Maria Zambrano. La passione della figlia 8820741253, 9788820741259

Il libro analizza il pensiero di Maria Zambrano alla luce di tre nuclei tematici fondamentali: l'idea della filosof

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Italian Pages 160 [152] Year 2007

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Maria Zambrano. La passione della figlia
 8820741253, 9788820741259

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PROFILI

Teoria & Oggetti della Filosofia Collana diretta da Roberto Esposito 62

Wanda Tommasi

Maria Zari1brar1o. La passior1e della figlia

Liguori Editore

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2007

by Liguori Editore, S.r.l.

Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Ottobre 2007 Tommo.si,

Wanda :

Maria Zambrano. La passione della jiglia/Wanda Tommasi Napoli : Liguori, 2007 ISBN-13

978 - 88 - 207 - 4172 -

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l. Filosofia del '900 2. Differenza femminile I. Titolo

Aggiornamenti: 15

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Indice

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Introduzione

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Capitolo I

Filosofia, cosa esclusivamente in atto e pratica 17; 1 . 1 . Una filosofia che trasforma la vita: Simone \'Ve il e Maria Zambrano 1 7; l. 2 . L'attaccamento matemo al concreto 2 6 ; 1 . 3 . Il dono della malattia e dell'esilio: il riscatto della passività 34; 1 .4. La vita in crisi 43 .

51

Capitolo II

Fra cielo e inferi 2 . 1 . L'uomo e il divino 5 1 ; 2 . 2 . La passione della figlia 6 1 ; 2 . 3 . Una filosofia mistica 7 2 ; 2 .4. Non c'è infemo che non sia il viscere di qualche cielo 82.

93

Capitolo III

l\1aria Zambrano e il pensiero della differenza sessuale 3 . 1 . D onne 93; 3 . 2 . In fedeltà alla diffe renza femminile : Nina, Eloisa, D iotima 1 04; 3 . 3 . Un pensiero della nascita 1 1 8; 3 .4. Un logos in sintonia con il sentire femminile 1 24.

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Bibliografia

A mio nipote Alessandro

Introduzione*

1\;laria Zambrano nacque a Vélez-lVIalaga, in Andalusia, il 22 aprile 1 904, figlia di Araceli Alarc6n Delgado e di Blas José Zambrano Garda de Ca­ rabante. Nella sua infanzia, caratterizzata dallo spostamento dei genitori, entrambi insegnanti, a Segovia nel 1 909, si avverte la duplice eredità, pa­ tema e materna, così come l'autrice la ricorda in Delirio e destino. Il padre, che �-faria considerò maestro e guida, la iniziò alla filosofia, le insegnò la presa di distanza dalle cose che consente di guardarle alla luce del pensie­ ro. 1 L'eredità materna, che si fa sentire soprattutto nella filosofia matura di Zambrano, consiste invece nel dono della preveggenza e nel saper parlare per ispirazione. 2 Da bambina, come l'autrice stessa ricorda in Quasi un 'autobiografia, �1aria coltivò vari desideri riguardo al proprio futuro, tutti in qualche modo, al momento, apparentemente irrealizzabili e tutti, in un certo senso, realizzati in seguito: desiderava essere una scatola armonica - desiderio la cui impos­ sibilità evidente si tradusse poi, nel pensiero di Zambrano, nella ricerca di una filosofia ritmica, musicale, aderente alle discontinuità della vita. Voleva poi essere un cavaliere templare, cosa altrettanto impossibile perché era una donna, e alla sua condizione femminile lei non voleva rinunciare in nessun modo. Ancora, voleva essere una sentinella nella notte, e anche questo era impossibile perché, come le diceva il padre, una donna non può essere un soldato né una sentinella: tuttavia, anche a questo desiderio infantile in qualche modo più tardi terrà fede, nell'assumersi la propria responsabilità di fronte alle circostanze e nel prendere posizione rispetto ad esse. Infme, voleva fare filosofia. 3 Quest'ultimo desiderio in seguito lo rea­ lizzerà davvero, ma, nell'infanzia, esso le sembrava altrettanto irrealizzabile quanto gli altri, dal momento che dalla filosofia, a quel tempo, la teneva lontana il divieto platonico di entrare nel regno della verità senza "conoscere "' Ringrazio di cuore Chiara Zamboni, che la letto la prima stesura di questo libro ed ha avanzato critiche e suggerimenti, di cui ho cercato di tenere conto. 1 Cfr. �Iaria Zambrano, Delirio c destino, tr. it. di Rosella Prezzo e Samantha �·Iarcelli, Raffaello Cortina, Milano 2000, p. 26. 2 Cfr. ivi, pp. 1 1 6- 1 1 7 . 3 Cfr. Maria Zambrano, Qyasi un 'autobiogrcifia, "aut-aut" , n. 2 79, 1 99 7 , pp . 1 26- 1 28 .

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la geometria" 4 : lei non capiva la geometria, ma soprattutto, aggmngtamo noi, era una donna, e la filosofia, per Platone come per tutta la grecità, era cosa da uomini. 5 l\1aria conobbe dunque ben presto, fin da bambina, la contraddizione fra essere una donna ed essere un filosofo. 6 Da tale contraddizione l'autrice uscirà, più avanti, con la "rivelazione" contenuta nel suo nome di battesimo, 1\;laria: ne uscirà con un pensiero filosofico protetto dalla V ergine lVIaria, un pensiero segnato da "un'allegria profonda per il fatto di sentirmi parte­ cipe - come il mio nome mi indicava - di quella condizione di purezza e fecondità, e anche, ahimé, di amarezza" . 7 Nel 192 6 l\-Iaria si trasferisce con la famiglia a Madrid, dove inizia gli studi di filosofia, sotto la guida di José Ortega y Gasset e di J avier Z ubiri. Conosce la tentazione di abbandonare gli studi di filosofia, in quanto avver­ te in sé un'inadeguatezza rispetto alla chiarezza cristallina di una ragione astratta, ma supera per la prima volta la tentazione dell'abbandono della filosofia - una tentazione che le si ripresenterà più volte - grazie a un'im­ magine che le fa intuire il proprio posto nella filosofia: nell'aula universitaria, intravede una "penombra toccata d'allegria", 8 una luce chiaroscurale, vitale, non astratta. In fedeltà a questa immagine, praticherà la filosofia come un dono da ricevere, da accogliere e da rielaborare, piuttosto che come un compito attivo, da assolvere con una ragione "oggettiva" . Impegnata politicamente nei periodici "El liberai" e "La libertad" di l\1adrid, nel 1929 è colpita da una grave malattia, la tubercolosi, che la costringe per circa un anno alla più totale inattività e a una solitudine com­ pleta. È a partire da questa circostanza che, per la prima volta, l'autrice 4

Cfr. ivi, p. 1 2 8. Scrive peraltro �:laria Zambrano in Filosrifia e poesia (tr. it. di Lucio Sessa, a cura di Pina D e Luca, Pendragon, Bologna 1 998), p. 9: "Ha sempre saputo che filosofia, lei, non avrebbe mai potuto farla, e non per il fatto di essere donna" . Ques'affermazione sembra contraddire quanto affermo qui, ma ritengo che il passo appena citato vada interpretato invece in questo senso: l'accento cade sulfarla, la filosofia, dal momento che per Zambrano si tratta piuttosto di patir/a, o di riceverla come un dono, come una rivelazione - e con questo io penso, a dif­ ferenza di Zambrano, che l'essere donna in realtà c'entri, come mostrerò meglio più avanti. In ogni caso, si tratta di una posizione di recettività, per cui la filosofia va accolta, ricevuta, non "fatta" , come se si trattasse di costruire qualcosa. 6 Su tale contraddizione, s'intenoga Elena Laurenzi, Afaria ;::ambrano: una «mujerfil6sofo ))' in �:laria Zambrano, AWombra del Dio sconosciuto. Antigone Eloisa Diotima, tr. it. a cura di Elena ) ) Laurenzi, Pratiche, �:lilano 1 99 7 , pp. 7-59. 7 ��- Zambrano, Qyasi un )autobiogrqfia, cit., p. 1 2 7 . 8 Cfr. �:laria Zambrano, Verso un sapere deWanima, tr . it. di Eliana Nobili, a cura di Rosella Prezzo, Raffaello Cortina, �:lilano 1 996, p. 4. 5

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INTRODUZIONE

elabora il tema del desnacer, concepito come un addentrarsi nelle profondità del proprio essere per attingervi nuove energie e nuova speranza, e per poter rinascere secondo se stessa, portando a compimento l'evento incompiuto della propria nascita. 9 La ripresa degli studi di filosofia e il ritorno alla vita dopo la malattia coincidono, nella biografia di Zambrano, con il risveglio della Spagna alla politica e con il fervore di rinnovamento che accompagnano la nascita della repubblica: lVIaria vi partecipa attivamente, nella convinzione che "vivere è convivere", "vivere con i più grandi, con i pari, con gli analfabeti, con i . · con gl"1 opera1, . I O conta dnu, Si assume la propria responsabilità di fronte alle circostanze, ma, pur lottando attivamente per la causa repubblicana fin dall'inizio della guerra civile spagnola, non entra in alcun partito né assume alcun incarico nella politica istituzionale. 1 1 Nell936, all'inizio della guerra civile, :1_\vlaria Zambrano, che, poco tem­ po prima, aveva accompagnato il marito, diplomatico, a Cuba, rientrò con lui in Spagna per difendere la causa repubblicana: vi incontrò, di sfuggita, Si­ mone v\Teil, in divisa da miliziana, impegnata nella lotta antifranchista. 12 Ben presto le cose volsero al peggio per i repubblicani: nel gennaio del 1 939 iniziò così per :1_\vlaria Zambrano il lungo esilio, durato quarantacinque anni, che la vide errare da Parigi a New York, da L'Avana a Porto Rico, da Roma alla Svizzera, con la sola compagnia della sorella Araceli, divenuta pazza dopo l'uccisione del marito da parte dei franchisti e dopo le torture da lei stessa subite dalla Gestapo. Furono anni di ristrettezze economiche, di povertà, ma anche di intensi incontri intellettuali, come quelli con Cristina Campo, Elémire Zolla ed Elena Croce a Roma. Alle intense amicizie del periodo romano, seguirono gli anni di solitudine in Svizzera, a La Pièce prima e a Ginevra poi. Solamente nel 1 984 1'Iaria Zambrano fece ritorno in Spagna, dove nel 1 988 le venne conferito il premio Cervantes e dove, negli ultimi anni di vita, poté finalmente godere di una certa tranquillità economica grazie al sussidio della Fondazione che porta il suo nome. Qui, nella sua amata Spagna, morì il 6 febbraio 1 99 1 . .

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1

Cfr.

1\: L

Zambrano, Delirio c destino, cit . , pp. 1 1 5 ss.

0Jvi, p. 4 7 .

1 1 Zambrano collaborò attivamente alla Federazione Scolastica Universitaria, mentre rifiutò un seggio, offertole dal Partito Socialista, nel momento della costituzione della Repubblica. 1 2 Questo incontro è ricordato da Zambrano in una lettera ad Augustin Andreu: cfr. l\Iaria Zambrano, Lettera ad A. Andreu, La Pièce, 15 novembre 1 9 74, in Ead., Cartas de la Piècc. Concspondcncia con Augustin Andrcu , a cura di Augustin Andreu, Pre-textos/Universidad Politécnica de Valencia, Valencia 2002, pp. 1 2 8- 1 29.

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:�vlaria Zambrano visse, come altre pensatrici del Novecento - valgano come esempi Simone Weil e Etty Hillesum - nell'epoca buia delle due guerre mondiali e dei totalitarismi. Come ha scritto Giancarlo Gaeta, sono state soprattutto alcune intellettuali donne a dare prova, in quelle terribili circostanze, di una lucidità di pensiero ammirevole, dovuta proprio alla loro assoluta non compromissione col potere e coi suoi meccanismi. Gaeta addita come esempi Virginia Woolf, Simone vVeil ed Etty Hillesum, e inol­ tre Hannah Arendt, Elsa :�dorante, 1.1arguerite Y ourcenar e Anna lVIaria Ortese. 1 3 A questo breve ma significativo elenco, va aggiunta senz'altro 1\;laria Zambrano. L'autrice andalusa diede prova di una rigorosa coerenza fra fùosofia e vita o, per meglio dire, di un pensiero innervato in una pratica esistenziale radicale, come attesta ad esempio la scelta della povertà - prezzo pagato pur di non piegarsi ad alcun compromesso con il potere e pur di non venir mai meno all'impegno antifranchista. Il lungo esilio è indubbiamente l'esperienza esistenziale più significativa nella vita di Zambrano. L'autrice ne fece tesoro sul piano teoretico, trasfor­ mando l'esilio da lei personalmente vissuto in chiave di lettura dell'intera condizione umana: parlò di una "rivelazione" dell'esilio, la rivelazione di un essere che procede nell'esistenza "al di fuori di sé", 14 senza punti d'ap­ poggio né spaziali né temporali, e vide l'esilio come un'iniziazione, come una perdita d'identità necessaria per la formazione di una dimensione della persona più autentica. Zambrano fa dell'esilio il "luogo privilegiato perché si dia lucidità" 15 e vede nella figura dell'esiliato una possibilità di rivelazione della condizione umana più autentica di quella a cui altri, non toccati da tale esperienza, possono pervenire. Privo di ancoraggio nello spazio, lasciato sul ciglio della strada che altri percorrono, lontano dalla propria città e dalla propria storia, l'esiliato fa un'esperienza iniziatica che gli consente di rivelare, della patria, qualcosa che sfugge a tutti coloro che sono radicati in un luogo: la vulnerabi­ lità e la nudità della condizione umana, ma anche il valore della mediazione, della relazione e del radicamento, il cui senso, presente all'esiliato, sfugge invece a coloro che sono troppo prossimi alle proprie radici. Attraversata dalla lunga esperienza dell'esilio, quella di 1.1aria Zambra­ no fu una vita difficile, segnata da difficoltà economiche, povertà e lutti, ma fu caratterizzata anche da una non compromissione col potere - lo stesso 13 Cfi:. Giancarlo Gaeta, La libertà di pensare le cose come sono, "Lo straniero", n. l, 1 99 7 . 14 Cfr. Maria Zambrano, I beati, tr. it. di Carlo Ferrucci, Feltrinelli, 1\Iilano 1 992, p . 3 3 . 15 Maria Zambrano, Lettera sull'esilio , "aut-aut", n. 2 7 9, 1 99 7 , p. 1 1 .

INTRODUZIONE

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elemento sottolineato da Gaeta a proposito di altre pensatrici contempora­ nee - e da una fedeltà alla "rivelazione" dell'esilio, che le permisero sempre di parlare in fedeltà a sé e con vigile attenzione alle circostanze, dando prova di un'indipendenza di pensiero a cui altri, della sua generazione e di quella precedente, non sempre seppero mantenersi fedeli. Ciononostante, occorre chiedersi che cosa l'autrice spagnola proponga, sul piano propriamente filosofico e teoretico, nel suo impegno di pensatri­ ce, di "sentinella nella notte", 16 per contrastare il totalitarismo e, più in generale, la deriva violenta dell'Occidente, drammaticamente presente nel "secolo breve", segnato dalle due guerre mondiali e dalla Shoah. Sul tema della violenza dell'Occidente, Zambrano riflette in diversi suoi testi, in par­ ticolare nell' Agonia dell'Europa. Qui, Zambrano indica nell'autodivinizza­ zione dell'uomo occidentale, che ha voluto farsi a immagine e somiglianza del Dio creatore, dimenticando di essere creatura e votandosi così a una distruttività aggressiva, la fonte principale della violenza europea e, più in generale, occidentale. 1 7 Zambrano individua nella stessa filosofia una radice violenta e attivi­ stica, che è implicita già nello sradicamento platonico dalla caven1a per volgersi verso la luce, ma che è ancora più evidente nel razionalismo e nel­ l'idealismo moderni, da Cartesio a Hegel. L'autrice, nel contempo, auspica un ritorno alle radici dimenticate della filosofia occidentale, cioè al cammino orfico-pitagorico - che, lei afferma, è affine al suo 18-, un canlffiino che, pur illuminando qualcosa, lascia molto in ombra e non pretende di esporre tutto alla luce violenta del sole. Inoltre, dedica particolare attenzione allo stoicismo, in cui la pratica della passività, del tutto trascurata dall'attivismo occidentale, ha una parte così importante. Di fondo, dal punto di vista teoretico, :1_\vlaria Zambrano cerca di tra­ sformare il logos occidentale, depurandolo dai suoi elementi di attivismo, di aggressività e di violenza, e inserendovi degli atteggiamenti di recettività, di misericordia e di pietà. Come vedremo meglio più avanti, Zambrano, in fondo, cerca di "femminilizzare" un logos troppo vincolato all'avventura maschile di libertà - attiva, prometeica e dimentica delle proprie radici. Sicuramente, si tratta di una proposta alternativa rispetto alla linea 16

Cfr. M. Zambrano, Quasi un'autobiografia, cit. , p. 1 2 7 . Cfr. 1\:[aria Zambrano, L'agonia dell'Europa, tr. it. a cura di Claudia Razza, :Marsilio, Venezia 1 999, pp. 49-69 . 1 8 Cfr. �Iaria Zambrano, Dell'aurora, tr. it. a cura di Elena Laurenzi, 1\1arietti, Genova 2000, p. 1 45 : "ll cammino che io ho seguito [ . . . ] non a torto può essere definito un cam­ mino orfico-pitagorico". 17

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dominante del pensiero - maschile - occidentale, una proposta in cui Zam­ brano profuse tutte le sue energie di donna e di filosofa. E tuttavia, per contrastare le tenebre, i tempi bui in cui visse, Zambra­ no, scondo alcune interpretazioni, che io però non condivido, non avrebbe potuto fare a meno di enfatizzare un sentire positivo: lo dimostrerebbero la sua insistenza sui temi della misericordia e della pietà, a cui occorrerebbe ridare diritto di cittadinanza in fùosofia, e la sua enfasi sul tema della speran­ za, che sarebbe necessario far risuonare proprio quando la vita è in crisi. Non si tratterebbe comunque di un facile appello ai sentimenti positivi per contrastare l'avanzata del male, la violenza della storia e dell'epoca. È vero infatti che 1\-faria Zambrano afferma altrettanto risolutamente la necessità di addentrarsi nelle viscere della storia e della persona umana, di interrogare ciò che rimane nascosto, di sostare nelle cavità buie, nelle tombe e negli inferi, per sciogliere i nodi aggrovigliati fin da prima della propria nascita, di scrutare, dalla luce incerta e ancora framrnista al buio dell'aurora, le tenebre della notte, che si vanno dissipando. Tuttavia, secondo tali interpretazioni, Zambrano avrebbe fatto solo in parte il lavoro del negativo: per contrastare l'avanzata delle tenebre nei tempi bui delle due guerre mondiali e dei totalitarismi, avrebbe puntato soprattutto sul positivo, su un "sapere dell'anima" fatto sì di chiaroscuri, ma soprattutto di recettività attenta, di partecipe accettazione dell'essere, di pietà e di speranza. C 'è una sapienza femminile in questo. Qualcosa di sirnile riecheggia nel­ le parole di Etty Hillesum, quando, di fronte all'orrore della Shoah nel campo di vVesterbork, scrive: "A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato ir1 noi stessi" . 1 9 Al male della storia, che rischia di avvelenarci dentro - osserva Hillesum, con grande sapienza femminile -, occorre opporre un di più di positività, "un pezzetto di bontà" riconquistato in se stessi, salvato dal naufragio dei sentimenti negativi dell'odio, del rancore e del risentirnento . Come dicevo, c'è una profonda sapienza esistenziale di origine fem­ minile in questo, così come nelle pratiche che lasciano decadere il male fuori di sé, tenendolo a distanza, e che puntano sul positivo che si riesce a riguadagnare a partire da sé. 20 Non è un caso, ir1fatti, che alcune pen19

Etty Hillesum, Lettere 1 942-1943, tr. it. a cura di Chiara PassarJti, Adelphi, lVIilarJo 1 990, p. 8 7 . 2 0 In questa direzione va l'interrogazione di pratiche femminili, che tendono a far decadere il male fuori di sé, da parte di Annarosa Buttarelli, Afaledire1 pregare non domandare, in D iotima, ) La magica forza del negativo, Liguori, N apoli 2005, pp. 35-5 1 . Benché tali pratiche non siarJo prive di una certa efficacia, tuttavia non concordo con tale interpretazione, che sottolinea il

INTRODUZIONE

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satrici, legate al pensiero della differenza e attente alle pratiche di donne nei diversi contesti - lavorativi, sociali e politici -, si siano orientate a loro volta a sottolineare i sentimenti positivi di cui Zambrano, per molti versi, si fa effettivamente portavoce e paladina: mi riferisco soprattutto alle inter­ pretazioni di Buttarelli2 1 e lVIortari, 22 che restituiscono l'immagine di una "filosofa innamorata", volta a coltivare un sentire positivo, fatto di recettività e di attenzione all'altro da sé. Al contrario, altre intrepreti di Zambrano, più sensibili alle zone buie che l'autrice andalusa intende illuminare sì, ma con una luce sempre aurora­ le e chiaroscurale - ad esempio Boella, 2 3 Prezzo, 24 De lVIonticelli25 - hanno valorizzato anche la discesa zambraniana agli inferi, il suo scrutare nelle caverne buie dell'essere e della persona. Per quanto mi riguarda, mi sento maggiormente in sintonia con queste ultime interpretazioni, ed è in questa direzione che intendo muovermi. Nella convinzione - che, in questo caso, condivido sì pienamente con Zambrano - che le viscere diventino tanto più risentite quanto meno le si ascolta e le si esplora. Del resto, come vedremo meglio più avanti, se per Zambrano c'è un compito specificamente femminile - forse, la missione di un dio femminile 2 6 -, questo consiste proprio nella capacità di sapersi addentrare negli inferi, per rendere possibile proprio da lì, dal buio del ventre della terra-madre, l'aurora della coscienza. valore di questa linea di condotta, perché ritengo che sia impossibile non farsi contaminare dal male con cui si viene a contatto (ci si contamina soprattutto nel "maledire"), e credo quindi che occorra fare, in ogni caso, il lavoro del negativo. 2 1 Cfr. Annarosa Buttarelli, [Jnafilosqfa innamorata. Afaria ,{ambmno e i suoi insegnamenti, Bruno l\Iondadori, l\Iilano 2004. 22 Cfr. Luigina l\{ortari, [fn metodo a-metodico. La pratica della ricerca in .Alaria ,{ambmno, Liguori, Napoli 2006. Attribuisce a Zambrano "la volontà di opporsi al fatto che la filosofia si significa solo dolorosamente" anche Rosa Rius Gatell, Dell'allegria e del dolore in k!aria ,{ambmno, in A.A . \lV., La passività. Un tema filosofico-politico in Afaria ,{pmbrano, a cura di Annarosa Buttarelli, Bruno Mondadori, l\Iilano 2006, pp. 83-84. 2 3 Cfr. Laura Boella, Cuori pensanti. Hannah Arendt, Simone H·èil, Edith Stein, .Alarla ,{pmbrano, Tre lune, Mantova 1 998, pp. 65-92, ed Ead. , k!aria :(ambmno. Dalla storia tragica alla storia etica. Autobiografia, conflssione, sapere dell'anima, Cuem, l\1Iilano 200 l. 24 Cfr. Rosella Prezzo, Aprendo glì occhi al pensiero, "aut-aut", n. 2 79 , 1 99 7 , pp. 39-54, ed Ead. , Pensare in un'altra luce. L'opera aperta di J\1aria :(ambrano, Raffaello Cortina, l\{ilano 2006. 2 5 Cfr. Roberta D e l\Ionticelli, La fenomenologia dell'anima smarrita, "aut-aut" , n. 2 7 9, 1 99 7 , pp. 1 0 1 - 1 1 5 . 26 Cfr. l\Iaria Zambrano, L'uomo e il divino, tr. it. di Giovanni Ferraro, introduzione di Vincenzo Vitiello, Edizioni Lavoro, Roma 200 l, pp. 325-33 2 : qui, il riferimento alla passione della figlia avviene in relazione a Proserpina. .

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La lettura che in questo mio testo propongo non intende affatto esau­ rire e neppure esplorare interamente la complessità della vastissima e po­ lifonica produzione zambraniana: intende solo offrire delle piste di lettura, dei percorsi praticabili all'interno di un pensiero per molti versi oscuro ed enigmatico. L'autrice infatti lavora spesso a partire da delle immagini: si tratta naturalmente di immagini che veicolano un sapere, ma è un sapere spesso arduo da decifrare. Ne risulta uno stile di pensiero e di scrittura che invita alla lettura sa­ pienziale, alla meditazione di alcune immagini innamoranti come guide per la propria vita, piuttosto che all'acquisizione di concetti puramente razionali. Zambrano procede per suggestioni, attraverso immagini e metafore, pur non rinunciando all'argomentazione razionale: mette in gioco un logos incarnato in immagini viventi, caratterizzate per lo più da uno spessore corporeo . Inoltre, l'autrice lavora cumulativamente: aggiunge, ai percorsi da lei stessa già tracciati, altre piste, altre immagini e metafore. Non toglie nulla, non opera tagli, lavora sull'aggiungere, sul sommare, sull'accumulare. Ne risultano spesso, fra i diversi testi o fra le varianti di uno stesso testo, oscil­ lazioni rilevanti, versioni diverse o addirittura opposte. Il motivo di ciò è nel metodo seguito dall'autrice, un metodo che si potrebbe definire, in senso lato, fenomenologicoY si tratta di fornire man mano l'immagine dell'og­ getto, o del problema, così come noi lo vediamo girandogli intorno, da un punto di vista via via diverso. Se ne possono così offrire profili o proiezioni differenti, a seconda del luogo di osservazione in cui ci si colloca. Porto due soli casi, a titolo esemplificativo: la nostalgia del paradiso - la creatura si risveglia quaggiù sentendo di essere "caduta" rispetto a una patria preesistente -, leit motiv ricorrente nei testi zambraniani, compare per lo più come un sentire che l'autrice sembra condividere e approvare; 28 al contrario, ne L'uomo e il divino la nostalgia del paradiso è connotata negati­ vamente, come un sentimento che sostiene il bisogno di utopia, il violento e aggressivo tentativo di stravolgere la storia, conformandola all'immagine illusoria del paradiso perduto. 2 9 Un altro esempio è la valutazione di Agostino, filosofo rispetto a cui Zambrano mostra una notevole ambivalenza: mentre questo Padre del27

L'uso, da parte di Zambrano, di un metotodo, in senso lato, fenomenologico, è sottoli­ neato, fra gli altri, da R. Prezzo, Pensare in un )altra luce, cit. , p. 2 2 . Ciò non significa tuttavia un'adesione di Zambrano alla fenomenologia di Husserl, come l'autrice precisa nella sua indagine sul sogno: di". �Iaria Zambrano, Il sogno creatore, tr. it. di Vittoria l\1art:inetto, a cura di Claudia Marseguena, Bruno Mondadori, �Iilano 2002 , p. 9. 28 Cfr. ad es. l\:L Zambrano, I beati, cit . , p. 42. 29 Cfr. M. Zambrano, L )uomo e il divino, cit., pp. 280-290 .

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la Chiesa è visto positivamente e additato come modello di un'autentica confessione ne La conjèssione come genere letterario, 30 invece lo stesso autore è stigmatizzato come una delle fonti filosofiche della violenza occidentale ne L'agonia dell'Europa, 31 in cui gli viene imputato di essere all'origine dell'atteg­ giamento prometeico dell'uomo occidentale, nella sua pretesa di imitare il Dio creatore e di votarsi ad un'azione rivoluzionaria, affrettata e distruttrice. Ora, Zambrano, avanzando diverse o addirittura opposte versioni di uno stesso tema, non rettifica né smentisce, ma, semplicemente, aggiunge, a una versione, un'altra differente o addirittura contraria: l'immagine dell'ogget­ to muta, a seconda del punto di osservazione da cui l'autrice si dispone a guardarlo. Le piste di lettura che intendo tracciare all'interno della vasta e multi­ forme produzione zambraniana sono sostanzialmente tre. In primo luogo, mi ha particolarmente interessato la concezione, che si può ricavare da molti testi di Zambrano, della filosofia come "cosa esclusivamente in atto e pratica" 3 2 - l'espressione è di Simone Weil, ma si applica altrettanto bene al pensiero dell'autrice andalusa. Si tratta di una concezione della filosofia come pratica di trasformazione di sé e del lettore-interlocutore, che Zambrano articola soprattutto nei suoi saggi sui generi letterari della confessione e della guida e in quelli sulle esigen­ ze e sui bisogni della vita in crisi, e che infine pratica lei stessa originalmente attraverso le sue immagini innamoranti, anch'esse, a loro modo, concepite come "guide" per una pratica di modificazione esistenziale del lettore. È questo un tema di attualità, per l'attenzione che oggi viene rivolta sempre più frequentemente al tema delle pratiche filosofiche, degli esercizi spirituali e della cura di sé, in connessione alla nascita della "consulenza filosofica" . 3 3 Vorrei segnalare anche che il tema delle pratiche, che comportano una modificazione di sé e della propria relazione con gli altri, ha una notevole rilevanza all'interno del pensiero femminile: valgano come esempi Simone Weil, di cui ho già ricordato la felice definizione della filosofia come "cosa 3°

Cfr. lV(aria Zambrano, La corifessione come genere letterario, tr. it. di Eliana Nobili, introdu­ zione di Carlo Ferrucci, Bruno l\Iondadori, lVIilano 1 99 7 . 3 1 Cfr. M . Zambrano, L'agonia dell'Europa, cit . , pp. 56-58. 3 2 Simone \\Teil, Qy.aderni, vol. IV, tr. it. a cura di Giancarlo Gaeta, Adelphi, :Milano 1 993, p . 396. 33 Fra i molti testi usciti recentemente su questo argomento, ricordo solo quello che mi sembra uno dei più validi: Pier Aldo Rovatti, La jilosrifia può curare?, Raffaello Cortina, 1\Ii­ lano 2006 .

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esclusivamente in atto e pratica", e Etty Hille sum, il cui pensiero, come quello

di Weil, è nutrito da pratiche esistenziali profondamente radicate nella sua vita e interrogate filosoficamente. 3 4 Non solo ai tempi di Weil e Hillesum ma anche oggi, c'è un segno fem­ minile nell'attenzione alle pratiche come concreto radicamento e banco di prova del proprio pensiero: ne rende ampiamente testimonianza il pensiero della differenza sessuale, nel cui orizzonte anch'io mi colloco, la cui trama più persistente è costituita proprio da un continuo andirivieni fra pratica e teoria, alla ricerca di un sapere di esperienza, che sappia interrogare la vivente esperienza di essere donna. 3 5 Il secondo nucleo tematico a cui ho rivolto la mia attenzione, all'in­ temo dell'opera di Zambrano, è la riflessione sulla donna e il divino: come è noto, una delle opere più importanti dell'autrice andalusa s'intitola L'uo­ mo e il divino. Benché questo titolo dunque, apparentemente, vada in una direzione diversa da quella che a me sta a cuore - la donna e il divino -, tuttavia l'autrice offre diversi spunti interessanti proprio nella direzione che mi interessa. lnnanzitutto, lei è una donna che s'interroga sul rapporto dell'essere umano col divino: e lo fa con la libertà di chi non si lascia confinare in una confessione religiosa determinata - benché il suo radicamento nella tradizione cristiana, anzi cattolica, della sua terra di Spagna sia facilmente riconoscibile. In secondo luogo, Zambrano s'interroga, in diversi suoi testi, su un divino femminile, e suggerisce che si dovrebbe aggiungere, al tema cristiano della passione del Figlio, quello della passione della.figlia : ne sono figure, ri­ spettivamente nella religione e nella tragedia greca, Proserpina 36 e Antigone. Su quest'ultima, Zambrano si è più volte interrogata, vedendo lo specifico del divino femminile, del patire della figlia, in un sacrificio non cruento ma simbolico, che consiste sostanzialmente nella discesa agli inferi, in una ca­ verna o in una tomba, al fme di riscattare quanto lì giace inesplorato e che tuttavia è necessario per la piena germinazione terrestre e umana. 3 7 34

Sul pensiero e le pratiche di Etty Hille sum, rimando al mio Et{l' Hillesum. L'intellìgen;::a del cuore, 1\:lessaggero, Padova 2002 . 35 Fra gli ormai numerosi testi di D iotima, quello esplicitamente dedicato a questo tema è Il prqfomo del maestra. JVei laboratori della vita quotidiana, Liguori, Napoli 1 999. 3 6 Cfì·. M. Zambrano, L'uomo c il divino, cit . , pp. 325- 3 3 2 . 37 Cfr. in particolare :Maria Zambrano, La tomba di Antigone, in Ead. , La tomba di Antigone. Diotima di 1lfantinca, tr. it. a cura di Carlo Ferrucci, con un saggio di Rosella Prezzo, La tartaruga, Milano 1 995, pp. 39- 1 2 7 .

