L'architettura residenziale nelle città tardoantiche 8843036092, 9788843036097

Lo studio delle case tardoantiche permette una visione privilegiata della società e dei suoi modelli, interpretandone le

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L'architettura residenziale nelle città tardoantiche
 8843036092, 9788843036097

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LE BUSSOLE Chiare. essenziali, accurate: le guide di Carocci per orientarsi nei principali temi della cultura contemporanea



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ARCHEOLOGIA L'ARCHITETTURA RESIDENZIALE NELLE CITTÀ TARDOANTICHE lo studio delle case tardoantiche permette una visione privilegiata della società e dei suoi modelli, interpretandone le scelte planimetriche e decorative. le abitazioni sono infatti espressione diretta della cultura del periodo, e consentono un'analisi complementare a quella condotta sugli edifici di carattere religioso. Il libro mette a confronto dati archeologici e fonti letterarie, utilizzando la documentazione disponibile per chiarire il significato delle forme architettoniche in quanto manifestazione di status; si delinea così, attraverso le dimore pubbliche e private, il profilo di una società gerarchica. che si esprime anche nella vita quotidiana per simboli e cerimoniali. Isabella Baldini Lippolis. ricercatore di Archeologia cristiana e medievale presso l'Università di Bologna, ha scritto saggi sull'architettura e sull'urbanistica delle città tardoantiche, su problemi iconologici, produzioni di lusso e cultura materiale. Partecipa dal1987 alle campagne di scavo a Gortina (Creta). ISBN 88-430-3609·2

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9 788843 036097

€ 9,50

BUSSOLE

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ARCHEOLOGIA

la

rista m pa, a pri l e 2020 ed izio n e , nove m b re 2 0 0 5 ©copyright 2 0 0 5 b y Ca ro cci ed ito re S . p.A., Ro ma P

E d iting e i m pa g i naz i o n e F re g i e Majuscol e, To ri no

R i p roduz io n e vi etata a i s e n s i di legge (a rt. 171 d e l l a legge 22 a p ri l e 1941, n . 633) S e n za rego la re a uto rizzaz io n e, è vi etato ri p rod u r re q u esto volu m e a n che pa rz ia l m e n te e co n qua l s i a s i m ezzo , co m presa la fotocopia, a n c h e pe r uso i nte r n o o d id attico. l letto ri c h e d e s i d e ra n o i nfo r m azio n i sui vo l u m i p u b b l icati d a l l a casa ed itrice posso no rivo l g e rsi d i retta m e nte a: Ca rocci ed ito re Co rso Vitto rio E m a n u e l e 0 0186 Ro m a TEL 06 42 81 84 17 FAX 06 42 74 79 31

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Isabella Baldini Lippolis

L'architettura residenziale nelle città tardoantiche

Carocci editore

Nota Il riquadro contrassegnato dalla bussola un approfondimento.

(§) contiene

Indice Introduzi one

7

1.

La dimora u rb a n a

1.1.

Archeologia, abitazioni e gruppi sociali

1.2.

Case e palazzi nella capitale d'Oriente

1.3.

Tipologia e funzione degli ambienti

1.4.

Pagani e cristiani

56

Per riassumere...

66

12 12 22 33

2.

La l egi s l azione ta rd oantica s u l l ' ed i l izia p rivata

2.1.

La proprietà

2.2. 2.3.

La costruzione

68 83

L'architettura privata e le regole della comunità

2.4. L'approvvigionamento d'acqua e le terme Gli immobili privati plurifamiliari

2.6.

Gli aspetti normativi e la società tardoantica Per riassumere...

91

93

2.5.

95 97

101

3.

Le res id enze dei vescovi

3.1.

Le abitazioni episcopali prima della Pace della Chiesa IV

3.2.

Il

3·3·

Il v secolo

secolo

67

102 10 4

108 118

3.4. All'inizio del Medioevo: il VI e il VII secolo 3.5. Le case, i palazzi e la ricerca storica 13 4 Per riassumere...

Bi b l i ografia

127

135

137

Ind i ce dei luoghi

144 5

Introduzione Le profonde trasformazioni istituzionali, sociali ed economiche del­ l'età tardoantica ( I V-VI secolo) trovano un riscontro diretto nella sto­ ria dell'architettura coeva. L'aspetto più evidente dei cambiamenti è quello della nascita e dello sviluppo di un'edilizia pubblica di culto cristiano, che progressivamente assume un ruolo centrale nell'artico­ lazione e nella concezione stessa delle città, mutandone il sistema di fruizione e determinando una nuova gerarchia tra i diversi quartieri. Anche la ricerca sulle strutture residenziali, però, riveste una notevo­ le importanza per la comprensione di questi fenomeni urbanistici, fornendo elementi complementari a quelli ricavabili dall'analisi degli edifici monumentali e soprattutto dei complessi a carattere religioso , oggetto da sempre di una riflessione morfol ogica più approfondita e di un'attenzione maggiore. Sotto quest'aspetto lo studio delle case, invece, è stato condizionato a lungo dal pregiudizio che si trattasse di un oggetto poco rilevante per la ricostruzione storica della società antica. Inoltre, la disomogeneità degli interventi di indagine archeo­ logica e il diverso grado di sviluppo della topografia storica, a secon­ da dei siti e delle aree, hanno determinato ulteriori difficoltà nell'uso critico di queste testimonianze, impedendone spesso l'approfondi­ mento e il confronto tra le diverse situazioni. Per citare solo gli esempi più evidenti, se per Costantinopoli, capitale dell' impero romano a partire dal 330, disponiamo quasi esclusivamente di fonti letterarie concernenti il palazzo imperiale e le grandi residenze dell'aristocrazia, per Roma la documentazione risulta molto più etero­ genea, costituita da evidenze archeologiche, testi letterari ed epigrafi. Nel caso della maggior parte delle grandi città mediterranee, come Cartagine, Ravenna, Atene, Salonicco, Afrodisia (Turchia) o Apamea (Siria) , invece, gli studi utilizzano quasi esclusivamente i risultati delle ricerche archeologiche riguardanti case di livello medio-alto, abbastan­ za omogenee da un punto di vista tipologico, mentre risultano quasi assenti altre forme insediative. Una situazione ancora diversa è rappre­ sentata da Alessandria (Egitto) , dove le abitazioni meglio indagate

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appartengono a un quartiere artigianale piuttosto modesto, che per le caratteristiche planimetriche e ambientali sembra trovare un riscontro diretto nella legislazione del IV secolo. Sono esempi estremamente vari che rispecchiano solo in parte un'effettiva differenza dalla ricerca: l' im­ magine restituita, infatti, risente anche di altri fattori, dalle difficoltà di intervento archeologico all'interno di città con continuità insediativa, alla disparità delle politiche culturali adottate nel corso del tempo nella tutela del territorio, alla limitatezza delle risorse economiche disponibi­ li per completare ricerche già iniziate. È evidente, inoltre, che la prassi archeologica ha privilegiato in genere le strutture caratterizzate da elementi ornamentali di pregio, come ad esempio i mosaici pavimentali o gli apparati scultorei, trascurandone il rapporto con il contesto monumentale di riferimento e mostrando una completa disattenzione verso interi settori degli edifici per il solo fatto di essere scarsamente decorati. Un esempio emblematico di questo inadeguato interesse per gli ambienti non rappresentativi, ma non per questo meno importanti per una ricostruzione storica dell' articolazio­ ne e del funzionamento delle case, è quello del quartiere residenziale di Dafnè, presso Antiochia. Le ricche dimore di questo sobborgo extraur­ bano, sviluppatosi soprattutto nella tarda età imperiale, hanno infatti restituito una serie di tappeti musivi di notevole livello, oggi divisi tra la S iria, la Francia e gli Stati Uniti, mentre ben poco si conosce della loro planimetria, delle fasi di trasformazione, dei settori che non erano destinati a funzioni di rappresentanza, della collocazione stessa degli edifici nel sistema insediativo generale. Il carattere parziale (e spesso pregiudiziale) delle ricerche ha avuto con­ seguenze anche nella definizione delle diverse tipologie abitative: par­ tendo dall'esame complessivo delle testimonianze, la manualistica ha operato ulteriori scelte, selezionando i complessi edilizi che corrispon­ devano a un livello sociale elevato e a uno stile di vita aristocratico. La tendenza recente degli studi è invece quella di un recupero delle conoscenze, ancora disomogenee, sull'edilizia considerata un tempo minore, costruita con materiali deperibili: queste abitazioni rispec­ chiano il polo opposto nella scala sociale, documentando una compo­ nente certamente rilevante della realtà urbana tardoantica e posteriore. D i questa realtà, fin dal IV secolo, sono testimonianza anche le fonti 8

legislative che, oltre a edifici monumentali, accennano spesso a cate­ gorie diverse di strutture, meno articolate o addirittura precarie. A esse si affiancano i caseggiati plurifamiliari a più piani, attestati archeologi­ camente dall'età imperiale a Ostia e a Roma; dopo il IV secolo immo­ bili di questo tipo compaiono anche a Costantinopoli e in altri impor­ tanti centri urbani, dove tuttavia sono documentati quasi esclusiva­ mente sulla base delle testimonianze letterarie. Le dimore unifamiliari mostrano una gradazione molto varia nell' im­ pegno architettonico e decorativo, dal palazzo di rango dinastico alla domus di impianto semplice, alle case molto più modeste, almeno par­ zialmente in materiale deperibile. All'interno della tipologia generale, un gruppo a sé stante è rappresentato dalle abitazioni episcopali; si tratta di una struttura del tutto atipica, che evolve nel tempo di pari passo con il crescente ruolo pubblico dei vescovi nell'ambito delle città e con l'aumento progressivo delle esigenze rappresentative , eco­ nomiche e amministrative delle sedi episcopali. L'evoluzione di que­ sta residenza ufficiale, con un evidente carattere pubblico, segue un percorso piuttosto lungo , che nei diversi momenti presenta caratteri­ stiche differenti: nella tradizione di studi sulla tarda antichità, tutta­ via, essa è stata in genere considerata una realtà architettonica fissa, priva di un effettivo e significativo sviluppo tipologico e funzionale attraverso il tempo. In sostanza, considerando gli aspetti generali della documentazione disponibile, il periodo tardoantico mostra una notevole varietà di soluzioni abitative, anche se i documenti disponibili sono ancora molto incompleti e frammentari. È comunque possibile riconoscere tendenze comuni nella scelta delle forme architettoniche, soprattutto per quanto riguarda le abitazioni con aspetti rappresentativi e appara­ ti decorativi sviluppati. Da questo punto di vista lo studio della casa può essere un aspetto fondamentale per la comprensione dei modelli e degli stili di vita di una società che appare fortemente caratterizzata in senso gerarchico, in cui ogni forma espressiva tende ad assumere aspet­ ti stabili e codificati sulla base di riferimenti tipologici precisi e in cui si attribuisce grande valore alle espressioni di status sociale anche a livello architettonico e decorativo. D'altra parte, accanto alle manifestazioni di adeguamento formale ai modelli aristocratici, proprio l'analisi delle ab i-

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tazioni mostra su un altro piano significativi e concomitanti fenomeni di deroga alle norme basate sulla prassi edilizia, così come alle regole urbanistiche e costruttive imposte per legge, ponendo il problema del confronto tra situazioni reali e prescrizioni normative dell'autorità pub­ blica. Si tratta di un aspetto che solo negli ultimi decenni - con lo svi­ luppo di una topografia storica estesa anche alla tarda antichità - ha for­ nito un nuovo importante ambito di indagine. Considerando tali premesse, questo testo introduttivo è stato concepi­ to proprio in relazione alle esigenze di analisi della ricerca più recente. La presentazione delle forme e delle funzioni della casa tardoantica cerca di discutere anche il problema dei modelli e la loro capacità di permeare, in maniera differente, i comportamenti e le scelte delle diver­ se classi sociali. Queste esprimono infatti possibilità economiche ed esi­ genze insediative diverse, creando il mosaico complesso delle forme abi­ tative della città tardoantica. Si è voluto dedicare uno spazio abbastan­ za ampio al tema della legislazione sulle case, aspetto sinora non ade­ guatamente valorizzato dalla ricerca, ma che offre una prospettiva importante, considerando la quantità di informazioni conservate e il dettaglio di questa documentazione, che mostra chiaramente, ancora una volta, il carattere fortemente gerarchico della struttura sociale di questo periodo. Appare significativo, ad esempio, che la normativa nota sostanzialmente non faccia riferimento all'edilizia religiosa cristiana, che esula di fatto, evidentemente, dal sistema di prescrizioni e di rego­ le e si muove sulla base di particolari rapporti privilegiati con il potere imperiale e con la struttura amministrativa. Proprio per conoscere meglio questo settore fondamentale della cultura insediativa e costrut­ tiva del periodo si è scelto di approfondire il problema della dimora epi­ scopale come esempio concreto di una tipologia abitativa di prestigio, ma soprattutto dello sviluppo che ha caratterizzato il ruolo della Chiesa nella rifondazione della città cristiana a partire dal rv secolo. L'edificio che ospita le mansioni collettive svolte dal vescovo non presenta infatti modelli precedenti e costruisce solo gradualmente una sua tipologia, che muta nel corso del tempo sino a essere equiparata alla grande resi­ denza aristocratica, trasformandosi nella sede di una piccola " corte " ecclesiastica locale. Sulla base delle esigenze specifiche e del particolare sviluppo conosciuto nel corso del tempo, a sua volta diviene un nuovo lO

modello di comportamento sociale e residenziale, diffondendo elemen­ ti rappresentativi e modelli di aggregazione degli spazi in molti casi innovativi rispetto alla tradizione tardoantica. Attraverso questi tre diversi approfondimenti (la presentazione del qua­ dro generale, delle tipologie e delle funzioni, l'analisi della documenta­ zione legislativa, la ricerca specifica sulla storia formativa di una strut­ tura particolare come la residenza episcopale) è possibile accostarsi al problema generale, in maniera da poter affrontare la bibliografia sul tema, presentata alla fine dello studio, per eventuali approfondimenti su singoli temi o su specifici monumenti. Nonostante le lacune delle attual i conoscenze e la varietà di forme e soluzioni insediative da valutare caso per caso, è possibile proporre quindi alcuni temi di riflessione sul fenomeno generale: già questo primo tentativo mostra come si tratti di un settore di ricerca fonda­ mentale non solo per la comprensione dello sviluppo delle diverse tipol ogie architettoniche, ma soprattutto per una più approfondita e concreta conoscenza della società, delle sue scelte di organizzazione formale, dei suoi modelli di comportamento e della sua cultura.

11

1.

La dimora urbana

1.1. Archeologi a , a b itaz ioni e gru p p i socia l i Una lettura della società tardoantica attraverso l'analisi delle strutture abitative non può essere concepita in maniera univoca, come se si trattasse della regi­ strazione del rapporto diretto tra gruppi e forme architettoniche: deve consistere piuttosto in un'analisi consapevole del carattere parziale dei parametri di riferimento utilizzabili e del difficile confronto tra testi­ monianze materiali e documentazione letteraria, due aspetti della stes­ sa realtà spesso apparentemente distanti e incongruenti. La ricerca sto­ rica può tentare di razionalizzare e codificare i dati disponibili, per met­ tere in evidenza le differenze e utilizzare i dati emersi da questo esame come un panorama tipologico e sociale di carattere generale, da adope­ rare a sua volta come base per ulteriori approfondimenti. Considerando queste premesse, un primo livello dell'impegno costrut­ tivo può essere riconosciuto nel sistema dei grandi palazzi, in genere direttamente connessi con le famiglie coinvolte nella gestione dinastica dell'impero. Si tratta di strutture particolarmente complesse, organizza­ te su un'ampia estensione, spesso costituite dall'aggregazione progressi­ va di nuclei edilizi distinti, unificati però nei percorsi da strutture monumentali di collegamento, anch'esse funzionali a precisi itinerari cerimoniali. A queste dimore, spesso citate incidentalmente dalle fonti ma poco note da un punto di vista archeologico, è possibile riferire soprattutto alcune specifiche tipologie di ambienti con funzioni rap­ presentative, a volte anche ripetute nello stesso complesso architettoni­ co: tra queste si possono indicare i cortili e i portici semicircolari, gli ambienti di ingresso ad absidi contrapposte ( ''a forcipe " ) , i peristili (corti porticate) , le sale di ricevimento absidate, i triclini (sale da ban­ chetto) a tre o a più absidi, quelli a pianta centrale, le terme. I riflessi dell'architettura residenziale di questo livello trovano espressione nella documentazione letteraria e meno ampiamente in quella archeologica, che purtroppo si presenta estremamente lacunosa circa Costantinopoli e le altre sedi imperiali di età tetrarchico-costantiniana. Lo stesso livello architettonico-rappresentativo è testimoniato da alcu12

(§)

Il Palatino e le sedi imperiali tetrarchico-costantiniane

Tra la fine del 111 e la prima metà del1v secolo, con la divisione poli­ tico-amministrativa dell'impero e la conseguente necessità di garan­ tire una presenza dei dinasti più diffusa nel territorio, si sviluppa un'edilizia propria delle sedi di corte (Roma, Treviri, Milano, Aquileia, Salonicco, Nicomedia, Nicea, Serdica, Antiochia), con un linguaggio architettonico omogeneo. La rielaborazione delle espe­ rienze precedenti permette la codifica di una serie di caratteri speci­ fici che compongono un prototipo morfologico nuovo nelle soluzioni planimetriche, nella disposizione degli spazi e nella decorazione: tale modello risulta comune alle diverse residenze e nel contempo costituisce un riferimento per l'abitazione dei ceti elevati. Il precedente fondamentale di questa rielaborazione architettonica è la residenza imperiale sul Palatino, un complesso di edifici ampliati e modificati nel tempo, che in età domizianea (81-g6) è già organiz­ zato per nuclei comunicanti su un'estensione ampia, con ambienti disposti attorno a corti porticate che fungono da elemento di colle­ gamento e di disimpegno tra i diversi settori, nei quali si distinguo­ no funzioni differenti e separate, di carattere privato e pubblico. Nei quartieri di rappresentanza sono presenti sale di forma diversa, spesso con absidi, la cui differenziazione morfologica corrisponde a una varietà di destinazioni: l'A ula Regia per le udienze, la Basilica per altri usi rappresentativi e la cenatio jovis, tripartita, per i ban­ chetti ufficiali. Sono attestate terme, facciate monumentali, portici semicircolari, divenendo quasi canonico anche il collegamento tra le strutture palaziali e un edificio per spettacoli circensi situato nelle immediate vicinanze, nel caso di Roma il Circo Massimo, posto a sud della residenza. Le lacune della documentazione archeologica limi­ tano la possibilità di seguire in maniera esatta lo sviluppo della tipo­ logia palaziale nelle varie sedi, alcune delle quali sono note solo da informazioni letterarie. L'insieme dei dati, tuttavia, permette di rico­ noscere una comune tendenza a scegliere specifiche forme architet­ toniche come manifestazione concreta del potere imperiale.

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ni complessi residenziali extraurbani, come quelli di Piazza Armerina ( F I G . l) in Sicilia, della Spagna e dell'Aquitania, mentre più spesso se ne riconoscono riflessi in scala ridotta anche nelle residenze urbane. Un secondo livello è infatti rappresentato da edifici di grande impegno rappresentativo, che sembrano direttamente ispirati ai complessi pala­ ziali dinastici, rispetto ai quali, però, presentano significative variazioni e ridimensionamenti, anche nella varietà degli ambienti. In essi vengo­ no replicate alcune delle tipologie già ricordate, con una selezione che dipende da fenomeni complessi e non completamente chiariti , di carat­ tere culturale ma anche probabilmente legati alla professionalità dei responsabili dei progetti. Nell'interpretazione di questi edifici, inoltre, viene spesso proposto il problema di una destinazione pubblica, con­ nessa in genere alle funzioni amministrative o giudiziarie svolte dai pro­ prietari. Il ruolo di maggiore rilievo è assunto quindi dai vani di ricevi­ mento - ampi, decorati, absidati, trilobati o variamente articolati - in un sistema che accosta in maniera paratattica nuclei di ambienti, colle­ gandoli o introducendoli sempre più spesso attraverso un corridoio, che

FIGURA

1

La vi l l a d i Piazza A rme ri n a

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acquista esso stesso una nuova funzione monumentale, costituendo un elemento che in questa forma primaria risulta tipico del periodo. Un esempio significativo è rappresentato dalla Villa de Thésée di Nea Paphos (Cipro) ( FI G . 2) : estesa su una superficie di oltre 10.000 mq, organizzata su una vasta corte porticata, oltre che per le enormi dimen­ sioni manifesta un notevole impegno architettonico anche nella pre­ senza di elementi significativi, come il vano di ingresso ad absidi con­ trapposte, per la reduplicazione delle sale di rappresentanza, a pianta quadrangolare e absidata, e per il livello dei mosaici pavimentali. Nel complesso anche le case del IV secolo di Daphne presso Antiochia sem­ brano mostrare caratteristiche simili a quelle appena delineate, sebbene in questo caso sia soprattutto l'aspetto decorativo a qualificare la nostra immagine ricostruttiva, dal momento che gli edifici non sono ancora stati chiaramente interpretati da un punto di vista planimetrico. Un altro esempio di questa categoria di dimore è costituito da un gran­ de complesso costruito agli inizi del v secolo nell'Agorà di Atene e noto convenzionalmente come Palazzo dei Giganti per la presenza di statue colossali di reimpiego di Tritoni e Giganti poste in facciata ( F I G . 3).

