Moneta e finanza a Roma in età repubblicana 8843054147, 9788843054145

Nei circa cinque secoli di quella che è tradizionalmente chiamata la libera res publica il fattore economico ha avuto un

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Moneta e finanza a Roma in età repubblicana
 8843054147, 9788843054145

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STUDI SUPERIORI

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STUDI STORICI

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Chantal Gabrielli

Moneta e finanza a Roma in età repubblicana

Carocci ed i tore

a I

ristampa, settembre 2019 a edizione, maggio 2012 ©copyright 2012 by Carocci editore S.p.A., Roma I

ISBN 978-88-430-5414-5

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 17 1 della legge 22 aprile 1941, n. 633 ) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

Abbreviazioni

II

Introduzione

13

I.

Debito e debitori in una fase di economia premonetale

21

I. l.

La società agricola di Roma arcaica

21

1.2.

Fonti antiche e debiti

22

1.3.

Economia premonetale e natura del debito

27

1.4.

Sociologia degli indebitati

29

2.

Modalità di pagamento del debito

33

2.1.

Processi del debitore insolvente

2.2. 2.3.

Il contratto di

nexum

(iudicatus, addictus)

Il nexus non era uno schiavo

33 34 36

2.4.

Abolizione del nexum

2. s.

Usura

41

2.6.

Debitori, creditori e usurai nel Comizio

43



Moneta: luoghi di produzione e magistrature moneta-

37

rie

47

3·1.

Le origini del sistema monetario romano

47

3.2.

Il raggiungimento di un sistema monetario maturo: il denario

49

7

3·3·

Tecniche di produzione

3·4·

La zecca di Roma

53 ss

3·5 ·

Tresviri/Triumviri monetales

6I

3.6.

Iconografia delle monete

62



I mestieri della finanza

67

4·1.

La nascita di un sistema "bancario"

4.2.

Tabernae argentariae e Foro

67 69

4·3·

Cambiavalute (argentarii)



L'indebitamento fra III e II secolo a.C.

79

7I

Fonti e nuova natura del debito

Sovvenzioni private alla res publica

79

s.2. 5·3·

Usura, usurai e la società del II secolo a.C.

86

s.I.

6.

8I

Contraffazione e circolazione monetaria in età tardorepubblicana

93

6.1.

Debito, moneta e finanza: le fonti

93

6.2.

Contraffazioni monetarie

94

6.3.

Professionalità vecchie e nuove:

nummularii

argentarii, coactores,

97

6.4.

Zecche militari e circolazione monetaria

I02

6.s.

La sicurezza dell'investimento fondiario

I04

6.6.

Liquidità e crisi del credito

IOS

6.7.

Un caso a parte: le coniazioni in oro

I07



Debito e lotta politica dalla guerra sociale alla morte di Cesare

III

7·1.

Legislazione e aes alienum all'inizio del I secolo a.C.

III

7.2.

Province, debiti e interessi privati

II3

8

7·3·

7·4·

Tabulae novae e

cancellazione dei debiti: uno slogan

politico da Catilina a Cesare

11 5

Il prestito "d'amicizia"

119

Bibliografia

123

9

Abbreviazioni

AAN

Atti della Accademia di Scienze Morali e Politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere ed Arti di Napoli

AC

L'Antiquité Classique

AClass

Acta Classica

AFLB

Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Uni­ versità di Bari

AIIN AION (Sez. Fil.-Lett.)

Annali dell'Istituto Italiano di Numismatica Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napo­ li. Sezione filologico-letteraria

AION (archeol.)

Annali dell'Istituto Universitario Orientale di Napo­ li. Sezione di archeologia e storia antica

AJPh

AmericanJournal ofPhilology

AncSoc

Ancient Society

ANSMUSN ASNP

The American Numismatic Society Museum Notes

Annales ( Esc )

Annales: économies, sociétés, civilisations Annali della Scuola Normale Superiore diPisa, Clas­ se di Lettere e Filosofia

BCAR

Bullettino della Commissione Archeologica Comu­ nale diRoma

BICS BIDR

Bulletin of the lnstitute of Classica! Studies Bollettino dell'Istituto di Diritto Romano

CAH

The Cambridge Ancient History, Isr ed.

c&M

Classica et Mediaevalia. Revue danoise de philologie et d'histoire

ILS

Corpus Inscriptionum Latinarum /nscriptiones Latinae Selectae

JRS

TheJournal ofRoman Studies

LIMC

Lexicon lconographicum Mythologiae Classicae

MAAR MBAH

Miinstersche Beitrage zur antiken Handelsgeschichte

CIL

Memoirs of the American Academy inRome

II

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

MDAI (R )

, Bullettino dell Imperiale istituto archeologico ger­ manico, SezioneRomana Mitteilungen des Kaiser­ =

lich Deutschen Archaologischen lnstituts,Romische

MEFR

Abteilung , , Mélanges d Archéologie et d Histoire de l'École Française deRome

ME FRA NC

Numismatic Chronicle

NotSc

Notizie degli Scavi

PCPhS PMAAR

Papers and Monographs of the American Academy in

Mélanges de l'École Française deRome. Antiquité

Proceedings of the CambridgePhilological Society Rome

PWRE

Pauly Wissowa Realencyclopadie der Classischen Alter­ tumswissenschaft

( Nouv.) RD

Nouvelle revue historique de droit français et étran­

RD RHD

Revue historique de droit français et étranger , Revue d Histoire du Droit. Tijdschrift

ger voor

Rechtsgeschildenis

RIL

Rendiconti. Istituto Lombardo, Accademia di Scien­ ze e Lettere, Classe di Lettere, Scienze morali e stori­ che

RN RPh

Revue numismatique

RSI

Rivista storica italiana

, Revue de philologie, de littérature et d histoire an­ ciennes

SB

Sammelbuch griechischer Urkunden aus A'gypten

SDHI

Studia et Documenta Historiae et luris

SEG

Supplementum Epigraphicum Graecum

ss

Studi Storici per l'Antichità Classica

TAPhA ZRG

Transactions of AmericanPhilological Association Zeitschrift der Savigny-Stiftung furRechtsgeschichte (Romanistische Abteilung)

I2

Introduzione

La forte connessione fra dinamiche storiche e caratteri della società romana in relazione al fenomeno dell' indebitamento dei ci ves Romani è la linea guida di questo libro. Si tratta di un'indagine su un fenomeno circoscritto ma importante per la storia economica di Roma antica, anche se è difficile enuclearlo perché le testimonianze su cui ci basiamo per la nostra analisi consistono in fonti letterarie tarde, prevalentemen­ te di età augustea, lontane rispetto al periodo che trattano, cioè l'alta e media repubblica, e spesso cariche di interpretazioni politiche.

È chia­

ro che uno studio sull' indebitamento non può prescindere dall'ampio dibattito sullo sviluppo della monetazione romana, la genesi e la co­ struzione di un sistema bancario e finanziario; particolare importanza riveste la capacità di costruire politiche monetarie da parte della res

publica diretta da apposite autorità e in ultima analisi dal Senato. Va da sé che ho dovuto fare delle scelte e accettare delle limitazioni nell'espo­ sizione e nell'impianto di questo saggio. Il volume abbraccia un preci­ so arco cronologico e spaziale: verte infatti sul periodo repubblicano

(v-1

secolo a.C. ) e ha come principale scenario la città di Roma. Per

questo motivo esso non costituisce né intende costituire una compiuta raccolta di materiali e tantomeno una disamina esaustiva dei problemi relativi alla finanza e alla moneta in età repubblicana. Esso è invece inteso a individuare alcuni turning points, ben noti nella tradizione ro­ mana ma raramente indagati e valorizzati nella chiave che qui viene presentata, e a seguire l'attività di personalità politiche che in questo quadro svolsero ruoli particolarmente significativi. Con questo volume ho avuto modo di tornare su tematiche a me care, per alcuni ripensamenti e maggiore approfondimento, anche alla luce delle nuove acquisizioni e della discussione nata intorno al mio

Contributi alla storia economica di Roma repubblicana. Difficolta po-

13

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

litico-sociali� crisifinanziarie e debitifra v e III sec. a.C. (Como 2003). Un esempio in tal senso è dato dalla scelta di fornire qui un'analisi più articolata sul tema deljènus, le cui diverse sfumature e i cui svilup­ pi, inclusi i suoi effetti politici in fasi particolarmente delicate della media e tarda repubblica, ho cercato di mettere a fuoco nei capitoli 2 e S · Sappiamo che fenus, in genere, sebbene non appropriatamente, viene tradotto in italiano e in lavori scientifici con il termine 'usura'. Non c'è bisogno di ricordare che ai giorni nostri l'usura è una pratica che la società condanna in quanto mette il debitore, con la richiesta di tassi di interesse esorbitanti, nella condizione di non essere in gra­ do di restituirli e di diventare in qualche modo "schiavo dell'usuraio da cui dipende", ed è in sostanza un fenomeno, non solo, ovviamen­ te, deregolamentato, ma anche altrettanto ovviamente fuori legge. Nel mondo romano il discorso appare, invece, molto più sfumato e si alternano posizioni diverse intorno al fenomeno dell'usura. Con il terminejènus i Romani indicavano sia il prestito a interesse, che era re­ golamentato, purché venissero applicati tassi legali, sia l'usura. Le leges jènebres, emanate nel corso della seconda metà del IV secolo a.C. per ritoccare continuamente una soglia politicamente ritenuta accettabi­ le dei tassi di interesse, testimoniano la grande difficoltà dei Romani a regolamentare questo fenomeno. La pratica della jèneratio non era, quindi, illegale, anche se non era affatto immune da critiche morali provenienti dai membri dell'aristocrazia (che peraltro non esitavano a esercitarla, celebre è il caso di Catone il Censore nei primi decenni del n secolo a.C.). Questa indagine mantiene, quando è possibile, un approccio suffi­ cientemente atecnico e divulgativo in modo tale da potersi proporre anche come un' introduzione su argomenti di economia politica e di storia sociale legata alla moneta, adatta a suscitare l' interesse sia di stu­ denti universitari sia di un pubblico più ampio di non specialisti. Nel corso del volume, all' interno dei vari capitoli emergono in tutta la loro problematicità le innumerevoli questioni di metodo, cui ho già accennato, legate all'uso di una documentazione composta in larga misura da fonti storiografiche e letterarie (in particolare Dionigi di Alicarnasso e Livio), spesso scritte molto più tardi dei fatti narra­ ti, con seri problemi di anacronismi e interpretazione dei dati che ci vengono forniti, e questo vale sempre, con l'eccezione degli ultimi due capitoli ( 6-7 ), dedicati all'ultimo secolo della repubblica e che si fondano su fonti contemporanee. Abbiamo poi una documentazione I4

INTRODUZIONE

archeologico-numismatica, anch'essa frammentaria e soggetta a serie difficoltà interpretative. La configurazione dell' indebitamente in una società agricolo­ pastorale, quella dell'alta repubblica, caratterizzata da un'economia premonetale (e sostanzialmente chiusa), e il suo successivo modificar­ si in relazione allo sviluppo della moneta e della finanza nella media e tarda repubblica, a seguito dell'affermazione egemonica di Roma sul Mediterraneo e della conseguente formazione di una società mer­ cantile e aperta verso nuovi sbocchi commerciali, sono tematiche che ovviamente si inseriscono all' interno di una lunga tradizione di studi sull 'economia antica, da cui non possiamo prescindere. Questa storiografia affonda le sue più antiche radici nel dibattito di primo Ottocento tra primitivisti e modernisti, al centro del quale stava in definitiva il problema delle caratteristiche originarie dell'economia antica e per certi versi della legittimità della nozione stessa di eco­ nomia antica. In analoga prospettiva le linee di tendenza successive hanno posto in questione, in stretto rapporto con le società industria­ li, il problema della utilizzabilità per il mondo greco e romano, nelle loro differenti fasi di sviluppo, di categorie come capitalismo, econo­ mia di mercato, borghesia. L'esempio più noto di un uso consapevo­ le del termine " borghesia" per designare i gruppi imprenditoriali ed emergenti dell' impero romano è quello di Mikhail Rostovtzeffi. Fra le diverse correnti della storiografia economica sul mondo antico, svi­ luppatesi a partire dalla fine della prima guerra mondiale, una vera e propria cesura metodologica è rappresentata dalla brillante riflessione di impianto primitivista di Moses Finley\ elaborata sulla scorta della precedente teoria weberiana della "città di consumo"3• Per Finley la comprensione dei fattori economici non poteva prescindere dall'e­ voluzione della società, dal momento che l'economia era profonda­ mente connessa ( embedded) alle strutture sociali. L' idea principale di questo modello, che ha avuto molto seguito soprattutto fra gli stu­ diosi della scuola di Cambridge in merito al dibattito sul ruolo e la 1. M. Rostovtzeff, Storia economica e sociale dell'Impero romano, Firenze 1933 (ed. or. The Social and Economie History ofthe Roman Empire, Oxford 1926). 2. M. Finley, L'economia degli antichi e dei moderni, Roma-Bari 1 9772. (ed. or. The Ancient Economy, Berkeley-Las Angeles 1973). 3· Cfr. M. Weber, Storia economica e sociale dell'antichita. I rapporti agrari, Roma 1981 (ed. or. Agrarverhdltnisse im Altertum, Tiibingen 1924). IS

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

funzione del commercio nella città antica, era che l'agricoltura fosse il sistema dominante di produzione e che il commercio fosse legato a un'economia di sussistenza, quindi in sostanza minimo, poiché con­ dizionato dalla difficoltà nei trasporti, cari e poco frequenti. Indagini archeologiche, come quelle condotte da Helen Parkins e Christopher Smith sull'artigianato romano in età arcaica4 o le indagini di Jean­ Paul Morel sulla condizione dell'artigiano nella società romana5 han­ no in realtà messo in evidenza come il modello di Finley vada rivisto. Esistono, comunque, aspetti dell'economia antica - quale il problema dei limiti metodologici degli studi demografici e quantitativi - che non hanno mai perso attualità. Basti pensare all'analisi condotta per l'epoca imperiale da Richard Duncan-Jones6, e al fatto che non esiste un analogo studio quantitativo sui fenomeni economici e sociali per l'epoca repubblicana. L' importanza della moneta rimane al centro di un dibattito acceso e che non conosce sosta, come dimostrano le nuo­ ve prospettive di lettura sui concetti di money e monetization formula­ te dall'approccio comparativistico fra mondo greco e romano di Sitta von Reden7• Un saggio di particolare importanza per il nostro lavoro si è rivelato quello di William Harris8, dedicato al trasferimento dei diritti di credito come forma di pagamento nella società romana se­ condo una visione che l'autore stesso definisce revisionista rispetto all' idea che cash and money nel mondo antico coincidessero. Su tale questione, ovvero sull'uso di strumenti finanziari simili alle nostre cambiali faremo qualche accenno ulteriore nel CAP. 6. Una sintesi delle problematiche più attuali della discussione sull'e­ conomia antica è presente nella Cambridge Economie History of the Greco-Roman World9, che dà ampio spazio a nuovi ambiti di studi 4· H. Parkins, C. Smith (eds.), Trade, Traders and the Ancient City, London 1998. S· Cfr., ad esempio, J.-P. Morel, L'artigianato e gli artigiani, in A. Momigliano, A. Schiavone (a cura di), Storia di Roma, II. L'impero mediterraneo, 1. La repubblica imperiale, Torino 1990, pp. 143-58. 6. R. Duncan-Jones, The Economy of the Roman Empire. Quantitative Studies, Cambridge 1974. 7· S. von Reden, Money in Classica! Antiquity. Key Themes in Ancient History, Cambridge-New York 2010. 8. W. Harris, A Revisionist View ofRoman Money, in "JRS", 96, 2006, pp. 1-24. 9· W. Scheidel, l. Morris, R. P. Saller (eds.), The Cambridge Economie History of the Greco-Roman World, Cambridge 2007.

16

INTRODUZIONE

tra cui l'ecologia e la tecnologia, e nella raccolta di saggi di Elio Lo Cascio10, rivolti spesso alle tematiche demografiche e ai modelli mate­ matici applicati da Walter Scheidel. Un'efficace rassegna recentissima su economia, finanza e fiscalità dalle origini al tardoantico si trova in Economia efinanza a Roma di Filippo Carlà e Arnaldo Marcone11• Ma torniamo per qualche osservazione conclusiva ancora sul de­ bito. L'evoluzione della società romana, in età repubblicana, ha inciso sulla natura stessa del debito, determinandone, di riflesso, nuove mo­ dalità di riscossione e assolvimento. In un'economia agro-pastorale, come abbiamo detto relativamente chiusa, la contrazione di un debito era funzionale allo scambio di attrezzi da lavoro o derrate di cereali, e la sua restituzione poteva avvenire in natura con giornate lavorative garantite dal contratto di nexum, una sorta di schiavitù per debiti alla quale dedicheremo ampio spazio, o persino attraverso l' "affitto" dei propri figli ( CAPP. I-2 ) . Con le conquiste mediterranee e la trasforma­ zione del mondo romano in una società mercantile aperta e più arti­ colata in termini di produzione e di investimenti, anche la consistenza dei debiti subì cambiamenti radicali, per quanto non immediati, da collegarsi comunque all' introduzione della moneta e alla contrazione di debiti in denaro ( CAP. 3). Si giunge così a considerare un altro fatto­ re importante che si lega alla storia dell' imperialismo romano, quando la prolungata assenza dei cittadini-soldati, chiamati a campagne mili­ tari pluriennali in vari luoghi del Mediterraneo, generò una crisi dell'e­ conomia familiare. L'archeologia discute se e quanto sia dimostrabile sul terreno l'esistenza, in questa fase, di una vera crisi della piccola e media proprietà, che tuttavia le fonti letterarie sembrano documentare con evidenza riferendo di un diffuso indebitamento e di conseguenti forme di inurbamento nella metropoli romana. In questo quadro il contesto urbano fu naturale cornice e terreno fertile per tutta quella gamma di dinamiche economiche correlate al fenomeno del consumo e del commercio, ovvero il diffuso impiego della moneta e il conseguente sviluppo di attività bancarie e finan­ ziarie. Naturale conseguenza fu così la creazione di magistrature che monitorassero la capacità economica di ogni singolo cittadino, il suo I O. E.

2009.

I I . F.

Lo Cascio, Crescita e declino. Studi di storia dell'economia romana, Roma

Carlà, A. Marcone, Economia efinanza a Roma, Bologna 2011. I7

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

censo. Un'articolata legislazione an ti-usura, nella seconda metà del IV secolo a.C., atta ad arginare il dilagante fenomeno deifeneratores e l' incontrollata imposizione di alti tassi di interesse, mette in luce tutta la precarietà di un sistema economico che andava cercando un pun­ to di equilibrio fra forze centrifughe non sempre gestibili. In questo contesto la piena affermazione dell'economia monetaria ebbe effetti persino sulla topografia di Roma, e in modo particolare nell'area del Comizio e del Foro con lo spostamento delle tabernae degli argentarii, i cosiddetti cambiavalute, una sorta di operatori finanziari nati sul mo­ dello dei banchieri greci (trapezitai). Tuttavia, a differenza della Grecia - dove esisteva un sistema bancario più articolato, con banche private e pubbliche, ma anche templi che ricevevano depositi di denaro e face­ vano prestiti a città e privati -, Roma non si servì di banche pubbliche o di Stato, ma l'attività bancaria e le operazioni finanziarie rimasero prerogativa esclusiva di privati ( CAP. 4 ). Di varia natura ma costanti furono gli interventi dello Stato per migliorare le condizioni economiche dei cittadini: sistematiche cam­ pagne di colonizzazione e distribuzione di ager publicus e sbocchi oc­ cupazionali connessi alla realizzazione di opere di pubblica utilità (vie, acquedotti). L'arrivo nell' Urbe e in Italia di consistenti masse schiavili a partire dalla seconda metà del IV secolo a.C. (il picco si avrà fra III e II secolo a.C.) contribuì a introdurre forme alternative di dipendenza/ schiavitù economicamente più vantaggiose in sostituzione del contrat­ to di nexum ormai in via di superamento (verrà abolito nel 326 a.C. dalla lex Poetelia Papiria). La città di Roma, sempre più cosmopolitica, socialmente diversi­ ficata (ma anche costruita su forti relazioni di dipendenza fra patroni e clienti), conobbe sperequazioni patrimoniali sempre più nette e an­ tagonismi sociali. Già durante il II secolo a.C. la città rappresentava, praticamente, il luogo dello scambio, dell'afflusso di ricchezze e schia­ vi, dello sviluppo dell'artigianato e di tutte quelle attività extra-agrarie che nel centro urbano, o piuttosto in alcuni quartieri particolari, tro­ vavano ormai la loro sede prevalente e in cittadini liberi i principali protagonisti. Nella storia repubblicana generalizzato ed endemico appare il feno­ meno dell' indebitamento dei cives cui seguono sorprendenti escamota­ ges di ammortizzamento della crisi da parte dello Stato (con tempora­ nee sospensioni delle riscossioni dei tributi o dilazione delle rate degli interessi: quelle che oggi noi chiamiamo deroghe, condoni, immunità)

18

INTRODUZIONE

o su iniziativa personale di singoli magistrati ( arruolamento di soldati indebitati previa cancellazione dei debiti ) . Ma anche le finanze statali non rimangono certo indenni agli umori di un sistema economico an­ cora non del tutto stabilizzato e a rimpinguare le casse erariali, in par­ ticolari e delicati frangenti militari durante il conflitto con Cartagine, ci penseranno i prestiti, più forzosi che volontari, di privati cittadini

( cAP. s).

Contraffazioni monetarie, crisi del credito e scarsa circolazione monetaria saranno i mali che affliggeranno l'ultimo secolo della re­ pubblica, cui si tenterà in più occasioni di porre rimedio con la legge e con espedienti di politica monetaria. Inoltre l' indebitamento venne a impattare sui conflitti fra parti politiche e potentati, come nel caso celeberrimo di Catilina ( CAPP. 6-7 ) . Un grande debito di riconoscenza lo devo a Guido Clemente sia per i suoi insegnamenti che per il suo contributo di discussione, continuo stimolo a ri­ pensare criticamente i temi affrontati. Desidero esprimere un sentito ringraziamento a Giovanni Alberto Cee­ coni, che ha proposto all'editore la stesura di questo volume, sostenendomi con i suoi preziosi suggerimenti durante la realizzazione del lavoro. Ringrazio, infine, Lucilla Siragusa, Claudia Evangelisti e Cristina Parisi per il loro paziente supporto editoriale. Dedico questo libro a Marco e alle piccole Marta e Flavia. Aprile 201 2

I9

I

Debito e debitori in una fase di economia premonetale

I. I

La società agricola di Roma arcaica

La società romana di età arcaica era fondata sulla terra. Rom o lo, secon­ do la tradizione letteraria, avrebbe assegnato a ogni cittadino di Roma un lotto di 2 iugeri, pari a circa mezzo ettaro1• L'estensione del fondo, detto heredium, era considerata sufficiente per garantire la sussistenza di una famiglia e il suo possesso poteva essere trasmesso in eredità. Era, quindi, responsabilità personale del paterfamilias far fruttare al meglio tale appezzamento, ricorrendo alle colture più redditizie e usando an­ che sistemi di rotazione agricola. Questa primitiva forma di proprietà privata coesisteva con la possibilità di accedere a terre comunitarie. Si trattava di un'agricoltura che si fondava per lo più sulle coltivazioni di grano o farro, e in misura minore di vite e olivo. Era un'agricoltura povera, di sussistenza, precaria. Sappiamo quanto il fattore climatico influenzasse il buon esito di un raccolto e come fosse alto il rischio di carestie. Del resto nella compilazione degli Annali dei pontefici - re­ gistrazione degli avvenimenti più importanti avvenuti a Roma durante l'anno - le carestie erano fra gli eventi più spesso menzionati\ Anche in questo tipo di società agro-pastorale potevano generarsi forme di sperequazione della ricchezza. Un numero consistente di famiglie, an­ che se non è possibile quantificarne con precisione l'entità, si trova­ va ben presto ridotto alla fame e spinto a chiedere in prestito beni di prima necessità. Derrate di grano, cereali, quantitativi di semi, attrezzi 1. Varrone, Sull'agricoltura, I, 10, 2. 2. Cfr. Capogrossi Colognesi, 2009. 3 · Aula Gellio, Notti attiche, 2, 28; Cicerone, La repubblica, 16, 25.

21

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

da lavoro, bestie da soma, ma anche lotti di terra da coltivare erano i beni maggiormente richiesti. L' indebitamente poteva aggravarsi con un'annata o poche annate di cattivi raccolti, ma anche in conseguenza di guerre e devastazioni. 1 .2 Fonti antiche e debiti

Sulla società di Roma arcaica e sull' indebitamento la documentazione di cui disponiamo consiste in prevalenza in fonti storiografiche di età augustea, in particolare la Storia di Roma dallafondazione di Livio e le Antichita romane di Dionigi di Alicarnasso. Grazie all'ampiezza delle parti narrative conservate sugli argomenti qui in esame, entrambi questi autori sono importanti per indagare nei suoi vari aspetti il fenomeno dei debiti, caratterizzante con variabile intensità tutta la storia repubblicana. Tuttavia, come è noto, Livio e Dionigi fanno riferimento a una tradizione storiografica, in particola­ re alla seconda annalistica, fortemente influenzata dalle vicende post­ graccane. Pertanto, la questione dei debiti, così attuale tra fine n e I secolo a.C., può essere stata oggetto di interpretazioni attualizzanti, pur nell' informazione sostanzialmente attendibile dei provvedimenti noti per l'età arcaica e mediorepubblicana. Le principali questioni delle quali ci occuperemo in questi primi capitoli sono : quando e come inizia a prendere corpo l' indebitamento, la natura dei debiti ( pecuniari o meno ) , la sociologia degli indebitati ( soggetti coinvolti e loro estrazione sociale ) , le modalità di assolvimen­ to dei debiti. Per l'epoca monarchica le fonti non attestano l'esistenza del pro­ blema dei debiti a eccezione del regno di Servio Tullio, quando cioè, intorno alla metà del VI secolo a.C., da Dionigi di Alicarnasso4 abbia­ mo notizia che il fenomeno era pesantemente diffuso fra i cittadini. La situazione sarebbe stata così grave e preoccupante da spingere il re a intervenire personalmente, pagando di tasca propria i debiti contrat­ ti dai cittadini romani. L'attendibilità della notizia deve misurarsi col fatto che intorno a Servio Tullio la tradizione storiografica addensa 4· Antichita romane, 4, 9, 6-7; 4, 1 0, 2; 4, 1 1 , 2.

22

I.

DEBITO E DEBITORI IN UNA FASE DI ECONOMIA PREMONETALE

una serie di riforme e nuove istituzioni, elogiando nella sostanza l' ope­ rato "democratico" del monarca. La generosità regale di Servio sembra attestare l'esistenza già nel VI secolo a.C. di debiti pecuniari. In realtà l'episodio riflette una situazione ben più complessa. Può venirci in aiu­ to un'altra fonte : Plinio il Vecchio. Questi dedica una sezione, nella sua opera enciclopedica (Storia naturale), all'origine della monetazio­ ne romana, nella quale attribuisce al re Servi o l' introduzione a Roma del bronzo monetato, cioè dell' aes signatum, lett. 'bronzo stampiglia­ to' s: il re sarebbe stato il primo a far imprimere un marchio sul bronzo grezzo (aes rude) fino a quel momento usato a Roma. Plinio dichiara di aver attinto la notizia dallo storico siciliano Timeo (metà IV a.C.-metà III a.C.), delle cui opere ci restano solo frammenti. Da un riscontro con i dati archeologici e numismatici l' indicazione di Plinio/Timeo ha una sua attendibilità. Sappiamo infatti che ritrovamenti di lingotti e pani di bronzo/rame diffusi in tutto il territorio italico (pianura padana, Etruria, Lazio, parte della Campania e Sicilia) attestano una forma di economia premonetale già nel VI secolo a.C. Si trattava di un sistema che nel lessico tecnico si definisce pre-coinage, e che era basato sull ' aes (il termine latino indica sia il rame puro sia le sue leghe, e segnatamente il bronzo, composto in massima parte da rame e stagno). Data la com­ plessità della tradizione su Servio Tullio è difficile stabilire con suf­ ficiente attendibilità la storicità dell'episodio; in ogni caso l'esistenza di pani di bronzo attestata per quell'epoca può giustificare l'eventuale iniziativa del sovrano, anche se non siamo in grado di determinarne i particolari e le stesse motivazioni possono essere frutto di una reinter­ pretazione tarda. Dobbiamo in ogni caso ammettere che a un certo punto, ma non sappiamo quando, i debiti vennero assolti attraverso la corresponsione di qualcosa, una misura astratta, una sorta di unità di riferimento comunemente accettata, cioè l' aes, anche se non era anco­ ra moneta nel senso moderno del termine. Che la lingua latina sia spesso inequivocabile cartina di tornasole della portata di certi cambiamenti nella società romana trova conferma dal fatto che il termine 'debito', e quindi l'essere indebitato, sia tradot­ to in latino con la locuzione aes alienum, cioè 'bronzo altrui ', proprio a richiamare l' incidenza dell' aes nella sua funzione premonetale. Era importante sottolineare l' idea che a un cittadino che contraesse un S· Plinio il Vecchio, Storia naturale, 33, 43; 34, 1.