INTRODUZIONE

II

La ricerca di Zambrano intorno alla "passione della figlia" e, più in generale, intorno al divino femminile è particolarmente significativa, perché offre dei modelli simbolici con cui le donne possono più facilmente identi­ ficarsi, perché non sono più tramandati solo dalla tradizione maschile, ma sono riscritti con mano femminile. Non è un caso che Zambrano si dedichi a riscrivere per suo conto il finale della tragedia Antigone, ne La tomba di Antigone, imputando a Sofocle di aver tramandato una versione "apocrifa" e inat­ tendibile, dal suo punto di vista, del destino della protagonista, culminato, nella versione sofoclea, con la morte cruenta della protagonista, con il suo suicidio. 3 8 Al contrario, per Zambrano, Antigone nella tomba non muore, ma ha a disposizione un tempo in cui può sciogliere, mossa dall'amore e dalla pietà, i nodi aggrovigliati della sua sfortunata stirpe. In terzo e ultimo luogo, il tema del divino coinvolge e ospita al suo interno lo spiccato interesse di Zambrano per la grande letteratura mistica spagnola, da Teresa d'Avila a Giovanni della Croce. 3 9 �1entre risignifica filosoficamente termini di origine religiosa e teologica, come speranza, mi­ sericordia e pietà, l'autrice si inoltra spesso e con competenza nel territorio della mistica. Anche qui, mi sembra di poter scorgere un segno della sua differenza femminile: infatti la storia della mistica, a differenza ad esempio di quella della filosofia, non ha mai escluso le donne, ma le ha viste anzi protagoniste. Certo, sulla lettura zambraniana della mistica influì la frequentazione, a Roma, di Elémire Zolla, grande studioso di mistica; 40 vi contribuì anche il fatto che la tradizione di pensiero spagnola, piuttosto povera nel campo della fùosofia sistematica/ 1 di fatto era cominciata, anche sul piano del linguaggio - con la scrittura nello splendido castigliano teresiano - con i grandi mistici del Cinquecento, santa Teresa d'Avila e san Giovanni della Croce appunto . 42 38

Cfr. ivi, p. 43. legame di Zambrano con la grande mistica spagnola, con Giovanni della Croce e Teresa d'Avila, è sottolineato soprattutto da Cristiana D obner, Dalla penombra toccata datral­ lcgria. 1\faria .Zambrano la donnafilosqfo, Edizioni OC D , Roma 2005. 40 lVI. Zambrano riconosce il proprio debito nei confronti di Zolla in Quasi un'autobiogra­ fia, cit . , p. 1 32 . D i quest'ultimo, cfr. Elémire Zolla, I mistici dell'Occidente, Adelphi, Jvfilano 1 99 7 . -t- I Zambrano sottolinea che la cultura spagnola è stata piuttosto povera di sistemi filosofici. Cfr. 1\:laria Zambrano, Pensamiento _y poesia en la vida cspaiìola, Endymion, l\hdrid 1 98 7 , p. 29: "La Spagna non produce sistemi filosofici; fra le nostre meravigliose cattedrali, non ce n'è nessuna di concetti; nel così fonnidabile castello della nostra Castiglia, non ce n'è nessuno di pensieri" . 42 Zambrano dedica molte attenzione ai filosofi che appartengono alla cultura spagnola 3 9 ll

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Che poi Zambrano dedichi maggiore attenzione a Giovanni della Croce che alla maestra di lui, Teresa di Gesù, non smentisce affatto il mio assunto, di un segno della differenza femminile nel sapere mistico. Infatti resta vero, a proposito della mistica, quello che scrive Eckhart, cioè che l'anima, da vergine quale era prima dell'incontro con Dio, deve farsi donna - maschile o femminile che sia il soggetto di tale trasformazione -, per entrare in relazione diretta con Dio, per sperimentare l'unione misticaY C'è un sapere di donne, nella mistica, anche quando il soggetto della ricerca mistica è un uomo. Non a caso, Giovanni della Croce ebbe come maestra Teresa, che lo precedette sulla via mistica così come nella riforma dell'ordine carmelitano. Infme, il terzo tema a cui vorrei rivolgere l'attenzione, in questo mio testo, è un confronto fra Zambrano e il pensiero della differenza sessuale. È un confronto che non appare scontato, ma che trova diversi elementi di legittimazione nei testi dell'autrice andalusa. Zambrano non si è mai definita femminista, e tuttavia ha sottolineato il proprio essere donna: ha sostenuto una posizione femminile, non femmi­ nista. 44 L'autrice ha dimostrato in più occasioni una notevole sensibilità nei confronti della questione delle donne, a cui ha dedicato diversi scritti: dagli articoli giovanili pubblicati nella rubrica "Donne" del gion1ale "El liberal" 45 al saggio Aft!:jeres de Gald6s/6 dall'articolo Eloisa o resistenza della donné7 a quello A proposito de la "Grandeza _y servidumbre de la A-fujer , 48 dagli scritti su Antigone a quelli su Diotima. Si tratta di una vasta riflessione sulla "radicale divergenza fra l'uomo e la donna" /9 vista come un fatto fondamentale all'origine della cultura e "

- fra questi, in particolare, a Seneca -, ma riconosce che è con la mistica di Giovanni della Croce che si iimesta un pensiero filosofico originale in terra di Spagna: cfr. lVIaria Zambrano, San Giovanni della Croce. Dalla notte oscura alla più chiara mistica, ii1 Ead. , La confessione come genere letterario, cit. , pp. 1 09- 1 26 . 43 S u questo passaggio, in Eckhart, dell'anima, da "vergii1 e" a "donna" , s'ii1terroga Luisa l\:luraro, Il Dio delle donne, Mondadori, :Milano 2003, p. 1 59 . 44 Cfr. Rogelio Bianco, ]osé Carlon, Afaria :::._am brano _v la s u pasian por la verdad, intervista a Maria Zambrano, "Leer" , gennaio-febbraio 1 989, p. 20. 45 Cfr. l\:laria Zambrano, Donne, tr. it. a cura di Ilaria Ribaga, prefazione di Silvano Zucal, Morcelliana, Brescia 2006. 46 Cfr. l\1:aria Zambrano, Jfujeres de Gald6s, "Rueca" , 1 942, anno I, n. 4. 47 Cfr. 1\:laria Zambrano, Eloisa o l'esistenza della donna, in Ead. , All'ombra del Dio sconosciuto, cit., pp. 93- 1 20 . 48 Cfr. l\1aria Zambrano, A proposito de la "Grande:;:a J' servidumbre de la J.Uujer'', "Sur", n. 1 50, aprile 1 94 7 , ora ii1 "Aurora" , 1 999, n. l , pp. 1 43- 1 48. 49 l\1. Zambrano, All'ombra del Dio sconosciuto, cit., p. 64.

INTRODUZIONE

della civiltà. Questa "radicale divergenza" fra l'uomo e la donna può essere interpretata come l'agire storico della differenza sessuale. Tuttavia, quella che a prima vista sembra una prossimità con il pensiero della differenza contemporaneo si traduce subito in una divergenza notevole. A proposito dell'essere donna/uomo, Zambrano assume infatti una posizione che io non condivido e che è incompatibile con il pensiero della differenza sessuale: l'autrice fa della differenza di essere uomo/donna non una semplice que­ stione antropologica, ma una questione 011tologica, attribuendo alle nature, rispettivamente maschile e femminile, diverse aspirazioni, inclinazioni, desi­ deri, che definiscono diversamente l'essenza dei due soggetti - uomo e donna. Zambrano pone così le basi di una metafisica della differenza dei sessi, che non esita a definire qualità e caratteri - essenze - dell'uno e dell'altro . Di una metafisica della differenza dei sessi, Zambrano offre delle trac­ ce già in Verso un sapere dell'anima, in cui, sulla scia di Scheler, di Ortega e di Jung, delinea i tratti delle due diverse essenze, maschile e femminile, 5° per poi riaffiorare qua e là, soprattutto negli scritti dedicati esplicitamente alla condizione della donna o a figure femminili come Antigone, Eloisa o Diotima. Dunque, potremmo oggi, quando onnai il pensiero della differenza sessuale ha assunto un posto di rilievo nell'ambito della fùosofia contem­ poranea, considerare Zambrano una sua pioniera o addirittura una sua esponente? Le interpretazioni di Elena Laurenzi e di Annarosa Buttarelli sembrano andare in questa direzione. La mia risposta a tale domanda è in­ vece che, se ci sono delle convergenze, ci sono però anche delle divergenze, altrettanto rilevanti, fra il pensiero della differenza sessuale contemporaneo e quello di Zambrano. Tali divergenze si possono sintetizzare fondamentalmente in tre punti. In primo luogo, con la sua metafisica della differenza dei sessi, Zambrano va decisamente in direzione dell'essenzialismo, delinea cioè delle essenze, delle qualità e dei caratteri specificamente maschili o femminili. Più accorto in questo, il pensiero della differenza sessuale contempora­ neo - pur essendo stato, a mio avviso a torto, accusato proprio di essenziali­ smo - si rifiuta di designare delle essenze specifiche dell'essere uomo/donna, e intende piuttosto la differenza sessuale come un significante inesauribile, nelle mani delle donne e degli uomini in carne e ossa. 51 Il pensiero della 5°

Così suggerisce Elena Laurenzi, Il sapere dell'anima. Afaria ,{pmbrano e Ortega )' Gassct, in A.A. VV., Il pensiero di 1\faria Zambrano, a cura di Laura Silvestri, Forum, Udine 2005, pp . 1 1 -2 7 . 5 1 Sulla questione dell'essenzialismo nel pensiero della differenza interviene efficamente,

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differenza non rinchiude cioè la donna - né l'uomo - nella gabbia costrit­ tiva di una definizione normativa. Di fatto, mette al centro non l'essenza metafisica - il femminile o il maschile -, ma le donne e gli uomini reali, nel gioco sempre rinnovato fra le loro aspirazioni e desideri e il complesso tessuto formato da linguaggio, cultura e civiltà. Il secondo punto è strettamente collegato al primo: concentrandosi sul femminile - e sul maschile -, Zambrano scorpora le rispettive essenze dagli esseri concreti che ne sono i portatori e attribuisce così, per esempio, qualità femminili e materne a pensatori maschi. Come già alcune interpreti hanno sottolineato, secondo Zambrano "i caratteri femminili non appartengono unicamente alle donne", ma "possono darsi anche negli uomini": 52 così dimostra, fra gli altri, il caso di Seneca, ritenuto dalla pensatrice andalusa il miglior esempio di "ragione materna", un padre che è anche "madre" , per la sua attitudine a non separarsi dall'esistenza concreta e dai suoi bisogni in nome dell'astrazione dell'idea. 5 3 È questa un'operazione che risulta inaccet­ tabile per il pensiero della differenza sessuale, che, come accennavo poco fa, mette al centro le donne e gli uomini reali e non le loro "essenze", svincolate dalla concreta realtà esistenziale degli esseri umani in carne e ossa. Infme, un terzo elemento che segnala una divergenza fra Zambrano e il pensiero della differenza sessuale è il fatto che l'autrice andalusa, dopo aver costruito una metafisica della differenza dei sessi, auspica, nel Prologo delle Obras Reunidas, un "neutro posto al di là, e non al di qua, della differenza esistente tra uomo e donna" . 54 Quest'annotazione, a proposito di un neutro posto al di là della differenza sessuale, è inaccettabile per il pensiero della differenza contemporaneo, per il quale il radicamento nel fatto di essere donna/uomo è intrascendibile, senza oltrepassamento possibile: si tratta di "abitare" la differenza e di accettarne la parzialità fino in fondo. Non così per �1aria Zambrano, come mostra anche il suo uso insistito del termine "persona" , ad esempio in Persona e democrazia,55 ma un po' in tutta la sua

nella direzione che anche a me interessa, cioè nel senso di respingere risolutamente l'accusa di essenzialismo, lVIaria �filagros Rivera Garretas, �Nominare il mondo alfimminile, tr. it. a cura di Emma Scaramuzza, Editori riuniti, Roma 1 998, pp. 1 55- 1 6 1 . 5 2 Anna M:aria Pezzella, Afaria :(ambrano. Per un sapere poetico della vita, lVIessaggero, Padova 2004, p. 8 3 . 53 Cfr. �:Iaria Zambrano, Scneca, tr. it. a cura di Claudia lVIarseguerra, Bruno :Mondadori, �·filano 1 998, p. 34. 54 Maria Zambrano, A Afodo de P16logo, in Ead . , Obras Reunidas, Aguilar, Madrid 1 9 7 1 , p. 1 0. 55 Cfr. �:Iaria Zambrano, Persona e democrazia. La storia sacrijicale, tr. it. di Claudia l'VIarse­ guerra, Bruno �:Iondadori, l\Iilano 2000.

INTRODUZIONE

opera: infatti, col tennine "persona" si designa un essere umano neutro, che prescinde dalla differenza di essere donna/uomo. Auspicando un "neutro posto al di là della differenza esistente tra uomo e donna", Zambrano esprime forse il suo desiderio di una pacificazione del conflitto fra i sessi, in modo analogo a come Virginia vVoolf immagina un luogo di pace, oltre il conflitto fra i sessi, nella mente androgina dell'artista? 5 6 È una domanda destinata a rimanere senza risposta - troppo esigui sono gli indizi che Zambrano offre -, e a valere tutt'al più come indicazione di un'ipotesi di lettura possibile. N ella prospettiva di un confronto fra Zambrano e il pensiero della dif­ ferenza, ho concentrato la mia attenzione sui temi che sono maggiormente legati alla riflessione zambraniana sull'essere donna. Dopo aver analizza­ to i contributi specifici di Zambrano sul problema della donna, ho preso in esame alcune figure femminili particolarmente significative per l'autrice andalusa: oltre ad Antigone, Nina, protagonista di un romanzo di Gald6s, Eloisa e Diotima. :rvE sono soffermata poi sul tema della nascita: Zambrano articola in modo convincente un pensiero della nascita, molto complesso, secondo cui per tutta l'esistenza agli esseri umani spetta il compito di dare forma alla propria nascita incompiuta, lasciando morire delle parti non vitali di sé e consentendo la rinascita di un sé più autentico. È significativo che, mentre la tradizione filosofica maschile si è interrogata per lo più sul tema della morte, alcune pensatrici contemporanee - Zambrano, ma anche Arendt - abbiano messo al centro della loro riflessione il tema della nascita: 5 7 nel compito, che spetta a ciascun essere umano, di risignificare la nascita, nel proprio percorso esistenziale, si può vedere una forma di ringraziamento, da parte del pensiero, nei confronti del dono della vita che è stato fatto dalla madre. Infme, mi sono interrogata sulla "femminilizzazione" dellogos che Zam­ brano realizza: un'operazione di fondo, di vasta portata, che l'autrice com­ pie, è quella di dare al logos occidentale, troppo compromesso con l'avventura maschile di libertà, un volto femminile e materno. Ne rendono testimo­ nianza i caratteri di passività, recettività e attenzione che Zambrano vuole far risaltare in un logos trasformato secondo un intendimento "materno", di 56 Cfr. Virginia \\Toolf, [Jna stanza tutta per sé, tr. it. di Livio Bacchi vVilcock e J. Rodolfo \Vilcock, con un saggio di �:larisa Bulgheroni, SE, Milano 1 993, pp. 1 1 6- 1 1 7 . 5 7 H a particolannente sottolineato il motivo della nascita, nel pensiero arendtiano, di contro a tanta filosofia della morte nel pensiero maschile, Adriana Cavarero, Dire la nascita, in Diotima, ilfettere al mondo il mondo. Oggetto e oggettività alla luce della dijferenza sessuale, La tar­ taruga, Milano 1 990, pp. 93- 1 2 1 .

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amorevole attenzione alla vita e ai suoi bisogni. È anche un pensiero che dovrebbe essere capace di entrare in relazione con l'altro da sé, con tutto ciò che non è umano, con il difforme, con l'eterogeneo, con ciò che è posto su un altro piano vitale, come segnala ampiamente l'intento zambraniano di reimmettere la pietà nella filosofia. Di fatto, Zambrano vuole insegnare a tutti, uomini e donne, questa diversa ragione. Vuole, con questo, far uscire le donne dalla "viscere della storia" , 58 in cui il dominio patriarcale le aveva confinate, per inserire a pieno titolo il loro contributo teorico nella filosofia dell'Occidente? E ci è riuscita? Non so. La sua proposta filosofica attende ancora una verifica, che sarebbe auspicabile, oltre che sul piano del pensiero, anche e soprattutto su quello delle pratiche. Nelle pratiche di donne legate al pensiero della differenza sessuale - e non solo lì - qualcosa oggi sembra andare in questa direzione, ma sono, per ora, solo timidi segni in controtendenza rispetto a un orienta­ mento dominante che va ancor oggi - anzi, oggi più che mai, in un'epoca in cui il ricorso alla guerra come soluzione dei conflitti è ridiventato dram­ maticamente frequente - nella direzione che, già a suo tempo, Zambrano combatteva.

58

Sulla collocazione da parte di Zambrano delle donne nelle "viscere della storia", cfr. Carmen Revilla, Indicios zambmnianos para una "historia de las entmiias de ha Historia '', "Aurora" , n. l , 1 999, pp. 6- 1 4.

C apitolo I Filosofia, cosa esclusivamente in atto e pratica

1 . 1 . Una filosofia che trasforma la vita: Simone W eil e Maria Zambrano *

In uno dei suoi ultimi O!Jaderni, nel Taccuino di Londra, verso la fine della sua breve vita, Simone Weil scrive: "Filosofia (compresi i problemi della conoscenza) cosa esclusivamente in atto e pratica. Per questo è tanto difficile scrivere al riguardo. Difficile così come un trattato di tennis o di corsa a piedi, ma in misura superiore" . 1 Luisa 1\/Iuraro ha giustamente notato come, in questa definizione della filosofia come "cosa esclusivamente in atto e pratica", vVeil sia debitrice nei confronti della concezione mistica di �Iargherita Porete: in Porete, vVeil trova infatti l'idea della mistica come trasformazione di sé, come "filosofia pratica" , ma non in quanto distinta dalla filosofia teoretica, perché anche i problemi della conoscenza (cioè la filosofia teoretica) sono definiti "cosa in atto e pratica" . 2 Questo rilievo di 1'1uraro è prezioso, ma credo che la concezione della filosofia come trasformazione di sé, come pratica che porta con sé un sapere di tipo sperimentale, un sapere che si modifica esso stesso man mano che noi ci trasformiamo, non venga alla vVeil solo dalla lettura di Porete, che lei legge tardivamente, negli ultimi mesi di vita (fra la fine del 1 942 e il 1 943) . Questa concezione era già presente in Simone vVeil ben prima di leg­ gere Lo specchio delle anime semplici: vVeil è anzi così pronta ad accogliere la suggestione che le viene da Porete perché questa era già preparata in lei "' Questo paragrafo costituisce una rielaborazione e un approfondimento del mio Pensar por ùnrigencs: Simonc Jliéil J' 1\Iaria ;:ambrano, tr. spagnola di Cannen Revilla , "Aurora" , n. 4, 2002 , pp. 74-80. In italiano, questo saggio è in corso di pubblicazione in A.A. VV., La perenne aurora del pensiero, a cura di A1marosa Buttarelli, Cuec, Cagliari 2007 . 1 S . \Veil, O!Jadcmi, vol. IV, cit., p. 396. 2 Cfr. Luisa 1\:luraro, csistcn:::,a della donna, in Ead. , All'ombra del Dio sconosciuto, cit., pp. 93- 1 1 5, in particolare p. 99. 3 2 Cfi:. M . Zambrano, L'uomo c il divino, cit., pp. 1 56- 1 69 . 33 Cfr. ivi, pp. 1 20- 1 36 . 34 Cfr. ivi, pp. 2 7 1 -2 7 9.

6o

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Infme, vorrei fare cenno a due sent:llne nti contrapposti, che Zambrano defmisce entrambi agenti divini nell'uomo: l'amore e l'invidia. Di entrambi, accomunati dall'essere tutti e due avidità dell'altro, ma un altro con cui si tende a fare uno nell'amore, e un altro che rimane invece ostinatamen­ te altro nell'invidia, 3 5 Zambrano sottolinea che il loro essere agenti divini nell'uomo allude a una dimensione che eccede lo spazio dell'individualità umana per collegare l'uomo alle forze cosmiche, agli dèi, alla natura. Noi moderni abbiamo perduto il senso del legame cosmico che tali sentimenti un tempo possedevano: ad esempio, l'amore, concepito come una passione dal romanticismo e come una pulsione dalla psicanalisi, ha perduto in tal modo il suo spazio vitale, il suo ruolo di agente divino e cosmico, la capacità cioè di collegare divini e mortali - aspetti che le antiche cosmogonie tenevano invece ben presenti. 36 L'invidia è anch'essa un male sacro, che custodisce l'alterità dell'altro, patendola in forma appunto invidiosa. È interessante il fatto che l'autrice spagnola dedichi un certo spazio a questo sentimento "negativo" : infatti, mentre Zambrano in genere viene vista come un'autrice che ha valoriz­ zato il sentire di contro alla ragione astratta, e che, nel fare questo, ha posto l'accento soprattutto sui sentimenti positivi, come pietà, misericordia, speranza -3 7 e lei stessa, in una certa misura, ha voluto presentarsi così -, invece, con l'invidia, l'autrice mostra di sapersi addentrare anche negli inferi dell'esistenza umana. Secondo quello che lei stessa afferma, questo potrebbe essere un com­ pito specificamente femminile: fra i significati della passione della figlia, infatti, quello fondamentale è proprio quello di sapersi addentrare negli inferi per consentire la piena germinazione terrestre e umana. Inoltre, come Zambrano precisa, addentrarsi negli inferi è un obbligo per le filosofie della vita contemporanee, mentre non lo era per la filosofia dell'essere antica. 3 8 35

Cfr. ivi, p. 25 7 . Cfr. ivi, pp. 2 35-2 5 2 . 37 Così interpreta a d esempio l'insegnamento di Zambrano L. lVIortari, Un metodo a-meto­ dico, cit., pp. 85- 1 1 4, ricavando dall'autrice spagnola l'indicazione di "coltivare sentimenti amorosi e positivi" per rendere possibile una crescita armoniosa. Sostare sui sentimenti negativi contribuirebbe a far ammalare l'anima: c'è del vero in questo, perché è vero che le tonalità emotive, come già notava Heidegger, si modificano solo quando inteniene una tonalità diversa se non opposta, ma l'enfasi posta solo sui sentimenti positi\i, in Zambrano, mi sembra tradisca l'attenzione che l'autrice andalusa rivolge anche ai sentimenti negati\i, come l'imidia. In realtà, trattando dei diversi sentimenti, positi\i e negativi, Zambrano in­ tende soprattutto abbozzarne una fenomenologia storica, dare un'idea delle trasfonnazioni che tali sentimenti hanno subito nel corso della storia. 38 Cfr. l'vi. Zambrano, L'uomo c il divino, cit., p. 1 58: "Non è consentito eludere l'inferno a 36

FRA CIELO E INFERI

1,1i sembra opportuno sottolineare l'impegno di Zambrano a scendere negli inferi, ad esempio in quelli dell'invidia, perché valorizzare il sentire, come fa Zambrano, non vuoi dire avere attenzione solo per i sentimenti di apertura all'altro, ma anche per le viscere risentite. E le viscere, come sottolinea giu­ stamente l'autrice, sono tanto più risentite quanto più sono inascoltate. 2 . 2 . La p assione della figlia

Come abbiamo già accennato trattando della dea "primaverile" Persefo­ ne, 39 Zambrano aggiunge al tema cristiano della passione del Figlio quello precristiano della passione della figlia: a Persefone spetta il compito di rea­ lizzare, attraverso la sua periodica discesa agli inferi al seguito del suo sposo Plutone, "qualcosa come la purificazione della sostanza infernale, estrarre da essa l'essenza operante perché in una sostanza più pura consegn [i] l'oro del grano, l'oro che vivifica" . 40 Il compito alchemico di passare attraverso l'opera al nero della sostanza infernale per estrarne l'oro della germinazione terrestre fa sì che, nel tema della passione della figlia, si congiungano i tre regni, "il celeste, il terrestre visibile e quello degli inferi invisibili" : 4 1 "E ciò che imm aginiamo costituisca la peculiarità del tempio e dei suoi misteri a Eleusi, è la rivelazione del regno sotterraneo, degli inferi, dove c'è anche qualcosa di divino, e pertanto un tesoro di indispensabile conoscenza per la completa germinazione terrestre e umana" . 42 In un itinerario opposto a quello platonico di uscita dalla caverna, che colloca nello strappo violento dalle tenebre di una cavità buia e nel volger­ si verso la luce del sole l'inizio della filosofia, Zambrano mostra che solo addentrandosi negli inferi di una vita rimasta sepolta viva, perché lasciata dietro di sé, non interrogata, dal percorso ascetico della filosofia, è possi­ bile un autentico trascendere. Persefone, scendendo periodicamente negli inferi, là dove è custodito anche il mistero della madre, che può concepire chi pretende di esplorare la vita umana. In nome dell'Essere era possibile e necessario. lVIa conoscere la vita in nome della vita obbliga a esplorare la sua totalità, a non indietreggiare davanti a niente" . Per questo le diverse filosofie della vita contemporanee - ragione vitale ed esistenzialismo - sono obbligate a scendere negli inferi dell'esistenza umana: fra queste filosofie della vita contemporanee, credo che vada amwverata anche la filosofia di Zambrano, che infatti non si esime dal compito di esplorare gli inferi della vita e del sentire. 39 Cfr. 1\:laria Zambrano, Delirio di Antigone, in Ead., All'ombra del Dio sconosciuto, cit., p. 83. 40 M . Zambrano, Duomo e il divino, cit., p. 329 (interpolazione mia) . 4 1 lvi, p. 330. 42 Ibidem.

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la vita solo nell'oscurità, "soffre la passione della figlia. Quella passione della figlia vergine che la tragedia ci ha trasmesso soprattutto nella figura di Antigone" . 4 3 Anche Antigone dunque, benché, a differenza di Persefone, figlia della madre, sia piuttosto figlia del padre, e per questo imparentata con Atena, 44 incarna la passione della figlia: la sua discesa agli inferi, cifra per Zambra­ no di ogni passione femminile, consiste nel suo essere sotterrata viva, nella tomba, per decreto di Creante. La meditazione di Zambrano sulla figura di Antigone è molto comples­ sa e coinvolge diversi strati di significato. In primo luogo, essa suggerisce un'identificazione dell'eroina della tragedia di Sofocle ora con Zambrano stessa, ora con sua sorella Araceli. 45 Per ciò che riguarda questo primo livello di significato, è opportuno richiamare quanto abbiamo già visto a proposito dell'assimilazione dell'autrice con l'agnello sacrificale, con il Cristo, a causa del suo lungo esilio: rappresentandosi come una vittima sacrificata alla sto­ ria, Zambrano interpreta il proprio esilio come una discesa agli inferi che le concede una rivelazione, frutto del suo patire un sapere di esperienza che ha un sapore iniziatico . A maggior ragione, la sorella Araceli, divenuta pazza in seguito alla morte del marito per mano dei franchisti e dopo le torture da lei stessa subite ad opera della Gestapo, incarna la vittima innocente immolata ad una storia 43

lvi, p. 3 2 7 . 44 Cfr. ivi, p. 328. Cfr. lVIaria Zambrano, Prologo a Senderos. Los intelectuales en el dmma de Espana. La tumba 45 de Antigona, Anthropos, Barcelona 1 986, pp. 7-8: "La tomba di Antigone, opera pubblicata nel 1 96 7 [ . . . ] , risponde al1 'ispirazione di ogni giorno di esilio a Parigi. [ . . . ] Antigone mi parlava con tanta naturalezza che mi ci volle del tempo per riconoscere che era lei, Antigone, quella che mi stava parlando. Ricordo, indelebilmente, le prime parole di lei che mi risuonarono nell'udito: 'nata per l'amore, sono stata divorata dalla pietà' . Non la forzai a dinni il suo nome, ebbi solo la certezza che era lei, Antigone, che presi a considerare come una sorella, e sorella di mia sorella che allora viveva, colei che mi parlava; non direi che fosse la voce del sangue, perché non si tratta di sangue ma di spirito che sceglie e si fa largo attraverso il sangue versato nella storia; fu il destino ineludibile che entrambe portammo." Cfr. inoltre :M. Zambrano, Delirio e destino, cit., p. 25 7 : "L'aveva chiamata Antigone, durante tutto quel tempo in cui il destino le aveva separate, tenendo lontana lei dal luogo della tragedia, mentre sua sorella - Antigone - la affrontava. Cominciò a chiamarla così nella sua angoscia, .Antigone, perché, innocente, sopportava la storia; perché, nata per l'amore, la stava divorando la pietà. Perché non aveva conosciuto altra azione se non quella pietosa, puramente questa, e senza speranza. Sì, lei sentiva di aver \issuto e di vivere la storia nella speranza senza ambizione; mentre la sorella aveva vissuto anche senza speranza, solo per la pietà" . Gli scritti di Zam­ brano su Antigone, usciti a vent'anni di distanza l'uno dall'altro, sono entrambi dedicati, non a caso, alla sorella Araceli.

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cruenta: la stessa pazzia della sorella è ben rappresentata da Zambrano nel Delirio di Antigone, scritto nel 1 948, "nucleo originario del lungo saggio La tomba di Antigone",46 pubblicato nel 1 96 7 . Il "delirio" è una forma di scrittura, inventata dalla stessa Zambrano, attraverso cui l'autrice spagnola dà voce a quei conati di parola, emergenti dalle viscere, che rischiano sempre di rimanere inascoltati dalla ragione: "nata per l'Amore" e divorata dalla pie­ tà, 47 Antigone-Araceli, nel suo delirio, dà voce alle "viscere che gemono", 48 comincia cioè a decifrare, in termini affettivi ed emotivi più che razionali, il senso del proprio sacrificio. Questo primo livello di significato rimanda indirettamente alla guerra civile spagnola: da questo punto di vista, la riflessione di Zambrano su Antigone è una meditazione sulla guerra di Spagna, che diviene esplicita, come vedremo, soprattutto nel confronto della protagonista con i due fratelli nemici, i quali incarnano due opposte soluzioni politiche. Un secondo strato di significati che si addensano intorno alla rilettura zambraniana del mito di Antigone concerne proprio la discesa dell'eroina greca nella tomba: come è noto, quella di Zambrano non è semplicemente una rilettura della vicenda tragica di Antigone, ma ne è in realtà una ri­ scrittura. Zambrano non accetta il finale della tragedia di Sofocle, il suicidio dell'eroina nella tomba, in cui Creante l'aveva condannata a essere sepolta: "Antigone, in verità, non si suicidò nella sua tomba, come Sofocle, incor­ rendo in un inevitabile errore, ci racconta" . 49 Ritenendo "apocrifa" la versione di Sofocle, Zambrano concede al­ l'eroina un altro tempo, nella tomba, un tempo di vita durante il quale Antigone può dipanare il senso dei fili aggrovigliati della sua nascita e della sua stirpe. Questo secondo strato di significato si concentra dunque proprio sul soggiorno di Antigone nella tomba, sul tempo che le è necessario per comprendere il senso della propria stessa vita di fanciulla - mancata, negata, troncata bruscamente - e quello delle relazioni con gli altri protagonisti della tragedia, dal padre Edipo alla madre Giocasta, dalla sorella Ismene ai due fratelli, morti l'uno per mano dell'altro, fino ad altri personaggi, come la nutrice Anna e l'Arpia, che Zambrano stessa introduce nel proprio testo. Il soggiorno di Antigone nella tomba rivela "la vera e più profonda condizio­ ne" dell'eroina tragica, "essere la giovinetta sacrificata agli 'inferi' sui quali si regge la città. Gli antichi, infatti, non ignoravano che ogni città si regge 46

47 48

49

E. Laurenzi, 1\faria ;:ambrano: una «muJerjil6srifo )), cit., p. 36. Cfi:. M . Zambrano, Delirio di Antigone, cit., p . 88. Ibidem. M. Zambrano, La tomba di Antigone, cit., p. 43 .

