Musica popolare e musica colta
 8816436182, 9788816436183

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UN'ENCICLOPEDIA

EDM DEL MEDITERRANEO

P. SCARNECCHIA

L’Enciclopedia del Medi terraneo esce per ora in quat­ tro edizioni: italiana, araba, francese e spagnola. Si tratta di una coproduzione concordata all’Accademia Tunisina delle Scienze, Lettere ed Arti di Tunisi, con il contributo di ospitalità dell’Ambasciata Italiana, con editori del Nord Africa e della Francia. L’intento comune è di verificare se il Mediterraneo— con le complessità, le varietà e le tensioni che lo con­ traddistinguono—costituisce un insieme che può esse­ re oggetto di un’analisi c di una ricerca. La struttura attuale del sapere tenderebbe piuttosto a negarlo, poi­ ché sono pochi gli insegnamenti riconducibili direttamente o indirettamente ad esso. Una considerazione spassionata delle potenzialità rende tuttavia ragionevo­ le questo tentativo. La verifica verrà svolta da una parte offrendo un’ampia prospettiva storica, per mostrare che gli antagonismi hanno lasciato ferite meno importanti degli incontri e dei contributi positivi. Dall’altra, poiché non è possibile limitarsi a una forma, anche se ricca e complessa, di identità storica, l’Enciclopedia affronta il presente, per prendere coscienza dei timori e delle difficoltà che oggi si frappongono alla ripresa dello scambio e del rimesco­ lamento di culture tipici del Mediterraneo. E l’avvio di un lavoro culturale che ha l’ambizione di inserire il Mediterraneo nel cuore del dibattito attuale, della riflessione e della ricerca di prospettive adeguate alle aspettative dei popoli mediterranei. Con possibili ricadute nell’ambito dell’insegnamento c della conce­ zione stessa delle discipline. Sono già programmati 60 titoli, suddivisi nella sezione «Storia»—dalla sedentarizzazione alla fine del primo millennio dopo Cristo—e in quella «Contesto attua­ le»—scienze umane, ecologia, economia e risorse.

UN'ENCICLOPEDIA DEL MEDITERRANEO

EDM 18

Sezione CONTESTO ATTUALE

I volumi dell’Enciclopedia del Mediterraneo vengono pubblicati dai seguenti editori e nei seguenti paesi Alif-Lcs Editions de la Méditerranée, Tunisia Dar el-Ferjani, Libia Edisud, Francia Editoriale Jaca Book, Italia Les Editions Toubkal, Marocco CIDOB, Spagna Sono in corso di definizione le edizioni inglese e algerina

Paolo Scarnecchia MUSICA POPOLARE E MUSICA COLTA

Jaca Book

© intemazionale 1996 Editoriale Jaca Book s.p.a., Milano ©2000 per l’edizione italiana Editoriale Jaca Book SpA, Milano tutti i diritti riservati prima edizione italiana settembre 2000

copertina e grafica ufficio grafico Jaca Book In copertina: Decoro della pagina di un manoscritto di Giovanni Battista Pergolesi, in AA. W., a cura di M. Pasi, Storia della musica (tr. Il), Enciclopedia Tematica Apena, Jaca Book, Milano 1995.

H realizzazione deil’Enciclopedia del Mediterraneo è sostenuta dalTAssociazione intemazionale SECUM. Sciences, Education et Culture en Méditerranée (sedi a Aix-cn-Provence, Tunisi» Casablanca, Milano).

EDM, come già EDO, è stata ideata per la libreria in occasione del progetto editoriale in corso di rea­ lizzazione della Enciclopedia Tematica Aperta, La LA.C. di Bologna cura il marketing e la pubblicità diretta della Enciclopedia Tematica Aperta.

ISBN 88-16-43618-2 Per informazioni sulle opere pubblicate e in programma ci si può rivolgere a Editoriale Jaca Book SpA, Servizio Lettori, via Gioberti 7, 20123 Milano Tel. 02/48561520-29, Fax 02/48193361 c-mail: [email protected] - internet: www.jacabook.it Stampa: G. Canale & C. S.p.A., Borgaro Torinese (TO)

Indice

Premessa pag.7

Un mare di suoni, voci e musiche

pag. 9 Antiche "contaminazioni ” mediterranee Eterofonia e polifonia

Musiche di fondazione pag. 25 Musicheper ogni occasione Musica e devozione

Una dimensione prevalentemente melodico-vocale pag- 47 Arte dell’improvvisazione

Il dominio di Cronos pag. 57 Aura chorea

Organologia e iconografia pag. 66 Organografia La canzone urbana del Novecento pag. 86 Flamenco Fado Canzone napoletana Rebetika Ughniyya Arabeske Rai

Bibliografia selezionata pag. 106

Centri di studio, documentazione e ricerca

pag. 118

Premessa

Questo tentativo di profilare una nematomusicologia meridiana rappresenta semplicemente un punto di partenza introduttivo e un invito alla scoperta e all’ascolto di un patrimonio musicale estremamen­ te articolato. Generi, forme, stili musicali sono cita­ ti a titolo esemplificativo, piuttosto che esplicativo, lungo un discorso generale che attraversa alcune tra le principali questioni poste da un approccio “pa­ noramico”. Di conseguenza l’accenno al mondo delle danze tradizionali è appena un’allusione ad una delle più complesse potenzialità della comuni­ cazione musicale. Per completare e approfondire questo preludio mediterraneo si rimanda il lettore alla bibliografia selezionata e alle voci enciclopedico geografiche dei principali dizionari, DEUMM, GRO­ VE, MGG, che definiscono, paese per paese, le prin­ cipali coordinate storiche e moderne delle rispettive realtà musicali. Per motivi di sintesi si è preferito evitare di toccare l’affascinante tema dell’ar­ cheologia musicale, con cui si aggirano le difficoltà

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d’interpretazione del presente, dando così spazio al­ le dinamiche dei fenomeni culturali e dei processi di creatività sociale che afferiscono alla musica vi­ vente. Desidero dunque ringraziare i musicisti con i quali ho avuto il privilegio di condividere negli an­ ni l’interesse e Famore verso la musica tradizionale, Roberta lùcci che rileggendo il testo ne ha emen­ dato alcune falle, e il prof. Michele Brondino che mi ha spinto ad affrontare la navigazione al largo tra le onde sonore del Mare Bianco. Questa impre­ sa è dedicata ad Arianna la cui nascita ha segnato una nuova rotta di ricerca.

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Un mare di suoni, VOCI E MUSICHE

Circoscrivere un paesaggio sonoro così complesso come quello mediterraneo rischia di divenire un impresa donchisciottesca, eppure la musica appare non soltanto la lingua franca per eccellenza, ma vie­ ne avvertita più o meno consapelvolmentc come specchio delle affinità di temperamenti e sentimen­ ti tra i popoli delle sue rive. Nelle loro tradizioni musicali si rispecchia il vissuto di generazioni che in complesso rappresenta uno dei più ricchi patrimo­ ni culturali del mondo. Come sottolinea Magrini (1993: 23) «Il Mediterraneo è l’immagine vivente di una serie infinita di scambi e mutamenti attuati nel corso dei seimila anni della sua storia, esso è an­ che il luogo in cui convivono culture musicali che hanno saputo mantenere la propria identità pur aprendosi all’interazione con l’altro». Si potrebbe assumere il procedimento del contrafactum come metafora della mobilità delle idee musicali e della permeabilità di confini geografici, etnici, cul­ turali, religiosi, e di forme, generi, testi: una formula melodica della liturgia che diviene canto d’amore

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profano, un motivo di danza che diviene inno de­ vozionale, ed altro ancora. Il movimento, il contat­ to c lo scambio che caratterizzano la storia dell’area mediterranea, sono il pane quotidiano della musica, e il viaggio, di idee, tecniche, strumenti, e soprat­ tutto musicisti, è l’immagine più adeguata a rappre­ sentarne le interazioni. Per orientarci nel labirinto delle musiche di tradi­ zione dei suoi paesi è utile immaginare le fasce con­ tinentali europea, asiatica e africana come un qua­ drante, suddiviso in quattro grandi aree, all’interno delle quali si percepisce più chiaramente la * unità nella diversità”: Europa del sud (dal Portogallo all’Italia), Europa orientale (dai Balcani all’Asia Mi­ nore), Mashreq (dalla Siria all’Egitto) e Maghreb (dalla Libia al Marocco). In realtà la prima e più consistente linea di demarcazione, da una prospet­ tiva preminentemente musicale, appare quella tra Europa e Islam, semplicisticamente raffigurata nel­ la opposizione Nord/Sud, Oriente/Occidentc. Co­ munque si intenda affrontare la questione, la storia musicale dell’area mediterranea è caratterizzata sia dal pluralismo stilistico che dalla fusione degli stili, e dalla convivenza tra grandi e piccole tradizioni, rappresentate da culture musicali che si sono irra­ diate permeando e unificando vari e vasti territori geopolitici, come la civiltà arabo-musulmana, e piccole, medie e grandi isole di culture musicali lo­ cali che hanno mantenuto le proprie caratteristiche specifiche. Per poter identificare alcune variazioni concomi­ tanti è necessario osservare i fenomeni musicali non da una semplice prospettiva geografica, ma anche

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attraverso la combinazione di molteplici approcci, come quelli storico e sistematico, ossia strettamente musicologico. La mancanza di studi comparativi su scala mediterranea a cui poter rimandare e l’estre­ ma concisione di questo breve invito all’ascolto consentono solo un accenno a tratti comuni, affi­ nità e analogie che, nonostante le innumerevoli dif­ ferenze, emergono dal raffronto o dal semplice ac­ costamento tra culture e manifestazioni musicali del mondo mediterraneo. Ciò che contraddistingue e differenzia la musica di tradizione orale è la capacità di racchiudere e con­ densare in pochissimi tratti aspetti significativi e va­ lori deH’immaginario intimamente legati all’iden­ tità sociale e culturale. Accompagnando le attività dell’uomo nel ciclo della vita, oltre che nello scorre­ re del calendario, la musica è un mezzo di integra­ zione sociale. Nelle culture tradizionali il suono possiede valenze rituali, simboliche, terapeutiche, magiche, che sono sedimentate nelle espressioni musicali originali di ciascun gruppo o comunità. Un discorso di carattere generale sulla presenza e l’importanza della musica nelle culture mediterra­ nee deve dunque mettere l’accento sul patrimonio della tradizione orale, che pur essendo un bene cul­ turale immateriale di primissimo valore, non è con­ siderato parte integrante della cultura ufficiale né dai programmi educativi e scolastici né dai palinse­ sti dei mezzi di comunicazione. Tale prospettiva, necessariamente, parte da una fondamentale pre­ messa: non si può comprendere la vitalità della tra­ dizione orale senza pensare alle radici africane e asiatiche della civiltà classica. Una storia della musi­

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ca nel Mediterraneo non può prescindere dalla tra­ dizione orale e dalle sue qualità storiche. Come ri­ corda Leydi (1991: 161) «Il mondo popolare rac­ conta la sua storia (e quindi la sua storia della musi­ ca) attraverso il suo manifestarsi contemporaneo; sono le nostre ristrette (o ad altro fine specializzate) attrezzature concettuali e metodologiche che ci im­ pediscono di cogliere fino in fondo la profondità anche temporale di questo discorso». Nel Mediterraneo la complessa stratificazione di ci­ viltà e culture sonore rende possibile il costante emer­ gere di elementi arcaici nell’attualità degli eventi musi­ cali, elementi che contribuiscono a mantener viva la dimensione mitologica della sua affàbulazione sonora. Nonostante il confronto tra culture, religioni e mo­ di di vita sia all’ordine del giorno nel dibattito cultu­ rale odierno, la conoscenza e la divulgazione delle culture musicali tradizionali resta insufficiente, epi­ sodica e marginale. Negli ultimi anni si è verificato un fenomeno interessante e contraddittorio: sulla spinta dell’iniziativa privata del mercato discografi­ co e dello spettacolo è stata inventata una nuova eti­ chetta merceologica, la musica del mondo, con l’illu­ sione di avvicinare popoli, culture, lingue e stili pro­ ponendo nuove forme di intrattenimento "intelli­ gente”. Il rischio di fraintendere le espressioni arti­ stiche al di fiiori del loro contesto è alto, poiché una serie di nessi e riferimenti impliciti, così intimamen­ te legati all’essenza stessa della musica di tradizione, non sono più parte integrante dell’ascolto, o fruizio­ ne, o consumo. La “diversità” addomesticata dall’ege­ monia tecnologica occidentale diviene una decora­ tiva forma di neoesotismo.

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«Il fatto che l’etnomusicologia abbia contribuito ad inventare delle culture musicali e a far immaginare che esista qualcosa come una “musica del mondo” è uno dei problematici paradossi del nostro settore negli anni Novanta»1. In realtà non esistono scambi diretti e paritari tra i vari luoghi del Mediterraneo, ma flussi bilaterali tra centro e periferie all’interno dei quali di volta in volta vengono inclusi, o arbi­ trariamente esclusi, quelli che il mercato della mu­ sica del mondo elegge come rappresentanti dei dif­ ferenti generi e paesi, generando percezioni distorte delle realtà musicali di quei luoghi. Se tra Ottocento e Novecento nella musica colta europea il senso e il colore mediterranei sono passa­ ti prevalentemente attraverso l’esotismo “iberico”, nella odierna popular music, riprendendo un tema già esplorato e consumato dalle arti visive, emerge una tendenza orientalista, espressa genericamente attraverso l’“arabesco” e il “colore locale” di sapore orientale... La tradizione orale, il cui luogo di creazione e tra­ smissione è la memoria umana, si confronta oggi con i modelli di comunicazione globale. Alcuni ele­ menti si cristallizzano nella folklorizzazione, altri determinano esotismi di ritorno nei quali le diver­ sità più che amalgamarsi si confondono o vengono camuffate. Appare dunque impossibile parlare di queste musiche senza far accenno al problema di fondo: se il potere dominante dell’industria dell’in­ trattenimento musicale uniforma e livella il gusto del pubblico su scala mondiale, come si può salva-1 1

Bohlman (in Magrini 1993: 120).

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guardare foriginalità e i’autenticità delle musiche "popolari” locali? L’ambiente sonoro mediterraneo è sostanzialmente un ricchissimo ecosistema dal quale stanno scom­ parendo alcune preziose specie musicali. Registrarle non è sufficiente a preservarle dal degrado o dall’oblio. Ad esempio la tradizione orale consente di illuminare zone del nostro passato e di far rivive­ re, anche a fini didattici, importanti pagine di sto­ ria. Gli studi filologici sulla prassi esecutiva della musica antica sono sempre di più attratti dal con­ fronto dialettico con le pratiche etnomusicali. La tensione interculturale non è una caratteristica del­ la nostra epoca, ma una delle dimensioni creative più significative della storia dell’area mediterranea.

Antiche 'contaminazioni”mediterranee

Da una prospettiva mediterranea l’arte dei suoni è da secoli terreno interculturale, basta osservare la musica antica per cogliere il riflesso di una ricchissi­ ma vita musicale improvvisata e non scritta, che vi­ bra ancora nella vitalità di temi musicali che hanno fatto il giro dell’Europa, rimbalzando dalle pagine di un autore all’altro. Basta-pcnsarc alla musica strumentale europea tra Cinquecento e Seicento e alla fioritura di antologie per liuto, vihuela o altri strumenti a corda e a tastiera. Una serie di disegni melodici di origine popolare, o frutto di una stiliz­ zazione pseudopopolare, sembra delineare il ric­ chissimo e ancor poco esplorato campo dell’intera­ zione tra culture musicali orale e scritta, e definire il

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gusto di un’epoca: Girometta2, Ballo del Granduca3, Romanesca*) Folia3) e così via. Oltre alla musica strumentale si deve rivolgere lo sguardo alla polifonia vocale rinascimentale, ricca di spunti melodici, linguistici e tematici di origine popolare. In particolare tutte le forme popolaresche realizzate dai più importanti compositori dell’epoca come ad esempio Willacrt (1490-1562), Gabrieli (1510-1586), Lasso (1532-1594). Villanelle, villanesche, moresche, canti carnasciale­ schi, sono esempi di polifonia d’arte che presentano 2 leydi 1991: 163-9. 3 Bianconi, Il Seicento) Torino 1991, 107-8: «L’ampia area di coincidenza tra musica strumentale e musica da ballo c al­ tresì la sede degli scambi più appariscenti tra musica colta e musica popolare, scambi che però anche in altri domimi della musica seicentesca dovettero essere più intensi di quanto rie­ sca a percepire oggidì la musicologia storica, miope per como­ dità e per consuetudine verso le tradizioni musicali popolari. Lo scambio avvenne in ambo i sensi, dall’alto verso il basso c viceversa. Un caso esemplare della divulgazione alta, media e infima d’una danza aristocratica - anzi d’un vero e proprio rappresentativo cerimoniale - è la fortuna goduta nel Seicento dal ballo epitalamico posto a conclusione degli intermedi fio­ rentini del 1589, denominato correntemente “ballo del gran­ duca" o anche “aria di Firenze”. [...] esso compare anche in quel veicolo potentissimo di diffusione musicale popolare che furono le intavolature di chitarra alla spagnola». 4 II compositore rinascimentale spagnolo Mudarra utilizza il termine come equivalente del «guardarne las vacas», suggeren­ do un’origine iberica legata al mondo del romance. 5 II termine, presente nelle fonti portoghesi già alla fine del Quattrocento, si riferisce rispettivamente a una danza c a un basso ostinato sui quali sono state realizzate innumerevoli va­ riazioni, e che si diffuse in Spagna e in Italia, e successivamen­ te in Francia e in Inghilterra.

