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ANTONIO PESENTI
MANUALE DI ECONOMIA POLITICA I
EDITORI RIUNITI
Nuova biblioteca di cultura
97
*
ANTONIO PESENTI. Nato a Verona il
15 ottobre 1910, si laureò a Pavia nel luglio 19 31 e si perfezionò poi a Londra, .Vienna, Berna e Parigi. Libero docente nel 1934 fu profes sore incaricato di Scienza delle finan ze e Diritto finanziario all'Università di Sassari nel 1935. Nel novembre 1935 fu arrestato e condannato dal Tribunale Speciale a 24 anni di reclusione. Uscito dal carcere nel settembre 1943, riprese subito l'at tività scientifica e didattica e l'atti vità politica. Ricopri varie cariche pubbliche (fu ministro delle Finanze, vicepresidente dell'IRI, parlamenta re dalla Costituente all'ultima legisla tura, membro del CC del PCI, ecc.).
Fondò e diresse il Centro economico per la ricostruzione e la rivista Cri tica economica. Nella attività accade mica, subito ripresa, fu professore incaricato all'Università di Roma e dal 1948 di ruolo a Parma ed ora a Pisa. Tra le numerose pubblicazioni di teoria e di politica economica e finanziaria apparse in volumi o su riviste scientitiche si segnalano per il periodo anteriore al suo arresto: La politica finanziaria e fnonetaria dell'Inghilterra, Padova, CEDAM, 19 34 e I soggetti passivi dell' obbli gazione doganale, Padova, CEDAM, 1934; per il periodo successivo al 1945: Ricostruire dalle rovine, Mila no, Picardi, 1946, le Lezioni di eco nomia politica: Parte generale e La moneta, da cui è sviluppato il presen te volume; Scienza delle finanze e di ritto finanziario, Roma, Editori Riu niti, 1967. Altri saggi sono citati nel corso del presente volume.
GIANFRANCO LA GRASSA. Nato a
Conegliano (Treviso) nel 1935. Di plomatosi nel 1954. Ha lavorato nel l'industria. Ripresi gli studi, si lau reò nel 1964 con uno scritto su Modelli di sviluppo economico e dualismo in una economia. Ha fre quentato il corso di specializzazione SVIMEZ sui problemi dello svi luppo economico. ! assistente ordi nario alla cattedra di Economia po litica della facoltà di Giurisprudenza di Pisa. Principali pubblicazioni: Riflessioni critiche su alcune proposte concer nenti una politica salariale di possi bile attuazione in un sistema eco nomico dualistico; La posizione di equilibrio del r:onsumatore individua ta tramite la tecnica delle curve di indilf erenza; Dimensione delle im prese industriali e sviluppo dell'area sottosviluppata di una economia dua listica; Lezioni sul marginalismo.
Antonio Pesenti
Manuale di economia politica Volume primo Prindpi generali - Economia monetaria Appendice I Appendice II
Nozioni matematiche Microeconomia
di Antonio Pesenti
di Gianfranco La Grassa
Editori Riuniti
I edizione, I ristampa: settembre 1972
©
Copyright by Editori Riuniti, viale Regina Margherita 290, 00198 Roma 1970 Grafici eseguiti da Luigi Pierangeli Copertina di Bruno Munari CL 63-01 14-2
Indice
VOLUME PRIMO XIX
Presentazione Parte prima
Principi generali
I. Metodo e oggetto dell'economia politica
3
L'impostazione soggettivistica, p. 6 - L'impostazione « neopo sitivistica-empiristica �. p. 12 - La impostazione razionalistica, p. 1 5 - La impostazione dialettica materialistica, p. 1 8 Og getto dell'economia politica e leggi economiche: forze produttive e rapporti di produzione, p. 25 - Bibliografia, p. 3 1 . -
II. II mercato e i prezzi
�ncontro della domanda e dell'offerta, p. 39 - Curva dell'of
37
ferta, p. 43 - Curva della domanda, p. 44 - Prezzo di equilibrio, p. 45 - Incompletezza della definizione, p. 47 -· Che cosa è il mercato nel suo aspetto }cale, p. 48 - Il rapporto fondamentale tra i diversi prezzi, p. 51 - Bibliografia, p. 54.
II l. II valore
55
Valore d'uso e valore di scambio, p. 55 Il lavoro, p. 57 Come si determina il valore di scambio, p. 59 - Lavoro social mente necessario, p. 61 - Come si manifesta il valore, p. 63 I rapporti fra gli uomini, p. 66 - Bibliografia, p. 68. -
IV. Le leggi economiche del capitalismo di prevalente concorrenza Lavoro e capitale, p. 72 Il processo capitalistico di produ zione, p. 75 Il profitto, motore della società capitalistica, p. 76 - Le spese di produzione, p. 78 - Costo di produzione e prezzo di produzione, p. 81 - Impresa mc;dia o tipica, p. 83 Bibliografia, p. 85. -
-
69
Indice
VI
V. L'economia soggettivistica Premesse, p. 86 - Utilità marginale, p. 94 - Teorema della di stribuzione di un bene tra vari usi, p. 102 - Critiche fondamentali alla teoria dell'utilità marginale, p. 103 Unità del problema economico, p. 106 - La domanda di merci, p. 107 - Variazioni della domanda, p. 1 10 - Elasticità della domanda, p. 1 1 3 - Equilibrio generale del mercato. La scuola matematica, p. 1 17.
86
-
VI. L'economia dell'impresa
120
Il soggetto economico, p. 120 L'impresa di fronte alla produzione, p. 121 - La combinazione dei fattori della produzione e il principio di sostituzione, p. 122• La produttività marginale, p. 125 - Critiche alla teoria della produttività marginale, p. 129 - Tipi di costo. Il costo totale, p. 132 - Costo unitario, p. 1 34 Il costo differenziale o marginale, p. 137 L'impresa marginale e l'equilibrio economico, p. 142 Bibliografia, p. 145. -
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VII. Le categorie economiche: il salario Il salario, p. 153 - Il salario secondo i classici, p. 155 Il salario secondo Marx, p. 158 - Il salario secondo la teoria della produttività marginale, p. 163 - Forme del salario, p. 164 Organizzazione scientifica del lavoro, p. 167 - Bibliografia, p. 169.
149
VIII. Il salario : il lavoro nella produzione capitalistica Il plusvalore, p. 172 - Il llvoro, unica fonte di plusvalore, p. 17 4 Il capitale, p. 175 - Capitale costante e capitale variabile, p. 177 Capitale fisso e circolante, p. 178 - Saggio di plusvalore, p. 178 - Aumento del saggio e della massa del plusvalore, p. 179 - Fattori determinanti la grandezza del saggio del plusvalore, p. 183' · - Lavoro produttivo ed improduttivo, p. 184 - Bibliografia, p. 190.
17 1
IX. Il profitto
192
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-
Origine e saggio del profitto, p. 196 - La composizione del capitale e il saggio del profitto, p. 199 - La rotazione del capitale e il saggio del profitto, p. 201 - Il saggio del profitto e il sagIl saggio medio del profitto, gio del plusvalore, p. 203 p. 203 La suddivisione del plusvalore, p. 208 - Il profitto commerciale e il profitto bancario, p. 2 1 1 - L'interesse, p. 212 L'origine dell'interesse, p. 2 1 3 - Bibliografia, p. 216. -
-
-
217
X. La rendita Come sorge la rendita, p. 218 - Rendita assoluta, p. 219 - Ren dita differenziale di primo tipo, dipendente dalla diversa fer tilità o posizione del terreno, p. 222 - La rendita differenziale di secondo tipo, p. 226 - Importanza della rendita, p. 229 Rendita fondiaria e interesse, p. 230 - Cenni sulle forme pre capitalistiche della rendita fondiaria, p. 232 - La rendita in la voro, p. 233 - La rendita in prodotti, p. 234 La rendita in denaro, p. 235 - Trasformazione della rendita in denaro in ren-
VII
Indice dita fondiaria capitalistica, p. 236 La mezzadria, forma di transizione dalla rendita fondiaria precapitalistica alla rendita capitalistica, p. 238 - Le forme precapitalistiche oggi residuali, p. 241 - Trasformazione di valori in prezzi di produzione, ossia la manifestazione della legge del valore nel capitalismo, p. 245 - Considerazioni generali sul tema, p. 247 - Bibliografia, p. 252. -
Xl .
La dinamica delle categorie
! �portanza del salario, p. 257 La dinamica del salario secondo La dinamica del salario secondo Marx, i classici, p. 259 p. 260 - Sovrappopolazione relativa, p. 262 - La tendenza del salario, p. 266 - La dinamica del profitto, p. 270 La tesi dei classici, p. 271 La tesi marxista, p. 272 Cause contrastanti, p. 276 - È valida la legge della caduta tendenziale del saggio del profitto?, p. 278 - Bibliografia, p. 282.
254
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XII .
-
285
La dinamica del sistema Nozioni generali, p. 285 - Il processo di riproduzione, p. 289 Caratteristiche del processo di riproduzione capitalistico, p. 290 - La riproduzione del capitale individuale, p. 292 La concentrazione e la centralizzazione del capitale, p. 296 - La riproduzione sociale, p. 298 La riproduzione allargata, p. 304 - Caratteristiche dei modelli marxisti, p. 309 - Bibliografia, p. 3 11.
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XII I . I l
313
ciclo economico e le crisi La legge degli sbocchi, p. 3 1 4 Le tesi del Malthus e del Sismondi, p. 3 1 7 - La teoria marxista della crisi, p. 320 - Cause generiche e possibilità di crisi, p. 322 Inevitabilità della crisi, p. 324 Periodicità dello sviluppo ciclico, p. 328 Il principio di accelerazione, p. 332 Teorie sulle crisi, p. 334 Bibliografia, p. 336. -
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XIV. I l
passaggio dalla concorrenza prevalente al prevalente monopolio
338
Premesse generali, p. 338 Le società per azioni, p. 340 Conseguenze sulla struttura sociale, p. 342 - Lo sviluppo del monopolio e del capitale sociale, p. 345 Varie forme di accordi tra grandi produttori capitalisti, p. 347 Bibliografia, p. 349. -
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-
Parte seconda XV.
Economia monetaria
La moneta: considerazioni generali
Che cos'è la moneta, p. 356 - TI sorgere· della economia mone taria, p. 358 Bibliografia, p. 363.
353
-
XVI . I l
valore della moneta La moneta-merce, p. 364 - Obiezioni alla teoria del valore, p. 366 - Bibliografia, p. 372.
364
VIII
Indice
XVII .
Funzioni della moneta . La moneta quale intermediario degli scambi
374
Il processo di scambio: merce-moneta-merce, p. 374 - La moneta in circolazione, p. 377 La circolazione capitalistica, p. 379 La teoria quantitativa, p. 384 - La formula del Fisher, p. 386 Metodi di misurazione, p. 388 - Le equazioni della scuola di Cambridge, p. 391 Bibliografia, p. 395. -
-
-
XVIII.
Potere di acquisto della moneta
396
Valore come potere di acquisto, p. 396 Sistemi di misura zione àei numeri indice, p. 398 - Bibliografia, p. 402. -
XIX.
403
La moneta come mezzo di pagamento Origine e sviluppo, p. 403 - Il sorgere di strumenti per la funzione della moneta quale mezzo di pagamento e quindi di altri mezzi monetari, p. 406 I titoli di credito, p. 408 Bibliografia, p. 4 1 1 . -
XX.
412
L a banca e l a circolazione capitalistica Le operazioni bancarie, p. 412 - La circolazione capitalistica, p. 417 L'interesse, p. 418 - La funzione del credito, p. 419 Due tipi di circolazione, p. 423 - Accumulazione reale e accu mulazione monetaria, p. 425 Bibliografia, p. 427. -
-
-
XXI .
La moneta come moneta mondiale
428
Gli scambi internazionali, p. 428 - La ipotesi ricardiana, p. 429 La teoria dei costi comparati, p. 430 - Deficienze ddl'ipotesi ricardiana e successive teorie, p. 434 - ·La bilancia dei paga menti, p. 439 - Movimenti monetari derivanti, p. 442 Biblio grafia, p. 445. ·
XXII . I l
446
sistema monetario aureo Basi generali, p. 446 Le due scuole, p. 449 - Sistemi del secolo scorso, p. 451 - Il sistema americano, p. 453 La circola zione fiduciaria americana, p. 454 L'ordinamento del credito, p. 456 - L'ordinamento monetario italiano, p. 457 - Rapporto tra riserva aurea e circolazione e tra sistema monetario e cre ditizio, p. 458 - Creazione e limiti della moneta bancaria, p. 460 Risconto alla Banca centrale, p. 463 - Operazioni del mercato aperto, p. 464 Movimenti di oro, p. 466 - La manovra dello sconto, p. 467 - Bibliografia, p. 469. -
-
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XXIII . I l
mercato monetario di Londra
Origini e funzionamento del mercato monetario di Londra, p. 470 - Obiettivi del gold standard, p. 473 - Le istituzioni bancarie, p. 476 - Bibliografia, p. 478.
470
Indice
IX
XXIV. La borsa valori
479
Trasformazioni del sistema, p. 479 - La società per azioni e la borsa valori, p. 481 - La borsa e le sue operazioni, p. 482 Bibliografia, p. 487.
XXV. L'investimento dei capitali mediante il credito
489
Il rÌ!>parmio, p. 490 - L'importanza del risparmio reale, p. 492 Può la banca « creare » risparmio?, p. 493 - Duplice funzione della banca, p. 494 - La categoria dell'interesse: la sua crescente importanza ed autonomizzazione, p. 496 - Specializzazione bancaria, p. 503 - La specializzazione bancaria in Inghilterra, p. 504 In Francia, p. 506 - Negli Stati Uniti, p. 506 - Germania, p. 507 - Bibliografia, p. 507.
XXVI. Le dottrine sull'interesse nell'imperialismo
510
Premesse di fatto, p. 510 - Interesse e prezzi, p. 5 1 3 - Bibliografia, p. 517.
XXVII. I l modificarsi dei rapporti internazionali. La esportazione di capi tali Cenni generali, p. 5 1 8 - Sistemi protezionisti, p. 52 1 - Il prote zionismo della fase di sviluppo del capitalismo, p. 523 - Aumento degli scambi internazionali, p. 524 - Il protezionismo nella fase premonopoli9tica, p. 526 - Il protezioni1imo nell'imperialismo, p. 527 - Strumenti di protezionismo, p. 527 - Effetti economici dei dazi, p. 529 - La protezione attiva, il dumping, p. 531 Bibliografia, p. 532.
518
534
XXVI I I . L'inflazione A9petti generali, p. 534 - .L'inflazione nel capitalismo premono polistico, p. 535 - L'inflazione nella fase imperialistica, p. 537 Svituppo dell'inflazione, p. 539 - Come agisce l'inflazione, p.·540.
XXIX. I l grado di inflazione
545
XXX. La stabilizzazione monetaria
556
Come s1 mi1iura H grado di inflazione, p. 545 - Inflazione forte, suoi effetti, p. 547 - Il punto critico, p. 550 - Bibliografia, p. 555.
Rivalutazione e stabilizzazione, p. 556 - La rivalutazione mone taria, p. 557 - La stabilizzazione, p. 559 - Domanda e offerta di mezzi di pagamento, p. 560 - Effetti della stabilizzazione e della rivalutazione, p. 562 - La deflazione, p. 564 - Bibliografia p. 565.
XXXI. I l sistema aureo dopo la prima guerra mondiale
Car� tteristiche generali: gold bullion e old exchange stand;rd, p. 566 - Il mancato funzionamento del sistema aureo 1925-193 1 ,
g
566
Indice
X
p. 568 - Le cause, p. 569 L'intervento dello Stato, ossia lo svilupparsi del capitalismo monopolistico di Stato, p. 572 Fat tori particolari di squilibrio, p. 57 4 - Il ciclo e la crisi negli Stati Uni· t i, p. 576 - La crisi monetaria del 193 1 , p. 577 - Bi bliografia, p. 579. -
-
XXXII. I sistemi monetari dopo la grande crisi
580
Il sistema inglesé, p. 580 Il Fondo di stabilizzazione, p. 582 La moneta a « buon mercato » e la lenta inflazione, p. 584 L'azione della Banca d'Inghilterra, p. 586 Il sistema statunitense, p. 589 - Il sistema tedesco, p. 592 - Bibliografia, p. 595. -
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XXXII I . I sistemi monetari dopo la seconda guerra mondiale
597
La situazione alla vigilia della seconda guerra mondiale, p. 597 Conseguenze della seconda guerra mondiale, p. 598 - Gli « aiuti », p. 601 - La politica monetaria dopo il 1945: Stati Uniti, . p. 605 - Inghilterra, p. 606 Il cambio delila moneta, p. 607 Gli accordi di Bretton Woods e il loro funzionamento, p. 6 1 0 La crisi del sistema monetario, p. 614 La lenta inflazione, p. 62 1 L'esportazione dei capitali, p. 623 Bibliografia, p. 628. -
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XXXIV. Stri.lttura del mercato monetario italiano
631
L'ordinamento monetario italiano, p. 63 1 - L'istiruto di emissione, p. 633 - La politica monetaria tra le due guerre, p. 638 La situazione attuale, p. 641 - Importazioni ed esportazioni di capitali, p. 643 - La bilancia italiana dei pagamenti, p. 647 La concentrazione bancaria, p. 648 - L'attuale struttura creditizia, p. 651 - li cartello bancario, p. 653 - La raccolta del risparmio e la distribuzione der credito, p. 655 - Considerazioni finali, Bibliografia, p. 669. p. 657 -
Appendice I
Nozioni elementari per comprendere le espressioni matematiche contenute nel volume - di Antonio Pesenti
671
Premessa, p. 673 - Concetto di variabile e di funzione, p. 674 Il sistema delle coordinate cartesiane, p. 677 - Il rapporto tra incrementi e il concetto di derivata, p. 685 Il concetto di limite ed il conseguente concetto di derivata, p. 688 Esempi del calcolo della derivata, p. 692 Teoremi operativi, p. 694 - Differenziale di una funzione y = f( x), p. 694 Derivate parziali, p. 696 Teoria dei massimi e dei minimi, p. 697 - B:bliografia, p. 703. -
-
-
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Appendice II
Microeconomia. L'impostazione soggettivistica m economia di Gianfranco La Grassa Introduzione, p. 707 - 1 . La Sl."UOla soggettivistica: scopo Ji questa appendice, p. 707 - 2. Brevi considerazioni intorno
705
XI
Indice all'impostazione metodologica deMa scuola neoclassica, p. 709 -
Parte prima
Teoria del consumo
I. Bisogni, beni e utilità
.
715
1. Bisogni, p. 715 - 2. Beni economici, p. 716 - 3. Classificazione dei beni, p. 7 1 8 - 4. Utilità ( totale e marginale ) , p. 7 1 9 5. L'utilità nel caso cli dosi del bene di grandezza infinitesimale, p. 721 - 6. Rappresentazione grafica dell'utilità marginale, p. 723 7. Valore economico globale di un bene, p. 724.
II. La domanda
727
1. Utilità marginale e domanda individuale, p. 727 - 2. Il prezzo come misura dell'utilità marginale del bene per ogni singolo consumatore, p. 729 - 3. Curva di domanda individuale, p. 731 4. Rendita del consumatore, p. 732 - 5. Domanda globale, p. 734 - 6, La domanda come funzione di fattori diversi dal prezzo del bene domandato, p. 737.
III. Elasticità della domanda
742
1 . Elasticità della domanda rispetto al prezzo, p. 742 - 2. Ela sticità della domanda collettiva e della domanda individuale, p. 748 - 3. Elasticità della domanda rispetto al reddito, p. 750 4. Elasticità della domanda di un bene rispetto ai prezzi degli altri beni, p. 751 - 5. La spesa globale, p. 753.
IV. L'equilibrio del consumatore
756
1 . La posizione d'equilibrio del consumatore, p. 756 - 2. Distri buzione di un bene tra i vari usi alternativi, cui può essere adibito, p. 759 - 3. Il rapporto esistente tra le utilità marginali dei beni è eguale per tutti i consumatori, p. 760.
V. Le curve di indifferenza ..
762
VI. Il saggio marginale di sostituzione
771
1 . Introduzione, p. 762 - 2. Superficie di utilità e curva di indif ferenza, p. 763 - 3. L'insieme delle curve di indifferenza, p. 766 4. L 'andamento delle curve di indi�ferenza, p. 768.
1 . Saggio marginale di sostituzione, p. 771 - 2. Significato mate matico e geometrico del saggio marginale di sostituzione, p. 773 3. Zona di sostituzione, p. 776.
VII. La posizione di equilibrio del consumatore 1. Tangenza della retta dei prezzi con una delle curve di indifferenza, p. 777 - 2. Necessità della convessità delle curve di indifferenza, p. 778 - 3. Eguaglianza del saggio marginale di sostituzione con il rapporto fra i prezzi dei beni, p. 780 - 4. Con-
777
Indice
XII
fronto tra il metodo d'analisi che utilizza le curve di indifferenza e quello che si basa sul concetto di utilità marginale, p. 781 5. La rendita del consumatore, p. 783.
VII I . Variazioni del reddito del consumatore e dei prezzi dei beni
786
1. La curva reddito-consumo, p. 786 - 2. La curva prezzo-con-
sumo, p. 788 - 3. Effetto di sostituzione ed effetto di reddito ( secondo Hicks ) , p. 790 - 4. Effetto di sostinizione ed effetto di reddito ( secondo Samuelson ) , p. 793 - 5. Ulteriori considerazioni sull'impostazione di Samuelson, p. 795 - 6. Teoria delle «preferenze rivelate », p. 797. ·
IX. Il problema dei beni inferiori e la complementarietà o sostituibilità dei beni
800
1 . I beni inferiori: una eccezione alfa regola generale?, p. 800 -
2. Complementarietà e sostiruibilità sticità di sostituzione, p. 806 - 4. l'elasticità della domanda ris.petto domanda collettiva di un bene, p.
tra i beni, p. 802 - 3. Ela Uheriori considerazioni sul al prezzo, p. 807 - 5. La 808.
Parte seconda La produzione I. L'offerta dei beni
813
1 . Introduzione, p. 8 1 3 - 2. Relazione tra offerta e prezw di
mercato, p. 8 1 4 - 3. Effetto di sostituzione ed effetto di reddito nel caso èlell'offerta, p. 816 - 4. Elasticità dell'offerta, p. 820.
I I . Nozioni generali intorno alla produzione dei beni
824
1 . Produzione e fattori produttivi, p. 824 - 2. Funzione della
produzione: nozioni generali, p. 827 - 3. Prodotto totale, medio e marginale, p. 828 - 4. Ancora sulla produttività media e marginale del fattore, p. 830 - 5. Equilibrio del produttore e distribuzione di un fattore tra i vari processi produttivi a cui può essere applicato, p. 834 - 6. Eguaglianza tra prezzo di un fattore produttivo e la sua produttività marginale, p. 837.
I I I . Le curve di prodotto costante
840
1 . « Collina della' produzione » e isoquanti, p. 840 - 2. L'andamento dell'isoquanto, p. 843 - 3. Equilibrio del produttore, p. 845 - 4. Ancora sull'equilibrio del produttore, p. 847 - 5. Motivi della convessità degli isoquanti verso l'origine degli assi: l'equilibrio del produttore si ha in regime di rendimenti decrescenti, p. 848. IV.
Ancora sugli isoquanti
1. Effetto della variazione di prezzo di un fattore, p. 851 - 2. La
«via dell'espansione» e i « rendimenti di scala» ( costanti ) ,
851
Indice
XIII
p. 853 - 3 . «Rendimenti di scala » crescenti e decrescenti e i rendimenti della spesa », p. 857 - 4. Riconsiderazione del pro blema della produttività marginale di un fattore variabile, p. 858.
«
V. La funzione della produzione a coefficienti fissi
861
1 . Coefficienti fissi d i produzione e differenti tecniche produttive di possibile utilizzazione, p. 861 - 2. La combinazione delle tecniche produttive e l'isoquanto spezzato, p. 863 - 3 . II saggio marginale di sostituzione nell'isoquanto spezzato, p. 864 - 4. Alcune particolarità deliI'isoquanto spezzato, p. 865 - 5. Equilibrio del produttore nel caso dell'isoquanto spezzato, p. 868 - Appendice, p. 870.
VI . L'impresa
875
1. Che cos'è l'impresa, p. 875 - 2. Requisiti della concorrenza perfetta, p. 876 - 3 . Il principio del massimo profitto, p. 878 4. Periodo breve e periodo lungo, p. 879.
VII . Ricavi e costi dell'impresa
88 1
1. Ricavo totale, medio e marginale, p. 881 - 2. Vari concetti e tipi di costi d'impresa, p. 883 - 3. Costo totale, costo medio, costo marginale, p. 886 - 4. Andamento dei suddetti costi, p. 887 5. Significato economico dell'andamento dei costi, p. 894.
VIII. Equilibrio dell'impresa nel breve periodo
898
1. Condizione d'equilibrio dell'impresa, p. 898 - 2. Analisi grafica della condizione d'equilibrio, p. 899 - 3. Ancora sulla condizione di equilibrio, p. 901 - 4. Impresa marginale, ultra ed intra marginale, p. 904 - 5. La curva di costo marginale è la curva di offerta dell'impresa. Offerta dell'industria. Equilibrio dell'impresa, equHibrio dell'industria, p. 905.
IX. L'equilibrio dell'impresa e dell'industria nel lungo periodo
909
Conclusioni
924
Bibliografia essenziale
925
1 . II lungo periodo, p. 909 - 2. « Economie interne di scala » ed « economie esterne », p. 910 - 3. Costi di lungo periodo e loro relazione con quelli di breve periodo, p. 9 1 3 - 4. Equilibrio di lungo periodo dell'impresa e dell'industria, p. 919.
Indice
XIV
VOLUME SECONDO L'odierno capitalismo monopolistico o imperialismo XXXV. Considerazioni generali
3
Le possibili interpretazioni della realtà attuale, p. 3 La versione tecnocratica, p. 7 Concetto di fase, p. 8 li dibattito sull'imperialismo prima del 1914 e il metodo di Lenin, p. 13 Bibliografia, p. 17. ·
·
·
·
XXXVI. Le caratteristiche dell'imperialisuio La definizione di Lenin, p. 23 p. 25 Bibliografia, p. 30.
·
·
23
Metodologia e polemica di Lenin,
XXXVII. La concentrazione della produzione e del capitale
32
Alcuni dati, p. 32 La situazione italiana: struttura del capitale finanziario italiano, p. 36 Bibliografia, p. 37. ·
·
XXXVI I I . L'organizzazione del capitale finanziario italiano XXXIX. Concetto e caratteristiche del
«
capitale finanziario
Analisi del concetto di capitale finanziario, p. 49 p. 60.
·
40
47
»
Bibliografia,
XL. L'oligarchia finanziaria e lo Stato Bibliografia, p. 68.
70
XLI. La esportazione dei capitali Monopoli internazionali e divisione del mondo in sfere di influenza, p. 77 I contrasti tra i paesi capitalistici, p. 7 9 Bibliografia, p. 85. ·
·
XLI I . Rapporti tra paesi imperialistici e paesi sottosviluppati
86
Bibliografia, p. 92.
XLI I I . Il capitalismo monopolistico di Stato, ultimo grado di sviluppo del capitalismo nella fase imperialistica Premesse generali, p. 96 . L'attività economica dello Stato nel marxismo, p. 99 Modificazioni nel processo produttivo e carat· tere attuale del capitalismo monopolistico di Sta.to, p. 102 Sviluppo delle forze produttive e trasformazioni tecnologiche del Relazione tra i mutamenti della processo produttivo, p. 102 tecnica e i rapporti economici, p. 104 Il carattere attuale del capitalismo monopolistico di Stato, p. 105 . Forme ed azioni spc:c ifiche del capitalismo monopolistico di Stato, p. 1 10 . Azione sulle categorie- economiche, p. 1 13 II capitalismo di Stato vero e proprio, p. 1 14 Differenze economiche nel capi·
·
.
.
.
.
96
xv
Indice talismo monopolistico di Stato tra l'intervento indiretto e la pro prietà statale di mezzi di produzione, p. 1 18 Il capitalismo monopolistico di Stato nei .rapporti con gli altri paesi, p. 123 La programmazione economica, p. 124 Conclusione, p. 127 Bibliografia, p. 128. ·
·
·
·
XLIV. Il «mercato» nell'imperialismo e la formazione dei prezzi Aspetti generali. Forme di mercato, p. 1 30 Il prezzo di monopolio, p. 1 33 I l caso del monopolista isolato, p. 133 La spiegazione marginalistica, p. 1 37 Il mercato oligopolistico, p. 141 Come si forma il prezzo nell'odierno mercato del l'imperialismo? La teoria della curva ad angolo, p. 143 La teoria del costo pieno, p. 146 La teoria di Sylos Labini, p. 147 La spiegazione marxista, p. 149 Accrescimento della divergenza tra costi sociali e costi individuali, p. 152 Eccesso di plusvalore e sfruttamento dei paesi sottosviluppati, p. 157 Bibliografia, p. 162. La grande impresa moderna, p. 158
130
XLV. La dinamica economica dell'imperialismo
164
.
·
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·
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·
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Le categorie economiche e la loro dinamica nell'imperia.Jismo, p. 164 La dinamica del profitto, p. 171 La dinamica dell'in sieme. Stagnazione e modelli di crescenza, p. 1 75 La dinamica reale del sistema, p. 1 79 Ritmi e cause attuali di sviluppo, p. 1 80 Le modificazioni qualitative, p. 182 Socialità crescente del processo produttivo, p. 186. -
.
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·
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XLVI. Le caratteristiche nuove delle crisi economiche
192
Premessa, p. 192 Cause specifiche dell'andamento ciclico post bellico, p. 193 Modificazioni nelle manifestazioni del ciclo, p. 194 Causa delle modificazioni, p. 195 La sostanza della crisi, p. 198 Bibliografia, p. 200. -
-
-
-
·
Le teorie economiche nell'imperialismo 205
XLVII. La macroeconomia Premesse generali, p. 205 Obiettivi dell'analisi macroeconomica, p. 207 Economia politica e altre scienze: matematica ed econo metria, p. 208 La cibernetica, p. 2 1 1 Bibliografia, p. 213. -
·
·
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2 14
XLVIII. Il reddito nazionale Il concetto di reddi to nazionale, p. 214 nale, p. 220 Bibliografia, p. 223.
-
-
Conto economico nazio
XLIX. L'analisi delle interdipendenze strutturali Bibliografia, p. 236. La programmazione lineare, p. 230
225
L. L'economia della « piena occupazione
237
-
»
Questioni generali. Reddito netto e reddito lordo, p. 237 La teorizzazione degli strumenti per incrementare l'occupazione. II .
XVI
Indice moltiplicatore, p. 241 Il princ1p10 di accelerazione, Propensione al consumo e propensione al ri!>pannio, L'influenza del saggio di interesse, p. 251 Saggio di e moneta, p. 252 - Saggio di interesse e investimento, Bibliografia, p. 260. -
-
p. 245
-
p. 247 interesse p. 256
-
-
LI. Il sistema keynesiano
261
Aspetti generali, p. 261 - Teoria della occupazione, p. 264 Schema keynesiano, p. 267 Altri economisti monetari, p. 269 Gli studi sull'inflazione, p. 270 Le discussioni sulla liquidità e sull'interesse in scrittori non keynesiani, p. 271 - Le deficienze degli economisti monetari, p. 277 Bibliografia, p. 280. -
-
-
-
LII. Le teorie sullo sviluppo
283
Motivi della indagine teorica. Conseguenze teoriche, p. 283 Il modello di Harrod, p. 291 Aspetti del modello HarrodDomar, p. 296 Bibliografia, p. 300. -
-
Appendice III
Il capitale finanziario italiano
-
di Alessandro Lippi
305
Osservazioni preliminari, p. 307 - I maggiori gruppi del capitale monopolistico italiano: struttura e legami personali, p. 3 10.
Appendice IV
Macroeconomia -
Parte prima
di Carlo Casarosa
Modelli macroeconomici di breve periodo 377
I. Il modello classico Introduzione, p. 377 La legge del Say, p. 378 - Risparmio, investimento e saggio di interesse, p. 380 - La funzione della produzione, p. 383 Teoria dell'occupazione, p. 386 Teoria quantitativa della moneta e livello generale dei prezzi, p. 39 1 Formalizzazione del modeMo classico e sua esposizione grafica, p. 394 Il commercio internazionale, p. 397 Politica monetaria e finanziaria, p. 399 Indicazioni bibliografiche, p. 40 1. -
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Il. Il modello keynesiano semplificato Introduzione, p. 403 Il rigetto della legge del Say e la teoria della domanda effettiva, p. 404 Il modello keynesiano semplificato o « troncato », p. 407 La funzione del consumo, p. 409 Determinazione del reddito e dell'occupazione, p. 412 Il molti plicatore, p. 414 - Risparmio, investimento e determinazione del reddito, p. 417 Indicazioni bibliografiche, p. 419.
403
III. Il modello keynesiano completo
421
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La funzione dell'inves·tìmento e l'equilibrio nel mercato dei prodotti, p. 421 L'equilibrio nel mercato dei prodotti, p. 423 •
•
XVII
Indice La domanda di moneta e la preferenza per la liquidità, p. 426 L'equHibrio nel mercato monetario, p. 429 Equilibrio generale nel mercato dei prodotti e nel mercato monetario, p. 43 1 Mercato del lavoro, prezzi e salari, p. 436 Sintesi della teoria keynesiana di determinazione del reddito e dell'occupazione, p. 442 Indicazioni bibliografiche, p. 444.
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IV. Il
commercio internazionale nel modello keynesiano
446
Il commercio con l'estero e la determinazione del reddito nazionale, p. 446 La funzione dell'importazione, p. 447 Il moltiplicatore del commercio internazionale, p. 450 Il mec canismo keynesiano di riequilibramento della bilancia dei paga menti, p. 455 Indicazioni bibliografiche, p. 457. -
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V.
Politica finanziaria e monetaria e reddito nazionale Politica economica interventista, p. 459 Finanza pubblica e reddito nazionale, p. 460 Le politiche del deficit di 'bilancio, p. 461 Il bilancio in pareggio ed il reddito nazionale, p. 466 Redistribuzione del rf'ddito e reddito nazionale, p. 469 Gettito fiscale e reddito nazionale, p. 471 Deficit «passivi» e deficit
459
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attivi
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La politica del «full employment budget surplus », p. 475 Il finanziamento del deficit di bilancio, p. 477 Politica monetaria, p. 478 Indicazioni bibliografiche, p. 481 . «
».
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VI.
Confronto fra la teoria classica e la teoria keynesiana dell'occupazione Teoria dell'occupazione e rigidità dei salari, p. 484 I due
484
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casi keynesiani: la " trappola della liquidità » e l'inconsistenza delle funzioni del risparmio e dell'investimento, p. 485 - L'in troduzione delle «real-balances » nella funzione di domanda complessiva e il superamento dei due « casi » keynesiani, p. 487 Il modello concorrenziale con sola « moneta interna », p. 490 !'I confronto fra i classici e Keynes sul piano dinamico: la tesi del Clower e del Patinkin, p. 492 Indicazioni biblio grafiche, p. 495. -
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VII.
Alcuni sviluppi della teoria macroeconomica di breve periodo successivi alla Teoria generale Introduzione, p. 496 La funzione del consumo, p. 497 La teoria dell'investimento, p. 502 - La teoria della domanda di moneta, p. 505 La teoria dell'offerta di moneta, p. 507 La moneta e il reddito, p. 509 Indicazioni bibliografiche, p. 5 1 0. -
496
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L'inflazione e il ciclo economico
Parte seconda VIII.
L'inflazione Introduzione, p. 5 1 5 Inflazione da «tiro della domanda», p. 516 Inflazione da « spinta dci costi», p. 520 Variazioni della produttività e remunerazione dei fattori della produzione, p. 521 Inflazione da spostamento settoriale della domanda, -
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_51_5
XVIII
Indice p. 524 Possibilità
ivi deHa svolta ideologica, del trionfo della impostazione soggettivistica nello studio dell'eco nomia. Come abbiamo già ricordato tale impostazione ha percorso essa pure un lungo cammino scientifico, sicché la nostra esposizione terrà conto solo dei concetti piu elementari e pacifici, e che possono essere oggettivamente utili anche oggi, per analisi parziali di alcuni fenomeni economici.
Il concetto piu importante, che è stato elaborato per primo, è il I J concetto di « utilità marginale » . Il ragionamento logico dei marginalisti
è molto semplice ed è il seguente. L'uomo ha molti bisogni di vario genere. Bisogno è· qualsiasi sensa zione penosa che deve essere eliminata. Essa viene eliminata da un bene, atto appunto a soddisfare il bisogno. Alcuni beni si trovano nella natura in quantità infinita : per essi non interviene nessun calcolo economico : si consumano semplicemente, non sono beni economici. Cosf l'aria, bene che serve per respirare e mantenere in vita l'individuo, cosf l'acqua che scorre nella natura. I bisogni sono illimitati nella loro varietà ed hanno una loro vita, modificandosi nel numero e nella qualità, in dipendenza del livello dello sviluppo sociale. Già la circostanza che ognuno di noi ha, purtroppo, una limitazione del tempo, porrebbe un problema di « scelte », inquantoché per esempio un giovane non potrebbe essere nel lo stesso tempo a passeggio con la fidanzata e allo stadio ad assistere ad una partita di calcio. Purtroppo il tempo è limitato e non basta mai per tutto quello che si vorrebbe fare. Ma quello è un limite che vale anche al di fuori di quei fenomeni di cui si interessa la scienza economica. Per questi ultimi il limite è dato dal fatto che il bene di cui si può disporre è limitato come « quantità » . Un'altra osservazione comune, che ha grande importanza come base logica della teoria sog gettivistica, ci dice inoltre che il singolo bisogno presenta presto o tardi un grado di saturazione, cioè viene soddisfatto gradualmente con
V. L'economia soggettivistica
95
l'uso di un bene . Ciò è di immediata evidenza per: quanto riguarda i bisogni fisici, come il mangiare, che possono essere in breve soddisfatti col bene corrispondente - cibo - cioè fino a raggiungere presto la sazietà, mentre è meno visibile nei bisogni intellettuali di piu lenta
saturazione. Naturalmente tutti sanno che è difficile separare un bi sogno dagli altri : i bisogni cioè non si presentano isolati, ma nella loro complementarietà, però è possibile fare un confronto tra un biso
gno e un altro, farne una graduatoria. Ed è possibile notare anche che dalla incompleta soddisfazione del bisogno noi passiamo alla sua completa soddisfazione non tutto di un colpo ( salvo eccezioni ) , ma attraverso gradi, piu o meno numerosi . Cerchiamo infatti di collegare ora insieme queste osservazioni .
I bisogni sono illimitati nel loro numero e di diversa intensità: di contro noi abbiamo una quantità limitata di beni. Di qui la prima
de_!ti economici quei beni, atti a soddisfare un biso gno, la cui qut1ntjtà_ è�li'!litd_!_a�_ d]Ji_on!e. "'aL&sai��.--cosT"non_ è__beile
definizione : �ono
economico l'aria, anche se essa Qual
è il valore
è
essenziale alla vita.
di un bene? Deriva dalla sua utilità, la quale,
a sua volta dipende dalla quantità. Infatti quella che determina il valore di un bene
è
l'ultima dose, l'utilità di questa dose ultima: essa,
come avviene del resto per la proprietà ordinale dei numeri, definisce il valore di tutto il bene.
Leghiamo infatti i due fenomeni quantità e utilità (capacità di soddisfare un bisogno) e stabiliamo una relazione fra di loro. Una
prima osservazione elementare, sulla quale insistevano
i
trattati di economia dei soggettivisti, ma che basta invece solo accen nare, ci dice che i
di intensità.
bisogni
dell'individuo presentano un
grado diverso
Per quanto il giudizio della intensità del bisogno sia sog
gettivo, si possono anche oggettivamente distinguere bisogni primari
e urgenti, che 'corrispondono alle necessità fisiologiche della vita, dai
bisogni meno urgenti . Comunque
i bisogni secondo una
scala
o
è
chiaro che ognuno di noi dispone
gradazione
in base ad una valutazione,
che sarà diversa da individuo ad individuo, pur avendo nella massa
certe caratteristiche comuni che sono appunto oggetto
di attenti studi
di statistica economica e che servono per la cosiddetta mercato ».
«
analisi
di
In questa scala sono posti prima i bisogni piu urgenti, poi gli
altri. E, per esempio, se si osserva come viene speso il reddito per i
beni di consumo, si vedrà che la spesa per i bisogni primari, cioè in
caso concreto l'alimentazione,
è
un indice importante del benessere
96
Principi generali
generale di una popolazione : se il reddito individuale è basso, alta sarà la percentuale del reddito speso per l 'alimen�azione. Ma se vi è una scala dei bisogni, l 'osservazione ci dice che l'inten sità del bisogno decresce, il che è logico, mano a mano che il bisogno è soddisfatto, fino alla sua estinzione completa. Quando ho mangiato non ho piu fame. 1 · La soddisfazione piu o meno .completa del bisogno dipende dunque i dalla quantità di bene che si ha a disposizione, quindi se l'utilità di un bene è la sua capacità a soddisfare un bisogno, ne consegue che anche l'utilità di un bene deve essere decrescente in funzione della quantità. Ne deriva quindi il concetto generale: l'utilità di un bene in senso economico non è la sua capacità astratta a soddisfare il bisogno. Se cosf fosse il diamante, che serve a soddisfare bisogni secondari, senza dubbio meno urgenti, dovrebbe essere meno utile per esempio del carbone, il quale serve a soddisfare tanti bisogni, compreso quello di riscaldarsi d'inverno. Eppure il valore del diamante è superiore. Ciò avviene per il fatto che l'utilità economica concreta deriva dal rap porto fra quantità di bene a disposizione e bisogni, e il diamante è raro, si trova in piccola quantità. Ma come si può fare una scala dei vari beni secondo la loro utilità economica sopra definita? Tenendo presente il concetto di decrescenza della utilità. Consideriamo il rapporto esistente fra un solo bisogno ed un bene. Sappiamo che da un bisogno intenso si passa ' � 1
Figura 3
y
A
B
o
X
Prindpi generali
116
all'asse delle ascisse. Graficamente facciamo l'esempio nella figura 2 di una domanda con elasticità superiore all'unità o nella figura 3 di una domanda con elasticità inferiore ad uno (sulle ordinate son sempre indicate le variazioni dei prezzi, sulle ascisse le variazioni nelle quan tità domandate). Come abbiamo detto, non è possibile, se non per pura ipotesi raffigurare una domanda con elasticità diversa nei vari punti, in quanto contemporaneamente non posso che avere variazioni in un sol punto. Comunque una tale domanda sarebbe facilm'ente rappresent·abile con l'unione di curve diverse, come è raffigurato nella figura 4 : Figura 4
y
o
X
Al concetto di elasticità della domanda è collegato il concetto di
l�e!si/Jilità del prezzo.
Essa nella sua precisazione matematica viene definita come l'in verso della elasticità della domanda, e misura come si riflette sul prezzo una data variazione del consumo. Anche questo concetto può
avere una importanza solo se inteso genericamente. Secondo il nostro giudizio, la scuola soggettivistica non ha por tato un valido contributo alla comprensione della realtà, salvo la creazione di qualche strumento utile per !"analisi di alcuni fenomeni parziali. Essa ha voluto infatti limitarsi a studiare le variazioni dei prezzi , ma non a spiegarle nella piu profonda sostanza, anche se in questa analisi essa ha raggiunto nnissime formulazioni di carattere formali stico. Pertanto tali analisi possono essere utili ai fini concreti e nell'in teresse del produttore capitalistico, ma poco servono per la economia
V. L'economia soggettivistica
117
nel suo insieme. Negli economisti piu recenti queste analisi della curva individuale di domanda, sono sostituite da analisi del comportamento storico della curva collettiva di domanda, della distribuzione del con sumo cioè in dipendenza della quantità di reddito, e dallo studio storico della curva di domanda delle si ngole merci. Anche questi studi, che grazie al perfezionamento degli strumenti e della tecnica del calcolo statistico hanno raggiunto una grande importanza, possono essere certamente utili a fini pratici e di politica economica, possono rilevare uniformità di comportamento, ma non possono sostituire l'ana lisi teorica, la spiegazione d'insieme che era l'obiettivo della economia classica e del marxismo e che deve essere l'obiettivo di qualsiasi tratta zione scientifica della economia politica.
Equilibrio generale del mercato. La scuola matematica Occorre sempre tener presente infatti che i prezzi del mercato sono in continuo .movimento per mutamentii che avvengono nelle offerte e nelle domande delle merci. Queste variazioni non sono indi pendenti tra di loro, sono �nzi tutte legate. Ogni variazione del prezzo di una merce comporta variazioni nel prezzo delle altre merci. È tutto un sistema di prezzi che risulta in equilibrio se noi lo consideriamo in un determinato istante e simultaneamente nel suo complesso, ma che nello stesso istante ha in sé forze intime che tendono ad alterare questo equilibrio e a crearne un altro, che pure non può durare che un solo istante. Senza dubbio anche questa unità del problema eco nomico non è stata dimenticata, ma solo formalmente. Alcuni econo misti hanno cercato 1infatti di rappresentare questa realtà matemati camente con un sistema di equazioni differenziali tutte legate fra loro come un sistema chiuso. Basta ricordare il Walras e il nostro Pareto. Questa rappresentazione da un punto di vista formale può rendere piu esattamente il concetto che noi abbiamo espresso, però le basi logiche da cui questa rappresentazione matematiica dello equilibrio economico è nata, ne fanno 11na cosa morta. Senza dubbio però non è da sottovalutare l 'importanza che hanno avuto la scuola matematica, la ricerca e le diverse formulazioni della teoria dell'equilibrio economico generale. Non è da sottovalutare, perché in esse è riaffermato il principio di considerare il sistema eco r{omico nel suo insieme e nella interdipendenza generale dei vari fenomeni, espressa con equazioni formali, che nella loro astrattezza possono essere validè in qualsiasi tempo. Tale scuola perciò ha creato
lS
Principi generali
le premesse logiche per sviluppi ulteriori e diversi. � stata cioè la base sia per la formulazione di modelli del tutto astratti e lontani dalla realtà, ma sia anche per la costruzione di modelli piu rispondenti alla realtà e derivati da una analisi accurata di reali interdipendenze strutturali. Lo svolgimento di tale scuola è stato piuttosto complesso e la trattazione di esso risulterebbe piuttosto difficile, in quanto richiede la conoscenza di strumenti matematici avanzati e per tale motivo noi ci limitiamo qui solo a qualche accenno metodologico, rinviando il lettore alla bibliografia indicata alla fine del capitolo VI. La prima formulazione dell'equilibrio economico generale si deve a Leon Walr_l!_s_( 1 874) 1 • Egli partiva dalla considerazione che esi stendo quantità date di risorse produttive (o « capitali » ), le quantità dei beni prodotti e scambiati in base alle scelte soggettive e i prezzi di essi risultavano simultaneamente determinati. L'analisi del W'!llras vorrebbe astrarre dal sistema sociale di produ:?J.ione, tanto che si parla di « economia pura ». Questo è già un limite della sua costruzione teorica; in realtà poi si presuppone il sistema sociale capitalistico, in quanto si parte dalle categor.ie capitalistiche e dall'ipotesi di un mer cato di concorrenza pura. Il punto di partenza della costruzione logica è poi sempre - l'utilità, intesa nel senso della concezione marginalistica e sulla base di tale concezione vengono elaborati anche i concetti di saggi marginali di sostituzione, sia nel campo del consumo che in quello della produzione. Il Pareto, continuatore del Walras, tentò di dare alla teoria dell'equilibrio generale una formulazione ancor piu astratta, sia nel movente psicologico del comportamento, sia nelle relazioni tra i feno meni, per cui, indipende11;temente qalle forme di mercato, date le quantità iniziali delle risorse produttiv�, le condizioni tecniche della produzione, i gusti dei consumatori, risultano determinate quantità e prezzi. Anche se meno esplicito, rimane pur sempre il presupposto della concorrenza e della produzione di tipo capitalistico e la base soggettivistica; ciò è vero anche se il Barone 2 , partendo dalla I L. WALRAS, Elements d 'économie politique pure 011 tbénrie dc la ricbes.duzione agricola, perché in essa è stato introdotto dai classici e in modo piu preciso dal Ricardo il concetto di produttività marginale, in quanto si con siderava che il fattore naturale terra, essendo limitato, dava luogo al fenomeno della produttività decrescente e, dati i rapporti sociali di produzione, al fenomeno della rendita, categoria economica che fra poco vedremo . Ma il concetto è stato esteso alla produzione in genere e si è riscontrato che se rimangono fermi gli altri fattori della produzione e ne varia in aumento solo uno, questo unico fattore apporterà varia zioni in aumento della produzione che ad esso possono attribuirsi, ma questi aumenti prima o poi andranno decrescendo; ossia ad un certo momento la produttività marginale del fattore considerato de crescerà, naturalmente sempre supponendo invariati gli altri fattori. Si potrebbero far molti esempi, considerando per esempio una industria tessile e facendo in essa wriare solo il numero degli operai, ma credo che il concetto sia già chiaro ed esso è ulteriormente svilup pato nella appendice del La Grassa. È chiaro anche che limitarsi a con siderare solo due fattori, capitale e lavoro, considerati globalmente e non nelle loro suddivisioni, permette di esprimere la cosiddetta teoria della produzione con rappresentazioni grafiche a due dimensioni, facendo va riare un fattore e tenendo costante l'altro. È facile comprendere come da questo principio si sia giunti al concetto di equilibrio economico nell'impiego dei fattori produttivi da parte dell'imprenditore nell'impresa. Se si può attribuire l'incre mento del prodotto a singoli fattori, è chiaro che la combinazione di questi fattori, ossia il loro impiego dipenderà dalla produttività mar ginale dei fattori considerati. Si impiegherà prima il fattore che, te nuto conto del suo prezzo, presenta una maggiore produttività. Si farà in sostanza il ragionamento che abbiamo visto fare per il con sumatore, soppesando le utilità marginali dei vari beni. E anche qui, siccome i fattori di produzione hanno un prezzo di mercato, si parlerà di _produttività marginali ponderate, date dalla produttività diviso il prezzo del fattore, e si giungerà alla legge la
VI.
L'economia dell'impresa
129
quale afferma che ciascuna impresa limita la quantità impiegata deT
singoli /attori in modo che le produttività marginali siano proporzio nali ai rispettivi prezzi, ossia le produttività marginali ponderate siano uguali. Cioè l'imprenditore capitalistico distribuisce i fattori di produ zione che ha a sua disposizione in modo che l'ultima lira spesa per un fattore present i la stessa produttività dell'ultima lira spesa in un altro fattore, il che significa che le produttività marginali, tenendo conto dei prezzi, vengono ad essere livellate. Questa definizione ser ve a indicare dunque un fatto evidente, banale, solo espresso in ter mini piu precisi di quelli che possa adoperare il linguaggio comune. Ma qual è l'importanza di questa analisi per la teoria economica? L'im portanza di questa analisi è limitata, anche se essa è stata sviluppata ampiamente e ha da to luogo a considerazioni importanti per l'eco nomia aziendale. Non solo essa si riferisce all'impresa, considerandola soggetto della produzione, ma ad una impresa che trovi già un mercato bello e fatto, in cui essa si debba inserire e sul quale, per la sua piccola dimensione, non può influire 1• Cioè non viene a studiare come si forma il mercato, ma quali sono le reazioni del singolo produttore cli fronte al fenomeno oggettivo - mercato - già esistente. Queste analisi cioè non servono poi per ricostruire il mercato e le sue leggi. Inoltre tutta l'impostazione di questa analisi parte da ipotesi che sezionano conti-· nuamente la complessa realtà e che, dividendola, si allontanano da essa.
Critiche alla teoria della produttività marginale Una prima ipotesi irreale è la simul taneità delle varie pos1z1oni supposte. Cioè si opera logicamente pensando - creando quindi col . pensiero - diverse situazioni reali nello stesso momento e confron tandole, il che nella realtà non può avvenire. Cosi immagino quale sarebbe la dimensione piu conveniente dell'impresa, la combinazione piu conveniente dei fattori produttivi, il costo oggi, se la produzione
1 Un tentativo di teorizzare la reazione dell'imprenditore di fronte ad un mutamento del prezzo di vendita è stato fatto col famoso teorema della ragnatela, che introduce cosf una limitata analisi dinamica sulla base della teoria soggetti vistka. Esso afferma, come meglio si vedrà in appendice, che al variare del prezzo la reazione della domanda è immediata. La reazione dell'offerta avviene invece con ritardo di un periodo di produzione, cosicché l'offerta avrà oscillazioni ritardate rispetto al prezzo in piu o in meno.
9
130
Principi generali
che intraprendo fosse, sempre oggi, e con i prezzi del mercato attuali, di 1 0, 20, 30 o 1 .000 . unità. È una sintesi di possibilità teoriche, non di fatti reali , quindi, che io compio e che dovrebbe guidarmi nell'azione. Ma è chiaro che la scelta è una, che i dati del mercato mutano continuamente e che io muto continuamente quindi il mio calcolo. Anzi in previsione di molti mutamenti, io farò il calcolo non solo su dati del mercato, ma su dati che io suppongo troverò nel mercato durante e alla fine del mio processo produttivo. Per questo infatti troverò sem pre una divergenza tra quello che sarà stato il mio calcolo e il dato oggettivo che io troverò sul mercato. Il prezzo di vendita che ci sarà nel mercato, quando •io vi immetterò la merce prodotta, e i costi effettivi che io avrò sopportato variano per ,il continuo movimento dei prezzi e li accerterò solo alla fine del processo produttivo. Io conoscerò quindi solo a posteriori, al termine del processo produttivo, tutti questi elementi. I concetti e le analisi basate sulla produttività marginale sono molto eleganti ed anche utili come ginnastica del pensiero, pos sono essere anche utili per lo studio dell'economia aziendale, per of frire delle ricette tecnico-economiche ai produttori capitalisti, per vedere le variazioni di breve periodo in un mercato stabilizzato, ma hanno scarso valore ai fini della economia politica, se consideriamo, come deve essere, l'economia politica una scienza che studia le leggi fon damentali che regolano la produzione sociale, lo scambio e la distribu zione del prodotto sociale. La legge de�la produttività marginale parte anche da un'altra , considerazione astratta; cioè quella che · i mutamenti intervenuti nelle dosi di un fattore produttivo lascino inalterate tutte le condizioni d� produttività degli altri fattori. È chiaro invece che, anche considerando il periodo breve, ogni combinazione produttiva ha una sua produttività complessiva. Se noi mutiamo un termine, mutano tutti gli altri ed è ben difficile, im possibile, scindere nella produzione totale quello che spetta ad un fat tore da quello che spetta agli altri. Il prodotto totale si ottiene dalla combinazione dei fattori pro duttivi, dall'insieme, non dal singolo. In chimica, per esempio, non possiamo dire che un determinato prodotto sfa ottenuto grazie all'incremento di un elemento o di un altro della combinazione chi mica, ma è ottenuto dall'insieme di essi. Vi è anzi in chimica una legge che non serve nella vita economica, nella produzione, ed è la legge che g1i elemenci si combinano in proporzioni definite e ciò che supera, se noi cerchiamo di combinare elementi diversi, ci rimane come residuo. Nella vita economica ciò si verifiça solo in parte.
