L'aspetto dell'arte. Vita come arte e critica dell'estetica nel pensiero di Ugo Spirito

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VITTORIO STELLA

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L'ASPETTO

DELL'ARTE

VITA COME ARTE E CRITICA NEL PENSIERO DI UGO SPIRITO

EDITORE

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E MORALI e Vittorio Stella

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BIBLIOTECA DI SCIENZE a cura di Lido

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VITTORIO

STELLA

L'ASPETTO DELL'ARTE VITA COME ARTE E CRITICA DELL'ESTETICA NEL PENSIERO DI UGO SPIRITO

EDITORE

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1976 largo

editore 15/106/2c - 00123 Roma

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PREFAZIONE

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Sono qui ed ampliati da doversi dire per intero i due saggi L'arte come limite e come destino, apparso in « La Cultura », X (1972), 129-85, i direttori Guido Calogero e Gennaro Sasso affettuosamente ringrazio, e La socialità dell'arte nell'esigenza dell'assoluto, pubblicato nel volume di Vari Autori L'ipotesi di Ugo Spirito, 1973, pp. 103-50. Altri miei scritti precedenti sul pensiero dello stesso filosofo sono citati in nota ove occorra. Motivo dominante di questo è la persistenza, in Spirito, del rapporto con la filosofia dell'atto a fondamento sia delle fasi più acutamente problematiche sia del momento prospettiva viene essenzialmente dell'arte ma il coinvolgimento del problema della coscienza nella sua unità e nei suoi diversi motivi è richiesto, ed anzi imposto, dall'inconfondibile carattere della meditazione

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PARTE PRIMA COSTRUTTORE ALLA COSCIENZA SOGNANTE

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REVISIONE ATTUALISTICA

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Se nel su Spirito vi è un tema forzato nel ricorso insistente del luogo comune, esso è costituito dalla rappresentazione di ciascuna posizione speculativa del suo pensiero come una successione di colpi di scena tanto bruschi da contrarre lo svolgimento teorico nell'impaziente di un attimo che poi si dilati in variazioni e virtuosismi dialettici, dispersivi benché sempre da una vigile alacrità formale. Occorre capovolgere questa frettolosa rappresentazione, anche se lo stesso filosofo sembra alimentarla col suo gusto per le formulazioni nettamente incise e per il movimento drammatico degli argomenti e delle motivazioni, caratteristica così rilevante da costituire quasi l'arco ritmico del suo svolgimento speculativo. Uno stile come quello di Spirito esercita dunque la sua suggestione nel senso di dare evidenza alla dinamica; ma, a metter da parte ogni considerazione sulla esteticità di cui vibrano le sue pagine, Spirito non ha mancato di sottolineare, più volte (ed anche questo ha fatto con l'intenso fervore che connota la sua espressione) il rigore di connessione dei nuclei di pensiero che si fatti in lui nesso costante, a testimoniare come gli sia rimasta essenziale la ricerca dell'unità o come, addirittura, lo sbocco unitario si ripresenti di là dall'intenzione teorica. È pertanto questo unitarismo a qualificare e a sottomettere a sé il dinamismo del procedimento. Così, in modo assai significativo, non è uno solo il luogo in cui il rifacimento del suo cammino spirituale ha per filo conduttore il bilancio del debito verso l'attualismo, la rinnovata attestazione della sua presenza come istanza fondante e permanente, soggetta a fasi critico-polemiche di contestazione ed anche a fasi di ugualmente appassionata, ma non per questo meno vigile, esaltazione. Né in lui, né, peraltro, negli interpreti, ha avuto alcuno spazio il dubbio sul rilievo della filosofia dell'atto quale momento condizionante il prender forza del problematicismo negli aspetti in cui Spirito lo è venuto plasmando. E questi non potrebbe ravvisare nella propria

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concezione il conseguente sviluppo ed dell'attualismo, se poi tale momento di spregiudicata rimeditazione non avesse il suo centro nel porre a problema i concetti di svolgimento e di inveramento. Mettere a problema non significa privare di senso le soluzioni precedenti, ma, semmai, fornirgliene uno più profondo. Così il problematicismo non si identifica con la dogmatica del non sapere caratteristica dello scetticismo, ma con una filosofia la quale, proprio perché assume il vivere come obiettare, non può non porre in essere un suo sistema di identità e di negazioni. Priva di teoretica produttività, l'obiezione non troverebbe, infatti, modo di articolarsi e di procedere, mentre il continuo rigenerarsi del pensiero, anche quando si volga alle essenze, è una di quelle condizioni che definirebbe irrefutabili Nel saggio del Gentile nella prospettiva storica di nell'arco di un ripensamento la della metafisica viene tuttora affermata da Spirito come ansia di risoluzione dell'istanza conoscitiva, mentre la genesi di questa ipotesi di soluzione viene riaddotta alla concezione di Gentile, interpretata per l'appunto nella sua profonda essenza metafisica: « È tutto il discorso speculativo di Gentile che è intrinsecamente e imprescindibilmente metafisico. Si tratta allora di precisare fin da principio in che cosa consista propriamente tale sua metafisicità e quali siano i suoi caratteri essenziali. Ora si può dire che il discorso di Gentile è tutto metafisico in quanto tutto ispirato alla necessità di ricondurre la molteplicità all'unità. Ragionare, pensare, significa per lui portare all'unità. Il discorso di Gentile è sempre discorso sull'unità. Non si può pensare la parte, senza pensare il tutto: non si può pensare il due senza pensare L'arche è l'inizio e la fine del pensiero per intenderci e per comunicare dobbiamo unificare il nostro dire. Un parlare che non sia metafisico è un parlare senza senso. Gentile ci ha insegnato che il vero non seme, su cui amano ironizzare critico della filosofia (1968), pp. 17-33, ora in Ugo Spirito, Giovanni Gentile, Sansoni, 1969, pp. 245-76. Avvertiamo che nel presente volume i corsivi nelle ove non sia altrimenti indicato, sono sempre dei testi citati.

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gli anglosassoni, è il discorso antimetafisico. Chi senso al proprio discorso è sempre necessariamente uno che pensa metafisicamente. È chiaro allora che il problema metafisico non può non informare di sé ogni problema, colorire tutta la vita di un uomo identificarsi con la vita stessa del pensiero. Chi non è metafisico, non è uomo. Questo è il significato più profondo di una della realtà come spirito o come filosofia » (Giovanni Gentile, 260-61). Fondamento della metafisicità del pensiero è perciò la relazione parte/tutto, in cui la parte esprime da sé bisogno di risolversi nel tutto, di essere concreta come totalità. La discutibilità della filosofia di Gentile, come quella di ogni altra filosofia che abbia un orizzonte metafisico e quindi possa a buon diritto esser detta "filosofia", non consiste nella sua domanda, cioè nella tensione alla metafisica, nella sua pretesa di unità, ma nella sua "risposta" cioè nel suo concetto dell'uno, nella sua riaffermazione del soggetto come Io trascendentale, e in una parola nel "possesso" teorico della realtà, forza, per Spirito, avvisare un ineliminabile residuo intellettualistico La persistenza dell'intellettualismo anche nel pensiero di Spirito (il è il bersaglio privilegiato dell'idealismo moderno, nel quale l'intento di snidarlo dal proprio interno non meno che dagli orizzonti speculativi diversi si è fatto sempre più esasperato proprio fino al problematicismo e ai suoi critici), è stata molte volte sostenuta dagli interpreti. Si veda, in questo senso, l'analisi svolta da nella sua fase di transizione dall'attualismo all'esistenzialismo che gli suggerisce il confronto tra Spirito ed alcuni motivi e (Ugo Spirito e l'intellettualismo, « Giornale critico della filosofia italiana », XXIII (1942), pp. 175-199; ora in sulla logica hegeliana, Firenze, Marzocco, 1950, pp. 113-140). a proposito dell'antinomia e della "ricerca": « alla radice del concetto di ricerca a noi pare di rinvenire d'una dialettica contenutistica, e non soltanto questo, ma l'avvertimento di ciò, vissuto, però, come una situazione ineliminabile. Tesi e antitesi, affermazione e negazione, verità e non riescono né ad come esigerebbe una spirituale, né ad inserirsi in un processo storico e perciò temporale, come esigerebbe una del sapere umano. Si ha invece, per dirla con l'espressione stessa dello Spirito, una « giustapposizione » la quale non può che rendere impossibile stessa ». Quando infatti, « alla luce del concetto di ricerca », si ritornare all'identità di scienza e « ci si accorge che l'antinomia è scomparsa, non già perché si viene ad opporre l'identità di termini antinoma perché i termini hanno perduto la loro individualità.

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« L'uno infatti, nel quale si raccoglie la ragion d'essere del pensiero umano, finisce con con l'uomo stesso e nella realtà di un Io concepito come tutta la realtà. La filosofia di Gentile conclude appunto la storia del pensiero moderno inteso come metafisicità, si qualifica nella determinata risposta metafisica data dalla speculazione moderna dall'Umanesimo in poi » 262). Da un lato, perciò, la metafisicità fa con l'umano bisogno di ricerca, dall'altro si agglutina in certezze e in ipostasi Nel primo dei due sensi essa viene assorbita e ulteriormente indagata da Spirito, tra i due estremi del problematicismo e nel secondo viene risolutamente Tale negazione, per cui in un primo momento la posizione di Spirito è qualificata da lui stesso « attualismo costruttore », comporta che il trascendentalismo concepito come autocoscienza della realtà (anch'essa ricerca, anch'essa istanza) si riassuma « nel bisogno di una analisi sempre più adeguata dell'esperienza e della concretezza » Ed allora per salvare il concetto di ricerca non rimarrà che identificarlo col concetto di scienza, dando alla filosofia un nuovo senso con lo spostarla al termine esterno della ricerca scientifica, come il domani che senso all'oggi. Non viene negata se non a parole la vecchia identità di scienza e filosofia, giacché la filosofia che s'identificò con la scienza non era il "futuro", ma l'attualità del pensiero universalizzante. Che non sia a riaprire il dualismo, lo fa chiaro il fatto che sarà proprio questa nuova separazione a renderla impossibile. Determinando, infatti, la filosofia come il futuro, la verità in cui la ricerca troverà la suo morte, l'antinomia di universale e particolare e di tutte le altre coppie, viene negata giacché l'antinomia esige come sua struttura la contemporaneità di termini. Ora, proprio questo svanire di essa nel tempo è il segno decisivo che essa non è stata risolta. L'eliminazione della del concetto di ricerca è Invece di indietreggiare innanzi ad essa, bisognava rimanere in essa, interrogarla più ancora nella sua problematicità. Ci si sarebbe accorti allora che la ricerca esige la verità perché la presuppone. Negata la verità trascendentale nella verità scientifica, la ricerca richiede, perché sia possibile, una verità che la esaurisca e la chiuda. Ma questa verità sarà anche la morte del pensiero, identificato già con la ricerca. E se non si vuole cadere neldi un tale concetto di verità, si deve allora riprendere in esame sin dall'inizio quel processo che ci ha condotti a tale soluzione, la identità dell'articolazione della esistenza umana con l'antinomia della scienza. Ma perché l'uomo cercherebbe? Spazzata via dalla laicità ogni giustificazione trascendente, la ricerca appare gratuita. E tale non può apparire che sul piano 191-92 del citato « Giornale 16

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266): analisi del concetto che costituirebbe il ponte di passaggio, la trasvalutazione della metafisica dell'atto nell'ideale della scienza, risoluzione scientistica della filosofia. Se questa soluzione potrebbe sembrar sorprendente ove venisse riferita all'originario universo tale non è per Spirito, se si guardi alle esigenze che egli introduce sin dall'inizio, sia pure facendole scaturire come dimensione implicita ed. ulteriore dell'attualismo. E vedremo anzi come essenziali motivi permangano anche dopo, nella meditazione di Spirito, e come egli li assuma con piena consapevolezza. « L'attualismo, visto nella sua effettiva realtà, rappresenta la filosofia più vicina alla scienza che il pensiero contemporaneo abbia saputo esprimere. se anche il suo atteggiamento esplicito nei riguardi della scienza e degli scienziati è apparso segno di una grave insensibilità nei riguardi del sapere scientifico, è pur vero che dall'attualismo è sorto il bisogno più profondo e più rigoroso di una filosofia intesa come scienza e di una scienza intesa come filosofia » 266). in termini storici, riferiti agli effettivi rapporti di un determinato ambito di pensiero e di cultura, sorgeva quella identificazione che Spirito — vivacemente sconfessato da Gentile per l'aperta e rischiosa della ricerca poneva in Scienza e ribadendola poi fino agli scritti più recenti. D'altra parte non si veniva certo in tal modo a contraddire nel profondo giovane "attualismo costruttore" perché in quello la teoria dell'atto si era già qualificata come teoria che si fa atto, determinando di fatto il passaggio da una filosofia del conoscere ad un impegno scientifico che insieme si costituiva come un'opzione etica in ragione del bisogno di operare creativamente nella L'eticità, tuttavia, troverà ugualmente ostacoli e limiti al suo fondamento nelle difficoltà in cui, proprio in ordine all'agnosticismo, si imbatte la Vita come ricerca a distinguere l'etico dall'economico; e se la scienza sorge dove venga eliminata la il Cfr. E. Garin, Cronache di filosofia italiana (1900-1943), Bari, 471-80. Queste pagine ci sembrano oggi la sintesi critica più. lucida ed efficace sul pensiero di Spirito fino a La vita come arte. 2

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scientifico ha poi anch'esso bisogno di un criterio unificatore, ossia di un fondamento categoriale. Allo stesso modo la concretezza individua dell'atto coincide non con l'empirica pluralità dei fatti, ma con l'attuale ed attiva unità del problema. La teoria dell'atto si trasforma nell'attuale consapevolezza del vivere agendo. Tuttavia, se vi è chi ha visto in Spirito un pensatore instabile e inafferrabile, vi è chi non solo ha colto in lui la fedeltà a se stesso, ma ha individuato come tale fedeltà si sveli, ad una lettura appena attenta, non come la pura fedeltà di metodo ad un perenne cambiamento di motivi e di temi, di ipotesi e di soluzioni, bensì come uno scavo dei propri precedenti momenti, nel simultaneo incontro con le situazioni che si modificano e tolgono rigidità alle pur immanenti istanze del dogma e del mito Chi badi al profilo essenziale delle motivazioni di Spirito, dirà che questi momenti ancora oggi possono essere raccolti nella crisi dell'attualismo e nel risvolto positivo di essa che prende la forma totalmente affermativa scientista e, da ultimo, Questo, dando atto della loro uguaglianza a tutte le ipotesi, a quelle scientifiche come a quelle antiscientifiche, segnare il definitivo abbandono del mito dell'autocoscienza, e si converte in tal modo da problematicismo situaa prospettazione del mistero come mancanza di significato e di valore delle scelte della ragione di fronte alla totalità delle ipotesi. Nell'ipotetismo vince di nuovo l'antinomia, il rifiuto della sintesi: vi permane la del nesso dialettico in una dualità di termini dei quali è oggetto di problema stabilire se si costituiscano in nesso. Il ricorso al mistero è infatti dovuto alla impossibilità di pensare e di esprimere un criterio idoneo a comporre il dissidio tra scienza e antiscienza, e l'altra fatte però uguali possibilità di scelta di fronte umana di Un criterio che trascendesse la scienza e in una superiore armonia sarebbe per definizione e dunque in contrasto con quella Alludiamo ancora al citato Garin. 18

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scientificità che è alla base stessa richiesta di un criterio sia pure non Le numerose stagioni di questa storia teoretica sono "ripetizioni" attive dei che abbiamo qui richiamati, oscillazioni sensibili ma non propriamente innovative, ipotesi, insomma, inquietanti ma tra di loro in collaborazione quasi forze ugualmente tese fra i tre pilastri portanti. E questi ultimi, del resto, anche se ciascuno di essi si pone come il rovesciamento impaziente e radicale dell'altro, convengono, in realtà, a determinare una meditazione costantemente sostenuta da una fondante protensione metafisica non condizionata da sovrastrutture perché intesa e vissuta come riemergente limite e condizione della ricerca, ossia dello spirito scientifico. Le origini del di qua dal titolo che gli il definitivo battesimo vanno dunque certamente ricondotte all'interrogazione sul reale significato e sulle effettive conseguenze costruttore", cioè a Scienza e filosofia (1933), posta al termine di un dodicennio di attiva testimonianza adempiuta anche come lavoro per l'appunto su quei problemi di diritto, di economia, di politica che meglio rispecchiano la formazione culturale di Spirito. Si deve pertanto seguire in questo autentica" del filosofo, autocritico attento e storico sagace del proprio pensiero, se è vero che carattere tipico dell'euristica è quello di costituirsi e promuoversi « sui postulati della propria scienza continuamente costruendo quei postulati » (Scienza e filosofia, Firenze, Sansoni, 20). Nel saggio Dall'attualismo al problematicismo che alla seconda edizione di Scienza e filosofia fa da introduzione, egli ha ravvisato il passaggio dalla situazione "speculativa" di allora a quella più matura e più profonda di oggi nella necessità di riaprire l'identificazione di conoscere e fare ad un « atto contemplativo e del loro identificarsi » (Scienza e filosofia, p. 21). Questo momento segnerebbe, secondo Spirito, la fine dell'attualismo. Esso ci rende certi — una volta affermata, per l'appunto, la reciproca coincidenza di conoscere e fare, di un fare che, volta a volta, postuli e

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le sue ragioni costitutive — che l'identità di filosofia e scienza non può reggersi su quella "prassi" scientifica in cui per Spirito consiste l'attualità dell'atto, contravvenire ai risultati dell'attualismo « Attraverso l'identificazione di scienza e filosofia si era voluta eliminare la definizione del tutto e ridurre la teoria dello spirito alla vita dello la teoria dell'atto all'atto nella sua risolutezza originaria. Ora dall'interno della scienza cominciava a risorgere l'esigenza di un La ricerca diventava insoddisfazione, tormento, richiesta di vita. La contraddizione dell'attualismo, con tanto impegno soffocata passando dalla filosofia alla scienza, accennava a riapparire ancora più evidente nella scienza stessa che postulava una filosofia. Il momento definitorio dell'attualismo riaffiorava come quello che solo può dare significato e valore all'atto. L'atto e gli atti. L'essere e il 21). Che questo modo d'intendere l'attualità dell'atto non fosse esattamente quello del suo Sistema di logica, Gentile difatti lo avvertì quando, in discussione col più inquieto dei suoi discepoli, tornò a chiarire la concezione, ampiamente teorizzata in quell'opera, della tensione dialettica tra astratto e concreto. « Ed ecco che dentro lo stesso processo della filosofia spunta una scienza che non è filosofia. Essa, beninteso, non è la scienza del logo concreto; ma quella del logo astratto rispetto ad una scienza che in sé la risolve realizzando il concreto atto del pensiero La non è del pensiero concreto e in atto, ma di un momento di esso. La scienza in atto è filosofia; la scienza, che la filosofia critica e supera, convertendola da pensiero in oggetto del pensiero e da logo concreto facendola ridiscendere a logo astratto, quella è scienza, radicalmente distinta dalla filosofia. E il carattere essenziale che la filosofia attribuisce alla scienza che essa critica e supera, è appunto questo: di essere particolare e dare alla realtà un concetto in cui non c'è tutto, non c'è l'universalità e l'infinità propria dell'essere in cui il pensiero si possa realizzandosi come autocoscienza. Nella scienza come tale c'è sempre un difetto, una certa unilateralità ed astrattezza, che è, in fondo, l'astrattezza essenziale del logo astratto 20

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(e di ogni concreto decaduto a astratto) Nella dialettica tra pensiero pensante e pensiero pensato, la posizione della scienza rispetto alla filosofia non avrebbe potuto essere diversa, a meno di non voler sopprimere l'uno dei due termini del rapporto: la scienza è pensiero pensato, logo astratto, schema, seppure non sia pratico strumento in senso crociano; è conoscenza inferiore, in ultima analisi, rispetto alla pienezza dell'atto. Ma la puntualità di quest'ultimo lo rende nel suo darsi come e ne lascia così sprigionare quel carattere di inesausta ricerca che gli apre l'orizzonte e problematico accolto da Spirito, costituente la sua condizione, la condizione, cioè, della coscienza che obietta. Se questo è lo spunto che il discepolo ha raccolto e ripreso con ogni energia, Gentile — è superfluo avvertirlo — si è però tenuto ben lontano dal prospettare un'esigenza distruttiva dell'attualità del conoscere come linea di forza derivabile da quella teoria dell'atto. Il risultato di questa, contrario, egli intendeva che fosse assolutamente positivo, la sola inderogabile positività in cui consista, precisamente, la filosofia.

Gentile, Filosofia e scienza, « Giornale critico della filosofia italiana », XII (1931), 2, 81-92. Il brano è tratto dalla citata seconda edizione di Scienza e filosofia di Spirito 284) che riporta in appendice i tre interventi su queste essenziali articolazioni delproblematicismo raccogliendole col titolo Dall'identità di scienza e filosofia a « La vita come ricerca Si tratta precisamente, oltre che della già ricordata discussione della prima edizione del libro di Spirito (pp. 278-90), di Individuo e stalo, « Giornale critico della filosofia italiana », XIII (1932), pp. 313-15 (Scienza e filosofia, pp. di una nota piuttosto aspra nei confronti dell'opera in esame, da Gentile premessa all'ampia recensione che Delio ne fece nella medesima rivista, XVIII (1937), pp. 356-70 (la nota p. 356, Scienza e filosofia, p. 297) e della risposta gentiliana alla lettera (Scienza e filosofia, pp. 298-300) che Spirito gli indirizzò in occasione di quella nota, critico della filosofia XIX (1938), pp. 240-43) (Scienza e filosofia, pp. 301-05). terna della inattualità e percorre gran parte della letteratura critico-interpretativa su Gentile e sull'attualismo. Specificamente, mi limito a ricordare P. Di Concetto di inobiettivabilità e filosofia del Romanticismo nell'attualismo in Giovanni Gentile. La vita e il pensiero, a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli studi filosofici, Firenze, Sansoni, 1954, volume VII, pp. 49-107.

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Tuttavia, alla luce dei quaranta e più anni di riflessione succeduti al primo distacco di Spirito da Gentile, può meglio valutarsi la persistente incidenza in tutte le fasi della filosofia La polarità tra logo concreto e astratto fornisce a Spirito l'opportunità di istituire la sua tensione tra scienza e filosofia, tra ricerca e mito. Il rapporto opera dunque costitutivamente in tutte le determinazioni di questa polarità. Tra la puntualità della realizzazione attuale (l'atto in atto che si afferma come sintesi autocosciente, come logo concreto) ed il ripresentarsi dell'istanza metafisica, la differenza viene incisa solo dalla presenza nella prima, e rispettivamente dall'assenza nella seconda, del concetto di sintesi: dalla sua logica affermazione o dalla possibilità di negarlo. Ma il rilievo di questa differenza si attenua, nella misura in cui, com'è nell'intenzione di Spirito, il concetto di sintesi, prodotto, com'è ovvio, in quel processo dialettico che un'intera tradizione di pensiero ha ad organizzare, viene trasceso o sostituito prima dell'antinomia e poi dal presenzialismo che scaturisce dall'affermazione della totale centralità di ogni momento di vita. Per questa balenante presenza dell'atto la filosofia dev'essere detta ancora di un attualismo, per l'appunto, che non celebra più i garantiti fasti dell'assoluta autocoscienza neppure nell'impegno della ma che si pone come schiettamente problematico, alla ricerca, cioè questa, da ultimo, sembri doversi decisamente negare. Forse è soltanto di questa estrema negazione che non si saprebbe dire quanto coerente necessità essa abbia rispetto ai presupposti che dovrebbero provvederla di Ma ciò riguarda, semmai, i tardi anni Se torniamo al tempo di Scienza e filosofia, l'abbandono dell'attualismo (o perlomeno — come si è dianzi precisato di quell'attualismo metafisico-intellettualistico che per sussistere non può prescindere dal momento definitorio quale risulta accuratamente segnato dalle parole di Gentile) inaugura dunque la fase ipercritica della "ricerca", nascente dalla pressione dell'obiezione che rimette tutto in giudicato. L'epoche dell'obiettore — sebbene non riparta propriamente da zero, perché 22

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getto d'obiezione non può essere se non una dunque un determinato contenuto della coscienza che o che nega — presenta come sua caratteristica essenziale quella di chiudersi nella proliferazione delle antinomie che non è dato assumere ad elementi di sintesi. Se, per un verso, si « doveva chiarire il carattere dogmatico del principio dell'attualismo, come di ogni metafisica, e in conseguenza rinunciarvi, per un altro verso si doveva riconoscere l'impossibilità di rinunciare alla metafisica e dimostrare dell'essere di fronte al divenire. Ma i due requisiti, per la loro stessa radicale opposizione, si escludevano reciprocamente e davano luogo ad una antinomia che si era incapaci di superare. D'altra parte, al punto in cui si era non era più possibile chiudere gli occhi di fronte alle due necessità ed eliminare arbitrariamente uno dei due termini dell'antinomia. Sì che, per rimanere neldell'immanentismo critico ed insieme per riconoscere l'imprescindibilità di un principio metafisico, non restava da far altro che aspettare dal futuro l'eventuale soluzione dell'antinomia e cioè la scoperta di una metafisica non Il momento definitorio dell'attualismo che non si era stati capaci di eliminare e che non si poteva tuttavia accogliere senza contraddizioni, diventava l'ideale da perseguire la mèta del processo il fine della ricerca. E la vita si tramutava tutta in tale ricerca, con la speranza di raggiungere il significato e il valore che le mancavano. I due termini dell'antinomia potevano entrambi sussistere in funzione di una proiezione di essi in tempi (Scienza e filosofia, 22-23). È ciò che, in contrapposizione al problematicismo "assoluto", fu definito problematicismo e in rapporto a questa distinzione, da più di un critico di orientamento spiritualistico — e con maggior dal e giovanissimo — si auspicò lo sciogliersi della riserva della situazione in articolazioni speculative che facessero riconfluire l'immanenza della metafisica come attesa, domanda, esigenza nei più rassicuranti teoremi e nelle garanzie di una modernamente affinata e E. Severino, Note sul problematicismo italiano, Vannini, 1950, dove, su Spirito, II. problematicismo situazionale, pp. 29-61 e le ampie discussioni pp. 144-67.

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della metafisica classica. Questo o approdo che sia, non è stato, da Spirito, mai tentato: il rovesciamento del problematicismo non avrà il significato di un ripristino ontologico; e il successivo che sopraggiunge a depotenziare in cui sembrava aver trovato il suo definitivo alveo l'ideale della scienza, avrà semmai — lo abbiamo già ricordato indicando le tappe essenziali dell'itinerario di Spirito — il risultato di togliere perfino a quell'ideale ogni privilegio uguagliando tutte le ipotesi, scientifiche e antiscientifiche, cosicché la metafisica sussista più come incombenza del mistero e come pura (ipotesi essa medesima tra le ipodell'attesa e della speranza che come aspettativa e speranza resa concreta da un futuro aperto alla realizzazione. Tra e filosofia e La vita come ricerca il problematicismo mette a punto dunque il suo primo statuto del quale, a ben guardare, i successivi riesami, anche se animati dall'intenzione più eversiva, saggeranno la resistenza. Rispetto ad esso fungeranno più da verifica che da effettiva contestazione, lasciandolo sostanzialmente intatto e facendone anzi scaturire tutte le implicite conseguenze: ultima e più radicale la contestuale alla fine di quel che critici acuti avevano caratterizzato come il suo originario limite situazionale, ma anche come la nota specifica della sua energia speculativa, ossia appunto la "possibilità" dell'autocoscienza non come ipotesi ma come radicale alternativa alla vita esperita nella infinita molteplicità dei suoi aspetti.

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OBIEZIONE E RICERCA

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L'interesse speculativo di Spirito per l'arte si manifesta, col problematicismo, nella Vita come ricerca Niente di notevole, difatti, è dato scorgere neppure nel saggio del 1923 su Per la bibliografia su La vita come ricerca e in genere su tutta l'opera di Spirito fino al 1956, il profilo di Giuseppe Ugo Spirito, Torino, Edizioni di « Filosofia », 1956, pp. 95-102 (su La vita come ricerca, pp. 99-100). Per gli anni successivi V. nel problematicismo di Ugo Spirito, 1969, pp. 109-21 (dal 1950 al 1966); problema di Dio in Ugo Spirito. psicologiche e Roma, Pontificia Università 1970, pp. 37-42. Tra gli studi recenti hanno notevole rilievo il libro di Negri, Dal corporativismo comunista all'umanesimo itinerario teoretico di Ugo Spirito, 1964 e la discussione, nella rivista « La Cultura » tra Spirito e Calogero, Ideale del dialogo o ideale della cui presero parte, oltre ai due iniziatori, Antimo Negri, Fausto Antonini, Antonio Aldo Gustavo Franco Lombardi, Paolo Marco Maria Staterà, Gli interventi sono stati poi raccolti nel volume dal medesimo titolo, Roma, Edizioni dell'Ateneo, 1966. inoltre, M. Lizzio, Dialettica e dialogo, Catania, Editoriale Grafica, 1968; M. Lizzio, Marxismo e Riflessioni sul pensiero di Ugo Spirito, Catania, 1968 (sulla come ricerca, pp. 11-42). Inoltre la serrata ed ampia discussione di Ugo Spirito e Augusto Del o eclissi dei valori tradizionali; Milano, ove il saggio di Del Noce comprende la maggior pare del pp. 59-294. La « degli scritti dedicati da Ugo Spirito ai problemi del corporativismo » nell'unico volume corporativismo, Firenze, Sansoni 1970, ha riaperto un dibattito che, se nella spettiva marxista del è di tipo sul fascismo « di sinistra ». La dottrina corporativa di Spirito, « », XXVI, 1971, pp. 577-99), non è sempre tale in altri studi, qualcuno dei quali non omette né sottovaluta l'inerenza delle ragioni teoretiche a tutta l'attività del sebbene in più d'un caso il giudizio sia orientato al rilievo di fondamentali dissensi. Si per esempio, l'interesse che su questi temi ha mostrato la rivista « Nuovi studi politici », fondata e diretta da Salvatore nella quale sono apparsi i seguenti scritti: C. recensione a Ugo Spirito, corporativismo, I (1971), I, pp. 107-15; C. Bonomo, Valore o progetto (a proposito di o eclissi dei valori tradizionali? di Ugo Spirito e Augusto Del Noce), I (1971, n. 2, pp. 9-46; a proposito di Parlamento e demagogia, apparso nella medesima rivista, I (1971), n. pp. 25-33, e Parlamento e sindacati, I (1971), n. 2, pp. 19-36); C.

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detto se non l'uso storiografico del già assimilato rifiuto delle categorie come forme o attività distinte dello e quindi l'invalidazione dell'intuizione come immediatezza nel quadro del doppio grado del conoscere. Limite di Croce sarebbe il non aver compreso a cosa, a rigore, porterebbe — quando ne fosse svelata tutta l'implicita potenzialità — l'identificazione di intuizione ed espressione, che costituisce il nucleo centrale della sua estetica « e il suo più grande e i suoi critici, 21). « non si è accorto, cioè, ch'essa implicava la negazione di ogni immediatezza e dello spirito come assoluta mediazione e cioè come giudizio. Non accorgendosene, è stato indotto a immaginare una intuizione, che è insieme attiva ed immediata, che è conoscenza, ma del mero individuale: una contraddizione in termini, che doveva necessariamente svalutare la conquista fatta, menomando il carattere di attività, e quindi di spiritualità, riconosciuto all'intuizione » p. 21). Quattordici anni più tardi l'individuazione del residuo nella teoria dell'atto e la scepsi sulla stessa del conoscere sposteranno su un piano ben diverso, nello Spirito interprete di Croce, la considerazione pur rafforzandosi in lui la convinzione della delle produzioni della coscienza. Non categoricità dell'arte. Nella teoria dell'atto « la atto immanente dell'Io, è l'unica categoria onde si pensi a parte e a parte tutto il La cosiddetta neutralità detta scienza. I (1971), 4 pp. 83-91; C. Difesa dell'uomo ideale, I (1971), n. 4, pp. 91-95; Tecnostruttura e tecnofascismo, I (1971), n. 5-6, pp. 59-73;E. Ugo Spirito e la democrazia, I (1971), n. 5-6, pp. 73-82; Nota conclusiva sul principio e il principio corporativo, I (1971) n. 5-6 pp. 82-92. nuova VII serie, 1971, 3-4 (Quaderno Introduzione alla politologia) è in parte dedicata a La filosofia e il pensiero politico di Ugo Spirito, con i saggi di V. Stella, e neoproblematicismo, pp. 43-58; Una per l'assoluto, pp. 59-78; M. Mistri, La critica pp. 79-90; F. Ugo Spirito e la scuola italiana, pp. 91-109; Di Mario, dibattito sui valori, pp. 111-21. Poi in L'idealismo italiano e i suoi critici, Firenze, Le (Studi filosofici diretti da Gentile, nuova serie, VI), 1931, pp. 1339. 28

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sabile: l'unica categoria-predicato, con cui, pensandosi soggettivamente, il mondo è tutto Io; quel pensiero per cui esso si pensa e si deve pensare. Questa unica categoria è il comune denominatore di tutti i concetti onde si pensando il mondo metafisicamente, pure il denominatore comune di tutte le categorie onde si vengono costruendo tutti i concetti del mondo. Checché si pensi, quello che si pensa è l'Io. Comunque si pensi, il modo in cui si pensa, è il modo in cui l'Io si pensa e si realizza nel suo oggetto La categoria del concreto — si è detto — è unica, l'Io; le categorie del logo astratto solo impropriamente possono essere dette tali, non sono numericamente delimitabili ed il loro essere è strumentale alle empiriche richieste. Le presunte categorie sono come infinita e indefinibile è la molteplicità dell'esperienza. In conseguenza di questi presupposti si istituisce anche il rifiuto delle distinzioni formali dello spirito. La Filosofia dell'Arte è tutta una requisitoria contro i distinti crociani, pur essendo le posizioni dei due filosofi, all'inizio degli anni trenta, meno lontane, in ordine al problema dell'unità e per certi aspetti anche in merito alle sue articolazioni, di quanto essi stessi e i loro discepoli apparissero disposti a riconoscere in quella fase di conflitto politico. Non categorialità dell'arte dunque, per Gentile, in quanto nessuna attività umana è distintamente dalla logica del concreto, perché ognuna delle infinite categorie empiriche ha contorni segnati solo ad opera della logica astraente che fissa e obiettiva mentre sul piano dell'assoluta concretezza tutte e ciascuna coincidono con l'Io. « La Filosofia, non è suscettibile se non di una ideale distinzione nel seno della reale vivente unità dello spirito ». Essa ci propone « sempre una sintesi, e un convergere e concorrere delle varie forme in una unità piena, organica e armonica, in cui consiste la realtà spirituale: sintesi necessaria, perché essenziale, cioè immanente a elemento della sintesi, Sistema di logica, 135.

