Euripide (Edipo re, 1967, e.1."\fedea., 1970), i quali proseguono all'interno della filmografia del regista un percorso di progressivo allontanamento dalla contemporaneità iniziato già ne Il vangelo secondo Matteo (1964), e che sarebbe continuato poi con la Trilogia della vita. L'intento, già e,.idente in Edipo re, è quello di recuperare il mito spogliandolo di qualsiasi elemento spettacolare e andando completamente al di là dell'iconografia del genere, creando un mondo «arcaico e barbarico che non assomiglia né all'antica Grecia né al contesto arabo-islamico chiamato in causa dall'ambientazione marocchina:.5, Io Medea, la nave Argo è una zattera, e la disadorna armatura di Giasone non ha niente a che vedere né con i toraci ipertrofici né con le toghe colorate indossate dai protagonisti dello storicomitologico anni sessanta, che però è ine\'itabilmente chiamato in causa dai trucchi effettuati per realizzare il centauro Chirone e dalla presenza di :Massimo Girotti, il quale, seppur reduce da Teorema (1968), è stato una presenza significativa all'interno del genere fino a Romolo e Remo. In altri film realizzati intorno al 1968 la ripresa dei miti greci risulta funzionale a un discorso sulla contemporaneità, nel quale il rifiuto per l'iconografia e in generale per ogni forma di rapporto con il peplum investe qualsiasi aspetto della realizzazione (costumi, stile fotografico, scenografie ecc.). È il caso dell'apologo Sotto il segno dello scorpione (Paolo e Vittorio Taviani, 1969), collocato nell>arcaico passato di un>immaginaria isola vulcanica fuori della storia, o ancora de I cannibali (1970) di Liliana cavani, ambientato in un distopico presente ma ispirato all'Antigone sofoclea. Più spesso, però, nelle pratiche autoriali del decennio prevale un atteggiamento ambivalente nei confronti dell>eredità del peplum, ben esemplificato dal misto di scherzoso rifiuto e successiva ria..c:.c:.iroilazione in un immaginario personale che contraddistingue alcune opere di FellinL ll primo esempio, segnato da un ironico distacco nei confronti del boom produttivo conosciuto dallo storico-mitologico all'inizio degli anni sessanta, è costituito dalla divertente parodia che il regi.sta propone all'inizio de Le tentazioni del dottor Antonio, l'episodio da lui diretto del collettivo Boccaccio 70 O,lonicelli, Fellini, Visconti, De Sica, 1962), nel quale si assiste alle riprese di un film in cui un goffo Ercole (interpretato da Giuliano Gemma) barcolla sotto il peso della procace eroina dopo aver scagliato giganteschi (in realtà leggerissimi) massi contro i nemici. Ma l'approccio di Fellini nei confronti del genere diviene più complesso nel momento in cui l'autore realizi.a un film effettivamente imperniato sulla rappresentazione dell'antichità, FelliniSatyricon (1969), un adattamento del romanzo di Petronio in cui la dimensione metaforica e la messa in scena di ossessioni personali si fonde alla rielaborazione di una serie di luoghi comuni6 (la battaglia navale, il disastro naturale che causa la distruzione del caseggiato dove abitano i protagonistl), di elementi iconografici (il Minotauro), di star (Gordon Mitchell, già interprete di Maciste, qui nei panni di un predone) e infine di caratteristiche specifiche del genere, come l'Uso del colore e la rappresentazione dell'erotismo, qui aggiornato alla rivoluzione sessuale postsessantottesca. Una formula che avrà come logica conseguenza la progressiva ibridazione del genere con il cinema erotico degli anni settanta, culminata nel pastiche di produzione americana caligola (1979), diretto da Tinto Brass (non accreditato) e prodotto da Bob Guccione, l'editore di «Penthouse•.

13. L'Ulisse dell'Odissw diretta da Fritz Lang ne Il disprelZO (u mépris, Jean-Luc Goda.rd, 1963).

Una terza modalità di amministrazione dell'eredità del peplum, parallela alla frammentaria soprav,,ivenza di elementi propri del genere nel cinema d'autore italiano, è costituita dalla comparsa di opere di carattere storico-mitologico nell'ambito delle produzioni Rai. Qui l'antichità torna ad avere il ruolo propulsivo che aveva avuto negli anni dieci e negli anni cinquanta. Essa diviene infatti uno dei luoghi privilegiati in cui ambientare un nuovo genere di prodotti che coniughino la mission pedagogica dell'azienda, che continua a essere un elemento caratteristico del servizio pubblico anche sotto la lunga direzione di Ettore Bernabei (1961-1975), con l'esigenza di rea)izzarPopere ad alto impatto spettacolare che le permettano di posizionarsi sul mercato internazionale. Una strada aperta dall'Odissea diretta da Franco Rossi (1968), con la quale per la prima volta la Rai realizza uno sceneggiato su pellicola a colori in collaborazione con altre realtà tele,iisive e cinematografiche europee e italiane: il network francese ORTF, la compagnia tedesca Bavaria Film e soprattutto la casa di produzione di Dino De Laurentiis, che proprio con un adattamento da Omero aveva contribuito a impostare le coordinate del peplum della seconda metà degli anni cinquanta. L'Odissea si situa a metà tra una divulgazione didattica del mondo classico, affine al progetto di diffusione culturale che Roberto Rossellini porterà avanti sulla tele,iisione nazionale con Atti degli apostoli (1969) e Socrate (1971), e una raffigurazione degli elementi fantastici presenti nel mito, che ha come punto di riferimento il filone storico-mitologico appena esaurito. Un contrasto ben esemplificato dalla distanza che separa la lettura dei versi del poema effettuata da Giuseppe Ungaretti come introduzione a ciascuna puntata, e la regia e i trucchi di Mario Bava nell'episodio dedicato a Polifemo. n peplum serve così alla Rai per impostare una nuova linea di sceneggiati dagli alti valori di produzione, dedicati al pubblico internazionale e aggiornati tecnologicamente: una produzione che proseguirà fino a tutta la prima metà degli anni ottanta', e all'interno della quale la rappresentazione dell'antichità risulterà sempre funzionale a ulteriori salti di qualità, come nel caso del ,Mosè di Gianfranco De Bosio (1974), prima coproduzione Rai ad arrivare sul mercato americano. 1. Poetiche della

nostalgia.

L'eredità del peplum all'inizio degli anni ottanta sembra essersi completamente dissipata, quando si assiste al duplice fenomeno della nascita di un nuovo filone fantastico-muscolare - lanciato da un'altra produzione De Laurentiis, Qman il barbaro (COnan the Barbarian, John Milius, 1982) - e della rivalutazione critica del cinema popolare. La realizzazione di prodotti holl}iwoodiani interpretati da culturisti come Amold Schwarzenegger ha come immediata conseguenza, nel contesto del cinema italiano di genere, la rP.aUzzazione di una serie di imitazioni degli esemplari di maggior successo, secondo una dinamica già avviata nell'ambito dell'horror a partire dai primi anni settaota8• L'elemento interessante, in questo processo, consiste nel fatto che questi film non mettono in scena tanto il rapporto tra la società italiana e la rappresentazione dell'antichità, quanto la memoria di incarnazioni passate del peplum italiano, rivisitate nel contesto del nuovo cinema spettacolare post-Guerre stellari (star Wars, Goorge Lucas, 1977). In pratica, se nell'ambito di altri generi le dinamiche del plagio conducono a esiti originali9, nell'ambito del fantasy muscolare italiano domina la dimensione nostalgica e autoreferenziale. È quanto accade per esempio nel 1983, quando Luigi Cozzi realizza per la casa statunitense Cannon Films degli israeliani .Menahem Golan e Yoram Globus un nuovo Herc:ules, interpretato dal culturista e attore televisivo Lou Ferrigno e basato su di una confusa iconografia che mescola richiami al film di Francisci a futuristici pupazzi meccanici animati a passo uno 1°, mentre Bruno Mattei, che nello stesso anno dirige I magnifici sette gladiatori sempre con Ferrigno per la Cannon, riprende quantomeno nel titolo la coproduzione italospagnola I sette gladiatori (Pedro Lazaga, 1962). Nello stesso periodo si verifica, accanto a una ripresa degli studi di matrice storiografica intorno al cinema muto nazionale, anche un processo di rivalutazione del cinema popolare italiano in generale, e del peplum degli anni sessanta in particolare, nell'ambito della critica cinefila... L'aspetto più interessante di questo processo è il ruolo che esso gioca anche nell'ambito della sinistra italiana di ispirazione marxista successivamente alla svolta del 1991, e in particolare nella stampa legata al Partito della rifondazione comunista. In primo luogo, il passato disprezzo nei confronti del peplum si trasforma in un generale entusiasmo in occasione della trasmissione televisi\,a di pellicole appartenenti al genere, il cui fascino viene polemicamente contrapposto al pochezza del cinema americano contemporaneo. Per esempio, l'anonimo responsabile della rubrica degli spettacoli tele\'isivi di «Llòerazione» del 14 marzo 1997 scrive: Una giornata, questa, nella quale la presenza di film d'azione è a dir poco soffocante. Noi scegliamo il migliore, Ercole e la regina. ditalia [sic!]. Perché? Perché d piacciono i mnscoloni, le tuniche e le principesse romane, oltre naturalmente alle biglie. PrendeteFew-less-senzapaura, tutt0 ammazzamenti e incidenti rocamboleschi. Una vera schifezza! E Bruce \'l'illis che interpreta il ruolo di un tenente di polizia sequestrato da un gruppo di terroristi? Un bel passo indietro no? Roba da far venire una vera e propria "nostalgia delle origini•, antico-romane come è ovvio.

ncinema italiano di genere, un tempo deprecato per i propri contenuti, perde così ogni connotazione politica per diventare un oggetto di modernariato fortemente identitario, da contrapporre con orgoglio, in una logica antistatunitense che ancora sopra\'\ri.ve in certe frange della sinistra italiana, al cinema di Hollywood. ~la si può fare, sempre a proposito dello stesso quotidiano, un altro esempio dalle implicazioni assai più interessanti. t noto che la figura di Spartaco e il motivo della sua rivolta riveste un'importanza particolare per la sinistra italiana, sia per i rapporti che l'autore dell'omonimo romanzo, Raffaello Giovagnoli, intratteneva con il partito socialista e in particolare con Giuseppe Garibaldi, sia per l'opinione entusiastica che su di esso esprime Antonio Gramsci nei suoi Quaderni del carcere. Al punto che l'uscita dello Spartaro di Freda, ancora nel 1953, era stata anticipata dalla pubblicazione a puntate, su «Vie Nuove»"", dell'opera di Giovagnoli. così, quando nel 1994 «liberazione» cerca una figura per lanciare una campagna pubblicitaria che promuova il suo passaggio da settimanale a quotidiano, la scelta cade proprio sull'ex gladiatore, dal momento che quest'Ultimo è rimasto impresso nell'immaginario collettivo grazie anche, e soprattutto, allo Sparlacus di Staoley Kubrick (196o). Tutta\ia, l'immagine scelta per accompagnare lo slogan «Si incazzerebbe anche Spartacus» non ritrae Kirk Douglas (né taotomeno Massimo Girotti), ma un barbuto Steve Reeves intento a spezzare delle catene1J: il personaggio storico (e il mondo antico in generale) si fonde così, in una campagna condotta evidentemente sotto il segno dell'ironia, con la nostalgia per un cinema popolare dai contenuti ingenui ma sani, che può fungere da antidoto contro il disorientamento prodotto da un periodo, gli anni novanta, segnato dalla caduta del blocco sovietico e dalle nuove sfide dell'incipiente processo di glohalizzazione.

14. La campagna pubblicitaria Si incazz.uebl,c anche Spartacus per il quotidiano «Liberazione» (1994).

Se all'epoca del muto la rappresentazione dell'antichità era legata al problema dell'edificazione di un cinema nazionale, se nell'epoca fascista e in quella immediatamente successiva alla Liberazione si trattava, dapprima, di allineare la romanità alle politiche del regime, e poi di utilizzarla per esorcizzarne la memoria, e se infine il peplum degli anni sessanta aveva la doppia funzione di impostare nuove modalità produttive nel cinema popolare italiano e di negoziare l'evoluzione della società dei consumi, nelle fasi successive all'esaurimento del genere il rapporto col mondo classico viene inevitabilmente complicato proprio dall'eredità del cinema storico-mitologico. Un elemento che, come si è visto, investe anche le poetiche autoriali della seconda metà degli anni sessanta - le quali, pur rifiutando l'eredità del peplum, la devono tenere in una qualche considerazione - così come le pratiche produttive della tele\isione pubblica, che per lanciarsi sul mercato internazionale reaJizza un nuovo adattamento omerico con De Laurentiis. Ma quest'eredità, imbevuta di nostalgia, permea anche gli ultimi fuochi del cinema italiano di genere. La rilettura nostalgica del peplum continua tuttora, se si pensa che l'ingresso del parco tematico Cinecittà \Vorld, inaugurato nel 2014 laddove un tempo sorgevano gli studi Dinocittà (realizzati da De Laurentiis nel 1962 sulla \ia Pontina e naufragati prima del decennio successivo), è un piazzale intitolato a Ga.biria che riproduce il tempio di Moloch: segno che al film di Pastrone viene ancora assegnato un ruolo originario nell'edificazione del cinema italiano, nonostante esso fosse il frutto di un'imprenditoria torinese ancora lontana anni luce dalla dimensione romanocentrica simboleggiata dalla fondazione di Cinecittà. Ma a volte la rappresentazione della Roma antica sembra ancora riuscire a S\ri.ncolarsi dalla memoria cinefila per legarsi direttamente a istanze presenti nello scenario culturale italiano. t il caso di Gladiatori di Roma (2012), un lungometraggio di animazione in digitale prodotto daDa Rainbow di Iginio Straffi, nna compagnia che raramente si a\'\'elltura al di fuori difranchise già consolidati come il proprio cavallo di battaglia Win.'t" Club. Il film recupera alcuni topoi del genere (per esempio l'eruzione del Vesu\io) calandoli in una \icenda umoristica nella quale i gladiatori dell'antica Roma sono trattati come star dello sport, secondo una metafora già ampiamente tematizzata nel panorama culturale italiano (e non solo) degli ultimi quindici anni. npeplum ritorna così a essere un banco di prova per sperimentare nuove tecnologie e per tentare un riposizionamento dell'industria italiana nel mercato dell'animazione digitale, e al tempo stesso dimostra di essere ancora in grado di intrattenere un rapporto diretto con l•e,roluzione della società contemporanea. 2. Conclusioni.

Nel percorso che è stato qui proposto, il peplum appare come un oggetto multiforme e sfuggente, che a seconda delle epoche instaura diversi rapporti con l'industria italiana, con il mercato interno e con quello internazionale, con le strutture di genere e con il più vasto ambito della cultura nazionale. Questi aspetti verranno ulteriormente approfonditi nelle analisi presenti nella seconda parte, ma si ritiene utile fare qui brevemente il punto della situazione, in modo da fissare i contorni del fenomeno.

1-5. «Piazza cabiria» a Cmecittà World.