VI. L'economia dell'impresa
131
Naturalmente s e una determinata macchina, per esempio, abbi sogna di un operaio per manovrarla, quando noi ce ne mettiamo due, uno sarà superfluo e starà a guardare. Però nella vita economica il progresso della tecnica fa mutare continuamente tutte le proporzioni in cui devono avvenire le combinazioni degli elementi produttivi e in economia a diverse dimensioni corrispondono diverse combinazioni ottime, non in proporzione definita fra di loro, come invece è legge della chimica. Non solo, se si considera l'economia nel suo insieme e non dal solo punto di vista aziendale, si deve tener conto di altri rapporti che mutano il giudizio economico. Anche da un punto di vista aziendale ad ogni modo il problema deve sempre essere consi derato nella sua totalità, ogni volta che si imposta la produzione, ed è un problema economico, è un problema sociale. Sulla base dei con cetti di produttività marginale sono state elaborate teorie sulla di stribuzione del reddito nazionale e sulla « rimunerazione dei fattori produttivi » . Cioè la teoria della produttività marginale è stata utilizzata an che allo scopo di spiegare la distribuzione del reddito tra i « fattori della produzione »: terra, capitale, lavoro, capacità imprenditoriale. Essa ha sostenuto che Dali fattori sarebbero retribuiti in base alla loro produttività marginale, ossia al loro apporto alla produzione! Anche queste teorie hanno avuto lo scopo politico principale di distruggere le categorie economiche elaborate dai classici e precisate dal marxismo e che noi vedremo, e di dimostrare che ogni fattore ri ceve la sua giusta retribuzione, in base al contributo che esso dà alla produzione. Il merito principale di avere « affossato », con la teoria della produttiv.ità marginale applicata alla distribuzione, la teoria marxista del plusvalore, e quindi di avere meritato politicamente, è stato at tribuito in modo · aperto da John Maurice Clark (Readings in the theory of income distribution, 1 946, p. 6) al padre J. B. Clark, noto autore dell'opera La distribuzione della ricchezza ( 1 899). Ma anche rimanendo nella impostazione capitalistica e non vo lendo vedere i rapporti sociali che costituiscono il tessuto dei feno meni economici, l'inconsistenza logica di questa teoria appare di per sé. La stessa teoria dell'impresa afferma che vi sono varie combi nazioni possibili e che esse avvengono in base ai prezzi che J fattori produttivi hanno nel mercato. Ma questii prezzi variano anche in base a lotte sociali. Il che tra l'altro dimostra l'importanza che ha una variazione del prezzo del « fattore lavoro » ottenuta grazie alla lotta di classe dei lavoratori. Essa viene a scompaginare il « calcolo » del-
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l'imprenditore a minare la « produttività » del lavoro in senso capi talistico, fenomeno del resto già noto a Rii.cardo e a Marx in parti colare, che ha illustrato la funzione propulsiva e progressiva della lotta di classe. La stessa critica si può fare quando si considera che la « teoria della impresa » non tiene conto del mercato reale. Essa è infatti en trata in crisi con il prevalere del mercato
«
oligopolistico
»
nella
fase imperialistica, ossia col mutarsi dei rapporti sociali e col cre scere del carattere complesso dell'impresa, come si vedrà piu avanti. Ma rimanendo anche nell'ambito del ragionamento logico margina listico, affermare che la distribuzione del reddito e la remunerazione dei fattori di produzione avviene ·in base alla produttività marginale, significa confondere un fenomeno che si conosce ex post, con un fe nomeno invece che dovrebbe essere conosciuto ex ante, ossia essere causa della produzione. Chi è che decide? Anche in questa teoria chi decide è l'imprenditore capitalistico. È lui che stabilisce cioè la « produttività » dei vari fattori produttivi, ma può stabilirla solo in base ai prezzi esistenti nel mercato e solo dopo, con l'impiego dei fattori produttivi, modificare la situazione di partenza. È lui che distri
buisce .il reddito e se non vi è una equazione della tecnica univoca, tanto meno vi può ·essere una univoca equazione di massimo econo mico e quindi non si può parlare né di produttività marginale in senso assoluto, né di distribuzione o rimunerazione dei fattori in base alla produttività marginale. Il valore euristico della teoria della produttività marginale è perciò molto limitato. Essa ha avuto tutt'al piu un merito di econo mia aziendale : quello di elaborare piu chiaramente alcuni concetti appena adombrati dai classici e che possono essere utili.
Tipi di costo. Il costo totale Quando abbiamo parlato di costo di produzione abbiamo pre cisato, come del resto precisano ii classici, che con la parola costo si
intendeva il costo unitario medio sociale, cioè quanto veniva a costare la singola unità nell'impresa media o di una media di imprese o, come dice Marshall, nelh industry. Come si è già detto, il concetto è stato con chiarezza espresso dal Marx nel citato III libro del Capi tale. Il concetto di costo nella econollli a m_argi11iùisticll yien�_ iriy_�_e _!' � rito _ �!I�_ singol�-�lllP_!es� Ora l'impresa ha interesse a conoscere non solo il costo unitario medio, che meglio sarebbe definire secondo
!f
VI.
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la dizione marshalliana costo totale per unità, ma altri tipi di costo a questo strettamente collegati, l'imprenditore capitalistico ha in teresse a conoscere come giocano i singoli elementi del costo col variare della quantita totale prodotta. L'economia moderna, appunto perché, oltre ad essere divenuta « economia dei prezzi », si è trasformata sempre di piu in una « eco nomia della impresa », in una « economia aziendale », ha analrizzato questi vari tipi di costo. In primo luogo il costo totale. _:Il._sQs_t()_JQl�k di una quantità di merce prodotta è la somma dei singoli costi, cioè delle spese fatte per l'acquisto dei vari fattori pro duttivi occorrenti per produrre quella quantità. I costi sostenuti dall'impresa vengono distinti in due grandi ca tegorie: L costLf_i s�_e_i__co§J:[email protected]_. I costi fissi sono i costi che l'impresa deve sostenere qualunque sia la quantità prodotta : cosi i costi per le , spese generali di funzionamento (edifici, personale diri gente ed amministrativo, macchinario, ecc.). I costi variabili sono quelli inerenti alle spese per l'acquisto di materie prime e di forza lavoro, il cui impiego varia al variare della quantità prodotta. Questa distin2'lÌone ha importanza in periodo breve: in periodo lungo anche il costo fisso varia, in quanto si deve rinnovare l'attrez zatura produttiva adeguandola allo sviluppo tecnico. Il costo totale è quindi una funzione della quantità prodotta. Pe rò, e noi vedremo subito il perché, il costo totale può crescere pro porzionalmente, meno che proporziona.lmente e piu che proporzional mente alla quantità prodotta e l'osservazione ci indica, in genere, che da un certo momento in poi il costo totale cresce piu che propor zionalmente alla quantità prodotta. Questo naturalmente sempre in teso non in senso di successione temporale, ma in senso virtuale, considerando diversi costi istantanei di produzione, cioè in periodo breve. Ciò deve essere inteso nel senso che un aumento della produ zione, per esempio, del 20% oggi, può dar luogo ad un aumento del costo totale, sempre oggi, superiore al 20 % . Questa progressività del costo totale dipende dalla ricordata leg ge della produttività decrescente, e non si rivela con uguale intensità in tutti ,i settori produttivi. In alcuni si rivela quas'i subito, data la limitazione di certi elementi della produzione, in altri molto piu tardi, ma nel complesso si rivela sempre, naturalmente in periodo in cui non cambino le altre condizioni della pròduzione. Ciò è un altro modo di dire che ogni impresa ha la sua dimensione ottima, oltre la çuale cioè i costi crescono piu che proporzionalmente. Di fatto questa legge
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non si rivela fin dall'inizio del processo produttivo, perché all'inizio la progressione può essere annullata per esempio dalla ripartizione delle spese di impianto sopra una quota sempre piu grande di pro dotto. Oltre un certo limite le condizioni a cui l'impresa può ottenere materie prime, capitali diversi, forza-lavoro diventano sempre piu onerose e quindi la decrescenza della produttività prende il sopravvento. Per questo motivo il Marshall dice che il cost.o totale di produ zione può anche essere accertato moltiplicando 11 costo marginale per il numero delle unità prodotte, aggiungendovi le rendite deri vanti dai vantaggi differenziali nella produzione ' 1 •
Costo unitario Il contrasto si rivela chiaramente se noi esammiamo il compor tamento del costo unitario o costo medio, o costo totale per unità, se condo la dizione marshalliana. Figura 4
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o 1 MARSHALL, Principles,
M 8• ed., p. 810, app.
Quantita'
n.
4.
X
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13.5
Che cos'è il costo unitario ? .!L_ c9_5!0 llnitari9 è il costo della singola unità di merce prodotta ed è perciò eguale al costo totale diviso per la quantità prodotta. Il costo unitario medio si può quindi rilevare con certezza solo a posteriori ed è funzione del costo totale e della quantità prodotta. Se noi rappresentiamo graficamente la linea del costo unitario, vedremo che essa è prima discendente, raggiunge un minimo e poi ritorna a salire, secondo il tipo di curva che risulta dalla figura 4. La decrescenza iniziale riflette la partizione delle spese di impian to sopra una porzione maggiore del prodotto. Questo è un fatto noto ed evidente. Le spese per alcuni fattori produttivi ( affitto, macchi nario, ecc.) sono fisse o costanti, indipendenti cioè dal fatto che si produca una grande o piccola quantità di merce. Esse sono attribuite, cioè divise per la quantità prodotta : la quota diminuisce quanto maggiore è la quantità prodotta. L'andamento crescente successivo invece riflette il costo maggiore dei fattori produttivi oltre un certo limite o la minore produttività di essi. Il che, ripetiamo, è lo stesso che dire che ogni impresa, ogni tipo di produzione ha le sue dimensioni ottime per ragioni tecnico economiche, dipendenti cioè dal mercato e dal t-ipo di produzione ( per es. tessile, meccanico, edilizio, agricolo, ecc). Il che pure è lo stesso che ripetere che il capitalista sostituisce e combina i fattori produt tivi in modo da ottenere il massimo prodotto con la minima spesa. La linea del costo unitario - u - che abbiamo rappresentata è, ripetiamo, prima decrescente poi crescente, sull'asse della quan tità. Nel punto piu basso: F rappresenta con la sua ordinata FM il costo minimo che si raggiunge quando la produzione è misurata dalla ascissa di F, pari a OM. A sinistra e a destra di M il costo unitario è superiore al minimo. Se il prezw del mercato fosse inferiore o scendesse al di sotto di FM, la impresa lavorerebbe in perdita e quindi sarebbe spinta o a combinare altrimenti gli elementi della produzione e ridurre il costo o ad uscire dal mercato. Per questo gli economisti hanno chiamato il punto F, punto di fuga o punto critico e MF, prezzo critico o prezzo di fuga . Naturalmente in periodo breve non è che tutte le imprese si trovino nella situazione indicata nella figura 4, in cui si suppone che il costo unitario corrisponda al prezzo di mercato e quindi si tratti, come fra poco vedremo, di una impresa marginale. Oltre a questa
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Figura 5
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u e ::J VI o u
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o
Q u a n t i t a..
posmone se ne possono raffigurare almeno altre due. Una in cui il costo unitario sia inferiore al prezzo del mercato, e questo è il caso di una impresa in attivo o con « profitto » ; e una in cui il costo unitario sia, nel momento, superiore al prezzo, e questo è il caso della impresa in passivo, che, se non si riorganizza, fallirà ( fig. 5-6 ) . L'andamento della curva del costo unitario ha molta impor tanza. Si pensi, per esempio, al fatto che le spese fisse, ossia i costi costanti tendono ad accrescersi con lo sviluppo economico, che im piega sempre piu fattori di produzione indivisibili, e che tale proces so ha avuto un nuovo impulso con l'automazione. Questo fatto ha conseguenze sull'andamento e del costo totale e del costo unita rio. Esso aumenta i costi iniziali della impresa e i costi anche derivanti dall'interruzione della attività produttiva ( il Dobb parla di starting e stopping costs). L'impresa per essere efficiente esige sempre di piu una determinata dimensione, una determinata quantità di produzione e quindi un mercato ron una certa stabilità. Anche questa osservazione ci dice che la moderna impresa so cietaria della fase imperialistica deve attuare un calcolo economico piu complesso, come piu avanti vedremo.
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Figura 6
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Q u a n t i t a'
Il costo differenziale o marginale _ È invece �il _costo OCC'CJ!ren_!�__?_J>_r�ur� _\111:.. i.n_q�gi�n�()_ del . pro dottQ. Quando si estende la produzione di una merce noi abbiamo un costo parziale, che si aggiunge a quello già esistente per produrre la quantità precedente. Come ben si comprende, questo costo addi zionale è dato esclusivamente dai costi variabili (materie prime e la voro). In realtà piu che di costo marginale sarebbe opportuno parlare di costo differenziale ed infatti esso è matematicamente misurato dal la derivata della funzione esprimente il costo totale complessivo, per cui il costo marginale risulta essere lo stesso, sia che si prendano in esame i soli costi variabili, sia che si prendano in esame i costi totali : il che deriva dal presupposto logico che i costi fissi sono, in breve periodo, una costante. Il costo dell'ultima quantità di merce prodotta risulta da una diferenza del costo di n unità, rispetto al costo di n - 1 unità. Ten de quindi a misurare un rapporto, ossia l'aumento che subisce il costo totale ad ogni produzione aggiunta. Il concetto di costo mar ginale ha assunto grande importanza nella analisi economica con temporanea.
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Per meglio definire, supponiamo di decomporre la quantJta pro dotta in particelle infinitamente piccole: il costo delle singole parti , celle rispetto al cos to precedente dicesi costo differenziale o marginale: il rapporto fra questo costo e l'incremento pure infinitesimo della quan tità prodotta dicesi .f�effiç_iente del costo_ .ciifft:re�i�!e .. Esso indica il costo delle successive particelle prodotte e misura perciò il ritmo e l 'accelerazione con cui il costo totale cresce al crescere della quantità prodotta. Poiché il concetto di costo marginale prescinde da quelle che sono le spese generali; il ritmo di accrescimento è quindi in generale pro gressivo, cioè, in rappresentazione grafica ( fig. 7 ) , è in generale una Figura 7
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O"I '-
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E
O u a n t i t a' linea crescente sull'asse delle quantità, e ciò che può interessare è appun to di conoscere il ritmo con cui il costo marginale o differenziale cresce. Noi possiamo per maggior chiarezza rappresentare graficamente quanto abbiamo detto. Sull'ascissa presentiamo la quantità, sull'ordinata i costi differenziali, escluse le spese costanti o fisse. Sia la linea dei costi differenziali o marginali crescente col cre scere della quantità prodotta. L'area compresa fra O Q e la linea dei costi differenziali rappresenta perciò il costo totale meno le spese costanti o fisse.
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1 39
Possiamo supporre tutta la quantità prodotta composta di tante particelle infinitesime, somma di esse. Se passiamo dalla quantità R M1
alla quantità R1, il costo passa da MR a M 1R1 e - rappresenta il M
tasso di incremento.
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Figura 8
25
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20
l inea d e l c o s t o m ar g i n a l e u L i n e a d e l c osto u n i tar i o
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5 6
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O u an t i t a'
Se il costo unitario decresce, vuol dire che le successive parti celle della quantità prodotta costano meno del costo medio della produzione precedente, cioè il costo unitario è superiore al costo mar ginale; se il costo unitario cresce, vuol dire che il costo marginale è superiore al costo unitario precedente. La linea dei costi margi nali è perciò al disotto della curva costi unitari a sinistra del punto di fuga ed è invece al disopra a destra di F. Cosi la linea dei costi differenziali interseca la linea dei costi uni�ari nel suo punto minimo. Come si può vedere dalla rappresen tazione grafica di cui alla fig. 8. Se noi uniamo tutte queste rappresentazioni abbiamo l 'equili brio dell'economia della singola impresa, nel caso di coincidenza del costo unitario col prezzo ( fig. 9, per gli altri casi vedi le precedenti fig. 5 e 6 ) .
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Figura 9
l i n ea d el c o s t o m a r g i n a l e l i nea d e l c ost o u n i ta r i o
A o
costo t o t a l e c o s t i va r i a b i l i
M
Q u a n t i t a...
Questa figurazione è valida, sia che si consideri il profitto me dio come un elemento del costo di produzione, retribuzione della « capacità imprenditoriale », sia che il profitto venga considerato una quasi rendita o surplus derivante dalla differenza tra il costo della ultima unità e il costo di tutte le unità precedenti. È chiaro anche che l'impresa arresterà la produzione al punto in cui i costi marginali raggiungono il prezzo di vendita. Se cioè il prezzo del mercato è di dieci lire per unità di merce, l'impresa può trovarsi in questa situazione : avere, per esempio, il costo unitario di undici. Se ha il costo unitario di undici sarà costretta a lungo an dare ad uscire dal mercato (fig. 6 ) se ha il costo unitario di otto aumenterà la produzione per guadagnare di piu. Ma fino a ç:he pun to? Fino a che il costo marginale raggiunga il prezzo ( fig. 4 ). Cioè se il costo m-.uginale era di 7 ,5 quando il costo unitario era di 8, l'impresa produrrà fino a che i l costo marginale avrà raggiunto 10. Cioè i n periodo breve, come abbiamo detto con l'esempio del l'automobile, si tende a considerare solo i costi del capitale circo lante necessario, che si consuma nel processo produttivo, non del capitale fisso, quindi il concetto di costo marginale ha importanza ai fini di segnare il limite della produzione. Il capitalista ha, in regime di concorrenza, interesse ad es te�- · dere la produzione, perché accresce il suo ��plus, o profitto, risul tante dalla differenza tra il costo della unità marginale e il costo delle unità precedenti, dato che il costo fisso non varia. ,
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Naturalmente il limite è dato dalla massima utilizzazione de gli impianti. Oltre a questo punto, occorrerebbe accrescere il ca pitale fisso. Si è detto che il capitalista si ferma quando il suo costo mar ginale raggiunge il prezzo di mercato : andando oltre infatti lavore rebbe in perdita. Per lui il prezzo è un dato esogeno e a quel prezzo può . vendere qualsiasi quantità che riesca a produrre. Il prezw si presenta a lui come quancità costante, che può essere perciò, come abbiamo fatto, raffigurata con una retta a distanza costante dall'asse delle ascisse (fig. 1 0 ). Figura 10
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O u a n t i t a""
Questa retta del prezzo P-P' si presenta per lui nello stesso tempo anche come curva di domanda con elasticità infinita (questo naturalmente nella ipotesi di concorrenza e di una impresa la cui offerta costituisca una parte molto piccola della offerta totale). Ecco un'altra spiegazione della ragione per cui la sua convenienza a · produrre si arresta quando il costo marginale raggiunge il prezzo di mercato. È chiaro pertanto che, se il prezzo aumenta, il punto di equi librio dell'impresa, rappresentato dall'incontro della curva del costo marginale con la linea del prezw, si sposta verso destra, ossia l'im presa aumenta la sua produzione, la quantità prodotta. Ossia, co me abbiamo visto all'inizio, l'offerta globale aumenta quando au menta il prezzo e diminuisce quando il prezzo diminuisce. Naturalmente il ragionamento vale presupponendo costanti i prezzi degli altri beni e quindi anche dei fattori produttivi, altri·
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1 42
menti occorre tener conto delle variazioni che intervengono nella curva dei costi e della nuova curva che ne deriva. In periodo lungo si suppone che i costi unitari siano decrescenti, come dimostra l'espe rienza storica dello sviluppo economico e ciò grazie ad una sempre migliore tecnologia.
L'impresa marginale e l'equilibrio economico Riprendiamo oro il filo del ragionamento che abbiamo posto e vediamo l'impresa nel mercato. Supponiamo che si tratti di una so cietà di concorrenza, in cui vi sia un numero infinito di imprese che lavorano a costi diversi, sappiamo che il prezzo del mercato è tendenzialmente unico. Abbiamo detto che esso si impone all'impresa come un dato di fatto indipendente, perché frutto dell'attività di tutte le imprese e non del singolo. Nel mercato abbiamo perciò una scala di produt tori che noi possiamo disporre secondo il loro punto critico o di fuga. Se essi sono in numero grandissimo, possi,amo rappresentare la scala con gradini cosi piccoli da diventare una linea. Si verificano allora due fenomeni. Da un lato, se il prezzo del mercato è inferiore al punto critico, cioè al costo unitario medio dell'impresa, l'impresa a lungo andare lascia il mercato, qualora non possa ridurre i suoi costi di produzione. Se il prezzo è superiore al costo dell'impresa, questa viene ad avere un profitto differenziale, superiore cioè al profitto medio, che noi consideriamo in questa sede tra gli elementi del costo ed è, come si è visto, spinta a produrre di piu, fi no a che il costo marginale non uguaglia il prezzo e, se consideriamo un periodo piu lungo, fino a che il costo unitario coincida col costo marginale, eliminando quella « rendita », come viene chiamata da questi economisti, o utile dell'impresa, che appare appunto come divario tra prezzo e costo unitario e di conseguenza, nell'ipotesi posta, divario tra costo marginale e costo unitario. D'altra parte
il costo marginale è uguale al costo unitario, quando il costo unitario corrisponde al prezzo di mercato.
Se invece, come alcuni economisti moderni fanno, con ragio namento eniato, non includiamo il profitto medio nel costo di pro duzione, in quanto consideriamo che si tratti di un
«
costo » per
compensare la « capacità imprenditoriale », negando cosi la categoria profitto in quanto tale, o lo consideriamo una quasi rendita residuale, che si attua solo nella dinamica, la tecnica del ragionamento non muta.
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VI. L'economia dell'impresa Figura 1 1
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R.appresentiamo graficamente questa linea del costo, diverso per le singole imprese, che alla fin fine è la linea dell'offerta, e suppo niamo vari livelli di prezzi indicati nell'ordinata, mentre nell'ascissa indichiamo le quantità prodotte di ogni singola impresa. Tutte le imprese che producono tendono ad avere Io stesso costo maTginale rappresentato dal segmento P60, se il prezzo è di 60, P50 se il prezzo è di 50, ecc. appunto perché, come abbiamo visto, la produ zione dell'impresa si arresta quando il costo marginale ha raggiunto il prezzo. Supponiamo che il prezzo s1a di 60. Abbiamo: che l'im presa rappresentata dal punto di fuga 6, trova che il prezzo del mer cato copre esattamente il suo costo unitario di produzione. Essa si trova al margine, al limite. Se il prezzo del mercato scendesse, cioè, si troverebbe costretta a rivedere la sua posizione, a cambiare pro duzione, ad uscire dal mercato, da quel mercato. Essa viene detta _ impresa margina!�.!.
Le altre imprese che lavorano a costi unitari minori, invece, vendendo al prezzo del mercato, avranno un profitto differenzi.aJe, rappresentato dalla differenza tra il loro costo unitario e il prezzo del mercato, moltiplicato per la quantità prodotta, differen2a che nel grafico ( fig. 1 1 ) è rappresentata dalle varie aree.
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Questo è un fatto inoppugnabile, s� noi fotografiamo l'istante di un mercato. Ma da questa constatazione sono derivate delle illazioni del tutto arbitrarie. Una, la prima, è rappresentata dalla affermazione che l'im presa marginale, cioè quella che non ha profitto, tende ad orientare il prezzo del mercato, in quanto tutte le imprese spingono teorica mente la produzione ad una quantità che possa soddisfare tutta la domanda, rialzando cosi i costi dell'impresa, e in quanto la concor renza spinge tutte le imprese a ridurre al min,imo i loro costi, alla posizione cioè della coincidenza tra costo marginale e costo unitario minimo, con l'eliminazione del « profitto ». In realtà è sempre il prezzo che determina qual è l'impresa mar ginale e non viceversa. Nel mercato infatti permangono sempre, per un periodo piu o meno lungo, imprese che hanno prodotto a un costo unitario superiore al prezzo del mercato e che vendono in per dita. Esse pure influiscono sul prezzo del mercato. Questa è una realtà del mercato che tutti conoscono. Si leggano le statistiche dei fallimenti e si vedrà quante imprese, prima di uscil'e dal mercato, hanno lavorato in perdita. Tutte queste imprese, determinando la quantità prodotta e il costo sociale di produzione, influiscono sulla formazione del prt;zzo del mercato, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, in quanto il prezzo è un fenomeno sociale. Quelle che lavorano in perdita, usci ranno dal mercato, si, ma non immediatamente e finché esistono esercitano la loro influenza. Quale sia cioè l'impresa marginale, come del resto per tutti i concetti espressi dalla teoria che si basa sul concetto di marginale, noi lo sappiamo dopo, quando cioè si sia già andati al mercato, ad un mercato che esista già con tutti i suoi prezzi e non prima. Questo errore nasce però da una base storica. Nella produzione industriale, cioè, dove generalmente i fattori della produzione sono sostituibili, la quantità da produrre astratta mente illimitata, e dove il progresso tecnico del secolo scorso ha indi cato una continua riduzione dei costi di produzione, l'impresa che produce a costi minori tende a determinare il prezzo del mercato, in quanto orienta tutti i produttori a produrre a quel costo, potendo, astrattamente, soddisfare tutte l� esigenze del mercato. Le imprese tutte, come si è detto, sono cioè portate al margine, .in modo non solo che non abbiano profitto differenziale, ma che il profitto dimi nuisca fino a ridursi tendenzialmente � zero.
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D 'altra parte nel corso del tempo, cioè in periodo lungo, l'im presa modifica gli impianti per giungere alla dimensione ottima che dia il massimo profitto e quindi riduca i costi. L'altro errore importante, ma che vedremo piu oltre, parlando della rendita vera e propria, è di chiamare questo profitto differen ziale rendita o « quasi rendita », confondendo cosi a bella posta categorie diverse e non contribuendo in tal modo alla chiarezza dei concetti scien tifici, tutto ciò per negare l'esistenza del profitto come categoria perma nente e distinta, e cioè l'esistenza di un profitto normale. Il Marx aveva considerato anche questi problemi, legati alle variazioni dei prezzi di mercato (cioè prezzi correnti ), riconoscendo la forza propulsiva che hanno queste variazioni e quindi l'importan. za delle categorie offerta e domanda. Egli aveva discusso anche l 'importanza dell'impresa marginale, ma aveva giustamente concluso che il concetto di marginale non po teva esse�e uno strumento adatto per la comprensione della realtà economica, salvo che, ed entro certi limiti, per la comprensione della categoria rendita fondiaria. Esso non poteva comunque permettere di comprendere a costo di produzione sodale medio, di lunga durata, fulcro della produzione e dei rapporti sostanziali tra i prezzi delle singole merci . Quanto abbiamo detto, riguardo la teoria delle produttività mar· ginali e della economia dell'impresa, indica che questa impostazione è inadeguata alla comprensione della realtà. Molte altre considera zioni sarebbero da fare, ma, per il carattere di questo manuale, le nozioni date sono sufficienti . Per il lettore che intenda raggiungere un approfondimento, si consiglia lo studio delle due appendici e la lettura dei testi citati.
BIBLIOGRAFIA Sulie questioni metodologiche proprie del soggettlvtsmo econo mico e per lo svolgimento e la precisazione dei singoli concetti nel ma nuale appena accennati (utilità, complementarietà della utilità, l'equi librio del consumatore e la funzione del consumo, la produttività mar ginale e la funzione della produzione, ecc. ) rimandiamo all'appendice del La Grassa. I testi in proposito sono numerosi. Vengono qui sotto elen cate le opere di piu frequente, facile ed utile consultazione: 10
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VII . Le categorie economiche : il salario
Nei precedenti capitoli abbiamo parlato molto delle categorie economiche, criticando la impostazione soggettivistica, proprio perché essa ne nega l'esistenza . Ammettere l'esistenza di categorie econo miche significa infatti ammettere l'esistenza di leggi oggettive che sono proprie di quelle categorie, per cui un soggetto economico che appartenga ad una di esse, non solo tende soggettivamente a compor tarsi secondo le leggi di quella categoria {il comportamento a noi inte ressa poco), ma deve necessariamente obbedire ad esse. Questo punto è fondamentale per delineare il concetto di categoria economica. Ricardo e i classici riconoscevano, abbiamo visto, l'esistenza di categorie economiche e parlavano di salario, di profitto e di rendita: almeno queste tre erano chiaramente indicate in tutti i manuali. di economia politica. Naturalmente, noi concepiamo le categorie economiche m u n modo differente da come le concepivano i classici ; essi le concepivano come categorie astoriche, eterne; secondo i prindpi classici, cioè, la categori1a salario ( retribuzione del lavoro ) si sarebbe riscontrata ii:i tutti i sistemi di produzione, cosi la categoria del prof.i tto (retribu zione dell'imprenditore e dell'investimento capitalistico) · e cC'is( la ca tegoria della rendita.
Bisogna però rilevare che i classici avevano chiaramente la nozione che queste categorie economiche erano 1anche categorie sociali ; essi cioè sapevano che dietro le parole profitto, rendita, salario, vi erano da una parte i lavoratori privi di mezzi di produzione, dall'altra i proprietari di capitali e dall'altra i proprietari della terra. E lo sape vano cosi bene che essi avevano delineato anche una dinamica delle diverse categorie ed esaminato i rapporti reciproci fra di esse. Cosi si diceva : se aumentano i salari, diminuisce il profitto e i salari possono
150
I'rincipi
generali
nominalmente aumentare perché aumenta il costo delle sussistenze. E gli economisti classici, in particolare il Ricardo, avevano dato l'arma teorica per agire contro la rendita (cioè i proprietari fondiari ) e per sostenere l'abolizione della protezione sul grano e in genere il « libero
scambio ».
Perciò anche i classici sapevano che dietro queste categorie astra t te e logiche dell'economia si nascondevano realtà e rapporti so ciali, cioè gruppi di uomini legati dal fatto di avere una stessa posi zione economica nel campo della produzione e della distribuzione del reddito. Noi dobbiamo tenere sempre presente, secondo la nostra conce zione dialettica, che queste categorie esprimono rapporti di produ zione, cioè rapporti fra uomini, quindi categorie legate a particolari sistemi produttivi, anche se con ciò es!te non perdono nulla della loro oggettività. Certo, rispetto alla impostazione del soggettivismo economico, che nega in sostanza l 'esistenza di . categorie o la svuota di ogni signi ficato concreto, la posizione classica è preferibile. Essa, come abbiamo ricordato, è stata abbandonata proprio perché troppo pericolosa e in quanto premessa per il successivo svolgimento logico del marxismo. Ma anche l'impostazione classica non mette sufficientemente in luoe che la « categoria economica » - se vuol essere intesa nel suo preciso significato - non può essere s taccata da un determinato sistema di produzione. Da alcuni esempi che illustreremo si potrà rilevare come il nostro metodo dialettico di indagine è da preferire e sono da preferire i concetti che ne derivano, non per partito preso, cioè per una preferenza aprioristica, ma perché essi solo possono espri mere adeguatamente la concreta realtà economica. Individuare la legge economica di una categoria, significa infatti scoprire e determinare i rapporti oggettivi e necessari che agiscono e nel campo della produzione e deHa formazione dei prezzi (cioè del mercato) e nel campo della distribuzione del reddito prodotto. Se questo rapporto necessario viene a mancare, cessa la legge oggettiva - quella legge oggettiva - e ne subentrerà un'altra, ma in tal caso non si può adoperare lo stesso vocabolo scientifico per esprimere rapporti del tutto diversi. Tutto ciò vedremo nei capitoli seguenti, ma, dando alcune anti cipazioni, pos9iamo già dire che il salario è una categoria dell'economia capitalistica e non significa qualsiasi retribuzione del lavoro in tutte le epoche della storia. Perché ? Perché la retribuzione del lavoro nel
V Il. Il salario
151
capitalismo presenta concrete caratteristiche che sono diverse anche
da forme di retribuzione attuate nelle società che pur hanno la comune caratteristica di essere basate sullo sfruttamento dell'uomo sull'uomo.
Per esempio lo schiavo era un lavoratore senza dubbio sfruttato : era una cosa parlante, oggetto del padrone. È certo che il suo mante nimento costava, ed è certo che dal pluslavoro dello schiavo nasceva un prodotto addizionale che andava al padrone. Però questo fenomeno economico si manifestava al di fuori del mercato. Cioè questa divisione del prodotto non era regolata da una legge oggettiva, quale si mani festa nel sistema capitalistico, in cui la forza-lavoro diventa una merce. C.Osi, diversa è la legge che determina la retribuzione del lavoro e la divisione del prodoao sociale nella servitu della gleba, in cui .il mezzo di produzione piu importante, la terra, viene in parte lasciato in uso a-i lavoratori. Diversa è la legge che determina la retribuzione del lavoro quando il lavoratore è proprietanio anche del suo s trumento di produzione (epoca mercantile-artigiana). Totalmente diversa è la legge che determina la retribuzione e la distribuzione del lavoro sociale e del suo prodotto, quando, col socialismo, i lavoratori diventano in comune proprietari dei mezzi di produzione. Pertanto solo nella società capitalistica la retribuzione del lavoro acquista contorni tali e obbedisce a leggi tali per cui si determina una categoria detta salario, che non può essere confusa con altre forme di rimunerazione. Non solo, tale categoria nel campo della retribuzione del lavoro diventa la forma dominante, il termine di paragone, cioè, a cui si modellano le altre forme di rimunerazione che rimangono e che si riferiscono a ceti precapitalistici residuali : artigiani, contadini; cioè diventa una categoria che investe e regola la distribuzione del lavoro di tutta la società ( l'artigiano, il contadino si trasformano in operai quando i loro guadagni scendono permanentemente al disotto del « salar.io » ). Lo stesso ragionamento possiamo fare per le altre categorie economiche e in particolare per la categoria profitto che illustreremo piu avanti. Vi sono degli economisti (:he tendono ad affermare che il « pro fitto » sarebbe una çategoria eterna, in quanto rappresenterebbe la rimunera2lione delle capacità dell'imprenditore inteso come organizza
tore della produzione. E siccome dirigenti e innovatori vi sono non
nel solo sistema capitalistico, ne deducono che la categoria « profitto »
sarebbe eterna. Fare simili affermazioni sign�fica non voler compren dere la realtà, cercar di confondere le cose invece di chiarirle. Il nome « profitto » deve essere attribuito ad una particolare ca-
Principi generali tegoria, propria del sistema capitalistico, basa·ta sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, quale reddito che va ai produttori possessori
di capitale, ossia ai capitalisti. Ed essa ha importanza precisa e concreta, non solo perché esprime il ,·atto che il plusv·alore creato nella produ zione viene appropriato da chi ha nelle mani il capitale, da chi domin'ezzo del mercato viene dettato dai forti, dall'azien da capitalistica marginale che copre rendita assoluta e profitto, non da lui, il piccolo produttore. Egli rimane piu che può fedele a.Ila sua terra : ma egli è soggetto a tutte le categorie capitalistiche piu forti di lui : è soggetto al capitalista banchiere che gli nega il credito o glielo dà a condizioni piu onerose, è soggetto al capitalista commer ciante, che sfrutta la sua necrssità di vendere subito per realizzare il prodotto, manovm il mer>cato, approfitta della mancanza di depositi , di magazzini, abusa della scarsa esperienza commerciale del contadino
X. La rendita
243
produttore, al capitalista industriale che gli vende i prodotti chimici e mecca nici. Il plusvalore creato cosi dal piccolo proprietario coltivatore viene molto spesso assorbito da categorie capitalistiche molto piu forti di lui. Questo stato di cose si aggrava, come vedremo, nell 'epoca capi talistica piu recente, e questo spiega la crescente dissoluzione della proprietà contadina e l'esodo dalle campagne. Anche da quanto abbiamo or ora detto risulta che la rendita assoluta è una categoria propria della produzione capitalistica. Tanto ciò è vero, che la sua abolizione è alla base della passibilità economica della riforma fondiaria e della coltivazione delle terre incolte. Assegnando le terre ai contadini coltivatori, vengono posti in coltivazione anche quei terreni che sono lasciati incolti dai proprietari fondiari capitalistici in quanto non dànno rendi ta assoluta . Noi abbiamo ancora nella nostra società altre forme di produ zione non capitalistica: l'artigianato, piccolo produttore industriale che possiede propri mezzi di produzione. Anche in questo campo noi non abbiamo che da ripetere quello che abbiamo or ora detto. Questa categoria economica si trova in grande inferiorità di fronte alla proprietà capitalistica : il suo plusvalore viene incamerato dalle categorie economiche piu forti, che dominano il mercato, cioè non direttamente, come nel rapporto lavoratori salariati capi talistici, ma indirettamente, attraverso il gioco dei prezzi e de.i costi rappresentati dalle materie prime e dagli impianti forniti dai grandi produttori capitalistici, dal costo del credito e dalle imposte. L'artigianato non è guidato, come limite nella sua produzione, dalla mira di conseguire il profitto, ma dalle esigenze della vita e dalle spese necessarie per la ricostituzione dei suoi strumenti di lavoro. Il passaggio tra l'artigiano e il medio industriale capitalistico avviene certo per gradi, e ora anche il medio industriale, come vedremo, nella attuale società, basata sulla grande produzione, si trova in condizioni di infe riorità economica . Però possedendo un capitale iniziale, sia pure pic colo, ha sempre la scelta di non investire direttamente il suo capitale: l'artigiano non ha questa possibilità; per lui la bottega significa lavoro assicurato, lo strumento di produzione, mezzo di lavoro per sé e non per la realizzazione di un plusvalore creato da altri lavoratori. Con l'esame sommario ·che abbiamo fatto ..ielle categorie econo miche, ci siamo avvicinati alla soluzione del problema che abbiamo posto all'inizio del testo e che abbiamo cercato di risolvere, esami nandolo nei suoi vari aspetti : come si forma la struttura de.i prezzi del mercato, quali sono le leggi economiche che reggono la nostra so cietà. Si è visto che queste leggi non sono leggi tecniche, astratte,
244
Principi generali
buone per tutti i tempi, ma leggi sociali, dipendenti cioè dalla struttura sociale dell'economia. Il lettore ha già intravisto per esempio perché il suo lavoro, che potrebbe essere strettamente di grande utilità sociale, è possibile che non venga richiesto ed egli possa rimanere disoccupato. Ciò si verifica· perché bisogna che le categorie sociali capitalistiche abbiano la rimunerazione che richiedono come tali. Non sono i bisogni della società, dell'uomo, che determinano la produzione, ma nella nostra società capitalistica è i·l conseguimento del profitto e della rendita, cioè della rimunerazione delle categor.ie economiche che dominano la pro duzione, che stabili.scono il livello della produzione e i suoi limiti. Queste condizioni sociali sono state dagli economist·i trasformate in cose, in elementi, in fattori della produzione, che eserciterebbero il loro tirannico dominio suU'uomo in qualsiasi sistema sociale pro duttivo. L'attribuzione di un potere indipendente alle cose in nessun fe nomeno è infatti piu chiaro che nella divisione tradizionale dei « fot tòri della produzione in terra, lavoro e capitale, ciascuno concepito come produttore di un reddito per i rispettivi proprietar-i ». Cosi come Marx osservò nella parte finaole deUa sua opera maggiore in un celebre capitolo sulla formula trinitaria, che dovrebbe essere letto per intero: . « In capitale-profitto, o ancora meglio in capitale-interesse, terra- I rendita fondiaria, lavoro-salario, in questa trinità economica colle-\�, gante le parti costitutive del valore e della ricchezza in generale con le sue fonti, la mistificazione del modo di produzione capitalistico, la materializzazione dei rapporti sociali, la diretta fusione dei rapporti di produzione materiali con la loro forma storico-sociale è completa: il mondo stregato, deformato e capovolto in cui si aggirano i fantasmi di Monsieur le Capita! e Madame la Terre come caratteri sociali e insie me direttamente come pure e semplici cose » 1 • I rapporti d i produzione capitalistici invece « hanno u n carattere specifico, storico, transitorio » e « i rapporti di distribuzion.e sono in sostanza identici a questi r.apporti di produzione, costituiscono il ro vescio di questi ultimi, cosi che gii uni e gli altri hanno lo stesso carat tere storicamente transitorio » 2 • Confondere i rapporti di distribùzione, ossia le categorie econo miche ·relative, come elementi costitutivi del costo, elementi cioè primari anziché deriwti , non permette la comprensione della reahà economica e della sua vita. 1 Il capitale, cit., I I I , p. 943. 2 Ibidem, p. 996.
X. La rendita
245
Questo pri11c1p10 deve essere sempre tenuto presente anche se, come con molta acutezza rileva il Marx 1, « l'effettivo processo di pro� duzione, come unità del processo di produzione diretto e del processo di circolazione, genera nuove forme, in cui sempre piu si perde il filo dei nessi interni, i rapporti di produzione si auronomizzano l'uno rispetto all'altro, e le parti costitutive del valore si consolidano in forme autonome l'una rispetto all'altra ». _,)
Trasformazione 2 di valori in prezzi di produzione, ossia la manifesta zione della legge del valore nel capitalismo . Dopo quanto ,abbiamo detto nei capitoli precedenti, tenendo conto dei concetti elaborati dai marginaHst·i , delle categode economiche, risul terà piu facile al lettore comprendere 11'.intima relazione tra valore e prezzo di. produzione alla quale abbi'l!mo sommariamenre accenooto nel capitolo IV. Il valore di una merce, come abbi,amo visto, è costituito dalla quantità di lavoro sodalmente necessario in essa contenuto. Nella so cietà capitalistica ìi1l valore di una merce rimane perciò sempre costituito dal capitale consumato piu il plusvalore in essa conknuto, il che significa sempre lavoro socialmente necessario, costituito dal lavoro passato ( esistente anche nella società mercantile sotto forma di stru mento da lavoro e materia pI1ima, ma in quantità ,trascurabile in quella società rispetto al 1avoro v,ivo dell'artigiano), il cui valore si trasferisce nella merce, piu il lavoro vivo, che nella società capitalistiica si suddi vide in capitale variabile e plusvalore (lavoro necessario e supplemen tare)_, cioè �tY..-tJ�l Il prezzo di produzione è, come abbiamo visto, uguale al capitale consumato piu il plusvalore che tocca al capitale impiegato in base alla sua quantità, secondo il saggio generale del profitto, cioè c + v + p . Però questo saggio, sia esso il 10 o i l 20 per cento o qualsiasi altra quantità, non è arbitrario, deriva, come abbiamo visto, dai rapporti che si instaurano tra i capitalis·t.i , sulla base della concorrenza, mentre la sua grandezza è condizionata dal plusvalore creato nella società e la sua misura è data da1l rapporto in cui il plusvalore sta con il valore del capitale totale. La trasformazione dei valori in prezzi di produI Il capitale, cit., III, p. 941 . è V er�andlun_g_ che non è tradotto con esaAJtezza nella
2 li termine tedesco
parola italiana « trasformazione », me&!_io " pass�\2. » dai valori ai prezzi di prc>duzione. ···
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246
Principi generali
zione non sopprime quindi i limiti del profitto, ma modifica sempli cemente la sua ripartizione fra i diversi capitali particolari che com pongono il capitale sociale, lo distribuisce uniformemente fra di essi, in ragione della quota che essi costituiscono nel capitale complessivo 1 • ]_n S()Stanza cioè l'unica differenza tra valore e prezzo d i produzione consiste nel modo diverso con cui è distribuito il pk0valor .
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Il saggio medio del profitto e quindi il prezzo di produzione sarebbero cioè senza base se non avessero a loro fondamento la teoria del valore. Marx illustra questa trasformazione con esempi numerici 3 dai quali il Meek 4 ha riportato la tabella riassuntiva che per la sua chiarezza anche noi riproduciamo.
Capitali investiti I II III IV V
80c + 20v 70c + 30v 60c + 40v 85c + l5v 95c + 5v
Capitale costante con sumato
Prezzo di costo
50 51 51 40 10
70 81 91 55 15
20 30
-
Plusvalore
Prezzo Scostadi promenti Valore Profitto duzione del prezzo
40
90 111 131 70 20
22 22 22 22 22
92 103 1 13 77 37
1 10
422
1 10
422
15 5.
+ 2 - 8 - 18 + 7 + 17
In questo esempio si parte da capitali investiti in cinque diversi settori con diversa composi2Jione organica, come si vede dalla colonna 1 , il capitale investito è sempre fatto uguale a 100, ed il plusvalore corrisponde ad una quota pari al capitale variabile cioè il• 100% di v, mentre il profitto è sempre uguale, cioè del 22 % , perché è il saggio medio, generale de1 profitto. Si vede dalle somme (colonne 4, 5 , 6, 7 , 8 ) che iii profitto è uguale al plusvalc >r..! (colonne 4 e 6 ) e l a somma dei prezzi di produzione al valore ( C: e 8 ). Naturalmente questo esempio parte da molte premesse che nella realtà non si riscontrano, è cioè molto semplice, vale solo per riaffer mare l'essenza di tale realtà, non per spiegarne tutte le manifestazioni.
I Marx insiste sul t,ma in molti punti del libro I I I del Capitale, in tutto il cap. IX, nel car,. XII e nei capitoli �eguenti. 2 Vedi anche Il capitale, cit., III. p. 63 e p. 219. 3 Ibidem, p. 197. Tutto il cap. IX è da leggere attentamente. 4 R. L. MEEK, Studies in tbc /abour theory o/ valtte, London, Lawrence and Wishan, 1956, p. 190.
X. LA rendita
247
I l processo di trasformazione dci valori in prezzi di produzione è infatti molto piu complesso. Esso è stato oggetto di studio da parte Ji molti autori non marxisti e anche marxisti, alcuni dei quali hanno voluto criticare anche la dimostrazione data dal Marx. Purtuttavia essa rimane valida nella sua essenza. Per comprenderla nella sua sostanza, occorre tener presente che nel pensiero ricardiano del valore erano contenuti due aspetti ai quali si possono dare due nomi distinti : l'aspetto dell'absolute value o valore intrinseco e l'aspetto del relative value o del rapporto di scambio. Il Marx ha perfezionato il primo aspetto, studiando il valore intrinseco, base anche del valore di scam bio nelle sue manifestazioni nei gradi diversi di sviluppo della realtà, e lo ha perfezionato non ricercando la « merce tipo » cui tendeva Ricardo, ma precisando il rapporto sociale di produzione. Questo aspetto è senza dubbio il piu importante, perché esprime l'unità sostan ziale del problema economico anche nelle sue diverse manifestazioni e dà un contenuto assoluto alla teoria del valore-lavoro. Gli economisti post-ricardiani, quanto piu si sono allontanati dal pensiero del Ricardo, hanno invece dato prevalenza all'aspetto del valore relativo, ossia al rapporto di scambio anziché alla sua misura assoluta. È stato però_ trascurato il fatto che i rapporti possono permanere identici, quale che sia la base di essi. Infatti il rapporto tra 2.000 e 3 .000 è uguale al rapporto tra 2 e 3. Dimenticando l'aspetto intrinseco del valore però si giunge, come fa la Robinson 1, a non comprendere l'essenza di tali rapporti e in particolare cioè perché sia per es. :
2.000 3 .000
anziché
2 --
3
Purtuttavia anche sotto questo aspetto relativo, la teoria del valore lavoro rimane valida, se riferita alla produttività del lavoro. Conside rata la struttura tecnico-economica (ossia in sostanza l'investimento di capitale costante che dà la piattaforma, ossia l'altezza del rapporto) come costante, i1 rapporto cioè uomo-macchina come un dato tecnico, l'unica variabile è la produttività del lavoro 2 •
Consideraziom generali sul tema Senza dubbio il tema della trasformazione dei valori in prezzi di produzione è molto complesso ed è stato lungamente dibattuto: il
I
1953.
In
particolare cfr. On re-reading Marx, Cambridge, Student's Bookshop,
2 Una elaborazione molto acuta e intelligente della teoria del valore sotto
248
Principi ge11erali
lettore può trovare un cenno nella piu volte citata opera dello Sweezy, La teoria dello sviluppo capitalistico, che riporta anche la soluzione tentata dal Bortkiewicz 1 e consultare anche la piu recente discussione svolta a,l seminaTio della Facoltà di statistica dell'Univel:'sità di Roma, diretto dal Prof. Sylos Labini 2 , come pure, da'1 punto di vista gene rale, l'opera ormai classica del Garegnani 3 • Tutti questi scr:i tti, partendo dalla i,nnegabile difficoltà di valu tare il capitale e considerando che nel calcolo sia del capitale costante, sia del capi tale variabile entrano prezzi di produzione e non valori , o hanno negato la possibilità di una soluzione o hanno costruito solu zioni formali, .in genere basate sul concetto ricardiano di « merce tipo », che sono al di fuori della logica marxiana, intesa a dimostrare che il valore è sempre un fenomeno e un rapporto sociale, creato dal lavoro umano, e, nella società capitalistica, formato dalla valorizza zione del lavoro morto (capita!� costante) mediante il lavoro vivo, che ricostituisce se stesso e crea un plusvalore ( c + v + pl ). Considerato il problema sotto questo aspetto, che .appare chiarissimo da tutta l'opera del Marx, dal Capitale, specie il terzo volume, dalle Teorie sul plus valore, dai Grundrisse, ecc., la soluzione sostanziale e quindi anche formale, rimane meno difficile ài quanto può apparire a prima vi5ta. Certo il problema rimane lo stesso complesso, ma la soluzione è piu facile se si tiene presente :
1 ) che il capitale costante è una grandezza data, che appunto perché costante non varia N suo valore durante i,l processo produttivo. Che tale grandezza sia valutata in un modo o nell'akro e sia formata tale aspetto, che conduce alla conferma di molte affermazioni marxiste, è data da uno scritto di V. _An_gj()lini. Egli partendo dall'analisi del pensiero marshal liano, in particolare della categoria marshalliana della quasi-rendita (grosso modo la quasi-rendita nell'ambito della spiegazione marginalistica del profitto è un elemento di questo che si ottiene nel breve periodo per posizioni di rendita transitorie), riesce a determinare con esattezza formale i rapporti di scambio che si determinano nel mercato, ossia il prezzo di offerta nei casi di equilibrio normale per periodi brevi e in periodo lungo, e a dimostrare che la base di tale rapporto è costituita dal costo marginale della impresa rappresentativa, cioè in sostanza dalle variazioni della produttività del lavoro, il quale viene a rappresen tare la variabile indipendente del sistema. V. ANGIOLINI, Contributo allo studio di una categoria neoclassica, Padova, CEDAM, 1958, e Oggellività o soggellività del costo marginale?, in Rassegna di finanza pubblica, 1 963. 1 SwEEZY, La teoria dello sviluppo capitalistico, dt., p. 156 e sgg. 2 Si veda in particolare lo studio del V I ANELLO, Il problema della trasfor mazione, anno accademico 1963-64. 3 P. GAREGNANI , Il capitale nelle teorie della distribuzione, Milano, Giut frè, 1959.
X. La rendita
249
da una somma di prezzi di produzione anziché di valori, ha scarsa importanza, come ha scarsa importanza disquisire su « periodi » di produzione e sulla misurazione conseguente del capitale. L'analisi del Marx è, per gli scopi che vuole raggiungere, uniperiodale, in quanto vuole esprimere i rapporti economici del processo produttivo capi,tali stico; .in sostanza ogni per.iodo di produzione, si svolge in condizioni nuove, con dati di partenza diversi, ma allo stesso modo. Indipendentemente cioè da come si è cost�tuiito storicamente, il capitale è un dato per iI capitalista, che rappresenta il punto di par tenza in ogni x< periodo » o processo produttivo, ha un suo prezzo sul mercato, che è il prezzo di r.iproduzione alle condizioni attuali (costo di riproduzione dei postricardiani ). Il fatto che si tratti di prezzo di produzione e non di valore è pure irrilevante, se si ammette la coincidenza generale nella produzione sociale tra prezzi di produ zione e valori 1 •
2) Lo stesso s i può dire per i l capitale variabile; anche iI capi tale variabj.lc è costituito da prezzi di produzione dei prodotti che formano a pacchetto di consumo del lavoratore e anch'esso, per l'au mento della produttività del lavoro, ha per il capitalista un costo che può mutare nel corso del tempo. È comunque, durante il processo produttivo, un dato di fatto, un esborso di capitale definito.
-
Rimane H plusvalore, è questa la sola grandezza variabile durante il processo produttivo e la piu importante. Mi pare che a questo proposito siano da fare alcune considerazioni. Marx in tutti i suoi esempi parte dall'ipotesi di un saggio di plusvalore uniforme in tutti i settori, quale media sociale, saggio sociale e generale del plus valore, dato il capitale variabile e la produttività media del lavoro. Ma ovunque ricorda che questa è una supposizione di comodo 2 • Non solo egli non basa mai ..il suo ragionamento solo sull'ipotesi, che mi pare invece sia aUa base di tutte le tesi degli autori che si sono inte ressati del problema, che l'aumento del saggio del plusvalore - data costante la durata ddla giornata lavorativa - si possa avere solo con la dimionuzione dd tempo necessario, ossia con la diminuzione del costo di produzione della forza-lavoro, ma chiaramente considera anche l'incremento del saggio di plusvalore dovuto a'll'incremento della pro duttivi·tà del lavoro, per cui cioè in valore, rimanendo costante il costo
3)
I Il capitale, cit., III, pp. 80 e 81 e specie p. 200.
2 Ibidem, p. 217.
)
J
250
Principr generali
o valore della forza-lavoro, cresce il plusvalore e quindi il saggio di plusvalore 1 • Senza dubbio anche questo è u n fenomeno che presenta aspetti contraddittori, se si parte dalla ipotesi concorrenziale (non cioè oligo polistica) e quindi dalla conseguente diminuzione di valore per unità di prodotto e quindi di prezzo che si ha per l'aumento della produt tività del lavoro, anche se non si deve mai dimenucare che il valore è dato da c + v + pl e non solo da v + pl. Sotto questo aspetto si spiega la tendenza prevalence negli scrit tori marxisti e no, che si sono occupati del problema, a ritenere che nel sistema marxiano l'aumento del saggio del plusvalore possa deri vare solo dalla diminuzione del « tempo necessario », ossia del valore della forza-lavoro e che il saggio del plusvalore debba essere uniforme nei vari settori, cioè che non vi siano forti scostamenti dal saggio generale medio del plusvalore e che tale saggio sia abbastanza costante nel tempo. Nel capitolo decimo del primo volume del Capztale, che tratta della produzione del plusvalore relativo, già Marx accenna agli aspetti, contraddittori del fenomeno, come abbiamo già ricordato, parlando del saggio del plusvalore. È vero che altrove 2 Marx afferma che il va lore delle merci sta in rapporto inverso alla forza produttiva del lavoro e altrettanto il valore della forza-lavoro, perché determinato da valori di merci , e che invece il plusvalore relativo sta in rapporto direuo alla forza produttiva del lavoro. Ciò avviene non solo perché si riduce « a piu buon mercato l'operaio stesso », mantenendo la durata della giornata lavorativa e quindi accrescendo la parte della giornata lavo rativa nella q11ale l'operaio p{iò « lavorare gratuitamente per il capi talista ». Però è vero anche che egli afferma , alla fine del capitolo, accennando ad un problema piu complesso : « Nei metodi particolari di produzione dd plusvalore relativo . . . si vedrà fino a che punto questo risultato sia raggiungibile anche senza ridurre le merci piu a buon mercato ». Il fenomeno fondamentale che permette tale risultato, accre scendo anche I'« intensità del lavoro » 3 , è costituito dall'accrescersi del capitale fisso, che deve e�.;ere ricostituito. Tale fenomeno deter mina anche saggi differenti di plusvalore per settori produttivi. « Con1 Il capitale, cit., III, pp. 78-79.
1
3
Il capitale, cit., I, p. 359. Ibidem, p. 453 e sgg. (cap. XIII)
e
p. 572 e sg. (cap. XV).