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sull'abisso ed è circondata da qualcosa di simile al caos." 50 "Ogni città si reggeva fra questi tre mondi: quello superiore, quello terrestre e quello degli abissi infernali; e la sua salvaguardia richiedeva sacrificio umano [ . . . ] . Il sacrificio di una giovinetta doveva essere un antico rito" . 5 1 Da questo punto di vista, il sacrificio di Antigone rimanda, dopo un primo significativo rinvio a quello di Giovanna d'Arco, "fonna tipica di sacrificio sacro in tutta la sua violenza", 52 a "quella catena di Sante, di gio­ vinette murate vive, che per un tempo che non si esaurisce offrono la loro purezza alla purezza della fede, dell'amore che riscatta e trascende" . 53 La passione della figlia, la sua discesa agli inferi, si rivela qui un compito specificamente femminile, come suggerisce il rimando alle vergini murate, sepolte vive in un convento nel 1\-Iedioevo: il sacrificio di queste giovani donne, di queste vergini, che hanno rinunciato alla loro esistenza di fanciulle, all'amore e alla vita nel mondo, ha consentito loro di fare da mediatrici, dal silenzio delle loro celle conventuali, fra i tre regni - infernale, terrestre e celeste - e ha reso così possibile l'edificazione di un ordine autenticamente umano, perché legato a radici che affondano sotto la terra e che contempo­ raneamente sono protese verso il cielo. In Antigone sepolta viva si compie lo stesso sacrificio della monaca medievale, che, "in virtù della sua natura ideale può partecipare al corso superiore della cultura, alla vita dello spirito" : 5 4 sia Antigone sia la monaca, murata viva in una cella di convento, rinunciano alla fecondità secondo la carne per approdare a una fecondità spirituale, che consente loro di essere mediatrici fra i divini, i mortali e gli inferi. Un terzo livello di significato - altri ne affioreranno via via nella rico­ gnizione della riscrittura zambraniana del mito di Antigone - si può ricavare dall'affermazione di Zambrano secondo cui Antigone sarebbe "una figura dell'aurora della coscienza" : 55 occorre fare molta attenzione per non frain­ tendere il significato di tale affermazione, che, a prima vista, sembrerebbe indicare la nascita della coscienza così come la intendiamo in genere, cioè come consapevolezza razionale. L'aurora della coscienza di cui parla Zam­ brano non è invece tanto la prima timida manifestazione di una coscienza razionale, quanto piuttosto segnala il primo affiorare alla coscienza di una 50 51

lvi, pp. 44-45 . lvi, p. 45 . 5 2 Ibidem. 53 Ibidem. 54 M. Zambrano, Delirio di Antigone, cit., p. 66. 55 1\:l. Zambrano, La tomba di Antigone, cit. , p. 4 7 . Zambrano precisa che la coscienza nascente di Antigone è una coscienza senza io: "In queste 'anime vergini' , viceversa, la coscienza non dipende da alcun io" . (lvi, p. 65) .

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conoscenza ricevuta per rivelazione, ottenuta per la via del sacrificio di sé, per aver patito un sapere di esperienza che si è impresso nella propria carne. In questo senso, è fondamentale il fatto che il centro del mito di Antigone, nell'interpretazione di Zambrano, non sia tanto il gesto trasgressivo della sepoltura riservata al fratello Polinice, quanto piuttosto proprio il soggior­ no nella tomba: soggiorno recettivo, spazio di ascolto e di relazione con gli altri protagonisti della tragedia, che, da vivi, rinserrarono Antigone nei nodi aggrovigliati della sua stirpe e che, da morti, tornano ad attingere alla nascente sapienza di lei. Posta sotto il segno della passività guidata dall'amore, 5 6 quella di Anti­ gone è un'azione sacra più nella lenta gestazione, nella tomba, di un sapere ricevuto per esperienza e per rivelazione, che nel gesto di trasgressione del­ l'editto di Creante per dare sepoltura al fratello. Per Zambrano, Antigone e Socrate sono entrambi figure dell'aurora di una coscienza, guidata da amore nella sua discesa agli inferi, nella sua passione. Infatti, l'accento cade, in entrambi i casi, sul patire, sul fatto che tutti e due sono vittime sacrificali che consentono la trascendenza della storia: l'accento cade sulla morte di Socrate, sul sacrificio di Antigone, sul patire in prima persona lo sforzo di andare oltre, di trascendere. Posta sotto il segno della passione - la passione della figlia -, Antigo­ ne si presenta infine come figura Christi, anticipazione precristiana - con significative assonanze con la lettura di Simone Weil5 7 - del sacrificio del Figlio. Quella di Antigone diventa anzi, nella riscrittura zambraniana, una passione squisitamente femminile, perché Antigone viene sottratta al destino dell'eroina "virile" che osa tener testa a Creante, per ritrovare, nel legame con lsmene, il senso di una sorellanza che, pur nella diversità dei percorsi, non s'incrina né s'interrompe, e, nella relazione con tutti gli altri protagonisti della tragedia, una sapienza mediatrice che fa intravedere, oltre il sanguinoso conflitto tra i fratelli, una terra promessa oltre la storia. Che il sacrificio di Antigone rimandi, secondo Zambrano, a quello del Cristo è evidente da un riferimento al simbolismo della croce, che l'autrice sviluppa a partire un testo di Guénon. 58 Zambrano introduce, a proposito del sacrificio di Antigone, l'immagine di una "croce decussata" : si tratta di una croce in cui i due bracci, i due assi che indicano rispettivamente la 56

Cfr. ìvi, p. 46 . Per la lettura weiliana della figura di Antigone, vista come anticipazione precristiana del sacrificio di Cristo, cfr. Simone \Veil, La Grecia e le intuizioni precristiane, tr. it. di Margherita Harwell Pieracci e Cristina Campo, Boria, Roma 1 984, pp. 1 20- 1 22 . 5 8 Cfr. 1\I . Zambrano, La tomba di Antigone, cit., p. 5 0 : l'autrice rinvia al testo di René Gué­ non, Il Simbolismo della Croce (tr. it. di Pietro Nutrizio, Luni, l\Iilano 2006) . 57

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direzione verso l'alto e quella orizzontale, sono di uguale lunghezza, e che dunque è privata della dimensione della verticalità, della trascendenza. È stata la storia apocrifa a far sì che la passione di Antigone, il suo sacrificio, la sua autentica croce, che indicava sì in origine una direzione di trascen­ denza e aveva un valore profetico e cristologico, fosse degradata a croce decussata, a disposizione dei "servitori della storia apocrifa", che fanno gi­ rare la vittima "a seconda di come tira il vento, secondo le intenzioni e le convenienze di coloro che ne dispongono" . 5 9 Contro le mistificazioni della storia apocrifa, Zambrano si ripropone, con la sua riscrittura del mito, di far brillare nuovamente, in tutta la sua purezza, il valore profetico e cristologico della passione di Antigone. Tuttavia, c'è una differenza fondamentale fra il sacrificio di Antigone e quello del Cristo: essa consiste nel carattere non cruento della passione dell'eroina greca, la quale, secondo la riscrittura zambraniana del mito, non si suicida nella tomba, a differenza che nella versione "apocrifa" di Sofocle, ma converte il proprio soggiorno in essa in una passività attiva e recettiva, in un luogo di gestazione e di rinascita. Prima di addentrarci nel dialogo fra Antigone e gli altri protagonisti della tragedia, in cui propriamente si rivela il suo compito di mediatrice, è necessario ribadire che la prima e fondamentale mediazione che Antigone compie consiste proprio nella sua discesa agli inferi, nella tomba, fra i mor­ ti: non è in gioco solo il fatto che, per Zambrano, ogni andare oltre, ogni autentico trascendere ha come condizione preliminare la discesa nel ventre della terra, nelle viscere, in cavità buie e inesplorate, ma è in questione il fatto che questa discesa, nel caso di Antigone come in ogni vero sacrificio, implica un'immersione nel sacro originario, avviene all'ombra del Dio sconosciuto, andando incontro a un volto sconosciuto di Dio. Infatti, durante il soggion10 di Antigone nella tomba, gli dèi tacciono: Antigone è "abbandonata dagli dèi, [ . . . ] lo è perfino da parte di quell'Atena come lei ragazza, come lei figlia del Padre" . 60 Quest'assenza degli dèi - come, nel sacrificio del Cristo, il silenzio del Padre - segnala che ci si sta avvicinando a un volto ancora sconosciuto di Dio, a una nuova epifania del divino. l\efentre "un errore persistente ha portato l'uomo occidentale, tanto nella tradizione di Giobbe che in quella di Edipo, a credere che per esaltarsi bisogna sradicarsi, distaccarsi dalle proprie viscere" , 6 1 Antigone comprende invece che, per andare oltre, occorre inventrarsi nelle viscere, riscattare la 59 M.

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Zambrano, La tomba di Antigone, cit. , p. 50. lvi, p . 56. M . Zambrano, L'uomo c il divino, cit., p. 35 7 .

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cieca fatalità del labirinto dei legami di sangue, trasformare il destino subìto in una seconda nascita. Il suo compito è questo: "riscattare la fatalità" . 62 Di fronte a tale Ìinpresa, gli dèi si assentano e tacciono, ma, al tempo stesso, appare una nuova epifania del divil10: si annuncia una legge che è più in alto degli dèi e degli uomini, 6 3 una luce promessa oltre la storia. È soprattutto nell'incontro con l'ombra di Giocasta che si rivela un volto del Dio sconosciuto. Giocasta è per Antigone, prÌina di tutto, sua madre, una madre "seppure con la sua macchia", 64 con i suoi errori e le sue colpe, che tuttavia la figlia le perdona, lavandoli con l'acqua fino a discioglierli "a forza di amare il suo oscuro mistero" . 65 In secondo luogo, nell'n1contro con sua madre, ad Antigone è concesso di rivelare un volto del Dio sconosciuto, quello della Grande 11adre, che è profeticamente congiunta, nel testo zam­ braniano, con la figura della Vergine 1\-Iaria. Se, come Zambrano sottolinea ne L'uomo e il divino, la condizione della terra è "la condizione stessa della madre, che soltanto nell'oscurità concepisce il frutto che darà alla luce", 66 in questa prospettiva acquista tutto il suo senso l'affermazione di Antigone di fronte alla madre Giocasta - "Ha viscere di luce la Terra" -, 6 7 corretta poco dopo, con accento profetico, nel dire: "Non è come dicevo prÌina, la 1.1adre non ha viscere di luce, anche se in qualche modo qualcuna dovrà averla" . 6 8 È qui evidente, benché Ìinplicita, un'allusione a Maria, Ìil cui verginità e maternità coesistono, e alla concezione vergil1ale del Logos-luce. Zambrano sembra dunque sottoln1eare qui la contnmità fra le dee-ma­ dri ctonie della mitologia pagana e la figura femminile e materna di lVIaria: la Grande 11adre diventa così una figura che allude al Dio sconosciuto e al suo grembo misericordioso, in cui oscuramente matura quello che nei Beati Zambrano chiamerà "logos embrionario" . 6 9 La Grande 1.1adre è uno dei nomi con cui Antigone allusivamente invoca il Dio sconosciuto e pietoso in nome del quale ha accettato il proprio sacrificio . 62 M. Zambrano, La tomba di Antigone, cit., p. 5 7 . 6 3 Cfr. ibidem: "Antigone, senza macchia, manifesta

invece la legge stessa, la legge sempre nuova, sempre rivelan·ice; la legge sepolta cui tocca essere resuscitata ad opera di qualcuno umanamente senza colpa. È la legge lasciata indietro, caduta in oblio, sepolta, a volte: il perenne principio che è al di là, al di sopra, non solo degli dèi - di quegli dèi - e degli uomini, ma anche dello stesso destino che sembrava invece planare - muto, inconoscibile - sopra di essi" . 64 lvi, p. 9 1 . 6 5 Ibidem. 66 lVI. Zambrano, Duomo e il divino, cit., p. 3 2 7 . 6 7 M . Zambrano, La tomba di Antigone, cit. , p. 9 1 . 68 Ibidem. 69 Cfr. M. Zambrano, I beati, cit., pp. 8 1 - 1 0 1 .

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È proprio in rapporto a questo volto femminile del Dio sconosciuto che Antigone, questa "Persefone senza sposo" / 0 comprende il paradossale mi­ stero di maternità racchiuso nella propria verginità, comprende la fecondità spirituale che la sua opera mediatrice le dischiude: "L'ombra di mia 11adre è entrata dentro di me e io, vergine, ho provato il peso di essere madre. lVIi toccherà andare di ombra in ombra, tutte percorrendole fino a giungere a te, Luce intera" . 7 1 Zambrano, nello stabilire una continuità fra l'archetipo della dea-1.1adre mediterranea e la figura della Vergine, colloca la passione della figlia - An­ tigone - sulla linea di una genealogia femminile di rivelazione del divino: anche nel cristianesimo sarà all'interno di tale genealogia, caratterizzata da una passività recettiva, che si realizzerà maggiormente l'azione fecondatri­ ce dello Spirito, la discesa del Logos-luce, come mostra in modo eloquente proprio l'esempio della Vergine l_\vlaria. 72 Fra le ombre che Antigone incontra nel suo soggiorno nella tomba, vi è poi quella del padre Edipo: nel dialogo fra i due, risaltano due temi. In primo luogo, vi compare un cenno alla differenza sessuale, che vede la don­ na "meno immersa nella storia, [ . . . ] più prossima alla donna originaria" / 3 mentre vede l'uomo, dimentico delle proprie radici, lanciarsi nell'avventu­ ra maschile di libertà. Ad Antigone, donna, spetta non solo il compito di riscattare la fatalità del conflitto tragico, ma anche quello di riscattare la fatalità di una condizione per cui la donna non ha una sede per far fiorire la propria femminilità e, al tempo stesso, la propria libertà. Alla fanciulla Antigone, che rinuncia alle nozze per dipanare il labirinto dei propri legami di sangue, riesce la difficile impresa di mediare fra loro mondi diversi, oltrepassandone più volte i confini e le soglie, in un movi­ mento di andare e venire che è mediazione e transito. Questa vocazione mediatrice si rivelava già nel gioco infantile con la sorella Ismene, in cui Antigone oltrepassava sempre la riga, mentre Ismene, più fedele a un ruolo 7 0 lVI. 7 1 lvi,

Zambrano, La tomba di Antigone, cit. , p. 4 7 . p. 9 3 . 7 2 Cfr. G. Blundo Canto, Afaria :(ambrano, cit. , p. 1 8 7 , nota 1 4 . L'autore ricorda la convin­ zione di Augustin Andreu, secondo cui la la filosofia zambraniana conterrebbe "gli spunti non solo di una teologia, ma anche di una mariologia" : cfr. A. Andreu, nota 85, in :M. Zambrano, Cartas dc la Piècc, cit., p. 8 1 . l\Ia ancora più importante è il fatto che, come sottolinea Andreu, l\Iaria riteneva valida la concezione trinitaria greca - e gnostica -, secondo la quale la terza persona della trinità - la Sophia- Spirito - sarebbe femminile : su questo, cfr. A. Andreu, nota 8 7 , ivi, p. 82, e Id. , Anotacioncs cpilogalcs a un método o camino, ivi, p. 358. 73 l\Iaria Zambrano, Eloisa o l'esistenza della donna, in Ead., All'ombra del Dio sconosciuto, cit. , p. 1 0 7 .

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femminile tradizionale, rispettava sempre le regole del gioco: qui, si vede che la mediazione di Antigone è anche un oltrepassamento, un trascendere la condizione femminile storicamente data per aprirla a una libertà ulte­ nore. Il secondo tema che risalta nel confronto con Edipo è la sete di potere e di possesso di quest'ultimo, che lo ha spinto a voler essere re e non padre: mentre l'azione tragica di Edipo è "attività possessiva e posseditrice" / 4 e, in quanto tale, alienante, invece Antigone, nella sua perfetta purezza, "ha compiuto l'azione vera" / 5 quella in cui il soggetto "perde il possesso di sé, si smaschera" / 6 giungendo a una spoliazione e a una nudità simili a quelle della nascita. l\-fentre Edipo è condannato dalla sua stessa hvbris, Antigone, perfettamente innocente, è condannata dall'arroganza di un tiranno, an­ ch'egli accecato, come Edipo, dalla sete maschile di potere. Zambrano inoltre, nel confronto fra Antigone ed Edipo, si sofferma significativamente sull'esilio di entrambi, che vide la figlia fare da sostegno al padre cieco: Antigone, "esiliata già tanto piccola e senza nessuna colpa", viene paragonata a "un agnello" . 77 È evidente qui il rimando di Zambrano al proprio stesso esilio: l'autrice stessa infatti si raffigura come un agnello sacrificato al corso della storia. Del monologo rivolto alla sorella Ismene, abbiamo già ricordato il gioco infantile che profeticamente annunciava il diverso destino delle due sorelle, l'una votata a un trascendere rischioso, l'altra fedele a un ruolo femminile tradizionale: tuttavia, nonostante la diversità dei percorsi, nel testo zam­ braniano le due sorelle non sono divise, ma sono "sorelle sempre, Ismene, ora lo vedi" . 7 8 La diversità delle scelte e dei destini non le separa, benché ad Antigone sola sia riservata la vocazione di lavare il sangue versato nella guerra fratricida. Questa vocazione viene ribadita nel dialogo con la nutrice Anna, che ricorda Antigone bambina "sempre alle prese con l'acqua"/ 9 come se ap­ partenesse all'elemento acqua e avesse appunto il compito di lavare e scio­ gliere il sangue raggrumato, affinché la vita possa ton1are a scorrere. La figura della nutrice Anna è snnile al personaggio di Nn1a: come quest'ultima,

74 lVI.

Zambrano, Il sogno creatore, cit . , p. 78. lvi, p . 1 06 . 7 6 lvi, p . 7 8 . 77 M . Zambrano, La tomba di Antigone, cit. , p . 84. 7 8 lvi, p . 76. 79 lvi, p. 86. Sulla familiarità di Antigone con l'elemento-acqua, cfr. Pina D e Luca, Il logos sensibile di Afaria ;:ambrano, Rubettino, Soveria l\Iannelli 2004, pp . 85-9 1 . 75

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Anna è "una di quelle persone delle quali nessuno sa niente", 80 che nessuno vede, neppure quando se le trova davanti; passa inosservata, come tante donne anonime e umili, serve di casa, figure che sono tuttavia portatrici di misericordia e di pietà. Infatti, Anna è stata più che una madre per Anti­ gone, la quale così le si rivolge: "Anna, tu sei l'unico essere, stavo per dire l'unica dea che ho conosciuto" . 8 1 Antigone e Anna sono accomunate dalla familiarità con l'elemento acqua: se Anna, come l'acqua, è la nutrice, colei che nel quotidiano alimenta la vita, la irriga e la rinnova incessantemente attraverso un lavoro di cura a cui non è attribuito alcun riconoscimento, così Antigone è l'acqua capace di lavare e di sciogliere il sangue coagulato di cui è impregnata la storia, di farlo scorrere nuovamente, convertendone il segno mortifero in vita nuova e redenta. Un altro personaggio che Zambrano fa dialogare con Antigone nella tomba è l'Arpia, mostro mitologico dalle funzioni funeree, che sembra evo­ care il diabolico, ma secondo un registro minore, comico-ironico: 82 l'Arpia esprime una sorta di popolare e un po' greve buon senso, unito a vaghe reminiscenze psicanalitiche, che suggeriscono che sarebbe stata la semplice paura dell'uomo e del sesso a spingere Antigone a rinunciare alle nozze e all'amore. In realtà, nello scontro fra l'Arpia e Antigone si fronteggiano due diverse concezioni dell'amore: una che riduce l'amore, alla luce di una psicanalisi per la verità piuttosto a buon mercato, a mera pulsione sessuale, e che ricorda che sarebbe bastata qualche erotica astuzia femminile per commuovere Creonte; l'altra, quella dell'eroina tragica, che parla di una diversa "legge dell'Amore", 8 3 un amore unito alla pietà che non può ab­ bandonare Antigone, "perché è stato lui a muovermi sempre, e senza che io lo cercassi" . 84 Antigone, alla fine del dialogo, caccia l'Arpia, qualificandola come "ragionatrice, [ . . . ] la dea delle ragioni travestita" . 85 Simbolo di una ragione astratta e freddamente calcolatrice, sorda alle ragioni del cuore, all'amore e alla pietà, l'Arpia si allontana, lasciando spazio all'ultimo con­ fronto decisivo, quello con i fratelli nemici, morti l'uno per mano dell'altro. In questo confronto, affiora esplicitamente un significato fondamentale del testo: la meditazione di Zambrano sulla guerra civile spagnola. Tra i due fratelli, è Eteocle a rappresentare con più evidenza la falsità BO lVI.

Zambrano, Li1 tomba di Antigone, cit. , p. 85 . Jvi, p . 86. B2 Cfr. Rosella Prezzo, Li1 scrittura del pensiero in Afaria ;:ambrano, in lVI. Zambrano, Li1 tomba di Antigone, cit . , p. 26. B3 M . Zambrano, Li1 tomba di Antigone, cit., p . 94. B4 lvi, p . 98. Bs Ibidem. BI

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della storia apocrifa, in quanto egli incarna una sete di potere che ne fa il doppio del tiranno Creante. Polinice esprime invece il sogno utopico della "città dei fratelli" , 8 6 un sogno di uguaglianza e di pace: tuttavia, Antigone­ Zambrano prende le distanze anche dall'utopia, che, in nome di un'inimi­ cizia verso il tempo, vuole cancellare il passato e il presente assolutizzando il futuro. In defmitiva, benché Zambrano mostri più simpatia per l'utopista Polinice che per l'assolutista Eteocle, assolutismo e utopia sono tuttavia ac­ comunati da un analogo sogno di palingenesi, che nasconde una profonda inimicizia verso il tempo e l'ambizione di amputarlo: l'assolutismo occul­ tando il passato e abolendo il futuro per eternizzare il presente, l'utopia puntando invece tutto sul futuro, che dovrebbe restaurare la condizione edenica di un paradiso perduto, in realtà mai esistito. La fede utopica di Polinice nella città dei fratelli poggia su un duplice errore o su una duplice illusione. In primo lugo, Polinice non ha capito che "non bisogna far nulla senza essere prima tornati alla casa del padre", 8 7 cioè senza essersi riconciliati con le proprie origini, senza aver riscattato la propria storia. In secondo luogo, il futuro a cui l'utopia si rivolge è un futuro già prescritto, già disegnato, sottomesso a una speranza delimitata in partenza, razionalizzata. Nella lettura che Zambrano propone della guerra fratricida fra Eteocle e Polinice, è facilmente leggibile un riferimento alla guerra civile spagnola. In particolare, il confronto con il fratello minore Polinice evoca le intense pagine autobiografiche di Delirio e destino, in cui Zambrano riferisce il suo ul­ timo incontro con un amico rivoluzionario. 88 Il compagno fraterno di 1\-Iaria, con cui lei aveva condiviso tante lotte, all'improvviso non la comprende più: tra i due cala il velo dell'incomprensione, perché l'amico, forte della sua fede politica nell'utopia marxista, crede di avere già nelle mani il futuro. 8 9 Sensibile al sogno di libertà, alla speranza e all'insofferenza verso la storia sacrificale che animano l'utopia, tuttavia Zambrano ne contesta l'adolescen­ ziale impazienza e il superficiale ottimismo. 90 È leggibile anche, nella presa di distanza di Antigone-Zambrano dalla lotta fratricida e, più in generale, 86

lvi, p. 1 08 . lvi, p. 84. 88 Cfr. M. Zambrano, Delirio c destino, cit., pp. 1 44- 1 46 . 89 Cfr. ìvi, p. 1 45 : "L'abisso che ora fatalmente s i spalancava tr a di loro era dovuto al fatto che volevano sacrificarsi per un D io diverso: lui al futuro, reso eterno presente; lei a un presente che si apriva in un eterno futuro, riscattando anche il passato" . 90 Cfr. :rvf . Zambrano, Penona e democrazia, cit . , p. 1 3 1 : "L'ottimismo utopico [ . . . ] consiste nel credere che sia sufficiente enunciare le condizioni proprie di una società adatta alla vita dell'uomo, perché questa diventi realtà" . 87

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dal conflitto maschile per il potere, l'agire della differenza femminile, legata a una diversa logica, ispirata dall'amore e dalla pietà. 9 1 Benché, nel congedarsi dai fratelli, Antigone prometta che andrà a ricongiungersi con loro "in quella città che tu dici, fratello", 9 2 tuttavia è evidente, sulla base di quanto si è detto fin qui, che la città a cui Antigone allude non è la stessa vagheggiata dall'utopista Polinice: oltre la città perfetta sognata da Polinice, affiora in Antigone una sete di trascendenza, la speranza in un altrove posto al di là della storia. Come sottolinea Ana Bundgard, "nel suo abbandono nell'oltretomba, Antigone, come �1aria Zambrano nel suo esilio, prende coscienza per rivelazione di una 'patria eterna' che, in quanto è più perfetta di qualunque utopia, trascende la storia" . 9 3 Credo che questa "patria eten1a" vada interpretata, sulla base delle suggestioni che provengono dalla lettura zambraniana della religiosità di sant'Agostino, ponendo l'accento non tanto sull'eternità, quanto piuttosto sulla patria: una terra promessa oltre la storia, un luogo in cui ogni momento dell'esistenza sia salvato e riscattato nella luce. Come Zambrano nel suo esilio, così Antigone nella sua tomba si unisce idealmente alla croce di Cristo: entrambe sono infatti vittime sacrificate alla storia, ma il loro sacrificio consente di intravedere qualcosa che è oltre la storia. La croce decussata a cui la storia apocrifa aveva inchiodato Antigo­ ne si trasforma alla fine in una croce che ha ritrovato la dimensione della verticalità, della trascendenza. 2 . 3 . Una filosofia mistica

Il pensiero di Zambrano si potrebbe anche definire una filosofia mistica: una filosofia che fa tesoro dell'insegnamento della mistica, senza una volontà di 91

Questa chiave di lettura è sviluppata da Annarosa Buttarelli, Partire da sé corifonde O·eonte, D in iotima, La sapienza di partire di sé, cit. , pp. l O 1 - 1 1 8, in particolare p. 1 1 4. 9 2 M . Zambrano, La tomba di Antigone, cit., p. 1 1 2 . 9 3 Ana Bundgard, ilftis alla de la jilosqfia, cit., p. 3 0 2 . La presa di distanza di Antigone­ Zambrano dal sogno utopico della città dei fratelli e il valore precristiano della passione di Antigone è sottolineato anche da Fina Garda :Marruz, La spada intatta di ilfaria :(ambrano, tr. it. a cura di Nicola Licciardello, :Marietti, Genova-lVIilano 200 7 : l'autrice si spinge fino a vedere nei secondo dei due sconosciuti che dialogano con Antigone nella tomba, alla fine del testo zambraniano, una prefigurazione del Cristo. (Cfr. ivi, p. 82). Sulle figure enigmatiche dei due sconosciuti, con cui si chiude il testo zambraniano, non mi soffenno in questo mio commento : ritengo tuttavia che il primo sconosciuto possa essere una personi:fi.cazione dell'autore, che ha il compito di n·asmettere il mito e di dare voce ad Antigone . Così lo interpreta anche Fina Garda l\1arruz, che lo vede come un'incarnazione del poeta Orfeo.

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appropriazione del sapere dei mistici, ma con un linguaggio filosofico "vicino e permeabile a quello dei mistici" . 94 Questa permeabilità della parola filosofica all'espressione mistica si realizza, nel percorso di Zambrano, in due tappe successive. In un primo momento, c'è una riflessione esplicita sulla mistica spagnola, in particolare su san Giovanni della Croce, condensata in due saggi, entrambi del 1 939 : San Giovanni della Croce. Dalla notte oscura alla più chiara mistica e Pensamiento _v poesia en la vida espafiola. In quest'ultimo testo, Zambrano fornisce sinte­ ticamente le coordinate dell'unione di poesia, amore e conoscenza che si possono rintracciare nella mistica spagnola, e cerca un'altra via rispetto a quella tracciata dall'ascesi filosofica. In seguito, in un secondo periodo, che copre tutto l'arco della produ­ zione matura dell'autrice andalusa, Zambrano pratica lei stessa una sorta di filosofia mistica, realizzando, con la ragione poetica, quell'unione di pensiero e poesia che lei aveva visto e sottolineato in san Giovanni della Croce. Così Zambrano stessa sintetizza questo passaggio all'interno del suo pensiero, nel discorso tenuto in occasione del conferimento del premio Cer­ vantes, in cui offre alcune ragioni della persistente presenza della mistica nel proprio discorso filosofico, e fornisce una chiave di lettura dell'intera sua opera: "Anche il Cantico spirituale, di san Giovanni della Croce, è il canto rivolto all'assenza dell'amato. Qui esplicabile, ugualmente, perché il suo amato non è visibile. 11a nella poesia profana di questo periodo e di quello antecedente si osservava pure costantemente questo motivo dell'assenza e di continua ricerca delle orme dell'amato. La natura intera si trasforma: fiumi, alberi, prati e perfino la luce stessa conservano l'orma della presenza amata, sempre schiva e irraggiungibile. [ . . . ] Voglio tentare di proseguire cercando la parola perduta, la parola unica, il segreto dell'amore divino-umano. La parola talvolta segnalata dalle altre parole privilegiate, scarsamente udibili, quasi come un mormorio di colomba: Dite pure che mi sono perduta che essendo innamorata, . " . 95 mt. ero perduta, e fìm. conqmstata

Qui, Zambrano descrive il proprio stesso percorso filosofico - la ricerca 94

Luisa 1\:[uraro, Le amiche di Dio, D 'Auria, Napoli 200 1 , p. 1 2 3 . Queste parole di Zambrano sono riportate da C . D obner, Dalla penombra toccata daWal­ legria, cit . , pp. 7 1 -7 2 . La prima parte della citazione proviene da l\I. Zambrano, Filosrifia e poesia, cit . , p. 7 8 . I n·e versi fmali sono tratti dal Cantico spirituale di Giovanni della Croce: cfr. Juan D e La Cruz, Poesie, n-. it. a cura di Giorgio Agamben, Einaudi, Torino 1 97 4, p. 3 5 . 95

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della "parola perduta, la parola unica, il segreto dell'amore divino-umano" - iscrivendolo nel solco dell'insegnamento della mistica. Lo sforzo dell'autri­ ce è stato quello di dare voce, con la ragione poetica, a una filosofia mistica che, come una guida, conduca il lettore, attraverso le dimore dell'anima, nel suo persistente essere innamorata delle cose, del mondo dalle sembianze mutevoli e cangianti, lungo un cammino iniziatico, che ci restituisca non l'oggettività della cosa già formata, ma il suo stesso anelare alla forma, per passaggi successivi o, come direbbe la fenomenologia, per successivi adombramenti. Per seguire Zambrano in questo suo itinerario, che conduce all'unione di filosofia e poesia, è opportuno partire dai saggi esplicitamente dedicati alla mistica spagnola, per vedere poi, in un secondo momento, quali tracce di questa tradizione mistica siano rinvenibili nella filosofia matura dell'au­ trice andalusa. In Pensamiento_v poesia en la vida espaiiola Zambrano colloca Giovanni della Croce sotto il segno del "realismo spagnolo" . 96 Quest'ultimo è caratterizzato dalla pura ammirazione per il mondo, per tutte le cose, senza volersi slegare da esse, come fa l'innamorato: "Il realismo [ . . . ] è una fonna di conoscen­ za perché è un modo di trattare con le cose, di stare davanti al mondo, è una maniera di guardare il mondo ammirando, senza pretendere di ridurlo a nulla. Questa è la maniera di comportarsi dell'innamorato . Il realismo spagnolo non è altra cosa come conoscenza che un essere innamorato del mondo, preso da esso, senza potersi svincolare" . 97 �-fentre l'ascetismo filosofico è uno strappo violento dalle apparenze per volgersi verso le idee, invece la mistica spagnola, in quanto è caratterizzata dal realismo, "guarda il mondo come un innamorato" e quindi non desidera "mai separarsi da esso" . 98 In questa mistica, non c'è neppure l'ascetismo cri­ stiano, perché il cristianesimo in Spagna, come si rivela proprio nell'amore dei mistici, è "vita, carità, misericordia, incan1azione" . 99 Diversa in questo dalla mistica tedesca che, partendo dalla solitudine assoluta dell'uomo per porla di fronte alla volontà divina, all'indecifrabile potenza di Dio, appare a Zambrano priva di misericordia e restia a percepire la presenza meravigliosa del mondo e delle sue creature, la mistica spagnola si caratterizza, in san Giovanni della Croce, per l'attraversamento del nulla, che approda però alla fine all'amore per l'intero creato, e, in santa Teresa 96

97

98

99

Cfì·. M. Zambrano, Pensamiento )' poesia lvi, p . 39. Ibidem. lvi, p. 3 3 .

en

la vida cspanola, cit. , pp . 32-38.