FIGURA

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La Villa de Th ésée a Nea Pa p hos

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Con la corte di accesso monumentale e con le altre due corti a peristi­ lio, il portico semicircolare di collegamento, la sala di rappresentanza quadrangolare e le terme, l'edificio testimonia un'altra soluzione di par­ ticolare impegno, evidente in questo caso non solo nelle dimensioni e nelle scelte architettoniche, ma soprattutto per la stessa collocazione in un'area particolarmente significativa della città e durante un momento fondamentale della sua storia. Il complesso , infatti, viene collegato, sulla base di convincenti motivazioni di carattere storico ed epigrafico, alla famiglia dell'imperatrice Eudocia, moglie di T eodosio n ( 408-50) , ateniese di nascita e di formazione culturale, e alla fase in cui i suoi fra­ telli occuparono un posto rilevante nell'amministrazione imperiale. Un terzo livello è quello corrispondente alla maggior parte delle domus dell'aristocrazia urbana, caratterizzate da una forte omologa­ zione ad alcuni elementi fondamentali della tipologia palaziale, in

FIGURA

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I l Pa l azzo dei G i ga nti n e l l 'Ago rà d i Ate ne l

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genere l'aula absidata collegata al peristilio (cortile colonnato centra­ le) , o il triclinio triabsidato, ambienti di rappresentanza privilegiati che sembrano connotare un comportamento comune e identificare la partecipazione delle singole famiglie a un medesimo sistema di riferi­ mento sociale ed espressivo. Tra i numerosi esempi disponibili sem­ brano corrispondere a questo folto gruppo, ad esempio, le case di Apamea ( FI G . 24) , Afrodisia ( F I G . 31) , Atene ( F I G . 22) o Salonicco. Altre abitazioni testimoniano un quarto livello, quello dei ceti urbani che non presentano una capacità economica sufficiente a sostenere le spese di una lussuosa risistemazione delle case già esistenti, mostrando solo piccoli interventi di restauro, spesso poco evidenti, e soprattutto opere di manutenzione, rivelando nel tempo una progressiva semplifi­ cazione delle strutture originarie; queste comunque costituiscono una buona parte delle strutture insediative urbane e permettono in sostanza la persistenza del tessuto abitativo delle città romane nella forma rag­ giunta durante l'età imperiale. A Efeso, ad esempio, gli isolati alle pen­ dici di Bi.ilbtildag ( Fl G . 4) attestano l'esistenza di un ceto urbano inca-

FIGURA 4 I l q ua rtiere abitativo d i Bul bu l d a g a Efeso

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pace di rinnovamenti costruttivi adeguati ai livelli in voga in età tar­ doantica, evidentemente con limitate risorse economiche e sociali; sono gli stessi nuclei familiari insediati nelle abitazioni a mantenere la strut­ tura di base e la decorazione di età proto e medio-imperiale ( F I G . 5 ) , limitandosi quindi a ristrutturazioni murarie, divisioni e abbandoni degli ambienti, delle funzioni o dei settori più compromessi. A un livello ancora inferiore sono documentate abitazioni decisamen­ te più semplici, rappresentate in genere da pochi vani aggregati senza tipologie precise, dalla mancanza quasi generale di decorazioni e rive­ stimenti nei pavimenti e nelle pareti e dall'importanza attribuita alla capacità di adattamento agli spazi disponibili, in genere ridotti. Situazioni di questo tipo sono documentate ad esempio a Korazin ( Palestina) , dove la continuità di vita delle strutture abitative si pro­ lunga dal III al XIII secolo: la durata e l 'estrema semplicità degli edi­ fici rendono difficile un'identificazione dei singoli interventi di ristrutturazione e restauro; sembra comunque che i rifacimenti verifi­ catisi nel corso dei secoli non abbiano mai modificato in maniera sostanziale la pianta originaria ( FI G . 6 ) . Questo tipo d i edificio è sostanzialmente confrontabile, da u n punto di vista della concezione abitativa, con l'edilizia coeva di villaggio: anche quest'ultima realtà abitativa, peraltro, è testimoniata in maniera molto FIGURA 5 I l peristi l io d e l l a Hanghaus 8 d i Efeso

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frammentaria e parziale, con analisi di dettaglio che riguardano solo alcuni siti e aree specifiche, come ad esempio nel caso della Siria. Infine, si può considerare la categoria delle case estremamente mode­ ste , con uno sviluppo mono e bi-cellulare, in genere associate a un ceto artigianale. Un intero quartiere di questo tipo sta emergendo negli ultimi decenni a Gortina (Creta) , dove a partire dal v secolo il piazzale antistante il santuario di Apollo Pythios viene occupato, a quanto sembra quasi contemporaneamente, da laboratori artigianali, abitazioni e case-bottega ( F I G . 7) , caratterizzati da un uso esteso di ele­ menti di reimpiego e parti in materiale deperibile; in questi esempi la presenza di soppalchi e di rialzamenti, piuttosto che di un vero e pro­ prio piano superiore, è spesso suggerita da scale, in muratura o lignee, a volte collocate all 'esterno degli edifici. Per il periodo anteriore al vn secolo sono infine ancora rare le testi­ monianze, in ambito urbano, di strutture in materiale deperibile, lignee o straminee, assieme a elementi di reimpiego. Il fenomeno, ipotizzabile anche sulla base delle fonti, risulta difficilmente ricono­ scibile senza un'attenta indagine archeologica. I casi noti riguardano per il momento soprattutto il territorio italiano (ad esempio Aosta,

FIGURA

6 Le case d i Korazi n

19

Brescia, Torino e Luni) , dove tali costruzioni , nella forma di capanne o tettoie, si impostano all 'interno dei ruderi di edifici precedenti, integrandoli con elementi lignei e con palificazioni a sostegno delle coperture. Le ricerche recenti mettono in risalto la carenza di docu­ mentazione edita su questa tipologia di abitazioni, in molte aree spes­ so non adeguatamente documentate oppure del tutto ignorate. Le caratteristiche planimetriche e strutturali delle case nel mondo tar­ doantico, già di per se stesse estremamente diverse a seconda dei luoghi, non sono mai elementi stabili e fissati nel tempo, ma variano notevol­ mente a seconda dei periodi. In genere dopo il vn secolo, ad esempio, il crollo definitivo sia economico sia militare di molte aree dell'impero che si affaccia sul Mediterraneo determina una forte decadenza del tono urbano. Questo fenomeno è messo in evidenza soprattutto dalla spari­ zione delle dimore di lusso, almeno così come erano concepite nel siste­ ma tradizionale; la causa è forse da ricercarsi nella contemporanea scom­ parsa del ceto di riferimento, quell'aristocrazia cittadina che in alcuni casi tendeva già naturalmente a un inurbamento nella nuova capitale di Costantinopoli e che in altri casi pare essere stata allontanata dalle sedi originarie a causa degli eventi militari. Interessante, a questo proposito, sembra la documentazione fornita da

FIGURA 7 U na casa ta rdoa ntica n e l q ua rtiere abitativo-a rtigi a n a le d i G o rti n a

Fonte: Go rt i n a ( 2 0 0 0 , p. LX) .

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10 m

Apamea, città della S iria settentrionale oggetto di un'analisi particolar­ mente accurata. Qui pare che con la conquista araba i possessori delle case di maggiore impegno vengano meno, lasciando lo spazio a una rioc­ cupazione che fraziona e semplifica gli spazi, in concomitanza probabil­ mente a un fenomeno di inurbamento di ceti forse precedentemente distribuiti sul territorio con funzioni subalterne. È evidente, in questo, come in altri casi simili, che la sconfitta militare e il progressivo cedi­ mento delle province periferiche dell'impero rappresentino un problema particolarmente grave per i ceti dirigenti, lasciando lo spazio a una vera e propria riorganizzazione della comunità, in cui si verifica l'apparizione di nuovi livelli sociali o nuovi elementi etnici e la persistenza di gruppi precedentemente attestati forse in posizioni di subalternità. Nel corso del tempo, infine, si manifesta la tendenza a una contra­ zione degli spazi, che spesso corrisponde a una contrazione della città, coinvolgendo infatti anche la struttura abitativa di prestigio con una progressiva destrutturazione del modello originario. Il cortile portica­ to sembra essere l 'elemento più caduco del sistema elaborato in pre­ cedenza: esso infatti viene frazionato, utilizzato per ricavare nuovi vani, chiuso tra le colonne e ridotto a un pozzo di luce o a un cortile che appare sostanzialmente di servizio, più che rappresentativo. A una sempre minore espansione areale delle dimore corrisponde anche la propensione a concepire gli edifici in verticale: questo aspet­ to, riscontrabile già nelle prime fasi analizzate, con il tempo si accen­ tua e comporta a volte il trasferimento delle funzioni più rappresen­ tative al piano superiore, con una tendenza progressiva verso forme più compatte e sviluppate in altezza. L'evoluzione di questo modello, che forse è già costantinopolitano, in Oriente sembra affermarsi in maniera stabile in età medio-bizantina ( IX-XI I secolo) , quando viene adottato anche per il palazzo signorile: è significativo , a questo pro­ posito, l'esempio del complesso presso il Myrelaion di Costantinopoli ( F I G G . 16 -17) , una struttura a due piani con portico antistante impian­ tatosi su una precedente aula polilobata a pianta centrale attribuita agli anni tra la fine del I V e gli inizi del v secolo. Molto più avanti nel tempo le case di Mistrà, presso Sparta ( F I G . 8), ripropo ngono in forme semplificate la stessa tendenza a una colloca­ zione delle funzioni abitative e rappresentative ai piani superiori, 21

secondo una tipologia che, nelle diverse varianti, risulta ormai piena­ mente e definitivamente adottata in tutto il Mediterraneo. Al contrario, la tipologia del palazzo tardoantico esteso in ampiezza trova una sua persistenza, forse anche in questo caso solo a livello nobi­ liare di alto rango, nell'architettura araba degli Omayyadi, dove la con­ tinuità con il modello edilizio precedente appare più forte: nel x-XII secolo le abitazioni di notevole impegno si sviluppano intorno a un cor­ tile centrale, fulcro di una serie di ambienti separati o comunicanti tra loro, ciascuno dei quali utilizzato per una funzione specifica. Anche in questo caso sono tracce che permangono all' interno di un contesto generale profondamente cambiato, che sancisce una nuova geografia politica e strutturale delle regioni mediterranee, mostrando come pro­ prio gli eventi drammatici del VII secolo segnino un momento fonda­ mentale nel passaggio tra la persistenza dell'eredità socioculturale tar­ doantica e il nuovo mondo medievale.

1.2. Case e pa l azzi nel l a ca pita l e d 'Oriente La nascita e il rapido sviluppo di Costantinopoli contraddistinguono un momento fondamentale nell'elaborazione di una forma nuova di città. N o minata

FIGURA

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La Casa d i Fra n go p o u l os a Mistrà

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Fonte: Ma n go (1978, p. 161) .

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dalle fonti greche come Nea Rom i (N uova Roma) , la capitale sul Bosforo viene condizionata nell'impianto solo in minima parte dalla Bisanzio del III secolo e subisce fin dalla fondazione un processo di forte trasformazione, che trae ispirazione e modello formale da Roma e dalle altre capitali dell'impero. Nello stesso tempo, le particolari condizioni offerte dalle circostanze della sua creazione ne fanno un unicum, una sede privilegiata in cui viene verificata l 'attualità delle tipologie architettoniche preesistenti e in cui si sperimentano consa­ pevolmente forme meglio rispondenti alle esigenze della società del periodo. In questo senso la nascita di Costantinopoli costituisce l' ini­ zio di un linguaggio architettonico innovativo, che rielabora in maniera originale le esperienze precedenti, opera selezioni tipologi­ che, diventa a sua volta modello di riferimento. In particolare è rilevante il ruolo della capitale nella diffusione presso le classi elevate di specifiche forme residenziali, che diventano identi­ ficative dello status dei proprietari a prescindere dalla varietà delle soluzioni riscontrabili, alle quali certo contribuiscono anche le tradi­ zioni architettoniche l ocali, i mezzi economici investiti e l'estensione. Si tratta di una caratteristica evidente non solo nei settori di rappre­ sentanza degli edifici, ma anche nella stessa co ncezione gerarchica che regola il rapporto tra gli ambienti. Il più importante nucleo ispiratore della nuova architettura residenziale tardoantica è senza dubbio il palazzo imperiale ( FI G . g) . Sorto con Costantino (306-337) e ampliato dai suoi successori, è noto sostanzial­ mente attraverso le fonti letterarie, in particolare dalle descrizioni del De ceremoniis di Costantino VII Porfìrogenito (913-959) , opera composta però nella prima metà del x secolo e quindi non sempre facile da adoperare in riferimento alle prime fasi di utilizzo del complesso, che sorgeva su terraz­ ze degradanti verso il mare. Non si trattava di un palazzo unitario, ma era costituito dall'aggregazione di nuclei di ambienti e di edifici giustapposti in cui si distinguevano parti private, riservate alla famiglia imperiale, e set­ tori pubblici. Per il IV secolo le indicazioni fornite dalle fonti non posso­ no , se non in parte, compensare la totale assenza di documentazione archeologica. È noto un vestibolo monumentale detto Chalké, forse per la presenza di originarie porte bronzee: riedifìcato da Giustiniano dopo la rivolta di Nika del 532, nella nuova versione secondo la descrizione di 23

Procopio di Cesarea avrebbe avuto l'aspetto di una vasta struttura rettan­ golare con cupola centrale su otto pilastri; le pareti e il pavimento sareb­ bero stati rivestiti di lastre marmoree policrome, il soffitto decorato con mosaici raffiguranti la coppia imperiale nell'atto di ricevere l'omaggio dei re barbari vinti e nelle volte laterali sarebbero state rappresentate le cam­ pagne militari di Belisario, generale di Giustiniano (527-565) . L'esterno dell'edificio, infine, sarebbe stato ornato con numerose statue, molte delle quali rappresentanti personaggi della famiglia imperiale. Nella parte orientale del complesso, vicino alla Chalké, si trovava il tri­ clinio monumentale della Magnaura, probabilmente una sala trilobata orientata a est, preceduta da una gradinata di accesso e da una corte porticata. Il palazzo pare comprendesse, già in questa fase, anche una sala di ricevimento detta Augusteus, che sembrerebbe avere avuto una pianta basilicale e inoltre un grande ambiente ottagonale; quest'ultimo, almeno nel x secolo, era collegato con una camera destinata al riposo dell 'imperatore. Un portico semicircolare con quindici colonne, il Sigma, viene attribuito da fonti tarde allo stesso Costantino. Il palazzo era infine in stretto collegamento con il lato orientale dell'Ippodromo mediante una scala a chiocciola che raggiungeva il Kathisma, la tribuna dell'imperatore affacciata sull'arena ( FI G . 10). FIGURA

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I l pa l azzo i m pe ria le d i Costa nti n o p o l i : ricostruzio n e idea l e

Fonte: Vogt (1935).

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Il cerimoniale di corte

L'architettura palaziale di età tetrarchica, con le analogie e con le peculiarità riscontrabili nelle diverse sedi, costituisce la premessa essenziale alla realizzazione della sede di corte di Costantinopoli, a sua volta luogo privilegiato per l'elaborazione di nuovi modelli e di forme espressive. Già con Diocleziano (284-305) si era realizzata l'a­ dozione di alcune manifestazioni cerimoniali di origine orientale, come l'obbligo dell'adoratio invece della salutatio tradizionale; il sovrano viveva isolato, facendo brevi apparizioni pubbliche in abiti sontuosi e accentuando in questo modo la propria dimensione ultra­ terrena, secondo quanto già espresso a livello formale dalla titolatu­ ra imperiale. A partire dell'età costantiniana (306-37) il concetto della sacralità dell'imperatore viene riformulato e giustificato in senso cristiano: anche il palazzo viene proiettato in una dimensione sovrannaturale, tanto da essere considerato addirittura una prefigu­ razione del regno divino. Questa concezione sacralizzata della strut­ tura architettonica si applica anche alle sue parti: la sala delle udien­ ze, per esempio, viene confrontata con una cappella e a essa ci si riferisce con termini derivati dall'ambito religioso. Già dal1v secolo il palazzo di Costantinopoli costituisce così l'ambientazione privilegia­ ta degli avvenimenti più significativi della nuova dinastia regnante: le sue caratteristiche tipologiche e decorative contribuiscono a fare dell'imperatore, investito da Dio, una creatura trascendente, circon­ data da consiglieri e guardie personali, separata anche fisicamente dal resto del mondo mediante tendaggi e addirittura dal suolo mediante polvere aurea sparsa al suo passaggio, non comunicando verbalmente in maniera diretta, ma attraverso l'intermediazione di funzionari di corte. Le apparizioni al popolo sono eventi eccezionali e codificati, che necessitano di architetture specifiche, come ad esem­ pio la tribuna imperiale prospiciente l'Ippodromo, uno dei luoghi privilegiati per l'epifania del sovrano e per l'esibizione della com­ plessa gerarchia di corte.

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Ampia e articolata negli aspetti architettonici e funzionali, nella seconda metà del IV secolo la residenza costantinopolitana per eccellenza è ormai il simbolo del potere e della vita lussuosa dei sovrani, tanto che Giuliano (361-63 ) , come reazione al lusso eccessivo della eone, ritiene opportuno espellerne gli eunuchi, i barbieri, i cuochi e numerosi scrivani. Con il v secolo sembra essersi già completamente costituito un model­ lo di palazzo che prevede un insieme di elementi stabili, acquisiti nelle parti essenziali dalle residenze di rango imperiale di età tetrarchica: la canonizzazione costantinopolitana di queste esperienze corrisponde non solo a una replica di specifiche forme architettoniche, ma soprat­ tutto all'affermazione di una concezione che progressivamente associa in maniera stabile tipologie e significati, nell'ambito di un sistema espressivo fortemente condizionato dai simboli di status. Un ulteriore notevole impulso monumentale si deve in seguito a Giustiniano , nella prima metà del VI secolo: viene realizzato un colle­ gamento diretto tra il palazzo e gl i ambienti imperial i al primo piano della cattedrale di S. Sofia, attraverso portici a due piani posti tra la Chalké, la Magnaura e la chiesa. Sotto lo stesso imperatore, con l'am­ pliamento verso ovest del palazzo , il centro del complesso sembra FIGURA

10 la loggia del Kathisma a l la base del l ' obe l isco d i Teodosio n e l l ' I p pod ro m o di Costa nti n opo l i ( l ato n ord-ovest)

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diventare l'edificio noto come Ottago no del Chrysotriklinos (Triclinio d'oro) , forse da identificare con la sala ottagonale realizzata in età costantiniana. Allo stesso impegno di rinnovamento si devono proba­ bilmente attribuire anche gli splendidi mosaici pavimentali ( F I G. 11) messi in luce a sud dell'Ippodromo, lungo i portici di una grande corte a peristilio forse pertinente a una fase precedente ( F I G . 12) . Per quanto riguarda le abitazioni delle classi elevate, le fonti letterarie attribuiscono a Costantino la realizzazione di dimore per dodici dei pro­ pri alti funzionari indotti a stabilirsi nella nuova capitale, dove l'impera­ tore cercava consapevolmente di ricreare una classe dirigente equipara­ bile a quella di Roma. I pochi dati riguardanti queste residenze sembra­ no restituire l'immagine di edifici di grandi dimensioni, realizzati secon­ do le caratteristiche strutturali tipiche delle dimore del periodo: vengo­ no tuttavia menzionati anche elementi particolari, forse innovativi in contesti residenziali, come ad esempio le scale a chiocciola. Ulteriori dati sulle case dei membri dell'entourage dinastico possono essere ricavati dalla Notitia dignitatum, un testo datato attorno al 425 che indica l'ubicazione di tali complessi quasi esclusivamente nelle regiones (i quartieri amministrativi in cui era divisa la città) I e I I I ( FI G . 13) . Tale

FI G U RA 11 Pa rticola re dei m osa ici pavi m enta l i del peristi l i o n e l pa l a zzo i m peri a le d i Costa nti n o p o l i

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F I G U RA 12 G li scavi n e l l ' a rea del pa lazzo i m p e ri a le d i Costa nti n o p o l i o

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FI G U RA 13 Le regiones d i Costa nti n op o l i

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5 00 m

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collocazione sembra condizionata dalla continuità d'uso dei palazzi imperiali, che evidentemente costituiscono un forte elemento di attra­ zione e contribuiscono a connotare il carattere elitario dell'area. In alcuni casi, inoltre, è attestata una seconda residenza del medesimo proprietario in una zona diversa, meno centrale: gli esempi noti nelle regiones x e XI possono essere spiegati sia come originarie ville urbane in posizioni periferiche o esterne, sia con la presenza nelle vicinanze di strutture monumentali di particolare significato ideologico e dina­ stico, come la chiesa di rango imperiale dei S S . Apostoli della regio XI. Negli stessi quartieri, originariamente suburbani, la monumentalizza­ zione del IV secolo comprendeva tre palatia attribuiti dalle fonti alla famiglia di Costantino, tra i quali la dimora di Elena, madre dell' im­ peratore. L'ampiezza delle due regioni meglio corrisponde, peraltro, a zone marginali che conoscono evidentemente un incremento insedia­ tivo nel corso del tempo . Non a caso ben presto la x, insieme alla VII, risulterà la regio più densamente popolata, in cui si collocano i siste-

FIG U RA 14 L'ed ificio di Gi.ilha n e a Costa nti n o p o l i



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( l J 29

mi abitativi dei ceti medi e subalterni della città, che si estendono, analogamente, nelle contigue V I e XI. A fronte di una documentazione letteraria piuttosto ampia e articola­ ta, la ricerca archeologica ha permesso finora una conoscenza estre­ mamente parziale delle numerose dimore imperiali citate dalle fonti. Una di queste è stata messa in luce nella zona di Giilhane ( F I G . 14), nella regio I: la sua ubicazione ha indotto a riconoscerla in uno dei palazzi dinastici del v secolo, con attribuzioni ancora incerte, che non sembrano poggiare su basi consistenti ma soprattutto sul tentativo di trovare un riscontro monumentale concreto al carattere residenziale del quartiere, secondo le indicazioni dei testi. Quanto attualmente noto corrisponde al settore di rappresentanza di un ampio edificio, di cui resta un atrio semicircolare colonnato e una sala poligonale, con nicchie e con scale a chiocciola ricavate nello spessore dei muri. F I G U RA 15 Le strutt u re residenzia l i a ovest del l ' I p pod ro m o di Costa nti n o poli

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Un altro importante complesso tardoantico è stato parzialmente inda­ gato nella regio III, a ovest dell'Ippodromo ( F I G . 15) . Si tratta di un insieme di strutture che la tradizione degli studi ha messo in relazio­ ne con due alti funzionari imperiali, Lauso (edificio settentrionale) e Antioco (edificio meridionale) . La mancanza di una chiara separazio­ ne tra i due complessi e l'assenza di organicità dei due nuclei consi­ derati singolarmente, non permette tuttavia di escludere che si tratti di padiglioni pertinenti a un unico insieme monumentale. Mentre l'attribuzione dell 'edificio meridionale al praepositus Antioco è resa certa dal rinvenimento di mattoni bollati e di una base di colonna iscritta che recano il suo nome, non presenta alcuna certezza l' attri­ buzione a Lauso, che sulla base di riletture ulteriori della documenta-

F IG U RA 16 L'a rea d e l Myre/aion a Costa nti n opo l i

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zio ne letteraria avrebbe avuto in realtà il proprio palazzo in un'altra zona, prossima al Foro di Costantino. L'insieme dei vani attribuiti alla residenza di Antioco è il frutto di suc­ cessive trasformazioni a partire dalla prima edificazione, avvenuta tra il 402 e i1 439 , periodo durante il quale è documentato il servizio del fun­ zionario presso il palazzo imperiale. Le strutture a nord, invece, sorsero a quanto pare nel corso del v secolo, subirono ristrutturazioni nel quar­ to decennio del VI e, nuovamente, alla fine dello stesso secolo. Considerando gli aspetti morfologici, è interessante rilevare l' esisten­ za di due corti di ingresso semicircolari, di un atrio a forcipe, di un triclinio absidato e polil obato , tipico di un'impostazione gerarchica ed elitaria del banchetto ufficiale, di varianti della planimetria a pian­ ta centrale polilobata. Questa si riscontra anche in un altro edificio tardoantico della capitale ( F I G . 16) identificato con la dimora di Arcadia, figlia dell' imperatore Arcadio (395-408) situata nella regio 1 1 1 : i resti del complesso vengono riconosciuti nelle strutture venute alla luce a sud-est della chiesa del Myrelaion (Bodrum çamii) ( F I G. 17) .