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

debito fosse concessa la possibilità di appellarsi alle riserve metalliche di un'altra persona e della sua famiglia al fine di ritrovare nel "bronzo di un altro" una via di uscita riconosciuta legalmente a una situazione certamente difficile. Testimonianze sull' indebitamento cittadino continuano fino alla cacciata dei Tarquini e sono poi ancora collegate, dal filone storiogra­ fico che fa capo a Dionigi, a un colpo di Stato fallito. Nel 498 a.C., infatti, i Tarquini, dopo una decina di anni dalla cacciata da Roma ( 50 9 a.C. ) , avrebbero tentato, ma invano, di ritornare nell' Urbe, fa­ cendo leva sul favore popolare con la promessa di risolvere la crisi debitoria6• Un altro punto da evidenziare è che nei testi di Livio e Dionigi di Alicarnasso è forte la connessione tra il diffuso indebitamente e i conflitti sociali tra patrizi e plebei che tanto caratterizzarono i primi secoli della repubblica. Si parla sia di cittadini indebitati che di plebe in contrasto con i patrizi, ma soprattutto di soldati gravati dai debiti. Conosciamo la triste vicenda di un centurione indebitato come causa scatenante per l' inizio della se cessione plebea sul Monte Sacro nel 49 5 494 a.C. Un tale già avanzato negli anni e segnato da tutte le sue disgrazie si presentò un giorno nel Foro : i suoi vestiti erano logori e luridi e ancora peggio era segnato il suo corpo, consunto da una pallida magrezza. La barba e i capelli mal curati conferivano un'espressione selvaggia al suo volto. Tuttavia, pur in questo orribile stato, venne riconosciuto : tutti ricordavano come avesse avuto responsabilità di comando e, con parole di commiserazione, evidenziavano altri suoi meriti militari. Egli stesso esibiva sul petto le cicatrici, testimonian­ za di tante battaglie combattute valorosamente un po' ovunque. Attorno gli si radunò una gran folla, quasi come durante un'assemblea pubblica, e tutti gli chiedevano il motivo di quella sua condizione miserevole. Il vecchio prese a raccontare che, mentre era impegnato nella guerra sabina, nella devastazio­ ne del territorio erano stati coinvolti i suoi averi che erano andati distrutti: non solo era andato perduto il raccolto, ma era stata bruciata anche la sua abitazione ed era stato portato via il bestiame ; poi, siccome in un momento per lui così disagiato gli era stato imposto anche il tributo di guerra, aveva dovuto indebitarsi. A debiti si erano aggiunti debiti per via dell'usura; prima aveva perso il fondo di famiglia trasmessogli dal padre, poi gli altri beni, poi,

6. Dionigi di Alicarnasso, Antichita romane, s, s 3 , 2-3.

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come per una devastante infezione, la rovina era passata al suo stesso corpo. Il suo creditore non si era accontentato di renderlo schiavo, ma lo aveva anche gettato nel fondo di una prigione e torturato. E mostrava la schiena sfigurata dai segni di recenti percosse. A vedere e a sentire queste cose la gente comin­ ciò a fare grande strepito e il tumulto non rimase circoscritto al Foro, ma invase tutta la città7•

È tuttora oggetto di ampio dibattito quanto sia storicamente ammis­ sibile la figura di un soldato indebitato e afflitto da uno stato di insol­ venza nel v secolo a.C. In effetti l' immagine del centurione gravato dai debiti compare con una certa ripetitività in Livio anche nella narrazio­ ne degli avvenimenti del IV secolo a.C. e questo ha suscitato perples­ sità sull'attendibilità storica di certi episodi. Ma è verosimile supporre che analoghe realtà esistessero nell' intera fase protorepubblicana e che Livio ricorresse a esemplificazioni standardizzate, se non addirittura a vere e proprie duplicazioni. Le campagne militari con i popoli confinanti impoverivano i sol­ dati, costretti ad allontanarsi anche per lunghi periodi da casa, trala­ sciando la coltivazione del proprio campo. Al ritorno dalla guerra le condizioni che garantivano la sussistenza al milite e alla sua famiglia erano a rischio. Non sempre era dato rimettere in sesto le sorti del pro­ prio podere, abbandonato da tempo e molto spesso oggetto di razzie e devastazioni. Da qui per cadere da una condizione di indigenza a una di insolvenza il passo era breve ... Anche sulla connessione fra indebitamento cittadino e conflitto pa­ trizio-plebeo presente nella tradizione è bene fare alcune ulteriori pre­ cisazioni. La carenza di terre e le ineguaglianze nella divisione dell' ager publicus, la richiesta di equiparazione politica, così pure la necessità di risolvere l' indebitamento cittadino e la dilagante pratica dell'usu­ ra (jènus) , aspetto su cui ritorneremo, sono enucleati dalla tradizione storiografica come i motivi di profondo scontento sociale scatenanti il conflitto patrizio-plebeo che si concluderà con l'emanazione delle leges Liciniae Sextiae (377-367 a.C. ) . Secondo Livio queste leggi pre­ vedevano, infatti, l'ammissione dei plebei al consolato, una più equa 7· Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 2, 23, 3-7 ( 6 voli., a cura e tradu­ zione di G. D. Mazzocato, introduzione di M. Cataudella, Roma 1997; qui p. 183, traduzione leggermente modificata) . D 'ora in poi, in mancanza di riferimento a una particolare edizione, la traduzione è da intendersi dell'autrice.

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distribuzione dell'agro pubblico fra i cittadini e un nuovo computo degli interessi8• Ma quanto la narrazione storica liviana, soprattutto in merito alla legislazione sulla divisione dell'agro pubblico nel IV secolo a. C., sia stata influenzata e inficiata dalle esigenze storiografiche e dalle dinamiche politiche che riflettevano la tarda annalistica di età gracca­ na e sillana è un problema che ancora una volta induce a prudenza per quanto riguarda le tematiche prese qui in considerazione. Fondamentale per una ricostruzione del tessuto sociale di Roma arcaica è la prima codificazione scritta del diritto romano, le XII Tavo­ le9. Anche questo testo è per noi preziosa testimonianza sul debito del primo periodo repubblicano. Il codice decemvirale, datato al 45I-450 a.C., è ricostruito attraverso la testimonianza di autori come Cicerone e soprattutto Aulo Gellio (Notti attiche) e Festo (Sul significato delle parole). Sappiamo infatti che la pressante necessità di regolarizzare i rapporti fra creditori e debitori insieme al bisogno di definire le mo­ dalità con cui punire questi ultimi e le procedure da seguire per l' emis­ sione di una sentenza, eliminando il rischio di un giudizio arbitrario, rappresentarono alcune delle ragioni dirimenti per l'emanazione del codice. Le XII Tavole confermarono de facto il potere del creditore, rafforzandone la posizione e aumentandone l' influenza che già dete­ neva nella società. È il codice decemvirale ad attestare per la prima vol­ ta l'esistenza del contratto di nexum (Tavv. I, 5; VI, I ). Questo veniva stipulato fra creditore e debitore e garantiva al primo la restituzione in natura del prestito. Il debitore si impegnava, infatti, ad assolvere il debito contratto, svolgendo giornate lavorative (operae) presso il cre­ ditore, presumibilmente quantificare in base alla cifra dovuta, ma sul nexum torneremo più ampiamente in seguito. Nel testo decemvirale (Tav. III, I-7 ) era anche descritto il trattamento che spettava al debi­ tore aggiudicato dal pretore al suo creditore (addictio) con l' infausta prospettiva, in caso di insolvenza, di essere venduto come schiavo in territorio straniero ( venditio trans Tiberim). Torneremo sui concetti di nexum ejènus, per la cui definizione les­ sicale sono importanti antiquari (Varrone, La lingua latina; Sulla vita del popolo Romano; L 'agricoltura) e grammatici (Nonio Marcello, de

compendiosa doctrina). 8. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 6, 34-42. 9· Cfr. Crawford, 1996, 11, pp. 578-81, 59 0-1, 652-6.

2.6

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DEBITO E DEBITORI IN UNA FASE DI ECONOMIA PREMONETALE

1.3 Economia premonetale e natura del debito

Accanto alle modalità di restituzione del debito attraverso una sorta di garanzia personale o attraverso la vendita come schiavo del debitore insolvente, meccanismi che hanno dato luogo a una precisa definizio­ ne giuridica e normativa, le fonti documentano l'esistenza di forme di pagamento legate a diverse misure di conto, fondate su beni di prima necessità o, a un certo punto, su metallo a peso. Occorre ora vedere meglio la natura dei debiti contratti in questa fase di economia pre­ monetale. Secondo una plausibile ricostruzione del tenore di vita arcaico, de­ scritto all' inizio del capitolo, motivazioni pratiche spingevano i cit­ tadini romani a chiedere in prestito beni di prima necessità ( utensili, semente, bestiame, terre da coltivare ) ; ma quando a questo tipo di pre­ stiti si siano affiancati prestiti in denaro non è dato sapere. La funzione, per così dire, di valuta nella società romana arcaica venne assolta, inizialmente, dal bestiame (pecus ) , nel senso che, per un certo periodo, tutte le merci e i servizi erano computabili e traducibili in capi di bestiame. Testimonia questo valore premonetario dei bovini e degli ovini la parola latina pecunia con cui si indica il denaro, legata al vocabolo pecus, cioè gregge. Fra gli autori che alludono all'etimologia c'è anche Cicerone, quando parla del sistema economico vigente in età arcaica: a quel tempo il patrimonio consisteva nel bestiame e nei possessi terrieri, da cui prendevano il nome di pecuniosi quegli uomini che fossero "ricchi di be­ stiame"; mentre erano detti locupletes quelli "ricchi di terre"10•

Uno dei limiti di questa modalità di pagamento era che il bestia­ me non manteneva nel corso del tempo lo stesso valore : gli animali potevano perire e comunque richiedevano cure e nutrimento. Ben presto, quindi, si sviluppò la tendenza ad affiancare ( e poi sostituire ) questa modalità con l'uso del metallo. Rispetto ai capi di bestiame il metallo poteva vantare il fatto di essere relativamente indeperibile, di essere suddivisibile e di non richiedere alcun costo di manteni10. Cicerone, La repubblica, 2, 9, 16.

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mento. In tutta Italia, come abbiamo visto, è attestato un sistema premonetale, realizzato per lo più con il bronzo che, all'epoca, fra le leghe occupava un posto privilegiato. La disponibilità di bronzo a Roma e presso le popolazioni italiche, in specie al centro e al nord della penisola, dipendeva dalla produzione degli Etruschi, i quali sfruttavano i minerali dell' Isola d' Elba in Toscana e importavano dalle Isole britanniche lo stagno, necessario per l' indurimento del rame. Il metallo circolava, all' inizio, in masse informi, allo stato grezzo. Le transazioni economiche erano contrassegnate da disagevoli prati­ che connesse alla pesatura dei pezzi di metallo. Per ovviare a questa oggettiva difficoltà si optò per un'operazione di prepesatura del metal­ lo e una realizzazione di lingotti con valore ponderale standard. Que­ sto espediente, oltre che favorire i pagamenti, facilitò il trasporto del metallo e la sua tesaurizzazione. Una riprova del largo impiego che si faceva nella società romana delle operazioni di pesatura la ritroviamo nell' interessante etimologia di un termine latino, stipendium. Il voca­ bolo deriva dall' infinito pendere 'pesare ' e da stips che ha l'accezione di quantità considerevole di pezzi di bronzo11• Anche le XII Tavole te­ stimoniano l'utilizzo del metallo a peso nelle operazioni di pagamento attraverso la figura dellibripens (Tav. VIII, 11 ), una sorta di pesatore ufficiale che presiedeva a ogni atto di compravendita e attestava che il passaggio di proprietà del bene avvenisse per aes et libram, ovvero 'con il bronzo e con la bilancia'. Pochi anni prima le leggi Aternia Tarpeia (454 a.C.) e Menenia Sextia de multa et sacramento (452 a.C.) aveva­ no stabilito che le ammende potessero essere pagate anche in libbre di rame e fissarono il corrispondente valore in metallo di una pecora o di un bue1• Il testo decemvirale confermò quanto stabilito da que­ sti provvedimenti legislativi (Tav. I, I 4), mentre la lex Iulia Papiria de multarum aestimatione (430 a.C.) impose definitivamente pagamenti in rame e non in bestiame3• II. Varrone, La lingua latina, s. I82; Plinio il Vecchio, Storia naturale, 33, 42-43; lsidoro di Siviglia, Etimologie, I 6, I 8, 8. 1 2. Aulo Gellio, Notti attiche, I I, I, 2; Pesto, Sul significato delle parole, s.v. Pecu­ latus P 26 8, 270 L. I 3. Pesto, Sul significato delle parole, s.v. Ovibus P 220 L; Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 4, 30, 3·

I.

DEBITO E DEBITORI IN UNA FASE DI ECONOMIA PREMONETALE

1. 4 Sociologia degli indebitati

L' indebitamento fra i cittadini romani si delinea come un fenomeno ampiamente diffuso presso le fasce medio-basse della società romana. Se però diamo credito al racconto liviano, anche i cittadini ricchi non erano immuni da questa piaga. Nel 38 5 a.C. abbiamo un altro episodio in cui un uomo politico con un esborso dal proprio patrimonio cerca di estinguere i debiti della collettività. Manlio Capitolino, già console nel 390 a.C., intervenne ad appianare la situazione debitoria anche di cives abbienti. Il gesto, come accennato, ricorda la generosità di Ser­ vio Tullio e può testimoniare la confluenza in Livio di una tradizione storiografica sensibile ad atti demagogici. Non a caso Manlio fu poi accusato di aspirare alla tirannide (adfectatio regni) e per questo ucciso. Ecco la versione liviana: [ Manlio ] primo fra tutti i patrizi passò dalla parte del popolo e si accordò coi magistrati plebei [ ... ] . Non contento delle leggi agrarie, che erano state occa­ sione di sedizioni per i tribuni della plebe, cominciò a minare il credito : di­ ceva che troppo aspro era l'assillo dei debiti, che minacciava gli uomini liberi non solo di povertà e disonore, ma li atterriva anche all'idea di ceppi e catene. Effettivamente notevole era la quantità dei debiti contratti per l'edilizia, assai onerosa anche per i ricchi14•

Nell'alta e media età repubblicana la figura del cittadino-soldato che al ritorno dalla guerra trova il proprio podere devastato, il bestiame raz­ ziato, l'abitazione distrutta, i campi incolti e improduttivi è ben nota nelle fonti. Ogni cittadino di Roma veniva chiamato alle armi in caso di necessità e l'esercito romano si identificava largamente con il corpo cittadino. Non tutti i cittadini, però, riuscivano a trarre concreti van­ taggi economici dalle campagne militari, anzi la permanenza dei solda­ ti nelle file dell'esercito per campagne militari sempre più protratte nel tempo fece maturare una situazione di insoddisfazione sociale latente. Questo è particolarmente evidente in alcuni episodi del v e del IV se­ colo a.C. di opposizione alla leva (dilectus). In un contesto di costante tensione nei confronti di popolazioni italiche limitrofe, dove il territo1 4.

Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 6, 11, 7-9.

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rio controllato da Roma subiva, a seconda dell'esito degli scontri mili­ tari, ridimensionamenti o ampliamenti di variabile entità, nell' Urbe i contrasti sociali si acuirono e assunsero l' in usuale forma di veri e propri "scioperi militari". La dinamica era sempre la medesima : la pressione di una guerra esterna e l'acutizzarsi di una crisi economico-sociale interna alla città. L' invio continuo di plebei sommersi dai debiti contro nemici sempre nuovi, ovvero il logorio di un reclutamento prolungato spinse una parte dei cittadini a non rispondere alla chiamata di leva. Il rifiuto dinanzi all'arruolamento aveva, quindi, un significato politico, e a tale scontento si cercò di porre rimedio nel corso del v e IV secolo a.C. con la concessione di facilitazioni di varia natura alla plebe. Proroga delle scadenze dei debiti, interruzione dei processi per insolvenza, divieto di trattenere i debitori o i loro familiari e di venderne i beni costituiscono parte delle misure prese. Fra i tentativi di risoluzione dello stato di indigenza che gravava su un ampio numero di soldati va indubbiamente annoverata l' istituzione dello stipendium militare nel 4o 6 a.C. La distribuzione di una paga ai soldati viene messa in connessione dalle fonti letterarie con le vicende militari legate alla guerra decennale condotta contro la città etrusca di Veio (40 6-3 9 6 a.C. ) , per il controllo delle saline e del trasporto del sale lungo il corso del Teveret5• L'elargizione di un salario avrebbe garantito ai cittadini-soldati una certa stabilità economica, indipendentemente dall'esito favorevole delle vicende belliche e dalla spartizione successi­ va del bottino. La dissestata situazione economica di chi, pur essendo indebitato, veniva ugualmente arruolato poteva infatti, in teoria, mi­ gliorare con la spartizione del bottino alla fine di ogni scontro militare. Purtroppo però non è accertabile in che misura la distribuzione della preda bellica fosse realmente incisiva nella risoluzione dell' indebita­ mento e senza dubbio molti fra i soldati che appartenevano agli strati sociali inferiori non erano in grado di risollevarsi dalla loro situazione debitoria. La divisione del bottino era, inoltre, soggetta alla discrezio­ nalità del comandante. Per assicurare, dunque, una retribuzione al cor­ po militare, la res publica ricorse all' imposizione fiscale, obbligando i cittadini al versamento di un tributum. Livio ci dà la plausibile notizia che il gettito derivante dal pagamento del tributo - masselli di bronzo o bronzo allo stato grezzo - era trasportato su carri. Il bronzo confluiva 15. lvi, 4, 59, n; cfr. s. 7, 12; Diodoro, Biblioteca storica, 14, 16, S·

I. DEBITO E DEBITORI IN UNA FASE DI ECONOMIA PREMONETALE

poi nelle casse della res publica e costituiva l' aerarium (vocabolo a sua volta derivato dal termine latino aes ma con l'accezione di 'riserva di monete ' ) , ed era poi distribuito fra i soldati come riconoscimento del loro impegno militare. E non esistendo ancora monete d'argento coniate, portarono all'erario [ae­ rarium] carri di assi di bronzo, rendendo oltre a tutto appariscente il loro pagamento16•

La richiesta, inizialmente sporadica e poi regolare, di imposte da par­ te della res publica creò una dinamica relazionale nuova tra autorità centrale e singolo cittadino, un rapporto obbligatorio per certi versi simile a quello che intercorreva, nell'ambito del diritto privato, fra due cittadini, l'uno debitore l'altro creditore. Due episodi, tramandati da Livio, testimoniano le difficoltà della cittadinanza nel pagare con regolarità i tributi alla res publica. Il primo riguarda la sospensione temporanea del pagamento del tributum con­ cessa alla plebe, nel 378 a.C., durante la guerra contro i Volsci. Dapprima dei messaggeri trafelati e poi dei contadini in fuga dalle campagne portarono la notizia che le legioni dei Volsci avevano passato i confini e sta­ vano devastando ovunque l'agro romano. La situazione era di grave pericolo, ma la paura della guerra esterna non riuscì in alcun modo a mettere a tacere il conflitto interno ; anzi, al contrario, tanto più violenta era l'opposizione dei tribuni all'arruolamento, finché i patrizi non avessero accettato precise condizioni: mentre la guerra era in corso nessuno doveva pagare il tributo [ne quis ... tributum daret] o essere mandato sotto processo come debitore insolvente7•

Nel passo appena citato la frase decisiva è proprio l'ultima : i debitori morosi correvano il rischio di un processo e di una condanna per insol­ venza. In realtà lamentele in relazione a eccessi impositivi si erano già verificate da parte degli stessi tribuni della plebe nel 4o1 a.C., a distan­ za solamente di cinque anni dalla data della istituzione del tributum18• Il secondo episodio, databile sempre al 378 a.C., farebbe, invece, ri16. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 4, 6o, 6. 17. lvi, 6, 31. 1 8. lvi, 5, IO, 9·

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ferimento a un tributo straordinario imposto alla popolazione per la costruzione delle mura di Roma, dopo il sacco gallico del 390 a.C. Fu necessario che la popolazione contraesse un nuovo debito [tributo novum Jenus contraheretur] al fine di pagare il tributo imposto per la costruzione di un muro di pietre squadrate appaltata dai censori19•

Purtroppo rimangono ignote le procedure adottate da Roma in questo periodo verso cittadini inadempienti nei confronti dell'erario. Resta il fatto che l' imposizione di tasse e la conseguente gestione di tali pro­ venti costituirono un' importante cesura storica, definendo un nuovo ruolo economico-finanziario dell'autorità centrale. Approfondimenti bibliografici SOCIETÀ ARCAICA: Raaflaub, I986; 1993; Gabba, 2005; Capogrossi Colo­ gnesi 2009. FONTI E DEBITI: Gabba, 1961; Thomsen, 1980; Peppe, 1981; Cornell, 1995; Savunen, 1993; Gabrielli, 2003; 200 8. XII TAVOLE: Poma, 1984; Eder, 1986; Agnati, 2002; Humbert, 2005. SISTEMA PREMONETALE: Crawford, 1985; Zehnacker, 1990; Nijboer, 1998. MULTE PECUNIARIE: Gagé, 1978. ISTITUZIONE DI STIPENDIUM MILITARE E TRIBUTUM: Watson, 1958; Gatti, 1970; Marchetti, 1977; Gabba, 1975; 1977; Cerami, 1997; Mersing, 2007.

19. lvi, 6, 32.

2

Modalità di pagamento del debito

2.I Processi del debitore insolvente (iudicatus, addictus)

Abbiamo accennato a come, fra le modalità di restituzione del de­ bito, il nexum e l' addictio occupino uno spazio importante nella tradizione, ed è quindi opportuno dettagliarne la definizione nor­ mativa. Testo di fondamentale ausilio per la ricostruzione dell' iter giu­ diziario del debitore insolvente sono le XII Tavole. Di fronte a una reiterata inadempienza, il creditore portava il debitore nel Comizio davanti al pretore. Il magistrato, nel caso in cui riscontrasse un'effet­ tiva insolvenza, formulava una sentenza sfavorevole al debitore che da quel momento diventava iudicatus ovvero giudicato ufficialmente inadempiente. Se dopo trenta giorni dalla condanna il debito non fosse ancora stato estinto, il debitore doveva sottoporsi a un processo giudiziario ufficiale (manus iniectio) (Tav. III, I-2)1• Qualora nessun garante (vindex) , generalmente legato al debitore da vincoli di paren­ tela o di amicizia, estinguesse il debito al posto del debitore (Tav. I , 4), il pretore procedeva all' addictio di quest 'ultimo al creditore, che da quel momento ne poteva disporre a suo piacimento2• Il debitore (addictus) veniva portato nell'abitazione del creditore e qui incate­ nato con ceppi, pesanti almeno quindici libbre. Durante la detenzio­ ne il debitore si alimentava a sue spese o il creditore gli passava una razione minima di una libbra di farro al giorno (Tav. III, 3-4)\ Tale 1. Gaio, Istituzioni, 4, 21 ; Aulo Gellio, Notti attiche, 15, 1 3 , 11. 2. Quintiliano, Istituzione oratoria, 7, 3, 26-27; Cicerone, Sull'oratore, 2, 255. 3 · Aulo Gellio, Notti attiche, 20, 1, 45·

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detenzione si protraeva per sessanta giorni, durante i quali il credi­ tore portava il debitore di fronte al pretore nel Comizio, presso il tribunale, per tre mercati successivi, e il magistrato ogni volta dichia­ rava in pubblico l'ammontare del debito per cui era stata attuata la manus iniectio (Tav. III, s)4• Dopo questo periodo, era lecito vendere il debitore oltre il Tevere (venditio trans Tiberim ), cioè al di fuori dei confini di Roma in territorio straniero (Tav. III, 7 ). Altrimenti, secondo le due interpretazioni più plausibili di un'altra clausola del­ le XII Tavole, quella cioè relativa al partis secanto (lett. 'suddivisione delle parti ' ), al creditore era data la possibilità o di appropriarsi dei beni del debitore, spartendoli con altri eventuali creditori ( esecuzio­ ne patrimoniale) o di dissezionarne il cadavere in pezzi, di grandezza differente e proporzionale al debito contratto con i rispettivi credi­ tori (iniuria corporale) (Tav. III, 6 ) 5• Vale la pena ricordare che nel Mercante di Venezia di Shakespeare l'usuraio Shylock pretende dal proprio debitore una libbra del suo cuore a garanzia del debito non pagato. Nelle fonti letterarie non vi è ricordo, però, della crudele san­ zione di tagliare il corpo del debitore insolvente e della sua effettiva applicazione ; ciò ha fatto pensare che la minaccia di iniuria corpora­ le fosse stata probabilmente fatta solo come semplice deterrente per spingere le parti interessate a trovare un accordo, anche se forse sem­ bra più verosimile che l'espressione latinapartis secanto alluda piutto­ sto a una spartizione del patrimonio (partes con l'accezione di 'beni' ) del debitore fra i creditori, qualora ve ne fossero stati più di uno. 2.2 Il contratto di nexum

Al contratto di nexum il debitore poteva decidere di ricorrere o in prima persona, asservendo sé stesso alla volontà e potere del cre­ ditore, o imponendo tale contratto a quanti fossero sottoposti alla sua potestà. Questa sorta di esecuzione personale del debitore in­ solvente durava fino a quando il debito non fosse reputato estinto 4· lvi, 20, 1, 46-47. S· lvi, 20, I, 19; 20, I, 49; Quintiliano, Istituzione oratoria, 3, 6, 83-84; Tertulliano, Apologetico, 4, 9; Dione Cassio, 4, fr. 17, 8.

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2. MODALITÀ DI PAGAMENTO DEL DEBITO

dal creditore. Una norma del testo decemvirale riconosceva al figlio che fosse stato venduto dal padre per tre volte l'annullamento del­ la patria potestas (Tav. IV, 2). Probabilmente i patres delle famiglie più indigenti ricorsero all 'esercizio dello ius vendendi, in momenti di ristrettezza economica, cedendo temporaneamente i figli come manodopera sia ai grandi possessores di agri che ai piccoli impren­ ditori, artigiani e commercianti. Si trattava in pratica dell'affitto della capacità lavorativa della prole. Non è possibile sapere quanto questa sorta di forte legame di dipendenza al creditore, implici­ ta nel nexum, possa aver ridotto in effetti la libertà del debitore­ nexus6. Non si conoscono i criteri che determinavano la durata di tale forma di lavoro coatto, ma è molto plausibile che fosse soggetta alla discrezionalità del creditore, che poteva decidere di far durare i termini del contratto tutta la vita del debitore e di estendere le condizioni di asservimento anche ai discendenti (figli e nipoti) di quest'ultimo. Le fonti su Roma, nei primi secoli della repubblica, riportano che accanto al fenomeno dell' indebitamento si andava diffondendo l' impiego dell'usura. È difficile pensare che in un'e­ conomia premonetale praticare l'usura implicasse l'applicazione indiscriminata di alti tassi di interesse sulla cifra dovuta (modalità propria invece di un sistema monetario ben configurato e cronolo­ gicamente successivo). Per questo periodo il termine "usura" è im­ piegato con l'accezione di richiesta e calcolo di una maggiorazione sul corrispettivo dovuto e nella sostanza traduce il latinoJenus (cfr., infra, PAR. 2. 5 ). Quest 'ultimo poteva essere quantificato in aes o in numero di giornate lavorative, nel caso del nexum. Il numero delle operae poteva, dunque, essere soggetto a incrementi. In questo senso allora è presumibile che chi avesse stipulato un contratto di nexum non riuscisse mai a onorare il proprio debito e continuasse a lavo­ rare in uno stato di subordinazione, vedendosi allungare il periodo di assoggettamento alla volontà del creditore. Neppure Livio offre qualche indicazione sulla durata di tale contratto, pur sofferman­ dosi a descrivere i maltrattamenti e i soprusi di ogni genere subiti dal debitore, il quale poteva essere incatenato, oberato di lavoro, picchiato, malnutrito ed esposto al pericolo di abusi sessuali. 6. Varrone, La lingua latina, 7, 105; Dionigi di Alicarnasso, Antichita romane, s. 53 · 2.

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MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

2.3 Il nexus non era uno schiavo

Il contratto di nexum riconosceva al creditore il diritto di tenere il de­ bitore-nexus presso di sé, ma è bene specificare un aspetto spesso tra­ scurato dello statuto giuridico del nexus, talvolta equiparato troppo meccanicamente a uno schiavo. Alludo cioè alla profonda differenza che intercorre tra il contratto di nexum e la venditio trans Tiberim, che abbiamo visto in precedenza, e cioè la vendita fuori dai confini di Roma del debitore riconosciuto recidivo. Un cittadino romano non poteva essere venduto come schiavo se non in territorio straniero, dopo che la sua insolvenza fosse stata appurata, mentre i nexi, schiavi, per così dire, "a contratto", continuavano a vivere a Roma, rimanendo cittadini romani. Per un debitore, quindi, la condizione di nexus, che garantiva almeno in teoria la riacquisizione della libertà una volta sal­ dato il debito, era sicuramente migliore della condizione di addictus o iudicatus, assegnatagli dopo un processo che ne avesse riconosciuto l' insolvenza, e che lo portava a perdere ogni diritto giuridico e a di­ pendere dalla volontà del creditore. Il nexus, invece, conservava il suo status libertatis e così, in quanto civis romanus, manteneva il proprio status rispetto alla familia e allo Stato, non subiva, quindi, alcuna capitis deminutio, ma continuava a possedere la cittadinanza e con essa i diritti e i doveri di ogni cittadino. Non subendo alcuna restri­ zione della propria libertà, risultava in primo luogo arruolabile se la necessità lo avesse richiesto, aveva capacità elettive, ed era soggetto al pagamento del tributum. La condizione sociale di un asservito per debiti non era significativamente migliore della maggior parte della forza lavoro servile. L'unica differenza che distingueva tecnicamente un asservito per debiti da uno schiavo consisteva nell' implicita pos­ sibilità che il primo aveva di limitare nel tempo il suo status quasi­ servile. In realtà la schiavitù a Roma si delinea come fenomeno di scarsa rilevanza in età regia, e relativamente poco significativo e in lenta crescita nei primi due secoli della repubblica, anche se è larga­ mente presupposta nel testo delle XII Tavole ( Tavv. VI, I-2 ( a ) ; VII, I2; v, 3 ss.; I, 1 4; I, 1 9; XII, 2 ) , mentre grande rilievo viene riconosciuto ad altre forme di lavoro subordinato e coatto quale la clientela di tipo arcaico legata alla terra e quella particolare forma di schiavitù che scaturiva dal debito.