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d'Avila, per la presenza della carne, per la capacità di far palpitare la materia stessa delle cose, accolte maternamente nella loro carnalità. 100 Questi tratti accomunano, in Spagna, il sapere mistico alla cultura po­ polare: in entrambi, c'è il desiderio di non svincolarsi dalla realtà idolatrata di questo mondo, c'è una consacrazione delle cose, della materia. Realismo e materialismo si uniscono così nella sensualità della mistica spagnola. Oltre che con il sapere popolare, la mistica spagnola ha profonde affinità con la poesia: con il poeta, il mistico ha in comune l'ansia d'integrità, l'amore per tutte le creature, per il mondo dalle forme cangianti e mutevoli, effnnere. Da lì, dal senso di caducità di tutte le cose, nasce il sentimento della malinconia, profondamente radicato nel sentire spagnolo: ma la malinconia si unisce alla speranza, sua gemella e contraria, speranza nella resurrezione, al di là del tempo, di tutto ciò che è temporale, trasposizione del mondo temporale là dove la malinconia non ha più luogo, perché nulla passa, tutto sta nella sua integra presenza corporea, senza corruzione possibile. 10 1 . e speranza sono due tno d'1 d'1 " avere non avendo " : 10 2 1 a m al'Inl\""'.tal'1ncon1a conia si appaga dell'assenza, di ciò che le manca, attinge, proprio nell'amare l'assenza, a una forma paradossale di presenza di ciò che se n'è andato o che non è mai stato posseduto; la speranza ne è come il prolungamento in un sentire contrario, 10 3 nel desiderio e nell'attesa di ciò che ancora non è e di cui si aspetta l'epifania. L'accento di Zambrano cade, in entrambi i casi, sull'at­ teggiamento di "avere non avendo" : è evidente nei due sentimenti, gemelli e contrari, della malinconia e della speranza, così come nel sentire mistico, uno scarto rispetto a qualsiasi volontà di appropriazione dell'oggetto, un pas­ so indietro che lo lascia essere, che si appaga dell'assenza, che si nutre della trascendenza dell'amato senza consumarlo né distruggerlo. Questo tema appare in modo ancora più esplicito nel saggio su Gio­ vanni della Croce, in cui l'unione di poesia e mistica, nel santo spagnolo, rivela la distanza dall'appropriazione filosofica: il filosofo e il mistico partono entrambi dall'ammirazione per le cose, ma, mentre il filosofo, nello strap­ po violento dalle apparenze, manifesta una "volontà ansiosa di potere", 1 04 invece il mistico, come il poeta, "non persegue il potere e l'ansia di domi­ nare"; 105 fa sì violenza, ma a se stesso, e inoltre si tratta di una violenza 1 0°

Cfr. ìvi, pp. 39-40. Cfr. ìvi, p. 48. 1 0 2 lvi, p. 9 7 . 1 0 3 Cfì·. ibidem. 1 04 1\:l. Zambrano, San Giovanni della Croce. Dalla notte oscura alla più chiara mistica, cit., p . 1 23 . 1 05 Ibidem. 101

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sorretta e guidata dall'amore. Il mistico, come il poeta, è mosso dall'amore, non per divorare o distruggere l'oggetto, ma per continuare a mantenerlo nella sua trascendenza. Questo mostra che ciò che guida il percorso mistico è veramente l'amore e non il desiderio; mentre quest'ultimo si appaga del possesso dell'oggetto, lo incorpora e lo consuma, invece l'amore conosce e ama l'inesauribilità dell'oggetto, la sua invulnerabile trascendenza: "L'og­ getto dell'amore differisce dall'oggetto del desiderio per essere qualcosa che . il possesso non dIStrugge " . 106 Nell'incipit del saggio su Giovanni della Croce, Zambrano descrive allu­ sivamente la terra natale del santo: è "una terra gialla bruciata dal fuoco", un fuoco "che sembra scaturire dalle sue stesse viscere" . 107 Dalle viscere, dalle profondità sotterranee, nasce un fuoco che sale fino al cielo, che giun­ ge fmo alla trasparenza della luce, che s'innalza in volo come un uccello, ma senza perdere il contatto con la sostanza, terrestre e viscerale, che ha nutrito e reso possibile quel volo. Alto e basso si congiungono; le viscere terrestri sostengono e alimentano il volo, il movimento del trascendere: è evidente l'allusione a un moto di innalzamento che, nel protendersi verso il cielo, non perde tuttavia il contatto con le radici, con l'origine, con la terra madre, con le profondità sotterranee in cui si genera il fuoco che rende possibile il volo. L'attenzione dell'autrice si rivolge quindi al movimento stesso del tra­ scendere, così come si configura nell'itinerario mistico di san Giovanni del­ la Croce. Si tratta di un movimento che ha il suo fulcro in una sorta di autofagia: come la crisalide mangia il suo bozzolo per !asciarne uscire la farfalla, così l'anima divora se stessa per far posto ad altro da sé. Attraverso l'autofagia, l'anima fa il vuoto in sé affinché l'Amato possa trovarvi posto: "L'evento mistico si produce dentro l'anima, dentro ciò che nell'uomo vi è di naturale in virtù di qualcosa che naturale non è e che sta fuori di essa, per lo meno in quanto, in senso stretto, non ne è parte" . 1 08 Il processo di autofagia implica una violenza su se stesso, una distruzione progressiva, ma si tratta di una violenza ben diversa da quella della filosofia, dallo strappo violento dalle apparenze sensibili, perché la violenza che il mistico fa a se stesso è sempre guidata dall'amore: il mistico infatti sospende la sua esistenza "affinché un altro si risolva ad esistere in lui" . 109 La distruzione realizzata da Giovanni della Croce comprende due fasi: 1 06 1 07

1 08

1 09

lvi, lvi, lvi, lvi,

p. 1 1 9. p. 1 09. p. 1 1 3 . p. 1 1 6 .

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dapprima, vi è la distruzione dell'involucro psichico, il mettere a tacere la voce dell'intelligenza logica, oggettivante, lo svuotarsi dei significati precosti­ tuiti per restare in ascolto della voce dell'Altro, che affiora nel profondo, nelle viscere che custodiscono il fuoco che si protende verso il cielo. In secondo luogo, si realizza la distruzione dell'involucro morale, dal momento che l'amore va "al di là del bene e del male", al di là della morale, la attraversa e la consuma, perché, come ogni creazione autentica, "non può servirsi di I lO · dato. una misura · g�a · [;atta, di un canone , g�a Questa duplice distruzione approda al nulla: "Naturalmente, in questo processo [ . . . ] vi è un intervallo in cui non vi è nulla, in cui il nulla è assolu­ to" . 1 1 1 Tuttavia, a differenza che nella mistica nullista di Miguel de Molinos, che si appaga del nulla e in esso riposa come nel suo traguardo definitivo, in Giovanni della Croce la distruzione è finalizzata alla creazione. 1 1 2 Si tratta di una distruzione creatrice, di una mistica che fa tutt'uno con la creazione poetica: infatti, la notte, il deserto dell'anima, il nulla, la solitudine assoluta, pur essendo sperimentati, per un certo tempo, in tutta la loro durezza, in seguito si rivelano essere delle tappe in un percorso sorretto sempre dal fuoco d'amore e per questo votato ad andare oltre il nulla stesso, a trascenderlo (''ogni scienza trascendendo"). 1 1 3 Il punto d'arrivo di quest'itinerario di distruzione creatrice non è il nulla, ma, al contrario, la restituzione poetica del mondo, nella sua pienezza creaturale. L'anima, dopo aver attraversato la notte oscura e il nulla, trova la poesia, in cui sono interamente presenti tutte le cose, restituite alla loro piena esistenza di creature: " 'Le montagne, le valli solitarie e boscose, le isole strane, i fiumi sonori, il soffio di aure amorose. La quieta notte aperta al levarsi dell'aurora. La musica taciuta, la solitudine sonora'. Tutto, tutto è presente - commenta Zambrano -, con una fragranza che lo fa come appena uscito dalle mani del Creatore" . 1 1 4 In questa restituzione della pienezza della creazione attraverso il per­ corso mistico e grazie alla parola poetica, san Giovanni della Croce si rivela ,

1 10

,

lvi, p. 1 1 7 . È evidente qui un riferimento a Nietzsche da parte di Zambrano. fvi, p . 1 1 6. 1 1 2 Cfr. ibidem. l\ fi sembra che in passi come questi Zambrano prenda le distanze dalla mistica nullista e quietista. L'autrice viene ricondotta invece a una posizione semi-quietista da G. Blundo Canto, 1\Iaria ;:ambrano. Un>ontologia della vita, cit. , p. 20 1 . 1 1 3 Citando questo verso di Giovanni della Croce, Zambrano sottolinea lo sforzo del mistico spagnolo di "trascendere tutto" : cfr. 1\f. Zambrano, San Giovanni della Croce, cit . , p. 1 1 1 . Il verso del mistico spagnolo si n·ova in J. D e La Cruz, Poesie, cit., pp. 1 3- 1 5 . 1 1 4 l\I . Zambrano, San Giovanni della Croce, cit., p. 1 1 9 . Zambrano cita qui dei versi del Cantico spirituale di san Giova1mi della Croce : cfr. ]. D e La Cruz, Poesie, cit . , p. 3 3 . III

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fratello ed erede di sant'Agostino, il quale, a differenza dei filosofi greci, che cercavano l'immortalità e l'eternità dell'essere, "non si lascia innamorare dall'immortalità; è affamato, piuttosto, di vita [ . . . ] . Il suo cuore non è appa­ gato se non dalla vita eterna, vita in cui nulla si perde e a nulla si rinuncia, vita vera nella luce" . 1 15 In san Giovanni della Croce come in sant'Agostino, secondo la lettura di Zambrano, il desiderio di vita eten1a è, prima e più ancora che ansia di eternità, fame di vita: è il desiderio che ogni vivente e ogni momento dell'esistenza siano eternizzati, siano interamente salvati nella luce, riscattati ad uno ad uno proprio nella loro fragile e ineliminabile creaturalità. lnfme, nella poesia mistica di san Giovanni della Croce si realizza la perfetta unione di amore e conoscenza. In fondo, quest'unione è ciò che persegue anche la filosofia, fin dalle sue origini greche, come indica lo stesso tennine philo-sophia, amore della sapienza, nome che nasce sotto il segno di una conoscenza sorretta dall'amore. Tuttavia, l'ascesi filosofica, fin dal mito platonico della caverna, a cui Zambrano insistentemente riton1a, ha imposto una violenza, uno sradicamento dalle apparenze e dalla vita stessa del filosofo, lasciata indietro nel percorso verso la luce, un abbandono delle creature, delle viscere e del sentire originario, per guadagnare l'oggettività dell'idea. 1 1 6 Zambrano valorizza il percorso mistico di Giovanni della Croce per­ ché lo sente affine al proprio: si tratta di approfondire la conoscenza delle cose e del mondo per un'altra via, diversa da quella dell'ascesi filosofica, di approfondire la conoscenza senza rinunciare all'amore e, in definitiva, senza rinunciare a nulla, né alle viscere né alla carne né al sentire originario. Zambrano cerca una via per approfondire la conoscenza amando, senza ansia di potere né desiderio di dominio nei confronti dell'oggetto. In questo percorso, che è quello della mistica luminosa di san Giovanni, ma anche quello della ragione poetica della stessa Zambrano, la conoscenza è ricevuta, ottenuta per rivelazione, data in sovrappiù come premio all'atti­ tudine amante, anziché essere cercata attivamente lungo la via che conduce alla prospettiva oggettivante del sapere scientifico o filosofico. lVIentre dal filosofo la conoscenza è cercata attivamente, con sforzo e con uno strenuo esercizio di ascesi, a cui non è estranea una certa volontà di appropriazione e di possesso dell'oggetto, per il mistico invece "la conoscenza è cosa agevole, che viene quasi senza essere cercata" Y 7 Non che non ci siano rinuncia e 1 15 1 16 1 17

1\:L Zambrano, La corifessione come genere letterario, cit., p. 59. Cfr. in particolare l\ :L Zambrano, Filosqfia e poesia, cit., pp. 3 1 M . Zambrano, San Giovanni della Croce, cit., p. 1 22 .

ss.

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violenza anche nel mistico: ma la rinuncia avviene sotto il segno dell'amore e non del desiderio di possesso, e la violenza è violenza fatta a se stesso per far posto all'Altro. l'vlentre il sapere scientifico e filosofico rinuncia alla presenza viva della cosa per attenerne la sublimazione sul piano concettuale, la mistica, come la poesia, è caratterizzata dall'amore, anzi da una voracità amorosa, da una fame di presenza e di figura che può placarsi solo facendo posto in sé all'oggetto amato: "Svela la tua presenza e mi uccida la vista della tua bel­ lezza: guarda che la sofferenza d'amore non si cura se non con la presenza e la figura" . 1 18 Per Zambrano, nella mistica risuona "il senso nuziale della vita" : 1 1 9 una vita che non è fatta per restare chiusa in sé, ma che è promessa dall'amore alla congiunzione con altro. Nel delineare i tratti di una fùosofia permeabile alla mistica - la ragione poetica -, Zambrano intende superare quel divorzio fra filosofia e poesia e fra filosofia e mistica che ha caratterizzato gran parte della tradizione del pensiero occidentale. Nel saggio dedicato a san Giovanni della Croce, la mistica e la poesia sembrano a un certo punto avere la meglio sulla filoso­ fia. 120 Tuttavia l'analogia, suggerita verso la fine del testo, fra san Giovanni della Croce e Spinoza, sulla base del fatto che entrambi avrebbero cercato di "convertire l'anima in un cristallo di rocca, altrettanto invuh1erabile e trasparente", 121 fa intravedere un'altra via, che è poi quella che Zambrano stessa intende percorrere: la via di un sapere fùosofico permeabile sia al­ l'eredità della mistica sia all'apporto della poesia. Nella ragione poetica di Zambrano, molti sono i motivi che, mentre sono solo enunciati nei saggi analizzati fin qui, vengono in seguito effetti­ vamente praticati, messi all'opera. Ci limitiamo qui a ricordare solamente alcune caratteristiche di un modo di procedere fùosofico che, pur non richia­ mando esplicitamente la mistica se non in alcuni snodi decisivi, tuttavia è largamente debitore nei confronti dell'itinerario mistico e della sua sapienza amante. In primo luogo, va ricordata la modalità zambraniana, che si potrebbe defmire in senso lato fenomenologica, di non presentare mai l'oggetto diret­ tamente, ma di abbozzarne la figura per successivi profili o adombramenti: 1 18

lvi, p. 1 2 1 . Zambrano cita qui alcuni versi del Cantico spirituale di Giova1mi della Croce : cfr. J. D e La Cruz, Poesie, cit . , p. 3 1 . 1 1 9 lVI. Zambrano, Lettera ad A. Andreu, La Pièce, 1 9 maggio 1 9 74, in Ead., Cartas de La Pièce, cit. , p. 4 1 . 1 2 ° Cfr. A. :rv:L Pezzella, Afaria ;:ambrano. Per un sapere poetico della vita, cit., p. 34: "Si potrebbe pensare a questo punto che filosofia sia superata dalla mistica, eppure non è così" . 1 2 1 1\ :l. Zambrano, San Giovanni della Croce, cit., p. 1 24.

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l'autrice cerca di costeggiare l'oggetto, di corteggiarlo, si potrebbe dire, af­ finché esso si mostri in una figurazione mobile, cangiante, che ne rispetti l'apparire, via via, secondo profili diversi. Tali sono, ad esempio, nei Beati, le immagini della serpe della vita, dell'esilio, del ponte della speranza, figure mobili, che transitano davanti a noi mostrandoci man mano volti diversi di una medesima realtà, in una processualità visuale più che discorsiva in senso stretto. Non per questo l'autrice rinuncia alla chiarezza del logos: solo che que­ sta chiarezza, anziché prendere il nome, tradizionalmente filosofico, di evi­ denza, si presenta piuttosto come rivelazione, 1 22 memore della conoscenza ricevuta, nel percorso mistico, come premio della disposizione amante. In fondo, è l'intera ragione poetica zambraniana a condividere con la rivelazione - un sapere ricevuto più che cercato attivamente - le attitudini fondamentali della passività, della recettività e dell'ascolto . Zambrano ha in comune con Diotima, così come l'autrice la raffigura, una profonda dispo­ sizione all'ascolto che la trasfonna in "una lumaca di mare", 1 2 3 fatta solo di udito. Ascolto, recettività e passività sono atteggiamenti fondamentali per poter accogliere il sentire originario, custodito nelle viscere, ma bisognoso di una fonna e desideroso di ascendere al proprio cielo: "La conoscenza che qui invochiamo, che sospiriamo, questa conoscenza postula e richiede che la ragione si faccia poetica senza rinunciare a essere ragione, che accolga il 'sentire originario' senza coazione, liberamente, naturahnente quasi, come una P�l'sis restituita alla sua condizione originaria" . 1 2 4 La ragione poetica è anche una ragione mediatrice, capace di unire i contrari: filosofia e poesia, sogno e risveglio . Anche qui è evidente l'eredità della mistica: ad esempio, Cusano, un pensatore che fa tesoro del sapere mistico, intravede in Dio la coincidentia oppositorum. Fra i contrari che la ra­ gione mediatrice di Zambrano riesce a tenere insieme vi sono, sulla scia dell'insegnamento mistico di Giovanni della Croce, le viscere e il cielo . Il più basso - le profondità corporee e sotterranee delle viscere - porta im­ presso il segno di ciò che sta più in alto: "Oh, fonte cristallina se nel tuo argenteo sembiante fermassi ad un tratto quegli occhi desiderati che porto disegnati nelle mie viscere!" . 1 2 5 Secondo queste parole di san Giovanni, gli occhi dell'amato sono impressi, disegnati nelle proprie viscere: in questa 1 22

Cfr. 1\: L Zambrano, La corifessione come genere letterario, cit., p. 76: "L'evidenza è la denominazione filosofica di ciò che la mistica chiama rivelazione" . 1 2 3 1\:laria Zambrano, Diotima di Afantinea, in Ead., All'ombra del Dio sconosciuto, cit. , p . 1 2 7 . 1 2 4 1\:l. Zambrano, Dell'aurora, cit., p . 3 5 . 1 2 5 1\:l. Zambrano, San Giovanni della Croce, cit., p. 1 20. Zambrano cita qui alcuni versi del Cantico spirituale di Giovanni della Croce: cfr. ]. D e La Cruz, Poesie, cit., pp . 3 1 -3 3 .

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congiunzione mistica di ciò che sta più in basso con ciò che sta più in alto è possibile riconoscere non solo il timbro inconfondibile del misticismo di san Giovanni, ma anche la cifra della ragione poetica zambraniana. L'autrice indica infatti un percorso di elevazione, un movimento di trascendenza che si può realizzare solo restando fedeli all'origine, alle pro­ fondità delle viscere e della carne. 1 26 Il segno della trascendenza lo portiamo impresso nelle nostre viscere: per questo, più che realizzare, patiamo la nostra trascendenza, la portiamo inscritta nella nostra carne come un pungolo che impedisce l'acquietamento e ci impone di andare oltre quanto è stato già realizzato e consolidato. Abbiamo già visto come questo sia uno dei significati della passione della figlia, la discesa agli inferi per consentire la piena fioritura di ciò che è umano e celeste. Tuttavia, occorre non limitarsi a far gemere o gridare le 7 viscere, 1 2 ma è necessario tenere presente il segno celeste che essere recano impresso in sé. Zambrano infatti non separa l'inferno dal cielo, ma cmisi­ dera l'attraversamento del primo la condizione necessaria per l'elevazione al secondo: "Perché tutto sta in un cielo. Non c'è inferno che non sia il viscere di qualche cielo" . 1 28 La meditazione zambraniana sulla prossimità fra le profondità abissali e carnali delle viscere e l'altezza trasparente del cielo si condensa, in Chiari del bosco, nell'immagine ossimorica del "viscere celeste": "Irresistibilmente rampolla la vita dai suoi reiterati inferni verso l'alto, chiamata dai suoi oscuri cieli immediati, che si effonderanno in luce un giorno feriti dall'aurora. Un'aurora che sarà un viscere a sua volta, un viscere celeste" . 1 29 L'ultimo saggio, in ordine cronologico, dedicato a Giovanni della Croce, nei Beati, è un commento sapienziale alla firma del santo: vi ritroviamo il tema delle viscere, che portano impressa l'immagine dell'Amato. La firma di Giovanni è sontuosa, riccamente figurativa: Zambrano osserva che il di­ sincarnarsi della fmna, nella nostra epoca contemporanea, è andato di pari passo con la crescita dell'io individuale. In san Giovanni, certo anche per l'influsso della sua epoca, la finna rivela invece una complicata figurazione, che stupisce rispetto alla sua vita da povero di spirito, ma che non la con­ traddice. Nella firma del santo, Zambrano decifra due figure. All'inizio, vi 1 26

Cfr. A. Buttarelli, [Jnafilosqfa innamorata, cit. , pp. 1 5 7- 1 69. Cfr. 1\: L Zambrano, San Giovanni della Croce, cit. , p. 1 20: "ll traviamento della poesia [ . . . ] consiste nel credere che le viscere dovessero esprimere se stesse; che dovessero gridare, gridare nel loro parossismo; e così la poesia poté divenire quella cruda manifestazione di ciò che non può giungere alla parola e che resta grido o gemito, insomma dell'inconfessabile" . 1 28 1\I. Zambrano, Chiari del bosco, cit., p. 1 44. 1 29 lvi, p. 1 48 . 1 27

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scorge un cuore (il "viscere celeste" per eccellenza), che viene interpretato come segno di un oltrepassamento che procede non dimenticando l'origine: "Così, le parole avanzano eseguendo un invio, come spinte dal cuore che le governa" . 1 3 0 Verso la fine della fmna, si può intravedere invece qualcosa come la testa di un uccello o la prua di un vascello, segno di ciò che avanza, transita, ma in una sorta di quieta immobilità: "E l'enigmatico uccello [ . . . ] avanza senza muoversi. Tutto l'insieme sembra un movimento di qualcosa . ". 131 . d1. nn1no b1" le e qmeto Qui, Zambrano allude non solo al movimento di trascendenza di san Giovanni, un trascendere che non è uno slancio in avanti attivistico, ma una profonda fedeltà all'origine, un trascendere nella passività e nella quiete, ma anche alla propria stessa fùosofia, intessuta di un "pensiero che invece di procedere discorsivamente, transita. [ . . . ] Non c'è, propriamente, fùosofia senza il darsi di qualcosa che sostiene e insieme lascia cadere l'architettura della ragione" . 1 3 2 1'1ettere a tacere la ragione astratta, le argomentazioni logiche ossessive, sospenderle, come nelle pratiche di meditazione, favorisce l'ascolto del cuore e delle viscere e rende possibile un trascendere che non dimentica le proprie radici corporee. 1 33 Il movimento del trascendere, il moto di elevazione non ci sradica da questa terra. Oltre a ciò, Zambrano parla a più riprese di un "amore preesistente", 1 34 che ci sostiene nella vita e che ci aiuta a patire la nostra trascendenza, ad andare oltre con un debito di riconoscenza verso l'amore - di Dio, della madre - che ha reso possibile la nostra venuta al mondo. Solo accettando la nostra condizioni di figli, di creature, solo riconoscendo la nostra dipendenza, possiamo sperare di raggiungere il paradiso. 2 · 4 · Non c ' è inferno che non sia il visc ere di qualche cielo

L'esplorazione zambraniana degli inferi si può rintracciare innanzitutto nelle riflessioni sugli "uomini del sottosuolo", nella parte finale della Confessione 1 30

1\I. Zambrano, I beati, cit., p. 76. lvi, p. 7 8 . 1 3 2 Ibidem. 1 33 Cfr. A. Buttarelli, Una jilosqfa innamorata, cit., p. 1 62 . 1 34 Cfr. � � - Zambrano, Chiari del bosco, cit., p. 2 4 : "Si nasce, c i s i sveglia. ll risveglio è l a ri­ petizione della nascita nell'amore preesistente" . A.nche in questo tema dell'amore preesistente c'è un rinvio alla mistica: "Poiché nel nascere e per nascere non si richiede lotta ma oblio, abbandono all'amore, come suggeriscono i mistici, i mistici della 'nascita' " . (lvi, p. 25). 131

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come genere letterario. Qui l'autrice constata, nel romanzo e nella poesia con­

temporanei, il fallimento di un'autentica confessione, che non esprima solo le grida e i lamenti delle viscere, ma che sappia realizzare una vera e propria modificazione di sé nel rapporto con gli altri e con il mondo, una conversione del cuore capace di produrre una "visione" che sia anche "azione": "Arti­ sta è colui che sa scendere in se stesso a una profondità tale da incontrare delle visioni che sono anche azioni; l'arte vera dissipa la contraddizione tra azione e contemplazione, poiché è una contemplazione attiva o un'attività contetnplativa" . 1 3 5 Un racconto, tratto da un libro della saggezza cinese, chiarisce bene in che senso Zambrano parli di un'arte in cui azione e contemplazione sono strettamente unite, inscindibilmente legate l'una all'altra: il racconto narra di un artigiano che, lodato per l'esecuzione perfetta di una campana di legno e interrogato circa il segreto della sua arte, dichiara di non avere alcun segreto. Prima di eseguire la campana, egli ha fatto un lavoro su di sé, ha seguito un percorso di purificazione del cuore, che lo ha portato a non curarsi più né della gloria né degli onori né delle lodi né dei rimpro­ veri, fmo a dimenticarsi completamente di se stesso: ha digiunato per sette giorni, fmo a far scomparire i rumori del proprio io così come quelli del mondo esterno. Solo allora, dopo questo percorso, molto simile a un itine­ rario mistico, è andato nel bosco e ha trovato l'albero giusto: a quel punto, "era come se avess [e] già terminato la campana", che fu giudicata da tutti " " . 1 36 " un ' opera d1vma Il romanzo e la poesia contemporanei, considerati da Zambrano gli eredi, nel nostro tempo, della confessione, che aveva trovato il suo primo e insuperabile esempio in sant'Agostino, sono ben lontani dal digiuno del cuore dell'artigiano cinese: essi hanno sì il merito di dar voce alle viscere, ma riempiono "frettolosamente il vuoto [ . . . ] dell'oggetto richiesto dal cuore come suo alimento reale" , 1 3 7 e così sfociano solo nel "grido" , nel "delirio moderno della parola e dell'azione", 1 3 8 senza realizzare quella purificazione di sé che sola consentirebbe di trascendere le viscere, facendole ascendere al loro cielo. I motivi del fallimento di questi tentativi contemporanei di confessione sono sostanzialmente due: in primo luogo, c'è un atteggiamento da adole­ scenti inquieti e frettolosi, che non accettano di discendere più volte, per poi .

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1\:l. Zambrano, La confessione come genere letterario, cit., p. 99. lvi, p. 1 00 (interpolazione mia) . T. 4 .1 Vl , p. 9 . . Ibidem. .

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risalire, nelle zone oscure che la vita porta ripetutamente con sé. Si intravede prematuramente l'immagine dell'unità perfetta, della totale trasparenza, 1 3 9 e si vuole giungervi subito, senza quel percorso di purificazione che aveva condotto l'artigiano cinese al digiuno del cuore: ben lontano da quest'ulti­ mo, Rimbaud arriva "a considerare sacro il disordine del [suo] spirito" , 140 a divinizzare i propri stati parossistici, oscillanti fra disperazione e felicità. Il secondo motivo del fallimento della confessione contemporanea, in particolare nel surrealismo, è dovuto alla perdita del centro interiore. Con la solitudine dell'io cartesiano, questo centro è stato ridotto alla sola co­ scienza razionale, dimenticando l'anima e la sua familiarità con tutte le cose e relegando il sentire in una zona interdetta alla coscienza: l'anima, privata delle sue funzioni mediatrici, è stata così identificata con la psiche. Eredi di questo errore, i surrealisti, pur cercando il centro di unità fra reale e immaginario, l'hanno trovato al livello dei fatti psichici, in una solitudine priva di spazio interiore e di comunicazione con l'esterno, una solitudine troppo piena, popolata di fantasmi, di "cose, di personaggi in embrione, di speranze e nostalgie, di abbozzi e progetti, di impronte e sentimenti d1. rea lta, senza nmne " . 1 4 1 N e e nata " certa letteratura spezzata, de1onne, essenziahnente frustrata nelle proprie possibilità a causa della superficialità personale, schiava degli atti psichici che riflette, senza riscattare l'unità persa sotto questi" . 1 42 Dopo aver espresso questo duro giudizio sul surrealismo, per la veri­ tà non del tutto condivisibile, l'autrice passa a considerare altri esempi di "uomini sotterranei" o di "sepolti vivi" , "morti viventi che esalano gemiti, gridi dal fondo del loro sepolcro, che è il loro inferno": 1 43 gli esempi sono quelli di Lautréamont, Baudelaire e Rimbaud, che hanno sì il merito di aver dato voce alle viscere, rancorose per mancanza di spazio e di ascolto, di averle attribuite a un soggetto, a un "chi" capace di accoglierle, ma che, ciononostante, non sono riusciti a uscire dall'inferno. "Se si fosse realizzata la confessione che presagivano, il nodo terribile si sarebbe sciolto, l'uscita dall'inferno si sarebbe aperta soavemente" . 144 lVIa questo non è avvenuto: ciò a cui essi sono riusciti a dare voce è solo "la discordia dei morti vivi, la loro rancorosa presenza" . 1 45 ,

1 39

Cfr. ibidem. Ibidem. 1 4 1 lvi, pp . l 02- 1 03 . 1 42 lvi, p . 9 7 . 1 43 lvi, p . l 0 2 . 1 44 lvi, p . l 0 3 . 1 45 lvi, p. l 06 . 1 40

.c.