TI cinema storico-mitologico nasce poco tempo dopo l'apparizione del primo film italiano a soggetto, La presa di Roma di Alberini (1905), e si situa all'interno delle più vaste dinamiche di manipolazione del passato che sono proprie del macro-genere del film storico, del quale rappresenta una versione estremizzata. Questa linea produttiva dimostra infatti una straordinaria capacità di trasformare la Storia in oggetto scopico, attraverso valori di produzione sempre più spettacolari e una gestione sempre più inventi\'a del linguaggio cinematografico, che si esprime soprattutto nelle strategie di rappresentazione delle mas~ sullo schermo. Dal punto di ,rista dei modi di produzione, si tratta di un cinema sempre più impegnativo, che cresce costantemente sul piano del metraggio e della spettacolarità grazie anche ai cospicui anticipi forniti dai distributori nordamericani. Infatti, nonostante lo storico-mitologico sia strettamente legato all'identità italiana e interpreti perfettamente il sentimento nazionalista diffuso nell'Italia giolittiana, esso riscuote un enorme successo presso le platee europee e statunitensi Ciò è possibile anche grazie alla dimensione socialmente trasversale del genere: sebbene infatti siano un'espressione dell'aristocrazia e dell'alta borghesia, che a partire dal 1909 entrano stabilmente nei consigli d':immioic;trazione delle principali case cinematografiche, i film storico-mitologici si rivolgono a tutte le fasce sociali. Questa dimensione interclassista, d'altra parte, è ben rappresentata dal caso limite di Cabiria, che mescola riferimenti pittorici, letterari e musicali appartenenti alla cultura «alta», con la dimensione popolare e circense introdotta dal personaggio di Maciste. Il film di Pastrone costituisce però un punto di non ritorno: dallo scoppio della prima guerra mondiale in poi, infatti, la componente popolare del genere si distaccherà dando vita a un filone autonomo, il cinema dei forzuti, mentre lo storico-mitologico vero e proprio, troppo costoso e soprattutto resistente alle innovazioni linguistiche introdotte da Hollywood con il passaggio al cosiddetto modo di rappresentazione istituzionale, andrà incontro a quella marginalizzazione e a quel declino che negli anni venti segneranno l'intero sistema produttivo italiano. Forse è proprio con il crollo dell'industria cinematografica nazionale nei primi anni del fascismo che il mondo antico, nonostante l'enorme valore simbolico in esso investito dal regime, sparisce gradualmente dagli schermi. Esso vi fa ritorno soltanto nel 1937 - al termine di una lunga ristrutturazione del ~ttore produttivo compiuta dal fascismo a partire dall'avvento del sonoro, e soprattutto in seguito alla vittoriosa campagna coloniale in Africa orientale - nell'ambito di un ambizioso progetto dall'alto profilo istituzionale. SU1 piano produtti\'O Scipione l'Africano è qualcosa di inedito, dal momento che èfinanziato da un ente statale come l'ENic, ma al tempo stesso il film si pone in continuità con lo storico-mitologico dei primi anni del secolo: manipola la storia a seconda delle esigenze ideologiche dell'epoca, istituendo delle esplicite analogie tra la Roma repubblicana e la recente storia nazionale come già aveva fatto C4biria; investe sulla dimensione spettacolare delle grandi ricostruzioni scenografiche e dell'uso delle masse, in aperta concorrenza col cinema hollywoodiano dell'epoca; si ri\1olge a un pubblico trasversale, attraverso un'imponente campagna di marketing che impiega diversi mezzi di comunicazione contemporaneamente, dai cinegiornali ai calendari da barbiere. La dimensione esplicitamente propagandistica, tutta,ria, e soprattutto l'assenza di un polo stabile di identificazione per il pubblico popolare come lo erano stati Ursus e Maciste - lo Scipione interpretato da Annibale Ninchi risulta poco carismatico - sono forse responsabili dell'insuccesso commerciale dell'operazione, e condannano il cinema ambientato nel mondo antico a un nuovo oblio che perdurerà fino alla fine degli anni quaranta. npeplum risorge infatti dalle proprie ceneri nel clima immediatamente successivo alla Ll'berazione, facendo leva innanzitutto su di un'analogia tra la Resistenza e le origini del cristianesimo che era stata attivata già da Roma città aperta. Il genere può così affrancarsi dal legame simbolico col passato regime, attraverso una serie di prodotti, come Fabiola e Spartaro, che offrono una lettura diversa, e più vicina al dt'battito dei primi anni dell'Italia repubblicana, della Roma antica. Sul piano produttivo Fabiola significa ancora una volta un ritorno al gigantismo che ha contraddistinto il genere fin dagli anni dieci, e che nell'Italia degli anni cinquanta verrà favorito anche dalla presenza rl:i lussureggianti nmaway productions americane come il Quo t'adis della irGu. n pubblico di riferimento, però, appare essere sempre più quello popolare, come ben compreso dalla Lu."t e dalla Galatea, che dopo la crisi cinematografica del 1956, con Le. fatiche di Ercole, creano un nuovo prototipo di film storico-mitologico a basso costo in grado di conquistare il mercato di provincia sia italiano che statunitense. All'interno del peplum si verifica così una profonda rivoluzione destinata a segnare, sul piano produttivo, anche altri generi del cinema italiano degli anni del boom, attraverso un'estrema replicabilità di scene spettacolari e situazioni narrative - ottenuta grazie a una costante pratica del riuso di scenografie, costumi, locati.on e a volte intere sequenze - nonché a un sistematico ricorso agli anticipi dei distn'butori stranieri, che spesso divengono i veri e propri committenti del cinema popolare italiano. Sul piano dei contenuti, il genere riprende la dimensione conservatrice, derivante dalle strutture del fewlleton, che contraddistingueva già il cinema dei forzuti degli anni venti, del quale vengono replicate anche le dinamiche narrative e la dimensione perfonnativa dei protagonisti. Vi è tuttavia un'importante differenza: auziché provenire dal circo, questi ultimi vengono importati dall'universo del bodybuilding statunitense e il loro aspetto fuori dal comune ha come conseguenza l'instaurazione, all'interno del genere, di un rapporto complesso con le dinamiche relative alla rineflnizione dei ruoli sessuali e alla nascita della società dei consumi, fenomeni che contraddistinguono la nuova Italia del boom economico. Per questo, il successo del genere si spiega forse con la sua capacità di aiutare un pubblico prevalentemente poco istruito a negoziare i cambiamenti in atto nel paese. A partire dalla seconda metà degli anni sessanta questa stessa funzione verrà però assolta da altri prodotti, a cominciare dal western, e le caratteristiche del peplum degli anni sessanta, inteso come genere cinematografico, cominceranno a dissiparsi negli universi discorsivi più vari, compresi la serialità televisiva della Rai o l'universo del cinema d'autore. Infine, a partire dagli anni ottanta, la rappresentazione dell'antichità o della mitologia nel contesto :italiano comincia a risentire di una dimensione nostalgica, forse anche perché alcuni prodotti nascono a imitazione di pellicole americane, come Conan il barbaro, che esplicitamente manifestano il proprio debito nei confronti dei film italiani degli anni sessanta. Sono poche, quindi, le costanti produttive, estetiche o relative alla ricezione di quello che, più che come un genere, si manifesta come un universo discorsivo straordinariamente duttile, ma quasi sempre capace di entrare in un'intima relazione con i mutamenti attraversati sia dall'industria del cinema, che più in generale dalla società italiana. ' Cfr. Ghlgi, Come si spiegano lefortune dei «pepla• ctt., p. 736. " Pezzotta, Il western italiano ciL, p. 39. :, Per un più pontuale confronto tra il film di Goda.rd e l'o~e letterario si veda A. Farassino, Jean-Luc Godard, li castoro, :?.-lilano 1996, 1, pp. 57•6o. • Si sta qui facendo riferimento all'edizione origina)e e non a quella rimaneggiata per il men:ato italiano, nella. quale le musiche e i nomi dei personaggi sono stati modificati. :, .-\. Boschi, Con il peplo o con la clava. Modelli di rappresentazione dell'antica Grecia nella storia del cinema, in I greci al cinema. Dal peplum «d'autore» alla grafica computenzz,ata, a cura di A. Boschi, .-\. Bozzato, :E. ca"-allini, .-\. Ianouoc:i, s. Lornsso, F. Lucrezi, M. G. Marini e V. Zaga.rrio, Digttal Unf\'ersit,; Press, Bologna 2005, p. 17. ~ come già rile-.-ato da F. Sla\'aZZi, L 'tmmagtne dell'antico nel Fellini-5atyrioon, in FelltniSatyricon. L'immaginario dell'anttoo, a cura di R. De Berti, E. Gagetti e F. Sm'aZZi, Cisalpino, Milano 2009, pp. 82-5, ·· Sulle produzioni fiction Rai di fascia alta rivolte al pubblico internazionale si "-eda F. Monteleone, n cinema come genere televisivo, in storia del cinema italiano i977·i985, a cora di V. Zagarrio, Marsilio-Edizioni di Bianco &Nero, Venezia-Roma 2005, xm, pp. 56-66. ~ Per il ruolo S\'Olto dal plagi.o nel ànema di genere italiano in generale, si rimanda nuovamente a Manzoli - Pescatore, L'arte del risparmio cit. Per un approfondimento relatil.:o all'horror, si veda P. Penza, L'horror: l'importante è copiare, in Una generazione al cinema: esordi ed esordtentt italiani i975-1988, a cura di F. Montlnl, J.1,farsilio, Venezia, 1988. '' Si 1,,-eèfa per esempio l'analisi di Zombi 2 (Lucio :rulà, 1979) contenuta in Venturini, Horror italiano cit., pp. 147"57· "' Per un'analisi di Huaùa e un confronto con i modelli maschili proposti ne ùfatiche di Ercole si D. O'Brien, Huc:ula t."USUS Hercula: Variatton and Continua:tion in neo Genuations o/Heroic Masc:ulinity, in Popular Italian Cinema, a cura di L. Bayman e S. Rigoletto, Palgrave Macmill•n, London-NewYork 2013, pp. 183-97. Per un resoconto delle vic:ende produttive del film si veda l'appendice a cura di Luigi Cozzi, ID I.apeh ?.larchen.a, Guida al dnema peplum cit. '' Negli amù ottanta escono per esempio dei volumi dedkati al ienere, come S. Della casa - C. Piazza, Be/ore Conan: essai d'élude sur lepéplum, Grafica Nuo-.a, Torino 1983, e ca roroaJ'ilta, Il cinema peplum ciL '' I.a rivista, tuttavia, avrebbe poi completamente snobbato la pellirola di Freda. Cfr. l\'yke, Projeding thePast ciL "L'immagine iu realtà proviene da IL/otiche di Ercole. Peraltro ne Il figlio di Sparta= (Sergio Corbuoci, 1902), unica pellicola nella quale ,iene associato alla figara del gladiatore, Ree\-es ba il volto glabro.

,,,da

Parte seconda

I film

1.

Il paradigma e l'eccezione del genere storico.

Cabiria (Giovanni Pastrone, 1914)

cabina è «senza dubbio il più celebre film del muto italiano»1, un primato che questa pellicola è riuscita a mantenere intatto a prescindere dalle epoche e dai contesti geografici. Per esempio l'opera di Pastrone non è certo il primo prodotto italiano ad aver raggiunto il mercato nordamericano, ma lì ha avuto un impatto decisamente straordinario, le cui tracce possono essere rinvenute nel rapporto che le scenografie di cabina, e alcune sue soluzioni espressive, intrattengono con l'episodio babilonese di Intolerance di D. v,,r. Griffith. In secondo luogo, la memoria di questo film è stata mantenuta in vita anche presso il pubblico non specializzato per via dell'omaggio a esso tributato da Federico Fellini, che già nel suo secondo lungometraggio, Lo sceicco bianco (1952), ha inserito tra i personaggi una prostituta chiamata cabiria, la quale poi sarebbe diventata la protagonista dell>ultimo film diretto dal regista negli anni cinquanta (Le notti di cabina, 1958). Infine, la pellicola di Pastrone ha lanciato il personaggio di :Maciste, una figura destinata a un'enorme fortuna nella cultura di massa italiana (e non solo) sia negli anni del muto, che nel periodo di massimo fulgore produttivo del peplum, la prima metà degli anni sessanta. I motivi di una tale persistenza nell'immaginario collettivo sono diversi, e sono legati a svariati elementi su cui si è normalmente concentrata la riflessione storiografica: tra questi possiamo menzionare il metraggio del film, esorbitante per gli standard dell'epoca (circa tre ore di proiezione), !>utilizzo dei carrelli, che lascia intravvedere una possibile alternativa alla preminenza del montaggio che caratterizzerà il cinema classico a partire dalla seconda metà degli anni dieci2 , e il contributo di D'Annunzio che era, nel bene e nel male, la figura più in vista del panorama intellettuale italiano dei primi anni del XX secolo. Ma soprattutto, il film sembra emanare un'aura d'irripetibilità, dal momento che la sua apparizione segnerebbe il culmine di una serie di esperienze che hanno contraddistinto il cinema italiano nella prima metà degli anni dieci e al tempo stesso il loro esaurimento, poiché permetterebbe di individuare nuove tendenze produttive che condizioneranno il futuro, seppur destinato al declino, del muto italiano. Insomma, cabiria viene normalmente collocato dalla storiografia «tra il paradigma e l'eccezione»3: sotto l'aspetto produttivo costituirebbe un unicum, in quanto né Pastrone né l'Itala (né infine altre compagnie operanti nel panorama italiano) si dimostreranno in grado di realizzare altri prodotti su una simile scala, così come le ardite soluzioni scenografiche ed espressive che caratterizzano il film non troveranno spazio nemmeno nelle successive realizzazioni del regista. Quest'idea di «terminalità» trasmessaci dalla tradizione storiografica vale soprattutto, come si vedrà, dal punto di vista del rapporto con i generi cinematografici. Se è vero che cabiria non è l'Ultimo esemplare del filone storico-mitologico italiano (la produzione di pellicole di questo genere proseguirà ancora per una dozzina di anni, sebbene a un ritmo assai meno serrato), si può tuttavia affermare che la pellicola riesce a incanalare una serie di elementi che questa linea produttiva è venuta creando a partire dal 1908, per affiancarli ad altri appartenenti a differenti ambiti espressivi e, soprattutto, per farli confluire in un sistema dei generi che si appresta a mutare radicalmente. Semplificando forse eccessivamente, si può collocare cabina nella fase culminante dello scontro tra due opposte concezioni del linguaggio cinematografico, ovvero tra la tendenza a mostrare piuttosto che a raccontare, che sarebbe tipica del cinema delle origini (la struttura del film è infatti organizzata attorno a una serie di sequenze di grandissimo impatto visivo)4, e una complementare spinta verso l'integrazione narrativa delle sequenze spettacolari che contraddistinguerebbe invece il cinema del primo lustro degli anni diecis. Per questo motivo il film di Pastrone presenta una vicenda estremamente lunga e articolata, ma che al tempo stesso è caratterizzata da notevoli scarti sia temporali che spaziali. L'azione inizia infatti a catania verso la fine del III secolo a.e., al principio della seconda guerra punica. Lì vive il ricco Batto insieme all'adorata figlia Cabiria, ancora bambina. Una notte, tuttavia, si verifica un'improvvisa eruzione dell'Etna. La casa di Batto viene distrutta, ma la nutrice Croessa trova riparo insieme a cabiria sulla costa, dove però vengono entrambe rapite da una ciurma di pirati fenici. La donna e la bambina vengono portate a Cartagine, dove il sacerdote Khartalo le acquista con l'intenzione di sacrificare la fanciulla al dio Moloch. A questo punto l'azione si sposta sul patrizio Fulvio Axilla che, accompagnato dal suo schiavo africano Maciste, si trova a cartagine come spia al servizio di Roma. Incontrata Croessa, che lo informa dell'accaduto e gli dà in pegno un anello appartenente alla famiglia di Batto, Fulvio accorre al tempio giusto in tempo per salvare Cabiria dal sacrificio, o meglio per farla salvare dal fortissimo Maciste. I due uomini e la fanciulla si nascondono nella taverna del locandiere Bodastoret, il quale però li tradisce proprio mentre stanno per imbarcarsi per Roma. Fulvio riesce a fuggire via mare mentre Maciste viene catturato, ma non prima però di aver condotto cabiria in un posto sicuro: la affida infatti alla regina Sofonisba, figlia di Asdrubale, che proprio quella notte si era recata nel giardino del palazzo reale per incontrare per la prima volta il suo promesso sposo, il re numida Massinissa. Dopo un'ellissi di una decina d>anni ritroviamo Fulvio Axilla tra i naufraghi della disfatta romana a Siracusa: l'eroe viene soccorso da un gruppo di pescatori che, riconoscendo il suo anello, lo portano a casa di Batto, e lì ha modo di raccontare la propria vicenda ai genitori di Cabiria. Una volta promesso loro di scoprire informazioni sulla sorte della fanciulla, Fulvio riparte verso cartagine al seguito di Scipione e il suo arrivo coincide con un momento di svolta sul fronte cartaginese. Massinissa infatti è stato sconfitto da Siface, re di Cirta, e perciò Asdrubale ha promesso in sposa a quest'ultimo la figlia Sofonisba, ancora innamorata di Massinissa. Nel frattempo Fulvio Axilla ritrova :Maciste e scappa insieme a lui nel deserto. I due vengono però catturati dalle truppe di Siface, in rotta dopo uno scontro con l'esercito romano, e portati a Cirta dove vengono nuovamente imprigionati. Anche il sacerdote Khartalo si trova nella città: lì riconosce cabiria tra le ancelle di Sofonisba e comince la regina che solo completando il sacrificio a ~-Ioloch potranno essere evitati i temòili presagi che la perseguitano durante il sonno. ~Ia Fulvio e Maciste, evasi dalla loro cella, liberano la giovane per poi vedersela strappare nuovamente di mano dalle guardie del palazzo ed essere costretti ad asserragliarsi nella dispensa della fortezza. Nel frattempo Massinissa, alleatosi con i Romani, cattura Siface e conquista Cirta. Una volta entrato in città, fa liberare Fulvio e Maciste e si unisce finalmente in matrimonio con Sofonisba. Tuttavia la coppia non è destinata alla felicità: Scipione reclama la regina come parte del bottino spettante ai Romani e Massinissa, per evitare alla donna la prigionia, le fa portare da :Maciste un pegno contenente del veleno. La regina accetta il dono e in punto di morte fa chiamare Fulvio per rivelargli che Cabiria è ancora viva e hòerarla. Mentre cartagine viene definitivamente sconfitta dall'esercito romano, Fulvio può così fuggire in nave insieme a cabiria: durante il viaggio, tra i due nascerà l'amore. La struttura narrativa del film è organizzata in cinque episodi, ognuno dei quali è incentrato su almeno una sequenza di grande impatto spettacolare. In particolare si segnalano l'eruzione dell'Etna e la conseguente distruzione della casa di Batto (primo episodio), il salvataggio di cabiria durante la cerimonia al tempio di Moloch (secondo episodio), il passaggio delle •.\!pi da parte di Annibale (terzo episodio), l'assedio di Siracusa (quarto episodio) e infine l'assedio e la caduta di Cirta (quinto episodio). All'interno di queste ricostruzioni, Pastrone ha modo di sviluppare ulteriormente effetti ottici e soluzioni espressive già adottate nel precedente La caduta di Troia (1911), di crearne di nuove e soprattutto di realizzare una sorta di compendio delle sequenze più spettacolari del film storicomitologico. In questo senso appare particolarmente significativo il fatto che l'episodio dell'eruzione dell'Etna sia situato all'inizio, così che la catastrofe (tOJ)OS elettivo di un cinema ancora a forte regime attrazionale) non è

più, semplicemente, il punto culminante di un climax, come accade invece in Gli ultimi giorni di. Pompei: [...] qui la catastrofe-attrazione è una regola reiterata, capace di tessere una panoplia di eventi sensazionali non sempre pienamente funzionali alla costruzione di un mondo diegetico coerenter,. Attraverso l'apoteosi della dimensione attrazionale, imperniata non tanto sulla catastrofe naturale, come nel caso dell'eruzione, ma sulla ricostruzione scenografica di un avvenimento di rilevanza nazionale (Anmòale sulle Alpi, la battaglia navale di Siracusa ecc.), cabina porta a compimento il progetto culturale che ha guidato la costruzione di un genere storico dell'Italia del primo Novecento. Attraverso di esso, il cinema italiano ambisce a diventare «un ente culturale operante all'interno della sfera pubblica italiana [in grado] di radunare, codificare e mettere in circolazione un vocabolario culturale adatto a una moderna identità nazionale» 7. Una missione di unificazione culturale che, trattandosi di un cinema ancora dominato dai meccanismi dell'attrazione, viene portata a termine non tanto attraverso il racconto - e, conseguentemente, non solo tramite la riduzione di un canone di opere letterarie ambientate nel passato, da Bulwer-Lytton a Omero - ma anche e soprattutto mediante la messa in scena di eventi storici, di spazi e ambientazioni dal carattere fortemente identitario, che possono creare negli spettatori, a prescindere dalle differenze geografiche e sociali, un'idea di comune appartenenza nazionale. n film storico contnòuisce così alla costruzione di un'«identità immaginata», secondo la fortunata definizione di Benedict Anderson8, in un>rtalia divisa dall'enorme squilibrio economico tra le regioni settentrionali e quelle meridionali della penisola. Questo processo traspare anche dalle recensioni apparse su riviste specializzate dell'epoca come «La Cine-Fono» e «La Vita Cinematografica». All'interno di esse viene infatti esaltata }>accuratezza della rappresentazione degli spazi urbani e dei monumenti dell'antichità all'interno di film come Nerone o Gli ultimi giorni di Pompei, in quanto essa sarebbe in grado di trasmettere in modo immediato un'idea della tradizione culturale nazionale. Una tradizione culturale che, sempre nelle riviste di settore, viene promossa attraverso una logica discorsiva di matrice nazionalista la quale si esprime dapprima in un confronto tra l'industria cinematografica italiana e quella di altri contesti nazionali, e poi in un'esplicita esaltazione dell'avventura coloniale intrapresa dall'Italia giolittiana con la guerra italo-turca9.