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aspetti derivati dalla tradizione orale. Qui come nel­ le commedie madrigalesche di Vecchi (1550-1605) e Banchieri (1568-1634) l’emergere della voce supe­ riore sui frequenti passaggi omoritmici delle voci in­ feriori, crea il cosiddetto falsobordone o canto ad ac­ cordo, che ritroviamo nelle espressioni polivocali della tradizione orale, come ad esempio nei repertori liturgici e paraliturgici in Corsica, Sicilia e Sardegna. I nomi prevalentemente geografici di queste forme non corrispondono necessariamente al luogo di produzione e/o fruizione, ma rimandano al gusto e al colore “locale” della rappresentazione sonora col­ ta di un universo popolareggiante. Un esempio sin­ golare è quello della cosiddetta greghesca, circoscrit­ ta all’ambiente veneto, e in particolare ai testi di A. Molino, attore, poeta, e mercante, musicati da A. Gabrieli, Willaert, Wert, Porta e Rore, e caratteriz­ zata da testi in levantino, lingua franca dei porti adriatici, una mescolanza di veneziano, istriano, dalmata e greco. Le canzoni villanesche alla napoletana meritano at­ tenzione per il grande favore di cui godevano presso il pubblico europeo, spingendo anche i compositori più austeri a cimentarsi con questa gustosa forma di intrattenimento musicale, le cui raccolte furono pubblicate per la maggior parte a Venezia. La produ­ zione di villanesche a tre voci dei musicisti parteno­ pei, il più importante è Gian Domenico del Giovane da Nola (1510-1592), fu il modello al quale sono ispirate quelle a quattro voci di autori non napoleta­ ni, tra cui Willaert, Lasso, Marenzio. Le espressioni dialettali o pseudodialettali, e le figure e i personaggi di origine popolare, spesso in forma di caricatura, ri­

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mandano al mondo della commedia dell’arte e alle compagnie di attori e musicisti girovaghi che diffu­ sero in Europa caratteri e canovacci che hanno ispi­ rato anche la formazione dell’opera buffa. D’altronde se si volesse considerare la storia della musica da un punto di vista squisitamente mediter­ raneo si dovrebbe cominciare a prestare attenzione a compositori i cui nomi sono solitamente appena ac­ cennati nella manualistica e nelle opere di divulga­ zione. E il caso ad esempio di Juan del Encina (1468/9-/W# 1529), il musicista spagnolo attivo tra Salamanca e Roma, nei cui villancicos, analogamen­ te ad esempio alle chansons polifoniche francesi di Antoine Busnois (1430 ca.-1492), si profilano me­ lodie di carattere e gusto popolare. La prospettiva meridiana ci spinge ad osservare dettagli che agli oc­ chi della Storia della Musica appaiono poco signifi­ cativi o di secondaria importanza. Nel Quattrocento in Italia la presenza di celebri poeti improvvisatori, ad esempio Serafino Aquila­ no (1466-1500), che si accompagnavano con il liu­ to c della cui musica non vi è traccia scritta, si riferi­ sce ad una pratica di tradizione orale estremamente apprezzata all’epoca. D’altronde quante musiche tramandate dalla scrittura tra Medioevo e Rinasci­ mento sono da considerare come una delle possibili versioni o realizzazioni di una prassi musicale ricca di processi di improvvisazione e di creazione estem­ poranea. Certi oggetti sonori della tradizione scritta sembrano irrimediabilmente lontani e rarefatti. Ep­ pure più si scava e più affiorano gli strati delle so­ vrapposizioni che hanno costituito il mondo sono­ ro mediterraneo.

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Ad esempio la siciliana, antica e rara forma polifonica a due voci del Trecento, presenta caratteristiche origi­ nali che, unite ai testi attribuiti a Federico II, hanno ammantato di mistero le sue origini. Ma quando la si osserva nella prospettiva viva del canto monodie© della tradizione orale6, il cosiddetto canto lirico dell’Italia meridionale, il tema poetico del dolore del­ la separazione e il pathos della linea del canto conti­ nuamente spezzata, sembrano riferirsi a una modalità vocale che rifugge il disegno melodico finito prestan­ dosi ad essere accompagnata da uno strumento. La ricerca e lo studio dei contatti e degli scambi tra musica colta e popolare è un campo estremamente fecondo per la conoscenza della vita musicale del passato. A titolo di esempio ricordiamo l’affasci­ nante, anche se discutibile, ipotesi di una influenza dello stile dei cantastorie palermitani sul Combatti­ mento di Tancredi e Clorinda di Monteverdi avanza­ ta da Collaer7. D’altronde la storia dell’opera italiana e la sua gran­ de fortuna all’estero andrebbero esaminate da un punto di vista antropologico. La preminenza e l’en­ fasi dell’aspetto vocale, e la cantabilità delle melodie sembrano racchiudere l’essenza della scuola italiana che è parte integrante di uno stile mediterraneo. Inoltre diversi operisti hanno attinto alle sorgenti del

6 Vedi N. Pirrotta, Musica tra Medioevo e Rinascimento, 1984, 154-176, c T. Magrini, «Dolce lo mio drudo: la prospet­ tiva etnomusicologica», in Rivista Italiana di Musicologia XXI 19862,215-35. 7 P. Collaer, «Lyrisme baroque et tradition populaire», in Studia Musicologica, VII 1965, 25-40.

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folklore e della musica popolare per rendere più ve­ rosimili gli ambienti ritratti nei libretti dei melo­ drammi, soprattutto nella scuola napoletana. Altro è il mito della popolarità interclassista dell’opera, an­ che se nei repertori dei suonatori popolari sono epi­ sodicamente penetrate arie, ouverturcs e romanze. Tutti questi segni sonori rivelano la vitalità della tradizione orale, che oltre ad alimentare la creazio­ ne musicale erudita, ha accolto, assimilato e trasfor­ mato motivi e modelli di provenienza colta, attra­ verso processi dinamici di reciproca mediazione. A titolo di esempio si possono citare i canti polivocali liturgici e devozionali delle confraternite laiche in Sardegna, Corsica, Sicilia, che testimoniano la con­ tinuità di una prassi vocale nel transito da una tra­ dizione all’altra. Ciò che meglio definisce il campo delle caratteristiche specifiche delle culture musica­ li mediterranee è proprio la profondità storica, che non è immutabile elemento arcaico, ma frutto di processi di trasformazione dai quali emerge una continuità nella diversità. D’altronde pratiche polivocali della tradizione orale sono documentate anche da numerose fonti scritte8 ed il termine tardorinascimentale ‘contrappunto alla mente” designa proprio una delle prassi polifo­ niche antiche comunemente adottate nell’esecuzio­ ne musicale. Le musiche a cui abbiamo accennato, pur non po­ tendo essere considerate “fonti” etnomusicologiche, consentono di mettere in evidenza alcuni aspetti peculiari del pensiero musicale meridiano. 8

Macchiarella (in Agamennone 1996: 205-238).

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Eterofonia e polifonia Per definire gli scarti consapevoli e inconsapevoli nell’esecuzione simultanea di una melodia da parte di più musicisti, cantanti o strumentisti, l’etnomusicologia ha adottato il termine eterofonia, suggerito da un passo di uno dei principali scritti di Platone. Tutto ciò che fluttua tra monodia e polifonia, senza essere propriamente né Tuna né l’altra, viene ab­ bracciato da questo termine che designa i procedi­ menti con i quali diverse culture musicali abbelli­ scono e variano le proprie melodie. È evidentemen­ te impossibile dar conto di tutte le occorrenze eterofoniche, e solo a titolo di esempio richiamiamo l’attenzione sulla prassi esecutiva della musica d’ar­ te arabo-musulmana che appare particolarmente ricca di tali procedimenti. Più facile circoscrivere la polivocalità, che pur non essendo un aspetto preminente dell’universo sono­ ro dell’area mediterranea, consente di sfatare uno dei luoghi comuni della storia della musica, quello che ha sancito l’invenzione della polifonia nell’am­ bito colto della scrittura musicale. La sua dimensio­ ne simbolica suggerisce metafore che esaltano la di­ mensione sociale della musica di tradizione: oltre che armonia propriamente musicale, essa esprime anche un’armonia comunitaria, basata su rapporti di parentela o amicizia, e una gerarchia basata sulle competenze, sull’onore c il prestigio sociale, come ha ben messo in evidenza Lortat-Jacob (1997). La varietà stilistica e la diversità tecnica e formale dei canti polivocali testimoniano differenti processi di scambio, interazione e acculturazione avvenuti in

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epoche diverse. Abbiamo già accennato al patrimo­ nio della devozione popolare, ma esistono fenomeni originali e significativi come le cosiddette “polifonie viventi” o “isole polifoniche” del Mediterraneo. Eccone alcuni esempi.

Albania: repertori Toschi e Labi Nella regione meridionale sono presenti differenti forme di polivocalità, con o senza bordone, che dif­ feriscono anche in relazione al sesso e alla fascia d’età degli esecutori: grarishte, per il canto femmi­ nile, e djemurishte e pleqerishte per quello maschile, rispettivamente giovani e anziani. Nel repertorio tosk la parte del solista è chiamata ia merr, la seconda ia pret, e la parte corale ia mban, ed il canto intonato sia da uomini che da donne è caratterizzato da due parti soliste che si muovono per imitazione, ed un bordone pressoché continuo. Il repertorio lab è caratterizzato da un tessuto poli­ vocale più serrato, nel quale le parti si muovono si­ multaneamente su un bordone sillabico, con in­ contri spesso dissonanti. Il primo solista marrèsi in­ tona il canto, seguito dalla risposta della seconda parte, kthy'èsi, la terza parte hedhèsisi muove nel re­ gistro acuto, mentre tre o quattro cantori eseguono il bordone, detto kaba. Portogallo/Alentejo e Minho: moda Il canto alentejano è un fenomeno prevalentemente maschile ed è legato alla cultura contadina c carat­ terizzato da una struttura semplice; la voce solista, detta ponto, da avvio al canto seguito dal coro che procede all’unisono e un secondo solista, detto alto,

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si sovrappone al primo formando intervalli di terze, o quinte in funzione cadenzale. È interessante nota­ re la presenza di inflessioni vocali microtonali9 che conferiscono una particolare intensità espressiva a questo tipo di canto, genericamente definito moda. Nel Minho il canto polivocale è una tradizione femminile, ed è costituito generalmente da quattro parti che entrano progressivamente in gioco, baixos, meio o cima, guincho o fora, c firn o grifo che inter­ viene solo verso la conclusione della moda. Italia!Sardegna: canto a tenore Il canto è diffuso all’interno delTisola, in Barbagia e Baronia, ed è praticato da anziani e giovani nel cor­ so delle numerose feste che si svolgono durante Fanno, e in particolare in estate. I quattro cantori, disposti in cerchio, sono: boche, il solista dalla voce acuta e tesa e dal timbro marcato c nasale, che canta il testo e guida le altre voci, dirigendo le modulazio­ ni diatoniche ed eseguendo le variazioni; mesa bo­ che, voce acuta, in falsetto, che crea le ornamenta­ zioni mclismatiche; contro, voce centrale, di tipo gutturale, che genera assieme al basso lo spettro ar­ monico del tenores, la cui fusione è estremamente importante, ha un andamento regolare, privo di va­ riazioni, ed intona prevalentemente una o due no­ te, con i caratteristici suoni onomatopeici che con­ traddistinguono un tenore dall’altro; bassa, voce gutturale che crea con la contra un intervallo di quinta, e che dona omogeneità c stabilità all’impa­

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Ranita Nazaré 1979:45.

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sto tra le voci. Generalmente il canto si presenta se­ guendo una sequenza nella quale si alternano diffe­ renti forme poetiche e strutture ritmico-formali. Francia/Corsica: paghjella Il canto polivocale corso è prevalentemente a tre parti e pur presentando alcune somiglianze con quello sardo, differisce da quest’ultimo per l’assenza di voci gutturali. La voce solista che da avvio al can­ to si chiama secunda, seguita dal bassu e dalla voce acuta dall’andamento ricco di ornamentazio­ ni, che realizzano delle sequenze armoniche con particolare predilezione per raccordo perfetto. La polivocalità corsa presenta delle analogie con la pra­ tica del cosiddetto falsobordone. La tradizione voca­ le a cappella era quasi scomparsa ma i movimenti nazionalisti hanno recuperato questa forma di can­ to, che oggi ha dato vita ad una copiosa produzione musicale neotradizionale.

Italia/Liguria: trallallero Il canto conviviale della tradizione genovese è into­ nato dalle cosiddette squadre, che comprendono so­ litamente una dozzina di canterini, e risale almeno alla metà dell’Ottocento. Con il termine trallalero viene designata sia la specifica forma originaria, che prevede testi molto brevi ed ampio utilizzo di sillabe sprovviste di senso, da cui il nome onomatopeico, che un modo e uno stile di adattamento di materiale musicale eterogeneo preesistente che include la can­ zone d’autore in genovese, l’operetta, e altri generi musicali. L’intesa della squadra richiede un buon im­ pasto ed un buon senso del ritmo per permettere alle

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varie parti, contralto, tenore, baritono, chitarra (ca­ ratteristico ruolo vocale che mima un accompagna­ mento strumentale) e bassi, di seguire il corso di in­ trecci piuttosto liberi e di amalgamarsi perfettamen­ te sulle architravi accordali della forma polivocale. Questo originale canto conviviale è l’espressione so­ nora di una città marinara, anche se i temi e i colori timbrici fanno pensare piuttosto all’entroterra. Croazia/Dalmazia: klapa Delle tre aree d’influenza culturale riscontrabili nel paese, citiamo anzitutto la polifonia dalmata, chia­ mata klapay dal nome della formazione che la ese­ gue, generalmente un gruppo omogeneo dal punto di vista d’età e sesso, composto da una decina di cantori. Il disegno polifonico, a tre o quattro parti, è costruito su semplici armonie tonali, prevalente­ mente in maggiore, con il predominio di una voce solista che intona le strofe poetiche, accompagnata e sostenuta dalle altre voci. La polivocalità dalmata predilige la dolcezza del timbro e la soavità dell’im­ pasto armonico che è sempre trasparente e lineare, c la consonanza, a differenza della polifonia dinarica, marcatamente balcanica, caratterizzata da forte tensione vocale, intervalli non temperati, e condot­ ta a due, e talora tre parti. Il repertorio della klapa comprende motivi musicali di diversa provenienza e di diversa epoca, e viene interpretato a cappella nella dimensione privata della vita sociale, ma è spesso accompagnato da uno o due strumenti a corda, mandolino e lirica (Adula) quando è presentato in forma di concerto e spetta­ colo.

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Musiche di fondazione

Un discorso sulle tradizioni musicali del mondo mediterraneo non può ignorare le differenze di stili e forme espressive che contribuiscono ad arricchire un panorama sonoro unico al mondo. Consideran­ do la profondità storica come uno dei tratti più si­ gnificativi delle sue culture musicali, è opportuno fare un accenno al patrimonio dei canti epici e leg­ gendari che costituiscono il fondamento e la coe­ sione delPimmaginario sonoro di ciascuna nazione. Questo fondo di canti ripercorre i tratti più salienti della storia antica e moderna dei differenti paesi, e talora delle specifiche etnie, raccontando leggende e gesta degli eroi che hanno difeso la patria da inva­ sori stranieri, da eserciti di occupazione, o da con­ quistatori e razziatori. Dalla memoria di questi re­ pertori emergono inoltre le linee di frattura che se­ gnano indelebilmente le mappe del Mediterraneo, una scric di diaspore, i conflitti etnici, la pirateria, le conquiste, le invasioni, le lotte d’indipendenza nazionale.

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Si tratta di canti profondamente legati al profilo melodico e alla metrica delle lingue nazionali, in particolare quelli eseguiti in un ambito melodico ri­ stretto e in un tono declamatorio o recitativo; alcu­ ni repertori basati su testi strofìci presentano invece un profilo melodico più spiccato, come è il caso dei romances, e dei canti del patrimonio neoellenico. Citiamo a titolo di esempio alcune tradizioni che rappresentano arce geografiche e culturali diverse:

sìra hilàliyya (Egitto); la recitazione epica delle gesta di Abù Zaìd al-Hllàli, eroe yemenita dei Banùhilàl, una delle tribù che hanno conquistato e arabizzato il Maghreb, è una delle più importanti fon­ ti dellV/w arabo. Un tempo i poeti ambulanti si esibivano nei caffè e nelle feste dei villaggi, e oggi la tradizione è ancora viva nell’Alto Egitto, nelle re­ gioni di Assuan e Luxor, c il cantore, sha ir intona i propri versi accompagnato dalla rabàba (fidula po­ polare) o dal mazhar (tamburo a cornice); kenge lahute (Albania): la canzone prende il nome dallo strumento con il quale tradizionalmente i ra­ psodi si accompagnano nel caratteristico stile reci­ tativo, la viella ad una corda, e rappresenta una del­ le più arcaiche forme espressive dell’Albania del Nord. Dalla canzone eroica, trbnash, è derivata quella kreshnikésh, piccola epica, e in epoca recente lo strumento ad arco viene anche sostituito da stru­ menti a pizzico come lo gfteli, un liuto bicorde a manico lungo;

canti acritici (Grecia): le canzoni della tradizione

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orale descrivono le lotte tra le guardie frontiere po­ ste ai confini dell’impero Bizantino ed i conquistatori arabo-musulmani. Tale repertorio di carattere epico si è formato tra Vili e XI secolo, ed è sopravvis­ suto in Asia Minore e nelle isole, in particolare Ci­ pro, Creta e Dodecanneso, grazie ai rapsodi popo­ lari; epopea cleftica (Grecia): queste canzoni ricordano le imprese dei fuorilegge che vivevano sulle montagne per sfuggire al giogo ottomano, divenuti eroi neirimmaginario popolare, e precursori delle lotte contro i Turchi nella Guerra d’indipendenza (1821-9). Diffuse nell’area continentale esse sono caratterizzate da melodie ricche di ornamentazioni melismatiche, e generalmente accompagnate da chitarra, violino e clarinetto; cantastorie (Sicilia): il repertorio poetico-musicale dei cantori fa riferimento ai cicli della chanson de geste dei paladini di Francia, ed è uno dei più tipici esempi di interazione tra cultura orale e scritta. L’interpretazione dei canti polistrofici è accompa­ gnata dalla chitarra o eseguita a voce sola dai canta­ storie e nell’Opera dei pupi;

romance (Penisola Iberica): Timmaginario poetico iberico è depositato nel patrimonio del canzoniere tradizionale. Il termine si riferisce sia alle composi­ zioni della tradizione colta, ad esempio i romances a tre o quattro parti privi di refrain del Cancionero Musical de Palacio^ manoscritto dell’inizio del Cin­ quecento, che alle monodie accompagnate della

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tradizione orale, con ritornello, che appaiono co­ me una volgarizzazione o ricreazione di un model­ lo di musica di corte. Lo stile narrativo è di argo­ mento epico, lirico, mitologico, leggendario, reli­ gioso, storico, prevalentemente in forma di quarti­ ne ottosillabe. Generalmente accompagnato da strumenti musicali, in particolare vihuela, guitarra, o zanfona. Il mal’hùn (Marocco, Algeria) è una tradizione cit­ tadina relativamente moderna, che si è sviluppata principalmente airinterno delle corporazioni arti­ gianali. Si tratta di una poesia cantata in arabo dia­ lettale, di argomento sia religioso che profano, ca­ ratterizzata da un linguaggio sofisticato e da una melodia in stile declamatorio.

Musiche per ogni occasione

La varietà stilistica dei canti elencati, e la loro diffe­ rente costituzione, storica, estetica, musicale, con­ sente di individuare come denominatore comune soltanto la coincidenza di alcuni generici aspetti formali. Per contro è evidente come essi rappresen­ tino un complesso di valori che si configura come luogo e tesoro della memoria nazionale. L’aspetto più significativo della musica di tradizio­ ne orale è la sua funzionalità, ciò che la lega al con­ testo sociale e culturale, ed il ruolo che svolge nella vita dell’individuo che appartiene ad un gruppo o comunità della quale condivide lingua, costumi, credenze, e via di seguito.

