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Italian Pages 197 [200] Year 2016
BOMPIANI testI A frONte Direttore
GIOvANNI reAle
–
gaud – . apa – da – – ma n .d . u kyaka rika upaniS.ad Testo sanscrito a fronte
Introduzione, traduzione e note di Raphael
BOmpiani teSti a frOnte
I proventi che si ricavano dai diritti d’Autore di questo libro vengono devoluti all’Associazione ÅŸram Vidyå “no prof it”. © 2016 ÅŸram Vidyå, Via Azone 20 – 00165 Roma
ISBN 978-88-587-6181-6 © 2016 Bompiani/RCS Libri S.p.A. Via Angelo Rizzoli 8 - 20132 Milano Realizzazione editoriale: Vincenzo Cicero - Rometta Marea (ME) I edizione Testi a fronte gennaio 2016
Avvertenze Al testo italiano – Le parentesi quadre [ ] sono nostre e racchiudono: termini o parti sottintese nel testo; parti integrative che si è ritenuto opportuno inserire per la migliore comprensione del discorso. – Le parentesi tonde ( ) racchiudono: l’originale sanscrito di termini o frasi in esame appartenenti alla Må√ƒ¥kyakårikå; la traduzione in italiano dei termini sanscriti; brevi frasi esplicative. – Le virgolette alte “ ” racchiudono le parti, tratte dai testi, consistenti sia di singole parole sia di brevi frasi; discorsi all’interno di citazioni. – tra virgolette basse « » sono racchiuse le citazioni da fonti scritturali. – In corsivo sono sempre riportati: i termini sanscriti (es. prå√a, loka), a meno che si tratti di nomi propri di persona e località, ecc., e i termini italiani di particolare interesse in un dato contesto. – L’uso del maiuscolo e del minuscolo risponde a un criterio convenzionale entrato nell’uso corrente (es. Brahman, åtman, Hira√yagarbha, måyå, ecc.). Lo stesso dicasi per le parole composte, separate, formanti titoli di testi o altro. – eventuali discordanze riguardanti le fonti scritturali derivano dalla non uniformità delle redazioni e delle ripartizioni dei testi da cui sono state attinte.
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Avvertenze
– I rimandi ai s¥tra della Må√ƒ¥kya Upani≤ad, alle kåri kå di Gauƒapåda e ai versi degli altri testi citati sono dati secondo la numerica usata nel testo, per es.: Må. vII, Må. Kå. 2.32, Bÿ. I.Iv.10, Mai. vI.22. Al testo sanscrito – Per la traslitterazione del testo sanscrito dall’originale devanågarı sono stati adottati i criteri correntemente usati senza operare, con qualche deroga, alcuna separazione delle parole. – Per la divisione delle parole si è seguito il criterio sillabico sanscrito. Questo vale anche per le parole sanscrite riportate nel testo italiano.
note editoriali – I commenti e le note ai s¥tra della Må√ƒ¥kya Upani≤ad e alle kårikå di Gauƒapåda sono stati posti alla fine di ogni Capitolo. – Le citazioni delle Upani≤ad sono tratte, a meno che non sia specificata diversa edizione, dal volume Upani≤ad a cura di raphael. Bompiani, Milano 2010.
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Avvertenze
Genesi fonetica delle lettere
gutturali
palatali
cerebrali
dentali
labiali
In funzione della zona di emissione, dall’interno verso l’esterno
brevi
a
i
ÿ
ø
u
lunghe
å
ı
™
¬
¥
Aspirazione pura Aspirazione ridotta
h ¢
Vocali
(a) e-ai
Dittonghi
o-au (i) y
Semivocali
(u) r
l
v
Consonanti sorde
k
c
†
t
p
sorde aspirate
kh
ch
†h
th
ph
sonore
g
j
ƒ
d
b
sonore aspirate
gh
jh
ƒh
dh
bh m
nasali
§
ñ
√
n
Sibilanti
Ÿ
≤
s
risonanza nasale pura risonanza conforme
æ µ
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Avvertenze
note sulla pronuncia vengono indicate solo le lettere aventi un suono particolare, o diverso dall’italiano. Quelle non indicate si pronunciano approssimativamente come in italiano. Le cerebrali, o retroflesse, si pronunciano flettendo la punta della lingua all’indietro. Il trattino sopra la vocale (å, ¥, ecc.) prolunga il suono (aa, uu, ecc.). Le consonanti aspirate (kh, ch, ecc.) mantengono il medesimo suono seguito da breve aspirazione. ÿ ø k g § c j ñ gn
= = = = = = = = =
tra r e ri tra l e li c dura di casa g dura di ghiaccio n di angolo c palatale di centro g palatale di giro gn di gnosi suoni separati: g dura o gutturale ed n dentale (es.: Agni=Agnì) † = t siciliana di cutieddu ƒ = d siciliana di beddu √ = n di caverna y = i di ieri Ÿ = sc di sciame (palatale: lingua premuta contro il palato) ≤ = sc di scibile (cerebrale: lingua retroflessa sul palato) æ = risonanza nasale pura o assimilata alla consonante seguente jñ = un suono semplice tra la gn di gnosi e il gh di ghiaccio k≤ = i due suoni ravvicinati ¢ = breve aspirazione h = sensibile aspirazione, distinta dalla eventuale consonante precedente (es. blackhole)
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Avvertenze
elenco delle abbreviazioni Bha. Gı.
Bhagavadgıtå
Bÿ.
Bÿhadåra√yaka Upani≤ad
Bra. S¥.
Brahmas¥tra
Chå.
Chåndogya Upani≤ad
ÙŸa.
ÙŸa (våsya) Upani≤ad
Ka.
Ka†ha Upani≤ad
Må.
Må√ƒ¥kya Upani≤ad
Må. Kå.
Må√ƒ¥kyakårikå
Mai.
Maitry Upani≤ad
Mu.
Mu√ƒaka Upani≤ad
Pra.
PraŸna Upani≤ad
Âve.
ÂvetåŸvatara Upani≤ad
Tai.
Taittirıya Upani≤ad
Yå. Dha. S¥.
Yåjñavalkıyadharmas¥tra
rIferIMentI BIBLIoGrAfICI Må√ƒ¥kyopani≤ad, with the kårikå of Gauƒapåda and the bhå≤ya of Âa§kara, translated into english by M. Dvivedi. theosophical Publication fund, Bombay 1909. Må√ƒ¥kyopani≤ad, with the Kårikås of Gauƒapåda and the commentaries of Âa§kara, Ånandagiri & Âa§karånanda. edited by Å. Âarma Kathavate, Poona 1911. ÙŸåvåsya, Kena, Ka†ha, PraŸna & Mu√ƒaka Upani≤ads, with the commentaries of Âa§kara, råmånuja & Ånandagiri; Må√ƒ¥kyopani≤ad, with the commentary of Gauƒapåda, supplemented by the commentaries of Âa§kara & Ånandagiri; Aitareya & ÂvetåŸvatara Upani≤ads, with the commentary of Âa§kara. Madras 1939. Må√ƒ¥kya Upani≤ad et Kårikå de Gauƒapåda, publiée et traduite par e. Lesimple. Adrien Maisonneuve, Paris 1944. La Må√ƒ¥kyôpani≤ad avec les karikas de Gaudapada et les Commentaires de Çaµkaracarya. traduction de Marcel Sauton. Adyar, Paris 1952. GauƒapådaKårikå edited with a complete translation into english, notes, Introduction and Appendices by raghunath Damodar Karmarkar. Bhandarkar oriental research Institute, Poona 1953. Mandukya Rahasya Vivriti, A Commentary on Sri Gauda pada’s Mandukya Karikas, by Swami Satchidananda Saraswati. Holenarsipur 1958. Die MandukyaUpanishad des Atharvaveda, mit den Karika des Gaudapada über dieselbe. Sechzig Upanishad’s des Veda aus dem Sanskrit übersetzt und mit einleitungen und
rIferIMentI BIBLIoGrAfICI
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Anmerkungen versehen von Dr. Paul Deussen Professor an der Universität Kiel. zweite Auflage. Leipzig, f.A. Brockhaus 1905 (Darmstadt 1963). Paul Deussen, Sixty Upanisads of the Veda (english translation by v.M. Bedekar and G.B. Palsule), 2 vols. Motilal Banarsidass, Delhi 1980. The Må√ƒ¥kyopanishad with Gauƒapåda’s kårikå and Âa§kara’s commentary. translated and annotated by Svåmi Nikhilånanda. Ârı Råmakrishna Åshrama, Mysore 1968. Må√ƒ¥kyagauƒapådıya with Âa§kara Bhå≤ya and Anu b h¥ tisvar¥påcårya’s Ïippa√am, edited by S.R. Krishnamurti Shastri, P.v. Sivarama Dikshitar. the Sanskrit education Society, Madras 1978. Upani≤ad bhå≤yam, edited by S. Subrahma√ya Âåstri, vol. I. Mahesh Research Institute, Mount Abu, Varå√ası 1979. ÙŸa, Kena, Ka†ha, PraŸna, Mu√ƒa, Må√ƒ¥kya Upani≤ads, with the commentary of Âa§kara Åcårya and the Gloss of Ånanda Giri, edited by e. röer. “Bibliotheca Indica” vol. vIII. osnabruk 1980. Complete Works of Sri Sankaracharya in the original Sanskrit, vol. VIII, Commentaries on the Upanishad: ÙŸa, Kena, Ka†ha, PraŸna, Mu√ƒaka, Må√ƒ¥kya, Aitareya, Taittirıya, Chåndogya, Bÿhadåra√yaka, Nÿsiµhatapanıya Upani≤ads. Samata Books, Madras 1983. Må√ƒ¥kya Upani≤ad con le kårikå di Gauƒapåda e il com mento di Âa§kara. traduzione dal sanscrito e note di raphael. Collezione vidyå, roma 1984. The ÅgamaŸåstra of Gauƒapåda, edited, translated and annotated by vidhushekara Bhattacharya. Motilal Banarsidass, Delhi 1989. Må√ƒ¥kya Upanishad and kårikå and Âa§kara’s commen tary translated into English by Svåmi Gam bhırånanda. (In Eight Upani≤ads, vol. II). Advaita Ashrama, Calcutta 1989.
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rIferIMentI BIBLIoGrAfICI
Gauƒapåda, ÅgamaŸåstra. Introduzione, testo sanscrito, traduzione, commento, lessico, bibliografia a cura di Icilio vecchiotti. Ubaldini editore, roma 1989. Thirteen Principal Upani≤ads, vol. II, Må√ƒ¥kya Upani≤ad with Gauƒapådakårikås, critically edited with exhaustive Introduction, Âa§kara Bhå≤ya, Comparative Study and full comments with old and modern interpretations by J.H. Dave. Bharatiya vidya Bhavan, Bombay 1990. Mu√ƒaka and Må√ƒ¥kya Upani≤ads, with Gauƒapåda kårikå in “the Word Speaks to the faustian Man” vol. II, edited by Som raj Gupta. Motilal Banarsidass, Delhi 1995. Conciencia y Realidad. estudio sobre la metafísica advaita con la Må√ƒ¥kya Upani≤ad, las Kårikå de Gauƒapåda y comentarios de Âa§kara. edición de Consuelo Martín. editorial trotta, Madrid 1998. Strumenti per lo studio dell’ÅgamaŸåstravivara√a. A cura di Alberto Pelissero. Con una traduzione annotata del commento alle strofe di Gauƒapåda ascritto a Âa§kara. Leo S. olschki, firenze 2002. Må√ƒ¥kya Upani≤ad in Upani≤ad a cura di raphael. Bompiani “testi a fronte”, Milano 2010.
«L’immortale non può divenire mortale, né, parimenti, il mortale [divenire] immortale. Un cambiamento di natura non potrà avvenire in alcun modo». Må√ƒ¥kyakårikå 3.21
INTRODUZIONE
La Må√ƒ¥kya Upani≤ad fa parte dell’Atharvaveda e appartiene al periodo relativamente antico. Per quanto breve, essa riassume tutta la visione metafisica della dottrina delle Upani≤ad. Per chi è “intuitivo” questa Upani≤ad può compen diare l’intera sådhanå realizzativa. In essa si prendono in considerazione l’Essere metafisico o non qualificato, l’Esserecausa o l’Uno ontologico, gli stati molteplici dell’EssereUnità, la possibilità degli enti di trasmi grare nell’uno o nell’altro stato esistenziale, l’identità dell’animajıva con l’EssereUno e quindi con l’Essere metafisico, la tecnica dell’ascesi mediante il mantra Om. Gli stati dell’EssereUnità sono sintetizzati in tre, ma questi tre non sono che un solo stato con modalità vibratoria triplice. A sua volta questa unità manifesta rappresenta una delle infinite determinazioni dell’Es sere metafisico, del Non Essere, dell’Uno metafisico o Assoluto, in altri termini del Brahman nirgu√a (non qualificato) o Turıya (il Quarto). Gli stati esistenziali sono “modi di essere”, stati vibratori che esprimono qualità; così gli enti, secondo le qualità che manifestano, possono trovarsi in uno o l’altro stato vibratorio vitale. Per esprimere queste modalità vibratorie in termini concettuali, l’Upani≤ad si serve di determinati nomi; abbiamo così lo stato di pråjña, di taijasa, di viŸva, e, per quanto riguarda lo stato incondizionato o infinito, di Turıya. Il piano di viŸva è lo stato fisico denso, lo stato grossolano che attualmente stiamo sperimentando;
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INTRODUZIONE
quello di taijasa è lo stato sottile o iperfisico; in esso ci ritiriamo quando dormiamo e quando lasceremo la “veste” grossolana o corpo fisico. ViŸva e taijasa inferiore differiscono solo in quan to hanno vibrazioni diverse, come il colore violetto può differire dal colore giallooro; essi sono formali, caratterizzati dal dualismo soggettooggetto, dalla cau saeffetto e dalla condizione individuata. Come già abbiamo detto, l’ente che si trova in taijasa inferiore ha deposto solo il suo involucro carnale, rimanendo con tutte le sue facoltà intellettivovolitive, sensoriali e di coscienza. Pråjña è lo stato causale, germinale, il noumeno dell’intera manifestazione, è l’essenzaseme dell’Ente. In esso originano e in esso fanno ritorno tutte le cose; in pråjña l’effetto, come tutte le polarità manifeste, si reintegra nella causa. Comunque, ciò rappresenta un aggregato di energie qualificate (gu√a) di diversa natura espressiva, energie spesso contraddittorie, come si svelano anche sul piano di viŸva. L’individuo è prigioniero di queste energie per cui “sogna” in viŸva e, se non ha avuto il Risveglio, si trasferiscono in taijasa. Ma il Risveglio può aversi su qualunque piano esistenziale perché la realizzazione non dipende da tempo e da spazio. L’ente, in quanto jıva, in pråjña è sintesiunità di se stesso, è coscienza pura senza alcuna sovrapposizione oggettuale; pråjña è dunque uno stato di compiutezza, di non desiderio, di assenza di dualità, di non movi mento. Esso è Conoscenza pura, conoscenza non più di oggettifenomeni, ma del Soggetto ultimo; l’essere si conosce per se stesso e in se stesso; a questo livello la conoscenza diventa coscienza, non “coscienza di...”,
INTRODUZIONE
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ma coscienza che svela se stessa, dal momento che in pråjña non vi sono oggetti o dati di qualunque ordine e grado perché il tutto ritorna allo stato potenziale. Se in viŸva e taijasa la realtà si esprime in termini “Io sono questo”, in pråjña si esprime in termini “Io sono”; il “questo” (in quanto oggetto conoscibile) spa risce, per cui rimane la pura consapevolezza di ciò che si è. Quando invece il jıvåtman si risolve in “Io sono Quello”, il quale è il fondamento, si reintegra nel suo sostrato non qualificato e non determinato (Turıya). La reintegrazione si ha quando ci si risveglia alla con sapevolezza dell’åtman. Ciò implica che la li berazione non è una “conquista”, non è un effetto di una causa, perché lo stato di unità (åtman-Brahman) è sempre esistito, solo che per l’ente caduto nell’avidyå tale stato è virtuale, potenziale. Ciò che occorre, quindi, è Svegliarsi a ciò che realmente e profondamente si è, di là da ogni “so vrapposizione” velante. In ultima analisi, e vista sotto certe prospettive, la stessa liberazione è una semplice categoria mentale da cui occorre altresì affrancarsi; la kårikå 2.32 dice: «Questa è la suprema verità: non vi è né nascita né vi è cessazione di essere, né aspirante alla libe razione, né liberato, né alcuno che sia in schiavitù». La Må√ƒ¥kya Upani≤ad, di grande interesse inizia tico, acquista maggior valore per l’aggiunta delle kårikå di Gauƒapåda, alcune delle quali fanno parte integrante della stessa Upani≤ad. Gauƒapåda divide l’opera in quattro Capitoli così denominati:
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INTRODUZIONE
1. Ågama Prakara√a, Capitolo che tratta della Tra dizione scritturale (ågama). 2. Vaitathya Prakara√a, Capitolo che tratta del non reale (vaitathya), o carattere fenomenico, o apparenza, dell’esperienza. 3. Advaita Prakara√a, Capitolo che tratta della non dualità (advaita). 4. AlåtaŸånti Prakara√a, Capitolo che tratta della estinzione del tizzone ardente o soluzione del triplice fenomeno universale (alåtaŸånti). In essa Gauƒapåda svela, per la prima volta, in modo chiaro e conciso, l’asparŸayoga o asparŸavåda, lo yoga metafisico, il sentiero del senza contatto o relazione che porta non all’unione con il Diopersona, ma alla Liberazione integrale dallo stesso Diopersona. La Mukti Upani≤ad sostiene che la Må√ƒ¥kya Upani≤ad da sola porta alla realizzazione suprema. Questo yoga, è bene dirlo, richiede una grande maturità psicologica, un intelligente e sagace discer nimento intellettivo e una mente non condizionata da preconcetti eruditivi; l’asparŸavåda è per i ricercatori della Verità ultima (oujs iva), per gli amanti della co noscenza pura o sapienza (philosophía), per coloro che cercano l’Essere ultimo non il fenomenodivenire; non è per i mistici devozionali o per coloro che fan no poggiare la loro sådhanå su tecniche psicofisiche. Tale yoga prende anche la denominazione di ajåtivåda (dottrina della nongenerazione). Secondo Platone, conoscere il solo nome di una cosa non implica conoscere l’essenza (oujs iva) della cosa stessa. Si veda Teeteto, sulla conoscenzascienza.
INTRODUZIONE
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Âa§kara, con il Vedånta advaita, riprende, a sua volta, la tematica advaita di Gauƒapåda, esponendola con un rigore dialettico molto approfondito. V’è da notare che per quanto il termine “metafisi ca” sia stato spesso degradato a semplice condizione extrasensoriale, iperfisica, in questo contesto, come in ogni contesto iniziatico, esso dev’essere inteso come di là dallo stato grossolano, sottile e causale, di là dallo stesso Essere ontologico e dai suoi stati molteplici. Dunque, solo il Quarto stato è metafisico in quanto l’Essere, con i suoi vari sistemi di coordinate, si trova già sul piano della “sostanza”, della natura (prakÿti). Il soprannaturale non è semplicemente di là dal fisico, ma di là dal sottile e dallo stesso causalegerminale rientrando essi nel naturale, formale e non formale. Le note di Raphael vogliono essere solo un’esempli ficazione più accessibile per il ricercatore occidentale – non introdotto nella vasta tematica filosofica induista e buddhista – nei confronti del più vasto e incisivo com mentario (bhå≤ya) di Âa§kara del quale sono riportati, lungo il testo, dei passaggi.1
1 Per questa opera si rimanda alla Må√ƒ¥kya Upani≤ad con le kårikå di Gauƒapåda e il commento di Âa§kara. Collezione Vidyå.
MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ Upani≥ad
Saluto di Âa§kara M’inchino profondamente a quel Brahman, il quale, benché senza nascita, appare esser nato mediante il suo potere imperscrutabile; benché sempre in riposo, appare in movimento; benché uno, appare multiplo a coloro la cui visione è divenuta deformata dalla percezione dei diversi attributi degli oggetti, quel Brahman distruttore di ogni timore per coloro che in lui trovano rifugio. Saluto, prostrandomi, il Maestro del mio Maestro, il più venerabile tra i venerabili, il quale, vedendo le creature affogate nell’oceano di questo mondo – oceano infestato da paurosi squali quali la nascita e la morte – ha dato, per compassione verso gli esseri, questo nettare, difficile da bere persino per gli dei e che giace nelle profondità dell’oceano che sono i Veda, Veda che egli svela con la potenza del suo intelletto illuminato. Con tutto il cuore offro l’omaggio al mio Maestro il quale distrugge la paura della trasmigrazione. Con la luce del suo intelletto illuminato egli ha dissipato l’oscurità delle illusioni in cui si trovava la mia mente e ha spezzato per sempre la mia paura dell’apparire e dello sparire nel terribile mare del saæsåra. Coloro che trovano rifugio ai suoi piedi possono realizzare l’infal libile conoscenza delle Upani≤ad, la pace e l’umiltà. Om
Om
Om
Introduzione di Âa§kara all’Upani≤ad Questi quattro Capitoli [con le kårikå], che rias sumono la quintessenza dell’insegnamento vedåntico, hanno inizio con le parole: “Om è tutto questo...”. perciò non bisogna occuparsi, in modo separato, del soggetto, dell’oggetto da perseguire e della loro relazione, perché ciò che costituisce la relazione – soggetto e oggetto in quanto fine – è qui posto in modo evidente. È co munque opinione della dottrina che un autore, volendo esporre un trattato (prakara√a), dovrebbe brevemente menzionarli. Ora, si può dire che questo trattato possiede un soggetto poiché svela il mezzo per raggiungere un certo fine [la Liberazione], per cui contiene la relazione specifica; possiede, altresì, l’oggetto, fine da conseguire, e quindi indirettamente il soggetto agendi. Qual è, dunque, questa finalità? È ciò che voglia mo spiegare: proprio come un uomo, colpito da una malattia, riprende la sua salute quando riesce a elimi narne la causa, così l’åtman, [apparentemente] colpito dall’identificazione con la sofferenza, riprende il suo stato normale quando svanisce [l’illusione del] la dua lità, la quale si dimostra come universo fenomenico. il fine a cui tende [questo trattato] è la realizzazione della non dualità. poiché la dualità fenomenica è un’ideazione dell’ignoranza [metafisica], essa può essere sradicata tramite la Conoscenza; quindi questa opera ha lo scopo di svelare la Conoscenza (vidyå) di Brahman. Ciò viene affermato dai testi vedici quali: «invero, là dove è come
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MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ
se vi fosse la dualità, là... l’uno vede l’altro... l’uno conosce l’altro. Ma quando, per lui, tutto è divenuto il suo stesso åtman, allora... per mezzo di che cosa e che cosa si potrà vedere?... allora per mezzo di che cosa e che cosa si potrà conoscere?» (Bÿ. ii.iV.14, iV.V.15 e iV.iii.31). Così, il primo Capitolo, dedicato interamente a con siderare il significato di Om, si basa sulla Conoscenza tradizionale [vedica] che offre la possibilità di realiz zare la realtà dell’åtman. il secondo Capitolo tende a dimostrare – per mezzo della pura ragione – la non realtà del mondo fenomenico della dualità, eliminan do la quale si raggiunge la non dualità, proprio come la realtà della corda viene svelata quando si elimina l’illusione del serpente, ecc., proiettata su di essa. il terzo Capitolo ha il fine di stabilire razionalmente la verità della non dualità, in modo che questa non venga negata dallo stesso processo argomentativo con cui viene accettata. il quarto Capitolo cerca di confutare, con gli stessi argomenti degli avversari, tutti i punti di vista contrari all’insegnamento dei Veda e che si oppongono alla verità della non dualità (advaita). È messa in evidenza l’inanità di simili punti di vista che si contraddicono l’un l’altro.
Osservazioni preliminari di Âa§kara in che modo la conoscenza del significato di Om diviene un aiuto per realizzare la natura essenziale dell’åtman? Ecco la spiegazione: certi passi della Âruti, come i seguenti, affermano: «Quella parola che tutti i Veda testimoniano e alla quale tutte le pratiche asceti che fanno riferimento, mirando alla quale [gli uomini]
INTRODUZIONE DI ÂA°KARA ALL’UPANI≥AD
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intraprendono il brahmacarya, quella parola ti esporrò sinteticamente: essa è Om. Questo sostegno è il mi gliore. Questo sostegno è il supremo» (Ka. i.ii.15,17), «O Satyakåma, in verità questo stesso Brahman, il quale è [conosciuto come] supremo e non supremo, è la sillaba Om. perciò colui che [così] conosce, con questo supporto soltanto, consegue uno dei due» (Pra. V.2), «invero, Om è il sole: così si dovrebbe meditare e riconoscere se stessi» (Mai. Vi.3), «Om. Così è il Brahman» (Tai. i.Viii.1), «...tutto questo è la stessa sillaba Om» (Chå. ii.XXiii.3). ne consegue che come la corda è il sostrato dell’il lusioneserpente, così l’åtmansenzasecondo, realtà suprema, è il sostrato di proiezioni mentali, quali il soffio vitale (prå√a), ecc., che sono irreali. Quindi, è soltanto Om il sostrato di quell’illusione proiettiva la quale rappresenta gli oggetti non reali, come il prå√a, ecc. Om possiede, dunque, lo stesso carattere essenziale dell’åtman, poiché è il nome che conviene a questo åtman. Tutte le rappresentazioni mentali, come il prå√a, ecc., le quali hanno l’åtman come sostrato e che sono denominate da parole – che sono poi modificazioni di Om – non esistono se non come semplici nomi. Ci tiamo, a sostegno di quanto precede, i seguenti passi della Âruti: «...mentre ogni sua modificazione [formale] non è altro che mera denominazione di nome...» (Chå. Vi.i.4). «Tutto questo [universo], sostenuto da Quello (Brahman), è tenuto insieme dal filo della parola e dal susseguirsi dei nomi». «di tutti questi [oggetti, non si può fare l’esperienza] che per mezzo dei nomi», e così via. per cui l’Upani≤ad [in questione] afferma: «Om è tutto questo...».
CapiTOLO i fOndaTO SULLE SCriTTUrE
athågamapra ka ra√am omityeta da k≤a ra mida æ sa rva æ ta syopavyå khyå na æ bh¥taæ bhavadbhavi≤yaditi | sa rvamoækå ra eva yaccånyattri kålåtıtaæ tadapyoækå ra eva || I || sa rva æ hyetadbra hmåya måtmå bra hma so ’ya måtmå catu≤påt || II || jåga ritasthåno ba hi≤prajña¢ saptå§ga ekonaviæŸatimu kha ¢ sth¥labhugvaiŸvåna ra¢ prathama ¢ påda¢ || III || svapnasthåno ’nta ¢prajña ¢ saptå §ga ekonaviæŸatimu kha ¢ pravivi ktabhuktaijaso dvitıya ¢ påda¢ || IV || yatra supto na kañcana kåmaæ kåmayate na kañcana svapnaæ paŸyati tatsu≤uptam | su≤uptasthåna ekı bh¥ta¢ prajñånaghana evå ’’nandama yo hyånandabhukcetomukha ¢ pråjñastÿtıya ¢ påda¢ || V ||
Capitolo
fondato sulle
sCritture
S¥tra dell’Upani≤ad i Om è tutto questo. di ciò una chiara spiegazione: [ciò che è] il passato, il presente e il futuro è soltanto l’oækåra. E ciò che oltrepassa il triplice tempo è an cora la sillaba Om.1 ii invero, tutto ciò è Brahman. Questo åtman è Brahman e l’åtman ha quattro piediquarti (påda).2 iii il primo piede è vaiŸvånara, la cui sede [di azione] è lo stato di veglia (jågaritasthåna); esso conosce (prajña) [gli oggetti] esterni, possiede sette membra, ha diciannove bocche ed è il fruitore degli oggetti grossolani.3 iV il secondo piede è taijasa la cui sede è lo stato di sogno: esso conosce l’interno [piano sottile], possiede sette membra, ha diciannove bocche, ed esperisce [gli oggetti] del sottile (pravivikta).4 V Questo è lo stato di sonno profondo in cui il dormiente non gode più di alcun [oggetto] di affezione, né esperimenta alcun sogno. il terzo piede è pråjña la cui sfera è lo stato di sonno profondo (su≤upta); in esso [l’ente] è riunificato (ekıbh¥ta), è una unità omogenea di coscienzaconoscenza. in esso vi è beatitudine e si fruisce di tale beatitudine; è la bocca della conoscenza [di sogno e veglia].5
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MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ. i. ÅGaMa prakara÷a
e≤a sa rveŸva ra e≤a sa rvajña e≤o ’nta ryå mye≤a yoni ¢ sa rvasya prabhavåpyayau hi bh¥tånåm || VI ||
atraite Ÿlokå bhavanti ba hi≤prajño vibhurviŸvo hyanta¢prajñastu taijasa¢ | ghanaprajñastathå pråjña eka eva tridhå smÿta ¢ || 1.1 || da k≤i√å k≤imukhe viŸvo manasyantastu taijasa¢ | å kåŸe ca hÿdi pråjñastridhå dehe vyavasthita¢ || 1.2 || viŸvo hi sth¥labhu§nityaæ taijasa¢ pravivi ktabhuk | ånandabhuktathå pråjñastridhå bhogaæ nibodhata || 1.3 || sth¥la æ ta rpayate viŸva æ pravivi kta æ tu ta ijasa m | ånandaŸca tathå pråjñaæ tridhå tÿptiæ nibodhata || 1.4 || tri≤u dhåmasu yadbhojyaæ bhoktå yaŸca pra kı rtita¢ | vedaitadubhayaæ yastu sa bhuñjåno na lipyate || 1.5 || prabhava ¢ sa rvabhåvånåæ satåmiti viniŸcaya ¢ | sa rvaæ janayati prå√aŸceto查npuru≤a¢ pÿtha k || 1.6 ||
Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, Vi-1.6
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Vi Questo è il Signore della Totalità (sarveŸvara), l’Onnisciente, l’Ordinatore interno, questo è la Sorgente di tutto [l’esistente]; in esso originano e si riassorbono tutti gli esistenti.6 Inizio delle kårikå di Gauƒapåda 1.1 invero, viŸva [primo piede o quarto] è onniper vadente e [in esso] si esperimentano gli oggetti esterni (båhya); in taijasa si esperimentano quelli interni [sot tili]; in pråjña si esperimenta l’unità [indivisa]. Così [l’ente], sebbene uno soltanto, è considerato triplice. 1.2 ViŸva è nell’apertura dell’occhio destro, taijasa è all’interno della mente e pråjña nello spazio (åkåŸa) racchiuso nel cuore: [così lo stesso jıvåtman] è situato nel corpo in maniera triplice. 1.3 invero viŸva esperisce sempre [gli oggetti] grossolani, taijasa esperisce quelli sottili, similmen te pråjña fruisce della beatitudine. La fruizione è, così, triplice. 1.4 ViŸva gode il [mondo] grossolano, taijasa quello sottile e pråjña [gode] la beatitudine. La frui zione è, dunque, triplice. 1.5 Colui che conosce questa diade: oggetto di fruizione e soggetto fruitore rispondente ai tre stati, non viene affetto [dall’oggetto di fruizione neanche quando] ne fruisce. 1.6 L’origine concerne tutte le entità esistenziali: questo è indubbio. Prå√a genera tutto, il Puru≤a [ir radia] separatamente i raggi di coscienzaintelligenza [dei jıva].