16. ll tempio del dio Moloch in cabiria.

n progetto di Gabiria rientra esplicitamente nelle ultime fasi di questo fenomeno. n film viene concepito ancora nel 1912 quindi durante o 10

,

immediatamente dopo la conclusione del conflitto: per questa ragione, la scelta di collocare la narrazione all'epoca della seconda guerra punica presenta OV\-i punti di contatto con la \littoria italiana e la conseguente annessione delle colonie hoiche. Da questo punto di vista, l'opera di Pastrone costituisce l'apoteosi delle tendenze nazionalistiche del genere storico, anche per via della scelta di coinvolgere D'Annunzio. L'intreccio è infatti costruito sulla vittoria dell'antica Roma sulla Repubblica africana che le contendeva il dominio sul }1editerraneo e la pellicola contiene, nelle ultime didascalie e nel libretto di ac.compagnamento scritto dal poeta, degli espliciti richiami alla gloria romana. A ciò va aggiunta, inoltre, la caratterizzazione profondamente negativa che contraddistingue la maggior parte dei personaggi cartaginesi, da Khartalo al vile locandiere Bodastoret. Una serie di elementi, tuttavia, contnouisce a turbare questa dimensione, generando piuttosto quello che •.\lovisio definisce come un «nazionalismo a bassa intensità~ 11 • In primo luogo, la rappresentazione degli spazi riconducibili alla Roma antica è limitato alla sola casa di Batto, che nel primo episodio viene distrutta per poi riapparire, brevemente, solo nel quarto, mentre la maggior parte del film è al contrario dominata scenograficamente dalla ricostruzione di spazi esotici e monumentali, quali il tempio di Moloch e la reggia di Asdrubale. Spazi immaginari, creati rielaborando fonti diverse12 e in grado di lasciare tracce indelebili nell'immaginario internazionale, nella già citata Babilonia di Intolerance così come nelle scenografie di Scipione l'Africano o nell'iconografia dell'antichità di matrice semitica rinvenibile all'interno della stampa illustrata italiana del decennio successivois. In secondo luogo, tre delle sequenze più spettacolari del film (il valico delle Alpi, ]'assedio di Siracusa e la conquista di Cirta) sono imperniate rispettivamente sulla rappresentazione dell'esercito cartaginese e dei suoi imponenti. elefanti., su di una celebre sconfitta della flotta romana e infine su di una gloriosa vittoria che, però, non viene riportata direttamente dall'esercito di Roma, ma dall'alleato africano Massinissa. Infine, le azioni di maggior rilievo nell'economia narrativa del film vengono compiute da Maciste, 1o schiavo nero di un patrizio romano. Va aggiunto poi che, nelle sue rare apparizioni, Scipione fa ben poco per attirare le simpatie del pubblico, il quale viene invece più volte spinto a solidarizzare con la regina Sofonisba, da questi condotta a una fine atroce. Inoltre, e si tratta dell'elemento più importante, rispetto alla regina e soprattutto a Maciste (entrambi di etnia africana) i due protagonisti di origine latina, Cabiria e Fnhio Axi11a, sono assolutamente prl-i,i di qualsiasi forma di carisma, e restano sullo sfondo nella maggior parte delle situazioni. cabiria compare in scena per una porzione roioim::i del metraggio complessivo ed è sostanzialmente poco più di un «MacGuffin> hitchcockiano, un oggetto di valore puramente strumentale alla messa in moto dei programmi narrativi di vari personaggi (Batto, Croessa, Khartalo, Maciste, Fuhrio e Sofonisba), per i quali riveste una differente ma ugualmente intensa importanza: per buona parte del film la fanciulla non è altro che «nn fagotto sollevato e posato da innumerevoli mani, una fronte scossa e spettinata, un corpo nudo \lotato al sacrifìcio>14• AJlo stesso modo, FnMo riveste la mera funzione di collante narrativo (in particolar modo nel quarto episodio, quello dell'incontro con i familiari di Cabiria) e perciò, in un film ancora basato prevalentemente su di una logica delle attrazioni, egli riveste un valore puramente strumentale. Serve infatti ad affievolire il potenziale eversivo presente nel personaggio di Maciste, che è un gigante invincioile ma al tempo stesso è un rappresentante delle classi subalterne, per di più di etnia africanal.S. In Fulvio Axilla si può vedere anche un antesignano di quei personaggi senza particolari qualità che in alcuni peplum degli anni sessanta, e in particolare in opere di Vittorio Cottafa,ri come In. rivolta dei gladiatori e Le legioni di Cleopatra, intrecceranno le loro vicende con quelle della storia16•

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17 . \-"ignetta satirica di Rata-Langa {Gabriele Galantara) apparsa su «Il Becco Giallo»

del 2

agosto 1925.

la dimensione profondamente contraddittoria del nazionalismo di Cabiria,

questo suo voler celebrare la gloria italica attraverso l'esibizione del suo contrario, risente dell'intersecarsi di diversi modelli di genere, ovvero dell'incontro tra il film storico-mitologico ed elementi che saranno invece caratteristici rispettivamente del successivo cinema dei fororti e, in misura minore, del melodramma divistico. Due linee produttive che esploderanno alla metà del decennio1 7 e alle quali Pastrone, nelle vesti di produttore di Maciste e di regista de Il fu.OC() (1915) e Tigre reale (1916), contribuirà in prima persona. Ciò av,,iene per ,..;a dell'ampio spazio riservato ai personaggi di Sofonisba e Maciste. La regina, nel terzo e nel quinto episodio, contende ampiamente la scena a Fulvio Axilla e al suo senitore, e le sue vicende acquistano una dimensione autonoma benché siano strettamente legate allo sviluppo della narrazione. Nella porzione di Gabiria a lei dedicata, Sofonisba assume alcune delle caratteristiche che contraddistingueranno il cinema di,istico. Per esempio il suo ingresso in scena avviene con un congruo ritardo rispetto all'inizio della pellicola e si consuma all'interno di una lunga inquadratura, nella quale la regina interpella diretta.mente lo sguardo dello spettatore. rnoltre, sofonisba è protagonista di una vicenda tragica imperniata sul conflitto tra amore e ragion di Stato, «ba l'apparenza di una donna ferina, di una dominatrice del mondo aoiroale• 13 e infine, essendo una donna fatale, è pervasa da tllla certa ambiguità, dal momento che dapprima protegge cabina e poi, in seguito a un sogno premonitore, accetta di consegnarla al perfido Kbartalo. Nell'interpretarla, Italia Almirante Manzini utilizza un vocabolario gestuale eccessivo e ieratico, e assume talvolta pose che creano un rapporto plastico con alcuni sinuosi elementi della scenografia, come nell'inquadratura in cui si avviluppa lentamente al bracciolo curvilineo della propria poltrona mentre si strugge per il ricordo del passato incontro con Massinissa. Tuttavia, anche se il pmonaggio di Sofonisba presagisca la stagione del cinema delle di\'e, [...] l'interpretazione della Manzini non si innalza mai all'altm.a di quei canti muti grondanti sofferema [...] di cui sono capaci le dive maggiori, Bertini e Borelli. [...] Nella Sofonisba della :Manzini c'è una diva in potenza, ma la performance attoriale

non si mostra all'altezza del ruolo•·,. Non a caso Pastrone, nei film successi"i, preferirà alla Manzini la più dotata Pina Menichelli. Gabiria tutta\ia dà un contributo decisivo al di\ismo cinematografico italiano attraverso la creazione di Maciste: un personaggio che attraverso la serie «anomala> (dal punto di ,rista dei canoni della serialità europea e americana dell'epoca)w di film realizzati a partire dal 1915, spesso giocati su di un livello metacinematografico, costituirà per il pubblico dell'epoca la «manifestazione figurativizzata del ruolo divistico•2 l . Ma soprattutto, introducendo la figura di Maciste, Gabiria assume un ruolo originario nella genesi del filone del cinema dei forzuti, del quale le avventure del gigante interpretato da Pagano costituiranno l'esempio di maggiore successo. Sebbene il servo di Axilla non appaia che in poco più di metà della pellicola, le sue imprese assumono già le caratteristiche di quella violenza iperbolica e farsesca che caratterizzerà i film successivi. Ciò è visibile per esempio in un'inquadratura della sequenza della fuga dal tetto del tempio di Moloch, nella quale Maciste si hl>era di due inseguitori gettandone uno dagli spalti e scaraventando l'altro dentro un gigantesco braciere acceso, oppure nei numerosi battibecchi con il viscido Badistoret. Inoltre è proprio in cabiria che vengono stabilizzate alcune costanti iconografiche che diventeranno il vocabolario standard della dimensione attrazionale tanto del cinema dei forzuti quanto del peplum muscolare degli anni sessanta: la sequenza in cui Maciste ,iene incatenato a una mola che viene costretto a far girare continuamente, quella in cui spezza le proprie catene e infine quella in cui piega le sbarre della prigione, ritorneranno in quasi tutti i prodotti creati sulla scia de Le fatiche di Ercole.

18. Italia Almircm.le Manzini nei pa.Dlli della regina Sofonisba in Cabiria.

Per ,ria della contemporanea appartenenza a differenti universi discorsivi, Gabiria può essere visto in più modi, solo apparentemente in contraddizione: summa del panorama produttivo dell'epoca e premessa dello sYiluppo del sistema dei generi cinematografici nel lustro successivo, culmine della dimensione nazionalista insita nel film storico e dissoluzione di questa in ragione delle spinte provenienti da generi differenti. Per questi moti,i e grazie alla sua eterogeneità, il film di Pastrone, pur essendo preceduto da un numero più che consistente di opere di carattere storico-mitologico, può essere considerato un film fondativo per il genere e come tale sarà trattato in questo lavoro, nel senso che mette in campo una serie di elementi (come il ruolo del divismo maschile e ff!mminOe nel genere, l'interpretazione melodrammatica della storia, il gigantismo produttivo) con cui il peplum si dovrà confrontare almeno fino agli anni sessanta.

19. Maciste si libera di nn inseguitore gettandolo in nn braciere ardente in Gabiria.

' .-\lile fermezza dimostrata nei loro confronti quando essa viene violata dall'esercito nemico; infine ]'abile strategia con la quale l'eroe trionfa nella battaglia di Zama, vendicando finalmente l'onta di Canne. Alla linea narrativa principale se ne intrecàano almeno altre tre: la prima vede come protagonista la regina Sofonisba (Francesca Braggiotti), una donna fatale animata da un feroce odio contro Roma, che utilizzando il proprio fascino riesce a manipolare prima Siface e poi Massinissa, ma finirà suicida quando quest'ultimo, spinto da Scipione, accetterà di consegnarla ai Romani. La seconda è invece imperniata su una coppia di patrizi, Arunte e Velia (Isa Miranda), che catturati e divisi dai cartaginesi riusciranno a ricongiungersi soltanto nel finale, durante la battaglia di zama. Ul terza, infine, vede come protagonisti due uomini del popolo, arruolatisi nell'armata di Scipione, le cui buffe avventure permettono di attenuare la tensione narrativa. La dimensione ideologica è presente a vari livelli. In primo luogo, il film contiene una serie di espliciti riferimenti all'Italia dell'epoca. n personaggio di Scipione è modellato sulla figura di Mussolini, de] quale l'interprete Anmòale Ninchi riprende, anche se con risultati assai poco persuasi,1\ alcuni atteggiamenti, mentre la sequenza in cui la moglie di Scipione dona i propri gioielli alla patria rimanda evidentemente ali' «identica "cerimonia~ delle donne italiane in occasione delle "sanzioni» comminate dalla Società delle nazioni»5. In secondo luogo, tutti gli elementi che compongono il tessuto narrativo e queDo 6gurati\ 0 di Scipione l~cano rientrano in un rigido schema di opposizioni, a volte piuttosto elementari: le inquadrature in cui appare Scipione (che cavalca un destriero bianco) sono spesso in esterni e immerse in una luce diurna, mentre Anruòale (il cui destriero invece è nero) è quasi sempre inquadrato di notte, all'interno deDa propria tenda. Questo sistema binario coinvolge anche e soprattutto la rappresentazione delJ'esercito romano e di quello della Repubblica africana - il primo è composto di cittadini animati dall'amore per la patria, mentre i soldati cartaginesi sono per lo più mercenari preoccupati esclusivamente del proprio compenso - e condiziona, a livello figurativo, la rappresentazione delle masse. D popolo romano, anche nei momenti di maggiore esaltazione o timore, occupa ordinatamente lo spazio del Foro, forma con le braccia levate delle precise geometrie, S\:iluppate su di un asse obliquo, e canta all'unisono i cori scritti appositamente per il film da Ildebrando Pizzetti; al contrario, i cartaginesi sono una massa disordinata, che nella piazza principale della città si accalca fino ad arrampicarsi sulle statue (magari per sputare sugli ambasciatori di Roma) vociando in maniera indistinta. Inoltre 1

i soldati romani occupano lo spazio della scena lungo linee rigMamente simmetriche e sono raggruppati in colonne, file e rettangolL Perciò, [i loro corpi] 01:gauizzann lo spazio finzionale attraverso i valori dell'equilibrio, della disciplina e della gerarchia. Al contrario, Je forze di Anmòale sono generalmente dispiegate in gruppi piccoli, disordinati e asimmetrici. Quando le due armate si incontrano, la rappresentazione della battaglia è organizzata non solo come un contrasto tra due diverse strategie militari, ma anche come uno scontro ,i.sivo tra due opposti principi di orgauimzin1Je spaziale, come una battaglia tra due dh'8rsi ~ estetici''. Anche i due personaggi femroiniJi rientrano nel sistema delle opposizioni binarie su cui è costruito il film. La virtuosa patrizia Velia, che sopporta con dignità la prigionia nel campo cartaginese, non ha paura di rispondere a tono al crudele Annibale e desiste perfino dall'ucciderlo quando, origliando, apprende che il condottiero ama segretamente Roma come fosse la sua patria. Al contrario la selvaggia regina Sofonisba è caratterizzata da un concentrato di passioni irrazionali e distruttrici (raffigurate anche dal sogno premonitore, che richiama una sequenza analoga di Cabiria), e assume le caratteristiche della donna fatale che porta alla follia gli uomini con cui entra in contatto: «Da quando Sofonisba è entrata nella mia casa - confessa Siface ormai prigioniero di Scipione - la saggezza ne è uscita». nconfronto tra le due donne rimanda a una serie di opposizioni che spaziano dalla dimensione razziale a quella pertinente i modelli femmioiU così come essi sono concepiti nella sfera della cultura di massa italiana dell'epoca. Attraverso il personaggio di Sofonisba, infatti, il film produce un'immagine dell'«altro» etnico, raffigurato come selvaggio e irrazionale, ai fini di giustificare il dominio coloniale, secondo una logica dell'orientalismo messa a nudo da Edward Said7, ma allo stesso tempo crea una contrapposizione tra gli stereotipi fE>romiuOi della donna virginale e della peccaminosa tentatrice che informano la cultura popolare italiana dell'epoca8• L'elemento più interessante è che questo contrasto si gioca contemporaneamente su di un altro terreno, che esula dalla dimensione diegetica per spostarsi su quello de] divismo e del rapporto problematico, in cui si compenetrano antagonismo ed emulazione, che l'industria italiana dell'epoca intrattiene con Hollywood. La contrapposizione tra i due modelli fl>mminili, infatti, si gioca anche a Jivello delle interpreti Isa Miranda e Francesca Braggiotti. Durante la lavorazione di Scipione l~cano, la Miranda si trova in una fase di svolta della propria carriera: ha infatti firmato un contratto con la Paramount e sta per salpare per gli Stati Uniti. Un passaggio importante, che nel caso dell'attrice acquista un significato particolare poiché i suoi esordi cinematografici sono stati segnati proprio dal «contraddittorio rapporto che la società italiana e il fascismo intrattengono con il divismo (italiano e hollywoodiano) nel momento in cui si sta maggionnente organizzando un'industria cinematografica nazionale»9. Questa difficile relazione è contraddistinta da una problematica negoziazione tra il modello dello star system americano - che 'riene preso costantemente come punto di riferimento per quanto riguarda le dinamiche che investono la «continuità tra sfera privata e occorrenze pubbliche• 10 costruita attraverso le uscite pubbliche del divo, le interviste, gli articoli della stampa popolare imperniati sul suo carattere e il suo stile di vita ecc. - e l'adattamento di quest'ultimo al sistema di \'alori che caratterizza il contesto culturale italiano. Per questa ragione, l'immagine divistica di Isa :Miranda ha avuto una genesi complessa, segnata, da una parte, dalla riproposizione, a partire dal personaggio interpretato ne La. signora di tutti di Max Ophiils (1934), di modelli hollywoodiani quali Marlene Dietrich e Greta Garbo, dall'altra, dall'infruttuoso tentativo di S\incolarsi dal ruolo di donna fatale, particolarmente rischioso dato che cii potere seduttivo [di questa figura] - e il tipo di identificazione a esso correlato - risulta troppo destabilizzante[... ] per quello politico»", Un contrasto che si avverte già all'epoca dell'uscita del film di Ophills, dal momento che le immagini della diva scattate sul set la ritraggono come una star sofisticata e irraggiungibile alle prese con un levriero, automobili e aeroplani, mentre le interviste sulle sue umili origini enfatizzano al contrario la dimensione degli affetti famigliari'"'. Perciò quando l'attrice, già in procinto di partire per gli Stati Uniti, viene contattata da Gallone che ]e propone uno dei due personaggi fPmminili del film, lei sceglie «la parte meno fatale, quella di Velia»1J, che nella sua determinazione e nel suo attaccamento ai valori nazionali presenta delle affinità con il personaggio da lei già interpretato in Passaporto rosso (Guido Brignone, 1935). La Braggiotti, che invece è una quasi esordiente, sembra trovarsi nella posizione di dover raccogliere il testimone della diva italiana ormai in partenza: un'impressione rafforzata da una serie di articoli apparsi sulla rivista «Cinema illustrazione» e dedicati alla prima di Scipione l'Africa.no. Nella doppia pagina dedicata al film troviamo, all'estremità sinistra, un'inter.ista all'interprete di Sofonisba, costruita intorno al privato dell'attrice"', mentre nell'angolo inferiore destro un breve trafiletto ci informa dell'avvenuta partenza di Isa Miranda'5, Quest'ideale passaggio di consegne16 è d'altra parte favorito dalla formazione della Braggiotti che, nata in Italia, si era trasferita con la famiglia negli Stati Uniti diventando una star della danza negli anni venti per poi, nel decennio successivo, intraprendere una carriera cinematografica; aveva prestato infatti la voce a Greta Garbo nei film della diva sincronizzati a Hollywood per il mercato italiano, da .Mata Han (George Fitzmaurice, 1931) a Come tu mi vuoi (As You Desire !Yie, George Fitzmaurice, 1932), ed era apparsa come danzatrice in Piccole donne (Little Women, George cukor, 1933). Anche la costruzione dell'immagine della Braggiotti da parte della macchina divistica italiana, così come era avvenuto per la .Miranda qualche anno prima, risente del contrasto tra il modello americano, basato sulla continuità tra ruoli 6nzionali e .ita privata del divo, e viceversa il sistema di valori deDa cultura italiana dell'epoca. Gli articoli che presentano la Braggiotti al pubblico la ritraggono come una radiosa amante dello sport'7 e una moglie feJice del suo consorte americano (John Lodge, anche lui attore) 18, ma al tempo stesso alcuni scatti fotografici - e in particolare una copertina di «Cinema illustrazione» pubblicata qualche mese prima dell'uscita del film, nella quale l'attrice appare in primissimo piano e con un make-up che rimanda alla Greta Garbo di Mata Hari•9 - sono maggiormente consoni all'immagine algida della diva svedese, alla quale si vuole associare la Braggiotti, nonché al ruolo di donna fatale da lei interpretato in Scipione l'.Africano. Dpersonaggio di Sofonisba viene infatti tratteggiato prendendo come modello assoluto il cinema statunitense. Dtono algido della mimica facciale e il profondo distacco manifestati dalla sua interprete anche nei momenti di più accesa passionalità rimandano ancora una volta alla Garbo, mentre gli audaci costumi, la parrucca e il make-up creati per il film sono invece evidentemente ricalcati su quelli indossati da Claudette Colbert nella Cleopa.tra di Cedi B. De :Mille (1934), che all'epoca costitui"a il più recente kolossal hollywoodiano ambientato nel mondo classico, da prendere come modello e con cui ingaggiare una competizione. Anche la regia di Gallone, esperto nel lavorare con personaggi fi>mmiuili n.elle ci.ne-opere da lui dirette, sembra obbedire a una logica divistica. Sofonisba ci viene presentata per la prima volta nel suo boudoir attra\'erso un lungo mo-.imento di carrello laterale che, seguendo un messaggero, sl va a fermare davanti a un velo dietro il quale è possibile soltanto intravvedere la sagoma dell'attrice. Dopo di che, una dissolvenza incrociata fa sparire il velo e un carrello in avanti ci porta alla scoperta del corpo della Braggiotti, sdraiata su di un canapè in un'elegante posizione perfettamente orizzontale, nella cui compostezza si può scorgere la sua formazione da danzatrice.