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Qualunque tentativo di classificazione è limitato dai criteri selettivi con cui si operano le distinzioni a livello di forma, contenuto (testo), uso, funzione, provenienza, ma un discorso su un fronte così am­ pio ed eterogeneo, come quello qui preso in consi­ derazione, richiede di semplificare categorie molte­ plici e complesse. Un canto o una musica strumen­ tale possono rappresentare sia un tipo di struttura musicale caratteristica di una specifica arca geogra­ fica, che un genere utilizzato in determinate attività e occasioni comuni a varie culture. Il punto di vista etnomusicologico deve essere coadiuvato da quello antropologico per cogliere la vitalità e la profondità dell’espressione musicale, quale parte integrante della vita sociale e culturale. In tal senso la musica di cui si parla qui, non solo appartiene a stili di vita mediterranei, ma esalta aspetti concettuali che sono alla base della formazione dei repertori, sia in rela­ zione al singolo gruppo o cultura, che a differenti epoche e luoghi. Sebbene in questo breve saggio si faccia solo accen­ no ad alcuni tra i principali generi musicali dell’area in questione, sarà utile tracciare un quadro sinteti­ co delle funzioni e del ruolo della musica che pur potendosi applicare in generale alle culture di tradi­ zione orale, assumono particolare rilevanza nel con­ testo mediterraneo. Le dieci funzioni principali della musica stabilite da Merriam (1983: 221-29) sono state così sintetizza­ te e semplificate da Giannattasio (1992: 209-18): a) espressive; b) organizzazione e supporto attività sociali (lavorative, ludiche, rituali, cerimoniali); c) induzione e coordinamento reazioni sensorio-mo-

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toric. Piuttosto che una rigida distinzione in realtà assistiamo ad una combinazione nella quale di volta in volta una funzione tende a prevalere sulle altre. Il campo delle attività sociali è il più ricco e variega­ to dal punto di vista delle forme e dei repertori, ed uno degli spazi d’azione della musica più significa­ tivi in area mediterranea è la festa, nella quale l’espressione sonora e coreografica ha un posto cen­ trale e predominante. Festa e musica sono indisso­ lubilmente associate in un sistema complementare di interazioni funzionali e simboliche. La dimen­ sione comunitaria deH’evento stimola e determina intense forme di comunicazione, spontanee, ritua­ lizzate, coordinate, che sfuggendo alla norma della vita quotidiana consentono di creare uno spazio protetto nel quale possono manifestarsi gli impulsi trasgressivi inerenti all’apparato celebrativo. Nello spazio della festa la musica svolge un com­ plesso di funzioni dal quale emerge l’intero venta­ glio delle sue potenzialità. Aspetti espressivi, ludici, rituali, devozionali intervengono separatamente o contemporaneamente in un gioco dinamico comu­ nitario all’interno del quale ciascun individuo ha il suo posto e il suo ruolo. Lortat Jacob (1994: 14-5) ha osservato le strutture e le strategie dell’evento sonoro festivo indicando alcune delle funzioni principali della musica che qui riassumiamo: — segnale del suo svolgimento e delle sue differenti tappe; - sistema di regolazione dei comportamenti e di coordinazione dei ruoli; - oggetto di mobilitazione;

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- insieme simbolico e complesso costitutivo di una cultura. Un aspetto particolarmente significativo è quello delle danze strumentali e delle canzoni a ballo che esaltano la dimensione collettiva anche attraverso il coinvolgimento diretto e paritario di tutti i parteci­ panti, senza distinzioni di età, sesso, o abilità. Il prototipo di questa grande famiglia è la carola me­ dievale, e tra gli esempi più significativi possiamo citare il syrtòs (Grecia), il kolo (Ex-Jugoslavia), il bailu tundu (Sardegna), la sardana (Catalogna), danze in circolo eseguite con I’accompagnamento di stru­ menti e/o voci. In una prospettiva così generale è opportuno opera­ re una prima distinzione tra repertori urbani e rura­ li, dal cui confronto emergono una serie di catego­ rie tendenzialmente opposte, a cominciare dalla differenziazione dei ruoli, professionista, semi-professionista e amatore, che rispecchia anche i diffe­ renti livelli di formazione artistica e culturale. Nel primo la dimensione modale viene esplorata in tut­ te le sue potenzialità, mentre nel secondo è assai ri­ dotta, sia nell’ambito melodico che nello sviluppo e nell’improvvisazione delle idee musicali, con preva­ lenza dello stile collettivo su quello individuale. L’esecuzione della musica rurale è fortemente legata ai cicli del calendario e della vita, mentre quella cit­ tadina è meno condizionata da fattori esterni e pre­ senta una maggiore autonomia espressiva. La sepa­ razione tra campo amatoriale e campo professiona­ le nella pratica è molto più sfumata che nella teoria, poiché vi sono numerose eccezioni, ad esempio la Sardegna, in cui artigiani, coltivatori, pastori, ma­

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novali, impiegati, cantano o suonano per diletto pur raggiungendo un livello di esecuzione degno dei professionisti che vivono esclusivamente del mestiere musicale. Le trasformazioni sociali ed economiche hanno contribuito a modificare la produzione e l’esecuzio­ ne della musica tradizionale, ed hanno inciso so­ prattutto sui canti legati al calendario delle attività contadine e pastorali, uno dei suoi nuclei principali. Parte di essi completamente defunzionai izzati so­ pravvivono come memoria storica grazie a gruppi di musicisti professionisti, semi-professionisti, o ama­ tori che ripropongono il patrimonio collettivo dei canti e delle danze fuori dal contesto che li ha gene­ rati, ad esempio i canti di lavoro legati a mestieri scomparsi o in via di sparizione. Per comprendere la complessità dì un mondo sonoro dalfapparenza semplice è sufficiente accennare alla genericità della definizione «canti di lavoro» e alle categorie in cui è effettivamente possibile distinguerli sviluppando le osservazioni di Giannattasio (1992:218-230): canti di lavoro', servono a coordinare le attività e i movimenti, dando continuità, armonia, e ad alle­ viare la fatica. Tra i vari esempi legati al mondo me­ diterraneo possiamo citare quelli legati al mondo della pesca e del mare, tonnare, saline, e così via, e quelli legati al lavoro agricolo, canti di mietitura, trebbiatura, bacchiatura, etc;

canti del lavoro', la gamma comprende una grande varietà di mestieri, c di forme, dalle grida c i richia­ mi musicali dei venditori, ai veri e propri canti, ad

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esempio, le splendide liriche dei carrettieri siciliani intonate anche al di fuori del contesto strettamente lavorativo; canti durante il lavoro*, eseguiti nei momenti di pau­ sa, riposo, e diversione, e dunque categoria che rac­ coglie forme ed espressioni musicali estremamente varie; canti sul lavoro*, antichi canti delle corporazioni, e moderni canti di cronaca, denuncia, protesta, poli­ tica, e cosi via. A tale proposito potremmo include­ re in questa categoria la musica legata al tema dell’emigrazione e della lontananza dalla propria terra, che contraddistingue e segna la storia recente del Mediterraneo, ad esempio nella musica greca, turca, dell’Italia meridionale, in particolare la can­ zone napoletana, e così via. Non a caso parte di questi canti sono nati o sono stati incisi oltreocea­ no, negli Stati Uniti, destinati a soddisfare la nostal­ gia di un pubblico di immigrati.

I processi di trasformazione della musica di tradizio­ ne orale sono caratterizzati da fenomeni e dinami­ che differenti, come acculturazione, folklorizzazione, rifunzionalizzazione, innovazione, e soprattutto dalla loro combinazione incrociata. Molti dei canti citati sono già scomparsi e purtroppo nel ricchissi­ mo ambiente sonoro mediterraneo stanno morendo anche alcune famiglie o tipi di musiche legati al ci­ clo della vita, come i canti del mondo infantile, nin­ ne-nanne, rime, tiritere e giochi, i canti nuziali, i canti funebri e le lamentazione rituali, ad esempio

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miroloi (Grecia), attittos (Sardegna), vòcero (Corsi­ ca), lamento (Spagna). Nel suo complesso lo spazio acustico mediterraneo appare saturato dai modelli internazionali di musica commerciale trasmessi in­ cessantemente dai mezzi di riproduzione, ed i musi­ cisti popolari cercano di elaborare strategie di so­ pravvivenza comunicativa. La frattura tra culture musicali locali che vivono essenzialmente nella di­ mensione comunitaria dell’esecuzione, e musica in­ ternazionale concepita per gli standard della ripro­ duzione massmediatica appare sempre più evidente. La varietà delle espressioni musicali nel mondo me­ diterraneo è fortemente vincolata alle dinamiche della vita sociale delle sue comunità, ed è carica di valori simbolici di natura implicita ed esplìcita. A tale proposito citiamo Merriam (1983: 257): «Per quanto riguarda la musica, il simbolismo opera su quattro piani distinti: quello della costituzione di segni e simboli nei testi dei canti; quello del riflesso simbolico dei significati affettivi o culturali; quello del riflesso di altri comportamenti e valori culturali; quello del simbolismo profondo e universale». Anche il semplice accenno al valore simbolico dell’espressione musicale nel contesto mediterra­ neo implica alcune considerazioni sul riverbero e sull’eco, anche come reminiscenza, di concezioni filosofiche di origine antica. L’amalgama delle esperienze cognitive concernenti il mondo dei suo­ ni si può riassumere con il concetto di ethos, nato dalla scuola pitagorica e già impiegato da Platone e Aristotele, per designare l’influenza dei suoni sugli stati d’animo umani. Tale termine acquista una densità di significati con l’apporto originale della

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cultura musulmana. La dimensione cosmologica, il rapporto tra suoni (le quattro corde del liuto), elementi, umori (temperamenti), gli effetti fisiolo­ gici e psicologici della musica sull’uomo, le sue po­ tenzialità equilibratrici, terapeutiche, educative, il sistema musicale e via di seguito, sono descritte e commentate dai grandi filosofi e teorici islamici, come AI-Kindi (790-874), Ikhwan al-Safa (x see.), al-Farabi (870-950), Ibn Sina (980-1037), al-Hasan al-Katib (xi see.). Una risonanza di tali concezioni si trova ad esempio nell’organizzazione formale e nel modo di percepire il patrimonio sonoro della tradizione colta andaluso-maghrebina, genericamente definita al-Andalus.

Musica e devozione Dal molteplice punto di vista della prospettiva me­ diterranea la vita musicale tradizionale è regolata dai principali eventi dei suoi diversi calendari, cri­ stiano (solare), musulmano (lunare), ebraico (luni­ solare). L’aspetto più pregnante delle sue culture so­ nore riguarda la sfera più intima della vita dell’uo­ mo, la fede, ed il campo del canto liturgico devo­ zionale è particolarmente vivo e fecondo in tutta l’area, come dimostrano i rituali e le cerimonie reli­ giose dell’arco europeo, asiatico e africano. Uno de­ gli aspetti più straordinari delle tradizioni musicali mediterranee risiede nell’espressione musicale della religiosità, la quale ha dato vita ad un ricchissimo patrimonio di musiche liturgiche e devozionali di incomparabile bellezza.

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Le tradizioni vocali delle tre religioni monoteiste rappresentano strati modali arcaici da cui sarebbero derivati anche i canti dei rispettivi repertori profa­ ni. Questa prospettiva rimanda alla questione più generale. Esiste una musica ebraica, cristiana, mu­ sulmana? Nel tentativo di rispondere al quesito si riflettono, direttamente o indirettamente, le pro­ blematiche relative all’identificazione dei comuni denominatori delle culture musicali mediterranee. La prassi del contrafactum caratterizza forme di scambio e interazione interne ed esterne alle tre re­ ligioni monoteiste e ai repertori sacri e profani. La peculiarità della storia delle tradizioni musicali ebraiche può essere presa a modello per spiegare la complessità delle interazioni diacroniche e sincro­ niche tra i principali centri di formazione e creazio­ ne artistica euro-mediterranei. La dispersione degli ebrei, la diaspora, e la vita delle comunità nei vari luoghi di accoglienza e di inse­ diamento ha diffuso lungo tutto il Mediterraneo un patrimonio poetico e musicale che è vissuto in osmosi con le tradizioni e i sistemi musicali di altre culture e comunità. Il canzoniere sefardita, degli ebrei di origine iberica espulsi dalla Riconquista cattolica, è uno dei prototipi mediterranei per ec­ cellenza. 11 frequente ricorso al procedimento della contraffazione, la conservazione delfidioma origi­ nario, il judesmo detto anche ladino, gli adattamen­ ti e le variazioni dei testi dei romances, documenta­ no processi musicali e culturali le cui dinamiche so­ no modelli paradigmatici del rapporto tra conti­ nuità e trasformazione di una cultura musicale che si trova ad interagire con ambienti e contesti so-

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nori, etnici, linguistici differenti. Bohlman (eOI.3)1 ha suggerito l’idea della diaspora come metafora che dona un senso di unità storica ed etnografica al Mediterraneo, riprcsentandosi ciclicamente come una riattuaiizzazione del mito, del viaggio sacro, e dell’attraversamento di frontiere, con una partico­ lare valenza musicale. Alle radici della musica sacra troviamo l’esortazione del Salmo 150: «Lodatelo con squilli di tromba, lo­ datelo con arpa e cetra. Lodatelo con timpani e danza, lodatelo sulle corde e sui flauti. Lodatelo con cembali squillanti, lodatelo con cembali sonori». Si tratta di una delle più note testimonianze dell’entu­ siasmo c della partecipazione gioiosa del sentimen­ to religioso, c a tale proposito sono state citate spes­ so le parole di sant’Agostino che commentano il salmo 32; «comprendere e non saper spiegare a pa­ role ciò che si canta col cuore». Da qui emerge l’ar­ chetipo del jubilus definito da Torrefranca una “idea-forza”. Diversi autori, in particolare Werner (1955), han­ no sottolineato le affinità, anche musicali, che lega­ no ebraismo e cristianesimo, così come l’interdi­ pendenza tra ebraismo e Islam, ben evidenziata da Shiloah (1995). Nonostante il fatto che dottori del­ la legge e autorità religiose abbiano cercato di con­ trollare, limitare, o arginare la pratica musicale nei luoghi e nei rituali del culto, l’aspetto sonoro della parola divina e la sua ricezione acustica, appaiono il più potente mezzo di propagazione della fede.

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Ethnomusicology OnLine 3.

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Prima di accennare al ruolo della musica nella vita religiosa, è necessario fare una premessa sul feno­ meno della cantillazione, non considerato né classi­ ficato come musica, che rappresenta l’archetipo più solenne e prestigioso delle manifestazioni sonore delle culture ebraica e musulmana. La lettura pub­ blica della Torah nella sinagoga ha un’importanza primordiale, e per quanto riguarda il mondo isla­ mico, la base modale della cantillazione coranica è un archetipo sonoro che ha profondamente inciso nella formazione estetica e psicologica del campo uditivo delle popolazioni del Vicino Oriente. Ma l’aspetto più interessante e vitale del rapporto tra musica e fede si manifesta nella pratica dei canti confraternali attraverso la quale si tramandano i versi più ispirati dei grandi mistici. Il campo della musica devozionale si presenta ricco di interazioni, soprattutto fra tradizioni musulmana e ebraica. Dal punto di vista storico la Spagna medievale, in particolare l’Andalusia, figura come uno dei princi­ pali centri di creazione e irradiazione della poesia mistica in forma strofìca destinata al canto: le muwashshahat dei poeti arabi e i piyyutim poemi li­ turgici degli ebrei, ma anche ad esempio le Cantigas de Santa Maria. Ancor più straordinari sono i pun­ ti di convergenza tra la dimensione immanente e quella trascendente dell’amore, che ispirano la pro­ duzione andaluso-maghrebina e quella trovadoresca, e che fanno dell’Andalusia medievale uno straordinario polo civilizzatore, al cui splendore hanno contribuito musulmani, ebrei e cristiani. Nell’area mediterranea, il culto e la venerazione dei santi ed i pellegrinaggi rituali praticati dai fedeli del­

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le tre religioni monoteiste, sono il campo nel quale canto e musica intervengono nel modo più esube­ rante, accrescendo la complessità di tali eventi, che interessano demologia, antropologia, etnomusicologia, e storia delle religioni. Il fervore religioso popo­ lare, molto evidente ad esempio in Spagna, Italia meridionale, Africa del Nord, Grecia, Turchia, è una ricchissima fonte di espressione musicale. Tra i numerosi esempi possiamo citare la hillula de­ gli ebrei marocchini, commemorazione gioiosa im­ portata in Israele, e l’intonazione delle baqqashot, «suppliche» o «petizioni» cantate nate nella seconda metà del XVI see. dall’ambiente dei circoli cabalistici sefarditi di Safed in Galilea. Tali concerti spirituali notturni venivano eseguiti da associazioni e confra­ ternite dei cosiddetti «guardiani dell’alba», e la prati­ ca devozionale si è diffusa nel Mediterraneo. In Ma­ rocco i poemi cantati nel corso delle veglie sabbati­ che utilizzavano modi e melodie della tradizione andaluso-maghrebina sui versi di poeti iberici medie­ vali, di Israel Najara (1555-1625), e dei loro epigoni nordafricani; tali antologie venivano utilizzate dai paytanim (cantori) per tutte le occasioni in cui era prevista l’esecuzione musicale della poesia, prevalen­ temente in forma di shir ezor (muwashshaty1. Uno dei più bei documenti storici relativi alla mu­ sica delle grandi vie di pellegrinaggio dei cristiani è il Llibre Vermeil de Montserrat, del XIV see., mano­ scritto con notazione musicale che raccoglie i canti 2 A. Bahat, «La po&ie hébraique médiévale dans les tradi­ tions musicales des communautés juives orien tales», Cahiers de Civilisation Médiévale 4, 1980, 297-322, p. 302.

