Marziale e la poesia delle cose 9788875641023, 8875641021


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Marziale e la poesia delle cose
 9788875641023, 8875641021

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STUDI LATINI Collana diretta da Fabio e Giovanni Cupaiuolo

-58-

MARZIALE

E LA POESIADELLECOSE

CARMELO SAI.EMME

MARZIALE E LA POESIAORLI.ECOSE

LOFFREDO EDITORE - NAPOLI

¼lumepubblicatocolcontributodelMIUR - UniversitàdellaCalabriaDipartimentodi Filologia

Proprietàlmeraria riservata

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PREMESSA Già nelle 'schede' di oggetti raccolte in Xenia e Apophoreta è in nuce il mondo poetico di Marziale, sono presenti alcuni suoi temi, certe sue movenze espressive; sopra tutto è la sua disposizione ali' osservazione minuta del reale, che nella produzione 'maggiore' si organizza spesso in compiuti, organici contesti, ma con una insopprimibile tendenza ai lunghi elenchi, quasi ai cataloghi, ove la presenza delle cose, dei loro rapporti sia reciproci sia con la sfera umana è continua e coinvolgente. È il modo tutto proprio di Marziale di leggere, di appropriarsi del reale. I.:esigenza di un'arte concreta è adeguatamente documentata dalla poetica 'programmatica' di Marziale, un'arte che nell'arco di un carme breve e vivace (12, 61, I) facesse sentire il sapore stesso della vita umana (IO, 4, 10) e la stessa esistenza vi si specchiasse e vi si riconoscesse (8, 3, 20), con una spregiudicatezza espressiva indispensabile per un ritratto vivido e colorito della realtà (1, praef.>. E tuttavia la poetica 'programmatica' non documenta la caratteristica precipua del mondo poetico di Marziale, la sua attenzione assorbente nei confronti dei dettagli del reale, delle cose che egli ama avvertire, sentire, quasi toccare, ali' occasione stravolgere proprio quando il lettore meno se lo aspetta. Marziale non possiede una visione, per cosl dire, 'totale' della realtà, che predilige invece cogliere nei suoi particolari, dai 5

quali è conquistato e spesso come ossessionato: nel rievocarli, nel nominarli, nel comporli tra loro per poi scomporli. In questo senso, la sua è una 'poetica degli oggetti', per riprendere una formula da me adoperata nel 1976, una poetica agente a livello interno, una poetica 'operante' (nella efficace terminologia di Luigi Pareyson). E forse, di tale poetica 'operante' il migliore documento resta quella prefazione al libro XII che già destò l'attenzione di Erich Auerbach. Scrivendo ali'amico Prisco dal suo ritiro di Bilbili, il poeta rimpiange il suo pubblico di Roma, il vero ispiratore della sua opera; gli mancano le biblioteche, i teatri, gli mancano i contatti umani, i contatti con le cose, con quella variegata realtà che già recava in sé l'ispirazione: si quid est

enim quod in libellismeisplaceat,dictavitauditor:illam iudiciorumsubtilitatem,il/ud materiarumingenium,bibliothecas, theatra,convictus,in quibusstuderese voluptatesnon sentiunt, ad summamomnium il/a quae delicatireliquimusdesideramus quasidestituti.Fu il mondo che lo circondava, furono le strade e i vicoli di Roma, furono le cose, gli oggetti anche i più splendidamente inutili a sollecitare la sua fantasia e a costituire il suo più autentico mondo poetico.

I ALLEORIGINI DELLAPOESIADI MARZIALE La poesia di Marziale è fatta di cose, di oggetti che si propongono alla sua memoria e che vengono da lui elencati, caratterizzati sin nelle minuzie. I..:artedi Marziale non conosce gli approfondimenti psicologici, le ricostruzioni ambientali, le rievocazioni umane; non conosce personaggi nel senso compiuto del termine. Egli ritrae l'uomo, la natura, persino i sentimenti e gli stati d'animo non in maniera diretta, ma elencando, talora affastellando, un oggetto dopo l'altro 1• Tali oggetti o si esauriscono nella boutade,nella battuta a sorpresa che li capovolge, li estrania dalla loro realtà originaria (fornendo un'interpretazione del reale grottesca e caricaturale) o invece (ma spesso queste due possibilità si intersecano e si combinano insieme) acquistano valenze connotative, nel senso che la loro p r e s e n z a designa una situazione, rievoca un personaggio o una realtà psicologica o ambientale. 1

Il riferimento è a quella che già nel 1976 definivo 'poetica degli oggetti' (Marzialet la poeticaekg/i oggetti".Struttura dell'epigramma di Marziale, Napoli 1976). Di una «poétique du réel»,di un «matérialismepoétique» parla P.I..AURENSnella sua egregia, meditata opera su Marziale e sulla storia dell'epigramma (L'abtilltdans /'ambre.Célébration de l'épigramme de l'époque alexandrine à la fin de la Renaissance,Paris 1989, pp. 229 s.). 7

l Un esempio, fra tanti: in 11, 32 Marziale prende di mira un certo Nestore che ama fregiarsi del titolo di povero quando in r realtà è un autentico miserabile. Come esprimere lo squallore t di Nestore? Marziale non divaga sul suo carattere psicologico, .· sulle vicende della sua vita. A denunciare l'effettiva miseria di Nestore sarà un elenco di oggetti (vv. 1-4): Nec toga nec focus est nec tritus cimice lectus nec tibi de bibula sarta palude teges, nec puer aut senior, nulla est ancilla nec infans, nec sera nec clavis nec canis atque calix.

È quasi una libido,un esasperato nominalismo che spinge il poeta a evocare, a nominare, uno dopo l'altro, i suoi e oggetti nelle situazioni e nei casi più diversi (alcuni esempi:

1,41;2, 14;3,20;62;77;82;93;4,4;46;5,37;6,89;93; 8, 23; 9, 57; 10, 90; 11, 8; 18; 21; 31; 52; 98; 12, 32; 57; 61; 77; 85). Ma l'oggetto, in Marziale, non ricorre solo negli e elenchi; si può anzi dire che, nella sua varietà e complessità, . è al centro di ogni epigramma, ne costituisce il fulcro cenr trale intorno a cui ruota l'intera struttura del componimenl• to. La presenza degli oggetti è in Marziale centrale e caratter; rizza la sua poesia sin dai suoi primi tentativi, sin dalle raccolte di Xenia e Apophoreta,dai libri XIII e XIV2 • In questi due libri l'oggetto è 'schedato', analizzato; talora presenta già la boutade,il gioco di parole; ma è ancora visto nella sua ,, individualità, non è ancora entrato entro un 'circuito'. I

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I due libri si possono leggere con il commento del Lcary:Marciai, Book '· XIII, The Xmia, Tcxt with introduction and commentary by T. J. LF.ARY, '--'London 2001; BookX/li, TheApophort:ta, Tcxt with introduction and com11, mentary byT. J. LF.ARY, London 1996.

Eppure, l'importanza di Xenia e Apophoretanon si esaurisce solo nel documentare la fase preparatoria del Marziale maggiore. Piuttosto, la loro portata si allarga, se si pensa che è possibile scoprire nelle due raccolte, seppure in nuce,i temi fondamentali della poesia di Marziale, certe movenze espressive che caratterizzeranno la maturità del suo stile, alcuni spunti poetici che in seguito saranno in pieno sviluppati, ma che in Xenia e Apophoretafanno la loro prima, significativa comparsa. Gli oggetti di Xmia e Apophoretatornano nei dodici libri, allora; e non solo, ma con essi ricompaiono stilemi, motivi, nuclei tematici che sono alle origini del fare poetico di Marziale. Il quale aveva dietro di sé - è vero - la poderosa produzione epigrammatica greca; aveva dietro di sé Catullo, e poi Virgilio, Orazio, Ovidio; aveva dietro di sé Seneca e il 'nuovo stile' della retorica. Ma sopra tutto aveva le sue pulsioni poetiche, il suo linguaggio originario, le sue predilezioni e le tendenze del suo stile, la sua visione del mondo, il modo tutto suo di impadronirsi del reale, di creare un nuovo reale attraverso i suoi accostamenti, la sua lettura delle cose. Vorremmo, dunque, attraverso una significativa campionatura, documentare queste 'origini' della poesia di Marziale, privilegiando non tanto gli echi esterni, le imitazioni della poesia precedente, quanto piuttosto gli echi di Marziale, del primo Marziale, in Marziale stesso: il patrimonio originario del poeta che si cala, si storicizza, nella concreta sua evoluzione letteraria e artistica. Dalle 'schede' in apparenza fredde, neutre, di Xenia e Apophoretaè possibile enucleare, in embrione, alcuni connotati essenziali del mondo poetico di Marziale.

