Mario Bugamelli: identikit di un musicista
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Gudula Mattuchina

Mario Bugamelli: identikit di un musicista presentazione di Gianni Gori

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edizioni musicali

P. 100 E.

Referenze fotografiche: Foto De Rota, Trieste, che si ringrazia per la disponibilità dimostrata.

© Copyright 1988 by PIZZICATO Edizioni Musicali Via M Ortigara 10 - 33100 Udine/Italy International Standard Book Number

ISBN 88 - 7736 - 100 - X

Se estro e incoerenza sono indice di “modernità”, Mario Bugamelli è stato, tra i compositori triestini, il più incoerente, contradditorio, e quindi il più “moderno” Contradditorio per vocazione e per elezione, anche nel rifiuto di ogni speri­ mentalismo calcolato, di ogni ricercato aggiornamento, di ogni allineamento di linguaggio. Incurante di ogni programmazione che implicasse una “metodologia” nelle proprie divagazioni creative, Bugamelli ha esercitato la propria coerenza solo nel mantenere le distanze da ogni preciso itinerario professionale Incocrenza in­ somma come libertà di movimento creativo. Come Borodin — russo come lui — avrebbe potuto definirsi un geniale “dilettante”. Un musicista che nella musica cercava il piacere di esaltare le proprie contraddizioni, i propri umori, di eludere continuamente le previsioni, di spiazzare gli amici “Bohémien”, più che scapigliato, si è detto, ma con il gusto per l’imprevedibile, per il divertissement, per l’Effimero; quasi in dispregio di ogni “ordine mentale”, di ogni convenzione operativa Proveniva dalla Russia, ma aveva nell’America di Gershwin e del Jazz il suo “primo amore”; di formazione musicale serissima, aveva un debole per il teatro leggero; viveva e lavorava a Trieste, ma sarebbe inutile cercare nelle sue opere radici culturali centroeuropee; scriveva peramore, non per calcolo, con un dispendio minimo di energie ed uno sperpero clamoroso dei frutti dell’invenzione Formatosi nel solco della tradizione post-romantica— a Bologna e Trieste — amava la “trasgressione”, e chissà a quali esiti tale atteggiamento lo avrebbe portato se non avesse emarginato la propria attività in una città periferica come Trieste, dove il successo non aveva mai echi sonanti Dove era più facile rintanarsi nell’immagine della bizzarria artistica, pronta ad attecchire — come capitò per il compositore triestino— nei fumosi ambienti di qualche caratteristico ritrovo a “batter carte” con gli amici davanti a un buon bicchiere. O, con un tono più blasé, in un ristorantino più sofisticato, a dare il proprio nome a un piatto di spaghetti per molti anni nei menù famosi della città. Insomma, una sorta di Ives triestino con una “voglia” di Rossini Una personalità difficile da ricomporre Ci ha provato egregiamente Gudula Mattuchina, con l’unico metodo possibile frugando in presa diretta nei cassetti e fra le disordinate carte superstiti di Bugamelli Impresa da certosini, vista la scarsa considerazione che il compositore attribuiva al proprio “archivio”. Una ricerca che ha assunto necessariamente il carattere della frequentazione domestica, familiare, affettiva; quasi “contagiata” dallo spirito dell’artista eccen­ trico, ancora aleggiante nel!aria di casa Ma anche ricerca rigorosa nel rievocare— nel “crogiolo” triestino— l’estro del musicista e dell’artista “malgré lui”. Una ricerca preziosa per non dimenticare — in una città che dimentica in fretta — Mario Bugamelli. Gianni Gori

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1971: ì cantanti Daniela Mazzucato e Sergio Tedesco, Margherita e Mario Bugamelli, il baritono Mano Basiola

SCHEDA BIOGRAFICA

1905 - Il 7 gennaio Mario Bugamelli nasce a Char’kov, città del bacino del Don nell’Ucralna occidentale, da genitori bolognesi La madre, Amalia Greco, è cantante; il padre Federico, allievo di Pietro Mascagni, è direttore d’orchestra, insegnante di canto, compositore e direttore della scuola di musica della città Mario ha in lui il suo primo maestro.

1907 - Il 12 settembre, sempre a Chafkov, nasce la sorella Teresita che diventerà una promettente e apprezzata soprano ma abbandonerà presto le scene per sposarsi con un uomo d’affari livornese. 1919 - In seguito alla Rivoluzione bolscevica, l’intera famiglia Bugamelli abbandona la Russia e ritorna in Italia, a Bologna.

1922 - Federico Bugamelli, viene invitato a Trieste per ricoprirvi l’incarico il direttore del Conservatorio triestino G. Verdi prima e poi dell’Ateneo Musicale (derivato dalla fusione dei Conservatori G. Tartini e G. Verdi). E’ così che Mario approda nella città dalla quale non si allontanerà più. Continua gli studi musicali negli istituti diretti dal padre. 1926 - Consegue il diploma in pianoforte sotto la guida del Maestro Eusebio Curellich e quello in composizione con il Maestro Antonio Illersberg. 1927 - Entra nell’Ente lirico G. Verdi di Trieste come percussionista e maestro sostituto.

1928 - Viene assunto dal Conservatorio triestino G. Verdi in qualità di insegnante di pianoforte prima, poi di direzione di coro ed infine di lettura della partitura. 1940 - Richiamato alle armi, parte per il servizio militare che durerà tre anni e lo vedrà ad Anzio e in Sicilia. Questo avvenimento segna la fine del suo primo periodo creativo. 1948 - Il 29 dicembre viene rappresentato al Teatro G. Verdi di Trieste, in prima esecuzione assoluta, il balletto “Cartoni animati”. 1952 - E* invitato dall’Ente Radio di Trieste a partecipare al Premio Italia. Bugamelli compone per l’occasione la “Notte Santa”, quadro sinfonico per voce recitante, coro e orchestra, su testo di Guido Gozzano. Il lavoro viene segnalato dalla critica. 1956 - Il 21 gennaio viene rappresentato al Teatro G. Verdi di Trieste in prima esecuzione assoluta, il balletto “Poema coreografico”. 1958 - Conosce Margherita Della Mattia che diventerà da questo momento in poi la sua compagna.

1967 - LT1 febbraio viene rappresentata al Teatro G. Verdi di Trieste, in prima esecuzione assoluta, l’azione lirica in un atto “Una domenica”. 1970 - Termina il suo servizio presso il Teatro G. Verdi.

1971 - Il 27 febbraio viene rappresentata a Trieste al Teatro G. Verdi, in prima esecuzione assoluta, l’azione lirica in un atto “La fontana”. 1972 ■ Il 18 maggio sposa Margherita. 1973 - Partecipa al Concorso Internazionale di Composizione Città di Trieste con lo “Studio per grande orchestra”. Il Comitato organizzatore del XII Concorso Internazionale di Canto corale Cesare Augusto Seghlzzi di Gorizia gli commissiona un brano per quattro voci virili da assegnare ai concorrenti quale pezzo d’obbllgo. Per questa occasione Bugamelli scrive il madrigale “Oh mio dolce amor” su testo di ignoto. 1975 - Cessa la sua attività di insegnante presso 11 Conservatorio G. Tartini di Trieste.

1976 - Viene invitato in Russia, al Quinto Congresso dell’Unione del Compositori Sovietici,che ha luogo a Mosca dal 2 all’8 aprile, al quale partecipa accanto a illustri musicisti dei paesi dell’est 1978 - Il 29 novembre Mario Bugamelli muore dopo una lunga malattia che lo aveva da tempo e precocemente allontanato dalla scena musicale triestina.

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IL PROTAGONISTA “ECCENTRICO” DELLA TRIESTE MUSICALE DAGLI ANNI ’30 AGLI ANNI ’70

In un periodo della vita musicale internazionale fisionomicamente molto artico­ lato e ricco di fermenti, come a sottolineare e a rispecchiare le contraddizioni, la multiformità dei tentativi fatti per ricercare qualcosa di nuovo o viceversa per restare modernamente conservatori, a Trieste si sviluppa e matura la personalità artistica di Mario Bugamelli (1905-1978), pianista, timpanista, insegnante, direttore di coro e d’orchestra, compositore estremamente eccentrico al suo tempo che, della triestinità, ha rispecchiato il carattere popolaresco, ma che oltre a ciò, provocatoriamente, ha abbattuto le barriere tradizionalmente poste fra musica culta e profana inserendo nelle sue opere (ispirato a questo proposito soprattutto dalla concezione com­ positiva di George Gershwin) spunti prettamente jazzistici, ritmi tipici dei balli importati a quell’epoca dall’America e allora molto in voga nel nostro continente, senza con ciò distruggere gli addentellati con la tradizione alla quale il Maestro rimase tuttavia sempre legato. Di genitori bolognesi, nato in Russia ma approdato nel nostro paese con tutta la famiglia (prima nel capoluogo emiliano, poi a Trieste) grazie a una fuga avventurosa che li allontanò nel 1919 dai minacciosi risvolti della Rivoluzione d’ottobre, egli venne in tal modo a contatto, e non solo epidermico considerando la professione patema, con realtà musicali e con tradizioni estremamente diverse fra loro: russe nell’infanzia, italiane dalla giovinezza in poi, e neppure queste omogenee, poiché in esse non si può non sottolineare il carattere periferico e tipologicamente differente della cultura triestina contrapposto alla centralità e al prestigio di quello bolognese. Volendo quindi giungere a una migliore interpretazione e comprensione delle scelte stilistiche e compositive di Mario Bugamelli non è possibile prescindere dall’analisi di queste diversità, dalle eventuali esplicite e implicite analogie presenti negli ambienti da lui frequentati e dalle eventuali influenze da questi esercitate sulle sue composizioni Il primo contesto culturale nel quale il Maestro si trovò coinvolto fu la Russia deir inizio del secolo. In tutti i paesi delF Est, proprio in quel periodo, prendeva avvio il processo di emancipazione volto a diversificare le varie tradizioni culturali nazionali da quella tardo-romantica tedesca, processo che si risolse, nella futura Unione Sovietica, in una frattura storica tra il mondo europeo occidentale e quello orientale e in un recupero del concetto normativo di genere musicale secondo regole derivanti dalla funzione principalmente didascalica e propagandistica che la musica, ma tutta l’arte in genere, dovette assolvere nella Russia dall’età di Stalin in poi. Nell’epoca di transizione fra Ottocento e Novecento, era sorta nel paese una generazione di musicisti che, a differenza dei “grandi” che li avevano preceduti — 7

1911: Chafkou: Federico, Teresita, Mario e Amalia Bugamelli.

nella fattispecie, i componenti del KuSka (1), ossia del Gruppo dei Cinque: Balakierev, Cui, Mussorgsky, Rimsky-Korsakov e, più tardi, Borodin — erano tutti musicisti di professione e avevano seguito studi regolari, prendendo spesso ispirazione e insegnamento dai grandi capolavori tedeschi del Settecento e delrOttocento. Oltre a ciò, quegli anni coincisero con l’ottima attività di numerosi maestri nei vari conservatori che crearono una scuola strumentale validissima a tutf oggi, con lo sviluppo della critica musicale, con serie ricerche musicologiche sul canto popolare e con il nascere del Simbolismo, importante movimento letterario che ebbe ampie ripercussioni anche in altre sfere artistiche e contro il quale insorse, attorno al 1913, il movimento reazionario degli Acmeisti (2), senza dubbio più realistico e concreto. Sono gli anni in cui emergono Aleksandr Skrjabin, Sergej Rachmaninov, Igor Stravinsky, ma sia [opera di questi validissimi compositori, sia i sopraccitati fermenti culturali interessano in modo estremamente marginale e senza dubbio inconsapevole la produzione del Nostro: d’ispirazione simbolista saranno i suoi balletti “Cartoni Animati” (1947) e “Poema Coreografico” (1955), mentre di sapore rachmaninoviano è la sensibilità melodica di carattere tardo-romantico evidente soprattutto nei brani pianistici

(1) Il critico d’arte Vladimir Vasil’evic Stasov, portavoce letterario del gruppo, fu il primo a usare il termine Kucka per definire l’insieme dei Cinque. (2) L’Acmeismo fu un movimento letterario tipicamente russo, fondato nel 1913 dal poeta Nikolaj Stepanovic Gumilev. La sua finalità era di reagire all’oscurità e all’evanescenza del Simbolismo con un’arte chiara e intensa che raggiunse l’acme dell’espressione poetica. Dopo la Rivoluzione gli acmei­ sti avversarono [asservimento dell’arte a scopi politici e sociali. 8

