Le voci arcane. Palcoscenici del potere nel teatro e nell'opera 8843090526, 9788843090525

Il volume esplora - da una prospettiva interdisciplinare - i diversi aspetti della repraesentatio maiestatis nel teatro

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Italian Pages 199/198 [198] Year 2018

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Le voci arcane. Palcoscenici del potere nel teatro e nell'opera
 8843090526, 9788843090525

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LINGUE E LETTERATURE CAROCCI /

277

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Le voci arcane Palcoscenici del potere nel teatro e nell 'opera A cura di Tatiana Korneeva

@ Carocci editore

Il volume è stato realizzato grazie ai fondi dell'EURIAS (European Institutes of Advanced Studies) e dello European Research Council (ERe ) , operativamente gestiti dall'Istituto di Studi di Avanzati, Alma Mater Studiorum Università di Bologna e dalla Freie Universitiit Berlin

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MARIE CURIE

European Resean:h Council Established by the European Commission

L'editore è a disposizione per i compensi dovuti agli aventi diritto

1' edizione, novembre �018 ©copyright �018 by Carocci editore S.p.A., Roma

Realizzazione editoriale: Elisabetta Ingarao, Roma Finito di stampare nel novembre �018 da Grafiche VD srl, Città di Castello ( PG) ISBN

978-88·430·905�-5

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 2.2. aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume

anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

II

Introduzione d i Tatiana Korneeva

I.

Di verità alterate e complesse strategie. Giovan Carlo de ' Medici e l' Ipennestra di Moniglia e Cavalli ( Firenze I654-58) di Nicola Usula

25

I. I. I.2. I-3· I-4·

Un'opera per il principe di Spagna· I 6 s 8 Un'opera per la granduchessa di Toscana· I654 Un'opera per il Teatro della Pergola· I6 S I- S 8 Un principe per l'opera di Giovan Carlo

26 29 32 38

2.

La crudeltà nel dramma europeo del Seicento di]oachim Kupper

45

2.I. 2.2. 2-3· 2-4·

Teatri di crudeltà e spettacoli di orrore Teatro come origine dei mass media Palliativo alla frustrazione Gradatio crudelis e la civilizzazione

45 48 SI 54



"Tirannia degli uomini", "tirannia del Cielo" nelle azioni sacre di Zeno, Metastasio, Granelli di Elisabetta Selmi

59

3-I.

Dall' Oratorio alla Tragedia biblica: metamorfosi sceniche, classicismo edificante, didassi politica Re penitenti, oracoli funesti e sacrifici inumani Da Athalie a Gioas. Il "trono di Giuda'': uno specchio per i prìncipi Regalità terrena, sovranità celeste

3.2. 3-33·4·

7

59 64 71 75

INDICE 4·

Il sovrano e la legge nella tragedia del Settecento. Un percorso tra Italia e Francia di Enrico Zucchi

85

4.I. 4.2. 4·3· 4 · 4·

Da Atene a Venezia: una tragedia contra tyrannos Tragedia e genio nazionale sotto il regno di Luigi XIV Il sovrano e la legge da Bodin a Muratori Il sovrano e la legge nei testi tragici: una campionatura

85 87 90 94



L' opéra-comique e il dialogo sul potere di Martin Wlhlberg

IOI

s.I. s .2.

La presenza del re sulla scena classica francese L'arrivo del teatro musicale italiano La Partie de chasse d'Henri IV di Charles Collé Il dialogo sulla regalità in Le Roi et lefermier di Sedaine

I02 I04 I08 III

Drammaturgie del potere nella tragedia schilleriana. I monologhi politici di Fiesco e Wallenstein d i Daniele Vecchiato

119

6. I. 6.2. 6.3. 6.4.

Il teatro come istituzione morale La trasformazione di Fiesco L'irresolutezza di Wallenstein L'uomo politico al centro del teatro pedagogico di Schiller

I 20 I23 I26 I29



L'una e l'altra Clemenza. Le scene dell ' impero di Elisabetta Petrovna e Caterina n di Tatiana Korneeva

I35

7.I. 7.2. 7·3·

Il manifesto del potere di Elisabetta La clemenza a doppio taglio di Caterina Metastasio all'uso di Russia

I36 I42 I48

8.

Pulcinella, il teatro, la festa e la scena arcana di Piermario Vescovo

I 53

8.I. 8.2. 8.3.

Contrafocta Ultimi carnevali «Tra Purcinella e Iddio »

I 54 I60 I68

H

5·4· 6.

8

IND I C E 9·

Eclatanti voci arcane. Lucrezia Borgia dalla scena alla storia di Bruno Capaci

9.1. 9.2.. 9· 3 · 9 · 4·

Le due Lucrezie Il bisbiglio della storia Dal drame al pornodramma Una conclusione a tre voci

173

Indice dei nomi

197

Gli autori

9

Introduzione di Tatiana Korneeva

Il teatro e l 'opera, fin dalle loro origini in epoca umanistica e rinascimen­ tale, si sono configurati come generi drammatici densi di valenze politiche e caratterizzati da un inesausto confronto con le dinamiche del potere. In­ numerevoli opere veicolavano un messaggio pedagogico destinato sia ai so­ vrani sia ai loro sudditi, dotato di una valenza eminentemente politica. In altre rappresentazioni si magnificavano i fasti del potere assoluto, non sen­ za eloquenti allusioni e palesi riferimenti allo status quo del regime domi­ nante. In altre circostanze teatrali ancora veniva celebrato un rituale sociale volto a sancire e rinnovare il mandato conferito ai rappresentati del potere dal popolo sovrano. Cerimonie spettacolari e memorabili venivano indet­ te in occasione di incoronazioni, battesimi, nozze, successi militari, visite ufficiali di ospiti illustri e processioni di Stato, mentre le feste principesche costituivano soprattutto il momento di incontro tra le classi dominanti e i sudditi. Il popolo partecipava alla messa in scena dei simboli del potere e poteva avvicinarsi, attraverso il monarca, alla perfezione delle divinità. Se da una parte teatro e opera fungevano da raccordo tra il potere e il suo in­ terlocutore, dall'altra proponevano « scenari di potere » (Wortman, 1995, p. 4) che scaturivano dalla mescolanza dei generi drammaturgici e riflette­ vano la luce di ogni regnante. Una ricerca su teatro e potere non è senz 'altro nuova, e negli ultimi decenni, a partire dalle opere indispensabili di Carl Schmitt, Walter Benja­ min, Reinhart Koselleck, Jiirgen Habermas, Miche! Foucault, Stephen Greenblatt e Giorgio Agamben, si sono moltiplicati gli studi sul simboli­ smo politico del teatro in varie epoche storiche e in diversi contesti geogra­ fici e culturali, approfondito attraverso varie metodologie critiche'. Questo 1 . Cfr., ad esempio, il recente volume di Bloemendal e Smith (20r6) sul rapporto tra politica ed estetica nella tragedia barocca; sulle interconnessioni tra l'opera sei-settecente­ sca, come spettacolo e come istituzione, e il concetto di sovranità, si veda Feldman (2007 ) .

Il

TATIANA KORNEEVA

volume mette in luce il paradosso della rappresentazione della voce del po­ tere in un contesto pubblico e dunque descrive gli arcana imperii tra opera e commedia, dramma sacro e profano e iconografia. Adottando una pro­ spettiva comparatistica e interdisciplinare, il libro esplora vari aspetti della repraesentatio maiestatis nel teatro drammatico e musicale europeo dal Sei­ cento all 'Ottocento, ponendo alcune questioni cruciali. I saggi qui raccolti vogliono in primo luogo approfondire i cambiamenti che in senso diacro­ nico hanno modificato la rappresentazione del potere e di conseguenza le modalità allusivo-metaforiche attive nei testi teatrali nel passaggio dalla ce­ lebrazione della monarchia all 'esaltazione della rivoluzione prima e dell 'i­ deologia patriottica risorgimentale in seguito. In secondo luogo, il volume, a partire dalle analisi ravvicinate di alcuni casi specifici, ricostruisce i pro­ cessi di trasformazione subìti dai testi teatrali, operistici e melodrammatici nel momento in cui essi, da strumenti di celebrazione (ma spesso anche di sovversione nello stesso tempo) della monarchia, diventano fenomeni sce­ nici finalizzati alla critica morale dei rappresentanti del potere e alla pro­ paganda risorgimentale. Infine, scopo di questa raccolta di studi è indagare se, come e in quale misura il teatro e il melodramma, in quanto istituzione sociale e spettacolare diffusa in tutta Europa, abbiano contribuito a spinge­ re la nazione verso posizioni antiassolutistiche e unitariste. Non si pretende di esaurire qui un argomento così vasto e complesso. Ciò nonostante, questo tema fondamentale per la storia della scena euro­ pea trova un ulteriore arricchimento nei saggi raccolti in questo volume. Esplorando i diversi campi tematici e le situazioni tipologiche legate alla teatralità del potere, che vanno dalla rappresentazione delle figure rega­ li sul palcoscenico (Kiipper, Zucchi, Wahlberg, Capaci) alle strategie au­ topromozionali di un regnante sottese alla scelta di un soggetto (Usula, Korneeva), dal mutamento dell'immagine della monarchia nei diversi ge­ neri drammatici (Wahlberg) al variare della valenza politica di un 'opera nel passaggio da un codice linguistico e da un contesto storico-politico all 'altro (Korneeva), dal tema della giustizia e dei processi penali (Zucchi, Korneeva) al fondamento etico del potere (Capaci) e alle questioni della responsabilità individuale e del conflitto delle passioni suscitate dall 'eser­ cizio del potere nella librettistica religiosa (Selmi) per arrivare, infine, alla carnevalizzazione dell' intera società nelle rappresentazioni iconografiche (Vescovo) . I saggi offrono approfondimenti critici sul linguaggio dei po­ tenti, che è per definizione misterioso e cifrato, ma che una volta portato sul palcoscenico, tra canto e recitazione tragica, diviene in qualche modo popolare. 12

INTRO D UZIONE

L'ordinamento dei capitoli segue un filo cronologico preciso, che par­ te dal teatro barocco e giunge, con l 'ultimo saggio, fino alla stagione del melodramma romantico. Alla dimensione temporale si affianca la dimen­ sione spazio-culturale, con i saggi che esplorano la realtà non solo italiana, ma anche quella di altri ambiti geografici, come il contesto olandese, tede­ sco, francese, spagnolo, inglese e russo. L'ampia periodizzazione e conste­ stualizzazione permette di intrecciare una molteplicità e una complessità di punti di vista esaminando e approfondendo la riflessione e la prospettiva su alcune strutture fondanti del rapporto tra teatro e potere. L' indagine condotta in questo volume comincia nel Seicento, quan­ do, dopo la sua nascita a Firenze nel I6oo, si diffonde in Italia il genere del melodramma, una forma di produzione e di consumo culturale alla quale va riconosciuta la caratteristica di pubblicità nel duplice senso della parola, di propaganda e manifestazione dell 'autorità da un lato e di appartenen­ za alla sfera della vita pubblica dall 'altro (Bianconi, 1 9 9 I, p. 205). Il saggio di Nicola Usula, posto in apertura del volume ( cAP. I ) , ci conduce ver­ so l 'approfondimento di questi aspetti del teatro melodrammatico, ovvero del suo fungere da strumento di festa e di celebrazione del potere. Un caso emblematico di un tale uso dell 'opera è I'Ipermestra di Giovanni Andrea Moniglia e Francesco Cavalli, allestita nel I 6 s 8 al Teatro della Pergola di Fi­ renze per celebrare la nascita del principe spagnolo Filippo Prospero. Se la rivisitazione del mito antico sulla salvezza di una dinastia reale in pericolo era adatta ad omaggiare gli Asburgo spagnoli e la rinnovata speranza di una discendenza diretta e si prestava a una facile lettura metaforica, lo studio dei testimoni superstiti del testo drammatico e musicale rivela tuttavia di quanta flessibilità e duttilità fosse capace l 'opera di fronte al rapido mutare delle contingenze politiche e sociali dell'allestimento. Usula mostra come nel caso dell 'Ipermestra, che costituiva uno dei più spettacolari e famosi eventi celebrativi d ' Europa, si assista ad un 'inversione dei piani gerarchici e ad un ribaltamento dei ruoli e delle funzioni nel rapporto tra teatro e po­ litica. Innanzi tutto, l 'analisi rivela come l'allestimento dell 'opera non fosse un prodotto encomiastico e uno strumento diplomatico volto a consolida­ re i rapporti tra il granducato di Toscana e la corona spagnola. Contraria­ mente a quanto si potrebbe pensare, la nascita dell'erede spagnolo finisce per convertirsi in un lieto pretesto per rendere omaggio alla famiglia medi­ cea e al cardinale Giovan Carlo de ' Medici in particolare. È stato proprio questo momento di festa per la venuta al mondo del principino asburgico ad offrire l 'occasione perfetta per esaltare l 'arte teatrale e riportare Firen­ ze al ruolo di leader internazionale nel campo dello spettacolo operistico.

TATIANA KORNEEVA

Nel Seicento le opere drammatiche erano il riflesso della realtà stori­ ca e un prodotto delle pratiche di discorso e delle istituzioni dell 'epoca. La rappresentazione barocca della regalità, tuttavia, nascondeva all 'occhio dello spettatore la vera natura del potere sovrano, ovvero la debolezza del principe, la sua incapacità di governare, decidere e agire. Lo studio ormai classico di Walter Benjamin sul dramma tragico tedesco (1999) ha messo in luce quanto la sovranità barocca avesse bisogno di una messa in scena per celare il fatto che nulla alimentava il suo potere se non il consenso e l' ap­ plauso di una folla di spettatori. Secondo la ricostruzione benjaminiana, la teoria giuridica della sovranità barocca era fondata sull'apparenza scenica e sull'antitesi tra l 'assolutezza del potere sovrano e la sua effettiva capacità di governare. L'ostentazione delle ricchezze materiali delle classi dominanti durante le feste pubbliche e l 'esaltazione del loro potere contribuivano il più delle volte a dissimulare una realtà politica problematica. Gli studi pro­ dotti dalla corrente critica del neostoricismo, caratterizzati da un esplicito intento demistificatorio nei confronti dei testi letterari, hanno messo in luce invece il potenziale sovversivo della letteratura ma anche le relazioni ambigue - « negoziazioni » , adottando la terminologia di Stephen Gre­ enblatt (1998) - che il teatro musicale e di parola intratteneva con le strut­ ture ufficiali del potere. Questi studi hanno esplorato la questione chieden­ dosi fino a che punto la pratica discorsiva del teatro, nella sua apparente sovversione, non fosse invece un modo per contenere le spinte sovversive e consolidare l'ordine sociale. In questo contesto interpretativo, il saggio di Joachim Kiipper ( CAP. 2) si interroga sulle ragioni che giustificano la propensione del dramma ba­ rocco a rappresentare la crudeltà e le violenze perpetrate nei confronti dei personaggi regali e sul messaggio che le opere del teatro tedesco, inglese, francese, spagnolo e olandese, di carattere sia religioso che profano, tra­ smettevano al loro pubblico. Perché, si chiede l 'autore, i regnanti della pri­ ma età moderna si compiacevano di vedere i loro omologhi smembrati sul palcoscenico, violentemente uccisi o ridotti a vittime del fato ? Nell ' inter­ pretazione di Benjamin, la funzione delle opere religiose era quella di un "catechismo drammatizzato", mentre quelle profane dovevano fortificare la morale dei sovrani e prepararli ad affrontare con integrità d'animo la loro sorte nel caso in cui fossero colpiti da sciagure simili a quelle rappresentate nella finzione drammatica. Poiché gli allestimenti delle tragedie non erano limitati esclusivamente ad un contesto di corte, Kiipper si propone di ap­ profondire le riflessioni benjaminiane indagando l 'effetto prodotto dai re­ soconti minuziosi dei più atroci misfatti compiuti a danno dei potenti sul 14

INTRO D U ZIONE

pubblico delle classi medie e di bassa estrazione sociale. Prendendo spunto dalla teoria freudiana della letteratura, lo studioso mostra che il piacere di vedere i regnanti andare incontro alle sciagure e soffrire ancora di più delle persone comuni proprio per lo scarto abissale tra la loro originaria condi­ zione privilegiata e la catastrofe in cui precipitavano non aveva nulla a che fare con la potenzialità sovversiva della tragedia su cui si è soffermata inve­ ce la riflessione neostoricista. Al contrario, l ' impatto di queste opere sugli spettatori si spiega con la funzione palliativa del teatro barocco, che ha aiu­ tato a domare il malcontento dei sudditi nei confronti del sistema assoluti­ stico e a canalizzare la loro aggressività. Il contributo di Kiipper arricchisce dunque la prospettiva interpretativa di Benjamin e Greenblatt e la nostra comprensione delle funzioni politiche del teatro nella prima età moder­ na approdando a due conclusioni. lnnanzitutto, l'importanza del teatro barocco non si riduceva affatto alla sua portata pedagogica e al suo ruolo di educazione sia del sovrano che dei suoi sudditi. La funzione del teatro andava ben oltre quella dell' instrumentum regni utilizzato dal sovrano in tempo di guerra per incrementare il sentimento eroico-patriottico dei sud­ diti, in tempo di pace per rinsaldare il rapporto di fiducia tra sovrano e po­ polo. Per la sua capacità di catalizzare l ' insoddisfazione dei sudditi nei con­ fronti del sistema assolutistico e distrarli dalla miseria quotidiana, il teatro della prima età moderna può essere considerato l 'equivalente di ciò che è oggi la cultura di massa, uno strumento per produrre coesione sociale. Sebbene l 'arte drammatica barocca fosse di natura allegorica e tesa a nascondere il vero volto del potere, i primi due saggi hanno messo in evi­ denza come le allusioni, le metafore e le iperboli fossero profondamente rivelatrici dei meccanismi del potere stesso e delle connessioni inestricabi­ li tra il teatro e la storiografia politico-culturale. Ma se già nel Seicento il teatro non si limitava a celebrare i fasti delle autorità, nel Settecento esso diventa parte integrante della discussione sui temi centrali del discorso po­ litico, quali i diritti e i doveri i doveri e i diritti dei re, il rapporto tra sovrano e legge e tra sovrano e Provvidenza, tra la sfera pubblica e quella privata. Fa­ cendo luce sui conflitti e le aporie del potere, il teatro rivela le dissonanze e smaschera le voci arcane dei governanti alimentando attivamente il discor­ so critico sulle multiformi manifestazioni delle regalità. Le opere che ven­ gono prese in esame nei saggi successivi sono pertanto politiche nel senso della viva partecipazione al dibattito coevo sui temi centrali dell'attualità 2.. Per la teoria del teatro della prima età moderna come primo mass medium, cfr. Kiip­ per (2.018).

TATIANA KORNEEVA

del loro tempo, che le assegna un posto di rilievo nella storia della cultura e del pensiero politico. Elisabetta Selmi ( CAP. 3) esplora, attraverso l'analisi di alcuni melo­ drammi e oratori sacri di Apostolo Zeno e di Pietro Metastasio, nonché delle tragedie bibliche del gesuita Giovanni Granelli, comprese nell 'arco cronologico del primo Settecento e nel dibattito italo-francese dell'età del­ la riforma classicistica e dell'erudizione "arcadicà' e della querelle sulla mo­ ralità e la legittimità di un teatro rivolto al trattamento di temi biblici, le modalità drammatiche con cui i tre autori misero in scena il rapporto tra il piano "sovra-eternale" del fato, dell 'intervento divino, della Provviden­ za e le dinamiche terrene in cui agiscono la responsabilità individuale, il libero arbitrio, il conflitto di passioni suscitate dall 'esercizio del potere da parte di re ed eroi tragici. Sulla sinopia, sempre implicitamente richiamata, del grande archetipo classico, quello di Edipo e dell 'oracolo funesto, dello scontro tragico fra l'azione dell'eroe e l 'iter signatum da un destino imper­ scrutabile, melodrammi come Sisara ( 1 7 3 6 ) o Sedecia (1732.) di Zeno, la Morte di Abel (1732.) o Gioas re di Giuda ( 1 7 3 5) di Metastasio, o tragedie quali Sedecia (1732.) o Sei/a (1761) di Granelli s ' interrogano, attraverso un gioco allusivo di rispecchiamenti attualizzanti - significativamente conno­ tati dai contrasti in corso fra le diverse sensibilità religiose del secolo - che intercorrono fra i personaggi e le vicende bibliche messe in scena e i sovrani e la realtà storica, sui temi della giustizia e della legittimità del potere, sul modello della sovranità settecentesca nel rapporto fra religione, morale e politica, fra la ricerca terrena di libertà e felicità e l'azione di un superiore ordine metafisico. Un'ulteriore illustrazione della presenza sempre più incisiva del teatro nella vita pubblica e politica è offerta dal saggio di Enrico Zucchi ( CAP. 4 ), che analizza le differenze relative alla rappresentazione delle figure del mo­ narca nella tradizione drammatica francese e italiana tra Seicento e Set­ tecento. La tragedia francese, pur basata sul recupero di quella greca, di stampo democratico e pertanto antimonarchico, appare refrattaria alla rap­ presentazione sulla scena dei sovrani che si macchiano di qualche colpa, in conformità con i principi dell'assolutismo. Al contrario, la tradizione tragica italiana, fedele al modello greco, riproponeva senza simili preoccu­ pazioni i tiranni del teatro antico. In virtù di questa predisposizione, nella tragedia italiana del Settecento si impone precocemente la riflessione sui limiti del potere sovrano e sul rapporto fra il monarca e la legge, che in Francia verrà affrontata soltanto più tardi ma assumerà una rilevanza stra­ ordinaria nel periodo p re e postrivoluzionario. L'autore mostra in questo

INTRO D UZIONE

modo che la tragedia del Settecento non si limita più ad essere specchio fe­ dele delle convinzioni dominanti, ma partecipa essa stessa alla discussione politica, generando a propria volta una forma del discorso politico di epoca moderna. Il saggio di Martin Wahlberg (cAP. s) approfondisce le problemati­ che della rappresentazione delle figure reali nella drammaturgia francese affrontandole da due punti di vista. In primo luogo, l 'autore mostra l' evol­ versi diacronico delle strategie di rappresentazione della sovranità; in se­ condo luogo, mette in luce il loro mutamento nei vari generi drammatici. L' indagine di Wahlberg mostra come la rappresentazione estremamente codificata delle figure reali (in cui la tragédie classique aveva la prerogativa sulla rappresentazione eroica del sovrano, il ballet royal si poteva vantare della partecipazione del re Luigi XIV in prima persona nel ruolo del primo ballerino, i prologhi encomiastici dell 'opera, il genere-simbolo della nazio­ ne francese, corroboravano la continua relazione tra la finzione operistica e la sfera politica, mentre la commedia poteva ricorrere a figure di re anche se solo per ristabilire l 'ordine dal disordine) cambi con l'avvento dell 'opera buffa italiana e il successivo sviluppo del nuovo genere dell ' opéra-comique a partire degli anni Cinquanta del Settecento. Un caso particolarmente rap­ presentativo di rottura con la tradizione precedente è indagato a partire dal confronto tra due opere sullo stesso soggetto, la commedia La Partie de chasse d'Henri IV (I7 6 o) di Charles Collé e l' opéra-comique Le Roi et le fermier (I762.) di Michel-Jean Sedaine, musicata da Pierre-Alexandre Mon­ signy. La commedia di Collé, che celebrando Enrico IV denigrava il suo indegno successore, Luigi xv, offre un esempio di come il teatro cominci ad essere usato non come strumento di celebrazione del potere monarchi­ co, ma per palesare i difetti dell'An cien Régime. Nel libretto di Sedaine si riscontra invece non solo un modo nuovo e potenzialmente pericoloso di rappresentare le figure reali sul palcoscenico, ma anche un approccio ine­ dito al discorso sul potere nel teatro pubblico. Infatti, l 'intenzione del li­ brettista era quella di superare il genere della farsa comica per avvicinarsi a quello dell' inchiesta filosofica e al trattato sulla teoria dello Stato. Indizi sintomatici di tale riorientamento in senso critico-speculativo dell ' opéra­ comique nel libretto di Sedaine possono essere individuati nella presen­ tazione astratta del personaggio regale, nell' intenzione di offrire una ri­ flessione universalmente valida sulla natura della monarchia, e infine nella messa in scena di un dialogo dialettico tra il re e un suo umile suddito sulla vanità della vita di corte e le qualità del buon sovrano. Quello che Wahl­ berg dimostra è come il teatro cessi progressivamente di essere usato come 17

TATIANA KORNEEVA

baluardo dell'ordine monarchico per diventare uno strumento di denuncia di tutto ciò che in quell 'ordine non funziona, denuncia di un 'ingiustizia di principio, di un errore politico. Spostandosi verso il contesto teatrale tedesco, Daniele Vecchiato ( cAP. 6) esplora la densità e la complessità del discorso politico nell 'opera drammatica di Friedrich Schiller e riflette sul successivo cambiamento del­ le funzioni pubbliche di un teatro che si fa tribunale e acquisisce lo statuto di istituzione morale. Analizzando l'evoluzione delle strategie rappresen­ tative con cui il drammaturgo tedesco descrive « scenari di potere » ispirati dalla storia e indagando i conflitti psicologici e ideologici dei protagoni­ sti della Verschworung des Fiesco zu Genua (1783) e della trilogia UTallen­ stein ( 179 8-99 ) , l'autore ricostruisce le modalità con cui Schiller, negli anni di passaggio dal pre- al post-Rivoluzione francese, affronta la tematica del fondamento etico del potere e problematizza i rapporti tra sfera privata e sfera pubblica, tra individuo e collettività. Smascherando le menzogne del potere, Schiller arriva a teorizzare una legislazione del teatro come rime­ dio alla corrotta legislazione dello Stato, come spazio politico-giurisdizio­ nale. Se i drammi in prosa e per musica del primo Settecento educavano i regnanti attraverso le immagini di sovrani virtuosi e illuminati, verso la fine del secolo lo sforzo pedagogico del teatro viene indirizzato verso lo spettatore, stimolando una riflessione critica sui moventi illeciti e immora­ li che spesso sottendono l 'azione politica, sulle aporie dell 'agire pubblico e sull 'anima autentica del potere che viene messa a nudo sul palcoscenico. Vecchiato offre dunque in ultima istanza una visione del teatro come spazio privilegiato per una riflessione critica sui meccanismi del potere nel periodo che Reinhart Koselleck ha definito Sattelzeit (Koselleck, 1 9 72, p. XIV ) , ovvero la fase di transizione verso l 'epoca moderna, l'arco tempo­ rale in cui matura il pensiero illuminista con la sua vocazione alla critica e all 'utopia. Il saggio della curatrice del volume ( cAP. 7 ) sviluppa un'altra intuizione di Koselleck, appuntandosi sulla radicale revisione del rapporto tra morale e politica durante l ' Illuminismo da lui esaminata nello studio Critica illuminista e crisi della societa borghese (1959 ) . Secondo il teorico tedesco, proprio il dualismo tra la morale e la politica, che era il punto di forza dell'assolutismo, si rivela l 'aspetto più sfruttato dali ' Illuminismo per realizzare l 'opera di destrutturazione dell 'antico regime. In questa prospet­ tiva critica, Korneeva si occupa di due testi teatrali che partecipano al vivo dibattito illuministico sulla possibilità di riconciliare la politica con la co­ scienza morale. Le opere in questione sono due riscritture russe della Cle­ menza di Tito di Metastasio : l 'opera seria composta per l 'incoronazione

INTRO D UZIONE

dell ' imperatrice Elisabetta Petrovna nel I742 e la prima tragedia in musica di Jakov Knjaznin, scritta nel I77 8 su commissione di Caterina II. Ad offrire fecondi spunti di riflessione non sono soltanto le due opere in sé, entrambe di grande rilevanza pubblica e sociale, che testimoniano in maniera incisi­ va come cambino le immagini della regalità nel passaggio da una sovrana ali ' altra e nell 'avvicendarsi dei rispettivi « scenari del potere » . Il confron­ to tra le due riscritture del libretto metastasiano per il pubblico russo serve anche a mettere in luce la capacità intrinseca delle opere drammatiche di ospitare discorsi in opposizione e competizione tra di loro : se da una parte entrambi i rifacimenti ostentano discorsi tesi al consolidamento dell 'ideo­ logia uffìciale del potere, dall'altra essi lasciano intravvedere in controluce discorsi sovversivi, volti a rivelare la verità sui nuovi dispositivi e le nuove tecniche di governo. Interessante, sotto questo profilo, è soprattutto come i due testi interpretano l'esercizio della clemenza sovrana. Neli'opera seria, spettacolo uffìciale e quindi particolarmente vincolato da forme di censura e autocensura, il tema della clemenza permette di dipingere l' imperatrice Elisabetta come riformatrice capace di realizzare il progetto illuminista che ambisce a risolvere il problema del dualismo tra la ragion di Stato e la sfera morale e privata. La tragedia in musica rivela invece quanto illusorio e uto­ pico fosse questo progetto, lasciando intendere come la clemenza di Cate­ rina II non fosse affatto una riduzione della pena capitale, bensì un potente strumento di disciplinamento e una forma estrema di punizione. Fino a questo punto si è delineato un percorso in cui il teatro si carica sempre di più di significati pubblici, ideologici e morali, valicando gli an­ gusti confini della società chiusa, fittizia, delle corti e dei palazzi signorili per riversarsi sulla piazza pubblica e popolare. Se agli albori della moder­ nità la funzione del teatro era quella di garantire un contatto illusorio tra governanti e governati, ora la scena entra in più diretto contatto con la vera società, con tutti i suoi fermenti e le sue lacerazioni. Il culmine di questo processo viene raggiunto nell ' Europa post-Rivoluzione francese, di cui la Venezia tardosettecentesca, nell ' imminenza della caduta della Repubbli­ ca, rappresenta forse una delle manifestazioni più eclatanti. Sono queste le coordinate spazio-temporali entro cui s ' inquadra il saggio di Piermario Vescovo (CAP. 8 ) , dedicato al « teatro riflesso nella pittura » , e in partico­ lare all 'album pittorico di Giandomenico Tiepolo. Vescovo si interroga e dimostra le ragioni per cui Tiepolo, in una società invecchiata e pervasa da un 'endemica sensazione di sfacelo negli ultimi anni di storia della Sere­ nissima, dipinga costantemente Pulcinella, figura fondamentale del teatro italiano. L'approfondita indagine sul parallelismo riscontrabile tra le rap19

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presentazioni delle scene veneziane in chiave parodica e pulcinellesca pro­ poste da Tiepolo e il mondo superato della commedia dell 'arte rivitalizza­ to dal suo contemporaneo Carlo Gozzi, ultimo protagonista della scena lagunare, rivela come dopo la Rivoluzione francese la licenza del carnevale venga abolita e l 'intera città di Venezia si carnevalizzi diventando in ogni tempo dell 'anno una società-spettacolo, un grande teatro di burattini tutti identici nelle loro casacche bianche. A questo punto è legittimo chiedersi se ci sia stata una continuità nel mutamento delle immagini di potere e della loro valenza simbolica anche dopo la caduta dell 'Ancien Régime, e se dopo l ' Unità d' Italia il teatro sia riuscito a rivestire il ruolo di tramite dell'idea di nazione. A partire dagli anni Novanta si è assistito ad un dibattito in chiave politico-culturale tra i musicologi e gli storici sulla valenza politica del melodramma italiano e su quanto esso fosse stato concepito o si prestasse ad essere interpretato dal pubblico come stimolo alla liberazione nazionale (Banti, 2000; Zoppelli, 2ou; Sorba, 2015). Ricollegandosi implicitamente a questa disputa critica, il saggio di Bruno Capaci (CAP. 9) prende le mosse in particolare da un paradosso : l 'opera italiana postrisorgimentale era il più delle volte basata sulle trame di drammi francesi o inglesi composti da autori come Victor Hugo, per citare solo un esempio, i quali, per celebrare il Grand Siede fran­ cese come nuovo Rinascimento, avevano degradato quello italiano - con un 'evidente falsificazione della realtà storica - ad archetipo di un passato tirannico. È questo il caso della Lucrezia Borgia (1833) musicata da Gaeta­ no Donizetti su libretto di Felice Romani e tratta dall'omonima tragedia di Victor Hugo rappresentata qualche mese prima. Capaci illustra la com­ plessità del destino letterario di una sovrana e delle forme di rappresen­ tazione del passato facendo dialogare la Lucrezia romantica plasmata da drammaturghi, compositori e librettisti dell ' Ottocento con la vera Lucre­ zia rinascimentale, la cui voce viene fatta affiorare dalla corrispondenza se­ greta custodita presso l 'Archivio di Stato di Modena. Donizetti e Romani fanno della duchessa di Ferrara non solo un'eroina negativa, ma persino un mostro morale, una dark lady avvelenatrice macchiata anche delle colpe e dei misfatti politici del fratello Cesare e del papa Alessandro VI, un depre­ cabile prototipo del male, insomma, che condensa in sé le manifestazioni più clamorose dell'abiezione privata e politica. Si potrebbe a questo punto affermare che il teatro romantico non solo prosegue sulla via della rappre­ sentazione della regalità fino a qui delineata, che va dalla glorificazione alla denuncia del potere, ma si spinge ancora oltre. Il melodramma italiano ap­ proda in ultima analisi alla detronizzazione dell'autorità, alla stigmatizza20

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zione dei suoi difetti etici e morali, fino al punto di produrne una rappre­ sentazione grottesca che tuttavia non ha un valore satirico perché contiene in sé un'accezione tragica. Proprio per questa rappresentazione negativa e, nel caso di Lucrezia Borgia, anacronistica della sovranità rinascimentale, il melodramma italiano di epoca romantica non riesce in definitiva a pro­ durre un efficace discorso identitaria né a fornire al pubblico un concetto coesivo di nazione (Zoppelli, 2011, p. 467 ). Nel loro insieme, le molteplici interconnessioni tra i saggi delineano continuità del pensiero nell'individuare i mutamenti della rappresentazio­ ne del potere che segna il percorso verso la modernità. Questa linea critica va dalla sacralizzazione del sovrano, attraverso il quale il pubblico dei sud­ diti poteva avvicinarsi alla perfezione di Dio, alla dissacrazione della sovra­ nità sulla scena, trasformando gradualmente lo specchio fedele dell ' inde­ fettibilità del monarca in un prisma che assorbe e riflette le crescenti ten­ sioni relative allo statuto della monarchia. Si può osservare come dalla rap­ presentazione codificata e allegorica del potere caratteristica del Barocco europeo si giunga, nel Settecento e Ottocento, a svelare il vero volto che il potere avrebbe voluto tenere celato, se non addirittura a denunciare la sua mostruosità e abnormità. Nel passaggio dal teatro privato, delle acca­ demie e della corte, al teatro pubblico, si constata inoltre un cambiamento nel rapporto tra i committenti e i destinatari della finzione drammatica : da instrumentum regni dei governanti e forma artistica al servizio del potere, che viene usata talvolta come palliativo della sofferenza e dell ' insoddisfa­ zione popolare e talvolta come potente mezzo di disciplinamento, il teatro diventa progressivamente uno strumento di critica dell 'assolutismo messo in mano ai governati, un atto di accusa nei confronti di una ragion di Stato autoreferenziale e quindi un'arma in difesa di valori libertari ed egualitari. In sintesi, le informazioni che forniscono i saggi si incrociano tra loro dan­ do risonanza ad una pluralità di voci sulle problematiche relative alla rap­ presentazione della sovranità nei secoli, voci provenienti da diversi contesti europei e destinate a suscitare una mobilitazione dell'opinione pubblica sui temi del potere e ad influenzare così le sorti della società. * * *

Le idee, le riflessioni e i saggi contenuti in questo volume sono il frutto di un lavoro iniziato nel 2o16 e concluso nel 2o18 a Venezia. Le tappe di que­ sto percorso sono state il panel "Scenari di potere: immagini della sovra­ nità e pedagogia politica nella tragedia" (Università Ca' Foscari, Venezia, 21

TATIANA KORNEEVA

convegno "Maschere del tragico", 14- 1 6 dicembre 201 6), il workshop inter­ nazionale "Le voci arcane. Palcoscenici del potere nel teatro e nell 'opera tra Sette e Novecento" (Bologna, Istituto di Studi Avanzati, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, 25 maggio 2018) e infine la giornata di studi "Luoghi, attori, rappresentazioni del teatro italiano nell ' Europa del Settecento" tenutasi presso il Centro Tedesco di Studi Veneziani il 19 giu­ gno 2018. Uno scenario, quindi, tutto italiano, ma animato da una vocazio­ ne internazionale e da una pluralità di voci ribadita dall 'orientamento mul­ tidisciplinare. Nel momento in cui concludo questa ricerca voglio ringra­ ziare coloro i quali l ' hanno non solo vissuta ma ispirata, nella condivisione di una ricca e aggiornata metodologia di studi che emerge dalla lettura di questi saggi confermando la passione che li ha suscitati. Il libro è stato realizzato grazie all 'apporto dellaftllowship EURIAS (Euro­ pean lnstitutes of Advanced Studies) , nell 'ambito del programma Marie Sklodowska- Curie Actions - COFUND della commissione europea e ope­ rativamente gestito dall' Istituto di Studi Avanzati, Alma Mater Studio­ rum - Università di Bologna e ai fondi del progetto "Dramanet" finan­ ziato dallo European Research Council ( ERe ) Advanced Grant, realizzato presso la Freie Universitat Berlin. Venezia, agosto 2018 Bibliografia

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I

Di verità alterate e complesse strategie. Giovan Carlo de' Medici e l' Ipermestra di Maniglia e Cavalli (Firenze 1654-s8)* di Nicola Usula

Era il 3 gennaio del 1658, quando con l'invio degli auguri a Madrid per la nascita dell 'erede al trono di Spagna Filippo Prospero (I6S?-I66I) il cardi­ nale Giovan Carlo de ' Medici diede il via a un bluffdi portata internazio­ nale. Il fratello del granduca Ferdinando I I scriveva « in congratulazione » del lieto evento e informava il re Filippo IV del fatto che a Firenze si sareb­ be fatta una « commedia in musica e con macchine preparata a tal conto » : L'Ipermestra di Giovanni Andrea Maniglia e Francesco Cavalli (Teatro della Pergola, I6s8)'. Tuttavia lo studio delle fonti dell'opera ha messo in luce quante e quali verità alterate si celino dietro la dedica dell 'opera al principino spagnolo, e con l'ausilio di numerose lettere relative ali ' Ipermestra conservate n eli'e­ pistolario di Giovan Carlo, e attraverso i risultati dell'analisi dei testimoni superstiti della festa teatrale, in queste pagine farò luce sull 'inganno diplo­ matico che sottende alla dedica dell 'opera, e darò conto delle vicende che condussero L 'Ipermestra dallo scrittoio di Maniglia al palcoscenico del Te­ atro della Pergola. Contribuirò infine al riconoscimento del compito stret­ tamente politico che questa festa teatrale assolse nel 16s8, dall'autopromo­ zione della famiglia granducale alla gestione del delicato equilibrio che i I risultati di questo contributo derivano dagli studi preliminari per l'edizione critica del libretto e della partitura dell' Ipermestra, rispettivamente a cura mia e di Christine Jean­ neret (prevista per il 2019-20 nella serie "Francesco Cavalli: Opere" dell'editore Barenrei­ rer di Kassel). Nel 2o16 sono stati parzialmente presentati a Marsiglia ( in occasione della "Journée Cavalli et l'opéra à Venise" in collaborazione con la Internarional Musicological Society, 12 marzo) e a Bologna (al xx Colloquio di Musicologia del "Saggiatore musicale': 19 novembre). 1. Alla lettera di Giovan Carlo si fa riferimento nella risposta del residente, Ludovico Incontri, inviata da Madrid a Firenze il 23 febbraio x6s8. Mediceo del Principato, f. 5285, c. 319r, edita in Mamone (2003, n. sSx). Per le lettere del carreggio del cardinale e del suo segretario Desiderio Montemagni rimando qui di seguito all'edizione curata da Sara Ma­ mone (ibid.), e alla resi di dottorato di Nicola Michelassi (1997) (nei passi riportati qui di seguito mi riservo di sciogliere tacitamente tutte le abbreviazioni) . •

NICOLA USULA

Medici portavano avanti da tempo nel campo degli schieramenti europei di tendenza fìlospagnola e fìlofrancese•.