II Logica del concreto

Firenze, Sansoni,

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inconcepibile astrattamente, ove si prescinda dal principio della sintesi » L'effettivo dissenso con Croce incide sui modi e sui caratteri delle distinzioni più che sul darsi dell'ideale distinzione, se la sintesi è immanente « a elemento » (il corsivo è nostro) e "converge" e « varie forme e dunque vi sono diversi elementi e forme varie nell'unità-infinità dell'atto. Sono, gli anni in cui nello storicismo crociano matura l'ideale etico che nella poesia come intuizione catartica, sguardo oltremondano sul mondo, avrà la sua definitiva espressione. Ed è evidente, in questa prospettiva, il rilievo unitario della spiritualità e, insieme, il suo carattere dialettico: ove non emergono i distinti nella vita della coscienza che s'individua nella personalità dell'opera, bensì la distinzione, la norma è l'attività del distinguere. Così logica del concreto, se non ha predicati categoriali distinti perché la realtà è sempre attuale risoluzione nell'unica categoria del pensiero, ove universale ed individuale coincidono, si articola, in quanto dialettica in tre gradi, « non ma idealmente progressivi, la cui conclusione è la loro sintetica unità, ossia appunto il pensiero. Primo, coscienza di sé, secondo, coscienza di qualche cosa, terzo, coscienza di sé che è coscienza di qualche cosa L'arte è il primo di questi momenti, quello della coscienza di sé o sentimento: totalità della vita assunta nel sogno. il problema dell'arte non può porsi che nella filosofia: chi comunque interroghi o si interroghi sull'arte — e costui è anche l'artista stesso nelle scelte impostegli dalla genesi dell'opera — si trova nella filosofia. Onde l'arte, nella pura « coscienza di sé », rispetto alla « coscienza di sé che è coscienza di qualche cosa », è sempre: inattuale; resa problema si attualizza, appunto, come pensiero pensante. La scepsi ipercritica assimila dall'attualismo delle categorie ma avvolge in una inesausta tensione — quella che poi sarà esplicitamente detta tensione — la necessaria esigenza della ad dell'arte Sistema di logica,

Firenze, Sansoni, II Logica del concreto, cit.

44.

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ossia il momento della posizione del problema dell'arte. Se l'attualismo s'istituiva sull'assoluto monismo dell'Io, all'opposto il nascente problematicismo infrange il nesso dialettico inchiodando il divenire alla dell'antinomia. L'intacco, effettuato da Spirito, di quella dialettica che Gentile aveva proposto modellandola come riforma della più alta delle triadi hegeliane, incide su tutti e tre i momenti perché incide sulla struttura stessa del processo annientandone il carattere di svolgimento alla sintesi e l'attualizzarsi di momento come autocoscienza, cioè come quella filosofia che revoca nell'inattualità l'assenza di coscienza riflessa. Il commento di Scienza e filosofia, ripreso alla lettera e ribadito nella Vita come ricerca, eredita l'inflessibile unitarismo ma ne trae conseguenze per il concetto di filosofia. Esso afferma che « L'attualismo deve condurre alla conclusione che la filosofia non è una particolare forma del sapere, ma l'universalità d'ogni sapere, sì ch'essa non può avere in nessun senso un campo autonomo di indagine entro il quale sia lecito al puro filosofo conseguire un risultato e risolvere un problema. Considerata la questione in questi termini, possiamo pure dire che la filosofia non esiste e che il filosofo è un in balìa di fantasmi, degno di tutta la satira che lo ha accompagnato fin dai tempi più remoti. Fantasmi, infatti, sono le categorie o gli in cui ha sempre cercato di irrigidire la realtà, e fantasma è la stessa idea del mondo quando la si voglia determinare fuori del mondo stesso. può illudersi che un contenuto proprio rimanga tuttavia alla filosofia. Dopo aver negato la categoricità dei cosiddetti concetti filosofici, egli può credere che al di là di tutte le categorie esista quella dell'unità o della realtà in cui il problema trascenda ogni ricerca particolare e ogni disciplina scientifica per restare oggetto esclusivo della pura speculazione; ma quando così pensa smarrisce il senso della della categoria e si taglia la strada per l'ulteriore cammino La vita come ricerca

Firenze, Sansoni,

81-82.

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È questo il punto cruciale dell'argomentazione che filosofia e risolvendo (altri direbbe la prima nella seconda: se le particolari discipline scienti :he e sono astratte, ciò si deve all'atteggiamento filosofo che ritiene di superarle, presumendo di poterle da un osservatorio più elevato — quello della autocoscienza attuale mentre in realtà, nel far si estranea dal mondo e dal metodo della filosofia-scienza per la illusione di cogliere il loro rapporto dopo averlo :iolto dai termini che lo costituiscono in unità. vi ; nel ricercare che investe la filosofia come scienza. Vera landa è quella di chi ricerca nel concreto dei lari i problemi scientifici senza la pretesa di sovrastarli, ma a zi cogliendone dall'interno il carattere produttivo, creativo, :he è la sola universalità che umanamente si dia. Per questo istanza autentica di conoscenza l'insoddisfazione che si dalla ricerca e genera il bisogno metafisico di alla scienza stessa. La sola filosofia che abbia diritto ad riconosciuta tale è volontà di filosofia, cosicché se la viene invalidata, di e prassi — poiché viene riconosciuta tale dalla stessa matri ; unificante che ha fatto luogo al concetto di atto — trova [guaimente conferma e sostegno in questa argomentazione pur mira a colpire l'autocoscienza come termine ultimo i un processo. I modi in cui, in Spirito, avviene la della filosofia nella scienza denunciano della dell'atto, ma non sosteranno a lungo in tale denuncia, ben presto al problematicismo come pensiero È questo senso della creatività — ma, nello stesso — della che introduce, opera di Spirito che dalla ricerca prende nome, la riflessione non come qualcosa che intellettualisticamente venga a come altro dalla ricerca, ma come aspetto totale della vita he di volta in volta si distingue e si unifica con quello della ossia propriamente della ricerca, così come, ne terminologia dei grammatici, nel medesimo verbo si diversi che non ne mutano la radice ante: nell'arte è pur sempre la ricerca che si esalta come lutticreatività, espressione. in poi : al 32

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tentativo odierno di assoluto estetismo si è fatta strada la persuasione che il carattere di anteriorità del mondo assicuri un valore creativo e di produzione. E anche quando si è voluto combattere l'affermazione della creazione assoluta del mondo dell'io, perché si è intesa insorgere la coscienza del mistero, non si è dubitato di trovare nel sogno dell'arte la certezza della vita Una vita di sogno, certamente, che trascorre nel mondo del relativo senza poter mai raggiungere l'assoluto, ma una vita che, pur in questa sua fatale limitazione riesce a dare il senso del divino e a placare in qualche modo l'ansia dell'infinito. Il che può ripetersi in un certo senso anche per il concetto della vita come ricerca, sebbene poi ad esso manchi la persuasione del valore creativo. Nella concezione estetica la coscienza del mistero si chiude sulla certezza dell'impossibilità di raggiungere l'assoluto e mondo relativo dell'arte diventa l'unico mondo possibile che si assolutizza per rinunzia all'altro. L'artista si sente creatore e nel suo sogno si libera dalla realtà che non arriva a conoscere e a dominare. Ma appunto perché la liberazione si accompagna a una rinunzia definitiva, il carattere definitivo di questa non può non investire l'esperienza artistica che vi si oppone chiudendola nel concetto dell'arte e facendola degenerare nella estetizzante. L'arte diventa un mito e il suo potere catartico è continuamente vanificato dal ritorno della definizione. Nel concetto della ricerca, invece, per quanto in essa si possa riscontrare un carattere mitico, la problematicità è tale che non consente decisione circa il carattere proiettivo dell'esperienza. Nella coscienza di chi ricerca v'è l'ansia di scoprire la realtà, come se questa fosse il presupposto della stessa ricerca e ne esistesse al di fuori, e insieme v'è il senso della creazione e del carattere personale di essa. Sento di pensare e gioisco della mia attività, ma sento anche che il pensiero pensa in me e che in me il mondo agisce. Nell'antinomia che risorge, la conclusione dell'idealista o dell'artista mi rivela il suo limite, l'orizzonte si allarga ulteriormente per comprendere l'arte e la non arte e il concetto di ricerca si accentua nella sua problematicità infinita » (Vita come ricerca, 103-104).

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S'irradia, da questo brano, la giustificazione del presentarsi della coscienza in un prisma dalle facce e, col ricorso dalla ricerca all'arte, dal bisogno di uscire da' sogno e dal mito all'affermarsi di fatto della vita entro il e nell'orizzonte del mito, si la stessa della Vita come arte nei fondamentali motivi che a permeano. Sono tali, accanto alla arte-ricerca, il rifiuto di riconoscersi nell'estetismo — che è chiusura della artistica nel proprio spazio di sogno, ossia il sogno come condizione ove la realtà umana si l'ansia di trascendenza del ricercare come bisogno sintesi ossia come autonegazione ricerca nel suo finalizzarsi ad altro e superiore criterio cui del increto ricercare impedisce di attingere; la gioia come della propria attività contrastato dal simultaneo ed sentire di essere pensati, di essere agiti che interviene spersonalizzare l'azione e il pensiero, quasi ad della nostra condizione di strumento, di funzione di una 1 che ci era apparsa rimossa nel mito e somme nel problema: il nuovo profilarsi, in breve, di una necessità che ci e ci espropria di noi stessi, ci spossessa nostro agire e produrre; e con essa l'incombere del misteri come dimensione ed orizzonte della coscienza esistenziale. no già presenti, dunque, le strutture portanti di tutta la medi azione ulteriore di Spirito. Le pagine conclusive della Vita come ricerca sono poi di sintetici panorami delle manifestazioni egemonie he — eppure dispersive e contrastanti — del mondo che si troveranno via via in tutte le opere di Spirito quasi a caratterizzare in modo icastico una partecipazione e, nel senso etimologico, radica mente sofferta, alla vita del proprio tempo. Si direbbe che fervore di presenza stimoli, anziché soffocarle o le sue diagnosi più lucide e sincere, cosicché in esse si rende operoso, come freno ad ogni il senso della totalità dell'essere-funzione di un pensiero che si fa in noi, anziché essere consapevolmente fatto da noi. za impersonalistica — avvertibile pur nel silenzio, p :r ora quasi costante, sul tema di chi 34

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cioè, all'attività la sua inconfondibile impronta individuante quell'istanza ereditata dalla scuola penalistica e positiva, diventerà dominante, tramite ma anche tramite il bisogno che in Spirito era nato ed al quale nella Vita come ricerca egli dava la prima, articolata risposta, di mettere in crisi l'affermazione dell'atto come volontà che consegue la verità. Nel problematicismo giunto al chiarimento di sé mediante il dibattito in cui si è dilatata l'affermata risoluzione della filosofia nella scienza, viene assunta come quell'atteggiamento della ricerca che « raggiunge le forme più tormentate e paradossali » perché in esso « l'uomo si sente più liberamente creatore e si lancia in tutte le direzioni compiendo i tentativi più disperati e arditi ». Spirito, in alcune delle pagine finali della Vita come che, al pari di quelle su cui si è prima fermata la nostra attenzione, precorrono i nuclei tematici della Vita come arte, è tratto a considerare le estreme forme contemporanee della fenomenologia artistica, quella dove la ricerca del bello si esaspera nel falso, « se [il bello] non si teme di andarlo a scovare attraverso il brutto e l'orrendo Ne viene di conseguenza la formazione di una coscienza torbida in cui interferiscono le più preoccupazioni e la indeterminatezza del risultato si traduce nella così detta opera d'arte, che quasi sempre è soltanto documento impressionante di un radicale disorientamento. E a un certo punto l'esasperazione è tale che il disorientamento stesso si proporre come realtà artistica e si un po' sul serio e un po' per buffoneria con il grottesco e » (La vita come 227). Come per gli altri aspetti della realtà, l'attrazione che ora Spirito prova per il mondo dell'arte è un connubio di scuotente passione e di spregiudicata e quasi raggelante intelligenza. Si pensi all'accento di cui vibra l'intera ricognizione della coscienza sognante che egli esegue nella Vita come arte, e a quella che sarà, diversi anni più tardi, nella Vita come amore, l'identificazione di comprensione e amore, l'ansia di consumare, negandoli appunto nell'amore, gli intellettualistici limiti dell'intendere. Ma se non indulge al dramma che nell'arte contemporanea scopre o riconosce, egli coglie tuttavia, nel disordine di essa, lo sforzo

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di a sudditanze ed a la norma di non ripetere esperienze scontate. « E l'arte si va a cercare nel tumulto di un divenire da cui si fare scaturire un ordine nuovo l'arbitrio del incomposto, dell'urlo lacerante, della nota grottesca e ine per la voluta discordanza. È la ribellione che assume forme violente e che trionfare l'urto polemico. Alla simmetria segue la voluttà delle più asimmetrie, alla composta visione di prospetto degli scorci più arditi e impensati, alla distinzione di centro e periferia, principale e secondario, il gusto di far passare in primo piano il più minuscolo e trascurabile dei parti< » 227-28). La ricerca dell'arte, dunque, pur non essendo ricerca scientifica, non per questo ubbidisce di meno al principio ed all'impulso del ricercare. All'interno di questa ricerca, l'arte moderna si rivela, in modo privilegiato, testimonianza di una di uno smarrimento, e perciò, non sempre se lo proponga o se ne renda consapevole, modalità di una concezione che chiarirsi, di una situazione che conoscersi, di un sogno che vuole alla veglia. in essa, « si avverte la problematicità di tutti i valori e non si ha più di ipostatizzare alcune cose di giudicarne altre irrilevanti di intendere che soltanto alcune siano e di risolvere un valore spirituale. Una gamba, un una ruota, una pozzanghera, il dito di un uomo, l'orecchio di un cane, la punta di una scarpa, passano a volta a al centro di un quadro e di una fotografia, nello sforzo di esprimere un mondo che non si saprebbe raggiungere altra via 225). Il frammento cerca di ricostruire in sé centro ed unità, come i segmenti dei lombrichi a vivere una loro vita; compattezza dell'opera, il suo la sapiente distribuzione e la reciproca delle parti non appaiono più connotati dell'arte. La conferma, che queste connotazioni fornire, del carattere intuitivo di essa, non vincola però Spirito, mentre scrive La vita come ai punti di arrivo dell'estetica italiana coeva più autorevole, che era quel 36

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ciana. Nell'arte, aspetto della ricerca che si dirama su tutti i motivi risuona e si specchia la vita contemporanea, né la sua realizzazione può esigere il superamento di un simile accoglimento e riflesso, proprio perché la stessa vita è già arte e la condizione estetica non può essere trascesa. Ciò asseconda la perché consente al filosofo di non recepire lo sdoppiamento dell'estrinsecazione dall'espressione e quindi di rivalutare i cosiddetti strumenti dell'estrinsecazione, indicando per esempio nel cinematografo quella tecnica « più comprensiva e agile per esprimere l'esigenza di un'arte così spregiudicata e tormentata » 228). In esso « è possibile realizzare non sterilmente l'esigenza del dinamismo più spinto e più immediato e senza limiti di tutti i tempi e di tutti i luoghi » p. 228). Il cinema si serve quasi illimitatamente dei trucchi e, « attraverso il trucco, il dinamismo può raggiungere i confini dell'assurdo e trascinare nel mondo dell'irreale e del sogno. Una via gigantesca è aperta all'irrazionalismo e i tentativi di percorrerla si vanno intensificando 228-29). In un'atmosfera « tra la realtà e la fantasia » lo spettatore prova « il senso di una libertà come arbitrio » p. 229). La narrativa segue — egli ritiene — le orme della tecnica cinematografica. I suoi tentativi — e Spirito ricorda a questo proposito il romanzo americano e tedesco fra le due guerre che traduttori e critici italiani portavano all'attenzione con molta tempestività — « consistono la velocità dei passaggi, bruschi salti da situazioni a situazioni, ma soprattutto nel riprodurre la contemporaneità dei motivi e delle sensazioni che si intrecciano nella coscienza di ognuno di noi, nella realtà effettiva di ogni ora e di ogni momento. Questa continuità e contemporaneità, che è poi anche contemporaneità di veglia e di sogno, il romanziere sente il bisogno di esprimere sovrapponendo caleidoscopicamente la logica del pp. 229-30). Erano, in realtà, le poetiche del futurismo, del cubismo e dell'espressionismo, a segnare ancora tracce consistenti e in certo modo solidali nella determinazione di quella temperie che Spirito avvertiva come contemporanea: le 37

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arti della visione, ora sconfinanti nell'altra, il cinema e il romanzo, la poesia e la musica dissonante convergevano nell'esasperazione della proiezione esteriorizzante dinamismo romantico. I problemi della Vita come arte sono così posti fin dalla Vita ricerca tanto nella prospettiva teoretica unitaria che investe costantemente il pensiero di Spirito — sebbene da ultimo questo, col rifiuto dell'autocoscienza, avvenga via (ma, ripetiamo, sarà da vedere se e come un tale abbandono del sia possibile muovendo dai presupposti del nostro filosofo) — quanto nella prospettiva che deve considerarsi più affine ai tradizionali oggetti d'indagine delle estetiche, cioè ai problemi inerenti all'opera d'arte, alla fenomenologia dell'arte, alla metodologia della storia dell'arte.

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LA « VITA COME ARTE » E LA COSCIENZA SOGNANTE

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Si è premesso quanto sia superficiale il sospetto di una o, quanto meno, di un eccessivo variare di fasi, rivolto al pensiero di Spirito. Altrettanto criticamente inoperosa è quella svalutazione del suo pensiero sull'arte che venga effettuata sulla base sia della dell'autonomia categoriale, sia, con una inerenza che si presume maggiore perché risponde ad una esatta constatazione degli orientamenti culturali e delle del filosofo, sulla estraneità di Spirito alle analitiche ricerche contemporanee in campo linguistico e Il modo di accostarsi ad un pensatore ci sembra non debba essere in nessun caso quello di imputargli di non essere quel che non voleva e non poteva essere, perché la situazione in cui si è venuta a costituire la sua opera e la sua personalità non avrebbero permesso che fosse: questo, almeno, se segnamento storicistico che storia si fa del positivo e non del negativo, di ciò che è stato e non oggetto dei nostri desideri, ha valore ed ha lasciato orme indelebili nel metodo della storiografia. Non par dubbio, pertanto, che della riflessione di Spirito sull'arte consista, nella dimensione del presente ascolto, non tanto nel procedimento teoretico onde il problematicismo assimila la soppressione della categoricità di forme distinte, quanto nelle conseguenze di tale soppressione nei problemi, che il filosofo fa sorgere da essa, convergenti a mettere in risalto la presenza estetico nell'ambito unitario che si rivela essenzialmente sempre come progetto della vita, anticipazione del suo farsi. Il necessario affluire dell'arte nella infinita della coscienza vivente, sia pure per modi d'incidenza estremamente diversificati, propone, infatti, quel complesso di temi che La vita come ricerca ha già in buona parte rapidamente avvertito ed alcuni dei quali ha anche acutamente determinato. Né è poi vero che questi temi abbiano un rilievo soltanto metafisico: anzitutto perché un 41

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metafisico che si sottragga dal suo motivo genetico, il rapporto di antitesi del tutto con verifica del concreto, è posizione troppo lontana dalla matrice da cui scaturisce il pensiero di Spirito; e quindi perché, proprio per il tramite della discussione di tali temi, penetra nella folta, ramificata e convulsa vegetazione dell'arte contemporanea e ne trae stimolo a considerazioni d'innegabile rilievo. Certo, quando Spirito osserva la intenzionalità (o, spesso, al contrario, la carenza d'intenzionalità) di quest'arte, il suo discorso si porta risolutamente sui nodi essenziali, col metodo, che gli è abituale, di legale le considerazioni anche analitiche alle ragioni fondamentali dell'umano bisogno metafisico e di avvertire le risonanze che su di esso producono aspetti esistenziali indebitamente ritenuti secondari o, comunque, isolati. Ma consiste appunto in questo il pregio della sua ricognizione dell'aspetto estetico, cioè nello straordinario vigore con cui un patrimonio, nel complesso non particolarmente vasto, di acquisizioni specifiche, viene sottoposto ad un processo meditativo che lo adduce ad una problematicità e gli conferisce senso teoretico. La quantità delle afferenti e il mediato immediato dell'esperienza estetica di cui Spirito dispone contano, insomma, ben poco se sono tali (e noi pensiamo che lo siano) da costituire strumenti idonei per la sua penetrazione della realtà vivificata dalla coscienza. Forte di un'alacrità creativa per cui problema trova agilmente suoi dati, egli può prendere posizione nella come ricerca, più largamente nella Vita come e, in modo più specificamente articolato, nella Critica sulla narrativa e sul cinematografo, sul bello di natura e sul ritratto, sulla disgregazione della sintassi poetica e sulla musica dissonante, sul realismo e sull'arte astratta: su quanto insomma, nel mondo attuale, riceve forma osmosi arte-vita nella dimensione di una che è di tutto il modo di percepire e vivere la vita ed è, quindi, dell'arte. Così, il plesso tra la parte e il tutto non viene mai meno, in quanto la totalità non è qualcosa di alla ricerca, ma, Firenze, Sansoni,

comprende saggi scritti dal 1953 al 1962.

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intrinseca ad essa, è perciò stesso intrinseca ad ogni momento dell'attività, e l'atteggiamento di Spirito ha il risultato di dare effettiva consistenza, o perlomeno di fornire vivaci stimoli critici, di tante odierne dispute che una certa angustia spirituale dei loro autori (spesso guidati dagli stessi congegni operativi che sono venuti escogitando, e vincolati ad un puro gioco di astratte proporzioni e di non meno astratti teoremi) condannerebbe altrimenti a restare significanti privi di significato. Se è lecito, per intendere Spirito, istituire uno sdoppiamento di concetti cui il filosofo a questo proposito forse non consentirebbe, direi che là dove egli ricorre, anche circa il fare dell'arte e la ricerca riflettente sull'arte, allo è per portarlo alla prospettiva della Questo Che nella "lettera" del pensiero di Spirito il concetto di competenza si determini in senso impersonalistico, da un lato come tanto della quanto della "saggezza", dall'altro come riduzione dei contenuti, ossia come specialismo, e che quindi la distinzione della competenza dalla specializzazione non trovi testuali, si avverte, se non da Scienza e filosofia, certo sin dalla Vita come ricerca, dove l'attività ha appunto i suddetti caratteri di una "competenza" rispetto alla quale la non è se non un possibile sinonimo. Il tema della competenza ritorna con particolare insistenza più tardi, ad esempio in Significato del nostro tempo, Firenze, Sansoni, (nel capitolo L'uomo e il lavoratore, 71-86, originariamente nella rivista « », gennaio 1953, e in « », febbraio pp. 3-7) ed ha la funzione di nucleo argomentativo centrale nella Critica della democrazia, Firenze, Sansoni, 1963, per fino agli ultimi scritti. Non è qui il caso di affrontarlo ma a noi sembra che solo la distinzione che ora proviamo a delineare tra la competenza e lo specialismo consenta di parlare del pensiero di Spirito in termini di umanesimo, sia pure un umanesimo profondamente diverso da quello comunque classicistico come da quello romantico, in quanto fondato sulla collaborazione e non sulla personalità geniale. Ciò perché la competenza nel significato che ad essa attribuisce il contesto letterale di Spirito mantiene, tra umanesimo e tecnicismo, quel solco che un approfondimento complessivo delle linee portanti dello stesso pensiero cancella o, più esattamente, ribadisce cancellato, in sostanziale con tutto idealistico in genere ed in particolare. Nella distinzione che qui tentiamo l'area semantica del tremine "competenza" viene ricoperta dal nostro termine mentre il nostro termine "competenza" assume piuttosto alcune delle determinazioni proprie del concetto dell'uomo del "nuovo umanesimo" Spirito, Nuovo umanesimo, Roma, A. Armando, 1964, soprattutto la prima parte, Umanesimo e cultura, pp. 13-135), senza tuttavia associarle al fine di abolire l'intenzionalità verso

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cesso di elevazione non può compiersi se non nel tarsi consapevole dell'istanza totale nell'artista e nel critico: vi è, in altri termini, nel competente, di concretezza come ordine, come rapporto al della quale il discorso esatto e chiuso (e, proprio per questo, dello specialista rimane sprovveduto. Competenza è cogliere dovunque essa si trovi, perché non c'è atto che possa dirsene assolutamente privo. Orizzonte specialistico è quello di chi affermi che il valore estetico debba essere concepito tanto come altro dalla bellezza (o piuttosto dalla pratica e patetica suggestione) di un aspetto della natura, perché questo non sarebbe opera dell'uomo, quanto come valore radicalmente opposto al darsi di una esteticità nelle opere umane diverse da quelle esplicitamente al raggiungimento dell'arte. Lo specialista perciò, è convinto che non gli resti da far altro se non immergersi nell'esame di quel certo genere di opere e che ciò comporti disinteresse per il cosiddetto bello di natura o per altri generi di opere d'arte, come per gli aspetti non "estetici" delle altre attività della coscienza. Il rifiuto di intendere e di amare queste è per lui un atteggiamento quasi istituzionale. Limite specialistico è il possesso di per quanto estrinsecamente ordinate notizie sui prodotti dell'arte; competenza è la sensibilità e la riflessione interrogativa che verte su di essi per averne intelligenza, ma che, dalla loro conoscenza, s'irradia nel tutto che in quei prodotti si esprime e che quindi essi coinvolgono. La polemica antifilosofica di Spirito (nel senso più volte chiarito della eliminazione di ogni gnoseologia e di ogni intellettualismo) può talvolta non contribuire a metter in evidenza la funzione adempiuta dall'arte nel suo porsi specifico, che la tradizione ha irrigidito e come opera d'arte, concrezione comunque e fisica prodotta da una volontà di in essere conferendo — o restituendo — ai l'Uno che caratterizza tutto il pensiero di Spirito sino alla caduta dell'autocoscienza prospettata Che il rifiuto dell'autocoscienza possa desumersi dalle speculative di Spirito è inoltre, come si è già detto, cosa di cui può dubitarsi. Si vedano in proposito le riserve espresse dallo scrivente in e neoproblematicismo, e più largamente da A. Una ipolesi per assoluto, 76-78.

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segni il valore d'immagini: arte come e catarsi di un'emozione specifica. Compito del critico è, però, anche quello di rimuovere, ove si presentino, gli ostacoli e gli impedimenti che determinate prese di posizione degli autori stessi possono sollevare contro un più articolato e meglio approfondito rilievo del significato delle loro opere e delle implicazioni ad esse connesse. Posta questa distinzione, o piuttosto antitesi, tra lo e la competenza, potrà dirsi che di Spirito porta di fatto a valorizzare la competenza, cioè l'opera (nel suo farsi, non nel suo immoto consistere) e la sua infinita Ed è strano che il filosofo non si avveda col suo acume consueto come lo specialismo perpetri la negazione dell'infinito vivere nel tutto di ciò che esso prende a suo oggetto, ed anzitutto dell'arte. La riduzione dell'arte a isolato frammento trova appiglio a proporsi proprio nell'orizzonte di una concezione puramente funzionale o strumentale del soggetto. Assumendo l'universo di discorso di Spirito in ordine al problema dialettico, nella "competenza" si anima e si fa dramma la tensione alla sintesi, nello invece, l'orizzonte della distinzione, non accettato per tener ferma l'unità, si contrae e si degrada in un isolamento che smarrisce quel senso della relazione alla totalità che lo stesso filosofo sa, come riconoscere al presunto frammento. Se ne desume come sia quella di Spirito nel provvedere da sé i rimedi a ciò che altrimenti potrebbe uguagliarsi a un puro pluralistico: poiché ogni volta egli teorizza la l'esigenza di trascenderla si rinvigorisce in una imprescindibile corrispondenza. Esame, singoli problemi, ma mentre la filologia, la storia e le scienze che realmente si appagassero del particolare non sopporterebbero che sui loro metodi si esercitasse la pressione di un sistema organico idoneo a ricomprenderle in un plesso più vasto, in Spirito la ricerca ha inevitabilmente il suo fine nella filosofia, nel possesso, sebbene questo in situazione non sia ma debba essere, se non è il presente, ma la possibilità futura. E ciò non tanto (o non soltanto) perché e là dove egli ne argomenta in modo deliberato ed 45

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il carattere ma in quanto tale carattere è nel suo in modo costitutivo ed assolutamente qualificante. Le concrete e diverse attività della ricerca, ossia le singole intenzioni dell'arte, le infinite politiche ed i processi di verificazione e di consecuzione della scienza, i sentimenti della giustificazione e dell'offerta che definiscono la vita come amore nell'impegno di non giudicare, non potrebbero neppure sollevarsi a coscienza ed essere vissuti con operosa dedizione se in essi la ricerca, l'arte, non si costituissero in universo. Dopo di che, ossia sulla base della riaffermata e reciproca del molteplice e dell'uno, torna ad essere lecito domandarsi se posizioni sul problema dell'astrattezza, e quindi siano davvero superate. Si è detto, infatti, che l'assoluta esigenza di universalità e di autocoscienza è destinata a non inverarsi mai in universalità ed autocoscienza "attuali"; ma il particolare e il diverso, come produttori del desiderio come coscienza, sono penuria di realtà, fioriture di un e dunque partecipano dell'astrattezza. È, di nuovo, l'apparente paradosso della individualità onde la totalità del reale ci si come oggetto di una verità della quale si debba e si voglia conseguire la rivelazione assoluta in atto, ma che intanto ci si mostra come schema analitico e come Pure, in una prospettiva dove la sintesi non è attuabile, il dover essere si protende per la norma del suo essere di là da questo schema, da questa analisi, da questa individualità. La differenza tra problematicismo ed attualismo resta profonda perché l'idealismo asseriva come eternamente ciò che il problematicismo confina nel desiderio: fatale, desiderio che tuttavia ogni atto. Tale differenza non sussiste però per quanto riguarda il residuo intellettualistico ed astratto della ricerca, ove questa venga intesa come esauriente e conclusiva entro un determinato ambito e, viceversa, insufficiente ed inconclusiva rispetto al riaprirsi della domanda. Ancora una volta il fatto vuole, ma non sa, farsi atto, e l'atto ha, contro di sé, il fatto che ne denuncia l'inattualità. Cosicché, più che di un nel nesso sembra corretto parlare di un diverso tono 46

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che colori tale segnando di una nota pessimistica il momento attualità del desiderio e non della Nell'universo della Vita come e successivamente anche nella Critica dell'estetica, l'arte è coscienza che si manifesta secondo una funzione continuamente relata al dinamico prisma di cui la coscienza stessa vive pur nella sua sete di unità; in altri termini, dell'attività artistica è una imago una rappresentazione che abbia fuso in sé la partecipazione all'intera vita. E come l'arte è nella "vita come arte", ed appunto per questo ricomprende in sé l'istanza della ricerca (la ricerca dell'arte), ossia è di sé come coscienza che aspira a farsi totale, così non vi è una filosofia dell'arte nel senso di un pensiero che enuclei dalla totalità della coscienza il problema dell'arte per dargli sede in una remota e puramente contemplativa insularità, ma vi è il dibattito della coscienza (sempre coscienza sognante perché non desta ad autocoscienza) presa, come arte e come filosofiascienza, nella tra ricerca artistica e ricerca scientifica, tra l'orizzonte della comprensione che non distingue reale e irreale e il tentativo d'intendere, operando quella distinzione. Tale naturalmente, non solo non toglie che la ricerca dell'arte e la ricerca della scienza, la comprensione che rappresenta, la o intelligenza analitica che distingue e giudica (e poi, l'amore che riunisce La risonanza della Vita come arte fu vasta e immediata. Rimando in proposito alle bibliografie citate nella nota 1 del capitolo precedente. Per i riesami critici più recenti si veda: Ugo Spirito, 64-69; Giordani; L'estetica di Ugo Spirilo, 1957, O. L'estetica di Ugo Spirito, Lugano, derni del Cenobio », 23), 1958; G. Bufo, e intellettualismo nella filosofia di Ugo Spirito, « Iniziative », febbraio 1959; A. Plebe, Processo all'estetica, Firenze, La Nuova Italia, 1959 Il processo speculativo all'estetica, pp. 115-34); A. De Maria, L'estetica di Ugo Spirito, in di V (1960), pp. 237-50; O Conti, Polemica sull'immanenza Ugo Spirito, scuola cattolica, 1963, pp. 79-88; A. Negri, Dal corporativismo comunista all'Umanesimo scientifico, op. pp. 125, 136, 145, e passim; M. Marxismo e metafisica, op. pp. 197-218; L. Prospettiva estetica di Spirito, « », XIX 1966), pp. 440-50; L. problema di Dio in Ugo Spirito, pp. 85-86, 135-37. 47

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e perché non giudica) sussistano e continuino a generarsi l'altro, ma trova la condizione del suo porsi nel loro recursus, nello scandalo metafisico del loro rapporto simultaneo di compenetrazione col loro rapporto di non risoluzione, cioè del carattere non dialetticamente processuale, non organicamente promotivo che tale medesimo rapporto riveste. Come quella della Vita come la struttura più ampia della Vita come arte consta di una. introduzione ai problemi, di una ricognizione storica dei problemi posti, per la consistenza ed il carattere di funzione fondamentale che in alcuni periodi può anche essere stato oscuro o soltanto implie infine di alcuni capitoli che sarebbe improprio, dato il carattere aperto della riflessione di Spirito, definire conclusivi ma che riannodano il dibattito teoretico al punto da cui si è mosso, ricavandone le conseguenze e consolidandone le linee speculative in un più vasto campo di argomentazioni e di aspetti. L'impegno del filosofo sembra esser quello di far sorgere dai temi una risonanza di problemi quanto più possibile estesa e complessa, ma in modo da tener sempre fermo, in questo intrecciarsi e snodarsi denso e veloce di rimandi e di prospettive, il sostegno del nucleo essenziale del suo pensiero. E tale nucleo consiste nel costante riferimento al limite, quanto si voglia flessibile ma non mai eliminabile, che ci vieta di accedere all'autocoscienza e ci costringe nelle proliferanti forme del desiderio. Se, nella Vita come ricerca, l'antinomia scaturiva dall'obiezione ineludibile, la Vita come arte si apre con « l'ambivalenza o contraddizione del » (La vita come arte, 9) di cui si afferma il superamento tentato dalla dialettica. Quel che la meditazione di Spirito rimette qui in giudizio è il predicato cui ascrivere la rilevanza della « identità dialettica di vivere e filosofare, di problema e soluzione, di ricerca e sistema » p. 13), dalla quale egli assume la coincidenza non già con la sintesi, come sostiene l'idealismo, bensì con l'antinomia. L'identità dialettica è, « a rigore, dialetticamente, identità e non identità, ora vivere e ora filosofare, ora problema e ora soluzione, e cioè sostanzialmente antinomia, ricerca che non può non identificarsi con