2. MODALITÀ DI PAGAMENTO DEL DEBITO

Gli esiti favorevoli degli scontri militari condotti nel corso del IV , secolo a.C. contro alcune popolazioni i taliche portarono ali inevita­ , bile affluenza di schiavi prigionieri di guerra nell Urbe. Una nuova concezione espansionistica, basata soprattutto sulle potenzialità de­ , rivanti dali incremento numerico dei prigionieri di guerra, portò a intensificare la schiavitù, mentre altri rapporti di dipendenza, come il nexum, si assottigliarono. Si tratta di due fenomeni concomitanti , e che si influenzarono reciprocamente. L istituto del nexum perse importanza nel momento in cui si affermò, attraverso r immissione di schiavi, la possibilità di avere forza lavoro a costi contenuti. Lo , sviluppo di un offerta alternativa di manodopera, e cioè r impiego di masse di prigionieri di guerra ridotti in schiavitù e ricordati re­ golarmente nelle fonti storiografiche fin dai primi anni delle guer­ re sannitiche, andò a incidere ovviamente sulla compagine sociale, mettendo in evidenza come un debitore-nexus, costretto a lavorare nelle proprietà dei creditori per assolvere i debiti contratti, finisse per essere più gravoso per un creditore di quanto in realtà potesse sembrargli utile e prezioso. In termini economici era sicuramente più conveniente r acquisizione di uno schiavo che il mantenimento di un nexus, che, una volta assolto il debito, avrebbe troncato sicu­ ramente il suo rapporto di dipendenza con il creditore ; ed è ovvio che le immissioni di prigionieri di guerra a Roma ben presto vani­ ficassero il "valore, che le operae semi-servili dei nexi avevano avuto un tempo. Al prezzo sempre decrescente degli schiavi si contrappo­ , neva il lavoro d eli asservito per debiti, che aveva, invece, costi più alti e implicava maggiori fastidi e responsabilità, dal momento che il nexus rimaneva pur sempre un uomo libero, con i suoi diritti e , doveri di cittadino, e cioè elettore e soprattutto soggetto ali arruo­ lamento. 2. 4 Abolizione del nexum

, La vicenda che portò, probabilmente nel 326 a.C., ali emanazione della lex Poetelia Papiria, con la quale si sancì legalmente l'abolizione del nexum, ebbe come protagonista un giovane che si trovava a essere nella condizione di nexus per l' insolvenza dei debiti paterni. Poco importa 37

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se nelle fonti letterarie7 sono presenti alcune discordanze di dettaglio. I punti essenziali dell'episodio sembrano dunque questi : dapprima il maltrattamento subito dal nexus per essersi opposto alle lubriche at­ tenzioni di un usuraio, quindi lo scandalo pubblico che ne conseguì, al punto da portare all'abolizione dell' istituto giuridico. Così sintetizza i fatti Vale rio Massimo : Tito Veturio, figlio del console omonimo, che era stato consegnato ai Sanniti in conseguenza del patto vergognoso che aveva con loro stipulato, costretto, quando era giovanissimo, dalla rovina della sua famiglia e da pesanti debiti a diventare schiavo di Publio Plozio e da costui fatto flagellare alla pari di un servo, per non aver voluto sottomettersi alle sue lubriche attenzioni, denun­ ciò l'episodio ai consoli. Il Senato, informato da questi sull'accaduto, fece in­ carcerare Plozio, volendo che, in qualsiasi situazione, la pudicizia del sangue romano fosse protetta8•

In base alla legge i prigionieri per debiti (nexi) vennero liberati e nessu­ no sarebbe stato più imprigionato per insolvenza. Come si è visto nei paragrafi precedenti, il nexum, quale contratto privato che coinvolgeva due cittadini, aveva posto il cittadino romano (debitore) alla mercé di un altro cittadino romano (creditore) sulla base di un accordo privato e non attraverso un intervento magistratuale, al di fuori quindi di qual­ siasi controllo della civitas e soggetto chiaramente a ogni tipo di abuso. Definita da Livio « un nuovo inizio di libertà » 9, la lex Poetelia non abolì, in realtà, la schiavitù per debiti, ma sottrasse piuttosto l' assog­ gettamento volontario di un cittadino a un altro alla discrezionalità del privato, rimettendolo all' addictio di un magistrato, così che il debitore, riconosciuto insolvente di fronte al magistrato, era assegnato giudizial­ mente al creditore (cfr., supra, PAR. 2.1 ) . Inoltre non più la persona del debitore, ma solamente i suoi beni potevano essere obbligati per far fronte al debito contratto. In que­ sto modo si diede seguito a un principio - quello della possibilità di rivalersi sui beni patrimoniali del debitore e non sulla sua persona -, 7· Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 8, 28, I -6; Dionigi di Alicarnasso, Antichita romane, I6, s; Valeria Massimo, Fatti e detti memorabili, 6, I, 9; Cicerone, La repubblica, 2, 59; Ps. Quintiliano, Declamazioni, 3, I 7· 8. Valeria Massimo, Fatti e detti memorabili, 6, I, 9· 9· Storia di Roma dallafondazione, 8, 28, 1.

2. MODALITÀ DI PAGAMENTO DEL DEBITO

che era stato in un certo senso il criterio ispiratore, nel 3 52 a.C., del­ la !ex de quinqueviris mensariis creandis. In quell'occasione, infatti, i consoli Publio Valerio Publicola e Gaio Marcio Rutilo istituirono una commissione, composta da cinque magistrati, due patrizi e tre plebei, incaricati di venire in aiuto alla popolazione indebitata attraverso la concessione di aperture di credito da parte della res publica, per estin­ guere debiti, la cui natura, pubblica o privata, il testo liviano non speci­ fica10. La portata del loro intervento, le procedure da essi adottate, che Livio riporta con dovizia di particolari, implicano il raggiungimento di uno sviluppo economico con la presenza di strutture bancarie e un livello di circolazione monetaria che con difficoltà possono essere suf­ fragati per una datazione così alta. Lo stesso termine mensarius, deri­ vando da mensa, calco del greco trapeza (vocabolo tecnico del lessico economico greco), cioè la tavola dei cambiavalute, richiama una figura professionale in ambito finanziario che inizia a comparire nel corso della metà del IV secolo a.C. nel Foro romano, ma le cui competenze vanno affinandosi nel corso dei secoli successivi. I cinque magistrati, comunque, svolsero bene il loro compito; risultò evidente che molti cittadini erano insolventi più per negligenza che per un'effettiva ca­ renza di risorse economiche. Due furono le modalità adottate : 1. parte dei debiti venne liquidata dall'erario, cioè dalla cassa pubblica, grazie all' istituzione di banche nel Foro, attraverso la concessione di aperture di credito solo ai debitori che avessero offerto sufficienti garanzie sul proprio status patrimoniale ; 2. altrimenti dopo una valutazione a equo prezzo dei beni del debitore, questi vennero trasmessi al creditore. I creditori, d'altro canto, furono così obbligati a ricevere come forma di pagamento per l'estinzione del debito anche beni mobili e immobili stimati dagli stessi mensarii. Questa sorta di vendita all'asta forzata di­ venterà, nel corso del I secolo a.C., una delle modalità più seguite dai creditori verso cittadini insolventi e darà origine a nuove professiona­ lità fra gli operatori finanziari (cfr., infra, PAR. 6.3). Purtroppo la perdita dell'opera di Livio per i libri relativi agli anni compresi fra il 293 a.C. e il 2 I 8 a.C. fa sì che per quasi tutto il III secolo a.C. non si possano avere testimonianze che permettano di capire gli effetti dell'abolizione del nexum sulla compagine dell'esercito civico. In linea di principio il provvedimento avrebbe dovuto garantire un IO. lvi, 7, 21, 5-8; 7, 22.

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più rapido reperimento di nuove reclute, venuto meno l' impedimento dettato dai debiti contratti dai cittadini-soldati, problema che, come abbiamo visto, caratterizza i secoli v e IV a.C. Un episodio del 2 1 6 a.C. dimostra però che, per quanto l'asservi­ mento personale del debitore al creditore fosse abolito, non venivano meno altre forme arcaiche di dipendenza/ schiavitù verso il proprio creditore, che incidevano negativamente sul bacino dei cittadini chia­ mati alla leva secondo l'ordinamento centuriatou. Per quell'anno ab­ biamo i racconti di Livio e Valerio Massimo12• Questi autori racconta­ no che, per sopravvivere alla minaccia di Annibale, la res publica prese vari provvedimenti, dettati proprio dall'eccezionalità delle circostanze, tra cui un editto che permettesse a debitori incarcerati per insolvenza di arruolarsi nelle file dell'esercito. Il dittatore Marco Giunio Pera or­ dinò, infatti, la cancellazione dei debiti di tutti coloro che, asserviti al proprio creditore, dopo aver subito un processo che ne avesse ricono­ sciuto l' insolvenza, si fossero arruolati, diventando suoi soldati. Il testo di Valerio Massimo presenta opportunamente il termine giuridico ad­ dictus, mentre in Li vio è imprecisa la denominazione pecunia iudicatus, pur essendo chiaro dal contesto del brano che lo storico voglia riferirsi comunque agli addicti (cfr., supra, PAR. 2.1). Solo un debitore che fosse addictus era soggetto completamente alla volontà del proprio credito­ re e Valerio Massimo, che ha utilizzato Livio come fonte, ha inteso i pecunia iudicati come quei debitori che, o in seguito a iudicatum o per aver confessato il proprio debito, venissero assegnati dal magistrato al creditore e da quest 'ultimo trattenuti nel proprio carcere privato13. In­ fatti con l'abolizione del nexum del 326 a.C. si proibì sostanzialmente l' imprigionamento di un debitore per volontà del creditore, ma l' im­ prigionamento per ordine del pretore a seguito di un processo e di una condanna di fronte al riconoscimento della colpa continuò a esistere. L'episodio del 2 1 6 a.C. dimostra così che la detenzione di cittadini ro­ mani, debitori morosi, non annullava la speranza di poter tornare, in un futuro, a godere nuovamente di tutti i diritti-doveri connessi con lo status di ingenuus. A beneficiare dell'editto emanato quell'anno non II. Cfr. Crifò, I964; Peppe, I98I, pp. I9s-6. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 23, I4, 2- 3 ; Valeria Massimo, Fat­ ti e detti memorabili, 7, 6, I b. I3. Aula Gellio, Notti attiche, 20, I, 46-47. 12.

2. MODALITÀ DI PAGAMENTO DEL DEBITO

sarebbero stati solo i debitori insolventi ma anche i rei di offesa capita­ le. Seimila persone in tutto sarebbero state coinvolte, e la cifra, specifi­ cata da Valeria Massimo, dà conto, al di là della sua approssimazione, dell'entità del fenomeno. Anche questi, iudicati, damnati e incarcerati, avrebbero ottenuto l'esonero della pena per ordine del console, una volta che avessero scelto volontariamente di diventare suoi soldati. E così a gruppi di cives, colpevoli agli occhi della legge, venne offerta l'op­ portunità di raggiungere un nuovo status sociale tramite l'acquisizione di una dignità non solo economica, con la partecipazione ai vantaggi della praeda e la sicurezza di una paga regolare, ma anche giuridica con l'annullamento della pena. Il ricorso, quindi, a debitori asserviti, per­ ché prestassero il servizio militare, implicò non più una sospensione dell'assoggettamento del debitore al creditore, ma una sua liberazione e successivo reintegro nella società romana con l'arruolamento. 2 .5 Usura In questa ricostruzione del tessuto economico di Roma non possia­ mo non tener conto della traccia ineludibile che la pratica dell'usura ha lasciato nella tradizione letteraria. Sappiamo che un limite nell' ap­ plicazione del tasso di interesse era stato oggetto di normazione già a metà del v secolo a.C. nel codice decemvirale4• In una fase di econo­ mia premonetale, come abbiamo detto, dobbiamo però immaginare l'applicazione di un interesse in natura. Il calcolo degli interessi poteva tradursi in un incremento del prestito calcolato in base alla misura di conto che era l' aes, per assumere poi, nei secoli successivi, ma non sap­ piamo esattamente quando, con lo sviluppo di un sistema monetario, una specifica valenza pecuniaria. Nel corso del IV secolo a.C. la res publica cercò in più di un'occa­ sione di intervenire attraverso lo strumento legislativo, per arginare l' impiego dell'usura, la cui dilagante diffusione stava creando non po­ chi problemi alla stabilità politica dell' Urbe. Venne emanata una serie di provvedimenti atti a ridurre o addirittura abolire i tassi di interesse (legesJenebres ) . Inizialmente attraverso le leggi Licinie Sesti e (3 77-367 14. Tacito, Annali, 6, 16, 2. 4I

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a.C.) fu introdotta una prima disposizione di carattere eccezionale che pare riguardasse il computo nel capitale anche degli interessi già paga­ tP5. Nel 3 57 a.C. si impose, con l'emanazione della lex Duilia Menenia, una riduzione dei tassi di interesse : La proposta di legge, presentata dai tribuni della plebe M. Duilio e L. Me­ nenia, fissò le rate degli interessi a un dodicesimo del capitale [fènus uncia­

rium] 16.

L'entità del tasso imposto dagli usurai, questione molto discussa e tuttora oscura della storia economica dei primi secoli della repubbli­ ca romana, doveva dunque corrispondere a un aumento del capitale pari a I/12 al mese che, in termini monetari, equivaleva a un'oncia di rame per ogni libbra di metallo, corrispondente a un interesse annuo del 100%. In latino l'etimologia stessa del vocabolo jènus (interesse) rimanda al progressivo naturale sviluppo di un prodotto della terra che cresce e matura col tempo, come del resto la richiesta di interessi sul denaro dato in prestito genera un aumento del capitale17• Dieci anni più tardi, nel 347 a.C., un plebiscito stabilì facilitazioni nei termini della restituzione dei prestiti e il dimezzamento del tasso di interesse, corrispondente pertanto al s o% annuo (jènus semiunciarium )18• Un episodio di storia militare, ovvero lo scoppio di una rivolta do­ vuta al malcontento di soldati impoveriti che si trovavano nel 342 a.C. a Capua, pone in rilievo forti connessioni fra problema dell' indebita­ mento, esercito e usura. La vicenda è ampiamente attestata nelle fonti, ma presenta diversi aspetti ancora oscurP9• Vi avrebbero partecipato soldati indebitati appartenenti a larghi settori dell'esercito, esclusa la cavalleria, a cui si sarebbero aggiunti debitori (nexi) liberati dalle cam­ pagne : si parla, infatti, di persone costrette al lavoro dei campi dalle I5. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 6, 35, 4· I6. lvi, 7, I6, 1. I 7. Varrone, de sermone latino ad Marcellum, III, fr. in Nonio Marcello, de com­ pendiosa doctrina, s.v. Faenus P 76 L; Aula Gellio, Notti attiche, I6, I2, 7-8; Pauli Exc. Ex Lib. Pomp. Festi, s.v. Fenus P 83 L; s.v. Fenus etfeneratores P 76 L. I 8. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 7, 27, 3; Tacito, Annali, 6, I6. I9. Appiano, Sam., I, I-2; Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 7, 38, 4-7; 7, 42; Dionigi di Alicarnasso, Antichita romane, I5, 3, 2-I5; Frontino, Stratagemmi, I, 9, I; Zonara, 7, 25; Auct., de viris illustribus, 29, 3·

2. MODALITÀ DI PAGAMENTO DEL DEBITO

difficoltà. A seguito dell'episodio e dell'evidente permanenza di una grave indigenza del corpo militare, il tribuna della plebe Lucio Ge­ nucio, sperando di portare a un alleggerimento dei debiti, propose at­ traverso la lex Genucia dejèneratione l'abolizione dell' imposizione di interessi sui prestiti concessi. Infine, per completare il quadro, va menzionata la lex Marcia del 3 1 1 a.C.10 Questa legge avrebbe aggravato le pene contro gli strozzini (jèneratores) in caso di indebita riscossione di interessi, prevedendo la manus iniectio, cioè un processo giudiziario davanti al pretore, di cui ho già parlato, e forse introdusse anche la poena quadrupli (quadrupla­ fio), cioè una sanzione che reprimeva principalmente l'usura11• Nonostante questi provvedimenti legislativi, evidentemente non ri­ solutivi, Livio tramanda il susseguirsi di numerosi processi a usurai tra IV e III secolo a.C. Le prime sentenze contro usurai, citati in giudizio dagli edili curuli e condannati alla confisca di una parte dei loro beni, risalgono al 344 a.C., seguirono altri processi nel 304 a.C. e poi infine nel 29 6 a.C.11 2 .6 Debitori, creditori e usurai nel Comizio

Sulla base di una tradizione letteraria che non trova ancora sufficiente conferma nell'evidenza archeologica è possibile ricostruire la disposi­ zione spaziale di statue e monumenti nel Comizio in relazione al feno­ meno dell' indebitamento dei cittadini e alla pratica dell'usura. Vicino al tribunale del pretore, che fra i suoi compiti aveva quello di pro­ cessare chi fosse accusato di insolvenza, venne eretta, in onore di Gaio Menio, nel 338 a.C. dopo la vittoria sui Latini, la columna Maenia. Il monumento è ricordato nelle fonti per essere il luogo in cui i debitori venivano perseguiti dai creditori e dagli usurai13. Nel 304 a.C.lo scriba di Appio Claudio, Gneo Flavio, in qualità di edile curule, avrebbe dedicato il tempio della Concordia, una aedicula aerea, nella Grecostasi, sopra il 20. Gaio, Istituzioni, 4, 23; Appiano, Guerre civili, I, 54; cfr. Catone, L'agricoltu-

ra, praef., I.

21. Cfr. Russo Ruggeri, 200I, pp. 356-9, 366. 22. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 7, 28, 9 ; 9, 46, I-6; 10, 23, 11-12. 23. Schol. Bob. (ad Cic., Sest., I 8) 128 St.; Schol. Bob. (ad Cic., Sest., I24) I37 St.

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Comizio24, utilizzando il denaro ricavato da multe pecuniarie imposte a usurai, che avevano continuato a chiedere interessi, nonostante per legge (lex Genucia) fosse proibito25• Anche il complesso statuario dei Gemelli con la Lupa, ubicato sempre nel Comizio e voluto dai fratelli Ogulnii, che nel 300 a.C. con la lex Ogulnia avevano aperto ai plebei l'accesso a pontificato e augurato, venne realizzato nel 29 6 a. C. con le ricchezze sottratte agli usurai attraverso l' imposizione di ammende. Nello stesso anno gli edili curuli Gneo e Quinto Ogulnio citarono in giu­ dizio alcuni usurai, i quali furono condannati alla confisca di una parte dei beni; col denaro che ne derivò all'erario fecero fare soglie di bronzo nel Cam­ pidoglio, vasi d'argento per tre tavole nella cella del tempio di Giove, un rilie­ vo con la statua del dio su una quadriga per il frontone, e posero presso laficus Ruminalis le statue dei Gemelli allattati dalla Lupa e lastricarono con massi quadrati un tratto di marciapiede dalla porta Capena al tempio di Marte6•

Infine, accanto a questi monumenti, di sicuro nelle vicinanze del tri­ buna!praetoris nel Comizio e della columna Maenia, presumibilmente nel 294 a.C., venne collocata da C. Marcio Rutilo Censorino, figlio del primo censore plebeo ed egli stesso censore per tre volte, una sta­ tua di Marsia, una sorta di demone, simile a un vecchio Sileno con il braccio alzato e i ceppi alle caviglie in segno di assoggettamento27• Il testo decemvirale ( Tav. III, I-7 ) indicava nei nervi e nei compedes gli elementi distintivi dello stato di asservimento del debitore insolvente al creditore (nexum ) . La statua rappresentava, quindi, il simbolo viven­ te del debitore-nexus liberato dai debiti, che alza la mano in segno di libertà. Nei Plutei dell' imperatore Traiano esposti nella Curia nel Foro romano (Anaglypha Traiani) è rappresentata la distruzione dei registri per debiti e compare un' immagine della statua di Marsia facilmente ri­ conoscibile ( FIG. 1 ) . Raffigurazioni di Marsia, secondo la testimonian­ za di autori antichi28, erano inoltre poste nei Fori delle città dell' im24. Cfr. Humm, I999· spec. pp. 675 ss.; 2005, pp. 611 ss. 25. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 9, 46, I-6; Plinio il Vecchio, Sto­ ria naturale, 33, I9. 26. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, IO, 23, II-I2. 27. Cfr. Crawford, I974, I, n. 363 pp. 377-8; II, tav. XLVII, p. 11; Fuchs, I969, p. Ioo, Tafel I4.I46-7; Torelli, I9 82, pp. Io2-4, fig. IV.I4. 28. Servio, Commento all'Eneide, 3. 20; 4· 58; Mitografo Vaticano, 3. I 2, I, 37-40; Charax di Pergamo, Italika (FGrHist I03 F 3I).

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2. MODALITÀ DI PAGAMENTO DEL DEBITO FIGURA

I

Dettaglio degli Anaglypha Traiani con la statua di Marsi a e laficus Ruminalis

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pero romano come simbolo di libertas. E, in effetti, il ritrovamento a Paestum di un Marsia bronzeo, copia perfetta dell'originale romano e databile alla prima metà del III secolo a.C., dimostrerebbe che tale uso ebbe inizio già in età repubblicana nelle colonie latine dell' Italia, alludendo così alla liberazione dalla schiavitù per debiti, che tanti ci­ ves ottennero grazie alle deduzioni coloniali. Sappiamo, infatti, che la conquista romana di parte del territorio centro-italico, a seguito di campagne militari conclusesi positivamente a danno delle popolazio­ ni limitrofe, inaugurò una modalità nuova di sfruttamento dell'agro pubblico attraverso la deduzione di colonie, particolarmente intensa negli anni successivi al 3 3 8 a.C., dopo lo scioglimento della lega latina, e nel quadro dei conflitti con i Sanniti. Ed è probabile che la possibilità di coltivare nuove terre, talvolta molto fertili, offrisse l'opportunità a chi si fosse indebitato di migliorare la propria condizione economica, mettendolo in grado di estinguere i debiti contratti. Approfondimenti bibliografici PROCESSI DEL DEBITORE INSOLVENTE: Von Woess, I922; MacCormack, 1967; Peppe, 1981; Salvadore, 1988; Giuffrè, 1994; Nicosia, 1994; Albanese, 1998; Lintott, 1999. PARTIS SECANTO: Radin, 1922; MacCormack, 1968; Cannata, 1983; Biscardi,

1989. SCHIAVIT Ù E FORME DI DIPENDENZA: De Martino, 1974; 1980; Garnsey, 1980; Finley, 1981; Lo Cascio, 1982b; De Ste. Croix, 1988; Storchi Marino, 1997. LEX POETELIA PAPIRIA: De Visscher, 1929; MacCormack, 1973; Magdelain, 1987; Biscardi, 1992; Urso, 1996; Di Paolo, 1996. Q UINQUEVIRI MENS ARII: Nicolet, 1963; Pollera, 1983-1984; Storchi Marino,

1993· EDITTO DI GIUNIO PERA: Crifò, 1964; Peppe, 1981. LEGES FENEBRES E TASSI DI INTERESSE: Appleton, 1919; Nicolau, 1933; De Martino, 1975; Zehnacker, 1980; Savunen, 1993; Solidoro, 2oo8. COMIZIO, PRESTITI A INTERESSE E DEBITI: Coarelli, 1993; Carafa, 1998; Humm, 1999; 2005; Holkeskamp, 2001. MARSIA: Paoli, 1938; Veyne, 1961; Fuchs, 1969; Crawford, 1974; Torelli, 19 82; Denti, 1991; Weis, 1992; Liberatore, 1995; Coarelli, 1999.

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Moneta : luoghi di produzione e magistrature monetarie

3·1 Le origini del sistema monetario romano

Già gli antichi si interrogavano sulle origini della moneta romana, dan­ do risposte che spesso hanno trovato valido riscontro nell'evidenza ar­ cheologica. Fonte principale è un passo della Storia naturale di Plinio il Vecchio1• Nel testo sono delineate, a tratti sommari e molto discussi fra gli studiosi moderni, le fasi fondamentali della monetazione romana, in particolare la sequenza dell' introduzione di monete di diverso stan­ dard ponderale e metallico. Al re Servio Tullio (metà VI secolo a.C.) si sarebbe dovuta, secondo Plinio, la prima emissione di moneta bronzea (cfr., supra, CAP. 1 ) ; quindi, a seguito dell'espansione romana in Magna Grecia, si sarebbe passati all'uso dell'argento (dopo la guerra di Pirro, 281-272 a.C.). Soltanto con le guerre puniche (la prima emissione sareb­ be avvenuta nel corso della seconda guerra punica, 219-202 a.C.), ma in modo del tutto eccezionale, si arrivò alla monetazione aurea. L'evidenza archeologico-numismatica ci permette di precisare e retti­ ficare questo quadro, pur avvalorando nello stesso tempo alcuni elemen­ ti di fondo. Secondo la documentazione di cui disponiamo era diffuso, come abbiamo visto, nel territorio italico un sistema premonetale (vi secolo a.C.), che consisteva in pezzi di bronzo/rame allo stato grezzo, di peso oscillante, derivati, dunque, direttamente dalla fusione : da qui la de­ finizione aes rude, cioè bronzo non lavorato (cfr., infta, PAR. 3.3). Roma si adeguò a questo sistema e usò il metallo a peso come unità di conto. Il principale inconveniente di questa forma di pagamento consisteva nel1.

Plinio il Vecchio, Storia naturale, 33, 42-47.

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MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA FIGURA 2 Aes signatum in bronzo con immagine di bovino (Londra, British Museum)

la necessità di pesare il quantitativo di bronzo o rame da utilizzare per ogni transazione. Dato che il peso dei masselli rinvenuti varia da un mi­ nimo di s o o g a un massimo di 3 kg, è possibile ipotizzare una loro fun­ zione di tesaurizzazione piuttosto che un uso commerciale giornaliero. A un certo punto, ma non si sa bene per quale motivo, accanto a pezzi di metallo grezzo compaiono pani contrassegnati con un motivo a "ramo secco" o "spina di pesce". Per ridurre le operazioni di pesatura, vennero successivamente prodotti, fra VI e v secolo a.C., pani rettangolari, con un peso ponderale standard di circa 1,6 kg ( pari a cinque libbre romane ) , cui poi si aggiunsero anche esemplari con figure di animali come il bue (aes signatum) ( FIG. 2). Infine, nel corso del IV secolo a.C., venne intro­ dotto l' aes grave, sempre in bronzo fuso, con una forma tondeggiante, il cui nominale di base era l'asse di circa 327 g ( libbra romana) , divisibile in dodici once e articolato in multipli e sottomultipli. Dato però che una delle caratteristiche dell' impiego della tecnica della fusione era la realiz­ zazione di pesi non molto regolari, l'esistenza di una serie monetale con l'asse del peso di una libbra latina, ossia più leggera e pari a 273 g, ha spinto a supporre che in realtà questa sia stata la prima emissione di aes grave. La serie più nota ha la testa di Giano bifronte barbato al diritto e la prua di nave al rovescio, motivo chiaramente allusivo ai crescenti interessi ma-

3· MONETA: LUOGHI DI PRODUZIONE E MAGISTRATURE MONETARIE

rittimi di Roma2 ( FIGG. 3 e 4). La necessità di esercitare il controllo sulla produzione monetaria nei territori di cultura greca della penisola indusse Roma a disporre l'emissione di alcune serie di monete contrassegnate con il proprio nome. Le monete vennero prodotte da maestranze greche in zecche dell' Italia centro-meridionale (le cosiddette emissioni romano­ campane). I ritrovamenti numismatici dimostrano che le prime monete romane in bronzo vennero coniate dopo il 326 a.C. a Napoli. Le monete presentano la leggenda POMAION, ovvero il genitivo plurale in lingua greca, specificazione da intendersi così: (moneta) "dei Romani"\

La moneta in bronzo Nominale

Valore in Assi

Asse

Once

12

(As)

S emisse

(Semis)

y2

6

Triente

( Triens)



4

Quadrante Sestante Oncia

%

(Quadrans)

y6

(Sextans)

ll2

( Uncia)

Mezza oncia

y24

( Semuncia)

libbra romana = 327 g ca. libbra latina = 273 g ca. I oncia = 27 g ca. I asse = I libbra romana (327

2 �

I

I

g) = Il once

3 ·2 Il raggiungimento di un sistema monetario maturo : il denario

Tra IV e III secolo a.C., l' intensificarsi delle relazioni con le città della Magna Grecia, che utilizzavano monete in argento di fattura greca, rese ben presto evidente che le monete in bronzo romane avevano un valore 2. Plinio il Vecchio, Storia naturale, 33, 13, 45· 3· Cfr. Crawford, 1985, pp. 29-30, fig. 6.