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1. La suggestione dell'epigramma greco.Il gusto di comporre brevi epigrammi per descrivere doni poteva pur provenire, in parte, da alcuni epigrammi greci di carattere votivo3• Cosi, nell'AntologiaPalatinaè possibile trovare la descrizione di una penna data in dono, di uno stuzzicadenti, di un vasetto indiano, di un volume di poesia di Anacreonte (rispettivamente AP 6, 227; 229; 261, tutti di Crinagora); di un cappello, di una candela, di un libro (6, 335; 249; 9,93, tutti di Antipatro di Tessalonica). Elenchi di oggetti sono poi sopra tutto nel gran3

Ma non tralascerei del tutto, tra le eventuali suggestioni che potevano sollecitare Marziale, il Petronio di 56, 7-10, con i suoi apophoreta introdotti nel corso della cena (vi ha richiamato l'attenzione B. L. ULLMAN, «Apophoreta» in Pm-oniusand Martia4 «Class. Philol.» 36, 1941, pp. 346355, ma al solo scopo di identificare con precisione la natura degli oggetti menzionati da Petronio). Corrispondenze non mancano, al di là della difficoltà testuale del brano petroniano (ho presente l'edizione di Emout): pema: 13, 54 (Perna);cervical:14, 146 (Cnvica~;porri:13, 18 (Porrisectivi)e 13, 19 (Porri capitati);pmictr. 13, 46 (Pmica praecocia); jlagellum: 14, 55 (F/agellum);cultrum: 14, 31 ( Culter venatorius);muscarium: 14, 67 (Muscariumpavoninum)e 14, 68 (Muscariumbubulum);uvampassam:cfr. 10, 22 ( Uvaeduracinae);me/Atticum: 13, 104 (Me/Atticum);cmatorut:cfr. 14, 136 (Cmatoria);kpus:13, 92 (Lepom); soktr. 14, 65 (Sokae lanatae); murama:13, 80 (Murmae);fascembetae.cfr. 13, 17 (Fasciscoliculz),14, 38 (Fascesca/amorum)e 13, 13 (Betae). Ma un certo qual confronto può pure essere istituito tra passeresdi Petronio e gli apophoretadi uccelli in 14, 73 (Psittacus);74 (Corvus);75 (Luscinia);76 (Pica),mentre del passero si fa implicita menzione in 14, 77 ( Caveaeboretr. Si tibi taliserit, quakm, dikct11 Catullo/Lesbia,plorabas,hic habitarepotes~.Cosl, ancora, si può confrontare acetabulumdi Petronio con l'intero 13, 122 (Acetum:AmphoraNiliacinonsit tibi vilisaceti:/essetcum vinum, vilioril/afai~. Marziale ha certamente letto Petronio: a lui è vicino non solo per il frequente uso di volgarismi, ma anche per alcuni spunti che egli mostra di tenere presenti (cfr. C. MARCHESI, Pm-onioe Marziak, «Athenaeum» 10, 1922, pp. 278-280); ma è difficile stabilire in quale misura Petron. 56, 7-1 O abbia influito sul poeta (si tratta, in sostanza, di tematica comune). 10

de precedente di Leonida: cfr. AP 6, 4 (ove sono descritti gli attrezzi del pescatore); 205 (gli attrezzi del falegname); 211 (Calliclea offre a Venere i pegni promessi per le sue nozze}; 293 (le povere cose di un filosofo saccente); 296 (gli attrezzi di un cacciatore); 298 (le misere spoglie di un cinico); 300 (offene del poeta ad Afrodite: focacce, ulive, un fico verde, cinque acini di un grappolo, un fondo di coppa come libagione); 305 (doni di un ghiottone) 4• Si tratta, in genere, di offene a divinità varie in cambio di un favore, di una protezione o allo scopo di ironizzare su determinate situazioni, e per lo più non si allontanano da quello che è lo schema classico dell'epigramma votivo. Intenzione del poeta è quella di dedicare a una divinità alcuni oggetti in ringraziamento o in ricordo: in questa dimensione si esaurisce la sua 'volontà poe. ' nca. 4

Buona documentazione sulle Hiiufungsfigurm, sulle cumulationes, in E. SIEDSCHLAG,Zur FormvonMartuz/sEpigrammm,Bcrlin 1977, pp. 39-55, il quale mostra come Marziale abbia fatto uso degli 'accumuli' molto più degli epigrammisti dcli'AP. In effetti, la tecnica della cumulatwè tipica di Marziale (rimando al mio Marziale..., dt., pp. 56 s.; 79 s.; 91; 107 ss.; 112 ss.; 124 s.), e il Sicdschlag ha il merito di averne dcncato i tipi: accumuli di frasi, di parti di frase,di frasi secondarie, di coppie di frasi, non escludendo le semplici ripetizioni di parole cd espressioni. Oltre che con l'epigrammatica greca il Sicdschlag istituisce utili confronti con la produzione latina prima di Marziale (specie con Catullo e Seneca). Quella di Sicdschlag è una documentazione accurata (sebbene non completa); eppure, dopo aver letto le sue pagine, molto poco si può sapere intorno alla fumt:ionedi tale tecnica ncl1'ambito della produzione poetica di Marziale. Tali cumulatwntshanno un primo effetto 'esterno', cioè di intensificare l'attesa, la Erwartunglessinghiana, attesa che, qualunque cosa si dica (le pp. 65-86 del Sicdschlag sembrano a torto misconoscere questo aspetto), è presente e operante nella struttura della maggior parte degli epigrammi di Marziale. Potremmo chiamarla 'tensione informativa', che tende a sciogliere, attraverso un a e e u m u lo d i informazioni, l'ambiguità inizialmente posta dall'epigramma.

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In Marziale domina invece l'attenzione rivolta all'oggetto in se stesso, alle sue caratteristiche esterne, fisiche (oltre che un evidente, 'esorbitante' interesse per le cose: il libro XIII ha 127 'schede'; il XIV ne ha 223); la finalizzazione dell'epigramma di Xeniae Apophoretanon è l'offerta o una dedica alla divinità, e passa in secondo ordine persino lo stesso carattere di dono. A interessare il poeta è la cosa nella sua realtà concreta, negli eventuali connotati ridicoli che contiene, nella boutadeche almeno in maniera implicita lascia trapelare (e qui è in nucela poliedrica, sapientissima futura arte scommatica di Marziale) o, ancora più, nelle sue notazioni peculiari, negli accostamenti con altri oggetti e nelle implicazioni che ne derivano. Vero è che, tuttavia, alcuni spunti sembrano derivati a Xenia e Apophoreta proprio dall'epigrammatica greca. Cosi, la penna che può servire da stuzzicadenti, descritta in 14, 22, può trovare un riscontro in AP6, 229, dove Crinagora offre in dono (cfr. v. 6) a Lucio una piuma d'aquila allo stesso scopo. Le rose invernali per il Cesare, rievocate in 13, 127, ricordano le rose invernali di Crinagora, che in un finissimo epigramma (AP 6, 345) descrive il dono, per il compleanno di una donna, di stupende rose scarlatte, fiorite nel pieno inverno. Il dono di una candela di 14, 42 può ricordare l'analogo dono di Antipatro di Tessalonica a Pisone (cfr.AP6, 249), come la lucernadi 14, 41 ricorda AP 6, 148, ove Callimaco fa parlare in prima persona (con procedimento analogo a quello che userà Marziale) la lucerna (munita di innumerevoli becchi - e quindi stoppini che ardono - in Marziale: cfr. il lemma: Lucernapolymyxos,v. 2 myxos,in Callimaco, analogamente, la lampada ha venti stoppini: cfr.v. 1: ...ei1eomµuçatç). Cosi, Marziale eredita dall'epi(cfr. 14, 39): grammatica greca il tema della lucernacubicularis Dulcis conscia lectuli lucerna, quidquid vis facias licet, tacebo. 12