F I G U RA 17 La ch iesa medio-biza nti n a d e l Myrelaion a Costa nti n o po l i

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N on sono finora emersi resti strutturali attribuibili a case di tenore più modesto, utili a ricostruire l'immagine reale di una città in forte espansione, con problemi derivanti da una fitta insediatività e dal sovrappopolamento, come è possibile desumere dalle fonti letterarie e legislative. La stessa situazione emerge, ad esempio, dal testo della Notitia dignitatum, che agli inizi del v secolo cita l'esistenza di 4.388 domus, distinte per quartieri. Su questa base le regioni più densamen­ te edificate sembrano essere la VII e la x, seguite quasi alla pari dall'xi e dalla VI; mentre una sensibile diminuzione si noterebbe nella IV e nella XII; si dimezza, invece, la percentuale nelle regioni v e XIV; seguono, quindi, quasi alla pari con un rapporto molto basso, le regio­ nes I, II, III e V III, e, per ultima, la IX, segno evidente di un minore sfruttamento abitativo, oppure di una maggiore incidenza areale della monumentalizzazione pubblica.

1.3. Ti p o l ogia e funzio n e deg l i amb i enti La forma degli ambienti, la varietà degli aspetti decorativi e l'associazione tra i vani rispecchiano fenomeni culturali e ideologici di carattere generale, attraverso i quali è possibile verificare i mutamenti intervenuti nella società e nei suoi modell i espressivi. Il primo aspetto riguarda il rapporto tra forme architettoniche e fun­ zioni sulla base dei dati disponibili, sia archeologici sia letterari. In molti casi la mancanza di planimetrie complete e di un adeguato sup­ porto documentario, così come il carattere incidentale delle informa­ zioni desumibili dagli autori antichi, condizionano naturalmente in maniera sostanziale le possibilità di un esame opportuno di tutte le tipologie di ambienti presenti all'interno delle case . In questo senso, tuttavia, proprio lo studio di insieme e il confronto tra le soluzioni attestate possono contribuire a chiarire situazioni poco evidenti o a fornire ipotesi di lavoro da verificare con ulteriori interventi e appro­ fondimenti. Va ni d i i n gresso Come nella casa di età imperiale, il settore di ingresso riveste un'importanza particolare nella caratterizzazione del livello sociale dei proprietari: è infatti la zona più frequentata dai visi­ tatori esterni e, di conseguenza, insieme agli ambienti di rappresen1.3.1.

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tanza, una delle più ricche di motivi ornamental i, secondo criteri che corrispondono a modelli espressivi consapevolmente prescelti. I per­ corsi all'interno delle dimore di alto livello erano infatti predefiniti, a partire dallo spazio antistante l'edificio e attraverso i vani di ingresso principali, secondo tragitti spesso sottolineati da una cura particolare nella decorazione parietale e pavimentale; questi percorsi, in età tar­ doantica, non corrispondono semplicemente a necessità di carattere funzionale, ma sottolineano in maniera specifica la successione gerar­ chica degli ambienti della casa, in un crescendo attraverso portici e corridoi che culmina nel nucleo rappresentativo , comprendente una o più sale di ricevimento. La possibilità di riscontrare una successione preferenziale di spazi, anche in questo caso certamente sul modello dall'edilizia palaziale, è di per sé indicativa di un livello sociale elevato, che prevede, se non l'esistenza di un cerimoniale vero e proprio, almeno una prassi com­ portamentale che regola i rapporti sociali secondo schemi formali. Elementi decorativi e monumentali di particolare rilievo distingueva­ no l 'accesso principale anche rispetto ai vani di ingresso secondari; le soluzioni adottate potevano essere molto varie, dalla coll ocazione di colonne ai lati della porta o di una co rnice ornamentale a elementi più complessi e ideologicamente significativi, come nel caso delle statue colossali nel palazzo di Atene ( F I G . 18) : in questo edificio è attestato anche un altro uso tipico delle residenze di maggiore impegno e di

F I G U RA 18 La facciata d e l Pa lazzo dei G iga nti n e l l 'Agorà d i Aten e

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quelle imperiali, quello di anteporre all' ingresso statue onorarie di membri autorevoli della famiglia dei proprietari. Qui si tratta addirit­ tura della statua dedicata all'imperatrice Eudocia. Nelle dimore di maggiore impegno, per esempio a Costantinopoli nel cosiddetto Palazzo di Lauso ( F I G . 15) e a Gtilhane ( FI G . 14) , sono documentati spazi di accesso del tipo a portico semicircolare o " a sigma", probabilmente analoghi a quello con quindici colonne attri­ buito dalle fonti al palazzo imperiale e già attestati sia nell'architettura della ville, da Piazza Armerina ( FI G . 1) a Montmaurin, a Valentine e Lescar in Aquitania, sia in quella religiosa, come nel caso della grande basilica cristiana presso il porto di Corinto ( F I G . 19) . Nel Palazzo dei Giganti di Atene questo portico semicircolare svolge funzioni di pas­ saggio e di collegamento tra corpi di fabbrica diversi, supera un disli­ vello del terreno e unisce il grande cortile porticato di accesso agli ambienti del settore centrale ( F I G . 3) . La ricezione del modello aulico imperiale del portico a sigma, comun­ que, sembra presentare in ambito urbano un'incidenza minima ed è

F IG U RA 19 La b as i l ica d e l Lechaion p resso Cori nto

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I n grigio i l vesti bolo "a s i g m a " .

Fonte: R. Kra uth e i m e r, Architettura pa/eocristiana e bizantina, E i na u d i , To ri no 198 6, p. 153·

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attestato solo in pochi complessi per i quali è stato proposto un rap­ porto con famiglie aristocratiche coinvolte nel sistema dinastico: per­ tanto la sua presenza, associata ad altre componenti, può forse essere considerata tra gli aspetti distintivi di dimore fatte costruire per pro­ prietari molto prossimi allo status imperiale. Tra gli ambienti di accesso delle residenze di prestigio della fine del III- IV secolo, una delle forme caratteristiche è quella rettangolare a estremità absidate o a forcipe, attestata ad esempio a Efeso, in un complesso residenziale attribuito al proconsole d'Asia ( FI G . 20) oppu­ re in quello di Nea Paphos già menzionato ( F I G . 2 ) . Anche questo ele-

FI G U RA 20 La reside nza d e l p roco n so le a Efeso

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I n grigio c h ia ro l ' atrio "a fo rci pe".

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(§)

La casa romana

In età romana l'edilizia privata si sviluppa prin cipalmente secondo due tipi fo ndamentali di edifici. Il primo è la dom us unifamiliare, generalmente a un solo piano, con ambienti disposti attorno a uno spazio centrale aperto. La planimetria tipica nel1v secolo a.C. è quel­ la "ad atrio" e comprende un ingresso ( ostium) che dà accesso a uno stretto corridoio (fauces) attraverso il quale si entra nell'atrio, uno spazio coperto solo parzialmente, con una vasca centrale. Attorno a esso si disponevano stanze di alloggio ( cubicula) e due vani aperti ( a/ae) , mentre di fronte all'ingresso si apriva la stanza in cui il pro­ prietario svolgeva i propri affari e conservava gli archivi familiari ( tablinum) , fiancheggiata da ambienti minori o da un corridoio di passaggio al giardi no posto alle spalle della casa ( h ortus) . Soprattutto a partire dal 11 secolo a.C. lo schema tradizionale della dom us signorile si arricchisce di elementi di derivazione ellenistica, in particolare acquisendo corti porticate (peristylia) che ampliano la superficie degli edifici nel senso della lu nghezza e fornendo la pos­ sibilità di nuove aggiunte: terme, biblioteche, sale da banchetto ( tri­ c/inia) , sale da conversazione ( oect) , appartamenti per le donne (gin ecet) , stanze per gli ospiti ( h ospitalia) . La zona privata della casa diventa quella più interna, mentre visitatori e c/ientes sono ammessi alle stanze di ingresso, all'atrio e agli ambienti collegati, dove spes­ so si trovano banchine per sedersi. Nell'ambito di una continua trasformazione e di una variabilità di situazioni legata alla complessa stratificazione sociale, mentre la dom us mantiene un carattere aristocratico, nelle grandi città e soprattutto a Roma e a Ostia si sviluppano nuove forme in sediative. A un diverso ambito sociale ed economico corrisponde ad esempio il caseggiato plurifamiliare a piani sovrapposti praticabili per mezzo di scale, che dalla fine del 1 secolo tende a occupare un intero iso­ lato ( insula) . Ciascun piano è occupato da appartamenti di poche stanze, mentre il pianterreno ospita in genere botteghe affacciate sulla strada.

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mento denota un carattere aulico, reso evidente dall'uso della stessa tipologia nell'architettura religiosa cristiana, ma si tratta probabil­ mente di una scelta non legata esclusivamente a un ambito imperiale, considerandone la relativa diffusione e la possibil ità di ripresa del modello con dimensioni ridotte. 1.3.2. Atri e corti a pe risti l io Uno dei fenomeni che contraddistin­ guono la casa tardoantica è la completa scomparsa, anche in Occidente, dell'atrio di tradizione italica ( F I G . 21) , elemento di collegamento tra le fouces e il tablino: tale mutamento deriva probabilmente dall'assimila­ zione dei modelli ellenistici di tradizione dinastica (Macedonia, Pergamo, Egitto) , recepita in primo luogo dall'alta aristocrazia romana e ben presto affermatasi soprattutto nelle elaborazioni imperiali. F I G U RA 21 La casa ro m a n a

Fonte: Tappeti di pietra (1989, p. 2 6 ) .

Sono significative le situazioni in cui viene avvertita la necessità di un rinnovamento anche tipologico degli edifici, come ad Afrodisia, dove agli inizi del v secolo la ristrutturazione delle case di età imperiale comprende anche la trasformazione degli atri in ninfei e in peristili. Questi avevano la funzione di creare un settore di smistamento dai vani di ingresso alle altre parti dell'edificio, dando loro luce e offren­ do uno sfondo prospettico alle sale di rappresentanza. L'impatto decorativo era accresciuto dalla presenza di fontane e ninfei, connessi evidentemente, come i pozzi, anche a necessità di tipo funzionale, e dalla decorazione pavimentale a mosaico dei portici, questi ultimi inseriti nel sistema di percorsi privilegiati all'interno delle domus. In edifici molto complessi le corti venivano reduplicate e fo rmavano , insieme agli ambienti gravitanti attorno a ciascuna di esse, veri e pro­ pri quartieri accostati e definiti da scopi diversi, come ad esempio ad Atene nella House C dell'Agorà ( F I G G . 2 2 -23 ) . La funzione delle corti porticate era anche quella di moltiplicare gli spazi fruibili all' interno della casa, offrendo i vantaggi di un'area aperta, ma interna e ripara-

FI G U RA 22

la House C d e l l 'Agorà di Ate n e

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ta: ad Apamea, ad esempio, sulle colonne del peristilio sono state tro­ vate tracce della presenza di tendaggi disposti negli intercolumni per schermare la luce solare e fornire ombra ai vani affacciati sulla corte. Anche la struttura a peristilio nelle fasi cronologiche più recenti mostra comunque un decadimento e una trasformazione che condi­ zionano in maniera rilevante il funzionamento stesso delle abitazioni: una modifica significativa è attestata ad esempio ad Apamea nella Maison aux consoles ( F I G . 24) , dove all'impianto originario si sovrap­ pone, in un momento non chiaramente precisabile, la costruzione di un'abside all'interno di uno dei bracci del portico, in modo da rica­ vare al suo interno un ambiente a sviluppo longitudinale. L' importanza del cortile centrale a peristilio come elemento caratte­ rizzante di una forma architettonica e nello stesso tempo di uno spe­ cifico stile di vita è resa evidente anche da queste trasformazioni che, nelle fasi cronologiche più recenti, ne modificano in maniera ancora più significativa le dimensioni e la funzione. Sempre ad Apamea, come si è già accennato, un'accurata analisi archeologica ha permesso di evidenziare nel corso del VII secolo una riorganizzazione tarda dei FI G U RA 23 Il tricl i n io d e l l a House C

Fonte: Fra ntz (1988, tav. 34) .

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portici, con una frammentazione dello spazio in unità minori che, come in altri casi, denota un mutamento effettivo nei sistemi di fre­ quentazione dell'intero edificio , evidentemente non più utilizzato come struttura unifamiliare di tipo signorile. La tendenza ad analoghe sistemazioni sono documentate anche in fasi cronologiche preceden­ ti, secondo modalità che sembrano variare a seconda delle situazioni ma che corrispondono a fenomeni simili. In particolare, tali cambia­ menti strutturali sono indicativi di trasformazioni sostanziali nello stile di vita degli abitanti, ma anche della scomparsa di ceti e di spe­ cifici modelli sociali. La documentazione letteraria a proposito di queste frammentazioni, che si riscontrano peraltro anche in edifici pubblici caduti in disuso, contribuisce solo parzialmente alla comprensione del fenomeno; ad

F IG U RA 24

la Maison aux consoles d i Apa m ea

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esempio si possono citare i provvedimenti presi da Demostene, gover­ natore di Edessa (Siria) , in favore di popolazioni inurbate nel 500-1 a seguito di una carestia: in questa occasione vennero chiusi gli inter­ columni delle terme e poste sul pavimento stuoie di vimini per acco­ gliere i nuovi arrivati . La scomparsa della tipologia a peristilio corrisponde evidentemente a fenomeni di crisi sociale e di disgregamento del tessuto urbano, coin­ cidenti con la necessità di nuove forme di edilizia privata. In questo ambito, come si è già accennato, si può constatare la tendenza, in alcu­ ni casi già dal v secolo ma soprattutto in seguito, a utilizzare il piano superiore per funzioni residenziali e rappresentative, mentre i vani del pianterreno acquistano una destinazione produttiva, diventano magazzini o stalle, o sono destinati agli alloggi della servitù. La casa signorile tende ad assumere così la struttura già descritta a proposito delle fasi cronologiche più avanzate, compatta ed elevata in altezza, con percorsi preferenziali che implicano abitualmente l'uso di scale. 1.3.3. Am bienti di ra p p rese nta nza La sala di rappresentanza può presentare forme diverse, che attingono talvolta alla tradizione plani­ metrica del triclinio di età imperiale oppure a quella dell'aula basili­ cale di ricevimento dei palatia tetrarchici. Nel primo caso vengono adottate planimetrie rettangolari , trilobate o polilobate , mentre nel secondo caso, che è il più diffuso, il vano assume forma absidata. Nelle dimore di prestigio il settore di rappresentanza è quello che mag­ giormente risente della necessità di ricorrere a formule convenzionali nella disposizione dei vani, comunemente collocati in una successione che replica, in scala ridotta, quella imperiale, adottando la sequenza ambiente di ingresso-corte a peristilio-sale di rappresentanza. In generale l' orientamento di queste sale non sembra seguire una regola costante, nonostante i richiami della trattatistica alla necessità di conciliare la disposizione planimetrica con situazioni climatiche specifiche : appare ricorrente, invece, il rapporto di contiguità con la corte a peristilio e, attraverso questa, la presenza di una comunicazio­ ne diretta con il settore di ingresso della casa. Nella dimora di prestigio dei ceti abbienti urbani di età tardoantica le funzioni del triclinio e dell'ambiente di ricevimento vengono spesso

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assunte da un unico vano, che ne acquista anche le caratteristiche pla­ nimetriche e decorative, con un'amplificazione delle dimensioni e dell'allestimento architettonico. Le funzioni risultano separate invece nei complessi di maggiore impegno , secondo un sistema tipico dei palazzi, come nell'esempio di Costantinopol i, già citato, e in quello più tardo di Teoderico a Ravenna ( F I G . 3 2) . Nella maggior parte degli esempi noti, comunque , il vano di rappre­ sentanza è unico, di dimensioni più ampie rispetto alle altre stanze, collocato in una posizione privilegiata e caratterizzato da una decora­ zione pavimentale e parietale di maggiore impegno : questi aspetti consentono spesso di riconoscerne la funzione nell 'ambito di una serie di stanze tipologicamente simili, prive dell'arredo originario e quindi difficilmente identificabili. Rimane poco documentata, anche se plausibile, la possibilità che fun­ zioni rappresentative venissero svolte anche da vani posti al piano supe­ riore delle case, come suggeriscono rare testimonianze archeologiche: a Ravenna, ad esempio, durante gli scavi della domus di via D'Azeglio ( F I G . 47) , sono stati trovati lacerti pavimentali di una delle sale del primo piano, evidentemente dotata di un apparato decorativo significativo. Am biente d i ra p p resenta nza q u a d ra ngolare Fino al 1 1 1 secolo la forma quadrangolare è quella predominante per i vani di rappresen­ tanza, che nelle realizzazioni successive tendono ad assumere, pro­ gressivamente e in maniera stabile, una pianta absidata o polilobata. La pianta quadrangolare può presupporre funzioni sia di ricevimento sia di sala da banchetto . È significativo , tuttavia, il tentativo di intro­ durre fin dal IV secolo elementi innovativi da un punto di vista mor­ fologico, non solo attraverso la costruzione di ambienti più con­ gruenti con le fo rme in voga, ma anche semplicemente mediante l'u­ tilizzo di espedienti decorativi specifici: in alcune dimore, ad esempio, la forma absidata tipica della sala da pranzo più " moderna " viene sug­ gerita dalla riproduzione sul pavimento di un motivo semicircolare. Nel tricl inio della Villa ofthe Falconer di Argo ( F I G G . 2 5 -27) , datata al VI secolo, la caratterizzazione è ancora più completa, con la riprodu­ zione al centro della tavola di un piatto con due pesci e, attorno a essa, di una struttura da banchetto a sette posti.

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F I G U RA 2 5 L a Villa of th e Fa/coner d i A rgo

F I G U RA 26 Il m osa i co co n co rteo d ion isiaco n e l l a Villa of the Fa/coner

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Am bienti di ra ppresenta nza a bsidati Un tavolo da pranzo di parti­ colare diffusione è quello generalmente definito a sigma, per la caratte­ ristica forma semicircolare: ampiamente attestato nelle case dei ceti ele­ vati a partire dal IV secolo ( F I G G . 28-29) , era un mobile costituito da una tavola in marmo o in pietra, spesso con alveoli lungo il bordo e con una scanalatura che confluiva al centro del lato rettilineo frontale, posto probabilmente più in basso per favorire il deflusso dei liquidi versati durante il banchetto e dell'acqua utilizzata per la pulizia. La lastra era sostenuta da elementi litici, in muratura oppure lignei, forse maggior­ mente diffusi: la prevalente assenza di indicazioni circa questi sostegni, infatti, potrebbe segnalarne l'originaria realizzazione in materiale depe­ ribile, anche se raramente ne sono state riscontrate tracce. Le mense a sigma erano circondate da letti lignei accostati e disposti a raggiera, in modo da permettere ai convitati di appoggiare il gomito su un cuscino addossato alla mensa. Le prime attestazioni di mense semicircolari sem-

FI G U RA 27 Deco razi o n e pavi m e nta le d e l t ric l i n io n e l l a Villa of the Falconer d i Argo

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FI G U RA 2 8 Mensa e stibadium: l a struttu ra per b a n c h etto i n età ta rd oa ntica

F I G U RA 29 U na m e n sa "a sigma" d a Apa m ea

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brano risalire oltre l'età p roto imperiale: con il termine stibadium (dal greco stibas, diminutivo stibadion) si indicava originariamente, forse già dal I secolo, il lungo cuscino che veniva posto direttamente sul terreno durante i banchetti all'aperto , come ancora rappresentato, ad esempio, in uno dei pavimenti musivi di Piazza Armerina: dalla fine del III seco­ lo lo stesso elemento, che generalmente viene raffigurato ricoperto da una stoffa a righe, è collocato al centro dei vani tricliniari, tra i letti (che vengono indicati con lo stesso termine) e la mensa semicircolare. La diffusione delle tavole semicircolari nelle case di prestigio costitui­ sce probabilmente un adattamento, in forma minore, di usanze tipi­ che di nuclei sociali elitari, legati alla corte imperiale e al suo cerimo­ niale. La presenza di un modello sociale di riferimento potrebbe spie­ garne infatti l'uso sia in contesti privati, per livelli sociali privilegiati, sia in contesti liturgici, secondo il processo abituale di contaminazio­ ne figurativa tra sfera divina e sfera imperiale. Banchetti rappresenta­ ti in pitture funerarie del IV secolo e in mosaici e manoscritti del VI secolo documentano in maniera evidente l'utilizzo di queste mense in ambito aulico, soprattutto religioso. La forma stessa delle tavole a sigma sottintende una concezione gerarchica del convivio, presente già in età imperiale, ma che con il tempo sembra assumere quasi un valore normativa. Sidonio Apollinare, nel descrivere un banchetto offerto dall' imperatore Maioriano (457-61) ad Arles, indica esplicita­ mente i criteri adottati nella disposizione dei convitati, otto compre­ so l'imperatore: il sovrano si trovava al posto d'onore, in margine dex­ tro (all'estremità destra) , mentre tra gli altri personaggi la posizione migliore veniva considerata quella all'estremità sinistra della mensa (cornu sinistro) , di fronte all 'imperatore; svantaggiati risultavano i posti alle spalle del sovrano in quanto poco visibili, con importanza decrescente da sinistra verso destra. Questa concezione gerarchica trova confronto nell'iconografia dei banchetti ( F l G . 3 0 ) : il posto d'onore si trova effettivamente all' estre­ mità destra, cioè a sinistra rispetto allo spettatore. È da escludere, quindi, che la collocazione del personaggio preminente della compo­ sizione possa essere puramente casuale e risultare condizionata solo dalle esigenze di una migliore leggibilità dell'immagine. L'uso di tavole a sigma in ambito aulico prosegue anche in età medio-

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bizantina, come documentano manoscritti del IX e del x secolo . Sembra sopravvivere anche i l concetto gerarchico del banchetto: nel De ceremoniis di Costantino VII, infatti, si dice che in occasione di un banchetto ufficiale svoltosi nel Triclinio dei Diciannove Letti del palazzo imperiale venne approntata una mensa circolare affinché gli ospiti saraceni non pensassero che «nella distribuzione dei posti a sedere un dignitario venisse anteposto a un altro» (De cer. II, 1 5.4) . La forma absidata dell 'ambiente di rappresentanza, documentata già in età imperiale, è destinata ad accogl iere le tavole a sigma e i letti tri­ cliniari e appare predominante nelle case posteriori al IV secolo, tanto da costituire spesso uno degli aspetti caratteristici delle trasfor­ mazioni e dell'aggiornamento di impianti precedenti. L'ambito cro­ nologico di riferimento e le caratteristiche planimetriche di queste sale hanno peraltro favorito talvolta fraintendimenti interpretativi, che in esse rico noscevano fo rzatamente luoghi per lo svolgimento di

F I G U RA 3 0 L' U lti m a Cen a n e i m osa ici d i S. Apo l l i n a re N uovo a Rave n n a

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pratiche religiose, interpretandone anche la decorazione musiva in senso cristiano. Le varianti attestate della forma base sono molteplici e riguardano essenzialmente la presenza di vestiboli antistanti, la diversa decorazione architettonica dell'entrata, la bipartizione in due spazi separati, a volte attraverso un cambiamento della quota pavimentale. A seconda del­ l'impegno rappresentativo dell'edificio di pertinenza, la sala può svol­ gere una doppia funzione, come ambiente di ricevimento e tridinio, oppure solo quella di ricevimento. In alcuni casi la stessa tipologia absi­ data è replicata all'interno dello stesso edificio, forse come enfatizzazio­ ne del carattere rappresentativo insito nella forma stessa o forse per dare la possibilità di svolgere attività differenti nelle diverse sale. Ambienti di ra p presentanza trilobati Il triclinio con tre absidi è conce­ pito per accogliere, in ognuna di esse, le strutture da banchetto, con una

F IG U RA 31 I l " Pa l azzo ep isco pa le" d i Afrodisia

I n gri gio i l tri c l i n io a tre a bs i d i .