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Quando Zambrano parla di questi "uomini sotterranei il cui compito opprimente è quello di appropriarsi di una realtà estranea, ricavando da essa il proprio essere", 1 46 non si può fare a meno di pensare a un roman­ ziere che l'autrice nomina fra gli altri, come di sfuggita, ma a cui si deve in realtà una delle più potenti raffigurazioni del personaggio sotterraneo: si tratta di Dostoevskij , e più precisamente delle sue Nfemorie del sottosuolo. 147 L'uomo sotterraneo, oppresso dalla "dote terribile del suo io originale e originario", 1 48 che lo spinge a proclamare "io sono solo e loro sono tutti ", 149 marcando in tal modo la propria singolarità e la propria separazione da tutti gli altri, cade in realtà in preda alle più atroci convulsioni e alle più terribili ossessioni quando si vede rifiutato dagli altri, dall'ufficiale insolente e dai suoi amici. Il comportamento dell'uomo del sottosuolo al banchetto di Zverkov, l'ufficiale arrogante che egli dice di detestare e da cui si sente infinitamen­ te lontano, è quello di chi in realtà vuole attirare l'attenzione dell'altro, costringerlo a rendersi conto del proprio disprezzo nei suoi confronti. 1 50 Il mito moderno della solitudine e dell'originalità del cuore si infrange contro l'ostacolo dell'altro amato-odiato: allora, la simulata indifferenza dell'uomo del sottosuolo crolla, egli rinnega gli alti ideali, in realtà puramente illuso­ ri, su cui precedentemente fantasticava nella sua solitudine ossessionata da fantasmi, e si mette sulle orme del rivale. L'uomo del sottosuolo, nell'inter­ pretazione che ne offre René Girard, svela l'illusorietà del mito romantico del desiderio originale, frutto dell'irripetibilità dell'io, e mostra quanto la nostra pretesa individualità dipenda dall'altro, sia indissolubilmente intrec­ ciata con la sua. 151 Il complicato intrico che lega strettamente la mia libertà, solitudine e individualità con quelle del mio simile è messo a fuoco da :1_\vlaria Zambrano nella sua analisi dell'invidia, definita "l'inferno terrestre" . 152 lnnanzitutto, 1 46

Ibidem. Cfr. Fedor 1\: L D ostoevskij , Afemorie del sottosuolo, tr. it. di Alfredo Polledro, Einaudi, Torino 1 988. 1 48 1\I. Zambrano, La corifessione come genere letterario, cit . , p. 1 0 1 . 1 49 F. 1\I. D ostoevskij , Jfemorie dd sottosuolo, cit . , p . 4 7 . 1 5 ° Cfr. René Girard, 1l1en;:: o a romantica e verità romanzesca, tr. it. di Leonardo Verdi Vighetti, gn Bompiani, 1\:lilano 1 98 1 , p. 228. 1 5 1 Cfr. ivi, pp. 2 2 1 -248 . �ii sembra che l'interpretazione di Girard, che denuncia il mito romantico del desiderio originale e mostra la sua natura mimetica, che fa del rivale amato­ odiato un falso dio, in una situazione di perdita della trascendenza verticale, sia accostabile alle considerazioni di Zambrano sugli "uomini sotterranei" e sui meccanismi mimetici e infernali dell'invidia. 1 52 Cfr. l'vi. Zambrano, L'uomo e il divino, cit., p. 2 5 3 . 1 47

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l'autrice osserva che l'invidia è "un male sacro": 15 3 la si riconosce come tale dal cerchio di silenzio che si crea inton1o a essa, così come intorno a chi ne è affetto; il silenzio è dovuto al timore del contagio e della contaminazione. Di fronte all'invidia, siamo capaci solo di azioni difensive, di resistenza alla conta1ninazione, mentre, come per ogni fenomeno del sacro non ancora trasfigurato, sarebbe necessario il passaggio al divino, una trasformazione di questo male che si alimenta da sé in qualcosa che lasci intravedere il suo contrario, l'amore. Amore e invidia riguardano entrambi il rapporto del soggetto con l'al­ terità: un altro con cui si cerca di andare a coincidenza nell'amore, un altro che rimane invece ostinatamente altro nell'invidia. 15 4 Dunque, se c'è un aspetto positivo, suscettibile di trasfigurazione nell'invidia, questo è il suo essere custode della realtà dell'altro, conservata strenuamente dall'invidioso proprio nel suo sentire eroso il suo spazio vitale da un altro, amato e odiato al tempo stesso. Nell'invidia, che, in forma benevola, è "avidità dell'altro" , 1 55 e che in questo non è molto dissimile dall'amore, suo contrario, l'accento cade tuttavia sull ' altro, su colui che è il fine e l'oggetto dell'invidia stessa. L'invidia vede l'altro come uno specchio di sé: un altro che è altro, ma che al tempo stesso è installato dentro di sé, "in un dentro abissale" e "allucinato" . 15 6 L'invidia scopre l'altro come simile a sé e come possibile minaccia alla conquista della propria solitudine, della propria interiorità e della propria identità. Zambrano ricorda come le scoperte della solitudine, dell'interiorità e dell'identità, che accompagnano la nascita dell'individuali­ smo moderno, siano frutto di un lungo processo storico-culturale, che va da Agostino a Descartes e oltre: 15 7 l'invidia nasce dall'anelito a essere individuo, a essere unico, un anelito che trasforma il proprio simile nell'altro, un altro amato-odiato perché attenta alla propria vacillante identità. La pretesa mo­ derna dell'unicità dell'io dllnostra che l'uomo ha voluto prendere il posto di Dio: la piena identità spetta infatti solo a quest'ultimo, mentre l'uomo è legato con un "vincolo tragico" 158 al proprio simile, un vincolo che fa sì che egli possa vedersi solo vedendosi vivere nello specchio del proprio silnile. La condizione umana, che è una condizione non divil1a ma creaturale, è quella di poter acquisire libertà e identità solo per mezzo dell'altro, passando attraverso il rispecchiamento negli occhi del proprio simile: il vivere umano 1 53

1 5-t-

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Cfr. ìvi, pp. 253-254. Cfr. ìvi, p. 258. Ivì, p. 25 7 . Ivì, p . 259. C fìL Wl, . . p. 260 . Ivì, p. 262.

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è imprescindibile relazione con l'alterità, è divenire altro ed essere intrecciato con gli altri, subendone il fascino. Come, nella vita animale, l'inferno è il mimetismo, come se lo sforzo di essere qualcosa "si facesse largo come una vittoria della medesimezza in cerca dell'identità", 1 59 così, nella vita umana, l'inferno è l'invidia, che, mirando a un'identità compiuta, che può essere prerogativa solo divina, scorge nel proprio simile un altro amato-odiato che attenta alla propria incerta identità. Nell'invidia, l'altro diventa l'ombra di ciò che ci manca, di ciò che vorremmo essere senza riuscirvi. Amore e invidia sono entrambi tentativi di vivere nell'altro e dell'altro: li separa solo la differenza che passa fra il mimetismo, in cui l'invidia rimane tragicamente impigliata proprio nel suo sforzo di perseguire l'identità, e la fatica di essere veramente, 1 60 accettando il vincolo tragico che lega la nostra libertà a quella dei nostri simili. Nella parte conclusiva del suo testo sull'invidia, Zambrano afferma che, se la solitudine fosse veramente conquistata, l'invidia svanirebbe, e ricorda che le grandi vocazioni amorose, come quella del Cristo, furono precedute da un periodo di solitudine anche fisica, dal ritiro nel deserto che preparò la sua missione pubblica. 1 6 1 Il deserto è il luogo in cui si affrontano le proprie tenebre e in cui si ingaggia la lotta con i propri demoni; è il luogo in cui si diventa capaci di una solitudine che, a differenza di quella dell'io cartesia­ no, non è il punto di arrivo, ma, al contrario, è la premessa di un'autentica relazione con gli altri. L'esempio usato, quello del Cristo, allude anche al ritrovamento di una trascendenza verticale, di un rapporto filiale col Padre che reintegra l'uomo nella condizione di creatura e che lo fa uscire dalla pretesa onnipotente di mettersi al posto del Dio creatore; mentre l'invidia rimane impigliata nell'inferno del mimetismo, che trasforma il proprio simile nel rivale ama­ to-odiato, invece il recupero del senso della trascendenza crea uno spazio sufficiente affinché ciascuno possa "essere pienamente", cioè essere come "setnplice creatura" . 1 6 2 L'ultimo testo che vorrei prendere in considerazione, per quanto con­ cerne l'esplorazione zambraniana degli inferi, sono le pagine di Chiari del bosco dedicate alla deductio ad injèros: 1 6 3 qui, Zambrano afferma che l'infer­ no può essere qualcosa di "dedotto" , frutto del procedimento logico della 1 59

1 6° 161

1 62 1 63

lvi, p. 268. Cfr. ivi, p. 2 7 0 . Cfr. ibidem. lvi, p. 290. Cfr. l'vi. Zambrano, Chiari del bosco, cit., pp. 44-46 .

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deduzione. Certo, è ovvio che il ragionamento deduttivo, che parte da un giudizio universale per arrivare a uno singolare, come nel celebre esempio "Tutti gli uomini sono mortali - Socrate è un uomo - dunque Socrate è mortale", non prende in considerazione molte cose, fra cui la vita di Socrate e le circostanze della sua morte: evita di farlo volutamente, per concentrarsi sul "tragitto aperto alla mente dalla Logica fonnale" . 1 64 Tuttavia, Zambrano utilizza l'esempio del ragionamento deduttivo per suggerire che molti tragitti della mente, ineccepibili dal punto di vista logico, riducono al silenzio molto di ciò che è importante per noi sul piano esistenziale. "L'impressione che agli inferi si scenda per deduzione, e che essi stessi siano qualcosa di dedotto" 1 65 nasce in Zambrano a partire da una frase della Bibbia, tratta dal libro di Tobia, e più precisamente delle parole con cui l'anziano Tobith si rivolge al suo Signore: " Q_uoniam tujlagelas et salvasJ deducis ad irifèros et reducis" . 1 66 Il riferimento al testo biblico genera l'aspettativa di un racconto di vita che il procedimento logico della deduzione volutamente passa sotto silenzio: mentre, nel libro di Tobia, troviamo il racconto di una storia familiare, in cui le vicende dell'anziano e pio Tobith si intrecciano con quelle del figlio Tobia e della giovane Sara, che diventerà sua moglie, in una narrazione che parla della fedeltà alla legge di Dio, dell'amore tra genitori e figli e tra marito e moglie e del ricordo dei morti, invece, nell'astrazione della logica, non c'è posto per nulla di tutto questo. Con la deductio ad irifèros, Zambrano suggerisce che l'inferno può essere prodotto - o meglio, dedotto - dal fatto che molti tragitti della mente tra­ scurano di prendere in considerazione e di esaminare da vicino le vicissi­ tudini della vita, le discese e le ascese che inevitabilmente l'accompagnano. Gli inferi possono essere il frutto della mancata attenzione a quanto vi è di arduo e di difficile da attraversare in ogni esistenza. Infatti, proprio per correggere l'indifferenza della logica nei confronti della vita e dei suoi sforzi di trascendenza, le parti che, nel testo di Zam­ brano, seguono la deductio ad inferos sono, non a caso, dedicate alla vita e alle sue vicissitudini: al delirio di ogni fonna di vita, nel suo tentativo di andare oltre, e alla compresenza di sofferenza e di allegria in ogni nascita, con un significativo rinvio alla figura di Dioniso, dio della "nascita sempre incom­ pleta, interminabile" , del "delirio interminabile" della "vita che muore per . . . che ntornare " . 1 6 7 D opo un ruenrnento al " compnnento " - un compnnento �.c.

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lvi, p. 45 . lvi, p. 44. Ibidem. Cfr. Tobia, 1 3, 2 . 1\ :l. Zambrano, Chiari del bosco, cit., p . 46 .

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lascia però un vuoto, perché, come si nacque nudi, così non si può rinascere senza nudità - 1 6 8 e un breve cenno all' "identificazione" - l'unione di vita e morte in ogni rinascita, in ogni discesa nelle viscere per trascenderle -, 1 6 9 Zambrano conclude il capitolo di Chiari del bosco dedicato alle "operazioni della logica" con un riferimento al tempo e alla musicalità. Come i pitagorici, da lei tanto amati, Zambrano cerca una ragione che sia "logos e numero a un tempo" . 1 70 La questione del tempo è centrale per una filosofia che voglia rimanere aderente alla vita e alle sue alterne vicende: non si tratta solo di rivalutare il tempo vissuto rispetto a quello oggettivo, scandito dagli orologi, ma di restare in ascolto di quelle situazioni della vita, dolorose o felici, di quei momenti straordinari, che "hanno la virtù di far sparire all'improvviso tutto ciò che la persona che li vive riteneva importante e [ . ] quando si è usciti da questa situazione si è differenti da prima, si è in un certo senso 'altro ' " . 1 7 1 Il tempo che occorre per d"1stiliare ""l1 sapere de lla vita" , 1 7 2 che è ben diverso dalla conoscenza intellettuale, è innanzitutto quel­ lo necessario per patire fino in fondo una situazione estrema senza liquidarla frettolosamente, e poi quello indispensabile per arrivare a quella "regione segreta" , al "fondo dell'anima" / 73 in cui giace qualcosa di ineffabile. Il tempo richiesto è quello necessario per un percorso di iniziazione: in­ fatti, "colui che ha attraversato alcune situazioni di estremo dolore, di estre­ ma difficoltà o di fortuna estrema, ha sofferto una iniziazione" . 1 7 4 Solo così, dandosi il tempo necessario al patire, al ripensare una situazione rivelativa, a percorrere in tutta la sua estensione temporale un itinerario iniziatico, è possibile dipanare la "molteplicità dei tempi" , 1 7 5 i diversi involucri temporali che, aggrovigliatisi in alcuni passaggi esistenziali diffic ili, possono ritornare a scorrere ritrovando la direzione della trascendenza. Un'immagine che Zambrano usa è quella del tempo che "trascorre ri­ prendendo il suo passo" : 1 7 6 infatti, si tratta di una ripresa, di un ripensamento meditativo delle situazioni rivelative della propria esistenza; si tratta di ritor­ nare sui propri passi affmché le situazioni-limite che sono state vissute non .

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Cfr. ìvi, pp. 47-48. Cfr. ìvi, pp. 48-49. 1 7 0 lvi, p. 49. 1 7 1 l'v:l. Zambrano, JVote di un metodo, cit. , p. 1 1 2 . Sul tema del tempo in Zambrano, cfr. R. Prezzo, Pensare in un'altra luce, cit., pp. 86-92. 1 7 2 1\:l. Zambrano, ]'late di un metodo, cit . , p. 1 1 1 . 1 73 Ibidem. 1 74 lvi, p. 1 1 2 . 1 75 Cfr. � � - Zambrano, Delirio e destino, cit., pp. 1 1 5- 1 25 . 1 7 6 1\ :l. Zambrano, Chiari del bosco, cit., p. 5 1 . 1 69

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siano ricacciate nell'inferno della mancanza di senso e del non essere. 1 7 7 Il tempo esistenziale, che, come abbiamo visto, in realtà non è un sem­ plice trascorrere, ma comporta piuttosto una sospensione meditativa del flusso temporale, viene associato da Zambrano alla musicalità: come i pita­ gorici, l'autrice cerca un logos che sia annonia e musicalità, che ci permetta di far risuonare tutte le note della nostra anima. Un logos non astratto ma vicino alla vita trova nell'armonia musicale un'itnmagine adeguata: infat­ ti, mentre il concetto ci dà l'illusione di poter afferrare istantaneamente ciò che, per dispiegarsi nella vita, esige molto tempo, invece una musica, per essere ascoltata, richiede tutto il tempo necessario, e non ne possiamo saltare alcuna nota senza compromettere tutto l'insieme. Così è nella vita stessa: non c'è in essa nessuna nota superflua, e anzi, per ascoltare il suono di quelle più nascoste e tuttavia rivelative, dobbiamo concederci il tempo ulteriore di un ascolto meditativo e iniziatico. Inoltre, la musica richiede la nostra partecipazione: per ascoltarla, dobbiamo farla rivivere dentro di noi, esserci m prnna persona. 1 78 La musicalità del trascorrere del tempo è una "musica anteriore a ogni musica composta della quale è ispirazione e fondamento. E solo il rumore del mare e il vento, quando passano dolcemente, gli assomigliano. E ancor più certi modi del silenzio senza attesa e senza vuoto" . 1 7 9 Ascoltare la "musica del trascorrere" 180 significa patire il tempo allo stato puro, sentirsi sottomessi ad esso, fare esperienza della temporalità come condizione imprescindibile della condizione umana: "Pare sia il sentire del tempo stesso quello che si spande musicahnente sul sentire di chi lo ascolta soffrendolo. Una musica che viene a darsi al modo dell'orazione" . 1 8 1 Tuttavia, non necessariamente "qualunque forma dello scorrere del tempo porta [ . . . ] alla trascendenza" , né "qualunque forma di accettazione del tempo conduce [ . . . ] all'identità" : 1 82 per distillare il senso di un vissuto che, se non interrogato adeguatamente, rischia di sprofondare negli inferi, occorre arrivare a scorgere una "chiarezza nascente" 18 3 nelle VIscere, so•

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Tuttavia, occorre precisare che questa ripresa meditat:iva implica un numero fmito di giri, di ritorni; altrimenti, si cade nell'ossessione . 1 7 8 Cfr. 1\: L Zambrano, Persona e democra;:: ia, cit . , p. 1 96: "Invece la sinfonia dobbiamo ascoltarla, riprodurla ogni volta: dobbiamo in un certo senso rifarla, o contribuire alla sua realizzazione [ . . . ] . Esige la nostra partecipazione" . 1 79 1\:L Zambrano, Chiari del bosco, cit., p . 5 1 . I SO fvi, p. 5 2 . 1 8 1 Ibidem. 1 8 2 1\ I. Zambrano, lvote di un metodo, cit., p. 85. 1 83 Ibidem.

FRA CIELO E INFERI

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stare in esse per tutto il tempo necessario a trasformare il loro lamento in dolore. Affrontando il tema della trascendenza delle viscere in .Note di un meto­ do, Zambrano affenna che, per far penetrare un po' di luce nelle zone più oscure del nostro sentire, occorre un istante di vuoto: "Il soggetto necessita di vuoto affmché il pensiero nasca al vero trascendere, [ . . . ] come in un sacrificio. [ . . . ] Non bisogna distaccarsi tanto velocemente dal lamento [ . . . ] , bisogna convertirlo in dolore. L'ammalato o il sofferente è più vicino al tra­ scendere di colui che ha ridotto precipitosamente al silenzio il suo lamento, lacerandosi. Non bisogna temere di restare immersi in questo istante di lacerazione e nemmeno bisogna riempirlo. È la funzione del pensare che può esser dolorosa: trasformare il dolore in lamento, senza uscire troppo velocetnente da esso" . 1 84 Riecheggiando la sapienza dei tragici greci, in particolare il detto di Eschilo "attraverso la sofferenza la conoscenza", Zambrano indica nel pas­ saggio dal lamento al dolore, senza voler uscire affrettatamente dalla sof­ ferenza ma sostandovi per tutto il tempo necessario a prestare ascolto al gemito delle viscere, la condizione per un autentico trascendere. Infatti, gli inferi sono il luogo "dove giace e geme quanto è stato visto solo a metà", 1 85 per la fretta di uscire dalla tenebre e per l'ansiosa brama di trascendere prematuramente quanto, invece, ci tocca attraversare per intero: una fun­ zione fondamentale, nel riscatto delle viscere, è svolta dalla memoria, che, capace di discendere fino agli inferi dell'anima, è in grado al tempo stesso di conservare viva "la fiamma dell'origine celeste" . 1 86 7 "Infero è ogni luogo che è sottomesso a un cielo" . 1 8 "Poiché di solito accade che si sia prigionieri di un cielo e al sentirsi così, in prigione, si giri alla ricerca dell'uscita. Allora si fa l'inferno" . 1 88 Si cade nell'inferno come nel rovescio misterioso e insondabile di qualche cielo: quando una determinata concezione della vita umana, che fino a un certo punto la circoscriveva e la conteneva, si rivela troppo angusta, cosicché all'inten10 di essa rischiamo di morire per asfissia, per mancanza di spazio per quelle realtà che non assur­ gono alla dignità di ragioni e che tuttavia patiamo senza poter dare loro un nome, allora il cielo che prima ci abbracciava si converte in un inferno, in una prigione. La vita umana conosce più volte la ricaduta da un cielo nel 1 8-1-

1 85

1 86 1 87

1 88

lvi, lvi, lvi, 1\I. lvi,

p. 86. p. 89. p. 90.

Zambrano, Chiari del bosco, cit., p. 1 4 7 . p. 1 43 .

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suo inferno, dal momento che nessun cielo "accoglie per intero la condizione terrestre" . 189 Nell'inferno, d'altra parte, non possiamo stare fermi, perché la vita anela a trascendersi, sorretta da una fiamma che, pur sprigionandosi dal cuore della terra, è di origine celeste. Zambrano, con il tema della trascendenza delle viscere, cerca di tra­ durre nel suo linguaggio sapienziale non solo il peso del viscerale e del corporeo, che "raffrena e orienta il pur necessario chiarirsi in ragione di ciò che in esso oscuramente fermenta", 1 90 ma anche la concezione biblica del Logos-luce. Scrive infatti l'autrice: " 'Lo spirito galleggiava sulle acque', e lo spirito, essendo pura luce, non può non scendere all'infen10 accompagnato dalla luce" . 1 9 1 È la fiducia nel Logos-luce - vita divina discesa sulla terra, fattasi cor­ po e carne - a rendere possibile, in ultima analisi, l'orientamento verso la trascendenza di quelle viscere, che rischiano altrimenti di emettere solo gemiti, come negli uomini del sottosuolo. Il ritrovamento della trascendenza autentica, la cui direzione è indicata dal Logos-luce, dalla parola che si è fatta carne, pone fine agli inferni mimetici dell'invidia e rende finalmente possibile un ascolto caritatevole dei gemiti degli uomini sotterranei: solo una volta che si sia ritrovato il senso di tale trascendenza, è possibile affermare, come fa Zambrano, che "non c'è infen10 che non sia il viscere di qualche cielo" . 1 9 2

1 89 1 9°

lvi, p. 1 4 7 . Carlo Ferrucci, Posifa;::ionc, in lVI . Zambrano, Chiari del bosco, cit. , p. 1 69. 1 9 1 lVI. Zambrano, Chiari del bosco, cit., p. 1 44. La centralità della concezione giovannea del Logos-luce è sottolineata da G. Blundo Canto, Afaria ;:ambrano, cit . , pp. 1 8 1 -2 1 6 . Fon­ damentale, nella circolazione del Logos-luce, è la discontirmità, perché lo Spirito agisce in maniera del tutto libera e imprevedibile, e la sua manifestazione è soggetta a eclissi e nuove discese . (Cfr. ivi, p. 1 8 7). 1 9 2 1\ :l. Zambrano, Chiari del bosco, cit., p. 1 44.

C apitolo III Maria Zambrano e il pensiero della differenza sessuale

3 . 1 . Donne

1-Iaria Zambrano dedicò diversi scritti alla questione della donna e alla condizione femminile soprattutto nel primo periodo della sua riflessione filosofica, dalla fine degli anni venti fino al termine degli anni quaranta: del 1 928 sono gli articoli pubblicati nella rubrica "Donne" del periodico "El liberai" , mentre fra il 1 940 e il 1 948 Zambrano pubblica i saggi La donna e la cultura ( 1 940), J\1ujeres de Gald6s ( 1 942), Eloisa o l'esistenza della donna ( 1 945), A proposito de la "Grandeza _v servidumbre de la .Nfujer" ( 1 94 7) e Delirio di Antigone ( 1 948). Se si eccettua La tomba di Antigone, pubblicata nel 1 96 7 e ristampata nel 1 989 in una nuova edizione che comprende anche Diotima di AJantinea, si vede che gran parte della riflessione esplicita di Zambrano sulla condizione della donna è circoscritta al primo periodo della sua produzione filosofica. Inoltre, visto che la meditazione sulla figura di Antigone, che accom­ pagna l'autrice per circa vent'anni, è motivata, oltre che dall'appartenenza dell'eroina greca al genere femminile, dal fatto che essa condivide con la stessa Zambrano le drammatiche esperienze dell'esilio e della guerra civile, si può affermare che la sensibilità di Zambrano nei confronti della causa delle donne si faccia sentire in modo esplicito solo nel primo periodo del­ la sua riflessione e che, anche all'interno di questa, essa occupi un posto, benché significativo, tutto sommato limitato. Così ahneno sembra ritenere buona parte della critica, che ha concentrato la propria attenzione su temi più centrali del pensiero zambraniano, relegando la riflessione sulla donna ai margini. Fanno eccezione, in questo contesto, le interpretazioni di Ele­ na Laurenzi e di Annarosa Buttarelli, che mettono invece l'accento sulla questione della differenza e sul rapporto fra i sessi come temi tutt'altro che secondari nel pensiero dell'autrice andalusa. In sintonia con queste ultime posizioni critiche, anch'io ritengo che la questione della donna in Zambrano non sia affato marginale: se è vero infatti che i testi esplicitamente dedicati alla questione femminile sono rela-

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tivamente pochi se confrontati con il resto della vasta opera zambraniana, e sono per di più collocati nella prima fase della produzione dell'autrice, è vero anche, tuttavia, che le attitudini fondamentali che in tali testi emergono a proposito della posizione "femminile" - materialismo, realismo, sapere dell'anima, passività - vengono in seguito sviluppate come caratteristiche essenziali della stessa ragione poetica zambraniana. In altri termini, se da un lato si può affermare che 11aria Zambrano trat­ ta la questione femminile come una riflessione collaterale alla più impegnata e drammatica riflessione sulla storia in generale e sul mondo contemporaneo, da un altro lato è necessario sottolineare che alcune attitudini di fondo, riconosciute in un primo tempo dall'autrice come "femminili", vengono in seguito estese all'intero logos, un logos ripensato dalla stessa Zambrano in sintonia con il sentire femminile. Particolarmente eloquente in tal senso è il tema della passività: se è vero, come osserva 1'1assimo Cacciari, che "il tema che ossessiona :1_\vlaria Zambrano è quello della costituzione passiva della soggettività", 1 è vero an­ che, ed è opportuno sottolinearlo, come fa giustamente Silvano Zucal, che questo "tema [ . . . ] vale per la soggettività in generale ma [ . . . ] si alimenta dell'esperire femminile e della sua lezione" . 2 È infatti la donna colei che viene vista da Zambrano "nella grandezza della passività amante" . 3 Un discorso analogo si può fare a proposito del realismo zambraniano - l'essere inna­ morati del reale senza volersi svincolare da esso - e del sentire dell'anima, tema che affiora dapprima come peculiarità femminile, ma che diviene in seguito centrale nell'intera fùosofia zambraniana. È dunque possibile ipotizzare che, dopo gli anni quaranta, la questione della donna non sia più esplicitamente tematizzata dall'autrice andalusa perché essa confluisce nell'intento più generale di femminilizzare un logos che l'avventura maschile di libertà ha spinto eccessivamente in direzione di un attivismo prometeico e distruttore. Prima di verificare in modo più ravvicinato tale ipotesi di lettura, è opportuno analizzare i testi esplicitamente dedicati alla questione femminile, a partire dai brevi articoli pubblicati nella rubrica "Donne" del periodico "El liberai'' . Si tratta di una serie di articoli, scritti da una giovanissima 1

lVIassimo Cacciari, - o . -

7

lvi, p. 49.

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:�vlentre in passato la donna era "reclusa in un ambiente domestico, privato ed individuale" , 8 e da lì "influiva sull'uomo con una forza sotterranea e diffusa" , 9 facendo sentire "l'effetto della sua oscura forza sulla cultura", 10 ora che lei agisce in prima persona nella sfera pubblica non dovrebbe tut­ tavia dimenticare le proprie qualità femminili per omologarsi all'uomo. Ad esempio, una donna che si occupi dell'assistenza all'infanzia dovrebbe cer­ care di far sì che i luoghi in cui vengono tenuti i bambini delle madri che lavorano siano "focolari e non asili"; 1 1 dovrebbe cioè compiere un'azione pubblica che tenga conto del suo sentire, maturato in secoli di vicinanza al focolare domestico. Fra i risultati del femminismo, Zambrano valuta positivamente l'eman­ cipazione economica, anche se affenna che "l'ideale femminista [ . . . ] sta al di là dell" emancipazione economica' , che non è altro che un primo passo tristemente necessario" . 1 2 Più e oltre che l'indipendenza economica, che l'en­ trata di molte donne nel mondo del lavoro garantisce loro, a Zambrano sta a cuore l'indipendenza simbolica, il fatto cioè che la donna non sia definita solo in funzione dell'uomo: il fatto che noi donne non siamo più al servizio dell'uomo - scrive l'autrice - "ci rende all'improvviso persone" . 1 3 Nei brevi articoli pubblicati nella rubrica "Donne", Zambrano dimo­ stra di avere consapevolezza dei problemi di ordine simbolico collegati al­ l'emancipazione fernminile: di quest'ultima, l'autrice valuta positivamente l'ingresso delle donne nel mondo del lavoro e nella sfera pubblica, a patto che tale ingresso non significhi un rinnegamento dei valori e delle qualità tradizionalmente femminili né un'omologazione al maschile. Nel contempo, l'autrice dimostra di essere sensibile alle differenze di classe, anche fra donne: 14 le donne non costituiscono un gruppo omogeneo, per condizione sociale ed economica, ma alle contadine e alle operaie si contrappongono le donne borghesi. Spesso, in questi scritti della giovane Zambrano, la condanna delle disuguaglianze sociali ha la meglio sulla que­ stione femminile come tale: in quanto le donne costituiscono un gruppo sociale disomogeno e che ospita al suo interno molte disparità, il problema femminile si delinea come una questione specifica all'interno di un più vasto rinnovamento in vista di una società più giusta. s I.vz,.

p . :J- o .

9 Ibidem. 1 0 Ibidem. 11

12

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14

lvi, p. 58. lvi, p. 5 6 . lvi, p. 7 3 . Cfr. ivi, pp. 59-6 1 e pp. 65-6 7 .

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Un orientamento analogo emerge nel saggio La donna e la cultura, frutto di una serie di conferenze tenute da 11aria Zambrano all'Università di Porto Rico nel 1 940. Qui, la questione della donna viene fin dall'inizio inserita nel problema più generale di un necessario mutamento di rotta nella cul­ tura occidentale: l'autrice osserva che la situazione di crisi dell'Occidente richiederebbe una nuova confessione, sul modello di quella agostiniana, che consentisse d'intravedere una via d'uscita. È in questo contesto più generale che si pone la questione della donna: "Quindi non è che il tema della don­ na ci interessi più di ogni altro; ma la situazione della donna ha implicita quella dell'uomo e non è da quella separabile nei suoi aspetti essenziali, tanto creatori, quanto intitni" . 1 5 Questa osservazione di Zambrano si può accostare a quanto la riflessio­ ne femminista legata al pensiero della differenza ha recentemente constatato: dopo decenni di storiografia fetnminista, volta e rendere visibile la presenza delle donne nella storia, si è dovuto riconoscere che non esiste una storia delle donne separata da quella degli uomit1i, dal momento che "uno studio separato delle donne [ . . . ] non permette di comprendere le forme storiche del potere" . 1 6 Una storia separata delle donne rischierebbe di essere "un 'supplemento' di storia che semplicemente completa o arricchisce le storie politiche e sociali convenzionali, senza rimetterle in discussione" . 1 7 L'osservazione di Zambrano, secondo cui "la situazione della donna ha implicita quella dell'uomo e non è da quella separabile nei suoi aspetti essenziali", 18 alla luce di queste considerazioni, può essere interpretata nel senso che la scarsa visibilità delle donne nella storia non può essere conside­ rata separatamente dalla tendenza dell'uomo a rendersi visibile sulla scena pubblica e a occupare i luoghi di potere. N el saggio La donna e la cultura ci sono altre considerazioni di Zambrano che sono accostabili al pensiero della differenza sessuale contemporaneo: in primo luogo, la consapevolezza che "parlare della situazione della donna, in qualsiasi epoca, significa toccare una delle cappe più profonde, uno degli strati più decisivi nella marcia della cultura" . 1 9 In questa osservazione, c'è il riconoscimento che l'agire della differenza sessuale è alla base della storia e della cultura, ne è come l'alfabeto simbolico di base. Infatti, Zambrano scrive che "il pritno elemento che incontriamo all'origine del mondo occidentale 15

lVIaria Zambrano, La donna c la cultura, in Ead. , All'ombra del Dio sconosciuto, cit . , p. 6 3 . VV. , La differenza sessuale: da scoprire e da pro du nc, in D iotin1a, Il pensiero della differenza sessuale, La tartaruga, l\:lilano 1 98 7 , p. 3 1 . 1 7 lvi, p . 30. 1 8 1\:l. Zambrano, La donna e la cultura, cit., p. 6 3 . 19 Ibidem. 1 6 A.A .