49

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA FIGURA 3 Aes grave in bronzo con

immagine di Giano bifronte (Londra, British Museum)

insufficiente per gli scambi commerciali. Così, sotto la spinta di una vo­ lontà di affermazione in campo economico, Roma iniziò a usare come metallo da monetare anche l'argento. I primi pezzi argentei coniati su metrologia greca, i didrammi, avevano la leggenda RO MANO e un peso approssimativo di 7-7, s o g. La scelta dell'argento e del peso del didramma si spiegano in chiave di opportunità economico-monetaria : una moneta di tipo simile alla greca non poteva che conquistare la considerazione in un ambiente indiscutibilmente più evoluto. La plausibile connessione di queste prime emissioni in argento con la costruzione della via Ap­ pia, voluta nel 312 a.C. dal censore Appio Claudio Cieco per collegare l' Urbe a Brindisi, il più importante porto per la Grecia e l ' Oriente, ne so

3· MONETA: LUOGHI DI PRODUZIONE E MAGISTRATURE MONETARIE FIGURA 4 Aes grave in bronzo con

immagine di prua di nave ( Londra, British Museum )

rende probabile una datazione intorno al 3 10 a.C.4 A partire dalla guerra contro Pirro l'argento verrà poi impiegato con regolarità per battere mo­ neta, diventando insieme al rame e al piombo fra i metalli maggiormente estratti. Indagini condotte alla fine del secolo scorso sulla composizione degli strati della calotta polare artica in Groenlandia e sui sedimenti dei bacini lacustri di Svezia, Svizzera e Spagna hanno rivelato come la pol­ luzione dell'atmosfera nell'emisfero settentrionale a seguito dell'attività di estrazione dell'argento, del piombo e del rame abbia raggiunto in età romana un livello non più toccato sino alla rivoluzione industriale5• 4· S·

Cfr. Mitchell, 1969; Crawford, 1974, Cfr. Lo Cascio, 2003, n. 1 p. 147.

SI

I, pp. 42 ss.; 1982, p. 87.

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

Fu nel 269 a.C.6 o nel 268 a.C.? che Roma iniziò a coniare per la pri­ ma volta una moneta in argento, il denarius. Questo era tagliato sul si­ stema ponderale della libbra romana e aveva un rapporto di valore fisso con le coeve serie di bronzo; era, inoltre, contrassegnato con soggetti legati al nome e alla storia della città. Ben presto il denario si impose sul mercato e soppiantò velocemente il didramma, contribuendo a creare nel Mediterraneo un'area monetaria unitaria. I tipi monetali più diffusi del denario sono quelli recanti al diritto la testa elmata della dea Roma e al rovescio i Dioscuri a cavallo e la leggenda ROMA8• L'apparizione dei Dioscuri durante la battaglia del lago Regillo sembrò l'evento leggendario più degno di essere eletto a emblema sulla nuova moneta. Il denario equivaleva a 10 assi di bronzo e corrispondeva a I /72 di libbra romana ( 4 , 55 g) e i suoi sottomultipli erano il quinario ( Y2 denario = 5 assi) e il sesterzio ( � denario = 2 Y2 assi). Venne coniata anche un'altra moneta d'argento, introdotta nel 22I a.C. ca., il victoriatus (% denario = 3 sesterzi) del peso di 3,4I g e il mezzo victoriatus ( I,70 g) con una figura di Vittoria sul rovescio nell'atto di incoronare un trofeo.

La moneta in argento nel

III secolo a.C.

Nominale

Denari o

Vittoriato

1

denario

6. 7· 8.

Denarii

IO y2

Quinario Sesterzio

Peso in g

Valore in Assi

2Y2

y4 %

Sesterzi

4

4,55 ca. romana

2

2,26 ca. romana

1,13 ca. romana

3,41 ca. romana

= 2 quinari = 4 sesterzi

Plinio il Vecchio, Storia naturale, 33, 44· Tito Livio, Epitome, 15. Cfr. Roma, Museo Nazionale Romano, coli. Gnecchi.

=

=

=

=

Yn di libbra 'li44 di libbra Y2ss di libbra Y96 di libbra

3· MONETA: LUOGHI DI PRODUZIONE E MAGISTRATURE MONETARIE

3 ·3 Tecniche di produzione

L'evidenza archeologico-numismatica di cui disponiamo ci permet­ te, dunque, di affermare che Roma fosse caratterizzata nettamente da due tipologie monetali, quella realizzata in bronzo/rame con la tecni­ ca della fusione, in linea con la tradizione etrusca e italica e prodotta in Centro Italia, e quella in vari metalli (oro, argento e bronzo), tra cui dominava però l'argento, realizzata con il sistema della coniazio­ ne, metodo quest'ultimo importato dai Greci e affidato inizialmente a una zecca della Magna Grecia, probabilmente a Neapolis. Questo si spiega col fatto che nel mondo antico era usuale che, in mancanza di conoscenza della tecnica appropriata e della relativa strumentazione, le città che non possedessero una zecca per coniare moneta delegassero a zecche pubbliche esterne o a privati l' incarico di produrre moneta per loro conto. La tecnica della fusione, impiegata per l' aes rude, consisteva nel far colare il bronzo liquido all' interno di una formella refrattaria incavata. Nel caso dell' aes signatum, invece, il bronzo liquido veniva introdotto all' interno di formelle refrattarie impresse in incavo con l' impronta del diritto e del rovescio; una volta raffreddato l'esemplare veniva li­ berato dalla terracotta a martellate. Per la realizzazione dell' aes grave (e dei suoi multipli e sottomultipli) il procedimento della fusione era leggermente più complesso dal momento che essi venivano fusi a cate­ na facendo colare la lega nelle formelle collegate da canaletti che per­ mettevano lo scorrimento del liquido dall'alto in basso. Ne derivava che quando le maestranze liberavano le monete dalla terracotta le tro­ vavano connesse fra loro da un telaio metallico. Era, quindi, necessario l'uso di martelli e tenaglie per estrarre le monete da quel reticolo. Non mancano casi nei rinvenimenti archeologici in cui un aesgrave sia stato dimenticato attaccato al canale di fusione9• La tecnica della coniazione, invece, prevedeva una serie di operai specializzati. Un tondello di metallo veniva surriscaldato e poi posizio­ nato dal suppostor fra due coni, uno fisso di incudine e l'altro mobile, detto conio di martello. Su entrambi erano stati precedentemente in­ cisi in incavo i caratteri distintivi della moneta da parte di uno scalptor. 9·

Cfr. Savio,

2.001, fig. p. 57·

53

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA FIGURA 5 Denario di T. Carisius (46 a.C.) recante al rovescio gli strumenti usati per la co­ niazione (Roma, Museo Nazionale Romano, coli. Gnecchi)

Il ton dello veniva poi battuto con il martello da un operaio detto mal­ leator, subiva l' impressione (signum/nota) sui due lati e diveniva così moneta. Non a caso in latino l'espressione 'battere moneta' si traduce con signare pecuniam. È difficile dire con quale materiale fossero rea­ lizzati i coni, perché grava il sospetto che i pochi esemplari a noi noti siano gli strumenti di lavoro di falsari. Rimane fortemente plausibile 54

3· MONETA: LUOGHI DI PRODUZIONE E MAGISTRATURE MONETARIE

l' ipotesi che i coni autentici, dopo il loro utilizzo, venissero spezzati per evitarne un uso improprio. E sembra che le monete di metallo no­ bile fossero battute con coni di bronzo, mentre quelle di metallo o lega vili con coni di ferro.

3· 4 La zecca di Roma

Non è possibile descrivere le fasi evolutive di quel processo che portò all'elaborazione di una nuova politica economica in base alla quale si autorizzarono a un certo punto specifici magistrati cittadini a fabbri­ care le prime emissioni di moneta metallica nella primitiva zecca ur­ bana. È pur facile comprendere che lo sviluppo economico che investì l' Urbe nel corso del IV secolo a.C. e il prestigio politico che la città andò assumendo nei confronti dei limitrofi popoli italici furono due validi motivi di cambiamento per la società romana. Una volta stabi­ liti il tipo, il peso e il metallo da utilizzare per le emissioni moneta­ li, i magistrati, in nome del popolo romano e sotto la direzione e il controllo del Senato, davano esecuzione alla coniazione. Questa avve­ niva nella zecca urbana ubicata sul Campidoglio, e più precisamente sull' Arx, 1' altura settentrionale del colle nelle vicinanze del tempio di Giunone Moneta. Sappiamo che la zecca venne messa sotto la prote­ zione di questa divinità, ma l' incertezza sul rapporto tra il culto del­ la dea e l'attività monetaria, tuttora non chiarito, spinse i lessicografi antichi a cercare spiegazioni fantasiose, originando controverse eti­ mologie che non trovano ancora un' interpretazione univoca da parte degli studiosi moderni10• Ne è chiaro esempio la congettura elaborata dal vescovo di Siviglia, Isidoro, che andava sostenendo nel vn secolo d.C., nella sua opera Etimologie1\ che l'appellativo Moneta, cioè 'colei che ammonisce ' (dal verbo latino monére), era dovuto al fatto che la divinità svolgesse una funzione di ammonimento, invitando a non al­ terare la lega o il peso del metallo. In una glossa del lessico bizantino Suda dell' xi secolo d.C., l'edificio della zecca è addirittura confuso con lo stesso santuario della dea : IO. II.

Cfr. Zehnacker, I973; Mazzoli, 2003. lsidoro di Siviglia, Etimologie, 16, I 8, 8.

ss

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

[ ... ] dunque i Romani veneravano H era (Giunone) Moneta [ ... ] avendo sta­ bilito di coniare moneta [to nomisma chardttestai] nel suo tempio [ en to hiero autés] 1 2•

I Romani, secondo la spiegazione del lessico, dal momento che aveva­ no bisogno di fondi per la guerra contro la città di Taranto e Pirro, re dell' Epiro, seguirono il consiglio dato loro da Giunone ( consigliera e ammonitrice ) e dopo, in segno di devozione e ringraziamento, deci­ sero di porre la loro attività monetaria sotto la sua protezione, instal­ lando la zecca proprio nel suo tempio. Con molta probabilità il luogo della coniazione, l' officina monetaria, consisteva in uno o più locali, ubicati all'esterno del tempio di Giunone, ma a esso attigui, e per que­ sto detti anche ad Monetam. In ragione di questa vicinanza topografi­ ca troviamo attestato che all'epoca di Cicerone l'appellativo Moneta fosse utilizzato per individuare l'edificio stesso della zecca, essendoci una totale identificazione tra la zecca e il termine Moneta13. In seguito troviamo attestato l' impiego del vocabolo moneta per indicare anche ciò che nella zecca si produceva, la moneta appunto, rimasto fino ai nostri giorni come sinonimo di denaro. In realtà il termine moneta ha una strana origine ed è legato a un episodio della storia della repubblica che ha ben poco di "monetario"14• L'episodio risale al 390 a.C. quando i Galli avevano invaso Roma ( il fa­ moso sacco gallico ) e volevano conquistare la rocca del Campidoglio. Secondo quanto ci narra Livio15 le oche sacre a Giunone vennero desta­ te durante la notte dalla dea ( che le avrebbe quindi ammonite ) , inizia­ rono a starnazzare e a sbattere le ali e così, facendo rumore, riuscirono ad avvertire del sopraggiungere dei nemici i difensori della rocca (Arx) che si erano addormentati. Accorse sul luogo il plebeo Marco Manlio il quale fece precipitare dalla rupe Tarpea i primi Galli che erano riusciti a raggiungere la rocca. In memoria dell'episodio che aveva permesso di salvare la città Marco Manlio si guadagnò il soprannome di Capitoli­ no. Sappiamo poi che vennero eretti il tempio di Giunone Moneta e la zecca proprio sul luogo dove in precedenza sorgeva la casa di Manlio. L'aspetto curioso di questa vicenda sta nel fatto che Manlio Capitolino, 1 2. Suda, s.v. Monéta. 1 3· Cicerone, Filippiche, 7, 1. 14. Scolio a Lucano, Farsaglia, I, 380. 15. Storia di Roma dallafondazione, s. 47·

s6

3· MONETA: LUOGHI DI PRODUZIONE E MAGISTRATURE MONETARIE

dopo essere stato esaltato per il suo atto di eroismo, venne poi accusato di volersi impadronire del potere (adfectatio regni) e ucciso nel 384 a.C., mentre la sua casa fu rasa al suolo16• Nella tradizione, dopo un quaran­ tennio dalla morte di Manlio, nel 34 5 a.C., l'area dell' Arx, dove sorgeva la sua abitazione, venne destinata al tempio di /uno Moneta, votato in quell'anno dal dittatore Lucio Furio Camillo a seguito della sua vittoria sul popolo degli Aurunci. Ancora in Ovidio troviamo eco della notizia: O

Camillo, anche il tempio di Giunone Moneta sulla sommità della rocca

[arx] da te votato testimonia le tue imprese : e sorge nel luogo dove prima era ubicata la c asa di Manlio, che un tempo respinse le armi galliche da Giove Capitolino 17•

Il tempio venne dedicato l'anno successivo ( 344 a.C. ) e subito dopo la consacrazione si verificò, secondo Livio, una prodigiosa pioggia di pietre, mentre il cielo si oscurò per tutta la giornata18• Alle pendici del colle capitolino si trovava un altro edificio di una certa rilevanza per l'organizzazione finanziaria dell' Urbe : il tempio di Saturno (aedes Saturni). Nella sottostante piazza del Foro era ubica­ to, infatti, già dall' inizio del v secolo a.C., l'edificio cultuale e sede dell'erario (aerarium Saturni), cioè il tesoro della res publica. La cassa pubblica, dove confluivano i bottini di guerra, era custodita e ammini­ strata dai quaestores aerarii urbani, che attendevano alla registrazione delle entrate e alle erogazioni disposte dal Senato. Nel tempio di Satur­ no erano inoltre conservati e archiviati molti documenti pubblici tra cui quelli relativi all'amministrazione finanziaria e i registri delle per­ sone stipendiare dalla res publica19• Oltre a queste funzioni di archivio di Stato l' aerarium venne utilizzato, in un determinato lasso di tempo compreso forse fra la guerra di Pirro ( 2S I 272 a.C. ) e la prima guerra punica ( 264 24 I a.C. ) , come deposito di lingotti di metallo prezioso ( oro e argento ) e di moneta coniata10• -

-

16. lvi, 6, 19, 7; 6, 20, 12-1 3. 17. Ovidio, Fasti, 6, 1 83-1 86. 18. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 7, 28, 4-7. 1 9. Cfr. Corbier, 1974; Pensabene, 1 9 84. 20. Varrone, Sulla vita delpopolo romano, liber III, fr. 103 (M Terenti Varronis de vita populi Romani, fonti-esegesi, edizione critica dei frammenti, a cura di B. Riposati, Milano 1939, p. 309 ) .

57

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

L'ubicazione di zecca ed erario si mantenne sul Campidoglio fino a quando, a causa di un incendio divampato nell' 8o d.C., l' imperatore Domiziano fece trasferire le attività e le funzioni che in essi si teneva­ no in una nuova struttura alle pendici del Celio2.1• Notizia precisa sulla localizzazione della nuova sede della officina Monetae è contenuta nei cosiddetti "Cataloghi regionari" (Notitia et Curiosum Urbis Romae). Si tratta di elenchi dei principali monumenti di Roma suddivisi per quar­ tieri, redatti nel IV secolo d.C., che pongono l'ubicazione della zec­ ca nella regio tertia, nei pressi dell'Anfiteatro Flavio (Amphiteatrum) e della caserma e palestra dei gladiatori (Ludus Magnus) . Il luogo va identificato con l'odierna chiesa di S. Clementen. Scavi archeologici effettuati a più riprese sul colle capitolino per­ mettono di ubicare il tempio di !uno Moneta esattamente sulla sommi­ tà del colle, in summa Arce, confermando la testimonianza di Ovidio2.3, e più precisamente nel luogo del giardino pubblico oggi posto tra il moderno palazzo senatori o, che ha inglobato l'antico archivio di Stato posto alle pendici del colle, il Tabularium, e la scalinata di accesso al convento francescano d'Aracoeli2.4• Mancano invece indicazioni preci­ se e conferme sul luogo occupato dall' officina Monetae a causa dell'alta frammentarietà dei resti conservati. Tuttavia, un'accurata analisi dei ri­ sultati raggiunti dalle ricerche di topografia romana sullo stesso Tabu­ larium spinge a ipotizzare un ruolo specifico di alcune strutture dell'e­ dificio nell'ambito delle attività della zecca2.5• Sul Campidoglio sono state rinvenute inoltre diverse cisterne, risalenti all'età arcaica, che sa­ rebbero state utilizzate nella fase iniziale di produzione, ovviamente limitata, della zecca. In un secondo momento, a partire dalla metà del n secolo a.C., la necessità di una dotazione maggiore di acqua per far fronte all'aumentata attività dell' officina Monetae e al suo incremento di coniazione indusse a portare l' aqua Marcia sul Campidoglio ( 140 a.C. ) , seguita poco dopo (125 a.C. ) dall' aqua Tepula. Frontino, nel suo trattato sugli acquedotti romani2.6, ci informa di queste deviazioni del 21. Aurelio Vittore, Sui Cesari, 35, 6; Storia Augusta Aureliano, 38, 3-4; CIL, VI, 42, 43· 44· 239· 791. 22. Cfr. Barello, 20083; Burnett, 2001, pp. 41-3; Coarelli, 1994; 1996. 23. Fasti, 6, 1 83; cfr. Joy Littlewood, 2oo6, pp. 56-63. 24. Giannelli, 1980-81 ; 1996. 25. Cfr. Coarelli, 1994; 1996. 26. Sugli Acquedotti di Roma, I, 7; I, 8.

ss

3· MONETA: LUOGHI DI PRODUZIONE E MAGISTRATURE MONETARIE

flusso delle acque. Del resto una controprova di questo cambiamen­ to la ritroviamo nell'episodio della resa del leader della parte popolare L. Appuleio Saturnino, rifugiatosi nel I o o a.C. sul Campidoglio. In quell'anno per obbligare il tribuno ad arrendersi vennero tagliate le relative condutture dell'acqua (jìstulae) 27• Sembra dunque plausibile ipotizzare che l' officina sul colle capito­ lino abbia svolto, in periodi diversi, attività differenti. Basti pensare al fatto che certe fasi di lavorazione richiedevano l'uso del fuoco ad alte temperature, come nel caso della preparazione di leghe e tondelli, e implicavano il trasporto di grossi quantitativi di materiali in una zona, la collina del Campidoglio, non facilmente raggiungibile. Si trattava di operazioni per certi aspetti pericolose in un'area comunque im­ portante per la vita religiosa. Con molta probabilità prima dell'arri­ vo dell'acqua sul colle nel I 40 a.C. ci fu una produzione limitata sia nei quantitativi che nelle fasi di lavorazione e poi un ampliamento del ciclo produttivo successivo a quella data con ulteriore sistemazione e razionalizzazione delle funzioni della zecca28• Resta, però, ancora aper­ ta la questione delle modalità perseguite dalla zecca per immettere in circolazione la moneta. Non si può escludere la possibilità che, almeno in taluni periodi, fosse possibile battere moneta "a domanda", vale a dire a richiesta dell'utente che portava alla zecca, per farselo coniare, il metallo privatamente detenuto29• Dobbiamo presupporre che i priva­ ti, che fornivano il metallo, ottenessero in cambio, con questa pratica, una pari quantità di monetato, una volta detratti i diritti di conio. I sistemi adottati nello sfruttamento delle miniere acquisite durante la conquista dell' impero, per esempio, sembrano suggerire che i privati coinvolti nell'estrazione come appaltatori ricevessero la loro quota in nuova moneta30• Un ruolo importante della zecca va indubbiamente riconosciuto in merito alle "svalutazioni" della moneta, che segnarono fortemente l'epoca repubblicana e investirono prima le coniazioni in bronzo e poi anche quelle in argento. Il valore dell'asse si ridusse nel tempo, acqui­ sendo progressivamente il valore delle sue frazioni : il semisse ( Y2 asse ) ; 27· 28. 29. 30.

Floro, 2, 4· Cfr. Serafln, 2001 ; Nicolai 2001. Cfr. Lo Cascio, 2003, p. 158; Foraboschi, 2003. Lo Cascio, 1982a, p. 9 7; Howgego, 1992, pp. 8 ss.

59

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

il triente (V3 asse) ; il quadrante ('4 asse) ; il sestante (X, asse) ; l'oncia ( 112 asse) ; la mezza oncia ( 124 asse). Nel 28 6 a.C. il peso dell'asse corri­ spondeva a Y2 libbra romana (asse semilibrale) ; alla vigilia della prima guerra punica, nel 2 6 8 a.C., venne ridotto a 16 (asse sestantario), poi a un'oncia, cioè 112 (asse unciale), nel 21 7 a.C. con la legge Flaminia sotto la pressione di Annibale durante la dittatura di Quinto Fabio Massimo, e da ultimo, con la legge Papiria dell' 89 a.C., su cui ritor­ neremo nell'ultimo capitolo, gli assi divennero semunciali (124)31• Le continue svalutazioni della serie bronzea costringevano le autorità a rimettere in circolazione i medesimi pezzi con valori maggiorati. Le alternative che si presentavano erano due : ridurre il peso di una mone­ ta lasciando inalterato il segno del valore che vi era impresso o lascia­ re invariato il peso aumentandone il valore segnato. A testimonianza di questi adattamenti monetari sono numerosi gli esempi di monete riconiate o ribattute (quelle cioè ottenute coniando, come tondello, un'altra moneta). Il riconio consentiva di ridenominare a costi ridotti monete che avessero un valore superato, senza dover ricorrere a una nuova fusione, dispendiosa, per poi effettuare una coniazione rego­ lare. Inoltre va affermandosi, in epoca repubblicana, anche l'uso di una "contromarca" con la medesima funzione del riconio : apponendo una punzonatura a caldo su monete già circolanti si conferiva loro un diverso valore. Anche la purezza e il peso del denario andarono lentamente ridu­ cendosi. Sappiamo, infatti, che contemporaneamente alla riduzione del peso della moneta in bronzo che era scesa a un'oncia per asse, come abbiamo appena visto, nel 2I7 a.C. si procedette anche a una ritariffa­ zione della moneta d'argento, il cui valore venne cambiato in 1 6 assi (anziché in IO), ridotto di peso e portato a 1s4 di libbra romana (3,90 g), come pure i suoi sottomultipli : il quinario ( = 8 assi) e il sesterzio ( = 4 assi). In realtà bisogna sottolineare che si tratta di pesi teorici, con molte oscillazioni, non essendo la tecnica di coniazione antica in gra­ do di ottenere sempre pesi perfettamente corrispondenti allo standard p re fissato. Le revisioni dei pesi e dei rapporti di valore tra argento e bronzo (o rame) sono complesse e legate soprattutto a riforme ponderali la cui precisa collocazione cronologica rimane ancora nell' incertezza. 31. Plinio il Vecchio, Storia naturale, 33, 42-46.

6o

3· MONETA: LUOGHI DI PRODUZIONE E MAGISTRATURE MONETARIE

Resta, comunque, importante sottolineare come tali aggiustamenti non solo rivelino una forte difficoltà da parte dei Romani in ma­ teria di regolamentazione della moneta, ma riflettano anche cause distinte, fra cui acquisisce un certo peso anche la scarsa reperibilità del metallo. 3 ·5

Tresviri/Triumviri moneta/es Non si conosce molto sull'organizzazione delle zecche in età romana. Tuttavia per l'epoca repubblicana si può presumere che il controllo delle operazioni fosse esercitato da tre magistrati monetari. La pro­ duzione e la giurisdizione della monetazione "urbana", quella cioè co­ niata a Roma o comunque in zecche autorizzate dal Senato, in nome del popolo romano, dovevano essere sottoposte a un collegio di tre magistrati con funzioni monetarie, i triumviri moneta/es. La creazione di questo collegio risale al 289 a.C. La datazione si ricava dal fatto che Pomponio nel Digesto31 collega l' istituzione dei triumviri mone­ ta/es a quella dei tresviri capita/es, mentre un passo di Livio33 permette di dedurre la creazione dei tresviri capita/es intorno al 28 9 a.C.34 La denominazione ufficiale della carica, attestata epigraficamente con la sigla IIIVIRI AAAFF, era tresviri (forma più arcaica)ltriumviri mo­ neta/es aere argento auro flando jèriundo. Si trattava cioè di triumviri monetari deputati a far fondere (jlando) e battere (jèriundo) bronzo, argento ed oro. Svetonio35 ci informa che il numero dei componenti del collegio aumentò di un'unità e fu portato a quattro verso la fine della repubblica da Cesare. Questi magistrati erano responsabili, nei riguardi della res publica, della regolarità nelle emissioni monetarie. Rispondevano del loro operato direttamente al Senato, che ordinava loro quando e quanto produrre. I loro compiti erano molteplici : an­ davano dal controllo sulla fusione del metallo, sulla lega, sul peso e sull' incisione delle monete battute (cfr., infta, PAR. 3.6), alla verifica del corretto funzionamento della zecca e dei suoi conti. Forse esisteva 32. 33· 34· 35·

Pomponio, Digesto, I, 2, 2, 30-32. Tito Livio, Epitome, I I . Cfr. Cascione, 1999. Vita di Giulio Cesare, 41.

6I

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

una ripartizione dei compiti fra i tre magistrati, una sorta di gerarchia di potere, dal momento che la moneta era normalmente firmata da uno solo di loro e soltanto in qualche raro caso comparivano tutti e tre. Questa la possibile suddivisione del lavoro fra loro : un triumviro si sarebbe occupato della produzione delle monete e l'avrebbe firmata salvo eccezioni; un altro avrebbe avuto invece l' incarico della produ­ zione di lingotti d'oro e d'argento ; mentre il terzo avrebbe curato gli aspetti amministrativi dell'attività monetaria36• La responsabilità della carica era certamente grande, ma non richie­ deva decisioni complesse ; risultava pertanto adatta a essere ricoperta da giovani che nutrissero aspirazioni politiche e fossero agli inizi della carriera. La magistratura monetaria, una volta consolidata, rappresentò il primo gradino del cursus honorum senatorio. Vi accedevano intorno ai 27 anni, dopo il servizio militare, giovani delle famiglie più in vista, sia patrizie che plebee. I triumviri monetari, infatti, comparivano fra le magistrature minori (magistratus minores), che costituivano il vigin­ tisexviratus (lett. 'collegio di ventisei uomini' ), cui si accedeva prima di conseguire la questura e poi passare ai successivi gradi della carriera politica. La carica, di incerta durata (un anno o due), non soggetta a rinnovo, forse era elettiva37• Accanto alla monetazione regolare si avevano a volte emissioni particolari. Per differenziare e identificare queste monetazioni straor­ dinarie spesso sulla moneta era apposta come segno di speciale auto­ rizzazione la sigla s c, EX s c (ex senatus consulto). Oltre ai triumviri monetari potevano, infatti, essere incaricati straordinariamente di bat­ tere moneta anche altri magistrati : esistono monete emesse da consoli, pretori, questori, edili. 3·6 Iconografia delle monete

Il nome del triumviro monetario inizialmente non appariva, an­ che se a volte le monete presentavano dei segni, per così dire, di controllo, come lettere, simboli o emblemi distintivi che potevano 36. Cfr. Zehnacker, 1973; Forzoni, 1995. 37· Cfr. Hamilton, 1969; Pink, 1952.

3· MONETA: LUOGHI DI PRODUZIONE E MAGISTRATURE MONETARIE

essere utilizzati per identificare il responsabile dell'emissione. Era una sorta di firma che conferiva alla moneta una certificazione di autenticità e costituiva di fronte al Senato la prova che il magistra­ to aveva emesso la moneta secondo le istruzioni ricevute. Questi simboli, poi, incominciarono a essere sostituiti da forme abbreviate del nome del magistrato : un' iniziale, un monogramma indicante il suo nome gentilizio o di famiglia, e infine il nome personale com­ pleto, cioè prenome, nome gentilizio e cognome e talvolta anche il soprannome. Accanto a iscrizioni non tardarono a comparire anche immagini. Nel corso dei secoli i monetari ebbero piena libertà di scelta sulle tipologie iconografiche da impiegare. Le monete venne­ ro dunque utilizzate per rappresentare scene della storia della gens o familia alla quale appartenevano i triumviri moneta/es. Ricordi di eventi familiari, imprese leggendarie dei loro più o meno autentici antenati, così come parentele con divinità sono i temi maggiormen­ te rappresentati. Sono soprattutto le emissioni del 1 secolo a.C. a offrirei un'ampia casistica. In un denari o coniato intorno al 9 o - 8 s a.C. da Lucio Titurio Sabino, che vantava una discendenza diretta da Tito Tazio, re dei Sabini (a cui sarebbe legato il cognome Sabi­ nus del monetario), troviamo al diritto la testa del re e al rovescio la scena del noto episodio del ratto delle donne sabine compiuto dai soldati romani38• Il monetario Caio Mamilio Limitano, forse nell' 84/82 a.C., osò trasmettere sulle emissioni di sua competenza un richiamo addirittura mitologico della sua gens. I Mamili, infatti, si dicevano discendenti del figlio di Ulisse e della maga Circe, Te­ legano, fondatore della città di Tusculum (odierna Frascati) di cui erano originari39• Abbiamo così una moneta che al diritto presenta la testa del dio Mercurio con i suoi classici attributi, petaso e ca­ duceo, la cui presenza richiama questa origine mitologica. Sarebbe stato, infatti, Mercurio a dare a Ulisse un'erba misteriosa per pro­ teggerlo dagli incantesimi della maga Circe e non farlo trasformare in porco come i suoi compagni. Al rovescio la moneta presenta, in­ vece, la raffigurazione del ben noto episodio dell' Odissea del rico­ noscimento di Ulisse da parte del cane Argo. L'eroe greco, in abiti da mendicante, si appoggia a un bastone e sembra ricambiare con 38. Cfr. Babelon 1885-86, 11, pp. 496-8. 39· Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 1, 49, 9·

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA FIGURA 6 Denario recante al rovescio la scena del riconoscimento di Ulisse da parte del cane Argo

affetto il saluto festoso del cane fedele che lo ha riconosciuto dopo venticinque anni di assenza40 (FI G. 6 ) . A motivo d i vanto familiare poteva essere celebrata anche l'esten­ sione dell' imperium romano attraverso la conquista di nuovi terri­ tori. E così il monetario Paullus Aemilius Lepidus, che dopo questa magistratura fu fra l'altro presente a fianco di Ottaviano nella cam­ pagna militare condotta contro Sesto Pompeo in Sicilia nel 3 6 a.C., console nel 34 a.C. e poi censore nel 2 2 a.C., celebra nelle emissioni 40. Cfr. Babelon, 188s-86, n , pp. 1 72-3.

