Microsap [IV, Rel. 11 ed.]


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Esempio di Elementi di Contatto
FIG. V.3-1 - Sistemi di riferimento locali e orientazione de
FIG. V.3-3 - Orientazione degli assi locali e rotazione risp
Spesso la dimensione della sezione dell’elemento nella direz
FIG. V.3-8 - Geometria degli offset del centro di taglio
FIG. V.3-10a FIG. V.3-10b
Linea A – Informazioni di Controllo.
Linea A – Informazioni di Controllo.
Linea A. Linea di Controllo dei Solutori di Equazioni
Linee B. Carichi e Masse Nodali
Linee C. Definizione degli Step di Carico
Load Step e Substep Corrispondenti Soluzioni nella Curva
Carichi-Spostamenti
Substep e Fattori di Carico Continuazione Ultimo Load Step per (>1
Punto Limite Snap-Through Snap-Back
Riduzione della tolleranza (=0.001 in funzione del Parametro di Rigidezza
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Formato del File Dati

IV FORMATO DEL FILE DATI

Microsap Rel.11.0

Manuale d’Uso

IV-1

Formato del File Dati

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Manuale d’Uso

IV-2

Formato del File Dati

IV.1

STRUTTURA DEL FILE E LINEE DI CONTROLLO

L’input per il solutore Microsap è organizzato su tre livelli: • • •

Livello Iniziale Livello di Processore Livello di Modulo o Comando

Al lancio del solutore l’utente entra nel Livello Iniziale. A questo livello avviene l’esecuzione automatica di alcune funzioni base (riconoscimento e test dell’ambiente hardware e software, riconoscimento delle autorizzazioni ad eseguire il programma, inizializzazioni), ma soprattutto da qui può iniziare l’esecuzione dei diversi Processori. I Processori sono dei veri e propri programmi indipendenti che eseguono un compito specifico, in genere descritto attraverso una serie di linee dati e alla loro conclusione ritornano al Livello Iniziale che può quindi lanciare l’esecuzione di un altro processore, fino al processore di termine esecuzione del solutore ($END). Il lancio di un processore avviene con l’input di una particolare linea dati che contiene il nome identificativo del processore ed eventualmente una serie di parametri. I nomi dei processori si distinguono dall’iniziale, che è sempre $ (ad es., $INPUT, $SOLU, $END, ecc.). Entro un processore possono in genere essere eseguiti differenti Moduli o Comandi, vale a dire differenti funzioni. Nel seguito i nomi “Modulo” e “Comando” sono dei sinonimi. Ciascun modulo è contraddistinto da un nome che inizia sempre con un carattere alfabetico diverso da $. Un modulo di norma richiede l’input di un certo numero di linee dati. Viceversa, il processore può non possedere alcun modulo ed eseguire solo la sua funzione standard che può anche richiedere delle linee dati. Ad esempio, entro il processore $INPUT è sempre presente una funzione standard per l’input dei dati generali e delle coordinate dei nodi, che è indipendente dal problema da risolvere. Oltre ad essa possono però essere eseguiti i moduli TRUSS, BEAM, ecc., a seconda che il problema preveda l’input di elementi Truss, Beam, ecc. Un file di input per il Microsap contiene quindi una serie di linee di controllo che provocano l’esecuzione dei diversi processori e tra queste, una seconda serie di linee di controllo per l’esecuzione dei diversi moduli entro il processore e delle linee con dati numerici. La soluzione di un problema può essere interamente contenuta in un unico file dati oppure può anche essere conveniente suddividere la soluzione in più esecuzioni con diversi file dati. Un caso tipico può essere l’esecuzione del processore $INPUT che prepara il database del problema e l’esecuzione separata del processore $SOLU che effettua la soluzione dell’intero problema o una parte di esso. I file di input del Microsap sono di norma generati attraverso un pre-processor fornito col programma o da un applicativo specifico per il calcolo strutturale di particolari tipologie di problemi (edifici civili in c.a., strutture industriali in acciaio, strutture meccaniche). Il modulo $INPUT richiede l’assegnazione delle linee dati che descrivono il problema. Nel caso di problemi semplici esso può essere preparato direttamente dall'utente con un qualunque programma di trattamento testi. Gli altri processori richiedono in genere l’assegnazione di pochi dati.

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Il nome del processore o del modulo che deve essere eseguito è sempre di lunghezza inferiore a sedici caratteri. Esso deve essere scritto ad iniziare dalla prima posizione nella riga e può essere seguito da una serie di parametri. La linea di controllo contenente il nome del processore o del modulo è di norma seguita da una serie di linee dati che sono lette durante l’esecuzione del processore.

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IV.2

IL LIVELLO INIZIALE

Quando il programma inizia l'esecuzione sono effettuate le seguenti operazioni: • E' ricercata, nel file dati, la linea di controllo contenente il nome del processore da eseguire o il nome di uno dei comandi standard eseguibili entro il Livello Iniziale. • E' eseguito il processore indicato, che leggerà le eventuali linee dati che seguono la linea di controllo. Un processore può eseguire una sequenza prefissata di comandi oppure no. In ogni caso, con la sola esclusione di $END, l’uscita dal processore deve essere effettuata col comando FINISH. La tabella seguente contiene la lista dei diversi processori eseguibili al Livello Iniziale nell’attuale release dei Microsap.

Processore $INPUT $SOLU [parametri] $END Altri Comandi

Funzione Costruzione del database (file nome.MDB). Input dati del problema. Soluzione del problema Termine esecuzione del solutore Interpretazione diretta di diversi comandi di sistema (v. tab.VI.2.1-1)

Linee Dati



Tab.IV.2-1. Comandi Principali Eseguibili al Livello Iniziale

Note. • Il Livello Iniziale, oltre ad eseguire i processori elencati, può esso stesso interpretare ed eseguire direttamente alcuni comandi elementari di sistema (copia di file, rename, ecc.). Alcune di queste funzioni sono anche disponibili attraverso il processore $DOS. La differenza è che in quest’ultimo caso i comandi di sistema sono eseguiti attraverso la Shell DOS. • Il processore $INPUT ha la funzione di costruire il database nome.MDB del problema. Ogni problema è contraddistinto da un nome (“nome lavoro”) e prima di poter essere eseguito richiede la costruzione del file .MDB. In uno stesso file dati per il solutore vi possono essere più comandi $INPUT, per la costruzione di più database di problemi con nomi differenti. $INPUT effettua la lettura delle linee dati che descrivono sia la struttura sia gli ingredienti necessari per effettuare le soluzioni previste. In genere le analisi da eseguire richiedono la costruzione una-tantum di un file .MDB ed eventualmente più comandi di soluzione $SOLU. Il file binario .MDB contiene in effetti le stesse informazioni presenti nelle linee dati, sebbene in una forma rielaborata e più idonea per le successive soluzioni. Contrariamente alle release lineari precedenti del Microsap, le fasi di input, check preliminare, output, e soluzione sono ora del tutto Microsap Rel.11.0

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separate. Durante la fase di soluzione non lineare il programma ha necessità di accedere numerose volte al database in modo efficiente. Questa è la ragione per cui è necessaria la costruzione del file .MDB • Il comando $SOLU provoca l’effettiva esecuzione delle analisi. Nell’attuale release $SOLU procede alla soluzione automatica in sequenza di tutte le analisi descritte nel database .MDB. Le release future potrebbero prevedere la soluzione separata delle diverse analisi e la possibilità di restart. La funzione di restart è utile nei casi di analisi nonlineari impegnative. L’attuale release comunque è già predisposta per tale funzione e arresta l’elaborazione conservando l’ultima soluzione convergente trovata. Attualmente $SOLU non prevede la lettura di linee dati, ma solo il comando di uscita FINISH. Tuttavia nelle release future il processore potrà accettare la definizione di casi di carico separati o di analisi particolari descritte con opportune linee dati. Opzionalmente la linea $SOLU può accettare come parametro il nome del file eseguibile del processo esterno. La soluzione può infatti avvenire entro lo stesso processo che ha lanciato il solutore oppure entro un processo esterno indipendente. Per default questo è MSP04.EXE. L’utente può tuttavia cambiare questo nome (v. note alle linee dati del modulo SOLVE). Esempio: $SOLU $SOLU MSP04 $SOLU MSP04.EXE Le linee precedenti sono equivalenti e, se è richiesta la soluzione con processo esterno, è lanciato MSP04.EXE. $SOLU SOLU $SOLU,SOLU.EXE $SOLU , SOLU.exe Le linee precedenti sono equivalenti e, se richiesta la soluzione con processo esterno, è lanciato SOLU.EXE. Ovviamente l’utente dovrà rinominare MSP04.EXE in SOLU.EXE. • Il comando $END provoca l’uscita dal Livello Iniziale ed il termine dell’esecuzione del Microsap. Eventuali linee entro il file dati seguenti $END sono ignorate. Essa è generalmente l’ultima linea dati del file.

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IV.2.1 Altri Comandi Eseguibili a Livello Iniziale Oltre a consentire l’esecuzione dei processori elencati in tabella IV.2-1, il livello iniziale può anche elaborare una serie di comandi di sistema o può mandare in esecuzione programmi esterni direttamente senza l’intervento della shell di sistema CMD.exe. La tabella IV.2.1-1 elenca i comandi direttamente eseguibili a livello iniziale e la loro sintassi. Comando

Funzione

!commento /commento RENFILE “old filename” “new filename” DELFILE “file path” CHNGDIR “directory path” DELDIR “directory path” MAKEDIR “directory path” RUNFILE “filename” “command line arguments” WRKDIR “directory path” WRKNAM “workname” CMD linea di comando

Linea di commento Linea di commento Linea di commento Cambia nome al file o copia su diversa cartella Cancella uno o più files Cambia indirizzario corrente Cancella indirizzario Crea nuovo indirizzario Esegue un programma esterno Cambia l’indirizzario di lavoro Microsap Cambia il nome lavoro corrente Microsap Esegue un comando dell’interprete CMD.exe

Tab.IV.2.1-1. Altri Comandi Direttamente Eseguibili al Livello Iniziale

Note. • I parametri di ogni comando sono racchiusi tra virgolette ed eventualmente distanziati con uno o più caratteri (ad es. spazi bianchi). La mnemonica dei comandi deve però iniziare dalla prima colonna ed essere in maiuscolo. Fa eccezione CMD in cui la linea comando non è racchiusa tra virgolette. L’intera linea non può superare i 127 caratteri, compresa la mnemonica. I comandi non possono essere assegnati entro le linee dati dei moduli Microsap, ma possono essere inseriti prima e dopo e anche come linee iniziali del file dati. • Se la linea è tutta bianca oppure inizia col carattere “!” oppure “/” essa è considerata una linea di commento. • RENFILE accetta il path completo. Se il path è diverso, ma sullo stesso disco, è effettuata la copia da una directory all’altra. • DELFILE accetta wildcards per cancellare più files contemporaneamente. • CHNGDIR, MAKEDIR e DELDIR sono le funzioni standard del sistema operativo e non modificano alcuna variabile entro il solutore. • RUNFILE manda in esecuzione il programma assegnato col primo parametro e con eventuali argomenti specificati col secondo parametro. E’ aperto un nuovo processo e il solutore è sospeso temporaneamente fino alla completa esecuzione del nuovo programma. Microsap Rel.11.0

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• WRKDIR modifica il nome della directory di lavoro del Microsap ed esegue CNGDIR per cambiare fisicamente la directory corrente. Deve essere eseguito prima di una nuova esecuzione del processore $INPUT entro lo stesso file dati contenente più lavori. • WRKNAM modifica il nome del lavoro corrente Microsap. Permette di cambiare i nomi dei file generati dal solutore per il lavoro seguente. Deve essere eseguito prima di una nuova esecuzione del processore $INPUT entro lo stesso file contenente più lavori. In caso contrario, il nuovo lavoro riscriverà i file di quello precedente, a meno che non sia eseguito WRKDIR. • Il comando CMD lancia l’interprete di comandi di sistema CMD.exe ed esegue il comando indicato nel seguito della linea, con la stessa sintassi voluta da CMD.exe. • Tutti i comandi possono generare un codice di errore n.78, con esclusione di DELFILE che non genera mai alcun errore.

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IV.2.2 Esecuzione di Più Lavori Entro lo Stesso File Dati La linea di comando per l’esecuzione del solutore è della forma: MSP32.EXE nome processore, file input, file output /direttive Nel solutore in versione libreria Dll l’esecuzione avviene richiamando la routine: MSP_Execute(Loc1,Loc2,Loc3) in cui Loc1 è il puntatore all’indirizzo di memoria contenente la stringa “nome processore, file input, file output /direttive” nome processore = nome del processore dal quale inizia l’esecuzione del file di input. Entro il file di input viene ricercata la prima linea contenente il nome processore e da questo punto inizia l’esecuzione. Le linee precedenti sono ignorate. In genere il nome processore è $INPUT. Il nome processore può essere omesso (oppure può essere bianco). La virgola di separazione, prima di file input deve essere presente. In questa situazione l’interpretazione del file dati inizia dalla prima linea, che non necessariamente deve essere $INPUT. E’ infatti possibile eseguire uno o piu comandi tra quelli dell’elenco di tab.IV.2.11, ad esempio per cambiare il nome lavoro, la directory di lavoro o altro. Lo stesso file può contenere l’esecuzione completa di più lavori, sulla stessa cartella o su cartelle separate. Per default il nome dei file di lavoro e la directory di lavoro coincidono col nome e directory del file di input. E’ comunque possibile, prima dell’esecuzione di $INPUT, riassegnare il nome lavoro e/o l’indirizzario di lavoro.

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IV.3

COSTRUZIONE DEL DATABASE - IL PROCESSORE $INPUT.

L’esecuzione del processore $INPUT permette la costruzione del file binario .MDB (Microsap DataBase), contenente la completa descrizione della struttura e dei dati occorrenti per effettuare le analisi previste. Il processore richiede sempre la assegnazione di linee dati standard, qualunque sia la struttura e le analisi da effettuare (titolo, coordinate dei nodi, ecc.) seguite da altri blocchi di dati che dipendono dalle caratteristiche del modello strutturale (tipi di elementi utilizzati nella schematizzazione) e dal tipo di analisi richieste (statica, dinamica, lineare, nonlineare). Questi altri blocchi sono elaborati in moduli di programma separati che sono attivati da una particolare linea di controllo contenente il nome del modulo (comandi BOUND, TRUSS, ecc). Ciascun modulo richiede la lettura di un numero più o meno elevato di linee dati di tipo generalmente numerico). La tabella IV.3-1 contiene l’elenco dei moduli o comandi eseguibili entro $INPUT. La descrizione e la sintassi di ogni linea dati di ciascun modulo sono trattate in un capitolo separato. Comando

Significato

BOUND

Assegnazione titolo, dati generali, coordinate nodali e codici di vincolo. Linee dati sempre lette all’inizio dell’esecuzione di $INPUT. Assegnazione di un gruppo elementi Boundary.

TRUSS

Assegnazione di un gruppo elementi Truss.

BEAM

SOLID

Assegnazione di un gruppo elementi Beam. Assegnazione di un gruppo elementi Plane, assialsimmetrici, plane strain, plane stress, membranali. Assegnazione di un gruppo elementi solidi Brick.

SHELL

Assegnazione di un gruppo elementi lastra/piastra Shell.

SOLVE

Assegnazione parametri di soluzione step di carico.

EIGEN FINISH

Assegnazione dati per analisi modale e spettro di risposta Comando di uscita dal processore $INPUT

Standard

PLANE

Linee Dati

• • • • • • • • •

Tab.IV.3-1. Comandi Eseguibili dal Processore $INPUT

Note. • Qualunque problema richiede sempre la assegnazione dei dati standard. Per questa ragione $INPUT procede obbligatoriamente alla lettura di una serie iniziale di linee dati non contraddistinte da uno specifico comando (titolo del problema, coordinate dei nodi, ecc.). Tutti i comandi sono seguiti da una o più linee dati. • I comandi da BOUND a SHELL seguono sempre le linee iniziali dei dati standard, ma possono essere eseguiti in qualunque ordine. La struttura può essere composta da più gruppi elementi di diverso tipo. Tuttavia, per uno stesso tipo di elemento, possono essere formati più gruppi. Questi comandi costruiscono su .MDB le caratteristiche dei gruppi di elementi del modello.

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• Il comando SOLVE deve seguire i comandi relativi ai gruppi elementi. SOLVE non esegue la soluzione del problema ma si limita a conservare nel database .MDB le informazioni necessarie alle soluzioni previste. • Il comando EIGEN, se richiesto, deve seguire SOLVE. Le linee dati da esso elaborate conterranno le informazioni che saranno utilizzate nel caso di una eventuale esecuzione di analisi dinamica modale.

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IV.4

STRUTTURA DEL FILE DATI: ESEMPIO.

Si supponga di dover risolvere un problema statico per una struttura composta da tre gruppi di elementi: il primo gruppo è costituito da elementi Boundary, il secondo da elementi Shell ed il terzo ancora da elementi Shell ma con differenti caratteristiche. Il file dati sarà quindi strutturato come segue: $INPUT • ⎫ • ⎬ • ⎭ BOUND • ⎫ • ⎬ • ⎭ SHELL • ⎫ • ⎬ • ⎭ SHELL • ⎫ • ⎬ • ⎭ SOLVE • ⎫ • ⎬ • ⎭ FINISH $SOLU FINISH $END

ingresso nel processore $INPUT linee dati standard lette dal processore $INPUT

linee dati lette dal modulo BOUND del processore $INPUT (1° gruppo elementi)

linee dati lette dal modulo SHELL del processore $INPUT (2° gruppo elementi)

linee dati lette dal modulo SHELL del processore $INPUT (3° gruppo elementi)

linee dati lette nel modulo SOLVE del processore $INPUT commando di uscita dal processore $INPUT e ritorno al Livello Iniziale ingresso nel processore $SOLU e soluzione del problema comando di uscita dal processore $SOLU e ritorno al Livello Iniziale comando di uscita dal Livello Iniziale e fine esecuzione del solutore

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IV.5

FORMATO DELLE LINEE DATI.

Le linee dati del problema sono scritte in formato libero. Ogni linea dati è composta da una serie di campi numerici, caratteri di separazione e da un eventuale commento. Una linea dati può contenere un massimo di 240 caratteri. Il numero dei campi numerici ed il loro significato dipende dalla linea dati: la loro descrizione sarà contenuta nei prossimi capitoli. Un campo numerico è costituito da un valore numerico intero o reale, preceduto e seguito da un qualunque numero di spazi bianchi. Tra le cifre che compongono il numero non è però consentito interporre spazi bianchi. Il carattere di separazione dei campi può essere, indifferentemente, la virgola o lo spazio bianco. Entrambi questi caratteri possono sussistere nella stessa linea. Al termine dell'introduzione dei valori, su ogni linea è possibile aggiungere un commento: questo deve essere preceduto dal carattere "/". Eventuali valori non assegnati, sono considerati come 0 (zero). In quanto segue, i termini "valore zero" e "valore nullo" saranno considerati sinonimi, per indicare una quantità uguale a zero. Per introdurre un campo nullo tra campi non nulli, l'operatore può perciò scrivere due virgole senza alcun valore tra esse. Se i campi nulli non sono seguiti da alcun campo non nullo, ma occupano le ultime posizioni nella linea, essi possono essere ignorati. Come caso limite, se tutti i campi della linea sono nulli, l'utente lascerà semplicemente una linea bianca, o scriverà solamente il commento. Il programma consente l'uso di fattori di ripetizione per campi con lo stesso valore. Se n campi successivi hanno lo stesso valore c, l'operatore può introdurli come n*c. Se c è uguale a zero (n valori nulli), può anche scrivere: n*. Come già detto, nelle linee dati del problema è fatto uso di tre tipi di valori: numerici interi, numerici reali e alfanumerici. E' un intero, ad esempio, il numero di nodi della struttura. E' viceversa un numero reale la coordinata X del nodo. E’ alfanumerico il titolo del problema. Nei prossimi capitoli, dedicati alla descrizione dettagliata delle linee dati dei diversi processori, i campi interi saranno identificati con “I”, quelli reali con “R” e quelli alfanumerici con “A”. Pur non essendovi alcun limite alla larghezza di un campo numerico e in genere al numero di cifre del valore in esso introdotto, esistono tuttavia, per i due tipi di quantità, alcune restrizioni e peculiarità che saranno esaminate in dettaglio.

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IV-13

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IV.5.1 Costanti Intere Possono essere assegnati interi con segno (il segno + è facoltativo) compresi tra i valori -2147483647 e +2147483647 (interi di 4 bytes).

IV.5.2 Costanti Reali Per l'input dei dati reali sono utilizzate esclusivamente quantità in doppia precisione (reali di 8bytes). Una costante reale è costituita da un segno (il segno + è facoltativo) seguito da una parte intera, un punto decimale, una serie di cifre decimali e una parte esponenziale opzionale. La parte intera e quella decimale sono formate da una o più cifre. Tanto la parte intera quanto la parte decimale (ma non entrambe) possono essere omesse. La parte esponenziale è formata dalla lettera "E" o "e" seguita da un intero con segno compreso tra -308 e +308 (esponente). La parte esponenziale indica che il precedente valore è moltiplicato per 10 elevato all'esponente che segue la lettera "E". Sono ritenute fino ad un massimo di 16 cifre significative. Rappresentando il numero con più di 16 cifre significative si ha arrotondamento. Nel seguito sono indicati alcuni modi per scrivere lo stesso valore 123.456: 123.456 123.456E0

+12.3456E1 1234.56E-1

.123456E+3 +.01234560E+04 123456.E-3 1234560E-4

IV.5.3 Esempio di Scrittura di una Linea Dati Sia da scrivere la linea dati B) di $INPUT (Informazioni di Controllo). Essa (v. cap.V) è costituita da sette campi interi. Siano quindi da introdurre i seguenti valori:

Campo 1. Numero di nodi della struttura

= 125

Campo 2. Numero totale di gruppi di elementi

=2

Campo 3. Numero di step di carico

=1

Campo 4. Flag per esecuzione nonlineare

=1

Campo 5. Flag attivazione grandi spostamenti = 0 Campo 6. Flag attivazione stress-stiffening

=0

Campo 7. Codice tipo analisi

=0

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IV-14

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Nelle righe che seguono sono indicati alcuni possibili modi di scrivere la stessa linea dati. 125,2,1,1,0,0,0 125, 2 , 1 , 1 , 0 , 0, 0/Informazioni di Controllo 125 2 1 1 0 0 0 125 2 1 1 0 0 0 / Informazioni di Controllo 125 2 1,1,0 125 2 1 1/Informazioni di Controllo 125 2 1 1 125 2 1 1,,0 125,2,1,1,,,, 125,2, 2*1 ,3*0 125 2 2*1 3* 125 2 2*1/Informazioni di Controllo

Nota: Il fattore moltiplicatore n* può essere usato anche se i dati sono di tipo diverso. Se ad esempio si deve introdurre il numero intero 125 ed il reale 125.0 nel campo immediatamente seguente, si potrà scrivere: 125,125. oppure anche: 2*125 ma non: 2*125.

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IV-15

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V DESCRIZIONE DELLE LINEE DATI DEL PROCESSORE $INPUT

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IV-17

Formato del File Dati

V.1 - LINEE STANDARD Linea A. Titolo del Lavoro. Numero richiesto: Una.

Campo

Tipo

1

A

Descrizione Titolo del problema

NOTE: a) Questa prima linea dati ha lo scopo di fornire una breve descrizione del problema. Essa è l'unica linea dati contenente un campo alfanumerico (A). La lunghezza del titolo non può superare i 72 caratteri. Eventuali caratteri oltre la colonna 72 della linea sono ignorati. Il titolo del problema è riportato sulla prima pagina dell'output, contenente l'intestazione del programma, e su ogni pagina stampata, accanto alla data e all'ora. La stampa su ogni pagina può essere soppressa inserendo nel titolo uno o più spazi bianchi iniziali (blank a colonna 1).

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IV-18

Formato del File Dati

Linea B. Informazioni di Controllo. Numero richiesto: Una.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

NUMNP - Numero di nodi della struttura

2

I

NUMEL - Numero totale di gruppi di elementi

3

I

NSTP - Numero di step di carico

4

I

NOLIN - Flag per esecuzione calcolo nonlineare

5

I

LRGDEF - Flag di attivazione grandi spostamenti

6

I

KGEOM - Flag di attivazione stress stiffening

7

I

KANTYP - Codice tipo di analisi

8

R

TREF – Temperatura nodale iniziale T0n

NOTE: a) Elemento tipo 1 = Truss. Elemento tipo 2 = Beam. Elemento tipo 3 = Membranale. Elemento tipo 4 = Assialsimmetrico, Plane stress, Plane strain. Elemento tipo 5 = Solid (Brick esaedrico o prismatico). Elemento tipo 6 = Plate/Shell. Elemento tipo 7 = Boundary. Ogni serie di elementi di diverso tipo forma sempre un gruppo. L'utente può anche formare più gruppi dello stesso elemento ed utilizzare più tipi di elementi per descrivere il modello della struttura. Gli elementi tipo 7 sono trattati nel modulo BOUND. Gli elementi tipo 1 sono trattati nel modulo TRUSS. Gli elementi tipo 2 nel modulo BEAM. Gli elementi tipo 3 e 4 nel modulo PLANE. Gli elementi tipo 5 nel modulo SOLID. Gli elementi tipo 6 nel modulo SHELL. b) Al campo n.3 deve essere specificato il numero di step di carico statico. Se l’analisi è di tipo lineare queste sono le diverse condizioni di carico cui è soggetta la struttura, come già avveniva nelle release precedenti. Nelle diverse condizioni di carico la struttura inizialmente scarica è caricata con diverse configurazioni di carico finale. Una configurazione di carico è formata da forze e momenti concentrati ai nodi sommata a una combinazione di otto casi di carico A-H di elemento. Questi sono definiti nelle linee dei moduli elemento, mentre i coefficienti di carico della combinazione sono assegnati con le linee del modulo SOLVE. Nel caso di analisi statica non lineare le modalità di

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IV-19

Formato del File Dati

assegnazione dei carichi sono analoghe, ma il carico è introdotto gradualmente in più sottostep, fino al livello specificato. Al tempo t=t0=0 la struttura è scarica e raggiunge il livello finale specificato al tempo t=t1. Gli eventuali step successivi ai tempi t2,t3, ecc. iniziano per default dal livello raggiunto negli step precedenti. L’utente ha comunque la possibilità di ripartire dalla configurazione di struttura scarica, come nell’analisi lineare. Quest’ultima modalità è comunque sconsigliata, poiché può generare confusione nell’interpretazione dei risultati e file eccessivamente voluminosi. Si consiglia quindi in tal caso di scomporre il calcolo in una sequenza di analisi separate. c) Se le analisi sono di tipo lineare il campo n.4 deve essere nullo. In questo caso anche i campi n.5 e n.6 possono essere lasciati nulli. Le analisi di tipo lineare danno origine ad una sola fattorizzazione della matrice di rigidezza e a tanti passi di soluzione quanti sono gli step di carico. Ogni passo di soluzione è seguito da un passo di calcolo dei risultati finali (essenzialmente il calcolo di deformazioni o sforzi e azioni interne entro gli elementi). Nel calcolo nonlineare sono invece richieste di norma parecchie operazioni di fattorizzazione e numerosi cicli di iterazioni di equilibrio. Inoltre, nel caso di calcolo nonlineare è necessario fornire una serie di linee dati per ogni step di carico, con informazioni relative alle modalità di soluzione (massimo numero di iterazioni, di tentativi, di tolleranza, ecc.). d) Se è attivata l’opzione grandi spostamenti (campo n.5 uguale a 1) durante il calcolo sono incluse diverse operazioni che tengono conto degli effetti di secondo ordine sulla geometria della struttura durante l’introduzione del carico. In altre parole, i carichi e le azioni interne sono applicate sulla struttura i cui spostamenti, rotazioni o deformazioni sono considerati non trascurabili. Inoltre i carichi agenti sugli elementi (pressioni e carichi distribuiti) seguiranno lo spostamento dell’elemento e cambieranno in genere orientazione. Le ipotesi di nonlinearità geometrica intervengono a vari livelli ed il calcolo può essere più o meno rigoroso a seconda delle capacità dei diversi elementi. A seconda dei casi sarà inclusa solo l’ipotesi di grandi spostamenti, piccole rotazioni e piccole deformazioni. Oppure, il tipo di elemento utilizzato potrebbe non contemplare affatto alcun genere di nonlinearità geometrica. Il calcolo di una struttura con l’ipotesi di grandi spostamenti è di tipo iterativo nonlineare e richiede che sia attivato anche il campo n.4. e) Il campo n.6 attiva separatamente gli effetti di stress stiffening che modificano la rigidezza dell’elemento a seconda degli sforzi interni agenti (effetti P-∆). Sforzi di trazione aumentano la rigidezza e viceversa sforzi di compressione diminuiscono la rigidezza fino anche ad annullarla (instabilità o buckling). In genere se è attivato il campo n.5 è attivato contemporaneamente anche il campo n.6. Tuttavia l’effetto P-∆ può essere utilizzato anche da solo, nell’ipotesi di piccoli spostamenti, anche perché non è detto che tutte le opzioni siano disponibili uniformemente su tutti i tipi di elementi. Ovviamente il calcolo è di tipo nonlineare e il campo n.4 deve essere attivato. f) Il codice analisi può assumere i seguenti valori: 0 = analisi statica (lineare o nonlineare); 1 = analisi modale (frequenze proprie e modi di vibrare); 2 = analisi armonica (risposta in frequenza – non ancora attivo); 3 = analisi sismica (spettro di risposta);

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IV-20

Formato del File Dati

L'analisi statica può essere condotta contemporaneamente e in sovrapposizione all'analisi sismica o modale (con codice analisi uguale a 1 oppure a 3) se il numero di step di carico (campo n.3) è assegnato diverso da zero. Le opzioni 1 e 3 richiedono l'esecuzione del modulo EIGEN e la lettura delle relative linee dati. Se il comando EIGEN non è assegnato sarà comunque possibile eseguire l’analisi modale ma ai parametri sarà attribuito il valore di default. g) La temperatura di riferimento TREF, al campo n.8, è la temperatura iniziale T0n di assemblaggio della struttura, vale a dire la temperatura assegnata a tutti i nodi a struttura scarica al tempo t=0. Le temperature nodali ai diversi step di carico sono assegnate nel modulo SOLVE, con le linee B, con cui sono anche attribuite le forze e i momenti nodali concentrati. Si noti che nella condizione di struttura scarica le forze e gli spostamenti nodali sono nulli mentre le temperature sono assegnate costanti su tutti i nodi e pari a TREF, che eventualmente può coincidere con la temperatura ambiente (solitamente Tamb=20°C). In un qualunque substep i-esimo il carico termico cui è soggetto un punto entro l’elemento si traduce in una componente di deformazione εth pari a:

ε ith = α i (Ti − Ti −1 ) T è la temperatura locale entro l’elemento e α è il coefficiente di dilatazione termica del materiale: nel caso più generale α può assumere valori diversi lungo i tre assi e dare origine quindi a tre diverse componenti di deformazione. Inoltre esso stesso può essere variabile con la temperatura. Esiste una netta distinzione tra temperature nodali e temperature locali dell’elemento. Nel caso generale elementi diversi possono avere temperature locali diverse nello stesso nodo comune. Nei programmi di analisi strutturale le temperature nel modello possono essere definite in modi differenti. In genere esiste quasi sempre la possibilità di definire le temperature sia a livello di nodo che di elemento. Una modalità può escludere l’altra o viceversa le due modalità possono sovrapporsi. Nel caso generale deve essere possibile far dilatare l’elemento in modo differente da quelli adiacenti e questo può essere ottenuto variando i coefficienti di dilatazione termica o le temperature locali dell’elemento. Spesso inoltre risulta comodo assegnare direttamente un salto termico entro l’elemento, ma deve anche essere possibile calcolare la temperatura locale per i materiali le cui caratteristiche sono variabili con la temperatura. Se il punto entro l’elemento coincide con un nodo, la temperatura locale coincide con la temperatura nodale solo se non sono definiti salti termici interni. In caso contrario essi si sovrappongono e fanno variare sia la temperatura sia il salto termico effettivo. In questa nuova release del Microsap è possibile assegnare ad ogni step di carico diverse configurazioni di temperatura nodale, mentre la temperatura iniziale è assunta costante su tutti i nodi. Al primo step di carico le temperature dei nodi variano gradualmente dal valore T0 al valore specificato nel modulo SOLVE. Per ogni step di carico successivo è possibile fornire un diverso vettore di temperature nodali ed esse varieranno gradualmente nei diversi substep tra i valori finali dello step precedente e quelli finali dello step corrente.