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MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ. i. ÅGaMa prakara÷a
vibh¥tiæ prasavaæ tvanye manyante sÿ≤†icinta kå ¢ | svapnamåyåsa r¥peti sÿ≤†i ranyai rvi kalpitå || 1.7 || icchåmåtraæ prabho¢ sÿ≤†i riti sÿ≤†au viniŸcitå¢ | kålåtpras¥tiæ bh¥tånåæ manyante kålacintakå ¢ || 1.8 || bhogå rthaæ sÿ≤†i rityanye krıƒå rthamiti cåpa re | devasyai≤a svabhåvo ’yamåpta kåmasya kåspÿhå || 1.9 ||
nånta¢prajñaæ na ba hi≤prajñaæ nobhayata¢prajñaæ na prajñånaghanaæ na prajñaæ nåprajñam | a dÿ≤†a mavyava hå rya magrå hya ma la k≤a √a ma ci ntya ma vyapadeŸya mekåtmapratyayaså ra æ prapa ñcopaŸa ma æ Ÿå nta æ Ÿiva madvaita æ catu rtha æ ma nya nte sa åtmå sa vijñeya ¢ || VII ||
Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, 1.7-Vii
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1.7 Ma alcuni pensatori credono che la manife stazione sia l’espressione del potere [della divinità], mentre altri la concepiscono variamente come avente la medesima natura di un sogno o di una illusione mentale. 1.8 La manifestazione è unicamente la [espressione della] volontà del Signore, affermano alcuni dalla salda convinzione; mentre altri, che speculano sul tempo, pensano che [la manifestazione] proviene dal tempo. 1.9 Alcuni [pensano che] la manifestazione è un oggetto di fruizione [dello stesso Signore], altri che ha la funzione di un gioco e che sia la sua stessa na tura; ma quale desiderio [può aversi] in colui che ha appagato ogni volere? S¥tra dell’Upani≤ad Vii non è conoscentecosciente del [mondo] in terno, né di quello esterno, né è coscienteconoscente di entrambi, non è una unità omogenea di coscienza conoscenza, non è cosciente né non cosciente, esso è invisibile, non agente, inafferrabile [con i sensi], indefinibile, impensabile, indescrivibile; esso è l’unica essenza di consapevolezza in quanto åtman, senza al cuna traccia di manifestazione, è pacificato, benefico, è non duale. [i Saggi] lo considerano il Quarto. Quello è l’åtman e come tale dev’essere conosciuto.7
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MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ. i. ÅGaMa prakara÷a
atraite Ÿlokå bhavanti nivÿtte¢ sa rvadu¢khånåmıŸåna ¢ prabhuravyaya ¢ | advaita¢ sarvabhåvånåæ devasturyo vibhu¢ smÿta¢ || 1.10 || kå rya kå ra√abaddhau tåvi≤yete viŸvataijasau | pråjña¢ kåra√abaddhastu dvau tau turye na sidhyata¢ || 1.11 || nå ”tmånaæ na pa råæŸcaiva na satyaæ nåpi cånÿtam | pråjña¢ kiñcana saævetti turyaæ tatsarvadÿksadå || 1.12 || dva ita syågra ha √a æ tu lya mubhayo¢ pråjñatu ryayo¢ | bıjanidråyuta¢ pråjña¢ så ca turye na vidyate || 1.13 || svapnanidråyutåvådyau pråjñastvasvapnanidrayå | na nidråæ naiva ca svapnaæ turye paŸyanti niŸcitå¢ || 1.14 || anyathå gÿh√ata¢ svapno nidrå tattvamajånata¢ | vipa ryåse tayo¢ k≤i√e turıyaæ padamaŸnute || 1.15 || anådimåyayå supto yadå jıva ¢ prabudhyate | ajamanidramasvapnamadvaitaæ budhyate tadå || 1.16 ||
Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, 1.10-1.16
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Kårikå di Gauƒapåda 1.10 Nell’immutabile Signore non duale si estin guono tutte le sofferenze. Questo risplendente Turıya è considerato [il fondamento] onnipervadente di tutte le esistenze. 1.11 ViŸva e taijasa sono condizionati dalla causa e dall’effetto; pråjña, invece, è condizionato dalla causa. Ma in Turıya non esistono quei due [causa ed effetto].8 1.12 Pråjña non conosce né se stesso né altro, né la verità e neppure la non verità; ma Turıya è l’eterno testimone di tutto. 1.13 La non percezione della dualità è uguale per entrambi: pråjña e Turıya. Pråjña è associato al sonno [profondo] che è il seme, mentre questo [sonno] non esiste in Turıya.9 1.14 i primi due [viŸva e taijasa] sono associati al sogno e sonno, mentre pråjña al sonno senza sogni. Ma quelli di salda certezza non scorgono in Turıya né il sogno né il sonno. 1.15 il sogno è di colui che percepisce in modo difforme [gli oggetti], il sonno è di colui che non percepisce [affatto] l’oggettività. Quando queste due difformità vengono rimosse si consegue lo stato di Turıya.10 1.16 Quando il jıva [prima] velato dalla måyå senza inizio si risveglia, allora realizza il nonnato, la non dualità, il senza sonno e il senza sogno.11
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MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ. i. ÅGaMa prakara÷a
prapañco yadi vidyeta niva rteta na saæŸaya ¢ | måyåmåtramidaæ dvaitamadvaitaæ paramårthata¢ || 1.17 || vi kalpo viniva rteta kalpito yadi kenacit | upadeŸådayaæ vådo jñåte dvaitaæ na vidyate || 1.18 ||
so ’ya måtmå ’dhya k≤a ra moækå ro ’dhi måtra æ på då måtrå måtråŸca pådå a kå ra ukå ro ma kå ra iti || VIII || jåga ritasthåno vaiŸvåna ro ’kå ra¢ prathamå måtrå ”pte rådimattvådvå ’’pnoti ha vai sarvånkåmånådiŸca bhavati ya evaæ veda || IX || svapnasthånastaijasa ukå ro dvitıyå måtrotka r≤ådubha yatvådvå utka r≤ati ha va i jñå nasaætati æ sa må naŸca bhavati nåsyåbra hmavitkule bhavati ya evaæ veda || X ||
Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, 1.17-X
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1.17 Se il dispiegamento universale esistesse, ces serebbe di esistere: non vi è dubbio. Questa dualità, che è måyå [= movimento], dalla prospettiva della realtà suprema è non dualità [Turıya, il quale ne è il fondamento].12 1.18 La molteplice proiezione cesserebbe di esi stere se fosse stata immaginata da qualcuno [da un ente particolare]. Questa spiegazione ha lo scopo di facilitare l’insegnamento. Quando [la suprema realtà] è conosciuta, la dualità non esiste [più, per cui rimane solo Turıya]. S¥tra dell’Upani≤ad Viii Questo è lo stesso åtman [avente quattro piedi] la cui natura, in relazione alle sillabe, è identica all’oækåra. L’Om, composto di misure, rappresenta i piedi [i quarti dell’åtman] e i piedi sono le misure. Le sillabelettere sono a, U, M. iX VaiŸvånara, la cui sede è la condizione di veglia, è la lettera a, la prima misura, in virtù della sua [totale] pervasività oppure perché è la prima [let tera dell’alfabeto]. Certamente colui che così conosce consegue tutti i desideri e diventa il primo. X Taijasa, la cui sede è [la condizione] di sogno, è la lettera U, la seconda misura, in virtù della sua superiorità oppure per la sua posizione intermedia. Certamente, colui il quale così conosce espande la co noscenza e si trova in accordo [col tutto]. nella famiglia di tale uomo non vi sarà alcuno che ignori il Brahman.
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su≤uptasthåna ¢ pråjño ma kå rastÿtıyå måtrå miterapıte rvå minoti ha vå idaæ sa rvamapıtiŸca bhavati ya evaæ veda || XI ||
atraite Ÿlokå bhavanti viŸvasyåtvaviva k≤åyåmådisåmånyamutka†am | måtråsampratipattau syådåptisåmånyameva ca || 1.19 || taijasasyotvavijñåna utka r≤o dÿŸyate sphu†am | måtråsampratipattau syådubhayatvaæ tathåvidham || 1.20 || ma kå rabhåve pråjñasya månasåmånyamutka†am | måtråsampratipattau tu layasåmånyameva ca || 1.21 || tri≤u dhåmasu yastulyaæ såmånyaæ vetti niŸcita¢ | sa p¥jya¢ sarvabh¥tånåæ vandyaŸcaiva mahåmuni¢ || 1.22 || a kå ro nayate viŸvamukå raŸcåpi taijasam | makåraŸca puna¢ pråjñaæ nåmåtre vidyate gati¢ || 1.23 ||
Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, Xi-1.23
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Xi Pråjña, la cui sede è il sonno profondo, è la lettera M, la terza misura, in virtù della sua misurazio ne oppure in cui [il tutto] si riassorbe. Colui che così conosce, di certo, misura tutto questo [triplice mondo] e diviene la sede del suo assorbimento. Kårikå di Gauƒapåda 1.19 Quando si è compresa la natura di viŸva, con la misura di a, risulta evidente l’identità con il primo e si avrà anche l’identità con la pervasività. 1.20 Quando si conosce l’identità di taijasa con la lettera U, si percepisce in modo chiaro la preminenza della misura [U] e nello stesso modo si avrà [anche] la natura intermedia. 1.21 Con pråjña si ha l’identità con la misura M e quindi la [capacità] di misurazione [dei mondi] e il loro riassorbimento. 1.22 Quegli di salda certezza, il quale conosce l’identità dei tre stati è certamente un grande muni (saggio silenzioso), degno di adorazione e di venera zione da parte di tutti gli esseri. 1.23 La lettera a conduce a viŸva, la lettera U a taijasa e, ancora, la lettera M a pråjña. Ma nell’amåtra (non misurabile) non vi è altro da conseguire.13
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a måtraŸcaturtho ’vyava hå rya ¢ prapañcopaŸa ma ¢ Ÿivo ’dvaita evamoækåra åtmaiva saæviŸatyåtmanå ”tmånaæ ya evaæ veda || XII ||
atraite Ÿlokå bhavanti oækå raæ pådaŸo vidyåtpådå måtrå na saæŸaya ¢ | oækå raæ pådaŸo jñåtvå na kiñcidapi cintayet || 1.24 || yuñjıta pra√ave ceta¢ pra√avo brahma ni rbhayam | pra√ave nityayuktasya na bhayaæ vidyate kvacit || 1.25 || pra√avo hyapa raæ bra hma pra√avaŸca pa raæ smÿta ¢ | ap¥rvo ’nantaro ’båhyo ’napara¢ pra√avo ’vyaya¢ || 1.26 || sa rvasya pra√avo hyådi rmadhyamantastathaiva ca | evaæ hi pra√avaæ jñåtvå vyaŸnute tadananta ram || 1.27 || pra√avaæ hıŸva raæ vidyåtsa rvasya hÿdi saæsthitam | sa rvavyåpinamoækå raæ matvå dhı ro na Ÿocati || 1.28 ||
Cap. i fOndaTO SULLE SCriTTUrE, Xii-1.28
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S¥tra dell’Upani≤ad Xii L’Om senza misura è il Quarto, non agen te, senza alcuna traccia di manifestazione, benefico, non duale. Così la sillaba Om è l’åtman. Colui che conosce ciò, immerge l’åtmå [manifesto] nell’åtman [supremo].14 Kårikå di Gauƒapåda 1.24 Si conosca la sillaba Om piede per piede, [perché] non vi è dubbio che i piedi sono le misure. avendo conosciuto la sillaba Om piede per piede, non si pensi più a nulla. 1.25 La coscienza dev’essere in identità con il pra√ava (Om), il pra√ava è il Brahman esente da paura. Colui che è assorto costantemente nel pra√ava non ha più timore in nessuna condizione.15 1.26 Invero, pra√ava è il Brahman non supremo; e pra√ava è considerato anche il [Brahman] supremo. Pra√ava [supremo] è privo di causa (ap¥rva), di ef fetto, senza interno e senza esterno, non soggetto a decadimento.16 1.27 invero pra√ava [in quanto Brahmå] è il principio, il mezzo e anche la fine di tutto. in verità, avendo conosciuto così il pra√ava, si consegue imme diatamente tale [identità con l’åtman]. 1.28 In verità si conosca il pra√ava come ÙŸvara [il Signore principiale] stabilito nel cuore di ognuno. avendo conosciuta la sillaba Om come onnipervadente, il saggio risoluto è di là dal conflitto.
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amåtro ’nantamåtraŸca dvaitasyopaŸama ¢ Ÿiva ¢ | oækå ro vidito yena sa muni rneta ro jana ¢ || 1.29 || ityågamapra ka ra√am
cAP. I FONDATO SULLE ScRITTURE, 1.29
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1.29 colui che ha realizzato il senza misura (amåtra) è benefico e senza dualità. Colui che ha realizzato la sillaba Om è il vero [saggio] silenzioso (muni) e nessun altro essere.17 Fine dell’Ågama Prakara√a
nOTE aL CapiTOLO i 1i
La triplice temporalità, costituita dal passato (bh¥ tam), presente (bhavat) e futuro (bhavi≤yad), rappresenta la totalità della manifestazione di ÙŸvara, il “tutto questo” del s¥tra, e risponde al suono Om. Ma, oltre il triplice tempo, v’è l’atemporale o il Brahman non manifesto, il quale è sempre Om, quale fondamento del Tutto. Om è il “Verbo” di potenza che manifesta e regge il tripli ce mondo, in Esso originano e si dissolvono tutte le cose. il non manifesto corrisponde allo stato germinale, cau sale (kåra√a), potenziale. L’intera manifestazione, nelle sue illimitate possibilità qualitative e quantitative, è contenuta nel seme potenziale; così un intero albero, con i suoi rami, frutti, con le sue foglie, ecc., è contenuto in potenza nel seme. La manifestazione è lo sviluppo della potenza prin cipiale. il manifesto porta in emergenza o in oggettività le sue potenzialità. Si può dire che il manifesto “evolve” solo se si considera questo termine nell’accezione di sviluppo, di evoluzione del seme, di passaggio dalla potenza all’atto. Corrisponde allo stato ontologico, al “Mondo delle idee” di platone. il tutto esistente è l’espressione del “Verbo”, o nota fondamentale determinata e qualificata, dell’Essere. Vista dalla prospettiva dell’Essere, la manifestazione è un tutto presente; nell’Essere vi è l’alfa e l’omega. 2 ii
L’Om è Brahman; il “Verbo” è Brahman. Bra hman è il nome originario, l’Om è il suonoessenza. Se ogni cosa manifesta, a diversi gradi vibratori, ha l’Om come nota fondamentale, allora tutti gli enti (åtman) sono OmBrahman. Quello (Brahman) sono “io”. in questo s¥tra si mettono in evidenza tre cose:
nOTE aL CapiTOLO i
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– Brahman sagu√a rappresenta l’unità della totalità del mondo dei nomi e delle forme; la causa originaria da cui parte il processo manifestante. – il jıva degli enti è della natura del Brahman nirgu√a. – Brahman sagu√a, o ÙŸvara, ha quattro parti o påda. Esso, per quanto unità, si esprime in tre stati vibratori; allo stesso modo che un individuo, pur essendo uno, espe risce a livello di veglia, di sogno e di sonno profondo. Questi, dunque, sono stati di consapevolezza, sono moda lità esistenziali. Così, se si osservano le cose da una certa prospettiva, non v’è un “al di qua” o un “al di là”, v’è la possibilità di moltiplicarsi, ma tutte le cose trovano la loro unità nella Causa principiale. di là da questa vi è il fonda mento del tutto esistente chiamato Turıya. La stessa “morte” corporale dell’ente (passaggio da viŸva a taijasa) non è altro che un mutamento di ritmo, di condi zioni, di coordinate nell’apparente fluire del manvantara. 3 iii
il primo quarto, o påda (piede), è denominato vaiŸvånara (o viŸva) e il riflesso dell’åtmå incarnato esperisce, su tale piano o sfera vibratoria, gli oggetti grossolani (si veda Pra. Vi. 5). Con che cosa li esperi sce? Con i vari sensi, o organi sensori, con le “bocche”, le aperture o finestre mediante cui entra in contatto col mondo oggettivo o grossolano. il corpo fisico, nel suo complesso, è il rivestimento dell’ahaækåra che crea il rapporto con la sfera grossolana di viŸva, la quale risponde alla condizione di veglia o di ciò che si chiama con tale nome. L’oscuramento, derivato dalla prakÿti-gu√a, fa in modo che l’ahaækåra (senso dell’io) si riconosce come: “sono questo corpo”, “la mia realtà è il mondo oggettuale esterno”. La visione “materialistica” della vita nasce dall’iden ti ficazione dell’egoahaækåra con questo corpo e col
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piano di viŸva. Così la sua realtà è di ordine materiale, empirico, oggettivo, esterno a sé in quanto soggetto. da qui il condizionamento e l’alienazione; risponde al Mito di narciso. 4 iV
il secondo quarto, o påda, è chiamato taijasa e la sua sfera di attività è quella sottile o iperfisica. Taijasa significa luminoso perché questa sfera vibratoria sottile è splendente, radiante. L’analogia è col sogno; come nel sogno l’universo notturno, effetto delle våsanå, è proiettato dall’imma ginazione del manas (mente), così in taijasa la potenza immaginativa della mente plasma geometrie di pensieri e sentimenti proiettandoli con immediatezza. Questo mondo sottile (in riferimento a quello grossolano di viŸva) è caratterizzato dall’aspetto psiche dell’åtmå. Taijasa può essere diviso in due dimensioni o sfere vibratorie: quella caratterizzata dall’ahaækåra, dall’in dividualità umana, o parallela all’umana, e subumana, e quella in cui opera la buddhi. La prima è sotto il dominio del desideriomente empirico (kåmamanas), aspetto individuale; la seconda è sotto il dominio dell’intuizione superconscia (nóesis): è la sede del jıva, aspetto universale. in termini alchemici si può dire che la prima rappresenta il Mercurio ( ) dominato dalla terrasale (P), mentre la seconda rappresenta il Mercurio ( ) rettificato dominato dallo Zolfo (Q); oppure la prima è dimensione lunare, la seconda è solare. «al riguardo alcuni (i såækhya) affermano che è l’at tributoqualità (gu√a) che, in virtù della differenziazione nella natura (prakÿti), provoca la schiavitù [del riflesso] dell’åtman attraverso la determinazione [e le altre fa coltà mentali], e che dalla distruzione di difetti quali la determinazione [e le altre] si ha in verità la liberazione.
NOTE AL CAPITOLO I
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in effetti è soltanto con la mente che si vede, con la mente che si ascolta; il desiderio, la immaginazione, il dubbio, la fede e l’assenza di fede, la fermezza e l’instabilità, la vergogna, il pensiero e la paura: tutto questo è soltanto la mente. Trascinato e reso impuro dalle correnti delle qualità, instabile, vacillante, preda della confusione mentale, pieno di desiderio, distratto, [l’essere così condizionato] cade nella possente iden tificazione, per cui [ritiene]: “io sono tale”, “questo è mio”. pensando in tal modo, si lega da se stesso come un uccello in una rete».1 Con la buddhi ci si trova nel mondo sottile degli... dei e il jıva può, superato l’ahaækåra, rispondere ai ritmi universali dell’Essere. «È per questo che bisogna sforzarci di fuggire di qui a lassù al più presto. E fuga è rendersi simili a dio secondo le proprie possibilità: e rendersi simili a dio significa diventare giusti e santi, e insieme sapienti».2 il manas è tipico dell’individualità umana ed è mediante esso che si esprime l’ahaækåra, il senso dell’egoità, dell’individuato propriamente detto. «La mente è superiore rispetto ai sensi; il sattva [= in telletto puro] è superiore rispetto alla mente; il grande åtmå è al di sopra del sattva; l’immanifesto è superio re rispetto al Mahat... Ma superiore all’immanifesto (avyakta) è il Puru≤a, onnipervadente e senza qualità, realizzando il quale l’essere vivente si libera e rag giunge l’immortalità».3 1
Mai. VI. 30. Teeteto 176 a B. platone, Tutti gli scritti, a cura di G. reale. Bompiani, Milano. 3 Ka. II. III. 78. 2
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«Conosci l’ åtmå come il padrone di un carro e il corpo, invero, come il carro stesso. Conosci invero l’intelletto come il carrettiere e la mente come la stessa briglia... colui, il quale è dotato di discernimento, avendo il controllo della mente, è sempre puro. Costui consegue quella mèta dalla quale non torna più a nascere».1 «in primo luogo, in noi l’auriga guida un carro a due cavalli; inoltre, dei due cavalli, uno è bello e buono e derivante da belli e buoni; l’altro, invece, deriva da opposti ed è opposto. difficile e disagevole, di necessità, per quel che ci riguarda, è la guida del carro».2 Taijasa, dunque, ha due aspetti: uno rappresentato dall’intellettualità pura (buddhi o nóesis), che guarda al mondo causale principiale, o “Mondo delle idee” per platone, l’altro rappresentato dalla mente immaginativa (manas), che guarda al mondo delle “rappresentazioni” sensoriali o del sensibile. L’ahaækåra costituisce un prisma che scompone la Luce universale della buddhi in un raggio particolare; esso differenzia ciò che è sintesi e unità. più oltre, quanto si dirà di questa sfera sottile sarà riferito, in linea di massima, al dominio inferiore di taijasa. Quando lascia il rivestimento grossolano o carnale, il raggio di luce incarnato del jıva (Mai. Vi.31) si ritira in tale sfera; ma questa sfera inferiore può essere esperita anche quando si possiede il corpo fisico; anzi la si esperisce, ma non v’è ricordo. Molti individui, più di quanto si possa pensare, la esperiscono consciamente perché, per varie ragioni, hanno la capacità di depolarizzarsi dal l’elettromagnetismo del fisico denso. 1 2
Ibid. i. iii. 39. platone, Fedro 246 a B. Op. cit.
NOTE AL CAPITOLO I
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il mondo di taijasa, di cui si parla, come d’altra parte quello fisico, ha, a sua volta, diverse modalità vibratorie, quindi diverse possibilità di vita dove gli enti, secondo il loro particolare status coscienziale, o della loro sintoniz zazione individuata, trovano corrispondente posto e attività. Se alcuni hanno fatto esperienza di tale sfera e poi hanno cercato di descriverla, occorre rilevare che le descrizioni non possono considerarsi assolute proprio perché ognuno può descrivere solo l’“ambiente” da cui è stato attratto. d’altra parte, questo criterio di valutazione è valevole anche per il piano di viŸva. Un altro errore che si fa spesso è quello di considerare un ente più saggio e compiuto solo perché è passato, come generalmente si dice, di là dal velo. Taijasa, nella sua estensione inferiore, è la sfera intermedia, quella dello psichico; è la dimensione ove il kåmamanas (emo zioneimmaginazione) è imperante; quindi è la sfera del fluttuante, dell’evanescente, del non costante, delle opi nioni e delle ombre. in questo piano sottile, come si può dedurre, la dire zione dell’ente è caratterizzata dai suoi desideri più pressanti, dalle sue espressioni qualitative non risolte che fungono da meccanismo di scelta e orientamento. Ciò perché in taijasa la “sostanza” è particolarmente sensibile e risponde immediatamente alla forza del l’emozione e dell’immaginazione. in esso, si può dire, l’emozioneimmaginazione è tutto; in viŸva la “sostanza” è più inerziale, pesante e rallentata, impedendo una sua rapida “conformazione”, per quanto non in termini di assolutezza. in taijasa, ogni ente si crea, come nel sogno e parlando in termini religiosi, il suo inferno, il suo purgatorio o il suo paradiso secondo lo stato coscienziale raggiunto o il suo magnetismo psichico determinante. Così si possono fare esperienze terrificanti, ma anche esaltanti, con tut
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te le sfumature intermedie. E ciò risponde a una legge universale e naturale di giustizia. Ognuno si premia e si castiga da se stesso. Se ne deduce, inoltre, che taijasa è la sfera del misticismo polare caratterizzato cioè dal dua lismo creatorecreatura, paradisoinferno, buonocattivo, ecc.; è la sperimentazione di alcuni tipi di samådhi che, per quanto possano offrire intenso appagamento, appar tengono pur sempre al dominio dello psichismo inferiore. Comunque, molti ne sono attratti, e se si considera che ogni ente nel tempospazio si trova con un suo particolare stato coscienziale e vibratorio, si può riconoscere che ogni cosa è al suo giusto posto.1 «... così come è la determinazione che un essere umano ha [concepito] in questo mondo, così diviene allorché si diparte da qui; [pertanto] egli deve esercitare la deliberazione».2 La conoscenza, infine, per quanto vi sia pensiero e discriminazione, avviene non più mediante l’analisi logica e concettuale, come in viŸva, ma per una sorta di “sensibilità vibrazionale” verso l’oggetto. È la ricettività psichica di un ente verso l’altro; e, secondo la più o meno ampia capacità di risposta, un ente percepisce l’ambiente e gli enti circostanti; è l’ottava inferiore dell’intuizione superconscia della buddhi; infatti nello stato superiore di taijasa la conoscenza è l’effetto del discernimento intuitivo, è conoscenza di archetipinoumeni più che di fenomeni. in pråjña, poi, come si vedrà, si ha una conoscenza d’identità perfetta perché il soggetto e l’oggetto coincidono. Si dà adesso un quadro riassuntivo di taijasa e viŸva con i rivestimenti dell’åtmå. 1 2
Si veda Mai. iV.2. Chå. iii. XiV. 1.
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Universale
Åtmå
vijñånamayakoŸa o buddhimayakoŸa Sottile
Taijasa
Superiore
NOTE AL CAPITOLO I
inferiore
ahaækåra
manomayakoŸa
annamayakoŸa
individuale
Grossolano
ViŸva
prå√amayakoŸa
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MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ. i. ÅGaMa prakara÷a 5V
il terzo quarto, o påda, è chiamato pråjña, cono scenza sintetica, ed è assimilato al sonno profondo senza sogni o su≤upti. Ciò è molto indicativo perché mentre nei due precedenti stati il tutto è caratterizzato dal soggetto oggetto, dal vedente e dal visto, dal sognatore e dal sogno, ecc., quindi dal dualismo polare, in pråjña la dualità sparisce e il tutto si risolve nell’unità. Qui l’åtmå è in se stesso, con se stesso e per se stesso, è nell’eterno presente. Mentre in viŸva e taijasa è l’oggetto che crea felicità, in pråjña vi è beatitudine, perciò pråjña è summa pax, è uno stato che non dipende da fattori esterni. L’ente, quindi, vi ritrova la sua vera dimora, la sua patria, il suo giusto posto, la sua totalità, senza dipendere da niente se non da se stesso. Questo stato rappresenta il savikalpasamådhi, il più alto samådhi sul piano della manifestazione. Essendo l’origine e il germe potenziale di qualificati sviluppi, esso costituisce la vera naturaessenzanoumeno dell’ente, come il seme di un fiore è la rappresentazione noumenica precisa e reale del fiore. E come il fiore è contenuto nel seme, così viŸva e taijasa sono contenuti in pråjña. Occorre precisare, comunque, che la mani festazione è un’“ideazione” simultanea (l’esempio del seme potrebbe essere fuorviante). La molteplicità di cose proiettate nel sogno viene creata simultaneamente dall’ente che sogna. È l’ente empirico che, sperimentando un particolare sistema di coordinate, concepisce la Totalità come avente una nascita e un’evoluzione nel tempo. La manifestazione non si perfeziona nel tempo, essa è solo l’irradiazione dell’idea primordiale. L’idea contiene in sé la totalità della vita o gli stati molteplici esistenziali. Un pianeta non è altro che un’idea materiata, un’idea con un suo stato vibratorio. ViŸva è l’idea che vibra a una certa intensità e frequenza, è suonoluce, è numeroqualità.
NOTE AL CAPITOLO I
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Un’incarnazione stessa dell’ente rappresenta uno dei tanti “fotogrammi” separato arbitrariamente dalla sua unità esistenziale e ogni “fotogramma” può essere rettificato, trasformato, lungo il percorso di vita dell’ente: l’åtmå è polidimensionale. Pråjña, poi, è uno stato di coscienza, non un “luogo” particolare, esso è già in noi, non è fuori o estraneo a noi. Comprendere la propria autentica natura, con tutte le illimitate possibilità, è “vibrare” pråjña. Se molti, pur trovandosi in viŸva, esperiscono coscientemente il piano di taijasa inferiore, pochi sono invero coloro che esperiscono taijasa superiore e pochissimi coloro che sperimentano o, meglio, sono l’unità di pråjña. Pråjña è di là dal mondo dei nomi e delle forme; esso è la sfera spirituale, è lo stato conoscitivo puro perché rappresenta il noumeno, e questo contiene tutte le potenzialità di essere. La conoscenza non è quindi in riferimento a oggetti; anzi, non si può neanche parlare di conoscenza, ma di autoevidenza; è la sfera dell’aseità. nello stato di pråjña, l’åtmå, o jıva, costituisce la prima espressione dell’åtman assoluto, come Brahmå, o ÙŸvara, rappresenta la causa principiale che riceve il suo essere dal Brahman nirgu√a (non qualificato). in prå jña sparisce ciò che gli enti umani chiamano benemale, buonocattivo, piccologrande, ecc., perché sparisce ogni polarismo, ogni dualismo, ogni opposizione. in pråjña vi è unità, indivisibilità; non è l’Unosenzasecondo (Quar to stato), perché rappresenta quell’uno da cui irradia il secondo e quindi la differenziazione. È il punto geome trico che, per quanto senza dimensione, forma la prima determinazione di un piano. Pråjña è una scintilla del fuoco principiale. «Questo åtman, il quale è all’interno del mio cuore, è più piccolo di un grano di riso o di un chicco d’orzo,
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o di un granello di senape o persino del nocciolo di un granello di senape. Questo åtman, il quale è all’interno del mio cuore, è più grande della terra, più grande del cielo intermedio, più grande del cielo supremo, più grande di [tutti] questi mondi». «Questo åtman, il quale è all’interno del mio cuore, è il fondamento di tutte le azioni, di tutte le istanze, di tutti gli odori e di tutti i sapori, colui che pervade il tutto, è privo di parola e libero da ogni volere. Questo è il Brahman: con questo diverrò identico dopo essere dipartito da qui. Colui il quale nutre questa certezza e non ha nessun dubbio [realizzerà il Brahman]. Così, allora, parlò certamente Âå√ƒilya...». «Om. poi [vien detto]: in questa cittadella del Brahman, vi è questo piccolo ricettacolo che ha la forma di un fiore di loto. al suo interno vi è un piccolo spazio (åkåŸa). Quello, che è all’interno di esso, è ciò che si deve ri cercare; Quello, invero, è ciò che si deve conoscere».1 6 Vi
in esso, essendo pråjña lo stato principiale di ogni possibile movimento, ogni cosa appare e scompare; in esso emergono gli stati di taijasa e viŸva, con le loro illimitate modalità di espressione, individuali e universali, e in esso ritornano. Essendo l’origine del tutto, conosce spontaneamente la totalità del suo essere; è l’Ordinatore interno perché, pur non agente, coordina e dirige, con la sua sola presenza, tutte le espressioni dei suoi differenti stati; essendo la prima determinazione è, appunto, la sorgente di ogni ulteriore sviluppo. «Un eterno frammento di Me, apparso come anima vivente (jıvabh¥ta) nel mondo dei mortali, attira a 1
Chå. iii. XiV. 34; Viii. i. 1.
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sé i [cinque] sensi e la mente (manas), come sesto organo, i quali trovano il loro fondamento in prakÿti. Quando il Signore [interno] assume un corpoforma e quando l’abbandona prende seco questi (indriya), come il vento raccoglie i profumi da un luogo [por tandoseli dietro]».1 Sul piano di taijasa, il corpo di contatto con la cor rispondente sfera di vita, l’åtmå se lo crea da sé, con la sua potenza proiettiva; sul piano di viŸva invece il suo rive stimento fisico viene creato da coloro che rappresentano i suoi genitori. Ma ciò non dev’essere considerato in termini di assolutezza; basti pensare che il fisicogrossolano non è altro che energia condensata, relativamente stabilizza ta, o massa inerziale che può essere risolta appunto in energia. ancora, occorre distinguere quelli che sono i piani esistenziali, o i sistemi di coordinate, e ciò che è l’entecoscienza che esperisce tali sistemi. i tre stati, si è detto in precedenza, sono tre livelli vibratori esistenziali in cui l’åtmå vive, si muove ed è. Oltre i tre stati vi è il Quarto (Turıya) che è il fon damento per cui i tre stati possono essere ed esistere. L’andare e venire (trasmigrazione) dallo stato di pråjña a quello di viŸva e viceversa è descritto nella Bÿhadåra√yaka Upani≤ad (iV. iV. 125). Occorre eviden ziare che questi “quarti” non hanno una successione tem porale. Essi sono considerati dal punto di vista empirico. 7 Vii
«Colui che vede attraverso la vista, colui che si muove nel sogno, colui che è profondamente addormen tato e Quello che trascende colui che è profondamente addormentato: questi sono i suoi quattro differenti [stati]. di loro il Quarto (Turıya) è il più grande».2 1 2
Bhagavadgıtå XV. 78, a cura di Raphael. collezione Vidyå. Mai. VII. 11. 8.