Meleagro aveva offeno a Venere (AP 6, 162) la lampada compagna dei suoi 'giochi' (ma sul motivo della lucerna, amica silenziosa delle notti, cfr.,ad esempio, pure AP 5, 4; 5; 7; 8; 128; 197). Il tema è ripreso da Marziale in 1O, 38, 6-8 ( O quae

proelia,quasutrimquepugnasifa/ixlectuluset lucernaviditlnimbisebriaNicerotianis.?, ove è fuso con quello del letto testimone (per cui cfr.AP 5, 4, 5 s.; 5,181,12) e in 11, 104, 5. Ancora: 14, 73, sul pappagallo che ha imparato il saluto al Cesare, richiama da vicino l'epigramma di Crinagora in AP 9, 562 sullo stesso argomento (Marziale fonderà poi i temi del1'animale parlante e del saluto in 3, 95, 1 s.: Numquam dicis

bave sed reddis,Naevole,semper,Iquod prior et corvusdicere saepeso/et).In 14, 154 (Lanaeamethystinae)Marziale scherza sul significato di amethystinus(in greco àµé8uc:rtoç «senza ubriachezza» e insieme «ametista»), riferito a /anae:come è possibile che venga definita 'sobrià proprio una lana del colore dell'ametista che è invece ebbra di porpora (EbriaSidoniae

cum sim de sanguineconchae,Inon video quare sobria lana vocer)?Il gioco/contrasto è presente pure in AP 9, 752 (Asclepiade o Antipatro di Tessalonica), ove si parla di Méfhl, l'Ebbrezza scolpita nell'ametista, che, pur ebbra, deve restar sobria al dito di Cleopatra (ma cfr. pure AP 9, 748). In 14, 174 è la descrizione di un ermafrodito di marmo (Masculus

intravitfontis: emmit utrumque:/pars est una patris, cetera matrishabei).La descrizione di una statua di ermafrodito è in AP9, 783 (ma è di anonimo), che in comune con Marziale ha anche l'allusione (a v. 2) al fatto che l'ermafrodito reca in sé i segni di entrambi i genitori. Anche l'epigramma di Danae (14, 175: Cura te pretium Danae, regnatorOlympi,Iaccepit, gratissi tibi Leda dedit?)trova riscontri nell'epigrammatica greca: cfr. AP 5, 31 (Antipatro di Tessalonica), che ha in comune con Marziale sopra tutto il motivo dell'oro come 'compenso' di Zeus per Danae(cfr. vv. 5 s.). 13

Ma, al di là di alcune evidenti 'riprese', dovute alla topica stessa del genere 5, Marziale rivela un modo tutto suo di com-

s In effetti,il tutto il libro VI dell'Antologia PalatiMabbondano gli 'oggetti', ma in prevalenza si tratta di variazioni su tema, imitazioni libresche e talora parodiche di originali che, a loro volta, si rivdano virtuosistici componimenti da tavolino, denchi di cose che si esauriscono nella pura enunciazione, scnu un vigoroso impegno poetico che dia loro vita e rilevanza espressiva. Casi sintomatici possono essere Crinagora 232 (grappoli d'uva, mele granate, pigne, mandorle, pizze, spicchi d'aglio, pere sono minutamente offerti a Priapo, ma la minuzia, la puntigliosità dcli' elenco si fermaa livello della sola enunciazione) o Leonida 205 (gli attrezzi di un falegname elencati in bcll'ordine e offerti naturalmente all'industriosa Atena: lime, pialle, livelle, minio, magli, regoli, archetti, raschietto, e poi la scure, le trivelle, i trapani e i succhielli e l'ascia). Non si tratta di casi limite, ché gli esempi si moltiplicano, e solo in pochi casi, tra le mani, ad esempio, del tardo Paolo Silenziario (cfr. 71), le 'cose' sembrano rivelare un palpito di vita poetica. A parte è da considerare Leonida di Taranto, particolarmente presente in questo libro di 'cose' che è il VI (4; 13; 35; 120; 129; 130; 131; 188; 200; 202; 204; 205; 211; 221;226;262;263;281;286;288;289;293;293;296;298;300;302;305; 309; 334; 355). Gli 'denchi' di Leonida solo di rado sfuggono alla 'maniera' dd genere (spesso sono autentici virtuosismi espressivi, impiegati nella descrizione di arnesi da lavoro): solo quando si riesce a intravedere, come nel 226, dietro una piccola fattoria, dietro povere cose, l'esistenza di un uomo. La sua produzione migliore è raccolta nd VII libro, ove, di fronte al mistero della morte, il poeta sa toccare note di un desolato, sofferto eppur contenuto pessimismo (cfr, ad esempio, 173; 295; 504; 506; 657); ma non si tratta più di poesia degli oggetti,bcnsl di arte più ampiamente descrittiva, pur se amante dei particolari e delle piccole cose della vita umile e quotidiana (esagerato volervi vedere un estetismo decadente, di sapore quasi pascoliano, come fa Giuseppina LoMBARDO RADICE, Leonidatarentino,poeta «ricco»{Sulprmso waiismo di un poeta «pm::ioso»], «Maia» 17, 1965, pp. 141-157). In realtà, come precedente grecodi 'poesia degli oggetti' (= non nuda presenza o elenco di cose, ma presenza di oggetti di pregnante dimensione evocativa e connotativa) non saprei citare altro che Alceo 140 V.:un elenco di armi e di indumenti bellici che, nella scabra essenzialità (quanto diversa dalle descrizione delle armi di Paride in Il 3, 330-338!) dell'enunciazione - solo al termine, al

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posizione e di strutturazione del componimento. In particolare, può essere significativo, movendo proprio dai libri XIII e XIY, entrare, per cosl dire, nello scrittoio del poeta, per esaminare le modalità del suo lavoro.

2. La tecnica compostttva. Il riuso di un formulario, di espressioni fisse è tipico di Marziale e documentabile sin dalle prime scaturigini del suo linguaggio poetico. Potrà bastare come esempio 14, 181: Clamabattumidis audax Leandros in undis: 'M e r g i t e me fluctus e u m r e d i t u r u s e r o'

che 'contrae' epigr.25 b: Cum peteret dulces a u d a x L e a n d r o s amores et fessus t u m i d i s iam prcmcrctur aquis, sic miser instantes adfatus dicitur u n d a s: 'Parcitc dum propero, m e r g i t e e u m r e d e o'. v. 8, spezzatadal rilievopersonale dd poeta -, lasciano pur avvertire quella che

parrebbe l'imminema dd combattimento. Suggestiva, specie per i confronti istituiti con AP 6, 163; 9, 322; 323, l'ipotesi di Maria Grazia BoNANNO (Alcaeusft.140 V.,«Philologus" 120, 1976, pp. 1-11), che ravvisa nd testo di Alceo non la descrizione di una salad'armi, bcnsl quella di un tempio dedicato ad Arcs; il nome dd dio è in effetti presente nd v. 2, ma è di lettura piuttosto difficile, e forse non è da porre da parte •Apeut KooµTft(lt di H. FRANKEL, che intende l'espressione come metaforica (Poesille filosofiadella Gm:iaarraica,trad. ital., Bologna 1997, p. 287, n. 1); non cscludctci,inoltre, che gli epigrammi citati dell'AP possano essere in certa misura forvianti per l'interpretazione dd frammento di Alceo; infine, dal punto di vista poetico, mi pare che considerare le armi allineate come trofei in un tempio le privi, almeno in parte, di quella pregnanza connotativa di cui sono portatrici se le si funzionalizza in maniera di.renaall'epyov dell'ultimo verso, all'impresa guerresca che Alceo e i compagni stanno per intraprendere.

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È Marziale che ricorda se stesso, ed è forse possibile enucleare alcuni modi con cui si struttura la sua memoria. Dominano, nel recupero della memoria, i contatti, i richiami, le vicinanze di oggetti spesso già presenti in Xenia e Apophoreta.Un chiaro esempio è costituito da 11, 21: Lydia tam laxa est equitis quam culus acni, quarn celer arguto qui sonat acre trochus, quarn rota transmisso totiens inpacta petauro, quam vetus a crassa calceus udus aqua, quam quae rara vagos expectant retia turdos, quarn Pompeiano vela negata Noto, quarn quae de pthisico lapsa est armilla cinaedo, culcita Leuconico quarn viduata suo, quarn veteres bracae Brittonis pauperis, et quarn turpe Ravennatis guttur onocrotali. Hanc in piscina dicor futuisse marina. Nescio; piscinarn me futuisse puto.

