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Italian Pages [668] Year 1972
ANTONIO PESENTI
MANUALE DI ECONOMIA POLITICA Il
EDITORI RIUNITI
Nuova biblioteca di cultura
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CARLO CASAROSA. Nato a Calcinaia (Pisa) nel 1942, ha frequentato la facoltà di giurisprudenza ed è stato allievo del Collegio giuridico, annes so alla Scuola normale superiore di Pisa, per tutto il corso universi tario. Si è laureato nel 1964 con una tesi di economia politica. Nel 1965 ha svolto ricerche in tema di programmazione economica presso l'Ufficio del programma del mini stero del Bilancio. Nell'anno acca demico 1966-6 7, quale borsista del British Council, è stato research student presso la London School of Economics. Assistente ordinario di Politica economica e finanziaria pres so la Scuola superiore di studi uni versitari e di perfezionamento di Pi sa, sta svolgendo, per conto dello ISPE, st�di in materia di planning programmùtg-budgeting system. Principali pubblicazioni: Teoria clas sica e teoria keynesiana dell'occupa zione (Statica e dinamica), in Studi di economia e finanza, 1967; Mo delli macroeconomici di breve pe riodo, il problema de/l'occupazione e la finanza pubblica, in Rivista di scienza delle finanze e diritto finan ziario, 1968; La teoria de/l'istruzio ne come capitale ed il finanziamento del diritto allo studio, in Rivista di politica economica, 1968; Modelli di crescita, il problema de/l'occupazione e la finanza pubblica, in Studi eco nomici, 1969.
ALESSANDRO LIPPI. Nato a Viareggio nel 1943, si è laureato in giurispru denza presso l'Università di Pisa nel 196 7 discutendo una tesi di argo mento economico. Dal 1968 parteci pa alle attività dell'Istituto di eco· nomia e finanza dell'Università di Pisa in qualità di borsista-ricercatore del Centro nazionale delle ricerche. Collabora a diverse indagini ( sull'im presa pubblica, sulle maggiori socie tà per azioni italiane, sugli aspetti dell'economia toscana) approfonden do al tempo stesso i temi della poli tica economica, con particolare riferi mento ai problemi della programma zione e dello sviluppo.
Antonio Pesenti
Manuale di economia politica Volume secondo L'odierno capitalismo monopolistico o imperialismo Appendice III
Il capitale finanziario italiano
Appendice IV Macroeconomia
di Alessandro Lippi
di Carlo Casarosa
Editori Riuniti
I
edizione, I ristampa: settembre 1972
©
Copyright by Editori Riuniti, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma 1970 Grafici eseguiti da Luigi Pierangeli Copertina di Bruno Munari CL 63-0114-2
Indice
L'odierno capitalismo. monopolistico o imperialismo XXXV. Considerazioni generali
3
Le possibili interpretazioni della realtà attuale, p. 3 - La ver sione tecnocratica, p. 7 - Concetto di fase, p. 8 H dibattito suH'imperialismo prima del 1914 e il metodo di Lenin, p. 13 Bibliografia, p. 17. -
XXXVI. Le caratteristiche dell'imperialis1l'o
23
La definizione di Lenin, p. 23 - Metodologia e polemica di Lenin, p. 25 - Bibliografia, p. 30.
XXXVII. La concentrazione della produzione e del capitale
32
Alcuni dati, p. 32 - La situazione italiana: struttura del capitale finanziario italiano, p. 36 Bibliografia, p. 37. -
XXXVIII. L'organizzazione oricamente e si evolve nel tempo. Non vi è dubbio che esso si è attuato con particolarità proprie in ogni paese.
Una delle accuse che scr.ittori non marxisti hanno fatto a Lerr..n
e a Hilferding è di aver voluto generalizzare un processo storico che sarebbe stato particolare deUo sviluppo del capitalismo tedesco. Di qui l 'affermazione che .la tesi del « capitale finanziario », quale capitale da prestito posseduto da banchieri e impiegato dagli industriali, che si
trasforma cosi in capitale i.ndustfi.ale, non rappresenterebbe une
caratteristica universale del sistema capitali-stico nella fase dell'Jmperia lismo. Ma fatta in tale modo 1a critica tendeva a negare .la realtà e il concetto di « capitale finanziario » e .non ha perciò serio fondamento.
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L'odierno capitalismo monopolistico o imperialismo
Ciò che conta è la sostanza del fenomeno, anche se conserva importan za razione che, per esempio, il centro finanziario di Lon dm esercitava su1Ia accumulazione precapitalastica posseduta da signori feudali, proprietari fondiari, compradores ecc. L'esportazione dei capi ta.li tende a consolidare e a rendere defin�tiva una tale situazione, con tribuendo a mantenere lo stato di inferiorità economica. Nella fase ·imperialistica ante 1 9 1 4 , una volta compiuta questa opera di disgregazione ed assicuratosi il dominio politico ed economico, questa forma di sfruttamento si consol1ida ancor piu in tutti i suoi vari aspetti e -in tutte le sue diverse caratteristiche.
Comunque anche allora l'esportazione dei capitali non era diretta solo e prevalentemente nei paesi coloniali e sottosviluppati, ma già allora, basta aver presente gli stessi datti riportati da Lenin e da Bu charin, era distribuit·a tra paesi capitalistici, paesii nuovi e paes-i sotto sviluppati, piu o meno dipendenti . Ciò anche perché, volendo mantenere le « colonie » o ·i paesi sottosviluppati in s'ituazione di sottosviluppo, cioè di fornitori di materie prime e di « riserva » come mercato, la esportazione di capitale poteva dirigers.i solamente verso la creaziione di infrastrutture economiche (strade, ferrovie) o di servizi (banche, case commerciali ecc.), non per la creazioqe di imprese industriali produttive, salvo, e Limitatamente, che a ciò i capitalisti non fossero costretti per lo sfruttamento dei giacimenti di materie prime o per motivi militari, nel qual caso si trattava sempre di inclustrie del I settore, produttrici di beni s trumentali e non produtt11ici di beni di consumo, ossia di
merci finali, in cui la composiizone organica del capitale è piu alta.
Si determinava cosi la spirale del sottosviluppo, che, come vedre mo, è ancora l'aspetto dominante delle economie dei paesi sottosvilup pati, che non si sono effettivamente liberati dal giogo dell'imperialismo, non hanno cioè scelto una via di sviluppo socialista. Non può comunque esservi dubbio, come del resto abbiamo visto nel corso de1la trattaziooe, che l'esportazione dei capitali non solo rimane una caratteristioa dell'imperia·lismo odietino, ma anzi essa ha accresciuto la sua •importanza e la sua funzione, data la crescente inter
nazionalizzazione del capitale e del.l 'impresa. Cosi pure i dati com-
XLI. La esportazione dei capitali
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proW:oo anche oggi che il flusso di rientro dei profitti supera l'uscita annua dovuta alla emigrazione dei capitali. 11 fatto che 111 d1rezione della esportazione dei capitali sia mute vole, che possa oggi prevalere l'esportazione verso a.Itri paesi capitali stici, piuttost'O che verso paesi sottosviluppati, che sia notevolmente accresciuta anche l'esportazione di capitali puramente finanziaria e a breve termine, che sia crescente l 'espor�azione di capitali di orig·ine pub blka rispetto ai capitali privati, sono particolarità che non inf.idano nei suoi aspetti fondamentali l'esistenza di questo fenomeno che ancor oggi caratterizza l'imperialismo. Queste particolarità sono cioè dovute al mutoarsii di altre condizioni , come fra poco diremo, tra le piu impor ta.nti delle quali sono da ricordare la lotta di liberazione dei paesi sotto sw..Iuppati, l'esistenza del sistema socialista, lo sviluppo del capita.1ismo monopolistico di Stato, l'instabiiità propria .nella crisi generale del oapi talismo: la sostanza economica della esportazione dei capitali rimane comunque chiara e la stessa: strumento per accrescere il saggio di pro f.itto neUa metropoli ; strumento di dominio e di sfruttamento specie verso i paesi sottosviluppati.
Monopoli internazionali e divisione del mondo in sfere di influenza Ulteriore sviluppo e quindi mutamenti, tali però da non modifi carne la sostanza, presentano le altre due caratteristiche enunciate da Lenin .nella sua definizione dell'imperialismo e cioè il sorgere di e.ssocia zioni monopolistiche internazionaLi, che si ripartiscono H mondo e la compiuta ripartizione della terra tra le piu grandi potenze capitalistiche. Certo in quest'O fenomeno sono 11vvenuti notevoli mutamenti : il
processo di integra2lione del capitale monopolistico si è esteso ed ha acquistato noove forme. Si è esteso a livello di impresa, con le imprese multi.nazionali e le imprese fra di iloro collegate, sia con partecipazioni incrociate e comuni, siia con accordi di produzione di vario tipo, sia oon altre forme di interpenetra2lione. L'impresa multinazionale, come già si è visto, e come giustamente dicono Sweezy e Magdoff 1 , non è tale perché indichi una pa·rtecipazione comune tra diversi gruppi monopo
l•istioi nazionali. Anche se intese specifiche possono sorgere tra vari gruppi monopolistici appartenenti a diversi paesi, la società multinazio-
I P. SWEEZY e H. MAGDOFF, La società azionaria.. multinazionale, in Monthly
Review, ed. it., novembre 1969.
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L'odierno capitalismo monopolistico o imperialismo
nale nel .Linguaggio corrente è tale, perché opera in diversi paesi, dove può avere anche una locale direzione operativa, dotata di una certa autonomia e trarre localmente le sue fonti di finanziamento, ma in realtà la direzione strategica e finanziaria del gruppo rimane ben chius.a e centrahzz·ata nelle mani del gruppo nazionale che ha attuato l'espan sione. Rappres.enta cioè sempre una forma di penetraz·ione del mono polio e di lotta tra monopoli e non di « collaborazione su piede di parità e di sviluppo democratico ». È cioè la continuazione e il perfeziona mento della politica dell'impresa monopo1is tica, che gi.à Lenin cono sceva e che, naturalmente, non esclude accordi temporanei tra monopoli per lo sfruttamento comune di certi mercati, l'uso còmune di certi pro cedimenti produttivi, ecc. e ancor meno l'espansione di un gruppo con l'aswrbimento di altri gruppi, indipendentemente dalla nazionalità. È noto che questo processo di internazionalizzazione del capitale ha assunto un ritmo particolarmente veloce dopo il 1 960, basta tener presente an che .!'esperienza italiana. Esso è stato facilitato anche dalla formazione di « regioni economiche », qual1i il MEC, l'EFTA o altre consimili. Trusts, cartelli e varie forme di accordi internazionali per la stabilizza zione di prezzi, divisioni di mercati, liimitazioni ddla concorrenza reci proca esistono oggi come nel passat-o, anche s.e la crescente disparità nei rapporti di forza tra i vari paesi capitg;1isoioi a causa della influenza crescente della legge dello sviluppo disuguaJe del capital1smo e il pre dQminio dell'imperialismo statunitens.e, rendono oggi ancor piu insta bile e spesso difficile il conseguimento di tali accordi e piu vivace la oonwrrenza monopolistica. Come prevedeva Lenin, cioè, non si sono attenuate, ma anzi aggra vate ( basta pensare al problema del giomo, alla forza espansiva del capi talismo americano) le differenze nello sviluppo dei paesi capitalistici e dei div·ersi. settor.i produttivi e di oonseguen�a non si è attenuata la lotta tra i gruppi monopolistici. La rivoluzione tecnologica in corso, tende ad accelerare aincor piu il proce$so di differenziazione, spostando continua mente l'importanza relativa delle fonti di energia, della utilizzazione ddle materie prime e dei residui, creando tecniche e prodotti nuovi , acuendo cosf i contrasti e smentendo ancora una volta la tesi kautskiana di un « superimperialismo razionale ed armonico » 1 •
t S i veda anche dal punto d i vista non marxista: E. DENISON, Why Growth R.Jztes differ. The post War Experience in Nine Western Countries, Washington, Brooking Institute, 1967, che esamina le diverse variazioni della produttività nei nove paesi (tra cui l'Italia) da un punto di vista strettamente economico-tecnico.
XLI. La esportazione dei capitali
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I contrasti tra i paesi capitalistici Entro l 'ambito del sistema imperialistico continuano cioè a svilup parsi i contrasti di i-nteressi tra i paesi capitalistici, continua la lotta per la conquista dei mercati e continua -l'azione della legge dello sviluppo disuguale propria del capitalismo, che comporta il mutarsi dei rapporti di forza generali tra i vari paesi capitalistici . Certamente questo pro blema si presenta oggi in modo diverso che nel passato. S toricamente si sa che i.n questa lotta per la oonquista dei mercati e delle funti di materie prime, i:l capitale di un paese, si scontra con altri concorrenti. La lotta diviene piu accanita, non appena molti paesi si sviluppano. Il predominio dell'Inghilterra si scontra prima con la Francia, poi, con maggior violenza, con la Germania. Sorgono metodi di concorrenza nel mercato ddle merci e nel mercato dei capitaJ.i che vengono chiamati . « sleali ». Si sviluppa la guerra di tariffe e il dumping, che per verificarsi esige una struttura monopolistica. Il nome fu coniato da Joe Chamberlain che impressionato dalla penetrazione tedesca nei mercati mondiali subito dopo i·l 1870, dùdeva !'.introduzione in Inghilterra di misure protezio nistiche. La tecnica del dumping, che rappresenta una forma di protezioni smo attivo, è molto semplice, come già si è detto nel cap. XXVII. Suppo niamo una industri.a siderurgica che produca mille tonnellate di acciaio al costo unitario• di 1 0 mila lire la tonnellata. Per coprire il suo costo di produzione tale industria deve ottenere con la vendita di 1 .000 tonneHate, una entrata di 1 0 mHioni di lire. Tale ricavo può essere ottenuto vendendo nel mercato antemo 500 tonnellate al prezzo di 1 3 .000 l ire la tonnellata e 500 tonndlate nei mercati esteri al prezzo di 7 .000 lire la tonnd lata. Perché ciò possa avvenire, occorre che il mercato interno sia pro tetto da una tariffa doganale che •impedisca al concorrente estero di poter
Secondo il Deriison, fatto uguale a 100 il reddito per occupato negli Stati Uniti, nel 1960, il reddito per occupato era 59 per la Germania, 40 per l'Italia, 59 per la Francia, 65 per l'Olanda, 58 per la Danimarca, 59 per la Norvegia, 61 per il Belgio, 59 per il Regno Unito. Tranne per l'Italia, il distacco risultava abbastanza uniforme. Secondo il Denison, l'istruzione avrebbe contribuito per il 15% allo sviluppo del reddito negli Stati Uniti, per il 5% nell'Europa occidentale, per il 12% nel Regno Unito; in termini di persona occupata, i dati salgono rispettivamente al 22, al 6 e al 17%. Si veda anche P. }ALÉE, L'imperialismo negli anni 70, Milano, Jaca Book, 1969, che, pur senza approfondire, dà un quadro d'insieme dei mutamenti relativi nei rapporti di forza complessivi tra paesi e settori produttivi.
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L'odierno capitalismo monopolistico o imperialismo
vendere ad un prezzo inferiore alle 1 3 .000 lire la tonnellata e che d'altra parte non esistano nel mercato interno concorrenti in grado di vendere ad un prezzo inferiore alle 1 3 .000 lire. Questa forma classica ha assunto forme e manifestazioni diverse. La guerra commerciale comporta la piu ampia guerra per 1a in fluenza economica. Si scontrano colossi : singoli monopoli . In deter minati momentii può sorgere la convenienza di raggiungere accordi, che portano nel campo intemazionale a quelle intese che già conosciamo nei singoli capitalismi nazionali. Accordi sui prezzi ( sul grano o su altri prodotti agricolii) o veri e propri cartelli e trusts internazionali . Su questi accordi e trusts internazionali esistono parecchie pubblicazioni 1 • Risulta da queste pubblicazioni che oltre i l 50% della produzione mondiale era cartellizzata interna2lionalmente. Si crea inoltre una internazionale del capitale. I maggiori gruppi sono fra di loro collegati. La Du Pont americana, la ICI inglese era st1ret tamente collegata con la IG Farben tedesca ; le case Morgan, Rothschild hanno legami ovunque. Questi legami non cessano di agire nea:nche durante la guerra. Ci è stato rivelato nella prima guerra mondiale e nella seconda 2 • Questi accordi si scontrano però con un'aJt.ra legge che il marxismo ( in particolare Lenin ) ha rilevato, e cioè lo sviluppo ineguale e a salti del capitalismo, sia per settori i1ndustriali che per paesi. Questo diverso ritmo di sviluppo altera i rapporti di forza e spinge a nuove periodiche ripartizioni nei contingenti assegnati, nei prezzi , nei mercati e nella influenza politica .
La legge dello sviluppo disuguale del capitalismo ha notevole impor ta:nza per lo svi.Juppo economico e la storia della umainità.
Lo svHuppo disuguale si riscontra nel capitalismo in tutti i. campi. Le singole imprese nella lotta per fa concorrenza si ingrandiscono o periscono, rami pi produzione si sviluppano con ritmo diverso: per le ·nuove scoperte sorgono nuove •industrie e altre vecchie decadono. 70 anni fa i·l petrolio serviva solo per bruciare nelle lampade : oggi l'ener gia atomica può detronizzare e sva.Juta·re quindi economicamente gli investimenti fatti .nelle vecchie fonti di energia ; la seta naturale è U1 crisi di fronte alla seta artificiale e agli altri prodotti tessili di origine
1 LEWINSON, Trusts et Cartels dans l'économie mondiale, Librairie de Medicis, Paris, 1950; PLUMMER, International combines in Modern Industry, New York, 1958; WATCKINGS e STOCKINGS, Cartels in action; UNO Dep. of Economie Affairs; International cartels, New York, 1947. 2 Si veda: REIMANN, Patents for Hitler, London, Gollancz, 1946.
XLI. La esportazione dei capitaJi
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chimica, ecc. Nelle singole economie nazionaJ.i la storia c1 1.nsegna che le posizioni relative mutano. Al principio del secolo scorso l'Inghilterra predominava. La civiltà del secolo XIX era basata sul connubio car bone-ferro e lo sviJuppo :i•ndustriale inglese si era verificato prima, tanto che le statistiche dimostrano la posizione di quasi monopolio goduta daUa Gran Bretagna. La situazione è andata modificandosi. Il primo severo colpo alfa supremazia ingl.ese è stato dato dall'apparire deUa Germania capitalistica, che dopo il '70 si è fatta sentiire nei mercati mondiali e tutti sanno che la rivalità anglo-tedesca è stato il motivo do minante della storia oonclusas.i con lo scoppio della prima guerra mon di·ale. Sono note le grida di allarme del vecchio Joe Chamberlain oon tro la
«
sleale » concorrenza tedesca e la richi.esta pertanto, già verso il (free trade) e introdurre
1 890, ·di abbandonare il « libero scambio »
la protezione. L'impetuoso sviluppo degli Stati Uniti, anche a causa delle guerre europee, porta al.la scena la nuova potenza economica che tende ad acquistare l'egemonia. Ma nel frattempo si sviluppano altri paesi: l'Ita
lia, :11 Giappone. Il mondo economico è sempre in movimento e poco
o tanto qui:ndi i rapporti di forza mutano. Si creano raggruppamenti piu o meno occasionali, alleanze piu o meno solide. Ma come dice giu
stamente Lenin, fino a che questi mutamenti nei rapporti di forza avevano uno sbocco nella conquista al capitaHsmo d.i nuove parti del mondo, il processo di sviluppo comportava guerre coloniali e guerre tra paesi, ma non necessariamente guerre capitalistiche mondiali. Ma
una volta che ta divisione del mondo è già avvenuta - ed è questa una caratteristica della fase dell'Jmperialismo - i·l processo di crescenza non si scontra piu con la « zagaglia ba·rbara » di carducciana memoria : il nemico è il paese capitalistico che è arrivato prima. Perciò i mutamenti
nei rapporti di forza portano ad antagonismi tra gli Stati imperial�stici .
Questi antagonismi, quando diventano piu acuti, non hanno altro modo di soluzione che il ricorso alla forza, ci-Oè alla guerra. «
Quale altro mezzo - dice giustamente Lenin - esiste in regime
capitalistico per eliminare la sproporzione tra le forze produttive e la
accumulazione di capitale da un lato e dall'altro la ripartizione delle co lonie e " sfere di influenza " all'infuori della guerra ? ». Cioè il capitali smo nella fase imperialistica tende _inevitabilmente a provocare la guerra.
Vi sono stati scrittori, tra i quali è da ricordare U Robbins nella
sua opera
Le cause economiche della guerra,
tradotto anche in italiano
e pubblicato da Ein'.ludi, che hanno cercato di confutare le tesi di Lenin, ma chi legge il hbro ( scritto nel 1 9 3 9 ) e pensa agli avvenimenti succes-
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L'odierno capitalismo monopolistico o imperialismo
sivi, si accorge che la confutazione è tanto debole che si traduce i·n con ferma. Lo stesso autore ha infatti ripudiato i·l libro. La stonia è infatti la conferma piu sicma. I dati statistici della produzione dei principali prodotti : carbone, ferro, acciaio, petrolio se gnalano il mutarsi dei rapporti economici di forza che si sono verificati nel passato e stanno verif.icandosi. E questo movimento non cessa anche quando, dopo la conclusione di una guena, nuove egemonie sembrano decisamente stabilite e paesi del tutto sconfitti. La ripresa tedesca dopo la prima guerra mondiale è stata abbastanza ropida, aiutata del resto dal capitale finanziario interna zionale, specie anglo-americano, interessato alla esportazione del capi ta·l e. Ma anche in questo secondo dopoguerra, in cui l'egemonia statu nitense sembriava assoluta, abbiamo assistito daJ 1 945 i·n poi al continuo mutarsi dei rapporti economici di forza, alla « miracolosa >> ripresa della Germania capitalistica e del Gi.appone. Non credo che occorra ·insistere sul tema certamente noto a chi ' partecipi solo un po al.La vita del mondo contemporaneo. Oggi nessun testo di storia attribuisce .la prima guerra mondiale all'attentato di Serajevo, anziché al contrasto del capitalismo anglo-tedesco, o la seconda alla questione di Danzica. Ciò che forse non è sempre pienamente com preso è la « necessità » della guerra per il capitalismo giunto allo stadio dell'imperialismo. Si dice infatti che la guerra è sempre esistita, non è solo propria del sistema capitalistico di produzione e neanche della fase attuale del -l'Jmperia.Iismo, ma se noi analiz21iamo piu sottilmente la realtà, vedre mo che le guerre ·attuali, cosidette -imperialistiche, hanno una caratte r�stica particolare e sono la ineluttabile conseguenza del sistema capita listico di produ21ione giunto al suo uhimo stadio, al.Io s tadio dell'impe rialismo. E ciò per un complesso di fenomeni. Infatti nel processo dialettico di formazione della realtà, ciò che è effetto diventa causa e ciò che è causa diventa effetto. La concorrenza, .la preparazione di una guerra, sviluppando industrie di guerra con interessi collegati, diviene già un'altra C·ausa di guerra. La .ricerca dei mercati , il tentativo di a·rre stare fa caduta dd saggio di profitto, di protrarre l'inizio di una crisi ( se si osserva, le guerre capitalistkhe scoppiano piu frequentemente allo inizio o al.la fi.ne di una depressione) , sono tutti fenomeni, effetti e causa di nuove guerre, come effetto e causa di gue11re è l'autarchia, il fenomeno cioè per H quale paesi capitalistici in previsione di guerre tendono ad assicurare tutte le produzioni necessarie al-l'interno del paese.
È sempre valida questa visione storica?
XLI. La esporta:aone dei capitali
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Nella sostanza si deve dire di sf, anche se, come si è detto, si sono modificate le condizioni generali della vita dell'imperialismo e di con seguenza le manHestazioni. delle sue caratteristiche. Nel campo specifico noi abbiamo detto già che, nell'epoca della crisi generale del capitalismo, sorge quale compito primordiale per i ceti dirigenti capita.Iistici quello di salvare -l'imperialismo come sistema. Ma anche questo è un processo che si sviluppa nel tempo. Questo compito non appare subito cioè alla coscienza dei ceti dirigenti nella sua immediatezza e neUa sua impor tainza essenziale, anche se subito dopo la rivoluzione di ottobre, l'Intesa interviene per soffocare sul nascere i1l regime sovietico e si crea, far.lito il tentativo, un baluardo di Stati antisovietici, « un cordone sanitario » dal Baltico ·al Mar Nero e si distrugge nel sangue la rivoluzione un gherese. Rimangono troppo forti i contl'asti tra le potenze capita.Iistiche dell'Europa , ancora relativamente solide nella loro potenza tradizionale e .non si valuta ancora nella sua importanza storica e ne1la sua potenza economica e militare la costituz;ione dello Stato wvietico, che svilupperà in modo grandioso la sua forza con ·i piani quinquennali 1• D'altra parte se noi riflettiamo brevemente sulla storia del sistema capitalistico, quale si è sviluppata dopo •il 1 9 1 4 , notiamo che subito dopo la prima guerra mondiale vi è stato un periodo di oaos economico, di grave immiseri mento delle masse, di inflazione e di cr.isi. Dopo il 1924 si assiste nei vaI'i paesi capitalistici ad un periodo di relativa stabilizzazione, in cui si cerca di ricondurre a « normalità » i rapporti economici. Si stabi·liz zano Je monete, si cerca di ricondurre gli scambi internazionali ad una concorrenza lecita, che eviti cioè le forme piu clamorose del dumping monetario, si sviluppa la produzione. Ma questa fase di relativa stabi Lizzazione ha breve durata e in essa, considerando il mondo capit.aH stico nel suo insieme, non scompaiono mai i segni del marasma e delle gravi contraddiliioni ; nei paesi capitaiistici piu avanzati, una massa enorme di disoccupati permanenti testimonia lo squilibrio esistente. La crisi del 1 929-33 comporta un altro periodo di caos economico e politico : essa si prolunga oltre la durata delle crisi precedenti, è piu intensa e piu gravida di conseguenze economiche e politiche ed ha una grande influenza anche sul pensiero economico. Essa è generaie, colpisce tutti i paesi capitalistki e aveva colpito duramente anche -i paesi sottosviluppati agrari e semi agrari, anche
1 Si stanno pubblicando, com'è noto, i documenti del Foreign Office dai quali questa sottovalutazione appare chiara.
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L'odierno capitalis!" o monopolistico o imperialismo
perché i gruppi dominami del capitale finanziario ostacolano la caduta dei prezzi, fenomeno della crisi che tendeva a ricostituire l'equilibrio su ·nuova base e le valvole di sicurezza, costituite da nuovi sbocchi, da nuovi mercati, �à ·ricordate dal Marx nel Manifesto, vanno esaurendosi . Dalla grande crisi non si verifica una tota.le ripresa dell'economia: scoppia la seconda guerra mondiale con le note conseguenze. La cr.isi generale del capital�smo si aggrava. Il fatto piu ·i mportante che caratte rizza questo periodo, che può essere denominato seconda tappa della crusi generale, è costituito da·! rafforzarsi e da·ll'estendersi del sistema socialista di produzione, e dal crearsi di un vasto mercato socialista che spezza il mercato unico mondiale capita.Jistico e fa sentire la sua con correnza nei terzi .paesi sottosvifoppati. L'esistenza del nuovo sistema economico socialista costituisce un forte appoggio per la lotta di libera zione nazionale dei paesi dipendenti. Acquistano l 'indipendenza .l'India, la Biirmania, l'Indonesia, i paesi arabi, i paesi dell'Africa, si crea cioè ·.ma vasta zona .1n cui i poteri economici dei paesi capitalistici dominami vengono ridott.i . Do po l a seconda guerra mondiale, cioè, l a situazione è forte· mente mutata. Da una parte abbiamo un sistema socialista che si allarga enormemente con la rivoluzione cinese e non piu un solo Stato, dall'a1tra un sistema capita!:i stico nell'imterno del quale le dispacità si sono accresciute enormemente e che specie all'inizio, si compendiano in una potenza economica e militare degli Stati Uniti che è addirittura so verchiante 1• Nell'Europa dissanguata dalla guerra �l pericolo per l'im per.ialismo è grave e Churchill non lo ·nasconde nel soo discorso di Fulton. Soffocare i nuovi Stat·i che entrano nell'orbita soc.ialista, come fu inel 1 9 1 9 con ·l'Ungheria, non è piu possibHe, data la potenza del· l'URSS. L'unica possibilità che rimane e che si assumono come compito gli Stati Unici, è quella di contenere l'avanzata del socialismo, ricreare il baJ.uardo tedesco nella parte occidentale della Germania, a·i uta·re la ricostruzione capitalistica e la restaur.azione del potere del capit ale fi nanziii1rio nei paesi europei col Piano Marsha11, iniziare la guerra fredda
brandendo iJ ricatto atomico. Riprende cosf �1 cammino. Da una parte le leggi proprie del.Jo sviluppo capitalistico riprendono il loro corso,
come si: è piu volte detto durante la nostra trattazione. La potenza economica e politica degli Stati Uniti rimane pur sempre predominante, come si è visto, ma non soverchia piu quella degli altri paesi capitalistici che si sviluppano con un ritmo piu elevato, Giappone, Germania e in 1 Vedi PESENTI, Il Piano Marshall, in Critica economica, gennaio 1948.