20. La presentazione del personaggio di Sofonisba (Francesa Braggiotli) in Scipione

!itfricano (Omni.De Gallone, 1937),

Questo tentativo dell'industria cinematografica italiana cli utilizzare il film come veicolo per sostituire una diva in partenza (Isa .Miranda), con una potenziale star dalle caratteristiche affini (l'italoamericana Braggiotti, avendo doppiato l'attrice svedese, può anche lei essere lanciata come surrogato della Garbo), sembra introdurre in Scipione l'Africano degli elementi eterogenei rispetto alla dimensione propagandistica dell'impianto, tanto da indurre ad affermare che se una lettura del film basata sul sun immaginario patriottico e nazionalista può confermare 1a sua adesione all'ideologia fascista, al tempo stesso esso invita a una lettura polisemica. Come spesso accade nel cinema popolare, l'uso che il film fa del passato è eterogeneo, piuttosto che totalizzante [e il suo stile] suggerisce un rapporto h'bero ed eclettico con il pubblico 00

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21.

Sofonisba '.-iene e.spogliata> del velo che la cela allo sguardo degli spettatori. In realtà la componente divistica del film, le traiettorie narrative delle

protagoniste f~mminili e l'impianto propagandistico della pellicola sono legati gli uni agli altri molto più strettamente di quanto non possa sembrare• •azione del salvataggio, della fuga e della lotta (come nel western e in tutti i generi d'azione}"'. Secondo questa interpretazione, il melodramma non è semplicemente un genere, ma una modalità che informa l'intero cinema popolare e che trae la propria visione del mondo dai meccanismi dell'immaginazione melodrammatica descritta da Brooks. Questo modello ha la sua origine in una forma di teatro popolare nata alla fine del XVIII secolo e imperniata sulla ,:ittimizzazione del personaggio principale, in genere un'eroina che, accusata ingiustamente di un misfatto e cacciata dal suo contesto sociale, deve lottare per dimostrare la propria innocenza e riottenere ciò che è suo di diritto22• Nel corso dei secoli successivi, tuttavia, questo impianto sarebbe diventato talmente pervasivo da estendersi ad altri ambiti spettacolari, come il teatro borghese ottocentesco o il cinema hollywoodiano, diventando una delle modalità principali dell'industria colturale e arrivando perfino a condizionare, secondo Thomas Elsaesser, anche la percezione della realtà politica e soprattutto la visione del mondo proposta dal nazionalismo conservatore di epoca contemporanea2 s. Questo legame tra una modalità melodrammatica e un'interpretazione nazionalista della realtà è d'altra parte iscritto anche nei meccanismi di funzionamento del peplum, la cui genesi, come si è \'isto, risente del modello cli altri ambiti spettacolari - il romanzo storico, il teatro lirico, gli spettacoli popolari che mettevano in scena catastrofi avvenute nell'antichità - a loro volta legati, seppur in diversa misura, alla radice comune del melodramma. Come afferma Robert Rushing2 \ 1a struttura narrativa del genere è imperniata fin da Gabiria sulla riparazione, da parte dell'eroe, di un torto originariamente subìto direttamente da lui o dalla sua comunità (in questo caso si tratta di un'eroina che è stata rapita da un'antagonista e deve essere salvata) e già in questo film fondati\'O il tema della vittimizzazione del personaggio femminile e del suo successivo riscatto è legato al destino dell'intera nazione. Il travaglio sobìto da Cabiria corrisponde a quello dell,Italia, violata dalle truppe di Annibale, e richiede come logica conseguenza la distruzione cli cartagine; in più, a livello metaforico, il ratto della fanciulla e il suo salvataggio finale si ricollegano rispettivamente alla disfatta di Adna e alla sua riparazione tramite la guerra italo-turca del 1911-12. In Scipione l'Africa.no il tema esplicito della vicenda principale - il lavaggio dell'onta di canne attraverso le imprese di Scipione - si riverbera a livello implicito nelle \:icende dei personaggi fP.mminiJi, e si gioca, come in cabina, sui loro corpi. Velia e Sofonisba infatti non vengono semplicemente contrapposte l'una all'altra soltanto perché rappresentano due modelli differenti (la virtuosa donna occidentale e la fatale donna orientale), ma intrattengono una relazione più complessa, dal momento che il destino della regina, a livello simbolico, è interpretabile come un risarcimento rispetto al ratto della patrizia romana. Velia viene rapita nel momento in cui le truppe di Scipione si recano in Sicilia per poi partire per P•.\fri.ca. Le truppe cartaginesi fanno irruzione nella casa della matrona con l'intenzione di violare tutte le donne presenti, ma questa riesce inizialmente a salvarsi dalla bramosia dei militari offrendo loro una spilla preziosa. Tuttavia, una volta portata al campo, per lei non c'è scampo: Anmbale la nota, la fa portare nella propria tenda e, colpito dal patriottico coraggio della donna, abusa di le~ ne fa la propria concubina e si ripromette, al suo ritorno a cartagine, di sacrificarla ai propri «dèi mangiatori di bambini». Nonostante ciò, Velia mantiene intatte per tutta la pellicola la propria dignità e la propria fierezza: il suo corpo è sempre fasciato da un ampio velo che lascia scoperto solo il volto, come a volersi difendere dallo sguardo bramoso dei propri carnefic~ e la sua determinazione le permetterà, dopo una serie di disavventure, cli ricongiungersi in a-tremis con l'amato Arante. Il pudore manifestato dalla regia nella rappresentazione di Velia e del suo corpo si ribalta in un atteggiamento opposto nel caso di Sofonisba. Prima di tutto, la regina indossa prevalentemente degli abiti estremamente succinti e, mentre Velia era caratterizzata da un'immobile compostezza, le forme della Braggiotti sono costantemente sottolineate da una serie cli movimenti innaturali e felini, come quando Sofonisba si butta ai piedi di Fosco Giachetti per implorarlo di non consegnarla ai Romani. Infine, mentre la regia cli Gallone si limitava a riprendere Velia soltanto in primissimo piano, nella già citata sequenza dell'ingresso in scena della regina la macchina da presa di Gallone guida costantemente lo spettatore alla scoperta dello splendido corpo della donna, secondo una strategia che richiama la metafora coloniale dell'appropriazione del corpo femminile orientale attraverso lo sguardo maschile occidentale, perfettamente esemplificato, secondo Maria ,vyke2S, dal dipinto di Jean-Léon Gérome Cleopatra al cospetto di Cesare (1866) e dall'incisione di James Charles Armytage a esso ispirata (1877). Non a caso, la sequenza della prima apparizione di Sofonisba e della sua morte sono entrambe contrassegnate dalla presenza di un anonimo personaggio che assiste alla scena, fungendo da spettatore vicario alle vicende della regina~. L'esibizione del corpo della donna di fronte allo sguardo occidentale dello spettatore sembra perciò un contrappasso alla parallela spoliazione, compiuta dal condottiero cartaginese ma nascosta pudicamente all'occhio dello spettatore, del corpo della patrizia Velia. Questa logica del corpo femminile utilizzato come forma di riscatto, d'altra parte, è ribadita dallo stesso Scipione a Massinissa: «Ricorda: Siface è stato vinto con gli auspici del popolo romano, ed egli, la moglie, il reame - tutto quello che fu suo appartiene al popolo romano». Più che in cabina, in Scipione l'Africano l'erotismo e la rappresentazione del corpo femminile, che tanta parte avranno nello s,..iluppo del genere durante gli anni sessanta, non si configurano come una forma cli distrazione rispetto alla dimensione ideologica su cui è costruito il film, benché siano contemporaneamente veicolo delle dinamiche pertinenti all'universo divistico, ma al contrario rientrano in un complesso progetto teso a giustificare, attraverso il ricorso alla modalità melodrammatica, la svolta coloniale dell'Italia mussoliniana.

22.

Cleopatra al cospetto di Cesare di Jean-Léon Gérome (1866). Giuman, Il tiranno e l'attore ciL, p. JL "Ibtd., p. 30. La dimensione sincretica dell'antichità romana raffigurata in Scipione 1

r.4.fricano offre d,altra parte anche una ginst:ificazione alle evidenti incongruenze storiche presenti nel film, tra cui \'a.DDO annoverate per esempio le scenografie create dall'architetto Pietro Aschieri e ispirate alla monumentale Roma augustea anziché a quella, ben più sobria, dell'epoca delle guene puniche. Questa discrepanza è rilevata ancora prima che uscisse il film dalla stampa dell'epoca. Cfr. J. ComiD, Ritorno di Roma sullo schermo, in «Lo Schermo», xv, maggio 1937, 1-51 pp. 30-2. :1 Iaocio, Scipione r.AjriMTl.o ctt., p. 59. 4 cAlconi slogan fdsdsti sono resi doppiamente fastidiosi dal tono nasale e declamat'lrio di Ninchi e da Wl uso meccanico (quasi parossistioo) della metrica mussoliniana, come nel richiamo al di.scorso del duce sull'Etiopia ("Il mondo de\,e sapere che il popolo italiano intraprende la guerra per la giustizia")». G. Muscio, Ilfibn più.fascista è il.film storico, in Sdtumi di regime cit, p. 56. ~ laccio, Sc:ipio111! 1~4/ric:uno cit, p. 75. 1, Ricci, Cinema 8: Fasdsm cit, p. 100. ·· cfr. E. Sa.id, Orientalismo. L'immagine europea dell'Oriente, Felbinelli, :Milano 2002. s e&. Iac.cto, Sdpiont. t-1.fricano cil, p. 77-8. ' 1 E. Mosconi, L'imprt;$$ione del.film: oontnoutiper una storia culturale del cinema, Vita & Pensiero, !)filano 2006, p. 196. "' F. Pitassio, Attore/dii-o, Il Castoro, Milano 2003, p. 62. Per wia prospettiva teorica relam-a alle dinarok.he del divismo cinematografico si rimanda anche a R. Dyer, star, Kaplan, Torino 2003, mentre per un esame relati,..o specificamente al cinema fascista cfr. s. Gundle, I'1lm Stars and Sodety in Fasc::i.st Italy, in Re-viewing Fascism. Italian Cinema .1922-.1943, a cura di J. Reich e P. Garofalo, Indiana Uni\,-ersity Press, BloomingtonIndianapolis 2002. '' Mosconi, L'impressione delfiàn cit., p. 193. '" SUlla costruzione deD'iromag:i.ne divistica di Isa Miranda all'epoca de La. signora di tutti si veda R. De Berti, La signora di tutti e l'aV?:ento del diuismo italiano, in Isa Miranda: Ughtfrom a star, a cura di E. Mosconi, Persia>, Cremona 20031 pp. 31-42 e in particola.re pp.36-8. •:1 I. Miranda, I miei registi, in «Star:,,, n, 19 maggio 1945, 17, p. 4, cit in Mosconi, L'impressione del.film c:it, p. 194. q M. Cattaneo, La «Sofonisba• di Scipione parla di sé e del cinema, in «Cinema illustrazione», xn, 8 settembre 1937, 36, p. 6. ,:; Anonimo, Salutala dal sucresso di «Scipiont?, Velia parte per Hollywood, hi, p. 7. •~Che non avverrà, in quanto la Braggiottt realizzerà solo un altro film in Italia prima di tornare negli Stati Uniti, e la :Miranda tornerà da Hollywood allo scoppio della sooonda guerra mondiale. •·• Oltre a Cattaneo, La •Sofonisba• di Scipione parla di sé e del cinema cit., dr. anche CO, .Francesca Braggiotti •SOfonisba• ttalo-amuicana, in «Cinema illustrazione», xn, 7 aprile 1937, 14, p. 6. ,s Anonimo, Il mistero di Soforrisba., in «Cinema», 1, 10 dicembre 1936, u, p. 409. La copertina del numero presenta un ritratto fotografioo dell'attrice in costume di scena con la didascalia: «Chi è Sofonisba?». ''' Cfr. «Cinema illustrazione», xn, 24 marzo 1937, 12. "" li. Lalldy, The Folklore ofConsensus. 'Ihe.atricality in thc Italian anona, .1930-.1943, State UniversityofNew York Press, Albany 1998. "' I. WU)iams, Melodrama Rl!Vised, in Refìguring American Film Gen-re;: History and Theory, a cura di N. Browne, Uoh'el'Sity of California Press, Berlcele;• 1998, p. 58. -.::.: Cfr. P. Brooks, L'immaginazione melodrammatica, Pratiche, Parma 1985. :.::, T. Elsaesser,A J1ode o/Feeling or a View of thc n··orld? Family Melodrama and the Melodramaticimagination Revisited, inn melodramma, a cara di E. Da,grada, Bulzoni, Roma 200'7, pp. 23-44- Elsaesser fa l'esempio dei discorsi sociali gra'vitanti intorno alla campagna bellica iniziata dopo 1'11 settembre 2001, e che sarebbero imperniali sulla rappresentazione d~ Stati Uniti d'.o\merica come di una ,ittiroa inD.ocente che deve ottenere una forma di riscatto attra,eerso l'impegno :militare in Medio Oriente. "" R. Rnshfng, Mmiory & Masculinity in the Italian Peplum Film and Zach. Snydo-'s 300, in eulture d MbnoiTt. Rq,résentations contemporaines de la mbnoin dans les espaces mbnoriels, la arts visuels, la littérattue d le théatre, a cura di C. Hiihnel-Mesnard, l·I. Liénard-Yeterian, C. .Marinas, École Polyteclmique, 1>aJaiseau 2008, pp. 239-46. Ru.shing non fa esplicito riferimento al concetto di modalità melodrammatica, ma le argomentazioni da lui utilizzate sono molto simili a quelle di \V-illiaros ed Elsaesser. :.:.·, Cfr. W1,-ke, Profecting the Past dt., pp. 73-84. a-ti come già rile\'ato da Landy, The Fo'fklore ofOmsensus cit