Marziale deve dimostrare l'assunto del v. 1 e quindi secondo una sua particolare tecnica - elenca una serie di oggetti che suggeriscano la realtà che egli afferma. Cosl, a v. 2, paragona Lidia a un giocattolo per bambini, a un cerchio che risuona per i numerosi anelli di bronzo che vi sono inseriti (quam celer arguto qui sonat aere trochus).Ebbene, trochus compare in 14, 169: Garrulus in laxo cur anulus orbe vagatur? Cedat ut argutis obvia turba trochis.

Argutus,detto del trochusnel 1.XIY, viene riferito ad aesin 11, 21, 2, ma ancora più significativo è che l'immagine centrale di 11, 21, quella di Lydia laxa, deve essere stata, mne16

monicamente, originata da laxus,usato nel v. 1 di 14, 169. Inoltre in 14, 168 (sempre sullo stesso trochus)compaiono insieme rota e trochus: Inducenda rota est: das nobis utile munus: iste trochus pueris at mihi canthus erit.

Ecco allora che rota è in 11, 21, 3. Ancora: a v. 6 Lydia è paragonata al tendone che non riesce a distendersi al vento nel · teatro di Pompeo, con la compresenza di Pompeianoe vela. Entrambi i termini erano già vicini in 14, 29: In Pompeiano tecum spectabo theatro. Mandatus populo vela negare solet.

Infine, culcitae Leuconicodi v. 8 sono chiari ricordi di 14, 119,2; 159,2; 160,2; 162, 1. Con Xeniae Apophoretaè fissato dunque un materiale che viene poi riusato e variato a seconda dei contesti. Esaminiamo qualche caso. I.:epigramma 3, 47 è occupato, al centro, da un dettagliato elenco (vv. 7-12): Illic videres frutice nobili caules et utrumque porrum sessilesque lactucas pigroque ventri non inutiles betas; illic coronam pinguibus gravem turdis leporemque laesum Gallici canis dente nondumque vieta lacteum faba porcum.

Ecco allora i caulesdi 14, 17, 1, i porri sectividi 13, 18 e i porri capitatidi 14, 19 (cfr. utrumqueporrum div. 8), le lactucaedi 14, 14, le betaedi 14, 13, la corona,la ghirlanda di tordi div. 10, comprensibile alla luce di 14, 51 (ove il poeta dichia17

radi preferire a una ghirlanda di rose una corona di tordi), la lepre ferita (cfr./aesumdiv. 11) dal cane gallico (in 14, 200, 2 è descritto invece il cane i n la e s u m lepomnqui tibi dente feret: variazione di particolari nell'ambito di temi identici) e, infine, il porcellino da latte div. 12, trasposto in pieno da 14, 41 (Lacte meropastumpigraemihi matrisalumnum/ponat...). Gli alimenti elencati in 3, 47 sono le ricchezze della terra (cfr. v. 6), che Basso porta non verso Roma, ma, paradossalmente, verso la campagna (verso la sua villa di campagna alle pone di Roma: l'immagine torna alla fine [vv. 45 ss.] di 3, 58, la celebre, originale visione marzialiana della campagna, fatta di cose e di particolari puntigliosamente elencati e descritti). In 11, 52, epigramma dal caratteristico attacco catulliano (Cenabisbelle,Iuli Cmalis, apud me. cfr. Catull. 13, 1), l'elenco delle vivande tende a sottolineare una cena amichevole e senza preoccupazioni, quale è quella che Marziale prospetta a Giulio. Ben vada dunque l'amico dal poeta, che abita vicino ai bagni di Stefano (v. 4), quei balneaStephanigià menzionati in 14, 60, 2. Ed ecco il menu (vv. 5-14): Prima tibi dabitur ventri lactuca movendo utilis, et porris fila resecta suis, mox vetus et tenui maior cordyla lacerto, sed quam cum rutae frondibus ova tegant; altera non derunt tenui versata favilla, et Velabrensi massa coacta foco, et quae Picenum senserunt frigus olivae. Haec satis in gustu. Cetera nosse cupis? Mentiar, ut venias: pisces, conchylia, sumen, et chortis saturas atque paludis aves...

Gli ingredienti sono quelli consueti, ma sorprende la costante utilizzazione, da pane del poeta, di un materiale 18

ormai lontano nel tempo: ecco la lattuga di 14, 14, i porri di 14, 18, il tonno (cordyladiv. 7) di 14, 1, 1, le uova di 14, 40, e poi il formaggio affumicato al fuoco del Velabro div. 10 (e si che Marziale aveva precisato in 14, 32 che non ogni formaggio affumicato fosse buono, ma solo quello che avesse assorbito il fumo del Velabro!}e le celebrate ulive picene (cfr. 14, 36, 1) e le ostriche e il petto di scrofa (v. 13) (come rispettivamente in 13, 82, 1 e 44) e, per finire, quegli uccelli di cortile, quel gustoso quanto comune piatto offerto da Marziale già in 14, 45. Doveva essere sopra tutto in questo elenco minuto e persino puntiglioso; doveva essere nel gusto per il particolare realistico che Marziale doveva registrare la novitas della sua resa di uno spunto poetico di ascendenza tipicamente catulliana6 • In 8, 33 è descritto Paolo che invia al poeta una coppa d'oro, o almeno ciò che egli ritiene sia una coppa d'oro, dal momento che è·cosi sottile che Marziale si diverte a confrontarla con gli oggetti più esili. Il poeta obietta dunque a Paolo (v. 2): ... hocphialae nomenhabereiubes«pretendi che questo tuo dono abbia il nome di coppa» (phiala).Ancora una volta, alla base, un ricordo del l. XIY, in questo caso di 14, 95, Phiala aurea caelata,la coppa d'oro cesellata (non è inutile rilevare che l'allusione allo scultore Mio, che compare al v. 2 di questo epigramma del l. XIV, scivolain 8, 34, 1, epigramma immediatamente successivoa quello della phialadi Paolo).

6

Il celebre 'invito a ccnà di Catullo 13, che in effetti si risolve in una esaltazione della suprema raffinatezza dei gusti di Lcsbia, in Marziale diviene sopra tutto denco di cose. Sull'influenza catulliana su Maniale, fondamentale per documentazione resta R. PAUKSTADT, De Martia/e Catulli imitatore, diss. Halle 1876; ma si veda ora pure B. W. SWANN, M4rtia/'sCatullus.The Reception of an Epigrammatic Rivai, Hildesheim-Zurich-Ncw York 1994, specie pp. 32-81.

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A che cosa, tra l'altro, potrà essere paragonata la coppa di Paolo? A quella sottile, quasi impalpabile lamina che circonda il dattero, che, simbolicamente, il cliente povero dona alle calende di gennaio, insieme con una piccola moneta, al suo patrono (vv. 11 s.): Hoc linitur sputo lani caryota Kalendis, quam fen cum parco sordidus asse cliens,

versi che riprendono in blocco 13, 27: Aurea porrigitur lani caryota Kalendis; sed tamen hoc munus pauperis esse solet.