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è una radicale divergenza tra l'uomo e la donna": 20 occorre soffermarsi sul tennine "divergenza" , una parola che evoca non tanto una storia di dominio e sottomissione, benché non la escluda, quanto piuttosto un allontanamento reciproco, un procedere in direzioni diverse. N on è difficile tradurre il senso di questa "radicale divergenza" nel senso dell'agire storico della differenza sessuale. Un agire storico di cui Zambrano individua infatti le scansioni più significative nel succedersi di lunghi periodi di invisibilità-subordinazione delle donne a momenti di protagonismo femminile, coincidenti con i periodi di crisi, di profondi mutamenti socio-simbolici. Dopo aver sottolineato infatti che, in tutta la cultura greca prima e in quella cristiana poi, la donna è stata relegata ai margini, resa totalmente invisibile, o al massimo inclusa in archetipi di femminilità inventati dall'uo­ mo, in icone femminili che altro non erano che proiezioni del desiderio maschile e che risultavano insostenibili per le donne reali, Zambrano scrive: "Tuttavia dobbiamo segnalare che in ogni momento di crisi storica la donna raggiunge alti livelli di esistenza" . 2 1 Anche qui, c'è consonanza con il pensiero della differenza sessuale: ad esempio, Luisa 1'1uraro ha sottolineato che "la storia umana è costellata di momenti di una valorosa presenza femminile, seguiti da una reazione di esclusione-reclusione delle donne. [ . . . ] Ogni volta, i momenti di riconosci­ bile presenza femminile sono, per tutti, fasi considerate rivoluzionarie della storia umana, mentre la tendenza all'esclusione-reclusione subentra nella successiva, e generalmente più lunga, fase di 'storia nonnale' " . 22 Quello che il pensiero della differenza attuale considera come la storicità specifica delle donne, cioè l'intermittenza della loro presenza nella storia, 2 3 è anche per Zambrano la chiave di lettura di una storia che è fatta in gran parte di invisibilità-subordinazione femminile, ma che vede anche, nei periodi di crisi, un protagonismo femminile. Anche nel saggio A proposito de la "Grandeza _y servidumbre de la Nfujer)), l'autrice ribadisce che nelle svolte epocali, quando si avverte con angoscia che qualcosa di abissale e di oscuro inizia a ribollire sotto la crosta di nor­ malità, "la donna appare come la condottiera dello spirito attraverso questi transiti misteriosi e difficili; la guida autentica di questo mondo sotterraneo e tenebroso, che aspira a raggiungere la chiarezza. [ . . . ] La donna acquisisce la 20

lvi, p. 64. lvi, p. 74. 2 2 Luisa Muraro, Oltre l'uguaglianza, in D iotima, Oltre l'uguaglianza. Le radicifemminili dell'au­ torità, Liguori, Napoli 1 995, p. 1 05 . 2 3 C fr. D iotima, Appnifittare dell'assenza. Punti di avvistamento sulla tradizione, Liguori, Napoli 2002 . 21

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sua massima grandezza in questi momenti di metamorfosi per poi eclissarsi durante i tempi di ordine e sicurezza" . 2 4 Zambrano fornisce alcune indicazioni che consentono di spiegare, al­ meno in parte, la maggiore visibilità delle donne nelle epoche di crisi e di transizione e, nel contempo, la loro invisibilità nei periodi di "storia norma­ le" . Secondo l'autrice, le donne sono per lo più collocate nelle "viscere della storia" , 25 in una posizione segreta, nascosta, vicina alla vita e alla natura, prossima all'nnmutabile, e per questo esse sono generalmente relegate ai margini del corso storico, in cui l'uomo dispiega ÌilVece la sua vocazione creatrice, attivista e volontarista: "lVIa la donna rimane essenziahnente al margine di questa attività e in fondo la sua vita si mantiene aderente alla natura, dotata di un senso cosmico, non razionale. Nella sua monotonia Ìinpregnata di indifferenza [ . . . ] , la donna è la continuità grigia, monotona, e perciò stesso poetica della vita, è la contilmità del sangue, la coesione sociale. È il centro dello storico fluire dell'umano, l'aspetto non storico, quello che più si avvicina all'nnmutabile, e quindi al naturale" . 2 6 Tuttavia, per lo stesso motivo, cioè a causa della sua prossnnità alla vita nella sua Ìin-mediatezza, a ciò che non è ancora mediato ma che ha bisogno di mediazione per giungere alla pienezza dell'essere, come le viscere ÌI1ascoltate, che sempre gemono nei periodi di crisi, la donna sa farsi guida della transizione nei momenti rivoluzionari, di profondo cambiamento so­ cio-snnbolico, quando l'ascolto di ciò che finora non aveva ancora ricevuto forma simbolica ma che tuttavia era ÌII gestazione, diventa fondamentale. Nei periodi storici di transizione, la donna sa vegliare affinché il passaggio a una nuova epoca possa avvenire: fuidifica il corso della storia, facendola uscire dal suo ristagno mortifero e rÌinettendola in contatto con le sue radici vitali. Per la sua vicinanza alla vita, al sentire e alle viscere, a tutto ciò che sotterraneamente muove il corso della storia, la donna dllnostra di essere l'interlocutrice privilegiata nei momenti di crisi. Nel saggio La donna e la cultura, Zambrano indica solo due momenti storici di questo tipo, ÌII cui il protagonismo femmn1ile si sarebbe fatto sentire: il periodo in cui, nel 1\;ledioevo, venne elaborata la concezione dell'amor cortese, e l'inizio del Rinascimento, prima della Controriforma, quando diverse donne di cultura parteciparono alla formazione dell'ideale umanistico. In questi due periodi, 24 lVI.

Zambrano, A proposito de la «Grandeza )' semidumbre de la Afujer", "Aurora" , 1 999, n.

l, p. 1 47 . 25

C fr. ivi, p . 1 48. Zambrano, La donna e la cultura, cit., pp . 64-65 .

26 M .

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tuttavia, il contributo femminile sarebbe stato, secondo, Zambrano, qualita­ tivamente diverso: nel primo caso, cioè nell'amor cortese, la donna, in par­ ticolare la dama, avrebbe contribuito sì alla realizzazione di tale concezione amorosa, ma adattandosi a un ideale elaborato dall'uomo - in tal modo, però, l'autrice non riconosce il ruolo attivo che diverse donne effettivamente ebbero nell'elaborazione dell'amor cortese, e che non è riducibile solo a un adattamento al punto di vista maschile; nel secondo caso invece, cioè nel primo Rinascimento, la donna a\Tebbe finalmente cominciato ad "esistere al di fuori del sogno dell'uomo" . 27 Come si vede da quest'ultima osservazione, anche nel saggio La donna e la cultura Zambrano ribadisce una questione già affiorata negli articoli pub­ blicati su "El liberal", cioè quella dell'indipendenza simbolica della donna: all'autrice sta particolarmente a cuore il fatto che la donna possa definirsi a partire da sé, e non solo secondo il punto di vista dell'uomo, sempre pronto a forgiare ideali, miti e archetipi di femminilità, che poco hanno a che vedere con le donne reali. Nel contesto medievale dell'amore cavalleresco, l'amore sarebbe, secon­ do Zambrano, un'invenzione dell'idealismo dell'uomo, che "inventa anche la donna" , "una donna che corrisponde all'idea platonica" : 28 Beatrice e Laura sono invenzioni dell'idealismo maschile, creature di sogno, frutto di un'idealizzazione. Un certo tipo di donna, la dama, tuttavia, collabora at­ tivamente a questo sogno dell'uomo, contribuendo a realizzarlo. Cionono­ stante, Zambrano sottolinea la mancanza di indipendenza simbolica della donna nella cultura dell'amor cortese: "Nelle alte sfere a cui è stata elevata non le è concesso di agire, di esistere per se stessa. La donna è qui dipen­ dente in tutto, in un sistema di totale obbedienza. È l'uomo che l'ha creata, e al crearla le ha assegnato il posto più alto cui lei possa aspirare; lei è parte integrante della creazione maschile, che senza di lei non sarebbe possibile. D'altra parte interviene nella società, e la vita sociale grazie a lei si fa più raffmata ed elevata. Forgia norme sociali, inventa la cortesia e la galanteria che è l'aspetto più raffinato della cultura del 11edioevo" . 2 9 Fin qui, la donna si sarebbe adattata al sogno dell'uomo, contribuendo in una certa misura a realizzarlo, favorendo le pratiche sociali della cortesia e della galanteria. "Questo, a grandi linee, è quanto la donna è stata grazie all'uomo. Però qualcosa la donna è stata anche per se stessa. La donna si è anche espressa per se stessa. E dire che la donna si è espressa vale a dire 2 7 lvi, p. 28 lvi, p .

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74. 68. lvi, pp . 68-69.

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che ha espresso il proprio amore. L'esistenza della donna, anche quando lei esiste per se stessa, resta tuttavia indissolubilmente legata all'amore" . 30 In questo brano, sono sintetizzati due motivi: in primo luogo, la questione dell'indipendenza simbolica della donna, la possibilità di quest'ultima di dirsi a partire da sé; in secondo luogo, il fatto che, quando la donna finalmente conquista una fonna di esistenza simbolica, l'ottiene sul terreno dell'amo­ re, dando voce al proprio essere innamorata. Le figure di Saffo e di Eloisa sono quelle più emblematiche da quest'ultimo punto di vista: esse hanno guadagnato l'esistenza simbolica grazie al fatto che hanno osato confessare ed esprùnere il proprio amore. Questi due esempi fanno capire che alcune donne sono riuscite a guadagnare singolannente una visibilità storico-cultu­ rale anche al di fuori dei momenti storici di crisi e di transizione: se questi ultimi sono periodi di visibilità collettiva per le donne, sul terreno dell'amore, tuttavia, la soggettività femminile ha trovato modo di significarsi liberamente anche in altre epoche. La questione dell'indipendenza simbolica riton1a infine nel contesto della cultura del primo Rinascimento: qui, grazie a donne come Vittoria Colonna e Giulia Gonzaga, nasce un"'autentica aristocrazia femminile" . 31 "Discesa dal suo trono, la donna resta come sospesa in un'atmosfera idea­ lizzata, ma questa volta l'idealizzazione è opera sua. Le donne vivono ormai per conto proprio" . 3 2 Il fatto che queste conquiste - di Saffo, di Eloisa, come delle donne del primo Rinascimento - si collochino sul piano dell'esistenza simbolica le qualifica come guadagni irreversibili: ciò significa che si tratta di guadagni che le singole donne possono anche perdere, nelle vicissitudini delle loro esistenze e nelle traversie di una storia fatta per lo più di subordinazio­ ne femminile, ma che esse restano comunque dei guadagni da ascrivere a vantaggio dell'intero sesso femminile e della sua possibilità di significazione simbolica. Valorizzando tali conquiste, Zambrano mostra di essere consa­ pevole dell'importanza che rivestono i modelli di femminilità elaborati in proprio da donne, i quali costituiscono per le donne reali, in carne e ossa, delle possibilità di rispecchiamento confacenti a sé, senza deportazione nel punto di vista dell'altro, dell'uomo. Fin qui, le assonanze e i rimandi fra l'analisi zambraniana della condi­ zione femminile e la prospettiva attuale del pensiero della differenza sessuale sono notevoli. Su un punto, tuttavia, le due prospettive finiscono col diverge3 0 lvi, p. 31

69.

lvi, p . 74. 3 2 lvi, p . 75.

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re: si tratta di un punto in realtà decisivo, perché esso chiama direttamente in causa le due diverse essenze o nature, rispettivamente maschile e femminile. Sbilanciandosi in tale direzione, Zambrano arriva a fare della differenza dei sessi una questione antologica, metafisica; così facendo, si allontana dal pensiero della differenza sessuale nella misura in cui perde di vista gli uomini e le donne reali a favore delle loro essenze, a favore di qualità in definitiva astoriche e immutabili, rispettivamente maschili e femminili. È vero che il pensiero della differenza sessuale è stato accusato - ma, a mio avviso, a torto - di "essenzialismo" : 33 a tale accusa esso sfugge in quanto guarda non a delle presunte "essenze" del maschile e del femminile, ma a ciò che gli uomini e le donne reali sono e desiderano essere. Zambra­ no invece, avventurandosi in una metafisica dei sessi, ricca per la verità di spunti e di suggestioni interessanti, finisce col cadere proprio in una forma di essenzialismo, finisce col designare cioè specifiche qualità e attitudini "naturali" dell'uno e dell'altro sesso: ne risultano, in filigrana, due essenze, rispettivamente maschile e femminile, che, scorporate dagli esseri umani che ne sono la concreta incarnazione, si presteranno poi ad essere attribuite sia a donne sia a uomini. Così Zambrano definisce, rispettivamente, l'uomo e la donna, secondo le loro diverse inclinazioni naturali: "L'uomo è una creatura che ha neces­ sità di creare perché è soprattutto segnato dalla nostalgia, dalla coscienza di ciò che gli manca. [ . . . ] La donna ha di più, è più vicina alla natura e per questo appare meno forzata alla creazione, all'inseguimento e alla cattura di ciò che le manca, e con più facilità può rassegnarsi a vivere con quello che trova quando nasce" . 3 4 "L'uomo è dunque un animale idealista, [ . . . ] mentre la donna si attiene a ciò che è" . 3 5 Le due fonti della cultura occidentale, cioè la radice greca, da un lato, e quella ebraico-cristiana, dall'altro, hanno contribuito entrambe a determina­ re l'essenza del maschile: l'eredità greca si è fatta sentire nel riconoscimento che "l'essenziale nell'uomo" 3 6 è il logos, cosa che lo ha spinto a lanciarsi nello "sforzo metodico per la conquista della verità", 37 facendone una creatura "idealista" , in fuga dal concreto-sensibile verso l'astrazione dell'idea, mentre la concezione della creazione propria della tradizione ebraico-cristiana vi ha

33

All ' accusa di essenzialismo, mossa al pensiero della differenza, risponde efficacemente Rivera Garretas, JVominarc il mondo a/femminile, cit . , pp. 1 55- 1 6 1 . l\1. Zambrano, La donna c la cultura, cit., p. 6 7 . Ibidem. lvi, p. 64 (corsivo mio). Ibidem.

l\ :l . M. 34 35

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aggiunto "l'idea del Dio onnipotente, terribilmente maschile", 3 8 dando così origine a "un idealismo volontaristico e attivista che sogna di sottomettere la realtà intera alla propria orbita. È la radice guerriera di tutta la cultura occidentale" . 3 9 Al contrario dell'uomo, che si è, fin dalle origini greche, identificato col logos, "la donna non si è definita intellettualmente, logicamente [ . . . ] ; è creatura alogica che cresce e si esprime al di là della logica, o al di qua, mai comunque all'inten10" . 40 �1entre l'uomo è istinto e al tempo stesso spirito, logos, ragione, che lo spingono incessantemente fuori di sé, verso una creazione che "rende invisibile la radice", 4 1 invece, "da parte sua la donna non raggiunge la creazione perché non ha vissuto come spirito ma come anima. E l'anima è schiava sempre, quasi sempre muta" . 42 Anche quando una donna riesce a fare del proprio amore una creazione, si tratta sempre di "una creazione incorporata alla sua vita" . 43 "Si avverte inequivocabilmente nella donna questa incapacità senza dubbio deliberata, questo non volersi svincolare dal proprio sentire".44 Come si vede, Zambrano pone la questione della differenza dei sessi su un piano metafisica, mettendo in campo una serie di contrapposizioni simmetriche: all'attivismo idealista e volontarista dell'uomo, si contrappone la vicinanza della donna alla sfera concreta e sensibile, al logos maschile si oppone la fondamentale alogicità femminile, all'identificazione dell'uomo con lo spirito fa da contraltare l'assimilazione della donna all'anima. Nello sforzo di designare delle attitudini "naturalmente" inerenti all'uno e all'altro sesso, l'autrice si sbilancia decisamente in direzione dell'essenzialismo. Al tempo stesso, in tal modo Zambrano fa capire bene in che senso la questione della donna sia per lei un problema strettamente collegato alla più generale e vasta critica della cultura e della civiltà occidentale. Se que­ st'ultima, a causa del predominio storico maschile, ha assunto quei caratteri 38

lvi, p. 6 7 . lvi, p. 68. 40 lv i, p. 69. 4 1 lvi, p. 7 2 . 42 Ibidem. 43 Ibidem. Questa osservazione di Zambrano può essere accostata a un'analoga considerazio­ ne di Carla Lonzi, un'importante femminista italiana iniziatrice del pensiero della differenza: "L'uomo ha cercato un senso della vita aldilà e contro la vita stessa; per la donna vita e senso della vita si sovrappongono continuamente" . (Carla Lonzi, Sputiamo su Hcgcl, Rivolta femmini­ le, l\1ilano 1 974, p. 59) . Come per Zambrano la creazione femminile è incorporata alla vita e non separabile da essa, così per Lonzi vita e senso della \,i ta, immanenza e trascendenza sono strettamente legate fra loro nel sentire femminile, a differenza che in quello maschile . 44 l\1. Zambrano, La donna c la cultura, cit., p. 7 2 . 39

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di creazwne attiVIStica, volontarista e dimentica delle proprie radici che appartengono in primo luogo al soggetto maschile, Zambrano, da parte sua, si incaricherà di farsi portavoce di quel "sapere dell'anima" , che appartiene invece in modo privilegiato alla donna. In questo senso, il fatto che le riflessioni esplicite dell'autrice sulla que­ stione della donna siano circoscritte agli anni quaranta non è affatto segno dello scemare del suo interesse per tale tematica: al contrario, è indice di un ampliamento di orizzonte, per cui quello che in questi saggi viene ascritto alla donna verrà in seguito chiamato in causa per "femminilizzare" il logos, correggendone la deriva attivistica, volontarista e distruttrice. Se Zambra­ no non si occuperà più direttamente della donna, se non incidentalmente, insomma, sarà perché l'intera sua filosofia si incaricherà di farsi portavoce di quelle attitudini - il sapere dell'anima, il realismo e il materialismo, la passività - che, a suo parere, sono legate in modo particolare al sentire femminile. 3 . 2 . In fedeltà alla differenza fermninile : Nina, Eloisa, Diotima

Come abbiamo visto nel paragrafo precedente, Zambrano è consapevole della necessità di modelli di esistenza elaborati in proprio da donne, al di là degli stereotipi di marca maschile. Si tratta di una necessità di ordine sim­ bolico, perché rispecchiarsi negli occhi della propria simile è necessario per ottenere un'immagine avvalorante di sé e del proprio sesso: 45 dal momento che, come sottolinea Zambrano, la condizione umana è inscindibilmente legata al vedere e all'essere visti, lo specchio adeguato, per una donna, è nello sguardo della propria simile, non in idealizzazioni né in miti forgiati secondo il punto di vista maschile. I nomi di quelle donne che, con la loro esistenza, hanno conquistato "un 45 La necessità di rispecchiarsi negli occhi della propria simile per ottenere un'immagine avvalorante di sé e del proprio sesso è sottolineata soprattutto dal pensiero della differenza: cfr. ad esempio Luce Irigal)', Etica della differen;::a sessuale, tr. it. di Luisa lVIuraro e Antonella Leoni, Feltrinelli, 1\:lilano 1 985, pp. 79-9 1 . Non sembra inopportuno riferire anche a Zam­ brano una prospettiva simile, dal momento che l'autrice sente il bisogno di riscrivere, con la sua sensibilità femminile, il mito di .i\ntigone, di prestare la propria voce a D iotima, e di segnalare come Eloisa abbia osato esistere al di fuori del sogno dell'uomo. Tuttavia, va notata anche la distanza di Zambrano dal pensiero della differenza sessuale : mentre per quest'ultimo l'essere donna o uomo rappresenta un punto di partenza imprescindibile, non è così per Zambrano, secondo la quale le caratteristiche maschili o femminili possono essere espresse anche da individui dell'altro sesso.

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modo di essere" , 46 liberando forme simboliche valide anche per altre, sono per l'autrice i nomi "di un'impresa e di una specie": 4 7 sono cioè nomi che aprono un varco di esistenza simbolica e una possibilità di rispecchiamento in fedeltà a sé per l'intero sesso femminile. Tali sono, per Zambrano, i nomi di Antigone, di Eloisa e di Diotima. A questi, si può aggiungere quello di Nina, protagonista di un romanzo di Gald6s. 48 Senza ribadire il significato complessivo della figura di Antigone, su cui ci siamo già ampiamente soffermati trattando della "passione della figlia" , basti ricordare qui che l'autrice si propone di riscriverne l a storia, sottraen­ do l'eroina greca al destino cruento riservatole nella versione "apocrifa" di Sofocle: dopo aver contestato il punto di vista maschile, rappresentato da Sofocle, Zambrano riscrive con la sua sensibilità femminile la vicenda dell'eroina tragica, aprendo così uno spazio di riconoscimento adeguato per le donne in un mito che altrimenti rimarrebbe inevitabilmente segnato dall'impronta maschile. Qualcosa di simile avviene anche con Diotima, a cui l'autrice presta la propria voce, facendola parlare in prima persona, dando vita ad un testo di invenzione liberamente ispirato alla sua figura, che va ben al di là della "rivelazione memorabile" 49 riportata da Socrate e imn10rtalata da Platone nel Simposio: anche nel caso di Diotima, come in quello di Antigone, Zam­ brano si dedica cioè a una riscrittura, destinata a dar voce, in fedeltà alla differenza femminile, a una figura di donna che era stata finora tramandata solo secondo il punto di vista maschile. Infme, l'intento polemico dell'autrice nei confronti della prospettiva androcentrica trapela esplicitamente nell'incipit del saggio su Eloisa, in cui Zambrano polemizza con Rilke e con il ruolo assegnato alla donna nella cosmologia rilkeana. In aperto contrasto con la condanna rilkeana della donna, votata alla morte prima di raggiungere la maturità e consegnata a un'esistenza solo poetica, frutto dell'idealizzazione maschile, Zambrano trat­ teggia, sulla base delle lettere di Eloisa, un modello di esistenza che giunge alla libertà senza rinnegare la differenza femminile, cioè senza tradire la vita dell'anima, che alla donna appartiene in modo privilegiato . L'impresa di Eloisa "le dà un nome duraturo e conquista uno spazio possibile per un modo di essere propriamente femminile" : 50 è chiaro che a Zambrano sta a lVI. Zambrano, Eloisa o l'esistenza della donna, cit . , p. 1 00. Ibidem. -t-s Su queste figure femminili nell'opera di Zambrano, cfr. E. Laurenzi, Afaria J:ambmno: una «mujerfil6sqfo", cit., pp. 3 1 -32 e pp. 36-5 5 . 49 M . Zambrano, Diotima di 1\Iantinea, cit., p. 1 25 . 50 M . Zambrano, Eloisa o l'esistenza della donna, cit., p. 1 0 l . 46

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cuore la questione dell'indipendenza simbolica della donna, cioè l'apertura di un modo di esistenza conforme alla differenza femminile e non dipendente da una prospettiva androcentrica. Non vi è invece, da parte di Zambrano, alcun intento polemico, in nome della differenza femminile, nei confronti di Benito Perez Gald6s, lo scrittore spagnolo a cui si deve la creazione della figura di Nina. Nina, così come è descritta da Gald6s, appare a Zambrano rispondente al sentire femminile: l'autrice ne dilata anzi la figura, facendo di questo romanzo "minore" il centro dell'intera opera di Gald6s. A questo romanziere spagnolo, inoltre, Zambrano riconosce il merito di aver dato vita, nella sua produzione narra­ tiva, non a un'idealizzazione della donna, ma a delle donne reali, molteplici, ciascuna con la propria storia: " È il primo scrittore spagnolo che introduce [ . . . ] le donne nel suo mondo . Le donne, molteplici e differenti; le donne reali e diverse, 'antologicamente' uguali al maschio. [ . . . ] Esistono come l'uomo, hanno lo stesso genere di realtà" . 5 1 Sottolineando che le donne, in Gald6s, appaiono "antologicamente uguali al maschio" , Zambrano intende dire che esse hanno un'esistenza simbolica propria, non subordinata ad altro da sé, come già da tempo l'aveva conquistata il maschio. l\efentre in Cervantes è presente solo l'idealizzazione della donna - Dul­ cinea -, la quale non è che la proiezione del desiderio maschile, Gald6s, facendo tesoro dell'insegnamento del romanticismo, il quale fa spazio alla "vita individuale nella sua pienezza, all'esistenza di creature umane con una storia" , 52 eredita da questo " la possibilità di scrivere storie di donne", 53 storie molteplici e diverse, plurali come lo sono i destini individuali. Ab­ biamo così, nella sua narrativa, le donne ribelli al proprio destino e quelle che lo accettano senza riserve, le nobili diseredate e le creature anonime del popolo: la simpatia dell'autore va a queste ultime, cosicché egli, pur essendo "erede del romanticismo, finisce per scrivere delle storie di donne che non sono romantiche" , 5 4 ma che sono anzi ostinatamente contrarie a ogni romanticismo. Infatti, i "grandi personaggi" non sono per lui "quelli di prima fùa" , 55 ma sono piuttosto le persone comuni, anonime, appartenenti alle classi subalteme, in cui vive e si tramanda la sapienza di un intero popolo: Nina è fra queste. Benigna de Casia, detta Nina, è serva e mendicante: chiede la carità per 51

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M. lvi, lvi, lvi, M.

Zambrano, La Spagna di Gald6s, cit., p . 1 46 . p. 147. p . 1 48 . p . 1 49. Zambrano, l.c parole del ritorno, cit . , p. 1 46 .

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aiutare la sua padrona, donna Paca, una diseredata appartenente alla classe nobiliare ma rovinata economicamente. Nina nasconde alla sua padrona e alle altre persone che vivono della sua carità, fra cui la figlia di Paca e il cavalier Ponte, l'origine di questo denaro: mente misericordiosamente per non ferire l'orgoglio della sua padrona. Un mendicante cieco, Almudena­ l'vlordejai, si innamora di lei e anche lui viene assistito e aiutato dall'infati­ cabile Nina. Quest'ultima non lo lascia neppure quando la famiglia di Paca, che nel frattempo ha fortunosamente ricevuto un'eredità, le offre un aiuto economico a patto che lei abbandoni il mendicante cieco. Come serva, Nina si apparenta a quelle figure, particolarmente amate da Zambrano, fra cui la nutrice di Antigone, Anna, che nessuno nota, ma che esercitano nel silenzio e nell'anonimato un'opera mediatrice di fonda­ mentale importanza. Come la nutrice Anna e come la stessa Antigone, anche Nina è associata all'acqua, che purifica e lava, un elemento che allude a una nascita perenne e a una continua resurrezione: anche l'acqua è "serva", 5 6 discende e s'insinua ovunque, e "rifiuta l'idea di soggetto" . 5 7 Nessuna connotazione spregiativa accompagna in Zambrano il tennine "serva" ; al contrario, la servitù, in particolare quella femminile, vi appare come una mediazione rispetto al divino, come nel caso del sì di �1aria all'angelo: "E la donna è stata una creatura schiava. Ha raggiunto la pienezza del suo essere quando ha saputo dire: 'Ecco l'ancella' " . 58 In Gald6s, "le donne figlie di una ribellione, scorrono come fiori di cardo, senza peso né trasparenza, mentre le altre, le 'serve', acquisiscono statura gigantesca, realtà semidivina" . 5 9 Che Nina sia mediatrice rispetto al divino e che sia lei stessa, in una certa misura, divina, traspare dalle parole - di ascendenza evangelica - con cui lei si congeda dalla nuora della sua padrona, che l'aveva offesa e che per questo motivo temeva per la sorte dei propri figli: "Io non sono santa. l'via i tuoi figli stanno bene e non soffrono alcun male . . . Non piangere . . . e ora va' a casa, e non tornare a peccare" . 60 Nel pronunciare queste parole - "va', e 56

M. Zambrano, La Spagna di Gald6s, cit . , p. 79. Ibidem. Sulla figura di Nina, cfr. F. Garcia lVIarruz, La spada intatta di .Afaria ;:ambmno, cit., pp. 69- 7 5 . 5 8 l'v:l. Zambrano, La Spagna di Gald6s, cit . , p. 1 5 1 . Il carattere elevato della senitù come me­ diazione rispetto al di\ino è messo particolannente in e\idenza, in relazione alla figura di Nina, da Annarosa Buttarelli, Introduzione, in lVI. Zambrano, La Spagna di Gald6s, cit. , pp. VU-XIX: "La 'senitù' è una delle posizioni più aristocratiche ed elevate, per lVIaria Zambrano, perché coloro che si fanno seni e serve si mettono all'interno di una corrente genealogica di mediatori e di mediatrici con un mondo che possiamo accettare di chiamare divino" . (lvi, p. XIII) . 59 M. Zambrano, La Spagna di Gald6s, cit . , p. 1 5 1 . 60 lvi, p . 1 0 7 . 57

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non peccare più" -, Nina rivela la sua reltà semidivina, che l'apparenta al Cristo: tuttavia, a differenza che nel sacrificio cruento di Cristo, il cristiane­ simo che lei incarna è un "cristianesimo senza tragedia" , 6 1 un cristianesimo non della giustizia, ma "della creazione e della misericordia" . 6 2 Nina infatti "chiede l'elemosina con la naturalezza di chi pensa che il chiedere e il dare sia legge del mondo . [ . . . ] Davanti ai suoi occhi nulla è solo una cosa; anche i biglietti di banca sono grazia di Dio . [ . . . ] Per questa donna analfabeta, l'intero universo porta impresse le tracce della creazione divina" . 6 3 Tutte le cose del mondo, persino quelle così artificiali come le banconote, sono tenute in vita in ogni momento dal divino soffio creatore, sono come appena uscite dalla mano di Dio. Per questo, Nina vive di miracoli, crede che tutto possa accadere, che la menzogna e il so­ gno possano diventare un gion10 verità, perché coopera lei stessa all'azione creatrice divina mantenendo sempre viva la speranza: "La realtà dipende dalla buona volontà creatrice di Dio, ma noi possiamo parteciparvi man­ tenendo la speranza. La misericordia è questo: con la nostra speranza e la nostra volontà, arriviamo a partecipare alla creazione" . 64 Come l'acqua che serve, così anche la speranza, "attiva, mediatrice, 'ragione pratica' " , "lavora senza riposo e silenziosa come una serva, per tutto il tempo": 65 Nina, "divina serva" , 66 è così assimilata, oltre che all'acqua, alla speranza, che partecipa attivamente all'azione creatrice di Dio "conducendo la realtà verso il futuro" 6 7 e consegnandola nelle sue mani. Di Nina, Zambrano sottolinea, oltre che la condizione di serva, quella di mendicante; chi mendica, riceve la vita come un dono, a differenza di chi si crede in possesso della propria esistenza: "Una mendicante, un mendicante, non sa che cosa avrà domani e neppure tra un istante poiché il cuore sta in perenne tensione e la mano è aperta davanti all'impenetrabile realtà e alla vita; a quello che la vita ha da donare" . 68 Chi mendica, "si mantiene tra la speranza e la necessità": 6 9 in questo senso, la condizione di mendicità riguarda tutti gli esseri umani, dal momento che "tra la speranza e la ne61

lvi, p. 1 59. Ibidem. 6 3 lvi, p. 1 58 . 64 Ivì, p. 1 0 3- 1 04. l\fi discosto qui in u n punto dalla traduzione di D urante, seguendo l'originale spagnolo : cfr. M. Zambrano, La Espaiia dc Gald6s, cit., p. 1 3 7 . 6 5 M . Zambrano, La Spagna di Gald6s, cit., p . 74. 66 lvi, p. 89. 6 7 lvi, p. 74. 68 lvi, p. 42. 69 lvi, p. 43. 62

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cessità ci troviamo tutti, in un modo o nell'altro" . 70 Tuttavia, mentre quasi tutte le persone si affannano ad essere e non accettano la propria costitutiva mendicità, "Nina è libera dalla necessità di sacrificare la vita all'essere" , 7 1 e compie così "un sacrificio perfetto", 7 2 che non è un sacrificio cruento, ma un "sacrificio accettato" : 73 non è divorata né dall'ansia di essere né dalla speranza, 1na "placa l'una e trastnette l'altra" . 7 4 In quanto mendicante, così come riceve ogni momento della vita e della realtà come un dono, Nina riceve anche la verità; in lei, non c'è pro­ priamente il pensare di fronte alla verità, ma c'è piuttosto una verità che la raggiunge e che fa tutt'uno con la sua vita: "Nina la pensava a modo suo. Pensava non per scoprire la verità, che la raggiungeva per altri cammini, o meglio senza cammino. Dunque riceveva la verità senza rendersene conto [ . . . ] : la verità le si presentava" . 7 5 Il "pensare" era per lei solo far quadrare i conti, prigioniera com'era degli "inferni della quantità" 7 6 - il denaro da mendicare ogni giorno -, a cui si era consegnata per amore della sua pa­ drona; ma, di fronte alla verità, lei non pensava, la verità la raggiungeva suo malgrado, perché faceva tutt'uno con la sua vita. 7 7 Nina mente volutamente circa l'origine del denaro che ottiene mendi­ cando, per non ferire la sua padrona: tuttavia, alle proprie menzogne pietose lei stessa presta fede, in quanto spera, come in effetti accadrà, che queste menzogne un giorno diventino verità. In tal modo, lei si pone ai margini del regime vero-falso, si colloca nel luogo sorgivo in cui la realtà è conti­ nuamente generata e rigenerata dal divino soffio creatore, è presso la realtà come condizione sempre nascente e rinascente, là dove il sogno e persino la menzogna possono tramutarsi in realtà. Il suo instancabile girovagare da un capo all'altro di 11adrid per chiedere la carità è simbolo della sua attività mediatrice fra menzogna e verità, fra ciò che non è ancora vero e ciò che forse lo diventerà domani. Portatrice di una "ragione essenzialmente antipolemica", "umile" e "misericordiosa" , "libera da teoria" / 8 Nina esprime, nel suo modesto "idea-

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Ibidem. lvi, p. 45 . Ibidem. lvi, pp. 45-46 . lvi, p. 45 . lvi, p. 64. Ibidem. Cfr. ibidem. lvi, p. 8 7 .