1.1

Un'opera per il principe di Spagna· 1 6 5 8

La premiere dell ' Jpermestra del r 6 5 8 è uno degli allestimenti operistici se­ centeschi meglio documentati in assoluto, sia grazie all' impegno di diffu­ sione portato avanti dal committente mediceo (che inviò copie del libret­ to stampato per l'occasione in tutta Italia e oltre)\ sia per la fortunata so­ pravvivenza di un alto numero di testimoni di natura letteraria, musicale, epistolare e anche iconografica, caso particolarmente raro per le opere del Seicento4• Il punto di partenza privilegiato per ripercorrere le vicende che portarono l'opera a diventare un instrumentum di natura diplomatica so­ no sicuramente le fonti date alle stampe nel r 6 s8, in occasione del primo allestimento. Nel piano di pubblicizzazione dell'opera dedicata al principe Filippo Prospero rientrava, infatti, la diffusione di una documentazione il più possibile dettagliata su quanto si ascoltò e si guardò al neonato Teatro della Pergola, ma soprattutto sulla portata del dispiegamento di forze che i Medici operarono «per celebrare il giorno natalizio del real principe di Spagna » (Maniglia, r 6 s 8a, p. [1] ) . 2.. Gli studi fondamentali sull'argomento sono: Ademollo (1888); Decroisette (1972.; 1984; 2.ooo); Bianconi (1973); Weaver, Wright Weaver (1978, pp. 1 2.1-3); Yans (1979); Mi­ chelassi (1997; 2.002.); Accademia degli Immobili (2.010 ). 3· Numerose lettere del carteggio di Giovan Carlo testimoniano questa fervida attività di marketing: ad esempio quella di Francesco Cicognini che da Roma il 2.9 giugno 1 6 5 8 scri­ ve al cardinale di aver consegnato alcuni libretti; o quella del cardinale Francesco Maidal­ chini che ringrazia per l' invio del « ritratto nelle stampe » della « bellissima commedia >> cui non ha potuto assistere ; e ancora quella di ringraziamento per l'invio di una copia del libretto, spedita da Massa il 2.8 luglio dello stesso anno da Carlo Cybo Malaspina. Tra le più importanti figurano anche quelle da e per Madrid: il 2.4 luglio risulta infatti un invio di « sei libbri della commedia >> a Lodovico Incontri, che il 7 settembre risponde al cardinale dalla corte di Spagna (Mamone, 2.003, nn. 616, 62.1, 62.4, 62.9 e 1061). 4· I testimoni dell'opera saranno presentati dettagliatamente nella succitata edizione critica in corso di preparazione a cura mia e di Christine Jeanneret. Tra le fonti più interes­ santi si annoverano i bozzetti di Stefano della Bella con gli abiti dell' Ipermestra, per i quali rimando allo studio di Dearborn Massar (1970); mentre per i numerosi documenti ico­ nografici dell'allestimento del 1 6 5 8 si vedano Decroisette (1996) ; e Spettacolo meraviglioso (2.ooo, ad indicem) .

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D I VERITÀ ALT E RATE E C O M P L E S S E STRAT E G I E

Per tale motivo, s i diedero alle stampe due importanti testi. I l primo, di natura drammatica, fu il libretto, corredato di una dozzina di incisioni di Silvio degli Alli basate sulle scenografie dell'architetto che ideò la Pergola, Ferdinando Tacca (ivi)l. La seconda fonte, stampata probabilmente poco dopo la premiere, è invece la dettagliata Descrizione della presa d'Argo e degli amori di Linceo con Ipermestra curata da Orazio Ricasoli Rucellai6, ricca di informazioni relative allo spettacolo (dramma per musica e « abbattimen­ to » ) e ai retroscena della produzione dell ' Ip erm estra , la cui prima è qui datata al I8 giugno7• Quest 'ultima fonte dichiara quali furono le origini dell 'allestimento, o perlomeno quanto i Medici volevano si sapesse in merito. Innanzitutto Rucellai, oltre a descrivere il teatro e le scenografie, fornisce una sintesi del contenuto delle scene dell 'opera, assieme ai nomi di tutti coloro che par­ teciparono all ' impresa spettacolare : architetto, autori, intendenti dell 'al5. La collaborazione di Degli Alli ali' impresa dell' Ipermestra gli valse una promozione a quanto risulta da una lettera inviata il 6 luglio, in cui il padre di Silvio, Lelio degli Alli, rin­ grazia il cardinale Giovan Carlo per aver promosso il giovane artista a « gentiluomo della sua camera » (Mamone, 2.00 3, n. 619 ). La data della dedica del libretto a Don Luis Méndez de Haro firmata da Moniglia il 1 2. giugno, è erroneamente intesa come data della premiere da Peter Jeffery (1980, p. 193). 6. L' identificazione dell'autore della Descrizione (Ricasoli Rucellai, 1658) è fornita da Moniglia stesso una trentina d'anni dopo l'allestimento fiorentino nella « Lettera al corte­ se lettore » del primo volume dell' editio princeps delle sue Poesie dramatiche, in cui si legge che per ordine del cardinale stese la Descrizione della festa teatrale « il signor priore Orazio Ricasoli Rucellai, gentiluomo della camera del serenissimo granduca Ferdinando di Tosca­ na >> (Moniglia, 1 6 8 9, vol. I, p. XI ) . 7· Se prendiamo per veri i dettagli relativi alla premUre del 1 8 giugno riportati nella Descrizione (dalla ressa davanti al teatro a mezzogiorno, agli svenimenti delle dame durante l'abbattimento), il resoconto dovrebbe esser stato stampato autonomamente e dopo la pri­ mapeiformance, mentre probabilmente il libretto fu pubblicato in tempo da poter esser di­ stribuito in teatro già in occasione della prima. Nondimeno, fin dalle primissime riprese è probabile che il libretto e la Descrizione siano stati stampati assieme ; infatti nella Descrizio­ ne stessa Rucellai attribuisce a Silvio degli Alli « i rami che dentro al presente libro si vedo­ no impressi >> , i quali, pubblicati dentro il libretto, e non nella Descrizione, suggeriscono che l' indicazione « dentro al presente libro>> si riferisca a una stampa congiunta (Ricasoli Ru­ cellai, 1 6 58, p. 32.) . Allo stesso modo confermano tale ipotesi le parole dell'editore bolognese che ristampò il libretto dell'opera nel 1 6 58, il quale, nella lettera al « Lettore cortese >> , scri­ ve : « non ti doler me co s'io non ti faccio vedere anche la prosa che fu stampata nell'opera di Firenze per dilucidazione della stessa >> (corsivo mio, Moniglia, 1 658b, p. [Y] ) . In merito al­ la data della premiere va sottolineato che quella riportata da Ricasoli Rucellai ( 1 658, p. 9, 1 8 giugno), non corrisponde a quella che si evince dai Dispacci da Firenze conservati nell'Archi­ vio di Stato di Modena e citati da Lorenzo Bianconi e Thomas Walker (1975, p. 439, n 2.46, 2.2. giugno) . 2. 7

NICOLA USULA

lestimento, coreografi, ballerini e persino i cavalieri che presero parte al combattimento scenico. Ed è proprio a partire dalla decisione di mettere in scena il cosiddetto « abbattimento » che parrebbe esser nata l 'esigenza di comporre L ' Jpermestra. Nella Descrizione si legge, infatti, che per festeg­ giare la nascita dell'erede al trono di Spagna, il cardinal Giovan Carlo con­ vocò il marchese Tommaso Guidoni e gli commissionò « un abbattimento di cavalieri più numeroso di qualunque altro si fusse in alcun tempo vedu­ to » . Però « dovendosi dar motivo e cagione a sì fatta battaglia con qualche poetico ritrovamento » chiese al medico di corte e librettista Maniglia di scegliere, riferendosi alla stirpe dei monarchi spagnoli, « qualche favola o istoria grave ed eroica, la quale in piccol modello ed in qualche minima parte simboleggiasse l 'invidia del destino e delle stelle, che s ' ingegnava di rompere il filo a sì gloriosa propagazione, vinta poi dall'ineffabil Provi­ denza del Cielo » (Ricasoli Rucellai, r6s8, p. 4). La dinastia asburgica di Spagna rischiava infatti l 'estinzione, e la nascita di Filippo Prospero pare­ va essere la risposta divina a quella « invidia del destino e delle stelle » che minacciava il lignaggio reale iberico8• La Descrizione racconta che il poe­ ta, dunque, « ritrovò subitamente per adeguata composizione la guerra e la presa d'Argo [ ... ] : così in brevissimi giorni ne mise fuori il disteso » . Il dramma, poi, « speditamente si trasmise al sig. Francesco Cavallo a Vene­ zia, [ . . . ] [il quale] con prestezza incredibile ne rimandò il componimento di tanta dolcezza e soavità di stile che [ . . . ] può dirsi che abbia superato sé stesso » (ivi, pp. 4-5 )9• Tutto sembrerebbe filare liscio, se si tiene conto anche del fatto che la trama dell' Ipermestra pare adattarsi perfettamente all 'occasione. Come scrive Ricasoli Rucellai nella Descrizione, infatti, « lpermestra da Danao [suo padre] fu data a Linceo per isposa, a fine eh' essa l 'uccidesse » , ma la gio­ vane si rifiutò di assassinare l'amato, «per la qual cosa, mercé di femmina sì generosa e feconda, il reame d 'Argo si rinnovella per lunghissima serie di 8. In realtà il principe sarebbe morto di lì a poco nel 1661, e la successione sarebbe stata assicurata dal futuro Carlo n (1661-1700 ), la cui morte nel 1 700 provocò la nota Guerra di successione spagnola, che impegnò mezza Europa fino al 1713-14. 9· Sul medico e drammaturgo Maniglia si vedano: Decroisette (1977; 1995); Weaver (2001 ) ; Gargiulo (1999) ; Mamone (2003, ad indicem) ; Michelassi, Vuelta Garda (2004; 2013, ad indicem) ; Catucci (2ou). Per Francesco Cavalli e il contesto veneziano secentesco si vedano almeno : Wiel (1914); Bianconi (1973); Glover (1978); Jeffery (1980); Bianconi, Walker (1984); Vio (1988); Rosand (1991 e 2013, ad indicem) ; Alm, Walker (2001) ; Fabris (2005); Glixon, Glixon (20o6); e le edizioni critiche della serie "Francesco Cavalli: Opere" pubblicate a Kassel dall'editore Barenreiter sotto il generai editing di Ellen Rosand e Lo­ renzo Bianconi.

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successori » , e dalla stirpe degli argivi « il poeta fa derivare tutta l 'augustis­ sima progenie austriaca » (ivi, p. s). Il rapporto tra il soggetto dell 'opera e l 'occasione encomiastica non ri­ guarda, però, solo un piano di lettura metaforico, ma anche il vero e pro­ prio testo drammatico : anche tra i versi del libretto a stampa del I 6 58, e più specificamente nel prologo e nella scena finale dell'opera, si leggono chia­ ri riferimenti all 'occasione. All 'inizio del dramma, infatti, il Sole canta di splendere più del solito « sol per dar vita a sì beato giorno, l in cui dell 'Ar­ no in riva l purpureo eroe d'alta virtute amante l festeggia al gran nata! del Regio Infante » , e ancora, più avanti, dopo avergli risposto «Al nascer di Filippo l piovver dai nostri lumi, l bella face del ciel, benigni influssi » , Venere aggiunge di esser arrivata a Firenze «per celebrare i l dì pomposo e festo l che diede vita al gran Monarca ibero » (Moniglia, I 6 s 8a, pp. [VII­ XI] ) . Nel finale, infine, Moniglia, dopo aver presentato la figura di Ercole per bocca di Giove, fa cantare a quest 'ultimo che « da sì fulgido germe l avrà Filippo un dì regio natale » , mentre a Venere, che fino alle ultime bat­ tute del dramma si era opposta al matrimonio di Ipermestra e Linceo, sono affidati i versi: « Al nome di Filippo l svaniscan l 'ire e si dilegui il duolo : l per sì cara memoria l s 'annidi nel mio petto l sol la gioia e 'l diletto. l Di trionfi presago l palme irrighi l' Ibero, allori il Tago » (ivi, p. 77 ) .

1.2

Un 'opera per la granduchessa di Toscana· I 6 S 4

Il messaggio inviato dai Medici al resto d ' Europa parrebbe incontroverti­ bile, se i conti non avessero iniziato a non quadrare quando Lorenzo Bian­ coni ( I973 ) intuì che in una lettera del I 6 54, ben quattro anni prima della premiere dell 'opera, ci si riferiva ai preparativi per l 'allestimento dell ' Iper­ mestra. Nello specifico si trattava di una missiva del famoso castrato Atto Melani inviata il 27 settembre I 6 5 4 al suo protettore, il principe Mattias de ' Medici, fratello di Giovan Carlo, in cui si legge dell'arrivo del primo atto di una commedia in musica da Venezia, che il cantante e Leonora Bal­ lerini avrebbero dovuto presto provare'0• La conferma dell' identità della IO. Una porzione di questa lettera (conservata nell'Archivio di Stato di Firenze, Me­ diceo del Principato, f. 5452, cc. 747Y-748v) fu trascritta per la prima volta da Alessandro Ademollo (I8 84, p. 70, n I), il quale pensava, però, che la «commedia » del « Cavallo» di cui scriveva Melani fosse il Xerse, composto su libretto di Niccolò Minato per la prima 29

NIC OLA USULA

composizione di cui parla Atto Melani arriva qualche giorno dopo. Il 2 ot­ tobre, infatti, sempre in una sua lettera a Mattias, riferendosi probabilmen­ te di nuovo a Leonora Ballerini, il cantante afferma di voler « che anche Ipermestra faccia ben la sua parte » ", il che assicura che le origini dell'ope­ ra, apparentemente ideata e composta per Filippo Prospero, precedano di gran lunga la nascita del principe spagnolo. Al confronto tra il testo del libretto stampato nel I6s8 e quello degli al­ tri testimoni dell'opera emergono una serie di elementi che chiariscono nel dettaglio la vicenda. Innanzitutto già in entrambi i finali della parti tura au­ tografa dell ' Ipermestra - tutti e due, probabilmente, confezionati nel I6 54 gli interventi di Giove e Venere, se paragonati a quelli del libretto a stampa, rivelano alcune interessanti incongruenze, illustrate nella TAB. I. I". I riferimenti continui a «Vittoria » che leggiamo nel testo messo in musica nella parti tura autografa non lasciano dubbi : il dramma per musica concepito nel I6 54 era un omaggio alla prima donna di Toscana, la grandu­ chessa Vittoria della Rovere, moglie di Ferdinando I I . Ma l'esatta occasione per la quale l 'opera fu concepita si legge tra i versi del prologo di questa ver­ sione antica, riportata per esteso in un libretto manoscritto dell 'lpermestra fino ad oggi trascurato da chi si è occupato dell 'opera (benché Margaret Murata ne abbia segnalato l'esistenza già nel I9 7S)'1• In questo codice, in veneziana del 1654. Una sintesi ragionata delle informazioni fornite da Ademollo (1884) e Bianconi (1973) si legge in Weaver, Wright Weaver (1978, pp. 121-3), mentre l'edizione integrale della lettera si legge in Mamone (2013, n. 9 0 0 ) . 11. La lettera (Mediceo del Principato, f. 5453, cc. 595-596) edita in Mamone (2013, n. 902) è già nota a Bianconi (1973). 12. La parti tura autografa è conservata nella Biblioteca Marciana di Venezia nel Fondo Contarini con segnatura IT IV, 362 (9 886). Il manoscritto presenta un primo finale, steso dalla mano di Cavalli, in cui si innestano due bifolia (nell'ultimo sesterno, dopo la c. 133) che contengono un secondo finale, il quale fu composto per perfezionare il precedente. Il finale ritoccato presenta più materiale poetico e musicale rispetto al primo, ma soprattut­ to la riscrittura del passaggio per il Coro d'Amorini e il Coro di Ninfe « D 'ogni cor dolce catena » , che da sezione «a 2 soprani >> è riscritto per un ensemble vocale a sei voci. Con­ trariamente a quanto affermato da Williams Brown (2013, p. 72), che distingue tra un fina­ le relativo al 1654 e uno al 1658, i due finali paiono entrambi collegati alla prima ipotetica produzione, e non alle modifiche apportate in vista dell'allestimento del 1658, dal momen­ to che entrambi presentano riferimenti a Vittoria della Rovere. I contributi più importanti sul codice sono : Wiel ( 1 888, pp. 1 1 -2) e Jeffery (1980, soprattutto pp. 1 9 3-204) . 1 3. Il codice, segnalato in Murata (1975, pp. 1 36, 142), si conserva nella Biblioteca Ca­ sanatense di Roma con segnatura MSS 1294 (da qui in avanti Maniglia, 1654). Il prologo di questo codice (assente nella partitura autografa di Cavalli, che inizia direttamente con la scena I.1) corrisponde a quello del manoscritto contenente prologhi dedicati a Vittoria della Rovere, conservato nell'Archivio di Stato di Firenze (Arch. Med. 6424, n. 9), segna-

�o

I.

D I VERITÀ ALTE RATE E COMPLE S S E STRAT E G I E

TABELLA 1.1 Tre flnali dell' Ipermestra tratti dalla partimra autografa di Cavalli e dal libretto a stam­ pa del 1 6 5 8 Finaln dtlla partitura [ 16 54]

Finale II della partitura [ 16 14]

Scena ultima del libretto del rlfs8 Gjove

Da sl fulgido germe avrà Filippo un dl regio natale, e, fatto agl'avi eguale, ammirerassi ancora in fasce avvolto, minacciando ai tiranni orror, stragi c ruinc,

[

..

.]

Al dolce suon di sì bcad evend, Giove

Giove

In questo giorno, o figlia,

In questo giorno, o figlia,

che succede a quel dì, per cui s'unire

che succede a quel dì, per cui s'unire

dei più benigni aspetti

dei più benigni aspetti

gravidi i lumi di celeste giro,

gravidi i lumi di celeste giro,

giorno d'eterna gloria

giorno d'etcrna gloria

fecondo a noi d'un' immortal Vittoria,

fecondo a noi d'un'immortal Vittoria,

come, A.glia, vorrai

come, figlia, vorrai

eu sola, e pur vorrai

tener degl'occhi tuoi torbidi i rai ?

tener dcgl" occhi cuoi torbidi i rai ?

tener degl'occhi tuoi torbidi i rai ?

[. ] ..

Venere

Yénere

Al nome di Vittoria

Al nome di Filippo

svaniscan l ' ire e si dilegui il duolo :

svaniscan l ' ire e si dilegui il duolo:

per sl cara memoria

per sl cara memoria

trionfi nel mio petto

s'annidi nel mio petco

sol la gioia c 'l diletto :

sol la gioia c 'l diletto.

ecco già porge tribueario il core

Di aionlì presago

d'una dca di beltà la dea d'amore.

palme irrighi l'Ibero, allori U Tago.

[ ]

[

...

..

.]

Oh come a questi detti

Oh come: a questi detti

s'involan dal mio sen l'ombre d'affanno:

s'involan dal mio scn l'ombre d'affanno:

U tuo nobU naeale,

il tuo regio natale

non so se dir mi deggi' o donna o diva,

alma gloria degl'avi al Bcti in riva ,

gl'estinti spirti del diletto avviva.

gl'estinti spirti del diletto avviva.

NIC OLA USULA TABELLA 1.2 Estratti dal prologo del libretto manoscritto [ 1 6 5 4] e di quello a stampa del r 6 s 8 Libretto manoscritto

[16 54]

Libretto de! IosB

Sole

Venere

Al nascer di Vittorio

Al nascer di

Filippo

piovver da' nostri lumi,

piovver dai nostri lumi

o bclla dca d'Amor, benigni influssi;

bclla foce del ciel, benigni influssi. L'accolse in sen la gloria

l 'accolse in sen la Gloria e

l'adorata cuna

e la gemmata cuna

la fabricò Fortuna.

gli fabbricò Fortuna.

apertura d'opera Venere chiede al Sole di cingere « l 'aurata chioma l dei più lucidi raggi » per disperdere « d 'orrido verna i gelidi rigori » ; il dio le domanda dunque il perché di tale richiesta "fuori stagione", specificando che in quel preciso momento « dal sen d'Acquario atre procelle sospinge austro nemboso » (Moniglia, r 6 54, cc. 6 v-7r). L'allestimento era previsto dunque tra il 2r gennaio e il 19 febbraio, sotto il segno dell'Aquario, e nello specifico, come canta Venere più avanti, «per celebrare il dì pomposo e fe­ sto l in cui dell'Arno la famosa diva l ebbe regio natale » (ivi, c. 9rv). L'o­ pera era dunque in progetto per il 7 febbraio del r 6 s s , giorno del trentatree­ simo compleanno della granduchessa, e la sua dedica allafirst lady medicea - sia stata messa in scena o meno (e comunque non al Teatro della Pergola, ben lungi dall 'essere completato) - fu occultata ad arte nel r 6 s8, benché, fonti alla mano, si mostri a noi con chiarezza (cfr. TAB. 1.2 ) ' 4 •

1.3

Un'opera per il Teatro della Pergola · r 6 s r- s 8

Dali'epistolario del cardinale emergono tutti i particolari della lunga gesta­ zione del dramma, la quale pare sia cominciata addirittura già nel r 6 s r. Il 13 gennaio di quest 'anno, infatti, Giovan Carlo scriveva al fratello Mattias che si stava cominciando a « imbastire L 'Ipennestra » , ma non sappiamo di cosa si trattasse a quell 'altezza cronologica : se di un dramma in prosa o lato per la prima volta in Weaver, Wright Weaver (19 78, p. 1 28), e analizzato da Michelassi (1997, p. 277, n 280 ) 14. Il progetto per l'allestimento del 1655 è ignoto a Geneviève Yans (1979). .

I.

D I VERITÀ ALT E RATE E C O M P L E S S E STRAT E G I E

i n versi, e soprattutto s e i n musica o meno (Mamone, 2003, n . 3 I 9 ) . È cer­ to però che il progetto fu accantonato almeno fìno al I 6 S4, quando, il I 6 maggio, Bartolomeo Corsini scrisse al cardinale da Venezia : « ci recammo [ ... ] dal signor Cavallo per sentire il suo senso circa la commedia che ha de­ stinato Vostra Altezza farli mettere in musica » (ivi, n. 442). Per comporre la musica dell' Ipermestra non si scelse dunque un musicista dell 'entourage della corte fìorentina, ma il più famoso compositore d'opera allora dispo­ nibile : Francesco Cavalli'\ il quale non si lasciò sfuggire l'occasione di scri­ vere un 'opera «per il Granduca » , come si legge a chiare lettere sulla prima carta della partitura autografa'6• Intorno al 4 luglio il compositore ricevet­ te il libretto di Moniglia e preventivò il completamento della partitura per metà ottobre (ivi, nn. 4 5 6, 459 ) , tuttavia, sappiamo che consegnò il primo atto tra fìne agosto e inizio settembre per chiudere solo a fìne novembre col prologo e « l'ultima mano all 'opera » (alla quale si può ascrivere la revisio­ ne del fìnale dell'autografo)'7• La scelta di un compositore così famoso (e costoso) trova giustifica­ zione nell 'ottica di una performance che doveva essere memorabile'8, e che avrebbe dovuto coronare il sogno di Giovan Carlo : l'inaugurazione del Te­ atro della Pergola. Tale « stanzone » , gestito dali 'Accademia degli Immobi­ li, sarebbe stato lo strumento principale per l'allineamento di Firenze agli 15. L' ingaggio di Cavalli per L'Ipermestra, unitamente agli intermezzi che il composi­ tore cremasco compose per una commedia di Moniglia già nel 1 652, rientra tra i preceden­ ti che nel r6s6 gli fecero dedicare le sue Musiche sacre al cardinale mediceo con le parole : « degnatosi comandarmi altre composizioni, ha già reso avvezzo l'udito alle mie debolez­ ze » (Cavalli r 6s6, cit. in Bianconi 1973). r 6. Per il copista che vergò l' iscrizione si veda Jeffery (1980, pp. 248-9). 1 7. Lettere in Mamone (2003, nn. 46 9, 476, 483, 489, 490, 492); e anche in Miche­ lassi (1997, pp. 2.74-7). Tale scansione cronologica è in parte confermata dall' iscrizione « 7 7·b" » che si legge sul recto della prima carta del secondo atto della partitura autografa di Cavalli, la quale potrebbe documentare che in tale data, dopo la consegna del primo atto, Cavalli avesse iniziato a comporre il seguito. Peter Jeffery (che legge « 2 7·b" >> ) ritiene che dal 2. settembre 1 6 5 4 al 2 ottobre dello stesso anno Cavalli abbia completato la composi­ zione del resto dell'opera (Jeffery, 1 9 8 0, pp. 1 9 8-9), e ciò dipende dal fatto che nella sue­ citata lettera del 2 ottobre inviata da Atto Melani a Mattias de ' Medici, il cantante scrisse che « tutta la commedia >> fu cantata in presenza del « serenissimo principe Leopoldo [ . . . ] in carnera del serenissimo cardinale >> , informazione (fallace) che ha indotto in errore tutta la storiografia fino al ritrovamento delle lettere che documentano l'ordine delle consegne della musica da parte di Cavalli. 1 8. Il 2 gennaio da Venezia Giovan Francesco Rucellai scrisse a Giovan Carlo che Ca­ valli sarebbe stato pagato ben duecento piastre da Niccolò Guasconi (come già si era pat­ tuito nelle precedenti lettere) «perché così è stato di sodisfazione del medesimo signor Cavalli >> (Mamone, 2.003, n. 501).

NIC OLA USULA

standard operistici del secondo Seicento1�, ma il suo completamento richie­ se più tempo del previsto e, così come si legge in molte lettere dell'epistola­ rio del cardinale, a causa dei lavori per il perfezionamento sia del locale, sia delle scenografìe, sia delle macchine, terminò ben oltre la data prevista del r 6 S S 10• A tale ritardo contribuì anche la morte del papa Innocenza x (7 gen­ naio r 6 ss), che costrinse Giovan Carlo ad abbandonare Firenze e recarsi a Roma per il conclave che avrebbe portato al soglio pontificio Alessandro VII (al secolo Fabio Chigi)11• Agli inizi del r 6 s s l 'allestimento previsto per il carnevale risultava, però, ancora in programma, visto che Giovan Francesco Rucellai (da non confon­ dersi con l 'autore della Descrizione) si impegnava il 2 gennaio ad inviare da Venezia le « false gioie per gli abiti della comedia » 11• E qualche notizia sui la­ vori allo « stanzone » si legge ancora in aprile1, sebbene dal carteggio di Gio­ van Carlo si intuisca che il progetto Ipermestra fu presto, benché tempora­ neamente, accantonato. A metà del r 6 ss. infatti, tra le lettere del cardinale si leggono i preparativi per il dramma « civile rusticale » Ilpotesta di Cologno­ le di Maniglia e Jacopo Melani, che avrebbe inaugurato la Pergola nel r 6 57, guarda caso in occasione del compleanno della granduchessa14• Quest 'opera richiedeva un apparato scenografìco più semplice rispetto a quello della festa teatrale di Maniglia e Cavalli, e dal momento che le macchine, fulcro della spettacolarità dell' Ipermestra, non sarebbero state pronte ancora per qualche tempo, si optò per un'opera tecnicamente meno impegnativa11• 19. Sul teatro d'opera a Firenze a metà del secolo XVII, si vedano Mamone (1997; 2.001 ) ; Michelassi (1997; 1999; 2.ooo; 2.002.; 2.010). 2.0. Che nel 1 6 5 4 i preparativi fervessero e si stesse procedendo in vista dell' imminen­ te allestimento si legge in molte lettere. Si veda ad esempio quella del 14 novembre in cui Silvio degli Alli scriveva al segretario di Giovan Carlo, Desiderio Montemagni: « il signor cardinale [ .. ] in così breve tempo vale ch' io ricavi le scene, gli faccia le figure, gli dia i chia­ ri e scuri, calcargli, sgraffiare i rami>> (Mamone, 2.003, n. 1037; e le lettere scritte tra il 2.9 novembre e il 2.6 dicembre in cui si parla del perfezionamento dello « Stanzone >> previsto per il carnevale del 1 6 55, ivi, nn. 493-496, 500, 1 0 5 1 ) . 2. 1 . Sulla vita e l'operato d i papa Innocenza x (1574-1 655) si veda Zuccari, Macioce (1990). 2.2.. Lettera in Mamone (2.0 0 3, n. 501 ) . L' invio da Venezia di altri gioielli falsi per L'Ipermestra si legge ancora a ridosso dell'allestimento del 1 658, in una lettera di Paolo del Sera a Giovan Carlo del 13 aprile 1658 (ivi, n. 593). 2.3. Lettera del 1 7 aprile 1655 (ivi, n. 504). 2.4. Weaver, Wright Weaver ( 1978, pp. 12.3-4) ; Leve ( 2.005); Catucci (2.0 1 1 ) . 2. 5 . Come scrive Nicola Michelassi (1997, p . 2. 9 3 , n. 3 35), l ' impegno scenotecnico per il Potesta di Cologno/e, era, sì, minore rispetto a quello previsto dall' Ipermestra, ma non del tutto trascurabile come si legge in merito ai drammi civili rusticali in Bianconi e Walker .

I.

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I preparativi per lap rem iere dell'opera ripresero tra i l I657 e i l I 6 s8, quan­ do Giovan Carlo iniziò un'intensa campagna di reclutamento dei cantanti'6, e, nato Filippo Prospero il w novembre del I 6 5 7, dopo aver pianificato di de­ dicargli l'opera (decisione che, come abbiamo visto, fu comunicata a Madrid il 3 gennaio del I 6 s 8), a marzo si operarono i dovuti ritocchi per far scom­ parire i riferimenti a Vittoria della Rovere dal prologo e dal finale. Al 30 del mese risale una lettera di Paolo del Sera che da Venezia scrive a Giovan Car­ lo : « Ho consegniato al Signor Cavalli in propria mano le carte di musica che Vostra Altezza mi ha mandato, et abbiamo letto insieme l' instruzione, onde ha pienamente inteso quello che bisogna fare » (Mamone, 2003, n. 589 ). La natura degli interventi richiesti a Cavalli è esplicitata poco dopo : « SÌ come ha mutato il prologo stante la dedicazione, così convien mutar qualcosa nel fine » (ibid. ) ; e in una serie di lettere da e per Venezia si leggono le richieste che fino alla fine di maggio arrivarono al compositore, ultima fra tutte quella di concertare e dirigere l'opera, in quanto egli era «pratichissimo, non solo della musica, ma dell'azione e di tutte l'altre cose » •7• Non abbiamo alcuna prova della partecipazione di Cavalli alla produ­ zione fiorentina (risulta, infatti, che fu renitente fino all'ultimo), ma sap­ piamo che il plauso suscitato dali ' allestimento dell ' Ipermestra fu unanime e di portata internazionale2.8. L'opera fu oggetto dell 'ammirazione degli (1975, p. 439). L'architetto Ferdinando Tacca, allo scopo di studiare i teatri d'opera del­ l' Italia settentrionale e le loro macchine sceniche, era stato inviato appositamente a Bolo­ gna, Parma, Mantova, Ferrara e soprattutto Venezia, come si legge nel carteggio di Giovan Carlo, in Mamone, 2.003, nn. 443, 445 (da Bologna), nn. 446, 447 (da Parma), n. 448 (da Mantova), n. 449 (da Ferrara), nn. 450, 451 (da Venezia). In merito ai preparativi per il Potesta di Cologno/e, leggiamo che già il 3 luglio del 1 6 55 il pittore Jacopo Chiavistelli scrive­ va al cardinale in merito al bozzetto di una scenografìa per Civile da consegnare all' incisore Silvio degli Alli, riconosciuta da Françoise Decroisette ( in Spettacolo meraviglioso, 2.000, nn. 1.2..5, 1.2..6, pp. 12.4-5), come scenografìa del Potesta di Cologno/e (lettera del 3 luglio, edita in Mamone, 2.003, n. 507 ) . 2. 6 . S i veda a d esempio l a corrispondenza col principe Cybo Malaspina d i Massa e il cardinal Geronimo Buonvisi da Lucca (Mamone 2.003, nn. s86, 587, 6 oo, 62.3, 62.4). 2.7. Citazione dalla lettera del 2.0 aprile 1658 inviata da Venezia da Paolo del Sera a Giovan Carlo (Mamone, 2.003, n. 599). Per il tentativo (probabilmente fallito) di far so­ printendere l'opera a Cavalli si vedano le lettere in Mamone (2.003, nn. 591, 593. 599. 6 0 3, 6os, 6o7). 2.8. Tra le lettere più interessanti in merito si annovera quella di Atto Melani, il quale il 1 6 agosto 1 6 5 8 scrive da Parigi a Mattias de ' Medici che « il re ha veduta la commedia [sci!. il libretto] che si è rappresentata nel teatro di Sua Altezza Reverendissima [ .. ] e le è piaciuta assaissimo, particolarmente le invenzioni e la disposizione del teatro, essendosi parlato di chiedere a Sua Altezza Serenissima il signor Tacca per farne qua una simile » (Mamone 2.013, n. 12.42.). .