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di lode alla Vergine e ai santi die i fedeli intonavano davanti al celebre monastero catalano, e che testi­ monia, ancora una volta, l’influenza della tradizio­ ne orale nella cultura musicale scritta. Viceversa il canto polivocale liturgico e paraliturgico delle confraternite laiche in Sardegna, Sicilia e Cam­ pania testimonia la continuità, nella cultura orale, di una tradizione di matrice erudita e allo stesso tempo popolare. In particolare i canti della Settima­ na Santa della tradizione sarda eseguiti dai confratel­ li dei principali Oratori, S. Croce, SS. Trinità, del Rosario, sono imo dei repertori più pregnanti e toc­ canti del patrimonio etnomusicale italiano. La tradizione orale del canto cristiano dei primi se­ coli si è progressivamente trasformata nell’esecuzione di testi liturgici dai cui segni ecfonetici, presenti nelle tradizioni siriaca, armena, copta, si è sviluppa­ ta la scrittura musicale della cultura occidentale. La musica liturgica condividendo esiti e sviluppi della musica d’arte europea, ha preservato la fonte origi­ naria del canto piano, modale e monodico, generi­ camente conosciuto come canto gregoriano. Tra le differenti famiglie di canto piano, mozarabico (Pe­ nisola Iberica), gallicano (Europa continentale), ro­ mano antico (Italia centrale), l’ambrosiano (Mila­ no) reca i segni più evidenti dell’origine orientale del canto cristiano. A questo proposito si devono ricordare le principali tradizioni che si sono sviluppate nei più antichi centri della cristianità d’Orientc, come il patriarca­ to di Antiochia, da cui sembra derivare il canto an­ tifonico. Alla Chiesa siriaca appartengono i cristia­ ni giacobiti, monofisiti come i copti, i cui canti

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monodici sono tramandati per tradizione orale dall’epoca di grande fioritura innografica, rappre­ sentata dalla produzione poetica di Efrem (306373). Nel canto siriaco ricorre la madrasha, poesia strofica intonata dal solista, al cui verso finale ri­ sponde il coro, il canto dei salmi con i versetti into­ nati alternativamente da due semicori, ed il canto solistico nel quale interviene l’improvvisazione, evi­ denti legami con le origini del canto cristiano. In tale contesto appaiono estremamente interessanti le forme completamente autonome dalla scrittura musicale, come ad esempio il canto liturgico della Chiesa copta ortodossa, trasmesso oralmente, che rappresenta la tradizione del Patriarcato di Alessan­ dria. Nel rito attuale si utilizzano, in proporzione diversa, tre lingue, copto, greco e arabo. Il suo re­ pertorio comprende gli inni misurati, alhàn, e non misurati, awàshì, e le acclamazioni, abrùshàt. Il taglio di una prospettiva mediterranea richiede­ rebbe complesse analisi comparate tra le differenti tradizioni nel tentativo di avvicinarsi sempre più al­ le fonti originarie da cui si sono sviluppate le diffe­ renti famiglie di canti. L’osmosi mediterranea, so­ prattutto nell’ambito della musica sacra, è un rifles­ so dell’affermazione delle tre religioni monoteiste, e della loro convivenza geopolitica, e nelle formule modali dei canti religiosi sono depositati archetipi sonori che sembrano rappresentare una koiné voca­ le di tipo modale. Il primo cristianesimo nacque in Oriente, in Pale­ stina e in Siria, prendendo a modello la lettura dei testi sacri, i canti di lode e le acclamazioni del giu­ daismo, e per analogia si è supposto che nella musi-

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ca della Chiesa greco-ortodossa di Bisanzio fosse presente una traccia della musica dell’antica Grecia, anche se tale ipotesi è poco probabile. Tra le fami­ glie che compongono il corpus della musica cristia­ na, quella bizantina appare una delle più ricche e affascinanti espressioni sonore mediterranee. Il can­ to bizantino ha subito nel corso dei secoli influenze e riforme di varia natura che non consentono di tracciarne un percorso lineare; la conoscenza delle prime melodie è mediata dalla successiva attività di scrittura musicale. I manoscritti anteriori al X see. non sono sopravvissuti a causa delle lotte iconoclaste, e le melodie più antiche, trasmesse dalla tradi­ zione orale, sono state riprese ed elaborate dai mo­ naci scrivani negli scriptoria dell’impero d’Oriente. Le forme più antiche dell’innografia bizantina sono quelle del tropario> un inno monostrofico, seguite dal kontakioy una successione di strofe sulla stessa melodia, formanti un acrostico, e collegate da un ritornello.Verso la fine delTvin see. si affermò una nuova forma, il kanon> la cui struttura si modellò su uno schema di nove odi, avente ciascuna un pro­ prio metro ed una propria melodia. Tale innovazio­ ne ebbe delle conseguenze molto importanti poiché è in questa fase che l’aspetto musicale acquisi una supremazia su quello poetico, c l’antico «melodo» si trasformò in «melurgo», delinenando così il carat­ tere specificatamente meditativo della musica bi­ zantina. I centri più importanti per la produzione innografi­ ca furono il monastero di San Saba, sul Mar Morto, nel quale operavano monaci greci, siriaci, armeni e copti, c il monastero dello «Studium» di Costanti­

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nopoli, e la fioritura del canto liturgico è frutto de­ gli apporti di padri provenienti dai più itnportanti centri del Mediterraneo. 1 testi di teoria non forniscono informazioni chiare sulla natura delle scale, ma dalle fonti musicali ap­ pare evidente che la melopea bizantina è suddivisa in otto gruppi, corrispondenti ad altrettante for­ mule d’intonazione, attraverso i quali vengono de­ finiti gli otto echoi (modi), quattro autentici, quat­ tro piagali, indicati con le prime quattro lettere dell’alfabeto. L’epoca della grande produzione di inni si arrestò nell’xi see., e nel periodo della dinastia paleoioga (1261-1453) si sviluppò la tendenza ad ornare le melodie del repertorio bizantino di fioriture e meli­ smi. L’ultima fase della storia della musica bizantina arriva fino alla dissoluzione dell’impero, e viene so­ litamente assimilata alla cerimoniale solennità della vita di corte, e alle influenze straniere che caratteriz­ zarono quest’area del Mediterraneo. È l’epoca dei mcùstoreSi compositori specializzati nell’arricchirc di fioriture le melodie, e della nascita di un particolare tipo di composizione priva di testo, il kratima, nella quale vengono intonate eufonicamente sillabe prive di senso. Con la caduta di Costantinopoli, 1453, e l’avvento dell’impero ottomano, si insinuarono nella musica bizantina toni prettamente orientali, attraverso l’in­ fluenza della musica turca, e la trasformazione di Santa Sofia in moschea, segna idealmente il confi­ ne, tra musica bizantina c musica neogreca. Nella prassi musicale odierna il repertorio bizanti­ no viene eseguito da un coro di cantori, psaltis, di*

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retti dal cantore solista, protopsalte. All'interno del coro, alcuni cantori, issokratis, intonano la nota ba­ se del modo, creando un bordone sul quale si erge il profilo melodico degli splendidi edifici sonori della chiesa orientale. Nel mondo musulmano, privo di musica liturgica, il canto come mezzo di elevazione spirituale è stato esaltato in seno alla grande e variegata corrente mi­ stica del sufismo. Qui troviamo la definizione dell’offerta musicale, o concerto spirituale, una pra­ tica rituale definita sama\ audizione mistica, teoriz­ zata e praticata dai più grandi mistici come Ghazali (1058-1111), Ibn Arabi (11654240), Rumi (12071273). Le differenti vie di ricerca esoterica tracciate dai fondatori dei principali ordini prevedono l’in­ tonazione di canti di lode, panegirici, inni, e del dhikr, ripetizione del nome divino, esercizio spiri­ tuale basato su un precetto coranico. In Africa del Nord le confraternite hanno conserva­ to e trasmesso la tradizione musicale andaluso-maghrebina utilizzata sia per una parte del repertorio devozionale che per quello profano della musica d’arte cittadina. Tra i numerosi esempi di concerto spirituale citiamo Vinshàdegiziano. Il termine designa l’intonazione di inni di lode in onore del Profeta e dei fondatori del­ le principali confraternite da parte di cantori, munshidùn, guidati da uno shaykh, guida spirituale della comunità e solista del canto responsoriale. Privo di accompagnamento strumentale, il canto viene in al­ cuni momenti scandito dal battito delle mani. Le sue strutture melodiche sono analoghe a quelle dei (modi) della musica d’arte profana.

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Nella tradizione popolare gli inni vengono intonati da un maddàh, con particolare enfasi ritmica, grazie alla presenza di strumenti musicali, prevalentemen­ te a percussione, riqq (tamburo a cornice), duff (tamburo a cornice), darbùka (tamburo a calice), kàsàt (cimbali) c dal flauto, này kawala. Un altro esempio originale di musica devozionale è offerto dalla tradizione turca, al cui interno sono presenti il modello colto dell’inno, ilahi, frutto del­ la cultura ottomana, c quello popolare anatolico, nefes. Quest’ultimo accompagnato dal liuto a mani­ co lungo, sàz, che ha anche una funzione percussiva oltre che melodica, è eseguito dal bardo mistico, detto ashik (amante, innamorato) che è una figura centrale della tradizione devozionale dell’Asia Mi­ nore c più in generale di tutta l’Asia Centrale. Il sama rituale dei dervisci mcvlevi è divenuto il simbolo più pregnante dell’offerta musicale devo­ zionale, e la danza accompagnata da strumenti mu­ sicali, ney (flauto di canna), tambur (liuto a manico lungo), kudum (timpani), halile (cimbali di rame), rappresenta il legame più evidente tra l’antica idea dell’armonia o musica delle sfere e il misticismo musulmano. L’ordine è stato il principale serbatoio di talenti musicali, e la storia della musica ottoma­ na c profondamente legata ai grandi mistici che fu­ rono poeti, calligrafi e compositori di straordinario rilievo, come ad esempio Mustafa Itti (1640-1712), Mustafa Effendi (1705-1770), Dede Effendi (17971845), e a sultani artisti e mecenati, come Selim III (1788-1807). La configurazione di un corpus di musica classica ottomana, strutturato in suite o sequenze modali,

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principio comune a tutta la musica d’arte del mon­ do islamico, è un esempio non soltanto del cosmo­ politismo mediterraneo della scuola stambulina, alla quale hanno contribuito armeni, greci, arabi, ma della permeabilità tra i confini della musica sa­ cra e profana.

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Una dimensione PREVALENTEMENTE MELODICO-VOCALE

Ciò che caratterizza, distingue e diversifica l’espres­ sione musicale mediterranea è l’utilizzazione di in­ tervalli naturali, non temperati, suoni scelti inscritti nelle strutture melodiche dei modi. Nella pur gran­ de varietà di emissioni e stili vocali, e tecniche e re­ pertori strumentali, la dimensione modale è il co­ mune denominatore espressivo, il fondo strutturale da cui scaturisce l’originalità e la varietà delle sue manifestazioni sonore. Partendo dalla definizione più semplice, «modi e sistemi modali non sono altro che tipi generalizzati di movimento melodico» (Belaiev 1963), «un modo è il percorso attraverso cui le altezze di una scala sono utilizzate in una composi­ zione» (Netti 1964), arriviamo a rappresentare la concezione modale come fonte generatrice, deposi­ to collettivo, e cisterna di approvvigionamento del­ l’ispirazione e della creatività musicali, come ad esempio nelle tradizioni del mondo islamico. L’enorme ricchezza delle sue costellazioni modali è condensata nel termine semitico maqàm (modo, scala musicale), concetto esperienziale da cui discen­

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de la grammatica generativa del pensiero musicale arabo-turco. Tutte le civiltà musicali antiche del Mediterraneo sono di concezione modale, e la frat­ tura tra musica europea e musica del Vicino Oriente si è determinata al momento dell’acquisizione della dimensione verticale dell’armonia accordale, quan­ do la musica colta occidentale abbandonò progressi­ vamente la modalità per definire una nuova conce­ zione: la tonalità e il temperamento equabile. La maggior parte delle musiche di tradizione del Mediterraneo è concepita nella dimensione oriz­ zontale, monodica, ricchissima di sfumature e articolazioni microtonali; d’altronde anche nelle forme polivocali sono presenti fenomeni di slittamento d’intonazione, portamenti di voce, glissando ma­ nierismi vocali, che caratterizzano e individualizza­ no il canto. L’organizzazione formale dei percorsi melodici è dettata dalla natura intervallare dei rispettivi siste­ mi musicali adottati dalle differenti culture. Leydi (1973:15) ha efficacemente riassunto i carat­ teri emergenti della musica del Meridione, inteso come fascia mediterranea: a) impianto spiccatamente melodico; b) base modale di tipo orientale (e soluzioni tonali moderne con larga prevalenza del minore); c) forte tendenza allo sviluppo melismatico; d) larga prevalenza dell’esecuzione solistica; e) emissione a gola chiusa c voce forte, alta, “lace» rata ; f) strutture ritmiche generalmente libere; g) limitata dipendenza da forme strettamente strofiche;

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h) predominio di testi di carattere “lirico”; i) predominio del metro endecasillabo, in varie combinazioni strutturali, con rime e assonanze parossitone. Sulla base di questa classificazione possiamo svilup­ pare alcune osservazioni supplementari tenendo conto anche della distinzione delineata da Magrini (1993:169 e sgg.) riguardo ai due principali sistemi di produzione sonora della tradizione relativi al canto monodico, la composizione c la trasmissione di oggetti sonori compiuti e finiti, le canzoni, e la realizzazione estemporanea di specifici modi di canto. Questi ultimi rappresentano strategie creati­ ve messe in atto per esaltare le potenzialità della co­ municazione sonora. Semplificando l’enorme com­ plessità di un’area geografica così diversificata, po­ tremmo dire che il pensiero musicale continentale è tendenzialmente orientato verso la creazione di for­ me chiuse, oggetti sonori finiti, mentre quello me­ ridiano verso forme aperte, caratterizzate dall’ag­ gregazione di materiali testuali, sonori e ritmici, sotto il tratto unificante di una emissione vocale originale, dalle forti connotazioni emotive. Tra i vari capiscuola dell’etnomusicologia, Lomax è lo studioso che ha dedicato maggiore attenzione al­ le tecniche del canto e alla gestualità e all’espressio­ ne del viso e alla postura del corpo, per differenziare e classificare gli stili musicali. In modo evidente nel sud dell’Europa, nell’Africa del Nord, e nel Vicino Oriente si riscontra una maggiore tensione vocale, un irrigidimento della gola, la voce sforzata; consc­ guentemente i segni di questo sforzo si manifestano non solo esplicitamente, ma divengono parte inte­

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grante delia grammatica espressiva, in qualità di ge­ sti sonori: basta pensare al volto di un cantaor an­ daluso, un egiziano o siriano che interpreta un mawwàly un campano che intona un canto a distesa, un marocchino che canta una muwashshah, e gli esempi potrebbero continuare a lungo. In certi mo­ menti l’interprete sembra colto da uno spasmo, un misto di dolore e di piacere, gli occhi chiusi, con­ centrato esclusivamente sul canto, in uno stato di alterazione molto vicino alla trance. Generalmente la voce è spinta e priva di risonanze di testa, mentre vengono esaltate quelle facciali, in particolare nasali, e del corpo. Si potrebbe dire che ciò che conta è il corpo della voce, o il corpo che canta nella voce, e dunque oltre alla trasmissione della cultura di tradizione orale, essa è espressione aurate e spazio/temporale di energia vitale. Il Medi­ terraneo appare dunque il luogo della vocalità per eccellenza. C’è un gesto presumibilmente arcaico che sembra unire tutte le forme di ipervocalità che caratterizza­ no l’area mediterranea, quello di portare il palmo della mano verso la guancia creando un canale au­ ditivo diretto e privilegiato tra bocca e orecchio deH’esecutore. Lo ritroviamo in manifestazioni di­ versissime, i richiami di venditori di diverse regioni e paesi, l’appello alla preghiera del cantore corani­ co, le liriche dei carrettieri siciliani, i cantori della polifonia sarda, i canti a distesa dell’area vesuviana, l’intonazione di inni devozionali, e tutte le espres­ sioni modali che richiedono sicurezza d’intonazio­ ne, potenza vocale, ed espressività timbrica etnica­ mente connotata.

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L’emissione a gola chiusa, con grande intensità, a voce forte e acuta, con lacerazioni e increspature che ne sottolineano il pathos è un modello comune a tutta l’area mediterranea. Ad essa è associata l’espressione della pena e del sentimento, con forte carica drammatica. Dilatando o restringendo il pa­ lato e la glottide, muovendo la lingua, nasalizzando i suoni, i cantori emettono armonici che costitui­ scono il pathos timbrico di ciascuna cultura o grup­ po etnico e sociale. L’apprendimento di queste tec­ niche vocali avviene per imitazione e segue l’itincrario formativo comune alle culture di tradizione orale, nelle quali si verifica una sostanziale adesione tra corpus melodico e sistemi musicali, senza alcu­ na elaborazione teorica. Possiamo in altri termini individuare nei modi di canto dell’area mediterranea una forte tendenza all’ipervocalità, come manifestazione di gesti sonori tesi a stabilire una comunicazione immediata, nella quale il valore musicale predomina sul contenuto verbale. La propensione all’andamento melismatico, il disegno di profili melodici ad arco, o discen­ denti, dal registro acuto verso il grave, la tendenza a procedere per gradi congiunti, l’enfatizzazione “drammatica” dell’emissione vocale, la concezione fluida dell’articolazione temporale, si riscontrano in numerosi esempi nei quali il canto si appropria acusticamente e simbolicamente dello spazio circo­ stante. La voce, con le sue caratteristiche timbriche e di emissione sedimentate e determinate dalla tra­ dizione orale, possiede una grana che rappresenta la proiezione simbolica di una comunità, di un grup­ po sociale o di un’area geografica.

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Questo tipo di organizzazione strutturale prevede la possibilità di intonare testi di tipo modulare, che si adattano al contesto e alle circostanze della perfor­ mance, aggiungendo o togliendo parti complemen­ tari e autonome, secondo procedimenti mnemoni­ ci che sottintendono il cosiddetto ‘stile formulare”. Il termine “lirico” si configura come una sintesi del­ la complessità soggettiva deirinsieme dei tratti cita­ ti, non soltanto in opposizione allo stile narrativo, il cui prototipo è la ballata, ma come esaltazione di un agire musicale teso a produrre un totale coinvol­ gimento dell’ascoltatore. La definizione canto lirico abbraccia tutti i repertori nei quali delle melodie ti­ po vengono utilizzate per intonare testi differenti, metricamente simili, e in cui prevale l’impatto emotivo. La performance musicale investe il corpo di una fitta trama di sinestesie, provocando feno­ meni di risonanza simpatica tra esecutori e ascol­ tatori. Per cogliere appieno la dimensione meridiana del pensiero musicale è possibile accostare ad esempio una canzone conviviale, “da tavola” greca, una siguiriya primitiva gitano andalusa, un canto in re della tradizione sarda, e via di seguito, per osservare sullo sfondo, al di là delle evidenti differenze di pri­ mo piano, dovute alle lingue e agli specifici stili vo­ cali, e alla maggiore o minore prevalenza di tratti melismatici, elementi comuni dell’organizzazione formale. Tali affinità possono essere spiegate attra­ verso l’utilizzazione di famiglie melodiche, o siste­ mi modali simili, ma ciò che è più evidente è la sen­ sibilità emotiva del canto, nel quale agisce il pathos dell’impostazione e del timbro vocale, e V ethos del

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modo. La dimensione drammatica della voce è dunque una koiné mediterranea, per eccellenza. Nelle infinite combinazioni dei percorsi melodici basati su strutture o configurazioni tetracordali è possibile individuare processi di sincretismo moda­ le, che rappresentano uno dei più significativi feno­ meni musicali mediterranei. Per definire il concetto di mobilità modale sono state impiegate definizioni che rappresentano il riflesso sonoro di fenomeni di inter o transculturalità, come modo misto o metabola. Quest’ultimo termine, di origine ellenica, ci ri­ corda la ricchezza del patrimonio tradizionale gre­ co, che nella sua varietà si presenta come un croce­ via temporale e geografico di straordinario interes­ se, luogo di transizione fra Oriente e Occidente. Grazie alle interazioni con le culture sonore circo­ stanti esso appare come un prototipo dell’osmosi mediterranea. La complessità degli stili musicali della Grecia moderna deriva dal contatto e lo scam­ bio con elementi balcanici, in particolare slavi e al­ banesi, nelle regioni settentrionali, italiani nell’area insulare ionica, turco-persiani nell’arca insulare egea e nelle musiche dei greci d’Asia Minore, con la particolare originalità della tradizione di Creta e l’amalgama unificatore della tradizione bizantina.