XLI. La esportazione dei capitali
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certo senso anche Italia, Francia , Inghilterra , e delle assoc1az1oni tra paesi capitalistici che vengono formate, come il MEC. D'altra parte non cessano i contrasti tra i paesi capitalistici, che tendono anzi ad acuirsi e nella comune difesa contro la penetrazione amerkana e nella lotta contro la concorrenza, specie giapponese e tedesca. La legge dello svi-luppo disuguale riprende cioè il suo corso. Anche la « guerra fred da » �n tale situazione e per i successi economici dei paesi socialisti ha la sua fine e subentra la « competizione pacifica ». Lo stesso problema della guerra imperiaJ.istica tende cosf a presen
tarsi in modo nuovo e non perché sia mutata la natura aggressiva del l 'impefi.alismo, si siano attenuati i contrasti, ma perché sono mutate le condizioni. Da una parte nuove e terribili armi potrebbero portare alfa distruzione di gran parte dell'umanità, specie ne.i paesi piu svi:lup pati economicamente e culturalmente. Dall'altra il contrasto fondamen tale tra imperialismo e socia1ismo rimaine, ma i rapporti di forza mutano in favore del socialismo e delle forze che lo appogg.iano. In questa s-itua zione conviene evitare che i contrasti tra paesi capitafotici ·i mportanti sbocchino in una guerra . . Se perciò gli armamenbi costituiscono una componente economica -i mportante dell'imperialismo attuale, ma se coodo me non necessaria, come invece molti affermano, essi vengono adoperati e come stimolo economico per la distruzione del plusvalore eccessivo, come deterrente e in vista di una guerra contro il blocco socia lista e in guerre di « contenimento », nell'intento di conservare cioè l 'attuale area imperialistica, lo status quo. Anche questo risultato non può essere storicamente ottenuto, nonostante tutti gli sforzi che l'impe rii si acuiscono, periodo in cui si accentua neli"imperialismo l'aspetto di fase di tr.ansizione al socialismo, periodo in cui si sono modificate -le condizioni esteme jn cui agisce l 'imperia lismo e si sono perciò acuite le contraddizioni interne, ma non per questo necessariamente periodo di regresso economico o di stagnazione.
È chiaro che la definiizione sopra r>icordata, presuppone che siano ancor.a operanti nella loro sostanza - come si è visto che avviene nella realtà - le caratteristiche fondamentali dell'imperialismo, che Lenin ha enunciato, ·anche se possono essersii modificate alcune loro manifesta· zioni. Cosi è anche per lo sfruttamento dei paesi sottosviluppati : anz·i tale sfruttamento tende a manifestarsi sempre di piu nel suo aspetto economico, ossia strutturale dell'imperialismo, nella sua base reale cioè e meno nel suo aspetto sovrastrutturale di dipendenza politica. n di verso grado di svÌ'luppo tecnologico ed economico generale che esiste tra •i paesi cosiddetti sottosviluppati e i paesi imperial.i stici sviluppati e che si compendia nella diversa produuività del lavoro, cost�tuisce cioè la base economica, come si è visto, per Ia continuazione dello sfrutta mento e per il consolidarsi della spirale del sottosviluppo, che si aggrava anche per la cosiddetta « fuga dei cervelli » 2 • Nell'ambito del sistema
I LENIN, Opere scelte, cit., pp. 669-670. 2 Il « drenaggio dei cervelli » ascende a cifre allarmanti. In diciassette anni « l'industria della scienza di classe » ha importato negli USA 97.000 scienziati, ben 53.000 dei quali provenienti dai paesi sottosviluppati, che ne avrebbero estremo .
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L'odierno capitalismo monopolistico o imperialismo
capitalistiico risulta cosi che non è possibi.le sfuggire alla spirale del sottosviluppo, per cui diventa necessario liquidare le strutture politiche ed economiche reazionarie e imboccare una via di sviluppo socialista. Senza dubbio perciò, anche per tale motivo oggettivo, la lotta dei paesi sottosviluppati per liberarsi dallo sfruttamento ha una enorme impor tanza rivoluzionaria e contribuirà a ·restr.ingere sempre di piu l'area dell'imperialismo. Ma essa oon significa di per sé crollo del capitalismo, dell"imperialismo. Le vie di uscita dello imper.ialismo sono moLte, ia crisi decisiva, iJ crollo dell'imper:ialismo, deve perciò sorgere daH'inter no dello stesso sistema capitalistico, ..in base allo sviluppo delle contrad dizioni interne dell'imperialismo e in seguito all'azione rivoluzionaria della classe operaia, che rappresenta sempre la condizione soggettiva essenziale per rovesoi:are il sistema. Occorre cioè ritomare ·all'esame dei mutamenti nella struttura in terna del capi•ta:Hsmo e dell'imperialismo, che sono avvenuti negli ultimi ci:nquanta anni. Di essi uno è fondamentale, tale da costituire la caratteristica piu importante dell'imperialismo nell'epoca della crisi generale del capita lismo. Si è cioè sviluppato in modo grandioso ed ha perciò cambiato na tura un fenomeno che era ai suoi inizi all'epoca di Lenin: il capitalismo
monopolistico di Stato.
BIBLIOGRAFIA
Il tema trattato in questo capitolo è tra i pili appassionanti e discus si e nello stesso tempo tra i piu vasti. Esige pertanto un approfondi mento. Indichiamo qui una 1imitata ma suff.iciente bibliograf.ia di opere dr scrittori che si ispi.rano al marxismo e di non marx•i sti. AGARWALA A. N. e SrNGH S.P., L'economia dei paesi sottosviluppati, Milano, Feltl'inell.i, 1 966. ALLEN G.C., ]apan's economie espansion, London, Oxford Un. Press,
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XLI I I . Il capitalismo monopolistico di Stato, ultimo grado di sviluppo del capitalismo nella fase imperialistica
Premesse generali Veniamo ora
a
considerare il fenomeno piu importante del nostro
tempo: il capitalismo monopolistico di Stato. È un fenomeno com plesso, molto discusso negli ultimi tempi, specie in campo marxista ; basti ricordare qui solo le conferenze di Berlino, di Choisy le Roi e
di Praga . Riteniamo che sia necessario prima esaminare il fenomeno nella sua formazione stol'ica e nei suoi aspetti molteplici per poter giungere poi ad una definizione che sappia esprimere il fenomeno nella sua essenza attuale. Crediamo inoltre che sia da seguire sempre il me todo marxista di ·indag!ne e partire sempre dai mutamenti che sono intervenuti nel processo produttivo capitalistico. Per quanto riguarda l'aspetto storico, dobbiamo subito dire che il fenomeno del capitalismo monopoiistico di Stato, quale si presenta oggi a noi , non può essere confuso con att.i specifici di pol�tica econo mica e neanche con un insieme coordinato di at11i di politica economica.
È cioè un fenomeno specifico deHa attuto attribuibile ad un fenomeno grandioso chiamato generi camente il « progresso tecnico » che ha daro un particolare impulso agli investimenti , creando in sostanza una lunga fase di espansione o al fe nomeno dell'azione della sovrastruttura, ossia dell'intervento dello Stato nella vita economica?
È questo attribuibile alla struttura monopolistica dell'economia, ossia al fatto che, potendo i monopoli regolare il corso dei prezzi e programmare per un periodo piu lungo i loro investimenti, possono cosi impedire violenti oscillazioni?
Causa delle modificazioni Sono state prospettate tutte e tre le ipotesi. Senza dubbio il progresso tecnico rappresenta uno stimolo allo sviluppo economico, che manifesta i limiti del sistema capitalistico di produzione, se si confronta la grande possibilità offerta dall'enorme
196
L'odierno capitalismo monopolistico o imperialismo
sviluppo delle forze produttive verificatosi con le recenti scoperte e l 'investimento attuii,to effettivamente dai grandi gruppi. Il progresso tecnico cioè non comporta di per sé uno sviluppo massiccio degli inve stimenti e dell'attività economica globale. Oggi nell'attuale fase del capitalismo monopolistico, col processo di accumulazione e di concen trazione dell'investimento nelle mani di poche imprese monopolistiche, le decisioni di investire, come si è già detto ed è riconosciuto da molti economisti, divengono, per il permanente sovraprofitto esistente, sem pre piu indipendenti dalla necessità stimolatrice della concorrenza. Per quanto si creino cioè grandi possibilità di accumulazione e di investimento, via via che si sviluppa il capitalismo monopolistico, si ha una crescente inutilizzazione degli impianti e della capacità produt tiva e si attuano, come abbiamo visto, investimenti intensivi piuttosto che estensivi. Però è indubbio che una massa enorme di importanti scoperte e innovazioni tecniche agisce anche in un ambiente monopoli stico e può aver esercitato la sua influenza, che certo sarebbe stata maggiore in un diverso sistema sociale. Ma non è un processo che possa avere sempre la stessa intensità. Anche l'intervento dello Stato può avere esercitato il suo effetto, come abbiamo ricordato, ma esso pure tende ad esaurire la sua effi cacia, una volta che abbia adoperato i suoi strumenti fino al limite possibile di utilizzazione. Sotto questo aspetto, almeno per gli Stati Uniti, grande importanza ha avuto la massiccia esportazione di capitali. Piu importante è poter rispondere alla domanda se la struttura monopolistica in sé possa assicurare uno sviluppo forse inferiore, ma piu stabile. Se noi guardiamo un solo aspetto della stabilità economic·a, ossia Lmdamento del livello dei prezzi , senza dubbio nelle ultime crisi si è rafforzato il fenomeno che già si era verificato in misura minore anche durante la grande crisi del 1 929-33 . Perfino quando si è accentuata la riduzione delle vendite il livello dei prezzi non è diminuito. Per esem pio negli Stati Uniti dal giugno 1 957 al febbraio 1 958 la produzione del ferro è diminuita del 40 per cento, ma il prezzo è salito del 3 per cento. La produzione dell'acciaio è diminuita del 2 1 per cento e i p rezzi sono aumentati di circa il 7 per cento. Comportamento simile, in misura maggiore o minore, hanno avuto i prezzi dell'alluminio, del petrolio, di molti prodotti f:niti di uso duraturo ( automobili , apparec chi radio televisivi ecc. ) . I prezzi che vengono sostenuti , mentre ca dono i prezzi delle materie prime e dei prodotti agricoli , sono i prezzi delle merci prodotte da industrie monopolistiche. Queste, anche quando si riducono i costi di produzione per l 'ac-
XLVI. Le caralleristiche nuove delle crisi economiche
197
centuata produttività del lavoro ( riduzione piu forte nei settori pm concentrati), tendono, controllando l'offerta, a mantenere elevati i prezzi per aumentare le loro entrate monetarie e abbiamo visto come la teoria dei prezzi spiega anche formalmente il fenomeno. L'accumulazione si accresce ed anche l'investimento avviene prevalentemente a mezzo di autofinanziamento, il cui rolume è cosi in buona parte indipendente dal sistema creditizio e dai saggi di interesse. Viene cos{ rotto anche il rapporto tra prezzi e investimenti. Certo l'andamento degli investimenti rimane sempre un indice segnaletico della crisi ed anche nelle crisi ultime esso è indicativo per esprimere il corso e l'intensità della crisi e per farne previsioni, però anch'esso non. manifesta quell'ampiezza di variazione che abbiamo illustrato parlando del principio di accelerazione. Infatti, esso dipende dalla decisione dei monopoli, i quali durante la crisi possono in parte sostenere i loro profitti (proprio grazie anche al sostegno dei prezzi al consumo e alla pressione sui prezzi all'acquisto) come risulta da un'indagine della rivista Fortune 1 , in occasione della crisi del 1 958. Risulta da questa indagine, che conferma con maggiore precisione i dati che del resto periodicamente pubblica la Lettera mensile della « First National City Bank » , che se il 1 957 è stato l'anno iniziale della recessione, le cinquecento maggiori società hanno aumentato i loro profitti ( da 1 1 ,50 a 1 1 ,66 miliardi ) e le loro vendi te. Le altre società hanno avuto una flessione del 1 5 % dei profitti. Anche se le statistiche dei profitti non sono del tutto attendibili, i dati sono però significativi. I grandi gruppi possono pertanto continuare la loro accumula zione (naturalmente solo a spese degli altri strati sociali) e determinare l'investimento in campo produttivo prevalentemente in tempo di crisi · per accelerare il processo di centraliZ;Zazione, ma comunque in modo non direttamente e strettamente dipendente dal livello dei prezzi e dalle condizioni del mercato dei capitali. Anche questo fenomeno è reale ed è ammesso dalla maggioranza degli economisti. Esso non può essere sufficientemente illustrato dalle statistiche degli investimenti globali, le . quali generalizzano sotto la voce investimenti qualsiasi spesa che non serva al consumo immediato, senza distinguere se si tratta di rinnovo di impianti produttivi o della costruzione di infrastrutture.
I Fortune, luglio 1958; l'inchiesta è stata pubblicata in · Italia da Mondo economico del 2 agosto 1958. ·
198
L'odiemo capitalismo monopolistico o imperialismo
A dare l'impressione di una maggiore stabilità si aggiunge senza dubbio l'azione non tanto della politica economica generale dello Stato, quanto la manovra monetaria creditizia, che provoca la lenta e regolare inflazione. In tutti i paesi, anche quando per effetto della crisi il livello generale dei prezzi all'ingrosso rimane costante, i prezzi al minuto, e il costo della vita aumentano regolarmente con un ritmo che negli ultimi anni è stato nella media tra i maggiori paesi del 3% all'incirca al l'anno. Osservando questi dati, si può quindi ritenere che le fluttuazioni dei piu importanti indici segnaletici siano state inferiori che nel pas sato e il ciclo abbia assunto quindi un'altra struttura, non occasionata da cause particolari che stanno esaurendo la loro efficacia, ma da cause insite nella struttura monopolistica. È presto per dare un giudizio, però senza dubbio le fluttuazioni sembra abbiano avuto un'ampiezza minore e, in particolare, il ciclo sembra aver accorciato la sua durata, essere costituito da cicli minori, quasi cicli di digestione di eccessiva accumulazione, ripetentesi ogni quattro, cinque anni anziché ogni otto o dieci , ma di minore inten sità, di presentarsi perciò come recessioni, anziché come crisi , e che sia possibile impedire che « una recessione degeneri in crisi » 1 • Non s i può dire che tale andamento s i possa considerare defini tivo e già le recenti crisi hanno dimostrato una maggiore intensità ri spetto alle precedenti e piu lenta e meno stabile è stata la ripresa.
La sostanza della crisi Comunque tale andamento sembra contrastare con la tesi che era sostenuta nel passato da alcuni economisti e dai marxisti della cre scente intensità delle crisi cicliche. Il Gillman nell'opera che abbiamo piu volte citata 2 ha analizzato statisticamente anche tale fenomeno, riscontrando la realizzazione delle previsioni marxiste fino alla seconda guerra mondiale. Dopo questa ha analizzato le condizioni particolari : in primo luogo, le colossali esportazioni di capitale, che hanno assicu rato grandi profitti agli investimenti all'estero ( come già abbiamo ri cordato
citando
le
pubblicazioni
ufficiali
americane
e
degli
altri
organismi internazionali ) ; poi l'aumento della popolazione e l'automa-
1 G. PALLADINO, La recessione economica americana, Roma, Signorelli, 1958. 2 J. N. GrLLMAN, The falling rate of profit, New York, Cameron Associates, 1 958, cap. 9 , The increasing severity of the ciclicad crisis.
XLVI. Le caralleristiche nuove uelle crisi economiche
199
zione, tutti fenomeni cioè non strutturali, propri di questa fase del ca pitalismo ( salvo l'esportazione dei capitali) e con tendenza ad esaurirsi. A me pare che pur non potendo trarre conclusioni teoriche gene rali, dato il breve periodo di osservazione, si possano anche concepire modificazioni formali dell'andamento ciclico corrispondenti all'ambiente creato dalla crisi generale del capitalismo e all'attuale periodo della fase imperialistica, ma che queste modificazioni formali non possano, se considerate superficialmente, nulla dirci sulla sostanza della crisi ciclica, se essa cioè si è aggravata od attenuata. La sostanza della crisi, la sua essenza consiste, come affermava il Marx 1 in una colossale distruzione di capitale, di forze produttive, di ricchezza. Questa distru zione di ricchezza e di capitale si ha nella attuale situazione del capita lismo di monopolio in tutte le fasi del ciclo e si aggrava nella fase critica, anche se essa oggi si chiama recessione. Rimangono permanenti distruzioni di ricchezza le ingenti spese per gli armamenti che rapida mente invecchiano, il cui ciclo tecnico di sostituzione è cioè piu rapido; rappresentano permanenti distruzioni di ricchezza i prezzi di monopo lio e tutti ·i fenomeni ad essi collegati e che già abbiamo illustrato; l'ac crescimento eccessivo del settore cosiddetto terziario dei servizi ( specie di alcune spese del tutto improduttive ) ; il fatto che l'attività produt tiva sia permanentemertte al di sotto della capacità degli impianti : la media durante tutto il ciclo è stata valutata attorno al
30 per cento per
salire, durante la crisi, specie in alcune leading industries, attorno al 50 per cento. Le perdite sociali sono quindi permanentemente aggravate e l'in tensità delle perdite si acuisce durante la crisi. Il fatto veramente nuovo che si verifica è che queste perdite maggiori sono distribuite grazie alla struttura monopolistica e agli stru menti della sovrastruttura in estensione e in durata, cioè in superficie e nel tempo. Cioè è possibile fare una specie di pool o ammasso di tali perdite e distribuirle su tutti i ceti sociali piu deboli e nel tempo. In tale modo può anche apparire che le punte estreme delle onde cicliche si smorzino, ossia la loro distanza dal trend medio diminuisca, ma il
trend ascensionale si attenua e se si considera il volume complessivo degli spostamenti, ossia la loro sommatoria o l'integrale, se si tiene conto della perdita potenziale rappresentata dalle capacità di sviluppo e produttive non utilizzate, e dello sfruttamento dei paesi sottosviI K. MAI.X, Storia delle teorie economiche, voi. II, p. 547.
·
200
L'odierno capitalismo monopolistico o imperialismo
luppati e delle zone piu deboli, dei sacrifici imposti dagli squilibri cau sati dallo sviluppo capitalistico e che abbiamo esaminato, si potrà costa tare che nel ciclo dell'odierno capitalismo le perdite sociali si sono accresciute e non vanno diminuendo. Questa rimane cioè la tendenza, anche se fattori occasionali pos sano temporaneamente contrastarla, questa rimane la sostanza, anche se essa per le mutate condizioni possa manifestarsi con modificazioni formali del ciclo. L'avvenire ci dirà se i ragionamenti che noi abbiamo qui fatto saranno 'confermati dallo sviluppo reale. Noi invitiamo i lettori a guar dare sempre al fondo dei fenomeni, non fermarsi alla loro superficie, seguire lo sviluppo della realtà con animo obiettivo e seguire lo svi luppo dd pensiero economico, cioè della coscienza che noi acquistiamo del reale processo economico, consultando le opere economiche piu serie, qualunque dottrina esse seguano, e siano pubblicate nel mondo capitalistico o appaiano nel mondo socialista. Dal confluire di ogni pensiero, di ogni seria ricerca, si rafforzerà la coscienza dell'uomo, la sua volontà di accrescere H suo dominio sulla natura e sullo sviluppo storico della società e si potrà aprire all'umanità un'epoca di progresso, economico nella pace e nella libertà.
BIBLIOGRAFIA
Per gli argomenti trattati in questi due capitoli vi è da ripetere quanto si è detto a conclusione dell'altro: la letteratura da seguire si trova pubblicata molto spesso in riviste. Negli ultimi anni vi è stata un'opportuna raccolta di saggi, molti dei quali sono stati tradotti ed editi in italiano, spt:cie a cura di Federico Caffè, di Spaventa ed altri, e noi abbiamo già citato queste opere nei capitoli precedenti. Tenendo presente che su questi temi si ritornerà piu avanti, quando si parlerà dd.la moderna « macroeconomia » e si indicherà allora la piu specifica letteratura moderna dal punto di vista tecnico, ci limitiamo qui ad indicare solo alcune opere che raccolgono interpre tazioni di carattere generale, sia in senso marxista, che di critica ad esso. BAUMOL W.J., Economie Dynamics, New York, Mac Millan, DoMAR E , Essays in economiL· growth, Oxford, Un. Press,
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Le teorie economiche nell'imperialismo
XL VI I . La macroeconomia
Premesse generali Dobbiamo ora porci una domanda : hanno saputo gli economisti non marxisti sviluppare una teoria economica nuova che in modo unitario sia in grado di dare una spiegazione di insieme dei problemi economici del nostro tempo? Rispondere a questa domanda, anche se può sembrare strano, non è facile. Bisogna infatti mettersi d'accordo su che cosa si intende per teoria generale. Se si intende una spiegazione logica dell'insieme che parta da pre messe del tutto diverse da quelle ded passato, una nuova teoria generale non è stata creata. A tale proposito anzi :la mia opinione era una volta molto drastica, tanto che nella prima edizione della presente opera, apparsa nella forma di lezioni di economia politica, aprivo il discorso sutla economia moderna parlando di « nuovi strumenti analitici ». Con tale espressione volevo negare che fosse avvenuto un radica'le mutamento teorico. Oggi, dopo averci ripensato, credo che non si possa essere cosf drastici e che una certa teoria si possa riconoscere alle elaborazioni che si sono sviluppate dopo la cosiddètta « rivoluzione keynesiana », anche se a mio parere non si possa parlare di una « nuova teoriia » in senso vero e proprio. Le novità consistono: e nella impostazione metodologica prevalente, che, come si è detto, si può definire « neopositivistica », e nell'oggetto dell'indagine. Secondo quanto abbiamo detto piu ve1lte, l'impostazione neopositivista impedisce di per sé una vera e propria costruzione teorica generale, in quanto, già per la sua natura empiristica e scetticistica, tende ad analizzare i mutamenti quantitativi e non quelli qualitativi. Rappre senta, come già si è detto, l'ultima trincea ideologica possibile di un pensiero essenzialmente conservatore ed apologetko della società attuale,
206
Le teorie economiche nell'i.0:1perialim.v
in un mondo che va rapidamente mutando. Però essa permette un ap proccio meno aprioristico della reaità attuale, un'analisi piu accurata dei fenomeni e quindi la scoperta di « comportamenti di massa » e di relazioni fra gruppi di fenomeni, che, appunto per il carattere empiri stico della m etodologia, vengono chiamati « aggregati », e non piu neanche c.itegorie nel vecchio senso della parola. Facilita pertanto una ricerca di « leggi » d'insieme, sia pure nel significato che in questa impostazione metodologica a tale parola viene dato. Queste leggi d'insieme o comportamenti di massa, costituiscono i1 nuovo oggetto di indagine, di carattere oggettivistico, reso neces sario dalla esigenza odierna di conoscere le variazioni di grandi feno meni e indagarne le cause. Tali aggregati non sono « categorie », in quanto che i « livelli di aggregazione » non hanno una loro precisa causalità, ma sono sempre espedienti empirici e strumenti di lavoro. Diventano cioè solo « ma crovariabili », che devono servire alla comprensione èmpirica dì grandi problemi, per esempio ddle fluttuazioni nel livello di impiego delle risorse, in particolare dell'occupazione, del livello generale dei prezzi o dei problemi che riguardano il saggio di sviluppo del reddito. Anche come origirre storica l'analisi di questi problemi poi è stata posta in relazione a concreti obiettivi di politica economica, quali il raggiungimento della « massima occupazione » o di un « desiderato saggio di sviluppo » e molto spesso la discussione teorica si è risolta nella « compatibilità » o meno tra gli obiettivi posti. A tale tipo di « economia » si è dato il nome di « macroecono mia ». Ossia la · « macroeconomia », secondo la definizione comune mente accettata 1, è quel ramo dell'economia politica che tende a spie gare come funziona un sistema economico nel suo insieme, isolando, cioè identificando e misurando, quando ciò è possibile, i fenomeni di massa o le forze che contribuiscono a determinare la produzione e l'oc cupazione dell'intero sistema e le sue variazioni. Occorre pertanto riunire questi fenomeni in un numero ristretto di categorie o « aggre gati ». I soggetti non sono cosi piu i « singoli », ma queste masse piu ampie di « operatori ». Anche da qu esta definizione appare il carattere empirico di tale materia e come essa non innovi nei fondamentali concetti dell'economia politica non marxista. Proprio anche per questa mia convinzione invito 1 Si consiglia il lettore di seguire la ampia e chiara trattazione del Gisarosa di consultare anche il noto testo del F.S. BROOMAN, Macroeconomia, Milano, Giuffrè, 1967.
e
XLVII. La macroeconomia
207
il lettore a non accontentarsi dell'esposizione critica dei concetti fonda mentali che farò nelle prossime pagine, e di seguire l'ampia e piu tecnica trattazione svolta dal Casarosa. Egli è non solo piu giovane di me e quindi piu addentro nella piu recente produzione scientifica, ma anche convinto della validità teorica della moderna i mpostazione neopositivistica e dei suoi risultati nel campo dell'economia.
Obiettivi del/'analisi macroeconomica Ciò premesso, si potrebbero distinguere i problemi di cui si inte ressa la « macroeconomia » in relazione a due obiettivi:
a) b)
in relazione alla « piena occupazione »; in relazione ad un « saggio
»
di accrescimento annuo del red
dito, che si intende raggiungere. Rispetto al primo obiettivo, tale anche sul terreno storico, ossia dello sviluppo del pensiero, sono state analizzate le condizioni che de vono esistere per ottenere la « piena » occupazione e attenuare le flut tuazioni cicliche. Questa elaborazione avviene, si è visto, durante la grande crisi e trova la sua completa espressione teorica nella grande opera del Keynes, piu volte citata nelle edizioni inglese ed italiana: Teoria generale dell'occupazione dell'interesse e della moneta. In que sto titolo appare subito un'altra caratteristica dell'opera keynesiana, che· influenza tutti gli scrittori successivi di macroeconomia. Quella cioè di eliminare la dicotomia tra l'aspetto reale e l'aspetto monetario dei fe nomeni. Ciò corrisponde, come si è visto in tutti · i capitoli precedenti, al fatto che oggi tutta l'economia è monetaria, tutti i fenomeni si pre sentano nd loro aspetto monetario. Questa posizione è perciò giusta, se non dimentica mai l'aspetto reale del fenomeno che sta sotto (cioè quantità reale di lavoro e di risorse utilizzati) e le contraddizioni che in una società divisa in classi, cioè nella società capitalistica, si svilup pano tra l'aspetto reale e quello monetario. Su queste contraddizioni, come si ricorda, noi abbiamo insistito in molti punti della nostra trattazione. Rispetto al secondo obiettivo sono state analizzate le condizioni che devono esistere affinché si realizzi un saggio di accrescimento desiderato. Per questo problema si sono formulati diversi « modelli di sviluppo » e sono sorte varie teorie dello sviluppo, come piu avanti vedremo. In ogni caso queste diverse imposta2'Jioni, che sono, ripeto, fina listiche, hanno comportato una diversa valutazione dei rapporti tra
Le teorie economiche nell'imperialismo
208 «
economia
»
e altre scienze, intese come strumenti ausiliari, e la crea
zione di nuovi concetti e strumenti analitici, e di nuovi punti di par tenza nell'indagine.