X. La r�ttdita
251
siderata la macchina - egli dice 1 - esclusivamente mezzo per ridurre \ piu a buon mercato il prodotto, il limite dell'uso delle macchine è 'J dato dal fatto che la loro produzione costi meno lavoro di quanto il loro uso ne sostituisca. Ma per il capitale questo limite trova una espressione ancor piu ristretta. Perché il capitale non paga il lavoro adoperato, ma il valore della forza-lavoro usata, per esso l'uso delle macchine è limitato dalla differenza fra il valore della macchina e il valore della forza-lavoro da essa sostituita. Poiché la s'uddivisione della giornata lavorativa in lavoro necessario e in pluslavoro è differente a sernnda dei paesi ed è anche differen te nello stesso paese in periodi differe n t i o durante lo stesso periodo in dzlferenti rami di industria 2, p oiché i nol tre i! salario reale dell 'operaio, ora scende al di sotto, ora sJ:e a! di sopra del valore della sua forza lavoro, la differenza fra il prezzc. delle macchine e il prezzo della forza-lavoro che deve essere sostituita può \'ariare molto . » 3 • Il proccs�o di produzione capitalistico è un processo di autovalo ·z�za::zone del capitale e se il plusvalore nasce solo dal capitale varia bile, è noto che il lavoro vivo deve conservare e valorizzare anche il lavoro mono, e questo durante la giornata lavorativa. Cioè, come ampiamente dimostra Marx nei Grrmdrisse 4, nel Capitale 5, nelle Teorie mi plt.svalore 6, sia come lavoro che consuma i mezzi di produzione ..
i bidem, p. 435 (cap. XIII). Cfr. anche ibidem, p. 573 : « Dimostrerò piu avanti nel l ibro terzo che, date determinate circostanze, uno stesso saggio del plusvalore può esprimersi in differf'ntissim' saggi di profitto e differenti saggi di plusvalore possono espri mersi :n uno stesso saggio del profitto ». 3 Questa osserv.o1zione può ess6re alla base• per spiegare l'asserito diverso saggio di sostituzione lavoro morto-lavoro vivo nel socialismo. 4 Op. cit , p. 265 e sgg. 5 Voi. I, cit., p. 626: « Il consumo dell'operaio è di duplice specie ... ». 6 Op. cit., p. 2 1 3 e sgg.; Storia delle dottrine economiche, cit., p. 128 e sgg. Si veda anche per tutto il problema : Il c:lpitale, c:it., I, p. 661 ( I l processo di accumulazione del capitale) e p. 689, nonché chiaramente, p. 240 (Capitale costante e capitaie variabile): « Mentre il lavoro produttivo cambia mezzi di produziolle in elementi costitutivi di un nuovo prodotto, il loro valore subisce una metempsicosi , trasmigra dal corpo consumato nel corpo di nuova formazio ne ». Cosi Il capitale, cit., I I I , cap. XLIX (I redditi e le loro fonti), p. 947 e sgg. I noltre Il capitale, cit., I, p. 249 (Saggio del plusvalore) e 254 ( Rappresentazione del valore del prodotto in parti proporzionali del prodotto, e successivamente nel capitolo: La produzione del plusvalore assoluto). Basta del resto pensare che il processo di conservazione e manutenzione degli impianti costa anche lavoro vivo, il quale produce plusvalore, o - se si trattasse della stessa persona che produce direttamente le merci - deve essere utiliz7.ato tempo tratto dal plusvalore. Su questo punto vi sono a mio parere incertezze anche nel pensiero di ·Marx; si veda Il capitale, cit., I I , cap. V I I I , dove (p. 1 7ì ) non appare chiara, per me, la natura del lavoro speso nella conservazione e nella riparazione del capitale coI
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Principi generali
conservandone il valore, sia riproducendolo i:n « forma piu produttiva » , . il favoro diventa piu produttivo, perché valorizza una massa crescente di capita-le costante e crea una massa crescente di prodott.i , conser vando il capitale anticipato, compreso il suo, e aggiungendo un plusvalore. Dato che il valore dei prodotti è costituito da c + v + pl, nel rapporto tra valori prodotti da « industrie » diverse, può determinarsi un costo rela tivo diver�o di v, ossia della forza-lavoro, essendo questo costituito da prodotti di consumo dei lavoratori, e quindi, un diverso saggio di plusvaiore per ,settore, senza contare la differente intensità del lavoro, che si ha nei diversi settori produttivi 1 • S e ciò è vero, ne deriva anche l a conseguenza (per questo nel l'esempio di come ·si forma il saggio medio del profitto ho usato saggi differenti di plusvalore per i diversi settori produttivi) che la diffe renza itra valori e prezzi di produzione è meno forte di quella che appare considerando costante ed uguale .i,n tutti i settori il saggio di sfruttamento, come appare negli schemi usati da Marx e dai suoi commentatori. Il Marx fa giustamente il éaso limite, per dare una spiegazione teorica del fenomeno, ma non per rispecchiare in pieno una realtà effettiva. SuHa base del ragionamento di cui sopra, il De Cindio ha, nelle diverse condizioni di mercato oligopolistico, svi luppata la sua interessante interpretazione. sulla formazione dei prezzi in quel mercato 2 , dimostrando come, cessando la concorrenza, il prezzo delle merci tenda a rispecchiare i valori. Tutto il tema è molto complesso e dovrà perciò essere approfon dito in maniera specifica.
BIBLIOGRAFIA Sulla rendita sono da ricordare i testi, piu volte citat·i , dei classici e del Marx, il quale dedica all'argomento l'ultima parte del Capitale stante. Vedi anche Il capitale, cit., Il, cap. XVII (La circolazione del plusvalore), p. 335, e cap. XX (Ll riproduzione semplice), p. 444. Su tutto questo tema devo ancora riflettere per giungere a una chiara e definitiva conclusione. I Cioè, come ho già detto, il rapporto che nello stadio del capitalismo avan zato meglio esprime la produttività del lavoro (e quindi anche il sagg10 , . v c + pi del plusvalore) è il rapporto .o , ossia quanto lavoro vivo entra V . C + pi . nella composizione · del valore tÒta:le. 2 F. DE CINDIO, Le ragioni di scambio in o�igopolio, Milano, Giuffrè, 1967. ,
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e deHa Storia delle teorie economiche. Da consultare anche LENIN, Teoria della questione agraria, Roma, Editori Riuniti, 1 969 e TABET, La rendita fondiaria nell'agricoltura italiana, Roma, Editori Riu niti, 1964.
Per gli autori piu moderni è da ricordare il Marshall e i piu recenti manuali universitari. Per i manuali di economia agraria sono da ricordare: A . SERPIERI, Istituzioni di economia agraria, Bologna, Edizioni agricale, 1946-'50; ALES SANDRO BRIZI, Economia e politica agraria, Bari, 1 942; M . BANDINI , Principi di eco1�omia agraria, Bo logna, 1950. Sulla piu complessa questione della trasformazione dei valori in prezzi di produzione e del prezzo normale di offerta la letteratura è vastissima. In campo marxista in cui sono da ricordare i classici Marx e ·Lenin - e i testi piu volte ricordati del Denis, dell'Eaton, del Meek, dello Sweezy, in campo non marxista, le opere già citate nella bibliografia dedicata al capitolo, nonché delle opere qui ricordate dell'Angiolini e della Robinson, della quale è da menzionare ancora The accumulation of capita!, London, Mac Millan, 1956, tradotto in italiano presso Feltrinelli e Collected economie papers, Oxford, ed. Basil Blackwell, 195 1 . P. GAREGNANI, Il capitale nelle teorie della distri buzione, Milano, Giuffrè, 1959 e M. MINEO, La tendenza al declino del saggio del profitto, Palermo, Industria grafica nazionale, 1959. GILLMAN, Il saggio di profitto, Roina, Editori Riuniti, 1 96 1 . Dosa, Teoria economica e socialismo, Roma, Editori Riuniti, 1 960. ScHUM PETER, Storia dell'analisi economica, Torino, Einaudi, 1 959, nonché i lavori citati del Seminario di economia della Facoltà di statistica, Roma, 1963-'64.
XI. La dinamica delle categorie
Abbiamo finora svolto la nostra indagine seguendo un ragiona mento logico che è abbastanza frequente anche nei manuali universitari. Siamo partiti cioè dall'esame dell'aspetto che per primo appare . alla comune esperienza: l'esistenza di un mercato e di prezzi. Abbiamo ' cercato di indagare se esiste e quale sia il legame che unisce i vari prezzi, esponendo la t�oria del valore e dei prezzi di produzione. Abbiamo visto in qual modo le reazioni dei singoli - studiate in particolar modo dalla scuola soggettivistica - possano influire nel determinare i movimenti del mercato attorno al livello di equilibrio di lungo periodo. Per meglio comprendere l'essenza delle forze che agiscono nel mercato, abbiamo analizzato le leggi che regolano in lungo periodo la vita delle categorie proprie della società capitalistica, ossia le categorie del salario e del profitto e della rendita, in altre parole le leggi che regolano la distribuzione del prodotto sociale e con ciò la vita dello stesso sistema produttivo. Abbiamo detto che tra queste leggi, ossia tra i fenomeni che essi raggruppano vi è un rapporto dialettico, che, pur sembrando un rap porto tra elementi materiali della produzione, in realtà rappresenta un rapporto tra categorie sociali, ossia tra uomini. Questi rapporti sono in continuo movimento, mutano cioè incessantemente, per leggi proprie che presiedono al loro movimento e per l'azione svolta dalla sovra struttura sociale, cioè dalle classi e dai ceti sociali della società capi talistica che intervengono nel processo produttivo. Proprio per questa continua relazione dialettica, che, come abbiamo visto nell'introdu zione al nostro studio, ha importanza fondamentale, le leggi di lungo periodo, cioè le leggi della dinamica e dello sviluppo, sono leggi di tendenza. �iuscirà quindi agevole comprendere che tutte le' leggi eco nomiche, senza alcuna contraddizione con il loro carattere di oggetti-
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vità che s1 impone all'uomo, sono leggi tendenziali, poiché l'azione dell'uomo, sempre presente, tende a modificare la relazione meccanica che potrebbe instaurarsi secondo una astratta logica economica tra il fenomeno A e il fenomeno B, tende a modificare cioè le condizioni in cui tali leggi agiscono; ma è chiaro che in breve periodo, in una analisi statica, queste modificazioni possono essere trascurate ( salvo nel momento del salto qualitativo), come del resto si premette in fisica per i movimenti lenti, e si possa parlare di leggi economiche nel senso di relazioni staticamente necessarie. Nella dinamica, cioè nello studio dei fenomeni economici secondo il loro sviluppo nel tempo, in lun ghissimo periodo, è chiaro che l'azione dialettica delle cJa.ssi sociali, protagoniste della vita economica, si faccia sentire piu fortemente e comporti, nel corso del cammino, continue modificazioni in senso quantitativo dei fenomeni economici e quindi anche delle manifestazioni delle leggi che presiedono al loro sviluppo, fino a che, per la L.Eota trasformazione della quantità in qualità, le modificazioni quanti tative siano tali da provocare l'azione dell'uomo intesa a determinare mutamenti qualitativi, ossia di struttura. In ogni caso fino a che tali mutamenti qualitativi o di struttura non si verificano, queste leggi agiscono, rispecchiano cioè tendenze necessarie, che ci permettono di comprendere il corso dello sv1luppo economico. È bene tener presente questa premessa, per comprendere in modo esatto il significato delle leggi della dinamica economica, che ora esporremo, per meglio valutare il grande ed originale contributo dato dal Marx, nonché dagli studiosi marxisti in uesto campo, e per poter, nello stesso tempo, ribattere le obiezioni dei positivisti o empiristi contemporanei , del tipo di quelle fatte dal Friedman, dal Lipsey o dal nostro Di Fenizio, per esempio, nel suo citato corso sulla metodologia economica . Prima di procedere all'analisi di queste leggi , vogliamo ancora ricordare al lettore di non dimenticare mai le altre nostre avvertenze me todologiche che valgono, in particolar modo, per l'economia studiata nel suo aspetto dinamico. In primo luogo che non esiste una separazione tra statica e dina mica, la vita è sempre in movimento, quindi la statica è un artificio concettuale che tende a fotografare una situazione in un determinato momento considerandola immobile, il che nella realtà non è; in secondo luogo che non si possono considerare i singoli fenomeni isolatamente - e ciò vale anche per le categorie economiche - ma nelle loro reciproche relazioni. La separazione concettuale quindi che spesso ab-
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Principi generali
biamo fatto e ancora faremo per facilitare la nostra analisi, ·lo studio dei singoli fenomeni, non deve mai farci dimenticare l'unità dialettica del rea•le e deve servire solo per meglio isolare e seguire ·l'andamento di un fenomeno; cosi come si volesse seguire, per esempio, il movi mento di un uomo, che si muove in mezzo ad una folla in tumulto : non perderemo di vista quest'uomo, ma sapremo che egli è parte della folla e la sua azione è in relazione continua con l'azione della folla. Il procedimento che noi seguiremo, cioè, anche in questa pa1'.te del nostro testo è sempre lo stesso: distinguere per poi riunire, ed esso è qui pii.i che mai necessario. All'inizio della nostra scienza gli economisti, anche quando hanno studiato i fenomeni economici partendo da una impostazione natura listica e razionalistica, hanno riconosciuto, anche se non sempre chia ramente, che essi erano in movimento ed hanno formulato alcune leggi di sviluppo di .tale movimento. In genere però essi hanno considerato . il movimento delle singole parti, non dell'insieme e in modo meccanicistico. E vedremo il perché. La scuola soggettivistica, per la sua stessa impostazione meto dologica che abbiamo descritto, ha trascurato lo studio della dinamica, è stata prevalentemente cioè una scuola che ha studiato l'equilibrio economico ed ha avuto una concezione statica dell'economia, non nel senso che fossero negati dei movimenti, ma nel senso che essi rappre sentavano scostamenti dal punto di equilibrio. Né poteva essere diver samente : per avere una concezione dinamica, nel senso di riconoscere leggi necessarie, sia pure di tendenza, dello sviluppo : bisogna partire da una concezione oggettivistica. Infatti anche le piu recenti scuole di economia politica si dibat tono in molte difficoltà logiche. Lo studio dei fenomeni nella loro dinamica è divenuto una necessità. Nel corso di questi ultimi cinquanta anni si sono verificati tanti e cosi grandi mutamenti economici e sociali, si vive in una tale instabilità economica e sociale, che sarebbe un assurdo chiudere gli occhi e limitarsi all'analisi di un ipotetico equilibrio stabi:le e quindi di per sé statico. Però, come meglio vedremo nell'ultima parte del nostro testo, la mancanza di una chiara base metodologica, porta gli studi sulla din� mica economica ad essere ( a parte gli studi di carattere prevalente mente aziendale o di categorie merceologiche di cui non ci interes siamo) di carattere statico, cioè descrittivo, in cui le previsioni di movi mento sono costituite da estrapolazioni di tendenze in atto ; o proba babilistico, in cui le previsioni sono cioè fatte secondo i principi del
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cakolo di probabilità e non di causalità economica, oppure sono costi tuite da « sistemi » o « modelli », il cui sviluppo è regolato in base ad interventi di politica economica. Si può cioè affermare che manchi - e lo ammette implicitamente anche il Di Fenizio - una « dina mica » vera e propria, nel senso cioè che si riconosca l'esistenza di leggi oggettive che presiedano al movimento dei fenomeni economici, singolarmente considerati e nel loro insieme, e quindi li spieghino.
Importanza del salario Abbiamo già detto che i.I salario rappresenta nella società capita listica la categoria dominante per determinare la retribuzione di qua1siasi lavoro. Cioè essa è una categoria capitalistica e presuppone che il lavoro sia divenuto una merce. ciot- che i lavoratori posses�on della forza-lavoro siano privi dei mezzi di produzione e costretti quindi a vendere la loro merce forza-lavoro nel mercato a chi possii>de · i mezzi di produzione, cioè ai capita.listi. Poiché però la produzione capitalistica è il modo dominante di produzione, H salario diventa il termine di. paragone per la distribuzione delle forze di lavoro anche nelle forme di produzione precapitalistiche residuali. In parole povere quando il salario supera il guadagno ottenuto per esempio dal contadino piccolo proprietario o dall'artigiano, si determina una situazione per cui il contadino è spinto ad abbandonare la terra e l'artigiano la bottega è a trasformarsi in lavoratore salariato. Naturalmente il proceS50 non è cosi semplice e non si verifica senza gravi ostacoli e senza gravi sacrifici sociali. Esso è piu evidente per le nuove generazioni· di lavoratori, portate ad orientarsi piu Hbe rarnente, che per le generazioni già impiegate in una attività produt tirva. Hanno poi · peso notevole e in senso contrastante elementi sociali che determinano le « condizioni di vita » del lavoratore, che sono rap presentate da altri rapporti e non dal solo salario, inteso quale prezzo del lavoro o sua retribuzione. L'affetto al proprio pezzo di terra o alla propria bottega, l'impressione, non sempre corrispondente alla realtà, di essere « indipendenti », non « aver padrone », o semplice mente la miseria e l'ignoranza, spingono molti lavoratori non salariati a subire per lunghi anni un sottosalario, sotto forma di pluslavoro personale e familiare o di retribuzione 1nferiore al livello salariale. � da tener presente a questo proposito che, specie per i contadini, grande importanza ha ancora l'autoconsumo. D'altra parte le condi zioni sociali, migliori nelle grandi città, per i divertimenti e anche 17
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spesso per condizioni semplicemente piu umane di vita, per quanto riguarda esigenze di abitazioni, culturali, di avvenire, possono spingere i giovani ad affrontare a rischio di un salario incerto ed insufficiente. La città inoltre, se offre la possibilità di consumi vari e .piu elevati, crea specie all'inizio per l'immigrato gravi costi di ambientazione, situazioni di vita spesso disumane e gravi difficoltà per gli enti terri toriali locali. È noto comunque che, nonostante ostarnli ed attriti, questi mo vimenti di forze lavorative si sono verificati e si stanno verificando con ampiezza maggiore o minore, in dipendenza del grado di sviluppo capitalistico dei singoli paesi, per l'importanza maggiore o minore dei residui precapitalistici, e delle condizioni di lavoro, di cui la piu importante è rappresentata dalla ampiezza della « disoccupazione » 1 Ecco perché la categoria salario (che si chiama stipendio, se pagato mensilmente per gli impiegati) ha, nel sistema capitalistico, funzione predominante e diventa la pietra di paragone di ogni retri buzione del .favoro. Come si sviluppa nel tempo questa categoria ? È il quesito che ci proponiamo. Per rispondervi, occorre tener presente il principio della interrdazione fra le diverse categorie, cioè l'interdipendenza ge nerale che esiste nell'economia, come già abbiamo ricordato. Ciò pre messo possiamo avere una chiara visione della dinamica del salario, se analizziamo l'andamento delle singole forze componenti questa categoria. Abbiamo visto che il livello del salario oscilla attorno al valore della forza-lavoro, o in termini capitalistici attornq al costo di pro duzione della forza-lavoro. Dobbiamo pertanto cercare di individuare l'andamento nel tempo del valore o costo di produzione della forza-lavoro. Però tenendo sempre presente la nostra concezione dialettica, non possiamo dimen ticare che anche questo è un fenomeno complesso, determinato da una azione permanente svolta dalla crescente produttività della forza-la voro, ossia dalla crescente quantità di mezzi di lavoro che essa valo rizza e del plusvalore che essa crea. I'l salario dipende d'altra parte dalle temporanee variazioni della domanda e deHa offerta, e dobbiamo
I ! noto, come rilevano i dati statis tici sulla distribuzione delle forze di lavoro, che in Italia vi è stata negli ultimi quindici anni una massiccia emigrazione di contadini (oltre quattro milioni) ed un sempre piu rapido aumento percentuale dei « lavoratori dipendenti ,. sul totale delle forze di lavoro occupate. Se poi si esaminano le trasformazioni rilevate dai censimenti a partire anche sòlo da quello del 193 1 , il fenomeno appare con straordinaria evidenza.
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analizzare quindi la domanda e l'offerta di forza-lavoro per vedere se vi è un permanente eccesso di una di quelle due forze.
La dinamica del salario secondo i classici Sulla dinamica del salario gli economisti inglesi del primo otto cento avevano formulato una teoria basata su alcune premesse di' carattere naturalistico. Come già si è visto - citiamo il Ricardo - anche per i classici il « prezzo naturale del lavoro è il prezzo i11ecessario per permettere ai lavoratori di sussistere e di perpetuare, sénza aumenti né diminu zioni, la loro progenie » . Il meccanismo che doveva far si che il prezzo ' corrente del lavoro oscillasse attorno al prezzo naturale, era costituitO dalla teoria della popolazione, collegata con la legge della produttività decrescente in agrkoltura (o costi crescenti ). Come già abbiamo detto, secondo la teoria malthusiana della popolaziooe, contenuta nell'Essay on Population, che aveva susdtato tanto scalpore ed era diventata, come dice Marx « un dogma degli economisti », la popolazione tende ad aumentare con progressione geometrica. Vi è quindi una 5pinta permanente ad un eccesso di offerta di lavoro come dicevano i classici (o meglio, sarebbe dire, di forza-lavoro). Di fronte a questo aumento di popolazione sta il fatto che le sussistenze, che .stanno . alla base del « prezzo naturale » (o . valore, o costo di produzione) del lavoro (della forza-lavoro), data la limitaziooe della terra da coltivare e la legge della produttività decre scente che ne deriva, tendono a progredire con progressione aritme tica. Ne consegue un crescente divario fra i due termini, le due serie, popolazione e mezzi di sussistenza. Le conseguenze sono molteplici : il costo di sussistenza, base del prezzo naturale del lavoro, tende ad aumentare e ciò comporta un elevarsi del salario nom1nale (non del salario reale) del lavoratore. Questo fenomeno però comporta, data la divisione del prodotto sociale nelle tre categorie salario, profitto, rendita, la conseguenza di far crescere la rendita (e quindi ne deriva la legge tendenziale di aumento della rendita sostenuta da questi economisti ) e di far dim1nuire i profitti, e sarebbe questa la base della legge tendenziale della caduta del saggio del profitto, che piu avanti vedremo, ammessa secondo la concezione classica dell'epoca. Per ritornare alla legge tendenziale della dinamica del salario, essa presuppone la tendenza ad un eccesso permanente nella offerta di forza-Lavoro dovuta a fattori naturali, per cui i salari tendono ad
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essere un semplice equivalente dei mezzi di sussistenza. Se, infatti il prezzo del mercato del lavoro supera il suo prezzo naturale, le condizioni del lavoratore sono faorenti e .felici, in quanto il lavoratore riesce a conseguire una maggiore quantità di beni necessari e di soddi sfazioni. Quando però in seguito allo stimolo che gli alti salari danno all'aumento della popolazione, .il numero dei lavoratori è cresciuto, i salari cadono di nuovo al loro prezzo natul:ale e in verità per reazione cadono tal volta al di sotto di esso » 1 . Cioè interviene la legge naturale dello sviluppo della popolazio ne, che spinge all'aumento della offerta di lavoro. Quando invece i salari cadono al di sotto del « prezzo naturale », diminu2lione di nata lità, malattie, mortalità maggiore, ristabiliscono l'equilibrio tra offerta e domanda, la quale ultima poi tende a diminuire per la diminuzione del capitale provocata dalla caduta del saggio del profitto. Come si vede è una concezione dinamica naturalistica, indipen dente dal sistema concreto capitalistico di produzione, legata a leggi di natura. È molto probabile che il genio del Ricardo, qualora egli fosse vissuto piu a lungo, avrebbe trovato la esatta soluzione e ripudiato questa ingenua concezione naturalistica, in quanto vi sono afferma zioni che sminuiscono la· rigidità dell'equivalenza salari-mezzi di sussi stenza 2 , e nel capitolo veramente antesignano sul macchi.nismo indu striale 3, la domanda e l'offerta çli lavoro ( forza-lavoro) sono piu legate .a fatti economici e non naturali, egli ammette che il saggio di sostituzione di lavoro con macchine supel'li il saggio di riassorbimento dovuto a nuova accumulazione. Ma sta di fatto che fino a che non sopravvennero gli economisti della scuola soggettivistica, che trascu rarono . ogni analisi della dinamica dell'insieme, anche le teorie degli epigoni dei classici sui salari, quali la teoria del fondo salari, erano prevalentemente legate a concezioni naturalistiche ed erano fortemente pessimistiche. «
La dinamica del salario secondo Marx Una giusta analisi deve invece partire da una v1 S1one dialettica e considerare sempre che è l 'uomo il protagonista della vita e non una
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D.
R1CARDO, Principles of Politica/ Economy and Taxation, cit., p. 94.
2 Ibidem, cap. XXVI, p. 348. 3 Ibidem, cap. XXXI, p. 388.
Xl. La dinamica delle categorie
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inerte natura ; che 1e possibilità dell'uomo di dominare e oggi ricreare addirittura la natura crescono sempre di piu ; che le leggi economiche esprimono sempre relazioni fra uomini, per produrre e distribuire ciò che serve alla vita dell'uomo nel senso piu alto della parola. Se teniamo presente questi canoni , vediamo che la tendenza dina mica del salario si può spiegare solo tenendo presente un insieme di fat tori sociali. In primo luogo qual è la tendenza del valore (o costo di pro duzione ) della forza-lavoro, attorno al cui livello, secondo quanto ab biamo detto nel capitolo specifico, oscilla il livello del salario ? È evidente che sul valore della forza-lavoro agiscono forze contrastanti, L'una spinge ad aumentare il valore della forza-lavoro in termini reali. Essa è rappresentata dal fatto che la forza produttiva piu impor; tante della società è l'uomo e questa deve progredire correlativamente allo sviluppo delle altre forze produttive. Un operaio moderno, un ingegnere, devono avere una preparazione tecnica e culturale supe riore a queHa che era necessaria cento anni fa, una intensità di sfor.zo di at tenzione intellettuale ( anche se quakhe volta può essere diminuito lo ·sforzo fisico) superiore, un ritmo di lavoro piu veloce. Il costo reale di una ora di lavoro in tale senso tt:nde a crescere. In una società moderna e sviluppata, il pacchetto dei consumi necessari per il lavoratore tende a modificarsi e ad ampliarsi necessaria mente. Esso è correlativo allo sviluppo di tutta la società, sia come esi genza di vita (bisogno di riposo e di svago per ritemprare le forze, di cul tura per tenere in esercizio il cervello, di igiene, ecc. ecc . ) sia come esi genza della stessa produzione. Il consumo è cioè determinato dal produt tore, oggi capitalistico, il quale per collocare il prodotto, cioè vendere la merce e quindi realizzare il plusvalore, crea nuovi bisogni e deve, sia pure insufficientemente, soddisfarli. Radio, televisione, motorette, automobili, elettrodomestici , ecc., sono nuovi consumi imposti che aumentano il costo necessario della forza-lavoro ad ogni grado dello . sviluppo sociale. E qui occorre fare un'altra considerazione. In una società in cui la distribuzione del prodotto sociale avviene attraverso il mercato e mediante il veicolo del prezzo, il costo della forza-lavoro è oggi in particolare concretamente espresso dalla quan tità di monéta necessaria per acquistare le merci che costituiscono questo pacchetto di consumo (o bilancio di consumo) del lavoratore, e come vedremo l'azione della attuale sovrastruttura monopolistica tende ad aumentare questo aspetto sociale del costo. Di contro, quale forza contrastante, agisce l'aumentata produt tività del lavoro, cioè il costo decrescente ( o valore decrescente) delle
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singole merci che andranno a far parte dei consumi necessari del la voratore. Cioè bastano meno ore di l avoro per produrre le merci, che costituiscono il cosiddetto pacchetto di consumo dei lavoratori, siano esse un televisore o un paio di calze di nailon, e in fondo questa legge è valida anche per fa produzione agricola . Il grande dominio acquistato dall'uomo sulla natura ha smentito la rigidità dell'effetto, in senso dinamico reale, della ferrea legge dei costi crescenti che sembrava do minare l'attività agricola, a parte l'estendersi dei processi industriali per la conservazione dei prodotti agricoli o la loro produzione sintetica .
Nel gioco delle forze contrastanti si è verificato di fatto, stori camente, uno sviluppo che era stato previsto dal Marx. E cioè il tempo di lavoro necessario per ricostituire la forza-lavoro dell'uomo ( secondo la divisione fatta nel capitolo VII ) è andato diminuendo, anche se sono au mentati i bisogni necessari per la vita di un lavoratore. Si è accresciuto quindi il tempo di lavoro supplementare, fonte del plusprodotto, che serve allo sviluppo deHa società, e ohe neUa società capitalistica costi tuisce il plusvalore. Si spiega cosi un aspetto contradditorio del salario capitalistico e cioè che esso, pur essendosi accresciuto nel tempo come quantità di beni a disposizione del lavoratore, tende ad essere sempre al di sotto del valore pro tempore della forza-lavoro e ad essere insufficiente rispetto ai bisogni. Il che è un aspetto della tendenza a un. crescente impoverimento previsto dal Marx, quale legge propria dello svilup po capitalistico.
Sovrappopolazione relativa Perché il salario tende ad essere inferiore al valore della forza-la voro, pur osciUando attorno ad esso? Perché nel capitalismo come tendenza di fondo ( salvo cioè le oscil lazioni che vedremo), è insita una offerta di lavoro eccessiva di fronte alla domanda e perché il capitalista considera la forza-lavoro un costo, un esborso di capitale, ragiona cioè in termini di economia aziendale e di profitto, non in termini di economia generale. Questo eccesso di offerta di lavoro è determinato non da cause naturalistiche, ma da cause economiche, cioè dagli squilibri che na scono dalla struttura delle relazioni economiche capitalistiche tra do manda di lavoro, legata al processo di accumulazione e di investimento capitalistico, e la offerta di lavoro, determinata non dal solo fatto delle nascite e deH'aumento della durata media della vita (il tasso di nata·
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lità è andato decrescendo ), ma dal fatto ben piu importante della 1 continua proletarizzazione delle masse e del tasso crescente di sosti- . tuzione del macchinario, ossia del capitale costante, al lavoro vivo. \ Si tratta, come dice il Marx, è:li una sovrappopolazione relativa, che viene a crearsi nel processo di produzione capitalistico. Ed essa è chiamata relativa, proprio perché proviene non dall'accrescimento po sitivo della popolazione operaia che supererebbe i limiti della ricchezza in via di accumulazione, ma al contrario da un accrescimento accelerato del capitale sociale, che gli permette di fare a meno di una parte piu o meno considerevole di lavoratori . Cioè le wriazioni del volume della sovrappopolazione operaia sono indipendenti dal tasso di accrescimento reale della popolazione, per quanto anche questo dato - che è del resto legato anche allo sviluppo economico generale - abbia la sua importanza 1 • L'offerta di forza-lavoro è costituita infatti dai lavoratori che già sono salariati e dalle forze di 1,avoro che vengono liberate dalle forme precapitalistiche di produzione nella campagna e nella città, per cui i cosiddetti « lavoratori indipendenti », contadini ed artigiani ed assimilati ( il cui peso numerico, come indicano le statistiche, va per centualmente sempre diminuendo), si trasformano in salariati, assog gettati al giogo del capitale. La superiorità del modo di produzione capitalistico comporta fa continua rovina della piccola produzione e il suo assoggettamento al grande capitale, per il quale e del quale di venta sempre di piu un servizio. Questo processo è ampiamente illu strato da Marx, ed oggi, riconosciuto da tutti, è comprovato dallo svol gimento reale. Ciò significa il continuo accedere nel mercato di lavoro, in qualità di offerenti, di nuove forze lavorative, ovvero un aumento assoluto di forza-lavoro. D'altra parte vi è un'altra fonte che aumenta l'offerta relativa di forza-lavoro e questa è costituita dal processo di accumulazione capitalistica, con conseguente aumento della composi zione organica del capitale, che meglio vedremo fra poco, parlando della dinamica del profitto e della accumulazione, ma che possiamo subito enunciare nel modo seguente. ...
Il capitalista come singolo e quindi anche come categoria sociale
1 Ecco oome si esprime Marx ( Il capitale, cit., I , pp. 691-692): « E questa una legge della popolazione peculiare del modo di produzione capitalistico, come di fatto ogni modo di produzione storico particolare ha le proprie leggi della popo
lazione particolari, storicamente valide. Una legge astratta della popolazione esiste soltanto per le piante e ptr gli animali nella misura in cui l'uomo non interviene portandovi la storia ». Ed è ancora una volta dimostrnto che per il « ma teri ali s ta » Marx, l'uomo è sempre il protagonista della vita.
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Principi generali
ha per obiettivo, come abbiamo visto, il raggiungimento del massimo profitto e il domiinio di una massa sempre crescente di capitale. Ciò significa raggiungere H massimo plusvalore, poiché sappiamo che il saggio del profitto non è altro che il plusvalore ·riferito al capitale pl totale investito C + V Per raggiungere il massimo di plusvalore nelle due forme in senso ----
assoluto e relativo, come abbiamo visto già, occorre o �lunga!_e l_a g�qrnata favorativa ( oggi col metodo modemo degli « straordinari ») o rendere piu produttivo il lavoro umano, ciò che è possibile introdu cendo macchine piu perfezionate al cui servizio possono esservi meno uomini , cioè meno unità lavorative, e far si che 'in tal modo il lavoro vivo riesca a valorizzare una massa sempre crescente di capitale. D'altra pair te, abbiamo visto, per il capitalista il 'lavoro è un fat tore di produzione come gli altri, che deve essere combinato con altri fattori, secondo iLprincipio di sostituzione. Vi è quindi la permanente tendenza alla sostituzione del lavoro vivo col lavoro morto ( aumento della composizione organica del capitale), per ottenere una piu effi ciente combinazione produttiva che dia anche temporanei vantaggi nella lotta di concorrenza del mercato. Su questa tendenza agiscono anche '1e variazioni temporanee del livello salariale. Cioè se il livello dei salari, per uno squilibrio tra domanda ed offerta, aumenta al disopra del valore (in senso storico, non naturalistico come già si è detto) della forza-lavoro, ossia aumentaino i salari, questo fatto accresce per il capitalista lo stimolo a sostituire al lavoro vivo il lavoro - morto, in quanto_, fermi restando la produttività del lavoro e il saggio del plus valore creato dal lavoratore, un aumento di. salari significa logica mente una diminuzione di profitti-e, almeno in mercato di concorrenza, non un aumento di prezzi , come in base alla teoria del valore, ben sapevano Ricardo e Marx. In tale modo vengono liberate dallo stesso processo produttivo capitalistico, come già riconosceva il Ricardo, forze di lavoro (viene chiamata c2 Supponiamo che metà del plusvalore sia accumulato e cioè inve-
I Il capitale, cit., Il, pp. 523-524. 2 Ibidem, pp. 526-527.
3 Ibidem, p. 538. Ibidem, p. 530.
4
307
XII. La dinamica del sistema
stito in aggiunta nel nuovo processo produttivo e ciò avvenga sempre nelle proporzioni precedenti, ossia 4 a 1 per quanto riguarda il I set tore, come deve attuarsi la riproduzione anche nel secondo settore, af finché la produzione globale sia in equilibrio? Nel I settore abbiamo :
4 .000 C + 1 .000 V + 500 pl + 400 A c + 1 00 A v
� �
6.000
Nel secondo settore l'aumento del capitale costante è possibile solo nella misura in cui viene aumentato il consumo dei beni di consumo nel settore I . Abbiamo visto che questo aumento è solo d i 1 00 miliardi, ossia nel II settore il capitale costante deve passare da 1 .500 a 1 .600 miliardi In questo settore stesso aumenterà anche il capitale variabile e supponiamo che ciò avvenga secondo il vecchio rapporto di 2 a 1 . Aumenterà cioè di 50 miliardi, ossia, concludendo, nel settore II si avrà:
1 .500
C
+ 750
V
+ 600 pl
+ 100 A c + 50 A v
Tra i due settori, scambio noto : I)
Il)
m
4 .000 c + 400 A c
J 1 .500 c
+ 1 00 A c
3 .000
seguito alla mutata disposizione, si avrà lo
+
I
� �
+
J 1 .000 v
+ 100 A v + 500 p l
750 v +
I
50
A
I
6.000
v + 600 pl = 3.000
Ossia 4.400 mi1iardi vengono realizzati nell'interno del settore I , 1 .600 passano nel settore II, il quale a sua volta realizza 1 .400 miliardi all'interno del suo .settore e 1 .600 nel settore I .
Ossia il valore del capitale variabifo 1 .000 piu l a parte del plus valore consumata dal capitalista e l'aumento del capitale variabile del
settore I, deve essere uguale al capitale costante del II settore, aumen tato del capitale addizionale.
Nel secondo processo produttivo, se è un processo annuale, nel
Principi generali
308
secondo anno, se si produce con questo capitale aumentato continuando lo sviluppo, secondo le proporzioni richieste avremo : ( I I processo produttivo)
I ) 4.400 e + 1 . 1 00 v + 1 . 100 pl 800 pl 800 v + I I ) 1 .600 e +
6 .600 3 .200
I �
9.800
Di qui l'investimento del capitale avverrà nel modo seguente :
4 .400 e + 440 a e + �--
1 .600 e + 1 60 a e +
/
I
-------
1 . 1 00 V + 550 pJ 1 10 _a V 800 V + 560 pl 80 à v
= 6.600
3.200
Nel III processo produttivo si avrà : I ) 4 .840 e + 1 .2 1 0 v + 1 .2 1 0 pl I l ) 1 .760 C + 880 V + 880 pl
7 .260 3.520
1 0.780
e cosi via. Come nota Marx, perché le cose si svolgano in equilibrio, « l'accu mulazione in II deve compiersi piu rapidamente che in I , poiché altri menti la parte I ( v + pl ) che deve essere convertita in merci II e cresce piu rapidamente di Ile con cui soltanto può essere scambiata » 1 •___ , Come si vede, tali schemi possono essere ancor oggi una valida base per dedurre iI tipo reale di sviluppo della produzione capitalistica, nonostante le modificazioni in essa intervenute. Com'è noto, lo schema marxista è stato sviluppato anche da_ Len�n Tenendo conto dello sviluppo del mercato tra capitalisti, ossia della pro duzione destinata a fornire mezzi di produzione, che era andata accre scendosi, egli introdusse la necessaria variabile dell'aumento della com posizione organica del capitale, che Marx per semplicità aveva trascurato. Inoltre suddivise il settore I di produzione dei mezzi di produ zione in due sezioni: quella producente i mezzi di produzione per la
�
I Il capitale, cit., II, p. 533. 2 LENIN, A proposito della questione dei mercati, in Opere, vol. I, Roma, Ed. Rinascita, 1955, p. 80; ed inoltre: Le caratteristiche del romanticismo economico (in Opere, vol. II, Roma, Ed. Rinascita, 1955) e Lo sviluppo del capitalismo in Russia (in Opere, vol. III, Roma, Ed. Rinascita, 1956). _
309
XII. La dinamica del sistema
produzione di mezzi di produzione e quella producenti i mezzi di produzione per la produzione dei beni di consumo. Ne risulta cosi una tabella dello sviluppo della produzione sociale che riportiamo: Produzione di mezzi di produzione
Produzione di mezzi di produzione
Beni di consumo
Prodotto totale
per
1° anno
2° anno
3° anno 4° anno
mezzi di produzione
in %
4.000 4.450 4.9.50 5.467,5
100 1 1 1 ,25 123,74 136,7
beni di consumo in % 2.000 2 . 1 00 2.150 2 . 1 90
1 00 105 107,5 109,5
in % 3 .000 3 .070 3 . 1 34 3 . 172
100 102 104 106
in % 9.000 9.620 10.234 10.828,5
100 107 1 14 120
In 4 anni, secondo questa tabella .Ja produzione globaie è aumentata del 20 % , la produzione dei mezzi di produzione per produrre mezzi è:li produzione del 36,7 % , Ia produzione dei mezzi di produzione che ser vono nel settore del consumo del 9,5 % , la produzione dei beni di con sumo del 6 % . Questo diverso sviluppo dei diversi settori esprime piu corret tamente, come dimostra l'esperienza, il processo reale della riprodu zione capitalistica; i'l mercato tra capitalisti che si scambiano mezzi di produzione è andato continuamente accrescendo la sua importanza. Da questa giusta costatazione uno scrittore, il Tugan-Baranovski, giunse a formulare la teoria errata di un processo di autoespansione illimitata del capitale, di un mercato solo tra capitalisti sviluppantesi in modo indefinito, mentre è logico che qualsiasi processo produttivo alla fine deve servire a produrre prodotti finiti, cioè beni di consumo, senza i quali nessuna ·produzione ha senso.
Caratteristiche dei modelli marxisti L'importanza del modello di sviluppo marxista consiste non sol tanto nell'aver analizzato con acume il processo di circolazione del capitale, nell'aver sottolineato in esso l'importanza· della funzione della moneta e dell'equilibrio settoriale tra prodotti come valori d'uso specifici, non soltanto nell'aver riconosciuto l'esistenza di tassi di svi luppo diversi per settori diversi , come si verifica nel processo reale, secondo ciò che dimostra l'esperienza storica, e infine nell'aver sche-
310
Principi generali
matizzato tale processo, quanto nella visione unitaria e quindi causale del fenomeno. Questa visione è collegata alla legge fondamentale della accumulazione capitalistica, che si manifesta anche nelle leggi specifiche che abbiamo esaminato, che regolano la dinamica del salario e del profitto. li modello marxista non è quindi un modello puramente ipotetico, ma rispecchia il processo reale di sviluppo nelle sue cause. Esso è poi importante perché contiene in sé la dimostrazione cau sale che il processo di sviluppo non può svolgersi secondo una funzione lineare, come un regolare e proporzionato accrescimento, ma in modo piu complesso, tra contraddizioni economiche, che devono di tempo in tempo risolversi , ossia in modo ciclico. Cosi l'andamento ciclico diventa la forma prop_�ia_ dello sviluppo
economico nel capitalismo.
L'impossibilità di uno sviluppo equilibrato è contenuta già negli schemi che dimostrano quali e quante condizioni sono necessarie perché ciò si verifichi. E tale impossibilità è chiaramente affermata dal Marx e dal Lenin negli scritti citati, i quali, come vedremo subito, parlando delle crisi economiche, dimostrano non solo la possibilità di un andamento discontinuo, non proporzionato della economia, ma la necessità che tale andamento si svolga con onde cicliche. Gli schemi o modelli che furono successivamente elaborati da altri economisti mancano di questa visione unitaria e causale. Del resto fino ad epoca recentissima, se numerosi erano stati gli studi e le teorie conseguenti sulle crisi economiche, non si era affron tato iI problema generale dello sviluppo economico nel suo insieme e nel suo aspetto piu che secolare. Quale autore importante dobbiamo ricorda·re lo Schumpeter, che poco dopo l 'inizio di questo secolo espose una « teoria dello sviluppo economico » in un volume dello stesso titolo, la cui lettura è molto suggestiva 1 • Egli afferma che il movimento di uscita dallo stato stazionario (o riproduzione semplice), è derivato dalla azione dell'imprenditore, il quale volendo evitare il consolidarsi di uno stato stazionario in cui vi sarebbe un profitto nullo secondo la concezione dell'epoca ( vi sareb be cioè la semplice remunerazione dei « fattori della produzione » ), introduce « innovazioni » nel campo della economia per diminuire i
cui
1 J. A. SCHUMPETER, Die Theorie der wirtschaftlichen Entwicklung, 1912, di uno
stralcio è nel vol. V (Dinamica economica) della NCE, Torino, UTET,
1932 (dr. l'ed. inglese citata nella seguente bibliografia).
XII. La dinamica del sistema
311
costi, creare nuovi sbocchi, imporre nuovi prodotti, ecc. e creare cosi per sé una temporanea posizione di monopolio con conseguente profitto. Ma il legame dialettico tra le invenzioni e le innovazioni e l'am biente economico e sociale, che è in Marx espresso dalla legge dell'ac cumulazione capitalistica, sfugge in Schumpeter, sicché queste inno vazioni rappresentano una categoria astratta, come la categoria degli imprenditori, avulsa dalla situazione reale e l'introduzione delle inno vazioni costituisce non un processo continuo, ma un processo che si verifica a ·salti con gruppi di cambiamenti non logicamente legati da rapporti dialettici con la realtà, ma 'indipendenti o quasi da essa, deri· vati da capacità e azioni sostanzialmente soggettive. Comunque questo è stato, si può dire, il solo tentativo al di fuori dello schema marxista di teorizz;ire lo sviluppo economico. Ve dremo piu avanti altri schemi . o modelli di sviluppo che sono apparsi in tempi recentissimi, dopo fa prima uerra mondiale. Questi espri mono qualche volta formalmente meglio le nuove e piu complesse condizioni in cui si attua oggi la produzione capitalistica, però non sanno indicare le relazioni fondamentali e necessarie tra i fenomeni, an che se qualche volta accettano con altro nome categorie logiche marxi ste. Si tratta prevalentemente di costruzioni ipotetiche, non reali, il cui scopo prevalente è di analizzare le condizioni per assicurare all'eco· nomia capitalistica uno sviluppo 'regolato . . Ossia questi modelli man cano di chiarezza e della capacità di riassumere il processo spontaneo dello sviluppo economico nel sistema capitalistico di produzione; svi luppo, ripetiamo, che non è solo rappresentato da modificazioni quan titative del prodotto globale e del prodotto di singoli settori o rami di produzione, ma da modificazioni dei rapporti entro i qual.i si svolge la produzione capitalistica.
g
BIBLIOGRAFEA Per meglio chiarire l'argomento trattato in questo capitolo è neces sario svolgere alcune letture che conducano a una piu approfondita conoscenza dei testi marxisti . Oltre la bibliografia già ricordata nel precedente capitolo e citata nel testo, e i manuali, tra il materiale di stu dio, sono da consigliare :
AKERMAN J., Is a generai theory of economie development possible?, in Economie Appliquée, 1 959, 2. ALTHUSSER-BALIBAR, Leggere il Capitale, Milano, Feltrinelli, 1 968.
312
Principi generali
P., The politica/ economy o/ Growth, New York, 1957 ( trad. ital. Feltrinelli, 1 96 1 , Il surplus economico e la tem·ia marxista
BARAN
dello sviluppo). BAUMOL W., Econ·omic Dynamics, New York, Mac Millan, 1957. BuCHANAN N . E LLIS H., Approaches to economie development { ricco di dati), New York, the Twentierh Century Fund, 1 955. DoBB, Teoria economica e socialismo, Roma, Editori Riuniti, 1963. ERDOS , The application o/ Marx's model o/ expanded reproduction to trade cycle theory, in Socialism, Capitalism and economie Growth, Cambridge, Un . Press, 1967 . FANNO M., La teoria delle fluttuazioni economiche, Torino, UTET, 1956. KALECKI M., Teoria della dinamica economica, Torino, Einaudi, 1957. KALECKI M . , The marxian equations of reproduction and modern economics, in Socia/ Information, 1969, n. 7 . LANGE, Introduzione alla econometrica, Torino, Boringhieri, 1 963. LANGE, Theory o/ Reproduction and Accumulation, Oxford, Pergamon Press, 1 969. LAULAGNET A. M., Les schémas de la reproduction du Capitai de Marx, in Problèmes de plani/ication, n. 9, 1 967. LEONTIEV, The structure o/ american economy, Oxford, Un. Pres, 195 1 . LuxEMBURG, L'accumulazione del capitale, Milano, Einaudi, 1 966. MERLIN S., The theory of fluctuations in contemporary economie thought, New York, Columbia Un . Press, 1 950. NEMCINOV V . S., Economico - Matematiceskie metode i mode/i, Mosca, 1962. 0ELSSNER F., Die Wirtschaftskrisen, Berlin, Dietz Verlag, 1949. 0PARIN D. I., Multisector economie accounts, London, Pergamon Press, 1 963. ScHUMPETER J. A., The theory o/ econo.mic development, e d . Harvard Un . Press, 1 955 e NCE, voi. V, Torino, UTET, 1 932. )YLOS LABINI P., Problemi dello sviluppo economico, Bari, Laterza , 1970. Teoria e politica dello sviluppo economico ( scritti vari ), Milano, Giuf frè, 1 954. TRACHTENBERG I . A., Kapitalistische Reproduktion und Wirtschafts krisen, Berlin, Die Wirtschaft, 1957. -
·
Vedi inoltre le pubblicazioni citate nel capitolo seguente.
XIII. Il ciclo economico e le crisi
Abbiamo già detto nel precedente capitolo che l'esame dello svolgimento reale della produzione capitalistica ci indica uno sviluppo non lineare, ma ad onde: queste onde presentano una sufficiente re golarità e sono pertanto chiamate onde cicliche. Con queste onde ci cliche si distingue il ciclo economi��� Ad ogni fase della onda ciclica economica è stato dato un nome. Vi è una fase di espansione o di . ascesa : in essa tutti gli indici economici indicano un aumento: aumen tano prezzi, quantità prodotte, mezzi monetari e di pagamento In circolazione, occupazione, profitti, salari, ecc. La fase di ascesa dura un certo periodo di tempo, raggiunge un massimo detto di prosperità o boom.
Dopo, tutti gli indici economici diminuiscono. Il cambiamento di tendenza è in genere brusco e si manifesta con una serie di fenomeni a cui viene dato il nome di_gi,!"i economica, rottura violenta dell'equi librio preceden te. Dopo la svolta critica vi è normalmente un periodo di ll� caratteristiche delle singole economie. Per esempio alcune strutture economiche povere hanno la loro economia legata prevalentemente ad un tipo di produ zione. Si sa quale .mportanza abbia la produzione e il mercato del caffè per esempio per il Brasile o della carne per l 'Argentina o di altri prodotti « chiave » per certe economie sottosviluppate e quindi le conseguenze generali sull'economia del paese che derivano da un cat tivo raccolto o dalla riduzione della domanda di mercati esteri. Ma, a parte il fatto che, per comprendere la realtà, si dovrebbe studiare perché in quei paesi si è creata una simile situazione, se vogliamo giungere ad una teoria delle crisi, e non solo ad una descrizione storica di esse, che sia concreta e analizzi cioè le leggi del sistema economico in cui viviamo, bisogna considerare quei fenomeni che tendono neces sariamente a ripetersi, che fanno cioè parte del sistema di produzione al di sopra delle particolarità nazionali, in modo che la mente possa logicamente rispecchiare il movimento della realtà. E tra questi feno meni bisogna trovare il fenomeno caratteristico, il quale lungi dal negare gli altri, meglio li spiega e li collega nei loro rapporti dialettici. Questo è il compito della teoria, veramente diretta a spiegare la realtà, comprenderla nella sua intima essenza, e non semplicemente a descri verla nelle sue correlazioni fenomeniche esteriori. Altrimenti ci si smarrisce nella varietà e nella folla dei casi. Si dice spesso che la vita economica è un circolo e quindi è indifferente cominciare l'analisi da un punto piuttosto che da un altro, tanto il circolo si chiude in se stesso. Già questa è una raffigurazione statica della realtà, che si può invece meglio paragonare ad una spirale ascendente e sviluppan tesi, la quale ha perciò una base di partenza e una linea di sviluppo che si deve riconoscere, altrimenti non è possibile comprendere la realtà. Proprio questo nella sostanza logica è il significato della distin zione marxista tra « possibilità di crisi » e « necessità delle crisi »; e se lo studioso tiene presente quanto abbiamo detto nei precedenti capitoli e nell'ultimo in particolare, egli potrà da solo rifare il processo
322
Principi generali
logico che caratterizza il pensiero marxista sulle crisi e da solo appli care tale metodo all'analisi della realtà.
Cause generiche e possibilità di crisi Noi abbiamo visto che il sistema capitalistico di produzione è basato su di un fatto sociale: il mercato, nel quale si vendono le merci a determinati prezzi e che esiste un mercato tra capitalisti, una « circolazione del capitale » e un « mercato di consumo », una « cir colazione di reddito ». In una società di prevalente concorrenza tutti i produttori capi talisti, abbiamo visto, influiscono piu o meno sulla formazione dei prezzi, ma il produttore capitalistico preso come singolo, considera il prezzo del mercato come un dato oggettivo su cui egli non può · influire. Egli trova questo dato oggettivo di fronte a sé nel mercato, alla fine del suo processo produttivo, quando deve realizzare il prodotto. Il suo calcolo economico troverà solo allora la misura della sua esattezza. È chiaro che la coincidenza tra il calcolo e il dato oggettivo del mercato sia rara a verificarsi. Il fatto che vi siano profitti diffe renziali positivi e negativi, cioè vendite in perdita, ne è una prova. L'economia capitalistica come economia spontanea, formata di tanti piani individuali, porta dunque con sé inevitabilmente degli squilibri. I quali non sempre si elidono o si compensano a vicenda, perché vi sono fenomeni che tendono a far si che si verifichino imponenti devia zioni nello stesso senso. Ciò non solo per cause naturali, che possono sopravvenire nella vita economica - scarsità di raccolto, calamità varie - ma per cause proprie del sistema, che derivano dalle carat teristiche fondamentali del sistema. In secondo luogo, come abbiamo accennato altrove, il prodotto nel sistema capitalistico di produzione assume la caratteristica di merce che deve essere venduta. Chiunque produce nel sistema capitalistico è obbligato a vendere. Non produce per consumare, ma per vendere e ricavare un profitto. Il punto cruciale del processo produttivo nel sistema capitalistico è proprio questo, la vendita della merce, la rico stituzione del capitale monetario necessario per la ripresa del processo produttivo, la riproduzione. Dovremo esaminare questo punto cruciale e determinare che cosa impedisce al capitalista di vendere o lo obbliga a vendere sotto costo, che cosa rompe l 'equilibrio metafisico tra acqui sti e vendite, su cui si basa la teoria classica per escludere la possibilità di una crisi generale.
323
XIII. Il ciclo economico e le crisi
Il primo aspetto piu generale di queste difficoltà è dato dal fatto che il capitale nasce con l'aspetto monetario e deve riacquistare alla fine del processo produttivo l'aspetto monetario. Vi è tra l'inizio e la fine, tra l 'acquisto dei fattori della produzione e la vendita delle merci prodotte, una separazione nel tempo e nello spazio. Questa sepa razione temporale era molto importante nel determinare possibilità di crisi già al tempo di Marx e lo è oggi ancor di piu. Perché la forma monetaria del capitale è legata alla caratteristica della moneta, alla dissociazione cioè che già si ha anche nella società mercantile, ne! passaggio M-D-M, tra compera e vendita e ciò aggiunge altre caratte ristiche, altre difficoltà al processo di circolazione e di valorizzazione del capitale. Già diceva Marx: « La circolazione del denaro può avvenire senza crisi, ma non possono esservi crisi senza la circolazione del denaro » 1 • Nel libro secondo del Capitale, in cui tratta della circola zione del capitale e della riproduzione semplice ed allargata e della funzione necessaria della forma monetaria del capitale, in piu punti 2 ricorda le difficoltà che sorgono nella trasformazione o ritrasforma zione delle merci in capitale monetario e l'esigenza che vi siano « scorte monetarie » nella quantità necessaria per gli anticipi di ca pitale. Oggi poi la moneta non ha piu valore intrinseco ma un valore nominale e quindi non è in condizione di adempiere adeguatamente la sua funzione di conservatrice di valori. Ciò lega maggiormente il produttore capitalista all'altro fattore di incertezza, determinato dalla fluttuazione dei prezzi, durante il corso e alla fine del processo pro duttivo. Di questa particolare possibilità generale di crisi, dovuta al lato monetario creditizio del sistema capitalistico di produzione, parle remo in modo particolare piu avanti, trattando della moneta. In questa parte continuiamo invece -l'esame delle altre cause non monetarie della crisi, che si ricollegano al sistema di produzione capitalistico. Riassumendo dunque, abbiamo individuato le cause piu generali ossia le possibilità della crisi economica nel sistema capitalistico di produzione, quale sistema basato sulla divisione del lavoro e sullo ( scambio, sul plusvalore e sulla accumulazione, in questi punti fon-\ damentali: ·
1 ) nella impossibilità di coincidenza tra
piani individuali di
I MARX, Per la critica dell'economit1 politica, cit., p. 82. 2 Il capitale, cit., II, pp. 79, 85, 123, 128, 280 296, ecc.
Principi generali
324
produzione e la realtà oggettiva sociale, risultante dal mercato ed espressa nei prezzi e contemporaneamente nelle quantità vendute ed acquistate dal mercato a quei prezzi ; 2 ) nella dissociazione tra l'acquisto e la vendita, nel fatto c1oe che il produttore non è nello stesso tempo consumatore e quindi il processo produttivo deve terminare nella vendita del prodotto, nella realizzazione di un capitale monetario finale, che sia superiore a quello iniziale anticipato; 3 ) nella dissociazione temporale tra l'inizio e la fine del processo produttivo e le variazioni temporali del valore della moneta. Vi è ora da chiedere, queste possibilità di crisi cosi generali come si trasformano in condizioni inevitabili di crisi? Esiste cioè nella legge di sviluppo del sistema capitalistico qualche cosa di particolare che renda inevitabile il ripetersi di crisi economiche? Il sommarsi,
invece che l'elidersi a vicenda, di singoli squilibri?
Anche nell'analisi di questi punti è bene partire dalle cause piu generali per giungere poi a quella specifica propria del sistema capi talistico
1•
Inevitabilità della crtst
Nella produzione · mercantile semplice, basata sul ciclo merce moneta-merce vi è certamente possibilità di crisi, ma poiché la produ zione serve principalmente per il consumo e poiché il consumo è un processo continuo e fondamentale, vi sono scarsi motivi perché queste possibilità si trasformino in concreta realtà ripetentesi ciclicamente. E sotto tale aspetto ha una giustificazione la tesi del Say e del Ricardo in particolare, che abbiamo ricordato. Nel processo capitalistico però si parte dal capitale monetario per ritornare alla ricostituzione del capitale monetario, ricostituzione resa possibile mediante la vendita della merce. Nella società capitali stica abbiamo, perciò, i soggetti economici (capitalisti) il cui unico scopo è la creazione del plusvalore, ma abbiamo anche altri soggetti economici, tutti coloro che sono privi di mezzi di produzione, cioè i lavoratori, per i quali il processo di circolazione è sempre quello vecchio e cioè merce-denaro-merce, e ciò anche se la merce iniziale che essi vendono e che il capitalista trasforma in capitale variabile, è la forza di lavoro, cioè Io scopo dell'attività economica di questi soggetti è il consumo diretto per vivere. 1 K. MARX, Storia delle teorie economiche, cit., voi.
I, p. 543 e sgg.