Ben diversa era la situazione italiana, bolognese, alF arrivo della famiglia Bugamelli nel capoluogo emiliano. Il Comunale si accingeva a eliminare i danni subiti in un’attività saltuaria causata dalla guerra e a ritoccare l’organico del coro e deir orchestra; si scioglieva il Quartetto Bolognese che aveva alle spalle una lunga e brillantissima carriera; nuovi cantanti, compositori e direttori iniziavano la loro attività musicale. I programmi delle risorte stagioni liriche riproponevano musiche di vecchia data vicino alle quali comparirono la “Francesca da Rimini” di Riccardo Zandonai, il“Mefistofele” di Arrigo Boito, “ Fra’ Sole” di Luigi Mancinelli,“Dejanice” di Alfredo Catalani, “Iris” di Pietro Mascagni, “Nemici” di Guido Guerrini, nuo­ vamente Catalani con “Loreley” e Franco Alfano con la “Leggenda di Sakùntala”. Accanto alle novità non mancavano le opere del repertorio di sempre: Wagner e Verdi, Rossini, Bellini e Donizetti e i più alti esponenti del melodramma straniero quali Bizet, Gounod e Massenet; praticamente assente invece il teatro settecentesco. In campo strumentale i giovani compositori italiani, pur tenendo conto dei sug­ gerimenti offerti da Martucci, Sgambati, Bossi e Mancinelli (3), si rivolgono anche agli esempi della musica europea più recente (Ravel e Debussy) come materiale da assimilare e convertire in linguaggio nazionale; nei cartelloni dei numerosi cicli sinfonici la prevalenza è per Beethoven, Brahms e Strauss che lascerà nello stile di Bugamelli un’impronta inequivocabile. Un clima di tale apertura mentale, di simile modernismo e qualitativamente così alto, anche se assimilato per soli tre brevi anni non poteva che influire positivamente sulla formazione del quindicenne futuro compositore, sulla sua stessa comprensione e accettazione del nuovo, fatti che in realtà si possono riscontrare nel modo bugamelliano molto moderno di trattare gli impasti timbrici, i risvolti ritmici e la scelta stessa degli strumenti, preferibilmente a percussione. Ma siamo ormai alFinizio degli anni ’20, epoca in cui Mario Bugamelli approda definitivamente a Trieste: città dalle grandi tradizioni musicali e culturali, pro­ fondamente atipica rispetto al resto d’Italia, vuoi per la sua particolare posizione geografica, vuoi per le sue componenti centroeuropee. Diversità che non appaiono affatto evidenti da un’analisi dei cartelloni proposti, alFepoca, dal Teatro Comunale “Giuseppe Verdi” poiché, in verità, gli autori scelti sia per gli spettacoli lirici che per i concerti sinfonici, sono più o meno quelli già visti nelle locandine bolognesi È dalla reazione e dalle preferenze degli spettatori che si può scorgere la frattura nel gusto e nell’educazione in ambito musicale fra i pubblici italiani quello triestino fu il maggiormente restìo ad accettare i lavori di Mascagni, Puccini, Leoncavallo, Giordano: ciò perché evidentemente ancora molto legato al romanticismo e gran adoratore di Wagner, in netto contrasto quindi con le tendenze del nuovo melodramma In città si riscontrava un rifiorire di personalità musicali e iniziative di buon livello. Proprio in quel periodo vennero costituite la “Compagnia canora”; il Circolo Musicale e la Casa Giuliana; il Circolo di Cultura del Sindacato fascista dei Musicisti; la Società “Artis amici” che organizzò molti concerti e ospitò ottimi artisti; la Società dei Concerti fondata nel 1932 per iniziativa dell’università Popolare, del Sindacato dei Musicisti e dei maggiori esponenti del mondo culturale triestino; nel 1933 l’Ente

(3) A questi musicisti va il principale merito di aver contribuito alla rinascita della musica strumen­ tale nel nostro paese, a cavallo dei secoli XIX e XX. 9

triestino per concerti sinfonici; e ancora numerosi cori, l’Orchestra triestina da camera istituita dal Maestro Luigi Toffolo, varie associazioni e circoli che organizza­ vano concerti e convegni di musica contribuendo in tal modo alla sua capillare diffusione. Per quanto riguarda le scuole di musica, dal 1903 esisteva a Trieste il Liceo Giuseppe Tartini (divenuto Conservatorio nel 1908) affiancato nel 1904 dall’istituto Musicale Triestino intitolato nel 1908 Conservatorio Giuseppe Verdi e parificato ai Conservatori governativi nel gennaio del 1922: dalla fusione dei due Istituti sorse nel 1932 F Ateneo Musicale Triestino, Fattuale conservatorio. In campo teatrale, accanto ai più rinomati Comunale Giuseppe Verdi (del 1800) e Politeama Rossetti (del 1878), ospitavano manifestazioni musicali anche le sale Filodrammatico, Eden, Nazionale ed Excelsior divenute poi cinematografi, e i famosissimi nonché prestigiosi salotti privati E in questo primo trentennio del secolo che a Trieste nel campo della composizione esercitano un influsso importante Antonio Smareglia e Antonio Illersberg con i loro allievi più dotati; iniziano la loro attività concertistica Dario De Rosa, Libero Lana, Renato Zanettovich con il “Trio di Trieste”; i violinisti Cesare Barison, Gianni Pavovich e Augusto Jancovich sono già largamente apprezzati e conosciuti anche a livello nazionale mentre fra gli innumerevoli ottimi pianisti di allora citeremo il nome di Angelo Kessissoglù particolarmente legato a quello di Mario Bugamelli grazie alle sue numerose interpretazioni di musiche del Maestro; figure di primo piano nella Trieste musicale e culturale dell’epoca (ma ancora a tutt’oggi) erano anche quelle dei fratelli Lionello e Vito Levi, entrambi strumentisti, critici musicali, insigni studiosi e docenti di storia della musica; in campo direttoriale la città poteva vantarsi dell’alacrità di direttori come il Maestro Antonino Votto, che pur non essendo nato a Trieste ebbe una parte di primissimo piano nella sua vita musicale dirigendo gli spettacoli lirici e sinfonici più importanti di quel periodo. Inserito in tale attività, affidato a due ottimi insegnanti quali erano Antonio Illersberg (4) per la composizione ed Eusebio Curellich (5) per il pianoforte, compagno di studi dell’ anche esso futuro compositore Giulio Viozzi (6), il Nostro non tardò a imboccare in maniera definitiva la sua strada e a integrarsi con successo nelFambiente descritto. E’ sufficiente sfogliare i giornali dell’epoca, per constatare senza difficoltà come le musiche di Bugamelli venissero generalmente accolte con grande entusiasmo dal pubblico e dalla critica: la sua originalità, la fantasia, la modernità temperata, il fluire sciolto di sempre nuove trovate timbriche e ritmiche, immediatamente percepite da

(4) Antonio Illersberg: compì gli studi dapprima nella città natale sotto la guida di Giuseppe Rota e successivamente a Bologna con Giuseppe Martucci. Compositore, didatta, direttore di società corali, si mise particolarmente in luce con l’opera “Trittico” del 1949. (5) Eusebio Curellich: didatta e pianista ebbe un ruolo di primo piano nell’ambiente musicale triestino. Fu ammirato collaboratore in esecuzioni di musica da camera e accompagnatore di Caruso, Thomson, Casals, Hubermann e altri. Ricoprì anche l’incarico di organista nella chiesa di Sant’Antonio Taumaturgo e nella Cattedrale di San Giusto. Fu esperto direttore di coro. (6) Giulio Viozzi: allievo di Wùhrer e Illersberg, si diplomò in pianoforte e composizione intraprendendo quindi una brillante ma breve carriera concertistica alla quale sostituì poi quella di compositore. Apprezzato didatta, conferenziere, collaboratore alla RAI, critico musicale, fu per anni coordinatore e punto di riferimento deH’attività musicale e culturale triestina

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chi ascoltava le sue composizioni, gli permisero di raggiungere presto un posto di primo piano nel contesto musicale triestino. Gran parte di questo successo fu probabilmente dovuto anche al fatto che dalle sue partiture e spartiti emergevano aperti riferimenti allo stile “non colto” che all’epoca stava facendosi largo oltre Oceano, grazie soprattutto all’opera di Gershwin, non a caso uno dei massimi ispiratori di Mario Bugamelli. Era infatti avvenuta, da parte dei compositori statunitensi che avevano scelto di allontanarsi dalla musica colta tradizionale, l’assimilazione e la trasformazione di elementi tipici dei motivi eseguiti solitamente nelle sale da ballo, dei canti negri, della canzone sentimentale anglo-americana, con successivo sviluppo di una maniera popolare internazionale ma tipicamente americana, della quale i principali fautori furono Cole Porter e George Gershwin per l’appunto, e alla cui fonte (mediata anche dalla diffusione del film musicale) il Maestro attinse, a livello di ispirazione, abbondantemente: nel suo repertorio infatti incontriamo con una certa frequenza tempi molto ritmati e sincopati a carattere “improvvisativo”; un ampio uso di tutti i più svariati strumenti appartenenti alla famiglia delle percussioni comprendendo nella categoria, e a pieno titolo, anche il pianoforte; un’attenta e quasi divertita sperimen­ tazione su quelle che possono essere le possibilità dei fiati, legni, ma soprattutto ottoni, usati con particolari accorgimenti, come ad esempio l’uso della sordina, introdotto proprio dalle prime orchestrine jazz, accorgimenti che non potevano non entusiasmare Mario Bugamelli, figura attorno alla quale gravitò sempre - e gravita tuttora - una vasta aneddotica che ci rivela un personaggio estremamente popolare, molto amato e conosciuto in città. Gaudente, disordinato, generosissimo bohémien, aveva l’hobby dei trenini elettrici, non sopportava le automobili, leggeva avidamente libri di storia, in particolare quelli sulle due guerre mondiali. Andava raramente al cinema e, finite le sue ore di lavoro, evitava accuratamente discorsi che riguardassero il teatro o il conservatorio. Tuttavia era figura onnipresente nella vita musicale della città, e recentemente Ettore Gracis in un racconto della sua raccolta (“Quella sera del Lohengrin e altri racconti”, Venezia, Corvo e Fiori Editori, 1985) lo rievoca in un vivace “interno” triestino in compagnia di Renato Zanettovich, Giorgio Vidusso, Giulio Viozzi, eccetera. Non amava viaggiare, preferiva piuttosto lunghe nottate al tavolo da gioco con accanto una buona scorta di sigarette e di whisky. Politicamente disimpegnato, dal punto di vista etico-religioso fu un laico pragmatista. Come compositore non adoperò né l’adulazione né la prepotenza per farsi strada: infatti pur possedendo a parere di molti un innato talento e rara facilità creativa, egli non volle mai rincorrere la notorietà ed evitò di sacrificare alla fama la sua sconfinata voglia di indipendenza (Claudio Gherbitz in un articolo apparso su “Il Piccolo” dell’1.12.1978 scrisse di lui: “...seppe vivere così intensamente e liberamente che sembrava appartenere ad un altro pianeta...”); da tutto ciò scaturì un atteggia­ mento che si potrebbe quasi definire rinunciatario e con il quale Bugamelli medesimo rese estremamente ardua la valutazione esatta delle sue opere e della sua statura artistica.