Economia politica e altre scienze: matematica ed econometria Quanto piu una scienza poggia su basi empiristiche e vuole avere una funzione pratica, tanto piu essa tende ad esaltare il suo aspetto quantitativo e piu forte appare l'esigenza di applicazioni matematiche. Ciò è infatti avvenuto nella piu recente analisi economica. È questo un fatto positivo o no? Anche a questa domanda la ri sposta non può essere un semplice sf o un semplice no. Vi sono cioè, secondo noi, dei limiti all'impiego della matematica in economia, come diciamo anche nell'appendice che consigliamo al let tore di consultare. per
Intanto si dovrebbe giungere ad un accordo su che cosa si intende matemat'ica ». Se si intende una rappresentazione simbolica di
«
fenomeni o l'indicazione di uguaglianze, ossia di equazioni tra di essi, o la sottoposizione di essi ad alcune operazioni aritmetiche, essa è stata sempre utilizzata, in tutti gli aspetti della vita, in tutte le scienze ed anche in economia. Ne abbiamo fatto piu volte uso anche nella nostra trattazione. Vi è però il pericolo che l'uso eccessivo del simbo lismo matematico renda piu difficile al lettore non abituato la com prensione del fenomeno reale che si vuole esprimere e piu facile di menticare la realtà che sottintende. Se si intende invece rappresentare il movimento o la dinamica dei fenomeni, l'uso della matematica superiore deve essere piu circo spetto, perché si può incorrere non solo �l difetto di complicare il lin guaggio
«
pour epater /es bourgeois
»
e quindi non far comprendere
il ragionamento che sta sotto, ma in errori gravi di carattere metodo logico e sostanziale. Il tipo di logica matematica, scienza essenzialmente formale, esige come punto di partenza premesse, proposizioni, stabili e precise, da cui dedurre gli sviluppi successivi. La verità di una proposizione nell'eco nomia non sta nella sua coerenza logica, ma nella sua rispondenza alla realtà obiettiva, nella scelta della impostazione dei rapporti. Ed è già questa una grossa difficoltà, ma che si potrebbe dire non è solo del-
1 'economia. La difficoltà maggiore sta nel continuo variare del stema
»
«
si
e di tutte le premesse perciò del . ragionamento. Nessuna pro-
XLVII. La macroeconomia
209
posizione è stabile, a meno che non sia talmente generica, da essere, di fatto, tautologica, e quindi inservibile per la comprensione dello sviluppo dei fenomeni reali. E non è sufficiente variare le ipotesi, in sostanza le proposizioni, perché sempre, anche nelle variazioni, si con sidera che permanga una costanza di rapporti ( rebus sic stantibus o coeteris paribus). Le varianti degli schemi e dei modelli possono cosi essere numerosissime, ma diventano in tal modo giochi cerebrali che rendono sempre piu ostica l'economia ( e forse ciò non avviene a caso) e meno rispondente allo sviluppo reale. L'economia politica studia in fatti rapporti tra uomini, tra classi sociali, e questi rapporti mutano di continuo con sviluppi creativi e non in modo prestabilito Queste osservazioni sui limiti che hanno le applicazioni della ma tematica all'economia, non vogliono affatto dire che queste applicazioni non siano possibili o non siano utili e qualche volta anzi necessarie, specie quando ci si trova di fronte a problemi operativi. Vogliono solo far ricordare il carattere strumentale di tali applicazioni, in modo che non si possa mai cadere nella concezione di considerare l'economia una scienza matematica, o la matematica una scienza economica 1 • Questo pericolo vi è stato anche nel passato, ma è ancor piu at tuale oggi, da quando l'economia politica ha ripreso a studiare il con gegno dell'economia capitalistica nel suo insieme, e non soltanto il mercato e i suoi prezzi, da quando si è resa conto che in questo con gegno gli ingranaggi non funzionavano spontaneamente e perciò ha voluto analizzare se, con appropriate misure, essi potevano essere fatti funzionare. La tentazione di generalizzare e postulare sub specie aeter nitatis relazioni che sono invece specifiche e transeunti e di esprimere queste relazioni con linguaggio complicato, quasi che la veste pomposa possa dare dignità scientifica ad un ragionamento povero di contenuto reale, diviene piu forte. Ciò anche perché, in molti altri casi, l'appli cazione dell'analisi matematica, specie nel campo operativo, per la ere scente complessità dei fenomeni, diventa sempre piu necessaria. Sotto certi aspetti queste osservazioni valgono anche per l'econo metria, che pur non pretende -raggiungere sistemazioni logiche, ma piut tosto « quantificare » le relazioni osservate nella .realtà. L'« econometria » come materia a parte si sviluppa durante la grande crisi : la società econometrica fu organizzata nel pubblicazione di econometria comparve nel 1 933.
I
1 9 30 e la prima
Concordo con quanto scrive D E FrNETTI nel citato Un specie alle pp. 30, 83, 200 e sgg.
l'economia,
matemalico
e
Le teorie economiche nell'imperialismo
210
L'econometria è un modo d'indagine quantitativo della realtà economica. Il Frisch cosi la definisce 1 : « Vi sono parecchi aspetti del metodo quantitativo m economia e nessuno di essi, preso in sé e per sé, dovrebbe essere confuso con l'econometria. Cosi l'econometria non è affatto la stessa cosa della statistica economica. Né essa è identica a ciò che chiamiamo teoria economica generale, sebbene � na parte considerevole di questa teoria abbia un carattere definitivamente quantitativo. Né l 'econometria do vrebbe essere considerata sinonimo dell'applicazione della matematica all'economia. « L'esperienza ha mostrato che ciascuno di questi tre punti di vista, quello della statistica, della teoria economica e della matematica, è condizione necessaria, ma di per sé non sufficiente per una reale com prensione delle relazioni quantitative nella moderna vita economica.
È l'unificazione di tutti e tre che è efficace. Ed è questa unificazione che costituisce l'econometria ».
Anche qui il difetto di questa posizione è spesso quello di scam biare i concetti di causalità con semplici coefficienti di correlazione sta tisticamente accertati. Inoltre si sa, e si insegna in statistica, quante difficoltà metodolo giche esistono per la rilevazione e l'analisi dei dati, ossia per l'analisi quantitativa, come i diversi metodi possono portare a risultati diversi, sicché la prima discussione da farsi è di metodologia. Ma ogni discus sione di metodo è discussione di principi generali. L'aspetto obiettivo cioè dei fatti economici, ripetiamo ancora una volta, non è solo quello quantitativo, ma anche il qualitativo e il quantitativo si può conoscere e misurare se si ha una chiara nozione dell'aspetto qualitativo d�l fe
nomeno.
Inoltre, data la varietà dei fenomeni, essi, specie nelle analisi dell'insieme dell'economia, devono essere raggruppati in categorie, oggi si dice con barbaro e impreciso linguaggio in « aggregati » . Si formano cosi gli « aggregati » o raggruppamenti di fenomeni o « categorie eco nomiche » piu o meno vaste, ma questi conglomerati per spiegare la realtà devono rispondere ad una base logica. Essi quindi rispecchiano come del resto riconosce il Leontiev, le correnti prevalenti del pensiero
1 Si veda W. LEoNTIEV, Econometria, in L'Economia contemporanea, Torino, UTET, p. 463. Si consiglia al lettore la consultazione del semplice te&to del LANGE, Introduzione alla econometrica, Torino, Boringhier.i, 1 963.
XLVII. La macroeconc-mta
211
economico, ossia l a ricerca econometrica è i n sostanza una ricerca stati stica poggiata su basi teoriche, anche quando vuole negarlo. Questo movimento pertanto è stato utile ed è utile scientifica mente, quando non scambia il metodo e lo strumento dell'analisi della realtà per la stessa realtà. Proprio per questo motivo crediamo che sia da tener presente la esatta definizione che dell'econometrica dà il Lange: « L'econome piu trica è legata tanto alla teoria economica quanto alla statistica econo mica e cerca di dare, con l'ausilio di metodi matematico-statistici, una espressione concreta, quantitativa, alle regolarità determinate in forma generale dalla teoria economica » 1 •
La cibernetica Lo stesso si può dire per le crescenti applicazioni all'economia della
«
cibernetica
»,
il cui recente e rapidissimo sviluppo è stretta
mente collegato alla rivoluzione tecnologica che ha creato, come già si è detto, automatismi che controllano se stessi. La
«
cibernetica
»,
nella
sua piu semplice definizione, com'è noto, è la scienza che studia il com portamento degli elementi di un
«
sistema
»
che si influenzano recipro
camente. I .rapporti tra questi elementi sono costituiti da una catena o da piu catene di cause ed effetti dialetticamente collegati. La parola deriva dal greco
«
Kybernetes » che significa pilota, timone, ed indica
appunto il flusso o complesso di azioni di direzione che parte dal timoniere, il quale però dirige in quanto riceve un flusso di
«
infor
mazioni » dalla realtà esterna che gli permette di adeguare ad esse la
direzione. È quindi una scienza complessa, coadiuvata da altre disci pline che si sono sviluppate contemporaneamente (per es . : la scienza
delle informazioni 2 , la prasseologia, ecc.) e che si prefigge lo studio
unitario dei processi riguardanti le comunicazioni e il controllo nell'ani male e nella macchina. Essa parte dal presupposto che i meccanismi di controllo e di regolazione delle macchine devono riprodurre quelli che si riscontrano in natura negli esseri viventi e che quindi tali meccanismi sono strettamente collegati con i processi di comunicazione o trasmis-
1 O.
LANGE, op. cii.,
p. 1 5 .
2 L'Istituto nazional'.! delle infonna.zion·i ha tenuto a Roma il 1 9-20-2 1 febbraio
1 970
una Conferenza nazionale dell'informazione sul tema: L'informazione per lo
sviluppo economico e sociale.
212
Le teorie economiche nell'imperialismo
sione delle informazioni. Essa tende cosi a diventare sempre pm una scienza astratta dei meccanismi e sotto tale aspetto anche una teoria matematica e corre il pericolo di ricercare una coerenza logica anche se costruita su ipotesi non reali. Nei limiti in cui essa rimane aderente alla realtà è di grande aiuto anche in campo economico, specie oggi , non solo in tutti i processi moderni di automazione, di utilizzazione della tecnica elettronica e di « ricerca operativa », altro ramo di economia applicata che si è sviluppato durante e dopo la seconda guerra mondiale, ma anche nel campo della � economia politica », ossia della teoria econo mica. La cibernetica è cioè un utile strumento nello ·studio della strut tura generale dell'andamento e dello sviluppo di una determinata strut tura economica e piu ancora serve per la razionalizzazione di essa, ossia come studio dell'uso piu economico, rispetto a certi obiettivi, delle risorse. Ecco perché la cibernetica trova maggiore applicazione nell'eco nomia socialista. In tale sistema economico, data la proprietà sociale dei mezzi di produzione, è possibile utilizzare tutte le risorse secondo un piano ra zionale. Nello stesso tempo, poiché sono meno efficienti i cosiddetti « indicatori spontanei » di mercato, occorre sviluppare al massimo le cosidette « informazioni », ossia la conoscenza e delle reazioni che si hanno all'azione programmata e delle « indicazioni » che vengono dai singoli consumatori, déstinatari finali di ogni attività economica e sociale. L'applicazione della cibernetica all'economia tende cosi ad accre scersi sia per lo sviluppo della tecnologia e dell'automazione, ma piu ancora perché l'intero sistema economico tende al socialismo, all'abo lizione della proprietà privata dei mezzi di produzione e all'uso pro grammato e razionale delle risorse. La razionalità esige una sempre piu ampia e precisa conoscenza degli stimoli esterni, dei meccanismi di tra smissione degli ordini, delle relazioni dialettiche che intervengono nel l'intero sistema
1•
Si deve però sempre ricordare che anche la cibernetica è solo una scienza ausiliaria, uno strumento di analisi, ma non può sostituire « l'economia politica ». Quanto diciamo è senza dubbio valido per la società capitalistica, la quale essendo una società divisa in classi, e ba sata sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo, non è come si è visto razionale » in senso astratto, bensi irta di contraddizioni che tendono ad accrescersi. Ma rimane valido anche per una società socialista, nella «
1
Si veda :inche LANGE, Economia politica, voi.
I, cit., p. 1 8 3 .
XLVII. La macroeconomia
213
quale, anche se viene eliminata l a contraddizione fondamentale dello sfruttamento dell'uomo sull'uomo, rimangono altri contrasti sociali . L'azione economica è sempre rivolta cioè a raggiungere obiettivi scelti, anche nella società socialista a nome dell'intera società, secondo valori sociali chi! nascono dalla lotta di esigenze diverse. Una razionalità astratta e meccanicistica non esiste.
BIBLIOGRAFIA Per approfondire i temi trattati nel capitolo si suggerisce di con sultare i piu recenti manuali di economia piu volte citati, l'appendice matematica e inoltre particolarmente : AcKLEY G., Macroeconomie Theory, New York, Mac Millan , 1 96 1 . ALLEN R.G.D., Economia matematica, Torino, UTET, 1 962. ALLEN R.G.D., Teoria macroeconomica, Torino, UTET, 1 969 '. BERNAL J.D., Storia della scienza, Roma, Editori Riuniti , 1964. BROOMAN F.S., Macroeconomia, Milano, Giuffrè, 1 968 . CAFFÈ F., Politica economica, Torino, Boringhieri, 1963. DE FINETTI B . , Un matematico e l'economia, Milano, Angeli, 1 969. DERNBURG T.E., DouGALL D.M., Macroeconomia, Milano, Etas Kompass, 1 967 .
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XLVI I I . Il reddito nazionale
Il concetto di reddito nazionale Il punto di partenza piu comune nell'analisi macroeconomica è il reddito nazionale » e di esso si definisce il concetto, si esamina la composizione, si studiano le variazioni. Tale punto di partenza non è sbagliato, perché la produzione so ciale considerata nel suo insieme e nella sua suddivisione nelle grandi categorie economiche, presenta tutte le contraddizioni economiche piu importanti, tutti i fenomeni economici che noi abbiamo esaminato par tendo dallo studio del mercato ( vedi cap. I l ). «
Proprio per questo motivo non è facile definire in modo univoco il concetto di « reddito nazionale ». Le definizioni sono state molte, proprio perché diverse sono le impostazioni metodologiche e concettuali che sono state usate nell'ana lisi del fenomeno.
È da tener presente ,infatti che tale fenomeno si presenta a noi subito nei due aspetti: l'aspetto concettuale o qualitativo e l'aspetto di valutazione statistica o quantitativa ed è chiaro che il secondo aspet to non può essere considerato indipendente dal primo. La diversità metodologica si può comunque far risalire alle Jue grandi categorie concettuali delle due scuole del pensiero : l'oggettivi stica classica e marxista e la soggettivistica postricardiana e delle mo derne scuole economiche. Nell'impostazione oggettiva dell'economia classica, su di un punto fondamentale i primi scrittori di economia erano d'accordo : sull'aspetto materiale del prodotto nazionale, sul fatto cioè che il reddito nazionale non poteva essere altro che il flusso di nuove merèi, cioè di beni mate riali prodotti entro l'anno. Cosi lo Smith (cap. I I , libro I l ), cosi il Ricardo ( cap. XXVI e XXXI I ); cosi il Marx, che completa e corregge
XLVIII. Il reddito nazionale
215
il Ricardo soprattutto per quanto riguarda i l concetto d i reddito netto. Il Marx dà io molti punti del Capitale ed in altri scritti la defini zione di prodotto nazionale. Una delle tante definizioni è la seguente 1 : « Il provento lordo o prodotto lordC' . . . è uguale al valore del capitale anticipato e consu mato nella produzione, del capitale costante e del capitale variabile, piu il plusvalore, che si risolve in profitto e rendita. Oppure. . . è uguale agli elementi materiali che costituiscono il capitale costante e il capitale variabile, piu g!i elementi materiali del plusprodotto in cui si trovano rappresentati profitto e rendita... Il reddito netto è, invece, il plusvalore ». Questa concezione appare chiara anche dagli schemi di riprodu zione di Marx e dalla formula piu generale del prodotto globale c + v + pl, come si è già detto nel capitolo XII e nella distinzione tra lavoro produttivo e lavoro improduttiv� che abbiamo ampiamente illu strato 2• Da questa concezione deriva logicamente un tipo di contabilità nazionale, in uso nei paesi socialisti, che distingue la sfera della produ zione materiale da quella dei servizi. Il prodotto è prodotto in termini di beni materiali e il reddito è costituito dai flussi che provengono dalle attività produttive. Cioè le risorse sono costituite dal prodotto sociale globale che deriva dalle at tività produttive e dalle importazioni nette, mentre il settore non pro duttivo ossia i servizi rientrano nelle spese, ossia sono un fenomeno di ridistribuzione o di impiego del reddito, cosf come il consumo delle « famiglie ». Infatti nel lato degli impieghi abbiamo le categorie fon damentali delle spese materiali di produzione del settore produttivo, i consumi non produttivi e l'accumulazione. Il settore della produzione materiale è costituito da: industria, costruzioni, agricoltura, foreste, trasporti, comunicazioni, commercio, altri rami della produzione mate riale; il settore dei servizi è costituito dalla : manutenzione e ammini strazione dei fabbricati residenzia1i e altri servizi municipali, dall'istru zione, attività culturali e belle arti ; dalla sanità pubblica, assicurazioni sociali e cultura fisica, dalle attività e servizi scientifici; dalle gestioni I M ARX , Il capitale, III, cap. 49, p. 955. 2 Su questo tema si veda la chiara trattazione del O. LANGE, Theory of Repro
duction and Accumulation, Oxford, Pergamon Press, 1969, cap. I, e dello stesso autore la citata Introduzione alla econometrica, cap. III, p. 172 e sgg. STRUMILIN,
Il bilancio dell'economia nazionale, strumento della pianificazione socialista, in L'economia sovietica, Roma, Editori Riuniti, 196 1 , OPARIN, op. cit. B. MINC, Eco nomia. politica del socialismo, Milano, Feltrinelli, 196.7 , p. 163 e sgg.
216
L e teorie economiche nell'imperialismo
finanziarie, credito ed assicurazioni; dall'amministrazione pubblica (com presa la difesa), da altri rami del settore non produttivo (partiti, asso ciazioni, ecc . ) 1 • Sicché lo schema del bilancio materiale della formazione, del con sumo e dell'accumulazione del prodotto sociale globale nella sua piu semplice forma è cosi raffigurato: A
risorse
I Prodot,to sociale globale (classifi cato per i settori produttiv,i indi cati ) II Eccedenza delle importazioni sulle esportazioni
B · impieghi
III Spese , materiali di produzione (distinte per gli stessi settori produttivi) IV Consumi non produttivi - famiglie - unità economiche del settore non produttivo V Accumulazione - incremento netto del capitale fisso - variazione degli impianti VI Compensazione delJe perdite VII Eccedenza delle esportazioni sul la importazione.
Si tratta di una impostazione coerente e chiara, anche se essa pure pre sent;t difficoltà, qualche volta concettuali e piu frequenti quando si deve giungere alla valutazione contabile. Naturalmente, poi vi sono altri tipi di bilanci nazionali per altri aspetti (finanziari, ecc . ) , ma rite niamo che siano sufficienti le poche nozioni riportate. Nella concezione soggettivistica, propria delle economie capitali stiche invece, come si è già piu volte detto, la produzione è intesa quale produzione di « utilità » e di conseguenza anche i servizi contri buiscono alla formazione del reddito nazionale e quindi nella sua valu tazione. Dal punto di vista concettuale in linea di massima si accetta
la definizione del Marshall, riportata anche nel saggio del Pigou 2 e cioè: « Il lavoro e il capitale del paese, che agiscono sulle risorse natu rali, producono annualmente un certo aggregato netto di beni mate riali e immateriali, inclusi servizi di ogni genere, e ciò costituisce il reddito nazionale o l'entrata · nazionale o il dividendo nazionale ». 1 Si veda: DE VITA, Esame comparativo delle contabilità nazionali nei vari paesi, in Atti del I Convegno di studi su temi di contabilità nazionale, Roma, Istituto di contabilità nazionale, 1966, in partkola.re pp. 177-178-185. l Prcou, lncome, London, Mac Millan, 1946, p. 2. Vi è una edizione in italiano dell'opera 11 cura di Industria.
XLVIII. Il reddito naxtonale
217
Questa impostazione concettuale pone subito delle difficoltà per ogni valutazione e infatti economisti e statistici, anche se per unifor mità sono giunti a far accettare tipi standardizzati proposti da organi smi internazionali, fanno risaltare numerose divergenze 1 •
�
Il concetto di utilità è di per sé fortemente soggettiv ; la sua valu tazione si ha solamente attraverso un prezzo pagato per il servizio. Ma ciò pone subito difficoltà logiche e di valutazioni contabili. Sul tema corrono le note storielle amene: se uno si fa la barba da sé non produce reddito, che sorge invece se si va dal barbiere; se una moglie è fedele non produce reddito e lo produce se non lo è e fa pagare le sue pre stazioni e se uno sposa la sua domestica commette la colpa di ridurre il reddito nazionale, ecc. A parte queste amenità, che hanno del resto un profondo significato, ma di fronte alle quali si potrebbe dire che anche molte produzioni materiali non vengono calcolate se non passano attra verso il mercato e che ciò è molto importante per le economie e le zone sottosviluppate, vi sono altre conseguenze piu gravi e penna nenti.
Se io volessi valutare i servizi
«
non pagati
»,
farei da un giorno
all'altro gonfiare il reddito nazionale. Non è un'ipotesi strana, perché si discute della opportunità di includere i servizi offerti dalle linghe
».
«
casa
Se ciò avvenisse - e chissà poi con quali criteri si dovrebbe
fare la valutazione - da un giorno all'altro ci troveremmo tutti piu
ricchi.
Vi è poi il problema p1u serio ed attuale della valutazione dei
servizi finali pagati. Quando sono servizi personali al consumatore sono valutati, sicché se io
«
produco
»
per il mio servizio di insegnante
un valore valutato certo non molto - meno di un parrucchiere di lusso - supponiamo trecentomila lire al mese e pago una domestica ' cinquantamila lire al mese, il reddito sarà, secondo questa contabilità
1 Il BowLEY, in Studies on the National Income, Cambridge, Un. Press, 1 944, raccoglie in un questionario numerose e diverse risposte di studiosi. Oltre al ricordato volume degli atti del I Convegno di contabilità nazionale, si vedàno: GIANNONE, Il sistema dei conti economici naxionali, Torino, Einaudi, 1958, e Fondamenti di contabilità naxionale, Milano, Giuffrè, 1965; GIN!, Ricchexxa e reddito, Torino, UTET, 1959; Progresso apparente e progresso reale del reddito naxionale in Annali di statistica, Roma, Serie VIII, vol. III 1950; KUZNETS, National Income and its composition, National Bureau of economie Research; P. STUDENSKI, The Income of Nations, Theory, Measurement and Analysis, Washington, 1958; B. BARllERI, Elementi di statistica economica, Torino, Einaudi, 1964; F. D1 FENIZIO, Il siltema economico, Milano, L'Industria, 1 959; L. LENTI, I conti della naxione, Torino, UTET, 1 964.
218
Le teorie economiche nell'imperialismo
di trecentocinquantamila e non, come sarebbe logico, di duecentocin quantamila piu cinquantamila, cedute, come reddito derivato, alla do mestica. Se poi si considera il ben noto tema dell'apporto alla formazione del reddito nazionale da parte della pubblica amministrazione e si tiene presente che esso è rappresentato dal costo, costituito dai salari e sti pendi pagati ai dipendenti pubblici, basta un aumento di stipendi per accrescere questo apporto! 1• Si ha cosi in genere una sopravvalutazione e infatti, secondo stime attendibili, le valutazioni fatte secondo il sistema in uso nei paesi socialisti sarebbero inferiori di circa il trenta per cento, rispetto alle valutazioni fatte col sistema occidentale. Tenuto conto di quanto si è detto e cioè che sono valutate le merci e i servizi « prodotti », vi sono due metodi per calcolare il reddito nazionale: il metodo del prodotto finale e il metodo del valore ag giunto. Col primo metodo si tende a sommare il valore della produzione di beni e servizi nel loro aspetto finale, ossia tenendo presente, al fine di evitare duplicazioni , che si devono escludere dal calcolo i prodotti intermedi. Secondo il noto esempio, il pane contiene già in sé il valore della farina consumata, che pertanto non devo considerare. Natural mente però, se la farina al momento del calcolo è rimasta farina, pro dotto finale della macinazione, va calcolata. Cosi si fa, come abbiamo visto, per i servizi. Sicch� il prodotto netto nazionale è definito quale valore della produzione di beni e servizi al netto dell'ammortamento (se lo si con sidera si ha il prodotto lordo). Esso pertanto rappresenta la parte della produzione di beni e servizi che spetta ai fattori impiegati per ottenere quella produzione. Per questo si parla di prodotto al costo dei fattori. Il sistema del « valore aggiunto » giunge allo stesso risultato ed è quello seguito prevalentemente, in modo uniforme, anche perché si ricavano da ti che servono ad altri fini. Il concetto di valore aggiunto nasce tenendo presente il bilancio di una singola impresa. In questo da una parte abbiamo i costi soste nuti sia per l'acquisto di capitali fissi, di capitali circolanti, i salari, gli stipendi e gli altri oneri, dall'altra abbiamo i ricavi ottenuti dalla ven dita dei prodotti o dei servizi offerti dall'impresa.
1 Si veda anche PESENTI, Scienza delle finanze e diritto finanziario, cit.
XL\/ II I. Il reddito nazionale
219
Vi è cosi un conto in entrata e un conto in uscita. Se non si con siderano le spese per la forza lavoro, la differenza fra i costi e i ricavi o meglio ancora fra il valore del bene acquistato che deriva da una precedente fase della produzione, e il valore del bene prodotto e ven duto ad altri nel mercato (per l'impresa del suo bene finale), costituisce il valore aggiunto. In questa differenza fra input e output, fra entrata e uscita, man cano alcune contropartite e precisamente ·il lavoro dell'uomo o salari pagati o capitale variabile e gli ammortamenti. Questo è il cosiddetto valore aggiunto lordo. Se dal valore aggiunto lordo si detraggono gli ammortamenti e i deperimenti si ha il valore aggiunto netto 1 • Questo concetto, se riferito alla produzione materiale riprende in sostanza lo schema marxiano. In tale schema c + v + pl è il pro dotto totale ; se da esso togliamo c rimane v + pl che costituisce il valore aggiunto. Ma se applichiamo tale concetto anche ai servizi e consideriamo uguale il night club e la fabbrica di scarpe, ricadiamo negli inconvenienti e negli errori già ricordati. Del resto è interessante sapere il valore aggiunto prodotto da una
input
e quale il suo
entraineuse,
output!
quale è il suo ·
Ad ogni modo anche con questo calcolo si giunge dal punto di
vista statistico agli stessi risultati. Cioè se il reddito nazionale è inteso quale prodotto, esso è costituito dalla eccedenza dei ricavi sui costi, e quindi risulta corrispondente all'ammontare delle retribuzioni dovute ai fattori produttivi, ossia alla somma dei redditi percepiti dai titolari dei fattori produttivi. Il reddito nazionale lordo è il totale non depu rato dagli ammortamenti, il netto è depurato dagli ammortamenti.
