Microsap Linear - Manuale d’Uso [12 ed.]


111 27 3MB

Italian Pages [296]

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Table of contents :
Esempio di Elementi di Contatto
FIG. V.3-1 - Sistemi di riferimento locali e orientazione de
FIG. V.3-3 - Orientazione degli assi locali e rotazione risp
Spesso la dimensione della sezione dell’elemento nella direz
FIG. V.3-8 - Geometria degli offset del centro di taglio
FIG. V.3-10a FIG. V.3-10b
Linea A Informazioni di Controllo.
Linea A Informazioni di Controllo.
Linea A Linea di Controllo dei Solutori di Equazioni
Linee B Carichi e Masse Nodali
Linee C Definizione degli Step di Carico
Load Step e Substep Corrispondenti Soluzioni nella Curva
Carichi-Spostamenti
Substep e Fattori di Carico Continuazione Ultimo Load Step per (>1
Punto Limite Snap-Through Snap-Back
Riduzione della tolleranza (=0.001 in funzione del Parametro di Rigidezza
Recommend Papers

Microsap Linear - Manuale d’Uso [12 ed.]

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

MICROSAP REL.12 NON-LINEAR

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

Formato del File Dati

IV FORMATO DEL FILE DATI

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-1

Formato del File Dati

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-2

Formato del File Dati

IV.1

STRUTTURA DEL FILE E LINEE DI CONTROLLO

L’input per il solutore Microsap è organizzato su tre livelli: • • •

Livello Iniziale Livello di Processore Livello di Modulo o Comando

Al lancio del solutore l’utente entra nel Livello Iniziale. A questo livello avviene l’esecuzione automatica di alcune funzioni base (riconoscimento e test dell’ambiente hardware e software, riconoscimento delle autorizzazioni ad eseguire il programma, inizializzazioni), ma soprattutto da qui può iniziare l’esecuzione dei diversi Processori. I Processori sono dei veri e propri programmi indipendenti che eseguono un compito specifico, in genere descritto attraverso una serie di linee dati e alla loro conclusione ritornano al Livello Iniziale che può quindi lanciare l’esecuzione di un altro processore, fino al processore di termine esecuzione del solutore ($END). Il lancio di un processore avviene con l’input di una particolare linea dati che contiene il nome identificativo del processore ed eventualmente una serie di parametri. I nomi dei processori si distinguono dall’iniziale, che è sempre $ (ad es., $INPUT, $SOLU, $END, ecc.). Entro un processore possono in genere essere eseguiti differenti Moduli o Comandi, vale a dire differenti funzioni. Nel seguito i nomi “Modulo” e “Comando” sono dei sinonimi. Ciascun modulo è contraddistinto da un nome che inizia sempre con un carattere alfabetico diverso da $. Un modulo di norma richiede l’input di un certo numero di linee dati. Viceversa, il processore può non possedere alcun modulo ed eseguire solo la sua funzione standard che può anche richiedere delle linee dati. Ad esempio, entro il processore $INPUT è sempre presente una funzione standard per l’input dei dati generali e delle coordinate dei nodi, che è indipendente dal problema da risolvere. Oltre ad essa possono però essere eseguiti i moduli TRUSS, BEAM, ecc., a seconda che il problema preveda l’input di elementi Truss, Beam, ecc. Un file di input per il Microsap contiene quindi una serie di linee di controllo che provocano l’esecuzione dei diversi processori e tra queste, una seconda serie di linee di controllo per l’esecuzione dei diversi moduli entro il processore e delle linee con dati numerici. La soluzione di un problema può essere interamente contenuta in un unico file dati oppure può anche essere conveniente suddividere la soluzione in più esecuzioni con diversi file dati. Un caso tipico può essere l’esecuzione del processore $INPUT che prepara il database del problema e l’esecuzione separata del processore $SOLU che effettua la soluzione dell’intero problema o una parte di esso. I file di input del Microsap sono di norma generati attraverso un pre-processor fornito col programma o da un applicativo specifico per il calcolo strutturale di particolari tipologie di problemi (edifici civili in c.a., strutture industriali in acciaio, strutture meccaniche). Il modulo $INPUT richiede l’assegnazione delle linee dati che descrivono il problema. Nel caso di problemi semplici esso può essere preparato direttamente dall'utente con un qualunque programma di trattamento testi. Gli altri processori richiedono in genere l’assegnazione di pochi dati.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-3

Formato del File Dati

Il nome del processore o del modulo che deve essere eseguito è sempre di lunghezza inferiore a sedici caratteri. Esso deve essere scritto ad iniziare dalla prima posizione nella riga e può essere seguito da una serie di parametri. La linea di controllo contenente il nome del processore o del modulo è di norma seguita da una serie di linee dati che sono lette durante l’esecuzione del processore.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-4

Formato del File Dati

IV.2

IL LIVELLO INIZIALE

Quando il programma inizia l'esecuzione sono effettuate le seguenti operazioni: • E' ricercata, nel file dati, la linea di controllo contenente il nome del processore da eseguire o il nome di uno dei comandi standard eseguibili entro il Livello Iniziale. • E' eseguito il processore indicato, che leggerà le eventuali linee dati che seguono la linea di controllo. Un processore può eseguire una sequenza prefissata di comandi oppure no. In ogni caso, con la sola esclusione di $END, l’uscita dal processore deve essere effettuata col comando FINISH. La tabella seguente contiene la lista dei diversi processori eseguibili al Livello Iniziale nell’attuale release dei Microsap.

Processore $INPUT $SOLU [parametri] $MSPOST $END Altri Comandi

Funzione Costruzione del database (file nome.MDB). Input dati del problema. Soluzione del problema Post-Processing con interfaccia alfanumerica Termine esecuzione del solutore Interpretazione diretta di diversi comandi di sistema (v. tab.VI.2.1-1)

Linee Dati

• •

Tab.IV.2-1. Comandi Principali Eseguibili al Livello Iniziale

Note. • Il Livello Iniziale, oltre ad eseguire i processori elencati, può esso stesso interpretare ed eseguire direttamente alcuni comandi elementari di sistema (copia di file, rename, ecc.). Alcune di queste funzioni sono anche disponibili attraverso il processore $DOS. La differenza è che in quest’ultimo caso i comandi di sistema sono eseguiti attraverso la Shell DOS. • Il processore $INPUT ha la funzione di costruire il database nome.MDB del problema. Ogni problema è contraddistinto da un nome (“nome lavoro”) e prima di poter essere eseguito richiede la costruzione del file .MDB. In uno stesso file dati per il solutore vi possono essere più comandi $INPUT, per la costruzione di più database di problemi con nomi differenti. $INPUT effettua la lettura delle linee dati che descrivono sia la struttura sia gli ingredienti necessari per effettuare le soluzioni previste. In genere le analisi da eseguire richiedono la costruzione una-tantum di un file .MDB ed eventualmente più comandi di soluzione $SOLU. Il file binario .MDB contiene in effetti le stesse informazioni presenti nelle linee dati, sebbene in una forma rielaborata e più idonea per le successive soluzioni. Contrariamente alle release lineari precedenti del

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-5

Formato del File Dati

Microsap, le fasi di input, check preliminare, output, e soluzione sono ora del tutto separate. Durante la fase di soluzione non lineare il programma ha necessità di accedere numerose volte al database in modo efficiente. Questa è la ragione per cui è necessaria la costruzione del file .MDB • Il processore $SOLU provoca l’effettiva esecuzione delle analisi. Nell’attuale release $SOLU procede alla soluzione automatica in sequenza di tutte le analisi descritte nel database .MDB. Le release future potrebbero prevedere la soluzione separata delle diverse analisi e la possibilità di restart. La funzione di restart è utile nei casi di analisi nonlineari impegnative. L’attuale release comunque è già predisposta per tale funzione e arresta l’elaborazione conservando l’ultima soluzione convergente trovata. Attualmente $SOLU non prevede la lettura di linee dati, ma solo il comando di uscita FINISH. Tuttavia nelle release future il processore potrà accettare la definizione di casi di carico separati o di analisi particolari descritte con opportune linee dati. Opzionalmente la linea $SOLU può accettare come parametro il nome del file eseguibile del processo esterno. La soluzione può infatti avvenire entro lo stesso processo che ha lanciato il solutore oppure entro un processo esterno indipendente. Per default questo è MSPSOL.EXE. L’utente può tuttavia cambiare questo nome (v. note alle linee dati del modulo SOLVE). Esempio: $SOLU $SOLU MSPSOL $SOLU MSPSOL.EXE Le linee precedenti sono equivalenti e, se è richiesta la soluzione con processo esterno, è lanciato MSPSOL.EXE. $SOLU SOLU $SOLU,SOLU.EXE $SOLU , SOLU.exe Le linee precedenti sono equivalenti e, se richiesta la soluzione con processo esterno, è lanciato SOLU.EXE. Ovviamente l’utente dovrà rinominare MSPSOL.EXE in SOLU.EXE. • Il processore $MSPOST permette di eseguire una sessione di Post-Processing con semplici comandi alfanumerici. $MSPOST può essere eseguito sia nello stesso file di input della soluzione oppure con un file di input separato. Questo processore è utilizzato principalmente per estrarre i risultati di calcolo dal file .RST generato da $SOLU. Il Microsap possiede una libreria di routine API (dll) che possono essere richiamate all’interno di un programma dell’utente. $MSPOST fornisce un’interfaccia alternativa semplificata alle stesse routine, con potenzialità analoghe. • Il processore $END provoca l’uscita dal Livello Iniziale ed il termine dell’esecuzione del Microsap. Eventuali linee entro il file dati seguenti $END sono ignorate. Essa è generalmente l’ultima linea dati del file.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-6

Formato del File Dati

IV.2.1 Altri Comandi Eseguibili a Livello Iniziale Oltre a consentire l’esecuzione dei processori elencati in tabella IV.2-1, il livello iniziale può anche elaborare una serie di comandi di sistema o può mandare in esecuzione programmi esterni direttamente senza l’intervento della shell di sistema CMD.exe. La tabella IV.2.1-1 elenca i comandi direttamente eseguibili a livello iniziale e la loro sintassi. Comando

Funzione

!commento /commento RENFILE “old filename” “new filename” DELFILE “file path” CHNGDIR “directory path” DELDIR “directory path” MAKEDIR “directory path” RUNFILE “filename” “command line arguments” WRKDIR “directory path” WRKNAM “workname” CMD linea di comando

Linea di commento Linea di commento Linea di commento Cambia nome al file o copia su diversa cartella Cancella uno o più files Cambia indirizzario corrente Cancella indirizzario Crea nuovo indirizzario Esegue un programma esterno Cambia l’indirizzario di lavoro Microsap Cambia il nome lavoro corrente Microsap Esegue un comando dell’interprete CMD.exe

Tab.IV.2.1-1. Altri Comandi Direttamente Eseguibili al Livello Iniziale

Note. • I parametri di ogni comando sono racchiusi tra virgolette ed eventualmente distanziati con uno o più caratteri (ad es. spazi bianchi). La mnemonica dei comandi deve però iniziare dalla prima colonna ed essere in maiuscolo. Fa eccezione CMD in cui la linea comando non è racchiusa tra virgolette. L’intera linea non può superare i 127 caratteri, compresa la mnemonica. I comandi non possono essere assegnati entro le linee dati dei moduli Microsap, ma possono essere inseriti prima e dopo e anche come linee iniziali del file dati. • Se la linea è tutta bianca oppure inizia col carattere “!” oppure “/” essa è considerata una linea di commento. • RENFILE accetta il path completo. Se il path è diverso, ma sullo stesso disco, è effettuata la copia da una directory all’altra. • DELFILE accetta wildcards per cancellare più files contemporaneamente. • CHNGDIR, MAKEDIR e DELDIR sono le funzioni standard del sistema operativo e non modificano alcuna variabile entro il solutore. • RUNFILE manda in esecuzione il programma assegnato col primo parametro e con eventuali argomenti specificati col secondo parametro. E’ aperto un nuovo processo e il solutore è sospeso temporaneamente fino alla completa esecuzione del nuovo programma. Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-7

Formato del File Dati

• WRKDIR modifica il nome della directory di lavoro del Microsap ed esegue CNGDIR per cambiare fisicamente la directory corrente. Deve essere eseguito prima di una nuova esecuzione del processore $INPUT entro lo stesso file dati contenente più lavori. • WRKNAM modifica il nome del lavoro corrente Microsap. Permette di cambiare i nomi dei file generati dal solutore per il lavoro seguente. Deve essere eseguito prima di una nuova esecuzione del processore $INPUT entro lo stesso file contenente più lavori. In caso contrario, il nuovo lavoro riscriverà i file di quello precedente, a meno che non sia eseguito WRKDIR. • Il comando CMD lancia l’interprete di comandi di sistema CMD.exe ed esegue il comando indicato nel seguito della linea, con la stessa sintassi voluta da CMD.exe. • Tutti i comandi possono generare un codice di errore n.78, con esclusione di DELFILE che non genera mai alcun errore.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-8

Formato del File Dati

IV.2.2 Esecuzione di Più Lavori Entro lo Stesso File Dati La linea di comando per l’esecuzione del solutore è della forma: MSP32.EXE nome processore, file input, file output /direttive Nel solutore in versione libreria Dll l’esecuzione avviene richiamando la routine: MSP_Execute(Loc1,Loc2,Loc3) in cui Loc1 è il puntatore all’indirizzo di memoria contenente la stringa “nome processore, file input, file output /direttive” nome processore = nome del processore dal quale inizia l’esecuzione del file di input. Entro il file di input viene ricercata la prima linea contenente il nome processore e da questo punto inizia l’esecuzione. Le linee precedenti sono ignorate. In genere il nome processore è $INPUT. Il nome processore può essere omesso (oppure può essere bianco). La virgola di separazione, prima di file input deve essere presente. In questa situazione l’interpretazione del file dati inizia dalla prima linea, che non necessariamente deve essere $INPUT. E’ infatti possibile eseguire uno o piu comandi tra quelli dell’elenco di tab.IV.2.11, ad esempio per cambiare il nome lavoro, la directory di lavoro o altro. Lo stesso file può contenere l’esecuzione completa di più lavori, sulla stessa cartella o su cartelle separate. Per default il nome dei file di lavoro e la directory di lavoro coincidono col nome e directory del file di input. E’ comunque possibile, prima dell’esecuzione di $INPUT, riassegnare il nome lavoro e/o l’indirizzario di lavoro.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-9

Formato del File Dati

IV.3

COSTRUZIONE DEL DATABASE - IL PROCESSORE $INPUT.

L’esecuzione del processore $INPUT permette la costruzione del file binario .MDB (Microsap DataBase), contenente la completa descrizione della struttura e dei dati occorrenti per effettuare le analisi previste. Il processore richiede sempre la assegnazione di linee dati standard, qualunque sia la struttura e le analisi da effettuare (titolo, coordinate dei nodi, ecc.) seguite da altri blocchi di dati che dipendono dalle caratteristiche del modello strutturale (tipi di elementi utilizzati nella schematizzazione) e dal tipo di analisi richieste (statica, dinamica, lineare, nonlineare). Questi altri blocchi sono elaborati in moduli di programma separati che sono attivati da una particolare linea di controllo contenente il nome del modulo (comandi BOUND, TRUSS, ecc). Ciascun modulo richiede la lettura di un numero più o meno elevato di linee dati di tipo generalmente numerico). La tabella IV.3-1 contiene l’elenco dei moduli o comandi eseguibili entro $INPUT. La descrizione e la sintassi di ogni linea dati di ciascun modulo sono trattate in un capitolo separato. Comando

Significato

BOUND

Assegnazione titolo, dati generali, coordinate nodali e codici di vincolo. Linee dati sempre lette all’inizio dell’esecuzione di $INPUT. Assegnazione di un gruppo elementi Boundary.

TRUSS

Assegnazione di un gruppo elementi Truss.

BEAM

SOLID

Assegnazione di un gruppo elementi Beam. Assegnazione di un gruppo elementi Plane, assialsimmetrici, plane strain, plane stress, membranali. Assegnazione di un gruppo elementi solidi Brick.

SHELL

Assegnazione di un gruppo elementi lastra/piastra Shell.

SOLVE

Assegnazione parametri di soluzione step di carico.

EIGEN FINISH

Assegnazione dati per analisi modale e spettro di risposta Comando di uscita dal processore $INPUT

Standard

PLANE

Linee Dati

• • • • • • • • •

Tab.IV.3-1. Comandi Eseguibili dal Processore $INPUT

Note. • Qualunque problema richiede sempre la assegnazione dei dati standard. Per questa ragione $INPUT procede obbligatoriamente alla lettura di una serie iniziale di linee dati non contraddistinte da uno specifico comando (titolo del problema, coordinate dei nodi, ecc.). Tutti i comandi sono seguiti da una o più linee dati. • I comandi da BOUND a SHELL seguono sempre le linee iniziali dei dati standard, ma possono essere eseguiti in qualunque ordine. La struttura può essere composta da più gruppi elementi di diverso tipo. Tuttavia, per uno stesso tipo di elemento, possono essere formati più gruppi. Questi comandi costruiscono su .MDB le caratteristiche dei gruppi di elementi del modello.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-10

Formato del File Dati

• Il comando SOLVE deve seguire i comandi relativi ai gruppi elementi. SOLVE non esegue la soluzione del problema ma si limita a conservare nel database .MDB le informazioni necessarie alle soluzioni previste. • Il comando EIGEN, se richiesto, deve seguire SOLVE. Le linee dati da esso elaborate conterranno le informazioni che saranno utilizzate nel caso di una eventuale esecuzione di analisi dinamica modale.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-11

Formato del File Dati

IV.4

STRUTTURA DEL FILE DATI: ESEMPIO.

Si supponga di dover risolvere un problema statico per una struttura composta da tre gruppi di elementi: il primo gruppo è costituito da elementi Boundary, il secondo da elementi Shell ed il terzo ancora da elementi Shell ma con differenti caratteristiche. Il file dati sarà quindi strutturato come segue: $INPUT ingresso nel processore $INPUT • ⎫ • ⎬ linee dati standard lette dal processore $INPUT • ⎭ BOUND • ⎫ • ⎬ linee dati lette dal modulo BOUND del processore $INPUT (1° gruppo elem.) • ⎭ SHELL • ⎫ • ⎬ linee dati lette nel modulo SHELL del processore $INPUT (2° gruppo elem.) • ⎭ SHELL • ⎫ • ⎬ linee dati lette nel modulo SHELL del processore $INPUT (3° gruppo elem.) • ⎭ SOLVE • ⎫ • ⎬ linee dati lette nel modulo SOLVE del processore $INPUT • ⎭ FINISH commando di uscita dal processore $INPUT e ritorno al Livello Iniziale $SOLU ingresso nel processore $SOLU e soluzione del problema FINISH comando di uscita dal processore $SOLU e ritorno al Livello Iniziale $MSPOST ingresso nel processore $MSPOST e output risultati • ⎫ • ⎬ comandi del processore $MSPOST • ⎭ FINISH commando di uscita dal processore $MSPOST e ritorno al Livello Iniziale $END comando di uscita dal Livello Iniziale e fine esecuzione del solutore

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-12

Formato del File Dati

IV.5

FORMATO DELLE LINEE DATI.

Le linee dati del problema sono scritte in formato libero. Ogni linea dati è composta da una serie di campi numerici, caratteri di separazione e da un eventuale commento. Una linea dati può contenere un massimo di 240 caratteri. Il numero dei campi numerici ed il loro significato dipende dalla linea dati: la loro descrizione sarà contenuta nei prossimi capitoli. Un campo numerico è costituito da un valore numerico intero o reale, preceduto e seguito da un qualunque numero di spazi bianchi. Tra le cifre che compongono il numero non è però consentito interporre spazi bianchi. Il carattere di separazione dei campi può essere, indifferentemente, la virgola o lo spazio bianco. Entrambi questi caratteri possono sussistere nella stessa linea. Al termine dell'introduzione dei valori, su ogni linea è possibile aggiungere un commento: questo deve essere preceduto dal carattere "/". Eventuali valori non assegnati, sono considerati come 0 (zero). In quanto segue, i termini "valore zero" e "valore nullo" saranno considerati sinonimi, per indicare una quantità uguale a zero. Per introdurre un campo nullo tra campi non nulli, l'operatore può perciò scrivere due virgole senza alcun valore tra esse. Se i campi nulli non sono seguiti da alcun campo non nullo, ma occupano le ultime posizioni nella linea, essi possono essere ignorati. Come caso limite, se tutti i campi della linea sono nulli, l'utente lascerà semplicemente una linea bianca, o scriverà solamente il commento. Il programma consente l'uso di fattori di ripetizione per campi con lo stesso valore. Se n campi successivi hanno lo stesso valore c, l'operatore può introdurli come n*c. Se c è uguale a zero (n valori nulli), può anche scrivere: n*. Come già detto, nelle linee dati del problema è fatto uso di tre tipi di valori: numerici interi, numerici reali e alfanumerici. E' un intero, ad esempio, il numero di nodi della struttura. E' viceversa un numero reale la coordinata X del nodo. E’ alfanumerico il titolo del problema. Nei prossimi capitoli, dedicati alla descrizione dettagliata delle linee dati dei diversi processori, i campi interi saranno identificati con “I”, quelli reali con “R” e quelli alfanumerici con “A”. Pur non essendovi alcun limite alla larghezza di un campo numerico e in genere al numero di cifre del valore in esso introdotto, esistono tuttavia, per i due tipi di quantità, alcune restrizioni e peculiarità che saranno esaminate in dettaglio.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-13

Formato del File Dati

IV.5.1 Costanti Intere Possono essere assegnati interi con segno (il segno + è facoltativo) compresi tra i valori -2147483647 e +2147483647 (interi di 4 bytes).

IV.5.2 Costanti Reali Per l'input dei dati reali sono utilizzate esclusivamente quantità in doppia precisione (reali di 8bytes). Una costante reale è costituita da un segno (il segno + è facoltativo) seguito da una parte intera, un punto decimale, una serie di cifre decimali e una parte esponenziale opzionale. La parte intera e quella decimale sono formate da una o più cifre. Tanto la parte intera quanto la parte decimale (ma non entrambe) possono essere omesse. La parte esponenziale è formata dalla lettera "E" o "e" seguita da un intero con segno compreso tra -308 e +308 (esponente). La parte esponenziale indica che il precedente valore è moltiplicato per 10 elevato all'esponente che segue la lettera "E". Sono ritenute fino ad un massimo di 16 cifre significative. Rappresentando il numero con più di 16 cifre significative si ha arrotondamento. Nel seguito sono indicati alcuni modi per scrivere lo stesso valore 123.456: 123.456 123.456E0

+12.3456E1 1234.56E-1

.123456E+3 +.01234560E+04 123456.E-3 1234560E-4

IV.5.3 Esempio di Scrittura di una Linea Dati Sia da scrivere la linea dati B) di $INPUT (Informazioni di Controllo). Essa (v. cap.V) è costituita da sette campi interi. Siano quindi da introdurre i seguenti valori:

Campo 1. Numero di nodi della struttura

= 125

Campo 2. Numero totale di gruppi di elementi

=2

Campo 3. Numero di step di carico

=1

Campo 4. Flag per esecuzione nonlineare

=1

Campo 5. Flag attivazione grandi spostamenti = 0 Campo 6. Flag attivazione stress-stiffening

=0

Campo 7. Codice tipo analisi

=0

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-14

Formato del File Dati

Nelle righe che seguono sono indicati alcuni possibili modi di scrivere la stessa linea dati. 125,2,1,1,0,0,0 125, 2 , 1 , 1 , 0 , 0, 0/Informazioni di Controllo 125 2 1 1 0 0 0 125 2 1 1 0 0 0 / Informazioni di Controllo 125 2 1,1,0 125 2 1 1/Informazioni di Controllo 125 2 1 1 125 2 1 1,,0 125,2,1,1,,,, 125,2, 2*1 ,3*0 125 2 2*1 3* 125 2 2*1/Informazioni di Controllo

Nota: Il fattore moltiplicatore n* può essere usato anche se i dati sono di tipo diverso. Se ad esempio si deve introdurre il numero intero 125 ed il reale 125.0 nel campo immediatamente seguente, si potrà scrivere: 125,125. oppure anche: 2*125 ma non: 2*125.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

IV-15

Linee Dati del Processore $INPUT

V DESCRIZIONE DELLE LINEE DATI DEL PROCESSORE $INPUT

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-1

Linee Dati del Processore $INPUT

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-2

Linee Dati del Processore $INPUT

V.1 - LINEE STANDARD Linea A. Titolo del Lavoro. Numero richiesto: Una.

Campo 1

Tipo A

Descrizione Titolo del problema

NOTE:

a) Questa prima linea dati ha lo scopo di fornire una breve descrizione del problema. Essa è l'unica linea dati contenente un campo alfanumerico (A). La lunghezza del titolo non può superare i 72 caratteri. Eventuali caratteri oltre la colonna 72 della linea sono ignorati. Il titolo del problema è riportato sulla prima pagina dell'output, contenente l'intestazione del programma, e su ogni pagina stampata, accanto alla data e all'ora.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-3

Linee Dati del Processore $INPUT

Linea B.

Informazioni di Controllo. Numero richiesto: Una.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

NUMNP - Numero totale di nodi della struttura

2

I

NGRP - Numero totale di gruppi di elementi

3

I

NSTP - Numero di step di carico

4

I

NOLIN - Flag per esecuzione calcolo nonlineare

5

I

LRGDEF - Flag di attivazione grandi spostamenti

6

I

KGEOM - Flag di attivazione stress stiffening

7

I

KANTYP - Codice tipo di analisi

8

R

TREF – Temperatura nodale iniziale T0n

9

I

KEXE – Modalità di esecuzione

10

I

LTIME – Durata massima di esecuzione (min)

NOTE:

a) La struttura è in generale schematizzata attraverso un reticolo (mesh) formato da nodi ed elementi. Un elemento può essere costituito da un solo nodo o da più nodi che delimitano una linea, un’area o un volume. In genere gli elementi sono interconnessi attraverso uno o più nodi, con un punto, una linea o una faccia in comune. I nodi possono distinguersi in strutturali e non strutturali. I primi sono i nodi principali dell’elemento, a cui possono essere associati spostamenti e rotazioni che generano sforzi. I secondi possono essere dei punti secondari, eventualmente appartenenti agli elementi, ed utilizzati per definire l’orientazione dell’elemento o parti di struttura. Il programma consente l’utilizzo di nodi strutturali anche per questi scopi, ma questa pratica è sconsigliata. I nodi con cui è schematizzata la struttura sono numerati consecutivamente da 1 al numero massimo NUMNP (campo n.1) senza seguire alcun ordine particolare. Ogni nodo strutturale possiede generalmente 6 gradi di libertà: le traslazioni Ux,Uy,Uz e le rotazioni Rx,Ry,Rz. L’utente può vincolare uno o tutti i gradi di libertà dei nodi strutturali imponendo ad esso un valore che, come caso particolare, può essere nullo. I nodi non strutturali non devono avere alcun grado di libertà di spostamento o rotazione associato, per cui essi devono essere esplicitamente soppressi. Analogamente, se in uno stesso nodo convergono solo elementi che non

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-4

Linee Dati del Processore $INPUT

trasmettono alcuni gradi di libertà, questi devono essere soppressi. Ad esempio, la biella (Truss) non trasmette rotazioni, per cui, se in uno stesso nodo convergono solo bielle, quel nodo deve avere le tre rotazioni soppresse. Esaminando in sequenza i nodi assegnati, il programma assegna un codice progressivo ai gradi di libertà attivi. A tale codice è associata una diversa equazione. L’utente ha la possibilità di visualizzare per ciascun nodo i gradi di libertà e i numeri di equazioni associati. Per ragioni di efficienza di calcolo tuttavia il solutore riordina internamente le equazioni allo scopo di minimizzare i tempi di calcolo e l’impegno di memoria.

b) La struttura può essere schematizzata utilizzando elementi appartenenti a famiglie diverse. Le diverse famiglie di elementi possiedono generalmente caratteristiche geometriche e proprietà differenti. Le famiglie di elementi contemplate attualmente sono le seguenti. Famiglia Elementi tipo 1 = Truss. Famiglia Elementi tipo 2 = Beam. Famiglia Elementi tipo 3 = Plane Strain. Famiglia Elementi tipo 4 = Axisyimmetric. Famiglia Elementi tipo 5 = Solid. Famiglia Elementi tipo 6 = Plate&Shell. Famiglia Elementi tipo 7 = Boundary, Link. Ogni famiglia può a sua volta contenere diversi tipi di elementi che si distinguono per avere funzionalità differenti. Ad esempio, la famiglia delle Beam può comprendere l’elemento Beam prismatico lineare, più semplice, l’elemento Beam a fibre nonlineare, più complesso, o altri elementi Beam adatti per impieghi particolari (strutture metalliche con elementi a sezioni aperte a piccolo spessore). Il tipo di elemento è identificato da un codice xy di due cifre: la cifra x identifica la famiglia, mentre la cifra y identifica il tipo elemento entro la famiglia. Ad esempio, l’elemento tipo 20 identifica l’elemento Beam lineare a sezione prismatica, denominato anche, per maggior chiarezza, Beam20. Per ragioni di efficienza di calcolo, la struttura deve essere schematizzata in gruppi di elementi dello stesso tipo. Ad esempio, se essa utilizza elementi Beam20, Beam22 e Shell60, è necessario definire tre gruppi diversi. E’ tuttavia possibile creare più gruppi utilizzanti lo stesso tipo di elementi. Nell’esempio precedente, gli elementi Beam20 possono essere scissi in due diversi gruppi, per un totale di quattro gruppi. Il numero di gruppi in cui è suddiviso il modello (NGRP) deve essere indicato al campo n.2. Entro ogni gruppo gli elementi sono numerati consecutivamente ad iniziare da 1. Ogni gruppo ha proprietà distinte (materiali, sezioni, carichi, ecc.). La famiglia di elementi tipo 1 è definita nel modulo TRUSS. Le altre famiglie sono definite rispettivamente nei moduli BEAM, PSTRN, AXISY, SOLID, SHELL, BOUND.

c) Al campo n.3 deve essere specificato il numero di step di carico statico. Se l’analisi è di tipo lineare queste sono le diverse condizioni di carico cui è soggetta la struttura. Nelle diverse condizioni di carico la struttura inizialmente scarica è caricata con diverse

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-5

Linee Dati del Processore $INPUT

configurazioni di carico finale. Una configurazione di carico è generalmente formata da forze e momenti concentrati ai nodi, a cui possono essere sommati altri carichi definiti a livello di elemento. I carichi nodali e di accelerazione sono assegnati entro il modulo SOLVE, mentre gli altri sono definiti nelle linee dei moduli elemento (TRUSS, BEAM, ecc.). Nel caso di analisi statica non lineare le modalità di assegnazione dei carichi sono analoghe, ma il carico è introdotto gradualmente in più sottostep, fino al livello specificato. Al tempo t=t0=0 la struttura è scarica e raggiunge il livello finale specificato al tempo t=t1. Gli eventuali step successivi ai tempi t2,t3, ecc. iniziano per default dal livello raggiunto negli step precedenti. L’utente ha comunque la possibilità di ripartire dalla configurazione di struttura scarica, come nell’analisi lineare. Quest’ultima modalità è comunque sconsigliata, poiché può generare confusione nell’interpretazione dei risultati e file eccessivamente voluminosi. Si consiglia quindi in tal caso di scomporre il calcolo in una sequenza di analisi separate.

d) Se le analisi sono di tipo lineare il campo n.4 deve essere nullo. In questo caso anche i campi n.5 e n.6 possono essere lasciati nulli. Le analisi di tipo lineare danno origine ad una sola fattorizzazione della matrice di rigidezza e a tanti passi di soluzione quanti sono gli step di carico. Ogni passo di soluzione è seguito da un passo di calcolo dei risultati finali (essenzialmente il calcolo di deformazioni o sforzi e azioni interne entro gli elementi). Nel calcolo nonlineare sono invece richieste di norma parecchie operazioni di fattorizzazione e numerosi cicli di iterazioni di equilibrio. Inoltre, nel caso di calcolo nonlineare è necessario fornire una serie di linee dati per ogni step di carico, con informazioni relative alle modalità di soluzione (massimo numero di iterazioni, di tentativi, di tolleranza, ecc.). Nella versione lineare del solutore i campi n.4,5,6 non sono usati, ma devono essere comunque inseriti (uguali a zero).

e) Se è attivata l’opzione grandi spostamenti (campo n.5 uguale a 1) durante il calcolo sono incluse diverse operazioni che tengono conto degli effetti di secondo ordine sulla geometria della struttura durante l’introduzione del carico (effetti P-∆). In altre parole, i carichi e le azioni interne sono applicate sulla struttura i cui spostamenti, rotazioni o deformazioni sono considerati non trascurabili. Inoltre i carichi agenti sugli elementi (pressioni e carichi distribuiti) seguiranno lo spostamento dell’elemento e cambieranno in genere orientazione. Le ipotesi di nonlinearità geometrica intervengono a vari livelli ed il calcolo può essere più o meno rigoroso a seconda delle capacità dei diversi elementi. A seconda dei casi sarà inclusa solo l’ipotesi di grandi spostamenti, piccole rotazioni e piccole deformazioni. Oppure, il tipo di elemento utilizzato potrebbe non contemplare affatto alcun genere di nonlinearità geometrica. Il calcolo di una struttura con l’ipotesi di grandi spostamenti è di tipo iterativo nonlineare e richiede che sia attivato anche il campo n.4.

f) Il campo n.6 attiva separatamente gli effetti di stress stiffening che modificano la rigidezza dell’elemento a seconda degli sforzi interni agenti (effetti P-δ). Sforzi di trazione aumentano la rigidezza e viceversa sforzi di compressione diminuiscono la rigidezza fino anche ad annullarla (instabilità o buckling). In genere se è attivato il campo n.5 è attivato contemporaneamente anche il campo n.6. Tuttavia l’effetto P-δ può essere utilizzato anche da solo, nell’ipotesi di piccoli spostamenti, anche perché

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-6

Linee Dati del Processore $INPUT

non è detto che tutte le opzioni siano disponibili uniformemente su tutti i tipi di elementi. Ovviamente il calcolo è di tipo nonlineare e il campo n.4 deve essere attivato.

g) Il codice analisi KANTYP può assumere i seguenti valori: 0 = analisi statica (lineare o nonlineare); 1 = analisi modale (frequenze proprie, modi di vibrare, spettro di risposta); L'analisi statica (KANTYP=0) e quella dinamica modale (KANTYP=1) devono essere condotte separatamente. L’analisi modale non utilizza i carichi sulla struttura (nodali o di elemento), per cui NSTP può essere uguale a zero. Tuttavia essi possono essere inseriti ugualmente, e tutte le relative linee dati saranno lette e ignorate. KANTYP=1 richiede l'esecuzione del modulo EIGEN e la lettura delle relative linee dati. Se il comando EIGEN non è assegnato sarà comunque possibile eseguire l’analisi modale ma ai parametri sarà attribuito il valore di default. Viceversa, in un’analisi statica possono essere inserite anche le linee di EIGEN. h) La temperatura di riferimento TREF, al campo n.8, è la temperatura iniziale T0n di assemblaggio della struttura, vale a dire la temperatura assegnata a tutti i nodi a struttura scarica al tempo t=0. Le temperature nodali ai diversi step di carico sono assegnate nel modulo SOLVE, con le linee B, con cui sono anche attribuite le forze e i momenti nodali concentrati. Si noti che nella condizione di struttura scarica le forze e gli spostamenti nodali sono nulli mentre le temperature sono assegnate costanti su tutti i nodi e pari a TREF, che eventualmente può coincidere con la temperatura ambiente (solitamente Tamb=20°C). In un qualunque substep i-esimo il carico termico cui è soggetto un punto entro l’elemento si traduce in una componente di deformazione εth pari a: ε ith = α i (Ti − Ti −1 ) T è la temperatura locale entro l’elemento e α è il coefficiente di dilatazione termica del materiale: nel caso più generale α può assumere valori diversi lungo i tre assi e dare origine quindi a tre diverse componenti di deformazione. Inoltre esso stesso può essere variabile con la temperatura. Esiste una netta distinzione tra temperature nodali e temperature locali dell’elemento. Nel caso generale elementi diversi possono avere temperature locali diverse nello stesso nodo comune. Nei programmi di analisi strutturale le temperature nel modello possono essere definite in modi differenti. In genere esiste quasi sempre la possibilità di definire le temperature sia a livello di nodo che di elemento. Una modalità può escludere l’altra o viceversa le due modalità possono sovrapporsi. Nel caso generale deve essere possibile far dilatare l’elemento in modo differente da quelli adiacenti e questo può essere ottenuto variando i coefficienti di dilatazione termica o le temperature locali dell’elemento. Spesso inoltre risulta comodo assegnare direttamente un salto termico entro l’elemento, ma deve anche essere possibile calcolare la temperatura locale per i materiali le cui caratteristiche sono variabili con la temperatura. Se il punto entro l’elemento coincide con un nodo, la temperatura locale coincide con la temperatura nodale solo se non

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-7

Linee Dati del Processore $INPUT

sono definiti salti termici interni. In caso contrario essi si sovrappongono e fanno variare sia la temperatura sia il salto termico effettivo. In questa nuova release del Microsap è possibile assegnare ad ogni step di carico diverse configurazioni di temperatura nodale, mentre la temperatura iniziale è assunta costante su tutti i nodi. Al primo step di carico le temperature dei nodi variano gradualmente dal valore T0 al valore specificato nel modulo SOLVE. Per ogni step di carico successivo è possibile fornire un diverso vettore di temperature nodali ed esse varieranno gradualmente nei diversi substep tra i valori finali dello step precedente e quelli finali dello step corrente. Entro ciascun elemento la temperatura locale T è determinata dai valori di temperatura Tn assegnati ai nodi (modulo SOLVE) e/o dai salti termici ∆Te assegnati come carichi di elemento e generalmente specificati ai nodi. La temperatura in qualunque punto dell’elemento è calcolata interpolando i valori ai nodi. Sintetizzando, si può scrivere: T = Tn + ∆Te Entro ogni substep il salto termico effettivo è dato dalla differenza tra la temperatura iniziale e finale del substep, come visto all’inizio della nota. Si noti che l’espressione precedente è scritta per il caso in cui lo step di carico sia risolto in una sola iterazione. In effetti la temperatura T, o meglio, Tn e ∆Te, sono introdotte gradualmente a partire dai valori ad inizio step, fino a raggiungere il livello totale di fine step. Le temperature entro l’elemento e i salti termici espliciti possono essere ottenuti in modo differente a seconda del tipo di elemento. Entro gli elementi di linea (Truss e Beam) la temperatura locale è definita solo nel punto medio. Negli elementi Shell la temperatura ai nodi è assunta coincidente con quella sul piano medio anche quando il piano medio non coincide col piano dei nodi. Entro il piano dell’elemento essa varia quindi con legge lineare. Nello spessore essa è inoltre considerata variabile con legge lineare se sono stati definiti dei gradienti termici.

i) Il parametro KEXE consente di effettuare la soluzione (ovvero l’esecuzione del processore $SOLU), con due diverse modalità: • KEXE=-1 L’esecuzione del processore $SOLU avviene entro il processo corrente. In generale, qualunque altro valore KEXE0 è equivalente a KEXE=+1. • KEXE=0 L’esecuzione è eseguita nella modalità di default, equivalente a KEXE=+1 (processo esterno).

j) Interruzione Forzata dell’Esecuzione per Tempo Limite. Il parametro LTIME consente di interrompere l’esecuzione di un calcolo di durata eccessiva dopo che sono trascorsi LTIME minuti dal suo inizio. Se LTIME non è assegnato o è nullo, non è posto alcun limite alla durata dell’esecuzione. LTIME è calcolato dall’inizio dell’esecuzione del processore $SOLU. Il calcolo non è interrotto brutalmente allo scadere di LTIME, ma è invece continuato fino a completare in modo pulito la soluzione immediatamente precedente a quella in corso. In analisi statica lineare, il calcolo termina con l’ultimo caso di carico risolto. In analisi modale, il calcolo è interrotto all’ultimo modo convergente estratto. Se invece si tratta di analisi statica nonlineare, essa è interrotta all’ultima soluzione (substep) convergente trovata.

k) Interruzione dell’Esecuzione col File .ABT. Indipendentemente dal parametro LTIME e da eventuali altri parametri specifici imposti per il termine dell’esecuzione (v. ad es. in analisi nonlineare), esiste un ulteriore meccanismo che provoca l’interruzione esplicita e pulita dell’esecuzione del processore $SOLU in qualunque istante. Per ottenere questo è sufficiente creare, anche manualmente, nella directory di lavoro, un qualunque file, anche nullo, di nome nomelavoro.abt. Il nome nomelavoro deve essere lo stesso degli altri file di lavoro. Ad intervalli regolari il programma controlla l’esistenza del file con estensione .abt. Se presente esso viene cancellato ed è effettuata una richiesta di interruzione (flag KSTOP=6) che salva i risultati dell’analisi fino all’ultima soluzione convergente ottenuta.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-9

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee C. Dati Nodali. Numero richiesto:

Campo

Tipo

Qualunque, fino ad esaurimento geometrica della struttura.

della

descrizione

Descrizione

1

I

Numero di nodo.