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IV-21

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Entro ciascun elemento la temperatura locale T è determinata dai valori di temperatura Tn assegnati ai nodi (modulo SOLVE) e/o dai salti termici ∆Te assegnati come carichi di elemento e generalmente specificati ai nodi. La temperatura in qualunque punto dell’elemento è calcolata interpolando i valori ai nodi. Sintetizzando, si può scrivere: 8

∆Te = ∑ a i ∆Tei

T = Tn + ∆Te

i =1

La seconda relazione stabilisce che il salto termico assegnato esplicitamente entro l’elemento è la somma di tutti i salti termici eventualmente assegnati per negli otto casi di carico A-H, composti attraverso i moltiplicatori ai della linea C1 del modulo SOLVE. La prima espressione consente di determinare la temperatura locale come somma dei contributi nodale e di elemento. Entro ogni substep il salto termico effettivo è dato dalla differenza tra le temperature iniziale e finale del substep, come visto all’inizio della nota. Si noti che le espressioni precedenti sono scritte per il caso in cui lo step di carico sia risolto in una sola iterazione. In effetti la temperatura T, o meglio, Tn e ∆Te, sono introdotte gradualmente a partire dai valori ad inizio step, fino a raggiungere il livello totale di fine step. Le temperature entro l’elemento e i salti termici espliciti possono essere ottenuti in modo differente a seconda del tipo di elemento. Entro gli elementi di linea (Truss e Beam) la temperatura locale è definita solo nel punto medio. Negli elementi Shell la temperatura ai nodi è assunta coincidente con quella sul piano medio anche quando il piano medio non coincide col piano dei nodi. Entro il piano dell’elemento essa varia quindi con legge lineare. Nello spessore essa è inoltre considerata variabile con legge lineare se sono stati definiti dei gradienti termici.

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IV-22

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Linee C.

Dati Nodali.

Numero richiesto:

Qualunque, fino ad esaurimento geometrica della struttura.

della

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di nodo.

2

I

Codice di vincolo - Traslazione in direzione X

3

I

Codice di vincolo - Traslazione in direzione Y

4

I

Codice di vincolo - Traslazione in direzione Z

5

I

Codice di vincolo - Rotazione attorno a X

6

I

Codice di vincolo - Rotazione attorno a Y

7

I

Codice di vincolo - Rotazione attorno a Z

8

R

Coordinata nodale X

9

R

Coordinata nodale Y

10

R

Coordinata nodale Z

11

I

Indice generazione automatica (KN)

descrizione

NOTE: a) Se un codice di vincolo di traslazione lungo un asse globale (X,Y,Z), o di rotazione è posto uguale a zero, il nodo è libero di traslare o ruotare rispetto a quell'asse. Se il codice di vincolo è posto uguale a 1 la relativa traslazione o rotazione del nodo è impedita. Una serie di nodi può avere lo stesso grado di libertà impedito. Per ottenere questo, l'indice del primo nodo della serie deve essere posto uguale a -1 e l'indice dell'ultimo nodo della serie uguale a 1. I nodi definiti nelle linee dati intermedie avranno l'indice di vincolo posto a 1 dal programma. Con qualunque tipo di elemento è possibile usare il legame di dipendenza master-slave per eliminare dei gradi di libertà non necessari. Per dichiarare "slave" un grado di libertà occorre porre il corrispondente codice di vincolo uguale al numero di nodo "master". Questa possibilità è largamente impiegata per la schematizzazione di impalcati rigidi per strutture a telaio (v. Problem 2.1). Nei telai piani in genere, ad ogni piano è scelto

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IV-23

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"master" il nodo di estremità dell'impalcato e dichiarati "slave" per la traslazione orizzontale tutti gli altri (uguale spostamento di piano). Per gli impalcati appartenenti a ossature spaziali vengono di solito dichiarati "slave" gli spostamenti sul piano orizzontale e, in genere, anche la rotazione attorno all'asse verticale passante per il nodo "master" (v. Problem 2.5). Le equazioni corrispondenti a gradi di libertà "slave" sono eliminate. b) Al fine di evitare problemi nella risoluzione del sistema di equazioni o scarsa precisione nei risultati, l'utilizzatore dovrebbe impedire alla struttura i moti rigidi di traslazione o rotazione lungo gli assi globali X,Y,Z: la struttura deve essere isostatica o iperstatica. Se un grado di libertà è certamente nullo, questo deve essere soppresso dall'utilizzatore (ad esempio tutti gli spostamenti lungo l'asse Z e le rotazioni attorno a X e Y per strutture a telaio piano). Allo stesso modo, se un elemento è incapace di trasmettere alcuni g.d.l., questi dovrebbero essere soppressi. Nodi connessi solo a elementi Truss, ad elementi Plane o ad elementi Solid, dovrebbero avere le tre rotazioni soppresse. Anche se le condizioni di labilità interna devono sempre essere soppresse, esiste tuttavia un caso in cui la struttura può presentare dei moti rigidi o essere totalmente priva di vincoli esterni, rappresentata dai modi di vibrare di "corpo libero". In altri termini, l'analisi modale può essere condotta sia su una struttura isostatica o iperstatica, sia sul modello dotato di moti rigidi. c) La geometria della struttura è definita assegnando le coordinate X,Y,Z dei nodi rispetto al sistema di riferimento globale di assi X,Y,Z ortogonali: i carichi nodali e gli spostamenti sono definiti in questo sistema. Un sistema di coordinate locale è invece usato per ogni tipo di elemento. d) Le linee dati nodali possono essere scritte anche senza rispettare l'ordine dei nodi. Se tra una linea e la successiva sono omessi dei nodi, i nodi intermedi sono generati per mezzo del parametro KN dell'ultima linea dati della serie. KN rappresenta l'incremento di nodo ed i nodi intermedi sono posti equidistanti, sulla retta congiungente gli estremi. I valori della temperatura e dei codici di vincolo sono posti uguali a quelli della prima linea della serie. Se l'indice di vincolo rappresenta il numero di un nodo "master", esso è incrementato di KN. La linea dati relativa all'ultimo nodo della struttura deve sempre essere l'ultima. e) La presente nota chiarisce alcuni aspetti relativi all’uso del legame master/slave. 1) Più nodi sono in genere slave allo stesso master lungo lo stesso grado di libertà. Ad esempio, tutti i nodi su uno stesso piano possono essere dichiarati slave ad un unico master per gli spostamenti Ux, Uy e la rotazione Rz. Sia i nodi master che i nodi slave possono appartenere a qualunque tipo di elemento. 2) Un nodo master può ricevere i contributi di rigidezza, massa e carico dai nodi slave.

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IV-24

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3) Un nodo master può quindi anche non essere connesso ad alcun elemento. In tal caso i g.d.l. non accoppiati a slave devono essere soppressi 4) Le forze concentrate su nodi slave sono ricondotte al nodo master in modo automatico. Il programma eventualmente aggiungerà gli opportuni momenti di trasporto. 5) Analogamente, le masse concentrate su nodi slave sono ricondotte automaticamente al nodo master, eventualmente aggiungendo gli opportuni momenti di inerzia polare. 6) Il Microsap utilizza la definizione della matrice di massa ‘a masse concentrate’; le matrici di massa degli elementi sono diagonali con soli termini traslanti. La matrice di massa globale è diagonale e può ricevere sia componenti di traslazione e rotazione tramite la linea dati ‘carichi concentrati’ del modulo SOLVE. 7) Le relazioni di equilibrio dell’impalcato rigido definito, ad esempio, su un piano parallelo a xy sono: ⎧R ⎫ ⎡1 0 y 0 ⎤⎧⎪ ü x ⎫⎪ ⎪ x⎪ ⎢ ⎨R y ⎬ = M 0 1 − x 0 ⎥⎨ ü y ⎬ ⎢ 2 ⎥ ⎪⎩ M ⎪⎭ ⎣ y 0 − x 0 r0 ⎦⎪⎩ ü zz ⎪⎭ z dove Rx, Ry, Mz, üx, üy e üzz sono le componenti dei vettori forza e accelerazione del nodo master, x0,y0 sono le coordinate del baricentro della massa M dell’impalcato rispetto al nodo master e r0 è il raggio d’inerzia polare rispetto al master. Si deduce quindi che, nel caso di presenza di impalcati rigidi (e solo in questo caso), è possibile riprodurre l’esatta relazione di equilibrio solo se x0=0 e y0=0, cioè solo posizionando il nodo master in corrispondenza del baricentro delle masse dell’impalcato rigido. 9) Nel caso di analisi dinamica di edifici multipiano ad impalcati rigidi deve essere esplicitamente definito, per ogni impalcato, un nodo master baricentrico. 10) Un impalcato può essere parzialmente rigido e parzialmente flessibile. In tal caso il nodo master sarà posizionato al baricentro delle masse appartenenti alla parte rigida. 11) Se le masse sono introdotte fornendo la densità dei materiali (o eventualmente, nel caso di beam, la massa per unità di lunghezza dell’asta), è il programma stesso che effettuerà le opportune operazioni per introdurre nella definizione della matrice di massa, i termini di inerzia polare riferiti al master. In ogni caso il nodo master andrà sempre posizionato al baricentro delle masse sull’impalcato rigido, ma non deve essere fornita la linea di definizione delle masse concentrate.

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IV-25

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12) Esempio: 7

8

+

5

9

6.

Se m5 = m8 = 1. m6 = m7 = 2.

6 4

3

Si ha: z

4. y

1

x

x0 = 2.6667 y0 = 2.

2 4.

I nodi 5,6,7,8 saranno posti slave per le traslazioni lungo x e y e per la rotazione attorno a z al nodo master 9 (che riprodurrà lo spostamento e la rotazione dell’intero impalcato. Il nodo 9 sarà definito con la seguente linea dati: 9,0,0,1,1,1,0,2.6667,2.,6.

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IV-26

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V.2 - MODULO TRUSS Linea A. Informazioni di Controllo. Numero richiesto: Una.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Il numero 1

2

I

NUME - Numero totale di elementi Truss del gruppo

3

I

NMAT - Numero di differenti materiali

4

I

NSEZ - Numero di proprietà geometriche delle sezioni

5

I

NLD - Numero di linee di carico

NOTE: a) L'elemento Truss è un'asta rettilinea che può essere definita nello spazio attraverso i due nodi di estremità I e J. Esso può di norma trasmettere solo azioni di compressione o trazione, essendo definita la sola rigidezza estensionale. Ogni nodo trasmette solamente tre componenti di spostamento. Se un nodo è connesso a soli elementi Truss, le sue rotazioni dovrebbero essere soppresse utilizzando i codici di vincolo delle linee standard C di $INPUT. L’elemento può essere utilizzato sia in campo lineare che nonlineare. Le capacità nonlineari dell’elemento sono riassunte nel seguito. • Nonlinearità di materiale, assegnata attraverso curve sforzo-deformazione • Nonlinearità nel comportamento dell’elemento. Nel caso più generale l’elemento

può assumere tre stati: reagente a sola trazione, non reagente, reagente a sola compressione. Come casi particolari si hanno gli elementi Gap, Hook e di Contatto. • Grandi spostamenti, piccole rotazioni e piccole deformazioni (Updated Lagrangian) • Stress-stiffening (nonlinearità geometrica) b) La nonlinearità di materiale è attivata semplicemente assegnando ai materiali del gruppo le curve σ-ε e attribuendo il valore 1 al campo n.4 della linea B standard di $INPUT. La caratteristica di grandi spostamenti e nonlinearità geometrica è attivata attribuendo il valore 1 ai campi n.5 e n.6 della stessa linea. Sugli elementi del gruppo possono essere attivate tutte le nonlinearità contemporaneamente. Comunque, mentre la nonlinearità geometrica agisce su tutti gli elementi del gruppo (e su tutti i gruppi di elementi che la supportano), la nonlinearità di materiale agisce solo sugli elementi a cui è attribuito un materiale con caratteristiche nonlineari.

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c) In deroga a quanto detto alla nota a), l’introduzione della capacità stress-stiffening conferisce all’elemento anche una componente di rigidezza trasversale. In genere non è possibile assegnare più elementi Truss giacenti sulla stessa linea in quanto sui nodi di connessione la struttura è labile. In questo caso non possono essere assegnate su questi nodi forze o componenti normali all’asse dell’elemento e le traslazioni trasversali dovrebbero essere soppresse. Nelle strutture a traliccio di fatto i cinematismi sono soppressi con l’aggiunta di elementi di controvento capaci di sopportare gli sforzi di compressione o trazione (puntoni o tiranti). Con la funzione di stress-stiffening attivata i puntoni possono gradualmente perdere la loro funzione fino a raggiungere l’instabilità. Viceversa un elemento teso può sopportare carichi trasversali che altrimenti non sarebbero contrastati da alcuna componente di rigidezza. Una fune tesa o una catena può quindi essere suddivisa in più elementi e può sopportare dei carichi trasversali o eventualmente il peso proprio. d) L’elemento Truss è definito con sviluppo rettilineo tra i due nodi di estremità. Di conseguenza, nella schematizzazione di funi o catene attraverso più elementi consecutivi è necessario assegnare esplicitamente la posizione iniziale dei nodi e potrebbero aversi difficoltà di convergenza nei casi in cui la configurazione iniziale si discosta in modo notevole da quella di equilibrio. In questo caso è più conveniente l’utilizzo di un apposito elemento Cavo (Cable) in cui la configurazione geometrica tra i due estremi è un arco di catenaria. e) Il valore introdotto al campo n.3 coincide col numero di linee B necessarie a descrivere tutte le sezioni che differiscono per almeno una proprietà.

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IV-28

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Linee B. Caratteristiche dei Materiali. Numero richiesto: Una serie di linee B1,B2,B3 deve essere fornita per ogni materiale, il cui numero NMAT è stato specificato al campo n.3 della linea A.

B1. Linea di Identificazione Materiale. Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione materiale

2

R

Modulo elastico del materiale (E)

3

R

Coefficiente di dilatazione termica α (solo per carichi termici)

4

R

Peso specifico gravità)

5

R

Densità ρ (solo per analisi dinamica o accelerazione centrifuga)

6

R

Non Usato (Mettere 0.0)

7

I

Tipo materiale (0=lineare; n=n. punti diagramma ε-σ)

γ (solo per carichi dovuti ad accelerazione di

NOTE:

a) Il numero di materiale al campo n.1 deve essere compreso tra 1 e NMAT. Non è comunque richiesto che i materiali siano assegnati in ordine. b) Il valore al campo n.2 è il modulo elastico utilizzato dal programma nel caso di materiale a comportamento lineare. Se il materiale è lineare E deve sempre essere assegnato maggiore di zero. Per materiale a comportamento nonlineare E non può essere definito negativo, ma può anche essere lasciato nullo. c) Se il valore al campo n.4 è assegnato negativo esso è considerato dal programma come peso per unità di lunghezza dell'asta. d) Se il valore al campo n.5 è assegnato negativo esso è considerato dal programma come massa per unità di lunghezza dell'asta.

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IV-29

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e) Note le temperature TI e TJ dei nodi, assegnate con le linee B del modulo SOLVE, la temperatura dell’elemento è ottenuta come somma tra la media Tn delle temperature dei nodi e i salti termici ∆Te esplicitamente assegnati come carichi di elemento: T = Tn+∆Te

Tn = (TI+TJ)/2

f) Al campo n.7 deve essere indicato il numero di punti del diagramma σ-ε del materiale non lineare, con un minimo di 2 punti ed un massimo di 12. Se il numero di punti non è superiore a 6 è letta la sola linea B2, altrimenti è necessario inserire anche la linea B3. Se il materiale è lineare il campo n.7 non è assegnato e le linee B2 e B3 non devono essere inserite. g) La nonlinearità di materiale implementata per l’elemento Truss è adatta a rappresentare un comportamento di tipo elastico nonlineare (elasticità nonlineare). Non è adatta a rappresentare il comportamento elasto-plastico di materiali metallici sottoposti a cicli di carico e scarico in cui siano presenti fenomeni di incrudimento e isteresi con deformazioni plastiche residue. Se l’elemento è sottoposto a step di carico non monotono è percorsa la stessa curva σ-ε indifferentemente nelle due direzioni.

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IV-30

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B2. Diagramma σ-ε del Materiale Nonlineare. Numero richiesto: Una, se il n. punti specificato al campo n.7 della linea B1 è compreso tra 2 e 6 (max 6 coppie σ-ε). Campo

Tipo

Descrizione

1

R

Valore ε1 del 1° punto del diagramma

2

R

Valore σ1 del 1° punto del diagramma

3

R

Valore ε2 del 2° punto del diagramma

4

R

Valore σ2 del 2° punto del diagramma

• •

• •

11

R

Valore ε6 del 6° punto del diagramma

12

R

Valore σ6 del 6° punto del diagramma

B3. Diagramma σ-ε del Materiale Nonlineare. Numero richiesto: Una, se il n. punti specificato al campo n.7 della linea B1 è maggiore di 6 (max 6 coppie σ-ε). Campo

Tipo

Descrizione

1

R

Valore ε7 del 7° punto del diagramma

2

R

Valore σ7 del 7° punto del diagramma

3

R

Valore ε8 dell’ 8° punto del diagramma

4

R

Valore σ8 dell’ 8° punto del diagramma

• •

• •

11

R

Valore ε12 del 12° punto del diagramma

12

R

Valore σ12 del 12° punto del diagramma

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IV-31

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NOTE: a) I punti σ-ε delle linee B2 e B3 devono essere assegnati in ordine crescente di deformazione (ε1≤ε2≤ε3≤…). Se la deformazione è rappresentata sull’asse delle ascisse il diagramma deve essere tracciato sul primo quadrante (ε≥0 e σ≥0) e sul terzo quadrante (ε≤0 e σ≤0). Deformazioni positive originano sforzi positivi (trazione). Viceversa, deformazioni negative originano sforzi negativi (compressione). Spesso un punto del diagramma coincide con l’origine (ε=0 e σ=0). Il diagramma σ-ε è ottenuto congiungendo con tratti rettilinei i punti assegnati. Durante il calcolo nonlineare il programma trova il valore di σ corrispondente al valore di ε corrente interpolando linearmente tra i due punti che racchiudono ε. Se ε cade esternamente agli estremi il valore di σ è uguale al valore dell’estremo, cioè il diagramma continua con pendenza nulla oltre gli estremi. Il valore Et=dσ/dε letto in corrispondenza del valore corrente di deformazione ε è il modulo tangente del materiale, utilizzato dal programma per calcolare la matrice di rigidezza tangente. La pendenza, ovvero il modulo tangente, può essere negativa. Nell’analisi nonlineare non è richiesto che la matrice di rigidezza della struttura sia definita positiva, a patto di utilizzare un opportuno metodo di soluzione che contempli questa evenienza (KSOLV=4,26,31,32).

σ

σ

P6 P5

P3

P4 Et=dσ/dε

P7 P4

P1

ε

P2

ε

P1

P2

P3 Esempi di Diagramma σ-ε Non-Lineare

b) Durante un’analisi nonlineare il modulo tangente Et può cambiare spesso sensibilmente. Se la variazione di rigidezza tra due successive iterazioni è superiore al 10% il programma rileva questa situazione come un Cambiamento di Stato dell’elemento. Tale informazione è conservata per ciascun elemento. Il cambiamento di stato di uno o più elementi provoca il ricalcolo dell’intera matrice di rigidezza e una nuova fattorizzazione. c) Il diagramma σ-ε rappresenta la curva caratteristica del materiale quando l’elemento identificato dai nodi I e J è scarico e non soggetto a tensioni di origine termica, a pretensioni o a tensioni iniziali. Il programma tiene conto separatamente di tali effetti e non devono essere rappresentati nel diagramma σ-ε assegnato. In altri termini, anche in presenza di tali effetti il diagramma assegnato passerà per l’origine degli assi. Attraverso un’opportuna definizione del diagramma sarebbe possibile simulare elementi

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IV-32

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resistenti a sola compressione o sola trazione o elementi gap (distanziale) e hook (gancio) che si attivano solo a seguito di uno spostamento ∆g o ∆h non nullo. Le figure seguenti mostrano alcuni esempi. Tuttavia il Microsap gestisce espressamente queste situazioni come una nonlinearità di stato dell’elemento (v. linee C), per cui si consiglia vivamente di assegnare la curva caratteristica del materiale passante sempre per l’origine.

σ

σ

P3 P2 P4

ε

P1

ε

P4

P1

P2 44

Elemento Reagente a Sola Trazione

Elemento Reagente a Sola Compressione

σ

σ

P3 P2

εg ε

P4

P1

P2 ∆g

εg =

P3

εh

ε

εh =

L − L0 ∆ h = L0 L0

L I

J

I

∆h

L0 Elemento Gap

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P4

∆g L − L0 =− L0 L0

L

J

P1

L0 Elemento Hook

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IV-33

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Linee C. Proprietà delle Sezioni. Numero richiesto: Una linea per ogni differente sezione, il cui numero NSEZ è stato specificato al campo n.4 della linea A.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione della proprietà

2

R

Area della sezione trasversale dell’elemento (A)

3

R

Lunghezza gap DG (∆g)

4

R

Lunghezza hook DH (∆h)

NOTE:

a) Il codice di identificazione della proprietà, al campo n.1, deve essere compreso tra 1 e NSEZ. Non è comunque richiesto che le proprietà siano assegnate in ordine. b) L’elemento può sviluppare grandi spostamenti ma piccole deformazioni. L’area A è quindi considerata invariabile durante l’analisi. Deve essere sempre maggiore di zero. c) Si è già visto nelle note alle linee B come, attraverso l’assegnazione di un materiale nonlineare, sia possibile simulare un elemento resistente a sola trazione, sola compressione oppure un comportamento misto gap/hook, con escursioni ∆g e ∆h. In effetti questa funzionalità è disponibile direttamente con le linee C, assegnando i campi n.3 e n.4. La definizione del comportamento gap/hook attraverso le proprietà delle sezioni è il modo più corretto e completo e da preferire. Attualmente la definizione della curva σ-ε del materiale per punti permette che essa possa non passare necessariamente per l’origine degli assi. Comunque in futuro questa possibilità potrebbe essere inibita e certamente non sarà disponibile per altri tipi di curve che saranno introdotte. d) ∆g e ∆h devono essere valori positivi, con esclusione dei casi particolari descritti nella nota e). E’ possibile assegnare contemporaneamente sia ∆g che ∆h per simulare un comportamento a tre stati: a) reagente a sola compressione; b) non reagente; c) reagente a sola trazione. Come evidenziato nella figura seguente, si può immaginare l’elemento come un’asta rigida connessa ai nodi I e J appartenenti alla struttura. L0 è la lunghezza nominale dell’elemento, coincidente con la distanza iniziale tra i nodi I e J. Sul nodo J l’elemento può scorrere senza trasmettere il moto al nodo, ma alle distanze Lg e Lh esso ha due dispositivi di fine-corsa: se la struttura si deforma (εt0). Nell’intervallo tra Lg e

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IV-34

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Lh l’elemento rimarrà scarico. Se ∆h=0 l’elemento resiste a trazione, ma anche a compressione, quando (e se) è recuperata la distanza ∆g; viceversa, se ∆g=0 l’elemento resiste a compressione, ma anche a trazione quando (e se) è recuperata la distanza ∆h. Si deve notare che i segmenti ∆g e ∆h non sono realmente ubicati all’estremo J o I, ma sono invece una caratteristica dell’elemento, senza avere una posizione particolare. ∆g

Lg

I

∆h

I

J

J

L0

∆h

L0

Lh

Lh

Elemento Truss a Tre Stati

Catena (Elemento Hook)

e) E’ necessario citare due casi particolari.

• Elemento Gap. Quando ∆h è molto grande, tanto da non poter essere mai recuperato, l’elemento resisterà solo a compressione e viene identificato come elemento Gap, con ∆g≥0. Per ottenere questo comportamento è sufficiente assegnare DH=-1. al campo n.4 o eventualmente un valore positivo molto grande. • Elemento Hook. Quando ∆g è molto grande, tanto da non poter essere mai recuperato, l’elemento resisterà solo a trazione e viene identificato come elemento Hook, con ∆h≥0. Per ottenere questo comportamento è sufficiente assegnare DG=-1. al campo n.3 o eventualmente un valore positivo molto grande. Questo è anche il caso tipico delle catene, in cui ∆h è la differenza tra la lunghezza totale (Lh) della catena e la distanza iniziale tra i punti di attacco (L0). f) Nell’attuale release non esistono ancora elementi specifici di contatto. Con l’elemento Truss nonlineare è comunque possibile schematizzare il contatto unilaterale (Contatto Nodo-Nodo) tra elementi adiacenti di qualunque tipo. Per ottenere questo è sufficiente seguire i criteri qui elencati. Si tenga presente che la soluzione del contatto rappresenta un problema di non linearità generalmente laborioso, spesso con convergenza lenta, e richiede una mesh di densità adeguata e opportune strategie in termini di metodo di soluzione (spesso è richiesto il metodo Full Newton-Raphson), tolleranze, ampiezze di substep, ecc. • Nel caso più generale l’elemento di contatto non è altro che un elemento Gap

(definito da DH=-1 e DG≥0), perpendicolare alle superfici in contatto e con rigidezza relativamente elevata. • I nodi delle due superfici a contatto devono essere corrispondenti. In altre parole, i

nodi di una superficie sono ottenuti con una traslazione perpendicolare alla superficie di contatto.

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IV-35

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• Le due superfici a contatto devono quindi essere costruite leggermente distanziate

(ad esempio, di una quantità L0 trascurabile). Questo è necessario per poter interporre elementi truss con nodi I-J separati che ne definiscano l’orientazione. Un caso comune è comunque rappresentato da interfacce inizialmente a contatto ma con le due superfici di nodi già separate. Questo accade, ad esempio, quando il modello strutturale è rappresentato da elementi con spessore non schematizzato. Non è detto comunque che le due superfici siano inizialmente a contatto, ma possono essere separate da un gap ∆g maggiore di zero. • Tra le coppie di nodi interfacciati devono essere costruiti altrettanti elementi truss di

contatto, di lunghezza L0. A tali elementi sarà assegnata per semplicità una sezione di area unitaria. In questo modo la rigidezza di ogni elemento sarà Ke=E/L0. E’ necessario che la rigidezza Ke degli elementi di contatto sia sensibilmente superiore alla rigidezza apparente della struttura nei punti di contatto (10-100 volte maggiore). Ciò per evitare che la struttura risenta del sovraccarico indotto dalla deformazione degli elementi di contatto interposti. L’elemento di contatto in ogni caso si schiaccia ed è soggetto ad una deformazione. Più esso è morbido, più vi sarà compenetrazione tra le superfici. D’altra parte, una rigidezza eccessiva può causare una convergenza troppo lenta o impossibile da raggiungere. Si consiglia di ottenere la soluzione per tentativi, iniziando con valori di rigidezza limitati a 10 volte e substep ridotti. La soluzione è accettabile se l’accorciamento dell’elemento truss è trascurabile rispetto agli spostamenti della rimanente struttura e se soluzioni successive non differiscono in modo apprezzabile nei riguardi degli sforzi nella struttura. Nella figura seguente è rappresentato un esempio di elementi di contatto tra due superfici schematizzate con elementi shell e inizialmente separate da un gap ∆g non nullo. Elementi shell

Elementi di Contatto

t1 ∆g t2

L0

L0 = ∆ g +

t1 + t 2 2

Elementi shell Esempio di Elementi di Contatto

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IV-36

Formato del File Dati

Linee D. Moltiplicatori di Carico Globale. Numero richiesto: 4. Linea 1. Accelerazione nella Direzione Globale X (aX). Campo

Tipo

Descrizione

1

R

Moltiplicatore del caso di carico A

2

R

Moltiplicatore del caso di carico B

3

R

Moltiplicatore del caso di carico C

4

R

Moltiplicatore del caso di carico D

5

R

Moltiplicatore del caso di carico E

6

R

Moltiplicatore del caso di carico F

7

R

Moltiplicatore del caso di carico G

8

R

Moltiplicatore del caso di carico H

Linea 2. Come la linea 1, per l’accelerazione in direzione globale Y (aY). Linea 3. Come la linea 1, per l’accelerazione in direzione globale Z (aZ). Linea 4. Come la linea 1, per la velocità angolare attorno all’asse Z (ωZ). NOTE:

a) Nel caso più generale gli elementi del gruppo possono essere soggetti a due diverse famiglie di carichi. I carichi globali e i carichi locali di elemento. Entrambi sono carichi interni, contrariamente ai carichi concentrati nodali, specificati entro il modulo SOLVE. I carichi locali di elemento sono assegnati specificatamente elemento per elemento, e sono generalmente riferiti al sistema locale. I carichi globali sono invece riferiti al sistema globale e interessano tutti gli elementi del gruppo. Essi sono esclusivamente carichi di accelerazione. I carichi globali possono essere assegnati in quantità differente ai casi A÷H attraverso i moltiplicatori delle linee D. Essi si sommano ai carichi locali di elemento, assegnati con le linee E e F. Per escludere la presenza di un qualunque carico globale è sufficiente assegnare uguale a zero il relativo moltiplicatore.

b) Le componenti di carico di accelerazione in direzione X,Y,Z sono calcolate tenendo conto del peso specifico definito al campo n.4 delle linee B1 ed applicate ad ogni caso di carico secondo i moltiplicatori delle linee n.1,2,3. Un moltiplicatore di valore unitario applica una componente di accelerazione pari a 1 volta l’accelerazione di gravità (1g).

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IV-37

Formato del File Dati

La forza di inerzia totale è quindi suddivisa in parti uguali e applicata agli estremi dell’elemento. c) Con la linea n.4 è possibile introdurre per ogni caso di carico A÷H una componente di accelerazione centrifuga assumendo, come asse di rotazione, l’asse globale Z. Nella linea n.4 andranno specificate le velocità angolari ωZ in rad/sec. Se l’utilizzatore desidera introdurre forze centrifughe, deve tenerne conto nel posizionamento dell’asse globale Z rispetto al modello e assegnare la densità dei materiali con le linee B1.

d) Le linee D devono essere assegnate anche se si prevede di effettuare solamente analisi dinamiche. In tal caso esse possono essere lasciate bianche.

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IV-38

Formato del File Dati

Linee E. Carichi sugli Elementi. Numero richiesto: NLD linee (v. campo n.5 della linea A), fino alla descrizione di tutti i set di carico.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione del set

2

I

Tipo di carico

3

R

Parametro p1

4

R

Parametro p2

5

R

Parametro p3

NOTE:

a) Il codice di identificazione del set, al campo n.1, può essere un qualunque numero intero positivo. I set di carico possono essere assegnati in qualunque ordine. In genere un set di carico può essere composto da differenti tipi di carico. Per ottenere questo è sufficiente assegnare più linee con lo stesso codice identificativo. Nell’attuale release è comunque previsto solo il carico di tipo 0. I carichi sullo stesso set, anche assegnati con linee non consecutive, si sommano a quelli eventualmente già presenti. Ad esclusione della prima riga, se il numero di set è nullo, il nuovo carico è sommato al set definito per ultimo.

b) I parametri p1,p2,p3 variano col tipo di carico secondo la tabella seguente. Nell’attuale release è previsto solo il carico di tipo 0. Tipo Descrizione 0 Deformazione Iniziale

Tipo 0.

p1

εin

p2

δin

p3 ∆Te

Deformazione Iniziale. Questo tipo di carico permette di assegnare un valore di deformazione iniziale all’elemento, ottenuta come contributo di tre cause di differente origine ma di effetto equivalente: deformazione assegnata esplicitamente, interferenza o gap, salto termico interno. Di norma l’utente sceglierà una sola delle tre modalità, a seconda dell’effettiva origine del carico o della maggiore comodità di assegnazione. In ogni caso la deformazione iniziale introdotta dal programma è la somma dei tre contributi.