O, ancora, rispetto alla coppa di Paolo, gli steli delle colocasie e i petali dei gigli sono meno sottili (v. 13): Lenta minus gracilicrescuntcolocasia filo, verso che è una condensazione di Niliacum ridebisholuslanasquesequaces,I 13, 57 ( Colocasia): inprobacum morsufila manuquetrahes.Più spessa della phiala di Paolo è poi una cuffia per capelli o lo strato di pomata batava che serve per tingere la chioma (vv. 19 s.: fortior et tortosservatvesicacapillos/et mutat Latiasspuma Batavacomas: cfr. 14, 27: Si mutareparas longaevoscana capillos,Iaccipe Mattiacas- quo tibi calva?- pilas).Nei versi finali di 8, 33, la boutade.ritorna la phiala, ma invece della phiala - rileva il poeta - Paolo avrebbe potuto inviargli un cucchiaio, un cucchiaino o addirittura una lumaca o insomma proprio niente (vv. 23-26): Quid tibi cum phiala, ligulam cum mittere possis, mittere cum possis vel cocleare mihimagna nimis loquimur - cocleam cum mittere possis, denique cum possis mittere, Paule, nihil? 20

All'origine, dunque, una phiala aurea,'schedatà in 14, 95, oggetto intorno a cui ruotano un intero epigramma e la singolare attenzione realistica del poeta in 8, 33; nel corpo del1'epigramma, chiari riferimenti a oggetti in precedenza al termine, la boutade,suscitadescritti in Xenia e Apophoreta:. con la ta dal confronto della phiala con la ligu/a,col cocleare, coclea,tutti oggetti già prima descritti o menzionati nel I. XIV e coclea). ( 120: ligultc,121: cocleare In 14, 60 Marziale dice che il lomentum,«la farina di fave», potrà essere di grande giovamento a un ventre sconquassato, purché ci si rechi in pieno giorno ai bagni di Stefano ( Gratum

munus eritscissonecinutile ventri,/si e/araStephanibalnealuce petes).In 3, 42 il lomentumserve a Polla per nascondere certe rughe in corrispondenza del ventre (vv. 1-2: Lomento rugas uteri quod conderetemptas,IPolla,tibi ventrem,non mihi labra linis).Abbiamo inl4, 60, in successione, il lomentum,il venter, i balneaStephani.È dunque per una singolare forma di 'memorià se in 11, 52, 4 s., in altro contestò, i balneaStephani e il ventersi susseguono immediatamente. La conchis,la fava descritta in 13, 7: Si spumet rubra conchis tibi pallida testa, lautorum cenis saepe negare potes

ritorna in 7, 78, in un elenco di cose desunte da Xenia e

Apophoreta( Cum Saxetaniponatur coda lacerti/ et, bene si cenas,conchisinuncta tibi:/ sumen, aprum, leporem,boletos, ostrea,mullos/mittis: habesnec cor,Papyle,necgenium). Cfr. pure 12, 17, 4: cenatboletos,ostrea,sumen,aprume sopra tutto 12, 48, ove però gli oggetti elencati in un solo verso in 7, 78, 3 vengono distribuiti nel corso dell'intero epigramma (v. 1: boletoset aprum;v. 4: Lucrina-,v. 9: mullorum leporumqueet suminis...). Ma ciò che più conta è che 13, 7 contiene in nuce 21

i diciotto versi di 12, 48: il rifiuto all'invito a cena prospettato nel v. 2 di 13, 7 si sviluppa e si concretizza nella seconda parte di 12, 48 (vv. 11-18), ove il poeta mostra di disdegnare il lauto banchetto che l'interlocutore gli prospetta. Talora la stessa disposizione degli epigrammi di Xenia e Apophoretasembra essere ricordata e riprodotta. Ad esempio, alcuni oggetti relativi al mondo dell'atletica, 'schedati' nel I. XIY, ritornano a tratti, spesso elencati uno dopo l'altro, negli epigrammi dei libri successivi. Ecco dunque la pila paganica («la palla imbottita di piume») in 14, 45; quella trigonalisin 14, 46; quella «gonfia d'aria» (follis)in 14, 47; e poi l' harpastum in 14, 48 e «i manubri per la ginnastica» (halteres)in 14, 49. Abbiamo, quindi, in successione, i seguenti lemmata'.pila paganica,pila trigonalis, follis,harpasta,halteres.Cfr. ora 4, 19,

5-7: seu lentum ceromateris tepidumvetrigona/sive harpasta manupulverulentarapis,Iplumeaseulaxipartirisponderafollis; 7, 32, 7-10: Non pila, nonfollis,non tepaganicathermis/praeparat aut nudi stipitisictus hebes,Ivara nec in lento ceromate bracchiatendis,Inon harpastavaguspulverulentarapir,12, 82, 3-5: Captabittepidumdextralaevaquetrigonem,Iinputetacceptas ut tibi saepepilas.l Colligitet referetlaxum depulverefollem, sino alla impietosa caratterizzazione di 7, 67, ove pesanti esercizi virili, come quello dell' harpastumo degli halteres,connotano l'aberrante predilezione di Filenide per i giochi della palaestra(vv. 4-8): Harpastoquoquesubligata/uditi etflavesdt

haphe,gravesquedraucislhalterasfacili rotat lacerto,/et putri lutulentadepalaestraluncti verberevapulatmagistri. Ancora: 12, 74 contiene un'esaltazione dei calici di scarso valore, che - osserva il poeta - hanno il pregio di non attirare nessun ladro e di non rompersi per l'acqua calda; il coppiere può tranquillamente trattarli, e, infine, potranno essere usati per bere alla salute di qualcuno, se tale brindisi dovesse richiedere che si spezzi il calice subito dopo (sull'uso di rompere la 22

coppa in cui si era bevuto all'indirizzo di una persona impura cfr. AP 11, 39, di Macedonio di Tessalonica): 12, 74: Dum tibi Niliacus ponat crystalla cataplus, accipe de circo pocula Flaminio. Hi magis audaces, an sunt qui talia mittunt munera? sed gemmis vilibus usus inest: nullum sollicitant haec, Flacce, toreumata furem et nimium calidis non vitiantur aquis. Quid quod securo potat conviva ministro et casum tremulae non timuere manus? Hoc quoquc non nihil est, quod propinabis in istis, frangendus fuerit si tibi, Flacce, calix.

I.:epigramma rivela a chiari tratti la tecnica di Marziale: è infatti una sintesi di 14, 94 ( Calicesaudaces): Nos sumus audacis plcbeia torcumata vitti, nostra neque ardenti gemma fcritur aqua

di 14,108 (CalicesSaguntint): Quac non sollicitus tencat servetquc minister sumc Saguntino pocula facta luto

di 14, 111 ( Crystallina): Frangere dum metuis, franges crystallina: peccant securae nimium sollicitaeque manus.

Sume... poculadi 14, 108, 2 ritorna in accipe...poculadi 12, 74, 2; audacesdel lemma di 14, 94 (ma cfr. pure audacisdiv. 1) viene riferito al pronome hi in 12, 74, 3; sollicitantdi 12, 23

7 4, 5 è evidente ripresa di sollidtusdi 14, 108, 1 e di sollicitae di 14, 111, 2, mentre ancora toreumatadi 12, 74, 5 è eco di 14, 94, 1; calidis... aquisdi 12, 74, 6 ricorda ardenti... aquadi 14, 94, 2; securo ... ministrodi 12, 74, 7 è ricordo di non sollicitus... ministerdi 14, 108, 1; manus di 12, 74, 8 sono una ripresa di manusdi 14, 111, 2. Non si può eliminare, dinanzi a questi confronti, l'ipotesi che Marziale abbia composto 12, 74 utilizzando i tre epigrammi del l. XIY. Diversi invece sembrano essere casi come quello di 4, 22, 5 s.: Condita sic puro numerantur lilia v i t r o, sic prohibet tenuis g e m m a latere rosas

ove vitroe gemmacompaiono nella stessa posizione metrica di vitri e gemma nel citato 14, 94 (in contesto del tutto diverso: in 4, 22, 5 s. è istituito un paragone coi fiori di serra!). In 7, 25 il poeta disdegna gli epigrammi sdolcinati e dichiara di prediligere componimenti aspri e pungenti (pure Catullo in 16, 7 ss. aveva mostrato di amare versi che in sé recassero salemac leporem).Le mele nane - egli rileva (vv. 7 s.) - e le marische sono adatte per i bambini; a lui piacciono i fichi di Chio: Infanti melimela dato fatuasque mariscas: nam mihi, quae novit pungere, Chia sapit.