2

I

Codice di vincolo - Traslazione in direzione X

3

I

Codice di vincolo - Traslazione in direzione Y

4

I

Codice di vincolo - Traslazione in direzione Z

5

I

Codice di vincolo - Rotazione attorno a X

6

I

Codice di vincolo - Rotazione attorno a Y

7

I

Codice di vincolo - Rotazione attorno a Z

8

R

Coordinata nodale X

9

R

Coordinata nodale Y

10

R

Coordinata nodale Z

11

I

Indice generazione automatica (KN)

NOTE:

a) Se un codice di vincolo di traslazione lungo un asse globale (X,Y,Z), o di rotazione è posto uguale a zero, il nodo è libero di traslare o ruotare rispetto a quell'asse. Se il codice di vincolo è posto uguale a 1 la relativa traslazione o rotazione del nodo è impedita. Una serie di nodi può avere lo stesso grado di libertà impedito. Per ottenere questo, l'indice del primo nodo della serie deve essere posto uguale a -1 e l'indice dell'ultimo nodo della serie uguale a 1. I nodi definiti nelle linee dati intermedie avranno l'indice di vincolo posto a 1 dal programma. Con qualunque tipo di elemento è possibile usare il legame di dipendenza master-slave per eliminare dei gradi di libertà non necessari. Per dichiarare "slave" un grado di libertà occorre porre il corrispondente codice di vincolo uguale al numero di nodo "master". Questa possibilità è largamente impiegata per la schematizzazione di impalcati rigidi

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-10

Linee Dati del Processore $INPUT

per strutture a telaio (v. Problem 2.1). Nei telai piani in genere, ad ogni piano è scelto "master" il nodo di estremità dell'impalcato e dichiarati "slave" per la traslazione orizzontale tutti gli altri (uguale spostamento di piano). Per gli impalcati appartenenti a ossature spaziali vengono di solito dichiarati "slave" gli spostamenti sul piano orizzontale e, in genere, anche la rotazione attorno all'asse verticale passante per il nodo "master" (v. Problem 2.5). Le equazioni corrispondenti a gradi di libertà "slave" sono eliminate.

b) Al fine di evitare problemi nella risoluzione del sistema di equazioni o scarsa precisione nei risultati, l'utilizzatore dovrebbe impedire alla struttura i moti rigidi di traslazione o rotazione lungo gli assi globali X,Y,Z: la struttura deve essere isostatica o iperstatica. Se un grado di libertà è certamente nullo, questo deve essere soppresso dall'utilizzatore (ad esempio tutti gli spostamenti lungo l'asse Z e le rotazioni attorno a X e Y per strutture a telaio piano). Allo stesso modo, se un elemento è incapace di trasmettere alcuni g.d.l., questi dovrebbero essere soppressi. Nodi connessi solo a elementi Truss, ad elementi Plane o ad elementi Solid, dovrebbero avere le tre rotazioni soppresse. Anche se le condizioni di labilità interna devono sempre essere soppresse, esiste tuttavia un caso in cui la struttura può presentare dei moti rigidi o essere totalmente priva di vincoli esterni, rappresentata dai modi di vibrare di "corpo libero". In altri termini, l'analisi modale può essere condotta sia su una struttura isostatica o iperstatica, sia sul modello dotato di moti rigidi.

c) La geometria della struttura è definita assegnando le coordinate X,Y,Z dei nodi rispetto al sistema di riferimento globale di assi X,Y,Z ortogonali: i carichi nodali e gli spostamenti sono definiti in questo sistema. Un sistema di coordinate locale è invece usato per ogni tipo di elemento.

d) Le linee dati nodali possono essere scritte anche senza rispettare l'ordine dei nodi. Se tra una linea e la successiva sono omessi dei nodi, i nodi intermedi sono generati per mezzo del parametro KN dell'ultima linea dati della serie. KN rappresenta l'incremento di nodo ed i nodi intermedi sono posti equidistanti, sulla retta congiungente gli estremi. I valori della temperatura e dei codici di vincolo sono posti uguali a quelli della prima linea della serie. Se l'indice di vincolo rappresenta il numero di un nodo "master", esso è incrementato di KN. La linea dati relativa all'ultimo nodo della struttura deve sempre essere l'ultima.

e) La presente nota chiarisce alcuni aspetti relativi all’uso del legame master/slave. 1) Più nodi sono in genere slave allo stesso master lungo lo stesso grado di libertà. Ad esempio, tutti i nodi su uno stesso piano possono essere dichiarati slave ad un

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-11

Linee Dati del Processore $INPUT

unico master per gli spostamenti Ux, Uy e la rotazione Rz. Sia i nodi master che i nodi slave possono appartenere a qualunque tipo di elemento. 2) Un nodo master può ricevere i contributi di rigidezza, massa e carico dai nodi slave. 3) Un nodo master può quindi anche non essere connesso ad alcun elemento. In tal caso i g.d.l. non accoppiati a slave devono essere soppressi 4) Le forze concentrate su nodi slave sono ricondotte al nodo master in modo automatico. Il programma eventualmente aggiungerà gli opportuni momenti di trasporto. 5) Analogamente, le masse concentrate su nodi slave sono ricondotte automaticamente al nodo master, eventualmente aggiungendo gli opportuni momenti di inerzia polare. 6) Il Microsap utilizza la definizione della matrice di massa ‘a masse concentrate’; le matrici di massa degli elementi sono diagonali con soli termini traslanti. La matrice di massa globale è diagonale e può ricevere sia componenti di traslazione e rotazione tramite la linea dati ‘carichi concentrati’ del modulo SOLVE. 7) Le relazioni di equilibrio dell’impalcato rigido definito, ad esempio, su un piano parallelo a xy sono: ⎧R ⎫ ⎡1 0 y 0 ⎤⎧⎪ ü x ⎫⎪ ⎪ x⎪ ⎢ ⎨R y ⎬ = M 0 1 − x 0 ⎥⎨ ü y ⎬ ⎢ 2 ⎥ ⎪⎩ M ⎪⎭ ⎣ y 0 − x 0 r0 ⎦⎪⎩ ü zz ⎪⎭ z dove Rx, Ry, Mz, üx, üy e üzz sono le componenti dei vettori forza e accelerazione del nodo master, x0,y0 sono le coordinate del baricentro della massa M dell’impalcato rispetto al nodo master e r0 è il raggio d’inerzia polare rispetto al master. Si deduce quindi che, nel caso di presenza di impalcati rigidi (e solo in questo caso), è possibile riprodurre l’esatta relazione di equilibrio solo se x0=0 e y0=0, cioè solo posizionando il nodo master in corrispondenza del baricentro delle masse dell’impalcato rigido. 9) Nel caso di analisi dinamica di edifici multipiano ad impalcati rigidi deve essere esplicitamente definito, per ogni impalcato, un nodo master baricentrico. 10) Un impalcato può essere parzialmente rigido e parzialmente flessibile. In tal caso il nodo master sarà posizionato al baricentro delle masse appartenenti alla parte rigida. 11) Se le masse sono introdotte fornendo la densità dei materiali (o eventualmente, nel caso di beam, la massa per unità di lunghezza dell’asta), è il programma stesso che effettuerà le opportune operazioni per introdurre nella definizione della matrice di massa, i termini di inerzia polare riferiti al master. In ogni caso il nodo master andrà sempre posizionato al baricentro delle masse sull’impalcato rigido, ma non deve essere fornita la linea di definizione delle masse concentrate.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-12

Linee Dati del Processore $INPUT

12) Esempio: 7

8

+

5

9

6.

Se m5 = m8 = 1. m6 = m7 = 2.

6 4

3

Si ha: z

4. y

1

x

x0 = 2.6667 y0 = 2.

2 4.

I nodi 5,6,7,8 saranno posti slave per le traslazioni lungo x e y e per la rotazione attorno a z al nodo master 9 (che riprodurrà lo spostamento e la rotazione dell’intero impalcato. Il nodo 9 sarà definito con la seguente linea dati: 9,0,0,1,1,1,0,2.6667,2.,6.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-13

Linee Dati del Processore $INPUT

V.2 - MODULO TRUSS – ELEMENTO TIPO 11 Linea A. Informazioni di Controllo. Numero richiesto: Una.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Il numero 11

2

I

NUME - Numero totale di elementi Truss del gruppo

3

I

NMAT - Numero di differenti materiali

4

I

NSEZ - Numero di proprietà geometriche delle sezioni

5

I

NLD - Numero di linee di carico

6

I

OUTMNT - Tipo di output nel file monitor

NOTE:

a) L'elemento Truss11 è un'asta rettilinea che può essere definita nello spazio attraverso i due nodi di estremità I e J. Esso può di norma trasmettere solo azioni di compressione o trazione, essendo definita la sola rigidezza estensionale. Ogni nodo trasmette solamente tre componenti di spostamento. Se un nodo è connesso a soli elementi Truss, le sue rotazioni dovrebbero essere soppresse utilizzando i codici di vincolo delle linee standard C di $INPUT. L’elemento può essere utilizzato sia in campo lineare che nonlineare. Le capacità nonlineari dell’elemento sono riassunte nel seguito. • Nonlinearità di materiale, assegnata attraverso curve sforzo-deformazione • Nonlinearità nel comportamento dell’elemento. Nel caso più generale l’elemento

può assumere tre stati: reagente a sola trazione, non reagente, reagente a sola compressione. Come casi particolari si hanno gli elementi Gap, Hook e di Contatto. • Grandi spostamenti, piccole rotazioni e piccole deformazioni (Updated Lagrangian) • Stress-stiffening (nonlinearità geometrica)

b) La nonlinearità di materiale è attivata semplicemente assegnando ai materiali del gruppo le curve σ-ε e attribuendo il valore 1 al campo n.4 della linea B standard di $INPUT. La caratteristica di grandi spostamenti e nonlinearità geometrica è attivata attribuendo il valore 1 ai campi n.5 e n.6 della stessa linea. Sugli elementi del gruppo possono essere attivate tutte le nonlinearità contemporaneamente. Comunque, mentre la nonlinearità geometrica agisce su tutti gli elementi del gruppo (e su tutti i gruppi di

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-14

Linee Dati del Processore $INPUT

elementi che la supportano), la nonlinearità di materiale agisce solo sugli elementi a cui è attribuito un materiale con caratteristiche nonlineari.

c) In deroga a quanto detto alla nota a), l’introduzione della capacità stress-stiffening conferisce all’elemento anche una componente di rigidezza trasversale. In genere non è possibile assegnare più elementi Truss giacenti sulla stessa linea in quanto sui nodi di connessione la struttura è labile. In questo caso non possono essere assegnate su questi nodi forze o componenti normali all’asse dell’elemento e le traslazioni trasversali dovrebbero essere soppresse. Nelle strutture a traliccio di fatto i cinematismi sono soppressi con l’aggiunta di elementi di controvento capaci di sopportare gli sforzi di compressione o trazione (puntoni o tiranti). Con la funzione di stress-stiffening attivata i puntoni possono gradualmente perdere la loro funzione fino a raggiungere l’instabilità. Viceversa un elemento teso può sopportare carichi trasversali che altrimenti non sarebbero contrastati da alcuna componente di rigidezza. Una fune tesa o una catena può quindi essere suddivisa in più elementi e può sopportare dei carichi trasversali o eventualmente il peso proprio.

d) L’elemento Truss11 è definito con sviluppo rettilineo tra i due nodi di estremità. Di conseguenza, nella schematizzazione di funi o catene attraverso più elementi consecutivi è necessario assegnare esplicitamente la posizione iniziale dei nodi e potrebbero aversi difficoltà di convergenza nei casi in cui la configurazione iniziale si discosta in modo notevole da quella di equilibrio. In questo caso è più conveniente l’utilizzo di un apposito elemento Cavo (Cable) in cui la configurazione geometrica tra i due estremi è un arco di catenaria.

e) Il valore introdotto al campo n.3 coincide col numero di linee B necessarie a descrivere tutte le sezioni che differiscono per almeno una proprietà.

f) Al campo n.6 il codice OUTMNT serve a selezionare i risultati di elemento che si desidera conservare nel file .MNT per una serie di elementi scelti con la linea C8 del modulo SOLVE. I risultati selezionati sono monitorati durante tutte le iterazioni di una soluzione nonlineare. Solo 12 quantità per elemento possono trovar posto nel file .MNT. Nel caso generale il codice OUTMNT è un intero di nove cifre suddiviso in tre campi: xxxxyyyzz. Per la composizione del codice di selezione OUTMNT si veda la nota “Output Risultati di Elemento” della linea F.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-15

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee B. Caratteristiche dei Materiali. Numero richiesto: Una serie di linee B1,B2,B3 deve essere fornita per ogni materiale, il cui numero NMAT è stato specificato al campo n.3 della linea A.

B1. Linea di Identificazione Materiale. Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione materiale

2

R

Modulo elastico del materiale (E)

3

R

Coefficiente di dilatazione termica α (solo per carichi termici)

4

R

Peso specifico gravità)

5

R

Densità ρ (solo per analisi dinamica o accelerazione centrifuga)

6

R

Non Usato (Mettere 0.0)

7

I

Tipo materiale MATTYP (0=lineare; n=n. punti diagr. ε-σ)

γ (solo per carichi dovuti ad accelerazione di

NOTE:

a) Il numero di materiale al campo n.1 deve essere compreso tra 1 e NMAT. Non è comunque richiesto che i materiali siano assegnati in ordine.

b) Il valore al campo n.2 è il modulo elastico utilizzato dal programma nel caso di materiale a comportamento lineare (NOLIN=0 alla linea B di $INPUT, oppure se MATTYP=0 al campo n.7). Se il materiale è lineare E deve sempre essere assegnato ed essere maggiore di zero. Per materiale a comportamento nonlineare E non può essere definito negativo, ma può anche essere lasciato nullo.

c) Se il valore al campo n.4 è assegnato negativo esso è considerato dal programma come peso per unità di lunghezza dell'asta.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-16

Linee Dati del Processore $INPUT

d) Se il valore al campo n.5 è assegnato negativo esso è considerato dal programma come massa per unità di lunghezza dell'asta.

e) Note le temperature TI e TJ dei nodi, assegnate con le linee B del modulo SOLVE, la temperatura dell’elemento è ottenuta come somma tra la media Tn delle temperature dei nodi e i salti termici ∆Te esplicitamente assegnati come carichi di elemento: T = Tn+∆Te

Tn = (TI+TJ)/2

f) Al campo n.7 deve essere indicato il numero di punti del diagramma σ-ε del materiale non lineare, con un minimo di 2 punti ed un massimo di 12. Se il numero di punti non è superiore a 6 è letta la sola linea B2, altrimenti è necessario inserire anche la linea B3. Se il materiale è lineare il campo n.7 non è assegnato e le linee B2 e B3 non devono essere inserite.

g) La nonlinearità di materiale implementata per l’elemento Truss11 è adatta a rappresentare un comportamento di tipo elastico nonlineare (elasticità nonlineare). Non è adatta a rappresentare il comportamento elasto-plastico di materiali metallici sottoposti a cicli di carico e scarico in cui siano presenti fenomeni di incrudimento e isteresi con deformazioni plastiche residue. Se l’elemento è sottoposto a step di carico non monotono è percorsa la stessa curva σ-ε indifferentemente nelle due direzioni.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-17

Linee Dati del Processore $INPUT

B2. Diagramma σ-ε del Materiale Nonlineare. Numero richiesto: Una, se il n. punti specificato al campo n.7 della linea B1 è compreso tra 2 e 6 (max 6 coppie σ-ε). Campo

Tipo

Descrizione

1

R

Valore ε1 del 1° punto del diagramma

2

R

Valore σ1 del 1° punto del diagramma

3

R

Valore ε2 del 2° punto del diagramma

4

R

Valore σ2 del 2° punto del diagramma

• •

• •

11

R

Valore ε6 del 6° punto del diagramma

12

R

Valore σ6 del 6° punto del diagramma

B3. Diagramma σ-ε del Materiale Nonlineare. Numero richiesto: Una, se il n. punti specificato al campo n.7 della linea B1 è maggiore di 6 (max 6 coppie σ-ε). Campo

Tipo

Descrizione

1

R

Valore ε7 del 7° punto del diagramma

2

R

Valore σ7 del 7° punto del diagramma

3

R

Valore ε8 dell’ 8° punto del diagramma

4

R

Valore σ8 dell’ 8° punto del diagramma

• •

• •

11

R

Valore ε12 del 12° punto del diagramma

12

R

Valore σ12 del 12° punto del diagramma

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-18

Linee Dati del Processore $INPUT

NOTE: a) I punti σ-ε delle linee B2 e B3 devono essere assegnati in ordine crescente di deformazione (ε1≤ε2≤ε3≤…). Se la deformazione è rappresentata sull’asse delle ascisse il diagramma deve essere tracciato sul primo quadrante (ε≥0 e σ≥0) e sul terzo quadrante (ε≤0 e σ≤0). Deformazioni positive originano sforzi positivi (trazione). Viceversa, deformazioni negative originano sforzi negativi (compressione). Spesso un punto del diagramma coincide con l’origine (ε=0 e σ=0). Il diagramma σ-ε è ottenuto congiungendo con tratti rettilinei i punti assegnati. Durante il calcolo nonlineare il programma trova il valore di σ corrispondente al valore di ε corrente interpolando linearmente tra i due punti che racchiudono ε. Se ε cade esternamente agli estremi il valore di σ è uguale al valore dell’estremo, cioè il diagramma continua con pendenza nulla oltre gli estremi. Il valore Et=dσ/dε letto in corrispondenza del valore corrente di deformazione ε è il modulo tangente del materiale, utilizzato dal programma per calcolare la matrice di rigidezza tangente. La pendenza, ovvero il modulo tangente, può essere negativa. Nell’analisi nonlineare non è richiesto che la matrice di rigidezza della struttura sia definita positiva, a patto di utilizzare un opportuno metodo di soluzione che contempli questa evenienza (KSOLV=2).

σ

σ

P6 P5

P3

P4 Et=dσ/dε

P7 P4

P1

ε

P2

ε

P1

P2

P3 Esempi di Diagramma σ-ε Non-Lineare

b) Durante un’analisi nonlineare il modulo tangente Et può cambiare spesso sensibilmente. Se la variazione di rigidezza tra due successive iterazioni è superiore al 10% il programma rileva questa situazione come un Cambiamento di Stato dell’elemento. Tale informazione è conservata per ciascun elemento. Il cambiamento di stato di uno o più elementi provoca il ricalcolo dell’intera matrice di rigidezza e una nuova fattorizzazione. c) Il diagramma σ-ε rappresenta la curva caratteristica del materiale quando l’elemento identificato dai nodi I e J è scarico e non soggetto a tensioni di origine termica, a pretensioni o a tensioni iniziali. Il programma tiene conto separatamente di tali effetti e non devono essere rappresentati nel diagramma σ-ε assegnato. In altri termini, anche in presenza di tali effetti il diagramma assegnato passerà per l’origine degli assi. Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-19

Linee Dati del Processore $INPUT

Attraverso un’opportuna definizione del diagramma sarebbe possibile simulare elementi resistenti a sola compressione o sola trazione o elementi gap (distanziale) e hook (gancio) che si attivano solo a seguito di uno spostamento ∆g o ∆h non nullo. Le figure seguenti mostrano alcuni esempi. Tuttavia il Microsap gestisce espressamente queste situazioni come una nonlinearità di stato dell’elemento (v. linee C), per cui si consiglia vivamente di assegnare la curva caratteristica del materiale passante sempre per l’origine.

σ

σ

P3 P2 P4

ε

P1

ε

P4

P1

P2 44

Elemento Reagente a Sola Trazione

Elemento Reagente a Sola Compressione

σ

σ

P3 P2

εg ε

P4

P1

P2 ∆g

εg =

P3

εh

ε

εh =

L − L0 ∆ h = L0 L0

L I

J

I

∆h

L0 Elemento Gap

Microsap Rel.12.0

P4

∆g L − L0 =− L0 L0

L

J

P1

L0 Elemento Hook

Manuale d’Uso

V-20

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee C. Proprietà delle Sezioni. Numero richiesto: Una linea per ogni differente sezione, il cui numero NSEZ è stato specificato al campo n.4 della linea A.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione della proprietà

2

R

Area della sezione trasversale dell’elemento (A)

3

R

Lunghezza gap DG (∆g)

4

R

Lunghezza hook DH (∆h)

NOTE:

a) Il codice di identificazione della proprietà, al campo n.1, deve essere compreso tra 1 e NSEZ. Non è comunque richiesto che le proprietà siano assegnate in ordine.

b) L’elemento può sviluppare grandi spostamenti ma piccole deformazioni. L’area A è quindi considerata invariabile durante l’analisi. Deve essere sempre maggiore di zero.

c) Si è già visto nelle note alle linee B come, attraverso l’assegnazione di un materiale nonlineare, sia possibile simulare un elemento resistente a sola trazione, sola compressione oppure un comportamento misto gap/hook, con escursioni ∆g e ∆h. In effetti questa funzionalità è disponibile direttamente con le linee C, assegnando i campi n.3 e n.4. La definizione del comportamento gap/hook attraverso le proprietà delle sezioni è il modo più corretto e completo e da preferire. Attualmente la definizione della curva σ-ε del materiale per punti permette che essa possa non passare necessariamente per l’origine degli assi. Comunque in futuro questa possibilità potrebbe essere inibita e certamente non sarà disponibile per altri tipi di curve che saranno introdotte. d) ∆g e ∆h devono essere valori positivi, con esclusione dei casi particolari descritti nella nota e). E’ possibile assegnare contemporaneamente sia ∆g che ∆h per simulare un comportamento a tre stati: a) reagente a sola compressione; b) non reagente; c) reagente a sola trazione. Come evidenziato nella figura seguente, si può immaginare l’elemento come un’asta rigida connessa ai nodi I e J appartenenti alla struttura. L0 è la lunghezza nominale dell’elemento, coincidente con la distanza iniziale tra i nodi I e J. Sul nodo J l’elemento può scorrere senza trasmettere il moto al nodo, ma alle distanze Lg e Lh esso ha due dispositivi di fine-corsa: se la struttura si deforma (εt0). Nell’intervallo tra Lg e Lh l’elemento rimarrà scarico. Se ∆h=0 l’elemento resiste a trazione, ma anche a compressione, quando (e se) è recuperata la distanza ∆g; viceversa, se ∆g=0 l’elemento resiste a compressione, ma anche a trazione quando (e se) è recuperata la distanza ∆h. Si deve notare che i segmenti ∆g e ∆h non sono realmente ubicati all’estremo J o I, ma sono invece una caratteristica dell’elemento, senza avere una posizione particolare. ∆g

Lg

I

∆h

I

J

J

L0

∆h

L0

Lh

Lh

Elemento Truss a Tre Stati

Catena (Elemento Hook)

e) E’ necessario citare due casi particolari. • Elemento Gap. Quando ∆h è molto grande, tanto da non poter essere mai recuperato, l’elemento resisterà solo a compressione e viene identificato come elemento Gap, con ∆g≥0. Per ottenere questo comportamento è sufficiente assegnare DH=-1. al campo n.4 o eventualmente un valore positivo molto grande. • Elemento Hook. Quando ∆g è molto grande, tanto da non poter essere mai recuperato, l’elemento resisterà solo a trazione e viene identificato come elemento Hook, con ∆h≥0. Per ottenere questo comportamento è sufficiente assegnare DG=-1. al campo n.3 o eventualmente un valore positivo molto grande. Questo è anche il caso tipico delle catene, in cui ∆h è la differenza tra la lunghezza totale (Lh) della catena e la distanza iniziale tra i punti di attacco (L0).

f) Nell’attuale release non esistono ancora elementi specifici di contatto. Con l’elemento Truss11 nonlineare è comunque possibile schematizzare il contatto unilaterale (Contatto Nodo-Nodo) tra elementi adiacenti di qualunque tipo. Per ottenere questo è sufficiente seguire i criteri qui elencati. Si tenga presente che la soluzione del contatto rappresenta un problema di non linearità generalmente laborioso, spesso con convergenza lenta, e richiede una mesh di densità adeguata e opportune strategie in termini di metodo di soluzione (spesso è richiesto il metodo Full Newton-Raphson), tolleranze, ampiezze di substep, ecc. • Nel caso più generale l’elemento di contatto non è altro che un elemento Gap

(definito da DH=-1 e DG≥0), perpendicolare alle superfici in contatto e con rigidezza relativamente elevata.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-22

Linee Dati del Processore $INPUT

• I nodi delle due superfici a contatto devono essere corrispondenti. In altre parole, i

nodi di una superficie sono ottenuti con una traslazione perpendicolare alla superficie di contatto. • Le due superfici a contatto devono quindi essere costruite leggermente distanziate

(ad esempio, di una quantità L0 trascurabile). Questo è necessario per poter interporre elementi truss con nodi I-J separati che ne definiscano l’orientazione. Un caso comune è comunque rappresentato da interfacce inizialmente a contatto ma con le due superfici di nodi già separate. Questo accade, ad esempio, quando il modello strutturale è rappresentato da elementi con spessore non schematizzato. Non è detto comunque che le due superfici siano inizialmente a contatto, ma possono essere separate da un gap ∆g maggiore di zero. • Tra le coppie di nodi interfacciati devono essere costruiti altrettanti elementi truss di

contatto, di lunghezza L0. A tali elementi sarà assegnata per semplicità una sezione di area unitaria. In questo modo la rigidezza di ogni elemento sarà Ke=E/L0. E’ necessario che la rigidezza Ke degli elementi di contatto sia sensibilmente superiore alla rigidezza apparente della struttura nei punti di contatto (10-100 volte maggiore). Ciò per evitare che la struttura risenta del sovraccarico indotto dalla deformazione degli elementi di contatto interposti. L’elemento di contatto in ogni caso si schiaccia ed è soggetto ad una deformazione. Più esso è morbido, più vi sarà compenetrazione tra le superfici. D’altra parte, una rigidezza eccessiva può causare una convergenza troppo lenta o impossibile da raggiungere. Si consiglia di ottenere la soluzione per tentativi, iniziando con valori di rigidezza limitati a 10 volte e substep ridotti. La soluzione è accettabile se l’accorciamento dell’elemento truss è trascurabile rispetto agli spostamenti della rimanente struttura e se soluzioni successive non differiscono in modo apprezzabile nei riguardi degli sforzi nella struttura. Nella figura seguente è rappresentato un esempio di elementi di contatto tra due superfici schematizzate con elementi shell e inizialmente separate da un gap ∆g non nullo. Elementi shell

Elementi di Contatto

t1 ∆g t2

L0

L0 = ∆ g +

t1 + t 2 2

Elementi shell Esempio di Elementi di Contatto

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-23

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee D. Carichi sugli Elementi. Numero richiesto: NLD linee (v. campo n.5 della linea A), fino alla descrizione di tutti i set di carico.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione del set

2

I

Tipo di carico

3

R

Parametro p1

4

R

Parametro p2

5

R

Parametro p3

NOTE:

a) Il codice di identificazione del set, al campo n.1, può essere un qualunque numero intero positivo. I set di carico possono essere assegnati in qualunque ordine. In genere un set di carico può essere composto da differenti tipi di carico. Per ottenere questo è sufficiente assegnare più linee con lo stesso codice identificativo. Nell’attuale release è comunque previsto solo il carico di tipo 0. I carichi sullo stesso set, anche assegnati con linee non consecutive, si sommano a quelli eventualmente già presenti. Ad esclusione della prima riga, se il numero di set è nullo, il nuovo carico è sommato al set definito per ultimo.

b) I parametri p1,p2,p3 variano col tipo di carico secondo la tabella seguente. Nell’attuale release è previsto solo il carico di tipo 0. Tipo Descrizione 0 Deformazione Iniziale

Tipo 0.

p1

εin

p2

δin

p3 ∆Te

Deformazione Iniziale. Questo tipo di carico permette di assegnare un valore di deformazione iniziale all’elemento, ottenuta come contributo di tre cause di differente origine ma di effetto equivalente: deformazione assegnata esplicitamente, interferenza o gap, salto termico interno. Di norma l’utente sceglierà una sola delle tre modalità, a seconda dell’effettiva origine del carico o della maggiore comodità di assegnazione. In ogni caso la deformazione iniziale introdotta dal programma è la somma dei tre contributi.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-24

Linee Dati del Processore $INPUT

Deformazione iniziale assegnata. Col parametro p1 è assegnato esplicitamente il valore εin=-(Lin-L0)/L0, essendo Lin la lunghezza libera iniziale dell’elemento e L0 la distanza iniziale tra i nodi. Un valore negativo provoca uno stato di compressione iniziale nell’elemento, che si trasmette alle parti adiacenti della struttura e viene quindi parzialmente perso a seconda della sua rigidezza. Questo tipo di carico è del tutto equivalente ad un salto termico. Interferenza iniziale. Il parametro p2 consente di esprimere lo stato di deformazione iniziale attraverso il valore dell’interferenza δin= Lin-L0, per cui è εin=-δin/L0. Un valore di interferenza positivo provoca perciò uno stato di compressione iniziale nell’elemento, che si trasmette alle parti adiacenti della struttura e viene quindi parzialmente perso a seconda della sua rigidezza. Anche questo tipo di carico è del tutto equivalente ad un salto termico. Salto termico iniziale. Il parametro p3 permette di specificare un salto termico ∆Te entro l’elemento, del tutto equivalente ad una deformazione iniziale εin = εth = -(Lin-L0)/L0 = -α⋅∆Te, con α assegnato al campo n.3 delle linee B1. Il carico termico entro l’elemento, oltre che attraverso la assegnazione esplicita di ∆Te può anche essere introdotto attraverso le temperature nodali (v. linee B del modulo SOLVE). In genere è utilizzato uno solo dei due metodi a seconda della convenienza. Nel caso di uso contemporaneo dei due metodi i due effetti risultano sommati (v. nota e), linea B1 e nota g), linea B iniziale di $INPUT). Si noti che ∆Te modifica la temperatura T dell’elemento (e quindi le proprietà dei materiali dipendenti dalla temperatura) e il salto termico effettivo ∆T. Le deformazioni specificate con i parametri p1 e p2 non forniscono invece alcun contributo in tal senso.

c) Carichi Globali di Accelerazione e Gravità. Questi carichi sono inseriti automaticamente su tutti gli elementi del gruppo secondo i fattori di accelerazione specificati nelle linee C1 di SOLVE. La loro entità dipende dal volume e dalla densità e peso specifico del materiale che compone l’elemento (v. linee B delle caratteristiche dei materiali). La densità è impiegata nel calcolo dei carichi di accelerazione centrifuga. Il peso specifico è invece utilizzato per il calcolo dei carichi di accelerazione globale (gravità, come caso particolare). Le componenti di forza centrifuga e di inerzia relative all’intero volume sono suddivise in parti uguali e applicate ai nodi dell’elemento.

d) Input Alternativo per i Carichi di Elemento. La presente linea dati e la successiva consentono di definire qualunque carico e di assegnarlo quindi separatamente agli elementi interessati. Questo metodo consente quindi un notevole risparmio nel numero di linee dati da assegnare. Se tuttavia la generazione di tutti i carichi è stata già effettuata da un pre-processor, le due serie di linee sono ridondanti. Esiste quindi una modalità alternativa, che è attivata attribuendo il segno negativo al parametro NLD della linea A. In questo caso, in luogo del parametro al campo n.1 della presente linea è necessario fornire il numero di elemento e il numero di step di carico di struttura a cui il carico di elemento deve essere attribuito. Le linee seguenti, di assegnazione dei carichi non devono essere inserite. Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-25

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee E. Assegnazione dei Carichi agli Elementi. Numero richiesto: Qualunque,fino alla assegnazione di tutti i carichi sugli elementi. Lette solo se NLD>0 (v. campo n.5 della linea A). Se presenti, devono terminare con una linea bianca.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Step di carico (1÷NSTP)

2

I

Numero set di carico

3

I

Elemento iniziale (eli)

4

I

Elemento finale (elf)

5

I

Incremento di elemento (incr)

NOTE:

a) Le linee E non devono essere assegnate se non esiste alcun carico di elemento definito con le linee D. L’ultima linea deve essere bianca, per indicare il termine dell’input dei carichi.

b) Il campo n.1 indica su quale tra gli NSTP step di carico della struttura specificati al campo n.3 della linea B di INPUT deve essere aggiunto il set di carico indicato al campo n.2. Con una linea dati il carico è assegnato dall’elemento iniziale eli all’elemento finale elf, con incremento di elemento incr. Se incr non è assegnato, è assunto un incremento unitario. Se elf non è assegnato, è assunto elf=eli e il carico è attribuito al solo elemento eli specificato al campo n.3. c) E’ buona norma assegnare i carichi ordinatamente, step per step. Al campo n.2, per ogni step di carico andranno attribuiti i set di carico scelti tra quelli definiti al campo n.1 delle linee D. In uno step di carico un elemento può essere caricato con un solo set. La composizione dei set (somma di più tipi di carico) deve essere fatta con le linee dati D precedenti. Esempio: 1,2,2,4 1,1,6 1,3,9,13,2 2,1,1,8 2,4,11,12 • (bianca)

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-26

Linee Dati del Processore $INPUT

La struttura presenta due step di carico. Nello step di carico n.1 gli elementi dal n.2 al n.4 sono caricati con il set di carico n.2, l’elemento n.6 con il set n.1 e gli elementi 9,11 e 13 col set n.3. Tutti gli altri elementi sono scarichi (o comunque su essi agiscono solo i carichi globali di gravità assegnati con le linee C1 di SOLVE). Nello step di carico n.2, gli elementi dal n.1 al n.8 sono caricati col set n.1 (stesso carico attribuito all’elemento n.6 nello step n.1), e gli elementi n.11 e n.12 con il set n.4.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-27

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee F. Definizione degli Elementi. Numero richiesto: Qualunque,fino al completamento della descrizione di tutti gli elementi NUME del gruppo.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di elemento

2

I

Numero del nodo I

3

I

Numero del nodo J

4

I

Numero di identificazione del materiale

5

I

Numero di identificazione della sezione

6

I

Parametro di generazione automatica KN

NOTE:

a) L'asse locale +x dell’elemento è orientato secondo il vettore che va dal nodo I al nodo J.

b) Se il numero di identificazione del materiale è lasciato uguale a zero, viene assegnato il materiale n.1. In generale il numero di materiale è scelto tra quelli attribuiti con le linee B.

c) Se il numero di identificazione della sezione è lasciato uguale a zero, viene assegnata la sezione n.1. In generale il numero di sezione è scelto tra quelli attribuiti con le linee C.

d) Gli elementi devono essere assegnati in ordine crescente. Se tra una linea e la successiva si ha un salto nel numero di elemento, gli elementi intermedi sono generati incrementando i nodi I,J del valore KN (positivo, negativo o nullo) dato al campo n.6 della linea iniziale della serie. In tal caso tutte le caratteristiche degli elementi generati saranno poste uguali a quelle specificate nella linea iniziale. L'elemento finale della serie non è comunque generato, ma ad esso sono attribuiti i valori assegnati dall'utente. L'ultimo elemento della serie può quindi essere usato per la generazione della serie successiva. L’ultimo elemento del gruppo deve essere sempre esplicitamente assegnato. Se KN è lasciato uguale a zero, esso è posto uguale a 1 dal programma. E’ possibile assegnare elementi fittizi (dummy), specificando il nodo I con valore negativo o nullo. Un elemento dummy non fornisce alcun contributo strutturale. Gli elementi dummy possono essere assegnati esplicitamente o generati come qualunque altro Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-28

Linee Dati del Processore $INPUT

elemento. Gli elementi dummy assegnati con I=0 sono elementi nulli, con tutti i numeri di nodo e le proprietà uguali a zero (gli eventuali valori assegnati sono ignorati). Viceversa, la assegnazione con I0, ma gli elementi sono disabilitati (non è costruita la matrice di rigidezza e l’elemento è come se non esistesse). Il segno del nodo I è solo un contrassegno per disabilitare l’elemento. La attuale release non possiede ancora delle funzioni per riabilitare gli elementi temporaneamente disabilitati, per cui non esiste differenza tra i due casi.

e) Output Risultati di Elemento. Questa release conserva sul file .RST, i seguenti risultati. Gli stessi risultati possono anche essere conservati nel file monitor .MNT per gli elementi selezionati con la linea C8 del modulo SOLVE. • FINT

Forze interne sui nodi I e J in coordinate globali: tre componenti Fx,Fy,Fz per ciascun nodo, per un totale di sei componenti.

• EPST

Deformazione totale εt. Comprensiva della deformazione libera che non genera sforzi (ad es., con elementi Gap e Hook nonlineari) e della deformazione iniziale.

• EPS0

Deformazione iniziale e termica ε0+εth.

• EPSM

Componente meccanica della deformazione assiale. Genera SIGM.

• SIGM

Sforzo meccanico assiale nell’elemento. E’ quello trasmesso agli elementi adiacenti. Genera le forze interne.

• TEMP

Temperatura interna dell’elemento. Dipende dalle temperature istantanee nodali e dalle quote di salti termici applicati.

• FSIG

Forza interna assiale.

Il programma calcola i risultati a gruppi, con un massimo di 12 componenti per gruppo. Con le funzioni di Post-Processing (routine API o processore $MSPOST) è possibile accedere ai risultati completi (calcolati per tutti gli elementi) conservati nel file .RST. La stessa suddivisione per gruppi è utilizzata anche per selezionare i risultati parziali da monitorare e conservare sul file .MNT, Per l’elemento Truss11 questa release prevede i seguenti gruppi di risultati: • Gruppo 0 • Gruppo 1

FINT Forze interne nodali su I e J EPST,EPS0,EPSM,SIGM,TEMP,FSIG

6 componenti 6 componenti

Nel caso generale il codice che seleziona i risultati è un intero di nove cifre suddiviso in tre parti: xxxxyyyzz. Questo codice è assegnato al parametro OUTMNT (v. linea A) e al parametro KRESU nelle API. Se i risultati sono ottenuti con $MSPOST, i codici zz, yyy e xxxx sono specificati separatamente con i parametri KRES, KSEZ e KLAY. Per

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-29

Linee Dati del Processore $INPUT

l’elemento Truss11 i campi xxxx e yyy non sono usati e il codice è semplicemente costituito dal campo zz, col seguente significato. • zz = kres

Microsap Rel.12.0

Gruppo risultati, scelto tra quelli sopra elencati. Qualunque altro codice equivale a zz=00.