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IV-39

Formato del File Dati

Deformazione iniziale assegnata. Col parametro p1 è assegnato esplicitamente il valore εin=-(Lin-L0)/L0, essendo Lin la lunghezza libera iniziale dell’elemento e L0 la distanza iniziale tra i nodi. Un valore negativo provoca uno stato di compressione iniziale nell’elemento, che si trasmette alle parti adiacenti della struttura e viene quindi parzialmente perso a seconda della sua rigidezza. Questo tipo di carico è del tutto equivalente ad un salto termico. Interferenza iniziale. Il parametro p2 consente di esprimere lo stato di deformazione iniziale attraverso il valore dell’interferenza δin= Lin-L0, per cui è εin=-δin/L0. Un valore di interferenza positivo provoca perciò uno stato di compressione iniziale nell’elemento, che si trasmette alle parti adiacenti della struttura e viene quindi parzialmente perso a seconda della sua rigidezza. Anche questo tipo di carico è del tutto equivalente ad un salto termico. Salto termico iniziale. Il parametro p3 permette di specificare un salto termico ∆Te entro l’elemento, del tutto equivalente ad una deformazione iniziale εin = εth = -(Lin-L0)/L0 = -α⋅∆Te, con α assegnato al campo n.3 delle linee B1. Il carico termico entro l’elemento, oltre che attraverso la assegnazione esplicita di ∆Te può anche essere introdotto attraverso le temperature nodali (v. linee B del modulo SOLVE). In genere è utilizzato uno solo dei due metodi a seconda della convenienza. Nel caso di uso contemporaneo dei due metodi i due effetti risultano sommati (v. nota e), linea B1 e nota g), linea B iniziale di $INPUT). Si noti che ∆Te modifica la temperatura T dell’elemento (e quindi le proprietà dei materiali dipendenti dalla temperatura) e il salto termico effettivo ∆T. Le deformazioni specificate con i parametri p1 e p2 non forniscono invece alcun contributo in tal senso.

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IV-40

Formato del File Dati

Linee F. Assegnazione dei Carichi agli Elementi. Numero richiesto: Qualunque,fino alla assegnazione di tutti i carichi sugli elementi. Lette solo se NLD>0 (v. campo n.5 della linea A). Se presenti, devono terminare con una linea bianca.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Caso di carico (1÷8)

2

I

Numero set di carico

3

I

Elemento iniziale (eli)

4

I

Elemento finale (elf)

5

I

Incremento di elemento (incr)

NOTE:

a) Le linee F non devono essere assegnate se non esiste alcun carico di elemento definito con le linee E. L’ultima linea deve essere bianca, per indicare il termine dell’input dei carichi. b) Col campo n.1 si indica a quale tra gli 8 casi di carico (A÷H) deve essere attribuito il set di carico. Con una linea dati il carico è assegnato dall’elemento iniziale eli all’elemento finale elf, con incremento di elemento incr. Se incr non è assegnato, è assunto un incremento unitario. Se elf non è assegnato, è assunto elf=eli e il carico è attribuito al solo elemento eli specificato al campo n.3. c) E’ buona norma comporre prima il caso A (campo n.1 =1), assegnando tutti i carichi agenti sugli elementi nella condizione A, poi il caso B, e così di seguito, fino a comprendere tutti i casi di carico che interessano. d) Al campo n.2, per ogni caso di carico A÷H, andranno attribuiti i set di carico scelti tra quelli presenti al campo n.1 delle linee E. e) Esempio. Con le seguenti linee dati: 1,2,2,4 1,1,6 1,3,9,13,2 2,1,1,8 2,4,11,12 • (bianca)

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IV-41

Formato del File Dati

la struttura presenta i due casi di carico A e B. Nel caso di carico A gli elementi dal n.2 al n.4 sono caricati con il set di carico n.2, l’elemento n.6 con il set n.1 e gli elementi 9,11 e 13 con il set n.3. Tutti gli altri elementi sono scarichi (o comunque su essi agiscono solo i carichi globali assegnati con le linee D). Nel caso di carico B, gli elementi dal n.1 al n.8 sono caricati con il set n.1 (stesso carico attribuito all’elemento n.6 nel caso A), e gli elementi n.11 e n.12 con il set n.4.

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IV-42

Formato del File Dati

Linee G. Definizione degli Elementi. Numero richiesto: Qualunque,fino al completamento della descrizione di tutti gli elementi NUME del gruppo.

Campo

Tipo

Descrizione

1

I

Numero di elemento

2

I

Numero del nodo I

3

I

Numero del nodo J

4

I

Numero di identificazione del materiale

5

I

Numero di identificazione della sezione

6

I

Parametro di generazione automatica KN

NOTE:

a) L'asse locale +x dell’elemento è orientato secondo il vettore che va dal nodo I al nodo J. b) Se il numero di identificazione del materiale è lasciato uguale a zero, viene assegnato il materiale n.1. In generale il numero di materiale è scelto tra quelli attribuiti con le linee B. c) Se il numero di identificazione della sezione è lasciato uguale a zero, viene assegnata la sezione n.1. In generale il numero di sezione è scelto tra quelli attribuiti con le linee C. d) Gli elementi devono essere assegnati in ordine crescente. Se tra una linea e la successiva si ha un salto nel numero di elemento, gli elementi intermedi sono generati incrementando i nodi I,J del valore KN (positivo, negativo o nullo) dato al campo n.6 della linea iniziale della serie. In tal caso tutte le caratteristiche degli elementi generati saranno poste uguali a quelle specificate nella linea iniziale. L'elemento finale della serie non è comunque generato, ma ad esso sono attribuiti i valori assegnati dall'utente. L'ultimo elemento della serie può quindi essere usato per la generazione della serie successiva. L’ultimo elemento del gruppo deve essere sempre esplicitamente assegnato. Se KN è lasciato uguale a zero, esso è posto uguale a 1 dal programma. E’ possibile assegnare elementi fittizi (dummy), specificando il nodo I con valore negativo o nullo. Un elemento dummy non fornisce alcun contributo strutturale. Gli elementi dummy possono essere assegnati esplicitamente o generati come qualunque altro elemento. Gli elementi dummy assegnati con I=0 sono elementi nulli, con tutti i numeri di nodo e le proprietà uguali a zero (gli eventuali valori assegnati sono ignorati). Viceversa, la assegnazione con I0, ma gli elementi sono disabilitati (non è costruita la matrice di rigidezza e l’elemento è come se non esistesse). Il segno del nodo I è solo un contrassegno per disabilitare l’elemento. La attuale release non possiede ancora delle funzioni per riabilitare gli elementi temporaneamente disabilitati, per cui non esiste differenza tra i due casi. e) Output Risultati di Elemento. Questa release di test conserva sui file .MNT e .RST, i seguenti 12 risultati (v. linea C8 del modulo SOLVE). Deformazione totale εt. Comprensiva della deformazione libera che non genera sforzi (ad es., con elementi Gap e Hook) e della deformazione iniziale. EPS0 Deformazione iniziale e termica ε0+εth. EPSM Componente meccanica della deformazione assiale. Genera SIGM. SIGM Sforzo meccanico assiale nell’elemento. E’ quello trasmesso agli elementi adiacenti. Genera le forze interne. TEMP Temperatura interna dell’elemento. Dipende dalle temperature istantanee nodali e dalle quote di salti termici applicati. FSIG Forza interna assiale FINT(1-6) Componenti Fx,Fy,Fz della forza interna sui nodi I e J, in coordinate globali.

• EPST

• • • • • •

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IV-44

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V.3 - MODULO BEAM – Tipo 0 Linea A.

Informazioni di Controllo. Numero richiesto: Una. Campo Tipo

Descrizione

1

I

Il numero 2

2

I

Numero totale di elementi Beam

3

I

Tipo elemento (deve essere 0)

4

I

Numero di differenti proprietà geometriche (NPROP)

5

I

Numero di linee di carichi sugli elementi (NLD)

6

I

Numero di differenti materiali (NMAT)

7

I

Numero di differenti serie di offset rigidi (NOFF)

8

I

Numero di differenti proprietà estese (NEXT)

9

I

Numero set sezioni interne (NSZI)

10

R

Valore di default per il fattore di taglio

11

I

Codice per convenzione orientazione della sezione (KOP)

12

I

Numero di linee per la definizione dei vincoli interni (NVI)

13

I

Tipo di output nel file monitor (OUTMNT)

Ye ≡ 2 K Xe ≡ 1

J Ze ≡ 3

I

FIG. V.3-1 - Sistemi di riferimento locali e orientazione dell’elemento

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IV-45

Formato del File Dati

NOTE: a) Gli elementi Beam, contenuti entro il modulo BEAM, sono contraddistinti dal numero 2, assegnato al campo n.1. Poiché esistono diversi tipi di elementi Beam, essi sono contraddistinti da un diverso codice, che deve essere introdotto al campo n.3. In questo capitolo si descrive l’elemento di base, lineare, di tipo 0. L’input e le caratteristiche coincidono totalmente con l’elemento Beam contenuto nelle precedenti release del solutore nonlineare e nel solutore lineare. L’unica differenza consiste proprio nell’introduzione del nuovo campo n.3 che identifica il tipo di elemento. La posizione di tutti gli altri campi della linea A risulta di conseguenza semplicemente traslata. Gli altri tipi di elemento Beam sono descritti separatamente in successivi capitoli. Per essi i tre campi della linea A hanno lo stesso significato ma i successivi campi possono variare di numero, posizione e significato, anche se possono esservi delle attinenze. Analogamente, le linee dati successive a quella iniziale sono generalmente diverse, anche se è stata mantenuta, finchè possibile, la stessa impostazione. In ogni caso, molte convenzioni rimangono le stesse. Per questo, pur essendo gli elementi notevolmente differenti, si applicano le direttive dell’elemento base specificate alle note seguenti. Per gli altri tipi di elementi le caratteristiche comuni non saranno in genere ripetute, ma verranno invece segnalate, per ogni linea dati, le differenze rispetto all’elemento base di tipo 0. b) L’elemento è definito attraverso i due nodi di estremità I e J (fig.V.3-1). Per l’input dei dati e per l’interpretazione dell’output dei risultati relativi all’elemento beam è necessario definire un sistema di coordinate locali xe-ye-ze basato sui nodi. L’asse xe è individuato dal vettore orientato dal nodo I al nodo J. L’asse ye è individuato assegnando un terzo nodo K, giacente sul piano xe-ye in qualunque posizione (tranne che sull’asse xe). L’asse ye è la perpendicolare ad xe passante per il nodo K. Infine, la terna locale è completata dall’asse ze, perpendicolare al piano xe-ye. E’ definito inoltre un sistema baricentrico, con l’asse 1 passante per i baricentri delle sezioni trasversali (l’elemento può avere sezione variabile lungo l’asse) e gli assi 2 e 3 sul piano della sezione, coincidenti quando possibile con gli assi principali d’inerzia. Inizialmente, e nel caso in cui non siano definite estremità rigide, i sistemi xe-ye-ze e 1-23 sono coincidenti (1 ≡ xe; 2 ≡ ye; 3 ≡ ze). c) Nel caso più generale l’elemento vero e proprio può essere spostato in posizione eccentrica rispetto agli assi xe-ye-ze, con la definizione di due tratti rigidi di estremità. In altre parole, gli assi baricentrici 1-2-3 dell’elemento possono essere traslati e ruotati rispetto al sistema locale nodale xe-ye-ze. I vettori DI = I’-I e DJ = J’-J rappresentano i due tratti infinitamente rigidi. Il tratto I’J’ è la parte flessibile dell’asta (v. fig.V.3-2). Questa è la parte dell’elemento di reale interesse, poichè solo essa può ricevere i carichi di elemento, componenti di accelerazione o condizione di suolo elastico e solo entro questo tratto è possibile avere l’output delle azioni di estremità e delle azioni interne. Sui nodi I e J di connessione possono comunque essere definiti i normali carichi nodali (v. linee B, modulo SOLVE) o eventuali spostamenti imposti o soppressi.

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IV-46

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Z

1 Ye sistema locale baricentrico

J' Ze

Xe DJ

2

sistema locale nodale

3 J I'

DI

I

sistema globale

Y

X

FIG. V.3-2 - Elemento beam con offset rigidi.

d) Al campo n.9 deve essere riportato il numero delle linee J necessarie alla definizione delle sezioni interne. Si noti che, nel semplice caso in cui le sezioni siano equispaziate lungo l’asta, non è necessario assegnare esplicitamente le ascisse con le linee J, ma è sufficiente indicare il numero di sezioni equispaziate (con segno negativo) direttamente al campo n.8 delle linee K). e) Al campo n.10 può essere specificato il valore di default da assegnare al Fattore di Taglio (χ) alle aste a cui non è associato un set di proprietà estese (Linee K, campo n.10 uguale a zero) oppure il cui Fattore di Taglio è stato specificato nullo (Linee D, campo n.2 oppure n.3). Se è assegnato un valore (maggiore o uguale a 1.) al parametro, la deformabilità a taglio è attivata per tutte le aste del gruppo. Ad esempio, assegnando il valore 1.2, se non è specificato esplicitamente un fattore di taglio con il set proprietà estese, l’area di taglio sarà AS=A/χ, senza alcuna distinzione riguardo alla direzione locale 2 o 3. f) Il campo n.11 (KOP) stabilisce la convenzione utilizzata per l’orientazione delle sezioni degli elementi. Sono contemplati i casi seguenti. •

KOP = 0

Se il campo n.11 é uguale a zero o non é assegnato, il comportamento è quello standard. L’asse locale 1 coincide con l’asse I-J dell’elemento. Gli assi 2 e 3 definiscono invece la posizione degli assi principali d’inerzia della sezione, e quindi la sua orientazione. Per definire la posizione dell’asse 2 deve essere assegnato il nodo K, giacente sul piano locale 1-2 (come nei vari SAP). Esiste un metodo alternativo al nodo

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IV-47

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K, che consente di orientare la sezione secondo le direzioni degli assi globali. Se il campo n.4 delle linee K è positivo, esso indica il nodo K da usare per la definizione dell’asse 2. Viceversa, se sono assegnati i valori -1,-2,-3 il piano principale 1-2 sarà orientato parallelamente agli assi globali X,Y,Z e con l’asse 2 concorde con X,Y,Z. I valori –4,-5,-6 producono lo stesso risultato, ma con l’asse 2 con verso discorde a X,Y,Z. Ad esempio, se l’asse Z è verticale e verso l’alto, col valore –3 la sezione sarà orientata con il piano principale 1-2 anch’esso verticale e con l’asse 2 verso l’alto. •

KOP = 1,2

Con questa opzione è possibile utilizzare un metodo generale di orientazione alternativo al nodo K. Tale metodo è da preferire poiché evita la definizione di nodi non strutturali. Se al campo n.4 delle linee K è inserito un valore positivo, esso è trattato nel modo usuale, come numero di nodo K. Un valore minore o uguale a zero è invece interpretato come angolo di rotazione attorno all’asse dell’elemento rispetto alla giacitura standard. Se KOP=1 l’angolo è assegnato in gradi. Se invece è posto KOP=2, l’angolo è in centesimi di grado. Poichè il campo n.4 è di tipo intero, col primo metodo è possibile orientare la sezione con precisione di 1 grado, mentre col secondo metodo la precisione è di 0.01 gradi. La giacitura standard per la sezione (angolo zero) è quella con il piano 1-2 parallelo all’asse Z (cioè con l’asse 3 parallelo al piano XY) e l’asse 2 dalla parte di +Z (coincide con K=-3 del metodo precedente). L’angolo è positivo in senso antiorario attorno al vettore I-J = 1. Ad esempio, con KOP=1, se al campo n.4 delle linee K è indicato il valore –30, gli assi 2-3 saranno ruotati di 30 gradi in senso antiorario attorno all’asse 1 rispetto alla giacitura iniziale. Con KOP=2 la rotazione sarebbe invece di soli 0.3 gradi. Per gli elementi con asse parallelo a Z (e fino a 0.5 gradi) la giacitura di default è col piano 1-2 parallelo all’asse X e con l’asse 2 opposto al verso +X, come con K=-4 del caso a). Vedi figura V.3-3. 2

Z 1

J 2

θ

J I

3

I

1 2

θ 3

θ

1

3

Y

I

X

FIG. V.3-3 - Orientazione degli assi locali e rotazione rispetto alla giacitura standard per KOP=1 e 2 •

KOP = -1,-2

Le opzioni KOP=-1 e KOP=-2 sono simili al caso b), ma utilizzano la seguente logica. Il nodo K, se usato, deve essere definito sul piano principale 1-3. Utilizzando il metodo di

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IV-48

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orientazione alternativo (valore nullo o negativo al campo n.4 delle linee K), l’asse 2 è parallelo a XY e l’asse 3 è dalla parte di +Z. Se l’elemento è verticale l’asse 2 è parallelo a YZ e l’asse 3 è opposto a +X. Questa è la convenzione usata ad esempio da Ansys. L’orientazione Microsap (caso precedente) si può ottenere da quella Ansys ruotando il sistema locale di 90 gradi in senso antiorario attorno all’asse 1. g) Se NVI=0 al campo n.12, è utilizzato l’elemento Beam standard per il quale è possibile specificare dei rilasci di uno o più gradi di libertà in corrispondenza dei nodi. In questo caso il codice che specifica i rilasci da inserire è direttamente assegnato nelle linee K degli elementi. Viceversa, se NVI>0 è usato il macroelemento Beam (fig. V.3-4). Da entrambi i lati, la connessione tra il tratto flessibile e il tratto rigido (oppure in coincidenza col nodo, in mancanza di tratto rigido) è generalmente realizzata con vincolo di continuità. In questo caso tutte le componenti di spostamento e rotazione sono trasmessi al tratto adiacente. Viceversa, è possibile utilizzare un macroelemento Beam con connessioni più complesse ottenute con un vero e proprio elemento connettore interposto tra il tratto flessibile e il tratto rigido. La scelta tra l’uso della Beam standard o del macroelemento HPBeam (High Performance Beam) è effettuata unatantum per tutto il gruppo, assegnando NVI>0. In questo caso NVI è il numero di linee dati F necessarie a descrivere i diversi elementi connettori. Se oltre ai connettori esistono anche rilasci ai nodi, i corrispondenti codici sono assegnati nelle stesse linee F.

rilascio conness. semi-rigida I cerniera elasto-plast. nodo braccio rigido FIG. V.3-4 – Connettori, Rilasci e Bracci Rigidi nel Macroelemento Beam (HPBeam)

La matrice di rigidezza e il vettore dei carichi di elemento sono inizialmente scritti come se l’asta fosse composta dal solo tratto flessibile e nel sistema locale 1-2-3, con origine sul primo estremo del tratto flessibile. L’elemento, attraverso opportune matrici di trasformazione è modificato con la seguente sequenza, a partire dall’estremità del tratto flessibile e con termine sul nodo: 1) Trasferimento dall’asse baricentrico ai centri di taglio. Gli estremi dell’elemento sono spostati dalle estremità del tratto flessibile ai centri di taglio delle sezioni terminali. Gli offset dei centri di taglio sono assegnati nel sistema locale 1-2-3 con le linee D. 2) Inserimento dell’elemento Connettore. L’elemento Connettore è formato da due connessioni semirigide in catena: la prima è un caso più generale di quello visto in

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IV-49

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precedenza, in quanto permette di variare il grado di incastro tra il vincolo di continuità e il rilascio completo di uno o più gradi di libertà. La seconda connessione permette di attribuire una cerniera elastica o elasto-plastica. Nelle soluzioni di tipo lineare questa seconda connessione si comporta allo stesso modo della prima. Gli elementi Connettore sono assegnati con le linee F. 3) Trasferimento alle estremità dei conci rigidi. Alla trave sono aggiunti i tratti rigidi, orientati in modo generico e definiti con tre componenti che possono essere specificate sul sistema xe-ye-ze, sul sistema 1-2-3 oppure anche sul sistema di riferimento globale (v. linee E). Questa trasformazione avviene ancora su 1-2-3. O più precisamente, la matrice di rigidezza ottenuta è relativa agli spostamenti degli estremi dei tratti rigidi rappresentate da componenti riferite a due sistemi con assi paralleli a 1-2-3. I conci rigide sono definiti con le linee E. 4) Rilascio delle azioni di estremità. La trasformazione precedente ha esteso l’elemento fino ai nodi I e J: la posizione degli estremi dei tratti rigidi coincide infatti con la posizione dei nodi. Tuttavia nodo ed estremo dell’asta devono essere considerate entità indipendenti, ancora separate. L’elemento Beam può infatti essere connesso rigidamente al nodo per tutti i 6 gradi di libertà oppure anche per nessuno di essi. Con i campi n.11 e n.12 delle linee J è possibile disconnettere gli estremi dell’asta dai nodi I e J, i quali saranno in genere collegati ad altri elementi. Questa operazione crea dei vincoli interni di tipo pattino o cerniera, con l’effetto di “rilasciare” o rendere nulla l’azione che altrimenti è trasmessa al nodo. Se non esiste rilascio, il vincolo di continuità fa sì che in quella direzione lo spostamento (o rotazione) dell’estremo dell’elemento coincida con quello del nodo. In caso contrario, è come se esistessero due nodi distinti, parzialmente accoppiati. L’operazione eseguita sulla matrice dell’elemento è una “condensazione statica” dell’equazione che contiene la condizione nota (forza o momento nullo), mentre lo spostamento dell’estremo rilasciato deve essere ottenuta “a ritroso”, dopo la soluzione della struttura e durante il calcolo delle azioni interne. E’ importante notare che il rilascio delle azioni di estremità avviene ancora su assi paralleli a 1-2-3. 5) Trasferimento al sistema globale. L’ultima operazione trasforma la matrice di rigidezza e i vettori dei carichi di elemento dal sistema locale 1-2-3 al sistema globale X-Y-Z unico per tutta la struttura. In altre parole, tutti gli elementi convergenti nello stesso nodo si presenteranno con vettori spostamenti nodali (ancora incogniti) e forze nodali tutti congruenti e riferiti al sistema X-Y-Z.

h) Al campo n.13 il codice OUTMNT serve a selezionare i risultati di elemento che si desidera conservare nel file monitor .MNT. Questo codice è utilizzato per tutti gli elementi complessi che producono una elevata quantità di risultati di cui solo alcuni sono monitorati durante tutte le iterazioni della soluzione nonlineare. Nel caso generale (v. ad es. il modulo SHELL) il codice OUTMNT è un intero di otto cifre suddiviso in tre o quattro parti: xxxxyyzz oppure wxxxyyzz. Per l’elemento Beam le prime quattro cifre non sono usate e OUTMNT è semplicemente costituito dai due campi yyzz, col seguente significato. Il codice yy indica la posizione di calcolo dei risultati lungo il tratto flessibile:

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IV-50

Formato del File Dati

yy=00 oppure yy=01 indicano la posizione dell’estremo sinistro del tratto flessibile; yy=02 indica la posizione dell’estremo destro del tratto flessibile; yy=03-11 è la posizione dei punti interni n.1,2,…9. Se yy dovesse risultare maggiore del numero di punti contenuto in una particolare asta, sono conservati i risultati dell’ultimo punto contenuto. Il parametro zz seleziona il gruppo di risultati e può essere zz=00, zz=01 o zz=02. Qualunque altro codice equivale a zz=00. I gruppi di risultati sono i seguenti: zz=00: N1,N2,N3,M1,M2,M3,U1,U2,U3,R1,R2,R3 (azioni interne e spostamenti sul tratto flessibile e riferiti al sistema locale); zz=01: FX,FY,FZ,MX,MY,MZ,Pt2,Pt3,0.,0.,0.,0. (forze interne nodali riferite al sistema globale applicate sui nodi I oppure J (a seconda del valore di yy), mentre Pt2 e Pt3 sono le pressioni sul terreno nei punti estremi del tratto flessibile e dei punti interni e riferiti al sistema locale). Si noti che quando si richiede il gruppo n.1 per i punti yy=03…11 le prime sei posizioni saranno nulle; zz=02: LN,LF,NPI,L1,L2…,L9 (LN=lunghezza tot. asta=distanza nodi I-J; LF=lunghezza tratto flessibile; L1,L2…,L9=lunghezze dei tratti interni). Queste informazioni sono restituite qualunque sia il valore yy.

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IV-51

Formato del File Dati

Linee B.

Proprietà dei Materiali. Numero richiesto: Una per materiale (NMAT linee - v. campo n.6, linea A). Campo Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione materiale

2

R

Modulo di Young (E)

3

R

Coefficiente di Poisson (ν)

4

R

Peso specifico (solo per carichi di gravità)

5

R

Coefficiente di dilatazione termica (α)

6

R

Densità (solo per analisi dinamica)

NOTE: a) Se il valore al campo n.4 è assegnato negativo, esso è interpretato dal programma come peso per unità di lunghezza dell'asta. b) Se il valore al campo n.6 è assegnato negativo, esso è interpretato dal programma come massa per unità di lunghezza. c) Il coefficiente di Poisson è assegnato esclusivamente per il calcolo del modulo di elasticità trasversale G secondo la relazione: E G= 2(1 + ν ) Pertanto non esistono le usuali limitazioni sul suo valore.

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Formato del File Dati

Linee C.

Proprietà Geometriche. Numero richiesto: Una per differente proprietà (NPROP linee - v. campo n.4, linea A). Campo Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione proprietà

2

I

Tipo sezione (0 = sezione generica)

3

R

Parametro p1 - Area della sezione trasversale (A)

4

R

Parametro p2 - Momento d'inerzia attorno all’asse locale 3 (I3)

5

R

Parametro p3 - Momento d'inerzia attorno all’asse locale 2 (I2)

6

R

Parametro p4 - Momento d'inerzia torsionale (J)

7

R

Parametro p5

8

R

Parametro p6

NOTE: a) La linea dati rappresentata è scritta per il caso di sezione generica (campo n.2 = 0), per la quale sono assegnate le caratteristiche di inerzia con i parametri p1-p4. Il Microsap possiede comunque una libreria di sezioni per le quali tali proprietà sono automaticamente calcolate dal programma. I dati relativi alle sezioni di libreria (v. fig. V.3-6), saranno esaminati nella seguente nota d). b) Per l'input dei dati delle sezioni dell'elemento beam è definito il sistema di coordinate locale baricentrico 1-2-3. L'asse locale 1 è l’asse baricentrico. Gli assi locali 2 e 3 giaciono su un piano perpendicolare all'asse 1 formando una terna ortogonale destra. Sono riferiti alla terna locale baricentrica: le proprietà geometriche, i carichi sull’elemento, le reazioni agli estremi e le azioni interne o le altre quantità calcolate nei punti interni NSZI dell’elemento (incognite del problema - v. fig.V.3-5). c) Se si indica con Jp il momento d'inerzia polare baricentrico e con q il fattore di torsione, il momento d'inerzia torsionale è definito come: J = Jp/q. Indicando con M1 il momento torcente e con θ l'angolo di rotazione, sussiste la nota relazione: M M1 θ= 1 = q⋅ G⋅J G ⋅Jp In fig.V.3-6a e V.3-6b sono rappresentate le sezioni di libreria. Il numero che contraddistingue il tipo di sezione va introdotto al campo n.2 della linea C. Il calcolo delle proprietà geometriche J, I3, I2 è effettuato considerando gli assi locali 2 e 3 orientati come in fig.V.3-5. Il programma può eseguire anche il calcolo con gli assi ruotati di 90 gradi (sono scambiati i momenti d'inerzia I2 e I3): in tal caso al numero della sezione va sommato 100. Ad esempio, la sezione tipo 101 è uguale a quella tipo 1, ma l'asse 2 sarà orientato verso destra e l'asse 3 verso il basso.

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IV-53

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Si deve notare che utilizzando le sezioni di libreria, sono calcolate tutte le proprietà geometriche. Se la sezione reale differisce da quelle di libreria, o se l'operatore non desidera l'assegnazione di tutte le proprietà, deve introdurre l’area e i momenti d'inerzia considerando la sezione di tipo 0 (generica). Se si desidera introdurre la deformazione a taglio, questo va indicato al campo n.9 della linea A oppure con le linee D seguenti, qualunque sia il tipo di sezione (generica o di libreria). R1 R

M

2

M

1

2

1

2 J

R3

I 3 M

3

FIG. V.3-5 - Orientazione della sezione, dei carichi di elemento e delle azioni interne

Nella tabella seguente sono elencati i parametri p1-p6 da assegnare ai campi 3÷8 in funzione del tipo di sezione. Tipo 0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20

Sezione Generica Rettangolare Sezione a T Circolare Rettangolare Cava Sezione a I Anulare Angolare Sezione a U Doppio T Angolare Triangolare Triangolare Cava Settore Cavo Poligono Regolare Poligono Reg. Cavo Sezione a C Sezione a Ω Doppio U Doppio U Inversa Sezione a Z

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p1 A B B D B B D B B B B B B R B B B B B B B

p2 I3 H H

p3 I2

p4 J

b

h

H H d H H H t H H r n n H H H H H

b b

h h

b b b

h h h

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p5

p6

b’

h’

t α (in gradi) t b b b b t

t t t t

IV-54

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2 2 h

1 3

H

7

3

H

b B h

B 2

h

2

3

H

2

3

8

H

b

b

B B

B

2 2

h

3

3

D

9

b

H

3 h'

b' 2

h

2 B

10 3

4

3

H

b

t

B 2 h

2

11

5 b

3

H

H

3 B 2

B 2

6

3

D

12

H

t 3

d

B

FIG. V.3-6a - Sezioni di libreria.

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IV-55

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2 b 2 3

13

17 t α

r

H

3

R B

B 2 B 2

H

18

14

3

3 t

n lati

b

B 2 B 2 t

t H

19

15

3

3 n lati

b

2

t

2

16 3

H

H

20 3 t

b B B

FIG. V.3-6b - Sezioni di libreria

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d) Elemento Shear Panel. L’elemento Beamx può simulare il comportamento di una parete di taglio. In particolare, l’elemento può avere un duplice comportamento di tipo Shear Panel lungo uno degli assi locali 2 e 3 (o entrambi) e di tipo Flexural Beam lungo l’altro asse. Il comportamento Shear Panel è attivabile solo per la sezione di tipo 0 (generica). Per attivare il comportamento Shear Panel i campi delle linee C sono modificati come segue. 1) L’area della sezione (campo n.3) deve essere sempre assegnata 2) Se un momento d’inerzia non è assegnato o è nullo, il comportamento dell’elemento nella direzione di inflessione è di tipo Shear Panel. Ad esempio, se I3=0 (campo n.4) l’elemento è di tipo Shear Panel lungo l’asse 2. Analogamente, se I2=0 (campo n.5) l’elemento è di tipo Shear Panel lungo l’asse 3. Se entrambi i campi sono nulli, esso sarà un pannello di taglio in entrambe le direzioni. 3) La normale rigidezza a Flessione e Taglio dell’elemento Beam in una direzione principale può essere espressa come: 1 A con As = K fs = 3 L L χ + 12 EI GAs Se il fattore di taglio non è assegnato (v. linee D) il secondo termine a denominatore non è incluso. Si noti che includendo la deformabilità a taglio l’elemento si deforma maggiormente rispetto al caso in cui è presente il solo termine flessionale. Tranne il caso di travi tozze, il termine tagliante è generalmente trascurabile rispetto a quello flessionale, per cui: 12 EI K fs ≈ K f = 3 L Quando il momento di inerzia è nullo, il primo termine a denominatore non è inserito e l’elemento è di tipo Shear Panel, con rigidezza: GAs K fs = K s = L L’elemento Shear Panel è quindi piuttosto rigido e scarsamente deformabile. Un’altra sua caratteristica è che esso non presenta rigidezza alla rotazione attorno all’asse perpendicolare a quello di taglio. Tale rigidezza può essere fornita da altri elementi che la trasmettano. In ogni caso, il programma assegna una piccola rigidezza alla rotazione. 4) Anche se l’elemento è di tipo Shear Panel in una o entrambe le direzioni, esso possiede l’usuale rigidezza a compressione/trazione e la rigidezza torsionale. Se si desidera sopprimere quest’ultima, è sufficiente assegnare il momento di inerzia torsionale J (campo n.6) uguale a zero. Anche in questo caso il programma introdurrà una piccola rigidezza. 5) Come visto, se l’elemento è di tipo Shear Panel in una direzione, l’area resistente a taglio è ridotta del fattore 1/χ. Tuttavia, se χ0 al campo n.12 della linea A è utilizzato questo metodo per tutti gli elementi del gruppo e ai campi n.11 e n.12 della linea K devono essere assegnati i numeri di set di vincolo interno da applicare rispettivamente sui nodi I e J. Anzi, l’uso di questo metodo attiva il macroelemento HPBeam dotato di Connettori. Le caratteristiche del Connettore sono assegnate nella stessa linea F che definisce i rilasci sul nodo. Il Connettore è comunque applicato in corrispondenza dell’estremità flessibile dell’asta. Se l’asta non possiede il tratto rigido su quel lato, il rilascio e il Connettore risultano adiacenti e indipendenti. La zona del rilascio e il Connettore hanno lunghezza nulla. j) Gli elementi devono essere assegnati in ordine crescente. Se tra una linea e la successiva si ha un salto nel numero di elemento, gli elementi intermedi sono generati incrementando i nodi I,J del valore KN (positivo, negativo o nullo) dato al campo n.13 della linea iniziale della serie. In tal caso tutte le caratteristiche degli elementi generati saranno poste uguali a quelle specificate nella linea iniziale. L'elemento finale della serie non è comunque generato, ma ad esso sono attribuiti i valori assegnati dall'utente. L'ultimo elemento della serie può quindi essere usato per la generazione della serie successiva. L’ultimo elemento del gruppo deve essere sempre esplicitamente assegnato. Se KN è lasciato uguale a zero, esso è posto uguale a 1 dal programma. E’ possibile assegnare elementi fittizi (dummy), specificando il nodo I con valore negativo o nullo. Un elemento dummy non fornisce alcun contributo strutturale. Gli elementi dummy possono essere assegnati esplicitamente o generati come qualunque altro elemento. Gli elementi dummy assegnati con I=0 sono elementi nulli, con tutti i numeri di nodo e le proprietà uguali a zero (gli eventuali valori assegnati sono ignorati). Viceversa, la assegnazione con I0, ma gli elementi sono disabilitati (non è costruita la matrice di rigidezza e l’elemento è come se non esistesse). Il segno del nodo I è solo un contrassegno per disabilitare l’elemento. La attuale release non possiede ancora delle funzioni per riabilitare gli elementi temporaneamente disabilitati, per cui non esiste differenza tra i due casi. h) Output Risultati di Elemento. Gli elementi Beam implementati nella attuale release sono a comportamento lineare e sono uguali a quelli già presenti nella Rel.9.3. L’attuale release conserva nei file .MNT e .RST le seguenti quantità. • FE

Azioni interne. E’ un vettore di 6 componenti (tre forze e tre momenti): R1,R2,R3,M1,M2,M3 (v. fig. ). Le azioni interne sono riferite al sistema locale 12-3 e sono calcolate su un massimo di 11 punti sul tratto flessibile. I punti sono identificati con i numeri da 1 a 11 nel seguente ordine: estremo sinistro (dalla parte del nodo I), estremo destro (dalla parte del nodo J), punti 3-11 (punti interni compresi tra l’estremo sinistro e l’estremo destro).