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il sistema, e pure non si identifica mai. Sì che, dopo aver riconosciuto quanto il dialettico afferma circa la possibilità di vivere senza filosofare e di ricercare senza aver già trovato, il nostro dubbio ci riconduce a una vita alla quale non sappiamo dare un vero criterio di unità e a una ricerca sempre aperta alle soluzioni più radicalmente opposte. Tutte le accuse di contraddizione che, con gli altri, noi stessi ci rivolgiamo, non possono essere confutate, ma insieme dobbiamo riconoscere la più grave contraddizione di chi dialetticamente conclude nel senso opposto. Né vale replicare che il dialettico riconosce la identità e insieme la non identità di problema e ritenendo carattere fondamentale del divenire dello spirito la sintesi degli opposti, perché o l'identità e la non identità sono davvero sullo stesso piano e allora l'antinomia non si supera e la sintesi è arbitraria, o la sintesi supera l'antinomia e si pone come soluzione e allora il dualismo è e sostanziale soltanto l'originaria identità. Se l'antinomia è davvero tale, la soluzione è problematica; se, invece, l'antinomia non può risolversi, il presupposto del suo necessario superamento toglie a ai suoi termini il carattere di effettive opposizioni » La sospensione del giudizio, che non è determinazione pregiudiziale ma contestuale alla posizione di chi ricerca, riammette « la legittimità del problema della morale provvisoria » p. 14). E questa in realtà è ciò che si attua comunque nell'azione di ognuno, poiché chiunque viva non può, per il fatto stesso di vivere, non agire, ma agisce con la consapevolezza dei che governano la sua azione in quanto egli non sa imprimere alle sue scelte un giudizio di validità che le rende ugualmente doverose in futuro, in situazioni diverse. È un altro caso, questo, in cui, pur con un tono tanto diverso da quello del positivismo storicamente preesistente, vecchio o nuovo che fosse, la disintegrazione dell'attualismo nell'ablazione del risultato sembra convogliare i suoi esiti relativistici in direzione sostanzialmente positivistica, ossia ora nel ora nel mito della scienza, deputata a indagare con i suoi metodi particolari l'indomabile disformità dei risultati della quale non può non prendere atto. La morale provvisoria 4

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è qui, infatti, presentata come l'atteggiamento pratico correlativo al principio scientifico dal quale è informato il ricercatore, la « norma di vita » dell'uomo che ricerca. E se « nello stadio psicologico della pura problematicità, l'assenza di criterio si estende alla totalità della vita teoretica e pratica » 14-15), tale assenza di — o, che è lo stesso, la presenza di orientamenti opzionali fluidi e pluralistici o, come nelle scienze, rigorosamente afferenti alla loro funzionalità settoriale — non può certo impedire che la vita continui. di questa vita che continua, si affianca dunque, al dell'assoluta problematicità nel nullismo, l'instaurarsi di fatto della morale provvisoria, data a noi in qualche modo come ci è data la vita, quel che Spirito parallelamente affermerà come il darsi stesso del pensiero a noi, non da noi: « Qualche forza non giustificata criticamente mi fa iniziare il cammino per una delle infinite vie e io procedo che la mia vita si disgreghi e tuttavia senza rendermi conto dell'unità che la rende possibile. La problematicità non è superata ed anzi si approfondisce sempre di più, ma l'antinomia logica non riesce ad arrestare la mia azione e cioè le mie scelte e i miei giudizi di valore. So che nessuno dei miei atti è criticamente fondato di fronte alla mia ma continuo ad agire e ad assumere la responsabilità di ciò che faccio. Non ho scelto, cartesianamente, una morale provvisoria; perché il carattere critico del concetto di ricerca non mi consentiva un tale arbitrio programmatico, ma una morale provvisoria governa tuttavia la mia vita giorno per giorno » 15). Appunto perché il criterio del giudizio manca, la scelta pratica è priva di un fondamento che idealmente preceda e governi l'azione, motivandola. Non diversamente dalla ricerca scientifica, la morale provvisoria, è un dell'autocoscienza, un ripiego che (la sua spontaneità è coazione, ma la coazione non può non essere voluta) perché ci aiuta a vivere. Siamo nella morale provvisoria perché siamo nell'obiezione, e nell'obiezione non possiamo non perché viviamo. L'aspetto « di un vivere che non sia filosofare, dell'unità di fatto del vivere, senza l'unità, cui tuttavia si tende, del filosofare », « la vita contro la », l'istinto, l'impulso, la 50

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passione, il senso conducono dunque concordemente alla vita come arte, all'atteggiamento cioè in cui la vita conflagra nella sua tensione di « appello inesplicabile » al mistero che si manifesta come sforzo « di la realtà del dato » e di ritrovare « nella propria coscienza la radice di ciò che non si comprende ». Riplasmati da questa spinta istinto e passione, senso ed impulso cambiano di segno; si produce così quel in cui tali termini dapprima si alternano « in due significati diversi, spirituale e antispirituale » e poi compiono il loro processo di idealizzazione nella coscienza comune che « finisce con il ricercare i segni della vita spiritualmente più alta, i valori dell'arte e della morale, in ciò che radicalmente sfugge alla sua comprensione » p. Una elaborazione non diversa da quella che si svolge nella vita morale ad opera della cosiddetta « voce della coscienza », un'interiorità, una ispirazione, un che « sono fuori della filosofia, e perciò concetti ambigui, oscuri, retorici ma che tuttavia continuano dopo millenni a risuonare nei momenti culminanti della vita dei più grandi artisti ed eroi » p. 17). Come può parlarsi, però, di morale dove non intervenga la consapevolezza, la scelta, la libertà? Ambiguità, oscurità, retorica, estraneità alla filosofia: associazione di determinazioni affini e contrapposte, che il problematicismo prende in prestito da tutta la filosofia ancora una volta attraverso il dualismo positivistico; del quale tuttavia non raccoglie, almeno in questo momento, la certezza della possibilità di attingere per altra via ciò a cui tali determinazioni stesse rimangono estranee (la filosofia, la scienza). Il problematicismo, cioè, non raccoglie — perlomeno nell'iniziale urgenza del suo più radicale e proporsi — la fede nella possibilità di attingere la scienza e la filosofia sul piano diverso dell'esperimento ove la ricerca ha la sua verifica nella riuscita, non altrimenti da una volizione-azione che abbia la sua norma e la sua sanzione nel successo. Al senso della della vita e delle infinite pulsioni relazionali in cui in essa si manifesta la continua invenzione di tentativi, non risponde, però, in Spirito, la della Sempre diversa la

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fioritura della vita, innumerevoli gli sforzi di mediarla criticamente: ma l'antinomia che viene a istituirsi tra l'immediato e la mediazione, le coppie opposte di sinonimi in cui consiste il loro rapporto, formano una polarità rigida, che non richiede e non sopporta l'interposizione di terzi termini. Particolareuniversale, sensazione-riflessione, sono cioè altrettanti modi per indicare il medesimo asse vita-filosofia, coscienza-autocoscienza; e, poiché l'uso di tali coppie logicamente non include ipotesi che muovano obiezioni in cui le opposizioni persistono, quell'asse costitutivo, quella struttura binaria, si fa, da problema, esso stesso dogma, metafisico mito della inconvertibilità dei suoi termini. Spirito, per ora, nel quadro della situazione di un presente che si apra ad effettivi progetti, giudica così inattuabile la ad È l'istanza di unificazione stessa a bloccare la coscienza dell'antinomia, non permettendo di delineare una terza via, quale potrebbe essere suggerita, ad esempio, da un diverso concetto di vita e di filosofia, corrispettivo a un diverso porsi della scienza, della filosofia, dell'universo del comportamento e del discorso, in cui magari quelle opposizioni acquisissero significato e orientamenti diversi e non si riconoscessero più nel rapporto che una vastissima, eppure limitata, tradizione speculativa e scientifica ha condotto ad un postulato di assolutezza. Con altre parole, che la filosofia sia tensione all'autocoscienza e che il metodo scientifico metta in parentesi quella tensione senza vincerla sono proposizioni sulle quali Spirito, perlomeno in questa fase, non esercita il dubbio problematico. Il problematicismo, infatti, non muove alcun passo decisivo verso una scienza che non sia necessariamente fondata sulla dei singoli settori scientifici o, più, verso una filosofia che rinunci, in principio e nell'atto della propria ricerca, al della totalità. Il che poi non gli vieta di porre in essere una metafisica ove la filosofia costituisce il dover essere di una scienza concepita come tale che i suoi presupposti metodologici rifiutino quell'unità alla quale la scienza medesima aspira. La problematicità più radicale è dunque nel seno stesso della scienza nel suo costituirsi come scienza specifica e nel suo essere simultaneamente sottesa 52

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la norma di un'universale vigenza e di un esaustivo valore. Né vale obiettare il carattere indeterminante che distinguerebbe la scienza del Novecento da quella del secolo precedente perché, semmai, l'indeterminazione riaccoglie la problematicità entro l'orizzonte delle stesse scienze specifiche per quel tanto, appunto, che ne le procedure e le leggi. Compito della Vita come arte è ora quello di « approfondire l'analisi della vita non di definire i caratteri e rendersi conto delle ragioni che [le] vietano di sollevare questa riflessione al piano della filosofia e cioè l'analisi della coscienza al livello dell'autocoscienza » 20). Insufficienti appaiono i connotati tradizionali della vita non filosofica come natura ed insufficienti, quindi, le modalità in base alle quali si caratterizza la coppia in tensione dei termini natura e spirito, « E allora la nostra ricerca dovrà effettuarsi nel campo di ciò che si è ritenuto diverso dal pensiero e che si è chiarito a volta a volta sensibilità, gusto, immaginazione, intuizione, fantasia, genio. Non solo mondo animale, ma nemmeno possesso logico della realtà o esplicita autocoscienza » p. 21). A questa conoscenza, altra da quella filosofica, si è dato il nome di arte. Da tutta la storia del pensiero da Omero e Platone, a e a Croce si trae così alimento alla concezione dell'arte. Concezione non eversiva in quanto, per l'appunto, si trova in raccordo con la parte più nobile di una lunga tradizione di pensiero. « E l'arte, infatti, fin dalla esperienza più antica, fin dalle mura di Omero o dal demone di Platone, è stata sempre vista da una coscienza umana non in possesso di se stessa, da uno stato di ebrezza in cui non è più lecito distinguere l'uomo dalla natura o da Il mancato possesso di sé, tra realtà e irrealtà, sono tuttavia utilizzati da Spirito, per dar forza — come si è visto e si vedrà ancora — al principio motore dell'obiezione, allo scandaglio ipercritico del suo problematicismo. Su queste premesse Spirito può configurare una formulazione del problema dell'arte in base alla quale non sia lecito parlare di una estetica come scienza filosofica, cioè giungere ad una categoriale dell'arte, né, d'altra parte, sia

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lecito qualificare la sua filosofia come estetismo, per la presenza in essa di un della ricerca e della morale non accanto ma all'orizzonte dell'arte, in un nesso di continua e reciproca « In questo senso e con questi attributi assumo il concetto di arte a significare la totalità della vita di chi ricerca, di chi è coscienza anelante a non raggiunta, ma che intanto vive, giudicando, tra che può sentire fino a giuocare per essi la vita, in un'azione o in una creazione che può dirsi anche soltanto passione. dunque, in un significato molto lato e che coincide solo in parte con l'accezione comune, ma che di quest'accezione conserva l'essenza, nella contrapposizione su cui si fonda di un'attività ispirata, prorompente da una fonte, ignota, dell'opera nostra, e un'attività logica, organicamente svolta nel pieno possesso di noi e della realtà. Arte contrapposta a filosofia, come scienza ad autocoscienza: vita perciò in cui rientra, con noi, tutta la realtà, il bene e il male, il valore e il disvalore, il conoscere e il fare, la scienza, la religione, l'arte e la stessa filosofia, in quanto questa non può superare l'episodicità dei vari sistemi, e non può soddisfare l'esigenza dell'assoluta unità di chi 21-22). La vita come arte è arte dunque come della vita, plesso indissociabile di intuizione selettiva, di giudizio e di passione creativa, allo stesso modo che ogni aspetto della vita; ogni sua direzione non frammenta la vita ma è tutta la vita: così la ricerca, così l'amore. L'ebbrezza e il sogno sono i cardini su cui ruota romanticamente la nietzschiana della tragedia. L'ebbrezza sta in essa per il sogno e il sogno copre, piuttosto, l'area dell'apollinea chiarezza; essere nel sogno col desiderio dell'irrealizzabile veglia è la condizione in cui si svolge la vicenda della vita, quale il libro sulla ricerca l'aveva già brevemente formulata. La veglia non si raggiunge perché, per non essere sogno anch'essa, un sogno cioè « diverso dal primo solo in quanto maggiore », dovrebbe possedere, « insieme alla coscienza dei limiti del sogno quella dei limiti o dell'infinità di sé » stessa: dovrebbe dunque « escludere un ulteriore e più grande risveglio in un mondo ancora maggiore. Ma escludere quest'ultimo risveglio si può evidentemente, 54

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tanto da chi abbia la conoscenza del mondo nella sua totalità, ossia la certezza dell'assoluto che è propria della filosofia » La vita come arte, 23). Neppure il dualismo sognoveglia rende possibile, pertanto, definire l'arte in ordine alla esigenza logica della distinzione. La filosofia e la scienza rientrano nel sogno, sono cioè un sogno più intensamente agitato dall'assillo della veglia, ma non per questo meno vissuto come sogno, perché sboccante nella consapevolezza che l'autentica veglia non si è conseguita e nel dubbio che del tutto sia la speranza di in uno stato radicalmente diverso dalla carenza di verità, ossia dal bisogno insoddisfatto di autocoscienza. Scienza e filosofia, accomunate nella struttura di una inesauribile istanza, cercano entrambe di trascendere pur con metodi opposti la loro condizione dualistica. I temi della dell'uomo a se stesso e del mistero, divenuti dominanti nell'ultima fase del pensiero di Spirito, quella della crisi dell'ottimismo animano dunque già il primo problematicismo mediante il concetto di sogno in cui abbiamo sentito risuonare con chiarezza come dominante il motivo della della situazione vitale. Constatazione e intuito metafisico si associano e si fondono. Il tormento e il limite del sogno sono proprio la datità delle sue immagini che d'improvviso insorgono in noi e noi vorremmo sapere come questo accada, vorremmo cioè comprenderne la formazione, porci come loro antefatto, elaborarle e dirigerle con la nostra volontà. Ma, a mano a mano che sognando si avverte impossibile la razionale organizzazione degli eventi del sogno per una loro immediata e partecipe "lettura" che ci consenta di viverli più pienamente, di non sentire più il sogno come disarmonia e confusione, di fermarli nella memoria, le immagini si spengono nel risveglio. La presunta veglia psicologica non procede diversamente dalla condizione in cui si vivono i drammi onirici: la nostra identità, il nostro essere è un processo di formazione del quale davvero noi non prendiamo coscienza all'atto del concepimento o della nascita, ma quando il processo è a buon punto. Più tardi tentiamo di far retroagire il momento in cui possa dirsi da noi conquistata la nostra identità, senza peraltro ritenerci mai paghi dei risultati che l'autoanalisi o la psicanalisi

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sono farci raggiungere. Ma la conquista apparente della nostra identità non basta. Il mistero circonda ugualmente le nostre scelte adulte, la nostra responsabilità, la previsione del futuro verso il quale si progetta ogni azione. Piena veglia sarebbe la fine dell'agnosticismo, la dissipazione del dubbio, il disvelamento dell'oscurità, la corrispondenza del risultato all'intenzione, della forma alla volontà di formarla e ai momenti della formazione, la risposta a tutte le proposte, mentre invece la nostra vita non consente l'eliminazione del dubbio, la distinzione dell'indistinto, la fermezza della risposta. La nostra origine come la nostra fine cadono fuori da ogni intelligibile codice e da ogni interna convalida: l'esperienza della nascita e della morte dell'altro è esperienza esterna, inautentica, non comprensibile se non in rapporto alla diversità di noi che su noi non abbiamo la nascita e la morte. prigionieri di una singolarità indefinibile, dai confini imprecisi, di fatto neppure otteniamo di conoscere interamente questa singolarità, proprio perché, per effettuare una totale ricognizione di noi, dovremmo eseguire l'intera ricognizione del tutto. La stessa chiusura è precaria in quanto ogni momento della nostra vita ci getta nella comunicazione e nella partecipazione come modalità e che sempre, di fatto, urge attuare, eppure fatalmente sottoposte anch'esse ad una parzialità della quale ci avvediamo e che ci respinge nel chiuso della singolarità. Sogno, dunque, le immagini pullulanti, variamente intessute nel sonno con il loro e il loro caotico affollarsi e sparire: ma sogno, anche, le immagini prodotte dalla veglia. « Ma ciò non toglie, come già nel mondo che nella coscienza immediata del sogno non si viva una vita di gioia e di dolore, di amore e di odio, di scienza, di arte e di pensiero, in relativa che può essere filosofia L'immagine del sogno appare, come quella dell'arte, improvvisamente nella nostra coscienza e siamo costretti a subirla e a reagire ad essa soltanto dopo averla subita. È una realtà irreale in cui veniamo a trovarci senza averlo deciso, al di qua di ogni processo critico e di ogni scelta motivata; non possessori, ma posseduti, con una coscienza che continua a dire io, senza poter dare a questa parola 56

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una consistenza maggiore dei fantasmi che trascorrono in noi. E se poi, a un certo punto, presumo di essermi svegliato, di aver scacciato i fantasmi e di attaccarmi solidamente alla realtà vera, vana è la mia presunzione fino a quando non risponda da sveglio agli interrogativi che quei fantasmi pongono alla mia ragione e non li dissolva davvero come fantasmi, nella loro origine, nel loro sviluppo, e nei loro limiti di tempo e di spazio alla mia piena consapevolezza e volontà. Fino a che questo non avrò fatto, neanche la veglia potrà assurgere a vera autocoscienza e anch'essa si risolverà in uno stato di immediatezza sostanzialmente sullo stesso piano del sogno a cui ritiene di » 24-25) La stagione romantico-nietzschiana del "sogno" rinverdisce in forse fin dall'inizio, non senza con la suggestione della psicanalisi che affiora nella presenza del concetto d'inconscio nella Vita come ricerca e, con maggiore insistenza, nella Vita come arte. La frequenza del termine e del concetto aumenta fino alle ultime opere, inserendosi nella ricorrente critica al concetto di persona e il suo significato e la dimensione in cui il concetto agisce vengono mutando e, almeno in apsi dall'originario orizzonte idealistico: per La persona, in Significato del nostro tempo, Firenze, Sansoni, 1964, pp. 107-131 e, per l'esplicito ricorso a una discussione di temi psicanalitici, particolarmente pp. 126-28. Si veda anche, di Spirito, La fine dell'autocoscienza in Storia della mia ricerca, Firenze, Sansoni, 1971, pp. 180-86. Ma, a parte questi sviluppi seriori, la risposta di Spirito negli anni trenta, pure in una prospettiva critica, di taluni concetti e teorie è tanto più degna di nota, in quanto vige il luogo comune di una impermeabilità dello storicismo idealistico italiano, dal quale proveniva anche Spirito, agli influssi della psicanalisi. Per la verità lo stesso Croce diede seria benché fortemente critica udienza alle teorie freudiane sia invalidandone la spiegazione del comico (Dì un di antimetodica costruzione dottrinale. La teoria del comico [1934], ora in Ultimi saggi, Bari, pp 280-89), ove la scuola freudiana viene qualificata « piuttosto che metafisica » 280) a causa del suo trasparente dualismo, sia nella lettera a Angioletti, direttore della « Fiera letteraria » (ristampata in quel settimanale nel numero agosto 1946 e riprodotta, col titolo Psicanalisi e poesia, in pagine sparse, serie prima, Vita, pensiero, letteratura, Napoli, 1948, pp. 258-59). Quest'ultima pagina crociana ci sembra ancora meritevole di studio, in riferimento al problema della « vitalità », pur se gli interpreti già molto meditata. In essa l'èros freudiano è ricondotto all'irrazionale, ma Croce ribadisce che « una delle della nuova filosofia è stata non solo di accogliere quel irrazionale, che è, in effetto, anch'esso razionale, ma anche di dimostrare che non si può trattarlo come esterno e nemico allo spirito per modo che lo spirito entri con esso in una guerra di sterminio, magari, di redenzione, perché esso è a sua volta una delle forme dello

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A dal problematicismo l'estremo dalla Vita come arte la Storia della mia ricerca, sopravverrà — come abbiamo premesso — la caduta della riserva situazionale. Se nel primo problematicismo Spirito ritiene che il e l'obiettare sussistano fino a che io non possa dire con certezza di aver raggiunto l'assoluta autocoscienza, nel nuovo problematicismo l'impossibilità del conseguimento di questo fine ultimo subentra come qualcosa di cui si prende atto. Un prendere atto, che è insieme una statuizione, conseguente all'uguaglianza di tutte le ipotesi alla prova pratica del consenso. Questa delega del ad un consenso non prodotto da lui taglierebbe alle radici l'istanza stessa Può dubitarsi — e chi scrive partecipa di questo dubbio che la teoria della fine dell'autocoscienza risponda alla più profonda intenzionalità contenuta nella complessiva sintassi teoretica di Spirito, ma al nostro proposito non occorre per il momento, discutere di questo. Opportuno è, invece, notare che il della Vita come arte non implica né il mancato riconoscimento e neppure la svalutazione delle attività umane fondate sul calcolo, sulla esattezza dei procedimenti, sull'esigenza della razionalità, sulla disciplina del volere. Anzi Spirito è pronto a cogliere il momento della disciplina nella spirito, come le altre e necessaria per le altre tutte » 259). Croce effettua dunque una al razionale, Spirito segue la via opposta, sebbene il suo "sogno" sia investito da una costitutiva tensione verso la razionalità, secondo un profilo di argomentazione per il quale, mentre per il filosofo degli saggi la filosofia è e lo spirito è nella razionalità, per l'autore della Vita come arte, la filosofia, e con essa la razionalità, non è, ma deve essere. Ma se la psicanalitica dell'inconscio esercita un certo fascino culturale su Spirito sin dai tardi anni trenta, essa non incide però a fondo sulla sua calda rappresentazione teoretica della vita come sogno. Basti pensare al carattere tutto considerato "intellettualistico" della spiegazione dei simboli onirici in ove traspare con molta evidenza la sua educazione positivistica. La formulazione dei modi onde nella vita si concretano le antinomie del sogno mantiene, in questa fase, uno schietto sapore di prosecuzione romantica, che la rende, se possibile, più intenso. Per un esame delle reazioni italiane alla psicanalisi, soprattutto in orizzonte letterario, in rapporto al periodo, si veda comunque sebbene teoricamente alquanto ingenuo, libro di Michel David, La psicoanalisi nella cultura italiana, Torino, sopra, nota 2.

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stessa creazione artistica p. mentre un ordine che possa esser colto da noi non esiste nel sogno del fisiologico sonno ove le immagini non riescono ad in armoniosa caratterizzate, come esse sono, proprio dalla incapacità di resistere al processo giustificativo che su di loro esercita la veglia e prima di tutto quel tanto di che filtra in ogni sogno. Non riescono a coordinarsi senza, appunto, venire snaturate dall'integrazione razionale e, spesso, addirittura sostituite dalla falsa memoria che del sogno si ha nella veglia, maschera di eticità che stende un secondo strato già probabilmente agente nell'inconscio. Ma se la presunta veglia produce una così perentoria coscienza di tra se stessa e il sogno come stato biologico, si dovrebbe concordare con la coscienza comune che non dubita della loro distinzione e non tollera che la barriera tra i due stati psichici venga comunque rimossa. Questa certezza del buon senso viene già dal dialettico che non leva scandalo per il fatto che la veglia non dissipi gli interrogativi del sogno. Ciò non avviene, per il dialettico, perché l'ideale della veglia « deve restare problema, perché il suo continuo risolversi è nella continua contrapposizione di un sogno e di una veglia quantitativamente diversi e perciò empiricamente ma in virtù della distinzione ideale assoluta che ne è fondamento » p. 27), ossia in virtù della sintesi Intanto si può osservare che né dei calcoli, né dei metodi, né dei né della disciplina del volere, la "veglia" in cui essi posti in essere ci svela il presupposto che ne rende possibile la costituzione. Ma vi è una ragione più profonda: quella per cui Spirito, al contrario del dialettico, ritiene invalido l'ottimismo del « presupposto della immobilità o dell'essere della formula del processo, per cui i due termini dell'antinomia non sono veramente antinomia, ma uno di essi, quello negativo, necessariamente subordinato all'altro e destinato a risolversi in esso » p. 27). Il problema del dualismo tra veglia e sogno viene pertanto ricondotto nei termini che hanno operato la scissura tra la logica dialettica dell'attualismo e la logica del problematicismo la quale procede all'annullamento della distinzione, giudicando che 59

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sussista « proprio per l'incapacità di determinare la negatività e la positività delle opposte esperienze e di escludere la convertibilità dell'una nell'altra L'esigenza del risveglio non può coincidere col vero risveglio fino a quando si è nell'impossibilità di determinare il limite tra sogno e veglia e cioè fino a quando i due termini dell'antinomia restano giustapposti. Finché c'è un sogno accanto alla veglia, tutto è sogno, come, finché c'è un campo nella nostra coscienza non illuminato dalla luce dell'autocoscienza, nulla è autocosciente. Non fissare i limiti della veglia e dell'autocoscienza, infatti, significa farla sfumare nel sogno, e, d'altra parte, fissarne i limiti significa insieme fissare i limiti di ciò che resta fuori e che, una volta limitato, entra dentro anch'esso cessando di essere termine dell'antinomia. Per la stessa ragione, passando dai termini di sogno e veglia e di coscienza e autocoscienza a quelli di arte e filosofia, possiamo concludere che, finché vi è arte, e cioè attività spirituale immediata non con la filosofia, non vi può essere filosofia. Una volta raggiunta la filosofia, tutto è filosofia » 27-28). Il risultato suona conferma della prospettiva Ma la rimozione che Spirito ha operato della dialettica segnare la differenza da quella prospettiva. I due termini dell'antinomia non consentono infatti mediazione, ma solo l'alternativa di un reciproco assorbimento che non determina una reale identificazione in unità. Spirito approfondisce ancora il suo esame togliendo il carattere arbitrario alla scelta della vita come arte. Assumerla in un orizzonte dogmatico equivarrebbe, come abbiamo notato, a quell'attualità che si è posta come concetto limite del pensiero, trasferendo ad essa tutti gli attributi che l'attualità porta con sé, di essere cioè filosofia, sistema esclusivo di ogni altra forma di coscienza. Arte e filosofia allora non si distinguerebbero, neppure nel senso abbastanza in cui si è affermato che gli atteggiamenti dell'unica vita (o coscienza) possano tenersi provvisoriamente distinti. L'arte-filosofia sarebbe l'unico organo della realtà. Spirito precisa che la sua affermazione che la vita è arte dire che essa « è nell'antitesi di arte e filosofia, antinomia in cui il secondo termine non riesca ad essere il terzo e cioè la sintesi e in conseguenza non riesce a distinguersi 60

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vero dal primo, ma in esso è costretto continuamente a » 31). L'estensione di questo ragionamento al rapporto vita-filosofia non conduce perciò a un inerte parallelismo quale sarebbe l'affermazione che la vita è filosofia, ma porta alla considerazione che alla filosofia o « si il valore di sintesi e allora si trascende l'antinomia risolta (e ciò si è già escluso) o soltanto il valore di termine dell'antinomia e allora non si supera il grado di problematicità che è proprio del sogno o dell'arte. Se l'antinomia di arte e filosofia si formula così: o tutto arte o tutto filosofia, la prima alternativa rappresenta tutta l'antinomia in quanto problema e la seconda in quanto Se l'atteggiamento di chi ricerca è problematico, la vita non può trascendere l'arte » p. 30-31). Proprio affinché questo atteggiamento problematico sussista, l'altro termine, la filosofia, viene indicato come quello che « fa vivere il contrasto e il problema », dando significato « alla stessa affermazione della vita come arte » p. 31). Quale dunque la "soluzione" di Spirito? Nei termini del suo universo di discorso soluzione non può esservi, tuttavia si chiarisce « il significato di una esigenza che è un dato di fatto. Il suo perché e il suo come, fino a quando non avremo la certezza dì aver risolto l'antinomia, non possono non essere un mistero » p. 31). La vita come arte, perciò, — atteggiamento ed aspetto di tutta la coscienza sognante — non è certo immune dall'esigenza e dal mistero, anzi ne partecipa intensamente. e mistero fanno della vita come arte una vita come p. 31): una ricerca di cui la riserva del "fino a quando" conferma per ora la connotazione situazionale evitando di rendere definitivo l'appello al mistero, con che conseguirebbe all'istituzione in dogma del mistero stesso. Se l'opposizione tra sogno e veglia è impropria e perché la veglia della vita è solo un'ingannevole apparenza di veglia, tale opposizione non basta è evidente — a produrre il disvelamento dell'assoluto. La vera antinomia non è quella che presumiamo si stabilisca tra il sogno e una veglia retrocessa ugualmente a sogno, ma quella che si genera tra le due forme di coscienza di cui consiste realtà e il bisogno di trascenderle entrambe cui l'esperienza non

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sa elevarsi. La postulazione, fin qui ineliminabile, dell'autocoscienza non è più la semplice postulazione della filosofia. E tuttavia l'autocoscienza non può, secondo Spirito, essere raggiunta perché essa « per essere soluzione dell'antinomia, [dovrebbe] eliminare la dualità e diventare sistema » 28). Ecco perché egli ha già affermato che « Finché c'è un sogno accanto alla veglia tutto è sogno come c'è un campo della nostra coscienza non illuminata dalla luce dell'autocoscienza nulla è autocosciente. Non fissare i limiti della veglia e dell'autocoscienza, infatti, significa farla sfumare nel sogno e d'altra parte fissarne i limiti significa insieme fissare i limiti di ciò che resta fuori e che una volta entra dentro anch'esso cessando di essere termine dell'antinomia » Ma esigere il sistema non è, di nuovo, esigere la filosofia? Nonostante gli specifici modi della critica alla sintesi dialettica che, congiunti al principio stesso della ricerca, sono titolo di originalità del pensiero di Spirito, la linea argomentativa che egli segue costituendo e limitando l'esperienza entro i termini del sogno e della veglia, svela dunque di nuovo la sua struttura quando annuncia, nella frase or ora citata, di fondarsi sul monismo sistematico: la vera autocoscienza per essere soluzione dell'antinomia deve eliminare la dualità e diventare sistema » p. 28). era l'atto dell'attualismo se non questa puntuale sistematicità di ogni dualità, cosicché parlare di sistema monistico diventasse pura ridondanza, non potendosi immaginare un sistema che non fosse rigorosa unità? E dunque « finché vi è arte, e cioè un'attività spirituale immediata non con la filosofia, non vi può essere filosofia. Una volta raggiunta la filosofia, tutto è filosofia » p. Attualità dell'arte minacciata d'inattualità a causa del rendersi possibile della filosofia con la quale non può identificarsi; inattualità della inconseguibile finché c'è arte, ossia finché c'è una coscienza vivente protesa a trascendersi, eppure mai attualmente trascesa. L'inizio della Vita come arte si chiude pertanto con la motivazione della forma data all'identificazione di arte e vita entro i termini di una ricerca che si svolge 62

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mia di arte e filosofia. Tale forma non può certamente consentire una distinzione speculativa delle attività umane e deve invece fondarsi sulla irripetibilità e diversità di ogni momento di coscienza. Con la caduta di quella distinzione viene meno la possibilità di un'estetica come particolare determinazione di campo: il bello viene a porsi accanto agli altri infiniti aspetti della realtà, come essi continuamente rinnovandosi nel concetto e nei reciproci 32). Quel che caratterizza la vita e fa di essa la storia è questa dinamicità del reale, questa spirale aperta di idee e di rapporti in cui si snodano gli infiniti eventi. La scelta del termine di arte non è tuttavia arbitraria perché « proprio nell'esperienza artistica e nei suoi attributi più generalmente e tradizionalmente ammessi, si possono rinvenire i caratteri di una vita spirituale al di qua dell'autocoscienza » 33) : che è un altro modo di insistere su quella immediata coscienza che non esclude da sé la ricerca e la disciplina. « Quell'arte da cui abbiamo tratto i motivi per caratterizzare l'immediatezza della vita spirituale di chi ricerca, se ha potuto vedere slargati i limiti fino a coincidere con la vita, resta poi, nella sua specificità, a segnare i punti culminanti della vita stessa, in quanto protesa nello sforzo per raggiungere l'universale. se l'immediatezza sensibile di ogni sfera d'arte sta lì a mostrarci l'esasperazione della di fronte al presunto universale rappresentato dal concetto, quell'immediatezza assurge a dignità artistica, in quanto è sensibile che si solleva al soprasensibile, facendo sfumare i limiti del particolare nella intuizione di una universalità, di cui non si sa rendere logico conto, ma la cui presenza supera i limiti di ogni esperienza p. 33). Niente di radicalmente nuovo, in questa rappresentazione dell'arte, rispetto alla tradizione romantica che si era andata affinando fino a Croce e a Gentile. Niente di radicalmente nuovo, si dire, per ciò che suona nel più attivo senso, dei motivi logico-metafisici di un sensibile sollevato al soprasensibile o di un immediato che "assurge" alla dignità dell'arte o del risolversi, non spiegabile intellettualisticamente, dell'intuizione del particolare nell'universalità: motivi — per restare ai vicini precedenti — riformulati da Croce e

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ti dissenso in seno all'attualismo. Ma diverge alle radici l'esito ipercritico e da cui il pensiero di Spirito è dominato, diverge la via da lui seguita nel servirsi dell'arte-sogno, coscienza immediata, per fare di essa quella totalità dell'esperienza che non offre a noi se non come un crescente cumulo di lacunosi frammenti in cerca di organizzare ad unità il perenne impulso a mettersi in comunicazione tra loro. E altra cosa dalla prospettiva crociana diventa, nel percorrere questa strada, non soltanto la negazione della distinzione delle attività che Croce vigorosamente affermava, ma lo stesso porsi come conoscitiva intuizione-espressione. Conoscenza e volizione, quest'arte abbandona la concezione di un'arte che sia sì conoma contemplazione indifferente al del reale Dal sogno alla vera realtà: questa è l'essenza, l'intima aspirazione di ogni attività artistica; e la coscienza di tale sua natura diventa alle volte esplicita nella stessa opera d'arte, che si esprime nell'interrogativo di chi ricerca. È la coscienza del sogno dal quale si vorrebbe uscire, del mistero che si vorrebbe squarciare; ma sogno e mistero continuano, e nella coscienza di essi è la suprema ascesi di un'arte che tocca il suo limite. Al di là, vivrebbe la filosofia » Ancora una volta non realizzazione, ma tensione alla vera realtà. Alla concezione di un'arte che viva la sua coscienza sognante chiudendosi serenamente nella contemplazione, producendo immagini e affidandosi alle immagini senza il tentativo di sfuggire al loro universo, si è sostituita la concezione di un'artesogno, specchio della tensione del sogno a obliterarsi nella veglia. Se cioè le passioni sono purificate e trascese nell'espressione, non per questo la vita dell'arte si circoscrive nel rasserenamento catartico, anzi dall'immagine riemerge e si alimenta il bisogno dell'arte di negarsi e correre verso la sintesi autocosciente.