3· MONETA: LUOGHI DI PRODUZIONE E MAGISTRATURE MONETARIE

da lui effettuate nel 54 a.C. l'antenato Lucio. Questi altro non era che il famoso Lucio Emilio Paolo vincitore della battaglia di Pid­ na del I 6 8 a.C. e artefice della fine del regno di Macedonia, ridotto pochi anni dopo a provincia romana. Al centro del rovescio c 'è un trofeo con a lato un generale romano (Lucio Emilio Paolo appunto) e dall'altro il re della Macedonia, Perseo, con le mani legate dietro il dorso e accanto i due figli41• Sulla moneta è inoltre presente la leg­ genda Paullus ter, che allude ai tre trionfi di Lucio Emilio ottenuti dopo le brillanti vittorie in Spagna ( I 9 0 a.C.) , Liguria ( I 8 I a.C.) e Macedonia ( I 6 8 a.C.). Approfondimenti bibliografici ORIGINI DELLA MONETAZIONE ROMANA: Nenci, 1968; Mitchell, 1969; Crawford, 1974; 19 82; Burnett, 1989; Belloni, 1993; 1994; Panvini Rosati, 2ooo; Parise, 200 2; Ercolani Cocchi, 2004. DENARIO: Howgego, 1990; Lo Cascio, 2003. METALLI, PESI E MINIERE: Healey, 1 993; Giardino, 1998; Ercolani Cocchi, 2001. ZECCA: Giannelli, 198 0-8 1 ; 199 6 ; Finetti, 1987; Mac Isaac, 1987; Coarelli, 1994; 1996; Burnett, 200 1 ; Meadows, Williams, 2001; Nicolai, 2001; Savio, 200 1 ; Serafin, 2001; Haudry, 20 0 2; Mazzoli, 2003; Wiseman, 2009. AERARIUM: Corbier, 1974; Pensabene, 19 84. TRESVIRI/TRIUMVIRI MONETALES: Pink, 1952; Hamilton, 1969; Zehnacker, 1973; Forzoni, 1995; Cascione, 1999; Barello, 20083• BATTERE MONETA 'A. D OMANDA": Lo Cascio, 19 82a; 20 03; Howgego, 1992; Foraboschi, 2003. ICONOGRAFIA DELLA MONETA: Babelon, 1 8 85-8 6; Crawford, 1974; 1985; Belloni, 1994.

41. Cfr. Babelon, 188s-86, I, pp. 122-3.

6s

4 I mestieri della finanza

4·1 La nascita di un sistema "bancario"

Sulla base delle acquisizioni cui è pervenuta la ricerca storico-numi­ smatica, come abbiamo visto, tra IV e III secolo a.C., la classe dirigen­ te romana cercò di impostare autonomamente la politica monetaria dell' Urbe rispetto alla monetazione greca ed etrusca. Sul finire del IV secolo a.C., sullo sfondo storico delle guerre sannitiche, il Foro roma­ no incominciò a imporsi come centro commerciale di una certa rile­ vanza e fulcro di transazioni anche di natura finanziaria. Era un luogo, dunque, interessato da movimento di capitale liquido che, sotto forma di valuta metallica, prodotta direttamente nell' Urbe o importata in grandi quantità dall'esterno (principalmente da Etruria, Sicilia e Ma­ gna Grecia), passava di mano in mano. Nello stesso tempo si andavano affinando le pratiche creditizie a disposizione di quanti volevano con­ cludere un affare o avviare un'attività commerciale. È proprio in tale contesto di grande cambiamento che va struttu­ randosi a Roma una vera e propria organizzazione per così dire di tipo " bancario". Questa venne chiaramente mutuata dalle esperienze del mondo greco e magnogreco, dove esisteva una tradizione finanziaria più articolata e consolidata sul piano organizzativo. I banchieri gre­ ci erano detti trapezitai dal termine trdpeza che era il tavolo su cui si svolgevano le trattative, il cambio delle monete, i prestiti e le ulteriori operazioni finanziarie. I trapezitai potevano essere comuni cittadini, che utilizzavano come capitale il proprio patrimonio, società private, ma anche e soprattutto templi e città. Le banche più importanti rima­ nevano quelle dei grandi santuari, che fornivano maggiori garanzie di sicurezza morale e materiale. I sacerdoti facevano fruttare il denaro che

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

ricevevano in deposito per finanziare attività produttive. Utilizzavano così capitali che altrimenti sarebbero stati immobilizzati, per sostenere spesso una politica di opere pubbliche e prestavano somme sia a singoli individui che a città, come testimonia l'archivio del santuario di Zeus a Locri Epizefiri. Alla seconda metà del v secolo a.C. risale un inte­ ressante testo epigrafico, presumibilmente proveniente da Palermo. Si tratta della registrazione di un debito privato contratto da un cittadi­ no, un certo Archon, con un santuario dedicato a una divinità femmi­ nile1: una grossa somma comprensiva anche degli interessi, e l'assolvi­ mento del debito coinvolgeva tutto il clan familiare del debitore, cioè il suo oikos (sorella, figli e nipoti). Con molta probabilità Archon era un imprenditore o un appaltatore al quale il santuario aveva anticipato la cifra necessaria per una fornitura di cibo, statue e arredi sacri. A Roma, invece, l'attività bancaria e le operazioni finanziarie ( cam­ bio e saggio delle monete, servizi di deposito e cassa, prestito di denaro a interesse) furono, fin dali' inizio, prerogativa quasi esclusiva di privati. Si trattava di un sistema che andava definendosi attraverso figure stabili di operatori finanziari, quali cambiavalute e usurai. A questi andavano pre­ sumibilmente ad aggiungersi quanti fra i cittadini abbienti, ovviamente ricorrendo a dei prestanome, potevano disporre di ampie disponibilità di capitali da dare in prestito. Sulla mensa di ogni singolo argentarius si svolgevano operazioni finanziarie per certi versi paragonabili a quelle gestite da una "banca" moderna. Questo sistema, definibile quindi in un certo senso "bancario", non nacque in conseguenza di una pianificata politica finanziaria deliberatamente tracciata dall'autorità centrale ro­ mana. Abbiamo, infatti, visto come l'apertura di credito concessa a pri­ vati nel 352 a.C. dalla res publica, tramite la temporanea magistratura dei quinqueviri mensarii, rappresentasse un unicum nella storia economica di Roma. Il sistema bancario nacque, invece, per libera iniziativa di un gruppo di uomini che, inventandosi una professione, cercarono di dare una risposta concreta alle nuove esigenze di mercato. A questa sorta di banche a gestione privata lo Stato romano non oppose una valida alter­ nativa attraverso la creazione di banche per così dire "statali': dirette cioè da funzionari strutturati e dipendenti dalla res publica che, per agevolare le transazioni finanziarie, utilizzassero come capitale denaro pubblico e non capitali privati. La gestione di tali attività rimase una questione pri1.

SEG, xxvii,

19 77, 657; cfr. Manganaro, 1977.

68

4· I MESTIERI DELLA FINANZA

vara, esclusivo appannaggio di una categoria di liberi professionisti che, con il tempo, andarono progressivamente specializzandosi. 4·2

Tabernae argentariae e Foro L'apertura economica verso nuovi mercati a seguito dell'espansione territoriale sul suolo i talico ebbe un' incidenza anche in ambito archi­ tettonico sulla topografia di Roma, e in modo particolare nell'area del Foro (FIG. 7 ). Qui si registra un importante cambiamento d'uso delle tabernae. Varrone ci informa che botteghe di cambiavalute andaroFIGURA 7

Roma, Foro e Comizio secondo Hiilsen, 1893

Fonte: Coarelli, 1983-Ss, vol. I , fig. 40, p. 143. 2. Sulla vita del popolo romano, liber n , fr. in Nonio Marcello, de compendiosa doctrina, s.v. Tabernas P 853 L.

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

no a sostituire i macelli (lanienae) ed altri negozi di generi alimentari. Questa destinazione sembrò, infatti, più confacente allajòrensis digni­ tas e al ruolo di potente metropoli con conseguente prestigio che an­ dava acquisendo l' Urbe. Ed effettivamente l' installazione di banchi di operatori finanziari laddove prima erano disposti i tavoli da lavoro dei macellai offre concreta testimonianza di un cambiamento in atto. La trasformazione d'uso nella piazza più importante di Roma, frequen­ tata da uomini provenienti da ogni parte del mondo e attraversata dai cortei trionfali dei generali vittoriosi, presentava anche dei vantaggi pratici, tanto per i cambiavalute quanto per i loro clienti, in quanto favoriva gli incontri di affari e agevolava la stipula dei contratti. I ne­ gozi di generi alimentari vennero trasferiti nell'area dietro la basilica Emilia. Le numerose botteghe dei cambiavalute occuparono tre lati del Foro. L'ampio progetto di ristrutturazione di tutta l'area prospicien­ te previde, oltre all'allontanamento dalla zona dei negozi destinati al commercio alimentare, anche la creazione nel 3 1 8 a.C. di ampi spazi porticati. Questi erano sovrastati da ballatoi agibili al pubblico, che, dal nome del loro ideatore, il censore Gaio Menio, furono detti in se­ guito maeniana. Allo stesso personaggio è attribuito anche il cambia­ mento d'uso delle tabernae e la loro ristrutturazione, probabilmente compiuta intorno alla metà del IV secolo a.C. L'area rimase inalterata fino a quando un incendio, scoppiato nel 210 a.C., devastò molti edi­ fici. Le fiamme si propagarono nel Foro in più luoghi contemporanea­ mente e investirono gli immobili circostanti la piazza, tra cui le taverne dei banchieri, rapidamente riedificate l'anno successivo3• Gli argentarii finirono, col passare del tempo, per esercitare la loro professione di " banchieri" e aprire le proprie botteghe a Roma ovunque si svolgesse una qualsiasi attività commerciale o di mercato. Abbiamo, infatti, numerose testimonianze epigrafiche dell' inizio dell'età impe­ riale che documentano la presenza di banchieri anche in altri quartieri dell' Urbe, fenomeno peraltro sicuramente anteriore. Particolare con­ centrazione si rileva nelle vicinanze dei grandi mercati permanenti, delle aree portuali o degli spazi destinati agli spettacoli pubblici4• Gli argentarii erano presenti in età tardorepubblicana in molte città italiche, e, in aderenza all'esempio costituito da Roma, le loro sedi di Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 26, 27, 2; 27, I I , 16; 40, 51, S· 4· Cfr. Maselli, 1986. 3·

70

4· I MESTIERI DELLA FINANZA

esercizio erano ubicate spesso in botteghe che attorniavano i fori 5• Che tale situazione urbanistica fosse così diffusa in Italia ce ne dà conferma Vitruvio, quando, nel suo trattato De architectura, fornisce indicazioni di massima per uniformare l'architettura civile delle città i tali che alla configurazione invalsa nell' Urbe : Invece nelle città d' Italia non si deve fare con lo stesso criterio, per il motivo che fu tramandata dagli antenati la consuetudine di dare nel foro spettacoli gladiatori. Pertanto attorno alle strutture per gli spettacoli si distribuiscano intercolumni più ampi [spatiosora intercolumnia] e si collochino attorno nei portici i negozi dei banchieri e sui tavolati superiori loggiati, che saranno di­ sposti opportunamente sia per l'uso sia per le pubbliche entrate [maeniana] 6•

4·3 Cambiavalute (argentarii)

Banchi di cambiavalute furono, dunque, attivi a Roma già nella secon­ da metà del IV secolo a.C. in botteghe (tabernae) che si affacciavano sulla piazza del Foro. Il primo termine a essere utilizzato per designare questa categoria di uomini di affari è, come abbiamo visto, argentari­ us. Largamente attestato nelle fonti latine, sia in testi epigrafici che in opere letterarie e scritti di natura giuridica, il vocabolo manterrà questa accezione di 'banchiere ' per un lungo lasso di tempo : dalla fine del IV secolo a.C. alla fine del III secolo d.C.? Quali operatori del mondo finanziario romano gli argentarii svolgevano una mansione alquanto impegnativa presso i loro banchi: il cambio e il saggio delle monete. Per le operazioni di cambio era necessario un aggiornamento conti­ nuo sul valore corrispondente tra le varie tipologie monetali circolanti sul mercato. Il cambio poteva dunque avvenire sia tra monete di città differenti sia tra monete prodotte nell'ambito delle emissioni di una stessa città, che tra specie coniate nei differenti metalli e leghe (oro, argento, rame e bronzo) e infine tra metallo non monetato e monete coniate. Sembra che gli argentarii utilizzassero una sorta di rudimenS· Cfr. Balbi de Caro, 19 89, pp. 27-34. 6. Vitruvio, De architectura, s. 1, 1-2, a cura di P. Gros, traduzione e commento di A. Corso e E. Romano, vol. I, Torino 1997· pp. sso-1, nn. 21-28 pp. 6 os-14. 7· Cfr. Andreau, 1987. 7I

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

tali listini di cambio monetario e che richiedessero una commissione per lo svolgimento delle operazioni di cambio. Inoltre, venivano appu­ rate l'autenticità e la lega della moneta, verificando il conio, per capire se la moneta fosse stata falsificata o alterata in base al materiale usato e al peso. Spesso anche dal suono che la moneta faceva, gettandola sul bancone di marmo della propria mensa, l'esperto cambiavalute intuiva un'adulterazione. In genere si accertava il peso delle monete attraverso l'uso di una bilancia o a due piatti, con bracci uguali, chiamata libra o trutina, o a un piatto, detta stadera (statera ), con un braccio graduato su cui veniva fatto scorrere un peso equilibratore costante8• Nel caso della bilancia a due piatti i singoli pezzi da analizzare venivano sistema­ ti su un piatto, mentre sull'altro venivano posizionati di volta in volta i contrappesi, di valore precedentemente certificato ( FIG G . 8 e 12). EsiFIGURA 8

Stadera in bronzo (I sec. d.C.) proveniente da Pompei (Napoli, Museo Archeolo­ gico Nazionale)

8. lsidoro di Siviglia, Etimologie, I 6 , 25, 4-7; Varrone, La lingua latina, s. I83; Vitruvio, De architectura, IO, I, 6; IO, 3, 4·

72

4· I MESTIERI DELLA FINANZA FIGURA

9

Abaco ( Roma, Museo Nazionale Romano )

ste anche una variante particolare della bilancia a bracci uguali, quella costituita dalla cosiddetta bilancia "pesa-monete", di dimensioni ridot­ te, in cui uno dei due piatti è costituito da un contrappeso fisso9• Una volta controllata la corrispondenza con i campioni ponderali, i singoli pezzi venivano poi contati. Per contare le monete o effettuare calcoli aritmetici, anche di una certa complessità, i banchieri utilizzavano un particolare strumento di piccole dimensioni detto "abaco". Si trattava di una sorta di tavoletta-raccoglitore, munita di una serie regolare di incassi circolari destinati alla collocazione delle monete (FIG. 9 ). Ogni cambiavalute doveva essere in grado di determinare o riconoscere il va­ lore intrinseco delle monete, ovvero il valore del metallo usato per for­ giarle, ma anche il valore nominale, quello cioè fissato dalla città-Stato emittente, nel caso di monetazione proveniente da Grecia o Magna Grecia. La prassi del controllo delle monete, al pari della loro adultera­ zione, fu una costante per tutta l'antichità romana. Sono numerose le 9· Napoli, Museo Archeologico Nazionale, esemplari provenienti da Pompei: Tarpini, 2001, pp. 1 82-3; Di Pasquale, 1999, p. 285. 73

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

fonti tardoantiche che ci parlano della Jraus monetae, con riferimento sia ai solidi aurei che a monete in rame : dall'anonimo trattatello de rebus bellicis (cap. 3 )'0 ai testi legislativi del codice teodosiano, alla pub­ blicistica cristiana, come quella di Gerolamou, fino a commedie come il Querolus sive Aulularia, dove si evocavano i mille artifici con i quali si potevano realizzare contraffazioni, in particolare dei solidi. Gli argentarii svolgevano anche un regolare servizio di deposito e cassa : accettavano cioè in deposito e custodivano somme di denaro per conto dei propri clienti. Erano stilati dei contratti appositi che obbli­ gavano il banchiere a custodire il denaro depositato senza farne uso e a restituirlo alla scadenza pattuita o dietro richiesta del cliente. In alcuni casi era addirittura concesso di rendere al cliente monete che fossero identiche a quelle depositate. Il cliente poteva anche incaricare il banchiere di fare con il denaro lasciato in deposito pagamenti per suo conto, tramite appunto ordini di pagamento. Le opere dei due commediografi latini, Plauto (seconda metà III secolo a.C.) e Terenzio (prima metà II secolo a.C.), soprattutto quel­ le di Plauto, sono fondamentali per comprendere la società romana di quel periodo e ci danno informazioni anche sull'argomento qui esaminato. Plauto, ad esempio, in una scena dell'Asinaria (4 3 8-440 ), descrive un debitore che si reca a casa del creditore insieme al suo banchiere per sottoscrivere un impegno di pagamento (scribere num­ mos ). Terenzio, invece, ci informa del fatto che, nel caso in cui il cre­ ditore avesse un conto aperto nella stessa banca del suo debitore, al banchiere non spettava altro che operare un semplice trasferimento di fondi : «Ma vieni per favore al foro e ordina che mi sia di nuovo trasferito quel de­ naro [rescribere argentum] , Formione » . « Quello che io ho già restituito [discribere] ai miei creditori ? » '2•

Non tutti gli argentarii potevano permettersi di svolgere la propria at­ tività dentro a una bottega : solo quelli economicamente più agiati riu­ scivano a pagarne l'affitto o l'acquisto'3• Quasi sicuramente le tabernae IO. II. I2. I3.

Cfr. Giardina, I989, pp. ss-7.

Contro Rufino, I, I6, IS-26; cfr. Bogaert, I973· Terenzio, Formione, 92I-923.

Cfr. Andreau, I968.

74

4· I MESTIERI DELLA FINANZA FIGURA

IO

Sarcofago con bassorilievo di una bottega di cambiavalute (Roma, Museo Nazio­ nale Romano)

che si affacciavano nel Foro, ovvero i negozi che sorgevano sul suolo pubblico, restavano di proprietà della res publica, la quale ne vendeva unicamente il diritto di "uso" a privati cittadini. Il giurista Ulpiano, nel Digesto, così ci illumina sul diritto di proprietà di tali locali : Colui che vende le botteghe argentarie o altre che si trovano sul suolo pub­ blico, vende non il suolo, ma il diritto, poiché tali botteghe sono pubbliche e solamente il loro uso spetta ai privati14•

I 4. Ulpiano, Digesto, I 8, I, 32.

75

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

Gli argentarii meno abbienti lavoravano all'aperto su un bancone mo­ bile, dove collocavano uno scrigno con il denaro reputato sufficien­ te per la giornata. I rilievi di alcuni sarcofagi romani e il monumento funerario dei Fontei, proveniente dalla via Labicana a Roma (Roma, Museo Nazionale Romano e Palazzo Salviati) offrono interessanti te­ stimonianze per la ricostruzione della vita all' interno di un negozio di cambiavalute5 (FIGG. 10 e u ) . Dalle raffigurazioni si deduce, infatti, che il bancone era piuttosto alto, chiuso su tre lati, con la parte fronta­ le rinforzata da listelli e da grosse borchie metalliche. La disposizione di tali elementi, non certo aggiunti al solo scopo decorativo, doveva piuttosto soddisfare un'esigenza pratica : trasformare il bancone in una specie di cassaforte, anche se è facile supporre che la parte più cospicua FIGURA

II

Sarcofago con bassorilievo d i u n argentarius con l a cassa sul proprio banco ( n sec. d.C.) ( Ravenna, Museo Nazionale )

15. Cfr. Amedick, 1991, Tafeln 110.3; 111.1 e 3·

4· I MESTIERI DELLA FINANZA

del capitale in gestione al cambiavalute fosse conservata in un luogo più protetto e sicuro del forziere tenuto nella bottega. Il lavoro dell' argentarius, in termini di responsabilità e mansioni, venne modificandosi nel corso dell'epoca repubblicana, dando luogo, specialmente nel 1 secolo a.C., a specializzazioni in ambito finanziario che rispondevano alle cambiate esigenze economiche della società ro­ mana, e di cui parleremo nell'ultimo capitolo. Approfondimenti bibliografici SISTEMA BANCARIO GRECO: Andreau, I968; Bogaert, I968; Musti, I979; Manganaro, 1977. TABERNAE ARGENTAR/AB E TOPOGRAFIA DI ROMA: Coarelli, 1983-85; Ca­ rafa, 1998. BANCHE A ROMA E ARGENTARli: Carettoni, 1938; Andreau, 1968; 1 9 87; 1997; 2001 ; Barlow, 1978; Maselli, 1 9 8 0-81, 1986; Balbi De Caro, 1989. STRUMENTI DEGLI ARGENTARli: Amedick, 1 9 9 1 ; Di Pasquale, 1999; Tarpini, 2001. FRAUS MONETAE: Bogaert, 1973; Giardina, 1989.

77

s L' indebitamento fra I I I e I I secolo a.C .

S·I Fonti e nuova natura del debito

La lacunosità e frammentarietà delle fonti storiche sul III secolo a.C. limita fortemente un'analisi sul fenomeno dei debiti a Roma in un se­ colo che sappiamo essere di forte cambiamento economico, oltre che pesantemente segnato da un punto di vista militare (prime due guerre puniche, 264-241 a.C. e 2 1 8-20 2 a.C.; prima guerra macedonica, 21S20S a.C.; guerre illiriche, 230-229 a.C. e 220-219 a.C.; guerre contro i Galli in Cisalpina, seconda metà del III secolo a.C.). Il III secolo a.C. e in parte anche il II a.C. vedono rafforzarsi ed estendersi l' influenza politica romana nel bacino del Mediterraneo, in conseguenza della ter­ za guerra illirica ( 1 6 8 a.C.) e della terza guerra punica ( 149- 146 a.C.), e in Oriente, dopo altri conflitti con la Macedonia (tra il 200 e il 148 a.C.). Questo periodo della storia repubblicana definisce un'epoca di transizione economica, un'epoca cioè che registra il passaggio da un si­ stema agro-pastorale, che era stato tipico della fase arcaica della città, a un'economia sempre più complessa e sviluppata, che raggiungerà l' ac­ me della sua crescita nel corso del I secolo a.C. L' Urbe andò aprendosi al commercio su vasta scala, in termini di produzione e distribuzione di beni, conoscendo allo stesso tempo, grazie agli investimenti priva­ ti, nuove ed eclatanti forme di arricchimento personale, non limitate al solo sfruttamento delle terre. Il controllo diretto (con la progressi­ va provincializzazione) e indiretto di aree transmarine, fra le quali in Occidente la Spagna, generò nell' Urbe un afflusso di ricchezze, mai visto prima. La gestione delle risorse delle nuove province contribuì indubbiamente a mutare l'economia della città, e con essa i rapporti fra cittadini e res publica. Inoltre, sempre in relazione all'amministra79

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

zio ne finanziaria dei territori mediterranei, è spesso documentata nelle fonti la contrazione di prestiti da parte di provinciali. Di questa forma di indebitamento "extra-italico", attestata soprattutto nel I secolo a.C., offrono significativa testimonianza le orazioni di Cicerone (cfr., infra, CAP. 7 ). Il vuoto documentario delle fonti storiche accennato sopra sul pe­ riodo in questione viene colmato in parte dalle informazioni ricavabili dalle fonti giuridiche. È principalmente la legislazione a offrirei indi­ cazioni sulla persistenza dell' indebitamente fra i cittadini. Fra III e II secolo a.C. - ma rimane ancora incerta una datazione precisa - venne­ ro emanate le cosiddette leges de sponsu (lex Appuleia, Publilia, Furia, Cicereia ) . L'esigenza di una normativa che riguardasse il diritto civile e, più nello specifico, alcune forme di credito e debito non si spiega se non supponendo che il debito permanesse come un problema non pri­ vo di ricadute per l'equilibrio e la stabilità politico-sociale dell' Urbe1• Indica, infatti, a mio avviso, una recrudescenza del fenomeno debito­ rio la necessità che la sponsio - già presente nelle XII Tavole, e che face­ va sì che il debitore non perdesse la sua libertà, diventando schiavo del creditore solo in caso di inadempienza - continuasse a essere oggetto di normazione. La legislazione de sponsu testimonia, attraverso l' inte­ resse a mantenere vitale un arcaico contratto verbale, un rafforzamento del rapporto obbligatorio tra debitore e creditore. Alla fine del III secolo a.C. e ai primi decenni del II secolo a.C. ri­ sale poi una legislazione che sembra avere avuto fra i suoi scopi quello di estendere la normativa sui prestiti anche ai non cittadini, i peregrini, con cui la giurisprudenza romana non poteva esimersi dal rapportarsi1• Irrisoha, infatti, era rimasta la problematica inerente i prestiti tra roma­ ni e non romani, e quanto mai necessaria era una iurisdictio peregrina che colmasse questa lacuna normativa. La svolta arriverà con la lex Silia de legis actione ( presumibilmente un plebiscito) e poi successivamente con la lex Calpurnia de legis actione. Comunemente accettata è la data­ zione intorno al 204 a.C. o comunque alla fine del III secolo a.C. della legge Silia\ Secondo la testimonianza di Gaio4 la legge Silia avrebbe 1. Rotondi, 1912, pp. 246, 473-7. 2. Cfr. Marotta, 1996; Capogrossi Colognesi, 2000, pp. 47 ss. 3· Cfr. spec. Rotondi, 1912, pp. 261, 263-4; contra Giuffrè, 2003. 4· Istituzioni, 4, 19-20.

8o

5· L ' INDEBITAMENTO FRA III E II SECOLO A.C.

introdotto una nuova e più semplice procedura per i crediti in denaro (certa pecunia ) , con una dilazione di trenta giorni e l' istituzione del giuramento obbligatorio, mentre la legge Calpurnia avrebbe esteso la procedura a crediti di qualunque altra natura (certa res). Agli inizi del II secolo a.C. le opere del commediografo latino Plau­ to offrono preziose indicazioni sui metodi adottati daijèneratores per aggirare i divieti delle leggi sull'usura. Essi riuscivano, attraverso un gioco contabile e il coinvolgimento di prestanome, a trasferire i debiti contratti da cittadini romani a Latini e socii ftalici, che, in quanto non cittadini, non erano sottoposti ad alcuna limitazione nell' imposizione del tasso di interesse5• Nel 1 9 3 a.C. l'emanazione della lex Sempronia de pecunia eredita su proposta del tribuno M. Sempronio Tuditano fece estendere la legislazione anti-usura anche a ltalici e Latini, al fine di reprimere le frodi alle leges jènebres, che vincolavano solo i cittadini romani. Gli alleati che avessero aperto dei crediti con cittadini romani dovevano dichiararlo, in modo che anche a loro si applicasse il diritto romano6• Alla luce di questa legislazione la contrazione/ concessione di un debito/ credito appare un fatto privato fra due persone, siano essi entrambi due cittadini o un cittadino e un peregrinus. Ma l' indebi­ tamente non si esplicava in ambito esclusivamente privatistico. Sulla base della documentazione letteraria, sappiamo che, nel corso della seconda metà del III secolo a.C., si profilarono anche casi di indebi­ tamente pubblico, cioè casi in cui era la res publica e non un privato cittadino a risultare indebitata. Su questo è bene richiamare la nostra attenzione. 5 ·2 Sovvenzioni private alla res publica

Durante alcuni delicati frangenti del conflitto con Cartagine, assi­ stiamo a due casi di "indebitamento statale". In tali circostanze erano le finanze pubbliche a versare in pessime condizioni e la res publica, 5· Plauto, Lagomena, prol., 13-15; Ilpersiano, 478; Curculio, 490 ss. 6. Tito Livio, Storia di Roma dalla fondazione, 35, 7, 2-5; cfr. Plauto, Curculio,

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per superare la situazione, richiese l' intervento di privati cittadini facoltosi, capaci di disporre prontamente di una certa liquidità. L'e­ rario, in grave difficoltà, non riusciva a fronteggiare l'aumento delle spese pubbliche, di vario ordine ed entità, anche se, a gravare, erano soprattutto le spese di ordine militare, legate al finanziamento del­ le guerre (puniche), e al conseguente allestimento e mantenimento dell'esercito. Il primo episodio risale probabilmente al 243 a.C. Polibio nelle Storie narra che l'erario non disponeva dei mezzi finanziari necessa­ ri per apprestare l'armata di Lutazio Catulo, il futuro vincitore del­ la battaglia navale delle Isole Egadi (241 a.C.), che pose di fatto fine alla prima guerra punica. Allora cittadini maggiorenti, attingendo alle proprie ricchezze personali, sovvenzionarono la costruzione delle navi, a condizione che le cifre versate venissero loro restituite, in caso di vittoria. I fondi dell'erario non erano sufficienti per l'attuazione del progetto e la flot­ ta poté essere costruita solo grazie alla generosità e allo zelo verso il tesoro pubblico di cittadini maggiorenti. Singolarmente infatti e riunendosi in due o tre a seconda delle possibilità di ciascuno essi si impegnarono a fornire una quinquereme allestita di tutto punto a condizione di essere risarciti della spe­ sa quando la lotta fosse terminata vittoriosamente?.

Questa eccezionale procedura, originata dal fatto che il tesoro pub­ blico non era in grado di provvedere a tutti i finanziamenti neces­ sari per l'operazione, presuppone che l'erario fosse solito accollarsi le spese per la costruzione di navi da guerra e che pertanto tutte le flotte, varate fra il 260 e il 242 a.C., fossero proprietà di Roma. Nel nostro caso, uomini di spicco, cives influenti, fecero un prestito alle casse erariali, permettendo così la realizzazione del progetto. L'atti­ vazione di una tale procedura consentì di allestire una flotta di 200 quinqueremi. Questo prestito presenta una forte similarità con l'e­ pisodio della costruzione delle navi per la battaglia di Salamina nel 4 8 3-482 a.C. narrato da Aristotele nella Costituzione degli Ateniesi: una stringente contingenza militare sprona a elaborare rapidamente un'efficace e proficua soluzione che, in un delicato frangente, muo7· Polibio, Storie, I, 59, 6-7.