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«... il primo piede è vaiŸvånara, la cui sede [di azio ne] è lo stato di veglia... il secondo piede è taijasa la cui sede è lo stato di sogno... Questo è lo stato di sonno profondo...».1 «i primi due sono associati al sogno e sonno, mentre pråjña al sonno senza sogni. Ma quelli di salda certez za non scorgono in Turıya né il sogno né il sonno».2 il Quarto stato, che è di là dai tre stati, non può essere oggetto di linguaggio, non ha metro di paragone, non si presta a correlazioni e a discussioni. La sua realtà, o evidenza, può essere descritta in termini di “negazione”, nel senso che non è ciò che la mente sensoria può per cepire o pensare. non si dovrebbe neanche considerarlo uno “stato”, né un oggetto di esperienza né un punto di vista; non è neanche l’Unità principiale, questa ha in sé la potenzialità della molteplicità, ma il Quarto è Uno senzasecondo, è atto puro, non mescolato ad alcuna potenza, è l’infinito nella sua vera accezione. La mente (manas) potrebbe vacillare di fronte a questa realtà che non consente immagine di relazione. L’Uno ontologico è il tronco da cui si dipartono i rami e i frutti, ma il Quarto rappresenta la radice invisibile, allo stesso tempo trascendente e onnipervasivo. Si può dire che la manifestazione, o la natura triplice, “appare” su questo schermo, il quale rappresenta la costante assoluta e senza secondo. «Turıya rappresenta l’essenza [o fondamento] dell’å tman», commenta Âa§kara. L’Om con suono (Ÿabda) è assimilato al Brahman sagu√a, questo Quarto (turıya) è il Brahman nirgu√a, il senza suono, aŸabda.3 1 2 3
Må. s¥tra iii. iV. V. Må. Kå. 1. 14. Si veda Mai. Vi. 22.
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«[io cerco rifugio in Quello il quale è] privo di parti, senza attività, pacificato, esente da imperfezione, pri vo di difetti e il supremo ponte verso l’immortalità, simile a fuoco che ha arso il proprio combustibile».1 Turıya è un termine del Ígveda che significa “quarto” e nelle Upani≤ad viene indicato come il Brahman nirgu √a. “Quarto” in quanto è di là dai tre stati dell’Essere ÙŸvara, o Brahman sagu√a; ciò implica che Esso trascende l’intera manifestazionefenomeno per cui risponde alla realtà ultima o suprema oltre la quale non si può postu lare altro ente di qualunque ordine e grado. Si dà anche il nome di assoluto, di supremo indivisibile di là dal tempo spaziocausa e da ogni rapporto che possa inficiare la sua infinitezza. Si può anche dire che Turıya rappresenta, in termini metafisici, il fondamento per cui lo stesso principio cau sale trova la sua ragion d’essere e, di conseguenza, tutto ciò che da esso proviene. Turıya è ciò che dà Unità e armonia al principio causale e quindi alla manifestazione. «il fondamento è dunque l’Essenza essente entro sé, e questa è essenzialmente fondamento solo nella mi sura in cui è fondamento di Qualcosa, di un altro».2 il fondamento è ciò che rende possibile la stessa cono scenza e l’intera vita degli enti in quanto possono cono scere e conoscersi. il Turıya si può paragonare all’Essere non nato di parmenide, all’UnoBene di platone che dà ragion d’essere al “Mondo delle idee”, all’Uno di plotino che trascende il Noûs ontologico. Si può notare che a livello metafisico, o henologico, si ha una concordanza di vedute e una identità in ri 1
Âve. VI. 19. Enciclopedia delle Scienze filosofiche. parte i, Sezione ii, a g §121. 2 Hegel,
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guardo alla Veritàrealtà ultimativa. Tutte le dicotomie, le differenziazioni esclusive, anche religiose, le varie contrastanti opinioni del mondo del sensibile vengono integrate, trascese e risolte sul piano henologico. ipotizzare un qualcosa di là dal QuartoTurıya, o dall’Uno supremo e indivisibile, ci sembra una forzatura produttrice di incongruenze, di irrazionalità; oltre al fatto che il problema non solo non viene risolto, ma diventa inconciliabile perché due assoluti sono contraddittori. né l’Occidente metafisico, né l’Oriente delle Upani≤ad propongono un “quinto” o “sesto” oltre l’infinito acausale o l’assoluto indivisibile. L’assoluto è assoluto e, accedendo a esso, si perviene alla “fine del percorso”, come sostengono le Upani≤ad, parmenide, platone e plotino, solo per fermarci a questi eminenti Maestri. 8 1.11
Se pråjña rappresenta il germe, il seme o la causa della produzione, allora taijasa e viŸva, che sono suoi sviluppi, rappresentano l’effetto sottile l’uno e l’ef fetto grossolano l’altro. Ora, per risolvere l’effetto (sottile e grossolano) oc corre rientrare nella causa prima o stato principiale. in pråjña l’ente, si è visto precedentemente, riposa in se stesso, con se stesso e per se stesso, è illuminato dalla sua propria luce perché si è risolto nella sua vera unità. non percepisce dualità e nessuna cosa che sia esterna a se stesso come Essere, o diversa da se stesso. il suo velo, o sovrapposizione, è rappresentato solo dall’avidyå primigenia, oppure da quel limite che appartiene alla natura di ogni “determinazione”. Pråjña è la prima determinazione, è l’Essere qualifi cato (sagu√a), quindi ha in sé la natura dell’apparire e dello sparire.
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Visto dalla prospettiva metafisica, pråjña è limite, è una specificità, è Unomolti, e alcuni enti, avendo assimilato la conoscenza, vogliono trascendere anche questo stato. Turıya è di là dal tempo, dallo spazio e dalla causa. Turıya è causa di se stesso, è causa delle cause, oppure è il non causato, quindi è senza origine e senza fine; Turıya è la possibilità infinita di tutte le determinazioni causali, men tre pråjña rappresenta solo una potenzialità determinata. 9 1.13
Occorre far attenzione a non confondere la non dualità di Turıya con l’unità di pråjña. in altri termini, bisogna distinguere la sfera ontologica (dell’Uno prin cipiale o matematico ideale) da quella prettamente me tafisica. L’Uno matematico è l’inizio di una determinata serie, quindi della molteplicità, e questo è pråjña; Turıya è l’autentica non dualità o Unosenzasecondo perché è esente da inizio, da principio, da unità, intesa come origine della serie, è di là da ogni “secondo”. Turıya, dunque, è di là dal numero. dire uno è quanto dire due e tre, ecc., ma dire non due significa uscire dalla numerazione, dalla quantità e dalla qualità, significa affer mare l’Unità, o quell’Uno assoluto che non implica serie. La non dualità è il culmine, l’apice di tutte le con cezioni religiose o filosofiche monoteistiche, dualistiche e pluralistiche. È l’UnoBene di platone, l’Uno di plotino o l’Essere di parmenide. dallo stato di pråjña si può ritornare sul piano uni versale, o anche individuale, secondo il grado di rea lizzazione che si è raggiunto, ma da Turıya non v’è più ritorno. E l’Upani≤ad, con le kårikå di Gauƒapåda, esprime proprio questa realtà senza nascita (ajåti). Si veda ancora la kårikå successiva (1.14). 10 1.15
Se la veglia è caratteristica di viŸva, il sogno di taijasa e il sonno profondo di pråjña, Turıya è di là da
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queste tre condizioni, per quanto le contenga. nello stato sottile e grossolano si ha un percepire alterato perché si è guidati dalla sensitività, dalla rappresentazione mentale o dall’opinione sensoriale. L’individuo non percepisce, ad esempio, il vero al bero o il vero vaso, ma l’immagine che si fa del vaso o dell’albero, per cui la verità in sé, o la “cosa in sé”, non è conosciuta. Con la nostra mente sensoriale percepiamo sempre fenomeni, i quali, fra le altre cose, fluttuano nel divenire. il fenomeno è un “secondo”, è altro dall’Essere perché è meno dell’Essere. il conoscere sensoriale avviene perché i cinque sensi trasferiscono alla mente (sesto senso) tutti i dati di un oggetto che riescono a reperire e percepire; la mente, a sua volta, elabora questi dati e, mediante l’analisi, la deduzione, l’induzione, il ricordo, ecc., formula un con cetto dell’oggetto. Ciò dimostra che questa conoscenza avviene per mezzo di strutture mentali che sono solo concetti; ma un concetto non è l’autentica verità di un dato, ne è solo una rappresentazione. inoltre, un concetto è sempre in riferimento a qualche cosa, per cui si ha questa triplicità: soggetto conoscitore, menteconcetto, oggetto di conoscenza. Tale triplicità però esclude la vera conoscenza di ciò che è UnitàEssere, per cui la conoscenza concettuale può riferirsi solo a fenomeni che sono altro da sé, e alle leggi che regolano questi fenomeni. inoltre, tale conoscenza riduttiva vela l’essenza dell’ente il quale è costretto a peregrinare nella sfera di taijasa e in quella di viŸva, cioè nel mondo delle opinioni, delle ombre e dei miraggi. Conoscere il nome di una cosa non significa conoscere l’essenza della cosa stessa (si veda platone, Teeteto). 11 1.16
“... måyå senza inizio...” perché essa, prove nendo da un manvantara precedente non risolto, non dà
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possibilità di conoscere l’inizio del manvantara attuale per mancanza di relazione temporale. il tempo può essere stabilito tra due punti egualmente esistenti nel tempo; ma se il primo punto viene a mancare non si ha il preciso inizio di riferimento. 12 1.17
La manifestazione non ha esse, quindi deve dipendere da altro per essere; se è nata deve anche peri re, di qui il considerarla come semplice apparenza, cioè appare e scompare all’orizzonte di qualcosa che è e non diviene. La nascita, intesa come qualcosa che prima del suo nascere non esisteva, non può avere alcuna validità per i motivi che si possono riscontrare nelle kårikå 2.20 segg., 3.19 segg. Quando si parla della non nascita (ajåti) si vuole dire che la manifestazione non è l’atto volitivo di un Ente che ha fatto nascere qualcosa che prima non esisteva. Un albero fiorito non è altro che lo “sviluppo” di un seme preesistente: si può dire che la manifestazione è semplicemente un passaggio dalla potenza all’atto dello stato ontologico. E il seme ontologico è il risultato di un seme non risolto di un ciclo cosmico precedente. 13 1.23
in queste ultime kårikå vengono date le identità delle lettere o dei suoni (aUM) con i tre stati. Turıya risponde all’Om privo di suono, o all’assenza del suono manifesto. Âa§kara scrive nel suo commento a questa kårikå: «E, infine, il suono M conduce a pråjña; ma quando, a sua volta, il suono M si estingue, la causalità stessa si supera, per cui non rimane più nulla che debba essere compiuto»1 e possiamo aggiungere: conosciuto. 1 Cfr. Må√ƒ¥kya Upani≤ad con le kårikå di Gauƒapåda e il commento di Âa§kara. Op. cit.
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Così si può comprendere che lo sviluppo dell’indi vidualità corporea si ha in viŸva, lo sviluppo estensivo degli stati extracorporei formali e non formali si ha in taijasa, lo sviluppo sovraindividuale e universale si ha in pråjña; infine, la realizzazione suprema o la liberazione integrale dal manifesto formale, non formale universale e principiale si ha in Turıya quale fondamento del tutto esistente. 14 Xii
L’aUM,1 in quanto pura essenza del suono, è inafferrabile dagli enti sensoriali, anche perché la sua realizzazione implica il non percepire più l’apparenza, il visto, il polare. Esso è Om non qualificato (nirgu√a), non determinato. Dice Gauƒapåda (kårikå 1.29): «Colui che ha realizzato il senza misura è benefico e senza dualità. Colui che ha realizzato la sillaba Om è il vero [saggio] silenzioso (muni) e nessun altro essere». i termini Om, Quarto, Turıya, Brahman nirgu√a si equivalgono. La realizzazione di Turıya è il vero scopo del sen tiero metafisico che risponde a questa Upani≤ad. Se la parola metafisica designa “di là dal fisico”, e col termine “fisico” si designa la “sostanzanatura”, allora la visione metafisica va di là dal naturato e dallo stesso naturante. parlare, ad esempio, di taijasa in termini di metafisica, come spesso avviene, è improprio perché taijasa è sostan ziale e “materiale” quanto la sfera di viŸva, consistendo la loro differenza solo in gradi di “densità”, e quindi di vibrazione, come dimostra Gauƒapåda nel secondo capitolo del testo. Pråjña è la sfera ontologica, ma questa è la radice del molteplice. ÙŸvara è il Signore dei tre mondi. 1 L’aUM privo di parti (amåtra), senza misura, è il fondamento metafisico del suono primigenio.
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15 1.25
Quando si comprende lo spirito dell’Om quarto per quarto, quando vengono integrati i tre piani esistenziali la mente si rende silenziosa perché non ha più nulla a cui pensare per cui si trova nello stato di avasthåtrayasåk≤in (Testimone dei tre stati). Si può comprendere la profonda implicanza e l’enorme possibilità realizzativa. 16 1.26
I due Brahman (apara e para) non sono due Enti distinti e contrapposti (dualità); il Brahman non su premo o sagu√a (qualificato) riceve l’esse dal Brahman supremo o nirgu√a (non qualificato). Se si vogliono vedere le cose dal punto di vista del l’ultima verità, solo il Brahman nirgu√a rappresenta la realtà suprema; il “secondo”, nella sua triplice espressione manifesta, è solo “apparenza” nei confronti dell’“Uno senzasecondo”. 17 1.29
Âa§kara commenta: «Di là da ogni misura (amåtra) c’è Turıya. Måtra vuol dire misura, e ciò che oltrepassa ogni misura e ogni grandezza è chiamato ana ntamåtra». Se ÙŸvaraEssere è la misura di tutte le cose manifeste, Turıya è di là da ogni misura perché trascende ogni determinazione di tempo, di spazio e di causa. Se la Må√ƒ¥kya Upani≤ad, che è la quintessenza del Vedånta, propone il mantra aUM è perché vi sono tra l’aUM e gli stati dell’Essere, e tra l’Essere universale e quello individuale, delle precise corrispondenze. L’essere umano è dotato di sette cakra maggiori, collocati nel corpo prå√ico o iperfisico lungo la colonna vertebrale, ma tre sono i cakra essenzialmente importanti; ora il risuonare il mantra in questi tre cakra significa farli dischiudere e far vibrare la coscienza all’unisono con l’universale.
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Quando Gauƒapåda nella kårikå 1. 23 sostiene che la lettera a conduce a viŸva, la lettera U a taijasa e la lettera M a pråjña, ciò non va preso nel senso figurato o come una congettura intellettiva. i cakra sono centri di coscienza dell’ente derivanti dal corpo causale, e i suoi tre piani di attività rispondono alla veglia, al sogno e al sonno senza sogno. Se si conosce che il m¥lådhåra cakra contiene il fuoco che alimenta la “terra” o il corpo grossolano, che l’anåhata cakra è la sede del jıvåtman nel suo corpo sottile, governatore dei tre primi cakra, partendo dal m¥lådhåra, che l’åjñå cakra è la sede dell’åtmå unificato alla prakÿti nella forma causale del pra√ava Om, allora si può comprendere che i tre stati, di cui parla l’Upani≤ad, sono precisi stati di coscienza che devono essere realizzati, aprendo le tre porte di accesso. Vi sono vari tipi di yoga o di dottrine che indicano la strada per realizzare i tre stati, ma la loro finalità spesso è quella del raggiungimento del savikalpasamådhi o dello stato indiviso di pråjñaÙŸvara. Così, in termini alchemici, questi tre stati e cakra rappresentano il sale (P) o fuoco formale, il Mercurio ( ) o fuoco mercuriale e lo Zolfo (Q) o fuoco incorruttibile. potremmo ancora parlare di fuoco individuato, fuoco radiante e Fuoco noumenico. (Notiamo che Gauƒapåda intitola il suo quarto capitolo delle kårikå: “Sulla estin zione del tizzone ardente”). per dare un’analogia con la Tradizione alchemica oc cidentale si ha: – rettificazione del P – Separazione del
dal P
– fissazione dello Q, o soluzione del
in Q
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in questa sede non ci è dato sviluppare adeguatamente tali sequenze (opera al nero, al bianco e al rosso),1 ma co loro che, soprattutto occidentali, le comprendono, possono benissimo realizzare pråjña, l’Uno che tutto compenetra, ricordando che: «il fuoco si genera e si nutre col fuoco ed è figlio del fuoco, per questo occorre che ritorni al fuoco, sì che non tema il fuoco».2 L’asparŸavåda è un sentiero di fuoco, è il culmine di ogni tipo di ascesi, e porta al nirvikalpa samådhi o allo stato nirgu√a, lo stato non differenziato del Brahman (Quarto stato). L’asparŸa è lo yoga metafisico puro, e per seguirlo occorre avere una mens informalis perché una mente condizionata dal tempospaziocausa può concepire solo l’Essere principiale. Jñåna è conoscenza, ma questa co noscenza non verte sui fenomeni, come si è visto prece dentemente, né sullo stesso noumeno, ma sulla Costante assoluta, sul fondamento. È una conoscenza d’identità perché non opera sulla relazione soggettooggetto; è una “conoscenza prima” che non appartiene al manasmente. L’immediata presa di consapevolezza di Turıya, me diante jñåna, porta alla Liberazione (dall’ignoranza me tafisica) nella stessa vita, così da realizzare lo stato di jıvanmukta, il “Liberato in vita”; e ciò rappresenta l’indi cazione e lo scopo di questa Upani≤ad di cui Gauƒapåda sviluppa e approfondisce la tematica.
Cfr. La Triplice Via del Fuoco ed ’Ehjeh ’Aœer ’Ehjeh di ra phael. Collezione Vidyå. 2 n. flamel, Le Désir désiré, Vi. 1
CAPITOLO II suLLA nOn reALTà [deLLA duALITà]
atha vaitathyaprakara√am om|vaitathyaæsarvabhåvånåæsvapnaåhurmanı≤i√a¢| anta¢sthånåttubhåvånåæsaævÿtatvenahetunå||2.1|| adırghatvåccakålasyagatvådeŸånnapaŸyati| pratibuddhaŸcavaisar vastasmindeŸenavidyate||2.2|| abhåvaŸcarathådınåæŸr¥yatenyåyap¥rvakam| vaitathyaætenavaipråptaæsvapnaåhu¢prakåŸitam||2.3|| anta¢sthånåttu bhedånåæ tasmåjjågar ite smÿtam | yathå tatra tathå svapne saævÿtatvena bhidyate||2.4|| svapnajågar itasthåne hyekamåhur manı≤i√a¢ | bhedånåæ hi samatvena prasiddhenaiva hetunå||2.5|| ådåvante ca yannåsti var tamåne ’pi tattathå | vitathai¢ sadÿŸå¢ santo ’vitathå iva lak≤itå¢||2.6||
Capitolo
sulla non realtà [della dualità]
2.1 - Om. I saggi asseriscono la non realtà di tutte le cose [percepite] in sogno, sia perché, invero, esse hanno sede all’interno [della mente], sia perché sono circoscritte [spazialmente].1 2.2-Perbrevitàditempo[ildormiente]nonpercepisce qualcosa andando [realmente] nei luoghi [visti in sogno]; in verità costui al risveglio non si trova in quel luogo [di sogno]. 2.3 - Inoltre, l’inesistenza di carri, ecc. [visti in sogno]vieneinterpretatadallaÂruticomelogicaconseguenza.Siaffermainvero,inbaseatale[ragionamento], chelanonrealtàacquisitainsognoèconvalidatadalla stessa Âruti. 2.4-Comeglioggettiinternicircoscrittinelsogno sono non reali, allo stesso modo sono non reali [gli oggetti] allo stato di veglia. 2.5 - In verità, proprio sulla ben nota logica e per l’identità della percezione delle diverse cose [viste in sogno e nella veglia] i saggi affermano che le condizioni di sogno e di veglia sono della stessa natura.2 2.6-Ciòchenonèrealeall’inizioeallafine,ugualmente[nonèreale]nell’intervallo.Perquantoglioggetti (vartamåna =ciòcheesiste,l’esistente)[diveglia]sono dellastessanatura(sadÿŸa =conforme)nonreali[come quelli di sogno], tuttavia vengono considerati reali.3
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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ. II. VaITaTHya Prakara÷a
saprayojanatå te≤åæ svapne vipratipadyate | tasmådådyantavattvenamithyaivakhalutesmÿtå¢||2.7|| ap¥rvaæ sthånidhar mo hi yathå svarganivåsinåm | tånayaæ prek≤ate gatvå yathaiveha suŸik≤ita¢||2.8|| svapnavÿttåvapi tvantaŸcetaså kalpitaæ tvasat | bahiŸcetogÿhıtaæ saddÿ≤†aæ vaitathyametayo¢||2.9|| jågradvÿttåvapi tvantaŸcetaså kalpitaæ tvasat | bahiŸcetogÿhıtaæ sadyuktaæ vaitathyametayo¢||2.10|| ubhayorapi vaitathyaæ bhedånåæ sthånayoryadi | kaetånbudhyatebhedån kovaite≤åævikalpaka¢||2.11|| kalpayatyåtmanå ”tmånamåtmå deva¢ svamåyayå | sa eva budhyate bhedåniti vedåntaniŸcaya¢||2.12|| vikarotyaparånbhåvånantaŸcitte vyavasthitån | niyatåæŸca bahiŸcitta evaæ kalpayate prabhu¢||2.13||
CaP. II SULLa NON rEaLTÀ [dELLa dUaLITÀ], 2.7-2.13
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2.7-Lalorointrinsecautilitàvienecontraddettanel sogno.Perciò,essendodotatidiuninizioediunafine,essi [iduestati]sonoconsideratigiustamentecomenonreali. 2.8-Invero,glioggetti[percepitiinsogno]costituisconoproprietàdellostessoindividuochesitrovainunadata condizione[disogno],comepergliabitantidelcielo.Il sognatoreesperiscetali[oggetti]comeunindividuoben informatoliesperiscequi[nellostatodiveglia].4 2.9-Invero,nellamodificazionecheèilsogno[soggettivo], ciò che è proiettato dalla mente all’interno è non reale, mentre ciò che è sperimentato dalla mente all’esterno [oggettivo] viene considerato reale; ma inverovieneconstatatalanonrealtàdiambedue.5 2.10 - Invero, anche nell’attività mentale di veglia, ciò che è immaginato all’interno della mente viene considerato non reale, mentre ciò che è appreso dalla mente all’esterno [della mente stessa] è reale; ma è ragionevole [asserire] la non realtà di ambedue. 2.11 - Se si dà la non realtà dei diversi oggetti percepitiinambedueglistati,chiconoscequestidiversi oggetti? e chi, invero, è colui che li proietta? 2.12 - Per mezzo del potere di måyå, il risplendente åtmå appare oggetto. Questo soltanto è la base [fondamento]dellaconoscenzadeglioggetti.Cosìèla definitiva conclusione del Vedånta.6 2.13-Quandolamente,sorrettadalSignore,sidirige verso l’esterno immagina la molteplicità degli oggetti [qualiilsuono,ecc.,relativamentepermanenti],quando la mente si dirige verso l’interno (anta¢-citta) immagina[comevåsanå]diverseideazioni[impermanenti]...7
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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ. II. VaITaTHya Prakara÷a
cittakålå hi ye ’ntastu dvayakålåŸca ye bahi¢ | kalpitå eva te sar ve viŸe≤o nånyahetuka¢||2.14|| avyaktå eva ye ’ntastu sphu†å eva ca ye bahi¢ | kalpitå eva te sar ve viŸe≤astvindriyåntare||2.15|| jıvaæ kalpayate p¥rvaæ tato bhåvånpÿthagvidhån | båhyånådhyåtmikåæŸcaivayathåvidyastathåsmÿti¢||2.16|| aniŸcitå yathå rajjurandhakåre vikalpitå | sar padhårådibhirbhåvaistadvadåtmå vikalpita¢||2.17|| niŸcitåyåæ yathå rajjvåæ vikalpo vinivar tate | rajjur eveti cådvaitaæ tadvad åtmaviniŸcaya¢||2.18|| prå√ådibhiranantaiŸca bhåvai retai r vikalpita¢ | måyai≤åtasyadevasyayayåsaæ mohita¢svayam||2.19||
CaP. II SULLa NON rEaLTÀ [dELLa dUaLITÀ], 2.14-2.19
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2.14 - ... perché, invero, sia quelli che sono [percepiti] all’interno [della mente] aventi la durata della loro ideazione, sia quelli [percepiti] all’esterno in quanto connessi con due [diversi] momenti temporali, tutti loro sono soltanto rappresentazioni mentali; la loro qualificazione distintiva non è causata da alcun [altro fattore]. 2.15 - Sia gli [oggetti] all’interno, che non sono manifesti, sia quelli all’esterno che sono oggettivati, sono solo rappresentazioni mentali; la sola qualificazione distintiva si ha dai differenti organi dei sensi. 2.16 - dapprima [il Signore] irradia il jıva, quindi i singoli oggetti interni ed esterni. [dalle impressioni suscitate]dallamemoria[il jıva]ottienelacognizione. 8 2.17 - Come una corda che, non venendo accertata nella oscurità, è variamente immaginata come oggetti quali un serpente, un rigagnolo [d’acqua], ecc., così l’åtmå viene variamente immaginato. 2.18 - Come le varie ideazioni [di serpente, ecc.] cessanodipresentarsiquandolacordaèstataaccertata essere solo [una semplice] corda, così avviene per l’accertamento dell’åtman. 2.19 - [La realtà-åtman] viene variamente immaginata come questi innumerevoli oggetti, [per esempio] il prå√a, ecc. Ciò è dovuto alla måyå che vela il risplendente [åtman].9
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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ. II. VaITaTHya Prakara÷a
prå√a iti prå√avido bh¥tån ıti ca tadvida¢ | gu√å iti gu√avidastattvånıti ca tadvida¢||2.20|| pådå iti pådavido vi≤ayå iti tadvida¢ | lokå iti lokavido devå iti ca tadvida¢||2.21|| vedå iti vedavido yajñå iti ca tadvida¢ | bhokteti ca bhoktÿvido bhojyam iti ca tadvida¢||2.22|| s¥k≤ma iti s¥k≤mavida¢ sth¥la iti ca tadvida¢ | m¥rta iti m¥rtavido ’m¥rta iti ca tadvida¢||2.23|| kåla iti kålavido diŸa iti ca tadvida¢ | vådå iti vådavido bhuvanån ıti tadvida¢||2.24|| mana iti manovido buddhir iti ca tadvida¢ | cittam iti cittavido dhar mådhar mau ca tadvida¢||2.25||
CaP. II SULLa NON rEaLTÀ [dELLa dUaLITÀ], 2.20-2.25
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2.20 - Coloro che conoscono il prå√a considerano il prå√a come [realtà-åtman]; coloro che conoscono i bh¥ta considerano la realtà come bh¥ta; coloro che conoscono i gu√a considerano la realtà-åtman come gu√a; coloro che conoscono i tattva considerano la realtà-åtman come tattva. 2.21-Colorocheconosconoipiedi[quarti]consideranoipiedi(påda)comeåtman;colorocheconoscono glioggetti[empirici]consideranoglioggettisensoriali comeåtman;iconoscitorideilokaconsideranol’åtman come loka; coloro che conoscono i deva considerano l’åtman come deva. 2.22 - Sono i Veda per i conoscitori dei Veda e i sacrifici(yajña)periconoscitoridiquelli(Baudhayana), è il fruitore (bhoktÿ) per i conoscitori del fruitore [Såækhya]el’oggettodifruizionepericonoscitoridi quello (materialisti). 2.23-Èancorailsottilepericonoscitoridelsottile; o [l’esistenza] grossolana per i conoscitori del grossolano; è la Forma [Persona] per i conoscitori della Forma; è il senza forma per i conoscitori del senza forma [che non credono in alcuna forma]. 2.24 - È il tempo per i conoscitori del tempo, le direzioni spaziali per i conoscitori di queste, le teorie magicheperi conoscitoridelledottrine[magiche],e i [quattordici] mondi per i conoscitori di questi. 2.25 - È la mente (manas) per i conoscitori della mente e l’intelletto (buddhi) per i conoscitori di questo; è citta per i conoscitori di citta; è il dharma e l’adharma per i conoscitori di questi.10
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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ. II. VaITaTHya Prakara÷a
pañcaviæŸaka ityeke ≤aƒviæŸa iti cåpare | ekatriæŸaka ityåhurananta iti cåpare||2.26|| lokåæ llokavida¢ pråhuråŸramå iti tadvida¢ | strıpuænapuæsakaælai§gå¢paråparamathåpare||2.27|| sÿ≤†ir iti sÿ≤†ivido laya iti ca tadvida¢ | sthitir iti sthitivida¢ sar ve ceha tu sar vadå||2.28|| yaæbhåvaædarŸayedyasya taæbhåvaæsa tu paŸyati | taæcåvatisabh¥två’sautadgraha¢samupaititam||2.29|| etai re≤o ’pÿthagbhåvai¢ pÿthageveti lak≤ita¢ | evaæ yo veda tattvena kalpayetso ’viŸa§ kita¢||2.30|| svapnamåye yathå dÿ≤†e gandhar vanagaraæ yathå | tathåviŸvam idaædÿ≤†aævedånte≤uvicak≤a√ai¢||2.31|| na nirodho na cotpattir na baddho na ca sådhaka¢ | na mumuk≤ur na vai mukta itye≤å paramår thatå||2.32||
CaP. II SULLa NON rEaLTÀ [dELLa dUaLITÀ], 2.26-2.32
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2.26 - alcuni [i såækhya] dicono che [la realtà] consiste di venticinque [categorie] e altri [i seguaci dello yoga] di ventisei, [per i påŸupata] di trentuno, e per altri sono senza fine. 2.27 - I conoscitori degli oggetti mondani considerano [la realtà] gli oggetti mondani; gli åŸrama per i conoscitori di questi, il genere maschile, femminile e neutro per i grammatici; il [Brahman] supremo e non supremo per altri. 2.28 - È la creazione per i conoscitori della creazione, la dissoluzione per i conoscitori di questa, la conservazione per i conoscitori della conservazione, ma tutte queste sono sempre [concezioni] sovrapposte alla realtà-åtman. 2.29-Unentenonvedealtrochel’oggettochegli vieneprospettato;lacomprensione-aspirazionediquello [oggetto] lo avvicina [fino a diventare quell’oggetto]. 2.30 - Per quanto esso [l’åtman] non sia diverso [comeessenza]daquestecose[dicuisièparlato],tuttaviavienedefinitocomefossediverso.Coluiilqualein veritàconoscecosì,interpreta[iVeda]senzaincertezze.11 2.31-Comeilsogno,laproiezionemagica[delmago]elacittàcelestedeiGandharvasonovisti[aventi naturadifenomeni],così,[similmente]questouniverso è visto dai saggi del Vedånta.12 2.32-Questaèlasupremaverità:nonviènénascitanéviècessazionediessere,néaspirante(sådhaka) allaliberazione,néliberato(mukta),néalcunochesia in schiavitù.13
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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ. II. VaITaTHya Prakara÷a
bhåvai rasadbhirevåyamadvayena ca kalpita¢ | bhåvå apyadvayenaiva tasmådadvayatå Ÿivå||2.33|| nå ”tmabhåvena nånedaæ na svenåpi kathañcana | na pÿtha§ nåpÿthak kiñciditi tattvavido vidu¢||2.34|| vıtarågabhayak rodhai r munibhir vedapåragai¢ | nirvikalpohyayaædÿ≤†a¢prapañcopaŸamo’dvaya¢||2.35|| tasmådevaæ viditvainamadvaite yojayetsmÿtim | advaitaæ samanupråpya jaƒavallokamåcaret||2.36|| nistutir nir namaskåro ni¢svadhåkåra eva ca | calåcalaniketaŸca yatir yådÿcchiko bhavet||2.37|| tattvamådhyåtmikaædÿ≤†våtattvaædÿ≤†våtubåhyata¢| tattvıbh¥tastadåråmastattvådapracyuto bhavet||2.38|| iti vaitathyaprakara√am
CaP. II SULLa NON rEaLTÀ [dELLa dUaLITÀ], 2.33-2.38
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2.33-[L’åtman]èimmaginatoinmolteplicioggetti non reali, mentre [viene riconosciuto] persistente in quantononduale;percuiimolteplicioggettivengono [immaginati] nella stessa non dualità. Perciò la non dualità è benefica. 2.34 - Questo [universo] molteplice non appare in modoautonomonédipendentedaaltro[fattore];nonvi è nulla che sia diverso e non diverso. Così dichiarano i conoscitori della Verità. 2.35-daisaggiassortinelsilenziochesonoesenti dall’attaccamento, dalla paura e dalla collera e perfettamente competenti nei Veda, invero questo [åtman] viene realizzato come di là dai concetti (nirvikalpa), senza alcuna traccia di manifestazione (prapañcopaŸama) e in quanto non duale. 2.36 - Perciò, avendo compreso così [il muni] si deve concentrare [solo] sulla non dualità e avendola conseguita si deve comportare nel mondo come [se fosse] di tardo intelletto. 2.37-L’ascetaitineranteèaldilàdellelodi,degli omaggi, dei rituali e, presi come sostegni il mutevole [corpo grossolano] e l’immutabile [åtman], si affida allecircostanze[perqualunquenecessitàcontingente].14 2.38-avendorealizzatolaveritàdentrodisécome sfera interiore e realizzato la verità esterna, divenuto [tutt’uno] con la verità eterna [questa] non può [più] venir meno.15 Fine del Vaitathya Prakara√a
nOTe AL CAPITOLO II
2.1- NelprimocapitololanondualitàèstataesaminatainriferimentoallaÂruti(Tradizionenonumana),nel secondoeneglialtricapitoliGauƒapådavuoledimostrare la non dualità con l’aiuto della ragion pura, sì da venire incontroaquantisonopolarizzatisoprattuttonell’intelletto. Èopportuno,aquestopunto,fareunaprecisazione:per l’asparŸavåda e l’advaitavåda il termine non reale non deve intendersi nel senso assoluto di non esistente. Per esempio,quandosidicecheilmondooggettivoèirreale ciò non vuol dire che il mondo è inesistente come “le corna di una lepre” (commenta Âa§kara), ma che non è realeneiconfrontidellarealtàassoluta,quindiilmondo oggettivoèuneffetto-fenomenorelativochenasce,cresce e muore. La caducità della manifestazione è affermata anche dall’evidenza empirica. alla domanda: che cosa è reale? l’asparŸavåda risponde:èrealeciòcheèdilàdaltempo,dallospazioe dallacausa.Epoichéciòchecadesottoiltripliceaspetto, spazio-tempo-causa,risultaesseremovimento,cangiamento,contingenza,fenomenocheappareescompare,allora ciò che è di là da queste categorie dev’essere costante, sempre identico a se stesso, non contraddittorio, senza nascita(ajåti,dacuiajåtivåda,altronomedelloyoga che GauƒapådaesponeinquestaUpani≤ad),nondeterminato; quindi, infinito. Questa visione conoscitiva non appartiene solo all’Oriente tradizionale ma, si può ripetere, è identica, in quanto princìpi, a quella occidentale. 1
NOTE AL CAPITOLO II
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Inaltritermini,sial’Orientesial’Occidentemetafisico pongonounordinedirealtàcherappresentailFondamento del tutto esistente ed è ciò che dà l’esse sia al Principiocausalesia,naturalmente,atuttoquellocheda talePrincipioprocede:sivedaParmenideconl’Essereil qualetrascendequelloontologicomanifestante;Platonecon l’Uno-Benecheèdilàdal“MondodelleIdee”;Plotinocon l’UnocheèdilàdalNoûsqualeIntelligenzaprincipiale. E che rapporto possono avere questi due ordini di realtà? Il Fondamento, con la sua stessa presenza, dà possibilità di movimento al Principio causale; come il sole,conlasuasemplicepresenzaradiante,dàpossibilità al pianeta di produrre, di essere; il fuoco radiante del sole (fotoni) concede al seme della pianta di svilupparsi edessere,eppureilsolerimaneequidistantee fermonei confronti del suo sistema; senza il sole lo stesso pianeta terra sarebbe morto; ma altresì l’intera manifestazione senza quel Fondamento non potrebbe neanche esistere. Tutto ciò implica che la Causa prima, non essendo aseità, deve avere dietro di sé un qualcosa che possa darle la sua ragion d’essere. Quindiilrapportonirgu√a(nonqualificato)esagu√a (qualificato)èunaquestionediradianza,ilsecondoriceve l’input (Fiat lux)dalprimo,sviluppandocosìisuoisemi.