I lO

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rio" / 9 la "trascendenza del quotidiano e dell'anoniino" , 8 0 che trascorre, al di sotto della storia, nel mondo domestico, che ne è il fondamento nascosto. Posta, come tutte le donne, nelle viscere della storia, appartata dai grandi avvenimenti storici e dai luoghi di potere, nei quali si dispiega l'avventura maschile di libertà, Nina è la rappresentante forse più significativa di quella vita anoniina che, per Zambrano, è il "reale soggetto della storia" . 8 1 L'anonimato è in effetti un'altra caratteristica essenziale di Nina: mentre la sua padrona e altri personaggi romanzeschi si affannano ad essere e, nella pretesa di vivere la propria vita, "sacrificano la vita all'essere", "riducendo­ la a uno schema, a un'astrazione" , 82 Nina invece fa parte di coloro che "setnbrano non avere volontà, né un progetto proprio" , 8 3 ma che "hanno attualizzato la libertà, senza rendersene conto, solamente obbedendo" . 84 A differenza della sua padrona, che si aggrappa alla propria dignità, all'onore e alla stima di sé, e che così resta "incatenata al passato" 85 e prigioniera di una chiinera, Nina non dipende da alcuna idea di sé: del suo "vangelo" 8 6 fa parte l'onestà, non la dignità o l'onore. Questo anonnnato essenziale l'accomuna a certi santi, di cui si traman­ da la figura più che la storia: 8 7 il suo è l'anonnnato di tante persone umili del popolo che, lontane dalla scena n1 cui si svolge la "storia apocrifa", sono tuttavia protagoniste di quella "trascendenza del quotidiano" , 88 senza la quale non vi sarebbero storia né tradizione. Come si vede, n1torno alla figura di Nina Zambrano fa confluire due temi che le stanno particolarmente a cuore: quello delle donne, poste nelle viscere della storia, in uno spazio domestico e quotidiano che ne è la radice nascosta, e quello delle classi subalteme, grazie alle quali si tramanda e si rn1nova il senso più profondo e vitale della tradizione. Uno dei significati fondamentali associati alla figura di Nina, cioè il suo essere serva, rivive, con altri accenti, anche nel saggio dedicato a Eloisa: il tema fondamentale di questo saggio è infatti quello di una via femmn1ile alla libertà, una libertà ottenuta attraverso la schiavitù per amore. Come abbia79

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s2 s3

s4 ss SG Sl 88

lvi, p. 1 00. lvi, p . 83. Ibidem. lvi, p . 26. lvi, p . 3 7 . Ibidem. lvi, p . 62. lvi, p . 1 04. lvi, p . 66. lvi, p . 83.

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III

mo già accennato, il testo su Eloisa si apre con una polemica nei confronti della poesia di Rilke, che viene assunta come paradigma dell'intera cultura occidentale, nella quale la donna non ha un posto per esistere veramente, se non nella dipendenza dal maschio: 8 9 "Il rancore secolare della donna sembra essersi alimentato di questa mancanza di una sede per realizzare il . essere. Annna, . ' al tro che annna . " . 90 " propno e ruent Contro il destino di perdizione che Rilke assegna, nella sua poesia, alle donne, creature realizzate a metà, amanti infelici morte prematuramente, senza possibilità di sviluppo, Eloisa offre l'esempio di una vita dell'anima che giunge al suo compimento. Diversamente dalle amanti infelici della poesia rilkeana, Eloisa visse pienamente il suo amore, sia pure per breve tempo: l'indomita fedeltà a questo amore, ben oltre il tempo della sua breve felicità, fin dentro le mura del convento, tratteggia per Zambrano il percorso di una libertà specificamente femminile, ottenuta attraverso la schiavitù d'amore. :�vlentre l'uomo "è spirito, ardore creativo" , 9 1 cosa che lo spinge alla ricerca della libertà su una via di solitudine, di distacco dalla vita e dal sen­ tire, votandolo alla conquista dell'oggettività e alla costruzione della storia, la donna è annna: e l'annna è innanzitutto senziente e amante, desidera subordinarsi al proprio oggetto d'amore, esserne schiava. A diffe renza dello spirito, che vota l'uomo alla solitudn1e metafisica, "l'anima non è mai sola [ . . . ] . Spazio dai confini sconosciuti, dove possono entrare tutte le specie di esseri, tutti i diversi generi di realtà, che si mantiene n1 contatto con tutte le cose" . 92 Legata indissolubilmente al sacro non rivelato e alla vita segreta delle viscere, la donna, prima dell'iinpresa di Eloisa, non avrebbe ancora conquistato un'esistenza metafisica simile a quella del maschio: è questa una situazione rispetto a cui "il moderno femmn1ismo non rappresenta niente e niente può. Niente. È n1 questione l'esistenza metafisica o antologica della donna" . 9 3 Con quest'affermazione, Zambrano intende dire che l'esistenza simbolica della donna non è qualcosa che si possa ottenere con delle riven­ dicazioni - con le quali, n1 modo per la verità piuttosto riduttivo, viene qui identificato il femminismo. Prima dell'iinpresa di Eloisa, sarebbe stata questa, secondo Zambra­ no, la situazione della donna: avere realtà solo nell'iinmagii1e sacra che di lei si era costruito l'uomo, senza godere in alcun modo dell'indipendenza 89 90

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Cfr. lVI. Zambrano, Eloisa o t>esistcn:::.a della donna, cit . , p. 98 . lvi, p. 99. lvi, p . l 0 3 . Ibidem. lvi, p. 9 7 .

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simbolica. "L'impresa di Eloisa fu evadere da quest'immagine sacra. Fuggì dal carcere dell'oggettività per vivere ed essere soggetto della propria pas­ sione. Osò esistere". 94 "Sentì con chiarezza che si era liberata dalla passività propria della donna per esistere alla maniera maschile, con figura e vita proprie" . 95 Tuttavia, almeno un esempio di esistenza simbolica femminile era già a disposizione della donna, all'epoca di Eloisa: si trattava della Ver­ gine l\1aria, la cui "trasformazione in creatura di libertà e di grazia" era avvenuta "nella schiavitù" . 96 Come la Vergine, anche Eloisa conseguì la libertà e guadagnò uno spazio di esistenza metafisica grazie alla schiavitù: impassibile nella passione, si lasciò consumare da essa fino in fondo, fino ad assistere alla trasfigurazione che convertì il suo destino, consapevolmente accettato, in libertà. Nel delineare l'impresa di Eloisa come la vicenda di un'eroina tragica, che conquista uno spazio di esistenza e di libertà per sé e per il proprio sesso, riscattando la fatalità del destino femminile e convertendolo in scelta con­ sapevolmente accettata, Zambrano non arretra di fronte al tema scabroso della "schiavitù" femminile. Tale schiavitù, come abbiamo visto, ha il suo fondamento antologico nella costituzione dell'anima, con cui la donna viene identificata: "Trattandosi della donna, sembrerebbe che ogni liberazione sia stata raggiunta attraverso la schiavitù. La schiavitù è stata la condizione in cui l'essere della donna si è realizzato nella forma più splendida [ . . . ] . Nella schiavitù l'anÌina si colma di realtà [ . . . ] . La schiavitù vive in adorazione recettrice" . 97 In questa caratterizzazione dell'annua "schiava" , è evidentemente as­ sente ogni connotazione spregiativa: al contrario, Zambrano sottolinea la grandezza dell'"anima innamorata", che "si è lasciata ÌI1cidere l'immagine dell'amato" , 98 e, nel contempo, valuta criticamente l'identificazione maschile con l' animus, in nome della quale l'uomo ha cmnmesso molte volte il peccato di perdere la propria anima. Tuttavia, alla figura di Eloisa, che conquista uno spazio di libertà fem­ minile passando attraverso la schiavitù per amore, si potrebbe obiettare il fatto che, così facendo, lei mette un altro, un uomo, il suo Abelardo, al posto di Dio. Lo stesso confronto con la Vergine lVIaria, che Zambrano usa per sottolineare la somiglianza fra i due percorsi, potrebbe dare consistenza a 94

lvi, p. 1 06 . Ibidem. 96 lvi, p. 1 08 . 9 7 lvi, p . 1 1 1 . 9 8 Ibidem.

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tale obiezione, in quanto l'viaria si fa serva del Signore, mentre Eloisa del suo uomo: questa invece non è un'obiezione valida per Zambrano, la qua­ le in realtà neppure se la pone; lei sottolinea anzi che Eloisa "non voleva un uomo, ma il divino, tutto il divino che può trovarsi in un uomo" . 99 Il suo amore per quel singolo uomo, in altri termini, era sì amore per la sua singolarità incarnata, ma era anche presentimento di un infinito che, per rendersi sensibile, doveva passare attraverso il finito. 100 lVIentre il pensiero della differenza sessuale invita le donne a non mettere un altro qualsiasi al posto di Dio, 10 1 Zambrano non si stupisce né si scandalizza del fatto che Eloisa collochi il divino proprio nell'uomo amato e che, votandosi a lui, acceda anche lei, in qualche modo, a uno spazio divino, uscendo dall' er­ metismo sacro di un femminile non ancora rivelato. Con la sua impresa, Eloisa conquistò uno spazio di "esistenza metafisica o antologica" 1 02 per la donna, che, dopo di lei, cominciò ad esistere al di fuori del sogno dell'uomo, grazie all'indipendenza simbolica così guadagna­ ta. Come abbiamo più volte ricordato, per Zambrano, mentre la natura maschile si identifica con lo spirito, quella femminile coincide con la vita dell'anima. Benché gli individui più rappresentativi siano più uomini che donne nel caso dell'esistenza secondo lo spirito e più donne che uomini nel caso della vita dell'anima, tuttavia, secondo Zambrano, le due essenze o nature non appartengono in modo esclusivo all'uno o all'altro sesso: infatti, la sorte dell'anima schiava del proprio oggetto d'amore non è tipica solo della donna, ma appartiene anche ai poeti e ai mistici. Sulle loro tracce, Zambrano cercherà di correggere le derive prometeiche e distruttrici del­ l'avventura maschile di libertà, trasformando il logos in sintonia con il sentire proprio della differenza femminile. L'intento di sottrarre la donna alla rappresentazione maschile, facendola esistere al di fuori del sogno dell'uomo, al di là dell'immagine tramandata da una tradizione androcentrica, intento che, come abbiamo visto, è evidente nell'inczjJit del saggio su Eloisa, guida anche lo scritto di Zambrano ispirato 99

lvi, p. 1 1 7 . D a questo punto di vista, la scelta di Eloisa mi sembra presenti delle somiglianze con il percorso di Etty Hillesum, che, dell'amore per il suo uomo, Julius Spier, fa un passaggio per la scoperta di D io dentro di sé. Su questo, cfr. il mio Ett)' Hillesum. L'intelligenza del cuore, cit., p. 28. 1 0 1 Questa obiezione viene soprattutto dal pensiero della differenza: cfr. Luisa lVIuraro e Adriana Sbrogiò (a cura di), fl posto vuoto di Dio, l\Iarietti, Genova-Milano 2006, p. 28, dove l\Iuraro affenna: "Io alle studentesse dico questo: non mettete mai un uomo al posto di D io" . 1 0 2 l\ f . Zambrano, Eloisa o l'esistenza della donna, cit., p. 9 7 . 1 00

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alla figura di Diotima. 11entre, in Platone, Diotima è immortalata solo, indirettamente, per la "rivelazione memorabile" 10 3 con cui aveva trasmesso a Socrate un insegnamento sull'amore come demone, mediatore fra bello e brutto, fra povertà e pienezza, fra umano e divino, fra mortale e immortale, Zambrano, nel suo testo narrativo, fa parlare direttamente Diotima della propria vita e del proprio sapere. In primo luogo, l'aspetto per cui Zambrano si discosta dalla tradizione maschile, che aveva sì tramandato la figura di Diotima, ma che l'aveva an­ che nel contempo cancellata, ritenendola un personaggio di pura finzione, consiste nel dare credito all'esistenza reale di Diotima: "Pochi fra gli esegeti del Simposio hanno creduto all'esistenza di Diotima di lVIantinea, e ciò proba­ bilmente si deve all'umiltà assoluta con cui lei svelò il mistero, senza alcuna velleità di veder tramandato il proprio nome che affidò esclusivamente a una persona come Socrate, che non scriveva" . 104 Zambrano, oltre a dare credito all'esistenza storica di Diotima, le attri­ buisce una consistenza che si dispiega nel discorso in prima persona con cui l'autrice andalusa la fa parlare, prestandole la propria voce. Quella di Dioti­ ma è un'esistenza che, nonostante il nome proprio con cui la tradizione ne ha tramandato la memoria, si consegna all'anonimato: il suo è un anonimato posto "al di là, come l'immensa maggioranza è al di qua, della linea [ . . . ] in cui stanno quelli che hanno agio di [ . . . ] rendersi visibili" . 105 Il nome di Diotima, che "funziona solo come contrassegno dell'autenticità dell'anoni­ mato" , 106 l'accomuna a coloro che, come Nina e come tante persone umili del popolo, "rimangono praticamente invisibili": 10 7 tuttavia, mentre questi ultimi non giungono ad alcuna visibilità né vengono ricordati con il loro nome, in quanto rimangono al di qua della linea di qualsiasi protagonismo storico, Diotima invece è al di là di tale linea, fa parte di coloro i cui nomi "perdurano come figure, come volti dell'anonimato". 1 08 Nel sottolineare l'anonimato essenziale di Diotima, con accenti non dissilnili da quelli con cui Simone \'Veil afferma che gli autori delle opere d'arte di prim'ordine sono fondamentalmente anonilni, 109 perché danno vita a qualcosa che appartiene 1 0 3 1\I . I 04-

Zambrano, Diotima di Jfantinea, cit., p. 1 25 . lvi, p. 1 2 3 . 1 0 5 Ibidem. 1 06 lvi, p. 1 24. 1 0 7 Ibidem. I OB Ibidem. 1 09 Cfr. Simone \Veil, Quaderni, vol. II, tr. it. a cura di Giancarlo Gaeta, Adelphi, 1\Iilano 1 985, p. 1 69: " Un'opera d'arte ha un autore, e tuttavia, se essa è peifetta, possiede qualcosa di essenzial­ mente anonimo. Essa imita l'anonimato dcll'mte divina" .

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a tutti, che parla della condizione umana come tale, Zambrano polemizza con la storia ufficiale, la quale destina all'invisibilità "la maggior parte degli esseri umani", 1 10 i moltissimi anonimi del popolo, i quali sono tuttavia i veri soggetti della storia e gli autentici depositari della tradizione. Come uno di questi esseri anonimi, Diotima - immagina Zambrano - desidera "ricordare tutto quanto è rimasto nascosto sotto la luce di una [sua] rivelazione memorabile, parlare della propria penombra. Come uno di questi esseri preziosi si è presentata a noi Diotima di lVIantinea. Solo alcuni, pochi frammenti abbiamo potuto intrasentire" . 1 1 1 Dopo questa premessa, Zambrano si accinge a prestare la propria voce a Diotima, costruendo un testo d'invenzione liberamente ispirato alla sua figura. In questo testo, Dio­ tima parla di sé come donna che ha sacrificato la propria vita alla missione di accogliere le anime, di fare loro da madre. 1 12 Della "rivelazione memorabile" sulla natura di amore come interme­ diario, non rimangono, nel testo di Zambrano, che alcuni cenni all'amore che "deve 1ars1 legge" , pereh e' "le vere legg1. sono momenti. dell' atnore" , 1 1 3 e all'amore che vince il tempo e "genera sempre" : 1 1 4 in quest'ultima anno­ tazione, si può cogliere un rimando all'insegnamento di Diotima, ricordato nel Simposio, secondo cui l'amore è "desiderio di procreare e partorire nel bello", "secondo il corpo e secondo l'anima" . 1 1 5 Tuttavia, nel testo zambraniano, i pochi riferimenti all'amore sono volti, più che a ribadire l'insegnamento di Diotima immortalato nel Simposio, a sottolineare il rimpianto della donna-Diotima per la rinuncia all'amore che la sua missione ha comportato; ad eccezione di una notte d'amore, Diotima non ha conosciuto che il dolore e l'abbandono: "Per questo nessuno poteva amarmi, mentre io cominciavo a sapere dell'amore. E neanche io amavo. Solo una notte, fmo all'alba" . 1 1 6 Nella donna-Diotima trapela un certo ri­ sentimento per l'ingratitudine di chi beveva le sue parole "lasciando [le] poco o niente in cambio" , 1 1 7 e si avverte il rimpianto per una giovinezza sacrificata alla missione di sacerdotessa: "Fu così che cominciai a isolarmi dalle giovani della mia età, finché nessuno si ricordò di me per le feste. La .h

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Zambrano, Diotima di Jfantinca, cit., p. 1 24. p . 1 25 (interpolazione mia) . 1 1 2 Cfr. ìvi, p. 1 2 7 . 1 1 3 lvi, p. 1 26 . ! !4lvi, p. 1 3 1 . 1 1 5 Platone, Simposio, tr. it. di Piero Pucci, in Id. , Opere complete, vol III, Laterza, Roma-Bari 1 985, p. 1 86. 1 1 6 l\ L Zambrano, Diotima di Afantinca, cit., p. 1 34. 1 17 lvi, p. 1 35 (interpolazione mia) .

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mia gioventù priva di occupazioni si è tutta svolta verso dentro, come un fiume assorbito dalla sabbia. E improvvisamente non ebbi più età. E non ero più nessuno" . 1 18 Fra gli elementi rimasti in ombra della figura di Diotima, a Zambrano sta evidentemente a cuore rivelare qualcosa del suo vissuto di donna: da passi come quello appena citato, emerge una Diotima inedita, meno profetessa e più donna in carne e ossa. Se alcuni passaggi del testo zambraniano danno risalto a Diotima come donna, altri sottolineano invece la sua autorità di "madre delle anime" . 1 1 9 Da quest'ultimo punto di vista, la scrittura di Zambrano si concentra soprattutto su due temi, quello della fonte e quello dell'ascolto. L'autorità di Diotima è sintetizzata innanzitutto nell'immagine della fonte, una sorgente a cui molti attingono: ":�vii avevano fatto credere che avevano bisogno di udirmi perché travasassi in loro quel sapere che, come acqua, fluisce dalla mia persona, così dicevano, non è una donna, è una fonte" . 120 L'immagine della fonte rinvia all'elemento-acqua, che in Zambrano è l'elemento femminile per eccellen­ za e che crea una segreta parentela con altre figure femminili accomunate all'acqua, come Antigone e Nina. L'acqua che lava, purifica e rinnova, è in Diotima ricondotta alla sua fonte originaria, alla madre che genera la vita: nelle parole di Diotima, così come Zambrano le ha "intrasentite" , risuona "la vecchia canzone dell'acqua ancora non nata, che si fonde con il gemito di quella che nasce; intrecciato al vagito di ciò che nasce, il gemito della madre che dà alla luce ancora e ancora per nascere lei stessa del tutto: la vita partoriente" . 12 1 In questo omaggio alla madre e alla sua fecondità generatrice, si può cogliere forse un accenno polemico di Zambrano nei confronti della conce­ zione platonica dell'amore, la quale ha sì ripreso l'insegnamento di Diotima, ma lo ha piegato all'intento di realizzare "la scalata dell'amore attraverso la bellezza, ma distaccata dalla particolarità di un corpo": 122 mentre Diotima insegnava la fecondità della procreazione nel bello, senza separare il corpo dall'anima, Platone istituisce una gerarchia fra la procreazione nel corpo e quella nell'anima e, dal tema dell'amore come mancanza, ricava una scala per ascendere fmo alla bellezza soprannaturale. 123 1 18

Ibidem. lvi, p. 1 2 7 . 1 2 0 lvi, p. 1 26 . 1 2 1 lvi, p. 1 3 2 . 1 22 1VL Zambrano, Filosqfia e poesia, cit. , p. 7 5 . 1 2 3 Elena Laurenzi (dì·. Ead., 1\Iaria . ?a mbrano: una "m ujer fil6sqfo », cit., p. 5 3) accosta la riscrittura zambraniana della figura di D iotima all'interpretazione di Luce Irigaray, la quale individua, nel discorso di D iotima, una parte riconoscibile come un insegnamento femmi1 19

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L'altro nucleo tematico intorno a cui gravita l'autorità di Diotima è costituito dalla sua capacità di ascolto: Diotima porge "l'orecchio al rumore lontano della fonte invisibile" , fino a divenire "una lumaca di mare; un udito; udiv [a] solamente" . 12 4 Da quest'ultimo punto di vista, Diotima si presenta a Zambrano come espressione di una cultura orale, estranea alla scrittura perché questa è "affare di pochi uomini", a meno che non si trovi "una scrittura da udito a udito" . 125 La sua è una "parola nata dall'ascolto, che si mantiene in comunica­ zione costante con la vita" 12 6 in tutte le sue forme: espressione di un sapere dell'anima che resta in contatto con tutte le cose, animate e inanimate, Dio­ tima è capace di "sentire le pure vibrazioni del cuore degli astri, delle piante e delle bestie, e del cuore sacro della materia, che è inerte soltanto perché si presta a essere domata fino a ridursi a non essere per servire" . 12 7 Lontana dall'ascesi platonica, che riduce la materia a puro non essere, nello sforzo di ascendere verso le idee, Diotima, come Zambrano stessa, rimane vicina al "cuore sacro della materia" e alla potenza femminile di generazione. Il sapere di Diotima, così come Zambrano lo ricostruisce liberamente, fiorisce all'ombra del Dio sconosciuto, di un volto ancora sconosciuto del nile, quella relativa all'amore come mancanza e alla generazione nel bello secondo il corpo e secondo l'anima, e una parte più "platonica" , quella che istituisce una gerarchia fra la generazione nel corpo e quella nell'anima e che fa dell'amore una scala per ascendere fmo al bello in sé. (Cfr. L. Irigaray, Etica della differenza sessuale, cit., p. 25) . Nella stessa direzione di Irigaray, anche Luisa �iuraro individua uno snodo, nel discorso di D iotima, fra una parte "socratica" e una "platonica" : cfr. Ead. , La maestra di Socrate e mia, in D iotima, Apprqfittare dell'assenza, cit., pp. 2 7-43 . 1 24 M . Zambrano, Diotima di Afantinea, cit., p. 1 2 7 (interpolazione mia). L'appartenenza di D iotima all'oralità, a un logos che è parola e non concetto, è sottolineata da Adriana Cavarero, Risonan;::e, in A.A . VV., 1\faria �ambrano, In fedeltà alla parola vivente, cit., pp . 45-55 . 1 2 5 M:. Zambrano, Diotima di Afantinea, cit . , p. 1 2 7 . D iotima-sacerdotessa è vista da Zam­ brano come fondamentalmente estranea al logos, ma capace di riceverlo per rivelazione. In questa direzione vanno due osservazioni della D iotima zambraniana. La prima allude a una sorta di visione dell'essere parmenideo, accessibile a D iotima non nella forma di un sapere, ma, appunto, di una visione: "La sfera bianca era senza dubbio la sfera del pensiero, quella dell'essere stesso in pennamente unità, che si lascia vedere solo quando . . . ma io di questo non so nulla o quasi" . (lvi, p. 1 30). La seconda è relativa alla concezione di Talete dell'acqua come principio di tutte le cose; anche in questo secondo caso, D iotima accede al sapere per altra via rispetto a quella della ricerca filosofica: "Un sapiente, mi hanno detto, sosteneva che tutte le cose erano acqua. Non riesco a immaginare che così sia. Sono questioni di cui io non mi intendo; io non so che cosa siano le cose, né se esistano. So però che l'acqua è in tutte le cose, questo sì. E in alcune si produce una ferita perché l'acqua sgorghi ed esse diventino madri di vita" . (lvi, p. 1 32). 1 26 E. Laurenzi, 1\faria �ambrano: una «mujerjil6srif0", cit., p. 5 5 . 1 2 7 l'v[. Zambrano, Diotima di 1\fantinea, cit., pp. 1 35 - 1 36.

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divino: 128 quale sia questo volto, lo si può intuire sulla base di alcuni cenni enigmatici ad un tempo a venire in cui "qualcuno sarebbe venuto canuni­ nando sulle acque", 12 9 in un "futuro inaccessibile", che per DiotÌina "non sarebbe mai stato presente" . 1 3 0 Questo "qualcuno" è presumibilmente il Cristo: il sapere di DiotÌina sulle cose d'amore si arresta sulla soglia di una nuova rivelazione del divino, che la lascia "sulla riva, abbandonata dalla parola [ . . . ] , nella notte indistruttibile della vita" . 1 3 1 Il contributo di DiotÌina alla manifestazione del Dio sconosciuto consiste nel suo insegnamento sull'amore e nella rivelazione del volto della madre, feconda nella carne e nello spirito, madre dei corpi e delle anÌine. In tal senso DiotÌina, come portatrice di un'intuizione precristiana sull'amore, è riconducibile a una genealogia femmÌI1ile, che circolerà segretamente anche nel cristianesÌino. In quest'ultimo ÌI1fatti, come già abbiamo visto, Zambrano sottolinea l'ilnportanza di una genealogia nascosta, di origine femmil1ile, che va dall'archetipo della Grande l'viadre mediterranea fino al mistero della vergi­ nità feconda di �'!aria: 1 3 2 secondo questo modello, all'essere umano è richiesto un atteggiamento di passività recettiva e di ascolto, il solo che può favorire la discesa del LJgos, la rivelazione dello Spirito . DiotÌina, come Persefone, come Antigone e come la Vergine, appartiene a questa genealogia di un divino femminile, che a Zambrano sta particolarmente a cuore mettere in luce. 3 · 3 · Un pensiero della nascita

Nel contesto del pensiero femminista, Adriana Cavarero ha particolarmente valorizzato il tema della nascita, contrapponendolo all'essere per la morte di molta parte della filosofia maschile. 1 33 Riferendosi soprattutto al pensiero di Hannah Arendt, in cui la nascita come nuovo ÌI1izio è a fondamento del­ l'agire politico e dà senso all'irruzione del nuovo sulla scena della pluralità umana, Cavarero ha sottolil1eato il tema della nascita, di contro al pensiero della morte che occupa tanta parte della filosofia maschile, da Platone fino a Heidegger. Devo dire che questa contrapposizione non mi trova del tutto d'accordo: 1 28

Cfr. ìvi, p. 1 26: "Sola col mio dio che mi è diventato sconosciuto" . lvi, p. 1 36 . 1 3 0 lvi, p. 1 3 7 . 1 3 1 Ibidem. 1 3 2 Cfr. G. Blundo Canto, Afaria ;:ambrano. []n 'antologia della vita, cit. , pp . 1 86- 1 8 7 . 1 33 Cfr. A. Cavarero, Dire la nascita, cit., pp . 1 1 0 ss . , e d Ead. , JVonostante Platone, Editori Riuniti, Roma 1 990, p. 8 . 1 29

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è degno di nota che una pensatrice come Hannah Arendt abbia elaborato simbolicamente il tema della nascita, facendone una categoria fondamentale dell'agire politico, ma contrapporre il pensiero della nascita a quello della morte è tutto sommato una semplificazione riduttiva. Infatti, come risulta dalla concezione zambraniana della nascita assai più che da quella arendtia­ na, la contrapposizione con la morte si rivela piuttosto forzata, dal momento che, per Zambrano, il ri-nascere comporta anche la morte di alcune parti di sé, in un intreccio in cui nascita e morte sono indissolubilmente legate l'una all'altra. In Zambrano, come l'autrice sottolinea riferendosi a Unamuno, "la . e la Inorte non sono separate da un a b"Isso . 134 vita Quando si contrappone il pensiero della nascita a quello della morte, occorrerebbe precisare in che senso questa contrapposizione è significativa: se la meditazione della morte ha l'effetto di spingere a vivere l'istante pre­ sente con pienezza, come se fosse l'ultimo, essa intensifica in realtà la nostra presenza e il nostro coinvolgimento nella vita. Se invece, come accade nella filosofia platonica, la pratica di meditazione della morte è un esercizio spiri­ tuale volto a separare l'anima dal corpo, è una pratica di purificazione che vuole liberarci dalle passioni legate al corpo, 1 3 5 allora la contrapposizione del pensiero della nascita a quello della morte acquista tutto il suo senso, in particolare nell'orizzonte della differenza sessuale. Infatti, la differenza fem­ minile, simbolicamente legata al corpo assai più di quella maschile, non può che rifuggire dall'esercizio della morte inteso in quest'ultimo senso, come ascesi e distacco dal corpo e dalle passioni che esso porta con sé. La ricerca zambraniana di una ragione che resti in contatto con la vita e con le zone oscure del sentire, da questo punto di vista, è antitetica all'ascesi platonica, che consente il volo dell'anima, lo sguardo rivolto dal­ l'alto sulla realtà: infatti, al movimento platonico di uscita dalla caverna si contrappone l'addentrarsi di Zambrano nelle viscere e nelle cavità oscure, viste come luoghi di gestazione e di rinascita. Tuttavia, in Zambrano non c'è contrapposizione fra il pensiero della nascita e quello della morte, ma piuttosto un intreccio di queste dimensioni, indissolubilmente legate l'una all'altra nella condizione creaturale. In questo senso, mi sembra che Zambrano sia in sintonia con il pensiero della differenza sessuale, più di quanto non lo sia Hannah Arendt. Infatti, nonostante la sua valorizzazione della nascita nell'agire politico, Arendt rive"

1 34 1\:laria Zambrano, [Jnamuno, tr. it. di Claudia 1\:larseguerra, a cura di l'VIercedes Gòmez Blesa, Bruno 1\:londadori, 1\.filano 2006, p. 2 2 2 . 1 35 Questi due significati della meditazione della morte sono messi in evidenza da P. Hadot, Escrci;::_ i spirituali c filosofia antica, cit., pp. 49-58.