5· L ' INDEBITAMENTO FRA III E II SECOLO A.C.

ve cittadini economicamente agiati a farsi carico in prima persona di nuove e gravose spese militari. Quando furono scoperte le miniere di Maronea e dai lavori lo stato ricavò cento talenti, poiché alcuni avevano consigliato di distribuire l'argento al po­ polo, Temistocle si oppose, senza dire a che cosa servissero le ricchezze, ma ordinando di prestare un talento a ciascuno dei cento Ateniesi più ricchi; in seguito, se l' investimento fosse stato gradito, lo stato si sarebbe fatto carico della spesa; in caso contrario, sarebbero state recuperate le ricchezze da colo­ ro che avevano preso il denaro in prestito. Avendo dunque preso il denaro a queste condizioni, Temistocle fece costruire cento triremi, poiché ciascuno di questi cento cittadini ne costruì una, e con queste gli Ateniesi combatterono la battaglia navale di Salamina contro i barbari8•

In questo caso il sistema ideato dal perspicace cittadino Temistocle attiva i cittadini con maggiori disponibilità finanziarie per la realizza­ zione di una flotta. L'unica condizione del prestito era che, nel caso in cui l' investimento fosse stato redditizio, le spese sostenute dai cittadi­ ni sarebbero state totalmente rimborsate dalla stessa polis, altrimenti si sarebbe richiesta la restituzione del talento prestato. Così con un artificio finanziario, obbligando i cento Ateniesi più facoltosi a farsi fideiussori del denaro pubblico, Temistocle poté allestire una flotta di cento triremi. Nell'episodio di Lutazio Catulo, è invece, con molta probabilità, il Senato a "invitare" un numero ristretto di cittadini facoltosi ad antici­ pare le risorse economiche per sostenere l' impresa in base alla ricchez­ za personale, impegnandosi a restituire il prestito in caso di vittoria. Dal momento che la necessità di rematori, durante la seconda guerra punica, venne soddisfatta obbligando cittadini benestanti a fornire schiavi, è molto probabile l' ipotesi che anche per questo prestito si seguisse la stessa modalità. Sicuramente questo prestito "statale" rap­ presenta, nel suo genere, un unicum nella storia di Roma. In un certo senso, il Senato si auto-impose l'onere della costruzione delle navi, dal momento che i suoi membri appartenevano di regola alle classi cittadi­ ne più ricche. Non fu quindi un'offerta volontaria. In realtà l' operazio­ ne nacque come prestito rimborsabile solo in caso di vittoria. Tuttavia, 8. Aristotele, La Costituzione degli Ateniesi, 22, 7 (a cura di M. Bruselli, Milano 1999).

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se l'aristocrazia romana, nel 2 4 3 a.C., fu disposta a correre il rischio di una perdita finanziaria, significa che poteva permetterselo. Non si può sapere se, dopo la vittoria navale, questi cittadini ricevettero oltre al capitale investito anche gli interessi. Il risarcimento delle spese, cui fa genericamente riferimento Polibio9 senza dettagliare ulteriormente la natura di queste ultime, ammette entrambe le spiegazioni. Per quan­ tificare l' importo di quelle spese sostenute è utile sapere che il costo di una quinquereme, con un calcolo approssimativo, poteva aggirarsi intorno ai I s . o o o denarii; in questo modo il costo delle 2 0 0 navi di Lutazio ammonterebbe a circa 3 .o o o. o o o di denarii. L' indennità di guerra ottenuta da Cartagine dopo la guerra corrisponderebbe a 3 . 2 0 0 talenti pari a 2o.o o o.o o o di denarii. La cifra, che superava l' importo delle spese di quasi sette volte, doveva coprire non solo il rimborso del capitale ai creditori ma anche una somma a titolo di interesse. Alcune emissioni di moneta, coniate dopo la guerra, sarebbero state utilizzate per la restituzione di tali importi. Anche nel secondo caso di "indebitamento statale", una circostan­ za particolarmente delicata in campo militare, ovvero lo sfavorevole andamento delle campagne belliche contro Annibale, richiese una prosecuzione della guerra a oltranza. L' impegno finanziario per so­ stenere la guerra finì per pesare e coinvolgere una parte della citta­ dinanza. Per la restituzione di queste somme di denaro la res publica fece ricorso a un pagamento dilazionato in tre rate, versate ciascuna ogni due anni. Nel 2 I O a.C. la pressione esercitata da Filippo v di Macedonia, alleato di Annibale, sull' Italia e quindi il conseguente timore di un suo possibile sbarco nel paese mise in luce tutta l' inade­ guatezza della flotta romana. L' inferiorità numerica della forza nava­ le romana la rendeva sostanzialmente incapace di mantenere lontano qualsiasi nemico dall' Italia via mare. I litorali italici erano insicuri e instabile il controllo sulla Sicilia. La gravità della situazione richie­ deva un intervento immediato, ma le casse dell'erario erano vuote. Allora i consoli Marco Valerio Levino e Marco Claudio Marcello emanarono un editto, in base al quale, come già era avvenuto nel 2 4 I a.C., quando per la prima volta la flotta romana venne allestita con marinai forniti da cittadini privati, gli stessi cives, a seconda del censo e della classe, avrebbero fornito rematori con paga e vitto ga9· Storie, I, 59, 7·

5· L ' INDEBITAMENTO FRA III E II SECOLO A.C.

rantiti per trenta giorni10• L'editto provocò malcontento soprattutto nella plebe, tanto che i consoli concessero tre giorni di tempo per discutere la questione. Seguì un acceso dibattito sull'opportunità di lasciare unicamente a cittadini privati l'onere del rifornimento dei re ­ matori. La situazione era difficile, ma la decisione del console Levino convinse i membri del Senato a dare il buon esempio, versando essi stessi per primi oro, argento e bronzo coniato a funzionari (triumviri mensarii), nominati su proposta tribunizia. La scelta del Senato ven­ ne seguita dall'adesione all'operazione da parte dell'ordine equestre e della plebet1• Livio parla di offerta spontanea e di grande emula­ zione. Tutti versavano oro, argento e bronzo nell'erario, a seconda delle loro possibilità, volendo che i loro nomi venissero riportati per primi o tra i primi nei nuovi registri di debiti, le publicae tabulae, in quanto creditori. Dal racconto liviano sembra che tale contribu­ to pecuniario sia stato volontario e non abbia avuto la forma di un regolare prestito. In realtà fu solo nel 2 0 4 a.C. che Marco Valerio Levino avanzò in Senato la proposta di restituire i prestiti ottenuti da privati durante il suo consolato del 2 1 0 a.C. La richiesta venne accolta e venne emanato un provvedimento di restituzione in tre rate biennali. La prima rata sarebbe stata restituita subito in quell'anno dai consoli in carica, mentre le altre due dai consoli del 2 0 2 e poi del 2 0 0 a.C. Effettivamente, allo scadere della terza rata, si presentò in Senato un gran numero di cittadini per riscuotere, ma le risorse dell'erario dovevano essere impiegate nella guerra macedonica. Dal momento che la res publica non era in grado di assolvere il proprio debito (aes alienum ) , si optò, allora, per una soluzione che fosse al tempo stesso giusta e utile. Basandosi sul fatto che molti creditori avevano manifestato la necessità di acquisire alcuni terreni in vendita, lo Stato deliberò di concedere loro dei terreni dell'agro pubblico che si trovassero nel raggio di s o miglia da Roma. I consoli avrebbero fatto una stima dei terreni, in maniera tale che il creditore che avesse preferito denaro contante al posto della terra avesse la possibilità di restituire agro pubblico allo Stato in cambio della cifra pattuita. Il prezzo di acquisto dei lotti di agro pubblico venne fissato nella terza parte, arretrata, del capitale dato in prestito, da qui il nome di quei IO. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 2.6, 35-36; cfr. 2.4, 11, 7· I I. Festo, Sul significato delleparole, s.v. Tributorum conlationem P 500 L.

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terreni fu trientabula12• Questi fondi, prima di essere distribuiti fra i creditori, erano stati già occupati, anche da più generazioni, pertanto non solo coltivati ma anche sfruttati a pascolo o a bosco, e comunque sia redditizi, giacché il debito che la res publica assolveva con la loro cessione era considerevole3• È inoltre da escludere che si trattasse di appezzamenti affittati a un canone elevato, alle cui rilevanti entrate era inopportuno che lo Stato rinunciasse. Le considerevoli dimensio­ ni delle parcelle coloniarie ( I O iugeri) di terreno di primissima qualità fanno pensare che si trattasse di terreno occupato, probabilmente per la sua vicinanza a Roma (7o-8o miglia) almeno da più di una genera­ zione. In ogni caso, un pagamento, per coloro che non accettarono il provvedimento del 200 a.C., si verificò con molta probabilità nel 1 9 6 a.C. Livio parla, infatti, della necessità di trovare denaro, in con­ seguenza della decisione di restituire a privati l 'ultima rata del denaro prestato durante la guerra14• Forse da relazionare al pagamento di quest'ultima rata è la men­ zione in Festo15 di una riforma monetaria, durante gli scontri con An­ nibale, che vedeva la trasformazione degli assi librali in assi sestantari, ovvero l' immissione di una moneta che non pesava più dodici once ma solo due once, allo scopo di liberare il popolo dal peso dei debiti e per non danneggiare troppo i privati che avevano crediti verso lo Stato con un deprezzamento eccessivo del denaro.

5 ·3 Usura, usurai e la società del

II

secolo a.C.

Abbiamo visto (cfr., supra, PAR. 2.6 ) come il problema dell'usura fos­ se stato oggetto di un' intensa attività legislativa nel corso del IV se­ colo a.C., attività che però non si era mostrata risolutiva, tanto che processi a usurai sono citati nelle fonti anche nei primi decenni del III secolo a.C. Purtroppo lo stato lacunoso della documentazione a nostra disposizione per il III secolo a.C. non ci permette di delineare 1 2. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 29, 16; 31, 13; cfr. 2, 21, 6. 13. Tibiletti, 1948, pp. 1 77-8. 14. Storia di Roma dallafondazione, 33, 42, 2. 15. Sul significato delle parole, s.v. Sextantari asses P 468, 470 L; Pauli Exc. ex lib. Pomp. Festi s.v. Grave aes P 87 L.

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5· L ' INDEBITAMENTO FRA III E II SECOLO A.C.

la frequenza con cui il prestito a interesse (jèneratio) continuasse a es­ sere praticato. Sappiamo, comunque, che nel corso del n secolo a.C. l'usura era ancora esercitata, anche attraverso il coinvolgimento dei Latini e socii ftalici come prestanome di usurai senza scrupoli, moda­ lità a cui si cercò di porre un freno mediante lo strumento normativa, come ho evidenziato ( cfr., infra, PAR. 5. 1 ) . Peculiare testimonianza di come anche fra uomini politici di spicco ed esponenti dell' aristocra­ zia senatoria si potesse avere un atteggiamento contradditorio verso l'usura è la vita di Catone il Censore. Nella sua opera L 'agricoltura esprime un parere nettamente critico sull'usura, considerandola mo­ ralmente disdicevole : Si dà a volte il caso che farsi un patrimonio con il commercio sarebbe vantag­ gioso [praestare mercaturis rem quaerere] , se non fosse tanto pieno di rischi, e così dare denaro a usura [fènerari] , se fosse altrettanto decoroso. I nostri antenati [maiores] così ritennero e fissarono in questo modo nelle leggi: « si condanni il ladro a rifondere il doppio del valore rubato, l'usuraio a quattro volte di più ». Quanto peggior cittadino abbiano valutato l'usuraio che non il ladro si può valutare da qui16•

Catone avrebbe addirittura paragonato il prestito a interesse all' omi­ cidio, se vogliamo dare credito a un celebre aneddoto sul Censore rac­ contato da Cicerone17• E, in linea con un giudizio di radicale condanna dellaJèneratio, sappiamo da Livio che, nel 19 8 a.C., durante l' incarico di pretore in Sardegna, Catone represse così duramente questa pratica da costringere gli usurai a fuggire dall' isola18• Non conosciamo in det­ taglio la posizione di Catone riguardo alla lex Iunia deJèneratione, da­ tabile forse al 191-190 a.C.19 Sappiamo che contro questa disposizione legislativa, inerente una specie di regolamento sul prestito a interesse, il Censore aveva scritto un'orazione, Dissuasio legis Iuniae deJèneratione, di cui, però, sono pervenuti solo due frammenti che poco ci aiutano a ricostruirne i contenuti10• 1 6. Catone, L'agricoltura, praef. 1 (a cura di L. Canali, E. Lelli, Milano 2000 ). 17. Sui doveri, 2, 25, 89. 18. Storia dallafondazione di Roma, 32, 27, 3-4. 19. lvi, 35, 41, 9; 36, 2, 6; 37, 2, 1. 20. Frr. 5.40-41 in Sblendorio Cugusi, 19 82, p. 74, cfr. anche 124, 188-93, 492; cfr. Festa, Sul significato delleparole, s.v. Prorsus P 268 L; Nonio Marcello, de compendiosa doctrina, s.v. Pedato P 89 L.

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA È Plutarco, invece, che raccoglie una tradizione ostile al Censore, a raccontarci, nella biografia sul personaggio, che Catone, nella vec­ chiaia avrebbe aumentato il suo capitale mediante usura e commercio : In seguito [Catone] iniziò ad attaccarsi troppo ai soldi; allora l'agricoltura divenne più un passatempo che una fonte di sostentamento [ . . . ] . Si dette an­ che alla forma più screditata di usura, il prestito marittimo [to diabeblémeno ... ton daneismon epi nautikois] , che funzionava così: a chi gli chiedeva de­ naro imponeva di formare una compagnia con molti altri e, quando questi avevano raggiunto il numero di cinquanta, con altrettante navi, egli, tramite un suo liberto, Quinzione, che prendeva parte ad ogni affare e navigava con loro, otteneva una quota del capitale. Così rischiava su una piccola parte della somma, non su tutto, e con enormi guadagni. Prestava denaro anche ai suoi schiavi, se lo volevano, ed essi, con i soldi di Catone, compravano dei bambi­ ni, che educavano e istruivano e, di lì a un anno, rivendevano. Catone stesso ne tratteneva molti, mettendo in conto la cifra più alta offerta per la vendita. Avvicinò anche suo figlio a queste pratiche, dicendo che la diminuzione del patrimonio spetta a una vedova, non a un uomo. Ma Catone esagerò quando osò dire che, se uno lascia nel suo libro dei conti più beni acquisiti da lui stesso che beni ereditati, è un uomo meraviglioso e degno di gloria immortale11•

Con l'andar degli anni, dunque, Catone non si sarebbe più accon­ tentato dei proventi derivanti dalla pratica dell'agricoltura, una volta fonte principale del suo guadagno, ma avrebbe cambiato la gestione dei suoi affari. Per far fruttare il suo denaro, animato dal desiderio più che legittimo di lasciare un patrimonio superiore a quello che aveva ereditato, fece degli investimenti di sicuro guadagno, praticando va­ rie tipologie di prestito a interesse tra cui soprattutto quello ineren­ te il commercio marittimo (jènus nauticum ) . Quest 'ultimo inizia a diffondersi maggiormente proprio alla fine del III secolo a.C. Quale forma di investimento imprenditoriale il prestito a interesse sui tra­ sporti marittimi era contratto per lo più da mercanti, in genere dietro ipoteca, in vista di un viaggio commerciale, e dove il rischio spesso era distribuito fra un ampio numero di associatP·2.. Nel passo plutar21. Plutarco, Vita di Catone, 21, s-8 (Plutarco, Vite Parallele. Aristide e Catone, a cura di B. Scardigli, Milano 2011: Catone, traduzione di L. Ghilli, pp. 436-9 ; per commento al testo cfr. ivi, nn. 256-264 di Ch. Gabrielli). 22. Cfr. De Ste. Croix, 1974; Rougé, 1966, pp. 351-60, 426-8, 46o-s; Tchernia, 2003.

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5· L ' INDEBITAMENTO FRA III E II SECOLO A.C.

cheo cinquanta furono le persone a cui Catone prestò il denaro, sol­ lecitate poi ad unirsi in una società, o compagnia (koinonia/societas ), e ad armare altrettante navi. Il Censore assunse a proprio rischio una sola caratura (pars) dell' impresa. Minimo fu, quindi, per lui il rischio, che consisteva solamente nella sua quota ; mentre gli altri soci a lui debitori avrebbero dovuto restituirgli il prestito servito per pagare le restanti quote. Il guadagno finale, ricavato sia dal denaro collocato a prestito sia dalla caratura, poteva essere considerevole. Per tutelare la sua compartecipazione al prestito marittimo, Catone ricorse a un ex schiavo, Quinzione, come prestanome, mandato sulla nave a control­ lare lo svolgimento delle operazioni e dei traffici che svolgevano gli altri soci. Questi ultimi probabilmente non erano di rango senatorio come Catone ; il suo liberto invece poteva navigare e trafficare insieme a loro. In questo modo il Censore avrebbe aggirato l'ostacolo legale e morale del coinvolgimento in prima persona imposto dal plebiscitum Claudium del 219-218 a.C. Questo importante provvedimento, infat­ ti, vietava ai membri del Senato e ai loro figli di investire il proprio denaro nella mercatura marittima : un senatore poteva privatamente disporre di una nave, la cui capacità massima non superasse le trecento anfore3• Il limite al carico delle navi, calcolato intorno alle 8 tonnella­ te, indicava una misura chiaramente irrisoria. Ai senatori non restava altro che il possesso di imbarcazioni di piccolo cabotaggio per la na­ vigazione costiera, che avrebbe permesso loro soltanto la commercia­ lizzazione dei prodotti dei propri possedimenti terrieri. Per evitare i rischi di improvvisi crolli delle capacità economiche delle gentes sena­ torie, cioè la stabilità dei patrimoni della classe al potere, si vietava loro di investire i patrimoni in attività molto rischiose come la mercatura marittima. Il commercio su vasta scala comportava un coinvolgimento in prima persona, una presenza attiva dell'armatore, che il plebiscito voleva evitare non solo per ragioni di pericolosità ma anche per l'al­ lontanamento da obblighi cui solo la nobilitas poteva assolvere, cioè il governo della res publical4• Ma per Catone, cui interessava - come egli stesso dichiara nell'orazione de sumptu suo del 1 64 a.C. - che la ric23. Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 21, 63, 3-4; cfr. Cicerone, Verrine, 2, s. 18, 45; cfr. Rotondi, 1912, pp. 249-50. 24. Cfr. Gabba, 1980, ed. 19 88, p. 90; Clemente, 19 83, p. 254; Clemente, 1984, pp. 171-3.

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chezza venisse impiegata non in spese inutili, ma nell'accumulo di ri­ sparmi e nell' investimento di capitali in attività redditizie, il plebiscito Claudio non rappresentò un ostacolo per praticare iljènus nauticum1s. Sappiamo che una serie di disposizioni particolari ne regolava il fun­ zionamento. A chi prestava denaro per investimenti nella mercatura marittima veniva riconosciuto il diritto di esigere un interesse molto più elevato, stante l'assunzione dei rischi della navigazione da parte del creditore (pretium periculi). È soprattutto il Digesto a registrare le caratteristiche principali di questo particolare prestito che si sottraeva al limite legale degli interessF6• Il jènus nauticum richiedeva tassi di interesse che potevano raggiungere il 33%, molto più alti dei prestiti ordinari che di solito si aggiravano intorno al I 2%17• In questi termini è chiaro come la mercatura marittima fosse altamente redditizia. Un commerciante prendeva in prestito del denaro a interesse elevato per compiere un viaggio d'affari, ipotecando la nave, le merci o altri beni. Fondamentale per configurare il prestito marittimo, altrimenti noto anche come pecunia traiecticia, cioè 'denaro che viaggia', era che il de­ naro fosse o trasportato oltremare e là usato per l'acquisto di merci oppure utilizzato per l'acquisto di merci da trasportare per mare. Al termine del viaggio, il denaro veniva restituito, spesso direttamente nella città di destinazione, in una banca collegata, con gli interessi; questi ultimi, dato che l' impresa era ad alto rischio, risultavano molto elevati. Se la nave fosse affondata, qualunque obbligazione veniva a cadere, e il creditore non poteva rivalersi in alcun modo e richiedere un risarcimento; pertanto il rischio del trasporto ricadeva interamente sul creditore, che aveva diritto a elevati interessi appositamente pattu­ iti. Questi ultimi risultavano illimitati finché la barca fosse in mare ; una volta rientrata in porto, invece, ridimensionato il pericolo, gli in­ teressi ritornavano a essere legali18• Nuove testimonianze papiracee, provenienti dall' Egitto e databili alla seconda metà del n secolo d.C., mostrano un importante nesso 25. Oratorum Romanorum Fragmenta Liberae Rei Publicae, ed. E. Malcovati, I-II voli., Torino I976\ Cato frr. I73-I75; Aulo Gellio, Notti attiche, 1 3, 24, I; Plutarco, Vita di Catone, 4, 4-6. 26. Digesto, 22, 2, I; 22, 2, 3-4; 22, 2, 6; 44, 7, 23; 45, I, I22, I; cfr. Paolo, Sentenze, 2, I4, 3; Codice Giustinianeo, 4, 33, I-s. 27. Cfr. Rougé, I 975· p . I95; I 9 8I, pp. I6I-2; I 8s-6; Astin, I978, p. 320. 28. Carlà, Marcone, 2011, pp. 116-8.

5· L ' INDEBITAMENTO FRA III E II SECOLO A.C.

strutturale fra commercio, appaltatori d' imposte e trasferimenti pub­ blici e privati di lunga distanza ( in India ) di ricchezza monetaria2.9• Così abbiamo notizia di un creditore, un imprenditore economica­ mente agiato, che stipula un contratto di prestito marittimo (nautikon daneion ) , per finanziare alcune sue attività commerciali verso Muzuris in India con un mercante. Il finanziatore del viaggio non manda, come fa Catone, uno schiavo o liberto per viaggiare con il carico di merci. Utilizza, invece, una fitta rete di agenti dislocati in varie strategiche località dell' Egitto, come Alessandria, e addetti al controllo sulla rego­ larità del trasferimento del carico lungo il tragitto. Approfondimenti bibliografici FONTI FRA III E II SECOLO A.C.: Rotondi, I912; Marotta, 1996; Capogrossi Colognesi, 2ooo; Giuffrè, 1997; 2003. LEX SEMPRONIA: Weiss, 1936; Di Lella, 1984. ORGANIZZAZIONE DELLA FLOTTA ROMANA DURANTE LE GUERRE PU­ NICHE: Frank, 1928; Thiel, 1946; Rankov, 1996; Whittaker, 1996; Steinby, 2007; Naco Del Hoyo, 2011. VALORE MONETARIO DEL METALLO D URANTE LE GUERRE PUNICHE: Crawford, 1985; Pankiewicz, 1989. TRIUMVIRI MENSARII: Nicolet, 1963; Maselli, 19 80-81. TRIENTABULA: Tibiletti, 1948; Weber, 1967; Saccoccio, 2004. USURA E FENERATORES: Appleton, 1919; Nicolau, 1933; De Martino, 1975; Zehnacker, 1980; Savunen, 1993; Rivière, 1997; Russo Ruggeri, 2001 ; Gabriel­ li, 2003; Solidoro, 2008. CATONE: Astin, 1978; Sblendorio Cugusi, 1982; Sansone, 1989; Suerbaum, 2004; Scardigli, 2on. FENUS NAUTICUM: De Ste. Croix, 1974; Rougé, 1966; 1975; 1981; Rathbone, 200 3 ; Carlà, Marcone, 2on. PLEBISCITUM CLAUDIUM: Gabba, 1980; 1981; 1986; Clemente, 1983 ; 1984; Tchernia, 2003.

2 9 . SB,

XVIII, 13167; cfr. Rathbone, 2003.

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Contraffazione e circolazione monetaria in età tardorep ubblicana

6.1 Debito, moneta e finanza : le fonti

La natura della documentazione a nostra disposizione per l'ultimo secolo della repubblica è tanto ricca quanto eterogenea. Possiamo attingere a dati numismatici, quantitativamente ampi e significativi, a fonti giuridiche, ma soprattutto a fonti letterarie. Sono per lo più le orazioni di Cicerone, quale testimone e protagonista dei fatti che descrive, a darci informazioni e valutazioni interessanti sui cambia­ menti in corso. Il problema dei debiti ricorre con insistenza nella do­ cumentazione e appare fortemente connesso a una grave, protratta, crisi finanziaria, funzionale alle variazioni delle politiche monetarie. Il controllo delle emissioni monetarie (res nummaria) e la gestione dell' indebitamento cittadino (aes alienum) risultano ambiti privile­ giati di una serie di disposizioni legislative, che si susseguirono nel corso del secondo decennio del I secolo a.C.1 Per chiarezza esposi­ tiva si è preferito scindere la trattazione di questi due aspetti, pur strettamente interconnessi, in altrettanti capitoli ( il presente, dove viene dato ampio spazio al debito, e il CAP. 7, dedicato alla politica monetaria) . Le fonti giuridiche mettono in luce anche un'altra problematica le­ gata alla gestione delle province : il controllo, attraverso la normativa, di una nuova forma di indebitamento che vedeva coinvolti cittadini romani e provinciali. Come riflesso di una società che si faceva sempre più articolata, 1.

Cfr. Lo Cascio, 1 9 79 ; Pedroni, 2006, pp. 11 ss.

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anche la stessa qualità dei debiti e la morfologia degli indebitati, nel corso del I secolo a.C., appare cambiata. A partire dalla dittatura di Silla è attestato con regolarità l' indebitamente dell'aristocrazia se­ natoria. Fra i motivi, maggiormente significativi, che spinsero l' éli­ te senatoria a contrarre prestiti si possono annoverare i seguenti : la generosità imposta dal livello sociale (organizzazione dei ludi, ban­ chetti, distribuzioni di viveri e denaro, evergetismo ) , le esigenze della vita politica (manovre elettorali e corruzione ) , la violenza organiz­ zata (bande armate ) e le spese private, sovente influenzate dalla ne­ cessità di ostentare un'agiatezza, ovviamente fittizia. Ma un tragico episodio della storia romana della tarda repubblica, come la congiura di Catilina, cui dedicheremo ampio spazio nel capitolo seguente, ri­ vela, oltre ai membri della nobilitas, un panorama ben più ampio di indebitati. Anche la crisi del credito e la liquidità monetaria, che si registrano in questo periodo, determinarono il delinearsi di nuove esigenze eco­ nomiche nella società romana. Una certa diversificazione nelle man­ sioni, fra gli operatori finanziari, pare essere legata proprio all' instau­ rarsi di nuovi equilibri e dinamiche nell'economia romana. 6.2 Contraffazioni monetarie

Tra la fine del n secolo a.C. e i primi decenni del I secolo a.C. scon­ tri militari su più fronti comportarono un minore afflusso a Roma di argento, con delle pesanti ricadute sulla politica monetaria e le finan­ ze dell' Urbe. La penisola iberica, sede principale per l'estrazione e il rifornimento di argento per Roma in quel periodo, era stata invasa dai Cimbri nel 10 5-104 a.C. e poi investita da una ribellione di ampie proporzioni sollevata dai Celtiberi contro il dominio romano. Ad ag­ gravare la situazione si aggiunse lo scoppio della guerra sociale (91-89 a.C. ) ; cui poi seguì la prima campagna militare contro il sovrano del Ponto, Mitridate VI, in Oriente (88-85 a.C. ) . Su quest'epoca militarmente convulsa è la normativa a venirci in­ contro per la ricostruzione dell'andamento economico-finanziario. 2.

Cfr. Evans, 2 0 0 5 .

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6. CONTRAFFAZIONE E CIRCOLAZIONE MONETARIA

Secondo Plinio il Vecchio\ sarebbero state attuate in campo moneta­ rio alcune misure legislative sotto il tribunato di Gneo Papirio Car­ bone, la cui datazione, oscillante fra 9 3-92, 9I e 89 a.C., desta ancora degli interrogativi fra gli studiosi4• La prima misura, la lex Papiria de assis pondere, avrebbe stabilito una riduzione semunciale dell' as­ se e la ripresa della coniazione della più piccola moneta argentea, il sesterzio. Queste disposizioni avrebbero permesso alla res publica di aumentare considerevolmente la produzione di moneta bronzea con la stessa quantità di rame. Grazie all' immissione massiccia sul mer­ cato di moneta di piccolo taglio, quanti avevano interesse a vedere facilitate le proprie transazioni commerciali, come i mercatores, furo­ no i primi a essere avvantaggiati dall'applicazione di questa politica monetaria. Nel 9 1 a.C. il tribuno Marco Livio Druso, per superare le difficoltà economiche che pesavano sulle casse dell'erario, fece votare una leg­ ge (lex Livia nummaria) che consentiva la coniazione da parte della stessa zecca di monete d'argento suberate (anima in metallo di basso valore, cioè in rame/bronzo e lamina esterna in argento) nel rapporto di 1 a 7 5• La res publica aveva, dunque, messo in circolazione una certa percentuale di denarii coniati alla perfezione, una sorta di falsi legaliz­ zati. A breve distanza dalla sua emanazione, questa misura monetaria venne abrogata6• Possiamo presumere che se da una parte la riduzione del fino poteva essere utile per sostenere la spesa pubblica, era però vero che andava a minare le basi stesse del mercato finanziario, e per questo era criticata da chi deteneva la propria ricchezza in forma di capitale mobile. Nonostante l'abrogazione della legge, sappiamo da Plinio il Vecchio che continuarono le contraffazioni monetarie (adul­ terinus denarius/nummus ) 7. Con molta probabilità operai della zecca (opifices monetae) senza scrupoli, addetti alla coniazione, continuaro­ no a fabbricare denarii, diminuendone fraudolentemente il saggio e appropriandosi indebitamente del metallo nobile non utilizzato. Ben 3· Storia naturale, 33, I 3, 46. 4· Lo Cascio, I979· pp. li 8 ss. ; Crawford, I968; Pedroni, loo6, pp. 53-7. S· Plinio il Vecchio, Storia naturale, 3 3, I 3, 46. 6. Cicerone, Sulle leggi, l, 6, I4; l, I l, 3I; Per la sua casa, I6, 4I ; Ascanio, in Cor­ nelianam, I, in A. C. Clark (ed.), Q Asconii Pediani Orationum Ciceronis Quinque enarratio, Oxford I9S63, pp. 6 8-9. Diodoro, Biblioteca storica, 37, IO. 7· Storia naturale, 33, 46, I3l; cfr. Cicerone, Sui doveri, 3, l3, 91.