Il reddito nazionale ancora si distingue in reddito nazionale al « costo dei fattori », costituito dai p...;:ezzi pagati ai singoli fattori : sa lari, stipendi, interessi, rendite, profitti (distribuiti o no) e ai « prezzi di mercato
»,
per il quale si aggiunge il valore delle imposte indirette,
considerato quasi un prezzo pagato al « fattore
»
Stato.
Il conto economico nazionale della produzione, costituito dal con solidamento dei conti per settori, dai quali vengono eliminate le opera zioni che intervengono tra le imprese in quanto esse costituiscono costi 1 t pure chiaro che se i-n una impresa produttiva di merci ai costi reali ricordati (esclusi cioè i falsi costi rappresentati dalla « remunerazione del capi tale ») si detrae anche il costo della forza laVQro o il capitale variabile, si ha il plusvalore marxista. Si veda anche il citato LANGE, Theory of Reproduction and Accumulation, p. 1 1 .
Le teorie economiche nell'imperialismo
220
per gli uni ricavi per gli altri, si presenta cosi nelle contabilità occi dentali in questo modo 1 :
Conto economico nazionale
Uscite o costi
1 ) Importazione di beni e servizi
2) Ammortamenti 3 ) Reddito nazionale ai prezzi di mercato
Entrate o ricavi
4) Consumi a) privati b) pubblici
5 ) Investimenti lordi a) investimenti fissi b) incremento scorte
6 ) Esportazioni
Totale
Totale
Da questo s1 ricava il conto economico nazionale del reddito cosf costituito: Entrate
Uscite
1 ) consumi
3 ) reddito nazionale
2) risparmio
4 ) trasferimenti netti unilaterali all'estero Totale
Totale
e un conto economico nazionale del capitale cosf costituito: Passivo
Attivo
1 ) investimenti fissi
2)
a) formazione di nuovo ca pitale b) ricostituzione del capi tale variazione di scorte
1
3 ) ammortamenti 4 ) risparmio 5) indebitamento netto con l'estero
Il lettore può riempire questi schemi con i dati specifici che ogni anno ven-
XLVIII. Il reddito na%io11ale
221
Ritornando ai problemi concettuali , mi pare che non possa apparire nella metodologia occidentale in modo cosi chiaro il rapporto che vi è tra i diversi aspetti o i diversi momenti del reddito nazionale: il momento della produzione, il momento della distribuzione come reddito e il momento dell'impiego o della spesa e i rapporti dialettici che tra questi diversi momenti intercorrono. Vi è si una corrispondenza, ma essa è puramente formale o contabile. Secondo la concezione e la contabilità marxista, appare chiaro che se ho un prodotto sociale in merci del valore di 50 mila miliardi e una spesa per la reintegrazione del capitale costante consumato di 20 mila miliardi, il prodotto uguale al reddito nazionale è di 30 mila miliardi. Se togliamo da questa cifra, supponiamo 1 0 mila miliardi, che costitui scono il monte salari, o capitale variabile del settore produttivo, abbiamo 20 mila miliardi di plusvalore. Di essi, diecimila supponiamo servano per l'attività dei servizi sia del settore pubblico che del settore privato e 10 mila siano il plusvalore netto , distribuito in rendite, interessi, profitti netti. Questo servirà in parte per consumi di lusso 1 e in parte per l'accumulazione, ossia per nuovi investimenti. La commistione tra m erci e servizi, fatta secondo la concezione e la contabilità occidentale, secondo cui la produzione è produzione di « utilità » e non di beni materiali, confonde le cose e rende piu difficile comprendere la correlazione di fondo tra prodotto, reddito e spesa. Questa correlazione deve essere intesa nella sua sostanza e cre diamo che, almeno concettualmente lo schema che qui sotto poniamo serva a riassumerla chiaramente. I tre aspetti dell'attività economica della società: produzione, distrihuzione, consumo in qualsiasi forma di contabilità si presentano cioè come nello schema di p. 222. I tre aspetti nei quali si manifesta l'attività economica della società sono, come si vede, fra di loro dialetticamente interdipendenti. Abbiamo già ricordato le molteplici condizioni che sono necessarie perché si consegua l'equilibrio sia nella riproduzione semplice sia in quella allar gata, ossia in una economia in sviluppo. Queste condizioni possono essere sommariamente riassunte, ma purtroppo l'estrema semplifica zione impedisce spesso di vedere come si svolge il processo · economico
gono pubblicati nella Rela%ione sulla situa%ione economica del paese, che, in base alla legge àd 2 1 agosto 1 949 n. 639, è presentata al parlamento entro il mese di marro e in altre pubblicazioni ufficiali, tra le quali è da ricordare 1a ottima
Rela%ione ai partecipanti della Banca d'Italia. I Si veda PEsENTI, Attività finan%iaria e programma%ione in Rivista di diritto finan%iario e scien%a delle finanu, marzo 1967.
Le teorie economiche nell'imperialism&
222 Prodotto lordo
(ooscituito dalla produ zione globale di un anno tolte le duplicazioni )
=
Prodotto netto costituito da
- ammortamenti
1) beni di consumo
2) beni di produzione ( nuo
vo capitale che investito serve ad incrementare il processo produttivo)
Reddito nazionale cos�ituito da
j
j
:apir.ùe variabile t
plusvalore
safari - stipendi - pensioni
profitti - interessi - rendite
i
i
Spesa globale
1) 2)
m
beni di consumo (per il con- - - 1 ) beni di consumo tper il consumo dei lavoratori) sumo dei capitalisti)
- 1) una parte del capitale varia- bile può non essere subito - 3) spesa e costituisce il oosiddetro risparmio personale
beni di menti)
produzione
( investi-
rispanni ( aumento delle scorte riserve, risparmi personali)
nella sua realtà. Ad ogni modo, come risulta anche dalla tabella sopra riportata, la sezione prodotto nazionale, suddistinta in beni di produ zione e beni di consumo costituisce grosso modo l'offerta di beni che vi è nel mercato: il
reddito nazionale
costituisce il termine mediano
I Per essere piu precisi dal punto di vista oggettivo, il capitale vari-abi.Je che crea il plusvalore è solo quello impiegato nella produzione di merci, come già si è detto. Però dal punto di vista capitalistico e per -analogia si può considerare far parte della categoda, ai fini della distribuzione del reddito, safari e stipendi pagati per la forza lavoro impieg.a,ta anche nelfa produzione di servizi . Si ricordi però la necessità di mantenere la dis�inzione ai fini di capire l 'essenza della realtà . e la legge marxista dello sfruttamento. È ancora da tener presente che i lavoratori piu qualificati possono oggi in modo complementare usufruire anche di redditi di capitale (interessi, diviidendi, rendi-te).
X LV Il I. Il reddito nazionale
223
che, attraverso la distribuzione dei redditi, lega il processo di produzione e l'offerta dei beni al processo di consumo o « domanda » dei beni. La spesa, cioè, o consumo, rappresenta la domanda. Ricordando gli schemi marxisti è evidente che perché il processo produttivo sia in equilibrio, occorre quanto meno che il consumo dei beni finali sia dei capitalisti che dei lavoratori ( indicato nella tabella della spesa con la cifra 1 ) e che rappresenta la « domanda » dei beni di consumo, corrisponda all'offerta ( indicata con la cifra 1 ) del prodotto e che la domanda o spesa in beni di produzione ( indicata con la cifra 2 ) , corri sponda all'offerta di beni di produzione. Se ciò non si verifica il sistema non è in equilibrio. In particolare se vi è difetto di domanda globale, vi è sottoccupa zione dei fattori produttivi e aumento delle scorte, ossia « risparmio » che non viene investito. Vedremo che la domanda globale, ossia l'aspetto finale del circuito che abbiamo indicato, è stato il punto di partenza per una analisi volta a trovare le condizioni per giungere ad una piena occupazione e come invece per le teorie dello sviluppo l'attenzione si sia concentrata sul secondo aspetto, l'asp
�
eddito annuo che produce. Ossia i nuovi investimenti devono essere un multiplo della variazione del reddito, secondo un muhiplo a., chiamato « coefficiente di accelerazione ». In simboli I n = a. A Y. Naturalmente a. dipende d:tl rapporto capitale-prodotto, che si vedrà piu oltre, e i nuovi investimenti sono necessari se si suppone che tutta la capacità produttiva sia già utilizzata, essi poi possono ripar· tirsi tra di un intervallo di tempo piu o meno lungo.
L. L'economia della « piena occupazione »
247
Propensione al consumo e propensione al risparmio Abbiamo visto , parlando del moltiplicatore, che il coefficiente K dipende dalla quantità di reddito che viene destinata al consumo e quindi prima di esporre la sistemazione generale keynesiana, è neces sario ancora tener presente due concetti che sono stati elaborati e che vogliono esprimere in termini generali il rapporto di variazione del consumo e corrispondentemente del risparmio alla variazione del reddito. Il consumo è, come si sa, quella parte del reddito destinata a beni di consumo e, come aggregato generale, è costituito dalla somma dei consumi di tutti i soggetti economici. È chiaro che in ogni consumatore il suo consumo dipende dal livello del suo reddito in primo luogo, dal tipo di società in cui vive, dalle sue abitudini di vita e da tanti altri fattori che qui non occorre enumerare. Certo è noto a tutti che piu alto è il reddito, piu alto può essere il consumo. Quindi anche in senso generale si può dire che il consumo è una funzione del reddito. Ossia se con Y indichiamo - com'è d'uso - il reddito e con C il consumo si avrà C = f ( Y). Ad ogni valore di Y vi sarà un valore di C. Se il reddito è basso. esso sarà tutto consumato, nessuna parte di esso potrà essere « rispar miata », se il reddito cresce, aumenterà il consumo, ma non nella stessa proporzione, una parte crescente di tale incremento del reddito sarà « risparmiata ». Saranno cosi da tener presenti le seguen ti proposizioni a) il consumo aumenta all'aumentare del reddito ; b) ad aumenti del reddito corrispondono aumenti del consumo via via decrescenti. Per fare un esempio numerico ad ogni livello di Y posto sulla sinistra della tabella, avremo un corrispondente livello di consumo, posto a destra: y
e
1 ) 1 00
1 00
2 ) 200
175
3) 300
245
4 ) 400
300
SI avranno cosi i seguenti valori e 100 di 1) = 1 y 100 175 2) = 0,875 200 245 3) - = 0,8 1 6 300 300 4) = 0,75 400 -
-
-
Le teorie economiche nell'imperialismo
248
Se con �C sideriamo invece i rapporti tra le variazioni incrementali ossia �y avremo, secondo la tabella, i dati seguenti:
Questo rapporto è definito
1)
2)
75 -
1 00 70
-
1 00
«
propensione media al consumo
».
= 0,75
Questo rapporto è definito pro pensione marginale al consumo.
= 0,70
55 3 ) - = 0,55 1 00 Il fenomeno può essere espresso graficamente cosf: Figura
10
300 o
24 5
E � 1 75 e
- - - - - - --�---
o I.I
o 100
u
- - - -. I
I I I
1 00
y
200
o re d d it o
300
4 00
La propensione al risparmio è il fenomeno inverso, ossia è quella parte di reddito che non viene consumata in simboli S (saving in inglese) = Y - C e siccome C è funzione di S anche S = Y - f (Y). Anche qui avremo i due concetti di propensione media e di
L. L'economia della « piena occupazione ..
249
propensione marginale al risparmio, espressi con le solite formule s �s - e --. y �y Se esaminiamo gli stessi dati esemplificativi dal punto di vista del risparmio, avremo: y
s
1 ) 100
o
2 ) 200
25
3) 300
55
4 ) 400
1 00
s quindi -y
�s e -- è �y
in 1 ) in 2 ) in 3 ) in 4 )
=
o
=
0 , 1 25 0 , 1 84 = 0,25 25 =
in 2)
--
3)
-
in 4 )
-
m
1 00 30 1 00 45
1 00 Cioè la quantità di reddito risparmiato aumenta con l'aumentare del reddito ed aumenta con ritmo piu elevato. Anche qui g�aficamente il fenomeno può cosi essere espresso: Figura 11
o
E
...
tU c. in
o::
1 00 55 25
1 00
200
300
400 R e d d i to
Le teorie economiche rtell'imperialismo
250
e
Siccome
s
C
+ S =
Y, ossia consumo
+
risparmio =
reddito
1 , come si è visto negli esempi e cosi pure aC + aS = aY, y y cioè l'incremento del consumo sommato a quello del risparmio è uguale all'incremento del reddito e quindi
- + - =
as
ac --
+
--
aY
=
1
aY
Questa identità permette la nota rappresentazione grafica che unisce i due fenomeni. Se tracciamo sull'asse delle ascisse il reddi to e sull'asse del le ordinate il consumo, si avrebbe che l 'equilibrio tra reddito e consumo ( ossia quando tutto il reddito è consumato), è rappresentato dai punti che si trovano su una semiretta che esca dall'origine ed abbia una incli nazione di 45 gradi. Se il consumo col crescere del reddito non si accresce allo stesso modo, ossia una parte del reddito viene risparmiata, ciò appare dal fatto che la curva del consumo diminuisce la sua angola zione: la differenza tra la semiretta a 45 grandi e la curva del consumo costituisce il risparmio. Naturalmente può avvenire ed anzi avviene che per i redditi molto bassi il consumo sia superiore al reddito. Grafi camente il fenomeno è cosi rappresentato: Figura 12
3 00 :__ - - - - - - - -
200
3 00
R e ddito
L. L 'economia della « piena occupazione »
251
Il tratto C-B rappresenta cosi il risparmio al reddito 300, ossia la quantità 55.
L'influenza del saggio di interesse Finora si è supposto che sia il consumo che il risparmio siano fun zione solamente del reddito, ossia variabili dipendenti dal reddito. La scuola monetaria di Cambridge, come già si è visto, ha basato la sua analisi sul concetto di liquidità (vedi cap. XVI I ) e ha sottolineato l 'influenza che su di essa hanno le variazioni del saggio di interesse e quindi l 'influenza che queste variazioni hanno anche sulia distribuzione del reddito tra consumo e risparmio e infine sul rapporto tra risparmi e investimenti. È bene accennare sommariamente anche a questi concetti, . perché essi sono richiamati in tutte le costruzioni teoriche keynesiane e post-keynesiane. Anche in questo caso esporremo qui per il momento, ·i concetti al solo fine di « nozione », senza addentrarci cioè nei complessi pro blemi che essi sollevano, e senza specificare se essi sono accolti o no da singoli economisti. La correlazione tra interesse e livello di consumo afferma che quanto piu basso è il saggio di interesse, tanto piu il soggetto economico è indotto a consumare il reddito. All'inverso, quanto piu alto è il saggio di interesse, tanto piu è indotto a risparmiare o a preferire di tenere la moneta in forma liquida per usarla a fini speculativi.
a parità di reddito,
Naturalmente è stato obiettato che vi può essere chi . volendo otte nere un determinato reddito, diminuendo il saggio di interesse, può essere indotto a risparmiare di piu, per conservare il reddito di capitale che aveva prima, ma in genere, considerando anche che gli acquisti a rate sono favoriti da un basso saggio di interesse, si ritiene che, se si abbassa il saggio di interesse, si accresce il consumo, il quale cosf sarebbe funzione e del reddito , in via principale, e del saggio di interesse. Per cui, indicando con il saggio di interesse, si ha: C = F ( Y, i ) . S i potrebbe, tenendo presen ti i dati g i à adoperati negli esempi precedenti, fare una tabella, con i dati esemplificativi di livelli diversi di consumo a saggi diversi di interesse. Riteniamo tanto chiaro il concetto, da non richiedere una illustrazione, che il lettore potrebbe costruire da sé, ponendo per esempio le tre ipotesi, che al saggio di interesse i = 3% a reddito 200 il consumo sia 1 80 , anziché 175 del-
252
Le teorie economiche nell'imperialismo
l'esempio, ad i = 4 % , il consumo sia 1 75 e a i = 5 % il consumo sia 1 70 ; cosi al reddito 300 il consumo sia rispettivamente 255, 245 . 235 e al reddito 400 sia rispettivamente ·320, 300, 280. Il comportamento del risparmio a parità di reddito, sarà natural mente l'inverso: un aumento del saggio di interesse, provocando una diminuzione del saggio di consumo, accrescerà il saggio di risparmio. Naturalmente è bene ricordare che tutti questi ragionamenti vengono fatti in tempo breve, ossia considerando costanti tutti gli altri fenomeni. È chiaro infatti che in una determinata collettività il consumo e di conseguenza il risparmio sono determinati da molte caratteristiche di ordine storico, sociale, economico, demografico ( per es., tipo di distri buzione del reddito, composizione della popolazione per classi di età, esistenza di una legislazione sociale piu o meno ampia, rapidità delle trasformazioni sociali ecc. ).
Saggio di interesse e moneta
Un altro aspetto che è stato esaminato è il rapporto tasso di interesse e domanda di moneta, cioè i rapporti tra le variazioni del saggio di interesse e la moneta. Noi abbiamo già visto il sorgere e lo svilupparsi di questi nuovi concetti propri della fase imperialistica ( cap. XXV I ). Essi sono l'espressione del fatto che nell'imperialismo sia l'offerta che la domanda di moneta sono fortemente concentrate e facilmente domi nabili dalle autorità monetarie. Abbiamo già visto che uno degli stru menti di tale dominio ( oltre la possibilità, cessato il regime aureo con vertibile di accrescere l'offerta di moneta e il livello generale dei prezzi con la lenta inflazione) è la variazione manovrata del saggio di interesse. È chiaro che la teoria moderna abbia prestato molta attenzione a tale strumento di politica economica, cercando anche qui di astrarre da una realtà concreta prindpi generali che si vorrebbero validi sub specie aeternitatis, al di fuori di una determinata struttura sociale. Secondo Ricardo e Marx, come si è visto (cap. IX), l'interesse era una sottocategoria, derivata dal profitto 1 , ed è quindi evidente, come I RICAllDO in Works, cit., vol. I, p. 365 dice: « L'interesse della moneta non è regolato dal saggio al quale la banca presterà, sia questo il 5 o il 3 o il 2%,
ma dal saggio di profitto che può ottenersi completamente ind1pendente dalla quantità o banca presti un milione o cento milioni. essa il saggio di interesse del mercato, modificherà emessa '"·
dall'impiego del capitale e che è dal valore della moneta. Che la non modificherà permanentemente il valore della moneta in tal modo
L. L'economia della « piena occupazione »
253
poi formalmente elaborarono gli economisti successivi, Marshall com preso, che ragionavano in termini di prodotto reale e non in termini monetari, che il saggio di interesse fosse un fenomeno derivato e neu trale, una variabile dipendente dall'offerta di risparmio reale, rispetto alla domanda di tale risparmio fatta dall'imprenditore capitalistico. Le due curve, intersecandosi, come tutte le altre curve della dc.manda e deH'offerta, determinavano il punto di equilibrio 1 • Era evidente che la domanda di capitale fosse in relazione al bisogno di capitale per estendere il processo produttivo, ossia per l 'accumula zione, e l'offerta dipendesse certamente anche dal saggio di interesse, quale prezzo per il sacrificio a « risparmiare » ( su cui ha ironizzato Marx) o per « l'attesa », ma fosse in certo modo condizionata dal fatto che, data la teoria dominante del salario, il lavoratore non fornisse risparmio e il capitalista lo fornisse se il nuovo investimento accresceva il suo profitto. Se si tiene presente la struttura capitalistica dell'epoca, - costi tuita in prevalenza da imprese individuali, che ricorrevano poco al credito che non fosse di esercizio, - lo scarso volume dei titoli di credito di investimento, in prevalenza pubblici, che esistevano nel mercato, il limitato sviluppo del sistema creditizio, e infine i vincoli imposti dal sistema aureo, appare dotata di scarso spirito storico la critica fatta alla teoria classica dell'interesse. È chiaro anche che, modi ficat::isi tutta la situazione economica, divenuta tutta l'economia econo mia monetaria, sviluppatosi il mercato dei titoli e il sistema bancario, avvenuti.a la concentrazione monopolistica delle disponibilità monetarie, crollato il sistema aureo, divenuta l'impresa impresa societaria, la teoria classica dell'interesse diventasse insufficiente. Era cioè logico che il sag gio di interesse potesse essere considerato una variabile « indipendente », manovrata dalle autorità monetarie, e nello stesso tempo esso agisse in modo piu complesso sul comportamento di un operatore economico che ragiona sempre piu - dato il principio nominalistico - in termini monetari e non reali. Figura 13
1 Saggio di
interesse di equilibrio
Quantità monetaria ( reale )
254
Le teorie economiche nell'imperialism.,
L'offerta di moneta è regolata dalle autorità monetarie, come s1 e visto, sia come moneta primaria, sia come moneta secondaria attraverso le operazioni su mercato aperto e ha vincoli molto meno rigidi di quelli che vi erano nel sistema aureo., È perciò comprensibile che la « doman da » di moneta assuma in questa situazione una funzione maggior mente traente, specie se - ragionando in periodo breve - si considera l 'offerta di moneta come un dato. La « domanda di moneta » viene cosi definita come quella quantità di mezzi di pagamento che i vari operatori economici del mercato chie dono di detenere in forma liquida, cioè in biglietti e depositi a vista. È quindi espressione della preferenza alla liquidità. La domanda di moneta è stata cosi elencata : 1 ) dovuta al « motivo delle transazioni », cioè alla necessità di tenere moneta come reddito per poterla spendere gradualmente, e anche come fondo liquido necessario a scopi commer ciali ; 2 ) dovuta al « motivo p·recauzionale », per la necessità di avere fondi liquidi da adoperare per bisogni imprevisti sia personali, sia per acquisti imprevisti e vantaggiosi; 3 ) dovuta al· « motivo speculativo », ossia per poter compiere in qualsiasi momento operazioni di investimento in titoli che risultino vantaggiose. È chiaro che la « domanda di moneta » sia funzione del reddito, come già si è visto, ossia dipenda dal livello del reddito. Ma mentre le due prime dom.ande dipendono esclusivamente dal reddito, sulla terza influisce notevolmente la variazione del saggio di interesse. La moneta in questo caso è in continua concorrenza con i titoli. La moneta ha il vantaggio di avere un prezzo stabile, ma non frutta interesse . I titoli dànno un saggio di interesse, ma il loro prezzo varia. È chiaro pertanto che la trasformazione della moneta in titoli dipende dal saggio di inte resse che si ottiene. Se il saggio è molto basso, non conviene cambiare moneta in titoli. Ecco perché il saggio di interesse influisce sulla « prefe renza alla liquidità », o sulla domanda di moneta. La « preferenza alla liquidità » dipende cioè anche in questo caso dal reddito, dalla struttura sociale, dalle abitudini di pagamento delle merci e quindi dal sistema bancario, ma per la domanda di moneta di tipo speculativo certamente anche dal livello del saggio di interess_e e dalle previsioni che si fanno sul corso (o prezzo ) dei titoli, il quale corso, poi, come si sa, dipende dal saggio di interesse che vi è nel mer cato, rispetto al saggio di interesse fissato al momento della emissione del titolo. È ovvio che quanto piu basso è il tasso di interesse, tanto piu forte è la spinta a tenere il denaro in forma liquida e quanto piu alto è il saggio di interesse, tanto piu conviene investire la moneta in titoli, cioè acquistare titoli.
L. L'economia della « piena occupazione »
255
Facendo un esempio e trascurando il livello del reddito, che pos siamo considerare come un dato costante, la domanda di moneta può cosi essere posta come funzione del saggio di interesse: ossia M domanda di moneta = L ( i ) , dove L è « liquidità » ; in sostanza curva di domanda della moneta o di preferenza alla liquidità sono due aspetti dello stesso fenomeno. Supponiamo che il saggio di interesse sia del 6% e a questo corrisponda una preferenza alla liquidità di 100, che sia del 5% e a questo corrisponda la liquidità di 1 20 , che sia il 4 % e a questo corri sponda la liquidità di 1 5 0 , che sia del 3 % , con liquidità corrispon dente di 1 90 che sia il 2 % , con liquidità corrispondente 250. Avremo la seguente curva: Figura 1 4
/
o
o
6 - - - - -
� ,
�
� e
. 5! OI OI lii V'l
2
_
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_
_ _ _ _
I
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-
II I - - - - - - � - I, I 1
-
I - - - - - - - -1 I I
- - -
I 1
I
I
0--�������_,_I�� 1 00 1 2 0 ISO 250 190 D o m a n d a d i m o n e ta o l i q u i d i ta'
È chiaro che ad un interesse estremamente basso la domanda di moneta diventa pressoché illimitata, in modo da determinare quella che fu chiamata la « trappola della liquidità ». Ossia vi è un livello del saggio di interesse estremamentè basso, in cui qualsiasi quantità di moneta liberata dalle transazioni viene assorbita e tenuta in forma liquida, in cui la domanda diviene infinitamente elastica. Il lettore veda la chiara i'llustrazione del fenomeno nelle pagine del Casarosa.
Le teorie economiche ne/l'imperialismo
256
Saggio di Vnteresse e investimento
Se il saggio di interesse, che viene manovrato dalle autorità moneta rie (diventando cosi variabi1le indipendente}, ha tanta influenza sulla liqui dità e quindi sulla domanda di moneta e, come si è visto ne1 cap. XXVI, sui prezzi, ancor piu si comprende come esso abbia importanza sul l'investimento dei capitali. Avrò convenienza ad investire per esempio solo se il saggio di interesse è inferiore al 10 % , e quanto piu basso ess(1 è tanto piu alto sarà il mio saggio di profitto, in quanto minore sarà il costo del capitale. Se cioè indichiamo sulle ordinate saggi diversi di interesse, 8, 7, 6, 5, 4, 3, 2, - fermo restando naturalmente il reddito, avremo una domanda di investimenti che è rappresentata da una curva del tipo che segue: - ·
Figura 15
O/o
8
.. .. .. ..
6
� Sr, si è in fase di sottoccupazione e l'economia è stagnante; se la S < Sr, l'economia soffre di inflazione cronica, perché gli investi menti sono finanziati con mezzi monetari di natura inflazionistica. E in tali situazioni, che concretamente si verificano, il tasso natu rale d'interesse della teorica dinamica, come inteso dall'Harrod « is simply meant the rate of interest that it is necessary to have if the economy is to advance at the optimum rate in accordance with its growth potential... » 1 • --
1 Second Essay, i n Dynamic Theory, p . 292.
Le teorie economiche nell'imperialismo
296
Aspetti del modello Harrod-Domar Nella modellistica macroeconomica impiegata per la programma zione economica dei paesi capitalistici, si parte in genere dagli schemi di sviluppo elaborati proprio dallo Harrod, che abbiamo esposto, e dal Domar 1• Il modello del Domar infatti per vie diverse giunge alle stesse conclusioni, tanto che si parla comunemente, anèhe se non esattamente, di un unico modello Harrod-Domar. Il quale nella sua sostanza ultima si compone perciò di una prima equazione, costituita da una semplifi cata funzione della produzione. In essa l'aumento della produzione otte nuto nel tempo e, rispetto al periodo precedente C- 1 è dato, come si è visto, dagli investimenti effettuati nel periodo, moltiplicati per la produttività marginale del capitale investito, che è considerata costante nel periodo. A questa equazione si aggiunga l'altra, che vuole indicare l'aumento della domanda che si ha nel sistema, rappresentata dall'incre mento nel livello degli investimenti diviso la propensione marginale al risparmio ( ossia la nota formula del moltiplicatore keynesiano). La condizione di equilibrio è costituita, com'è logico, da una terza equazione, cioè dalla uguaglianza tra l'aumento dell'offerta e l 'aumento della domanda. Anche in questo modello semplificato e unificato, cioè, la variabile indipendente e punto di partenza è l'investimento, ossia la variazione nello stock di capitale. Ossia se K è lo stock di capitale, I l'investimento e Y il reddito, I = aK ossia l'investimento è uguale all'incremento dello stock di capitale. Il rapporto capitale prodotto è K considerato costante nel periodo, ossia = K e quindi K, stock y di capitale = KY, coefficiente capitale-prodotto moltiplicato il reddito. D'altra parte in condizione di equilibrio I = sY ossia l'investimento è uguale al risparmio (e rappresenta la propensione media al risparmio keynesiana ). Ossia il risparmio è uguale all'investimento, il quale è uguale all'aumento dello stock di capitale. Per avere l'incremento del aY reddito basta dividere il risparmio o - data l'uguaglianza y l'investimento per il rapporto capitale-prodotto secondo la formula s (1 (o per altri -). Cioè se l'investimento è 1 5 % e il rapporto K K -
--
1 E. V.
DoMAR, Essays in the Theory o/ economie Growth, cit.