Manuale d’Uso

V-30

Linee Dati del Processore $INPUT

V.3 - MODULO BEAM – ELEMENTO TIPO 20 Linea A. Informazioni di Controllo. Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Il numero 20

2

I

Numero totale di elementi Beam

3

I

Numero di differenti proprietà geometriche (NPROP)

4

I

Numero di linee di carichi sugli elementi (NLD)

5

I

Numero di differenti materiali (NMAT)

6

I

Numero di differenti serie di offset rigidi (NOFF)

7

I

Numero di differenti proprietà estese (NEXT)

8

I

Numero set sezioni interne (NSZI)

9

R

Valore di default per il fattore di taglio

10

I

Codice per convenzione orientazione della sezione (KOP)

11

I

Numero di linee per la definizione dei vincoli interni (NVI)

12

I

Tipo di output nel file monitor (OUTMNT)

Ye ≡ 2 K Xe ≡ 1

J Ze ≡ 3

I

FIG. V.3-1 - Sistemi di riferimento locali e orientazione dell’elemento

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-31

Linee Dati del Processore $INPUT

NOTE: a) Gli elementi Beam20, contenuti entro il modulo BEAM, sono contraddistinti dal numero 20, assegnato al campo n.1. Poiché esistono diversi tipi di elementi Beam, essi sono contraddistinti da un diverso codice. In questo capitolo si descrive l’elemento di base, lineare, di tipo 20. L’input e le caratteristiche coincidono totalmente con l’elemento Beam contenuto nelle precedenti release del solutore nonlineare e nel solutore lineare. Gli altri tipi di elemento Beam sono descritti separatamente in successivi capitoli. Per essi i primi due campi della linea A hanno lo stesso significato ma i successivi campi possono variare di numero, posizione e significato, anche se possono esservi delle attinenze. Analogamente, le linee dati successive a quella iniziale sono generalmente diverse, anche se è stata mantenuta, finchè possibile, la stessa impostazione. In ogni caso, molte convenzioni rimangono le stesse. Per questo, pur essendo gli elementi notevolmente differenti, si applicano le direttive dell’elemento base specificate alle note seguenti. Per gli altri tipi di elementi le caratteristiche comuni non saranno in genere ripetute, ma verranno invece segnalate, per ogni linea dati, le differenze rispetto all’elemento base di tipo 20. b) L’elemento è definito attraverso i due nodi di estremità I e J (fig.V.3-1). Per l’input dei dati e per l’interpretazione dell’output dei risultati relativi all’elemento beam è necessario definire un sistema di coordinate locali xe-ye-ze basato sui nodi. L’asse xe è individuato dal vettore orientato dal nodo I al nodo J. L’asse ye è individuato assegnando un terzo nodo K, giacente sul piano xe-ye in qualunque posizione (tranne che sull’asse xe). L’asse ye è la perpendicolare ad xe passante per il nodo K. Infine, la terna locale è completata dall’asse ze, perpendicolare al piano xe-ye. E’ definito inoltre un sistema baricentrico, con l’asse 1 passante per i baricentri delle sezioni trasversali (l’elemento può avere sezione variabile lungo l’asse) e gli assi 2 e 3 sul piano della sezione, coincidenti quando possibile con gli assi principali d’inerzia. Inizialmente, e nel caso in cui non siano definite estremità rigide, i sistemi xe-ye-ze e 1-23 sono coincidenti (1 ≡ xe; 2 ≡ ye; 3 ≡ ze). c) Nel caso più generale l’elemento vero e proprio può essere spostato in posizione eccentrica rispetto agli assi xe-ye-ze, con la definizione di due tratti rigidi di estremità. In altre parole, gli assi baricentrici 1-2-3 dell’elemento possono essere traslati e ruotati rispetto al sistema locale nodale xe-ye-ze. I vettori DI = I’-I e DJ = J’-J rappresentano i due tratti infinitamente rigidi. Il tratto I’J’ è la parte flessibile dell’asta (v. fig.V.3-2). Questa è la parte dell’elemento di reale interesse, poichè solo essa può ricevere i carichi di elemento, componenti di accelerazione o condizione di suolo elastico e solo entro questo tratto è possibile avere l’output delle azioni di estremità e delle azioni interne. Sui nodi I e J di connessione possono comunque essere definiti i normali carichi nodali (v. linee B, modulo SOLVE) o eventuali spostamenti imposti o soppressi.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-32

Linee Dati del Processore $INPUT

Z

1 Ye sistema locale baricentrico

J' Ze

Xe DJ

2

sistema locale nodale

3 J I'

DI

I

sistema globale

Y

X

FIG. V.3-2 - Elemento beam con offset rigidi.

d) Al campo n.8 deve essere riportato il numero delle linee I necessarie alla definizione delle sezioni interne. Si noti che, nel semplice caso in cui le sezioni siano equispaziate lungo l’asta, non è necessario assegnare esplicitamente le ascisse con le linee I, ma è sufficiente indicare il numero di sezioni equispaziate (con segno negativo) direttamente al campo n.8 delle linee J). e) Al campo n.9 può essere specificato il valore di default da assegnare al Fattore di Taglio (χ) alle aste a cui non è associato un set di proprietà estese (Linee J, campo n.10 uguale a zero) oppure il cui Fattore di Taglio è stato specificato nullo (Linee D, campo n.2 oppure n.3). Se è assegnato un valore (maggiore o uguale a 1.) al parametro, la deformabilità a taglio è attivata per tutte le aste del gruppo. Ad esempio, assegnando il valore 1.2, se non è specificato esplicitamente un fattore di taglio con il set proprietà estese, l’area di taglio sarà AS=A/χ, senza alcuna distinzione riguardo alla direzione locale 2 o 3. f) Il campo n.10 (KOP) stabilisce la convenzione utilizzata per l’orientazione delle sezioni degli elementi. Sono contemplati i casi seguenti. •

KOP = 0

Se il campo n.10 é uguale a zero o non é assegnato, il comportamento è quello standard. L’asse locale 1 coincide con l’asse I-J dell’elemento. Gli assi 2 e 3 definiscono invece la posizione degli assi principali d’inerzia della sezione, e quindi la sua

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-33

Linee Dati del Processore $INPUT

orientazione. Per definire la posizione dell’asse 2 deve essere assegnato il nodo K, giacente sul piano locale 1-2 (come nei vari SAP). Esiste un metodo alternativo al nodo K, che consente di orientare la sezione secondo le direzioni degli assi globali. Se il campo n.4 delle linee J è positivo, esso indica il nodo K da usare per la definizione dell’asse 2. Viceversa, se sono assegnati i valori -1,-2,-3 il piano principale 1-2 sarà orientato parallelamente agli assi globali X,Y,Z e con l’asse 2 concorde con X,Y,Z. I valori –4,-5,-6 producono lo stesso risultato, ma con l’asse 2 con verso discorde a X,Y,Z. Ad esempio, se l’asse Z è verticale e verso l’alto, col valore –3 la sezione sarà orientata con il piano principale 1-2 anch’esso verticale e con l’asse 2 verso l’alto. •

KOP = 1,2

Con questa opzione è possibile utilizzare un metodo generale di orientazione alternativo al nodo K. Tale metodo è da preferire poiché evita la definizione di nodi non strutturali. Se al campo n.4 delle linee J è inserito un valore positivo, esso è trattato nel modo usuale, come numero di nodo K. Un valore minore o uguale a zero è invece interpretato come angolo di rotazione attorno all’asse dell’elemento rispetto alla giacitura standard. Se KOP=1 l’angolo è assegnato in gradi. Se invece è posto KOP=2, l’angolo è in centesimi di grado. Poichè il campo n.4 è di tipo intero, col primo metodo è possibile orientare la sezione con precisione di 1 grado, mentre col secondo metodo la precisione è di 0.01 gradi. La giacitura standard per la sezione (angolo zero) è quella con il piano 1-2 parallelo all’asse Z (cioè con l’asse 3 parallelo al piano XY) e l’asse 2 dalla parte di +Z (coincide con K=-3 del metodo precedente). L’angolo è positivo in senso antiorario attorno al vettore I-J = 1. Ad esempio, con KOP=1, se al campo n.4 delle linee J è indicato il valore –30, gli assi 2-3 saranno ruotati di 30 gradi in senso antiorario attorno all’asse 1 rispetto alla giacitura iniziale. Con KOP=2 la rotazione sarebbe invece di soli 0.3 gradi. Per gli elementi con asse parallelo a Z (e fino a 0.5 gradi) la giacitura di default è col piano 1-2 parallelo all’asse X e con l’asse 2 opposto al verso +X, come con K=-4 del caso a). Vedi figura V.3-3. 2

Z 1

J 2

θ

J I

3

I

1 2

θ 3

θ

1

3

Y

I

X

FIG. V.3-3 - Orientazione degli assi locali e rotazione rispetto alla giacitura standard per KOP=1 e 2

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-34

Linee Dati del Processore $INPUT



KOP = -1,-2

Le opzioni KOP=-1 e KOP=-2 sono simili al caso b), ma utilizzano la seguente logica. Il nodo K, se usato, deve essere definito sul piano principale 1-3. Utilizzando il metodo di orientazione alternativo (valore nullo o negativo al campo n.4 delle linee J), l’asse 2 è parallelo a XY e l’asse 3 è dalla parte di +Z. Se l’elemento è verticale l’asse 2 è parallelo a YZ e l’asse 3 è opposto a +X. Questa è la convenzione usata ad esempio da Ansys. L’orientazione Microsap (caso precedente) si può ottenere da quella Ansys ruotando il sistema locale di 90 gradi in senso antiorario attorno all’asse 1. g) Se NVI=0 al campo n.11, è utilizzato l’elemento Beam standard per il quale è possibile specificare dei rilasci di uno o più gradi di libertà in corrispondenza dei nodi. In questo caso il codice che specifica i rilasci da inserire è direttamente assegnato nelle linee J degli elementi. Viceversa, se NVI>0 è usato il macroelemento Beam (fig. V.3-4). Da entrambi i lati la connessione tra il tratto flessibile e il tratto rigido (oppure in coincidenza col nodo, in mancanza di tratto rigido) è generalmente realizzata con vincolo di continuità. In questo caso tutte le componenti di spostamento e rotazione sono trasmessi al tratto adiacente. Viceversa, è possibile utilizzare un macroelemento Beam con connessioni più complesse ottenute con un vero e proprio elemento connettore interposto tra il tratto flessibile e il tratto rigido. La scelta tra l’uso della Beam standard o del macroelemento HPBeam (High Performance Beam) è effettuata una-tantum per tutto il gruppo, assegnando NVI>0. In questo caso NVI è il numero di linee dati F necessarie a descrivere i diversi elementi connettori. Se oltre ai connettori esistono anche rilasci ai nodi, i corrispondenti codici sono assegnati nelle stesse linee F.

rilascio conness. semi-rigida I cerniera elasto-plast. nodo braccio rigido FIG. V.3-4 – Connettori, Rilasci e Bracci Rigidi nel Macroelemento Beam (HPBeam)

La matrice di rigidezza e il vettore dei carichi di elemento sono inizialmente scritti come se l’asta fosse composta dal solo tratto flessibile e nel sistema locale 1-2-3, con origine sul primo estremo del tratto flessibile. L’elemento, attraverso opportune matrici di trasformazione è modificato con la seguente sequenza, a partire dall’estremità del tratto flessibile e con termine sul nodo: 1) Trasferimento dall’asse baricentrico ai centri di taglio. Gli estremi dell’elemento sono spostati dalle estremità del tratto flessibile ai centri di taglio delle sezioni terminali. Gli offset dei centri di taglio sono assegnati nel sistema locale 1-2-3 con le linee D. Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-35

Linee Dati del Processore $INPUT

2) Inserimento dell’elemento Connettore. L’elemento Connettore è formato da due connessioni semirigide in catena: la prima è un caso più generale di quello visto in precedenza, in quanto permette di variare il grado di incastro tra il vincolo di continuità e il rilascio completo di uno o più gradi di libertà. La seconda connessione permette di attribuire una cerniera elastica o elasto-plastica. Nelle soluzioni di tipo lineare questa seconda connessione si comporta allo stesso modo della prima. Gli elementi Connettore sono assegnati con le linee F. 3) Trasferimento alle estremità dei conci rigidi. Alla trave sono aggiunti i tratti rigidi, orientati in modo generico e definiti con tre componenti che possono essere specificate sul sistema xe-ye-ze, sul sistema 1-2-3 oppure anche sul sistema di riferimento globale (v. linee E). Questa trasformazione avviene ancora su 1-2-3. O più precisamente, la matrice di rigidezza ottenuta è relativa agli spostamenti degli estremi dei tratti rigidi rappresentate da componenti riferite a due sistemi con assi paralleli a 1-2-3. I conci rigide sono definiti con le linee E. 4) Rilascio delle azioni di estremità. La trasformazione precedente ha esteso l’elemento fino ai nodi I e J: la posizione degli estremi dei tratti rigidi coincide infatti con la posizione dei nodi. Tuttavia nodo ed estremo dell’asta devono essere considerate entità indipendenti, ancora separate. L’elemento Beam può infatti essere connesso rigidamente al nodo per tutti i 6 gradi di libertà oppure anche per nessuno di essi. Con i campi n.11 e n.12 delle linee J è possibile disconnettere gli estremi dell’asta dai nodi I e J, i quali saranno in genere collegati ad altri elementi. Questa operazione crea dei vincoli interni di tipo pattino o cerniera, con l’effetto di “rilasciare” o rendere nulla l’azione che altrimenti è trasmessa al nodo. Se non esiste rilascio, il vincolo di continuità fa sì che in quella direzione lo spostamento (o rotazione) dell’estremo dell’elemento coincida con quello del nodo. In caso contrario, è come se esistessero due nodi distinti, parzialmente accoppiati. L’operazione eseguita sulla matrice dell’elemento è una “condensazione statica” dell’equazione che contiene la condizione nota (forza o momento nullo), mentre lo spostamento dell’estremo rilasciato deve essere ottenuta “a ritroso”, dopo la soluzione della struttura e durante il calcolo delle azioni interne. E’ importante notare che il rilascio delle azioni di estremità avviene ancora su assi paralleli a 1-2-3. 5) Trasferimento al sistema globale. L’ultima operazione trasforma la matrice di rigidezza e i vettori dei carichi di elemento dal sistema locale 1-2-3 al sistema globale X-Y-Z unico per tutta la struttura. In altre parole, tutti gli elementi convergenti nello stesso nodo si presenteranno con vettori spostamenti nodali (ancora incogniti) e forze nodali tutti congruenti e riferiti al sistema X-Y-Z.

h) Al campo n.12 il codice OUTMNT serve a selezionare i risultati di elemento che si desidera conservare nel file .MNT per una serie di elementi scelti con la linea C8 del modulo SOLVE. I risultati selezionati sono monitorati durante tutte le iterazioni di una soluzione nonlineare. Tuttavia solo 12 quantità per elemento possono trovar posto in un record del file .MNT. Nel caso generale (v. ad es. gli elementi Beam22 o Shell62) il codice OUTMNT è un intero di nove cifre suddiviso in tre parti: xxxxyyyzz. Le prime quattro cifre sono riservate alla selezione degli strati o fibre entro la sezione. Per

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-36

Linee Dati del Processore $INPUT

l’elemento Beam20 queste non sono usate (la sezione può essere pensata come costituita da una sola fibra) e OUTMNT è semplicemente costituito dai due campi yyyzz, secondo le regole elencate nella nota “Output Risultati di Elemento” della linea J.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-37

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee B. Proprietà dei Materiali. Numero richiesto: Una per materiale (NMAT linee - v. campo n.5, linea A). Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione materiale

2

R

Modulo di Young (E)

3

R

Coefficiente di Poisson (ν)

4

R

Peso specifico (solo per carichi di gravità)

5

R

Coefficiente di dilatazione termica (α)

6

R

Densità (solo per analisi dinamica)

NOTE: a) Se il valore al campo n.4 è assegnato negativo, esso è interpretato dal programma come peso per unità di lunghezza dell'asta. b) Se il valore al campo n.6 è assegnato negativo, esso è interpretato dal programma come massa per unità di lunghezza. c) Il coefficiente di Poisson è assegnato esclusivamente per il calcolo del modulo di elasticità trasversale G secondo la relazione: E G= 2(1 + ν ) Pertanto non esistono le usuali limitazioni sul suo valore.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-38

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee C. Proprietà Geometriche. Numero richiesto: Una per differente proprietà (NPROP linee - v. campo n.3, linea A). Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione proprietà

2

I

Tipo sezione (0 = sezione generica)

3

R

Parametro p1 - Area della sezione trasversale (A)

4

R

Parametro p2 - Momento inerzia attorno asse locale 3 (I3)

5

R

Parametro p3 - Momento inerzia attorno asse locale 2 (I2)

6

R

Parametro p4 - Momento d'inerzia torsionale (J)

7

R

Parametro p5

8

R

Parametro p6

NOTE: a) La linea dati rappresentata è scritta per il caso di sezione generica (campo n.2 = 0), per la quale sono assegnate le caratteristiche di inerzia con i parametri p1-p4. Il Microsap possiede comunque una libreria di sezioni per le quali tali proprietà sono automaticamente calcolate dal programma. I dati relativi alle sezioni di libreria (v. fig. V.3-6), saranno esaminati nella seguente nota d). b) Per l'input dei dati delle sezioni dell'elemento beam è definito il sistema di coordinate locale baricentrico 1-2-3. L'asse locale 1 è l’asse baricentrico. Gli assi locali 2 e 3 giaciono su un piano perpendicolare all'asse 1 formando una terna ortogonale destra. Sono riferiti alla terna locale baricentrica: le proprietà geometriche, i carichi sull’elemento, le reazioni agli estremi e le azioni interne o le altre quantità calcolate nei punti interni NSZI dell’elemento (incognite del problema - v. fig.V.3-5). c) Se si indica con Jp il momento d'inerzia polare baricentrico e con q il fattore di torsione, il momento d'inerzia torsionale è definito come: J = Jp/q. Indicando con M1 il momento torcente e con θ l'angolo di rotazione, sussiste la nota relazione: M M1 θ= 1 = q⋅ G⋅J G ⋅Jp In fig.V.3-6a e V.3-6b sono rappresentate le sezioni di libreria. Il numero che contraddistingue il tipo di sezione va introdotto al campo n.2 della linea C. Il calcolo delle proprietà geometriche J, I3, I2 è effettuato considerando gli assi locali 2 e 3 orientati come in fig.V.3-5. Il programma può eseguire anche il calcolo con gli assi ruotati di 90 gradi (sono scambiati i momenti d'inerzia I2 e I3): in tal caso al numero della Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-39

Linee Dati del Processore $INPUT

sezione va sommato 100. Ad esempio, la sezione tipo 101 è uguale a quella tipo 1, ma l'asse 2 sarà orientato verso destra e l'asse 3 verso il basso. Si deve notare che utilizzando le sezioni di libreria, sono calcolate tutte le proprietà geometriche. Se la sezione reale differisce da quelle di libreria, o se l'operatore non desidera l'assegnazione di tutte le proprietà, deve introdurre l’area e i momenti d'inerzia considerando la sezione di tipo 0 (generica). Se si desidera introdurre la deformazione a taglio, questo va indicato al campo n.9 della linea A oppure con le linee D seguenti, qualunque sia il tipo di sezione (generica o di libreria).

2

3

I

1

R2 M3 R3

M2

R1 M1 J FIG. V.3-5 - Orientazione della sezione, dei carichi di elemento e delle azioni interne Nota alla fig. V.3-5. Nella attuale release le azioni interne (risultati di elemento) sono concordi con i versi positivi degli assi locali e corrispondono alle forze che il concio di destra (lato nodo J) trasmette a quello di sinistra. Viceversa, nelle release precedenti, erano fornite le forze che il concio di sinistra (lato nodo I) trasmette al concio di destra (segni opposti rispetto all’altra convenzione), tranne nella sezione terminale destra, per la quale era adottata la attuale convenzione.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-40

Linee Dati del Processore $INPUT

2 2 h

1 3

H

7

3

H

b B h

B 2

h

2

3

H

2

3

8

H

b

b

B B

B

2 2

h

3

3

D

9

b

H

3 h'

b' 2

h

2 B

10 3

4

3

H

b

t

B 2 h

2

11

5 b

3

H

H

3 B 2

B 2

6

3

D

12

H

t 3

d

B

FIG. V.3-6a - Sezioni di libreria.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-41

Linee Dati del Processore $INPUT

2 b 2 3

13

17 t α

r

H

3

R B

B 2 B 2

H

18

14

3

3 t

n lati

b

B 2 B 2 t

t H

19

15

3

3 n lati

b

2

t

2

16 3

H

H

20 3 t

b B B

FIG. V.3-6b - Sezioni di libreria

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-42

Linee Dati del Processore $INPUT

Nella tabella seguente sono elencati i parametri p1-p6 da assegnare ai campi 3÷8 in funzione del tipo di sezione. Tipo 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

Sezione Generica Rettangolare Sezione a T Circolare Rettangolare Cava Sezione a I Anulare Angolare Sezione a U Doppio T Angolare Triangolare Triangolare Cava Settore Cavo Poligono Regolare Poligono Reg. Cavo Sezione a C Sezione a Ω Doppio U Doppio U Inversa Sezione a Z

p1 A B B D B B D B B B B B B R B B B B B B B

p2 I3 H H

p3 I2

p4 J

b

h

H H d H H H t H H r n n H H H H H

b b

h h

b b b

h h h

p5

p6

b’

h’

t α (in gradi) t b b b b t

t t t t

d) Elemento Shear Panel. L’elemento Beam20 può simulare il comportamento di una parete di taglio. In particolare, l’elemento può avere un duplice comportamento di tipo Shear Panel lungo uno degli assi locali 2 e 3 (o entrambi) e di tipo Flexural Beam lungo l’altro asse. Il comportamento Shear Panel è attivabile solo per la sezione di tipo 0 (generica). Per attivare il comportamento Shear Panel i campi delle linee C sono modificati come segue. 1) L’area della sezione (campo n.3) deve essere sempre assegnata 2) Se un momento d’inerzia non è assegnato o è nullo, il comportamento dell’elemento nella direzione di inflessione è di tipo Shear Panel. Ad esempio, se I3=0 (campo n.4) l’elemento è di tipo Shear Panel lungo l’asse 2. Analogamente, se I2=0 (campo n.5) l’elemento è di tipo Shear Panel lungo l’asse 3. Se entrambi i campi sono nulli, esso sarà un pannello di taglio in entrambe le direzioni. 3) La normale rigidezza a Flessione e Taglio dell’elemento Beam in una direzione principale può essere espressa come: 1 A con As = K fs = 3 L L χ + 12 EI GAs Se il fattore di taglio non è assegnato (v. linee D) il secondo termine a denominatore non è incluso. Si noti che includendo la deformabilità a taglio l’elemento si deforma maggiormente rispetto al caso in cui è presente il solo termine flessionale. Tranne il caso di travi tozze, il termine tagliante è generalmente trascurabile rispetto a quello flessionale, per cui:

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-43

Linee Dati del Processore $INPUT

12 EI L3 Quando il momento di inerzia è nullo, il primo termine a denominatore non è inserito e l’elemento è di tipo Shear Panel, con rigidezza: GAs K fs = K s = L L’elemento Shear Panel è quindi piuttosto rigido e scarsamente deformabile. Un’altra sua caratteristica è che esso non presenta rigidezza alla rotazione attorno all’asse perpendicolare a quello di taglio. Tale rigidezza può essere fornita da altri elementi che la trasmettano. In ogni caso, il programma assegna una piccola rigidezza alla rotazione. K fs ≈ K f =

4) Anche se l’elemento è di tipo Shear Panel in una o entrambe le direzioni, esso possiede l’usuale rigidezza a compressione/trazione e la rigidezza torsionale. Se si desidera sopprimere quest’ultima, è sufficiente assegnare il momento di inerzia torsionale J (campo n.6) uguale a zero. Anche in questo caso il programma introdurrà una piccola rigidezza. 5) Come visto, se l’elemento è di tipo Shear Panel in una direzione, l’area resistente a taglio è ridotta del fattore 1/χ. Tuttavia, se χ L

Pr

Pr

δ = L0 − L > 0 I

J

I

Pr

Pr >0

Pr

L

J

L

FIG. V.3-11a - Interferenza

FIG. V.3-11b - Pretensione ∆ t>0

∆ t=0

FIG. V.3-11c - Salto termico. 2

Ttop2 2

h

Ttop3

Ttop2 Tbot2

3

J δt 2 >0

Tbot3

b

1

Tbot2

FIG. V.3-11d - Gradiente termico.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-56

Linee Dati del Processore $INPUT

f) I carichi n.1,2,5,7,8,10 sono introdotti specificando solo due parametri (campi n.3 e n.4): il valore del carico (P, Mt, Mf) e la sua posizione lungo l’asta (α). Il parametro α è il rapporto tra la distanza del carico dal primo estremo e la lunghezza dell’asta. Se α=0., il carico è sull’estremo sinistro; se α=1. è sull’estremo destro; Se α=0.5 è in mezzeria. Se il valore del carico è negativo esso è orientato in senso opposto all’asse locale cui si riferisce (fig.V.3-12). 2

2

Mt

I'

J' P a Lf

P>0 M t >0 α =a/L f

I'

1

Mf

a

J'

1 M f >0

Lf

FIG. V.3-12 - Carichi concentrati.

g) Per i carichi n.3,4,6,9 è possibile indicare i valori iniziale (qA, mtA) e finale (qB, mtB) dei carichi ed i punti di inizio e fine carico (αA e αB). Nel caso particolare in cui il carico sia esteso a tutta la lunghezza dell’asta, è necessario solamente definire i valori qA e qB e nel caso di carico uniformemente ripartito su tutta l’asta è sufficiente assegnare solo qA. Tuttavia per assegnare un carico triangolare agente su tutta l’asta con valore nullo all’estremo destro è necessario assegnare a qB un valore molto piccolo ma diverso da zero, oppure porre αB=1 (fig.V.3-13). 2

2

qb

qA

I' a

q

J'

A

B

A

1

I'

B

A

qB

J' 1

b Lf

qA0

α A =a/L f

qA0

FIG. V.3-14a - Tratto di cavo di precompressione a sviluppo parabolico. 2

Lf

b a

I'

y y

B

T

J'

1

B

A

A T

αA=a/L f α B = b/L f

yA 0. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione del set

2

R

Ascissa normalizzata α1

3

R

Ascissa normalizzata α2



















10

R

Ascissa normalizzata α9

NOTE: a) Le linee I sono utilizzate quando in una o più aste del gruppo devono essere specificate esplicitamente le posizioni di un max di 9 sezioni interne all’asta, per il calcolo di azioni interne e spostamenti. Se le sezioni per le quali si desidera il calcolo sono semplicemente equispaziate lungo l’asta, non è necessario fornire la linea I (v. campo n.8, linee J). Ogni linea può contenere da 1 a 9 sezioni. Poichè le ascisse delle sezioni sono normalizzate rispetto alla lunghezza dell’asta, uno stesso set di sezioni può essere applicato a più aste, eventualmente di lunghezza differente. Si noti che αi = ai/Lf, ascissa della sezione interna iesima, è normalizzata rispetto alla lunghezza flessibile Lf dell’asta. Le ascisse αi hanno sempre un valore compreso tra 0. e 1.. E’ consigliabile che le ascisse αi siano assegnate in ordine crescente.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-65

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee J.

Definizione degli Elementi. Numero richiesto: qualunque, fino al completamento della descrizione di tutti gli elementi Beam. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero dell'elemento

2

I

Numero nodo I

3

I

Numero nodo J

4

I

Numero nodo K

5

I

Numero del materiale

6

I

Numero proprietà geometriche sezione I’

7

I

Numero proprietà geometriche sezione J’

8

I

Codice di calcolo azioni interne (-9÷NSZI)

9

I

Numero set estremità rigide

10

I

Numero set proprietà estese

11

I

Codice vincolo interno su R1,R2,R3,M1,M2,M3 - nodo I

12

I

Codice vincolo interno su R1,R2,R3,M1,M2,M3 - nodo J

13

I

Parametro di generazione automatica (KN)

NOTE: a) Per l'elemento beam deve essere definita una terna di assi locali xe,ye,ze per individuarne l'asse e l'orientazione della sezione, come spiegato alla nota a) relativa alla linea A. Essendo l'asse xe individuato dai nodi d'estremità, la terna è univocamente determinata una volta che è fissato l'asse ye. Sono possibili tre modi per individuare l'asse locale ye: • Assegnando il nodo K (positivo) giacente su un qualunque punto del piano xe-ye, ma

non sull'asse xe. K può appartenere alla struttura o essere un nodo fittizio. In quest'ultimo caso ogni grado di libertà deve essere soppresso (ponendo tutti i codici di vincolo uguali a 1), al fine di eliminarli dal sistema di equazioni (fig.V.3-1). • Ponendo K = -1,-2,-3 l'asse ye è assunto su un piano parallelo rispettivamente agli

assi globali X,Y,Z e verso concorde con essi. Ponendo K = -4,-5,-6 l'asse ye è assunto su un piano parallelo rispettivamente agli assi globali X,Y,Z e verso discorde con essi (fig.V.3-17). In altre parole, se al campo n.4 è assegnato il valore -6, ciò Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-66

Linee Dati del Processore $INPUT

equivale ad aver assegnato implicitamente un nodo K posizionato su una retta passante per la mezzeria dell’asta e parallela all’asse globale Z, e ad una distanza pari alla lunghezza dell’asta, nel verso delle Z negative. Z

K=-6 K=-3

K=-2 Y K=-5

K=-4

K=-1

X

FIG. V.3-17 - Orientazione semplificata della sezione. • Se KOP≠0 al campo n.10 della linea A, i valori negativi assegnati al campo n.4

anziché essere trattati come detto al punto precedente, sono interpretati come rotazioni (in gradi o centesimi di grado) attorno alla giacitura standard, come detto alla nota f) della linea A. Questo è un nuovo metodo generale che evita la definizione del nodo K per orientare la sezione dell’elemento. Qualunque sia la modalità adottata, se al campo n.4 è assegnato un valore positivo, esso è interpretato come numero di nodo K. In caso contrario (valore nullo o negativo), esso indicherà l’orientazione degli assi in alternativa al nodo K. Il valore zero è ammesso e il risultato è uguale a quello della nuova modalità di orientazione che si ottiene con KOP=1. b) Con le linee B,C,D,E,F sono state create le librerie dei materiali, sezioni, proprietà estese, offset rigidi e connettori di estremità. Con le linee G si sono definiti i carichi in gioco ed infine con le linee H si sono assegnati i carichi locali alle singole aste (i carichi di accelerazione globale definiti con le linee C1 di SOLVE sono automaticamente assegnati a tutti gli elementi del gruppo). Le aste sono effettivamente definite solo con le linee J come geometria (nodi I,J,K), materiale (campo n.5), sezioni (campi n.6 e n.7) e proprietà (campi n.8÷12). In effetti non è obbligatorio che tutti i materiali, sezioni, ecc., definiti siano poi effettivamente attribuiti alle aste. c) Se il numero di materiale dell'asta (campo n.5) è lasciato uguale a zero, il programma assegna il materiale n.1.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-67

Linee Dati del Processore $INPUT

d) Ai campi n.6 e n.7 sono assegnati i numeri di proprietà geometriche, cioè il numero identificativo delle sezioni di estremità scelte tra quelle definite alle linee C. L’elemento può essere a sezione moderatamente e gradualmente variabile, con dimensioni variabili linearmente lungo l’asse dell’asta. Il rapporto tra le dimensioni lineari delle sezioni di estremità dovrebbe essere non superiore a 2:1, quello tra le aree non maggiore di 5:1 e quello tra i momenti d’inerzia non superiore a 20:1. Se il campo n.7 non è definito o è posto uguale a zero, la trave è considerata a sezione costante. e) Al campo n.8 può essere specificato un codice per ottenere il calcolo delle azioni interne. Se il codice ni non è assegnato o è nullo, il calcolo delle azioni interne all’asta è soppresso e sono trovate solamente le azioni alle estremità del tratto flessibile. Se ni0 le ascisse delle sezioni interne sono quelle del set ni assegnato con le linee I. Oltre alle azioni interne (R1, R2, R3, M1, M2, M3) sono anche calcolati i relativi spostamenti dei punti interni (traslazioni u1, u2, u3 e rotazioni α1, α2, α3) e fino a sei ulteriori componenti di “sforzo”. Queste sei generiche componenti di sforzo saranno attivate nelle prossime release. Nell’attuale release è attivato il calcolo della pressione pt sul suolo elastico, definita come forza per unità di lunghezza. Da essa è possibile ricavare immediatamente la pressione sul terreno σt2 = pt2/B*o σt3 = pt3/H*, essendo B* e H* le larghezze delle suole di fondazione in direzione 2 e 3. f) Al campo n.9 deve essere posto il numero identificativo del set di estremità rigide da applicare, scelto tra quelli delle linee E. Se il campo è nullo o non è definito, la trave non ha estremità rigide. g) Al campo n.10 è posto il numero identificativo delle proprietà estese, tra quelle definite con le linee D. Se il campo n.10 è posto uguale a zero o non è definito non è applicata alcuna proprietà estesa, con eccezione del fattore di taglio, che è applicato nelle due direzioni 1 e 2 col valore di default assegnato al campo n.9 della linea A. h) Il codice di vincolo interno al campo n.11 permette di rilasciare una o più componenti di azione interna, che normalmente è invece trasferita al nodo I. Il codice al campo n.11 è un intero composto di 6 cifre che possono essere 0 o 1. Normalmente è lasciato uguale a zero (000000) e l'elemento trasmette al nodo tutte le azioni R1,R2,R3,M1,M2,M3. La prima cifra è relativa alla componente R1: se è 1, l'elemento non la trasmette. Se è 1 la seconda cifra, la componente R2 non è trasmessa, ecc.. Per il nodo J (campo n.12) il significato dei codici è lo stesso. Esempio: Campo n.11 = 10001 = 010001 Campo n.12 = 100101 Al nodo I è nulla l’azione R2 e l’azione M3 (codice 010001): vi è un carrello con cerniera che permette la traslazione lungo l'asse 2 e la rotazione attorno all'asse 3.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-68

Linee Dati del Processore $INPUT

Al nodo J è nulla l’azione R1 e le azioni M1 e M3 (codice 100101): è possibile la traslazione e la rotazione assiale e la rotazione attorno a 3. i) Esiste un nuovo metodo più generale per specificare i vincoli interni sui nodi e consiste nel definire i codici di vincolo separatamente per i nodi I e J attraverso linee dati separate (linee F). Se NVI>0 al campo n.11 della linea A è utilizzato questo metodo per tutti gli elementi del gruppo e ai campi n.11 e n.12 della linea J devono essere assegnati i numeri di set di vincolo interno da applicare rispettivamente sui nodi I e J. Anzi, l’uso di questo metodo attiva il macroelemento HPBeam dotato di Connettori. Le caratteristiche del Connettore sono assegnate nella stessa linea F che definisce i rilasci sul nodo. Il Connettore è comunque applicato in corrispondenza dell’estremità flessibile dell’asta. Se l’asta non possiede il tratto rigido su quel lato, il rilascio e il Connettore risultano adiacenti e indipendenti. La zona del rilascio e il Connettore hanno lunghezza nulla. j) Gli elementi devono essere assegnati in ordine crescente. Se tra una linea e la successiva si ha un salto nel numero di elemento, gli elementi intermedi sono generati incrementando i nodi I,J del valore KN (positivo, negativo o nullo) dato al campo n.13 della linea iniziale della serie. In tal caso tutte le caratteristiche degli elementi generati saranno poste uguali a quelle specificate nella linea iniziale. L'elemento finale della serie non è comunque generato, ma ad esso sono attribuiti i valori assegnati dall'utente. L'ultimo elemento della serie può quindi essere usato per la generazione della serie successiva. L’ultimo elemento del gruppo deve essere sempre esplicitamente assegnato. Se KN è lasciato uguale a zero, esso è posto uguale a 1 dal programma. E’ possibile assegnare elementi fittizi (dummy), specificando il nodo I con valore negativo o nullo. Un elemento dummy non fornisce alcun contributo strutturale. Gli elementi dummy possono essere assegnati esplicitamente o generati come qualunque altro elemento. Gli elementi dummy assegnati con I=0 sono elementi nulli, con tutti i numeri di nodo e le proprietà uguali a zero (gli eventuali valori assegnati sono ignorati). Viceversa, la assegnazione con I0, ma gli elementi sono disabilitati (non è costruita la matrice di rigidezza e l’elemento è come se non esistesse). Il segno del nodo I è solo un contrassegno per disabilitare l’elemento. La attuale release non possiede ancora delle funzioni per riabilitare gli elementi temporaneamente disabilitati, per cui non esiste differenza tra i due casi. k) Output Risultati di Elemento. Gli elementi Beam20 implementati nella attuale release sono a comportamento lineare e sono uguali a quelli già presenti nella Rel.9.3. Nell’attuale release sono disponibili in output le seguenti quantità. • FINT

Forze interne nodali. E’ un vettore di 12 componenti. Le prime sei componenti sono relative al nodo I (tre forze e tre momenti): FX,FY,FZ,MX,MY,MZ. Le altre sei componenti sono relative al nodo J. Le componenti sono riferite al sistema globale X-Y-Z della struttura.

• FE

Azioni interne. E’ un vettore di 6 componenti (tre forze e tre momenti): R1,R2,R3,M1,M2,M3. Le azioni interne sono riferite al sistema locale 1-2-3 (v.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-69

Linee Dati del Processore $INPUT

fig. V.3-5) e sono calcolate su un massimo di 11 punti sul tratto flessibile. I punti sono identificati con i numeri da 1 a 11 nel seguente ordine: estremo sinistro (dalla parte del nodo I), estremo destro (dalla parte del nodo J), punti 3-11 (punti interni compresi tra l’estremo sinistro e l’estremo destro). • PT

Pressioni sul terreno. E’ un vettore di due componenti: pt2 e pt3. Le pressioni sul terreno sono diverse da zero solo per le travi su suolo elastico. Esse sono calcolate nelle direzioni locali 2 e 3 negli stessi punti di calcolo di FE.

• UE

Spostamenti interni. E’ un vettore di 6 componenti (tre spostamenti e tre rotazioni): u1,u2,u3,r1,r2,r3. Anche gli spostamenti interni sono calcolati nel sistema locale 1-2-3 negli stessi punti di calcolo delle azioni interne FE.

Il programma calcola i risultati a gruppi di 12 componenti ciascuno. La stessa suddivisione per gruppi è utilizzata sia per selezionare i risultati parziali da monitorare e conservare sul file .MNT, sia per accedere ai risultati completi (calcolati per tutti gli elementi) e conservati nel file .RST. Si deve notare che il file .RST contiene in effetti i risultati base: la maggior parte dei risultati sono calcolati dalle quantità base all’atto della lettura di .RST. Esistono tre modalità di accesso ai risultati. La forma più generale è attraverso la chiamata di opportune funzioni API. Questo richiede però la scrittura di un programma di post-processing e una interfaccia dipendente dal linguaggio di programmazione utilizzato. Una seconda possibilità consiste nell’impiego di un post-processor che effettui queste operazioni. Il processore $MSPOST incluso nel solutore Microsap permette in modo facile e immediato la stampa dei risultati e l’esecuzione di alcune altre funzioni di post-processing attraverso linee di comando che possono essere inserite nello stesso file di input, dopo la fase di soluzione. Infine, durante una soluzione nonlineare, oltre all’output completo agli step e substep richiesti, alcuni risultati parziali possono essere monitorati con maggior frequenza e conservati sul file .MNT. Per l’elemento Beam20 sono previsti i seguenti gruppi di risultati. • Gruppo 0 • Gruppo 1 • Gruppo 2

FINT FE,PT UE

Forze interne nodali su I e J Azioni interne sezione Spostamenti interni sezione

12 componenti 8 componenti 6 componenti

In generale il codice che consente la selezione del gruppo, fibra e sezione è un intero di 9 cifre rappresentabile simbolicamente come xxxxyyyzz. Questo codice è assegnato col parametro KRESU nelle API o col parametro OUTMNT (v. linea A) per i risultati da conservare sul file monitor. Se i risultati sono ottenuti con $MSPOST, i codici zz, yyy e xxxx sono specificati separatamente con i parametri KRES, KSEZ e KLAY. Per il file monitor è possibile conservare solo le prime 12 componenti selezionate con OUTMNT e solo per gli elementi selezionati con la linea C8 di SOLVE. Per gli elementi Beam20 il codice è composto come segue: • zz = kres

Microsap Rel.12.0

Gruppo risultati, scelto tra quelli sopra elencati. Qualunque altro codice equivale a zz=00.

Manuale d’Uso

V-70

Linee Dati del Processore $INPUT

• yyy=ksez

Posizione di calcolo entro l’elemento. Il codice yyy indica la posizione della sezione di calcolo dei risultati lungo il tratto flessibile. Il codice yyy è usato solo per i gruppi n.1 e n.2. Per il gruppo n.0 il suo valore è ignorato. Il valore yyy=001 seleziona la posizione dell’estremo sinistro del tratto flessibile. Il valore yyy=002 indica la posizione dell’estremo destro del tratto flessibile. I valori yyy=003-011 individuano la posizione dei punti interni n.1,2,…9. Se yyy dovesse risultare maggiore del numero di punti contenuto in una particolare asta, sono conservati i risultati dell’ultimo punto contenuto. Il valore yyy=0 seleziona tutte le sezioni dell’elemento. Tuttavia in OUTMNT il valore yy=000 equivale a yy=001 in quanto su .MNT non possono essere conservati più di 12 valori per elemento.

• xxxx = klay In generale xxxx seleziona lo strato o la fibra entro la sezione. Per l’elemento Beam20 xxxx non è usato in quanto la sezione è omogenea e non a fibre.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-71

Linee Dati del Processore $INPUT

V.3A - MODULO BEAM – ELEMENTO TIPO 22 Linea A. Informazioni di Controllo. Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Il numero 22

2

I

Numero totale di elementi Beam (NELE)

3

I

Numero di materiali (NMAT)

4

I

Numero di proprietà delle sezioni (NPROP)

5

I

Numero di differenti proprietà di estremità (NOFF)

6

I

Numero di proprietà del tratto flessibile (NFLX)

7

I

Numero di proprietà dei connettori elasto-plastici (NCON)

8

I

Numero di linee di carichi sugli elementi (NLD)

9

I

Codice per convenzione orientazione della sezione (KOP)

10

I

Tipo di output nel file monitor (OUTMNT)

NOTE: a) L’elemento Beam22 è strutturato nello stesso modo dell’elemento Beam20 e per molti aspetti l’input rimane simile. I campi NMAT, NPROP, NLD, NOFF mantengono lo stesso significato, anche se la loro posizione è variata. All’elemento Beam22 non può essere applicato il suolo elastico o elasto-plastico. Se la trave è su suolo elastico è necessario impiegare l’elemento elastico Beam20. Se si desidera invece applicare il suolo con caratteristiche elasto-plastiche, questo può essere simulato in modo concentrato applicando ai nodi dell’elemento Beam22 elementi Bound71. Le proprietà estese (centro di taglio, fattori di taglio) in Beam22 sono assegnate come proprietà delle sezioni. L’elemento può essere pensato come suddiviso in tre zone: le estremità, i connettori di estremità e il tratto flessibile centrale. Il parametro NOFF identifica il numero di proprietà delle zone di estremità. Il parametro NFLX è il numero di differenti proprietà della parte flessibile centrale delle aste. Infine, il parametro NCON identifica i connettori elasto-plastici (“cerniere” elasto-plastiche) o le connessioni semi-rigide di estremità, che costituiscono sostanzialmente una estensione delle informazioni che appaiono nella linea F (vincoli interni di estremità) della beam classica Beam20. I codici di vincolo interno sono invece definiti nelle linee delle proprietà di estremità. I parametri KOP e OUTMNT conservano lo stesso significato. Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-72

Linee Dati del Processore $INPUT

b) L’elemento nonlineare Beam22 è, come l’elemento lineare Beam20, un elemento composto. I componenti principali sono evidenziati nella figura seguente. L’elemento è connesso alla struttura di cui fa parte attraverso i nodi I e J di estremità. La lunghezza totale dell’elemento L è semplicemente la distanza tra i nodi I e J e l’asse principale 1 dell’elemento è il vettore che va da I a J. L’elemento è inizialmente orientato sul sistema locale 1,2,3 in vari modi, ad esempio definendo un nodo K sul piano 1-2. Alle estremità dell’elemento possono quindi essere aggiunti uno o due tratti infinitamente rigidi (in blu), definiti attraverso i vettori DI e DJ con direzione qualsiasi e verso dai nodi I,J agli estremi s,d del tratto flessibile centrale (in verde) di lunghezza Lf. Si viene quindi a definire un secondo sistema locale x,y,z, con origine sull’estremo sinistro s del tratto flessibile. E’ in effetti rispetto a x,y,z che è ottenuta la matrice di rigidezza dell’elemento e il vettore forze. Attraverso opportune trasformazioni, essi sono quindi trasportati sul sistema 1,2,3 e successivamente al sistema globale X,Y,Z della struttura. Durante il passo di calcolo degli sforzi è necessario ripetere queste operazioni in senso inverso: ottenuti gli spostamenti nodali, questi sono convertiti al sistema 1,2,3 e infine al sistema x,y,z. In corrispondenza dei nodi I,J è possibile inoltre definire dei rilasci di una o più componenti di forza o momento (circolo in rosso). Questa ulteriore trasformazione è eseguita sul sistema 1,2,3 prima dell’assemblaggio dell’elemento sulla struttura. In questo caso un rilascio comporta l’annullamento della forza che l’elemento altrimenti trasmetterebbe al nodo e il disaccoppiamento della componente di spostamento che altrimenti coinciderebbe con quella del nodo. La presenza di rilasci di estremità impone una netta distinzione tra quelli che sono i gradi di libertà delle estremità dell’elemento e i gradi di libertà posseduti invece dal nodo. Fin qui le caratteristiche dell’elemento Beam22 coincidono con quelle dell’elemento lineare Beam20.

y z 2

s

Lf

x DJ

DI I

d

L

J

1

3

c) Nell’elemento Beam22 i rilasci possono anche essere ubicati, a scelta, sulle estremità s e d del tratto flessibile, come evidenziato in figura. Non è tuttavia possibile inserire i rilasci in entrambe le posizioni, né avere situazioni miste. Se i rilasci sono inseriti alle estremità s e d, essi sono riferiti al sistema x,y,z. Un’altra notevole differenza rispetto all’elemento Beam20 è che l’asse x non deve obbligatoriamente essere baricentrico, così come gli assi y e z non devono obbligatoriamente essere assi principali di inerzia della sezione. Nell’elemento Beam22 i tratti costituiti dai bracci rigidi e dai dispositivi di rilascio (componenti in blu e rosso) sono identificati come Segmenti di Estremità e le relative proprietà sono assegnate esclusivamente con le linee D.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-73

Linee Dati del Processore $INPUT

d) Le principali differenze con l’elemento Beam20 si riscontrano sul tratto flessibile. Nell’elemento Beam20 il tratto flessibile è rettilineo e costituito da un unico segmento di caratteristiche costanti per geometria e materiale. In particolare, il materiale è a comportamento lineare elastico e la sezione è di tipo prismatico con dimensioni costanti lungo l’asse x e composta di un unico materiale. Esiste in effetti la possibilità di definire due diverse sezioni di estremità, ma questa caratteristica è ottenuta costruendo la matrice di rigidezza con una sezione equivalente con proprietà di inerzia (area e momenti di inerzia) opportunamente modificate. Nell’elemento Beam22 la rigidezza del tratto flessibile è ottenuta attraverso l’integrazione numerica lungo l’asse x e quindi le sezioni possono avere caratteristiche variabili per geometria e materiale. Le proprietà di rigidezza di ciascuna sezione possono inoltre essere anch’esse ottenute attraverso l’integrazione sul piano yz della sezione trasversale, e ogni sezione può quindi essere costituita da diversi materiali a comportamento differente.