• UE

Spostamenti interni. E’ un vettore di 6 componenti (tre spostamenti e tre rotazioni): u1,u2,u3,r1,r2,r3. Anche gli spostamenti interni sono calcolati nel sistema locale 1-2-3 negli stessi punti di calcolo delle azioni interne FE.

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• PT

Pressioni sul terreno. E’ un vettore di due componenti: pt2 e pt3. Le pressioni sul terreno sono diverse da zero solo per le travi su suolo elastico. Esse sono calcolate nelle direzioni locali 2 e 3 negli stessi punti di calcolo di FE e UE.

• FINT

Forze interne. E’ un vettore di 6 componenti (tre forze e tre momenti): FX,FY,FZ,MX,MY,MZ . Il vettore forze interne FINT è del tutto simile a FE, ma con le seguenti differenze: 1) le componenti sono riferite al sistema globale X-Y-Z della struttura; 2) il calcolo è effettuato solo sul nodo I e sul nodo J.

• LENG Lunghezze di elemento. E’ un vettore di 12 componenti: Ln,Lf,NPI,L1,…,L9. Ln

è la lunghezza totale dell’elemento, pari alla distanza tra i nodi I e J. Lf è la lunghezza del tratto flessibile. L1-L9 sono le ascisse dei punti interni sul tratto flessibile, sui quali sono calcolati le azioni interne, spostamenti interni e pressioni sul terreno. Il programma calcola i risultati a gruppi di 12 componenti ciascuno. Questo perché per ogni elemento non possono essere conservati più di 12 variabili sul file monitor .MNT. Col parametro OUTMNT della linea A è possibile selezionare il gruppo di risultati da monitorare. La stessa suddivisione per gruppi è utilizzata per accedere ai risultati completi (calcolati per tutti gli elementi) e conservati nel file .RST. Si deve notare che il file .RST contiene in effetti i risultati base: parte dei risultati accessibili dalle API sono calcolati dalle quantità base all’atto della lettura di .RST. Per l’elemento Beam questa release di test prevede i seguenti gruppi di risultati (v. anche nota h) della linea A per ulteriori dettagli): • Gruppo 0 • Gruppo 1 • Gruppo 2

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FE, UE FINT, PT LENG

12 componenti. 8 componenti. 12 componenti.

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V.3A - MODULO BEAM – Tipo 1 Linea A.

Informazioni di Controllo. Numero richiesto: Una. Campo Tipo

Descrizione

1

I

Il numero 2

2

I

Numero totale di elementi Beam (NELE)

3

I

Tipo elemento (NTYP - deve essere 1)

4

I

Numero di materiali (NMAT)

5

I

Numero di proprietà delle sezioni (NPROP)

6

I

Numero di proprietà di suolo elastico (NWINK)

7

I

Numero di differenti proprietà di estremità (NOFF)

8

I

Numero di proprietà del tratto flessibile (NFLX)

9

I

Numero di proprietà dei connettori elasto-plastici (NCON)

10

I

Numero di linee di carichi sugli elementi (NLD)

11

I

Codice per convenzione orientazione della sezione (KOP)

12

I

Tipo di output nel file monitor (OUTMNT)

NOTE: a) L’elemento Beam di tipo 1 è strutturato nello stesso modo dell’elemento tipo 0 e per molti aspetti l’input rimane simile. I campi NMAT, NPROP, NLD, NOFF mantengono lo stesso significato, anche se la loro posizione è variata. Il campo NWINK ha lo stesso significato di NEXT: comunque la linea delle proprietà estese è ora riservata a contenere le sole proprietà del suolo elastico. Nella attuale release il suolo elastico non è ancora attivo. Se NWINK è assegnato, questo provoca la lettura delle linee, che devono quindi essere inserite: si consiglia perciò di porre NWINK=0. Le altre proprietà estese (centro di taglio, fattori di taglio) sono ora inserite nelle proprietà delle sezioni. Inoltre il valore di default per il fattore di taglio che compariva nella linea A è stato soppresso. L’elemento può essere pensato come suddiviso in tre zone: le estremità, i connettori di estremità e il tratto flessibile centrale. Il parametro NOFF identifica il numero di proprietà delle zone di estremità. Il parametro NFLX è il numero di differenti proprietà della parte flessibile centrale delle aste. Infine, il parametro NCON identifica i connettori elasto-plastici (“cerniere” elasto-plastiche) o le connessioni semi-rigide di

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estremità, che costituiscono sostanzialmente una estensione delle informazioni che apparivano nella linea F (vincoli interni di estremità) della beam classica. I codici di vincolo interno sono stati rimossi e spostati nelle linee delle proprietà di estremità. I parametri KOP e OUTMNT conservano lo stesso significato. b) La Beam nonlineare di tipo 1 è, come la Beam lineare di tipo 0, un elemento composto. I componenti principali sono evidenziati nella figura seguente. L’elemento è connesso alla struttura di cui fa parte attraverso i nodi I e J di estremità. La lunghezza totale dell’elemento L è semplicemente la distanza tra i nodi I e J e l’asse principale 1 dell’elemento è il vettore che va da I a J. L’elemento è inizialmente orientato sul sistema locale 1,2,3 in vari modi, ad esempio definendo un nodo K sul piano 1-2. Alle estremità dell’elemento possono quindi essere aggiunti uno o due tratti infinitamente rigidi (in blu), definiti attraverso i vettori DI e DJ con direzione qualsiasi e verso dai nodi I,J agli estremi s,d del tratto flessibile centrale (in verde) di lunghezza Lf. Si viene quindi a definire un secondo sistema locale x,y,z, con origine sull’estremo sinistro s del tratto flessibile. E’ in effetti rispetto a x,y,z che è ottenuta la matrice di rigidezza dell’elemento e il vettore forze. Attraverso opportune trasformazioni, essi sono quindi trasportati sul sistema 1,2,3 e successivamente al sistema globale X,Y,Z della struttura. Durante il passo di calcolo degli sforzi è necessario ripetere queste operazioni in senso inverso: ottenuti gli spostamenti nodali, questi sono convertiti al sistema 1,2,3 e infine al sistema x,y,z. In corrispondenza dei nodi I,J è possibile inoltre definire dei rilasci di una o più componenti di forza o momento (circolo in rosso). Questa ulteriore trasformazione è eseguita sul sistema 1,2,3 prima dell’assemblaggio dell’elemento sulla struttura. In questo caso un rilascio comporta l’annullamento della forza che l’elemento altrimenti trasmetterebbe al nodo e il disaccoppiamento della componente di spostamento che altrimenti coinciderebbe con quella del nodo. La presenza di rilasci di estremità impone una netta distinzione tra quelli che sono i gradi di libertà delle estremità dell’elemento e i gradi di libertà posseduti invece dal nodo. Fin qui le caratteristiche dell’elemento Beam di tipo 1 coincidono con quelle dell’elemento lineare di tipo 0.

y z 2

s

Lf

x DJ

DI I

d

L

J

1

3

c) Nell’elemento Beam di tipo 1 i rilasci possono anche essere ubicati, a scelta, sulle estremità s e d del tratto flessibile, come evidenziato in figura. Non è tuttavia possibile inserire i rilasci in entrambe le posizioni, né avere situazioni miste. Se i rilasci sono inseriti alle estremità s e d, essi sono riferiti al sistema x,y,z. Un’altra notevole differenza rispetto all’elemento Beam di tipo 0 è che l’asse x non deve obbligatoriamente essere baricentrico, così come gli assi y e z non devono obbligatoriamente essere assi

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principali di inerzia della sezione. Nell’elemento Beam di tipo 1 i tratti costituiti dai bracci rigidi e dai dispositivi di rilascio (componenti in blu e rosso) sono identificati come Segmenti di Estremità e le relative proprietà sono assegnate esclusivamente con le linee E. d) Le principali differenze con l’elemento Beam di tipo 0 si riscontrano sul tratto flessibile. Nell’elemento Beam di tipo 0 il tratto flessibile è rettilineo e costituito da un unico segmento di caratteristiche costanti per geometria e materiale. In particolare, il materiale è a comportamento lineare elastico e la sezione è di tipo prismatico con dimensioni costanti lungo l’asse x e composta di un unico materiale. Esiste in effetti la possibilità di definire due diverse sezioni di estremità, ma questa caratteristica è ottenuta costruendo la matrice di rigidezza con una sezione equivalente con proprietà di inerzia (area e momenti di inerzia) opportunamente modificate. Nell’elemento Beam di tipo 1 la rigidezza del tratto flessibile è ottenuta attraverso l’integrazione numerica lungo l’asse x e quindi le sezioni possono avere caratteristiche variabili per geometria e materiale. Le proprietà di rigidezza di ciascuna sezione possono inoltre essere anch’esse ottenute attraverso l’integrazione sul piano yz della sezione trasversale, e ogni sezione può quindi essere costituita da diversi materiali a comportamento differente. e) Nel metodo degli elementi finiti la struttura è risolta attraverso il Metodo degli Spostamenti. Per ciascun elemento è ottenuta la matrice di rigidezza e i vettorI di carico. Questi sono poi assemblati assieme, ottenendo la matrice di rigidezza e i vettori di carico dell’intera struttura, con gli spostamenti nodali come incognite. La matrice di rigidezza di ciascun elemento è ottenuta descrivendo gli spostamenti interni attraverso funzioni di interpolazione degli spostamenti ai nodi (funzioni di forma). Dagli spostamenti interni è infine possibile descrivere lo stato interno di deformazione e sforzo. Esiste anche un approccio alternativo, utilizzando il Metodo delle Forze: in tal caso incognite del problema sono le forze ai nodi e le azioni interne all’elemento sono ottenute attraverso funzioni di interpolazione delle forze agli estremi. La matrice che moltiplicata per il vettore forze fornisce il vettore spostamenti di estremità è la matrice di flessibilità. Esistono dei concreti motivi che obbligano all’utilizzo del metodo degli spostamenti in un programma di calcolo ad elementi finiti. Tuttavia, per gli elementi unidimensionali il secondo metodo, in campo nonlineare, presenta vantaggi che non possono essere ignorati. In campo lineare il problema non è direttamente percepito in quanto la matrice di rigidezza dell’elemento a sezione prismatica può essere ottenuta in forma chiusa, senza un’integrazione diretta lungo l’asse ed entro la sezione. f) Nell’elemento Beam convenzionale a due nodi gli spostamenti trasversali sono basati su funzioni di forma cubiche (polinomi di Hermite), che coincidono con l’equazione della linea elastica e forniscono quindi la soluzione esatta nel caso di sezione prismatica. Sfortunatamente questo non è sufficiente in campo nonlineare, per cui è necessario utilizzare funzioni di forma di grado superiore: ciò si traduce nella necessità di utilizzare elementi con più di due nodi e/o usare più elementi per schematizzare un’unica membratura. Questa è una pratica naturale nell’uso di elementi diversi da quelli unidimensionali: per avere una maggior precisione è necessario infittire la mesh. Invece, con gli elementi uni-dimensionali convenzionali lineari prismatici la precisione dei risultati non dipende dal numero di elementi ed un solo elemento è sempre sufficiente per ottenere la soluzione esatta. Questo può essere quasi totalmente mantenuto anche

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in campo nonlineare se si impiega il metodo delle forze per scrivere la matrice di flessibilità dell’elemento che deve essere però invertita e trasformata in matrice di rigidezza prima dell’assemblaggio con gli altri elementi della struttura. Le funzioni di forma che legano le forze di estremità alle forze agenti sulle sezioni interne sono piuttosto banali in un elemento unidimensionale in quanto ottenibili con semplici considerazioni di equilibrio e non dipendono quindi dal comportamento nonlineare dell’elemento. E’ tuttavia necessario che gli spostamenti agli estremi siano congruenti con le deformazioni interne che dipendono dal comportamento nonlineare delle sezioni all’interno dell’asta. Questo requisito può essere soddisfatto attraverso una serie di iterazioni entro l’elemento. In caso contrario, ad ogni iterazione saranno presenti entro l’elemento delle azioni interne non equilibrate che possono essere aggiunte, nell’iterazione successiva, a quelle dovute al disequilibrio dell’intera struttura. Si deve notare che la matrice di flessibilità dell’elemento è ottenuta attraverso l’integrazione delle flessibilità delle sezioni scritte lungo x (sezioni di controllo). Perché la matrice di flessibilità sia invertibile è necessario che essa sia riferita ad uno schema isostatico senza labilità. E’ quindi necessario depurare i 6 moti rigidi dalla trave a due nodi e 12 gradi di libertà ed effettuare l’operazione inversa dopo l’inversione della matrice di flessibilità. g) Da quanto detto alla nota precedente, l’uso del metodo delle forze nella definizione interna dell’elemento è preferibile in campo nonlineare in quanto non obbliga alla suddivisione delle beam in più elementi. Inoltre non è necessario utilizzare elementi a più nodi, che conducono a strutture con elevato numero di gradi di libertà, molto impegnative da trattare in campo nonlineare. Per contro, la costruzione dell’elemento risulta più complicata e laboriosa. Una maggiore precisione è normalmente ottenibile semplicemente utilizzando più punti di integrazione lungo x, senza dover suddividere l’asta in più elementi. Il maggior tempo di calcolo causato dalla complessità dell’elemento è ampiamente compensato dal risparmio dovuto alla minor complessità della struttura in termini di nodi ed elementi. Alla fine della precedente nota si è accennato a due differenti modalità di calcolo nella determinazione dello stato interno dell’elemento, attraverso una procedura iterativa oppure inglobando questo problema entro lo schema iterativo generale a livello di struttura. Poiché quest’ultimo può essere ottenuto come caso particolare del primo con poche modifiche, nel Microsap questi due approcci sono stati entrambi previsti. Comunque, l’esperienza d’uso recente da parte di diversi autori, fa propendere verso l’impiego del secondo metodo. E’ di norma più rapido utilizzare più iterazioni a livello di struttura che ottenere ad ogni iterazione un elemento congruente che non ha comunque raggiunto la sua configurazione convergente a livello di struttura. Per questo motivo attualmente il solutore utilizza per default questo metodo. h) Nella figura seguente è rappresentato il tratto flessibile dell’elemento, di lunghezza Lf. Nel caso più generale esso può essere composto da 6 segmenti: s1,s2,s3,s4,s5,s6. Tutti i segmenti sono riferiti allo stesso sistema locale xyz. Uno o più segmenti possono mancare. Ciascun segmento è identificato generalmente dalle sue sezioni di estremità e dalla sua lunghezza. Esiste un caso particolare in cui il segmento possiede una sola sezione e non occupa spazio nel modello. Questo segmento particolare è identificato col nome di Connettore. Nell’elemento Beam di tipo 1 i segmenti s4, s5 e s6 sono sempre dei connettori e le loro sezioni possono occupare qualunque posizione tra x=0 e x=Lf. Le proprietà dei connettori s4, s5 e s6 sono assegnate nelle linee G. Il tratto flessibile vero e proprio dell’asta è invece costituito dal segmento principale s1 e dai

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segmenti laterali s2 e s3. I segmenti s2 e s3 possono anch’essi degenerare a connettori elastoplastici e la loro sezione può essere ubicata in un punto qualunque. Nella seconda figura b) è rappresentato il caso in cui s4 e s5 sono posizionati alle estremità del tratto flessibile ed s6 è un connettore ubicato nella mezzeria del segmento principale: in questo caso il segmento s1, che può essere a comportamento lineare, è di fatto interrotto da una sezione di mezzeria con caratteristiche elastoplastiche concentrate. Analogamente, a s4 e s5 possono essere assegnate caratteristiche di nonlinearità concentrate agli estremi. Le proprietà del tratto flessibile con i segmenti s1,s2,s3 sono assegnate nelle linee F.

Lf

s6 s4

s2

s1

s3

Lf2

Lf1

Lf3

s5

x

a)

s6

s4

s1

s5

x

b)

∆x x c) i) La matrice di flessibilità del tratto flessibile si ottiene semplicemente sommando le matrici di flessibilità dei diversi segmenti. La matrice di flessibilità di un segmento si ottiene integrando le flessibilità della sezione lungo x. Data la generalità con cui possono essere definite le sezioni e il comportamento nonlineare dei materiali, l’integrazione deve essere condotta per via numerica, attraverso il calcolo della flessibilità di sezioni ubicate in punti discreti xi e con passo di integrazione finito ∆xi generalmente variabile. Il programma utilizza lo schema di integrazione di GaussLobatto, che si dimostra particolarmente conveniente per questo tipo di applicazione. E’ possibile definire fino a 20 punti di integrazione. Nella fig.c) è mostrato il caso con 9 punti di integrazione, in cui sono compresi sia gli estremi, sia la sezione di mezzeria. Le

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caratteristiche geometriche delle sezioni intermedie alle ascisse xi (sezioni di controllo) sono ottenute interpolando quelle assegnate agli estremi. j) La forma con cui sono disponibili i dati relativi alle caratteristiche del materiale e della sezione non permette il calcolo diretto della matrice di flessibilità della sezione. E’ invece costruita la matrice di rigidezza della sezione, che è poi invertita. La rigidezza della sezione può essere ottenuta in modi differenti, a seconda del dettaglio con cui si vogliono condurre le analisi e dei dati di ingresso a disposizione. Tipicamente esistono tre possibilità.

• La sezione (o meglio, le sezioni di estremità) è scelta tra quelle di libreria. In questo caso le caratteristiche di inerzia sono calcolate dal programma, considerando variabili le dimensioni caratteristiche della sezione (ad esempio, larghezza e altezza per la sezione rettangolare) ma con l’ipotesi che essa sia costituita da materiale omogeneo e quindi anche a comportamento lineare. • La sezione non è geometricamente definita, ma sono invece assegnate direttamente le sue proprietà globali di inerzia (area, momenti di inerzia) oppure i diagrammi, eventualmente nonlineari delle azioni interne sull’intera sezione in funzione della corrispondente deformazione del piano della sezione. I diagrammi nonlineari possono essere assegnati anche per una sola componente forza/deformazione, utilizzando per le altre componenti le proprietà di inerzia lineari. • La sezione è discretizzata a fibre, cioè è suddivisa in un numero anche notevole di aree componenti (fibre). A ciascuna fibra può essere assegnato un differente materiale con comportamento nonlineare. La rigidezza della sezione è ottenuta per integrazione diretta degli sforzi su ciascuna fibra. Questo è il caso più generale, ma anche più oneroso per quanto riguarda i tempi di calcolo. Come si è visto, nella formulazione dell’elemento Beam di tipo 1 gioca un ruolo determinante la definizione delle sezioni, a cui devono essere associate le caratteristiche nonlineari dei materiali costituenti. I materiali attualmente implementati sono descritti con le linee B, mentre le sezioni sono definite con le linee C. k) L’approccio utilizzato consente di schematizzare l’elemento e la struttura in vari modi. La scelta del tipo di modello dipende dalla precisione desiderata, dall’impegno che si intende porre nella preparazione dei dati di ingresso e dalle risorse di calcolo disponibili. Si riassumuno di seguito le tipologie e le caratteristiche delle possibili schematizzazioni.

• Modello a fibre a plasticità diffusa. E’ la schematizzazione più rigorosa ma anche la più onerosa per il tempo di calcolo richiesto. La definizione del comportamento dei materiali è piuttosto semplice in quanto sono richieste direttamente i diagrammi sforzo-deformazione dei materiali costituenti. La sezione deve però essere suddivisa in fibre (meshata nel suo piano). Se la sezione è omogenea (ad es. acciaio) questo compito potrebbe risultare particolarmente semplice. Buoni risultati si ottengono anche con suddivisioni piuttosto rade. Ovviamente il tempo di calcolo dipende dal numero di fibre per sezione e dal numero di sezioni (punti di integrazione) lungo l’elemento. Questo modello permette di riprodurre esattamente l’interazione tra le componenti di azione normale e momento biassiale. • Modello a plasticità concentrata con cerniere elastoplastiche a fibre. Nell’analisi pushover il carico nonlineare preponderante è rappresentato da forze nodali laterali.

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IV-89

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Di conseguenza si può ritenere approssimativamente che le zone plastiche si concentrino agli estremi dell’elemento. Tutto l’elemento può essere quindi schematizzato in modo lineare, definendo le sezioni in modo globale (prismatiche scelte tra quelle di libreria o generiche). A questo elemento sono infine aggiunti due connettori agli estremi, schematizzati a fibre. Il vantaggio rispetto al metodo precedente consiste nella riduzione del numero di sezioni a fibre da calcolare. Le sezioni a fibre di interfaccia mantengono la capacità di rappresentare fedelmente la presso-flessione. • Modello a cerniere plastiche distribuite. Vi sono delle somiglianze con i due modelli precedenti. Questa è una schematizzazione a plasticità diffusa. Come nel primo modello, le sezioni sono integrate per l’intera lunghezza, ma sono definite con caratteristiche globali. In altre parole, sono assegnati i diagrammi momento-curvatura e azione normale-deformazione dell’intera sezione. Il calcolo è rapido, dovendo far riferimento ad intere sezioni e sono colte le variazioni dello stato elasto-plastico lungo tutto l’elemento. Il principale svantaggio consiste nel fatto che le azioni interne sono considerate tra loro indipendenti. Inoltre la assegnazione dei diagrammi nonlineari presuppone il calcolo dei momenti plastici delle sezioni da effettuarsi all’esterno del solutore. • Modello a cerniere plastiche concentrate. E’ come il secondo modello, ma le sezioni a comportamento plastico sono definite con caratteristiche globali, come nello schema visto in precedenza. I diagrammi nonlineari possono essere del tipo momento-curvatura o momento-rotazione. E’ possibile definire il comportamento nonlineare anche per le altre componenti. Indipendentemente dalla schematizzazione scelta per rappresentare il comportamento della parte principale dell’elemento è anche possibile inserire delle zone a comportamento elasto-plastico locale dovuto a dettagli costruttivi, come nelle connessioni semi-rigide delle membrature in acciaio. l) Al campo n.12 il codice OUTMNT serve a selezionare i risultati di elemento che si desidera conservare nel file monitor .MNT. Questo codice è utilizzato per tutti gli elementi complessi che producono una elevata quantità di risultati di cui solo alcuni sono monitorati durante tutte le iterazioni della soluzione nonlineare. Nel caso generale il codice OUTMNT è un intero di otto cifre suddiviso in tre o quattro campi. Per l’elemento Beam di tipo 1 OUTMNT è composto da tre campi xxxxyyzz, col seguente significato (v. anche note alla linea K). Il campo zz seleziona il gruppo di risultati da conservare. I risultati sono trasferiti per colonne e una colonna è costituita da un numero di componenti (righe) che dipende dal gruppo di risultati selezionato. Solo le selezioni che attivano una sola colonna sono disponibili per il file monitor. I risultati completi sono disponibili attraverso le API. La attivazione dell’output sul file .MNT permette di monitorare i risultati ad ogni iterazione, al contrario del file .RST in cui sono conservati i risultati completi ma relativi solo a soluzioni convergenti selezionate. In .MNT possono essere conservati risultati che impegnano una sola colonna. Sono previsti i 14 gruppi seguenti (zz=00÷14). Il gruppo n.7 non è attualmente disponibile. In fase di post-processing attraverso le API è consigliabile inizialmente esaminare i risultati SEG, XS1, XS2 e LENG che forniscono la chiave di lettura per i gruppi dal n.6 in poi.

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IV-90

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• • • • • • • • • • • • • • •

Gruppo 0 Gruppo 1 Gruppo 2 Gruppo 3 Gruppo 4 Gruppo 5 Gruppo 6 Gruppo 7 Gruppo 8 Gruppo 9 Gruppo 10 Gruppo 11 Gruppo 12 Gruppo 13 Gruppo 14

FINT SEG XS1 XS2 LENG UL FE UE SF SF SF SF SF SF SF

Forze interne nodali su I e J Segmenti dell’elemento Posizioni x1-x12 delle sezioni 1-12 Posizioni x13-x24 delle sezioni 13-24 Lunghezze dell’elemento Spostamenti estremi tratto flessibile Azioni interne e deformazioni sezione Spostamenti interni sezione Risultati sezioni a fibre per n.fibra Risultati sezioni a fibre per n.materiale Min e Max sezioni a fibre per n.materiale zMIN e zMAX sezioni a fibre per n.materiale yMIN e yMAX sezioni a fibre per n.materiale εMIN e εMAX sezioni a fibre per n.materiale σMIN e σMAX sezioni a fibre per n.materiale

12 componenti 12 componenti 12 componenti 12 componenti 2 componenti 12 componenti 12 componenti 6 componenti 6 componenti 6 componenti 10 componenti 12 componenti 12 componenti 12 componenti 12 componenti

Per i gruppi 0÷5 i campi yy e xxxx sono ignorati. Per i gruppi 6,7 è necessario specificare il campo yy con cui sono selezionate le sezioni per le quali si desiderano i risultati e xxxx è ignorato. Con i gruppi 8÷14 si ottiene l’output dettagliato all’interno delle sezioni a fibre: yy consente di selezionare le sezioni con lo stesso criterio dei gruppi precedenti, mentre xxxx permette di restringere la selezione a particolari gruppi di fibre e materiali. Il codice yy identifica la prima sezione dalla quale ha inizio la selezione. Se yy=0 o yy=1 le sezioni dell’elemento risulteranno tutte selezionate. Se yy=3, tutte le sezioni risulteranno selezionate, ad iniziare dalla terza. Se yy è maggiore del numero di sezioni dell’elemento sarà selezionata solo l’ultima sezione. Il numero massimo di sezioni in un elemento non può essere superiore a 24. Questo è il metodo di selezione diretto, per numero di sezione. Esiste tuttavia una ulteriore modalità di lettura dei risultati, per numero di segmento. Assegnando a yy il codice Ss, con S=4,5,6,7,8,9 è selezionato uno dei sei possibili segmenti in cui può essere suddiviso il tratto flessibile mentre con s=0,1,2,3,4,5÷9 sono selezionate diverse sezioni entro il segmento (0= tutte le sezioni del segmento; 1=sezione sx; 2=sezione dx; 3=sezione di mezzeria; 4=sezioni sx e dx; se s>4 sono selezionate le sezioni sx,dx e mezzeria). Ad esempio, il codice yy=42 seleziona la sezione destra del segmento principale mentre il codice yy=64 seleziona le sezioni sinistra e destra del segmento destro del tratto flessibile. Nel gruppo 8 xxxx è il numero della prima fibra selezionata entro la sezione. Se xxxx=0 o xxxx=1 le fibre della sezione risulteranno tutte selezionate. Se xxxx è maggiore del numero di fibre della sezione, risulterà selezionata solo l’ultima fibra. Per i gruppi 9÷14, xxxx rappresenta il numero identificativo del materiale per il quale si desiderano I risultati. Il gruppo 9 restituisce i risultati SF di tutte le fibre di materiale xxxx. In .MNT sono comunque riportati I risultati della sola prima fibra di materiale xxxx incontrata. Se xxxx non è uno dei materiali della fibra i risultati sono valori tutti nulli. Il gruppo 10 fornisce nell’ordine, per il materiale xxxx: 1) n.fibre; 2) area totale; 3) zMIN; 4) zMAX; 5) yMIN; 6) yMAX; 7) εMIN; 8) εMAX; 9) σMIN; 10) σMAX.

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IV-91

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I gruppi 11÷14 restituiscono contemporaneamente in una sola colonna 12 valori: i primi sei valori sono relativi a SF della fibra con materiale xxxx che presenta il minimo valore della componente di SF indicata; i successivi sei valori sono quelli relativi al massimo valore della componente. Ad esempio, il gruppo 12 restituisce i valori SF delle fibre estreme in direzione locale y di materiale xxxx. In generale si possono pensare i risultati disposti secondo un array a tre dimensioni (NDIM1, NDIM2, NDIM3), come nella figura seguente. NDIM1 è il numero di righe dell’array, NDIM2 è il numero di colonne e NDIM3 è il numero di piani. E’ possibile e spesso necessario sovradimensionare l’array per cui, alcune posizioni risulteranno non utilizzate (riempite con zeri). Il numero di valori effettivamente assegnati nelle righe dipende dal gruppo zz. Il numero di valori effettivamente assegnati nelle colonne dipende da xxxx (numero fibre). Il numero di valori realmente assegnati nei piani dipende da yy (sezioni). Se xxxx o yy non sono utilizzati, la dimensione minima richiesta per NDIM2 o NDIM3 è 1. Le API permettono di specificare separatamente NDIM1,NDIM2,NDIM3. Mentre NDIM1 deve essere sufficiente a contenere le componenti richieste, il numero di colonne e piani effettivamente trasferiti dipende dalla capienza NDIM2 e NDIM3. Il riempimento dell’array avviene lungo la direzione NDIM1, poi lungo NDIM2 e infine lungo NDIM3. Per il monitoraggio dei risultati sul file .MNT il programma utilizza sempre NDIM1=12 e NDIM2=NDIM3=1. Gruppo NDIM1 NDIM2 NDIM3 0 12 1 1

Gruppo NDIM1 NDIM2 NDIM3 8 12 nfibt nsez

1

12

1

1

9

12

nfibm

nsez

2

12

1

1

10

12

1

nsez

3

12

1

1

11

12

1

nsez

4

2

1

1

12

2

1

nsez

5

12

1

1

13

12

1

nsez

6

12

1

nsez

14

12

1

nsez

7

6

1

nsez

NDIM3 (yy) NDIM2 (xxxx) NDIM1 (zz)

Valori Tipici di NDIM1, NDIM2, NDIM3 (nsez = n.sezioni selezionate; nfibt = n.fibre totali nella sezione; nfibm = n.fibre di materiale xxxx nella sezione)

Importante. In .MNT le selezioni multiple relative a più sezioni e/o a più fibre contemporaneamente, sono ignorate e sono trasferiti solo i risultati della prima sezione e fibra selezionata. Fanno eccezione solo i casi in cui i risultati di due fibre possono essere allocati in un’unica colonna di max 12 valori (gruppi 11÷14). La assegnazione di un valore OUTMNT non contemplato provoca la restituzione di risultati tutti nulli. Questo accade ad esempio nei seguenti casi: 1) valore zz=07 oppure zz>14; 2) valore yy=Ss, con S che indirizza un segmento con nessuna sezione oppure con s=3 e sezione di mezzeria non presente nel segmento (la sezione di mezzeria non esiste se il numero di sezioni di controllo è pari: i connettori sono dotati di un’unica sezione che è identificata come sezione di mezzeria, sinistra e destra); 3) valore xxxx che indirizza un materiale non presente nella sezione a fibre, per i gruppi di risultati zz>8.