-
LII. Le teorie sullo sviluppo
297
capitale prodotto è uguale a 3 , vi sarà un incremento del reddito del 5 % . I l modello di Kalecki, anche nella piu recente versione 1 come si è detto, non è dissimile formalmente, ma il suo significato economico, cioè politico, è diverso, in quanto parte dal presupposto di una economia pianificata, in cui come si è già detto I = S e in quanto tiene conto, esprimendo il fenomeno con la lettera U del « progresso tecnico » , ossia dell'aumento della produttività del lavoro, che del resto, se incor porata, si esprime con una variazione del rapporto K. La formula di t:..Y
S =-+u-a K y ( dove a è diminuzione della capacità produttiva e corrisponde come parametro agli ammortamenti ).
Kalecki, espressa negli stessi simboli diventa infatti
--
Abbiamo già detto che anche da un punto di vista astratto questi modelli estremamente aggregati hanno per l'economia capitalistica wio scarso significato. Cioè dal punto di visita econometrico o ex post, ossia partendo dall'incremento del reddito veramente, ossia storicamente avvenuto e raffrontandolo con l'investimento, ossia con l'incremento del'lo stock di capitale, si può ricavare il rapporto capitale-reddito, sia come rapporto medio che come rapporto marginale: fatto però non cosf facile come può sembrare, data la difficoltà di valutare lo stock di capitale. Ma stabilito un metodo qualsiasi, ossia una misura, si consi derano solo le variazioni. Si tratta cosf in genere di costruire schemi tautologici o di circolo vizioso. Comunque indagini economiche sono state fatte 2 • Da queste anche si è dedotto quale parte nell'incremento del reddito abbia avuto il progresso tecnico, l 'aumento dell'istruzione, anche qui con una certa arbitrarietà, considerandolo come « fattore residuale », il che è logico se si presuppone costante il rapporto capitale rédclito 3• Ma, rii>eto, per una previsione, ossia ex ante, questa è possibile solo grosso modo, cioè considerando costanti tutti i coefficienti tecnici ed economici. Né può correggere questo difetto la costruzione di modelli cosid detti « disaggregati » 4 • Questi potranno avvicinarci di piu a.llo sviluppo
t M. KALECKI, Teoria dello sviluppo di una economia socialista, Roma, Edi tori Riuniti, 1967. 2 M. D1 PALMA, Il rapporto capitale-reddito, Torino, Boringhieri, 1967. 3 DENNISON, Why rates of Growth differ, cit. 4 L. PASINETTI e SPAVENTA, Verso il superamento della modellistica aggregata nella teoria dello sviluppo economico, in Rivista di politica economica, settembrc ottobre 1960.
298
Le teorie economiche nell'imperialismo
reale, ma non possono risolvere il problema di fondo che in una economia capitalistica rimane, ripetiamo, metodologico e quindi politico. Cioè, ripeto, in regime capitalistico costruire modelli di sviluppo che partano dall'incremento dello stock di capitale che si reputa necessario per avere un determinato incremento di reddito, permette solo, data la logica capitalistica basata sulla libertà di investimento, la quale a sua volta è condizionata dal saggio di profitto sperato, di giusti ficare teoricamente una politica economica di controllo dei salari, ossia quella che è stata chiamata politica dei redditi. È questa, come già si è detto, la base della politica di programmazione capitalistica. Se cioè per una politica congiunturale bastava agire sulla domanda ed era suffi ciente la teorizzazione keynesiana di breve periodo, per una politica economica di lungo periodo e di sviluppo occorre agire sulla distribu zione del reddito, in modo che sia salvaguardato piu direttamente il profitto e quindi l 'investimento. Per essa occorre che esista un « risparmio » ottenuto forzatamente e convogliato nelle mani del capitale monopolistico dirigente con un basso costo (saggio di interesse). Questa è la verità. Da quanto si è detto risulta ancora una volta confermato che, per avere una trasformazione della società in senso socialista, occorre rompere la legge del profitto, la libertà di investimento che ha il capitale dominante; occorre intervenire cioè nella prima fase del circuito economico, ossia nel processo produttivo, trasferendo alla collet tività i mezzi di produzione. È proprio per questo che occorre anche ideologicamente mutare, come ho già detto, il punto di partenza nella formulazione anche di un modello astratto e « aggregato », il quale può essere utile solo per indicare capacità teoriche di sviluppo o i limiti generali di un sistema. Occorre partire dall'uomo , dal lavoratore, soggetto ed oggetto del l 'economia, dalla quantità della forza lavoro occupata e dalle varia zioni della sua produttività, grazie alle scoperte tecnologiche, grazie all'accrescimento della preparazione tecnico culturale della forza lavoro, al miglioramento delle sue condizioni di vita. Occorre stabilire il punto di partenza nel consumo storicamente necessario, garantendolo e impe dendo o almeno riducendo, con una adeguata politica economica e finan ziaria, il consumo non necessario. Qui deve stare l'origine del « rispar mio », che deve essere nello stesso tempo « accumulazione », ossia investimento e non l'inflazione. Qui deve stare l'origine dell'incremento di uno stock di capitale rinnovato e quindi potenziato grazie ai miglio ramenti tecnici, da qui deve nascere il " risparmio di capitale, l'incre-
LI I. Le teorie sullo s viluppo
299
mento dell11 produttività del lavoro. Sono d'accordo perciò con Vitello 1 che tale formula, garantito il consumo necessario, potrebbe esprimers l con
'1Y
=
A1t
+
Al
. Ossia per valutare l'incremento del reddito I 1t desiderato si deve sommare il saggio di incremento della produttività del lavoro (1t = produttività media del lavoratore, ossia il prodotto ottenuto per ora di lavoro ) e il saggio di incremento del numero di lavoratori. Per cui se l'incremento medio annuo della produttività è del 4 % e dell'occupazione del 2 % , i l saggio dell'incremento del reddito sarà il 6 % . Con ciò non si dimentica certo che in una società capitalistica non sono i modelli e la scelta dei punti di partenza o delle variabili indipendenti che mutano le cose e il processo reale. È chiaro anche che in qualsiasi programmazione capitalistica vi sarà sempre la divergenza tra la misurazione ex post e la previsione ex ante per il futuro. Ma almeno la programmazione reale sarà vista in modo piu evidente nel suo contenuto di classe, non vi sarà giustificazione teorica di una politica economica che in tutte le fasi della congiuntura è contro la classe operaia e in favore dei capitalisti. In conclusione, dall'esposizione del modello dell'Harrod, scelto come esempio, affinché il lettore acquisti conoscenza di una tecnica e di concetti ora di moda e dall'accenno ad altri modelli, risulta chiaramente la possibilità che esiste di creare infiniti modelli , perché infinite sono le variabili che si possono introdurre e molte le combinazioni anche con poche variabili. Il processo reale si svolge al di fuori di queste ipotesi, con scelte che nel capitalismo sono determinate dalla lotta di classe, che obbliga a continui mutamenti nella strategia economica dei ceti dirigenti. Essendo i mezzi di produzione quasi tutti in mano a gruppi privati - anche se questi sono limitati di numero - pur avendo lo Stato nelle sue mani strumenti economici atti a svolgere un'opera di direzione economica, la scelta decisiva, ossia le decisioni economiche sono compiute da questi singoli operatori privati, in base alle leggi proprie del sistema capitalistico di produzione che noi ben conosciamo. Pertanto queste decisioni rispondono si ad una razionalità, ma del singolo, non dell'insieme, della parte, non del tutto. Come si è già detto per i vari modelli econometrici basati sulle relazioni intersettoriali, soltanto in un sistema socialista di produzione --
y
--
--
1 V. VITELLO, Problemi di programmazione dello sviluppo economico, Pisa, Univershà, ·1968. Vedi anche PESENTI, Scienza delle finanze, cit.
Le teorie economiche nell'imperialismo
300
essi possono trasformarsi da meri esempi di esercitazioni intellettuali stiche, che servono spesso a mascherare le condizioni reali, cioè sociali , in cui si svolge il processo di riproduzione capitalistica, chiaramente indi cati dal marxismo, e a giustificare teoricamente la politica economica della classe dominante, in strumenti efficaci di direzione della vita econo mica. Ciò è possibile ora che apparati elettronici facilitano i calcoli, ve rificando innumeri combinazioni di forze produttive, non considerate staticamente ma in movimento e approssimarsi cosf al raggiungimento di un optimum economico e sociale. Non è possibile infatti disgiungere i due aspetti di tale optimum, in quanto l'economia esprime rapporti tra uomini e non tra cose, la produzione serve per l 'uomo e non l'uomo per la produzione in se stessa. Devono quindi essere introdotte nel calcolo anche tutte quelle variabili sociali, che i « modelli » elaborati nei paesi capitalistici invece ignorano, e che possono essere razionalmente regolate nell'interesse comune solo in un sistema socialista. I « modelli » sono però un'altra testimonianza, anche se qualche volta involontaria, che non solo nello sviluppo delle forze produttive, di fatti oggettivi, cioè, ma anche soggettivamente, nelle forze sociali in lotta e nella coscienza degli uomini di studio, matura l'esigenza del passaggio ad un sistema economico razionale, ossia al socialismo, per il cui raggiungimento esistono oggi anche tutti i necessari strumenti di direzione economica.
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Appendice Ill Il capitale finanziario italiano
di
Alessandro Lippi
Il capitale finanziario italiano
Osservazioni preliminari È già stato detto come in Italia particolarmente stretti siano stati e siano, soprattutto oggi, i legami finanziari e personali che unisco no i vari gruppi, e quanto complessa ne sia la struttura. Ogni tentativo di ricostruire storicamente l'evoluzione si scontra con gravi lacune e molteplici difficoltà. Brevemente ricordiamo che, infatti, per tutto un periodo le fonti di documentazione, abbastanza scarse e scarne, si sono basate sulla grande inchiesta promossa dal ministero della Costituente nel 1945 : la struttura, da allora fino agli anni cinquanta, è rimasta sostanzialmente immutata, se si eccettuano variazioni particolari nei rapporti di forza dei gruppi e nelle singole partecipazioni 1• Agli inizi degli anni sessanta un fatto nuovo - la nazionalizza zione 2 dell'industria per la produzione di energia elettrica - ha pro dotto un sommovimento abbastanza diffuso all'interno e tra alcuni importanti gruppi del capitale monopolistico italiano ( gruppo Edison, Sade, La Centrale, Bastogi, Iri-Finelettrica ). I modi di attuazione della nazionalizzazione, infatti, hanno prati camente significa to « liberazione » in un brevissimo lasso di tempo,
. I Alcune di queste variazioni sono state seguite per il primo periodo postbellico ed in parte appaiono nelle due pubblicazioni: CGIL Ufficio sraristiqi, Struttura dei monopoli industriali in Italia, Roma, Editrice Progresso, 1949 e RADAR, Orga nizza:i:ione del capitale finanziario italiano, Roma, Edizioni Italiane, 1949, oltre che in vari articoli sulle riviste Critica economica e Politica ed economia. Si ricorda, poi, per l'importanza e la continuità, la pregevole pubblicazione Indici e dati relativi ad investimenti in titoli quotati nelle borse italiane, a cura di MEBIOBANCA, Milano, 1950 e anni successivi. 2 Si legga A. PESENTI, Significato delle nazionalizzazioni, in Critica economica, n. 2, febbraio 1952 e il dibattito sulle nazionalizzazioni in Politica ed economia -
< 1 958-1959)
308
Appendice II I: Il capitale finanziario italiano
di masse ingenti di capitale monetario 1• Attraverso un rapido processo ( '64-'6 7 ) di riorganizzazione del capitale monopolistico - concentra zione e centralizzazione favorite, tra l'altro, da una serie di disposizioni legislative di sostegno - si sono avuti cosi, con inn:stimenti massicci, la penetrazione del capitale finanziario in nuovi settori di attività economica, il formarsi di altre « società giganti » e di nuovi centri di potere economico e politico 2 , una piu stretta intcrrela�one tra capitale pubblico e privato in importanti settori. A questo si aggiunga la spinta all'accelerazione, in modo vasto e complesso, del processo di interna zionalizzazione della nostra economia ( del quale abbiamo un'immediata misura se soltanto ne consideriamo il fenomeno piu semplice ed appa riscente, e cioè la crescente interpretazione del capitale) 3• In questo quadro e nelio stesso arco temporale va evidenziato il fatto che il capitalismo monopolistico di Stato, nelle sue varie forme, ha dimostrato, particolarmente nell'esperienza del nostro paese, di essere fenomeno irreversibile ed in continua espansione.
La grande « impresa pubblica » , soprattutto con particolare inten sità nella seconda fase degli anni sessanta ( '64-'69 ), ha visto crescere il proprio peso e la propria importanza nell'esigenza oggettiva - deter minata dal processo di espansione monopolistica - di assicurare e sostenere il meccanismo della riproduzione nel suo insieme 4 • Se a questo si accompagna l'altra spinta oggettiva, a certi livelli di gigantismo » dimensionale, ad assicurarsi il dominio delle fonti finan ziarie, a creare sempre nuovi e piu complessi legami finanziari, a promuovere accordi vari con altre imprese, si sostanzia il processo di crescente integrazione tra capitale pubblico e privato nel nostro paese, «
I Per la quantità, le modalità cd i destinatari della « distribuzione ,. si veda, ENEL - Ente Nazionale per l'energia elettrica, Relazione e bilancio di esercizio, Roma, 1963 ed anni successivi. 2 Si vedano, oltre le schede riassuntive pubblicate qui di seguito, le rela zioni ed i bilanci di esercizio, dagli anni sessanta ad oggi, in particolare delle società Bastogi, La Centrale, Montecatini, Edison; e f. PEPE, Studio sulle fusioni di imprese di società per azioni, Milano, Giuffrè, 1967 e, dello stesso autore, « Holdings » , gruppi e bilanci consolidati, Milano, Giuffrè, 1968. J A questo proposito si legga, Effetti degli investimenti esteri in Italia, a cura della SoRis, Milano, Etas Kompass, 1968 e, in particolare, Istituto Gramsci, Tendenze del capitalismo italiano, Atti del Convegno di Roma, 23-25 marzo 1962, 2 voli., Roma, Editori Riuniti, 1962; Istituto Gramsci, Tendenze del capitalismo europeo, Atti del convegno di Roma, 25-27 giugno 1965, Roma, Editori Riuniti, 1966; Istituto Gramsci/Cespe, Il capitalismo italiano e l'economia internazionale, Atti del convegno di Roma, 22-24 gennaio 1970, Roma, Editori Riuniti, 1970. 4 Vedi, tra l'altro, A. PESENTI, Impresa pubblica e sviluppo, in Critica marxista, anno VII, n. 1 , gennaio-febbraio 1969. ·
I maggiori gruppi: struttura e legami personali
309
nel quale funzione determinante hanno avuto le maggiori centrali finan ziarie ( Bastogi, La Centrale ), i gruppi monopolistici « storici » del tessuto capitalistico nazionale ( Fiat, Pirelli, Montecatini Edison, Snia . Italcementi ) e la « grande » banca, soprattutto pubblica ( Banca Com merciale, Credito Italiano, Banco di Roma, Mediobanca ). Lo svolgersi di questi processi nelle linee di tendenza schematizzate ha dunque agitato e ricomposto - alfa soglia degli anni settanta in modo estremamente variegato e complesso, il mosaico del capitale finanziario italiano, spostandone in alcuni casi, sconvolgendone in altri, l'intreccio delle partecipazioni e dei legami personali. Rimane ferma la struttura fondamentale di ogni gruppo che ha la sua finanziaria, partecipa a fondi comuni di investimento o ne pro muove addirittura la costituzione, ha la sua banca, la sua immobiliare, il suo giornale, i suoi centri di pressione politica e culturale e, soprat tutto, i legami con tutti gli altri maggiori gruppi. Rimane altrettanto fermo che il capitale finanziario italiano forma ancora oggi un complesso unico, largamente omogeneo, che penetra in tutti i settori della vita nazionale, influenzando, talora pesantemente, lo sviluppo politico e civile del paese nei modi piu diversi. Basti ricordare la manovra della direzione delle potenti organiz· zazioni di categoria (Gonfindustria ), il controllo dei maggiori canali di ioformazione ( diretto : mediante il possesso di giornali e l'influenza dei piu importanti centri editoriali ; indiretto: mediante centri di potere politici e culturali asserviti nella grande informazione, come nella Rai TV, ecc. ), come anche l'organizzazione ed il controllo di istituti e fon dazioni di ricerca, di centri di formazione professionale, di certo asso ciazionismo scientifico e culturale : in sostanza una complessa organiz zazione di legami di classe piu generali, in stretta corrispondenza con il tessuto connettivo che domina l'intera struttura economica. Si tratta di una realtà poliedrica in continuo movimento, della quale è sempre piu difficile acquisire anche una visione d'insieme, se non la si segue costantemente attraverso la lettura, lo studio e l'infor. mazione delle fonti specializzate 1 • 1 Tra le fonti, oltre l e pubblicazioni menzionate nel cap. XXXVIII, ricordiamo :
SASIP, Il taccuino dell'azionista, Milano, Edizioni Sasip, XIX ed., 1970, che illu
stra, con una formula propria di monografia, tutti i titoli quotati nelle borse italiane (v. anche le edizioni precedenti). SASIP, Il dossier dell'azionista, Milano, Edizioni Sasip, 1%9, che fornisce schede di aggiornamento « continuo » dci piu importanti titoli quotati nelle borse italiane. Mediobanca (a cura di), Il calepino dell'azionista, Milano, 1969, pubblicazione periodica (vedi anni precedenti) parti· colarmente pre{!evolc:, nella quale si trovano i_ legami « personali » dei componenti
Appendice I II : I l capitale fina11ziario italiano
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Ut;Ii informazioni si possono ricavare, ovviamente, dall'attenta lettura delle relazioni ai bilanci annuali delle varie società. Molte notizie, comunque, si>ecie per quanto riguarda, a monte, la distribuzione del capitale societario e , a valle, la misura esatta dei titoli in portafoglio e delle partecipazioni dirette e specie per quanto con cerne le complesse interrelazioni stabilite dai legami personali, rimangono segrete. Non possiamo in questa appendice compiere un'opera di pun tuale illustrazion,e , che pure sarebbe utile svolgere con una serie di « carte geografiche » che costituissero un « atlante » del capitale finanzi ario. Ci limitiamo a presentare alcune schede-profilo che riflettono la forza economica dei gruppi e delle singole società, oltre contenere dati di generale informazoione e quelli che piu propriamente riguardano i legami tra le diverse centrali monopolistiche.
I
maggiori gruppi del capitale monopolistico italiano: struttura e legami personali
P.er avere immediatamente un'idea del grado di concentrazione e centralizzazione del capitale monopolistico italiano ed evidenziare i legami che esistono tra i maggiori gruppi, è conveniente partire da alcune grandi e celebri holdings, cerniere di antica e recente data, sulle quali poggia tutto l'insieme del capitale finanziario italiano. Cosi le Italiane Strade Ferrate Meridionali ( Bastogi ), La Centrale, l'Iri, l'Eni, la Ifi-Fiat, la Montecatini Edison, la Snia Viscosa, la Pirelli.
i gruppi dirigenti di 1 3 2 società « quotate », oltre le principali partite di porta foglio e le partecipazioni dirette. Il chi è? della finanza italiana, Milano, Editrice Nuova Mercurio, 1968 (vedi edizioni precedenti) che stabilisce, per singolo no minativo, la presenza nei gruppi dirigenti delle principali società per azioni italiane. Cassa di Risparmio di Torino, Taccuino bancario 1968, Torino, NIG Editore, 1 968. Italia l '.168, Annuario dell'economia, della politica, della cultura, a cura del Centro Italiano di Ricerche e Documentazione e del Centro di documentazione e di studi sull'informazione, Milano, Etas Kompass, 1968. \Vho owns whom (Continental Edition) 1969-1970, O.W. Roskill & Co. ( Reports) Ltd., London, 1 970. Vedi inoltre le pubblicazioni minori , ma non meno importanti : La meridiana dell'investitore, a cura della Banca nazionale del lavoro; i Raffronti statistici, a cura della Banca popolare di Bergamo, ecc. A queste fonti si aggiunga la lettura della pubblicistica spedalizzata ( informazione economico-finanziaria periodica).
I maggiori gruppi: strutturtJ e legami personali
311
Da queste « società giganti » si può giungere, infatti, a tutti, o quasi, i trusts industriali che domir.ano il paese 1 •
Società italiana per le strade ferrate meridionali (Bastogi) - Firenze Anno di costituzione 1 862. Capitale sociale ( 1 96 8 ) L. 60.000.000.000 diviso ord. valore nominale L. 1 .000.
10
60 mli di az.