m. Dalle catacombe alla guerra fredda. Fabiola (Alessandro Blasett:i, 1949) Fabiola è, da un punto di vista industriale, la prima superproduzione italiana del dopoguerra. Un primato non da poco, dal momento che il film viene messo in cantiere quando il cinema italiano affronta una delle sue crisi più profonde, nell'attesa di misure a salvaguardia dell'industria nazionale che arriveranno solo con l'intervento legislativo del dicembre 1949. una produzione come questa, perciò, ha avuto il merito di rimettere in piedi strutture ancora fiaccate dagli eventi bellici, di sperimentare nuove modalità produttive e infine di impiegare maestranze e semplici comparse in un momento in cui la disoccupazione, anche in questo settore, stava assumendo proporzioni tragiche. Per esempio, come ricorda lo stesso Blasetti in un'intervista rilasciata a «Cinema" circa sei mesi dopo l'Uscita del film nelle sale italiane, «il Centro Sperimentale di Cinematografia [•.• ] era stato lasciato dalla guerra in condizioni pietose. La la,-orazione di Fabiola ha rimesso in efficienza il grande teatro, ha rifatto e ingrandito il piccolo, ha affiancato a questi due teatri un terzo di proporzioni quasi analoghe al grande"'· Inoltre, la pellicola «ha gettato le basi industriali e creditizie di quella collaborazione italofrancese che poi i due Governi dovevano praticamente sviluppare e sanzionare con i loro importantissimi accordi,.2 , ovvero quei patti bilaterali di coproduzione tra Italia e Francia del 1949 che la partnership tra l'italiana Universalia e la francese FrancoLondon Films aveva preceduto di ben due anni. Le dimensioni di Fabiola sono insomma così gigantesche che le sue vicissitudini produtm-e di\•engono da subito leggendarie, a cominciare dai costi, che sulla stampa ,:-engono progressivamente gonfiati fino a superare il miliardo di lire, nonostante l'Universalia avesse dichiarato ufficialmente una spesa di poco inferiore ai 700 milioni3. Tanto più che all'avventurosa lavorazione (e alle ancor più rocambolesche modalità di finanzfamento) di Fabiola Adriano Baracco dedicherà, una dozzina d'anDi dopo l'Uscita della pellicola, un articolo suggestivamente intitolato Fabiola: toghe, martiri e cambiali, nel quale viene anche raccontato come i sontuosi costumi appositamente fatti confezionare per il film fossero poi stati noleggiati alla ?JGM per la realizzazione di Quo Vadis4. Questo supercolosso che, come già e\'idenziato dalla critica dell'epoca, riporta\'a il cinema italiano alla magniloquenza produttiva di opere come Cabiria e Scipione l'AfricanoS, ba però un altro interessante primato. Si tratta di un film dalla lavorazione lunga e tortuosa, iDiziata nel 1946 e conclusasi negli ultimi mesi del 1948, e che riflette nelle sue vicissitudini una fase cruciale della storia dell'Italia postbellica, ovvero il passaggio dall'atmosfera ecumenica del Comitato di h'berazione nazionale alle esasperate dh,isioni dei primi anni della guerra fredda. Uno strappo particolarmente drammatico tra due fasi diverse che, limitatamente a Fabiola, sono rappresentate rispettivamente dalla formazione di un gruppo di sceneggiatori di differente estrazione culturale, i quali partecipano alle varie stesure dello script tra il 1946 e il 1947, e dal clima avvelenato da diffidenze e dissidi che ne marca la ricezione nella primavera del 1949. Sebbene infatti la pellicola sia stata concepita da una casa di produzione direttamente legata al Vaticano, e il tema (il trionfo del cristianesimo) inducesse a pensare che si trattasse di «un film di propaganda politica, di imbonimento clericale in vista dell'Anno Santo»6, il lavoro di Blasetti nasce in quel clima di collaborazione che contraddistingue il periodo immediatamente posteriore alla 1.J.l>erazione e in particolare il cinema degli anDi del neorealismo. Inoltre, esso risente anche della personale inclinazione del direttore di produzione Salvo D'Angelo a partecipare a progetti estremamente ambiziosi sul piano sia economico che culturale, nonostante essi spesso presentino evidenti divergenze politiche rispetto alle basi da cui nasce l'Universalia. L'esempio più evidente è il caso de La terra trema. Episodio del mare di Luchino V1Sconti (1948) che, nato da un piccolo finanziamento del Partito comunista italiano, è stato poi portato a termine proprio grazie all'interessamento di D'.~elo e della sua compagnia7• n film di Blasetti è tratto dal romanzo storico Fabiola, o la Chiesa delle catacombe del cardinale Nicholas \Viseman (1854), che era già stato portato sullo schermo nel 1918 da Enrico Guazzoni. Le \'a.rie stesure della sceneggiatura, tutta.,,ia, si discostano ampiamente dalla trama del volume, giudicata da Blasetti e dai suoi collaboratori troppo farraginosa e soprattutto priva di struttura ~rammarica8• Come nel testo letterario, la ,>icenda è ambientata all'iDizio del IV secolo d.C., all'epoca del conflitto tra Massenzio e Costantino. D protagonista è un gio\'ane di nome Rhual (Henri Vidal), che si trasferisce dalla Gallia a Roma per fare fortuna come gladiatore. La grande occasione gli si presenta quando egli viene invitato a combattere nella villa ostiense di Fabio Massimo (Miche! Simon), un uomo ricco, influente e dalle vedute h'berali nei confronti del cristianesimo. Lì Rhual ha modo di mettere in mostra le proprie capacità e di concupire la bella e infelice figlia del padrone di casa, Fabiola (Michèle Morgan), ma al tempo stesso rimane invischiato in una congiura ordita dal corrotto prefetto annonario Ful,>io Petronio (Louis Salou). Costui teme che il rigore ostentato dai cristiani, i quali aumentano di numero nonostante le persecuzioni, possa ostacolare i suoi loschi traffici e per questa ragione, quella notte stessa, fa uccidere Fabio dall'infido Cor\Ùlo (Franco Interlenghi), facendo in modo però che la colpa ricada sui servi cristiani del padrone di casa. Dell'omicidio ,iene però accusato anche Rhual, che ha avuto la sfortuna di essere stato "isto parlare con Fabio poco prima dell'omicidio. Perciò Fabiola, che pure sa che i cristiani sono innocenti, pur di salvarlo accetta che questi ultimi vengano incolpati. In conseguenza del clamore suscitato dal processo, l'imperatore Massenzio emana un editto che mette fuori legge il cristianesimo, così che tutti i suoi adepti presenti a Roma ,:-engono arrestati e portati al circo per il supplizio: tra di loro ,i sono anche Fabiola e Rhual, i quali nel frattempo hanno intrapreso un percorso spirituale che ha fatto loro abbracciare la fede cristiana. ngladiatore viene così condannato a combattere nell'arena fino alla morte. Ma lui, convinto che un vero cristiano non debba uccidere, disarma continuamente i suoi avversari rifiutandosi di finirli. Quando, stremato, il giovane viene atterrato dal terzo contendente e sta per essere ucciso insieme a Fabiola, nel frattempo accorsa tra le sue braccia, avviene il miracolo: con,Ùlti dalla dimostrazione di fede di Rhual, gli altri gladiatori gettano le armi e proprio in quel momento giunge la notizia che Costantino, protettore dei cristiani, sta facendo il suo ingresso a Roma. nfilm, che si sviluppa per quasi tre ore di proiezione, è estremamente lungo per gli standard del cinema italiano dell'epoca, e la sinossi qui proposta non tiene conto degli innumerevoli episodi collaterali che si intrecciano alla storia principale, imperniati sulle vite di martiri cristiani come san Sebastiano (}lassimo Girotti), san Tarcisio e san cassiano, oltre che su di uno schietto decurione di nome Quadrato (Gino Cervi). Questa complicata struttura narrativa rispecchia, da una parte, la travagliata genesi e il cospicuo numero di sceneggiatori i quali, secondo una «logica dell'ammucchiata,.9 hanno preso parte al film, mentre, dall'altra, è una conseguenza della generale penetrazione di elementi propri del neorealismo all'interno di prodotti cinematografici di tutte le fasce, compresi quelli appartenenti al cinema popolare o, come in questo caso, alle grandi produzioni spettacolari. Nei quasi due anni di preproduzione del film, infatti, a Fabiola hanno messo mano davvero in tanti: da Renato castellani (che ha scritto una versione del trattamento) a Cesare zavattiDi, da Suso Cecchi d'Amico a Diego Fabbri, da Mario Chiari al francese Jacques George Auriol, da Umberto Barbaro e Antonio Pietrangeli (che hanno re"isionato alCUlli dei trattamenti) fino a Corrado Pa,-olini, Llonello De Felice e Alberto Vecchietti. Inoltre, in varie fasi della lavorazione è stato richiesto il parere di critici cinematografici come Alberto Trombadori•0 • Nel cinema italiano degli anni quaranta è assai comune trovare opere alle quali abbia collaborato un nutrito numero di scrittori, dal momento che lo sceneggiatore italiano non prova alcun senso di inferiorità a contribuire al lavoro di un film con pochebattute e, in alcuni casi, a rinunciare perfino alla propria presenza sui titoli di testa [in quanto] rispetto a quello americano il suo è ancora un tipico esempio di la\'Oro nero, appaltato e subappaltato a intellettuali che rifinisrono il pr:odotto a domicilio". Quello che colpisce, però, nel film di Blasetti, è come le diverse firme siano ricondua'bili a distinte aree culturali: il fatto che «al tavolo della sceneggiatura a\'essero potuto sedersi rappresentanti di tutte le forze politiche e si fossero spartiti le zone di influenza come a Yalta, faw-a di questo film un'esperienza irripetibile»"'. A Zavattini e alla Cecchi d'Amico, decisamente orientati verso sinistra, viene per esempio affiancato il cattolico Diego Fabbri, «la cui presenza è ricercata tanto da risultare pressoché indispensabile, sia nella fase in cui produttori e registi tentano di dar vita a una produzione caratterizzata in senso cattolico, sia per le garanzie ideologiche offerte alla produzione dalla sua presenza»13• Le ragioni di una simile apertllra ideologica e di una tale attenzione verso le diverse anime che compongono il panorama culturale italiano \'anno indi,>iduate, oltre che nella già citata tendenza di Salvo D'Angelo a rivolgersi a firme prestigiose al di là del loro colore politico e nel clima ecumeDico che ancora contraddistingue l'Italia del 1946-47, anche nella volontà di Blasetti di realizzare un film che, come il precedente La corona di ferro, contenesse un uDiversale messaggio pacifista: come affermano i titoli di testa, Fabiola è infatti dedicato «agli offesi, ai perseguitati, alle vittime di ogni ,iolenza». E questo messaggio, secondo il regista, può essere raggiunto solo da un film che, pur essendo ambientato nel passato, contenga quei precisi rimandi all'attualità che caratterizzano i migliori esempi della produzione postbellica4. Sono d'altra parte numerosi gli elementi di Fabiola che, al di là della ben diversa dimensione produttiva, rimandano alla temperie neorealista. In primo luogo la struttura composita, in cui si intersecano svariate linee narrative imperniate, oltre che sui protagonisti, anche su una folla di personaggi minori: un elemento introdotto da Sergio Amidei già in Roma città aperta. In secondo luogo, il rapporto con i generi cinematografici e soprattutto con quelli di derivazione americana, che contraddistingue buona parte della produzione neorealista minore e in particolare i lavori di De Santis, ~rmi o Lattuada. Pur adattati alla cornice del peplum, nel plot relativo alle indagini sull'omicidio di Fabio sono infatti presenti elementi del thriller - come gli interrogatori dei testimoni, il pubblico processo e l'ellissi che inte)'\,iene al momento dell'assassinio, affinché lo spettatore possa scoprire la verità poco a poco - oppure del western, in particolare per 'l.ia dell'arrivo dell'armata di costantino nel finale. t inoltre interessante notare come, prima che venisse scritturata la francese Michèle Morgan, la produzione avesse pensato di 1•tilizzare un'attrice non professionista nella parte della protagonistal.5: un'idea che sembra puntare a ibridare )a dimensione produttiva del kolossal con dinamiche di reclutamento degli interpreti vicine al mito dell'attore «preso dalla strada:. del neorealismo. Ma il legame con il cinema del mo\imento neorealista è presente in particolar modo nella lettura allegorica del tema delle persecuzioni ai danni dei cristiani che viene suggerita dal film. È infatti difficile non riconoscere nell'Impero romano M raffigurato - che secondo i titoli di testa ha raggiunto ccol massimo della sua dominazione, il culmine del disfacimento" e in cui «la miseria delle moltitudini, prostrate da una serie di guerre, fa da contrasto con la ricchezza di pochi• - le ultime fasi della parabola del regime fascista o addirittura - secondo una lettura che ha avuto molto credito - una raffigurazione dell'Italia postbellica e del clima di rappresaglia contro gli iscritti al Partito comunista che ha contraddistinto il periodo posteriore alle elezioni dell'aprile del 1948, vinte dalla Democrazia cristiana. Questo è vero soprattutto per personaggi di contomo come il decurione Quadrato, reduce dalle guerre in Gallia, che torna a Roma per tro,-are una patria irriconoscibile sconvolta dalla corruzione e nella quale tutte le persone a lui care, come la figlia Letizia, la sorella e l'amico Cassiano, sono perseguitate perché cristiane. Una figura che può essere accostata al figlio del protagonista di Anni difficili di Luigi Zampa (1948), che nel settembre del 1943 torna dalla campagna di Russia per venire immediatamente ucciso dagli ex alleati tedeschi, o alle numerose figure di reduci che non riescono ad adattarsi al clima del periodo postbellico, come i protagonisti de Il bandito (Alberto Lattuada, 1946), caccia tragica (1947) o ancora come quello di Un uomo ritorna (Max Neufeld., 1946), interpretato dallo stesso Gino Cervi. La volontà di confrontarsi con l'attualità è d'altra parte manifestata direttamente dagli stessi sceneggiatori, secondo quanto traspare dal resoconto, dattilografato da un segretario dell'Universalia, di una serie di riunioni avvenute a Fregene nel settembre del 1947 per discutere alcuni aspetti chiave del film. Nel documento, conser\-ato presso il Fondo Blasetti della Cineteca di Bologna e intitolato dal regista, non senza ironia, Fabiola. Il dramma delle relazioni a Fregene, Blasetti ribadisce più volte la sua volontà di «fare cose che abbiano parallelismi con la contemporaneità, senza essere pedantemente ossequianti:. e a un certo punto fa un paragone tra i martiri del cristianesimo e quelli contemporanei, affermando che a differenza dei paleocristiani •molti martiri delle fosse Ardeatine a,'Iebbero forse prestato un giuramento contro la loro fede pur di essere rimessi in libertà> ••.t\ncora, parlando dell'e\'oluzione del personaggio della protagonista, egli afferma che «Fabiola per riparare al male fatto ai cristiani innocenti, passa dalla loro parte con lo spirito di una partigiana" e infine, a proposito delle catacombe in cui si rifugiano i cristiani, afferma che per loro sono «come un rifugio antiaereo, quando sentono pericolo vanno lì»16• Questo continuo andirivieni fra la vicenda che si intende narrare e alCUlli aspetti del recente passato contraddistingue anche gli intef\•enti degli altri componenti del team di sceneggiatori, e in particolare disuso cecchi d'Amico, la quale nel tratteggiare il personaggio di Costantino (assente dal film finito, così come Massenzio) vorrebbe dare «il senso degli Alleati che stanno per sbarcare ad Anzio> e così descrive sinteticamente la scena in cui la protagonista incontra la serva Sira nelle catacombe, mentre all'esterno stanno arrivando i pretoriani con l'ordine di arrestare i aistiani: «PatetiC3-faml)Jare riunione. Intramezzata con le forze armate che si avviano per l'operazione di polizia. (jeeps che piantonano)»'7• La memoria delle recenti vicende nazionali funziona così come 11IJ.jramework sul quale basare il proprio lavoro di scrittura (le catacombe vengono rappresentate prendendo come punto di riferimento un elemento ben vi"-o nell'esperienza diretta di sceneggiatori e pubblico, ovvero i rifugi antiaerei). Ma al tempo stesso, il continuo far riferimento all'attualità dhiene anche un elemento fondamentale per sganciare il peplum dal passato fascista (l'ultimo titolo di rilievo era pur sempre Scipione l'Africano), associandolo al contrario all'immagine della lotta di resistenza che era stata imposta qualche anno prima da Roma città aperta. Un manicheo scontro tra il bene e il male, nel quale fazioni diverse (e in realtà in violenta competizione le une con le altre) erano unite dalla comune condanna dell'intolleranza fascista e soprattutto da uno spirito cristiano non identificabile esclusivamente con quello ecclesiastico, ma che al contrario dove\'ll essere, come esplicitamente auspicato anche dagli sceneggiatori di Fabiola, «accettabile anche per il miscredente:0 18• D'altra parte, la rappresentazione della corruzione dei costumi imperiali passa per le stesse argomentazioni del film di Rossellini, e in particolare per il tema dell'omosessualità f PmminilP: tra le inquadrature di cui la censura italiana aveva chiesto il taglio in \'ista dell'ottenimento del nulla osta ve n'è infatti una in cui due donne, sedute sulle gradinate del circo, si scambiano effusioni mentre assistono eccitate al martirio dei cristialli1 9. Ma il clima di collaborazione successivo alla Liberazione, di cui risente Fabiola, e la conseguentemente composita dimensione ideo logica dell'opera divengono un ostacolo al momento dell'uscita del film. Già nel maggio 1947, quando la pellicola è ancora in fase di scrittura, il Partito comunista e il Partito socialista vengono estromessi dal governo De Gasperi e, dopo le elezioni dell'aprile del 1948, «la "battaglia delle idee• si estende al cinema e molti film diventano bersaglio della stampa conservatrice e cattolica.. 00• Fabiola, a causa della sua natura polimorfa, "iene attaccato da entrambi i fronti, all'interno dei quali il film viene di \.-Olta in volta rifiutato o strumentalizzato a danno dell'opposta parte politica. Nell'atteggiamento dell'area cattolica si percepisce un netto disagio nei confronti di un'opera che, nata sotto le migliori premesse (era stata concepita come una glorificazione del cristianesimo realizzata da una compagnia ,1cina al Vaticano) sarebbe stata snaturata e in qualche modo «scippata• da altre componenti politiche. Per esempio il Centro cattolico cinematografico rifiuta il film non solo per la presenza di scene sconvenienti, ma anche perché «la tesi è positiva anche se non sempre del tutto chiara,.••, mentre un articolo non :firmato apparso su «La Vita Cattolica•, il cui autore pure dimostra di aver apprezzato il film, cerca di sgombrare il campo dagli equivoci sottolineando come «il più strano degli appunti [sia] quello che vuol rimproverare a Blasetti [...] di aver cantato il trionfo delle Catacombe sull'Impero romano pensando a Mosca e ai comuDisti» 22•

23. Um. scem. di Fabiola (.:\lessandro Bla.sclti, 1949) tagliata per ordine della ceDSun. dell'epoc.a.

Il disagio della stampa cattolica non è dovuto soltanto ai contenuti della pellicola, ma anche e soprattutto a una singolare campagna a favore di Fabiola che pro\:iene inaspettatamente da ambienti vicini al Partito comunista italiano. Per esempio, in un articolo sulla situazione della produzione cinematografica nazionale apparso sulla cattolica «Rivista del Cinematografo,., Gianni Piccione denuncia\'a come un'indebita strumentalizzazione da parte della sinistra non solo la partecipazione della Cgil alla celebre manifestazione a difesa del cinema italiano del 20 febbraio 1949, che aveva radunato a Piazza del Popolo i più importanti esponenti del nostro cinema23, ma anche il fatto che il 23 aprile dello stesso anno Blasetti fosse stato chiamato a parlare di «Fabiola e la crisi del cinema italiano> nientemeno che alla sezione Mazzini di Roma del Pci24. Nell'arco di poche settimane era infatti avvenuta un'autentica rivoluzione relativamente alla ricezione del film da parte della critica di sinistra: dapprima rifiutato per la sua magniloquenùl:zs, per la vicinam.a agli ambienti cattolici26 e per la genericità del messaggio pacifista - contro la quale Guido Aristarco aveva usato gli stessi argomenti già utilizzati da Pudovkin a proposito di Intolerance di D. Griffith•::- Fabiola viene progressh'éllllente «riabilitato» da quella componente del partito che vi intravede un'utile diagnosi dei mali dell'Italia contemporanea. L'apertura arriva nientemeno che da Palmiro Togliatti il quale, sotto il consueto pseudonimo Roderigo di Castiglia, firma su «Rinascita» un'appassionata difesa del film, intitolata nientemeno che «Fabiola, ovvero tutte le strade portano al Comunismo», nella quale il segretario del Pci sottolinea come fosse «bastata la sola coscienza delle lotte di oggi - e, badate, non una determinata posizione politica - (...] per fare un film tutto sommato democratico e che conservasse quel minimo di socialismo in senso lato che pure anima le prime agitazioni cristiane> 28• Una tesi ripresa anche da Antonello Trombadori, il quale risponde alla recensione negati,'ll formulata da Maurizio Ferrara su «l'Unità-. di Roma con una lunga citazione dalle «Lotte di classe in Francia> di Engels, nella quale il filosofo delineava un parallelismo tra lo spirito rivoluzionario dei paleocristiani e quello del socialismo>9. In.fine, il resoconto del già citato dibattito organizz;ito alla sezione Mazzini di Roma del Pci sottolinea come «la discussione si accese con maggior vigore [...] nell'esame delle analogie esistenti tra il disfacimento dell'Impero romano e l'epoca contemporanea, nell'analisi delle forze nuove che allora come oggi determinano il progredire della storia e il fiorire della civiltà,.S0 • Insomma, il superspettacolo prodotto da una casa cattolica viene riabilitato per via del fatto che «Blasetti [...) ha posto nel suo film [dei] problemi di interpretazione scientifica quindi essenzialmente realistica - della storia»3', e quindi Fabiola, anziché un kolossal pieno di barbe posticce, può essere considerato come l'ultimo discendente di una linea realista inaugurata da 1.860 (Alessandro Blasetti, 1934), un film ancora rivestito di un'aura mitica per cineasti e critici della generazione neorealista. Da opera concepita collettivamente da diverse componenti politiche, Fabiola dh-iene in breve un campo di battaglia ideologico. Ma nella ricezione del film, al di là del dibattito sui contenuti che impegna il fronte cattolico e quello comunista, si possono incfuiduare altre due posizioni di rilie\'O, legate alla dimensione produttiva e spettacolare del film, e a possibili letture effettuate dal pubblico popolare. La prima vede coinvolto chi più ha a cuore l'industria del cinema italiano e si accorge dell'effetto indubitabilmente benefico di un'iniziativa produttiva di questo tipo, come «L'Araldo dello Spettacolo,., che segue costantemente la ricezione del film e i successi da esso riscossi sui mercati esteri, o Massimo Mida, che ancora prima dell'uscita della pellicola la identifica come «una carta molto importante che l'industria si appresta a giuocare• nella difesa del cinema italiano contro gli assalti della distnlmzione americanaS-2. o infine come :!ilmente eliminata ogni forma di ambiguità nella caratterizzazione delle figure secondarie. Fabio, che nel film ha una personalità complessa e non priva di ombre, qui ,iene trasformato in UD campione del cristianesimo, mentre la monodimensionalità del malvagio CoI\ino, della quale si era lamentato addirittura sal,•o D'Angelo in una lettera indirizzata a Blasettis8, ,iene ulteriormente accentuata. Nella logica manichea del melodramma che guida la novPllizz;izione, infatti, al giovane viene negata perfino la possibilità di una redenzione finale, peraltro appena suggerita nel film, dal momento che l'autore del cineromanzo lo fa divorare da una muta di cani per poi sentenziare: «così egli trovava temòile punizione alle sue colpe»39, L'elemento più interessante riguarda però il fatto che la rappresentazione della corruzione presente nelle prime sequenze del film, e trasmessa intatta ne1la novPllizzazioue commissionata dall'Universalia, non trovi posto nella versione pubblicata su «Cineromanzo»: in sua vece \i è una descrizione dai toni morbosi della decadenza dell'impero4°, la cui responsabilità cade soprattutto sulle spalle dell'imperatore :\-fassenzio il quale, «debole e inetto[...) governava succube alla volontà di gerarchi astuti e pmi di scrupoli nelle cui mani era un fantoccio»-11 • La soluzione all'insosteniòile situazione di disordine creatasi non può allora che risiedere nell'instaurazione di un potere stabile, rappresentato ancora una volta da un uomo forte: come afferma la moglie di Quadrato, «tutti aneliamo la restaurazione di un ordine nuovo che solo Costantino ci darà,.42_ Nell'interpretazione proposta dalla rivista, allora, il film non lancia un messaggio pacifista universale, né allude alle recenti persecuzioni subite dagli antifascisti o dagli iscritti al Partito comunista. Piuttosto, il suggestivo ossimoro rappresentato dalla «restaurazione di un ordine nuovo> sembra raccontare l'avvento di un nuovo sistema di potere, stabile ma autoritario, che al tempo stesso presenta elementi di continuità con quello prebellico: qualcosa di simile al decennio centrista inaugurato dalle elezioni del 1948.