Arte dettimprovvisazione

Ciò che caratterizza e rende più interessanti le for­ me di virtuosismo vocale popolare è la presenza di svariati gradi e livelli di improvvisazione. Qucst’uL tima è tesa di volta in volta a realizzale e articolare

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le potenzialità del sistema musicale in relazione al contesto della perfomance. L’espressione estempo­ ranea è il terreno privilegiato della poesia cantata. In diverse occasioni le unità linguistiche dei versi non sono rispettate a favore di un espressività musi­ cale che scompone e moltiplica il significato testua­ le attraverso un gioco di rifrazioni sonore. Un esempio di tale procedimento in ambito colto è da­ to dal mawwàl della tradizione arabo-musulmana. In questa interpretazione vocale non misurata dei versi dei poeti classici o moderni, c’è una reciproca esaltazione del maqàm, in quanto costellazione mo­ dale, e del testo, con le sue metafore; sia le singole parole, che parti di esse vengono reiterate seguendo dei percorsi sonori concentrici, tesi a raggiungere un climax espressivo di grandissima intensità. Altre possibili combinazioni tra unità musicali e lessicali al fine di esaltare l’eufonia, o di creare scarti dalla norma si trovano ad esempio nel cantejondo> dove i versi delie strofe vengono intonati in sequen­ ze, dette tercìos, che sono indipendenti dalla logica formale del senso; oppure ncH’intcrpretazionc dei mutos del canto a tenore sardo, dove l’ordine delle parole dei versi viene mutato secondo una progres­ sione geometrizzante che si potrebbe definire calei­ doscopica. Il prevalere della dimensione melodica su quella testuale si manifesta in numerosi contesti, e tra questi citiamo il procedimento del cosiddetto tsakisma della musica tradizionale greca, che consi­ ste nell’interpolazione di esclamazioni, parole, frasi o sillabe nonsense, che spezzano la sequenza sintat­ tica del verso per colmare quella musicale. La cosiddetta glossolalia, sillabe sprovviste di senso

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utilizzate a fini esclusivamente musicali, è presente in diverse tradizioni, ad esempio nel flamenco, nel­ la tradizionae andaluso-maghrebina, in particolare nella scuola algerina. In alcuni contesti il virtuosismo vocale, unito ad una prontezza di riflessi e ad una grande capacità mnemonica, viene esercitato e stimolato da una ga­ ra o una sfida ritualizzata tra cantori. L’improvvisa­ zione dei testi su precisi schemi formali certifica l’attualità dell’esecuzione (performance). Per dare qualche esempio possiamo citare i canti a ffigliola e le jronne della tradizione campana, le sirbie e i canti alla carrittera della tradizione siciliana, {'ottava rima dell’Italia centrale, i chjama e rispondi della tradizione corsa, lo spirtu pront della tradizio­ ne maltese. In altri casi l’improvvisazione non ri­ guarda il testo cantato ma la realizzazione di varia­ zioni musicali su schemi di accompagnamento e di versi preesistenti, che sono il frutto di una sedimen­ tazione selettiva relativamente ampia, come ad esempio il canto a chitarra della tradizione sarda (Gallura e Logudoro), o decisamente ristretta come {'ghana maltese. L’arte dell’improvvisazione raggiunge il suo apice nella virtuosismo strumentale del taqsim, esplora­ zione iniziatica delle potenzialità sonore di ciascun maqàrn (modo). Se nelle musiche di tradizione ora­ le la realizzazione delle versioni estemporanee del patrimonio richiede uno specifico approccio al concetto di improvvisazione, la musica d’arte del mondo islamico presenta una natura modale la cui essenza formale si rivela in stretta connessione al fattore temporale. Le forine musicali sono aggrega­

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te dal principio ispiratore unitario della suite, waslah in arabo c fasti in turco, che sviluppa l’unità modale attraverso un gioco di infinite sfumature melodico-ritmiche, che si dispongono in una se­ quenza articolata di brani composti, semicomposti, improvvisati e semimprowisati. In altre parole la grande tradizione monodica meri­ diana possiede una dimensione intrinseca del tem­ po che è fonte di perenne rinnovamento nell’attua­ lità della performance musicale.

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Il dominio di Cronos

Un discorso sulle tradizioni musicali del Mediterra­ neo non può prescindere da una riflessione sulla specificità della dimensione temporale, che rac­ chiude non soltanto l’essenza deirevento musicale, ma anche della sua diversità, in relazione all’espe­ rienza della parcellizzazione che contraddistingue la vita delle grandi metropoli e dei differenti linguaggi della comunicazione contemporanea. A questo proposito va osservato come l’azione della musica coinvolge o interviene nel campo della per­ cezione temporale, generando un tempo “rituale” diverso da quello “reale”. La concezione ciclica o circolale del tempo, caratte­ ristica delle culture musicali tradizionali, esprime un vissuto musicale in sintonia con i tempi biologi­ ci c fisiologici. L’interiorizzazione della durata non pone limiti cronologici all’attenzione e alla concen­ trazione, ma asseconda bisogni a cui la musica sem­ bra offrire risposte estremamente gratificanti. Ciò che distingue una parte considerevole delle musiche prese in esame è l’ambiguità del tempo

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musicale, articolato non soltanto dalla pulsazione della misura, ma attraverso un gioco di accenti che sfugge ad una precisa definizione, lasciando spazio alla percezione soggettiva di seguire i propri percor­ si metrici, o potremmo dire di identificarsi agogicamente e sincronizzarsi con il tempo musicale. Attraverso farticolazione temporale, oltre che me­ lodica, e in virtù della proliferazione ritmica il cor­ po viene per così dire “investito” da una serie di sti­ moli sensoriali di natura acustica, visiva, e cinetica. La complessità del fatto musicale è nella trama di sinèstesie che lo accompagna e nc determina la pro­ duzione e la percezione. Tutto ciò può essere sedimentato nel sapere tradi­ zionale senza alcuna concettualizzazione teorica, oppure agire come riflesso di una specifica conce­ zione del mondo sonoro. Una particolare strategia metrico ritmica è quella adottata nelle nubat della tradizione andaluso-maghrebina, che viene meglio esemplificata dalla tradizione marocchina. Ciascun mìzàn (movimento) delle suites è caratterizzato e denominato dal proprio ciclo ritmico: basii, qaim wa nusfy btàyhì, draj, e quddàm{. La progressiva acccllerazione compiuta all’interno dei singoli movi­ menti potenzia gli effetti della percezione musicale. La nuba presenta dunque una macrostruttura cicli­ ca, costituita da microstrutture, le unità poeticomusicali dette san at, e questo rapporto le conferisce una straordinaria coesione. La sapiente articolazione temporale della nuba mette 1 M. Guettat, La musique classìque du Maghreb, Paris 1980, p. 195.

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in relazione dinamica V ethos di ciascun modo, come suggerisce il termine con cui viene designata la scala modale nel lessico maghrebino, tab* (carattere, tem­ peramento, natura). Gli impliciti aspetti terapeutici, spirituali, e psicologici di tale repertorio rimandano al sapere musicale dell’epoca d’oro dell’IsIam, e alle corrispondenze tra modi, movimenti musicali, ele­ menti, e umori (temperamenti) configurati nel dia­ gramma, o schema simbolico, detto shajarat al-tubu (albero dei modi o temperamenti). Ciò risponde alla natura della musica arabo-musul­ mana, la cui articolazione temporale è fondata su cicli ritmici costituiti da patterns nei quali agisce la dinamica dialettica tra colpi sordi e sonori, conven­ zionalmente definiti dum e tak, ed una varietà di sfumature intermedie. Un fenomeno particolarmente significativo nella prospettiva mediterranea è l’emergenza di sistemi metrico ritmici a carattere iterativo microvariato che troviamo ad esempio nelle musiche dell’Italia centrale c meridionale: saltarello, tarantella, tammurriata, pizzica e via seguito. Questa articolazione del tessuto ritmico appare co­ me un catalizzatore emotivo, propedeutico e con­ geniale al raggiungimento di stati modificati di co­ scienza, che comportano la semplice eccitazione psicologica e motoria, l’ebbrezza o la trance. Questa dimensione temporale sottintende un fondo ritua­ le, spesso implicito, che si manifesta nel parossismo ritmico ed emotivo. Giannattasio (1992:121 e sgg.) ha messo in eviden­ za i caratteri principali di questo fenomeno le cui valenze possono così essere riassunte:

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- pulsazione esplicita, ossia sonoro pcrcussiva, o implicita, rappresentata dai gesti o movimenti del corpo; - alternanza e/o ambiguità tra figurazioni binarie e ternarie, gioco di accenti estremamente dina­ mico; - conflittualità tra unità metrica (il metro è preva­ lentemente uno schema mentale che condiziona la percezione ritmica) e figurazione ritmica; - ripartizione tra i diversi strumenti delle figurazio­ ni o patterns ritmici. Tutto ciò contribuisce ad arricchire enormemente la sfera agogica e a creare una articolazione estremamente dinamica delle durate, nella quale sulla base di una pulsazione ostinata entrano in gioco accenti, timbri, armonici, conferendole l’aspetto di un’itera­ zione cangiante. Questa dimensione ritmico tem­ porale appare dunque il fondamento della funzione rituale di numerose espressioni musicali del Medi­ terraneo, soprattutto di quelle che favoriscono stati percettivi particolari, come spaesamento o alterità temporale, turbamento emotivo, trance. Nella segmentazione geografica del Mediterraneo abbiamo indicato l’area “balcanica” come uno dei poli di percezione dell’unità nella diversità. Uno degli aspetti più significativi di quest’area è quello della cosiddetta “bicronia”, della sequenza o asso­ ciazione di cellule binarie e ternarie, definita dal termine aksak (zoppo). Tale organizzazione ritmica, irregolare per il sistema musicale europeo, si riscon­ tra nella ex-Jugoslavia, Albania, Grecia, Turchia, ed è profondamente legata alle danze tradizionali.

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La dimensione ritmica appare dunque profonda­ mente correlata all’alterazione degli stati di coscien­ za, e al sovrannaturale che circonda l’espressione mu­ sicale. Fenomeni di trance, estasi, possessione, ap­ paiono indotti non soltanto dal contesto sociale, ri­ tuale, e comunicativo ma anche dall’azione dinamica della pulsazione ritmica, c dalla sinergia tra suono, ritmo, movimento, respirazione, e stimolazioni sen­ soriali varie, come i colori c gli odori, come è stato approfonditamente studiato da Rouget (1980). Su uno sfondo mitologico e storico, dalla mania greca, e dai rituali dionisiaci, si profilano all’oriz­ zonte numerose manifestazioni rituali caratterizzate da specifici repertori musicali. La gamma di com­ portamenti e di pratiche musicali è estremamente varia, e a titolo di esempio citiamo alcuni tra i prin­ cipali fenomeni che presentano caratteri rituali, te­ rapeutici e comunitari, anche se alcuni di essi sono praticamente scomparsi, come il caso del taranti­ smo, studiato da De Martino, Carpitella, Schnei­ der, Gailini.

anastenarides (Grecia) fachirismo; gnawa (Marocco), diwàn (Algeria), stambali (Tuni­ sia, Libia) trance/ possessione; dhikr (Maghreb, Mashreq) estasi/ trance/ fachirismo; tarantismo (Puglia) possessione/ trance; argia (Sardegna) possessione/ trance. Tutti questi fenomeni sembrano accomunati, al di là delle evidenti differenze, da un denominatore rit­ mico, ossia da una dimensione temporale della mu­ sica basata sulla durata fenomenologica, ossia sul-

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resperienza soggettiva della percezione. La predo­ minanza di processi iterativi di carattere ritmico fa­ vorisce l’induzione di stati particolari di coscienza, che si manifestano nei musicati, e che i musicanti guidano e controllano.

Aura chorea

Nella prospettiva mediterranea il ritmo evoca, de­ nota e caratterizza anche e soprattutto il movimen­ to e la grande varietà di danze coreografate o virtua­ li, come quelle puramente strumentali, che alimen­ tano la vivacità del nostro panorama musicale. La danza è il luogo della socializzazione, dell'aggre­ gazione, del corteggiamento, della sfida, del diverti­ mento, dell’intrattenimento, del sacro e del profa­ no. Pur presupponendo una musica funzionale ai movimenti del corpo, rappresenta la proiezione nel presente, di una gestualità carica di aspetti simboli­ ci di origine antica. Le rappresentazioni rupestri preistoriche, la poesia classica, la mitologia, l’icono­ grafìa, mostrano una varietà di danze corali e indi­ viduali dagli evidenti connotati magici, rituali, te­ rapeutici, apotropaici. Pur avendo perduto alcune delle loro principali ca­ ratteristiche, le danze dell’arca mediterranea rap­ presentano ancora un fortissimo legame con il pas­ sato. L’ipotesi di un modello o carattere coreutico labirintico avanzata da Salvatore (1989: 68-121) che dallo scenario mitologico dell’antichità risali­ rebbe fino ad alcune danze tradizionali fortemente rituali, mostra la profondità storica e simbolica del-

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le culture tradizionali e la presenza di numerosi strati sovrappostisi nel corso del tempo. Quanto detto riguardo alla musica antica europea, vale anche per il mondo della danza. Lo scambio e l’interazione tra l’espressione coreografica destinata alle corti cittadine e le danze popolari, è testimonia­ ta anche attraverso le stilizzazioni e le mediazioni erudite dei maestri di ballo del Rinascimento e del Baiocco. Tra gli esempi più significativi e più ricchi di impli­ cazioni simboliche citiamo la moresca, danza nella quale si mima il combattimento tra musulmani e cristiani, diffusa in tutto il Mediterraneo europeo. La sua presenza nel registro colto dei divertimenti delle corti d’Europa in epoca rinascimentale, in quello popolare del folklore, e le numerose connes­ sioni con manifestazioni omologhe, conferiscono a questa forma poliedrica una pregnanza particolare. Un discorso sulla danza dovrebbe anche prendere in esame gli abiti, che contribuiscono a creare effet­ ti di colori in movimento, e che rappresentano i se­ gni materiali di una cultura immateriale estremamente raffinata e diversificata, come ad esempio i meravigliosi indumenti tradizionali delle isole gre­ che e della Sardegna. Tra le centinaia di danze evidenziamo alcune tra le grandi famiglie coreutiche d’interesse medi terra­ neo. Sirto', è la più diffusa danza in tondo della Grecia, c poiché il suo nome è presente in una iscrizione del I see. d.C. è ritenuta una delle più antiche manifesta­ zioni coreutiche elleniche.

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Kolo: è la principale famiglia di danze circolari della ex-Jugoslavia ed è di origine antica. Può essere ac­ compagnata dal canto, ma preferibilmente da stru­ menti.

Zeybek: è una delle principali danze collettive anatoliclie, assieme allo halay. Le numerose varianti coreografiche e gestuali dell’area del Mar Nero e dell’Est sono genericamente definite horon e bar. Saltarello: è la principale famiglia di danze delPItalia Centrale, e la sua nomenclatura comprende nu­ merose varianti regionali zumparella, ballarella, sal­ tarella, e via di seguito.

Tarantella: è la principale famiglia di danze diffusa in tutta Farea meridionale italiana, con specifiche declinazioni regionali, ballo sul tamburo o tammurriata in Campania, pizzica o pizzicarello in Puglia e Calabria, c viene eseguita da coppie miste, in forma circolare o processionale. Ballu tundu: è la danza collettiva circolare che rap­ presenta il simbolo coreutico-musicale della Sarde­ gna. Essa può essere accompagnata da canto a teno­ re, launeddas o sempre più frequentemente anima­ ta dalla versatilità e dalla verve dell’organetto.

Farandole: si dice che questa danza a catena della Francia meridionale sia stata importata a Marsiglia da marinai fenici, e che sia di origine antico-greca, legandola dunque a quella che è considerata la culla dell’orchestica europea, la civiltà minoica.

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Jota oltre alle due varianti storiche, aragonese e navarresc, esistono numerose varianti regionali di questo ritmo, tra i più diffusi c conosciuti della pe­ nisola iberica.

Fandango'. si tratta di una famiglia coreograficomusicale iberica con numerose declinazioni regio­ nali, granadina^ murcianas, malaguena, rondella.

Sardana questa danza collettiva circolare è il sim­ bolo coreutico-musicale della Catalogna. Si distin­ guono due tipi di sardana, corta o primitiva, dun­ que tradizionale, e larga o d’autore, scritte da com­ positori moderni. Essa viene animata da un csemble detto cobla, composto dalla coppia Jlabiol — tamboril) e tibie (zampogna), ottoni e contrabbasso. Ahidour. danza collettiva mista del Maghreb, tradi­ zione berbera del Medio Atlante, accompagnata da strumenti a percussione, bendir, e dal canto dei par­ tecipanti, che viene eseguita in numerose varianti regionali o tribali nel corso delle feste tradizionali legate al calendario religioso c civile, e al ciclo della vita. Nelle regioni delTAlto e Anti Atlante viene chiamata ahouach. Entrambe vengono eseguite an­ che nel corso del moussem, il pellegrinaggio presso le tombe e i mausolei dei marabutti. Dabke-. danza collettiva maschile o femminile del Mashreq (Palestina, Libano, Giordania e Siria) in forma lineare o semicircolare, caratterizzata dal bat­ tere ritmico dei piedi sul terreno.