1956 al Verdi: con Curiel Bartoll de Banfield e Viozzi

QUARANTANNI DI MUSICA

Illuminante è senz’altro valutare ciò che disse la critica alle prime esecuzioni, pubbliche e radiofoniche, avvenute attorno agli anni ’40 delle composizioni del Maestro. Su “Il Piccolo” del 15.11.1936 Vito Levi così scriveva “...Raffinatezza cosmopolita e prepotenza barbarica si scontrano nella sua musica, facendoci alle volte pensare a Strawinsky. Ma l’associazione di pensiero non dura, perchè Mario Bugamelli riversa nella sua arte la pienezza sentimentale che dentro gli urge. Egli ascolta il suo demone e scrive con un’aspra sincerità non mai simulata sotto la levigatezza della forma. E poiché è sincero gli avviene anche di dire delle cose brutali e di fare dell’ironia maliziata. Predomina però la voce della commozione e con essa lo sprezzo di ogni legame melodico. Così egli si dà a conoscere nelle forme brevi come in quelle di più larga delineazione. Ecco per esempio una “Cantilena” per pianoforte, costrutta in tonalità sovrapposte, la cui melodia si rigira come sperduta sopra un lontano ondeggiare dell’accompagnamento. Ed ecco un “Notturno” di perfetto conio millenovecentotrentasei, in cui si riverberano le luci e il chiasso della città, ma di lontano, affievolite dallo spazio interposto fra la festa e lo spettatore solitario che la contempla. E infine la “Fanfara”, ripetuta al modo del “Bolero” di Ravel per molte riprese con varianti armoniche e dinamiche di vivo effetto pittorico. Grandissimo pregio hanno i brani corali. Essi costituiscono un genere non ancora tentato da altri in Italia, perii fresco respiro che li anima e per l’arditezza della trattazione vocale. L’Ave Maria, ad esempio, con il suo chiaro svolgimento melodico, possiede un’audace armonia, cui non mancano progressioni alterate di difficilissima intonazione e, accanto, movimenti per quinte e ottave raddoppiate, revivescenza dell’antico stile organale che oggi, all’orecchio moderno, ritorna gradito. La “Cantilena” è brano di opposto carattere: leggera, eguale nella sua melodia e armonia popolaresca, è una pagina profumata, un piccolo dono...”. Tre anni più tardi, su “Il Popolo” del 15.10.1939, il critico Bruno Bidussi scriveva: “...Ciò che dalle varie composizioni per coro, pianoforte, due pianoforti e quartetto d’archi risulta subito evidente, è l’originalità della concezione, la novità degli impasti, l’arditezza dei mezzi impiegati, il ritmo incalzante e turbinoso: ne scaturiscono delle sonorità lussureggianti, vaporose, violente. Ma quello che conta soprattutto è che in ogni pagina, anche nella più discutibile, si sente la genialità dell’artista creatore. Il Quartetto per archi può essere considerato più e meno di un quartetto, ma si impone per fattura, condotta delle parti e timbri dall’insolita suggestione. La “Sequenza” per pianoforte è impressionante per il ritmo travolgente, la ricchezza dello svolgimento e il lavoro contrappuntistico. La “Sera d’autunno” per coro si svolge in un’atmosfera brumosa e accorata ottenuta con una indovinatissima sovrapposizione di triadi mentre la “Volontà”, pure per coro, su versi di Sanzin, è rombante e stridente. Il divertimento jazz per due pianoforti “Un triestino a New York” vede affrontati dei problemi di tecnica pianistica di asperrima difficoltà. Nella musica di Mario Bugamelli, dunque, si trovano in gran numero quegli elementi positivi per la cui assenza certuni vorrebbero negare valore d’arte alla produzione musicale del nostro tempo...”. 13

Si può agevolmente dedurre che il compositore mise immediatamente in luce, riscontrate e puntualizzate dalla critica, quelle che sarebbero poi sempre state le caratteristiche principali di tutta la sua produzione: timbro, ritmo, originalità, lirismo, confluenza di elementi colti e non. Effettivamente per Bugamelli è difficile parlare di processo evolutivo, di cambiamenti sostanziali di stile, di ripensamenti o altro: la sua maturazione compositiva e artistica è praticamente tutta racchiusa in una sempre maggiore raffinatezza e scaltrezza nel manipolare queste peculiarità, restando sempre tenacemente fedele al gusto e ai modi iniziali A tale riguardo è da citare una recensione di qualche anno più tardi, scritta per il “Giornale di Trieste” del 30.12.1948 da Vittorio Tranquilli: “...La musica di Bugamelli cerca il movimento oggettivo spassionato, diventa spesso ritmo meccaniz­ zato. Il suo dinamismo, che io chiamerei spirito danzante, non si compiace di persistenti dissonanze ma è spesso accompagnato da temi di sapore classico, da una cantabilità che non rifugge la linea melodica anche se il sinfonismo e il ritmo sincopato e disfrenato del jazz incalzano la nostalgia patetica di Bugamelli e la trascinano verso spasimi armonici. Certo, egli è figlio del suo tempo e gli influssi bene assimilati e rielaborati dei capiscuola del modernismo musicale non vi mancano. Ma vorrei dire, e dicendo vorrei non scostarmi dal vero, che Bugamelli è, per fortuna sua, ancora un emotivo, un neoromantico capace di squisite parentesi liriche, di proposizioni sinfoniche che effondono poesia, che la tonalità è sempre salvata, che alla durezza e agli urti sonori e agli astrattismi teoretici delle scuole estreme egli oppone una trasparenza e fluidità strumentale tutte latine e intellegibili, fatte di lucidità e semplicità che vuol dire anche spontaneità...”. Pure Giulio Viozzi, in un articolo commemorativo apparso nel febbraio del 1979 su “La Bora”, in una prospettiva quindi di valutazione globale e conclusiva dell’opera del collega, sottolineò i medesimi risvolti: “...“Quattro timbri” e altri titoli simili denunciano chiaramente il suo “habitat” fonico. Poteva questo essere talora anche un pericolo per il contenuto musicale, allorché si abbandonava al piacere sensuale di una combinazione percussiva, fiatistica o altro (il suo vibrafono!) con mera funzione decorativa. Ma se ne accorgeva in tempo, ben sapendo che solo il tema, solo gli spunti melodici o ritmici potevano riscattare l’interesse. Ma nel maneggiare gli strumenti, si può parlare veramente, nel caso suo, di un autentico virtuosismo timbricoorchestrale, e molte sue trovate raggiungono un’inaudita originalità Lo incuriosivano effetti strani, con gli strumenti più desueti spinti nei registri più inconsueti (ma sempre agibili) in bisticci pieni di “humor”, peraltro sostenuti da una tensione ritmica senza cedimenti...”. Soggette ai ripensamenti più emblematici e vistosi sono le sue produzioni teatrali delle quali sarà senza dubbio curioso andare ad analizzare alcuni risvolti. L’idea della commedia musicale “Luludia” (1) nacque in Mario Bugamelli e

(1) Organico orchestrale: Ottavino, tre Flauti, due Oboi, tre Clarinetti, due Fagotti, Controfagotto, quattro Comi, tre Trombe, tre Tromboni, Basso Tuba, Timpani, Tamburo basco, Triangolo, Piatto sospeso, Piatti, Grancassa, Maracas, Timbales, Claves, Tam-Tam, Vibrafono, Xilofono, Campanelli, Celesta, Arpa, Pianoforte, dieci Violini primi e otto secondi, quattro Viole, quattro Violoncelli, quattro Contrabbassi, quattro esecutori alle Batterle, cinque esecutori alle Tastiere. (2) Glauco Del Basso: valente pianista, ha svolto una notevole attività concertistica affiancandola a quella di docente presso il Conservatorio Giuseppe Tartinl di Trieste. E’ stato critico musicale colto e acutissimo.

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Glauco Del Basso (2) una sera del 1959, dopo che essi avevano assistito alla rappresentazione di un’operetta al Castello di San Giusto. Il testo fu scritto dal Maestro Del Basso in quarantuno giorni mentre Bugamelli per musicarlo ci mise circa un anno; egli stesso confessò più volte che questo lavoro gli era costato molta fatica. La vicenda raccontata si svolge sulla costa tirrenica della Toscana, tra il 2 e il 9 giugno 1960. A Bonipòpoli, immaginaria piccola località di villeggiatura arriva Luludia, una hostess in vacanza, per trovare la madre e passare le ferie. Essa suscita subito la curiosità, la simpatia e l’ammirazione di tutti, anche quella di Paolo per il quale pure essa, malgrado la sua tendenza a evitare legami, sente nascere una forte attrazione. Purtroppo sette giorni basteranno per sanzionare l’inconsistenza del loro incontro che si chiuderà con un commiato posto su due posizioni sentimentali diverse: dispiacere per Luludia, disperazione per Paolo. Quanto scherzoso era parso l’arrivo della hostess, tanto drammatica è la sua partenza dopo un soggiorno che ha favorito l’occasione di incontri e avvenimenti di cui forse, inconsapevolmente, la protagonista ha deviato il decorso, dando luogo così ad altre storie che si intersecano con quella principale. Il ruolo della primadonna è stato pensato per una soubrette autentica che oltre a saper cantare deve essere eccellente attrice e ottima ballerina; il suo partner Paolo ha una parte di modesta dimensione in cui, disobbligato da prestazioni specializzate, si limita a recitare; essi sono affiancati dalle figure di tre comici, i veri deuteragonisti della vicenda: i pagliacci Pinatus cantante, Ginotto dicitore, Gugìlo ballerino grottesco, e da altre figure minori. In questo lavoro in tre atti preponderante importanza assume il coro mentre, dal punto di vista orchestrale, l’alleggerimento numerico degli archi concede maggior spazio agli strumenti a percussione e a tastiera. L’avvio della recitazione non avviene mai seccamente a vuoto, ma sempre sulla dissolvenza sonora di un temino che costituisce anche il collegamento dei diversi passaggi sinfonici e che per questo si può quindi considerare la spina dorsale dell’intera partitura.

Temino conduttore:

Mario Bugamelli si decise appena nel 1967 a comporre “un qualcosa di simile a un’opera lirica” come lui stesso la definiva. Il non credere nella possibilità di far rivivere certi schemi obbligati e certe forme illustri ma ormai esaurite dei precedenti Maestri, le difficoltà di reperire un soggetto che avesse buone probabilità di interessare il pubblico medio e soprattutto i giovani, lo avevano trattenuto fino a quel momento dal cimentarsi in una simile impresa. Parlò di questi problemi con Giulio Viozzi, amico e condiscepolo di vecchia data, uomo dotato di senso del teatro che, 15

prendendo come spunto il desiderio espresso da Bugamelli di fare una bella vincita, gli preparò in brevissimo tempo il libretto per l’atto unico “Una domenica” (3). La trama, ambientata in una qualunque città italiana ai nostri giorni, vede lo scorrere della squallida giornata festiva in casa di un’anonima e modestissima famigliola: l’improvvisa notizia di un tredici al totocalcio risveglia nei genitori, nei due figli e nel nonno, sogni impossibili. Allorché la madre apprende da un vicino che la vincita sarà irrisoria e nulla potrà mutare nella loro povera esistenza, preferisce per il momento tacere e lasciare così ai suoi cari almeno un giorno di illusioni e di felicità. Solamente sette i personaggi chiamati a rappresentare questa “tranche de vie” malinconica e farsesca sorta, sia dal punto di vista testuale che musicale, da una distaccata attitudine dei due autori a osservare la realtà. Il concretizzarsi dell’invenzione musicale ha la dote di accendersi e piegarsi a seconda delle situazioni con una immediatezza decisa: talvolta a essere focalizzato è il ritmo, talaltra il gusto per determinati colori orchestrali, l’uno e l’altro usati in modo da sottolineare perfet­ tamente i vari risvolti sentimentali e psicologici dell’azione. I frequenti cambiamenti di ritmo (che oscilla continuamente dal 3/4 e 2/4 al 3/8, 2/8, 4/8) sono spesso sottoposti a ulteriori variazioni dinamiche (rallentando, accelerando, mosso alter­ nato a tranquillo ecc.) e all’interruzione con battute vuote che segnano in maniera incisiva i momenti culminanti della vicenda. Ma ciò che rende estremamente omogenea l’intera partitura, fatta di impennate, di umorismo, di commenti salaci, di improvvise malinconie è la continua esplorazione dei vocaboli sonori, fra i quali vanno collocati tra gli altri i ritmi di danza abbondantemente usati e la spiritosa allusione caricaturale in cui il Nonno con la sua cabaletta fa il verso all’aria “Cortigiani Vii razza dannata” del “Rigoletto” verdiano. Ed è senz’altro nel significato estetico-romantico della parola parodia “contraffa­ zione di un’opera letteraria o musicale con intento satirico e umoristico * 4 che bisogna intendere le parodie bugamelliane più appariscenti: quella dianzi esemplificata e quelle di “Un americano a Parigi” e dell’ “Inno a San Giusto” (4) contenute nel brano per orchestra e pianoforte concertante “Un triestino a New York”.