2.5- Ilproblemachesiponeèquesto:generalmente si sostiene che mentre la condizione di veglia è reale, quella di sogno è irreale. Ma si può chiedere: su che cosa è basata quest’affermazione? Si risponde: sul dato di percezione e sulla stessa percezione consapevole. Gauƒapådaperòdimostracheidatidipercezioneela stessa percezione di veglia e di sogno sono identici, c’è in entrambi i casi percezione consapevole, per cui essi debbono avere la stessa natura. 2
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2.6 - La kårikå pone l’accento sui dati percettivi: questihannounanascita,crescita,maturazioneetermine evidenti, sia nella condizione di veglia sia in quella di sogno. Per quanto gli oggetti di veglia e sogno abbiano una origine e una fine, tuttavia si considerano reali quelli di veglia, mentre dovrebbero ritenersi entrambi non reali. Si può obiettare che, per quanto presentino le stesse caratteristiche,glioggettidivegliahannounalorofinalità determinata,servonoascopilegittimierazionali:placano, ad esempio, la sete e la fame; una sedia serve alla sua funzione specifica, ecc. 3
2.8-anchenelsognoglioggettiservonoadeterminati fini: così ci si serve della sedia per sedersi e si appaga la fame con del cibo gradevole proiettato dalla mente. Inoltre, l’utilità degli oggetti di veglia non è assoluta perchéundatoallostatodivegliapuòesserecontraddetto nel sogno e viceversa; la ricchezza, ad esempio, che si ha nella veglia, non la si trasferisce nel sogno. Si può obiettare che gli oggetti di sogno sono spesso deformi, grotteschi, ecc., mentre quelli di veglia sono di aspetto normale e razionale. anche questa verità non è assoluta perché pure nella veglia possono incontrarsi forme grottesche e inusitate tali da impaurire l’osservatore. Tale obiezione, poi, non è valida perché si deve riconoscere che ogni modalità di vita ha le sue caratteristiche, le sue peculiarità distintive chepossonoovviamentedifferiredaaltremodalitàdivita. Un viaggiatore che nella veglia si reca in un paese straniero,incontranecessariamentedeglioggettichenon hamaivisto,ochepresentanoaspettidifferentidaquelli visti nel proprio paese; il comportamento di un popolo può essere considerato assurdo da un altro, e così via. 4
NOTE AL CAPITOLO II
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2.9 - Confutata la tesi secondo la quale gli oggetti percettivi di veglia e sogno differiscono, ora Gauƒapåda passa ad analizzare la percezione del soggetto. Nello stato di veglia la percezione è caratterizzata da un percipiente e da un oggetto percepito; ma anche nel sogno si ha un soggetto che percepisce e un oggetto che vienepercepito;ecomenellavegliaunoggettopuòprocurare dolore o gioia al soggetto percipiente, così anche nel sogno vi sono oggetti che procurano sofferenza o felicitàalsoggettopercettivo.Ecome,ancora,nellaveglia è ritenuto reale tutto ciò che è oggettivo e non reale ciò che è soggettivo, similmente nel sogno è ritenuto reale ciò che è oggettivo e non reale ciò che è soggettivo. Si può obiettare che il sogno è un affare privato del sognatore e riguarda solo lui, mentre la veglia è un dato generale che coinvolge altre persone. Sipuòrisponderecheanchenelsognoilsognatorenon è solo, perché sono coinvolte tante altre persone, come appunto nella veglia. Nel sogno, ad esempio, si insegna a degli allievi, si fanno discorsi alla folla, si parla ai familiari,sipartecipaadesperienzedigruppo,ecosìvia. Si può altresì obiettare che il sogno non è altro che una reminiscenza della veglia, per cui ne costituisce una semplice appendice. Si può rispondere che per quanto ciò sia anche vero, tuttavia non può considerarsi un assoluto. Nel sogno si esperimentanocoseedeventichenonsiverificanonella veglia; inoltre, nel sogno si hanno delle intuizioni che completanol’esperienzadiveglia.Questicasihannouna loro precisa evidenza. E quando un’esperienza di sogno riesceainfluenzareemodificarelostatodiveglianonpuò essereconsiderataun’illusione;un’illusionenonproduce alcun evento, non determina comportamento o scelte, né può risolvere un problema. 5
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Si può ancora affermare che la percezione di veglia presentaunacontinuitàintelligentedicategoriementalie unaproduzioneintelligentediprodottiperavvantaggiare l’ente di veglia. Si può replicare che la percezione di sogno è altresì conseguenziale, rispondente alle necessità dello stato in questione,soprattuttosesiconsiderachel’entedisogno esperimentadiversecostellazionidieventi,ognunaconuna tematica di fondo. Inoltre, l’ente di sogno, come risulta evidente, produce tutti quei prodotti che sono necessari alla sua necessità. Sipuò,indefinitiva,chiedere:daqualeprospettivasi afferma che il sogno non è reale? dalleobiezionifatterisultacheilsognovieneanalizzatodallaprospettivadellostatodivegliaedalsistemadi pensierodellaveglia.Maèpossibilegiudicareunsistema dicoordinatedallaprospettivaesclusivadiunaltrosistema? È razionale sostenere che la tridimensionalità è un sogno-illusione perché dalla prospettiva bidimensionale essa non è percepita? Un’indiscussarazionalitàeunarigorosalogicadeduttiva sono pur sempre relazionate a un preciso sistema di pensiero,percuiessenonpossonorecepireecomprendere sistemi di pensiero diversi. Un sistema di pensiero si muove sempre nell’ambito diunacirconferenzachiusa,esedovesserovenirmenole sue premesse crollerebbero le conclusioni. Per esempio, un sistema di pensiero, o punto di vista, sostiene che la realtàpuòesserepercepitasolomedianteisensi.rimane ovvio che, “se ci si identifica” con tale corrente di pensiero,lasirendeassoluta,percuisivengonoaescludere a priori tutte le altre possibili correnti di pensiero che possono postulare punti di vista diversi. In seguito (kårikå 2.19-28) Gauƒapåda indica come l’unica realtà può essere vista in modo differente dai
NOTE AL CAPITOLO II
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molteplici enti, per cui ognuno può ritenere valida la propria premessa e la propria conclusione. Per l’asparŸavåda vi sono verità relative o “gradi di verità” che sono, appunto, l’espressione delle varie prospettive degli enti, ma che si annullano nella realtà suprema. Così l’asparŸavåda rimane duttile; quando si muove sul piano del relativo non nega il dualismo, il monismo e neanche il fenomenismo, ma li considera “possibili punti di vista” che contengono gradi di verità. 6 2.12 - La chiara conclusione del Vedånta, secondo Âa§kara,èdidimostrarechelaconoscenza,comelamemoria, ha un fondamento che è l’åtman; la corda appare serpentetramitelamåyå-avidyåperchélamenteempirica proietta il serpente e lo sovrappone alla corda, cioè alla realtà-åtman(vedikårikå2.18).Mal’intelletto(buddhi) riconoscelacordaperciòcheè,equestointelletto-conoscenzahacomefondamentoBrahman-åtman;comedimostralostessoPlatonecheponeallaveritàeallaconoscenza ilfondamentocheèl’Uno-Bene(PolitéiaVI,508e-509a).
2.13- Seglioggettipercepitineiduemondi(veglia e sogno, o viŸva e taijasa) non sono reali assoluti, essi infatti nascono e periscono, chi è il loro creatore e chi il soggetto percipiente? Il creatore degli oggetti, come lo stesso percettore, è l’ahaækåra. Ilsupportooilfondamentodiquestapolarità soggetto-oggetto è l’åtman. Questi è la fonte o la radice deltutto,senzadiessonessunacosapotrebbeesistere,né allostatocausalenéaquellosottilenéaquellogrossolano. Il primo s¥tra del DÿgdÿŸyaviveka dice: «Unaforma-oggettovienepercepita,maèl’occhioche percepisce. Quest’ultimo viene percepito dalla mente laqualedivienesoggettopercipiente.Infine,lamente, conlesuemodificazioni,vienepercepitadallaconsa7
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pevolezza–Testimoneilqualenonpuòessereoggetto dipercezione».1 Ora si può comprendere come l’oggetto e il soggetto sono percepiti da un Testimone ultimo che, appunto, è dietroquestaantinomia.Inaltritermini,sipuòparlaredi dualità, o polarità, perché dietro a essa vi è un ente che l’asserisce. Ogni dualità implica un terzo fattore che ne rappresenta la sintesi e la conclusione. L’åtman, dunque,irradiaunraggiodiconsapevolezza cherappresentailjıva (si vedakårikå 16)equesto,asua volta, prolunga il raggio di consapevolezza sul triplice livelloindividuatodelmanas-kåma-viŸva;suquest’ultimo livello opera l’ahaækåra, mentre sul piano universale opera direttamente il jıva mediante i corpi della buddhi e dell’ånanda-beatitudine; e il jıva è della natura del Brahman (Bra. S¥. IV.IV.4).2 Il jıva è ciò che dà vita ai vari corpi, da quello di viŸva a quello dell’ånanda (cfr. Platone, Cratilo 339d). 8 2.16-Glioggettiesterni,statodivirå†,sonoproiezioni deljıva?No;sonoIdeediÙŸvara,cioèdeljıva universale principiale.Undatooggettivo,osoggettivo,nonèaltroche un’idea delpensatoreindividualeouniversale.Unvasoè soloun’idea-immaginecheundemiurgoharesooggettivagrossolana sul piano di viŸva o virå†, oppure soggettiva, meglio sottile, sul piano di taijasa o hira√yagarbha.
2.19- Qualèilrapportodel jıva conilmondodegli oggetti?aquestopuntosarebbeutilerileggerequantosiè dettoprimae,soprattutto,lanotaals¥traVIdell’Upani≤ad. 9
1 DÿgdÿŸyaviveka,
s¥tra 1, a cura di raphael. associazione Ecoculturale Parmenides, roma 2014. 2 Cfr.Brahmas¥tra diBådaråya√aacuradiraphael.associazione Ecoculturale Parmenides, roma 2013.
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NOTE AL CAPITOLO II
adesso si può dare un quadro sintetico dei piani esistenziali e della costituzione dell’ente individuale per megliocomprenderel’assieme.Inoltre,perdimostrareche questatripliceripartizione,piùilQuartocheèmetafisico, non è tipica dell’Advaita, si dà un quadro degli stati dell’Essere secondo altri rami della Tradizione. Åtman
• • • Universale
Individuale Pråjña Taijasa ViŸva
ÙŸvara Hira√yagarbha Virå†
Åtman
•
ÅnandamayakoŸa
corpo causale
(sonno profondo)
Jivåtman BuddhimayakoŸa
superiore
ManomayakoŸa
corpo sottile
Prå√amayakoŸa
inferiore
AnnamayakoŸa
corpo grossolano
Individualità umana
Ahaækåra
riflesso dicoscienza incarnata
◊
(sogno)
(veglia)
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MÅ÷‡ÎkyakÅrIkÅ. II. VaITaTHya Prakara÷a
Leprimetreguaine,partendodalbasso,sicondividono conglianimali(anchel’animalehaunmanas rudimentale, per quanto questo sia la caratteristica fondamentale dell’essere umano). Le altre due guaine si condividono col “mondo degli... dei”. L’åtmanètrascendentelamanifestazione,perquanto le dia sostegno e alimento. Secondo la Tradizione del Tao si ha questo quadro: Wou-ki (Unità Metafisica) •
• Tai-ki
• • Tien Ti (Cielo) (Terra) Secondo la Qabbålåh: aziluth •
• Briah
• • yezirah assiah
NOTE AL CAPITOLO II
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L’individuo,identificandosiconilmondoesternoecon lesueconcettualizzazioni,credechequestecosedebbano rappresentarelarealtàultima;epoichélerappresentazioni sono tante, in continuo mutamento, egli è costretto ad avere tante diverse verità spazio-temporali. L’esempiodellacordaedelserpente,oaltro,ètipico dell’insegnamento del Vedånta. La corda è immaginata serpente, bastone, ghirlanda, filo d’acqua, ecc., secondo la prospettiva da cui si pone l’ente osservatore (i vari sistemi di pensiero). Si può capire da ciò quanti punti di vista diversi si possono avere, per quanto tutti cerchino di indicare quell’unica realtà che è immutabile. Il materialista identifica la realtà suprema con la “materia”, l’idealista la identifica con l’idea, lo spiritualista con lo spirito, il teista col dio-persona, e così via secondo le prospettive che il manas può concepire o rappresentare. Gauƒapåda, nelle kårikå che seguono, ne indica parecchie.
2.25 - alcuni, che considerano la mente come fattore primario, spiegano il reale assoluto come semplice ideazione-pensiero;quindisipongonoesclusivamentesul piano del sensibile escludendo l’intelligibile perché per loroquestononèaltroche,ugualmente,unamodificazione della mente empirica. Tale prospettiva di vedere le cose non tiene conto di sfere conoscitive che solo con la nóesis, la buddhi o l’intuizionesuperconsciapossonoessereconosciute.ancora, non si tiene conto dell’esperienza diretta dell’ente il quale può sperimentarle di là da ogni formulazione ideale e concettuale-mentale. C’è da aggiungere anche questo: l’ente, in quanto io-ahaækåra, crede, anzi ha la certezza, che sia lui a muovereisuoiveicoli,compresoilcorpofisico,sialuia muovere il pensiero, a creare idee, concetti, ecc., invece 10
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sono i veicoli-gu√a che lo sospingono a muoversi, così da considerarsi ciò che non è: «...ocomeunattorechecambiavesteaogniistante...».1 «Comel’animalelegatoaunmezzoditrasporto,così questo prå√a [l’ente individuato] è legato a questo corpo».2 «Perché ÙŸvara, o arjuna, risiede nella regione del cuore di tutti gli esseri e, mediante il potere di måyå (prakÿti),famuoveretuttelecreaturecomeseciascuna di esse non fosse altro che una ruota di una grande macchina».3 L’autentico risveglio avviene quando, senza “uccidere” i veicoli-gu√a, che appartengono alla prakÿti, l’ente perviene a essere padrone di questi fattori che, in ultima analisi, non sono; quando, ancora, è lui a decidere se pensare o non pensare, se muoversi o essere ciò che è. Per quanto la forza dei gu√a-veicoli sia oltremodo potente, può sembrare strano che questa sua potenza possaessereneutralizzatacolsemplicerimanerefermiin se stessi, con se stessi e per se stessi, riconquistando la propria Unità, di là dalle ombre che oscurano e velano colui che da sempre giace sul Trono dell’eternità.
2.30 - Un altro errore è quello di ritenere che il “serpente”, la “ghirlanda”, e quindi il prå√a, ecc. possano sussistere senza il supporto del Brahman, cioè che il relativo possa sussistere senza l’assoluto, il movimento dinamico senza un centro statico, una forma qualunque senza la sua struttura sottile, ecc.; in altri termini, che l’effetto possa sussistere senza la causa. 11
1 2 3
Mai. IV. 2. Chå. VIII. XII.3. Bha. Gı. XVIII. 61.
NOTE AL CAPITOLO II
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Ora,perl’asparŸa,l’universoè unfenomeno-effettoil qualenonhavitapropriaindipendentedalsuofondamento il quale gli dà l’esse. 12 2.31 - Se l’universo è un fenomeno-effetto, è divenire, è movimento (måyå) esprimentesi in suono e colore,allora,vistodallaprospettivadell’Essere,essonon ècheun“sogno”,unaproiezionegeometricadelGrande architettouniversale,proiezionecheappare escompare, per cui non può considerarsi verità costante. riportiamo alcuni passi della Tradizione occidentale chesonomoltosignificativierispondentiall’Insegnamento dell’asparŸavåda. Ecco come si esprime Parmenide:
«[Ne consegue che] rimane solo un discorso della Via (oJdov~) che è. Su questa via ci sono segni (sh`ma) rivelatori assai numerosi: wJJ~ ajgevnhton ejo;n ejstin: che l’Essere è non-nato, ajnwvleqrovn incorruttibile, infatti è intero (ou\lon) nel suo insieme, immobile e senza fine (ajt evleston). Né mai era, né sarà, perché è ora tutto insieme uno (ün = quindi non molti), continuo (sunecev~). Quale nascita (gevnna) infatti cercherai di esso?... Quale necessità lo avrebbe mai costretto a nascere...1 diconseguenza,néilnascerenéilperireconcessead esso la dea Divkh... infatti se è nato, non è; e neanche può essere se mai dovrà esistere nel futuro. Così, la nascita è svanita e la morte si è spenta. E neppure è divisibile perché il tutto rimane identico a se stesso 1
risponde all’ajåtivåda di Gauƒapåda.
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né c’è in alcuna parte un di più che possa ostacolare la sua unità né c’è un di meno perché l’Essere è tutto pieno di se stesso... Per esso saranno nomi tutte quelle cose che hanno deliberato i mortali convinti che fossero vere...».1 L’insegnamentoparmenideoponel’Essereinquantoè enondiviene,ilqualetrascendeildivenire;Essoè o{lon (completo in se stesso, intero), ajnupovqeto~ (incondizionato), e{n (unità pura): mentre tutto il resto rappresenta il formale sensibile in quanto fenomeno-fainovmenon che appareescompareall’orizzontedell’Esseresupremo,per quanto il fenomeno-apparenza può esistere perché c’è semprel’Esserecheglidàragiond’essere.Tuttoilpasso di Parmenide è perfettamente in accordo con quello che espone Gauƒapåda.
2.32 - Se le cose sono viste dalla prospettiva metafisica – ciò che poi interessa l’Upani≤ad in questione, Gauƒapådae,diremolostessoParmenide–sipuòaffermare che nascita e dissoluzione, schiavitù e liberazione sono termini correlativi che trovano posto solo nella dimensione del sensibile per cui sono verità contingenti. Parmenidedice: dovxa~ d’ ajpo; tou`de broteiva~ = leopinioni dei mortali. Il più grande dramma dell’individuo è quello di considerarsicontingenteeperituro.Unaconcezioneriduttiva del reale porta all’insoddisfazione, all’angoscia e infine alla violenza. Si è detto in precedenza che l’ente può direzionarsi verso tante strade in perfetta libertà, come può rimanere “motore immobile”. 13
1 Parmenide, Sull’Ordinamento della Natura, fr. 8, a cura di raphael. Collezione Vidyå.
NOTE AL CAPITOLO II
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2.37 - Queste tre ultime kårikå sono di tale facile comprensioneintellettivachenonhannobisognodispiegazioni, ma altresì così difficili da realizzare che per alcuni non basterà un’esistenza intera. 14
15 2.38- Comprendendomedianteviveka (discernimento) e risolvendo mediante vairågya (distacco psicologico), l’ente si emancipa dall’errore di essersi assimilato allo stato individuato (con le tre ultime guaine) e a quello universale (con le due prime guaine-corpi), così da realizzare quell’unica realtà suprema, la Costante o l’Unosenza-secondo. Sidà,ora,unriassuntodeipuntifondamentalidiquesto secondo capitolo. Comunemente,einmodoaprioristico,siaffermachela condizione di sogno è non reale, mentre quella di veglia èreale.Gauƒapådadimostra,invece,comelacondizione di sogno non differisce da quella di veglia; egli prende in considerazione l’oggetto e il soggetto di percezione dei due stati, li analizza e li confronta e conclude che non si trovano elementi validi che possano in assoluto differenziarli. Inoltre, un fenomeno, o altro, va visto, valutato e giudicatodalsuonaturaleepropriocontestoesistenziale. Non si può giudicare un dato prendendo come base di valutazione o di misura il fisico-denso, oltre al fatto che questavalutazioneimplicaaverstabilitoaprioristicamente, einterminiassoluti,l’esistenzadiunasolarealtà,quella, appunto, fisica a cui tutto il resto deve raffrontarsi. Così si afferma che il sogno è tale solo quando ci si sveglia, quindi dal punto di vista della veglia; ma se si accetta questa conclusione si può a ragione affermare – dallaposizionecoscienzialedelsogno–chelaveglianon èreale,difattiacoluichelasciailpianofisicopertaijasa ilprimoappareunincubodacuifinalmentesièliberato.
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Stabilitocheiduestatinonsonodissimili,Gauƒapåda concludeche,avendoessiun’origine,unosviluppoeuna fine,nonpossonoconsiderarsirealiassoluti;sonoquindi semplicifenomenicontingentiedeffimeri,ogradidiverità,manonsonola realtà.1ancora:dadoveprovengono questistaticontingenti?dallamentedell’ahaækåra(l’io empirico)lacuinaturaèquelladiimmaginare-proiettare finoasolidificarel’immagineoarchetipo.Lamanifestazione è lo sviluppo, a diversi gradi di condensazione, di semi non risolti di un manvantara precedente. «Il bråhma√a, avendo riconosciuto che i vari mondi sono [il risultato] del karma [non risolto]...».2 Ma se la manifestazione, o un manvantara, va e viene,appareescompare,sidevepostularel’annichilimento e il nulla? Seilserpente,oaltro,vaeviene,appareescompare, che cosa rimane al suo posto? rimane la corda, risponde Gauƒapåda; rimane la Costante,Brahman-åtman. EdèquestaCostantechedev’essere, più che pensata o dimostrata, realizzata e attuata. L’asparŸa è il sentiero che offre la certezza della nostra immortalità ed eternità perché rappresenta l’estinzione del“tizzone”odelfuocoardente.SivedailCapitoloIV.
1Questa,peresseretale,devetrovarsineltempo,nellospazio,e fuoridaltempoedallospazio;unqualcosacheappareescompare, che adesso è e poi non è più non può considerarsi la realtà; può solo definirsi fenomeno-apparenza privo di aseità. 2 Cfr. Mu.I.II.12.
CAPITOLO III suLLA nOn duALITà
athådvaitaprakara√am om | upåsanåŸrito dhar mo jåte brah ma√ i var tate | prågutpatterajaæsar vaætenåsau kÿpa√a¢smÿta¢||3.1|| ato vak≤yåmyakår pa√yamajåti samatåæ gatam | yathå na jåyate kiñcijjåyamånaæ samantata¢||3.2|| åtmå hyåkåŸavajjıvai rgha†åkåŸai r ivodita¢ | gha†ådivacca sa§ghåtai rjåtåvetannidarŸanam||3.3|| ghatådi≤u pralıne≤u gha†åkåŸådayo yathå | åkåŸe saæpralıyante tadvajjıvå ihå ’’tmani||3.4|| yathai kasmingha†åkåŸe rajodh¥mådibhir yute | na sar ve saæprayujyante tadvajjıvå¢suk hådibhi¢||3.5|| r¥pakår yasamåk hyåŸca bhidyante tatra tatra vai | åkåŸasya na bhedo ’sti tadvajjıve≤u nir √aya¢||3.6||
Capitolo
sulla non dualità
3.1-Om.L’aspirantechericorreapratichedevozionalicrededitrovarsinelBrahmangeneratoperché[pensa che]primadellamanifestazione[Quello]eranonnato. Perciòcostuièconsideratounessere[dimente]limitata.1 3.2-Quindi,esporrò[Quello]cheèesentedalimitazioni, che è privo di generazione (ajåti) e che giace in uno stato di equilibrio. [Ascoltate] come, in nessun modo, nulla nasca, per quanto sembri nascere. 3.3 - Questa è la spiegazione in merito alla generazione: l’åtman viene considerato sotto forma di jıva (scintilla dell’åtman), allo stesso modo dello spazio racchiuso in un recipiente e anche come oggetti compositi al pari dei recipienti, ecc. 3.4 - Come alla distruzione del recipiente [vasi, brocche, ecc.] l’etere racchiuso nel recipiente si risolve nell’etere [universale] così i jıva [si risolvono] nell’åtman. 3.5 - Quando un unico etere dentro un vaso viene contaminato da polvere, fumo o altro, tutti [gli altri spazi racchiusi in altri vasi] non vi partecipano, così è per il jıva circa l’appagamento, ecc. 3.6 - Benché le forme, gli effetti e le definizioni [degli eteri racchiusi nei vasi, ecc.] certamente differiscano luogo per luogo, tuttavia åkåŸasya na bheda¢ asti:nonvièdifferenzanell’etere[universalecheresta unico]. Così è la conclusione in relazione al jıva.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ. iii. ADVAiTA PrAkArA÷A
nå ”kåŸasya gha†åkåŸo vikåråvayavau yathå | naivå ’’tmana¢ sadå jıvo vikåråvayavau tathå||3.7|| yathå bhavati bålånåæ gaganaæ malinaæ malai¢ | tathå bhavatyabuddhånåmåtmå ’pi malinomalai¢||3.8|| mara√e sambhave caiva gatyågamanayorapi | sthitau sar vaŸar ıre≤u åkåŸenåvilak≤a√a¢||3.9|| sa§ghåtå¢ svapnavatsar ve åtmamåyåvisarjitå¢ | ådhikye sar vasåmye vå nopapattirhi vidyate||3.10|| rasådayo hi ye koŸå vyåk hyåtåstaittir ıyake | te≤åmåtmåparojıva¢khaæyathåsaæprakåŸita¢||3.11|| dvayordvayormadhujñåne paraæbrah ma prakåŸitam| pÿthivyåmudare caiva yathå ”kåŸa¢ prakåŸita¢||3.12||
CAP. iii SULLA NON DUALiTÀ, 3.7-3.12
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3.7 - Come l’etere dentro a un vaso non è né una modificazione, né una parte (avayava) dello spazio [unico universale], così il jıva non è né una modificazione, né una parte dell’åtman. 3.8 - Come ai bambini il cielo appare contaminato da impurità, così a coloro che sono privi di mente [discriminante] anche l’åtmå appare contaminato da impurità. 3.9 - Sia in relazione alla cessazione e alla stessa origine[comejıva],siaancheinrapportoall’andaree al venire [nella trasmigrazione], sia, altresì, in merito alla esistenza in tutti i corpi, [l’åtmå] non differisce dall’etere.2 3.10-Tuttigliaggregatidell’åtmå[corpo,sensi,ecc.] sono prodotti, come nel sogno, dalla måyå (prakÿti). Nessunaargomentazionevalidapotrebbedimostrarela loro realtà o la loro uguaglianza o superiorità. 3.11-Gliinvolucri,comequellocostituitodiessenza [del cibo=corpo fisico] e gli altri, sono stati spiegati nella Taittirıya Upani≤ad (ii.ii.1, ii.iii.1 segg.); il lorojıvaèilsupremo[åtman],cheèstatoestesamente illustrato attraverso la similitudine dell’etere.3 3.12-Nella[esposizionedella]conoscenzadelmiele (sivedaMadhubråhma√a,Bÿ.ii.V.19)sièdimostrato che in ogni contesto duale [individuale e divino] vi è un solo Brahman supremo; così si è mostrato come l’etere che pervade la terra è lo stesso di qualsiasi organismo [vivente].