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IV-92

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Linee B - Caratteristiche dei Materiali. Numero richiesto: Una serie di linee B1-B3 deve essere fornita per ogni materiale, il cui numero NMAT è stato specificato al campo n.4 della linea A.

B1. Linea di Identificazione Materiale. Numero richiesto: Una per ciascun materiale. Campo Tipo

Descrizione

1

I

Numero di identificazione materiale (MAT)

2

I

Tipo materiale (MATTYP)

3

I

Parametro n.1 materiale nonlineare (MATPAR(1))

4

I

Parametro n.2 materiale nonlineare (MATPAR(2))

5

R

Modulo di Young (E)

6

R

Modulo di elasticità trasversale (G)

7

R

Peso specifico (γ - solo per carichi di gravità)

8

R

Coefficiente di dilatazione termica (α)

9

R

Densità (ρ - solo per analisi dinamica)

10

R

Modulo tangente minimo (ETMIN)

NOTE: a) Al campo n.2 deve essere indicato il tipo di materiale. In uno stesso elemento beam possono essere utilizzati materiali di tipo diverso, ciascuno con caratteristiche lineari oppure nonlineari. Nel caso più semplice, per default, sull’intero tratto flessibile sono applicati i valori dei campi n.5 e n.6 dei moduli E,G lineari del materiale specificato nella linea elemento, qualunque sia il valore MATTYP. In caso contrario, per ciascuna sezione di estremità è possibile definire diversi materiali costituenti, eventualmente con caratteristiche nonlineari. Analogamente, l’elemento può avere cerniere plastiche o connessioni semirigide situate alle estremità del tratto flessibile. Questi componenti accessori sono descritti attraverso le proprietà della loro sezione (linee C) e possono essere considerati come conci di trave di lunghezza nulla. In ogni caso il modulo E deve essere sempre assegnato. Se MATTYP=0 le linee B2 e B3 vanno inserite ma i parametri nonlineari sono ignorati. In caso contrario MATTYP identifica il tipo di comportamento nonlineare e MATPAR(1), al campo n.3, è un parametro utilizzato

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IV-93

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nell’interpretazione delle linee B2 e B3. La tabella seguente riassume le caratteristiche dei materiali attualmente implementati. MATTYP

MATPAR(1)

Tipo Materiale Lineare Elastico Simmetrico (E,G)

0

-

1

0,10,11

Curva Analitica Sforzo-Deformazione (σ-ε)

2

-

Curva Analitica Forza-Deformazione (N-ε, Vy-γy,Vz-γz, My-κy,Mz-κz, T-ψ)

3

-

Curva Analitica Forza-Spostamento (N-ux,Vy-uy,Vz-uz,My-φy,Mz-φz,T-φx)

11

n.punti diagramma (0…12)

Diagramma Tabulare Sforzo-Deformazione (σ-ε)

12

n.punti diagramma (0…12)

Diagramma Tabulare Forza-Deformazione (N-ε, Vy-γy,Vz-γz, My-κy,Mz-κz, T-ψ)

13

n.punti diagramma (0…12)

Diagramma Tabulare Forza-Spostamento (N-ux,Vy-uy,Vz-uz,My-φy,Mz-φz,T-φx)

MATTYP=0.

Il materiale è di tipo lineare elastico. Sono usati solo i moduli E e G e i parametri delle linee B2 e B3 sono ignorati.

MATTYP=1.

Il comportamento del materiale è descritto attraverso una curva Deformazione-Sforzo assiale di compressione/trazione (ε-σ). Questo tipo di materiale è utilizzato esclusivamente nella schematizzazione del comportamento a presso-flessione (è escluso quindi il comportamento a taglio-torsione) delle sezioni a fibre, sia per l’acciaio che per il calcestruzzo. Attualmente sono implementati tre sottotipi: uno per l’acciaio (MATPAR(1)=0) e due per il calcestruzzo (MATPAR(1)=10,11). MATPAR(1)=0. E’ assegnata una curva bilineare uniassiale deformazioni-sforzi (ε-σ) simmetrica per trazione e compressione. Se la sezione è schematizzata a fibre (v. linee C) questo tipo di materiale può essere impiegato per simulare il comportamento delle armature longitudinali. I parametri sono introdotti con la linea B2. I parametri della linea B3 sono ignorati. MATPAR(1)=10,11. E’ costruita una curva analitica uniassiale deformazioni-sforzi (ε-σ) comprendente sia la parte di compressione che quella di trazione. Se la sezione è schematizzata a fibre, questi tipi di materiale possono essere impiegati per simulare il comportamento a presso-flessione del calcestruzzo. I parametri sono introdotti con le linee B2 e B3 e possono essere rappresentate curve consigliate da diversi autori e normative, compreso l’effetto di confinamento causato dall’armatura trasversale (staffe).

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IV-94

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MATTYP=2.

E’ costruita una curva analitica Forze-Deformazioni. Questo tipo di curva può essere utilizzato nella schematizzazione di una qualunque delle 6 componenti di forza-deformazione di sezioni di classe Globale oppure per le tre componenti di taglio-torsione di sezioni di classe Fibre (v. linee C). Il parametro MATPAR(1) seleziona il tipo di curva tra quelle implementate. I parametri che definiscono la curva sono introdotti con le linee B2 e B3. Le ascisse e ordinate della curva possono rappresentare una delle sei possibili coppie di componenti. Il tipo di componente e quindi l’interpretazione del grafico è determinata dal contesto in cui esso è utilizzato (v. linee C di definizione delle sezioni). Non implementato nella attuale release.

MATTYP=3.

Come MATTYP=2, ma i diagrammi sono di tipo Forza-Spostamento. Le curve sono assegnate in modo identico. L’uso di questo materiale è consentito solo per i Connettori (v.linee F e G). Non implementato nella attuale release.

MATTYP=11. E’ assegnato il diagramma Deformazioni-Sforzi assiali (ε-σ) nonlineare per punti. Il numero di punti (min 0, max 12) deve essere indicato con MATPAR(1). Le ascisse (ε) sono assegnate con la linea B2 e le ordinate (σ) con la linea B3. Se la sezione è schematizzata a fibre il diagramma εσ può essere utilizzato per simulare le armature longitudinali e il comportamento a presso-flessione del calcestruzzo, in alternativa alle curve analitiche MATTYP=1. MATTYP=12. E’ assegnato un diagramma nonlineare Forze-Deformazioni per punti. Il numero di punti (min 0, max 12) deve essere indicato con MATPAR(1). Le ascisse (Deformazioni) sono assegnate con la linea B2 e le ordinate (Forze) con la linea B3. Il significato dei valori in ascisse e ordinate (una delle sei possibili componenti) è determinato dal contesto in cui il diagramma è utilizzato. Se si desidera schematizzare globalmente il comportamento nonlineare dell’intera sezione (indipendentemente dalla sua geometria e materiali costituenti), è possibile assegnare i diagrammi di AzioneNormale-DeformazioneAssiale (N-ε, lungo l’asse locale x perpendicolare al piano della sezione), Taglio-Scorrimento (V-γ, lungo uno degli assi locali y o z giacenti sul piano della sezione), MomentoCurvatura (M-κ, attorno a uno degli assi locali y o z), MomentoTorcenteRotazioneUnitaria (T-ψ, attorno all’asse locale x). Questo tipo può essere utilizzato in alternativa alle curve analitiche MATTYP=2. Di norma il numero di punti MATPAR(1) è almeno 2. Sono tuttavia contemplati due casi particolari. Con MATPAR(1)=0 è costruito un diagramma lineare simmetrico. Con MATPAR(1)=1 può essere costruito un diagramma lineare nonsimmetrico. In entrambi i casi i parametri della linea B2 sono ignorati, mentre la linea B3 contiene le pendenze dei tratti lineari. MATTYP=13. Come MATTYP=12, ma i diagrammi sono di tipo Forza-Spostamento. Gli spostamenti (o rotazioni) sono assegnati con la linea B2. Le forze (o

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IV-95

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momenti) sono assegnati con la linea B3. Questo tipo può essere utilizzato in alternativa alle curve analitiche MATTYP=3. L’uso di questo materiale è consentito solo per i Connettori (v.linee F e G).

b) MATPAR(2) e ETMIN ai campi n.4 e n.10 consentono di gestire in modo differente i casi per i quali il modulo tangente di una curva di materiale è nullo (tangente orizzontale), negativo o infinito (tangente verticale). Nell’elemento Beam di tipo 1 la matrice di rigidezza è ottenuta attraverso il calcolo delle matrici di rigidezza delle sezioni e, dopo la loro inversione, per integrazione delle matrici di flessibilità delle sezioni e la successiva inversione della matrice di flessibilità dell’elemento. Il contributo finale sulla matrice di rigidezza della struttura dipende quindi dal contributo dei diversi materiali della sezione, da quello delle diverse sezioni e infine dai diversi elementi che confluiscono su uno stesso nodo. Quando il rapporto tra gli ordini di grandezza delle rigidezze di questi diversi contributi è elevato, la matrice di rigidezza della struttura è mal condizionata e può aversi una drammatica perdita di precisione, in genere circoscritta alla zona di singolarità. Tale situazione può essere incontrata più volte nel corso del calcolo, in occasione dell’attraversamento locale di condizioni di instabilità. Per poter superare queste situazioni e prolungare il calcolo fino eventualmente al cedimento di tutte le parti della struttura, sono necessari interventi sia da parte dello stesso solutore, sia da parte dell’utente. Anzitutto dovrebbero essere evitate situazioni di singolarità nelle curve dei materiali, come tratti perfettamente orizzontali o verticali. Nei tratti perfettamente orizzontali e con passi iterativi piccoli esiste tra l’altro la possibilità che l’algoritmo pathfollowing inverta il verso di percorrenza della curva forza-spostamento. Se il tratto è perfettamente verticale, ad una variazione nulla di deformazione corrisponde un elevato rilascio di forza. Questo cedimento repentino non può essere smaltito gradualmente nella struttura, ma tende ad essere trasferito sugli elementi adiacenti che ereditano lo stesso inconveniente. Anche i tratti a pendenza negativa possono dare origine a difficoltà di soluzione. I moduli tangenti negativi, quando non strettamente necessari, vanno evitati. Se la sezione è composta di due materiali come ad esempio è il caso del calcestruzzo armato, il ricorso a moduli tangenti negativi può essere evitato per i casi reali. Al superamento della resistenza ultima del calcestruzzo il suo modulo tangente può anche essere considerato nullo, mentre rimane il contributo dell’armatura che ha ancora elevate capacità a deformarsi. Questa situazione non può comunque essere gestita solo dall’utente attraverso la modifica della curva del materiale, ma deve essere attuata anche a livello software. La modifica delle pendenze della curva del materiale provoca infatti una variazione di moduli tangenti e livelli di sforzo: in altre parole, per un determinato valore di deformazione (ascissa) il programma calcolerà la pendenza (modulo tangente) e lo sforzo (ordinata) corrispondenti. Se viceversa la modifica dei moduli tangenti per evitare situazioni di singolarità è effettuata dal programma esso, per un determinato valore di deformazione modificherà, se è il caso, solo il modulo tangente, assumendo invece il valore di sforzo corretto. In altre parole, attraverso successive iterazioni di equilibrio il programma cercherà la soluzione sulla curva assegnata anche con un modulo diverso da quello tangente. Nel seguito si esaminano i tre casi particolari della curva materiali.

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IV-96

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1. Correzione modulo tangente nullo. Tutti i casi in cui la curva del materiale presenta tratti orizzontali sono sempre corretti dal programma. I tratti orizzontali possono essere assegnati esplicitamente dall’utente, oppure sono i tratti che il programma implicitamente considera come estensione degli estremi delle curve materiali. Se e solo se il modulo tangente è zero, il programma sostituisce il valore nullo con il valore ETMIN assegnato al campo n.10. Se ETMIN è nullo, il programma assume comunque un valore di default pari a 1/100 del modulo secante E* di riferimento. E* è calcolato dal programma ed è pari a 0.01*ymax/x, essendo ymax il valore assoluto massimo dell’ordinata del diagramma del materiale (ad esempio, il massimo valore assoluto di sforzo) e x il valore assoluto corrente dell’ascissa (ad esempio, il valore di deformazione corrente). Al campo n.10 possono anche essere introdotti valori negativi: in tal caso Et=0 è calcolato come per il caso di default, ma assumendo come coefficiente il valore assegnato. Esempio: se il campo n.10 è lasciato nullo, il modulo tangente Et=0 viene corretto con Et=0.01E*; se al campo n.10 è assegnato il valore 210., il modulo Et=0 viene corretto con Et=210.; se al campo n.10 è assegnato il valore –0.001, il modulo Et=0 viene corretto con Et=0.001E*. 2. Correzione modulo tangente negativo. Il programma offre due possibilità, controllate dal parametro MATPAR(2). Se MATPAR(2) è nullo, non è effettuata alcuna correzione sui moduli tangenti negativi. In caso contrario (assegnando ad esempio MATPAR(2)=1), i moduli tangenti negativi sono modificati come detto al punto precedente, vale a dire col valore ETMIN o col suo valore di default. Se nella sezione è presente un altro materiale capace di resistere a deformazioni elevate dopo il cedimento del primo (ad esempio, calcestruzzo armato), è generalmente più facile la continuazione del calcolo se i moduli negativi nel calcestruzzo sono sostituiti con valori nulli o prossimi a zero. In tal caso ad ETMIN può essere attribuito un valore piccolo, eventualmente non legato ad E, come ad es.: 1⋅10-6. 3. Correzione modulo tangente infinito. I tratti verticali sono generalmente assegnati per simulare la perdita improvvisa di resistenza. Il programma consente l’input di diagrammi di materiale per punti con tratti verticali in cui allo stesso valore di deformazione corrisponde un livello di sforzo indeterminato. A tali tratti corrisponderebbe un valore infinito del modulo tangente che il programma sostituisce con un valore nullo simbolico, che successivamente è corretto come detto al punto 1. Questo perchè l’attuale release rilascia completamente la variazione di forza interna che avviene nell’intervallo tra due successive iterazioni, per cui il tratto verticale viene di fatto saltato e su esso non potrà verificarsi l’esistenza di alcun punto soluzione. Pertanto si raccomanda vivamente di modificare i tratti verticali delle curve dei materiali sostituendoli con tratti eventualmente a forte pendenza negativa (ad esempio, -E) per permettere al programma di percorrere in modo sufficientemente accurato la curva reale e scaricare in modo graduale l’elemento che cede, favorendo lo smaltimento del carico sugli elementi adiacenti. Nella realtà la fase di collasso è un fenomeno dinamico, regolato dalla comparsa delle forze di inerzia. Si tenga presente che lo studio dettagliato del meccanismo di rottura può essere oneroso, difficoltoso e spesso non rispondente al fenomeno reale.

c) I campi n.5 e n.6 rappresentano sempre i valori del modulo estensionale E e del modulo trasversale G del materiale base in condizioni di linearità, qualunque sia il tipo di diagramma di materiale. Non esiste alcun legame con il modulo iniziale del diagramma.

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IV-97

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In un’analisi nonlineare, se il materiale è di tipo nonlineare, esso può presentare moduli iniziali differenti in trazione e compressione. In tal caso, in corrispondenza di un valore di ascissa nulla (solitamente alla prima iterazione del primo step, a struttura ancora scarica), il programma assume come modulo tangente il massimo valore tra i due moduli iniziali. d) I diagrammi globali relativi alle azioni di presso-flessione dovrebbero essere riferiti ad assi quanto più prossimi in direzione e posizione a quelli principali di inerzia e baricentrici istantanei. I diagrammi globali relativi alle azioni di taglio-torsione dovrebbero essere riferiti al centro di taglio-torsione istantaneo. La soluzione nonlineare deve essere considerata come prima approssimazione. La maggior precisione può essere generalmente ottenuta attraverso la schematizzazione a fibre per le azioni di presso-flessione e posizionando il sistema locale quanto più prossimo al centro di torsione-taglio più rappresentativo nell’elemento e definendo per ciascuna sezione lo scostamento del centro effettivo di torsione-taglio rispetto all’origine locale. (v. linee C). e) Il valore al campo n.7 deve essere positivo o nullo. Se esso è uguale a zero il peso proprio delle aste con questo materiale non è incluso. Il peso proprio è calcolato attraverso la assegnazione di un’area equivalente AW alla sezione, oppure considerando l’effettiva geometria e composizione dei diversi materiali della sezione (v. linea C1). f) Il valore al campo n.9 deve essere positivo o nullo. Se esso è uguale a zero la massa delle aste con questo materiale non è inclusa. La massa è calcolata attraverso la assegnazione di un’area equivalente AW alla sezione, oppure considerando l’effettiva geometria e composizione dei diversi materiali della sezione (v. linea C1).

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IV-98

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B2. Parametri Nonlineari del Materiale. Numero richiesto: Una. La linea B2 è la continuazione della linea B1 Campo

Tipo

Descrizione

1

R

Parametro p1

• •

• •

• •

12

R

Parametro p12

NOTE: a) Il significato dei parametri e il loro numero dipendono dai valori MATTYP e MATPAR(1) specificati ai campi n.2 e n.3 della linea B1. MATTYP=0.

Materiale lineare. I parametri delle linee B2 e B3 sono ignorati.

MATTYP=1.

MATPAR(1)=0. Curva bilineare simmetrica uniassiale deformazioni-sforzi (ε-σ). Devono essere specificati i primi due campi. Il primo parametro contiene il valore della sigma di snervamento σy e il secondo campo il valore del modulo tangente Et del tratto post-snervamento. Entrambi i valori devono essere positivi. Et può essere nullo (comportamento elastico-perfettamente plastico), ma non superiore al modulo elastico iniziale E (campo n.4, linea B1). I parametri della linea B3 sono ignorati. MATPAR(1)=10,11. Curva analitica uniassiale deformazioni-sforzi (ε-σ), generalmente finalizzata a riprodurre il comportamento del calcestruzzo. Nella figura seguente è rappresentata la tipica curva uniassiale impiegata.

σ

Et0 ft0

εcc

εccu

ftu

Trazione

εt0

εtu

ε

fcu

Compressione Ec0 fcc

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IV-99

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Le espressioni parametriche utilizzate permettono di schematizzare, come casi particolari, i modelli di diverse normative e quelli proposti da Mander, Kent, Park, Scott, Hoshikuma. La curva del materiale può essere assegnata in due varianti, che possono essere selezionate con MATPAR(1)=10 oppure MATPAR(1)=11. Nel primo caso, più generale, la curva potrebbe rappresentare le caratteristiche del calcestruzzo non confinato o confinato, o eventualmente il comportamento di un materiale similare. Nel caso si debbano rappresentare le caratteristiche del calcestruzzo confinato, gli opportuni parametri devono essere calcolati esternamente. Nel secondo caso si assume che il materiale sia tipicamente calcestruzzo non confinato e alcune caratteristiche sono calcolate automaticamente dal programma. Attraverso l’assegnazione di opportuni parametri addizionali con la linea B3, il programma può procedere automaticamente a convertire la curva del calcestruzzo non confinato in quella del calcestruzzo confinato. I primi 6 parametri della linea B2 sono riservati per assegnare la parte in compressione del diagramma, mentre i successivi sono riservati per la parte in trazione. Poiché i parametri relativi alla compressione e alla trazione sono distinguibili dalla posizione che essi occupano nella linea, eccezionalmente tutti i valori devono essere assegnati positivi, anche se si riferiscono alla compressione. I parametri p6, p11, p12 non sono attualmente utilizzati. Tra parentesi sono indicati i valori di default. Se fcc=0 o ft0=0 il materiale non resiste a compressione o a trazione. Per la trazione la curva è di tipo bilineare. Nella compressione il tratto iniziale fino al picco è parabolico, con due possibili varianti, a seconda che Ec0 sia assegnato oppure no, mentre il tratto post-picco è rettilineo. I valori di trazione e compressione ultimi possono essere assegnati leggermente maggiori di zero, al fine di evitare eventuali problemi di convergenza. Caso MATPAR(1)=10. p1=Ec0 p2=fcc p3=εcc p4=fcu/fcc p5=εccu/εcc p6=p7=Et0 p8=ft0 p9=ftu/ft0 p10=εtu/εt0

(0.0) (0.002) (0.0) (1.75) (0.0) (E) (0.0) (0.0) (10.0)

modulo elastico iniziale a compressione resistenza a compressione deformazione di rottura (in corrispondenza di fcc) resistenza ultima residua (in rapporto a fcc) deformazione ultima (in rapporto a εcc) non usato modulo elastico iniziale a trazione resistenza a trazione (εt0= ft0/ Et0) resistenza ultima residua (in rapporto a ft0) deformazione ultima (in rapporto a εt0)

La figura seguente mostra la relazione tipica tra la curva del calcestruzzo non confinato (verde) e confinato (rosso).

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IV-100

Formato del File Dati

σ fcc fc0

0.5fcc

ε50u

ε50h

fcu

εc0 εcc

εccu

ε

Numerosi test effettuati soprattutto negli ultimi 30 anni da diversi autori, prevalentemente riferiti a provini di sezione rettangolare e circolare, hanno confermato che la curva parabola-retta, pur nella sua semplicità, riproduce piuttosto fedelmente il comportamento uniassiale reale del calcestruzzo. Le espressioni analitiche dei tratti in compressione sono riassunte di seguito. Per comodità deformazioni e sforzi si considerano di segno positivo anche se riferiti allo stato di compressione. Se Ec0=0 (default) il tratto iniziale è una parabola classica con vertice in (εcc ; fcc). In questo caso il modulo elastico iniziale a compressione è fisso e pari a 2fcc/εcc. Nel secondo caso la tangente nel punto (εcc ; fcc) è ancora orizzontale, ma Ec0 è assegnato esplicitamente. Il modello parametrico del materiale permette di assegnare esplicitamente sia la curva del calcestruzzo non confinato sia di quello confinato, attribuendo gli opportuni valori alle coordinate dei punti (εcc ; fcc) e (εcu ; fcu). Tratto crescente (Ec0=0; ε< εcc):

⎡ ⎛ ε σ = f cc ⎢ 2⎜⎜ ⎢⎣ ⎝ ε cc

Tratto crescente (Ec0>0; ε0

E’ utilizzata la percentuale Memax% della memoria virtuale allocabile. Ad esempio, se il test di allocazione di memoria fornisce 3000 Mb disponibili, assegnando MEMAX=50 ne verranno usati al massimo 1500 Mbytes.

• MEMAX>100

E’ utilizzata la quantità fissa pari a Memax Kbytes. Ad esempio, assegnando MEMAX=2048 non verranno usati più di 2048 Kbytes = 2 Mbytes. Ovviamente, in ogni caso, il valore effettivamente utilizzato dipenderà dal problema da risolvere e dalla effettiva disponibilità di blocchi contigui e dall’esigenza di dover comunque allocare certe quantità per cui non è prevista la suddivisione per blocchi.

b) Il parametro KREN, al campo n.2 consente di scegliere uno dei diversi algoritmi di permutazione delle righe e colonne delle matrici di rigidezza, massa e vettore dei carichi. In particolare, poiché l’operazione critica risiede nella fattorizzazione della matrice di rigidezza globale, tutti gli algoritmi di permutazione implementati hanno una base comune e tendono a ridurre il fill-in di questa matrice. Anche con problemi di poche migliaia di equazioni l’operazione di permutazione deve essere sempre eseguita. In caso contrario gli algoritmi di soluzione potrebbero non funzionare o condurre a tempi di calcolo elevati. Il parametro KREN può essere assegnato con i seguenti valori:

• KREN= 0

E’ utilizzato l’algoritmo più appropriato alle caratteristiche della matrice e del problema. Dai diversi test eseguiti, soprattutto su strutture con elementi beam, shell e l’uso intensivo di legami master/slave (multi-point constraints) l’algoritmo più vantaggioso si è rivelato quello descritto per KREN=6, che quindi viene attivato per default.

• KREN=1

E’ attivato l’algoritmo Identity Permutation. In pratica, il vettore di permutazione ha la stessa sequenza di righe/colonne originaria e quindi non esegue alcuna rinumerazione. Tuttavia ogni operazione legata al riordinamento è eseguita. Il suo uso è limitato ad eventuali test.

• KREN=2

E’ attivato l’algoritmo Multiple Minimum Degree.

• KREN=3

E’ attivato l’algoritmo Minimum Degree Standard.

• KREN=4

E’ attivato l’algoritmo Multiple Minimum Degree Modified.

• KREN=5

E’ attivato l’algoritmo Approximate Minimum Degree.

• KREN=6

E’ attivato l’algoritmo Hybrid Nested-Dissection Minimum Degree. Questo si è finora dimostrato il più efficiente in tutte le situazioni esaminate e con tutti gli algoritmi di soluzione ed è pertanto da preferire.

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• KREN>6

Non è eseguita alcuna operazione di permutazione sulla matrice. Il risultato è uguale a KREN=1, ma ogni operazione inerente le fasi di permutazione e della successiva permutazione inversa dei risultati è saltata. Da usarsi solo per test.

c) Il parametro KSOLV, al campo n.3, consente di scegliere uno degli algoritmi di soluzione disponibili. Molti algoritmi hanno una base comune e possono essere suddivisi in due grandi gruppi. Gli algoritmi con KSOLV>25 non sfruttano al meglio la sparsità della matrice e tendono ad essere più lenti e a richiedere più spazio. Possono essere però più affidabili e più tolleranti su sistemi mal-condizionati e prossimi alla singolarità. Entro ogni gruppo esiste almeno una variante che permette la soluzione outof-core a blocchi. La scelta del tipo di solutore determina le modalità di assemblaggio delle matrici. Così, i tipi 1-25 usano il formato compresso CCS, mentre gli altri utilizzano il formato profile-in o l’equivalente diagonal-out. I tipi 1-25 risultano inoltre fino a 10 volte più veloci degli altri. Il solutore scelto entro SOLVE è generalmente lo stesso che sarà usato sia durante l’analisi statica che durante l’analisi dinamica, o comunque tale da essere compatibile col formato compresso delle matrici. Inoltre, mentre tutti i solutori sono utilizzabili per i casi statici lineari, alcuni di essi non possono supportare alcune caratteristiche dell’analisi statica nonlineare e dinamica. KSOLV può essere scelto come segue:

• KSOLV= 0

E’ utilizzato l’algoritmo più appropriato alle caratteristiche del problema. Attualmente, assegnando KSOLV=0 è utilizzato l’algoritmo KSOLV=3 nel caso di sola analisi statica lineare (codice di analisi = 0) oppure KSOLV=4 negli altri casi. Il tipo n.4 non è il più veloce in assoluto, ma è quello che permette l’uso di tutte le funzioni di analisi statica nonlineare e analisi dinamica (v. EIGEN).

• KSOLV=1

E’ attivato l’algoritmo In-Core LLt Standard. Utilizza la tipologia di fattorizzazione di Cholesky e può fattorizzare solo matrici definite positive. In analisi statica nonlineare e dinamica possono sussistere limitazioni. Molto veloce, ma più lento dei tipi 2 e 3.

• KSOLV=2

E’ attivato l’algoritmo In-Core LLt Supernodal Multifrontal. Come il precedente, ma mediamente richiede solo il 75% del tempo di calcolo. E’ generalmente l’algoritmo più veloce in assoluto insieme al tipo 3, ma utilizza uno spazio di memoria maggiore.

• KSOLV=3

E’ attivato l’algoritmo In-Core LLt Supernodal Left-Looking. Velocissimo e stabile, simile al precedente, ma richiede meno spazio di memoria. Da preferire per l’analisi statica lineare.

• KSOLV=4

E’ attivato l’algoritmo In-Core LDLt Left-Looking. Possiede alcune caratteristiche del tipo 3, ma è più lento, con velocità simile a quella del tipo 1. E’ però l’algoritmo più veloce in assoluto che implementi la fattorizzazione di tipo [L][D][L]T e che consente quindi la fattorizzazione di matrici non definite positive. In tal modo, può accedere a tutte le funzioni attivabili in EIGEN e a tutti i tipi di analisi statica nonlineare.

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• KSOLV=5

E’ attivato l’algoritmo Out-of-Core LLt Left-Looking. Del tutto simile al tipo 3, ma adatto per problemi di grandissime dimensioni. [A] è ancora contenuta in memoria (virtuale) in formato compresso mentre [L] può essere costruita per blocchi di max 1 Gb ciascuno, che sono conservati su files separati. La velocità è quella del tipo 3 con in più i tempi di input/output sull’hard disk.

• KSOLV=21

E’ attivato l’algoritmo In-Core LLt Left-Looking. Simile al tipo 3, anche come tempi di esecuzione, ma utilizza maggior memoria. Può essere usato solo in analisi statica lineare. Potrebbe essere soppresso nelle future release.

• KSOLV=22

E’ attivato l’algoritmo In-Core LDLt Left-Looking. Simile al tipo 4, più veloce, ma utilizza maggior memoria. Può essere usato solo in analisi statica lineare. Potrebbe essere soppresso nelle future release.

• KSOLV=26

E’ attivato l’algoritmo In-Core LDLt Skyline Diagonal-Out. Alternativa al tipo 4, ma molto più lento per la minore efficienza dello schema a matrice sparsa.

• KSOLV=31

E’ attivato l’algoritmo Out-of-Core LDLt Profile-In Standard. Ha caratteristiche simili al tipo 26, ma può suddividere in blocchi sia [A] che [L], anche se lo schema a matrice sparsa non è paragonabile a quello degli algoritmi 1-25.