NICOLA USULA FIGURA 1.1 Antiporta figurata del libretto a stampa dell' Ipermestra ( Moniglia, 16s8a) conservato nella Biblioteca Riccardiana di Firenze (N.A.I.Il) su concessione del ministero per i Beni e le Attività culturali e del Turismo

(Con divieto di ulteriore riproduzione)

spettatori, e l 'eco del suo successo raggiunse le corti di tutt ' Europa : ma so­ prattutto diede lustro, non solo al cardinale, ma a tutta la famiglia grandu­ cale e al diretto responsabile dell 'allestimento, l 'Accademia degli Immobili. Sebbene le parti in cui si faceva riferimento all'Accademia furono cas­ sate nel testo del dramma dato alle stampe nel I 6 s8, il forte legame tra l 'alle-

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stimento e i l consesso di nobiluomini fiorentini non venne mai occultato.'� Nell 'antiporta figurata con cui si apre il libretto stampato per l 'occasione, si delineano, infatti, con una gerarchia insolita, tutti gli elementi principali dell 'evento spettacolare, in cui l 'Accademia riveste un ruolo inaspettata­ mente centrale ( F I G . I.I ) . Campeggia in alto a sinistra lo stemma coronato del casato degli Asburgo di Spagna, circondato dal Toson d'oro e portato a volo in un tri­ pudio d'angeli e festoni di fiori e frutta10, mentre poco sotto si legge uno stemma mediceo. Sul noto scudetto della famiglia granducale un putto adagia una corona d'alloro, il che dichiara apertamente la committenza di un Medici, e nello specifico Giovan Carlo, dal momento che si colloca di fronte a una croce di malta (il cardinale faceva infatti parte dell 'ordine di Santo Stefano) ed è sormontato da un cappello cardinalizio''· In fondo alla pagina un piccolo mulino a vento col motto « In sua mo­ venza è fermo » presenta l' impresa degli Accademici Immobili, ma il centro dell 'immagine è affidato a un'enigmatica figura femminile, fino ad oggi in­ terpretata come riferimento alla granduchessa Vittoria della Rovere (vista la presenza delle ghiande nello schienale del trono) (Yans, I979· pp. 9 - Io ), oppure alla città di Firenze ( Spettacolo meraviglioso, 2000, p. 129 ) . L' im­ magine corrisponde però perfettamente alla descrizione della prosopopea dell 'Accademia che si legge nell 'edizione del I 6 I 3 dell 'Iconologia di Cesare Ripa''· Pertanto al centro dell'antiporta campeggia, forse in maniera volu2.9. Gli Accademici Immobili sono infatti citati sia da Orazio Ricasoli Ruccellai (1658, p. 8), sia nella versione del 1 6 5 4 tràdita dal libretto manoscritto dell'opera, nel cui prologo Venere cantava il seguente passo (cassato nel 1 6 5 8 assieme al riferimento a Vittoria della Rovere) : «Alle castalie suore aggiunta, anch' io l col mio vezzoso figlio oggi m'appresto l sovra festose scene, l dagl' IMMOBILI miei rese rotanti, l de la gran donna [scii. la grandu­ chessa] a tranquillare il ciglio>> (Maniglia 1 6 54, c. 7v). 30. Per l'analisi delle insegne reali di Spagna si veda Yans ( 1979, pp. 9-10). 31. Tettoni, Saladini (1841-51, voi IV [1 844] ; cit. in Yans (1 979, pp. I I , 176); Spettacolo meraviglioso ( 2.0 o o, p. 1 2.9). 32.. Nell'antiporta la donna è incoronata ( « Si corona d'oro volendo significare che, quando l' ingegno de l'Accademico ha da mandar fuori gli suoi pensieri che in capo consi­ stono, [ . . . ] bisogna ch'egli li affini come l'oro >> ) e regge con la mano destra una lima da cui parte un cartiglio con su scritto « detrhait [recte detrahit] atque poli t >> ( « Da man destra tiene una lima, col motto intorno, perché, [ ... ] nell'Accademia, levandosi le cose superflue ed emendandosi li componimenti, si poliscono, ed illustrano l'opere >> ) , e con la destra mo­ stra al lettare una melagrana ( « figura dell'unione degli Academici >> ) . Siede, infine, su un trono il cui schienale regge due ghiande e un cedro ( « E però vi si intaglierà anca il cipres­ so essendo incorruttibile, come il cedro, e pigliasi da Pierio [Valeriano] per la perpetuit, la quercia parimente simbolo della diuturnit, appresso l' istesso Pierio, e de la virtù >> - riferi-

NIC OLA USULA

tamente criptica, l'esaltazione simbolica di quello che per Giovan Carlo fu l 'impegno di una vita, il fiorire, cioè, di quei cenacoli culturali e artistici che, dopo i fasti di fine Cinquecento, riportarono Firenze al ruolo di leader internazionale nel campo dello spettacolo operistico.

1. 4 Un principe per l 'opera di Giovan Carlo

L 'Ipermestra, però, come detto in apertura, rivestì nel r 6 s 8 un importante ruolo di natura diplomatica. l Medici, soprattutto per impegno del gran­ duca Ferdinando II (fratello di Giovan Carlo), si fregiavano di neutralità in campo politico internazionale, e risultava non si schierassero apertamente né tra le fila degli Stati fìlofrancesi né tra quelle dei fìlospagnoli, benché le inclinazioni personali dei membri della famiglia fossero ben diverse tra loro. Il granduca, pur nell 'aura di neutralità che un capo di governo era te­ nuto a mantenere, patteggiava segretamente per la corona spagnola, ma, al momento di ricevere la carica di generalissimo del mare da parte del re Fi­ lippo IV, declinò l 'offerta e cedette l 'onorificenza al fratello Giovan Carlo, il quale ne fu insignito il 2. settembre del r 6 3 8. Da quel momento in avanti il principe dovette apparire come esponente della compagine fìlospagnola del granducato, e il repentino cambio di dedica dell' Ipermestra parrebbe documentare tale affiliazione. Nel r 64s. durante il soggiorno romano in cui fu fatto cardinale da papa Innocenza x , infatti, si scrisse di lui : « È stato generalissimo dell 'Armata cattolica del mare, però è Austriaco [sci!. fìlospa­ gnolo] , oltre la professione aperta che ne fa tutta la sua casa, e vivono sotto la protezione di quelle Corone » n. Tuttavia, i rapporti tra il principe e la corona di Spagna non erano af­ fatto rosei come si potrebbe pensare, dal momento che per intervento del re spagnolo gli fu impedito di sposare la principessa Anna Carafa di Stimenti agli Hieroglyphica di Pierio Valeriano, 1556, cc. 373v, 375r-376v), mentre sotto il pog­ giolo sinistro un babbuino su una pila di libri sfoglia un volume su cui si legge distintamen­ te il titolo dell'opera ( « Il cinocefalo, o vero babuino lo facciamo assistente dell'Accademia, per essere egli stato tenuto dagli egizi ieroglifìco de le lettere » ) . La voce Accademia non appare nelle prime edizioni dell'Iconologia (Roma 1593, Milano 1 6 0 2., Roma 1 6 0 3, Padova 16u), ma solo a partire da quella senese del 1 6 1 3 (Ripa, 1 6 1 3, pp. 2.-8). 33· Vie des Cardinales, Biblioteca nazionale di Parigi, MS, s.d. [1645 ? ] , Manuscrit lta­ lien 1335, c. 63r (edito in Michelassi, 1 9 9 7, p. 2.4).

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gliano ( e quindi d i acquisire i l ducato d i Sabbioneta), e che, investito del titolo di generalissimo del mare, fu inviato nel I 6 4 2 in missione navale in Catalogna, dove subì nuovi oltraggi da parte della corte iberica. Da quel momento in avanti, incrinatisi irrimediabilmente i rapporti con la Spagna, Giovan Carlo si fece sempre più vicino al cardinale Giulio Mazzarino e alle istanze filofrancesi, al punto che nel I 645 l 'ambasciatore francese gli offrì la Protettorìa di Francia, cui il principe de ' Medici dovette rinunciare per volontà di suo fratello il granduca ( Galluzzi, I78I, vol. IV, p. IO). Come si legge in una relazione del I646, le personali inclinazioni poli­ tiche del cardinale dovevano, però, essere piuttosto chiare a tutti : Questo principe è fratello del granduca, dalli cui sensi non preterisce molto [ ... ] .

È poco ben affetto ai spagnoli, onde quando fu a Roma per ricevere i l cappello

cardinalizio non volle esporre l'armi di Spagna, che come generalissimo del mare doveva fare. Si farebbe francese se li venisse permesso dal granduca suo fratello, tanto restò mal sodisfatto quando andò in Spagna ma non arrivò alla corte14•

La dedica dell 'Ipennestra non fu dunque convertita per una dimostrazio­ ne di sincera fedeltà del cardinale alla potenza politica cui, suo malgrado, era affìliato, ma per ragioni ben più pratiche. Se da un lato, attraverso tale scelta si mostrava a Filippo I V un forte attaccamento (tanto sincero per il granduca, quanto ipocrita per il fratello), e si dava una pur minima giusti­ ficazione all' ingente pensione che Giovan Carlo riceveva dalla Spagna per il solo fatto di esser stato insignito della carica di generalissimo del mare, dall 'altro, era l'opera stessa a trarre giovamento dalla dedica nobiliare in termini di pubblicità e lustro. Con l'allestimento del I 6 58, pertanto, non solo si rinsaldò un importante legame diplomatico tra il granducato di To­ scana e la corona spagnola, ma si attivò anche un'operazione di marketing che giustificava e nobilitava il progetto spettacolare di Giovan Carlo e del­ la sua famiglia. E pare, infine, che nell'impresa dell'allestimento dell 'Iper­ mestra i piani gerarchici si invertirono : non tanto l'opera fu degna di un principe, quanto fu piuttosto la nascita dell 'erede al trono di Spagna a di­ mostrarsi perfetta per esaltare il teatro, l'Accademia, l 'opera e il gusto di uno dei più famosi e controversi melomani italiani del Seicento. E così, nel raggiro di portata internazionale che si legge dietro l 'allestimento del I 6 5 8, l ' Ipermestra risulta non solo come instrumentum diplomatico, ma anche, e soprattutto, come reale propositum di un complesso iter strategico, che, a 34· La giusta statera de' purporati, MS, s.d. [1646] , Biblioteca nazionale di Parigi, Ma­ nuscrit Italien 1 335, c. 69r (edi to ibid ) . .

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NICOLA U SULA

metà Seicento, fece della festa teatrale di Maniglia e Cavalli uno degli even­ ti spettacolari più famosi d'Europa.

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2

La crudeltà nel dramma europeo del Seicento di]oachim Kupper

Prendendo in considerazione i drammi teatrali europei della prima età mo­ derna dalla prospettiva del xx o XXI secolo, un aspetto che appare parti­ colarmente problematico è il loro ricorrere a uno strumento che, in tempi più recenti, è diventato un tratto distintivo della narrativa di genere e che, attualmente, caratterizza la maggior parte delle pellicole cinematografiche: opere drammatiche canoniche e altamente sofisticate di quel periodo sem­ brano "sfruttare" quasi senza ritegno la messa in scena della crudeltà con lo scopo di impressionare lo spettatore. Se ai giorni nostri il ricorso alla cru­ deltà come elemento della narrazione visiva è oggetto di critica, lo stesso non vale per l 'epoca alla quale vogliamo prestare qui la nostra attenzione. La rappresentazione sul palcoscenico di crudeltà raccapriccianti, così come la loro narrazione più esplicita e dettagliata, erano infatti fenomeni diffu­ si, e di cui davano eccellente prova soprattutto il teatro tedesco, spagnolo e olandese.

2.1 Teatri di crudeltà e spettacoli di orrore

Il primo esempio che vorrei proporre è quello di una regina di fede cristiana lentamente fatta a pezzi e poi bruciata ancora viva sulla p ira, avendo rinun­ ciato ad abiurare la propria fede e rifiutato di sposare un "infedele". Si tratta di Catharina von Georgien (Caterina di Georgia, 1 6 57) del drammaturgo te­ desco Andreas Gryphius (r 6 r 6- r 6 64) ' . La ragione della presenza di un tale 1. È evidente che il martirio della regina Caterina di Georgia, figura realmente esistita (1s6s-I62.4) e che effettivamente morì prigioniera dello Shah persiano, non poteva essere mostrato sul palcoscenico. La storia è rappresentata tramite un racconto che indulge su ogni dettaglio riguardante gli orrori delle torture inflitte a Caterina. La storia della morte violenta di una regina cristiana nell'Asia Centrale arrivò in Occidente subito dopo il de-

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motivo nell 'opera è evidente, e rivela molto riguardo alle varie atrocità mo­ strate sui palcoscenici tedeschi e spagnoli dell'epoca. Il fascino provato nei confronti dell'orrore è utilizzato a vantaggio della propaganda religiosa o, per dirla in termini di retorica, la "pillola amarà' del didatticismo religioso è resa più dolce grazie al suo "rivestimento horror". In un'epoca di conflitti religiosi, la lezione riguardante la depravazione morale degli eretici (o dei non cristiani, come nel caso menzionato) era impressa nella coscienza dei credenti tramite la messa in scena o il racconto delle violenze da loro perpe­ trate, violenze che, bisogna aggiungere, non erano mero frutto dell' imma­ ginazione. L'identificazione con i martiri decapitati, ustionati, fatti a pezzi e via dicendo, così come il sollievo (katharsis) che coglieva lo spettatore alla fine dello spettacolo, rappresentavano i mezzi principali della propaganda religiosa. In particolare le opere cruente incentrate sui martiri protestanti - la maggior parte delle quali, tra cui il caso di Caterina, nascevano come opere scolastiche, e quindi come strumenti pedagogici pensati per l 'educa­ zione dei liceali - erano molto probabilmente ideate per indurre il pubbli­ co ad accettare il rigido dogma della predestinazione nella sua variante più tradizionale>: soltanto coloro che fossero stati pronti a sopportare il dolore nelle forme sopra descritte avrebbero - eventualmente - potuto aspirare a un posto in paradiso. Tutti gli altri si sarebbero dovuti rassegnare a ciò che Dio avrebbe deciso riguardo al loro destino per l 'eternità. Anche le opere profane dell'epoca hanno spesso fatto ricorso a questo tipo di procedimento, sebbene con un diverso livello di esplicitezza. L'ulti­ ma scena dell Amleto ( I S 9 8 - I 6 0 I ) di Shakespeare è emblematica del teatro inglese contemporaneo, così come il récit de Théramene della Fedra ( 1 677 ) di Racine lo è del teatro francese. Nel primo caso, contiamo una mezza dozzina di re, principi e regine uccisi sul palcoscenico ; nel secondo caso, invece, troviamo il racconto, da parte di un testimone oculare, dello smem­ bramento di un giovane principe, fatto a pezzi dai propri cavalli mentre quelli cercavano di fuggire da un mostro marino. Entrambe le sequenze, nelle loro somiglianze contenutistiche e nelle loro differenze sceniche, so­ no indicative di una cultura teatrale principalmente popolare ed egalitaria '

cesso di Caterina, fu rielaborata narrativamente in Francia ( Claude Malingre, Histoires tra­ giques de nostre temps, 1641) e raggiunse poi le remote province orientali della Slesia, dove Gryphius lavorava nel servizio pubblico. 2. . L'odierno luteranesimo continentale, specialmente quello tedesco, è, per quanto ri­ guarda la teologia della grazia, più vicino a Origene e al suo, precedentemente considerato eretico, theologoumenon di un apokatastasis panton, piuttosto che agli insegnamenti di co­ lui che ancora è invocato nel nome della confessione.

2.

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in Inghilterra, e, al contrario, di un teatro strettamente collegato al gusto raffinato e all 'ideale di sublimazione come quello praticato ne la cour in Francia. Nel tentativo di spiegare la marcata tendenza del dramma della prima età moderna a presentare le più disparate efferatezze sul palcoscenico, vor­ rei fare riferimento a un saggio di Sigmund Freud che, a causa delle sue implicazioni provocatorie e a dispetto dell 'altrimenti prevalente "freudo­ manià', è spesso relegato in secondo piano nel campo della critica letteraria. Nel saggio Der Dichter und das Phantasieren (Il poeta e la jàntasia, 1907) Freud sostiene che la sofisticata organizzazione formale dei testi lettera­ ri di "canone alto" non sia altro che una struttura del piacere preliminare ( Vorlust), che permette al destinatario colto di avvicinarsi a tali opere con l 'intenzione cosciente di soddisfare l ' intelletto e, contemporaneamente, di indugiare qua e là, inconsciamente, in rappresentazioni libidinose e fan­ tasie, la cui "consumazione" diretta sarebbe ostacolata da una censura da parte del proprio super-io (Freud, 1 9 9 1, p. 5 9) . È necessario aggiungere che quella parte di pubblico meno colta, presente in tutti i teatri europei ad eccezione della Francia, non necessita di un tale "velo" per nascondere alla mente cosciente i motivi inconsci che la spingono avidamente a vedere sce­ ne come quelle già menzionate. Da un punto di vista freudiano, c 'è poco da dire riguardo a opere simili, specialmente nel caso di quelle - ancora più esplicitamente cruente - a tema religioso : sotto la maschera da catechismo drammatizzato, tali opere fanno appello agli impulsi più aggressivi del pub­ blico, permettendogli di soddisfarli in modo fantasmatico3• Esiste tuttavia un aspetto di questi "spettacoli dell'orrore" premoderni che, a prima vista, è difficile inserire nella teoria freudiana. Nei drammi in­ glesi e francesi del tempo la crudeltà era sicuramente meno accentuata che negli spettacoli tedeschi e olandesi, ma era comunque ampiamente presen­ te sul palcoscenico. Spettacoli di questo tipo erano spesso, se non princi­ palmente, presentati a corte. Come valutare in questo contesto un 'opera come Amleto o Fedra? Come giudicare uno spettacolo in cui un re è ucciso per mano di suo fratello, in cui l 'omicidio coinvolge, almeno come compli­ ce, la sua stessa moglie e porta inoltre alla morte prematura del suo unico figlio, nel tentativo di vendicarlo ? O, nel caso del dramma francese, qual è 3· In caso di opere teatrali esplicitamente religiose, è sempre presente una dimensione di evidente propaganda religiosa. Nella Catharina von Georgien di Gryphius l'anima di Caterina appare al suo torturatore per annunciargli che i suoi atti crudeli non resteranno senza punizione.

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il "messaggio" contenuto in un 'opera in cui un re decide di fare uccidere il proprio figlio maggiore, l 'erede al trono, nel modo più brutale perché crede ciecamente alle accuse mosse da una serva, CEnone, che a sua volta agisce per conto della moglie del re e matrigna del giovane principe, innamorata del proprio figlioccio ? E cosa dire dei numerosi Trauerspiele tedeschi in cui re e regine perdono da un momento all 'altro il loro status sociale e so­ no sottoposti sul palcoscenico a crudeli torture, prima di essere definitiva­ mente uccisi ? Perché i regnanti dell 'epoca provavano piacere di vedere la loro controparte drammatica diventare vittima del fato e cadere nei tranelli dell' hamartia, vale a dire incappare in errori spesso banali e tuttavia forieri di conseguenze devastanti ?

2. . 2.

Teatro come origine dei mass media

La più nota risposta a questa domanda è stata formulata da Walter Benja­ min nel libro sul dramma barocco tedesco (1978). La sua posizione è stata più volte ripresa nelle ultime decadi, sia da accademici del calibro di Louis Marin ( 1 9 8 1) sia da un grande numero di giovani specialisti, pertanto può apparire audace problematizzare quello che è ormai diventato un punto di vista pressoché universale. La risposta di Benjamin, che è effettivamente geniale, considera la tragedia come un luogo in cui è possibile un'autori­ flessione da parte del monarca. lnnanzitutto, mostrando i re come vittime del fato, tali opere avrebbero aiutato a rinsaldare la morale dei sovrani nel caso (inevitabile) in cui fosse il "vero" fato a colpirli. Inoltre, la vista di tali scene li aiuterebbe a eludere il rischio di cadere loro stessi vittime dell 'ide­ ologia che soggioga i sudditi : per esercitare al meglio il proprio ruolo di monarca, il re deve sempre ricordarsi di essere lui stesso soggetto alla sorte. Solo a questa condizione il sovrano sarà in grado di opporsi ai suoi colpi e di cogliere i momenti propizi per imporle il proprio volere+. La dimostra­ zione della cruda verità per cui tutti gli esseri umani, sovrani inclusi, sono dipendenti dai capricci del fato crea un 'atmosfera di malinconia ( Trauer), propria di questo tipo di opere. 4 · Lo spettatore ideale di un Trauerspiel, secondo Benjamin, sarebbe quindi un mo­ narca che assiste allo spettacolo tenendo ben presente la lezione impartita dal Principe (I sI 3) di Machiavelli.

2.

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C 'è tuttavia un problema in questa interpretazione dell ' interazione tra assolutismo e tragedia. L'argomentazione di Benjamin sarebbe comple­ tamente convincente se la tragedia all 'epoca fosse stata un genere teatrale limitato alla corte. In questo caso, sarebbe legittimo interpretarla con un concetto più propriamente moderno, ovvero come strumento di autori­ flessione mediata dal distanziamento estetico. Tuttavia, anche nel conte­ sto della comunità culturale più gerarchizzata dell'epoca, la situazione era differente. Certamente esisteva il teatro della corte, ed è possibile che il processo mentale suggerito da Benjamin e descritto in maniera più trasparente da Marin si sia verificato per opere messe in scena a Versailles, al Palazzo della Zarzuela a Madrid o al St. James 's Palace. Ciononostante perfino in Fran­ cia esisteva, oltre al pubblico de la cour, il pubblico che Erich Auerbach nel suo decisivo saggio sul dramma classico francese (2007) definisce la ville e, per avere successo, gli autori dovevano soddisfare la domanda di entrambi. Il termine la ville fa riferimento per metonimia al terzo Stato, ovvero a co­ loro che l'assolutismo escludeva dalla sfera del potere, ma che comunque possedevano un 'educazione. In Inghilterra e in Spagna, invece, il pubblico teatrale comprendeva anche le classi più basse della società. Questi spetta­ tori, chiamati groundling, vale a dire persona che sta a terra, non potevano permettersi il biglietto per un posto a sedere ed erano nella maggior parte dei casi analfabeti. Rebus sic stantibus, nella prima età moderna, l ' idea che i sovrani più potenti fossero soggetti al fato più cieco era comunicata non solo agli stessi re o ai potenziali futuri sovrani, ma anche alla "massà' dei loro sudditi. A prima vista si potrebbe pensare di qualificare la tragedia come sovversiva nei confronti del potere costituito, e ciò scatenerebbe gli applausi di colo­ ro che considerano il collegamento tra letteratura e sovversione ideologica quasi come antologico. Tuttavia, vorrei proporre un'altra linea di pensiero in accordo con la mia affermazione secondo la quale il dramma degli inizi dell'età moderna sarebbe il primo esempio storico di ciò che oggi chiamia­ mo mass media. Nel saggio menzionato Freud sottolinea che la funzione primaria del consumo della cosiddettafiction sia la compensazione fantasmatica che ne deriva. La letteratura ci offre ciò che il mondo reale ci nega. In questo sen­ so, la sofisticatezza artistica ed estetica di un brano letterario ha soprattutto la funzione di aiutare i destinatari colti a reprimere l 'intuizione che sia un desiderio così triviale a spingerli a leggere libri o a vedere spettacoli teatrali. Si tratta di un "aiuto" di cui il pubblico meno colto non ha bisogno, poiché 49

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non considera i propri impulsi come immorali, e può quindi fare a meno del "velo" dell 'estetizzazione. Nella sua teoria, facendo riferimento soprattutto alla letteratura senti­ mentale, Freud illustra come i testi letterari siano utilizzati come strumento di compensazione alla frustrazione libidinosa e sessuale del mondo reale. Tuttavia, il concetto freudiano di pulsione è universale. È quindi possibile ipotizzare che, nella tragedia, sia principalmente l 'aggressività a essere libe­ rata fantasmaticamente per l ' intera durata dello spettacolo1• A tutti coloro che nella vita reale sono soggetti al potere assoluto del monarca - i cortigia­ ni, la borghesia e le classi più umili è accordato il piacere di vedere, alme­ no per il tempo dello spettacolo, il loro oppressore - il sovrano - in balia, come loro, del fato. Sicuramente il pubblico provava un piacere inconscio nel vedere come l 'alto statuto di re o principe non solo fallisse nel tentativo di proteggersi dai capricci del destino, ma soffrisse anche tormenti mag­ giori rispetto a quelli affrontati dalle persone comuni, nella misura in cui il sovrano aveva molto più da perdere del semplice suddito. La tragedia della prima età moderna potrebbe in questo modo aver aiu­ tato a canalizzare, e di conseguenza a domare, il malcontento nutrito dai sudditi nei confronti del sistema politico assolutistico. È dunque possibi­ le che sia stata utilizzata come strumento per stabilizzare l 'ordine politico e sociale e portare momentaneo sollievo dallo iato tra monarca e sudditi. Nelle tragedie il monarca è rappresentato a sua volta come un suddito. Tut­ ti gli uomini sono condannati a soffrire i capricci della sorte, e tali soffe­ renze diventano ancora più intense se messe in relazione con i privilegi che marcavano la condizione precedente del sovrano. Dopo aver assistito alla messa in scena di una tragedia, l' "uomo comune" era in grado di ritorna­ re a casa e sentirsi addirittura felice del fatto che la sua quotidiana miseria domestica fosse notevolmente inferiore a ciò che il sovrano aveva dovuto affrontare nell'ultimo atto dello spettacolo6• La fascinazione estetica ema­ nata dal tesoro letterario della tragedia classica, impegnata, dopo la con­ quista di Costantinopoli, in una rinnovata diffusione delle opere, era ulte-

5· C 'è bisogno di menzionare che quasi ogni tragedia permette la gratificazione fan­ tasmatica dei desideri libidinosi degli spettatori ? La - severamente proibita - sessualità incestuosa ed extraconiugale era in molti casi al centro della trama, talvolta anche in modo poco velato. 6. Si potrebbe affermare che, per lo meno in Europa, quest'antica funzione della tra­ gedia sia oggi svolta dalla stampa scandalistica che offre, quasi quotidianamente, storie sen­ sazionalistiche sulla "caduta dei potenti" dei giorni nostri (politici, persone benestanti o, in molti casi, celebrità) .

�o

2.

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riormente incrementata da una forte domanda implicita al sistema politico contemporaneo. L' interazione di rinnovata disponibilità e nuova funzio­ nalità potrebbe spiegare il "ritorno" di un genere i cui parametri di model­ lizzazione del mondo erano incongruenti con quelli del modello ancora prevalente agli inizi dell 'età moderna, proposto dalla cristianità7•

2 .3

Palliativo alla frustrazione

Vorrei infine discutere brevemente il dramma olandese dell 'epoca, il cui autore più rilevante fu Joost van den Vondel ( I S 87-1 679 ) . Nato a Colonia dopo che i suoi genitori avevano lasciato Anversa a causa della loro adesio­ ne al credo protestante8, tornò nei Paesi Bassi in età adulta, per poi con­ vertirsi al cattolicesimo. Vondel fu profondamente influenzato - in que­ sto caso specifico, si tratta di un'influenza diretta e cosciente - dall 'opera drammatica di Shakespeare, così come la cultura olandese in generale, sia nella sfera quotidiana sia in quelle più raffinate, fu plasmata attraverso i se­ coli principalmente dal modello inglese9• Molte delle opere teatrali di Von7· Non voglio entrare, in questo contesto, nei dettagli del problema. Ho trattato am­ pliamente dell' incommensurabilità del dogma cristiano ortodosso (tridentino) e del mo­ dello del mondo della tragedia in un libro sul dramma spagnolo di quel periodo, cfr. Kiip­ per (2.017 ). In questo caso basti affermare che Dante ha intitolato il suo poema, che tratta del mondo "intero� commedia non senza motivo, nonostante non ci sia nulla di comico nel testo. 8. Anversa aveva accolto il protestantesimo come molte altre città olandesi e delle Fiandre. La dominazione spagnola nel Nord- Ovest dell' Europa aveva ristabilito, in ma­ niera più o meno violenta, il credo cattolico come unico culto legittimo del cristianesimo. Colonia - non molto distante da Anversa - era il luogo in cui cercarono rifugio molti pro­ testanti fiamminghi: la città era prevalentemente di credo cattolico, ma parte della popo­ lazione si era convertita al protestantesimo. Il periodo a cui faccio riferimento è preceden­ te alla riaffermazione del cattolicesimo come unica confessione consentita in quella parte della Renania. 9· Inoltre, possiamo rintracciare un' importante, sebbene minore, influenza esercitata dai modelli tedeschi e francesi, quest'ultimo in particolare sulle sfere sociali più alte della popolazione, come la nobiltà, la borghesia benestante e gli intellettuali. La ragione della preferenza del modello inglese su quello tedesco è dovuta in primo luogo all'affinità terri­ toriale e linguistica con la Germania, alla conseguente paura dell'annessione e al tentativo olandese di prendere le distanze dal - forse troppo grande - vicino geografico, costruendo legami con un'altra grande nazione che, a differenza della Germania, già dopo la Guerra dei Cent'anni aveva smesso di nutrire il desiderio di governare grandi parti del continente.

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del sono "emulazioni" di drammi shakespeariani, termine da intendersi nel senso più comune nella teoria poetica classica : si tratta di imitazioni create nell'intento di superare il modello di riferimento. Leggendo le opere di Vondel si ha l ' impressione che l 'autore abbia in­ teso questo "superamento" principalmente come stimolo per rendere le sue opere "ancora più violente e sanguinarie". Già le opere drammatiche di Sha­ kespeare sono cruente in maniera esemplare : nelle scene finali è più fre­ quente vedere sul palcoscenico cadaveri che personaggi ancora in vita. Tut­ tavia, questo è "niente" se paragonato alle opere di Vondel. Chi oggigiorno sarebbe capace di concepire una scena con alcune dozzine di suore accoltel­ late da eretici e abbandonate a terra come ghirlande di rose bianche e rosse, così come fece il drammaturgo nella sua opera più celebre, Gijsbrecht van Amstel (1 637 ) ?10 O chi indulgerebbe nel "piacere" di narrare una decapita­ zione nel dettaglio per ben due volte, così come Vondel in Maria Stuart of Gemartelde majesteit (Maria Stuarda, o la Maesta torturata, 1 646) ? Anche la produzione drammatica contemporanea tedesca presenta, come già accennato, tendenze simili. Ali ' interno della tradizionale cor­ nice formata da stereotipi di carattere nazionale, si sarebbe quasi tentati di spiegare le atrocità presenti in molte opere di Gryphius, Lohenstein e Vondel facendo riferimento alla propensione tedesca o teutonica a voler superare ogni limite in fatto di violenza. Anche se i Paesi Bassi non sono sempre stati così tolleranti e politicamente corretti come negli ultimi an­ ni, sarebbe piuttosto problematico spiegare il numero di crudeltà presenti nelle opere di Vondel facendo riferimento a una supposta propensione "tipicamente olandese" a massacrare i propri nemici in maniera partico­ larmente disumana11• Vorrei tentare invece un approccio differente. Al contrario di Spagna e Francia, ma in modo simile ali ' Inghilterra, nel caso di Germania e Paesi Bassi abbiamo a che fare con paesi divisi profondamente da questioni re­ ligiose. A differenza di Inghilterra e Germania, nel caso dei Paesi Bassi le IO. Cfr. vv . I43S ss. La più recente pubblicazione riguardante il lavoro di Vendei è di Nigei Smith (2.0I7). Vorrei aggiungere alla mia precedente osservazione sul modo in cui certe atrocità erano presentate nelle opere di Vendei che altri prominenti drammaturghi olandesi dell'epoca, come ad esempio Jan Vos, non si sono astenuti dal mostrare decapita­ zioni e altri eventi di simile ferocia direttamente sul palcoscenico. II. Come già affermato, Vendei è nato a Colonia, mentre i suoi genitori erano nativi di Anversa. Il punto in questione però non riguarda l'autore o la sua appartenenza etnica o culturale, quanto piuttosto il suo pubblico, che accoglieva avidamente le opere, talvolta incredibilmente sanguinose, sopra descritte.

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diverse religioni praticate nello Stato erano perlopiù in aperto conflitto tra loro. In Inghilterra, infatti, il potere sia politico che culturale era nelle mani degli anglicani. La Germania era divisa in regni e principati che era­ no o interamente protestanti o interamente cattolici. Nei Paesi Bassi inve­ ce il sovrano era protestante, poiché il paese aveva guadagnato la propria indipendenza con una rivolta contro un oppressore cattolico, la Spagna. L'élite culturale, intellettuale ed economica del paese però, così come la popolazione più povera, era divisa in maniera più o meno equa tra le due maggiori confessioni cristiane. Le opere cui ho fatto menzione sono del periodo postwestfaliano o del periodo immediatamente precedente : si tratta di un momento storico in cui, dopo trent 'anni di guerre sanguino­ se in cui aveva perso la vita circa la metà della popolazione, molte nazioni europee avevano deciso che la confessione religiosa non potesse più essere considerata una ragione valida per uccidersi a vicenda. Le emozioni susci­ tate da più di trent 'anni di violenza erano però ancora forti e veementi ­ cosa fare per domarle ? La mia ipotesi prende spunto, ancora una volta, dalla teoria freudia­ na della letteratura come realizzazione immaginaria di un desiderio, ov­ vero come regno compensatorio in cui i lettori e gli spettatori, grazie alla propria immaginazione, possono ottenere ciò che la realtà nega loro. Le atrocità messe in scena sul palcoscenico possono aver contribuito a cana­ lizzare la "reale" aggressività, ancora fortemente presente tra gli spettatori nei confronti dei membri di altre confessioni religiose, e aver quindi con­ tribuito a instaurare un senso di pace interiore. In questo modo, opere drammatiche come quelle di Vondel possono essere considerate paradig­ ma di ciò che, secondo me, è la cultura visiva di massa: uno strumento per produrre coesione sociale. Le macabre scelleratezze riprodotte sul palco­ scenico, unite all ' identificazione degli spettatori con gli esecutori o con le vittime, potevano servire come palliativo contro la frustrazione originata­ si dalla trasformazione di bipedi selvaggi in uomini più o meno civilizzati imposta dallo Stato". 12. Da un punto di vista freudiano, i drammi menzionati possono esercitare la loro funzione compensatoria sia nei confronti di un pubblico cattolico che di uno protestante. La scena dell'accoltellamento delle suore permetterebbe allo spettatore cattolico di libe­ rare fantasmaticamente la propria aggressività nei confronti degli eretici che sarebbero in grado di perpetrare simili atrocità inaudite. Uno spettatore protestante, invece, indulge­ rebbe nel suo odio per le suore e i monaci come rappresentazione dei più potenti inviati del diavolo sulla terra, i quali sono giustamente puniti per le loro azioni blasfeme.