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Organologia e iconografia

Gli strumenti musicali testimoniano la vitalità de­ gli scambi e delle interazioni tra culture musicali delfarea mediterranea. In un certo senso essi segna­ no, come pietre miliari, le vie della musica nei per­ corsi di diffusione, e come ponti, il transito di tec­ niche organologiche e in parte esecutive da una cul­ tura musicale all’altra. Nelle culture tradizionali gli strumenti possiedono un importante valore simbolico, che si manifesta nelle azioni musicali rituali e cerimoniali; poteri magici, terapeutici, apotropaici, esoreistici, sono lo­ ro attribuiti in tutta la fascia mediterranea. Nella grande varietà di strumenti, gli idiofoni e i membranofoni, in particolare sonagli e tamburi, possiedono un posto di rilievo nei culti di ogni ge­ nere, nelle manifestazioni religiose, nelle cerimonie sacre, nelle processioni devozionali, ed appaiono come il primo e più importante tratto organologico meridiano. La funzione primaria di segnale, ad esempio la campana nella cultura cristiana, si sovrappone a

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quella di oggetto esoreistico e apotropaico di antica origine, fino all’uso propriamente musicale di serie intonate di idiofoni vascolari. Analogamente, nella cultura ebraica al corno di montone o shofary im­ piegato nella liturgia sinagogale, sono associati po­ teri magici, come si desume dai testi biblici. L’immagine del tamburello in posizione verticale sollevato in aria e percosso dalla mano ha una gran­ de forza evocativa, ed è un gesto sonoro ancestrale che ritroviamo in Spagna, nell’Italia meridionale, nel Maghreb, e così via. Nelle culture classiche, gre­ ca, romana, ebraica, islamica, agli strumenti è attri­ buita una origine mitologica, e la presenza e la so­ pravvivenza di strumenti antichi ha contributo a formare il quadro storico delle culture musicali me­ diterranee, conferendo loro una profondità tempo­ rale unica. La documentazione relativa agli strumenti antichi in uso nel mondo mediterraneo è piuttosto ricca se consideriamo le fonti teoriche, letterarie, poetiche, iconografiche, e propriamente organologiche. Dal punto di vista iconografico il manoscritto delle Cintigas de Santa Maria (Codice Bil, Escoriai) e i dipinti del soffitto della Cappella Palatina di Paler­ mo sono fonti straordinarie per la comprensione della circolazione di oggetti sonori nel mondo me­ diterraneo. Diversi studiosi, tra cui Sachs (1996: 288), hanno sottolineato come la maggior parte de­ gli strumenti in uso nell’Europa all’inizio dell’epoca moderna fossero nati o provenissero dal Vicino Oriente. Nel manoscritto iberico elaborato nello studio alfonsino figura una grande varietà di strumenti

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musicali del XIII sec., nell’atto di essere suonati da musicisti di diversa provenienza cd estrazione, e in particolare cristiani, musulmani cd ebrei. Tali im­ magini rappresentano il più importante campiona­ rio organologico dell’epoca. Gli strumenti del codi­ ce dei musicisti appaiono al lato di tutte le CSM de­ cimali, ed è interessante sottolineare la presenza di tale abbondanza di arnesi sonori in una compila­ zione di brani destinati all’interpretazione vocale, ordinati per categorie organologiche, principal­ mente cordofoni, aerofoni, c membranofoni. Oltre all’intento didattico cd enciclopedico di tale archi­ tettura iconografica, essi potrebbero suggerire la prassi strumentale con la quale si accompagnavano le melodie vocali delle CSM. Parte degli strumenti delle miniature delle CSM appartengono alla vita musicale del Vicino Oriente musulmano, come ad esempio ‘z/X rebabs e qànùn^ dove ancora oggi, can­ to e accompagnamento strumentale seguono la stessa linea melodica e la stessa ornamentazione. Ribeira sulla base della forma strofìca delle CSM, lo zejek ha suggerito un’origine araba che è stata suc­ cessivamente contestata da Anglés. I dipinti del soffitto della Palatina date le dimen­ sioni ridotte e la struttura a cassettoni e muqarnas, ossia ad alveoli, sono un microcosmo musicale di rara bellezza, e una straordinaria fonte d’iconogra­ fia organologica. Anche qui gli strumenti, soprat­ tutto cordofoni a pizzico e ad arco, sono ritratti nelle mani degli esecutori, elegantemente vestiti, e prevalentemente ritratti nella posizione caratteristi­ ca dell’arte islamica, seduti a gambe incrociate con un ginocchio sollevato. Lo strumento ricorrente è

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1. Suonatori presso una fontana, da una pittura su legno del soffitto della cappella Palatina di Palermo.

il liuto, al~ùd in arabo, in tutte le sue varianti me­ dievali, con quattro o cinque corde, semplici e dop­ pie, suonate da un plettro, un manico ancora piut­ tosto sottile, il caratteristico cavigliere piegato all’indietro ed una varietà di casse armoniche tra le quali prevale la forma affusolata a mandorla. Le figure dipinte della Cappella Palatina sembrano rispecchiare la vita musicale delle corti musulmane, e corrispondono a modelli già presenti nell’arte abbaside e, in epoca pre-islamica, in quella sasanide (il-VI see.) della Persia. La presenza di musicisti nel­ la raffigurazione di banchetti, con il particolare del motivo simbolico della coppa o calice, è presente nell’arte del Vicino Oriente, soprattutto in area mesopotamica, fin dall’antichità. I musicisti sono spesso raffigurati a fianco di personaggi nobili con un calice in mano, il «compagno», che nelle liriche del canzoniere andaluso-maghrebino viene invoca­ to come confidente: «ya nadhìm». Tra gli strumenti musicali meridiani il liuto occupa una posizione centrale sia per l’ampiezza della sua diffusione, dalle colonne d’Èrcole fin oltre l’Asia Minore, che per il suo valore simbolico e allegorico. La sua dimensione storica è testimoniata dai tratta­ tisti musulmani medievali che lo collocarono al cen­ tro delle speculazioni sulle strutture degli intervalli e delle scale modali. Da «strumento dei filosofi» dell’epoca d’oro della civiltà islamica è divenuto, al passaggio e acquisizione europei, emblema dcll’ambiente intellettuale e aristocratico delle corti rinasci­ mentali italiane, trasformandosi nello «strumento del principe o del gentiluomo». Oggi è ancora uno dei principali oggetti sonori della tradizione arabo­

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musulmana, cd è utilizzato sia in funzione di ac­ compagnamento del canto, che come solista. Uno dei più caratteristici legami timbrici è quello della coppia ancia/percussione, presente lungo tutta la fascia meridiana dall’Africa del Nord fino ad arri­ vare in Turchia e nell’area balcanica, una delle vere e proprie vie della musica del Mediterraneo. Si tratta di strumenti destinati all’esecuzione all’aria aperta, e particolarmente adatti ai cortei processionali che ac­ compagnano le cerimonie famigliati: circoncisioni, matrimoni, e via di seguito. Da questo ensemble ru­ rale, detto in arabo, tabi baladi, dal nome della per­ cussione, un tamburo cilindrico a doppia membra­ na percosso da una coppia di mazzuoli, emerge il suono penetrante della zukrah, oboe popolare suo­ nato con la tecnica della respirazione circolare. La quantità e la varietà di strumenti rende arduo qua­ lunque tentativo di sintesi, in particolare per le sottili differenze organologiche, e per quelle delle diverse prassi strumentali. In altre parole uno strumento uti­ lizzato per un certo tipo di musica in una determina­ ta area, viene impiegato altrove in contesti differenti, e/o in associazioni con altri strumenti o come solista. Possiamo comunque osservare che determinate classi di strumenti vengono prevalentemente utiliz­ zati per l’esecuzione e/o l’accompagnamento di for­ me colte e semi-colte urbane, dunque all’interno di spazi chiusi, mentre altre famiglie vengono utilizza­ te in ambito rurale e dunque all’aria aperta. Questa differenziazione timbrica delimita il campo delle musiche cittadine da quello delle musiche campe­ stri, e dal nostro sintetico punto di vista segna una delle demarcazioni primarie.

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2. Liuti, a: egiziano; b: bouzoukiy greco a manico lungo; c: outiy greco a manico corto; d: uliy jugoslavo a manico corto; e: tambura, jugoslava; f: tàr, turco.

3. Liuti, a, b: udy iracheno e siriano; c: lambur, iraniano.

Premesso ciò è possibile osservare la ricorrente pre­ senza di strumenti di origine antica» come la fami­ glia dei clarinetti policalami, che presentano una canna per il bordone e l’altra per la melodia, e che generalmente vengono suonati con la tecnica della respirazione circolare. La presenza del bordone è uno dei più significativi e costanti elementi costitu­ tivi della musica di tradizione orale, e l’etimologia del termine è ricca di connotati affabulativi. Proba­ bilmente derivato dal latino burdo, animale da so­ ma, incrocio tra cavallo e asina, indicava originaria­ mente il bastone dei pellegrini medievali, la cui canna, se provvista di fori, serviva a dare sostegno musicale jubilatìone^ per poi estendersi a tutti i procedimenti di accompagnamento semplice e li­ neare nel registro grave. Il forte richiamo mitologico XeX'aulos (ancia dop­ pia) trova un riscontro o un’eco negli oboi c nei cla­ rinetti popolari policalami diffusi in tutto l’arco meridiano, ed il cui suono penetrante evoca e risve­ glia il latente dionisismo che serpeggia in molte manifestazioni musicali mediterranee. Tra i numerosi clarinetti popolari ci soffermiamo su uno dei più originali rappresentanti di questa fami­ glia, le launeddas, strumento polifonico ad ancia (semplice battente) composto da tre canne, due ac­ coppiate ed una libera. Le sue raffigurazioni storiche, un bronzetto nuragico e il manoscritto delle Càntigas de Santa Maria, testimoniano l’origine antica di que­ sto arnese della musica della Sardegna. La canna lun­ ga, tumble è intonata sulla tonica, ed emette la nota grave del bordone, che accompagna le melodie delle altre due canne: mancosa manna (mano sinistra), e

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4. Fidale, a: rebàb, nordafricano; b: fidala puntuta, Tur­ chia; c, d: rebàb, iracheno e siriano.

mancosedda (mano destra). Le launeddassi dividono per famiglie o tipi, chiamati cunzertus, diverse per ta­ glio ed intonazione. Le principali sono: Mediana, Fioràssiu, Punte òrganu. Le cellule melodico-ritmiclie intonate dalle launeddas si chiamano nodasy ed esse vengono concatenate nella scorrevolezza di lun­ ghe frasi musicali, in base all’abilità, al virtuosismo c all’immaginazione dell’esecutore che domina perfet­ tamente la tecnica della respirazione circolare.

Organografia Qui di seguito proponiamo un breve elenco nel quale sono indicati alcuni tra i principali strumenti primari in uso nell’arca mediterranea, ordinati per famiglie organologiche. Nella grande varietà dei lessici regionali sono state scelte solo alcune delle denominazioni più ricorrenti.

Cordofoni

Liuti a pizzico 1) a manico corto liuto (Europa): strumento storico ud (Maghreb c Mashreq) ud (Turchia) outi (Grecia) uti (ex-Jugoslavia) Haute (Albania) mandola (Europa) mandolino (Italia)

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1

c

5. Zampegne, a: zurla, jugoslava; b: sopile, jugoslava; c: tiple, catalana; d: bombarda, francese; c: zuma, turca; piffero, italiano.

2) a manico lungo tambur (Turchia) saz> baglama (Turchia) laouto (Grecia) buzuki (Grecia) buzuq (Siria, Libano) sargija (ex-Jugoslavia) colascione (Italia) tamburo, (ex-Jugoslavia) tamburica (ex-Jugoslavia) pfìeli (Albania)

3) cister titola: strumento storico cister: strumento storico guitarra portuguesa (Portogallo) cetera (Corsica) 4) chitarre vihuela (Spagna): strumento storico chitarra battente (Italia meridionale) viola campanili (Portogallo) Liuti ad arco 1) a manico corto rebàb (Maghreb) lyra (Grecia: cretese, del Dodecanneso, pontiaca e tracia) lirica (Croazia) vijalo (Dalmazia) kemenge (Turchia)

2) a manico lungo

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6. Clarinetti doppi, a: surle in legno, jugoslava; b. in legno ricoperto di pelle, balcanico; c: launeddas di canna, sarde; d: di canna, egiziano; e: arghùl di canna, egiziano; f: di canna, egiziano, ca. 800 d.C.; g: zummàra di canna, tunisina; h: di ossa d’uccello, palestinese.

gusle (ex-Jugoslavia) lahuta (Albania) keman (Turchia) rabàba (Egitto)

Cerne salteri qanun (Mashreq e Maghreb) kànùn (Turchia, ex-Jugoslavia) kanonaki (Grecia) santuri (Grecia) santùr (Turchia, Mashreq) Aerofoni Flauti 1) a imboccatura libera fyello kavall (Albania) này (Maghreb e Mashreq) ney (Turchia) gasba (Maghreb) kawala (Maghreb) duduk (cx-Jugoslavia) dùduk (Turchia) shabbaba (Mashreq) floyera (Grecia) qasaba (Maghreb) rimblown

2) a fessura flaviol (Catalogna) souravlia (Grecia) masut (Maghreb, Mashreq)

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7. Chitarre, a: vihuela rinascimentale; b: battente italiana del ’600-’700.

Ance 1) semplice mizmar (Maghreb e Mashreq) mijwiz (Mashreq) arghùl (Egitto) arguì argun, q $ifte (Turchia) zummàra (Egitto, Libia, Tunisia) zumara (Albania) launeddas (Sardegna) 2) doppia oboi popolari ghayta (Maghreb) zukra (Maghreb) zuma (Mashreq, Turchia) mizmàr (Egitto) zoumas (Grecia) zurla (Ex-Jugoslavia) ciaramella o piffero (Italia) tiple (Spagna, Catalogna) 3) zampegne zampogna (Italia) gaita (Spagna c Portogallo) gajde (Albania) mezwed (Maghreb) Idiofoni e membranofoni

1) crotali e cimbali castagnette (Italia) castanuelas (Spagna)

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8. Membranofoni. a: tàr e duff, tamburi a cornice; b: tabla, tamburo a clessidra iracheno; c: tamburo a clessidra turco; d; darbùka, tamburo a calice; e: nacaral, timpani.

castagnettes (Francia) qaràquib (Maghreb) 2) tamburi a cornice (una membrana, percossi dal­ le mani) tàr (Mashreq, Maghreb) riqq (Mashreq, Maghreb) tamburello (Italia) tambour de Basque (Francia) pandereta (Spagna) pandeiro (Portogallo) adufe (Portogallo) daire (ex-Jugoslavia) dajre (Albania) duff (Mashreq) def (Turchia, ex-Jugoslavia) defi (Grecia) bendir (Maghreb) dachares (Grecia) 3) tamburi a calice (una membrana, percossi dalle mani) darbùka (Maghreb, Mashreq) dumbelek (Turchia) darabuke (Albania) toumbeleki (Grecia)

4) tamburi cilindrici (a due membrane, percossi da mazzuoli) davul (Turchia) daouli (Grecia) daule (Albania) tapan (ex-Jugoslavia)

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tabi (Maghreb, Mashreq) tamburino (Italia meridionale) tambourin (Francia meridionale) grancassa (Italia)

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La canzone urbana del Novecento

Duende, tarab, saudade> passione^ aman> ya rai> pa­ role convenzionali, ma in traducibili, che apparten­ gono al lessico della tradizione urbana moderna, ma che esprimono il prolungamento nel presente di un insieme di caratteri ereditati dal passato, che determinano un’identità musicale che non si può ridurre in poche parole. L’origine ambigua di queste canzoni è già di per sé un motivo di affabulazione: come emblema di una condizione musicale mediterranea, esse si configu­ rano come metafora del sincretismo culturale e so­ ciale che le caratterizza. Se è lecito parlare di una musicalità mediterranea, è attraverso le forme inter e transculturali del nostro secolo che essa oggi si manifesta e si definisce. Un sentire comune che viene avvertito e reso esplicito nelle opinioni dei musicisti e degli ascoltatori, co­ me un gioco di affinità congeniali e inafferrabili, che spinge a percepire l’unità nella diversità di voci, sentimenti, stati d’animo e timbri strumentali.

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Nella tradizione urbana moderna si manifestano pienamente le tensioni e le contraddizioni tra con­ tinuità e cambiamento che attraversano tutte le musiche di tradizione orale, e nei differenti proces­ si di innovazione, acculturazione, trasformazione si possono cogliere i tratti comuni di stili e generi diversi. Una specifica dimensione “teatrale” della vocalità ha alimentato la vocazione di queste musiche a di­ venire portavoce di caratteri nazionali, accomunate da un pathos che esalta gli aspetti salienti del com­ plesso di “onore e vergogna” nel quale l’antropolo­ gia ha sintetizzato la specificità del mondo mediter­ raneo. La loro “nascita” è situata prevalentemente tra la fi­ ne deirOttocento e l’inizio del Novecento, sulla ba­ se di radici etniche fortemente caratterizzate, e il lo­ ro sviluppo appare fortemente condizionato dalla domanda di nuove forme di intrattenimento, dalla creazione di nuovi spazi per l’esecuzione musicale, e dall’invenzione dei mezzi di diffusione e di ripro­ duzione sonora, disco, radio, cinema, televisione. L’incontro tra repertori rurali e musiche cittadine ha generato forme di sincretismo musicale, all’in­ terno di più generali dinamiche culturali e sociali legate a fenomeni di mobilità come emigrazione e immigrazione, e al rapporto tra metropoli conti­ nentali e paesi, campagne, villaggi, isole, e via di se­ guito. L’interazione tra progresso nazionale e sovranazionale e tradizione locale ha generato nuovi mo­ delli di produzione e di consumo musicali che han­ no determinato i cambiamenti profondi della vita musicale del nostro secolo.

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L’aspetto più evidente di questo processo di variazio­ ni concomitanti che arriva fino ai giorni nostri, è quello della occidentalizzazione, intesa come ade­ guamento a modelli musicali eurocentrici. Tali mo­ delli si basano essenzialmente su parametri estetici ben definiti, concezione armonico-tonale temperata, e riduzione standardizzata della durata, orientata e dettata dai relativi sistemi e mezzi di comunicazione. Nei generi musicali qui presi in esame prevale un sentimento di nostalgia e di perdita che scaturisce dal confronto con le “rivoluzioni” e gli sconvolgi­ menti della vita moderna, e dal disagio nei confron­ ti del progresso. Nelle canzoni è presente in diversa forma e misura una dialettica dell’emarginazione che sembra corrispondere al progressivo degrado e alla perdita di prestigio di centri urbani, che hanno avuto in un passato vicino o lontano, spesso en­ trambi, un importante ruolo culturale, ammini­ strativo, ed economico nazionale e internazionale. Lisbona, Napoli, Atene, Istanbul, Il Cairo, ovvero alcuni tra i centri di creazione ed elaborazione mu­ sicale delle più significative canzoni urbane del no­ stro secolo.