• KSOLV=32

E’ attivato l’algoritmo Out-of-Core LDLt Profile-In Partitioned. Simile al precedente, se ne differenzia per un miglior utilizzo della cache e il suo tempo di esecuzione è circa il 75%, ma mediamente circa 5 volte maggiore dei metodi 1-25.

d) Durante la fase di assemblaggio della matrice di rigidezza globale il programma effettua un controllo preliminare sui valori della diagonale principale. Infatti, se la struttura è sufficientemente vincolata, se i moti rigidi interni sono stati rimossi, se i materiali sono stati definiti correttamente e gli elementi sono geometricamente corretti, la matrice globale è definita positiva. I coefficienti sulla diagonale sono tutti positivi e di valore preponderante rispetto a quelli fuori diagonale. Se tuttavia esiste qualche moto rigido interno dovuto a rigidezze non assegnate all’elemento (v. elementi Plane Stress, Membranali, Truss) e i relativi assi locali non coincidono con un asse globale, tale problema non può essere rilevato in fase di assemblaggio e diverrà manifesto solo in fase di fattorizzazione della matrice. Esistono comunque dei metodi per ottenere una soluzione spesso corretta anche in presenza di difetti del modello, ma essi devono essere esplicitamente attivati dall’utente (v. note seguenti). e) Perché la matrice di rigidezza globale sia ben condizionata e per rendere minima la perdita di precisione durante la fase di fattorizzazione, non vi devono essere valori di rigidezza inutilmente elevati. Questo può accadere se sono assegnati materiali con modulo elastico eccezionalmente elevato, elementi con geometria anomala o elementi

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Boundary con rigidezza troppo alta. Se è eseguita l’analisi dinamica non devono essere presenti masse concentrate elevate connesse a parti di modello con rigidezza minima. Nella maggioranza dei casi questi fatti sono dovuti a errori nella definizione del modello. Il programma fornisce i valori massimi e minimi riscontrati sulla diagonale principale delle matrici globali di rigidezza e massa. L’utente dovrebbe sempre verificare che il massimo e minimo valore di rigidezza diagonale siano innanzitutto positivi e che il rapporto di rigidezza non superi il valore di 1⋅108÷1⋅1010. f) Se deve essere risolta una qualsiasi analisi nonlineare, si raccomanda vivamente di procedere inizialmente al calcolo lineare. Questo permette di correggere gli errori di definizione del modello e di ottenere tutte le informazioni sulle matrici di rigidezza e massa che lo rappresentano. In caso contrario è spesso impossibile imputare anomalie presunte o reali a difetti del modello o al comportamento nonlineare. Questo è estremamente importante se sono attivati gli effetti di nonlinearità geometrica P-∆ e instabilità. Quando il calcolo nonlineare è spinto fino al collasso della struttura o addirittura oltre la prima configurazione instabile, il contributo dovuto alle diverse nonlinearità dovrebbe essere verificato separatamente e i carichi introdotti gradualmente, con un numero sufficiente di step e sottostep. Un calcolo con forti nonlinearità diventa facilmente risolvibile solo quando si conosce in anticipo la sua curva caratteristica forze-spostamenti, anche se purtroppo in un sistema con migliaia di elementi e gradi di libertà il collasso riguarda gradualmente parti diverse di struttura. Durante il calcolo nonlineare la matrice di rigidezza può non essere definita positiva. g) Il parametro TINY, al campo n.4, permette di correggere alcune labilità interne della struttura nei casi particolari trattati alla nota d) precedente. Nei casi standard la matrice di rigidezza globale possiede tutti i coefficienti diagonali positivi e preponderanti rispetto agli altri fuori diagonale. Se la struttura è semplicemente priva di vincoli e non esistono altre sconnessioni interne, essa presenterà 6 componenti di moto rigido e la matrice di rigidezza risulterà singolare e non fattorizzabile. Alcuni tipi di elementi possiedono solo una parte dei 6 gradi di libertà. Ad esempio, l’elemento Truss può trasmettere solo azioni lungo il suo asse. Se un nodo è quindi in comune solo con due elementi Truss, esso sarà labile per le traslazioni perpendicolari all’asse e per le rotazioni. Tali gradi di libertà dovrebbero quindi essere soppressi o ad essi dovrebbe essere connesso un elemento (eventualmente fittizio, come un Boundary) che fornisca le opportune rigidezze. Se le labilità interne sono orientate nelle direzioni globali, esse daranno origine a coefficienti nulli sulla diagonale della matrice globale. Altrimenti tale problema comparirà sulla matrice solo in fase di fattorizzazione. Nel primo caso, la soppressione dei moti rigidi può essere ottenuta anche automaticamente, assegnando una rigidezza (eventualmente piccola), ai termini diagonali nulli. Un altro modo che sicuramente stabilizza la struttura, anche nel secondo caso esaminato prima, è quello di aggiungere una minima rigidezza costante a tutti i termini sulla diagonale. Al fine di evitare perturbazioni nella struttura, tale rigidezza aggiunta dovrebbe essere di entità trascurabile rispetto alle rigidezze minime della struttura. L’assegnazione del parametro TINY diverso da zero modifica automaticamente i coefficienti diagonali della matrice di rigidezza e pertanto il suo uso improprio può produrre dei risultati errati. Viceversa, l’uso attento di questa opzione permette di correggere la condizione di singolarità della matrice di rigidezza e di produrre una soluzione spesso esatta o comunque tale da rivelare gli errori nella definizione della struttura. L’utente dovrebbe verificare attentamente i risultati ottenuti e correggere quindi il modello inserendo gli opportuni

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vincoli o le giuste connessioni tra gli elementi. In SOLVE sono attivabili i due diversi modi d’uso, assegnando a TINY valori maggiori o minori di zero.

• TINY>0.

Tutti i coefficienti diagonali nulli sono posti uguali a TINY, mentre gli altri sono lasciati inalterati. Il valore di TINY può essere arbitrario anche se, al fine di evitare mal-condizionamenti, è consigliabile un valore piccolo. Se TINY è assegnato uguale a 1.D-100 (o minore, ad esempio 0.9D-100 o 1.D-101), il programma trasformerà automaticamente i termini diagonali nulli al valore 1.D-6*KMINP, essendo KMINP il minimo valore positivo di rigidezza rilevato sulla diagonale. Se comunque esistono delle labilità non orientate lungo gli assi globali, la matrice di rigidezza rimane singolare e la fattorizzazione si interrompe col codice di errore n.50.

• TINY0 la soluzione è eseguita dal processo esterno MSP04.EXE. Nel seguito sono riassunte le possibili opzioni.

• KEXE=0 L’esecuzione è eseguita nella modalità di default, equivalente alla modalità KEXE=-1. • KEXE=-1 L’esecuzione avviene entro il processo corrente. La matrice di rigidezza fattorizzata è mantenuta in memoria e non transita su disco. Questa modalità utilizza l’algoritmo KSOLV=4, qualunque sia il valore specificato al campo n.3. Se la memoria disponibile e allocabile è sufficiente rispetto

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alle dimensioni del problema da risolvere, questa modalità è la più veloce e generale ed è particolarmente adatta ad essere utilizzata nei casi in cui il calcolo deve essere risolto per successive iterazioni (analisi nonlineare, analisi modale).

• KEXE=-2 L’esecuzione avviene entro il processo corrente. E’ però possibile utilizzare qualunque algoritmo di soluzione KSOLV. • KEXE2 Come KEXE=1.

i) KMN, KMX. Durante l’assemblaggio della matrice globale e prima dell’eventuale modifica dei coefficienti (v. parametro TINY), il programma esegue un check sui termini della diagonale. In particolare può essere verificata la presenza di valori eccezionalmente piccoli in valore assoluto, eccezionalmente grandi in valore assoluto o negativi. Attualmente questa funzione si limita a visualizzare il loro numero nella tabella delle informazioni stampata immediatamente dopo la fase di assemblaggio. Nelle release future potrebbe essere disponibile una lista su file dei nodi e gradi di libertà affetti, per scopi di debug. Il campo dei valori è suddiviso come segue: -infinito

negativi

minimi

positivi

+infinito

----------------|--------------------------------|--------!--------|--------------------------------|-----------------10KMX -10KMN 0. +10KMN +10KMX KMN e KMX devono essere compresi tra –99 e +99, con KMN25) il programma fornisce inoltre il numero di coefficienti di [A] ed [L] entro il profilo (come detto ai paragrafi precedenti essi coincidono). Una parte rilevante di essi sono inizialmente nulli entro [A] e diventeranno non nulli durante la costruzione del fattore triangolare entro [L]. Per gli algoritmi a blocchi è inoltre fornito il numero di blocchi in cui sono suddivise [A] e [L]: per questi algoritmi il fattore triangolare [L] è sempre conservato su disco.

l) Attivazione di SOLVE per i Casi Standard. Come si è visto, al fine di facilitare l’uso di SOLVE in condizioni standard, sono stati previsti, per tutti i parametri, dei valori di default. In pratica, nella grande maggioranza dei casi può essere impiegata la configurazione di default e con tempi di esecuzione limitati a poche decine di secondi e fino a qualche minuto. La configurazione di default è attivabile facendo seguire alla linea di attivazione del modulo SOLVE semplicemente una riga bianca o con i parametri tutti uguali a zero, come nell’esempio seguente: SOLVE 0 0 0 0. 0 0 0 0

Con la precedente linea la soluzione è eseguita nel seguente modo: 1) E’ allocata tutta la memoria virtuale richiesta, per le operazioni che possono essere eseguite anche a blocchi out-of-core. 2) Il metodo di permutazione applicato è KREN=6 e il metodo di soluzione impiegato è KSOLV=3 per l’analisi statica lineare e KSOLV=4 per l’analisi statica nonlineare e l’analisi dinamica. 3) L’esecuzione è effettuata entro il processo corrente. Eventuali labilità che producono coefficienti diagonali nulli sulla matrice di rigidezza non sono corrette.

E’ ovvio che nella soluzione di grandi strutture, con quantità di RAM limitata e con differenti combinazioni dei parametri MEMAX, KREN, KEXE i diversi algoritmi di soluzione attivabili con KSOLV possono originare tempi di soluzione o richieste di memoria notevolmente diversi. Alcuni possono diventare inefficienti e altri viceversa più convenienti.

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Le tabelle seguenti riportano dei test omogenei che danno un’idea della loro velocità di esecuzione intrinseca ma, come detto, il rapporto tra i tempi di calcolo potrebbe sovvertirsi in circostanze differenti. I test sono eseguiti sulla stessa struttura e per sola analisi statica lineare. Il modello è formato da elementi shell, beam, boundary con 8721 nodi, 6 condizioni di carico e 38094 equazioni. Utilizzando le versioni del solutore precedenti la 9.0 col vecchio algoritmo di rinumerazione nodi di Cuthill-McKee si ottiene una larghezza di semibanda di 3054. La larghezza di semibanda, superiore a 1000, fa prevedere una soluzione inefficiente. La soluzione è svolta con 223 blocchi, 171 equazioni/blocco e richiede circa 5 secondi per la rinumerazione e assemblaggio e ben 1h 57m per la fattorizzazione. In tutti i casi è utilizzato un computer Pentium IV a 3.2 Ghz con 3 Gb di RAM. Nella prima tabella i run con i nuovi metodi di soluzione sono effettuati una prima volta con KEXE=0 e ripetuti poi con KEXE=1, variando di volta in volta KSOLV e con gli altri parametri lasciati al loro valore di default (MEMAX=0 e KREN=6). Nella seconda tabella lo stesso esempio è risolto tenendo costante l’algoritmo di fattorizzazione (KSOLV=3) e variando l’algoritmo di permutazione. Gli altri parametri sono lasciati al valore di default (MEMAX=0 e KEXE=0). Con KREN=6 la memoria allocata durante la fattorizzazione è di appena 74 Mb, contro i 1035 Mb richiesti nel caso di assenza di permutazione (KREN=1 e KREN=7).

Algoritmo (KSOLV) 1 2 3 4 5 21 22 26 31 32

Tempo per Permutazione e Assemblaggio (secondi) KEXE=0 KEXE=1 4.73 5.03 4.75 4.86 4.75 4.77 4.73 4.84 4.78 4.83 4.28 4.23 4.31 4.19 6.47 6.45 6.20 6.16 5.92 6.03

Algoritmo (KREN) 1 2 3 4 5 6 7

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Tempo per Permutazione e Assemblaggio (secondi) 4.50 4.77 4.67 4.73 4.77 4.75 4.28

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Tempo per Fattorizzazione e Soluzione (secondi) KEXE=0 KEXE=1 14.38 17.64 9.25 11.47 9.23 11.48 14.55 17.41 13.94 18.92 10.00 15.62 9.52 13.92 76.53 210.59 92.28 107.70 57.58 80.25

Tempo per Fattorizzazione e Assemblaggio (secondi) 1215.11 11.42 15.80 11.02 11.22 9.23 1194.44

IV-225

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Linee B. Carichi e Masse Nodali Numero richiesto: Una per ogni caso di carico e per ogni nodo che possiede carichi o masse nodali concentrati. La sequenza termina sempre con una linea bianca. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

NNOD – Numero di nodo

2

I

NST – Numero step o condizione di carico

3

R

FX – Forza (o massa) in direzione globale X

4

R

FY – Forza (o massa) in direzione globale Y

5

R

FZ – Forza (o massa) in direzione globale Z

6

R

MX – Momento (o inerzia polare) attorno a X

7

R

MY – Momento (o inerzia polare) attorno a Y

8

R

MZ – Momento (o inerzia polare) attorno a Z

9

R

T – Temperatura del nodo

NOTE: a) NNOD deve essere minore o uguale al numero di nodi totali NUMNP specificato alla linea B di $INPUT. NST deve essere minore o uguale al numero di step di carico NSTP specificato nella stessa linea. La linea bianca terminale deve essere presente anche se non è assegnato nessun carico o nessuna massa.

b) Le stesse linee sono utilizzate per assegnare carichi concentrati e temperature ai nodi (specificando il numero NST di step o condizione di carico statico a cui si riferisce) o masse concentrate (assegnando NST uguale a zero). I carichi e le masse nodali introdotti con queste linee sono definiti nel sistema globale della struttura. Nel caso di analisi nonlineare per grandi spostamenti la direzione di questi carichi rimane invariata, contrariamente a quanto avviene per i carichi di elemento. I valori di carico sono direttamente assemblati nel vettore globale di carico NST, che comprende anche i carichi di elemento A÷H. Analogamente, i valori di massa sono direttamente assemblati sulla diagonale della matrice di massa, su cui confluisce la massa degli elementi dovuta alla densità dei materiali. Perché la massa agisca sulle tre direzioni X,Y,Z essa dovrebbe essere introdotta contemporaneamente nei campi 3,4,5.

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c) I carichi e le masse possono essere assegnate indifferentemente in ordine di nodo NNOD o in ordine di step di carico NST o in ordine casuale. Le componenti di carico o massa assegnate nelle direzioni in cui il nodo ha il vincolo soppresso (codice di vincolo uguale a 1) sono ignorate. I carichi su ogni nodo e step di carico possono essere assegnati con un numero qualunque di linee. I carichi assegnati allo stesso step e sullo stesso nodo sono sempre sommati a quelli eventualmente già inseriti. d) E’ possibile assegnare carichi e masse concentrate anche su gradi di libertà slave. In tal caso il programma trasferisce automaticamente il valore al master sommandolo all’eventuale carico già presente. Nel legame Nodal Coupling si tratta di un semplice trasferimento del carico (o momento) o della massa (o inerzia polare). Se invece il legame del grado di libertà è di tipo master/slave, al master sono aggiunti gli opportuni momenti (o inerzie polari) di trasporto, con le seguenti relazioni. Carichi:

FXM = FXM + FXS

M XM = M XM − M XS + FZS (Y S − Y M ) + FYS ( Z S − Z M )

FYM = FYM + FYS

M YM = M YM − M YS + FXS ( Z S − Z M ) + FZS ( X S − X M )

FZM = FZM + FZS

M ZM = M ZM − M ZS + FYS ( X S − X M ) + FXS (Y S − Y M )

Masse:

Μ MX = Μ MX + Μ SX

Ι MX = Ι MX + Ι SX + Μ SZ (Y S − Y M ) 2 + Μ YS ( Z S − Z M ) 2

Μ YM = Μ YM + Μ YS

Ι YM = Ι YM + Ι YS + Μ SX ( Z S − Z M ) 2 + Μ SZ ( X S − X M ) 2

Μ MZ = Μ MZ + Μ SZ

Ι MZ = Ι MZ + Ι SZ + Μ YS ( X S − X M ) 2 + Μ SX (Y S − Y M ) 2

e) I valori di massa e di inerzia polare introdotti sul nodo devono essere positivi. Le sei relazioni precedenti rappresentano i coefficienti diagonali della matrice di massa del nodo Master. Poichè il Microsap schematizza le matrici di massa solo in forma diagonale, il nodo Master deve essere posizionato in corrispondenza del baricentro delle masse della regione rigida. In caso contrario i risultati ottenuti saranno approssimati. f)

Se l’accoppiamento rigido coinvolge la rotazione attorno ad un solo asse, è sufficiente che il nodo Master sia posizionato su un punto qualsiasi dell’asse passante per il baricentro delle masse della regione rigida. Ad esempio. se una serie di nodi è slave alla rotazione attorno a Z, il master deve avere le coordinate XM,YM baricentriche, ma ZM può essere qualsiasi.

g) Con le stesse linee dati utilizzate per definire forze e momenti concentrati è possibile anche specificare, al campo n.9, la temperatura del nodo. Si noti che la temperatura iniziale di tutti i nodi a struttura scarica è posta pari a T0, assegnata nella linea B di $INPUT. Al primo step di carico le temperature sono gradualmente incrementate fino a raggiungere i valori T specificati in queste linee, e così di seguito per gli step successivi, se si tratta di analisi nonlineare. Se la temperatura del nodo nei diversi

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IV-227

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step non è assegnata, essa conserverà il valore zero: se ne tenga opportunamente conto quando a T0 dovesse essere assegnato un valore diverso da zero. Il valore di temperatura nodale concorre a formare il valore di temperatura in corrispondenza delle posizioni dei nodi, determinato anche dagli eventuali carichi termici di elemento (∆Te) che si sommano ad essa. La temperatura così ottenuta, assieme alla temperatura T0 di riferimento determinerà l’effettivo salto termico e le conseguenti deformazioni (v. nota g) alla linea B di $INPUT e le note alle linee materiali dei moduli elementi). h) I valori assegnati sullo stesso nodo con le presenti linee dati sono additivi. Questo permette anche di assegnare prima i carichi concentrati, lasciando nullo il campo n.9, e poi le sole temperature, lasciando nulli i campi 3-8. Si noti che il campo n.9 delle linee di input delle masse nodali è ignorato.

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Linee C. Definizione degli Step di Carico Numero richiesto: Una serie di linee C1-C8 per ogni step di carico, da NST=1 a NST=NSTP. Lette solo se NSTP è maggiore di zero (campo n.3 della linea B di $INPUT). Se l’analisi è eseguita in modalità lineare (NOLIN=0) sono lette le sole linee C1.

C1. Combinazioni di Carico. Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

R

Moltiplicatore del caso di carico A

2

R

Moltiplicatore del caso di carico B

3

R

Moltiplicatore del caso di carico C

4

R

Moltiplicatore del caso di carico D

5

R

Moltiplicatore del caso di carico E

6

R

Moltiplicatore del caso di carico F

7

R

Moltiplicatore del caso di carico G

8

R

Moltiplicatore del caso di carico H

NOTE: a) A,B,C,D,E,F,G,H rappresentano gli otto casi di carico di elemento consentiti dal Microsap. Questi sono combinati assieme per mezzo dei precedenti moltiplicatori e sommati al rispettivo carico nodale (v. linee B precedenti) per formare la situazione di carico globale presente sulla struttura alla fine di ognuno degli step NSTP. Nel caso di analisi lineare è applicato istantaneamente l’intero carico. Se l’analisi è nonlineare esso è introdotto gradualmente per successivi sottostep. b) I diversi step di carico possono essere formati da vettori di carico nodale diversi ma con gli stessi carichi di elemento AH, che possono solo variare di intensità attraverso moltiplicatori di valore differente (eventualmente nullo).

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C2. Parametri Interi di Controllo della Soluzione NonLineare Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

KALGO - Tipo algoritmo di soluzione iterativa

2

I

KCONF – Configurazione struttura allo step corrente

3

I

NEQIT – Numero massimo di iterazioni di equilibrio

4

I

NCUM – Numero massimo di iterazioni cumulative

5

I

KDIVE – Abbandono substep per divergenza

6

I

KATTP – Numero massimo tentativi restart

7

I

KCTRL – Metodo di controllo (load control o path-following)

8

I

KCONT – Criterio di continuazione dello step di carico

9

I

KMONI – Frequenza di monitoraggio soluzione

10

I

KDLAM – Criterio per verso DLambda substep

11

I

KRELC – Fattore di rilascio criteri di convergenza

NOTE: a) In un’analisi nonlineare la soluzione è ottenuta in genere per incrementi di carico (non necessariamente monotono) in modo iterativo attraverso soluzioni lineari. E’ quindi fortemente raccomandato l’uso della modalità di soluzione con KEXE=-1 (v. linea A). Durante l’analisi nonlineare è importante distinguere tre diverse fasi di calcolo: step di carico o load step, substep e iterazioni di equilibrio. • Step di Carico. E’ una configurazione di carico per la quale è assolutamente richiesta

la soluzione. Nell’analisi lineare i diversi step di carico sono anche chiamati condizioni di carico della struttura e partono tutte dalla configurazione scarica. Nell’analisi nonlineare i diversi step di carico si susseguono spesso in istanti diversi e i carichi si cumulano. E’ quindi in genere importante la sequenza con cui i carichi sono introdotti nei diversi step. Ad esempio, nell’analisi statica di un edificio in c.a. il primo step può essere costituito dai soli carichi accidentali e peso proprio, che dovrebbe rimanere in campo lineare. Il secondo step potrebbe essere costituito da un sistema di carichi nodali laterali assegnati nella configurazione di massimo.

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• Substep. I substep sono punti intermedi entro lo step corrente nei quali è ottenuta la

soluzione. Queste soluzioni intermedie sono calcolate introducendo il nuovo carico gradualmente in modo tale da ottenere un risultato accurato a fine step. Le soluzioni ottenute nei substep sono equilibrate e valide a tutti gli effetti: è solo sufficiente conoscere a quale livello di carico λ esse corrispondono. Valgono le relazioni:

F ( t ) = F (Ti −1 ) + λ [F (Ti ) − F (Ti −1 ) ]

λ=

F ( t ) − F (Ti −1 ) t − Ti −1 = F (Ti ) − F (Ti −1 ) Ti − Ti −1

F(t) è il valore del carico in corrispondenza della fine del substep (al tempo t). F(Ti-1) è il livello di carico assegnato allo step precedente, all’istante Ti-1 e F(Ti) è il livello di carico assegnato allo step corrente, all’istante Ti. Entro ogni step il carico è quindi introdotto in misura proporzionale al tempo. E’ sempre λ=0 all’inizio dello step e λ=1 alla fine dello step: λ è il fattore di incremento di carico nello step corrente ed è uguale al fattore di incremento di tempo. In certi casi l’ultimo step può essere estrapolato per valori λ>1 (v. linea C6). Nelle procedure path-following il tempo e il fattore di carico non sono direttamente collegati tra loro e λ può anche cambiare segno.

Carico

Carico

Load Step Substep

L.S. 2 L.S. 1

L.S. 2 L.S. 1

L.S. 3

L.S. 3

T1

T2

T3

U1

Tempo

Load Step e Substep

Load Step Substep

U2

U3 Spostamento

Corrispondenti Soluzioni nella Curva Carichi-Spostamenti

Carico

Carico λ=1.50

L.S. 2

λ=1.00

λ=0.50 L.S. 3

λ=0.75 λ=0.50

λ=1.25 λ=1.00

L.S. 2

λ=0.75

λ=0.25 λ=0.00

λ=0.50

Load Step Substep

L.S. 1

Load Step Substep

λ=0.25 λ=0.00

T1

T2

T3

Tempo

T1

T2

Tempo

Continuazione Ultimo Load Step per λ>1

Substep e Fattori di Carico

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L.S. 1

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Nella prima figura è rappresentata la curva di carico con 3 load step (cerchi rossi). Il primo step è suddiviso in 5 substep (cerchi verdi), il secondo in 2 substep e il terzo in 3 substep, per un totale di 10 soluzioni convergenti (equilibrate), che rappresentano altrettanti punti della curva Carichi-Spostamenti (seconda figura). La curva presenta un punto limite di instabilità e un minimo: all’aumentare dello spostamento e a seconda dei parametri di soluzione forniti (ampiezza substep, criteri di convergenza, ecc.) per gli stessi livelli di carico possono essere trovate le soluzioni sul secondo o sul terzo ramo. Se il carico del load step n.3 fosse maggiore di quello del load step n.2 le soluzioni sarebbero trovate sul terzo ramo. Si noti che nel secondo ramo la rigidezza è negativa: per superare il primo punto di instabilità occorre selezionare un opportuno algoritmo di soluzione (ad es., KSOLV=4) e il controllo Path-Following (KCTRL=1). La terza e quarta figura mostrano la relazione di proporzionalità tra substep e fattori di carico. Il fattore di carico è nullo all’inizio di ogni nuovo step e unitario alla fine di ogni step, quando l’introduzione del nuovo livello di carico è completata. Nella quarta figura tuttavia il carico dello step è esteso oltre il valore assegnato, per fattori di carico maggiori di 1. • Iterazioni di Equilibrio. Sono anche queste soluzioni intermedie calcolate in

corrispondenza del livello di carico finale del substep (quindi allo stesso tempo t e per lo stesso livello di carico F(t)), fino ad ottenere la soluzione convergente del substep. Questo ciclo correttivo e fondamentale si rende necessario per il fatto che le soluzioni sono comunque lineari e il cammino seguito si discosterebbe progressivamente dalla reale curva caratteristica forze-spostamenti nonlineare della struttura, anche utilizzando passi molto piccoli tra i substep e riaggiornando continuamente la matrice di rigidezza. Ad ogni iterazione è quindi calcolata la differenza ∆F tra forze esterne assegnate e forze interne indotte negli elementi. Tale differenza è quindi applicata nell’iterazione successiva e ridistribuita finchè essa non raggiunge un valore trascurabile. La presenza del ciclo iterativo di equilibrio fa si che la convergenza possa essere raggiunta utilizzando una rigidezza anche diversa da quella che la struttura effettivamente possiede nel punto di calcolo (v. fig. seguente). F2

F ∆F

L.S. 2 ∆U

λ=0.5

Fest Fint F1

L.S. 1 Load Step Substep U2

U1

U

Esempio di Soluzione Iterativa del Load Step n.2 con Modified Newton-Raphson e Due Substep (DLAMB=0.5)

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Il calcolo non-lineare può essere svolto per incrementi di carico P, per incrementi di spostamento U, oppure con metodi specificatamente rivolti a seguire la curva di equilibrio forze-spostamenti (metodi path-following). Il Microsap possiede sia il metodo di controllo di carico sia metodi path-following. Nelle tre figure seguenti sono mostrati diversi casi semplici di risposta nonlineare. Si deve precisare che il diagramma forza-spostamento è sempre disegnato in modo semplificato, per un sistema ad un grado di libertà. In questo caso una soluzione è rappresentata dall’intersezione della curva forza-spostamento con una retta (nel metodo load-control) la cui ordinata λ rappresenta il livello di carico applicato nella direzione dell’unico grado di libertà di spostamento. Nel caso generale si tratterà invece di trovare l’intersezione tra la curva e una superficie (piana, nel caso loadcontrol)) a n gradi di libertà: in altre parole, ad una determinata configurazione di carico di livello λ corrisponderà un vettore spostamento a n componenti. Nella prima figura è mostrato il raggiungimento del primo punto limite B, transitando per i punti intermedi A, in cui carico e spostamento aumentano. Il punto limite contrassegna il collasso o una condizione di instabilità della struttura e spesso nei casi pratici è sufficiente raggiungere questo punto di massimo. Se il valore di carico è superiore al valore corrispondente al punto limite la soluzione può divergere indefinitamente, oppure può arrivare ad un’altra configurazione equilibrata. Può essere interessante esaminare il comportamento della struttura in prossimità o oltre il primo punto limite, per varie ragioni. ¾ Il punto limite può essere un massimo o minimo locale e la struttura potrebbe raggiungere un’altra configurazione equilibrata dopo la situazione di instabilità. ¾ Anche se il punto B è l’unico massimo, è bene confermare questa eventualità. Come già detto, all’inizio dell’analisi la curva forze-spostamenti non è nota. Inoltre, con strutture composte da molti elementi che possono collassare in modo indipendente, la situazione può essere piuttosto confusa, e i parametri di calcolo per ottenere la soluzione possono non essere adeguati (livelli di carico troppo elevati, substep troppo ampi, ecc.). Quindi, non sempre un problema di convergenza è indice del raggiungimento di una condizione di instabilità. Esattamente sul punto limite la struttura non può essere risolta, poiché la matrice di rigidezza è singolare. E’ però improbabile che nel calcolo iterativo venga raggiunto esattamente questo punto. ¾ La struttura può essere un componente espressamente progettato per funzionare in due rami della curva forze-spostamenti passando attraverso una condizione instabile. ¾ E’ spesso importante sapere se il collasso di una struttura (ad esempio una singola trave) è di tipo fragile o duttile o, in altre parole, conoscere l’andamento o la tendenza della curva carico-spostamento oltre il primo punto limite. A distanza ragionevole dal raggiungimento del primo punto limite B tutti i metodi di calcolo sono ugualmente efficaci. Tuttavia il metodo basato sul controllo del carico è inadatto a trovare i punti di equilibrio tra B e C e tra C e D (seconda figura). Un

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incremento ulteriore di carico oltre il livello B può comunque consentire di trovare soluzioni equilibrate al di sopra del punto D. Viceversa, un metodo basato sul controllo di spostamento non incontrerà difficoltà in questo caso. L’esempio rappresentato dalla terza figura può essere completamente risolto in modo efficace solo dai metodi path-following, che riescono a percorrere la curva carico-spostamento. Questi metodi trovano l’intersezione tra la curva e, solitamente, una superficie sferica (metodo arc-length, tratteggiato in rosso), anziché con piani paralleli agli assi U o F. Il metodo basato sull’incremento del carico anche in questo caso troverà ovviamente oltre il punto B le soluzioni equilibrate sopra il punto F. Ciò verrà evidenziato dal fatto che, due soluzioni con piccolo incremento di carico mostreranno generalmente un brusco salto negli spostamenti, facendo intuire che nel mezzo vi sia un altro ramo della curva che non è stato percorso. Analogamente, per un metodo basato sull’incremento di spostamento i punti di tangenza saranno C e D e non sarà possibile trovare soluzioni da C a E. In ogni caso la convergenza nei due metodi sarà difficoltosa all’approssimarsi dei punti di tangenza B e C.

Carico

Carico

Carico

B

P

B

B

C A

A

A

F

D

D C E

U Spostamento Punto Limite

Spostamento Snap-Through

Spostamento Snap-Back

b) Strategie di Soluzione Nonlineare. In campo lineare, una volta definita la struttura, ad una configurazione di carico corrisponde una determinata configurazione di spostamento che costituisce la soluzione del problema. Amplificando il carico di un fattore λ qualsiasi, anche l’intero vettore spostamento risulta amplificato della stessa quantità. Per cui il diagramma forza-spostamento di ciascun grado di libertà ha una forma nota fin dall’inizio e corrispondente ad una retta. Viceversa, in campo nonlineare la forma della curva non è nota a priori, dipende dalla sequenza di carico e anche quando la configurazione di carico finale è assegnata, la soluzione ad essa corrispondente non può essere determinata in un solo passo ma deve essere raggiunta per passi successivi. E’ quindi obbligatorio calcolare l’intera curva forza-spostamento in un numero sufficiente di punti intermedi, fino al raggiungimento del livello di carico desiderato. Un altro obiettivo dell’analisi nonlineare può essere quello di stabilire il livello di carico per il quale la struttura raggiunge il collasso. Un ulteriore obiettivo può anche essere quello di stabilire come il collasso procederebbe o come deve essere ridotto il carico per ottenere configurazioni equilibrate (stabili o instabili). Infine, il quadro del comportamento nonlineare può essere notevolmente complicato da situazioni di cedimento e di instabilità locale. Per tutti questi fatti, la soluzione nonlineare è in genere

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ottenuta per tentativi successivi, modificando di volta in volta la strategia di calcolo ed esaminando la risposta corrispondente. Nel primo caso più semplice, in cui si vuole raggiungere un fattore di carico λ predeterminato, sarà percorso solo il primo tratto di curva e non sarà raggiunto il massimo assoluto né dovrebbero essere incontrati episodi di massimo locale (cedimenti locali, biforcazioni). In caso contrario la struttura deve essere modificata. Per tutti gli altri casi le strategie dipendono da quanto l’analisi deve essere spinta nel dettaglio. Esistono, ad esempio, opportune strategie per continuare l’analisi anche in presenza di cedimenti locali e di biforcazioni, anche se tali evenienze devono essere studiate nel dettaglio con estrema attenzione. Il solutore ha la possibilità di monitorare la maggior parte delle modificazioni che avvengono nella struttura e queste possono essere diagrammate. La strategia di soluzione è introdotta attraverso la assegnazione di una opportuna sequenza di parametri sulle linee C2-C8. Non esiste una combinazione di parametri ottimale valida in tutti i casi, poiché la forma di risposta nonlineare della struttura (contrariamente al caso lineare) non è conosciuta a priori. Spetta quindi all’utente il compito di escogitare la strategia più opportuna in base all’esperienza, alla tipologia del problema e agli obiettivi finali da raggiungere. Una strategia inadeguata può condurre a scarsa precisione nei risultati, o viceversa ad una soluzione eccessivamente accurata e a tempi di calcolo elevati, o molto spesso a difficoltà di convergenza. Utilizzando sequenze anche di poco diverse, possono ottenersi risultati finali molto differenti. Quando l’analisi nonlineare deve continuare fino al collasso o fino a configurazioni di post-collasso, in mancanza di limitazioni realistiche (per la struttura in esame) sugli spostamenti, il calcolo terminerà ovviamente per una qualche difficoltà di convergenza. Visto che l’incontro del primo punto di massimo o di una biforcazione costituisce il raggiungimento di una condizione limite anche dal punto di vista matematico, le difficoltà possono manifestarsi anche poco prima. Una buona strategia permetterà quindi di avvicinarsi più o meno ai punti limite, spesso di superarli e spesso di calcolare soluzioni nei rami staticamente instabili. Si fa notare che il calcolo di soluzioni limite, di soluzioni instabili e il superamento di biforcazioni sono situazioni per niente scontate e generalmente ottenibili non a buon mercato e non senza fatica. In genere, ad esempio, in corrispondenza di una biforcazione la soluzione può oscillare tra due o più valori, a seconda della molteplicità della ramificazione nell’intervallo iterativo, o viceversa, a seconda dei parametri assegnati, la soluzione può percorrere uno dei diversi rami. Infine, deve essere chiaro che il calcolo nonlineare consiste nel trovare una serie più o meno estesa di punti-soluzione della curva forze-spostamenti e che può non esistere un solo percorso e che in certi casi la soluzione stessa può tornare sui propri passi ripercorrendo la curva al contrario o cadendo su rami diversi. Nei casi complicati è necessario seguire con attenzione il percorso nonlineare e il susseguirsi delle situazioni limite.

c) KALGO identifica il metodo di soluzione iterativa del problema nonlineare per lo step di carico corrente. Sono disponibili i seguenti metodi. • KALGO = 0

Metodo di Default. E’ attivato il metodo Modified Newton-Raphson.