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Gradatio crudelis e la civilizzazione C 'è da chiedersi se a questo punto appaia sensato formulare delle ipotesi riguardo alle differenze nella messa in scena di certe violenze nella pro­ duzione drammatica dei cinque paesi, o comunità linguistiche menziona­ te (Inghilterra, Francia, Spagna, Paesi Bassi e Germania), che vadano oltre quanto già è stato detto. Potrebbe essere utile considerare brevemente la si­ tuazione della Spagna, poiché non è ancora stata discussa. In termini strut­ turali, la variante "seria'' (non comica) della comedia'1 era molto più vicina al dramma elisabettiano che non alle opere concepite dai drammaturghi francesi, a dispetto delle affinità derivate da caratteristiche linguistiche co­ muni. Esisteva una struttura flessibile per la riduzione in versi, e c 'era, come in Inghilterra, una grande varietà di livelli stilistici, che spaziavano dall 'e­ strema raffinatezza alla volgarità o alla dizione oscena. Era presente inoltre, come nel dramma elisabettiano, un' interazione piuttosto libera tra la fami­ glia reale, la nobiltà e le classi più basse (i membri della servitù di entrambi i sessi, i contadini, gli artigiani, perfino i ladri e altri criminali) . Indipendentemente dal fatto che l a comedia seria tenda a concludersi, come tutte le tragedie, con la morte di uno dei personaggi principali, in quasi nessun caso è presente un eccesso di violenza o crudeltà che possa essere paragonabile alle opere drammatiche tedesche e olandesi del tempo. Messa in prospettiva, l 'epoca d'oro del teatro spagnolo indulge leggermen­ te di più della tragedia classicista francese e leggermente di meno del teatro elisabettiano nella messa in scena delle crudeltà, o nella loro narrazione sul palcoscenico. La linea di confine, per quanto riguarda la rappresentazione della crudeltà, sembra porre Inghilterra, Francia e Spagna da una parte, e i Paesi Bassi e la Germania dall 'altra. Potrebbe essere quindi la misura in cui i meccanismi della "società di corte", così come descritti da Norbert Elias ( 1 9 6 9 ) , governavano il paese in questione a offrire una spiegazione per le differenze sopra menzionate, an­ che per quelle di tipo graduale. Il massimo in fatto di codici e norme cortesi 1 3 · Per i lettori non specialisti è necessario aggiungere che i drammaturghi spagnoli ba­ rocchi coniarono questo termine per definire la produzione drammatica nel suo insieme, vale a dire, sia per la tragedia (ovvero opere con un finale triste ed eventualmente sanguino­ so) che per la commedia (opere concepite per suscitare il riso) . Come già accennato (supra, nota 7 ) , l'uso di tale termine non è stato modellato sulla "classica" definizione aristotelica, quanto su di una concettualizzazione che ha le sue fondamenta nella tradizione della com­ prensione dantesca del termine.

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fu raggiunto nella Francia dell 'epoca, in cui l' ideale di bienséance escludeva ogni tipo di riferimento esplicito agli aspetti più volgari della realtà umana. In linea con il pensiero freudiano è possibile argomentare che l'assenza di supplizi effettivamente mostrati sul palcoscenico francese e la loro relega­ zione all' interno di un registro linguistico caratterizzato dal differimento - metaforico, metonimico o ellittico - rappresentava soltanto un "velo" leggero, dietro al quale le atrocità sottointese non erano meno riconoscibili che nella messa in scena del teatro tedesco e olandese del tempo. Il dramma serio spagnolo, che, come in Francia, era mostrato in ante­ prima a corte per poi essere messo a disposizione degli spettatori nei teatri corrales'4, non era così "tipicamente cortigiano" come la tragedia francese. Data l 'enorme distanza ideologica tra la tragédie classique e la comedia (una visione del mondo principalmente laica o cripto-protestante; un rigido ri­ affermarsi del tradizionale approccio cattolico alla vita e alla realtà)\ è in­ teressante riconoscere la misura in cui il dramma serio spagnolo di questo periodo cerca di "coprire" i feroci misfatti che si trovano alla base della tra­ ma (molto spesso l 'uccisione di donne sospettate di aver commesso adulte­ rio) evitando di mettere in scena l'evento in sé, ma optando piuttosto per una sua verbalizzazione più "attenuata'''6• È un fatto conosciuto che la corte degli Asburgo a Madrid fosse, insieme a Versailles, il centro più autorevole in fatto di cultura assolutista e dei suoi standard di comportamento. Se a ciò si aggiunge la considerazione che, comparando le prime comedias di Lo­ pe de Vega con le varianti più sviluppate di Calder6n, le "crudeltà sul palco­ scenico" appaiano come un fenomeno in diminuzione, l 'ipotesi "cortese" avanzata in precedenza guadagna ulteriore credibilità. Non credo sia troppo azzardato affermare che il Saint James 's Palace può essere considerato il meno "tipicamente cortigiano" tra i tre centri di potere assoluto dell ' Europa Occidentale. C 'era, infatti, molta meno stabi14. La struttura dei palcoscenici corra/es era all' incirca la stessa dei teatri inglesi con­ temporanei, come ad esempio il Globe (logge e posti a sedere per i più benestanti e un "pavimento" comune, senza posti a sedere, in cui erano ammessi gli spettatori di fascia più modesta) . C 'era un'unica differenza "tecnica" tra i due tipi di palcoscenico, relativa alle differenti condizioni climatiche : i corra/es erano, nella maggior parte dei casi, palcoscenici a cielo aperto e non avevano tetto, ma solo mura perimetrali. 15. Cfr. Kiipper (2017) che, sebbene si focalizzi principalmente su testi spagnoli, tratta anche delle differenze ideologiche tra le opere teatrali spagnole e francesi di quel periodo. 1 6. Faccio riferimento al celebre saggio di Leo Spitzer, Die klassische Dampfung in Racines Stil (1928) , in cui il critico afferma, con argomenti convincenti, come la tragedia classicista francese consenta la tematizzazione delle passioni (amore, aggressione, odio, di­ sprezzo), ma solo nella forma stilisticamente più disciplinata.

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lità dinastica a Londra, dove si scatenavano controversie violente riguardo a problematiche concrete e reali, come, ad esempio, la successione, piutto­ sto che a Madrid e Parigi. Un simile contesto politico può essere stato me­ no favorevole alla nascita di codici di condotta e di espressione il cui scopo principale era quello di celare in maniera consistente la natura animale de­ gli uomini stilizzando il monarca (e, di conseguenza, tutta la corte) come una sorta di dio in terra. Come sottolineavo in precedenza, la differenza fondamentale è quella che intercorre tra questi tre centri dell'assolutismo e la produzione dram­ matica dei principati tedeschi e della neonata Repubblica olandese. Fino alla fine del XVI I secolo, le ex province nordiche dell 'impero spagnolo con­ tinuavano a essere, per quanto riguarda gli standard di gusto e comporta­ mento, in qualche modo "provinciali". Dare espressione alle realtà (locali e straniere) più violente ricorrendo ai mezzi più estremi non era considera­ to in alcun modo problematico all'interno dell'emergente Stato olandese. Per quanto riguarda la situazione tedesca - almeno nei principati set­ tentrionali e orientali, dove ebbero origine drammi come quelli discussi in precedenza - non esistevano veri e propri mezzi per "costruire" una socie­ tà cortese raffinata. Ampie parti del paese furono devastate dalla Guerra dei Trent 'anni, le risorse erano scarse e i principati avevano necessità più urgenti da soddisfare del desiderio di una maggiore raffinatezza e sofistica­ tezza. Solo nel XVI I I secolo le corti tedesche adottarono i rituali di corte, incluso il francese, lingua in cui si imposero inizialmente. In conclusione, la questione su come giustificare la propensione alla rappresentazione della crudeltà nel dramma della prima età moderna sem­ bra ricondurre all ' ipotesi che siano in primo luogo le costellazioni politi­ che dell 'epoca a spiegare sia le caratteristiche comuni generali, sia le diffe­ renze specifiche tra le culture teatrali e drammatiche del XVI I secolo.

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3

" Tirannia degli uomini", "tirannia del Cielo" nelle azioni sacre di Zeno, Metastasio, Granelli di Elisabetta

Se/mi

Nel contesto del riassetto in corso nella florida, ma anche drammaturgica­ mente sfrangiata sperimentazione seicentesca di azioni teatrali e musicali impegnate nel territorio del sacro, Apostolo Zeno ( 1 6 69-17 50), nell 'espor­ re il suo programma di austero ritorno del genere oratoriale a una sorta di « tragedia di parole » \ lontana dagli « abusi » del fasto barocco e rivol­ ta alla sceneggiatura storicizzante e interpretativamente fedele di singoli episodi biblici, focalizzava lucidamente l 'urgenza di uno stile drammatico, consono alle Scritture, in grado di « far ragionare le persone » « co' senti­ menti de ' Padri e Dottori della Chiesa » .

3-1 Dall ' O ratorio alla Tragedia biblic a : metamorfosi sceniche,

classicismo edificante, didassi politica

È noto come la librettistica religiosa, e prevalentemente biblica di Zeno (delle sue diciassette « azioni sacre » , composte fra il 1719 e il 1735, ben tre­ dici hanno per argomento vicende veterotestamentarie), insieme agli ora­ tori di Pariati e Metastasio (Stroppa, 1 9 9 3 , pp. 7- so) costituisca una tappa dirimente di una stagione viennese, a guida italiana, che diede impulso alla riforma di un melodramma devoto moderno il quale - secondo il Calza­ bigi - aveva inteso distinguersi dai « capriccios [i] accozzament [i] di versi posti in bocca sovente di personaggi ideali a piacere del verseggiatore, e del compositor di musica » ( Calzabigi, 1757, vol. I, pp. cxxx n - c xxxm ) : ossia dagli usi inverosimili delle personifìcazioni allegoriche ampiamente diffu1. Il programma di riforma di Zeno riguardo agli oratori sacri si legge nella Dedicato­ ria Al/a sacra imperiale cattolica maesta di Carlo VI e di Elisabetta Cristina sempre augusti, premessa all'edizione Zeno (1735) da cui si cita.

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se nella drammaturgia romana (cfr. Megale, 2005; Profeti, 2005; Bianconi, 1 9 9 1, pp. 184 ss.). Nella qual operazione Zeno, per Calzabigi, con « vigoro­ se espressioni, grandiose immagini, e nobilissime figure » , ossia con tratti nuovi del suo "prodigioso" biblico, aveva saputo abilmente « arricchire la nostra poesia nel trasparvi il sublime dell' Ebrea » (ivi, p. cxxxm ) . Se non è questo il luogo per ridiscutere l 'effettiva portata delle innovazioni zenia­ ne, preme invece qui sottolineare come Zeno si mostri alquanto vigile nel collegare strettamente la scelta dei filtri di accesso alla materia biblica alla funzionalità drammatica di soggetti sacri da ricondurre a una misura di "re­ golata devozione": ai modelli di un'esegesi garante dei valori di verità e mo­ ralità dell'ermeneutica cattolica e di una sorvegliata verosimiglianza sceni­ ca, di confronto con la precettistica tragica aristotelica. Zeno si premura di correggere gli eccessi di astrazione dell'oratorio barocco, quell'uso di per­ sonifìcazioni teologiche e dello stesso "sacro Testo': su cui già nel suo Di­ scorso dogmatico, del 1706, Arcangelo Spagna si era espresso con una decisa censura (Spagna, 1706, f. A2; cfr. Sarnelli, 2002; Canneto, 2013 ) , promuo­ vendo un modello storico di azione sacra ed eroica. Insieme però potenzia anche i caratteri di allusività attualizzante degli episodi biblici, al servizio di una lezione morale e politica che rilegge le vicende scritturistiche alla lu­ ce di una teodicea cristiana sovrapposta agli ideali di civiltà e buon governo (o di condanna dei disvalori) del secolo. A rifunzionalizzare, sotto nuovi cieli razionalistici, le forme simboli­ che dell 'oratorio barocco, in linea con le tipologie rappresentative dell 'a­ pologetica settecentesca, vale l 'esempio zeniano della Gerusalemme conver­ tita ( 1733 ) , l'unico caso fra le sue pieces spirituali che ricorra apertamente all 'impiego dell'allegoria. In un testo dove il solo san Giovanni interviene nella rappresentazione come reale personaggio storico, mentre - per stare alle didascalie di Zeno - nell 'immagine di Gerusalemme « si rappresenta­ no que ' Giudei, che si sono convertiti alla fede di Gesù Cristo » , in Flavio Giuseppe « que' Giudei, che si sono mantenuti [ . . . ] ostinati nella loro pri­ ma credenza » , in Cerinto « si raffigurano gli eretici » , la qualità ibrida dei caratteri ben illustra il work in progress dello scrittoio oratoriale zeniano e gli sviluppi, nel trattamento di vicende e miti biblici, avviati al recupero di una dignità e didassi sceniche e di uno stile sentenzioso sub specie tragica. La conquestio di Gerusalemme personaggio « sedente sopra le sue ro­ vine dopo la distruzione fattane da Tito » - come recita l 'avant-parler ( ibid. ) - ricalca fedelmente un centone di luoghi salmistici e di rifacimenti cattolici delle quaresimali Lamentazioni di Geremia che suggeriscono la tonalità esordiale di luttuosa desolazione, equivalente all'atto primo del 6o



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circolo di caduta e riscatto della storia soteriologica che impronta il destino della ecclesia cristiana e di ogni uomo : Pera il giorno, in cui nacqui: lo copra eterna notte. Ombra lo prema di amarezza, e di morte. Lo assorba un tenebroso turbine. Aspetti 'l lume, e mai no l vegga; e l'aurora a lui sia chiusa, e sepolta in caligine folta. Del mio splendor, della possanza mia, oimè ! Quai son gli avanzi ? Quai le vestigia? Le mie torri eccelse la fiamma ha divorate. Il mio ha consunto popolo numeroso la civil rabbia, e la nimica. Ho l 'ossa spolpate, arse le fibre, imputridite le carni, arida, e attratta la cute. Ahi ! Tanto fece la sacrilega fama, e l'empia guerra. [...] Ah! Ch'io son vigna desolata, e Dio nel dì del suo furor m'ha vendemmiata. Alte rovine al passegger fan fede Di ciò che fui [ . . . ] ; e Profeta non c 'è che m i consoli Gerusalemme (parte prima).

Zeno riscrive nella figurazione simbolica della rovina di Solima, per l 'em­ pia condotta dei suoi re, la funebre memoria di luoghi illustri delle La­ mentazioni I e I V con cui Geremia rampogna e condanna a parte Dei, e attraverso la prosopopea della città santa abbattuta, l'abominio e l 'idola­ trica colpa ebraica ( « Quai son gli avanzi ? [ .. ] » : parte prima, ivi, p. A3). Ne drammatizza i significati nell 'atto che rende visibile allo spettatore, con parole sensisticamente corporee (che riproducono il linguaggio "materico" degli stessi profeti biblici) i contenuti della lezione macabra e penitenziale che modernamente può apprendersi dalla storia archetipica posta a fonda­ mento della coscienza cristiana. Le parole terribili (fino alla sconcertante immagine antropofagica delle empie madri che si nutrono delle carni dei figli, così allusivamente associabile alla profanazione, da parte del popolo deicida, del corpo, ben diversamente salvifico, del non riconosciuto Figlio .

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Messia Redentore) delle inascoltate profezie di Geremia si incarnano sulla scena in un'allegorica Gerusalemme-personaggio, raffigurazione metasto­ rica di una Chiesa sorda alla verità del Dio unigenito ( « vigna desolata » « vendemmiata » dalla giusta vendetta divina), nella perfidia sempre risor­ gente di eretici e idolatri fino all 'inevitabile attualizzazione che suona, nel battage ecclesiastico settecentesco, in direzione allusiva al giansenismo e alle polemiche sulla grazia. Solo la legittima « alta ruina » può far risorgere nel peccatore offuscato dalla malizia di una vana superbia terrena, e in una Chiesa abbandonata dalla fede e dalla grazia, i fonti disseccati della pietà e della charitas cristiane, preparando la metabolé di una tragedia a lieto fine, di una teodicea cattolica in cui s ' in scrive l 'eterna parabola di colpa e reden­ zione, per una convertita Gerusalemme alla fine illuminata dal "beneficio di Cristo". L'oratorio zeniano, allestito per la messa in scena viennese ancora con soluzioni ibride, è il vero banco d'orchestra per la sperimentazione teatrale dei significati edificanti delle Trenodie di Geremia e dei Salmi di Davide e dei profeti, che stratificano il linguaggio di densa intertestualità biblica del­ la « azione sacra » e che costituiscono una sorta di sinopia per il riuso sce­ nico di voci veterotestamentarie ad alto tasso di presenza nella catechesi e nella liturgia cattoliche, ma prive di un "corpo teatrale" capace di restituire ad esse una dimensione di storicità e di concretezza sceniche. Nel pressoché coevo oratorio del Sedecia (1732) la drammatizzazione dei Treni e di un mirabile biblico, che mette in scena la profezia della di­ struzione e della schiavitù di Gerusalemme, si cimenta con la costruzione di un carattere "storico" di Geremia, avvalendosi - dichiara Zeno - del mo­ dello già plasmato dal padre Giovanni Granelli nella sua omonima tragedia sacra, rappresentata nel Collegio di San Luigi, in Bologna, nel 1 7 3 1, e poi ripubblicata nel 1763, con ulteriori avvertenze esegetiche che motivano il complesso percorso di affermazione di una nuova « tragedia biblica rego­ lare » ( Zanlonghi, 2002, p. 297) d' impianto classicistico, ormai sostitutiva del vecchio modello martirologio del dramma gesuitico seicentesco. Nell 'avviso A chi legge di Granelli, dove si argomenta minutamente ri­ guardo alla costruzione dei caratteri dei personaggi, di « G eremia profeta » si rivendica e si tratteggia la funzionalità scenica con tali parole : Le sue Lamentazioni aggiunte alla sua profezia ne fanno un carattere, che lo di­ stingue da tutti gli altri profeti. Questa ce lo dimostra uno de ' più forti e più fran­ chi a rimproverare i re; e quelle sopra d'ogni altro compassionevolissimo a piagne­ re sulle loro disavventure. Il qual carattere per sé medesimo ha recato all'autore



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questo vantaggio, che il terrore nato dalla giusta vendetta di Dio sopra Sedecia, niente di compassione non detragga a' mali di questo re".

Granelli, che ricapitola, nel quadro delle moderne categorie politico-mo­ rali del tragico settecentesco, le tecniche retoriche e catechetiche della « struttura a contrasto » del "teatro mentale" e dell 'interiorizzazione pe­ dagogica della scena gesuitica (assecondando la storicizzazione di una « te­ ologia cattolica della salvezza » (Cecchetti, 2001, pp. 289-9 6), atta a recu­ perare i significati biblici nell 'impianto concettuale di una visione cristia­ na della provvidenza e della giustizia divine che riconducono all 'archetipo cristocentrico ) si prefigge di forgiare e reinterpretare, con congegni aristo­ telici regolati secondo la « semplice economia delle passioni intrinseche al soggetto » 3, la psicologia e la simbolica dei caratteri delle dramatis personae. Sia pure nel rispetto di un verosimile storico che conferisce identità e in­ dividualità teatrali ai personaggi, la storia, in quanto rappresentazione di conflitti e passioni umane vani e transeunti e di un passato che si presta a una lettura della contemporaneità, s ' inscrive nella drammaturgia dei gesui­ ti sullo sfondo di una metafisica assoluta e di una verità etica che "depriva di senso" la temporalità e le vicende terrene, luogo delle contraddizioni e della insignificanza di ogni azione politica, per far trionfare la luce di una realtà altra che conduce alla purificazione e alla salvezza e che coinvolge empiri­ camente sulla scena il sistema dei valori dello spettatore, trasformando lo in credente. Il richiamo insistito alla fedeltà verso il testo della Scrittura, nel trattamento della narratio biblica (d 'obbligo, ma con citazioni a sigillo au­ torizzante, accordate a una trama di nuovi significati), si accompagna, nei drammi di Granelli, alla simbolizzazione cattolica dei fatti, con sviluppi concettuali che nella costruzione del testo attingono per la mise en scene all 'archivio mnestico dei grandi modelli della tragedia classica, quali ar­ chetipi stravolti e asserviti alle dinamiche emozionali di una teologia della "libertà e della grazià', peculiare del teatro di collegio. ,

2.. Notizie storico-critiche sul Sedecia ultimo re di Giuda, in Granelli ( 1 8 o;a, p. 75). L'a­ nalisi dei caratteri dei personaggi del Sedecia ultimo re di Giuda, compare solo a parti­ re dall'A chi legge della riedizione della tragedia del 1 746 ( Gian Maria Rizzardi, Brescia) . Nella prima edizione collegata con la rappresentazione avvenuta Nel carnevale dell'a nno 1731 ( frontespizio che non riporta dati tipografici e luogo di stampa), ma presumibilmente licenziata a Bologna per opera di tipografi collegati alla Compagnia di Gesù, Granelli dà altre informazioni e una diversa «precisa contezza » del dramma nella dedicatoria al car­ dinale Giorgio Spinola. 3· Notizie storico-critiche sopra Sei/a, in Granelli ( 1 8 09, p. 75)

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Il Sedecia che insieme al Manasse (messo in scena nel 1732-33 ) , l'altro dramma spirituale di Granelli, costituisce un vero e proprio dittico per la rappresentazione di una sorta di "genealogia biblicà' fonte di nuovi miti moderni, quella delle vicende di empietà e infedeltà degli ultimi re di Giu­ da nel tempo della conquista e della deportazione babilonese, analoga e sostitutiva, nell'ambito teatrale del sacro, alle e delle saghe familiari della tragedia greca, reimposta nei caratteri di un ritrovato classicismo edificante un complesso di storie rivisitate alla luce della nuova erudizione veterote­ stamentaria settecentesca coltivata nei cenacoli della moderna cultura cat­ tolica, quale quello romano cresciuto intorno alla figura di Giusto Fonta­ nini e all 'Accademia del Tamburo. Un 'élite dedita agli studi biblici, da cui erano scaturiti pamphlet chiave, anche per le riscritture sceniche, come le Considerazioni intorno alla poesia degli Ebrei e dei Greci di Biagio Garofalo, uscite a Roma nel 1707 (Accorsi, 1 9 8 8, p. 349: 1 9 9 1 , pp. 4- s ) . Una disserta­ zione che generò ampio scalpore, con esiti di condanna all' Indice, proprio in ragione di quella sensibilità storica, nell 'esegesi dei testi sacri, che si rite­ neva trattasse la Scrittura alla stregua di un libro profano ( Garofalo, 2014 ) . Trasferitosi a Vienna nel 1732, al seguito del coté intellettuale del principe Eugenio di Savoia dove s ' intendeva rilanciare la Bibbia come fonte privi­ legiata per la formazione letteraria, con un taglio incline a riletture gianse­ nistiche, il Garofalo è presenza con cui mostra di dialogare la sperimenta­ zione oratoriale vi ennese di Zeno e Metastasio, soprattutto rispetto al pro­ gramma di riforma che si prefiggeva di favorire le scelte di soggetti biblici con fini di moralizzazione e di "didattica politicà'.

3·2 Re penitenti, oracoli funesti e sacrifici inumani

Espressione di un approccio non convenzionale e più riflessivo ai testi del­ la Scrittura, anche il razionalismo cristiano di Granelli, dove l 'eredità di un 'analitica cartesiana delle passions de l'ame si proietta sull 'orizzonte in movimento di un'apologetica gesuitica, concorre al revival di una trage­ dia biblica polarizzata intorno ai temi della conoscenza (conoscenza di sé e conoscenza di Dio), delle capacità della ragione (della responsabilità e del libro arbitrio) , dell' illuminazione divina. Nei paratesti delle tragedie bibliche che definiscono, il suo, un teatro che ricerca l 'essenza del tragico nell 'ambito della "compassione" aristote­ lica, si focalizza l 'esemplarità delle vicende del Sedecia e del Manasse sui



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motivi della vendetta e della misericordia divine che, alternativamente, pu­ niscono e premiano le diverse condotte dei due ultimi re di Giuda: l ' infe­ deltà e l 'arroganza, dell'uno, Sedecia; l 'umiltà e l 'espiazione dell 'altro, Ma­ nasse, salvato dal sublime « perdono » di Dio e restituito « dalla carcere al trono » (Granelli, r8 osb, pp. 74- 5). La fìgura di penitente di Manasse, che purga nei triboli dei sentimenti di colpa e nell 'abiezione della prigionia ba­ bilonese la tentazione all 'empia superbia, alla violenza, sempre insita nella regalità, e nella universale condanna adamitica dell'uomo, si fa prototipo, per il Granelli, di un nuovo modello di eroismo tragico : la sfìda più impe­ gnativa, per il drammaturgo, nella resa di un carattere, « formato sul vero cattolico » , in grado di sintonizzare le attese di uno spettatore moderno con le tipologie bibliche. Granelli così commentava la scelta del protagoni­ sta nei termini di una mise en question sulla sua esemplarità scenica: E perciò che all 'eroe appartiene io non poteva rappresentarlo altrimenti che un penitente. Questo carattere è indivisibile da quello di una profonda umiltà ac­ compagnata da una dolorosa tristezza del mal commesso [ . . ] . Per altra parte io non aveva da' buoni antichi, o moderni, esempio alcuno di un tal carattere, a cui attenermi; poco o nulla trovando in esso di somigliante, ch'essi abbiano rappre­ sentato. [ . . . ] Ho soprattutto cercato di formarlo sul vero, traendolo dal naturale di Manasse, che da' Libri dei Re, dei Paralipomeni, e da quelli de ' Profeti suoi contemporanei ci vien descritto negli anni della sua empietà severo oltremodo, anzi violento e crudele, né d'alcuna moderazione nelle passioni sue tollerante. Ho creduto, che questa severità, e dirò ancora violenza di massime trasportata alla virtù della penitenza, e più rigorosamente seguisse la verità dell' istoria, e da ogni abiezione questo carattere liberasse, portando questa virtù alla più vera a un tem­ po, ed al teatro sensibile grandezza (ivi, p. 74). .

La «penitenza ammirabile » di Manasse, che « mosse Dio a vedere il suo ristabilimento » è per Granelli il "nodo storico" della tragedia che muove la peripezia, ricavabile dalle « oscure » « circostanze » che di tali vicende relative alla caduta del regno di Giuda ci trasmette il sacro Testo (da quel­ le ellissi narrative e teologiche insite nel resoconto biblico, spazio per una più libera reinvenzione). Nodo che l 'autore sottopone a un sensibile pro­ cesso di riconversione cattolica - la parabola di Manasse è, per lui, la testi­ monianza più autorevole che nel Vecchio Testamento illustra l ' intervento di un "Dio misericordioso" più che vendicatore, dove intenzionalmente si adombra l ' idea di una terribile giustizia biblica che implicava anche la col­ pa dei padri, su cui perplessamente veniva interrogandosi la drammaturgia cristiana. Il re superbo, umiliato, diventa così l 'agnello sacrifìcale, tramite

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di salvezza collettiva, icona liturgica introiettata nell 'autocoscienza del cre­ dente di fronte alle proprie colpe e al fiducioso abbandono nel seno della provvidenza divina. La storia biblica si cala nel rito confessionale di un Dio che « atterra e suscita, che affanna e che consola » 4: parabola che documenta nella figura del protagonista l' insondabile e misterioso legame che stringe, a filo dop­ pio, umiltà e regalità, a configurare l 'idea di un principe cristiano, plasma­ to sull'immagine cristologica ricavabile dalla Politique di Bossuet (fresca di stampa nel 1709 ), che proprio nell'esperienza del dolore, nell'archetipo cat­ tolico delle vie oscure della « tribolazione del peccato » , si eleva a strumento sublime della provvidenza e chiave per una comprensione più autentica della storia: « Egli è certo che Dio mutò d'improvviso l 'animo del Re babilonese1 per merito della penitenza del prigioniero » ; concludeva Granelli - e dun­ que « in lui solo e nella virtù dell' Eroe dee ritornarsi l'esito lieto della peripe­ zia. E vale dire che mentre le naturali cagioni conducevano Manasse ad una misera fine, sottentrarono le soprannaturali a rompere il corso, e l'avversa e trista fortuna in lieta e prospera convertirono » (Granelli, 18osb, p. 75). Al fato forza trascendente, oscura e irrazionale, che agisce il conflitto drammatico dei classici si sostituisce una « ideologia provvidenzialistica » della Bibbia, che induce a riflettere su una teologia della storia profonda­ mente modificata (e che modifica dall'interno la stessa essenza del tragico antico alla base della concezione aristotelica) : dove un Israele sempre infe­ dele e sempre perdonato, figurante stesso dell'umanità e della Chiesa, cat­ tura lo spettatore nella meditazione sull 'in eludibile percorso di sofferen­ za della vita, mossa dall 'azione imperscrutabile, ma mai insensata, di una giustizia divina insieme implacabile e consolatoria. A monte del processo di razionalizzazione didattica messo in opera da Granelli, nello scavo con cui ricerca nei significati delle vicende bibliche e dell'azione divina - non di rado sconcertanti, facili ad analogie con l ' incomprensibile e tormentan­ te divinità sofoclea6, di un Dio che sembra odiare la sua vittima restando 4· Prima dei celebri versi manzoniani, già Racine in Athalie, m, vn, I I 2.3. Si cita dall'e­ dizione Racine (2.009). 5· Granelli (18 o5b, p. 75). Il re babilonese è ovviamente Nabucodonosor che, nella trama della tragedia, di fronte alla conversione, dall'arroganza all'umiltà, del prigioniero Manasse, decide di liberarlo e restituirlo nella sua dignità regale. Manasse in virtù della sua penitenza diviene strumento della volontà sovrannaturale e della grazia divine. 6. Emblematico è l' interciso attenuante di Gioad in Athalie, I, II (Racine, 2.009, p. 1513) di fronte ai timori di Giosabet sulla possibilità di condanna senza scampo anche per gli innocenti, da parte di Dio, della « empia razza » di Davide (che rinnova nel « brac­ cio vindice >> del Dio biblico il senso della nemesi classica) . 66



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silenzioso, come nelle riscritture, di indubbia fortuna, nella tragédie sain­ te francese e nella sensibilità riformata e giansenistica d ' Oltralpe, delle vi­ cende della figlia di Jefte, di Saul o di Giobbe - la sintesi trascendente di un ' inverante storia della salvezza (di una Grazia che è sì mistero, ma mai abbandono e lontananza), si colloca l 'ampio dibattito e revisione in atto, fra fine Seicento e Settecento, sull 'opportunità dell'eroe tragico innocente e perseguitato7• Un ripensamento di lungo corso che, a valle della querelle sollevata dal Polyeucte di Corneille, metteva in discussione lo stesso mo­ dello del dramma martirologico e il suo funzionamento legato alla teoria dell ' « admiration des Heros » . Da qui si motiva anche l' insistenza con cui Granelli batte sul tasto di una tragedia biblica luogo privilegiato del pateti­ co. E si tratta di un patetico che coinvolge la stessa reinterpretazione delle storie bibliche alla luce di lezionari, come i Sens spirituel di Lemaistre de Sacy ( 1 7 1 6 ) , che si rivela alquanto influente su testi come il Giuseppe zenia­ no (1722) o il Giuseppe riconosciuto (1733) di Metastasio, dove la sfera affet­ tiva apporta nuovi approcci alla comprensione simbolica della Scrittura; sia pure nel gioco contrastivo inevitabile, per Granelli e Zeno, fra la sen­ sibilità portorealista del predicatore francese e le convinzioni gesuitiche o pseudoagostiniane relative al problema della "leggibilità" del mondo e della storia e alla fallacia dell 'umana sapienza di fronte ai segni della volontà di­ vina (su temi, quindi, della colpa, della grazia, della rivelazione). Il processo di acclimatazione delle storie bibliche all'interno di un con­ gegno pedagogico e teatrale classico e insieme cattolico, che ne attualizza la latitudine e ne smussa i caratteri di inconciliabilità e alterità (va rammen­ tato che con la tragedia biblica del Settecento si avvia anche un processo di dissacrazione del comportamento del Dio biblico e del modello degli eroi veterotestamentari con la sua acme nell'età volterriana)8, si sviluppa nel Se­ decia di Granelli, che più coinvolge il gioco imitativo di Zeno, intorno agli aspetti del prodigioso biblico strettamente connessi all'interrogazione sul significato e la funzione profetica del carattere storico di Geremia. È Betti­ nelli, fra i sodali di Granelli uno dei suoi più sinceri estimatori, a indicarci 7· In dialogo con le posizioni già discusse da Pietro Sforza Pallavicina (1644, pp. 1 3 464) nella dissertazione finale (A chi ha letto) che accompagna la sua tragedia Ermenegildo, e i correttivi introdotti rispetto al modello antiaristotelico del martire perseguitato. 8. Molto complessa e accesa già partire dal tardo Cinquecento, nel contesto della Tragédie sainte francese, la riflessione critica su lepiteuses ruines des grands Seigneurs e delle inconstances de Fortune, di cui è esemplare lo]ephtes latino di Buchanan, tradotto da Flo­ rent Chrestien (1567 ) : cfr. Cecchetti (2001, pp. 2.91 -5).

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referenti e parallelismi che animano l 'inventio e lagravitas biblici del gesu­ ita ligure : Chi le gravi non pianse aspre catene, e gli svenati pargoletti figli de l'Edipo giudeo ? Chi di Manasse non detestò l'antiche colpe, e al novo dolor non dolse, e il non veduto in pria piagnendo non udì sacro argomento ?•

Il topos dell'oracolo maledetto, che agisce sullo stampo dell 'Edipo classico le tante trame della tragedia profana cinque-seicentesca, si innesta nella pe­ ripezia tragica di Sedecia, l'Edipo giudeo, il re di Solima che nella sua hybris, nell 'empia arroganza del potere tradisce i patti di fedeltà con gli uomini e con Dio, e si traduce in un 'interrogazione sulla veridicità della profezia chiamata a interpretare il mistero del destino dell'eroe biblico. Intorno al nodo dell 'errante interpretazione dei significati pronunciati dall 'oracolo divino'0, che profetizza la sorte dell' infelice re di Giuda, ruota il conflitto morale e teologico che nella tragedia contrappone la cecità in cui brancola l 'umano giudizio (quella « cecità » - ribadisce Granelli - « che d 'ordinario accirconda i Troni » ) di fronte ai segni di una verità trascendente, quando superbo presuma di sostituirsi a Dio, alla luce ispirata di chi si fa interprete del vero per volontà divina : che si incarnano, rispettivamente, nelle due fi­ gure del santo Geremia, vox Dei, testimone della giustizia divina e mentore legittimo dei popoli, e di Manasse, immagine del politico « di poca fede » , dello scettico, dell'ateo libertino moderno, consigliere di Sedecia. È proprio nella scena IV del I atto, dove fa la sua comparsa Geremia, che il testo esibisce, in un dialogo serrato fra il profeta ed il re, il vero nucleo tra­ gico ed etico del dramma: il motivo della sovranità disonorata, della vile fuga di Sedecia (per mettere in salvo sé e i figli dalla vendetta di un Nabuccodo­ nosor inconsapevole strumento della giustizia divina e dell' ironia trascen­ dente della storia) : portato di quella follia che lo rende dimentico dei suoi doveri", lo trasforma nell 'empio sconsacrato e lo trafigge, per mano divina, 9· S. Bettinelli, Poemetto al P. Granelli sopra la Tragedia, in Granelli ( I772, p. 405 ) . L'oracolo, 1 atto, n scena, recita: « Re di Giuda non è fatale il ferro l A giorni tuoi, che chiuderai in pace; l Né l'empia Babilonia an co vedrai» . I I . Il decalogo settecentesco de « i doveri d'un Re » che esprime il sentire del pater­ nalismo settecentesco, in Zeno, Sedecia, parteprima, pp. 3 2 I - 3 ; e soprattutto in Metastasio (I996), Gioas, Parte seconda, vv. 42I-445· IO.