Incoraggiato dall’esito complessivamente positivo di “Una domenica”, Bugamelli sentì il desiderio di continuare sulla via dell’opera lirica e lo realizzò quando, letta una raccolta di racconti di Dino Buzzati (5), incappò in una novella dal singolare titolo “Non aspettavano altro” in cui scorse tutti gli estremi per trarre un lavoro lirico, dove il vero protagonista sarebbe potuto essere l’elemento nel quale egli meglio si ritrovava, cioè il coro. Oltre a questa allettante possibilità però, l’autore fu spinto alla realizzazione del lavoro dalla viva attualità dell’episodio descritto, ispirato da quegli

(3)Organico orchestrale: Ottavino, tre Flauti, un Oboe, tre Clarinetti, due Fagotti, Controfagotto, tre Comi, tre Trombe, tre Tromboni, Timpani, Tamburo basco, Piatto sospeso, Piatti, Cassa, Triangolo, Tam-Tam, Vibrafono, Xilofono, Campanelli, Celesta, Pianoforte, sei Violini primi e quattro secondi, tre Viole, tre Violoncelli, tre Contrabbassi Personaggi: Piero (baritono), Eulalia (mezzo soprano), Paoletto (ragazzo di 12/14 anni), Sandrina (soprano leggero), Nonno (basso), signor Bertoloni (attore di prosa), voce recitante della radio.

(4)Scritto nel 1854 dal compositore triestino Giuseppe Sinico nel contesto dell’opera “ La Marinella”, diventò sin dalla sua prima esecuzione l’inno di Trieste.

(5) L’incontro con Buzzati non fu certo casuale visto che il collega Giulio Viozzi ne aveva già musicata una novella, e precisamente “La giacca dannata”. 16

“Una domenica” scene

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improvvisi scoppi di insofferenza collettiva per cui basta un nonnulla a scatenare gli istinti più brutali in una folla apparentemente serena, ma nel suo intimo preda di un’inconsapevole tensione che attende soltanto un pretesto qualsiasi per esplodere e trasformare un gruppo di persone solitamente normali in soggetti primitivi e violenti. Il triestino Mario Nordio (6) si occupò di trasformare l’originale novella di Buzzati in un’azione drammatica che incontrò il pieno gradimento sia dell’autore che di colui che doveva musicarla. Ne “La Fontana” (7) si narra delle amare esperienze di due giovani sposi capitati durante il viaggio di nozze in un’imprecisata cittadina di provincia, dove incontrano un’assurda ostilità da parte degli abitanti che vorrebbero addirittura sottoporli a un violento quanto immotivato linciaggio evitato grazie all’arrivo delle guardie (8). In quest’operina, un atto diviso in tre quadri di cui i primi due brevissimi hanno per lo più funzione introduttiva al terzo, consistentissima è la parte sostenuta dal coro, entità protagonista estremamente aggressiva nei suoi rilevanti contributi interpretativi, le cui prestazioni spaziano da un parlottare ritmato al grido, dal contrappunto a particolari effetti ottenuti facendo emettere ai coristi suoni inarticolati che, intersecandosi e sovrapponendosi, danno all’ascolto un effetto impressionante, con soluzioni tipiche che Salvatore Sciarrino porterà a sviluppo virtuosistico particolarmente giocato sulle risorse della voce umana e della tecnica sonora delle allitterazioni e dei fonemi. Dal punto di vista vocale prevale uno scarno recitativo scosso a tratti da qualche apertura lirica: questo tipo di svolgimento permette una tagliente caratterizzazione tipologica dei personaggi e una drammatica indagine delle loro reazioni psicologiche ed emotive, abilmente sottolineata dagli ingegnosi impasti timbrici nei quali sono del tutto assenti i violini, e dalle originali scansioni ritmiche, riccamente sincopate. Il compositore ha voluto in questa successiva esperienza teatrale addossare all’elemento corale, per la cui trattazione possedeva un indiscutibile talento e grande pratica derivantegli da precedenti composizioni ed elaborazioni, il ruolo predominan­ te dell’opera. Facendo così ritorna quindi alla sua prima maniera di vedere un lavoro teatrale, a “Luludia”del 1959, nella quale pure - e lo si può desumere dalla partitura l’importanza dei personaggi è perfettamente bilanciata con quella del coro, autentico co-protagonista.

“Una domenica” e “La Fontana” vennero messe in scena nelle prime rappresen­ tazioni assolute allestite dal Teatro Comunale Giuseppe Verdi di Trieste, con due tecniche scenografiche completamente diverse.

(6) Mario Nordio: conferenziere, uomo di teatro, brillante e arguto decano dei giornalisti giuliani, è stato anche l’autore di svariati libretti d’opera e adattatore di innumerevoli lavori musicali. (7) Organico orchestrale: Ottavino, tre Flauti, due Oboi, Corno inglese, tre Clarinetti, due Fagotti, Controfagotto, quattro Corni, tre Trombe, tre Tromboni, Timpani, Tamburo, Tamburo basco, Piatti, Cassa, Tam-Tam, Chitarra elettrica, Celesta, Arpa, Pianoforte, Viole, Violoncelli, Contrabbassi. Personaggi: Antonio (tenore), Anna (soprano), Portiere (basso), Popolana (contralto), Cassiera (soprano), Teppista (baritono), Inserviente (voce recitante). Coro misto Comparse.

(8) In effetti il finale della novella di Buzzati non risulta altrettanto fortunato: i due sposini vengono picchiati, chiusi in una specie di gabbia e, benché l’autore non lo scriva esplicitamente, si possono nutrire seri dubbi sul fatto che qualcuno intervenga in loro aiuto. 18

“La fontana” quadro secondo.

“La fontana” quadro terzo.

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Il bozzetto per “Una domenica” fu ideato dal pittore Nino Perizi (9) in un’ottica prettamente verista, a svolgimento scenico orizzontale, invariato per tutta la durata dello spettacolo, nel quale la nuda realtà della parte visiva ben sottolineava il contenuto narrativo e musicale dell’opera. Lo scenografo Paolo Bregni ricorse invece per “La fontana” all’espediente del palcoscenico girevole, suddiviso in tre sezioni, una per ogni quadro, e ad ambientazioni piuttosto scarne, con qualche richiamo allo stile Liberty. Nel 1947 il sovrintendente del Teatro Giuseppe Verdi di Trieste, Cesare Barison (10), dette a Bugamelli l’incarico di comporre delle musiche atte a essere utilizzate in un’azione coreografica. Il compositore pensò di rielaborare per l’occasione una “Suite sinfonica” scritta nel 1945, composta da una serie di sette quadri chiaramente ispirati ai cartoons di Walt Disney. Così al “Treno”, alla “Polca di Porcellino” (tema musicale “rubato” ai cortometraggi hollywoodiani), al “Minuetto” e al “Tango delle Bambole” (versione strumentata di un pezzo per pianoforte dedicatogli da Giulio Viozzi), ai brani intitolati “Triste”, “Tutti al Circo” e “Finale”, l’autore aggiunse un’“Introduziòne”, “La Danza del Mago”, un “Notturno” e uno “Scherzo”, comple­ tando la composizione preesistente e adattandola in tal modo a uno spettacolo di balletti. Secondo le intenzioni dell’autore, in questi “Cartoni animati” il coreografo è libero di dare al lavoro il significato e lo svolgimento che più gli sembra adeguato: per la messa in scena triestina del 1948 ci si avvalse di tre elementi distinti: la realtà attuale di una civiltà troppo meccanizzata, i ritorni del passato evocati dalla memoria, la fantasia e il mondo delle favole: ma questa fu una realizzazione soggettiva, una delle molteplici realizzazioni possibili del balletto. Per la loro brillantezza e originalità, l’“Introduzione”, il “Treno” e il “Finale” furono giudicati dalla critica le pagine più riuscite dell’intera partitura. E’ interessante riportare ciò che ne scrisse Gabriella Arich sul “Messaggero Veneto” del 30.12.1948: “...il Bugamelli è assimilatore prontissimo e delle risonanze francesi, honeggeriane, strawinskiane, jazzistiche della composizione egli sarà stato certo il primo a rendersi conto. Ma ha purtuttavia una propria sensibilità, vivida e personale - ritmica soprattutto - ed una gentile inventiva, per cui piace e interessa e sa anche valorizzare la sua musica nella strumentazione, onde bisogna chiedergli di continuare a essere se stesso, indirizzandosi sempre verso una maggiore unità stilistica. In forma di “Suite

(9) Il pittore Nino Perizi, molto vicino all’ambiente musicale triestino, collaborò più volte oltre che con il teatro di prosa anche con quello d’opera realizzando i seguenti allestimenti: 1956, “Poema Coreografico”, balletto di Mario Bugamelli; 1959 “Baciami Caterina”, commedia musicale di Cole Porter; 1960 “Peter Grimes”, opera di Benjamin Britten; 1962, “Passeggeri”, opera di Nino Sanzogno; 1963, “Il povero diavolo”, opera di Jacopo Napoli; 1963, “Sasso pagano”, opera di Giulio Viozzi; 1964, “Prove di scena”, balletto di Giulio Viozzi; 1967, “La giacca dannata”, opera di Giulio Viozzi; 1968, “I Vespri siciliani”, opera di Giuseppe Verdi; 1969, “Il sorriso ai piedi di una scala”, opera di Antonio Bibalo.

(10) Cesare Barison: violinista triestino uscito dalla scuola di Sevcik. Fu assiduo ricercatore di musiche antiche, insegnante al Conservatorio G. Tartini di Trieste, diresse concerti e qualche opera. Durante il periodo di amministrazione alleata occupò il posto di sovrintendente del Teatro Giuseppe Verdi di Trieste.

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Il m°. Bugamelli nel foyer del Teatro “G. Verdi” di Trieste in compagnia dei maestri Vito Leui e Orazio Fiume.

orchestrale”, “Cartoni animati” era già stato varato anni addietro: ora è riapparso arricchito di altri quattro brani, tra cui la vivace “Introduzione” che, con l’ansimare della “Locomotiva” e il travolgente “Finale”, costituiscono le parti maggiormente riuscite...”. Nell’estate 1955 Giuseppe Antonicelli (11) chiese a Mario Bugamelli se avesse pronto un balletto da affiancare agli atti unici “Una lettera d’amore di Lord Byron” di Raffaello de Banfield e “ Allamistakeo” di Giulio Viozzi nella seguente stagione lirica di fine anno. La composizione non era affatto pronta, anzi neppure iniziata, ma il Maestro la scrisse di getto, dando così vita al “Poema coreografico”, secondo dei suoi due balletti. Di sapore nettamente simbolista, questa composizione vuole spaziare nella profondità dell’anima umana, alle soglie del declino fisico, e lo fa con una ricerca timbrica delle più spregiudicate, ricco uso di sincopati e ritmi diversi, ora richiamandosi ai blues gershwiniani ora al valzer alla Ravel, sempre con dinamismo

(11) Giuseppe Antonicelli: laureato in legge e diplomato in composizione, si formò alla Scala come uno dei Maestri sostituti di Toscanini. Nel febbraio 1936, a seguito del Decreto governativo che erigeva il Teatro Giuseppe Verdi di Trieste a Ent$ autonomo, su proposta del Comune, gli venne affidata la sovrintendenza dello stesso, che mantenne — non continuativamente — fino al 1966.