e) Nel metodo degli elementi finiti la struttura è risolta attraverso il Metodo degli Spostamenti. Per ciascun elemento è ottenuta la matrice di rigidezza e i vettorI di carico. Questi sono poi assemblati assieme, ottenendo la matrice di rigidezza e i vettori di carico dell’intera struttura, con gli spostamenti nodali come incognite. La matrice di rigidezza di ciascun elemento è ottenuta descrivendo gli spostamenti interni attraverso funzioni di interpolazione degli spostamenti ai nodi (funzioni di forma). Dagli spostamenti interni è infine possibile descrivere lo stato interno di deformazione e sforzo. Esiste anche un approccio alternativo, utilizzando il Metodo delle Forze: in tal caso incognite del problema sono le forze ai nodi e le azioni interne all’elemento sono ottenute attraverso funzioni di interpolazione delle forze agli estremi. La matrice che moltiplicata per il vettore forze fornisce il vettore spostamenti di estremità è la matrice di flessibilità. Esistono dei concreti motivi che obbligano all’utilizzo del metodo degli spostamenti in un programma di calcolo ad elementi finiti. Tuttavia, per gli elementi unidimensionali il secondo metodo, in campo nonlineare, presenta vantaggi che non possono essere ignorati. In campo lineare il problema non è direttamente percepito in quanto la matrice di rigidezza dell’elemento a sezione prismatica può essere ottenuta in forma chiusa, senza un’integrazione diretta lungo l’asse ed entro la sezione.

f) Nell’elemento Beam20 convenzionale a due nodi gli spostamenti trasversali sono basati su funzioni di forma cubiche (polinomi di Hermite), che coincidono con l’equazione della linea elastica e forniscono quindi la soluzione esatta nel caso di sezione prismatica. Sfortunatamente questo non è sufficiente in campo nonlineare, per cui è necessario utilizzare funzioni di forma di grado superiore: ciò si traduce nella necessità di utilizzare elementi con più di due nodi e/o usare più elementi per schematizzare un’unica membratura. Questa è una pratica naturale nell’uso di elementi diversi da quelli unidimensionali: per avere una maggior precisione è necessario infittire la mesh. Invece, con gli elementi uni-dimensionali convenzionali lineari prismatici la precisione dei risultati non dipende dal numero di elementi ed un solo elemento è sempre sufficiente per ottenere la soluzione esatta. Questo può essere quasi totalmente mantenuto anche in campo nonlineare se si impiega il metodo delle forze per scrivere la matrice di flessibilità dell’elemento che deve essere però invertita e trasformata in matrice di rigidezza prima dell’assemblaggio con gli altri elementi della struttura. Le funzioni di forma che legano le forze di estremità alle forze agenti sulle sezioni interne sono

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-74

Linee Dati del Processore $INPUT

piuttosto banali in un elemento unidimensionale in quanto ottenibili con semplici considerazioni di equilibrio e non dipendono quindi dal comportamento nonlineare dell’elemento. E’ tuttavia necessario che gli spostamenti agli estremi siano congruenti con le deformazioni interne che dipendono dal comportamento nonlineare delle sezioni all’interno dell’asta. Questo requisito può essere soddisfatto attraverso una serie di iterazioni entro l’elemento. In caso contrario, ad ogni iterazione saranno presenti entro l’elemento delle azioni interne non equilibrate che possono essere aggiunte, nell’iterazione successiva, a quelle dovute al disequilibrio dell’intera struttura. Si deve notare che la matrice di flessibilità dell’elemento è ottenuta attraverso l’integrazione delle flessibilità delle sezioni scritte lungo x (sezioni di controllo). Perché la matrice di flessibilità sia invertibile è necessario che essa sia riferita ad uno schema isostatico senza labilità. E’ quindi necessario depurare i 6 moti rigidi dalla trave a due nodi e 12 gradi di libertà ed effettuare l’operazione inversa dopo l’inversione della matrice di flessibilità.

g) Da quanto detto alla nota precedente, l’uso del metodo delle forze nella definizione interna dell’elemento è preferibile in campo nonlineare in quanto non obbliga alla suddivisione delle beam in più elementi. Inoltre non è necessario utilizzare elementi a più nodi, che conducono a strutture con elevato numero di gradi di libertà, molto impegnative da trattare in campo nonlineare. Per contro, la costruzione dell’elemento risulta più complicata e laboriosa. Una maggiore precisione è normalmente ottenibile semplicemente utilizzando più punti di integrazione lungo x, senza dover suddividere l’asta in più elementi. Il maggior tempo di calcolo causato dalla complessità dell’elemento è ampiamente compensato dal risparmio dovuto alla minor complessità della struttura in termini di nodi ed elementi. Alla fine della precedente nota si è accennato a due differenti modalità di calcolo nella determinazione dello stato interno dell’elemento, attraverso una procedura iterativa oppure inglobando questo problema entro lo schema iterativo generale a livello di struttura. Poiché quest’ultimo può essere ottenuto come caso particolare del primo con poche modifiche, nel Microsap questi due approcci sono stati entrambi previsti. Comunque, l’esperienza d’uso recente da parte di diversi autori, fa propendere verso l’impiego del secondo metodo. E’ di norma più rapido utilizzare più iterazioni a livello di struttura che ottenere ad ogni iterazione un elemento congruente che non ha comunque raggiunto la sua configurazione convergente a livello di struttura. Per questo motivo attualmente il solutore utilizza per default questo metodo.

h) Nella figura seguente è rappresentato il tratto flessibile dell’elemento, di lunghezza Lf. Nel caso più generale esso può essere composto da 6 segmenti: s1,s2,s3,s4,s5,s6. Tutti i segmenti sono riferiti allo stesso sistema locale xyz. Uno o più segmenti possono mancare. Ciascun segmento è identificato generalmente dalle sue sezioni di estremità e dalla sua lunghezza. Esiste un caso particolare in cui il segmento possiede una sola sezione e non occupa spazio nel modello. Questo segmento particolare è identificato col nome di Connettore. Nell’elemento Beam22 i segmenti s4, s5 e s6 sono sempre dei connettori e le loro sezioni possono occupare qualunque posizione tra x=0 e x=Lf. Le proprietà dei connettori s4, s5 e s6 sono assegnate nelle linee F. Il tratto flessibile vero e proprio dell’asta è invece costituito dal segmento principale s1 e dai segmenti laterali s2 e s3. I segmenti s2 e s3 possono anch’essi degenerare a connettori elastoplastici e la loro sezione può essere ubicata in un punto qualunque. Nella seconda figura b) è

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-75

Linee Dati del Processore $INPUT

rappresentato il caso in cui s4 e s5 sono posizionati alle estremità del tratto flessibile ed s6 è un connettore ubicato nella mezzeria del segmento principale: in questo caso il segmento s1, che può essere a comportamento lineare, è di fatto interrotto da una sezione di mezzeria con caratteristiche elastoplastiche concentrate. Analogamente, a s4 e s5 possono essere assegnate caratteristiche di nonlinearità concentrate agli estremi. Le proprietà del tratto flessibile con i segmenti s1,s2,s3 sono assegnate nelle linee E.

Lf

s6 s4

s2

s1

s3

Lf2

Lf1

Lf3

s5

x

a)

s6

s4

s1

s5

x

b)

∆x x c) i) La matrice di flessibilità del tratto flessibile si ottiene semplicemente sommando le matrici di flessibilità dei diversi segmenti. La matrice di flessibilità di un segmento si ottiene integrando le flessibilità della sezione lungo x. Data la generalità con cui possono essere definite le sezioni e il comportamento nonlineare dei materiali, l’integrazione deve essere condotta per via numerica, attraverso il calcolo della flessibilità di sezioni ubicate in punti discreti xi e con passo di integrazione finito ∆xi generalmente variabile. Il programma utilizza lo schema di integrazione di GaussLobatto, che si dimostra particolarmente conveniente per questo tipo di applicazione. E’ possibile definire fino a 20 punti di integrazione. Nella fig.c) è mostrato il caso con 9 punti di integrazione, in cui sono compresi sia gli estremi, sia la sezione di mezzeria. Le caratteristiche geometriche delle sezioni intermedie alle ascisse xi (sezioni di controllo) sono ottenute interpolando quelle assegnate agli estremi.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-76

Linee Dati del Processore $INPUT

j) La forma con cui sono disponibili i dati relativi alle caratteristiche del materiale e della sezione non permette il calcolo diretto della matrice di flessibilità della sezione. E’ invece costruita la matrice di rigidezza della sezione, che è poi invertita. La rigidezza della sezione può essere ottenuta in modi differenti, a seconda del dettaglio con cui si vogliono condurre le analisi e dei dati di ingresso a disposizione. Tipicamente esistono tre possibilità. • La sezione (o meglio, le sezioni di estremità) è scelta tra quelle di libreria. In questo caso le caratteristiche di inerzia sono calcolate dal programma, considerando variabili le dimensioni caratteristiche della sezione (ad esempio, larghezza e altezza per la sezione rettangolare) ma con l’ipotesi che essa sia costituita da materiale omogeneo e quindi anche a comportamento lineare. • La sezione non è geometricamente definita, ma sono invece assegnate direttamente le sue proprietà globali di inerzia (area, momenti di inerzia) oppure i diagrammi, eventualmente nonlineari delle azioni interne sull’intera sezione in funzione della corrispondente deformazione del piano della sezione. I diagrammi nonlineari possono essere assegnati anche per una sola componente forza/deformazione, utilizzando per le altre componenti le proprietà di inerzia lineari. • La sezione è discretizzata a fibre, cioè è suddivisa in un numero anche notevole di aree componenti (fibre). A ciascuna fibra può essere assegnato un differente materiale con comportamento nonlineare. La rigidezza della sezione è ottenuta per integrazione diretta degli sforzi su ciascuna fibra. Questo è il caso più generale, ma anche più oneroso per quanto riguarda i tempi di calcolo.

Come si è visto, nella formulazione dell’elemento Beam22 gioca un ruolo determinante la definizione delle sezioni, a cui devono essere associate le caratteristiche nonlineari dei materiali costituenti. I materiali attualmente implementati sono descritti con le linee B, mentre le sezioni sono definite con le linee C.

k) L’approccio utilizzato consente di schematizzare l’elemento e la struttura in vari modi. La scelta del tipo di modello dipende dalla precisione desiderata, dall’impegno che si intende porre nella preparazione dei dati di ingresso e dalle risorse di calcolo disponibili. Si riassumuno di seguito le tipologie e le caratteristiche delle possibili schematizzazioni. • Modello a fibre a plasticità diffusa. E’ la schematizzazione più rigorosa ma anche la più onerosa per il tempo di calcolo richiesto. La definizione del comportamento dei materiali è piuttosto semplice in quanto sono richieste direttamente i diagrammi sforzo-deformazione dei materiali costituenti. La sezione deve però essere suddivisa in fibre (meshata nel suo piano). Se la sezione è omogenea (ad es. acciaio) questo compito potrebbe risultare particolarmente semplice. Buoni risultati si ottengono anche con suddivisioni piuttosto rade. Ovviamente il tempo di calcolo dipende dal numero di fibre per sezione e dal numero di sezioni (punti di integrazione) lungo l’elemento. Questo modello permette di riprodurre esattamente l’interazione tra le componenti di azione normale e momento biassiale.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-77

Linee Dati del Processore $INPUT

• Modello a plasticità concentrata con cerniere elastoplastiche a fibre. Nell’analisi pushover il carico nonlineare preponderante è rappresentato da forze nodali laterali. Di conseguenza si può ritenere approssimativamente che le zone plastiche si concentrino agli estremi dell’elemento. Tutto l’elemento può essere quindi schematizzato in modo lineare, definendo le sezioni in modo globale (prismatiche scelte tra quelle di libreria o generiche). A questo elemento sono infine aggiunti due connettori agli estremi, schematizzati a fibre. Il vantaggio rispetto al metodo precedente consiste nella riduzione del numero di sezioni a fibre da calcolare. Le sezioni a fibre di interfaccia mantengono la capacità di rappresentare fedelmente la presso-flessione. • Modello a cerniere plastiche distribuite. Vi sono delle somiglianze con i due modelli precedenti. Questa è una schematizzazione a plasticità diffusa. Come nel primo modello, le sezioni sono integrate per l’intera lunghezza, ma sono definite con caratteristiche globali. In altre parole, sono assegnati i diagrammi momento-curvatura e azione normale-deformazione dell’intera sezione. Il calcolo è rapido, dovendo far riferimento ad intere sezioni e sono colte le variazioni dello stato elasto-plastico lungo tutto l’elemento. Il principale svantaggio consiste nel fatto che le azioni interne sono considerate tra loro indipendenti. Inoltre la assegnazione dei diagrammi nonlineari presuppone il calcolo dei momenti plastici delle sezioni da effettuarsi all’esterno del solutore. • Modello a cerniere plastiche concentrate. E’ come il secondo modello, ma le sezioni a comportamento plastico sono definite con caratteristiche globali, come nello schema visto in precedenza. I diagrammi nonlineari possono essere del tipo momento-curvatura o momento-rotazione. E’ possibile definire il comportamento nonlineare anche per le altre componenti. Indipendentemente dalla schematizzazione scelta per rappresentare il comportamento della parte principale dell’elemento è anche possibile inserire delle zone a comportamento elasto-plastico locale dovuto a dettagli costruttivi, come nelle connessioni semi-rigide delle membrature in acciaio.

l) Al campo n.10 il codice OUTMNT serve a selezionare i risultati di elemento che si desidera conservare nel file monitor .MNT per una serie di elementi scelti con la linea C8 del modulo SOLVE. Questo codice è utilizzato per tutti gli elementi complessi che producono una elevata quantità di risultati di cui solo alcuni sono monitorati durante tutte le iterazioni della soluzione nonlineare. Tuttavia solo 12 quantità per elemento possono trovar posto nel file .MNT. Nel caso generale il codice OUTMNT è un intero di nove cifre suddiviso in tre campi: xxxxyyyzz. Per la composizione del codice di selezione OUTMNT si veda la nota “Output Risultati di Elemento” della linea I.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-78

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee B. Caratteristiche dei Materiali. Numero richiesto: Una serie di linee B1-B3 deve essere fornita per ogni materiale, il cui numero NMAT è stato specificato al campo n.3 della linea A.

B1. Linea di Identificazione Materiale. Numero richiesto: Una per ciascun materiale. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione materiale (MAT)

2

I

Tipo materiale (MATTYP)

3

I

Parametro n.1 materiale nonlineare (MATPAR(1))

4

I

Parametro n.2 materiale nonlineare (MATPAR(2))

5

R

Modulo di Young (E)

6

R

Modulo di elasticità trasversale (G)

7

R

Peso specifico (γ - solo per carichi di gravità)

8

R

Coefficiente di dilatazione termica (α)

9

R

Densità (ρ - solo per analisi dinamica)

10

R

Modulo tangente minimo (ETMIN)

NOTE: a) Al campo n.2 deve essere indicato il tipo di materiale. In uno stesso elemento beam possono essere utilizzati materiali di tipo diverso, ciascuno con caratteristiche lineari oppure nonlineari. Nel caso più semplice, per default, sull’intero tratto flessibile sono applicati i valori dei campi n.5 e n.6 dei moduli E,G lineari del materiale specificato nella linea J, qualunque sia il valore MATTYP. In caso contrario, per ciascuna sezione di estremità è possibile definire diversi materiali costituenti, eventualmente con caratteristiche nonlineari. Analogamente, l’elemento può avere cerniere plastiche o connessioni semirigide situate alle estremità del tratto flessibile. Questi componenti accessori sono descritti attraverso le proprietà della loro sezione (linee C) e possono essere considerati come conci di trave di lunghezza nulla. In ogni caso il modulo E deve essere sempre assegnato. Se MATTYP=0 le linee B2 e B3 vanno inserite ma i parametri nonlineari sono ignorati. In caso contrario MATTYP identifica il tipo di comportamento nonlineare e MATPAR(1), al campo n.3, è un parametro utilizzato

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-79

Linee Dati del Processore $INPUT

nell’interpretazione delle linee B2 e B3. La tabella seguente riassume le caratteristiche dei materiali attualmente implementati. MATTYP

MATPAR(1)

Tipo Materiale Lineare Elastico Simmetrico (E,G)

0

-

1

0,10,11

Curva Analitica Sforzo-Deformazione (σ-ε)

2

-

Curva Analitica Forza-Deformazione (N-ε, Vy-γy,Vz-γz, My-κy,Mz-κz, T-ψ)

3

-

Curva Analitica Forza-Spostamento (N-ux,Vy-uy,Vz-uz,My-φy,Mz-φz,T-φx)

11

n.punti diagramma (0…12)

Diagramma Tabulare Sforzo-Deformazione (σ-ε)

12

n.punti diagramma (0…12)

Diagramma Tabulare Forza-Deformazione (N-ε, Vy-γy,Vz-γz, My-κy,Mz-κz, T-ψ)

13

n.punti diagramma (0…12)

Diagramma Tabulare Forza-Spostamento (N-ux,Vy-uy,Vz-uz,My-φy,Mz-φz,T-φx)

MATTYP=0.

Il materiale è di tipo lineare elastico. Sono usati solo i moduli E e G e i parametri delle linee B2 e B3 sono ignorati.

MATTYP=1.

Il comportamento del materiale è descritto attraverso una curva Deformazione-Sforzo assiale di compressione/trazione (ε-σ). Questo tipo di materiale è utilizzato esclusivamente nella schematizzazione del comportamento a presso-flessione (è escluso quindi il comportamento a taglio-torsione) delle sezioni a fibre, sia per l’acciaio che per il calcestruzzo. Attualmente sono implementati tre sottotipi: uno per l’acciaio (MATPAR(1)=0) e due per il calcestruzzo (MATPAR(1)=10,11). MATPAR(1)=0. E’ assegnata una curva bilineare uniassiale deformazioni-sforzi (ε-σ) simmetrica per trazione e compressione. Se la sezione è schematizzata a fibre (v. linee C) questo tipo di materiale può essere impiegato per simulare il comportamento delle armature longitudinali. I parametri sono introdotti con la linea B2. I parametri della linea B3 sono ignorati. MATPAR(1)=10,11. E’ costruita una curva analitica uniassiale deformazioni-sforzi (ε-σ) comprendente sia la parte di compressione che quella di trazione. Se la sezione è schematizzata a fibre, questi tipi di materiale possono essere impiegati per simulare il comportamento a presso-flessione del calcestruzzo. I parametri sono introdotti con le linee B2 e B3 e possono essere rappresentate curve consigliate da diversi autori e normative, compreso l’effetto di confinamento causato dall’armatura trasversale (staffe).

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-80

Linee Dati del Processore $INPUT

MATTYP=2.

E’ costruita una curva analitica Forze-Deformazioni. Questo tipo di curva può essere utilizzato nella schematizzazione di una qualunque delle 6 componenti di forza-deformazione di sezioni di classe Globale oppure per le tre componenti di taglio-torsione di sezioni di classe Fibre (v. linee C). Il parametro MATPAR(1) seleziona il tipo di curva tra quelle implementate. I parametri che definiscono la curva sono introdotti con le linee B2 e B3. Le ascisse e ordinate della curva possono rappresentare una delle sei possibili coppie di componenti. Il tipo di componente e quindi l’interpretazione del grafico è determinata dal contesto in cui esso è utilizzato (v. linee C di definizione delle sezioni). Non implementato nella attuale release.

MATTYP=3.

Come MATTYP=2, ma i diagrammi sono di tipo Forza-Spostamento. Le curve sono assegnate in modo identico. L’uso di questo materiale è consentito solo per i Connettori (v.linee E e F). Non implementato nella attuale release.

MATTYP=11. E’ assegnato il diagramma Deformazioni-Sforzi assiali (ε-σ) nonlineare per punti. Il numero di punti (min 0, max 12) deve essere indicato con MATPAR(1). Le ascisse (ε) sono assegnate con la linea B2 e le ordinate (σ) con la linea B3. Se la sezione è schematizzata a fibre il diagramma εσ può essere utilizzato per simulare le armature longitudinali e il comportamento a presso-flessione del calcestruzzo, in alternativa alle curve analitiche MATTYP=1. MATTYP=12. E’ assegnato un diagramma nonlineare Forze-Deformazioni per punti. Il numero di punti (min 0, max 12) deve essere indicato con MATPAR(1). Le ascisse (Deformazioni) sono assegnate con la linea B2 e le ordinate (Forze) con la linea B3. Il significato dei valori in ascisse e ordinate (una delle sei possibili componenti) è determinato dal contesto in cui il diagramma è utilizzato. Se si desidera schematizzare globalmente il comportamento nonlineare dell’intera sezione (indipendentemente dalla sua geometria e materiali costituenti), è possibile assegnare i diagrammi di AzioneNormale-DeformazioneAssiale (N-ε, lungo l’asse locale x perpendicolare al piano della sezione), Taglio-Scorrimento (V-γ, lungo uno degli assi locali y o z giacenti sul piano della sezione), MomentoCurvatura (M-κ, attorno a uno degli assi locali y o z), MomentoTorcenteRotazioneUnitaria (T-ψ, attorno all’asse locale x). Questo tipo può essere utilizzato in alternativa alle curve analitiche MATTYP=2. Di norma il numero di punti MATPAR(1) è almeno 2. Sono tuttavia contemplati due casi particolari. Con MATPAR(1)=0 è costruito un diagramma lineare simmetrico. Con MATPAR(1)=1 può essere costruito un diagramma lineare nonsimmetrico. In entrambi i casi i parametri della linea B2 sono ignorati, mentre la linea B3 contiene le pendenze dei tratti lineari. MATTYP=13. Come MATTYP=12, ma i diagrammi sono di tipo Forza-Spostamento. Gli spostamenti (o rotazioni) sono assegnati con la linea B2. Le forze (o Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-81

Linee Dati del Processore $INPUT

momenti) sono assegnati con la linea B3. Questo tipo può essere utilizzato in alternativa alle curve analitiche MATTYP=3. L’uso di questo materiale è consentito solo per i Connettori (v.linee E e F).

b) MATPAR(2) e ETMIN ai campi n.4 e n.10 consentono di gestire in modo differente i casi per i quali il modulo tangente di una curva di materiale è nullo (tangente orizzontale), negativo o infinito (tangente verticale). Nell’elemento Beam22 la matrice di rigidezza è ottenuta attraverso il calcolo delle matrici di rigidezza delle sezioni e, dopo la loro inversione, per integrazione delle matrici di flessibilità delle sezioni e la successiva inversione della matrice di flessibilità dell’elemento. Il contributo finale sulla matrice di rigidezza della struttura dipende quindi dal contributo dei diversi materiali della sezione, da quello delle diverse sezioni e infine dai diversi elementi che confluiscono su uno stesso nodo. Quando il rapporto tra gli ordini di grandezza delle rigidezze di questi diversi contributi è elevato, la matrice di rigidezza della struttura è mal condizionata e può aversi una drammatica perdita di precisione, in genere circoscritta alla zona di singolarità. Tale situazione può essere incontrata più volte nel corso del calcolo, in occasione dell’attraversamento locale di condizioni di instabilità. Per poter superare queste situazioni e prolungare il calcolo fino eventualmente al cedimento di tutte le parti della struttura, sono necessari interventi sia da parte dello stesso solutore, sia da parte dell’utente. Anzitutto dovrebbero essere evitate situazioni di singolarità nelle curve dei materiali, come tratti perfettamente orizzontali o verticali. Nei tratti perfettamente orizzontali e con passi iterativi piccoli esiste tra l’altro la possibilità che l’algoritmo pathfollowing inverta il verso di percorrenza della curva forza-spostamento. Se il tratto è perfettamente verticale, ad una variazione nulla di deformazione corrisponde un elevato rilascio di forza. Questo cedimento repentino non può essere smaltito gradualmente nella struttura, ma tende ad essere trasferito sugli elementi adiacenti che ereditano lo stesso inconveniente. Anche i tratti a pendenza negativa possono dare origine a difficoltà di soluzione. I moduli tangenti negativi, quando non strettamente necessari, vanno evitati. Se la sezione è composta di due materiali come ad esempio è il caso del calcestruzzo armato, il ricorso a moduli tangenti negativi può essere evitato per i casi reali. Al superamento della resistenza ultima del calcestruzzo il suo modulo tangente può anche essere considerato nullo, mentre rimane il contributo dell’armatura che ha ancora elevate capacità a deformarsi. Questa situazione non può comunque essere gestita solo dall’utente attraverso la modifica della curva del materiale, ma deve essere attuata anche a livello software. La modifica delle pendenze della curva del materiale provoca infatti una variazione di moduli tangenti e livelli di sforzo: in altre parole, per un determinato valore di deformazione (ascissa) il programma calcolerà la pendenza (modulo tangente) e lo sforzo (ordinata) corrispondenti. Se viceversa la modifica dei moduli tangenti per evitare situazioni di singolarità è effettuata dal programma esso, per un determinato valore di deformazione modificherà, se è il caso, solo il modulo tangente, assumendo invece il valore di sforzo corretto. In altre parole, attraverso successive iterazioni di equilibrio il programma cercherà la soluzione sulla curva assegnata anche con un modulo diverso da quello tangente. Nel seguito si esaminano i tre casi particolari della curva materiali.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-82

Linee Dati del Processore $INPUT

1. Correzione modulo tangente nullo. Tutti i casi in cui la curva del materiale presenta tratti orizzontali sono sempre corretti dal programma. I tratti orizzontali possono essere assegnati esplicitamente dall’utente, oppure sono i tratti che il programma implicitamente considera come estensione degli estremi delle curve materiali. Se e solo se il modulo tangente è zero, il programma sostituisce il valore nullo con il valore ETMIN assegnato al campo n.10. Se ETMIN è nullo, il programma assume comunque un valore di default pari a 1/100 del modulo secante E* di riferimento. E* è calcolato dal programma ed è pari a 0.01*ymax/x, essendo ymax il valore assoluto massimo dell’ordinata del diagramma del materiale (ad esempio, il massimo valore assoluto di sforzo) e x il valore assoluto corrente dell’ascissa (ad esempio, il valore di deformazione corrente). Al campo n.10 possono anche essere introdotti valori negativi: in tal caso Et=0 è calcolato come per il caso di default, ma assumendo come coefficiente il valore assegnato. Esempio: se il campo n.10 è lasciato nullo, il modulo tangente Et=0 viene corretto con Et=0.01E*; se al campo n.10 è assegnato il valore 210., il modulo Et=0 viene corretto con Et=210.; se al campo n.10 è assegnato il valore –0.001, il modulo Et=0 viene corretto con Et=0.001E*. 2. Correzione modulo tangente negativo. Il programma offre due possibilità, controllate dal parametro MATPAR(2). Se MATPAR(2) è nullo, non è effettuata alcuna correzione sui moduli tangenti negativi. In caso contrario (assegnando ad esempio MATPAR(2)=1), i moduli tangenti negativi sono modificati come detto al punto precedente, vale a dire col valore ETMIN o col suo valore di default. Se nella sezione è presente un altro materiale capace di resistere a deformazioni elevate dopo il cedimento del primo (ad esempio, calcestruzzo armato), è generalmente più facile la continuazione del calcolo se i moduli negativi nel calcestruzzo sono sostituiti con valori nulli o prossimi a zero. In tal caso ad ETMIN può essere attribuito un valore piccolo, eventualmente non legato ad E, come ad es.: 1⋅10-6. 3. Correzione modulo tangente infinito. I tratti verticali sono generalmente assegnati per simulare la perdita improvvisa di resistenza. Il programma consente l’input di diagrammi di materiale per punti con tratti verticali in cui allo stesso valore di deformazione corrisponde un livello di sforzo indeterminato. A tali tratti corrisponderebbe un valore infinito del modulo tangente che il programma sostituisce con un valore nullo simbolico, che successivamente è corretto come detto al punto 1. Questo perchè l’attuale release rilascia completamente la variazione di forza interna che avviene nell’intervallo tra due successive iterazioni, per cui il tratto verticale viene di fatto saltato e su esso non potrà verificarsi l’esistenza di alcun punto soluzione. Pertanto si raccomanda vivamente di modificare i tratti verticali delle curve dei materiali sostituendoli con tratti eventualmente a forte pendenza negativa (ad esempio, -E) per permettere al programma di percorrere in modo sufficientemente accurato la curva reale e scaricare in modo graduale l’elemento che cede, favorendo lo smaltimento del carico sugli elementi adiacenti. Nella realtà la fase di collasso è un fenomeno dinamico, regolato dalla comparsa delle forze di inerzia. Si tenga presente che lo studio dettagliato del meccanismo di rottura può essere oneroso, difficoltoso e spesso non rispondente al fenomeno reale.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-83

Linee Dati del Processore $INPUT

c) Se l’analisi è di tipo lineare (NOLIN=0 nella linea B di $INPUT) o il materiale è lineare (MATTYP=0) solo i campi n.5 e n.6 sono usati per rappresentare il comportamento del materiale e i parametri alle linee B2 e B3 sono ignorati. In questo caso, se MATTYP=0,1,11 i campi n.5 e n.6 rappresentano sempre i valori del modulo estensionale E e del modulo trasversale G. Se MATTYP=2,3,12,13 il campo n.5 rappresenta la pendenza costante del diagramma che sarà utilizzato. Sia in analisi lineare che nonlineare, non esiste alcun legame con il modulo iniziale (valore nell’origine) dei diagrammi assegnati con le linee B2 e B3. Se l’analisi è di tipo nonlineare (NOLIN=1) i valori ai campi n.5 e n.6 sono utilizzati se MATTYP=0. Inoltre il valore al campo n.6 è utilizzato sempre, tranne quando le proprietà di taglio o torsione sono specificate espressamente con un diagramma globale nonlineare. In un’analisi nonlineare, se il materiale è di tipo nonlineare, esso può presentare moduli iniziali differenti in trazione e compressione. In tal caso, in corrispondenza dell’origine, con un valore di ascissa nulla (solitamente alla prima iterazione del primo step, a struttura ancora scarica), il programma assume come modulo tangente il massimo valore tra i due moduli iniziali. d) I diagrammi globali relativi alle azioni di presso-flessione dovrebbero essere riferiti ad assi quanto più prossimi in direzione e posizione a quelli principali di inerzia e baricentrici istantanei. I diagrammi globali relativi alle azioni di taglio-torsione dovrebbero essere riferiti al centro di taglio-torsione istantaneo. La soluzione nonlineare deve essere considerata come prima approssimazione. La maggior precisione può essere generalmente ottenuta attraverso la schematizzazione a fibre per le azioni di presso-flessione e posizionando il sistema locale quanto più prossimo al centro di torsione-taglio più rappresentativo nell’elemento e definendo per ciascuna sezione lo scostamento del centro effettivo di torsione-taglio rispetto all’origine locale. (v. linee C). e) Il valore al campo n.7 deve essere positivo o nullo. Se esso è uguale a zero il peso proprio delle aste con questo materiale non è incluso. Il peso proprio è calcolato attraverso la assegnazione di un’area equivalente AW alla sezione, oppure considerando l’effettiva geometria e composizione dei diversi materiali della sezione (v. linea C1). f) Il valore al campo n.9 deve essere positivo o nullo. Se esso è uguale a zero la massa dei volumi con questo materiale non è inclusa. La massa è calcolata attraverso la assegnazione di un’area equivalente AW alla sezione, oppure considerando l’effettiva geometria e composizione dei diversi materiali della sezione (v. linea C1). La massa totale dell’elemento è solamente quella relativa al solo tratto flessibile. La matrice di massa dell’elemento è diagonale e dotata dei soli termini traslanti. Nell’attuale release la massa totale così calcolata è semplicemente suddivisa e trasferita ai due nodi, senza che sia introdotta alcuna modifica per offset del centro di taglio, variazione di sezione, bracci rigidi e rilasci.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-84

Linee Dati del Processore $INPUT

B2. Parametri Nonlineari del Materiale. Numero richiesto: Una. La linea B2 è la continuazione della linea B1 Campo

Tipo

Descrizione

1

R

Parametro p1

• •

• •

• •

12

R

Parametro p12

NOTE:

a) Il significato dei parametri e il loro numero dipendono dai valori MATTYP e MATPAR(1) specificati ai campi n.2 e n.3 della linea B1. MATTYP=0.

Materiale lineare. I parametri delle linee B2 e B3 sono ignorati.

MATTYP=1.

MATPAR(1)=0. Curva bilineare simmetrica uniassiale deformazioni-sforzi (ε-σ). Devono essere specificati i primi due campi. Il primo parametro contiene il valore della sigma di snervamento σy e il secondo campo il valore del modulo tangente Et del tratto post-snervamento. Entrambi i valori devono essere positivi. Et può essere nullo (comportamento elastico-perfettamente plastico), ma non superiore al modulo elastico iniziale E (campo n.4, linea B1). I parametri della linea B3 sono ignorati. MATPAR(1)=10,11. Curva analitica uniassiale deformazioni-sforzi (ε-σ), generalmente finalizzata a riprodurre il comportamento del calcestruzzo. Nella figura seguente è rappresentata la tipica curva uniassiale impiegata.

σ

Et0 ft0

εcc

εccu

ftu

Trazione

εt0

εtu

ε

fcu

Compressione Ec0 fcc

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-85

Linee Dati del Processore $INPUT

Le espressioni parametriche utilizzate permettono di schematizzare, come casi particolari, i modelli di diverse normative e quelli proposti da Mander, Kent, Park, Scott, Hoshikuma. La curva del materiale può essere assegnata in due varianti, che possono essere selezionate con MATPAR(1)=10 oppure MATPAR(1)=11. Nel primo caso, più generale, la curva potrebbe rappresentare le caratteristiche del calcestruzzo non confinato o confinato, o eventualmente il comportamento di un materiale similare. Nel caso si debbano rappresentare le caratteristiche del calcestruzzo confinato, gli opportuni parametri devono essere calcolati esternamente. Nel secondo caso si assume che il materiale sia tipicamente calcestruzzo non confinato e alcune caratteristiche sono calcolate automaticamente dal programma. Attraverso l’assegnazione di opportuni parametri addizionali con la linea B3, il programma può procedere automaticamente a convertire la curva del calcestruzzo non confinato in quella del calcestruzzo confinato. I primi 6 parametri della linea B2 sono riservati per assegnare la parte in compressione del diagramma, mentre i successivi sono riservati per la parte in trazione. Poiché i parametri relativi alla compressione e alla trazione sono distinguibili dalla posizione che essi occupano nella linea, eccezionalmente tutti i valori devono essere assegnati positivi, anche se si riferiscono alla compressione. I parametri p11 e p12 non sono attualmente utilizzati. Tra parentesi sono indicati i valori di default. Se fcc=0 o ft0=0 il materiale non resiste a compressione o a trazione. Per la trazione la curva è di tipo bilineare. Nella compressione il tratto iniziale fino al picco è parabolico, con due possibili varianti, a seconda che Ec0 sia assegnato oppure no, mentre il tratto post-picco è rettilineo. I valori di trazione e compressione ultimi possono essere assegnati leggermente maggiori di zero, al fine di evitare eventuali problemi di convergenza. Caso MATPAR(1)=10. p1=Ec0 p2=fcc p3=εcc p4=fcu/fcc p5=εccu/εcc p6=εcc0/εcc p7=Et0 p8=ft0 p9=ftu/ft0 p10=εtu/εt0

Microsap Rel.12.0

(0.0) (0.002) (0.0) (1.75) (∞ ) (E) (0.0) (0.0) (10.0)

modulo elastico iniziale a compressione resistenza a compressione deformazione di rottura (in corrispondenza di fcc) resistenza ultima residua (in rapporto a fcc) deformazione ultima (in rapporto a εcc) deformazione a rottura (in rapporto a εcc) modulo elastico iniziale a trazione resistenza a trazione (εt0= ft0/ Et0) resistenza ultima residua (in rapporto a ft0) deformazione ultima (in rapporto a εt0)

Manuale d’Uso

V-86

Linee Dati del Processore $INPUT

La figura seguente mostra la relazione tipica tra la curva del calcestruzzo non confinato (verde) e confinato (rosso).

σ fcc fc0

0.5fcc

ε50u

ε50h

fcu

εc0 εcc

εccu

εcco

ε

Numerosi test effettuati soprattutto negli ultimi 30 anni da diversi autori, prevalentemente riferiti a provini di sezione rettangolare e circolare, hanno confermato che la curva parabola-retta, pur nella sua semplicità, riproduce piuttosto fedelmente il comportamento uniassiale reale del calcestruzzo. Le espressioni analitiche dei tratti in compressione sono riassunte di seguito. Per comodità deformazioni e sforzi si considerano di segno positivo anche se riferiti allo stato di compressione. Se Ec0=0 (default) il tratto iniziale è una parabola classica con vertice in (εcc ; fcc). In questo caso il modulo elastico iniziale a compressione è fisso e pari a 2fcc/εcc. Nel secondo caso la tangente nel punto (εcc ; fcc) è ancora orizzontale, ma Ec0 è assegnato esplicitamente. Il modello parametrico del materiale permette di assegnare esplicitamente sia la curva del calcestruzzo non confinato sia di quello confinato, attribuendo gli opportuni valori alle coordinate dei punti (εcc ; fcc) e (εcu ; fcu). Tratto crescente (Ec0=0; ε< εcc):

⎡ ⎛ ε σ = f cc ⎢ 2⎜⎜ ⎢⎣ ⎝ ε cc

Tratto crescente (Ec0>0; ε0. Nel caso più generale l’asse locale x è assegnato attraverso due nodi (strutturali oppure no). Essi servono per definire una direzione nello spazio. L’asse locale z è il vettore perpendicolare al piano dell’elemento e orientato in verso positivo secondo il senso di percorrenza antiorario IJKL dei nodi. L’asse locale x è ottenuto separatamente per ogni elemento come la proiezione del vettore NDIR1-NDIR2 sul piano dell’elemento. L’asse locale y è perpendicolare al piano xz a completare una terna destra. La direzione NDIR1-NDIR2 non deve essere perpendicolare all’elemento, poiché in tal caso la direzione locale x risulterebbe indefinita e il programma termina con una segnalazione di errore. NDIR1=0 e NDIR2=0. Esiste una orientazione di default, se i campi sono entrambi nulli. In questo caso la direzione NDIR1-NDIR2 coincide con l’asse globale X e la direzione locale x è la proiezione dell’asse X sul piano dell’elemento. Se un elemento è perpendicolare a X, il programma non termina con un errore, ma utilizza automaticamente in alternativa l’asse globale Y per determinare la direzione dell’asse locale y per proiezione. In questo modo si ottiene una transizione uniforme e il risultato atteso, evitando la condizione di singolarità. NDIR1=0 e NDIR2>0. Il primo estremo del vettore direzione coincide con l’origine globale. NDIR1>0 e NDIR2=0. Se NDIR1=1 la direzione locale x coincide con la direzione del lato I-J dell’elemento. Per qualunque altro valore NDIR1>1 la direzione locale x è la congiungente i punti medi dei lati L-I e J-K. Quest’ultima opzione coincide con l’orientazione assunta nella Rel.8.3. La tabella seguente riassume le diverse opzioni. NDIR1 n 0

NDIR2 m 0

0

m

1 >1

0 0

Vettore Direzione Locale Definito dalle coordinate dei nodi n e m Definito dall’asse globale X (oppure Y) Definito dall’origine globale (0.,0.,0.) e dalle coordinate del nodo m Coincide con la direzione del lato I-J Direzione della congiungente i punti medi di L-I e J-K

La fig. 4 mostra la traccia di alcuni elementi con orientazione di default. L’elemento con l’asse z locale parallelo all’asse X globale è singolare ma gli assi locali sono ottenuti correttamente attraverso l’asse globale Y.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-172

Linee Dati del Processore $INPUT

Z

x

z x

z x

z

X

Fig. 4

c) Il campo n.4 permette di posizionare l’elemento su un piano non coincidente col piano dei nodi, ma parallelamente ad esso. Il valore zn è la coordinata locale z del piano dei nodi rispetto al piano medio xy dell’elemento. Ad esempio, se il piano dei nodi coincide col piano medio locale xy dell’elemento, sarà zn=0. Se invece l’elemento ha spessore t e il piano dei nodi è posizionato sulla superficie inferiore, sarà zn=-t/2. Se il piano dei nodi non coincide col piano dell’elemento, le forze nodali inducono momenti fuori piano, per cui è necessario attivare sia la componente membranale sia la componente flessionale dell’elemento. Si deve notare che i risultati di azione interna di forza e momento sono sempre riferiti al piano dei nodi.

d) Il campo n.5 definisce il tipo di sezione di libreria. Nelle future release potrebbero essere introdotte altre sezioni composte, non necessariamente omogenee nello spessore, come ad esempio pseudo shell con nervature o a sezione corrugata (fig. 6) . Tipo 0 1 2 3

Sezione Omogenea Multistrato Simmetrico Multistrato Antisimmetrico Multistrato Generico

p1 t

p2

p3

νS

p4 nsub

tS

χ

νS

-

χ

e) Al campo n.6 deve essere indicato il numero di strati in cui si desidera suddividere la sezione. NLAY è in genere uguale o superiore al numero di strati di diverso materiale che si alternano nello spessore, considerando comunque che il materiale può essere diverso anche solo per il fatto di possedere una differente orientazione delle fibre. Se la sezione è omogenea o se lo strato è di rilevante spessore e il comportamento è nonlineare, può essere consigliabile Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-173

Linee Dati del Processore $INPUT

suddividere lo strato di materiale in più strati NLAY. Se la sezione è omogenea le suddivisioni sono effettuate con spessore costante e l’orientazione del materiale è quella specificata al campo n.5 della linea B1 e il materiale è quello specificato per l’intero elemento (campo n.6 delle linee G). In caso contrario, per la sezione definita multistrato, queste informazioni andranno assegnate separatamente per ciascuno degli NLAY strati con le linee C2. Il valore NLAY deve essere maggiore o uguale a zero e minore o uguale a 98 (numero massimo di strati consentito per questo tipo di elemento). Se NLAY è assegnato uguale a zero è assunto per default un solo strato.

f) Nel caso di sezione omogenea (tipo 0), le sue caratteristiche sono assegnate con i parametri p1,p2,p3,p4 e le linee C2 non devono essere inserite. Lo spessore t deve sempre essere assegnato e non può essere nullo. χ e νS sono invece utilizzati solo per l’elemento thick shell (ITYPB=22, campo n.9, linea A, v. nota seguente). Il parametro p4=nsub indica il numero di sottostrati in cui è suddiviso lo strato. Per default nsub=1. Il massimo numero di sottostrati è limitato a 10. Se nsub=1 il diagramma degli sforzi entro lo strato è lineare. Valori più elevati di nsub permettono il calcolo più accurato delle forze interne e quindi generalmente un aumento della velocità di convergenza. Tuttavia, gli sforzi sono conservati solamente alle superfici dello strato. Se la soluzione è di tipo lineare o il materiale è di tipo lineare la sezione omogenea può essere costituita da un solo strato. In caso contrario le caratteristiche del materiale variano in genere nello spessore durante l’analisi ed il programma deve eseguire l’integrazione degli sforzi ed è necessario suddividere in più strati anche la sezione omogenea. Per ogni strato il programma conserva sforzi e deformazioni in corrispondenza della faccia inferiore e superiore. Lo spessore t è utilizzato nel calcolo della componente membranale, flessionale, delle forze di gravità e della massa dell’elemento. Una porzione infinitesima di volume è quindi espressa come dV = tdA e la forza di gravità e massa corrispondenti sono rispettivamente γ dV e ρdV, con γ e ρ specificati ai campi 3 e 4 delle linee B1. Componente Membranale. Se si indicano con {T} le forze sul piano agenti su un tratto di lunghezza unitaria in un punto generico dell’elemento e riferite al sistema locale, valgono le relazioni:

⎧Txx ⎫ 2t {T } = ⎪⎨T yy ⎪⎬ = ∫ {σ M }dz = t [E ]{ε M } = [D M ]{ε M } ⎪T ⎪ − t ⎩ xy ⎭ 2

⎧σ MXX ⎫ {σ M } = ⎪⎨σ MYY ⎪⎬ ⎪ ⎪σ ⎩ MXY ⎭

essendo {σM} e {εM} i vettori sforzi e deformazioni e [E] la matrice elastica di plane stress costruita con i moduli elastici forniti con le linee B2. In pratica, b ⋅ t è l’area della sezione reagente alle forze di piano, essendo b la larghezza unitaria.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-174

Linee Dati del Processore $INPUT

Componente Flessionale. Se si indicano con {M} i momenti agenti su un tratto di lunghezza unitaria in un punto generico dell’elemento e riferite al sistema locale, valgono le relazioni:

⎧σ BXX ⎫ {σ B } = ⎪⎨σ BYY ⎪⎬ ⎪σ ⎪ ⎩ BXY ⎭

⎧ M xx ⎫ 2t 3 {M } = ⎪⎨ M yy ⎪⎬ = ∫ {σ B }zdz = t [E ]{κ B } = [DB ]{κ B } 12 ⎪M ⎪ −t ⎩ xy ⎭ 2

essendo {σB} e {κB} i vettori sforzi e rotazioni e [E] la matrice elastica di plane b⋅t3 stress costruita con i moduli elastici forniti con le linee B2. In pratica, è il 12 momento d’inerzia della sezione reagente ai momenti fuori piano, essendo b la larghezza unitaria. Per la sezione multistrato le relazioni sono simili, ma gli integrali sono calcolati tenendo conto delle diverse proprietà dei materiali dei singoli strati.

z

z

x

x

Fig. 5

Fig. 6

g) Elemento Thick Shell con Deformazione a Taglio Fuori Piano. Per l’elemento con taglio fuori piano (ITYPB=22, campo n.9, linea A) le deformazioni di flessione (curvature) e taglio (scorrimenti) dipendono dal coefficiente di flessibilità a taglio ϕS(tS,χ,νS), funzione dello spessore tS, del fattore di taglio χ e del modulo di Poisson νS. Il fattore di taglio χ è inoltre impiegato nella costruzione della matrice elastica del taglio trasversale Gsi dello strato i-esimo della sezione: 0 ⎤ 2 χt S2 1 ⎡ G st ϕS = G si = ⎢ 1 −ν S χ ⎣ 0 G nt ⎥⎦

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-175

Linee Dati del Processore $INPUT

I parametri p1-p3 permettono di specificare i valori tS, χ, νS che il programma usa per il calcolo del coefficiente di flessibilità a taglio ϕS e delle matrici elastiche di taglio. Se la sezione è omogenea, il parametro p1 deve essere pari allo spessore t dell’elemento ed è assunto tS=t. Se la sezione non è omogenea è possibile specificare esplicitamente lo spessore equivalente di taglio tS indipendentemente dagli spessori dei singoli strati. E’ ovvio che, se si desidera assegnare esplicitamente il parametro tS all’elemento thick shell con sezione omogenea, è sufficiente schematizzare la sezione come multistrato, eventualmente composta da un solo strato. In generale il parametro tS può essere interpretato come lo spessore della sezione omogenea equivalente sottoposta a taglio e νS il modulo di Poisson medio in direzione trasversale. Il parametro νS introduce un termine correttivo blando in ϕS, mentre χ interviene anche direttamente sulla matrice elastica di taglio. Nel caso in cui uno qualsiasi dei tre parametri sia assegnato nullo (da preferire nei casi standard) il programma applicherà un valore di default calcolato internamente. In generale, la modifica dei valori rispetto allo standard conferirà maggiore o minore flessibilità a taglio all’elemento. Se p2=0 il programma utilizzerà il valore di default χ=f corretto in funzione dello spessore totale t e dell’area A dell’elemento, al fine di attenuare l’effetto di shear locking. L’elemento thick shell ha infatti un comportamento eccessivamente rigido quando usato con spessori ridotti. L’espressione di f è la stessa adottata da Ansys per gli elementi Shell43, Shell91 e Shell99: A⎞ ⎛ f = Max ⎜ 1.2,1 + 0.008 2 ⎟ t ⎠ ⎝ Si deve notare che la distinzione tra comportamento thin e thick per cui diventa non trascurabile la deformazione a taglio dipende in realtà dal rapporto tra la lunghezza tipica di inflessione e lo spessore dell’intera piastra, piuttosto che dalle dimensioni del singolo elemento. Il parametro χ è limitato tra 1 e ∞. Il suo valore tipico è χ=1.2 (sezione rettangolare omogenea). Se è assegnato a p2 un valore inferiore a 1, il programma assume comunque il valore χ=1. Non esiste limite superiore. Tuttavia, se è assegnato p2=0, il programma calcola automaticamente il valore di default χ=f come visto nella nota g) precedente. Il parametro νS è limitato tra 0.0 e 0.5. Se p3 è assegnato nullo o negativo, è assunto νS=0. Se p3 è assegnato maggiore di 0.5 è comunque assunto νS=0.5. La modifica della flessibilità a taglio dell’elemento attraverso la alterazione del fattore di taglio χ può non essere sempre la più efficace o può non essere sufficiente. Il programma permette perciò di controllare la flessibilità a taglio soprattutto attraverso il parametro tS, il cui valore può variare da zero a infinito. Se il suo valore è nullo l’elemento non presenta scorrimenti per taglio. Viceversa, se tS è infinito gli scorrimenti a taglio sono massimi. Quando tS

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-176

Linee Dati del Processore $INPUT

assume valori molto piccoli o molto grandi la dipendenza di ϕS da νS e χ può essere trascurata. Il parametro tS è limitato tra 1⋅10-10 e 1⋅10+10. Qualunque valore di p1 minore o uguale a 1⋅10-10 corrisponde sempre all’applicazione di ϕS=0. Viceversa, qualunque valore di p1 maggiore o uguale a 1⋅10+10 corrisponde a ϕS=∞. Tuttavia se è assegnato il valore di default p1=0 il programma utilizzerà per tS lo spessore totale dell’elemento.

h) Soluzione Thin Shell con l’Elemento Thick Shell. Nelle note della linea B3 si è fatto notare che la assegnazione di valori Gst e Gnt molto grandi inibisce le deformazioni a taglio. Esiste tuttavia la possibilità di simulare in modo più accurato la soluzione thin shell. Questo comportamento può essere ottenuto assegnando p1=1⋅10-10. In tal caso p2 e p3, Gst e Gnt possono essere lasciati nulli. Si deve comunque porre in evidenza che, se lo spessore della piastra è entro i limiti di validità della soluzione thin shell, l’elemento thin shell puro DKT (tipo 8) fornisce una soluzione più precisa di quella ottenibile con la soluzione thin shell simulata dell’elemento DKMT.

i) Sezione Sandwich. L’elemento flessionale thick shell n.22 può essere utilizzato per schematizzare pannelli sandwich, costituiti da un nucleo centrale debole che sopporta tutto il taglio fuori piano e da due lamine esterne che sopportano solo la flessione. La sezione sandwich è quindi una sezione multistrato particolare definita con almeno tre strati. Sia le lamine esterne che il nucleo possono essere comunque suddivisi in più strati, ma costruttivamente lo spessore del nucleo centrale resistente a taglio non dovrebbe essere inferiore al 70% dello spessore totale. Per la corretta schematizzazione del pannello sandwich è necessario assegnare ai materiali delle lamine (linea B3) valori Gst e Gnt nulli. I valori dei moduli elastici En e Es delle lamine dovrebbero essere significativamente superiori a quelli del nucleo (almeno di un fattore 10), ma d’altra parte non tali da produrre risultati imprecisi (meno di un fattore 106). Contemporaneamente è necessario specificare per la sezione del pannello sandwich i valori p1=1⋅1010, p2=1 e p3=0 ai campi n.7,8,9.

Deformazione del Pannello Multistrato senza e con l’Opzione Sandwich

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-177

Linee Dati del Processore $INPUT

C2. Proprietà del Multistrato. Numero richiesto: Una per strato. Solo per sezioni multistrato. Campo

Tipo

Descrizione

1

R

Numero di materiale mi

2

R

Spessore ti dello strato o area armatura Af

3

R

Orientazione βi dello strato

4

I

Numero di sottostrati (nsub)

NOTE:

a) Per le sezioni multistrato (tipi 1,2,3) le caratteristiche di ciascuno strato sono esplicitamente assegnate con una linea C2. Il campo n.1 sovverte l’indicazione effettuata al campo n.6 della linea G, in cui si è assegnato il numero materiale a tutta la sezione. I codici di materiale devono essere tra quelli assegnati con le linee B. E’ tuttavia ammessa la definizione di strati vuoti, assegnando il codice del materiale uguale a zero. In questo caso lo spessore dello strato vuoto serve a distanziare gli strati successivi.

b) Lo spessore ti dello strato, al campo n.2, deve sempre essere assegnato maggiore di zero. Per le sezioni multistrato il peso e la massa dell’elemento sono direttamente calcolati dagli spessori e dal peso specifico e densità dei singoli strati. La temperatura di riferimento Tref del multistrato è quella del materiale specificato nella linea G di definizione dell’elemento, così come i coefficienti di dilatazione termica αN e αS. In altre parole, solo per quanto riguarda i carichi termici, il multistrato utilizza le definizioni del materiale “equivalente” specificato nelle linee G. Nel caso in cui il materiale identifichi un’armatura, il valore dello spessore equivalente ti o dell’area di armatura Af sono del tutto equivalenti. Tuttavia l’armatura non occupa spazio: in altre parole, lo strato di armatura è collocato alla quota dell’interfaccia tra lo strato precedente e successivo. Strati immediatamente successivi di armatura condividono la stesso posizione (zi-1=zi). La suddivisione tra lo strato precedente e successivo dovrà quindi essere creata in corrispondenza del baricentro dello strato di armatura. Af è l’area di armatura con direzione βi per unità di lunghezza nella direzione perpendicolare.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-178

Linee Dati del Processore $INPUT

c) Il campo n.3 sovverte l’indicazione effettuata al campo n.5 della linea B1 in quanto a strati dello stesso materiale possono essere attribuite differenti orientazioni.

d) Al campo n.4 è possibile indicare il numero di sottostrati in cui si desidera suddividere lo strato. Vale quanto detto alla nota f) della precedente linea C1. Gli strati di armatura hanno sempre un solo sottostrato.

e) E’ possibile la assegnazione di multistrato generico (fig.7), simmetrico e antisimmetrico (fig.8). Per tutti i tipi di sezione lo strato n.1 è ubicato sulla superficie inferiore della shell e l’ultimo strato NLAY è sulla superficie superiore. Il piano xy rimane comunque posizionato a metà dello spessore totale dell’elemento (ttot). Internamente al programma la rappresentazione di tutti i tipi di sezione coincide con quella del multistrato generico del tipo n.3 L’unica differenza consiste nell’input. Per i tipi n.1 e n.2 è possibile ricorrere ad un input abbreviato, assegnando solo metà degli strati ed il programma procederà alla creazione dei rimanenti. Ad esempio, se la sezione è di tipo n.1 o n.2 ed NLAY=8, il n. di linee C2 da inserire deve essere 4 (primi 4 strati inferiori). Se il numero di strati è dispari è però richiesta la assegnazione dello strato centrale. Se ad esempio la sezione è di tipo n.1 o n.2 e NLAY=9 è necessario fornire 5 linee C2.

f) Nel multistrato simmetrico si assume che gli strati soprastanti il piano xy si susseguano nello stesso ordine di quelli sottostanti e con uguale spessore, materiale e orientazione (β’=β). Nel multistrato antisimmetrico è invece β’=-β. La matrice elastica del multistrato simmetrico gode della proprietà di avere la componente membranale disaccoppiata da quella flessionale. In pratica, l’applicazione di forze sul piano non produce inflessione e viceversa. Un’altra caratteristica notevole (non richiesta però dal programma) si ha quando uno strato ortotropo con orientamento +β è accompagnato da uno strato con orientamento -β. In tal caso si ha anche disaccoppiamento tra sforzi normali e taglio. z

Z

Z

-25

4

t4

3 2

t3 t2 t1

z4

1

Fig. 7. Multistrato generico

Microsap Rel.12.0

ttot/2

x

25

35

-35

45 90 90 45

-45 90 90 45

X

35

35

-25

-25

X

Fig. 8. Orientazione βi in un multistrato simmetrico e antisimmetrico

Manuale d’Uso

V-179

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee D

Proprietà del Suolo Elastico. Numero richiesto: Una linea per ogni differente set di proprietà, il cui numero NFND è stato specificato al campo n.6 della linea A.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione del set proprietà

2

R

Rigidezza specifica Kf

3

R

Spostamento normale wy a snervamento

4

R

Rigidezza specifica Kfy a snervamento

5

R

Rigidezza specifica Kft a trazione

NOTE:

a) Il codice di identificazione della proprietà, al campo n.1, deve essere compreso tra 1 e NFND. Non è comunque richiesto che le proprietà siano assegnate in ordine. I campi n.2,3,4,5 devono essere quantità maggiori o uguali a zero.

b) In Shell62 la rigidezza del suolo elastico è applicata in direzione normale all’elemento e agisce quindi su tutta la faccia dell’elemento flessionale. Se l’elemento shell possiede la sola componente membranale, il suolo elastico è ignorato. La matrice di rigidezza del suolo elastico è costruita integrando lo spostamento normale w e la pressione del terreno σf entro l’elemento attraverso la relazione: σ f = Kf ⋅w Nel caso più generale il programma considera la rigidezza del suolo elastico variabile linearmente entro l’elemento triangolare o entro ciascuno dei triangoli componenti l’elemento quadrangolare, una volta specificati i valori ai nodi. Lo spostamento normale w entro l’elemento flessionale è una funzione di forma cubica dipendente dagli spostamenti e rotazioni dei nodi. La pressione sul terreno è quindi schematizzata con una funzione di quarto grado.

c) Il campo n.2 definisce il valore di rigidezza specifica del suolo elastico (unità di misura: F/L3) da applicare sull’elemento. Nelle analisi lineari il suolo elastico reagisce in ugual modo a trazione e compressione con rigidezza Kf e i campi n.3,4,5 sono ignorati.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-180

Linee Dati del Processore $INPUT

d) Nelle analisi nonlineari, se il campo n.3 è nullo, il comportamento è ancora quello descritto nella nota precedente e i campi n.4 e n.5 sono ignorati. In caso contrario è applicato il diagramma di fig.9. In particolare, se Kft è nullo il suolo reagisce solo a compressione. Si noti che nella attuale release il comportamento è nonlineare elastico e non esistono deformazioni permanenti. Allo scarico la deformazione è totalmente ricuperata e lo stesso diagramma nonlineare è percorso a ritroso.

σf

Kfy

σfy

Kf Kft

wy

w

Fig. 9

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-181

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee E

Carichi sugli Elementi. Numero richiesto: NLD linee (v. campo n.7 della linea A), fino alla descrizione di tutti i set di carico.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione del set

2

I

Tipo di carico (0÷15)

3

R

Parametro p1

4

R

Parametro p2

5

R

Parametro p3

6

R

Parametro p4

7

R

Parametro p5

8

R

Parametro p6

NOTE:

a) Il codice di identificazione del set, al campo n.1, può essere un qualunque numero intero positivo. I set di carico possono essere assegnati in qualunque ordine. Un set di carico può essere composto da differenti tipi di carico. Per ottenere questo è sufficiente assegnare più linee con lo stesso codice identificativo. I carichi sullo stesso set, anche assegnati con linee non consecutive, si sommano a quelli eventualmente già presenti. Ad esclusione della prima riga, se il numero di set è nullo, il nuovo carico è sommato al set definito per ultimo.

b) I carichi di elemento sono costituiti in genere sia da componenti che agiscono sul piano dell’elemento sia da componenti fuori piano. Se l’elemento shell ha comportamento di tipo solo membranale o solo flessionale alcune componenti di carico possono risultare inefficaci (sono ignorate).

c) I parametri p1-p6 variano col tipo di carico secondo la tabella seguente.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-182

Linee Dati del Processore $INPUT

Tipo 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15

Descrizione Pressione Costante Pressione Variabile Pressione Idrostatica Salto Termico Costante Salto Termico Variabile Gradiente Termico Costante Gradiente Termico Variabile Forze Ripartite - Lato 1 Forze Ripartite - Lato 2 Forze Ripartite - Lato 3 Forze Ripartite - Lato 4 Momenti Ripartiti - Lato 1 Momenti Ripartiti - Lato 2 Momenti Ripartiti - Lato 3 Momenti Ripartiti - Lato 4 Carico Linearmente Ripartito

p1 p pI p0 ∆T ∆TI δT δTI (fs)S (fs)S (fs)S (fs)S ms ms ms ms q1

p2

p3

p4

p5

p6

∂p/∂h

pJ

pK N0

pL Nh

∆TJ

∆TK

∆TL

δTJ (fn)S (fn)S (fn)S (fn)S mn mn mn mn q2

δTK (ft)S (ft)S (ft)S (ft)S mt mt mt mt q3

δTL (fs)D (fs)D (fs)D (fs)D

(fn)D (fn)D (fn)D (fn)D

(ft)D (ft)D (ft)D (ft)D

N1

N2

N3

Tipi 0-1.

Il carico di pressione (fig.10) agisce sempre perpendicolarmente alla faccia dell’elemento a cui è applicato. Esso interessa solo la parte flessionale della shell. La pressione è considerata variabile linearmente sulla superficie dell’elemento ed è quindi completamente definita dai valori ai vertici. Col tipo 1 è possibile assegnare i valori di pressione sui quattro nodi I,J,K,L (il parametro p4 è ignorato se l’elemento è triangolare). Il tipo 0 è un caso particolare del precedente, con pressione costante su tutta la superficie. Il segno della pressione ne determina il verso di applicazione. Se il valore è positivo la pressione è orientata verso l’esterno, concorde con l’asse z locale.

Tipo 2.

Questo tipo di pressione (fig.11) è caratterizzato da una superficie piana di separazione a livello 0 e pressione p0, e da un vettore perpendicolare ad essa (dal nodo N0 al nodo Nh), che ne determina la posizione e l’orientazione. Su tutti i nodi degli elementi a cui è attribuito questo carico e che stanno sotto la superficie (o esattamente sulla superficie) è attribuita la pressione: ∂p p = sign(γ )( p0 + γ h ) γ = ∂h Al fine di evitare errori la pressione p0 deve essere assegnata sempre positiva. La profondità h del nodo è anch’essa sempre positiva essendo misurata nel verso positivo del vettore N0-Nh. Il termine tra parentesi è quindi sempre positivo e fornisce il valore assoluto di pressione alla profondità h. La direzione di applicazione della pressione nell’elemento, cioè il segno di p, è determinata dal segno di γ (parametro p2). Il nodo N0 è sempre ubicato sulla superficie di separazione. Il nodo Nh può essere

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-183

Linee Dati del Processore $INPUT

situato a qualunque profondità. La superficie di separazione è il piano passante per N0 e perpendicolare a N0-Nh. Spesso la superficie di separazione coincide col pelo libero di un fluido, per cui p0=0, e γ è il peso specifico del fluido. Nei casi più frequenti il vettore N0-Nh è parallelo all’asse globale Z. Questo tipo di carico è simile, ma più generale rispetto a quello presente nelle precedenti release.

P0

N0

Z PK

hK

K

Nh

PJ

hJ

J

PI

hI

K

I Y

J X

I

Fig. 10

Fig. 11

Tipi 3-4.

Il carico tipo 4 permette di specificare un salto termico differente in corrispondenza di ognuno dei nodi I,J,K,L dell’elemento. Se l’elemento è triangolare il valore assegnato al parametro p4 è ignorato. Entro l’elemento il campo termico è considerato variabile linearmente. Il carico tipo 3 è il caso particolare in cui il salto termico è considerato costante su tutto l’elemento. Questo tipo di carico produce una dilatazione dell’elemento ed è applicato solo alla parte membranale della shell. Esso si somma all’eventuale carico termico nodale (v. anche nota d) alla linea B1).

Tipi 5-6.

Il carico tipo 6 permette di specificare un gradiente termico nello spessore della shell, di valore differente in corrispondenza di ognuno dei nodi I,J,K,L. Se l’elemento è triangolare il valore assegnato al parametro p4 è ignorato. Entro l’elemento il gradiente termico è considerato variabile linearmente. Il carico tipo 5 è il caso particolare in cui il gradiente termico è considerato costante su tutto l’elemento. Questo tipo di carico produce una curvatura dell’elemento ed è applicato solo alla parte flessionale della shell. Il gradiente termico lungo lo spessore è positivo se induce una curvatura negativa, cioè se tende a far diventare convessa la faccia superiore e concava la faccia inferiore dell'elemento. Indicando con T0 la temperatura sul piano medio a z=0, con Tt la temperatura della faccia superiore e con Tb quella della faccia inferiore e con tB lo spessore dell'elemento, il valore da introdurre sarà: ∂T T t − T b T = T0 + z ⋅ δT = δT = ∂z tB

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-184

Linee Dati del Processore $INPUT

Sia i salti termici tipo 3-4, che i gradienti termici tipo 5-6 inducono una variazione di temperatura locale e quindi, in genere, una variazione delle proprietà dei materiali che dipendono da temperatura (v. anche nota d) alla linea B1). Tipi 7÷10. I carichi tipo 7-10 consentono di introdurre dei carichi ripartiti (unità di misura: forza per unità di lunghezza) variabili linearmente lungo i lati dell’elemento (fig.12). Guardando l’elemento dalla faccia positiva +z, il lato n.1 è delimitato dal nodo sinistro I e dal nodo destro J. Analogamente, i lati n.2,3,4 sono individuati dai nodi J-K, K-L e L-I. Se il carico tipo 10 è applicato ad un elemento triangolare, esso è ignorato. I carichi sui lati sono assegnati specificando le tre componenti sull’estremo sinistro e le tre componenti sull’estremo destro, riferite ad un sistema locale di assi n-s-t. L’asse t è parallelo e concorde con l’asse locale z dell’elemento. L’asse s è parallelo al lato e orientato verso l’estremo destro. L’asse n è rivolto verso l’esterno dell’elemento. Le componenti n e s sono applicate alla parte membranale della shell. La componente t è applicata alla parte flessionale della shell. K

Lato 3 t Lato 2 I

s n

Estremo Sx ft Lato 1

fs J fn Estremo Dx

Fig. 12 Tipi 11÷14. I carichi tipo 11-14 consentono di introdurre dei momenti uniformemente ripartiti (unità di misura: momento per unità di lunghezza) lungo i lati dell’elemento (fig.13). Questi tipi di carico sono riferiti sugli stessi sistemi locali dei carichi tipo 7-10, ma sono di valore costante lungo il lato. Le componenti n e s sono applicate alla parte flessionale della shell. La componente t è applicata alla parte membranale della shell.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-185

Linee Dati del Processore $INPUT

K

Lato 3 t Lato 2 I

s n

mt ms J mn

Lato 1

Fig. 13

Tipo 15.

Consente di assegnare un diagramma di carico ripartito con legge lineare e con direzione assegnata. Esso da origine sia a componenti di forza normale all’elemento che tangenziale (sul piano). Sono assegnati tre nodi non allineati, sui quali sono specificati i valori di carico ripartito (per unità di area) agente in direzione perpendicolare alla superficie individuata da N1,N2,N3. I valori q1,q2,q3 sono assegnati positivi se concordi col verso positivo della normale, individuato dal verso di percorrenza antiorario di N1,N2,N3. I nodi N1,N2,N3 su cui sono specificati i valori di carico possono essere ubicati in qualunque posizione su un qualunque piano perpendicolare alla direzione in cui agiscono i carichi. I nodi dell’elemento sono proiettati perpendicolarmente al piano N1,N2,N3 e sono trovati i valori di carico che sono quindi scomposti nelle tre componenti locali. Il metodo è simile a quello utilizzato nella descrizione del campo di rigidezza della fondazione elastica (fig.9), ma una volta trovato il valore di q di del nodo, esso è scomposto lungo le tre direzioni locali. La fig.14 mostra un caso particolare. Z q

q2, q3

q1 N1

N2, N3

qx qz

q

X

Fig. 14

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-186

Linee Dati del Processore $INPUT

d) Carichi Globali di Accelerazione e Gravità. I carichi locali di elemento sono assegnati specificatamente elemento per elemento, e sono generalmente riferiti al sistema locale. I carichi globali sono invece riferiti al sistema globale e interessano tutti gli elementi del gruppo. Questi carichi sono inseriti automaticamente su tutti gli elementi del gruppo secondo i fattori di accelerazione specificati nelle linee C1 di SOLVE. La loro entità dipende dal volume e dalle densità e pesi specifici dei materiali che compongono l’elemento (v. linee B delle caratteristiche dei materiali). La densità è impiegata nel calcolo dei carichi di accelerazione centrifuga. Il peso specifico è invece utilizzato per il calcolo dei carichi di accelerazione globale (gravità, come caso particolare). Essi si sommano ai carichi locali di elemento assegnati con le linee E e F. Per escludere la presenza di un qualunque carico di accelerazione globale è sufficiente assegnare uguali a zero i fattori di accelerazione delle linee C1 di SOLVE. Ciascuna componente di accelerazione globale darà in genere origine ad un carico ripartito normale alla superficie dell’elemento (sopportato dall’elemento flessionale) e a due componenti agenti sul piano (sopportate dall’elemento membranale). Questi carichi sono considerati variabili con legge lineare entro l’elemento. Nel caso particolare in cui l’elemento sia solo a comportamento flessionale o solo membranale, le componenti di carico che non possono essere trasmesse sono ignorate.

e) Input Alternativo per i Carichi di Elemento. La presente linea dati e la successiva consentono di definire qualunque carico e di assegnarlo quindi separatamente agli elementi interessati. Questo metodo consente quindi un notevole risparmio nel numero di linee dati da assegnare. Se tuttavia la generazione di tutti i carichi è stata già effettuata da un pre-processor, le due serie di linee sono ridondanti. Esiste quindi una modalità alternativa, che è attivata attribuendo il segno negativo al parametro NLD della linea A. In questo caso, in luogo del parametro al campo n.1 della presente linea è necessario fornire il numero di elemento e il numero di step di carico di struttura a cui il carico di elemento deve essere attribuito. Le linee seguenti, di assegnazione dei carichi non devono essere inserite.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-187

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee F

Assegnazione dei Carichi agli Elementi. Numero richiesto: Qualunque, fino alla assegnazione di tutti i carichi sugli elementi. Le linee F terminano con una linea bianca finale. Lette solo se NLD>0 (v. campo n.7 della linea A).

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Step di carico (1÷NSTP)

2

I

Numero set di carico

3

I

Elemento iniziale (eli)

4

I

Elemento finale (elf)

5

I

Incremento di elemento (incr)

NOTE: a) Le linee F non devono essere assegnate se non esiste alcun carico di elemento definito con le linee E. L’ultima linea deve essere bianca, per indicare il termine dell’input dei carichi. b) Il campo n.1 indica su quale tra gli NSTP step di carico della struttura specificati al campo n.3 della linea B di INPUT deve essere aggiunto il set di carico indicato al campo n.2. Con una linea dati il carico è assegnato dall’elemento iniziale eli all’elemento finale elf, con incremento di elemento incr. Se incr non è assegnato, è assunto un incremento unitario. Se elf non è assegnato, è assunto elf=eli e il carico è attribuito al solo elemento eli specificato al campo n.3. c) E’ buona norma assegnare i carichi ordinatamente, step per step. Al campo n.2, per ogni step di carico andranno attribuiti i set di carico scelti tra quelli presenti al campo n.1 delle linee E. In uno step di carico un elemento può essere caricato con un solo set. La composizione dei set (somma di più tipi di carico) deve essere fatta con le linee dati E precedenti. Esempio: 1,2,2,4 1,1,6 1,3,9,13,2 2,1,1,8 2,4,11,12 • (bianca)

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-188

Linee Dati del Processore $INPUT

La struttura presenta due step di carico. Nello step di carico n.1 gli elementi dal n.2 al n.4 sono caricati col set di carico n.2, l’elemento n.6 col set n.1 e gli elementi 9,11 e 13 col set n.3. Tutti gli altri elementi sono scarichi (o comunque su essi agiscono solo i carichi globali di gravità assegnati con le linee C1 di SOLVE). Nello step di carico n.2, gli elementi dal n.1 al n.8 sono caricati col set n.1 (stesso carico attribuito all’elemento n.6 nello step n.1), e gli elementi n.11 e n.12 col set n.4.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-189

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee G

Definizione degli Elementi. Numero richiesto: Qualunque,fino al completamento della descrizione di tutti gli elementi del gruppo.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di elemento

2

I

Numero del nodo I

3

I

Numero del nodo J

4

I

Numero del nodo K

5

I

Numero del nodo L

6

I

Numero di identificazione del materiale

7

I

Numero di identificazione della sezione

8

I

Numero di identificazione del suolo elastico

9

I

Parametro di generazione automatica KN

NOTE:

a) L'ordine di numerazione dei nodi I,J,K,L determina l’orientazione dell’asse locale +z dell’elemento e la distinzione tra faccia superiore e inferiore. La faccia superiore e il verso +z sono quelli dai quali il verso di percorrenza I,J,K,L è antiorario. Per gli elementi triangolari il numero di nodo L deve essere posto uguale a zero oppure uguale al numero di nodo K. Se l’elemento è quadrangolare i nodi I,J,K,L, dovrebbero essere preferibilmente complanari. In caso contrario vi potrebbe essere una perdita di precisione nei risultati. Il programma calcola un fattore di svergolamento (warping factor) ma nell’attuale release non viene emesso alcun codice di errore o di warning.

b) Se il numero di identificazione del materiale è lasciato uguale a zero, viene assegnato il materiale n.1. In generale il numero di materiale è scelto tra quelli attribuiti con le linee B. Le proprietà del materiale sono ricavate, per ogni elemento, per interpolazione lineare, considerando la temperatura dell'elemento come media aritmetica delle temperature dei nodi.

c) Il numero di sezione è scelto tra quelli attribuiti con le linee C. Se il numero di identificazione della sezione è lasciato uguale a zero, viene assegnata la sezione n.1. Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-190

Linee Dati del Processore $INPUT

d) Se l’elemento è basato su suolo elastico, i parametri che lo identificano sono attribuiti specificando un set tra quelli assegnati con le linee D. Il suolo elastico costituisce un vincolo generalmente bilaterale agente perpendicolarmente all’elemento. Se l’analisi è nonlineare il suolo elastico può anche reagire a sola compressione. Se l’elemento non è su suolo elastico il campo n.8 non deve essere assegnato, oppure deve essere uguale a zero.

e) Gli elementi devono essere assegnati in ordine crescente. Se tra una linea e la successiva si ha un salto nel numero di elemento, gli elementi intermedi sono generati incrementando i nodi I,J,K,L del valore KN (positivo, negativo o nullo) dato al campo n.9 della linea iniziale della serie. In tal caso tutte le caratteristiche degli elementi generati saranno poste uguali a quelle specificate nella linea iniziale. L'elemento finale della serie non è comunque generato, ma ad esso sono attribuiti i valori assegnati dall'utente. L'ultimo elemento della serie può quindi essere usato per la generazione della serie successiva. L’ultimo elemento del gruppo deve essere sempre esplicitamente assegnato. Se KN è lasciato uguale a zero, esso è posto uguale a 1 dal programma. E’ possibile assegnare elementi fittizi (dummy), specificando il nodo I con valore negativo o nullo. Un elemento dummy non fornisce alcun contributo strutturale. Gli elementi dummy possono essere assegnati esplicitamente o generati come qualunque altro elemento. Gli elementi dummy assegnati con I=0 sono elementi nulli, con tutti i numeri di nodo e le proprietà uguali a zero (gli eventuali valori assegnati sono ignorati). Viceversa, la assegnazione con I0, ma gli elementi sono disabilitati (non è costruita la matrice di rigidezza e l’elemento è come se non esistesse). Il segno del nodo I è solo un contrassegno per disabilitare l’elemento. La attuale release non possiede ancora delle funzioni per riabilitare gli elementi temporaneamente disabilitati, per cui non esiste differenza tra i due casi.

f) Output Risultati di Elemento. Gli elementi Shell62 a comportamento nonlineare implementati nella attuale release sono una evoluzione di quelli introdotti nella Rel.9.3. Anzitutto gli elementi di libreria sono formulati in forma stratificata e ogni strato può essere definito di diverso materiale, con differenti proprietà lineari o nonlineari e con diversi criteri di resistenza. In output per ogni elemento possono essere ancora richieste le azioni interne per unità di lunghezza (componenti di forza T e componenti di momento M), come illustrato nella figura seguente. Si deve notare che i segni dei momenti sono cambiati rispetto alle release precedenti: il segno è positivo se il momento applicato tende le fibre inferiori. Inoltre, alcuni tipi di elemento possono trasmettere anche le componenti di taglio fuori piano Txz e Tyz. Oltre a questo, nella nuova release sono disponibili svariati risultati di sforzo, deformazione, orientazione degli assi principali e altro. Dove appropriato, i risultati possono essere generalmente ottenuti sulla faccia inferiore e superiore di ciascuno strato o sulla faccia inferiore e superiore dell’elemento (faccia inferiore del primo strato e faccia superiore dell’ultimo strato). L’attuale release prevede il calcolo delle quantità seguenti. • FINT

Forze interne nodali riferite al sistema globale, con 6 componenti: FX, FY, FZ, MX, MY, MZ. E’ il risultato dell’integrazione di FE eseguita sull’area dell’elemento. Sono sempre riferite ai nodi: pertanto, se è selezionato

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-191

Linee Dati del Processore $INPUT

l’output dei risultati sulle mezzerie dei lati e sul punto 3, FINT sarà comunque fornito per il nodo n.3 (nodo K). • FE

Azioni interne per unità di lunghezza, come rappresentate in figura. E’ un vettore di 8 componenti: Tx, Ty, Txy, Mxx, Myy, Mxy, Tyz, Txz. FE è relativo allo spessore complessivo ed è l’integrale degli sforzi calcolato sui diversi strati.

• SIGFND

Pressione sul terreno di fondazione. Rappresenta una compressione, ma il suo valore è fornito col segno positivo.

• WN

Spostamento normale del suolo di fondazione. Causa SIGFND.

• TT

Temperatura dell’elemento sul piano medio a z=0. E’ la temperatura interna, che dipende dalla temperatura esterna dei nodi e dai salti termici interni esplicitamente assegnati. Varia generalmente durante lo step di carico.

• DTZ

Gradiente termico. Varia generalmente durante lo step di carico. La temperatura locale del punto di integrazione è data da T=TT+z⋅DTZ. Come FINT, anche SIGFND, WN, TT, DTZ sono sempre riferite ai nodi.

• EPSTC

Deformazioni, Curvature e Scorrimenti totali nel piano di riferimento dell’elemento, in coordinate locali e con 8 componenti: εx, εy, λxy, κx, κy, κxy, λyz, λxz.

• EPST

Deformazioni totali in coordinate locali e con 6 componenti: εxb, εyb, λxyb, εxt, εyt, λxyt. I pedici b e t (bottom e top) identificano la superficie inferiore e superiore dello strato. I valori EPST, variabili linearmente nello spessore, sono ottenuti dalle deformazioni e dalle curvature EPSTC. Gli scorrimenti fuori piano sono invece costanti nello spessore e sono già contenuti in EPSTC.

• EPS0

Deformazioni ε0 locali, con 6 componenti: ε0xb, ε0yb, λ0xyb, ε0xt, ε0yt, λ0xyt. I pedici b e t (bottom e top) identificano la superficie inferiore e superiore dello strato. ε0 è la somma di diversi contributi, di origine termica, plastica, ecc., cioè ε0 = εth + εpl +… Attualmente ε0 coincide con la deformazione termica εth. La differenza EPST-EPS0 è la deformazione meccanica EPSM, che provoca gli sforzi SIGM. Le componenti di ε0 fuori piano sono considerate nulle. EPS0 varia entro ogni strato poiché variano in genere le temperature e le proprietà del materiale.

• EPSM

Deformazioni meccaniche locali, con 10 componenti: εmxb, εmyb, λmxyb, λmyzb, λmxzb, εmxt, εmyt, λmxyt, λmyzt, λmxzt. Si noti che gli scorrimenti fuori piano sono costanti nello spessore, per cui λmyzb=λmyzt=λyz e λmxzb=λmxzt=λxz (v. EPSTC).

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-192

Linee Dati del Processore $INPUT

• EPSP

Deformazioni meccaniche principali. Come EPSM, ma sono fornite le componenti principali nel sistema di assi 1-2-3 (3≡z). Sono calcolate le seguenti 10 quantità: ε1b, ε2b, θεb, εeqvb, εintb, ε1t, ε2t, θεt, εeqvt, εintt, con ε1>ε2 e come usuale, una deformazione positiva produce un allungamento della fibra e una componente di sforzo di trazione (positiva). εeqv è la Deformazione Equivalente di von Mises e εint è l’Intensità di Deformazione, pari al doppio del valore assoluto dello scorrimento massimo sul piano xy. εeqv e εint sono quantità positive. Resta sottinteso che esiste comunque la terza componente ε3=εz=0. L’angolo θε è misurato in radianti in senso antiorario tra l’asse locale x e l’asse principale 1.

• SIGM

Sforzo meccanico locale nell’elemento, con 10 componenti: σmxb, σmyb, τmxyb, τmyzb, τmxzb, σmxt, σmyt, τmxyt, τmyzt, τmxzt. Si noti che lo sforzo di taglio fuori piano è costante nello spessore dello strato, per cui τmyzb=τmyzt e τmxzb=τmxzt.

• SIGP

Sforzi principali. Come SIGM, ma sono fornite le componenti principali nel sistema di assi 1-2-3 (3≡z). Sono calcolate le seguenti 10 quantità: σ1b, σ2b, θσb, σeqvb, σintb, σ1t, σ2t, θσt, σeqvt, σintt. Vale quanto detto a proposito di EPSP, ma nel caso più generale gli assi principali delle deformazioni non coincidono con gli assi principali degli sforzi, cioè θε≠θσ. σeqv è lo Sforzo Equivalente di von Mises e σint è l’Intensità di Sforzo, pari al doppio del valore assoluto del taglio massimo sul piano xy. La terza componente di sforzo è sempre per definizione σ3=σz=0 (ipotesi di plane stress).

Esistono tre modalità per ottenere il calcolo dei risultati. La forma più generale è attraverso la chiamata di opportune funzioni API. Questo richiede la scrittura di un programma di post-processing e una interfaccia dipendente dal linguaggio di programmazione utilizzato. Una seconda possibilità consiste nell’impiego di un postprocessor che effettui queste operazioni. Il processore $MSPOST incluso nel solutore Microsap permette in modo facile e immediato la stampa dei risultati e l’esecuzione di alcune altre funzioni di post-processing attraverso linee di comando che possono essere inserite nello stesso file di input, dopo la fase di soluzione. Infine, durante una soluzione nonlineare, oltre all’output completo agli step e substep richiesti, alcuni risultati parziali possono essere monitorati con maggior frequenza e conservati sul file .MNT. Per elementi complessi come Shell62, il calcolo contemporaneo di tutti i tipi di risultato su tutte le sezioni e per tutti gli strati o fibre entro ogni sezione può essere proibitivo in termini di tempo di esecuzione e impegno di memoria. E’ quindi necessario l’utilizzo di un metodo di selezione. Questo metodo è fondamentalmente lo stesso per i diversi tipi di elemento e nei tre diversi casi di accesso ai risultati e consente di selezionare il gruppo di risultati, le posizioni delle sezioni entro l’elemento e le posizioni entro ciascuna sezione. Per l’elemento Shell62 i gruppi di risultati disponibili sono riassunti nel seguito. Nella attuale release ogni gruppo di risultati può contenere fino ad un massimo di 12 componenti, qualunque sia il tipo di elemento e il metodo di accesso.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-193

Linee Dati del Processore $INPUT

• Gruppo • Gruppo • Gruppo • Gruppo • Gruppo • Gruppo • Gruppo • Gruppo • Gruppo

0 1 2 3 4 5 6 7 8

FINT FE SIGFND, WN, TT, DTZ EPSTC EPST, EPS0 EPSM EPSP SIGM SIGP

Forze interne nodali su I,J,K,L Azioni interne per unità di lungh. Fondazione e temperature Deformazioni e curvature totali Deformazioni locali e termiche Deformazioni meccaniche locali Deformazioni principali locali Sforzi meccanici locali Sforzi principali locali

6 componenti 8 componenti 4 componenti 8 componenti 12 componenti 10 componenti 10 componenti 10 componenti 10 componenti

Il codice che consente la selezione del gruppo, strato e sezione è un intero di 9 cifre rappresentabile simbolicamente come xxxxyyyzz. Questo codice è assegnato col parametro KRESU nelle API o col parametro OUTMNT (v. linea A) per i risultati da conservare sul file monitor. Se i risultati sono ottenuti con $MSPOST, i codici zz, yyy e xxxx sono specificati separatamente con i parametri KRES, KSEZ e KLAY. Per il file monitor è possibile conservare solo le prime 12 componenti selezionate con OUTMNT e solo per gli elementi selezionati con la linea C8 di SOLVE. Per gli elementi Shell62 il codice è composto come segue: • zz = kres

Gruppo risultati, scelto tra quelli sopra elencati.

• yyy = ksez

Posizione di calcolo sull’area. E’ il numero d’ordine di un nodo (001,002,003,004=I,J,K,L). Se la prima cifra è 1, cioè per yyy=101,102,103,104 i risultati sono calcolati in corrispondenza delle mezzerie dei lati: I-J, J-K, K-L, L-I. Un valore superiore alle posizioni previste per l’elemento seleziona comunque l’ultima posizione. Ad esempio, il valore yyy=004 per l’elemento quadrangolare seleziona il quarto nodo, ma se l’elemento è triangolare è selezionato il terzo nodo. Il valore yyy=000 seleziona tutte le posizioni sui nodi. Il valore yyy=100 seleziona tutte le posizioni sulle mezzerie dei lati. In OUTMNT il valore yyy=000 equivale a yyy=001.