t Nelle singole schede-profilo, mediante alcune note illustrative, si riassumono brevemente La storia e l'importanza dei gruppi maggiori. Per i « gruppi dipendenti ,. che non vengono piu avanti iIJustrati si dà qualche sommaria notizia nell:a scheda del gruppo centrale di controllo. Base di informazione generale e statistico-economica sono state le fonti specia lizzate di cui alla nota precedente, oltre il ricco materiale d'archivio raccolto da un gruppo di ricercatori per l'indagine, già ricordata, per conto del CNR sul tema: « Legami personali nei gruppi dirigenti le principali società per azioni italiane negli ultimi vent'anni ( 1950-1969) », condotta dall'Istituto di economia e finanza della Facoltà di giur:sprudenza della Università di Pisa. Si avverte che ogni cifra ( fatturato, n. dipendenti, percentuali di partecipa zione, ecc.), si riferisce, salvo indicazione contraria, ai bilanci di esercizio chiusi al 3 1 dicembrt> 1968. I nominativi dei gruppi dirigenti, invece, si riferisc,..no, salvo pochi casi, alle cariche in essere a tutto il 1969. Attraverso la scomposizione dei Consigli di amministrazione e dei Collegi sindacali e la conseguente individua· zione dei legami persona:li, abbiamo cercato di semplificare l'indagine sui rapporti tra i gruppi, che sono complessi e si intrecciano tra di loro (per esempio un gruppo monopolistico può « possedere » anche una partecipazione al capitale della società - cosi per La Centrale - non direttamente, ma avendo una forte partecipa zione in una �ocietà controllata - es. Invest - che a sua volta possiede azioni della società madre e quindi su questa influisce). Si avverte che i legami personali, tranne che per alcune importanti società non quotate, sono stabiliti solo relativamente alla presenza del singolo nominativo nei gruppi dirigenti delle 132 spa quotate alla Borsa valori di Milano ( 1968), e cioè sulla base, soprattutto, delle relazioni stabilite dal Calepino dell'azionista, a cura di MEDIOBANCA. Ovviamente, quindi, il numero ed il tipo di legami e di presenze, nei gruppi didgenti di altre importantissime spa italiane, dei big del capitale monopolistico italiano è molto piu ampio e complesso: si invita, pertanto, il lettore a completare il quadro attraverso la consultazione de Il chi è? della finanza italiana. Per ogni singolo nominativo è indicata la carica che ricopre nella società di cui si tratta ( P. presidente; V. P. vice presidente; C. D. consigliere consigliere; A. amministratore; D.G. direttore generale; delegato; C. D.C. direttore centrale; P.c.s. Presidente collegio sindacale; c.s. sindaco effettivo, ecc.) e, immediatamente dopo, tra parentesi, sono citate le altre società nei cui gruppi dirigenti è presente, con la relativa carica. Per le parte cipazioni si avverte che l'indicazione percentuale segue sempre nella parentesi il capitale sociale (c.s., indicato in miliardi mdi e milioni mli) ed ovviamente indica la quota azionaria della società nominata in possesso della società-gruppo di cui si tratta; quando è noto viene indicato anche il possesso e la relativa per centuale delle restanti quote azionarie. =
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Appendice III: I l capitale finanziario italiano
Al èapitale partecipano numerosi istituti bancari, compagnie di assicurazione, società f.inanziarie ed industriali {Mediobanca 0,3 % ; La Centrale 0,6 % ; lnvest 0,3 % ; Nazion. Svil. lmp. Ind. 2 , 1 % ; Pirelli & t. 0,2 % ; Sme-Merid. Finanz. 0,9% ; Fiat 1 ,4 % ) che detengono la maggioranza relativa e si sono costitui·te in un sindacato di voto. Gli. azionisti sono circa 36.000 di cui 57 intervenuti all'assemblea 1 969 portanti in proprio il 1 4 % e per delega di 3 .570 azionisti il 40% del capitale sociale. Al momento della costituzione aveva per scopo precipuo la costru zione e l'esercizio di linee ferroviarie. All'atto del riscaao da parte dello Stato ( 1 906 ) si trasformò in vera e propria società fi.nanziaria, interve nendo soprattutto nel settore elettrico in aziende di produzione e di distrrbuzione, contribuendo al loro finanziamento e svilu?Po sino al momento della nazionalizzazione ( in ··particolare Sme-Meridionale di elettricità, Elettrica sarda, Generale elettrica della Sicilia, Tifeo, ecc.). Già da parecchi anni prima della guerra si era comunque preoccupata di allargare a ventaglio il suo caµlpo di azione, assumendo importanti partecipazioni in società operanti in altri settori industriali. Oggi la Bastogi (cosf il titolo è conosciuto nel mondo finanziJario dal nome del fondatore della società) cura l'amministrazione e gestione di parte cipazioni azionarie, il finanziamento delle stesse, le relative operazioni mobiHari e finanziarie. Si trova ad operare principalmente in alcuni settori quali l'immobiliare, il chimico estrattivo, il cementiero e quello delle costruzioni, il meccanico e l'elettromeccanico, il tessile ed altri ancora. Nel bilançio di esercizio al 3 1 dfoembre '68 denuncia immobiliz zazioni finanziarie per L. 95.607 milioni dei quali 76.584 rappresentano il valore complessivo di bilancio dei .rj.roli az!on.ari. Vanta ancora 4 .000 milioni di crediti verso l'Enel per recessi esercitati verso società ex elet-triche in portafoglio. C.Ontrolla alcune decine di società. Nel settore fi.nanzi·ario e fiduciario ( 40,5 3 % del portafoglio ti-toli ) ha il controllo della Ses-Società esercizi sardi (c.s. 2 mdi circa, 5 1 ,5 % ) e della Sges-Generale esercizi siciliani (c.s. 42 mdi circa 42,7% ) operanti ambedue nel settore immobiliare, turistico�alberghiero, alimentare e dei trasporti (vantano, insieme, ancora 50.000 mli di crediti di indennizzo verso l'Enel) e partecipa alla Sme-Società meridionale finanziaria (c.s. 1 2 2 mdi circa, 1 4 % - il 4 1 ,8 % appartiene all'lri), il piu forte gruppo industriale elettrico del meridione, allora, oggi uno dei maggiori gruppi impegnati nello sviluppo ecqnomico delle regioni
I maggiori gruppi: struttura e •a2'1ioni in società nazionali, 42 mdi in società all'estero; ovviamente le singole valuta21ioni sono tutte inferiori al loro valore effettivo). Nel settore comprendente aziende di produzione automobilistica complementari ( v·alut. partec. 1 4 mdi circa) troviamo le Industrie vernici italiane ( 1 00 % del pacchetto}, la Edoardo Weber-Fabbrica italiana car bura.tor.i (c.s. 1 mdi, 1 0 0 % ), la Fabbrica it. magneti Marelli (c.s. 6 mdi, 89,7% az. ord., pari a 3 mdi, e 0 ,66 % az . priv. }, la Whitehead Moto Fides (c.s. 500 mli, 99,9 % }, la F.lli Borletti (c.s. 2,4 mdi, 3 3 ,3 3 % ) ed altre quali l'Omeca, l'Aifo, la Gmt, la Sigme, oltre interes senze a carattere secondario (Tecnigas, Cge, Ercole Marelli & c., Sele nia, ecc. ecc.). � presente nel settore petrolifero con un'interessenza secondaria nell'Aquila spa di Trieste (c.s. 5 mdi, 7,0% ). Nel settore comprendente le aziende di trasporto, le autostrade ed i trafori ( valut. partec. 25 mdi circa) conosciamo la Sita ( c.s. 2 mdi, 100 % ), l'Autostrada Torino-Savona ( c.s. 20 mdi, 7 1 ,l % ), l'Autostrada Torino-Milano (c.s. 5,3 mdi, 34,2 % ), la Italnavi-Società di navigazione (c.s. 4 ,5 mdi, 3 3 ,3 3 % } ed altre a carattere secondario quali la Ativa Autostrada Torino Ivrea Valle d'Aosta (c.s. 6 mdi, 5 % ), la Sat, la Stui, l'Autostrada dei fiori, ecc. ·
Tra le aziende di finanziamento rateale bancario ( valut. partec. 6 mdi circa) emergono la Sava (c.s. 4 mdi, 1 00 % ), la Sviluppo comu nicazioni u·rbane ed interurbane (c.s. 1 mdi, 99,8 % ), l'Ifa-Istituto f.i:nanziario automobilistico ( c.s. 1 mdi, 9 1 ,3 % ) e con interessenze minori la Sai-Società assicuratrice industriale (c.s. 4 mdi, 1 5 % ) ed altre. Tra le aziende di imprese di lavori in I talia e all'estero, sviluppo iniziative varie, commerciali, titoli vari (valut. partec. 1 2 miliardi circa), la Impresit spa (c.s. 2 mdi, 1 00 % ), la Sorin-Ricerche impianti nucleari (c.s. 2 ,5 mdi , 5 0 % , l'altro 5 0 % Montecatini Ed.ison), insieme ad altre qua1i la Providea, Recuperi metallici, la Piemontese sviluppo ind. ecc. Tra le interessenze a carattere secondario ed i titoli diversi ricor diamo l'Eti-Esercizi tessili italiani (c.s. 5 mdi, 1 0 % ) (l'Eti ha rilevato
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Appendice Il I: Il capitale finanziario italiano
alla fine del 1969 il Cotonificio Vallesusa che già gestiva ), l'ltalconsult (c.s. 1 ,5 mdi, 8,3% ), la Sio (c.s. 3 ,046 mdi, 7 ,8 % ), l'ing. C. Olivetti & c. (c.s. 60 mdi, 4,3% ), la Società nazionale delle officine di Savi gliano ( 2 , 3 % ), i Cantieri riuniti dell'Adriatico ( 2 % ), la Soc. italiana per la strade ferrate meridionali ( 1 ,4 % ), il Credito italfano ( 0,6% ), la Sip ( 0,3 % ), Mediobanca ( 0 , 1 % ), la Montecatini Edison ( 0,0 1 % ). Il Consiglio di amministra21ione nell'anno 1 969 è cosi composto: Giovanni Agnelli ( P . ) (P. IFI ; C. Mediobanca , Monteca.�ini Eclison) Gaudenzio Bono (V.P., C .D. ) (C. Ifi, Sai-Soc. assicuratrice ind., Fabbrica italiana magneti Marelli) Giovanni Nasi (V.P.) (V.P. IFI ; C. It. strade ferr. meridionali ) Umberto Agnelli (C.) (P. e C.D. Sai-Soc. ass. ind . ; C. Ifi ) Vittorio Bonadè Bottino (C.) (C. Sai-Soc. assic. indust. ) Antonio Giovanni Cavinato (C.) (C. Monteponi e Montevecchio) Corrado Cinti (C.) (P. e C.D. Fabbrica it. magneti Marelli ; C. La Rinascente ) Gaetano Furlotti ( C . ) (C. Sai-Soc. ass. ind . ; V.P. e C.D. Ifi) Anàrè Meyer (C.) (C. Monteca�ini Edison) Domenico Taccone (C.) (C. I talsider, Manifattura ceramica Poz2li , Mine rari·a metal!. Pertu90la, Trafilerie laminatoi metalli) Armando Fiorelli (C.), Giuseppe Gabrielli (C.), Enrico Minola (C.), Felix W. Schulthess Il Collegio sindacale è cosi composto : Carlo Bozzola (P.) ( c.s. Fabbrica it. magneti Marelli ) Lamberto Jona Celesia (C. Sai-Soc. ass. ind.) Carlo Dal Verme Nicolò Gioia (D.G . ) Non si può parlare della Fiat e tacere della sua finanziaria, una delle maggiori a liveHo nazionale :
I/i-Istituto finanziario industriale - Torino Costituito nel 1927. Capitale sociale ( 1 96 8 ) L. 36.000.000.000 ( diviso in 18 mli di az. ord. e 1 8 mli di az. priv. valore nom. L. 1 .00 0 ). Assemblea anno 1 969 sono 1 4 gli azionisti present.i, portatori in proprio e per delega n. 1 7 .990.866 az. ordinarie pari al 99,94% del capitale ordinario; sono invece 56 gli azionisti portatori in proprio e per delega di n. 1 4 . 6 1 8.465
I maggiori gruppi: struttura e legami personali
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az. priv. pari all'8 1 ,2 1 % delle azioni di tale categoria. Principali az:io nisti sono le famiglie Agnelli e Nasi . Fino al 1 968 l'intero capitale Ifi è rimasto nell'ambito dei due gruppi familiari, quando è stato deciso di diffondere le azioni privile giate e di quotarle in borsa (ne sono state offerte, tramite un consoraio bancario diretto da Mediobanca, tre milioni in pubblica oottoscrizione). Nata come finanzi.aria in appoggio all'attività industriale meccanica, del cemento ecc., ha dal 1 93 5 nel proprio portafoglio titoli il pacchetto di controllo Fiat, che costituisce, oggi come ieri, il nucleo piu impor tante delle partecipazioni. L'Ifi è oggi una holding tra le piu importami, segue una politica di sempre crescente dinamismo con l'obiet tivo di strutturarsi in una finanziaria agile, sempre presente nelle maggiori opera2lioni e pronta a cogliere le « opportunità del futuro » . Nel bilancio di esercizio a1 30 giugno 1 969 denuncia un portafoglio titoli pari a L. 1 0 7 . 1 2 8 mli, in crescente aumento ( 1 8. 1 40 mli di inve stimenti, 3 . 165 mli di disinvestimenti nell'esercizio 1 968-69). Controlla oltre trenta società ( il numero aumenta s·e si considerano le partecipazioni delle sue controllate) ed interviene in 1 1 settori economici. Per importanza al primo posto figura il settore delle cos•truzioni dei mezzi di traspor.to ( 45 ,6 % dell'intero portafoglio) composto esclusiva mente da iazioni Fiat ( ord. = 25,1 7 % , priv. = 1 2,42 % ). Segue immediatamente il settore bancario finanziario ( 1 9, 1 8 % del portafoglio ) nel quale troviamo la International Holding and invesre ment, Lussemburgo (c.s. $ 6 mli, 1 00 % ) attraverso la quale sta svilup pando una intensa attività nei Fondi comuni di investimento, l'interes senza nella Sade-Finanziaria adriatica ( 4 % ord., 2 1 ,34% priv.), la Saifi-Finanziaria ( 20 % ), l'Ifil-Ist. fin. it, laniero ( 64,47 % }, la Soc. mobiliare triestina ( 1 00 % ), oltre partecipazioni in Mediobanca ( 0,25% ), Efianca ( 1 ,25 % ), Credito italiano (0,63 % ), ecc. Tra gli altri settori di maggior rilievo è quello del commercio ( 9,05% del portafoglio ) rappresentato esclusivamente dalla partecipa zione ne La Rinascente ( al 3 1 dicembre 1 969 la partecipazione ammonta a 33,3 milioni di az. òrd. pari all' l l ,5 8 % del capitale ordinario). Nel settore assicurativo troviamo la Sai-Assicuratrice industriale ( 3 3 ,02% lel c.s . ). Nel settore alimentare la Cinzano Francesco & c., la Cinzano intern. , l a Cinzano ltd . , l a Talmone d i Torino; nel settore della lavorazione mine rali non metalliferi ( 8 ,52% del portafoglio) la Unione cementi Mar chino & c. ( 50 % ), le Cementerie di Augusta ( 1 00 % ), la Saice-Ind.
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Appendice III: Il capitale finanziario italiano
cement. emiliana ( 64 % ); nel settore chimico e delle materie plastiche ( 5 ,3 2 % del portafoglio) la Mazzucchelli celluloide ( 34,3 1 % ) e la Minne sota Mining and Manif. Co. ; nèl meccanico fa Riv-Officine di Villar Perosa ( 1 9 % az. ord., 26% az . priv. ) e la Siem-Soc. per l'elettr. e la mecc. ( 40 % ); nel settore armatoriale l'ltalnavi ( 1 6,66% ). Interviene poi nel settore immobiliare-alberghiero ( iniziative regio nali) e in altre svariate imprese. Il Consiglio di amministrazione al 1 969 è cosf composto : Agnelli Giovanni ( P . ) ( P . Fiat; C. Mediobanca, Montecatini Edison) Nasi Giovanni (V.P.) ( V.P. Fiat; C. lt. strade ferrate meridionali) Furlotti Gaetano { V.P. e C.D. ) (C. Fiat; C. Sai-Soc. ass. ind. ) Agnelli Umberto (C. ) ( P. e C.D. Sai; C. Fiat ) Bobba Franco { C . e D.G.) Bono Gaudenzio ( C. ) {V.P. e C.D. Fiat; C. Fabb. it. magneti Marelli, Sai ) Canonica Agostino (C.), Nasi Emanuele (C.), Rota Francesco (C.) Il Collegio sindacale : Aldo Cicoletti ( P. ) ( P.c.s. Montecatini Edison; C. Caffa.ro) Buratti Ferruccio, Ferrero Alfonso.
Montecatini Edison - Milano C.OS-tituita nel 1 884 come Edison diventa Montecatini Edison nel 1 967 a seguito della fusione con la Montecatini. Capitale sociale ( 1 968) L. 749.307.076.000 ( diviso in azioni ordi narie da L. 1 .000 ; il capitale è soggetto ad ufoeriori variazioni sino ad un massimo di L. 8 1 1 .500 mli per conversione obbligazioni emesse nel corso del 1 964 ). Nell'anno 1 969, al momento dell'assemèlea, gli 'e
La costituzione della E&ison ris-a.le al 1 884; fino al 1 962 si ded:icò prevaientemente alla produzione ed alla distribuzione dell'energia elet trica {produceva circa il 40% della energia elettrocommerciabile). Al momento della fusione con la Montecatini controllava oltre cento 1impor tanti società. Oggi la società opera in diversi settori di attività econo mica andando, in particolare, dal settore chimico al settore minerario, da quello delle fibre arcificiali e sintetiche al settore della grande distribuzione ; importante è anche l'attività svolta nel campo della metallurgia e della siderurgia, nei settori metalmeccanico, elettromecca nico ed elettronico, ecc.
La Montecatini e la Edison prima, la Montedison poi, sono state al centro del fenomeno di concentrazione e centralizzazione del capitale f.i.nanziario italiano, dando un notevole impulso alla sua ristruttuNzione ed al suo rafforzamento.
Nel 1 966 la Montecatini Edison ha rilev·ato dalla Shell il 50% del capitale della Monteshell petrolchimica della quale già possedeva il restante 50 % ; la società ha allora assunto la ragione sociale di Monte sud Petrolchimica e nel settembre 1 96 7 , insieme alla Vetrocoke, alla Sfia e ad altre società minori del gruppo è stata incorporat-a dalla Montedison, nd quadro della ristrutturazione di tutta la complessa attività del gruppo. Sempre nel corso del 1 967 sono avvenute altre importanti incor porazioni ; da segnalare quelle relative alle tre società, ex elettriche, Cieli, Emiliana eserci:lli elettrici, Orobi:a. Piu recente ancora è l'acquisizione della quota di partecipazione della società americana Union Carbic:k nella Celene e la sua successiva incorporazione nella Sincat, la maggiore società del gruppo nel settore chimico.
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Appendice 111: Il capitale finanziario italiano
Alcune note merita l'intero gruppo Montedison: opera, nella sua attività industriale nazionale, con circa 200 uni·tà produttive (localizzate un po' in tutto il paese, ma principalmente nel Veneto, Lomba:rdia, Piemonte, Puglia e Sicilia; 7·0 circa nel settore chimico e petrolchimico, una trentina nel settore tessile e delle fibre, altre 30 circa r.ispetciva mente nel settore metallurgico e nel minerario ed estrattivo in genere, alcune nel settore dd vetro e le restanti nei piu svariati settori economici). Ha in corso di elaborazione ed esecu2!ione, secondo i dati al 1 969, vasti programmi di investimenti di cui il mezzog1omo d'Italia dovrebbe assorbire una grossa fetta. Il gruppo ha ormai raggiunto un fatturato che oscilla intorno ai 1 .500 mdi (sen2l! contare Ie consociate estere) al quale la società conuibuisce con un buon 40 % . L'entità del fatturato colloca il gruppo ai primi posti nel .settore della cllimica e tra le prime dieci industrie, chimiche e non, del mondo « fuori » degli Stati Uniti. Ha dato vita e/o è presente con partedpazioni, insieme a gruppi internazionali, in diverse grandi società estere quali la Navamont Co. di New York, la Comp. Néerlandaise de l'Azote di Bruxelles, la Heliogas di Sao Paolo, la Madras Aluminium di Coimbatore, ecc. Partecipa :ad oltre cento società nazionali e ne control1a diretta mente diverse decine. Nel bilancio di esercizio al 3 1 dicembre 1 968 denuncia oltre 380.000 milioni alla voce partecipazioni, nett·amente inferiore ·ai valori « reali » di quotazione e nominali del complesso delle azioni possedute ( basti pensare che per i soli titoli quotati in borsa, 98,5 miliardi nella valutazione di bilancio, si avev·a al momento del l'assemblea del 1 969 una plusvalen2!a di circa 75 miliardi ai prezzi di mercato). Nel settore chimico e minerario oltre la Sincat-Soc. ind. cata nese già ricordata (c.s. 68 mdi, 1 00 % , oltre 1 42 miliardi di vendite), troviamo la Farmitalia-Farmaceutici Italia (c.s. 12 mdi, 51 %, 40 mdi fatt.), l'Acrn1-Az. colori naz. af.f. (c.s. 8 mdi, 1 00 % ), la Monteponi & Montevecchio (c.s. 7 ,2 mdi, 55% ), la Cokitalia spa (c.s. 4 mdi, 50% ), la Vetrocoke Cokapuania (c.s. 3 ,4 mdi, 1 0 0 % ), la Vetrobel (c.s. 3 mdi, 1 0 0 % ), la Smi-Soc. mercurifera italiana (c.s. 1 mdi, 1 00 % ), ecc .
Nel settore delle fibre, ressi1e e dell'abbigliamento oltre « le tre grandi » Chatillon (c.s. 36 mdi, 65% ), Rhodiatoce (c.s. 12 mdi, 50% , l'altro 50 % è del gruppo inglese The Associated Octel Co. ) e Polymer (c.s. 1 00 mdi, 1-00 % ), troviamo l'Abital-Abbigl. it. (c.s. 1 mdo, 85%), la Vittadello (c.s. 490 mli, 100% ), la Castellana-Ind. per confez. (c.s. 250 mli, 1 00 % ) ecc. Nel settore metallurgico, siderurgico, meccanico, elettromeccanico ed elettronico la LU-Lavorazione leghe ·leggere (c.s. 5 mdi, 50% ),
I màggiori gruppi: struttura e legami personali
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la Sisma (c.s. 4 mdi, 99,9 % ), la Officine Galileo (c.s. 7 00 mli, 9 7 ,5 % ), la Montedel-Montec. Edison elettronica (c.s. 1 ,1 7 mdi) risultante dalla fusione per incorporazione nei pr.imi mesi del 1 969 delle società Elmer, Ote, Laben nella Comelit-Comp. elettronica italiana. Negli altri settori emergono la Magazzini Stand-a (c.s. 1 0 ,534 mdi, 57,1 % , fatturato 253 mdi ), la Fincosit (c.s. l mdo, 99,9 % ), la Ind. generale ceramiche (c.s. 1 mdo, 8 7 ,3 % ), ecc. Nel campo della ricerca troviamo la Sorin-soc. rie. imp. nucleari ( c.s. 2 ,5 mdi, 5 0 % ; l'altro 5 0 % è Fiat). Ii Consiglio di amministrazfone nel 1 969 è cosf composto: Carlo Faina (P.0. ) (P. Monteponi & Montev. ; V.P. Assicur. genera:li, Eternit; C. It. strade ferr. mer., La fond. vita) Giorgio Valerio (P., C.D. e D.G . ) (V.P. Chatillon ; C. C.Cmen�ir, It. strade ferr. mer., ltalpi, La fondiaria vita, La fond. incendio, Ras-Riu nione adri·atica di sicurtà) Macerata Giorgio (V.P., C.D. e D.G . ) Gianni Agnelli ( P. Fiat, Ifi; C . Mediobanca) Vittorio Antonello ( C . ) Giuseppe Arcaini (C. ) ( P. Italgas; C. Finsider) Giovanni Balella ( C. ) (P. Naz. sviluppo imp. ind.; C. Assic. generali, Ciga, Filatura cascami seta) Hanspeter Bruderer (C.) Furio Cicogna ( C . ) {P. e D.G. Chatillon ; C. Cartiere Burgo) Vittorio De Biasi (C.} (P. Mittel-Industr. mediterranea ; V.P. Italpi ; C. Cementir, ChatiHon, Ferrovie nord Milano) Giacomo Fauser (C.) Raffaele Girotti ( C . ) ( P. Lanerossi ; V.P. Eni ) Silvio Golzio ( C . ) (C. Stet ) Imbriani Longo {C.) (P. Sofid, La Centrale; C. Bastogi, Ist. rom. beni stabili, Snia Viscosa) Tullio Masturzo (C.} (V.P. Cementir; C.D. e D.G. Sme-Mer. finanz. ; C. Cartiere it. e Sertorio riunite, Ist. rom. benii stabili, I talsider, Motta ) Mattioli Raffaele ( C . ) {C. Mediobanca) Andrè Meyer {C.) {C. Fiat) Galileo Motta ( C . ) {P. Italpi; C. Chatillon ) Tullio Odorizi ( C . ) Leopoldo Pirelli ( C . ) ( P. Pirelli; Amministr. Pirelli & c.; C. G!m; C . Mediobanca, L a Centrale)
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Appendice III: Il capitale finanziario italiano
Eugenfo Radice Fossati (C. ) ( P. Aedes ; V.P. Gruppo Lepetit, Tecno masio it. Brown Boveri ; C. Alitalia, Chatillon, Co.Ge. Comp. assic. Milano, Cucirini Cantoni coats, L'Assicuratrice it., Pirelli spa) Pasquale Saraceno ( C. ) (C. Mediobanca) Tullio Torchiani (C.) (P. e C.D. Bastogi ; V.P. lst. rom . beni stabili ; V.P. Ses, Sme; C. Franco Tosi, Italcementi, lt. condotte acqua, I talsider, Ras, Sges ) Cesare Tumedei (C.) ( V.P. Bastogi ; C. lst. rom. beni stabili , La fon diaria incendio, La fondiaria vita, Sme) Pietro Carlo Viglio (C.) Bruno Visentini (C.) ( P. ing. C. Olivetti & c . ) Il Collegio sindacale:
Aldo Cicoletri ( P . ) (C. Caffaro, P. c.s. Ifi) Ermete Fiorini (c.s . ) ( P. c.s. Ciga ; C. Naz. sviluppo imp. ind . ) Renato Marnetto ( c . s . ) ( c.s. Anic; c . s . l talgas ) Giuseppe Martelli ( c.s.) ( C.D. e D.G. Ses; C.D. Monteponi & Montcv ; C. lst. rom. ben.i stabil·i ; D.G. lt. strade ferrate meridionali ) Armando Zanetti Polzi (c.s.) La Direzione generale: Franco Del Vecchio, Bruno Janni (C. Ferrovie nord Milano; C. Cha tillon), Guido Molteni (C. Chatillon). Gino Sferza.
Pire/li - Milano Anoo di costituzione 1 920. Capitale sociale ( 1 968) L. 68 .000.000.000 ( diviso in azioni ordi narie da L. 1 .000 ; è soggetto ad ulteriiori variazioni sino ad un massimo di L. 80 mdi per conversione in az. delle obbligazioni emesse nel corso del 1 968); è diviso tra circa 58 .000 azionisti: all'assemblea 1 969 erano presenti 257 azionisti rappresentanti in proprio e per delega circa il 6 0 % del capitale.
La società nasoe nel 1 920 dal ceppo della PÌlrellina ( la Pirelli & c., ace. per a7Jioni ), ma le sue origini si possono far risalire al 1 872, anno in cui l'ing. Giovan Ba;ttist.a Pirel'Ii inizia la sua attività con una piccola impresa che producev-a , con circa 40 dipendenti, articoli in gomma per applicazfoni industriali. Due soli cl:aiti sono sufficienti a darci un'idea delle dimensioni della società, oggi, e del cammino percorso: 23.800 dipendenti in Italia,
I maggiori gruppi: struttura e legami personali
circa 30 .000 all'estero ; complesso di stabilimenti in Milano cocca », il maggiore, che occupa una superficie di 750 .000 mq.
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La Bi
Ahri 22 sono ata del trasporto aereo, secondo una dinamica di sviluppo a ritmi sempre crescenti. L'Ali-talia controlla diverse società la cui attiv�tà fa da corollario a qudla da essa esercitata. Consiglio amministrazione 1 969: N. Ca·randini ( P.0.), B. Velani ( P., C.D.), A. Remondino ( V.P. ), V. Vaccari (C.) (C. Comp. It. Westinghouse, Finsider, Ras), E. Agosta (C.), S. Baresi ( C.), F. Calabria (C.) (D.C. Iri ; C. Finmare, Stet, Sip, Sme), B. Capomazzo di Campolattaro (C.) G. Devoto (C.), F. Giarotto (C.} (C. Firunare), S . Magri (C.) (C. Dalmine), U.C. Musco (C.), E. Radice Fossati (C.) (P. Aedes; V.P. Gruppo Lepetit, Tecn. it. B.B.; C. Montedison, ChatiMon, Co-Ge, Comp. assic. Milano, Cucirini Cantoni coats, L'assic. it., Pirelli spa), R. Santini (C.), A. Sorrentino (C.), G. Unterrichter (C.). Collegio sindacale nel 1 969 : A. Marcantonio (P.c.s.), M. Bocci, G. Brusadelli ( c.s. Temi ). M. Calami1ta, V. Maroni. la Società Autostrade-Concessioni e costruzioni autostrade (c.s.
10 mdi, Iri 1 00 % ) alla quale, dal momento della sua costituzione
I maggiori gruppi: struttura e legami personali
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( 1 956) s pno stati affidati per convenzione con l'Anas i piani di costru zione, ammodernamento e completamento, oltre l'esercizio, della gran parte della rete autost-radale in concessione ( tra cui la Milano Napoli e la Bologna Canosa). Con la complementare I talstrade spa (c.s. 2.295 mdi, Iri 99,85 % ) e le sue controllate costituisce un vero e proprio grup po omogeneo di settore. Consiglio amministrazione 1 969 : F. Cova (P.) ( P. Cementir e C.D. ), F. Calabria (C.) (D.C. Iri; C. Alitalia, Finmare, Stet, Sip), B. Corazza (C.), S. De Amicis (C.D., D.G.), L. Medugno ( C. ) ( D.G. Iri; C. Sme, Alfa Romeo), O. Antonio (V.P. ), E. Santucci (V.P., C.D.). Collegio sindacale 1 96 9 : G . Mancino ( P.c.s.), D'Amadeo (c.s. Sme), A. Del Sinno, A. Rolli, G. Spinola-F. Castellucci ( D.G.).
la RAI-Radio televisione italiana (c.s. 10 mdi, Iri 75,45 % ; Stet 22,90% ; altri 1 ,55 % ) vero e proprio « monoix>lio dell'informazione », avendogl:i lo Stato affidato in e�lusiva la gestione dei pubblici servizi di radioaudizione, di televisione e di filodiffusione. È un « centro di potere » di formidabile imix>rtanza, la cui dire zione e gestione, sott·ra:tta all'effettivo controllo deHe forze rappresen· tarive, è oggetto di manovre della classe dominante. Vediamo ora la « scheda informativa » dell'altra grande pubblica.
holding
Ente nazionale idrocarburi (Eni) - Roma
Anno di costituzione 1 953 (legge 10 febbraio 1 953, n. 1 36 ). Fondo di dotazione ( 1 968) L. 778.9-00.000.000. L'Eni è nato negli anni cinquanta includendo nel proprio patri monio le partecipazioni azionarie possedute dal Demanio nelle società Agip, Anic, Romsa, Snam, nonché il patrimonio dell'Ente nazio nale metano, che veniva soppresso. La dedsione di costit.ui·re l'Ente, infaui, conclude una lunga serie di vicende relative all'intervento dello Stato nel settore petrolifero, delle quali è impossibile, in questa Siede, riassumere anche soltanto i moment-i piu imix>rtanti 1 • t Si rinvia alla consultazione della Enciclopedia del petrolio e del gas naturale, a cura dell'Ente nazionale idrocarburi e, in particolare, alla lettura dell'estratto dal IV voi., L. FALESCHINI, G. KoJANEC, Ente nazionale idrocarburi ( Eni), Roma, Edit. C. Colombo, 1968.
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Appendice III: Il capitale finanziario italiano
La legge istitutiva ha affidato all'Ente « il compito di promuovere ed attuare iniziative di in teresse nazionale nel campo degli idrocarburi e dei vapori naturali » e gli ha conferito l'esclusivii tà della ricerca e dello sfruttamento degli idrocarburi e deUa costruzione ed esercizio dei metanodotti su vasta parte del territorio nazionale. Da questa origine, con ritmi e dinamiche di sviluppo sempre cre scenti, attraverso l'estensione degli interventi in diversi settori inte grati e /o comunque collegati e complementari (chimièo, tessile, mecca nico) all'attiività di base e la progressiva introduzione in altri di -primari.a importanza (nucleare), l'Ente è venuto assumendo negli anni sessanta la fisionomia di grande holding di livello internazionale. Anche 1a « seconda » holding pubblica italiana, nonostante il capitale di fondazione statale ed i vincoli dell'inquadra.mento nel sistema delle partecipazioni statali, ha co111SOlidato e promosso stretti legami con il ciipitiale finanziario nazionale ed i•nternazionale, i cui rarl-' u:: sentanti, se pure possessori di quote pariitetiche o di minoranza dei pacchetti azionari, sono 1aTgamente rappresentati nelle svariate società opemtive del gruppo. L'Eni, in modo simile all'Iri, è articolato per la maggior parte deHe sue attività in tre diverisi stadi: le società che svolgono atit:iwtà produttive e di servizi, alla base; queste poi, secondo un assetto omo geneo, fanno capo a società capogruppo ( holdings miste) delle quali l'Ente detiene o la totalità o il pacchetto di maggioranza delle azioni 1 • Alla data del 31 dicembre 1 968 H gruppo comprende oltre 150 società nelle quali l'Ente ha una partecipazione di rilievo, con circa 64 mila d1pendenti per le sole società di cui detiiene il 50% del capitale; ha un fatturato che osci1La i.ntomo ai 1 .300 miliardi ( il ·settore idrocar buri vi contribu� per 1'80% drca) ed una capacità d'investimento che v·a intorno ai 250-300 miliardi annui (oltre 2/3 in Itali.a). Concorre alla produzione nazionale di gas naturale per il 9 5 % e ne a.ssicura il trasporto e la distribuzione attraverso la rete nazionale dei memnodotti della cui costruzione ed esercizio ha praticamente il rnonopoLio; copre La quasi 'totalità della produzione di idrocarburi liquidi e liquefacibili ( 98 % ); è presente con permessi di ricerca e concessioni di coltivazione I Per una migliore comprensione della struttura del Gruppo Eni e della sua evoluzione storica, cfr. Interventi parlamentari concernenti l'Eni, le società del gruppo ed in genere le attività petrolifere dello Stato, Prima Legislatura ( 1 9481953), Roma, i964. C.R. DECHERT, Ente nazionale idrocarburi. Pro/ile of a state corporation, Lt>ida, 1963, e D. VoTAw, Il cane a sei zampe. Mattei e l'Eni: saggio sul potere, Milano, Feltrinelli, 1965, oltre che .Eni, Ente nazionale idrocarburi, Relazioni e bilancio al . . . . , Roma, 19.53 ed anni successivi.