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Teatro Verdi: con la coreografo Anita Bronzi 22

ed eleganza Al coro, trattato in stile polifonico, è affidato il compito di richiamare il protagonista alle esigenze della pace dei sensi e alla rassegnazione perla giovinezza perduta La struttura sinfonica, di gusto spesso jazzistico, è ricca di facile comunicati­ va e anche qui Bugamelli ribadisce di aver trovato proprio in questo tipo di composizione i suoi accenti teatralmente migliori, esplicati da una musica che, detto dai coreografi che vi hanno lavorato, agevola il loro compito suggerendo le invenzioni e le soluzioni più varie e fantasiose. La musica sinfonica fu in assoluto il campo d’azione più congeniale a Mario Bugamelli, curioso e instancabile esploratore del timbro strumentale di cui, dopo la sua pluridecennale quotidianità con l’orchestra - in particolare nella sezione delle percussioni - conosceva le più riposte possibilità. E dopo il timbro egli pensava al ritmo e alle sue innumerevoli combinazioni nelle quali predominano quelle danze del Novecento (fox trot, boogie—woogie, charleston) alle quali i compositori moderni avrebbero dovuto ricorrere, secondo il Nostro, molto più spesso, perchè caratteristiche di un’epoca com’era stato il valzer per (’Ottocento. Titoli e diciture dinamico-ritmiche che si richiamano apertamente ai balli moderni sono frequentissi­ mi nei lavori del Maestro: non bisogna tralasciare a questo proposito la sua predilezione per le operette di cui era un apprezzato direttore e nelle quali autori del primo Novecento come Franz Lehar, Emmerich Kalman e Paul Abraham avevano versato a piene mani questo genere di ritmi orecchiabilissimi e molto “aggiornati”, adatti quindi a influenzare un compositore dallo stile estroso e controcorrente qual’era Bugamelli. All’invenzione del Maestro solitamente serviva solo l’occasione di “far musica”, che poteva nascere da una sollecitazione della cronaca (il campionato di calcio svoltosi a Roma nel 1934 e vinto dalla squadra italiana gli ispirò, per esempio, l’impressione sportiva “Goal”) oppure da una meditata lettura di uno dei suoi prediletti libri di storia (è il caso dell’impressione storica “Leptis Magna”). Le sue composizioni hanno l’impronta del nostro tempo ma sono prive di evidenti tendenze di scuola: le uniche influenze chiaramente riscontrabili sono quelle già segnalate di Gershwin e del jazz, mentre in rari momenti riaffiora il ricordo delle impressioni provate all’ascolto di “Salomé” ed “Elettra” di Richard Strauss, di Puccini, del “Console” di Giancarlo Menotti, per il quale Bugamelli ostentava una spiccata ammirazione: tutto ciò amalgamato ad una personale vena romantica derivatagli dalle sue radici russe attecchite in un mondo d’altri tempi (imperialista-zarista, come lui stesso teneva a sottolineare). Degni di particolare attenzione nell’ambito della musica sinfonica sono i tre concerti per pianoforte e orchestra datati rispettivamente 1933, 1946, 1968. Il primo, chiamato originariamente “Divertimento per pianoforte e piccola orchestra”, rifiuta una vera e propria suddivisione nei tre tempi canonici preferendo una sventagliata di mutamenti ritmici che si placa solamente con le due virtuosistiche cadenze affidate allo strumento solista e che dà alla composizione intera un’atmosfera allucinata, fatta di luci e ombre improvvise. Il secondo (titolo originario “Quattro timbri per pianoforte e orchestra”) si allontana decisamente dallo schema consueto del concerto moderno, presentandosi suddiviso in quattro tempi: Deciso — Cantabile — Vivo — Allegro maestoso, in ognuno dei quali il pianoforte sceglie come “interlocutore” un diverso “blocco” strumentale: nell’ordine ottoni, archi, legni ed infine l’orchestra tutta. In questo modo 23

lo strumento solista si conforma alle diverse sonorità che lo accompagnano con altrettante differenti trattazioni: più dolce con gli archi, incisivo con gli ottoni eccetera, giustificando così ampiamente il titolo iniziale. Più ligio alle regole “classiche” è senza dubbio il “Terzo concerto” in cui al brevissimo Maestoso iniziale (due battute) seguono l’Allegro vigoroso — il Tranquillo alla canzone — L’Allegro festoso. A metà del primo tempo il pianoforte si vede affidata una poderosa cadenza di ventuno battute dal sapore prettamente gershwiniano. Accanto a queste opere sono ancora da citare: — la composizione “Un triestino a New York” dove la tastiera, pur avendo una parte concertante, ha un rilievo squisitamente solistico e il cui contenuto mantiene la promessa del titolo diventando una parodia vivace e spiritosa della composizione americana affiancata da un’altrettano animata parafrasi dell’inno a San Giusto; — la “Sonatina per pianoforte e piccola orchestra”; — il “Concerto breve” per due pianoforti e piccola orchestra; tutte opere accomunate dall’uso marcatamente percussivo della tastiera e la cui trattazione rivela inconfutabilmente la profonda conoscenza di questo strumento da parte del Maestro. La “Sequenza” per grande orchestra dedicata a Guido Cergoli e che lo stesso Bugamelli chiamò più tardi “Suite n°l” si compone di quattro movimenti: Introduzio­ ne, Fanfara, Cadenza e Rumba. La frase particolarmente indovinata della Fanfara:

viene ripetuta, con variazioni nell’intensità e nell’impasto timbrico, un po’ alla maniera del tema del “Bolero” di Ravel; la Cadenza introduttiva alla Rumba è affidata unicamente al violino solista, la cui entrata è annunciata dalla soffusa sonorità della celesta; timbri, accenti e colori giocano molto liberamente nel movimento finale Nel suo lavoro sinfonico-corale “La Notte Santa”, presentato e segnalato al Premio Italia 1952, in luogo del cantante solista, Bugamelli impiegò una voce recitante maschile (Giuseppe). Questa composizione, su versi di Guido Gozzano, è forse una delle più importanti e complete del Maestro che qui si avvicinò — e non solo nell’argomento del Natale — ma anche nel procedimento strutturale — al secondo atto del “Trittico” (Nadal) di Antonio Illersberg. L’organico orchestrale comprende tutta la famiglia dei legni e degli ottoni, largo uso di strumenti a percussione, pianoforte, arpa, violoncelli e contrabbassi. Il coro, misto, oltre ai soprani, contralti, tenori, baritoni e bassi, prevede anche l’impiego di un gruppo di voci bianche. La lunga introduzione orchestrale, con sonorità ed effetti di gusto a tratti 24

impressionistico, prepara sia il declamato sia i suggestivi interventi corali trattati a volte omoritmicamente, altre a canone. Da evidenziare la suggestiva bellezza del finale che, dopo un poderoso crescendo al quale concorrono uniti coro e orchestra, dilegua nell’atmosfera rarefatta dal “Pianissimo” di pianoforte, arpa, celesta e timpani. A proposito di questo brano è ancora interessante ricordare che la sua versione originale fu composta già prima della guerra: il rifacimento, con diverso organico strumentale, fu possibile grazie alla guida della parte corale, unica a non essere andata perduta. Evidentemente fu l’autore per primo a trovare valida e riuscita l’opera, tanto da essere indotto alla sua paziente “ ricostruzione”. I “Tre caprìcci”, una delle composizioni bugamelliane più eseguite e maggiormen­ te bene accolte dal pubblico e dalla crìtica, sono del 1950: in esso la melodia è del tutto disancorata dal sottofondo romantico ottocentesco dell’autore e completamente rivolta alla corrente jazzistica imperante nel primo Novecento; indovinati i colori strumentali, le variazioni ritmiche, abbondanti gli spunti originali anche se non sempre adeguatamente sviluppati. La partitura è divisa in tre movimenti: Allegro con bravura - Malinconico - Deciso, che si avvalgono, tranne il secondo, di incisivi contributi da parte del pianoforte e del tamburo, basandosi per il resto sull’organico tipico dell’orchestra d’archi: violini primi e secondi, viole, violoncelli e contrabbassi.

Il Maestro al suo tavolo di lavoro. 25

La produzione cameristica di Mario Bugamelli è, forse, la parte più contradditoria dell’intera sua opera: ci sono infatti dei lavori validi, scaturiti certamente da un’ispirazione spontanea, dal desiderio di esprimere qualcosa attraverso un ben determinato insieme strumentale perchè perfettamente corrispondente alle esigenze interpretative del momento, e altre composizioni, nate forse “su commissione”, che si rivelano leggermente inferiori per fantasia, spontaneità e contenuto. Da citare il “Quartetto per archi”, considerato molto significativo nell’ambito della produzione dell’autore ma anche in quello della quartettistica moderna, in merito soprattutto alle felici intuizioni timbriche che illuminano l’incedere ritmico e vivacissimo dell’opera; il Trio per violino, cello e pianoforte, nel quale idee assolutamente nuove spaziano nell’ambito della forma classica e vengono spesso sagomate, melodicamente e ritmicamente, secondo la tradizione cameristica usuale: sui tre tempi spicca [Elegia centrale semplice e trasparente; la Sonata per violoncello e pianoforte nella sua seconda versione, ritoccata e leggermente sveltita nella forma, nella quale è da rilevare il vivacissimo tempo di tarantella finale che sviluppa un popolare motivo napoletano; la Musichetta per pianoforte, clarinetto e violoncello e, infine, il “Trio” per flauto, violoncello e pianoforte, entrambi eseguiti spessissimo dai loro dedicatari. Relativamente pochi, ma di tutt’altra fibra, i pezzi per pianoforte a due o a quattro mani e per due pianoforti. Essi sono sorti, probabilmente sempre, da un bisogno interiore di esprimere in musica determinati sentimenti e sensazioni; risultano strutturalmente molto validi (ricordiamo che Mario Bugamelli era oltretutto un ottimo pianista) e, pur conservando gli elementi distintivi del suo modo di comporre che li accomunano alla restante produzione, possiedono in più una godibilissima aria di improvvisazione che li rendono freschi e immediati. Tra essi è da citare il “Notturno” dove temi dal sapore orientale e spagnoleggiante si susseguono ininterrottamente sino al Fox-trot centrale:

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TEMPO DI FOX-TROT LENTO (delicatamente come da lontano)

che sottolinea una volta di più la predilizione del compositore per i ritmi del ballabile moderno; il brevissimo “Flirt” che si rivela un grazioso e languido valzer, di facile esecuzione ma allo stesso tempo di grande effetto. Mario Bugamelli palesò sempre una grande riluttanza verso l’impiego della voce umana nelle sue composizioni: egli stesso l’ammetteva giustificandosi con il fatto che sempre nella sua vita ne era stato “perseguitato”. Il padre, oltre al resto, era anche un validissimo insegnante di canto; la madre una ex-soprano; la sorella Teresita una promettente cantante ed egli stesso aveva sempre lavorato presso un ente lirico. Malgrado queste opinioni personali ci restano di lui numerose composizioni per voce e pianoforte o per voce e orchestra, che dimostrano invece quanto egli sapesse, a dispetto della sua ritrosia, trattare con abilità questo particolare strumento, fondendolo perfettamente nel restante tessuto armonico. Le sue sono tutte linee melodiche sobrie e disadorne, secondo i canoni della lirica moderna, ma di grande effetto, con le quali il Maestro cercava di ribadire tramite il fraseggio musicale la poesia della parola senza soffocarla. L’esteriore semplicità maschera una profonda spiritualità riscontrabile anche nei testi che sono spesso di autore ignoto; per quelli firmati è possibile notare la non determinata e costante adesione di Bugamelli ad una precisa corrente letteraria: compaiono infatti, accanto a Salvatore Quasimodo, i nomi di poeti locali delle più diverse tendenze. Il non comune istinto del Maestro per il contrappunto e il suo finissimo senso del timbro gli fecero raggiungere risultati notevolissimi anche nelle composizioni corali. Metteva in pratica tutti i più audaci accorgimenti pur di riuscire a creare particolari e azzeccate atmosfere, anche se con ciò obbligava i coristi a virtuosismi canori inusuali e impervi. Per quanto riguarda i testi, valgono le medesime osservazioni fatte per le liriche. Sempre nell’ambito della musica corale, Bugamelli si divertiva moltissimo a rielaborare vecchie canzoni triestine: a questo proposito Glauco Del Basso ricorda ancora l’entusiasmo che il compositore seppe suscitare nel pubblico di Gorizia con la canzone “No’semo caligheri”, presentata fuori concorso (poiché non era nativo del luogo) ad un Festival di canzoni dialettali regionali. Considerandola però una musica di secondaria importanza vi si dedicò (e fu sicuramente un peccato) solo saltuaria­ mente e quasi per gioco. Nel catalogo delle opere di Mario Bugamelli sono presenti anche numerose composizioni scritte per il teatro di prosa: egli infatti collaborò, in questa veste, più volte con lo Stabile del Friuli-Venezia Giulia La sua prontezza nel saper cogliere la situazione psicologica e ambientale proposta dall’azione scenica e la rapidità che aveva nello stendere sul pentagramma il commento musicale richiestogli, specie 27

Mario Bugamelli

Mario Bugamelli

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per pianoforte

per pianoforte a 4 mani

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Mario Bugamelli

DUE DANZE per pianoforte

P. 057 E

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utilizzando magistralmente piccoli organici strumentali, gli fecero spesso incontrare le preferenze incondizionate degli allestitori. Molto modernamente egli credeva nell’effetto di brevi interventi sonori che sottolineassero non tanto il dialogo quanto l’importanza e il significato dei silenzi. Grazie a questa breve analisi delle varie forme musicali in cui Mario Bugamelli si cimentò nell’arco della sua lunga carriera compositiva, è facile arguire la versatilità e l’eclettismo di cui era riccamente dotato, la particolarità del suo stile che non di rado ebbe un’importante e visibile ascendente sui giovani compositori regionali e lasciò pure una certa traccia nelle opere del collega amico Giulio Viozzi, nell’ambito di quel particolare loro rapporto di reciproca influenza. E’ ovvio però che solamente l’ascolto attento e assiduo delle musiche da lui scritte può aprirci meglio l’orizzonte delle sue intenzioni e consentirci una lettura più consapevole e realistica della sua arte.