I..:opposizione è dunque tra mele nane-marische e fichi di Chio; ebbene, due xenia consecutivi, il 23 e il 24, si soffermano rispettivamente sui fichi di Chio, di cui Marziale mostra di apprezzare il gusto, in quanto hanno succo e sapore (13, 23, 2: ipsa merum secumportat et ipsa salem),e sulle mele cotogne, sulle gradevoli mele nane (13, 24, 2: ... 'Haec melimelaplacent). Parrebbe quasi che il poeta abbia lavorato 24

col libro degli X.mia aperto davanti o che, quanto meno, per associazione la memoria abbia ricollegato le due immagini. Spesso lo spunto o l'argomento stesso o insomma una situazione descritta nei libri XIII e XIV costituiscono l' attacco o la fonte immediata di un epigramma. Cosl è di 13, 39, del capretto che va punito perché si è cibato dei germogli della vite consacrata a Bacco (Lascivumpecus et viridi non utile Baccholdet poenas,nocuit iam tener il/e deo), che costituisce il precedente immediato di 3, 24 (vv. 1 s.: Vite nocens

rosastabat moriturusad arasihircus,Bacche,tuis victimagrata sacris),come è indiscutibile che diverso è l'argomento, ma 13, 63: Ne nimis exhausto macresceret inguine gallus, amisit testes. Nunc mihi gallus erit e

11, 74: Curandum penem commisit Baccara Raetus rivali medico. Baccara Gallus erit

hanno un'identica struttura, un'identica genesi costruttiva. A volte si tratta di variazioni su uno stesso tema, come a proposito di 14, 55, sul flagellum, «la frusta per cavalli»

(Proficiesnihil hoc, caedaslicet usque,flagello,/si tibi purpureo de gregecurrit equus):cfr. infatti 6, 46: Vapulatadsidueveneti quadrigaflagello/ nec currit: magnam rem, Catiane,f acit. È cambiato il colore delle fazioni del circo (gli azzurri, invece che i rossi); è stata introdotta una boutade;ma resta un flagellum che viene agitato con furia senza sortire alcun risultato. In 9, 93 Marziale invita il coppiere a versargli sei dati di immortale falerno (sei come le lettere che formano il nome Caesar);chiede, inoltre, che gli si diano dieci rose e dieci baci, 25

dieci come le lettere che formano il nome Domitianus e Sarmaticur:9, 93: Addere quid cessas, puer, inmonale Falemum? Quadrantem duplica de seniore cado. Nunc mihi dic, quis erit cui te, Calacisse, deorum sex iubeo cyathos fundere? 'Caesar erit'. Sutilis aptetur deciens rosa crinibus, ut sit qui posuit sacrae nobile gentis opus. Nunc bis quina mihi da basia, fiat ut illud nomen ab Odrysio quod deus orbe tulit.

Il nucleo da cui s'è originato l'epigramma è per certo 14, 170 (Signum Victoriaeaureum): Haec ille sine sone datur cui nomina Rhenus vera dedit. Deciens adde Falerna, puer.

I.:esaltazionedel Caesar,l'allusione alle sue vittorie sui barbari, l'invito al coppiere, le sei coppe di falerno che ricordano le lettere del nome del Cesare sono elementi che, in nuce, compaiono tutti nell'epigramma del I. XIY. In 14, 210 (Morio) Marziale fa una distinzione tra chi è stupido sul serio e chi finge di esserlo (Non mendaxstuporest

necfingitur artedolosa.I~isquis plus iustonon sapit,i/k sapii). In 8, 13 ritorna il morio,che questa volta sapit,è tutt'altro che stupido: Morio dictus erat: viginti mi/ibus emi.I Redde mihi nummos, Gargi/iane:sapit. Una sostanziosa serie di spunti passa dunque da Xenia e Apophoretaai dodici libri. Certo, si tratta di motivi talora solo accennati in Xenia e Apophoreta,ma è interessante rilevarne la presenza già nel primo Marziale. Ecco quindi un vino che, invecchiato, può ricevere qualunque denominazione, può, 26

cioè, essere equiparato ai più nobili vini (cfr. 14, 117 e 1, 105); l'acqua ghiacciata che viene in precedenza bollita (14, 116; 117; 118 e 2, 85); il dono di una endromide (14, 126 e 4, 19, 1-4); la sciarpa che può servire per turarsi le orecchie in caso di pubbliche letture (14, 137: Si recitaturusdederotibi forte libellum,Ihocfocale tuas adseratauriculase 4, 41: Quid

recitaturuscircumdasvelieracollo?/Conveniuntnostrisauribus ista magis);Minerva in armi, che tuttavia non ha l'egida perché ora è in possesso del Cesare (14, 179 e 7, 1).

3. Alle sogliedi un mondopoetico.Più di una volta, dunque, troviamo in Xenia e Apophoreta,in nuce ma a linee chiare, alcuni di quei motivi e spunti poetici che caratterizzeranno il Marziale maggiore. I.:invito a vivere Il tema dell'erede al quale vanno lasciati denari piuttosto che vino, specie se invecchiato, è al centro di 6, 27 e trova un significativo 'anticipo' in 14, 126: Unguentum heredi numquam nec vina relinquas. Ille habeat nummos, haec tibi tota dato.

Di nuovo, in 6, 27, rispetto all'epigramma del 1.XIII, è che il generico heresdiviene una fanciulla che, nel volto, ritrae le sembianze paterne (vv. 3 s.: est tibi, quaepatria signaturimagine voltus,Itestismaternaenatapudicitiae),con una fine ripresa di una immagine catulliana (61, 221 ss.: Sit suosimilispatrii

Manlio et facile insciislnosciteturab omnibus/et pudicitiam suae/matrisindicetore).Ebbene, tale figlia, che pure è il documento vivente della pudicizia della madre, che pure è pia (v. 7), potet... mustum, «beva vino giovane», ma Nepote tenga e 27

beva il suo cecubo, perché - nota il poeta - anche i padri devono godersila vita (v. 1O):possunt et patm viver e, credemihi. t il morivo del vivere,della vita, inteso nel senso pregnante di «godere la vitv, di «esistema intensamente vissutv, di rui è rie.ca la poesia di Maniale (per vita e vivere,in questa aa:ezione, cfr., ad esempio, 1, 15, 4; 49, 41; 103, 12; 2, 90, 3; 5, 20, 14; 58, l; 10, 38, 9; 12, 60, 6), sino al celebre 8, 44, invito suggestivo, pur nella singolarità dei particolari, a vivere, prima che gli eredi consumino ogni cosa: litulle, moneo vive: semper hoc serum

est;

sub paedagogocoeperis lic:et, serum est. At. tu, miser litulle, nec senc:r;vivis, scd omne limen conteris salutator et mane sudas urbis osculisudus, foroque triplici sparsusante equos omnis aedemque Martis et colosson Augusti . . . .. rums per omrus temasque qwntasque. Rape,congere, aufer, posside: relinquendum est. Superba densis arca palleat nummis, centum explicentur paginae Kalendarum, iurabit heres te nihil reliquisse, supraque pluteum te iacente vel saxum, fartus papyrodum ribi torus crescit, 6entis superbus basiahit eunuchos; tuoque tristis filius, velis nolis, rum concubino nocte dormiet prima.

Nel citato 13, 126 è presente solo un invito a non lasciare ali'erede né unguenti né vini (niente, cioè, che possa essere goduto sull'istante); ma è indubbio che proprio in questo epigrammadi due versi siano da intravedere gli sviluppi successivi di un tema poetico che sarà tra i più tipici di Maniale.

Il vanto di sentirsi Romani Singolari sono gli sviluppi di 14, 99 (Bascauda):il catino di metallo è di origine britannica, di quei Britanniche sono soliti tingersi, ma ormai Roma può ben dire che è tutto suo: Barbara de pictis veni bascauda Britannis, sed me iam mavolt dicere Rotna suam.

In 11, 53 al posto del catino è Claudia Rufina, una.delicata figura femminile, che, pur derivando le sue origini dai Britanni che si tingono d'azzurro, ha un animo tipicamente latino, al punto che potrebbe essere considerata nata a Roma (vv. 1-4): Claudia caeruleis cum sit Rufina Britannis edita, quam Latiae pectora gentis habet! Quale decus formae! Romanam credere matres Italides possunt ...

Lo schema strutturale è identico, tranne che al posto del catino è Claudia. La struttura tornerà, uguale nella sostanza, nel finissimo 12, 21, che il poeta indirizza alla sua Marcella: Marcella è spagnola; ma chi la crederebbe nata in quella lontana provincia? È cosl fine, di una dolcezza cosl rara, che nessuna più di lei potrebbe dirsi romana: Municipem rigidi quis te, Marcella, Salonis et genitam .nostris quis putet esse locis? Tam rarum, tam dulce sapis. Palatia dicent, audierint si te vel semel, esse suam; nulla nec in media certabit nata Subura nec Capitolini collis alumna tibi; nec cito ridebit peregrini gloria partus

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Romanam deceat quam magis esse nurum. Tu desiderium dominae mihi mitius urbis esse iubes: Romam tu mihi sola facis.