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LA STORIA DEL PROBLEMA DELL'ARTE

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Lo sguardo retrospettivo della Vita come arte alla storia del valore concettuale rivestito dall'immediatezza come senso non si allontana troppo dalle prospettive di storia dell'estetica che Croce avvalorò fin dalla seconda parte della sua come scienza e linguistica generale e dalla produzione saggistica di poco successiva (e rese così abituali al nostro pensiero del Novecento) pur nell'accezione diversa ed anzi opposta dell'arte, che è categoriale in Croce e rimane acategoriale in La rivalutazione del corpo, della sensazione, della sensibilità muove da una testimonianza di vita o da un comune atteggiamento e programma di pensiero che l'autore della Vita come arte fa nascere tra Rinascimento e Seicento e che si consolida speculativamente del sensismo, nella reazione al cogito. il romanticismo, l'idealismo da un lato categorizzano più fermamente esperiscono quei tentativi di sintesi che il pensiero di Spirito giudica insoddisfacenti. Non rientra nei fini e nei limiti del nostro studio un indugio analitico sullo snello ma denso profilo ricognitivo effettuato nella parte di mezzo tale attenzione sarebbe più pertinente ad un esame del complessivo quadro delle eseguite da questo pensatore, quadro che in genere trova proprio all'interno delle discussioni e delle nuove proposizioni speculative le sue articolazioni di maggior significato ma che tuttavia si presterebbe ad una specifica enucleazione. concetto di storia della filosofia, mutato nomine, non nel suo nucleo essenziale, da quello in quanto la dimensione della problematicità non rinuncia al monismo, pur dolo da atto ad ipotesi; non rinuncia cioè a superare l'orizzonte della vita come arte e la "pluralità" propria di una tale vita. Ogni storia è storia della coscienza, ossia dell'arte, ma propria dell'arte è la tendenza a negarsi in una più vera caratterizzata e dal consenso; ed è questa la tendenza medesima della storia dell'arte che vuole anch'essa includere in sé la storia dell'aspirazione Come speculativamente non si saprebbe, a rigore, distinguere l'arte da quella filosofia ch'essa essere, cosi una rigorosa distinzione non può istituirsi tra storia

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Alla radice della concezione euristica del problematicismo e dell'intreccio delle varie direzioni esistenziali ricerca, l'arte, l'amore. pare possibile assegnare a certi motivi platonici un posto più ampio ed una funzione più forte di quanto il disegno storico di Spirito non sembri riservar loro apertamente. Una simile può estendersi, in riferimento al tema della responsabilità e in genere ad alcuni dominanti motivi Del resto, anche di queste ascendenze, il tramite per Spirito è l'idealismo; e soprattutto l'alternarsi di assimilazione e inversione degli apporti della lettura sia quando la ripresa interpretativa di Spirito appaia esplicitamente da uno scopo sia quando si manifesti intrinsecamente finalizzata al rifiutato eppure sempre affiorante sistema. Di Platone, Spirito, nell'opera che qui analizziamo, ricorda che dall'Ione si sa che il poeta è "fuori senno" o "senza la testa a posto" » (La vita come arte, 37). Nella Vita come amore persisterà l'identificazione della civiltà classica con l'intellettualismo, ma a si riconoscerà, in seguito, di aver rappresentato, rispetto alla Sofistica, l'esigenza di superarne le connotazioni in quanto l'indagine e la maieutica si arrestano alla dotta ignoranza, ossia « alla contraddizione e si [limitano] a dire non so. Ma è chiaro che le due posizioni quella dei Sofisti e quella di sostanzialmente si equivalgono per quello che sanno e si differenziano soltanto per quello cui aspirano » (La vita come amore, p. 170). « D'altra parte Socrate, se, per un verso, teneva fede all'agnosticismo e si raccoglieva nell'atteggiamento della ricerca, per un altro verso, poi, finiva anche lui per assumere un tono apodittico e per segnare alcuni punti fermi, e storia della filosofia, caratterizzate ugualmente dall'impulso fondamentale a raggiungere una verità che par prendere la forma del disvelamento, ed unificate dalla soggettivazione, in esse, dei loro oggetti. L'arte e la sua storia, la filosofia e la sua storia sono, in altri termini, dei vettori convergenti verso l'autocoscienza. La "pluralità" è apparenza e la realtà non è se non nel monistico. Per i successivi svolgimenti del pensiero di Spirito in ordine a questi si veda La storia come arte, in problematicismo, 113-33; Storia e natura, in Significato del nostro tempo, pp. 315-43; Come si deve la storia, in Inizio di una nuova epoca, Firenze, Sansoni, pp. 199-227. 68

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non fondati » p. 172). Nei confronti del te platonico il Platone meno socratico segna invece il passaggio dalla ricerca all'affermazione, in quanto egli « intende, sì, del pensiero e il conseguente intellettualismo, ma si abbandona poi al volo della fantasia sollevando il concetto al piano dell'idea e facendo calare il quarto termine del suo sofisma » p. 172). Alla determinazione teoretico della vita sognante ed immediata dei sensi, benché non alla specifica delineazione della nella sua con la sensibilità, contribuisce, pertanto, il motivo irrazionalistico della dell'ispirazione cui in Platone corrisponde la del poeta e quindi il germogliare di quella che tanti secoli più tardi sarà la figura dell'artista romantico, della sua condizione di eslege privilegiato ed esecrato. Altrettanto vi contribuisce, ci sembra, il motivo centrale del Fedone, del Simposio, del quello cioè dell'eros, del desiderio che in ambito platonico non può essere diretto se non verso il bello. Né il fatto che gli studiosi più qualificati del bello nel pensiero platonico siano generalmente concordi che l'attinenza del bello ai problemi estetici non sia da considerare specifica perché tali problemi non si erano ancora costituiti in autonomia, può toglier valore di un "platonismo" di Spirito; esso, anzi può trovar fondamento non già in presagi di quel concetto di autonomia dell'arte (come di altro che egli rifiuta bensì nel dilatarsi dell'eros a tutta la vita come energia della corporeità anelante a trascendersi nell'anima, nell'ascesa al Bello eterno, in quel infine, che, riplasmato nella configurazione della vita come sogno, è uno dei due poli della drammatica ricerca vitale nel problematicismo. Le indicazioni esercitano la loro influenza nel senso di quel determinismo della conoscenza e dell'attività umane dalla volontà divina immanente nelle forze naturali fra le quali esse si trovano ad operare. È ciò che Spirito traduce in termini « In la centralità di Dio è riconfermata con grande rigore e con sicura coscienza delle conseguenze che ne scaturiscono nei riguardi dell'uomo. 69

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Non soltanto l'uomo non conosce se stesso, ma non può neppure agire che l'azione sia fondamentalmente l'azione di Dio. L'immanenza di Dio è concepita in modo da riassorbire completamente la realtà umana, che si svolge tutta nell'ambito di un rigoroso determinismo. E l'uomo agisce guidato dal senso e dalle passioni, che nella loro immediatezza, operano come forze naturali, e di una natura che non può essere (Vita come arte, 61). I punti di arrivo di questa ricognizione storico-teoretica sono però — in proseguimento, in parte, svolta ne italiano e i suoi — essenzialmente Croce, Gentile e Nel pensiero crociano Spirito 238-55) coglie una frattura gravida di conseguenze tra la fase predialettica e quella dialettica iniziata Logica La frattura è segnata, nella prospettiva di questa concisa "lettura", dal distacco che a Spirito par possibile indicare dal criticismo "positivistico" che aveva preso corpo nel Croce giovane e continuava nella grande Estetica con la stessa teorizzazione di forme distinte che muove da quest'ultima opera. Non è, però, un taglio netto, tale da rescindere tutte le aderenze: i concetti puri filosofici, come distinti sui quali si cerca « un sistema dialettico » p. 242), sono valutati come il residuo di una logica classificatoria che non riesce ad essere interamente vinta dalle esigenze dialettiche. Gli interpreti che non si sono accorti né del diverso orientamento crociano della seconda fase, né per contro, della ipoteca che su di essa mantiene accesa la prima, hanno continuato, di fatto, a giudicare con positivistici, obbedienti, per di più, a ciò che nel positivismo costituisce la riemergenza del carattere dogmatico di una metafisica abbassata quasi alla presentazione di schemi e di sinossi mnemotecniche. Il naturalismo predialettico di Croce viene svelato dalla dualità natura-spirito che l'autore della Vita come arte ravvisa nella impossibilità, nell'ambito della Estetica di fondare l'arte come intuizione, primo grado dello spirito senza lasciarle preesistere qualcosa d'altro, appunto la materia o natura. D'altra parte, la totalità che si viene chiarendo nel periodo dialettico come attributo dell'espressione artistica, finisce per 70

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avvicinare l'arte alla filosofia, in quanto, se nell'arte si compie « il passaggio dallo stato passionale allo stato contemplativo », tale passaggio è un atto di mediazione così che la mediazione (e quindi l'arte stessa che in quella mediazione si attua e con essa coincide) « non potrà poi non definirsi se non come logica » 248). A sostegno di questo avvicinamento di arte e filosofia, Spirito riporta il passo della etica in dove Croce « conclude affermando esplicitamente l'essenza logica dell'arte » p. 248). Tuttavia Croce, se afferma tale logicità, lo fa non nell'intenzione di saldare in sintesi i due termini ma, semmai, per meglio chiarirne la distinzione. Egli sottolinea, infatti, come ragione e logica proprie dell'arte siano cosa « affatto diversa » dal logos « dialettico-concettuale ». L'asserita diversità non raggiunge, peraltro, secondo il pensiero di Spirito, un'effettiva consistenza speculativa, perché non è costituita da altro che dal qualificare la "logica" dell'arte come « logica sensitiva » o « estetica le quali darebbero « risalto alla sua peculiarità e originalità ». Spirito si domanda, di conseguenza, se il possa consistere nella distinzione tra reale e irreale aperta dalla filosofia, mentre non è nata nell'arte: ma, anche a non voler insistere tautologia, una concezione spiritualistica che abbia risolto in sé il concetto di natura affermando che « tutto ciò che vive nello spirito è spirito ed è realtà » p. 249) ha con ciò stesso annullato l'opposizione reale-irreale istituita sull'equazione tra l'irreale e ciò che 197 200 201 a, 203 204 (catarsi). Si veda in proposito: La V. A. E. Taylor, Piato. and Work di Mario Corsi, Firenze, La Nuova Italia, 1968, pp. 349-61, 434-36, 474-81; Jaeger, Die de trad. di Alessandro Setti, Firenze, La Nuova Italia, II (1954), pp. 302-37; 315, 363, 401-06, 452 L. problema estetico in Platone, Torino, 1935; L. Stefanini, Platone, Padova, I pp. 213-65, 293-96,311-36; II pp. 244-54, 361-96; A. Plebe, Origini e problemi dell'estetica antica in Momenti e problemi di storia dell'estetica, parte I Dall'antichità classica al barocco, Milano, 1959, pp. 1-80 (ma II I problemi dell'arte nel moralismo platonico e nell'estetica di Aristotele, pp. 22-54 e bibliogr. citata a 71-77). 77 e 82

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empiricamente "non esiste". La distinzione tra arte e filosofia potrebbe dunque riguardare soltanto « i diversi modi di essere del reale » nel senso che l'arte non distinguerebbe le categorie del reale in quanto non opera quelle ascrizioni predicative che la al contrario, porrebbe in essere intuizione, concetto, volizione, norma etica » La diversità tra arte e filosofia si è così identificata con quella tra coscienza e autocoscienza. Ma nell'universo del pensiero crociano l'autocoscienza, o più esattamente le funzioni spirituali analoghe a questa determinazione rigorosamente idealistica che Croce in genere sottace, non è (e non sarà neppure nell'attualismo originario) l'assoluto inconseguibile; anzi la dialettica circolare dello spirito esige che esso sia presente in ciascuno dei suoi momenti. A giudizio di Spirito, questo processo porterebbe a confermare la riduzione dell'arte (intuizione-espressione) a cosicché la teoria crociana regredirebbe alle origini dallo stesso Croce indicate per l'estetica moderna negli spunti secenteschi, nella teoria del senso comune, in e in Vico. All'argomentazione di Spirito non sfugge poi quel cardine dello svolgimento speculativo dello "storicismo assoluto" in forza del quale, per la concezione dell'arte che i suoi contenuti dalla natura, le si sostituisce la concezione dell'arte dei suoi contenuti. Alla mèta della riduzione unitaria rigorosamente perseguita dall'attualismo e da Spirito, questa prospettiva non ostacolo, appunto perché è la coscienza che crea sempre i propri contenuti. L'adempimento dell'istanza unitaria nell'attuale totalità della autocoscienza (pensiero pensante, filosofia), magari a prezzo della di ogni presa analitica sul multiforme reale, e cioè della disarticolazione dei nessi empirici, non viene soddisfatto neppure dal problematicismo di Spirito, il quale si caratterizza, appunto, nel trovarsi stretto tra il mondo sognante ma infinitamente vario della coscienza e dell'autocoscienza che dovrebbe trascenderlo. All'attualismo, infatti, egli si rivolge ancora una volta per negarne l'estrema conclusione l'autocoscienza in atto, indicando come la crisi si manifesti nei medesimi testi Così egli avverte che nella Filosofia dell'arte la coscienza si ripresenta di 72

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fronte all'autocoscienza e perciò la realizzazione perfetta di quest'ultima viene di fatto a qualificarsi come la meta non conseguita di una perenne aspirazione: « Non c'è, dunque, solo autocoscienza, ma anche coscienza, non c'è soltanto veglia, ma anche sogno. Lo verso il monismo assoluto ha toccato il suo limite. E che altro può essere un'autocoscienza non perfetta se non appunto, coscienza? Se non riesce ad dal sogno escludendo un ulteriore risveglio; in che senso può dirsi veramente veglia? Anche per Gentile, se può continuarsi a parlare di arte è solo perché e in quanto l'autocoscienza non è realizzata. L'unità è rotta e il concreto si spezza negli astratti; sì che tutto oscilla fra una falsa astrazione e una falsa concretezza. I momenti dell'atto acquistano consistenza e l'arte torna ad essere definita come se fosse in sé attuale » (La vita come arte, L'attualità dell'arte è dunque identificata con l'esserci di una "forma" o "categoria" dell'arte e l'attualismo si riassimila per questa via allo storicismo Poiché l'attualismo non può interamente realizzarsi se non in quella piena autocoscienza che ora Gentile afferma irrealizzata, principio del suo dissolvimento viene colto nella coscienza (non autocosciente) che coscienza della quale l'arte è l'aspetto. La soggettività dell'arte appare ormai, al discepolo fattosi critico con le armi della stessa logica dialettica fornitagli dal maestro, « una pura o astratta soggettività che tuttavia ha un suo modo di vita e una dialettica propria e cioè una sua propria » p. 260). Per giustificare il momento dell'arte ed il suo rapporto con l'autocoscienza, dato che esso non viene perfettamente, ossia identitariamente, assorbito nella filosofia, la dialettica « comincia a generare dal suo seno antinomie non dialettiche », a dar luogo a « pseudoconcreti », a « sintesi speciali » che turbano la linea essenziale del processo dialettico ad oscillare tra l'astratto e il concreto, incerta, ad esempio, sulla possibilità del determinarsi di una storia dell'arte. Teorema coerente al sistema monistico dell'attualismo sarebbe stato quello che, muovendo dall'affermazione che « fare la storia dello spirito », considerato sotto l'aspetto dell'arte, non si può se non « facendo la 73

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vera storia della filosofia, così come si deve fare storia della filosofia per fare vera storia della scienza » 262), non si fosse scostato dalla totale risoluzione della storia dell'arte nella storia della cioè nella filosofia court. « Le altre storie dell'arte o della scienza, invece, in quanto si polarizzino verso l'aspetto dell'arte o della scienza, non possono che determinare i mancamenti dello spirito nel suo processo e cioè gli sbandamenti dell'attività sintetica verso l'astratta soggettività o l'astratta » p. 263). Questa è l'argomentazione che sostituirsi, nei termini di un attualismo interpretato propria principia, ai ripieghi, aberranti dalla propria logica, cui il libro di Gentile si adatterebbe, lasciando prevalere sull'esigenza di non deflettere dalle linee di forza della sistematica dell'atto, la più esigenza di tener congiunta la considerazione dell'arte ai modi in cui essa si presenta alla coscienza. È dunque l'arte che, vivendo con la pressione della sua autenticità nel pensiero di Gentile, compromette l'unità del sistema forzandolo al riconoscimento dell'irriducibile persistenza della coscienza immediata: « Basta, infatti, ch'essa l'arte] viva per un attimo come coscienza di fronte ad autocoscienza, perché la filosofia scompaia e tutta la vita sia arte » p. 263). Il fallimento dell'estetica e di tutta la filosofia idealistica, costretta in una via senza uscita dallo stesso rigore della propria dialettica e spinta quindi a capovolgerla nella sfera dell'alogicità, riapre alla riflessione sull'arte il versante irrazionalistico del "romanticismo", estremizzandolo: « romanticismo non soltanto non è finito, ma esce esasperato dalla prova » p. Spirito, così, si indietro, per un da Croce e Gentile a e a testimoni più spregiudicati e sensibili dell'immediatezza quanto meno condizionati dall'esigenza hegeliana del sistema, sia pure come una filosofia del divenire che rifiuta la metafisica dell'essere e ad essa sostituisce la realizzazione dello spirito nel mondo. Per « occorre andare oltre lo stesso mondo Per le coppie in tensione socratico/dionisiaco e per l'assenza del tragico sono da vedere, oltre Die 74

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l'arte e del sogno, perché, come quello della filosofia, anche esso importa un certo sdoppiamento di soggetto ed oggetto e quindi un atteggiamento contemplativo, ottimistico, implicante il della rappresentazione e della apparenza. L'arte è già mondo apollineo e la vera vita è nel dionisiaco. Al sogno occorre contrapporre l'ebrezza, ossia il misterioso stato del soggetto in cui opera qualcosa che lo trascende o la trasvaluta » 264). L'indicazione del più profondo apporto della civiltà greca all'individuazione dell'uomo nel dominante carattere dionisiaco dell'età presocratica, l'età, appunto, dei tragici, ove l'ebbrezza contrapposta al sogno costituisce l'essenza tragico-pessimistica dell'uomo, più tardi sviata dall'assoggettamento alle esigenze logiche espresso dallo schematizzarsi intellettualistico dell'arte apollinea, indurrà poi ad abbandonare lo stesso punto di vista della Nascita della tragedia ed a varcare il mondo dell'arte spingendo il suo pensiero verso l'estetismo attivistico della Volontà di potenza. È in questo, cioè nella prevaricazione dell'azione, che Spirito, tanto lontano da Croce nell'intenzione teoretica, ma da lui non alieno nei profili di alcune diagnosi fa consistere il sorgere di quella crisi del pensiero e della civiltà nella quale ancora il mondo contemporaneo si dibatte: « Romanticismo, dunque, ancora più profondo e radicale quello di oggi, in cui accanto alle forme più perlomeno Die

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e le Fiinf Per gli scritti dell'ultimo Nietzsche, cui talvolta ineriscono i motivi dall'estetismo "fatale", è ancora utile il volume di Friedrich Das 1940. In rapporto ai problemi cui si accenna nel testo, mi limito a ricordare: O. Das bei Nietzsche 1935; Jaspers, Nietzsche, in Berlin Leipzig, de libro II, II; A. Pellegrini, del pensiero e della vita, Milano, Garzanti, pp. 20-47, 72-103, 329-63; M. 1961, Der pp. 11-254; E. Nietzsches Philosophie, 1960, cap. I; Nietzsche et la philosophie, de 1962, pp. 1-43, 116-18, 217-22; F. Masini, degli estremi. Studi su e Nietzsche, Parma, parmense, 1967, parte II Nietzsche e la morte di Dio come del nichicap. II La costellazione semantica di pp. 95-114.

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superficialmente si avverte come non mai il senso tragico della vita e la crisi di tutto il pensiero moderno. Crisi di pensiero e crisi di civiltà, lo spirito del romanticismo si è esteso a tutte le della vita ed è giunto, sotto varie forme, fino alla coscienza delle masse » 271). della Vita come arte, il romanticismo viene così, ad un tempo, denunciato ed assunto, perché la filosofia di Spirito sa di non potersi eccepire dalla crisi, ma di doverla profondamente vivere per tentare di uscirne. Posizione, questa, intensamente romantica, che vedremo subito come Spirito affronterà. Gli sforzi di Spirito per annientare l'intellettualismo e liberare del tutto la realtà ad una che sia altro da una, sia pur fondante, esigenza, sono dunque prodotti con una stringente logica costantemente rivolta alla invalidazione di tutti i termini. Questi infatti non possono evadere dalla posizione ossia dal procedimento logico stesso in cui s'inscrive la concezione della realtà. La presenza di un atteggiamento logico e di strumenti logici nel pensiero di Spirito, presenza che dai critici è fatta oggetto di un'accusa di contraddizione e d'inadempienza delle sue stesse affermazioni, non può essere in alcun modo smentita; eppure non meno arduo si presenterebbe il compito di chi, sul fondamento logos, non volesse poi dare atto, al filosofo del problematicismo, del pertinente rilievo e della particolare nella configurazione che egli ne fornisce. È proprio tale denuncia proveniente da una spregiudicata adozione di esso come modalità del logos, è proprio la constatazione, che il pensiero opera in se stesso, di trovarsi stretto come in una morsa tra pluralismo e l'assoluta permanenza e stabilità dell'identico, a fare della situazione speculativa di Spirito una così sincera presa di coscienza del perenne dramma umano. Compiuto il pèriplo storico col riportare La vita come arte al combattivo colloquio con i contemporanei, i capitoli più importanti per tirare la fila delle argomentazioni precedenti sono il sesto (Arte e filosofia, 273-98) e il settimo (Arte

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e critica 299-326), mentre (La vita come opera pp. 327-46) presenta soprattutto l'efficace ipotesi riassuntiva di una visione della vita posta a contatto con la flagrante crisi di civiltà che proprio negli anni in cui Spirito scriveva questa sua opera era entrata in una delle sue fasi più convulse e orrende per trasformarsi poi nella sfibrante consunzione di un cronico male. Ma sulla crisi della civiltà termine che un tempo ritenevamo poco più che la retorica di un fantasioso irrigidimento mentre ora dobbiamo rassegnarci a constatarne la natura di giudizio storico realisticamente idoneo a caratterizzare uno stato di radicale disorientamento e insicurezza ove le forme dell'umana coesistenza sembrano venirsi progressivamente degradando — lo sguardo di Spirito non è, in ogni caso, quello della condanna moralistica di colui che sa e neppure lo sdegno immediato di chi da quella crisi è ferito. È, invece, lo sguardo commosso e partecipe di chi non sa, in quanto egli stesso è parte di un tutto che anche in lui si svolge, che gli è dato ed al quale egli si dona. Dal suo osservatorio egli si sente tuttavia nella crisi perché la vive e vuole insieme comprenderla e tentare di uscirne. il discorso alle ultime note della precedente verifica storica, Spirito rende esplicito l'immanente confronto della propria posizione col romanticismo e con l'estetismo. Limite del romanticismo egli giudica il « non avere coscienza della propria incapacità a uscire dal razionalismo » 279), ossia sempre il residuo intellettualistico. se questo è il suo limite, è chiaro che la concezione della vita come arte implica, per un verso, dell'esigenza romantica e, per un altro verso, invece, la esigenza di uscire dal romanticismo. È ultraromantica, in quanto riesce a determinare il residuo dogmaticamente razionalistico, non solo di ogni filosofia del romanticismo, ma anche di ogni atteggiamento sorto sul fondamento di una attività etica o artistica, che si proclami libera da ogni preoccupazione metafisica e ed è poi antiromantica nella constatazione dell'incapacità di evitare il problema nel suo duplice aspetto metafisico e Il nostro romanticismo è il più radicale possibile, appunto perché aspira 77

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soltanto a uscire da se stesso. Non è romantico perché negare il razionalismo, ma perché non è capace di negarlo, e trova nella propria coscienza il bisogno inesplicato di un risveglio, che non sa concepire altrimenti che come assoluto razionalismo. Con esso si segna l'estrema forma delcartesiana di un pensiero che possieda veramente se stesso e la realtà » pp. 280 e Estremo romanticismo, dunque, ed estremo razionalismo convergono indissolubilmente nell'orizzonte di Spirito, utopico fine del romanticismo essendo l'assoluta razionalità, quella razionalità che non si può distruggere e non si sa raggiungere. Non dissimile l'esito della commisurazione all'estetismo, rispetto al quale Spirito esperisce due gradi di approfondimento, corrispondenti a due accezioni dell'estetismo e degli atteggiamenti che in esso si risolvono. Il primo è quello per cui, posto che « estetismo, edonismo e moralismo si identificano sul piano dell'immediatezza del gusto, essi si riducono a una grossolana metafisica » del valore o dei valori assunti nella loro pretesa di esclusività. A questo estetismo La Vita come arte oppone un rifiuto nettissimo. Tutto, è vero, è arte, ma « con il bisogno sempre più acuto che cessi di essere tale e diventi filosofia. Il vero valore è visto al di là dell'arte, in una sfera non raggiunta e che non riusciamo a concepire altrimenti che come negazione dell'arte » 284). La ricerca che permea il mondo dell'arte è ricerca di ciò che non sia arte ed è proprio opposta all'estetismo: « Ricerca dire scienza ed economia che aspirano a divenire filosofia etica: arte, dunque, che non si esaurisce in sé, ma guarda al vero e al bene che le mancano » (pp. 284-85). E come l'estetismo è rifiutato perché la "vita come arte" è trovarsi nell'arte, ma con di esservi e spinti di evaderne, allo stesso modo si respingono « il carattere sensibile dell'arte, la sua e la sua amoralità » p. 285), come determinazioni assolutamente definitorie della vita sognante. La vita sognante ne è certamente caratterizzata, ma, investita, tenta insieme di superarle. L'arte tende cioè intimamente ad essere ad inverarsi nella filosofia, ad attuare la norma etica, tende cioè a trasvalutarsi. 78

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La spiritualità, la logicità, la moralità quali fini dell'arte sono il contrario della religiosità ritualistica, della concettualità che si esaurisce in deduzione e sillogismi e del moralistico culto degli istituti ridotti a forme sono cioè il contrario della formalistica della coscienza vivente. Tuttavia questa tendenza centrifuga dell'arte non verrà ad orientarsi nello stesso senso in cui l'arte prende posto nel disegno della dialettica di Hegel e di Gentile. Gli strumenti logico-argomentativi usati da Spirito valgono certo, anche in questo momento della sua ricerca, a rendere evidente come la "riforma" — o contestazione che sia — dell'attualismo che egli affida al procedimento del pensiero dell'antinomia, consista nel sostituire la mediazione dialettica con la tensione non superabile tra due poli in conflitto. Il riferimento al suo metodo di conversione degli opposti che comprende l'obiezione e il logicismo che, fossilizzandosi nella stasi, vorrebbe sopprimerla, e simili coppie di opposti) rende tuttavia possibili alcune considerazioni interpretative che qui cerchiamo di enucleare. Da un lato, seguendo la direzione che l'autore imprime al suo pensiero, viene ribadita in quanto i due termini in conflitto sono l'obiezione all'immediato (la ricerca in cui la vita come arte s'impegna) e la rimozione dell'obiezione nella presunta soluzione dogmatica (intellettualismo ed atteggiamenti ad esso riducibili, quale appunto la garantita). Le note del ritmo logico restano, pertanto, due, in quanto il sogno della vita come arte, includendo in sé il momento dell'obiezione, si costituisce problematicamente, ossia si pone come termine di un logos. Dall'altro lato, però, può avere legittimità l'ipotesi che, nel trascorrere dall'uno all'altro termine, la mediazione riaffermi una sua attuale vigenza. Un processo di mediazione può riconoscersi, infatti, in forza del quale la vita come arte, protesa verso la "veglia", non intende distruggere ma trasformare in quella gli aspetti del sogno (toglierli e conservarli). Ossia, lo stimolo sempre di una mancanza che si vuole annullare (quindi, che divenire presente pienezza e che, pur non riuscendo a trascendersi, è tuttavia in grado di porre in atto delle opzioni etico-conoscitive) genera un movimento della coscienza non 79

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definibile altrimenti se non come carattere processuale, autoproduttivo, Se l'antinomia non è priva di una forza operante sugli opposti termini che la costituiscono, la contrazione in diade del ritmo ternario non basta a distruggere la positività della dialessi. Il protendersi della coscienza verso la autocoscienza e la corrispettiva configurazione di un logos che comunque, utilizza la vita "sognante" della coscienza in realtà un dialettismo libero dalla di una sintesi che si contragga di fatto in meccanica necessità. Il nesso è la dimensione che precede ed autorizza questa prospettiva. Non può dubitarsi, infatti, che la logica dell'antinomia quale è presentata da Spirito, se non voglia essere riassorbita nella logica dell'identità e della noncontraddizione, debba concepire in rapporto dialettico, ossia di mediazione, l'alternanza della posizione della dualità antinomica con la sua dissoluzione dello sdoppiamento del termine). Forse che qui si è presentata come di una latente intenzionalità limitativa dell'ipercriticismo in quanto essa intende sorprendere in tale dimensione della filosofia la possibilità di restaurare una positiva nella forma del libero non è, proprio a causa del suo recupero positivo, esattamente quella che Spirito accetterebbe come tale da caratterizzare dall'interno il suo pensiero di quegli anni. Nondimeno essa viene suffragata dalla struttura argomentativa degli innumerevoli luoghi in cui ricorre l'inquieto dittico dell'antinomia. Si guardi, ad esempio all'articolazione discorsiva in cui il filosofo enuncia una seconda e più essenziale qualificazione dell'estetismo o piuttosto del suo estetismo. Egli lo rappresenta sì come un aspetto costitutivo del problematicismo, rispetto al quale dunque l'estetismo non può sfuggire di riconoscervi il proprio sbocco speculativo; ma, come comprendente in sé, seppure vista « in assoluta coincidenza con l'immediatezza della vita una qualche pretesa di mediazione », in ragione della quale, esso mette capo « a un aprioristico razionalismo » 290). L'estetismo "fatale" non concede dunque spazio ad una dialettica costruttiva, perché « non può non esprimersi nella forma 80

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di un altro estetismo », ed insieme « questa necessità sente come un dato al quale vorrebbe » 291). La persistente ambivalenza sancisce darsi dell'esigenza dialettica, pur non soddisfacendola nel senso della conseguita assolutezza: c'è estetismo ed estetismo, e se l'estetismo è qualcosa di diverso dall'estetismo intellettualistico quale si in un della coscienza e dell'attività umana, tale diversità altro non è se non la consapevolezza ossia la coscienza dell'antinomia. Ossia tale coscienza esercita una funzione di sull'estetismo volgare facendolo assurgere alla consapevolezza dell'estetismo fatale. Se nella vita come arte la distinzione delle tre forme spirituali svanisce, pure si riconosce loro « un contenuto storicamente determinato » p. 297), dove tuttavia questa ammissione — che non può che includere una di quel contenuto storico, altrimenti impensabile, — è una nota dissonante di fronte all'inflessibile ricorso del filosofo all'esigenza unitaria, ai precedenti da cui egli la fa derivare, ai termini di cui si vale per nonché al concetto di storia che a un'esigenza così configurata possa saldarsi. Comunque, in rapporto al senso in cui Spirito ritiene che questi storici contenuti lascino persistere la distinzione tradizionale, fatale inverte il ritmo ascendente dell'arte verso la religione e la filosofia. L'atteggiamento e quello religioso sono ciò che frena la libertà della vita come arte e induce nell'arte, anche nel significato specifico che essa ha nel linguaggio comune, un elemento dogmatico. « Se non che la liberazione, come si è già avvertito, non può essere assoluta, perché l'arte se si è liberata dalle false soluzioni dell'antinomia non si è poi liberata dall'antinomia, e l'antinomia la costringe continuamente a negarsi o a irrigidirsi in vaghe forme di filosofia o di religione » p. 297). Dunque l'arte decade verso la religione e la filosofia piuttosto che elevarsi ad esse. E se questa decadenza si non è evidentemente per un processo analogo a quello per cui, in Hegel, le arti spiritualizzano la loro veste sensibile ed acuendo la loro interiorità sporgono oltre di sé, e muoiono 6

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nella religione e nella filosofia considerate come più alti valori di dell'assoluto. Il profilo di questa argomentazione porge a Spirito la chiave per spiegare la genesi del cerebralismo artistico che serpeggia sempre tra le intenzioni d'arte e diventa dominante nell'arte contemporanea. È questo il nesso che fa tornare il filosofo alla diagnosi del mondo moderno, alla zona di confluenza dell'arte come intenzione di produrre determinate opere con il modo di vivere tutta la vita come arte. « L'ispirazione finisce e comincia il cerebralismo. Il che avviene tanto più facilmente quanto più la coscienza critica è sviluppata e cioè quanto più la vita come arte aspira a diventare filosofia. Più diventa forte l'esigenza del risveglio e più s'ingrandisce il pericolo dell'illusione di averlo conseguito: come si vede appunto nell'arte contemporanea, dove l'astrattismo intellettualistico è giunto a forme paradossalmente morbose. Meno teorie e più ispirazione: si suggerisce d'ogni parte, e si intendere più ricerca e meno pretesa di aver trovato. Perché il cerebralismo non consiste nel pensare o nel riflettere dell'artista, che è anch'esso ispirazione, ma nel riposare sulle conclusioni del pensiero e cioè la ricerca nel metodo e l'arte nella tecnica. Allora l'arte decade a religione o a filosofia ed è condannata come misticismo e moralismo o artificio logico » 297-8). Il cerebralismo dell'arte non è altro dunque che la conseguenza dell'illusione di passare dal sogno alla veglia e del fallimento di questa illusione. La teorizzazione che ne fa Spirito s'innesta perfettamente nella concezione dell'autocoscienza in ragione della quale il pensiero si qualifica come la forma ipercritica assunta dal mito della filosofia definitiva: della veglia, ove esso potesse avverarsi, si realizzerebbe la trasvalutazione di tutti i valori e la risoluzione dell'antinomia coinciderebbe con la dissoluzione di essa, cioè col dissolversi dell'attività problematizzante. Altra filosofia non vi è se non questa cui si tende: definitiva, perciò, anche se, o proprio perché, inattuata. E a questa posizione di una definitività che continuamente ci sfugge si commisura tutta la ricerca della vita sognante.