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preminenza gerarchica dell'esedra centrale. In ambito palaziale questa forma non sembra affermarsi stabilmente prima dell'età tetrarchica; la ripresa e diffusione del modello di tarda età imperiale, forse riproposto nel palazzo di Costantinopoli sin dal IV secolo, è documentato in con­ testi residenziali di particolare prestigio ( FI G . 31), soprattutto in associa­ zione con sale di rappresentanza absidate destinate a funzioni di ricevi­ mento, come negl i esempi extraurbani di Piazza Armerina ( FI G . 1) o Desenzano del Garda. A Ravenna ( FI G . 3 2) , in età teodericiana (493526) , la presenza di un triclinio di questo tipo nella residenza palaziale potrebbe richiamare appunto il probabile modello costantinopolitano, secondo quanto riscontrato anche per altri settori dell'edificio . La fun­ zione, oltre a essere suggerita dalla tipologia, è chiaramente esplicitata in

F I G U RA 32 Il Pa l a zzo di Teoderico a Rave n n a

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questo caso da un'iscrizione musiva che esalta i piaceri della vita e i frut­ ti concessi dalle stagioni, anch'esse raffigurate nel pavimento della sala. Am bienti di ra p p resenta nza pol ilo b ati Una particolare forma di tri­ clinio, derivata da quella triabsidata, ma caratterizzata da una pianta più articolata e da una struttura monumentale, è quella ad absidi mul­ tiple, una in posizione centrale e le altre disposte su due file contrap­ poste ai lati dell'asse longitudinale. Come nel tipo precedente, nelle nicchie erano poste strutture semicircolari da banchetto che facevano da coronamento a quella collocata nell'abside centrale, riservata ai personaggi più importanti del convivio. Si tratta di una scelta planimetrica particolare, probabilmente docu­ mentata nel palazzo di Costantinopoli già alla fine del IV secolo e repli­ cata nelle residenze delle classi elevati della capitale, come ad esempio

FIG U RA 33 Il tricl i n io polia bsidato d e l Pa l azzo di La uso a Costa nti n opo l i

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nel padiglione già attribuito a Lauso, a ovest dell'Ippodromo ( F I G . 33) . A favorirne l'origine potrebbero essere state le necessità di amplificazio­ ne e reduplicazione degli spazi sollecitate dal cerimoniale di corte, che secoli dopo, ancora all'epoca di Costantino Porfirogenito , ambientava alcune azioni del rituale imperiale nei due celebri Triclini a Cinque e a Diciannove Letti. La documentazione letteraria permette di ricavare ulteriori indicazio­ ni circa la diffusione della tipologia in riferimento a residenze di ambito ecclesiastico, come nel caso della dimora episcopale di Ravenna, ampliata nel terzo quarto del v secolo mediante l'aggiunta di un triclinio a cinque absidi con decorazioni parietali a carattere religioso di cui rimane una breve descrizione risalente al IX secolo ( F I G . 56) . In sostanza, quindi, il triclinio polilobato sembra essere una creazio­ ne costantinopolitana, di ambito probabilmente imperiale, attestato con certezza nel v secolo e probabilmente già alla fine del IV. Si trat­ ta di una sala per banchetti ufficiali destinata a un numero partico­ larmente elevato di invitati, disposti al suo interno secondo connota­ zioni rituali e gerarchiche ben precise, tanto da venire adottata anche per alcune importanti sedi episcopali come Ravenna e, successiva­ mente, nello stesso complesso lateranense di Roma ( F I G . 62) . Il pro­ babile prototipo costantinopolitano, noto anche da descrizioni del x secolo, viene replicato nella stessa capitale nel complesso residenziale a ovest dell'Ippodromo, ma nell'edilizia privata al di fuori della capi­ tale d'Oriente risulta estremamente raro. 1.3.4. Ca ppel l e private Nelle case più rappresentative di età tardoan­ tica è attestata anche una cappella destinata al culto cristiano della famiglia, a volte con religiosi preposti alla celebrazione sacra domesti­ ca, secondo un uso documentato in forma amplificata all' interno dei complessi palazial i. Esiste già una tradizione della presenza di sacelli di culto pagano all' interno di ville e abitazioni, con differenti artico­ lazioni, dai casi più monumentali fino alle semplici edicole: risulta quindi naturale una continuità nella pratica del culto all'interno delle case, con soluzioni architettoniche diverse a seconda dell'impegno degli edifici. Solo raramente, tuttavia, la ricerca archeologica ha potu52

to identificare con sicurezza gli ambienti utilizzati per il culto : uno tra gli esempi più chiari è rappresentato dal Palace of the Dux di Apollonia, in Cirenaica ( FI G . 34) , dove uno dei vani meridionali pre­ senta una suddivisione interna in tre navate , con abside orientata a est e spazio presbiteriale recintato; all'interno di esso, inoltre, è stato rin­ venuto un reliquiario in marmo decorato con croci. Si può immaginare verosimile che, come ad Apollonia, le cappelle fos­ sero comprese tra gli ambienti accessibili dalla corte a peristilio, in una posizione facilmente raggiungibile dal settore di ingresso delle case. Non si può escludere, a questo proposito, che potessero fungere da sacelli di culto anche i vani absidati che in alcuni casi (come ad Apamea, cfr. FI G . 24) risultano ricavati all' interno di uno dei portici del peristilio in concomitanza con le tarde ristrutturazioni degli edifi­ ci, ancora concepiti come strutture unifamiliari.

FIG U RA 34

Palace of the Dux a d Apol l o n i a d i C i re n a i ca

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I n g rigio s c u ro la ca p p e l la a s u d d e l peristi l io.

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1.3.5. Sta nze da l etto e ca m e re per gli osp iti Un altro ambiente dif­ ficilmente riconoscibile è il cubiculum (vano quadrangolare per uno o due letti destinati al riposo notturno) , che dopo l 'età imperiale non presenta quasi mai tracce della pedana rialzata sulla quale era spesso sistemato il letto, oppure un'analoga e netta distinzione nella deco­ razione pavimentale, come invece accade in piena età romana. S ulla base della documentazione disponibile, queste camere private sem­ brano poter essere riconosciute in alcuni dei vani accessibili dalle corti a peristilio, in genere separate dall 'intermediazione di un vesti­ bolo. N elle case di maggiore impegno , caratterizzate dalla presenza di più cortili e quindi con una chiara distinzione tra aree pubbliche e private, le stanze da letto della famiglia del proprietario comunica­ no con un peristilio secondario, ben separato dal settore di ingresso . Pare quindi che il principio fondamentale della dislocazione dei cubicula fosse la salvaguardia della tranquillità e dell' intimità degli occupanti, come si deduce anche dall'uso traslato del termine cubi­ culum negli autori cristiani, che lo apparentano ai recessi dell'animo umano. È probabile che questa collocazione appartata riguardasse in maniera maggiore le stanze da letto femminili, in alcuni casi ricono­ sciute in ambienti inclusi all 'interno di veri e propri piccoli apparta­ menti separati. Un altro padiglione comprensivo di cubicula, indipendente rispetto al resto della casa, era rappresentato dagli hospitalia, il quartiere riserva­ to agli ospiti, realizzato anch'esso sulla base della necessità di garanti­ re completa indipendenza ai visitatori e alle loro esigenze. 1.3.6. Am bienti termal i Uno degli aspetti che caratterizzano le dimo­ re signorili tardoantiche è la presenza di bagni privati. La loro diffu­ sione è stata in parte attribuita a fenomeni involutivi nei servizi pub­ blici delle città, concomitanti con processi di contrazione demografi­ ca come anche con profonde modificazioni della struttura e dell' or­ ganizzazione urbana del IV secolo, con l'acuirsi delle differenze tra i vari centri e con la necessità crescente di ricorrere a stanziamenti eco­ nomici da parte di privati per alcune funzioni municipali, come il mantenimento degli acquedotti. Un'influenza significativa nella preferenza accordata alle strutture di

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carattere privato sembra provenire anche da profondi cambiamenti nello stile di vita e nelle abitudini sociali dei ceti elevati. La diffu­ sione del cristianesimo, infatti, tende a instaurare una nuova conce­ zione del corpo, della sua cura, dei rapporti interpersonali, favoren­ do, sia indirettamente sia con prescrizioni moral i specifiche, una riduzione nelle occasioni d'uso collettivo delle terme. A volte nei testi letterari gli impianti termali vengono addirittura considerati luoghi infestati da demoni, in una visione probabilmente suggerita anche dalla sop ravvivenza al loro interno di testimo nianze scultoree pagane. Alle nuove istanze di carattere morale si accompagna così la tendenza all' individualizzazione della pratica termale, testimoniata sia dalle fonti sia dalla documentazione archeologica. Risulta particolarmente signi­ ficativa, a questo proposito, l'affermazione di Sidonio Apollinare, che sottolinea l'abitudine di recarsi con gli amici in bagni privati dove veniva salvaguardato il pudore di ciascuno, cioè, probabilmente, dove ognuno dei fruitori delle terme poteva utilizzare vasche separate. La stessa prassi è stata riscontrata archeologicamente a partire dal IV seco­ lo in Grecia, dove un mutamento delle abitudini sembra segnalato dalla tendenza a rendere il bagno individuale attraverso la frammen­ tazione delle piscine di alcuni impianti pubblici in vasche singole di dimensioni inferiori. Oltre alle motivazioni economiche e a quelle morali, lo sviluppo dei bagni privati potrebbe avere avuto, infine, anche un carattere emula­ tivo nei confronti delle sedi del potere, considerando la presenza di ampi complessi termali all' interno dei palazzi imperiali e la tendenza generale a replicare in scala ridotta tipologie architettoniche indicati­ ve di uno stile di vita aristocratico. Ovviamente la possibilità di costruire bagni all'interno delle case pri­ vate in età tardoantica costituisce una prerogativa di tipo elitario, con­ dizionata dalla possibilità di garantire l'approvvigionamento idrico, il combustibile e la mano d'opera necessari al funzionamento continua­ tivo degli impianti; per questa ragione il livello architettonico di que­ sto settore appare molto variabile, generalmente più limitato in città e in forma più monumentale nelle residenze extraurbane, dove esi­ stono oltretutto minori restrizioni di estensione.

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1.3.7. Bibl ioteche Le fonti letterarie ricordano saltuariamente vani con funzione di biblioteca, stanze più o meno ampie e lussuose a seconda delle possibilità economiche dei proprietari, dal momento che il materiale scrittorio era considerato raro e costoso. Sidonio Apollinare nel v secolo descrive una sorta di sala da ricreazione, con scaffali contenenti libri di diverso genere e sedili, forse contigua al tri­ clinio, come se si trattasse di una stanza da soggiorno temporaneo in attesa di passare nel vano destinato al pasto. La biblioteca di Boezio, filosofo e funzionario alla corte gota di Ravenna, sembra essere stata decorata in maniera particolarmente ricca, con elementi di arredo in avorio e in cristallo. Non è facile individuare questo tipo di ambiente in assenza degli ele­ menti di arredo originari delle case. Ad Atene la House C dell'Agorà costituisce uno dei pochi casi identificabili con una buona probabili­ tà: è stato infatti ipotizzato di riconoscere una biblioteca in un ampio vano adiacente a uno dei peristili secondari per la presenza di nicchie rettangolari ricavate nella parete meridionale, forse funzionali all'al­ loggiamento degli armadi dei libri ( F I G . 22) . 1.3.8. Cuci n e Elemento fondamentale della vita domestica, la cucina sembra essere stata collocata in età tardoantica prevalentemente al pian terreno e in posizione perimetrale, come le latrine, per facilitare lo smaltimento dei fumi e delle acque reflue. Le testimonianze archeologiche rimangono alquanto scarse, soprattutto per la mancan­ za di un'attenzione adeguata, ma anche per la scarsa consistenza strut­ turale degli arredi funzionali. Sulla base della documentazione resti­ tuita da Ostia sembra che alcune abitazioni unifamiliari non dispo­ nessero peraltro di un vano cucina autonomo, ma che più funzioni di servizio potessero svolgersi in un unico ambiente. Informazioni com­ plementari derivano dalla documentazione letteraria, che ricorda anche la presenza di cuochi al servizio delle famiglie abbienti.

1.4. Pagani e cristia n i Una delle questioni ricorrenti nell'analisi delle residenze tardoantiche è stata in passato quella del riconoscimen­ to delle convinzioni religiose dei proprietari sulla base dei soggetti scel­ ti per gl i apparati musivi e scultorei, a volte fraintendendo la funzione

di particolari reperti - come nel caso delle mense semicircolari, inter­ pretate come altari - o sopravvalutando il valore delle immagini su semplici oggetti d'uso, come le lucerne fittili con disco decorato. A eccezione dei complessi monumentali chiaramente riferibili all'ambi­ to ecclesiastico, le testimonianze figurate devono essere inquadrate nel­ l' ambito delle singole situazioni e del contesto culturale di riferimento. Anche la decorazione delle case aristocratiche, pur essendo più libera da costrizioni ideologiche rispetto all'ambito pubblico, è infatti influenza­ ta da convenzioni iconografiche e da mode che in molti casi certamen­ te prescindono dalla professione religiosa dei proprietari o dalla volon­ tà di manifestarla attraverso le scelte decorative: in assenza di altri ele­ menti, quindi, appare spesso difficile poter interpretare le immagini come espressioni ideologiche personali, piuttosto che come il riflesso più o meno consapevole e generale di una tradizione culturale. 1.4.1. Asp etti decorativi e simbo l i ci Tra gli esempi di una lettura for­ zata dei dati disponibili si possono citare alcune situazioni in cui è stata dimostrata la sostituzione di una pavimentazione musiva figura­ ta di età imperiale con pannelli aniconici o a opus seetile (intarsio di lastre marmoree policrome)) attribuibili a una fase cronologica più recente. Questo fenomeno, accertato ad esempio nella House C di Atene ( F I G . 22) ha indotto a pensare che il passaggio dell' immobile a proprietari di religione cristiana avesse determinato la necessità di un'epurazione dei precedenti elementi figurativi pagani, sostituendo­ li con pavimenti neutri o a tarsie di marmo. In realtà, se anche in asso­ luto non si può escludere un'ipotesi di questo tipo, gli indizi disponi­ bili sembrano troppo !abili per ammettere in assenza di altri dati che si tratti con certezza di un intervento di carattere ideologico, conside­ rando soprattutto la complessa vicenda strutturale degli edifici e l'i­ nevitabile necessità, lungo un arco di tempo prolungato, di interven­ ti di manutenzione e di rinnovamento. Altre volte l'interpretazione proposta invece può essere considerata più convincente, come per il cosiddetto Palazzo episcopale di Nicopoli, dove uno dei mosaici della fase di età imperiale dell'edificio , raffigurante una Nereide, mostra chiaramente di essere stato obliterato intenzionalmente da uno strato di intonaco decorato con croci incise di colore rosso.

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In maniera ancora più evidente le iscrizioni musive permettono in alcuni casi, purtroppo estremamente limitati, di ricostruire l'identità religiosa dei proprietari, come nella residenza di Kourion (Cipro) nota come Annexe d'Eustolios ( F I G . 3 5) . L'edificio sorge probabilmente nella seconda metà del IV secolo presso il teatro della città; dopo un secolo circa viene ricostruito, con l'aggiunta di mosaici pavimentali dai sog­ getti allegorici e con iscrizioni: nel vestibolo, in particolare, è colloca­ ta un'espressione musiva di benvenuto; all'ingresso del vano di rap­ presentanza un'epigrafe musi va cita un perso naggio di nome Eustolios, patrocinatore delle terme urbane e verosimilmente primo proprietario della dimora; un'altra iscrizione tra i portici orientale e settentrionale del peristilio afferma infine che la dimora non era dife­ sa «da ferro, bronzo o diamante, ma dai simboli di Cristo>> , elemento

FI G U RA 3 5

L ' Ann exe d'Eustolios a Kou ri o n

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che permette in questo caso di documentare in maniera certa la fede cristiana della famiglia dei proprietari e la volontà da parte di questi ultimi di proclamarsi tali; il concetto viene ancora ribadito da un'altra epigrafe musiva all'estremità meridionale del portico orientale del peri­ stilio, con un'esortazione alla Pudicizia e alla Temperanza affinché si prendano cura del portico, della camera e del giardino della casa. Un esempio così esplicito costituisce comunque un'eccezione nel­ l' ambito dell'edilizia residenziale del periodo; nella maggior parte dei mosaici noti, infatti , gli eventuali riferimenti religiosi simboleggiati dai motivi scelti per la decorazione risultano decifrabili solo ricorren­ do ad analisi interpretative fondate sulle testimonianze letterarie. È possibile anche che, con l'andare del tempo, si fosse persa la necessità di una distinzione netta tra immagini cristiane e immagini pagane e che il sistema di percezione semantica degli elementi figurativi avesse raggiunto possibil ità di lettura più ampie e capacità differenziate di decodifica, a seconda degli ambiti in cui questi venivano utilizzati. Temi convenzionali come le personificazioni delle stagioni, le scene di caccia, di corsa e di lotta nel circo e nell'ippodromo, ad esempio, origi­ nariamente utilizzati per il loro generico significato propiziatorio o di prestigio sociale, sembrano avere assunto in contesti cristiani anche un carattere religioso, o perlomeno non incompatibile con tematiche cri­ stiane. Lo stesso processo subiscono forse con il tempo anche le perso­ nificazioni di concetti astratti, come quelle augurali del mosaico della Costantinian Villa di Antiochia - Ktisis, Ananeosis, Dynamis ed Euandria (Fondazione, Rinnovamento, Potenza, Prosperità di popola­ zione) - in parte riproposte, in età giustinianea, nel pavimento della chiesa di Gasr-el-Lebia (Cirenaica) : qui, all'interno di una complessa associazione di immagini che comprendono anche animali, fiumi, mostri, esseri mitologici e scene di genere, gli stessi concetti di Ktisis (Fondazione) e Ananeosis (Rinnovamento) ( F I G . 36) , insieme a quello di Kosmesis (Decorazione) , sembrano richiamare un'idea generale di esaltazione del creato nei suoi molteplici e contrastanti aspetti. Nelle case, tra i soggetti di derivazione pagana sono molto diffusi, soprattutto in Oriente ma anche in Occidente, quelli derivati dal repertorio dionisiaco, spesso inseriti come elemento decorativo delle sale da banchetto e da ricevimento con un chiaro riferimento al vino e

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ai piaceri del convivio e della vita. Una scena di thiasos (corteo dioni­ siaco) viene realizzata ex novo ancora nella prima metà del VI secolo nel palazzo imperiale di Costantinopoli e nel triclinio della Villa of the Falconer di Argo ( F I G G . 25-26 ) , una dimora signorile che conserva mosaici pavimentali raffiguranti le personificazioni dei mesi e pannel­ li con episodi di caccia: nel triclinio, invece, compare la scena del cor­ teo di Dioniso, rivolta verso la mensa con la struttura semicircolare destinata al banchetto. È possibile, in questi casi, mettere in evidenza i rapporti del tema dionisiaco con testi letterari contemporanei. Lo stesso soggetto compare anche su oggetti d'uso, come ad esempio i manufatti tessili e dell'artigianato di lusso, che costituiscono parte integrante dell 'arredamento delle case e risultano funzionali al sistema di trasmissione dei modelli iconografici; il tema, nelle diverse varianti,

F I G U RA 3 6 Pa rtico l a re con l a perso n ificazio n e d i Ananeosis n e l m osa ico d e l l a basi l ica d i Gasr-e i - Lebia (Ci re n a ica)

Fonte: Enciclopedia dell 'A rte Antica, I stituto d e l l ' E n ci c l o ped ia Ita l ia n a Trecca n i , Istituto Po l i g rafi co d e l l o Stato, Ro m a 1963, vo l . v , p . 239.

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sembra acquistare in età tardoantica un doppio significato, riflettendo in alcune situazioni precise istanze di carattere religioso, antitetiche rispetto al cristianesimo, ma divenendo più spesso un sinonimo con­ venzionale del concetto di ospitalità e convivialità, della gioia di vive­ re e della felicità terrena, tanto da essere adottato senza difficoltà tra gli elementi decorativi della residenza cristiana per eccellenza, la sede imperiale di Costantinopoli. Ad ambiti culturali specifici sembrano riferibili invece i mosaici con allegorie legate a temi speculativi di ispirazione pagana: diffuse soprat­ tutto in Siria, queste immagini sono documentate infatti, almeno fino alla metà del vr secolo, in centri di cultura neoplatonica, come Apamea, sede di una celebre scuola filosofica. In questo centro, il triclinio della Maison "au triclinos " conserva ad esempio un mosaico pavimentale con scene mitologiche, filosofiche e di genere, attribuibili a una fase di ristrutturazione dell'edificio nel secondo quarto del v secolo.

FIG U RA 37 la casa d i Proclo a d Atene

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Ad Afrodisia e Atene, invece, sono le testimonianze scultoree rinve­ nute all'interno delle case a suggerire un collegamento con l 'élite pagana delle città. N el primo caso la documentazione comprende sta­ tue di divinità, piccoli altari e, nella Priest 's House, anche un busto maschile acefalo che regge una statuetta di Afrodite, elementi da met­ tere in relazione con la sopravvivenza di forme private di culto legate al pensiero neoplatonico, databili almeno fino al v secolo inoltrato. Nel secondo dei due centri, invece, una domus rinvenuta alle pendi­ ci meridional i dell 'Acropoli, una zona residenziale collegata dalle fonti alla presenza dei maestri della scuola filosofica ateniese, è stata messa in relazione con uno dei suoi maggiori esponenti, Proclo di Costantinopoli ( Fl G . 37) , che l'avrebbe ereditata dai suoi predecesso­ ri. Una conferma del carattere pagano del proprietario è offerta in questo caso non solo da accenni letterari all'ubicazione della dimora del personaggio e dal ritrovamento nell'area di un ritratto tardoanti­ co di sacerdote, ma anche dal rinvenimento all'interno di uno dei vani della casa, in un contesto di v secolo, dei resti di un sacrificio pagano secondo un rituale riferibile al culto della Madre degli dei . 1.4.2. Sce lte e motivazion i d el l a co m m ittenza p rivata Negli edifici privati la decorazione musiva o a opus sectile assume un significato che va oltre lo scopo puramente decorativo e di eventuale riferimento cul­ turale o religioso, indicando la progressione gerarchica degli ambienti verso il fulcro monumentale del complesso edilizio, il triclinio e le altre sale di rappresentanza. In questo senso il mosaico risponde anche a istanze di carattere ideologico, divenendo espressione privilegiata delle necessità di esibizione dello status sociale ed economico del proprieta­ rio. Un esempio è rappresentato dalla domus di via D 'Azeglio a Ravenna, un edificio complesso e non ancora edito in forma sistemati­ ca, ma che può permettere di valutare le possibilità espressive dell'élite dirigente della città in collegamento con l'ambiente di corte. Il princi­ pale dei mosaici figurati rinvenuti nell'area si trova infatti in un ambiente rappresentativo, probabilmente la sala per il banchetto uffi­ ciale, e replica il tema delle Stagioni nel loro continuo e perenne dive­ nire, rappresentate nella forma insolita di una danza circolare ( Fl G . 3 8) . Oltre agli ambienti di ricevimento e ai tridini, mosaici pavimentali deco-

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rano spesso i portici della corte a peristilio e i corridoi di collegamento tra il settore di ingresso e i vani di rappresentanza: modelli e interessi della committenza costituita dai ceti abbienti si possono verificare perciò nella disposizione e nei quartieri rappresentativi della casa, in un sempre maggiore impegno decorativo sottolineato dai mosaici e dalle pitture parietali, queste ultime purtroppo conservate solo raramente. In molte situazioni i soggetti rappresentati negli ambienti più importanti erano realizzati probabilmente con un intento glorificante nei confronti del dominus: a queste istanze di tipo celebrativo possono essere assimilati, ad esempio, i temi della caccia e quelli eroici, o anche iconografie specifiche, come quella di Bellerofonte e la Chimera, attestata nel palazzo imperia­ le di Costantinopoli e nel triclinio del Palazzo di Teoderico a Ravenna.