XIII. Il ciclo economico e le crisi
32.5
Questo processo è, come si è detto, illustrato da Marx nel I I libro del Capitale. Ora nel mercato ogni merce deve essere venduta e ad un prezzo che copra il costo di produzione e dia un profitto. Ma a chi deve essere venduta? I consumatori, che nel mercato formano la domanda, sono dei due tipi: altri capitalisti e consumatori non capitalisti. I consumatori capitalisti hanno un consumo personale e poi acquistano materie prime, mezzi di produzione per intraprendere o allargare il loro processo produttivo. Ogni ramo della produzione è davvero sotto questo aspetto uno sbocco, un mercato di consumo per un altro ramo o altri rami di produzione. Questa interdipendenza del mondo economico, che si realizza attraverso il mercato, - il fatto per esempio che la costruzione di una ferrovia comporta la creazione di un mercato di sbocco per merci dell'industria siderurgica-meccanica, per le segherie, per esercenti che vendono beni di consumo ai lavora tori, - è nota, non occorre insistervi, e su tale principio, come vedremo, si è sviluppata la teoria del moltiplicatore. Perché quindi la merce prodotta possa essere venduta con profitto, cioè ad un prezzo rimu nerativo, è necessario che vi sia questa domanda, questo potere d'ac quisto, che sia mantenuto cioè l'equilibrio armonico fra i vari rami della produzione capitalistica e infine vi sia sempre un sufficiente potere d'acquisto da parte delle masse popolari non capitalistiche, che acquistano per soddisfare i bisogni dell'esistenza, acquistano cioè pro·· dotti di consumo per il proprio uso individuale. Ora una prima costatazione ci fa osservare che una condizione fondamentale di squilibrio è rappresentata proprio dalla relativa dimi nuzione del potere d'acquisto delle masse non capitaliste. È chiar� prima di tutto che queste masse popolari rifiutano per esempio di acquistare un pianoforte o una radio non perché non sentano il bisogno della musica, ma perché non possono acquistare, perché non hanno cioè il potere necessario d'acquisto. E perché non hanno il potere d'acquisto necessario? A queste domande rispondono le leggi che rego lano la distribuzione del reddito nella società capitalistica. È caratte ristica di tutte le società basate sullo sfruttamento di tenere le masse in un perenne sottoconsumo e ciò allo scopo di conservare l'assetto sociale esistente, di far si che la riproduzione tenda a riformare nello stesso tempo e il processo tecnico e tutte le categorie economiche. Anche nella società capitalistica i proletari possono avere solo quanto è m�cessario a ricostituire la loro forza di lavoro, sia pure nel progresso storico del concetto, la loro categoria economica di salariati. Se dun que il sottoconsumo non è una caratteristica propria del solo sistema
326
Principi generali
capitalistico di produzione, ma di tutti i sistemi basati sullo sfrutta mento e sulla divisione in classi, nel sistema capitalistico esso ha cer tamente una parte importante nella origine della crisi e lo abbiamo già visto ricordando la tesi del Malthus e del Sismondi. Marx nel I I I libro del Capitale 1 tratteggiava in poche parole i efficacemente questo processo: la produzione del plusvalore « costitui ,- sce lo scopo immediato ed il motivo determinante della produzione capitalistica. . . Il plusvalore è prodotto non appena il pluslavoro che è possibile estorcere si trova oggettivato nelle merci. . . Comincia ora il secondo atto del processo. La m,1ssa complessiva delle merci, il prodotto complessivo, tanto la parte che rappresenta il capitale costante e varia bile, come quella che rappresenta il plusvalore, deve essere venduta. Qualora questa vendita non abbia luogo, o avvenga solo in parte, oppure a prezzi inferiori a quelli di produzione, lo sfruttamento dell'ope raio, che esiste in ogni caso, non si tramuta in un profitto per il capitali sta e può dar luogo ad una realizzazione nulla o parziale del plusvalore estorto, ed anche ad una perdita parziale o totale del suo capitale. Le condizioni dello sfruttamento immediato e della sua realizzazione non sono identiche: esse differiscono non solo dal punto di vista del tempo e del luogo ma anche della sostanza. « Le une sono limitate esclusivamente dalla forz� produttiva della società, le altre dalla proporzione esistente tra i diversi rami di produ zione e dalla capacità di consumo della società. Quest'ultima, a sua volta, non è determinata né dalla forza produttiva assoluta né dalla capacità di consumo assoluta; ma dalla capacità di consumo fondata su una distribuzione antagonistica, che riduce il consumo della grande massa della società ad un limite che può variare solo entro confini piu o meno ristretti. Essa è inoltre limitata dall'impulso ad accumulare, ad accrescere il capitale ed ottenere delle quantità sempre piu forti di _
I Ed. cit., pp. 296-297. E a p. 429 del capitolo XX del Il libro, Marx a tale proposito dice : « � pura tautologia clire che le crisi provengono dalla man canza di un consumo in grado di pagare o di consumatori dn grado di pagare. Il sistema capitalistico non conosce altre spese di consumo all'infuori del con· sumo pagante, eccettuate quelle sub forma pauperis o quelle del mariuolo. Ma se a questa tautologia si vuol dare una parvenza di maggior approfondimento col dire che la classe operaia riceve una parte troppo piccola del proprio prodotto e che al male si porrebbe quindi rimedio quando essa ne ricevesse una parte piu grande e di conseguenza crescesse il suo salario, c'è da osservare soltanto che le crisi vengono sempre preparate appunto da un periodo in cui il salario in generale cresce e la classe operaia rea/iter riceve una quota maggiore del prodotto annuo destinato al consumo ». Ciò integra quanto abbiamo detto sopra e riafferma che, secondo Marx, la ,:ausa principale della crisi consiste nello squi librio tra settori collegato all:a accumulazione, e quindi nel processo di circola zione del capitale.
XIII. Il ciclo economico
e le
crisi
327
plusvalorq. Si tratta di una legge per la produzione capitalistica, deter minata dalle incessanti rivoluzioni nei metodi di produzione, dal deprez zamento continuo del capitale esistente che ne è la conseguenza, dalla concorrenza generale e dalla necessità infine di perfezionare la produ zione ed allargarne le dimensioni, al semplice scopo di conservarla ed evitare la rovina. Il mercato di conseguenza deve essere costantemente ampliato, cosicché i suoi rapporti e le condizioni che li regolano assu mono sempre di piu l'apparenza di una legge naturale indipendente dai produ ttori, sfuggono sempre di piu al controllo. La contraddizione intrinseca cerca una compensazione mediante l'allargamento del campo e.6terno della produzione. « Ma tanto piu la forza produttiva si sviluppa e tanto maggiore è il contrasto in cui viene a trovarsi con la base ristretta su cui poggiano i rapporti di consumo. E non vi è nulla di inspiegabile nel fatto che, s u questa base piena di contraddizioni", un eccesso di capitale sia colle gato con un eccesso crescente di popolazione ; e quantunque la massa di plusvalore risulterebbe aumentata nel caso che si assorbisse l'eccesso di popolazione con l'eccesso di capi tale, si accentuerebbe con ciò il conflitto fra le condizioni in cui questo plusvalore è prodotto e quelle in cui im·ece è realizzato » .
La possibilità d i crisi nasce perciò nel processo d i produzione capitalistico perché l'acquisto e la vendita non rappresentano la tra sformazione della merce in altra merce, tramite la moneta, ma invece la trasformazione dello stesso capitale in forme differenti: la merce nel mercato capitalistico contiene cioè in sé il plusvalore. Il processo di realizzazione è non soltanto il processo di trasformazione della merce in moneta, ma anche il processo di trasformazione del capitale merci in capitale monetario. L'arresto o la alterazione di questo processo comportano l'interruzione del processo di circolazione del capitale. Con quanto abbiamo detto si spiega facilmente perché l'astratta possi bilità di crisi, già presente nella società mercantile semplice, diventi piu reale e concreta nella società capitalistica. Cosf pure piu concreta diventa la possibilità di crisi, legata alla funzione della moneta, quando si pensa che la funzione prevalente della moneta diviene non piu quella di intermediario degli scambi, quanto di mezzo di pagamento e si pensa allo sviluppo del sistema creditizio che ne deriva e alla funzione che esso esercita nello sviluppo del fondo monetario e nella trasfor mazione di questo in capitale. E anche questo aspetto del processo reale è sviluppato da Marx, anche se il suo pensiero in questo campo è meno noto. Piu reale e concreta diviene la possibllità di crisi, tanto da tra-
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Principi generali
sformarsi in condizione che nel capitalismo rende la crisi inevitabile, per il fatto che il processo di concentrazione capitalistica, legato al processo di accumulazione, sconvolge il mercato tra capitalisti, intro ducendo continuamente nuovi processi tecnologici, alterando di con tinuo i rapporti di valore tra le merci, rompendo la proporzionalità tra i vari settori produttivi che sarebbe necessaria. Proprio da questo aspetto caratteristico della produzione capitalistica e soltanto di essa, nasce la causa specifica della crisi economica nel cdpitalismo, che ne spiega la periodicità, il suo ripetersi cioè in tempi determinati e con manifestazioni analoghe, anche se non uguali, ossia l'andamento carat teristico del ciclo economico. Le altre cause generali di crisi, che ab biamo visto, possono non essere specifiche di tale sistema e quindi non darci la spiegazione concreta del ciclo economico. Per esempio tutte le società basate sullo sfruttamento, cÒme ricordava anche En gels, hanno come caratteristica il sottoconsumo delle masse popolari . Ma perché questo fenomeno sia concausa concreta della crisi e dello svolgimento ciclico, deve essere necessariamente legato ad una causa specifica della crisi, che cioè si ripeta nec�ssariamente e periodicamente. Questa causa specifica risulta chiara, se noi teniamo presente quanto abbiamo detto esponendo il processo di riproduzione econo mica nel capitalismo, ossia H processo di sviluppo. Per la legge della accumulazione capitalistica, legata alla sete di plusvalore propria del capitalista, vi è una permanente rottura dei rapporti di proporziona lità che devono esistere tra la produzione dei mezzi di produzione ( nei suoi vari rami ) e la produzione dei beni di consumo. Si rompono cioè le condizioni che sole possono assicurare una riproduzione allar gata armonica. Le possibilità di andamento sproporzionato che risuì tavano evidenti dagli stessi . sommari schemi della riproduzione, diven tano, proprio per la legge dell'accumulazione capitalistica, necessità di sproporzione, cioè permanenti violazioni della proporzione.
Periodicità dello sviluppo ciclico Partiamo da un qualsiasi momento del ciclo, supponiamo dal suo inizio, cioè dalla fase di ascesa. Che cosa significa la fase di ascesa e perché vi è? Significa nuovi colossali investimenti di capitale 1• Essi comportano uno sviluppo del settore producente mezzi di produzione, settore I della nostra raffigurazione. Cresce infatti la domanda dei capitalisti per mezzi di produzione, aumenta la produzione, la occu-
1 Il capitale, cit., III,
p. 574.
Xlii. Il ciclo economico e le crisi
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· pazione operaia, aumentano i profitti e i consumi, si sviluppa anche la produzione nel settore I I , che produce beni di consumo, e la do manda dei capitalisti di questa sezione per mezzi di produzione ( mac chinario ecc.). Si giunge cosf alla fase di prosperità. Sembra che non vi possano essere limiti allo sviluppo produttivo. Gli impianti lavo rano in pieno ritmo, in un primo tempo i co�ti di produzione dimi nuiscono, aumenta la produttività del lavoro, i salari crescono, anche se in misura molto minore della produttività del lavoro e quindi dei profitti. Ma ecco che si fanno presenti i limiti della produzione capita· listica. Il limite è appunto, come ricorda il Marx e come abbiamo visto parlando della legge della caduta tendenziale del saggio del profitto,
·
il capitale stesso, ossia la sua nuova valorizzazione come capitale.
Astraendo dai fenomeni monetari e creditizi che complicano il processo ma non lo mutano nella sua sostanza, l'aumentata composizione orga nica del capitale produce il suo effetto: il saggio del profitto dimi nuisce: le imprese piu deboli soccombono, si licenziano operai, si riduce lo stimolo a nuovi investimenti. Contemporaneamente anche lo sviluppo del settore producente beni di consumo, potenziato dai nuovi mezzi di produzione introdotti, cioè dal nuovo capitale investito, risulta eccessivo, perché si scontra col limite rappresentato dalla domanda ef fettiva o solvibile delle masse dei lavoratori dipendenti, del proletariato e degli strati intermedi che economicamente decadono. Si sviluppa la crisi che viene da alcuni detta di realizzo. Ma la difficoltà di realizzo non è come alcuni autori anche marxisti affermano causa della crisi , ma una sua manifestazione. Siamo nella sovrapproduzione relativa 1 • E qui scoppia violentemente la crisi per un accavallarsi di deviazioni nello stesso senso, causate dalla struttura e dalla sovrastruttura che interviene aggravando le cause reali. Si riducono i nuovi investimenti. Diminuisce la doi:nanda e la produzione specie nel settore I, si licen ziano operai, si negano aumenti salariali o si riducono i salari reali, aggravando cosi la crisi del settore II, in cui, dato lo sviluppo pro duttivo precedente, vi era già una sovrapproduzione rispetto alla do manda effettiva e il processo si sviluppa come una spirale. Aumentano i costi, perché gli impianti sono utilizzati in percentuali sempre mi nori rispetto alla loro capacità produttiva, mentre rimangono i costi fissi , compresi quelli dei debiti e delle imposte (e di qui la teoria del .
1 Che la sovrapproduzione sia relativJ e eh.: il sot toconsumo, in teso neI
·
senso del Sismondi, non rappresent i nel capitalismo la causa specifica della I cr.isi, il Marx afferma con chiare parole nella Storia delle teorie economiche, voi. i _J II, p. 582 e nel brano già citato.
JJO
Principi · generali
Fisher dell'importanza dell'.indebitamento, teoria che esagera l'impor tanza di una manifestazione della crisi, che certo diviene a sua volta causa, ma una delle tante cause, non la causa specifica), aumentano le scorte ecc. Fenomeni consimili si sviluppano nel settore creditizio e monetario, nel campo delle previsioni economiche (psicologico) e accrescono gli effetti delle cause reali. Si inizia la depr_�ss!9!!.�_. Ed ecco in questa fase modificarsi lenta mente la situazione : vengono distrutte fisicamente ed economicamente ( cioè svalutate ) enormi masse di capitali, liquidate in un modo o nel l'altro (qualche volta con la distruzione fisica) le eccedenze di merci e di scorte. Si attua piu vigoroso il processo di concentrazione e di centralizzazione del capitale: singoli capitali di capitalisti minori ( molti dei quali falliscono ) vengono economicamente distrutti. La caduta dei prezzi che si verifica, o meglio si verificava nel capitalismo di preva lente concorrenza, quale conseguenza dell'eccesso dell'offerta rispetto alla domanda, rende possibile la ripresa del processo di consumo. Nuove prospettive di profitto si aprono ai capitalisti rimasti nella lotta. Occorre rinnovare gli impianti, introdurre tecniche che aumentino la produt tività del lavoro, riducano i costi. La domanda dei mezzi di produzione si accresce e il ciclo riprende. La durata del ciclo è quindi determinata EE..Jl!!!.S.ti_p_�riod_ici ri'!_nOt.Ji di capitale. Questa è . senza dùbbio la spie gazione piu suggestiva e piu completa del ciclo economico che sia stata data e la piu rispondente anche alle effettive manifestazioni del ciclo, che si verificano nel periodo del capitalismo di concorrenza. _..E.s sa considera le crisi come la necessaria e violenta soluzione delle contraddizio�iprop..rie .. del sistema di produzione capitalistico e dei suoi _s@i lihti che vanno aumentando ; perciò l'andamento ciclico è l'andamento necessario o forma intrinseca dello sviluppo economico nel capita lismo 1 • La crisi infatti, distruggendo economicamente masse ingenti di capitale, dà luogo non solo a nuovi massicci investimenti di capitale, ma anche al processo di concentrazione e centralizzazione che modifica la struttura capitalistica e fa sf che il nuovo ciclo, pur obbedendo alle stesse leggi, sia diverso dal precedente.
Sostanza delle crisi è quindi la distru�ione di_ capi�!! _e__4i_ r�c_ chezza, anche se questo fenomeno fondamentale possa presentarsi e si presenti oggi con manifestazioni diverse che vedremo. Questa so stanza della crisi spiega non solo la periodicità, che si presenta abba-
I Il capitale,
cit., III, p. 302 e sgg.
X Il I. Il ciclo economico
e
le crisi
331
stanza regolare nel tempo e il fatto che la durata del ciclo tenda a ridursi, ma anche l'esistenza di cicli minori e di cicli particolari di settore (per es. edilizio) o delle scorte. In questa grandiosa visione trovano il giusto posto altre spiega zioni particolari e le cosiddette crisi di realizzo, su cui troppo insistono alcuni e le teorie che si soffermano sulla domanda effettiva, e le stesse teorie sulla importanza agli effetti del ciclo delle innovazioni, che non appaiono qui come nello Schumpeter un fenomeno astratto, ma strettamente legato alla vita economica, al sistema di cui fanno parte. Ed infine trovano anche il loro posto fatti particolari, specHici, i fenomeni sovrastrutturali, che accompagnano e sono concausa della crisi, le conseguenze sociali diverse che fanno sf che ogni ciclo abbia intensità diversa e manifestazioni particolari che Io distinguono dagli altri. È da tener presente infatti che in una visione dialettica nessun fenomeno è passivo ma vive ed agisce, è generato e genera. Proprio questo insieme di reazioni reciproche, di interdipendenze, ci dà la ric chezza della realtà della vita. Ma ciò non ci deve impedire di andare in fondo a scoprire i fenomeni specifici, isolare dalla varietà ciò che è fondamentale, che caratterizza cioè il fenomeno e lo spiega. D'altra parte questa visione concreta e dialettica deve impedirci l'eccessivo schematismo, spingerci a studiare le manifestazioni concrete dei feno meni, cioè anche i loro aspetti particolari, che possono modificare Io svolgimento tipico, individuare cioè le cause particolari di ogni ciclo economico. È evidente però che una tale concezione non può sorgere che da una completa ed organica v.i sione del sistema di produzione capitali stico, visione che appunto per questo è detta critica. Le teorie delle crisi che sono state elaborate da altri economisti difettano o perché vogliono del tutto astrarre dalle condizioni proprie dell'economia capitalistica e trovano l'origine del ciclo al di fuori di essa; o perché danno troppo peso a singole manifestazioni del processo ciclico, anche se importanti, quali la sovracapitalizzazione, il sottocon sumo, la caduta dei prezzi , non vedendoli nei loro rapporti dialettici, ma considerandoli causa del ciclo; oppure, e ciò vale in particolare per l'epoca piu recente, fanno partire il movimento ciclico - e quindi ne individuano le cause - nei fenomeni originati dalla sovrastruttura e dalla divisione del plusvalore nella sottocategoria del profitto e dell'in teresse o nell'intervento dello Stato, sicché si sviluppano le teorie monetarie delle crisi, si studiano le correlazioni tra alcuni fenomeni e si sviluppa per esempio la teoria del moltiplicatore ; altri infine rinun-
.'32
l'rmcipi generali
ciano addirittura ad ogni analisi qualitativa, ad ogni spiegazione cau sale e si limitano a studiare le diverse manifestazioni dell'andamento ciclico per scoprirne le regolarità di comportamento e le correlazioni formali. Senza dubbio queste analisi hanno una utilità per lo sviluppo del pensiero economico e per lo studio accurato dei fenomeni che si manifestano nella vita economica, ed è anche certo che modificandosi di continuo la relativa importanza delle categorie economiche, è neces sario seguire accuratamente lo svolgimento dei fatti, le modificazioni che essi presentano e rilevare l 'importanza crescente di alcuni fattori derivati dalla struttura produttiva e in particolare di quelli derivati dalla struttura monetaria e della sottocategoria interesse. Questa diversa importanza relativa di alcuni fattori e l'azione che essi svolgono oggi sull'andamento ciclico, sarà da noi ricordata alla fine della tratta zione, quando parleremo della fase attuale del capitalismo e delle piu recenti teorie sullo sviluppo economico e sulle crisi, però occorre una visione che abbracci unitariamente le cause specifiche ed immanenti del ciclo, che sono proprie della struttura capitalistica, ossia del processo capitalistico di produzione, perché queste cause ultime rimangono valide fino a che agisce il sistema capitaliStico di produzione, basato sulla proprietà privata dei mezzi di produzione, cioè sul capitale, e tale visione unitaria è, nelle . sue linee piu generali, quella che si riscontra nella spiegazione marxista del ciclo.
Il principio di accelerazione Si può dire che molte ricerche specifiche, anche di studiosi non marxisti, possono essere inserite in questa visione, in modo da ren derla piu completa e aderente alla sviluppantesi realtà. Ciò vale anche per le relazioni formali che sono state studiate. Vorrei ricordare in particolare il principi()_ _di accelerazi01ze. Si è notato che tra la valutazione attuale della domanda futura dei beni di consumo, che, tenendo conto del saggio di interesse, è alla base di quella che il _K_�nes chiama efficienza (o in senso lato, ma non esattamente corrispondente, produttività) marginale del capitale, e la domanda di mezzi di produzione, esiste una relazione, che viene detta appunto di �ccelerazione della domanda. Il principio afferma che ogni variazione nella domanda di un prodotto finito tende a provocare una variazione molto piu accentuata nella domanda dei mezzi di produzione che servono alla produzione di quella merce. Questo principio è molto importante e meriterebbe una
333
XIII. Il ciclo economico e le crisi
piu ampia discussione. Ma ai soli fini del ciclo economico, per spiegare come piccole variazioni della domanda dei beni di consumo (settore I l ) possa tradursi i n ben piu ampie variazioni nella domanda dei mezzi di produzione ( settore I) e quindi in squilibri che hanno carattere ciclico e per illustrare l'importanza dell'investimento di nuovo capitale per la periodici tà del ciclo, è sufficiente qui riportare una tabella 1 che esemplifica l'azione di questo principio dell'accelerazione della do manda. La tabella è chiara di per sé senza bisogno di particolari spie gazioni. Come si vede, nella prima colonna è indicata la succes sione temporale, nella seconda le variazioni della domanda di prodotto finito, nella terza l 'influenza che queste variazioni della domanda di
Anno
Domanda Domande dei mezzi di produzione di prodotto per sostisupplefinito tuzione men tare Totale
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10
1 00 1 20 130 130 1 20 100 70 70 80 100
50 50 50 50 50 50 50 50 50 50
11 12 13 14 15 16 17 18 19 20
1 00 1 20 130 130 120 1 00 70 70 80 1 00
50 150 1 00 50
o o o o o
150
1 00 50
o
50 1 00 150
o
50 1 00
o
1 00 50
o
50 1 00 150
o
50 1 00
50 150 100 50
o o o o o
1 50 50 250 150 50
o o o o o o
Valore degli impianti esistenti
500 600 650 650 600 550 500 450 400 500 500 600 650 650 650 650 650 650 650 500
lmpi�nti non utilizzati
o o o o o
50 150 100
o o
o o o o
50 150 300 300 250
o
È ripresa da J. MARCHAL, Le mécanisme des prix, Paris, Librairie de Médicis, 1954, p. 73.
1
334
Principi generali
prodotto finito esercitano sulla domanda di mezzi di produzione, nella quarta i l valore della attrezzatura o dell'investimento di capitali esi stente, nella quinta gli impianti non utilizzati . � questo un esempio di come alcuni studi particolari, che espri mono relazioni formali, possano arricchire la sostanza del ragiona mento qualitativo compiuto dagli economisti classici e dal Marx.
Teorie sulle crisi Abbiamo già detto che non è facile fare una rassegna delle teorie sulle crisi che sono state sviluppate nel corso della storia del pensiero economico. Esse sono poi numerose perché, specie a partire dalla metà del secolo scorso, quasi tutti gli economisti si sono occupati del pro blema. Qui si dà un cenno estremamente sommario. A me pare che una classificazione debba tener conto della base logica che presiede alla formulazione di queste teorie. ossiamo cosi distinguere una prima categoria nelle teorie che trovano la spiegazione dell'andamento ciclico in fenomeni che sono estranei alle caratteristiche specifiche del sistema di produzione capitalistico. Questo gruppo di teorie può essere suddiviso in due sezioni : autori che attribuiscono la causa ultima a fenomeni di ordine naturale, autori che attribuiscono l'origine a fenomeni di natura umana o psicologici. Tra le teorie naturalistiche, ossia che riconducono il processo ciclico a cause fisiche, estranee al sistema concreto di produzone, sono da ricordare due economisti inglesi, Stanley Jevons e il figlio Erbert Jevons i quali hanno spiegato le crisi partendo dalla influenza delle macchie solari, il cui andamento presenterebbe un ciclo decennale. La diversa intensità della radiazione solare comporterebbe cicli corrispon denti nel rendimento dei raccolti agrari che si estenderebbero poi a tutta la vita economica. Altri hanno considerato l'influenza di altri fattori atmosferici (pioggia ecc.) determinati da influe�ze astrali diverse, con analoghe conseguenze sui raccolti (Moore, Beveridge) o sulla atti vità umana ( Huntington ), altri sul diverso ritmo tra la produzione della materia organica ed inorganica ( Sombart). Le teorie psicologiche credono di spiegare l'andamento ciclico dell'economia con corrispondenti movimenti di ottimismo e pessimi smo, che determinano errori in senso pessimista od ottimista. Da ricor dare sono il Pareto ed il Pigou, noto economista inglese da poco scomparso. � evidente che queste non sono spiegazioni specifiche; certo qual-
S)'
XIII. Il ciclo economico e le crisi
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siasi fenomeno fisico e di previsione, abbiamo visto, determina reazioni anche nel campo economico, ma non si può in esso vedere la causa di un fenomeno cosi complesso e ricorrente quale la crisi economica. La causa specifica deve essere trovata nel sistema di produzione e non al di fuori di esso. :,, Un altro gruppo di teorie riconduce sf la spiegazione della crisi a fenomeni economici propri del sistema capitalistico di produzione, ma non sempre specifici di questo e, spesso, non vedendo tutte le relazioni dialettiche che si sviluppano nella realtà economica, accen tua alcuni aspetti degli squilibri propri della produzione capitali stica, anziché altri. Naturalmente una classificazione critica di tali teorie e degli autori che le hanno sostenute riesce in tal caso piu difficile a farsi, se si vuole rispettare la serietà e la complessità di pen siero dei singoli autori, però grosso modo si distinguono le teorie che basano la crisi sullo squilibrio tra produzione e consumo, dovuto al sottoconsumo, e le teorie che attribuiscono la crisi ad un eccesso di capitalizzazione, o, piu recenti, data l'autonomia assunta nel mondo contemporaneo dal risparmio rispetto all'investimento, allo squilibrio tra risparmio e investimento. , Tra i teorici che spiegano la crisi dando rilievo alla deficienza di reddito consumato rispetto il reddito prodotto, sono da ricordare i classici Malthus e Sismondi e il piu recente e noto economista inglese Hobson. Le teorie del sottoconsumo parlano di sottoconsumo delle masse, ossia di prodotti finiti, ma non analizzano le cause ultime di tale sottoconsumo, ossia la divisione della società in classi. Una variante è data da quelle teorie che spiegano la crisi col fatto che l'aumento rapido dell'apparato industriale determina una diminuzione dei prezzi dei beni di consumo, per cui,. come abbiamo visto, parlando del princi pio di accelerazione, si determina una riduzione della domanda di beni strumentali, si arresta cioè l'aumento dell'apparato industriale e della produzione. Tra gli economisti che hanno sostenuto tali tesi sono da ricordare Aftalion e Bouniatian. L'eccesso di produzione di beni strumentali rispetto alla produ zione di beni di consumo, che in Marx è spiegato neHe sue immanenti cause specifiche, è sostenuto, senza che vi sia la visione unitaria mar xista, con argomentazioni diverse da molti autori, tra i quali ricor diamo il Tugan-Baranovski, lo Spiethoff. Naturalmente le tesi del sottoconsumo si intrecciano, come avviene nell'Hobson, con le tesi della sovrapproduzione dovuta ad eccesso di capitalizzazione. Un altro gruppo di teorie, che è andato acquistando maggior importanza nei tempi piu recenti, è quello che vuole ricondurre le crisi
.3.36
Principi generali
a cause !\on direttamente inerenti alla suuttura del processo produttivo proprio dell'economia capitalistica, ma in particolare a cause mone tarie. Il capostipite piu noto, che ha elaborato piu completamente una teoria delle crisi su tale terreno, è lo Jugbr, piu moderni !'Hansen e Io Hawtrey, che in particolare vedono l'andamento ciclico collegato alla espansione e alla restrizione del credito bancario e ai movimenti del saggio dello sconto. A questo gruppo possono essere considerati appartenenti quegli autori piu moderni, tra i quali primeggia il_Key_ne_:'>� che spiegano il ciclo economico sulla base dei rapporti tra risparmio ed investimento, per cui la crisi è precedu ta da una situazione di sovra risparmio e sottoinvestimento. In queste teorie grande importanza viene attribuita al saggio di interesse. Vedremo piu avanti l'importanza del pensiero keynesiano.
È chiaro che queste spiegazioni, anche se suggestive e basate, come vedremo, sulla crescente importanza che nel mondo odierno acquista la moneta e il rapporto dialettico moneta-struttura reale, non possono essere soddisfacenti, perché non affondano le loro radici nei rapporti fondamentali di produzione che stanno alla base della vita economica nel capitalismo. Vi sono altre teorie, che vogliono individuare la causa della crisi nelle fluttuazioni dei prezzi, dei redditi, delle prospettive eco nomiche, ma crediamo che siano sufficienti in questa sede le som marie indicazioni date. Il pensiero economico piu recente riconduce però il ciclo eco nomico ed anche perciò il fenomeno della crisi economica a forme di manifestazione specifiche dello sviluppo economico proprie del sistema capitalistico, rivalutando cosf l'impostazione marxista, ma nessuna teoria presenta la concatenazione logica unitaria che si ha nella teoria marxista. Di queste spiegazioni parleremo comunque piu avanti, quando tratteremo della attuale fase dell'imperialismo.
BIBLIOGRAFIA L'argomento trattato in questo capitolo è molto complesso e su di esso è stato scritto moltissimo. Sono consigliabili letture di pagine dei classici del marxismo e di alcuni autori che hanno esposto le tesi piu importanti sulle crisi economiche. Tra le varie opere di carat tere generale, oltre ai manuali piu volte citati, si consiglia la consul zione delle seguenti pubblicazioni :
X III. Il ciclo economico e le crisi
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· XIV. Il passaggio dalla concorrenza prevalente al prevalente monopolio
Premesse generali Noi abbiamo esaminato le leggi che regolano la vita economica del capitalismo partendo dalla ipotesi della esistenza di numerosi imprenditori capitalistici in lotta concorrenziale tra di loro. Abbiamo cioè fatto l 'ipotesi di un capitalismo di prevalente concorrenza, quale si supponeva esistere nella astrazione cento anni fa, e sul quale erano state elaborate le teorie economiche che noi abbiamo esposto. Ma è esperienza comune che - proprio per le leggi di sviluppo su cui ci siamo soffermati � il capitalismo di oggi non è piu quello di cento anni fa . In esso sono avvenute profonde modificazioni che hanno mutato l'ambiente in cui agiscono le leggi economiche proprie del capitalismo. Dobbiamo quindi introdurre nel nostro ragionamento queste modificazioni o variabili nuove, perché esso possa esprimere la mutata realtà. Non vi è bisogno di ricordare che queste modificazioni, che si sono verificate, non sono occasionali , ma rispondono alle leggi di sviluppo proprie del capitalismo, cioè della sua dinamica che già abbiamo esposto, e che esse si sono manifestate non tutte di un colpo, bensi gradualmente, epperò ad un determinato momento esse hanno cominciato a prevalere rispetto le condizioni esistenti prima. Il momento storico in cui si verifica questo passaggio da una fase del capitalismo, che viene chiamata di prevalente concorrenza, alla attuale, che si può chiamare di prevalente monopolio, non ha una data precisa. Gli storici dell'economia sono però concordi nell'af fermare che si può indicare questo momento nella grande crisi che porta il nome di Gran_de Depressione e che si iniziò nel 1873, dopo la guerra franco-prussiana. Poco prima si era conclusa negli Stati Uniti la guerra di secessione, che ha segnato una importante svolta nella storia di quel grande paese. Naturalmente bisogna tener pre-
XIV. Dalla r:oncorrem:a prevale11te al prevalente monopolio
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sente che questa data è solo indicativa, non solo perché alcuni feno meni avevano già acquistato prevalenza prima di questa data, ma perché i singoli paesi che già erano entrati nell'orbita capitalistica si trovavano in gradi diversi di sviluppo capitalistico. Noi studiamo il sistema di produzione nelle sue caratteristiche generali e quindi non in teressano qui caratteristiche particolari, di cui si occupa la storia economica. È ancora da premettere un'altra considerazione, anche se ovvia la facciamo, perché purtroppo , spesso, sono proprio le cose piu evidenti che non si vogliono vedere ; ed è questa : entrato in questa nuova fase di vita, non è che il capitalismo stia fermo, non si sviluppi, e cioè. che non siano intervenute altre modificazioni dal l'inizio di questa fase ad oggi ed altre non siano in corso. La realtà vive sempre e si deve studiarla nel suo movimento. Le modificazioni intervenute sono molte : esse riguardano cioè molti aspetti della vita del capitalismo. Gli storici dell'economia e anche gli economisti hanno in genere considerato queste modifica zioni separatamente, attribuendo maggiore importanza ora all'una o all'altra, non vedendole cioè nel loro insieme, nei loro rapporti dia lettici. In particolare alcuni di essi hanno voluto far partire i muta menti economici da cause tecnologiche, ossia da mutamenti interve nuti nella tecnica produttiva, che hanno comportato un aumento di investimento in capitale fisso, con la conseguente necessità di un grande capitale iniziale, e la crescente importanza assunta nell'im presa dai costi costanti ; ma se, indubbiamente, questi fenomeni di natura tecnologica hanno la loro importanza e, per il principio dia let tico che nessun fenomeno è passivo, agiscono sull'ambiente eco nomico, essi risultano fenomeni derivati da necessità economiche dovute alle leggi proprie della produzione capitalistica. Come abbiamo visto, la molla che determina la dinamica del si stema è costituita fondamentalmente dalla legge della accumulazione capitalistica. A questa legge generale si devono ricondurre i singoli fenomeni, cioè le singole manifestazioni di essa, anche se questi feno meni poi diventano essi pure concause di sviluppo. È infatti per il processo di concentrazione e di centralizzazione del capitale, in atto fin dalla nasci ta del capitalismo, che ad un certo momento il capitalismo cambia volto ed entra in quella fase che oggi si chiama di capitalismo di prevalente monopolio, e per noi marxisti, con concetto piu complesso che piu avanti illustreremo, imperialismo. Se noi seguiamo infatti lo sviluppo del capitalismo quale esso si è storicamente manifestato, notiamo facilmente che si è trattato di un
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Principi generali
processo complesso di crescenza. Il mercato capitalistico si è ampliato; in estensione geografica, ·penetrando in tutto il mondo, e in profondità, facendo entrare cioè nell'orbita del mercato capitalistico le forme di piccola produzione indipendente. La produzione diviene sempre piu una produzione di massa, che deve soddisfare esigenze di masse umane sempre piu numerose. Le dimensioni dell'impresa capitalistica si ac crescono, la tecnica produttiva si sviluppa e si avvale, con rapporto dialettico, delle grandi scoperte scientifiche, del crescente dominio che l'uomo esercita sulla natura. E ad un certo momento poche im prese colossali portano nel mercato la quasi totalità dell'offerta. È que sto in estrema sintesi il processo che si attua storicamente, che pre senta particolarità diverse nei vari paesi, ma che ha comunque carat teristiche generali comuni. È chiaro che la base e la molla di tale sviluppo non può essere altro che il processo di accumulazione e di concentrazione del capitale: questa è la condizione fondamentale, senza la quale cioè non sarebbe stato possibile nessun progresso in senso capitalistico.
Le società per azioni Strumento principale di questo processo sono state e sono le so cietà per azioni che tutti riconoscono essere la cellula dell'odierno capi talismo. È bene, prima di esaminare nei suoi vari aspetti il capitalismo odierno, conoscere l'effettivo funzionamento delle società per azioni 1 • Già Marx ed Engels avevano rilevato l'importanza di questa forma di organizzazione del capitale, ai fini del processo di centralizzazione e di conseguente accumulazione del capitale, e indicato il costituirsi di un nuovo rapporto tra ligazioni. che vengono sottoscritte nel mercato, sia beneficiando di altre forme di credito.
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È noto che mentre l'azi.Q[le rappresenta una partecipazione al capitale e quindi offre un dividendo variabile, in dipendenza della situazione economica e degli utili realizzati dalla azienda, e può com portare la perdita del capitale, LQQl;>Jiga�i_Q_ll.e costituisce un debito della società, cioè per il sottoscrittore è un titolo di credito qualsiasi che porta in genere un interesse fisso (vi sono però forme miste ) . L'obbliga-_.� zionario non è cioè un comproprietario della società, ma un suo cre ditore. Naturalmente, poi, la società per azioni, quale persona giuri dica, ricorrerà anche a tutte le altre forme di credito ; con ciò è possibile raggi•Jngere un ammassamento colossale di capitale, che rappresenta una necessità per organizzare una grande impresa moderna. È necessario, ir.iatti, partire da un capitale iniziale molto rilevante. Vi è la necessità tecnica, determinata dalla tecnica moderna, che esige impianti grandiosi ; sappiamo poi che la grande impresa offre notevoli vantaggi di carattere economico, già ricordati, rispetto alla piccola e media impresa. L'im: presa societaria inoltre diviene indipendente dalla situazione perso nale e familiare del « padrone », in quanto è ri nei quali, come abbiamo visto, s•i suddivide la produzione na21ionale ( settore primo per i mezzi di produzione e settore secondo per i beni di consumo ) , con le sue conclusioni circa il processo di circolazione delle merci e di accumulazione del capitale. Per chiarezza si ricordano alcuni punti essenz.iali. Nel respingere la legge degli sbocchi del Say, Marx aveva precisato che: « Se nessuno può vendere senza che un altro acquisti, è pur sempre vero che chi vende non ha subito bisogno di comprare » . Pertanto l a circolazione della merce che avviene attraverso il circolo D-M-D, può trovarsi interrotta in piu punti, mediante vendite senza acquisto ( accumulazione di moneta, cioè risparmio ) , con corre lativo acquisto senza vendite (fav�stimenti, cioè accumula:iiione di mezzi di produzione ) . Infatti ogni scambista realizza mezzo circuito in collegamento 'con un altro, che effettua l 'altra metà. Es. : se Tizio è compratore nei confronti di Caio, allora Tfaio realizza il tratto D-M ( éede denaro contro merce ) e Caio il tratto M_:_D ( cede merce per denaro ) . Perché il ciclo per ciascuno di essi si chiuda, Tizio deve vendere, deve cioè compiere con un altro opera tore il tratto M-D, per ritornare in possesso del capitale monetario e Caio deve realizzare il tratto D-M ancoro con un altro operatore e cosi via. Se non si completasse il circuito per _Tizio sarebbe investi mento e per Caio sarebbe accumulazione monetaria ( risparmio ) . Tornando al nostro punto di partenza, vediamo fino a che punto è possibile usare lo schema dei due settori di produzione r0me stru mento analitico nel campo della teoria monetaria. Il Marx esamina preliminarmente i fenomeni di accumulazione all'1interno del settore I. Sia A il venditore ( e può stare in luogo di piu venditori ) e B ,il compratore ( che può stare in luogo di piu com pratori ) e si ponga che A venda la merce a B per il valore di 600 : questo valore sarà composto per esempio di 400 c + 1 00 v + 100 pv. Allora A può reintegrare il costo della produzione, cioè 500 e tesauriz zare 100, questa somma di 100 è denaro che viene sottratto dalla cir colazione: che questo denaro venga custodito direttamente o versato in banca, non ha rilievo in questa fase. B ·intanto è entrato in pos-
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sesso di mezzi di produzione che h:i trat ten uto e frut teranno in seg u i to, per ora ha effet tuato un investimento. Si pone però la domanda : « Do ve ha preso ,il denaro occorrente? ». E non basta dire che in prece denza aveva accumulato mezzi di pagamento operando come A. Tale risposta è che gli A e i B dcl set tore I si scambiano alternati\'istica. Abbiamo voluto soltanto indicare come economisti la complessità del problema, In tem�tica che esso pone. Molti economisti hanno preferito ricorrere alla media aritmetica semplice : cosi il Bachi; altri a medie aritmetiche ponderate (per esempio il Palgrave); altri, per esempio il Jevons, a medie geometri che, che vengono u sate anche dalla Camera di commercio di Milano. L'Istituto centrale di statistica italiano calcola gli indici dei prezzi all'ingrosso in base ai prezzi rilevati dagli uffici provinciali di stati stica presso le Camere di commercio per merci scelte tra le piu rap presentative del mercato all'ingrosso. L'eJaborazione degli indici viene effettuata calcolando in primo luogo gli indici relativi ai prezzi delle singole qualità o specie di ciascuna merce. Dagli indici elementari si passa a quelli di categoria ed all'indice generale con medie geometriche ponderate. I coefficienti di ponderazione sono stabiliti in base al valore li valore della lira dal 1861 al 1 965, Roma, 1966. Si vedano poi: ISTAT, Me todi e norme : Numeri indici dei prezzi-base 1 %6 = 100. Serie A, n. 6, 980Sto 1967. Norme per la rilevazione dei prezzi al minuto e calcolo degli indici del costo della vita (ed. 1969).
XVIII. Potere di acquisto della moneta
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delle quantità di merci prodotte ed importate nell'anno-base, elimi nando i doppi impieghi. Numtri indici ·s9no calcolati poi per i prezzi al consumo e per il costo della vita, che esprime le variazioni dei prezzi delle merci di consumo delle famiglie d'operai ed impiegati. Anche qui le merci scelte come basilari, il metodo adoperato per la misurazione delle variazioni è molto importante : metodi diversi e scelte iniziali diverse danno variazioni diverse. Vi sono poi indici di variazioni di bilanci di sp.e sa familiari. Comunque gli indici dei prezzi all'ingrosso calcolati dall'Istat si riferiscono a scambi fra imprese e comprendono esclusivamente prezzi di prodotti, sono cioè esclusi i prezzi dei servizi. ' Gli indici dei prezzi ,11 consumo s i riferiscono invece agli scambi finali per il consumo e comprendono prezzi di prodotti e servizi. Gli indici del costo della vita comprendono una particolare cate goria di prezzi al consumo: quelli dei beni e servizi acquistati da una ideale famiglia « tipica » la quale, per numero, età e sesso dei suoi membri , nonché per abitudini di consumo, può considerarsi come rappresentativa delle famiglie operaie e impiegatizie del ceto medio cittadino. Gli indici dei prezzi i!ll'ingrosso - quello generale come quelli dei vari gruppi di prodo t ti - rendono conto delle variazioni dei prezzi che interessano i produttori ( agricoli e non agricoli) nonché i com mercianti. Gli indici dei prezzi al consumo permettono di seguire le varia zioni dei prezzi dei principali beni e servizi acquistati da tutte le fa miglie del paese; l'indice generale di questo tipo è calcolato in modo che il prezzo di ciascuno dei beni e servizi assuma, rispetto al com plesso, un peso proporzionale a quello che aveva, nel periodo-base, la spesa di tutte le famiglie italiane per il bene (o servizio) stesso sul totale della spesa nazionale per consumi privati. Nel caso dell'indice del costo della vita, invece, i prezzi - come si è detto - sono quelli dei beni e servizi acquistati dalla famiglia « tipica »; pertanto, nell'indice generale, il prezzo di ciascun bene o servizio ha un peso proporzionale a quello che aveva in media, nel periodo-base, la spesa delle sole famiglie operaie e impiegatizie per il bene (o servizio) in questione sul totale delle spese di tali famiglie: questo indice segue perciò da vicino quello dei prezzi al consumo . Però la scelta di merci tipiche e il peso relativo dei consumi varia nel tempo. Difficilmente perciò tale indice esprime la reale varia zione del « costo della vita �) , come del resto ci si accorge dalla esperienza personale. 26
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Economia monetaria
La conclusione di tutte le considerazioni sopra fatte è che il valore » della moneta, anche se difficilmente accertabile e misura bile, oggi che la moneta non è piu una « merce », non può, in ogni caso, essere fissato arbitrariamente, risponde alla legge del valore m quanto è l'inverso del livello dei prezzi delle singole merci. «
BrnuoGRAFIA Gli argomenti trattati in questo capitolo possono essere appro fonditi non soltanto consultando i piu noti e ricordati manuali e le pubblicazioni ricordate nel capitolo precedente, ma seguendo in parti colare le pubblicazioni periodiche e i rapporti degli istituti bancari (da noi in particolare la Relazione annuale della Banca d'Italia) e con sultando pubblicazioni statistiche. Indichiamo fra queste, oltre il Bollettino dell'ISTAT e altre pubblicazioni ufficiali, i testi BARBERI, Appunti di statistica economica, Roma, ISTAT. BoLDRINI, Statistica teorica, Milano, Giuffrè, 1 960. DE VERGOTTINI-MEDICI, Variabilità, rapporti, Torino, Einaudi, 1957. FISHER, The money illusion, London, Clusion, 1928. LASORSA, Statistica economica, Padova, CEDAM, 1951. LENTI, Statistica economica, Milano, Giuffrè. LuzZATO FEGIZ, Statistica demografica ed economica, Milano, Ed. Comunità. NAPOLEONI, Elementi di statistica, Firenze, La Nuova Italia, 1967.
XIX. La
moneta co me m ezzo
di pagamento
Origine e sviluppo Finora siamo partiti dall 'ipotesi esplicita o implicita che la mo neta funzionasse come semplice intermediario degli scambi o mezzo di circolazione delle merci , senza una permanente soluzione di conti nuità in senso temporale nei vari passaggi, anche se si è detto che la moneta poteva sostare nel suo stato anche in questa sua funzione. Abbiamo indicato la formula m M m1 della circolazione sem plice di merci : cioè merce, contro moneta, contro merce. -
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Però la realtà ed anche la storia ci insegnano che può verificarsi il caso in cui questo passaggio di merce in moneta e di moneta in merce non avvenga immediatamente, ma piu tardi e ciò come feno meno regolare. II fenomeno si può verificare sia nel passaggio mo neta contro merce : io posso dare subito la moneta e attendere un certo tempo per avere la merce ; sia nel passaggio merce-moneta : io posso ottenere subito la mr?rce e pagare, cio(: dare moneta, piu tardi nel tempo. Si tratta di un fenomeno diverso dalla sosta di cui abbia mo parlato, perché tale fenomeno è già previsto all'atto dello scambio. In questo caso k moneta funziona come me_z_�__mia monetaria si afferma e si consolida . E già dall'antichità si manifesta l'altro fenomeno economico: il pagamento ritardato comporta, quando esso si verifica, la cessione non di un valore equivalente al valore delle merci oggi determinate per lo scambio o oggi anticipate, o della somma oggi avuta, ma di un di piu, che si chiamerà intpesse_. Anche questo fenome:io si verifica già dall'antichità : e le leggi a protezione del creditore (che appartiene in genere alla classe domi nante) erano quanto mai severe. Basta ricordare la legge delle XII Ta vole, che stabiliva il potere del creditore di impadronirsi del debitore, di tenerlo in catene, esporlo al mercato, venderlo trans Tiberim o ucciderlo e, se erano piu creditori, . . . dividersi le membra 1 ! II significato economico però di questi fenomeni che si chiamano oggi credito, interesse ecc. varia col mutare della struttura sociale e con lo sviluppo economico generale della società e sorgono e si svilup-
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Tav. III.
fraudes esto.
Ter •iis ntmdinis pùrlir SL't: .,omme liquide sia lui a chiedere i titoli subito contro denaro, obbligandosi poi a rivendere gli stessi titoli ( volgarmente ma inesattamente chiamata operazione di deporto ) . Naturalmente in questo caso il prezzo in contanti è superiore al prezzo a termine, ossia il prezzo di rimborso è piu basso, in quanto il riportato deve ottenere un vantaggio, altri menti non cede i titoli a riporto. L'operazione ha un senso se chi
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Economia .flton(!taria
compra in tale modo i titoli , pensa che il loro corso diminuisca di piu di quanto è il prezzo a cui si obbliga a rimborsarli. Queste operazioni sono spesso compiute a credito da operatori allo scoperto, i quali speculano al rialzo o al ribasso, cioè fanno opera zioni in massa, fissando a termine prezzi di acquisto piu elevati o piu bassi : giunta la scadenza, non avendo i titoli, ricorrono alle banche per procurarseli. Cioè chi ha comperato i titoli e non ha il danaro per pagarli alla scadenza del contratto, lo prende a prestito da una banca, la quale ritira in cambio i titoli e li conserva fino alla fine del mese prossimo : alla nuova scadenza l'operazione può essere rinnovata. Si sta bilisce cosi un legame tra banche ( anche oggi che, come vedremo, alle banche ordinarie sarebbe vietato finanziare l'industria ) e borsa con ·credito alla borsi Si comprende su 1ito che le ricordate operazioni, se mantenute nei limiti normali di una speculazione che preveda lo svolgimento reale dell'economia, servono a facilitare il funzionamento del sistema capi talistico. Ma piu spesso - e ciò si verifica in particolare nei momenti di instabilità monetaria e nella attuale fase imperialistica - queste operazioni possono rappresentare massicce manovre per dare la « sca lata » ad una industri,, o determinare ribassi con diffusione di notizie false ( \lggiotaggio ) o semplicemente per manovre a fini non econo mico-produttivi, esse allora diventano oltremodo dannose, tendono a falsificare la realtà, a creare quindi illusioni pericolose. Una continua speculazione al rialzo può, per esempio, dare l' illu sione che la situazione economica presenti la fase di espansione, che le società i cui titoli sono quot..a ti in borsa prevedano alti profitti. Quando questi fenomeni reali non si verificano, la si tuazione arti ficio samente mantenuta crolla, il credito agli speculatori cessa e si ha il crollo borsistico. Vi sono varie restrizioni al gioe di borsa previste dalle leggi ( oltre .la sanzione penale contro l 'aggiotaggio ) , sia con lo stabilire una cifra di copertura delle operazioni, sia con mezzi fiscali di accertamento e di tassazione, sia con restrizioni creditizie e con aumento di saggi per i riporti, sia con limitazioni quantitative. Il lettore comprende subito che la borsa valori presenta una diversa importanza nell'epoca del capitalismo di concorrenza e in quello di prevalente monopolio , quando esistono colossali imprese che assorbono direttamente la maggior parte del capitale. Via via che si attua la concentrazione dei capitali e con ciò un nuovo mercato dei capi tali di tipo monopol�stico, via via cessa la funzione della borsa quale vero e proprio mercato per acquisizione di nuovo capitale e rimane
XXI\'. La borsa valori
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la sola funzione speculativa. Ma la stessa funzione speculativa tende a mutare e a degenerare : se all'inizio essa presenta anche caratteri posi tivi, via via acquistano prevalenza i caratteri negativi. Specie con l'instau rarsi dell'instabilità monetaria, la borsa diviene veramente un gioco, che non corrisponde alle reali necessità economiche, ma tutt'al piu diventa un mezzo di spoliazione de i p;ccoli redd itieri , dei risparmiatori inesperti, vittime di rapaci gruppi di capital i sti. Sicché, se Engels attribuiva 1 alla borsa una funzione rilevante, il giudizio attuale, come già a suo tempo riconoscevano Hilferding, Bucharin e Lenin, deve essere diverso. In ogni caso la borsa ha avuto una grande importanza nel campo della speculazione e la famosa crisi di Wall Street nell'autunno del 1929 ha significato l'inizio ufficiale della grande crisi mondiale del 1929-33 . In conclusione, dal punto di vista sostanziale, il capitalismo attuale potrebbe fare a meno della borsa, almeno per quanto riguarda il finanziamento del mercato dei capitali interno. Nel campo internazionale invece rimane ancora viva la sua funzione economica per quanto riguarda il prezzo delle divise e di certi valori internazionali. .
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BIBLIOGRAFIA Su questi argo enti , oltre i testi tecnici, tra cui il citato Garrone, sono da seguire I già ricordate pubblicazioni periodiche della Medio banca, tra cui In dici e dati relativi ad investimenti in titoli quotati nelle borse italiane; il Calepzr. dell'azionista, e di altre banche, le Relazioni delle borse vaiori, nonché sempre la Relazione annuale della Banca d'Italia. Nella relazione dd 3 1 maggio 1969 (pag . 278) si lamenta la ristrettezza del listino di borsa in Italia: « Il numero delle società ufficialmente quotate alla borsa di Milano, le quali rappre sèntano oltre il 95 % del capitale delle società quotate nelle borse italiane, è passato da 140 a fine 1 96 1 a 1 2 6 a fine 1968 » ( per effetto della nazionalizzazione della industria elettrica che ha fatto cancellare dal listino 3 1 titoli e delle fusioni ; tenendo conto di tali fenomeni, in realtà i titoli quotati sono passati da 1 20 a 1 26 ) . È sempre poi da consultare il classico BERLE A. e GARDINER C. MEANS, Società per azioni e proprietà privata, nella traduzione ita..•
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Cfr. Il capitale, cit., III, Considerazioni supplementari.
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Economia monetaria
liana, Einaudi, 1 966. Seguire i periodici, tra cui Mondo economico, e tener presente il giudizio degli economisti marxisti sia classici ( Lenin ecc . ) sia viventi, che intervengono nella polemica quotidiana (Rinascita, ecc . ).
XXV . L'investimento dei capitali mediante il credito
La borsa rappresenta il mércato dei titoli, ma noi abbiamo visto che essa può servire solo mediatamente all'investimento dei capitali e non direttamente. La funzione principale in questo campo viene svolta dalla banca nelle su� varie specializzazioni e, nel suo significato piu ampio, da intermediari finanziari diversi ( Assicurazioni, Fondi di investimento ecc. ) . Noi abbiamo esaminato finora la funzione che la banca esercita nella creazione di moneta creditizia, cioè la funzione monetaria. Ora dobbiamo esaminare la sua funzione nell'investimento dei capitali. Come si esercita? Abbiamo già ricordato c�e la banca, in senso generico raccoglie il risparmio nazionale e lo distribuisce tra i capitalisti, fornendo a costoro una parte del capitale iniziale, il capitale di esercizio, o il capitale per la circolazione delle merci . Da questa affermazione di carattere generale sorgono ovviamente alcune questioni su cui occorre avere idee precise. Esse sono : 1 ) che cosa è il risparmio? 2 ) può c:;reare la banca risparmio? 3 ) quali regole deve seguire e quali strumenti adoperare per distribuire il risparmio? 4 ) può la banca esercitare una funzione propulsiva nell'investi mento capitalistico e come l'ha essa esercitata? Sono domande alle quali sembra molto facile rispondere. Invece la risposta non è stata concorde, neanche tra gli economisti, nel passato e non lo è ora, anche se diverso è il punto di approccio dei problemi. Noi ci limitiamo ad esporre qui alcuni concetti basilari : il lettore tro verà alla fine del capitolo una ampia e moderna bibliografia che gli permetterà di approfondire in modo critico i singoli problemi.