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la di essere ampiamente debitrice nei confronti di un pensiero maschile che ha disprezzato il lavoro manuale, la corporeità, e con loro le donne, legate alla riproduzione e alla cura della vita. Lo rivela ad esempio chiaramente la svalorizzazione arendtiana - di matrice aristotelica - del lavoro del cor­ po e dell'opera di civiltà e di cultura materiale, che le donne e i lavoratori manuali hanno svolto da sempre. 1 36 Al contrario, 11aria Zambrano è più vicina al sentire della differenza femminile per la sua valorizzazione della corporeità, delle viscere e di tutte le situazioni di confine, di transito fra corpo e pensiero, fra sentire e sapere. Da 11aria Zambrano il tema della nascita è sviluppato in modo origina­ le, in un modo che non esclude la prospettiva della morte, ma che la ritesse in un disegno in cui la vicinanza con la morte dà nuovo impulso alla vita e al suo rilancio. 1'Ientre in Arendt la nascita è vista solo come nuovo inizio, in Zambrano la nascita si presenta come qualcosa di più complesso, che porta in sé sia il senso del cominciamento sia la sopravvivenza sia la morte di alcune parti di sé. 1 3 7 Come già abbiamo visto, questo intreccio complesso si incontra per la prima volta, nel pensiero di Zambrano, nella narrazione autobiografica di Delirio e destino, e più precisamente nella rievocazione della malattia - la tubercolosi - che la colpì all'età di 24 anni. Posta di fronte alla prospettiva reale e imminente della propria morte - "Aveva voluto morire, ma non come si vuole quando si è lontani dalla morte, bensì andandole incontro" 1 3 8 -, 11aria Zambrano ne esce, personalmente, sopportando la passività forzata imposta dalla malattia e, teoreticamente, elaborando il tema della nascita. Nell'elaborazione zambraniana della nascita, si intrecciano due motivi. In primo luogo, c'è il tema del desnace1: di fronte al no opposto alla prosecu­ zione dell'esistenza dalla prospettiva della morte, si tratta di arretrare fino a uno stadio prenatale, di decostruire la maschera che ricopriva l'autenticità 1 36

Cfr. Hannah Arendt, Vita activa. La condizione umana, tr. it. di Sergio Finzi, introduzione di Alessando D al Lago, Bompiani, lVIilano 1 989, pp. 58-96. Sull'inaccettabilità della svaluta­ zione arendtiana del lavoro del corpo nella prospettiva della differenza sessuale, cfr. Chiara Zamboni, Lafilosqfza donna, D emetra, Verona 1 99 7 , p. 98: "h1 questo modo Hannah .i\rendt costituisce uno spazio di azione libera, sacrificando la materialità dell'esistenza. Per salvare la libertà dalla necessità, paga il prezzo di lasciare silenziosa nella dimensione pubblica buona parte dell'esperienza delle donne che, come lei stessa dice, è legata alla riproduzione della vita" . Nella stessa direzione critica, cfr. anche Luisa lVIuraro, Vita passiva, in AA. . VV . , La rivoluzione inattesa. Donne al mercato del lavoro, introduzione di Lia Cigarini, Pratiche, 1\vfil.ano 1 99 7 , pp. 7 4- 7 5 , e il mio Il lavoro tra necessità e libertà, ivi, pp . 1 2 7- 1 28 . 1 37 Questo intreccio di nascita e morte di alcune parti di sé nel pensiero di Zambrano è sottolineato da L. Boella, Alaria ;:ambrano. Dalla storia n·agica alla storia etica, cit. 1 3 8 1\ :l. Zambrano, Delirio e destino, cit., p. 1 5 .

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della persona, di far morire una parte di sé. Nel desnacer s i compie un lavoro del negativo, che consiste nella distruzione di ciò che, essendosi cristallizzato, impediva la fluidità dell'esistenza. Spesso, nelle situazioni limite dell'esisten­ za, siamo chiamati a questo lavoro del negativo, a questa operazione di decostruzione, di disfacimento di ciò che si era cristallizzato e irrigidito. Come ho già accennato, tuttavia, non è poi un lavoro del negativo di stampo hegeliano quello che consente, in Zambrano, l'uscita dalla crisi: non è il negativo come tale che si converte in senso e in essere, come in Hegel, ma secondo Zambrano c'è, anche nella passività più estrema, un conato d'essere che, nel pensiero dell'autrice spagnola, prende complessivamente il nome di speranza. Il secondo motivo originale sviluppato da �1aria Zambrano in relazione al tema della nascita è la necessità, per l'essere umano, di dare compimento alla propria nascita incompiuta. La vita umana è un gioco che va sempre rilanciato fra patire e trascendere: mentre gli animali si inseriscono con in­ nocenza in un ambiente a cui si adattano senza trascenderlo, l'essere umano non ha il proprio posto nel cosmo e deve crearselo con fatica; perciò, l'uomo ha il compito di dare forma alla propria nascita incompiuta, votandosi a un continuo trascendimento di sé e delle condizioni date di esistenza. Nel loro insieme, il movimento regressivo del desnacer e quello progres­ sivo che consiste nel dare fonna alla propria nascita incompiuta - quest'ul­ timo consiste in un trascendimento, in un oltrepassamento - sono come la sistole e la diastole del cuore: nelle situazioni di crisi, si tratta di inventrarsi nelle profondità del corpo e del sentire, di sprofondarsi nelle entrafias, di farsi passivi e recettivi al sentire originario, e insieme di cogliere, nel fondo di sé, un conato d'essere, un'ansia di trascendimento, un germe di speranza. Delicata esploratrice di queste zone di confine e di transito, del sentire­ sapere della soglia, 1'1aria Zambrano ha elaborato una ragione chiaroscura­ le, aurorale, capace di ritessere il pericolo di una morte annunciata in una nuova trama, al cui centro sta appunto il tema della nascita. Per dare senso alla propria nascita, occorre dunque rinascere, portando a compimento quel primo evento incompiuto. Da questo punto di vista, c'è una prossimità fra Arendt e Zambrano sul tema della natalità, in quanto entrambe le pensatrici ritengono che sia necessaria la ripresa, nel corso dell'esistenza, del senso dell'evento iniziale della propria venuta al mondo. Tuttavia, come già abbiamo visto, i percorsi di Arendt e Zambrano si dif­ ferenziano poi notevolmente nel modo di interpretare il significato di tale ripresa: mentre in Zambrano, nel rinascere, nascita e morte si intrecciano, in Arendt la riproposizione del senso della propria venuta al mondo nell'agire politico ha solo il carattere inaugurale di un nuovo inizio .

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Inoltre, come sottolinea opportunamente Rosella Prezzo, mentre Arendt declina il tema della natalità in una direzione solo attiva, dal momento che le sta a cuore salvaguardare la possibilità di un nuovo inizio nell'agire politico, Zambrano ha invece ben presente il fatto che, nell'essere messi alla luce, c'è una fondamentale passività, da cui non si può prescindere. 1 39 Questa pas­ sività si ripresenta in ogni sforzo umano di trascendenza, in ogni tentativo di rinascita, che deve sempre fare i conti con un passato che pesa e, per quanto è possibile, riscattarlo: proprio perché l'inizio della vita è stato vissuto in una passività che non può essere ricordata dalla coscienza, esso necessita della ripresa, nei tentativi successivi di rinascita, per poter acquistare tutto il suo senso. 1 40 Posto fra il patire e il trascendere, il tema della nascita in Zambrano si colloca in un luogo cruciale, dal momento che ogni tentativo dell'essere umano di oltrepassamento deve riscattare il peso di ciò che è stato, ma deve prima di tutto farsene carico, imparare ad accettarlo, patirlo per poter andare oltre. La dimensione della passività è ciò che caratterizza la nascita, a diffe­ renza dell'esistenza: 1 41 mentre quest'ultima assume in Zambrano una con­ notazione più attiva, dal momento che lo sforzo di esistere come essere separato strappa l'uomo all"'amore preesistente", 1 42 invece "nel nascere e per nascere non si richiede lotta ma oblio, abbandono all'amore" . 1 4 3 Nel fare cenno all"' amore preesistente", l\!Iaria Zambrano, in Chiari del bosco, allude all'amore divino, ma precisa anche che il nome "di 'Dio' sa di concetto, quello di Amore anche; e l'amore di cui qui si tratta non è un concetto [ . . ] bensì una concezione". 1 44 Nel sottolineare la differenza fra la concezione - il concepire - e il concetto già formato, Zambrano intende portare l'attenzione sul processo più che sul risultato, sulla recettività necessaria al concepire piuttosto che sull'attività del domandare che dà origine al concetto. Solo attraverso un'attitudine passiva è possibile l'accoglimento del vero. Il pensiero assume infatti nell'ultima Zambrano il carattere di una conce­ zione, frutto non dello sforzo dell'io, ma della sua disposizione a ricevere .

1 39

Cfr. R. Prezzo, Pensare in un'altra luce, cit . , pp. 1 1 3- 1 2 2 : Rosella Prezzo sviluppa in queste pagine un ampio e articolato confronto fra Arendt e Zambrano sul tema della nascita. 1 4° Cfr. ivi, p. 1 2 1 . 1 4 1 La differenza fra nascita ed esistenza in Zambrano è sottolineata da A. Cavarero, Nascita cd esisten:;:a in 1\Iaria Zambrano, cit., pp. 1 1 3- 1 1 4. 1 42 1\:l. Zambrano, Chiari del bosco, cit., p. 2 5 . 1 43 Ibidem. 1 44 lvi, p. 24.

1\l-\RÌA ZA�ffiRANO E IL PENSIERO DELLA DIFFERENZA SESSUALE

123

l'azione fecondatrice dello Spirito, favorendo la discesa del Verbo: 145 "Il pensiero che si dà alla luce deve essere concepito e questo è doloroso e an­ che di più, è qualcosa di inenarrabile: strappo, consegna, oscura gestazione, luce che si accende nell'oscurità fino a quando la chiarezza del Verbo non appare come aurora consurgens" . 1 46 Questa disposizione recettiva è incarnata in modo esemplare dalla Vergine lVIaria, nel suo assenso all'angelo: infatti, Zambrano precisa che "i misteri della Vergine presiedono il processo del pensiero creatore" . 1 47 N el porre il proprio pensiero filosofico sotto la protezione della Vergine Maria, 1 48 Zambrano compie un gesto simbolicamente molto significativo e del tutto inconsueto nel panorama filosofico del Novecento. A differenza di altre pensatrici, come lrigaray, che magari hanno intravisto la simbolicità della figura della Vergine, ma che non l'hanno legata alla ricerca filosofi­ ca, 1 49 e di altre, come Arendt, che, pur valorizzando il tema della nascita, non hanno fatto ricorso alla metafora della generazione per indicare la creatività e la fecondità del pensiero, Zambrano non arretra di fronte a questa possibilità. La metafora della generazione del pensiero è per lo più di origine maschile: con essa, alcuni pensatori - Platone e Nietzsche, ad esempio - si appropriano simbolicamente della capacità femminile di generare, in un processo mimetico in cui il livello metaforico finisce con l'avere la meglio e di fatto col soppiantare la reale e concreta potenza generativa femminile. 150 Non è così però in 11aria Zambrano, la quale tiene ben presente l'opera della madre sia sul piano concreto-reale sia su quello simbolico: nel porre la propria fùosofia all'insegna della figura della Vergine, che concepisce un figlio, ma anche il Verbo, il Logos, Zambrano indica la necessità di non se­ parare corpo e parola, ma di farli vivere insieme, in sintonia con la capacità generativa, sia reale sia simbolica, iscritta nella differenza femminile.

1 45

Cfr. G. Blundo Canto, Afaria ,Zambmno. []n 'antologia della vita, cit . , p. 1 89. Zambrano, Lettera ad A. Andreu, La Pièce, 19 maggio 1 9 74, in Ead., Cartas de la Pièce, cit., p . 3 7 . 1 47 Ibidem. 1 48 Cfr. l\ :l . Zambrano, Qy.asi un 'autobiografia, cit., p. 1 2 7 . 1 49 Cfr. C . Zamboni, Introdu;;:ione, in A.A . \lV. , Afaria ,Zambmno. In fldeltà alla parola vivente, cit., p. 7 . 1 5 0 Su questo, cfr. A. Cavarero, J\1!mostante Platone, cit., p. 1 02 , Geneviève Fraisse, La differenza tra i sessi, tr. it. di Maria Antonietta Schepisi, Bollati Boringhieri, Torino 1 996, pp. 35-36, e il mio !filosofi e le donne, Tre lune, Mantova 200 1 , pp. 54-5 7 e p. 205 . 1 46 l\ I.

.

NL'\RÌA ZM...IBRANO. LA PASSIONE DElL'\ F1GLIA

1 24

3 · 4 · Un logos in sintonia con il sentire fennni nil e

Alla ricerca di una ricongiunzione dell'essere con la vita, Zambrano cerca di reintegrare nel logos quegli elementi che esso aveva accantonato, !ascian­ doli inascoltati, in nome dell'ascesi filosofica: già nel percorso platonico di uscita dalla caverna la meraviglia, "lo stupore estatico dinanzi alle cose", si accompagna al "subitaneo farsi violenza per liberarsene" . 1 5 1 Ancora di più, nel razionalismo moderno, figlio del dubbio e del sospetto, si assiste a un distacco della ragione dalla vita, a un atteggiamento di diffidenza, che finisce col cercare sicurezza nel sistema filosofico, "castello di ragioni, muraglia impenetrabile di pensieri invulnerabili che s'affaccia sul vuoto" . 1 52 Se, al fondo dell'ascesi filosofica, vi sono una violenza e un'ansia di potere che sfociano in un logos disincarnato, l'intento di Zambrano è invece quello di dare vita a un "logos pieno di grazia e verità": 1 5 3 il riferimento al logos giovanneo, 154 evocando il Verbo che si è fatto carne, sottolinea con forza la necessità dell'incan1azione del logos, della reintegrazione in esso non solo degli elementi corporei e passionali, accantonati dall'ascesi filosofica, ma anche della misericordia e della pietà, nonché dell'atteggiamento passivo e recettivo che solo può favorire la discesa del logos nell'uomo. In questa operazione di vasta portata, che intende ripensare il logos, de­ purandolo dai suoi elementi attivistici e violenti ed enfatizzando la modalità recettivo-rivelativa del suo manifestarsi, Zambrano inserisce in un contesto più ampio e in battaglia culturale di grande respiro le sue intuizioni sul sentire femminile. Potremmo dire che l'autrice femminilizza il logos, a patto di precisare però che le attitudini e le disposizioni scoperte in origine come "femminili" vengono in seguito attribuite non solo a donne, ma anche a uomini - poeti, innamorati e mistici. Già in Verso un sapere dell'anima, l'autrice, alla ricerca di una filosofia che sia cammino di vita, affenna "la necessità di un sapere dell'anima, di un ordine della nostra interiorità", 15 5 perché "quel frammento di cosmo nell'uo­ mo a cui si è dato il nome di anima" 156 è stato abbandonato a se stesso dal razionalismo moderno: mentre la filosofia cerca un sapere padroneggiabile dalla ragione, la poesia è espressione di un sapere, "non dominabile, del 1 5 1 lVL Zambrano, 1 5 2 lvi, p. 94. 1 53 lvi, p. 40 e p. 1

1 54

1 55

1 56

Filosqfia c poesia, cit. , p. 3 1 .

1 9. Cfr. Giovanni, l , 1 4. 1\I . Zambrano, J'éno un sapere dell'anima, cit. , p. 1 3 . lvi, p. 1 5 .

1\l-\RÌA ZA�ffiRANO E IL PENSIERO DELLA DIFFERENZA SESSUALE

1 25

cosmo, della natura", 1 5 7 un sapere ricevuto come dono, per grazia, piuttosto che conquistato con le proprie forze. Abbiamo visto come sia innanzitutto la donna ad essere identificata con la vita dell'anima: fatta di passività recettiva, innamorata fino al punto da cancellare se stessa a favore dell'oggetto amato, la donna tuttavia, in Verso un sapere dell'anima, non viene messa a fuoco come protagonista privilegiata di tale modo di sentire, scompare sullo sfondo e lascia il posto alla poesia, che diviene qui l'incarnazione della disposizione amante e il luogo d'instau­ razione dell'ordo amoris. La medesima operazione, che valorizza il sentire femminile, ma senza più nominarlo come tale e attribuendolo invece alla poesia e alla mistica, è riscontrabile in Filosqfia e poesia: mentre il fùosofo cerca la verità, contando sullo sforzo umano per raggiungerla, invece il poeta, innamorato delle cose, le riceve e le possiede nella meraviglia delle loro sembianze cangianti e peri­ ture; egli "si sente dimora, nido, di qualcosa che lo possiede e trascina" . 1 58 Come la donna, schiava del proprio oggetto d'amore, anche il poeta "anela d'esser vinto", 1 5 9 è "schiavo" 160 della parola che egli non aspira a padroneggiare, ma da cui vuole essere posseduto. Tuttavia, in Filosqfia e poe­ sia, Zambrano non esplicita l'analogia tra la schiavitù d'amore della donna e quella del poeta. L'unico cenno alla donna in questo testo è un riferimento al fatto che la donna si sarebbe salvata, all'interno della cultura ascetica del cristianesimo, grazie all'idealizzazione dell'amore operata dal platonismo: secondo l'autri­ ce, gli inni alla Vergine e il Salve regina attesterebbero una divinizzazione della donna che era assente nel primo cristianesimo e che avrebbe ascendenze platoniche. 161 Con questo, Zambrano intende dire che la figura femminile è stata salvata dall'inesistenza simbolica, a cui sarebbe stata altrimenti con­ dannata, grazie all'idealizzazione della donna, di cui rendono testimonianza sia il culto della Vergine sia la concezione dell'amor cortese. Non è che il platonismo vi abbia esplicitamente contribuito, ma ne ha posto le premesse, in quanto ha conferito legittimità a ogni procedimento di idealizzazione, il quale consiste fondamentalmente nel salvare i fenomeni dalla molteplicità e dalla dispersione grazie alla loro "idea", che ben presto si tramuta in una figura ideale. 1 57

Ibidem.

1 5 3 l\ L Zambrano, 1 59 lvi, p. 5 7 . . . p. 54 1 6° C fìL Wl,

161

..·

.

C fìL Wl,. p . 7 7 . .

Filosqfia c poesia, cit. , p . 5 3 .

NlARiA ZM...mRANO. L\ PASSIONE DEllA F1GLIA.

Nel sottolineare che la donna, come l'amore, si è salvata grazie alla sua "idea" , cioè grazie a un'idealizzazione che affonda le proprie radici nel platonismo, Zambrano esprime una valutazione ambivalente nei confronti di Platone: se, da un lato, è grata a Platone per aver salvato l'amore dalla totale distruzione, 1 62 e per aver salvato anche l'anima, sia pure al prezzo del distacco dalla carne e dalle passioni, da un altro lato sottolinea l'elemento di violenza implicito nella conversione filosofica, violenza che si ripercuote nella condanna platonica della poesia. Criticata ben più risolutamente di quanto non lo sia Platone è la tradi­ zione del razionalismo moderno, che appare a Zambrano votata a un'ansia di potere, a una smania di essere a immagine e somiglianza del Dio creatore, dimenticando la propria condizione filiale, e a una solitudine metafisica priva di speranza. A tutto questo, Zambrano oppone l'atteggiamento della poesia . . ' per amore " 1 6 3 e l"' obli o . . che mettono al centro la "pass1VIta e deIla miStica, di sé che è svegliarsi in ciò che ci ha creato e ci sostenta" : 1 64 contrappone l'attitudine filiale di riconoscenza verso l'origine e la passività, che consen­ tono di ricevere il dono della discesa dello Spirito, atteggiamenti che sono comuni alla donna - ricordiamo il sì di lVIaria all'angelo, l' ecce ancilla Domini -, al poeta, all'innamorato e al mistico . Il riscatto zambraniano della passività, 1 65 a cui l'autrice conferisce una connotazione positiva e vitale, contro tutta una tradizione, soprattutto mo­ derna, che l'ha condannata in nome dell'attivismo e del controllo, affonda anch'esso le sue radici in un sentire che vede accomunati la donna, il poeta e il mistico: se la passività della coscienza è una disposizione necessaria per patire e per ascoltare ciò che accade, !asciandosene attraversare, e per ri­ cevere il vero, per consentire la discesa del "logos pieno di grazia e verità" , quest'attitudine recettiva è presente in modo privilegiato in una genealogia femminile che trova nella figura della Vergine-madre il suo modello più eminente. 1 66 Questa genealogia, di origine femminile, non è tuttavia riferita da Zambrano solo a donne, ma è estesa a quanto vi è di femminile negli uomini stessi: 1 6 7 come abbiamo visto, è in particolare nei poeti e nei mistici 1 62

Cfr. ìvi, p. 7 6 . lvi, p. 1 1 1 . 1 64 lvi, p. 1 1 4. 1 6 5 Sulla valorizzazione zambraniana della passività, cfr. .AA. . VV. , La passività. Un tema filosqfico-polìtìco in 1\Iaria ;:ambrano, cit. 1 66 Cfr. G. B1undo Canto, Afaria ;:ambrano. L.Tn 'ontologia della vita, cit. , pp . 1 86- 1 8 7 . 1 6 7 Questo è confennato da un'osservazione di Zambrano, in cui l'autrice sottolinea che ogni uomo mediatore è in un certo senso femminile, "donna" : "La Santa Vergine imm acolata è il veicolo della luce-verbo e ogni donna median·ice è veicolo della luce. Beatrice, Lucia. l\la 1 63

1\l-\RÌA ZA�ffiRANO E IL PENSIERO DELLA DIFFERENZA SESSUALE

1 27

che l'autrice riscontra quello stesso atteggiamento recettivo che consente di accogliere la verità come un dono, come una rivelazione. Un discorso analogo si può fare a proposito della pietà: se è vero che quest'ultima è la matrice originaria di tutti i sentimenti di apertura all'altro, non solo l'altro essere umano, ma anche e soprattutto gli esseri posti su un altro piano vitale - animali, piante, Dio -, allora anche qui la donna occupa un posto privilegiato, in quanto essa è identificata da Zambrano con l'anima, che è in relazione di familiarità con tutte le cose. Abbiamo già visto come Nina sia una figura femminile che è simbolo della misericordia, riflettendo sulla quale Zambrano pone le premesse della sua trattazione della pietà. L'altra figura femminile particolarmente significativa in questo contesto è Antigone, la quale è l'emblema stesso della pietà, della coscienza pietosa "nata per l'amore" e divorata dalla pietà: 1 68 vergine e innocente, non ancora irrigidita nell'affermazione dell'io, 1 6 9 Antigone rappresenta l'aurora della coscienza, nella sua apertura pietosa a tutto ciò che è oscuro e che viene riscattato grazie al suo sacrificio, alla passione della figlia. Se sono dunque delle figure femminili, come Nina e Antigone, ad avere un rapporto privilegiato con la pietà, tuttavia, nella trattazione esplicita di questo tema ne L'uomo e il divino, questa genealogia femminile scompare, per lasciare il posto alla domanda di Socrate sulla natura della pietà. La conce­ zione zambraniana della pietà come arte di "saper trattare adeguatamente con l'altro" 1 7 0 privilegia, delle due definizioni socratiche della pietà fornite da Platone nell' Eutifi-one, la prima, che la intende come rapporto adeguato con gli dèi, piuttosto che la seconda, che ne fa una virtù dell'uomo conforme al giusto: con questa scelta, Zambrano intende sottolineare che la pietà è relazione, rapporto con ciò che è altro da sé, non virtù o prerogativa del­ l'essere umano in quanto tale. 1 7 1 Dalla pietà "filosofica" , rappresentata da Socrate, l'autrice arretra poi fino all'azione sacra, al sacrificio, che era stata la prima forma di pietà:

ogni uomo mediatore è in questo senso femminile, 'donna'. Ciò fa sì che possa essere vero che nei fedeli d'amore i fedeli venissero chiamati 'donne' . Cosa che avveniva non in tutti i momenti della vita iniziatica, ma unicamente nell'assimilazione alla Beatrice veicolo della Luce . Poiché deve dire 'ecce ancilla', senza detrimento della sua condizione maschile" . (lVIaria Zambrano, Santa Lucia, quaderno manoscritto, 6 novembre 1 964, Archivio Fondazione lVIaria Zambrano, �:L 4 1 6, citato da Elena Laurenzi, La sete naturale, in 1\Iaria Zambrano, Dante specchio umano, tr. it. a cura di Elena Laurenzi, Città aperta, Em1a 200 7 , p. 48). 1 6 3 �:I. Zambrano, Delirio dì Antigone, cit., p . 88. 1 69 Cfr. E. Laurenzi, Afaria ,{ambrano: una «mujer fil6sifo", p. 3 7 . 1 7 0 �:I. Zambrano, Duomo e ìl divino, cit., p. 1 85 . 171 Cfr. ivi, p. 1 8 7 .

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azione passiva, offerta e "risposta a quella pressione che la realtà senza limiti esercita" 172 sull'uomo, il sacrificio porta con sé un sapere nato per ispirazione, che echeggia nella poesia e in particolare nella tragedia, la quale è definita "officio della pietà" , 1 ì3 in quanto reintegra qualunque destino e colpa, per quanto mostruosa, nella condizione umana. 1 7 4 Nella trattazione zambraniana della pietà ne L'uomo e il divino, l'unico cenno che rinvia alla matrice femminile di questo sentimento fondamentale di apertura all'altro è un riferimento all'acqua, elemento femminile a cui sono accomunate, come già abbiamo visto, sia Antigone sia Nina. "La pietà agisce alla maniera dell'acqua: dissolve, comunica, trascina" . 1 ìS A questo punto, però, il gesto pietoso di Antigone, che lava le colpe della propria stirpe e il sangue versato nella lotta fratricida, 1 7 6 e la figura di Nina, che come l'acqua è serva, confluiscono nel più generale intento zambraniano di ripensare il logos, disponendolo al accogliere quel sentimento fondamentale di apertura all'altro - la pietà -, che è stato generalmente espunto dalla filosofia. Il "logos pieno di grazia e verità" del Vangelo di san Giovanni, il logos incarnato di cui Zambrano si pone in ascolto è certo un logos in sintonia con la differenza femminile, ma è anche qualcosa che si rivolge a tutti coloro che si dispongono passivamente a riceverlo, come i poeti e i mistici. Potremmo dire che Zambrano raccomanda a tutti, anzi, forse soprattutto a uomini, un atteggiamento recettivo di accoglienza, che si può considerare di origine femminile e che dovrebbe correggere le derive prometeiche e distruttrici dell'avventura maschile di libertà. �-fentre l'intento di fondo di femminilizzare il logos, raccomandando un'accoglienza recettiva che dovrebbe accomunare donne e uomini, mi sembra condivisibile, non lo è altrettanto, a mio parere, la convinzione di Zambrano di poter andare al di là della differenza sessuale, verso un neu­ tro che la metta fra parentesi o che addirittura la cancelli. Tale intenzione trapela, come già abbiamo ricordato, nel Prologo alle Obras Reunidas, in cui Zambrano, definendosi come "un autore", precisa che tale termine va inteso come un sostantivo neutro, "perché va oltre le differenze esistenti fra uomo e donna, giacché di pensiero si tratta e quando si pensa si dimenticano tali differenze e altre" . 177 1 72

lvi, p . 1 9 1 . lvi, p . 1 9 7 . I l-l- Cfr. ìvi, p . 203. 1 7 5 lvi, p. 204. 1 7 6 Zambrano fa tuttavia, sia pure di sfuggita, due brevi riferimenti ad Antigone in relazione al tema della pietà ne L'uomo c il divino: cfr. ivi, p. 203 e p. 205 . 1 7 7 1\ :l. Zambrano, A Afodo dc Prologo, in Ead. , Obras Rcunidas, cit., p. 1 0 . 1 73

1\l-\RÌA ZA�ffiRANO E IL PENSIERO DELLA DIFFERENZA SESSUALE

129

Su questo punto, è doveroso segnalare la distanza di Zambrano dal pensiero della differenza sessuale: mentre per quest'ultimo l'essere donna/ uomo è un orizzonte intrascendibile, da abitare liberamente ma accettando la parzialità legata alla differenza sessuale, invece per Zambrano il femmi­ nile e il maschile sono qualità, caratteri o essenze che, benché si diano con più frequenza negli individui dell'uno o dell'altro sesso, si prestano a essere scorporate dagli esseri in carne e ossa che ne sono la concreta incan1azione e che possono essere attribuite anche a individui dell'altro sesso. Così, come già abbiamo visto, Seneca è il rappresentante forse più significativo della "ragione materna" , e Giovanni della Croce è una figura emblematica della passività recettiva dell'anima innamorata, la quale accomuna la donna, il poeta e il mistico. Al di là di questa divergenza, non di poco conto, resta valida l'intuizione zambraniana secondo cui sarebbe soprattutto in una genealogia femminile che si realizzerebbero la circolazione e la discesa del Logos, al punto che, secondo il parere di Augustin Andreu, la filosofia dell'ultima Zambrano conterrebbe addirittura gli spunti di una mariologia, 1 78 dal momento che l'assenso mariano è il modello di ogni accoglienza feconda della parola: sulla base di tale intuizione, e con il proposito di renderla feconda per tutti, l'autrice raccomanda a chiunque, uomo o donna, quella disposizione passiva che sola può favorire la discesa del "logos pieno di grazia e verità" . Non c'è dubbio che le intuizioni teologiche di Zambrano, espresse nelle lettere ad Andreu, vadano nella direzione di una valorizzazione del femmi­ nile e del suo ruolo dell'economia della salvezza: infatti, per Zambrano, non solo la Vergine è una figura teologica indispensabile "sia religiosamente sia moralmente" , dal momento che senza di lei "non si manifesta la presenza dello Spirito Santo nell'uomo e meno ancora nella donna", 1 7 9 ma occorre anche una collaborazione fra uomo e donna per dar vita alla sizigia, centro di irradiazione spirituale. Il tema della sizigia è affrontato da Zambrano in alcune lettere ad Andreu: la sizigia o piccola comunità, formata da un uomo e da una donna, 180 dovrebbe manifestare il senso nuziale della vita e dovrebbe essere un nucleo di rinnovamento spirituale. Benché Zambrano, definendosi talvolta come "un autore", inteso al 1 78

Cfr. G. Blundo Canto, Afaria ;::am brano. [Jn 'ontologìa della vita, cit . , p . 1 8 7 , nota 1 4 . l\ : L Zambrano, Lettera a d A . Andreu, L a Pièce, 5 ottobre 1 9 74, in Ead., Cartas de la Pièce, cit., p . 8 3 . 1 8° Cfr. M. Zambrano, Lettera ad A. Andreu, La Pièce, 19 maggio 1 9 74, ìvi, p . 4 1 , e lettera del 1 4 novembre 1 9 74, ìvi, p. 1 2 3 . Sul significato della sizìgia in Zambrano, cfr. G. Blundo Canto, J.lfaria ;::am brano. []n'antologia della vita, cit., pp. 1 93- 1 9 7 . 1 79

1 30

J'vlARiA ZM...mRANO. L\ PASSIONE DEllA F1GLIA.

neutro, 1 8 1 cerchi forse l'approdo a un luogo di pace al di là del conflitto fra i sessi, tuttavia, rivolgendosi ad Andreu, scrive anche: "Non dimenticare, trattandosi di me, che sono una donna [ . . . ] . Donna dal principio alla fine" . 182 Mantenendosi fedele a tale affermazione, il proprio essere donna Maria Zambrano l'ha simbolicamente significato nel modo più alto privilegiando una genealogia femminile come la più adatta alla rivelazione dello Spiri­ to: 1 83 una filosofia protetta dalla Vergine 1.1aria, quale, non senza arrossire, Zambrano dichiara essere la sua, 1 84 fa della donna una figura essenziale nell'economia della salvezza così come in quella del pensiero, per la sua capacità di ospitare nel suo grembo il logos e di darlo alla luce.

181

Cfr. ��- Zambrano, Lettera ad A. Andreu, La Pièce, 2 1 giugno 1 9 75 , in Ead., Cartas dc la Piècc, ci t., p. 2 1 7 . 1 82 Ibidem. 1 8 3 Secondo Andreu, Zambrano si rialla ccerebbe alla tradizione gnostica, secondo la quale D io "non [è] meno �:ladre che Padre", in quanto porta con sé "la matemità spirituale di Sophia" - la Sapienza divina o Spirito Santo. (Cfr. A. Andreu, Anotacìoncs epiloga/es a un método o camino, ivi, pp. 352-353). Secondo il teologo .Andreu, il fatto che la Chiesa abbia separato "lo Spirito Santo dal femminile, o, al contrario, il femminile dallo Spirito Santo" ha portato con sé "molto rischio e conseguenze drammatiche per le relazioni degli esseri umani fra loro" . (lvi, p. 354) . Non posso che sottoscrivere interamente tale affermazione . 1 84 Cfr. M . Zambrano, Qyasi un 'autobiografia, cit., p. 1 3 2 .

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