F IG U RA 3 8 La Danza delle Stagioni n e l triei i n i o d e l l a domus d i v i a D'Aze g l i o a Rave n n a

Fonte: Archeologia urbana a Ravenna (2003, p . 107).

Un altro esempio è costituito dalla decorazione musiva della domus di via Dogana a Faenza, datata entro la seconda metà del v secolo ( FI G . 39) . Qui la scena principale, incentrata su Achille, è inserita al centro del vestibolo di una vasta sala di rappresentanza absidata; il mosaico comprende quadrati che includono ciascuno una figura: cin­ que soldati con elmo, personaggi barbati con lunga tunica, Muse e un soggetto femminile sul delfino; il pannello centrale, invece, ha il pro­ prio fulcro compositivo in un personaggio con aureola (nimbato) , seduto su un trono e vestito del solo mantello purpureo, con la destra poggiata a un lungo scettro; ai lati due soldati con corazza ed elmo; ai piedi una catasta di armi (evocata da una corazza e da due scudi) ; alla sinistra un personaggio anziano barbato, appoggiato a un bastone, con tunica, mantello e copricapo frigio; a destra, infine, una figura femmi­ nile con il capo reclinato in atteggiamento dolente. Il soggetto venne interpretato in un primo tempo come un'apoteosi imperiale, identifi­ cando i personaggi principali con l'imperatore Onorio (393-423 ) e l'al-

F I G U RA 39 l m osaici d e l l a

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to dignitario Stilicone, mentre la figura femminile sul delfino, nel qua­ drato minore, sarebbe stata la personificazione della città di Ravenna. Analisi successive hanno permesso invece di considerare la scena in rap­ porto al ciclo di Achille: le varianti di questo soggetto in età tardoanti­ ca ricorrono in argenti, avori, contenitori in terra sigillata, marmi e mosaici pavimentali che ripropongono soprattutto due episodi della vita dell'eroe, quello della permanenza a Sciro e quello della restituzio­ ne del cadavere e delle armi di Ettore a Priamo, entrambi sintetizzati nel mosaico faentino. Sembra che la leggenda dell'eroe acquisti in questo periodo uno sviluppo particolare, divenendo il simbolo dell'antichità classica e dell'apoteosi eroica: proprio in questo senso è probabile che a Faenza sia implicito un collegamento ideale tra Achille e il proprietario dell'edificio che, anche senza rivestire il rango imperiale, verrebbe in questo modo elevato implicitamente a un livello quasi sovrannaturale. La possibilità di un collegamento tra dominus e soggetto riprodotto nei mosaici non può essere considerata in tutti i casi nei termini di un rap­ porto diretto, ma va concepita nell'ambito di un impegno espressivo più ampio, che si serve di una serie di elementi figurativi per segnalare soprattutto lo status dei committenti. In questo senso il mosaico rispon­ de anche a istanze di carattere ideologico, costituendo una delle espres­ sioni privilegiate della volontà dei proprietari di rappresentare se stessi. Solo in pochi esempi il riferimento al possessore della residenza viene manifestato in maniera esplicita mediante iscrizioni musive collocate nei vani più importanti, come ad esempio a Kourion e in una domus del v secolo di Alicarnasso (Turchia) , il cui triclinio conserva un' epi­ grafe menzionante Charidemos, evergete cittadino, finanziatore del rifacimento dell'edificio e dei mosaici pavimentali: questi comprendo­ no scene di caccia, animali, soggetti mitologici e personificazioni. L'analisi dell'iscrizione ha indotto ad approfondire il significato cultua­ le dei riferimenti interni al testo, in rapporto a contesti letterari di ispi­ razione orfica e neoplatonica, ambito al quale è possibile ricondurre anche i soggetti figurati della decorazione musiva. Anche a Cirene nella Casa di Hesychius, degli inizi del v secolo, i mosaici del peristilio con­ servano iscrizioni che esaltano il proprietario per la sua attività di costruttore della dimora e per l'elevata posizione occupata nell' ammi­ nistrazione. Nello stesso centro, la Casa del Mosaico di Dioniso reca

invece l'indicazione del nome della proprietaria, Epikrita, anche in que­ sto caso in un'epigrafe a mosaico. L'ipotesi di un'identificazione del personaggio nominato da un'iscrizione con il possessore dell'immobile stesso è stata avanzata anche nel caso di Pinnios Restitoutos, citato nel pavimento musivo di una sala di rappresentanza della Maison d'Orphée di Nea Paphos (Cipro) . In questi esempi vengono resi espliciti non solo lo stretto rapporto tra dimora signorile e proprietario, ma anche la con­ sapevole identificazione del dominus nel ruolo di signore della casa, garante delle scelte tipologiche e decorative, pienamente inserito nella società secondo i canoni ideologici e di gusto del proprio tempo. Pe r riassume re . . . •

L o studio dell'edilizia residenziale tardoantica è stato a lungo limi­ tato da un interesse prevalente verso forme architettoniche monumen­ tali, soprattutto di carattere religioso, trascurando in particolare le strut­ ture poco decorate o realizzate con materiali deperibili. • La varietà delle soluzioni abitative trova confronto nel carattere complesso del mondo tardoantico. Nelle case dei ceti elevati vengono utilizzate specifiche tipologie di ambienti che corrispondono a uno stile di vita comune. Tali forme architettoniche sono avvertite come elemen­ ti indicativi di status sociale. • A Costantinopoli, dopo il 33 0 , si determinano le condizioni per un recupero su vasta scala della tradizione costruttiva precedente. Vengono selezionate le tipologie meglio rispondenti alle esigenze del periodo, si compiono rielaborazioni e sperimentazioni architettoniche che in alcu­ ni casi diventano modelli per le abitazioni di tutto l'impero. • l percorsi all'interno delle dimore di prestigio sono segnalati dalla decorazione degli ambienti, dal settore di accesso e attraverso corti a peristilio fino alle sale per il banchetto e per il ricevimento ufficiale degli ospiti. A questi vani si aggiungono stanze di servizio, come cucine, camere da letto, biblioteche, terme private e cappelle. • Le scelte decorative devono essere analizzate caso per caso, non indul­ gendo in interpretazioni forzate dei soggetti in relazione alle presunte con­ vinzioni religiose dei proprietari, ma nemmeno escludendo a priori la pos­ sibilità di una consapevolezza nella selezione dei temi figurativi e scultorei.

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2.

La legislazione tardoantica sull'edil izia privata

Le fonti giuridiche costituiscono un aspetto importante della docu­ mentazione sull'edilizia residenziale tra il IV e il VI secolo, riflettendo fenomeni e problemi dell'architettura e della società da un punto di vista particolare. La nostra conoscenza sull'argomento dipende essen­ zialmente da due fonti: il Codex Theodosianus (in abbreviazione CTh) e il Corpus iuris civilis (in abbreviazione CIC) . Il primo è una raccolta di disposizioni emanate tra il 312 e il 437, redatta in Oriente e promulga­ ta a Costantinopoli per volontà di Teodosio n (408-450) . Il secondo è il codice di leggi realizzato nei primi anni del regno di Giustiniano, tra il 529 e il 534· Per gli aspetti legati alla regolamentazione delle strutture private queste due fonti si riferiscono soprattutto alle situazioni di Roma e Costantinopoli, ma forniscono importanti indicazioni per la gestione delle problematiche d'insieme e comprendono disposizioni generalmente valide per tutte le città dell'impero; le capitali, peraltro, sembrano rispecchiare tendenze comuni dello sviluppo sociale e urba­ nistico, anche se con caratteristiche specifiche. Per quanto riguarda il v secolo, inoltre, possiamo disporre del Liber Syro-Romanus (in abbreviazione LSR) , un'opera didattica composta attorno al 468 e in uso nelle province di lingua greca, nota attraverso varie traduzioni. Infine, tra il 53 1 e il 533 sembra essere stata composta l'opera Hexabi­ blos (in abbreviazione Hex) dell'architetto Giuliano di Ascalona, una raccolta di regole limitata alla regione della Palestina e riguardante in particolare la costruzione degli edifici abitativi e i problemi relativi ai rapporti di dipendenza tra case contigue, un testo in cui si adoperano le stesse formule impiegate nei provvedimenti imperiali. La proprietà, la costruzione e la gestione degli immobili privati, quin­ di, sono aspetti ampiamente regolati da norme che cercano di rispon­ dere almeno in parte ai complessi fenomeni di carattere sociale ed eco­ nomico in atto; l'interesse prevalente nella legislazione tardoantica, che mantiene la netta divisione tra proprietà privata e proprietà pubblica, è

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in primo luogo quello della salvaguardia delle aree comuni dall 'invasio­ ne degli edifici privati, soprattutto per evitare che essi pregiudichino la conservazione, la fruizione degli spazi collettivi e la viabilità. Questa prevalente azione di tutela si rivolge al patrimonio storico e monumentale, con eccezioni riguardanti in alcuni periodi i templi e gl i altari pagani: meno frequenti sono i provvedimenti destinati alle strut­ ture militari e solo in maniera occasionale l'attenzione si rivolge a quel­ le produttive di carattere pubblico. Si sottolinea in primo luogo l'esi­ genza di mantenere il decoro delle aree collettive, quindi la loro sicurezza, considerando soprattutto la possibilità di danneggiamenti indotti dall'eccessiva vicinanza tra gli edifici, che li poteva rendere faci­ le preda degli incendi. Questi rappresentano un problema concreto, che nel fitto tessuto insediativo di Costantinopoli, ad esempio, deter­ minano nel tempo frequenti distruzioni, non solo estese, ma anche par­ ticolarmente significative per l'immagine monumentale e rappresenta­ tiva della città: il senato dell'Augusteon brucia, ad esempio, nel 404, poi nuovamente nel 532 durante la rivolta di Nika, occasione di un'altra distruzione estesa ai principali complessi pubblici e religiosi della capi­ tale giustinianea. Nel 406 è testimoniato un ulteriore grande incendio. Tre anni più tardi la sede del prefetto urbano Monaxios viene bruciata durante una rivolta popolare motivata da una carestia e nel 465 un ennesimo grave incendio devasta in quattro giorni otto regioni della città. A questo ne seguono molti altri, testimoniati dalle fonti letterarie: nei decenni tra il 475 e il 563 , a quanto sembra, ben undici.

2.1 . la p rop rietà Il tema del rapporto tra proprietà e atuvua edilizia emerge chiaramente dall'analisi cronologica della documen­ tazione legislativa: gli aspetti prevalenti sono in primo luogo quelli della fruibil ità degli edifici privati già esistenti, che non dovevano essere messi in pericolo dall'eccessiva vicinanza di nuove costruzioni, o subirne un decremento di valore e di immagine; in secondo luogo quello dell'invasione degli spazi pubblici da parte dei privati, feno­ meno che risulta il più diffuso e comune. All'inizio sembra che la normativa si concentri soprattutto nella repres­ sione del mancato rispetto delle distanze che pregiudicano le condizio­ ni di sicurezza urbana: emerge a partire dal 326, quando una disposi-

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zione impedisce una vicinanza inferiore a 100 piedi (circa 30 metri) dalle strutture destinate a magazzino e stabilisce di conseguenza la distruzione di ogni edificio entro quest'area di rispetto ( CTh 15.1.4) . La demolizione viene messa in atto anche per situazioni eccezionali, come l'edificazione del palazzo della nuova capitale, quando Costantino espropria e abbatte abitazioni nell'area destinata alla nuova residenza. Il problema della proprietà della superficie su cui si costruisce sembra essere comunque l'aspetto meno chiaro e considerato dalla normati­ va: ad esempio, appaiono frequenti i casi di invasione delle aree comuni, soprattutto i vani aperti dei portici e gli spazi interposti tra le costruzioni nelle aree monumentali, dove pare svilupparsi un'atti­ vità edilizia povera e spontanea. Tale tendenza, però, può aver riguar­ dato anche i ceti più alti, che sembrano avere la possibilità di costrui­ re in aree di pertinenza non proprie. Una legge del 362 ( C/C 8 . 11.3) , ad esempio, stabilisce che chiunque abbia fatto edificare su una superficie demaniale un edificio con fondi personali, senza nuocere alla città, debba considerarsi a giusto titolo pro­ prietario dell'immobile stesso e inoltre godere della riconoscenza comu­ ne per aver abbellito l'abitato, quindi prende in considerazione un inter­ vento effettuato anche in mancanza di una concessione preventiva. Sempre in merito all'abusivismo, una situazione particolare è quella atte­ stata da una disposizione probabilmente riferibile ad Alessandria, indi­ rizzata da Giuliano (360-63) al prefetto d'Egitto ( CTh 15.1.9), che auto­ rizza le case costruite senza permesso sopra officine pubbliche (super ergasteria publica) ; una normativa più generale giunge a specificare che coloro i quali avevano costruito le proprie abitazioni in aree pubbliche, potevano mantenerne il possesso senza che questo li mettesse in difetto. Proprio in questi anni, comunque, il fenomeno dell'acquisizione da parte di privati di aree e monumenti precedentemente spettanti alla proprietà pubblica sembra assumere proporzioni significative: gli edi­ fici comuni della tradizione sto rica pagana, sia rel igiosi sia ammini­ strativi o di servizio, abbandonati e privi di manutenzione, rendeva­ no infatti disponibili ampie aree in settori centrali della città, che sembrano iniziare a subire un'occupazione sistematica e difficilmente controllabile, spesso evidentemente con la stessa approvazione dei funzionari pubblici preposti. La politica di repressione connessa a

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queste costruzioni private pare sempre più limitata e spesso si con­ centra su aspetti o singole situazioni, rinunciando a un'azione di tute­ la sistematica. Un provvedimento del 3 64, ad esempio, dispone una riconversione alla situazione originaria per i magazzini del fisco impe­ riale di Roma e di Porto util izzati per fini privati, con indicazioni circa la disposizione più opportuna delle merci e sulla necessità di ese­ guire restauri ( CTh 1 5 . 1 . 12) . A Roma, Ammiano Marcellino ricorda un provvedimento attuato da Pretestato, prefetto del pretorio nel 36768, che aveva fatto rimuovere tutti i maeniana (i balconi) e separare «dagli edifici sacri le pareti delle case private, che ad essi erano acco­ state con poco rispetto)) (Am. Mare. , xxvi , 9, 10) . Le disposizioni in questo senso si succedono rapidamente proprio negli stessi decenni: nel 383 nei diversi centri urbani, sia nel foro sia in altri luoghi pub­ blici, contro l'abbellimento, il vantaggio o l'immagine conveniente della città (contra ornatum et commodum ac decoram faciem civitatis: CTh 1 5 . 1 . 22, ma anche CIC 8 . 1 1 . 6) . Una legge del 3 89 ( CTh 1 5 . 1 . 25 ) inviata a Proclo, prefetto d i Costantinopoli, tratta diffusamente dello stesso problema nella capitale, accennando anche a fenomeni di speculazione edilizia a carattere privato, verificatisi a detrimento dell'immagine pubblica: la repressione degli abusi viene affidata allo stesso p refetto della città, che secondo il proprio giudizio deve anche provvedere alla distruzione delle case so rte secondo criteri contrari al decoro . A Roma il fenomeno dell'invasione degli spazi pubblici viene repres­ so ancora nel 397 ( CTh 14. 14. 1) , quando si incarica il prefetto di per­ seguire coloro che hanno tentato di costruire casas seu tuguria (barac­ che o capanne) nel Campo Marzio, testimoniando quindi la tendenza allo sviluppo di forme di edilizia precaria, e certamente priva del decoro necessario, nei vecchi quartieri monumentali. A Costantino­ poli, la situazione viene perseguita di nuovo nel 398 con motivazioni di sicurezza ( CTh 1 5 . 1 .38) , sempre in relazione a case non particolar­ mente impegnative, dal momento che sembrano essersi addossate spontaneamente ai magazzini (horrea) pubblici; come a Roma e a Ostia, questi ultimi devono essere riportati allo stato originario e quindi liberati su tutti e quattro i lati. Ancora al pericolo di incendi, dovuti all'inserimento nel tessuto preesi70

stente della capitale di strutture precarie, fa riferimento un'altra legge dello stesso anno ( CTh 15.1.39, ma anche C/C 8 . 11.14) , che obbliga la demolizione di tutte le costruzioni che risultino addossate a edifici pub­ blici o privati, nominando esplicitamente quelli detti parapetasia (tet­ toie) : tali elementi, infatti, non solo risultano pericolosi per l'eccessiva vicinanza alle altre costruzioni, ma anche perché rendono le strade più strette e minore la larghezza dei portici. L'aspetto strutturale viene per­ tanto inteso come un problema generale di tipo urbanistico, che oltre a facilitare il propagarsi del fuoco, si riflette anche sulla percorribilità delle strade e quindi sulla stessa vivibilità del centro urbano. L'attenzione per la prevenzione degli incendi è ravvivata dall' espe­ rienza negativa delle distruzioni susseguitesi nella capitale soprattutto nel v e nel VI secolo. Del 406 sono ulteriori provvedimenti ( CTh 15.1.45 e 46, ma anche C/C 8 . 10 . 9) di distruzione non solo delle strut­ ture in legno e dei soppalchi dei portici, ma anche degli edifici priva­ ti addossati o sovrapposti a quelli pubblici: in questo secondo caso viene stabilita una distanza minima obbligatoria di 1 5 piedi (circa 4, 5 metri) tra strutture private e strutture pubbliche. Pochi anni più tardi, nel 409 ( CTh 1 5 . 1.47, ma anche C/C 8 . 11 . 17) , l' invasione degli edifici privati a Costantinopoli è comunque giunta a interessare persino l'a­ rea del palazzo imperiale, tanto da rendere necessaria la loro demoli­ zione da parte del prefetto per ripristinare la situazione precedente . Se da un lato l'auto rità imperiale sembra quindi impegnarsi tenacemen­ te nel contrastare l'invasione delle aree pubbliche, i provvedimenti tendono progressivamente a limitare il fenomeno, piuttosto che a impedirlo, lasciando spazi a specifiche autorizzazioni e salvaguardan­ do comunque i diritti di chi detiene a giusto titolo una proprietà. Una legge del 412 ( CTh 15. 1. 50) , ad esempio, si occupa di un monu­ mento in costruzione nella capitale, le Terme Onoriane, alle quali si decide di aggiungere un portico colonnato. Nel testo si dice che tale intervento viene consentito perché la bellezza (decus) del complesso è così grande da far dimenticare l' utilitas privata, gli interessi cioè di chi possedeva immobili nell'area espropriata per l'aggiunta della nuova struttura. Per evitare che qualcuno si lamenti del provvedimento e affin­ ché anzi goda dell'accresciuta bellezza della città, si dispone quindi la possibilità da parte dei proprietari degli immobili interessati, di soprae71

levare i propri edifici: inoltre, chi abbia subito l'esproprio di una costru­ zione privata per usi pubblici riceverà in cambio il diritto trasmissibile di occupazione dell'antica basilica, presumibilmente quella del foro. Nel 423 prosegue la prevenzione dal pericolo di incendi ( C/C 8 . 10. 11pr, 8 . 10.11 . 1-2) e, sempre a Costantinopoli, viene stabilita una distanza mini­ ma di 10 piedi (3 metri circa) dagli edifici privati e di 15 (4, 50 metri circa) dai magazzini, quando le case abbiano maeniana sporgenti sulla strada, mostrando una progressiva riduzione dell'ampiezza delle fasce di rispet­ to obbligatorie. Nonostante la continua attenzione legislativa, il feno­ meno dell'invasione degli spazi pubblici continua e nel 424 ( CTh 15.1.52) case con laboratori artigianali risultano insediate addirittura all'interno del portico delle Terme di Zeuxippos, uno dei complessi più significativi e monumentali del centro urbano; i proventi derivanti dalla rendita ricavata su tali strutture vengono devoluti, per un importo fissa­ to di volta in volta, a scopi pubblici, e in particolare agli stessi bagni della città, alla fornitura dell'illuminazione e alla riparazione degli edifici e delle coperture, mostrando un interesse economico in genere taciuto dalla documentazione, ma che dobbiamo immaginare di primaria importanza nelle scelte e nelle inerzie mostrate dall'autorità pubblica nella repressione degli abusi. Nel 426-29, torna a essere necessario riba­ dire che l'area delle residenze imperiali deve essere protetta da qualsiasi uso privato e dalla presenza di comuni abitazioni, con un tono che par­ rebbe essere rivolto più agli amministratori pubblici che agli "abusivi " ( CTh 11.77.1) . Nel 43 9 ( CTh 8 . 1 1 . 20) questo processo di espansione insediativa sem­ bra essersi esteso sino alle stesse strade, occupate e privatizzate: un decreto stabilisce infatti pene pecuniarie per coloro che nella capitale, senza autorizzazione imperiale, includeranno strade minori nelle loro dimore, in parte o del tutto, o si approprieranno di portici, lasciando intendere, comunque, che l'arbitrio del prefetto urbano poteva effet­ tuare le concessioni del caso. Ancora a Costantinopoli, durante il regno di Leone 1 (457-74) , dopo il grande incendio del 465 , si torna a limitare l'altezza degli edifici pri­ vati che erano stati distrutti poco tempo prima dal fuoco, preveden­ do che non superino i 100 piedi (30 metri circa) , anche per non osta­ colare la vista sul mare di coloro che occupano le costruzioni contigue