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CRITICA D'ARTE E OPERA D'ARTE

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Nel nesso di pensiero che unità all'opera, il capitolo Arte e crìtica d'arte (La vita come arte, 299-326) ci modo di vedere come sia superficiale quella che giudica scarso l'interesse di Spirito per l'arte in senso specifico, come prodotto umano che « rappresenta i momenti culminanti del tendere [dell'uomo] all'assoluto che gli sfugge » 307). Il capitolo consta di una critica serrata dei concetti dominanti di "età" dell'estetica che si può dire raggiunga il suo maggior grado di consapevolezza pera crociana. L'atteggiamento di Spirito non si dissocia totalmente — per quel che esso implica — da quella estetica pur se si propone di invalidarne con polemica energia principi e risultati teorici peculiari e, in quell'orizzonte, assai rilevanti. Certe prospettive, infatti, quali ad esempio proprio quelle sul modo in cui concretamente si manifesta la critica d'arte, non sono incompatibili con un punto di vista che si rapporti alla lezione crociana assumendone l'interna se non s'irrigidisce (e per taluni aspetti di specifica inerenza si può, come ipotesi di ricerca, prescinderne) quella dottrina delle categorie che la "filosofia dello spirito" specificamente avvalora e nello svolgimento successivo non abbandonerà mai apertamente. Occorre dunque intendere le modalità critiche di Spirito nella loro correlazione all'universo teorico di cui fanno parte e nel rapporto di storica tensione con le altre estetiche. Con queste i contatti e gli incontri non avvengono, d'altra parte, col proposito di un'astratta commisurazione alle particolari tesi che esse vogliono approfondire o respingere, ma mediante una decisa scarnificazione, una riduzione all'essenziale del loro motivo genetico e degli esiti cui tale motivo conduce. Non importa, così, insistere sul fatto che, per Spirito, non si né una distinzione categoriale della critica d'arte, né un inserimento di essa nel processo teoretico (ossia logico) come suo costitutivo predicato, essendosi questa intesa

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me quella filosofia che non è, pur se potrà essere in una situadi risveglio nell'assoluto la soltanto sunzione dogmatica potrebbe negare. Cadendo la distinzione delle forme spirituali, cade con essa ogni distinzione meta-empirica. La critica non si può dunque definire come giudizio contrapposto al dell'arte, la quale è pur essa desiderio di penetrare non solo il motivo cui forma ma i procedimenti stessi della sua attività formativa: il fare non può non essere giudizio di ciò che si fa e il giudicare non può non esprimersi in un fare che è opera d'arte » 302). È un modo di prospettare mutua coincidenza di teoria e prassi. Ma va oltre il semplice volto logico del problema, per assumere l'aspetto di una concreta diagnosi storica, l'osservazione, in ripresa della teoria della decadenza e dell'arte in religione e in filosofia (ma anche in rapporto col suggerimento del gusto), che « La presunzione logica è il limite della sensibilità e non può non attenuarla nell'inerzia del metodo » p. 302), e che la motivazione logica dei giudizi « o li altera o impoverisce riducendoli a un astratto schema preconcetto o si dissolve di fatto nelle varie determinazioni immediate della p. Ma accanto a questo profilo diametralmente opposto a quello crociano della critica, perché opposto è il concetto di filosofia, ecco l'ammissione, attribuita da Croce alla del buon senso, ma dal filosofo accolta e ragionata, « che il critico può sapere distinguere, anche senza avere capacità di teorizzare il criterio di distinzione che lo guida ». armonia con questo richiamo crociano, Spirito riconosce « la possibilità dell'immediatezza del giudizio critico » p. 303). La grandezza del critico si determina quando « il criterio metodologico [conserva] l'elasticità del gusto [e] l'ispirazione e artistica senza cristallizzarsi in una formula che arresti il processo di ricerca o di ulteriore intendimento dell'opera d'arte » p. 304). E il momento della rievocazione, la sintonia del gusto, non è, per Croce, momento costitutivo del processo per cui la critica si pone come giudizio? In ragione di un giudizio di gusto prendono senso, nella fisionomia che critica d'arte conferisce Spirito, il 86

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resse, la la catarsi, aspetti, o piuttosto sinonimi, dello sforzo umano verso l'assoluto, come l'amoralità, l'inutilità sono sì caratteri dell'arte ma soltanto in quanto contrastino al moralismo, al concettualismo, ossia alla degenerazione dell'unitaria tensione verso il valore. Se quelle ricerche non pongono come esaurite e « anziché presentarsi in veste dogmatica vivono dell'ansia della scoperta, le stesse ricerche dell'utile, della morale e della logica si rivelano anch'esse e a quegli elementi finora scartati si riconosce l'attributo della bellezza. E belli si dicono, con spontaneità il buono e il vero, l'atto del santo e il pathos del quando in essi si vede non l'arbitrio di una conclusione ma il desiderio di una conquista » p. 308). In modo corrispondente, l'approfondimento della bellezza induce a cogliere in essa « alcunché di utile, di bello e comunque di sia pure sotto la forma di canone estetico o di metodologia e tecnica artistica » p. La presenza del gusto nella critica d'arte è dunque costitutiva e necessaria; ma è così perché, per Spirito, il gusto alimenta poi e confluisce in ogni altra manifestazione della coscienza. Vi è una "preferenza" non soltanto nel bello, ma nell'utile, nel buono, nel giusto, nel vero... Come viene sottoposto all'antinomia « il problema di ciò che la critica d'arte debba essere », così appare a Spirito improponibile una soluzione univoca dei singoli problemi che scaturiscono dalla definizione del concetto di arte » p. 309). A qualcuno di essi — si veda, per esempio, il problema dell'unità dell'opera — la concisa discussione che ne fa La vita come arte apre prospettive originali. La necessità del carattere unitario viene dissacrata, anch'essa, mediante una puntuale coincidenza delle ragioni che definiremmo sistematiche (se l'arte « è concepita come la vita che tende all'assoluto, l'unità dell'opera d'arte è esclusa a priori, in quanto il suo realizzarsi risolverebbe l'arte nella filosofia. L'arte non può essere che frammentaria, come frammentario è il sogno che, appunto perché tale, si differenzia dalla veglia », p. 310) con le ragioni della diretta osservazione. Ma tale dissacrazione non nega l'ispirazione, anzi la preserva dal degradarsi in quel luogo comune che l'aveva svuotata di senso 87

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abbassandola di a risultato (tautologico) di una deduzione. Non bisogna surrogare, canto, deduzione con deduzione. Il riconoscimento della frammentarietà non vuole essere perciò, in Spirito, del frammentismo né per rispetto della formale coerenza del proprio pensiero né per pressione di una scelta del gusto, di una sottintesa poetica di È invece l'individuazione, in questa come in tutte le altre direzioni della ricerca, dell'aspetto dell'attualizzarsi della nonsoluzione. La negazione dell'unità (o, propriamente, del bisogno di non è affatto necessaria conseguenza dell'attribuzione di dignità al frammento, perché anzi « se la natura dell'arte è molteplicità, in questa sua natura è poi anche una prepotente aspirazione alla unità dello spirito » 310). Negazione apparente, dunque, se il frammento si ricostituisce ad unità. Il generale orientamento impersonalistico del problematicismo, come ha il suo primo e più oneroso riflesso nell'eliminazione della responsabilità individuale, così intacca profondamente anche il concetto di personalità dell'arte. Il soggetto agente è un soggetto cosmico del quale niente si può affermare, altrimenti non avrebbe più senso l'angoscia di essere a noi stessi, di trovarci immersi nella vita come nell'atmosfera del sogno; pertanto non sembra neppure la denominazione qualificante di Io trascendentale. È, in estrema analisi, una forma di panteismo sulla quale però si accendono le obiezioni e le sollecitazioni della problematicità. D'altra parte, osserva Spirito, neppure sul piano naturalistico si può giustificare l'opera d'arte come prodotto proprio della persona empirica, a motivo della « varietà dei momenti determinanti » nei quali « l'unità dell'individuo empirico si scinde » p. Le considerazioni sull'arte in senso specifico, accennate nella Vita come arte, sono solo il preludio ad una successiva fase d'interrogazione e di riprova attiva sui medesimi problemi che troverà spazio nella meditazione più che decennale destinata a confluire nella Critica dell'estetica e che si colloca, come vedremo, nell'orizzonte Si deve così riconoscere che, come l'arte, anche la critica d'arte, pur non essendo — a differenza del diritto penale, della dottrina

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dello stato e della politica — una "scienza" approfondita da Spirito come campo dei suoi specifici interessi, manifesta ugualmente un pertinente impegno del Questo impegno emerge non solo come che, al pari di ogni scienza, finisca per rimandare la fondamentale ragion d'essere della critica alla totalità della vita, ma emerge anche del parlare comune che dalla critica, come da ogni altra attività di ricerca, pretende in fondo una determinazione di oggetti e di metodi e coincide perciò con l'atteggiamento delle scienze specifiche in quanto, viceversa, resistenti all'ammissione della esigenza di totalità. La prospettazione bivalente e delle istanze critiche nel problematicismo, produce un accostamento all'arte all'arte degli artisti assai meno vago di quanto le linee direttive sulle quali si svolge il pensiero di Spirito lascino pensare. La discussione sui caratteri di unità e di universalità dell'arte si determina — è vero — facendo nucleo su alcuni teoremi in rapporto tra di loro che, per i modi rigorosamente logici della loro formulazione, sembrano prescindere dall'esperienza dell'arte, ma l'argomentazione che conduce a questo quadro d'identificazioni e di opposizioni non in via non fondarsi su quella esperienza concreta, proprio perché esperienza d'arte è tutta l'esperienza del vivere. Di più, ben difficilmente potremmo disegnare quella generale concezione se non lasciassimo spazio, in essa, alla suggestione esercitata dalla presenza di alcuni concreti modelli, alla pressione di talune istanze, all'indicazione di un certo gusto che le è immanente e che viene subito e confluisce perciò ad alimentare non le intolleranti scelte delle poetiche degli artisti, ma il senso della imprevedibile novità e multilateralità dell'opera d'arte. Si tratterà — tornando alla questione del rapporto all'unità di ciò che comunemente si indica come frammento — di una testimonianza critica di quei modelli e di quel gusto che hanno reso l'uomo moderno ipersensibile all'arte frammentaria, ossia che hanno stimolato in lui il bisogno di produrre frammenti e di penetrare la genesi del frammento. In risposta a tale esigenza l'atteggiamento verso l'unità dell'arte e verso quel che contraddice tale principio, si sdoppia, infatti, nei momenti della comprensione e giustificazione del frammento in quanto frammento

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(per cui ipotizzare un'arte frammentaria non suona più come una in e nel riconoscimento di una unità interna del frammento stesso. Si fa dunque luogo a ne di "frammento" che non lo qualifica più acriticamente, — come inerzia di fronte alla dell'unità ma come quella che è coesistenziale al non darsi dell'unità stessa, ossia al fondamento Ognuno vede quali ampie possibilità di avvaloramento offra alla concreta delle opere d'arte così effettuata del concetto di frammento e come ne venga positivamente risolta la possibilità di riconoscere unità "estetiche" materialmente comprese come "parti" in compagini che di unità hanno solo nome. L'isolamento di unità non deve tuttavia intendersi come tale da rescindere necessariamente la relazione a quel che in apparenza non coopera al costituirsi dell'unità stessa. Ciò è conseguente proprio al fatto che l'unità non esiste come dato, ma come la tensione che anima il frammento e può essere fiacca nel presunto "tutto" di cui quel frammento si era, appunto, qualificato "parte". Non diversamente, assumere senza che ciò che ha carattere estetico abbia il valore dell'universalità equivale a dare per posseduta quell'autocoscienza nei confronti della quale la ragione che pur è nel senso, nella particolare sensazione dall'arte, non è, al contrario, se non la manifestazione d'un desiderio, non certo l'attribuzione di una qualità spirituale attuata che attinga l'arte in perfetta equazione dell'arte non sarebbe se la sua universalità fosse senza ostacolo. Se poi l'universalità s'intende come empirica ponderazione del consenso, è proprio l'atteggiamento critico, ossia lo sforzo d'individuazione e di ad obiettare all'unanimità e incontrovertibilità del giudizio e quindi, a promuovere il differire del gusto. La concezione dell'opera come oggetto che non si costituisce in eccezione rispetto alle leggi del consumo, la reazione relativistica all'arte come valore, e le prime ipotesi della nuova sociologia dell'arte sulle oscillazioni del gusto sono, in sincronia con La vita come arte, anch'essi, e riflesso, della sensibilità contemporanea incline a scelte e disposta a 90

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ni di modi di essere e di produrre che, da quegli anni, si sono esasperati. Anche a questo proposito la spiegazione che Spirito delle infinite differenze è tale da tener conto e delle tendenze e delle operazioni scientifiche compiute sui loro prodotti; ne tiene però conto non per immedesimarsi con esse in una identificazione appagante, ma per all'orizzonte inconsumabile della speranza unitaria: « Non soltanto l'universalità si spezza nella molteplicità degli infiniti giudizi, ma nessuno di noi ha più la possibilità di riconoscere un momento di assoluta bellezza e di fermarlo in un giudizio perentorio di valore. L'universalità dell'arte è svanita perché attraverso il processo critico che doveva garantire il mi piace del senso, si è rivelata come la stessa universalità della filosofia non posseduta » 313). Neppure l'invalidazione tiana del concetto di persona (che, peraltro, nella dimensione del suo pensiero il fianco a non lievi obiezioni, come quella che il problematicismo trovi proprio nell'infinità dei personali punti di osservazione e centri di giudizio il più fertile terreno per la sua affermazione e quindi si regga meglio su una concezione personalistica che non sull'opposta) rimane inoperante ai fini dell'attestazione di un interesse e di un gusto, si tratti di gusto che avverta in sé come ingannevole l'abbandono alle proprie suggestioni irrelate. Basti pensare come, pur se intesa la collaborazione in senso naturalistico, il venir meno dell'attribuzione di un'opera a un soggetto individuale consenta una miglior comprensione del cinematografo. Da questo "mezzo di l'impersonalità si estende a procedimenti e a tecniche sempre più diffuse nelle altre "arti", siano esse quelle tradizionali, o d'oggetti e compimento di gesti che con le arti tradizionali poco ormai abbiano in comune. In corrispondenza se ne estende la comprensione. Del resto l'atteggiamento di Spirito non inaugura al riguardo una nuova concezione perché era, nell'ambito della riduzione nella persona a pratico istituto, la posizione stessa di Croce fatte salve le riserve dovute alla del cinema e alla sua prevalente destinazione all'intrattenimento, che, pertinenti nell'ambito crociano, nell'universo 91

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non hanno modo di sussistere come obiezioni pregiudiziali; tale, senza neppure quelle riserve, era nella dimensione avverte, in Spirito, una maggiore attitudine a sentire ed a vivere con spregiudicata adesione le conseguenze delle sue proposizioni in rapporto alla realtà che È questa più "moderna" disponibilità che distingue nel concreto la sua posizione dalla pura concessione teoretica ad una realtà dell'arte o della come arte" alla quale, in fondo, non si partecipi con autentico interesse. La teoria del soggetto (autore) impersonale sposta su un piano diverso un'altra questione molto dibattuta, quella del tradurre. Tale problema non può più risolversi con la semplice inammissibilità della traduzione del valore poetico in ragione della sua creatività. Contestata la categoricità dei valori distinti, ognuno dei quali abbia uno statuto metafisico proprio, risolta la soggettività pensante ed agente in una sempre unica e sempre mutevole, questa ritraduce perennemente le sue espressioni perché a lei interamente si appropriano e momenti del suo creare sono tanto la creazione cosiddetta originale quanto quell'altra creazione che è la traduzione. Anche qui, però, il problematicismo vive del monismo al quale ugualmente si riconduce, in forza dello stesso concetto di soggettività e senza che su di esso il principio dell'obiezione operi un cambiamento deciso, l'assimilazione del bello di natura all'attività artistica. Ove infatti la natura venga assorbita nella coscienza, non è più dato distinguere la sua da quella delle opere d'arte in ragione dell'assenza, in essa, di ogni intenzione d'arte. Viene così scossa l'opinione ormai comune che, viceversa, non riesce a spiegare come mai si produca un'emozione non distinguibile da quella suscitata dall'arte là dove non è possibile cogliere alcuna finalità estetica; e, insieme, la posizione hegeliana per cui Dio ha maggiore onore dall'arte, prodotto spirituale, che dalla natura. Le poche pagine che Spirito dedica, in questa fase, all'arte ed alla critica d'arte sono che prive di forza e di risonanza come interrogativi stimolati dalle opere che la civiltà di quegli anni porgeva e dalle poetiche che sostenevano gli intenti di quelle opere con maggiore o minore rispondenza 92

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L'avvincente spirale del in cui si esprime la logica dell'antinomia contribuisce non in quelle circostanze, a rimettere a problema i concetti dominanti e così ad ampliare l'area della comprensione attenuando le istanze valutative. A queste, infatti, rimangono vincolate tanto le poetiche quanto il cosiddetto "realismo delle estetiche se esse non sono abbastanza vigili verso l'insorgenza, al loro interno, di istanze precettistiche tendenti ad anticipare astratti giudizi sulle opere secondo che a quei consapevoli o inconsapevoli canoni queste si conformino o contravvengano. Si accentua invece, in Spirito, l'esigenza della che gli permette di apprezzare l'uguale buon diritto e le storiche ragioni d'essere dell'estro e della disciplina, della chiarezza e dell'ermetismo, della barbarie e della raffinatezza, del frammento e dell'organicità. Non è la dilettantesca dell'edonismo estetico, perché la disponibilità ad ogni avvio e ad ogni tentativo « si spiega col fatto che non abbiamo sul serio il criterio per distinguere senso da intelletto e ragione, e che la ragione e quindi la sono altrettanto immediate e spontanee che il senso e l'abbandono. Tutte vie sono le vie dell'arte nell'interessante ricerca dell'assoluto » Problematizzare l'identità tra critica d'arte e giudizio non equivale ad una semplice negazione della critica stessa e significa perciò ben altro che un ritorno alle posizioni che avevano preceduto quella identificazione: implica, il riconoscimento della « ragione dell'arbitrarietà di ogni metodologia », ossia di ogni « risposta che comunque restringa il campo della ricerca » (ibid. p. 325). Che tutti i modi « d'intendere la funzione critica » siano leciti e che « tutte le vie per attuare la ricerca e per esprimere il giudizio di gusto » (ibid. p. siano possibili è il risultato di una concezione in cui il criterio non è il nucleo originario di un pensiero vivificatore, che generi nuovo pensiero, ma esso stesso l'oggetto della ricerca, quella ricerca cioè, la cui soluzione sembra perennemente dileguarsi. Deve altresì riconoscersi che nella Vita come arte Spirito non è vulnerabile dall'obiezione mossagli di servirsi di quei procedimenti razionali cui egli stesso ha tolto validità. La 93

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ne del giudizio e la conseguente provvisoria del metodo della ragione corrispondono infatti alla necessità della obiezione, — coincidenza della presa di con della domanda e del dubbio — ed alla presente della negazione di un futuro raggiungimento Cosicché proprio la provvisorietà, in forza della quale la problematicità si configura come situazione protesa al futuro, permette il rifiuto dell'esclusivismo dogmatico degli scettici. La vita come ricerca, come come morale provvisoria è senso ed immediatezza, ma è anche quella ragione che convive col senso e con l'immediato e li anima e li attrae irresistibilmente a sé nel tentativo di redimerli dal limite annullandolo e redimendosene essa stessa. Se tutta la vita è così qualificata dalla fondamentale di una immediatezza che perennemente si e di una mediazione che perennemente sia da fondare, essa imprime l'intera orma di questa sua condizione anche alla critica d'arte: fatale coscienza estetica tormentata dalla ricerca dell'assoluto sapere.

Per la tra problematicismo e problematicità, Passato e presente storia della filosofia, Bari, 1967, e il concetto ivi discusso di « situazione problematica » soprattutto a 11-27, 66-67; V. Stella, Problematicismo e situazione problematica, VII (1969), pp. 297-321. 94

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PARTE SECONDA PROBLEMATICISMO

E

ONNICENTRISMO

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LA

L'AMORE

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Il pensiero di Spirito è dunque caratterizzato ininterrottamente l'esigenza unità drammatica, come quella che vive e teorizza la dialettica dualistica nomia ma tuttavia unità, nel duplice senso che lo svolgimento risulta da una conferma della struttura speculativa fondamentale, quella, appunto, dell'antinomia, e che tale struttura, a sua volta, si caratterizza come insoddisfazione della situazione Il problema dell'unità-totalità del reale s'impone sia perché, nell'affermazione che in ogni atto non si possa non conoscere, ciò che emerge in assoluto risalto è appunto, la positività nel suo attuale darsi; sia anche quando, come da ultimo o nel neoproblematicismo, s'intenda, viceversa, connotare la negazione dell'autocoscienza. Tutte le ipotesi si equivalgono, ma se io ipotizzo è perché voglio liberarmi dall'equivalenza di tutte le ipotesi, per acquietarmi in una certezza definitiva, che escluda ogni altra ipotesi. La problematicità cerca così la ad affinché emerga la sola tesi risolutiva, ossia affinchè annienti in sé la struttura logica dell'ipotesi e si ponga come verità. La allo scienziato o al psicanalista della fondazione e della verifica, cioè l'attesa da altri della certezza di quel che io sono, è pur sempre il processo mediante il quale la coscienza si fa — per dirlo in termini capovolti — coscienza d'altro che è coscienza di sé. È pur sempre quest'ultima a generare in sé quell'aspettativa, a maturare in sé del responso che le viene dalla scienza e dalla psicanalisi. In armonia con questo carattere unitario la concezione dell'arte come tutta la vita dell'uomo (in quanto non si distingue dalla ricerca e dalla comprensione, cioè dalla coscienza e dalla filosofia, dalla morale e dalla profilata da Scienza Si veda in proposito l'intera prima parte del presente lavoro, e particolarmente 15-16; 45-47; 50-52; 60-62; 64 e passim.

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e filosofia e ampiamente approfondita da La vita come arte, non presenta nella Crìtica altre innovazioni se non quelle richieste dai riesami complessivi che Spirito fa di volta in volta delle sue posizioni. A tali riesami non sarà mai estraneo uno sguardo penetrante sulla presente condizione del mondo. Non si affacciano, pertanto, modifiche particolari dell'estetica, ma semmai, modifiche di tutta la filosofia, ossia dell'atteggiamento totale che l'uomo ha nei confronti della propria esperienza e dei nodi di convergenza e d'intreccio della tensione interrogativa in cui la sua coscienza si costituisce. Appare così giustificato da parte di chi scrive — aver anticipato la conclusione che un abbandono del principio della ricerca o ipotesi scientifica non ci sarà neppure quando si ponga l'uguale diritto (che non implica se non uguale validità) dell'ipotesi della non ricerca o ipotesi antiscientifica, come non verrà mai meno l'esigenza di rapportare ogni momento della coscienza alla sfuggente unità che, per essere inafferrabile, La Critica dell'estetica, Firenze, Sansoni, 1964, è composta dai seguenti scritti: La mia prospettiva estetica, pubblicata in La mia prospettiva estetica, a cura di Luigi Stefanini, Brescia, Morcelliana, 1953, pp. 183-94; Arte e linguaggio, relazione al XVII Congresso nazionale di Napoli, 18-22 marzo 1955, pubblicata in problema detta conoscenza storica. Arte e linguaggio, Atti del XVII Congresso nazionale di filosofia, Libreria Scientifica Napoli 1955, I, pp. 77-92 e in « Giornale critico della filosofia serie III a. XXXIV (1955), pp. 150-66; del arte, in « de filosofìa » (Buenos Aires), II (1950), V, pp. 7-18 e, in italiano, in critico della filosofia serie II a. XXXI (1952), pp. 273-87; Funzione sociale dell'arte, già in di I (1956), I, 25-41; fine sociale dell'arte, già in », II (1963), 5-6, pp. 195-201; La critica d'arte, relazione al II Congresso internazionale di estetica, Venezia, 3-5 settembre 1956, pubblicata in « Rivista di estetica », I (1956), 3, pp. 57-66 e in Atti del II Congresso internazionale di estetica, Torino, 1957, pp. 197-206; del mondo dell'arte, relazione Convegno nazionale di artisti, critici studiosi d'arte, già negli Atti di quel convegno, 1959, pp. 5-11, in di IV (1959), pp. 32S'-39 e in Inizio di una nuova epoca, Sansoni, 1961, pp. 105-118; Astrattismo e neorealismo, già in « I problemi di », 33, 1959, pp. 141-49; Estetica e arte astratta, in problemi di n. 47, pp. 44-48; Architettura e estetica, già edita in opuscolo tra le pubblicazioni a cura dell'Istituto di architettura e urbanistica dell'Università di Trieste, 1961. I Lineamenti di una storia erano prima apparsi sotto la voce Estetica nell'Enciclopedia universale dell'arte, Fondazione Cini, Venezia, V. 67-92, World V, 28-57).

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non è per questo meno immanente, ossia alla spinta della coscienza medesima a conoscere il proprio essere interno. Questo dramma del limite viene ribadito dal filosofo con tensione dinamica pari a quelle delle due precedenti opere sulla Vita nella di sé che reca il titolo di Vita come ricerca, vita come arte, vita come amore e che forma il capitolo iniziale della Vita come amore ove l'affermazione del La vita come amore. Il tramonto della civiltà cristiana, Firenze, Sansoni, Su quest'opera, si veda: V. Ugo Spirito e il tramonto del Cristianesimo, IX (1952), 49; A. M. Ligi, Dalla scienza all'amore, « presente » I (1952-53) 1,2,3; G. Ugo Spirito e la dissoluzione del « Rivista di filosofia neoscolastica », (1953), pp. 198-228; G. Bontadini, tramonto detta civiltà cristiana nel pensiero di Ugo Spirito, in « Vita e pensiero », Milano, 1953; e, con lo stesso titolo, in opuscolo a parte, Milano, Vita e pensiero, 1954, ora Ugo e la dissoluzione del problematicismo, in Conversazioni di Milano, Vita e pensiero, 1971, I, pp. 109-40; M. Problematicismo e « Teoresi », VII pp. A Tramonto della civiltà cristiana, in e Pensiero moderno, Brescia, Morcelliana, 1953, pp. 279-304; G. La speranza, « Giornale critico della filosofia italiana » a. XXXII (1953), pp. 155-66 e la risposta di pp. 166-74; Giordani, vita come di Ugo Spirito, Roma 1953; V. in IV (1953), pp. 169-74; Padovani, Ugo Spirito e il cristianesimo, « (1953), pp. 9871001; R. della civiltà (1953), pp. 969-77; S. La vita come amore: il trionfo della civiltà cristiana, », (1953), 6; A. problematicismo ed il superamento della cristiana, « Rivista critica della storia della filosofia », VII (1953), pp. 482-96, ora in sul razionalismo della prassi, Firenze, Sansoni 1957, pp. 119-40; E. Paci, La vita come amore, « », IV (1953), pp. 150-156 e risposta di Spirito, Servo e padrone, V (1954), 231-33; E. Dalla vita come ricerca alla vita come amore, « Civiltà cattolica », (1954), 2489, pp. 544-56; e verità nel problematicismo di Ugo Spirito, di IX (1954), pp. 259-77; V. Problematicismo positivo e negativo, « Giornale critico della filosofia s. a. XXXIII (1954), pp. 449-60; G. Galli, Ugo Spirito e l'amore, IV (1954), pp. 496-506, ora in Filosofi italiani d'oggi, Torino, Gheroni, 1958, pp. 198-210; Moretti e ontologismo critico, in « Archivio di filosofia », 1954, n. 2, pp. 173-80; G. Morrà, La « conversione » di Ugo Spirito, III, (1954), 27, pp. 50-63; S. Porrino, I della filosofia di Ugo Spirito, « Rivista rosminiana », (1954), pp. 181-94; Scoleri, Dalla vita come ricerca atta vita come amore, « », III (1954), pp. 11-23; D. Sul problematicismo, (1954), pp. 191-93; G. De a Ugo Spirito, IV (1955), pp. 181-85; A. Per una difesa del problematicismo di Ugo Spirito, « Saggiatore »,

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carattere situazionale del problematicismo riveste ancora un'evidenza centrale. Alla persistenza della dimensione situazionale in questa terza opera della trilogia di Spirito sugli della totalità forse non è estranea la suggestione del rilievo conferito al tema esistenziale della possibilità, come consapevolezza di essere in situazione, del problematicismo proposta frattanto da Non sapere obiettare, ossia ricercare « è un dualismo consapevole che tende all'unità. Da questa caratteristica V (1955), 242-60, ora in Studi della collana Giovanni Gentile, La vita e il pensiero, a cura della Fondazione Giovanni Gentile per gli Studi filosofici, Sansoni, 1958, pp. 155-85; Ugo Spirito, Torino, Edizioni di « », 1956, pp. 8190; gli interventi sulla relazione di Ugo Spirito al convegno su Immanenza e trascendenza svoltosi a Milano dal 17 al 19 marzo 1956, e le due risposte di Spirito, « Pensiero », I (1956), pp. 187-231; G. Lettera aperta a Gian Emanuele (a proposito dello stesso convegno di studi), I (1956), 286-313; G. dì Ugo Spirito e l'esigenza critica, « Civiltà cattolica », (1956), II, 2541, 252-60; A. Testa, Lettera aperta ad Ugo I (1957), pp. 69-76; G. Prospettive metafisiche nel problematicismo pensiero di Spida », VI, 1959 (sull'amore, pp. 55-64); O. Conti, Spirito ed il problema religioso, « La scuola cattolica », 1963, pp. 28-43; O. Conti, Polemica sull'immanenza in Ugo Spirito, pp. 102-27. A Negri. Dal Corporativismo comunista dell'Umanesimo scientifico. Itinerario teoretico di Ugo Spirito, 1964, pp. 117 ss. e passim; M. e sul pensiero di Ugo Spirito, Catania, 1968, pp. 43-90 e passim; L. problema di Dio in Ugo Spirito. psicologiche e Roma, Pontificia Università 1970, pp. 175-180, 194-96. Una storia delle del pensiero di Spirito non esiste, ma si veda la concisa ed acuta discussione che, delle obiezioni mosse al filosofo, ha fatto recentemente A. Dialogo con Leonardo. e sviluppi dell'ideale della scienza in Spirito, in G. Calogero, A. Capizzi, L. V. Stella, L'ipotesi di Ugo Spirito, Roma, 1973, Le obiezioni, pp. 61-77. Capizzi ferma la sua attenzione più sugli interventi, anche brevi, dei maggiori interpreti che sulle monografie, in genere informate e oneste, ma spesso scolastiche. Note sul problematicismo italiano, op. II. problematicismo situazionale pp. 29-61 e le considerazioni sulla bibliografia a pp. 144-67. tema del non sapere, ergo pervade, noto, La vita come ricerca, e costituisce il nucleo di Spirito, contrapponendosi a cartesiano che contagerebbe tutta la filosofia moderna, fino all'idealismo nella sua prospettazione

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tale scaturiscono tutti gli elementi che compongono la situadella ricerca e che possono in sostanza alla coscienza della propria contraddizione e alla speranza di superarla nel futuro. La coscienza della contraddizione è, dunque, il presente che si pone tra il passato e il futuro » (La vita come amore, 14). E, se il giudizio che si esercita sul passato è, cosvalutazione e conseguente presa di coscienza di una mancanza di nuovi bisogni, anzi nuova proposizione di quello stesso bisogno il cui presunto soddisfacimento ci si è rivelato il presente, intriso e nutrito di passato pur nell'atto di opposizione al passato in cui esso si costituisce, non giunge a rimediare a questa carenza. Il giudizio che obietta, cosciente della propria contraddizione, e che obiettando sospende insieme la propria validità, non può non essere, allo stesso modo, coscienza della propria provvisorietà e perciò attesa del positivo, della risoluzione che rompa quella pausa e metta fine alla condizione di dilaceramento e di continua Di contro alla svalutazione del passato e all'incertezza del presente, l'aspettativa di un futuro, produttore dell'affermazione. « Né contro l'aspettazione può avere valore il pensiero critico che ha disgregato il passato, e avvolto il presente nella contraddizione, perché è proprio l'atteggiamento ipercritico al quale siamo pervenuti che non ci consente di vietare nulla al futuro. Proprio perché sono caduti tutti i miti, il futuro è diventato veramente tale, e cioè assolutamente imprevedibile, sì da consentirci ogni aspettazione ed ogni speranza » p. 17). È un'obiezione che colpisce insieme l'interezza come sistema costituito da rapporti categoriali assolutamente determinati dalla reciproca e la filosofia della storia come aspetto del sistema stesso. L'esperienza della ricerca (neppure l'arte si libera dai procedimenti e dall'ansia di verità del ricercare) si racchiude dunque in una dimensione aperta sì alla speranza, ma dai contenuti del tutto indeterminabili. Aspettativa e speranza sono dunque la forma perlomeno quando in questa l'atto, l'attuale pensiero, il logos non riesce ad essere quel che essere, cioè veramente altra cosa che una struttura teoretica e si riconferma, di fatto, cogito. in proposito la prima parte del presente volume.

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sa dell'esigenza, ma non contribuiscono a qualificarla nel senso di determinarne ab i modi di Se non confidiamo nel futuro non è a causa di una previsione positiva (con la quale usciremmo, per ciò stesso, dal problematicismo situazionale), ma è solo perché non sappiamo quando e come sia possibile vincere l'assurdo del presente, il quale non ci fornisce nessun mezzo idoneo a modificare il bisogno e quindi neppure uno stato di rassegnazione al non sapere. Ora, finché non sapremo come e quando vincere l'assurdo del presente, « non abbiamo da far altro che tendere il nostro sguardo verso il futuro e cercare con tutte le nostre forze la negazione di ciò che avvertiamo come la nostra contraddizione il nostro limite: l'infinito » 17). Se dunque la filosofia come ricerca esplicita l'esigenza del Tutto presente in ogni scienza, questa totalità né nelle singole scienze né nella stessa filosofia che ne interpreta come aspirazione unitaria il bisogno di una coerenza convalidante in ogni campo del sapere ossia in rapporto al tutto — gli assiomi della propria logica scientifica, supera in atto il suo essere puro. La sintassi non cui aspira ogni disciplina scientifica concependola magari come il risultato dei procedimenti induttivi e l'orizzonte del coordinamento e collegamento tra i diversi campi di ricerca (e cioè una sintassi scientifica come enciclopedia delle non è conseguibile dalla filosofia. Quando della filosofia si voglia fare "scienza", il cioè la filosofia stessa, a rivelare la sua inconsistenza di mito. Filosofia-teologia dunque, anche quella di Spirito, in quanto istituita sul Tutto, ma di una teologia negativa, in quanto non siamo in grado di determinare positivamente gli attributi di questa totalità distinguendola dalle parti di cui essa consta. La assurdità del presente fatto consistere in un impegno nella ricerca mentre la fondazione di un criterio della ricerca si confessa viene trascesa istante per istante È nota tuttavia la rinuncia delle scienze contemporanee unificatore della "enciclopedia". Si veda il saggio L'unificazione del mondo dell'arte, pubblicato sopra, nota 2) tanto in Inizio di una nuova quanto in Critica e a quest'ultima opera, 305-06.

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dalla continuità di una vita della quale appare impossibile concepire la fine. La risposta al nullismo ove sbocca la ricerca (in quanto principio ispiratore di metodologie scientifiche) e al senso della fatalità quale è sentito da chi si lascia vivere soffocando nell'inerzia della vita, viene data dall'esperienza che si genera nell'arte e nell'azione, se questa esperienza non si lasci sopraffare dalla sollecitazione della ricerca come totale disvelamento, istanza che già l'arte e l'azione portano dentro di sé. È la vita che ci comanda di ricercare, di produrre (né importa qui se la sentiamo come "sogno"), di agire, di amare. Né la vita potrebbe essere vissuta se non sentissimo questi sentimenti, se non svolgessimo queste attività, assumendo gli uni e le altre pur nelle loro contraddizioni. Non sarebbe atteggiamento critico, ma esso sì puramente intellettualistico, quello di chi non si avvedesse che la ricerca non può imporre pause alla vita e che di tale non alimentazione della vita, la ricerca è, comunque, momento essenziale. Tradirebbe la vita chi non sapesse viverla, sviato ed oppresso dal presumere irraggiungibile il possesso di ciò che si cerca. L'atteggiamento di Spirito nel la sua concezione della vita come arte e nel rappresentarcela in limine alla Vita come amore non può perciò essere interpretato come una zione" allo stesso modo che la vita come ricerca non ha offerto una soluzione. Non può essere interpretato come risolutivo non solo per il fatto che la meditazione non né esclusivizza la direzione dell'arte o della prassi più di quella della ricerca in ciò, non le pone come risolutive, ma per la critica radicale, all'estetismo (esclusività dell'arte) e al pragmatismo come posizioni ancora

In conferma delle posizioni ivi espresse, ma con molte parziali revisioni e maggior ampiezza e puntualità di analisi, rielaboro qui le pagine che al pensiero estetico di Spirito successivo alla Vita come arte ho dedicato in e italiana odierna (1945-1963), apparso in diverse puntate nel di metafisica », dove il 6 studia Ugo Spirito dal problematicismo « Giornale di metafisica », XIX, 1964, 55-71, e in Arte e poetiche contemporanee nella « Critica dell'estetica » di Ugo Spirito, XX, 1965, pp. 469-79.