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Economia monetaria
Il risparmio Iniziamo dal pnmo concetto : il risparmio. In questo concetto vengono spesso confusi elementi diversi che si possono distinguere principalmente in due: il fondo monetario a disposizione della collet tività, costituito da tutti i mezzi di pagamento circolanti ( cioè dalla liquidità primaria e secondaria) e il risparmio reale del paese. Nel fondo monetario affluiscono tutti i mezzi di pagamento che sono a loro volta, come abbiamo visto, creazione del sistema creditizio, in base all'attività economica del paese ( biglietti di banca, assegni ecc. ) e del sistema economico di per se stesso ( cambiali, fedi di deposito, azioni, obbligazioni ecc. ) . Il fondo monetario costituisce a sua volta la base dei depositi su cui si erge l'attività creditizia della banca. Vi è sempre una parte del fondo monetario che è disponibile per un tempo piu o meno b::eve. Abbiamo già ricordato che tutto il capitale . di esercizio (capitale circolante) necessario per la circolazione del capitale è costituito monetariamente in modo potenziale dai depositi e dai biglietti di banca e dalla moneta creditizia in circolazione. Questo capitale ha un suo ciclo di circolazione, diverso per i singoli tipi di spesa : spese per il salario, per acquisto di materie prime, per manu tenzione ecc. A ciò corrispondono per l'impresa anche entrate mone tarie con cicli diversi, sia per settore industriale o produttivo ( rotazione del capitale), sia nello stesso settore per tipo di entrata. Questo fondo monetario può dar luogo a depositi bancari prevalentemente ritira bili a vista e quindi, come si è visto, alla emissione di assegni bancari, ossia di moneta. Questi depositi sono utilizzati, né in altro modo do vrebbero essere utilizzati, per concessioni di credito a breve termine, per credito di esercizio. Rappresenta questo fondo monetario cosi descritto « risparmio » o no? In senso stretto questo fondo monetario non può considerarsi « risparmio », ma capitale già circolante nella produzione, già cioè investito e che è in sosta temporanea. Rappresenta cioè la circola zione del capitale già investito che nel momento si trova in forma piu o meno liquida. La funzione del credito è quella di ridurne le soste, fino possibilmente ad annullarle, cioè aumentare la velocità di circo lazione di questo fondo necessario al processo produttivo, come ricorda Marx, quindi in tal modo agire come se ne aumentasse la quantità In senso largo una parte almeno di tale fondo può cosiderarsi « rispar mio », quale accantonamento di entrate per rinnovo di capitale fisso,
XXV. L'investimento dei capitali mediante il credito
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ma ciò può generare confusione rispetto al concetto di risparmio vero e proprio. Il « risparmio » vero e proprio, cioè il risparmio reale del paese ha ) due sole fonti : il plusvalore creato nel proces·so produttivo e la ridu zione del consumo nei redditi destinati al consumo . Il plusvalore creato nel processo produttivo e che si suddivide nelle due categorie della rendita e del profitto e nella sottocategoria dell'in teresse (come già si è visto ) costituisce l'aspetto monetario del rispar mio reale del paese ed esprime l'accumulazione capitalistica, esso è quindi la base del credito per l'ampliamento del •processo produttivo, cioè dell'investimento capitalistico. L'altra fonte di gran lunga minore e il cui effetto sullo sviluppo economico è controverso, è costituito dal « risparmio », concepito come temporanea riduzione del volume della spesa del reddito destinato al consumo. La fonte sono i vari redditi personali. n piccolo risparmiatore non capitalistico, che percepisce un reddito qualsiasi dalla sua attività economica di lavoratore dipendente (operaio, impiegato, dirigente) o di professionista o di artigiano, o di piccolo proprietario, può, nei primi casi, a scopi quasi sempre con suntivi - a meno cioè che l'impiegato voglia trasformarsi in « produt tore » - non spendere tutto il reddito subito, risparmiarlo per fare piu tardi una spesa che non può sopportare tutto di un colpo ( compe rare una automobile, un appartamento, dare la dote alla figlia, acqui stare attività patrimoniali varie, avere una riserva in caso di malat tia ecc.). Nei casi degli altri ceti non capitalistici: professionista, arti giano, piccolo proprietario, « il risparmio » ha prevalentemente scopo uguale a quello sopra detto, ma può servire però anche per migliorare lo strumento di lavoro, sia esso studio, bottega artigiana, terreno con gli accessori per la coltivazione. Sotto questo aspetto questo tipo di risparmio esprime - per analogia a.Ila produzione capitalistica - un plusvalore creato nella produzione. La distribuzione dei redditi per sonali indica i limiti di questo « risparmio personale » . Evidentemente i bassi redditi non permettono risparmio perso nale, o, come si dice oggi, delle famiglie. Il risparmio di tale tipo è differente dalla liquidità, di cui si è parlato , sia per il suo aspetto reale, sia per il suo aspetto monetario, sostanzialmente per lo scopo e per la durata. Nel suo aspetto reale significa che il « risparmiatore » intende non usare del suo denaro, o del suo credito verso la banca, per un periodo di tempo abbastanza lungo, certo superiore alla durata del suo ciclo produttivo, e trasformare poi questo suo « risparmio » in genere in attività patrimoniali ( abita2!ion!, titoli vari, ecc. ) o per previ denza o in vista di spese ingenti futUre o per incremento del suo patri-
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Lumomia
11w11clu1Ù
monio o della sua ricchezza. Nel concetto di liquidi ta :..,_vece, la somma è tenuta disponibile per spese vicine e in genere ricorrenti, .:nche se non sempre previste in modo preciso : è cioè una « riserva liquida ». ::::li solito varia anche di conseguenza la forma del deposito bancario, che è a « risparmio » piu o meno vincrilato in un caso, e in conto corrente, se espressione di liquidità, e spes1>0 diversi so110 anche gli istituti presso i quali avviene il deposito ( casse di risparm10, casse postali, ecc ) . Occorre aver chiare queste distinzioni per corrprendere l a realtà e le dottrine piu recenti sui rapporti tra risparmio e investimento e risparmio e consumo che piu avanti esamineremo. Si deve anche subito ricordare che tutti questi fenomeni si evolvono str-ricamente. Il rispar mio personale non capitalistico era inconcepibile quando i redditi medi dei ceti lavoratori erano enormemente bassi , diventa possibile quan do i redditi si elevano e si ottiene il diritto ad una liquidazione quando si cessa il rapporto di lavoro. È bene dire subito che i diversi fenomeni ricordati potrebbero essere rilevati statisticamente. Essi però non lo sono in modo esatto. Nei vari paesi capitalistici si compiono delle stime, delle valutazioni. Dati precisi è difficile averli perché non è interesse della classe dirigente denunciare il plusvalore di cui si appropria e si preferisce perciò attuare solo distinzioni formali tra « risparmio di impresa » e « risparmio della famiglia » 1 •
L'importanza del risparmio reale È evidente che la base per l'investimento capitalistico, cioè l'am pliamento del processo produttivo, non può essere altro che il rispar mio reale. Monetariamente però non vi è distinzione tra risparmio reale nuovo e risparmio del passato e già investito nella produzione, tra capitale vecchio e capitale nuovo, tra fondo monetario e risparm.i o, a meno che non si voglia grossolanamente considerare che il « risparmio » nuovo possa identificarsi con l'incremento dei depositi vincolati o dei titoli di credito non a breve termine. La banca che riceve il deposito . dal capitalista industriale non sa - a meno che non glielo dica il capi talista versando in deposito vincolato a « risparmio » - se la somma monetaria ricevuta è capitale già circolante o nuovo, cioè, per inten· 1 Per l'Italia la fonte piu ricca e precisa è sempre la Relazione annuale della Banca d'Italia. Si vedano nell'ultima relazione del 3 1 maggio 1�9, p. 302 t. sgg., i dati' interessanti sul risparmio delle famiglie (p. 3 1 2 ) e sul risparmio delle imprese.
XXV. L'investimento dei capitali mediante il credito
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io per il processo produttivo. Acquista pratiche possibilità col sorgere delle società per azioni e dei titoli conseguenti. Assume forme diverse da paese a paese, -in dipendenza di particolari condizioni di sviluppo e della ampiezza dell'accumulazione primitiva sulla cui base nacque nei vari paesi il capitalismo. Nella fase iniziale del capitalismo, il capitale circolante ( costituito da capitale variabile, piu materie prime ecc. ) prevaleva sul capitale fisso. Le imprese non erano grandi, cioè il capitale necessario per inizia re la produzione non era elevato . L'impresa era del « capitalista » pri vato, che poteva anche avere un socio o due, ma ciò non alterava le caratteristiche dell'impresa. Le banche erano numerose. La fun2lione bancaria commerciale era esercitata pressoché soltanto da banche di 'emissione e da banchieri privati. Nel paese capitalistico per eccellenza : l'Inghilterra, in cui si era creata una vasta accumulazione primitiva, vi era una notevole dispo nibilità di risparmio, util izzabile come capitale e direttamente dalla stessa impresa, senza passare per il mercato o utilizzando il banchiere come intermediario per il mercato dei capitali, con quella funzione che con termine francese si dirà: placement sur commission. Prevalente era l'autofinanziamento, cioè l'applicazione di profitti all'incremento del capitale. In questa situazione è comprensibile che si giunga presto ad una specializzazione bancaria, che si venga a distinguere il credito ordinario, o commerciale, o per capitale di esercizio, a breve termine, dal credito a lungo termine, per investimento o dal credito derivante da operazioni commerciali con l'estero. Questo secondo tipo di credito viene presto, come abbiamo visto parlando del mercato di Londra, a concentrarsi in grandi case perso nali ( nota la dinastia dei Rothschild) e in istituti di credito speciali: piu avanti con la concentrazione capitalistica e delle società per azioni, con
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lo svilupparsi della esportazione di capitali, sorgeranno l'investment e le vaiiie forme di « fondi di investimento » . L a società pe r azioni permette un nuovo e particolare sviluppo. Lo scambio tra il credito a breve e il credito a lungo termine utilizzo dei fondi monetari e del iiisparmio vero e proprio - avviene infatti anche nella banca di credito ordinario. Le anticipazioni su titoli vengono rinnovate e le stesse aperture di credito, quando si ha fiducia nel cliente, avvengono senza troppo sindacare sull'uso che il capitalista fa del credito che gli è stato concesso: attraverso poi il finanziamento dei riporti e delle altre operazioni di borsa o attività di commissione, anche la banca di credito ordinario interviene nel mercato dei capitali 1 •
trust
La categoria dell'interesse: la sua crescente importanza ed autono mizzazione La situazione che si presenta già nel capitalismo avanzato, ricco di capitali, e piu ancora nell'imperialismo e che viene ben presto espressa dalla dottrina in modo sempre piu preciso, è costituita dalla crescente importanza ed autonomia della categoria « interesse ». Come si è visto, nei classici l'interesse è considerato parte del profitto. All'ini zio si considera cioè che esso sia una sottocategoria, derivante dal pro fitto, agisca in modo per cosf dire passivo, senza influire sullo sviluppo economico. Marx delinea già in pii.i occasioni una divergenza tra i money interests della city e gli industriai interests tiia profitto e inte resse capitalistico, ma è solo piu tardi, al prevalere della forma socie taria del capitalismo, che ,i} contrasto e l'autonomia dell'interesse ap paiono con chiarezza anche in Marx. Si comprende il perché: in un capitalismo di concorre.nza formato da tante piccole imprese capitali stiche individuali, con capitale fondamentalmente proprio, a cui corri spondono numerosissime piccole banche, in genere private e con sfera d'azione limitata anche territorialmente, in cui si ricorre al credito prevalentemente per il solo capitale di esercizio - almeno in Inghil terra - si comprende che il saggio di interesse non possa essere manovrato da una autorità monetaria centrale in modo efficace, abbia importanza perciò non tanto per influire sull'investimento, quanto sulla drcolàzione delle merci e sui prezzi con la già nota manovra dlello sconto.
1 Si veda sulla funzione del credito la bella lezione del dr. RAFFAELE MAT TIOLI, presidente della BCI 4C Ca' Foscari », I problemi attuali del credito, in Mondo economico, 13 febbraio 1962.
XXV. L'investimento dei capitali mediante il credito
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La situazione viene mutando, quando entrano nell'agone capitalistico altri paesi, ed anche in Inghiherra, con l 'attuarsi della concentrazione industriale e bancaria e il prevalere delle società per azioni, per cui il ragionamento economico tende ad esprimere sempre di piu anche teori camente la mutata situazione. È chiaro infatti che i rapporti tra le sottocategorie in cui si suddivide il plusvalore abbiano sempre avuto una grande importanza per il pro cesso economico reale e per il suo sviluppo. È noto, e abbiamo ricordato, che nella fase iniziale del capitalismo il problema piu importante era costituito dal rapporto tra la rendita e H profitto e dall'analisi di esso è sorta la teoria ricardiana della rendita. La sua importanza corr.jspondeva alla situazione dell'epoca, in cui il rapporto tra produzione agricola capitalistica e produzione industriale capitalistica indicava, all'-inizio, una preponderanza del settore agricolo, che andò poi scomparendo col piu rapido sviluppo industriale. I rapporti esistenti tra il profitto e l'interesse erano invece consi derati secondari. Ma ciò non significa che le sottocategorie del plus valore .non avessero già una precisa autonomia. In proposito ricordiamo il brano, 6portato trattando delle categorie, in cui il Marx mette in 11idicolo la « formula trinitaria » e l'altro e piu importante passo in cui il Marx ricorda l'importanza che assume questa autonomizzazione delle- i categorie e sottocategorie e la crescente i mportanza che acquistano i rapporti reciproci tra di esse 1 • Ecco perèhé si può dire che nello sviluppo economico capitalistico il fenomeno che acquista la massima importanza è proprio la crescente autonomizzazione della categoria (o sottocategoria) interesse e la cre scente funzione che essa acquista nella economia capitalistica. Molte sono le cause che portano a questa crescente autonomia e funzione economica della categoria interesse. Esse sommariamente si possono classificare nei seguenti gruppi di cause strutturali e sovrastrutturali: 1 ) Per .il processo di accumulazione e concentrazione del capita.le che abbiamo illustrato, è necessaria, nel moderno processo produttivo, una massa maggiore di capitale iniziale, di capitale di esercizio e di successivi investimenti netti. 2 ) All'inizio del modo capitalistico di produzione .il capitalista agiva prevalentemente con capitale proprio ( derivato dalla accumula-
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I Vedi anche Il capitale, cit., III, cap. 48, p. 943
e
sgg.
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zione primitiva nell'agric0ltura e nel commercio ), il quale veniva incre mentato con l'alto saggio .:ii plusvalore prodotto. Il processo produttivo si sviluppava prevalentemente con appli cazione di una parte del plusvalore al nuovo investimento, con qud processo cioè che oggi si usa chiamare di autofinanziamento. Dati i salari bassi, oscillanti all',inizio al limite della sussistenza, la rovina dei ceti dei piccoli produttori indipendenti, causata dallo sviluppo del modo capitalistico di produzione, la lenta formazione di ceti intermedi sussi diari (dirigenti staccati dai capitalisti, ceti professionali e Jmpiegatizi ) : i l risparmio non capitalistico era di entità molto limitata. I l risparmio era cioè per la quasi totalità costituito da plusvalore ( rendite o profitti ) ed esso passava quasi direttamente nel processo produttivo. L'identità risparmio-investimento reale su cui si basa la teoria classica, corrispon deva grosso modo alla situazione reale del momento; il risparmio giu stamente appariva ( nonostante le teorie dell'astinenza ridicolizzate dal Marx ) un derivato dal plusvalore e si risparmiava per investire, cioè per ingrandire l'impresa, e quindi acquisire nuovi profitti, il cui saggio era allora elevato. Senza dubbio, anche a quel tempo, una parte del plusvalore ( soprat tutto rendite e profitti commerciali ) e dei fondi monetari temporanea mente inoperosi passava al sistema creditizio e da questo veniva trasformata in capitale, di fondazione e di esercizio, offerto alle imprese capitalistiche e anche in capitale originario, e noi abbiamo accennato al fenomeno dell'acquisto e della vendita di questa merce particolare costituita dalla moneta. R·ispetto alla massa di plusvalore creato, però, la percentuale di risparmio nuovo che passava nel sistema creditizio era limitata, e l'attività creditizia era alimentata dalla massa del fondo monetario temporaneamente non impiegata che, come abbiamo già detto, non è da confondersi col risparmio. D'altra parte il sistema credi tizio aveva la stessa raffigurazione del sistema produttivo, ossia era costituito da un gran numero di banche per lo piu private ( cioè non società ), in concorrenza fra loro. Il saggio del profitto era elevato. Il saggio di interesse era considerato, esattamente, un suo derivato ( e quindi l'interesse una sottocategoria) e s i stabiliva, ·in regime concor renziale, un mercato di" capitali, basato sulla domanda e offerta di capitale non investito e da investire, nel quale lo Stato aveva anche allora una parte importante nella formazione della domanda, con l'emis sione di prestiti pubblici. La situazione viene a mutare qualitativamente col sorgere delle società per ·azioni, in cui la dissociazione tra il capitale personale e il capitale di cui dispone la società ( oss•ia come abbiamo visto coloro che
XXV. L'investimento dei capitali mediante il credito
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la dirigono ) appare netta e il fenomeno nelle sue profonde implicazioni è stato chiaramente intravisto dal Marx, come già si è detto 1 •
. La massa di capitale necessaria si accresce, essa deve provenire dai capitalisti minori che si associano al gruppo dirigen te. In conse guenza dello sviluppo economico generale è sorto anche un ceto inter medio di dirigenti industriali, p;ofessionisti, ecc. che « risparmia » e spesso non ha possibilità di investire direttamente nel processo produt tivo, e affida i suoi risparmi al sistema creditizio che, direttamente o come intermediario, cioè su cbmmissione, li trasforma in capitale con cesso alle società, mediante sottoscl'izioni di azioni o di obbligazioni. I gruppi capi·talistici dirige � ti manovrano capitali non propri : l'interesse diventa una categofia prevalente, che si applica concettual mente anche al capitale proprio : · è il capitale che genera l 'interesse e reciprocamente l'interesse che genera il ca.pit·a le. Il processo di risparmio non è piu direttamente legato al processo di i-nvestimento: lo è attraverso il sistema creditizio, che ha esso pure subito analoghe modificazioni qualitative. 3) Nel contempo si è verificato il processo che noi abbiamo chi.a mato di aumento della composizione organica del capitale e della caduta del saggi,, del profitto. Anche questo fenomeno comporta la conse guenza di accrescere l'importanza della categoria interesse e di maggiormente autonomizzarla. È facile comprendere il perché: diminuendo il saggio del profitto, divenendo generale la categoria -interesse, perché generale è il feno meno di manovrare capi tali non propri ( anche se della società ), Ia produttività dell'investimento del'iva dalla differenza tra saggio del profitto e saggio dell'interesse e si genera.lizza questo concetto. Anzi, siccome, data la crescente composizione organica, l'investi mento appare prevalentemente come investimento in capitale costante ( macchinario, materie prime, ecc.), sorge il concetto di produttività del capitale e produttività dell'investimento. Produttività del capitale viene definito il rapporto tra il prodotto di un dato periodo e l 'ammontare del capitale investito e quindi il pro dotto medio di ogni unità di capitale; la produttività marginale del capitale viene definita l'aumento del prodotto totale netto dovuto all'aumento unitario del capitale investito. La produttività marginale media del capitale significa in sostanza ( anche se non vi è perfetta •
1
Il capitale, cit., I I I , cap. 15
e
36, pp. 705-706.
500
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uguaglianza ) la produttività dell'investimento, ossia del capitale supple mentare o addizionale investito.
È chiaro che il capitalista tenda a ragionare in termini di produt tività del capitale, dimenticando che il plusvalore è creato dal lavoro umano e che si deve parlare di accresciuta produttività del lavoro, e su questa regoli l'investimento e vi ragioni non in senso fisico, ma in termini di valore, o di prezzi, il che nella società att1:1ale di prevalente monopolio acquista un significato particolare ed una grande impor tanza che risulterà piu chiara al lettore quando conoscerà le piu recenti teorie. Ma l 'argomento risulta già 'ora comprensiHile se si tiene pre sente, come riconosce la Robinson per la forza-lavoro, che in regi
me di concorrenza imperfetta la produttività marginale di ogni fattore eccede il suo prezzo, cioè ogni fattore viene pagato meno di quello che vale, e se non si tralascia quanto piu sotto diremo. Proprio per queste differenze sorge il concetto, che piu avanti vedremo, elaborato dal Keynes_,A i__efficien�_!!l �!iJ!t_ale__!/el capitafr che Vliene definita come il rapporto fra il rendimento atteso di una unità in piu di capitale e il costo di produrre quella unità, come il Keynes stesso specifica nella Genera/ Theory 1 • 4 ) Nel sistema creditizio concorrenziale il prezzo del capitale dato a prestito, ossia il saggio dell'interesse, si determinava in base alla � domanda e alla offerta : la domanda era data dalla produttività dell'in vestimento, in linea finale dal saggio di profitto sperato, e l 'offerta dal cosiddetto risparmio. Nella situazione di prevalente monopolio avvengono contempora neamente due fenomeni : da una parte, come chiaramente dice il Marx, si confina .parte dei capitalisti minori (e non capitalisti ) nella categoria dell'interesse, perché altro non è il dividendo distribuito agii azion1sti, lasciando il profitto solo ai capitalisti maggiori , dall'altra profittando della concentrazione monopolistiica raggiunta dal sistema creditizio, si può stabilire un prezzo di monopolio del capitale, ossia un saggio di interesse monetario che può essere diverso da quello che sarebbe il saggio « naturale » o reale. In genere, come si vedrà fra o, si richiede che il saggio di inte resse sia tenuto piu basso del livello « naturale », che potrebbe essere basato sulla cosiddetta produttività del capitale, e ciò per sfruttare o tosare i rentiers o redditieri contro i quali con l'inizio del secolo
p0c
1 P.ag. 1 36 dell'ed. laspetto moneta.rio.
inglese:
il
Keynes
rafforza
nella
sua
definizione
XXV.
L'investime11to dei caprtali mediante il crcdrto
501
vanno gli anatemi di quasi tutti gli economisti, e ciò si ottiene e con l'azione delle autorità creditizie e con la manovra monetaria, il lento aumento del livello generale dei prezzi, la lenta inflazione. Si attua anche in tal modo un trasferimento di ricchezza, si altera il rapporto tra profitto e interesse, ambedue parti del plusvalore, a van taggio del profi t to e a danno dell'interesse. D'altra parte nell'am biente economico odierno il risparmiatore non ha scel ta, cioè o tiene il risparmio liquido nelle « calze di lana » o lo affida al mercato finan ziario, accettandone i saggi di interesse fissati monopolisticamente, ed è vera, quindi, la tesi che non è il saggio piu o meno elevato dell'inte resse a s timolare il risparmio, il quale o è un derivato del plusvalore di cui si appropria il capitalista, e quindi, è un prodotto indipendente dal saggio dell'-interesse, o è una necessità dei ceti intermedi per garan tirsi contro le eventualità di improvvise spese o spese notevoli non sopportabili con il normale flusso di reddito, o per accrescere il proprio patrimonio. Senonché questi ultimi , che si possono definire veri rispar miatori o risparmiatori puri, sono i soli danneggiati dal basso prezzo fissato dalle autorità monopolistkhe per il loro denaro, in quanto non possono rifarsi, come gli altri pseudo risparmiatori capitalisti, con una accresciuta appropri·azione di plusvalore o profitto. D'altra parte può verificarsi un agli investimenti rkhiesti.
«
eccesso di risparmio » rispetto
Infatti, come ricorda anche il Kalecki 1 , molte imprese non usano in pieno la potenzialità del mercato dei capitali, perché ogni espansione
comporta un rischio crescente, cioè i0l rischio aumenta con l'aumentare del capitale investito e quindi sempre la espansione dell'impresa dipende in prima linea dalla accumulazione di cap�tale che essa opera con i pro fitti correnti. E anche ciò dimostra la ·inferiorità nel mercato della me dia impresa. Di contro il Marx aveva già dimostrato che il capitale creditmo cre sceva piu velocemente che il capitale reale. Se si tiene presente che nella fase del1'.imperi1ali-smo e specie nella crisi generale del capitalrsmo vi è una tendenza, anche se spesso vittoriosamente contrastata, alla ridu zione del tasso di accrescimento possibile dell'economia , se non ad una vera e propria stagnazione, si comprende che possa verificarsi un ec cesso di capitale da prestito ( risparmio), �l quale non trovando u tiilizza zione nel processo di produzione reale, entra in massa crescente nel
1 M. KALECKI, Teoria della dinamica economica, Torino, Einaudi, 1957,
p. 104.
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•
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processo di circolazione e ciò che è piu import ante nella circolazione del capitale fittizio o immaginario, costituito da titoli di vario genere . Anche questo fenomeno è un aspetto della contraddizione esistente nel capi.talrsmo tra lo sviluppo delle forze produttive, cioè della capacità produttiva, e le ·possibilità di vendita ; e anche ciò fa si che la categoria i•nteresse aisuma sempre di piu un aspetto autonomo e monetario e il capitale creditizio appaia sempre di piu come moneta, differenza tra moneta consumata o tenuta in forma liquida, e che si dimentichi amenti spontanei senza eccessivi inconvenienti. Quando invece i mutamenti sono di grande ampiezza e improvvisi, il ristabi1imento del nuovo equilibrio, l'adattamento cioè aUa nuova situazione, se lasciato alla spontanei1tà, costa graV1i sacrifici e provoca necessariamente una crisi. Ma non lasciare che si riformi l'equilibrio, significa d'altro canto non riconoscere la nuova realtà, la nuova posizione di forza e sostenere un equilibrio artificiale, che non rispecchia ·i rapporti reali e anche questo equilibrio minaccia sempre di rompersi. La pdlitica economica dei singoli paesi caprtalistici rper�anto dopo la pr�ma guerra mondiale si è trovata di fronte a questo dilemma e lo ha risolto con metodi diversi, ma sempre attraverso un intervento dello Stato, respingendo cioè il �< liberismo » e l'automatismo, che è condizione essenziale, come abbiamo visto, per il funzionamento del sistema aureo e l'automatico ristabilimento del l'equilibrio con la forma2Jione di prezzi internazionali. Un altro impedimento alla formazione di un equilibrio di mercato, nazionale e internazionale, secondo la legge del valore, è costituito dalla struttura monopolistica dominante. Sia in campo na2lionale che in campo internazionale i vari accordi monopolistici per fissare e mantenere un determinato livello di prezzi, costituiscono un impooimento alla forma zione di un equilibrio che corrisponda alla reale posizione economica dei singoli settori della produzione, cioè alla legge del valore. Se il capita li-smo ritiene non conveniente segu;ire l'automati.smo della concorrenza, è evidente che non ritenga conveniente neanche mantenere una moneta che di per sé, .avendo un valore intrinseco , è « neutrale », cioè rispecchia la legge del valore. L'accordo tra monopolisti è contro la « spontaneità » e « l'automa ticità ». Si può osservare che accordi tra monopolist·i vi erano anche pri ma del 1 9 1 4 , eppure il s�stema aureo funzionava. Bisogna tener presente però che il sistema aureo esisteva oramai per forza di inerzia, quale eredità del passato, ma esso già non era piu confacente alil 'imperial,i smo, alla nuova sovrastruttura della ,società capitalistica ( come abbiamo ricor dato nel capitolo sulle nuove teorie dell'interesse). D'altra parte le carat teristiche dell'imperialismo si sono impetuosamente sv.iluppate in tutti i paesi proprio dopo il 1 9 1 4 , anche in conseguenza della guerra mon dia'le, che ha iniziato l'epoca della crisi generale del sistema, e altri fattori di squilibrio sono sorti da allora . Si sono acuite anche le contraddizioni proprie del capitalismo tra sviluppo delle forze produttive e capacità produttiva reale da una parte e mercato quale capacità reale di consumo dall'altro , tra aumento della produttività del lavoro ( saggio di sfruttamento) e salario, t ra produzione
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agricola e produzione .industriale, ossia fra città e campagna, mentre l'accresciuto processo di accumulazione e concentrazione ha rovinato e provocato il passaggio a « salariati » di vaste categorie di piccoli pro duttori indipendenti della città e della campagna. Ma « contraddizione » o contrasto si·gnifica squilibrio economico, anche quando non si mani festa nella forma acuta della « crisi ». Possono questi squilibri comporSli 91>ontaneamente con e1i·sioni reciproche o adattamenti a nuovi equilibri? Come è noto la teoria economica dell'epoca di prevalen1e concorrenza af fermava di si, ma a mano a mano che questi squitibri si sono aggravati, si è praticamente dimostrato che gli squi1libri non tendevano ad elidersi reciprocamente, ma a sovrapporsi, creando - come si dice oggi - effetti cumulativi e quindi gravi conseguenze economiche e sociali. Anche la dottrina economica si era resa conto di questa verità.
L'intervento dello Stato, ossia lo svilupparsi del capitalismo mo11opo listico di Stato Il costo dell'adattamento al nuovo equilibrio, che spontaneamente dovrebbe farsi, sarebbe troppo grave. La grande crisi del 1 929- 3 3 ha rappresentato un esempio evidente. Occorre quindi « intervenire » contro « l'automatismo ». La condanna dell'automatismo è necessariamente an che condanna del sistema aureo come era prima del 1 9 1 4 . L a prima guerra mondiale h a dato, come già ricordava Lenin, u n grande sviluppo a l « capitalismo monopolistico di Stato ». Le caratte ristiche di tale fenomeno saranno da noi illustrate piu ampiamente quan do si parlerà dell'imperialismo. Ne anticipiamo pertanto qui solo alcuni aspetti. La guerra mondiale ha obbligato la costi tuzione di organismi sta tali per gli approvvigionamenti dall'estero, per la distribuzfone delle materie prime tra i produttori capi talisti e dei beni di consumo tra la popolazione con « calmieri » e « tessere annonarie ». Si tratta fino a qui di un intervento prevalentemente amministra tivo, che però in certi casi di acquisti all'estero e di costituzione di am massi entra nel processo commerciale di distribuzione delle merci. Un altro settore in cui si è subito realizzato un intervento ammi nistrativo ed economico è il settore monetario. Le Banche centrali dovet tero fare enormi aperture di credito al Tesoro e cedere le loro riserve auree e di valute per approvvigionamenti all'estero. Ciò rese necessario l 'intervento statale e per regolare l'emissione di moneta e per control lare i cambi, con un rigido controllo sui movimenti di capitale e sui movimenti commerciali. Furono creati uffici o istituti dei cambi.
XXXI. Il sistema aureo dopo la prima guerra mondiale
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Ma lo Stato intervenne direttamente anche nel campo industriale, potenziando gli arsenali o creando industrie statali di guerra, gestite da capitalisti privati o « sovvenzionando » capitalisti privati fornitori mili tari e creando appositi istituti finanziatori . Naturalmente questo complesso di misure di intervento stimolò il processo di concentrazione del capitale: specie ·in I talia la concentra zione monopolistica fece un enorme passo avanti. Le forni-ture erano appannaggio dei grossi : ad essi andavano le assegnazioni di materie pri me e di mezzi finanziari, ad essi andavano le « sovvel12iioni » industriali. L'insieme di questo processo di intervento con la conseguente crea zione di istituti economici statali, puè defimrsii capitalismo mv:-:.opoli stico di Stato, nel senso che i nuovi enti entrano, anche se di proprietà statale, nella struttura capitalistica dominante di cui fanno parte, ne subiscono le leggi e sono al servizio del capitale finanziario. Per ragioni oggettive si sviluppa un processo di.a1l ettico. Lo Stato ha bisogno di adoperare e poten2'iare al massimo la struttura esistente, che è quella monopolistica dominante, e a questa concede nuovi favori economici. Il connubio Stato-capitale finanziario si accresce e il dominio poli tico del cap1tale monopolistico procura nuovii favori, il rafforzamento economico della struttura monopolistica va anche al di là delle reali esi genze imposte dallo stato di guerra. Il fenomeno si a ttuò anche in campo internazionale. Le « ripara zioni » di guerra imposte ai paesi vinti in entità m"o lto rilevante, o gli interventi della Società delle Nazioni per aiutare la ripresa delle econo mie dei paesi dell'Europa centrale, provocarono grandi movimenti di capitali di origine statale o pubblica, fenomeno che era quasi inesistente prima del 1 9 1 4 ; allora i mov·i menti di capitale erano quasi esclusivamente di origine privata. Sorsero anche, dopo la grande crisi, forme di intervento diretto nel campo della produzione ·industriale e del credito: in I talia basta ri cordare l'IRI. Nel dopoguerra vi fu ovunque una reazione politica delle masse popolari contro i « pescicani » e la richiesta di ampie riforme economi che e sociali. Ma in breve, salvo nell'Unione Sovietica, 0il dominio della struttura capitalistica fu consolidato, anche con metodi drastici come la dittatura fascista e di altri regimi semifascisti dell'Europa centrale. Vi fu però in seno alla stessa classe dirigente una valutazione inesatta della nuova situazione. Parte degii economisti e con essi dei didgenti, pensò che fosse possibile ricostituire l'equilibrio prebellico, anche se non con gli stessi rapporti, almeno con gli stessi criteri. Cosi l'Inghilterra rivalutò la moneta, come abbiamo visto, e ritornò
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al regime aureo nel 1 925 e riprese la tradizionale politica economica e finanziaria, basata prevalentemente sul'la Libertà nelle importazioni di generi alimentari e di materie prime e sulla tass-azione dei redditi. Anche gli altri paesi smanteHarono le bardature piu opprimenti della economia di guerra e, come abbiamo visto, stabilizzarono le loro monete, sia pure a livelli diversi e ritornarono -al regime aureo, sia pure, come abbiamo visto, mòdificato. I motivi di fondo dell'impossibilità di un equilibrio spontaneo del l'economia mondiale capitalistica apparvero però ben presto nella loro evidenza, dovettero essere riconosciuti e determinarono il crollo delle varie monete e l'inizio, dapprima timido e poi piu deciso e cosciente, della nuova politica monetaria. Importanza grandiosa ebbe il sorgere nell'Unione Sovietica del si stema socialista di produzione. Anche se aH'inizio tale importanza fu nel mercato mondiale piu di carattere politico che economico e solo col 1 930-3 1 incominciò a pesare nel merc-a to mondiale anche economica mente, il fatto significò la rottura del mercato unico mondiale, il sor gere di un mercato socialista. Il mercato unico mondiale stava del resto disgregandosi per l'acutizzarsi dei contrasti tra i paesi capitalistici, lo svilupparsi di « aree » di mercato protetto e legate a centri finanziari nuovi e diversi, che tolsero al mercato londinese la sua posizione di monopolio.
Fattori particolari di squilibrio Per quanto riguarda i fattori particolari di squilibrio, che agirono nel periodo 1 925-1 9 3 1 , essi possòno essere indicati nei seguenti:
a) movimenti di capitale di origine economica e speculativa; b) l'andamento del ciclo economico nel maggior paese capitalistico : gli Stati Uniti; e) la depressione dei paesi prevalentemente agricoli; d) gli squilibri creatisi con le stab.U.izzazioni e il mancato adegua mento alla reale situazione. lil mutamento nei rapporti di forza verificatosi dopo la prima guerra mondiale ha comportato una serie di trasferimenti di capit-ale che furono costituiti : 1 ) da liquidazioni .forzate di investimenti, che interessarono in particolare la Francia, l'Inghilterra, la· Germania, feno meno che andò prevalentemente a beneficio degli Stati Uniti; 2 ) da un movimento di capitali in direzione della Germania, come movimento principale, a cui non fece da contrappeso il movimento dailla Germania
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per il pagamento delle riparazioni; 3) da un movimento di capitali degli Stati Uniti verso l'Europa ; 4 ) da movimenti erratici speculativi ; 5 ) da un ritiro di capitali dall'Europa da parte degli Stati Uniti prima per il boom e poi per la crisi. Inghilterra e Francia durante la prima guerra mondiale subirono perdite di investimenti esteri . L'Inghilterra, che aveva investimenti esteri p·er circa 4 miliardi di sterline, li ridusse di circa 1 miliardo, la Francia , che aveva investimenti per circa 40 miliardi di franchi di allora, subi perdite per circa 25-30 miliardi ( causa anche i 20 miliardi .investiti nella Russia zarista), la Germania perse quasi tutti i 25 miliardi di mar chi di jnvestimenti esteri. Gli Stati Uniti avevano nel 1 9 1 4 debiti netti verso l'estero per 3 ,7 miliardi di dollari, alla fine della prima guerra mondiale erano già cre ditori e nel decennio 1 920- 1 930 raggiunsero .in tale campo un attivo di oltre sette miliardi di dollari. Vasti movimenti di capi tale si verificarono verso fa Germania. Du rante i primi tempi dell'inflazione affluirono in Germania da 7 ,6 a 8,7 miliardi di marchi oro, secondo una stima di Mackenna. Quando il marco stava per crollare, vi fu un movimento di uscita di capitali tede schi e si arrestò l'afflusso di capitali stranieri, ma ben presto, con la creazione della nuova moneta, la Reichsmark, dopo il 1 924, non solo rimpatriarono i capitali tedeschi, ma ebbe inizio un grande afflusso di capitali, calcolato tra il 1 925-29 a 7 miliardi di capitali investiti e una grande quantità di ca.pitali fluttuanti, che nel 1 928 raggiungevano i 6 miliardi di marchi oro. Tre quarti di questi capitali erano di prove nienza statunitense, però, specie per i capitali a breve termine, notevole era l 'apporto dell'Inghilterra e della Francia, dato il piu elevato saggio di sconto esistente in Ger.mani,a e l'abbondanza - di capitali a breve ter mine nel mercato di Londra e di Pari1g i. Di fronte a questo afflusso, secondo le cifre dell'Agente generale delle riparazioni, la Germania pagò nel periodo 1 925-29 , 7 .643 milioni di marchi oro, di cui 3.732 in valuta estera. L'afflusso di ca.pi tali in Germania si capovolse quando, alla fine del 1 928 e al principio del 1 929, la borsa di New York entrò nella fase speculativa piu intensa, e cessò dopo lo scoppio della crisi nel settembre 1 929, lasciando anzi per la Germania l 'obbligo di pagare le riparazioni. Altri movimenti di capitale vi furono dagli Stati Uniti verso gli altri paesi europei, in particolare la Francia e in parte anche l'Italia. Notevoli spostamenti legati alla politica monetaria avvennero verso l'Inghilterra, in iprevisione della annunciata rivalutazione della sterHna verso il 1 925, e di uscita nei momenti piu �ruciali e nel 1 9 3 1 ; nell'immi·
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nenza dell'abbandono del regime aureo, verso la Francia e in genere verso tutti i paesi in previsione delle stabilizzazioni preannunciate. Quando negli Stati Uniti si verificò la speculazione borsistica e poi il crollo del settembre 1 929, si verificò un rapido ritiro dei capitali investiti in Europa. È chiaro che tutti questi movimenti determinavano squilibri gravi, quando si trattava di movimenti improvvisi, ma data la entità dei movi menti, anche quando si tratt-ava di normali investimen�i di capitali. Il pagamento dei dividendi e degli interessi di un prestito estero esige infatti, per ricostituire l 'equilibrio, un accrescimento delle espor tazioni dal paese debitore verso il paese creditore e ciò è possibile solo se il paese creditore e il paese debitore accettano il giuoco del mercato e non lo ostacolano con manovre atte a sostenere i prezzi o, con dazi doganali, ad ostacolare le importazioni.
Il ciclo e la crisi negli Stati Uniti Una grande importanza per il mondo cap.italistico ebbe l'andamento del ciclo economico negli Stati Uniti, che etano già divenuti il paese piu importante del mondo capitalistico. Mentre durante la prima guerra mondiale nei maggiori paesi capi talistici la produzione dell'industria di base rimaneva pressappoco costan te, negli Stati Uniti aumentava di oltre il 1 0 per cento. Grandi profitti diede anche l'aumento dei prezzi deHe materie prime durante il conflitto. La crisi di assestamento avvenuta nel 1 9 2 1 sospese per breve pe riodo il ritmo di intenso sviluppo dell'economia statunitense, che riiprese impetuoso dopo il 1 924. Si attuò allora un processo di « razionalizza zione », alla cui testa si pose anche dottrinalmente Ford e il ciclo ebbe la sua grande fase di ascesa. Contemporaneamente i legami tra l'econo mia statunitense e quella mondiale si accrebbero per la colossale espor tazione di capitali attuata dagli Stati Uniti tra il 1 925- 1 928, specie verso la Germania, dove si attuava un analogo processo capitalistico di « razio nalizzazione ». Ma come in ogni processo di sviluppo ciclico capitalistico, si acuivano i contrasti che dovevano determinare il crollo. In primo luogo il contrasto tra agricoltura ed industria. I prezzi agricoli crebbero dal 30 al 40 per cento, ma i prezzi dei prodotti industriali di oltre 1'80 per cento. Il potere di acquisto dei contadini diminuL Carichi di debiti, anche per acquistare i trattori, ·generosamente offerti con pagamento dilazionato, il peso degli interessi diveniva piu grave. Il valore della proprietà era rimasto ai prezzi del 1 9 1 3 , il che significava una riduzione di quasi il 1 00 per cento.
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Nella produzione industriale si realizzava ancora una volta il noto contrasto individuato e scientificamente illustrato dal Marx tra sviluppo dei profitti e sviluppo dei salari. Mentre la produzione aumentava con ritmo del 6 per cento annuo e la produttività del lavoro del 4 per cento annuo, i salari reali si accrescevano col ritmo dell' 1 ,5 per cento. La spro porzionalità nello sviluppo, tra .i settori della produzione si manifestava col processo di aumento della composizione organica, anche per quel complesso di fenomeni che andava sotto il nome di « razionalizzazione ». La vendita a rate si estendeva e rappresentava l'espediente per stimolare il mercato di consumo e, con la certezza delle ordinazioni, ridurre il bisogno di scorte. Tanto piu questo processo di ascesa fu facilitato e sostenuto dalla grande quantità di caipitali liquidi e di investimenti che poterono, dopo il 1 928, essere ritirati dagli impieghi europei, tanto piu si sviluppava il processo di concentrazione finanziaria e la speculazione borsistica e tanto piu grande doveva essere il crollo. Il quale si manifestò, com'è noto, con inizio nel mercato borsistico a Wall Street il 22 ottobre 1 929, con crollo dei titoli azionari e si propagò in tutti i settori produttivi ed ebbe conseguenze gravissime. Disoccupazione massiccia, caduta dei prezzi enorme, inattività della produzione. Per i legami che si erano instaurati con i mercati europei, era in dubbio che la crisi si sarebbe violentemente propagata in Europa. E l'epicentro si spostò nell'Europa centrale e in Germania e la nuova fase ebbe inizio col crollo della Creditanstalt in Austria, che già in crisi dall'ottobre 1 929, sospese i pagamenti nel maggio 1 93 1 . Non si deve sottovalutare che proprio per il diverso andamento dei prezzi, già nel 1 928, prima che scoppiasse a Wall Street la crisi, i paesi dell'America latina e i paesi agrari e sottosviluppati, in genere anche politicamente in condizioni di subordinazione semicoloniale, vedevano peggiorate le loro entrate. I prezzi dei prodotti industriali aumentavano piu dei prezzi dei prodotti agricoli. Quando il credito internazionale si orientò verso la speculazione e dopo, quando la crisi ebbe inizio, si ri chiesero i pagamenti dei crediti, i prezzi agricoli caddero ancor piu e la situazione precipitò.
La crisi monetaria del 1 93 1 Quanto abbiamo detto qui in modo sommario serve solo ad indi care al lettore l'acuirsi degli squilibri propri del mondo capitalistko e quindi a rendere piu convincente l'affermazione che il sistema aureo
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diveniva inadatto alla sua funzione tradizionale di ricostituire l'equilibrio. Questa sua incapacità era stata aggravata dal fatto che, come abbia mo visto, nella politica di stabilizzazione i vari paesi capitalistici avevano scelto livelli di parità aurea che non corrispondevano all'effettivo valore della moneta, ma d'altra parte questi stessi diversi livelli adottati erano effetti dello ,squilibrio esistente e non solo causa. Abbiamo visto comunque che per mantenere la parità aurea fissata, e adeguarsi al livello internazionale, l'Inghilterra avrebbe dovuto atttiare una « deflazione », una diminuzione di prezzi e di costi espressi in sterline. Il capitalista vuole sempre iniziare dai salari e dagli stipendi, prima clhe il costo della vita sia diminui·to. Giustamente la classe operaia inglese si oppose e con grandi ·scioperi nel 1 926 dimostrò una resistenza organizzata. La struttura indnstriale inglese, antiquata, trovava maggiori difficoltà nella situazione monetaria che si era creata ad attuare la necessaria opera di rinnovamento; la forte disoccupazione permanente e l'elevato debito pubblico mantenevano elevate le spese statali, di con seguenza i prezzi non si aggiustavano e il deficit della bilancia com merciale cresceva. A questa situazione di fondo, si aggiunsero i movi menti speculativi di capitale che abbiamo ricordato. Scoppiata la crisi mondiale la situazione divenne insostenibile. Un Comitato per la finanza e l'industria esaminò le varie possibilità e nel magnifico rapporto pub blicato 1 , che è consigliabi� leggere, furono proposte varie misure di po litica economica. Per eliminare lo squilibrio monetario, fu posta apertamente l'alter· nativa: o svalutazione c:lella sterlina o - per consiglio di Keynes taril/s plus bounties, cioè instaurazione di tariffe doganali per ridurre le importazioni con corri•spondenti sussidi per stimolare le esportazioni. La conclusione di sei anni di nuovo regime aureo era cioè l'inter· vento dello Stato per manovrare la moneta. Una situazione diversa, ma essa pure di crisi, si era verificata in altri paesi. In Franci-a , come abbiamo già detto, il grande afflusso di capitali dopo la stabilizzazione compiuta ad un livello basso, per cui i prezzi francesi risultarono inferiori ai prezzi internazionali in oro, aveva provocato un aumento delL riserve auree ed un-a abbondante liquidità. Temendo un eccessivo rialzo inflazionistico, le autorità francesi non ,seguirono le regole del ,giuoco : sterilizzarono l'oro, contennero l'au mento della circolazione monetaria e creditizia.
1 Committee on Finance and Industry Report (Mac Millan), e le Evidences tllken be/ore, London, H. M. Stationery Office 1 931, Cmd 3.897.
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Dopo il 1 928 cessò l'afflusso dei capitali francesi che rimpatriavano e dei capitali statunitensi in cerca di investimento e dei capitali di varia origine provenienti da Londra e che gli operatori inglesi investivano in Francia. Sotto l'aspetto puramente monetario, il valore del franco divenne piu adeguato al livello dei prezzi internazionali, che in seguito allo se�ppio della crisi andavano cadendo. Ben piu grave divenne invece la situazione per le monete dei paesi dell'Europa centrale e della Germania. Per la Germania, in quanto il flusso del movimento di capitali, come abbiamo ricordato, si inverti e perché la crisi provocò un violento processo di �azionalizzazione e di concentrazione industriale, che determinò una imponente disoccupa zione; la crisi monetaria si manifestò all'inizio come crisi bancaria. Nei paesi dell'Europa danubiana la crisi monetaria ebbe alla base principalmente la crisi agraria, e i crescenti debiti degli agricoltori, con conseguenze sul sistema bancario. Questi furono i motivi particolari che si aggiunsero alle cause di fondo. In conclusione, il sistema aureo non fu in grado di creare un nuovo equilibrio internazionale spontaneo e quindi non resse ai colpi della grande crisi mondiale.
BIBLIOGRAFIA
Oltre le opere già ricordate, nei capitoli precedenti, si consiglia la lettura delle altre qui sotto indicate. BENHAM, British monetary policy, London, King, 1 932. DE CINDIO F., Il sistema monetario aureo, Roma, Editori Riuniti, 1 96 1 . DEL VECCHIO, Capitale e interesse, Torino, Einaudi, 1 956. GREGORY, The gold standard and its future, London, 1 934. GREGORY, Gold unemployment and its future, London, 1 934. HABERLER, Prosperity and depression, Un. Nat., Lake Success, 1 946. KEYNES , Essays in persuasion, London, Mac Millan, 1 93 1 . Tradotto ora in italiano : Esortazioni e profezie, Milano, Il Saggiatore, . 1 968. KEYNES, The means to prosperity, London, Mac Millan, 1 93 3 . STAMP, Papers on gold and the price leve!, London, 1 93 4 . Report on Finance and Industry 1 93 1 , Cmd 3 .897 , London, H. M. St. office. Nonché la consultazione dei Rapporti delle banche e lo spoglio delle riviste dell'epoca.
XXXI I . I sistemi monetari dopo la grande crisi
Come abbiamo visto, la grande crisi del 1 929-33 rese esplicito lo squilibrio esistente nel mondo capitalistico e portò al crollo del sistema aureo tradizionale. Ma ciò che è piu importante, la dottrina economica acquistò chiara coscienza della inadeguatezza del sistema aureo nel mondo capitalistico di prevalente monopolio e delle concezioni econo miche allora predominanti e suggeri esplicitamente l'abbandono del si stema aureo tradizionale e l'instaurazione di monete manovrate. Natural mente l'intervento diretto dello Stato capitalistico in campo monetario presuppone un intervento coordinato in tutti gli altri settori della attività economica e di questa nuova coscienza sarà espressione la costruzione keynesiana che piu avanti illustreremo. Possiamo indicare tre tipi caratteristici di sistema monetario che si sono instaurati dopo la grande crisi , anche se occorre tener presente che vi sono aspetti comuni a tutti e tre i tipi : Sistema inglrse o di moneta manovrata. Sistema statunitense di fissazione del prezzo ufficiale dell'oro o di gold standard elastico. Sistema tedesco o di monopolio dei cambi. Occorre premettere anche che in tutti i sistemi monetari postcm1 vi è un riferimento all'oro, che rimane quindi « equivalente generale de gli scambi », la base del sistema dei prezzi . Però tale riferimento può essere diretto, mediante la fissazione di on prezzo di acquisto legale dell'oro in termini di moneta nazionale o di un prezzo legale di moneta a base aurea, o indiretto, senza cioè la fissazione di una parità legale, ma solo per un rapporto di mercato tra moneta e oro.
Il sistema inglese Quando il 2 1 settembre 1 9 3 1 in Inghilterra fu abolito il Gold Standard Act del 1 925 e la scerlina fu disancorata dalla parità aurea
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legale, le autorità monetarie inglesi dichiararono subito che la « sterlina doveva trovare il suo livello naturale » e lasciarono quindi che il cam bio fluttuasse. Conseguenza immediata nei rapporti con le monete straniere fu una svalutazione della sterlina di circa il 30 per cento. Questo fatto provocò un capovolgimento della situazione: mentre i prezzi inglesi erano supe riori ai prezzi internazionali, essi divennero inferiori : i prezzi all'ingrosso in sterline passarono dall'indice 1 1 9 ( 1 9 1 3 = 1 00 ) nel 1 9 3 0 a 1 04 nel 1 93 1 , a 1 0 1 nel 1 932, a 1 00 ,9 nel 1 93 3 , ma espressi in oro furono il 73,6 nel 1 932 e 68,5 nel 1 93 3 ; in Francia scesero dall'indice 1 1 2 nel 1 930 all'indice 80,9 nel 1 9 3 3 ; in Italia da 1 1 1 ,6 a 76,9 ; in Svizzera da 1 1 2 a 9 1 ,0 ; negli Stati Uniti da 1 2 3 a 94,5 Il livello inglese quindi risultò inferiore, col vantaggio di aver ga rantito una stabilità di prezzi all'interno in sterline, proprio mentre la crisi causava la caduta dei prezzi in tutti i mercati mondiali. Poté quindi essere attuato il primo obiettivo della politica di sva lutazione: lo stimolo alle esportazioni. Tale andamento non può essere generalizzato teoricamente, cioè esso è stato storicamente determinato da alcuni fattori, di cui i principali sono la crisi economica allora in corso, e la grande importanza economica e finanziaria dell'Inghilterra, per cui molti paesi (dell'impero inglese e scandinavi ) legarono la loro moneta alla sterlina e si costitui il « blocco della sterlina ». Ciò che fµ teorizzata subito fu una politica economica e monetaria basata sui seguenti obiettivi : mantenere la stabilità dei prezzi i nterni in una situazione di deflazione; stimolare a tale scopo l'espansione mone taria ( che fu chiamata allora reflazione); curarsi poco della flessione della moneta rispetto ai cambi esteri, impedendo solo le grandi variazioni di carattere speculativo. Ciò esigeva quindi una « manovra » per rego lare il corso della moneta, secondo i suggerimenti che oramai erano dati in Inghilterra dal Keynes e dal Mackenna, e in Svezia dal Casse! 1 e che vennero accolti dagli istituti centrali. Naturalmente la manovra monetari.a , anche ispirata agli obiettivi sopra detti, esige sempre un intervento sulle linee di offerta e di doman da di moneta ai fini degli scambi internazionali e degli scambi interni. In Inghilterra, in base alla autorizzazione contenuta nella legg� che .
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1 KEYNES, The means to prosperity, London, Mac Millan, 1933; MACKENNA, Britain's monetary policy - The wisdom of expansion, in Midland Bank Monthly Review, 1934; CASSEL, Managed cu"ency, in Quarterly Review of the Skandinaviska Banlt, 1934.
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Econo1'1ia "I0'1etaria
sospendeva il gold standard, il TesNo f'mie subito una ordinanza che proibiva l'acquisto di moneta straniera (cioè domanda di moneta stra niera contro offerta di sterline) che andasse oltre « le normali richieste del commercio », i contratti in corso e le ragionevoli spese di viaggio, e cioè riguardasse i movimenti dei capitali, la fuga cioè di capitali dal l'Inghilterra. D'altra parte con l'Import Duty Act del 1 93 1 furono introdotti alcuni dazi doganali ed elevati altri per alcune merci ( in particolare orto frutticoli) e fu costituito il Comitato per le tariffe. In tal modo si volle ridurre la domanda di merci estere giudicate non necessarie allo sviluppo economico del paese e quindi di divise st raniere. Già da questi provve dimenti si vede che non si può mai parlare di livello « naturale » di una moneta, in questo caso della sterlina, in quanto il livello è sempre rego lato da interventi di politica economica. Un certo controllo dei prezzi interni fu pure stabilito col Foodstuff Act, che autorizzava il Board of Trade ad intervenire là dove si fosse verificata la necessità di « prevenire o rimediare riduzioni o irragionevoli aumenti nel prezzo di certi articoli come cibi o bevande " Scopo di questo intervemo - a cui non vi fu bi-sogno di ricorrere allora in larga scala, in quanco la crisi mondiale faceva cadere i prezzi dei prodotti alimentari chf' I'lnghilterra imporrava e in quanto la maggior parte dei oaesi esponacori di ahmentari in Inghilterra legarono la loro moneta alla sterlina - era quello di ev itare bruschi rialzi del costo della vita che spingessero i lavoratori a richiedere aumenti di salari nominali.