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non con la morte paventata ma con la metaforica e reale cecità dell'anima e della vista; stigma ostensivo dell'erranza di una regalità colpevole che - co­ me ribadirà Metastasio nel Gioas (altro oratorio di riscrittura delle cruente vicende del trono di Giuda) - non ha più « la giustizia su gli occhi, e Dio nel core » (parte seconda, v. 445). Ne ottenebra l' intelletto nella babele re­ lativistica delle parole, nella loro terribile ambiguità di fronte alla vertigine irrazionale delle vicende terrene1\ non più illuminate dall'umile e fiducioso riconoscimento di un Dio-Verbo incarnato che redime e salva. Un contrasto fra cecità umana e illuminazione divina che anche Metastasio mette in scena nel citato Gioas re di Giuda (173 5), attivando una sapiente ripresa del tradi­ zionale senso figurale dell'esegesi cattolica (in un dialettico confronto con la lezione raciniana di Athalie e con l'interpretazione di Duguet e di Arnauld) , che trasforma l' intrigo patetico in una inchiesta sul problema del «disvela­ mento » , del « [ . . . ] lume ignoto l all'umana ragione » , cui darà senso solo il "velo del tempio" squarciato nella morte del Redentore : Ma è tempo ornai di rimover quel velo che ti cela a'Leviti. Ascendi il trono ; ma prima al suoi prostrato, come apprendesti, il Re de' Regi adora, e al gran momento il suo soccorso implora ( Gioas,parte seconda, vv 457-462). .

Come ha ben illustrato Sabrina Stroppa, pur nel dubbio di una natura lap­ sa irredimibile, nel naufragio delle vicende terrene, « la fede in Dio operan­ te nella storia » ancora trionfa nell 'azione sacra metastasiana; e di fronte allo sconsolato interrogativo di Gioas : Ahimè! chi mai, chi ci difenderà ?

Gioiada, sommo sacerdote degli Ebrei, con parole non diverse dal Geremia di Granelli, risponde : Chi ci difese insino ad or, chi d'arrestarsi in cielo spettator de' suoi sdegni al Sol commise, chi Gerico espugnò, chi ' l mar divise ? ( Gioas, parte seconda, vv 48 5-48 8) .

12. L'archetipo scenico d i Sedecia incarna esemplarmente quanto ). B. Bossuet dice nel suo commento a Isaia 19, 3, p. 6 9, nota 12 (Bossuet, 1 961, 111, caput 7 ).

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Se le azioni sacre metastasiane non sono altro che « la drammatizzazio­ ne dell 'ambivalenza, e dell 'incessante tentativo dell'uomo [ . ] di leggere i segni che Dio dissemina nel mondo » (Strappa, 1993, pp. 12.4-5), allora il dramma di illuminazione, che diviene la cifra costante e ripetuta dell 'ora­ torio biblico del Trapassi, invera in tale tragica « ambivalenza dei segni » , nell'asimmetria imposta dalla condizione di un'umanità decaduta, la pro­ spettiva, il destino teologico di un uomo che solo nella vivificante realtà della Grazia e della storia della Redenzione, del Cristo incarnato, può dis­ solvere le tenebre della ragione e interpretare i vestigia della presenza divi­ na. Non diversamente dal Racine di Ester e di Athalie, sia pure a un diverso grado di fiducia o di intima corrosione in un'ermeneutica che assicuri un senso alle storie sacre e sia in grado di ricomporre in un ordine metafisica sensato e intelligibile i caratteri del prodigioso biblico, del sublime profe­ tico o dell'autocoscienziale onirico, dei tanti fili misteriosi in cui si attua l 'epifania dell' incontro fra l'uomo e Dio - motivi tutti così dirimenti nei drammi biblici che fra Francia e Italia trattano le vicende del trono di Giuda tali da costituire una tipologia, che con un termine appropriato la Papaso­ gli ha designato come le tragedie del « turbamento del re » ( 2.001, p. 232 ) -, anche Metastasio obbliga il lettore dei suoi drammi ad assumere il punto di vista dell 'interpretazione figurale, quale chiave privilegiata ed esclusiva del rapporto che lega di necessità i fatti del Vecchio e del Nuovo Testamento : il velo delle antiche storie con lo svelamento della venuta di Cristo e del suo sacrificio di sangue. .

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Quanto d'arcano, e di presago avvolse di più secoli il corso, oggi si svela. Non senza alto mistero il sacro vel che il Santuario avvolse si squarciò, si divise al morir di Gesù. Questo è la luce che al popolo smarrito le notti rischiarò [ ] [ . ] il sacerdote è questo fra la vita e la morte pietoso mediator [ .. ] (Passione di Cristo, n, vv. 264-274). ...

..

.

Con tale chiosa, san Giovanni nella Passione metastasiana riassume il ban­ dolo della storia cristiana e il telos veritativo di ogni sua interpretazione, e introietta nella coscienza dello spettatore la lezione di una scena rituale 70



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dove Cristo, l ' « invisibile visibile » , si fa specchio del riconoscimento del credente : Or di sua scuola il frutto vuoi rimirare in noi. Da noi s' asconde per vederne la prova -

concluderà il recitativo dell 'apostolo di risposta a una dolente e dubbiosa Maddalena che, pur fiduciosa nel credo liturgico di un Dio onnipotente (n, v. 2.89 : « Giovanni, anch 'io lo so, per tutto è Dio » ) , titubante s 'inter­ roga « ma intanto ai nostri sguardi l più visibil non è » , nel timore della perdita di quella sapienza che «per noi si aprì » . Il ricorso all ' interpreta­ zione figurale, che costituisce il perno intorno a cui Metastasio attualizza e riveste di nuovi significati le storie veterotestamentarie, si cala così concre­ tamente nel funzionamento delle strutture drammaturgiche del testo, nel­ la caratterizzazione psicologica dell 'azione dei personaggi la cui memoria biblica s 'irradia in una pluralità di sensi e direzioni che convergono in un « vray miroir des choses avenue de nostre temps » , suscitando quel « conta­ gio dell'eroismo » e della virtù che deve agire come specchio per i principi moderni.

3 ·3

Da Athalie a Gioas. Il "trono di Giudà' : uno specchio per i prìncipi

Di una lezione esemplare, in tal senso, aveva già dato prova il sapiente bibli­ smo di Racine, recepito da un contemporaneo come il giansenista Quesnel nella sua strategia allusiva che, soprattutto nello spazio meditativo dei cori di Athalie, coglieva una figuralità che si riflette sulle vicende del presente : Vi sono brani che costituiscono denunce in versi e in musica. [ .. ] Le più belle mas­ sime del Vangelo sono espresse in modo commovente, e ci sono ritratti che non è necessario dire a chi somigliano (Beretta Anguissola, in Racine, 2.009, p. 19 15). .

Tale abile cortocircuito, che si genera fra le funzioni sceniche, il "figurali­ smo" del testo e lo sviluppo psicologico dell ' interiorità dei personaggi, tro­ va un sublime modello nel discorso di Giosabet, nella scena II, del I atto di Athalie, dove nel dialogo con il sacerdote Ioiadà (Gioad) sul destino mes71

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sianico che attende « le précieux reste » « du fidèle David » , Eliacino/Gio­ as - l 'ultimo erede salvato dall 'empia furia vendicatrice di Athalie, nascosto nel tempio e educato « en l 'amour de ta Loi » -, la principessa, timorosa che « le bras vengeur » di Dio sopra la « race impie » di Giuda possa bra­ mare anche il sacrificio di sangue dell' innocente fanciullo, parlando degli zelanti « sacerdoti e leviti » , dichiara : Que pleins d'amour pour vous, d'horreur pour Athalie, un serment solenne! par avance les lie a ce fìls de David qu'on leur doit révéler ( ivi, I, II, vv. 2.11-2.13).

Cui loiadà risponde : Mais Dieu veut qu'on espère en son soin paterne!. Il ne recherché point, aveugle en sa colère, Sur le fìls qui le craint, l ' impiété du père. [ . .. ] Joas les touchera par sa noble pudeur, Où semble de son sang reluire la splendeur. Et Dieu par sa voix meme appuyant notre exemple, De plus près à leur coeur parlera dans son Tempie. Deux infidèles rois tour à tour l' ont bravé. Il faut que sur le m'me un roi soit élevé, Qui se souvienne un jour qu' au rang de ses ancetres, Dieu l'a fait remonter par la main de ses pretres ( ivi, I, II, vv. 2.65-2.8o ) .

Quel « figlio di Davide » , che « dev 'essere svelato » agli Ebrei come il le­ gittimo re, chiama in causa, nelle parole di Giosabet, il ruolo della tradizio­ nale agnizione che agisce la peripezia del dramma, del principe da ricono­ scere e del segreto custodito nel Tempio da comunicare, perché « ses mains renouveler sa foi » e tutti nella « reconnaissance l De Jacob avec Di eu con­ firmer l'alliance » (ivi, v, VI I , I802.- 1 8 o 3 ) ; ma insieme si costituisce anche a cifra spirituale di uno svelamento che diviene proiezione di significati figurali sull'intera storia di Gioas e della sua regalità, attraverso cui si tra­ smettono esemplarità allusive alle vicende presenti. Con uno straordinario intarsio di luoghi scritturali, il III atto della tragedia raciniana, dove nel rit­ mo concitato del récit fra Gioad e Giosabet alla ricerca di una soluzione per salvare Gioas dall'escalation omicida di Athalie (ivi, III, V I , vv. I094-I09 s ) , il sacerdote, invasato dall 'ispirazione divina, diviene "oracolo vivente" di una verità figurale che riversa, nella parabola del fanciullo minacciato, de­ stinato al trono, l 'immagine di Cristo ( « Et que la terre enfante son Sau7 2.



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veur » ) e l'avvento del tempo nuovo della Rivelazione per cui i «pécheurs disparaissez, le Seigneur se réveille » (ivi, m, vn, v. 1141). I l meraviglioso biblico dell' « o rade divin » che « squaderna gli oscu­ ri evi innanzi » - come nell'inno di lode afferma Gioad - discopre il telos messianico delle tragiche vicende della stirpe di Giuda. Il coro di Gioad e dei leviti, che suggella il I I I atto, ricompone così il circolo della storia cri­ stiana della salvezza, rende esplicita l 'esegesi simbolica dei « merveilleux secrets de toute la Bible » , del mistero della Grazia e dei fili insondabili che muovono le alterne veci di persecuzione e trionfo. Sulla tastiera delle liturgiche Lamentazioni di Geremia la voce corale contempla, nel volgere dei tempi, la parenesi apocalittica che dal « fond du désert » , dal pianto dell 'anima esiliata, perduta nell 'abominio terreno, della Gerusalemme di­ strutta ( « Le Seigneur a détruit la reine des cités » , ivi, 1 1 1 , vn, 1 1 4 9 : Lam. n ) fa sbocciare la « rugiada » della fede, la speranza teologica nell 'avvento della nuova Gerusalemme, l ' Ecclesia del Salvatore ( « Cieux, répandez vo­ tre rosée l Et que la terre enfante son Sauver » , vv. 1173-1174). La lettura fi­ gurale rende digeribili e piamente rappresentabili le esecrande vicende del trono di Giuda, obbliga a riconsiderare da un'altra prospettiva l 'ambiguità di « spectacles effroyables » , compensa lo scandalo di una storia biblica in cui empietà e violenza non sembrano trovare alcuna giustificazione, nes­ suna luce di riscatto se non nella rassegnata accettazione di un inesorabile silenzio di Dio, di un Dieu caché. È , del resto, lo stesso Racine ad asserire nell 'Avant-parler di aver « col­ to quest 'occasione [la profizia di GioadJ per far intravvedere l 'avvento del Consolatore nella cui attesa sospiravano tutti gli antichi uomini giusti » (Racine, 2009, Prefozione, pp. 1490- 1 ) ; una dichiarazione che tradisce la volontà di aggirare i pericoli di un 'insensatezza biblica, di una storia che poteva apparire un inestricabile groviglio di incomprensibili destini. Il coro di Gioad riorienta e riallinea il senso degli eventi, focalizza il segno dell 'in­ tervento salvifico di Dio, allontana il dubbio metafìsico di una « giustizia ingiusta » , di una terribile obliquità del divino : il lamento confluisce nel discorso esortatorio a una Chiesa di credenti e salvati, sposa diletta (nell'e­ co allusiva al Cantico dei Cantici, 8, s : « Chi è colei che sale dal deserto ? » : « Quelle Jerusalem nouvelle l Sort du fond du désert » : Athalie, vv. 1 1 596 o ) di chi ha saputo prendere su di sé tutta la violenza del mondo per tra­ sformarla in agape. La lectio figurale si incarna in una parenesi morale che coinvolge il sacerdozio, la monarchia e la profezia (i sensi messianici dell'A­ pocalisse), in una processione per stazioni di fatti vetero e neotestamentari, ricomposti in un quadro unitario e celebrativo dell'eterna sopravvivenza 71

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della Chiesa, e indirizza lo spettatore a una attualizzazione dei significati, a una meditazione sul mysterium salutis che si cala per contrasto nel dramma della storia presente, nei conflitti teologici della colpa e della Grazia, nei desolati scenari di una regalità sconsacrata'1• È infine l ' interrogazione me­ tacritica della corifea Salomith a ricondurre al centro del debat sotteso agli sviluppi che annodano i diversi livelli simbolici del testo, le linee di fuga di un' irrisolta inquietudine teologica : quel rapporto fra la verità assoluta di una parola sacra che si svela e la fiducia in un 'ermeneutica che ne garan­ tisca la sua intelligibilità (oltre che il suo autorizzamento in forme lecite della vraisemblance scenica) . Alla voce fuoricampo di un'altra coreuta che chiede, nell 'affannoso « désordre extreme » degli eventi, nel « ténébreux mystère » della storia, « pour qui prépare-t-on le sacré diadème ? » ( ivi, m , V I I I , v. uo6); Salomith risponde con un assunto di sapore pascaliano : Le Seigneur a daigné parler, mais ce qu'à son prophète il vient de révéler, qui pourra nous le faire entendre ? ( i vi, III, VIII, vv. Il07-Il09 ) .

La verità viene espressa, ma non perché possa davvero essere compresa, co­ sì da generare l' insignificanza di una storia politica che non si rispecchia più nella storia della salvezza, finendo per secolarizzare lo stesso messaggio delle Scritture. L'accorto biblismo di Racine, che rianima materiali topici e si riscrive, con mediazioni molteplici, nel dettato evocativo di un ingra­ naggio teatrale dove il verbo delle Scritture e la sua rilettura liturgica, la figura e l 'attualità s ' intrecciano strettamente, rispondeva con tale modello ali ' impasse in cui si dibattevano le scelte di una drammaturgia sacra moder­ namente intesa. Implicita la replica volta a sconfessare dubbi e ostilità di quanti, come l'abbé d 'Aubignac ( r 6 s7. pp. 4 45 ss.), ritenevano impratica­ bile la reinvenzione letteraria di un dramma biblico rispondente alle dina­ miche culturali del tempo e non appiattito sulle stereotipie edificanti delle moralités e dei mysteres. La sfida intrapresa riguardo al trattamento di un sovrannaturale biblico, non degradato a un « embellissement » cornellia­ no, né ingenuamente funzionante come una categoria ad effetto sostitutiva dell'eredità di un meraviglioso classico, ma da riforgiare negli stampi di un r 3· Va sottolineato, rispetto all'ambiguità che caratterizza le allusioni attualizzanti del dramma, come nel progetto di Gioad la restaurazione della regalità davidica accentui l ' i­ dea di un potere discendente direttamente da Dio senza la mediazione dei preti, favorevole alla politica di Luigi xrv di autonomia per la Chiesa di Francia (cfr. Racine, 2009, Avant­ parler, p. 1489).

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linguaggio teologico moderno, è il vero banco di prova per Racine, la cui lezione rappresenterà un imprescindibile termine di paragone per la dram­ maturgia italiana alle prese, tra il Seicento e il primo Settecento, con un ve­ ro e proprio revival erudito del commento alla Bibbia e con la riduzione del racconto sacro a soggetto di una riformata tragedia storica.

3 ·5 Regalità terrena, sovranità celeste

Il modello e le tipologie raciniani influenzano sensibilmente le soluzioni messe in atto in quella filiera di azioni sacre e tragedie bibliche che si con­ frontano con le storie degli eredi di Davi d, del trono di Giuda e delle perse­ cuzioni degli Ebrei, dove il dibattito politico sui rapporti e il fondamento che legittima l'alleanza tra regalità terrena e sovranità celeste (tra Chie­ sa e Impero) , o la riflessione etica sui grandi temi della conversione, della salvezza cristiane (del libero arbitrio e della Grazia) riecheggiano allusiva­ mente nelle riprese del testo biblico, come nelle esemplarità dei drammi di Zeno, Granelli e Metastasio. Zeno, che nel Gioaz ( 1726 ) dichiarava di aver seguito Racine ( « mi è stato eccellente guida » ) , soprattutto nel riadattamento della fobula e nell'amplificazione della succinta fonte tratta dal IV libro dei Re e dal II dei Paralipomeni, intendeva presentare la sua riscrittura come una « ridu­ zione librettistica » della tragedia francese, di cui aveva voluto conservare paradigmaticamente il carattere di ambiguità di Aralia, diviso « tra l 'ango­ scia e il furore » : quella tanto discussa « psicologia multipla » della regina, insieme scandalosa personificazione del male e vittima di un destino che la trascende (Morelli, 1 9 9 1, pp. 285-7 ) . Replicando alle parole di Giosabet che amplifica la notorietà dell' infamia della regina per rendere presente l 'orro­ re alla coscienza ( « Suona in tutta la terra l ciò che oprasti » : Zeno, 1 7 3 5 , p . 202 ) , Aralia ricapitola senza reticenze, per inculcare i l messaggio nei suoi antagonisti (e in uno spettatore chiamato a riflettere sul groviglio di re­ sponsabilità e conseguenze delle condotte viziose), il dramma di sangue della sua stirpe, la nemesi cruenta (e su cui già si era interrogata la Giosabet raciniana nel diverso dilemma teologico di un Dio biblico sanguinario ul­ tore delle colpe ereditarie) che la incalza ad assecondare, in un tragico ed empio abbaglio del senso e dei diritti della giustizia, l ' idea deviante di una « gloria » della regalità cui non sia concesso prescindere dall'esercizio di 7�

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una vendetta compensatoria del male subito nello strazio dei sacri vincoli familiari : Sì, m'è gloria un furor, c ' ha vendicati i genitori miei sui miei nipoti. Ocozia trucidato, precipitata Gezabel dall'alto, erammi innanzi a gli occhi. Erami il sangue di settanta fratelli in un sol giorno ahi, spettacolo ! - uccisi. Ed io vii donna, io figlia senza cor, debil Regina, il davidico ceppo punito non avrei per quel di Acabbo ? [ . . ] Or vada il vostro implacabile Dio, e dal seme odioso e profetato diavi quelfiglio si promesso, e atteso. Fu piit forte Atalia. Secca, e distrutto per gloria mia n 'e ta radice, e ilfrutto ( Gioaz, in Zeno, 1735, pp. 202.-3). .

Proterva nella sua convinzione di potersi sostituire a Dio, Atalia recita, nel­ la suprema accecante illusione, le parole blasfeme con cui crede di sfidare l 'implacabile divinità, sinopia di un'altra estrema agonistica, quanto inuti­ le, affermazione di sé e della propria regalità, nella morte provocatoria, su cui si chiude la parabola terrena del Saul alfieriano ( « Sei paga, l d' inesora­ bil Dio terribil ira ? l [ ] l [ . ] Empia Fileste, l me troverai, ma almen da re, qui. . . morto » ) . Ma è indubbio come già in tali pieces di Zeno s' intravve­ da quella tendenza alla secolarizzazione politica o psicologica del sopran­ naturale biblico che, a Settecento avanzato, farà dire ad Alfieri nel Parere sul Saul: . . .

. .

le antiche colte nazioni, o sia che fossero più religiose di noi, o che in paragone dell'arte stimassero maggiormente se stesse, fatto si è che quei loro soggetti, in cui era mista una forza soprannaturale, esse li reputavano i più atti a commuovere a teatro. [ . .. ] Ma comunque ciò fosse, io benissimo so che quanto piacevano tali specie di tragedie a quei popoli, altrettanto dispiacciono ai nostri, e massimamen­ te quando il soprannaturale si accatta dalla propria nostra officina (Alfieri, 1855. pp. 537-8).

Se « il sostituire ai ragionamenti poetici e agli affetti il maraviglioso» si prospettava come « Un gran campo da cui gli antichi poeti raccoglievano



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più gloria » , al secolo « ragionato re » dei moderni tali « bellezze in teatro » risultavano precluse, come nel caso del sublime biblico di un Saul ultimo erede di una lunga trafila di re su cui veniva ad incombere « la fatale puni­ zione di Dio per aver egli disobbedito al profeta » . Eterno prototipo, quin­ di, di una metafisica biblica della storia che lo scetticismo incredulo del tempo imponeva di risolvere diversamente nei tortuosi e abissali meandri di un "mirabile sublime" che si genera dalle «perplessità del cuore uma­ no » , dai quei paradigmatici « turbamenti del re » in cui si interiorizza, nei fantasmi di una archetipica colpa, la mano vendicatrice di Dio e l 'affranca­ mento da una interpretazione religiosa scritturale o figuralmente cattolica delle vicende. Su uno sfondo di accesi dibattiti teologici, il Sedecia del Granelli riar­ ticola, invece, la pieee raciniana - riassuntiva del dramma di un pascaliano Deus abditus che parla per verità profetiche tragicamente impermeabili a una mente umana errante e desolata, e che solo per insondabili vie agisce nella fede del cuore - in una proposta militante che dà prova di sviluppi significativi per comprendere il diverso orizzonte in cui si collocava il recu­ pero scenico, da parte del gesuita ligure, del mistero e dell ' infigurabile divi­ no. Una scelta che punta sull'audace inserto di una teofania della parola del Signore, del Verbo (il «Nome tremendo » ) , messa concretamente in scena per svelare il processo storico delle vicende del trono di Giuda e ricordare al re infedele le responsabilità dei sacri patti infranti e il valore di quella "santa alleanzà' in cui consisteva il destino del popolo eletto e il sigillo spi­ rituale della regalità. Granelli riattiva, con un controllo sorvegliato e razio­ nale della rappresentazione, quelle modalità in uso nell'oratorio allegorico barocco, già censurate come inverosimili, nel percorso di riforma, da Spa­ gna e da Zeno ( «perché vi si introducevano a ragionare [ . . . ] fin le adora­ bili Divine persone » ), per dare forma ai caratteri di un profetismo e di un prodigioso biblici che discendono direttamente dalla voce dell 'Altissimo, attraverso il dettato delle Scritture e la mediazione ispirata di un Geremia scriba Dei. Il profeta si riveste così del ruolo di un sacerdote cattolico, ga­ rante, per mandato divino, dell 'interpretazione dei sacri testi e, illuminato dalla Grazia, al modo degli angeli, in grado di rivelare gli arcana e l 'ordine morale degli eventi. All 'unisono, la voce giudicante del profeta e la parusia del Verbo che si fa riconoscere, drammatizzano, nel I atto, il catechismo della fede nel tea­ tro della storia, dove la prospettiva ultraterrena non dà scampo alle false il­ lusioni di potenza degli uomini, di chi come Manasse, il reprobo e libertino 77

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consigliere di Sedecia, confida solo in una salvezza terrena conquistata con l 'esercizio della forza e di un'astuta prudenza politica : Ma, tu, o re, non temer del crudo ingegno d'alcun di loro [i proftti] , che di minacce ognora, e di speranze variando enigmi, l' instabil turba fanno or mesta, or lieta: la qual non sa, che la real fortuna, più che da sempre oscuri alti decreti, vuolsi aspettar da l'armi, e dal consiglio (Sedecia, in Granelli, 18 osa, 1735, p. 6).

Il lassismo morale di tempi increduli, ciclicamente risorgenti nella tabe ori­ ginaria di un' Ecclesia cristiana che ha smarrito la pietas, o la sfida laicista, già ben nutrita sulle scene del teatro italiano da uno scetticismo filosofico razionalistico o da forme di elitaria matrice graviniana nella figura del sa­ piente solitario interprete degli arcana fuori dalla mediazione della Chiesa (Luciani, 2016, pp. 4-1 6 ) , motivano l 'insistenza con cui Granelli deride, per contrasto, l 'arrogante presunzione di chi "presuma antivedere" il cor­ so del futuro con il solo esercizio della propria mente o in un rapporto del tutto interi o rizzato con la divinità. L' impegno di una militanza ideologica sottende la reinvenzione predicatoria di un tribunale della storia che giudi­ ca a parte Dei le confuse apparenze terrene, cecità o verità con cui l'uomo si affanna a ritrovare ordine, senso e compiutezza nel caotico svolgersi degli accadimenti. L'esortazione con cui Geremia invita Manasse al silenzio, a serbare per altri tempi iniqui « bugiarda fede, ed empia » , si fa nella paro­ la di Dio requisitoria alla luce del sole delle colpe della maledetta stirpe di Davide e, per antitesi, lezione morale sui doveri di una regalità sacerdotale : [a Sedecia, N d. A. ] Chi so n io, dice Dio, che ne l' Egitto, anzi che in me, le tue speranze affidi ? Quella forse è la terra, onde Israello debba sperar salute, e quelle l'armi, che di me non curando, e del mio tempio, in sua difesa infedelmente implori ? Perché a sottrarne i vostri padri colà fec 'io tanti prodigi orrendi ? Perché poi dall 'Egitto un dì sperasse la casa di Giacob salvezza e regno ? Ma dei tu forse, ad avvisarti meglio, coteste richiamar memorie antiche ? E non più tosto a te medesmo puoi



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esser tu stesso esempio, e disinganno ? [ ] Chi pose in cor al fìer Caldeo, che questa scintilla in re de la real famiglia volesse accesa in Israel ancora ? Forse l 'Egitto, in cui sperar osasti ? Folle speranza! lo fui - ripiglia Dio -, né tu lo negherai, per cui comando del vincitor superbo avesti in dono la corona di Giuda; e tu pel mio Nome tremendo gli giurasti fede ( r, IV, in Granelli, 18os a, p. 7 ). ...

Al rinnovarsi, da parte di un disorientato Sedecia in fuga, della richiesta a Geremia di poter intendere « gli oracoli di Dio » : fa dunque, eh' io gl 'intenda, e dali'oscuro velo d'enigmi la mia mente sgombra, cade la notte ornai che qui m'affida; (ivi, p. 8 )

il profeta replica perentoriamente, in un dialogo che procede per sticomitie pseudo-senecane ed evoca da lontano la memoria stravolta di illustri arche­ tipi classici (di oracoli ingannevoli e dubbie profezie di insensati e crudeli fati antichi, senza luce di riscatto), con un commento per antifrasi che rista­ bilisce il legittimo ordine cristiano degli eventi, quella fonte garante di una verità che non tradisce e salva : Dio è che qui t 'affida, e non la notte.

Il vero intelligere cristiano è un credere, un riconoscere con la fede che tra­ scende qualsivoglia modello di umana agnizione (nonché la propria stessa trascrizione drammaturgica in un' anagnorisis che creda di potere aristo­ telicamente risolvere la peripezia e dare senso al fine della jàbula ) , nella consapevolezza di un sublime paradosso cristiano che pone a fondamento della storia, nella sua assolutezza, la Rivelazione e la profezia. Ed affidarsi a Dio non può essere allora, per il profeta, che un ripetere ciò che la Scrittura tramanda senza corromperne il significato, recitare sulla scena la parola del Signore come un rito mnestico e liturgico che offida i misteri della fede e rende l'ecclesia partecipe, in prima persona, di una storia in sé compiuta, garante della sua stessa interpretazione. A Geremia spetta così il compito d ' illuminare il senso e il vero telos dellajàbula , la teodicea cristiana che si sovrappone all' ingranaggio agnitivo, alla penosa investigatio pseudoedipi79

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ca di Sedecia destinata allo scacco : specchio distorto di una lettura terrena dei fatti in cui naufragano la conoscenza e la progettualità umane. La tela della riscrittura biblica si snoda lungo lo sviluppo degli atti, profilandosi via via come l 'arcata significante del dramma, lo strumento che sintonizza le attese dello spettatore sulla liturgia figurale che svela e interpreta la storia della stirpe di Davide : storia di empi tradimenti e sanguinari olocausti, di vendetta e perdono, testimone di un absurdum creaturale in sé ingiustifìca­ bile, ritratta nell'evolversi dei tempi in quell 'alternanza di luce e di tenebra, di morte e di vita, di peccato e resurrezione che la Legge e l' « economia » teologica del Padre agiscono per l 'edificazione dell' Ecclesia. Il circolo del­ la voce giudicante di Geremia si apre, quindi, con il desolato scenario della distruzione di Solima e si conclude sul ritmo salmistico della prosopopea divina intonata dalla cetra di Geremia, dove la « verga di Jesse » , il flore­ Cristo che gemma dal tronco inaridito di Davide, per la sublime obbedien­ za di Maria, porta a compimento il tempusjìgurarum, « ristora il tempio » e la « vendetta « onora » , rinnova l 'alleanza e annuncia l 'avvento della ve­ rità cristiana. Nel mistero sacrifìcale dell ' Uomo-Dio così tutto si compie e si completa. La voce del profeta conclude perciò il IV atto e l 'attesa della rivelazione dei tempi e della Scrittura, di quel sovrasenso del testo che so­ lo trova la sua ragione e la sua interpretazione nel nome del Salvatore che trasforma la vendetta in misericordia, il tradimento in esperienza di dolo­ re e di Grazia, la morte in resurrezione; differendo invece al v atto l 'epi­ logo evemenenziale di una fobula terrena in sé valevole come esemplarità per una sorta di cattolica "eterogenesi dei fini", dove l ' inverarsi delle parole dell'oracolo e della profezia di Ezechiele, nonché delle minacce inascoltate di Geremia, genera una lezione della storia che scompiglia attese e presun­ zioni dell'uomo ( Iv, v, in Granelli, 1 8 osa, p. 5 3 ) . L a filigrana dei lamenti d i Geremia trama anche i l Sedecia d i Zeno con soluzioni che seguono da presso la riscrittura di Granelli (Zeno, 1 7 3 5 ) , ma con una più marcata parenesi politica che, attualizzando allusivamente il caso dell ' infedeltà e dello spergiuro dei re di Giuda, induce a una rifles­ sione sul comportamento della sovranità imperiale settecentesca e su temi connessi al "legalismo" etico dei re e alla logica degli obblighi che vincolano dominatori e dominati. Se il messaggio universalizzante è quello che Ge­ remia rivolge all'ottusa condotta dei re, più inclini a seguire la menzogna lusinghiera che la santa verità : Non so se più sciagura, o se più colpa questa sia de ' regnanti. So



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Dio li regge, egli ver; ma s 'ei li scorge pertinaci in seguir la via peggiore, Sua pietà li abbandona; (parte prima, in Zeno, 1735, p. 386)

è invece nel dialogo finale fra Nabucco e Sedecia accecato, prigioniero e vinto che l'orizzonte storico del teatro zeniano fa risuonare, quasi di prelu­ dio a futuri e celeberrimi versi dell 'Adelchi, il motivo insidioso della preva­ ricazione e della forza distruttiva dei conquistatori e dei potenti. Sedecia, sconfitto, riacquista, nella cecità degli occhi, la vista interiore, la coscienza delle proprie responsabilità e delle proprie colpe verso la « san­ ta legge » di Dio e i sacri patti dell'alleanza ( « Peccai, [ . ] ebbi in obblio, l in odio i tuoi profeti, in obbrobrio il tuo Nome » ) ; anela a quella « speme di pace » che sola risiede nel pentimento delle proprie umane follie e nel fiducioso abbandono alla volontà divina, e in proiezione recita una metafo­ rica ritrovata alleanza Trono Altare (così il liturgico coro finale : « Pentitevi de ' falli, e pace avrete » : Zeno, 173 s. parte seconda, p. 407 ) Ma sul piano degli obblighi terreni, di fronte al protervo Nabucco che rivendica orgo­ gliosamente il suo potere, con parole che, nello scambio equivoco di ruoli con il Dio biblico, suonano da insensata parodia : . .

.

Solo adesso rammenti, quanto mi devi ? Il tuo signor io sono: io il tuo benefattor. Meglio potea rammentartelo ognora il soglio in cui ti posi: lafé che a me giurasti, il nome stesso con cui regnar tifoci (ivi, pp. 397-8; cors. nostro).

Sedecia squaderna impietosamente su che "lagrime e sangue" si erga davve­ ro l ' illusorio e terreno, e alfine tirannico, « benefizio » di Nabucco, antitesi deli ' unico vero beneficio salvifico, quello di Cristo : Re d 'Assiria, due nere colpe tu mi rinfacci, sconoscenza e spergiuro. lo me da entrambe purgherò, se m'ascolti. Ma non senz'onta tua. Quegli che doni tu chiami e benefizi, io mali e offese, quai fur ? Forse il frate! ? Forse il nipote ? Contro la data fede la vita a quel, la libertade a questo

ELISABETTA SELMI togliesti [ . . . ] . Erano questi i beni, che gradir io potea? Me li hai tu resi ? Mi desti il regno, è ver: ma dopo averlo d ' incendi e stragi seminato e sparso. E qual regno era quel ? Quel de ' miei padri : quel di David, cui lo promise eterno il sommo Dio. Mio per retaggio egli era. Tu non ci avevi altra ragione, che quella de laforza e de l'armi (ivi, pp. 39 8-9, cors. nostro).

La lucida diagnosi di Sedecia, all 'ascolto di uno spettatore moderno e della riflessione politica settecentesca, si arricchisce di una straordinaria carica allusiva e si offre alla meditazione sul significato del giuramento e dei pat­ ti traditi fra Sovrano e popoli. Zeno non manca però anche di richiamare l 'attenzione sulle colpe del popolo deicida, sugli Ebrei sordi alla chiamata del Messia e costretti a un perenne esilio, a un esodo senza meta finché una vera conversione interiore, acquisto di una religiosità dei tempi nuovi, non permetta loro di riconoscere il valore di una Chiesa che paolinamente con­ duce il popolo cristiano non già nel deserto, ma nel cielo (ivi, p. 3 9 2).