,v.

24. ll numero dedicato a Fabiola dalla mista «Cineromanzo» nel settembre del 1950.

Perciò, se Cabiria a\'eva dato voce alle aspirazioni coloniali dell'Italia giolittiana e se Scipione l'Africano doveva celebrare il nuovo impero fascista, con il progetto polisemico di Fabiola, ideato nel clima del Comitato di liberazione nazionale, il peplum di-...iene un terreno di scontro tra le ragioni dell'industria e quelle della critica, tra quelle del Vaticano, che ha appoggiato il progetto, della critica di sinistra, che sembra essersi voluta appropriare del film finito, e in.fine del pubblico, che a quanto pare aveva già preso posizione nell'aprile del 1948. 'Dom, Blasetti. et «pregtudizt.., in «Cinema», n.s., n, 30 agosto 1949, 21, p. u7.

'Ibid. :, Cfr. per esempio I.. l.miganesi, V'n mililmio, in cl.a gazzelt! del popolo•, 1.2 marzo 1949. • .... Baracco, Fabiola: toghe, marliTì e aunbialt, in «La fiera del c!Dema», m, marzo 1erando i prigionieri del rastrellamento in cui è stato catturato il tipografo Francesco, il Palano della ci,>i!tà italiana che si staglia alle spalle dell'azione rappresenta un ingombrante e inutile passato, che sta ormai per essere sconfitto, e fa da contraltare al futuro rappresentato invece daJla cattedrale di San Pietro, che campeggia nell'ultima inquadratura, innestando una netta contrapposizione tra la cristianità (raffigurata da uno dei simboli della Roma barocca) e il fascismo". In questo modo, nel cinema italiano del dopoguerra •l'Eur sembra essere entrato nell1mmaginario culturale come un'immagine il cui scopo principale era quello di definire e confinare il fascismo in un altrove storico, nel passato•"· Tuttavia, all'inizio degli anni cinquanta, l'Eur si appresta al tempo stesso a cambiare significato, a di,-enire, da simbolo del passato regime, uno dei significanti della nuova tappa del processo di moderninaziooe che investirà la nazione negli anni del miracolo economico. Non a caso, quando nel 1951 l'Italia presenta la sua candidatura ai giochi olimpici del 1960, il moderno quartiere in via di completamento ,iene designato come uno dei luoghi principali per ospitare la competizione. Perciò, nel momento in cui veniva girato O.JC Nerone, l'Eur si trovava a un croce,>ia, a uno dei numerosi passaggi che hanno segnato la sua storia, e da simbolo del passato fascista si accinge,-a a diventare uno dei luoghi emblematici della crescita economica del paese. È interessante notare come l'uso che di questo scenario ,iene fatto nel film rispecchi tale momento di passaggio della sua identità. Fin dalle prime scene del sogno dei due protagonisti, infatti, il Palazzo della civiltà italiana diviene la location in cui mettere in scena una romanità identificabile con la lettura che del fascismo veniva data nel periodo immediatamente postbellico: una tirannia governata da una classe dirigente viziosa, irrazionale e soprattutto impegnata in una feroce e indiscriminata repressione del dissenso - qui rappresentato dai cristiani che vengono mandati a morte a centinala - secondo quell'equivalenza tra cristianesimo e antifascismo che era all'opera già in Roma città aperta e Fabiola. È uno spazio in cui i due protagonisti, analfabeti, vengono perseguitati in quanto la loro firma, una •X•, ,iene scambiata per una professione di fede dal prefetto. Ed è anche il luogo in cui Chiari e campanini, travestiti da schia,-e m11nide, mettono in scena una ridicola performance in cblackface» per sfuggire alla morte cui vanno incontro gli schiavi che non vengono acquistati. Insomma, l'Eur-Roma antica, dove i protagonisti ,ivooo le loro disav,,eoture, è un luogo monumentale ma sostanzialmente immobile e pericoloso, progressivamente ravvivato dalle trovate del duo comico. E proprio attraverso le invenzioni di Chiari e campanini, che interpretano due militari americani, si consuma lo scontro tra la tradizione italiana rappresentata dalla Roma imperiale (o meglio dalla rilettura che di quest'ultima era stata data nel recente passato), e la nuova cultura importata dall'esercito alleato. Conquistata la fiducia del capriccioso Nerone, i due introducono nella sua corte elementi eterogenei provenienti dall'industria culturale statunitense. cosi, a metà film, il Palazzo della civiltà italiana riappare completamente trasformato dalla costruzione di un «Luna Parcus• collocato sulla spianata antistante l'edificio, con tanto di giostre, distnl>utori di caramelle e bancarelle del tiro a segno, tra le quali si aggirano i deliziati membri della corte spendendo volentieri i loro sesterzi. Prima ancora di diventare un luogo simbolo della modernizzazione nel cinema di Federico Fellini (La dolce vita, 196o; Le tentazioni del dottor Antonio, episodio di Boccaccio 70, 1962) e di .Michelangelo .'lntonioni (L'eclisse, 1962), l'Eur diviene così un luogo di passaggio in grado di connettere una precedente interpretazione della modernità (una rinnovata Roma imperiale che già si proietta nel futuro delrltalia fascista) con un'altra ancora di là da venire, ma della quale si stanno lentamente ponendo le basi nel processo di ricostruzione, e che è caratterizzata dall'introiezione dell'industria culturale di importazione statunitense nella cultura italiana del consumo. n111m tratteggia così l'immagine di un'Italia ancora schiacciata tra due modelli e tra le rispettive influenze: tra un antico passato che non riesce ancora a scrollarsi di dosso una dimensione apertamente autoritaria, incarnata da un Gino Cer,i che conferisce al Nerone da lui interpretato degli atteggiamenti ,-agamente mussnlioiani,., un modello americano che si propone di trasformare quello stesso passato in un bene di consumo - come d'altra parte hanno appena fatto le major holl}woodiane che sono venute in Italia per girare Quo Vadis - e che sotto sotto, nel sistema di valori del film, non appare meno inquietante. D'altra parte, il comandante cui vengono consegnati i due everymen italoamericani, una volta ris\-egliatisi dal loro sogDo, è nuovamente interpretato da Gino Ceni. ' Per le dinamiche intertestuali relative alla parodia nel cinema italiano si rimanda a R. llenarini:, Laparodia nel cinema italiano: interte:stualità,parodia e comù:o nel cinema italiano, H~i>ris, Bologna 2002.

"Un film che entra in modo interessante all'intemo delle dinamiche seriali del peplum amù s,ssanta, dal momento che all'apparire di Maciste (qui interpretato da KirkMorris} gli

altri pe,,onaggl lo -tano riassumendo le imp...eda lui compiute in prodUlioni della Panda cinematografica come .'l!acisk nrebbe oscurato le ulteriori scene in anziché tagliarle, si sarebbe poi molta con una proc,dura di ricorso, nella quale Oproduttore del 61m a,,ttbbe avanzato la tesi di un equi':oco nato dal fatto che un magazziniere a,~ia. im-iato aDa commissione di censura un moot,oipo alternativo, diverso da quello distn'buito oelle sale. L'elemento più interessante è però costituito dal fatto che il produttore avrebbe chiesto e ottenuto di reinserire tutte le scene inaiminate per Pedizione destinata. a11•esportazione in Francia, do\'e il film, poi esportato a.u, )."\11, 1995, 2•3,pp. 271--95. ".~che l'innocuo balletto messo in soeoa nel giDeceo subito prima dell'arrn"O di Poppea ha una dimensione intemazionale: stando ai titoli di testa del film, infatti, si tratta. del «balletto esistenzialista di Parigi del Blg•Ben-Star's». '' I piani di prodUlione sono consultabili pttSSO t'.-\rchl\io celllrale dello Stato, e&••-\cs·Cf 1192.. ''' Nel corso della ?PaUz?Azione, però i costilìe\.iteranno fino il 190 milioni Cfr. ibid. 11 Per esempio, l'autore della recensione del film apparsa su •l'Unità.- il 22 dicembre t9St tra.scura i contenuti più o meno espliciti del film per raccontu:ne le \icende censorie, intavoJando cosi un discorso sui peric:oli della censura di Stato. "Rhodes, 711< Eclfpst o/P!aoe cit, p. 34. ,:, Questa contrapposizione è giàstataossen--ata, tra gli altri, da D. Forgacs,Rome, Open City, Bfi, London 2.000, e Bruni, Roberto RO$$.t]lini. Roma città aperta cit. "' Rhodes, 711, Edfpst o/P!aoe cit, p. 38.

v. Un Ulisse in sedicesimo. Le fatiche di. Ercole (Pietro Francisci, 1958)

Anche se dopo Fabiola si registra una ripresa della produzione di peplum che si estende a tutto il decennio successivo, la pellicola che apre l'età d'oro del genere e ne fissa le coordinate per gli anni a veni.re è indubbiamente Le fatiche di Ercole. Questo film infatti muta radicalmente l'iconografia del peplum, le sue strutture narrative, la dimensione divistica, la sua estetica, creando un prototipo che introduce un nuovo poSSl"bile rapporto tra le i.stanze della narrazione proprie del cinema hollyi\"OOdiano e la tendenza a privilegiare le attrazioni spettacolari che, ancora negli anni cinquanta, caratterizza il cinema di genere italiano. Soprattutto, Le fatiche di Ercole muta radicalmente i modi di produzione del peplum, rendendolo un prodotto spettacolare e al tempo stesso gestloile anche da case di produzione di grandezza media e piccola, anziché una formula necessariamente impegnativa e ad altissimo costo come nel caso di Fabiola. Gli elementi da prendere in considerazione sono perciò essenzialmente due: il rapporto che Le fatiche di Ercole intrattiene con i modi di produzione e le strutture di genere del cinema popolare dell'epoca, e le innovazioni introdotte nei meccanismi attrazionali del peplum, e più in generale nella macchina divistica del cinema italiano, dalla presenza di un interprete culturista. Per quanto riguarda il primo aspetto, nel giudizio formulato sul soggetto del film dalla Revisione cinematografica preventiva (conservato presso l'Archivio centrale dello Stato) 1 si possono leggere alcuni commenti interessanti. Prima di tutto, il revisore afferma che Le fatiche di Erwle costituisce «un'opera di divulgazione popolare delle mitiche avventure di Ercole e degli Argonauti»: in altre parole, non intende essere un prodotto di puro intrattenimento, ma trae una sorta di nobilitazione sul piano culturale dal fatto di essere, come recitano i titoli di testa, «un hòero adattamento di Pietro Francisci dalle Argonautiche di Apollonio Rodio (Ili secolo a.C.)». In realtà, la questione del rapporto con un originale letterario, o comunque di una forma di legittimazione esterna, che accomuna lo storico-mitologico degli anni dieci ad alcuni esemplari del peplum degli anni cinquanta (per esempio Fabiola, tratto dal romanzo di '\V'iseman, o Spartaco, da Giovannelli), cesserà di essere un elemento di rilie\'O proprio a partire da Le fatiche di Ercole. I film successivi, infatti, forti del successo del capostipite, saranno sempre più indirizzati verso la pura avventura o verso libere associazioni di immaginari diversi, come testimoniato per esempio dalle impoSS1òili peregrinazioni del personaggio di Maciste. Di seguito, l'anonimo revisore sottolinea come, nonostante alcune divagazioni narrative, il racconto del film sia «ben congegnato, denso di moth•i spettacolari e, anche per la sua tinta di "giallo", [offra] motivi di interesse per la grossa platea cinematografica». Come alcuni suoi illustri predecessori, per esempio Fabiola, anche questo capostipite della nuova fase del peplum è caratterizlato dalla presenza di elementi appartenenti a generi differenti. Infine, sempre secondo il giudizio del revisore, «il film per le sue caratteristiche spettacolari si riallaccia alla pellicola "Ulisse", seppur su di un piano molto più modesto di produzione». Le fati.che di Ercole nasce infatti sostanzialmente come una versione in sedicesimo (per quanto riguarda l'impegno finanziario, ma non solo) del film di Camerini, ovvero come una sua trasformazione, per usare la terminologia introdotta da Spinazzola, da «superspettacolo» a prodotto popolare a basso budget2. I traits d'uniDn tra le due pellicole sono vari e includono la partecipazione della Lux (che già aveva distnòuito Ulisse e preacquista Le fatiche di Ercole, finanziando la piccola Oscar film con un cospicuo minimo garantito), il coinvolgimento del regi.sta Pietro Francisci (che nel 1954 aveva diretto per la Lux e per le produzioni Ponti-De Laurentiis.4ttila, un altro peplum dagli e1e\:ati valori di produzione) e infine la figura di Ennio De Concini, il quale aveva scritto sia la pellicola di Francisci che quella di Camerini e a partire da Le fatiche di Ercole sarebbe diventato il nume tutelare del genere nella sua fase aurea. L'idea di fPalizzare un peplum a basso costo, tuttavia, sembra sia stata di Francisci3 che l'anno prima, con Orlando e i paladini di Francia, aveva realizzato un film a bassissimo budget ma dagli ottimi incassi, e inoltre può essere contestualizzata nella generale corsa al ribasso che contraddistingue il cinema italiano dopo la cri.si del 1956. In quell'anno e nel successivo, per la prima volta dal dopoguerra, l'affluenza degli spettatori nelle sale italiane inizia a calare sensibilmente e una delle contromisure adottate dall'industria cinematografica italiana è quella di ristrutturare i modi di produzione, aumentando il coefficiente spettacolare ma risparmiando, parallelamente, sui costi legati all'ingaggio degli attori protagonisti, cresciuti costantemente nel corso degli anni cinquanta. I due interpreti principali de Le fatiche di Ercole, Sylva Koscina e Steve Reeves, ricevono così un compenso relativamente modesto\ dal momento che la produzione preferisce investire sulla resa tecnico-spettacolare del film. Le fatiche di Erccle viene infatti girato a colori e in formato panoramico Dya)iscope e pertanto riveste un'importanza fondamentale la presenza di Mario Bava in qualità di responsabile sia della fotografia, che degli effetti specialiS. Inoltre, ed è bene sottolinearlo, la differenza di scala tra mtsse e Le fati.che di Ercole si riproduce anche sul terreno del rapporto con il mercato internazionale. n primo film, infatti, nasceva da un accordo distnoutivo tra la Lux e una major hollywoodiana di primo piano come la Paramount, mentre quello di Francisci deve il suo ruolo di apripista nei confronti del nuovo cinema di genere degli anni sessanta al rapporto continuativo che la Galatea riesce a instaurare con un distributore indipendente della East Coast come Joe Levine. nlegame principale tra le due pellicole è però da ricercarsi principalmente nella struttura della sceneggiatura congegnata da Ennio De Concini. Le fatiche di Ercole inizi.a con l'arrivo del semidio (Steve Reeves) a Iolco, una città segnata da un temòile misfatto: alcuni anni prima il sovrano Esone era infatti stato assassinato e suo figlio Giasone, il legittimo erede al trono, il suo mentore Cbirone e il vello d'oro, simbolo dell'autorità del re, erano spariti. In realtà il responsabile è Pelia, padre della bella Iole (Sylva Koscina), il quale regna in sostituzione di Giasone e ha convocato Ercole affinché insegni al proprio figlio Ifito l'arte del combattimento. Durante la sua permanenza a Iolco l'eroe ha modo di mettere in mostra la sua incredibile forza, partecipando a gare sportive e affrontando e uccidendo il leone di Nemea, e inoltre si innamora di Iole, per la quale rinuncia alla propria immortalità attraverso un'invocazione agli dei. Ma quando viene mandato da Pelia a uccidere il toro cretese, Ercole incontra Chirone e Giasone, dai quali scopre la verità sull'assassinio del re. Per riconquistare il trono, però, Giasone deve recuperare il vello d'oro, prova della sua identità, che lui e Chirone avevano lasciato nella Colchide durante la propria fuga. Il giovane ed Ercole si imbarcano così con un gruppo di compagni che include, tra gli altri, un giovanissimo ma astuto Ulisse, suo padre Laerte, i fratelli castore e Polluce, il medico Esculapio e Orfeo. Durante il viaggio affronteranno diverse avventure (la pausa forzata nell'isola delle .-unazzoni, il combattimento con gli uomini-scimmia, la lotta con un drago per la conqnista del vello d'oro), ma al loro ritorno a Iolco verranno catturati da Pelia, che non si vuole rassegnare a perdere il trono. Grazie all'aiuto di Iole e di una delle sue ancelle, Ercole riuscirà però a liberarsi e a sconfiggere le armate dell'impostore in un combattimento spettacolare. Con Ulisse, De Concini aveva realizzato un boero adattamento da episodi tratti dal poema omerico, collegando i momenti più spettacolari dell'opera letteraria (la lotta con Polifemo, l'incontro con Circe, le Sirene ecc.) attraverso due meccanismi narrativi standard del cinema classico: il montaggio alternato tra le peregrinazioni di Ulisse e le vicende parallele di Penelope e Telemaco, e il lungo flashback attraverso cui l'eroe, che aveva precedentemente perso la memoria, rie,;oca\'a gli ultimi anni della propria esistenza. Le fatiche di Eroole segue uno schema simile, ma in modo assai più libero. Nonostante la didascalia iniziale rimandi al poema alessandrino di Apollonio Rodio, le \.icende rappresentate nel film provengono dalle fonti più di.sparate e l'edificio del mito è trattato come un insieme di unità autonome giustapponibili le une alle altre secondo la fantasia dello sceneggiatore. Tratti di volta in volta dal mito delle dodici fatiche o da quello degli argonauti, gli scontri con il leone di Nemea e con il toro di Creta, la tempesta che colpisce l'imbarcazione, l'incontro con le amazzoni o la lotta finale con le guardie di Pelia, offrono l'occasione per altrettante sequenze spettacolari che, seppur collegate narrativamente l'une alle altre, hanno il valore autonomo di pure attrazioni visive e sono suscettibili di essere prelevate e replicate già nel successivo Ercole e la regina di Lidia (do\'e l'incontro con la regina Onfale costituisce una ripresa dell'episodio delle Amazzoni) o in altri film del filone, come I giganti della Tessaglia (anch'esso ispirato alle argonautiche). Queste sequenze spesso derivano dal modello di Ulisse (l'episodio di Antea rimanda, perfino nell'iconografia sottomarina che domina il décor del boudoir della regina delle _>\mazzoni, a quello di Circe nel film di Camerini), tuttavia ne Le fatiche di Ercole esse portano già inscritta al loro interno una dimensione seriale, in quanto non derivano da un'unica e canonica fonte letteraria, come il poema omerico, ma hanno un'origine eterogenea, e non hanno tra loro legami di causa-effetto particolarmente solidi. Così, grazi.e alla dimensione modulare della struttura narrativa de Le fati.che di Ercole e alla sua scarsa fedeltà al testo di partenza, le singole micro-a";,enture in cui si imbatte il protagonista possono essere riprese di film in film e attribuite ai personaggi più di.sparati, all'interno di pellicole che possono avere un'esplicita relazione con gli episodi precedenti (come nel caso dei due film di Francisci con Steve Ree,•es) o al contrario essere collegate le une alle altre solo superficialmente, per via della presenza di personaggi che portano lo stesso nome. Le singoli imprese e situazioni, infine, dimostrano di essere addirittura antologizzabili, come avviene in una già citata sequenza di Maciste all~nfemo costruita come un «best ofa dei film precedenti. Questa dimensione modulare del racconto investe anche la composizione del gruppo degli argonauti, che anziché riprodurre fedelmente l'equipaggio del poema, si preoccupa di inserire personaggi che per il pubblico abbiano una loro riconoscibilità, secondo logiche di assemblaggio che non sono dissimili, per esempio, da quelle in ,..;gore nel fumetto supereroistico statunitense6. L'elemento più interessante consiste nell'introduzione di Ulisse, o meglio di una sua versione adolescente che presenta soltanto in potenza le caratteristiche dell'eroe omerico: quasi come se, ragionando secondo una logica più affine alla serialità contemporanea che a quella dell'epoca, Le fatiche di Errole potesse costituire una sorta di prequel del film di camerini. Perciò, la dimensione del «Ubero adattamento», individuata dal re\-isore della Direzione generale cinema, va identificata più propriamente come uno scardinamento dell'edificio della mitologia classica e di una sua riappropriazione all'interno dell'industria culturale contemporanea: se le vicende di Ulisse possono intersecarsi con il mito delle fatiche di Ercole e con le avventure degli argonauti, alcuni anni dopo l'universo biblico e quello salgariano potranno incrociarsi in 5a1!S()ne contro il corsaro nero,. La composizione dell'equipaggio, infine, permette di identificare alcune relazioni interessanti con il panorama dei generi italiano degli anni cinquanta e con la sua dimensione attrazionale. Il ruolo di Orfeo è infatti ricoperto da Gino Mattera, cantante lirico che aveva esordito nel cinema interpretando alcuni film.opera prima di approdare al genere storico-mitologico. [...] Franci.sci sfrutta la voce tenorile dell'attore in un paio di episodi in cui, per rincuorare l'equipaggio e per dare il tempo ai rematori, l'eroe canta una canzone accompagnandosi con la sua lira. In una sequenza che riecheggia chiaramente l'episodio deile Sirene, mentre la nave •.\J'go si allontana da I.emno, Ercole gli ordina di cantare per distrarre i compagni dal seducente richiamo delle Amazzoni, che vorrebbero trattenerli sull'isolas.