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MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ. iii. ADVAiTA PrAkArA÷A
jıvåtmanorananyatvamabhedena praŸasyate | nånåtvaænindyateyaccatadevaæhisamañjasam||3.13|| jıvåtmano¢ pÿthaktvaæ yatprågutpatte¢ prak ır titam | bhavi≤yadvÿttyågau√aætanmukhyatvaæhinayujyate||3.14|| mÿllohavisphuli§gådyai¢ sÿ≤†ir yå coditå ’nyathå | upåya¢ so ’vatåråya nåsti bheda¢ kathañcana||3.15|| åŸramåstrividhå hınamadhyamotkÿ≤†adÿ≤†aya¢ | upåsanopadi≤†eyaæ tadar thamanukampayå||3.16|| svasiddhåntavyavasthåsu dvaitino niŸcitå dÿƒham | parasparaævir udhyante tai rayaæna vir udhyate||3.17|| advaitaæ paramår tho hi dvaitaæ tadbheda ucyate | te≤åmubhayathå dvaitaætenåyaæna vir udhyate||3.18||
CAP. iii SULLA NON DUALiTÀ, 3.13-3.18
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3.13 - La non alterità del jıva con l’åtman viene insegnataattraversola[loro]nondistinzione,mentre quella che è la molteplicità viene rigettata; ciò può essere compreso [solo considerando la non dualità].4 3.14 - La separazione del jıva dall’åtman, quale è dichiarata [nei Veda], prima che [nelle Upani≤ad] si parlasse della manifestazione, va [intesa] in senso secondarioeinrelazioneaunrisultatofuturoperchétale [distinzione]nonpuòessereintesanelsensoprimario... 3.15 - ... e la manifestazione, delineata variamente attraversogliesempidell’argilla,dell’oro,dellefaville sprizzantiovunque,ecc.,costituisceunmezzodidattico (upåya)perfarcomprendere[l’ideadell’unità],manon vi è alcuna distinzione in nessun senso. 3.16 - Gli stadi di vita (åŸrama) sono ripartiti in trecherispondonoatregradidicomprensione(dÿ≤†a): inferiore, mediano e superiore. Questa meditazione vieneimpartitapercompassione[periprimiduegradi] in modo [da perseguire] il loro scopo.5 3.17-idualistisonofermamenteconvintidellevarie tesi inerenti alle loro conclusioni, [ma sono costretti] a contraddirsi reciprocamente. [invece] questa [non dualità] non è in contraddizione con alcuno.6 3.18 - Poiché la non dualità (advaita) è la verità suprema(paramårtha),sipuòsostenerecheladualità è [una possibilità accidentale] di quella. Per i dualisti vi è dualità in ambedue i casi [assoluto e relativo]. Per tale motivo questa [non dualità] non si oppone [ai dualisti].7
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MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ. iii. ADVAiTA PrAkArA÷A
måyayå bhidyate hyetannånyathå ’jaæ kathañcana | tattvatobhidyamånehimar tyatåmam ÿtaævrajet||3.19|| ajåtasyaiva bhåvasya jåtim icchanti vådina¢ | ajåto hyam ÿto bhåvo mar tyatåæ kathame≤yati||3.20|| na bhavatyam ÿtaæmar tyaæna mar tyamam ÿtaætathå| prakÿteranyathåbhåvonakathañcidbhavi≤yati||3.21|| svabhåvenåm ÿto yasya bhåvo gacchati mar tyatåm | kÿtakenåm ÿtastasya kathaæ sthåsyati niŸcala¢||3.22|| bh¥tato ’bh¥tato vå ’pi sÿjyamåne samå Ÿruti¢ | niŸcitaæ yuktiyuktaæ ca yattadbhavati netarat||3.23|| neha nåneti cå ”mnåyådindro måyåbhir ityapi | ajåyamåno bahudhå måyayå jåyate tu sa¢||3.24|| sambh¥terapavådåcca sambhava¢ prati≤idhyate | ko nvenaæ janayediti kåra√aæ prati≤idhyate||3.25||
CAP. iii SULLA NON DUALiTÀ, 3.19-3.25
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3.19-Èpermezzodimåyåchequesto[åtman]non nato può differenziarsi e in nessun altro modo perché se la differenziazione fosse reale, allora l’immortale diverrebbe mortale. 3.20-idisputantisostengonolanascitapersinodiun entenonnato,ma,invero,comepuòunentenonnato (bhåva ajåta)eimmortalediveniremortale? 3.21 - L’immortale non può divenire mortale, né, parimenti, il mortale [divenire] immortale. Un cambiamento di natura non potrà avvenire in alcun modo. 3.22 - Quegli, il quale crede che un ente di natura immortale possa divenire mortale, come può [a un temposostenere]chel’immortale,inquantonato,possa conservare ancora la sua natura immortale?8 3.23 - [Nei testi] si parla di realtà e non realtà; in merito a ciò solo quello che è accertato dalla Âruti, e sostenuto dalla ragione, costituisce [il vero significato della Âruti stessa], e niente altro.9 3.24-PoichédallaTradizione[siapprende]:«...qui [inQuello]nonesistealcunamolteplicità»(Ka.ii.i.11) e anche: «...indra,attraversola måyå,vienepercepito come di molteplice forma…» (Bÿ. ii.V.19), «...pur essendo non nato appare molteplice» (Yå. Dha. S¥. 31.19), ne consegue che esso (åtman) può nascere [solo] attraverso la måyå.10 3.25-Conlanegazionedelsommopotere[creativo] (saæbh¥ti) viene negata [anche] la nascita [dell’universo]. Nel passo: «Chi mai lo farebbe rinascere?» (Bÿ.iii.iX.28.7)vieneesclusaognicausa[dinascita].11
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MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ. iii. ADVAiTA PrAkArA÷A
sa e≤a neti netıti vyåk hyåtaæ nihnute yata¢ | sar vamagråhyabhåvena hetunå ’jaæ prakåŸate||3.26|| sato hi måyayå janma yujyate na tu tattvata¢ | tattvato jåyate yasya jåtaæ tasya hi jåyate||3.27|| asato måyayå janma tattvato naiva yujyate | vandhyåputro na tattvena måyayå vå ’pi jåyate||3.28|| yathå svapne dvayåbhåsaæ spandate måyayå mana¢ | tathåjågraddvayåbhåsaæspandatemåyayåmana¢||3.29|| advayaæca dvayåbhåsaæmana¢svapne na saæŸaya¢| advayaæcadvayåbhåsaætathåjågrannasaæŸaya¢||3.30|| manodÿŸyam idaæ dvaitaæ yatkiñcitsacaråcaram | manasohyaman ıbhåve dvaitaænaivopalabhyate||3.31||
CAP. iii SULLA NON DUALiTÀ, 3.26-3.31
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3.26-Datalanaturainafferrabile[delBrahman],il passo della Âruti: «Quello, [descritto con la formula]: “nonècosì,nonècosì”,èquestoåtmå»(Bÿ.iii.iX.26) nega tutto ciò che è stato esposto [in termini duali], per cui il non nato è autorisplendente (prakåŸa).12 3.27 - La nascita di un ente che già esiste può logicamente essere ammessa tramite la måyå, e non in senso reale. Chiunque [crede] che le cose nascano in senso reale, invero può [riferirsi] solo alla nascita di ciò che è già nato. 3.28 - La nascita di ciò che non è reale non può essere ammessa logicamente né attraverso la måyå e nemmeno in senso reale. il figlio di una donna sterile non nasce né in modo reale e neppure attraverso la måyå.13 3.29 - Come nel sogno la mente si muove [producendo] l’apparenza della dualità mediante la måyå [soggetto-oggetto], così nella veglia la mente, tramite il movimento della måyå, appare come dualità. 3.30 - E non vi è dubbio che nel sogno la mente, per quanto unica, ha l’apparenza della dualità; così nonvièdubbioche[anche]nellaveglialamente[pur essendo] unica ha l’apparenza della dualità. 3.31-Questadualitàèpercepitadallamenteinsieme con tutto ciò che vi è di mobile e immobile. infatti, quandolafunzionedellamentecessa,ladualitànonvienepiùpercepita[perchésiènell’Uno-senza-secondo].
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MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ. iii. ADVAiTA PrAkArA÷A
åtmasatyånubodhena na sa§ kalpayate yadå | amanaståæ tadå yåti gråhyåbhåve tadagraham||3.32|| akalpakamajaæ jñånaæ jñeyåbhinnaæ pracak≤ate | brah ma jñeyamajaænityamajenåjaævibudhyate||3.33|| nigÿhıtasya manaso nir vikalpasya dhımata¢ | pracåra¢satuvijñeya¢su≤upte’nyonatatsama¢||3.34|| lıyate hi su≤upte tannigÿhıtaæ na lıyate | tadevanirbhayaæbrahmajñånålokaæsamantata¢||3.35|| ajamanidramasvapnamanåmakamar ¥pakam | sak ÿdvibhåtaæsar vajñaænopacåra¢kathañcana||3.36|| sar våbhilåpavigata¢ sar vacintåsamutthita¢ | supraŸånta¢ sak ÿjjyoti¢ samådhiracalo ’bhaya¢||3.37||
CAP. iii SULLA NON DUALiTÀ, 3.32-3.37
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3.32-Quando,grazieall’attuazionedellaveritàche è l’åtman, [la mente] non proietta più immaginazioni, allora raggiunge lo stato di assenza di mente (amanasta) e, in assenza del percepibile, essa [diviene] non percipiente. 3.33-Siattestachelaconoscenzanonconcettuale, senza nascita, non è diversa dal conoscibile. il conoscibile Brahman è non nato ed eterno [per cui] il non nato conosce il non nato. 3.34 - Si deve conoscere il comportamento della mente perfettamente silenziosa priva di qualsiasi ideazione(nirvikalpa)edotatadidiscernimento.Lostato della mente nel sonno profondo non è simile a quella [mente esposta precedentemente]. 3.35 - infatti nel sonno profondo la mente si assopisce, mentre [non è così quando] è perfettamente silenziosa. La mente [di un asparŸin] si risolve nel Brahman,lucedellaconoscenzaonnipervadente,esente da timore. 3.36 - [Brahman] è senza nascita, senza sonno e senza sogno, senza nome e senza forma, risplendente; è la base di ogni conoscenza. Non vi è alcuna pratica rituale [da esercitare in relazione al Brahman]. 3.37 - [L’åtman-Brahman] è libero da ogni operazione mentale e da ogni espressione di pensiero. È supremamente pacificato, eterno splendore, identico a se stesso, immutabile e privo di timore.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ. iii. ADVAiTA PrAkArA÷A
graho na tatra notsargaŸcintå yatra na vidyate | åtmasaæsthaætadåjñånamajåtisamatåægataæ||3.38|| asparŸayogo vai nåma durdarŸa¢ sar vayogibhi¢ | yogino bibhyati hyasmådabhaye bhayadarŸina¢||3.39|| manaso nigrahåyattamabhayaæ sar vayoginåm | du¢khak≤aya¢prabodhaŸcåpyak≤ayåŸåntirevaca||3.40|| utseka udadher yadvatkuŸågre√ai kabindunå | manaso nidrahastadvadbhavedapar ik hedata¢||3.41|| upåyena nigÿh√ıyådvik≤iptaæ kåmabhogayo¢ | suprasannaæ laye caiva yathå kåmo layastathå||3.42|| du¢ khaæ sar vamanusmÿtya kåmabhogånnir var tayet | ajaæ sar vamanusmÿtya jåtaæ naiva tu paŸyati||3.43||
CAP. iii SULLA NON DUALiTÀ, 3.38-3.43
111
3.38 - Colà [nel Brahman-åtman], dove non esiste operazione mentale, si è di là dall’accettazione e dal rifiuto.Alloralaconoscenzasirisolvenell’åtmansenza nascita,nellostatodiequilibrio[privodicambiamento].14 3.39 - Lo yoga definito “senza contatto” (asparŸayoga), invero, è difficile da comprendere per parecchi [aspiranti]yoginperchéessisentonolapauradovenon c’è paura, e ne hanno timore. 3.40 - Per questi yogi [che non seguono l’asparŸa] l’assenza di paura, la soluzione della sofferenza, il risvegliodellaconsapevolezza[dell’åtman]elastessa indistruttibile pace dipendono [solo] dalla disciplina mentale.15 3.41-Così,ilcontrollomentale[siottiene]conuno sforzoincessantecome[quello]perprosciugarel’oceano goccia a goccia con [l’utilizzo di un filo di erba] kuŸa. 3.42-Siachelamentesidisperdaconildesiderio elafruizione[conseguente],oppurequandosiasoddisfatta nel sonno profondo, essa dev’essere controllata conmezziappropriati,[perché]lacondizionedelsonno profondo è [ugualmente dannosa] quanto quella del desiderio. 3.43 - Si deve ritrarre [la mente] dalla fruizione [che è il prodotto] del desiderio, rimembrando costantemente che tutto [il mondo delle apparenze] è [causadi]conflitti.rimembrandocostantementeilnon nato, invero il nato [la dualità] non si percepisce più (na paŸyati =non lo si vede, non lo si scorge perché viene risolto).
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MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ. iii. ADVAiTA PrAkArA÷A
laye sambodhayeccittaæ vik≤iptaæ Ÿamayetpuna¢ | saka≤åyaæ vijånıyåtsamapråptaæ na cålayet||3.44|| nå ”svådayetsuk haæ tatra ni¢sa§ga¢ prajñayå bhavet | niŸcalaæ niŸcaraccittamek ıkur yåtprayatnata¢||3.45|| yadå na lıyate cittaæ na ca vik≤ipyate puna¢ | ani§ganamanåbhåsaæni≤pannaæbrahmatattadå||3.46|| svasthaæŸåntaæsanirvå√amakathyaæsukhamuttamam| ajamajenajñeyenasarvajñaæparicak≤ate||3.47|| na kaŸcijjåyate jıva¢ sambhavo ’sya na vidyate | etattaduttamaæ satyaæ yatra kiñcinna jåyate||3.48|| ityadvaitaprakara√am
CAP. iii SULLA NON DUALiTÀ, 3.44-3.48
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3.44 - Si risvegli [la mente svanita] nel sonno profondo; ancora, si pacifichi la mente dispersa [tra gli oggetti,ecc.];siriconosca[lamente]quandoècolorata [dal desiderio latente], ma non si disturbi la mente pacificata. 3.45 - Non si goda la felicità colà [in quello stato] ma mediante il discernimento si divenga privi di attaccamento. Quando la mente tende a uscire [da tale condizione] con grande zelo deve essere riunificata con se stessa. 3.46-Quandolamentenoncade[nelsonnoprofondo]enonsidisperdepiù[traglioggetti,ecc.],quando è priva di fluttuazione e non ha immagini riflesse [di oggetti, ecc.], allora essa si risolve nel Brahman. 3.47-[L’åtman]èstabilitoinsestesso,pacificato, èestinzione[diognidualità],èinesprimibile,suprema pienezza, non nato, è ciò che dev’essere conosciuto; essoèdefinito[ilfattorefondante]diogniconoscenza. 3.48 - Nessun jıva nasce, perché non esiste [causa di] nascita. Questa è la suprema verità: nessuna cosa viene generata.16 Fine dell’Advaita Prakara√a
NOTEALCAPiTOLOiii 1 3.1 - Se la realtàè una e una sola, allora un indivi-
duochecrei,conlasuaforma mentis, ildualismooppure scinda la realtà, lo si può ritenere caduto sotto il velo dell’annebbiamento. il problema della kårikå è soprattutto filosofico: vi sonoalcunicheconsideranoilCreatoreelacreaturadue enti distinti e separati che mai potranno ricongiungersi; considerano la creatura dipendente dal Creatore, al quale essa deve rendere culto e conto delle proprie azioni; considerano Brahman, la realtà suprema, eternamente di là dal tempo, spazio, causa, caduto nel tempo-spaziocausa; in altri termini, considerano il Non-nato caduto nella generazione. Âa§kara commenta: «UpåsanåŸrita¢ significa adoratore che ricorre a upåsanå, cioè a esercizi devozionali quali mezzi per la sua liberazione. Ecco la convinzione [di tale adoratore]: “io sono un adoratore e Brahman è l’oggettodellamiaadorazione.Perquantoiosussistanel Brahman condizionato, per mezzo della mia adorazione raggiungerò, dopo la morte del mio corpo, il Brahman incondizionato. Prima della manifestazione la totalità, compreso me stesso, non era che il Brahman non nato. Quindipermezzodeimieiesercizidevozionaliritornerò ciò che ero prima della mia nascita, per quanto adesso mi trovi nel Brahman condizionato”».1 inquestoterzoCapitoloGauƒapådaaffrontailproblema metafisico della non generazione del Brahman e scrive: 1 Cfr. Må√ƒ¥kya Upani≤ad con le kårikå di Gauƒapåda e il commento di Âa§kara. Op. cit.
NOTE AL CAPITOLO III
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«[Ascoltate] come, in nessun modo, nulla nasca, per quanto sembri nascere».1 2 3.9 - Com’è che l’åtman, per quanto non “caduto”, sembra esser caduto nella schiavitù o nella generazione? Com’è che Brahman, per quanto non nato, sembra esser nato? Nascita implica cambiamento di stato, di natura; sottintende movimento e dualità. L’etere contenuto in una brocca può considerarsi diverso dall’etere che si trova fuori della brocca? E per quanto la brocca possa subire eventuali modificazioni,inchemodol’etere,chestadentrodiessa,potrà essernecondizionato?Sipuòchiedereadesso:comenasce la brocca o, nel nostro caso, come sono prodotti i vari “aggregati”,qualiilcorpofisico,quellodelmanas,ecc.? Âa§karacommenta:«Gliaggregaticorporei,ecc.,analoghi alle brocche di cui si parla nel testo, sono prodotti dallaprakÿti sospintadalrajasallastreguadeicorpiche noi percepiamo nel sogno o come quelli proiettati dal mago. inaltritermini,questi[corpi,ecc.]non sonoreali [dal punto di vista della verità ultima]». La brocca o il corpo (fisico, mentale, ecc.) sono elementicheappaionoescompaionoperchédallaprospettiva dell’Uno essi non sono, cioè non hanno aseità. Mediante la måyå le idee del sognatore vengono “animate”, vengono proiettate sul proprio schermo sì da “apparire” personaggi coscienti e in movimento. Però questi personaggi o corpi animati, non avendo una loro realtàintrinseca,nonpossonoconsiderarsinénati(venuti all’esistenza reale), né aventi in sé una mèta finalizzata. Ciò che “appare” è una rappresentazione grafica di un ente il quale sta dietro l’apparire e lo scomparire.
1 Må.
Kå. 3. 2.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ. iii. ADVAiTA PrAkArA÷A
VolerassimilareBrahman almondodelleombreedei fenomeninonèconformearagione.L’etereèall’interno del vaso, ma è il vaso a costituire il fenomeno, «...così il jıva non è né una modificazione, né una parte dell’åtman» (3.7); perché il jıva non è altro che l’åtman, non una modificazione o trasformazione. 3 3.11-Gliaggregatisonoparticolariimpressionimo-
daliomomentidialetticidell’entee,mentreessipossono esserciononesserci,l’enteèsemprecostante.Dunque,tutto èBrahmanperchésenzadiEssonessunacosapuòvenire all’esistenza, manontuttoèBrahmanperchéBrahmannon èlaprakÿti,nonèleformechevannoevengono. Ciòchelakårikå vuolemettereinevidenzaèchequesti aggregatinonhannovitapropria,nonsonoaseità,percui nonv’èdualità,néhannounanascitareale;gliaggregati appartengono alla natura dei fenomeni, e questi possono averelalororagiond’essereperchéc’èquelFondamento che gli dà la possibilità di apparire e scomparire 4 3.13
- Se l’etere esterno al vaso è Brahman di là dal nome, dalla forma, dal tempo, dallo spazio e dalla causa, l’etere racchiuso nel vaso è l’åtman. Ma l’etere entro il vaso e quello fuori del vaso sono identici, appartengono alla stessa natura, e poiché il vaso non è distintodall’åtman,perchéogniapparenzavieneintegrata nell’åtman-Brahman, non si potrà parlare di dualità o di realtà molteplici. “So ’ham: io [sono] Quello”. 5 3.16
- i testi vedici, per la loro particolare natura, trattano della dualità, dell’Unità e della Non dualità, ma ciòvienfattopersopperireallevariementalitàecapacità ricettivedeglienti.Nonv’è,dunque,contraddizione,ma comprensione verso coloro che, ancora sotto l’imperio dell’avidyå, non riescono a innalzarsi fino al punto più alto dell’insegnamento (paravidyå).
NOTE AL CAPITOLO III
117
«A lui egli allora rispose: “Due sono le conoscenze che devono essere realizzate; così, invero, è ciò che i conoscitori del Brahman affermano da sempre: la suprema e la non suprema”».1 Un bambino nella sua insicurezza abbisogna dei sostegni materno e paterno; un giovane si autogoverna e intravede il mondo circostante come una realtà a cui è legato e a cui partecipa a pieno diritto; un ente maturo, caduteglitutteleillusioni,comprendecheilmondocircostanteèunfenomenocheapparesulgrandepalcoscenico dellavitaescompareinesorabilmente.D’altraparte,ogni ente,essendoåtmanimmortale,primaopoideverientrare in se stesso per scoprirsi Brahman-åtman. 6 3.17-Ognidifferenziazioneconoscitivaportaallacon-
traddizioneperchépromossadalsoggetto-oggettoempirico. Âa§karacommenta:«Comeidiversiorganidiunente: mani, piedi, ecc., non sono in conflitto gli uni con gli altri, così è la nostra visione conforme ai Veda; cioè il riconoscimentodell’unitàdell’åtmanintuttigliesserinon entrainconflittoconleteoriedistintivelequali,invece, si contraddicono reciprocamente». L’alienazione, a tutti i livelli, è il frutto di una concezione dualistica della realtà. 7 3.18 - Se tutti i punti di vista si risolvono nell’Uno-
senza-secondo, si può riconoscere che la via metafisica (asparŸavåda) nonsiopponeadalcuno,mentrelefilosofie e le religioni, che poggiano la loro convinzione sulla dualità della vita, sono relativiste ed esclusiviste. Unavisionemetafisicadellavitariconduceognicosa al Principio unico, impersonale, indivisibile, onnicomprensivo. 1 Mu. i. i.
4.
118
MÅ÷‡ÎkyAkÅrikÅ. iii. ADVAiTA PrAkArA÷A 8 3.22-ilMaestroGauƒapåda,inquestiultimiaforismi,
è di una profonda chiarezza filosofica. Sonodelleformulazioni,queste,chepossonoaccostarsi benissimo a quelle dei più grandi filosofi occidentali. ilmortaleèmovimentoedivenire,l’immortaleèpermanente e costante. Se l’universo è movimento e fenomeno, si potrà mai equiparare con la Costante o l’immortale? Checosac’èdacambiareinunmondocheègiàcambiamento? in un mondo nel quale non si fa in tempo a definire che già il definito è costretto a sparire? Che cosa c’è da stabilire ed eternare in un mondo il cui destino è quello di apparire e scomparire? 9 3.23
- L’Essere è e non diviene, essendo fuori del tempo-spazio-causa, per cui non può nascere; la nascita puòconcepirsiinriferimentoaqualcosachehaunacausa, di qui lo stato ontologico in quanto causa principiale da cui si esteriorizza la manifestazione; sarebbe lo stato di ÙŸvara,oquellodel“Mondodelleidee”diPlatoneodel Noûs di Plotino. Sotto la prospettiva metafisica non sarebbe neanche esatto parlare di nascita perché gli archetipi ontologici non nascono, essendo già esistenti, ma si sviluppano, si esteriorizzanosottolaspintadelgu√a rajas(vediMaitry Upani≤ad iii.5) portandosi in oggettività. i testi vedici dichiarano infatti: «Èluminosoperché,invero,ilPuru≤aèsenzaforma.È insiemesiaall’esternosiaall’interno[ditutto]perché, invero, è senza nascita».1 10 3.24
- Âa§kara commenta: «Se la creazione fosse reale, la molteplicità dovrebbe essere altrettanto reale e 1 Mu. ii. i.
2.
NOTE AL CAPITOLO III
119
noncidovrebbeesserealcuntestoperdimostrarelaloro irrealtà. Ma, in effetti vi è un testo che afferma: “... qui [in Quello] non esiste alcuna molteplicità... Va di morte in morte colui il quale qui vede solo molteplicità”».1 Quindi, «...solo quello che è accertato dalla Âruti, e sostenuto dalla ragione, costituisce [il vero significato della Âruti stessa], e niente altro» (3.23). inaltritermini,peruneventualeultimogiudiziooccorre rifarsi alla Conoscenza superiore (paravidyå). Unamanifestazionemolteplicecomporterebbechetutti gli enti esistenziali dovrebbero trovarsi tra loro distinti, separati e anche assoluti. Ora, mentre l’assoluto è un compiuto in se stesso, si ha invece l’evidenza di enti formali relativamente manchevoli; d’altra parte, se la distinzione o separazione degli enti fosse assoluta, in che modo si potrebbe avere tra loro la comunicazione? Selamolteplicità,odualità,fosseassoluta,l’ignoranza e la conoscenza,il bene e il male, e tutte le altre dualità nonpotrebberoesseremairisolte,einanesarebbelostesso sforzo dell’uomo di lottare per la propria emancipazione e per un mondo migliore. Da quanto sopra si conclude che la “creazione” non è altro che semplice apparenza per cui occorre porsi sul piano della realtà suprema, cioè del Non-nato (ajåta) il qualerappresentalaCausafondante.Vedinotaseguente. 11 3.25 - «Quale necessità lo avrebbe mai costretto a
nascere, prima o dopo, se non deriva da alcuno?».2 «Questo essere non nasce né muore, non venne a essere da alcunché, né alcuno [venne a essere da Lui]. 1 Ka. ii. i.11. 2Parmenide,
Sull’Ordinamento della Natura,fr.8.9-10.Op.cit.
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Ènonnato,eterno,sempreugualeeantico;nonviene distrutto quando il corpo viene distrutto».1 «Entrano in una oscurità ancora più profonda coloro i quali sono devoti alla produzione».2 12 3.26
- La realtà, se è Unità senza secondo, non potrà mai essere afferrata da una mente che operi sul piano del secondo, quindi della dualità. Si vedano più oltre le kårikå 36-37. La mente può percepire e interpretare solo fenomeni, mai il noumeno; la mente, per sua natura, opera con le categorie del soggetto e dell’oggetto; la mente pone sempre di fronte a sé tutti i possibili dati, ma la realtà senza secondo non può essere posta di fronte a nessuno; larealtànonèoggettodidimostrazioneconcettuale,ma di attuazione metafisica. Sottoquestaprospettivasipuòcomprendereillimitee l’ingenuità della filosofia dianoetica in genere che vuole dimostrare “razionalmente” l’ultima verità o la realtà suprema. L’agnosticismopositivisticoèconseguenzadiunaerrata premessa. il non giusto accostamento dialettico alla realtà ha portato questa corrente di pensiero a disconoscereerifiutarelarealtàpiùprofondaesignificativadel proprio essere. Disconosciutalalineaverticaleelastessametafisica, ladirezionenonpotevaesserecheversolaconquistadel mondofenomenicoemeccanico,portandocosìl’individuo a una completa metallizzazione e alienazione. Seguendo questa linea di pensiero si può arrivare a questoassurdo:ioesistoinquantomipenso,lamiarealtà 1 Ka. i. ii. 18.
2 ÙŸa. 12. Per questo passo cfr. anche ÙŸa Upani≤ad con il commento di Âa§kara. Collezione Vidyå.
NOTE AL CAPITOLO III
121
diesseredipendedalpensarmicometale;così,ilGrande Artefice creatore dei mondi esiste perché lo penso, lo affermo;senonpotessipensarloEglinonpotrebbeesistere. 13 3.28
- Affermare la nascita dell’esistente è contro ragione,affermarelanascitadell’inesistenteèunassurdo. il già esistente non ha necessità di nascere, e l’inesistente è impossibile che possa nascere. È bene dunque meditare attentamente l’ajåtivåda per evitare di cadere in errori in cui sono cadute, purtroppo, anche alcune correnti di pensiero le quali sono propense a credere che l’ajåtivåda abbia liquidato il mondo considerandolo semplice “illusione”. Dallaprospettivadell’ajåtivådasidistinguonoduefattori:quellognoseologicocherispondeaopinione,ignoranza metafisica, conoscenza che appare e scompare, prodigio, come la proiezione del mago che sfugge a ogni tipo di discriminazione (si veda Vivekac¥ƒåma√i, Ÿloka 109); quellocheriguardalamanifestazioneformale,ofenomeno, rispondeallaprakÿti,lasostanzachecrealeforme. E sotto quest’ultimo fattore l’universo non è, dicono in modo inequivocabile Gauƒapåda e Âa§kara, come “il figliodiunadonnasterileolecornadiunalepre”;nonè, dunque, un niente, un non esistente. Quando l’ente vede il “serpente”, o la manifestazione, vuol dire che senza dubbio qualcosa percepisce; ma che cosa percepisce? Ecco il punto cruciale della problematica dell’ajåtivåda. Percepisce veramente la Verità suprema, la realtà senza secondo? O percepisce un semplice fenomeno? E se percepiscesolounfenomeno,questo,nonessendoaseità, deve sottintendere il noumeno. 14 3.38-Comenelsogno(chenonèsempliceillusione,
come s’intende questo termine in Occidente) la mente, pur essendo una e indivisa, è capace di “proiettare” sul
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suostessoschermoillimitatecostellazionioggettualisìda far apparire la molteplicità delle cose, allo stesso modo la grande Mente universale (Mahat) “proietta” sul suo immenso schermo interi universi che appaiono ai nostri occhioracomeserpente,oracomeghirlanda,filod’acqua, ecc. secondo l’interpretazione dei vari enti. 15 3.40
- L’asparŸayoga è lo yoga metafisico puro e molti aspiranti yogi ne hanno timore perché, attaccati ancora all’individualità o al serpente fenomenico, predomina in loro l’istinto di conservazione di sé. Laveramorteavvienenonquandoilcorpofisicoabbandonal’ente,maquandoiljıva,cheèeterno1erisplendentedipersé,distaccailsuoriflessodiconsapevolezza dalcorpo. 16 3.48-iljıvaèdellanaturadell’åtmane,quindi,del
Brahmansupremo.Unraggiodisolenonnascenémuore, essoèdellastessanaturadelsoleeinessosireintegra.2 «… l’anima,quandosisiainfiammatad’amoreperLui [l’Uno], si spoglia di qualsiasi forma che possieda, persino di quella intelligibile che sia in essa: poiché chiabbiaaltrointeresseesidedichiadesso,nonpuò né guardare a Lui né accordarsi con Lui. L’anima per accoglierlo da solo a solo, non deve avere nulla per sé né di bene né di male… allora essa lo vede apparire improvvisamente in sé; nulla c’è ormai tra l’animaeilBene,essinonsonopiùduemaunacosa sola; e nemmeno potresti distinguerli finché Egli è presente...».3 1 Cfr. Bra.
S¥. ii. iii. 17.
2 Cfr. Pra. Vi. 5; Ka. ii. i. 5; Bra.
S¥. iV. iV. 4. Enneadi Vi. 7, 34, a cura di Giuseppe Faggin con il greco a fronte. Presentazione di G. reale. Bompiani, Milano. 3 Plotino,
NOTE AL CAPITOLO III
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QuestopassodiPlotino–stupendo,elevato,digrande conforto e che trasmette la forza e lo sprone al risveglio diciòcherealmentesiè–indical’identitàdell’animacon l’Uno metafisico il quale trascende lo stesso intelligibile causale (Noûs) o “Mondo delle idee” di Platone. interminiadvaita,conilmahåvåkya “Tat tvam asi”: Tu(jıva)seil’Uno-senza-secondo,sihalastessaidentica visione. Chihacontemplato,chesiauncontemplanteoccidentaleoorientale,nonpuònondirelastessaverità,avolte con l’identica concettualizzazione. il che vuol dire che soltanto a questo livello può dirsi che vi è una identica eunasolaVerità-realtànonduale;diqui,ancora,sipuò parlarediUnitàdellaTradizionechetrascendeledifferenziazioni, opposizioni e affezioni di ogni natura e grado. Si ripetono certe idee perché si vuole mettere in risalto che l’Upani≤ad, e quindi le note annesse, è un preciso insegnamento che va meditato e attualizzato per cui le ripetizioni hanno una loro validità, e ciò è tipico dell’insegnamento tradizionale.
CAPITOLO IV suLLA esTInzIOne deL TIzzOne ArdenTe
athålåtaŸåntiprakara√am jñånenå ”kåŸakalpena dhar månyo gaganopamån | jñeyåbhinnenasambuddhastaævandedvipadåævaram||4.1|| asparŸayogo vai nåma sar vasattvasuk ho hita¢ | avivådo ’vir uddhaŸca deŸitastaæ namåmyaham||4.2|| bh¥tasya jåtim icchanti vådina¢ kecideva hi | abh¥tasyåpare dhırå vivadanta¢ parasparam||4.3|| bh¥taæ na jåyate kiñcidabh¥taæ naiva jåyate | vivadanto ’dvayå hyevamajåtiæ khyåpayanti te||4.4|| khyåpyamånåmajåtiæ tai ranumodåmahe vayam | vivadåmo na tai¢ sårdhamavivådaæ nibodhata||4.5||
Capitolo
sulla estinzione del tizzone ardente
Questo quarto Capitolo può considerarsi la sintesi dei tre capitoli precedenti.