• xxxx = klay

I risultati sono calcolati in corrispondenza della superficie inferiore e della superficie superiore dello strato (layer) klay. Se klay=0 i risultati sono calcolati in corrispondenza della superficie inferiore e della superficie superiore dell’elemento. Se la sezione è multistrato questo corrisponde anche alla faccia inferiore del primo strato e alla faccia superiore dell’ultimo strato. Se klay è superiore al numero effettivo di strati dell’elemento sono rappresentati i risultati dell’ultimo strato. Se il codice di selezione xxxxyyyzz è negativo, oppure se xxxx=9999 sono calcolati i risultati di tutti gli strati della sezione contenibili nel buffer (1 nel caso di .MNT).

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-194

Linee Dati del Processore $INPUT

y K

L

y x

I

J

z Txz

(top)

Txx Mxy

x

Txy Mxx

Tyz t

Txy Myy

Tyy

(bottom)

Mxy

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-195

Linee Dati del Processore $INPUT

V.8 - MODULO BOUND – ELEMENTO TIPO 71

Linea A

Informazioni di Controllo. Numero richiesto: Una.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Il numero 71

2

I

Numero totale di elementi

3

I

Numero di differenti materiali (NMAT)

4

I

Numero linee di carichi sugli elementi (NLD)

5

I

OUTMNT - Tipo di output nel file monitor

NOTE:

a) L’elemento Boundary Bound71 è una molla che può avere contemporaneamente una rigidezza estensionale Kd e una rigidezza torsionale Kr. Essa può quindi trasmettere la forza assiale F e il momento M attorno all’asse. Una particolare caratteristica dell’elemento è che la sua estremità iniziale è sempre collegata al terreno. In altre parole, l’elemento è un supporto elastico che collega un nodo N della struttura ad un punto di appoggio M. Il punto M, su cui può anche essere imposto uno spostamento non nullo (cedimento), non deve essere assegnato. F

M

I

N

-

n Kd

Kr

J

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-196

Linee Dati del Processore $INPUT

Il supporto Boundary ha infatti solo un punto di applicazione e una direzione, ma ha lunghezza nulla. La direzione può essere specificata in diversi modi. L’elemento possiede un sistema di riferimento locale costituito dall’asse n, con verso dal punto di supporto al nodo di applicazione N. Rispetto a questo asse sono riferiti gli spostamenti imposti del nodo di supporto e i risultati di azioni interne (reazioni vincolari sul nodo N).

b) Se all’elemento è assegnata una rigidezza elevata rispetto a quella della struttura, il nodo N subisce lo stesso spostamento del punto di supporto, essendo di entità trascurabile l’accorciamento della molla. In questo modo è possibile utilizzare l’elemento Boundary per assegnare supporti rigidi (con cedimento nullo o diverso da zero) con qualunque orientazione.

c) L’elemento può avere capacità nonlineari in quanto invece delle rigidezze Kd e Kr possono essere assegnati i diagrammi a tratti rettilinei di forza-spostamento F(d) e momento-rotazione M(r). Come caso particolare il supporto può essere unilaterale, resistente a sola compressione (elemento di contatto).

d) Ad ogni elemento Boundary deve essere associato un ‘materiale’. Attraverso le linee dati dei materiali è possibile assegnare la rigidezza estensionale e torsionale o i diagrammi forza-spostamento e momento-rotazione. Se la struttura possiede supporti rigidi, non orientati secondo le direzioni globali, può essere sufficiente la definizione di un solo materiale.

e) Nell’elemento Boundary standard lo spostamento dell’estremo di supporto è bloccato e lo spostamento del nodo N è determinato dalla sua rigidezza. Se si desidera assegnare uno spostamento dell’estremo, ciò deve essere fatto attraverso le linee di carico. Se i Boundary sono utilizzati per schematizzare vincoli rigidi e non esistono cedimenti di vincolo, non è richiesta la assegnazione di alcuna linea di carico.

f) E’ possibile simulare cedimenti differenti e progressivi ai diversi livelli di carico nonlineare. Entro uno step di carico nonlineare il cedimento è introdotto gradualmente, esattamente come qualsiasi altro carico agente nella struttura. Si noti che una struttura può essere caricata anche solo con uno spostamento imposto di un solo Boundary lineare ed essere risolta in modalità nonlineare. Di fatto questo tipo di soluzione permette di tracciare il diagramma forza-spostamento della struttura con controllo di spostamento.

g) Se il Boundary è utilizzato come elemento rigido di contatto, a comportamento lineare o nonlineare (v. note b) e c)) la sua rigidezza deve essere di qualche ordine di grandezza superiore a quella locale della struttura. In altre parole, l’accorciamento subito dalla molla a causa della sua rigidezza non infinita deve essere sufficientemente piccolo da non modificare le condizioni di sollecitazione nella struttura. Tipicamente essa dovrebbe essere tra 10 e 1000 volte superiore. In un’analisi nonlineare, con Boundary a

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-197

Linee Dati del Processore $INPUT

comportamento lineare o nonlineare sono in genere necessarie più esecuzioni, variando la rigidezza partendo da valori bassi e monitorando i risultati. Una deformazione contenuta del Boundary può essere accettabile. Una rigidezza troppo alta può causare difficoltà di convergenza, fino a rendere impossibile la soluzione. I problemi di contatto sono generalmente ardui da risolvere. Se la soluzione è di tipo lineare una rigidezza eccessiva può comunque condurre a risultati imprecisi.

h) Nota Importante. L’attuale release non permette di assegnare spostamenti o rotazioni imposti diversi da zero in uno step path-following. Pertanto, se esistono elementi Boundary su cui sono assegnati spostamenti/rotazioni con le linee D, lo step deve essere risolto col metodo di controllo delle forze (che in questo caso diventa più generalmente un metodo di controllo di forze e spostamenti).

i) Al campo n.5 il codice OUTMNT serve a selezionare i risultati di elemento che si desidera conservare nel file .MNT per una serie di elementi scelti con la linea C8 del modulo SOLVE. I risultati selezionati sono monitorati durante tutte le iterazioni di una soluzione nonlineare. Solo 12 quantità per elemento possono trovar posto nel file .MNT. Nel caso generale il codice OUTMNT è un intero di nove cifre suddiviso in tre campi: xxxxyyyzz. Per la composizione del codice di selezione OUTMNT si veda la nota “Output Risultati di Elemento” della linea E.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-198

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee B

Caratteristiche dei Materiali. Numero richiesto: Una serie di linee B1-B5 deve essere fornita per ogni materiale, il cui numero NMAT è stato specificato al campo n.3 della linea A.

B1. Linea di Identificazione Materiale. Numero richiesto: Una per ciascun materiale. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione materiale

2

R

Rigidezza estensionale Kd (solo per comportamento lineare)

3

R

Rigidezza torsionale Kr (solo per comportamento lineare)

4

I

Tipo proprietà estensionale (-1; 0; 1)

5

I

Tipo proprietà torsionale (-1; 0; 1)

6

I

Parametro per comportamento estensionale nonlineare

7

I

Parametro per comportamento torsionale nonlineare

NOTE:

a) Il numero di materiale al campo n.1 deve essere compreso tra 1 e NMAT. Non è comunque richiesto che i materiali siano assegnati in ordine.

b) I valori di rigidezza Kd e Kr sono utilizzati solo nel caso in cui l’analisi è di tipo lineare (NOLIN=0 alla linea B) di $INPUT), oppure se il comportamento del materiale è di tipo lineare (valore 0 dei campi n.4 o n.5). E’ buona norma assegnare sempre le rigidezze lineari.

c) Il tipo di proprietà ai campi n.4 e n.5 consente di attivare o disattivare separatamente la componente di rigidezza estensionale e torsionale: • -1 = componente disattivata • 0 = componente attivata con comportamento lineare • 1 = componente attivata con comportamento nonlineare

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-199

Linee Dati del Processore $INPUT

Non è permesso di disattivare entrambe le componenti, in quanto l’intero elemento sarebbe inattivo. Un elemento può avere un comportamento lineare in estensionale e nonlineare in torsionale e viceversa. Se il comportamento è lineare, è utilizzata la rigidezza Kd o Kr. Viceversa, se il comportamento è nonlineare è utilizzato il diagramma F-d o M-r assegnato con le linee B2-B5. Se una componente è disattivata l’estremità dell’elemento non ha alcun vincolo in quella direzione e l’elemento trasla (o ruota) liberamente trascinato dal nodo N.

d) Ai campi n.6 e n.7 deve essere specificato il numero di punti del diagramma F-d e M-r rispettivamente. Sono richiesti solo se il comportamento dichiarato ai campi n.4 e n.5 è di tipo nonlineare. Il numero di punti non può essere inferiore a 2 e superiore a 8.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-200

Linee Dati del Processore $INPUT

B2. Ascisse Diagramma F-d (Spostamenti d). Numero richiesto: Una per ciascun materiale. Campo

Tipo

Descrizione

1

R

d1 - Ascissa primo punto del diagramma

2

R

d2 – Ascissa secondo punto del diagramma







8

R

d8 – Ascissa ottavo punto del diagramma

NOTE:

a) I valori effettivamente utilizzati sono quelli specificati al campo n.6 della linea B1. Essi devono essere introdotti in ordine crescente ed il valore può essere negativo, nullo, positivo, con riferimento al vettore direzione alla posizione del nodo N. Valori d negativi producono quindi un accorciamento della molla e uno stato di compressione con F negativo.

b) La linea deve sempre essere fornita, anche se l’elemento è inattivo o a comportamento lineare. In questo caso i valori eventualmente contenuti sono ignorati.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-201

Linee Dati del Processore $INPUT

B3. Ascisse Diagramma M-r (Rotazioni r). Numero richiesto: Una per ciascun materiale. Campo

Tipo

Descrizione

1

R

r1 - Ascissa primo punto del diagramma

2

R

r2 – Ascissa secondo punto del diagramma







8

R

r8 – Ascissa ottavo punto del diagramma

NOTE:

a) Vale quanto detto per la linea B2. I segni di rotazione e momento sono riferiti al verso positivo dell’asse locale n, considerati applicati sull’estremo N con l’altro estremo supposto fisso.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-202

Linee Dati del Processore $INPUT

B4. Ordinate Diagramma F-d (Forze F). Numero richiesto: Una per ciascun materiale. Campo

Tipo

Descrizione

1

R

F1 - Ordinata primo punto del diagramma

2

R

F2 – Ordinata secondo punto del diagramma







8

R

F8 – Ordinata ottavo punto del diagramma

NOTE:

a) Per ciascun punto del diagramma con spostamento d specificato nella linea B2 deve essere assegnato il corrispondente valore di forza F.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-203

Linee Dati del Processore $INPUT

B5. Ordinate Diagramma M-r (Momenti M). Numero richiesto: Una per ciascun materiale. Campo

Tipo

Descrizione

1

R

M1 – Ordinata primo punto del diagramma

2

R

M2 – Ordinata secondo punto del diagramma







8

R

M8 – Ordinata ottavo punto del diagramma

NOTE:

a) Per ciascun punto del diagramma con rotazione r specificata nella linea B3 deve essere assegnato il corrispondente valore di momento M.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-204

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee C

Carichi sugli Elementi (Cedimenti). Numero richiesto: NLD linee (v. campo n.4 della linea A), fino alla descrizione di tutti i set di carico.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione del set

2

I

Tipo di carico (0)

3

R

Parametro p1 (spostamento imposto)

4

R

Parametro p2 (rotazione imposta)

NOTE:

a) Le linee C e D funzionano in modo identico alle linee di carico degli altri tipi di elementi. Il codice di identificazione del set, al campo n.1, può essere un qualunque numero intero positivo. I set di carico possono essere assegnati in qualunque ordine.

b) Per l’elemento Boundary il tipo di carico (campo n.2) deve obbligatoriamente essere uguale a zero. Queste linee devono essere utilizzate per imporre spostamenti e/o rotazioni non nulle all’estremo. Per default in tutti gli elementi attivi lo spostamento e la rotazione dell’estremo sono nulli.

c) I parametri p1 e p2 sono rispettivamente i valori di spostamento e rotazione imposti all’estremo. Se l’elemento non è attivo l’eventuale parametro specificato è ignorato. I valori sono effettivamente attribuiti agli elementi solo con le linee D seguenti.

d) Input Alternativo per i Carichi di Elemento. La presente linea dati e la successiva consentono di definire qualunque carico e di assegnarlo quindi separatamente agli elementi interessati. Questo metodo consente quindi un notevole risparmio nel numero di linee dati da assegnare. Se tuttavia la generazione di tutti i carichi è stata già effettuata da un pre-processor, le due serie di linee sono ridondanti. Esiste quindi una modalità alternativa, che è attivata attribuendo il segno negativo al parametro NLD della linea A. In questo caso, in luogo del parametro al campo n.1 della presente linea è necessario fornire il numero di elemento e il numero di step di carico di struttura a cui il carico di elemento deve essere attribuito. Le linee seguenti, di assegnazione dei carichi non devono essere inserite.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-205

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee D

Assegnazione dei Carichi agli Elementi. Numero richiesto:

Qualunque,fino alla assegnazione di tutti i carichi sugli elementi. Le linee D terminano con una linea bianca finale. Lette solo se NLD>0 (v. campo n.4 della linea A).

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Step di carico (1÷NSTP)

2

I

Numero set di carico

3

I

Elemento iniziale (eli)

4

I

Elemento finale (elf)

5

I

Incremento di elemento (incr)

NOTE: a) Le linee D non devono essere assegnate se non esiste alcun carico di elemento definito con le linee C. L’ultima linea deve essere bianca, per indicare il termine dell’input dei carichi. b) Il campo n.1 indica su quale tra gli NSTP step di carico della struttura specificati al campo n.3 della linea B di INPUT deve essere aggiunto il set di carico indicato al campo n.2. Con una linea dati il carico è assegnato dall’elemento iniziale eli all’elemento finale elf, con incremento di elemento incr. Se incr non è assegnato, è assunto un incremento unitario. Se elf non è assegnato, è assunto elf=eli e il carico è attribuito al solo elemento eli specificato al campo n.3. c) E’ buona norma assegnare i carichi ordinatamente, step per step. Al campo n.2, per ogni step di carico andranno attribuiti i set di carico scelti tra quelli presenti al campo n.1 delle linee C. In uno step di carico un elemento può essere caricato con un solo set. La composizione dei set (somma di più tipi di carico) deve essere fatta con le linee dati C precedenti. Esempio: 1,2,2,4 1,1,6 1,3,9,13,2 2,1,1,8 2,4,11,12 • (bianca)

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-206

Linee Dati del Processore $INPUT

La struttura presenta due step di carico. Nello step di carico n.1 gli elementi dal n.2 al n.4 sono caricati col set di carico n.2, l’elemento n.6 col set n.1 e gli elementi 9,11 e 13 col set n.3. Tutti gli altri elementi sono scarichi. Nello step di carico n.2, gli elementi dal n.1 al n.8 sono caricati col set n.1 (stesso carico attribuito all’elemento n.6 nello step n.1), e gli elementi n.11 e n.12 col set n.4. d) Nota Importante. L’attuale release non permette di assegnare spostamenti o rotazioni imposti diversi da zero in uno step path-following. Pertanto, se esistono elementi Boundary su cui sono assegnati spostamenti/rotazioni con le linee D, lo step deve essere risolto col metodo di controllo delle forze (che in questo caso diventa più generalmente un metodo di controllo di forze e spostamenti).

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-207

Linee Dati del Processore $INPUT

Linee E Definizione degli Elementi. Numero richiesto: Qualunque, fino alla completa descrizione di tutti gli elementi dichiarati al campo n.2 della linea A.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero elemento

2

I

Nodo N in cui l'elemento è applicato

3

I

Nodo I

4

I

Nodo J

5

I

Numero materiale

6

I

Indice di generazione automatica (KN)

NOTE:

a) Il verso dell'elemento è definito dal vettore "n" orientato dall'estremo fisso al nodo N (punto di applicazione della molla). Sono possibili quattro modi per definire la direzione e il verso dell'elemento, cioè per assegnare il vettore n: 1) Assegnando i numeri di nodo I e J, il vettore n, e quindi l’elemento, è parallelo al vettore che va dal nodo J al nodo I. I nodi I e J sono utilizzati solo per orientare il Boundary e non sono fisicamente collegati ad esso. Essi possono appartenere ad altri elementi della struttura oppure possono essere dei nodi fittizi (assegnati con le linee C di $INPUT). In tal caso tutti i gradi di libertà devono essere bloccati (ponendo tutti i codici di vincolo uguali a 1), al fine di eliminarli dal sistema di equazioni. Nel caso in cui è attivata l’opzione grandi spostamenti (LGRDEF=1 alla linea B di $INPUT) e I o J siano nodi appartenenti alla struttura, la direzione del Boundary cambia a seguito degli spostamenti dei nodi. 2) Posto I=0, è assunto I≡N e il vettore "n" è quello che dal nodo J va al nodo N. 3) Se –6 ≤ I ≤ -1 il vettore "n" è parallelo ad un asse globale e verso concorde o discorde, secondo lo schema seguente (fig.V.40): I = -1 , "n" ha verso concorde con l'asse globale X. I = -2 , "n" ha verso concorde con l'asse globale Y. I = -3 , "n" ha verso concorde con l'asse globale Z. I = -4 , "n" ha verso discorde con l'asse globale X. I = -5 , "n" ha verso discorde con l'asse globale Y. I = -6 , "n" ha verso discorde con l'asse globale Z.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-208

Linee Dati del Processore $INPUT

Z

nI=-6 I=-3

I=-2 I=-5

Y

I=-4 I=-1

X

b) Gli elementi devono essere assegnati in ordine crescente. Se tra una linea e la successiva si ha un salto nel numero di elemento, gli elementi intermedi sono generati incrementando il nodo N del valore KN (positivo, negativo o nullo) dato al campo n.6 della linea iniziale della serie. In tal caso tutte le caratteristiche degli elementi generati saranno poste uguali a quelle specificate nella linea iniziale. L'elemento finale della serie non è comunque generato, ma ad esso sono attribuiti i valori assegnati dall'utente. L'ultimo elemento della serie può quindi essere usato per la generazione della serie successiva. L’ultimo elemento del gruppo deve essere sempre esplicitamente assegnato. Se KN è lasciato uguale a zero, esso è posto uguale a 1 dal programma. E’ possibile assegnare elementi fittizi (dummy), specificando il nodo N con valore negativo o nullo. Un elemento dummy non fornisce alcun contributo strutturale. Gli elementi dummy possono essere assegnati esplicitamente o generati come qualunque altro elemento. Gli elementi dummy assegnati con N=0 sono elementi nulli, con tutti i numeri di nodo e le proprietà uguali a zero (gli eventuali valori assegnati sono ignorati). Viceversa, la assegnazione con N0, ma gli elementi sono disabilitati (non è costruita la matrice di rigidezza e l’elemento è come se non esistesse). Il segno del nodo N è solo un contrassegno per disabilitare l’elemento. La attuale release non possiede ancora delle funzioni per riabilitare gli elementi temporaneamente disabilitati, per cui non esiste differenza tra i due casi.

c) Output Risultati di Elemento. Questa release conserva sul file .RST, i seguenti 12 risultati. Gli stessi risultati possono anche essere conservati nel file monitor .MNT per gli elementi selezionati con la linea C8 del modulo SOLVE. • FINT

Forze e momenti interni Fx,Fy,Fz,Mx,My,Mz sul nodo N, riferiti al sistema globale. E’ la scomposizione di SIGM1 e SIGM2.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-209

Linee Dati del Processore $INPUT

• EPST1 Spostamento totale del nodo N nella direzione locale “n” • EPSM1 Deformazione meccanica estensionale dell’elemento (accorciamento o allungamento). Un accorciamento è identificato dal segno negativo e produce una forza interna di compressione. • SIGM1

Forza interna prodotta da EPSM1, negativa se di compressione.

• EPST2 Come EPST1, ma per la rotazione attorno a “n”. • EPSM2 Come EPSM1, ma torsionale. • SIGM2

Come SIGM1, ma di torsione.

Il programma calcola i risultati a gruppi, con un massimo di 12 componenti per gruppo. Con le funzioni di Post-Processing (routine API o processore $MSPOST) è possibile accedere ai risultati completi (calcolati per tutti gli elementi) conservati nel file .RST. La stessa suddivisione per gruppi è utilizzata anche per selezionare i risultati parziali da monitorare e conservare sul file .MNT, Per l’elemento Bound71 questa release prevede i seguenti gruppi di risultati: • Gruppo 0 • Gruppo 1

FINT Forze interne sul nodo N EPST1,EPSM1,SIGM1,EPST2,EPSM2,SIGM2

6 componenti 6 componenti

Nel caso generale il codice che seleziona i risultati è un intero di nove cifre suddiviso in tre parti: xxxxyyyzz. Questo codice è assegnato al parametro OUTMNT (v. linea A) e al parametro KRESU nelle API. Se i risultati sono ottenuti con $MSPOST, i codici zz, yyy e xxxx sono specificati separatamente con i parametri KRES, KSEZ e KLAY. Per l’elemento Bound71 i campi xxxx e yyy non sono usati e il codice è semplicemente costituito dal campo zz, col seguente significato. • zz = kres

Microsap Rel.12.0

Gruppo risultati, scelto tra quelli sopra elencati. Qualunque altro codice equivale a zz=00.

Manuale d’Uso

V-210

Linee Dati del Processore $INPUT

V.9 - MODULO SOLVE Linea A

Linea di Controllo dei Solutori di Equazioni Numero richiesto: Una Campo

Tipo

Descrizione

1

I

MEMAX – Memoria Utilizzabile

2

I

MSOLV – Metodo di Fattorizzazione

3

I

KSOLV – Algoritmo di Fattorizzazione

4

R

TINYK – Modifica Termini Diagonali Matrice di Rigidezza

5

R

TINYM – Modifica Termini Diagonali Matrice di Massa

NOTE:

a) Il campo n.1 regola le attività delle operazioni OOC (out-of-core) durante la fattorizzazione della matrice di rigidezza entro $SOLU. Inoltre, se è utilizzato il metodo di default MSOLV=0, la quantità MEMAX consentirà al programma di stabilire automaticamente se attivare la soluzione In-Core o Out-of-Core. Nei casi più semplici il programma riserva temporaneamente in memoria virtuale lo spazio di cui necessita per allocare le diverse quantità. Alcune operazioni, sia perché non richiedono l’impiego di grandi aree di memoria, sia perché di difficile implementazione per blocchi, sono eseguite obbligatoriamente in memoria. In altri casi entro il codice di programma è prevista la soluzione parziale a blocchi. In altre parole, è il programma stesso che costruisce le matrici suddividendole in parti che sono appoggiate temporaneamente su disco. Poiché la memoria virtuale potenzialmente allocabile può essere ragguardevole, l’uso di MEMAX permette di controllare la quantità di essa da utilizzare. Permettendo l’uso di tutta la memoria potenzialmente allocabile si può incorrere in una elevata paginazione eseguita dal sistema operativo nei casi in cui si abbiano grandi strutture da risolvere e limitata quantità di RAM installata. Viceversa, limitando eccessivamente lo spazio utilizzabile, si può rallentare inutilmente l’esecuzione se il problema da risolvere è relativamente contenuto e la quantità di RAM installata è elevata. Ovviamente, indipendentemente dal valore MEMAX assegnato, la memoria effettivamente utilizzata dipenderà dal problema da risolvere, dalla effettiva disponibilità di blocchi contigui nello spazio di memoria virtuale e dall’esigenza di dover comunque allocare certe quantità per cui non è prevista la suddivisione per blocchi. MEMAX può essere scelto come segue: • MEMAX < 0

Microsap Rel.12.0

E’ utilizzata la percentuale –Memax% della memoria fisica disponibile. Ad esempio, se sul computer è installato 1Gb di RAM e si attribuisce MEMAX=-80 (valore consigliato), nelle operazioni eseguibili per

Manuale d’Uso

V-211

Linee Dati del Processore $INPUT

blocchi sarà utilizzato circa l’80% della RAM installata (819 Mb), riducendo così sensibilmente la paginazione. In effetti la memoria fisica disponibile al momento dell’esecuzione della fase di fattorizzazione può essere inferiore alla memoria installata. Per questo caso è consentita l’assegnazione di qualunque valore negativo inferiore a –100. L’uso di tali valori può quindi generare una condizione di errore, se non è possibile allocare lo spazio richiesto. • MEMAX=0

E’ utilizzato il massimo blocco di memoria virtuale allocabile contigua (default). Tale quantità è generalmente inferiore alla memoria virtuale disponibile e allocabile, in quanto questa risulta più o meno frammentata. Di norma è possibile allocare un grosso blocco contiguo, e altri blocchi di dimensione sensibilmente minore (10% o meno).

• MEMAX>0

E’ utilizzata la percentuale Memax% della memoria virtuale disponibile. Ad esempio, se il test di allocazione di memoria fornisce 3000 Mb disponibili, assegnando MEMAX=50 ne verranno usati al massimo 1500 Mbytes.

• MEMAX>100

E’ utilizzata la quantità fissa pari a Memax Kbytes. Ad esempio, assegnando MEMAX=2048 non verranno usati più di 2048 Kbytes = 2 Mbytes.

Per gli ultimi due casi (MEMAX>0) il programma limita comunque lo spazio di memoria utilizzato alla dimensione del massimo blocco contiguo effettivamente allocabile. In tal modo è improbabile che la soluzione termini per memoria insufficiente.

b) Un passo cruciale nell’esecuzione di un’analisi ad elementi finiti di grandi dimensioni è rappresentato dalla soluzione del sistema di equazioni che consente di ricavare gli spostamenti della struttura. In alcuni tipi di analisi (ad esempio, nel calcolo nonlineare) il passo di soluzione del sistema deve essere ripetuto anche centinaia di volte. La soluzione del sistema di equazioni si articola generalmente in quattro fasi distinte: permutazione, fattorizzazione, sostituzione in avanti e sostituzione all’indietro. L’operazione di fattorizzazione consente di suddividere la matrice simmetrica originaria [A] in un prodotto di due matrici triangolari ([L][L]T (nel seguito abbreviato in LLt) o due matrici triangolari e una matrice diagonale ([L][D][L]T (nel seguito abbreviato in LDLt). La fattorizzazione è un’operazione onerosa sia in termini di tempo di calcolo sia di occupazione di memoria. La ragione di questo sta nel fatto che la matrice originaria [A] è sparsa e può quindi essere mantenuta in memoria con un grado di compressione elevato. Purtroppo, durante la fattorizzazione, il fattore triangolare [L] in costruzione non mantiene la sparsità della matrice originaria. Di conseguenza questo si traduce in un maggior numero di operazioni sui coefficienti e maggior quantità di memoria richiesta. Al fine di minimizzare l’uso di queste risorse è sempre necessario un riordino delle equazioni. La fase importantissima di permutazione ha quindi lo scopo di trovare la migliore sequenza di numerazione delle equazioni che renda massima la sparsità di [L], indipendentemente dalla numerazione attribuita ai nodi e ai gradi di libertà, che è arbitraria. Ad iniziare dalla Rel.12.0 il Microsap ottimizza maggiormente la fase di permutazione e assemblaggio della matrice di rigidezza. Anzitutto il programma

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-212

Linee Dati del Processore $INPUT

procede all’assemblaggio simbolico della matrice sparsa originaria, con cui è trovata la “mappa” dei coefficienti non nulli. Questa mappa è utilizzata sia per creare la sequenza di permutazione sia per effettuare l’assemblaggio numerico della matrice permutata ad ogni nuova fattorizzazione. Queste operazioni sono eseguite una sola volta. Il Microsap utilizza l’algoritmo di permutazione Hybrid Nested-Dissection Minimum Degree (Metis) che si è dimostrato il più efficiente.

c) La fase di fattorizzazione è controllata dai parametri MSOLV e KSOLV ai campi n.2 e n.3. Con MSOLV è possibile scegliere la metodologia di fattorizzazione (selezione della libreria matematica utilizzata e selezione della modalità In-Core (default) o Out-Of-Core o OOC). Ad iniziare dalla Rel.12.0 il Microsap impiega per default la libreria Intel Mkl altamente ottimizzata in funzione delle architetture dei processori. In alternativa è ancora possibile l’impiego limitato della libreria Taucs, già disponibile nelle release precedenti. Ogni altro metodo di soluzione, ormai obsoleto, è stato eliminato. I metodi di fattorizzazione In-Core allocano in memoria virtuale sia la matrice sparsa originaria [A], sia il fattore triangolare [L]. Tutte queste matrici sono conservate in forma vettoriale compressa. Tuttavia, mentre la matrice di partenza è scarsamente popolata e necessita di uno spazio relativamente contenuto, il fattore triangolare può assumere proporzioni rilevanti. Nei metodi OOC la matrice originaria è ancora ospitata in memoria virtuale mentre il fattore triangolare è trattato per blocchi e solo un blocco per volta transita in memoria durante la fattorizzazione, mentre gli altri sono archiviati in file su disco. Quando il problema da risolvere è di grosse dimensioni e/o la memoria fisica installata è limitata, l’impiego di un metodo OOC può essere più efficiente o anche l’unico praticabile. Al parametro MSOLV possono essere assegnati i seguenti valori: • MSOLV= 0 Default. Il programma verifica se la soluzione può essere svolta In-Core ed in tal caso è attivato il metodo Mkl In-Core. In caso contrario è attivato il metodo OOC Mkl Out-of-Core, che farà uso della memoria riservata con MEMAX (è utilizzato il parametro al campo n.1). Analogamente, qualunque altro valore attribuito a MSOLV diverso da quelli qui sotto elencati provoca l’utilizzo del metodo di default. Si deve notare che con MSOLV=0 il programma utilizza comunque la quantità di memoria MEMAX dichiarata per stabilire quale metodo impiegare. Se la quantità dichiarata è eccessivamente ridotta rispetto a quella effettivamente disponibile il programma sarà indotto all’esecuzione OOC anche per problemi relativamente piccoli. In genere MSOLV=0 accoppiato a MEMAX=-80 garantisce le migliori prestazioni anche per problemi di grandi dimensioni. • MSOLV=1

Microsap Rel.12.0

Mkl In-Core. E’ attivata la libreria matematica Intel Math Kernel Library (Mkl) e il metodo di fattorizzazione In-Core. Tutte le matrici e vettori richiesti durante la fattorizzazione e le fasi successive di soluzione sono allocati nella memoria virtuale. Questo è il metodo generale raccomandato, soprattutto per l’analisi nonlineare. Se il problema da risolvere ha dimensioni particolarmente elevate, è possibile che la fattorizzazione con questo metodo risulti inefficiente (tempo di esecuzione elevato) o impossibile (memoria insufficiente). Nel primo caso la quantità di memoria fisica installata e disponibile è inadeguata e il

Manuale d’Uso

V-213

Linee Dati del Processore $INPUT

sistema operativo sta utilizzando in modo massiccio il file di swap. Nel secondo caso anche la memoria virtuale risulta insufficiente. Il problema può essere risolto utilizzando il metodo OOC seguente. Con MSOLV=1 il valore MEMAX non è usato. • MSOLV=2

Mkl Out-Of-Core. E’ attivata la libreria Mkl ed il metodo di fattorizzazione OOC. Con questo metodo la matrice di rigidezza iniziale e gran parte dei vettori necessari durante la fattorizzazione risiedono ancora nella memoria virtuale, ma il fattore triangolare è trattato per blocchi. La fattorizzazione e le fasi successive di soluzione avvengono in modo efficiente attraverso la lettura da disco di un solo blocco per volta. Si fa notare che la fattorizzazione di un blocco comporta generalmente la modifica di tutti gli altri blocchi. E’ per questo che l’uso di questo metodo è di gran lunga più efficiente del precedente quando il sistema operativo è costretto ad usare il file di swap. Con questo metodo è possibile indicare la quantità di memoria virtuale da impiegare (parametro MEMAX al campo n.2). Se essa è troppo esigua, gli array che devono risiedere costantemente in memoria non possono essere allocati (memoria insufficiente). Oppure il fattore triangolare è frammentato in un numero eccessivo di blocchi e la soluzione risulta inefficiente. Se la memoria virtuale riservata con MEMAX è eccessiva rispetto alla RAM installata il blocco residente utilizza il file di swap e la soluzione risulta ugualmente inefficiente. La soluzione ottimale si ottiene generalmente riservando una percentuale adeguata della memoria fisica disponibile (ad esempio MEMAX=-80 o MEMAX=-100). Si deve comunque notare che quando il problema può essere risolto con il metodo precedente (MEMAX=1) il tempo di soluzione risulta sensibilmente inferiore (anche meno del 50%). Durante la fattorizzazione OOC sulla directory di lavoro sono aperti una serie di file nomelavoro_OOC.ext (con .ext variabile) che contengono il fattore triangolare a blocchi e altri vettori ausiliari con la mappa della matrice.

• MSOLV=10 Taucs In-Core. Questo metodo alternativo utilizza la libreria Taucs con soluzione In-Core. Nelle Release precedenti tale metodo di soluzione era attivato con KSOLV=3 e KSOLV=4. Si deve notare che il nuovo metodo Mkl In-Core risulta notevolmente più rapido di Taucs In-Core, e può richiedere anche solo il 20% del tempo. Con MSOLV=10 il parametro MEMAX non è usato.

d) Il parametro KSOLV al campo n.3 consente di scegliere l’algoritmo di fattorizzazione più appropriato per il problema da risolvere. Esso specifica la tipologia della matrice su cui il programma deve operare (simmetrica o non simmetrica; reale o complessa) e la tipologia di fattorizzazione (LLt o LDLt). Le analisi strutturali attualmente implementate nel Microsap producono sempre matrici di rigidezza simmetriche a coefficienti reali. KSOLV può essere scelto come segue: • KSOLV= 0

Microsap Rel.12.0

Default. Il programma sceglie automaticamente la tipologia di fattorizzazione in base alle caratteristiche del problema da risolvere e

Manuale d’Uso

V-214

Linee Dati del Processore $INPUT

alla fase di soluzione corrente. Nel caso di analisi statica lineare (codice di analisi = 0) è impiegato il metodo di fattorizzazione [L][L]T (matrice simmetrica definita positiva – v. KSOLV=1). Nel caso di analisi statica nonlineare, il programma inizia la soluzione col metodo [L][L]T, ma attiva automaticamente il metodo [L][D][L]T (matrice indefinita - v. KSOLV=2) se e quando la struttura diventa instabile e la matrice non è più definita positiva. Nel caso di analisi dinamica (KANTYP=1) il metodo di fattorizzazione di default è [L][D][L]T. In genere KSOLV=0 garantisce le migliori prestazioni. • KSOLV=1

LLt Supernodal. Utilizza la tipologia di fattorizzazione [L][L]T di Cholesky per matrici reali simmetriche definite positive. In analisi statica nonlineare e dinamica possono sussistere limitazioni. Può essere utilizzato sempre in analisi statica lineare e anche in analisi nonlineare quando non si attraversano condizioni di instabilità. In caso contrario, la fattorizzazione può non essere possibile (matrice singolare). Questo metodo è mediamente il 20% più veloce di quello seguente.

• KSOLV=2

LDLt Supernodal. Implementa la fattorizzazione di tipo [L][D][L]T per matrici reali simmetriche indefinite. E’ più lento del metodo precedente ma può essere impiegato per qualunque tipo di analisi, anche su matrici mal condizionate prossime a situazioni di instabilità o con coefficienti diagonali negativi.

e) Durante la fase di assemblaggio della matrice di rigidezza globale il programma effettua un controllo preliminare sui valori della diagonale principale. Infatti, se la struttura è sufficientemente vincolata, se i moti rigidi interni sono stati rimossi, se i materiali sono stati definiti correttamente e gli elementi sono geometricamente corretti, la matrice globale è definita positiva. I coefficienti sulla diagonale sono tutti positivi e di valore preponderante rispetto a quelli fuori diagonale. Se tuttavia esiste qualche moto rigido interno dovuto a rigidezze non assegnate all’elemento (v. elementi Plane Stress, Membranali, Truss) e i relativi assi locali non coincidono con un asse globale, tale problema non può essere rilevato in fase di assemblaggio e diverrà manifesto solo in fase di fattorizzazione della matrice. Esistono comunque dei metodi per ottenere una soluzione spesso corretta anche in presenza di difetti del modello, ma essi devono essere esplicitamente attivati dall’utente (v. note seguenti).

f) Perché la matrice di rigidezza globale sia ben condizionata e per rendere minima la perdita di precisione durante la fase di fattorizzazione, non vi devono essere valori di rigidezza inutilmente elevati. Questo può accadere se sono assegnati materiali con modulo elastico eccezionalmente elevato, elementi con geometria anomala o elementi Boundary con rigidezza troppo alta. Se è eseguita l’analisi dinamica non devono essere presenti masse concentrate elevate connesse a parti di modello con rigidezza minima. Nella maggioranza dei casi questi fatti sono dovuti a errori nella definizione del modello. Il programma fornisce i valori massimi e minimi riscontrati sulla diagonale principale delle matrici globali di rigidezza e massa. L’utente dovrebbe sempre verificare che il

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-215

Linee Dati del Processore $INPUT

massimo e minimo valore di rigidezza diagonale siano innanzitutto positivi e che il rapporto di rigidezza non superi il valore di 1⋅108÷1⋅1010.

g) Se deve essere risolta una qualsiasi analisi nonlineare, si raccomanda vivamente di procedere inizialmente al calcolo lineare. Questo permette di correggere gli errori di definizione del modello e di ottenere tutte le informazioni sulle matrici di rigidezza e massa che lo rappresentano. In caso contrario è spesso impossibile imputare anomalie presunte o reali a difetti del modello o al comportamento nonlineare. Questo è estremamente importante se sono attivati gli effetti di nonlinearità geometrica P-∆ e instabilità. Quando il calcolo nonlineare è spinto fino al collasso della struttura o addirittura oltre la prima configurazione instabile, il contributo dovuto alle diverse nonlinearità dovrebbe essere verificato separatamente e i carichi introdotti gradualmente, con un numero sufficiente di step e sottostep. Un calcolo con forti nonlinearità diventa facilmente risolvibile solo quando si conosce in anticipo la sua curva caratteristica forze-spostamenti, anche se purtroppo in un sistema con migliaia di elementi e gradi di libertà il collasso riguarda gradualmente parti diverse di struttura. Durante il calcolo nonlineare la matrice di rigidezza può non essere definita positiva.

h) Il parametro TINYK, al campo n.4, permette di correggere alcune labilità interne della struttura nei casi particolari trattati alla nota precedente. Nei casi standard la matrice di rigidezza globale possiede tutti i coefficienti diagonali positivi e preponderanti rispetto agli altri fuori diagonale. Se la struttura è semplicemente priva di vincoli e non esistono altre sconnessioni interne, essa presenterà 6 componenti di moto rigido e la matrice di rigidezza risulterà singolare e non fattorizzabile. Alcuni tipi di elementi possiedono solo una parte dei 6 gradi di libertà. Ad esempio, l’elemento Truss può trasmettere solo azioni lungo il suo asse. Se un nodo è quindi in comune solo con due elementi Truss, esso sarà labile per le traslazioni perpendicolari all’asse e per le rotazioni. Tali gradi di libertà dovrebbero quindi essere soppressi o ad essi dovrebbe essere connesso un elemento (eventualmente fittizio, come un Boundary) che fornisca le opportune rigidezze. Se le labilità interne sono orientate nelle direzioni globali, esse daranno origine a coefficienti nulli sulla diagonale della matrice globale. Altrimenti tale problema comparirà sulla matrice solo in fase di fattorizzazione. Nel primo caso, la soppressione dei moti rigidi può essere ottenuta anche automaticamente, assegnando una rigidezza (eventualmente piccola), ai termini diagonali nulli. Un altro modo che sicuramente stabilizza la struttura, anche nel secondo caso esaminato prima, è quello di aggiungere una minima rigidezza costante a tutti i termini sulla diagonale. Al fine di evitare perturbazioni nella struttura, tale rigidezza aggiunta dovrebbe essere di entità trascurabile rispetto alle rigidezze minime della struttura. Se TINYK=0 i coefficienti diagonali non sono modificati. Se TINYK è assegnato diverso da zero saranno modificati automaticamente tutti i coefficienti diagonali con l’aggiunta di una piccola rigidezza e pertanto un suo uso improprio può produrre dei risultati errati. Viceversa, l’uso attento di questa opzione permette di correggere la condizione di singolarità della matrice di rigidezza e di produrre una soluzione generalmente esatta o comunque tale da rivelare gli errori nella definizione della struttura. L’utente dovrebbe verificare attentamente i risultati ottenuti e correggere quindi il modello inserendo gli opportuni vincoli o le giuste connessioni tra gli elementi. L’uso del parametro TINYK è fortemente sconsigliato in analisi nonlineare e può impedire la soluzione del problema.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-216

Linee Dati del Processore $INPUT

• TINYK>0. Modifica Relativa dei Coefficienti Diagonali. Tutti i coefficienti diagonali sono incrementati del valore TINYK⋅(10-16⋅KMAXP) essendo KMAXP il massimo valore positivo rilevato sulla diagonale della matrice di rigidezza iniziale. Se l’analisi è nonlineare, la rigidezza infatti non rimane costante. Se si desidera utilizzare questa opzione il valore tipico da usare è quindi TINYK=1. Questa funzione può stabilizzare la struttura rendendo fattorizzabile la matrice di rigidezza. In caso contrario è necessario assegnare a TINYK un valore di rigidezza superiore. Al termine della soluzione il processore $SOLU riporta i valori massimi e minimi sulla diagonale relativi alla matrice di rigidezza iniziale. • TINYK1 (v. linea C6). Carico