npersonaggio di Orfeo serve così anche per introdurre una dimensione canora all'interno del film, secondo dinamiche che rimandano all'inserimento di brani musicali, spesso non eseguiti per intero, all'interno di pellicole della fase postneorealista che non appartengono necessariamente al cinema musicale. È il caso per esempio dei melodrammi di Matarazzo, che vedono la partecipazione di Roberto :Murolo a Ca.tene (1949) e Tonnento (1950) oppure di Giorgio Consolini a I figli di nessuno (1951), film nei quali i due cantanti interpretano brani che creano delle bre,i pause nel tessuto della narrazione. C'è però almeno un altro dato che ricollega Le fatiche di Erccle al cinema di genere degli anni cinquanta, ed è il lungo flashback iniziale nel quale Iole racconta al protagonista della notte in cui fu ucciso il re Esone. Una scelta sorprendente, dal momento che l'anaJessi è un elemento profondamente estraneo al peplum successivo a Le fatiche di Ercole - un genere ambientato nel passato ma tutto raccontato al presente - e soprattutto introduce brevemente l'elemento, altrettanto raro, della focalizzazione del racconto su di un personaggio femminile. Questa sequenza è contraddistinta da marche linguistiche e situazioni che rimandano alla sfera del noir. Dal punto di ,rista della costruzione narrativa, il flashback è accompagnato da una voice-over che si interseca ai dialoghi dei personaggi e ha una dimensione profondamente soggettiva anche nella sfera sonora, dal momento che la protagonista non ricorda, per un'e,..idente censura di matrice psicanalitica, quella parte di dialogo tra il sicario Euristeo e Pelia che permetterebbe di identificare suo padre come l'artefice degli eventi delittuosi che seguiranno. Allo stesso modo, dal punto di vista \.isivo, la successi,,a sequenza del risveglio notturno di Iole subito dopo l'omicidio ricorda, nel trattamento degli ambienti, le tetre case del noir degli anni quaranta. Insomma, subito dopo aver presentato i personaggi principali di quello che sarà il prototipo della rinascita del peplum italiano, il film introduce degli elementi che appartengono al cinema hollywoodiano e in particolare a pellicole dalle venature psicologiche e imperniate su protagoniste femminili, come n sospetto (SUSpicion, .illred Hitchcock, 1941) o Angoscia (Gaslight, George CUkor, 1944), che negli anni ottanta sono state raggruppate da Mary Ann Doane in un sottogenere da lei ribattezzato «paranoid woman's film»9. Queste pellicole hanno fatto il loro ingresso in Italia con le massicce importazioni dagli Usa successive alla Lloerazione10, e alcuni loro tratti tematici e stilistici si sono poi riversati anche all'interno di prodotti nazionali degli anni cinquanta come La. JJO.UTa (Roberto Rossellini, 1954). In questo modo, però, oltre a introdurre elementi che provengono da generi differenti, Le fatiche di Ercole si ricollega alla dimensione del giallo già presente in Fabiola, e che anche lì era legata soprattutto a un personaggio femminile e al suo rapporto col padre. nfilm di Francisci, perciò, si presenta come on prototipo che, al fine di rilanciare il genere storico-mitologico, media tra istanze provenienti dagli angoli più remoti del cinema popolare del decennio, proponendo al contempo alcune innovazioni che condizioneranno buona parte del sistema dei generi nel decennio successivo.

27. La notte dell'assassinio di Esone ne Le.fatiche di Ercole rimanda all'iconografia dei

woman'sfilms degli aDllÌ quaranta.

Un ulteriore aspetto che deve essere preso in considerazione nell'analisi del film riguarda la principale di queste innovazioni - anche se al tempo stesso si tratta di un recupero di istanze che appartengono alla storia del cinema italiano degli anni del muto, e in particolare al filone dei forzuti - owero la decisione di concentrare la dimensione attrazionale sulle performance del protagonista e sul suo aspetto fisico fuori dal comune. Ognuna delle imprese di Ercole, infatti, è costruita per mettere in risalto la sua forza straordinaria, che viene costantemente associata al corpo spettacolare del suo interprete, il culturista Steve Reeves. Da questo punto di vista, Le fatiche di Ercole è ancora una volta un prodotto ibrido: ha una struttura narrativa relativamente complessa e articolata - secondo gli standard del cinema classico - come dimostra anche l'Uso dell'analessi nella porzione iniziale, ma al tempo stesso dà origine a un filone in cui, secondo Leon Hunt, ogni tassello della narrazione costituisce un semplice pretesto per «mostrare pettorali ben oliati in classiche pose da bodybuilding che hanno poco o nulla a che fare con la sceneggiatura:.u. A differenza del protagonista di Ulisse Kirk Douglas, dal fisico atletico ma lontano dall>iperfetazione muscolare del corpo del bodybuilder, Steve Reeves non interpreta un personaggio che attiva dinamiche attrazionali, ma è lui stesso un'attrazione. Infatti l'enfasi sul personaggio maschile, sul suo fisico fuori dal comune che giustifica non solo spettacolari sequenze basate sulla sua forza, ma anche inquadrature concepite per mettere in mostra i suoi muscoli al lavoro, rientra in un più vasto processo di passaggio dal divismo femminile su cui erano fondati i generi popolari degli anni cinquanta (per esempio il melodramma e la commedia di matrice neorealista) a un nuovo panorama fondato soprattutto su una forma di divismo maschile, che esploderà nel decennio successivo prevalentemente nell'ambito della commedia all'italiana. Nel caso specifico del peplum, tuttavia, la dinamica divistica è limitata dall'estrema replicabilità del genere, e dalla conseguente sostitmoilità degli interpreti. L'unico attore ad aver dato vita a un fenomeno divistico di lunga durata12, anche se intermittente, è proprio Steve Reeves. Noto prevalentemente nell'ambito della sottocultura del bodybuilding italiano, allora in via di espansione, l'attore era già apparso sulla stampa cinematografica italiana per via dei suoi modesti esordi nel cinema hollywoodiano1J, ma dopo la sua partecipazione a Le fatiche di Ercole la sua figura avrà una discreta risonanza all'interno di quella costellazione di testi mediali che è necessaria per costruire un'immagine divistica. Reeves, per esempio, nel 1959 partecipa a una puntata della trasmissione televisiva Rai Il musichiere, che all'epoca costituisce un notevole trampolino di lancio. Nello show l'attore si produce in un'esibizione canora seguita da una breve intervista, e nella modesta interazione che si verifica tra lui e il conduttore :Mario Riva (ognuno dei due parla solo la propria lingua) vengono prevedibilmente messi in rilievo la prestanza dell'attore e la sua identificazione con il ruolo di Ercole, che Reeves però respinge. Questi infatti ha deciso di abbandonare il personaggio per non rischiare di legarsi a un unico ruolo, una decisione che arriva in contemporanea alla scelta della Lux di non proseguire le awenture di Ercole con un terzo episodio, dal momento che gli incassi di Ercole e la regina di Lidia (che pure a fine sfruttamento saranno elevatissimi) crescono più lentamente del previsto. In realtà, seppur interpretando personaggi diversi, Reeves rimarrà comunque confinato nell'ambito del peplum, o al limite nel (relativamente) più vasto ambito del film d'avventu.re. Tuttavia la sua scelta di abbandonare il semidio greco - e la contemporanea decisione di altre più piccole compagnie di proseguirne le avventure, ora che la Lux ha sgombrato il campo - avrà l'effetto di bloccare di fatto lo sviluppo di un vero e proprio fenomeno divistico legato agli interpreti del genere. Reeves si rivela in fondo sostituibile da altri culturisti, anche loro provenienti dalle riviste di bodybuilding. Questi ultimi, però, per via di tale processo inflattivo, non sembrano avere una vera e propria esistenza al di fuori dello schermo - requisito indispensabile del divismo - tanto più che l'identità nazionale di alcuni di loro (Adriano Bellini e Sergio Ciani) viene da subito celata dietro pseudonimi di origine anglosassone.

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28. Steve R.eeves con Mario Riva alla trasmissione Rai Il musichiere nel 1959.

Come Gabiria, perciò, anche Le fatiche di Ercole crea un potenziale prototipo, ma di segno assai differente. Il film di Pastrone rappresentava un'esemplare assolutamente irripeboile per dimensioni e risultati, al punto che le sue innovazioni sarebbero state fatte defluire in un mutato panorama dei generi, ovvero in ciò che restava dello storico-mitologico, nel nuovo film divistico e nel cinema dei forzuti. Generi diversi per ambizioni produttive e per pubblico di riferimento, dal momento che non sarebbe stato più possibile quello straordinario processo di integrazione tra spettatori di fasce sociali differenti che aveva caratterizzato il film storico fino alla prima metà degli anni dieci. In pratica, Gabiria segna per il corpus di film cui appartiene un limite invalicabile, e le innovazioni di cui è portatore avranno il loro effetto in altri settori del panorama produttivo. Al contrario, Le fatiche di Ercole non costituisce un capolinea per il peplum, ma un nuovo inizio. Da questo momento in poi il genere storico-mitologico cambia radicalmente segno. In primo luogo cessa di essere un prodotto di prestigio, sia sul piano dei valori di produzione che del pubblico di riferimento, puntando invece su costi rigidamente controllabili e sugli spettatori delle periferie e dei piccoli centri. Ne è la prova il fallimento di alcune operazioni ancora improntate al gigantismo spettacolare, come il disastroso Sodoma e Gomorra che porterà al tracollo la Titanus. In secondo luogo, Le fatiche di Ercole offre all'industria cinematografica italiana un modello infinitamente replicabile proprio a partire dalla dimensione modulare dell'intreccio, determinando così la nascita di uno dei primi filoni ad altissima intensità di sfruttamento del cinema popolare postbellico. Infine, a cambiare è anche il rapporto con l'antichità. Se il peplum del muto, quello degli anni del fascismo e quello del periodo immediatamente postbellico sono contrassegnati dalla volontà di legare i contenuti dei film a questioni relative all'identità nazionale, il mondo antico del peplum anni sessanta si configura al contrario come un puro prodotto di consumo, un altrove fantastico dove riversare le pulsioni e le aspirazioni del proprio pubblico di riferimento, ma anche dove negoziare i cambiamenti in atto nella società italiana. La dimensione identitaria del genere va allora ricercata altrove: nella sua qualità di prodotto made in Italy a basso costo destinato anche (e a volte soprattutto) all'esportazione, che trasforma così il cinema italiano di genere in un brand internazionale parallelo a quello d'autore14. Ac:s-Cf 2685. :.: Cfr. Spinazzola, Signifìct1.to e problemi del.film storico-mitologico cit. :\ Locatelli, Come ai tempi di Cabiria cit., p. 13. 4 Sylva Koscina viene pagata 6 500 ooo li.re, poco più della sua controparte maschile, l'americano Reeves, cui vengono corrisposti 10 ooo dollari corrispondenti, secondo il cambio dell'epoca, a circa 6 250 ooo lire (Acs-cf 2685). Per fare un confronto, per la sua partecipazione a Pm,'Ui ma 'belli (un film dell'anno precedente che in totale costa circa la metà de Lefatiche di Ercole) una giovane star come Marisa Allasio (in quel momento paragonabile alla Koscina quanto a star va.lue) viene pagata circa 4 ooo ooo di lire (di cui 1 300 ooo corrisposte direttamente all'attrice e il resto a Carlo Ponti, che la tiene sotto contratto, dr. Acs-cf 2514), mentre nel e.a.so di Pane, amore e gelosia (Luigi Comencini, 1954), che viene realizzato prima della aisi e costa all'incirca quanto il film di Francisci, le superstar Vittorio De Sica e Gina Lollobrigida erano state retribuite rispettivamente con 50 e 30 milioni di lire, cifre che, se sommate, corrispondono a più del 2596 dell'intero budget del film (Ac:s-Cf 1966). ~. Per il suo apporto, Bava è stato pagato la cifra ragguardevole di 3 500 ooo lire. Per un'analisi del legame tra il peplum e le tecnologie del cinema italiano degli anni cinquanta si veda anche M. Giusti, Nascita, 'trionfo e declino di un gent!N! italiano: il peplum, ne Il gronde libro di Ercole cit, pp. 21-46. 6 La cui pubblicazione itaJiana av-eva conosciuto una svolta pochi anni prima, a partire dal 1954, con il passaggio del catalogo dell'americana DC Comics alle edizioni Moudadori che li pubblica nella collana «Gli albi del falco>. ·: A questo proposito è interessante notare come, in ,irtù anche della popolarità creata intorno al personaggio dall'abile distributore Joe Levine, verso la fine dell'epoca d'oro del peplum italiano si riscontri nell'industria culturale statunitense una moltiplicazione di prodotti legati al figlio di Zeus che presentano un simile grado di disinvoltura sul piano iconografico. Per esempio tra il 1963 e il 1966 viene trasmessa in syndù:ation la serie a cartoni animati rhe .l!ighty Herc:ules, che mescola elementi propri del mondo classico ad altri di carattere mediet.'i!leggiante, mentre nel 1965 la Man:el Comic:s introduce il semidio greco tra i propri personaggi, prima come spalla di Thor, e poi come membro del supergruppo degli A,-engers. ~ A. Boschi, Nel. regno delle ombre. Rivisitazioni cinematografiche del mito di Orfe.o da. Cocteau al musical contemporaneo, in La.favola di Orfe.o. Letteratura, immagine, performance, a cura di A. M. Andrisano e P. Fabbri, Unifepress, Fenara 2009, p. 121. •1 Cfr. M. A. Doane, 11r.e w·oman~ Film. Possession and Address, in Home Is ·wnere the Heart Is: stu.dies in the Melodrama and the w·oman's Film, a cara di C. Gledhill, Bfi, London 1987, pp. 283-98. w Entrambi i film citati sono stati distribuiti nel 1946. Cfr. i nulla osta della censura presenti sul sito ,,·ww.italiataglia.it. 11 L. Hunt, n·7zat Are Big Boys Made Oj? Spo.rtacus, El Cid and the Male Epic, in You Tarzan: Mascultnity, Mouies, and Men, a cura di P. Kirkham e J. Thumim, St Martin's Press, New York 1993, p. 70. ,:.: Ancora nel 1988, nel clima di rivalutazione del cinema popolare italiano che si verifica negli anni ottanta e in coincidenza con l'esplosione del bodybuilding come fenomeno di massa, viene per esempio fondato in provincia di :\grigento un fan club dedicato all'attore. Cfr. M. Giordano, Giganti buoni: da Ercole a Piedone (e oltre) il mito dell.uomo forte nel cinona italiano, Gremese, Roma 1998, pp. 73-851: < Per esempio già nel 1953 la rubrica cCinema gira> della rivista cCinema> (\'1, 31 gennaio 1953, 102, p. 28) informa i suoi lettori del fatto che «Stet.'e Reeves... O\'Vero '-Mister .-\merica» per il 1947 sarà protagonista, accanto a Esther "rilliams, di un Technicolor ambientato nell'antica Grecia, parte del quale dovrebbe svolgersi nientemeno che nell'Olimpo. n film, di produzione ~1G~1, si chiamerà Athene». n film in questione,Athena e le 7 sorell.e (Athena, Richard Thorpe, 1954), si farà senza la partecipazione della '\\rilliams e non sarà più ambientato nell1antica Grecia, ma Reeves vi interpreterà ugualmente un piccolo ruolo. 14 Relativamente alla dimensione del cinema di genere italiano come brand internazionale, con particolare riferimento a generi quali l'horror e il giallo, si rimanda a J. Hawkins, Sleaze Mania, Euro-Trash and High Art. 11r.e Place ofEuropean Art Films in American Low a.dture, in Horror, the Film Reader, a cura di M. Jancovich, Routledge, London-New York 2002, pp. 125-34, e a S. Ba.schiera - F. Di Chiara, Once t,pon a nme in Italy: Transnational Features ofGenre Production .196os-.197os, in Making Movies in Europe: Produdion, Industry, Polic:y, a cura di O. Hedling e l·I. Larsson, in «Film International>, \111, 2010, 6, pp. 30-9. I