I maggiori gruppi: slrullura e legami personali
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in tutte le aree geografiche del pianeta interessate; ha una propria flotta cisterniera capace di circa 5-00 mila tpl. È presente in tutto il mondo con la propria attività di progettazione e di montaggio (Snam Progetti). Con la propria produzione chimica, in particolare, ma anche con quella ·tessile e meccanica, copre quote di rilievo e sempre crescenti della produzione nazionale di settore. Tra le società capogruppo di settore, mediante le quali l'Ente coordina ed attua la sua po1itica, alcune trovano la loro origine prima della sua costi•tuzione e ne rappresentano il nucleo di base al suo sorgere ( Agip, Anic, Snam ); altre, legate alle prime, sono state acquisite al gruppo successivamente ( Nuovo Pignone, Lanerossi ) o dallo stesso promosse ( Snam Progetti, Sofid) al momento dell'intervento in nuovi settori ; insieme alle consociate e collegate hanno dato origine a nuÒvi gruppi settoriali omogenei di crescente peso. Delle società capogruppo, vere e proprie subholdings miste, ricordiamo: l'AGIP spa, già costituita come Azienda generale petroli fin dal lontano 1 926 con capitale dello Stato e di enti, al fine di operare diret tamente o indirettamente, in tutti i settori dell'industria petrolifera. Al 3 1 dicembre 1 968 la società ha un capitale sociale di 1 00 mi liardi (84 % ; Ina 1 0 % , Inps 6 % ) ; presiede ancora oggi al controllo ed al coordinamento d:i gran parte delle attività inerenti findustria petrolifera con la ricerca degli idrocarburi e la distribuzione dei pro dotti. Controlla o partecipa ad alcune decine di importanti società che prendono nome, talvolta, dalla zona di attività, come l'Agip Neder land, Petroleos Colombianos, Saudi Arabia, Tailandia ecc. Tra le altre maggiori ricordiamo la Cope-Compagnie Orientale des Pétroleos . d'Egipte (c.s. 22,880 mdi, 50 % ; 50% eQ_ti egiziani), la Ieoc-Interna tional Egiptian Oil Company ( c.s. 9,360 mdi, 99,84% ), la Sitep--Société Italo Tunisienne d'Exploitation Pétrolière (c.s. 5,925 mdi, 50 % ; 50% Stato tunLsino) ecc. •
Consiglio amministrazione 1 968: E. Cefis (P.) ( P. Eni , Snam ; C. Banca commerc. ital., Ina), R. Girotti (V.P. ) (V.P. Snam, Eni; 1 969 P. Lanerossi; C. Monte dison ), A. Fornara {V.P.) (D.G. Eni; V.P. Lanerossi, Anic, Snam), G. Bartolotta (C.D. ), G. Arcaini (C. ) (P. Italgas; C. Fin'Sider, Snam), U. Calderoni, G. Cannella, E. Casò (C.) (C. Italgas), F. Ciancimino, L. Faleschini, M. Galiano (C.) ( C. Ita1sider), F. Piga, C. Redondi (C.} (C. Lanerossi ), F.S. Passarelli (C.) (P. Ina), O. Tozzi, A . Uggè (C.) (C. Snam ).
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Appendice III: Il capitale finanziario itali.i110
Collegio sindacale 1 968: G. Parzini ( P.c.s.) (c.s. Snam), G. Cerulli (c.s. Lanerossi ), N. Gio coli (C. Terni), R. Marnetto (c.s. Anic, Snam) , M. Mucci.
l'ANIC spa, già costituita nel 1 936 (Azienda nazionale idrogenazio ne combustibili) con capitale per metà pubblico (Agip e Ferrovie dello Stato) e per metà privato (Monteeat1ni ), per la idrogenazione del grezw e piu in generale per tutte le attività di raffinazione. All'atto di costi· tuzione dell'Eni il capitale era per il 40,6% del Demanio, per il 3 ,2% dell'Agip e per la restante quota di azionisti privati. Al 31 dicembre 1 968 la società ha un capitale di 1 1 3 ,500 miliardi (68,3 % gruppo Eni, l'Ente il 52% ; terzi azionisti 3 1 ,7 % ). Oggi opera direttamente nel settore petrolchimico ( Ravenna, Gda, Pisticci ) e della raff.inaziune ( Gela, Sannazzaro) oltre a dirigere e coordinare l'attività e lo sviluppo di importanti consociate. Nel settore chimico controlla. la Abcd ( c .s. 7 ,5 mdi, 1 00 % ), la Società chimica Ravenna ( c.s. 1 ,5 mdi, 5 1 % ; 49% Wacher Chemie), la Società chimica Larderello (c.s. 500 mli, 5 1 % ) e partecipa alla Isaf-Ind. siciliana acido solf. (c.s. 2,5 mdi, 26% ), alla Ispea (c.s. 2 ,5 mdi, 1 1 % ) alla Phillips Carbon Black I taHana (c.s. 1 ,1 mdi, 50 % ; 50% PhiUips Petroleum Co.), ecc. Nel settore della raffinazione la Stanic-Industria petrolifera (c.s. 1 4,5 mdi, 50 % ; 50% Esso Standard), la Irom-Ind. raff. olii minerali (c.s. 7 mdi, 5 1 % , 49 % BP), la Ghaip--The Ghanaian It. Petr. Co. (c.s. 5 ,750 mdi, 95 % ; 5% Agip), la Stir-Soc. tuniso ital. de Raffi.n:age (c..s. 3,8 mdi, 50% ; 50% Stato tunisiino), ecc. ,
C.Onsiglio amministrazione 1 969: E. Cefis (P. ) ( P. Eni, Snam; C. Banca comm. it., Ina), A. Fornara (V.P. ) (V.P. Lanerossi ), G. Pagano (C.D. ), G. Corsi, F. Marinone, G. Sabbatini, A. Uggè. Collegio sindacale 1 969: G. Baita (P.c.s.), M. Cigliano, N. Colet.ti, G . Gallo, R. Mametto (c.s. Italgas, Montedison). la SNAM spa, costituita nel 1 94 1 tra l'Ente naz. met., l'Agip, le Terme di Salsomaggiore ( 3 0 % ciascuno) e la Surgi ( Hl % ) per la co struzione e l'esercizio dei metanodotti e la distribuzione e la vendita del metano. Al 3 1.dicembre 1 968 la società ha un capi:tale d!i 60 miliardi ( 100% Eni) ; coordina e controlla attraverso le consociate lo sviluppo ( costru zione ed esercizio) della rete nazionale dei metanock>tti, oltre partecipare
I maggiori gruppi: stru!!ura e legami personali
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alle piu importanti iniz.iative relative alla rete dei grandi oleodotti del centro Europa. Si ri O Per quanto concerne l'investimento il ragionamento correva m questi termini: gli imprenditori intendono sfruttare le opportunità di investimento che vengono loro offerte dal mercato e da ciascuna delle quali si attendono un certo saggio di rendimento, e sono disposti ad offrire un « premio » a coloro che mettono a loro disposizione i fondi necessari all'investimento. Se i fondi vengono offerti ad un saggio di interesse inferiore al saggio di rendimento di un determinato investimento, l'imprenditore troverà vantaggioso prendere a prestito il denaro ed effettuare l'inve stimento. Se, invece, il « costo » dei fondi è maggiore del saggio di · rendimento che si prospetta per l'investimento, l'imprenditore non prenderà il denaro a prestito e non effettuerà l'investimento. Infine, nell'ipotesi che il saggio di interesse sia esattamente uguale al saggio di rendimento, l'imprenditore sarà indifferente circa la contrazione o meno del prestito e, quindi, circa la effettuazione o meno dell'inve stimento. Dalle osservazioni che precedono emerge con chiarezza che l'inve stimento era considerato dai classici una funzione del saggio di inte resse e, piu precisamente, una funzione decrescente di esso: I = I (r) ed I' (r) < O Nel modello classico si ha, pertanto, un mercato di « fondi » nel quale l'offerta è rappresentata dal risparmio, la domanda dall'inve stimento ed il prezzo dal saggio di interesse. Questo mercato può essere rappresentato mediante il grafico ( 1-1 ) Sull'asse delle ordinate poniamo il saggio di interesse e su quello delle ascisse il volume dell'investimento e del risparmio. La curva II rappresenta la funzione dell'investimento e la curva SS la funzione del risparmio. Ora, qualora il saggio di interesse si trovi al di sopra di r. ( sia maggiore di r.) il volume del risparmio è maggiore di quello dell'inve stimento, sicché non tutti coloro che intendono risparmiare trovano qualcuno che sia disposto a pagare loro il tasso di interesse corrente. Ma poiché gran parte di coloro che non trovano una « controparte » sono disposti ad offrire il proprio risparmio anche ad un saggio di inte resse inferiore e gli imprenditori, ovviamente, preferiranno prendere a prestito ad un saggio di interesse piu basso, il saggio di interesse .
Appendice IV: Macroeconomia
382
Figura
1-1
r
I I, S di mercato tende a cadere riducendo il gap fra risparmio ed inve stimento. Questo processo prosegue fino a che il volume del risparmio e quello dell'investimento non saranno esattamente uguali. D'altro canto, ove il saggio di interesse fosse inferiore a quello di equilibrio, il volume dell'investimento sarebbe superiore a quello del ri sparmio, cioè non tutti gli imprenditori disposti ad investire a quel saggio di interesse troverebbero dei risparmiatori pronti ad offrire fondi. Tutta via, gran parte degli imprenditori che non sono in grado di procurarsi le risorse desiderate, sarebbero disposti a pagare un saggio di interesse piu elevato per i prestiti e, d'altro canto, i risparmiatori preferiscono ottenere un saggio di interesse piu elevato. In questo modo il saggio di interesse aumenta provocando una riduzione del gap fra ammontare del risparmio e dell'investimento. L'ascesa del saggio di interesse prosegue fino a che non si rag giunge il saggio di interesse che promuove l'uguaglianza di risparmio ed investimento. In conclusione, i movimenti del saggio di interesse sono in grado, in un mercato concorrenziale, di garantire l'uguaglianza fra risparmio ed investimento e, quindi, come risulta da quanto detto alla fine del paragrafo precedente, fra domanda ed offerta aggregata di prodotto.
I. Il modello classico
383
La validità della legge del Say risulta pertanto verificata anche qualora si tenga conto del risparmio e dell'investimento. Alcuni autori ritengono che la tesi classica secondo la quale la piena occupazione del lavoro rappresenta lo stato normale di un sistema econo mico perfettamente concorrenziale sia fondata sulla legge del Say. Questo punto di vista non è esatto in quanto, come abbiamo appena visto, la legge del Say afferma .semplicemente che la domandà e l'offerta di beni sono uguali qualunque sia il livello di produzione raggiunto dal sistema economico, ma non dice nulla sulle forze che determinano il livello della produzione e dell'occupazione. In effetti per conoscere la posizione dei classici su questi problemi è necessario esaminare un altro « com parto » del loro sistema teorico e, precisamente, la teoria del funzio namento del mercato del lavoro. Prima di fare ciò, tuttavia, sembra opportuno dire qualcosa su di un concetto che ritornerà piu volte nel corso del nostro lavoro: la funzione della produzione.
La funzione della produzione n concetto di funzione della produzione è fondamentale sia nel quadro della teoria microeconomica che in quello della macroeconomia ed è pertanto opportuno soffermarsi un po' su di esso. Dal punto di vista microeconomico il concetto di funzione della produzione non presenta difficoltà. In un certo stato della tecnica le varie imprese impiegano determinate quantità dei vari fattori della produzione ed ottengono certi livelli di produzione. Per ogni combi nazione di fattori si ha un particolare risultato produttivo e maggiore è l'ammontare dei fattori impiegati piu elevata è la produzione che ne risulta. Ebbene, la funzione della produzione esprime la relazione tecnica fra le quantità di fattori impiegate dall'imprenditore e la quantità di prodotto ottenuta. Essendo una funzione tecnica, la funzione della pro duzione può essere conosciuta solo empiricamente mediante accertamenti tecnici basati sulla osservazione di circostanze di fatto. Nel corso del nostro lavoro assumeremo, salvo esplicita deroga, funzioni della produzione esprimibili in termini di una singola funzione continua. Nella sua forma generale questo tipo di funzione della pro duzione può essere espressa con l'equazione: X = F ( a 1 , az, . . . . . , an)
Appendice IV: Macroeconomia
384
dove X è l'ammontare di prodotto ottenuto, a1, a1 . . . . . , an i fattori della produzione impiegati ed F rappresenta la forma della funzione. Si dice prodotto marginale di un fattore, in termini finiti, la varia zione del prodotto totale che consegue ad una variazione unitaria della quantità impiegata del fattore stesso, fermo restando l'ammontare impiegato degli altri fattori . In termini infinitesimali il prodotto margi nale di un fattore è la derivata parziale della funzione della produzione rispetto al fattore in questione. Nd caso della funzione appena presen8F
aF
aF
tata --, --, . . . . . sono, rispettivamente, le produttività a a1 a a1 a an marginali dei fattori a1 , a1 . . . . an . Ogni singola impresa presenta una funzione della produzione che, in generale, è diversa dalle funzioni della produzione delle altre imprese. Ebbene, se noi sommiamo le funzioni della produzione di tutte · 1e imprese operanti in un sistema economico otteniamo un'unica funzione della produzione che è detta funzione aggregata della produzione. A differenza della funzione microeconomica la funzione aggregata della produzione presenta una notevole serie di difficoltà dal punto di vista teorico, tanto che da parte di alcune correnti di pensiero . si giunge perfino a negare l'esistenza stessa di una funzione aggregata della pro.duzione. Di questo tipo di problemi ci occuperemo peraltro piu avanti allorché passeremo a considerare la critica rivolta dalla scuola di Cambridge alla teoria neoclassica della produzione e della distri buzione. Per ora assumiamo che sia possibile costruire, almeno teorica mente, una funzione aggregata della produzione. Tale funzione, evidentemente, presenta tutti i fattori della produ zione che compaiono in almeno una delle funzioni della produzione microeconomiche. Tuttavia nei modelli macroeconomici si adotta, in generale, una forma semplificata della funzione aggregata della produ zione, nel senso che i fattori della produzione vengono raggruppati in tre grandi categorie: terra, lavoro e capitale. La terra comprende tutte le risorse naturali di un territorio ( super ficie coltivabile, fattori metereologici ecc.), il lavoro tutti i soggetti che sono impiegati e collaborano alla produzione, ed il capitale ogni materiale che sia stato a suo tempo oggetto di produzione e venga reimpiegato a fini produttivi. La funzione della produzione può, pertanto, essere espressa nella forma: y = rp (L, N, K ) . --
I. Il modello classico
Dove y è il prodotto, L la terra, N il lavoro, K il capitale e cp indica la forma della funzione della produzione. Per quanto riguarda le caratteristiche di questa funzione della pro duzione assumiamo la validità del principio dei rendimenti decrescenti. Le produttività marginali dei tre fattori della produzione sono pertanto positive ma decrescono con l'aumentare dell'impiego dei fattori stessi. In molti modelli il fattore terra viene trascurato in quanto poco rilevante nell'ambito di sistemi economici caratterizzati da· un elevato livello tecnologico e la funzione della produzione è espressa in termini di due soli fattori. Nei modelli macroeconomici di breve periodo, infine, l'unico fattore considerato variabile nella funzione della produzione è il lavoro poiché, secondo la definizione marshalliana, il breve periodo è quel lasso di tempo nell'ambito del quale la variazione dell'ammontare di capitale è talmente esigua da poter essere trascurata. " ' Si ha, cioè, y = y ( N ), con y (N) > O ed y (N) < O. Questa funzione della produzione può essere rappresentata grafi camente con il diagramma della fig. 1-2. Figura
I-2
y
N L'andamento della curva esprime l'affermato principio dei rendi menti decrescenti. Infatti la produttività marginale del lavoro ( la derivata della fun zione) in un punto, ad es. P, è rappresentata graficamente dalla incli nazione della retta tangente alla curva in quel punto, e dal grafico emerge con chiarezza che l'inclinazione della tangente diminuisce man
386
Appendice IV: Macroeconomia
mano che ci si sposta verso destra e, cioè, aumenta l'impiego del fattore lavoro. Nel quadro del modello classico che andiamo esponendo assu miamo che la funzione della produzione abbia le caratteristiche della funzione della produzione appena descritta e, cioè, contenga il solo lavoro come fattore variabile. Da notare che, poiché in questo tipo di funzione si ha una corre lazione univoca fra l'ammontare di lavoro impiegato ed il livello della produzione, sarà sufficiente determinare il livello di equilibrio dell'occu pazione perché possiamo ricavare immediatamente il livello cui perviene la produzione totale.
Teoria del/'occupazione La teoria clas"sica della determinazione del salario e dell'occupa zione non è altro che un caso particolare della teoria generale del valore, salvo alcune qualificazioni non fondamentali che non è qui il caso di riferire. Il salario costituisce infatti il prezzo del fattore lavoro ed è deter minato, come tutti i prezzi, dalla interrelazione fra la funzione di domanda e la funzione di offerta ( del lavoro stesso), la quale determina simultaneamente anche l'ammontare di lavoro che viene concreta mente impiegato nel processo produttivo. In questo contesto l'esposizione della teoria classica dell'occupa zione non può non prendere le mosse dalla costruzione delle funzioni globali di domanda e di offerta di lavoro nel quadro di un mercato perfettamente concorrenziale. I teorici classici osservavano che le fun . zioni globali ( o .complessive) di domanda e di offerta di lavoro non potevano che essere ricavate dalla aggregazione, rispettivamente, delle funzioni di domanda dei singoli imprenditori e delle funzioni di offerta dei singoli lavoratori, sicché l'analisi delle caratteristiche delle funzioni macroeconomiche di domanda e di offerta nel mercato del lavoro si risolve nell'esame delle caratteristiche delle relative funzioni micro economiche. Per quanto riguarda la domanda di lavoro dobbiamo innanzitutto osservare che, date le assunzioni semplificatrici del modello, vi è un'unica categoria di operatori che domanda lavoro sul mercato e preci samente quella degli imprenditori. Questi ultimi, operando in regime di concorrenza perfetta, impie-
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I. Il modello classico
gano un ammontare di lavoro tale che il prodotto marginale del lavoro sia uguale al salario reale, ovvero che il salario monetario sia uguale al valore del prodotto marginale del lavoro. La condizione di equilibrio dell'imprenditore può essere cosf espressa: w dy dy ovvero W = P dN dN P dove W è il salario monetario e P è il livello generale dei prezzi. Se il salario reale aumenta l'imprenditore riduce la propria domanda di lavoro, mentre se il salario reale diminuisce la domanda di lavoro viene aumentata in quanto, per il principio dei rendimenti decrescenti, solo in questo modo l'imprenditore potrà mantenere l'equilibrio. In sostanza la domanda di lavoro è una funzione decrescente del salario reale Nd = X (W/P) con X' (W/P) < O La curva di domanda di lavoro può essere rappresentata dal grafico I.3 -
Figura
1-3
w p
N e
Sull'asse delle ascisse abbiamo l'ammontare di lavoro domandato su quello delle ordinate il salario reale.
Appendice IV: Macroeconomia
388
L'inclinazione negativa della curva mette in evidenza che la doman da di lavoro aumenta con il ridursi del salario reale e diminuisce con il suo aumentare. Per quanto concerne la funzione di offerta di lavoro i classici mettevano anzitutto in evidenza che un individuo razionale, e quindi non affetto da illusione monetaria, offre i propri servizi produttivi tenendo presente il salario reale e non il salario monetario. E poiché, d'altra parte, è probabile che quanto piu è elevato il salario reale tanto maggiore sia l'offerta di lavoro e viceversa, l'offerta di lavoro era considerata funzione crescente del salario reale: Ns = 0 (W /P) con 0' (W /P) > O Graficamente possiamo rappresentare la funzione di offerta di lavoro mediante un diagramma simile al precedente, con la sola differenza che questa volta sull'asse delle ascisse viene riportato l'ammontare di lavoro offerto e non quello domandato (fig. 1-4 ). Figura
1-4
'il. p
N In questo caso l'inclinazione della retta Ns è positiva ed è facile verificare che ad un salario reale maggiore corrisponde un'offerta di lavoro piu elevata di quella che viene effettuata ad un salario reale meno elevato. Se riuniamo i due grafici in uno solo otteniamo una illustrazione completa della situazione nel mercato del lavoro (fig. 1-5 ).
I. Il modello classico
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Figura I-5
N
Al salario (W /P)F si ha equilibrio nel mercato del lavoro nel senso che tutti coloro che cercano lavoro a quel determinato saggio di salario trovano un lavoro e che tutti gli imprenditori riescono a procurarsi esattamente l'ammontare di lavoro che desiderano impiegare (sempre a quel determinato saggio di salario). Si osservi che la situazione indi viduata dal punto E è detta anche situazione di piena occupazione in quanto non esistono lavoratori che desidererebbero lavorare e non trovano un posto di lavoro. A livelli diversi del salario reale non si ha equilibrio nel mercato del lavoro e piu precisamente: a) se il salario reale si trova al di sopra del valore di equilibrio, ad es. a (W /P)', l'offerta di lavoro eccede la domanda di lavoro di un ammontare pari ad A' B'; b) se il salario reale si trova al di sotto del valore di equilibrio, ad es. a (W /P)", la domanda di lavoro eccede l'offerta di un ammontare pari ad A" B". Nella prima ipotesi si ha disoccupazione del lavoro e nella seconda vi sono posti di lavoro non coperti. La tesi fondamentale della teoria classica dell'occupazione è data dalla affermazione che in un regime perfettamente concorrenziale queste due situazioni non possono essere mantenute e che le forze del mercato
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Appendice IV: Macroeconomia
promuovono il raggiungimento della posizione di equilibrio e, cioè, della piena occupazione del lavoro. Come viene ottenuto questo risultato? Esaminiamo la situazione del mercato del lavoro nell'ipotesi che il salario reale sia (W /P)'. Come abbiamo già detto l'offerta di lavoro eccede la domanda ed un certo numero di lavoratori rimane disoccupato. Ebbene, la massima parte di questi disoccupati è disposta, pur di la vorare, a ricevere un salario reale inferiore a quello vigente sul mer cato ed offre le proprie prestazioni riducendo le pretese salariali. Gli imprenditori, evidentemente, preferiscono impiegare dei lavoratori che pretendono un salario piu basso, sicché coloro che sono occupati sono costretti ad adeguare le proprie richieste remunerative a quelle dei disoccupati per non perdere il posto di lavoro. In questo modo si ha un abbassamento del salario reale, un aumento della occupazione, ed una riduzione del gap fra domanda ed offerta di lavoro. Questo processo di abbassamento del salario reale e di aumento Jell'occupazione va avanti fino a che vi sono lavoratori disoccupati che sono disposti a lavorare per un salario piu basso di quello esi stente sul mercato e, cioè, fine> a che non si è pervenuti alla posizione di equilibrio ( di piena occupdzione). Se, invece, H salario reale è al livello (W /P)" il meccanismo di mercato promuove un processo in senso inverso rispetto a quello appena descritto. Al salario reale ( W /P)" si ha, come abbiamo veduto, un eccesso della domanda sull'offerta di lavoro. Molti degli impren ditori che non sono riusciti a soddisfare la propria domanda di lavoro sono disposti ad offrire ai lavoratori un salario reale piu elevato di quello vigente sul mercato. Ovviamente i lavoratori preferiscono un salario piu elevato ad uno meno elevato, sicché gli imprenditori che non intendono perdere i propri dipendenti sono costretti ad aumentare il salario reale. Con l'aumento del salario reale si riduce il gap fra domanda ed offerta di lavoro, ed il processo di aggiustamento va avanti fino a che non esiste piu alcun imprenditore disposto a pagare ai lavoratori un salario reale piu elevato di quello vigente sul mer cato. Anche in questo caso, quindi, si ha una convergenza del mercato verso la posizione di pieno impiego. Coerentemente con la propria visione del funzionamento del mercato del lavoro nell'ipotesi di concorrenza perfetta, gli econo misti classici sostenevano che la emergenza di situazioni nelle quali una parte delle forze di lavoro disponibili rimaneva durevolmente disoccupata doveva essere ascritta alla presenza di elementi non con-
I. Il modello classico
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correnziali �he mantenevano il salario reale ad un livello superiore a quello necessario per il verificarsi dell'equilibrio di pieno impiego. Gli elementi non concorrenziali potevano consistere, in concreto, o in un intervento pubblico che operasse la fissazione di un livello minimo di salario o nell'azione dei sindacati dei lavoratori che si opponessero a riduzioni nel livello dei salari stessi. Ad ogni modo, in nessuno di questi casi si poteva a rigore so stenere il carattere involontario della disoccupazione. La disoccupa zione era, in un certo senso, voluta o dallo Stato o dai sindacati che mostravano di preferire una situazione nella quale esisteva una certa aliquota di disoccupazione, ma il livello dei salari dei lavoratori occu pati era piu elevato di quello di pieno impiego, alla situazione di pieno impiego ad un livello dei salari reali meno elevato. Concludendo, la posizione della scuola classica in relazione al problema dell'occupazione può essere sintetizzata nelle seguenti pro posizioni: 1 ) in un sistema economico perfettamente concorrenziale sia nel mercato dci prodotti, sia in quello dei fattori della produzione, la posizione di equilibrio è caratterizzata dalla piena occupazione del lavoro ovvero, che è lo stesso, da assenza di disoccupazione in volontaria; 2) la concorrenza fra i lavoratori e fra gli imprenditori garan tisce la convergenza della situazione di mercato verso la posizione di equilibrio; 3 ) qualora vi siano, per una qualsiasi ragione, rigidità nel livello dei salari, il meccanismo concorrenziale che garantirebbe il consegui mento dell'equilibrio ( di pieno impiego) non funziona ed il sistema economico può attestarsi in maniera duratura su di una posizione caratterizzata da un livello di occupazione inferiore a quello pieno. In questo caso, peraltro, non si può parlare di disoccupazione involontaria in senso stretto.