Carico

Load Step Substep

L.S. 2 L.S. 1

L.S. 2 L.S. 1

L.S. 3

L.S. 3

T1

T2

T3

U1

Tempo

Load Step e Substep

Load Step Substep

U2

U3 Spostamento

Corrispondenti Soluzioni nella Curva Carichi-Spostamenti

Carico

Carico λ=1.50

L.S. 2

λ=1.00

λ=0.50 L.S. 3

λ=0.75 λ=0.50

λ=1.25 λ=1.00

L.S. 2

λ=0.75

λ=0.25 λ=0.00

λ=0.50

Load Step Substep

L.S. 1

Load Step Substep

λ=0.25 λ=0.00

T1

T2

T3

Tempo

T1

T2

Tempo

Continuazione Ultimo Load Step per λ>1

Substep e Fattori di Carico

Microsap Rel.12.0

L.S. 1

Manuale d’Uso

V-224

Linee Dati del Processore $INPUT

Nelle procedure path-following il tempo e il fattore di carico non sono direttamente collegati tra loro e λ può anche cambiare segno. Nella prima figura è rappresentata la curva di carico con 3 load step (cerchi rossi). Il primo step è suddiviso in 5 substep (cerchi verdi), il secondo in 2 substep e il terzo in 3 substep, per un totale di 10 soluzioni convergenti (equilibrate), che rappresentano altrettanti punti della curva Carichi-Spostamenti (seconda figura). La curva presenta un punto limite di instabilità e un minimo: all’aumentare dello spostamento e a seconda dei parametri di soluzione forniti (ampiezza substep, criteri di convergenza, ecc.) per gli stessi livelli di carico possono essere trovate le soluzioni sul secondo o sul terzo ramo. Se il carico del load step n.3 fosse maggiore di quello del load step n.2 le soluzioni sarebbero trovate sul terzo ramo. Si noti che nel secondo ramo la rigidezza è negativa: per superare il primo punto di instabilità occorre selezionare un opportuno algoritmo di soluzione (KSOLV=2) e il controllo Path-Following (KCTRL=1). La terza e quarta figura mostrano la relazione di proporzionalità tra substep e fattori di carico. Il fattore di carico è nullo all’inizio di ogni nuovo step e unitario alla fine di ogni step, quando l’introduzione del nuovo livello di carico è completata. Nella quarta figura tuttavia il carico dello step è esteso oltre il valore assegnato, per fattori di carico maggiori di 1. • Iterazioni di Equilibrio. Sono anche queste soluzioni intermedie calcolate in

corrispondenza del livello di carico finale del substep (quindi allo stesso tempo t e per lo stesso livello di carico F(t)), fino ad ottenere la soluzione convergente del substep. Questo ciclo correttivo e fondamentale si rende necessario per il fatto che le soluzioni sono comunque lineari e il cammino seguito si discosterebbe progressivamente dalla reale curva caratteristica forze-spostamenti nonlineare della struttura, anche utilizzando passi molto piccoli tra i substep e riaggiornando continuamente la matrice di rigidezza. Ad ogni iterazione è quindi calcolata la differenza ∆F tra forze esterne assegnate e forze interne indotte negli elementi. Tale differenza è quindi applicata nell’iterazione successiva e ridistribuita finchè essa non raggiunge un valore trascurabile. F2

F ∆F

L.S. 2 ∆U

λ=0.5

Fest Fint F1

L.S. 1 Load Step Substep U2

U1

U

Esempio di Soluzione Iterativa del Load Step n.2 con Modified Newton-Raphson e Due Substep (DLAMB=0.5)

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-225

Linee Dati del Processore $INPUT

La presenza del ciclo iterativo di equilibrio fa si che la convergenza possa essere raggiunta utilizzando una rigidezza anche diversa da quella che la struttura effettivamente possiede nel punto di calcolo (v. figura). Il calcolo non-lineare può essere svolto per incrementi di carico P, per incrementi di spostamento U, oppure con metodi specificatamente rivolti a seguire la curva di equilibrio forze-spostamenti (metodi path-following). Il Microsap possiede sia il metodo di controllo di carico sia metodi path-following. Nelle tre figure seguenti sono mostrati diversi casi semplici di risposta nonlineare. Si deve precisare che il diagramma forza-spostamento è sempre disegnato in modo semplificato, per un sistema ad un grado di libertà. In questo caso una soluzione è rappresentata dall’intersezione della curva forza-spostamento con una retta (nel metodo load-control) la cui ordinata λ rappresenta il livello di carico applicato nella direzione dell’unico grado di libertà di spostamento. Nel caso generale si tratterà invece di trovare l’intersezione tra la curva e una superficie (piana, nel caso loadcontrol)) a n gradi di libertà: in altre parole, ad una determinata configurazione di carico di livello λ corrisponderà un vettore spostamento a n componenti. Nella prima figura è mostrato il raggiungimento del primo punto limite B, transitando per i punti intermedi A, in cui carico e spostamento aumentano. Il punto limite contrassegna il collasso o una condizione di instabilità della struttura e spesso nei casi pratici è sufficiente raggiungere questo punto di massimo. Se il valore di carico è superiore al valore corrispondente al punto limite la soluzione può divergere indefinitamente, oppure può arrivare ad un’altra configurazione equilibrata. Può essere interessante esaminare il comportamento della struttura in prossimità o oltre il primo punto limite, per varie ragioni. Il punto limite può essere un massimo o minimo locale e la struttura potrebbe raggiungere un’altra configurazione equilibrata dopo la situazione di instabilità. Anche se il punto B è l’unico massimo, è bene confermare questa eventualità. Come già detto, all’inizio dell’analisi la curva forze-spostamenti non è nota. Inoltre, con strutture composte da molti elementi che possono collassare in modo indipendente, la situazione può essere piuttosto confusa, e i parametri di calcolo per ottenere la soluzione possono non essere adeguati (livelli di carico troppo elevati, substep troppo ampi, ecc.). Quindi, non sempre un problema di convergenza è indice del raggiungimento di una condizione di instabilità. Esattamente sul punto limite la struttura non può essere risolta, poiché la matrice di rigidezza è singolare. E’ però improbabile che nel calcolo iterativo venga raggiunto esattamente questo punto. La struttura può essere un componente espressamente progettato per funzionare in due rami della curva forze-spostamenti passando attraverso una condizione instabile. E’ spesso importante sapere se il collasso di una struttura (ad esempio una singola trave) è di tipo fragile o duttile o, in altre parole, conoscere l’andamento o la tendenza della curva carico-spostamento oltre il primo punto limite.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-226

Linee Dati del Processore $INPUT

A distanza ragionevole dal raggiungimento del primo punto limite B tutti i metodi di calcolo sono ugualmente efficaci. Tuttavia il metodo basato sul controllo del carico è inadatto a trovare i punti di equilibrio tra B e C e tra C e D (seconda figura). Un incremento ulteriore di carico oltre il livello B può comunque consentire di trovare soluzioni equilibrate al di sopra del punto D. Viceversa, un metodo basato sul controllo di spostamento non incontrerà difficoltà in questo caso. L’esempio rappresentato dalla terza figura può essere completamente risolto in modo efficace solo dai metodi path-following, che riescono a percorrere la curva carico-spostamento. Questi metodi trovano l’intersezione tra la curva e, solitamente, una superficie sferica (metodo arc-length, tratteggiato in rosso), anziché con piani paralleli agli assi U o F. Il metodo basato sull’incremento del carico anche in questo caso troverà ovviamente oltre il punto B le soluzioni equilibrate sopra il punto F. Ciò verrà evidenziato dal fatto che, due soluzioni con piccolo incremento di carico mostreranno generalmente un brusco salto negli spostamenti, facendo intuire che nel mezzo vi sia un altro ramo della curva che non è stato percorso. Analogamente, per un metodo basato sull’incremento di spostamento i punti di tangenza saranno C e D e non sarà possibile trovare soluzioni da C a E. In ogni caso la convergenza nei due metodi sarà difficoltosa all’approssimarsi dei punti di tangenza B e C. Carico

Carico

Carico

B

P

B

B

C A

A

A

F

D

D C E

U Spostamento Punto Limite

Spostamento Snap-Through

Spostamento Snap-Back

b) Strategie di Soluzione Nonlineare. In campo lineare, una volta definita la struttura, ad una configurazione di carico corrisponde una determinata configurazione di spostamento che costituisce la soluzione del problema. Amplificando il carico di un fattore λ qualsiasi, anche l’intero vettore spostamento risulta amplificato della stessa quantità. Per cui il diagramma forza-spostamento di ciascun grado di libertà ha una forma nota fin dall’inizio e corrispondente ad una retta. Viceversa, in campo nonlineare la forma della curva non è nota a priori, dipende dalla sequenza di carico e anche quando la configurazione di carico finale è assegnata, la soluzione ad essa corrispondente non può essere determinata in un solo passo ma deve essere raggiunta per passi successivi. E’ quindi obbligatorio calcolare l’intera curva forza-spostamento in un numero sufficiente di punti intermedi, fino al raggiungimento del livello di carico desiderato. Un altro obiettivo dell’analisi nonlineare può essere quello di stabilire il livello di carico per il quale la struttura raggiunge il collasso. Un ulteriore obiettivo può anche essere quello di stabilire come il collasso procederebbe o come deve essere

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-227

Linee Dati del Processore $INPUT

ridotto il carico per ottenere configurazioni equilibrate (stabili o instabili). Infine, il quadro del comportamento nonlineare può essere notevolmente complicato da situazioni di cedimento e di instabilità locale. Per tutti questi fatti, la soluzione nonlineare è in genere ottenuta per tentativi successivi, modificando di volta in volta la strategia di calcolo ed esaminando la risposta corrispondente. Nel primo caso più semplice, in cui si vuole raggiungere un fattore di carico λ predeterminato, sarà percorso solo il primo tratto di curva e non sarà raggiunto il massimo assoluto né dovrebbero essere incontrati episodi di massimo locale (cedimenti locali, biforcazioni). In caso contrario la struttura deve essere modificata. Per tutti gli altri casi le strategie dipendono da quanto l’analisi deve essere spinta nel dettaglio. Esistono, ad esempio, opportune strategie per continuare l’analisi anche in presenza di cedimenti locali e di biforcazioni, anche se tali evenienze devono essere studiate nel dettaglio con estrema attenzione. Il solutore ha la possibilità di monitorare la maggior parte delle modificazioni che avvengono nella struttura e queste possono essere diagrammate. La strategia di soluzione è introdotta attraverso la assegnazione di una opportuna sequenza di parametri sulle linee C2-C8. Non esiste una combinazione di parametri ottimale valida in tutti i casi, poiché la forma di risposta nonlineare della struttura (contrariamente al caso lineare) non è conosciuta a priori. Spetta quindi all’utente il compito di escogitare la strategia più opportuna in base all’esperienza, alla tipologia del problema e agli obiettivi finali da raggiungere. Una strategia inadeguata può condurre a scarsa precisione nei risultati, o viceversa ad una soluzione eccessivamente accurata e a tempi di calcolo elevati, o molto spesso a difficoltà di convergenza. Utilizzando sequenze anche di poco diverse, possono ottenersi risultati finali molto differenti. Quando l’analisi nonlineare deve continuare fino al collasso o fino a configurazioni di post-collasso, in mancanza di limitazioni realistiche (per la struttura in esame) sugli spostamenti, il calcolo terminerà ovviamente per una qualche difficoltà di convergenza. Visto che l’incontro del primo punto di massimo o di una biforcazione costituisce il raggiungimento di una condizione limite anche dal punto di vista matematico, le difficoltà possono manifestarsi anche poco prima. Una buona strategia permetterà quindi di avvicinarsi più o meno ai punti limite, spesso di superarli e spesso di calcolare soluzioni nei rami staticamente instabili. Si fa notare che il calcolo di soluzioni limite, di soluzioni instabili e il superamento di biforcazioni sono situazioni per niente scontate e generalmente ottenibili non a buon mercato e non senza fatica. In genere, ad esempio, in corrispondenza di una biforcazione la soluzione può oscillare tra due o più valori, a seconda della molteplicità della ramificazione nell’intervallo iterativo, o viceversa, a seconda dei parametri assegnati, la soluzione può percorrere uno dei diversi rami. Infine, deve essere chiaro che il calcolo nonlineare consiste nel trovare una serie più o meno estesa di punti-soluzione della curva forze-spostamenti e che può non esistere un solo percorso e che in certi casi la soluzione stessa può tornare sui propri passi ripercorrendo la curva al contrario o cadendo su rami diversi. Nei casi complicati è necessario seguire con attenzione il percorso nonlineare e il susseguirsi delle situazioni limite.

c) KALGO identifica il metodo di soluzione iterativa del problema nonlineare per lo step di carico corrente. Sono disponibili i seguenti metodi. • KALGO = 0

Microsap Rel.12.0

Metodo di Default. E’ attivato il metodo Modified Newton-Raphson.

Manuale d’Uso

V-228

Linee Dati del Processore $INPUT

• KALGO = 1

Full Newton-Raphson. La matrice di rigidezza globale tangente è ricalcolata e fattorizzata ad ogni iterazione.

• KALGO = 2

Modified Newton-Raphson. La matrice di rigidezza tangente è ricalcolata alla prima iterazione di equilibrio di ogni substep. Le iterazioni di equilibrio successive utilizzano la stessa matrice di rigidezza. Se uno o più elementi ha cambiato stato la matrice di rigidezza è comunque ricalcolata.

• KALGO = 3

Constant Stiffness. La matrice di rigidezza è mantenuta costante in tutti i substep dello step di carico corrente. Essa è comunque aggiornata eccezionalmente nel caso in cui uno o più elementi subisca un cambiamento di stato.

• KALGO = 4

Initial Stiffness. Come il caso precedente, ma la matrice di rigidezza, ricalcolata all’inizio dello step, non è mai aggiornata, neppure eccezionalmente. Per tutto lo step corrente essa è sempre uguale a quella calcolata all’inizio dello step. Nel caso particolare in cui sia stato usato questo metodo in tutti gli step di carico precedenti, la matrice di rigidezza è quella creata all’inizio dell’analisi.

• KALGO = 9

Linear Start. Questa opzione è fornita per convenienza per permettere entro l’esecuzione non lineare, l’introduzione di uno o più step iniziali a comportamento presumibilmente lineare. Anche se gli step iniziali dell’analisi sono lineari, non esiste l’obbligo di utilizzare KALGO = 9. In pratica, impiegando tale opzione deve essere assegnata solo la linea C2 e a tutti i parametri delle linee successive sono assegnati i valori di default, tranne che DLAMB e DLMIN che sono assunti unitari (v. linea C3), ed è inoltre disabilitato il criterio di convergenza sugli spostamenti (KCRITU=-1, linea C5). In altre parole, sarà effettuato il tentativo di risolvere ogni step in un unico substep e possibilmente con un’unica iterazione. Entro ogni step è possibile variare il parametro KCONF: ciò permette, ad esempio, di effettuare con una sola esecuzione, più step lineari ciascuno iniziante da struttura scarica, e sovrapporre sull’ultimo uno o più step nonlineari. Si noti che con KALGO=9 rimangono attive tutte le caratteristiche tipiche dell’esecuzione nonlineare: se il comportamento si dovesse discostare in modo sensibile dalla prevista linearità, questo si tradurrà in una soluzione inefficiente. KALGO=9 non può essere usato dopo eventuali step nonlineari risolti con KALGO≠9.

d) KCONF stabilisce la configurazione della struttura all’inizio dello step corrente. • KCONF = 0

Microsap Rel.12.0

La configurazione iniziale dello step corrente coincide con la configurazione finale dello step precedente. La struttura accumula le deformazioni e i carichi.

Manuale d’Uso

V-229

Linee Dati del Processore $INPUT

• KCONF = 1

La configurazione iniziale dello step corrente coincide con la configurazione della struttura all’inizio del primo step. In altre parole, la struttura riparte dalla configurazione indeformata scarica. Equivale ad un'altra analisi nonlineare. Questa è la modalità standard di esecuzione di un’analisi lineare quando sono presenti più step (o condizioni) di carico, ma è una procedura deprecabile in un’analisi nonlineare. E’ preferibile invece suddividere l’analisi in più esecuzioni separate.

e) NEQIT è il numero massimo di iterazioni consentite per raggiungere la configurazione equilibrata entro il grado di precisione stabilito dai criteri di convergenza (v. linee dati seguenti). Se NEQIT=0 sono assunte per default 20 iterazioni. Se non è ottenuta la convergenza entro il numero di iterazioni stabilito oppure se la soluzione diverge per più iterazioni consecutive, il sottostep può essere abbandonato. In tal caso è possibile eseguire un certo numero di tentativi automatici di restart nei quali è ridotta gradualmente l’ampiezza del sottostep. NEQIT è correlato al grado di nonlinearità del problema, all’ampiezza dello step e del sottostep, al metodo KALGO impiegato, al metodo di controllo KCTRL, a KDIVE, KATTP, ecc. e ai criteri di convergenza stabiliti.

f) NCUM impone un limite sul numero di iterazioni cumulative dall’inizio dell’analisi. Se NCUM=0 non è fissato alcun limite. Se NCUM>0 l’esecuzione è interrotta al termine dell’iterazione NCUM. L’interruzione causata da NCUM produce un codice KSTOP=4.

g) KDIVE pone un limite al numero di iterazioni divergenti consecutive prima che il substep sia abbandonato. Se KDIVE=0 per default sono ammesse tre soluzioni divergenti consecutive prima di abbandonare il substep e iniziare un nuovo tentativo con un substep di ampiezza inferiore. Se KDIVE≥NEQIT il ciclo iterativo non è mai interrotto per divergenza. Se il livello di carico alla fine dello step è superiore al livello che provoca il collasso della struttura, è inutile proseguire l’analisi quando si incontrano più di due o tre soluzioni divergenti, specialmente con l’algoritmo Full Newton-Raphson. Viceversa, se si stanno studiando possibili configurazioni equilibrate post-buckling con l’algoritmo Modified Newton-Raphson può essere necessario aumentare KDIVE oltre il valore di default o non imporre alcun limite (KDIVE=NEQIT). Un’altra strategia potrebbe essere invece quella di permettere un solo episodio di divergenza e dimezzare subito il substep nel caso la divergenza si ripeta (v. linea C3), evitando di sprecare inutilmente altre iterazioni. Un valore elevato di KDIVE può instradare la soluzione su altri rami, può far saltare soluzioni intermedie o può indirizzare la soluzione su un percorso a ritroso.

h) Se la matrice di rigidezza è singolare il substep è immediatamente abbandonato. Nell’analisi lineare il caso di singolarità provoca anche un arresto immediato dell’esecuzione. Al contrario, se l’analisi è nonlineare questo provoca solamente un arresto del substep. Tutti i metodi di soluzione si arrestano nel caso di singolarità dovuta alla presenza di coefficienti diagonali nulli o molto prossimi a zero. Alcuni algoritmi di soluzione (KSOLV=1) possono eseguire la fattorizzazione solamente se la matrice è definita positiva e si arrestano in presenza di coefficienti diagonali negativi.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-230

Linee Dati del Processore $INPUT

Altri, leggermente più lenti (KSOLV=2), permettono la fattorizzazione di matrici non definite positive. Se la struttura è stata descritta in modo corretto, in analisi statica lineare la matrice è definita positiva e risolvibile da tutti i metodi. Durante l’analisi statica nonlineare possono essere raggiunte delle configurazioni di instabilità (instabilità geometrica, rottura nei materiali o collasso della struttura) per cui la matrice di rigidezza risulta singolare e non fattorizzabile. In questo caso una semplice e leggera variazione dell’ampiezza del sottostep può permettere di scavalcare la singolarità. Se si tratta di un semplice transito attraverso un punto singolare, utilizzando uno dei metodi sopra elencati è possibile esaminare il comportamento della struttura oltre tale punto. La struttura può infatti raggiungere un’altra configurazione che sia in equilibrio con le forze esterne imposte.

i) KATTP fissa il numero massimo di tentativi nei casi di non convergenza. Se KATTP=0 sono assunti per default 3 tentativi. In particolare, se KATTP=1 è effettuato il solo tentativo iniziale (un solo ciclo di iterazioni di equilibrio) e l’elaborazione si arresta in caso di difficoltà di convergenza. Viceversa, se KATTP>1 sono eseguiti fino a KATTP tentativi di soluzione del sottostep. Ad ogni tentativo l’ampiezza DLAMB del sottostep è progressivamente ridotta (generalmente bisecando, fino ad un valore minimo DLMIN – v. linea C3). KATTP può anche essere assegnato negativo: in tal caso i tentativi successivi sono eseguiti bisecando DLAMB-DLMIN piuttosto che DLAMB e il valore DLMIN costituisce un limite che non è mai raggiunto, se non attraverso un altro meccanismo: il controllo automatico dell’ampiezza iniziale del substep attivabile assegnando DLMAX (v. linea C3 per dettagli).

j) Per stabilire se la soluzione è arrivata a convergenza il programma può utilizzare cinque criteri differenti basati sulle norme di energia, forza, momento, spostamento e rotazione. Nei casi più semplici la soluzione tende a convergere in modo stabile e graduale, con velocità più o meno elevata. Tuttavia, quando la struttura modifica improvvisamente la sua rigidezza e il passo iterativo è troppo ampio, è possibile che siano trovate soluzioni divergenti. Per stabilire se la soluzione sta divergendo il programma effettua il confronto tra il valore (positivo o negativo) dell’energia accumulata in due successive iterazioni, indipendentemente dai criteri di convergenza attivati. Nell’attuale release, se è trovata una soluzione divergente, lo spostamento previsto nell’iterazione è dimezzato e il ciclo iterativo di equilibrio continua. Tuttavia, oltre un certo numero di iterazioni consecutive divergenti, il ciclo è abbandonato, come detto nella nota g). Il valore della norma è confrontato con un valore di tolleranza imposto (criterio) per stabilire se la soluzione debba essere considerata ammissibile (substep convergente) e poter quindi procedere ad un ulteriore incremento del carico. All’inizio di un nuovo incremento di carico (nuovo substep) la prima soluzione è generalmente sempre squilibrata. Può comunque accadere che per l’incremento di carico introtto la soluzione si discosti così poco dalla linearità che il disequilibrio sia inferiore alla tolleranza imposta: in tal caso ovviamente, anche se la norma aumenta, la soluzione è comunque considerata non divergente. Generalmente i criteri applicati sono più di uno: ad esempio, è usuale il caso in cui si imponga separatamente il rispetto di criteri non solo sull’equilibrio delle forze, ma anche sui momenti. In questo caso può facilmente accadere che una norma si mantenga sotto la soglia della tolleranza, mentre l’altro

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-231

Linee Dati del Processore $INPUT

criterio risulti ancora non soddisfatto. La figura seguente riassume alcuni casi tipici di andamento della soluzione, riferiti al criterio ancora da soddisfare. Il caso a) è quello tipico di substep con incremento di carico relativamente piccolo rispetto alle caratteristiche di nonlinearità della struttura. Il primo segmento del ramo ascendente corrisponde all’introduzione del nuovo carico ed i segmenti successivi del ramo discendente portano gradualmente il valore della norma sotto il limite del criterio. Sfortunatamente, in occasione di forti variazioni di rigidezza o in prossimità di situazioni di instabilità locali (ad esempio, formazioni di cerniere plastiche in un elemento beam) o globali (imminente collasso della struttura), il soddisfacimento delle condizioni di equilibrio può risultare precario e il valore della norma può continuare a crescere. Può quindi verificarsi il caso b) oppure il caso c). Nel caso b) la norma aumenta (derivata prima maggiore di zero), ma la tendenza è favorevole al raggiungimento dell’equilibrio in quanto la differenza della norma tra le successive iterazioni tende a ridursi (derivata seconda maggiore di zero). Nel caso c) la previsione è sfavorevole (derivata seconda minore di zero), ma anche in questa situazione è possibile che vi sia un’inversione di tendenza (soluzione n.7). A questo punto le strategie possono essere diverse: abbandonare subito (KDIVE basso) una soluzione che sta prendendo una brutta piega e procedere alla diminuzione di carico, oppure consentire che la norma aumenti per un numero più o meno elevato di iterazioni. Ad esempio, assegnando KDIVE=NEQIT/2 si continuano le iterazioni fino a metà del limite massimo del ciclo, sperando che successivamente la norma diminuisca. Se dopo NEQIT/2 iterazioni questo avviene, vi sono un pari numero di iterazioni a disposizione per percorrere il ramo discendente e arrivare a convergenza. Norma

6 5

6

4

1

3 0

3

9 10 11 12 13

2 1

14

0

7

4

8

3

2

5

7

8

2 1

9

Criterio

0 10

a)

c)

b)

Iterazioni Cumulative

k) KCTRL seleziona la modalità di controllo della soluzione nonlineare. Assegnando KCTRL>0 si attivano i metodi path-following. Sono disponibili le seguenti opzioni. •

KCTRL=0.

Microsap Rel.12.0

Load Control. E’ attivata la tecnica di controllo di carico. Con questa procedura è trovata l’intersezione tra la curva carico-spostamento e

Manuale d’Uso

V-232

Linee Dati del Processore $INPUT

una serie di rette orizzontali a diversi substep e in corrispondenza di altrettanti livelli di carico entro i diversi step di carico, secondo quanto già visto in precedenza. Questo metodo è particolarmente efficace in presenza di nonlinearità locali che non si prevede possano provocare instabilità della struttura o livelli di carico che non ne dovrebbero causare il collasso. I livelli di carico possono inoltre essere specificati esattamente, prima di eseguire l’analisi e in corrispondenza di essi saranno trovate le relative soluzioni equilibrate della struttura. Viceversa, in prossimità dei punti critici, a tangente orizzontale, la velocità di convergenza sarà lenta e non sarà possibile esaminare tutte le possibili soluzioni della curva carico-spostamento. •

KCTRL=1

Minimum Residual Displacement. E’ forse il metodo path-following più efficace e di più rapida convergenza. La sua espressione minimizza la norma dello spostamento residuo ad ogni iterazione. Nel grafico carico-spostamento limitato ad un solo grado di libertà, questo equivale a trovare l’intersezione tra la curva di carico e i piani normali alla stessa curva tracciati a partire dal livello di riferimento di carico della prima iterazione del substep. E’ molto simile ai metodi arc-length, in cui la curva intersecante è invece un arco di cerchio, o meglio, una superficie sferica o un’altra conica. Il metodo, come tutti gli altri metodi path-following, è estremamente efficace per esaminare qualunque possibile soluzione in vicinanza e oltre i punti critici e fino al collasso della struttura. E’ però necessario utilizzare un algoritmo di soluzione dei sistemi di equazioni che siano adatti a fattorizzare matrici non definite positive. In caso contrario, la soluzione continuerà ugualmente, ma non sarà possibile percorrere tutta la curva. Inoltre, se si prevede la ricerca di soluzioni su più rami della curva F-U, i metodi KALGO>2 non possono essere utilizzati. Il metodo di default (KALGO=0,2) è spesso sufficiente, ma se la curva F-U è complicata e il substep è ampio, è richiesto l’uso di KALGO=1. Nell’uso dei metodi path-following occorre tener presente alcune particolarità. Anzitutto il carico di fine step è considerato come un carico di riferimento. Il metodo path-following inizierà suddividendo lo step in sottostep e anzi, ogni sottostep inizierà esattamente come il metodo load-control. Tuttavia, nelle iterazioni successive del substep, il fattore di carico λ non rimarrà costante, ma è un’ulteriore incognita del problema, esattamente come le componenti di spostamento nodale. Di conseguenza, le soluzioni equilibrate a fine substep (e inizio del successivo) non si presenteranno ad intervalli regolari di carico. Comunque, dopo ogni substep il programma applica inizialmente un incremento di fattore di carico pari a quello assegnato nella prossima linea C3, con segno negativo o positivo, a seconda del verso di percorrenza nella curva carico-spostamento che il solutore sta seguendo. Generalmente le soluzioni si susseguono perciò con intervalli piuttosto regolari. Tuttavia, se un

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-233

Linee Dati del Processore $INPUT

substep cade vicinissimo ad un punto critico, la normale relativa al substep successivo può intercettare la curva ad un intervallo elevato. In tal caso, una piccola modifica del substep iniziale (ad esempio da 0.1 a 0.09) può permettere di trovare soluzioni con intervalli più regolari. Il metodo, per sua natura, potrebbe continuare a seguire la curva indefinitamente. E’ quindi opportuno attivare il criterio di continuazione KCONT e/o la linea C6 per definire un criterio di massimo spostamento di un punto di controllo che consenta di terminare l’analisi nel modo desiderato. Contrariamente al metodo load-control in cui i diversi step di carico possono essere di qualunque tipo, i metodi path-following sono adatti allo studio del comportamento della struttura soggetta ad una stessa forma di carico che cresce o decresce fino al raggiungimento di situazioni di instabilità e oltre, fino al collasso, ma non è nota l’entità del carico, ovvero il moltiplicatore, che porta la struttura al collasso. Il fattore di carico associato alle soluzioni calcolate è gestito automaticamente dal programma e può crescere, decrescere e cambiare di segno. Per queste ragioni, è necessario che un metodo path-following sia applicato sull’ultimo step. Lo step path-following termina l’analisi ed eventuali step successivi sono ignorati. Il programma permette comunque che lo step path-following sia preceduto da un qualunque numero di step load-control. •

KCTRL=2

Updated Normal Plane. E’ simile al precedente, ma il piano di intersezione è perpendicolare al vettore tangente ed è aggiornato ad ogni iterazione.



KCTRL=3÷5

Non usati. Attualmente sono equivalenti a KCTRL=1.



KCTRL=6÷10

Arc-Lenght. Contrariamente a tutti gli altri metodi in cui la superficie intersecante è un piano, il metodo generale Arc-Length utilizza superfici curve e produce due punti di intersezione. Il programma esegue il prodotto scalare tra il vettore delta-spostamento precedente e il vettore spostamento iterativo corrente e utilizza il punto intersezione che corrisponde all’angolo minimo. Nei casi in cui le soluzioni sono immaginarie il programma ricalcola l’intersezione utilizzando il metodo Minimum Residual Displacement. I metodi 6÷10 si differenziano tra loro per la forma della superficie, che dipende dal coefficiente ψ2 dei termini contenenti il vettore forze (v. bibliografia). Se ψ2=0 i termini dipendenti dalle forze non sono inclusi e la superficie è un cilindro (Cylindrical Arc-Length). Se ψ2=1 la superficie è invece una sfera (Spherical Arc-Length). I metodi 6÷10 utilizzano rispettivamente i valori ψ2=0.00, 0.25, 0.50, 0.75, 1.00.



KCTRL>10

Indirect Displacement Control. Tutti i metodi path-following precedenti impongono un vincolo sulla norma degli spostamenti incrementali, ad esempio, imponendo che la soluzione stia su una sfera con un determinato raggio. In questo metodo il vincolo è

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-234

Linee Dati del Processore $INPUT

invece imposto sul valore di spostamento di uno specifico grado di libertà della struttura. In altre parole, i sottostep di carico sono convertiti in sottostep di spostamento di uno dei gradi di libertà, così come, nel metodo Spherical Arc Length i sottostep sono rappresentati da sfere di raggio determinato, costante entro il sottostep, ma in genere diverso nei diversi sottostep. Per utilizzare questo metodo occorre perciò definire il grado di libertà che si desidera utilizzare. Esso è identificato dal valore KCTRL=10N+n, in cui N rappresenta il numero di nodo e n il grado di libertà, che deve essere compreso tra 1 e 6. Ad esempio, volendo utilizzare lo spostamento Y del nodo n.236 il valore da assegnare sarà KCTRL=2362. In genere il grado di libertà coinciderà con quello del punto di controllo (v. linea C6), ma non obbligatoriamente. E’ però richiesto che esso sia un grado di libertà attivo, privo di qualunque vincolo. Esso deve essere dotato di equazione e non può essere un grado di libertà slave.

l) I metodi path-following attivabili assegnando KCTRL>0, all’inizio di ogni sottostep devono definire una superficie di intersezione che sarà mantenuta costante per tutto il sottostep. All’inizio di ogni sottostep deve inoltre essere stabilito un verso di percorrenza, come spiegato in una nota successiva. La superficie intersecante può essere un piano la cui orientazione è determinata dal metodo scelto, ma con posizione assegnata. Analogamente, nel caso Arc-Length, la superficie ha il suo centro sul punto finale del precedente substep, ma il raggio deve essere assegnato. Nel metodo loadcontrol il vincolo, cioè l’ampiezza di substep, è un fattore di carico puro. Viceversa, nel metodo displacement-control esso è un fattore di spostamento puro. Nei metodi pathfollowing in genere, esso è il modulo di un vettore con componenti miste. Per evitare che l’utente debba introdurre tale vincolo nella forma utilizzata dal programma, e tenendo conto che all’inizio dello step path-following il vincolo è comunque caratterizzato da una componente preponderante di carico, il Microsap richiede solo la definizione di ampiezze basate su fattori di carico. All’inizio di ogni sottostep il programma effettua automaticamente le opportune conversioni.

m)KCONT seleziona il criterio di continuazione dello step di carico. Per default lo step corrente termina al raggiungimento del fattore di carico λ=+1, ovvero quando tutto il carico specificato alla linea C1 è stato introdotto come valore e segno. Assegnando KCONT≠0 è però possibile continuare il substep corrente oltre il suo limite naturale. Anzi, i metodi path-following hanno come principale obiettivo quello di continuare l’analisi oltre i punti limite e per questo sono anche chiamati “metodi di continuazione”. Tuttavia, un metodo path-following può essere efficacemente utilizzato in sostituzione del metodo load-control senza necessariamente percorrere tutta la curva caricospostamento e arrestando l’analisi al raggiungimento della prima condizione di instabilità. Indipendentemente dal criterio prescelto con KCONT, l’analisi può essere terminata a causa del raggiungimento delle condizioni di spostamento/rotazione imposte su un punto di controllo (v. linea C6). Occorre tener presente che il criterio KCONT è testato al termine di ogni substep, e quindi dopo il calcolo di ciascuna soluzione sicuramente convergente. Con esso viene imposto il limite di conclusione

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-235

Linee Dati del Processore $INPUT

dello step o eventualmente una deroga per spostare tale limite al verificarsi di una determinata condizione. Si noti che l’attuale release passa automaticamente alla soluzione dell’eventuale step successivo solo se KCTRL=0 e KCONT=0, nell’ipotesi che sia stato possibile introdurre tutto il carico dello step, ovvero che si sia raggiunto esattamente il fattore λ=+1. KCONT può assumere i seguenti valori. •

KCONT=0.

Continua lo step fino al fattore di carico λ=+1. Nell’uso della tecnica load-control (KCTRL=0) il raggiungimento del fattore di carico unitario costituisce il limite naturale dello step. In altre parole, lo step termina quando sulla struttura è stato introdotto tutto il carico dichiarato con la linea C1. Inoltre, l’ultimo substep può essere ridotto ad un’ampiezza tale per cui il suo fattore di carico corrisponda proprio a λ=+1. In genere con la tecnica load-control l’entità finale del carico dello step stabilita con la linea C1 corrisponde ad un livello che la struttura dovrebbe essere capace di sopportare mentre, in caso contrario, essa non è neppure idonea. Quindi, di norma nel caso del load-control, il carico finale dello step è un dato di progetto conosciuto. Viceversa, con la tecnica path-following (KCTRL>0) λ può assumere qualunque valore non prevedibile a priori, e dipendente dall’avanzamento della soluzione sulla curva caratteristica caricospostamento. In genere l’uso della modalità path-following è quasi una scelta naturale quando si desidera verificare le capacità di resistenza della struttura ad un carico di cui si conosce la forma ma non l’entità finale che provoca la crisi della struttura. In questo caso un risultato del calcolo è proprio il valore finale del moltiplicatore λ e con le linee C1 è imposto semplicemente un carico di riferimento, generalmente inferiore al carico ultimo. Comunque, data l’ottima velocità di convergenza dei metodi path-following, essi possono essere impiegati efficacemente anche per trovare soluzioni corrispondenti all’esatto livello di carico (in valore e segno) assegnato nella linea C1. In tal caso comunque KCONT=0 terminerà lo step e l’intera analisi al substep che raggiunge (e supera) il fattore di carico λ=+1. Si noti che la curva caricospostamento potrebbe non avere intersezioni in corrispondenza del valore λ=+1, o in altre parole, il carico della linea C1 essere superiore al livello massimo della curva caratteristica. In tal caso l’analisi terminerà per altre cause (v. ad esempio la linea C6).



KCONT=1

Microsap Rel.12.0

Continua lo step corrente indefinitamente senza porre alcun limite al fattore di carico. Se KCTRL=0 (load-control) la soluzione dello step è estesa oltre il valore λ=+1 nello stesso verso implicitamente stabilito dai carichi assegnati ad inizio e fine step. Se KCTRL>0 (path-following) la curva carico-spostamento sarà percorsa nello stesso verso appena visto, senza alcun test sul valore assunto da λ durante il percorso. E’ chiaro che l’uso di KCONT=1 è generalmente accompagnato dall’attivazione di un secondo criterio

Manuale d’Uso

V-236

Linee Dati del Processore $INPUT

basato sullo spostamento di un punto di controllo (v. linea C6) o su un limite massimo di iterazioni totali (parametro NCUM). •

KCONT=2

Continua lo step corrente fino al raggiungimento della prima condizione di instabilità. L’uso dell’algoritmo di fattorizzazione LDLt (KSOLV=2) permette di stabilire il numero di autovalori negativi, nulli e positivi della matrice fattorizzata (inerzia della matrice), senza risolvere effettivamente il problema ad autovalori. Questa caratteristica è sfruttata in analisi modale (K riceve il contributo della matrice di massa M) ma può essere impiegata anche in analisi statica nonlineare. K può infatti ricevere il contributo della matrice di rigidezza geometrica dovuta agli effetti P-∆ di secondo ordine. Oppure può anche sviluppare instabilità per la presenza di pendenze negative (modulo tangente) nelle curve caratteristiche dei materiali. Se KCONT=2 lo step è continuato come nel caso visto per KCONT=1, ma l’intera analisi è terminata se la struttura nel substep appena concluso ha attraversato una situazione di instabilità. L’esecuzione termina col flag KSTOP=5. Si noti che con l’algoritmo di fattorizzazione LLt (KSOLV=1) la situazione di instabilità è interpretata come una difficoltà di convergenza (v. parametri KDIVE,KATTP,NEQIT). Nota 1. Se è usato KALGO=0 o 2, la matrice è generalmente ricalcolata solo all’inizio del substep. In tal caso, se il punto critico B viene superato nel corso del substep corrente, la rilevazione effettiva della condizione di instabilità può avvenire solo al substep successivo, con la prossima fattorizzazione. Nota 2. Se è consentita una ampiezza di substep elevata, può accadere che le soluzioni sul ramo instabile BC o BCDE siano saltate. In tal caso il superamento del punto critico B non può essere rilevato.



KCONT=3



KCONT=4÷30 Se lo step è di tipo load-control, equivale a KCONT=1. Se lo step è di tipo path-following, l’esecuzione prosegue fino al raggiungimento del Parametro di Rigidezza assegnato in percentuale, assumendo

Microsap Rel.12.0

Se lo step è di tipo load-control, equivale a KCONT=1. Se lo step è di tipo path-following, l’esecuzione prosegue fino a quando non è raggiunta una situazione di instabilità o imminente singolarità della matrice di rigidezza. Il calcolo si arresta se durante un’iterazione è rilevato un autovalore negativo (inerzia negativa) o se il Parametro di Rigidezza è inferiore a 0.01. L’esecuzione termina col flag KSTOP=9. Questa opzione si differenzia da quella precedente e da quella seguente in quanto l’interruzione del calcolo avviene immediatamente in corrispondenza di una matrice indefinita o prossima alla singolarità. L’ultimo substep calcolato (ultima soluzione convergente) è precedente e non successivo alla condizione di singolarità.