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presto però agli abusi degli opifices si aggiunsero anche le falsificazioni private. Che regnasse ai tempi di Cinna (87-84 a.C. ) una certa confu­ sione in campo monetario tra adulterazioni e falsificazioni è ben noto a Cicerone : In quei tempi il valore del denaro oscillava al punto che nessuno poteva essere certo di quel che possedeva8•

Nell' 8 5 a.C. il pretore Mario Gratidiano, personaggio di spicco di parte mariana, propose un servizio di controllo e saggio delle mo­ nete al fine di frenare il preoccupante dilagare del falso nummario, distinguendo, dunque, la moneta " buona" da quella di bassa lega o suberata. A tal fine il magistrato emanò un editto che accordava un'azione penale privata contro chi avesse dolosamente dato in pa­ gamento denarii falsi9• Il provvedimento con molta probabilità era diretto, dunque, non tanto a perseguire un crimine, cioè il reato di falsa moneta, quanto piuttosto a sollevare le vittime di un illecito privato dalle conseguenze di questo10• Comunque sia, le disposizioni legislative di Gratidiano incontrarono così tanto il favore popolare che a lui vennero decretati grandi onori e in ogni quartiere gli venne­ ro erette delle statue. Sarà il dittatore Lucio Cornelio Silla, nell' 8 I a.C., a configura­ re la contraffazione monetaria come crimine pubblico attraverso la lex Cornelia de falsis. La contraffazione, perseguibile dunque dallo Stato, era sanzionabile con pena corporale o pecuniaria. Il provve­ dimento legislativo, altrimenti noto nelle fonti come lex Cornelia testamentaria nummaria, colpiva le falsificazioni non solo moneta­ rie ma anche testamentarie11• Fra le ipotesi di falso nummario la leg­ ge contemplava l'adulterazione di barre d'oro destinate a funzione commerciale, la fabbricazione di monete false d'argento e lo spaccio doloso di monete di stagno o di piombo in luogo di monete genu­ ine in argentoll. S. Cicerone, Sui doveri, 3, 2.0, So. 9· Plinio il Vecchio, Storia naturale, 33, 46, I 32.; Cicerone, Sui doveri, 3, 2.0, So. IO. Cfr. Santalucia, I9 S2., p. 53· II. Cicerone, Verrine, 2., I, 42., IoS; Digesto, 4S, IO, I; 4S, IO, S; 4S, IO, 9, pr. -2.; Paolo, Sentenze, I, I2., I; 4, 7, I; s. 2.5, 1 . I2.. Cfr. Santalucia, 19S2., pp. 55 ss., p . 74; cfr. Lo Cascio, 1979, pp. 2.35-S.

6. CONTRAFFAZIONE E CIRCOLAZIONE MONETARIA

6.3 Professionalità vecchie e nuove :

argentarii, coactores, nummularii Parallelamente all' intensificarsi della politica monetaria si registrano sostanziali cambiamenti nella stessa categoria degli operatori finanzia­ ri. Assistiamo a una diversificazione delle mansioni, in risposta a nuove esigenze economiche. Nei primi decenni del I secolo a.C. cambiavalute e operatori finanziari (argentarii) svolgevano a Roma un lavoro ormai non solo pienamente riconosciuto, ma anche socialmente accettato e svolto sotto gli occhi di tutti. Ce ne offre testimonianza, tra gli altri, l'anonimo autore del trattato composto in quegli anni, La retorica ad

Erennio: [il diritto per consuetudine] è tale quello che senza legge è ugualmente in uso, come se fosse sancito da una legge; così, ad esempio, poter esigere la restitu­ zione di una somma di denaro depositata presso un banchiere [ argentarius] richiedendola ad un socio13•

Nel corso dei secoli, dalla comparsa dei primi cambiavalute nel Foro intorno alla seconda metà del IV secolo a.C. fino alla tarda repubblica, l'estrazione sociale e le stesse mansioni degli argentarii vennero, però, modificandosi14• Se fino alla metà del II secolo a.C. erano stati uomini nati liberi (ingenui) a scegliere questo mestiere, nel corso del I a.C. sa­ ranno più spesso liberti a compiere quel lavoro. Inoltre, a partire dalla seconda metà del II secolo a.C., in relazione alla maggiore domanda di denaro liquido da parte di un numero sempre crescente di cittadini, i banchieri iniziarono a partecipare alle vendite all'asta (auctiones ) , della cui organizzazione erano spesso responsabili, e ad anticipare somme di denaro ai clienti. Spesso fornivano agli acquirenti la necessaria coper­ tura finanziaria e tenevano regolare scrittura di ogni tipo di contrat­ to concluso in appositi registri, le tabulae auctionariae, in cui erano riportati la data, una descrizione degli oggetti, i prezzi con i nomi di venditori e acquirenti. 13. La retorica ad Erennio, 2, 13, 19 ( Cornificio. La retorica ad Erennio, trad. i t. G. Calboli, Bologna 19 6 9, p. 27). 14. Cfr. Carlà, Marcone, 2011, pp. 99-1 39, 206-1 1.

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Intorno al II secolo a.C. compare un'altra figura, legata al mondo finanziario, che permarrà fino al III secolo d.C.: l'esattore (coactor). A questi spettava il compito di riscuotere i crediti per conto di un'ampia e variegata gamma di clienti, trattenendo una percentuale come com­ penso, una sorta di commissione fissa a carico del debitore pari all' 1% (merces centesima)15• È Catone ad attestare per la prima volta l'uso del termine coactor; il passo16, di controversa lettura, testimonia tuttavia l'abitudine di avvalersi, già nella prima metà del II secolo a.C., dei servizi di esattori di professione in caso di compravendite di prodotti agricoli. Erano per lo più liberti a esercitare questa professione ; inter­ venivano anche nelle vendite all'asta, però non fornivano prestiti, ma riscuotevano i crediti spettanti al venditore o al banchiere dal compra­ tore. Agli inizi del I secolo a. C. si va determinando una vera e propria spe­ cializzazione nel settore con la comparsa dei banchieri-esattori (coacto­ res argentarii). Questi ricoprivano spesso una duplice funzione : erano incaricati di fornire credito alle vendite all' incanto, ma si occupavano anche della riscossione del dovuto, dietro pagamento in percentuale di una commissione17• Nel caso della cessione del credito svolgevano, in pratica, una funzione di intermediari tra il venditore e l'acquirente : versavano al venditore la somma corrispondente all'ammontare della vendita, in attesa che l'acquirente li rimborsasse. In termini moderni questo movimento di denaro per il banchiere si potrebbe definire una sorta di "partita di giro". L'orazione ciceroniana In difèsa di Aulo Ceci­ na18 offre uno spaccato interessante sulla natura delle controversie che potevano sorgere per la rivendicazione del possesso di beni immobili, acquistati tramite vendite all'asta e registrati in appositi albi contabili (tabulae), nonché sul ruolo dei banchieri in tali vendite : L' incarico [di comprare l'appezzamento] viene dato ad Ebuzio, che si presen­ ta all'asta e fa la sua offerta; molti possibili compratori sono dissuasi, in parte per rispetto verso Cesennia, in parte anche per il prezzo. L'appezzamento è aggiudicato ad Ebuzio, che si impegna per la somma necessaria con il han15. Cicerone, In difesa di Rabirio Postumo, 3 0 - 3 1 . 16. L'agricoltura, 1 5 0, 2. 17. Seneca il Vecchio, Controversie, I, praef 19; Quintiliano, Istituzione oratoria,

I I, 2, 24. I8. Cicerone, In difesa di Aulo Cecina, 6, I6-I7; cfr. IO, 27.

6. CONTRAFFAZIONE E CIRCOLAZIONE MONETARIA chiere; proprio della testimonianza di quest 'ultimo si serve ora il nostro ga­ lantuomo per dire di averlo comprato per se stesso. [ . .. ] Fatta questa compera il denaro viene versato da Cesennia; ma secondo il qui presente Ebuzio di tale atto non si potrebbe dar prova, giacché proprio lui ha fatto sparire i registri della donna, mentre ancora lui ha dalla sua parte i registri del banchiere da cui risulta una uscita a suo favore di una certa somma e il corrispondente rimbor­ so sempre da parte sua19•

La vicenda cui fa riferimento il passo è abbastanza intricata. Vengono descritte due operazioni bancarie : prestito e successivo rimborso. Il ban­ chiere, un certo Sestio Clodio Formione, ha prestato, durante la vendita all'asta di un appezzamento, la somma occorrente per l'acquisto all' ag­ giudicatario del lotto, Ebuzio. L'operazione deve essere avvenuta tra­ mite il più importante e diffuso tipo di negozio obbligatorio fra privati, ben noto nelle fonti2.0, ovvero un contratto di sponsio ( cfr., supra, PAR. 5 . 1 ) . Si allude alla registrazione in uscita da parte dello stesso banchiere di tale somma nei suoi registri, maggiorata forse di un'eventuale com­ missione�. Infine, si procede alla trascrizione del rimborso del preceden­ te prestito, presumibilmente con l'aggiunta di interessi o di un aggio, estinto da Ebuzio grazie alla cifra a lui versata in contanti da Cesennia. È spesso usato lo stesso termine latino (tabulae ), per indicare i registri con­ tabili sia di privati ( Cesennia) sia di banchieri che svolgevano un'attività pubblica ( Formione ) , anche se avevano una diversa autorità probatoria. Sembra che la professione dell'esattore non fosse ben vista dalla popolazione e fosse oggetto di sarcasmo e ironia da parte degli at­ tori del teatro popolare. Hercules coactor, cioè 'Ercole esattore ', è il significativo titolo di una farsa composta in epoca sillana da Novio, autore difabulae atellanae. Purtroppo dell'opera conosciamo solo il titolon, tuttavia è probabile che Novio abbia voluto assimilare la fi­ gura di Ercole, dio dei mercanti e degli artigiani, a quella dell'esatto­ re di professione, che si presentava puntuale alle scadenze fissate per ogni pagamento. Del resto da un'epigrafe metrica2.3 degli inizi del I 19. Cicerone, In difesa di Aulo Cecina, 6, 16-17 (traduzione in Maselli, 2006, pp. 8s-6, cfr. pp. 28-31, 102-4, 168-9 ) . 20. Gaio, Istituzioni, 3, 92-93. 21. Cfr. Cicerone, Verrine, 2, 2, 169-170. 22. Festa, Sul significato delle parole, s.v. Vecors P 512 L. 23. CIL , I ( 1/I ) 632 ( CIL, IX 4672 ) ILS 3410. =

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secolo a.C., rinvenuta a Rieti, apprendiamo che Ercole era la divinità cui gli esattori erano soliti offrire le decime dei loro guadagni. Un esempio illustre di coactor argentarius è Tito Flavio Petrone, nonno dell' imperatore Vespasiano, e vissuto intorno alla metà del I secolo a.C. Come ci tramanda Svetonio, Tito Flavio, ex centurione, origina­ rio di Rieti, nella sua città, dopo il congedo militare, si mise a eserci­ tare il mestiere di esattore-banchiere, recuperando i crediti concessi durante le vendite all'asta. E una certa ereditarietà nella trasmissione del mestiere si registra in quella famiglia, dato che il padre di Ve­ spasiano, Tito Flavio Sabino, dopo essere stato esattore dell' imposta sul grano nella provincia d'Asia, si mise a fare il banchiere presso il popolo degli ElvezP4• Apparvero ben presto altre figure con particolari compiti finanzia­ ri, come gli esattori addetti alla riscossione dei debiti, in pratica esper­ ti contabili per il recupero crediti che, nominati dagli stessi creditori, avevano il potere di agire in giudizio contro il debitore per ottenere l'adempimento del credito (procuratio in rem suam ) . Un'ulteriore specializzazione nel lavoro dei banchieri pare essersi affermata tra la fine del n e la metà del I secolo a.C. con la comparsa dei nummularii ( in greco argyramoiboi), incaricati solo del cambio e del controllo delle monete, che effettuavano con mezzi empirici, ma talvolta svolgevano anche attività di deposito. I nummularii operava­ no prevalentemente nei porti o vicino ai santuari, dove con più facilità era assicurato l'arrivo e la presenza di stranieri, che avevano necessità di cambiare la propria moneta. Una stele sepolcrale del nummularius P. Tizio Ilaro, rinvenuta nei pressi dell'Anfiteatro romano della città portuale di Rimini (Ariminum) e datata tra il I secolo a.C. e il I d.C., presenta nella parte alta dello specchio epigrafico la raffigurazione di un oggetto variamente interpretato dagli studiosi, ma comunque col­ legato al mestiere del defunto. Potrebbe trattarsi di un abaco o più semplicemente di una mensa di cambiavalute, dove erano disposte in pile regolari le monete divisionali per velocizzare le operazioni di cambio2.5• Anche gli strumenti finanziari andarono affinandosi col tempo e, almeno nel corso del I secolo a.C., è attestato l'uso della lettera di 24. 25 .

Svetonio, Vìta di Vespasiano, I, 2- 3 . "NotSc", 1 9 3 1 , pp. 24-5 (S. Aurigemma) . IOO

6. CONTRAFFAZIONE E CIRCOLAZIONE MONETARIA FIGURA 12 Scena di pesatura e contabilizzazione con bilancia di grosse dimensioni (Capua, Museo Campano)

credito, paragonabile in un certo senso al moderno assegno. Tramite questo espediente finanziario una persona ordinava a un'altra di ver­ sare un certo importo a una terza. Lo sappiamo da Cicerone che, in una lettera ad Attico, ordinò che venisse provvisto di fondi suo figlio Marco che si sarebbe recato ad Atene nel 45 a.C. Così facendo, il figlio non avrebbe dovuto portare con sé durante il viaggio una cifra cospicua di denaro16• Sappiamo poi che fu un Ateniese, un certo Se­ none, ad assumersi l'onere di sovvenzionare finanziariamente il figlio 26. Cicerone, Lettere ad Attico, 12, 24, 1. IOI

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di Cicerone, per saldare a sua volta un debito contratto con l'oratore e con Attico2.7• 6. 4 Zecche militari e circolazione monetaria

Sta all'origine di un nuovo fenomeno nelle emissioni monetarie la fre­ netica attività militare che caratterizza quasi tutto il 1 secolo a.C. e, come abbiamo visto, vede Roma non solo impegnata su fronti lontani dal suolo italico, ma anche segnata da interne e logoranti lotte ( prima la guerra civile fra Mario e Silla; poi quella fra Pompeo e Cesare ) . Ac­ canto alla zecca urbana di Roma, dove la monetazione era prodotta in nome del popolo romano dai triumviri monetari sotto la direzione e il controllo del Senato, va affiancandosi una nuova tipologia di zec­ ca : quella militare. Si tratta cioè di zecche costituite presso le legio­ ni e quindi sostanzialmente itineranti e legate agli spostamenti degli eserciti, create allo scopo di fornire la paga per le truppe e il contante per gli approvvigionamenti. I comandanti delle legioni (imperatores) , attraverso i loro subalterni, emettevano la cosiddetta monetazione "imperatoria" o "militare". Le monete battute e messe in circolazione da queste zecche erano uguali per peso e titolo a quelle prodotte dal­ la zecca a Roma. In generale tale monetazione era coniata al di fuori dell' Italia e nel corso di campagne militari lontane dal suolo i tali co. Per quanto riguarda il non irrilevante problema dell'approvvigiona­ mento dei metalli, è facile supporre che fosse più semplice e meno dispendioso economicamente usare il metallo disponibile nella zona. Venivano così portati al seguito solo i conii, dal momento che si po­ teva facilmente disporre in loco di un'officina di fabbro e di attrezzi di comune uso artigianale, come incudine, martello e tenaglie, e forse qualche moneta, per ricavarne il modello o addirittura l' impronta. La validità delle emissioni militari era giuridicamente riconosciuta sulla base dell'autorità eccezionale che era conferita ai comandanti supremi degli eserciti, e questi la producevano avvalendosi dell'ausilio e del sup­ porto logistico dei loro questori o proquestori. I magistrati in qualche caso apponevano la loro firma o almeno una menzione del loro grado, 27. lvi, 1 3, 37, 1; 14, 16, 4; cfr. Labate, Narducci, 1981.

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6. CONTRAFFAZIONE E CIRCOLAZIONE MONETARIA

di solito PROQ (proquaestor). Sappiamo che Silla, dichiarato a Roma nemico pubblico (hostis publicus) dal governo mariano ( nella persona di Cinna ) , non aveva deposto la carica di proconsole contro Mitrida­ te VI, reputando necessario continuare la guerra. Non potendo, però, contare su sovvenzioni da parte dell' Urbe per finanziare la campagna militare e ristabilire il dominio romano in Grecia e in Asia Minore, il generale dovette escogitare uno stratagemma per assicurare una retri­ buzione ai suoi soldati18. Grazie alla creazione di una zecca itinerante, allestita presso il suo esercito (e peri nomisma pragmateia) riuscì nel suo obiettivo19. Fu Lucullo, questore e poi proquestore di Silla, durante la prima guerra contro Mitridate dall' 8 7 all' 8o a.C., a ricevere l' im­ portante incarico della direzione della zecca. Si è conservato qualche esemplare delle monete in oro e argento coniate da Lucullo e ben note nella tradizione30: Così la maggior parte delle monete romane in uso nel Peloponneso al tem­ po della guerra mitridatica furono coniate da Lucullo e da lui presero il nome di luculliane (ndmisma ... Leukolleion ) ; ed ebbero corso per molto tempo perché le necessità militari ne favorirono il rapido scambio durante la guerra31•

È molto probabile che quella zecca militare fosse ubicata tra Eleusi e Me gara, luogo dove Silla aveva posto il suo quartier generale. Il metallo per la produzione di questa monetazione venne recuperato attraverso i saccheggi dei templi di Delfi, Epidauro e Olimpia compiuti dallo stes­ so Silla31. Lucano ci conferma che in tempi di guerra la fiamma di una zecca militare attiva presso un accampamento (moneta castrensis) non esitava a fondere le statue degli dèi, pur di trasformarle in denaro da distribuire ai soldati33. Il ricorso a una monetazione prodotta in ambito militare si intensi­ ficò negli ultimi decenni della repubblica e costituì addirittura l'unico 28. Appiano, Guerre civili, I, 73, 340; 81, 370. 29. Plutarco, Vita di Lucullo, 2, 1. 30. Cfr. Babelon, 188s-86, I, pp. 405-8; Daux, 19 35; Wosnik, 1963, pp. 42-60; Santangelo, 2007, cap. II, spec. p. 142 n . 29. 31. Plutarco, Vita di Lucullo, 2, 2. 32. Plutarco, Vita di Silla, 12, 3-4; Appiano, Guerre mitridatiche, 8, S4· 33· Lucano, Farsaglia, I, 380.

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circolante, quando la zecca di Roma interruppe la sua attività tra il 40 e il I 9 a.C. 6 .s La sicurezza dell' investimento fondiario

Negli anni che vanno dal 70 a.C. fino al 6 3 a.C. il peso dei debi­ ti, che continuava a essere opprimente sia a Roma che in Italia, con molta probabilità si fece più gravoso. In quel periodo le emissioni di moneta risultarono numericamente limitate e conseguentemente ci fu una riduzione di liquidità monetaria. In un frangente in cui il denaro non manteneva negli anni lo stesso potere d'acquisto, chi aveva disponibilità pecuniaria spesso investiva in beni immobili. Ri­ flette molto bene questo clima di forte incertezza finanziaria sul pia­ no degli investimenti l'orazione ciceroniana In difesa di Aulo Cecina. L'arringa venne scritta nel 69 a.C. per una lite fra privati incentrata sulla rivendicazione possessoria di un terreno. Con molta probabilità si verificò, a quell'epoca, anche un ribasso nei prezzi dei beni fondia­ ri, che non trovavano acquirenti per l'accentuata tesaurizzazione del circolante. In questa particolare congiuntura economico-finanziaria si giustifica l'operazione commerciale del banchiere M. Fulcinio. Questi, appartenente a una rispettabile famiglia di Tarquinia, rein­ vestì in un agro ubicato presso Castellum Axia (oggi Castel d'As­ so, vicino Viterbo) la dote della moglie Cesennia, precedentemente utilizzata in attività bancarie : convertì cioè le proprie disponibilità da finanziarie in immobiliari34• Dopo l'acquisto del terreno, Fulci­ nio esercitò ancora per qualche anno l'attività bancaria, e poi, con i guadagni ricavati dall'esercizio di questo mestiere remunerativo, ac­ quistò altri appezzamenti adiacenti al precedente, costituendo così un 'unica vasta proprietà, il Jundus Fulcinianus. In un momento di estrema oscillazione del valore monetario l' investimento fondiario sembra, dunque, rimanere la scelta economica più sicura. Occorre aggiungere, beninteso, che la proprietà della terra nella mentalità ro­ mana rimaneva il modo socialmente più prestigioso e tradizionale di utilizzare le proprie ricchezze. 34· Maselli, 2oo6, p. r6s. I04

6. CONTRAFFAZIONE E CIRCOLAZIONE MONETARIA

6.6 Liquidità e crisi del credito

Cicliche crisi di liquidità, evocate nelle fonti con espressioni equiva­ lenti, che indicano scarsezza di pezzi monetari come inopia!difjìcultas rei nummariae o nummorum caritas, furono un problema affiorante con una certa ricorrenza nella tarda repubblica : 88 a.C., 6 6-63 a.C. e 4 9 -4 7 a.C.3s Una serie di fattori sia di ordine esterno che interno determinava il volume di stock monetario. Tra i primi possiamo annoverare il get­ tito delle entrate fiscali, i bottini eccezionali, i livelli delle emissioni monetarie e, a monte, soprattutto la disponibilità di metallo prezioso. Aspetto quest 'ultimo su cui il territorio italico, data la carenza di oro e argento, era totalmente dipendente da aree provinciali con minie­ re attive. Abbiamo già illustrato come una certa instabilità politica in Spagna a cavallo fra II e 1 secolo a.C. avesse generato una diminuzio­ ne della produzione mineraria nella penisola iberica e un conseguente crollo nelle importazioni di metallo prezioso a Roma. Durante il consolato di Cicerone, nei primi mesi del 63 a.C., fu­ rono prese delle misure per contenere una crisi economica dovuta in parte alla scarsità di circolante (inopia nummorum ). È possibile intravvedere le soluzioni adottate attraverso due testi dell'oratore : le orazioni In difèsa di Fiacco e Contro Vatinio. Nella prima arringa Cicerone si compiace dell'operato di Fiacco che, in qualità di propre­ tore in Asia nel 62 a.C., aveva interdetto agli Ebrei di inviare in oro le somme raccolte per la riedificazione del tempio di Gerusalemme, aveva cioè sancito che non fosse lecito esportare oro dall'Asia. Il testo lascia intendere che il Senato avesse formulato più volte in passato il divieto di esportare metalli preziosi ( nella fattispecie oro ) , e che lo avesse ribadito anche durante il consolato di Cicerone. Nello stesso tempo, al fine di rendere questa disposizione efficace, l'oratore incari­ cò il questore P. Vatinio di andare a Pozzuoli, grande centro commer­ ciale dell'epoca, per vedere come venisse rispettata questa restrizione sull'esportazione di oro e argento. Temeva, infatti, che certi commer­ cianti (negotiatores) non volessero esportare i loro capitali per paura 35·

6!-8.

Cicerone, Verrine, 2, 2, 28; Lettere ad Attico, 9 , 9, 4 ; cfr. loannatou, 2006, pp.

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MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

di una moratoria36• Sappiamo che Cesare, nel 49 a.C., rimise in vigore una legge per far affluire capitali sul mercato e cercare, quindi, di ar­ ginare un processo di tesaurizzazione che stava dilagando. Impose che nessun cittadino romano potesse possedere più di 6 o.o oo sesterzi in argento o in oro37• Anche fattori di natura interna concorsero a determinare a Roma una mancanza di denaro liquido, intaccando profondamente le riserve metalliche della città. La res publica dovette sobbarcarsi ampie spese per pagare un esercito che nel corso del 1 secolo a.C. fu costantemente impegnato su tanti fronti, come abbiamo visto. Inoltre la res publica aveva l'obbligo di assicurare la sussistenza di una popolazione urba­ na nullafacente e crescente attraverso distribuzioni dapprima a prezzo calmierato e, in un secondo tempo, gratuite di grano e frumento. Per sopperire a tali esigenze e far fronte alla rarità di metallo prezioso per la produzione monetaria non si esitò a utilizzare i tesori dei templi o a vendere terreni sacri (pecuniafanatica ) 38• Oltre a ciò, va aggiunto che un certo dissesto sociale e quindi eco­ nomico fu conseguente alle proscrizioni sillane e alle confische. Ap­ piano racconta che le proscrizioni andarono a colpire anche coloro che avevano dato o ricevuto prestiti in denaro nei confronti di avver­ sari di Silla39• Il fatto, quindi, che un terreno potesse essere improv­ visamente confiscato, se il proprietario si trovava a essere schierato nella fazione politica avversa a quella che deteneva in quel momento il comando della res publica, mise in crisi lo stesso concetto romano di proprietà inalienabile e, nello stesso tempo, fece crollare i prezzi dei terreni per mancanza di fiducia in questo tipo di investimento. Tutti questi fattori alla lunga minarono la fides dei creditori verso i debitori. All'estate del 5 4 a.C. può farsi risalire l' inizio della crisi del credito e dei mercati finanziari, quando enormi somme prestate per comprare l'elettorato per il consolato del 5 3 a.C. causarono la duplicazione dei tassi di interesse che passarono dal 4 all' 8%40• La situazione poi andò complicandosi con la morte di Crasso a Carre contro i Parti ( 5 3 a.C. ) , 36. Cicerone, In difesa di Fiacco, 67; Contro Vtttinio, s, 12. 37· Dione Cassio, 41, 38, 1. 38. Cfr. Bodei Giglioni, 1977. 39· Guerre civili, I, 96. 40. Cfr. Verboven, 2003. I06

6. CONTRAFFAZIONE E CIRCOLAZIONE MONETARIA

che compromise le entrate fiscali dalle province orientali e destabilizzò l'equilibrio politico. L' incapacità nel pagare i propri debiti era generale e tale situazione risulta ben evidente in un episodio del 51 a.C. che vide coinvolto lo stesso Cicerone. Nel maggio di quell'anno Cicerone in una lettera ad Attico fornisce precise istruzioni di pagamento in merito a un pesan­ te debito che l'oratore aveva precedentemente contratto con Cesare. La cifra, indubbiamente considerevole, era di 8oo.o oo sesterzi. Attico avrebbe dovuto aprire un credito di pari importo a Cesare, tramite la figura di Oppio, un uomo di affari di fiducia del generale. Cicerone aveva ordinato ad Attico di procedere al recupero dei propri crediti per velocizzare questa operazione, ma la non facile situazione finanzia­ ria rendeva i tempi di riscossione molto lunghi. A Cicerone, dunque, preoccupato di assicurarsi il buon esito dell'operazione di saldo del debito, non restò che suggerire ad Attico di ricorrere a un prestito41• Quando il fratello Quinto, nel 49 a.C., ebbe difficoltà nel liquidare una pendenza finanziaria di 2o.o o o sesterzi ad Attico, Cicerone inter­ cesse presso l'amico in suo favore con queste parole : A proposito della questione finanziaria le cose non stanno (spesso lo sento dire da lui appunto) nel senso che egli non abbia voglia di restituirti quel de­ naro e che non si dia da fare in merito [ ... ] non posso fare a meno di stupirmi di quei ventimila sesterzi - non saprei fare altre precisazioni -, per i quali mio fratello mi dice che si sente messo alle strette. Tu [Attico] ti rendi conto sicuramente delle ristrettezze economiche [angustias] in cui versa; comunque egli impartisce le necessarie disposizioni perché il conto ti sia saldato41•

6.7 Un caso a parte : le coniazioni in oro

Un ruolo marginale nelle emissioni monetali è ricoperto dall'oro, cui Roma ricorse in epoca repubblicana in rare occasioni e dietro pres­ sioni di carattere non certo commerciale. Sostanzialmente la pro­ duzione di monete in oro fu sporadica prima della conquista della Gallia da parte di Giulio Cesare, quando cioè le miniere della nuova 41. Cicerone, Lettere ad Attico, 4, I6, 8; s. I, 2; s. 6, 2. 42. lvi, IO, 11, 2 (Epistole ad Attico, 2 voli., a cura di C. Di Spigno, Torino 2oos�).