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non in grado di riconoscersi Nell'uno e nell'altro il punto di consistenza è individuato nel solo presente che così si ipostatizza e si metafisicamente. « L'arte o la prassi prendono allora il posto della filosofia ed esauriscono la realtà, che in esse si risolve » (La vita come amore, 21). ritenersi speculativamente soddisfatti di questa esaustività sarebbe possibile solo se si riconoscesse valida la logica che fonda i concetti di arte e di prassi, ossia la logica dalla quale le precedenti opere di Spirito avevano inteso sgomberare il terreno. Respinta quella logica, vengono invalidate le soluzioni da essa desumibili. Queste, infatti, non potrebbero né privilegiare l'arte né renderla esclusiva se prima non l'avessero distinta dall'altro. Ritorna così la ricerca come apertura infinita, cioè come ipotesi protesa al futuro. « Chi ricerca, invece, è nella vita come arte, ma con la coscienza di esservi e di non volervi restare: con la coscienza, cioè, della contraddizione che questo esservi implica. Chi ricerca vive la vita come arte perché non sa viverla come filosofia e ha una sola aspirazione: di viverla appunto non più come arte, ma come filosofia, come l'infinito al di là del definito » pp. 21-22). Ricerca, arte, amore per Spirito (era noto ma qui il filosofo lo mette di nuovo in evidenza) non sono forme o gradi dello spirito, bensì modi di prospettarsi della coscienza nella sua unica ed infinitamente rinnovata tensione verso la verità e l'unità; l'approfondimento di ognuno di tali aspetti porta infatti a riconoscerli presenti l'uno nell'altro e a coglierne la comune tensione all'unità. Cosicché distinguerli sarebbe tentativo intellettualistico, ma altrettanto intellettualistico sarebbe il tentativo di fonderli perché se potessimo coglierli realmente fusi ci troveremmo in quell'infinito che non ha bisogno di finitezze. Infatti essi ci si presentano di momento in momento come esperienze autonome, come esperienze conviventi, come il plesso esperienza. E così, nella vita come arte, il bisogno, la tensione, la ricerca si qualificano come bisogno di uscire dall'arte, come tensione a liberarsi dal sogno, come ricerca di Ugo Spirito, pp. 81 A. Plebe, Processo all'estetica, Firenze La Nuova Italia, 1959, pp. 120 ss. 106

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re finalmente la veglia, ossia di vivere nel possesso della verità. Vero è che « il sistema del non so procedere con la coscienza di non avere saputo ancora superare la propria contraddizione e di continuare perciò sul piano dell'arte » 25): ma ciò implica almeno l'apparenza della logicità e, quando parliamo di una logica dell'arte, vogliamo indicare il « tentativo di collegare parte con parte, elemento con elemento, si da avviare il molteplice verso l'uno a rendere il discorso coerente, conclusivo. Conclusivo il discorso non è, e perciò soltanto apparente può essere la sua logica, ma questo non toglie, anzi esaspera il bisogno del rigore logico, che è fondamento del sistema del non so. Con lo stesso rigore si continuare il tentativo » p. 25). Neppure la continuazione dell'esperienza vitale sul piano può pertanto alla provvisorietà: chi si trova sul piano dell'arte, cioè della coscienza sognante, certo sognare tutto il mondo del sogno ma affinchè esso sia più efficacemente preparatorio alla condizione della veglia, ossia alla realizzazione dell'autocoscienza. Per questa via si riconferma che la vita come arte è istanza di trascendere l'arte, è insoddisfazione dell'arte. il significa infatti attendersi dalla sua prosecuzione quel salto conoscitivo che conferisca verità ultima all'esperienza umana. La verità che si ricerca richiede infatti di essere conosciuta, ossia di essere non intravista nel sogno dell'arte, nella coscienza immediata, nella prassi irriflessa, ma posseduta nella chiarezza della veglia, dispiegata nella consapevolezza del suo assoluto essere. La "coscienza" pensa dunque che verità non possa esser conseguita se non con una radicale e palingenesi. Con una di quelle brusche ed acute svolte dell'argomentazione che distinguono il procedimento discorsivo di Spirito, l'opposizione sogno/veglia non si ripresenta qui al fine ancora sulla diade arte/filosofia, coscienza/autocoscienza, ma per recuperare la tensione teoretica dall'interno recupero che avrà la conseguenza di proiettare questa specifica tensione sul piano morale. La "logicità" dell'arte, e simultaneamente quel teoretico disinteresse per cui l'arte non si pronuncia sui caratteri di realtà o d'irrealtà e non enuncia preferenze, vengono infatti a costituire l'aspetto di vita che si 107

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qualifica come ossia come amore. L'etica di Spirito non è certo fondata sulla responsabilità personale che egli nega, ma proprio sul dover essere della comprensione. Se nel mondo dell'arte (cioè, qui, della vita come arte) si è scontenti del sogno e si vuole la veglia la chiarezza la verità, l'intenzionalità profonda dell'arte consiste non nel fare, ma nel gusto di comprendere. E comprendere è abbracciare, non distinguere, integrarsi nell'altro. Non riteniamo sul fondamento delle sue prospettive specifiche ra" d'arte — che di questa nuova subordinazione del fare, come aspetto costitutivo dell'arte, al comprendere Spirito intendesse avvalersi come di una posizione contraria al motivo del dell'arte come prodotto fabbrile, così diffusi e addirittura dominanti in tante estetiche contemporanee reattive alle estetiche Semmai la sua considerazione delle "tecniche" indicherebbe l'orientamento opposto. Certo è tuttavia che il tema dell'arte come comprensione e della comprensione come amore, segnando ancora una volta l'accento sulla totalità, rafforza implicitamente la considerazione dell'arte come aspetto della coscienza in cui è la coscienza intera, più di quanto sia volto a sorreggere le ragioni della specifica, interna al fare dell'arte. Queste ragioni anzi, nell'ambito del saggio di cui ora ci occupiamo, non vengono affatto in discorso: l'azione vi è qualificata nel suo identificarsi con l'effettività della comprensione e senza riguardare, perlomeno qui, il problema dell'opera d'arte. È dunque il comprendere l'aspetto che in Spirito assume, sin dalla Vita come arte, l'onnipresenza, e in qualche modo il primato, del logos. La "comprensione" è fruizione, in forma estrema, del comando evangelico del Ma non è questo soltanto, poiché il non sapere è anch'esso "logica", forma del giudizio e del sapere. In Spirito, a differenza che in Croce, il rifiuto dei giudizi di valore non è dunque in alcun modo fondato sulla distinzione tra conoscenza (qualificazione categoriale di fatto o di esistenza) e prassi (asserzione di valore, anzi s'incardina nell'impossibilità di distinguere concettualmente le due sfere. Se l'atto della comprensione si caratterizza come volontà di non giudicare, esso si risolve nella sospensione del giudizio in cui 108

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la ricerca, ossia né più né meno che in un rifiuto del « giudizio che accompagna il so » e in un'assunzione del giudizio che « scaturisce dal non so », perché « altro è il di chi presume di possedere la verità, altro quello di chi si sforza di comprendere e avverte la incapacità di superare il proprio l'uno e prosegue Spirito, « in un certo dogmatici entrambi. E tuttavia giudizi radicalmente opposti, fino al punto che se può ritenersi espressione del giudicare, l'altro deve apparire come la coscienza del non giudicare » 26). In corrispondendi questa duplicità, intellettualismo ed fatti uguali rispettivamente a e a volontarismo, convergono nella comprensione come coscienza del non giudicare. « Intellettualismo, perché distingue il conoscere dal fare ed insiste sul primo termine; antintellettualismo, perché riunisce il giudicante e il giudicato nello sforzo dell'effettiva comprensione che è azione Chi non sa giudicare si preoccupa soltanto di avvicinarsi a ciò che dovrebbe giudicare e, pur restando nel dualismo intellettualistico, tenta di vincerlo » 26-27). La comprensione, così nella dialettica dell'antinomia, rifluisce nell'azione: è il modo che, nella dimensione del problematicismo, assume la reciproca coincidenza di teoresi e prassi, sostituendosi al loro farsi identico quale era nella dialettica che intendeva superare l'antinomia nell'attualità della sintesi. Questo prospettarsi della comprensione come azione, nell'orizzonte etico della volontà, conduce alla comprensione come amore, cioè alla vita come amore. Nell'idealismo attuale, l'attualità era del logos, dell'arte, della religione, dell'eticità in quanto le risolveva in se stesso. Nella Vita come amore è la "comprensione" che viene a coincidere con il logos, con l'azione, con l'arte, con la moralità. L'atto non attinge l'autocoscienza, ma la coscienza si è liberata dal privilegio della logicità e si realizza ugualmente intensa in ogni aspetto e della vita che è, appunto, vita della coscienza Poiché il problema del giudizio implica quello della posizione dell'oggetto (altro), esso coinvolge il problema della soggettivazione Anche a questo proposito Spirito si ricollega alla fonte da lui sempre riconosciuta come quella da cui 109

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principalmente muove il suo pensiero, ossia alla logica L'attualismo assumeva di risolvere il problema della unità totale del soggettivo mediante l'identificazione di e azione, di teoria e pratica nell'immanenza assoluta, « per cui l'altro, essendo posto nell'atto stesso del giudizio, fosse risolto in esso senza residuo » 27). Ciò che Spirito assimila all'universo del problematicismo è non l'effettualità di tale risoluzione monistica, ma il suo carattere il suo dover essere. Egli infatti afferma: « Chi ha coscienza di non saper giudicare avverte, sì, l'oggetto come altro, e il non saperlo giudicare è per lui appunto la prova dell'alterità di esso, ma l'avverte come bisogno di superare stessa, come il proprio limite, come ciò che non deve rimanere "altro" » p. 27). La sospensione del giudizio non menoma l'impegno del pensiero, ma si oppone alle pretese dell'intellettualismo e diventa lo strumento per vincerlo. Nel giudizio problematico che non condanna ma assimila e che pertanto è al comprendere (è la comprensione stessa), la dimensione della vita come arte si trasforma dunque o, più esattamente, si riatteggia nell'esperienza dell'amore. L'assimilazione dell'arte all'amore nel comune desiderio di comprendere innalza il "gusto" dall'arbitraria preferenza, ossia dal diletto (edonismo), alla domanda totale di essere, la quale non è altro se non un diverso modo di definire la comprensione. Si potrebbe essere indotti a vedere nel quadro etico espresso dalla Vita come amore, l'abbandono delle posizioni precedenti come ricerca e come arte) che fanno nucleo nell'aspetto della sensibilità e del gusto. In realtà nella Vita come arte, il rapporto arte-gusto era già dialettizzato, pur secondo divaricazione propria di ogni dialettismo in ambito Da un lato, sensibilità e gusto denotano soltanto « la riduzione di tutte le attività spirituali alla coscienza immediata del valore e già in questo la vita dell'uomo di gusto, pur non essendo morale, « non si sente immorale, perché, lungo la via verso una moralità il cui criterio gli manca, sperimenta tutte La vita come arte, p. 330. Ma è inerente a questo tema tutta che va da p. 330 a p. 346. 110

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le di un giudizio estetico che cerca di diventare assoluto » (Vita come arte, 330); ma dall'altro « La forza centrifuga che aveva condotto dal mondo interno all'esterno si converte in forza centripeta e in un nuovo processo d'interiorizzazione, in cui è tutta l'amarezza dell'esperienza compiuta e il bisogno sempre più profondo di una realtà assoluta » p. 332). L'esperienza artistica, o in altri termini il gusto medesimo, erano già ben altro che pura dilettazione. Il carattere « corporeo o immediato dell'individuo » è ciò che accendendo in lui il bisogno di trascendersi, pone il problema etico e determina, nel pensiero di Spirito, il passaggio della Vita come arte alla Vita come amore: esigenza di giustificare l'altro riconoscendolo soggetto, e facendosi organo di accesso alla sua soggettività. Il concetto di comprensione riflette con rigoroso nesso di consecuzione il mutamento introdotto da Spirito nel concetto di gusto, ben lontano dalla prospettiva dilettantistica ed estetizzante « uomo di gusto », scontento della della gioia perché destino della gioia è il venire meno. Il gusto è stato identificato con la tensione dell'intera coscienza a cogliere l'assoluto valore. Se nel momento del gusto è immanente l'apprezzamento o giudizio di valore, la stessa vita come arte si configura perciò « volta alla comprensione, tutta tesa nello sforzo di ritrovare l'uno nel molteplice e il molteplice nell'uno, tutta anelante a superare l'antinomia reso intelligibile » (Vita come amore, p. 32). Questa insoddisfazione ci avvicina al prossimo per comprenderlo, « per instaurare un colloquio senza giudizi e senza per giungere a far scomparire » p. 34). La pressione dell'apprezzamento come limitazione scompare. È pertanto a tale sforzo di assimilazione dell'altro, per chiarirlo e perché esso « ne sia a sua volta chiarito », che Spirito il nome di amore. E nell'amore il profilo del comprendere non è la o l'indifferenza del caso o l'arbitrio scettico del momento, non è neppure la purezza di una contemplazione che si presume tersa da ogni prossimità contaminante e non coinvolgere in altro che in sé stessa, né il conseguente logicismo e il moralismo dei giudizi che si presuppongono assoluti: ma comprendere è il convergere di me nell'altro e dell'altro in me nel dover essere 111

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La mia aspirazione al giudizio è aspirazione a conoscenza nella quale deve annullarsi, perché il momento del comprendere mi significa che l'altro cui la mia posizione ha dato lo statuto di altro soggetto sono (devo essere) io stesso che supero nell'unificazione, che è norma e fine dell'atto di comprensione, lo sdoppiamento intellettualistico in un soggetto che sa e in un oggetto che è saputo. È evidente che la lotta contro l'intellettualismo è spinta qui da Spirito oltre il segno di quell'idealismo e, in particolare, di quell'attualismo stesso che l'avevano dichiarata ed animata e dai quali Spirito la ereditava portandone all'estremo la vibrazione polemica. Nel suo orizzonte, che è monistico nonostante la configurazione della sua logica, non è possibile qualificare cristiana la concezione etica della Vita come amore, a malgrado delle forti suggestioni che pure percorrono il libro. La divergenza tra l'amore inteso in quest'opera e l'amore cristiano sta essenzialmente nel rilievo, da parte di Spirito, del fondamentale persistere, nel cristianesimo, del dualismo di soggetto e oggetto, di quel dualismo cioè che prende a suo fondamento la verità essenziale dell'altro come altra persona e che costituisce, proprio esso, la posizione antagonistica icasticamente rappresentata e drammaticamente avversata da quest'opera in rutto il suo corso, e non soltanto da questa opera. Spirito, infatti, insiste sulla provvisorietà dell'altro, cioè non sull'essere dell'altro come altra persona, ma sulla speranza che l'altro si consumando la distinzione dall'io, facendo dileguare questa che è per lui la ragion prima (la pluralità dei soggetti) della cioè della scissione morale dell'uomo. Così la vita come amore si caratterizza non come oblazione di me all'altro concepito come distinta persona, ma come rinnovato modo di porsi del processo di unificazione, creazione di unità. Né importa che l'esigenza unitaria patisca la frustrazione nell'esperienza del limite. L'universo speculativo di Spirito non è pertanto cristiano per la concezione impersonalistica che traduce sul piano etico la negazione del dualismo. Ma questa affermazione non è poi, essa stessa, immune da una problematicità che la La speranza di cui si avviva la costruzione dell'unità dell'altro con me è sancita 112

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nella struttura etica della coscienza da un centro soggettivo di unificazione, quello appunto in cui l'altro è riconosciuto come mondo dell'io, che è mondo comprensivo del mondo dell'altro. La domanda: « Chi fa l'arte? », che indica il tema del saggio sulla Impersonalità mette dunque allo scoperto giunture essenziali. Il saggio appartiene alla fase della Vita come amore ed è costruito sulla impossibilità di precisare il concetto di persona pluralizzandolo nelle "persone". Respinto il concetto di persona come "sostanza", il filosofo invalida anche quello dell'empirismo, in quanto quella concezione della realtà nega la valorizzazione o, quanto meno, ne elude il problema, quindi nell'ambito empiristico la persona come centro di valori non trova spazio se non ai presupposti. Tanto l'empirismo quanto, all'opposto, l'idealismo che conferisce realtà solo dissolvono di fatto la persona nel tutto anticipando su questo punto il risultato della concezione Se si guarda all'arte, di un autore che assuma una determinazione personale cui sia concretamente ascrivibile un'opera è argomentata da Spirito in base al riesame del problema del bello di natura, tanto discusso dalle estetiche precedenti: muovendo, cioè, dalla questione della sua e « dal rapporto di questo con l'opera d'arte ». Se l'autore dell'opera d'arte è l'io come persona, cioè sono io, « resta acquisito che, in quanto spettatore, sono artista, creatore dell'opera d'arte. Sì che quando dal paesaggio passo al quadro rappresentante il paesaggio, continuo ad essere artista, creatore della nuova opera d'arte, allo stesso titolo di prima, con la stessa assolutezza di prima. Il quadro, cioè, non può essere presupposto in modo diverso dalla natura e nasce a vita spirituale in virtù dello stesso mio atto originario. E, se la natura si moltiplica nella vita di ogni spettatore che la guarda e che la guarda a modo suo, sì da in un quadro diverso; anche il quadro si moltiplica nella vita di Anche la critica del personalismo artistico era diventata esplicita e si era arricchita di considerazioni specifiche per la prima volta nella Vita come arte, 313-17. 8

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ognuno degli spettatori che lo guardano, apparendo diverso a ognuno; come dimostra appunto il giudizio dei critici d'arte. Chi, dunque, il vero autore dell'opera d'arte? » (Critica delpp. 63-64). La risposta non è più facile se il "bello naturale", "oggetto" o tema dell'opera d'arte, è un essere umano diverso dall'artista e dallo spettatore, nel caso cioè del ritratto. Autore del ritratto, prima « del pittore, sarà la stessa persona da lui presa a modello, che trasfonderà la propria spiritualità nel proprio volto 64) e se ritratto sarà di un autore, quel volto stesso prima dell'evencreazione pittorica, è esso stesso opera d'arte Da queste riduzioni all'assurdo della pretesa un autore come distinto dall'unico mondo scaturisce la tesi dell'impersonalità dell'arte: « La persona raffigurata e la persona dell'artista si incontreranno in una comune vita spirituale che sarà generata dall'incontro e che, soltanto perché già realizzata nella reciproca comprensione, potrà poi sulla tela, nell'opera d'arte » (Critica dell'estetica, pp. 64-65). Né d'altra parte da questa comunione che coinvolge la realtà intera perché in questa e l'altra persona s'immergono e si risolvono, devono escludersi l'opera dell'interprete o del critico d'arte, opere impersonali o anch'esse, perché parti del tutto, dell'unità, del mondo. L'arte si chiarisce perciò come una collaborazione sempre aperta. Per questa sua non appartenenza al singolo, aspetto dell'impossibilità di cogliere nell'opera sua intera effettiva genesi e di ascrivere la pienezza sempre produttiva dei suoi significati a un determinato la posizione di Spirito conferma la funzione costitutiva esercitata dall'ispirazione (il alla coscienza di qualcosa prima ignorato non rapporto con le "figure" hegeliane della "meraviglia", del "destar l'animo" e col rapporto che in esse s'istituisce appunto Nel Carmine, o della pittura, Cesare Brandi aveva ripreso in esame, sin dal 1943, il problema del nella prospettiva del suo allontanamento dalle ragioni (nella specie dell'estetica crociana), che oggi possiamo qualificare come un momento iniziale della sua riflessione sull'arte, verso quei motivi fenomenologici che qualificheranno molta parte delle sue successive ricerche. Del Carmine, si veda la terza edizione, Torino, 1962, dove, sul "ritratto", le pp. 21 ss.

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con e la concezione tipicamente dell'irrealtà di un'opera e della soggettiva realtà del continuo tradurre. Ciascuna opera varia nella sua storicità, nelle vicende che ne alterano la consistenza materiale (la patina del tempo, il variare dell'ambiente, un rudere, un testo lacunoso o interpolato, gli effetti di una bobina logora e nella infinita apertura per cui l'opera, pur apparendo coincidere con la sua consistenza vive nella lettura, nell'esecuzione nella critica. Così un'opera non potrà mai più essere restituita alla volontà, al progetto che si manifestava nel momento della sua produzione. Già questa volontà autentica e questo momento — irripetibili e l'altro perché anche la fase che si suole definire come genesi risulta da mille collaborazioni e può dirompersi in mille specificazioni che l'anatomizzino da punti di vista diversi — se intendiamo penetrare in essi per isolarli nella loro singolarità, dileguano nel mito, mentre ritrovano realtà solo se prendiamo atto del essere storico e li immedesimiamo con esso. « L'opera si stacca dalla persona del suo perché la persona si risolve essa stessa nella storia. Continuare a parlare di personalità dell'opera d'arte quanto parlare d'un processo di individuazione cui partecipano tutti gli individui » (Critica dell'estetica, 73). Ed infatti la storia, e con essa la storicità dell'opera d'arte, non è cosa diversa da tale processo che non può attribuirsi a un individuo come non può estinguersi con la scomparsa dell'individuo medesimo. Argomentato il carattere mitico della personalità artistica, l'origine storica di questo mito viene indicata, sulla scorta del saggio su Machiavelli e nel motivo della rivendicazione del valore dell'individualità umana, appunto come valore delle opere dell'uomo che con esse foggia il suo mondo, in opposizione alla trascendenza delle religioni positive; la virtù ipostatizza l'opera al Hegel, e

Torino,

tiber die 1967,

di 56-58, 322-324,

331, 356-57, 1277. L'interesse di Ugo Spirito per il problema della "virtù" nasce dalla sua lettura della trattatistica rinascimentale dell'arte del vivere e del XV del Principe. Cfr. il suo e Leonardo, Firenze, Sansoni, pp. 14-16, 66-78 e

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posto dell'anima-sostanza, ne è la trasposizione in termini immanentistici. Ma la revisione che ha messo a problema il concetto conduce altresì ad estinzione il mito rinascimentale dell'opera, perdurante lungo tutto l'arco delle filosofie fino all'attualismo, che ne rappresenta l'affermazione più intransigente ed insieme il punto di inizio di una insuperabile crisi. E se l'opera d'arte ascrive a sua nota essenziale la coralità, l'impersonalità si estende dall'arre ad ogni attività umana per il fatto stesso che l'arte partecipa di ogni attività e si dona ad ogni attività; ed i moventi, tanto dell'azione e del pensiero, quanto di quella produzione-comprensione che è l'opera d'arte, si annidano nell'inconscio ed inconsapevole è il cammino attraverso il quale essi affiorano alla coscienza. Può darsi così che che la logica o meglio la logica che con Gentile intende andare oltre Gentile, porti a termine il suo ciclo quando, demistificata la struttura dell'atto come autocoscienza, abbia fatto regredire la genesi dell'attività spirituale nella indeterminatezza dell'inconscio? Il problema della fruizione della psicanalisi — lo abbiamo accennato in precedenza — è complesso e viene acquistando spazio sempre maggiore dalla Vita come arte alla Storia mia ricerca ed oltre perché, proseguendo le suggestioni giovanili dell'antropologia criminale positivistica, esso si lega strettamente al tema dominante della irresponsabilità individuale in quanto, nonostante la sua origine psicologistica, suffraga, perlomeno nell'angolo d'incidenza in cui lo considera Spirito, l'ipotesi teoretica Non ci proponiamo qui di seguire il progressivo dilatarsi di tale problema nell'orizzonte del pensiero di Spirito fra i temi dominanti del suo scientismo. Diremmo però che né il vistoso legato del trascendentalismo soggettivistico né il ragguardevole (per quanto eterodossamente utilizzato) apporto di una psicanalisi che nel filosofo degli della vita pare intrisa Per qualche accenno in proposito la prima parte del presente lavoro, 57-58. Si veda anche, Spirito, Filosofia e psicoanalisi nel dei « Problemi di » a. XXV, XI giugno 1972, dedicato al Processo alla pp. 26-39 e, in proposito, Antonini, Psicoanalisi e filosofia. Risposta a Ugo Spirito, pp. 40-57.

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tanto di romanticismo quasi mistico (le molte pagine sul gno") quanto di un intransigente fervore scientistico (la delega allo psicanalista del nostro inconscio, del nostro io profondo) — bastano a risolverlo con la semplice del persistere, sia pure a livello del concetto di persona. Resta da domandarsi se veramente l'inconscio della psicanalisi tolga all'individuo la scelta di ogni differenziata manifestazione, e se cioè di Spirito finisca per coincidere con quello del meccanicismo naturalistico e materialistico, resta pur sempre da spiegare l'infinito differire degli altri. Occorrerà sottrarre l'atto (e l'atto non è altro se non vita della coscienza che si rivela nella sua concreta presenza) al puro recursus ad connotato comune delle teorie insistenti su un ma poco persuasivo criterio per la spiegazione del diverso e radicale negazione del concetto di traduzione come svolgimento infinito. Se l'origine dell'arte e di tutti gli aspetti della vita come attività è inconscia, cosciente è la tensione verso l'assolutezza e l'universalità del valore: e parrebbe dunque che l'antinomia impersonalità-personalità nello stesso orizzonte di Spirito stia alla base dell'arte nella vita per orientarla nel suo processo di unificazione, verso la ricerca consapevole dell'assoluto valore. « Non c'è vera vita spirituale » ribadisce il medesimo saggio Impersonalità dell'arte « che non aspiri a trascendersi nell'assoluto. Il fine dell'artista come quello del filosofo è di raggiungere un valore che viva indipendentemente dalla persona, in eterno. Chiunque s'impegna sul serio nella ricerca del valore sa bene che la condizione stessa della ricerca è nel dimenticarsi in essa e che, soltanto quando si smarrisce la coscienza dei confini della propria persona, si comincia a vivere una vita che è presentimento dell'assoluto. L'atto di amore si realizza quando l'altro non è più altro ma con me; e ogni atto di comprensione è atto di amore e vive della stessa logica. Comprendere significa unificarsi e io posso bello! — Quando vivo della vita di ciò che è bello ». (Critica dell'estetica, 83). Certamente, ma intanto potremmo domandarci se anche l'atto di amore come atto di unificazione non vada incluso in una tensione tra il polo della 117

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volontà

propria dell'unificazione e quello della volontà, sebbene in sé (ma non è una filosofia della contraddidi possedere l'altro nella sua libertà come in modo è stato messo in risalto da Ed è in ogni caso evidente che, nella stessa sua conclusione impersonalistica, Spirito non può esimersi dal personalizzare il bisogno dell'assoluto assegnandolo alla volontà di chi sia consapevole di sentirlo: non il fine del mondo, ma « il fine dell'artista », « il fine del filosofo », la condizione di « chiunque s'impegni nella ricerca ». Egli ha così ribadito che atto di amore », quella « ricerca del valore » che è « presentimento dell'assoluto » non si realizza se non quando l'altro è « con me » (corsivo nostro), ossia non cancella l'affermazione di una soggettività che sappia di esser lei a riconoscersi tale nei fini della propria ricerca. Può dirsi veramente estraneo a questo orizzonte speculativo il recupero, fosse anche preterintenzionale, della persona? La formulazione più chiara della "critica non nuova nel pensiero di Spirito, perché prosegue ed integra, in questo, la concezione della "vita come arte", ma posta ugualmente a centro di progetto nell'opera di cui ora ci si trova nella relazione su Arte e linguaggio : « L'arte non può più, per lo stesso idealismo, distinguersi categoricamente dalla non arte: l'arte vive in tutta la realtà Quando poi la stessa struttura dello spirito sarà problematizzata e cesserà il dualismo tra realtà e teoria della realtà, la via risulterà interamente sgombra e sarà possibile concepire il compito dell'estetica in senso opposto a quello finora determinato. L'estetica moderna rivelerà l'angustia del suo presupposto e sarà svuotata del suo contenuto » (Critica dell'estetica, p. 33-34). Ridotta l'estetica empirica a scienza fra le altre scienze, la vera ragione dell'interesse dell'arte, anzi del suo maggiore interesse, almeno in certe età, rispetto a quello suscitato dai campi di ricerca e dalle questioni di metodo delle altre scienze, viene indicata nel fatto che Sartre,

et le

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l'arte si manifesta « un'esperienza meno definibile e come tale più aperta all'assoluto Tanto più ha significato quanto più si sottrae alla definizione e vive come esperienza indefinibile. L'arte diventa la porta del mistero solo perché non è un pezzo della realtà » 36), come non un "pezzo della realtà" ma tutta la realtà è la comprensione (l'amore). Di questa valenza filosofica non può dunque essere indicata una ragione certa se a fondamento del suo interesse è della sua esperienza e la sua totalità misteriosa. Ci si deve limitare a constatare che « nel tentativo di sollevarsi dalla parte al tutto o dall'empirico all'assoluto la ricerca umana ha assunto più alcune direzioni che non altre, senza tuttavia potersene rendere conto, proprio perché mancante di quell'assoluto cui tende e che solo potrebbe giustificare o non giustificare la scelta » p. 37). Il rapporto arte-linguaggio viene affrontato escludendo anzitutto la teoria (crociana) della loro identità, poiché non è possibile categorizzare concettualmente come del resto esperienza costituisce categoria o forma d'attività distinta. Nel caso della concezione dell'arte come forma dello spirito, autonomo valore, e della corrispondente estensione del linguaggio dalla "pura" intuizione ad un'intuizione espressiva della vita, se tali identificazioni sono pensate in tutte le conseguenze richieste dalla loro assunzione (come di fatto in Croce, a giudizio di Spirito, non accade) « l'arte e il linguaggio finiscono per coincidere con tutta l'attività spirituale e si nega la possibilità di concepire qualcosa che arte non sia » p. 38). Se si vuole sfuggire a tale conclusione e « si pretende di caratterizzare la peculiarità della forma artistica », si fa dell'arte l'espressione di « qualche cosa che non sia tutta la realtà spirituale » p. e si ricade in una limitazione arbitraria, sostanzialmente empirica, ma che non osa riconoscersi tale. L'orizzonte empirico non può infatti apparire giustificato in una concezione che, affermandosi dialettica, vada oltre l'ambito della limitazione medesima. L'invalidazione dell'identità arte-linguaggio non è evitata neppure dalla teoria dell'aconcettualità dell'arte che tanta fortuna ha goduto e tuttora gode in alcune poetiche delle "arti

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pur se respinta dal non meno incongruo intellettualismo che domina l'altro versante di esse. Le poetiche implicitamente o con spiegata consapevolezza, sono comunemente orientate dalla convinzione che la aconcettualità esprima la tensione dell'arte verso l'infinito, mentre la parola concettuale è caratterizzata dal limite, dalla definizione univoca o che si pensa di poter ridurre ad unità. Spirito in questa teoria dell'aconcettualità dell'arte come liberazione dal limite, corrispettiva ad una teoria del concetto (ossìa dell'attività concettualizzatrice) come limite, riconosce la presa di coscienza di una verità che lo rafforza nella concezione, assolutamente rilevante nel suo pensiero, della vita come istanza, come inesausta tensione, come "esperienza indefinibile", come arte, ma perciò anche come altro "aspetto" (la ricerca, la comprensione) a sua volta convertibile nell'arte medesima. Non soltanto l'arte, infatti, ma anche il pensiero si articola nella ricerca, si manifesta come tensione, ed anzi, quale che sia la sua letterale intenzione, quali che siano le condizioni psicologiche dei pensanti, in realtà non esaurisce mai la ricerca, non placa mai la tensione. Perciò come non si può per l'arte, non potrà parlarsi di limitatezza definitoria neppure: per una filosofia che sappia farsi consapevole dei rischi del dogmatismo. Proprio a causa di un dogmatico ignaro di sé, il presupposto della definizione (e della definitezza) categoriale si riaffaccia anche nei sostenitori dell'aconcettualità: perché l'arte diventa parziale proprio se viene elevata ad unica esperienza dell'assoluto e con ciò contrapposta alle esperienze cui l'assoluto è negato; perché la teoria medesima dell'aconcettualità, per il stesso di formularsi in ordine all'obliterazione del concetto, non sfugge alla definizione (e quindi a porre un concetto) di ciò che proclama indefinibile; perché, inoltre, lo stesso linguaggio artistico viene da essa definito e analizzato, e così reso non rispondente « a quell'esigenza che muove a riconoscerlo diverso dal concetto » 41). Sicché, in ultima analisi, la teoria aconcettualistica conduce proprio a quel che perentoriamente nega, cioè ad una implicita affermazione della superiorità della parolaconcetto. A queste difficoltà non pone rimedio peculiare 120

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della alla rappresentazione estetica. Difatti il ricorso al concetto si rivela ineliminabile da rappresingolare, non meno di quanto la singolarità della rappresentazione sia necessaria alla del concetto. meno, così, la possibilità di assegnare esclusivamente all'arte il carattere di rappresentazione della singolarità, perché individuazione e generalizzazione, in realtà coincidono nell'essere condizioni della possibilità di qualsiasi linguaggio. Né la teoria dell'aconcettualità in quanto assenza, di contenuti concettuali, ossia il puro formalismo, presenta basi più solide. Essa potrebbe cercar sostegno (e spesso lo ha cercato) nella presunta mancanza di contenuto della musica, opinione che riscuote il suffragio del senso comune, per di più, da una tradizione millenaria (anche se non indenne da contestazione) di filosofi e di competenti. « l'equivoco, anche qui, è dato dal fatto di credere possibile la vita del concetto senza musicalità e la vita della musica senza » 45). Ma il tono — osserva acutamente Spirito — vive in ogni parola ed al significato perché anche l'emozione esprime ed insieme comunica, non fosse altro, il suo essere emotivo. « Non è possibile pronunziare parola senza dare ad essa un tono atto a precisare il significato che non si colori di quel tono di umanità che ci consente di dare unità e valore al nostro operare » 45-46). Non sappiamo se, quando scriveva queste parole Spirito fosse informato dell'importanza che al tono nella lingua attribuiscono i linguisti nella linguistica per questo aspetto preminente della melodia del discorso, dell'immagine acustica che vivifica l'immagine grafica individuandone il significato, da allora si è semmai ulteriormente approfondito. È un'evoluzione che testimonia come sia penetrante l'intuizione del filosofo sul valore emotivo ma anche semantico della tonalità, se proprio dalla scansione e dalle modulazioni del tono si avverte il differire dell'emozione e ne viene comunque un suggerimento, una dazione di senso. D'altra parte, la come complesso di suoni connessi tra di loro da rapporti vive « nella definizione dei suoi momenti, 121