Manuale d’Uso

V-237

Linee Dati del Processore $INPUT

come 100 il valore rappresentativo della condizione di linearità. Se l’analisi termina per questa condizione, è restituito il flag KSTOP=7. Ad esempio, assegnando KCONT=20 l’analisi ha termine alla conclusione del substep che possiede un Parametro di Rigidezza inferiore o pari a 0.20. •

KCONT0 il calcolo proseguirà col prossimo step definito, anziché arrestarsi. I casi KSTOP=2,3,9 rappresentano delle condizioni di non convergenza o comunque che si verificano in una soluzione non convergente e quindi non valida. Se KSSTOP=2 il substep è abbandonato e verrà tentata una ulteriore soluzione sul substep successivo, con un ulteriore incremento di carico. Infine, i casi KSTOP=4,6 sono dovuti ad una richiesta esplicita dell’utente ad interrompere il calcolo in ogni caso. Anche se il substep corrente potrebbe non essere arrivato a convergenza, verrà conservata l’ultima soluzione convergente trovata. L’uso di KSSTOP=2 potrebbe non funzionare correttamente nella release Beta, ed è comunque sconsigliato.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-243

Linee Dati del Processore $INPUT

C3. Parametri Reali di Controllo della Soluzione NonLineare Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

R

TIME – Tempo alla fine dello step corrente

2

R

DLAMB – Incremento nominale del fattore di carico tra i substep

3

R

DLMIN – Minimo incremento di fattore di carico

4

R

DLMAX – Massimo incremento di fattore di carico

5

R

DQF – Fattore di riduzione di carico

6

R

EPSE – Criterio di convergenza energia

7

R

OUTFRQ – Frequenza output risultati

NOTE:

a) Tutti i parametri della linea dati C3, ad eccezione di EPSE devono essere assegnati con valore maggiore o uguale a zero. TIME è il valore del tempo alla fine dello step corrente. Come la maggior parte dei codici FEM, il Microsap usa il tempo come indice dello stato di avanzamento dell’analisi, indipendentemente dal fatto che esistano realmente proprietà o carichi variabili col tempo. Questo evita di introdurre diversi contatori per i diversi tipi di problemi. Ovviamente, nell’analisi di transitori dinamici o in analisi statiche in cui le caratteristiche variano col tempo (creep, viscoplasticità) al parametro TIME deve essere assegnato il suo effettivo valore. Negli altri casi il valore TIME è arbitrario ma sempre crescente monotonamente nei successivi step di carico. All’inizio dell’analisi è sempre TIME=0.0. Se non espressamente assegnato, quando il campo n.1 è lasciato nullo, per default TIME viene posto uguale al numero di step corrente. Ad esempio, il primo step avrà TIME=1.0, il secondo step TIME=2.0, e così via.

b) DLAMB è l’incremento nominale del fattore di carico tra i substep intermedi e anche l’incremento di fattore di carico del primo substep. Il suo valore deve essere maggiore di zero e minore o uguale a 1. Se lasciato nullo, è assunto per default il valore di 0.1: ciò significa che il nuovo carico è introdotto per incrementi pari a 1/10 dell’intero carico, ovvero lo step viene inizialmente suddiviso in 10 sottostep. Assegnare DLAMB=1.0 significa tentare la soluzione in un solo substep. Questa possibilità è sfruttata quando, in un calcolo nonlineare ci si attende che nello step corrente la struttura abbia una risposta lineare. Ad esempio, in un calcolo pushover nel primo step sono di norma Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-244

Linee Dati del Processore $INPUT

presenti i soli carichi di esercizio che la struttura deve sopportare rimanendo in campo lineare. La soluzione sarà ottenuta in due sole iterazioni e una sola fattorizzazione. La seconda iterazione non è altro che il calcolo degli sforzi e del check di equilibrio tra forze interne ed esterne. In caso contrario la struttura non è corretta o presenta comunque un comportamento nonlineare fin dall’inizio, magari per la presenza di materiali resistenti a sola trazione o compressione o per la presenza di problemi di contatto. Nei metodi path-following DLAMB è utilizzato nella prima iterazione di ogni nuovo substep, ma le iterazioni successive nello stesso substep modificano automaticamente il valore iniziale.

c) DLMIN è il minimo incremento di fattore di carico tra i substep. Come detto alla nota precedente, DLAMB è l’intervallo di carico standard tra i substep che l’utente assegna per lo step corrente, e 1/DLAMB è il numero di substep intermedi in cui lo step è suddiviso. La sua ampiezza dipende dalle caratteristiche nonlineari dello step che non sono note a priori. La strategia di soluzione nonlineare dei diversi step deve spesso essere messa a punto per gradi ed il problema nonlineare è risolto in maniera ottimale solo se si conosce la soluzione finale e la graduale risposta della struttura alle vicende di carico cui è sottoposta. Al fine di aiutare l’utente nel calcolo della soluzione, possono essere previsti degli automatismi che consentono di correggere, durante il calcolo, i parametri inizialmente previsti dall’utente. Una eventualità è quella di poter diminuire gradualmente l’ampiezza nominale DLAMB del substep in presenza di nonlinearità che conducano a difficoltà di convergenza. Viceversa, aumentare gradualmente l’ampiezza nominale nei tratti in cui la risposta della struttura si discosta poco dalla linearità. Nella release corrente, se il substep non è risolto entro NEQIT iterazioni di equilibrio o in caso di difficoltà di convergenza, sono effettuati fino a KATTP restart del substep con valori via via decrescenti dell’intervallo, ad iniziare col valore standard DLAMB. In caso di insuccesso l’ampiezza dell’intervallo precedente è assunta pari al valore minimo DLMIN, oppure ridotta gradualmente fino al valore minimo DLMIN, raggiunto il quale l’analisi viene arrestata. Se DLMIN è lasciato nullo, è assunto DLMIN=0.1DLAMB. Si noti che spesso per oltrepassare un massimo della curva forze spostamenti in presenza di una forte curvatura è necessario abilitare un valore DLMIN molto piccolo. Analogamente, se si desidera trovare qualche punto soluzione su un ramo quasi orizzontale della curva (comportamento perfettamente plastico o duttile) occorre assegnare a DLMIN un valore piccolo, in quanto su tale ramo le variazioni di λ sono quasi nulle.

d) DLMAX è viceversa il valore di ampiezza massima del substep. Assegnare DLMAX significa permettere al programma di gestire automaticamente l’ampiezza dei substep successivi al primo sulla base dell’andamento nonlineare della soluzione. Se DLMAX è lasciato nullo non è attivata alcuna funzione di accelerazione o decelerazione della soluzione e i substep tendono a conservare l’ampiezza nominale iniziale DLAMB. In caso contrario, se DLMAX>0., il programma aumenterà (o diminuirà) l’ampiezza del substep corrente sulla base della velocità di convergenza del substep precedente, entro i limiti DLMIN e DLMAX imposti. Come ordine di grandezza, DLMAX potrebbe essere assegnato pari a quattro volte il valore nominale DLAMB. Si noti che la riduzione di

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-245

Linee Dati del Processore $INPUT

ampiezza del substep ottenuta con questa funzione è diversa da quella attivata nel caso di non convergenza del substep, e regolata dal parametro DQF.

e) Nella procedura load-control la variabile tempo e il fattore di carico procedono proporzionalmente. Il fattore di carico è sempre 0.0 all’inizio dello step e pari a 1.0 a fine step, cui corrisponde l’applicazione dell’intero carico dello step. Se lo step è esteso oltre il suo limite naturale per fattori di carico λ>1.0 (v. linea C6), la variabile tempo non è però estesa oltre il tempo finale dello step, ma mantiene questo valore. Nei metodi pathfollowing ogni soluzione è invece contrassegnata da un tempo costante pari al tempo all’inizio dello step e dal fattore di carico. Nelle analisi statiche nonlineari la variabile tempo può essere ignorata e ogni soluzione è univocamente individuata dal suo numero di step e dal fattore di carico.

f) Come detto alla nota c), il programma prevede la possibilità di effettuare più tentativi di soluzione del sottostep riducendo gradualmente l’intervallo e quindi introducendo il carico più lentamente in quantità DQF gradualmente decrescenti ad ogni tentativo. DQF non può essere superiore a 0.75. Nel caso particolare in cui DQF=0.50 (valore consigliato), ad ogni tentativo fallito il substep è bisecato e l’ampiezza è dimezzata. Se a DQF è assegnato un valore tale che l’ampiezza del substep risulta inferiore a DLMIN, è assunto comunque questo valore. Quindi, lasciando il valore nullo di default al primo tentativo fallito corrisponde un solo ulteriore tentativo con ampiezza di substep pari a DLMIN. E’ importante notare che i tentativi successivi sono effettuati solo se |KATTP|>1 (v. linea C2). Una volta ottenuta la convergenza il prossimo substep inizia di norma con l’ampiezza nominale DLAMB. Tuttavia, se nel substep precedente vi sono stati tentativi con ampiezze ridotte sarebbe perso l’allineamento per passi costanti DLAMB. In questo caso il programma riallinea il prossimo substep alla prima suddivisione nominale, adottando un valore generalmente inferiore a DLAMB. Tale funzione di riallineamento è disponibile solo se DLMAX=0., cioè se non è attivata l’opzione di gestione automatica dell’ampiezza del substep, che permette di accelerare o decelerare la soluzione.

g) I parametri DLAMB, DLMIN, DLMAX, DQF sono strettamente legati ai parametri NEQIT, KDIVE, KATTP, KCTRL della precedente linea C2. La presente nota ha lo scopo di chiarire il collegamento tra questi parametri, mentre alle note precedenti si sono esaminate principalmente le caratteristiche di ognuno di essi. Anzitutto occorre precisare che, perché la soluzione nonlineare converga, il substep deve essere sufficientemente piccolo. La previsione iniziale (Predictor) deve essere relativamente vicina alla soluzione reale perché le iterazioni di correzione (Corrector) possano effettivamente affinare il valore iniziale. Spesso comunque passi eccessivamente piccoli possono solo allungare i tempi di calcolo e talvolta un passo più lungo può permettere di scavalcare un punto di singolarità. Altre volte viceversa, un passo più corto può permettere di circumnavigare attorno ad un punto critico e superarlo, quando il percorso presenta una curvatura accentuata. Il programma ha due principali meccanismi di controllo dell’ampiezza del substep. Il primo è quello che prevede l’ampiezza del substep successivo sulla base dell’ampiezza del substep precedente e del numero di iterazioni che sono state necessarie per ottenere la

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-246

Linee Dati del Processore $INPUT

convergenza. Il secondo è quello che modifica l’ampiezza del substep corrente nel caso di episodi di divergenza o di convergenza eccessivamente lenta. Anche se i due meccanismi interagiscono, è utile esaminare separatamente i due casi. Adaptive Loading. Questo meccanismo è utilizzato in gran parte dei codici di calcolo nonlineari ed è identificato anche come Automatic Time Stepping. Nel Microsap questa funzione è controllata dal parametro DLMAX. Se DLMAX=0 il controllo automatico della ampiezza dello step non è attivato. In questo caso ogni substep inizia sempre con l’ampiezza nominale DLAMB. Tuttavia, durante le iterazioni di equilibrio esiste sempre la possibilità di diminuire tale valore fino a DLMIN attraverso il secondo meccanismo di controllo, ma non esiste la possibilità inversa di aumentare l’ampiezza oltre DLAMB. Viceversa, se a DLMAX è assegnato un valore, maggiore di DLMIN, l’ampiezza dei substep successivi al primo sarà determinata in modo automatico. In questo caso DLAMB ha scarso impatto sulla soluzione in quanto il suo valore è utilizzato solamente come ampiezza del primo substep, quando la soluzione è presumibilmente ancora lineare. D’altra parte, se è utilizzato un metodo path-following per coprire con un solo step l’intera storia nonlineare, magari oltre la fase di collasso iniziale, è consigliabile in genere attivare il calcolo automatico delle ampiezze di substep. Nell’attuale release il calcolo automatico dell’ampiezza del substep i+1 successivo avviene con la seguente logica.

δλip+1 = 2.5

δλip i

δλip+1 = Max (δλip+1 , δλmin p )

δλip+1 = Min (δλip+1 , δλmax p )

I δλ è l’ampiezza iniziale (Predictor) utilizzata nel substep appena risolto e I i il numero i p

di iterazioni impiegate (valori riferiti all’ultimo ciclo iterativo eseguito, cioè all’ultimo i tentativo andato a buon fine). Se il valore δλip è inferiore a δλmin p =DLMIN o se δλ p è superiore a δλmax p =DLMAX, sono utilizzati i valori limite DLMIN o DLMAX. Se il substep precedente è stato risolto in meno di sette iterazioni l’ampiezza è aumentata (fino a 2.5 volte nel caso di una sola iterazione). Viceversa, essa è diminuita (fino a 1.8 volte nel caso di 20 iterazioni). Si noti che nel numero di iterazioni sono compresi anche tutti gli episodi di divergenza. Automatic Restart. Una volta stabilita l’ampiezza del substep come visto sopra, il programma esegue la prima iterazione introducendo il nuovo incremento di carico e corregge la soluzione nelle successive iterazioni, distribuendo l’eventuale sbilancio di forza. Nei casi più fortunati la soluzione sarà raggiunta in modo uniforme e graduale in un numero di iterazioni inferiore a NEQIT. Spesso invece il cammino sarà meno uniforme in quanto, pur tendendo globalmente a convergere, vi potrebbero essere delle oscillazioni locali, ovvero degli episodi sporadici di divergenza tra iterazioni convergenti. Nei casi meno fortunati la soluzione può presentare episodi consecutivi di divergenza. In tale situazione, può essere inutile esaurire il ciclo delle NEQIT iterazioni prima di prendere provvedimenti. Questo secondo meccanismo permette quindi la ripetizione del calcolo del substep utilizzando un’ampiezza ridotta. Questa funzione coinvolge i parametri NEQIT, KDIVE, KATTP, DLMIN, DQF. KDIVE limita il numero di divergenze consecutive. Se KDIVE=1 è ammesso un solo episodio di divergenza e il substep è abbandonato se si verificano due divergenze consecutive. In tal caso, ad un valore KDIVE piccolo dovrebbe essere associato un valore KATTP elevato. La riduzione di ampiezza di substep avviene in base al parametro DQF. Se DQF=0, il substep è

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-247

Linee Dati del Processore $INPUT

immediatamente ridotto al suo valore minimo DLMIN e i tentativi eseguiti sono sempre due, anche se a KATTP è assegnato un valore maggiore. Viceversa, se DQF>0 il valore δλp del primo ciclo iterativo (calcolato come descritto sopra – v. Adaptive Loading) sarà ridotto del fattore DQF ad ogni nuovo tentativo, fino a che è raggiunto il limite KATTP di tentativi o il minimo incremento DLMIN. Si deve notare che se KATTP è assegnato negativo (v. linea C2), il programma anziché ridurre l’intero incremento del tentativo precedente ponendo δλpn=δλpo⋅DQF, riduce solamente la quota superiore a DLMIN ed utilizza un nuovo valore δλpn=DLMIN+(δλpo-DLMIN)⋅DQF. h) Il programma consente di attivare contemporaneamente o separatamente 5 diversi criteri di convergenza basati sul disequilibrio di: Energia di Deformazione, Forze, Momenti, Spostamenti, Rotazioni. Infine, esiste un sesto criterio di convergenza basato sullo spostamento di un Punto di Controllo, che però ha un utilizzo particolare sul controllo dell’arresto dell’intera analisi e non sulla convergenza e conclusione del substep. Ovviamente l’attivazione di più criteri impone condizioni più restrittive in quanto i substep saranno considerati convergenti solo se tutti i criteri attivi sono soddisfatti. A seconda delle caratteristiche nonlineari, per step diversi possono essere definiti criteri diversi. Anche in questo caso, l’assegnazione di più di un criterio può portare all’impossibilità di ottenere la soluzione. E’ cioè preferibile utilizzare un solo criterio mirato alla specifica nonlinearità dello step piuttosto che imporre più condizioni di cui alcune possono essere irrealizzabili ed altre implicitamente soddisfatte. Nei casi comuni i due criteri basati sull’equilibrio delle Forze e dei Momenti possono essere sufficienti. Altri criteri possono essere aggiunti per affinare la soluzione in casi particolari (ad esempio, lo studio del comportamento nell’intorno di un punto di instabilità o la continuazione post-buckling in una struttura che attraversa più configurazioni di equilibrio).

i) EPSE attiva il primo criterio di convergenza, basato sull’energia di deformazione accumulata nell’iterazione, in pratica sul prodotto forza per spostamento Fi(u)du. Se il valore assoluto (norma energia) è inferiore o uguale alla tolleranza EPSE il substep è considerato convergente. Questo criterio è inserito in questa linea dati in quanto di più semplice definizione. Generalmente, per ragioni di rappresentazione grafica il diagramma nonlineare forza-spostamento è riferito ad un solo grado di libertà. In effetti la norma è il prodotto scalare tra il vettore delle forze e quello degli spostamenti. Il criterio sull’energia costituisce una misura uniforme di convergenza, abbinato solitamente ai criteri specifici sulle forze o sugli spostamenti (v. linee C4 e C5). Nelle zone in cui Fi(u) è quasi orizzontale, ad un piccolo intervallo di carico corrisponde un ampio intervallo di spostamenti e la convergenza basata solo sugli spostamenti è problematica da raggiungere. Viceversa, nelle zone in cui Fi(u) è quasi verticale il criterio di convergenza basato sulle forze può rendere difficoltosa la soluzione. Per attivare il criterio di convergenza sull’energia EPSE deve essere assegnato diverso da zero. Se EPSE=0 il criterio non è applicato ma la norma sull’energia è sempre calcolata. Se EPSE>0 è applicato un criterio assoluto per cui, la norma dell’energia vista sopra è direttamente confrontata con il valore EPSE assegnato. Viceversa, se EPSE0). Nei metodi path-following la regolarità dell’intervallo con cui si susseguono i salvataggi non può essere mantenuta ed è consigliabile assegnare esplicitamente OUTFRQ, in quanto l’output del solo ultimo substep potrebbe essere di scarso interesse. Ovviamente in .RST è conservata la tabella che associa ad ogni soluzione il numero di step, substep, iterazione cumulativa e fattore di carico corrispondenti. Spesso è sufficiente conservare la sola soluzione di fine step, poiché i risultati parziali di ogni substep sono conservati sul file .MNT di monitoraggio della soluzione nonlineare. OUTFRQ può anche essere assegnato di valore negativo: in tal caso l’intervallo di stampa è interpretato come intervallo tra successivi substep cumulativi. Ad esempio, se OUTFRQ=-3 sono conservate le soluzioni convergenti n.3,6,9,12… Questo metodo tuttavia tenderà a conservare un numero elevato di soluzioni nei tratti a λ costante, dove potrebbero essere poco significative: il metodo precedente è da preferire.

k) Nel caso in cui OUTFRQ=0 e siano stati effettivamente eseguiti tutti gli step, il numero di soluzioni in .RST coinciderà con il numero di step NSTP specificato al campo n.3 della linea B di $INPUT. In caso contrario esisteranno anche delle soluzioni intermedie in numero non definibile a priori. Il programma pone un limite di 1000 alle soluzioni intermedie, per cui il numero di soluzioni totali in .RST non può essere superiore a 1000+NSTP. I risultati delle eventuali ulteriori soluzioni saranno persi. I risultati parziali di tutte le soluzioni, senza alcun limite, sono comunque conservati in .MNT.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-249

Linee Dati del Processore $INPUT

C4. Criteri di Convergenza sui Carichi (Forze e Momenti) Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

KCRITF – Abilitazione criteri sui carichi

2

I

NORMF – Tipo norma

3

R

EPSF – Tolleranza norma forze

4

R

EPSM – Tolleranza norma momenti

5

R

REFMNF – Valore minimo di riferimento forze

6

R

REFMNM – Valore minimo di riferimento momenti

NOTE: a) Questa linea abilita il criterio di tolleranza sulla differenza ∆F tra le forze esterne Fe applicate alla struttura e le forze interne Fi indotte negli elementi. Ad equilibrio raggiunto le forze esterne sono esattamente bilanciate dalle forze interne a meno di una prefissata tolleranza. In generale Fe è il contributo dei carichi nodali e dei carichi di elemento assegnati, già assemblati ai nodi e riferiti al sistema di riferimento globale. Le forze interne sono calcolate a livello di elemento come qualunque altro risultato di sforzo o deformazione una volta noti gli spostamenti. Anche le forze interne sono convertite dal sistema locale a quello globale e assemblate nodo per nodo per ottenere Fi. ∆F è quindi a tutti gli effetti un vettore di carichi nodali. Poiché la struttura possiede in genere più di un grado di libertà attivo, si rende necessario il calcolo di un unico valore scalare (norma), a partire dal vettore ∆F. In effetti è opportuno suddividere tale vettore di carico nella componente Forza e nella componente Momento, ricavare separatamente le due norme e confrontarle con i due valori di tolleranza richiesti.

b) KCRITF abilita o disabilita i criteri su forze e/o momenti nel seguente modo. • • • • • •

KCRITF = 0 KCRITF = 1 KCRITF = 2 KCRITF = 3 KCRITF = 4 KCRITF = -1

Microsap Rel.12.0

Default. E’ abilitato sia il criterio sulle forze che quello sui momenti. E’ abilitato solo il criterio sulle forze. E’ abilitato solo il criterio sui momenti. E’ abilitato sia il criterio delle forze che quello sui momenti. Tutte le componenti, senza distinzione tra forze e momenti. I criteri sui carichi (forze e momenti) sono disabilitati.

Manuale d’Uso

V-250

Linee Dati del Processore $INPUT

KCRITF=4 è trattato come KCRITF=3, ma tutte le sei componenti sono considerate in modo indistinto. Il sistema di equazioni nonlineare è risolto in modo generale, applicando un criterio di convergenza che prescinde dal significato fisico delle diverse componenti del vettore dei termini noti a secondo membro. La norma delle forze e quella dei momenti hanno lo stesso valore, che coincide con la norma generica di tutte le componenti indistinte di carico. Quando è applicato KCRITF=4 i valori di tolleranza EPSF e EPSM e i valori minimi REFMNF e REFMNM coincidono. Il programma considera solamente i valori assegnati con EPSF e REFMNF, mentre i campi n.4 e n.6 sono ignorati.

c) NORMF seleziona il tipo di norma, tra le seguenti scelte. • NORMF = 0 • NORMF = 1

Default. E’ selezionata la norma L2 (v. NORMF=2). E’ selezionata la norma L1, ovvero la sommatoria dei valori assoluti delle componenti: R = ∑ Ri .

• NORMF = 2

E’ selezionata la norma L2 (euclidea), ovvero la radice quadrata della somma dei quadrati delle componenti: R = (∑ Ri2 )2 . 1

• NORMF = 3

E’ selezionata la norma L∞ (infinita), cioè il valore assoluto massimo delle componenti: R = max Ri .

• NORMF = 4

E’ calcolata la somma delle forze Fx,Fy,Fz per ciascuna direzione X,Y,Z ed è trovato il valore della risultante: R = (Fx2 + Fy2 + Fz2 )2 . 1

d) EPSF è la tolleranza sulla norma delle forze. Il criterio di convergenza è ritenuto soddisfatto se: R F ≤εF R F

dove R F è la norma attuale calcolata come detto alla nota c), ε F è la tolleranza EPSF e R

F

è la norma di un valore di riferimento. Ad esempio, assegnando ε F = 0.001 si

assume che la convergenza sia raggiunta quando la norma calcolata è 1/1000 del valore di riferimento. Gioca quindi un ruolo importante stabilire per ogni norma un valore di riferimento adeguato. Sono disponibili le seguenti opzioni: • EPSF = 0

E’ posto ε F = 0.001 e il valore di riferimento

R

F

è calcolato

automaticamente (v. nota f) ad ogni substep. Esempio: si fa l’ipotesi che la struttura possieda un solo grado di libertà su cui è applicata nel substep n.1 una forza di 1000N e che nel substep n.2 la stessa forza raggiunga i 2000N. Supponendo di utilizzare il valore di default EPSF=0, nel primo substep R = 1000 e nel secondo substep F

R

F

= 2000 , per cui il primo substep sarà ritenuto convergente quando

R F ≤ 1 .0

ed il secondo substep quando R F ≤ 2.0 , ovvero i risultati

saranno approssimati all’intorno di 1N nel primo substep e di 2N nel Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-251

Linee Dati del Processore $INPUT

secondo substep. Se tuttavia la curva forze-spostamenti è quasi orizzontale nel secondo substep, il termine del calcolo a 1998N piuttosto che a 2002N darà origine a spostamenti finali notevolmente diversi. In questa condizione è comunque difficile ottenere una soluzione convergente. • EPSF>0

In questo caso è posto

ε F = EPSF e

R

F

= 1.0 , cioè EPSF è già il

valore di confronto della norma calcolata. Nel precedente esempio, ponendo EPSF=1.0, i risultati saranno calcolati con una precisione pari a 1N sul disequilibrio delle forze sia nel primo substep che nel secondo. Nei metodi path-following il fattore di carico può variare notevolmente durante l’analisi ed eventualmente può anche annullarsi o cambiare di segno. L’utilizzo di un valore di riferimento costante può quindi essere troppo permissivo per λ elevati e troppo restrittivo per piccoli valori di λ, tanto da rendere difficoltosa o impossibile la convergenza. • EPSF-1, altrimenti il criterio risulterà sempre soddisfatto.

e) EPSM è la tolleranza sulla norma dei momenti. Il criterio è trattato in modo del tutto simile a quello delle forze (v. nota precedente). Se KCRITF=4 EPSM non è usato (v. nota b).

f) All’inizio di ogni substep j il programma calcola il valore di riferimento della forza esterna applicata R j = R j −1 + ∆λ j −1 (Fi − Fi −1 ) + r j . R j −1 è il valore di riferimento calcolato al f

f

termine del substep precedente ed è nullo all’inizio di ogni step che parte da struttura scarica. ∆λ j −1 è la differenza tra i fattori di carico finale e iniziale del substep precedente ed è nullo all’inizio di ogni nuovo step. Fi e Fi −1 sono i vettori delle forze esterne relativi allo step corrente e precedente. Si deve notare che nel caso di path-following Fi è il valore di riferimento assegnato e potrebbe non coincidere con il valore che sarà raggiunto a fine step, che in genere non è noto. Fi −1 è nullo all’inizio degli step che partono dalla condizione di struttura scarica. Il vettore r j contiene le forze sbilanciate all’inizio del substep, cioè la differenza tra forze esterne e interne. L’espressione di R j potrebbe apparire ridondante, ma occorre considerare che nel caso più generale le forze esterne contengono non solo carichi nodali ma anche carichi di elemento e che questi ultimi possono variare la loro direzione in quanto, se attivata l’opzione grandi spostamenti, essi seguono la deformazione della struttura. Inoltre si deve considerare che alcuni tipi di carico risultano assegnati indirettamente come forze interne iniziali e

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-252

Linee Dati del Processore $INPUT

compaiono quindi nel vettore r j . Ad esempio, la struttura può essere soggetta solo ad un campo termico, con forze esterne nulle, per cui il valore di riferimento R j deve coincidere con le forze interne sbilanciate r j , che a fine step saranno compensate dalle reazioni vincolari. Il programma conserva solamente la quantità scalare ∆λ j −1 e il f

vettore R j −1 : la differenza vettoriale al secondo addendo e il terzo addendo sono invece naturalmente presenti in quanto sono proprio i due membri destri del sistema di equazioni risolto nel calcolo nonlineare. Il calcolo del vettore R j è effettuato solo due volte durante la soluzione del substep: alla prima iterazione (inizio substep) e all’ultima iterazione (convergenza). Il calcolo alla prima iterazione costituirà il valore di riferimento che sarà utilizzato in tutte le iterazioni di equilibrio e con cui sarà calcolato il criterio; il calcolo a convergenza permette invece di ottenere il vettore che nel successivo substep f

costituirà il termine R j −1 . Nel calcolo a fine substep il vettore dele forze sbilanciate r j sarà circa nullo (a meno della tolleranza imposta). Ottenuto il vettore di riferimento R j all’inizio del substep, e semplicemente separando le diverse componenti, sono infine calcolate le norme di forza e momento di riferimento R e R e da questi (v. nota d) i valori dei criteri. Si noti che durante il calcolo F

M

nonlineare pur non essendovi alcun momento applicato nasceranno in genere momenti nodali sbilanciati che devono essere ridistribuiti nella struttura fino a che non è ripristinata la condizione di equilibrio. Viceversa nel caso delle forze. Quindi, in generale, i criteri di forza e momento devono essere attivati entrambi. Poichè R j è comprensivo delle forze sbilanciate r j , esso è in genere non nullo ma potrebbe accadere che durante un eventuale scarico, la struttura attraversi una situazione in cui non vi siano forze o momenti applicati e che le norme di riferimento R o R siano nulle. In questi casi il programma calcola comunque dei valori di F

M

riferimento basati sulla norma dei momenti R forze R

F

M

(se R è nullo) e sulla norma delle F

(se R è nullo) e su un braccio b* di riferimento pari al massimo ingombro M

del modello: R

=

R

M *

R

b Se dopo tale operazione dovesse ancora essere R F

comunque trasformati in R

F

=1 o R

M

= R b*

M

F

F

=0 o R

M

= 0 , essi vengono

= 1 . L’utente dovrebbe verificare che tali valori

siano appropriati per il problema ed eventualmente assegnare REFMNF e/o REFMNM.

g) Il campo n.5 consente di fissare un valore minimo REFMNF per il termine di riferimento R . Se il campo n.5 è lasciato o assegnato nullo, è assunto il valore calcolato F

automaticamente secondo la nota f), altrimenti se REFMNF>0 e se tale valore risulta

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-253

Linee Dati del Processore $INPUT

superiore a quello calcolato, è assunto R

F

= REFMNF . Le stesse considerazioni si

applicano per il parametro REFMNM per i momenti. Se KCRITF=4 REFMNM non è usato (v. nota b). Caso Particolare. Se REFMNF0

In questo caso è posto ε U = EPSU e

R

U

= 1.0 , cioè EPSU è già il

valore di confronto della norma calcolata. Nel precedente esempio, ponendo EPSU=0.001 i risultati saranno calcolati con una precisione pari a 0.001mm sugli spostamenti.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-256

Linee Dati del Processore $INPUT

• EPSU-1, altrimenti il criterio risulterà in genere sempre soddisfatto.

e) EPSR è la tolleranza sulla norma delle rotazioni. Il criterio è trattato in modo del tutto simile a quello sulle traslazioni (v. nota precedente). Se KCRITU=4 EPSR non è usato (v. nota b).

f) L’attivazione del criterio di convergenza su traslazioni/rotazioni necessita di un’iterazione in più per ogni sottostep ed è in genere necessaria solo in prossimità o oltre i punti critici. Negli altri casi è sufficiente il solo criterio sull’equilibrio di forze/momenti.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-257

Linee Dati del Processore $INPUT

C6. Criterio di Convergenza sullo Spostamento del Punto di Controllo Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

NODCTR – N. Nodo di controllo e abilitazione criterio

2

I

NCOMPU – Componente di traslazione

3

I

NCOMPR – Componente di rotazione

4

R

UCTRL – Valore traslazione di controllo

5

R

RCTRL – Valore rotazione di controllo

6

R

DRFAC – Fattore di spostamento relativo

NOTE:

a) Questa linea consente di interrompere l’analisi al raggiungimento di valori prestabiliti di spostamento di un nodo della struttura (traslazione e/o rotazione), indipendentemente dal criterio KCONT (v. linea C2) di continuazione automatica dello step oltre il livello di carico naturale. Una seconda ragione per definire un punto di controllo è quella di ricavare da esso informazioni che possano riassumere il comportamento nonlineare dell’intera struttura. Anche se non ne è richiesta la rappresentazione accurata e completa, la curva caratteristica carichi-spostamenti del punto di controllo dovrebbe permettere di rilevare le qualità nonlineari del comportamento della struttura. Il punto di controllo dovrebbe perciò essere scelto in corrispondenza di un nodo appartenente ad un elemento della struttura che presumibilmente raggiunga il collasso il più tardi possibile e che d’altra parte sviluppi componenti di spostamento di valore elevato per rendere evidente il comportamento nonlineare della struttura. Negli edifici è di solito scelto un nodo di un elemento verticale sull’ultimo impalcato o meglio, il nodo che rappresenta lo spostamento rigido dell’intero impalcato. Se il carico prevalente che conduce la struttura al collasso è ad esempio costituito da un insieme di forze agenti in direzione X, la componente Ux del punto di controllo sarà diagrammata contro la componente Fx delle forze esterne in gioco. Per tracciare la Curva di Capacità della struttura è sufficiente rilevare i valori di Ux e Fx ad ogni substep. b) Il test di convergenza sul punto di controllo è eseguito successivamente al test di convergenza del substep. Ciò significa che è indispensabile innanzitutto attivare almeno uno dei cinque criteri di convergenza del substep. Una volta ottenuta la convergenza del substep è verificato il raggiungimento del valore limite di spostamento del punto di controllo il quale evita che l’analisi prosegua verso configurazioni di scarso interesse pratico ma solitamente molto impegnative per il calcolo. Il criterio sul punto di controllo Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-258

Linee Dati del Processore $INPUT

può essere attivato contemporaneamente ad un qualunque criterio di continuazione KCONT e con qualunque modalità di controllo KCTRL della linea C2.

c) NODCTR può essere un nodo qualsiasi della struttura. Se NODCTR=0 non è attivato alcun punto di controllo.

d) NCOMPU è una componente di spostamento rilevata nel sistema globale, come segue: • NCOMPU = 0

E’ assunto il modulo del vettore spostamento: U C = U x2 + U y2 + U z2

• NCOMPU = 1

E’ assunto il modulo della componente Ux: U C = U x

• NCOMPU = 2

E’ assunto il modulo della componente Uy: U C = U y

• NCOMPU = 3

E’ assunto il modulo della componente Uz: U C = U z

e) NCOMPR è una componente di rotazione rilevata nel sistema globale. I valori sono gli stessi impiegati per selezionare le componenti di spostamento. Come si può vedere, attivando il punto di controllo è obbligatoriamente attivato sia il test sullo spostamento sia quello sulla rotazione. Tuttavia, lasciando uguale a zero il valore limite di controllo il test risulta sempre soddisfatto.

f) UCTRL e RCTRL sono i valori limite di traslazione e rotazione del punto di controllo in valore assoluto (positivi o nulli). Si deve notare che il check sul punto di controllo potrebbe essere attivato senza che esso causi l’interruzione dell’analisi (che terminerà quindi per altri fattori), al solo scopo di ottenere il diagramma forze-spostamenti: sarebbe sufficiente assegnare semplicemente valori limite di spostamento molto grandi. Tuttavia il monitoraggio ad ogni substep (che rappresenta sempre una soluzione convergente) di qualunque nodo può essere ottenuto indipendentemente con le linee C7.

g) DRFAC attiva la rilevazione della traslazione e rotazione relativamente ai valori in corrispondenza del fattore di carico massimo (v. anche linea C2, parametro KCONT). DRFAC diventa effettivamente attivo solo nei metodi path-following e solo dopo che è raggiunto il primo picco del fattore di carico. Se DRFAC>0, l’esecuzione termina se è superata la traslazione (e rotazione, se attivata) pari a DRFAC⋅UCλmax (e DRFAC⋅RCλmax), essendo UCλmax e RCλmax i valori UC e RC delle componenti di traslazione e rotazione del punto di controllo rilevati in corrispondenza del picco λmax. Se UCTRL e/o RCTRL sono assegnati maggiori di zero e se è assegnato contemporaneamente anche DRFAC, l’esecuzione ha termine quando è verificato il criterio più restrittivo. Ad esempio, se è stato attivato il monitoraggio della componente di spostamento Ux, con UCTRL=2.4 e se è contemporaneamente assegnato DRFAC=2.0, l’esecuzione termina quando è superato lo spostamento assoluto Ux=2.5 oppure quando lo spostamento Ux diventa il doppio dello spostamento Ux in corrispondenza del picco. DRFAC non arresta mai la soluzione prima del Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-259

Linee Dati del Processore $INPUT

raggiungimento di λmax, anche se il suo valore è inferiore a 1. Quando la soluzione termina per il raggiungimento del criterio di spostamento del punto di controllo (assoluto o relativo) è sempre posto KSTOP=1 (v. linea C7).

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-260

Linee Dati del Processore $INPUT

C7. Monitor Risultati Nodali Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

1

I









14

I

Descrizione NODM01 – N. primo nodo da monitorare

NODM14 – N. quattordicesimo nodo da monitorare

NOTE:

a) I campi 1-14 consentono di assegnare una lista di nodi per i quali possono essere conservati (sul file .MNT) i risultati nodali per un totale di 12 variabili per nodo. E’ possibile monitorare fino a 14 diversi nodi assegnati in qualunque ordine. Tuttavia eventuali assegnazioni doppie sono eliminate e il primo valore nullo interrompe la lista. La frequenza con cui tali risultati parziali sono monitorati è in genere ad ogni substep, che corrisponde sempre ad una soluzione convergente (KMONI=0 assegnato nella linea C2). E’ comunque possibile ottenere il monitoraggio anche ad ogni iterazione, ma questi punti corrispondono a soluzioni non convergenti e i risultati dovrebbero essere utilizzati solo a scopo di debug. Attualmente per i nodi selezionati sono conservate le componenti di spostamento e rotazione (6 componenti) e le componenti di forza e momento nodali (6 componenti). Le forze nodali sono quelle effettivamente utilizzate nella soluzione nonlineare (FEXT-FINT). Le eventuali forze agenti lungo gradi di libertà slave si trovano trasferite sui master. A convergenza raggiunta le componenti di forza nodale dovrebbero essere nulle o di valore trascurabile, in quanto la somma della stessa componente di forza interna estesa a tutti gli elementi che convergono nel nodo deve uguagliare la componente di forza esterna applicata. Un valore non nullo fornisce l’entità della componente non equilibrata e quindi l’errore locale della soluzione. Sui nodi vincolati il valore della forza nodale sarà uguale ed opposto al valore di reazione del vincolo. Le forze interne sui nodi di ciascun elemento sono invece ottenute come risultati di elemento (v. linea C8).

b) Step di carico diversi possono definire liste diverse. Se tuttavia KMONI=-1 nella linea C2, sono applicate le liste dello step precedente e le linee C7 e C8 (obbligatorie) possono essere lasciate bianche. Se nella lista non è assegnato alcun nodo, non è conservata alcuna variabile.

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-261

Linee Dati del Processore $INPUT

c) Oltre alle 12 variabili per nodo delle linee C7 (max 168 variabili di nodo: RMNTN(12,14)) e alle 12 variabili per elemento delle linee C8 (max 168 variabili di elemento: RMNTE(12,14)), in .MNT sono sempre conservate le variabili di stato di default IMNT(48) e RMNT(48), con la frequenza stabilita da KMONI. La lista seguente riassume il significato dei risultati di default contenuti in IMNT e RMNT. IMNT(1) IMNT(2) IMNT(3) IMNT(4) IMNT(5) IMNT(6) IMNT(7) IMNT(8) IMNT(9) IMNT(10) IMNT(11-16)

Numero step di carico corrente Numero substep corrente Numero tentativo corrente (n. ciclo iterativo di soluzione del substep) Numero iterazione di equilibrio (nel ciclo iterativo corrente) Numero iterazione cumulativa corrente Numero elementi che hanno cambiato stato nell’iterazione corrente Flag aggiornamento matrice di rigidezza nell’iterazione corrente (0=nessun aggiornamento; 1=aggiornamento e nuova fattorizzazione) Numero totale di fattorizzazioni della matrice di rigidezza Flag di convergenza N. autovalori negativi della matrice di rigidezza (inertia(1)) Non usati

IMNT(17-30) IMNT(31) IMNT(32)

Lista nodi da monitorare (0=non monitorato – NODM01-NODM14) Non usato) Numero nodi monitorati (n. valori IMNT(17-30) diversi da zero)

IMNT(33-46)

Lista elementi da monitorare (0=non monitorato – NELM01-NELM14, v. linea C8) Non usato Numero elementi monitorati (n. valori IMNT(33-46) diversi da zero)

IMNT(47) IMNT(48)

RMNT(1) RMNT(2)

RMNT(3) RMNT(4)

Tempo alla fine del sottostep corrente Fattore di carico λ della soluzione corrente (λ=0.0 all’inizio dello step, al tempo Ti-1; λ=1.0 a fine step al tempo Ti; λ>1.0 se lo step è esteso oltre il carico nominale assegnato (v. linea C6) Valore minimo diagonale nella matrice di rigidezza Valore massimo diagonale nella matrice di rigidezza

RMNT(5) RMNT(6) RMNT(7) RMNT(8) RMNT(9) RMNT(10) RMNT(11)

Valore calcolato norma forze (v. linea C4) Valore calcolato norma momenti (v. linea C4) Valore calcolato norma spostamenti (v. linea C5) Valore calcolato norma rotazioni (v. linea C5) Valore calcolato norma energia (v. linea C3) Valore calcolato norma spostamento punto di controllo (v. linea C6) Valore calcolato norma rotazione punto di controllo (v. linea C6)

RMNT(12)

Valore criterio convergenza forze (è il valore di confronto della variabile RMNT(5). Si noti che il criterio può prevedere il calcolo di un valore di riferimento) Valore criterio convergenza momenti Valore criterio convergenza spostamenti

RMNT(13) RMNT(14)

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-262

Linee Dati del Processore $INPUT

RMNT(15) RMNT(16) RMNT(17) RMNT(18)

Valore criterio convergenza rotazioni Valore criterio convergenza energia Valore criterio convergenza spostamento punto di controllo Valore criterio convergenza rotazione punto di controllo

RMNT(19-24) Componenti di spostamento e rotazione del punto di controllo RMNT(25-30) Componenti di forza esterna totale riferite all’origine globale (sommatoria forze in direzione X,Y,Z e sommatoria momenti attorno a X,Y,Z) RMNT(31-32) Valori di forza e momento totali nella direzione di spostamento e rotazione del punto di controllo. RMNT(33) Parametro di rigidezza RMNT(34-48) Non Usati

d) Il flag di convergenza IMNT(9) ha valore nullo durante le normali iterazioni di equilibrio. Questo significa che la soluzione procede in modo stabile (più o meno velocemente) verso la convergenza. A convergenza raggiunta il flag assume il valore +1 (“**Convergente**”). Ad ogni iterazione di equilibrio divergente il flag assume il valore –1 (“**Divergente**”). All’inizio di ogni substep o di ogni nuovo tentativo di soluzione del substep (restart con passo differente), l’iterazione permette di calcolare la matrice di rigidezza iniziale e di introdurre un nuovo incremento di carico. Per questa iterazione le norme calcolate non hanno significato in quanto si riferiscono ad una configurazione non ancora risolta (sono relative alla deformata di inizio substep, prima dell’incremento di carico). Per questa particolare iterazione, al flag di convergenza è assegnato il valore –2 (“Inizio Substep”).

e) IMNT(10) è il numero di autovalori negativi della matrice di rigidezza. L’inerzia della matrice è l’array inertia(3) contenente il numero di autovalori negativi, nulli e positivi. In genere, in condizioni di stabilità elastica la matrice contiene solo autovalori positivi in numero pari al numero di gradi di libertà e IMNT(10)=0. Durante il calcolo nonlineare è possibile che siano raggiunte condizioni di instabilità locale e che la matrice non sia più definita positiva. L’instabilità può essere di tipo geometrico o anche dovuta al materiale. Nei casi normali l’instabilità interessa un grado di libertà per volta e IMNT(10) è pari a 1, indicando così l’attraversamento di un massimo o minimo locale nella curva caricospostamento. In altri casi vi possono essere più autovalori negativi contemporanei e IMNT(10)>1: questa è una evenienza che deve essere attentamente considerata dall’utente in quanto è indice della presenza di una biforcazione nella curva caricospostamento. Il programma in questa situazione normalmente non può convergere ad alcuna soluzione. Agendo sull’ampiezza del substep e sugli altri parametri a volte è possibile percorrere uno dei rami della biforcazione, ma non è garantito che il percorso scelto sia quello maggiormente instabile. Se la biforcazione è dovuta ad instabilità di materiale è spesso possibile continuare l’analisi nonlineare attivando il flag IOPMAT della linea A del modulo SHELL.

f) I valori RMNT(25-30) sono ottenuti trasferendo e sommando sull’origine globale ciascuna delle sei componenti di forza esterna Fext applicate su tutti i nodi. Le forze esterne applicate al nodo sono quelle derivanti dalle forze nodali assegnate

Microsap Rel.12.0

Manuale d’Uso

V-263

Linee Dati del Processore $INPUT

esplicitamente più le forze nodali equivalenti dovute ai carichi di elemento. Ciascuna componente è rigidamente trasferita sull’origine degli assi globali. Il momento riferito all’origine contiene perciò anche i momenti di trasporto delle componenti di forza. g) Il valore RMNT(31) è il prodotto scalare tra il vettore forza RMNT(25-27) e il versore spostamento di RMNT(19-21). RMNT(32) è il momento ottenuto in modo analogo.

h) In RMNT(33) è contenuto il “Parametro di Rigidezza”. E’ disponibile solo per il metodo path-following. Come noto, un metodo per misurare la variazione di rigidezza della struttura è quello di diagrammare il carico applicato contro il valore di spostamento di un punto sensibile e rappresentativo dell’intera struttura (che non dovrebbe però essere esso stesso soggetto ad instabilità locali). Purtroppo non è possibile, in una struttura con tanti gradi di libertà, la rappresentazione concisa di un valore “scalare” che rappresenti la rigidezza della struttura. In alternativa ed in aggiunta al metodo del punto di controllo esiste comunque la possibilità di calcolare, attraverso una serie di prodotti scalari tra forze e spostamenti (qualcosa di simile al calcolo delle norme), il parametro di rigidezza R=K/K0 che rappresenta la misura della rigidezza corrente in rapporto alla rigidezza iniziale. Alla prima iterazione del calcolo sarà R=1. Teoricamente, ammesso che sia possibile raggiungere esattamente un massimo, il valore R=0 indica che la matrice di rigidezza è singolare (in effetti in tale situazione non è neppure possibile la fattorizzazione). Se R