Per il poeta, tornato nella sua Spagna e vinto dalla nostalgia di Roma, la spagnola Marcella è Roma (cfr. vv. 9 s.). Dal lontano 14, 99 sino a 12, 21 la vita e la poesia di Maniale si sono arricchite di esperienze e maturità nuove, ma senz'altro è da sottolineare la tenace persistenza, non solo di espressioni e stilemi, ma anche di moduli e strutture mentali, di paragoni e di contrapposizioni, di tendenze e scelte poetiche che fanno la loro prima comparsa in Xeniae Apophoreta.

La togae la vita grama Nel I. XIV grande sviluppo ha il tema della togae in genere dell'abito da indossare: cfr., ad esempio, 124 (Toga), 125 (Idem), 126 (Endromis), 128 (Bardocucullus),130 (Pamula scortea),131 (Lacernaecoccineae),133 (LacernaeBaeticae), 135 (Lacernaealbae), 136 (Cenatoria), 138 (Laena), 142 (Synthesis),143 (TunicaePatavinae),145 (Pamulagausapina). Tale tema è ripreso con grande frequenza nei dodici libri, e l'abito diviene simbolo di una condizione sociale, come in 5, 8, ove dietro una ardita metonimia come purpureaelacernae(vv. 5; 11 s.; Maniale non aveva già nel I. XIV rivolto la sua attenzione alle varie colorazioni dei mantelli? cfr. pure 4, 2, epigramma centrato intorno al contrasto di colore delle lacernae) si nascondono le povere velleità di Fasi, che pretende di sedere, in teatro, fra i posti assegnati ai cavalieri. Ma, ancora, le lacernaecompaiono sia per sottolineare l'indigenza del poeta (6, 82, 9. 12), sia per porre in evidenza il grottesco di qualche personaggio (9, 57, 1) o nel contesto di una squallida serie di 'cose' (come in 1, 92, 7, ove la miseria, in tutti i sensi, di Mamuriano risulta dall'elenco dei miserabili oggetti che lo 30

circondano). In particolare, dietro un termine come toga si cela tutta una precaria condizione sociale, a cominciare dal cenno contenuto in 14, 135, 2: a/gentes ...togas «le fredde toghe» (cfr. 12, 36, 2). Dai nudi, scarni cenni del I. XIY, toga (come togu/a,togatus)passa poi a connotare la vita grama del cliens(in 10, 19, 4: togae= cliente;.):cfr., ad esempio, 1, 49, 31;3,36,9;46, 1;9, 100,5; 10,47,5; 12, 18, 17.Sullatoga Marziale scrive interi epigrammi, come 8, 28, e inoltre doveva essere ben consapevole che fosse tra i temi centrali della sua poesia (9, 49, 1 s.: Haec est il/a meis multum cantatalibellis,I

quam meusedidicitlectoramatquetogam). La cagnetta In 14, 198 ( Catella Gallicana)Marziale afferma che una pagina intera non sarebbe sufficiente per descrivere i deliziosi vezzi di una cagnetta: Delicias parvac si vis audire catellae, narranti brevis est pagina tota mihi.

Sono soltanto due versi, ma contengono in nucel, 109, l'epigramma stupendo di Issa, il lungo epigramma (ventitré versi: la pagina tota di 14, 198, 2!) dedicato alla cagnetta di Publio: Issa est passere ncquior Catulli, Issa est purior osculo columbae, Issa est blandior omnibus puellis, Issa est carior Indicis lapillis, Issaest deliciae catella Publi. Hanc tu, si queritur, loqui putabis; sentit tristitiamque gaudiumque. Collo nixa cubat capitque somnos, 31

ut suspiria nulla sentiantur; et desiderio coacta ventris gutta pallia non fefellit ulla, sed blando pede suscitar toroque deponi monet et rogat levari. Castae tantus inest pudor catellae, ignorar Venerem; nec invenimus dignum tam tenera virum puella. Hanc ne lux rapiat suprema totam, picta Publius exprimit tabella, in qua tam similem videbis Issam, ut sit tam similis sibi nec ipsa. Issam denique pone cum tabella: aut utramque putabis esse veram, aut utramque putabis esse pictam.

I.:evidente, dichiarata ripresa di tematiche e stilemi catulliani, la delicatezza con cui l'epigrammatica greca aveva trattato il mondo degli animali (basti ricordare l'epicedio per la locusta, di Leonida, in AP7, 198, e quello per il grillo, forse di Anite, in 7, 190) si fondono in un componimento nuovo e ardito, ove un raffinatissimo uso del falecio e certe cadenze da lingua colloquiale si congiungono con una consumata umanizzazione della cagnetta (trattata, dal punto di vista lessicale, come una fanciulla).

La fanciulla di Cadice Lapuella Gaditana,la ragazza di Cadice di 14, 203, con le sue danze molli e indecorose (cfr. AP 5, 129): Tam tremulum crisat,tam blandumprurit, ut..., torna nell'accenno alla famigerata 'scuolà di Cadice in 1, 41, 12 (... de Gadibusinprobus magister),nella descrizione della danza (che a tratti evoca l'epigramma del I. XIV) in 5, 78, 26.ss. (necdeGadibusinprobis 32

puellae/ vibrabunt sine fine prurientes/ lascivosdocili tremore lumbos), nel ritratto di Teletusa in 6, 71 ( Gaditanis ludere docta modis;v. 2) (ove è da rilevare che tremulum di 14, 203, 1, detto del tremolante vibrare del corpo della danzatrice, viene riferito al tremulo, perché vecchio, Pelia: v. 3, tendere quaetremulumPelianHecubaequemaritum). Con la sua arte dice il poeta - Teletusa sarebbe in grado di scuotere persino Pelia o Priamo, proprio come la ragazza di Cadice di 14, 203 è capace (v. 2) di corrompere l'intemerato Ippolito.

La cintura di Venere e il puer 14,205 (Puer.Sit nobisaetatepuer, nonpumice levis,Ipropter quem placeat nulla puella miht), 206 ( Cestos-.Collo necte, puer, meros amores,I ceston de Venerissinu calentem), 207 (Idem:Sume Cytheriacomedicatum nectareceston:/ussit amatorem balteus iste lovem) sono variazioni su un medesimo tema. In particolare, il 206 (invito al fanciullo a porre intorno al suo collo la cintura caldaancora del seno di Venere; per l'espressione merosamorescfr. Catuli. 13, 9) viene ripreso in 6, 13, 5-8: Ludit Acidalio, sed non manus aspera, nodo, quem rapuit collo, parve Cupido, tuo. Ut Martis revocetur amor summique Tonantis, a te luno petat ceston et ipsa Venus.

La cintura di Venere, invece che aggiunta, è stata tolta dal collo (qui, di Cupido); a v. 8 ricompare il termine cestos,mentre i vv. 7 s. ampliano il sobrio cenno mitologico contenuto in 14, 207, 2 (per cui cfr. IL 14, 214 ss.). Ma, al di là di questa eco, è da sottolineare piuttosto la persistenza di un tema. 14, 205, 206, 207 variano dunque su un motivo unitario: il puer, e poi la cintura (cestos)che deve circondare il collo del puer, e 33

infine la cintura stessa. Puer e cintura (cestos)si fondono nel puer Cestos,lo schiavo di Rufo in 8, 50, 17-19: Imbuat egregium digno mihi nectare munus non grege de domini sed tua, Ceste, manus; Ceste, decus mensae, misce Setina...

e nella lausdello stesso Cestosin 8, 46, ove è interessante notare come la puella di 14, 205, 2 ritorni nella chiusa dell'epigramma, in una immagine insolita e ardita (vv. 7 s.): Felix,

quae tenerum vexabit sponsamarituml et quae te faciet prima puella virum!Il puer Cestoscompareanche in 1, 92, in un efficacissimo quadro di desolazione morale. Col sostegno di un consumato riuso di espressioni catulliane (cfr. i carmi 21, 23 e 24), Marziale trae il puer dall'asettico contesto del l. XIV e lo inserisce in uno squallido ma potente scorcio di vita, ove gli oggetti descritti sono la miseria materiale e morale di Mamuriano, che col suo digi.tusinsidia il puer Cestos-. Saepe mihi queritur non siccis Cestos ocellis, tangi se digito, Mamuriane, tuo. Non opus est digito: totum tibi Ceston habeto, si dest nil aliud, Mamuriane, tibi. Sed si nec focus est nudi nec sponda grabati nec curtus Chiones Antiopesve calix, cerea si pendet lumbis et scripta lacerna dimidiasque nates Gallica paeda tegit, pasceris et nigrae solo nidore culinae et bibis inmundam cum cane pronus aquam: non culum, neque enim est culus, qui non cacat olim, sed fodiam digito qui superest oculum: nec me zelotypum nec dixeris esse malignum. Denique pedica, Mamuriane, satur. 34

Da delicato tocco ovidiano (ars1, 137 nil opusestdigitis:cfr. il v. 3 di Marziale), il digitus,presente all'inizio (cfr.pure il v. 2) e alla fine (v. 12) dell'epigramma, ne diviene motivo insistente, dominante: esso è ciò che urta il poeta e, insieme, costituisce lo strumento della sua vendetta; pur esso 'oggetto', intorno a cui appaiono strutturarsi gli altri oggetti dell'epigramma, le stesse figure umane che vi compaiono (Marziale, Mamuriano e Cestos),ritratte in una efficacissima'istantanea' del reale.