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RASSEGNA CRITICA

IL POPOLO (15.11.1936) E’ un occasione sempre più rara, al giorno d’oggi, poter segnalare un successo vibrante, entusiastico, come quello che accolse ieri sera le composizioni di Mario Bugamelli: e in più un successo pienamente meritato per l’alto valore artistico dei lavori presentati ...La sonata per violoncello e pianoforte attacca impetuosamente, è costruzione organica nel primo tempo; sembra sciogliersi, quasi tentennare nell’andantino alla canzone; prorompe impavida, fervida, tutta fuoco e ritmo, a contrattempi strani, una ridda sempre più incalzante, incandescente nel finale... Angelo Kessissoglù con dolcezza infinita fece ascoltare “Cantilena”, motivo nostalgico, triste; in “Notturno” entra un’aria indefinibile di mestizia, si erge a un tratto, forma improvvisa­ mente un contrasto gioioso e ritmato, esaltato e poi si spegne improvvisamente in un languore appassionato. Il terzo brano di vivacità vibrante, di luminosità giovanile, ebbra, è la “Fanfara” che, per quanto intesa altra volta, riesce sempre nuova... Commovente fino allo spasimo, potente di umanità, 1’“Ave Maria”, per coro misto a quattro voci. Incedere compatto, a contrasti tonali impensati, languire con maestosità fresca, vivace e cordiale, un po’ crepuscolare, la “Cantilena” per coro maschile a quattro voci.. In chiusa il “Divertimento” per pianoforte e orchestra cui il Kessissoglù diede un vigore inesauribile, ritraendo effetti d’intensità quasi sbalorditiva. Dirigeva questa volta il compositore stesso, che raccolse dopo questa eccelsa composizione imponenti ovazioni. Non è difficile immaginare a quali ascese possa andare incontro questo maestro trentenne. Alberto Parente

IL PICCOLO (15.10.1940) ...Si è effettuata a Bolzano la Rassegna di musica contemporanea delle Tre Venezie, organizzata dall’organismo triveneto presieduto con tanta autorità dal Maestro Mario Mascagni... Particolari accoglienze, scrive Guglielmo Barlban ne “La Provincia di Bolzano”, sono toccate al “Divertimento per pianoforte e orchestra” del triestino Mario Bugamelli. E’ questa una composizione di vasta mole nella quale l’autore fa ampia confessione di fede per un atteggiamento musicale la cui strepitosa fortuna di qualche anno fa è nota. Il Bugamelli è musicista ferrato nella conoscenza dei sortilegi più mirabolanti delle sorprese orchestrali e nel dominio di quei svenamenti ritmici che stanno alle basi delle musiche che molti maestri di ardimento raccolsero dalle esperienze jazzistiche per impastarle e cucinarle nelle composizioni di vasto respiro e di più elaborata e forte struttura. Questo “Divertimento” attesta dunque la facilità di pronta assimilazione e nello stesso tempo la sicura mano del compositore triestino nel dominare una materia di per sé non facile e pericolosa a plasmare. 31

LA VOCE LIBERA (10.6.1946)

Di Mario Bugamelli abbiamo inteso per la seconda volta una poderosa e ardita “Sequenza”, le cui tre parti (Introduzione, Fanfara e Rumba) rivelano il forte temperamento e la genialità di questo nostro vulcanico musicista che possiede una spiccata tendenza alla caricatura e al grottesco e che maneggia la tavolozza orchestrale con felice istinto e disinvoltura, sorretto da un’inventiva inesauribile. Bruno Bidussi

ULTIMISSIME (28.12.1948)

La riconquista del teatro attraverso forme audaci nell’evidenza esteriore, ma pur sempre ossequienti a un desiderio positivamente costruttivo, è destinata ad un felice risultato se, come ieri sera, tale atto viene immaginato e realizzato da un’autentica personalità, un interprete sicuro del misterioso mondo dei suoni. Davvero una grande prova per Mario Bugamelli, la presentazione dei suoi “Cartoni animati”, una prova che, onorando l’arte musicale della nostra città, è stata consacrata da un vivacissimo quanto spontaneo successo. Glauco Del Basso

LA VOCE LIBERA (30.12.1948)

Grande attesa c’era per il balletto “Cartoni animati” di Mario Bugamelli, rappresentato come novità assoluta. Balletto, diciamo subito, costruito con vivacissi­ ma fantasia, con abbondante sgorgo inventivo che trova per ogni episodio scenico la sua forma precisa, e ciò con una decisione procedente da intrinseche necessità musicali Anche in questo lavoro di Bugamelli incline a un’espressione di euforia nella quale entrano di soppiatto tentazioni sentimentali senza tuttavia turbare gran che il musicista che resta al fondo divertito e divertente. Se la bella coreografia della Bronzi può aprire la via alle interpretazioni sottili, la musica per contro parla con franca semplicità, nonostante la sua tecnica alle volte piena di complicazioni che dovrebbero interessare il più esigente pubblico d’un festival di arte contemporanea. Non si possono per questo negare al Bugamelli dei momenti accorati, delle battute scavate da un tormento interiore. Ma poi ritornano gli accenti e le movenze suggerite da un’interpretazione baldanzosa della vita e quello che poc’anzi ci pareva tormento si rivela invece come uno “spleen” passeggero. Indubbiamente qualche cosa dell’animo di Hollywood rivive in questo balletto. E ciò significa una lode ove si considerino gli atteggiamenti personali che il compositore, quando non ripete i modi di un jazz convenzionale, vi ha saputo derivare, con tanta energia e pienezza di risultato. Entusiastico il successo arriso al Bugamelli, egli stesso direttore del balletto. Vito Levi 32

IL MESSAGGERO DI ROMA (13.8.1950)

Mario Bugamelli è un’orchestrale di questa orchestra: suona i timpani per campare. Inoltre insegna musica al Liceo Musicale di Trieste. Queste sono le sue attività più redditizie. La terza attività è quella di compositore, i cui ragguardevoli risultati, però, non hanno evidentemente ancora permesso al suo nome di varcare molto spesso i confini della città. Che sono dunque confini difficili da superare: Trieste pare protetta dal resto della vita nazionale da una larga fascia di silenzio, che non concede agli avvenimenti che là hanno luogo, e che non di rado sono d’un interesse molto più che cittadino, di avere quella rinomanza che meritano. Non è dubbio per esempio che un musicista come Bugamelli, se si trovasse a lavorare in una città più a portata di mano, e non così proiettata ai margini della vita del paese, sarebbe seguito con maggiore attenzione, dalla critica per lo meno. Alla quale invece, fatte poche eccezioni, non pare che sia molto piaciuto Sequenza, arrivata così del tutto inopinatamente, da questa città il cui nome non ricorre che nelle cronache politiche. E’ piaciuta però al pubblico romano, che l’ha udita per la prima volta, e applaudita calorosamente, come a suo tempo piacque al pubblico triestino (Sequenza è del 1942) e a quello, così disinvolto quando si tratta di fischiare, della Fenice di Venezia. E Bugamelli, ch’era venuto a Roma per l’occasione, e che oltre agli applausi del pubblico ha raccolto anche quelli, ambiti, dell’orchestra di Santa Cecilia, è tornato del tutto soddisfatto ai suoi timpani della Filarmonica e al suo lavoro di compositore. Sequenza, una suite in tre tempi (introduzione, fanfara e rumba) non è tra le sue cose maggiori: di lui ricorderemo invece il poema sinfonico Leptis Magna, una Sinfonia e soprattutto il balletto Cartoni animati, il suo lavoro più recente. Rappresentato due anni fa al Verdi di Trieste, con le scene di Marcello Mascherini, ottenne un grosso successo di critica e di pubblico, ma come di consueto, per le dette ragioni, circoscritto nell’ambito della città.

Silvano Villani

IL GIORNALE DI TRIESTE (11.5.1951)

...il “Concertino in tre tempi” per piccola orchestra e pianoforte di Mario Bugamelli, è sembrato uno spiritello disfrenato ed esagitato, scabro e irsuto ma potenzialmente vivo e carico di germinazioni musicali. Nella composizione ritroviamo i tipici lineamenti della musica moderna ma anche l’autoritratto di Bugamelli, il quale combatte e riesce a raggiungere una forbitissima sintesi sinfonica svolta per proposizioni essenziali strettamente legate a un principio di logica e condotte con vigoroso fondamento ritmico. Alla base del “Concertino” c’è il suono e il ritmo che imprime a tutta la composizione il suo carattere motorio. Ogni inclinazione alla contabilità viene soppressa, e raffrenata fin dal principio l’intenzione danzante per mantenere la linea rigida della costruzione formale. Tutto resta racchiuso nella sonorità dura e asciutta che nel secondo tempo si 33

presenta interessantissima con qualche preziosità di colore. Saggio maturo e felice di musica oggettiva senza finalità che non siano quelle della musica medesima nel suo colore, nel suo dinamico divenire, nella sua forma rigorosamente costruita. Bugamelli è indubbiamente un compositore geniale, fervido di idee, il quale non ha detto ancora la sua definitiva parola. Egli è in ascolto di sé medesimo e il suo vocabolario fonico è ricco e molto interessante... Vittorio Tranquilli

GIORNALE DI TRIESTE (29.5.1954)

lerisera al centro dell’attenzione un brano di un compositore triestino, come già sette giorni or sono, era accaduto per il concerto di Zafred. L’autore presentato ieri, Mario Bugamelli, non è sconosciuto al nostro pubblico anche se la sua produzione è molto più vasta di quanto si sia potuto ascoltare in pubbliche esecuzioni. Il Secondo concerto per pianoforte e orchestra si articola in quattro movimenti che differiscono l’uno dall’altro innanzitutto per le diverse combinazioni timbriche, giacche a collaborare con il pianoforte intervengono nel primo movimento gli ottoni, nel secondo i violoncelli e i contrabbassi, poi i legni e infine l’orchestra tutta. Già questa distribuzione delle voci dimostra il vivacissimo estro timbrico di Mario Bugamelli, al quale si accompagna un’altrettanto brillante fantasia ritmica, sostegno continuo al concerto, così come è elemento fondamentale di tutta la sua musica nota. La composizione eseguita ieri è frutto principalmente dell’intelligenza che si scopre in scintillanti trovate, pur se nel fondo dello spirito di Bugamelli rimanga un segno di desolata solitudine.