• KALGO = 1

Full Newton-Raphson. La matrice di rigidezza globale tangente è ricalcolata e fattorizzata ad ogni iterazione.

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• KALGO = 2

Modified Newton-Raphson. La matrice di rigidezza tangente è ricalcolata alla prima iterazione di equilibrio di ogni substep. Le iterazioni di equilibrio successive utilizzano la stessa matrice di rigidezza. Se uno o più elementi ha cambiato stato la matrice di rigidezza è comunque ricalcolata.

• KALGO = 3

Constant Stiffness. La matrice di rigidezza è mantenuta costante in tutti i substep dello step di carico corrente. Essa è comunque aggiornata eccezionalmente nel caso in cui uno o più elementi subisca un cambiamento di stato.

• KALGO = 4

Initial Stiffness. Come il caso precedente, ma la matrice di rigidezza, ricalcolata all’inizio dello step, non è mai aggiornata, neppure eccezionalmente. Per tutto lo step corrente essa è sempre uguale a quella calcolata all’inizio dello step. Nel caso particolare in cui sia stato usato questo metodo in tutti gli step di carico precedenti, la matrice di rigidezza è quella creata all’inizio dell’analisi.

• KALGO = 9

Linear Start. Questa opzione è fornita per convenienza per permettere entro l’esecuzione non lineare, l’introduzione di uno o più step iniziali a comportamento presumibilmente lineare. Anche se gli step iniziali dell’analisi sono lineari, non esiste l’obbligo di utilizzare KALGO = 9. In pratica, impiegando tale opzione deve essere assegnata solo la linea C2 e a tutti i parametri delle linee successive sono assegnati i valori di default, tranne che DLAMB e DLMIN che sono assunti unitari (v. linea C3), ed è inoltre disabilitato il criterio di convergenza sugli spostamenti (KCRITU=-1, linea C5). In altre parole, sarà effettuato il tentativo di risolvere ogni step in un unico substep e possibilmente con un’unica iterazione. Entro ogni step è possibile variare il parametro KCONF: ciò permette, ad esempio, di effettuare con una sola esecuzione, più step lineari ciascuno iniziante da struttura scarica, e sovrapporre sull’ultimo uno o più step nonlineari. Si noti che con KALGO=9 rimangono attive tutte le caratteristiche tipiche dell’esecuzione nonlineare: se il comportamento si dovesse discostare in modo sensibile dalla prevista linearità, questo si tradurrà in una soluzione inefficiente. KALGO=9 non può essere usato dopo eventuali step nonlineari risolti con KALGO≠9.

d) KCONF stabilisce la configurazione della struttura all’inizio dello step corrente. • KCONF = 0

La configurazione iniziale dello step corrente coincide con la configurazione finale dello step precedente. La struttura accumula le deformazioni e i carichi.

• KCONF = 1

La configurazione iniziale dello step corrente coincide con la configurazione della struttura all’inizio del primo step. In altre parole, la struttura riparte dalla configurazione indeformata scarica. Equivale ad un'altra analisi nonlineare. Questa è la modalità standard di

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esecuzione di un’analisi lineare quando sono presenti più step (o condizioni) di carico, ma è una procedura deprecabile in un’analisi nonlineare. E’ preferibile invece suddividere l’analisi in più esecuzioni separate.

e) NEQIT è il numero massimo di iterazioni consentite per raggiungere la configurazione equilibrata entro il grado di precisione stabilito dai criteri di convergenza (v. linee dati seguenti). Se NEQIT=0 sono assunte per default 20 iterazioni. Se non è ottenuta la convergenza entro il numero di iterazioni stabilito oppure se la soluzione diverge per più iterazioni consecutive, il sottostep può essere abbandonato. In tal caso è possibile eseguire un certo numero di tentativi automatici di restart nei quali è ridotta gradualmente l’ampiezza del sottostep. NEQIT è correlato al grado di nonlinearità del problema, all’ampiezza dello step e del sottostep, al metodo KALGO impiegato, al metodo di controllo KCTRL, a KDIVE, KATTP, ecc. e ai criteri di convergenza stabiliti.

f) NCUM impone un limite al numero di iterazioni cumulative dall’inizio dell’analisi. Se NCUM=0 non è fissato alcun limite. Altrimenti l’esecuzione è interrotta al raggiungimento del limite NCUM.

g) KDIVE pone un limite al numero di iterazioni divergenti consecutive prima che il substep sia abbandonato. Se KDIVE=0 per default sono ammesse tre soluzioni divergenti consecutive prima di abbandonare il substep e iniziare un nuovo tentativo con un substep di ampiezza inferiore. Se KDIVE≥NEQIT il ciclo iterativo non è mai interrotto per divergenza. Se il livello di carico alla fine dello step è superiore al livello che provoca il collasso della struttura, è inutile proseguire l’analisi quando si incontrano più di due o tre soluzioni divergenti, specialmente con l’algoritmo Full Newton-Raphson. Viceversa, se si stanno studiando possibili configurazioni equilibrate post-buckling con l’algoritmo Modified Newton-Raphson può essere necessario aumentare KDIVE oltre il valore di default o non imporre alcun limite (KDIVE=NEQIT). Un’altra strategia potrebbe essere invece quella di permettere un solo episodio di divergenza e dimezzare subito il substep nel caso la divergenza si ripeta (v. linea C3), evitando di sprecare inutilmente altre iterazioni. Un valore elevato di KDIVE può instradare la soluzione su altri rami, può far saltare soluzioni intermedie o può indirizzare la soluzione su un percorso a ritroso.

h) Se la matrice di rigidezza è singolare il substep è immediatamente abbandonato. Nell’analisi lineare il caso di singolarità è sempre evidenziato dall’errore n.50, che provoca anche un arresto immediato dell’esecuzione. Al contrario, se l’analisi è nonlineare questo provoca solamente un arresto del substep. Tutti i metodi di soluzione si arrestano nel caso di singolarità dovuta alla presenza di coefficienti diagonali nulli o molto prossimi a zero. Gran parte dei metodi di soluzione possono eseguire la fattorizzazione solamente se la matrice è definita positiva e si arrestano in presenza di coefficienti diagonali negativi. Tuttavia sono anche disponibili alcuni metodi (KSOLV=4,26,31,32) che permettono la fattorizzazione di matrici non definite positive. Se la struttura è stata descritta in modo corretto, in analisi statica lineare la matrice è definita positiva e risolvibile da tutti i metodi. Durante l’analisi statica nonlineare

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possono essere raggiunte delle configurazioni di instabilità (instabilità geometrica, rottura nei materiali o collasso della struttura) per cui la matrice di rigidezza risulta singolare e non fattorizzabile. In questo caso una semplice e leggera variazione dell’ampiezza del sottostep può permettere di scavalcare la singolarità. Se si tratta di un semplice transito attraverso un punto singolare, utilizzando uno dei metodi sopra elencati è possibile esaminare il comportamento della struttura oltre tale punto. La struttura può infatti raggiungere un’altra configurazione che sia in equilibrio con le forze esterne imposte.

i) KATTP fissa il numero massimo di tentativi nei casi di non convergenza. Se KATTP=0 sono assunti per default 3 tentativi. In particolare, se KATTP=1 è effettuato il solo tentativo iniziale (un solo ciclo di iterazioni di equilibrio) e l’elaborazione si arresta in caso di difficoltà di convergenza. Viceversa, se KATTP>1 sono eseguiti fino a KATTP tentativi di soluzione del sottostep. Ad ogni tentativo l’ampiezza DLAMB del sottostep è progressivamente ridotta (generalmente bisecando, fino ad un valore minimo DLMIN – v. linea C3). KATTP può anche essere assegnato negativo: in tal caso i tentativi successivi sono eseguiti bisecando DLAMB-DLMIN piuttosto che DLAMB e il valore DLMIN costituisce un limite che non è mai raggiunto, se non attraverso un altro meccanismo: il controllo automatico dell’ampiezza iniziale del substep attivabile assegnando DLMAX (v. linea C3 per dettagli).

j) Per stabilire se la soluzione è arrivata a convergenza il programma può utilizzare cinque criteri differenti basati sulle norme di energia, forza, momento, spostamento e rotazione. Nei casi più semplici la soluzione tende a convergere in modo stabile e graduale, con velocità più o meno elevata. Tuttavia, quando la struttura modifica improvvisamente la sua rigidezza e il passo iterativo è troppo ampio, è possibile che siano trovate soluzioni divergenti. Per stabilire se la soluzione sta divergendo il programma effettua il confronto tra il valore (positivo o negativo) dell’energia accumulata in due successive iterazioni, indipendentemente dai criteri di convergenza attivati. Nell’attuale release, se è trovata una soluzione divergente, lo spostamento previsto nell’iterazione è dimezzato e il ciclo iterativo di equilibrio continua. Tuttavia, oltre un certo numero di iterazioni consecutive divergenti, il ciclo è abbandonato, come detto nella nota g). Il valore della norma è confrontato con un valore di tolleranza imposto (criterio) per stabilire se la soluzione debba essere considerata ammissibile (substep convergente) e poter quindi procedere ad un ulteriore incremento del carico. All’inizio di un nuovo incremento di carico (nuovo substep) la prima soluzione è generalmente sempre squilibrata. Può comunque accadere che per l’incremento di carico introtto la soluzione si discosti così poco dalla linearità che il disequilibrio sia inferiore alla tolleranza imposta: in tal caso ovviamente, anche se la norma aumenta, la soluzione è comunque considerata non divergente. Generalmente i criteri applicati sono più di uno: ad esempio, è usuale il caso in cui si imponga separatamente il rispetto di criteri non solo sull’equilibrio delle forze, ma anche sui momenti. In questo caso può facilmente accadere che una norma si mantenga sotto la soglia della tolleranza, mentre l’altro criterio risulti ancora non soddisfatto. La figura seguente riassume alcuni casi tipici di andamento della soluzione, riferiti al criterio ancora da soddisfare. Il caso a) è quello tipico di substep con incremento di carico relativamente piccolo rispetto alle

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caratteristiche di nonlinearità della struttura. Il primo segmento del ramo ascendente corrisponde all’introduzione del nuovo carico ed i segmenti successivi del ramo discendente portano gradualmente il valore della norma sotto il limite del criterio. Sfortunatamente, in occasione di forti variazioni di rigidezza o in prossimità di situazioni di instabilità locali (ad esempio, formazioni di cerniere plastiche in un elemento beam) o globali (imminente collasso della struttura), il soddisfacimento delle condizioni di equilibrio può risultare precario e il valore della norma può continuare a crescere. Può quindi verificarsi il caso b) oppure il caso c). Nel caso b) la norma aumenta (derivata prima maggiore di zero), ma la tendenza è favorevole al raggiungimento dell’equilibrio in quanto la differenza della norma tra le successive iterazioni tende a ridursi (derivata seconda maggiore di zero). Nel caso c) la previsione è sfavorevole (derivata seconda minore di zero), ma anche in questa situazione è possibile che vi sia un’inversione di tendenza (soluzione n.7). A questo punto le strategie possono essere diverse: abbandonare subito (KDIVE basso) una soluzione che sta prendendo una brutta piega e procedere alla diminuzione di carico, oppure consentire che la norma aumenti per un numero più o meno elevato di iterazioni. Ad esempio, assegnando KDIVE=NEQIT/2 si continuano le iterazioni fino a metà del limite massimo del ciclo, sperando che successivamente la norma diminuisca. Se dopo NEQIT/2 iterazioni questo avviene, vi sono un pari numero di iterazioni a disposizione per percorrere il ramo discendente e arrivare a convergenza.

Norma

6 5

6

4

1

3 0

3

9 10 11 12 13

2 1

14

0

7

4

8

3

2

5

7

8

2 1

9

Criterio

0 10

a)

c)

b)

Iterazioni Cumulative

k) KCTRL seleziona la modalità di controllo della soluzione nonlineare. Assegnando KCTRL>0 si attivano i metodi path-following. Sono disponibili le seguenti opzioni.



KCTRL=0.

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Load Control. E’ attivata la tecnica di controllo di carico. Con questa procedura è trovata l’intersezione tra la curva carico-spostamento e una serie di rette orizzontali a diversi substep e in corrispondenza di altrettanti livelli di carico entro i diversi step di carico, secondo quanto già visto in precedenza. Questo metodo è particolarmente

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efficace in presenza di nonlinearità locali che non si prevede possano provocare instabilità della struttura o livelli di carico che non ne dovrebbero causare il collasso. I livelli di carico possono inoltre essere specificati esattamente prima di eseguire l’analisi e in corrispondenza di essi saranno trovate le relative soluzioni equilibrate della struttura. Viceversa, in prossimità dei punti critici, a tangente orizzontale, la velocità di convergenza sarà lenta e non sarà possibile esaminare tutte le possibili soluzioni della curva carico-spostamento.



KCTRL=1

Minimum Residual Displacement. E’ forse il metodo path-following più efficace e di più rapida convergenza. La sua espressione minimizza la norma dello spostamento residuo ad ogni iterazione. Nel grafico carico-spostamento limitato ad un solo grado di libertà, questo equivale a trovare l’intersezione tra la curva di carico e i piani normali alla stessa curva tracciati a partire dal livello di riferimento di carico della prima iterazione del substep. E’ molto simile ai metodi arc-length, in cui la curva intersecante è invece un arco di cerchio, o meglio, una superficie sferica o un’altra conica. Il metodo, come tutti gli altri metodi path-following, è estremamente efficace per esaminare qualunque possibile soluzione in vicinanza e oltre i punti critici e fino al collasso della struttura. E’ però necessario utilizzare un algoritmo di soluzione dei sistemi di equazioni che siano adatti a fattorizzare matrici non definite positive. In caso contrario, la soluzione continuerà ugualmente, ma non sarà possibile percorrere tutta la curva. Inoltre, se si prevede la ricerca di soluzioni su più rami della curva F-U, i metodi KALGO>2 non possono essere utilizzati. Il metodo di default (KALGO=0,2) è spesso sufficiente, ma se la curva F-U è complicata e il substep è ampio, è richiesto l’uso di KALGO=1. Nell’uso dei metodi path-following occorre tener presente alcune particolarità. Anzitutto il carico di fine step è considerato come un carico di riferimento. Il metodo path-following inizierà suddividendo lo step in sottostep e anzi, ogni sottostep inizierà esattamente come il metodo load-control. Tuttavia, nelle iterazioni successive del substep, il fattore di carico λ non rimarrà costante, ma è un’ulteriore incognita del problema, esattamente come le componenti di spostamento nodale. Di conseguenza, le soluzioni equilibrate a fine substep (e inizio del successivo) non si presenteranno ad intervalli regolari di carico. Comunque, dopo ogni substep il programma applica inizialmente un incremento di fattore di carico pari a quello assegnato nella prossima linea C3, con segno negativo o positivo, a seconda del verso di percorrenza nella curva carico-spostamento che il solutore sta seguendo. Generalmente le soluzioni si susseguono perciò con intervalli piuttosto regolari. Tuttavia, se un substep cade vicinissimo ad un punto critico, la normale relativa al substep successivo può intercettare la curva ad un intervallo elevato. In tal caso, una piccola modifica del substep iniziale (ad

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esempio da 0.1 a 0.09) può permettere di trovare soluzioni con intervalli più regolari. Il metodo, per sua natura, potrebbe continuare a seguire la curva indefinitamente. E’ quindi opportuno attivare il criterio di continuazione KCONT e/o la linea C6 per definire un criterio di massimo spostamento di un punto di controllo che consenta di terminare l’analisi nel modo desiderato. Contrariamente al metodo load-control in cui i diversi step di carico possono essere di qualunque tipo, i metodi path-following sono adatti allo studio del comportamento della struttura soggetta ad una stessa forma di carico che cresce o decresce fino al raggiungimento di situazioni di instabilità e oltre, fino al collasso, ma non è nota l’entità del carico, ovvero il moltiplicatore, che porta la struttura al collasso. Il fattore di carico associato alle soluzioni calcolate è gestito automaticamente dal programma e può crescere, decrescere e cambiare di segno. Per queste ragioni, è necessario che un metodo path-following sia applicato sull’ultimo step. Lo step path-following termina l’analisi ed eventuali step successivi sono ignorati. Il programma permette comunque che lo step path-following sia preceduto da un qualunque numero di step load-control.



KCTRL=2

Updated Normal Plane. E’ simile al precedente, ma il piano di intersezione è perpendicolare al vettore tangente ed è aggiornato ad ogni iterazione.



KCTRL=3÷5

Non usati. Attualmente sono equivalenti a KCTRL=1.



KCTRL=6÷10

Arc-Lenght. Contrariamente a tutti gli altri metodi in cui la superficie intersecante è un piano, il metodo generale Arc-Length utilizza superfici curve e produce due punti di intersezione. Il programma esegue il prodotto scalare tra il vettore delta-spostamento precedente e il vettore spostamento iterativo corrente e utilizza il punto intersezione che corrisponde all’angolo minimo. Nei casi in cui le soluzioni sono immaginarie il programma ricalcola l’intersezione utilizzando il metodo Minimum Residual Displacement. I metodi 6÷10 si differenziano tra loro per la forma della superficie, che dipende dal coefficiente ψ2 dei termini contenenti il vettore forze (v. bibliografia). Se ψ2=0 i termini dipendenti dalle forze non sono inclusi e la superficie è un cilindro (Cylindrical Arc-Length). Se ψ2=1 la superficie è invece una sfera (Spherical Arc-Length). I metodi 6÷10 utilizzano rispettivamente i valori ψ2=0.00, 0.25, 0.50, 0.75, 1.00.



KCTRL>10

Indirect Displacement Control. Tutti i metodi path-following precedenti impongono un vincolo sulla norma degli spostamenti incrementali, ad esempio, imponendo che la soluzione stia su una sfera con un determinato raggio. In questo metodo il vincolo è invece imposto sul valore di spostamento di uno specifico grado di libertà della struttura. In altre parole, i sottostep di carico sono convertiti in sottostep di spostamento di uno dei gradi di libertà, così

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come, nel metodo Spherical Arc Length i sottostep sono rappresentati da sfere di raggio determinato, costante entro il sottostep, ma in genere diverso nei diversi sottostep. Per utilizzare questo metodo occorre perciò definire il grado di libertà che si desidera utilizzare. Esso è identificato dal valore KCTRL=10N+n, in cui N rappresenta il numero di nodo e n il grado di libertà, che deve essere compreso tra 1 e 6. Ad esempio, volendo utilizzare lo spostamento Y del nodo n.236 il valore da assegnare sarà KCTRL=2362. In genere il grado di libertà coinciderà con quello del punto di controllo (v. linea C6), ma non obbligatoriamente. E’ però richiesto che esso sia un grado di libertà attivo, privo di qualunque vincolo. Esso deve essere dotato di equazione e non può essere un grado di libertà slave.

l) I metodi path-following attivabili assegnando KCTRL>0, all’inizio di ogni sottostep devono definire una superficie di intersezione che sarà mantenuta costante per tutto il sottostep. All’inizio di ogni sottostep deve inoltre essere stabilito un verso di percorrenza, come spiegato in una nota successiva. La superficie intersecante può essere un piano la cui orientazione è determinata dal metodo scelto, ma con posizione assegnata. Analogamente, nel caso Arc-Length, la superficie ha il suo centro sul punto finale del precedente substep, ma il raggio deve essere assegnato. Nel metodo loadcontrol il vincolo, cioè l’ampiezza di substep, è un fattore di carico puro. Viceversa, nel metodo displacement-control esso è un fattore di spostamento puro. Nei metodi pathfollowing in genere, esso è il modulo di un vettore con componenti miste. Per evitare che l’utente debba introdurre tale vincolo nella forma utilizzata dal programma, e tenendo conto che all’inizio dello step path-following il vincolo è comunque caratterizzato da una componente preponderante di carico, il Microsap richiede solo la definizione di ampiezze basate su fattori di carico. All’inizio di ogni sottostep il programma effettua automaticamente le opportune conversioni.

m)KCONT seleziona il criterio di continuazione dello step di carico. Per default lo step corrente termina al raggiungimento del fattore di carico λ=+1, ovvero quando tutto il carico specificato alla linea C1 è stato introdotto come valore e segno. Assegnando KCONT≠0 è però possibile continuare il substep corrente oltre il suo limite naturale. Anzi, i metodi path-following hanno come principale obiettivo quello di continuare l’analisi oltre i punti limite e per questo sono anche chiamati “metodi di continuazione”. Tuttavia, un metodo path-following può essere efficacemente utilizzato in sostituzione del metodo load-control senza necessariamente percorrere tutta la curva caricospostamento e arrestando l’analisi al raggiungimento della prima condizione di instabilità. Indipendentemente dal criterio prescelto con KCONT, l’analisi può essere terminata a causa del raggiungimento delle condizioni di spostamento/rotazione imposte su un punto di controllo (v. linea C6). Occorre tener presente che il criterio KCONT è testato al termine di ogni substep, e quindi dopo il calcolo di ciascuna soluzione sicuramente convergente. Con esso viene imposto il limite di conclusione dello step o eventualmente una deroga per spostare tale limite al verificarsi di una determinata condizione. Si noti che l’attuale release passa automaticamente alla soluzione dell’eventuale step successivo solo se KCTRL=0 e KCONT=0, nell’ipotesi che

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sia stato possibile introdurre tutto il carico dello step, ovvero che si sia raggiunto esattamente il fattore λ=+1. KCONT può assumere i seguenti valori.



KCONT=0.

Continua lo step fino al fattore di carico λ=+1. Nell’uso della tecnica load-control (KCTRL=0) il raggiungimento del fattore di carico unitario costituisce il limite naturale dello step. In altre parole, lo step termina quando sulla struttura è stato introdotto tutto il carico dichiarato con la linea C1. Inoltre, l’ultimo substep può essere ridotto ad un’ampiezza tale per cui il suo fattore di carico corrisponda proprio a λ=+1. In genere con la tecnica load-control l’entità finale del carico dello step stabilita con la linea C1 corrisponde ad un livello che la struttura dovrebbe essere capace di sopportare mentre, in caso contrario, essa non è neppure idonea. Quindi, di norma nel caso del load-control, il carico finale dello step è un dato di progetto conosciuto. Viceversa, con la tecnica path-following (KCTRL>0) λ può assumere qualunque valore non prevedibile a priori, e dipendente dall’avanzamento della soluzione sulla curva caratteristica caricospostamento. In genere l’uso della modalità path-following è quasi una scelta naturale quando si desidera verificare le capacità di resistenza della struttura ad un carico di cui si conosce la forma ma non l’entità finale che provoca la crisi della struttura. In questo caso un risultato del calcolo è proprio il valore finale del moltiplicatore λ e con le linee C1 è imposto semplicemente un carico di riferimento, generalmente inferiore al carico ultimo. Comunque, data l’ottima velocità di convergenza dei metodi path-following, essi possono essere impiegati efficacemente anche per trovare soluzioni corrispondenti all’esatto livello di carico (in valore e segno) assegnato nella linea C1. In tal caso comunque KCONT=0 terminerà lo step e l’intera analisi al substep che raggiunge (e supera) il fattore di carico λ=+1. Si noti che la curva caricospostamento potrebbe non avere intersezioni in corrispondenza del valore λ=+1, o in altre parole, il carico della linea C1 essere superiore al livello massimo della curva caratteristica. In tal caso l’analisi terminerà per altre cause (v. ad esempio la linea C6).



KCONT=1

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Continua lo step corrente indefinitamente senza porre alcun limite al fattore di carico. Se KCTRL=0 (load-control) la soluzione dello step è estesa oltre il valore λ=+1 nello stesso verso implicitamente stabilito dai carichi assegnati ad inizio e fine step. Se KCTRL>0 (path-following) la curva carico-spostamento sarà percorsa nello stesso verso appena visto, senza alcun test sul valore assunto da λ durante il percorso. E’ chiaro che l’uso di KCONT=1 è generalmente accompagnato dall’attivazione di un secondo criterio basato sullo spostamento di un punto di controllo (v. linea C6) o su un limite massimo di iterazioni totali (parametro NCUM).

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KCONT=2

Continua lo step corrente fino al raggiungimento della prima condizione di instabilità. L’uso dei metodi di fattorizzazione KSOLV=4,26,31,32 permettono di stabilire il numero di autovalori negativi, nulli e positivi della matrice fattorizzata (inerzia della matrice), senza risolvere effettivamente il problema ad autovalori. Questa caratteristica è sfruttata in analisi modale (K riceve il contributo della matrice di massa M) ma può essere impiegata anche in analisi statica nonlineare. K può infatti ricevere il contributo della matrice di rigidezza geometrica dovuta agli effetti P-∆ di secondo ordine. Oppure può anche sviluppare instabilità per la presenza di pendenze negative (modulo tangente) nelle curve caratteristiche dei materiali. Se KCONT=2 lo step è continuato come nel caso visto per KCONT=1, ma l’intera analisi è terminata se la struttura nel substep appena concluso ha attraversato una situazione di instabilità. Si noti che con gli altri metodi di fattorizzazione la situazione di instabilità è interpretata come una difficoltà di convergenza (v. parametri KDIVE,KATTP,NEQIT). Nota 1. Se è usato KALGO=0 o 2, la matrice è generalmente ricalcolata solo all’inizio del substep. In tal caso, se il punto critico B viene superato nel corso del substep corrente, la rilevazione effettiva della condizione di instabilità può avvenire solo al substep successivo, con la prossima fattorizzazione. Nota 2. Se è consentita una ampiezza di substep elevata, può accadere che le soluzioni sul ramo instabile BC o BCDE siano saltate. In tal caso il superamento del punto critico B non può essere rilevato.



KCONT>2

Se lo step è di tipo load-control, equivale a KCONT=1. Se lo step è di tipo path-following, l’esecuzione prosegue fino al raggiungimento del fattore di carico massimo λmax e continua fino al substep KCONT-2 successivo, se non avviene una interruzione per altre cause. Quindi, anche in questo caso il comportamento è simile a KCONT=1, ma è posto un limite al numero di substep da calcolare una volta raggiunto λmax. Si deve notare che λmax può essere solo un massimo relativo. L’esecuzione termina con KSTOP=7 (v. linea C7). Esempio: se KCONT=3 l’esecuzione termina al substep successivo a quello in cui è stato raggiunto λmax; se KCONT=6 l’esecuzione ha invece termine dopo il quarto substep successivo.



KCONT1.0 (v. linea C6), la variabile tempo non è però estesa oltre il tempo finale dello step, ma mantiene questo valore. Nei metodi pathfollowing ogni soluzione è invece contrassegnata da un tempo costante pari al tempo all’inizio dello step e dal fattore di carico. Nelle analisi statiche nonlineari la variabile tempo può essere ignorata e ogni soluzione è univocamente individuata dal suo numero di step e dal fattore di carico. f) Come detto alla nota c), il programma prevede la possibilità di effettuare più tentativi di soluzione del sottostep riducendo gradualmente l’intervallo e quindi introducendo il carico più lentamente in quantità DQF gradualmente decrescenti ad ogni tentativo. DQF non può essere superiore a 0.75. Nel caso particolare in cui DQF=0.50 (valore consigliato), ad ogni tentativo fallito il substep è bisecato e l’ampiezza è dimezzata. Se a DQF è assegnato un valore tale che l’ampiezza del substep risulta inferiore a DLMIN, è assunto comunque questo valore. Quindi, lasciando il valore nullo di default al primo tentativo fallito corrisponde un solo ulteriore tentativo con ampiezza di substep pari a DLMIN. E’ importante notare che i tentativi successivi sono effettuati solo se |KATTP|>1 (v. linea C2). Una volta ottenuta la convergenza il prossimo substep inizia di norma con l’ampiezza nominale DLAMB. Tuttavia, se nel substep precedente vi sono stati tentativi con ampiezze ridotte sarebbe perso l’allineamento per passi costanti DLAMB. In questo caso il programma riallinea il prossimo substep alla prima suddivisione nominale, adottando un valore generalmente inferiore a DLAMB. Tale funzione di riallineamento è disponibile solo se DLMAX=0., cioè se non è attivata l’opzione di gestione automatica dell’ampiezza del substep, che permette di accelerare o decelerare la soluzione. g) I parametri DLAMB, DLMIN, DLMAX, DQF sono strettamente legati ai parametri NEQIT, KDIVE, KATTP, KCTRL della precedente linea C2. La presente nota ha lo scopo di chiarire il collegamento tra questi parametri, mentre alle note precedenti si sono esaminate principalmente le caratteristiche di ognuno di essi. Anzitutto occorre precisare che, perché la soluzione nonlineare converga, il substep deve essere sufficientemente piccolo. La previsione iniziale (Predictor) deve essere relativamente vicina alla soluzione reale perché le iterazioni di correzione (Corrector) possano effettivamente affinare il valore iniziale. Spesso comunque passi eccessivamente piccoli possono solo allungare i tempi di calcolo e talvolta un passo più lungo può permettere di scavalcare un punto di singolarità. Altre volte viceversa, un passo più corto può permettere di circumnavigare attorno ad un punto critico e superarlo, quando il percorso presenta una curvatura accentuata. Il programma ha due principali meccanismi di controllo dell’ampiezza del substep. Il primo è quello che prevede l’ampiezza del substep successivo sulla base dell’ampiezza del substep precedente e del numero di iterazioni che sono state necessarie per ottenere la convergenza. Il secondo è quello che modifica l’ampiezza del substep corrente nel caso di episodi di divergenza o di convergenza eccessivamente lenta. Anche se i due meccanismi interagiscono, è utile esaminare separatamente i due casi. Adaptive Loading. Questo meccanismo è utilizzato in gran parte dei codici di calcolo nonlineari ed è identificato anche come Automatic Time Stepping. Nel Microsap questa funzione è controllata dal parametro DLMAX. Se DLMAX=0 il controllo automatico della ampiezza dello step non è attivato. In questo caso ogni substep inizia sempre con

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l’ampiezza nominale DLAMB. Tuttavia, durante le iterazioni di equilibrio esiste sempre la possibilità di diminuire tale valore fino a DLMIN attraverso il secondo meccanismo di controllo, ma non esiste la possibilità inversa di aumentare l’ampiezza oltre DLAMB. Viceversa, se a DLMAX è assegnato un valore, maggiore di DLMIN, l’ampiezza dei substep successivi al primo sarà determinata in modo automatico. In questo caso DLAMB ha scarso impatto sulla soluzione in quanto il suo valore è utilizzato solamente come ampiezza del primo substep, quando la soluzione è presumibilmente ancora lineare. D’altra parte, se è utilizzato un metodo path-following per coprire con un solo step l’intera storia nonlineare, magari oltre la fase di collasso iniziale, è consigliabile in genere attivare il calcolo automatico delle ampiezze di substep. Nell’attuale release il calcolo automatico dell’ampiezza del substep i+1 successivo avviene con la seguente logica.