Il Fondo di stabilizzazione In tal modo poté attuarsi anche la politica di espansione monetaria che ebbe alla sua base due istituti : l'Exchange Equalization Fund fondo di �cabilizzazione dei cambi - e la Banca centrale. L'Exchange Equalization Account o Fund Oa cui istituzione p01 fu imitata in altri paesi ), fu istituito ,n lnghilcerra nella primavera del 1 932 con Id dota zione di un fondo iniziale di 1 50 milioni di sterline in buoni del Tesoro, .levato poi a 350 milioni. L'origine della costituzione fu un afflusso di capitali stranieri a Londra nella primavera del 1 932, �he minacciava di provocare un rialzo non desiderato nelle quotazioni della sterlina. Lo scopo di questo fondo e di fondi consimili è quello di intervenire nel mercato offrendo sterline contro acquisto di oro o di divise straniere, se vi è una domanda di sterline che minaccerebbe un rialzo del corso e domandando, cioè acquistando sterline contro offer ta o vendita di divise
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o oro, se vi è nel mercato una eccessiva offerta di sterline e domanda di divise straniere da parte degli operatori. In tal modo, con operazioni, che del resto in misura minore o mag giore le Banche centrali hanno sempre compiuto, viene regolato e reso piu stabile de facto il cambio estero della moneta nazionale . Però a questo scopo se ne può aggiungere run altro, come dimostrò l'esperienza inglese. Il Fondo di stabilizzazione può cedere l'oro o le divise straniere acquistate alla Banca centrale. Nel caso dell'Inghilterra il Fondo cedé l'oro acquistato al prezzo di mercato, per esempio 1 30 scellini, alla Banca d'Inghilterra, che lo acquistò al prezzo statutario di 85 scellini. In tal modo furono accresciute le riserve e fu resa possibile una politica di espansione monetaria (dal 1 939 il prezzo statutario anche per la Banca non è piu di 85 scellini, ma quello di mercato e, data la parità fissata col Fondo monetario con il prezzo ufficiale dell'oro, è di 35 dollari l'oncia). Si è detto che la Banca centrale interveniva anche prima sul mer cato con opera2'lioni consimili. Ma l'istituzione di un Fondo speciale, quale organo permanente della organizzazione monetaria e bancaria, fu giudicata necessaria per i seguenti motivi : 1 ) perché i grandi movimenti di capitali esigevano corrispon denti manovre e ciò rendeva necessario avere a disposizione un fondo notevole e l'intervento sui cambi rappresentava un obiettivo specifico di fronte ai molteplici compiti della Banca;
2) perché di conseguenza era opportuno tenere una contabilità separata. Il Fondo investe la moneta che amministra in operazioni a breve termine o a vista ( buoni del Tesoro, divise, ecc . ) ;
3 ) perché la Banca è tenuta a pubblicare periodicamente l a sua situazione; il Fondo no, e quindi può agi·re con maggior segretezza ed efficacia. Nel regime aureo non vi è bisogno di un simile istituto, perché il corso dei cambi è regolato, come abbiamo visto, nei limiti dei punti oro e l'espansione o la riduzione della circolazione si verifica automati camente, in relazione al livello delle riserve. Nella moneta manovrata, in cui si voglia mantenere un livello di cambio prefissato, un simile istituto è necessario ed entra quindi a far parte permanentemente della organizzazione monetaria, anche se invece di Fondo di stabilizzazione, come fu chiamato anche negli Stati Uniti, dove fu istituito nel 1 934, o in Francia, nel 1 9J6, abbia altri nomi. Il Fondo ( in Inghilterra, Exchange Equalization Account) serve cosi anche a finanziare il Tesoro. Dopo la guerra, col Finance Act 1 946, esso, in
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Inghilterra, ha esteso pagamento esteri 1 •
La moneta a
«
suoi compiti alla amministrazione dei mezzi di
buon mercato
»
e la lenta inflazione
Altri obiettivi di una politica monetaria manovrata in un paese capi talistico e che furono chiaramente dichiarati in Inghilterra dopo la svalutazione della sterlina, sono il mantenimento del livello dei prezzi, in mcxlo di impedirne la diminuzione, non solo, ma anzi di stimolarne un lieve e progressivo aumento ; l'at tuazione di una espansione del cre dito sia in senso quantitativo, sia diminuendone il costo, cioè con l'at tuazione della politica del denaro a buon mercato (cheap money). Anche questi obiettivi esigono per il loro raggiungimento una politica complessa, che si basa però prevalentemente sull'uso di strumenti monetari. Deve essere chiaro il significato economico e soci.aie di tali obiettivi. Il prezzo del mercato è la stella polare del processo capitalistico ài prcxluzione, l'elemento che determina l'esito favorevole o sfavorevole del processo di produzione, l'enti tà dei .profitti. In breve periodo si afferma che nella singola impresa la p;oduzione si estende fino a che il costo marginale raggiunge i prezzi del mercato; nella situazione di monopolio, finché il costo marginale raggiunge il ricavo marginale. Nella produzione capitalistica però ogni estensione della prcxluzione significa accrescimento del profitto anche con prezzi stabili, cioè con unità monetaria costante, come abbiamo visto nei capitoli precedenti, perché i costi supplementari vengono a gravare unitariamente in mcxlo minore. Anche a moneta costante vi è, in senso relativo (cioè tenendo conto della produttivi·tà del lavoro ), la tendenza ad un relativo aumento dei prezzi ( e quindi ad un aumento del plusvalore o profitto ), se non altro per l'accrescersi della domanda dovuta all'aumento della popolazione. Nel capitalismo di prevalente monopolio a questo elemento basilare si aggiunge la possibilità di mantenere e fissare da parte dell'offerta livelli di prezzo elevati, superiori ai costi. Come abbiamo ricordato nelle pagine precedenti, se la moneta non è di valore costante e i prezzi aumentano regola rmente per ragioni
1 Committee on The \Vorking o/ the Monetary System Report, London, 1959, S 324, p. 1 1 1 .
Cmd 827,
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monetarie, sorge una divergenza nel tempo tra costi monetari e costi reali. Questa divergenza si traduce sempre nella organizzazione capita listica in un accrescimento del profitto, in quando vengono ridotti, e la retribuzione reale della forza-lavoro (ridotto realmente il capitale salari) e i prezzi pagati ai subfornitori non capitalistici e in quanto il costo storico risulta realmente ridotto. È chiaro anche che essa non può essere intensa, trasformal'S.i da lieve espans•ione di prezzi, cioè da lenta inflazione in inflazione vera e propria. La progressiva e lieve espansione dei prezzi non rappresenta essa .pure una soluzione, non dico di fondo, ma neanche di lunga durata delle contraddizioni proprie del processo di produzione capitalistico, le quali anzi con ciò si aggravano. Si aggravano perché l'aumentato livello di produzione deve essere armonico nei suoi settori e trovare lo sbocco finale nel consumo, il che non è possibile a lungo andare nel capitalismo. Ma in periodo breve, esistono possibilità di sviluppo, in quanto esistono margini di estensione del mercato in super ficie e in profondità e per Io stimolo costituito dalla domanda statale. Il capitalista dice che in periodo lungo noi siamo tutti morti e si inte ressa solo del tempo che riguarda il suo ciclo produttivo, poco curandosi dell'intera società e dell'intera economia. Se l'inflazione ha un ritmo eccessivo o quando si sono esaurite le possibilità della lenta inflazione, allora appaiono evidenti i sintomi della crisi di sovrapproduzione, resi piu acuti dallo stimolo monetario. E allora infatti il capitalista si spaventa e chiede controlli per combattere l'in flazione. L'economi'Sta tedesco, vi'Ssuto poi in Inghilterra, von Hayek, le cui tesi sqno per molti aspetti discutibili, in Prices and productio1t 1 fa tuttavia uria analisi giusta e convincente del fenomeno. Il ciclo di espansione economica, stimolato da manovre monetarie, attua una ridi stribuzione di fattori produttivi e accresce i profitti. Ma questo ciclo di espansione comporta un accresciuto investimento (grazie al capitale creato con l'aiuto del credi to), un processo maggiormente capitalistico, uno sfasamento tra costi reali e costi monetari a danno dei lavoratori , che rappresentano la massa fondamentale dei consumatori dei prodotti finiti. Il piu ampio processo di produzione può essere mantenuto in tutti i suoi stadi e nei suoi vari rapporti anche tra settori produttivi, solo se esso giunge al consumo in tutti i suoi stadi e in particolare nel termine finale costituito dal consumo di prodotti finiti. Altrimenti vi è la sovrap-
1 London, Routledge, 1934.
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produzione e la distruzione degli investimenti, cioè del capitale creatosi nel processo inflazionistico. Anche se tale analisi è giusta, sta di fatto che il capitalismo mono polistico spinge alla lenta inflazione, all'aumento dei prezzi e a ciò ispira la politica delle autorità monetarie. Quando si presentano le difficoltà di tale politica, si ricorre ad altre vie di uscita, non ultime le avventure militari o addi·rittura le guerre mondi.ali, sempreché non siano oggi impe dite dalla volontà di pace dei popoli e dalla forza crescente del sistema socialista. Chiaro risulta anche l'altro obiettivo : mettere a disposizione del l'imprenditore capitalistico il credito a buon mercato. Nel capitolo XXV abb1amo fatto una di-stinzione tra fondo monetario e ri-sparmio vero e proprio e abbiamo ricordato che una delle funzioni del sistema credi tizio è di trasformare in capitale risparmi non capitalistici, provenient i cioè dai ceti medi urbani e contadini. L'obiettivo del capitalista è duplice : avere a disposizione la mas sima quantità di credito, riducendo il tempo di giacenza del risparmio monetario, e pagarla il meno possibile, cioè ad un saggio di interesse il piu basso possibile. Il regime aureo ostacolava una manovra in tal senso, anche se la concentrazione creditizia aveva raggiunto un altissimo livello e quindi si era già creata una struttura monopolistica del credito. Nel regime aureo infatti occorreva tener conto degli spostamenti internazionali che si verificavano in seguito alle variazioni dei saggi di interesse e del limite che il sistema aureo s tesso poneva alla creazione di moneta bancaria. L'abbandono della convertibilità aurea e la conseguente abolizione dei vincoli inerenti, permise la politic·a del credito a buon mercato, che fu allora teorizzata dal Keynes e da altri scrittori .
L'azione della Banca d'Inghilterra Strumento di tale poli-tioa è l·a Banca centrale. Possiamo seguire le fasi di tale politica nell'esperimento inglese al suo inizio, perché l'esempio è chiaro e significò il capovolgimento della politica precedente, quando la Banca era legata ai vincoli dcl regime aureo. Si possono leggere le variazioni delle voci del bilancio, secondo il rapporto settimanale che in base alle leggi del 1 928 e del 1 9 39 la Banca
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è tenuta a redigere. Com'è noto la Banca d'Inghilterra ha due diparti menti : il dipartimento di emissione e quello bancario 1 • Non considerando le voci fisse, che appaiono nel dipartimento di emissione come i'll quello bancario, che consistono nel debito del gover no (government debt), semplice iscrizione di credito, cifra di un debito governativo all'epoca della legge del 1 844, nel capitale (proprietors capitai) e nell'avanzo (rest), le voci variabili su cui si esercita la politica bancaria sono nel dipartimento bancario:
Nel passivo I depositi pubblici (public deposits) divisi in due sottovoci : public accounts derivati dalle entrate fiscali e altri depositi del governo. A
questa voce durante il Piano Marshall si è aggiunto il conto speciale del Tesoro (H.M. Tresury special account) dove furono versate le somme derivanti dagli aiuti (special deposits). Gli altri depositi (other deposits): bancari (bankers) che com prendono tutti i depositi delle banche inglesi ed esprimono la liquidità alla Banca cen trale, sulla quale è possibile tirare assegni; in conto di altri ( other accounts), depositi di banche straniere comprese quelle del Commonwealth e di importanti merchant houses.
Nell'attivo Titoli di Stato ( government securities): titoli di Stato che la Banca acquista di propria iniziativa. Ogni compera e ogni vendita producono variazioni nella voce. Oggi 2 sono compresi anche gli anticipi ( ways and means advances) al governo. Altri valori ( other securities ), composti di « sconti e anticipazio ni » (discounts and advances), derivanti in via principale dalla iniziativa del cliente ed indicano fino a che punto il mercato ricorre al risconto e aUa anticipazione ; valori (securities), che comprendono tutti gli altri valori ( cambi.a li, titoli non governativi anche se spesso garantiti dallo Stato, delle colonie, ecc . ) , acquistati dalla banca. Le notes, biglietti emessi e non in circolazione che assieme a tra scurabili quantità di coin, oro e argento, oggi solo argento, costitui•scono la riserva del dipartimento bancariO. Tale voce ha importanza, in quanto
1 Si veda R. S. SAYERS, Modem Banking, Oxford Clarendon Press, cit. tra· dotto a cura della Cassa di risparmio delle province lombarde, Milano, 1966. 2 La situazione delle voci banoarie della Banca d'Inghilterra si può seguire nelle sue variazioni settimanali anche in The Economist.
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sta alla base della liquidità della Banca centrale. Un 'alta riserva per mette una piu ampia circolazione creditizia. Cosi pure se aumentano i depositi bancari, che esprimono la riserva del sistema bancario. Una politica di espansione del credito risulta dalla lettura del Rapporto della Banca con un aumento di biglietti della riserva, da un aumento di valori governativi nell'attivo e di depositi bancari nel passivo. Negli anni tra il 1 925- 193 1 , in cui vigeva il sistema aureo e data la sopravvalutazione della sterlina, era necessaria una politica di defla zione, la Banca d'Inghilterra dovette tener conto di due esigenze : l'una, monetaria, richiedeva una politica di restrizione della circolazione ban caria, l'altra, produttiva, esigeva una espansione creditizia. La conclu sione fu che la riserva bancaria diminuf di 1 1 milioni di sterline. Dopo l'abbandono del regime aureo fu possibile una espansione creditizia, che si verificava proprio mentre in altri paesi si attuava una politica di deflazione. Aumentarono le riserve auree, per l'afflusso di capitali esteri a Londra, da 25 milioni nel 1 93 1 a 1 4 1 milioni di sterline nel marzo 1 9 3 3 , i depositi bancari da 73 a 1 02 milioni di sterline nella stessa epoca e i « valori » da 1 07 a 1 1 7. Aumentò di conseguenza e notevol mente sia l'entità dei depositi presso le clearing banks, sia la liquidità delle banche stesse. Tale andamento fu mantenuto e consolidato dopo la svalutazione del dollaro, che apri una nuova fase nella storia contemporanea delle monete. Fu di conseguenza possibile abbassare il saggio dello sconto e con ciò i saggi di interesse del mercato e, ancora nell'estate 1 932, pro cedere con successo alla conversione del war loan 5 % . È chiaro che l'abbandono del regime aureo rese piu ampiamente operante la « politica sul mercato aperto » di cui abbiamo parlato e che trovava invece i suoi limiti nel regime aureo. In esso l'espansione trovava la barriera costituita dalla necessità di mantenere una adeguata riserva aurea per la convertibilità. Nella sostanza iJ sistema inglese che abbiamo descritto poté operare senza gravi inconvenienti fino alla seconda guerra mondiale. Anzi esso ebbe il suo riconoscimento ufficiale con la legge del 1 939, la quale elevò la circolazione fiduciaria da 260 a 300 milioni di sterline, autoriz zando H parlamento a concedere nuovi limi,ti all'emissione bancaria, e stabilf che la valutazione delle riserve, fatta prima al prezzo statutario di 85 scellini per oncia, avvenisse da allora in poi al prezzo del mercato. L'oro o i titoli che risultavano in eccesso rispetto la circolazione,
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dovevano essere acquistati dal Fondo di stabilizzazione o dal Diparti mento di emissione. Cosi, anziché regolare il prezzo della sterlina sul valore dell'oro, avveniva il contrario, si regolava il prezzo dell'oro sul valore della sterlina. In tal modo, pur con caratteristiche diverse e proprie, il regime inglese si trasformò in una specie di gold standard elastico, che fu anche e subito caratteristico del sistema statunitense. Tale sistema fu risuscitato dopo la seconda guerra mondiale con modificazioni riguardanti il controllo valutario e i limiti della emissione fiduciaria. La legge del 1 946 « nazionalizzò » la Banca d'Inghilterra ma non ne mutò le caratteristiche tecniche, mentre un1,1 legge del 1 954 disciplinò la circolazione dei biglietti di banca. Le condizioni dell'economia inglese e internazionale, dopo la se conda guerra mondiale, cioè gli squilibri creatisi, resero meno operante il sistema;· per cui si dovette ricorrere a successive svalutazioni 1•
Il sistema statunitense Il sistema statunitt:nse si può definire di gold standard elastico 2• Esso pure trae origine dalla grande crisi, benché diversi siano stati i motivi economici che hanno ispirato il r'ipudio del sistema aureo classico. Non vi era negli Stati Uniti la situazione di fondo che aveva caratteriz zato la crisi inglese e cioè la perdita relativa nella posizione internazio nale, la riduzione degli investimenti esteri e dei proventi ad essi colle gati, né vi era stata una stabilizzazione della moneta ad un livello troppo elevato. Anzi, com'è noto, con la prima guerra mondiale la posizione finanziiaria degli Stati Uniti si era capovolta e l'oro era affluito larga mente a causa dei pagamenti che i paesi europei dovevano fare. Per quanto la crisi del 1 92 1 avesse provocato temporanee difficoltà, la bi lancia dei pagamenti degli Stati Uniti era rimasta attiva e si era verifi cato un notevole flusso di esportazioni di capitali . L'impetuoso sviluppo produttivo, specie nel settore industriale, aveva portato ad una riduzione
I Nella svlllutazione del 1949 fu fissato il rapporto sterlina 2,80$; nella sva lu tazione del novembre 1967 il rapporto fu portato a 2,40$; sulle attuali funzioni della Banca d'Inghilterra si veda il citato Radcliffe Report e SAYERS, op. cii., ed. it., pp. 69 e 83. 2 V. anche W. A. BROWN, The i11ternational gold standard. reinterpreted, Nat. Bureau of Economie Research, New York, 1940 e DE C1NDIO, Il sistema monetario aureo , cit. =
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Eco11omi11 monetaria
dei costi ·unitari di produzione. Lo stesso sistema monetario e bancario statunitense, come abbiamo già accennato, istituito col Federai Reserve Act del 1 9 1 3 , secondo il quale il territorio nazionale era diviso in dodici distretti con una propria Federai Reserve Bank, collegato da un Consi glio federale ( Federai Reserve Board), permet-teva una piu ampia ma novra di espansione creditizia, pur mantenendo la base aurea della moneta. Infatti in tal modo era possibile una circolazione di tipi diversi di bigliet t i : le federai reserve notes, converti�ili in oro, e garantite da una riserva aurea del 40 per cento; le federai reserve bank notes, emesse dalle Banche federali e garanti•te da titoli pubblici federali e le national bank notes, emesse dalle Banche nazionali che fanno parte delle Banche federali, la cui emissione era limitata dal capitale versato daile stesse Banche nazionali. Ques.ti vari tipi di bigliietti SiOno ora scomparsi. Tale sistema permetteva una più facile manovra di risconto reci proco tra le banche e una piu attiva politica di « mercato aperto », che infatti si applicò particolarmente negli Stati Uniti, perché grande impor tanza aveva il volume dei ti toli · pubblici quale base della circolazione fiduciaria. Naturalmente esso non poteva modificare l'andamento reale del ciclo economico. Cosi nessuna manovra monetaria di rialzo dello sconto e di mercato aperto poteva arrestare il boom borsistico del 1 928, come nessuna manovra poteva rimediare alla caduta dei prezzi provocata dalla crisi, anche se i mezzi a disposizione per l'espansione creditizia si erano note volmente accresciuti, specie dopo la svalutazione della sterlina e l'af flusso di oro a New York. La crisi che ebbe negli Stati Uniti gravissime conseguenze pertanto risollevò anche colà la discussione sul sistema aureo. Obiettivo prin cipale, dopo lo scoppio della crisi, fu anche negli Stati Uniti il rialzo dei prezzi. Per raggiungere lo scopo fu attuata una serie di provvedi menti di politica economica. Fu ridotta l'offerta col razionamento della produzione, fu accre sciuto il protezionismo in mod(} notevole, fu stimolata la domanda con una espansione di lavori pubblici e con l'espansione creditizia. Ma questi provvedimenti contraddittori fra di loro, in quanto contraddittorie sono le categorie capitalistiche, erano insufficienti. La diminuzione dell'offerta produce diminuzione di redditi e quindi anche di domanda, che invano si può stimolare con artifici creditizi. 11 processo di concentraZ'ione produttiva e finanzi1aria, che si acuisce nei momenti di crisi, provocava grandi tragedie. Nelle campagne la so-
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vrapproduzione e la caduta dei prezzi agricoli, rendeva insopportabile il peso reale crescente dei debiti e della tassazione e si verificava il tre mendo esodo, che nella letteratura veniva descritto con esagerato veri smo naturalistico da Steinbeck e Caldwell in Furore e nella Via del tabacco. Il Fisher considerava tale situazione, come abbiamo già ricor dato, un elemento basilare che consigliava la svalutazione della moneta. Nell'industria, la caduta dei prezzi e dei profitti, la disoccupazione impo nente, determinavano una crescente concentrazione e la spinta alla liqui dità, proprio quando nel seuore creditizo l'immobilizzazione si era ac cresciuta dopo il tracollo dei titoli e la precaria situazione del settore industriale. Risultarono cosf insufficienti gli istituti creati sotto l'amministra zione di Hoover: la Reconstruction Finance Corporation, istituita con la legge del 22 gennaio 1932, con lo scopo di « offrire facilitazioni ec cezionali agli istituti finanziari e di aiutare il finanziamento dell'agricol tura, del commercio e dell'industria » e la legge Glass Steagall del 27 febbraio 1932, che, per accrescere la liquidità delle banche, autorizzava le Banche federali ad emettere biglietti oltre il limite della copertura aurea del 40 per cento, in base anche a titoli del governo federale e il successivo Federa! Home Act del luglio che aumentava il limite di emissione per le Banche nazionali . Di tale epoca - agosto 19 32 è anche la Commodities Finance Corporation creata con lo scopo di fornire crediti per l'acquisto di merci. La situazione economica reale spingeva i depositanti a ritirare i loro depositi. Sicché il 6 marzo 1 9) 3 si addivenne alla moratoria e col Emergency Banking Act del 9 marzo si autorizzava il nuovo presidente Roosevelt ad adottare mezzi di emergenza e la svalutazione del dollaro. La svalutazione fu ufficialmente proclamata con una ordinanza presi denziale del 20 aprile 19 3 3 che decideva il distacco del dollaro dalla parità aurea prefissata. Il 12 maggio 1933 il presidente era autorizzato a svalutare il dol laro fino al 50% del suo potere di acquisto e subito dopo fu abrogata la clausola oro nei pagamenti. Contemporaneamente venivano autoriz zate altre misure espansionistiche. Dopo alcuni mesi di fluttuazione del dollaro, il Gold Reserve Act del gennaio 1934 fissava un nuovo prezzo dell'oro a 35 dollari per oncia e con ciò un nuovo contenuto aureo del dollaro che rappresenta una svalutazione del 59 per cento rispetto al valore aureo precedente e de cretava una stabilizzazione di fatto. Importante fu la dichiarazione di Roosevelt che l'abbandono della parità aurea dell'aprile 1 93 3 fu attuata deliberatamentf e non come avvenne in altri paesi sotto la pressione di -
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avvenimenti « piu forti della volontà ». Si trattò cioè di una manovra monetaria intesa a provocare un aumento di prezzi ( si voleva almeno un livello del 1 926 ) . Il nuovo regime aureo rimaneva infatti un regime elastico, nel senso che il prezzo dell'oro poteva essere variato per deci sione del Tesoro . L'oro esistente veniva infatti passato al Tesoro, che rilasciava in cambio dei certificati. Veniva abolita la libertà di coniare oro e la "convertibilità dei biglietti. Queste misure monetarie venivano inquadrate in una serie di provvedimenti che costituirono il New Dea/, di cui leggi basilari furono l'Agricultural Adjustment Act e il National Industriai Recovery Act. Nel 1 935 il Federai Banking Act trasformava il Federai Reserve Board nel Board of Governors of the Federai Reserve System, composto di sette membri di nomina presidenziale. Rendeva cosi il sistema federale uno strumento piu diretto della nuova politica monetaria del Tesoro. L'Exchange Stabilization Fund con la vendita e l'acquisto di oro poteva colJ_lpiere e un'�zione di stabilizzazione dei cambi e di sterilizzazione dell'oro ai fini del mercato interno. La fissazione del1e riserve che J.e banche affili·ate al sistema avevano l'obbligo di depositare presso le banche della riserva federale, permet teva di regolare di volta in volta la base della moneta creditizia. Il sistema è rimasto nella sua sostanza anche nel secondo dopoguerra. L'oro ha mantenuto il suo prezzo « politico » di 35 dollari per oncia, anc'he se il livello dei prezzi si ·era raddoppiato già alla fine della guerra, ossia anche se il dol1aro s·i era svalutato di fronte alle altre merci. Cioè oggi è
il dollaro che determina il prezzo dell'oro e non l'oro il prezzo del dollaro.
Il sistema tedesco I l sistema tedesco, 1stttu1to con Devisenverordnungen stabili in vece il monopolio della domanda e della offerta di moneta, e rappresentò quindi un altro tipo di manovra monetaria. La grande crisi ebbe in Germania e nei paesi dell'Europa centrale e danuoiana aspetti particolari. Da un punto di vista monetario essa si manirestò con un rapido ritiro di capitali, che provocò una forte pres sione sulle monete, e, per i paesi danubiani, con una drastica riduzione dei prezzi agricoli che rese impossibile per quei paesi esportatori di prodotti agricoli il saldo della bilancia commerciale. La crisi credi tizia .si iniziò nel 1 9 3 1 con il crollo della Credi tanstalt, a cui segui quello di altre numerose banche. In Germani·a rn breve tempo furono ritirati due miliardi di marchi, per quanto il saggio dello sconto venisse por tato in luglio addirittura al 20 per cento.
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La Germania e i paesi dell'Europa centrale avevano conosciuto subito dopo la prima guerra mondiale una inflazione spaventosa. Troppo recente ne era il ricordo, perché fosse possibile scegliere una manovra monetaria di tipo inglese, con fluttuazioni della moneta regolata dal livello reciproco dei prezzi e dall'azione di un fondo di stabilizzazione e da controlli moderati sui movimenti di capitali e sul commercio con l'estero. D'altra parte il regime apertamente fascista preferiva una solu zione che accentrasse apertamente maggior ·potere nelle mani dei ceti monopolistici dominanti. Si addiviene cosI ad un monopolio del commercio dei mezzi di pagamento, in modo da regolare strettamente la domanda e l'offerta dei mezzi di pagamento nazionali e stranieri. Naturalmente ciò esigeva misure drastiche, che nel campo del movi mento dei capitali furono costituite dalle moratorie e dalle transfermo ratorie. Nel primo caso fu sospeso il pagamento dei debiti verso l'estero; nel secondo il pagamento fu permesso in moneta nazionale non esporta bile, che doveva essere depositata in conti speciali. Vi era poi un rigido controllo delle divise; e un intervento nei movimenti commerciali co stituito da limitazioni delle importazioni con contingentamenti e con l'istituzione di clearings bilaterali. Il monopolio ( att1;1ato in genere dalla Banca nazionale) si estendeva a tutti i mezzi di pagamento, qualunque forma avessero: banconote, assegni, vaglia, ecc. e a tutti i valori monetari, titoli, azioni, ecc. Scopo di tale monopolio doveva essere - all'inizio - quello di mantenere la moneta al livello fissato nella legge di stabilizzazione. Le valute e in genere i mezzi di pagamento stranieri dovevano per tanto essere denunciiati e ceduti alla Banero il 18 novembre 1%9, nonché la Relazione del 30 maggio 1970.
XXXIII. I sistemi monetari dopo la seconda guerra mondiale
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monetaria; 2 ) ad accettare parità mobili o striscianti (crawling peg); a creare, con i diritti speciali di prelievo, una nuova liquidità avente come base sostanziiale i•l dollaro� in quanto moneta mondiale. Tutto ciò tende a creare un &istema ancor piu v·anraggioso per gli Stati Uniti, facendo sempre piu del dollaro la moneta mondiale per eccellenza, base del sistema monetario, in quanto liberata 11,nche dall'obbligo di essere convertita in oro.
Naturalmente questa non può essere una soluzione defin itiva. Le contraddizioni reali dell'economia capitalistica mondiale si accrescono 1 il disavanzo della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti permane, si accrescono i contrasti tra gli Stati Uniti e gli altri paesi capitali stici, per cui si tratta di una soluzione provvisoria che non potrà a lungo durare.
La lenta inflazione Un altro fatto deve essere sottolineato, perchè riconferma una nuova caratteristica dell'imperialismo, come già rilevavo nel 1 946 2 • E cioè che in ogni caso la politica di moneta manovrata è in tutti i paesi imperniata sulla lenta svalutazione deHa moneta e sulla insta bilità dei rapporti di cambio fra le varie monete. Ciò risulta da quanto si è già detto. Risulta anche chiaro che è assurdo parlare di « inflazione da costi » o « inflazione da domanda ». Sono queste esercitazioni acca demiche per difendere tesi di classe e nascondere il carattere istituzionale della lenta inflazione, anche se è certo che ogni spinta inflazionistica piu forte può essere analizzata nelle sue cause piu immediate. Guai però dimenticare le cause strutturali e dimenticare, come testimonia anche la guerra dei saggi di interesse in corso e i movimenti crescenti dei capitali, che la base della lenta inflazione sta nell'azione del capitale monopoli stico dominante per alterare in suo favore il rapporto salario-profitto e interesse-profitto, cioè tener alto il saggio di profit to. Data la struttura attuale del capitalismo, ciò è possibile appunto grazie anche il continuo svilimento della moneta, che si accentua proprio quando si accrescono
I Vedi anche la relazione di PESENTI al ricordato Convegno su « II capita E�mo italiano e l'economia internazionale ,., Editori Riuniti, 1970. 2 PEsENTI, Una nuova caratteristica dell'imperialismo La moneta manovrata, in Critica economia, 1946; Una interpreta%ione dell'infla%ione, conferenza tenuta a Caracas, Università, giugno 196.5, m Studi di economia e finan%a, Pi•, 1966. -
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Economia monetaria
i saggi di interesse o, per la lotta della classe operaia, aumentano i salari in modo ritenuto eccessivo dai capitalisti, o il capitale finanziario ritiene necessario un piu forte tasso di accumulazione. Come dimostra chiaramente l 'esperienza vissuta dopo la seconda guerra mondiale, l'espansione monetaria voluta dal capitale monopo listico fissa sempre nuovi e piu bassi livelli base della moneta e su questi nuovi livelli si oscilla sempre tra i due scogli della deflazione e dei peri coli inflazionistid, che di tanto in tanto, appaiono ai gruppi dominanti piu urgenti e consigliano una serie di misure restrittive monetarie e creditizie. Nell'-i1nsieme si attua cosi, come si è detto, una progres·siva svaluta zione monetaria piu o meno lenta con aumento di prezzi e qualche vo1ra con salti, per svalutazioni ufficiali. Tali svalutazioni come già abbi.amo detto, comportano la riduzione reale dei saggi di interesse e dei salari. Non solo, ma roppresentano una svalutazione del capitale nazionale nel suo insieme. Come una società di capitali svaluta a suo capitale, quando è in crisi e hÌì'subfto perdite e ciò fa per ottenere sulla nuova base un saggio di profitto sufficiente, cosi il capitale monopolistico dominante con la svalutazione monetaria svaluta tutto il capitale nazio nale, attua una brusca deflazione, riduce di un colpo i salari e gli inte ressi reali, specie nei confronti internazionali. Ciò già si è visto, descri vendo le esperienze dei singoli paesi, in particolare dell'Inghilterra; il capitale monopolistico carica cosi su tutta la società e in particolare sui lavoratori e sui piccoli risparmiatori le .perdite, pur di non abbas sare il suo saggio di profitto. Secondo i dati pubblicati dagli Istituti centrali di stQtistica, dalle tabelle che di tanto in tanto .pubblicano le ricordate Relazioni periodiche della Banca dei regolamenti internazionali, la lettera mensile della First National City Bank of New York o altri bollettini bancari, risulta che la svalutazione regolare annua della moneta oscilla nei vari paesi capitalistici e in diversi periodi tra il 2-3 % annuo, come minimo e il 6-7 % come massimo, con cifre piu elevate in caso di crisi mone tarie vere e proprie 1 • Per quanto riguarda il nostro paese sono da consultare le Rela zioni piu volte ricordate della Banca d'Italia, le pubblicazioni del l 'Istituto di statisti'Ca e tra esse quella sul Valore della lira. 1 Si veda anche Annua/ Report 1969 del FMI e la citata relazione cli Pl!Sl!NTI.
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L'esportazione dei capitali Per avere una piu chiara v1S1one della instabilità dei vigenti sistemi monetari e dei rapporti economici internazionali che ne sono al-la base, occorre ritornare ancora sui nuovi aspetti che presenta il fenomeno caratteristico nell'imperialismo dell'esportazione dei capi tali, di cui qualche cenno abbiamo già fatto. Abbiamo ricordato che nella prima fase dell'imperialismo, la esportazione dei capitali avveniva in assoluta prevalenza attraverso esportazioni di capitali cosiddetti ·privati. Gli investimenti esteri erano diretti in linea principale verso settori di produzione di materie prime o servizi e in buona parte verso paesi sottosvi.Juppati. Anche allora si verificava il fenomeno che i profitti ricavati dall'investimento erano tali da ripagare rapidamente il capitale investito e da determinare un flusso attivo verso il pa,-se investitore 1 •
Già col subentrare della crisi generale del capitalismo, dopo la prima guerra mondiale, acquistarono però maggiore importanza gli investimenti di capitali pubblici o garantiti . dallo Stato, altra espres sione dell'intervento dello Stato o del capitalismo monopolistico di Stato. Questi prestiti divengono col tempo sempre piu legati a clausole · politiche e guardaino meno alla redditività economica immediata, quanto alla redditività economica complessiva. Il singolo capitalista agisce anche negli ·investimenti privati tra mite lo Stato e i suoi interessi quale esportatore di capitali sono garantiti. Nelle esportazioni di capitali pubblici lo Stato, come ab biamo visto, trae i mezzi per il « prestito » o « dono » all'estero con la tassazione, che colpisce tutti i cittadini, anche non capitalisti. Il prestito o dono si esprime però sempre in merci, che rappresentano tante ordinazioni fatte al capitalista nazionale tramite lo Stato. Si determina cosf una corrente di esportazione ( o un mel'C'ato ) , che altri menti non vi sarebbe e che diviene piu conveniente rispetto ad un investimento privato, il quale nella instabilità può andar incontro agli inconvenienti della « nazionalizzazione » o di altre perdite. Sicché i prestiti o doni pubblici, legati a clausole politiche, per cui invece di una impresa singola si tende ad acquistare un intero
1 K. A. CAIRNCROSS, Home and foreign Investment 1870-1913, Cambridge
Un. Press . , 1953, H. W. SINGER, The distribution o/ gains between investing and borrowing countries, in Papers and Proceedings, Am. Ec. Associal!ion, 1950.
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Economia monetaria
paese, una i n tera economia nazionale, assumono una importanza rile vante e per lungo tempo hanno superato per entità, soprattutto per gli Stati Uniti, gli investimenti privati di capitale. Dal 1 945 al 1 956 gli Stati Uniti avevano concesso piu di 45 miliardi di dollari in doni come abbiamo già detto e 12 miliardi in prestiti compresi i 4,5 mi liardi dati dall'Import Export Bank, mentre gli investimenti privati dal 1 945 al 1 953 compreso non avevano raggiunto i 7 miliardi. Ciò anche se la bilancia dei pagamenti sta tunitense aveva segnato ogni anno avanzi. Negli anni successiv i , come abbiamo già ricordato, la media delle esportazioni di capitale di origine pubblica è stata di circa tre miliardi di dollari all'anno e le esportazioni di capitale privato di una somma non dissimile, anche se in genere sup�riore, naturalmente senza tener conto delle spese militari all'estero. È ancora di ricordare che se gli investimenti delle società americane all'estero nel decennio 1 957-1 967 sono stati di circa 60 miliardi di dollari ( di cui 18 in Europa), nella cifra non sono sempre calcolati · i profitti reinvestiti. Il patrimonio statunitense all'estero si valuta ora ( 1 969 ) attorno ai 1 00 mi,Liardi di doHari, alle cifre di biJ.anoio, ma è certamente superiore. L'esportazione di capitali privati è stimolata da facilitazioni sta tali. In tutti i paesi esiste una legi:slazione che favorisce l'esportazione di capitali, specie quando essa si presenta sotto forma di esportazione di attrezzature .industriali con pagamento dilazionato da parte del paese debitore, sia con garanzie sussidiarie sui ere sia con parte cipazione sugli interessi.
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La esportazione di capitali privati avviene nelle varie forme. La forma finanziaria diretta, attraverso il mercato dei capitali, mediante emissione di azioni o di obbligazioni che era andata decadendo si è fortemente sviluppata, come si è visto, col mercato dell'eurodol!aro, nell'epoca piu recente; continua però a prevalere la forma di intervento
economico diretto, apporto cioè diretto di capitali per costituzione cli im prese o intervento in imprese già esistenti, ecc. I noltre tale esportazione di capitali tende a concentrarsi in imprese basilari o nelle industrie nuove dell'avvenire e che offrono alti profitti. I profitti ripagano rapidamente il capitale investito e cosi determinano un flusso contrario.
The
Secondo dati ufficiali, riportati nella interessante pubblicazione politica! economy of american foreign poUcy (Holt, New York,
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1 955 ) , il rapporto tra investimenti e redditi negli Stati Uniti sarebbe stato il seguente, in milioni di dollari.
investimenti privati al netto dei rimborsi
reddito da essi, esclusi gli utili investiti
454 1 945 1 946 59 810 1 947 1948 748 796 1949 1 .1 68 1 950 1 95 1 963 1952 831 517 1 953 1 962 proiezione 1 . 100
entrata netta di fondi negli USA
1 15 725 260 512 500 456 826 784 1 . 1 32 2 .750
569 784 1 .070 1 .2 60 1 .296 1 .624 1 .789 1 .6 1 5 1 .649 3.850
Come si è visto l'andamento previsto in questa pubblicazione è stato largamente superato dai dati reali, che hanno denunciato una piu forte esportazione di capitali e un ancor piu forte accrescersi degli utili derivanti dagli investimenti esteri e del loro rientro. Mentre l'espor tazione di capitali privati si è stabilizza ta, come si è visto, sui tre mi liardi di dol1ari all"anno, •l'entrata netta dagli investimenti all'estero è passata negli USA da 4,2 miliardi come media a·n:nuale dal 1961-65 a 5 ,2 nel 1966, a 5 ,7 nel 1967 , a 6,145 nel 1968. Tale andamento, del resto illustrato da altri studi 1 , deriva non
t Uno studio compiuto anni fa dalla Chase National Bank sui profitti di trenta società petrolifere ha rilevato che mentre gli investimenti nel campo petroHfero rappresentavano il 30 per cento degli investimenti totaJ.i, ghl utili rappresentavano il 43 per cento del totale dei profitti, perché il saggio del profitto all'estero era note volmente piu elevato. Sempre per le società petrolifere infatti si avevano per il 1951-52 i seguenti dat i : Investimenti
1951 1 952
PrrJfitti
negli USA
all'estero
totale
negli USA
all'estero
totale
2.242 2.654
298 446
2.540 3 . 1 00
1 .392 1 .546
628 544
2.020 2.090
Anche un Rapporto del Comitato economico dell'UECE sugli investimenti privati americani in Europa aveva confermato che il flusso totale dell'investimento
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Economia monetaria
soltanto dalla differenza che esiste spesso tra il saggio del profitto negli USA e in altri paesi anche dell'Europa 1 , quanto da una strategia eco nomica generale, che spinge i gruppi monopolistici dominanti a conqui stare il dominio internazionale in alcuni settori importanti, specie in quelli di avanguardia. La differenza dei saggi di profitto non è cioè l 'incentivo piu impor tante. Avviene spesso che per un certo periodo di tempo, per conqui stare il mercato o essere presenti in esso, si sopportino anche perdite ( caso deHe società di distribuzione del petrolio ) , piu o meno temporanee per vincere la concorrenza monopolistica e se possibile eliminare o impadronirsi dell'avversario. Queste perdite sono d'altronde ridotte non solo per i maggiori profitti ottenuti in altri settori del gruppo, ma anche perché le spese generali, di propaganda ecc., gravano sulla so cietà madre. L'esame degli investimenti per settore produttivo e geografico .conferma che essi si concentrano in prevalenza verso attività di sfrutta mento di risorse naturali (per il 60 per cento). La concentrazione degli investimenti in questo settore rivela chiaramente l'azione dei maggiori gruppi monopolistici per raggiungere il dominio del mercato mondiale. Un esempio è s tato illustrato dal Rapporto dell'OECE sul prezzo dei ·prodotti petrolifer.i e sull'attività delle sette sorelle, cioè delle sette grandi compagnie petrolifere mondiali. Seguono a distanza il settore cinematografico, chimico e automo bilistico. Nei tempi piu recenti, specie dopo il boom degli investimenti ame ricani in Europa che da 1/7 degli investimenti totali, come erano nel 1 950 sono passati ad 1/3 nel 1 966, la penetrazione piu importante è nei settori in sviluppo, in particolare nell'elettronico ( si ved\ �o svi luppo dell'IBM), ciò che ha destato gravi preoccupazioni in tutti i paesi capitalistici, anche per l'accrescersi del divario tecnologico, dovuto anche
a lungo termine dei capitali privati ami!ricani era stato dal 1948 al 1953 in totale di circa 688 milioni di dollari, il profitto totale era stato di 1 .914 milioni di dollari, ossia il 300 per cento. Di questi, 904 milioni erano stati reinvestiti in loco e 1 .010 erano rimpatriati negli USA. Altre indagini hanno confermato eh,· circa un terzo del profitto viene reinvestito, l'altra parte viene rimpatriata. 1 Uno studio compiuto dalla Societé de Banque Suisse (Bulletin, Dee. 1960) ci dice che un quarto delle importazioni statunitensi proviene da imprese ameri cane installate all'estero, le quali danno oltre tutto un profitto superi()re a quello delle imprese statunitensi (secondo i dati del 1959 10% negli USA, 1 1 % media estera, 13% in Europa). Studi successivi hanno affermato che oggi la produzione industriale derivata dagli investimenti americani all'estero è dell'ordine di grandezza della produzione totale tedesca o giapponese.
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agli stimoli apportati dalla ricerca spaziale, concentrata negli USA e nell'URSS. Il problema degli investimenti americani all'estero diventa sem pre piu grave per due motivi. Il primo per Ia dimensione di questi investimenti rispetto ·alla dimensione dell'economia del paese in cui essi si isralla:no. Il secondo perché, essendo il dollaro la moneta base del sistema monetario mondiale, ess.i possono avvenire anche attraverso il deficit della bilancia dei pagamenti. Circa il primo punto basta far notare che un miliardo di dollari di investimenti in un anno, significherebbe per. esempio per l'ltalioa una somma quasi uguale a tutti gH investimenti industriali netti, mentre per l'economia degli USA rappresenterebbe sf e no un ottavo di essi. Circa il secondo punto è da far notare che una esportazione di cap1tale che comportasse un deficit della biia.ncia dei pagamenti non potrebbe in nessun altro paese perdurare a lungo : diverrebbe necessarPit una svalutazione monetaria. Gli Stati Uniti possono permetterselo in quanto il dollaro è la moneta-base e possono cosi esportare dollari-carta infla zionati sempre di piu e con questi comperare beni reali. Se il problema degli investimenti americani è il piu importante per i suoi effetti economici e monetari, non si deve dimenticare che altri paesi capitalistici hanno ripreso in pieno la loro funzione di esportatori di capitale, superando la stessa Inghilterra. In particolare la Germania, che ha da tempo una bilancia dei pagamenti attiva, ma, per motivi economici, fiscali e politici anche l'Italia, che negli ultimi anni ha visto un esodo di capitali, come si è ricordato poco fa, veramente imponente. · Da un punto di vista economico e ancor piu giuridico, gli investi menti di capitale all'estero si concretano nella acquisizione di diritti di proprietà e di diritti di credito e si distingu�no in investimenti diretti e di portafoglio. Nel primo caso l'investitore interviene nella gestione della attività produttiva, oggeuo dei suoi diri tti di proprietà, nel secondo caso intende godere gli utili che derivano dal suo diritto di proprietà. Una chiara definizione di tale distizione è data dalle Nazioni Unite 1 : « Si intende per investimenti diretti o investimenti di impresa, gli inve stimenti effettuati in imprese (generalmente succursali o filiali ) control late dalle imprese del paese esporratore di capitali. Gli investimenti in titoli {piu spesso obbligazioni ) posseduti in maggioranza da capitalisti che non esercitano controlli sulla gestione sono indicati con la dizione di investimenti di portafoglio o investimenti finanziari ( placements ) » . I Département des questions économiques, pubblicazione E 2.531 ST/ECA/22.
Economia monetaria
Ques ta dis tinzione, anche se non sempre economicamente esatta, in un'epoca in cui domin a il capitale finanziario, sta alla base della legislazione sui capitali stranieri in molti paesi, per esempio in Italia. Queste esportazioni di capitale rappresentano investimenti di lunga durata. Vi sono, com'è noto, investimenti anche a termine breve : rap presentano movimenti di capitale che conservano un alto grado di liqui dità e soflo in genere mossi da intenti speculativi. Anche questi investi menti sono in rapido aumento, specie negli ultimi tempi.
È da tener presente che, specie i movimenti di capitale di origine pubblica, per la instabilità monetaria esistente hanno dato origine ad organismi di controllo e finanziari statali ( ECA, MSA, FOA, ecc.) e per le organizzazioni internazionali - ad Istituti particolari interna zionali : Banca irntemaziona,le di _ ricostruzione e sviluppo ( BIRS ) , l'Isti tuto finanziario internazionale ( I . Fin. Corp. ) , IDA ( lnt. Dev. Ass . ) e altri organismi sono sorti collegati al "MEC. In particolare, importanza crescente ha assunto il programm� di aiuto finanziario ai paesi sottosviluppati, nell'ambito dei quali piu intensa si svolge la competizione · pacifica tra i due sistemi economici in cui il mondo è diviso. Cosi è sorta, nel 1 960, quale espressione della BIRS, la lnternational Development Association, e parte crescente degli investimenti pubblici si d irigono verso i paesi cosiddetti sottosviluppati. I vari istituti ed enti pubblicano ricche relazioni che il lettore deve seguire per tenersi al corrente di questi importanti fenomeni economici.
BIBLIOGRAFIA È consigliabile approfondire una particolare esperienza ;nonetaria / ( cambio della moneta, storia della sterlina, ecc.). Oltre le opere già citate e le pubblicazioni ricordate nel corso del capitolo si consigliano le seguenti :
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XXXIV.
Struttura del mercato monetario i taliano
L'ordinamento monetario italiano Le vicende che noi abbiamo descritto nel loro aspetto piu gene rale, si riscontrano nell'esperienza italiana. L'ordinamento monetario dello Stato italiano fu stabilito con la legge del 24 agosto 1 862 n. 786. Moneta nazional:e divenne la lira, di valore corrispondente a 0,32258 gr. di oro coniato e 0,2903254 gr. di oro fino. La facoltà di emissione era riconosciuta, come abbiamo ricordato, a sei istituti, che in seguito nel 1 893 divennero tre. La Banca d'Italia sorse nel 1 893 dalla fusione della Banca nazionale con la Banoa nazionale toscana e la Banca toscana di credito e dalla liquidazione della Banca romana e divenne cosi l'istituto prin cipale di emissione; fino al 1 926 rimasero istituti di emissione anche il Banco di Napoli e il Banco di Sicilia. Il sistema monetario italiano a ttenuava la rigidità del sistema tipo inglese, in quanto la legge del 1 893 fissava un limite massimo normale alla emissione e una coper tura del 40% , ma il limite poteva essere superato, nel qual caso s i _ doveva pagare un 'imposta progressiva. Fino all'agosto 1 9 1 4 il limite massimo normale per la Banca d'Italia fu fissato i n 660 milioni di lire e il minimo in copertura metallica in 400, per il Banco di Napoli 200 e 1 20, per il Banco di Sicilia in 48 e 28. Allo scoppio della guerra i massimi furono subito aumentati. Al 30 giugno 1 926 la circolazione globale dei tre istituti era salita a 1 7 .880 milioni. Le vicende a volte clamorose della lira italiana e degli istituti di emis sione sono descritte in tre opere la cui lettura raccomandiamo: nel libro del Supino, Storia della circolazione cartacea in Italia dal 1 860 al 1 928, del Lanzarone, Il sistema bancario italiano e del Di Nardi, Le banche di emissione in Italia nel sec. XIX. A noi basta ricordare solo gli elementi essenziali di tali vicçnde.
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Economi.i 111onct.iri ' »
L.
Capitale sociale Fondo di riserva ordinario Fondo di riserva straordinario
»
300.000.000 9.239 .754.963
»
6.392.7 1 5 .272
L.
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5.389.85 4 . 1 95.000 1 1 0.275.33 7 . 152 1 86.347 .097 .059 2 .424.425 .325.739 775 .026.434.9 1 1 97 1 .355.460 8 .886 .899 .745.321
1 5 .9 32 .470.235 8 .902 .832 .2 1 5 .556 8.089 . 1 48.560.237 L. 1 6 .9 9 1 .980.775.793 » 2 .972. 2 64.2 1 6 L.
Depositanti
»
Partite ammortizzate nei passati esercizi Totale generale
L . 1 6 .994".953 .040.009
Da una piu dettagliata situazione a fine 1 968 1 , risulta che gli im pieghi a favore del Tesoro hanno raggiunto il 3 1 dicembre 1 968, la cifra di 2 . 8 1 8 mi·liardi, per cui l'incidenza sul totale delle attività è sali ta al 3 1 %. In questa voce è da notare che gli ammassi obbligatori e gli acqui sti grano avevano raggiunto la cifra di 830 mil iardi, mentre i titoli supe ravano i mille miliardi. Gli impieghi a favore del. sistema creditizio (anticipazioni, portafoglio ), avevano raggiunto la cifra di 1 .828 miliardi, gli impieghi a favore dell'estero e oro 1 .834 miliardi. Non minore im portanza per la politica della banca hanno, com'è noto, le voci del pas sivo, in particolare i depositi del sistema creditizio, che, come riserva obbligatoria, raggiungevano il 3 1 dicembre 1 968 e i 2 . 4 1 2 miliardi. La circolazione monetaria di banca e di Stato era alla f·ine del 1960 circa 1 1 5 volte quella anteguerra, alla fine del 1 968, circa 260 volte. Naturalmente, se si tiene conto del rapporto circolazione-reddito nazio nale, si nota una relativa costanza 2 •
dcl
I Vedi in panicolare pp. 201 e 225 deHa citata Relazione della Banca d'Italia 31 maggio 1969. V. P. PETTENATI, Aspetti monetari e finanziari dello sviluppo Un quadro
2
-
638
Economia monetaria
La politica monetaria tra le due guerre Dopo la stabilizzazione legale del 2 1 dicembre 1 927, la salvaguar· dia del nuovo valore monetario fu attuata mediante i tradizionali stru menti e mediante una dura politica di deflazion.:!, che si attuò anche con drastiche misure a danno dei lavoratori , che subirono riduzioni legali di salario e di stipendio, possibili solo per la dittatura fascista imperante 1 • . La grave crisi dell'economia i taliana e la crisi mondiale, le svalu tazioni della sterlina, del dollaro poi e di altre monete, la decisa prepa razione alla guerra, iniziatasi col 1934, che dov�va necessariamente por tare alla fine della politica di deflazione, furono fatti che spinsero il governo fascista di allora a mutare la politica monetaria e commerciale del paese, ad adottare un rigido controllo valutario e degli scambi con l'estero. Delle tre strade cioè, che abbiamo indicato, il governo fascista scelse la strada di tipo tedesco, basata sul monopolio del commercio delle valute e sul rigido controllo del commercio estero e del movimento dei capitali . Nei rapporti commerciali numerose disposizioni , iniziatesi col RDL 2 1 dicembre 1 9 3 1 n. 1574 e 1680, aggravate con le norme piu importanti del RDL 14 aprile 1 934 e decreti ministeriali successivi , specie DM 1 6 febbraio 1935 e 11 novembre 1935, e il RDL 20 maggio 1 93 5 n. 674 e il R D 28 luglio 1935 , introdussero sistemati· camente divieti di importazione; limiti ad esse, in _ genere stabiliti con quote percentuali sulle importazioni degli anni precedenti, cioè contin gentamenti e il regime della licenza, cioè elenco di merci da importarsi solo con autorizzazione ministeriale. Queste limitazioni si aggiungevano, naturalmente, agli ostacoli posti dai dazi doganali, che pure furono ele vati. Furono anche istitui ti monopoli di importazione, nel 1935, per alcune materie prime fondamentali (carbone fossile, rame, stagno, nikel, oro, banane), sicché l'importazione di merci poteva suddividersi:
statistico, in L o sviluppo economico i 11 Italia, v. II, Milano, Franco Angeli, 1969 e Relazione Banca Italia cit. p. 219. Crediamo utile riportare qui anche i dati sulla liquidità, tratTti dalla Relazione della s.ituazione economica del 1969, Ali. 58 (vedi tabella a p. 639). 1 Le vicende della politica economica e monetaria fascista sono ste.te illustrate in breve in una lezione da me tenuta all'Università di Siena. Si veda anche GUARNIERI, Battaglie economiche, Milano, 1953; E. Ros s i , I padroni del vapore, Laterza, 1954.
ALLEGATO N. 58
Liquidità primaria e secondaria � :>< :>
O . Il problema è certo complesso, abbiamo voluto dare qui solo alcune indicazioni. Non trattiamo neanche in modo esplicito, anche se vi è un accenno nel testo ( cfr. cap. XLIX), del tema della programmazione lineare. Anche in questo caso si tratta di raggiungere un obiettivo di massimo o di minimo, tenendo presente che le variabili non possono assumere valori negativi, quando le variabili della scelta, che sono piu di una, sono legate da relazioni di primo grado o lineari. Riteniamo, ai fini della lettura del testo, di non affrontare qui il problema matematico. Cosi, anche se molto importante, non intendiamo affrontare qui un altro grosso problema, collegato al calcolo combinatorio e dei determinanti. È pure questo un tema di grande interesse, perché le proprietà di un determinante e it calcolo di essi trova, e a mio parere può trovare ancor piu, feconde applicazioni in economia, specie nei problemi dello sviluppo economico. Il concetto di determinante presuppone la conoscenza del fenomeno della permutazione, ossia del mutamento nell'ordine di un certo numero di oggetti. Se rappresentiamo quattro oggetti con i numeri 1 , 2, 3, 4, essi cioè possono essere disposti secondo questo ordine, ma anche secondo l'ordine 2, 1 , 3 , 4 ; 3 , 1 , 2, 4, ecc. Esso presuppone il concetto di matrice, ossia di una tabella in cui siano scritti certi numeri ( riferentesi a fenomeni in questo caso economici) distribuiti in certo numero di righè, in modo che ogni cifra contenga tanti numeri quanti ne contiene una qualunque delle altre. I numeri che nelle varie righe occupano lo stesso posto si fanno corrispondere in colonna e il tutto si chiude tra due barrette verticali. Le matrici possono essere quadrate o rettangolari. Sono quadrate quando il numero delle righe è uguale a quello delle colonne, come per es. tre righe e tre colonne e allora si può attribuire un numero che rappresenta il determinante. In genere si adopera (come
Nozioni elementari matematiche
703
si sa negli schemi pluriscttoriali - cfr. cap. XLIX) la lettera a, o altre, con due indici. Ad es. : au az1 a32 aJ1 a11 Le matrici quadrate sono particolarmente importanti, ripetiamo, perché ad ognuna di esse si può far corrispondere un valore numerico detto « determinante della matrice ». I determinanti hanno proprietà e regole di calcolo ( ricordo la regola del Sarrus per i determinanti di terzo ordine) che, ripeto, possono offrire spunti interessanti anche all'economista. Per gli scopi per cui è stata scritta la presente appendice, credo opportuno fermarmi qui. Spero solo che i pochi e insufficienti accenni dati siano cosi stimo lanti da invogliare il lettore ad approfondire il tema, consultando almeno le opere citate. •
I
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Appendice
II
Microeconomia L'impostazione soggettivistica
m
di
Gianfranco
La
Grassa
economia
Introduzione I . La scuola soggettivistica: scopo cli questa appendice
2. Brevi considerazioni intorno all'impostazione metodologica della 9Cl.lola neoclassica -
1 . La scuola soggettivistica: scopo di questa appendice Questa appendice è dedicata all'illustrazione di alcuni aspetti fonda mentali dell'impostazione soggettivistica in economia. Molto spesso parle remo di teoria o di dottrina marginalistica; questo perché la scuola soggettivistica ha raggiunto i suoi migliori risultati e la sua maggior maturità applicando l'analisi al margine ( molto spesso con ampia utiliz zazione degli strumenti matematici). Marginalismo e impostazione sog gettivistica non sono espressioni equivalenti, ma il primo ha rappre sentato, almeno da un certo momento in poi, un aspetto fondamentale della seconda, talché quest'ultima non sarebbe ciò che è, se non fosse stata basata su concetti marginalistici. Parleremo spesso anche di scuola neoclassica, che è dizione larga mente usata dagli economisti (e dagli storici del pensiero economico), per indicare l'indirizzo metodologico che ha prevalso largamente a partire dal 1 870 nella scienza economica, almeno in quella « ufficiale » e acca demica. Tale prevalenza è oggi fortemente contrastata, anche se i nuovi indirizzi « ufficiali » sono abbondantemente influenzati da con cetti marginalistici. . L'impostazione soggettivistica ha una lunga storia ed esisteva già all'epoca dell'economia classica (ed anche prima). Essa conobbe però _ la sua massima fioritura, come abbiamo appena detto, a partire dal 1 870 1 , quando si fece ampio uso dell'analisi al margine, analisi che 1 f: intorno a quest'epoca che Men_ger in Austria, . Marshall in lnghtlterra e W�ll� in Francia giungono ad elaEìOrare una teoria dell'eqiiffibrio, teoria che rappresenta l'aspetto essenziale dell'impostazione cli cui stiamo trattando. Questi aurori giungono a cerci risultati indipendentemente l'uno dall'altro ed in modo formalmente differente; ma non vi è dubbio che l'impostazione che presiede al
708
Appendice II: Microeconomia
parte da una struttura data e considera mutamenti di piccola entità di una o piu variabili che caratterizzano questa struttura. Non ricercheremo in questo scritto una esauriente compiutezza, non necessaria, d'altronde, ad un primo e provvisorio approccio a questa dottrina. Nemmeno tenteremo di seguire lo sviluppo della teoria neoclassica attraverso i contributi che vari studiosi apportarono al suo perfezionamento e al suo affinamento teorico. Intendiamo soltanto sotto lineare alcune tappe essenziali di tale eleborazione ed i risultati principali che sono stati acquisiti. Questa appendice ha poi carattere integrativo rispetto al testo. In questo si trovano considerazioni sufficienti intorno all'impostazione soggettivistica in economia. Il nostro fine sarà, quindi, quello di sviluppare ulteriormente alcuni concetti, collegandoli tra loro entro un quadro unitario, che ne favorisca l'esatta comprensione. Dato il nostro scopo elementare e di primo assaggio, eviteremo - per quanto sarà possibile - l'appesantimento del testo con una eccessivamente ricca formulazione matematica, che spesso scoraggia il lettore ( soprat tutto se di cultura umanistica ) e lo allontana dallo studio di una materia che a lui risulta essere ermetica e desolatamente arida. Utilizzeremo ampiamente - questo ci sembra indispensabile - l'illustrazione grafica e, in alcune occasioni, non potremo esimerci dal dare per scontata la conoscenza di alcuni elementari concetti dell'analisi infinitesimale. Anche in tal caso cercheremo, però, di facilitare la comprensione (o almeno l'intuizione) della sostanza del nostro discorso, i n modo che anche chi non ha particolari conoscenze matematiche possa seguire il nostro argomentare senza eccessiva difficoltà. È evidente che una tratta zione di tipo elementare può lasciare estremamente insoddisfatti coloro che amano la raffinatezza, la rigorosità logica delle argomentazioni. Noi crediamo alla utilità di sacrificare il rigore formale allo scopo di una piu vasta diffusione della conoscenza dei primi rudimenti di econo mia politica secondo l 'impostazione soggettivistica. Coloro i quali saranno attratti da questa materia potranno in seguito continuare le loro ricerche a livelli via via piu elevati, consultando l'ormai conside revole numero di ottimi manuali di economia 1 •
loro lavoro sia fondamentalmente la stessa, per cui vanno considerati come facenti parte di un'unica scuola. Altri eminenti economisti contribuirono allo sviluppo di questa; ricordiamo gli inglesi Edgeworth e Jevons, gli americani Clark e Fisher, gli austriaci BOhm-Bawerk e von Wieser, gli italiani Pantaleoni, Barone e Pareto, gli svedesi Casse! e Wicksell, ecc. I Tra questi vogliamo ricordare alcuni di quelli esistenti in lingua italiana ( ad un livello intermedio di difficoltà): BRESCIANI-TURRONI, Corso di economi.i
..._
1 ntroduzione 2.