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4 Il sovrano e la legge nella tragedia del Settecento. Un percorso tra Italia e Francia di Enrico

Zucchi

Sarà opportuno, in prima battuta, fare alcune premesse che appaiono ne­ cessarie per non deludere eccessivamente le aspettative di un lettore che potrebbe scorgere nel titolo della comunicazione la promessa di una ricer­ ca articolata, capace di spaziare nel concreto della drammaturgia italiana e francese del Settecento, promessa che verrà mantenuta solo in parte. Vale la pena di dichiarare fin d'ora i limiti di questo contributo per spiegare con franchezza il tipo di operazione che si mira qui a condurre, di natura prioritariamente teorica ; il discorso si snoderà infatti fra testi di poetica e filosofia politica lambendo soltanto la drammaturgia vera e propria - che pure non avrà un ruolo marginale -, nel tentativo di forgiare un dispositivo esegetico atto poi, in un secondo momento, ad analizzare compiutamente le prove tragiche delle due tradizioni nazionali.

4. 1 Da Atene a Venezia : una tragedia contra

tyrannos

Nel suo celebre Versuch uber das Tragische (Saggio sul tragico, 1 9 6 1 ) Peter Szondi ( 1 9 9 6, pp. 10-4) metteva in luce come la riflessione sul nodo tragico dell' Edipo re contenuta nelle Philosophische Brie.ft uber Dogmatismus und Kritizismus (Letterefilosofiche su dogmatismo e criticismo, 179 5-9 6 ) di Frie­ drich Wilhelm Joseph Schelling avesse inaugurato una nuova teoria filoso­ fica del tragico, distinta da quella promossa dalla Poetica di Aristotele, in quanto orientata non all'effetto suscitato dal tragico, ma al fenomeno in sé. Messa da parte la speculazione sulla catarsi e sul temperamento delle pas­ sioni, Schelling affronta il soggetto di Edipo a partire da una prospettiva dialettica : il principe tebano è visto come un mortale che combatte contro un fato ineluttabile e per questo viene punito ; nella sua vicenda si scorge il conflitto tra libertà soggettiva del protagonista e necessità oggettiva, con­ flitto che non si risolverebbe con l'affermazione di uno dei due termini, ma 8�

ENRICO Z U C C H I

col palesarsi della loro mutua indifferenza. L o sguardo otto-novecentesco non soltanto sul tragico, ma più in generale sulla tragedia è stato spesso condizionato da questa lente schellingiana, dalla ricerca di un 'essenza del tragico, e in primo luogo della tragedia greca, che poggiasse su basi meta­ fisico-speculative'. Questi occhiali non devono tuttavia impedirci di scorgere che, alla ba­ se del recupero cinque-seicentesco della tragedia greca, si rinviene un ' inter­ pretazione di stampo diverso : i drammi di Eschilo, Sofocle ed Euripide ve­ nivano infatti principalmente considerati, a partire da una precisa visione storico-politica, come il prodotto più raffinato della cultura democratica ateniese, latore delle convinzioni antitiranniche di quella polis. Icastico in questo senso è il Discorso intorno a que principii, cause, et ac­ crescimenti che la comedia, la tragedia et ilpoema eroico ricevono dallafiloso­ fia morale e civile e da ' governatori delle Repubbliche del I s8 6 di Giason De' Nores, esule cipriota nella Repubblica di Venezia, il quale sosteneva, sotto l 'egida della Repubblica di Platone, che la poesia afferisse alla sfera della filosofia morale, e che, in quanto tale, dovesse contribuire al perfeziona­ mento del cittadino : di riflesso egli reputava i tre maggiori generi letterari dell 'antichità - commedia, tragedia e poema eroico - funzionali a questo obiettivo. In questi termini descriveva l 'esperienza poetica dei Greci : Permisero ultimamente, che a' medesimi loro cittadini ne' tempi debiti si reci­ tassero alcune diverse forme di poesie; hor cantando, hor rappresentando ordite, et composte in tal guisa che gli ritirassero dal vitio, che operassero in loro virtù, et gli inanimassero alla conservatione di quella tal ben instruita maniera di Sta­ to, alla cui potestà e leggi prestavano ubbidienza. [ ... ] Onde determinarono che a loro cittadini si proponessero tre sorti di poesie; il poema heroico, che raccontasse qualche atti o n di alcun principe legitimo che si affaticasse per liberar da travaglio, et per render felici i suoi compagni et sudditi, a differenza del tiranno, che suoi loro procurar ogni mina, et distrugimento per guadagno et per utile di se stesso; la tragedia per ispaventargli dalla tirannide, et la comedia per ben disponergli alla vita populare (Nores, I596, pp. 2v-3r).

La tragedia greca era considerata lo specchio di una particolare sensibilità sociale : essa era stata ideata dai drammaturghi ateniesi per mettere i propri 1. Sono numerosi, e talora di rilevanza particolarmente notevole, i volumi novecente­ schi incentrati sulla filosofia del tragico, dal Sentimento tragico de la vida (1913) di Miguel de Unamuno all' indagine di Walter Benjamin sul Trauespiel (1928), sino ai più recenti la­ vori di Karl Jaspers, René Girard e George Steiner. Per una rassegna della discussione nove­ centesca intorno al tragico si veda Garelli (2001).

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concittadini in guardia dal pericolo della tirannide, che era sottesa ad ogni forma di governo non democratica. Nores riprendeva d'altro canto un'opi­ nione diffusa ali'epoca, che traeva le proprie origini dal Minosse, un dialogo spurio attribuito a Platone, nel quale si dimostrava che gli ateniesi aveva­ no demonizzato la figura di Minasse, in realtà sovrano giusto e legislatore lungimirante della città di Creta, dipingendolo come un tiranno soltanto perché aveva mosso guerra ad Atene: di questa testimonianza della genesi della tragedia ateniese come strumento da impiegare contra tyrannos si ri­ corda ancora Tarquinia Galluzzi ( 1 6 3 3, pp. 8- u) nella Rinovazione dell'an­ tica tragedia. 4·2 Tragedia e genio nazionale sotto il regno di Luigi XIV

La percezione di questa cifra antimonarchica disturbava non poco i lette­ rati francesi del secolo di Louis XIV, ai quali sembrava doveroso prendere le distanze dagli intenti politici del teatro greco : la tragedia poteva sopravvi­ vere in Francia soltanto a patto di ripudiare le controverse origini di questo genere letterario. Nella Pratique du théatre (La pratica del teatro, 1 640 ) , il trattato di argomento scenico forse più significativo nella Francia del XVI I secolo, François Hédelin D 'Aubignac chiarisce con evidenza questo pre­ supposto quando dichiara che gli ateniesi, nemici della monarchia, gode­ vano nel vedere rappresentati tiranni che andavano incontro a sciagure rac­ capriccianti, o sovrani banditi in seguito a rivolte popolari : Ainsi les Athéniens se plaisaient à voir sur leur théatre les cruautés et les malheurs cles rois, les désastres cles familles illustres, et la rébellion cles peuples pour une mauvaise action d'un Souverain; parce que l 'état dans lequel ils vivaient, étant un gouvernement populaire, ils se voulaient entretenir dans certe croyance : que la monarchie est toujours tyrannique. Così gli ateniesi si divertivano vedere nel loro teatro le crudeltà e le disgrazie dei sovrani, le sventure delle famiglie illustri e la ribellione del popolo scatenata dall 'a­ zione riprovevole di un re; perché la nazione in cui vivevano, essendo retta da un governo popolare, ambiva a mantenere i cittadini in questa convinzione, che la monarchia risulta sempre una tirannide (D 'Aubignac, 1996, p. 72.)'.

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La traduzione, in questo e nei successivi casi, è di chi scrive.

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Se questo indirizzo antitirannico poteva essere condiviso da u n cittadino della repubblica di Venezia come Nores, per un suddito del re di Francia tale operazione appariva condannabile sotto ogni profilo. Per D 'Aubignac l 'eventualità che capitasse un sovrano malvagio non era un 'ipotesi contem­ plabile, e ad ogni modo neppure in quel caso, anche in seguito alle più cru­ deli vessazioni, il popolo avrebbe avuto diritto a ribellarsi : Parmi nous le respect et l ' amour que nous avons pour nos princes, ne peut per­ mettre que l'on donne au public ces spectacles pleins d'horreurs; nous ne voulons point croire que les rois puissent etre méchants, ni souffrir que leurs sujets, quoi qu'en apparence maltraitez, touchent leurs personnes sacrées, ni se rebellent con­ tre leur puissance, non pas meme en peinture. Da noi il rispetto e l'amore che abbiamo per i nostri sovrani non ci permette di rappresentare al pubblico questi spettacoli pieni di orrori; noi non vogliamo cre­ dere che i re possano essere malvagi, né sopportare che i loro sudditi, per quanto apparentemente maltrattati, violino le loro sacre persone, né che si ribellino con­ tro la loro autorità, nemmeno per scherzo (i vi, p. 73).

Sia detto en passant che tale caratterizzazione, conforme, come avrebbe detto Pierre Brumoy nel Discours sur le parallele des théatres (Discorso sulla comparazione dei teatri) pubblicato in testa al suo Théatre des Grecs ( Teatro dei greci, I730 ) , al genio della nazionel, resiste nel Settecento e condiziona 3 · Nel discorso sopraccitato Brumoy tenta di definire il diverso gusto nazionale degli antichi Greci e dei moderni francesi, a partire dalla constatazione che i primi preferiscono un teatro di carattere politico, mentre gli altri prediligono la nota galante. Il carattere degli ateniesi, popolo orgoglioso, idolatra della libertà e piuttosto vanitoso, li condusse inevi­ tabilmente, secondo Brumoy, a partorire un preciso tipo di tragedia: « Par le caractère du peuple athénien, l'on peut marquer celui des tragédies grecques. Les Athéniens étaient fous de la liberté, idolatres de leur patrie, adorateurs de leurs usages, dédaigneux ou indifférents pour tout ce qui n'était point d'eux. C 'est par-là qu' Eschyle et ses successeurs les ont flat­ tés. Les rois représentés sur leur scène sont plus souvent immolés à l'orgueil athénien qu 'à leurs infortunes >> [ « Dal carattere del popolo ateniese si può ricavare quello delle tragedie greche. Gli ateniesi erano pazzi di libertà, idolatravano la loro patria, adoravano i propri costumi, e al contempo sdegnosi o indifferenti verso tutto ciò che non era loro. Per que­ sto motivo Eschilo e i suoi successori li hanno lusingati. I re rappresentati sulla scena sono più spesso immolati all'orgoglio ateniese che alle loro sventure >> ] (Brumoy, 1 7 3 0, vol. I, pp. cxv- cxn ) . Al contrario i francesi, meno presuntuosi, traggono i soggetti per le pro­ prie vicende tragiche dalle storie e dai miti di altri popoli, ma, conformemente al proprio genio, li trasformano profondamente : « Ce sont des héros et des rois de part et d'autre : mais les idées de l' hérolsme et de la royauté ont si fort changé, qu'Agamemnon et Achille, l'un roi des rois, et l'autre héros des héros (s ' il est permis d'user de cette expression) ne sont plus les memes hommes dans Euripide et dans Racine, quoique le fonds de leur caractère

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lo sviluppo della drammaturgia nazionale favorendo, sul terreno francese, una tragedia che si fonda sulla presenza in controvertibile del dato amoro­ so, mentre in Italia, grazie al recupero del trattato del Nores promosso da Gian Vincenzo Gravina nel Della tragedia (I?IS), si inaugura una precisa filiera di tragedie politiche che giunge fino a Vittorio Alfieri all ' interno di una linea che, sebbene non maggioritaria nella drammaturgia italiana, sarà molto significativa4• Ma è bene soffermarsi ancora, seppur brevemente, sulle pagine del­ la Pratique du théatre prese in considerazione in precedenza per far luce sull'opinione dell'autore in merito alla rappresentabilità di determinati eventi politici. Secondo D 'Aubignac non si può mettere in scena la rivolta popolare contro il sovrano, a meno che il tiranno in questione abbia spode­ stato il legittimo erede e che questo si sia palesato al popolo, dandogli mo­ tivo di cacciare l 'usurpatore ; insomma il francese parrebbe contemplare la liceità della favola di Merope, la cui fortuna sei-settecentesca è condizionata non marginalmente da questo elemento5• Qualora queste condizioni non soit le meme >> [ « Si tratta di re ed eroi di caratteri distinti, ma le idee di eroismo e di regali­ tà sono cambiate a tal punto che Agamennone e Achille, il primo re tra i re, il secondo eroe fra gli eroi - se si può usare questa espressione -, non sono più gli stessi uomini in Euripide e in Racine, benché il fondamento del loro personaggio sia lo stesso >> ] (ivi, vol. I, p. CXL ) . Sull'operazione di Brumoy, interessato a tradurre e divulgare le opere teatrali degli antichi Greci, si veda l' importante contributo di Fassina (2.01 7). 4· Sulla ripresa del modello di Gravina nelle tragedie di Alfieri si sofferma il datato contributo di Romagnoli Robuschi (1970 ) ; più interessante, perché fotografa lo sviluppo di una precisa corrente, quella della tragedia politica settecentesca sul tema della congiu­ ra, inaugurata da Gravina e poi ripresa, fra gli altri, da Saverio Pansuti e Vittorio Alfieri, il significativo contributo di Alfonzetti (2.001). Sul rilancio della tragedia politica nella Firenze del primo Settecento - che annovera fra i maggiori protagonisti Antonio Conti a Domenico Valentini - in funzione del!' apologia del sistema politico repubblicano cfr. Ro­ sa (2.005, pp. 13-2.0). Sulla drammaturgia politica di Alfieri si veda poi il volume di Tatiana Korneeva, The Dramaturgy ofthe Spectator: ltalian Theatre and the Public Sphere (z6oo­ z8oo), University ofToronto Press, Toronto, in corso di stampa. 5· La fortuna del soggetto di Merope si deve in primo luogo all'affermazione di Ari­ stotele, secondo cui questa favola sarebbe la migliore fra quelle di natura doppia, ossia che contemplano un esito infausto per i malvagi e uno felice per i protagonisti virtuosi: il Cresfonte (1588) di Giambattista Liviera e la Merope (1589) di Pomponio Torelli si fondano proprio su questa opinione. Le prove sei-settecentesche, dalla Merope di Apostolo Zeno (1711) a quella di Scipione Maffei (1713), sino alla prova francese di Voltaire (1738), parreb­ bero invece contenere non velate implicazioni politiche, in quanto ritraggono, nell'asce­ sa del pastore Cresfonte al trono, il coronamento di un percorso di riappropriazione del soglio da parte dell'erede legittimo della corona, a scapito dell'usurpatore Polifonte. Sulla tradizione delle Meropi fra Cinquecento e Settecento cfr. Selmi (2.01 6 ) ; sul sostrato politi­ co dellapiece di Maffei cfr. Zucchi (2.017, pp. 97-8).

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sussistano, anche nel caso i n cui i l sovrano s i macchi dei delitti più truci, la rivolta non è giustificabile, né tanto meno rappresentabile ; in questo senso egli condanna senza mezzi termini la tragicommedia Le grand Timoléon de Corinthe (Il gran Timo/eone di Corinto, r 64r) di Mathieu de Morgues, si­ gnore di Saint-Germain, in cui Timoleone uccideva l' ingiusto fratello Ti­ mofane, tiranno di Corinto, mentre trova maggiormente apprezzabile la Lucrece ( r 6 3 8) di Du Ryer, nella quale il tiranno non veniva ucciso in scena dopo lo stupro di Lucrezia (D 'Aubignac, 1 9 9 6, pp. 72-3).

4·3 Il sovrano e la legge da Bodin a Muratori

Al di là dell 'osservazione delle differenze specifiche delle due tradizioni na­ zionali, di cui andrà tenuto conto nell 'analisi successiva dei testi, è impor­ tante rilevare come in siffatte considerazioni affiori la questione del diritto che caratterizza in profondità il discorso sulla politica di epoca moderna. D 'Aubignac ripropone senza remare la prospettiva bodiniana che aveva supportato il trionfo dell'assolutismo francese ed europeo. Nei Six livres de la république (Sei libri della repubblica, 1576) Jean Bodin ammetteva che i sovrani non erano soggetti alle norme stabilite dai predecessori né dove­ vano sottostare ai decreti emanati in prima persona : essi venivano posti al di sopra della legge, che coincideva con la loro volontà, e al popolo non era concesso alcun diritto di resistenza; l 'unico potenziale freno alla tirannide consisteva nel timor di Dio, giudice supremo anche dei governanti : Or il faut que ceux là qui sont souverains, ne soient aucunement sujets, et casser ou anéantir les lois inutiles, pour en faire d'autres: ce que ne peut faire celui qui a la souveraineté [ ... ] . Si clone le prince souverain, est exempt des lois de ses prédéces­ seurs, beaucoup moins serait il tenu aux lois et ordonnances qu' il fait: car on peut bien recevoir loi d'autrui, mais il est impossible par nature de se donner loi, non plus que commander à soi meme chose qui dépende de sa volonté, comme dit la lo i: nulla obligatio consistere potest, quae a voluntate promittentis statum capit: qui est une raison nécessaire qui montre évidemment que le roi ne peut erre sujet à ses lois. Ora, è necessario che coloro che sono sovrani non siano affatto soggetti [alle leggi, Nd.A. ] e possano cassare e cancellare le norme inutili per farne delle altre: cosa non può fare chi ha la sovranità! Se dunque il principe sovrano è esente dall'obbe­ dienza alle leggi dei suoi predecessori, tanto meno sarà tenuto alle leggi e alle ordi90



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nanze che egli stesso ha promulgato, poiché si può ben ricevere regole da altri, ma è impossibile per natura darsi una legge, non più che imporsi qualcosa che dipende dalla propria volontà, come dice la legge: non può esservi obbligazione fondata sul capo di chi la promana, ragione necessaria che mostra con evidenza che il re non può essere soggetto alle proprie leggi ( Bodin, 1 5 7 7. p. 1 3 2. ) .

Sarà bene spingersi oltre in questo sondaggio, di necessità schematico, sulla storia delle interpretazioni del nesso fra sovrano e legge in ambito filoso­ fico-politico, in quanto esso appare centrale nella modulazione della tra­ gedia politica moderna. Se la formula bodiniana si ritroverà a fasi alterne lungo tutto il XVI I secolo negli scritti di ambito giuridico-politico, non mancano posizioni alternative, benché minoritarie ; accanto a questo siste­ ma si trovava già una delineazione affatto diversa del rapporto fra sovrano, popolo e legge nei testi che sopportavano le idee monarcomache, a partire dalle Vindiciae contra tyrannos (Rivendicazioni contro i tiranni, 1579) pub­ blicate a firma del no m deplume Stephanus Junius Brutus, in cui si prescrive che il sovrano venga sottoposto al continuo giudizio del popolo, al quale è riservato il diritto di destituirlo nel caso in cui esso non agisca per il bene dei sudditi (Brutus, 1994, pp. 4 6-8). Già a questa altezza il re comincia a essere visto come il rappresentante del popolo, tanto che, a partire dalle teorie contrattualiste di Ugo Grazio, che saranno alla base del giusnaturalismo moderno, si prende a immagina­ re una vera e propria cessione, da parte del popolo, di una porzione più o meno vasta dei propri diritti al monarca (Duso, 1 9 8 7 ). li sovrano, che in Hobbes non è una parte contraente, ma l 'esito del contratto, legifera in nome del popolo, il quale sacrifica la sua libertà in cambio di uno stato di quiete che non sarebbe autonomamente raggiungibile nello stato di natu­ ra. Alla comunità di sudditi tuttavia, nella versione hobbesiana, ma anche nella successiva teoria di Pufendorf, non sembra essere garantito un vero e proprio diritto di resistenza, grande tabù politico dell 'Ancien Régimé. 6. Sebbene nel celebre capitolo XVIII del Leviatano Hobbes consideri come inaliena­ bile il patto con cui i cittadini cedono al sovrano, delegandolo loro rappresentante, ogni di­ ritto politico, rinunciando alla possibilità di opporsi alle sue decisioni, in un altro passo del trattato il Hlosofo inglese aveva lasciato aperto uno spiraglio circa il diritto di resistenza, af­ fermando che : « non è possibile che un uomo abbandoni il diritto di resistere a chi lo assale con la forza per togliergli la vita, perché non è concepibile che aspiri con questo mezzo ad un qualunque bene per se stesso>> (Hobbes, 1 9 89, pp. 106-7 ) . Per un'acuta interpretazione di questo passaggio e della sua ricezione nel dibattito contemporaneo cfr. Scotton (2.014). Sulla discussione fìlosofìco-politica cinque-seicentesca intorno al rapporto fra popolo sud91

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Con l 'affermazione del giusnaturalismo sono molteplici i pensatori che si impegnano a cercare possibili antidoti contro la tirannide, ma anche nel pieno Settecento lo strumento più efficace appare comunque l 'assoluta fiducia nella bontà del sovrano e nelle sue capacità di reggere ottimamente lo Stato, mettendo da parte i propri interessi personali in favore della col­ lettività. Non a caso nel Settecento proliferano, contemporaneamente al trionfo dell 'assolutismo illuminato, trattati che potremmo definire di pe­ dagogia regia, moderne institutio principis, camuffate talora, come nel caso delle Aventures de Télémaque (Le avventure di Telemaco, r 6 9 9 ) di Fénelon, in forma di romanzo allegorico. Negli scritti politici di questo periodo il sovrano, figurato con le carat­ teristiche del buon padre e del buon pastore, diventa soggetto di una legge che assume un valore ben più stabile che in precedenza anche col concorso dell 'affinamento della scienza giuridica e dello studio del diritto romano. Eppure il rapporto fra il re e la legge rimane ambiguo : soggetto alla norma come ogni suo suddito, il sovrano può comunque disporre di alcune dero­ ghe nell 'esercizio della giurisprudenza. Più giusto della giustizia, in virtù della sua flessibilità, ali ' interno di un sistema che non è basato sulla certez­ za della pena e sull'eguaglianza degli imputati, il re può concedere la grazia a chi ha commesso reati minori per i quali, stando alle regole del codice penale, andrebbe incontro a pene eccessivamente severe. Prendiamo a pro­ posito uno dei testi più significativi dell 'epoca, il trattato Della pubblicajè­ licita di Lodovico Muratori, pubblicato nel 1749, in cui si può ritrovare una sorta di bilancio di una stagione politica : Molto più poi s 'hanno a ricordare i principi, che s'essi comandano al popolo, an­ che le leggi debbono comandare al principe. S ' ha qui da avvertire, che due sorte di leggi abbiamo: le civili e criminali dipendenti dall 'arbitrio de' legislatori; e le leggi di natura e delle genti, moltissime delle quali sono ancora espresse e compre­ se nelle prime. Quanto alle prime, non è talmente legata la podestà de ' regnanti, che non possano concedere dispense in casi particolari. [ . .. ] Proprio nondimeno de ' buoni e saggi principi ha da essere di non derogare a capriccio delle suddette leggi, ma bensì di esercitare essa autorità, allorché ragionevoli motivi concorrono per farlo, sieno di pubblica utilità, o di equità, o di carità verso i particolari. [ . .. ] Sopra tutto può, e dee talvolta il principe andar sopra le leggi criminali, perché la clemenza ha da essere una delle più luminose gemme della sua corona, e il rigor di quelle ha da sussistere contra di coloro, che perturbano la pubblica quiete con dito e sovrano cfr. Zucchi (2o16a, pp. 343-9). Sulla conseguente metamorfosi dell' idea di clemenza nella drammaturgia settecentesca invece si sofferma Sannia Nowé (1994) . 92



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furti qualificati, con micidj a sangue freddo ... e non già contra tant'altri, che o per bollore accidental di passioni, o per poca avvertenza, e senz'abito di malizia, contravvengono alle leggi (Muratori, 2016, pp. 64-5).

Questa prospettiva, la stessa che animava numerosi drammi per musica di Metastasio alla corte di Carlo VI, nel giro di qualche decennio diventerà irrimediabilmente obsoleta : il Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, scritto quindici anni più tardi del trattato muratoriano, in nome di uno spirito nuovo, quello che in parte ispirerà i moti del 1789, bandisce com­ pletamente dal sistema legislativo e giudiziario l 'esercizio della clemenza, principio che in nome di una discrezionalità ormai inaccettabile compro­ mette il funzionamento di un sistema giuridico basato sull 'equità assoluta7• Con la Rivoluzione francese cambierà radicalmente il concetto di legge, che verrà intesa, sulla scorta del pensiero rousseauviano, come espressione della volontà generale e proprio per questo sarà concepita come la più si­ cura garanzia della libertà e dell'uguaglianza del sistema politico-giuridico rivoluzionario ali ' interno di una cultura in cui le leggi sono molto più mo­ bili di quanto non fosse in precedenza: la distanza dall'Esprit de lois (Lo spirito delle leggi, 174 8) di Montesquieu è già siderale (cfr. Ray, 1 9 3 9 ). Ciò che appare evidente, alla fine di questo cursorio sondaggio, ripor­ tando il discorso alla questione della ricaduta di tali riflessioni di carattere giuridico-politico sul teatro tragico, è che, sino agli anni Sessanta-Settanta del XVI I I secolo, il tacito divieto di mostrare in scena sovrani detronizzati, seppure di volta in volta motivato a partire da ragioni differenti, parrebbe resistere. Tale questione appare davvero significativa : per le sue prerogative, per così dire teorico-letterarie, il genere tragico è infatti predisposto ad acco­ gliere l ' intromissione del dato politico e della riflessione sul rapporto fra il re e la legge; la qualità dei protagonisti e dell 'azione, definita nella Poetica di Aristotele ( 1449 b, 20- 3 0) - che prescrive l' introduzione di eroi nobili o sovrani - e nelle formulazioni critiche cinque-seicentesche, lo richiede 7· In questi termini Beccaria bandisce dal sistema giuridico moderno la possibilità di ricorrere alla concessione della clemenza: «A misura che le pene divengono più dolci la clemenza ed il perdono diventano meno necessari. Felice la nazione nella quale sarebbero funesti ! La clemenza dunque, quella virtù che è stata talvolta per un sovrano il supplemen­ to di tutt ' i doveri del trono, dovrebbero essere esclusa in una perfetta legislazione dove le pene fossero dolci ed il metodo di giudicare regolare e spedito >> (Beccaria, 1 9 94, p. 1 0 2 ) . Il concetto di clemenza, così come quello di tolleranza, è spesso contestato, nella seconda metà del Settecento, proprio in virtù del fatto che essa erode lo spazio per l 'affermazione di un diritto uguale per tutti, cfr. Zucchi (2o16b).

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programmaticamente. È tuttavia opportuno notare, e questo è i l punto sul quale varrà la pena di insistere, che la tragedia tra Seicento e Settecento non si limita a riflettere le convinzioni dominanti, ma partecipa essa stessa alla discussione politica, producendo un preciso contributo. Lo scopo di que­ sto lavoro non è tanto quello di misurare la corrispondenza fra posizioni drammaturgiche e statuti fìlosofìco-politici, al fìne di sondare il grado di maggiore o minore originalità delle prove dei diversi autori, quanto piut­ tosto esaminare come, in un periodo di cambiamenti cruciali nel percorso verso la modernità, la tragedia generi un proprio specifìco discorso politi­ co, nel caso oggetto del presente esame, un discorso sul rapporto fra legge e sovrano.

4·4 Il sovrano e la legge nei testi tragici: una campionatura

A questo punto dovrebbe logicamente seguire un avvicinamento più con­ creto ai testi drammaturgici attraverso una campionatura, magari ampia e articolata, delle interpretazioni che, del rapporto fra legge e sovrano, offro­ no le tragedie italiane e francesi del Settecento, ma lo spazio a disposizione non sarebbe suffìciente e lo stato della ricerca non ancora maturo per una simile analisi. Ciò nonostante sembra possibile, preliminarmente, ricono­ scere tre categorie rappresentative a cui afferiscono la maggior parte dei testi tragici che sono stati fìnora considerati, ed esporre le caratteristiche principali di queste tipologie alludendo a qualche esempio fra i più signi­ fìcativi. In primo luogo andranno citati i drammi in cui i sovrani si reputano, in virtù della loro rettitudine, oppure maliziosamente, per il proprio persona­ le tornaconto, meri esecutori del sistema legislativo, dando adito a reazioni diverse tra i sudditi: a questa tipologia fanno riferimento l ' Grazia ( 1 7 1 9 ) d i Saverio Pansuti, i l Bruto primo ( 1789 ) d i Vittorio AlBeri, l a Virginie (r 78 6) di Jean-François de La Harpe o il Charles IX (r789) di Marie-Joseph Chénier. Nell ' Grazia di Saverio Pansuti re Tullo si vede infatti costretto a condannare l'eroe Orazio, salvatore dei Romani nella battaglia contro Al­ ba, ma reo di aver ucciso la sorella e destinato dalla legge alla pena di mor­ te ; la serie di sticomitie fra il re, rappresentante suo malgrado di un diritto che non vuole arbitrariamente trasgredire, e Orazio, che invoca clemenza e mitezza nel giudizio in virtù del servizio svolto per la patria, appare parti­ colarmente signifìcativo : 94



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[TULL. ] Orazio ; oltremisura il cuor mi preme, se a grave pena il tuo fallir ti chiama. Sappi però che i numi in guardia delle leggi han posto i regj. [ ORAZ. ] Delle leggi il rigor re saggio affrena. [ TULL.] Son la pena, e 'l rigor base del regno. [ ORAZ. ] . Anche per sommo dritto uom viene ingiusto. [ TULL.] Giustizia ha sempre fermo e stabil corso. [ ORAZ. ] Ben spesso all'altrui merto ella riguarda. [ TULL.] Riguarda il merto, e guarda ancor la colpa. [ ORAZ. ] Ben riguardar tu dei, che sol mercé d 'Orazio tua Roma oggi non morde d'eterna servitù l'orrido freno. lo solo, io solo, io fui, e in questo giorno fabbro di sua perpetua, altera sorte. Così tosto s'obblia inusitata gloria, eccelso merto ? [ TULL.] Roma non mai compensa con trapassato merto colpa grave, e recente (Pansuti, 1 7 1 9 , pp. 1 2.9-30 ) .

Di converso, nelle tragedie francesi sopra citate, è in maniera meschina e insincera - come d'altra parte succede spesso nei soggetti incentrati sulla storia di Virginia - che i sovrani si fanno rigidi custodi della legge. Si annoverano poi le tragedie in cui i monarchi si ergono al di sopra della legge per correggerne le storture, concedendo clemenza ai rei : è que­ sto il caso di una specifica tradizione drammaturgica che trova nel Cinna ( 1 6 4 1 ) di Pierre Corneille e nella Clemenza di Tito (17 34) di Metastasio i prototipi testuali più fortunati ; infìne vengono le tragedie che mettono in scena un sovrano, il quale decide deliberatamente di porsi al di sopra della legge, che pretende essere il prodotto della propria volontà: rappresentativi di questa categoria sono l 'Appio Claudio (1712) di Gian Vincenzo Gravi­ na o il Childeric premier (1774) di Louis-Sebastien Mercier, in cui i Fran­ chi, fedeli a Childeric, combattono l 'usurpatore Egidius, romano, e fattosi eleggere sovrano con l 'inganno, infrangendo deliberatamente la legge fran­ cese di cui il vecchio Carloman si fa rappresentante nel corso della pièce8• 8. A Carloman, che si opponeva all'elezione di Egide ricordando l'amore e la fedeltà del popolo francese nei confronti delle antiche leggi dello Stato ( « Avant ce temps tu con­ naitras ce peuple, camme il s 'enflamme d'amour pour ses rois, et quelle force il prete aux

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Ma queste categorie e questi esempi lasciano i l tempo che trovano all 'interno di un discorso che trarrebbe molto più giovamento da affondi testuali precisi, atti a mostrare non tanto l'appartenenza, per così dire, ide­ ologica, di questo o quell'altro autore a un preciso "partito" nella disputa sul rapporto fra legge e sovrano, quanto piuttosto la complessa articola­ zione di un pensiero che non è supportato, come all 'interno di un trattato filosofico-politico, da una voce unica e razionale, tesa a persuadere della bontà di una determinata soluzione, ma che si ricompone per via dialetti­ ca attraverso un'azione che presenta molteplici personaggi e punti di vista. In conclusione vorrei sottolineare un passaggio che mi sembra parti­ colarmente rilevante nel computo di questo intervento : si è tentato di di­ mostrare come la tragedia, nel caso italiano e francese, seppure in moda­ lità differenti, debitrici di sistemi storico-culturali alternativi, partecipi al dibattito sul rapporto fra legge e sovrano, diventando a propria volta una forma del discorso politico di epoca moderna. Ma a partire da questa asser­ zione resta aperta una questione ineludibile, ossia come la tragedia produca il proprio discorso politico, occupando uno specifico spazio nel contesto della discussione sulla natura dello Stato. Sembrerebbe farlo, a parere di chi scrive, principalmente in tre maniere : in primo luogo attraverso la rap­ presentazione visiva che potenzia la forza del discorso dando voce e gesti a opinioni che farebbero meno impressione qualora rimanessero sulla pa­ gina. Lo sapeva bene Voltaire, molto preoccupato per l' impatto che sulla platea parigina avrebbe potuto avere la sua Mort de César (r735), tragedia che mette in scena una congiura, pensata originariamente per essere letta all ' interno di un circolo limitato di spettatori (cfr. Alfonzetti, 1 9 8 9 ) . Se­ condariamente, lo fa attraverso l 'allusione per via allegorica a casi contem­ poranei e presenti, questa è una prerogativa della scrittura teatrale sfruttata fìn dalle origini : molti drammi corneilliani parrebbero, ad esempio, allude­ re a situazioni politiche del presente (cfr. Couton, 1 9 84), così come l'Appio lois fondamentales de l'état » ) [ « Prima di quel tempo conoscerai questo popolo, come s' infiamma d'amore per i propri re e con quale forza osserva le leggi fondamentali dello Stato>> ] , Gontran, il braccio destro dell'aspirante tiranno, risponde con disprezzo : « Des lois ! Que dis-tu ? Vain mot qui s'évanouit devant le bruit des armes. Nous l'asservirons ce peupie inquiet et changeant, emporté par l' amour des nouveau tés, et nous ne dédaignerons pas de le combatrre; car il est encore plus facile à séduire qu'à vaincre >> [ «Leggi ! Cosa sai dicendo ? Parola vuota che svanisce davanti al suono delle armi. Soggiogheremo questo popolo ansioso e volubile, trasportato dall'amore di novità, e non disdegneremo di com­ batterlo, poiché è ancora più facile da sedurre che da sconfiggere >> ] (Mercier, 1774, p. 15) .



IL S OVRANO E LA L E G G E NELLA TRAG E D I A D E L S ETTECENTO

di Gravina e la Virginia di Pansuti sembrerebbero riflettere alcuni aspetti della congiura di Macchia del 1701 (Alfonzetti, 2001, pp. 37-74). Infine, e questo è forse il punto più importante, la tragedia produce il proprio discorso politico calando nel concreto di una vicenda storica o mi­ tologica gli assunti della teoria politica. Essa, assumendo una prospettiva di per sé dialettica - molto diversa da quella di qualsiasi dissertazione, an­ che se in forma di dialogo - rende evidenti conflitti, aporie, obiezioni più o meno legittime che potevano essere fatte alle varie concezioni politiche. Anche quando è evidente la posizione dell'autore, il suo parteggiare per l 'una o per l'altra fazione, non vengono taciute voci alternative, quelle de­ gli antagonisti o semplicemente quelle degli sconfitti. A questo proposito appare particolarmente idoneo a dimostrare le implicazioni assai comples­ se della rappresentazione politica originata dalla tragedia un passo dell 'Ap­ pio Claudio (1712) di Gian Vincenzo Gravina, in cui il decemviro, tiranno spregevole e meschino, pronto a tutto - anche a falsare un processo e ma­ nomettere le leggi - per possedere Virginia, oggetto del suo desiderio, fa una lunga tirade contro la totale subordinazione del sovrano al popolo e alla legge che l'apologetica dell 'assolutismo illuminato professerà. Appio reclama un godimento personale, rivendica una felicità privata che gli viene negata pregiudizialmente in qualità di funzionario di Stato, ed esige Virgi­ nia come premio della sua attività di magistrato : Non riporto sin or da regno tale Altro che lunghe, e faticose cure, Nell'ordinare e concordar le leggi, E nell'amministrare il magistrato Tutto a vantaggio, e beneficio altrui; Volgendo la privata libertate In pubblico servigio che mi toglie, Col suo di maestà vano splendore, Ogni piacere, ogni privato bene; Dal quale il comun regno m'allontana, Che non meno a colui che lo governa, Che a colui che lo soffre è rigoroso. E queste scuri tanto invidiate, S ' a me Virginia non daran per frutto Delle molestie mie, delle vigilie, E per compenso del piacer privato, Ch'abbandonai per pubblica salute; Regno questo non è, ma pena e danno ( Gravina, 1712, pp. 158-9 ) .