Flamenco I più importanti centri di formazione del repertorio del cante sono Cadice, Siviglia e Jerez, e le sue nu­ merose forme espressive sono state suddivise in fa­ miglie secondo le localizzazioni geografiche o per la reale o presunta paternità di celebri autori/interpreti. Una seconda tassonomia ispirata all’evoluzione

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storica, ha messo in evidenza le radici del cantejondo, con i cosiddetti canti basici o primitivi: tond, seguiriya, soled, e tango. Una classificazione più mo­ derna raggruppa invece i canti secondo aspetti strettamente musicali, come la presenza o meno dell’accompagnamento, ritmico e/o strumentale, non misurato o misurato, e via di seguito. I principali canti a voce sola, sobri e drammatici, definiti a palo seco, privi cioè di accompagnamento strumentale racchiudono il nucleo della memoria storica del flamenco, e sono tond, carcelera (da car­ cere) le cui coplas ricordano le sofferenze, la mise­ ria, l’emarginazione delle comunità gitane; martinete, canto di lavoro che ricorda l’originaria tradi­ zione artigianale degli zingari, mastri fabbri per ec­ cellenza; saeta, canto devozionale eseguito durante la Settimana Santa. I canti liberi accompagnati dalla chitarra sono: seguiriya, vero e proprio cardine dell’arte musicale flamenca, soled, alegrias, e bulerlas. I canti del Le­ vante sono taranta, legata ad Almerfa e ai canti del­ le miniere, e cartagenera. I^a famiglia del fandango, uno dei ritmi di danza più diffusi nella penisola iberica, comprende verdiales, ronderà, malaguefta, granadina. I canti misurati con accompagnamento di chitarra sono petenera, sevillana, roderà. Tra le principali figure storiche ricordiamo, Tfo Lufs, el de la Juliana di Jerez; el Pianeta di Cadice; el Fillo; il payo di origine italiana, Silverio Franco­ netti (1830-1898), considerato il primo contaoreciclopedico della storia del flamenco, che grazie all’eclettismo delle sue doti interpretative rivelò il dirompente universo vocale e musicale al pubblico

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borghese; Enrique el Mcllizo di Cadice (18481906) il genio della malaguenata; Antonio Chacón (1865-1929) il payo detto il «divo del flamenco», eccellente interprete dei canti di Levante e di iday vuelta, frutto degli scambi con l’America latina; Pepe Marchena (1900-1976) l’artefice del melo­ dramma flamenco; Manuel Torre di Jerez (18781933), un gitano che non sapeva leggere né scrive­ re, ma che aveva, come ha affermato Lorca, una «grande cultura nel sangue»; e ancora Antonio Mairena (1909-1983), il maestro che ha proiettato nel presente il canto più puro e autentico. Il flamenco è caratterizzato dal rajo, tono doloroso, quasi straziato, che rende indimenticabile il suo ascolto, e dal duende, termine intraducibile (anima, genio, spirito, essenza) che delinea il vasto campo semantico di questa «creazione in atto». Lo strumento del flamenco è la chitarra, ma ancor prima il corpo. Le vette e gli abissi melodico vocali sono scanditi dal battito delle mani, sordo o sonoro a seconda che le palmas battano tra loro o vengano percosse soltanto dalle dita, e dei piedi, che battono il terreno, son a golpe, o che “suonano”, con il loro vertiginoso zapateado. La chitarra flamenca è relativamente moderna, metà del secolo scorso, e possiede una sonorità aspra e brillante, espressa dal rasgueado, le cui caden­ ze sono marcate dalla percussione della cassa armo­ nica, in una serie di colpi o scoppi sonori che segna­ no la progressione e la risoluzione dcU’enormc ten­ sione espressiva di questa musica.

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Fado

Il fado castigo è il più vicino allo stile popolare delle origini ed è caratterizzato da un accompagnamento semplice e lineare, che consente all’interprete di improvvisare seguendo l’ispirazione con un rubato che è il vero segreto del suo talento. Nelle quartine anonime è racchiusa la filosofia fadista, edificata sulla parola-concetto saudade, che è nostalgia, rim­ pianto, desiderio, allo stesso tempo di persone o luoghi, lontani nello spazio e nel tempo... un senti­ mento agrodolce che solo la musica e la poesia pos­ sono illustrare. Teatro, rivista, cinema, radio, televisione e industria discografica hanno stimolato la creazione del cosi­ detto fado-cangao, caratterizzato da orchestrazioni e armonizzazioni che hanno trasformato e stilizzato il fado originario. Integrato in spazi cittadini diffe­ renti e complementari, strada, taverna, case di pro­ stituzione, corride, saloni e palazzi nobiliari, esso ha trovato infine uno specifico e apposito luogo, con le numerose “case di fado” nate negli anni Cin­ quanta. Con il termine fado vadio si indica il canto eseguito da amatori e dilettanti in locali, associazio­ ni, ristoranti, e club in cui gli strumentisti sono a disposizione dei non professionisti. Gli strumenti che accompagnano il fado sono due: guitarra portuguesa e viola. La prima, cordofono pi­ riforme della famiglia del cistro con sci corde dop­ pie metalliche e cavigliere a «ventaglio» è lo stru­ mento lusitano per eccellenza, ed è stato introdotto dagli inglesi nella seconda metà del xviii secolo; il suonatore di guitarra è il solista che accompagna il

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fadista e gli risponde facendo parlare le corde attra­ verso il cosiddetto gemido (vibrato) e con il virtuo­ sismo c l’invenzione del pizzicato. La viola, chitarra classica, esegue 1’accompagnamento disegnando una tessitura ritmico-melodica ad incastro con la precedente. Entrambi sono spesso accompagnati da una terza chitarra a quattro corde, detta viola baixo. Il chitarrista è frequentemente anche compositore e tra gli strumentisti più importanti del passato ricor­ diamo Ambrosio Fernandes do Maria, Joào Maria dos Anjos, Armandinho (1891-1946), Martinho d’Assun^ao (1914-1992) virtuoso di viola, Raul Néty (1921) fondatore del Consunto de Guitarras omonimo (Nery, Rocha, Gomes e Pina), il quartet­ to che nel corso degli anni Sessanta ha accompa­ gnato i più importanti fadisti, distinguendosi anche per i concerti esclusivamente strumentali, e José Fontes Rocha (1926) che ha accompagnato a lungo Amalia. Artur Paredes (1899-1980), e suo figlio Carlos (ca. 1930), hanno creato una dimensione completamente autonoma dall’accompagnamento del canto della guitarra portuguesa, sulla base della tradizione di Coimbra, e Pedro Caldei ra Cabrai (1950) ha ulteriormente sviluppato le potenzialità solistiche di uno strumento popolare diffuso in tut­ ta Europa fino al 1800. Tra le principali voci storiche del fado ricordiamo Caetano Calcinhas (m. 1894), Maria Emilia Ferrei­ ra, Cacilda Romero, Ercilia Costa (1902-1985), Herminia Silva (m. 1993), Lucilla do Carino, e i due grandi artefici del fado moderno Alfredo Duar­ te (1891-1982) detto Marceneiro e Amalia Rodri­ gues (ca. 1920-1999).

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La scuola ‘aristocratica”, caratterizzata da un’ele­ gante sobrietà e dall’interiorizzazione espressiva è rappresentata da una illustre famiglia fàdista: Maria Teresa de Noronha (1918), Vicente da Càmara (ca. 1935) e Nano da Càmara Pereira (1951). Il fado di Coimbra, fenomeno studentesco della ce­ lebre città universitaria che deriva dalle serenate notturne, annovera tra i suoi principali esponenti la figura storica di Hilario (1864-1896), Antonio Me­ nano (1895'1969), Luis Cois, Edmundo Betten­ court e Adriano Correia de Oliveira. L’evoluzione del fado è caratterizzata dall’incontro e dalla collaborazione tra musicisti e poeti di estrazio­ ne popolare e colta, come Barbosa, Valério, Oulman, de Brito, Ary dos Santos, Alegre, O’Neill, Homem de Mello, Mourào-Ferreira, per citare al­ cuni tra i nomi più significativi.

Canzone napoletana

Questo è l’unico dei grandi generi urbani moderni identificato direttamente con il nome di una città; ciò deriva probabilmente dalla capacità di autorap­ presentazione che rende così peculiare la cultura napoletana, o forse da una specificità musicale, me­ lodica in particolare, che caratterizza da secoli que­ sto centro urbano. Una certa enfasi, una vera e propria ipervocalità, una fitta trama di segni e gesti sonori, dai venditori ambulanti, alle serenate, dai richiami alle grida, hanno reso Napoli un “teatro delle voci”. In un cer­ to senso la canzone d’autore dell’Ottocento e del

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Novecento, già divenuta “classica”, è un fenomeno moderno che poggia le sue radici su un molteplice complesso di tradizioni urbane e non: i canti a di­ stesa, caratterizzati da strutture melodiche a picco, che dall’acuto scendono verso il grave, con forte ca­ rica drammatica; la musica vocale da camera di ori­ gine colta; la musica popolare urbana amatoriale, di strada. Dominata da una vocalità assoluta, teatrale, piena di pathos, modalità espressiva di canto prima ancora che genere musicale, immediatamente identificabi­ le attraverso gesti vocali ricchi di figure retoriche, la canzone napoletana è nata da un humus vocale e poetico fecondato dal contatto e dallo scambio tra musica erudita e popolare, letteratura e tradizione orale, già rilevanti in epoca anteriore alla sua com­ parsa. Fin dal Cinquecento Napoli mostra una sua specifica fisionomia musicale “multiculturale” espressa da villanelle, moresche, e altre canzoni po­ lifoniche c monodiche, che testimoniano Tosinosi ed il sincretismo tra forme popolari e forme colte, che ha poi consentito di rileggere la produzione an­ tica, tra Rinascimento e Barocco, come espressione di una musicalità trasmessa più o meno direttamente alla canzone napoletana moderna. Oltre all’ironia, l’arguzia, l’allusione, la sensualità, una certa vocazione teatrale, colpisce la capacità di comunicare ogni sfumatura del sentimento e della passione, e di spaziare da una giocosa spensieratezza al compiacimento doloroso, dalla semplicità del linguaggio quotidiano alla più struggente delle odi. La canzone napoletana viene in un certo senso “in­ ventata” dagli autori colti e semi-colti che scoprono

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il tesoro di una musicalità c di una poesia artigiana­ le, creata per passatempo da musicisti di strada e di osteria, spesso analfabeti, e dagli editori che rispon­ dono alle crescenti richieste di un nuovo pubblico. Nel passaggio della canzone dai fogli volanti delle copielle anonime, alle edizioni firmate si coglie la svolta storica che ha segnato la diffusione e lo sfrut­ tamento commerciale della canzone urbana. Nello sviluppo della canzone appaiono distinguibi­ li differenti spazi di creazione e di esecuzione: la strada, il salotto, il caffè e il teatro. L’uno sembra alimentarsi dell’altro, ma ognuno possiede le pro­ prie caratteristiche. La strada è stata lo spazio dei posteggiatori, termi­ ne che deriva dalla posteggia, ossia il posto o luogo nel quale venditori ambulanti, o altri lavoratori, esercitavano la loro professione, cantando e suo­ nando per banchetti, tavolate, ed altre occasioni conviviali con diversi strumenti che costituivano il cosidetto «concertino»: chitarra, mandolino, violi­ no, fisarmonica i più importanti. Gli stessi musici­ sti che iniziarono ad esibirsi nei locali pubblici, caffè, birrerie, osterie, gelaterie, prima e contem­ poraneamente allo sviluppo del cosiddetto caffèconcerto. Nel salotto veniva coltivata la canzone che più di­ rettamente ha subito un’influenza dell’opera, e che si avvicina alla romanza. La spontaneità del melodiare partenopeo viene fusa con l’impianto dell’aria del belcanto, nei regolari incontri delle accademie della borghesia definiti «periodiche». I modelli colti e l’influenza della romanza da camera, mettono an­ cor più in evidenza il rapporto dialettico tra i due

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registri culturali, quello erudito della trascrizione e rilettura d’autore, frutto di una riflessione indivi­ duale, e quello popolare, spontaneo, immediato, collettivo, fonte perenne di ispirazione, materia magmatica da forgiare seguendo l’estro del mo­ mento. I musicisti colti dediti o prestati alla canzone napo­ letana sono: Luigi Denza (1846-1922), Vincenzo Valente (1855-1921) specializzato nella creazione delle “macchiette” di Maldacea, Mario Costa (1858-1933), Enrico De Leva (1867-1955), Erne­ sto de Curtis (1875-1937) accompagnatore di Gi­ gli, con la presenza occasionale ma significativa di Tosti (1846-1916). Il successo e la diffusione della canzone napoletana è dovuta anche alla grande attività degli editori concentrata soprattutto attorno alla festa musicale per eccellenza, Piedigrotta, che si svolgeva all’inizio di settembre. La figura del Di Giacomo è di parti­ colare importanza per comprendere la canzone na­ poletana, poiché il suo percorso artistico rappresen­ ta un lavoro di scavo e di ricerca, nel passato, e in particolare nella storia della città tra Sci c Settecen­ to, che da sola, giustifica l’ideale continuità della cultura musicale partenopea. Il suo interesse nei confronti del teatro musicale del ’700, la consulta­ zione degli archivi dei quattro Conservatori storici, la conoscenza dei versi dei letterati napoletani dell’epoca barocca, la familiarità con la tradizione orale, gli usi e i costumi del popolo, e le trascrizioni della poesia popolare e del folklore della Campania, sembrano confluire nella vena nostalgica e malin­ conica delle sue liriche.

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Tra i principali autori della canzone citiamo E.A. Mario (1884-1961), Viviani (1888-1950), Bovio (1883-1942), E. e R. Murolo (1876-1939) (1912), Palomba, e Bruni (1921).

Rebetika I musicisti delle comunità greche d’Asia Minore, re­ sidenti a Smirne e nella regione egea, Costantinopo­ li, sul Mar Nero, in particolare Trebisonda, possede­ vano un patrimonio musicale dal carattere modale “orientale”, basato su scale, i dromoi, simili ai makamlar della tradizione turca. Tra la fine dell’Ottocento ed i primi del Novecento essi si esibivano an­ che ad Atene, in un particolare tipo di locale, detto Kafé Aman, con la smimeika^ canzone quasi esclusi­ vamente eseguita da interpreti femminili. Nel 1923 con l’esodo forzato dalla Turchia in seguito alla guer­ ra greco-turca e all avvento della Repubblica, centi­ naia di migliaia di greci, cittadini dell’impero Otto­ mano da generazioni, si trasferirono al Pireo, divenu­ to il quartier generale degli immigrati rifugiati in pa­ tria. Il porto di Atene si trasformò in centro dell’af­ fermazione e della trasformazione di un genere di musica, rebetika^ derivato da una parola di origine turca usata per indicare un particolare gruppo sociale di ribelli per definizione, i rebetìs. Rebeto manga, era un tipo di sottoproletario, marginale, o poco di buo­ no, che assunse presto le caratteristiche del personag­ gio bohémien per eccellenza, per i suoi legami reali o immaginari con il mondo dell’haschisch, dell’alcool, del carcere e della prostituzione.

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Nel corso degli anni Venti si sviluppò una canzone trasgressiva» prevalentemente maschile, che rappre­ sentava prima di tutto un modo di cantare e sentire la musica, oltreché resistenza. Sul tessuto ritmico degli strumenti a corde, buzuki e baglama. le voci ruvide ed aspre della rebetika si esprimevano con un gergo nel quale “derviscio” significava musicista, “teké” (sede della confraternita) fumeria, “mauraki” (erba nera) haschisch, da fumare con il narghilè. Una delle figure di spicco degli autori tra le due guerre fu Markos Vamvakaris, prototipo del musi­ cista del Pireo. Parallelamente la musica “orientale” dei caffè, con le sue più importanti interpreti, Rosa Eskenazi e Rita Abatzi, cominciò a trasformarsi sul­ la spinta del crescente successo della rebetika, con gli strumenti di frontiera della musica levantina: ud baglama, fyra> kanun e santur. I ritmi prediletti erano hdssàpiko (2/4) c zybekiko (9/8), prò fondamente legati all’espressione coreo­ grafica. Il secondo non prevede passi ma figure, che variano individualmente a seconda dell’ispirazione, e che rappresentano simbolicamente tutta l’eccen­ tricità del rebetes. Nella seconda metà degli anni Trenta, nonostante il nazionalismo della dittatura militare del generale Metaxas avesse proibito l’incisione di musiche di carattere “orientale” (ossia turco) come taximì, im­ provvisazione strumentale, o tsìfieteli, ritmo dagli accenti gitani che evocava la danza del ventre, la rembetika assunse una dimensione ed un respiro talmente ampi da divenire una delle componenti fondamentali della canzone greca moderna, grazie anche ad una nuova generazione di musicisti, in

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particolare al talento di Vassilis Tsitsanis, artista di origine borghese dal sentimento squisitamente po­ polare. Negli anni Quaranta con la scomparsa del Cafè Aman, il luogo di ritrovo della rebetika diven­ ne la taverna, e al fianco di Tsitsanis si affermarono cantanti straordinarie come Sotiria Bcllou c Marika Ninou. La modernizzazione stilistica operata da Tsitsanis e dai successivi autori, con Tintroduzione di nuovi strumenti come chitarra, contrabasso, fi­ sarmonica e pianoforte, era tesa ad esaltare soprattutti il virtuosismo del buzuki, che iniziò progressi­ vamente la sua trasformazione da strumento ac­ compagnatore in strumento solista. I principali virtuosi degli anni Cinquanta, Chiotis, Papaioannu, Stratos, appartengono già all’epoca dei buzuki clubs, ed il simbolo di un esistenza tra­ sgressiva con la sua elettrificazione ha finito per ac­ quisire un carattere sonoro oleografico; la rebetika perdendo il suo ruolo di ponte tra Oriente ed Occi­ dente si è progressivamente trasformata in una sor­ ta di bandiera sonora nazionale, diluendo la sua forza espressiva.