Teoria quantitativa della moneta e livello generale dei prezzi Il pensiero economico classico è caratterizzato da quella che viene chiamata la « classica dicotomia » fra settore reale e settore monetario. La dicotomia consiste nel fatto che, secondo gli economisti classici, un sistema economico monetario funziona sostanzialmente come una economia di baratto; la moneta ha · la funzione di facilitare
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Appendice IV: Macroeconomia
lo svolgimento dei processi reali, ma non modifica m alcun modo l'esito dei processi stessi. Per questa ragione l'analisi del sistema economico può essere divisa in due parti : nella prima si procede nell'ambito di una eco nomia senza moneta e si esamina la determinazione dei prezzi rela t1 v1 e delle quantità (teoria del valore) e del saggio di interesse; nella seconda si prendono in considerazione i fenomeni monetari e si cerca di spiegare il livello « assoluto » o generale dci prezzi. Conformemente a questa impostazione nei paragrafi che precedono abbiamo esaminato il settore reale del modello economico classico ed abbiamo spiegato la determinazione dcl livello del reddito, del l'occupazione, del salario reale, dell'interesse, del risparmio e dell'in vestimento. Rimane ora da considerare il settore monetario e la spie gazione dei classici della determinazione del livello « assoluto » dei prezzi. L'analisi monetaria classica è incentrata sulla c.d. teoria quanti tativa della moneta la cui proposizione fondamentale può essere cosi sintetizzata: « il livello generale dei prezzi varia proporzionalmente alla quantità di moneta in circolazione » . Esistono sostanzialmente due versioni della teoria quantitativa della moneta che esamineremo ora brevemente nei loro aspetti essen ziali : la prima fa capo a Fisher e Newcomb, la seconda al Marshall ed alla scuola di Cambridge. La versione della teoria quantitativa formulata dal Fisher prende le mosse dalla c.d. « equazione dello scambio » . Che cos'è l'equazione dello scambio? Ogni operazione di compravendita nel mercato comporta uno scambio fra un certo ammontare di un determinato bene ed un certo ammontare di moneta, la cui entità dipende e dalla quantità del bene che viene venduta ed acquistata e dal prezzo di mercato del bene stesso. La transazione può essere espressa con l'equazione: M1 = p1 q1 dove M 1 è l'ammontare di moneta spesa e p1 e q 1 rispettivamente, il prezzo e la quantità del bene oggetto di contrattazione. Poiché per ogni scambio è possibile scrivere un'equazione analoga a quella precedente possiamo sommare membro a membro tutte le equazioni relative agli scambi avvenuti in un certo periodo ottenendo : + Pn qn Mn = Pt q1 + P2 q2 + n dove M è l'ammontare totale di moneta usato nelle transazioni ed •
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i p ed i q sono i prezzi e le quantità scambiate dei singoli beni. Ora, la qu:m tità di moneta utilizzata per effettuare gli scambi nel periodo considerato è un multiplo della quantità di moneta in circolazione, in quanto una stessa unità monetaria può essere uti lizzata per · parecchie transazioni. Definendo velocità di circolazione della moneta il numero di transazioni nelle quali l'unità monetaria è stata impiegata, mediamente, nel lasso di tempo considerato, la parte monetaria dell'equazione dello scambio può essere espressa con MV dove M è la quantità di moneta esistente nel mercato e V la sua velocità di circolazione. Assumendo la possibilità di aggregare le quantità scambiate dei vari beni e di avere un indice ponderato dei prezzi, otteniamo l'equa zione dello scambio formulata dal Fisher: M V = Py dove P è l'indice del livello dei prezzi ed y è l'ammontare di pro dotto ottenuto e scambiato nel periodo che si considera. A ben guardare, piu che una vera e propria equazione, la c.d. equazione dello scambio è una identità in quanto, come in ogni scambio l'ammontare di moneta pagato ed il valore del bene ven duto sono necessariamente equivalenti, cosi è anche nell'insieme degli scambi. Ma se i'« equazione dello scambio » è una identità, sembre rebbe impossibile utilizzarla al fine di costruire una teoria e, cioè, di individuare delle relazioni causali fra le variabili che compaiono in essa. Il Fisher ed i suoi seguaci, tuttavia, erano di diverso avviso. Essi osservavano innanzitutto che la velocità di circolazione della moneta ed il livello della produzione erano indipendenti dalla quantità di moneta in circolazione e dal livello dei prezzi. In effetti la velocità di circolazione dipende da fattori quali la densità della popolazione, la rapidità dei t�asporti, le condizioni tecniche, ma « in nessun modo dalla quantità di moneta in circolazione né dal livello generale dei prezzi »; ed il livello della produzione, come abbiamo visto nei para grafi che precedono, è determinato dalle forze che agiscono nel mercato del lavoro e, quindi, in maniera indipendente dalla. quantità di moneta in circolazione e dal livello dei prezzi. « Ma se V ed y rimangono costanti al variare della quantità di moneta - proseguiva il Fisher - e tuttavia l'equazione dello scambio non può non essere soddisfatta, è chiaro che il livello gene rale dei prezzi deve variare nella stessa direzione e proporzione della quantità di moneta. »
Appendice J V: Macroeconomia
394
La versione della teoria quantitativa elaborata a Cambridge si distacca dalla formula del fisher soprattutto perché sostituisce alla considerazione della velocità di circolazione della moneta quella della preferenza per la liquidità. Il Marshall osservava che l'identità espressa dall'equazione dello scambio era ovviamente corretta « ma essa non consente di indi viduare le cause che determinano la velocità di circolazione; per sco prirle dobbiamo aver riguardo all'ammontare di potere di acquisto che un paese sceglie di tenere in forma liquida » . Da che cosa dipende, secondo gli economisti della scuola di Cambridge, l'ammontare di potere di acquisto che un individuo in tende tenere a propria disposizione? I fattori fondamentali sono sostanzialmente due: I ) un'ampia disponibilità di moneta rende piu facili gli affari e dà un vantaggio nel commercio; 2) la moneta che viene tenuta disponibile fa perdere al titolare l'interesse che essa avrebbe potuto procurare se impiegata nell'acqui sto di capitale produttivo o di titoli. Se chiamiamo k la parte del reddito che la colleùività nel suo complesso ritiene opportuno mantenere disponibile in forma monetaria abbiamo la seguente çondizione di equilibrio nel mercato monetario: M = kPy dove M rappresenta l'offerta e kPy la domanda di moneta. Anche per gli studiosi della scuola di Cambridge, comunque, la proposizione fondamentale della teoria quantitativa e, cioè, che il livello generale dei prezzi varia nella stessa direzione della quantità di moneta in circolazione, rimaneva valida in quanto essi ritenevano che né k né y avessero una relazione di dipendenza con la quantità di moneta in circolazione e con il livello generale dei prezzi. ...
Formalizzazione del modello classico e sua esposizione grafica Nei paragrafi che precedono abbiamo esposto gli aspetti pm importanti della teoria macroeconomica classica usando un linguaggio letterario. Il modello classico può essere, tuttavia, facilmente forma lizzato in un sistema di 7 equazioni : = y 2 ) Ns =
1)
y
(N) Ns (W/P)
( funzione della produzione) (offerta di lavoro)
I. Il modello classico
3)
dy/dN
4)
S
S (r) I ( r) 6) S = I
5) I 7)
M = kPy
W/P
395
(condizione di equilibrio degli imprenditori ) (funzione del risparmio) (funzione dcli 'investimento) (condizione di equilibrio nel mer cato dci prodotti ) ( teoria qu:mtitativa della moneta secondo la versione di Cambridge)
È interessante notare come questo sistema di equaz:oni present i tutte le caratteristiche fondamentali della teoria classica. Prendiamo, ad esempio, le prime tre equazioni: esse formano un subsistema completo e determinato in tre incognite che sono, rispetti vamente, y, N e W /P. Ciò signifirn che il livello del reddito, dell'occu pazione e del salario reale sono determinati unicamente dalle funzioni di domanda e di offerta di lavoro e dalle condizioni tecniche espresse dalla funzione della produzione, e non sono in alcun modo influenzate dalla domanda di beni, dal saggio di interesse, dalla quantità di mo neta e dal livello generale dei prezzi. Anche le equazioni 4) 5) e 6) costituiscono un s11bsistema di tre equazioni con tre incognite che si presenta determinato in maniera autonoma. Da questa indipendenza delle tre equazioni nei confronti delle altre si deriva che il volume del risparmio e dell'investimento ed il saggio di interesse non dipendono affatto dagli altri elementi del sistema ed, in particolare, dal livello del reddito e dalla quantità di moneta in circolazione. L'equazione 7 ), infine, può essere..iisolta non appena si conosca il valore del reddito globale che, come abbiamo visto, è determinato dalle prime tre equazioni del sistema; infatti l'unica incognita che rimane presente in essa è data da P, il livello generale dei prezzi. In sostanza, l'ultima equazione del sistema determina soltanto il livello dei prezzi e ciò è in linea con la concezione dicotomica dei classici secondo la quale il settore monetario del sistema economico non influi sce in alcun modo sulle variabili reali ma serve unicamente a stabilire il livello dei prezzi. Un altro interessante metodo di esposizione del modello classico è quello grafico. Sotto questo profilo il sistema macroeconomico clas sico può essere espresso dai quattro grafici della fig. 1-6.
Appendice IV: Macroeco11omia
396
I grafici A, B e D sono già noti e non necessitano, quindi, di alcuna spiegazione. Per quanto riguarda C esso rappresenta la relazione fra la quantità di moneta in circolazione ed il reddito monetario. Dal grafico B si ricavano il livello di equilibrio (di pieno impiego) dell'occupazione ed il salario reale; riportando l'ammontare di occuFigura I-6
y
A
e
Yr
N w
p
M r
B
N
D
I,S
pazione sul grafico A si può ricavare il corrispondente livello della produzione (e del reddito). Una volta noto il valore del reddito totale, dal grafico e si ricava agevolmente il livello generale dei prezzi. Il grafico D, infine, fornisce autonomamente i valori di equilibrio del risparmio, dell'investimento e del saggio di interesse. Si noti che anche la rappresentazione grafica presenta tutte le ca ratteristiche fondamentali del sistema economico classico, già evidenziate ( carattere dicotomico ecc.).
I. Il modellu classico
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Il commercio internazionale Fino a questo punto abbiamo analizzato il modello classico « chiu so », e, cioè, un modello nel quale i rapporti commerciali con l'estero sono completamente assenti. Nel presente paragrafo intendiamo « apri re » il modello e considerare brevemente la teoria classica del com mercio internazionale. In questa prospettiva ricordiamo innanzitutto alcune elementari nozioni relative al commercio con l'estero e, piu precisamente, quella di bilancia dei pagamenti, bilancia commerciale, bilancia invisibile, tasso di cambio fra le monete. Ciascun paese inserito nel commercio internazionale registra espor tazioni ed importazioni di merci e vari flussi di entrata e di uscita di moneta nella forma di esportazione ed importazione di capitali, entrate ed uscite da turismo, noli, rimesse degli emigrati ecc. Il rapporto fra tutte le entrate ed uscite monetarie rispettiva mente ottenute ed effettuate a qualsiasi titolo da un paese in un deter minato periodo, rappresenta la bilancia dei pagamenti del paese stesso. Se le entrate superano le uscite si dice che la bilancia dei pagamenti registra un attivo o « surplus », mentre se sono le uscite a superare le entrate la bilancia dei pagamenti si trova in « deficit » . · La bilancia dei pagamenti è costituita dalla bilancia commerciale e dalla bilancia invisibile. La bilancia commerciale riguarda esclusiva mente le entrate e le uscite che si verificano in connessione alla espor tazione ed alla importazione di merci; mentre la bilancia invisibile comprende tutte le altre voci della bilancia dei pagamenti. Il tasso di cambio rappresenta il rapporto di scambio fra le mo nete (ovvero il prezzo di una moneta in termini delle altre). L'esigenza dello scambio fra le varie monete insorge in quanto la moneta di un paese non è un mezzo di pagamento accettabile negli altri, sicché chiunque ha rapporti economici con l'estero desidera, in definitiva, ottenere la moneta del proprio paese. Qualora le bilance dei pagamenti di tutti i paesi fossero costante mente in equilibrio non si avrebbe alcun problema. Se invece, come accade normalmente, alcuni paesi registrano un « deficit » nella bilancia dei pagamenti ed altri, corrispondentemente, un « surplus », ci si do manda se tale situazione tenda a perpetuarsi ovvero esistano dei mec canismi economici tali da promuovere il ristabilimento dell'equilibrio nelle varie bilance. Gli economisti classici ritenevano che nel sistema economico in ternazionale si verificasse questa seconda ipotesi.
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Appendice I V: Macroeco110111ia
Quali 'erano le caratteristiche fondamentali del meccanismo che i classici ritenevano operasse nel senso di promuovere la realizzazione dell'equilibrio delle bilance dei pagamenti ? A questo proposito è necessario distinguere fra una situazione di gold standard con cambi rigidi ed una di inconvertibilità con cambi flessibili. Nella· prima ipotesi i paesi che registrano un deficit nella bilancia dei pagamenti « perdono » oro a favore dei paesi in surplus. Questo spostamento di oro provoca tutta una serie di effetti sia nei paesi con bilancia dei pagamenti passiva, sia in quelli con bilancia dei pa gamenti attiva. I paesi in « deficit » subiscono una riduzione della ri serva aurea che provoca, a sua volta, la riduzione della quantità di moneta in circolazione; e poiché noi sappiamo dalla teoria quantita tiva della moneta che una riduzione della quantità di moneta in circo lazione comporta una riduzione proporzionale del livello generale dei prezzi, possiamo concludere che i paesi in « deficit » registrano una flessione del livello dei prezzi. A loro volta i paesi in « surplus » pre sentano un aumento della riserva · aurea ed un conseguente aumento nella quantità di moneta in circolazione che, sempre per la teoria quantitativa della moneta, promuove un aumento del livello dei prezzi. Ma l'aumento dei prezzi dei prodotti nei paesi in « surplus » e la flessione di quelli nei paesi in « deficit » rende i prodotti di questi ultimi piu · competitivi nel mercato internazionale; sicché i paesi in « surplus » registreranno un aumento delle importazioni ed una ridu zione delle esportazioni e, quindi, un peggioramento nella bilancia commerciale e dei pagamenti, mentre i paesi in « deficit » otterranno una riduzione delle importazioni ed un aumento delle esportazioni e, cioè, un miglioramento della bilancia commerciale e dei pltgamenti. Tutto questo significa che sia i « deficit » che i « surplus � nelle varie bi lance dei pagamenti tendono a ridursi progressivamente in connessione con le variazioni dei prezzi, fino a che non si raggiunge una situazione di equilibrio generale nel sistema economico internazionale. In regime di inconvertibilità e di tassi di cambio flessibili il mecca nismo che promuove l'equilibrio nel commercio internazionale non riposa sulle variazioni nel livello dei prezzi interni dei paesi in « deficit » od in « surplus » come nel caso precedente, ma semplicemente sulle variazioni nei tassi di cambio. Consideriamo, per semplificare il discorso, due soli paesi: A e B. Gli operatori economici di A che intendono importare merci da B hanno bisogno di procurarsi moneta di B; essi, pertanto, domandano moneta di B ed offrono in cambio moneta di A. A loro volta gli opera-
I. Il modello classico
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tori economici di B che intendono importare da A hanno bisogno di procurarsi moneta di A e domandano, quindi, moneta di A offrendo moneta di B. Osserviamo che, poiché domanda di moneta di A equivale ad offerta di moneta di B e domanda di moneta di B ad offerta di moneta di A, possiamo condurre il ragionamento indifferentemente in termini della moneta di A o di quella di B. Ora, se uno dei due paesi, diciamo A, si trova in una situazione di deficit della bilancia dei pagamenti, la domanda di moneta del paese A risulta minore della sua offerta. Vi sarà, cioè, tutta una serie di operatori che intendono procurarsi la moneta di B e che, al tasso di cambio corrente fra le due monete, non riescono ad ottenerla. Essi proporranno pertanto di acquistare la moneta di B ad un prezzo piu elevato e poiché gli offerenti della moneta di B preferiranno ottenere un prezzo piu alto piuttosto che uno piu basso, si avrà una variazione generale del prezzo della moneta di B in termini di quella di A. In altre parole, il tasso di cambio fra le due monete varia in senso sfavo revole al paese A, e cioè al paese che presenta un deficit nella bilancia dei pagamenti. In questo modo, per quanto rimangano fermi i prezzi interni dei due paesi in termini delle rispettive monete, l'acquisto dei beni prodotti dal paese A diventa meno costoso per gli operatori econo mici di B e, viceversa, l'acquisto dei beni prodotti in B diventa piu costoso per gli operatori economici di A. Il paese A registra un aumento delle esportazioni ed una dimi nuzione delle importazioni, mentre il paese B subisce, ovviamente, il processo inverso. La bilancia commerciale e dei pagamenti del paese A diventa piu favorevole e quella di B meno favorevole ed il processo di aggiusta· mento dei tassi di cambio procede fino a che non si ristabilisce l'equili brio nelle due bilance dei pagamenti. Concludendo, possiamo osservare che nella costruzione teorica classica esiste un meccanismo automatico che garantisce il consegui mento dell'equilibrio nel commercio internazionale e che si fonda sui movimenti dei prezzi (o dei beni o delle monete); e, cioè, un mecca nismo analogo a quelli che promuovono l'equilibrio nel mercato dei prodotti e nel mercato del lavoro.
Politica monetaria e finanziaria Prima di chiudere il discorso sul modello macroeconomico classico
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Appendice IV: Macroeconomia
sembra opportuno accennare brevemente alle possibilità operative che venivano riconosciute alla politica monetaria e finanziaria dello Stato. Come abbiamo visto nei paragrafi che precedono, gli economisti classici erano convinti che il sistema economico concorrenziale posse desse dei meccanismi automatici in grado di garantire la realizzazione del pieno impiego del lavoro e l'equilibrio nel mercato dei prodotti. Per questa ragione essi affermavano che i compiti dello Stato dovevano essere limitati a quelli di assicurare il funzionamento del mercato con correnziale eliminando rigidità e frizioni, di garantire la stabilità del potere di acquisto della moneta (o, che è Io stesso, del livello gen"erale dei prezzi), e di provvedere alcuni servizi fondamentali per la vita della comunità. Per quanto concerne piu specificamente la politica monetaria, essa non aveva alcun ruolo da svolgere nel quadro della determinazione del reddito e dell'occupazione poiché, secondo la concezione dicoto mica dei classici, il settore monetario non aveva influenza di sorta sulle grandezze reali del sistema. E, sempre per la stessa ragione, la politica monetaria non poteva neppure influenzare la ripartizione del reddito fra consumo cd investimento. Una variazione della quantità di moneta in circolazione, even tualmente operata dalle. autorità pubbliche, poteva unicamente provo care una variazione nello stesso senso del livello generale dei prezzi. Soltanto nell'ipotesi di rigidità del livello dci salari monetari e dci prezzi o di vischiosità del saggio di interesse, la politica monetaria poteva intervenire per accelerare il processo di eliminazione della disoccupa zione, nel primo caso, e di ricquilibramentc nel mercato dci prodotti, nel secondo. Anche la politica finanziaria, al pari di quella monetaria, non era in grado, secondo i classici, di contribuire alla determinazione del livello del reddito e dell'occupazione se non nelle ipotesi di rigidità del mercato nelle quali, peraltro, si risolveva in una sorta di politica monetaria. In effetti, poiché il meccanismo concorrenziale garantiva da solo la piena utilizzazione delle risorse produttive, l'attività finanziaria pubblica, cui era assegnato il compito di assicurare i servizi pubblici essenziali, svolgeva sostanzialmente una azione di redistribuzione delle risorse fra impieghi privati cd impieghi pubblici. In altre parole, la finanza pubblica distoglieva mediante l'imposizione fiscale un certo ammontare di fattori produttivi dalla destinazione cui sarebbero stati rivolti dagli operatori privati e li impiegava nella produzione di servizi attraverso la spesa pubblica. Infine, il criterio generale per la condotta economica dello Stato era .
I l . Il modello keynesiano semp!ifh uro
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rappresentato dalla c.d. « neutralità » nei confronti delle attività econo miche svolte dagli operatori privati. Lo Stato, cioè, doveva ridurre al minimo i turbamenti della vita economica connessi alle proprie attività ed evitare una alterazione delle posizioni relative dei soggetti economici operanti in regime concorrenziale. In questa prospettiva il bilancio pubblico doveva ispirarsi al criterio del pareggio annuale mentre il deficit era ammesso soltanto in connessione a situazioni di emergenza economica e finanziaria come guerre, calamità ecc.
INDICAZIONI BIBLIOGRAFICHE
La prima versione del modello macroeconomico classico è stata presentata dallo Hicks subito dopo la pubblicazione dell'opera fonda mentale del Keynes : si veda Mr Keynes and the "Classics"; A Suggested Interpretation, in Econometrica, 1 93 7 , pp. 147-159, ristam pato in M. G. MuEL L ER , Readings in Macroeconomics, New York, Holt, Rinehardt and Winston, 1 967 , pp. 1 37-145. Altre formalizza zioni della teoria classica sono contenute nello stimolante articolo di F. MODIG LI ANI , Liquidity Preference and the Theory o/ Interest and Money, in Econometrica, 1 944, ristampato in Readings in Monetary Theory, London, George Allen and Unwin, 1 950 e nella appendice al volume di R. KLEIN, The Keynesian Revolution, I I , London, Mac Millan, 1968. · A livello manualistico una chiara esposizione del modello macro economico classico si trova in G. A Cli 'a.
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Il punto P è, quindi, il punto di equilibrio ed OA rappresenta la domanda effettiva. Se per avventura il sistema si trovasse a destra di P gli imprendi tori registrerebbero un eccesso di offerta e, conseguentemente, ridur rebbero il livello della produzione e dell'occupazione fino a che non fosse eliminato il gap fra domanda ed offerta. Se invece il sistema si trovasse a sinistra di P la domanda sarebbe superiore all'offerta ed i produttori aumenterebbero il livello della produzione e dell'oc cupazione in modo da eliminare l'eccesso di domanda. Ciò significa che la situazione di equilibrio individuata dal punto P è stabile nel senso che esistono, a destra ed a sinistra di esso, dei meccanismi che promuovono il suo raggiungimento. Le funzioni di domanda e di · offerta complessiva determinanp, dunque, il livello del reddito e dell'occupazione. Tuttavia, poiché si assume che nel breve periodo la funzione di offerta complessiva sia un dato, è possibile affermare che il livello della produzione e del l'occupazione sono determinati dalla funzione . della domanda aggregata. Si osservi che, mentre la funzione di domanda aggregata, di cui
II. Il modello keynesiano semplificato
407
abbiamo parlato finora, rappresenta la domanda « prevista » dagli imprenditori e non la domanda che si presenta concretamente sul mer cato, fra le due esistono legami ben precisi. Infatti le aspettative impren ditoriali non sono fondate su mere congetture, ma sulla realtà di mer cato; per cui, se la domanda aggregata presente nel mercato non è in linea con quella prevista dagli imprenditori, questi ultimi rivedono le proprie previsioni alla luce dell'esperienza. Sicché, in ultima analisi, il livello della produzione e dell'occupazione possono dirsi determinati dalla domanda globale che gli operatori economici concretamente effettuano sul mercato.
Il modello keynesiano semplificato o
«
troncato
»
La conclusione sopra raggiunta consente di ridurre il problema della determinazione del reddito e dell'occupazione alla spiegazione delle forze che stanno dietro alla domanda globale. La teoria keynesiana della domanda globale è piuttosto complessa in quanto coinvolge praticamente tutte le variabili sia monetarie che reali del modello presentato nella Teoria generale. Tuttavia esiste una versione « semplificata » o « troncata » dello schema keynesiano che sintetizza la teoria della domanda globale in due sole equazioni nelle quali le variabili sono espresse in termini reali. Se si tiene presente che uno dei contributi fondamentali apportati alla teoria economica dall'economista di Cambridge è costituito dal superamento della dicotomia classica fra settore monetario e settore reale e dalla introduzione della moneta nel tessuto causale del processo di determinazione del reddito e dell'occupazione, può apparire strana la grande popolarità che un tale modello ha goduto e gode tuttora. La spiegazione del fenomeno è, peraltro, piuttosto agevole: il modello keynesiano semplificato trascura, è vero, tutta una serie di fenomeni, ed in particolare l'importanza della moneta, ma presenta il vantaggio di mettere in evidenza la relazione fra domanda globale e reddito, la funzione del consumo ed il principio del moltiplicatore e, cioè, gli aspetti di maggiore novità della teoria keynesiana. Inoltre la adozione del modello semplificato consente di svolgere in termini facilmente comprensibili quelle parti della teoria finanziaria e della teoria del commercio internazionale che si rifanno alla matrice keynesiana. Nel presente capitolo procederemo, pertanto, alla esposizione di questo modello mentre il modello keynesiano completo sarà esaminato nel prossimo capitolo.
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Appendice IV: Macroeco11omia
Il modello semplificato prevede, innanzitutto, una equazione che esprime il principio keynesiano secondo il quale la domanda globale determina il livello del reddito: Y=C+I dove Y è il reddito nazionale, C il consumo ed I l'investimento globale. Si assume che i prezzi siano costanti, che il costo marginale della produzione sia inferiore al prezzo fino a che non si raggiunge il pieno impiego delle risorse e che l'offerta di lavoro sia perfettamente elastica al salario monetario vigente, almeno fino al livello di pieno impiego. Queste assunzioni sono molto importanti in quanto da una parte consentono praticamente di esprimere le grandezze del modello in termini reali e dall'altra riducono il problema dell'occupazione a quello della determinazione del reddito. In effetti, una volta che il modello ha fornito il valore del reddito, il livello dell'occupazione risulta imme diatamente dalla funzione della produzione. Le assunzioni sopra operate verranno rimosse solamente nel capi tolo seguente, allorché esamineremo la teoria keynesiana del mercato del lavoro. Ritornando al modello semplificato espresso dall'equazione Y = C + I si deve innanzitutto osservare che il volume dell'investi mento è considerato un dato; si assume cioè, genericamente, che esso sia determinato dalle « occasioni di investimento » aperte agli im prenditori. In questo modo le incognite dell'equazione si riducono a due. Ora, se il volume del consumo fosse indipendente dal livello del reddito, il modello sarebbe indeterminato, in quanto ci troveremmo di fronte ad una sola equazione ed a due incognite. Ma Keynes sostiene che il consumo dipende dal reddito nazionale e, cioè, che esiste una una funzione del consumo esprimibile con l'equazione: C = C (Y) Abbiamo, quindi, un'altra equazione che non presenta incognite aggiuntive rispetto alla precedente. Ma allora il modello, comprendendo due equazioni e due incognite, possiede una soluzione di modo che, dati il livello dell'investimento e la forma della funzione del consumo, i:l livello del reddito e dcl consumo . sono determinati. Da queste osservazioni emerge chiaramente che la relazione fra il consumo ed il reddito assume una importanza fondamentale nel quadro della teoria keynesiana della domanda globale; ed è pertanto opportuno esaminare piu da vicino le caratteristiche essenziali della funzione keynesiana del consumo.
Il. Il modclro kep1cs111110 semplificato
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La funzione del consumo Il Keynes dedica alla funzione del consumo il libro terzo della sua Teoria generale ed esamina con grande cura i fattori oggettivi e soggettivi che influiscono sull'ammontare di risorse che la collettività spende in consumi. Su questa base egli conclude che « di norma l'ammon tare del consumo complessivo dipende principalmente dall'ammontare del reddito complessivo » 1 • Per quanto riguarda la forma della funzione del consumo il Keynes afferma : « La legge psicologica fondamehtale, sulla quale siamo autorizzati a basarci con grande fiducia, sia a priori per la nostra conoscenza della natura umana, sia per i fatti particolareggiati del l'esperienza, è che di norma e in media, gli uomini sono disposti ad accrescere il loro consumo con l'aumentare del reddito, ma non tanto quanto è l'aumento del reddito » 2• Il significato di quella che viene definita la « legge psicologica fondamentale » è chiaro: se il reddito varia, il consumo varia nella stessa direzione ma la variazione del consumo è inferiore a quella del red dito. Il rapporto fra la variazione del consumo e la variazione del reddito che la provoca è denominato propensione marginale al consumo : .!i C MPC = --•
"1
ovvero, in termini infinitesimi: MPC =
y
dC ---
dY mentre il rapporto fra il consumo ed il reddito totale è definito propen sione media al consumo : e
APC =
.
-
y
Secondo la legge psicologica fondamentale, quindi, la propen sione marginale al consumo è maggiore di O e minore di uno : AC
o