70')
Bre11i considerazioni intorno all'impostazio11c metodologica della scuola neoclassica
Il nostro discorso si svilupperà, iniziando dallo studio della teoria SS 1 1 . La
differenza SnS1
rappresenta l'aumento di domand-a di A dovuto al fatto che la
dimi
nuzione di prezzo di tale bene è causa - a parità di reddito monetario di un aumento del reddito reale del consumatore.
appunto indicato con il nome di
«
Questo effetto viene effetto di reddito ».
tamente cancellato in questa impostazione, dato che le diverse combinazioni « indif ferenti � esprimono un certo livello di soddisfazione del consumatore e le varie curve di indifferenza rappresentano differenti gradi di soddisfazione. Il f.atto che �ti livelli e le loro differenze non �ngano quantificati non infirma l afferma zione appena fatta. ·
'
-
VI II.
Reddito del cunsumatore e prezzi dei beni
793
Da quanto è stato detto f.in qui, dovrebbe risultare piuttosto evi dente che l'« effeao di sostituzione » non può essere mai nep:ativo. Si osservi ancora il diagramma n. 3 1 . Per individuare l'« effetto di sosti tuzione » (e separarlo da quello di reddito) noi abbiamo costruito una linea di bilancio ( la N1 M1 1 ) la cui inclinazione è misurata dal rapporto esistente tra i prezzi dei beni dopo fa diminuzione del prezzo del bene A, linea che, però, è tangente alla stessa curva di indifferenza, a cui è tangente la linea di bilancio NM, esistente prima di tale diminuzione di prezzo. Cioè, l'« effetto di sostituzione » si origina dalla diversa indi.nazione delle rette della spesa tangenti ad una stessa curva di indifferenza. Se quest'ultima ha un andamento normale ( cioè la convessità rivolta verso l'origine), una retta con coefficiente angolare minore (che esprime appunto la diminuzione relativa del prezw di A rispetto a quello di B) avrà un punto di tangenza con la curva piu a destra del punto di tangenza di una retta con coefficiente angolare maggiore 1• Cioè, dopo la diminuzione di prezzo, la quantità doman data del bene A per effetto della sostituzione di questo al bene B verrà senz'altro ad accrescersi. È in questo senso che si afferma essere l'« effetto di sostituzione » sempre positivo 2 • In particolari casi, su cui non ci soffermeremo è possibile ritenere nullo l' « effetto di sosti tuzione » ; in ogni caso, "esso non è mai negativo. -
-
4. Prendiamo, ora, in considerazione una seconda soluzione data al problema della separazione dell'« effetto di sostituzione » dall'« ef. fetto di reddito ». Tale soluzione è stata proposta da Samuelson 3 il quale parte da un concetto di reddito reale definito come capacità di ·
acquisto e non come soddisfazione goduta dal consumatore. Mentre in quest'ultimo caso, ogni curva di indifferenza rappresenta un certo livello di reddito reale, seguendo, invece, l'impostazione di Samuelson, il reddito reale di un consumatore rimane invariato, soltanto quanto quest'ultimo è in grado di acquistare, in complesso, una quantità di beni eguale a quella acquistata in precedenza. Naturalmente, non può
I Parliamo di coefficiente angolare maggiore o minore facendo riferimento ai semplici rapporlli tra i prezzi dei beni e wascumndo il segno algebrico. 2 Naturalmente, se il prezzo di A cresce, la positività dell'effetto cli sostitu zione implica che una certa quantità di tale bene venga sostituita con una parte del bene B. l Per qUC!ltil parte si veda A. GRAZIANI, Teoria economica. ci-t., pp. 79 e sgg. e LIPSEY, An introduction to Positive Economics, Weidenfeld and Nicoison, pp. 195 e sgg.
Appendice I l : Microeconomia
794
trattarsi della stessa quantità di tutti i beni, altrimenti non avrebbe senso parlare di effetto di sostituzione al mutare del prezzo di un bene rispetto a quello degli altri. È, però, necessario che - pur mutando le quantità acquistate dei vari beni - la capacità di acquisto rimanga complessivamente invariata. È quindi evidente che, in questo caso, ogni retta della spesa (o di bilancio ) rappresenta un certo livello di reddito reale. Diagramma 32
y N
CD
GI e GI CD
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511
X
B ene A
Partiamo dalla solita considerazione che, quando il prezzo del bene A è p1 , si ha una retta della spesa NM; se il prezzo di tale bene diminuisce a p2 ( supponendo costante il prezzo di B), si ha una retta della spesa NM,. Con la diminuzione di prezzo, la posizione di equilibrio del consumatore passa da C a C1 sulla curva di indifferenza I I I . L a quantità acquistata del bene A aumenta d i SS1 . Anche in questo caso , desideriamo conoscere quanto di questo aumento è dov uto alla diminuzione di prezzo di A e quanto al fatto che tale diminuzione ha comportato un aumento del reddito reale del consumatore, a parità di reddito monetario. È, infatti, evidente che la NM, esprime un reddito reale - inteso come capacità d'acquisto - superiore a quello rappresentato dalla NM. Tracciamo una retta di bilancio N 1 M1 1 parallela alla NM1 e pas sante per il punto C. Se la N 1M 1 1 ha la stessa inclinazione della NM1 ,
VIII. Reddito del consumatore e prezzi dei beni
79,
è evidente che il rapporto tra i prezzi dei beni è lo stesso nei due casi. Cioè, noi abbiamo costruito la N1M 1 1 tenendo conto dell'avvenuta diminuzione del pre7Z0 del bene A. D'altra parte, facendo passare per C la N1Mn , noi abbiamo costruito una retta della six:sa che denota lo stesso reddito reale della NM 1 • La N1M1 1 è tangente alla curva di indifferenza II in Cu, che rappresenta, quindi, la posizione di equilibrio del consumatore, quando varia il prezzo del bene A senza un conco mitante mutamento del reddito reale del consumatore. Possiamo, perciò, affermare che l'aumento SSu della quantità acquistata del bene A è dovuto alla diminuzione del suo prezzo e al conseguente « effetto di sostituzione » di questo bene al bene B. L'aumento S1 1S 1 è stato, invece, causato dall'accrescimento del reddito reale del consumatore, conse guente alla diminuzione del prezw di A ; tale aumento,. quindi, è un « effetto di reddito » . 5. Anche nel caso appena illustrato è possibile dimostrare il teorema della non negatività del!'« effetto di sostituzione ». È stato, anzi, affermato che la soluzione prospettata da Samuelson è da consi derarsi piu vantaggiosa a tal fine di quell� dello Hicks. In effetti, se definiamo il reddito reale in termini di capacità d'acquisto, possiamo prescindere da una qualsiasi funzione di utilità del consumatore. A dir la verità, nel diagramma n. 32 sonO state ancora utilizzate le curve di indifferenza, non nella loro funzione di rappresentare un certo livello di reddito reale {dato che questa funzione non l'hanno piu nella soluzione di Samuelson), ma per individuare la posizione di equilibrio del consumatore. Ora, le curye di indifferenza rappresentano i gusti del consumatore e per costruirle è necessario fare delle ipotesi circa la soddisfazione complessiva fornita al , consumatore dalle diverse combi nazioni dei beni, anche se non è piu necessario supporre di poter cono scere la quantità di questa soddisfazione. Con la costruzione di Samuelson è pos,sibile fare a meno di ricor rere alle curve di indifferenza; cioè è possibile escludere completamente dall'analisi del comportamento del consumatore il problema dell'utilità e della soddisfazione goduta da quest'ultimo. È sufficiente ipotizzare che il consumatore nella sua condotta si attenga a certi criteri. Innanzi tutto, il criterio della coerenza, per cui - a parità di condizioni egli sceglie sempre la stessa combinazione dei due beni e altera le sue -
I Essendo il punto e comune alle due rette, tutti i punti di queste rappre sentano combinazioni d'acquisto dei beni che denotano capacità d'acquisto eguali a quella che il consumarore ha in C e, quLndi, eguali tra loro.
Appe11dice Il: /Hicroeco11omia
796
scelte soltanto al mutare dei prezzi dei beni e del suo reddito. Inoltre, le scelte del consumatore debbono rispettare la proprietà transitiva. Cioè, se tra due combinaz.ioni A e B, il consumatore sceglie A e tra B e C sceglie B, allora si suppone che tra A e C egli scelga .A. Infine, quando il consumatore può accedere a tutta una serie di combinazioni, si suppone che egli preferisca le combinazioni che contengono una quantità maggiore dei due beni a quelle che ne hanno una quantità minore. Diagramma 33
y
B ene A Dati certi prezzi dei beni A e B, la linea di bilancio sia la NM. Si trascura completamente la funzione di utilità dell'individuo, per cui non viene tracciata alcuna curva di indifferenza. L'area del triangolo OMN rappresenta tutte le possibili combinazioni dei due beni, che il consu matore può acquistare con il suo reddito, dati i prezzi di A e B. Natu ralmente, il consumatore, per l'ultimo dei criteri di comportamento ipotizzati poco piu sopra, sceglierà una delle combinazioni poste sulla NM, dato che ne ha la possibilità sfruttando completamente la sua capacità di acquisto ( se scegiiesse una combinazione interna al trian golo ONM, gli rimarrebbe un residuo di reddito non speso). Si sup pone che egli scelga la combinazione rappresentata dal punto C. Non importa il motivo di questa sua preferenza ; conta soltanto il fatto che il suo comportamento è tale da fargli preferi-re la posiz·ione C. Si supponga, adesso, una diminuzione del prezzo del bene A, costante restando il reddito reale del consumatore. Come già sappiamç, tale fatto comporta la costruzione di una linea di bilancio passante per e, ma di inclinazione diversa rispetto alla NM e pari al riuovo rapporto tra i prezzi elci due beni. Tale retta sia la N 1Mì. � evidente che 'il consu matore non può piu disporre, ora, delle combinazioni poste nel trian-
VII I. Reddito del conrumatore e prezzi dei beni
797
golo NCN,. Tutte le combinazioni comprese in N1CMO erano dispo nibili anteriormente alla variazione di prezzo e sono ancora adesso disponibili. Fra tutte queste combinazioni il consumatore aveva scelto in precedenza la combinazione in C; se il suo comportamnto è coerente (cosi come supposto ), egli continuerà a scegliere tale combinazione. Sono, invece. adesso disponibili delle combinazioni, che in precedenza non rientravano nella capacità di acquisto del consumatore; si tratta delle combinazioni comprese in MCM,. Se il consumatore si attiene al solito criterio di preferire le combinazioni con quantità maggiori dei due beni, egli sfrutterà completàmente la sua capacità d'acquisto; in tal caso le combinazioni - che in precedenza non erano disponibili, ma che lo sono ora, dopo la diminuzione di prezzo di A - vengono a situarsi sul tratto di retta CM1. Tali combinazioni comprendono una quantità maggiore o almeno eguale (in C) del bene A rispetto alla combinazione scelta dal consumatore prima della diminuzione di prezw di tale bene. Ricordando che la NM e la N 1M1 sono rette della spesa a reddito reale costante, la variazione positiva (o almeno nulla) della quantità acquistata del bene A dipende dall' « effetto di sostituzione » . Con ciò resta dimostrato che tale effetto non è mai negativo.
6. La costruzione rappresentata nel diagramma n. 33 è stata ampiamente utilizzata nella piu recente teoria della domanda. · Infatti, la moderna teoria economica rappresenta uno sviluppo e, nel contempo, un'abbastanza profonda modificazione dell'analisi econo mica secondo l'impostazione neoclassica, di cui abbiamo fin qui discorso. Ciò è avvenuto a causa di svariati influssi, tra i quali sembrano prevalenti quelli del neopos:itivismo e dell'empirismo. Nonostante questi mutamenti, non può però non vedersi anche l'aspetto di continuità (che a noi sembra prevalente) rispetto alla teoria economica piu tradi zionale 1 . In ogni caso, per quanto riguarda il problema del consumo dei beni, la scienza economica odierna tende ad escludere totalmente da ogni sua teorizzazione il concetto di utilità. In tal modo, si tenta di recidere alla radice la pratica impossibilità di addivenire ad una qualsiasi misurazione del grado di soddisfazione che il consumo dei beni fornisce all'individuo, evitando in tal modo di costruire complessi teoremi su ipotesi di partenza di cosi malsicura determinazione. Tale -
1 Parlando di teoria economica, in questo contesto, ci riferiamo naturalmente a quel corpo di dottrine, fra loro piuttosto coerenti nonostante sviluppi e modifi cazioni, che hanno largamente domi01lto da circa un secolo a questa parte nell'inse gnamento, per cosi dire, « ufficiale »; cioè, praticamente, nell'insegnamento universitario.
798
, J ppt ndice I l : Microeconomia
nuovo indirizzo della dottrina economica relativamente ai problemi della domanda è alla base della teoria delle « preferenze rivelate ». Come già indica la denominazione, tale teoria vuole fondare i suoi assunti sulla verifica del concreto comportamento del consumatore sul mercato. Ad esempio, è proprio da questo effettivo comportamento che si desume l'aumento della quantità domandata di Un bene al diminuir!' Jel suo prezw. Di tale fatto non viene piu fornita una spiegazione per via puramente deduttiva, spiegazione che si basa sul l'utilità marginale decrescente del bene (e cioè sulla crescente soddi sfazione del bisogno, man mano che si procede al consumo del bene ). In ultima analisi, non si tenta di scopi ire che cosa sta a monte del comportamento effettivo del consumatore e, quindi, non si formulano ipotesi che, si voglia o no, sono affette in qualche misura da « psico logismo ». Si guardi il punto C del diagramma n. 3 3 . Noi abbiamo supposto che, fra tutte le possibili combinazioni dei beni espresse dalla retta della spesa NM, il consumatore abbia scelto proprio la combina zione in C. Questa ipotesi è fatta, perché si ammette la possibilità di accertare concretamente quale combinazione di beni il consumatore sceglierà di acquistare in un dato momento, fra tutte quelle possibili . Quando, invece, esprimiamo la posizione di equilibrio come punto di tangenza di una retta della spesa ( insieme di numerose combinazioni di acquisto possibili con quel dato reddito) con una curva di indiffe renza ( insieme di numerose combinazioni di beni che forniscono al consumatore una data soddisfazione ), noi ipotizziamo la conoscenza della funzione di utilità dell 'individuo ; e, in base a questa, ci è facile individuare quale combinazione di beni verrà scelta, anche pr,i ma (ed indipendentemente dal fatto) che il consumatore si rechi al mercato ad effettuare concretamente gli acquisti. Nel primo ca_so, noi ipotizziamo che una scelta sia già stata fatta, che il consumatore ci abbia già « rive lato » le sue « preferenze » ; e da questo fatto iniziale prende le mosse la nostra successiva teorizzazione. Nel secondo caso, invece, partiamo dall'ipotesi che ci sia possibile conoscere anticipatamente la scala di preferenze dell'individuo e, sulla base di questa, costruire quella che dovrà essere la domanda dei beni da parte dell'individuo stesso. La prima soluzione richiede alla scienza economica un atteggiamento larga mente empirico e la raccolta di materiale statistico, che serva come base di verifica e di successivo sviluppo delle varie teorizzazioni . La seconda s.i basa assai di piu ·sul formale svolgimento d eduttivo da alcune basilari premesse riguardanti l'atteggiamento (e diremmo, quasi, la psicologia) di un ipotetico « Robinson », premess,e che vengono poste in modo « aprioristico » come postulati ( cioè come v�rità di per sé evidenti
VIII. Reddito del consumatore e prezzi dei beni
799
e non dimostrabili). Di una siffatta impostazione non vogliamo discu tere qui il realismo, che per la verità appare assai scarso. Ci sembra, però, che dal punto di vista logico sia assai meno consistente la « teoria delle preferenze rivelate ». In effetti, se vogliamo elaborare una teoria dei prezzi di mercato, è necessario individuare la causa del formarsi di questi prezzi ; ma deve trattarsi di una causa incausata, di una causa che non subisca a sua volta l'influsso dei prezzi. La teoria piu tradi zionale vedeva questa causa nell'utilità marginale del bene, che dipende, in ultima analisi, dall'intensità del bisogno (e dalla quantità di bene disponibile, naturalmente ). Anche abbandonando il concetto quantitativo di utilità marginale e utilizzando il saggio marginale di sostituzione e il sisttma di indifferenza, noi poniamo a base del prezw dei beni una scala di preferenze dell'.individuo, che deve essere indipendente dai prezzi. Tanto è vero, che ·alcuni tipi di domanda erano esclusi dalla possibilità di anaJi.si condotta secondo i criteri che abbiamo fin qui visto 1 . Gosf la domanda a scopo speculativo, che dipende da previsioni circa il futuro andamento dei prezzi (per cui può accadere che, �d una diminuzione di prezzo, la domanda diminuisca, in quanto si attendono ulteriori riduzioni del prezzo stesso). Cosf pure la domanda di fattori della produzione, che dipende dai prezzi dei prodotti venduti. E cosf, infine, la domanda di un bene « di ostentazione » . (esempio fatto dal Veblen), che diminuisce al diminuire del prezzo, in quanto l 'acquisto di quel bene non è piu segno di « distinzione » sociale (naturalmente diminuisce la domanda di un gruppo di individui ad alto reddito; ma può aumentare la domanda complessiva di quel bene ). In tutti questi casi, la scala di preferen�e non è indipendente dai prezzi dei beni e una teoria del prezzo incorrerebbe perciò in un circolo vizioso; la formazione del prezw di mercato verrebbe dedotta da premesse, che sono a loro volta influenzate dall'andamento di tale prezzo. Ora, ci sem bra che un circolo vizioso infici anche la « teoria delle preferenze rive late ». Queste ultime non poggiano su alcuna entità che sia indipendente . dai prezzi. .
Le preferenze vengono « rivelate » dal consumatore dato un certo sistema di prezzi, il quale evidentemente influisce su di esse. Manca, quindi, la causa incausata, che nella teoria neoclassica è rappresentata da una scala di preferen:re basata su alcune ipotesi fondamentali concer nenti il comportamento del consumatore, sia che ci si serva del concetto di utili.tà quantitativa sia che si utilizzi l'analisi di indifferenza.
1 Cfr. HICKS, Va/ore e capitale, eit., pp. 62-63.
IX. Il problema dei beni inferiori e la complementarietà o sostituibilità dei beni 1. I beni inferiori: una eccezione a»a regola g111erale ? - 2. Complementarietà e sostituibilità tra i beni 3. Elasticità di sostituzione - 4. Ulteriori considerazioni sull'elasticità della domanda rispetto al prezzo .5. La domanda collettiva di un bene -
-
1 . Abbiamo accennato alcuni capitoli addietro al paradosso di Giffen 1 , per cui la domanda di certi beni varia nello stesso senso delle variazioni di prezzo dei beni stessi. Si tratta di un fenomeno che sembra contraddire tutto quanto abbiamo detto circa l'andamento della domanda. I primi economisti .neoclassici considerarono il fenomeno come una semplice eccezione alla regola generale e non trattarono a fondo il problema. I beni, la cui domanda è anomala, vengono denominati « beni inferiori » . Si tratta di beni, che il consumatore acquista in quantità maggiori quando è basso il suo reddito, ma il cui consumo riduce quando il suo reddito aumenta; ad esempio, le patate possono consi-
Diagramma 34 . .
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B e ne " i n te ri o re "
I Vedi cap. II, par. .5 (nota di p. 736).
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IX.
LA
sostituibilità dei beni
801
derarsi un bene « infer1vre » rispetto al pane; cosi pure la margarina rispetto al burro, ecc. Quanto abbiamo testé detto suggerisce già ·impli citamente la soluzione del problema posto dalla domanda dei « beni inferiori », per la quale ci serviamo del diagramma di indifferenza n. 34 Tale diagramma è simile a quello n. 31 con cui abbiamo studiato fetto di reddito e l 'effetto di sostituzione secondo Hicks . Sull'asse l'ef delle ascisse indichiamo la quantità del « bene inferiore » e su quello delle ordinate la quantità di un « bene superiore ». I gusti del consumatore sono rappresentati da curve di indifferenza disposte in modo tale che una diminuzione del prezro del bene « inferiore », a parità di prezro dell'altro bene, comporta lo spostamento del consumatore dalla posizione di equilibrio C a quella C1 . Questo spostamento significa una diminuzione della quantità domandata del bene « inferiore » al diminuire del prezro di quest'ultimo. Costruendo la N1M11 , il cui significato è già stato chiarito nel precedente capitolo, risulta, comun que, evidente che l'« effetto di sostituzione » - SSu - è sempre posi tivo. Vi è però un « effetto di reddito » negativo S1S11 maggiore del1' « effetto di sostituzione », per cui il risultato globale è una diminu zione SS1 dena quantità domandata. In definitiva, l'anomalia riscontrata nella domanda dei beni « infe riori » è, in fondo, soltanto apparente e dipende dal non aver tenuto in debito conto la condizione ceteris paribus nello studio delle relazioni tra prezro e domanda di un bene. In effetti, quando il prezw del bene inferiore diminui·sce, si ha ancora una sostituzione di esso all'altro bene. Però, una diminuzione di prezzo comporta - come già detto un aumento del reddito reale del consumatore. Se entrambi i beni hanno per il consumatore - grosso modo - lo stesso grado di importanza, allora l'aumento di reddito comporterà un accrescimento della quan tità acquistata di entrambi i beni, sia pure - almeno normalmente in proporzioni non eguali. Se, invece, uno dei beni è « .inferiore », all'aumento di reddito reale si ha un accrescersi del consumo del bene « superiore » ed una perdita di importanza del primo bene. L'« effetto di reddito » negativo può essere maggiore, �guale o minore dell'« ef fetto di sostituzione ». Solo nel primo caso, si ha una diminuzione di domanda del bene « inferiore » al diminuire del suo prezzo. Questo caso si verifica soprattutto quando la spesa sostenuta per l'acquisto di tale bene è una porzione assai considerevole della spesa complessiva del consumatore, per cui una diminuzione di prezw ha un forte effetto sul reddito reale di quest'ultimo. Quando, K.lvece, il consumatore spende nell'acquisto di ogni singolo bene soltanto una modesta percentuale del suo reddito complessivo, allora, normalmente, l'effetto di reddito, anche
Appendice Il: Mrcroeconomia
802
se negativo, non è in grado di annullare completamente l'effetto di sosti tuzione, per cui la domanda del bene avrà un andamento normale. E questo è appunto il caso studiato dal Marshall 1 . Quanto detto fin qui ci chiarisce anche un altro punto. Le relazioni funzionali tra domanda e prezzo e tra domanda e reddito sono intimamente collegate tra loro. Infatti, sia un aumento di reddito monetario, a parità di prezzo, sia una diminuzione del prezw di uno o piu beni, a parità di reddito mone tario, portano ad un identico risultato: un aumento del reddito reale. 2. Riprendiamo, ora, il discorso già fatto in precedenza 2 circa rapporti di complementarietà e sostituibilità tra i beni. Potremmo, innanzitutto, rappresentare - tramite i diagrammi di indifferenza - i casi limite di una rigida complementarietà e di una perfetta sostituibilità. Nel diagramma n. 35a abbiamo rappresentato il caso di una rigida complementarietà tra i beni A e B. Le curve di indifferenza sono ad angolo retto e la « zona di sostituzione » è rappresentata dà un sol punto (P1 , Pn , Pm ). Questo significa che - per ogni livello di indifferenza - è possibile una sola combinazione dei beni ; cioè, -
questi ultimi debbono essere combinati tra loro secondo proporzioni fisse. Se tracciamo, ad esempio, due rette della spesa ( ri ed ru ) a diversa inclinazione - la qual cosa, come sappiamo, esprime l'esistenza di differenti rapporti tra i prezzi dei beni - ci accorgiamo che non esiste un problema di equilibrio del consumatore come problema di scelta da parte di quest'ultimo di una combinazione di beni che massi mizzi la sua soddisfazione. La scelta del consumatore - per ogni dato livello di reddito e di soddisfazione conseguibile con quel reddito è obbligata e non può che essere una ed una sola.
Il secondo caso ( diagramma n. 35b) è quello di una perfetta sostituibilità tra i beni A e B. Le linee di indifferenza sono rette. Il saggio marginale di sostituzione tra i beni è sempre costante (e cosi pure il rapporto fra le loro utilità marginali). Se tracciamo una linea di bilancio ( ad esempio r) a diversa inclinazione rispetto alle linee di indifferenza, vediamo che non esiste in pratica una soluzione di equilibrio; il consumatore, nel tentativo di raggiungere la piu elevata linea di indifferenza, si spinge fino alla posizione M. In que5to 1 Cfr. HrcKs, Valore e capitale, cit., pp. 35-36. Questa è la ragione dell'ipo tesi di costanza dell'utilità marginale della moneta. 2 Vedi cap. II, par. 6.
803
IX. La sostituibilità dez beni
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che proporzionale rispetto alla quantità di fattore impiegata; dimi nui·sce, cioè, il ritmo di incremento dell3 .produzione. Infatti il prodotto marginale comincia a decrescere. 11 prodotto medio continua, invece, ad aumentare fino al punto e, in cui si ha eguaglianza tra prodotto medio e prodotto marginale ( ambedue sono, infatti, eguali a tgy). Dopo e, il prodotto totale continua ad accrescersi, ma diminuiscono sempre piu rapidamente quello medio .e quello marginale; quest'ul timo è inoltre inferiore a quello medio. ln D si ha il massimo prodotto totale, dato che l'incremento di questo (prodotto marginale ) diventa eguale a zero ; ed infatti la tangente alla curva in D risulta parallela all'asse delle ascisse e la derivata della funzione di prodotto totale . è uguale a zero. Dopo D, il prodotto .totale diminuisce, qu-ello medio continua, logicamente, a decrescere e quello marginale diventa nega tivo, e.on valori assoluti via via crescenti. .
4 . - Potremmo anche costruire in modo diverso la funzione di prodotto totale vista nel diagramma n. 4 1 . Potremmo, ci�, immaginare che fin dall'inizio s� abbia . un incremento della prodùzione meno che proporzionale f ispetfo �1l'auniento della quantità di fattore ap
plicata. ln tal caso, sarebbe necessario spostare l'origine degli assi nel punto · B del diagramma. Rispetto al caso da noi visto in pre cedenza, la differenza è rappresentata dal fatto che il prodotto medio , e quello marginale sono decrescenti fin dall'inizio e il secondo si trova sempre al di sotto del primo, n caso da noi visto nel paragrafo precedente. è, quindi, piu generate e comprende anche quello or ora considerato . .Abbiamo supposto che l'applicazione delle prime dosi .di fattore variabile p0ssa . portare ad un incremento piu che proporzio nale della quantità prodotta. ln un caso . come questo si parla di t'en àimenti crescenti del fattore impiegato. Ma la parte della curva. di prodotto totale che piu ci interessa è quella che presenta la con.cavità · verso il basso (nel diagramma, da B in poi ). Si afferma qui una dell� piu famose leggi della teoria economica, queila dei rendimenti dec�e
scenti. Questa ci dice che, quando applichiamo alla produzione un fattore variabile, combinato con uno o piu fattori fissi, l'incremento di produzione sarà via via decrescente; arriveremo ad un punto, in cui il prodotto totale non potrà piu cresoere ed anzi l'applicazione di ulteriori dosi del fattore variabile avrebbe effetti negativi sul li vello di tale prodotto. La teoria economica (e del resto anche la pratica) ci dice quindi che, costante restando lo stato della tecnica,
TI. Nozioni generali intorno alla produz:ione dei beni
831
arriveremo sempre ( ed as-sai presto) ad un punto in cui la produt tività marginale di un fatitore variabile, combinato con fattori fiss·i, diventa decrescente. Solo il progresso tecnico può spostare il limite oltre il quale agisce questa legge. Diagramma 42
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Fat tore variabile
X
Nel diagramma n. 42 abbiamo rappresentato i possibili effetti del progresso tecnico sulla produttività marginale del fattore varia bile. Abbiamo ipotizzato tre diversi stati della tecnica, ad ognuno dei quali corrisponde una particolare forma della curva di prodotto totale. La curva II esprime un progresso tecnico avvenuto rispetto alla I e cosf pure la III rispetto alla II. Ed infatti, ad ogni data quantità impiegata di fattore variabile corrisponde una sempre maggiore quan tità di prodotto totale. Inoltre, i punti di flesso delle curve si tro vano in B, B1 e Bu ; ciò sta a significare che il progresso tecnico rende via via maggiori le quantità (da OP a OP, a OPn ) di fattore variabile, che possono essere combinate con una data quantità degli altri fattori in regime di rendimenti crescenti. Dalla curva di prodotto totale è possibile ricavare le curve della produttività media e di quella marginale del fattore variabile. C.Ome abbiamo già detto, la prima si ottiene dividendo la quantità totale prodotta per il numero di unità di fattore produttivo impiegato. La seconda è data dall'incremento di prodotto totale dovuto all'applica zione di una dose aggiuntiva di fattore variabile. Se ipotizziamo la suddivisione di quest'ultimo in unità omogenee (qualitativamente e quantitativamente) di entità infinitesimale, l'andamento della produt-
Appendice II: Microeconomia
832
tività media e di quella marginale è rappresentato da curve continue, come nel diagramma n. 43 . Diagramma 43
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Fattore v a r i a bile
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La PME è la curva di produttività media, la PMA è quella di produttività marginale. I punti B, C e D indicano le corrispondenti posizioni rappresentate nel diagramma n. 4 1 . Come abbiamo già visto, in un primo momento ambedue le produttività sono crescenti. Quella marginale cresce piu rapidamente della produttività media. Ciò è evi dente: la prima è l'incremento di prodotto di cui è responsabile ogni aggiuntiva unità di fattore (incremento crescente in questa fase). Per ottenere la media, ogni successivo incremento dev_e sommarsi a quelli ottenuti con l'applicazione delle unità di fattore precedenti l'ultima; e tali incrementi sono inferiori all'ultimo. È, quindi, logico che la media cresca piu lentamente. A partire da B, la produttività margi nale diminuisce a causa del regime di « rendimenti decrescenti »; però, fino a quando l'incremento di prodotto dovuto alJiultima unità di fattore impiegata è superiore alla media degli incrementi ottenuti dal l'applicazione di tutte le precedenti dosi di fattore, tale media evi dentemente si accresce con l'impiego della unità aggiuntiva. Il con trario accade, quando l'incremento marginale diventa inferiore al pro dotto medio. Di conseguenza, la curva della produttività marginale si trova al di sopra di quella media a sinistra di quest'ultima; al di sotto, a destra. E la curva di produttività media è crescente a sini stra e decrescente a destra del punto di intersezione con la curva di produttività marginale. Tale punto rappresenta, perciò, la massima
II. Nozioni generali intorno alla produzione
u�t
beni
833
produttività media 1 • Questa decresce poi piu lentamente di quella marginale, per motivi analoghi a quelli per cui cresceva piu lenta mente di quest'ultima da O a B. Nel punto D la produttività mar ginale diventa eguale a zero. In questo punto si ha la massima pro duzione totale, che nel diagramma è rappresentata dall'area compresa tra l'asse delle asòsse e la curva di produttività marginale (è, cioè, calcolata dall'integrale definito da O a D della funzione rappresen tante quest'ultima). Naturalmente, la produttività (media e marginale) del fattore va riabile è in relazione alla quantità di fattore f.isso con cui il primo si trova combinato in proporzioni via via mutevoli. È, quindi, evi dente che anche il fattore ( o complesso di fattori) fisso subisce muta menti relativi alle modificazioni quantitative del fattore variabile. Ad es . , quando quest'ultimo aumenta, è come se diminuisse il fattore fisso, che si combina con il primo in proporzioni via via minori. Anche per , il fattore fis.so possiamo quindi definire una produttività media e marginale 2• Fino a quando la produttività media del fattore variabile è crescente, la produttività marginale del fattore fisso è negativa. Ll quantità di tale fattore combinata con quello variabile è eccessiva; il fattore fisso non viene quindi sfruttato adeguatamente. In e (pro duttività media massima del fattore variabile) la produttività margi nale del fattore fisso è eguale a rero. Dopo tale punto, quest'ultimo 1 Indichiamo con P0, P0_ , PME0, PMEn - l i prodotti totali e le produt 1 tività medie che si hanno con l'impiego di n e n - 1 unità di fattore produttivo. Indichiamo con PMA0 il valore che ha la produttività marginale, quando vengono impieg:.te n unità di fattore, cioè la produttività dell'ennesima unità di fattore. Possiamo scrivere che: pn - 1 pn PMEn - 1 = -· PMEn = PMAn = Pn - Pn 1 n-1 n Vogliamo dimostrare che, quando la produttività marginale è maggiore di quella media, quest'ultima è crescente; cioè quando PMA0 > PME0, si ha PME0 > PME0_ 1. Ricordando le eguaglianze sopra scritte, a PMA0 > PME0 possiamo sostituire: pn P0 - P0 _ > ; n (P0 - P0 _ 1 ) > P0; nP0 - nP0 1 > P0; nP" - P" > nP" _ , ; 1 n pn pn - 1 (n - 1 ) Pn > nP0 _ ; -- > cioè PME0 > PME0 _ 1 C.V.D. 1 n n- 1 In modo analogo si dimostra che quando PMA0 < PME0, si ha PME0 < PME0 _ . 1 Soltanto quando PMA0= PME0, si ha anche PMEn = PME0 _ 1 ; cioè, il tetto della produttività media viene raggiunto nel punto in cui la produtività marginale eguaglia quella media (cfr. LIPSEY, Introduzione all'economia, cit., p. 256). 2 Cfr. BRESCIANI-TURRONI, Corso di economia, cit., p. 221 . --
--
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834
Appendice Il: Microeconomia
comincia ad avere una produttività marginale e media crescenti; na turalmente la prima comincia poi a decrescere, mentre la seconda è ancora in aumento. La produttività media del fattore fisso raggiunge il suo apice nel punto D (dove si verifica una eguaglianza tra la produttività media e quella marginale di tale fattore), mentre si ha qui una produttività marginale del fattore variabile eguale a zero. Pro seguendo ancora l'applicazione di fattore variabile, la produttività mar ginale di questo diventa negativa, in quanto si ha un eccesso di tale fattore relativamente alla quantità fissa dell'altro fattore impie gato; la produttività media di quest'ultimo diventa decrescente. In definitiva, la relazione tra le produttività dei due fattori è tale che alla produttività media massima del primo corrisponde una produtti vità marginale nulla del secondo; e viceversa. Nella prima parte di questo scritto affermammo che un bene (di consumo) non è un bene economico, se la sua utilità marginale è negativa o nulla. Il prezzo misura proprio l'utilità marginale del bene ( sia pure per ogni singolo consumatore). Se il bene ha prezzo zero, ciò vuol dire che esso esiste in quantità illimitata rispetto ai bisogni da soddisfare e non è quindi un bene economico, che è con traddistinto da una scarsità relativa. Analogamente, possiamo dire che i fattori produttivi sono beni ec.onomici soltanto se la loro produt tività marginale ha un valore positivo; e il prezzo (come vedremo meglio in seguito) misura precisamente quest'ultima. Tenendo conto di questo, se il fattore fisso e il fattore variabile sono ambedue lxni economici, il tratto della curva del prodotto marginale ( nel diagram ma n. 43 ), che ci interessa, è quello che va da C a D (esclusi questi due punti, nei quali è nulla, rispettivamente, la produttività marginale del fattore fisso e quella del fattore variabile ). In questo tratto di curva sono decrescenti sia la produttività media che quella marginale di quest'ultimo fattore. È invece crescente la produmvnà media del fattore fisso; quanto alla produttività marginale 01 quest'ultimo, in un primo tempo sarà crescente e poi decrescente (fino ad interse �are in D la curva di produttività media del fatrore tisso). 5. Vogliamo, adesso, trattare di un argomento, che è un po' il risultato conclusivo delle analisi svolte sino ad ora; si tratta del1' equilibrio del produttore. È un concetto analogo a quello di equili brio del consumatore visto nella prima parte di questo scritto. Allora, individuammo la posizione di equilibrio nel consumo, u-tilizzando due · tecniche d'analisi, la prima delle quali porta\ra a concludere che l'equilibrio si realizzava e.on il livellamento delle utilità marginali -
..
II. Nozioni gent"rali intorno alla produzione dei beni
pond era te; mentre la seconda ci indicava, nella stessa situazione, una eguaglianza del saggio marginale di sostituzione tra i beni con il rap porto tra i prezzi degli stessi. Anche per ciò che concerne l 'equili brio del produttore, utilizzeremo due differenti tecniche d'analisi ( una in questo paragrafo ed una nei capitoli successivi ), che presen tano ·strette analogie con quelle viste nella teoria del consumo. Questa analogia faciliterà il nostro scopo. È, innanzitutto, da precisare che il produttore conseguirà una posizione di equilibrio, quando avrà massimizzato la sua produzione, cosi come il consumatore in equilibrio massimizzava la sua soddisfa z i one complessi v a . Anche qui bisogna porre alcuni dati del problema. Data è la quantità di moneta, di cui il produttore d ispone per acqui stare i fattori produttivi necessari . Inoltre, vengono dati e i prezzi dei fattori produttivi stessi e il prezzo del prodotto. Ciò presuppone l'esistenza di un regime di mercato di concorrenza perfetta, di cui preciseremo meglio in seguito le condizioni. Immaginiamo che .il pro duttore utilizzi soltanto due fat tori della produzione F1 e F2 , i cui prezzi siano, rispettivamente, di 1 0 e di 1 5 unità monetarie. Con la quantità di · moneta, di cu i dispone, egli acquista e combina fra loro i due fattori in modo tale che le loro produttività marginali
siano, rispettivamente, di 60 e di 70 ( visto che il prezzo del bene prodotto è costante, qualunque sia la quantità venduta, è indifferente per il problema in esame che queste cifre si riferiscano al numero di unità del bene prodotte al margine oppure al ricavo della vendita
di queste stesse unità). ln questa situazione, il produttore non è in equilibrio . A quest'ultimo conviene rinunciare all'impiego di una unità del fattore F2. Cosi facendo, la sua produzione diminuisce di 70, m a egli risparmia 1 5 unità monetarie con cui può acquistare una unità e mezza del fattore F1 , con un aumento di produzione pari a 90 (60 X 1 ,5 ). Naturalmente, sostituendo F1 ad F2, diminuisce la produttività marginale del primo ed aumenta quella del secondo fat tore. Continuando nella sostituzione, si arrivi ad un punito, in cui le produttività marginali di F1 e F2 siano, rispettivamente , 50 e 75. ln tale si tuazio ne -si ha effe�tivo equ ilibrio del produttore; dati i prezzi dei fattori e la quantità di moneta che egli può spendere nell'acquisto di questi, è i mpossibile aumentare il livello della produzione ottenuta. Se una ulteriore unità di F2 venisse sostituita con F1 , si avrebbe una perdita di prodotto di 75; acquistando, con le 1 5 unità monetarie risparmiate, 1 ,5 uni,tà di F1 si avrebbe un aumento di prodotto ancora pari a 75. Cosi pure, se fosse una unità di F1 ad essere sostituita da F2 , verrebbe perduta una produzione di 50, ma con le 1 0 unità monetarie
Appendice II: Microeconomia
836
risparmiate potrebbero essere acquistati 2/3 di F2, con un aumento di prodotto sempre pari a 50. Se indichiamo con p1 e p2 i prezzi di F1 e F2 e con PMA1 e PMA2 le rispettive produttività marginali, vediamo che nella situa zione di equilibrio il rapporto tra le produttività marginali dei fattori è eguale a quello tra i prezzi degli stessi. Cioè: PMA1 PMA2
PMA1
p1 =
PMA2
cioè
P1 P2 Questa regola è valida anche se i fattori produttivi sono piu di due. Nel caso siano in numero di n, abbiamo: PMA1 : PMA2 PMA1 cioè
: PMAn
P2
..
.
PM&
PMAD
P2
Pn
: Pn
---
P1
Questa è appunto la legge dell'eguaglianza delle produttività margi nali ponderate (produttività marginali dei vari fattori divise per i rispettivi prezzi), che esprime la posizione di equilibrio del produt tore. Esprime, cioè, la combinazione ottimale dei fattori della produ zione, quella combinazione che permette di ottenere la massima produ iione, essendo data la quantità complessiva di risorse produttive im piegate. A differenza dell'analoga legge che esprime l'equilibrio del con sumatore, in questo caso tutte le entità che stanno fra loro in rapporto sono oggettive. La produttività marginale, infatti, a differenza dell'utilità marginale, è qualcosa di molto concreto e di misurabile in unità fisiche di prodotto o in ricavato della vendita di queste unità (produttività margi nale fisica o monetaria). Anche se poi, in pratica, la misurazione non è affatto semplke. Analogamente a quanto vi9to per i beni di consumo, ogni fat tore della produzione può essere adibito a piu usi produttivi. Anche qui esiste un criterio preciso che ci indica in qual modo avviene tale distribuzione tra i vari usi (diagramma n. 44). Immaginiamo che i! fattore F1 possa essere impiegato in due pro cessi produttivi (a e b) Il prezzo del fattore sia eguale in entrambe le utilizzazioni produttive. Inizialmente, ne venga usata una quantità OA nel primo processo produttivo ed una quantità OB nel secondo. Le produttività marginali sono in tal caso different·i; MA nel primo caso ed NB nel secondo. Conviene allora spostare la quantità BB1 = AA1 del fattore dal processo produttivo b a q ·1ello a. In tal modo si ha
II. Noi.ioni generali intorno alla produzione dei beni
837
Diagramma 44
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Prod. a )
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Prod . b )
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A A1 Fat to re F1
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un aumento della produzione complessiva: ( OPM1A1 + OQN1B1 ) > ( OPMA + OQNB) dato che AMM1A1 > BNN1B1. Nella nuova situa zione si ha eguaglianza delle produttività marginali del fattore nei due usi; a questo punto non è piu conveniente un qualsiasi sposta mento del fattore da un processo produttivo all'altro. In definitiva possiamo concludere che ogni /attore della produzione viene utilizzato nel miglior modo possibile, quando è sempre eguale la sua produt tività marginale in tutti i processi produttivi, nei quali viene impie gato (sempre che sfa eguale il prezzo del fattore nei suoi vari usi pro duttivi). 6. - La produttività marginale di un fattore misura il contri buto che questo da alla produzione dei beni. Naturalmente, tal< contributo non dipende solo da una qualità intrinseca del fattore, ma è dovuto principalmente alla relazione esistente tra quest'ultimo e tutti gli altri fattori necessari alla produziol}e; piu in generale, di pende dall'insieme delle condizioni che caratterizzano i processi pro duttivi, nei quali viene impiegato il fauore di cui misuriamo la produttività marginale. Ipotizzando la condizione « coeteris paribus » , noi però isoliamo, in un certo senso, l'azione di un determinato fat tore, mettendo in relazione il variare della quantità impiegata di quest'ultimo con la variazione della quan�ità prodotta. Cosi facendo, l'incremento di prodotto viene attribuito all'incremento di quel dato fat tore produttivo e misura, perciò, lo specifico contributo di que st'ultimo alla produzione. Vogliamo, ora, vedere fino a qual punto il produttore ha conve nienza ad impiegare un certo fattore della produzione. Tale conve-
Appendice II: Microeconomia
838
nienza viene misurata con riferimento al guadagno del produt tore. Questi acquista sul mercato •i vari fattori necessari alla produ · zione, li combina tra loro in un processo produttivo, da cui sfociano certi beni, che vengono venduti sul mercato. Da una parte il produttore sostiene dei costi, dall'altra realizza dei ricavi. È dal confronto tra ricavi e costi che viene misurata la convenienza del produttore ad effettuare quel certo processo produttivo. Il produttore vuol rendere massima la differenza tra ricavi e costi, cioè vuol rendere massimo il suo guadagno. Noi immaginiamo, come al solito, che nei mercati dei beni pro dotti e dei fattori produttivi viga un regime di concorrenza perfetta; in tal caso, i prezzi dei beni e dei fattori sono dati e costanti per il singolo · produttore. La produttività marginale di un certo fattore espressa in valore avrà, evidentemente, lo stesso andamento della produttività marginale fisica, in quanto la prima si ottiene dalla seconda moltiplicata per una costante (prezzo del bene) . Nel diagramma n. 45 abbiamo indi cato la curva della produnbività marginale in valore di un certo fattore ( PMAV) e la linea del prezw di quest'ultimo; linea che è una semiretta parallela all'asse delle ascisse, dato che il prezzo è costante, qualunque sia la quantità di fattore impiegata dal produttore. Diagramma 45
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Come già dicemmo, la produttività marginale di un fattore misura il contriibuto di questo alla produzione (supponendo costanti tutte le altre condizioni della produzione stessa) . Quando la produttività margi nale è espressa in valore, essa, evidentemente, esprime il contributo del
II.
Nozioni generali intorno alla produzione dei beni
839
fattore al ricavo complessivo del produttore. Aumentando la quantità impiegata del fattore, tale contributo cresce, ma - almeno da un certo punto in poi - con un ritmo sèmpre minore, data la legge dei rendi menti decrescenti. Il fattore produttivo v·errà impiegato fino a quando la sua produttività marginale in valore resta al di sopra del suo prezzo di mercato; cioè fino a quando l'impiego di una unità aggiuntiva di di detto fattore comporta un incremento del ricavo superiore all'incre mento del costo. Quando la quantità impiegata del fattore è pari ad OM, produttività marginale in valore e prezzo del fattore •in questione sono eguali. In questo punto, quindi, si ha il massimo guadagno del produttore ( rappresentato dall'area SRT del diagramma). Oltre questo punto, l'impiego del fattore provoca un inc.remento del costo supe� riore a quello del ricavo, per cui il guadagno complessivo verrebbe a ridursi. In conclusione, il produttore impiegherà (domanderà) ogni dato fattore produttivo fino a quando la produttività marginale (decrescente) dello stesso, espressa in valore, risulterà eguale al prezzo di mercato del fattore in questione. Secondo tale impostazione, il prezzo di mercato dei vari fattori produttivi misura la loro produttività marginale. Quanto piu ( meno) è caro un certo fattore produttivo, tanto minore ( mag giore) sarà la quantità impiegata ( domandata) dello stesso; ciò si verifica, naturalmente, quando vige la legge dei rendimenti decrescenti.
III. Le curve di prodotto costante 1. « Collina della produzione • e isoquanti 2. L'andamento dell'isoquanto 3. Equilibrio del produttore · 4. Ancora sull'equilibrio del produttore 5. Motivi della convessità deidi isoquanti verso l'origine degli assi: l'equilibrio dçl produttore si ha in regime di rendimenti decrescenti ·
·
·
1. Siamo, ora, arrivati ad uno dei punti piu importanti della teoria della produzione. Nel capitolo precedente abbiamo studiato la funzione della produzione, considerando le relazioni intercorrenti tra variazione della quantità prodotta e variazione della quantità . di uno dei fattori impiegati. Analizziamo, adesso, la stessa funzione, modifi cando le ipotesi e supponendo costante la quantità prodotta e variabili le quantità impiegate dei fattol'i produttivi. Immaginiamo ancora che sia: P = f (F1, F2); la produzione si ottenga, cioè, con l'impiego di due soli fattori. Questa ·ipotesi è necessaria per poter fornire una rappre sentazione grafica della nostra analisi. Naturalmente, anche operando ·
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Diagramma 46
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A Fattore
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F1
III. Le curve di prodotto costante
841
una &imile semplificazione, se considerassimo variabili sia la quantid prodotta che quella dei fattori impiegati, dovremmo costruire un gra fico a tre dimensioni, rappresentando, ad esempio, le quantità dei due fatitori sugli assi orizzontali e la quantità prodotta su quello verticale. Si veda il diagramma n. 46, il cui significato è il seguente. Data una certa quantità OA di F1, aumentando la quantità applicata di F2 la produzione cresce secondo la linea Aa, la cui concavità verso il basso esprime una produttività marginale decrescente di F2. Se la quantità data di F1 è OA1 , la produzione cresce secondo la curva A1a1 . Se invece sono date le quantità di F2, ad es. OB o OB1, la produzione cresce secondo le curve Bb o B1b1. Se immaginiamo variazioni simultanee dei due fattori, in tutte le infinite combinazioni possibili, otteniamo quella che è stata definita « collina della produzione » 1 . Le curve I, II, III, IV sono alcune delle infinite « curve di livello » di questa « collina ». Tali curve congiungono .tutti i punti del « dosso » della « collina » che hanno la stessa a1tezza; che rappresentano, cioè, lo stesso livello produttivo. Se proiettiamo questa sorta di « curve dt
livello » sul piano orizzontale delimitato dagli assi x e y, otteniamo delle curve che rappresentano tutte le infinite combinazioni dei due Diagramma 47
y
40
Fat t o re F1 I Cfr. DollFMAN, Prezzi e mercati, Bologna, Il Mulino, p. 1 10.
X
842
Appendice II: Microeconomia
fattori che ci danno la medesima quantità rii prodotto. Queste curve si chiamano « isoquanti » o « curve di prodotto costante » o « curve di isoprodotto » . Possiamo cosi trascurare la terza dimensione e utilizzare un dia gramma del tipo di quello n. 47. È facile accorgersi che si tratta di un grafico simile a quello delle curve di indifferenza. Ed infatti, molte delle leggi che ricaveremo; anaiizzando questo grafico, presenteranno strette analogie con quanto già detto, studiando la teoria del consumo. Ciò faciliterà indubbiamente i nostri compiti esplicativi. Innanzitutto, anche qui tutto il piano delimitato dagli assi può essere immaginato come percorso da un numero infinito di isoquanti. Noi ne rappresentiamo . soltanto alcuni. Procedendo da sinistra verso destra, ogni successivo isoquanto rappresenta livelli sempre piu elevati di produzione. Abbiamo contrassegnato questi livelli con i numeri 10, 20 , 30 e 40, perché qui, a differenza di quanto accadeva per la soddisfazione complessiva del consumatore, è possibile attribuire alla quantità prodotta una ben precisa misura. Gli isoquanti, da noi rappresentati in diagramma, indi cano eguali aumenti di produzione (passando dall'uno al successivo, vi è sempre un aumento 10 di produzione). Ciononostante, nel diagramma le curve sono sempre piu distanziate tra loro. Questo avviene perché ipotizziamo un regime di rendimenti decrescenti, per cui ogni dato incremento di produzione richiede incrementi via via maggiori della quantità applicata dei fattori 1 • Tali rendimenti decrescenti non sono da confondersi con quelli di cui parlammo nel capitolo precedente. Quelli riguardavano la produttività marginale di un fattore, suppo nendo costante la quantità applicata degli altri ; in questa sede ci rife riamo a rendimenti decrescenti del complesso dei fattori impiegati. In tal caso, possiamo parlare di « economie di scala », in quanto l'au mento della quantità impiegata dei vari fattori implica un ampliamento della scala di produzione. In seguito considereremo in modo piu preciso tale problema (vedi cap. IV, par. 2 ) . È anche possibile supporre che, inizialmente; i rendimenti di scala siano crescenti e, solo successivamente, decrescenti. In tal caso, la I Questo significa che la « collina della produzione » è pili ripida alla base mentre li suo « declivio » è pili dolce man mano che si procede verso la sua sommità. Se noi immaginiamo di osservare dall'alto tale « collina », è evidente che « curve di livello », esprimenti eguali differenze di livello, ci appaiono piu addensate quando la co!Fna è pili ripida e maggiormente distanziate laddove la ripidità diminuisce.
II I. Le curve di prodotto oostante
843
di·stanza tra isoquanti, che rappresentano costanti incrementi dei livelli produttivi, va diminuendo in un primo tempo, per poi aumentare come nel diagramma appena visto. Si può, anche, verificare il caso di rendimenti costanti, caso contrassegnato, evidentem:!nte, da una sempre eguale distanza tra gli isoquanti in questione. 2. - Studiamo attentamente l'andamento di un isoquanto. Per far questo, ci serviamo del diagramma n. 48. Diagramma 48
y o l.L.N Cii
o �
rU
LL.
....
8
o
e
A
.,,,,.
Fa t t o r e F1
X
Come abbiamo detto, ogni isoquanto esprime un certo livello di produ zione; tutti i punti dell'isoquanto rappresentano combinazioni dei due fattori che permettono di ottenere quel dato livello produttivo. Se l'isoquanto è una curva continua (come nel caso del diagramma n. 48), infinite sono le possibili combinazioni dei fattori produttivi. Abbiamo, quindi, a che fare con una funzione della produzione a coef ficien ti flessibili. Da S a R le diverse combinazioni dei fattori si ottengono l'una dall'altra tramite sosti tuzione dell'un fattore all'altro , sostituzione che viene effettuata per quantità d i grandezza infinite simale. Il tratto di curva da S a R rappresenta, perciò, la ·zona di sostituzione dell'isoquanto. Al di fuori di questa zona, le diverse combinazioni produttive sono chiaramente inefficienti, in quanto - per
844
Appendice II: Microeconomia
produrre la· medesima quantità di bene - si richiedono quantità mag giori di entrambi i fattori. Un problema di scelta della combinazione ottimale esi,ste, logicamente, per il produttore soltanto entro l'ambito della zona di sostituzione (dato quel certo livello produttivo). Ed è que sta la zona, a cui ci interesseremo d'ora in avanti. L'isoquanto, da S a R, ha inclinazione negativa, la qual cosa è appunto dovuta al fatto che le variazioni (infinitesimali) dei due fattori avvengono in opposte direzioni. L'isoquanto presenta inoltre la con vessità rivolta verso l'origine. Tale forma dipende da motivi simili a quelli che spiegavano la convessità della ·curva di indifferenza; e preci samente dipende dal principio della produttività marginale decrescente dei fattori. Procedendo da sinistra verso destra lungo l'isoquanto, man m ano che cresce la quantità impiegata di F1 e diminuisce quella di F2, diminuisce la produttività marginale del .primo fattore ed aumenta quella del secondo; per cui - per ottenere lo stesso livello di produzione - è necessario sostituire una data quantità di F2 con una sempre crescente quantità di F1 oppure, il che è lo stesso, una data quantità di F1 può sostituire una sempre minor quantità di F2. Se indichiamo con dy e dx, rispettivamente, le quantità infinite simali dei fattori F2 ed F1, che si sostituiscono l'una all'altra in modo tale da non comportare alcuna variazione nel livello produttivo, abbiamo che dy/dx misura il « saggio marginale di sostituzione » ( SMS) tra i fattori 1 . Evidentemente, affinché il livello pròduttivo non vari (cioè, si rimanga sul medesimo isoquanto ), è necessario che la sostituzione tra i fattori avvenga in modo ·�aie che la produzione persa tramite la dimi nuzione infinitesimale della quantità impiegata di uno dei due fattori venga riguadagnata con l'impiego addizionale di u�a quantità infinitesi male dell'altro. Se indichiamo con PMF1 e PMF2 le produttività marginali dei due fattori, deve, cioè, verificarsi la seguente eguaglianza: dx PMF1 ·
da cui si ha:
=
· dx
·
PMF1
dy --
dy PMF2
-
---
PMF2
cioè il « saggio marginale di sostituzione » tra i fattori è eguale al rapporto inverso tra le loro produttività marginali. I Dato che le variazioni infinitesimali della quan.tità dei due fattori avven_gono in senso inverso, è chiaro che il « saggio marginale di sostituzione » è negativo .
III.