4.1 - [A colui] il quale, per mezzo della [sua] conoscenza,simileallo spazio-eteree chenondifferisce dall’oggetto del conoscere, ha compiutamente realizzato i dharma (i jıva) paragonabili al cielo [infinito], m’inchino [come] al migliore tra gli esseri dotati di due piedi. 4.2 - Rendo omaggio a quello yoga noto come a sparŸa(senzacontattoorelazione),[fontedi]beatitudine pertuttigliesseri,benefico,esentedadisputa,dacontraddizionieinsegnato[dallestesseScritture].1 4.3-Invero,alcuniricercatorisostengonolanascita di ciò che è già esistente, altri [sostengono] la nascita diciòcheènonesistente,contrapponendosireciprocamente. 4.4-Undatochegiàesistenonpuòrinascereeun datononesistentenonpuònascereaffatto.Disputando [in tal modo], in effetti [dimostrano di essere] non dualisti (advaita) perché affermano implicitamente la non generazione. 4.5 - Noi approviamo la non generazione [come viene]implicitamenteaffermatadaloro,enonvogliamodisputare.Comprendiamo[invece]questa[visione] libera da ogni disputa.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
ajåtasyaiva dhar masya jåtim icchanti vådina¢ | ajåto hyam ÿto dhar mo mar tyatåæ kathame≤yati||4.6|| na bhavatyam ÿtaæmar tyaæna mar tyamam ÿtaætathå| prak ÿteranyathåbhåvo na kathañcidbhavi≤yati||4.7|| svabhåvenåm ÿto yasya dhar mo gacchati mar tyatåm | kÿtakenåm ÿtastasya kathaæ sthåsyati niŸcala¢||4.8|| såæsiddhik ı svåbhåvik ı sahajå ak ÿtå ca yå | prak ÿti¢ seti vijñeyå svabhåvaæ na jahåti yå||4.9|| jaråmara√anir muktå¢ sar ve dhar må¢ svabhåvata¢ | jaråmara√am icchantaŸcyavante tanman ı≤ayå||4.10|| kåra√aæ yasya vai kår yaæ kåra√aæ tasya jåyate | jåyamånaækathamajaæbhinnaænityaækathaæcatat||4.11|| kåra√ådyadyananyatvaæ tata¢ kår yamajaæ yadi | jåyåmånåddhivaikåryåtkåra√aætekathaædhruvam||4.12||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.6-4.12
129
4.6 - I disputanti sostengono la nascita persino di un ente non nato, ma, invero, come può un ente non nato e immortale divenire mortale? 4.7 - L’immortale non può divenire mortale, né, parimenti, il mortale [divenire] immortale. Un cambiamento di natura non potrà avvenire in alcun modo. 4.8 - Colui il quale crede che un ente di natura immortale possa divenire mortale, come può [a un temposostenere]chel’immortale,inquantonato,possa conservare ancora la sua natura immortale? 4.9-La[vera]natura[diunente]èquellaacquisita persempre,cheèintrinseca,innataenonprodotta,ciò che non perde la propria essenza [immutabile]; così dev’essere compresa.2 4.10 - Tutti i dharma (jıva) sono per loro natura perfettamenteliberidavecchiaiaemorte.Immaginando la vecchiaia e la morte e identificandosi con simili immaginazioni[erronee]decadono,allontanandosidalla loro natura [immortale]. 4.11 - Se la stessa causa non è altro che l’effetto allorasisostienechelacausanasce[inquantoeffetto]. Masevieneanascere,comepuòesseresenzanascita? E come può essere permanente (nitya) quando viene a dissolversi? 4.12-Se[l’effetto]nonèdifferentedallacausa[Såæ khya],l’effetto[dev’essere]senzanascita.Esel’effetto nasce,comepuòlastessacausaessereeterna?
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
ajådvai jåyate yasya dÿ≤†åntastasya nåsti vai | jåtåcca jåyamånasya na vyavasthå prasajyate||4.13|| hetorådi¢ phalaæ ye≤åmådirhetu¢ phalasya ca | heto¢ phalasya cånådi¢ kathaæ tai r upavar √yate||4.14|| hetorådi¢ phalaæ ye≤åmådirhetu¢ phalasya ca | tathå janma bhavette≤åmputråjjanma pitur yathå||4.15|| saæbhave hetuphalayore≤itavya¢ kramastvayå | yugapatsambhave yasmådasambandhovi≤å√avat||4.16|| phalådutpadyamåna¢ sanna te hetu¢ prasidhyati | aprasiddha¢kathaæhetu¢phalamutpådayi≤yati||4.17|| yadi heto¢ phalåtsiddhi¢ phalasiddhiŸca hetuta¢ | kataratp¥rvani≤pannaæ yasya siddhirapek≤ayå||4.18|| aŸaktirapar ijñånaæ kramakopo ’tha vå puna¢ | evaæ hi sar vathå buddhai rajåti¢ par idıpitå||4.19||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.13-4.19
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4.13 - Invero, non vi è una soluzione valida se [si ammette che] l’effetto viene a nascere da una [causa] non nata; se poi si [ammette] che l’effetto è nato da una causa che è già nata, non si perviene ad alcuna stabile soluzione. 4.14 - Come può l’assenza d’inizio (anådi) essere dichiarata, nei riguardi della causa e dell’effetto, da coloro per i quali l’effetto è l’origine della causa e la causa è l’origine dell’effetto? 4.15 - Coloro per i quali l’effetto è l’origine della causa e la causa è l’origine dell’effetto [dichiarano] similmente la nascita di un padre dal figlio. 4.16 - Se vi è la possibilità di origine della causa e dell’effetto occorre ricercare l’ordine di successione perché se la [loro] origine è simultanea, [allora] non vi è [tra loro] una relazione [causale], come nel caso delle corna [di un bovino]. 4.17 - venendo a sorgere dall’effetto, la causa non può essere stabilita. E una causa che non è stabilita [venuta all’esistenza] non può produrre un risultato. 4.18-Sel’esistenzadellacausadipendedall’effetto el’esistenzadell’effettodallacausa,[allora]qualedei due [causa ed effetto] è nato per primo in rapporto al quale si abbia l’esistenza [dell’altro]? 4.19-L’incapacità[dirispondereaquestadomanda significa]nonavereunaconoscenzacompleta,oppure, ancora, vi è un’arbitraria disposizione dell’ordine di successione. Così, invero, l’assenza di generazione viene messa in evidenza dai risvegliati.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
bıjå§ kuråk hyo dÿ≤†ånta¢ sadå sådhyasamo hi sa¢ | nahisådhyasamohetu¢siddhausådhyasyayujyate||4.20|| p¥rvåparåpar ijñånamajåte¢ par idıpakam | jåyamånåddhivaidharmåtkathaæp¥rvaænagÿhyate||4.21|| svato vå parato vå ’pi na kiñcidvastu jåyate | sadasatsadasadvå ’pi na kiñcidvastu jåyate||4.22|| hetur na jåyate ’nåde¢ phalaæ cåpi svabhåvata¢ | ådir na vidyate yasya tasya hyådir na vidyate||4.23|| prajñapte¢ sanim ittatvamanyathå dvayanåŸata¢ | saæ kleŸasyopalabdheŸca paratantråstitå matå||4.24|| prajñapte¢ sanim ittatvam i≤yate yuktidarŸanåt | nim ittasyånim ittatvam i≤yate bh¥tadarŸanåt||4.25||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.20-4.25
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4.20-L’esempio[delrapporto]delsemeedelgermoglioinveroèdaverificare.Unesempiochenonha unaprovavalidanonpuòessereutilizzatoperstabilire ciò che è l’oggetto di dimostrazione. 4.21-Lanonconoscenzarelativaall’antecedentee alsusseguente(causaedeffetto)dimostral’assenzadi generazione in quanto, se è vero che un ente viene a nascere, perché non si conosce la causa antecedente? 4.22-Nessunentenascedasestesso(svata)néda qualchecosad’altro.Nessunentepuònascerese[già] esisteva; oppure [non v’è nascita] da ciò che prima non esisteva, né [contemporaneamente] dall’esistente e dal non esistente. 4.23 - Una causa non nasce da un [effetto] che è senza inizio, né un effetto nasce in modo autonomo [da una causa senza inizio] perché una causa che non esiste[ochenonhacausa]inverononesisteinquanto principio [causale]. 4.24 - [Si sostiene che] l’appercezione è connessa con il suo proprio oggetto altrimenti si avrebbe l’eliminazionedelladualità[soggetto-oggetto].Daun’altra teoria filosofica viene ammessa l’esistenza [dei dati esterni] per il fatto che si percepisce la sofferenza. 4.25 - Dalla prospettiva della ragione empirica, l’appercezione deve essere connessa con il proprio oggetto.Madalla[prospettiva]dellaRealtà[suprema] la causa non ha natura di causa [perché è di là dalla causa e dall’effetto].3
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
cittaæna saæspÿŸatyar thaænår thåbhåsaætathaiva ca| a bh¥to hi yataŸcår tho når thåbhåsastata¢ pÿthak||4.26|| nim ittaæ na sadå cittaæ saæpÿŸatyadhvasu tri≤u | anim itto vipar yåsa¢ kathaæ tasya bhavi≤yati||4.27|| tasmånna jåyate cittaæ cittadÿŸyaæ na jåyate | tasyapaŸyantiyejåtiækhevaipaŸyantitepadam||4.28|| ajåtaæ jåyate yasmådajåti¢ prak ÿtistata¢ | prak ÿteranyathåbhåvo na kathañcidbhavi≤yati||4.29|| anåderantavattvaæ ca saæsårasya na setsyati | anantatå cå ”dimato mok≤asya na bhavi≤yati||4.30|| ådåvante ca yannåsti var tamåne ’pi tattathå | vitathai¢ sadÿŸå¢ santo ’vitathå iva lak≤itå¢||4.31||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.26-4.31
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4.26 - La mente non entra in contatto con gli oggetti [esterni], così pure non [entra in contatto] con le ideazioni. Infatti, un oggetto [anche nella veglia] non ha una esistenza reale [assoluta] e le ideazioni non sono distinte dalla stessa mente.4 4.27 - La mente in nessuno dei tre stadi temporali entra in contatto con la causa [costituita dagli oggetti esterni];d’altrapartenonessendocilacausacomepuò verificarsi una falsa percezione degli oggetti? [Oltre al fatto che viene a mancare una relazione causale]. 4.28 - perciò la mente non ha nascita [in termini reali], né ha nascita ciò che viene percepito attraverso la mente (dÿŸya =oggetto della mente, il visibile). Coloro che percepiscono la nascita di quella [mente], inverosonosimiliacolorochevedonoletracce[degli uccelli] impresse nel cielo.5 4.29-[Secondoidisputantidualisti]ciòcheènon nato, nasce. poiché l’assenza di generazione è la sua natura ne consegue che un cambiamento di natura in nessun modo potrà avvenire. 4.30-Inoltre,seildivenireciclico(saæsåra)fosse privo di inizio e senza termine non potrebbe esserci neanche liberazione, la quale ha un inizio [dalla prospettiva del jıva].6 4.31 - Ciò che non è reale all’inizio e alla fine, ugualmente [non è reale] nell’intermedio. per quanto gli oggetti (vartamåna =ciò che esiste, l’esistente) [diveglia]sianodellastessanatura(sadÿŸa=conforme) non reale [come quelli di sogno], tuttavia vengono considerati reali.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
saprayojanatå te≤åæ svapne vipratipadyate | tasmådådyantavattvenamithyaivakhalutesmÿtå¢||4.32|| sar ve dhar må mÿ≤å svapne kåyasyåntar nidarŸanåt | saævÿte’sminpradeŸevaibh¥tånåædarŸanaækuta¢||4.33|| na yuktaæ darŸanaæ gatvå kålasyåniyamådgatau | pratibuddhaŸca vai sar vastasmindeŸe na vidyate||4.34|| mitrådyai¢sahasaæmantryasambuddhonaprapadyate| gÿhıtaæ cåpi yatkiñcitpratibuddho na paŸyati||4.35|| svapne cåvastuka¢ kåya¢ pÿthaganyasya darŸanåt | yathå kåyastathå sar vaæ cittadÿŸyamavastukam||4.36|| graha√åjjågar itavattaddhetu¢ svapna i≤yate | taddhetutvåttu tasyaiva sajjågar itam i≤yate||4.37||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.32-4.37
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4.32 - La loro intrinseca utilità [nella esperienza di veglia] viene contraddetta nel sogno. perciò, essendo dotati di un inizio e di una fine, essi sono considerati giustamente non reali. 4.33 - Tutti gli enti [percepiti] nel sogno sono non realiperchélaloropercezioneèall’internodelcorpo. In questo luogo circoscritto, invero, donde potrebbe aversilapercezionedeglienti[esterni]alpercipiente? 4.34 - Non è ragionevole esperire [vicende di sogno] recandosi [in quel luogo] per la incompatibilità di tempo. Una volta che si è destati non ci si trova in quel luogo di sogno. 4.35 - Di una discussione con amici e altri [in sogno, il dormiente] destandosi non ottiene conferma; e qualsiasicosaabbiaacquistato[insogno]nonlatrova nello stato di veglia. 4.36-Inoltre,nelsognoilcorpononpossiederealtà per via di un altro corpo [quello di veglia] visto separatamente[da quello].Comeil corpo[nelsogno], così tutto ciò che viene percepito mediante la mente non possiede realtà [assoluta]. 4.37 - per via della esperienza [del sogno] analoga a quella di veglia [di soggetto-oggetto], si sostiene che il sogno è l’effetto dello stato di veglia. però si considerarealelostatodivegliasolodacoluiche[da questa posizione] giudica l’essere sognante.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
utpådasyåprasiddhatvådajaæ sar vamudåh ÿtam | nacabh¥tådabh¥tasyasaæbhavo’stikathañcana||4.38|| asajjågar ite dÿ≤†vå svapne paŸyati tanmaya¢ | asatsvapne ’pi dÿ≤†vå ca pratibuddho na paŸyati||4.39|| nåstyasaddhetukamasatsadasaddhetukaæ tathå | sacca saddhetukaænåsti saddhetukamasatkuta¢||4.40|| vipar yåsådyathå jågradacintyånbh¥tavatspÿŸet | tathåsvapneviparyåsåddharmåæstatraivapaŸyati||4.41|| upalambhåtsamåcårådastivastutvavådinåm | jåtistu deŸitå bhuddhai rajåtestrasatåæ sadå||4.42|| ajåtestrasatåæ te≤åmupalambhådviyanti ye | jåtido≤å na setsyanti do≤o ’pyalpo bhavi≤yati||4.43||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.38-4.43
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4.38 - poiché la nascita non è un fatto dimostrato, [la Âruti] sostiene che ogni cosa è senza nascita. Inoltre, il non essere non può nascere dall’essere. Ciò è impossibile. 4.39 - Avendo visto il non reale (asat) nella [condizione di] veglia lo rivede poi nel sogno. E avendo vistooggettinonrealinelsognononlivede[poinella condizione] di veglia.7 4.40 - L’irreale non può avere l’irreale come causa, néilrealepuòaverecomecausailreale,néilrealepuò averecomecausal’irreale,né[infine]l’irrealepuòavere come causa il reale. 4.41 - Come nella veglia a causa di un errore cognitivo (viparyåsa) si può entrare in contatto con oggetti non reali come se fossero reali [assoluti], così nel sogno, a causa di un errore cognitivo, si possono vedere oggetti [apparentemente reali] che sono solo colà [in quello stato di sogno]. 4.42-Ilprocessocausaledellapercezioneempirica [della manifestazione] è stato indicato dai saggi per comprensione verso coloro che, per virtù del comportamento appropriato al loro [stadio di vita], sogliono affermarel’esistenzarealedellamanifestazionesempre timorosi della non generazione. 4.43 - per coloro i quali, timorosi della non generazione,devianoperlaloropercezione[delladualità], gli errori dovuti [nell’accettare] la generazione non si maturano[infrutti]perchétaleerroreèinsignificante.8
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
upalambhåtsamåcårånmåyåhastı yathocyate | upalambhåtsamåcårådasti vastu tathocyate||4.44|| jåtyåbhåsaæ calåbhåsaæ vastvåbhåsaæ tathaiva ca | ajåcalamavastutvaæ vijñånaæ Ÿåntamadvayam||4.45|| evaæ na jåyate cittamevaæ dhar må ajå¢ smÿtå¢ | evameva vijånanto na patanti vipar yaye||4.46|| ÿjuvak rådikåbhåsamalåtaspanditaæ yathå | graha√agråhakåbhåsaæ vijñånaspanditaæ tathå||4.47|| aspandamånamalåtamanåbhåsamajaæ yathå | aspandamånaæ vijñånamanåbhåsamajaæ tathå||4.48|| alåte spandamåne vai nå ”bhåså anyatobhuva¢ | na tato ’nyatra nispandånnålåtaæ praviŸanti te||4.49||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.44-4.49
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4.44 - Come un elefante [evocato dal mago], per quanto illusorio, in virtù del suo comportamento appropriato[aquellodell’elefante]vienepercepitocome reale, così, a causa della percezione empirica e del comportamentoadeguato,sidicecheundatopercepito sia reale. 4.45 - Ciò che ha l’apparenza della generazione, ciò che ha l’apparenza del movimento e, ugualmente, ciò che ha l’apparenza della sostanzialità [oggettiva] è senza nascita, immobile e insostanziale, pacificato e non duale. 4.46 - Così la mente è senza nascita e i dharma (entiinmanifestazione)sonoconsideratiprividinascita. Coloro i quali conoscono ciò non cadono nell’errore.9 4.47-Comeuntizzoneardentepostoinmovimento sembraessereunalineadritta,curva,ecc.,cosìlamente inmovimentoappareessereilpercipiente(soggetto)e il percepito (oggetto). 4.48 - Come un tizzone ardente quando non è in movimentononproduce[alcuna]apparenzaedèsenza nascita,cosìlamentequandononsitrovainmovimento non produce [alcuna] apparenza [di soggetto-oggetto] ed è senza nascita. 4.49 - Quando il tizzone ardente è in movimento le apparenze [percepite] non gli vengono da nessuna parte, né vanno altrove quando è fermo, né rientrano nel tizzone ardente.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
na nirgatå alåtåtte dravyatvåbhåvayogata¢ | vijñåne ’pi tathaiva syuråbhåsasyåviŸe≤ata¢||4.50|| vijñåne spandamåne vai nå ”bhåså anyatobhuva¢ | na tato ’nyatra nispandånna vijñånaæ viŸanti te||4.51|| na nirgatåste vijñånåddravyatvåbhåvayogata¢ | kår yakåra√atåbhåvådyato ’cintyå¢ sadaiva te||4.52|| dravyaæ dravyasya hetu¢ syådanyadanyasya caiva hi | dravyatvamanyabhåvovådharmå√åænopapadyate||4.53|| evaæ na cittajå dhar måŸcittaæ vå ’pi na dhar majam | evaæ hetuphalåjåtiæ praviŸanti man ı≤i√a¢||4.54|| yåvaddhetuphalåveŸaståvaddhetuphalodbhava¢ | k≤ı√e hetuphalåveŸe nåsti hetuphalodbhava¢||4.55|| yåvaddhetuphalåveŸa¢ saæsåraståvadåyata¢ | kŸı√e hetuphalåveŸe saæsåraæ na prapadyate||4.56||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.50-4.56
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4.50-Esse[apparenze]nonprovengonodaltizzone ardente a causa della inesistenza [in loro] di sostanzialità. Anche in relazione alla mente [le apparenze] devono essere proprio così, perché le apparenze non sono dissimili [tra loro].10 4.51 - Quando la mente è in movimento [come nel sognoenellaveglia],invero,leapparenzenonvengono a essa da nessuna parte, né vanno altrove quando è ferma, né rientrano nella mente. 4.52 - Esse non provengono dalla mente perché prive di sostanza e, a causa dell’assenza di relazione di causa-effetto, esse sono inconcepibili. 4.53 - Invero, una sostanza può essere l’origine di [un’altra] sostanza, e certamente un [particolare] dato puòesserelacausadiundifferentealtrodato.Maper le anime manifeste [jıva] non si può ammettere né la naturadisostanzanélanaturadifferente[daaltracosa]. 4.54 - Né i dharma individuati sono generati dalla sostanzamentale(citta)néquestaèprodottadaidharma [esterni]. Così i saggi sostengono l’assenza di nascita di causa ed effetto (hetuphalåjåti). 4.55-Lacausael’effettoemergonoquandovièla rappresentazionementale.Quandolarappresentazione mentale cessa non vi è il sorgere né della causa né dell’effetto. 4.56-Finquandovièlarappresentazionementaledi causaedeffettosiperpetualaruotadeldivenireciclico. Quando la rappresentazione mentale della causalità e dell’effetto è risolta il saæsåra cessa di prodursi.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
saævÿtyå jåyate sar vaæ ŸåŸvataæ nåsti tena vai | sadbhåvenahyajaæsarvamucchedastenanåstivai||4.57|| dhar må ya iti jåyante jåyante te na tattvata¢ | janmamåyopamaæte≤åæsåcamåyånavidyate||4.58|| yathå måyåmayådbıjåjjåyate tanmayo ’§kura¢ | nåsau nityona cocchedı tadvaddhar me≤u yojanå||4.59|| nåje≤u sar vadhar me≤u ŸåŸvatåŸåŸvatåbhidhå | yatra var √å na var tante vivekastatra nocyate||4.60|| yathå svapne dvayåbhåsaæ cittaæ calati måyayå | tathå jågraddvayåbhåsaæ cittaæ calati måyayå||4.61|| advayaæca dvayåbhåsaæcittaæsvapne na saæŸaya¢| advayaæcadvayåbhåsaætathajågrannasaæŸaya¢||4.62|| svapnadÿkpracaransvapne dik≤u vai daŸasu sthitån | a√ƒajånsvedajånvå ’pi jıvånpaŸyati yånsadå||4.63||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.57-4.63
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4.57-Attraversoilvelamentonasceognicosa;perciò non vi è certamente nulla di permanente. Infatti, dallaprospettivadellaRealtà[suprema]ognicosaènon nata per cui non vi è di certo alcun annientamento.11 4.58 - I dharma che così nascono, in realtà non nasconoperchélaloronascitaèconsiderataattraverso la måyåequestamåyånonesiste[interminiassoluti]. 4.59-Comedaunsemeillusorionasceungermoglio [illusorio], che non è né eterno né distruttibile, così la stessa logica è applicabile in relazione ai dharma. 4.60 - In riferimento ai dharma non nati non vi è alcuna nozione di permanente e impermanente. Laddoveledefinizioninonpossonoessereimpiegate,colà nessunaconsiderazione[assoluta]puòessereespressa.12 4.61 - Come nel sogno la mente si muove [producendo]l’apparenzadelladualità(soggetto-oggetto),così nello stato di veglia la mente si muove [producendo] l’apparenza della dualità tramite la måyå. 4.62 - E non vi è dubbio che nel sogno la mente [pur essendo] unica, appare duale; nello stesso modo non vi è dubbio che [anche] nella veglia la mente [puressendo]unicaappareduale.(Sivedanolekårikå 3.29-30). 4.63-Anchegliesserinatidaunuovoonatidalla fermentazione, che lo sperimentatore vede nel sogno comeesistentieffettivamentenellediecidirezioni[dello spazio], mentre vaga nel [mondo] di sogno...
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
svapnadÿkcittadÿŸyåste na vidyante tata¢ pÿthak | tathå taddÿŸyamevedaæ svapnadÿkcittam i≤yate||4.64|| carañjågar ite jågraddik≤u vai daŸasu sthitån | a√ƒajånsvedajånvå ’pi jıvånpaŸyati yånsadå||4.65|| jågraccittek≤a√ ıyåste na vidyante tata¢ pÿthak | tathå taddÿŸyamevedaæ jågrataŸcittam i≤yate||4.66|| ubhe hyanyonyadÿŸye te kiæ tadastıti nocyate | lak≤a√埥nyamubhayaæ tanmatenaiva gÿhyate||4.67|| yathå svapnamayo jıvo jåyate mriyate ’pi ca | tathå jıvå am ı sar ve bhavanti na bhavanti ca||4.68|| yathå måyåmayo jıvo jåyate mriyate ’pi ca | tathå jıvå am ı sar ve bhavanti na bhavanti ca||4.69|| yathå nir mitako jıvo jåyate mriyate ’pi vå | tathå jıvå am ı sar ve bhavanti na bhavanti ca||4.70||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.64-4.70
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4.64-…quelle[forme]sonosolooggettidipercezioneperlamentedellosperimentatoresognante,non esistono separatamente da quella [mente]. Similmente si sostiene che la mente di colui che esperimenta nel sogno è un oggetto di percezione solo per lui. 4.65 - Invero (vai) gli esseri nati da uova o dalla fermentazione che [lo sperimentatore] vede – mentre vagacontinuamentenellostatodiveglia(jågrat)–come esistenti in tutte le direzioni [dello spazio], sono solo oggetto di percezione… 4.66 - ...quelle [esperienze] sono oggetti di percezioneperlamente[nellostato]diveglia,nonesistono separatamentedaquella[mente].Similmente,sisostiene che la mente di colui che è sveglio è per lui solo un oggetto di percezione. 4.67 - Invero, essi [l’io e il non io] sono entrambi oggettodipercezionel’unoinfunzionedell’altro.[Alla domanda] se esistono [separatamente] si risponde: no. Entrambisonoinconoscibiliseparatamenteperchél’uno viene appreso solo in quanto [c’è] l’altro. 4.68 - Come un ente visto in sogno nasce e ugualmente muore, così tutti questi enti nascono e scompaiono. 4.69 - Come un ente [proiettato dal mago è] illusorio, così tutti questi enti sono e poi non sono [più]. 4.70 - Come un ente creato artificiosamente nasce e ugualmente scompare, così tutti questi enti sono e poi non sono [più].
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
na kaŸcijjåyate jıva¢ saæbhavo ’sya na vidyate | etattaduttamaæ satyaæ yatra kiñcinna jåyate||4.71|| cittaspanditamevedaæ gråhyagråhakavaddvayam | cittaænir vi≤ayaænityamasa§gaætena kır titam||4.72|| yo ’sti kalpitasaævÿtyå paramår thena nåstyasau | paratantråbhisaævÿtyå syånnåsti paramår thata¢||4.73|| aja¢ kalpitasaævÿtyå paramår thena nåpyaja¢ | paratantråbhini≤pattyå saævÿtyå jåyate tu sa¢||4.74|| abh¥tåbhiniveŸo ’sti dvayaæ tatra na vidyate | dvayåbhåvaæsabuddhvaivanir nim ittonajåyate||4.75|| yadå na labhate het¥nuttamådhamamadhyamån | tadå na jåyate cittaæ hetvabhåve phalaæ kuta¢||4.76||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.71-4.76
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4.71 - Nessun ente nasce; perciò non esiste [alcuna] nascita. Questa è la suprema verità, nessuna cosa è nata.13 4.72-Questadualitàche[apparecome]percipiente e percepito è solo una modificazione mentale. Ma [dalla prospettiva della suprema Realtà] la mente non entra mai in contatto con alcuno (nirvi≤ayam), perciò viene proclamata costantemente senza relazione (asparŸa). 4.73 - Ciò che dalla visuale empirica si proietta mentalmentenonhaalcunaesistenzadallaprospettiva della Realtà suprema. Così l’esistenza [di un dato], sostenutadaaltrescuolefilosofiche[dalpuntodivista empirico], non esiste affatto dalla visuale della Realtà assoluta. 4.74 - È dalla visuale empirica velante, secondo le conclusionidialtreteoriefilosofiche,che[siconsidera] Quello come nato. Ma dalla prospettiva della Realtà supremanonsipuònemmenoparlaredisenzanascita.14 4.75 - vi è un tenace attaccamento a ciò che appare; ma colà [nella Realtà suprema] la dualità non esiste. Quegli il quale abbia riconosciuto appieno la nonesistenzadelladualità,divenutoliberodallacausa non rinasce [più].15 4.76 - Quando la mente non percepisce le cause superiori, inferiori e medie, allora si affranca dalla nascita; in assenza della causa l’effetto donde mai [potrebbe provenire?].16
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
anim ittasya cittasya yå ’nutpatti¢ samå ’dvayå | ajåtasyaiva sar vasya cittadÿŸyaæ hi tadyata¢||4.77|| buddhvå ’nim ittatåæ satyåæ hetuæ pÿthaganåpnuvan | vıtaŸokaæ tathå kåmamabhayaæ padamaŸnute||4.78|| abh¥tåbhiniveŸåddhi sadÿŸe tatpravar tate | vastvabhåvaæsabuddhvaivani¢sa§gaævinivartate||4.79|| nivÿttasyåpravÿttasya niŸcalå hi tadå sthiti¢ | vi≤aya¢sahibuddhånåætatsåmyamajamadvayam||4.80|| ajamanidramasvapnaæ prabhåtaæ bhavati svayam | sak ÿdvibhåtohyevai≤adhar modhåtusvabhåvata¢||4.81|| suk hamåvriyate nityaæ du¢ khaæ vivriyate sadå | yasyakasyacadharmasyagrahe√abhagavånasau||4.82|| asti nåstyasti nåstıti nåsti nåstıti vå puna¢ | calasthirobhayåbhåvai råvÿ√otyeva båliŸa¢||4.83||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.77-4.83
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4.77-Lamancanzadinascitachelamente-soggetto raggiunge quando è priva di causa, diviene identica a sestessaenonduale;quella,nongenerata,preesisteva [prima della realizzazione].17 4.78-Realizzandol’assenzadicausainquantoverità [ultima], si consegue lo stato che è privo di conflitto, di desiderio e di timore. 4.79 - È a causa del tenace attaccamento alle apparenze oggettuali [ai vari fenomeni contingenti] che la mente-soggetto si volge attivamente verso siffatte [apparenze].Quella,avendocompresolalorononesistenza,diventaprivadirelazione[oprivadisostegni] (ni¢sa§ga) e si ritira in se stessa. 4.80 - La [coscienza] che si distoglie da attività esterne ritorna in se stessa (nivÿtti) e consegue uno stato stabile (niŸcala =privo di movimento). Invero [questo stato] è l’obiettivo del saggio, e quello [stato] è senza nascita e non duale. 4.81-[Quellostatoreale]èsenzanascita,quindisenza sonnoesenzasognoesipresentapienamenterifulgente dipersé.Infatti,lostessoente[cheèl’å tman]ècostantementerisplendenteinvirtùdellasuaessenzialenatura. 4.82 - A causa dell’appropriazione per qualunque oggetto,Quello,ilSignore(l’åtman),rimanefacilmente nascosto e con difficoltà viene scoperto.18 4.83 - [Asserendo che l’åtman] “esiste”, “non esiste”, “esiste e non esiste”, o ancora, “non esiste [affatto]”,ilnondiscriminantelovelatramite[leideedi] mutevolezza, immutabilità, o ambedue insieme, e non esistenza assoluta.19
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
ko†yaŸcatasra etåstu grahai r yåsåæ sadå ”vÿta¢ | bhagavånåbhiraspÿ≤†o yena dÿ≤†a¢ sa sar vadÿk||4.84|| pråpyasarvajñatåækÿtsnåæbråhma√yaæpadamadvayam| anåpannådimadhyåntaæ kimata¢ param ıhate||4.85|| viprå√åæ vinayo hye≤a Ÿama¢ pråk ÿta ucyate | dama¢prak ÿtidåntatvådevaævidvåñŸamaævrajet||4.86|| savastu sopalambhaæ ca dvayaæ lauk ikam i≤yate | avastusopalambhaæcaŸuddhaælaukikami≤yate||4.87|| avastu anupalambhaæ ca lokottaram iti smÿtam | jñånaæjñeyaæcavijñeyaæsadåbuddhai¢prakırtitam||4.88|| jñåne ca trividhe jñeye krame√a vidite svayam | sar vajñatå hi sar vatra bhavatıha mahådhiya¢||4.89||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.84-4.89
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4.84 - Queste [esposte] sono le quattro [teorie] alternative, con l’accettazione di una di loro, il Signore [l’åtman]rimanesemprenascosto.Macoluicheèrealizzato, perché privo di contatto [con tali concezioni], è onniveggente (illuminato).20 4.85-Checosasipotrebbemaivolercompieredopo averconseguitolaperfettailluminazioneeilBrahman senza secondo, non affetto da inizio, mezzo e fine?21 4.86 - Si dice che questa [realizzazione non duale] conferisceaisaggiladignità,lanaturalecalmamentale,l’autodominioelospontaneoequilibrio.Conoscendo così [il saggio] raggiunge la pacificazione del cuore. 4.87-Lostatocomune[diveglia]chesisperimenta come oggetto è quello della dualità. [Similmente] lo statoordinario[disogno]èquellodell’esperienzaduale per quanto l’oggetto (avastu) [è non sostanziale]. 4.88-Tradizionalmentesisostienechevièunostato senzaoggetto[esternoointerno]eprivodiesperienza, aldisopradi quelliordinari.L’oggettodiconoscenza [dei tre stati] è quello che dev’essere realizzato [cioè il Quarto], ciò viene celebrato dai risvegliati. 4.89-Quandovièlaconoscenzadeltripliceoggetto in successione [i tre stati dell’Essere], quando è realizzata [la Realtà suprema], allora per colui di elevato intelletto si svela per sempre l’intera conoscenza.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
heyajñeyåpyapåkyåni vijñeyånyagrayå√ata¢ | te≤åmanyatra vijñeyådupalambhastri≤u smÿta¢||4.90|| prak ÿtyå ”kåŸavajjñeyå¢ sar ve dhar må anådaya¢ | vidyate na hi nånåtvaæ te≤åæ kvacana kiñcana||4.91|| ådibuddhå¢ prak ÿtyaiva sar ve dhar må¢ suniŸcitå¢ | yasyaivaæbhavatik≤ånti¢so’mÿtatvåyakalpate||4.92|| ådiŸåntå hyanutpannå¢ prak ÿtyaiva sunir vÿtå¢ | sarvedharmå¢samåbhinnå¢ajaæsåmyaæviŸåradam||4.93|| vaiŸåradyaæ tu vai nåsti bhede vicaratåæ sadå | bhedanimnå¢pÿthagvådåstasmåttekÿpa√å¢smÿtå¢||4.94|| aje såmye tu ye kecidbhavi≤yanti suniŸcitå¢ | te hi loke mahåjñånåstacca loko na gåhate||4.95||
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.90-4.95
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4.90 - Ciò che si deve evitare, ciò che si deve conoscere, ciò che si deve accettare e ciò che si deve rendere inattivo devono essere compresi chiaramente fin dall’inizio. I tre stati [esistenziali] tranne quello che si deve realizzare [il Quarto] sono considerati tradizionalmente percezioni [dell’avidyå]. 4.91 - Tutti i jıva devono essere conosciuti della natura dell’etere ed eterni. Invero, per essi non esiste alcuna molteplicità, in nessun luogo. 4.92 - Tutti i dharma sono fin dal principio per loro natura autorisplendenti e immutabili. Colui che haattualizzatola[suprema]quietecognitivaconsegue l’immortalità. 4.93 - Invero, tutti i dharma fin dall’inizio sono pacificati, privi di origine e per loro stessa natura perfettamente imperturbabili (distaccati), identici a se stessi e non dissimili, come [la stessa realtà] è non nata,identicaasestessa(såmya)eperfettamentepura. 4.94 - Ma la perfezione conoscitiva, in verità, non si ha per coloro che procedono sempre nella diversità, che sono inclini alla distinzione e che parlano di dualità. perciò essi sono tradizionalmente considerati degni di compassione. 4.95-Invero,soloquellichehannounabensalda convinzioneinmeritoaciòcheènonnatoeidentico a se stesso, costoro, invero, sono dotati di elevata conoscenza; l’ente comune non può comprendere questa [verità].