δλ

i +1 p

= 2 .5

δλip i

δλip+1 = Max (δλip+1 , δλmin p )

δλip+1 = Min (δλip+1 , δλmax p )

I δλ è l’ampiezza iniziale (Predictor) utilizzata nel substep appena risolto e I i il numero i p

di iterazioni impiegate (valori riferiti all’ultimo ciclo iterativo eseguito, cioè all’ultimo i tentativo andato a buon fine). Se il valore δλip è inferiore a δλmin p =DLMIN o se δλ p è superiore a δλmax p =DLMAX, sono utilizzati i valori limite DLMIN o DLMAX. Se il substep precedente è stato risolto in meno di sette iterazioni l’ampiezza è aumentata (fino a 2.5 volte nel caso di una sola iterazione). Viceversa, essa è diminuita (fino a 1.8 volte nel caso di 20 iterazioni). Si noti che nel numero di iterazioni sono compresi anche tutti gli episodi di divergenza. Automatic Restart. Una volta stabilita l’ampiezza del substep come visto sopra, il programma esegue la prima iterazione introducendo il nuovo incremento di carico e corregge la soluzione nelle successive iterazioni, distribuendo l’eventuale sbilancio di forza. Nei casi più fortunati la soluzione sarà raggiunta in modo uniforme e graduale in un numero di iterazioni inferiore a NEQIT. Spesso invece il cammino sarà meno uniforme in quanto, pur tendendo globalmente a convergere, vi potrebbero essere delle oscillazioni locali, ovvero degli episodi sporadici di divergenza tra iterazioni convergenti. Nei casi meno fortunati la soluzione può presentare episodi consecutivi di divergenza. In tale situazione, può essere inutile esaurire il ciclo delle NEQIT iterazioni prima di prendere provvedimenti. Questo secondo meccanismo permette quindi la ripetizione del calcolo del substep utilizzando un’ampiezza ridotta. Questa funzione coinvolge i parametri NEQIT, KDIVE, KATTP, DLMIN, DQF. KDIVE limita il numero di divergenze consecutive. Se KDIVE=1 è ammesso un solo episodio di divergenza e il substep è abbandonato se si verificano due divergenze consecutive. In tal caso, ad un valore KDIVE piccolo dovrebbe essere associato un valore KATTP elevato. La riduzione di ampiezza di substep avviene in base al parametro DQF. Se DQF=0, il substep è immediatamente ridotto al suo valore minimo DLMIN e i tentativi eseguiti sono sempre due, anche se a KATTP è assegnato un valore maggiore. Viceversa, se DQF>0 il valore δλp del primo ciclo iterativo (calcolato come descritto sopra – v. Adaptive Loading) sarà ridotto del fattore DQF ad ogni nuovo tentativo, fino a che è raggiunto il limite KATTP di tentativi o il minimo incremento DLMIN. Si deve notare che se KATTP è assegnato negativo (v. linea C2), il programma anziché ridurre l’intero incremento del tentativo precedente ponendo δλpn=δλpo⋅DQF, riduce solamente la quota superiore a DLMIN ed utilizza un nuovo valore δλpn=DLMIN+(δλpo-DLMIN)⋅DQF.

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h) Il programma consente di attivare contemporaneamente o separatamente 5 diversi criteri di convergenza basati sul disequilibrio di: Energia di Deformazione, Forze, Momenti, Spostamenti, Rotazioni. Infine, esiste un sesto criterio di convergenza basato sullo spostamento di un Punto di Controllo, che però ha un utilizzo particolare sul controllo dell’arresto dell’intera analisi e non sulla convergenza e conclusione del substep. Ovviamente l’attivazione di più criteri impone condizioni più restrittive in quanto i substep saranno considerati convergenti solo se tutti i criteri attivi sono soddisfatti. A seconda delle caratteristiche nonlineari, per step diversi possono essere definiti criteri diversi. Anche in questo caso, l’assegnazione di più di un criterio può portare all’impossibilità di ottenere la soluzione. E’ cioè preferibile utilizzare un solo criterio mirato alla specifica nonlinearità dello step piuttosto che imporre più condizioni di cui alcune possono essere irrealizzabili ed altre implicitamente soddisfatte. Nei casi comuni i due criteri basati sull’equilibrio delle Forze e dei Momenti possono essere sufficienti. Altri criteri possono essere aggiunti per affinare la soluzione in casi particolari (ad esempio, lo studio del comportamento nell’intorno di un punto di instabilità o la continuazione post-buckling in una struttura che attraversa più configurazioni di equilibrio).

i) EPSE attiva il primo criterio di convergenza, basato sull’energia di deformazione accumulata nell’iterazione, in pratica sul prodotto forza per spostamento Fi(u)du. Se il valore assoluto (norma energia) è inferiore o uguale alla tolleranza EPSE il substep è considerato convergente. Questo criterio è inserito in questa linea dati in quanto di più semplice definizione. Generalmente, per ragioni di rappresentazione grafica il diagramma nonlineare forza-spostamento è riferito ad un solo grado di libertà. In effetti la norma è il prodotto scalare tra il vettore delle forze e quello degli spostamenti. Il criterio sull’energia costituisce una misura uniforme di convergenza, abbinato solitamente ai criteri specifici sulle forze o sugli spostamenti (v. linee C4 e C5). Nelle zone in cui Fi(u) è quasi orizzontale, ad un piccolo intervallo di carico corrisponde un ampio intervallo di spostamenti e la convergenza basata solo sugli spostamenti è problematica da raggiungere. Viceversa, nelle zone in cui Fi(u) è quasi verticale il criterio di convergenza basato sulle forze può rendere difficoltosa la soluzione. Per attivare il criterio di convergenza sull’energia EPSE deve essere assegnato diverso da zero. Se EPSE=0 il criterio non è applicato ma la norma sull’energia è sempre calcolata. Se EPSE>0 è applicato un criterio assoluto per cui, la norma dell’energia vista sopra è direttamente confrontata con il valore EPSE assegnato. Viceversa, se EPSE0). Nei metodi path-following la regolarità dell’intervallo con cui si susseguono i salvataggi non può essere mantenuta ed è consigliabile assegnare esplicitamente OUTFRQ, in quanto l’output del solo ultimo substep potrebbe essere di scarso interesse. Ovviamente in .RST è conservata la tabella che associa ad ogni soluzione il numero di step, substep, iterazione cumulativa e fattore di carico corrispondenti. Spesso è sufficiente conservare la sola soluzione di fine step, poiché i risultati parziali di ogni substep sono conservati sul file .MNT di monitoraggio della soluzione nonlineare. OUTFRQ può anche essere assegnato di valore negativo: in tal caso l’intervallo di stampa è interpretato come intervallo tra successivi substep cumulativi. Ad esempio, se OUTFRQ=-3 sono conservate le soluzioni convergenti n.3,6,9,12… Questo metodo tuttavia tenderà a conservare un numero elevato di soluzioni nei tratti a λ costante, dove potrebbero essere poco significative: il metodo precedente è da preferire.

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C4. Criteri di Convergenza su Forze e Momenti Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

KCRITF – Abilitazione criteri su forze e momenti

2

I

NORMF – Tipo norma

3

R

EPSF – Tolleranza norma forze

4

R

EPSM – Tolleranza norma momenti

5

R

REFMNF – Valore minimo di riferimento forze

6

R

REFMNM – Valore minimo di riferimento momenti

NOTE: a) Questa linea abilita il criterio di tolleranza sulla differenza ∆F tra le forze esterne Fe applicate alla struttura e le forze interne Fi indotte negli elementi. Ad equilibrio raggiunto le forze esterne sono esattamente bilanciate dalle forze interne a meno di una prefissata tolleranza. In generale Fe è il contributo dei carichi nodali e dei carichi di elemento assegnati, già assemblati ai nodi e riferiti al sistema di riferimento globale. Le forze interne sono calcolate a livello di elemento come qualunque altro risultato di sforzo o deformazione una volta noti gli spostamenti. Anche le forze interne sono convertite dal sistema locale a quello globale e assemblate nodo per nodo per ottenere Fi. ∆F è quindi a tutti gli effetti un vettore di carichi nodali. Poiché la struttura possiede in genere più di un grado di libertà attivo, si rende necessario il calcolo di un unico valore scalare (norma), a partire dal vettore ∆F. In effetti è opportuno suddividere tale vettore di carico nella componente Forza e nella componente Momento, ricavare separatamente le due norme e confrontarle con i due valori di tolleranza richiesti. b) KCRITF abilita o disabilita i criteri su forze e/o momenti nel seguente modo. • • • • •

KCRITF = 0 KCRITF = 1 KCRITF = 2 KCRITF = 3 KCRITF = -1

Default. E’ abilitato sia il criterio sulle forze che quello sui momenti. E’ abilitato solo il criterio sulle forze. E’ abilitato solo il criterio sui momenti. E’ abilitato sia il criterio delle forze che quello sui momenti. I criteri su forze e momenti sono entrambi disabilitati.

c) NORMF seleziona il tipo di norma, tra le seguenti scelte. • NORMF = 0

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Default. E’ selezionata la norma L2 (v. NORMF=2).

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• NORMF = 1

E’ selezionata la norma L1, ovvero la sommatoria dei valori assoluti delle componenti: R = ∑ Ri .

• NORMF = 2

E’ selezionata la norma L2 (euclidea), ovvero la radice quadrata della somma dei quadrati delle componenti: R = (∑ Ri2 )2 . 1

• NORMF = 3

E’ selezionata la norma L∞ (infinita), cioè il valore assoluto massimo delle componenti: R = max Ri .

• NORMF = 4

E’ calcolata la somma delle forze Fx,Fy,Fz per ciascuna direzione X,Y,Z ed è trovato il valore della risultante: R = (Fx2 + Fy2 + Fz2 )2 . 1

d) EPSF è la tolleranza sulla norma delle forze. Il criterio di convergenza è ritenuto soddisfatto se: R F ≤εF R F

dove R F è la norma attuale calcolata come detto alla nota c), ε F è la tolleranza EPSF e R

F

è un valore di riferimento della norma. Ad esempio, assegnando ε F = 0.001 si

assume che la convergenza sia raggiunta quando la norma calcolata è 1/1000 del valore di riferimento. Gioca quindi un ruolo importante stabilire per ogni norma un valore di riferimento adeguato. Sono disponibili le seguenti opzioni: • EPSF = 0

E’ posto ε F = 0.001 e il valore di riferimento

R

F

è calcolato

automaticamente (v. nota f) ad ogni substep. Esempio: si fa l’ipotesi che la struttura possieda un solo grado di libertà su cui è applicata nel substep n.1 una forza di 1000N e che nel substep n.2 la stessa forza raggiunga i 2000N. Supponendo di utilizzare il valore di default EPSF=0, nel primo substep R = 1000 e nel secondo substep F

R

F

= 2000 , per cui il primo substep sarà ritenuto convergente quando

R F ≤ 1 .0

ed il secondo substep quando R F ≤ 2.0 , ovvero i risultati

saranno approssimati all’intorno di 1N nel primo substep e di 2N nel secondo substep. Se tuttavia la curva forze-spostamenti è quasi orizzontale nel secondo substep, il termine del calcolo a 1998N piuttosto che a 2002N darà origine a spostamenti finali notevolmente diversi. In questa condizione è comunque difficile ottenere una soluzione convergente. • EPSF>0

In questo caso è posto

ε F = EPSF e

R

F

= 1.0 , cioè EPSF è già il

valore di confronto della norma calcolata. Nel precedente esempio, ponendo EPSF=1.0 per entrambi gli step, i risultati saranno calcolati con una precisione pari a 1N sul disequilibrio delle forze sia nello step n.1 che nello step n.2. Nei metodi path-following il fattore di carico può variare notevolmente durante l’analisi ed eventualmente può anche annullarsi o cambiare di segno. L’utilizzo di un valore di riferimento

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costante può quindi essere troppo permissivo per λ elevati e troppo restrittivo per piccoli valori di λ, tanto da rendere difficoltosa o impossibile la convergenza. Come il caso EPSF=0, ma è posto ε F = − EPSF

• EPSF-1, altrimenti il criterio risulterà sempre soddisfatto.

e) EPSM è la tolleranza sulla norma dei momenti. Il criterio è trattato in modo del tutto simile a quello delle forze (v. nota precedente).

f) All’inizio di ogni substep il programma calcolo automaticamente i valori di riferimento di forza R e momento R nel modo seguente. F

M

I

1. E’ calcolata la norma R delle forze corrispondente alla differenza tra il carico F

attuale applicato raggiunto all’inizio del substep corrente e il carico all’inizio dello step (λ=0). 2. E’ calcolata la norma R

I M

dei momenti corrispondente alla differenza tra il carico

attuale applicato raggiunto all’inizio del substep corrente e il carico all’inizio dello step (λ=0). I

R sia nullo o prossimo a zero è calcolata la norma

3. Nel caso in cui II

I

F

M

R =R

F

/ bref essendo bref il braccio di riferimento assunto pari ad 1/100 del

massimo ingombro del modello. 4. Nel caso in cui R

I M

sia nullo o prossimo a zero è calcolata la norma R

5. In ogni caso è assunto il valore minimo R 6. In ogni caso è assunto il valore minimo R 7. E’ infine adottato R 8. E’ infine adottato R

F M

( = Max ( R

I

II

= Max R F , R F , R I M

,R

II M

III F

,R

III F III

II M

I

= R * bref . F

= REFMNF (v. campo n.5). = REFMNM (v. campo n.6).

). ).

M

III M

Si noti che durante il calcolo nonlineare pur non essendovi alcun momento applicato nasceranno in genere momenti nodali sbilanciati che devono essere ridistribuiti nella struttura fino a che non è ripristinata la condizione di equilibrio. Viceversa nel caso delle forze. Quindi, in generale, i criteri di forza e momento devono essere attivati entrambi.

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g) Il campo n.5 consente di assegnare un valore minimo REFMNF al termine di riferimento R

III F

utilizzato dal programma per stabilire il criterio per la convergenza delle forze come

espresso al punto 7 della precedente nota f). Se il campo n.5 è lasciato o assegnato nullo, è assunto per default REFMNF=1. L’utilizzatore deve verificare con attenzione che tale valore sia appropriato nella soluzione del problema corrente. Il campo n.6 ha significato analogo, ma è usato nel criterio di convergenza dei momenti (v. punto 8 della precedente nota f)).

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C5. Criteri di Convergenza su Spostamenti e Rotazioni Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

KCRITU – Abilitazione criterio

2

I

NORMU – Tipo norma

3

R

EPSU – Tolleranza norma spostamenti

4

R

EPSR – Tolleranza norma rotazioni

NOTE: a) Questa linea abilita il criterio di tolleranza sulla differenza ∆U di spostamento nell’iterazione corrente. Il criterio è applicato in modo del tutto simile a quello delle forze (linea C4). Anche in questo caso il vettore ∆U è suddiviso tra componenti di spostamento e di rotazione, cui sono applicati criteri separati. b) KCRITU abilita o disabilita i criteri su spostamenti e/o rotazioni nel seguente modo. • KCRITU = 0 • • • •

KCRITU = 1 KCRITU = 2 KCRITU = 3 KCRITU = -1

Default. E’ abilitato sia il criterio sugli spostamenti che quello sulle rotazioni. E’ abilitato solo il criterio sugli spostamenti. E’ abilitato solo il criterio sulle rotazioni. E’ abilitato sia il criterio sugli spostamenti che quello sulle rotazioni. I criteri su spostamenti e rotazioni sono entrambi disabilitati.

c) NORMU seleziona il tipo di norma, tra le seguenti scelte. • NORMU = 0 • NORMU = 1

Default. E’ selezionata la norma L2 (v. NORMU=2). E’ selezionata la norma L1, ovvero la sommatoria dei valori assoluti delle componenti: R = ∑ Ri .

• NORMU = 2

E’ selezionata la norma L2 (euclidea), ovvero la radice quadrata della somma dei quadrati delle componenti: R = (∑ Ri2 )2 . 1

• NORMU = 3

E’ selezionata la norma L∞ (infinita), cioè il valore assoluto massimo delle componenti: R = max Ri .

• NORMU = 4

E’ calcolata la somma degli spostamenti Ux,Uy,Uz per ciascuna direzione X,Y,Z ed è trovato il valore della risultante:

R = (U x2 + U y2 + U z2 )2 . 1

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IV-259

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d) EPSU è la tolleranza sulla norma degli spostamenti. Il criterio di convergenza è ritenuto soddisfatto se: R U ≤ εU R U

dove R U è la norma attuale calcolata come detto alla nota c), ε U è la tolleranza EPSU e R

U

è un valore di riferimento della norma. Ad esempio, assegnando ε U = 0.001 si

assume che la convergenza sia raggiunta quando la norma calcolata è 1/1000 del valore di riferimento. Gioca quindi un ruolo importante stabilire per ogni norma un valore di riferimento adeguato. Sono disponibili le seguenti opzioni: • EPSU = 0

E’ posto ε U = 0.001 e il valore di riferimento R

U

è assunto uguale al

valore R U della norma sugli spostamenti correnti, calcolata ad ogni iterazione e pari a R

U

= U . Esempio: si fa l’ipotesi che la struttura

possieda un solo grado di libertà e che durante la precedente iterazione di equilibrio sia stata calcolata, sullo spostamento totale, la norma U = 0.01mm . Supponendo di utilizzare il valore di default EPSF=0, lo step sarà ritenuto convergente quando R U = ∆U ≤ 0.00001 , dove ∆U è l’incremento di spostamento nell’iterazione corrente. Se comunque la curva forze-spostamenti è quasi verticale, il termine del calcolo a U+0.00001 mm piuttosto che a U-0.00001 mm darà origine a forze interne finali notevolmente diverse e quindi a un elevato disequilibrio se non è attivato anche il criterio sulle forze. In questa condizione è comunque difficile ottenere una soluzione convergente. • EPSU>0

In questo caso è posto ε U = EPSU e

R

U

= 1.0 , cioè EPSU è già il

valore di confronto della norma calcolata. Nel precedente esempio, ponendo EPSU=0.001 i risultati saranno calcolati con una precisione pari a 0.001mm sugli spostamenti. • EPSU-1, altrimenti il criterio risulterà in genere sempre soddisfatto.

e) EPSR è la tolleranza sulla norma delle rotazioni. Il criterio è trattato in modo del tutto simile a quello degli spostamenti (v. nota precedente). f) L’attivazione del criterio di convergenza su spostamenti/rotazioni necessita di un’iterazione in più per ogni sottostep ed è in genere necessaria solo in prossimità o oltre i punti critici. Negli altri casi è sufficiente il solo criterio sull’equilibrio di forze/momenti.

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C6. Criterio di Convergenza sullo Spostamento del Punto di Controllo Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

Descrizione

1

I

NODCTR – N. Nodo di controllo e abilitazione criterio

2

I

NCOMPU – Componente di spostamento

3

I

NCOMPR – Componente di rotazione

4

R

UCTRL – Valore spostamento di controllo

5

R

RCTRL – Valore rotazione di controllo

6

R

DRFAC – Fattore di spostamento relativo

NOTE: a) Questa linea consente di interrompere l’analisi al raggiungimento di valori prestabiliti di spostamento e/o rotazione di un nodo della struttura, indipendentemente dal criterio KCONT (v. linea C2) di continuazione automatica dello step oltre il livello di carico naturale. Una seconda ragione per definire un punto di controllo è quella di ricavare da esso informazioni che possano riassumere il comportamento nonlineare dell’intera struttura. Anche se non ne è richiesta la rappresentazione accurata e completa, la curva caratteristica forze-spostamenti del punto di controllo dovrebbe permettere di rilevare le qualità nonlineari del comportamento della struttura. Il punto di controllo dovrebbe perciò essere scelto in corrispondenza di un nodo appartenente ad un elemento della struttura che presumibilmente raggiunga il collasso il più tardi possibile e che d’altra parte sviluppi componenti di spostamento di valore elevato per rendere evidente il comportamento nonlineare della struttura. Negli edifici è di solito scelto un nodo di un elemento verticale sull’ultimo impalcato o meglio, il nodo che rappresenta lo spostamento rigido dell’intero impalcato. Se il carico prevalente che conduce la struttura al collasso è ad esempio costituito da un insieme di forze agenti in direzione X, la componente Ux del punto di controllo sarà diagrammata contro la componente Fx delle forze esterne in gioco. Per tracciare la Curva di Capacità della struttura è sufficiente rilevare i valori di Ux e Fx ad ogni substep. b) Il test di convergenza sul punto di controllo è eseguito successivamente al test di convergenza del substep. Ciò significa che è indispensabile innanzitutto attivare almeno uno dei cinque criteri di convergenza del substep. Una volta ottenuta la convergenza del substep è verificato il raggiungimento del valore limite di spostamento del punto di controllo il quale evita che l’analisi prosegua verso configurazioni di scarso interesse pratico ma solitamente molto impegnative per il calcolo. Il criterio sul punto di controllo può essere attivato contemporaneamente ad un qualunque criterio di continuazione KCONT e con qualunque modalità di controllo KCTRL della linea C2.

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c) NODCTR può essere un nodo qualsiasi della struttura. Se NODCTR=0 non è attivato alcun punto di controllo. d) NCOMPU è una componente di spostamento rilevata nel sistema globale, come segue: • NCOMPU = 0

E’ assunto il modulo del vettore spostamento: U C = U x2 + U y2 + U z2

• NCOMPU = 1

E’ assunto il modulo della componente Ux: U C = U x

• NCOMPU = 2

E’ assunto il modulo della componente Uy: U C = U y

• NCOMPU = 3

E’ assunto il modulo della componente Uz: U C = U z

e) NCOMPR è una componente di rotazione rilevata nel sistema globale. I valori sono gli stessi impiegati per selezionare le componenti di spostamento. Come si può vedere, attivando il punto di controllo è obbligatoriamente attivato sia il test sullo spostamento sia quello sulla rotazione. Tuttavia, lasciando uguale a zero il valore limite di controllo il test risulta sempre soddisfatto. f) UCTRL e RCTRL sono i valori limite di spostamento e rotazione del punto di controllo in valore assoluto (positivi o nulli). Si deve notare che il check sul punto di controllo potrebbe essere attivato senza che esso causi l’interruzione dell’analisi (che terminerà quindi per altri fattori), al solo scopo di ottenere il diagramma forze-spostamenti: sarebbe sufficiente assegnare semplicemente valori limite di spostamento molto grandi. Tuttavia il monitoraggio ad ogni substep (che rappresenta sempre una soluzione convergente) di qualunque nodo può essere ottenuto indipendentemente con le linee C7. g) DRFAC attiva la rilevazione dello spostamento e rotazione relativamente ai valori in corrispondenza del fattore di carico massimo (v. anche linea C2, parametro KCONT). DRFAC diventa effettivamente attivo solo nei metodi path-following e solo dopo che è raggiunto il primo picco del fattore di carico. Se DRFAC>0, l’esecuzione termina se è superato lo spostamento (e rotazione, se attivata) pari a DRFAC⋅UCλmax (e DRFAC⋅RCλmax), essendo UCλmax e RCλmax i valori UC e RC delle componenti di spostamento e rotazione del punto di controllo rilevati in corrispondenza del picco λmax. Se UCTRL e/o RCTRL sono assegnati maggiori di zero e se è assegnato contemporaneamente anche DRFAC, l’esecuzione ha termine quando è verificato il criterio più restrittivo. Ad esempio, se è stato attivato il monitoraggio della componente di spostamento Ux, con UCTRL=2.4 e se è contemporaneamente assegnato DRFAC=2.0, l’esecuzione termina quando è superato lo spostamento assoluto Ux=2.5 oppure se quando lo spostamento Ux diventa il doppio dello spostamento Ux in corrispondenza del picco. DRFAC non arresta mai la soluzione prima del raggiungimento di λmax, anche se il suo valore è inferiore a 1. Quando la soluzione termina per il raggiungimento del criterio di spostamento del punto di controllo (assoluto o relativo) è sempre posto KSTOP=1 (v. linea C7).

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C7. Monitor Risultati Nodali Numero richiesto: Una. Campo

Tipo

1

I









14

I

Descrizione NODM01 – N. primo nodo da monitorare

NODM14 – N. quattordicesimo nodo da monitorare

NOTE: a) I campi 1-14 consentono di assegnare una lista di nodi per i quali possono essere conservati (sul file .MNT) i risultati nodali per un totale di 12 variabili per nodo. E’ possibile monitorare fino a 14 diversi nodi assegnati in qualunque ordine. Tuttavia eventuali assegnazioni doppie sono eliminate e il primo valore nullo interrompe la lista. La frequenza con cui tali risultati parziali sono monitorati è in genere ad ogni substep, che corrisponde sempre ad una soluzione convergente (KMONI=0 assegnato nella linea C2). E’ comunque possibile ottenere il monitoraggio anche ad ogni iterazione, ma questi punti corrispondono a soluzioni non convergenti e i risultati dovrebbero essere utilizzati solo a scopo di debug. Attualmente per i nodi selezionati sono conservate le componenti di spostamento e rotazione (6 componenti) e le componenti di forza e momento nodali (6 componenti). Le forze nodali sono quelle effettivamente utilizzate nella soluzione nonlineare (FEXT-FINT). Le eventuali forze agenti lungo gradi di libertà slave si trovano trasferite sui master. A convergenza raggiunta le componenti di forza nodale dovrebbero essere nulle o di valore trascurabile, in quanto la somma della stessa componente di forza interna estesa a tutti gli elementi che convergono nel nodo deve uguagliare la componente di forza esterna applicata. Un valore non nullo fornisce l’entità della componente non equilibrata e quindi l’errore locale della soluzione. Sui nodi vincolati il valore della forza nodale sarà uguale ed opposto al valore di reazione del vincolo. Le forze interne sui nodi di ciascun elemento sono invece ottenute come risultati di elemento (v. linea C8). b) Step di carico diversi possono definire liste diverse. Se tuttavia KMONI=-1 nella linea C2, sono applicate le liste dello step precedente e le linee C7 e C8 (obbligatorie) possono essere lasciate bianche. Se nella lista non è assegnato alcun nodo, non è conservata alcuna variabile. c) Oltre alle 12 variabili per nodo delle linee C7 (max 168 variabili di nodo: RMNTN(12,14)) e alle 12 variabili per elemento delle linee C8 (max 168 variabili di elemento: RMNTE(12,14)), in .MNT sono sempre conservate le variabili di stato di default

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IMNT(48) e RMNT(48), con la frequenza stabilita da KMONI. La lista seguente riassume il significato dei risultati di default contenuti in IMNT e RMNT. IMNT(1) IMNT(2) IMNT(3) IMNT(4) IMNT(5) IMNT(6) IMNT(7) IMNT(8) IMNT(9) IMNT(10) IMNT(11-16)

Numero step di carico corrente Numero substep corrente Numero tentativo corrente (n. ciclo iterativo di soluzione del substep) Numero iterazione di equilibrio (nel ciclo iterativo corrente) Numero iterazione cumulativa corrente Numero elementi che hanno cambiato stato nell’iterazione corrente Flag aggiornamento matrice di rigidezza nell’iterazione corrente (0=nessun aggiornamento; 1=aggiornamento e nuova fattorizzazione) Numero totale di fattorizzazioni della matrice di rigidezza Flag di convergenza N. autovalori negativi della matrice di rigidezza (inertia(1)) Non usati

IMNT(17-30) IMNT(31) IMNT(32)

Lista nodi da monitorare (0=non monitorato – NODM01-NODM14) Non usato) Numero nodi monitorati (n. valori IMNT(17-30) diversi da zero)

IMNT(33-46)

Lista elementi da monitorare (0=non monitorato – NELM01-NELM14, v. linea C8) Non usato Numero elementi monitorati (n. valori IMNT(33-46) diversi da zero)

IMNT(47) IMNT(48)

RMNT(1) RMNT(2)

RMNT(3) RMNT(4)

Tempo alla fine del sottostep corrente Fattore di carico λ della soluzione corrente (λ=0.0 all’inizio dello step, al tempo Ti-1; λ=1.0 a fine step al tempo Ti; λ>1.0 se lo step è esteso oltre il carico nominale assegnato (v. linea C6) Valore minimo diagonale nella matrice di rigidezza Valore massimo diagonale nella matrice di rigidezza

RMNT(5) RMNT(6) RMNT(7) RMNT(8) RMNT(9) RMNT(10) RMNT(11)

Valore calcolato norma forze (v. linea C4) Valore calcolato norma momenti (v. linea C4) Valore calcolato norma spostamenti (v. linea C5) Valore calcolato norma rotazioni (v. linea C5) Valore calcolato norma energia (v. linea C3) Valore calcolato norma spostamento punto di controllo (v. linea C6) Valore calcolato norma rotazione punto di controllo (v. linea C6)

RMNT(12)

Valore criterio convergenza forze (è il valore di confronto della variabile RMNT(5). Si noti che il criterio può prevedere il calcolo di un valore di riferimento) Valore criterio convergenza momenti Valore criterio convergenza spostamenti Valore criterio convergenza rotazioni Valore criterio convergenza energia Valore criterio convergenza spostamento punto di controllo

RMNT(13) RMNT(14) RMNT(15) RMNT(16) RMNT(17)

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RMNT(18)

Valore criterio convergenza rotazione punto di controllo

RMNT(19-24) Componenti di spostamento e rotazione del punto di controllo RMNT(25-30) Componenti di forza esterna totale riferite all’origine globale (sommatoria forze in direzione X,Y,Z e sommatoria momenti attorno a X,Y,Z) RMNT(31-32) Valori di forza e momento totali nella direzione di spostamento e rotazione del punto di controllo. RMNT(33) Parametro di rigidezza RMNT(34-48) Non Usati

d) Il flag di convergenza IMNT(9) ha valore nullo durante le normali iterazioni di equilibrio. Questo significa che la soluzione procede in modo stabile (più o meno velocemente) verso la convergenza. A convergenza raggiunta il flag assume il valore +1 (“**Convergente**”). Ad ogni iterazione di equilibrio divergente il flag assume il valore –1 (“**Divergente**”). Se la frequenza dell’output sul file monitor .MNT è quella di default (solo alla conclusione di ogni substep), le soluzioni monitorate conservate saranno tutte contrassegnate dal flag “**Convergente**”. e) IMNT(10) è il numero di autovalori negativi della matrice di rigidezza. L’inerzia della matrice è l’array inertia(3) contenente il numero di autovalori negativi, nulli e positivi. In genere, in condizioni di stabilità elastica la matrice contiene solo autovalori positivi in numero pari al numero di gradi di libertà e IMNT(10)=0. Durante il calcolo nonlineare è possibile che siano raggiunte condizioni di instabilità locale e che la matrice non sia più definita positiva. L’instabilità può essere di tipo geometrico o anche dovuta al materiale. Nei casi normali l’instabilità interessa un grado di libertà per volta e IMNT(10) è pari a 1, indicando così l’attraversamento di un massimo o minimo locale nella curva caricospostamento. In altri casi vi possono essere più autovalori negativi contemporanei e IMNT(10)>1: questa è una evenienza che deve essere attentamente considerata dall’utente in quanto è indice della presenza di una biforcazione nella curva caricospostamento. Il programma in questa situazione normalmente non può convergere ad alcuna soluzione. Agendo sull’ampiezza del substep e sugli altri parametri a volte è possibile percorrere uno dei rami della biforcazione, ma non è garantito che il percorso scelto sia quello maggiormente instabile. Se la biforcazione è dovuta ad instabilità di materiale è spesso possibile continuare l’analisi nonlineare attivando il flag IOPMAT della linea A del modulo SHELL. f) I valori RMNT(25-30) sono ottenuti trasferendo e sommando sull’origine globale ciascuna delle sei componenti di forza esterna Fext applicate su tutti i nodi. Le forze esterne applicate al nodo sono quelle derivanti dalle forze nodali assegnate esplicitamente più le forze nodali equivalenti dovute ai carichi di elemento. Ciascuna componente è rigidamente trasferita sull’origine degli assi globali. Il momento riferito all’origine contiene perciò anche i momenti di trasporto delle componenti di forza. g) Il valore RMNT(31) è il prodotto scalare tra il vettore forza RMNT(25-27) e il versore spostamento di RMNT(19-21). RMNT(32) è il momento ottenuto in modo analogo. h) In RMNT(33) è contenuto il “Parametro di Rigidezza”. E’ disponibile solo per KEXE=-1 e KEXE=1 e solo per il metodo path-following. Come noto, un metodo per misurare la

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variazione di rigidezza della struttura è quello di diagrammare il carico applicato contro il valore di spostamento di un punto sensibile e rappresentativo dell’intera struttura (che non dovrebbe però essere esso stesso soggetto ad instabilità locali). Purtroppo non è possibile, in una struttura con tanti gradi di libertà, la rappresentazione concisa di un valore “scalare” che rappresenti la rigidezza della struttura. In alternativa ed in aggiunta al metodo del punto di controllo esiste comunque la possibilità di calcolare, attraverso una serie di prodotti scalari tra forze e spostamenti (qualcosa di simile al calcolo delle norme), il parametro di rigidezza R=K/K0 che rappresenta la misura della rigidezza corrente in rapporto alla rigidezza iniziale. Alla prima iterazione del calcolo sarà R=1. Teoricamente, ammesso che sia possibile raggiungere esattamente un massimo, il valore R=0 indica che la matrice di rigidezza è singolare (in effetti in tale situazione non è neppure possibile la fattorizzazione). Se R