Giampaolo De Ferra

CORRIERE DELLA SERA (22.1.1956) ...Forse un po’ lungo il “Poema coreografico” di Mario Bugamelli, posto a chiusura della serata. Esso fa svolgere sulle punte dei piedi l’antico dramma dell’uomo giunto sulla soglia della maturità e indeciso nel gran passo che, attraverso una problematica filosofia della rinunzia, dovrebbe allontanarlo dai golosi frutti del pieno vigore virile per immergerlo nelle superiori sfere di una idealizzata vita spirituale. Partitura, questa, tutt’altro che priva di interesse sia nelle preordinate estrinsecazioni visive, che commettono a un nugolo di stupende danzatrici, e alle loro avviluppanti movenze, gli assalti dell’una e dell’altra forza di attrazione, sia nelle balzanti e incisive o fruscianti modellature sinfoniche di gusto qua e là jazzistico, e dunque ricche di facile comunicativa espressività. Franco Abbiati 34

1956: il Maestro col pittore Nino Perizi e la coreografo Niues Poli

1956 Teatro Verdi: Poema coreografico.

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IL PICCOLO (22.1.1956)

Nel grembo immenso e misericordioso della musica si sono rifugiate nell’ultimo trentennio tutte le forme obiettivate: lo sport e la meccanica di Honegger, il problema sociale e l’officina di Schostakowitsch, il neorealismo di cronaca nera con Menotti, e gli americani Niente di strano che vi entri, con Mario Bugamelli, anche la metafisica, o una specie di simbolismo raffigurante la lotta dell’uomo tra l’anima e il corpo. Concetto di valore immanente già trattato in una rappresentazione dell’anima e del corpo dal Cavalieri alla Camerata Fiorentina. Nello spirito danzante che vive e si agita nell’impulso motorio di Mario Bugamelli, vi è la premessa alla figurazione sinfonica di un’alterna vicenda dell’anima e dei sensi, che si contrastano il dominio della creatura umana nella prima giovinezza, nella virilità e nell’età decadente. Queste tre tappe ci vengono segnalate dall’intervento del coro che assume la parte recitante, e commenta e consiglia, additando all’uomo la via della saggezza e della rinunzia La fonica personale di Bugamelli, già caratterizzata in altre sue opere, qui si esprime con arte più scaltrita e con fantasia meglio addestrata al movimento illustrativo della danza, mentre per ciò che riguarda l’idea informatrice e la sua forma sonora il musicista non ha trovato difficoltà di espressioni strumentali. La parte corale, suggestiva nell’impasto vocale e nella modellazione del tema, serve come conduttrice del movimento danzante delle tre fasi sinfoniche, e interviene tre volte con solennità ammonitrice riflettendosi poi nel movimento strumentale tenuto da Bugamelli ora nel nesso tonale ora in dissonanza, sempre elaborato con cristallina trasparenza, con raffinatezza e singolarità di colori, e con psicologica ricercatezza nella determinazione delle atmosfere sonore dalle quali spuntano i timbri isolati ed effusioni melodiche di stati lirici. Giacché il Bugamelli non abbandona il piacere della melodia quando essa lo coglie e gli viene dettata da necessità sceniche, come quella della danza dell’uomo e la sua sensualità o dell’uomo e la sua spiritualità Qui violini e celli dispiegano in profonde arcate il loro melodismo entro il quale poi si prepara, ribollendo, la lacerazione del tessuto sinfonico e l’incalzare breve e imperioso del ritmo. La vita dello spirito e del corpo è sentita da Bugamelli come linguaggio ritmico nel quale, pur con i fatali influssi di Strawinsky e Prokofiev, si incontrano felici sintesi e contrapposizioni strumentali dell’idea animatrice... Vittorio Tranquilli

IL PICCOLO (14.10.1961) La “Notte Santa” di Mario Bugamelli su testo di Guido Gozzano è la testimonianza di un uomo vivo, mai entrato nella secche dell’intellettualismo. Mario Bugamelli ha usato la lirica di Gozzano come pretesto all’esplosione della sua forte carica drammatica che si risolve in un atto di fede nella vita. Bugamelli non rifiuta alcuna esperienza autentica e procede diritto per la strada del suo istinto musicale, senza paura di esprimersi con parole, alle volte, di per sé banali, giacché sono riscattate dalla perfetta congruenza del mezzo espressivo all’immagine captata. La partitura della “Notte Santa” è densa e non conosce illanguidimenti. La parte corale è trattata modernamente, alternando il canto alla declamazione, spesso rigorosamente contrappuntata. Poco o nulla rimane dell’esile lirica di Gozzano: la notte precedente 36

la nascita del Redentore diventa, nella interpretazione di Mario Bugamelli, una notte di intensa drammaticità Nella ricerca di un rifugio di Maria e Giuseppe è sentita la ricerca di pace dell’umanità sconvolta, e alla nascita del Redentore, non segue l’esultanza, ma l’abbandono, quasi incredulo, nella ritrovata tranquillità Una pagina dunque ricca di una formidabile carica vitale e che si impone soprattutto per la sua sincerità Giampaolo De Ferra

L’UNITA’ (12.2.1967) Nella sua “Domenica”, Mario Bugamelli mira proprio a questo approfondimento e ci offre una partitura pensata, distillata, tutta elaborata fra timbri e sonorità che rivelano il sinfonista esperto nel suo campo un po’ spaesato nell’esperienza teatrale. Al bivio tra lo scherzo e il dolore il compositore non sa imboccare francamente la strada della smorfia di Eduardo, suggerita da un testo che si rifà a De Filippo, e resta rigido e impacciato. Questo autocontrollo che giunge a sfiorare l’inespressività appartiene tuttavia al nostro tempo: vi troviamo i connotati della nostra vita e dell’arte contemporanea. Rubens Tedeschi

1955 OCA: Bugamelli dirige un saggio del coro degli allievi del Conservatorio.

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AVANTI (14.2.1967)

...Bugamelli è molto estroso, ironico, pieno di trovate strumentali e ricco di un umorismo che mira a cogliere con poche pennellate realistiche gli aspetti più singolari e contrastanti di una “tranche de vie” tipica dei nostri giorni. Lo spettacolo fila e diverte per merito di Bugamelli che con il suo eclettismo orchestrale la sa lunga e dimostra di sapere costruire un teatro musicale schietto e vivace, anche se evasivo e superficiale. Ennio Melchiorre

L’ESPRESSO (19.2.1967) ...Mario Bugamelli è un personaggio straordinario, compone montagne di musica, prevalentemente sinfonica, dove l’accesa ricchezza straussiana è venata da uno strano colorito orientale e barbarico... Bugamelli è forse quello che meglio avrebbe nel proprio arco la corda del fantastico: e invece proprio a lui è toccato il soggetto più chiassosamente realistico. Si aggiunga, che all’opera non ci crede, ed è la prima volta che ci si prova: inevitabile che si riscontrino qua e là inesperienze, stasi e sproporzioni. Ma mentre lo stile vocale si tiene su per giù a quel declamato secco e puntiglioso con qualche sfogo melodico per lo più in chiave di parodia, l’accesa sua ricchezza straussiana appare venata d’uno strano colorito e si ammira da capo a fondo il suono d’una orchestra sostanziosa, sobria ed etoffée.

Massimo Mila

MESSAGGERO VENETO (12.2.1967)

Il libretto di Viozzi ha un sapore casalingo, con piccole notazioni ambientali. Mario Bugamelli lo ha musicato col suo stile pungente e snodato, tutto guizzi, basato sulle scansioni ritmiche. Ha giocato con qualche cabaletta e ha fatto il verso al Rigoletto nel gustoso personaggio del Nonno. Ci sono interventi radiofonici e una voce recitante; un uso disinvolto di mezzi aggiornati... Danilo Soli

IL PICCOLO (12.2.1967)

...Altra la concezione dell’orchestra di Mario Bugamelli, il quale sfrutta largamente la sua profonda competenza strumentale nella variopinta tavolozza timbrica. Arrivato all’opera dopo aver praticato altre forme espressive, ed averne tratto lusinghiere soddisfazioni, Bugamelli dà prova, nell’atto unico “Una domenica”, di una disponibilità musicale che può far pensare a Kurt Weill, sebbene la protesta sia circoscritta alla restaurazione (da lui ritenuta impensabile) del melodramma. Lo ha aiutato a sorridere dei miti che hanno sin qui formato il pilastro del teatro in musica 38

(ed ai quali forse Bugamelli non è, malgré lui, del tutto indifferente) il libretto dovuto alla penna di Giulio Viozzi... Orchestra e palcoscenico marciano di pari passo, con una ritmica disinvolta e vivace nel suo accentuato eclettismo. Rilevante la cura dei timbri: certo prevalente rispetto a propositi costruttivi. Giampaolo De Ferra

Castello di San Giusto: con Elvio Calderoni, brillante interprete di numerose operette 39

CORRIERE DELLA SERA (28.2.1971) ...l’artista Bugamelli, curioso tipo dalla vivacità prorompente e dalle contraddizio­ ni esemplari, il quale, a parte un paio di balletti, pure fatti conoscere al Comunale triestino, s’è buttato al teatro lirico quando i suoi colleghi di solito se ne allontanano ammosciati... Teatro amaro. Tale almeno sotto la patina strumentale tra satirica e grottesca, d’una comicità ambigua, quasi di tragicommedia, e sul filo di un declamato caricaturale, comunque realistico, che due o tre volte si infiora d’una romanzetta o d’un duetto è l’impressione che se ne ricava e che certamente il Bugamelli si riprometteva quando, soprattutto, egli innalzò il coro esagitato e progressivamente aggressivo, alla funzione di protagonista-giustiziere accecato da una furia insana. Franco Abbiati

IL PICCOLO (28.2.1971)

...La costante contrapposizione individuo/società trova nella musica di Mario Bugamelli una singolare e asciutta traduzione; il soggetto amaro, ai confini della crudeltà, stimola un linguaggio graffiante dalla fluida ed insieme metallica rifrazione orchestrale, per cui gli aggressivi interventi del coro (certo l’aspetto più significativo e pregnante dell’opera, nell’inesauribile attrito ritmico) sono autentiche frustate sulle fragili velleità liriche dei protagonisti.

Gianni Gori

MESSAGGERO VENETO (28.2.1971) ...L’opera ribattezzata “La fontana”, conferma la forte personalità del compositore, il suo stile lucido, pungente, articolato, di una schietta modernità. Le sequenze dei tre quadri si snodano in un incisivo crescendo, unite dai ritmi vigorosi e dai timbri suggestivi dei due intermezzi sinfonici, e la musica crea una atmosfera strana ed inquietante di sicuro effetto teatrale. Varia ed originale è la trattazione della parte corale, nel mobile contrappunto dei sussurri, dei sarcasmi, delle invettive, e non mancano i momenti di intenso lirismo, in uno sviluppo drammatico che riesce a dare il senso di incubo e colpisce per la sua coerenza espressiva. Danilo Soli

GAZZETTINO (1.3.1971)

...L’orchestra ha i suoi momenti tumultuosi, ma per lo più si mantiene larvata, timbricamente ingegnosissima e talvolta ci restituisce in una mutata temperie un Bugamelli che al jazz, amore dei suoi giovani anni, infonde ora una drammatica 40

vitalità. Su questa orchestra, di quando in quando ritornante a colorazioni e spunti prediletti, il dialogo degli sposi si svolge con un recitativo dimesso, salva qualche apertura lirica di gusto menottiano, efficacemente rimossa dall’incalzare della progressione.

Vito Levi

Mario Bugamelli sui podio del Politeama Rossetti mentre dirige r operetta “Il fiore di Ha way" - stagione estiva 1971.

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IL PICCOLO (25.1.1972) I “Tre capricci” di Mario Bugamelli nella loro imprevedibilità, con un modesto inserimento del pianoforte nel primo tempo, via via sempre più convincente fino a richiamare nel terzo, “Deciso”, la secca percussione del tamburo, costituiscono un determinante banco di prova per qualunque complesso orchestrale.

Claudio Gherbitz

IL PICCOLO (9.10.1977) Come un personaggio di Roth, Mario Bugamelli sembra aver consumato la propria esperienza creativa in un ristretto orizzonte, nel “cerchio di gesso” della nostra periferìa adriatica. In effetti la sua arcata stilistica è di un’ampiezza singolare e di impertinente evidenza (non importa se periferica) nella musica contemporanea italiana: un’arcata che dalle matrici prokofiev-bartokiane si lancia oltre oceano (“America primo amore” per Bugamelli come per Mario Soldati) con caratteri energetici che il Terzo concerto per pianoforte e orchestra compendia assai felicemente.

Gianni Gori

MESSAGGERO VENETO (9.10.1977) ...Una delle opere più interessanti ed impegnative di Bugamelli, il Terzo concerto per pianoforte, lavoro che nei ritmi incalzanti e nelle esplosioni sonore esprime tutta la linfa vitale fantasiosa e brillante del suo autore. C’è una pausa riflessiva, con un’eco di arcane atmosfere, ma il finale conferma la vitalità e l’ottimismo che l’estro di Bugamelli, così personale, moderno, mai cerebrale, riesce ad infondere.