v1. Un antieroe del miracolo economico. Ercole alla conquista di Atlantide

(Vittorio Cottafa,i, 1961) Con il suo straordinario successo, Le fatiche di Ercole imposta le coordinate produttive, formali e narrative del genere. I suc=h1 esemplari del filone, nel bene o nel male, ne riadatteranno la formula concentrandosi di volta in volta su una riproposizione della figura dell'eroe-culturista - si vedano per esempio le pellicole che recuperano la figura di lllaciste - oppure su una mediazione tra le inno,'llZioni del film di Francisci e le caratteristiche che il genere aveva già assunto negli anni cinquanta, ovvero la raffigurazione di p;?rsonaggi storici (anziché mitologici), le imponenti ricostruzioni scenografiche, e una maggiore attenzione per i personaggi f•mroinili è il caso de L'assedio di Siracusa (1900), diretto da Francisci poco dopo a,-er abbandonato il personaggio di Ercole, o di Nel segno di Roma•. Vi sono poi dei prodotti che si segnalano per il modo singolare in cui rielaborano il vocabolario estreroamente standardizzato del genere, creando degli esemplari che sembrano al tempo stesso riassumerne le caratteristiche e metterne a nudo le interne contraddizioni. È quanto a,'Viene ne La vendetta di Ercole ed Ercole alla conquista di Atlantide, due film a budget medio-basso diretti a brevissima distanza l'uno dall'altro dallo stesso regista, Vittorio Cottafavi. n secondo, in particolare, è in breve divenuto uno dei peplum più discussi in assoluto, sia nell'ambito della critica italiana contemporanea alla sua uscita benché essa fosse notoriamente poco attenta alle vicissitudini del cinema popolare - che in quello dei recenti studi sul genere apparsi nel contesto internazionale'. Ercole alla conquista di Atlantide, infatti, condensa al proprio interno tutti gli elementi standard di questo tipo di produzione, ma li rh1sita attraverso un registro ironico che ne accentua le ambiguità. Inoltre, entrambi i film permettono di introdurre un aspetto complesso quale il rapporto tra istanze di genere e altre di matrice autoriale, una dimensione quest'ultima che, rispetto ad altri filoni come il western o l'horror, sembra avere una portata più limitata nell'ambito del peplllDl degli anni sessanta. Considerando infatti l'immane mole di prodotti realinali tra il 1958 e il 1965, la schiera di registi assorti all'attenzione della critica interna2i.onale negli anni di massima espusione del fenomeno - o anche negli anni del recupero del cinema italiano di genere, dagli anni ottanta in poi - conta un numero decisamente ristretto di nomi, molti dei quali, come Sergio Leone, Sergio Corbucci o Duccio Tessari, figurano pr8'-alenteroente in ,irtù dello sviluppo che le loro carriere avranno nell'ambito del western all~taliana mentre altri, come Riccardo Freda, banno avuto una carriera lunga e articolata difficilmente riducibile alla sola attività nell'ambito del genere storico-mitologic03. Tuttavia, li peplum ba in qualche modo inaugurato un rapporto continuati1•0 tra il cinema di geoere italiano e la critica cinefila, contribuendo alla definitl,-a consacrazione io ambito francese-I di un cineasta discontinuo ma di indubbio interesse come Vittorio Cottafavi. Questo regista, che già era noto oltralpe per melodrammi come Traviata '53 (1953) e film di cappa e spada coroe Il boia di Lilla (1952), alla fine degli anni cinquanta muol'e proprio nel peplum i suoi ultimi passi prima di abbandonare il grande schermo e intraprendere una camera prevalenteroente televisiva. Tale consacrazione si consuma nell'arco del cinque titoli realizzati dal regista nello spazio di tre anni e coincide appunto con il passaggio da peplum imperniati ancora prevalentemente su personaggi feinmlnOi, come Le legioni di Cleopatra e Messalina, L'ellere imperatrice, ai due film che banno per protagonista Ercoles, i quali ci permetteranno di esplorare la complicata relazione che all'interno di essi si instaura tra le strategie di distanziamento ironico caratteristiche del progetto cinematografico di Cottafavi, e la rielaborazione di alcuni dei più contraddittori elementi del peplllDl degli anoi sessanta, ovvero la dimensione politica e la rappresentazione della mascollnltà dell'eroe. La vendetta di Ercole ed Ercole alla conquista di Atlantide costituiscono una prosecuzione delle a,,...ature del semidio da parte della S,p_,._ cinematografica di Achille Piazzi (in coproduziooe con la francese Comptoir Français du Film Prod uction) in un momento in cui sia la Lux che Steve Reeves banno deciso di abbandonare il personaggio, il quale ,iene così interpretato nel primo film dal culturista americano Mark Forest (pseudonimo di Lou Degni) e nel secondo dal bodybuilder britannico Reg Park. L'aspetto più interessante delle due pellicole consiste però nel fatto che esse sviluppano ulteriormente la caratterizzazione del personaggio di Ercole così come era stata impostata da Franciscl e De Conclni: nei due film di Cottafal'i, infatti, egli appare più che mai come un «tormentato eroe che si nl>ella al destino di grandi imprese e di infelicità che gli dei e il fato gli banno riservato»6• Ne La t'elldetta di Ercole vediamo il protagonista tomare dal!'Ade (dove ha concluso le proprie fatiche affrontando Cerbero e recuperando una pietra preziosa) per trol'are la pace della propria famiglia insidiata dalle macchinazioni del perfido re Euristeo e soprattutto da una predizione della Sibilla secondo la quale Delanira, la rooglle di Ercole, perirà quando suo figlio Illo si unirà in matrimonio con Tea, la principessa di Ecalla. In Ercole alla conquista di Atlantide - lontanamente ispirato al romanzo L'atlantide di Pierre Benolt, 1919 - l'eroe gre;:o ,iene Invece costretto con l'inganno dall'amico re Androclo (Ettore Manni) e dal figlio mo a imbarcarsi in una pericolosa impresa contro il popolo di Atlantide, la cui regina .>Jltinea sta fabbricando un esercito di superuomini ntilizzando una pietra magica che deriva dal sangue di Urano. In entrambi i casi, comportandosi in roodo inedito per un eroe del peplum, Ercole rifiuta più ~-olte di lanciarsi in una nuo,-a avventura, dichiarando di preferire la pace domestica alla gloria. Lo stesso terna ,iene però trattato in maniera di,-ersa. La vendetta di Erro/e è basato infatti su un registro melodrammatico ed è costruito sulla vittimizzazione del protagonista che, sentendosi perseguito dal fato, sfida romanticamente gli dei per salvare la propria famiglia. Al contrario, Ercole alla conquista di Atlantide è giocato per lo più su un registro comico (probabilmente a causa della partecipazione di Duccio Tessari e Sandro Continenza alla sceneggiatura) e introduce così un approccio satirico al genere, anche per via delle numerose e contraddittorie allegorie politiche presenti nel film, che tuttora costituiscono, Insieme al singolare modello di mascolinità offerto da questa versione del personaggio di Ercole, il motivo principale dell'interesse manifestato nel confronti della pellicola da parte degli studi cineD1atografici contemporanei. Si tratta in realtà di dne aspetti profondamente legati l'uno all'altro, dal momento che la maggior parte degli interventi sul peplum apparsi negli ultimi ,'t!nt'anni, a cominciare dal seminale Popular Taste: The Peplum di Michèle Lagny, esamina il genere alla luce sia dei meccanismi di desiderio e identificazione attivati dalle performance dell'eroe culturista, che dell'ambigua relazione tra un eroe campione della democrazia e il suo effettivo ruolo di difensore dell'ordine patriarcale. La maggior parte dei pepi=, così carne del film di forzuti degli anni venti, è infatti costruita su un intreccio all'interno del quale un eroe generoso e insinciblle si pone al servizio di una comunità incapace di decidere da sola del proprio destino, ripristinando l'ordine costituito attra,-erso la cacciata di uo usurpatore e la restaurazione dell'erede al trono. Un modello iniziato con Le fatiche di Ercole, nel quale Ercole aiuta Giasone a recuperare il proprio trono senza poi chiedere alcuna ricoropensa. La particolarità del due film di Cottafa,1 consiste invece nel totale distacco che il protagonista manifesta nei confronti della politica. Ne I.ti. vendetta di Ercole l'eroe si dimostra totalmente disinteressato alle mire espansionistiche del re Euristeo, fino a quando quest'ultimo non rninaccia la sua pace familiare rapendone il figlio mo. nproblema principale del protagonista non è così il pubblico trionfo della giustizia, quanto la consen'3Zione della propria vita privata, e quando egli sente che quest'ultima è in pericolo non esita a trasferirsi altrove, sperando così di sfuggire alle persecuzioni inOitteg)i degli dei. Perciò, dal punto di ,ista delle rootivazionl del p;?rsonaggio principale, il fatto che Ercole alla fme debba sconfiggere Euristeo e riportare sul trono di Ecalia la principessa Tea assume un carattere puramente secondario. Ercole alla conquista di Atlantide alfronta la questione molto più direttamente, fondendo temi propri della letteratura e del cinema di fantascienza (la paura atomica e l'eugenetica) all'interno di una narrazione al tempo stesso godiòile ma farraginosa, nella quale tutti i luoghi comuni del genere sono comunque presenti, ma ricevono un trattamento che ne evidenzia le contraddizioni. Ercole, per eseropio, è un convinto assertore della democra2ia, anche se essa dimostra per tutto il film la propria inadeguatezza7 e lui stesso non sembra darsi particolarmente da fare per difenderla. Poco dopo l'inizio del film viene presentato un caricaturale consiglio di re ellenici, litigiosi ed egoisti, i quali rifiutano di far fronte comune per proteggere la Grecia da un imminente quanto misterioso pericolo profetizzato dall'indovino Tiresia. Incapace di trovare uu appoggio nei suoi omologhi, And.roclo si rassegna a partire da solo, mentre Ercole assiste stando in disparte e, al fine di proteggere il trono del re durante la sua assenza, si limita a spaccarlo a metà affinché nessuno possa impadronirsene. In seguito, quando il re gli cblede di partire con lui per condurre l'impresa, Ercole si rifiuta, dichiarando di preferire la pace domestica e affermando che, per una volta, la Grecia potrà essere salvata da qualcun altro, Quest'incipit riveste diverse funzioni allo stesso tempo. Innanzitutto si offre carne una satira della situazione politica italiana dei primi anni sessanta, contrassegnata da quel periodo di crisi che ,-a dalla fine del go,'t!rno monocolore democristiano (1958) all'inizio delle esperienze di centro-sinistra (1962-63)8••~ tempo stesso, inoltxe, la sequenza arricchisce la caratterizzazione del p;?rsonaggio protagonista, proseguendo sulla stessa linea già impostata da Cottafa,i ne La vendetta di Ercole e facendone «un anarchico che non sa di esserlo, un anarchico allo stato larvale»9. Ciò non toglie, tuttavia, che quando Ercole ,-errà drogato dal figlio lllo (che essendo giovane è affamato di avventure) e trasportato controvoglia sulla nave che conduce all'impresa, il suo comportamento diventerà gradualmente più affine a quello dei protagonisti del genere, ma con uno «stile» diffeoonte. Poco dopo, infatti, si troverà a sedare un ammutinamento dell'equipaggio, composto esclusivamente da galeotti e condannati a roorte, che ba intenzione di fuggire con la nave abbandonando i protagonisti su di un'isola. Vale la pena di notare che ne Le fatiche di Ercole, in una simile situazione, l'eroe interpretato da steve Reeadendo i propri principi democratici, lascia i prigionieri hl>eri di abbandonare l'impresa dal momento che, afferma, non si può imporre a nessuno di rischiare la propria vita. La figura di Ercole è d'altra parte costruita in modo da contrapporsi nettamente a quella della regina ,\Dtinea, che per la propria sete di dominio rapisce i figli dei suoi sudditi per trasformarli in superuomini o, qualora l'esperimento non avesse l'esito sperato, rinchiuderli in una sorta di campo di concentramento. Questa dimensione scopertamente allegorica del personaggio, che già la critica quotidianista dell'epoca percepiva come «uoa specie di "Hitler in gonnella"•'•, è uno degli aspetti più interessanti del film, che attra,'t!rso ammonimenti contro un'eugenetica di stampo nazista e il pericolo nucleare - la pietra di Urano rimanda 8\identemente all'uranio - acquisterebbe «on significato morale e una grande attualità»". Tuttavia, risulta difficile prendere il messaggio sul serio, per \ia della bizzarra interazione che questi contenuti intrattengono con le strutture del genere. In primo luogo, in En:ole alla conquista di Atlantide viene nuovaroente ribadita la «moralità implicita in tutti i film mitologici•": le masse popolari sono inermi se non sostenute dall'azione ,iolenta del superuomo protagonista, e quando i prigionieri liberati da Ercole provano a ri,-oltarsi contro la regina senza il suo aiuto, vengono barbaramente trucidati. In secondo luogo, il mantenimento della pace passa per il massacro dell'intero popolo di Atlantide, oppressi compresi. Ercole, infatti, avendo appreso che la distruzione della pietra di Urano comporterebbe la spari2ione dell'isola, dapprima si ripromette di salvarne gli abitanti senza devastare la loro terra, ma poi, non riuscendo\1, scatena un cataclisma nel quale periscono anche donne e bambini, un atteggiamento similmente contraddittorio coinvolge la rappresentazione ,isiva del protagonista. Se è vero che il comportamento pigro e distaccato di Ercole ribalta la caratterizzazione standard dell'eroe del peplnm, la regia di Cottafavi non rinuncia a nessuna delle usuali strategie di spettacolarizzazione del corpo dell'atleta, visibili per esempio nella già citata sequenza dell'ammutinamento, in cui l'eroe deve trascinare a ril'a la na21, o ancora nel protagonista de La vendetta di Ercole, che affronta mostri, elefanti e centauri per poi, nel finale, ricostruire la propria casa più grande ebella di prima e ritiranisi a vita privata. Con il loro Ercole, Cottafa\i e i suoi collaboratori formulano una nuova proposta all'interno di quel più ampio processo di ridefinizione dei ruoli maschili che caratterizza gli anni del boom economico: accanto ai giovani in cerca di un'identità del clllema resistenziale italiano"' e agli inetti della commedia all'italiana03, Ercole alla ronquista di Atlantide offre agli spettatori un «antieroe del miracolo economico: indolente, vanesio, ironicamente distaccato e apolitico, intento solo nell'autogratificazione»"', aprendo così la strada ai cinici eroi del western della seconda metà del decennio. 'Sì tratta tutta,ia di una suddivisione di comodo, in quanto i sottogeneri spesso si mescolano in base a considerazioni di carattere pur.unente produttivo. Per es,mplo un pos!er 11romoziooalo p......,te nel fascicolo ministeriale di N' (Le.péplum: l'antiquite au cinéma, 1998) e più di recente ba pubblicato la monografia Le. péplum: un mauvais gen.re (IOincksieck, Paris 2009), e soprattutto il seminale contributo di Michèle Lagny, Popular Taste. The Peplum, pubblicato all'interno della raccolta Popular Europe.an Cinema curata da Richard D}~r e Ginette \rmcendeau (Routledge, London-NewYork 1992). La maggior parte dei contributi provenienti dal Regno Unito e dagli Stati Uniti si concentra nello specifico su questioni relativ·e ai temi della mascolinità, dei rapporti interrazziali e della rielaborazione del passato fascista presenti nel genere: in quest'ambito si rimanda al capitolo The n·nite Man's .Uuscles all'interno del celebre studio White di R. Dyer (Routledge, London-NewYork 1997), al capitolo Heroic Bodies: The Odt ofMasculinity in the Peplum all'interno del volume di M. Gtinsberg, ltali.an Cinema. Gen.der and Gen.re (Palgrave MacmiDan, London-Nev.· York 2005), all'articolo di R. A. Rushing, Gentlemen. Prefer Hercule.s: Destre. lden.tification. Bttfcake (in «camera Obscura», x:m1, 2oo8, 3), e infine al recente volume di D. O'Brien, Classical Masc:ulinity and the Spectacular Body on Film. The Mighty Sons ofHercules (Routledge, London-Nev.·York 2014), che effettua un accurato esame della rappresentazione delle figure maschili all'interno del peplum italiano dagli anni sessanta in poi e di alruni recenti prodotti di carattere storico-mitologico del cinema e della tele-.isione statunitensi. Per concludere si segnala il volume Directory of World Cinema: ltaly, curato da Louis Bayman all'interno della collana sulle cinematografie nazionali pubblicata dall'editore Intelled (Bristol 2ou), che contiene sezioni dedicate al peplum e in particolare a Le.fatiche di Ercole ed Ercole alla conquista di Atlantide.

Elenco delle illustrazioni

1. L'Odissea (Francesco Bertolini e Adolfo Padovan, 1911) della Milano Films. 2.

Ursus (Bruto Castellani) in Quo Vadis? (Enrico Guazzoni, 1913) della Cines.

3. Bartolomeo Pagano nei panni di Maciste in cabina (Giovanni Pastrone, 1914) dell'Itala Film. 4. Vignetta satirica di Filiberto Scarpelli da «ll lunedì del Popolo d'Italia» del 23-29 luglio

1923.

5. v·ignetta satirica di Filiberto Scarpelli sulla cmi di Corfù da «Il lunedì del Popolo d'Italia» del 10-16 settembre 1923. 6. Kirk Douglas in lllisse (1954) di :Mario Camerini.

7. Cena di gala al ·waldorf.-\storia di New York per promuovere l'uscita americana de Le fatiche di Ercole (Pietro Francisci, 1958). 8. Eroole distrugge il palazzo di Pelia ne Le fatiche di Ercole. 9. Maciste rivive le proprie precedenti avventure in Maciste all.'inferno (Riccardo Freda, 1962). 10. Il manuale Muscoli e bellezza di John v·igna (1954).

Annuncio pubblicitario della palestra di John Vigna apparso sulla rivista «Vie Nuove». 12. Annuncio pubblicitario dell1Atlas Institute apparso sulla mista «Vie Nuove». 13. L'Ulisse dell'Odissea diretta da Fritz Lang ne n disprezzo (Le mépris, Jean-Luc Godard, 11.

1963).

14. La campagna pubblicitaria Si incazzerebbe anche. Spartacus per il quotidiano

«Llberazione» (1994). 15. «Piazza Cabiria» a Cinecittà World. 16. ll tempio del dio Moloch in cabina. 17. \rignetta satirica di Rata-Langa (Gabriele Galantara) apparsa su «Il Becco Giallo» del 2 agosto 1925. 18. Italia .-\lmirante Manzini nei panni della regina Sofonisba in cabina. 19. Maciste si libera di un inseguitore gettandolo in un braciere ardente in cabtrùL 20. La presentazione del personaggio di Sofonisba (Francesca Braggiotti) in Scipione l~fricano (Carmine Gallone, 1937). 21. Sofonisba viene cspogliata» del velo che la cela allo sguardo degli spettatori. 22. Cl.eopatra al cospetto di Cesare di Jean-1..éon Gérome (1866). 23. Una scena di Fabiola (.-\lessandro Blasetti, 1949) tagliata per ordine della censura dell'epoca. 24. Il numero dedicato a Fabiola dalla rivista «Cineromanzo» nel settembre del 1950. 25. n Colosseo in O.K. Nerone (Mario Soldati, 1951). 26. Il palazzo di Nerone in O.K. Nerone. 27. La notte dell'assassinio di Esone ne Lefatiche di Ercole rimanda all'iconografia dei ·woman's films degli anni quaranta. 28. Steve Reeves con Mario Riva alla trasmissione Raiil musichiere nel 1959. 29. Dettaglio dei muscoli di Reg Park in Ercole alla conquista di .4tlantide (Vittorio Cottafavi, 1961). 30. Timo combatte contro Cassio, trasformato in minotauro dal doping, nel finale di Gladiatori di Roma (Iginio Straffi, 2012).