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A
aje≤vajamasaæ kråntaæ dhar me≤u jñånam i≤yate | yato na kramate jñånamasa§gaæ tena kir tıtam||4.96|| a√umåtre ’pi vaidhar mye jåyamåne ’vipaŸcina¢ | asa§gatå sadå nåsti kimutå ’’vara√acyuti¢||4.97|| alabdhåvaranå¢ sar ve dhar må¢ prak ÿtinir malå¢ | ådau buddhåstathå muktå budhyanta iti nåyakå¢||4.98|| kramate na hi buddhasya jñånaæ dhar me≤u tåyina¢ | sarvedharmåstathåjñånaænaitadbuddhenabhå≤itam||4.99|| durdarŸamatigambhıramajaæ såmyaæ viŸåradam | buddhvåpadamanånåtvaænamaskurmoyathåbalam||4.100|| iti alåtaŸåntiprakara√am ityathar vavediyamå√ƒ¥kyopani≤at samåptå
CAp. Iv SULLA ESTINZIONE DEL TIZZONE ARDENTE, 4.96-4.100
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4.96 - Si sostiene [dalla Tradizione] che la conoscenza, relativa agli enti non nati, è [anch’essa] senza origineenonrelazionata.poichélaconoscenzanonsi rapporta[conaltrioggetti]perquestovieneproclamata libera da connessione.22 4.97 - Se colui che è privo di discernimento mantieneancheunaminimaideadinascita,visaràsempre unattaccamento:percui[èinutiledire]dirisolverelo schermo velante.23 4.98 - Nessun dharma (jıva) si trova sotto alcun velo; per natura sono privi di impurità e, similmente, illuminatiedeternamenteliberi.Cosìsonoleguide[in virtù della loro conoscenza]. 4.99-Invero,laconoscenzadell’illuminato,laqualeèonnipervadente,nonsirelazionaconalcunoggetto; così tutti i dharma sono [in identità con la stessa] conoscenza.Ciònonèstatoevidenziatodall’Illuminato.24 4.100-Dopoaverrealizzatoquellostatoimperscrutabile, insondabile, non nato, in identità con se stesso, perfettamentepuroenonduale,noiglirendiamoomaggio.
Fine dell’Alåta Ÿånti Prakara√a Fine della Må√ƒ¥kya Upani≤ad dell’Atharva Veda (con le kårikå di Gauƒapåda)
nOTe AL CAPITOLO IV 1 4.2
- vi sono diversi tipi di yoga: dall’ha†hayoga all’asparŸayoga, passando per il bhaktiyoga, råjayoga, layayoga, ecc.,vièuncrescendodiposizionicoscienziali e di mete che rispondono adeguatamente ai bisogni dei vari aspiranti. Sièvistochevisonotrestatidell’EsserepiùilQuar to; oravisonotipidiyoga, basatisuaspettipsicofisici,che portano allo stato di Virå†, di Hira√yagarbha, oppure di ÙŸvara, l’Esserepereccellenzaoontologico.Finoaquesto stadiosipuòparlarediyoga, nell’accezionedeltermine, cioè di unire due dati o enti che sono distanziati. Così, il bhakta tende all’unione col suo Amato universale e il råjayogi a reintegrarsi nello stato di Puru≤a. Ma,quandosiparladiasparŸayoga, iltermineyoga vaintesonelsensodirisvegliarelaconsapevolezzaaciò cherealmentesiè,ilcheimplicaattuarel’identitàconTurı ya,ilfondamentometafisicochereggeiltuttoesistente. LaConoscenzametafisica,quindil’asparŸavåda, non disconosceildualismonéilmonoteismoperchéliconsideracomeduepuntidellacirconferenzaconoscitiva;per cuiilmonoteistaeil dualistapossonoaveredifficoltàdi “vedere” il centro della circonferenza; di conseguenza l’asparŸaè loyoga chenonsiopponeadalcuno,sostiene Gauƒapåda,eciòènaturaleperché,nonessendounpunto di vista filosofico razionale né teologico dogmatico, si poneneldominiodeiprincìpi,laddovevigel’universalità e la sintesi di tutti i possibili punti di vista, cioè si pone al centro della circonferenza. La Conoscenza metafisica è il tronco da cui si dipartono tutti i rami conoscitivi e rappresenta il polo immutabile per tutto un manvantara. I rami possono anche nascere e morire, ma ciò non si
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verifica per quel tronco che è trascendente il tempospazio. Alla Conoscenza metafisica non si arriva né con le opere, né con la fede religiosa, né col raziocinio del manas (per quanto possano costituire dei preliminari anche utili, e spesso indispensabili), ma con l’“evidenza diretta” perché nell’intellettualità pura (buddhi-nóesis) il conoscitore coincide con la conoscenza e con l’oggetto di conoscenza L’asparŸa è lo yoga senza sostegni, perché il conoscitore è privato di tutti gli attributi dell’ente, nella sua totale estensione, dal momento che nell’“evidenza diretta” vengono a mancare tutti i dati di relazione su cui, invece, poggia l’individualità. AsparŸa significa non contatto, non relazione perché è di là da ogni “secondo” con cui possa relazionarsi; di quiancheladenominazionediajåta:ciòchenonèstato generato per cui prende il nome anche di ajåtivåda. 2 4.9 - In questa kårikå si dà la spiegazione del concetto di natura, dal momento che alcuni credono che l’intrinsecanaturadi un dato,o l’aseità,possa “mutarsi” e “trasformarsi”. nella kårikå in esame il termine prakÿti significa: naturapropriadiqualunquedato.Nonhariferimentoalla sostanza con cui sono fatte tutte le forme (nåma-r¥pa). Il termine prakÿti va collegato agli altri due: svå bhå vi kı e sva bhå va m. Commenta Âa§kara: «Le caratteristiche intrinseche di unacosa,peresempioilcaloreelaluce del fuoco,ecc., nonmutanoneltemponénellospazio.Cosìpureciòche è connaturato, per esempio la capacità di un uccello di volare nell’aria, è chiamata natura».1 1 Cfr. Må √ƒ¥kya Upani≤ad con le kårikå di Gauƒapåda e il commento di Âa§kara. Op. cit.
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Si accennava nel primo Capitolo che la natura di un dato non può né trasformarsi né può essere oggetto di discussione. Di tutto si può discutere tranne sulla natura intrinseca delle cose. SelanaturadelRealeèquelladellaatemporalitàallora il ciò che è non potrà né nascere né divenire perituro e temporale. Selanaturadell’Infinitoèl’infinitezza,Essononpotrà mai divenire finito: «L’immortalenonpuòdiveniremortale,né,parimenti, il mortale [divenire] immortale. Un cambiamento di natura non potrà avvenire in alcun modo».1 Sottoquestaprospettivasipuòaffermarechel’Uno,se èveramentetale,nonpotràmai“trasformarsi”neimolti, né l’Essere “trasformarsi” in divenire, né l’Assoluto in relativo. Allora, partendo da giuste premesse, ci si può chiedere: ciò che si percepisce come nascita, crescita e morte (divenire), che cosa è? Ecco il punto cruciale del problema. Spesso si parte da premesse filosofiche sbagliate e le conseguenze, ovviamente, non sono logiche e razionali. Così, ad esempio, considerando reali il divenire e il mortale, non si riesce poi a capire come l’Essere o Dio, lo si chiami come si vuole, concepito come infinito, sia potutocaderenelmortaleenelfinito;così,ancora,come l’åtman imperituro e “perfetto” sia potuto cadere nel perituro e imperfetto. Il problema posto in tali termini non può avere soluzione; non può averla perché la premessa aprioristica, essendo mal posta, non offre via di uscita. LapremessagiustacrediamosiaproprioquelladiGauƒapåda, e quindi di questa Upani≤ad, cioè: considerato 1
Må. Kå. 4.7.
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chel’Essere,seèimmortale,nonpuòd’untrattotrovarsi mortale (cioè, modificarsi), né il senza tempo trovarsi nel tempo, né l’incausato trovarsi nel causato, allora ciò chesidefiniscecomefinito,imperfetto,causato,mortale, ecc., che cosa è? Considerato che Brahmanåtman è senza nascita e senza morte, quindi di là dal tempo-spazio-causa, allora ciò che si percepisce come tempo-spazio-causa che cosa può rappresentare? posto che la corda, nell’esempio classico di Gauƒapåda (2.17), è della natura dell’infinitezza, del senza tempo,ecc.,ciòchesivedecomeserpente,ghirlanda,filo d’acqua, ecc. (cioè il molteplice divenire e il mutevole), che cosa è? 3 4.25 - per coloro che si trovano sotto il velo della
måyåavidyå l’oggettoesterno,distintodalsoggetto,esiste edèreale.Suciòl’asparŸavådaèd’accordocolrealismo oggettivisticofilosofico.però,perl’asparŸa, questarealtà oggettiva viene considerata frutto di un certo modo di vedere; costituisce un punto di vista che può essere tenuto presente solo in determinate condizioni o da un particolare sistema di coordinate. Sotto altre prospettive, si scopre che, rimosso il velo (costituitodaigu√a)cheoscuralamente,l’oggettoesterno e ogni forma-evento non sono altro che un chiaro-scuro cheappareescompareall’orizzontedell’entepercipiente; diquil’avidyåmediantelaqualesiconsiderailpercepito come reale assoluto, quando reale assoluto non è perché gli manca l’essere. L’asparŸavåda contemplatregradidiconoscenza-verità:quellacheèfruttodiavidyå (conoscenzasensoriale), quellacheèfruttodividyå (conoscenzasovrasensoriale) e quella che è frutto di paramårtha, lo strumento conoscitivocheoffrelasupremaverità (conoscenzad’identità).
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Inoltre, occorre tenere presente che la dialettica di Gauƒapådasullacausalitàsiriferisceadalcuneconcezioni del suo tempo come quelle del Buddhismo, dei Jaina, del Såækhya, ecc. Quandol’enteumanosidefiniscesolomente-corpo(e la mente dianoetica è un altro corpo, anche imperfetto) gli viene naturale percepire, osservare e concettualizzare l’oggetto esterno come reale, ma ciò è normale perché considera realelasuastessamente-corpo,mentecheopera tramite i cinque sensi, per cui sia il soggetto percipiente sia l’oggetto percepito risultano entrambi reali-assoluti. Ciòchenonènormaleèchesimilevisionevieneassolutizzataa tal puntoda rifiutareogni altrapossibileverità, considerandolacomepuraastrazionenonverificabiledalla mente-corpo. E ciò non ci sembra conforme a ragione perché si rifiuta e si nega ciò che non si conosce, o non si vuole conoscere. D’altra parte, per negare occorre accettare a priori l’oggetto della non accettazione. Non si può negare il nulla. 4 4.26
- Nel sogno non vi sono né oggetti né idee distinti dalla mente del sognatore, anche se a questi essi “appaiono” separati (dualità soggetto-oggetto). Così nell’universo di veglia non vi sono né oggetti né idee distinti dal “Sognatore principiale”. In altri termini, l’intera manifestazione formale non è altro che movimento che crea forme-oggetti, a qualunquedimensione,lacui ajrchv (arché)èlam¥laprakÿti,la sostanza primordiale; un vaso è solo una modificazione dell’argilla, che ha preso una determinata forma, esso non è aseità, quindi non può essere indipendente dalla sostanza da cui è fatto. La måyå consiste in questo movimento sostanziale, tò fai nò menon, che crea forme, volumi, ecc. Così si ha una percezione che percepisce solo il vaso, vi è invece
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una conoscenza che percepisce la sostanza una indifferenziata dalla quale viene prodotto il vaso (Unità della vitaontologica).Daquestaprospettivasipuòriconoscere che, essendo la sostanza-prakÿti in continuo movimento, il vaso non è altro che un “accidente”, un qualcosa che è e nello stesso tempo non è perché, appunto, non ha essere. Ciò implica che il percepibile non è oggettivazione mentale dell’ente in divenire, ma è il principio causale che, mediante la prakÿti, porta in oggettività i semi non risoltidiunaltromanvantara.1Quindidanonconfondere col soggettivismo psicologico e col solipsismo. 5 4.28
- Le kårikå 25-27 espongono la visione degli idealistisoggettivieGauƒapådanecondividelerisultanze, ma non in assoluto. Infatti, nella presente kårikå egli traccia il suo reale punto di vista che è il superamento dell’idealismosoggettivo.Gauƒapådanoncondivideneppureilnichilismoassolutistadialtrescuolefilosofichele quali asseriscono che tutto è vacuità, persino il soggetto percipiente. Se tutto è vacuità ci dev’essere un soggetto percipiente che affermi tale vacuità, quindi il soggetto non può essere vacuità, diversamente si arriverebbe a questo assurdo: la vacuità afferma la vacuità, il niente afferma il niente. Così,sipuòcomprenderecomel’asparŸavåda nonèné nichilista,nérealistaoggettivista(secondocuièrealesolo l’oggetto esterno), né idealista, per quanto di queste due ultime scuole di pensiero condivida alcuni aspetti a certi livelli. Esso è essenzialmente di ordine metafisico, vale a dire, trascende l’intera manifestazione, per cui accetta unaRealtàultimativalaqualerappresentailfondamento di tutto ciò che appare e scompare. 1
Cfr.ilS¥tra VI dell’Upani≤ad.
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6 4.30 - Se il divenire risulta eterno, l’ente individua-
to, essendo figlio del divenire, non potrebbe pervenire alla“finedelpercorso”realizzativo(sivedalakårikå 4.38). 7 4.39
- Nel secondo Capitolo (2.5), Gauƒapåda ha messo in evid enza soprattutto la percezione mentale sensoriale, o verità relativa (vyavahåra), la quale risulta identica nei due stati di sogno (svapna) e di veglia (jå grat); in essi vi è soggetto e oggetto, vi sono oggetti di fruizione, vi sono conflitti, ecc. AdessoGauƒapådavaoltreeponendosidallaprospettiva paramårtha (conoscenza suprema) mette in rilievo comeiduestatidiconoscenzaedicoscienzasonoasat, non realtà assoluta. Si veda la kårikå 4.90 e segg. 8 4.43-Lacoscienzaåtmånonèdilàdall’Essere,fuori
dell’Essere, sotto o sopra l’Essere, non è mai “uscita” (nata)dall’Essere,inmododaaveredaunapartel’Essere e dall’altra l’ente, l’individualità o lo stesso universo (dualità). L’ente è nell’Essere, si muove nell’Essere, vive nell’Essere. La coscienza si è solo spostata di prospettiva; l’ente-coscienza, circoscrivendosi mediante gli upådhicorpi,hadirettolasuaattenzioneaquestiultimi, credendoli reali. «Eppure eri “tutto” anche prima...».1 La falsa percezione della propria Identità, la quale è indivisibile, porta a creare dualità: soggetto-oggetto. La “caduta” rappresenta un errore di prospettiva, ma essanonè assoluta,perchél’ariaracchiusanel vasomai 1 plotino, Enneadi vI,5.12. Op. cit. Anche Iv,8.1. Si leggano questi passi di plotino perché coincidono con ciò che dice Gauƒapåda.
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potrà essere diversa o distinta da quella fuori del vaso. E la “caduta” perdura fino a quando quella prospettiva (avidyå) non è risolta, o il raggio di coscienza incarnato noncreal’identitàconl’åtman,o,ancora,finoaquando il gu√a tamas, che vela e oscura la Realtà in noi, non è stato risolto dalla conoscenza noetica. E coloro che si credono “usciti” dall’Essere a che cosa vanno incontro? Costoro deviano dal retto sentiero, ma gli errori che sorgonodall’accettarelacreazioneeladualitànonportano fruttireali perchéessipossonopensaresoloillusoriamente di uscire dall’Essere supremo; in altri termini, essi sono dei“dormienti”cheprimaopoidovrannosvegliarsi:Tat tvam asi: tu, jıva, sei Quello.1 9 4.46-Teneresemprepresentelaprospettivametafi-
sicadacuiGauƒapådasipone,diversamentealcunekåri kå possono essere incomprensibili, per non dire assurde, alla mente razionale. Quando si afferma che nessuna cosarealeèmainata,nonsiescludel’“apparizione”del fenomeno.Tuttiiveicoli-corpidell’interamanifestazione appaiono e scompaiono perché sono figli del tempo; un fenomeno, non avendo assolutezza, non si può dire che sia nato in quanto realtà. per Gauƒapåda la realtà è ciò che è e non diviene, è l’eterno acausale, è il fondamento di tutte le apparenze. Il corpo fisico dell’ente è un fenomeno formale che ap pare all’orizzonte del Testimone non nato e scompare all’orizzonte dello stesso Testimone. Tale corpo non è il nulla, perché del nulla, nulla si può dire, ma è un oggetto aleatorio, un semplice momento temporale, che non avendo valenza assoluta si dissolve, cessa di essere perché, appunto, non è. Si vedano le kårikå seguenti. 1
Cfr. Bÿ. I.Iv.10 e Chå. vI.vIII.7.
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MÅ÷‡ÎkyAkÅRIkÅ. Iv. ALåTAÂånTIPrAKArA÷A 10 4.50-Così,dallaprospettivagnoseologica,l’avidyå
(conoscenza erronea) non ha origine sostanziale, e voler trovarel’iniziodell’avidyåècomevolerritrovareleorme di un uccello nell’aria, o gli oggetti di sogno quando ci si sveglia. 11 4.57-Lanascita,intesacomel’uscirfuoridall’Essere,
non è accettabile; è solo mediante un velamento o uno spostamentodiprospettivachesipotràparlaredinascita. Ma,dalpuntodivistadellaRealtàsuprema,nonvièné nascita né morte, quindi non vi è alcun annientamento. 12 4.60-SeilBrahmanåtmannonhanascita,nonpuò
averealcunarelazionepolareodualecomecausa-effetto, eterno e perituro, ecc. 13 4.71
- Questa tesi viene proposta esclusivamente dalla prospettiva del Non-nato o del Fondamento per cui tutto può esistere, e senza il quale nessuna cosa può concepirsi ed essere. per riuscire a comprendere le affermazioni di Gauƒapåda, apparentemente ardite e poco comprensibili alla mente empirica, occorre necessariamente non perdere di vista il punto dialettico da cui si pone: egli parte dalla constatazione che vi è un’unica e sola Realtà e, di conseguenza, un’unica verità la quale sovrasta tutte le veritàparzialichelasferadelleopinionipropone.Questa Realtà-verità non nata è di là dal mondo del sensibile e da quello intelligibile. parlandointerminiplatonicisipuòdirecheunacosa èporsidallaprospettivadell’Uno-Bene,eun’altracosaè porsi dalla prospettiva dell’Essere ontologico (o Mondo delle Idee). Se poi ancora, scendendo di dimensione, ci siponeesclusivamentedallavisionedelsensibilelecose
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cambiano a un punto tale che viene rovesciata la stessa Realtà-verità suprema. Quindi Gauƒapåda si pone dallo stato del Non-nato e interpreta il mondo del divenire da quella posizione. Nell’antica Grecia anche parmenide, ponendosi dalla prospettiva dell’Essere non nato, interpreta il divenire delle cose in termini di “apparenza”, secondo le indicazioni della dea Dike. «Tuttavia anche ciò devi apprendere: come le cose che appaiono (dokou`nta) devono in modo corretto essere valutate».1 E la stessa cosa fa Gauƒapåda. I due filosofi, Gauƒapåda e parmenide, partono dallo stesso principio incausato e proseguono a considerare il mondo sensibile come “apparenza”. Scrive parmenide: «Quale nascita infatti cercherai di esso?... Del non essere non ti permetterò né di affermarlo né di pensarlo perché è impossibile affermare o pensare ciò che non è».2 E Gauƒapåda prosegue: «Lanascitadiciòchenonèrealenonpuòessereammessa logicamente né attraverso la måyå e nemmeno insensoreale.Ilfigliodiunadonnasterilenonnasce né in modo reale e neppure attraverso la måyå. I disputanti (vådin) sostengono la nascita persino di un ente non nato, ma, invero, come può un ente non nato e immortale divenire mortale?».3 1 parmenide,Sull’Ordinamento della Natura,fr.1.31-32.Op.cit. 2
Ibid. fr. 8.6-9.
3 Må. Kå. 3.28e20.
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parmenide dichiara ancora: «...Costoro sono guidati, contemporaneamente sordi e ciechi, uomini senza intelletto per cui Essere e non essere sono supposti la stessa cosa e non la stessa cosa e per essi di tutto vi è una via che volge in senso opposto».1 EGauƒapådaparladientidisorientaticheconfondono l’Esseresupremo(Brahmanåtman)conilprå√a,ibh¥ta, ecc. «Colorocheconosconoilprå√aconsideranoilprå √a come [realtà-åtman]; coloro che conoscono i bh¥ ta considerano la realtà come bh¥ta... coloro che conoscono gli oggetti [empirici] considerano gli oggetti sensoriali come åtman...».2 Ci si trova sulla stessa linea di parmenide, con modalitàespressivadiversa.Sipuònotarecheancheplotino parladell’UnononnatochesovrastalastessaIntelligenza principiale (Noûs), e di conseguenza tutto il percepibile. Si veda oltre la kårikå 4.73. 14 4.74 - Si può notare l’intento di Gauƒapåda di far
comprendere la prospettiva metafisica: nascita e non nascita, movimento e immobilità, mortale e immortale, realeeirreale,ecc.,comesiègiàaccennato,sonosempre verità di relazione, quindi empiriche. «Se tu cerchi questo principio, non cercare nulla al di fuori di Lui, ma cerca le cose che vengono dopo di Lui; ma Lui lascialo stare!».3 1 parmenide,Sull’Ordinamento della Natura,fr.6.8-9.Op.cit. 2 Må. Kå. 2.20-21.
3 plotino,Enneadi,vI.8.18.Op.cit.
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15 4.75 - L’asparŸin,
in fondo, non rinuncia alle cose del mondo perché, dal punto di vista della verità ultima, ed è quella che interessa l’asparŸavåda, le cose... non sono, cioè non hanno l’esse. La posizione coscienziale del saænyåsinasparŸin non è la rinuncia come comunemente s’intende poiché questo termine presuppone un qualcosa a cui si deve rinunciare. Si può anche dire che èl’atteggiamentodeidualistilaverarinuncia,l’abbandono,ildistaccodallecosedelmondoedalmondoperché per loro i dati oggettivi sono reali; ma per l’asparŸin non v’è alcuna rinuncia, fuga o distacco da attuare: il mondo, con le sue espressioni vitali, non è altro che il serpente sovrapposto alla corda, e quando si realizza il Brahmanåtman non ci sono più cose da cui distaccarsi, esse hanno perso il loro valore. D’altra parte, l’asparŸin si è risolto in quel Fondamentocheèdilàdalmondodellecose,dallasferadelle opinioni e di là dal tempo. Unsistemasolareappareneltempoelostessotempo lo divora; chi è fuori del tempo (non nato) considera il sistema solare già divorato e morto. 16 4.76
- Âa§kara commenta: «Le cause più alte [superiori] sono quei doveri prescritti per gli ordini sociali e gli stadi di vita e che sono compiuti da persone non attaccateairisultati,percuiconduconoalconseguimento degli stati coscienziali degli Dei e di altri; sono atti puramentevirtuosi.Lecauseintermedieconsistonoinquei doveri associati a certe pratiche estranee alla religione e la cui osservanza permette a un essere di innalzarsi fino allostatoumano[razionale],ecc.Lecauseinferiorisono quelletendenzeparticolariconosciutecomecompletamente irreligioseecheportanoallanascitatragliesseriinferiori, ecc. Ma quando la mente si dissolve nell’åtman, che è Uno-senza-secondo,sièliberidaogniproduzione,sièdi
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là da tutte quelle cause, superiori, intermedie e inferiori, proprio perché esse non hanno essere». 174.77 - «Eppure eri “tutto” anche prima; ma poiché
ti sei aggiunto qualcosa d’altro oltre il tutto, tu, proprioperquestaaggiuntaseidiventatopiccolo,poiché l’aggiuntanonvenivadalTutto–alqualenonsipuò aggiungere nulla! – bensì dal non-tutto».1 18 4.82-Quandolequalificazioni(gu√a),diqualunque
natura,pongonounvelo,unoschermoallamente,l’åtman rimanenascosto.Larealizzazioneconsisteneldissolvere lo schermo in modo da creare l’identità con Quello.
«Quello [l’åtman] è Colui che molti, pur avendone udito, non hanno potuto afferrare e che molti [altri], purascoltandone,nonpossonoconoscere.Raroècolui che ne parla, privilegiato colui che lo ha compreso, [ma ancor più] raro è [l’aspirante] conoscitore [di Quello] istruito da qualcuno qualificato».2 19 4.83-SivedailFrammento6.8-9diparmenideripor-
tatoapag.168. 20 4.84
- Le quattro teorie esaminate sostengono rispettivamente: l’esis tenz a, la non esistenza, cont emporaneamente l’esistenza e la non esistenza, e infine la non esistenza assoluta. 21 4.85-L’ideaèchequalsiasiesperienzadivieneinu-
tile, come afferma anche la Gıtå:
«Nél’azionenélanonazionepossonomaiinteressare un simile essere in questo mondo; egli non dipende 1 plotino,EnneadivI.5.12.Op.cit. 2 Ka.I.II.7.
Cfr.ancheBha. Gı. II.29;vII.3.
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più da alcuno; né, per qualunque scopo, può trovare rifugio negli esseri».1 22 4.96 - La conoscenza di cui si parla è conoscenza
noetica,metafisica,inerenteallostessoEssereprincipiale; èconoscenzad’identità,quindinonèconoscenzaempirica la cui natura è di generare solo concetti. Si può dire che è una conoscenza che verte esclusivamente su ciò che noi realmente siamo; risponde anche al detto “Conosci te stesso” proposto dal Dio-Apollo sul frontespizio del tempio di Delfi, di cui Socrate è stato il profondo interprete ed educatore. La Bÿhadåra√yaka Upani≤ad,comelealtreUpani≤ad,perviadirettarisponde con il “So ’ham”: “Io [sono] Quello”, cioè Brahman supremo;quindiiljıvåtman,nell’enteumano,eilBrahman coincidono in modo perfetto. «Dopo aver realizzato quello stato imperscrutabile, insondabile,nonnato,inidentitàconsestesso,perfettamentepuroenonduale,noiglirendiamoomaggio».2 23 4.97
La sådhanå dell’asparŸa consiste, dunque, nel cons iderare gli oggetti grossolani (Virå†), sottili (Hira √ya garbha), germinali o noumenici (ÙŸvara) come appartenenti al dominio della relazione, del rapporto e del contatto; ciò implica, dalla prospettiva metafisica, cheessiriguardanolasferadell’apparenza-fenomeno.Si vedano le kåri kå 4.88-89. Larealtà,inquantotale,dev’essereunaeindivisibile; in altri termini, dev’essere asparŸa. L’Infinitononhanégrandezza(piccolaogrande),né durata(successionedimomentibreviolunghi),l’Infinito 1 Bha. Gı.III.18. 2 Må. Kå. 4.100.
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èdilàdaognigrandezzaedurataperchénonènétempo né spazio, per quanto questi possono essere estesi fino all’illimitato. 24 4.99 - Così i dharma
non hanno relazione con gli oggetti, sono asparŸa; ciò implica che sono della natura del Non-nato, del Brahman nirgu√a, di Turıya, senza nascita e senza fine. Ma alcuni possono arrivare solo a comprendere la dualità Creatore-creatura, possono concepire la dimensione teologica. Altri, che non sono qualificati per afferrare l’Unità principiale, propongono l’evoluzioneall’infinitodeidharma, senzamairaggiungere la perfezione. SostenerecheunDiocreiivaridharma, egliuniversi, rendendolipoiincapacipertuttal’eternitàdireintegrarsi in Esso, significaammettere una serie di incongruenze e lacune da cui difficilmente si potrà uscire, oltre al fatto che questo Dio, così concepito, presenta indifferenza e insensibilità verso le sue creature.
Considerazioni sul Capitolo IV 1. Se l’Essere-Dio è causa e gli enti sono effetti, si dovràriconoscerecheglieffettipossonoreintegrarsinella causaperchéessisonomodificazionidiquella.Uneffetto non può essere distinto dalla causa, né quindi causa ed effettopossonoconsiderarsidualitàassoluta.Anzi,l’effetto è la stessa causa che si configura come una determinata “modalità” di essere (vedi kåri kå 4.11 segg.). 2. Se gli enti autocoscienti sono emanazione o creazione di Dio o dell’Essere, allora essi sono della stessa naturadell’Essere,ancheseesprimentipropri“particolari” aspetti, dal momento che dal nulla, o da un’assoluta non realtà, nulla può venire a essere. Se la loro natura è identica,cisichiede,inchesensounasola naturadebba trovarsi in contrapposizione con se stessa? 3.Seglientiautocoscientinonavesserolapossibilità di “comprendere” il proprio “Genitore” e di ritornare a Esso, sarebbero eternamente manchevoli, incompiuti, alienatieorfani,esefosserotalinonvisarebbeperessi alcuna speranza né perfezione che possa colmare la loro eterna e assoluta incompiutezza. D’altraparte,daunDioperfettononpossononascere enti imperfetti. Sotto questa prospettiva la stessa concezione dell’evoluzionepostulatadaidualistidiventauna“concessione”superflua,perchénonrisolveilproblemaessenziale, risultando solo un gioco inutile e beffardo. 4.Seglientiel’universosonocreazioniconuninizio, devono avere anche una fine; ora, quando essi avranno
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termine dove andranno? Si dissolveranno nel nulla? Il nulla, si è detto, non può esistere, esiste solo come categoria mentale. Se,invece,nonhannonascitaefine,allorasonoinfinitiedeterniquantolacausaprimanoncausata,epoiché dueinfinitiparalleliocontrappostinonpossonocoesistere perché si annullerebbero reciprocamente, si può dedurre che i due non possono non essere unità indivisa. 5.Sel’Essere,olapersonadivina,hainséIntelligenza e potenza, perché dovrebbe creare degli enti, o dharma, che sarebbero poi eternamente manchevoli e alienati? E se anche si postulasse un mediatore tra la persona divinaeglienti,chefungessedalegame,rimarrebbepur sempre il fatto che gli enti sarebbero ugualmente privati della possibilità di ricongiungersi al “Genitore”. 6. Se, ancora, il Divino, in quanto totalità, è unità assoluta,potràmaitrovarsiinessounadualitàirriducibile come creatore creatura? 7.Eancheseidharmaavesserofacoltàdiliberoarbitrio, ciò non risolverebbe il problema; una volta risolti i loro eventuali errori, dovrebbero reintegrarsi nel Dio genitore. Daquantobrevementeèstatoesposto,sideducechei dharma non sono altro, nella loro più profonda essenza, che la causa non generata, e non possono non esserlo, e solo in modo apparente possono essere velati, limitati e separati. L’ente può “credersi” un... serpente, ma in effetti è sempre stato e sempre sarà la... corda. puòcircoscriversi,puòesserevelatodaigu√a, maciò sarà sempre un fattore relativo.