Danilo Soli

IL PICCOLO (10.6.1979)

...Ma quale sarà la chiave giusta per aprire le scatole musicali di Bugamelli? Come questo curioso cofanetto natalizio, dove il bozzetto religioso è occasione per rivedere le tradizioni sulla linea di un gioco tutto scarti e sorprese. Ancora una volta Bugamelli si regala una materia sonora e “ludica”, che faceva in fondo trent’anni fa, quello che fanno oggi - con altri sviluppi semantici e a diversa latitudine di celebrità - un Berio o un Bussotti. Bugamelli dall’alto del proprio osservatorio domestico e in perfetta letizia metteva in tavola il suo “solitario” musicale divertendosi a cercare le combinazioni più desuete, come questa orchestra senza violini, divisa fra sonorità notturne di violoncelli, contrabbassi e fiati, e lo scintillio fiabesco dei timbri orchestrali più argentini; sicché anche nella “Notte Santa” può capitare che la batteria scateni 42

improvvisamente la concitazione amica del Jazz o che — fra le frizioni ritmiche del finale — riecheggi bugamellianamente la maestosità corale di Haendel. L’opera ha comunque maggiore originalità nella prima parte, con l’introduzione orchestrale e con le sette strofe del viaggio a Betlemme, schiuse dal lungo, vespertino pedale del coro. Gianni Gori

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CATALOGO

OPERE PER IL TEATRO 1. LULUDIA - Commedia musicale in tre atti Libretto: prof. Glauco Del Basso Anno di composizione: 1959/61

2. UNA DOMENICA - Azione lirica in un atto Libretto: M° Giulio Viozzi Anno di composizione: 1967 Edizioni RICORDI, Milano 3. LA FONTANA - Azione lirica in un atto e tre quadri Libretto: prof. Mario Nordio, tratto da un racconto di Dino Buzzati Anno di composizione: 1970 Edizioni PIZZICATO, Udine

BALLETTI 1. CARTONI ANIMATI Anno di composizione: 1947 Edizioni PIZZICATO, Udine 2. POEMA COREOGRAFICO Anno di composizione: 1955 Edizioni PIZZICATO, Udine

MUSICA SINFONICA 1. 1933 - “Divertimento” per pianoforte e orchestra chiamato poi “Primo concerto” dedicato ad Angelo Kessissoglù 2. 1934 - “Goal” impressione sportiva per orchestra

3. 1937 - “Leptis Magna” impressione storica per orchestra 4. 1937 - “Prima Sinfonia” 5. 1942 - “Sequenza” per orchestra chiamata poi “Suite n°l” dedicata a Guido Cergoli Esisteva anche una versione per pianoforte solo non reperita

6. 1944 - “Tempo di Rondò” per piccola orchestra Non reperito(*)

(*) L’esistenza delle opere “non reperite” e le date di composizione incerte sono state desunte da recensioni giornalistiche e registrazioni radiofoniche tuttora presenti nella nastroteca della sede trie­ stina della RAI.

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7. 1946 - “Quattro timbri” per pianoforte e orchestra chiamato poi “Secondo Concerto”

8. 1946 - “Un triestino a New York” per pianoforte e orchestra 9. 1947 - “Seconda Sinfonia” Non reperita 10. 1950 - “Sonatina” per pianoforte e piccola orchestra dedicata a Lilian Caraian 11. 1950 - “Tre capricci” per pianoforte-tamburo-archi Edizioni PIZZICATO, Udine

12. 1952 - “La Notte Santa” Quadro sinfonico per voce recitante - coro - orchestra Testo di Guido Gozzano Presentata al Premio Italia 1952 Edizioni PIZZICATO, Udine 13. 1958 - “Concerto breve” per due pianoforti e piccola orchestra 14. 1958 - “Terza Sinfonia” Edizioni PIZZICATO, Udine 15. 1959 - Concerto per violino, violoncello, pianoforte e piccola orchestra 16. 1968 - “Terzo concerto” per pianoforte e orchestra dedicato a Claudio Crismani Edizioni PIZZICATO, Udine 17. 1973 - “Studio” per orchestra Presentato al Concorso Internazionale di Composizione “Città di Trieste” 1973 18. Entro il 1973 - “Tempo di minuetto” per arpa e archi Edizioni PIZZICATO, Udine

MUSICA DA CAMERA 1. Entro il 1936 - Quartetto per archi Non reperito 2. Entro il 1936 - Sonata per violoncello e pianoforte 3. Entro il 1940 - Sonata per violino e pianoforte 4. Entro il 1956 - Trio per violino-violoncello-pianoforte

5. 1 9 5 6

- “Musichetta” per pianoforte-clarinetto-violoncello Dedicato al Trio Ars Nova Edizioni PIZZICATO, Udine

- Trio per pianoforte-flauto-violoncello Dedicato al Trio Pro Musica Non reperito 7. Entro il 1962 - Sonata per fagotto e pianoforte dedicata a Umberto Di Cesare Edizioni PIZZICATO, Udine

6. 1 9 6 1

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8. Entro il 1965 - Musica per quattro strumenti pianoforte-flauto-viola-violoncello Edizioni PIZZICATO, Udine 9. Entro il 1971 - “Piccolo divertimento” per due trombe-corno-trombone Edizioni PIZZICATO, Udine 10. Entro il 1973 - “Sonata per flauto e clavicembalo (o pianoforte)” Edizioni PIZZICATO, Udine

MUSICA PER PIANOFORTE 1. 19 35

2. 19 3 5

- “Fanfara” Edizioni PIZZICATO, Udine - “Cantilena” Non reperita

- “Notturno” Dedicato ad Angelo Kessissoglù Edizioni PIZZICATO, Udine 4. Entro il 1953 - Cinque preludi Non reperiti

3. 19 3 6

5. Entro il 1970 - Due danze Edizioni PIZZICATO, Udine 6. Entro il 1970 - “Flirt” (Valsette) Dedicato a Teresita Bugamelli Edizioni PIZZICATO, Udine

MUSICA PER DUE PIANOFORTI/PIANOFORTE A QUATTRO MANI 1. Entro il 1939 - “Un triestino a New York” divertimento jazz per due pianoforti 2. Entro il 1958 - “Giostre” pianoforte a quattro mani Edizioni PIZZICATO, Udine 3. Entro il 1965 - “La giostra” per due pianoforti Edizioni PIZZICATO, Udine 4. Entro il 1969 - “Suonatina” pianoforte a quattro mani Edizioni PIZZICATO, Udine 46

LIRICHE 1. Entro il 1940 - Tre liriche per voce e pianoforte “Ottimismo” “La corsa” “Pioggerella d’aprile” Testi d’ignoto Non reperite

2. Entro il 1940 - Quattro liriche per voce e pianoforte “Villaggetto alpino” “Risveglio” “Il grillo in casa” “Ave Maria” Testi d’ignoto 3. 19 4 3

4. 19 4 4

5. 1 9 5 3

6. 1 9 5 5

7. 19 6 0

- Due canti della resistenza per tenore e pianoforte “Giorno dopo giorno” “Invano cerchi” Testi di Salvatore Quasimodo - Quattro momenti per soprano e orchestra “Il piccolo mietitore” “Notturno” “In bicicletta” “Lei” Testi di Olindo Guerrini - Quattro liriche per voce e piccola orchestra “Ride la gazza nera sugli aranci” “L’amata cetra” “Ora che sale il giorno” “La tua veste bianca” Testi di Salvatore Quasimodo - Quattro liriche per soprano e archi “Notturno” “Primavera” “Quiete estiva” “Un’alba” Testi di Ario Tribelli - “Omaggio a Saffo” per soprano e pianoforte Testo d’ignoto Non reperito

COMPOSIZIONI CORALI 1. Entro il 1936 - “Ave Maria” per coro a quattro voci miste 47

2. Entro il 1936 - “Cantilena” per coro a quattro voci virili Testo d’ignoto Non reperito 3. Entro il 1939 - “Sere d’autunno” per coro a quattro voci miste Testo d’ignoto 4. Entro il 1939 ■ “Volontà” per coro a quattro voci miste Testo di Bruno Sanzin Non reperito 5. Entro il 1940 - “Studio” per coro a quattro voci miste 6. Entro il 1940 - “Dolina” per coro a quattro voci virili Testo di Marcello Fraulini

7. 1 9 7 3

- “Oh mio dolce amor” per quattro voci virili

Testo d’ignoto Brano d’obbligo al Concorso Internazionale di Canto Corale Cesare Augusto Seghizzi di Gorizia, dodicesima edizione 8. Dopo il 1973 -“Foiarole” per coro a quattro voci miste Testo di Silvio Domini

Per quanto riguarda le elaborazioni di antichi temi popolari triestini, Mario Bugamelli adattò i seguenti brani corali: 1. “Ciribiribin” per coro a quattro voci miste Pubblicato nel fascicolo “Cori popolari italiani” raccolti ed elaborati da vari autori Edizione Suvini e Zerboni, Milano

2. “Voio far la sessolotta” per coro a quattro voci virili 3. “No’ volemo caligheri” per coro a quattro voci miste Pubblicato nella raccolta “Sì, sì, Trieste” di canti giuliani per coro a voci miste o virili Edizioni Zanibon, Padova

4. “E1 porto franco” per coro a quattro voci miste

I testi delle canzoni sono tratti dal Documentario triestino “Vosi de Trieste pasada” curato da Alberto Catalan. 48

MUSICHE DI SCENA

1. “La leggenda di ognuno” di H. von Hoffmansthal aprile 1958 Teatro Nuovo di Trieste 2. “La Cagnette” di E. Labiche gennaio/febbraio 1960 Teatro Nuovo di Trieste 3. “Liliom” di F. Molnar marzo/aprile 1960 Teatro Nuovo di Trieste 4. “Ivanov” di A.P. Cechov febbraio 1969 Teatro Auditorium di Trieste 5. “Avvenimento nella città di Goga” di S. Grum gennaio 1972 Politeama Rossetti di Trieste

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BIBLIOGRAFIA BUDIGNA Luciano, Nota introduttiva ai “Cartoni animati" di Mario Bugamelli, in Pro­ gramma di sala per i “Cartoni animati”, Trieste, 1948. BUGAMELLI Mario, La Fontana da un racconto al libretto, alla partitura, in Programma di sala per “La Fontana”, Trieste, 1971. CHALUPT René, Gershwin, Milano, Edizioni Accademia, 1978. GORI Gianni, Viozzi, de Banfield, Bugamelli tre voci del teatro musicale contemporaneo, in Programma di sala per “Una domenica”, Trieste, 1967. HERMET Guido, La vita musicale a Trieste 1801-1944, Trieste, Tip. Smolars, 1947. LEVI Vito, La vita musicale a Trieste Cronache di un cinquantenario: 1918-1968, Trieste, La Editoriale Libraria S.p.A, 1968. LEVI V, BOTTERI G., BREMINI I. (a cura dì), Il Comunale di Trieste, Udine, Ed. Del Bianco 1961. TREZZINI Lamberto (a cura di), Due secoli di vita musicale. Storia del Teatro Comunale di Bologna, Bologna, Ediz. Alfa, 1966 - Voi 1° - Lionello Levi, Profilo storico; voi 2° Sergio Paganelli, Repertorio critico degli spettacoli e delle esecuzioni musicali dal 1763 al 1966. VINAY Gianfranco, La musica americana, in Storia della musica, voi 10°, parte prima, Torino, Ediz. EDT, 1978 (seconda ristampa 1982).

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INDICE

Presentazione (Gianni Gori) ............................................................... pag. 3 Scheda Biografica................................................... Il protagonista “eccentrico” della Trieste musicale dagli anni ’30 agli anni ’70 .................................................................................

Quarantanni di musica........................................................................

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Rassegna critica

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Catalogo

» 44

Bibliografia

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Finito di stampare nel mese di ottobre 1988 presso la Litografia Designgraf - Udine

Litografia DESIGNGRAF ine - Udine

Stampato tn Italia • Printed in Italy • Imprimé en Italie - 1988