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nel matematico rigore dei suoi tempi, nella determinazione delle: sue note, nella scientifica precisazione della sua tecnica, e insomma in tutta una qualificazione suscettibile di una descrittiva concettuale » 46). Vive in essi, pur senza esaurirsi in anzi sempre trascendendoli nel suo fluire, perché anche nella musica tutta la vita si come arte. Tanto, dunque, il senso sprigionato dal tono, quanto le qualificazioni suscettibili di rigorose misurazioni e descrizioni nei rapporti tra i suoni sono elementi che intaccano profondamente la teoria della musica, non meno di quella deldella "altre" arti o court. Però, al contrario — e senza alcun pregiudizio dei procedimenti ma certamente al di là di essi se si deve riconoscere che la musicalità immanente a tutta la vita si esprime nella tensione a raggiungere una sintesi più alta « verso l'infinito ineffabile », sembrerebbe risultare riaffermata la concezione che la musica sia l'arte più idonea a dar forma ad una simile tensione, in quanto libera di contenuti concettuali determinati pur essendo ispirata (ed esprimendo) quell'unica aspirazione che assomma e vuole sintetizzare totalità della vita umana e darle un volto unitario. A conclusione del profilo della disputa sulla ed aconcettualità dell'arte, deve dirsi che la ragione speculativa che la sottende è sempre la contesa tra attualità ed In altri termini, la logica esercita la sua suggestione fornendo risposta alla mancata composizione dei poli dell'antinomia. Infatti affermare il darsi del limite e il darsi dell'illimitato significa affermarli attuali entrambi, costituenti non un'alternativa irrelata — che sarebbe alla determinazione stessa — ma una ossia un nesso dialettico, Se La vita come arte aveva già approfondito cosa Spirito intendesse quando avversava senza mezzi termini l'estetica ora, riapprofondendosi quella negazione, si chiarisce la funzione dell'estetica empirica. Come scienza empirica l'estetica viene liberata dalle limitazioni del suo campo e dalle negazioni dei suoi problemi e dei connessi problemi della critica 122

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d'arte, perché tali e limiti corrispondevano alle barriere imposte dall'arroccamento dell'arte in una categoria autonoma, per Spirito artificiosa. Questa categoria, del resto, se pur risultava dalla intenzione di liberare l'arte cioè ad altre categorie, in realtà, categorizzandola, tornava ad istituirla proprio in rapporto a quelle categorie. Rispetto all'estetica empirica, il compito, non già dell'estetica ma della filosofia che non consente frazionarie determinazioni del suo essere e del suo problema, unico anche se in situazione sempre diversa, è quello di sgomberarle il campo e di immunizzarla da sovrapposizioni alla propria attività di carattere scientifico. Così facendo, la critica dell'estetica prepara ed asseconda « il ritorno ad una concreta e vera distinzione tecnica ed artistica » 48). Il suo pensiero sull'arte consiste dunque per Spirito non nell'essere una filosofia dell'arte ma una filosofia della vita come arte in grado di esprimere un produttivo rapporto con la vita del"estetica" trascende così ogni prospettiva parziale che le provenga anche dalle filosofie sistematiche per ripresentare nella sua infinita molteplicità la prospettiva del Tutto. Essa, cioè, fa « avvertire l'esigenza dell'assoluto al di là di ogni pretesa di una metafisica sistematica, che si chiuda nell'ambito di determinate e peculiari scienze » p. 48). Il filosofo che ha negato la « distinzione essenziale tra l'arte e le altre attività umane » riconduce « la definizione dell'arte in termini relativi di un'esperienza storica in continuo divenire » p. Perciò tale definizione specifica, che non ha carattere spetta all'artista, al critico d'arte, allo storico delle poetiche e dei generi, all'esecutore, all'attore, al "competente", insomma a chiunque faccia dell'arte la sua ragione di vita. Tale quando rinvia ai competenti le definizioni al divenire dell'esperienza storica, assume sì certi caratteri del più radicale empirismo, eppure non chiude mai nell'empirismo l'orizzonte del pensiero, in quanto, come si è continuamente notato, la tensione, la ricerca, il bisogno di assoluto costituiscono l'istanza permanente e fondamentale della vita che consiste il particolare col desiderio di trascenderne la parzialità: una istanza schiettamente metafisica, sebbene « al di là di ogni pretesa di una metafisica 123

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». Resta tuttavia possibile domandarsi che fondamento abbia distinguere, nell'uomo quale viene modellato dal pensiero di Spirito, l'artista e il critico d'arte, lo storico delle poetiche e quello dei "generi", l'esecutore e l'attore — il insomma, che verifica nella sua esperienza « la definizione » nei termini relativi di una storicità « in continuo divenire » — dal filosofo che vive la esperienza della vita assumendone consapevolmente e quel mistero ove sboccano e si unificano tutti i suoi aspetti, e dove quindi sbocca l'arte stessa non meno della ricerca e dell'amore. L'esercizio della competenza è momento provvisorio che, nella coscienza di chi lo esercita, tende a dissolversi e a rifluire nella esperienza della ricerca, dell'arte, dell'amore, come l'intera vita che si vivere investendola ad uno di quegli aspetti, sapendo, peraltro, che ognuno di essi si riconverte reciprocamente negli In coerenza col carattere unitario della filosofia come coscienza problematica di una vita caratterizzata indistintamente in ogni suo momento da questa tensione all'assoluto (o — secondo quella che da lì a poco sarà, come vedremo, la conversione del problematicismo — come assoluto in ogni suo atto od enunciazione), un nucleo di verità viene riconosciuto alla posizione o all'esigenza di un linguaggio metalogico: che è altra cosa dalla teoria dell'aconcettualità dell'arte, per modi non sempre consapevoli, semplicemente sulla distinzione tra le categorie e, proprio in ordine critica di radice del concetto di distinzione, costantemente avversata da Spirito. « Non il concetto da una parte e la sensazione o il sentimento dall'altra, ma vi è una sola coscienza comprensiva dei suoi termini, come v'è un unico linguaggio in cui ogni forma di espressione è ricca di tutte le altre Cade, dunque la pretesa della teoria nella dimensione monistica e decategorizzante che lo sottende, è evidente in questo passaggio la tesi dell'unicità dell'espressione (che è espressione estetica), posta tuttavia da Croce, come ognuno sa, a fondamento dell'unità mentre qui è impiegata non già al fine opposto — che ricadrebbe nelle medesime obiezioni fatte valere da Spirito contro l'autonomia — ma a quello del reciproco ed infinito costituirsi e risolversi degli aspetti della vita.

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per cui l'arte si distinguerebbe categoricamente dalla non arte, ma resta valida l'esigenza di una coscienza che trascende la coscienza logica e di un linguaggio che va al di là della parola » 52-53). Si tratta tuttavia, diremmo, d'una reciproca trascendenza di arte e logica, se l'esigenza ultima e fondamentale permane quella dell'unità in cui arte e religione, scienza e filosofia, atteggiamento politico e vita morale, convergono perché nessuno di essi è esente da tutti gli altri ed ognuno è aspetto di tutta la vita. In realtà, soggiunge infatti Spirito, « arte e logica non possono essere viste in rapporto di subordinazione né di semplicemente perché vivono in un'unica esperienza, di cui sono elementi costitutivi concetti, sensazioni, sentimenti e quanto altro può analiticamente ritrovarsi nella nostra coscienza. Se non che la coscienza caratterizzata, se trascende volta a volta tutte le forme in cui la si rinchiudere, va al di là anche di ogni visione antropomorfica e diventa comprensiva di tutta la realtà. L'esigenza della teoria della aconcettualità diventa l'esigenza di una esperienza cosmica che l'artista, il filosofo, lo scienziato, il santo, riescono a intravedere in momenti culminanti della loro umanità » 54). È questa esigenza che stringe l'esperienza vitale in un plesso inclusivo del concettuale e del metalogico, in una intrinseca unità dei due piani che il limite concettualistico della vorrebbe tenere distinti. Ed allora « l'unica esperienza » "cosmica", cos'è se non unificazione, processo, La convertibilità degli "aspetti" della vita non è dunque priva di effetti che disirrigidiscano l'antinomia.

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LA SOCIALITÀ DELL'ARTE NELL'ESIGENZA DELL'ASSOLUTO

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Il saggio sulla Funzione sociale dell'arte procede sulla linea segnata da Arte e linguaggio tanto per la critica di una estetica autonoma quanto per l'invalidazione del concetto di un'arte e di un metodo critico privilegiato; e sulla linea di Impersonalità dell'arte per l'affermazione di certi aspetti della secondo un ideale etico e mediante conche hanno spesso uno specifico interesse nel loro rapportarsi all'intera personalità teoretica di Spirito. Se per l'artista l'arte costituisce « l'impegno massimo della persona », la sua opera sarà ricerca di « esprimere nel modo più adeguato » la sua visione del mondo. Ne consegue che, per qualificare un'opera d'arte, occorrerà intendere il significato della concezione (metafisica) ad essa sottesa. E quindi, se si vorrà fare un discorso concreto, non si potranno certo evitare le determinazioni e anzi si dovrà parlare di un'arte classica o romantica, pagana o cristiana, borghese o proletaria, ossia delle situazioni che quei concetti storiografici significano e che formano l'orizzonte metafisico dell'arte quale in esse si configura. Di fatto, la critica non elimina mai dal suo stesso discorso, per quanto sotteso possa essere dal dell'autonomia, i riferimenti storico-culturali, le determinazioni sociologiche. Ciò naturalmente non richiede di Critica dell'estetica, cit. 85-112. Sugli di estetica di Spirito successivi a La vita come arte, si veda: Giordani, L'estetica di Ugo Spirito, O. L'estetica di Ugo Spirito Bufo, e intellettualismo nella filosofia di Ugo Spirito, A. Plebe, Processo cit. processo all'estetica, pp. 115-34); A. De Maria, L'estetica di Ugo Spirito, V. Stella, Ugo Spirito dal problematicismo V. Stella, Arte e contemporanee nella di Ugo Spirito, L. Prospettiva estetica di Spirito, « », XIX (1966), pp. 440-50; L. Dondoli, Recenti contributi italiani in tema di estetica e di poetica, « Scuola e cultura nel mondo », IX 36, pp. 15-23 (ma, su Spirito, pp. 15-20). 129

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qualificare le opere secondo il loro argomento, ma di qualificarle secondo lo spirito con cui sono concepite, che certamente non ogni opera d'argomento religioso meriterà di essere religiosa, mentre potrà essere profondamente animata di religiosità un'opera dal contenuto (astratto, apparente) del tutto diverso. Spirito non si nasconde le difficoltà che, dalla mancanza di intrinseca derivano alla possibilità di definire una metafisica implicita alla sua arte. Ma in nessun caso tale mancanza potrà interpretarsi come di di un termine universale. « Si rinnova qui il problema della metafisica come processo e della metafisica come aspirazione, e proprio nell'artista può riconoscersi l'apertura antidogmatica di una visione che vada al di là di ogni limite intellettualistico » (Critica 88). della metafisica implicita non significa assenza di istanze metafisiche. Alla totalità spirituale umano, del quale la tensione metafisica è, sia pure implicitamente, una nota costitutiva, va congiunta la funzione sociale dell'arte, perché « dire umanità significa dire società » p. 89), e l'opera non può comprendersi fuori dell'ambito sociale. Ma tale socialità « deve intendersi in due modi diversi e tra loro intrinsecamente congiunti. In un senso la società è sinonimo di umanità e il suo motivo si identifica con quello che lega gli uomini al di là di ogni limite spaziale e temporale. In altro senso la società acquista una storicamente determinata e se ogni opera d'arte non può essere umana e sociale nel primo senso, si qualifica anche e si individua nel secondo senso facendo risuonare corde che vibrano soltanto nella mente e nel cuore di chi ha potuto fare particolari esperienze » p. 89). Il riconoscimento della socialità coinvolge implicitamente il tema della impersonalità, che si è visto dibattuto a fondo nel saggio che Spirito vi dedica e sul quale più volte ci è occorso di tornare da diversi angoli di osservazione. L'impersonalità è processo spirituale dell'individuo che riconosce l'infinita del suo essere singolo ponendosi come istituendosi cioè nel rapporto di soggettivazione e di del sé, allo stesso modo che riconosce la totalità delle 130

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sue connessioni col mondo, il suo generarsi dall'intero mondo e interamente riconfluire in esso. Fattori costitutivi di un'opera saranno allora « tutti gli elementi di quella particolare società » 90), caratterizzata in un determinato modo, che non potrà non lasciare traccia sull'opera così come lascia traccia su tutto ciò che ne è prodotto e su ciò che concorre a costituirla. Certo la fenomenologia di questa incidenza è infinita e non si può misurare con preordinati e rigidi metri quali sono quelli che derivano all'intenzione d'arte dalla forzatura entro i moduli e i precetti di un'autorità pratica che quasi per istituto abbassi la produzione artistica a suo strumento. Ma nel senso ben altrimenti complesso per cui nella dimensione dell'uomo non c'è cosa che non confluisca e non si risolva nel tutto, e con le sfumature che questa radicale e costitutiva concatenazione segna sul farsi dell'opera e richiede nei concreti giudizi della critica, l'opera d'arte è con ogni evidenza « opera della società che in essa si riconosce. Il fatto che possa individuarsene uno o più autori è un fatto estrinseco che nulla toglie alla effettiva unità della sua nascita e della sua vita sociale » p. 90). L'arte dunque è sociale non soltanto nel senso che è destinata a tutti, ma anzitutto nella sua genesi e nel divenire, ossia in ciò che Spirito ha affermato come "impersonalità" per cui la condizione esistenziale dell'arte è suo storico essere. Se l'arte è sociale, se, come il mondo contemporaneo tende al comune anch'essa tende al comune, quale sarà il significato di un'arte Spirito presenta il problema con la sua abituale coraggiosa chiarezza. Egli esclude che l'arte possa dirsi comunista in quanto espressione dell'incoativo comunismo di quelle odierne istituzioni statuali che s'ispirano al marxismo, perché in quello marxista — e specialmente negli ordinamenti giuridici e politici da esso prodotti — non riconosce un vero comunismo. Né qui ha importanza determinante se quegli ordinamenti assumano di avere realmente attuato il comunismo o ne rinviino l'attuazione in un utopistico futuro. La ragione teoretica di questo disconoscimento da parte del filosofo è nella constatazione della inadeguatezza che si rivela nella critica della persona effettuata dal marxismo-leninismo. Non è, cioè, quella di Spirito, una dissidenza circa le procedure e i tempi della 131

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rivoluzione (o delle rivoluzioni), ma un dissenso relativo alla della prassi come un insieme di comportamenti e di "dottrina" nel quale gli sembra doversi ravvisare lo dell'ideale comunista. La ripugnanza teorica del marxismo non bilanciata da una concezione della persona che sostituisca quella cristiana non meno perentoriamente rifiutata, spiega l'atteggiamento inaugurato da una prassi che, nel marxismo ridotto ad una tattica ormai incapace di superarsi, torna a distinguersi dalla teoria. In questo sdoppiamento di piani, in questa sorta di doppia verità e di azione ambivalente, Spirito ravvisa una regressione del comunismo verso l'individualismo e l'imborghesimento e il suo tendere a risolversi semplicemente nell'affermazione sul piano internazionale di un potere politico mentre alla lotta di classe non succede la formazione dell'uomo nuovo. Tra le due forze che alla genesi marxismo — l'umanismo organico d'impronta hegeliana e l'egualitarismo giacobino prevale così, almeno temporaneamente, quest'ultima. un criterio, che forse concede troppo alle motivazioni di certo marxismo di poco anteriore alla composizione di questi saggi, Spirito è portato a giustificare tali insufficienze in quanto provvisorie (questo perlomeno è il suo giudizio nel che tuttavia non appare modificato nella riproduzione del saggio in Critica che è del La provvisorietà si assumeva, ogni evidenza, dovuta al fatto che il comunismo vivesse in un mondo in maggioranza ostile e che perciò non potesse essere quale avrebbe dovuto, quale cioè avrebbe dovuto divenire mediante il coerente processo della propria realizzazione. In un clima di lotta esso sarebbe costretto in qualche misura a « riconoscere » il suo avversario, cioè quello « stato transitorio » che scomparirà quando la rivoluzione avrà veramente posto in essere il suo progetto, ossia quando le condizioni per la nascita nuovo", che attui interamente da sé la propria costitutiva socialità, si siano adempiute nella loro pienezza. Viceversa nel dell'avversario" effettuato dall'odierno tatticismo comunista « vi è molto di più di quanto il comunista non creda, perché il futuro non rappresenta l'attuazione di una metafisica già consapevole, bensì 132

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proprio quella che al comunista manca e di cui avverte oscuramente l'esistenza. Per ora la nuova metafisica vive in termini negativi, come della società borghese e volontà di sostituirla; e, siccome manca il criterio per l'effettiva costruzione, si insiste nell'opera distruttiva o semplicemente eversiva. Si tenta, cioè, di mutare la situazione di fatto valendosi degli stessi principi costitutivi e facendo l'ideologia individualistica nell'ambito di una lotta di classe particolarmente concepita. Al borghese si contrappone il proletario Ma il principio ideologico e politico è sempre quello illuministico della eliminazione del privilegio e dell'eguaglianza per tutti. La mèta è sempre quella dell'ideale borghese e si cerca soltanto di estenderlo a tutto il proletariato » 99-100). Quel che nel linguaggio dei partiti comunisti viene sprezzantemente qualificato come « riformismo socialdemocratico » sarebbe proprio della linea politica attuale del comunismo e non già delle tendenze cui le posizioni ufficiali imputano caratteri o revisionistici. Inadeguato, dunque, il comunismo perché è dovuto ad insufficienza teoretica il suo mancato riconoscimento dell'avversario e il conseguente attardarsi nella ripetizione di istanze già poste ed ora svolte ora fallite nel clima ideologico della rivoluzione francese. Ma, d'altra parte, se il futuro dell'arte comunista anzi court del comunismo — è quella metafisica che le manca e della quale « avverte oscuramente », la situazione del mondo contemporaneo nella quale il comunismo opera ed incide è, quale Spirito la riconosce, proprio la carenza di una metafisica in atto nell'esigenza di una metafisica non chiarita. Da questo punto di vista la contraddizione del comunismo è fedele interprete della condizione odierna. Ma, poiché il marxismo e l'illuminismo rientrano nello stesso orizzonte metafisico, la cosiddetta arte comunista rimane estrinseca, priva di una reale forza « Di comunistico in essa soltanto il principio propagandistico della lotta di classe e quindi la esaltazione della classe operaia unita alla feroce polemica contro la classe borghese » 100). L'atteggiamento di Spirito verso l'arte comunista non si limita però alla constatazione della inesistenza di essa in una società dove il comunismo sia ancora da realizzare e dove le 133

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socialiste non si sottraggono a pressioni e della uguale mancanza in una società caratterizzata comunque dalla presenza di forze comuniste altrettanto involutive pure nel tipo della loro opposizione alla democrazia parlamentare. Se il fatto che un'arte comunista non esista non dire che non ne sia sentita l'esigenza e che non ne esista il problema, Spirito prefigura ciò che potrebbe chiamarsi la dialettica di quest'arte e, data la certezza « che il comune e il siano le caratteristiche della rivoluzione in atto », egli, « nelle forme in cui esse vanno manifestandosi » vuole ritrovare « le indicazioni per l'ulteriore 103). La mèta verso la quale convergono le cosiddette di costituite dai nuovi mezzi espressivi radio, televisione), insieme a certe tendenze delle arti che in parte continuano ancora a servirsi di tradizionali mezzi di estrinsecazione, è essenzialmente l'arte comunista. Ma poiché volere per tutti non implica augurarsi la fine della problematicità dell'arte (che, semmai potesse essere, sarebbe l'esaurimento dell'arte), occorrerà intendersi sul significato di arte per tutti. « il problema del raffronto dell'anima degli uni con quella dele la necessità di scoprire quel più profondo legame che tutti ci stringe e può farci vivere all'unisono. Il problema del comunismo, del vero comunismo, è finalmente posto. Se questo problema volessimo definire con precisione, potremmo dire che esso concerne la diversità dei gradi di consapevolezza degli individui che compongono la società » p. 106). Il comunismo marxista non ha tardato a cogliere tale problema in relazione alle difficoltà che le diverse « forme di autocoscienza [qui la parola autocoscienza è evidentemente usata nell'accezione di empirica consapevolezza, di vario patrimonio culturale ed etico connesso alla diversità di classe cioè nell'uso comune più che in quello di termine; o, al più, come tensione verso l'autocoscienza] esistenti nella società contemporanea » p. 106) frappongono alla realizzazione del processo rivoluzionario. La mèta è quella di ridurre il diverso grado di consapevolezza e ciò non implica necessariamente l'eliminazione dei diversi modi della ossia non implica la fine della storia. Così, almeno, ci sembra 134

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doversi intendere, se lo "statuto" è, come lo abbiamo anche prima interpretato, un "processo" di identicioè quella onde l'altro si costituisce nella relazione all'identico. In questo dover essere, proprio all'artista spetta il compito più perché a lui è soprattutto affidata la possibilità di espandere e intensificare la comunicazione e la comunione fra i diversi gradi di autocoscienza che, intanto, esistono. All'artista più che al politico. « Debbo parlare col povero di spirito, e non in un utopistico domani in cui lo si può immaginare trasformato, ma oggi e dappertutto. Non posso più a lui e rivendicare la mia superiorità, perché la sua realtà è la mia, e la nostra società è ugualmente essenziale a lui e a me. Egli è mio giudice e io debbo giustificarmi e persuaderlo. All'astratta rivendicazione dei suoi diritti che posso formulare sul piano politico debbo sostituire la concreta comunanza di vita che mi conduca a ricercare la sua parola e a intendere la sua anima Il politico può informarsi, l'artista deve vivere della stessa vita » 107) della povera gente. Il problema dell'arte acquisisce dunque la sua più profonda verità sconfinando da sé, facendosi problema della vita intera. Il rimettere in giudizio a proposito dell'arte l'affidamento di una missione di promozione umana a quell'aristocrazia, sia pure della cultura e che l'egualitarismo considera sepolta, e che riappare invece come il problema stesso dell'educazione, di un apostolato che è sociale perché integralmente spirituale, che nel venire ad me trovi la sua doverosa è una manifestazione di questa compresenza di motivi nella considerazione che l'arte. Anche nel rilevare la funzione dell'aristocrazia, argomento già negli anni in cui il filosofo lo ripropone così impopolare da essere del tutto disatteso o da finire nel migliore dei casi, sotto di Spirito rifugge dalla demagogia, dall'egualitarismo aritmetico. Occorre infatti distinguere l'aristocrazia che si distacca « da quella che tende a condurre con sé la massa proseguendo lo stesso cammino » p. Vi è, dunque, « che comprende ed innalza. E se questa superiore aristocrazia parlerà a un certo punto un 135

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troppo difficile per poter essere inteso immediatamente da tutti, e se potrà pensarsi che il colloquio si restringa a pochi scavando un abisso tra i pochi e i molti, questo non vorrà dire che il dualismo sarà effettivo, perché nella parola non intesa vivrà tuttavia una forza spirituale capace di raggiungere prima o poi, direttamente o indirettamente, l'anima di coloro che ne sembrano esclusi. Il colloquio, che appariva interrotto, si ricostruisce su di un piano diverso, reso possibile dall'ulteriore di tutti. Allora la funzione dell'aristocrazia torna ad valore universale e non è più segno di chiusura individualistica » 109-10). Ciò significa dunque che il parlare dell'artista « al povero di spirito », la ricerca che l'artista compie per intenderne l'anima e la parola, non richiede la rinuncia dell'arte alla propria parola, ma l'elevazione di alla parola dell'arte. In questa ove si attua anche l'intelligenza del linguaggio artistico da parte di ognuno, la vita come arte torna a inverarsi nella vita come amore; e nell'osmosi di aristocrazia e di popolo come dualità destinata ad un continuo superamento risuona ancora l'eco della migliore pedagogia con suo motivo conduttore dell'unità spirituale come farsi in atto di educatore ed educando insieme al più maturo concetto di lavoro inteso ad estirpare il privilegio quando esso sia produttore d'isolamento e di frattura. Ma potrà riconoscersi nel suo valore autentico e portare l'altro a sé quando non le è consentito il riconoscimento dell'altro come altra persona? Come si può innestare funzione dell'aristocrazia e la giustificazione stessa della diversità sul tronco senza far luogo a paralizzanti Il concetto stesso di élite non muove, anche nella sua dimensione sociologica, da una radice personalistica? in altri termini, il superamento della singolarità annulla la funzione fondante della persona o la innalza, piuttosto, a esigenza che determina il dover essere della totalità nella tensione verso l'autocoscienza assoluta e fa della persona espressione organica di totalità e non Gentile, di pedagogia, Firenze, Sansoni, 1 Pedagogia generale, soprattutto pp. 125-31. cfr. G. Gentile, Genesi e struttura della società, Firenze, Sansoni, 1946, pp. 111-12. 136

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supporto naturalistico di una pluralità di coscienze naturalisticamente divise e disperse? La morale e quindi, di riflesso, la sua concezione sociale dell'arte, si riconducono pur sempre dell'assolutezza unitaria come oggetto della domanda riflettendo peraltro le difficoltà e la problematicità che travagliano il concetto di autocoscienza, il rapporto coscienza/autocoscienza, col progresso stesso della sua Così, si è visto che da un lato imputa al comunismo, quale finora storicamente è stato ed è, di non sapersi elevare al disopra dell'individualismo, illuministico e giacobino, mentre d'altro lato affida l'attuazione del "vero" comunismo a un'aristocrazia che agli hegeliani individui cosmico-storici si assimila non per essere super ma per l'afflato etico della sua e della sua azione ove la norma è sempre nuova creazione ed investe anzitutto chi la produce. Ma tale posizione non determina affatto una involontaria e ingenua contraddizione con la critica della persona. Spirito sa benissimo che impersonalismo e persona storica, come realizzarsi nel mondo degli atti e delle opere, convergono. Il suo atteggiamento è piuttosto un aspetto — ed in questo consiste la difficoltà e il travaglio — della problematicità che obietta al processo d'identificazione tra impersonalismo e personalità storica non per affermarlo irreale, ma per farne una esigenza, una possibilità non garantita, per solcarlo, cioè, con l'assillo o, se si vuole, con l'opposto processo della disgiunzione La socialità dell'arte viene dunque pensata da Spirito nel disegno di un comunismo ove le dell'arte integra in sé l'attiva aristocrazia del comprendere col dovere di portare ognuno a comprendere. Alla stessa istanza di universalità o di cosmicità affermata come bisogno e sempre combattuta come presunzione di possesso) che caratterizza la struttura argomentativa ed il significato essenziale del pensiero di Spirito, risponde la sua concezione della critica d'arte, resa esplicita di nuovo, e in modo più articolato, nella relazione ad essa dedicata, La vita come arte,

VII Arte e crìtica,

299-326.

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una volta in prosecuzione delle pagine della Vita come arte che avevano posto il problema. Al pari dell'arte, al pari di ogni altra manifestazione della coscienza, critica d'arte, approfondendosi, si e consegue la sua autentica concretezza d'individuazione dilatandosi nella vita unitaria. Si era detto: « Non più critica d'arte come filosofia, che con il metro della categoria presuma di misurare ciò che trascende misura » (Critica estetica, 134). Ma se la critica risponde al bisogno di comprendere e di far comprendere, questa può intendersi « a patto dì risolverla in quella unica del nostro essere, là dove arte, religione, filosofia e ogni altra umana manifestazione si fondono in una sola realtà » p. 136). L'esclusione della filosofia dalla critica (d'arte), cioè, è da ritenere solo come un aspetto della generale esclusione della filosofia categorizzante e non già come soppressione di quella immafilosoficità della ricerca in quanto bisogno d'assoluto che si pone con l'atto stesso di vivere — del vivere come affermare — in tutto lo svolgimento della ricerca. E sarebbe assurdo reputare la filosofia tale da poter essere esclusa, sia che da Spirito essa venga pensata come, appunto, la perenne problematicità dell'obiezione, del dubitare, del non sapere, del voler sapere, sia che venga affermata come di un sapere che sia saper di sapere, non poter non sapere, in un orizzonte di vita ove la parola costituisce sempre l'atto dell'affermazione radicale, secondo quanto mostreranno le posizioni di Inìzio di una nuova Del resto, il non sapere e il non poter non alla nota 2 del I capitolo di questa seconda parte. Di Inizio di una epoca, cioè che segna la matuin senso dell'ideale si occupano parecchi degli scritti citati sopra, alla nota 3 del medesimo capitolo su La ricerca, l'arte l'amore; naturalmente, quelli apparsi dal Inoltre, Del modo adeguato di impostare il problema della conoscenza (Premessa ad uno studio sul di Ugo Spirito), « » XIV (1959) 88-99; L. problematicismo di Ugo Spirito, XV (1960), pp. 97-137; Ugo Spirito: scienza e pace, « Rivista di filosofia pp. 85-92; V. Scienza e filoin Ugo Spirito, « », XV (1963), pp. 239-58; A. a Inizio di una nuova epoca, XIII (1962), pp. 144-53; La del Ugo di filosofia (1962), pp. 488-91;

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sapere, perenne dubitare e l'altrettanto necessario affermare non sono prospettive che intrinsecamente si contraddicano, perché in atto coincidono nell'esperienza vissuta del pensiero. « Comprendere e far comprendere è il compito del critico d'arte perché è il compito di ogni attività umana o sociale. Comprendere e far comprendere dire vivere ogni manifestazione del reale — e quindi anche l'opera d'arte — nei limiti in cui ognuno riesce a comprendere e a far comprendere » (Critica dell'estetica, 136-37). Liberato l'atto di comprensione dall'ipoteca dell'intellettualismo, per la sua identificazione con l'atto dell'adesione amorosa, tale universalità di risultato non può tuttavia « essere segnata dal carattere esaustivo » 139). Non si tratta, infatti, di una totalità come somma di parti, « della vera totalità che vive implicitamente in ogni parte » p. 140) e pertanto « può dare significato e vita anche al più minuscolo frammento. Sì che l'atto di comprensione del criterio d'arte si effettua in ogni atto di vera adesione in qualunque maniera e per qualunque via esso sia raggiunto L'universalità si concreta nella capacità di unificazione, per cui la parte non è più parte e vive della realtà del tutto che in essa » p. 141). E poiché mutano i mezzi di comprensione dell'opera d'arte e poiché, soprattutto, l'effettiva di questa consiste nel mutare della sua stessa realtà, « è necessario riconoscere che l'atto dell'intendere e del criticare è atto creativo di una realtà sempre nuova, che muta mutare delle persone dei luoghi e dei p. 143). Così il rapporto di distinzione tra arte e critica si riconferma valido sul piano empirico, come sul piano empirico si distingue la scienza dall'arte e una disciplina scientifica dall'altra; ma se la critica risponde a un bisogno profondo di unione del critico e dell'artista nella comune umanità, essa non potrà assolutamente definirsi secondo una La nuova epoca di Ugo Spirito, 1963, pp. 387-401; O. Conti, Polemica sull'immanenza in Ugo Spirito, IX. pp. 138-49; A. Negri, Dal Corporativismo comunista all'Umanesimo op. soprattutto parte II, cap. I L'identità di filosofia e scienza, pp. 113-66; problema di Dio in Spirito, op. parte I, cap. L'onnicentrismo come esasperazione del dubbio, pp. 101-13, e pp. 114-15.

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distinzione tra un conoscere della critica e un fare dell'arte o tra un conoscere della critica e un diverso conoscere dell'arte o come una prassi critica che sia altro dalla contemplativa arte. Il critico conoscere è anche un fare, in quanto non può esservi conoscenza « senza partecipare allo stesso processo di creazione » 144), mentre il fare dell'arte è anche un conoscere, perché al processo creativo è intrinseco il momento stesso della Nessuna passiva riesumazione, pertanto, del dualismo e quasi della contesa tra e ma una filosofia che non si suddivida isolando a suo oggetto ora l'arte ora l'altro dall'arte, ed una critica i cui modi di approssimazione e penetrazione dell'arte non siano esclusivamente i ed i canoni elaborati dalla sciendell'arte La questione, del resto, era stata determinata con grande chiarezza già nel citato capitolo della Vita come arte. « Ma se non ha fondamento critico la definizione dell'arte come intuizione e se non hanno quindi valore i tentativi fatti per informare a essa la critica ciò non dire che le distinzioni cui essa conduce non possano servire entro certi limiti all'analisi d'arte. Anche senza aderire a quella definizione, infatti, si sono tante volte riconosciuti all'arte i caratteri del disinteresse, della della catarsi E nessuno potrebbe negare l'esigenza che è implicita in queste affermazioni. Ma la ragione del tatto, e quindi del successo della filosofia che cali caratteri ha assunto a determinazione di una categoria, è soltanto nella generica aspirazione che ha l'uomo di sollevarsi dal sensibile al o dalla coscienza aspirazione al cui soddisfacimento egli crede più o di avvicinarsi. E allora nell'arte, che è tutta la vita, egli distingue l'arte in senso specifico, che rappresenta i momenti culminanti del suo tendere all'assoluto che gli Ma è chiaro che la determinazione dei momenti culminanti e dei loro caratteri non può superare l'immediatezza del gusto, senza che l'aspirazione finisca e con essa l'arte. Sì che, quando si afferma che l'arte è senza interesse, si dire soltanto che l'interesse si solleva sempre più verso l'assoluto e che, dello sforzo, i comuni interessi sono svalutati. Allo stesso modo quando si dice che l'arte supera la passione e ha funzione si riconosce artistica una passione che si distacca sempre più dall'incoscienza e perciò si crede superiore alle altre e più vicina alla mèta. Ma che sia veramente superiore non si può dimostrare stregua di un criterio assoluto che manca e si può soltanto affermare con un giudizio di gusto » (p. 306-67). L'inattualità si è spostata dall'arte alla filosofia come sfuggente futuro, ma poiché l'esigenza metafisica si estende a tutta la vita, essa torna ad abbracciare anche la critica d'arte, ossia il tentativo di nel giudizio la presenza dell'arte. Di fatto, il "gusto" del critico d'arte è il gusto chi realizzare la conoscenza individuandola nel rapporto di distinzione e nella situazione delle "opere d'arte".