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provincia fecero affluire nell' Urbe il metallo in grossi quantitativi. L'avvio di una regolare coniazione in oro, con gli anni della dittatura di Cesare, deve aver rappresentato un momento di svolta nell' econo­ mia romana della tarda repubblica. Le vere emissioni di aurei inizia­ rono a partire dal 48 a.C., quando Giulio Cesare fece coniare monete del peso equivalente a Y3s- Y40 di libbra ( 8,ss-8,o2 g). Proprio l' immis­ sione accentuata di oro monetato contribuì, in misura determinan­ te, a risolvere la crisi del credito di quegli anni : una crisi presumibil­ mente connessa, o connessa anche, a una contemporanea carenza di moneta43. Che prima dell'età cesariana, e segnatamente negli ultimi decenni dell'età repubblicana, si adoperasse come effettivo mezzo di scambio l'oro in barre è stato sostenuto sulla base di fonti letterarie non sempre univocamente interpretabili44• In ogni caso un'eventuale circolazione dell'oro in barre non può porsi sullo stesso piano della circolazione dell'oro monetato, né può dirsi che l'eventuale immis­ sione di oro in barre nel mercato abbia potuto avere effetti sui prezzi paragonabili a quelli che invece ebbe l' immissione in circolazione del metallo monetato4s. Le emissioni auree precedenti a Cesare sono rare. Agli anni 29028 6 a.C. risale lo statere con un peso di 6,82 g, convenzionalmente detto "oro del giuramento" per via del soggetto raffigurato al rovescio della moneta, cioè un giuramento pronunciato da due guerrieri secon­ do un vetusto rito italico. Durante la guerra annibalica, soprattutto grazie al bottino ottenuto con la conquista di Siracusa nel 212 a.C., venne emessa una serie (forse nel 209 a.C.) con un peso di 3,4I g con la testa di Marre al diritto e l'aquila sul fulmine al rovescio. Seguì una serie monetale (statere di 8,so g) coniata in Grecia nel I 97 a.C. in ono­ re del console Tito Quinzio Flaminino, dopo la vittoria su Filippo v di Macedonia. Infine, carattere del tutto eccezionale hanno anche le emissioni in oro di Silla, durante la campagna militare in Oriente ( 82 a.C.)46, e Pompeo ( 6I a.C.), che, come comandanti di truppe bellige­ ranti, coniarono i primi aurei con pesi vari oscillanti tra Y3o- Y36 di libbra ( 9,11-9,0 6 g), per accordarsi con la monetazione dei paesi ove si tro43· 44· 45· 46.

Contra Verboven, 1997; 2003.

Cfr. Howgego, 1992, pp. 9 ss. Lo Cascio, 2003, p. 151. Crawford, 1974, I, 367, 2.

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6. CONTRAFFAZIONE E CIRCOLAZIONE MONETARIA

vavano attraverso l'allestimento temporaneo di zecche in movimento (cfr., supra, PAR. 6. 2). Approfondimenti bibliografici CRISI MONETARIA E FINANZIARIA NEL I SECOLO A.C.: Frank, 1933; Lo Ca­ scio, 1979; Canfora, 1981; Evans, 2005; Pedroni, 2oo6; Torrent, 2007. EDITTO DI MARIO GRATIDIANO: Crawford, 1968; Lo Cascio, 1979; Santa­ lucia, 1982; Verboven, 1994. ARGENTARli, COACTORES, NUMMULARII: Andreau, 1978; 1982; Labate, Nar­ ducci, 1981; Balbi De Caro, 1989; Petrucci, 1991; Carlà, Marcone, 2011. SILLA E LA MONETAZIONE DI LUCULLO: Babelon, 1885-8 6; Daux, 1935; Wo­ snik, 1963; Santangelo, 2007. NUMMORUM CARITAS E CRISI DEL CREDITO : Verboven, 1993; 1997; 2003; Ioannatou, 2oo6. PECUNIA FANATICA: Bodei Giglioni, 1977· CONIAZIONI IN ORO : Crawford, 1974; Howgego, 1992; Verboven, 1997; 2003; Lo Cascio, 2003.

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7

Debito e lotta politica dalla g uerra sociale alla morte di Cesare

7- 1 Legislazione e aes alienum all' inizio del I secolo a.C.

L' indebitamento sembra una costante della storia economica dell' epo­ ca tardorepubblicana, anche se si impone sullo scenario politico con intensità variabile. Attraverso il ricorso alle contraffazioni monetarie, come abbiamo visto nel capitolo precedente, il peso dei debiti privati sarebbe stato di tanto in tanto alleviato e lo stesso impegno finanziario della res publica, sconvolta dalle guerre, alleggerito1• La guerra sociale (91-89 a.C. ) probabilmente causò un aggravarsi dell' aes alienum. La diminuzione di liquidità che il conflitto aveva portato con sé avrebbe determinato un inasprimento del fenomeno del debito. La situazione patrimoniale di molti senatori che avevano avuto un ruolo attivo e preminente alla guida dell'esercito subì un duro con­ traccolpo dal conflitto. A conclusione della guerra i crediti dovevano essere recuperati da parte dei prestatori di denaro, che appartenevano per lo più all'ordine equestre. Il clima era molto teso, perché i creditori volevano riscuotere i debiti con gli interessi. Le vecchie leggi che limi­ tavano o vietavano l' interesse sui prestiti, come la lex Genucia del 3 4 2 a.C. o la lex Marcia del 311 a.C., imponendo un' ammenda a chi faceva prestiti a condizioni esose, erano cadute in disuso da tempo. Il pretore urbano dell' 8 9 a.C., A. Sempronio Asellione, tentò di alleggerire il ca­ rico dei debiti, provando ad applicare nuovamente queste disposizioni legislative nei processi per insolvenza che stava istruendo. Ne seguì una rivolta fomentata dai creditori, appartenenti al ceto finanziario ( cava1.

Cfr. Nenci, 1968. III

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lieri, pubblici appaltatori, banchieri) . Il magistrato, accusato di avere, verso i debitori insolventi che stava giudicando, un atteggiamento pro­ cessuale favorevole, rimase vittima di un linciaggio. Con molta proba­ bilità i debitori favoriti da Aselli one erano membri dell'aristocrazia, proprietari terrieri, la cui condizione economica si era andata aggra­ vando con la guerra sociale. Bloccate erano, infatti, le rendite di quei fondi dislocati nelle zone coinvolte nell' insurrezione. Strettamente legata a questo episodio è la misura legislativa adottata nell' 88 a.C. da P. Sulpicio Rufo (lex Sulpicia de aere alieno senatorum) che vietava ai senatori di avere debiti superiori a 2.o o o dracme (corri­ spondenti in questo caso a 2.o o o denarii). Ben presto essa fu abrogata da Silla3• Allo stesso anno risalirebbe un provvedimento sul tasso di in­ teresse dalla finalità non chiara, forse una lexfenebris, attribuita a Silla e al collega Q. Pompeio Rufo durante il loro consolato (lex Cornelia Pompeia unciaria). Il testo lacunoso di Festo4, unica fonte sulla legge, non permette di ricostruire con certezza il suo contenuto. Si discute se abbia permesso ai debitori di rimettere un decimo del debito, o se abbia fissato una riduzione del tasso di interesse che dal I 2% sarebbe passato al I o %. Dopo la morte di Mario, il console L. Valerio Fiacco, nell' 8 6 a.C., promulgò, con la lex Valeria de aere alieno, il condono di tre quarti dei debiti, verosimilmente di quelli contratti non solo da privati ma anche dalla stessa res publica5• L' intervento consolare fu reso proba­ bilmente necessario dalla scarsità di denaro liquido a seguito della guerra sociale e della perdita dell'Asia, conquistata da Mitridate (cfr., supra, PAR. 6.4). Dal provvedimento avrebbero tratto giovamento anche le scarse finanze di un erario insolvente. La concessione di una riduzione della cifra dovuta venne applicata per un breve lasso di tempo : calcolata solo sui debiti contratti prima dell' 8 8, già nell' 8 I non era più in vigore. La lex Valeria intendeva favorire indistintamen­ te gli indebitati della plebe urbana e della nobilitas. La restituzione 2. Livio, Epitome, 74; Valerio Massimo, Fatti e detti memorabili, 9, 7, 4; Appiano, Guerre civili, I, 54, 2 3 2- 2 3 9 ; cfr. commento al passo in Appiani Bellorum Civilium Liber Primus, introduzione, testo critico e commento con traduzione e indici a cura

di E. Gabba, Firenze 1958, pp. 158-61. 3 · Plutarco, Vita di Silla, 8, 2; Appiano, Guerre civili, I, 59, 26 8; cfr. Evans, 2 0 0 7. 4· Sul significato delle parole, s.v. Unciaria lex P 516 L. 5· Sallustio, Congiura di Catilina, 3 3 ; Cicerone, In difesa di Fonteio, fr. 1. 112

7· DEBITO E LOTTA POLITICA DALLA GUERRA SOCIALE ALLA MORTE DI CESARE

solo di un quarto del dovuto veniva garantita grazie a un escamotage: il debito, contratto in sesterzi, cioè in moneta d'argento, era ripagato in un numero uguale di assi, cioè in monete in bronzo. Si ottenne così un triplice effetto. L' importo dei debiti, calcolati in bronzo, venne drasticamente ridotto, l'asse ritornò a essere una moneta di conto, mentre alle monete, messe in circolazione, venne riconosciuto come valore di credito quello che avevano prima dello scoppio della guerra nel 9 I a.C.6 7· 2 Province, debiti e interessi privati

La gestione amministrativa di una provincia offriva ampie possibili­ tà di arricchimento. Ne beneficiavano prestatori di denaro, finanzieri e banchieri, ma soprattutto imprenditori di successo che investivano le proprie ricchezze in società (societates publicanorum) e fornivano servizi alla res publica, accettando appalti pubblicF. C 'era ovviamente modo e modo nel gestire e amministrare le risorse provinciali. Non mancarono i casi in cui le autorità romane dovettero intervenire con­ tro le angherie dei publicani, che si comportavano senza scrupoli, ai margini della legalità, pur di arricchirsi, a spese della popolazione tas­ sata. Un caso emblematico è il processo del 7 0 a.C. contro il propre­ tore Verre, accusato di appropriazione indebita di denaro (de pecuniis repetundis) e beni ai danni dei Siciliani. Cicerone, fonte principale sul processo, descrive un sistema particolarmente interessante di conces­ sioni di prestiti, in sostanza a tassi di usura, a provinciali8• La pratica coinvolgeva alcuni publicani, ma a godere i profitti di tale operazione economica vi fu anche lo stesso Verre. Uno dei responsabili di una so­ cietà appaltatrice dell' imposta sui pascoli, un certo Lucio Carpinazio, si era fatto molto amico di Verre. Forte di questa posizione di privile­ gio, aveva compiuto molte azioni biasimevoli a danno dei Siciliani, fra cui quella di prestare loro a usura il denaro che poi essi stessi usavano 6. Cfr. Lanzani, I909. 7· Tito Livio, Storia di Roma dallafondazione, 23, 49, I ss.; 24, I 8, IO-II; in sintesi Alfoldy, I987, pp. 76 ss. e Cecconi, 2009, pp. I44-7· 8. Verrine, 2, 2, I69-I70. 113

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per ottenere il favore del propretore. L'arte di Carpinazio si esercitava in modo che anche i proventi ricavati dal prestito andassero a finire nelle tasche dello stesso governatore. Ben altra concezione del rapporto fra res publica e interessi econo­ mici privati rispetto a Verre e ai suoi collaboratori ebbe, invece, Catone Uticense. Per la sua integritas da scrupoloso contabile del bene pubbli­ co, il famoso anticesariano, che dopo la sconfitta pompeiana a Tapso ( 46 a.C. ) si tolse la vita a Utica, rappresenta un unicum in una società che andava ormai in tutt'altra direzione9• Racconta Plutarco che Ca­ tone, durante la carica di questore, si era comportato in maniera inec­ cepibile su vari fronti10• Con massima cura aveva controllato i registri dell'erario, con grande decisione ed energia aveva richiesto crediti di privati anche vecchissimi, pagato i debiti, controllato personalmente i titoli di credito e stroncato la pratica corrente di presentare falsi decreti per esigere pagamenti non dovuti. Nel corso del 1 secolo a.C. le principali e più redditizie attività eco­ nomiche e commerciali avvenivano nell'ambito dell'amministrazione finanziaria e fiscale provinciali, tra cui avevano un certo peso i prestiti alle comunità locali. Nel 67 a.C. il tribuno Gabinio promulgò una leg­ ge (lex Gabinia de versura provincialibus nonJacienda) al fine di proibi­ re i prestiti ai provinciali, imponendo ai magistrati giusdicenti di non riconoscere validità ai relativi documenti (syngraphae) , sottoscritti da entrambe le parti e contenenti l' impegno a pagare una certa somma. Emblematico è il caso dei Salaminii di Cipro che avevano preso dena­ ro in prestito a Roma da Bruto, l'assassino di Cesare, tramite perso­ ne interposte, a dispetto della legge Gabinia. È possibile ricostruire la vicenda abbastanza intricata sulla base della testimonianza diretta di Cicerone11• L'oratore, governatore di Cilicia a quell'epoca, aveva rice­ vuto pressioni e con rammarico si sfoga della situazione imbarazzante con l'amico Attico in più di una lettera. Veniamo così a sapere di un innalzamento, attuato per decisione del Senato, su pressione di Bruto, del tasso di interesse nei confronti dei Salaminii che sarebbe passato dall' I al 4% al mese ( pari al 48% annuo ! ) u. 9· Cfr. Lotito, I98I, pp. 98 ss. IO. Plutarco, Vita di Catone l'Uticense, I6-I8. II. Lettere adAttico, s. li, Il; 6, I ; 6, l, 7; cfr. Allegri, I977• spec. pp. 36 ss. Il. Cfr. Badian, I97l; Delpiace, I977; Pavis D' Escurac, I977·

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7· DEBITO E LOTTA POLITICA DALLA GUERRA SOCIALE ALLA MORTE DI CESARE

7·3

Tabulae novae e cancellazione dei debiti: uno slogan politico da Catilina a Cesare

L'affermazione di una élite di governo, fondata sulla competizione per le magistrature, accentua la spesa per la politica, tanto che l' indebita­ mento dei ceti di governo appare un aspetto rilevante nella tarda re­ pubblica, assai diffuso e condizionante. Con il denaro si compravano cariche pubbliche, onori e persino amicizia. Basilare era, quindi, per qualsiasi cittadino che volesse svolgere attività politica mantenere un tenore elevato nella vita privata, proporzionato a quello della vita pub­ blica, e di qui il perpetuo indebitamento per conquistare e mantenere potere e autorità. Nello stesso tempo, però, l'aspetto politico si intrec­ cia con quello sociale ed economico : nella tarda repubblica i fenomeni di urbanizzazione, la crisi agraria, gli espropri legati alle proscrizioni portarono a problemi di indebitamento sia delle fasce più povere della società romana nei confronti di quelle più ricche sia di individui ap­ partenenti ai ceti dirigenti verso finanzieri, senatori, affaristi in genere. L' intreccio tra politica e affari passa così attraverso il dibattito sul rap­ porto tra confische, ridistribuzione di terre e proposte di abolizione dei debiti (tabulae novae)13• Nel 63 a.C. i debiti dilagavano in tutte le regioni d' Italia. D ione Cassio tramanda che in quell'anno venne fatta una proposta tribu­ nicia mirante alla remissione dei debiti e all'assegnazione di terre in Italia e fuori (rogatio de aere alieno et agraria)14• Al disegno di legge, sostenuto dal partito di Catilina, si oppose accanitamente Cicerone, allora consoles. Per l'oratore la proposta legislativa andava a intaccare le fondamenta stesse della res publica. Soprattutto la politica della can­ cellazione dei debiti, cioè le tabulae novae ( lett. 'nuovi libri dei conti ' ) , risultava particolarmente sovversiva per gli equilibri sociali. In realtà non sappiamo se le tabulae novae imponessero un annullamento totale dei debiti esistenti attraverso la distruzione dei registri dei debiti o una remissione parziale mediante un loro alleggerimento con l' instaura­ zione di nuove relazioni debitorie. È plausibile congetturare che una 1 3. Cfr. Piazza, 1980. 14. Diane Cassio, 37, 25, 4· 15. Cicerone, Sui doveri, 2, 24, 84. I IS

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legge che aboliva dei debiti non potesse limitarsi solo alla formulazio­ ne di un precetto generale del tipo "è necessario che i debiti venga­ no cancellati': ma che entrasse più dettagliatamente nel merito della questione. Forse non tutti i debiti dovevano essere cancellati; di sicuro doveva essere precisato il termine ante quem del debito per procedere alla sua cancellazione, e le modalità con cui attuarne la remissione nelle singole situazioni e nei singoli rapportP6• La carica rivoluzionaria della proposta di abolire i debiti era ben evidente, e Cicerone, protagonista e interprete degli avvenimenti di quegli anni, sulle tabulae novae non esitava a esprimere un giudizio negativo. L'oratore, in una prospettiva etica, riteneva la remissione del debito una violazione del principio di giustizia, perché consentiva al debitore di arricchirsi ingiustamente a spese del creditore, e per questo pienamente condannabile : E che cosa significa una abolizione dei debiti [ tabulae novae] , se non che tu compri un fondo, una proprietà terriera [fundus ] , e che tu alla fine hai un fondo, mentre io non ho il mio denaro ?'7

Caduta così nel nulla la rogatio del 6 3 a.C., a Catilina non rimase che puntare alla destabilizzazione della repubblica attraverso una congiu­ ra, contando soprattutto sul malcontento generale. L' indebitamente ingente e oppressivo fu una caratteristica di larga parte della società romana, uomini e donne, nessuno escluso. Ex ufficiale di Silla, Catilina mirava a nuove proscrizioni, alla remissione dei debiti e a confische per arricchire sé e i suoi partigiani. Fonti letterarie importanti per rico­ struire questa vicenda nelle sue connessioni politico-economiche sono la monografia di Sallustio, La congiura di Catilina, e le quattro ora­ zioni ciceroniane, le Catilinarie ( soprattutto la seconda) . In entrambi gli autori è presentato un vivido resoconto sulla composizione sociale, varia ed eterogenea, dei sostenitori di Catilina'8• Nelle file dei catilinari si contavano proprietari terrieri che avrebbero potuto liberarsi facil­ mente dal peso dei debiti con la vendita dei loro beni, ma per l' attac­ camento a essi non riuscivano a privarsene e cercavano, mediante atti rivoluzionari, una soluzione ai loro problemi finanziari. C 'erano uo16. Piazza, 1980, p. 81. 1 7. Cicerone, Sui doveri, 2, 24, 84. 18. Cicerone, Catilinarie, 2, 17-21 ; Sallustio, La congiura di Catilina, 16, 1-4; 17; 21, 2; 28, 4; 3 3· 116

7· DEBITO E LOTTA POLITICA DALLA GUERRA SOCIALE ALLA MORTE DI CESARE

mini senza scrupoli che, per quanto sommersi dai debiti, coltivavano la speranza di ottenere posti di rilievo dopo un sovvertimento della res publica, posti che in condizioni di pace non avrebbero certamente potuto ottenere. Non mancavano neanche i veterani di Silla, che, ar­ ricchiti dopo le assegnazioni di terre, si erano indebitati così tanto da vedere solo nella violenza una soluzione alla loro situazione patrimo­ niale. C 'erano poi avventurieri, criminali, ma anche contadini poveri che ambivano a migliorare la propria condizione. Il nucleo maggiore delle forze rimaneva, però, costituito da uomini delle classi più elevate della società romana, il cui indebitamento nasceva da errori legati a insane ambizioni politiche piuttosto che da contingenti e reali ristret­ tezze economiche. Sallustio parla di senatori, cavalieri, membri dell'a­ ristocrazia municipale, gran parte della gioventù nobiliare, desiderosa di compiere imprese militari piuttosto che vivere al sicuro e nel lusso. L'attività politica e la vita privata di Cesare testimoniano molto bene come fosse facile nella tarda repubblica per un cittadino, anche con una certa agiatezza economica, finire schiacciato dal peso dei de­ biti e sotto la morsa dei creditori solo per soddisfare le proprie velleità di potere. I costi per due campagne elettorali molto impegnative ( la pretura nel 6 s a.C. e il pontificato nel 6 3 a.C. ) avevano spossato le sue finanze. Inoltre, nella vita quotidiana, Cesare doveva mantenersi un certo appoggio clientelare attraverso elargizioni o prestiti a basso inte­ resse o addirittura senza interesse : Aveva legato a sé non solo tutto l'ambiente attorno a Pompeo e gran parte del Senato con prestiti senza o a basso interesse [gratuito aut leviJàenore] , ma quando dei cittadini degli altri ordini venivano a trovarlo, sia spontaneamen­ te che per suo invito, regalava loro delle ingenti somme [ uberrimo congiario], senza dimenticare i liberti e gli ultimi degli schiavi, se l i sapeva benvoluti dal loro padrone e dal loro patrono. Gli accusati, i giovani prodighi e coloro che erano oberati dai debiti trovavano in lui l'unico e potentissimo sostegno19•

Per risollevarsi da una grave situazione patrimoniale Cesare non esitò, dopo la pretura del 62 a.C., ad assumere il comando militare di una delle province più ricche dell' impero, la Spagna, da cui riuscì a dre­ nare ricchezze per saldare in tempi rapidi i suoi ingenti debiti. Anche 19.

Svetonio, Vita di Cesare, 27. 117

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

la successiva conquista della Gallia ( s 8- s o a.C. ) avrebbe contribuito a incrementare le finanze personali del generale. Il problema dei debiti e dell' indebitamento di ampie fasce della società romana continua, co­ munque, a essere oggetto di interesse per Cesare e campo di azione di alcune sue scelte di politica economica. Alla fine del 49 a.C., rientrato a Roma dopo la campagna militare in Spagna, il dittatore passò alcuni giorni a risolvere le questioni interne più urgenti, tra cui il dilagante indebitamento urbano. Così stabilì, con la lex Iulia de pecuniis mutuis, al posto della temuta remissione dei de­ biti, la remissione degli interessi arretrati di due anni, per cui i creditori persero circa il 24% ( calcolando un interesse annuo del I2% e quindi mensile dell' I % ) , e la pigione di un anno. Stabilì che i debitori a corto di liquido potessero soddisfare i loro creditori, invece che in denaro, attra­ verso la cessione del loro patrimonio. Cesare andava così proponendo ai debitori, in alternativa alla vana promessa di cancellare i debiti, una so­ luzione più realistica, la vendita delle loro sostanze, mobili e immobili. Invece che tabulae novae ci sarebbero state dunque tabulae auctionariae, cioè liste di beni da vendere all' incanto. La stima delle sostanze veniva determinata da arbitri, ed era pari al valore che queste avevano prima della guerra civile-o. Solitamente i beni di un debitore potevano esse­ re venduti per ordine giudiziario a beneficio dei creditori, col risultato però che il debitore subiva, per infamia, la perdita di molti diritti civili. Tacciato di infamia, il debitore insolvente subiva una sorta di ostracismo sociale e vedeva gravemente colpita l' integrità della propria reputazione civica. Cesare, dunque, permise di sfuggire a questa sanzione invitando i cittadini indebitati a intaccare il proprio patrimonio, cedendo volonta­ riamente parte dei beni per far fronte ai debiti contratti. Dopo Cesare seguirono altri due tentativi di modificare e cam­ biare il regime dei debiti : la rogatio di Marco Celio Rufo nel 48 a.C. e la rogatio di P. Cornelio Dolabella nel 47 a.C.2.1 Sulla prima pro­ posta legislativa è lo stesso Cesare a informarci sui fatti 2.2. . Una ver­ sione di quanto accadde, nella sostanza coincidente con quella del dittatore, ci è conservata anche da D ione Cassio2.3• La ricostruzione 20. Cesare, La guerra civile, 3, I; Svetonio, Vita di Cesare, 42, 2; Plutarco, Vita di Cesare, 37. 1-2; Appiano, Guerre civili, 2, 48; Diane Cassio, 42, SI; 41, 37· 21. Cfr. Rotondi, I912, p. 4I8. 22. Guerra civile, 3, 20-21. 23. Diane Cassio, 42, 22.

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7· DEBITO E LOTTA POLITICA DALLA GUERRA SOCIALE ALLA MORTE DI CESARE

dei fatti sembra dunque questa. Il pretore M. Celio Rufo avrebbe ostacolato il pretore urbano Gaio Trebonio nel suo compito di at­ tuazione delle misure cesariane. Rufo annunciò infatti che avrebbe prestato assistenza ai debitori contro i loro creditori. Formulò prima una proposta di moratoria e di condono degli interessi per sei anni. Poi ritirò la prima legge e ne propose altre due con cui formalmente liberava gli affittuari dal pagamento dei canoni di locazione per un anno e annullava i debiti (tabulae novae). Il console di allora, Publio Servilio lsaurico, rimosse le tavole contenenti la proposta di legge, ma seguirono tumulti in città. Allora il Senato, sotto la protezione armata dei soldati, deliberò, attraverso un senatus consultum ulti­ mum, di affidare al console la salvezza della città. Fu così che Celio venne destituito dalle sue funzioni e, allontanato con la forza dal Foro, mentre teneva la sua arringa (contio ) , venne poi ucciso nella sua fuga da Roma2.4• Analogo tentativo compì nel 47 a.C. il tribuno della plebe P. Cor­ nelio Dolabella, che riprese il progetto di Celio Rufo per l'abolizione dei debiti. Cornelio Dolabella, pur essendo convinto cesariano, non esitò a perseguire un' iniziativa contraria alla direttiva politica del suo capo, forse anche animato dal desiderio di liberarsi dai debiti in cui era profondamente immerso. Al suo disegno di legge si oppose con de­ terminazione Marco Antonio, che all'epoca governava in Italia come magister equitum di Cesare assente da Roma per la campagna d' Egitto. Antonio ostacolò l'approvazione della proposta legislativa e soffocò nel sangue i tumulti che seguirono2.s.

7· 4 Il prestito "d'amicizia"

Una certa "cultura del debito" era diffusa presso la classe dirigente romana e il sistema creditizio ampiamente utilizzato nel corso del 1 secolo a.C. Le operazioni di credito erano spesso svolte fra amici e parenti e quindi particolare attenzione va rivolta al cosiddetto "preLivio, Epitome, I I I ; Velleio Patercolo, 2, 6 8. Dione Cassio, 42, 3 I - 3 3 ; Plutarco, Vita di Antonio, Attico, I I, 23, 3; cfr. I 4, 2I, 4 · 24.

25.

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9, I ;

Cicerone, Lettere ad

MONETA E FINANZA A ROMA IN ETÀ REPUBBLICANA

stiro d'amicizia". L' amicitia, fondata sui valori di reciprocità e gra­ tuità, propri della mentalità aristocratica, imprimeva il suo marchio nella designazione stessa delle operazioni di credito. Nell'orazione ciceroniana In difèsa di Marco Celio2.6 vengono descritte le peculiari condizioni di un prestito contratto sotto forma di mutuum. Questo non viene messo per iscritto, si svolge senza la presenza di testimoni, non viene fissato un limite temporale per la restituzione del denaro e manca l' imposizione di interessi. Solo legami di parentela, naturali o matrimoniali, o di forte amicizia potevano giustificare un prestito a tali condizioni che non rispettasse le consuete formalità giuridiche, dimostrando, dunque, una grande intimità di relazioni (egregia Ja­ miliaritas) fra i due contraenti. La solidarietà finanziaria si fondava non tanto sulla remunerazione in denaro (quei prestiti, come abbia­ mo visto, erano gratuiti nel senso che non generavano interessi), ma sul debito di riconoscenza verso il creditore e l'obbligo di restituire il prestito ricevuto a titolo di beneficium2.7• Le obbligazioni che gra­ vavano sul debitore erano di natura morale e sociale : questi si veni­ va a trovare senza ombra di dubbio in una posizione di dipendenza nei confronti del creditore-amico. Il debitore finiva alla lunga per alienare la propria libertà, sottomettendosi al grave peso morale di restituire un prestito così configurato, che in pratica mai avrebbe po­ tuto ricambiare in maniera definitiva. Due sono le opere che meglio di altre ci permettono di capire la vera natura del "prestito di amici­ zia" : L 'amicizia di Cicerone e Sui benefici di Seneca. In questi due testi che contengono per così dire dei codici standardizzati di valori e mettono in luce una sorta di protocollo dei servigi che gli amici si rendono reciprocamente, il meccanismo dei prestiti d'amicizia, in quanto servigio reso a titolo di beneficium, era designato come un credito non rimborsabile, che non poteva essere riscosso, sostanzial­ mente un creditum insolubile2.8• Con il principato si instaurano nuove relazioni sociali e diversi meccanismi economici. La competizione per le magistrature all' inter­ no del ceto senatorio è ormai affievolita, il principe interviene spesso 26. Cicerone, In difesa di Marco Celio, 1 3, 3I; I6, 38; I9, 4 4 · 27. Cicerone, Sui doveri, I, IS, 48. 28. Seneca, Sui benefici, 4, I 2, I; Ioannatou, 2006, pp. 20-33; I75-226; 229-307; cfr. Rollinger, 2009. I 20

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direttamente per risanare le finanze dei membri dell'élite ; l' indebi­ tamento, l' aes alienum, cessa di essere un fatto politico rilevante, pur continuando a costituire un problema sociale e una fattispecie giuridi­ ca ben presenti nel mondo imperiale romano. Approfondimenti bibliografici LEGISLAZIONE E AES ALIENUM ALL ' INIZIO DEL I SECOLO A.C.: Lanzani, I909; Rotondi, I9I2; Royer, I967; Nenci, 1968; Pedroni, 2oo6; Evans, 2007. PROVINCE, DEBITI E INTERESSI PRIVATI: Badian, 1972; Delplace, 1977; Pa­ vis D ' Escurac, 1977; Lotito, 1981; Alfoldy, 1987; Cecconi, 2009. TABULAE NOVAE: Rotondi, 1912; Venturini, 1979; Piazza, 1980. DEBITI ALL ' EPOCA DI CESARE E CICERONE: frederiksen, 1966; Amsden, 1970; Pinna Parpaglia, 1976; Canfora, 200 63; Gentili, 2008. PRESTITO D 'A MICIZIA : loannatou, 2006; Rollinger, 2009.

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