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( CfC 8 . 10 . 12 .4) . Nella stessa occasione viene espressa la necessità di rispettare scrupolosamente, nel restauro delle case, il loro assetto pre­ cedente, non privando i propri vicini di luce e della vista sul mare e sui giardini. Viene specificato ( C/C 8 . 10 . 12. 1) che si intende privile­ giare la vista dagli ambienti residenziali e di rappresentanza delle case, mentre per quelli di servizio come le cucine, le latrine, le scale, i cor­ ridoi di transito e i passaggi da una casa all'altra è sufficiente lasciare una distanza di soli 12 piedi (circa 3 , 54 metri) . Zenone (476-91) abol isce la maggior parte di queste restrizioni ( C/C 8 . 10 . 12. 5) , mantenendo il divieto di costruire in legno i maeniana e i so/aria (terrazzi) , che devono invece essere realizzati nella tipologia cosiddetta " romana" ed essere in ogni caso separati gli uni dagli altri da una distanza di almeno 12 piedi. Qualora questa condizione non fosse possibile a causa della scarsa larghezza della strada, i balconi dovrebbero essere posti sui due lati alternativamente. Se poi la lar­ ghezza della strada fosse inferiore a 10 piedi (2,95 metri) , sarebbe proi­ bito costruirvi balconi. L'altezza a cui collocare questi elementi viene fissata a 15 piedi dal suolo (4,45 metri) ed è esclusa la possibilità di sostenerli con colonne di pietra e di legno o muri che renderebbero più stretto il passaggio. Viene proibito inoltre l'apprestamento di scale per salire dalla strada al balcone, in modo da rendere meno gravi gli effetti di un eventuale incendio. Le pene previste, che compren­ dono anche la distruzione degli immobili che non corrispondano a queste norme, ricadono sia sui proprietari sia sugli architetti e sugli artigiani che abbiano eseguito materialmente i lavori: questi ultimi, poi, se non fossero in grado di sostenere l 'onere della pena, verrebbe­ ro bastonati e cacciati dalla città. Un'altra disposizione dello stesso imperatore ( C/C 8 . 10 . 12.6) riguarda infine le botteghe costruite in legno negli intercolumni dei portici del centro della città, le quali, però, non sarebbero distrutte, ma migliorate mediante l'aggiunta di rivestimenti in marmo. Nel 531 Giustiniano ( 527-65) estende esplicitamente le leggi già promul­ gate da Zenone sulla distanza minima tra gli edifici a tutte le città del­ l' impero ( CfC 8. 10.13) . Tra il 53 5 e il 540 (Novella 165, in CfC) a Domi­ nicus, prefetto dell'Illirico, ribadisce le norme già sancite sulla protezione della vista sul mare dalle case: viene salvaguardata una distan-

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za inferiore a cento metri da altre costruzioni non solo nel caso di visio­ ne diretta, ma anche se questa risulta obliqua ( Fl G . 40) , impedita cioè da edifici nella visione frontale. Nel 538 , infine (Novella 63 , in C/C) , si conferma la distanza tra le case di almeno 100 piedi (29 , 5 metri) e l' ob­ bligo di tutelare la vista sul mare, considerata fonte di gradimento. In Giuliano di Ascalona vengono ripresi alcuni dei problemi messi in evidenza dalla legislazione di Zenone. In alcuni passi (Hex 47-48 e Hex 51) si affronta la questione della vista su elementi paesaggistici di particolare piacevolezza, quella dei problemi derivanti dalla vicinanza eccessiva tra i balconi (Hex 32) , ribadendo il principio del rispetto della proprietà altrui e di quella pubblica, come nel caso della proibi­ zione di aprire su una strada porte e finestre o riversarvi acqua, ma anche di far defluire acqua verso una strada, una piazza, un portico o un luogo di passaggio pubblico, sia nelle città sia nei villaggi. Da quanto evidenziato il fenomeno che emerge è soprattutto quello dell' invasione della proprietà pubblica, rivelandosi come l'aspetto più

F I G U RA 40 Visione d i retta ( A) e visio n e i n d i retta (e) seco n d o l a l egislazione

Fonte: a d a ttata d a H a ki m ( 2 0 01, p. 14).

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diffuso e comune. All' inizio sembra consistere soprattutto nella repres­ sione del mancato rispetto delle distanze che pregiudicano le condi­ zioni di sicurezza urbana: appare nella legislazione a partire dal 3 26 (Costantinopoli) e viene ribadito nel 367-68 (Roma) , 389 (Costanti­ nopoli) , 397 (Roma) , 398, 406, 423 , poi rinnovato sotto Leone e Zeno­ ne (Costantinopoli) , per essere applicato in maniera esplicita a tutte le province dell'impero da Giustiniano. La vera e propria invasione degli spazi pubblici sembra successiva: si fa riferimento soprattutto a maeniana e solaria (a Roma nel 3 67-68, a Costantinopoli nel 423 e nel 513 ) , casas seu tuguria (nel 397 a Roma) , parapetasia (nel 398 a Costantinopoli) , apprestamenti quindi preva­ lentemente in legno o di carattere provvisorio, che pregiudicano il decoro e la sicurezza delle città, tanto che nel 513 , almeno nella capi­ tale d'Oriente, si proibisce espressamente la realizzazione lignea di balconi alla quale si preferisce quella " romana ", cioè evidentemente in muratura. Dai primi decenni del v secolo i problemi di carattere urbanistico sembrano aumentare , interessando strutture urbane nevralgiche; infatti, dopo le citazioni isolate riguardanti le case costruite abusiva­ mente sopra i laboratori pubblici di Alessandria nel 363-64 ( CTh 15.1. 9) e l'episodio dell'invasione dell 'area intorno ai magazzini di Roma e Porto nel 364 ( CTh 1 5 . 1 . 12) , nel 424 a Costantinopoli si con­ donano le botteghe sorte nelle Terme di Zeuxippos ( CTh 15 . 1 . 5 2) e nel 439 ( CTh 8 . 1 1 . 20) si parla per la prima volta di occupazione di strade minori o di portici, illecite solo se non autorizzate da un rescrit­ to imperiale, quindi possibili su motivata richiesta; la stessa area del palazzo imperiale deve essere difesa dalle invasioni private come mostrano i decreti del 409 ( CTh 1 5 . 1. 47) e del 426-29 ( CTh 11.77. 1 ) . Nelle capitali il prefetto, nelle altre città il magistrato in carica, hanno l'onere di valutare le situazioni caso per caso, l'ammissibilità o la pena, e solo a loro arbitrio stabiliscono l'abbattimento, come ultima possi­ bilità. Questo significa che è possibile chiedere permessi e che le case dei ceti superiori sono di fatto esenti dalle prescrizioni di legge. Così, nel 362, sono certamente i livelli social i più alti a poter usufruire del permesso di costruire a Costantinopoli all 'interno dei terreni pubbli­ ci, se l'edificio non nuoce alla città. Nel 376 a Roma, inoltre, mentre

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si vieta generalmente di realizzare nuove costruzioni, si prevede con­ temporaneamente un'eccezione per coloro che possono permettersi l'acquisto del terreno, vincolandoli solo a non scavare fino alle fonda­ menta i nobili monumenti del passato, a non reimp iegare le pietre da taglio del demanio pubblico e a non prelevare frammenti di marmo da edifici spogliati ( CTh 1 5 . 1 . 19) . Un esempio più tardo riguarda inol­ tre il problema della costruzione, nel 412, del portico delle Terme Onoriane di Costantinopoli ( CTh 1 5 . 1 . 50) , che prevede la distruzione di case private, ai possessori delle quali si offre però in cambio l ' op­ portunità di sopraelevare in altezza gli immobili di proprietà e di occupare uno spazio demaniale. L'arbitrio dell'autorità pubblica nella valutazione delle diverse situa­ zioni si manifesta anche nella determinazione del valore attribuibile agli immobili a seconda dei casi. Un esempio è rappresentato da una legge del 393 ( CTh 1 5 . 1 . 30) , indirizzata ad Aureliano, prefetto di Costantinopoli, e riguardante la demolizione di case per far posto a un edificio pubblico. Tale operazione poteva svolgersi liberamente se l'immobile da demolire veniva stimato al di sotto delle 50 libbre d'ar­ gento; se invece il valore era maggiore, occorreva far riferimento all' autorità imperiale . Da altre fonti sappiamo che il prezzo di una dimora dipendeva ovviamente da vari fattori e in primo luogo dalla posizione e dallo stato di conservazione, come emerge, ad esempio, nel caso della residenza di una delle più autorevoli famiglie di Roma, quella dei Valerii, la quale, messa in vendita una prima volta nel 404, non trova acquirenti a causa del costo troppo alto; a distanza di poco più di un decennio , dopo il saccheggio e l'incendio della città opera­ to da Alarico, viene invece venduta a poco prezzo. Le situazioni descritte trovano riscontro occasionale in ambito archeologico, a volte con maggiore incidenza quando si sia attuata una verifica approfondita della situazione stratigrafica e degli inter­ venti di ristrutturazione degli edifici attraverso il tempo. L'importan­ za dei magazzini nella città tardoantica, confermata tra l'altro da una disposizione del 398 che invita i governatori delle province (iudices provinciarum) a prendere possesso, per finalità pubbliche, delle strutture di magazzini e stalle ( CIC 8 . 1 1 . 13 . 2) , spiega ad esempio la parti­ colare attenzione della legislazione a questo proposito: anche in cen-

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tri minori come Ordona sembra che costruzioni pubbliche come la " Palestra" ( FI G . 41) e la Basilica siano state trasformate in depositi. Le case realizzate ai piani superiori dei laboratori pubblici ad Alessandria in Egitto ( FI G . 42) per altri versi, paiono effettivamente ricordare la disposizione indirizzata da Giuliano (360-63) al prefetto d'Egitto sulle abitazioni costruite senza permesso super ergasteria publica. Gli addossamenti a edifici pubblici sono variamente attestati: da Roma a Luni (Domus dei Mosaici) , alle spalle del portico che defini­ sce il Capitolium, con strutture relative a un impianto termale e a una peschiera che occupano anche parte della basilica ( F I G . 43 ) . La ricerca sul terreno documenta anche vaste occupazioni degli spazi e dei monumenti pubblici per scopi privati. A Efeso, ad esempio, il tem­ pio di Roma e del Divo Giulio è occupato nel v secolo da abitazioni modeste e nel VI secolo, dopo un terremoto, il settore orientale del portico della basilica viene occupato da una casa a peristilio. A Gorti-

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Fonte: Vo l pe (2000, p. 3 41) .

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na il santuario di Apollo Pythios e le aree di rispetto circostanti sono sistematicamente invase dall'insediamento privato, a quanto sembra a partire dal v secolo; deve trattarsi necessariamente di uno specifico intervento di alienazione delle superfici interessate, attuato dall'autori­ tà pubblica, legittima detentrice dei beni sacri pagani e delle aree comunitarie connesse, a beneficio di proprietari privati, tra cui forse la Help ida nota da un'iscrizione. N ello stesso sito, peraltro, la ricostru­ zione delle terme del Pretorio mostra una contrazione areale e un' as­ segnazione degli spazi risultanti a funzioni private, di cui non si può specificare il carattere del possesso, se di locazione o di effettiva pro­ prietà, anche se il secondo caso sembra quello più probabile, conside­ randone sia la continuità d'uso, sia la separazione dalle strutture pub­ bliche per mezzo di uno spazio di rispetto.

F I G U RA 42 Il q u a rtiere a bitativo di Kom - e i - D i kka ad Alessa n d ri a d' Egitto

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A Cesarea di Mauretania un abitato povero occupa il foro della città nel VI-VII secolo ; a Luni tra la fine del VI e la prima metà del VII si verifica lo stesso processo, mostrando in una fase più avanzata come la creazione di nuovi epicentri urbanistici di carattere religioso cri­ stiano possa rendere progressivamente privi di funzioni rappresentati­ ve e pubbliche gli spazi monumentali tradizionali. Anche l'occupazione delle strade è ampiamente attestata, sia nei centri minori sia nelle città maggiori; a Ro ma la ristrutturazione della Domus di Gaudentius, tra la fine del IV e gli inizi v secolo pro­ voca ad esempio l'invasione di una sede viaria e la conseguente interruzione del trasporto su ruote. Lo stesso fenomeno è attestato in molti altri centri, da Cartagine ( F I G . 44) , a Tolemaide ( F I G . 45) , Thu­ burbo Maj us, F ilippi ( F I G . 46) e Ravenna ( F I G . 47) .

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Fonte: adattata da D u ra nte ( 2 0 03 , p. 146 ) .

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La vera e propria incorporazione dei percorsi stradali, però , sembra riservata alla proprietà ecclesiastica, come documentano chiara­ mente proprio gli ultimi due casi, connessi al sistema monumenta­ le eretto intorno alle chiese , a Fil i p p i l' Ottagono ( F l G . 46 ) e a Ravenna probabil mente la chiesa di S . Eufemia. In ge nerale, pe ral­ tro, la normativa non fornisce dati sui rapporti con lo sviluppo edi­ lizio cristiano : disposizioni non riguardano mai chiese o proprietà ecclesiastiche , non prevedono specifiche autorizzazioni, non pren­ dono in considerazione occupazioni di suolo pubbl ico da parte del clero per funzioni pubbl iche o private. Evidentemente la trasfor­ mazione monumentale cristiana procede sulla base di specifiche esenzioni e concessioni, che rientrano nella casistica relativa ai pri-

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vilegi destinati dai magistrati alle famiglie abbienti e alla loro più stretta clientela. Un caso diverso è quello di Atene, dove l'inserimento del Palazzo dei Giganti ( F I G . 3) nei primi decenni del v secolo, contemporaneo all'in­ terruzione della frequentazione dei monumenti pagani dell'Agorà nel rispetto della normativa emanata da Teodosio n (408-50) , costituisce la testimonianza di una precisa volontà di cambiamento nell'articolazione e nella fruizione della piazza in una città simbolo della cultura pagana; questo evento, come si è già accennato, deve essere collegato probabil­ mente anche a interventi voluti dalla stessa famiglia imperiale, che pre­ vedono ristrutturazioni, nuove costruzioni e l'inserimento di un edificio di tipo palaziale come nuovo elemento aggregativo del centro storico.

FI G U RA 47 la domus d i via D'Azegl i o a Rave n n a

Fonte: a d a ttata d a Archeologia urbana a Ravenna (2 003, p. 73).

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2.2. la costruzi one A Costantinopoli i decenni iniziali e centra­ li del IV secolo costituiscono un periodo di grande impulso costrutti­ vo: nel 334 e nel 337 ( CTh 13.4. 1-2) vengono stabilite esenzioni fiscali agli architetti e agli artifices in campo edilizio; sotto Costantino e Costanzo 1 1 (337-61 ) , inoltre, vengono attribuiti donativi ai costrut­ tori di case, che dopo il 3 61 continuano a godere di una rendita cor­ rispondente al privilegio originario, legato agli immobili e quindi tra­ smissibile ( CTh 14. 17. 1, 17.7, 17. 11-13 ; C/C 10.66. 1-2) . L'edificazione di nuove ab itazioni è inoltre resa obbligatoria fino al 43 8 per gli affit­ tuari di terre imperiali in Asia Minore (Nov. 5 . 1) . Al di fuori di Costantinopoli, invece, nelle leggi emerge in maniera evidente la necessità di regolamentare le costruzioni ex novo e anche le ristrutturazioni di edifici già esistenti e danneggiati da incendi o dall'usura del tempo, considerando proritario il rispetto dell' immagi­ ne urbana e delle strutture pubbliche e private preesistenti. L'obbligo da parte dei funzionari a non intraprendere nuovi edifici prima di aver atteso alla ricostruzione o al restauro dei precedenti è ribadito più volte dalla legislazione : nel 326 ( CTh 1 5 . 1 . 3 , ai governatori provincia­ li) , 364 ( CTh 1 5 . 1 . 11, a S immaco, prefetto urbano di Roma) , 3 65 ( CTh 15.1.15, in Africa, CTh 1 . 14 e 16, a Mamertino, CTh 1 5 . 1 . 17, al gover­ natore del Picenum) , 380 ( CTh 1 5 . 1 . 21, ora anche a Costantinopoli, e CTh 1 5 . 1 . 20, in Egitto) , 393 ( CTh 1 5 . 1 . 29, Costantinopoli) , 3 9 5 ( C/C 8 . 11 . 11 ) , 472 ( C/C 8 . 11 . 22) ; nella legge del 380 indirizzata al prefetto dell'Egitto si specifica in particolare che il governatore provinciale dovrà eseguire solo un terzo di costruzioni ex novo rispetto ai due terzi rappresentati dalle attività di restauro . In alcuni casi si accenna indirettamente alla ristrutturazione delle abita­ zioni, come ad esempio in disposizioni del 321 ( C/C 8 . 10 .6. 1) e del 377 ( C/C 8 . 1o.8pr e 8 . 10.8.1) . Nel 378 ( CTh 10.2. 1) un decreto indirizzato al comes sacrarum largitionum, una sorta di ministro dell'economia e delle finanze, si riferisce in particolare alle residenze di proprietà imperiale cadute in rovina per la trascuratezza dei procuratori e per la negligenza dei funzionari contabili (rationales) , incaricando questi ultimi e i gover­ natori (iudices ordinarii) di venderle all'incanto; nel caso poi si tratti di dimore troppo vaste per un uso privato, viene consigliato di restaurarle a spese pubbliche perché divengano la sede dei governatori provinciali.

Nel 412 la legge relativa alle Terme Onoriane della capitale fa riferi­ mento, come si è già accennato, alla possibilità di ristrutturazioni che comprendano anche la sopraelevazione dei piani esistenti. Nel 439 ( CTh 8 . 1 1 . 20) anche la disposizione sull' inserimento di strade o por­ tici all'interno delle abitazioni senza autorizzazione imperiale sottin­ tende invece, evidentemente, l'esistenza di una prassi già esistente di ampliamento in estensione delle strutture residenziali a scapito delle aree pubbliche. Nel 476-79 ( C/C 8. 10. 12) si tiene così a ribadire la necessità che nella ristrutturazione delle case venga rispettato l'assetto precedente in rapporto agli edifici vicini, quindi in particolare il man­ tenimento del perimetro e dell'altezza originari. La documentazione archeologica non permette se non in rarissimi casi, e di solito legati a situazioni urbanistiche troppo specifiche per poter essere considerate esemplari, di verificare la conservazione in elevato di edifici ristrutturati. In numerosi esempi, tuttavia, sono documentate modifiche planimetriche anche sostanziali, ma che non provocano mutamenti di estensione. A Filippi una dimora sviluppa­ tasi lungo la via Egnazia, tra la metà del v e il VI secolo, mostra forse una ristrutturazione di questo tipo, con ampliamento dell'estensione limitato solo all'accorpamento del portico antistante e modifiche sostanziali che interessano invece la suddivisione interna degli spazi e l'articolazione dei percorsi ( Fl G . 48 ) . La stessa osservazione è stata fatta per Ostia, dove in genere le domus delle fasi più tarde eccedono le dimensioni dell'isolato originario, mentre si verificano cambiamenti nella suddivisione degli spazi interni. Il rapporto con il pregresso costituisce un altro filone legislativo spe­ cifico, collegato alla prassi del reimpiego di materiale da costruzione e di elementi decorati dai monumenti in disuso, fenomeno attestato anche dalle fonti letterarie e che trova precedenti significativi nella normativa di età imperiale soprattutto a partire dal regno di Vespa­ siano ( 69-79) . Tal e prassi per scop i privati generalmente appare pre­ rogativa esclusiva dell'autorità imperiale e dei funzionari, giustificata da necessità di manutenzione e di approvvigionamento di materiale costruttivo, secondo criteri solo in parte precisabili sulla base della documentazione legislativa e letteraria. Per quanto concerne le case, si deve osservare che il fenomeno di

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co nseguenza sembra riguardare essenzialmente i ceti elevati e in par­ ticolare i funzionari imperiali. Costantino nel 321 ( CIC 8 . 1o . 6pr e 8 . 10 . 6. 1) concede a un magistrato orientale il trasporto di marmi e colonne da una città a un'altra e da una casa all'altra dello stesso pro­ prietario, purché sia salvo il pubblico decoro, ma vieta il trasferi­ mento in una casa di campagna di marmi e colonne da una città oggetto di spoglio. In questo provvedimento si distinguono tre tipi di comportamento , dei quali solo uno vietato per legge, cioè lo spo­ stamento in proprietà rural i di materiali da costruzione già lavorati e con un particolare valore decorativo provenienti da monumenti urbani in disuso: la preoccupazione principale, come nel caso dello

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spoglio per finalità pubbliche , è la salvaguardia del decoro urbano e della memoria storica delle città, concetto che nella legislazione nel 346 appare allargato almeno per Roma anche ai templi extraurbani ( CTh 16. 10. 3 ) . Nel 349 e nel 3 57 ( CTh 9 . 1 7 . 2pr; CTh 9 . 17. 3-4) ci si oppone alla depredazione dei monumenti sepolcrali per trarne materiale edili­ zio : vengono citati sia i casi di asportazione di colonne e marmi, sia quelli di util izzo di materiale lap ideo per trarne calce . Un provvedi­ mento del 3 57 indi rizzato a Flaviano, proconsole d'Africa ( CTh 1 5 . 1 . 1 ) , nega la possibilità di privare la città degli ornamenti ricevu­ ti dagli antichi, specificando sempre il caso del trasferimento di materiale architettonico da un abitato all'altro. Giuliano (3 61-63 ) , rivolgendosi al vicario d'Africa ( C/C 8 . 1 0 . 7 e CTh 8 . 1 5 . 16) , sancisce il divieto di trasportare colonne e statue , di qualsiasi materiale siano fatte, da una provincia all'altra, specificando anche la proibizione di muovere materiale privato con veicol i del trasporto p ubblico, evi­ dentemente anche in questo caso da parte di funzionari che abusa­ vano del loro potere per agevolare traffici e attività private. Ammia­ no Marcellino attribuisce allo stesso periodo il malcostume dei membri della corte, che definisce «sazi delle spoglie dei templi>> (Am. Mare. , XXII, 4, 3 ) . Nel 365 un'altra norma ( CTh 1 5 . 1 . 14) inviata a Mamertino, prefetto del pretorio, si riferisce particolarmente al problema della devastazio­ ne degli edifici abbandonati, condannando il comportamento dei magistrati che, con la motivazione di ornare le città di maggiore importanza, richiedevano il trasporto di statue, colonne e marmi dai centri minori : viene invece ribadito il divieto di costruire nuovi edifi­ ci prima di aver restaurato quelli già esistenti. A S immaco, prefetto di Roma, nello stesso anno, viene fatta presente addirittura la necessità di far sorvegliare i templi dalla guardia pubblica per impedire sac­ cheggi e distruzioni ( CTh 1 6. 1 . 1 ) . Nel 376 a Roma si rinnova il divieto ai prefetti delle città e ai magi­ strati di poter costruire nuovi edifici ( CTh 1 5 . 1 . 19) e lo stesso princi­ pio è ribadito nel 398 a Teodoro, prefetto d'Occidente ( CTh 1 5 . 1 . 37) e in una seconda disposizione dello stesso anno ( CTh 8 . 11. 13pr) , nelle quali viene vietata la sottrazione o il trasferimento senza permesso di

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statue di bronzo o di marmo che fossero in uso o servissero per deco­ rare la città. Nel 398 ( C/C 8 . 11 . 1 5) si specifica che se qualcuno richie­ de di servirsi di opere pubbliche ha la facoltà di farlo, ma solo se que­ ste sono in rovina o distrutte. Nel 399 una legge rivolta ai vicari delle Hispaniae ricorda ancora l' ob­ bligo di salvaguardare dalle depredazioni gli elementi decorativi dei monumenti pubblici ( CTh 16. 10 . 1 5 ) . Dai primi anni del v secolo, però, l e disposizioni antipagane s i rivol­ gono anche ai templi e agli altari ( CTh 16.10 . 1 9 . 1-2) , escludendoli dalla categoria dei beni da salvaguardare, ma anzi obbligando a una loro distruzione, come viene ribadito anche nel 43 5 ( CTh 16. 10 . 25) , e

(§)

Recuperi e trasformazioni in una città tardoantica: Gortina (Creta)

Capitale delle provincie di Creta e Cirenaica, sede arcivescovile a par­ tire dalla prima metà del VI secolo, Gortina rappresenta un esempio particolarmente significativo nella ricostruzione del processo di tra­ sformazione monumentale di una capitale cristiana, mostrando un comportamento sistematico di riutilizzo degli edifici antichi nelle basiliche della città: l'erezione della stessa cattedrale di M itropolis, come della vicina basilica di Mavropapa, entrambe situate nel quar­ tiere monumentale della città protobizantina, dipendono dallo smontaggio di almeno due grandi edifici religiosi pagani con impor­ tanti funzioni pubbliche, uno con l'archivio dei decreti di prossenia emanati dalla polis, l'altro depositario di normative pubbliche di altre tipologie. Anche la nota chiesa di S. Tito reimpiega in modo sistematico un grande edificio dell'agorà greca, forse un portico, ma il fenomeno di recupero e di trasformazione di edifici e spazi concer­ ne le stesse realizzazioni private, soprattutto nella sistemazione delle facciate sulla strada, come mostrano ad esempio alcune case di v-v1 secolo lungo la strada a ovest del Pretorio. La fronte di queste abita­ zioni invade il piano stradale antistante; le strutture riutilizzano nelle murature materiale architettonico e scultoreo reperibile nell'area, mutandone l'immagine monumentale e segnando una profonda cesura nella frequentazione tradizionale.