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NON SAPERE PROBLEMATICO E SAPERE ONNICENTRICO

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Nel saggio su La critica d'arte sono presenti spunti di quella posizione che urge nel problematicismo: ogni parte, avvertita nella sua funzionalità, si identifica col tutto, perché dal tutto riceve la luce che può illuminarla e farla intendere. Ancora una volta la vera totalità o universalità è data da ogni punto in cui si incentra la realtà del tutto, in modo che comprendere si può avvertendo la centralità della vita che si comprendere e facendo con essa » (Critica dell'estetica, 142). L'insoddisfazione del problematicismo (intendendosi qui lo sviluppo che va dal suo germogliare nella Vita come ricerca alla sua prima risoluzione nella Vita come amore, ma, che non basta a metterne in luce tutte le implicazioni) nasce in Spirito dall'intera esigenza di risposta alle critiche che ritenevano doverne difendere la formulazione da una « innegabile chiusura entro l'ambito di una delle solite metafisiche e gratuite » (Inizio di una nuova ca, p. 264), da quell'avvio, cioè, ad un consolidamento in sistema che, pur essendo la sorte di ogni filosofia, è insieme impoverimento della sua forza di convinzione ed inizio dell'esaurimento. La risposta muove dalla constatazione che il problematicismo radicale « coincide col nullismo e quindi con l'impossibilità di dare un significato alla ricerca che pur dovrebbe scaturirne » p. 264). Occorre dunque formulare un'ipotesi determinata, per uscire « assunzione del concetto di ricerca nella sua assoluta [che] potrebbe dar luogo esclusivamente alla sua ripetizione indefinita e retorica, senza consentire alcun passaggio effettivo a un'iniziativa concreta » pp. 254-65). Questa ipotesi, « concepita in modo tale da conciliarsi con l'istanza dell'infinita apertura e perciò con il significato più profondo del problematicismo » p. 265), è il principio di non La non esclusione permette l'infinita apertura e corregge il precedente quadro 143

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co-teoretico del problematicismo in quanto attua quella comprensione del diverso che nella fase della Vita come amore era dubbio motivo fondamentale ma veniva poi turbato dal tema dell'impersonalità. Comprensione del diverso o identificazione unificante? conduce all'impossibilità di ammettere un processo di soggettivazione che all'altro consenta di presentarsi ancora come diverso, e tale perciò da non ostacolare la concezione di una socialità concreta — la socialità dei "soci" distinti — momento non privo di rilievo nell'orizzonte di Spirito. L'infinita quale ora viene prospettata, essendo ipotesi dell'infinita del diverso, è tuttavia ipotesi dell'assoluta affermazione di se: realizza cioè la compossibilità dei termini convalidandoli entrambi. L'ipotesi, infatti, « esclude nel proprio costituirsi ogni ipotesi diversa. Essa si esprime in un discorso che è diverso dagli altri discorsi e che perciò stesso li esclude » 285). Cosicché, paradossalmente, ogni discorso si costituisce esclusivo, ma nel costituirsi tale non ignora il diritto delle altre ipotesi del ad un analogo convincimento e si offre alla comprensione degli altri. quindi, allo stesso titolo, tanto l'ipotesi dell'esclusione. quanto l'ipotesi della non esclusione. Il principio della non esclusione, proprio in quanto include in sé l'esclusione, perché si riconosce diverso da ogni altro criterio, e la non esclusione, perché riconosce la legittimità di tutto l'altro, conferma l'ambivalenza delle altre strutture teoretiche proposte da Spirito. « » chiarisce il filosofo « in quanto rapporto di esclusione e di inclusione, non può non vivere del principio di non esclusione come della propria assolutezza e non considerare l'infinita apertura come valore. È questo ciò che costituisce il suo essere, la sua vita, la sua centralità. Ma la sua affermazione poi non toglie che esso riconosca in ogni chiusura e in ogni dogmatismo il valore assoluto della vita o della centralità ch'essi rappresentano » p. 286). Là dove niente si esclude — ci sembra doversi interpretare — non si esclude neppure l'esclusione, cioè la chiusura nell'affermazione escludente. Ossia, escludendo ogni che contrasti con l'apertura come assolutezza logica e valore, ad un tempo, etico (cioè escludendo ogni 144

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che limiti la non esclusione) si ammette esclusivamente tale infinita apertura: la non esclusione coincide con l'esclusione. Da parte di chi assume il principio della non esclusione si potrebbe osservare — l'ammissione dell'esclusione è un momento procedurale e serve, pertanto, alla fondazione della propria validità. Lo stesso può dirsi però per chi assuma il principio dell'esclusione. Ma se esclusione e non esclusione coincidono è perché ognuna di esse, in quanto posizione di sé, è sottoposta all'obiezione che ne scopre si riconduce dunque al problematicismo. E nel problematicismo della coscienza ricercante trovano rigorosa giustificazione — come sappiamo — tutte le ipotesi della ricerca. Tuttavia, a quella coincidenza ed a questa legittimazione di tutte le ipotesi in quanto tutte esposte consegue ugualmente che esclusione e non esclusione, proprio se simultaneamente assunte in antinomia, siano principi inconfutabili. Ciò non toglie che il concreto pensare sbocchi sempre in un'affermazione, proceda ad una scelta, riconosca le diversità infinite delle situazioni Anche verso la funzione genetica dell'attualismo è determinante. Il legato risalta qui nell'argomentazione, che Spirito svolge, del rapporto tra parola assoluta e parola relativa come elemento chiarificatore di quella posizione logico-dialettica la quale fa sì che non vada confuso col relativismo. « Nell'atto di pronunziare una parola, tutta la mia realtà, e perciò tutta la realtà di cui sono espressione, vive in quella parola e soltanto in essa, sì che essa vivendo del tutto, non può non avere valore assoluto, non può non essere l'assoluto. Al contrario quella stessa parola, pronunziata che sia, diventa oggetto di una nuova considerazione che si incentra in una nuova parola, di fronte alla quale la prima diventa elemento periferico, parola tra parole, e perciò in relazione alle altre, che tutte si raccolgono nel fuoco del diverso atto, del diverso centro 278). Quell'assoluto che fino alla Vita come amore incardinava la concezione al plesso dell'esigenza del conseguimento col non sapere circa la possibilità del conseguimento stesso, qui viene affermato come possesso, anzi come tale che non si possa non possederlo, come puntuale consegui145

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mento. Il possesso è, un possesso dialettico ottenuto nella puntualità dell'atto, la necessità è libertà. « C'è la parola che si pronunzia e c'è la parola su cui si riflette dopo averla pronunciata. La prima è assoluta, la seconda relativa. La seconda, cioè, passa alla periferia, si e diventa elemento di un quadro che rappresenta una nuova centralità assoluta » Appare evidente in questa formulazione come trovi piena conferma la prospettazione diadica della logica La relazione tra "parola che si pronunzia" e "parola è lo stesso rapporto atto/fatto, concreto/astratto, pensante/pensato, presente/passato. Ciò che s'include è l'atto, ciò che si esclude è il fatto. Ma è proprio mediante questo ripensamento che ora Spirito propone quella giustificazione del plesso diversità/identità unitaria che lo differenzia dalla matrice della Teoria generale e dal suo stesso originario problematicismo. « "Non possiamo dire che tu non viva in me e io non viva in te e che il nostro vivere reciprocamente l'uno dell'altro non sia costitutivo della di ognuno. Il nostro colloquio risulterà dal reciproco esporci le nostre prospettive, ma il risultato non sarà quello di farle diventare una sola, di in modo sempre diverso, con la coscienza della presenza dell'altro in p. 282). Il rapporto all'attualismo qui si propone nei termini della giustificazione delle pluralità dei soci culminante in Genesi e tura, con una forza di chiarimento che su questo punto appare forse più efficace di quanto non sia nel testo La perenne germinazione di prospettive diverse non le unifica, in una sola prospettiva ma istituisce in ognuno di noi « la coscienza della presenza », fonda in noi la società come l'essenza del nostro processo La svolta affermativa che imprime al problematicismo si traduce di fatto in una temporanea moderazione del giudizio della crisi di civiltà che ha accompagnato l'opera di Spirito a partire, almeno, dalla Vita come ricerca. La crisi sì riaffermata, ma l'impegno a vincerla sembra fondarsi su speranze più consistenti. Ma certo questa non è la rivelazione assoluta dell'autocoscienza che avrebbe richiesto l'unificazione delle prospettive nell'abolizione della diversità. 146

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E LE POETICHE CONTEMPORANEE

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I capitoli di Critica dell'estetica più attenti all'arte contemporanea, pur essendo stati scritti nella fase (L'unificazione del mondo dell'arte e Astrattismo e neorealismo sono del Architettura ed estetica del Estetica e arte astratta del fine sociale dell'arte del non sempre riflettono puntualmente Essi, ad eccezione di qualche pagina in cui l'impegno teoretico si fa più preciso, ormeggiano la concezione senza volerle far seguire necessariamente sempre la linea dell'ulteriore approfondimento argomentato nelle altre opere di quegli stessi anni, a partire, appunto, da Inizio di una nuova Riveste tuttavia notevole interesse una ricognizione dell'atteggiamento che Spirito vi esprime sull'arte e le poetiche contemporanee in ripresa di temi sfiorati nella Vita come ricerca, svolti con una certa ampiezza nella Vita come arte ed ora riconsiderati accanto a motivi di nuovo contenuto. Che l'atteggiamento di Spirito, il "gusto" sotteso alla sua concezione dell'arte (dell'arte — non occorre ripeterlo — nella vita, in tutta la realtà, dell'arte indistinguibile nell'ambito di una concezione che si fa un merito di aver chiarito la e dell'autonomia), sia di fondo realistico non è dubbio: basta aver presente il costante e dominante orientamento etico-sociale del suo pensiero, come si rispecchia, in particolare, nel bellissimo saggio, di cui si è prima parlato, Sulla funzione sociale dell'arte. Ma in base a quello scritto — ossia precisamente sulla premessa della radicale critica che vi si svolge della demagogia e del grossolano politico cui le opere con intenzione d'arte vi vengono — ci si accorge come l'accezione di realismo, se non può, ovvio, essere la stessa di quella della poetica classica (e classicistica) della mimesi, non può essere neppure quella del realismo romantico o socialista o critico e dei corrispettivi movimenti neorealistici: ossia di quel realismo che sostituisce il canone della riproduzione idealizzata della natura con l'ideale del 149

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L'evidenza in cui abbiamo constatato esser posta la dialettica di comunismo e in un saggio in cui il problema centrale è estetico ed insieme etico, e il risalto in cui posta la questione della aconcettualità in Arte e ci permettono ora di avvicinarci con migliore intelligenza tanto alle tendenze quanto a quelle dell'arte contemporanea. Queste ultime certamente prevalgono (soprattutto negli anni della composizione della Critica e sono da Spirito per comodità di discorso, nel termine di reso quasi corrispettivo, con una dilatazione semantica che per la sua estensione può dar luogo ad equivoci, dell'arte « rispondente alla trasformazione in atto della concezione della vita » Per Spirito, come per la maggior parte tanto di chi produce da artista tali orientamenti quanto di chi li studia (e anche così, in qualche modo, influisce su di essi), il « distacco radicale dalle forme tradizionali, e l'accentuarsi di ricerche più contrarie al senso comune » (Critica 167) costituiscono i segni di una crisi, sono, se non espressione, certamente sintomo di « esigenze di rottura e di rinnovamento ». Per questo vengono suggeriti dalla « trasformazione in atto della concezione della vita » e, nello stesso tempo, agiscono su di essa, per quanto, parrebbe, nel senso di assecondarla con la testimonianza più che in senso autenticamente innovatore e creativo. Il « significato più profondo » ed « il principio che ispira, fino a questa forma estrema [cioè l'astrattismo] tutta la varietà degli indirizzi artistici di questo secolo » p. 169) sono la fenomenologia stessa della crisi, pervenuta ad esser consapevole sua estensione a tutto — crisi dell'arte, crisi della morale, crisi della stessa scienza — ma non ancora produttiva di una Per questo verso la diagnosi che Spirito nel 1959 non può che ripetere quella del Solo che, se la iniziale della crisi si distingue per « un processo quasi esclusivamente distruttivo, di questo termine conviene far uso in senso lato, per indicare ogni dell'arte contemporanea volto all'instaurazione di un'arte rispondente alla trasformazione in atto della concezione vita » (Critica p. 162).

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di non poter più vivere del passato » 170), in uno stadio ormai come quello attuale la « volontà della frattura è decisa ed esplicita, e il rifiuto dei concetti abituali induce all'instaurazione di nuovi concetti che si presentano sotto la veste di una radicale aconcettualità. La rottura dell'involucro definitorio dei concetti non può non portare all'apparente ed arbitrarietà. La frattura, infatti, per valere nei confronti del mondo che finisce, investe necessariamente anche la sua logica, e la ricerca di una nuova logica indugia, in attesa della realizzazione, nell'irrazionalità dell'epoca distruttiva. Tale si esprime prevalentemente nella riduzione al minimo degli agganci alla realtà comune Ma ciò che caratterizza in modo particolare il ricorso alla arazionalità è la rinuncia più o meno radicale a definire il fantasma poetico prima della sua realizzazione nell'opera d'arte » 174-75). La riduzione delle poetiche contemporanee di ambizione sotto l'unico profilo dell'irrazionalismo o loro intenti come dei loro risultati, può essere contestata, accaduto, in base a due obiezioni, delle quali Spirito dimostra qui la sostanziale irrilevanza. La prima obiezione deriva del tener presente che l'impulso allo svecchiamento nelle avanguardie del primo Novecento si è determinato in origine come richiamo alla razionalità: riduzione all'essenziale, energica eliminazione delle ridondanze, chiarezza vera da sostituire all'ipocrisia di un mondo fatiscente. L'architettura razionale e funzionale, le scomposizioni e, poco più tardi, perfino l'astrattismo geometrico (oscillante peraltro tra le regolari e i segmenti, la scienza dei colori e la teosofia) sono i risultati di tali bisogni e di tali proposte. « Ma questo » — annota Spirito — « poteva avvenire in quanto il distacco dal passato era ancora in tono minore e i nuovi valori potevano ancora riallacciarsi agli antichi » p. 178). L'altra obiezione muoverebbe dalla constatazione del cerebralismo dell'arte contemporanea che, a giudizio di Spirito (e si tratta, del resto, di un giudizio di accettabile evidenza), è presente in tutto il suo corso e particolarmente si accentua in alcune forme estreme e tra le più appariscenti. Per fare degli esempi nostri, abbastanza vicini ed ancora 151

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negli anni in cui il filosofo scriveva le pagine che qui interpretiamo, si pensi al vortice dell'assurdo ed alla sfiducia nella parola e in mezzo espressivo: all'antiteatro, al l'antiromanzo, alla scuola dello sguardo, al feticismo del silenzio, o, viceversa, allo scatenarsi delle dissonanze e dell'urlo dissacrante, del sarcasmo, infine all'arte come comportamento, o meglio al comportamento come polemica imSpirito, in alcune pagine tra le più sottili ed esatte della Vita come ricerca aveva già mostrato come solo per un'ingannevole astrattezza e cerebralismo possano considerarsi opposti. In realtà essi si contagiano l'uno con l'altro, sono promotori l'uno e a chi li osservi immune da pregiudizi si rivelano tanto reciprocamente vincolati da doversi assumere come due facce del medesimo fenomeno. Così ora ribadisce: « L'arte di oggi, infatti, vive con la consapevolezza di una ricerca voluta e arbitrariamente determinata. L'immediatezza della creazione alla quale essa fa ricorso è nella massima parte sorvegliata e limitata da una preoccupazione estrinseca di carattere intellettualistico. La liberazione e quindi la spontaneità sono sostanzialmente apparenti e soltanto pochi artisti hanno ancora modo di esprimere un genuino prodotto fantastico frutto di profonda ispirazione. L'intellettualismo e la freddezza calcolatrice accompagnano quasi sempre la carenza di questa vera razionalità che si rivela sempre in un'opera d'arte come in ogni espressione adeguata della vita » (Crìtica 177). Se la diagnosi dell'astrattismo lato e della generale situazione in cui esso si è collocato costituisce una rappresentazione storica assai attendibile dei motivi essenziali della sua genesi e del suo esito, il filosofo, nella condizione attuale, potrà magari seguire l'artista nell'intuizione di « qualcosa che autorizza a sperare, come uno spiraglio di luce atto a indicare un nuovo cammino » p. 179): ma non sarà in grado di dare una critica delle sue opere, perché il prender partito, il "situarsi situando" richiederebbe la presenza di una nuova fede, il delinearsi di una nuova metafisica « alla La vita come ricerca, op. pp. 297-98; 324-25.

226-28; La vita come arte,

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cui luce giudicare per consentire o dissentire » 180) Riappare, dunque, la sospensione di giudizio caratteristica del problematicismo ai suoi esordi. La sospensione di giudizio che ora Spirito delinea di fronte all'arte contemporanea ha due aspetti. Uno è la constatazione della crisi; l'altro è la rinnovata insistenza sul carattere situazionale di tale crisi, la quale perciò si profila come apertura, espressione di attesa e di fiducia non escludente di stimolo sull'artista affinchè perseveri nella sua opera, se è vero che la mediazione del filosofo e la compromissione del critico non possono consistere nell'isolamento, ma richiedono, anzi, l'impegno di una solidarietà vigile e criticamente Sospensione di giudizio, pertanto, che non dimentica il dovere della comprensione appunto perché la comprensione, propria dell'atteggiamento dell'amore e ha riassorbito in sé il momento giudicante. La sospensione di giudizio, pertanto, finisce di fatto con l'esercitare la funzione di un risoluto giudizio storico, ossia con l'annullare la premessa metodologica della Nulla « può far escludere che già nei risultati ai quali è pervenuta l'arte di oggi, sia in qualche modo intravista la realtà di domani, al di là della crisi. Nulla può autorizzare a un facile giudizio di condanna, e tutto invece deve contribuire a richiamare l'attenzione su ogni di un'esperienza inusitata in cui ravvisare il di una nuova realtà. Il che deve dirsi non soltanto nei riguardi dello spettatore, per invitarlo a procedere con cautela, e insieme con fiducia e con speranza, ma anche nei riguardi perché indaghi più a fondo sulla propria coscienza e nella propria ispirazione, e non ceda facilmente a ciò che di estrinseco può contaminare l'opera in cui deve impegnarsi » p. 179). Spirito vede così affiorare nelle avanguardie gli elementi di un'autentica rappresentatività del tempo che va ben oltre quegli stessi diffusi e ostentati aspetti deteriori o volgarmente paradossali che egli certo non rinuncia a cogliere e qualificare con la consueta energia: « ciarlatanismo, la moda, l'infatuazione, il conformismo dell'anticonformismo, la retorica, l'originalità a qualunque costo, l'improntitudine, l'assurdo, sono a volta a volta riconoscibili in modo evidente anche di fronte alle 153

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migliori intenzioni di » 178). È questa — sarebbe difficile negarlo — la fenomenologia di gran lunga prevalente nell'intenzione d'arte e nella intenzione di (di fare cioè di determinate operazioni fabbrili o gesti o comportamenti compiuti da certi operatori qualcosa di completamente diverso da quel che l'arte è stata e si è voluto che fosse nella storia fino a momenti ancora recenti del suo svolgimento) che sono i termini intercambiabili in cui di solito si pone l'aspetto contemporaneo perché sono le stesse condizioni, o in qualche modo ad esse assimilabili, in cui si pone ogni aspetto della realtà dell'uomo odierno. Ma qualcosa si eccepisce da questo addensarsi di determinazioni negative: accanto a tanta zavorra, che al di là di ogni sopportazione, il mondo sedicente artistico, si deve pur constatare la verità e l'importanza di tentativi impegnati, di intuizioni luminose, di espressioni di genialità p. 178). Può sembrare, questa, una troppo generica e perciò poco riabilitante connotazione positiva, ma con essa si vita ad una posizione (da premessa storiografica, appunto) ricca di equilibrio e tale da costituire quasi un elastico involucro idoneo a contenere le ulteriori specificazioni che le conferiscono quei contenuti più articolati e concreti che, secondo Spirito, non spetta peraltro al filosofo determinare. È certo, infatti, che gli aspetti deteriori delle avanguardie e letterarie sono stati riconosciuti e descritti dagli stessi "operatori" culturali, che vogliono essere artisti e saggisti (critici, sociologi), attori e testimoni ad un tempo. Ma la loro presa di coanche delle manifestazioni di degradazione e le ipotesi interpretative sostanzialmente unitarie che se ne svolgono sono, di per sé, espressione, o almeno speranza, di una vittoria sull'oscurità, sulla gratuità, sulle contraddizioni improduttive, sui processi di È una lotta dichiarata contro il condizionamento da parte dell'industria, ma è anche, altrove e negli stessi Paesi, lotta contro il condizionamento dell'arte e della critica operato dal potere politico che si àncora a rigide professioni tentativo, insomma, degli intellettuali di affrancare se stessi dalla degradazione a strumento, causa di un'alienazione non poche volte così

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persistente e stabilizzata, da essere divenuta essa medesima un fatto istituzionale. È la ricerca sincera d'una via di uscita dalla crisi che non implichi ripiegamenti e ritorni a concezioni di vita perente, irriproducibili senza offesa per la e creatività dell'uomo. Ed è poi compito del critico la ricognizione individuale di questa Il neorealismo, al contrario, suscitato dall'esigenza fondamentale e validissima di costruire l'arte per tutti (ossia per tutti quelli che sono in grado di elevarsi all'arte e dovranno essere tutti), si è storicamente atrofizzato, mortificandosi in una utilizzazione dei contenuti a fini puramente celebrativi e, con questo, consegnandosi a una diversa e non meno grave mercificazione, quale prodotto per la soddisfazione dei "molti". Tuttavia, astrattismo e neorealismo coesistono in uno stesso ambito di civiltà in rapida trasformazione, sebbene il primo spesso ne enfatizzi la pur realmente drammatica condizione di crisi in atteggiamenti di disperata negatività, reversivi della spinta rivoluzionaria da cui muove, perché di uno svolgimento positivo che innovi ed insieme conservi; mentre l'altro — il neorealismo — anticipa retoricamente il superamento della crisi, proiettando nel futuro o figurano presente l'ideale di un'umanità che, non di rado, è la in tabula di una opprimente povertà di sentimenti, di volontà e di pensiero, perché, nell'illusione del prende a modello una rappresentazione assai poco realistica d'immagini e schemi interpretativi del passato, spesso obbediente ad esortazioni e precetti ufficiali. Ma, poiché convivono, astrattismo e neorealismo non stanno, l'uno rispetto all'altro, né irrelati né irrigiditi in un antagonismo contatti, anzi tra di loro istituiscono, volenti o no, quel rapporto, forse non meno fecondo dell'intento collaborativo, che è dato dal trovarsi in una fase di acuta tensione comune ad entrambi. Nell'orizzonte critico-dialettico di Spirito, questo rapporto non è dunque privo di una possibilità di reciproca conversione ed evoluzione dei termini che lo costituiscono. Al di là di un neorealismo attardato in contrapposizioni con una cattiva coscienza aggravata proprio dal loro anacronismo (si pensi a molta parte della 155

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e del cinema quali erano nell'Unione Sovietica e nei paesi da essa soprattutto negli anni che Spirito ha qui presenti), egli pone quale esempio, con il realismo documentario, non tanto in considerazione dei suoi pur talvolta pregevoli risultati, quanto per i modi con cui guarda alla vita e per lo sbocco che gli par di potere nei suoi orientamenti. Il documento, infatti, se, inevitabile, interpreta ciò di cui è documento, se cioè non può alla soggettivazione, « finisce con la rappresentazione della realtà di quale può apparire ad un'artista che viva della crisi storica che attraversiamo, e quindi rappresentazione della crisi stessa nella sua natura problematica. Arte realistica, dunque, in quanto arte del mondo in crisi » 189). E cosa di diverso, in rapporto alla civiltà, si era detto suo presunto opposto? L'astrattismo non è forse, ad una, "monumento" e "documento" della civiltà in crisi? Il che per la sua può essere definito come una tipica posizione fenomenologica, viene giudicato da Spirito — nonostante la contraddizione tra e impegno che egli crede doversi riscontrare per l'appunto in ogni riduzione fenomenologica — tale da al neorealismo come il gusto stesso della sincerità che contrasta una poetica resa insincera dall'assunto dogmatico di certe concezioni generali non concretamente espresse perché non lasciate scaturire dal corpo stesso dell'opera, ma imposte ad essa come un come un fabula a didascalico suggello di un discorso intellettualistico. Il documentario, così, approfondendo alle radici il suo bisogno di sincerità, consuma ed annulla l'azione l'impoverimento o la dei sentimenti che può conseguire, nell'arte, all'assunzione di un atteggiamento di estraneazione (il non intervento, il lasciar parlare le cose). L'opperciò, corre non tanto tra il realismo e tismo, quanto tra un realismo sincero e davvero attuale (il documentario) e un realismo che, contro ogni sua intenzione, si riconfermi falso e del tutto tradizionale, realismo solo di nome, irrealismo di fatto (il neorealismo cosiddetto "romantico" che ben poco ha romanticismo, pur se ha molto del romanticismo banalizzato). 156

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Il filosofo intende figurare, in tal modo, una possibile determinazione e della funzione delle istanze realistiche (in senso autentico) con quelle « Se così deve interpretarsi questa nuova forma di realismo, è chiaro che essa deve acquistare un doppio aspetto a seconda che la si guardi per quel che nega o per quel che afferma » 183). Ma la rappresentazione realistica di un mondo in crisi può soltanto in forme che siano esse stesse generate dalla crisi e perciò non confondibili con quelle di un realismo tradizionale. E tanto più realistica sarà l'espressione, quanto più essa ai mezzi tradizionali e cercherà in nuove vie la possibilità di adeguarsi davvero al proprio contenuto. In tale senso la direzione che deve seguire il nuovo realismo finirà prima o poi col coincidere con quella assunta dalle varie forme dell'arte contemporanea e, in ultima analisi, neorealismo e astrattismo raggiungeranno uno sbocco » 183-84). Né questo avvio previsionale ad una risoluzione forse unitaria di termini volgarmente creduti in antitesi per il loro percorso storico o per la loro immediata apparenza, sembrerà « paradossale o assurdo a chi sia convinto che l'arte, come ogni altra manifestazione dell'uomo, è sempre espressione della realtà; e perciò le varie discriminazioni debbono determinarsi unicamente nell'ambito della realtà, la quale non cesserà mai di essere tale, sia che essa risponda alla concezione del neorealista, sia che risponda, invece, a quella del cattolico e comunista o del o dell'astrattista » p. 184). È dato constatare in queste parole, come anche nell'orizzonte della Critica dell'estetica la ad pur plasmandosi ora nella forma ed della non esclusione, ossia nell'unità inclusiva di ogni diverso ricercare, sapere, comprendere, presieda in essenza al giudizio di Spirito. Essa infatti orienta tanto le formulazioni quanto quell'esercizio di previsione che da queste non deriva nella dimensione del dialettico presente in cui comunque si attua il tempo della coscienza che cerca. Una reductio ad unum però, fattasi consapevole delle determinazioni conseguite in Inizio di una nuova epoca sul fondamento di una ripresa o "ripetizione" la coscienza della diversa 157

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presenza dell'altro in noi (della realtà in noi) come presenza dinamica. I risultati della quantitativamente non molto vasta ma acuta indagine di Ugo Spirito sul problema dell'arte possono quindi riassumersi nell'approfondimento teoretico del rapporto di perenne osmosi tra quelli che all'osservazione comune si presentano come due piani. Il primo è il piano intellettualistico della classificazione, della distinzione in cui la scienza estetica è valida come scienza fra le altre scienze e nel quale, al pari in quanto scienza, ha valore la critica dell'arte coi suoi vari e specifici procedimenti. Lo diremmo, con applicazione della terminologia della Vita come il piano della coscienza che lavora abbandonandosi al suo stato di sogno (la coscienza), non ansioso della veglia (l'autocoscienza). Il secondo è il piano della vita (ricerca, arte, amore) che continuamente abolisce ogni distinzione perché ciascuno dei suoi momenti o aspetti, è in tutto e il tutto rifluisce in ogni suo aspetto: è la vita della coscienza che, simile all'assillo dei sogni agitati si dibatte all'interno di sé per liberarsi da sé, per dersi. Nei termini di questa tensione verso e la totalità (veglia, autocoscienza) debbono essere viste e inquadrate le negazioni della filosofia come di ogni altra attività, per sé presa. La coerenza radicale del discorso induce Spirito ad abolire ogni sistematicità estrinseca. L'esame di problema indica il dovere di un riesame totale, ciascun è il anche se gli sforzi della scienza tendono, in questo ogni volta frustrati, a fare che non sia così, a pluralizzare e i problemi avviandoli a soluzioni corrispettivamente distinte. Caratteristica di questa ricerca è dunque la drammaticità della coscienza critica, sì che dovere della filosofia, e quindi anche suo compito nel momento in cui essa rimette a problema l'arte, è esclusivamente quello della ricerca dell'assolutezza nel problematicismo e dell'affermazione dell'assolutezza stessa nella Questa drammaticità si manifesta soprattutto come smascheramento di ogni risorgente intellettualismo e come angoscioso senso del limite che dalla riconosciuta inadempienza della logica intellettualistica viene reso più intenso. Tuttavia, nel dramma, il risvolto positivo è dato da una 158

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capacità di esprimere « il tutto in una propria individuazione » (Inizio di una nuova 185) secondo quanto esige la ipotesi consapevolmente assunta nella sua intenzionalità ma certo non verificabile dall'esterno. Nella fase onnicentrica, la stessa affermazione facendosi problema di sé, si concreta appunto nel rapporto di esclusione e di inclusione costitutivo dell'universo ove ogni cosa è centro. Se in tutto il problematicismo si riconosce lo schema della dialettica nel rifare a ritroso il suo cammino sulla autorità medesima delle ulteriori prospettive di Spirito, ci si avvede che una frattura viene determinata dall'introduzione di quel che prenderà il nome di come una condizione non destinata al superamento. Ma questa frattura è poi l'esito della rimozione della garanzia assolutistica attribuita al ritmo dialettico ternario e la sua contrazione nella diade dell'antinomia. Priva della garanzia assolutistica, la scansione diadica è stata stimolata e ravvivata da una più concreta adesione alla esigenza in quanto ritmo di problema e affermazione. Dove la affermazione dell'ipotesi onnicentrica è consapevolezza del carattere (e pur sempre soggettivistico) della propria attuale posizione di assoluto, il sapere non è puro sapere, ma coincidenza di necessità e libertà come certezza di non poter non sapere inclusiva istanza di sapere. Il cammino di Spirito non ha fatto lunga sosta neppure nell'universo ma le prospettazioni successive ranno col consueto rigore che non solo le rende impensabili senza le posizioni precedenti, ma in essenza le nel comune denominatore della problematicità. Ci pare que molto indicativo che la meditazione del filosofo correndo tra i due poli della Vita come arte e della Critica insista essenzialmente tra il dominio del sogno che si vive come obiezione — auto-obiezione come obiezione al do del quale non si possiede la ragione dell'interno trasto del sogno che vuole e non può divenire veglia, e la scoperta della universale centralità del conoscere, anch'esso ugualmente per ciascuno in ogni atto della vita. Non è perciò senza significato che nello svolgimento del pensiero di Spirito il momento del massimo rilievo positivo della diversità e della non esclusione, il

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mento, della "comprensione" cioè coincida con quello in cui il filosofo sente nuovamente di dover raccogliere la talità dell'esperienza intorno al mondo e al problema dell'arte. Il rinverdito principio della rivela la sua feconda operosità ove non si faccia valere come invito alla e ma come libertà necessariamente inerente al prender posizione nella situazione storica, solo ipoteticamente Nella considerazione della vita aspetto dell'arte, il momento affermativo dei molteplici centri di sembra prevalere su quello di tutte le ipotesi, pur se i centri del sapere — la cui validità vige solo all'interno della posizione di ogni centro — confermino effettualmente non superata l'originaria concezione speculativa dell'autocoscienza unica come il mito dell'assoluto. Inclusione ed esclusione — reciprocamente convertibili costituiscono un solo e medesimo principio: non sono dunque se non una riformulazione del problematicismo sorta dall'intento di eliminarne il rilevato carattere situazionale. Ma il tentativo di evadere da tale condizione, equivalente a quello di ristabilire l'opposizione tra e risulta La sua inesauribilità riporta la posizione alla sua originaria vibrazione di possibilità teoretica, di slancio morale, di speranza.

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INDICE DEI NOMI

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Angioletti, Antonini, G. E.

57 116n. 102n.

Di Dondoli, L.

21n. 129n.

C.

72 74 C. 27n. G. 23,

102. Borioni, M. 27n. O. 129n. G. 102n. 114n. Bufo, G. 129n. F. 28n. Calogero, G. 7, 102 A. 142n. 21n. A. 27n. Carlini, A. H. A. 44n. Chiavacci, G. lOln. 102n. lOln. Conti, O. 189n. M. Croce, B. 28, 30, 57, 6370-74, 85-86, 91, 108, 119, 124n. David, M. 58n. De G. lOln. G. 75n. Del Noce, A. 27n. De Maria, A. 129n. Di L. 28n.

27n. P. lOln. F. 28n. V. 62 P. 27n. E. 75n. 58n. Galli, G.

lOln. G. 139n. Garin, E. 18n. Gentile, G. 14-17, 20-22, 29-31, 63, 70, 72-74, 79, 116, 146. Giordani, L. lOln, 129n. F. 115, 115n. Hegel,

74, 79, 81,

132, 137 M. 75n. Jaeger, Jaspers,

75n.

I. 32, 67 O. 75n. S. 27n. V. I. 131, 132 M. lOln. Lombardi, F. 27n. Morrà, G.

T. lOln.

lOln.

163

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Setti, A.

Negri, A.

E.

70, 74-75.

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Omero 53 Orlando, C.

28n.

E. Padovani,

lOln. F. 27n. A. 75n. E. 28n. Platone 53, 68, 71, 71n. Plebe, A. 129n. S. 138n. V. 27n. 106n. 71n. Sardo, L. Sasso, G. Schelling, Scoleri,

75n.

102n.

Taylor, V. A. E. 71n. Testa, A. 102n. V.

lOln.

115n. E. lOln. S. 28n. A. lOln. Vico, G. B. 72 F.

138n. 118n. 7, 94n. lOln.

23, F. 138n. 68, 69. Sofisti 69. Spiazzi, lOln. 68 69. Staterà, G. 27n. L. Stella, V. 129n.

75n.

L. 139n. Zeppi, S. 27n. G. 102n.

164

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INDICE

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5 1 11 25

Parte prima. - DALL'ATTUALISMO COSTRUTTORE ALLA COSCIENZA SOGNANTE Revisione e ricerca.

39

La Vita come arte e la coscienza sognante.

65

La storia del problema

83

Critica d'arte e opera d'arte

95

Parte seconda. - PROBLEMATICISMO E NELLA CRITICA DELL'ESTETICA

97

La ricerca, l'arte,

127

La socialità dell'arte nell'esigenza dell'assoluto.

141

Dal non sapere

147

L'arte e le poetiche contemporanee.

161

Indice dei nomi.

al sapere

167

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Stampato a Roma dalla tipografia di Patrizio nel mese di luglio del 1976

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Vittorio Stella, L'aspetto come arte e critica siero di Ugo Spirito, Biblioteca di scienze li » a cura di Lido Stella), Roma 1976, 168.

nel editore morae Vittorio

rapporto con la logica permane essenziale in tutto il pensiero di Ugo Spirito, il cui svolgimento è qui ripercorso, dall'attualismo costruttore al principio dell'arte. non è la ria" dell'arte, ma la vita che, nomia di coscienza e autocoscienza, si come totalità in ciascuno dei suoi la l'arte, l'amol'arte, se coscienza come sogno, poi, non meno della ricerca o dell'amore, di liberazione dal sogno, tensione attingere l'autocoscienza. La "critica è la conseguenza radicalmente che la riflessione sull'arte ha in prospettiva: atteggiamento teoretico e metodologico che assuma come strumento privilegiato di accesso alla essenza dell'arte e di giudizio sull'opera d'arte appare destituito di fondamento; e corrispettivamente si l'uguale buon diritto di ogni iniziativa così creazione come nella comprensione dell'arte. L'Autore insegna Estetica facoltà Magistero di Roma. Tra i suoi precedenti ricordiamo: Aspetti e tendenze italiana (1945-1963), Torino 1964; gia tragica di Cesare Pavese, Ravenna II giudizio su Croce. Momenti una storia delle 1971.

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