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Ora, non v ' è dubbio alcuno sul fatto che Gravina non condivida l a rivendi­ cazione del protagonista della tragedia, ma n eli 'Appio egli contempla la sua posizione, gli dà voce, e costringe, allora come oggi, a farci i conti.

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L' opéra-comique e il dialogo sul potere* di Martin

Wdhlberg

Il teatro francese dell ' Illuminismo si caratterizza per un generale passag­ gio dalla rappresentazione celebrativa del potere regale che si riscontra alla fine del XVI I secolo ad una severa censura e spesso eliminazione dalla sce­ na degli elementi monarchici durante il periodo rivoluzionario, nell 'ulti­ mo scorcio del XVI I I secolo'. Considerato lo stretto controllo esercitato dagli organi istituzionali dell'An cien Régime sulle produzioni teatrali, non sorprende che gli aspetti connessi col potere, e più specificamente con la monarchia, rappresentassero questioni estremamente delicate nello ster­ minato repertorio di opere drammatiche composte in Francia lungo tutto questo lasso di tempo, complessivamente più di undicimila nel solo perio­ do compreso tra 1700 e 1789'. Uno dei punti più critici consisteva propria­ mente nella rappresentazione sulla scena delle figure appartenenti alla fa­ miglia reale, e in particolare della personalità più eminente posta al vertice di ogni monarchia, il re medesimo. Nel quadro globale di questo processo di mutamento nella rappresentazione del potere regio che attraversa l'in­ tero periodo, un 'opera si rivela particolarmente interessante. Si tratta di Le Roi et leJermier (Il re e il mezzadro), il cui libretto, scritto dal dramma­ turgo Michel-Jean Sedaine, fu musicato dal compositore Pierre-Alexandre Monsigny. Messa in scena per la prima volta nel 1762 alla Comédie ltalien­ ne, la piece si inseriva in un contesto teatrale segnato dall 'arrivo in Fran­ cia, una decina d'anni prima, dell' opera buffo italiana e dal contempora­ neo declino dell'opera "autoctonà' tradizionale patrocinata dal re. Questi due fatti avevano favorito la creazione di un nuovo genere italianizzante, l' opéra-comique, di cui Sedaine divenne uno degli esponenti più autorevoTrad. i t. di Alice Spinelli. 1. Il primo studio sistematico sulla censura teatrale durante la Rivoluzione francese è stato condotto da Hallays-Dabot (1 8 6 2, pp. 1 43-20 6 ) . 2. Stando a l regesto contenuto nell'opera canonica d i riferimento a cura d i Brenner (1979) •

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MARTIN WA HLBERG

li. In questo contributo si avanzerà l' ipotesi che quest 'innovativa forma di teatro mettesse in crisi l'equilibrio garantito da una rappresentazione dei personaggi di corte sistematicamente regolata dalla gerarchia dei generi, e che Le Roi et leJermier costituisca lo spartiacque fondamentale in questo processo a lungo termine che, partendo dalla rappresentazione ufficiale del potere monarchico invalsa nel teatro del primo Settecento, approda a dra­ stici sviluppi relativi alla messa in scena delle figure regali nel periodo della Rivoluzione francese.

S·I La presenza del re sulla scena classica francese

La figura del monarca è essenziale nel teatro classico francese del XVI I seco­ lo. Le strutture drammatiche di età classica contemplano sostanzialmente due stereotipi regali tradizionali : il personaggio del re nei drammi storici, generalmente tragedie, e il principe eroico nella commedia. La fioritura del teatro durante il regno di Luigi XIV era in stretta correlazione con un fe­ condo revival della tragedia greca classica, nella quale il dramma spesso in­ sorge e si sviluppa progressivamente all ' interno di una stessa famiglia reale. La rappresentazione scenica della figura monarchica di più alto grado, il capo dello Stato, divenne dunque una prerogativa del genere della tragédie, in cui il re compariva come personaggio storico. Esistevano però anche altri fenomeni di tipo scenico in cui la rappre­ sentazione del monarca o l'allusione alla sua figura giocavano un ruolo chiave. Come noto, Luigi XIV in persona si esibì in occasione di sfarzosi eventi celebrativi incentrati sulla danza!, per esempio nel leggendario Bal­ let Royal de la Nuit, uno spettacolo di tredici ore che si svolse nella Gran­ de Salle dell ' Hotel du Petit-Bourbon, la dimora reale adiacente al Louvre. Il giovanissimo Luigi XIV interpretò cinque ruoli diversi, tra cui quello di Apollo, il dio del Sole ascendente all'alba, un chiaro simbolo del fonda­ mento divino della monarchia\ Il giovane sovrano svolgeva una freneti­ ca attività da ballerino. Secondo Marie- Christine Moine, « il numero di 3, L' importanza delle feste danzanti celebrate a corte con la diretta partecipazione del re è ad esempio sinteticamente illustrata in Moine (1984, pp. 33 ss.), oppure, in una prospet­ tiva più generale, in Cowart (20o8). 4· Una panoramica aggiornata su questo balletto chiave nella storia degli spectacles musicali organizzati sotto il regno di Luigi XIV è offerta da Burden, Thorp (2.010 ) . 1 0 2.



L ' OPÉRA - C OMIQ UE E IL D I AL O G O SUL P O T ERE

balletti e balli in cui danzò il re nella prima metà del suo regno è talmente prodigioso da dare le vertigini » ( I 9 84, p. 33), al punto che questo genere di spettacoli pubblici di danza divenne sempre più intimamente connesso con la rappresentazione del potere regale. Il genere stesso dell 'opera, che sorse in Francia a partire da questa tra­ dizione del ballet reale, era di per sé in stretta associazione con il sovrano e il suo entourage. Al tempo di Luigi X I V, la corte produceva opere di ampio respiro, e anche se l' opéra parigina avrebbe subito vari mutamenti orga­ nizzativi nel corso del XVI I e del XVI I I secolo, essa sarebbe rimasta stret­ tamente legata al potere statale, ed era comunemente percepita come un simbolo primario della nazione francese. Il suo genere principale di ma­ nifestazione continuava ad essere la tragédie lyrique, ispirata dalla tragedia classica, nella quale le figure reali erano naturalmente poste al centro degli eventi drammatici. La relazione con il potere costituito era ulteriormente rafforzata dall 'uso di prologues che venivano di norma aggiunti alla clas­ sica struttura drammatica in cinque atti. Tali prologhi encomiastici5 co­ stituivano già un elemento comune del teatro di parola prima dell 'arrivo dell 'opera in Francia nel XVI I secolo. Essi avrebbero tuttavia assunto un ruolo sempre più centrale nelle pieces miste di musica e recitazione che precedettero l ' invenzione dell 'opera francese, come i cosiddetti comédie­ ballets di Molière, che consentivano allo spettacolo di instaurare un lega­ me più specifico con la figura del re. Come sottolinea Alexis de Hillerin, ciò dava l 'opportunità di associare strettamente l ' intera opera al potere regale : « Cette célébration tient lieu à la fois d 'outil de propagande pour la monarchie et de discours d'intronisation des .

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BRUNO CAPACI Ei potea placarmi Iddio . . . M e parea far pura ancor. Ogni luce in lui mi è spenta .. . Il mio cor con esso è morto .. . Sul mio capo il Cielo avventa Il suo strale punitor ( Romani, Donizetti r833, II, scena ultima) .

Il nome della duchessa estense celebrato da Ariosto, Bembo e Giovi o in pa­ gine ignorate dalla pubblicistica risorgimentale si riaffaccia per essere dila­ niato e nello stesso tempo melodrammaticamente compatito dal pubblico. La donna che aveva come confessore Tommaso Caiani, un seguace di Savo­ narola (Zarri, :z.oo6, pp. 1 3 6- 8 6 ) , era divenuta nell 'intento di Hugo mostro morale come Triboulet del Roi s 'amuse lo era nella deformità fisica. Nel 1 8 3 3 Lucrezia è ancora e soprattutto la sorella di Cesare Borgia e la figlia di Alessandro V I . Tanto più che Hugo non si interessava al pro­ blema storico visto che riteneva che « le fables du peuple » ( « le favole del popolo » ) costituissero « la vérité du poète » ( « la verità del poeta » , Hu­ go, r833, p. I X ) . Più che la pretesa bellezza di Lucrezia era il suo immenso cono d'ombra ad ispirare i versi dei poeti suscitando nel contempo il suo fantasma sull'orizzonte del pubblico. Così Hugo e Romani l 'avevano vissu­ ta, trasformando la dama rappresentata da Perugino, Bartolomeo Veneto e Dosso Dossi nell' immagine di crudeltà recepita da Dante Gabriel Rossetti che nel r 8 6 r la raffigurò nell 'atto di lavarsi le mani dopo aver avvelenato Al­ fonso d'Aragona. Nell'opera di Hugo Lucrezia avvelena Maffio, in quella di Donizetti tenta di salvare con un potente antidoto Gennaro. Sempre di sapere tossicologico si tratta. Se Lucrezia è un vertice del male, occorre che la introduca sulla scena chi ne rappresenta uno scherano. Gubetta, suo confidente scellerato e satanico buffone, esibisce la gradatio diabolica che caratterizza i Borgia : « le di able en sai t plus que monsieur Valentinois, et le pape Alessandre-Six en sait plus que le diable » ( « il diavolo ne sa più del Valentino ma il papa Alessandro vi ne sa più del diavolo » , ivi, atto I, parte I , scena 2 ) . Gubetta avrà la sua parte forte­ mente ridotta nel libretto di Romani in quanto saranno contenute le digres­ sioni comico-grottesche dd drame (Roccatagliati, :z.oo6, p. 281 ). Ma qual è la colpa aberrante di Lucrezia ? Nella scena quinta del pri­ mo atto del dramma Jeppo, Ascanio e Oloferno riconoscono la duchessa di Ferrara e interrompono il suo tenero dialogo con Gennaro. Lucrèce è accusata quasi ex abrupto di praticare l ' incesto. Prima Jeppo, poi Ascanio e infine Oloferne la additano come mostro morale in un tricolon scandito

9 . E CLATANTI V O C I ARCANE

dall 'accusa di aver violato ogni sacra relazione secondo la climax sorella­ fratello, figlia-padre e se il cielo avesse concesso, anche madre-figlio : [JEPPO] : Inceste à tous les degrés. Inceste avec ses deux frères, qui se sont entretués pour l'amour d'elle ! [ASCANIO ] : Inceste avec son père, qui est pape! [O LO FERNO] : Inceste avec ses enfans, si elle n' avait; mais le ciel en refuse aux mon­ stres! [JEPPO] : Incesto di ogni grado. Incesto con due fratelli che si sono scontrati per amore suo ! [ASCANIO ] : Incesto con il padre che è papa! [O LO FERNO] : Incesto con i suoi figli se ne avesse avuti ma il cielo li nega ai mostri (Hugo, 1833, atto I, parte I, scena s).

9·2 Il bisbiglio della storia

Se il teatro è retorica messa in azione, possiamo dire che Lucrezia è negati­ vamente passata al setaccio della prova etica (Piazza, 2008, p. 4 6 ) . Lucrezia Borgia è oggetto di un attacco ad personam, volto a distruggerne qualsiasi sua credibilità nel momento in cui duetta con il figlio al riparo della ma­ schera (Perelman, Olbrechts-Tyteca, 1 9 6 6, pp. 219-24). Nel melodramma il personaggio negativo viene stigmatizzato nel tentativo di estrometterlo dalla scena in nome di una condanna collettiva, vera e propria damnatio memoriae. Tuttavia gli archivi del Vaticano ci restituiscono una diversa im­ magine del rapporto tra Lucrezia e il papa, principale fonte della accusa di incesto. Non si intende smentire ora con un intervento anacronistico l ' in­ tenzione drammaturgica di Vietar Hugo ma arricchirla con una interpre­ tazione del rapporto tra il papa e la figlia che proviene dal loro carteggio segreto. Non per ristabilire la verità oggettiva ma per offrire un'ulteriore possibilità critica che la fonte manoscritta offre sul tavolo dell 'invenzio­ ne. È vero che il legame tra Alessandro e Lucrezia era quasi morboso, ma è anche vero che la quattordicenne contessa di Pesaro sapeva allentarlo di­ mostrando una personalità di non poco conto ed eludendo talvolta gli ob­ blighi epistolari o meno ai quali doveva soggiacere. Lucrezia romantica e Lucrezia del Rinascimento, il mostro morale e il fantasma che riemerge da uno scrigno di lettere a volte dialogano tra di loro a volte si ignorano come 17 7

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se non si fossero mai conosciute. Ecco come e cosa Lucrezia scrive al padre dal palazzo di Giovanni Sforza : Sanctissime Pater post beatissimorum pedum oscula, Se questa mia non sarà de manu propria contra el consueto et desiiderio mio supplico la santità vostra non se pigli adiratione né alterazione alcuna per non essere causato da voluntà ma da un poco de sinistro accadutone in questi dì nel brazo dextero per il ancor che sii leve et che in breve ne habii ad essere in tutto libera tucta volta per hora ha disturbato lo officio et debito mio sicché vostra si­ gnoria se dignerà avermi per excusata. Ne la sua che vostra signoria me scrisse del 24 del presente la me nota et dolse dirme de non essere più accurata iscriverli et di non aver prohibito la partenza de Madonna Hadriana et de Julia. Circa il scriver io mi rendo certa che se non quello zorno saltem poco da poi la dovesse ricever una lettera de mia mano portata da Messer Lelio Capoferro• et se prima aveva interlassato alquanto fu perché intendevo vostra Beatitudine esser fori Roma che altramente non saria restata de far il debito mio verso di lei. La quale de continuo me sta nel core et altro non desiidero se non vederla felice et fruirla molto tempo [ . . ] (Lucretia Sfortiana de Borgia ad Alessandro VI, Pisaurii r2 Luglio 1494, ASV, AA. Arm. I-XVIII, 50 27, cc. 9-ro). .

Questa missiva illustra il carattere fermo di Lucrezia adolescente nel conte­ nere i rimproveri di Alessandro VI per il diradarsi della sua assiduità episto­ lare. Una ragazza che sa tenere testa al papa, difendere il marito e liberarsi della sorveglianza di Giulia Farnese ha già in sé lo spiccato senso politico che metterà in luce negli anni successivi. D 'altra parte questa lettera con­ ferma come il padre incestuoso destinasse in realtà il suo interesse alla bel­ lissima Giulia Farnese, dolendosi molto che fosse partita da Pesaro senza il suo consenso per raggiungere a Capodimonte il morente e amato fratello Angelo. Lucrezia era appunto accusata dal papa in correo con Giovanni Sforza di non aver custodito la sua Giulia : « veramente el signor Joanni e tu avite auto poco respecto et consideratione a noi in questa partita de Madonna et de Julia in lassarle le partire senza licentia nostra [ . . . ] ora fato e una altra volta seremo più accorti et penseremo molto bene in mano di chi meteremo le cose nostre » (Romei, Rosini, 2012, p. 140 ) . Riconosciamo qualcosa della Lucrezia Borgia oggetto d i vituperio da parte di Hugo e Donizetti ? Il primo la volle « empoisonneuse et adulte­ re » ( « avvelenatrice e adultera » , Hugo, atto 1, parte I, scena s ), mentre il secondo con le parole del librettista Felice Romani non esitò a dichiarare : 2.

Lelio Capoferro, celebre maestro di scherma.

9 . E CLATANTI V O C I ARCANE

« O dio alla rea Lucrezia l Dove è Lucrezia è morte » (Romani, Donizetti, r833, Prologo, scena r ) . Una ragazza del Rinascimento che rispetta prima il galateo della sofferenza che gli ordini paterni, e simula un piccolo infortu­ nio per sottrarsi all 'obbligo di un inesausto traffico epistolare manu pro­ pria crea qualche dissonanza con gli accenti tragici e patetici del personag­ gio di Hugo e Donizetti. Ma non li smentisce. Semplicemente è un altro personaggio che dialoga con coloro che la rappresentano. Nel romanzo una passione anche esecrabile una volta descritta è pure attraente, un personaggio negativo una volta messo in scena non può non suscitare interesse in proprio favore, specie se esprime l 'oscuro e tenero ri­ chiamo della lex potentior che domina una madre. Se i libretti sono «più modesti romanzi » (Lavagetto, 2003, p. r s ) nel loro intreccio non possono che seguire questa modalità di fruizione dei loro personaggi ed è pur ve­ ro che almeno nell ' Italia di quegli anni essi hanno maggiore popolarità di qualsiasi altra forma narrativa. Sono gli ottonari nell' incipit della scena I I I a esprimere la gioia di Lucre­ zia che contempla il figlio Gennaro dormiente, accarezzandolo con lo sguar­ do prima e con il canto poi. Un verso felice e fortunato della tradizione ita­ liana forse uno dei più fortunati e cantabili da « Quanto è bella giovinezza » della Canzona di Bacco e Arianna di Lorenzo de ' Medici a «Notte e giorno faticar » del Don Giovanni di Lorenzo Da Ponte si presta a festeggiare la gio­ ia di una madre che riscopre il figlio e lo ammira dormiente. Gennaro è con­ dottiero e uomo d'arme bello e altero come Julius della Veniexiana, ma non così petrarchizzato « nelle belle paroluzze (Padoan, 2oor, p. 19 ) . La donna che lo contempla non è la malinconica Anzola vidua ma Lucrezia Borgia, la mamma di Roderigo duca di Bisceglie e forse dell'infante romano al quale accennano le due bolle che Lucrezia portò a Ferrara e che ascrivono la pater­ nità del bambino prima a Cesare Borgia e poi allo stesso papa: « Cum autem tu defectum predictum non de prefato Duce sed de Nobis et dieta muliere soluta patiaris [ . . . ] » ( Gregorovius, 1878, p. 406). Chi fosse la mulier soluta non è dato sapere ma non pochi hanno immaginato che fosse proprio Lucre­ zia Borgia in quel momento senza alcun vincolo matrimoniale. Dopo questa prima escursione nei meandri dell 'Archivio segreto esten­ se che trattiene le voci arcane ritorniamo a quelle eclatanti. Non c 'è dubbio che la contemplazione di Gennaro è uno dei punti di maggior conforto ele­ giaco del melodramma di Donizetti e Romani : [wc. ] : Come è bello !.. Quale incanto In quel volto onesto e altero ! 179

B RUNO CAPACI No, giammai leggiadro tanto Non se' l finse il mio pensiero. L'alma mia di gioia è piena Or che alfin lo può mirar ... Mi risparmia, o Ciel, la pena, Ch'ei mi debba un dì sprezzar. Se il destassi !.. no : non oso ... Né scoprir il mio sembiante. Pure il ciglio lagrimoso Terger debbo . . . un solo istante (Prologo, scena 3).

Il modello francese rivela come il testo italiano non sia stata soltanto una parafrasi poetica. Il lessico postarcadico in ragione della letteraria tenuità è incline a dissolversi in musica. Al contrario, quello francese ha l ' impronta del poeta più che del librettista e come tale ha uno spessore tragico mag­ giore che vive nella recitazione del dissidio interiore tra le voci interne di Lucrezia che finalmente può cibarsi della vista del figlio, apparso più bello di come lo aveva sempre sognato : C 'est clone lui ! il m'est clone enfin donné de le voir un instant sans périls ! Non, je ne l'avais jamais revé plus beau. O Dieu! épargnéz-moi l'angoisse d'etre jamais ha!e et méprisée de lui; vous savez qu' il est tout ce que j 'aime sous le ciel ! - Je n'ose 6ter mon masque; il faut pourtant que j 'essuie mes larmes. È dunque lui ! Mi è donato di vederlo senza pericolo almeno per un istante ! Non l ' ho mai immaginato così bello. Oh Dio ! Risparmiatemi di essere mai odiata e disprezzata. Voi sapete che è tutto ciò che amo sotto il cielo. Non oso sollevare la maschera ma è tuttavia necessario che mi asciughi gli occhi (Hugo I833, atto I, parte I, scena 2).

Il teatro è recitazione nella recitazione. Così osserviamo Lucrèce asciugarsi le lacrime come potrebbe fare uno spettatore che sta ascoltando questo in­ tenso dialogo. Il teatro è sempre embrayage e come tale coinvolge attrice e spettatori in uno slancio che è patetico e catartico insieme. Chi è Gennaro nella storia ? Esiste una fonte storica del personaggio messo in scena da Victor Hugo e da Donizetti ? Partendo proprio dal pre­ supposto raccontato dallo stesso Gennaro della infanzia a Napoli sembre­ rebbe riemergere in esso qualche allusione ali 'esistenza dell'aragonese duca di Bisceglie figlio di Lucrezia e di Alfonso d'Aragona. La lettera della ma­ dre così cara a Gennaro ci riporta a una missiva che la vera Lucrezia scrisse 180

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a Ercole 1 d' Este proprio per raccontargli la preoccupazione per la sorte del figlio alla morte del papa Alessandro VI. Leggiamola: Illustrissimo signor mio e padre observandissimo, Conoscendo io esser mio debito che con vostra excellemia, como a mio signo­ re, padre et unicho benefactore, debbia communicar tutte mie cose de qualunche sorte siano, et maxime quelle che tanto me importa[no] , como è lo interesse de don Roderico mio figliolo, servo de quell [a] , scrivo volentier la presente in tale effecto. È de parere el reverendissimo cardinale de Cosenza per alcuni respecti, che vostra signoria intenderà per l' aligata sua che me scrive, de transferi [re] in Valentia esso don Roderico al che anchor che ' lla distanti a per esser si lunga me parga como ad matre durissima, pur me ce acordaria quando ce intervenga lo sapientissimo(a) consiglio de vostra signoria, ateneo che per esser stata la morte della santità de no­ stro Signore, santa gloria abbia, cusì repentina, non ha possut[ o] aver condecente stato et esserli quel pocho che teneva levato. Per el che supplico vostra exccelentia che ' lla se degni non solo in ciò co [n] sultarme del parer suo, ma anche tenerlo ricomandato in tutto quel che conoscerà posserlo preservar e profìctare, che me serr [à] tra le altre obligatione ho con vostra Signoria a benefìtio sempiterno ; alla quale basando le mano umilmente me ricamando. De Medelana, a III de octobre (Lucrezia Estense De Borgia a Ercole I, Medelana III ottobre [rso3 ] , ASMO, ASE ) .

La voce arcana della vera Lucrezia se confrontata con quella provenien­ te dalla scena è leggermente dissonante ma conferma l' istinto della madre che vuole mettere in salvo il figlio in Spagna sebbene ne soffra già la sepa­ razione. La lettera a Gennaro dunque sarà stata scritta dalla vera Lucrezia a Rodrigo. Delle donne parlano sempre i poeti e più spesso gli uomini ma talvolta è possibile ritrovare la voce sepolta del personaggio storico che ha dato vita a quello letterario vivendo in questa scoperta un'altra declinazio­ ne di un racconto senza elogio e vituperatio. Ma le colpe di Lucrezia sono soprattutto quelle del fratello Cesare pas­ sando così dai pretesi misfatti di alcova a quelli politici. Il dialogo tra Gen­ naro e la madre vituperata è interrotto all'unisono dalle accuse prorom­ penti degli amici di Gennaro, guidati da Maffio Orsini che fin dali' aria Nella fotal di Rimini (Prologo, scena I) aveva dichiarato la sua avversione, anzi esecrazione, di Lucrezia sostenuta proprio dall 'affetto incondizionato per Gennaro. L'accusa a Lucrezia è di fatto quella a Cesare. Nel quintetto cantano i partenti delle vittime del duca di Romagna più che di Lucrezia. Hugo senz 'altro aveva letto la Vita di Cesare Borgia in cui si narra il mas­ sacro degli ex compagni di arme : « ed essendo horamai mal sicuro il ripu­ gnare e l 'obbedire andarono dentro guidati da Paolo che era il più presso al duca ove poiché l 'ebbero accompagnato fino alle stanze della sua abita-

BRUNO CAPACI

zione pigliando egli scusa di ritirarsi per un breve affare, li fece assalire da Don Micheletto e da altre sue genti appostate » (Tomasi, r 67o, p. 268). Un rapporto talmente stretto quello tra Lucrezia e Cesare da funzionare nel melodramma come una chiamata in correo. Lucrezia è colpevole di ogni opera del Valentino in quanto sostenitrice del suo progetto egemonico. Il plot che è alla base della tragedia di Hugo e della opera di Donizetti punta a riconoscere una vera e propria associazione a delinquere tra i due figli di Alessandro. Se diamo la parola al medico di corte degli Estensi, Francesco Castelli, troviamo che il preteso incesto si traduceva in forme di attenzione galenica e assistenza nella malattia: Illustrissimo signor mio e reverendisismo, ozi alle ho re 20 abiamo fatto salassar Madama nel piede destro cum incredibi­ le faticha e se non fusse stato il ducha de Romagna il quale ghe ha tenuto la gamba non era possibile a farlo [ ... ] la febbre tenia quale si aspettava a ore 2.3 non vegniva; sua signoria se ne è stata più di due ore et in consolatione col ducha de Romagna il quale la fa rider e tutta stassene di bona voglia (Francesco Castelli a Ercole I, Ferrarie die 7 septembris [rso2.] , horis 14, ASMO, ASE ) .

Ma questi sono i bisbigli epistolari della storia. Hugo sosteneva che la vo­ ce del théatre è quella che «parle fort haut » ( «parla più forte » ) e che « le théatre est une tribune. Le théatre est un chaire » ( « il teatro è una tribuna. Il teatro è un pulpito » , Hugo, 18 3 3 , p. vm ) . Il mondo di Lucrezia è messo in scena mediante una drammaturgia "processuale" che si traduce in atto di accusa. Il melodramma ottocente­ sco ha tre varianti giudiziarie : istituisce processi, proclama il perdono dei rei, narra la storia della carcerazione delle vittime della storia (Rostagno, 2016, pp. 266-8). In Lucrezia Borgia ci sono carnefici e vittime e quindi accusati e innocenti da salvare nel canto. I sovrani dei piccoli stati italiani riapparsi dopo il Congresso di Vienna con le loro ristrette corti appaiono come obiettivi indiretti dello spettacolo operistico. Le voci eclatanti ven­ gono intonate mentre quelle arcane rimangano racchiuse negli scrigni dai quali le faranno emergere, circa mezzo secolo dopo, gli studiosi positivisti interessati a riscattare « il giudizio su uomini che ci stanno davanti come ombre » ( Gregorovius, 1 8 7 8, p. 340 ). Se la complicità di Cesare e Lucrezia è denunciata dagli autori del teatro ottocentesco, la ricerca delle fonti per­ mette di confermare e ricollocare quel rapporto in una alleanza militare piuttosto che in una associazione a delinquere. Il giudizio morale dell 'Ot­ tocento borghese va misurato alla luce dello scenario più complesso delle vicende del primo Rinascimento. Alleati potenti più che fratelli maledetti.

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Basta leggere la lettera che la duchessa ricevette dal fratello nel luglio del 1502, all'indomani della conquista di Camerino : Pregamo quella voglia fare onore ad questa nova con evidente effecto di miglio­ ramento et farcelo intendere imperò che con la sua infermità né de questa né de altre possemo sentir piager alcuno. Pregamo ancora che la presente voglia parteci­ parla allo illustrissimo signor Ducha Alphonso suo consorte e mio cognato come fratello amatissimo al quale non scrivemo per la prescia (Cesare Borgia a Lucrezia Estense de Borgia, Urbino luglio 1502., Carteggio con Principi esteri, Romagna, ASMO, ASE b. 1438, f. r.).

Se il melodramma ha una funzione politica nel favorire l'evolvere di una co­ scienza nazionale (Zoppelli, 2orr, p. 447 ) è evidente che l 'opera di Doni­ zetti concorre alla stigmatizzazione indiretta dei potentati regionali dell ' I­ talia, frutto della Restaurazione. Questo compito è assolto decostruendo il mito di una delle più gloriose regnanti dello stato estense ancora imperante in quegli anni. Niente di meglio della nemica di Guicciardini per costruire l ' immagine non solo di una madre incestuosa ma di una sovrana sregolata e violenta. Così l ' Ottocento romantico fraintende il destino e il ruolo di una au­ tocrate del Rinascimento che con Alfonso 1, duca di Ferrara, aveva prima affrontato la fine dell'epoca dei Borgia e contrastato poi l ' impeto tempo­ rale di un papa come Giulio I I il quale vestiva l 'armatura sopra le vesti di vicario di Cristo. Hugo rovesciò i presupposti della storia patria affossan­ do nel suo drame i migliori alleati di Luigi XII e di Francesco 1. Si sa che il melodramma del primo Ottocento ha una venatura borghese proprio nell 'individuare la deformità etica dei suoi personaggi. La coppia Lucre­ zia e Don Alfonso appare pervasa da una conflittualità coniugale al limite del delitto : [Luc.] : Oh! a te bada ... a te stesso pon mente, Di Lucrezia mal cauto marito ! Ornai troppo m 'hai visto piangente: Questo core ornai troppo è ferito. Al dolore sottentra la rabbia ... Ti potria far la Borgia pentir. [ALF.] : Mi sei nota: nè porre in obblio Chi sei tu, se il volessi, potrei. Ma tu pensa che il Duca son io, Che in Ferrara, e in mia mano tu sei ...

B RUNO CAPACI Io ti lascio la scelta s'egli abbia Di veleno o di spada a perir ( Romani, Donizetti, r833, 1.6).

La tensione del recitativo è ben altra cosa se si spande nell 'opera in musi­ ca o attraversa la veemente conseguenzialità del testo drammatico dove le parole costituiscono veri e propri atti di accusa. Alfonso ricorda a Lucrezia che egli è ben diverso dai precedenti mariti (addirittura tre rispetto ai due che ebbe in realtà) e che i suoi cannoni possono essere puntati anche contro il papa. Un manifesto di virilità militare è insito in questa requisitoria che vuole ricordare alla donna che gli Este non temono i Borgia : Oh ! ne faites pas la terrible, madame! Sur mon àme, je ne vous crains pas! Je sais vos allures. Je ne me laisserai pas empoisonner comme votre premier mari, ce pauvre gentilhomme d ' Espagne dont je ne sais plus le nom, ni vous non plus ! Je ne me laisserai pas chasser comme votre second mari, Jean Sforza, seigneur de Pe­ saro, cet imbécille ! Je ne me laisserai pas tuer à coups de pique, sur n'importe quel escalier, comme le troisième, don Alphonse d'Aragon, faible enfant dont le sang n'a guère plus taché les dalles que de l'eau pure ! Tout beau! Moi je suis un homme, madame. Le no m d' Hercule est souvent porté dans ma famille. Par le ciel! j ' ai des soldats plein ma ville et plein ma seigneurie, et j 'en suis un moi-meme, et je n'ai point encore vendu, comme ce pauvre roi de Naples, mes bons canons d' artillerie au pape, votre saint père! Non assumete questo aspetto minaccioso. Non intimidite il mio animo. Cono­ sco la vostra alterigia. Non mi farò avvelenare come il vostro primo marito, quel povero gentiluomo spagnolo di cui non ricordo il nome e nemmeno voi. Non mi farò cacciare come il vostro secondo marito Giovanni Sforza, signore di Pesaro quell' imbecille. Non mi lascerò uccidere a colpi di picche su qualche scalone come il terzo, don Alfonso d 'Aragona, debole ragazzo il cui sangue non ha sporcato il lastricato più dell 'acqua pura. Così bello. Ma io sono un uomo signora e il nome di Ercole è spesso portato nella mia famiglia. Per il cielo io ho dei soldati e la mia città ne è piena mia signora e io stesso lo sono e io non ho ancora venduto come questo povero re di Napoli i miei cannoni al papa, il vostro santo padre (Hugo, r833, atto n, parte I, scena 4).

Il duca di Ferrara nella versione ottocentesca è un vero e proprio vendicato­ re di mariti deposti o morti, esecrabile nell 'aria di violenza che emana e nel desiderio di femminicidio che pare salire sulla scena. Al contrario, Alfonso I ripose in Lucrezia la massimafides inter pares e puntò i propri cannoni, sì contro un papa, ma non il Borgia, bensì Giulio n e gli eserciti suoi alleati,

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soprattutto veneziani. E la consorte gli era fidata governando a Ferrara più di quanto avesse fatto a Roma dal suo palazzo di Santa Maria in Portico. Occorre perciò ritornare alle lettere di Lucrezia Borgia personaggio storico per scorgere le tracce indelebili di questa unione di vita che condivide i mo­ menti di sconfitta del r s ro durante la Lega Santa di Cambray : Dio scia quanto dispiacer sento della perdita del San Felice et del Finale sì come ho inteso per lettere de vostra excellentia. In questa hora che sono li sei ho fatto previsione di fanti per li gironi e fatto mutare quel capitano che li è dandoli bo ne parole come quella scrive. Si fa previsione di mandarli più navi che si può per fare li ponti, Dal canto mio non si mancharà di cosa che io sappia et che io possa. Et in bona gratia de la excellentia vostra mi raccomando sempre ( Lucretia Estense de Borgia a Alfonso I, Ferrarie, XII septembre, r s ro, ASMO, ASE, sez. Cancelleria, Casa e Stato, b r 41 ) .

.

Un anno prima di queste infauste notizie di guerra, l 'eco di gioia per gli avvisi di vittoria che erano giunti dal Polesine era stata davvero intensa per­ ché condivisa era l 'alternanza di vicende che la coppia estense sperimenta­ va nella difesa del piccolo stato, giunto al punto di frantumarsi davanti agli eserciti della Lega di Cambray e poi della Lega Santa. Prima contro Venezia e poi contro Venezia, il papa e la Spagna alleati, Alfonso e Lucrezia combat­ terono senza indietreggiare : Con summa letitia e gaudio ho visto et lecto quanto vostra excellentia mi ha si­ gnificato della totale recuperatione del suo Polesyno de Rovigo cum sua gloriosa victoria expugnando et debellando magnanimamente li conati et le fortezze deli nemici. Del tuto sia sempre ringraziato il nostro Signor Dio. Con la gratia del quale et favore si è con seguita la sperata et desiderata victoria. Darò raddoppiare li segni pubblici di gaudio et letitia per la terra et eper rutto et ordinerò si rendrino gratie al sommo Onnipotente. Et si farà oratione per la prosperità et conservatione de vo­ stra excellentia, n felice ritorno del quale expeteremo rutti con immenso desyderio ( Lucretia Estense de Borgia a Alfonso I, Ferrarie, 31 Maii 1509, ibid. )

9·3 Dal drame al pornodramma

Quando Hugo e Donizetti misero in scena le loro opere affrontarono un fantasma di cui non conoscevano le lettere. Lucrezia in scena fu una despo­ ta più vicina alla zarina del Poema tartaro (r783) di Giovan Battista Casti

B RUNO CAPACI

che alla signora di Ferrara. Si aggiunge il fatto che nei primi decenni del secolo X I X , Lucrezia venne rappresentata in un poema in ottave certo non encomiastico. Proprio in quel periodo, regnanti a Modena gli ultimi Esten­ si, Pietro Giannone (179 1- 1 872), patriota e poeta, scriveva versi diffamatori sulla figlia di Alessandro VI restati inediti fino alla recente decriptazione che svela come il mostro morale creato da Hugo continuasse a produrre in epoca risorgimentale una variante decisamente pornografica : Così dicea in suo pensier Lucrezia Di godersi quei tre disposta ed avida Ed erano per lei quasi un' inezia E nausea e capogir e l 'esser gravida E credea un bel tratto una facezia, Rise del papa al pregiudizio impavida, Esser amica anzi mogliera al padre E del figlio di lui sorella e madre [ ] [Figlia] ad un tempo al papa e [moglie] e nuora, Madrigna al suo fratel, sposa e cognata Fu da quei che le uscir dal grembo fuora E madre e suora e moglie e zia chiamata: Sì gravi incesti non fur visti ancora Ma neppur donna così ben chiavata; Che darla a tutti non cessò giammai E bella fu, ma più puttana assai ...