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«È per virtù di måyå che Brahman appare universo» dicono i Veda. «L’Autoesistente rese gli accessi esterni incapaci [di coglierlo]:perquesto[l’essereindividuato]vede[solo]lecoseall’esternoenonl’intimoåtman.Qualche saggio, aspirando all’immortalità, divenuto uno, rivolgendo all’interno la vista [esteriore], vide l’intimo åtman».1 Èpervirtùdimåyå-avidyåchel’individuo(condizionato dai gu√a) può considerare l’universo come Realtà assoluta. Lapiùgrandetragediachepossacapitareaunvivente, seguendo la concezione di alcune dottrine evoluzionistiche, è quella di essere creato da un Ente supremo, per il semplice motivo di farlo evolvere all’infinito, per cui è forzatamente sospinto a elevarsi per espandere sempre piùorizzontalmentelasuacoscienzaechiederemaggiore perfezione, la quale rimane pur sempre relativa perché la progressione della perfezione è all’infinito. L’ente, per quanto possa innalzarsi e dilatarsi, ha di fronte a sé un ulteriore gradino da superare che, sebbene superiore al precedente, è ugualmente manchevole e imperfetto di fronte al susseguente. In altri termini, si asserisce un dualismo assoluto: da una parte un perfetto (lo si deve anche ammettere se si postulanodeglientiperfettibili),dall’altraunamolteplicità, daessocreata,cheèimperfettaoperfettibileall’infinito, senzaunafine,senzalasperanzadellacompletamaturazione e ciò comporta una eterna infelicità. El’ente,sapendoa priori cheilsuodestino“forzato” èpursemprel’imperfezione,quindiilconflitto,nonpuò, legge permettendo, non fermarsi dov’è, nel posto o nel 1 Ka. II.1.1.
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gradinosucuigiàsitrova,rifiutandoquelprocessoevoluzionisticoall’infinitochesidimostra,inultimaanalisi, come un procedere senza soluzione o, peggio ancora, come una tragica beffa. Tra un individuo umano imperfetto e un più eccelso Essere imperfetto, è consigliabile rimanereunindividuoumano,senonaltroperlaminore responsabilità che si ha. Quando il problema evolutivo lo si pone in termini di un“semprepiù”,di“carrieragerarchicaospirituale”,nella coscienzadell’entenonpuònonscatenarsiungrandetravaglio,unatensioneepersinounospiritodicompetizione. Quando gli enti sono trascinati forzatamente ad accrescersi a dismisura in un perpetuo divenire senza fondo, costrettiariceveremansionieresponsabilitàdisempremaggioreimportanzaeampiezza,lavitadiventalotta,diventa angoscia senza neanche la consolazione della soluzione. Altrievoluzionistisostengonoinvececheglienti,nati imperfetti e manchevoli, evolvendo nel tempo-spazio, raggiungerannol’assolutezza.Questiconcedonoqualcosa di più dei precedenti evoluzionisti, ma fanno dipendere l’Assolutodaltempo (kårikå 2.24). Iltermine“divenire” qui è appropriato perché, invero, l’ente-zero non è Assoluto, ma lo “diverrà”. In altri termini, per codesti evoluzionistiiltempo,oildivenire,portaall’Essere:peròil Buddha,in accordocon tuttele Tradizioni,sostiene che, “andando”, non si arriva mai. «Né un bene così concepito sarebbe maggiormente bene perché è eterno, dal momento che il bianco eterno non è più bianco del bianco di un sol giorno».1 Ma come si può divenire se già non si è? E se già si è, non v’è alcun motivo per divenire. Se il termine evoluzione significa passare da uno stato di natura a un altro, ciò significa infirmare il principio d’identità 1Aristotele,Etica Nicomachea,I(A),6,1096b5.Laterza,Bari.
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dell’essere, il che non è conforme a ragione perché un dato la cui natura è A non può trasformarsi in altro la cui natura è B. Un meno non può divenire un più, e un non Dio un Dio. Se l’ente non ha in sé la potenzialità di essere ciò cheè,maipotràraggiungerelostatodell’Essere.Inoltre, il tempo-spazio non è altro che una “finzione” mentale, un sistema di coordinate che risponde a una categoria di pensiero. Si vedano le kårikå 4.3 segg. Ilprincipiosupremononpuòdipenderedacondizioni di tempo-spazio-causa, perché non può avere categorie mentali. L’Assoluto, o l’Infinito, è totale pienezza che si completa in se stesso. Il divenire porta al divenire e l’Essere porta all’Essere. Una quantità d’ignoranza più una quantità d’ignoranza divengono solo due quantità d’ignoranza, non già la conoscenza. Nel divenire, e teorizzando il divenire, si pospongono necessariamente i problemi fondamentali dell’ente. Chi vuole uscire dal divenire-movimento-cangiamento (saæsåra) deve fermarsi, deve reintegrarsi nel “Motore immobile” che, con la sua sola presenza, dà vita a tutte le apparenze e mutamenti. L’Assoluto, come si è già accennato, non è tempo infinito, considerato come una successione o durata illimitata, né spazio infinito, considerato come infinita grandezza (questi si trovano sempre sul piano del relativo); il principio supremo, nella sua più vera accezione, è senza tempo, senza spazio, senza secondo. nella Fisica, Aristotele asserisce che il principio supremo deve essere immobile, perché solo l’immobile è causa assoluta del mobile. per spiegare ogni movimento occorre ammettere un principio di per sé non mosso.1 1 Cfr. Aristotele, Fisica vII, 1, 242a 35 segg.; Metafisi c a II, 2, 994b 5 segg.
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Undatocomuneaglievoluzionisti,maciòèunaconseguenza inevitabile, è di considerare l’“esperienza” un basilare e indispensabile fattore di evoluzione, di avanzamento, di progresso. L’esperienza,essendounprocedimentodiordineempirico e dualistico, non può portare all’Essere, al Non agente, al Motore immobile. L’Esserenonpuòdipenderedacosecheappartengono alla dimensione del contingente, del fenomenico o della måyå perché, come prima si è detto, non dipende da tempo-spazio-causa. L’esperienza empirica è l’effetto dell’azione, è frutto dell’agire; l’esperire implica muoversi. L’azione è ka rma,eilkarma el’avidyå sonoifattoriindissolubiliche portano alla trasmigrazione. Karma-azione è desiderio irrequieto e fame di acquisizioni che servono come appoggio e giustificazione per la perpetuazione dell’io. Ma perché questo? perché l’ente, avendo dimenticato la sua vera pienezza, è costretto a esperire e acquisire cose compensatorie con le quali colmare la sua transitoria mancanza di essere. L’esperienza-azione implica estroversione, uscir fuori dallapropriaaseità,malarealizzazioneelacompiutezza non si trovano fuori dell’Essere; l’Essere lo si realizza solo con un atto di consapevolezza immediata, di “enstasi” che non è frutto dell’agire o dello sperimentare ma del “Contemplare”, del “vedere”, del “Conoscere”; né, ancora, si può ricondurre la realizzazione dell’ente a un’esperienza sensibile. Diremo che l’ente, una volta proiettatosi fuori di sé, “oblìa” il suo stato naturale, costringendosi nella sperimentazione del saæsåra (mito di Narciso), ma è proprio quando la sperimentazione cessa che l’ente, ripiegando su se stesso, si ritrova nella sua propria pienezza.
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L’esperienza empirica, più che strumento di ascesi, è strumento che perpetua la dualità Essere-divenire. Si può anche dire che l’autentica esperienza porta al riconoscimento della non esperienza, porta al riconoscimento del morire all’esperienza, e ciò è un aspetto Ÿivaita,essendoÂiva ilprincipiochevadilàdalleforme, di là dai nomi, di là dalla sperimentazione. Di conseguenza, la stessa liberazione-realizzazione non implica un“muoversi”,un“trasformarsiinaltro”,unalterarsi,un mutarsi,maimplicasolouncomprendersi,uno svegliarsi dalsonno-sognoindividualeeuniversale,unriconoscersi, un essere ciò che si è. È da questa posizione coscienziale che può essere propostal’azione,essendoquestanonpiùfineasestessa, perché permeata dall’Accordo con l’Universale, con la Giustizia (si veda platone), perché collegata al ÿta e al Dharma del principio, edificando così una Civitas sulla base della sapientia divina.
glossario Vengono riportati alcuni termini sanscriti con il loro particolare significato nel contesto di questa opera
abåhya: senza esterno, I. 26. åbhåsa: apparenza, IV. 51. abhåva: non esistenza, II. 3; IV. 83. abhaya: privo di paura, privo di timore, III. 37, 39, 40; IV. 78. abheda: non distinzione, III. 13. abhilapa: espressione, III. 37. abhiniveŸa: tenace attaccamento, IV. 75. abhinna: privo di differenziazione o frammentazione, IV. 1. abhisaævÿti: velamento, visuale empirica [di velamento], IV. 73. abh¥ta: non esistente, non realtà, non essere, III. 23; IV. 3, 4, 26, 38. abh¥tåbiniveŸa: tenace attaccamento alle apparenze, IV. 75, 79. abuddha: privo di mente [discriminante], III. 8. acala: immutabile, III. 37; IV. 45. acara: immobile, III. 31. acintya: impensabile, inconcepibile, S¥tra VII; IV. 52. adhvan: stadio temporale, IV. 27. ådhyåtmika: interno, sfera individuale, II. 16, 38.
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glossario
ådi: il primo, l’inizio, l’origine, il principio, I. 19; II. 6; IV. 14, 15, 23, 31, 92. ådimat: dotato di un inizio, IV. 30. ådiŸånta: pacificato fin dall’inizio, IV. 93. adÿ≤†a: invisibile, S¥tra VII. ådyantavattva: dotato di un inizio e di una fine, II. 7. advaita: non dualità, non duale, S¥tra VII; I. 10, 16, 17; S¥tra XII; II. 18, 36; III. 18. advaya: non duale, unico, senza secondo, II. 33, 35; III. 30; IV. 4, 45, 62, 80, 85. advayåtå: senza secondo, non duale, II. 33. agråhya: inafferrabile [con i sensi], S¥tra VII. agråhyabhåva: la natura inafferrabile [del Brahman], III. 26. aja: non nato, senza nascita, I. 16; III. 1, 19, 26, 33, 36, 47; IV.11-13, 38, 45, 46, 57, 60, 74, 80, 81, 93, 95, 96, 100. ajåta: non nato, assenza di generazione, mancanza di nascita, III. 20; IV. 6, 21, 29, 42, 43, 77. ajåti: privo di generazione, assenza di generazione, senza nascita, III. 2, 38; IV. 4, 5, 19. akalpaka: non concettuale, III. 33. åkåŸa: spazio, etere, I. 2; III. 4, 6, 7, 9, 12. akathya: inesprimibile, III. 47. ak≤aya: indistruttibile, III. 40. alabdhåvara√a: non sottoposto ad alcun velo, IV. 98. alak≤a√a: indefinibile, S¥tra VII.
glossario
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alåta: tizzone ardente, IV. 47-50. amanastå: assenza di mente, III. 32. amåtra: senza misura, non misurabile, S¥tra XII; I. 23, 29. amÿta: immortale, III. 19-22; IV. 6-8. amÿtatva: immortalità, IV. 92. am¥rta: senza forma, II. 23. anåbhåsa: che non ha immagini riflesse, che non produce apparenza, III. 46; IV. 48. anådi: privo di inizio, assenza di inizio, eterno, IV. 14, 30, 91. anådimåyå: måyå senza inizio, I. 16. anånåtva: in identità con se stesso, IV. 100. ånanda: beatitudine, I. 4. ånandabhug: che esperisce la beatitudine, I. 3. ananta: senza fine, innumerevole, II. 19, 26. anantamåtra: ciò la cui misura è senza fine, I.29. anantatå: senza termine, IV.30. ananyatva: non alterità, non differente, III. 13; IV. 12. anåpannådimadhyånta: non affetto da inizio, mezzo e fine, IV. 85. anapara: privo di effetto, I. 26. anidrå: senza sonno, I. 16; III. 36; IV. 81. animitta: assenza di causa, IV. 27, 77, 78. aniŸita: non accertato, II. 17. anitya: non eterno, IV. 59.
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glossario
anÿta: la non verità, I. 12. anta¢prajña: che sperimenta gli oggetti interni, I. 1. antaryåmin: l’Ordinatore interno, S¥tra VI. anta¢sthåna: situato all’interno, II. 1, 4. anupalambha: privo di esperienza, IV. 88. anutpanna: privo di origine, IV. 93. anutpatti: mancanza di nascita, IV. 77. anyabhåva: la natura differente, IV. 53. anyathåbhåva: cambiamento di natura, III. 21; IV. 7, 29. apara: non supremo, I. 26; II. 27. aparijñåna: conoscenza non completa, IV. 19. apavåda: la dottrina della negazione, III. 25. aprasiddha: che non è stabilito, IV. 17. aprasiddhatva: un fatto non dimostrato, IV. 38. apravÿtta: privo di attività, IV. 80. apÿthagbhåva: non esser diverso, II. 30. åptakåma: colui che ha appagato ogni volere, I. 9. ap¥rva: privo di causa, I. 26. artha: oggetto, IV. 26. ar¥paka: senza forma, III. 36. asa§ga: senza relazione, IV. 72, 96. aŸåŸvata: impermanente, IV. 60. asat: non essere, non esistente, non reale, II. 9, 10; IV. 22, 38, 40.
glossario
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asparŸayoga: lo yoga del senza contatto o relazione, III. 39; IV. 2. åŸrama: stadi di vita, II. 27; III. 16. asvapna: senza sogno, I. 16; III. 36; IV. 81. asvapnanidrå: sonno senza sogno, I. 14. atigambhıra: insondabile, IV. 100. åtman: S¥tra II, VII, VIII, XII; I. 27; II. 17, 18; III. 3, 4, 7, 11, 13, 14, 19, 32, 38. åtmamåyåvisarjita: gli aggregati dell’åtmå prodotti dalla måyå, III. 10. åtmasaæstha: stato di equilibrio [privo di cambiamento] nell’åtman, III. 38. åtmasatyånubodha: attuazione della verità che è l’åtman, III. 32. åtmaviniŸcaya: l’accertamento dell’åtman, II. 18. avastu: non sostanziale, IV. 87, 88. avastutva: ciò che è insostanziale, IV. 45. aviruddha: esente da contraddizioni, IV. 2. aviŸe≤a: non dissimile, IV. 50. avitatha: non irreale, II. 6. avivåda: esente da disputa, IV. 2, 5. avyakta: non manifesto, II. 15. avyapadeŸya: indescrivibile, S¥tra VII. avyavahårya: non agente, S¥tra VII, XII. avyaya: non soggetto a decadimento, immutabile, I. 10, 26.
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glossario
bahis: fuori, all’esterno, II. 14, 15. bahiŸcetas: all’esterno della mente, II. 9. bahisprajña: che sperimenta gli oggetti esterni, I. 1. bhåva: ente, I. 6; II. 29; III. 20, 22. bhoga: fruizione, I. 3, 9; III. 42, 43. bhoktÿ: fruitore, I. 5; II. 22. bh¥ta: realtà, ciò che è esistente, I. 22; II. 20; III. 23; IV. 3, 4, 33, 38, 41. bıjanidrå: sonno-seme, I. 13. buddha: risvegliato, illuminato, saggio, IV. 19, 42, 80, 88, 98, 99. buddhi: intelletto, II. 25. calåcala: il mutevole e l’immobile, II. 37. caturtha: quarto, il “Quarto”, S¥tra VII. cetaæŸu: raggi di coscienza, I. 6. cetas: coscienza, mente, I. 25; II. 9, 10. cetasgÿhıta: sperimentato dalla mente, II. 9, 10. citta: mente, sostanza mentale, II. 13, 25; III. 44-46; IV. 26-28, 46, 54, 61, 62, 66, 72, 76, 77. cittadÿŸya: ciò che è percepito dalla mente, IV. 28, 36, 77. cittakåla: la durata della ideazione, II. 14. cittaspandita: modificazione mentale, IV. 72. cittek≤a√ıya: oggetti di percezione per la mente, IV. 66.
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dama: autodominio, IV. 86. deŸita: insegnato, indicato, IV. 2, 42. deva: risplendente, essere luminoso, I. 10; II. 12, 19, 21. dharma: ente, ente individuato, IV. 1, 6, 8, 10, 21, 33, 53, 54, 58-60, 81, 91-93, 96, 98, 99. dharmådharma: [la diade] dharma-adharma, II. 25. dharmadhåtu: la natura essenziale, IV. 81. dharmaja: gli enti individuati generati, IV. 54. dhıra: risoluto, I. 28. dravya: sostanza, sostanzialità, IV. 50, 53. dravyatvåbhåva: inesistenza di sostanzialità, privo di sostanza, IV. 50, 52. dravyatva: la natura di sostanza, IV. 53. dÿ≤†ånta: l’oggetto di dimostrazione, IV. 20. du¢kha: sofferenza, conflitto, difficoltà, I. 10; III. 40, 43; IV. 82. du¢khak≤aya: soluzione della sofferenza, III. 40. durdarŸa: difficile da comprendere, imperscrutabile, III. 39; IV. 100. dvaita: dualità, I. 17, 18; III. 18, 31. dvaitin: dualista, III. 17. dvaya: dualità, IV. 72, 75, 87. dvayåbhåsa: apparenza della dualità, III. 29, 30; IV. 61, 62. dvayåbhåva: la non esistenza della dualità, IV. 75. dvayakåla: i due momenti temporali [inizio e fine], II. 14.
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dvayanåŸa: eliminazione della dualità, IV. 24. dvi: due, I. 11. dvipada: dotati di due piedi, IV. 1. ekåtmapratyayasåra: unica essenza di consapevolezza in quanto åtman, S¥tra VII. ekıbh¥ta: riunificato, S¥tra V. gagana: cielo, III. 8. ghana: unità indistinta, I.1. gha†åkåŸa: l’etere racchiuso nel vaso, III. 4, 5, 7. graha: accettazione, III. 38; IV. 84. gråhyagråhaka: il percipiente e il percepito, IV.72. graha√a: esperienza, IV. 37. hetu: causa, origine, IV. 14, 15, 17, 18, 23, 53, 76, 78. hetuphala: causa-effetto, IV. 16. hetuphalåjåti: l’assenza di nascita, di causa ed effetto, IV. 54. hetuphalåveŸa: la rappresentazione mentale di causa ed effetto, IV. 55, 56. hetuphalodbhava: il sorgere della causa e dell’effetto, IV. 55. hetvabhåva: assenza di causa, IV. 76. hita: benefico, IV. 2. hÿd: cuore, I. 2, 28. ıŸåna: il Signore, I. 10. ÙŸvara: il Signore, I. 28.
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jågaritasthåna: lo stato di veglia, S¥tra III. jågrat: veglia, III. 29, 30; IV. 61, 62, 65, 66. janman: nascita, III. 27, 28; IV. 15. jaråmara√a: vecchiaia e morte, IV.10. jaråmara√anirmukta: libero da vecchiaia e morte, IV. 10. jåta: nato, III. 27, 43; IV. 13. jåti: generazione, nascita, III. 3, 20; IV. 3, 6, 28. jåtido≤a: gli errori dovuti [nell’accettare] la generazione, IV. 43. jåtyåbhåsa: che ha l’apparenza della generazione, IV. 45. jıva: ente, scintilla, riflesso-raggio dell’åtman, I. 16; II.16; III. 3-7, 11, 13, 14, 48; IV. 46, 63, 65, 68-70. jñåna: conoscenza, III. 33, 38; IV. 1, 88, 89, 96, 99. jñånåloka: luce di conoscenza onnipervadente, III. 35. jñeya: il conoscibile, III. 33, 47; IV. 1, 88-91. jñeyåbhinna: non diverso dal conoscibile, III. 33; IV. 1. kåla: il tempo, I. 8; II. 2, 24; IV. 34. kålavid: il conoscitore del tempo, II. 24. kalpita: ciò che è immaginato, proiettato; rappresentazione mentale, I. 18; II. 9, 10, 14, 15. kalpitasaævÿti: visuale empirica velante, IV. 74. kåmabhoga: desiderio di fruizione, III. 42, 43. kåra√a: causa, I. 11; III. 25; IV. 11, 12. kåranabaddha: condizionato dalla causa, I. 11. kårya: effetto, I. 11; III. 6; IV. 11, 12.
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glossario
kåryakåra√abaddha: condizionato dall’effetto e dalla causa, I. 11. kåryakåra√atåbhåva: assenza di relazione di causa-effetto, IV. 52. koŸa: involucro, involucro energetico, III. 11. ko†yaŸcatasra: le quattro [teorie] alternative, IV. 84. krama: successione, IV. 16, 89. k≤ånti: la quiete cognitiva, IV. 92. laukika: lo stato ordinario (sia di veglia che di sogno), IV. 87. laya: riassorbimento, dissoluzione, I. 21; II. 28; III. 42, 44. loka: mondo, ente comune, II. 21, 36; IV. 95. lokottara: lo stato al di sopra di quelli ordinari, IV. 88. manas: mente I. 2; II. 25; III. 29-31, 34, 40, 41. måyå: movimento, velamento, proiezione magica, I. 17; II. 19, 31; III. 19, 24, 27-29; IV. 58, 61. måyåmaya: fatto di måyå, illusorio, IV. 59, 69. mithyå: non reale, II. 7; IV. 32. mok≤a: liberazione, IV. 30. mukta: liberato, II. 32; IV. 98. mumuk≤u: chi aspira alla liberazione, II. 32. muni: saggio silenzioso, I. 22, 29. nånåtva: molteplicità, III. 13; IV. 91. nåsti: che non è, che non esiste, IV. 83. navyavasthå: assenza di una valida soluzione, IV. 13.
glossario
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nåyaka: guida, IV. 98. nidarŸana: spiegazione, III. 3. nidrå: sonno, I. 14, 15. nigraha: disciplina, controllo, III. 40, 41. ni¢sa§ga: privo di attaccamento, privo di relazione, III. 45; IV. 79. nimitta: causa, IV. 25, 27. nirbhaya: esente da paura, I. 25; III. 35. nirnimitta: libero dalla causa, IV. 75. nirodha: cessazione di essere, II. 32. nirvikalpa: al di là dei concetti, privo di ideazione, II. 35; III. 34. nirvi≤aya: che non entra in contatto con alcunché, non in contatto con oggetti, IV. 72. niŸcala: privo di movimento, III. 22; IV. 80. niŸcita: di salda certezza, accertato, I. 14, 22; II. 18; III. 17, 23. nispanda: fermo, immoto, IV. 49. nitya: eterno; permanente, III. 33; IV. 11, 72. nyåyap¥rvaka: come logica conseguenza, II. 3. oækåra: la sillaba Om, il pra√ava, S¥tra VIII; I. 24-29. påda: stato, piede, S¥tra II-V; IV. 100. paramårtha: la Realtà suprema, la suprema Verità, I. 17; II. 32; III. 18; IV. 73, 74. phala: effetto, risultato, IV. 14, 15, 17, 18, 23, 76.
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glossario
prabhava: origine, I. 6. prabhu: il Signore, I. 8, 10; II. 13. pråjña: designa lo stato del jıva a livello causale, corrisponde alla condizione di sonno profondo, I. 1, 3, 4, 11-14; S¥tra XI; I. 21. prajñå: discernimento, III. 45. prajñånaghana: unità omogenea di coscienza-conoscenza, S¥tra V, VII. prajñapti: appercezione, IV. 24, 25. prakÿti: natura, sostanza, la natura intrinseca di un ente, III. 21; IV. 7, 9, 29, 92, 93. prakÿtinirmala: privo per natura di impurità, IV. 98. pralına: distruzione, III. 4. pra√ava: l’Om, la sillaba Om, I. 25-28. prapañca: dispiegamento, I. 17. prapañcopaŸama: senza alcuna traccia di manifestazione, S¥tra VII, XII; II. 35. pråpya: ciò che deve essere conseguito, IV. 85. prasava: manifestazione, I. 7. pravivikta: stato sottile, I. 4. praviviktabhug: colui che esperisce lo stato sottile, S¥tra IV. p¥rvåparåparijñåna: non conoscenza relativa all’antecedente e al susseguente, IV. 21. sadasat: il reale-non reale, esistente-non esistente, IV. 22, 40. saddhetuka: avente causa nel reale, IV. 40.
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sådhya: oggetto di dimostrazione, IV. 20. sama: stesso, identico, III. 23; IV. 77, 93. Ÿama: calma mentale, IV. 86. samådhi: contemplazione, III. 37. såmånya: identità, I. 19. samapråpta: mente pacificata, III. 44. samatva: condizione di identità, stato di equilibrio, II. 5; III. 2, 38. saæbhava: origine, nascita, III. 9, 25, 48; IV. 16, 38, 71. sambuddha: colui che ha compiutamente realizzato i dha rma, IV. 1. saækleŸa: sofferenza, IV. 24. saæsåra: divenire ciclico, IV. 30, 56. saæŸaya: dubbio, I. 17, 24; III. 30; IV. 62. saæsthita: stabilito, I. 28. saævÿti: copertura, velamento, velante, IV. 57, 74. såmya: identità, in identità con se stesso, IV. 93, 95, 100. sa§ghåta: oggetti compositi, III. 3, 10. Ÿånta: pacificato, S¥tra VII; III. 47; IV. 45. Ÿånti: pace, indistruttibile pace, III. 40. sarvajña: l’Onnisciente, base di ogni conoscenza, S¥tra VI; III. 36, 47. sarvajñatå o sarvajñåtva: perfetta illuminazione, conoscenza intera (onniscienza), IV. 85, 89. sarveŸvara: il Signore della Totalità, S¥tra VI.
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ŸåŸvata: permanente, eterno, IV. 57. ŸåŸvatåŸåŸvata: permanente e impermanente, IV. 60. sat: l’esistente, il reale, II. 9; III. 27; IV. 22 , 37, 41. satya: la verità, I. 12; III. 48; IV. 71, 78. Ÿiva: benefico, S¥tra VII, XII; I. 29; II. 33. smÿta: tradizionalmente accettato, IV. 88, 90, 94. sÿ≤†i: creazione, manifestazione, I.7-9; II. 28; III. 15. sthåna: stato, condizione, II. 5, 11. sthånidharma: l’ente individuato che si trova in una data condizione, II. 8. sth¥la: grossolano; il piano di esistenza grossolano, I. 4; II. 23. sth¥labhug: che esperisce gli oggetti grossolani, I. 3. sukha: felicità, beatitudine, pienezza, III. 45, 47; IV. 2. s¥k≤ma: sottile, II. 23. sunirvÿta: perfettamente imperturbabile, IV. 93. su≤upti: sonno profondo, III. 34, 35. su≤uptasthåna: lo stato di sonno profondo, S¥tra V. svabhåva: la propria autentica natura, I. 9; III. 22; IV. 8. svamåyå: il potere di måyå, II. 12. svapna: sogno, I. 14, 15; II. 1, 3-5, 7, 31; III. 29, 30; IV. 32, 33, 36, 37, 39, 41, 61-64. svapnasthåna: lo stato di sogno, S¥tra IV. svapnamaya: fatto di sogno, IV. 68. svapnamåyå: il sogno e la proiezione magica, II. 31.
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svapnavÿtti: modificazione di sogno, II. 9. svastha: stabilito in se stesso, III. 47. taddÿŸya: oggetto di percezione, IV. 64, 66. tadvid: colui che conosce, II. 20-25, 27, 28. taijasa: splendente, luminoso, S¥tra IV; I. 1-4; S¥tra X; I. 11, 14, 23. tattva: realtà, verità, oggettività, I. 15; II. 20, 30, 38; III. 19, 27, 28; IV. 58. tattvavid: conoscitore della Verità, II. 34. tattvıbh¥ta: divenuto tutt’uno con la realtà, II. 38. tåyin: onnipervadente, IV. 99. trikåla: il triplice tempo, S¥tra I. turıya: il “Quarto”, I. 10-15. uccheda: distruzione, annientamento, IV. 57. ucchedin: distruttibile, soggetto a distruzione, IV. 59. upacåra: pratica rituale, III. 36. upadeŸa: istruzione, insegnamento, I. 18. upalabdhi: percezione, IV. 24. upalambha: percezione empirica, IV. 42-44, 90. upapatti: dimostrazione, argomentazione, III. 10. upåsanå: meditazione, pratiche devozionali, III. 1, 16. utåvara√acyuti: risoluzione dello schermo velante, IV. 97. utpåda: nascita, IV. 38. utpatti: generazione, manifestazione, III. 1, 14.
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utsarga: risoluzione, III. 38. utseka: incessante, III. 41. uttama: supremo, III. 47, 48; IV. 71. uttama adhama madhyama: superiore, inferiore e medio, IV. 76. vaiŸåradya: perfezione conoscitiva, IV. 94. vaiŸvånara: relativo a tutti gli uomini, S¥tra III. vaitathya: non realtà, II.1, 3, 9-11. vandhyåputra: “il figlio di una donna sterile”, III. 28. vastu: ente, ciò che esiste, esistente, realtà, IV. 22, 44. vastvåbhåsa: ciò che ha l’apparenza della sostanzialità, IV. 45. vedapåraga: perfettamente competente nei Veda, II. 35. vedåntaniŸcaya: la definitiva conclusione del Vedånta, II. 12. vedavid: conoscitore dei Veda, II. 22. vibhu: onnipervadente, I. 1, 10. vibh¥ti: manifestazione, I. 7. vijñåna: mente, IV. 47, 48, 50-52. vijñeya: ciò che deve essere realizzato, ciò che si deve conoscere, S¥tra VII; III. 34; IV. 9, 88, 90. vikalpa: proiezione molteplice, ideazione, I. 18; II. 18. vikalpita: immaginato, variamente concepito, I.7; II. 17, 19. viparyåsa: errore conoscitivo, falsa percezione, I. 15; IV. 27, 41. viparyaya: errore, IV. 46.
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vipra: saggio, IV. 86. viŸårada: perfettamente puro, IV. 93, 100. viŸe≤a: qualificazione, qualificazione distintiva, II. 14, 15. viŸva: il Tutto considerato nella sua unità-interezza, II. 31. vitatha: non reale, II. 6; IV. 31. vyavasthå: soluzione stabile, IV. 13. yajña: sacrificio, II. 22. yati: asceta itinerante, II. 37.
iNDiCE avvertenze riferimenti bibliografici introduzione
5 10 15
MÅ÷‡ÎkyakÅrikÅ upaNi≥aD
Considerazioni sul Capitolo IV
23 25 29 46 69 82 97 114 125 158 173
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Saluto di Âa§kara Introduzione di Âa§kara all’Upani≤ad Capitolo i fondato sulle scritture Note al Capitolo i
Capitolo ii sulla non realtà [della dualità] Note al Capitolo ii
Capitolo iii sulla non dualità Note al Capitolo iii
Capitolo iV sulla estinzione del tizzone ardente Note al Capitolo iV