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trasformandoli, di conseguenza, in un patrimonio destinato a essere reimpiegato, con tutte le conseguenze connesse al loro sfruttamento economico, una dismissione dal pubblico al privato degli spazi e delle strutture gestita dai funzionari statali . Rimane comunque viva la necessità di tutelare il patrimonio monumentale precedente di carat­ tere non religioso, anch'esso abbandonato, evidentemente sia per motivazioni funzionali, come mutamenti organizzativi dell' ammini­ strazione pubblica, sia per difficoltà di gestione di un vasto patrimo­ nio edilizio in un periodo di concreta crisi delle risorse comuni. A Costantinopoli il principio generale, già riscontrato, di salvaguardare l'immagine della città è attestato infatti in una legge del 458 (Nov. Maj. Iv) ; vi si afferma che non è permesso alterare l'aspetto della capi­ tale, come cerca di fare l'ufficio urbano ( o.lficium civitatis) : questi infatti distrugge gli edifici antichi con il pretesto di un bisogno pres­ sante di pietra da taglio da destinare a nuove opere pubbliche e a restauri di strutture, che però sono di importanza e dimensioni infe­ riori rispetto ai monumenti demoliti. Viene esplicitamente criticata la consuetudine di costruire edifici privati con materiale di spoglio pro­ venienti da aree pubbliche grazie alla compiacenza dei magistrati in carica: questi ultimi, insieme al personale coinvolto nello stesso tipo di reato, sono sottoposti alle pene previste dalla nuova legge. In que­ sta data il fenomeno dell'appropriazione di materiale da reimpiegare , soprattutto da parte dei privati di collocazione sociale elevata - la clas­ se da cui provenivano i magistrati pubblici -, è quindi evidentemen­ te una consuetudine sistematica. Alla stessa prassi burocratica e alle disposizioni vigenti riguardanti le residenze abbandonate sembra infatti riferirsi anche Teoderico nel 507-11, quando richiede al patrizio Festus (Cassiod Var. III, 10) di poter prelevare materiale marmoreo dalla domus Pinciana di Roma. Un altro decreto del re Goto attesta la domanda da parte di Albino , co nsole nel 493 e prefetto del pretorio agli inizi del VI secolo, di pro­ lungare la propria dimora sopra la porticus absidata all'estremità del Foro Transitorio. L'alienazione delle case private costituisce una situazione in parte effet­ tivamente riscontrabile: la difficoltà di gestire grandi complessi del­ l' immenso patrimonio imperiale o di quello privato non più impiega-

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ti in maniera organica avrà determinato, come mostrano le fonti, l'esi­ genza di risolverne i problemi di conduzione. In questo caso sembra­ no essersi verificate sia alienazioni a titolo oneroso o gratuito, come ad esempio donazioni alla Chiesa locale, sia ristrutturazioni. Molto fre­ quenti, anche se non sempre documentate dalle fonti, sono infatti le trasformazioni di aree residenziali in strutture di uso liturgico. Un importante esempio costantinopolitano è rappresentato dal Palazzo di Antioco ( F I G . 15) , appartenuto nel v secolo a un alto funzionario e nel VI trasformato in chiesa di S. Eufemia, ma sono disponibili anche altre testimonianze letterarie, come nel caso delle residenze e delle proprie­ tà di S. Olimpia o delle numerose dimore signorili trasformate nel tempo in monasteri, asili e gerocomi. Una delle case fatte costruire nella capitale da Costantino per l'aristocrazia senatoria viene menzio­ nata nella Vita di san Marciano: questo personaggio nel v secolo avrebbe trattato, infatti, con una vedova l'acquisto di una residenza risalente a Costantino e situata nel centro della città per costruirvi una chiesa di S. Anastasia, ma alcuni amici avrebbero convinto la donna a rompere il contratto. Una trattativa simile riguarda una casa signorile di Milano, insistentemente richiesta in donazione da Ennodio a Boe­ zio , come si deduce dalla corrispondenza del vescovo (Epistula VI I I , 1, 3 1 e 40) ; così anche nella Vita di san Amatore di Auxerre (AA. SS. maii 1, pp. 50-60) si racconta di un amplum et excelsum domicilium di un personaggio di nome Ruptilius, sollecitato e addirittura miracolato dal vescovo affinché ceda la proprietà dell'edificio, ormai almeno in parte diroccato, per la costruzione della nuova cattedrale. Quando non vi sia, come in quest'ultimo caso, un progetto specifico di riuso dell 'area e delle strutture, l'interesse per la proprietà dell' im­ mobile non risiede comunque solo nel valore intrinseco del bene. Tornando all'ambiente costantinopolitano, dalla vita di santa Olim­ pia risulta infatti evidente come la domus aristocratica poteva com­ prendere a volte anche abitazioni e laborato ri dati in affitto, quindi costituire di per se stessa una fonte di reddito. Per quanto concerne il problema delle ristrutturazioni, la documen­ tazione letteraria e in maniera ancora più sensibile quella archeologi­ ca testimoniano la netta prevalenza di questi interventi rispetto alle nuove realizzazioni. Si tratta di un fenomeno generalmente attribuito

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a una maggiore economicità dei lavori, ma non si può escludere che esso possa dipendere anche dalle possibilità offerte dalla legislazione vigente, che come si è visto tende a proibire nuove costruzioni e nel contempo agevola il riuso, oltre che essere favorito dalla quantità di beni immobiliari disponibili. Allo stesso modo è interessante verificare l'incidenza dei reimpieghi di materiale da costruzione proveniente da aree ed edifici pubbl ici , cercando di distinguere momenti diversi in cui se ne sia verificata la disponibilità per il riutilizzo da parte dei privati nei diversi centri urbani. A Thuburbo Majus, ad esempio, sono i decenni iniziali del v secolo a mostrare un'accelerazione nell'abbandono dei monumenti pubblici, a volte trasformati in laboratori artigianali; è documentato anche un riutilizzo diffuso di materiale per le abitazioni urbane, come nella Maison du Cratére, dove le ristrutturazioni del v secolo si distin­ guono per l'uso di blocchi di spogl io dal Capitolium. A Ostia, come in altri casi, i reimpieghi comprendono anche epigrafi sepolcrali (Domus delle Colonne, Domus di Amore e Psiche) : in questo caso è stata supposta l 'esistenza di un'attività sistematica di spoliazio­ ne di alcuni settori della necropoli caduti in disuso, con la creazione di depositi di lastre decorative pronte a essere vendute come elemen­ ti di rivestimento sia per le case private sia per edifici pubblici, come le Terme del Foro . Nella stesso centro, inoltre, è attestata la raccolta di sculture e di lastre da monumenti pubblici : frammenti dei Fasti Ostiensi e dei Fasti del Collegio degli Augustali, ad esempio, sono stati rinvenuti reimpiegati in edifici privati e pubblici della città lungo un arco di tempo piuttosto prolungato, segno questo di una disponi­ bilità del materiale marmoreo forse addirittura fin dal I I I secolo. Nel caso degli elementi decorativi scolpiti, sembrano risaltare situa­ zioni collegate ma almeno in parte differenti: da una parte vi sono le dimore signorili, nelle quali sono stati impiegati mezzi economici ele­ vati e dove il riuso quindi non è probabilmente segno di una deca­ denza della prassi costruttiva e del livello economico dei proprietari, ma assume invece il ruolo di scelta consapevole del valore decorativo e simbolico dei diversi elementi; dall'altra, le case in cui gli spogli rap­ presentano effettivamente il sistema di costruzione più facile e meno costoso, in un contesto ormai profondamente mutato sia a livello

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urbanistico sia sotto il profilo delle istituzioni. Anche in questi esem­ pi, comunque, quando non si tratta di situazioni episodiche o estre­ mamente semplici, è necessario interrogarsi sia sulla provenienza dei materiali, sia sulla possibilità dell'intermediazione di appaltatori pub­ blici che beneficiano del commercio derivante dagli abbattimenti delle strutture dichiarate fruibili a questi scopi dall'autorità locale o imperiale. La disponibilità più ampia, comunque , sembra riservata al clero cristiano, che pare poter accedere abbastanza facilmente alle strutture pubbliche, evidentemente offerte liberalmente dall'autorità pubblica: in molti casi la costruzione di edifici di culto monumentali sembra strettamente collegata all'apertura di cantieri di recupero organizzati in maniera sistematica.

2.3. L'arch itettura privata e le regole del l a comu n ità Come si è già accennato, sulla base della legislazione riguardante la salva­ guardia fisica della proprietà gli edifici già esistenti non solo non dovevano essere messi in pericolo da un'eccessiva vicinanza con le nuove costruzioni, ma neppure subirne un decremento di valore e di immagine: sotto questo aspetto vengono considerati non solo i carat­ teri tecnici o architettonici, legati ad esempio all' ingombro e alle necessità funzionali e di illuminazione del nuovo immobile, ma anche quelli estetici, come la possibilità da parte dei proprietari delle case preesistenti di continuare a godere della vista sul mare, sulle monta­ gne, su giardini e altre aree o elementi dell'arredo urbano considerati gradevoli. L'apprezzamento per gli aspetti paesaggistici è una costan­ te nella normativa legislativa, come anche nel testo di Giuliano di Ascalona e in altre fonti letterarie, e lo attesta ad esempio anche un epigramma dell'Antologia Palatina ( Ix. 8o8 ) , nel quale viene celebra­ ta la veduta sul Bosforo e dei monti della Bitinia di una casa di Costantinopoli costruita attorno alla metà del v secolo. Le prescrizioni, come si è visto, riguardano in primo luogo l'altezza dei nuovi edifici e la distanza minima tra gli immobili. Quest'ultima dimi­ nuisce significativamente nella capitale, in concomitanza con un forte incremento dell'insediatività, da 100 piedi (nel 3 26) a 15 (nel 4o6) , a 1015 (nel 423) , per terminare con il provvedimento del 513 che prevede la possibilità di estensioni anche per le case disposte ai lati di una strada 91

larga meno di 3 metri. Il problema, peraltro, è evidenziato per Costan­ tinopoli anche dalle fonti letterarie, come ad esempio Zosimo, secondo il quale attorno al 500 «le abitazioni erano così numerose e vicine che i cittadini, sia rimanendo in casa sia stando per le strade, si trovavano stretti e camminavano non senza pericolo, per il gran numero di uomi­ ni e animali>> ; si giungeva così addirittura a costruire abitazioni sulla riva del mare, erette su piattaforme di palafitte (Storia nuova, n , 35). In età giustinianea, infine, dopo il grande incendio del 532, si tenta evidentemente di ristabilire i criteri urbanistici iniziali, ribadendo l'obbligo di porre le nuove costruzioni a 100 piedi dagli edifici prece­ denti, ma non se ne conosce l'applicazione effettiva. In secondo luogo , si tutela la vista dai caseggiati posti presso gli edifi­ ci realizzati ex novo o ricostruiti nei provvedimenti di Leone (457-74) e di Zenone (476-79) , considerando anche il diverso valore attribuito agli ambienti di rappresentanza rispetto a quelli di servizio e sottoli­ neando implicitamente la differenza tra corridoi di servizio e vani ana­ loghi, ma con specifiche funzioni rappresentative all' interno dello stesso edificio. Nel 538 la vista sul mare viene definita fonte di godi­ mento e protetta negli stessi anni da un'ulteriore disposizione che ne considera il valore anche quando si tratta di una visione obliqua. Alla normativa ufficiale si affiancano le indicazioni offerte da Giuliano di Ascalona (Hex 47-51) , che stabilisce la necessità di una distanza mini­ ma di 100 piedi tra le case e del rispetto della vista sul mare, specifican­ do che la veduta più piacevole è quella diretta, su un porto o su barche ancorate, e sulle montagne. Viene considerata anche la vista su giardi­ ni o su un'area coltivata: in questo caso la distanza minima richiesta tra gli edifici è di 50 piedi (circa 15 metri) . Infine, è segnalato il caso speci­ fico della salvaguardia della veduta su pitture con scene figurate esposte al pubblico, ancora con una distanza minima di 50 piedi. L'autore del trattato considera inoltre il problema della protezione del­ l'intimità tra vicini, elemento che deve essere contemplato preventiva­ mente nella costruzione di una nuova casa mediante un accorto posi­ zionamento delle finestre e dei balconi in facciata (Hex 32-33) , ma che può comunque essere risolto attraverso l'uso di tende e di scuri (Hex 50) . Quanto alle sopraelevazioni, vengono indicate altre regole (Hex 28) che considerano l'argomento valutando innanzitutto la distanza tra 92

gl i edifici : si intende infatti tutelare il valore degli immobili da un eventuale decremento dovuto ai nuovi lavori. Anche a proposito del­ l' illuminazione solare delle case, messa in pericolo dalle nuove costruzioni, la stessa fonte teorizza ad esempio che, se il muro lungo il quale doveva essere fabbricato il nuovo edificio comprendeva fine­ stre realizzate da almeno dieci anni e se i vani della casa preesistente non disponevano di altre fonti di illuminazione, valeva l'obbligo di lasciar libera una fascia di rispetto lungo la casa stessa (Hex 3 5) . Il pro­ blema doveva essere piuttosto comune, se anche in un'epistola di Pro­ copio di Gaza (circa 465-530) viene raccontato l'episodio di una dispu­ ta tra vicini sorta a proposito di un edificio costruito oscurando le finestre del dirimpettaio (Proc. Ep. 37) .

2.4. L ' a p p rovvigi oname nto d ' a cq u a e l e te rme L'approv­ vigionamento degli impianti termali privati è un altro degli aspetti per i quali è previsto il controllo legislativo. Secondo la Notizia Dignitatum la maggior parte delle terme private di Costantinopoli si concentrava nella regio x; qui, come a Roma e a Ostia, solo i proprietari più agiati utilizzavano sistemi dotati di tubi segnati con un bollo personale. Fin dal 369, comunque, a Costantinopoli è regolamentata la prassi da parte dei privati di trarre acqua dai condotti di adduzione del Palazzo di Dafnè, il primo nucleo della residenza imperiale, inserendovi abusi­ vamente tubature maggiori di quanto fissato per legge ( CTh 15.2. 2) . Una costituzione indirizzata al prefetto della città nel 3 8 2 ( CTh 15.2.3) stabilisce in maniera precisa il diametro dei condotti di uso privato, dividendo le case in tre categorie. Quelle più importanti (summae domus) , se possedevano bagni particolarmente eleganti non dovevano beneficiare di oltre 2 once d'acqua ciascuna (bisogna considerare circa 2, 5 centimetri di diametro per la tubatura, perché un'oncia equivaleva a un dodicesimo dell'unità di misura base di lunghezza, il piede, il cui valore in età bizantina era di circa 30 centimetri, con lievi variazioni a seconda delle zone); poteva porsi il caso in cui le case avessero bisogno di una maggiore quantità di acqua a causa della propria dignitas (deco­ ro), ma comunque in nessun modo avrebbero potuto ricevere più di 3 once d'acqua (corrispondenti a una tubatura di 7, 5 centimetri circa di diametro) . Una seconda categoria è costituita dalle case medie e di

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importanza inferiore (domus mediocres et inferioris meriti) , per le quali era previsto un diametro di un'oncia e mezza (circa 3 ,75 centimetri di diametro) . Infine, le abitazioni meno spaziose potevano essere soddi­ sfatte con mezza oncia (1,25 centimetri circa di diametro) . Nel 381-82 o nel 389 un altro provvedimento ( CTh 1 5 . 2.4) chiede al prefetto della capitale di vigilare affinché l'acqua dell'acquedotto non sia deviata a profitto di privati . Una disposizione del 389 indirizzata ad Albino, prefetto di Roma ( CTh 1 5 . 2. 5 ) , obbliga ad attenersi alle regole già stabilite per l'adduzione d'acqua e nel 39 5-96 la legislazione prevede un analogo provvedimento per Costantinopoli ( CTh 1 5 . 2. 6) . In Giuliano di Ascalona, come nel diritto romano classico , il sistema autonomo di approvvigionamento d'acqua non costituisce di per se stesso oggetto di riflessione giuridica, ma rientra nel quadro dei rap­ porti destinati a gestire le strutture in comune. In caso di sistemazio­ ne o rifacimento di condotti sotterranei (Hex 7 5-76) , ad esempio, il proprietario di una casa assicura il costo del condotto in parte , fino al punto in cui inizia un altro segmento, e così fino al condotto pubbli­ co . Se quest'ultimo è molto lontano dalla seconda casa, il proprieta­ rio non fornisce che una parte della spesa e il resto viene diviso pro­ porzionalmente tra gl i altri proprietari. Anche le ristrutturazioni sono soggette a norme precise. Chi vuole sistemare una cisterna su una sua proprietà, deve allontanarsi dal muro del vicino di 6,66 cubiti (circa 3 metri) in maniera da evitare danni nel caso di fuoriuscita d'acqua (Hex 76-77) . La stessa distanza è prescritta per le latrine (Hex 78) , con una riduzione a 5 cubiti (2,5 metri) se il muro della latrina è costruito in pietra e rivestito di bronzo . La stessa fonte contiene prescrizioni circa la distanza minima tra le case e i bagni privati, le cui fornaci e i cui camini devono essere tenu­ ti lontani almeno 20 cubiti (9,36 metri) se la casa vicina si trova a nord o a est, possiede due o tre piani e se le sue finestre si aprono sulle terme; se invece si trova a sud o a ovest, la distanza non deve essere inferiore a 30 cubiti ( 14,4 metri) , con ulteriori specifiche sul numero dei piani e sulla posizione reciproca degli edifici (Hex 13 ) . Altre disposizioni (Hex 14-2 7) riguardano la distanza delle case da officine artigianali che pos­ sano costituire fonti potenziali di incendi (ad esempio vasai o botte­ ghe per la lavorazione del gesso) , oppure risultino sgradevoli all ' olfat-

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t o (come i laboratori dove si preparava il garum, i frantoi, le botteghe dei tintori, le stalle) , eccessivamente rumorosi o attivi in orari nottur­ ni (come le taverne o le panetterie) .

2.5. G l i i m mobi l i p rivati p l u rifami l i a ri Dalle fonti sono docu­ mentate case a più piani nelle maggiori città dell' impero: a Costanti­ nopoli nel IV e v secolo e ad Antiochia, in Palestina e in Siria. L'al-

F IG U RA 49

la House of the Fresco es di Ti p a sa •,

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tezza massima delle costruzioni viene limitata dalla legislazione a 100 piedi (30 metri circa) sotto Leone (457-74, CfC 8 . 10 . 12.4) . Secondo Giuliano di Ascalona (Hex 28-29) un edificio di tre piani poteva raggiungere i 9 metri circa e ogni piano poteva avere un' altez­ za differente, maggiore al pianterreno e minore al secondo piano. Il terzo piano poteva essere a sua volta distinto in due livelli apparte­ nenti allo stesso proprietario.

FI G U RA 50 Case della regio v a Ostia

g6

Le spese di gestione e di manutenzione di un immobile privato pluri­ familiare ricadono in genere sui diversi possessori secondo una ripar­ tizione proporzionale regolamentata da norme precise (Hex 83-85) , che privilegiano innanzitutto il principio di preservare la solidità del­ l' insieme dell'edificio. N ella riparazione degli immobili è prevista generalmente una divisione " orizzontale " dello stabile, con proprieta­ ri diversi a ciascun piano e con parti comuni al pianterreno: per la riparazione dei livelli, ciascun condomino paga per il proprio piano e per una percentuale del pianterreno. La documentazione disponibile sulle strutture plurifamiliari a più piani è estremamente scarsa, spesso ipotizzata unicamente sulla base dello spessore dei muri del pianterreno, che costituisce la sola parte conservata. S ono più frequenti, anche se non sempre adeguatamente analizzati, i casi di edifici unifamiliari ristrutturati in modo da atte­ nerne più appartamenti. Un esempio sembra documentato a Tipasa (Tunisia) , dove la House of the Frescoes nel v secolo viene distinta in quattro appartamenti, con entrate sui due lati dell'edificio e con nuovi setti murari di separazione tra le unità abitative ( F I G . 49) . In altri casi sono attestate unità diverse, divise da muri che risultano in comune tra le abitazioni e che quindi erano soggette ai regolamenti concernenti in maniera specifica i muri divisori di questo tipo. Altre situazioni, come testimoniato a Ostia, invece , sono caratterizzate da una partizione degli spazi di pertinenza delle singole case, distinte da un ambitus secondo la normativa romana classica ( F l G . 5 0 ) .

2.6. G l i aspetti n o rmativi e l a soci età ta rdoa nti ca In età tardoantica la legislazione non si occupa quindi degli aspetti tecnologi­ ci e costruttivi, se non in riferimento al suo intento primario di tutela del patrimonio pubblico e dell'ordine sociale, derivando dall' esperien­ za giuridica di età imperiale un sistema di prescrizioni che viene però sensibilmente modificato sulla base delle nuove esigenze. Così, alcuni aspetti emergono in maniera preponderante su altri, mostrando la volontà di intervenire su fenomeni sociali discontinui e a volte con­ traddittori. Il panorama descritto rappresenta infatti solo un aspetto della complessa attività di gestione pubblica, che si avvale di una prassi operativa di carattere amministrativo che ci è nota solo parzialmente.