E preti e frati e nobili e plebei Filosofi, poeti e letterati E villani, tutti buoni eran per lei; Ma più cari degli altri e celebrati Bembo ed Ariosto si incarnar con lei Ciascun a gara e gliene furon grati Si che l'un tra i futuri ad eternare Nel suo poema onesta osò chiamare (Bonavoglia, Pellegrino, :z.or6, p. 426).

L' intento diffamatorio pervade anche la pubblicistica criptata per ragio­ ni censorie. Un inedito racconto ottocentesco sulla Modena sotterranea prende le mosse proprio dalla diffamazione della principessa estense. D 'al­ tra parte la deviazione parapornografica del mito di Lucrezia Borgia non fu così sterile visto che sop ravviverà fino ai fumetti di Milo Manara pubblicati con il contributo del regista cileno Alejandro Jodorowsky. 186

9 . E CLATANTI V O C I ARCANE 9· 4 Una conclusione a tre voci

Il discorso di Lucrezia, o meglio le sue parole, si è affermato con difficoltà perché la critica letteraria detestando cambiare opinione, anche se è sem­ pre alla ricerca di una opinione da discutere, preferì lasciare la duchessa di Ferrara nell 'alveo della duplice tradizione diffamatoria ed encomiastica. Nel 1 9 3 9 Maria Bellonci lesse le sue lettere ma le utilizzò solo in parte nel romanzo Lucrezia Borgia, preferendo il racconto delle cronache rinasci­ mentali alla petulanza "filologica'' del documento che voleva farsi leggere per affermare una storia più complessa di quella che era già nella penna del! 'autrice di Rinascimento privato. La frequentazione degli archivi permi­ se a Maria Villavecchia di evocare un 'atmosfera antiquissante perfettamen­ te riprodotta nella pagina, sebbene il demone narrativo le imponesse di tra­ lasciare le stesse lettere che con atto cerimonioso erano tratte dalla polvere del tempo e ripulite con minuziosa cura (Capaci, 2018, p. r s ) . Abbiamo presentato una Lucrezia a tre voci, due coeve e una del Rina­ scimento. Perché lo abbiamo fatto ? Che senso ha avuto mescolare un per­ sonaggio storico con le sue epigone letterarie ? L' intento è quello di ricon­ durre così il Rinascimento nel Risorgimento, consapevoli che la condanna operata dal drame di Hugo aveva esteso il giudizio su Lucrezia al suo tem­ po, all ' Italia. In fondo il mostro Lucrezia che appariva come una dark lady a Gennaro e ai suoi amici nel pieno della festa di Palazzo Negroni sembrava prendere le mosse proprio da tutti i pregiudizi francesi sull'epoca di Ma­ chiavelli : « C 'est bien moi, messieurs. Je viens vous annoncer une nouvelle, c 'est que vous etes tous empoissonnés, messeigneurs, et qu 'il en y a pas un de vous qui ai t encore un heure à vivre. Ne bougez pas. La salle d'à còté est pleine de piques » ( « Sì, sono proprio io, Signori, e vengo ad annunciarvi che tutti voi siete avvelenati e che morrete in meno di un'ora; non muo­ vetevi, il salone accanto è pieno di armati » , Hugo, 1833, atto m , scena 2). Ma è nel canto che Lucrezia di Donizetti si vendica passando dal bal­ lo in maschera veneziano alla cena dei veleni a Ferrara di cui è terribile anfitriona : [wc . ] : Sì, son la Borgia. Un ballo, un tristo ballo Voi mi deste in Venezia: io rendo a voi Una cena in Ferrara. [TUTTI] : Oh, noi traditi ! [wc. ] : Voi salvi ed impuniti

B RUNO CAPACI Credeste invano : dell ' ingiuria mia Piena vendetta ho già: cinque so n pronti Strati funébri per coprirvi estinti, Poiché il veleno a voi temprato è presto (n.6).

Come è dipinta nel quadro detto Un bicchiere di vino con Cesare Borgia di John Collier così appare qui Lucrezia avvelenatrice. Come Cesare Borgia farà trucidare i compagni d'arme della congiura del Magione, così Lucrezia di Hugo e Donizetti completa la strage dei parenti dei nemici del Valenti­ no mostrando come il suo agire si muova all'unisono con lui. Sullo sfondo delle tetre movenze della Borgia ottocentesca sarebbe difficile intravedere quelle della vera Lucrezia, se non fosse ancora una volta inteso il parlare sommesso delle carte che mostrano come questa despota del Rinascimento non fosse priva di momenti e accenti di intensa umanità. Nel rso9 duran­ te gli scontri bellici relativi alla lega di Cambray, Lucrezia scrive al mari­ to concitate lettere sull 'organizzazione della logistica militare che è di sua competenza. E in una di queste missive mostra di avere a cuore la vita dei nemici arresi che deponendo le armi non devono essere trucidati dai con­ tadini che non vedono l'ora di vendicarsi delle cruente scorrerie subite dai mercenari : Ho fatto scriver ad Argenta che deponendo le armi li lassino passar verso Marmor­ ta havendo anche advertentia che non vadino in mano dei villani perché voliono andar senza armi, se altro seguirà vostra Signoria ne sarà advisata (Lucrezia Estense de Borgia a Alfonso I Ferrarie, 2.9 maggio 1509, ASMO, ASE, sez. Cancelleria, Casa e Stato, b. r4r).

La duchessa di Ferrara si oppone alla macellazione dei soldati arresi allo stesso modo in cui in altri momenti era intervenuta presso il marito per evi­ tare la pena dolorosa dei tratti di corda ai prigionieri che chiedevano fosse commutata questa pena in quella pecuniaria : et mi è stato fatto intender che, sebbene ha male il modo, pur pagaria li xxv ducati che havere li tratti tre de corda. Io l'ho fatto suspeder in prigione fin che lo signi­ fico a vostra excellentia e habbia da lei. La qual prego che la sia contenta avisarmi quello che è la sua voluntade in questo caso che tanto si esequirà (Lucretia Estense de Borgia a Alfonso I, 2.0 mai rsr8, ibid.).

La duchessa che avvelena, la donna che si concede al papa e al fratello, la sentina di ogni male divengono nella storia che la storia racconta qualcosa !88

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di diverso da ciò che la suggestione popolare pretende e il teatro romantico proclama con accento di denuncia e pretesa di verità. Lucrezia non può re­ stringere il suo ruolo all ' impassibilità di una musa letteraria, alle movenze di una sirena e tantomeno a quelle di una sorcière che intinge l 'anello mor­ tifero nei calici dei propri commensali. Troppo facile. La duchessa del Ri­ nascimento si intravede alle spalle di chi le dà vita sul palcoscenico. Appare così una donna prisma i cui molteplici riflessi introducono alla complessità di quel trentennio posto tra la fine del secolo xv e i due primi decenni del XVI . Gli anni che furono di Cesare Borgia e di Machiavelli, di Alessandro VI e di Savonarola così tetri e luminosi, densi di ispirazione artistica non meno che di Realpolitik furono soprattutto gli anni di Lucrezia. E Lucre­ zia, incurante delle condanne proclamate dal drame e dal melodramma ro­ mantici (Hugo e Donizetti) e delle viscerali assoluzioni suggerite dalle psi­ cobiografìe tra xx e XXI secolo (Bellonci, Bradford, Fo) ci interroga oggi con il parlare breve incisivo e talvolta arcano delle sue lettere.

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Indice dei nomi

Aubignac François Hédelin d', 74, 83, 8?-90, 9 8 Auerbach Erich, 4 9 , 56

AbelJakob Friedrich, 122 Accademia degli Immobili, 26, 26n, 33, 33-7 e n, 40 Accorsi Maria Grazia, 64, 82 Ademollo Alessandro, 26n, 29n-30n, 40 Agamben Giorgio, I I, 22, 153 e n, 170 Al Kalak Matteo, 98 Aleksej Petrovic, carevic, 139 Alessandro VI (Rodrigo Borgia), papa, 20, 174, 176-8, 1 8 0-2, 1 8 6, 189 Alessandro VII (Fabio Chigi), papa, 34 Alfieri Vittorio, 76, 82, 8 9 e n, 94, 98, 165, 199 Alfonso I, duca di Ferrara, 174, 183-5, 188 Alfonzetti Beatrice, 23, 89n, 9 6-8, 190 Alighieri Dante, s m, 54, 197 Alli Lelio degli, 27n Alli Silvio degli, 27 e n Anguillara Giovanni Andrea dell', 157 Anguissola Beretta Alberto, 71, 83 Anna loannovna, imperatrice di Russia, 135, 137 Anna Leop o l'dovna, reggente di Russia, 138, 149 Aragona Alfonso d', 180, 184 Araja Francesco, 1 3 8 Ariosto Ludovico, 176, 1 8 6 Aristotele, 85, 8 9 n , 93, 190 Arnauld Antoine, 69

Bachaumom Louis de, I I 3, I I5n, II? Ballerini Leonora, 29-30 Bambini Eustachio, 104 e n, 105 Banti Alberto Maria, 20, 22 Baretti Giuseppe, 169 Bartolomeo Veneto, 176 Basile Giambattista, 161 Beccaria Cesare, 9 3 e n, 98, 143 e n Belli Giuseppe Gioachino, 154, 169-70 Bellonci Maria, 173-4, 187, 1 8 9 Bembo Pietro, 176, 1 8 6 , 189 Beniscelli Alberto, 161, 165-6 Benjamin Walter, I I , 14-5, 22, 48n 49, s6, 86n Bettinelli Saverio, 67, 68n Bianconi Lorenzo, 13, 22, 26n, 27n, 28n, 30n, 33n, 34n, 40, 6o, 82 Bloemendal ]an, II, 22 Bodin Jean, 90-1, 9 8 Borgia Cesare, duca d i Romagna, 20, 176, 179, 18 1-3, 188-90 Borgia Lucrezia, duchessa di Ferrara, 20, 173-9· 18 1-90, 197 Borgia Roderigo, duca di Bisceglie, 179 Bossuet Jacques Bénigne, 66, 69n, 82 Bradford Sarah, 189 191

IND I C E D E I N O M I Dalla Valle Daniela, 83 Da Ponte Lorenzo, 179 Davide, profeta, 62, 66n, 72, 78, So De' Nores Giasone, 8 6-9, 9 8 Decroisette Françoise, 26n, 28n, 35n, 40 Destouches Philippe Néricault, ro5 Didero t Denis, 144, 1 6 9 Dodsley Robert, 1 0 8 , ro9n, r r4, r r 8 Donizetti Gaetano, 2 0 , I7 3·4· I76, 178S o, 182-5, 187-90 Doria Andrea, doge di Genova, 1 23-4 Dosso Dossi, detto (Luteri Giovanni), 176 Du Ryer Pierre, 90 Duguet Jacques Joseph, 69 Dumas Alexandre, 173-4 Duso Giuseppe, 9I, 9 8

Brenner Clarence D . , rom, ro9n, r ro, II7 Brumoy Pierre, 88 e n, 89n, 9 8 Buchanan George, 67n Buonvisi Geronimo, 35n Burcardo Giovanni, 174, 189

Caiani Tommason, I76 Calder6n de la Barca Pedro, 55, 57, 133 Callot Jacques, 163, 167 Calzabigi de ' Ranieri, 59-60, 82 Canneto Salvatore, 6 o, 82 Capaci Bruno, 12, 20, I73, 187, 189, 197 Capoferro Lelio, 178 Carafa di Stigliano Anna, 38 Carlo II di Spagna, 28n Carlo VI, imperatore d'Austria, 1 3 6-7 Carlo VII di Borbone, re di Napoli ( 1734-59), Carlo III come re di Spa­ gna ( I759-88), I61 Castelli Francesco, 182 Casti Giovan Battista, 185 Caterina di Georgia, 45n, 47n Caterina n , imperatrice di Russia, 19, 135·7, 142-5I Cavalli Francesco, I3, 25 e n, 28n, 30n, 31, 33 e n, 34, 35 e n, 40-3, 1 9 8 Cecchetti Dario, 6 3 , 67n, 83 Chénier Marie-Joseph, 94 Chiavistelli Jacopo, 35n Coffey Charles, ro8 Collé Charles, 17 Collier John, 188 Conti Antonio, 8 9 Corneille Pierre, 67, 9 5 , 98, 148 Corsini Bartolomeo, 33 Couton Georges, 96, 98 Crescimbeni Giovan Maria, 82 Croce Benedetto, 169 Cybo Malaspina Carlo, 26n, 35n

Elias Norbert, 5 4 , 56 Elisabetta Petrovna, imperatrice di Russia, 19, 13 5-40, 142-4, 149 Enrico IV, re di Francia, I?, I09 e n, r ro-1, 114 Ercole I, duca d'Este, 1 8on, 18 1-2, 184 Eschilo, 86, 88n Euripide, 86, 8 8n, 89

Farnese Angelo, 178 Farnese Giulia, 178, 190 Fassina Filippo, 8 9n, 98 Favart Charles-Simon, 106, ro7n, r r 7, 199 Federico II, re di Prussia (1740-86), 144 Feldman Martha, rr, 22 Fénelon François Salignac de la Mothe, 92 Ferdinando IV di Borbone, re di Napo­ li ( 1759). 169 Fieschi, Giovanni Luigi de, conte di Lavagna, 123 Filippo IV di Spagna, 25, 39 192

IND I C E D E I N O M I Filippo Prospero d i Spagna, I3, 25-6, 29-32. 35 Fo Dario, I74, IS9 Fontana Alessandro, I54 e n, I56, I59· I6S-7o Fontanini Giusto, 64 Foucault Michel, r r, 22 Francesco I, re di Francia, IS3 Francesco v d'Austria-Este, duca di Modena, I73 Freud Sigmund, I5, 47· 49 • 50, 53 e n, 55 Gaiffe Félix, r ro, II7 Galluzzi Tarquinio, S7, 9S Garelli Gianluca, S6n, 9S-9 Garofalo Biagio, 64, S3 Garrick David, I6o Gay John, 10S Geremia, profeta, 6o-2, 67-9, 73, n-So Giannone Pietro, I S 6, IS9 Gioad, sacerdote, 66n, 7I-3, 74n Gioas, re, I6, 6Sn, 69, 7I-2, S3 Giovio Paolo, I76 Girard René, S6n Giuda, re, I 6, 63n, 65, 6S, 7I-3, 75, n. 79-SO, S3 Giulio n (Giuliano della Rovere), papa, IS3-4 Giuseppe Flavio, 6o Goethe Johann Wolfgang von, I3I-2, I55· I5S-9, I66, I69-70, I99 Goldoni Carlo, 106 e n, 10S, r r 6-S, I6o, I65, I97· 199 Goya Francisco, r6S Gozzi Carlo, 20, r6o-I, I 6 5 e n, I 66, I70, 199 Gozzi Gasparo, 155 Granelli Giovanni, r6, 59, 62-9, 75, nSr, S3 Gravina Gian Vincenzo, S9, 9 5 , 97-S Greenblatt Stephen, n, 14-5. 22 Gregorovius Ferdinand, 179, IS2, rS9

Grozio Ugo, 91 Gryphius Andreas, 45, 46n, 47n, 52 Guasconi Niccolò, nn Guicciardini Francesco, 174n, rS3, IS9 Guidoni Tommaso, 2S

Hillerin Alexis de, I03 e n, I04n, 105, 109n, no-I, II7 Hobbes Thomas, 9 1 e n, 9 S Hugo Victor, 20, I73-90

Incontri Ludovico, 25n Innocenzo x (Giovanni Battista Pam­ philj) , papa, 34 e n, 3S, 43

Jaspers Karl, S6n Jeanneret Christine, 25n, 26n Jeffery Peter, 27n, 2Sn, 3on, 33n, 4I Jodorowsky Alejandro, r S 6, 190

Knjaznin Jakov, 19, I36, 142-4, I44n, 146- 5 I Komeeva Tatiana, II-2, 57· S 9 , 1 3 5 · 151, I97 Koselleck Reinhart, rr, IS, 23, 130 e n, I 3 I, 140, I49•50 Kiipper Joachim, I2, 14, 15 e n, 23, 45, 5 In, 55n. 57· 197 La Harpe Jean-Fran�ois de, 94 Lavagetto Mario, I79• I90 Lefevere André, 14S, I 51 Lemaistre de Sacy Louis Isaac, 67, S3 Liviera Giambattista, S9n Lohenstein Daniel Casper von, 5 2 Lope d e Vega (Félix Lope de Vega y Carpio), 55, 57 Luciani Paola, 7S, S3 19�

IND I C E D E I N O M I Luigi X I I , re d i Francia, I 8 3 Luigi XIV, re d i Francia, I7, 74n, 87, I 0 2 e n , I 0 3 , I05 Luigi xv, re di Francia, I05, 109-II Luigi XVI , re di Francia, I09n Lully Jean-Baptiste, I03 Machiavelli Niccolò, 48n, 99, I 29, I74• I87, I89-90 Maffei Scipione, 89n, 99, I98 Malingre Claude, 46n Mamone Sara, 25n, 26n, 27n, 28n, 30n, 33 e n, 34n, 35 e n, 41 Manara Milo, I86, I90 Manasse, re, 64-6, 66n, 68, 77-8, 83 Marasinova Elena, 143-4, 151 Marin Louis, 48-9, 57 Marino Giambattista, I57, I98 Mazzarino Giulio, 39 Medici Ferdinando II de ', 25, 30, 38, 41 Medici Giovan Carlo de ', 13, 25 e n, 26n, 27n, 28-9, 32-5 e n, 37-9, 41-2 Medici Lorenzo de', 179 Medici Mattias de ', 29-30, 32, 33n, 35n, 4I Megale Teresa, 6o, 83 Melani Atto, 29 e n, 30, nn, 35n, 41 Melani Jacopo, 34 Méndez de Haro Luis, 27n Mercier Louis-Sebastien, 9 5 , 9 6n, 9 8 Méric-Lalande Henriette, 175 Merkur 'ev lvan, 137 e n, 1 5 1 Metastasio Pietro (Trapassi Pietro), 1 6 , I8, 5 9 , 6 4 , 67, 6 8 n , 69-7I, 75, 82-4, 93, 95, 135-6, 137n, 138, 140, I42, 1475 1, 198 Michelassi Nicola, 25n, 26n, 28n, 32n, 34n, 38n, 42 Minato Niccolò, 29n Miotti Mariangela, I74• 190 Moine Marie-Christine, 102 e n, II7 Molière (Jean-Baptiste Poquelin) , 103

Moniglia Giovanni Andrea, 13, 25-6, 27n, 28 e n, 29, 30n, 32, 33 e n, 34, 36, 37n. 40-3 Monsigny Pierre-Alexandre, 101, II7 Montemagni Desiderio, 25n, 34n Montesquieu ( Charles-Louis de Secondat) , 93 Morelli Arnaldo, 75, 83 Morgues Mathieu de, 9 o Miìnnich Burchard Christoph von, 138, I49 Murata Margaret, 30 e n, 42 Muratori Lodovico Antonio, 90, 92-3, 98 Napoleone, I64-5 Nievo Ippolito, 165, 199 Noiray Miche!, 108-10, rr8 Nougaret Pierre-Jean-Baptiste, 107, 1 1 2, II5, rr8 Olbrechts-Tyteca Lucie, I77, I90 Ostermann Andrej, 138, 149 Ovidio Nasone Publio, 157 Pacchi Arrigo, 98 Palissot de Montenoy Charles, 1 6 6 Pansuti Saverio, 89n, 94-5, 97-8 Paolo I, imperatore di Russia, 143 Papasogli Benedetta, 83 Pariati Pietro, 59 Patu Claude-Pierre, 108 Pellegrino Tito Consolato, 186, 189 Perelman Chai:m, 177, 1 9 0 Perugino Pietro, 1 7 6 Piave Francesco Maria, 173 Piazza Francesca, I77, 1 9 0 Pietro I, imperatore d i Russia, 13 8-9, I44 Pietro m , imperatore di Russia, 137 Platone, 86-7 194

I N D I C E D E I NOMI Sedaine Michel-Jean, 17, 101, 108 e n, 109 e n, III-8 Sedecia, re, 16, 62-3, 63n, 64-5, 67, 6 8 e n, 69n, 77-84 Selmi Elisabetta, 12., 16, 59· 89, 99, 198-9 Sera Paolo del, 34n, 35 Sforza Giovanni, 178, 184 Shakespeare William, 46, 51-2 Sharp Samuel, 1 6 9 Smith Nigel, I I, 2 2 , 5 2n, 5 7 Sofocle, 6 6 , 8 6 Soldini Fabio, 162, 170 Sorba Carlotta, 2.0, 23 Spagna Arcangelo, 6o, 82, 84 Spitzer Leo, 55n, 57 StahlinJacob von, 137 e n, 138-9, 142, 149 Steiner George, 86n Stephanus Junius Brutus, 9 1, 98 Stroppa Sabrina, 59, 69-70, 83-4 Sumarokov Aleksandr, 145-7, 1 5 1 Szondi Peter, 85, 99

Pompadour Madame d e (Jeanne Antoinette Poisson), rro Portinari Folco, 174, 1 9 0 Préville (Pierre-Louis Dubus), 160 Profeti Maria Grazia, 6o, 83 Pufendorf Samuel, 9 1 Racine Jean, 4 6 , 5 5 , 57, 6 6 , 70-1, 7 3 , 74 e n, 75, 83, 8 8, 89n, 142. Ray Jean, 93, 98 Ricasoli Rucellai Orazio, 2.7 e n, 2.8, 37n, 42. Ripa Cesare, 37, 3 8n, 42. Roccatagliati Alessandro, 175-6, 1 9 0 Romagnoli Robuschi Giuseppina, 89n, 98 Romani Felice, z.o, 173-6, 178-9, 183-4, 190 Romanov, dinastia imperiale russa, 139 Romei Danilo, 83, 178, 1 9 0 Rosa Mario, 89n, 99 Rosand Ellen, 28n, 42-3 Rosini Patrizia, 178, 1 9 0 Rossetti Dante Gabriel, 176 Rostagno Antonio, 182, 190 RousseauJean-Jacques, 93, 104 e n, I I78, 120 e n, 1 26, 130, 132 Rovere Vittoria della, 30, 35, 37 Rucellai Giovan Francesco, 33n, 34

Tacca Ferdinando, 27, 35n Tatti Silvia, 23, 1 9 0 Testoni Binetti Saffo, 9 8 Tiepolo Giambattista, 154-7, 160 Tiepolo Giandomenico, 19, 153 e n, 154-8, 1 6 0, 1 65-6, 170-1 Tiepolo Lorenzo, 160 Tomasi Tommaso, 174, 1 8 1, 190 Torelli Pomponio, 89n

Sacco Antonio, 1 6 0 Sala Di Felice Elena, 9 9 , 151 Sannia Nowé Laura, 92., 99 Sarnelli Mauro, 6o, 83 Savonarola Girolamo, 189 Scattola Merio, 99 Schelling Friedrich Wilhelm Joseph, 85-6 Schiller Johann Christoph Friedrich, 18, I I9·6, 126n, 127-30, 130n, 131-3, 199 Schmitt Cari, II, 23 Scotton Paolo, 9 m, 99

Unamuno Miguel de, 86n Usula Nicola, 12-3, 25, 198 Vadé Jean-Joseph, 107 Valentini Domenico, 89n Valeriano Pierio, 194 Vanore Marta, 165, 170 Vecchiato Daniele, 18, II9, 129, 133, 199 Vercellone Federico, 99 19�

IND I C E D E I N O M I Verdi Giuseppe, I 7 3 , I 9 0 Veronese Paolo, I 6 2 Vescovo Piermario, I 2 , I 9 , I53· I54n, I70·1, I99 Veselovskij Jurij, I43, I5I Villavecchia Maria, I87 Voltaire (François-Marie Arouet), 89n, 96, I09, I43"4 Vondel Joost van den, 5 I-2, 5 2n, 53 Vos Jan, 52n

Wahlberg Martin, I2, I7, IOI, 199 Walker Thomas, 27n, 28n, 34n, 40, 43

Whittaker Cynthia, 139, 1 5 1 Williams Brown Jennifer, 30n, 4 3 Wortman Richard, II, 2 3 , u9n, 1 3 3 , 1 3 9 , 142 · 4· 152 Yans Geneviève, 26n, 32n, 37 e n, 43 Zanlonghi Giovanna, 62, 84 Zeno Apostolo, 16, 59 e n, 60-2, 64, 67, 68n, 75-7, 8 0-2, 84, 8 9n, 198 Zoppelli Luca, 20- 1, 23, 173, 183, 190 Zucchi Enrico, 12, 1 6, 85, 8 9n, 92n, 9 3n, 99· 199

Gli autori

è ricercatore confermato, e abilitato professore di II fascia, insegna Didattica della Letteratura italiana e Letteratura e Retorica presso l 'Alma Mater Stu­ diorum - Università di Bologna. Studioso di retorica (Il giudice e l'oratore, Bologna 2.ooo; Presi dalle parole, Bologna 2.010; Non sia retorico, Bologna 2.014; Ad Populum, Bologna 2.016) e settecentista (Le impressioni delle cose meravigliose, Venezia 2.002.; Gli onesti e imperterriti e piaceri, Roma 2.002.; Casanova. Una biografia intellettuale e ro­ manzesca, Napoli 2.009; Dante oscuro e barbaro, Roma 2.009; Goldoni. La vita in com­ media e la commedia nella vita, Napoli 2.012.), ha recentemente pubblicato anche gli studi su Lucrezia Borgia sulla base delle fonti manoscritte contenute presso l'Archivio di Stato di Modena e altri archivi. Dal 2.o18 è responsabile del Centro di studi "Piero Camporesi" presso il Dipartimento di Filologia classica e ltalianistica del! 'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. È condirettore, con Paola Desideri, della collana RAL ("Retorica Argomentazione Linguistica") presso Odoya-I Libri di Emi! e mem­ bro della direzione scientifica di ARCE (Archivio ricerche carteggi estensi). BRUNO CAPACI

è ricercatrice presso la Freie Universtitat Berlin dove insegna Storia del teatro e Letterature comparate. Dottore di ricerca alla Scuola Normale Su­ periore di Pisa, è stata visitingfellow presso l' Université di Lausanne, l' University of Oxford, l ' Istituto di Studi Avanzati, Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, il Centro Tedesco di Studi Veneziani. Filologa classica (Alter et ipse: identita e duplici­ fa nel sistema dei personaggi della Tebaide di Stazio, Pisa 2.0 1 1 ) , ha attraversato le aree della comparatistica e dell ' italianistica stabilendo in queste le sedi privilegiate dei suoi attuali studi. Gli ambiti della sua indagine vanno individuati nella storia dello spet­ tacolo dal Rinascimento al XVI I I secolo e nella fortuna del teatro italiano in Europa Centrale e in Russia. Su questi argomenti ha pubblicato non solo numerosi saggi in riviste internazionali ma anche il volume collettaneo (Dramatic Experience: Poetics oJ Drama and the Public Sphere(s) in Early Modern Europe and Beyond, Leiden-Boston 2.01 6 ) . In corso di stampa è la sua monografia The Dramaturgy ojthe Spectator: ltalian Theatre and the Public Sphere (r6oo-rSoo), Toronto 2.019. TAT IANA KORNEEVA

è professore ordinario di Letterature comparate e Letterature ro­ manze presso la Freie Universitiit Berlin. Ha pubblicato numerosi saggi sui testi let­ terari, storiografici e 6losofici da Omero al xx secolo. La sua monografia più recente è dedicata a una network theory delle dinamiche culturali ( The Cultura! Net: Early Modern Drama as a Paradigm, Berlin-Boston 2.0 18). Nel corso della sua carriera, ha

J O AC H IM KU P P E R

197

G L I AU T O R I

ricevuto il premio "Heinz Maier-Leibnitz" e il premio "Leibniz" della Deutsche For­ schungsgemeinschaft. Nel 2o10 ha vinto un Advanced Grant dello European Research Council ( ERe ) . Già direttore e fondatore del Dahlem Humanities Center di Berli­ no, attualmente dirige il network internazionale "Principles of Cultura! Dynamics': È membro dell'Accademia nazionale tedesca delle scienze Leopoldina e dell 'American Academy of Arts and Sciences. E L I S A B E T TA SELMI è professore associato presso l ' Università di Padova dove insegna Letteratura italiana. Ha preso parte a diversi progetti di ricerca di rilevanza nazionale ed europea. Ha coordinato, insieme ad Erminia Ardissino, un programma di ricerca sulla letteratura religiosa (''Poesia e Retorica del Sacro tra Cinquecento e Seicento': Alessandria 2009 ), e un altro progetto internazionale sui rapporti fra letteratura e im­ magine ("Teologia Visibile : il libro sacro figurato in Italia fra Cinquecento e Seicento': Roma 2012). Le sue pubblicazioni riguardano, in prevalenza, l'area della letteratura cinque-seicentesca e settecentesca (Erasmo, Maggi, Telesio, Guarini, Tasso, Casoni, Tassoni, Marino, Imperiali), con alcune escursioni nella letteratura ottocentesca (Fo­ scolo, Giuseppe Nicolini e il teatro del "Conciliatore� Fogazzaro). Una particolare attenzione ha dedicato alla letteratura drammatica dal classicismo umanistico ali 'età primo-ottocentesca con edizioni, saggi e monografie su Francesco Conti, Ruzante, Sperone Speroni, Battista Guarini, Apostolo Zeno, Scipione Maffei, Metastasio, sulla favola pastorale del Rinascimento e del Barocco, sul dramma sacro del Seicento. Ha di recente pubblicato il volume Torquato Tasso ilfilosofo cortigiano e il poeta senza confi­ ni (Alessandria 2017 ) . Fra i suoi lavori si segnalano anche i tre volumi sulla letteratura femminile di antico regime (La scritturafomminile, Fondazione civiltà bresciana 2001; Le Stanze segrete, Fondazione civiltà bresciana 2008). Ha coordinato, nel 2016- 17, il volume internazionale di studi The Poetics ofDecadence in fin-de-siede Italy ( Oxford­ New York 2017 ).

è musicologo specializzato nel campo dell'opera italiana del Seicento. Prima come studioso dei beni storico-artistici e poi di musicologia e direzione di coro, ha frequentato le Università e i Conservatorii di Cagliari, Bologna e Ferrara, oltre alla Yale University e all ' Universitat Wien. Dottore di ricerca presso l 'Alma Mater Stu­ diorum - Università di Bologna, attualmente è titolare della "Lise Meitner"Jellowship del Fondo nazionale austriaco presso l ' Universitat Wien. I suoi principali interessi ri­ guardano la filologia musicale, la librettologia e l 'iconografia musicale, con particola­ re riguardo alla storia dell 'opera italiana dell 'età barocca. Tra i suoi principali lavori si contano l 'edizione critica dell' Orione di Francesco Cavalli (Milano 1 6 54) pubblicata con Davide Daolmi (Kassel 2015). e l 'edizione in facsimile delle partiture del Novello Giasone di Francesco Cavalli e Alessandro Stradella (Roma 1 6 7 1 ) e della Finta pazza di Francesco Sacrati (Venezia 1 641, Piacenza 1 644) (Milano 2013 e 2018). Attualmen­ te lavora ali ' edizione critica del Giasone e dell' Ipermestra di Cavalli, ed è impegnato nell 'edizione trilingue del Pomo d'oro di Antonio Cesti. Recentemente ha ricevuto l' incarico di dirigere l 'edizione critica dei libretti di Antonio Viva!di da parte dell ' Isti­ tuto italiano "Antonio Vivaldi" della Fondazione Giorgio Cini di Venezia. N I C O LA U S U L A

G L I AU T O R I

V E C C H IATO è dottore di ricerca in germamst1ca presso l ' Università Ca' Foscari di Venezia e la Humboldt-Universitat di Berlino, è attualmente Marie Sldodowska-Curie Fellow presso il King 's College di Londra. È autore di uno stu­ dio sulla rielaborazione letteraria della Guerra dei Trent 'anni nel tardo Settecento ( Verhandlungen mit Schiller, Hannover 2.015) e di numerosi saggi sulla letteratura te­ desca dell 'età di Goethe, del Novecento e della contemporaneità. Ha inoltre curato le Lettere di Peter Weiss a Itta Blumenthal ( Berlino 2.0 11), Top Dogs di Urs Widmer ( Mi­ lano 2.012.) e il Wallenstein di Gerhard Anton von Halem ( Hannover 2.0 1 6 ) . DANI ELE

P I E RM A R I O V E S C OVO è docente di Discipline dello spettacolo presso l ' Università Ca' Foscari di Venezia, dove ha prima insegnato Letteratura italiana. Si è occupato principalmente di drammaturgia ( con numerose edizioni critiche di testi ) , di storia della teoria teatrale, dell'immaginazione del teatro e della ricostruzione del sistema rappresentativo tra età tardoantica e Rinascimento. Tra i suoi campi di interesse prin­ cipali anche il rapporto tra letteratura e arti visive. È segretario scientifico dei comitati delle Edizioni nazionali delle opere di Carlo Goldoni, di Carlo Gozzi e di Ippolito Nievo, condirettore ( con Pasquale Sabbatino) di "Rivista di letteratura teatrale':

è professore associato di Letterature comparate all ' Università Norvegese di Scienza e tecnologia ( N T N U ) di Trondheim dove ha conseguito il dot­ torato. Visiting scholar presso l' Université Sorbonne e l ' University of Oxford, ha ri­ cevuto il premio per giovani ricercatori della Società internazionale di studi francesi e il premio della ricerca della Società reale norvegese di scienze e lettere. I suoi studi si concentrano sull ' Illuminismo francese e soprattutto sui rapporti fra musica e lettera­ tura nel Seicento e nel Settecento. È autore della monografia La Scene de musique dans le roman du dix-huitieme siede ( Paris 2.0 15) e dei numerosi saggi sulla cultura france­ se del Settecento. I suoi interessi di ricerca si focalizzano sul teatro francese del XVI I I secolo e sul genere dell ' opéra-comique. Co-dirige il network interuniversitario tra il N T N U e l ' Université Sorbonne, Réseau Favart pour la recherche sur l'opéra-comique de la second moitié du XVIII' siede, e dirige il progetto di ricerca sull' opera comique e la Rivoluzione francese. MART I N WÀ H L B E RG

ENRI C O Z U C C H I è assegnista di ricerca presso l ' Università di Padova, dove si è addot­ torato con una tesi sul Paragone della poesia tragica d'Italia con quella di Francia (I732) di Pietro Calepio, di cui ha curato l'edizione commentata ( Paris 2.017 ). I suoi studi si concentrano sul rapporto fra diritto e politica nella tragedia del Settecento, nonché sulla teoria e sulla critica letteraria dall'Arcadia all'Alfieri, oggetto della sua monogra­ fia Il «tiranno» e il «dilettante». La dissertazione epistolare di Pietro Calepio sopra la Merope di Scipione Maffei e la critica teatrale del primo Settecento ( Verona 2.017 ) . Di recente ha approfondito anche la questione dell 'allegoria nel teatro di Ancien Régime, curando, con Elisabetta Selmi, il volume Allegoria e teatro tra Cinque e Settecento: da principio compositivo a strumento esegetico ( Bologna 2.016).

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