La sensazione delle cose 14, 24 (Splendidane madidi violent bombycinacrines/figat acus tortas sustineatquecomas)descrive una spilla d'oro che mantiene i capelli. In 2, 66 il brevissimo flashdel l. XIV diviene, leggermente variato, lo spunto e il centro dell'epigramma, l'immagine intorno a cui s'addensa l'attenzione 'realistica' di Marziale (cfr. vv. 1-2): Unus de totopeccaveratorbecomarum/ anulus, incertanon benefixus acu. La pregiata acusaureadel l. XIV che, conficcata nei capelli serve a sorreggerli, diviene incertain 2, 66, malferma, al punto da lasciar scomporre un ricciolo e da suscitare l'implacabile indignazione di Lalage (i cui connotati vengono, come spessissimo in Marziale, descritti non in maniera diretta, ma tramite un oggetto o una serie di oggetti). Non sarà forse inutile sottolineare l'impiego del verbo violoin questo epigramma del l. XIY. I.:oggetto, quando non si esaurisce nella sola dimensione scommatica, viene accarezzato dalla sensibilità del poeta mediante l'uso di un lessico che ne esalta al massimo le qualità fisiche, persino tattili. Come non ricordare 11, 89 (lntactasquare mittis mihi, Polla, coronas?/a te ve x a t a s malo tenererosas),ove il poeta dichiara di gradire, da parte di Polla, non rose intatte, ma toccate, sciupate dalle sue dita? Da non tralasciare, ancora, i singolari, quasi tattili attributi riferiti in 14, 134 a una fasciapec-

toralis. 35

Fascia crescentes dominae compesce papillas, ut sit quod capiat nostra tegatque manus

e in I 4, I 49 a un amictoriurrr. Mammosas metuo; tenerae me trade puellae, ut possint niveo pectore lina frui.

Il verbo violoappartiene a questo tipo di lessico e connota quasi l'oltraggio, sensitivamente arrecato a un oggetto: sin da Xenia (66, I: Ne violestenerasperiuro dente columbas)e Apophoreta(24, I, ove a esser 'violato' è un vestito di seta}; in seguito, a venire offesi, violati, sono vasi di cristallo (I, 53, 6), gambe (5, 61, 6) o volti umani (IO, 66, 3), o i capelli di Politimo (12, 84, I: Nolueram, Polytime, tuos vio/a,re

capillos). Squarci di natura La pendula,Setia («Sezze dai terreni in pendio» e quindi in apparenza sospesa in alto), descritta in 13, 112: Pendula Pomptinos quae spectat Setia campos, exigua vetulos misit ab urbe cados

torna in 4, 64, 33 s. ( ...pendula,mque/uni dedite Setiam colono), ma sopra tutto in 10, 74, 10 s., ove è ripreso anche il verbo di 13, 112, I, in un accostamento ardito e suggestivo:

nec quaepaludes delicataPomptinaslex aree clivi spectatuva Setini. In 13, 112 è Sezze che dall'alto guardala pianura pontina; in 10, 74 il quadro si arricchisce: è l'uva di Sezze, delicata (molle, dolce, e insieme ricercata), che guarda le paludi pontine dalle colline di Sezze. Rispetto a 13, 112 è scomparso l'aggettivo pendula,ma resta l'immagine di fondo, anche se 36

a guardare in giù verso la pianura non è più Sezze in genere, ma la sua uva celebre e rigogliosa. Del bosco di Marica e del Liri (13, 83: CaeruleusnosLiris amat, quem silvaMaricae/protegit...) Marziale si ricorderà in un breve cenno di 10, 30 (cfr. vv. 8 s.: non blanda Circe Darda.nisveCaietaldesiderantur,nec Marica nec Liris), l'epigramma di Formia, tra i più suggestivi di Marziale, che non poco deve al ricordo del I. XIII: i pesci della singolare piscina formiana, tranne il muggine di v. 23, sono tutti ricordi di Xenia (cfr. vv. 21-24): piscina rhombum pascit et lupos vernas, natat ad magistrum delicata murena, nomenculator mugilem citat notum et adesse iussi prodeunt senes mulli.

Il quadro di 1O, 30 ha tolto dalla fissità atemporale dello 'schedario' i pesci di cui fa menzione (per i rombi cfr. 13, 81, per le spigole 13, 89, per le murene 13, 80, per le triglie 13, 79: si noti come gli Xenia siano quasi consecutivi, quasi che Marziale avesse composto 10, 30 tenendoli sotto gli occhi), ma è pur sempre a quella originaria attenzione realistica all'oggetto che si devono far risalire i risultati più rilevanti dell'arte di Marziale (attenzione che caratterizza pure il suo senso della natura: cfr. la singolarissima campagna 'tutta cose' di 3, 58).

Lagula In 2, 37 è ritratto Ceciliano che sottrae cibi nel corso di una cena alla quale è stato invitato (cfr. vv. 1-6): Quidquid

ponitur hinc et inde verris,I mammas suminis imbricemque porci/ communemqueduobus attagenam,Imullum dimidium lupumquetotuml muraenaequelatusfemurquepulli/ stillantemque alicasuapalumbum. Ancora una volta si tratta di un elen37

co di oggetti desunti dal primo Marziale: sumen in 13, 44; porcusin 14, 71; attagenain 13, 61; mullusin 13, 79; lupusin 13, 89; muraenain 13, 80; pullus in 13, 45; palumbusin 13, 67, sino ad alicadi 13, 6: Nos alicarn, poterit mulsum tibi mittere dives. Si tibi noluerit mittere dives, emes. Potrà essere interessante rilevare, a proposito di 13, 6, la ripresa di alicae divesin 12, 81: Brumae diebus feriisque Saturni mittebat Umber aliculam mihi pauper; nunc mittit a I i e a m: factus est enim d i v e s. Il tema del furto di vivande nel corso di una cena (che riprende spunti lucilliani: cfr. AP 11, 205; 207) ritorna ancora in Marziale, come in 7, 20, l'epigramma di San tra, il goloso: Nihil est miserius neque gulosius Santra. Rectam vocatus cum cucurrit ad cenam, quam tot diebus noctibusque captavit, ter poscit apri glandulas, quater lumbum, et utramque coxam leporis et duos armos, nec erubescit peierare de rurdo et ostreorum rapere lividos cirros. Buccis placentae sordidam linit mappam; illic et uvae conlocantur ollares et Punicorum pauca grana malorum et excavatae pellis indecens volvae et lippa ficus debilisque boletus. Sed mappa cum iam mille rumpitur furtis, 38

rosos tepenti spondylos sinu condit et devorato capite turturem truncum. Colligere longa turpe nec putat dextra analecta quidquid et canes reliquerunt. Nec esculenta sufficit gulae praeda, mixto lagonam replet ad pedes vino. Haec per ducentas cum domum tulit scalas seque obserata clusit anxius cella gulosus ille, postero die vendit.

Anche in questo caso c'è un elenco di alimenti (non del tutto sconosciuto all'epigrammatica greca; cfr. AP 5, 181, 7-8 [di Asclepiade]: 'ltév't' oivoç 6pa:xµcov, àllàç 600 .. ./ CÒ'ta, Ml'YCÒ