Le curve di prodotto costante
845
Come già sappiamo, il « saggio marginale di sostituzione » misura la pendenza della curva; cioè, in ogni dato punto dell'isoquanto, tale saggio è eguale alla tangente trigonometrica dell'angolo che la tangente geometrica alla curva in quel punto forma con l'asse delle ascisse. Data la convessità della curva, il saggio marginale di sostituzione va decre scendo ( in valore assoluto) da sinistra verso destra; e ciò è dovuto appunto al fatto, già messo in luce, della diminuzione della produttività marginale di F1 in relazione a quella di F2• Se l'isoquanto fosse concavo, il saggio marginale di sostituzione sarebbe crescente verso destra. Ci troveremmo, allora, in regime di rendimenti crescenti dei singoli fattori, per cui ogni aumento (diminuzione) della quantità di questi compor terebbe un aumento (diminuzione ) della loro produttività marginale. · Aggiungiamo ancora che è possibile immaginare l'intersezione tra isoquanti. In effetti, il punto di intersezione rappresenterebbe una combinazione dei fattori che permette di conseguire differenti livelli produttivi. Ciò è tecnicamente possibile 1 , ma è evidente come soltanto nel caso che venga conseguito il livello piu elevato si può parlare di un impiego efficiente dei fattori. Nel diagramma n. 48. abbiamo indi cato con una linea tratteggiata un secondo isoquanto che interseca il primo in P e Q. Tali punti sono situati nella zona di inefficienza del primo insoquanto. Se ipotizziamo che si scelgano soltanto le combi nazioni efficienti, i punti P e Q possono appartenere esclusivamente al secondo isoquanto e non può esservi alcuna intersezione tra diffe renti curve di prodotto costante.
3 . Data una certa funzione della produzione, il produttore ha a disposizione tutta una serie di combinazioni dei fattori tecnicamente efficienti per il conseguimento di ogni livello di produzione. Egli deve utilizzarne una; e la sua scelta sarà guidata dal principio della massi mizzazione del ricavo, dato il costo o; il che è lo stesso, da quello della minimizzazione del costo, dato il ricavo. Siccome supponiamo, come al solito, che i prezzi del prodotto venduto e dei fattori produt tivi impiegati siano costanti, il problema diventa quello di massimiz zare la produzione, dato l'impiego di una certa quantità di fattori pro duttivi; oppure di minimizzare l'impiego di questi fattori, dato un certo livello produttivo. Partiamo dall'ipotesi che il produttore abbia una certa quantità di risorse (praticamente, di moneta ), con le quali acquistare i fattori della produzione. Indicando con e (costo ) questa data quantità di moneta, -
I Cfr. V. MAIRAMA, Consumo e produzione, cit.,
p. 125.
Appendice II: Microeco11omia
846
con x ed y le quantità acquistate dei fattori F1 ed F2 e con p1 e p2 loro rispettivi prezzi, possiamo scrivere la seguente equazione : e = P1 x + P2 Y Questa è l'equazione di una retta, gli infiniti punti della quale rappresentano combinazioni dei fattori, che comportano una eguale spesa complessiva, pari, in questo caso, alla dotazione iniziale di moneta del produttore. Tale retta si chiama, perciò, « isocosto ». Osserviamo il diagramma n. 49, in cui sono rappresentati alcuni isoquanti ed una linea di isoco9to. Diagramma 49
y
N
X
Evidentemente, dato un certo costo, la massima produzione otte nibile è rappresentata dal punto P, in cui l'isoco�to è tangente ad uno degli isoquanti e si ha la combinazione OM di F1 e ON di F2. Il punto P rappresenta la posizione di equilibrio del produttore, individuata tra mite la tecnica d'analisi basata sulle curve di prodotto costante. L'equazione dell'isocosto può anche scriversi : e P1 y=x + -p2 P2 Come già sapptamo, pifp2 ( rapporto tra i prezzi dei fattori) misura l'inclinazione dell'isocosto rispetto all'asse delle ascisse 1• Dato che in P l'isocosto e l'isoquanto hanno inclinazione eguale e - ricordando che --
1 Ancora una volta trascuriamo il segno algebrico.
III. Le
847
curve di prodotto costante
la pendenza della curva di isoprodotto è misurata dal « saggio margi nale di sostituzione » tra fattori, possiamo scrivere che: dy
Pt
dx
P2 Quindi, il produttore si trova in equilibrio (cioè masstmm.a la sua
produzione) quando il « saggio marginale di sostituzione eguale al rapporto tra i prezzi degli stessi. dy PMF1 Ricordando che -- = dx PMF2 PMF1
PI
»
tra fattori è
abbiamo che : PMF1
--- = -- da cui ---
PMF2
p1 P2 P2 Quest'ultiµia formula esprime, precisamente, la condizione di egua glianza delle produttività marginali ponderate, da noi già considerata nel capitolo precedente. Le due diverse tecniche d'analisi conducono, perciò, agli stessi risultati, anche se espressi in forma differente. PMF2
4. - Utilizzando isoquanti ed isocosti, possiamo individuare la posizione di equilibrio del produttore con un ragiOnamento formal mente differente da quello appena visto. Invece di un problema di
Diagramma 50
y
o
)(
massimo, possiamo considerare un problema di mm1mo. Cioè, invece di individuare la massima produzione ottenibile con un dato costo,
848
Appendice Il: Microeconomia
ricerchiamo qual è il minimo costo, che è necessario sostenere per raggiungere un dato livello di produzione. Ci serviamo di un diagramma come quello n. 50, in cui sono indicati alcuni isocosti ed una curva di isoprodotto. Se i prezzi dei fattori sono dati, le linee di isocosto sono, evidentemente, tra loro parallele 1 • Procedendo da sinistra verso destra, i vari isocosti rappresentano livelli di spesa complessiva via via superiori. In questo caso, il punto P rappresenta il minimo ammontare di risorse ( moneta) spese nell'acquisto dei fattori per conseguire quel dato livello produttivo, indicato dal l'isoquanto. Evidentemente, è sostanzialmente la stessa cosa presentare l'equi librio del produttore come problema di minimo {del costo) o come problema di massimo (della produzione), dato che si tratta di due aspetti di uno stesso fenomeno, tra loro correlati. Però, in un certo senso, è piu esatto considerare l'equilibrio del produttore sotto l'aspetto della minimizzazione dei costi. Infatti, mentre nel caso del consumatore, il vincolo era ·soprattutto rappresentato dalla quantità di moneta (red dito), di cui questi disponeva, nel caso del produttore il vincolo è fondamentalmente rappresentato dal livello produttivo che si vuol conseguire. Nel primo caso, quindi, sorge il problema di massimizzare la soddisfazione complessiva, utilizzando quel dato reddito monetario; nel secondo, invece, si tratta essenzialmente di minimizzare la spesa ( in fattori ) necessaria a produrre quella data quantità di bene. In definitiva, possiamo dire che - dati i prezzi di mercato dei fattori
produttivi e la quantità di bene da produrre - il produttore mini mizza il suo costo quando il saggio marginale di sostituzione tra i fattori è eguale al rapporto (inverso) tra i preni degli stessi. Il rapporto tra i prezzi dei fattori è anche chiamato saggio marginale di trasfor mazione tra fattori, in quanto indica la quantità di un fattore che può essere trasformata in una certa quanrità dell'altro, tramite scambio sul mercato. Possiamo, quindi, affermare che il produttore è in equilibrio
quando sono eguali tra loro i saggi marginali di sostituzione e di trasfor mazione tra fattori. 5. - In precedenza (par. 2 di questo capitolo ) abbiamo spiegato la particolare forma dell'isoquanto ( convessità rivolta verso l'origine degli assi) in base al principio della produttività marginale decrescente dei fattori.
1 Si ricordi che l'inclinazione degli isocosti è data dal rapporto tra i prc:zU (costanti) dei fattori.
II I. Le curve di prodotto costante
849
Possiamo, ora, giustificare la convessità degli isoquanu m base ad un altro principio; quello del conseguimento del massimo prodotto con un certo costo (oppure del minimo costo, data una certa quantità prodotta). Diagramma 51
y
o Diagramma 52
N
y
o
N
Osserviamo il diagramma n. 5 1 ; il punto P di .tangenza tra l'isocosto MN e uno degli isoquanti non rappresenta certo il massimo prodotto ottenibile con quella data spesa in fattori produttivi. Tale
Appendice Il: Microeconomia
punto non rappresenta quindi una soluzione di equilibrio. Al produt tore conviene spostal'Si da tale posizione; e, precisamente, nel caso rappresentato in diagramma, egli si sposterà verso M, punto in cui . viene raggiunto il piu elevato livello produttivo che è possibile conse guire sostenendo quel dato costo. Ma in M il produttore verrebbe ad impiegare . un solo fattore produttivo (F2). Questa I); l'opposto si verificherebbe nel caso di « rendi menti di scala » decrescenti. Naturalmente, non si confonda la funzione della produ zione con la « via dell'espall5ione ». La prima è rettilinea soltanto nel caso di « rendimenti di scala » costanti; negli altri due casi è rappresentata da una curva. Ciò si vedrebbe meglio in un grafico tridimensionale, quello della « collina della produzione ». Qui la funzione della produzione sarebbe rappresentata da una curva che piega verso l'alto (cioè con la convessità rivolta verso il piano delimi tato dai due assi orizzontali) nel caso di « economie di scala » crescenti oppure verso il basso nel caso che queste ultime fossero decrescenti. La « via dell'espan sione », invece, può essere rettilinea in tutti i casi (rendimenti costanti, crescenti e decrescenti). lnfattii , è come se si guardasse la funzione della produzione dal l'alto. Piu precisamente, la « via dell'espansione » è la proiezione della funzione della produzione sul piano orizzontale del 'gNfico tridimensionale. Ed è chiaro che la proiezione di una curva può anche essere rettilinea. Soltanto fo quest'ultimo caso, come vedremo poco piu avanti, è possibile parlare di « rendimenti di scala ,. lungo la « via dell'espansione ».
IV. Ancora sugli isoquanti Già sappiamo che OP4 / 0P2 = 2 ; lo ste55o valore avranno ON1 /0N e N1 P4/NP2; ma ON1/0N è il rapporto tra la quantità del �tttore F1 impiegata ad un livello produttivo 40 e quella applicata ad una produ zione pari a 20. Lo stesso dicasi di N1 P4/NP2 per quanto riguarda F2. Per cui, in conclusione, un raddoppio della quantità prodotta viene ottenuto raddoppiando l'impiego di entrambi i fattori 1• Ed è quanto volevasi dimostrare.
3.
-
Osserviamo, ora il diagramma n.
56.
Diagramma 56
La distanza tra isoquanti, che rappresentano costanti incrementi dei livelli produttivi, va restringendosi inizialmente ( fino a P3 ) per poi aumentare nuovamente. In un primo tempo, cioè, si hanno rendimenti crescenti; in seguito rendimenti decrescenti. Il rapporto tra la varia zione percentuale della quantità prodotta e la variazione percentuale della quantità impiegata dei fattori non è piu eguale ad uno come nel caso precedente; ma è maggiore di uno fino a PJ e minore di uno dopo questo punto. In altre parole, la produzione varia, rispet1 Cfr. MARRAMA, Consumo e produiione, cit., pp. 133-134.
Appendice II: Microeconomia
858
·
tivamente, pm e meno che proporzionalmente rispetto alla variazione delle quantità applicate dei fattori. Anche in questo caso, però, si parla di « rendimenti di scala » (crescenti o decrescenti, a seconda dei casi), perché variano nella stessa misura le quantità applicate dei due fattori, per cui nelle successive combinazioni ottimali di questi è sempre contenuta la stessa percentuale e dell'uno e dell'altro. Ed infatti, la « via dell'espansione » è rettilinea. Quando, invece, quest'ultima piega verso l'alto o verso il basso, non possiamo piu parlare di « rendimenti di scala ». ln tal caso, come già sappiamo, l'espansione della produzione comporta un accrescimento della quantità impiegata di uno o di alcuni fattori superiore all'incremento della quantità impiegata degli altri. Per cui, lungo la « via dell'espansione », variano le proporzioni secondo le quali i diversi fattori vengono applicati alla produzione. In un caso come questo, non si parla di scala di produzione, ma si fa riferimento alla somma totale di risorse ( monetarie in genere ) erogate per procu rarsi il complesso dei fattori necessari a sostenere livelli di produzione via via piu elevati. Si parla allora di rendimenti della spesa, che pos sono essere crescenti, decrescenti o costanti a seconda che la quanti•tà prodotta si accresca, rispetnivamente, in misura piu che proporzion'i livelli di attività delle stesse. Nel secondo caso, invece, la soluzione di equi librio è ben individuata e corrisponde ad una sola combinazione ottima dei fattori e all'utilizzazione di un'unica tecnica produttiva { nel dia gramma, la terza). Vi è un'ultima considerazione interessante. Quando l'isocosto è tangente all'isoquanto in angolo, la tecnica produttiva (combinazione dei fattori) scelta non viene abbandonata anche in presenza di notevoli variazioni del rapporto tra i prezzi dei fattori. Si immagini, infatti, di far ·ruotare la M1N1 con perno in C; ogni diversa inclinazione significa appunto che sono variati i prezzi dei fattori e il loro rapporto. Ebbene, è facile rendersi conto che - fino a quando l'inclinazione dell'isocosto
'
870
Appendice I I: Microeconomia
non diventa eguale a quella del tratto BC o a quella del tratto CD dell'isoquanto - il punto di tangenza è sempre c e la soluzione ottimale è sempre rappresentata dall'utilizzazione della terza tecnica produttiva. La variazione dei prezzi relativi dei fattori ( relativ·i l'uno all'.altro) non provoca, quindi, alcun « effetto di sostituzione » tra i fattori stessi. La posizione di equilibrio ha notevole stabilità. Quando, invece, isocosto e isoquanto spezzato sono tra loro tangenti lungo tutto un tratto, un piccolissimo mutamento dei prezzi dei fattori provoca l'abbandono di una delle due tecniche utilizzate congiuntamente ed una relativamente cospicua sostituzione di un fattore all'altro. Dato che tra tutte le possibili inclinazioni dell'isocosto (cioè tra tutti i possibili rapporti dei prezzi dei fattori), soltanto un numero limi tato di esse può rendere Visocosto stesso tangente all'isoquanto per un suo .tratto, è evidente che la soluzione d'angolo è la piu probabile; con tutte le conseguenze (viste sopra) che •tale soluzione comporta. Come si ricorderà, il problema dell'equilibrio si poneva in modo del tutto diverso nel caso dell'isoquanto ricurvo. Ogni sia pur piccola variazione dei prezzi dei fattori provocava una immediata sostituzione tra i fattori stessi (misurata dal « saggio marginale di sostituzione », il cui valore era decrescente verso destora in modo continuo) e compor tava l'abbandono di una tecnica per un'altra.
Appendice Come abbiamo visto nelle pagine precedenti, quando esiste un numero limitato di tecniche di possibile utilizzazione, le combinazioni dei fattori, che caratterizzano queste tecniche, sono rappresentate - per ogni dato livello produttivo - da punti sul piano delimitato dai versi positivi degli assi. Abbiamo detto che, congiungendo con un segmento di retta due punti relativi a due tecniche contigue, otteniamo la rappre sentazione grafica di tutte le combinazioni dei fattori che deriv·ano dalla combinazione delle tecniche in questione secondo differenti livelli di impiego delle stesse. Vogliamo adesso dimostrare quanto appena affermato. Ci serviremo del diagramma n . 64 in cui indichiamo soltanto due tecniche di possibile utilizzazione per la produzione del bene. Per semplificare il ragionamento, prendiamo in considerazione un livello di produzione unitario. Le due tecniche possibili siano contras segnate dai punti A e B. Con la combinazione OM1 di F2 e ON1 di F1 oppure con quella OM2 di F2 e ON2 di F1 è, quindi, possibile produrre una unità di bene. Immaginiamo, ade&So, c� si voglia produrre questa unità di bene -in parte con la prima ed in parte con la seconda tecnica.
V. La f un:r.ione della produzio11e a coefficienti fissi
871
Diagramma 64
A
B
N,
N3
I I I I I L
f2
N2
)(
Indichiamo con K1 il livello di impiego della prima tecnica e con Ki quello della seconda. Evidentemente :
dato che il livello produttivo è sempre quello unitario. Immaginiamo che il punto C - con la combinazione OM1 di F2 e ON1 di F1 - rappresenti la nuova situazione, in cui si ha produ zione dell'unità di bene con la combinazione delle due tecniche ( la frazione di unità K1 è prodotta con la prima tecnica e la fra2lione Kz con la seconda). Evidentemente la quantità totale OM1 di fattore F2 viene in parte impiegata nel primo processo produttivo ed in parte impiegata nel secondo. La stessa cosa dicasi della quantità ON1 di F1. Possiamo allora scrivere che :
OM1 = K1 · OM1 + Ki · OM2 ON1 = K1 · ON1 + Ki · ON2 Vogliamo adesso dimostrare che il punto C è allineato con A e B e che, quindi, giace sul segmento AB. Per far questo, basta dimostrare
Appendice Il: Microeconomia
872
che i segmenti AC e CB hanno la medesima inclinazione, cioè che : •
•
tg ACP = tg CBQ AP tg ACP = -- = ----•
CP tg CBQ = •
CQ -
BQ
= ----
possiamo quindi scrivere :
ON3 - ON1
ON2 - ON3
(OM1 - OM3) (ON2 - QN3) = (0M3 - OM2) ( QN3 - ONi ) OM 1 · ON2 - OM 1 · ON3 - OM3 · ON2 + OM3 · ON3 - OM3 · ON1 - OM2 · 0N3 + OM2 · 0N1
=
OM3 ON3 -
semplificando e portando tutti i termini al primo membro otteniamo:
OM1 ON2 - OM1 ON3 - OM3 ON2 + OM3 ON1 + OM2 ON3 - OM2 ON1 = O
ricordando a che cosa sono eguali OM3 e ON3 abbiamo: OM1 ON2 - OM1 (K1 ON1 + K2 ON2 ) - ON2 (K1 OM1 + K2 OMi) + + ON1 ( K1 OM1 + K2 OM2 ) + OM2 (K1 ON1 + K2 ON2) - OM20N1 = O OM1 ON2 - K1 OM1 ON1 - K2 OM1 ON2 - K1 OM 1 ON2 - K2 OM2 ON2 + K1 OM 1 ON1 + K2 OMi ON1 + K1 OM2 ON1 + + Ki OM2 ON2 - 0M2 ON1 = O
possiamo raccogliere alcuni termini e ottenere :
OM1 ON2 - (K1 + Ki) OM 1 ON2 + ( K1 + K2) •OMi ON1 - OMi ON1 - K2 OM2 ON2 + K2 OMi ON2 - K1 OM1 ON1 + + K1 OM1 ON1 = O
eliminando i termini eguali con segno contrario e ricordando che K1 + K2 = l , otteniamo: OM1 ON2 - OM1 ON2 + OM2 ON1 - OM2 . ON1 = Q
· oosf è dimostrato che effettivamente tg ACP = tg CBQ e che, di conse guenza, C è allineato con A e B. È quindi evidente che in C il ..
.
.
V. La funzione della produzione a coefficienti fissi
873
processo di produzione dell'unità di bene è combinazione lineare dei due processi produttivi in A e B contraddistinti dall'utilizzazione di sgiunta delle due differenti tecniChe di produzione. Una volta conosciute le quantità complessive dei due fattori, che vengono impiegate con l'utilizzazione congiunta di due tecniche pro duttive, è possibile individuare a quale livello di attività viene esercitata ognuna delle tecniche in questione. Diagramma 65
y
A
B
X
Osserviamo il diagramma n. 65. Il punto C, come già sappiamo, esprime il conseguimento di un certo livello produttivo mediante utiliz zazione oongiunta di due tecniche produttive caratterizzate dai punti A e B. Evidentemente, se le due tecniche fossero u�ilizzate separata mente, il segmento OA rappresenterebbe il livello di attività, a cui dovrebbe essere esercitata la prima tecnica per ottenere quella data produzione; mentre il segmento OB rappresenterebbe il livello di impiego della seconda tecnica. Partendo da C , tiriamo due parallele ad OA e OB; individuiamo, cosf, su questi due segmenti, i punti P e Q. I rapporti OP/OA e OQ/OB misurano, rispettivamente,
Appendice II: Microeconomia
874
il livello di impiego della prima e quello della seconda tecnica, quando queste vengono utilizzate congiuntamente in C. Quindi OP --
OA
= K1 e
OQ --
OB
= K2
( nel diagramma K1 = 2/3 e K2 = 1 / 3 , per cui K 1 + K2 = 1 ). Vogliamo dimostrare che è vero quanto abbiamo appena affermato. In C la combinazione dei fattori è ON di F1 e OM di F2 . Evidente mente, la quantità complessiva applicata di F1 deve essere eguale alla quantità di tale fattore impiegata con l 'uso della prima tecnica piu la quantità utilizzata con la seconda tecnica. La stessa cosa dicasi per quanto riguarda la quantità complessiva di F2 impiegata con le due diverse tecniche. Ora, se abbiamo proceduto ad una esatta individua zione dei livelli di impiego delle due tecniche, con la prima di queste vengono utilizzate le quantità ON1 di F1 e OM 1 di F2 ; con la seconda viene impiegato ON2 di F1 e OM2 di F2 . Ci basta allora dimostrare che:
ON = ON1 + ON2 e OM = OM1 + OM2.
0Q
Osserviamo i tri�ngoli PCS e ON2Q. Essi sono eguali. Infatti : = CP ·in quanto si tratta di due lati opposti di un paralleloA
A
A
A
gramma ; PSC = ON2Q perché angoli rettangoli ; CPS = QON2 perché formati, rispettivamente, da PC e PS e da OQ e ON2 ; e PC è parallelo a 0Q e PS è parallelo a ON2 . A
A
Naturalmente anche PCS = OQN2 Se i triangoli sono eguali, allora : PS = ON2 e CS = QN2 . PS = ON - ON1 ; quindi ON - ON1 = ON2 e
I ON = ON1 + ON2 I
CS = OM - OM1 e QN2 = OM2 ; quindi OM - OM 1 = OM2 e C. V. D.
I OM = OM1 + OM2
V I . L'impresa
*
2. Requisiti della concorrenza perfetta 3. Il principio del massimo profitto 4. Periodo breve e periodo lungo
I . Che cos'è l'impresa
-
-
-
1 . Nei capitoli precedenti abbiamo individuato i criteri secondo i quali misurare l 'efficienza della produzione dei beni. Essendo dati i prezzi di mercato dei fattori produttivi e del bene, il problema da risol vere era quello di minimizzare il costo per una data quantità di pro dotto. Per ogni quantità esi·ste una efficiente combinazione dei fattori, che permette, appunto, la minimizzazione dei cos.t i. Dobbiamo, adesso, studiare il problema della quantità ottima di produzione dei beni da parte dei singoli produttori. Come piu volte abbiamo ricordato, la produzione - nel mondo odierno - viene effettuata prevalentemente all'interno di particolari unità produttive, che vengono denominate imprese. Queste sono formate da un complesso insieme di mezzi materiali e personali, tra loro orga nizzati e coordinati al fine di conseguire la produzione di dati beni. L'opera di coordinamento e direzione spetta all'imprenditore che è il capo ·supremo di questa particolare unità produtriva ( non è detto, natu ralmente, che l'imprenditore debba essere una singola persona). Le imprese costituiscono l'anello di collegamento tra i soggetti economici in quanto consumatori e gli stessi soggetti in quanto prestatori dei fattori produttivi. Le imprese acqu�stano sul mercato questi fattori (input) - che sono rappresentati da terra , lavoro, capitale - e, dopo averli combinati in un processo produttivo, vendono il prodotto otte nuto ( output) sul mercato. -
L'acquisto dei fattori comporta un costo; dalla vendita dei pro dotti si ottiene un ricavo. La differenza tra ricavo e costo, come già vedemmo, rappresenta il profit.to, che viene, normalmente, considerato
* Per aLrune OOMideioozioni genenùi .intorno all'impresa è unile la le�rura del LIPSEY, Introduzione ecc., cit., cap. XIV.
876
Appendice Il: Microeconomia
come una remunerazione del fattore imprenditoriale. Anche il costo dei fattori rappresenta, logicamente, una remunerazione di coloro che li vendono all'impresa. In definitiva, il prezzo del bene prodotto e venduto (costo piu profitto) si risolve completamente in una remunera zione dei fattori della produzione. Coloro che forniscono questi ultimi ricevono, quindi, un reddito, con rl quale si presentano poi sul mercato in veste di consumatori.
2. In questo e nei successivi capitoli, dobbiamo dedicare la nostra attenzione alla complessa problematica relativa all'impresa. Dob biamo, però, meglio delimitare l'ambito della nostra trattazione. Innanzitutto, analizzeremo il comportamento dell'impresa in un regime di mercato di concorrenza perfetta. Escluderemo quindi dalla nostra indagine il regime di monopolio assoluto cosf come tutte le forme di mercato intermedie fra quest'ultimo e la concorrenza perfet ta (duopolio, oligopolio, concorrenza monopolistica, ecc.). Vogliamo sottolineare che la concorrenza perfetta è un'astrazione, cosf come il monopolio assoluto; le concrete forme di mercato sono sempre un frammisto di concorrenza e di monopolio, con la relativa prevalenza dell'una o dell'altro a seconda dei particolari mercati e delle diverse epoche di sviluppo del sistema capitalistico. Ma l'analisi di un certo modello di organizzazione dei mercati, visto, diciamo cosf, allo stato « puro », è di fondamentale importanza per una successiva approssi mazione allo studio dei mercati realmente esistenti. La concorrenza perfetta presuppone tutta una serie di requisiti, tra i quaii i piu importanti sono i seguenti 1 : -
a) Un grande numero di imprese che producono uno stesso bene 2• È necessario che l'output di ogni singola impresa rappresenti una piccola percentuale della complessiva produzione di quel bene. Il che presuppone,. generalmente, che le imprese siano di relativamente modeste dimensioni. In tal caso, il fatto che ogni singola unità pro duttiva possa variare la sua produzione ( anche entro ampi limiti) non può •influenzare apprezzabilmente il prezzo di mercato del bene. Per la singola impresa questo prezw è, quindi, un dato del suo problema I Cfr. W.J. BAUMOL, Teoria economica ecc., cit., pp. 358 e sgg. A. GRAZIANI, Teoria economica, cit., pp. 262-263 ; R. LIPSEY, Introduzione all'economia, cit., pp. 271 e sgg.; SroNIER-HAGUE, Prnicipi di economica, cit., pp. 131 e sgg. 2 Sciamo qui tratoando della concorrema perfetta nel settore dell'offerta dei beni. Diamo per scontato che esista una cancorrenza perfetta dal Iato della domanda, cioè che esista un grande numero di consumatori, ognuno dei quali non è in grado di influire sul prezzo del bene.
VI. L'impresa
877
produttivo. La singola impresa deve adattare i costi al prezzo e non può agire in modo inverso. Naturalmente, va anche esclusa l'esistenza di accordi tra gruppi di imprese per il controllo di quote di mercato.
b) Libertà di ingresso per le imprese nei diversi settori produt tivi. Se in un dato settore produttivo esiste un grande numero di
unità produttive, ma - per ragioni legali o tecniche o altro - è impossibile l'entrata di nuove imprese, non ci troviamo piu in re gime di concorrenza perfetta, ma in una situazione di compresenza di elementi monopolistici.
c) Omogeneità dei beni prodotti dalle varie imprese di un set tore produttivo. Noi ipotizziamo che per ogni bene prodotto sia pos
sibile individuare con sicurezza un certo settore produttivo composto da un elevato numero di imprese. All'interno di ogni settore, H bene prodotto da una certa impresa non deve distinguersi da quello pro dotto da tutte le altre. Solo cosi il prezw del bene sarà unico, perché i vari compratori non saranno disposti a pagare prezzi diversi per lo stesso bene prodotto dalle varie imprese. Naturalmente, l'omo geneità del bene prodotto nel settore non si riferisce ·soltanto alle caratteristiche intrinseche del bene stesso ( la sua qualità), ma anche alla considerazione che di questo hanno i consumatori. Ad es., la pubblicità consente di differenziare nella mente dei consumatori pro dotti intrinsecamente identici. Evidentemente, nei complessi sistemi economici realmente esi stenti, è estremamente difficile distinguere con precisione i diversi settori produttivi. I contorni che delimitano questi ultimi sono ge neralmente assai sfumati, ma, ancora una volta, ricordiamo la ne cessità di semplificare ciò che in realtà è complesso, senza la qual cosa è impossibile fare della teoria. L'importante è che, nel corso del processo di astrazione, non vengano a perdersi quelli che sono i connotati essenziali, strutturali del mondo reale. Il complesso di tutte le imprese che producono uno s tesso bene - quello che abbiamo fin qui indicato come settore produttivo viene denominato industria. D'ora in poi useremo largamente questo termine.
d) Completa conoscenza del mercato da parte dei compratori e dei venditori. È necessario supporre che tutti i soggetti economici che operano sul mercato di un certo prodotto ( sia dal lato della domanda che da quello dell'offerta) siano in grado di conoscere perfet tamente le condizioni di vendita ( il prezw, sostanzialmente) del bene in questione. Soltanto se cosi stanno le cose, ogni compratore si rivol-
878
Appendice II: Microeconomia
gerà per gli acquisti al venditore che offre al prezzu piu basso e , quindi, ogni venditore non sarà i n grado di spuntare u n prezzo piu elevato riispetto agli altri.
e) Assenza di costi di trasporto. In mancanza di questa ipo tesi, vi sarebbero diHerenze di prezzo per uno stesso bene, imputa bili alla differente distanza delle varie imprese dal mercato di ven dita del prodotto . f) Completa mobilità dei fattori da una industria all'altra (e da una impresa all'altra ). In realtà il fattore terra non ha questo ca rattere di mobilità. E cosi pure dicasi del capitale, soprattutto nella odierna realtà economica, in cui la parte preponderante di questo fattore è investita in colossali impianti e attrezzature , che hanno una ben precisa specializzazione produttiva. L'ipotesi della mobilità è però essenziale, se Ja concorrenza ha da essere perfetta, anche perché tale ipotesi è chiaramente legata a quella della libera entrata (e, quindi, uscita ) delle imprese nei vari settori produttivi. La concorrenza perfetta cosi definita è un concetto di concorrenza puramente passivo, che presuppone una realtà produttiva fonda mentalmente statica. Un concetto dinamico di concorrenza non può non rifarsi a ciò che concretamente si verifica nei mercati reali ; cioè, all'accanita lotta delle imprese le une contro le altre per l'acca parramento di piu ampie quote di mercato a detrimento dei con correnti. In questo diverso contesto, il prezzo non appare piu come un dato non modificabile da parte della singola unità produttiva. Ma questo è un discorso che ci porterebbe molto lontani dalla teoria del l'impresa che vogliamo qui esporre. Desideriamo, infine, ricordare che nella nostra analisi un regime di concorrenza perfetta sarà in vigore non soltanto nel mercato d'offerta e di domanda dei beni, ma anche in quello di acquisto e di vendita dei fattori di produzione. Anche il prezzo di questi ultimi non subisce, quindi, apprezzabili mu tamenti dovuti 11ll'azione del singolo offerente o del singolo acqui rente. Ogni impresa acqùista sul mercato quantità variabili di cia scun fattore a prezzi che sono dati del problema produttivo della impresa stessa. Se il prezzo del suo output cosi come quello del suo input non possono essere modificati dalla sua azione, l'impresa ha la sola possibilità di ggi,re sulla combinazione dei fattori produt tivi in modo da minimizzare i costi e massimizzare, perciò, la dif ferenza tra questi e il ricavato della vendita dei beni prodotti.
3. - Oltre all'esistenza di un regime di concorrenza perfetta, un'altra importante ipotesi starà: a base della nostra analisi dell'at-
VI. L'impresa
879
tività imprenditiva. L'obiettivo fondamentale che l'impresa perse gue è quello del conseguimento del massimo profitto, cioè della mas.sima differenza tra ricavi e costi. È, quindi, evidente che, quando parliamo di massimo prof·i tto, vogliamo riferirci al profitto globale, alla massa dei profitti. Ben diverso è il concetto di saggio del pro fitto, che è dato dal rapporto tra il profitto globale ed il capitale complessivo investito. Al massimo profitto globale non corrisponde necessariamente un massimo saggio del profitto. Il criterio del con seguimento del massimo profitto deve guidare il comportamento del l'impresa nel breve, come nel lungo periodo. Questo principio è stato vivacemente criticato dalle piu moderne teorie dell'impresa 1• Non ci addentreremo nella disamina di queste ultime. Per il nostro scopo di prima approssimazione all'indagine teo rica del comportamento imprenditoriale, il principio del massimo profitto appare di grande utilità e permette una determinatezza di risultati, ·· ben difficilmente conseguibile altrimenti. Del resto, tale principio sembra sia effettivamente operante nel mondo pratico degli affari, anche se con opportune qualificazioni e limitazioni, che non sembrano infirmarne la fondamentale validità. 4. Abbiamo parlato, poco piu sopra, di breve e di lungo pe riodo. Vogliamo ora precis·are che cosa intendiamo con simili espres sioni 2 • Il periodo breve è un lasso di tempo durante il quale l'im presa non può variare le dimens·ioni dei suoi impianti e la quantità delle attrezzature e dei macchinari impiegati nella produzione. Essa è soltanto in grado di variare il livello di attività di questi impian ti e di queste attrezzature. I fattori produttivi, la cui consistenza ri mane costante nel breve periodo, vengono denominati fattori fissi. Il livello di attività di questi ultimi muta con il variare della quantità · impiegata di altri fattori, che vengono appunto denominati variabili. Nel breve periodo, inoltre, non riterremo possibile l 'entrata di nuove imprese; per cui rimane costante il numero di unità produt tive operanti in ogni data industria. ·
I Cfr. W.J. BAUMOL, Teoria economica e analisi operativa, cit., cap. XIII; idem, BusineJS Behavior, Value and Growth, New York, Mac Millan, capp. VI-VIII ; R.M. CYEllT e J.G. MA1tCH, A Behavioral Theory of the Firm, Prentice-Hall, Engle wood Cliffs; R.L. HALL e J.C. HITCH, Price Theory and Business Behavior, in Oxford Economie Papers, n. 2, 1939; R. LIPSEY, Introduzione all'economia, cit., cap. XXII. . 2 La nost!ra defiinizione sarà meglio oompresa quando, nel . Prossimo capitolo, parleremo dei costi fissi e dei costi variabili.
880
Appendice Il: Microeconomia
Parliamo invece di periodo lungo quando ci riferiamo ad un lasso di tempo tale da permettere all'impresa di mutare la consi stenza dei suoi impianti e delle sue attrezzature, adattandola a sempre diversi livelli di produzione. Nel lungo periodo non ha piu alcun senso parlare di fattori fissi e variabili in quanto tutti i fattori sono variabili. È inoltre possibile l'entrata ( e l'uscita) delle imprese da ogni data industria. Nelle pagine che seguiranno la nostra analisi verterà sul compor tamento ( e sull'equilibrio ) dell'impresa nel breve e nel lungo periodo; e sull'equilibrio dell'industria, riferito anch'esso al breve e poi al lungo periodo. Nel corso di questa analisi, reincontreremo la curva di offerta ( individuale e collettiva) con cui era iniziata la nostra indagine nella seconda parte di questo scritto.
VII . Ricavi e costi dell'impresa 1. Ricavo totale, medio e marginale - 2 . Vari concetti e tipi di costi d'impresa 3. Costo totale, costo medio, costo marginale - 4. Andamento dei suddetti costi
· -
5. Significato economico dell'andamento dei costi
1 . Come rilevammo nel capitolo precedente, la teoria dell'im presa si fonda sul principio del conseguimento del massimo profitto, che non è altro che la massima differenza tra ricavi e costi. Dobbia mo quindi sottoporre ad analisi questi due elementi, ricordando che la nostra trattazione presuppone l'esistenza di un regime di mercato di concorrenza perfetta. In un 'mercato di questo tipo, il prezzo è un dato per la singola impresa; dalla qual cosa consegue che esso è sempre costante per qualsiasi quantità di bene prodotto e venduto dall'-impresa stessa. · Possiamo riferirci a tre concetti di ricayo: qu�IJo totale, quello . medio e quello ma·rginale . Il primo è r·appresentato dall'introito com� plessivo conseguito c.là.lì 'impresa con la vendita di una certa quantità di bene ed è eguale a questa quantità per il prezzo del bene. Il ri cavo medio è eguale al ric;avo totale diviso per il numero di unità ° di bene vendute; in regime di concorrenza esso è, quindi, eguale al prezzo di mercato del bene stesso. Il ricavo marginale è l'incremento di ricavo che consegue ad un incremento infinitesimale della quantità prodotta e venduta; praticamente, si fa riferimento ad un incre mento delle vendite di una unità di bene, per cui, in regime di con correnza perfetta, tale ricavo è eguale al prezzo del bene. Indichiamo oon RT, RME, RMA, rispettivamente, il riCQvo to tale, quello medio e quello marginale; con P la quantità prodotta e con p il prezzo (costante) del bene. Allora: -
a ) RT = P · p b ) RME =
RT -
p
=
P·p -
p
= p
Appendice II: Microeconomia
882
. dRT d (P·p) dP e ) RMA = -- = = p · -- = p 1 dP dP dP Diagramma 66
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Q u ant i t a" d i p r o d ot t o
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In diagramma (n. 66), l'andamento del ricavo totale è rappresen tato da una semiretta che parte dall'origine (per una quantità nulla di prodotto è, evidentemente, nullo anche il ricavo totale) ed è cre scente verso destra. Sappiamo già che la pendenza di una funzione è data dalla sua derivata; ma abbiamo appena vi•sto che tale derivata dRT --- ) è uguale al prezzo del bene, che è un dato di mercato dP per la singola .impresa. Essendo la pendenza sempre costante, la fun zione ha andamento rettilineo. Per una certa quantità ON di pro dotto, abbiamo : RT = MN MN RME = -- = tg a = RMA = p ON Anche graficamente constatiamo, quindi, l'eguaglianza tra ricavo medio, ricavo marginale e prezzo, che esprimono l'inclinazione della 1 Se indichiamo con RTn e RTn - l il ricavo totale della vendita di n e di n - 1 unità di prodotto, allora: p np - np . + p np - (n - l ) p RMA0 RT0 - RT0 _ 1 =
=
=
=
88.3
VII. Ricavi e costi dell'impresa
funzione di ricavo totale. Tutto questo è valido esclusivamente nella particolare ipotesi della concorrenza perfetta. Possiamo costruire un ulteriore grafico (n. 67 ) in cui mettiamo tra loro in relazione la quantità prodotta e RMA = RME =
p.
Diagramma 67
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O u a n t i t a" p r o d o t t a
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N
La funzione è adesso rappresentata da una semiretta parallela all'asse delle ascisse 1 • È interessante notare che questa semiretta rappresenta anche la linea di domanda del bene prodotto dalla sin gola unità produttiva. Infatti, dal punto di vista economico, la linea del prezw parallela all'asse delle ascisse sta a significare una elasti cità infinita di tale domanda. C.On una infinitesimale riduzione di prez zo, l'impresa sarebbe in grado ( teoricamente) di espandere all'infinito le sue vendite; con un infinitesimale aumento di prezzo, le sue vendite sarebbero r.idotte a zero. Questa espansione illimitata o ·riidu zione a zero delle vendite della singola impresa sono, appunto, legate alla presenza di un grandiss-imo numero di unità produttive concorrenti che vendono lo stesoo bene e al fatto che tale singola impresa partecipa per una piccolissima quota alla quantità comples siva di bene prodotta e venduta.
2. La tratta�ione del ricavo di impresa ha potuto essere piut tosto sbrigativa, data l'ipotesi da noi fatta di un regime di mercato -
t La derivata di questa funzione, che è della forma y K (essendo K un11 costante), è eguale a zero; la funzione non ha, quindi, alcuna inclinazione rispetto all'asse delle ascisse. Si ricordi che la funzione di forma y = K è, a sua volta, derivata della funzione (rettilinea) del ricavo totale. Per una quantità ON di pro dotto, nel diagramma n. 67, il ricavo totale è rappresentato dall'area OPMN, cioè dall'integrale definito da O ad N della funzione del prezzo (o del ricavo medio o marginale). =
884
Appendice II: Microeconomia
perfettamente concorrenziale. Assai piu esauriente e complessa dovrà essere la trattazione dei costi dell'impresa stessa. Per costo intendiamo, in prima approssimazione, l'�nsieme delle spese sostenute dall'imprenditore per ottenere quel dato volume di produzione. �olitamente, nel costo di_ procluzi()ne vi�ne co�preso anche_ il profitto in quanto remunerazione del fattore imprenditoriale (e · · " r�munerazione anch e élei fat tore (( rischio » ) ; per cui la eventuale differenza tra ricavo e costo rappresenterebbe un ��!�t!!.t o,_ Se il fattore direzionale ( imprenditoriale) è fornito dal tiwlare stesso dell'impresa, è evidente che quest'ultimo non sosterrà una spesa effettiva; il costo viene semplicemente calcolato e imputato all'eser cizio dell'impresa. La stessa cosa vale per l'interesse calcolato sul capitale di proprietà dell'impresa. Piu in generale, per ogni fattore fornito all'impresa dal titolare della stessa, verrà calcolato un costo, tenendo conto del prezzo di mercato · dei fattori stessi. Ciò è del tutto esatto, in quanto il titolare d'�mpresa può scegliere tra l'impiego di quei fattori nell'impresa stessa e la loro vendita ad altri impren ditori. La prima alternativa sarà scelta soltanto se promette di fornire al titolare dell'impresa un guadagno complessivo maggiore rispetto all'altra alternativa. Possiamo quindi distinguere i costi effettivi (che . danno origine, generalmente, ad uscite monetarie) dai fpsti fittizi, che vengono soltanto imputati all'esercizio dell'impresa 1 • A questa di stinzione si avvicina (ma non coincide) una suddivisione del costo in monetario e reale, che ebbe un tempo notevole rilievo nella teoria economica 2 • Il costo monetario è rappresentato cl.alle effettive spe se di produzione. Per costo « reale » si intendeva invece la somma dei sacrifici compiuti da coloro che forniscono i fattori produt tivi. In particolare, veniva considerato il sacrificio connesso alla « Q!!n osità » del lavoro e quello legato alla « astinenza » (dal consumo immediato ) o alla « attesa )) (di redditi fut�ri), da. cui dipende i l risparmio, che viene poi investito come capitale nella produzione dei beni. Il costo « reale » era anche chiamato costo « subbiettivo » in contrapposto ad un costo « obiettivo », che è dato dall'insieme delle risorse produt tive consumate nell'atto di produzione 3 • I Cfr. LIPSEY, Introduzione ecc., cit., pp.
231 e sgg.
2 Cfr. A. MARSHALL, Principi, cit., pp. 322 e sgg. 3 Cfr. BRESCIANI-TURRONI, Corso di economia politica, voi. I,
cit., pp. 229 e sgg. Non è da confondare il costo obiettivo con quello monetario. Vi sarebbe coincidenza soltanto nel caso che: a) non esistessero costi fittizi ; b) il valore della moneta restasse stabile; c) fosse possibile adeguare i costi privati delle singole imprese ai costi « sociali » , cioè ai costi sopportati da)Ja collettività a causa della
VII. Ricavi e costi dell'impresa
885
Possiamo unificare ! concetti di costo effettivo e di costo fit tizio nell'unico concetto di costo-opportunità che s.i può definire come
somma delle remunerazioni che i vari fattori produttivi utilizzati da una impresa potrebbero conseguire se fossero impiegati nel piu van taggioso degli usi produttivi alternativi a quello posto in essere 1 • In
tal modo, non soltanto vanno accuratamente calcolati i costi dei fat tori di proprietà dell'impresa, ma anche i costi « effettivi » possono essere imputati per un valore diverso da quello della spesa real mente sostenuta. D'ora in poi, quando parleremo dei costi, ci rife riremo sempre al costo-opportunità. In una impresa reale, che produce un certo numero di beni di versi, i costi possono essere distinti in comuni e speciali o diretti 2•
Questi ultimi possono essere sicuramente imputati « in toto » ai sin goli beni prodotti. Si tratta, sopra•ttutto, dei costi delle materie pri me e del fattore lavoro (quest 'ultimo non sempre). I costi comuni vengono invece sostenuti per la produzione in generale, per la pro duzione di tutti i beni. Si pensi alla remunerazione del fattore im· prenditoriale, agli s �ipendi degli impiegati, al costo dell'energia elet trica e del riscaldamento, alla manutenzione degli impianti e dei fabbricati ecc. I costi comuni vanno imputati « pro quota » ai singoli beni prodotti. Accese sono sempre la discussioni sui criteri di impu tazione di questo tipo di costi. Tali discussioni ci interessano, comun que, ben poco, dato che l 'impresa, di cui ci interesseremo nel prosieguo della nostra trattazione, produce un solo bene e tutti i costi vanno a questo imputati. Piu importante ed assai utile per la nostra analisi è la distin zione dei costi in fissi e variabili . Tale distinzione è legata, logica mente, a quella tra fattori fissi e variabili e, quindi, può essere fatta soltanto con ri&uardo al « breve periodo », dato che nel « periodo lungo » tutti i fattori e, di conseguenza, tutti i costi sono variabili. Intendiamo per costi fissi quei costi di breve periodo, il cui am montare non muta al variare della quantità prodotta. Si tratta so prattutto dei costi degli impianti, delle attrezzature produttive e delle macchine. Abbiamo ancora le spese per affitti, gli oneri fiscali,
P�oduzione delle imprese e che queste ultime, generalmente, non sostengono (sulla divergenza tra costi « socj.a!i » e privati, fondamentali considerazioni sono svolte da A.C. PIGou, Economia del benessere, Torino, UTET, parte I I ; e inoltre eia H. SIDGWICK, Principles of politica/ Economy). 1 Cfr. DoRFMAN, Prezzi e mercati, cit., pp. 79 e sgg. e LIPSEY, Introduzione ecc., cit., (III edizione) pp. 332-337. 2 Cfr. C. BRESCIANI-TURRONI, Corso ecc., cit., pp. 236 e sgg.
886
Appendice II: Microeconomia
una parte delle spese di manutenzione, una parte delle spese di amministrazione ecc. I costi variabili, invece , diminuiscono o crescono al diminuire o al crescere della quantità di bene prodotta. Si tratta tipicamente delle spese per materie prime, materie sussidiarie, energia elettrica e delle remunerazioni del fattore lavoro. Naturalmente la vari' · · Diagramma 75
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punto di ottima combinazione dei fattori 1 • Con l'immissione nel processo produttivo di una quantità « eccessiva » di fattori variabili 2 , l'impresa si trova nella zona dei rendimenti decrescenti di questi ultimi.
3. - Con l'aiuto del diagramma n. 75 ci rendiamo conto di un altro fatto di fondamentale importanza. Si noterà che anche nel punto L si ha eguaglianza tra prezzo e costo marginale. Quest'ulti mo, però è in tale punto decrescente e, di conseguenza, l 'impresa ha tutto l'interesse ad espandere la produzione; se non lo facesse, subirebbe una perdita {misurata dall'area NIL) 3• Soltanto dopo il punto L, vi è una differenza positiva tra il prezzo ( = ricavo margi nale) e il costo marginale; soltanto dopo tale punto, quindi, l'impresa comincia a guadagnare su ogni unità aggiuntiva di bene prodotta. La somma di questi guadagni per unità di prodotto permette, in un primo tempo, di eliminare la perdita NIL e , successivamente, di aumentare il I A scanso di equivoci, ancora una volta ricordiamo che, nell'analis.i dei costi, supponiamo che l'impresa abbia già risolto il problema della minimiz=ione di questi e, quindi, della combinazione ottima dei fattori per ogni dato livello pro duttivo. Qui il problema è diverso; vi è un certo livello di produzione, in cui il costo medio è il minimo possibile (è l'ottimo degli ottimi ) . 2 Eccessiva i n relazione alla consistenza dei fattori fissi utilizzati. 3 Cfr. BAUMOL, Teoria economica ecc., cit, p. 343. La perdita complessiva è data dalla somma delle perdite sulle successive unità di bene prodotte. E t:Alc perdita unitaria è misurata dalla difforenza tra il· costo marginale e il ricavo marginale (prezzo).
Appendice I l : Microeconomia
902
profitto d'impresa; tutto ciò, come abbiamo già visto, fino al punto T. In conclusione, l'equilibrio vi·ene raggiunto soltanto quando il costo marginale è crescente; cioè l'ottimo livello produttivo si situa nella zona dei rendimenti decrescenti (produttività marginale decrescente ) del fattore variabile. Vi è un solo caso, in cui l'impresa raggiunge la posi zione di equilibrio di breve periodo in un punto di combinazione ottima dei fattori (fissi e variabili) . E questo si verifica, quando la linea del prezzo è tangente alla curva del costo medio totale 1 • Diagrarruna 76
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Infatti, essendo parallda all'asse delle asoi·sse, la linea del prezw sarà tangente alla CMET nel punto di minimo di quest'ultima. In tal punto, come sappiamo, costo margi°nale e costo medio sono eguali. D'altra parte, l'impresa amplia la sua prod�zione fino a quando il costo marginale eguaglia il prezzo. In definitiva, il livello produttivo di equilibrio OM è caratterizzato da una produzione del bene al minimo costo ( diagram ma n. 76). I n questa posizione non vi è, evidentemente, alcun profitto ( oppure - se nei costi è incluso il profitto « normale » - l'impresa gode soltanto di questo profitto), dato che prezzo e costo medio sono eguali. Se la linea del prezzo scendesse al di sotto della curva di costo medio, l'impresa sopporterebbe una perdita (o quanto meno vedrebbe ridotto il suo profitto « normale » ). 1 Anche in tal caso, comunque, il costo marginale è crescente (rendimento decre scente del fattore variabile) nel punto di equilibrio dell'impresa.
VII I. Equilibrio dell'impresa nel breve periodo
903
Osserviamo il diagramma n. 77. Se il prezzo è p, data la struttura dei suoi costi, l'impresa non è in grado di coprire completamente il costo totale, a qualsiasi livello di produzione essa si attenga. L'impresa sopporta, quindi, una perdita. Anche in tal caso, però, il principio che regola il volume di produzione effettuato (OM ) è dato dall'egua glianza del costo marginale con il prezzo. Nel punto T l'impresa mini mizza la sua perdita complessiva, rappresentata dall'area NRST ( diffe renza tra il costo totale ORSM e il ricavo totale ONTM). In un caso come questo, il problema che si pone all'imprenditore è quello di deci Diagramma 77
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dere se continuare o meno a produrre. Non vi è dubbio che la risposta dev·e essere affermativa, nel breve periodo. È chiaro che, a lungo andare, l'impresa non può continuare a produrre, se il prezw del bene rimane costantemente al d i sotto del costo medio totale, perché essa andrebbe incontro a perdite di capitale (o quanto meno ad una non adegoota remu nerazione del fattore imprenditoriale). Nel breve periodo, però, il pro blema si pone in termini alquanto diversi. L'impresa deve sempre sostenere i costi fissi, anche se cessasse di produrre 1 • Ad essa conviene 1
Salv o che in caso di fallimento, · che non è certo, però, la soluzione migliore,
Appendice Il: MicroC CMEL). Passando all'analisi dell'industria questa sarà composta da imprese con extraprofitti (del tipo di quella consi derata) e da imprese che godono di un profitto « normale ». La situazione sembra assai simile a quella dell'indu!>tria nel breve periodo, ma con alcune importanti modificazioni. Intanto, non è dato di supporre l'esistenza di imprese ultramarginali, perché queste, come abbiamo già detto, vengono espulse dal mercato nel lungo andare. Inoltre le imprese con profitto « normale » sono imprese marginali in quanto nel lungo periodo tutti i costi sono variabili e, perciò, il punto T del diagramma n. 85 (costo medio minimo) è il « punto di fuga » di cui già parlammo. Se il mercato è perfettamente concorrenziale, però, è necessario i potizzare la cond•izione di libera entrata delle imprese nel settore. Nuove imprese inizieranno la loro attività produttiva iin una certa indu stria, quando vi saranno attirate dalla possibiJi.tà di godere di profitti in misura superiore a quella considerata « normale ». Questo implica che, in quella industda, vi siano già delle imprese intramarginaH. Eviden temente, le nuove imprese entreranno nel settore, attuando combinazioni produttive 5imili a quelle di queste ultime, in modo da poter godere anch'esse di extraprofiui . Tutto ciò comporta, a lungo andare, una espansione della produzione e dell'offerta complessiva del settore, con
Appendice l l: Microeconoftlra
922
una conseguente riduzio ie del prezzo del bene. Le imprese già marginali diventano via via ultramarginali e vengono espulse dal mercato. Fino a quando nell'industria vi sarà la possibilità di godere di extraprofitti, continuerà questo graduale p:ocesso di entrata di nuove imprese (con costi medi e marginali a l,ivello di quelli delle piu efficienti imprese già operanti nel settore), di espansione della produzione e della offerta del bene, di diminuZ'lone del prezzo di quest'ultimo e di espulsione dall'industria delle imprese meno efficienti. Tale processo verrà a cessare quando nell'industria in questione non sarà piu possibile godere di un profitto superiore al « normale » ; cioè quando non esisteranno piu imprese intramarg-inali. Nel settore, in equilibrio di lungo periodo, tutt'e le imprese sono del tipo marginale e si trovano nella situazione illustrata dal diagramma n. 86. Ogni impresa dell'industria si trova in equilibrio di lungo periodo, producendo una certa quantità di bene al minimo costo mecno di lungo periodo ( dato che in quel punto il prezzo è eguale al costo marginale). Diagramma 86
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In tale situazione, ogni impresa gode soltanto del profitto « normale » . C.Ome già sappiamo, nel punto d i minimo della CMEL si ha anche il minimo di una delle curve di costo medio di breve periodo. La posi zione di equilibrio al minimo costo medio di lungo periodo, quindi, è anche una posizione di equilibrio al minimo costo medio nel periodo breve. In conclusione, data la condizione di libera entrata delle imprese nell'industria (condizione essenziale per l'esistenza di un regime di
IX. L'�quilibrio detl'impresa nel lungo periodo
923
concorrenza perfet ta). la posizione di equilibrio di lungo periodo di ogni singola impresa è tale che spariscono completamente le « quasi rendite » e il fattore ·imprenditoriale deve accontentarsi della sua « nor male » remunerazione. In una s1tuazione come questa non vii è piu alcun incentivo all'ulteriore entrata di nuove imprese in quella certa industria e, di conseguenza, anche quest'ultima è in equilibrio.
Conclusioni
Abbiamo cosi terminato la nostra sia pur sommaria espoSii zione di alcuni problemi di economia, che sono al centro dell'analisi teorica della dottrina neoclasska. Dato lo scopo limitato di qut!'Sta appendice, non abbiamo ·ritenuto necessario esporre in modo piu completo i risul tati acquisiti dall'indirizzo metodologico che è stato qui trattato e non abbiamo discusso - salvo che per brevissimi cenni - i problemi che tale indirizzo lascia aperti. Abbiamo cercato di esporre, nel modo piu oggettivo possibile (e nel modo piu comprensibile), la teoria economica, cosf come essa è solitament·e insegnata nell'ambi·to accademico; ed abbiamo fatto questo perché convinti dell'utilità di conoscere tale tooria, qualur.que cosa di essa si pensi. Molti problemi sono rimasti fuori del quadro della nostra esposi zione. Abbiamo analizzato la teoria del consumo e quella della produ zione, giungendo cosf ad individuare i fat tori che - secondo la teoria neoclassica - determinano, da una parte, la domanda dei beni e, dall'altra, la produzione e l'offerta degli stessi. Una volta fatto questo, avremmo dovuto combinare fra loro domanda e offerta e studiare la formazione del prezzo di mercato dei beni. La nostra analisi è poi stata settoriale, cioè abbiamo studiato i problemi relativii alla domanda e all'offerta di un solo bene alla volta. È mancata una piu generale consi derazione delle interrelazioni esistenti tra quantità ( di offerta e di domanda) e prezzi di tutti i beni prodotti in un certo sistema economico. È mancata, cioè, la trattazione della teoria dell'« equilibrio economico generale » .
Inoltre, ci siamo attenuti allo svolgimento dei fenomeni in un mercato perfettamente concorrenziale. Abbiamo omesso l 'analisi del monopolio e degJ.i aJ.tri regimi non concorrenziali di mercato; e questa deficienza ci cruccia non poco data l'estrema importanza che hanno questi regimi di mercato, soprattutto nell'epoca attuale.
Bibliografia
csse11ziale
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Infine, non abbiarr"J trattato della troria della distribuzione; c1oe del modo in cui i beni prodotti vengono divisi tra tutti coloro che forni�cono fattori alla produzione dei beni stessi. Nonostante queste (ed altre) carenze, crediamo che questa appen dice possa avere una sua utilità, soprattutto se considerata come un primo approccio ad un corpo di teorie assai complesso e sviluppatosi in diverse direzioni. Con questa convinzione consegnamo queste pagine all'attenzione del lettore e del futuro studioso di teori.a economica.
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Appendice I I: Microeconomia
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E.
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Finito di stampare settembre 1 972 nella Tipolitografia ITER - Roma per conto degli Editori R iuniti Viale Regina Margherita, 290 - 00 1 98 Roma