Ughniyya

Questo termine non ha storia, nel senso che è un anodino neologismo moderno, letteralmente can­ zone, utilizzato per definire il risultato di un pro­ cesso di trasformazione del linguaggio musicale orientale operato a partire dagli anni Trenta dai più importanti nxusicisti egiziani, come Zakaria Ah­ mad, Ryad al-Sunbati (1906-1981), e Mohamed

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Abd al-Waheb (1902-1991) e interpreti straordina­ ri come Umm Kulthum (1900-1975). Dall’arte vocale e strumentale dei maestri della nahday basata sulTimprowisazione modale, e dalla crea­ zione “collettiva” dei musicisti del passato, composi­ tori e interpreti allo stesso tempo, si è arrivati alla pro­ gressiva separazione dei ruoli della creazione musicale professionale moderna, attraverso forme di transizio­ ne. L’ensemble di strumenti tradizionali, takht, costi­ tuito da quattro o cinque solisti virtuosi, violino, W (liuto), nay (flauto di canna), kànùn (salterio a pizzi­ co), riqq (tamburo a cornice), è stato progressiva­ mente messo in secondo piano per essere affiancato o sostituito da orchestre di numerosi elementi. L’in­ fluenza dei modelli musicali europei ha stimolato la creazione di canzoni interamente composte, con mo­ tivi facilmente memorìzzabili, a scapito della conce­ zione musicale tradizionale basata sulla fluidità della creazione estemporanea. L’introduzione di strumenti occidentali, in particolare pianoforte, violoncello, contrabbasso, e più tardi chitarra e organo elettrici ha condotto ad orchestrare e armonizzare una cultura musicale modale e monodica per natura e vocazione. Il modello della canzone moderna egiziana ha in­ fluenzato profondamente il resto del mondo arabo, che si è progressivamente omologato verso la can­ zone di varietà.

Arabeske

Se si dovesse tener conto della rilevanza sociale di una musica che non viene trasmessa né dalla radio

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né dalla televisione di Stato, ma diffusa soltanto at­ traverso la riproduzione sonora di milioni di casset­ te, si dovrebbe convenire sul fatto che l’emergenza di ciò che è considerato espressione del degrado culturale e musicale, è il fenomeno più singolare c contraddittorio della scena musicale turca odierna. Xlarabesk la musica prediletta dall’ampia fascia di popolazione che è immigrata dalle aree rurali e montagnose del Paese nelle principali città, in par­ ticolare Istanbul e Ankara, manifesta un’attrazione verso un ibrido modello orientale che appare in contrasto con l’identità anatolica della Turchia mo­ derna. In questa canzone commerciale, farcita di sentimentalismo e fatalismo, la presenza di stru­ menti, timbri e ritmi ‘arabi” e la vocalità del sud-est turco, molto più vicina allo stile siriano e irakeno che a quello stambulino, nega la separazione netta dal mondo arabo segnata dal crollo dell’impero Ot­ tomano e dall’avvento della repubblica. Diversamente dalla rebetika, la cui concezione orientale è nata da una condizione etnogeografica e che era una musica eseguita dal vivo, Varabeske è so­ prattutto musica riprodotta, risultato di produzioni registrate in studio e di un’industria musicale nella quale sono spesso direttamente coinvolti cantanti e autori. Tale musica rappresenta un interessante e paradossale fenomeno di nemesi sonora.

Rai Come flamenco, fado, canzone napoletana, rebe­ tika, è un modo di sentire la musica prima ancora

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che un genere musicale, ed è una particolare espres­ sività vocale, dal carattere fortemente etnico, prima ancora che un tipo di musica, o un ritmo, caratte­ rizzati da contorni cangianti. Il suo principale cen­ tro creativo, Orano, è un porto mediterraneo nel quale hanno convissuto nordafricani, francesi, spa­ gnoli, italiani. Per i suoi contenuti trasgressivi, ri­ spetto ai codici della cultura tradizionale maghrebina, è paragonabile per certi versi al rebetiko, anche se i suoi artisti non sono degli emarginati come i rebetesàA Pireo negli anni Trenta. Il fenomeno del rai si inserisce in un generale pro­ cesso di modernizzazione della musica algerina, at­ traverso il quale vengono introdotti nuovi strumen­ ti e nuove forme di organizzazione del discorso mu­ sicale. Si tratta dell’unica canzone di origine rurale, recentemente urbanizzata, ad aver superato la bar­ riera regionale e ad essere riuscita ad imporsi a livel­ lo internazionale. E il più recente fenomeno di ur­ banizzazione e globalizzazione musicale accaduto nell’area mediterranea, e la sua originalità deriva dal fatto che non si tratta di un mélange mediterraneo di tendenza, ma di un fenomeno di rielaborazione culturale nato da dinamiche culturali interne. Non si spiegherebbe altrimenti l’interesse internazionale suscitato dal rai, ed il suo riconoscimento da parte della cultura della popular music. La sua dimensione musicale riesce a fondere la vo­ calità modale forgiata dalla tradizione maghrebina, con il linguaggio armonico e tonale occidentale del pop, fondendo elementi ritmici e melodici ispirati al reggae, al rap, al rock, e così via. Il progressivo in­ serimento di strumenti moderni occidentali, acu­

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stici, elettroacustici ed elettronici, esplicita il suo statuto di espressione della modernità, sulla base di una dimensione vocale tradizionale. Dal punto di vista dell’industria della riproduzione, presenta del­ le analogie con Xarabesk, anche se i cantanti algerini del rai, sono più vicini all’ambiente delle feste tradi­ zionali e famigliari, che hanno frequentato a lungo prima di divenire famosi. Rispetto alla progressiva occidentalizzazione della musica del Mashreq, e in particolare alla moderniz­ zazione della musica egiziana, il rai è riuscito ad im­ porsi come un fenomeno originale pieno di poten­ zialità. Un certo carattere di autenticità, che le altre espressioni moderne della musica araba hanno per­ duto, deriva dalla sua urgenza di comunicare. L’elaborazione e l’affermazione di una canzone maghrebina moderna è un processo costantemente marcato dall’opposizione dialettica tra centro c pe­ riferia, intesa non solo come legame tra città e cam­ pagna, ma tra il grande centro della musica orienta­ le, il Mashreq e in particolare II Cairo, e la sua pre­ sunta periferia culturale, il Maghreb, e contraddi­ stinto dall’impiego dell’arabo dialettale e regionale in luogo di quello letterario. L’invocazione «Ya ray», a tratti un grido, ha un va­ lore semantico complesso. Il termine significa mo­ do di vedere, opinione, giudizio, scelta, volontà, ciò che conta. Già dal nome viene messa in evidenza l’opposizione soggettiva che sembra sfuggire alle norme sociali e morali che regolano la vita della co­ munità musulmana; nei testi ricorre insistentemen­ te il pronome personale singolare, e vengono enu­ merati gli oggetti della vita moderna, con ritmo ra­

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pido e incisivo, seguendo lo schema frammentario della comunicazione attuale. Il rai è il frutto di un continuo processo di centonizzazione testuale e musicale, nel corso del quale citazioni e riferimenti a canzoni altrui sfiora spesso il plagio, senza essere considerato tale; frasi di can­ zoni di successo rimbalzano da un canto all’altro, con un carattere auto-referenziale. Sull’invenzione personale a tratti prevale il contrafactum, in una co­ stante dimensione improwisativa che è propria del­ la tradizione musicale arabo-islamica (e che rappre­ senta dunque un elemento di continuità). La sua dimensione è quella di una canzone-canovaccio, e in alcuni casi di un vero e proprio patchwork, nel quale risaltano riferimenti a diverse realtà, da quella di origine arcaica della tradizione poetica e musica­ le, a frammenti della realtà quotidiana vissuta in prima persona dagli artisti. Nel rai confluiscono aspetti e componenti culturali diversi, amalgamati e veicolati dalla musica, ed esso rappresenta un processo di identità perturbata, dunque in costante trasformazione, che sembra evocare costantemente la precarietà della realtà mo­ derna e contemporanea. L’astrazione poetica e let­ teraria della canzone d’amore araba, con le sue me­ tafore, e con i suoi modelli di derivazione colta, ce­ de il posto ad un linguaggio diretto e scarno, pur mantenendo alcuni dei temi cari alla tradizione poetico-musicale del mondo arabo-islamico. E l’ultima, dunque la più giovane, tra le musiche urbane del Mediterraneo, ed il suo spazio creativo è costruito su una tensione dialettica delle contraddi­ zioni che caratterizzano il rapporto tra l’Europa ed

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il mondo arabo e tra modernità e tradizione, tra pratica musicale preindustriale della festa famiglia­ re, ed intrattenimento e consumo dello spettacolo musicale. Il rai acustico delle sheikha^ cantato con l’accompagnamento di gasba (flauto di canna) e gallai (percussione) e caratterizzato dall’annuncio, berrah dell’intrattenitore, e dalla dedica, tebriha, che il pubblico sollecita con uno scambio di mes­ saggi augurali, amorosi, e via di seguito, e il rai co­ smopolita e sofisticato delle produzioni discografi­ che e di spettacolo europee e nordamericane, con­ vivono simbioticamente. Nonostante tutto preval­ gono ancora il tormento, o sofferenza amorosa, mahna, e il piacere e la distensione della festa, gasra, con cui si cerca di esorcizzare la dolorosa realtà dell’Algeria contemporanea.

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Algeria Institut National de Musique 1, Rue Hocine Tiah Alger tel. ++2132 737429

École Normale Supérieure Département de musicologie Vieux Kouba Alger tel. ++2132 583511 fax++2132 583142

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Croazia Institut za etnologi)! i folkloriku (Institute of Eth­ nomusicology and Folkloristics) Zvonimirova 17 41 000 Zagreb tele fax++38541 4440880

Egitto Istituto Superiore della Musica Araba Istituto Superiore delle Arti Popolari Via Gamal el-Din Afghani Harati Il Cairo Tel ++202 5611475 - 5611230

Francia Musée de l’Homme Département d’Ethnomusicologie Palais de Chaillot-Trocadéro 75116 Paris tel. ++331 44057272 fax ++33147550547 CIMT

Centre d’information des musiques traditionelles 21 bis, rue de Paradis 75010 Paris tel. ++331 44831030 fax++331 44831040

119

FAMDT

Fédération des Associations de Musiques ct Danses traditionelles Rue La Falourdièrc 79380 Saint-Jouin-de-Milly tel. ++33549 80 82 52 fax ++33549 80 89 14 Phonothèque Nationale 2, rue de Louvois 75002 Paris tel. ++331 47038820 fax++331 42968811

Conservatoire Occitan des Arts et Traditions Populaires

I, rue Jacques Darré BP 3011 31024 Toulouse tel. ++33561 427579 fax++33561 421259 E voce di u cumune 20220 Pigna (Corsica) tel. ++33495 617781 fox++33495 617781

Giordania Conservatoire National de Musique P.O. Box 926687 11110 Amman

120

tel. ++9626 5687620 fax ++9626 5687621

Grecia Mel moke Museum of Greek Popular Musical Instruments Centre of Ethnomusicology 1-3 Diogenous Street Aeridon Square Plaka Atene tel. ++301 3250198 fax++301 3250198 Peloponnesian Folklore Foundation 1 Vassileos Alexandrou 21100 Nafplion tel. ++30752 27960 - 28947 fax ++30752 27960

Institute of Mediterranean Studies Department of Music Nikiforou Foka 1 74100 Re thymon tel. ++30831 25146 Greek Dances “Dora Stratou ’ Theatre 8 Scholiou Str. Plaka 10558 Atene

121

tel. ++301 3244395 fax ++301 3246921

IMC/CIM

International Music Council/ Conseil International de la Musique Unesco 1, Rue Miollis 75732 Paris Cedex 15 tel. ++331 45682550 fax ++331 43068798

ICTM

International Council for Traditional Music Columbia University Center for Ethnomusicology New York N.Y. 10027 U.S.A. Study Group on “Anthropology of Music in Mediterranean Cultures”

Iraq The Arab Academy of Music P.O. Box 6150 Mansour Baghdad

122

tel. ++9641 8844820 fox ++9641 8844820

Israele Jewish Music Research Center The Hebrew University of Jerusalem P.O.B. 34165 91905 Jerusalem tel ++9722 5883954 fax++9722 5611156

Italia

Archivi di Etnomusicologia (già CNSMP) Accademia Nazionale di S. Cecilia via Vittoria 6 00187 Roma tel. ++3906 3611064 fax++3906 3611402 Archivio Etnico Linguistico-Musicale Discoteca Di Stato Via Michelangelo Caetani 32 00186 Roma tel. ++3906 6879048 fax:++3906 6865837

Archivio Etnomusicale Siciliano (già Archivio Etnofonico) CIMS - Centro per le Iniziative Musicali in Sicilia

123

Via XX settembre 69 90143 Palermo tel. ++39091 6261054-5 fax ++39091 6261056

Taranta Associazione Culturale Tradizioni Popo­ lari Archivio Documentazione Etnocoreutica via degli Alfani 51 50121 Firenze tel. ++39055 295178 fax++39055 295178

(Unione Università del Mediterraneo) Palazzo Baleani Corso Vittorio Emanuele II 244

UNIMED

00186 Roma tel. ++3906 49918628 fax ++3906 49918582

Libano Faculté de Musique Université Saint-Esprit Kaslik (Beirut) tel. ++9619 915343 fax++9619 914941 Conservatoire National Supérieur de Musique Sinn al-Fil (Beirut) Tel. ++9611 489531/2/3

124

Malta Mediterranean Institute University of Malta Valletta Tel. ++00356 331734 - 333903

Marocco Conservatoire de Musique rue Mustapha el-Maeni Ville Nouvelle Fez tel. ++2125 623993

Siria Istituto Superiore di Musica Piazza Omayyad Damasco tel. ++96311 2230447 - 2245494 fax++96311 2245054 Conservatorio di Musica Araba Ata al-Ayoubi, 16 Damasco tel. ++96311 3330207 fax++96311 3330207

Slovenia Glasbenonarodopisni Institut (Institute of Ethno­ musicology)

125

ZRC SAZU Novi trg 3 1000 Ljubljana tel ++38661 1256068

Spagna Centre de Promoció de la Cultura Popular i Tradicional Catalana Fonoteca de mùsica tradicional Portai Santa Madrona 6-8 08001 Barcelona tei. ++3493 4125640 fax++3493 4121958

Museo de la Mùsica Av. Diagonal 373 08008 Barcelona tei ++3493 2171157

Centro Etnogràfico de Documentación Fundación Joaqufn Dfaz C/ Real 4 47862 Uruena (Valladolid) tei. ++34983 717472 fax++34983 717014

Centro de Documentación Musical de Andalucfa Carrera de Darro 29 18010 Granada Spagna tei. ++34958 223500 fax ++34958 228464

126

Centro Andaluz de Flamenco Plaza S. Juan 1 Palacio Pemardn 11403 Jeréz de la Frontera (Cidiz) tel. ++34956 349265 fax++34956 321127

Portogallo Universidade Nova de Lisboa Departamento de Ciencias Musicais av. de Berna 26-c 1050 Lisboa tel. ++351 7933519 fax ++351 7977759

Tunisia Centre des Musiques Arabes et Méditerranéennes Phonothèque Nationale Palais du Baron d’Erlangcr “Enncjma Ezzahra” 8, rue du 2 Mars 1934 2026 Sidi Bou Said tel. ++2161 746051 fax ++2161 746490 Institut Supérieur de Musique 20, Avenue de Paris 1000 Tunis tel. ++2161 245575 - 257526 fax ++2161 341639

127

Institut Supérieur de Musique av. Abou Kacem Chebbi - 4000 Scusse tel. ++2163 239553 fax ++2163 239555 Institut Supérieur de Musique 13 rue Mohamed Jamoussi - 3200 Sfax tel. ++2164 225545 - 229683 fax++220610

Turchia Istanbul Teknik Oniversitesi Tiirk Miizigi Devlet Konservatuari Ma$ka Kampiisii, Be§ikta$, Istanbul Tel. ++90212 2931300 Fax ++90212 2402750

Yildiz Teknik Universitesi Sanat ve Tasanm Fakiiltesi Duysal Sanatlar Tasanm Programi ve Miizik Topluluklan Programi Yildiz, Bejiktaj, Istanbul tel.++90212 2597070/2589 fax++90212 2364180

Ege Oniversitesi Tiirk Miizigi Devlet Konservatuan Izmir tel. ++90232 3887037 fax++90232 3887038

128

Volumi EDM pubblicati 1.

2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17.

18.

A. KERAMANE, L’energia e la sua distribuzione. Petrolio, gas na­ turale, elettricità A. PERELL1, Insediamenti umani e paesaggi agrari EL M. CHADLI, Il racconto popolare B. KAYSER, Il Mediterraneo. Geografia della frattura G. CAMPS, I Berberi S. AHMED, Il flusso degli scambi D.SREJOVIC. Illiri e Traci D. ROMANO, Agricoltura P.H. STAHL, Antropologia sociale. 1 a proprietà J.F. TROIN, Le metropoli del Mediterraneo M. FANTAR, Fenici e Cartaginesi G. GULLINL L’Ellenismo nel Mediterraneo P.G. DONINI, Le minoranze D. GUERRAOUI, Le grandi sfide economiche J.L. MAYA GONZÀLES, Celti e Iteri nella penisola iberica M. GUIDETTI, La formazione dei popoli europei. Una prospettiva mediterranea. V-X secolo. A. e Y. BENACHENHOU, Ambiente e sviluppo. Strategia per il futuro P. SCARNECCHLA, Musica popolare e musica colta

Volumi in

preparazione

G. CAMPS, Il Neolitico M. CHAPUTOT-RAMADI, Il Mediterraneo tra ultimo mondo antico e primo Medioevo E. CHRYSOS, L’impero bizantino G. GULLINI, Italici e Greci d’Occidcnte M.T. MANSOURI, Il cristianesimo bizantino fino ai grande scisma M. MARIN, Al-Andaus e le Andalusie

PAOLO SCARNECCH1A

Nato a Roma, è laureato in Discipline della Mu­ sica (dams) presso (’Università di Bologna. Collabora dal 1978 con la RAI realizzando pro­ grammi per RadioTre, RadioUno, Servizi per I’Estero c VideoSapcre, dedicati alla musica colta e tradizionale di diverse epoche e nazioni, con par­ ticolare riguardo all’area mediterranea e ai paesi arabi. Dal 1995 cura e realizza il programma Me­ diterraneo: voci e suoni attraverso il tempo. È direttore artistico del settore musica della Fon­

dazione Orcstiadi di Gibellina e del relativo Festi­ val Musiche e Voci del Mediterraneo. È responsabile del settore musica dell'UNIMED (Unione delle Università del Mediterraneo). Ha insegnato Storia della Musica nei Conservatori italiani c presso (’Accademia Nazionale di Dan­ za. È professore a contratto presso la Scuola di

Studi Islamici dell’istituto Universitario Orienta­ le di Napoli dove insegna Storia della Musica. Ha pubblicato numerosi articoli e saggi sulla mu­ sica del Vicino Oriente e ha partecipato, in qua­ lità di relatore, a colloqui, convegni e congressi internazionali sull’arte e la cultura del mondo islamico e del mondo mediterraneo. Collabora con «Il Giornale della Musica», «Rive» (UNIMF.D) e «Avidi Lumi» (Teatro Massimo di Pa­ lermo).

9’7888 16 '436183