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È evidente, comunque, che la maggior parte dei fenomeni architetto­ nici e urbanistici riscontrabili nella ricerca archeologica non dipende da situazioni e scelte estemporanee e casuali, ma è pienamente inseri­ ta nel sistema di gestione previsto dal potere centrale della burocrazia imperiale. Mancano indicazioni relative agli aspetti sociali del lavoro e le maestranze sono ricordate solo in maniera incidentale ed estre­ mamente rara, in particolare per alcuni privilegi o per eventuali san­ zioni. A quest'ultimo riguardo è significativa la distinzione di pena prevista per i diversi ruoli, con la punizione più pesante per i mano­ vali riconosciuti come trasgressori, per i quali, al contrario dei pro­ prietari e dei costruttori, sono imposte punizioni corporali e l' allon­ tanamento dal centro urbano . Una situazione di privilegio pare emergere invece per i produttori e i trasportatori di calce: strettamente connessi al sistema di sfruttamen­ to dell'edilizia pubblica in abbandono, gestito certamente dalla stessa autorità imperiale, in alcuni casi sembrano essere esenti anche dai limiti imposti dalla tutela della monumentalità pubblica, probabil­ mente in quanto si dà per inteso che si tratta di un'attività condotta in maniera sistematica in stretto rapporto con le autorità statali. Per altri versi si evince un rilievo particolare di questo settore produttivo, di cui pertanto sarebbe importante poter approfondire i risvolti eco­ nomici e organizzativi. Come si è visto, il restauro e l'ammodernamento degli edifici sono pre­ feriti alle nuove realizzazioni, trovando un concreto parallelo nella documentazione restituita dalla ricerca archeologica. Emerge in ogni caso una consapevole volontà di distinguere i diversi livelli dell'edilizia privata, sulla base dei criteri dettati dalla disponibilità economica e dalla collocazione sociale del proprietario, oltre che dalle dimensioni e dal tono rappresentativo, elementi di valutazione importanti nella con­ cessione di servizi e autorizzazioni. Il cantiere privato sottinteso dalla legislazione è quello dei ceti dirigenti, che si avvale del reimpiego e del trasporto pubblico per il reperimento dei materiali, si rivolge a aree e strutture comuni pubbliche e private, contando sulla compiacenza dei magistrati e della giustificazione del decoro urbano. All'estremità opposta della scala sociale, le realizzazioni più semplici di botteghe, baracche, capanne e tettoie vengono considerate solo in quanto eleg8

mento contrario alla visibilità e alla sicurezza pubblica e privata della città e quindi prevalentemente oggetto di interdizione. Una maggiore continuità si manifesta nel rv secolo, ma già dalla secon­ da metà sembra incrementarsi l'insieme dei fenomeni di destruttura­ zione, quando ad esempio vengono concessi su richiesta a privati gli edifici pubblici in rovina oppure non utilizzati ( CTh 15. 1. 4 0 ) . La situa­ zione si aggrava ulteriormente nella prima metà del v secolo; in questo periodo la normativa di Teodosio I I (408-450) avvia legalmente un processo di sistematica cancellazione dei monumenti pagani: i templi, svuotati, possono essere distrutti, come gli altari e tutte le strutture sacre che invitano a un illegale svolgimento di pratiche religiose non cristiane. Questo patrimonio viene integralmente arrogato alla pro­ prietà imperiale, determinando la possibilità di trasformarlo in cespite economico. Calcinatori e trasportatori di calce appaiono frequente­ mente come protagonisti ( CTh 9 . 17. 2, del 349 ; CTh 15. 1 . 1, del 3 57; CTh 14. 6.3 , del 3 63) di questo vasto processo di destrutturazione, per­ seguito in maniera sistematica e ufficiale dai rappresentanti dello Stato. Governatori e magistrati provenienti dalle classi sociali elevate appaio­ no come promotori interessati di questo vasto processo, favorendone lo sviluppo per trarne un cospicuo vantaggio economico, come denuncia in maniera esplicita Ammiano Marcellino, accusando i membri della corte «sazi delle spoglie dei templi)) (Am. Mare. , XII, 4, 3 ) . La distru­ zione degli edifici pagani, il recupero e il trasporto degli arredi e delle statue, l'occupazione degli spazi comuni e delle proprietà costituiscono un patrimonio che viene reimmesso in parte sul mercato, direttamen­ te dagli ufficiali pubblici o attraverso donazioni alla Chiesa, o ancora mediante vendite e aste pubbliche che, come si è visto, possono riguar­ dare anche le residenze abbandonate e ritenute non restaurabili. Que­ sto fenomeno di riconversione e di trasformazione urbanistica, avve­ nuto secondo meccanismi ancora da approfondire concretamente, sembra richiamare, con le dovute differenze, l'analoga situazione di accessibilità dei beni di culto dopo le leggi conseguenti alla rivoluzione francese in Europa, quando si resero disponibili edifici religiosi, arredi, proprietà immobiliari e terriere. Cantieri e maestranze non sono menzionati se non sporadicamente, in quanto dipendenti dai vincoli sociali e di classe in cui si trovano a

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operare, lavorando forse soprattutto per i magistrati pubblici, i fun­ zionari imperiali e i gruppi aristocratici di cui sono espressione. Mae­ stranze e tecnologie mostrano quindi continuità e innovazione preva­ lentemente in relazione a questo tipo di committenza, ma con una sempre minore incidenza dovuta all'accrescimento del divario sociale tra ceti dirigenti e subalterni. In questo contesto proprio l'ampia disponibilità di materiale da recu­ pero che caratterizza la prima metà del v secolo costituisce probabil­ mente un fattore centrale nella trasformazione delle stesse tradizioni costruttive; al cantiere edilizio si affianca evidentemente quello spe­ cial izzato nel reimpiego , che smonta, recupera e distribuisce materia­ li di vario genere, destinati alle parti strutturali come a quelle decora­ tive, fenomeno da questo punto di vista meno considerato dalla bibliografia ma che in alcuni casi, come per esempio a Cortina, comincia a mostrare chiare tracce archeologiche. L'insistenza maggio­ re sulla categoria dei produttori e dei trasportatori di calce costituisce uno degli aspetti principali di questa attività di riciclo, fornendo la materia e la tradizione tecnologica necessarie alla realizzazione delle grandi opere pubbliche e private delle classi dirigenti; l'uso dell'opera " romana" citata dalle fonti, certamente identificabile nella muratura a calce di varia tipologia, sembra segnalare una differenza sostanziale rispetto alle tecniche povere, prevalentemente !ignee, nella tutela della sicurezza e del decoro urbani. Il problema del reimpiego come vantaggio economico è quindi stret­ tamente connesso all'esplodere sistematico della riappropriazione col­ lettiva dei beni e delle strutture millenarie della città pagana, contri­ buendo a creare condizioni completamente diverse rispetto alla fase precedente, che possono quindi avere agevolato le forme recessive dei sistemi tradizionali di produzione edilizia. Si instaura in questo modo una prassi costruttiva e una nuova cultura tecnologica dell' assemblag­ gio dei materiali disponibili, che diventa con il tempo il sistema pre­ valente, in una progressiva e ulteriore trasformazione della società, della committenza e delle maestranze, che non può essere esaminata come fenomeno generale, ma deve essere studiata e interpretata nelle differenti situazioni regionali e urbane, distinguendo situazioni e cro­ nologie diverse.

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Pe r ri ass u m e re . . . •

Le fonti giuridiche ( Codex Theodosian us, Corpus iuris civilis) e nor ­ mative (come il Liber Syro -Rom an us e il testo di Giuliano di Ascalona) costituiscono un aspetto importante della documentazione sull'edilizia residenziale tardoantica, riflettendo fenomeni e problemi dell'architet­ tura e della società secondo un punto di vista particolare. • Emerge in primo luogo il problema della salvaguardia delle aree comuni dall'invasione degli edifici privati, soprattutto per evitare che essi pregiudichino la conservazione, la fruizione degli spazi collettivi e la viabilità, anche considerando la diffusione degli incendi nei maggio­ ri centri urbani. • Vengono regolamentate le nuove costruzioni tenendo conto del patrimonio monumentale e architettonico preesistente. Il rapporto con il pregresso costituisce uno specifico filone legislativo, collegato alla prassi del reimpiego di materiale da costruzione e di elementi decorati da monumenti in disuso. Non si tratta di un fenomeno casuale, ma di una pratica organizzata e gestita in cantieri specializzati. • L'uso e l'approvvigionamento delle terme private vengono regolati per evitare abusi, in un'ottica predominante di rispetto formale della proprietà altrui (pubblica e privata) . La stessa istanza è alla base, per esempio, della normativa riguardante l'altezza delle nuove case e la sal­ vaguardia dell'integrità - statica ma anche estetica - degli immobili vicini. La situazione reale che emerge, tuttavia, mostra come soprattut­ to le classi dirigenti e l'ambito ecclesiastico possano di fatto ottenere esenzioni dalla normativa vigente.

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3 . Le residenze dei vescovi Lo studio della residenza vescovile è in parte coincidente con quello dell' edilizia abitativa di alto livello. Tuttavia, prima di cercare analo­ gie tipologiche e comuni modelli di riferimento tra gli edifici episco­ pali riconosciuti o ipotizzabili come tali e le dimore di prestigio, sarebbe necessario in primo luogo interrogarsi sulla correttezza di una spiegazione unica e complessiva per queste due espressioni architetto­ niche che spesso, in realtà, appaiono estremamente diversificate. Il problema è reso più difficile dalla frequente mancanza di dati concre­ ti con i quali confrontare la documentazione letteraria, anch'essa incompleta, in quanto costituita prevalentemente da citazioni inci­ dentali, che non hanno sollecitato un interesse paragonabile a quello dimostrato per gli altri elementi del complesso vescovile, come la cat­ tedrale e il battistero: questi ultimi, peraltro, non solo sono meglio documentati dai testi scritti, ma spesso presentano una maggiore con­ tinuità attraverso i secoli, situazione che in molti casi ha permesso la conservazione o il recupero di dati sulle fasi originarie. Il contrasto messo in evidenza ha ripercussioni concrete anche sotto il profilo del­ l'indagine sul terreno. D i molti episcopi di età tardoantica, anche in situazioni di notevole rilevanza sotto il profilo della storia istituziona­ le e religiosa, si ignora la stessa ubicazione, oppure essa viene presun­ ta solo sulla base delle analoghe strutture di età medievale. Si tratta di una lacuna grave per la conoscenza della città tardoantica, nella quale la residenza vescovile diviene nel tempo il centro dell' au­ torità religiosa in ambito locale, la sede del potere politico, ammini­ strativo ed economico, un luogo di cultura e di formazione educati­ va. Insieme al nucleo più strettamente adibito alle funzioni cultuali, inoltre, essa determina fin dalla sua fondazione rilevanti mutamenti anche nell'organizzazione e nella fruizione dello spazio urbano, influenzandone la viabilità e la struttura complessiva. Infine, un problema centrale rimane quello dalla stessa definizione fun­ zionale e dalla nostra percezione di questi complessi, aspetti fortemen­ te influenzati dalle esperienze di una stratificazione storica che nel tempo sembra averne mutato profondamente destinazioni e competen102

ze. È necessario, quindi, prescindere dall'espressione attuale attribuita alla tipologia (il " palazzo episcopale ") , per ricostruire la situazione ori­ ginaria e le sue progressive modificazioni, determinate dal processo gra­ duale di concentrazione delle competenze e dalla nuova definizione del ruolo e dell'immagine sociale del clero e della sua gerarchia. Soprattutto per le fasi più antiche, infatti, è difficile poter individuare le tracce di questi edifici se non si sviluppa un'attenzione metodologi­ ca rivolta innanzitutto al riconoscimento delle loro funzioni originarie. Infine, non si deve prescindere dal considerare in maniera adeguata il peso del carattere sperimentale e innovativo dell'edilizia cristiana comu­ nitaria dei primi secoli, che anche in questo settore, come nell'elabora­ zione delle tipologie degli edifici di culto, può aver avuto un'incidenza significativa e uno sviluppo graduale e non univoco. A questo proposito, ad esempio, sembra che proprio una delle destina­ zioni più tipiche dell'episcopio medievale e moderno, quella di resi­ denza ufficiale e privata del vescovo, possa dipendere dall'evoluzione storica dell'organizzazione ecclesiastica e non corrisponda a una situa­ zione originaria. Nel III secolo, infatti, nelle fonti sembra emergere una costante distinzione tra l'abitazione del vescovo e la sede deputata alle sue funzioni comunitarie, svolte presso l'edificio di culto principale. Questa separazione tende a scomparire dalla seconda metà del IV seco­ lo, con forti differenze tra le diverse situazioni urbane e regionali, in concomitanza con l'accentuarsi degli aspetti rappresentativi e di appa­ rato, che però continuano a essere limitati ad alcune tipologie di ambienti. Solo a partire dal v secolo, infine, gli edifici assumono in genere forme più articolate, aggregando al nucleo originario elementi architettonici derivati dal repertorio monumentale delle classi dirigenti dell'impero. Considerando il problema anche da un punto di vista les­ sicale, non è quindi casuale il fatto che il termine palatium non venga mai utilizzato per gli episcopi prima dell'età alto medievale (il primo caso sembra essere quello di Parma nel 1o2o) , rimanendo per secoli pre­ rogativa delle dimore imperiali e di quelle dei ceti elevati. Non si intende escludere , comunque, che le sedi del III secolo potes­ sero comprendere anche alcuni ambienti destinati ad abitazione, ma si tratta di singoli vani molto semplici, a volte indicati con il termine di cellulae, spesso difficilmente identificabili e sempre con un aspetto 103

del tutto seco ndario rispetto ad altri settori dell'edificio, ben lontani dalla serie di vani rappresentativi esibiti nelle ricche dimore episcopa­ li ricordate dalle fonti per le fasi più avanzate. La ricerca, quindi, deve procedere nel senso del recupero della progressiva stratificazione sto­ rica che determina lo sviluppo compiuto della tipologia, affermatasi tra il v e il VI secolo, evitando generalizzazioni che rischiano di frain­ tendere il significato storico della documentazione disponibile.

3.1. Le abitazi oni episco pa l i pri m a della Pace del l a Chiesa Per il periodo immediatamente anteriore all'ufficializzazione del cristia­ nesimo, nel 313, le fonti letterarie sembrano indicare una provenienza prevalente dei vescovi da classi sociali provviste di mezzi e di beni immobiliari: anche dopo l'ordinazione essi potevano continuare ad abi­ tare nelle proprie residenze, a volte cospicue. A questo proposito un esempio significativo ci viene offerto dalle notizie riguardanti san Cipriano ( Vita di san Cipriano, 5-7, 13-15) : questi, ricco di nascita, prima dell'elezione vescovi!e aveva vissuto in una villa nei dintorni di Cartagine comprendente anche giardini con alberi e viti; venduti i propri beni per donarne il ricavato alla Chiesa, in seguito «per benevolenza di Dio» si trovò di nuovo a vivere nello stesso complesso; lì risiedeva alla vigilia del­ l' elezione e lì venne arrestato dieci anni più tardi, nel 258, prima del mar­ tirio. Acquista ulteriore significato, pertanto, il fatto che Cipriano stes­ so, in una lettera ( Cypr. Ep. 66, 3 ) , accenni invece alla domus ecclesiae (la casa in cui si riuniva la comunità cristiana locale) come un edificio com­ pletamente diverso, non in quanto dimora, ma come il luogo di acco­ glienza in cui riceveva quotidianamente, destinato quindi in maniera specifica allo svolgimento del suo ufficio ecclesiastico. Più generica, ma altrettanto indicativa, è l'informazione fornita negli stessi anni da un testo di D ionigi di Alessandria ( 249- 50) , riportato da Eusebio di Cesarea (Eus. Hist. Eccl. 6, 40 , 2-3 ) , secondo il quale il vescovo avrebbe atteso invano l'arresto in casa propria per quattro giorni, perché il funzionario incaricato di tradurlo in carcere per ordi­ ne del prefetto non aveva pensato di cercarlo nella sua domus, rite­ nendo più probabile che, essendo perseguitato, cercasse di sottrarsi all'arresto nascondendosi altrove. Da questo, come da altri casi, quindi, risulta evidente che le fonti del 104

I I I secolo danno per scontato che il vescovo ha generalmente una sua dimora privata, non coincidente con la sede della comunità cristiana, peraltro seguendo sotto questo aspetto una consuetudine contempora­ nea, sia pagana sia ebraica. Nel contempo si comprende anche meglio il carattere sintetico degli accenni alle sedi episcopali, strutture che forse assolvono prevalentemente esigenze liturgiche (accoglienza nella Chiesa, battesimo) e comunitarie (formazione cristiana, ospitalità, assi­ stenza ai meno abbienti) connesse alle celebrazioni nell'aula di culto. Passando alla documentazione archeologica, bisogna notare che non esiste purtroppo una casistica adeguata alla molteplicità di aspetti del fenomeno analizzato. In ogni caso, appare evidente che tra i pochissimi esempi noti di domus ecclesiae, come quello di Dura Europos (Siria) , nel settore scavato non è compreso alcun ambiente di tipo abitativo ( FI G . 51) . Il complesso della città, da prendere in esame come campio-

FIG U RA 51 La domus ecc/esiae di D u ra E u ro pos

Fonte: A. K. O rla n d o s , l xylostegos palaiochristianiki basiliki tis Mesogeiakis lekanis, Archaiologiki Etaireias, Ath i n a i 19 52, p. 15.

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ne indipendentemente dal rango ecclesiastico attribuito alla sede, rive­ ste a questo proposito un interesse particolare per il suo stato di con­ servazione, mostrando di acco gl iere diverse funzioni all'interno del medesimo corpo di fabbrica, che mantiene la forma essenziale della casa originaria in cui si sviluppa. Mentre il pianterreno è interamente desti­ nato ad accogliere le riunioni della comunità e le pratiche religiose con­ nesse, non abbiamo indicazioni sul piano superiore, purtroppo non conservato, ma certamente ricostruibile per la presenza di una scala di accesso dal cortile interno. Si tratta, comunque, di un settore dell' edifi­ cio che appare secondario e limitato nella superficie, dal momento che non si poteva estendere ai quattro bracci costruiti al pianterreno; esso comprende pochi vani e non una struttura residenziale: in questi spazi, inoltre, dovevano essere svolte anche altre funzioni attestate dalle fonti, come ad esempio l'accoglienza ai cristiani di passaggio. Uno dei documenti più interessanti degli inizi del IV secolo è il verbale di sequestro dei beni della comunità cristiana di Cirta (Numidia) redat­ to nell'anno 303 . All'interno della domus ecclesiae vennero trovati nume­ rosi oggetti, alcuni in materiale prezioso, probabilmente per le attività liturgiche, come calici, lucerne e candelabri, altri invece di uso comune (armadi, contenitori per derrate, funi) . Infine, un numero ingente di abiti e calzature, soprattutto femminili, destinati verosimilmente alle attività caritative della comunità (PL VIII, 730-733) . Nel brano viene segnalata anche la presenza, all'interno della domus, del vescovo della città, Paolus, e del suo clero, costituito da quattro diaco­ ni, quattro suddiaconi e sei fossori, mentre si accenna chiaramente all'e­ sistenza di un certo numero di lettori, che vengono però rintracciati dal funzionario municipale incaricato del sequestro all 'esterno della strut­ tura, ciascuno nella propria casa. La fonte fornisce tuttavia solo un breve e occasionale accenno agli ambienti perquisiti: sono chiaramente indicati una biblioteca con armadi vuoti e con un grande dolio, dietro la quale erano state nasco­ ste una capitulata (forse una cassetta) e una lucerna, entrambe argen­ tee: inoltre, un triclinio, che ospitava altri recipienti fittili. Nel rac­ conto , piuttosto sommario e riproposto in forma ancora più riassun­ ta da sant'Agostino ( Contro Cresconio, I I I , 29, 33 ) , non si specifica comunque dove fosse riposto il codice purpureo, unico testo sacro

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conservato presso il vescovo , e non viene fatto esplicito riferimento ad altri ambienti, di ricevimento o residenziali, anche se si capisce che l'azione iniziale di stipula dell'inventario si svolge in una stanza diver­ sa rispetto ai due vani menzionati, forse la sala ornata dalla suppellet­ tile in oro, argento e bronzo di destinazione liturgica: calici, lucerne e candelieri possono essere appartenuti infatti all'ambiente destinato alle riunioni della comunità per le celebrazioni religiose . Anche in questo caso, in teoria, non si può escludere che, al contrario dei let­ tori, il vescovo e i chierici citati abitassero insieme nella domus, ma certamente manca uno spazio residenziale attrezzato a questo scopo: tra le suppellettili non si citano infatti letti e servizi destinati alla cuci­ na o alla mensa, oppure altri oggetti della vita quotidiana. Lo stesso triclinio, identificato evidentemente anche per la sua tipologia costruttiva, mostra di non essere la sala per le celebrazioni liturgiche, né un ambiente per il pasto con intenti rappresentativi , ma contiene grandi vasi da derrate di due tipologie (una per i liquidi, in particola­ re il vino, l'altra per alimenti conservati, in genere fichi o pesce sala­ to) , elementi idonei piuttosto alla consumazione dell'agape, il pasto comune originariamente connesso alla celebrazione eucaristica stessa, ma a partire dal II secolo specializzatosi nella forma del desinare offer­ to ai poveri. A maggior ragione si deve notare, inoltre, che i numero­ si capi di abbigliamento citati non appartengono al corredo del clero presente , ma sembrano essere beni destinati alle attività caritative, cer­ tamente conservati in una sorta di magazzino. In sostanza, da quanto è possibile dedurre dalla fonte, la domus di Cirta risulta ancora scarsamente caratterizzata da un punto di vista architet­ tonico, tanto da non venire descritta in termini diversi da quelli utiliz­ zabili per una semplice casa. Tipologicamente appare del tutto simile al complesso di Dura, in cui mancano gli aspetti residenziali e sono poco sviluppati quelli abitativi, mentre risultano predominanti gli spazi fun­ zionali alla riunione della comunità (sala di culto, triclinio) , alla con­ servazione dei testi sacri (biblioteca) e alle altre attività (magazzino) . Il panorama desumibile da queste indicazioni sembra quindi coincidere con quanto emerge dalle fonti del I I I secolo relative alle vite dei vesco­ vi di Cartagine e Alessandria che sono stati ricordati, confermando il carattere fondamentalmente omogeneo della documentazione disponi107

bile. Inoltre, appare evidente che come a Dura, anche a Cirta si tratta di ambienti compresi all'interno di un unico blocco costruttivo, in cui si concentrano diverse funzioni, che illustrano in maniera concreta le competenze dell'ufficio vescovile note dalle fonti contemporanee: oltre quelle liturgiche, infatti, nei testi si intuiscono attività caritative, di assi­ stenza ai malati, di educazione per gli orfani, di avviamento al lavoro e di ospitalità ai forestieri.

3.2. I l IV secolo La situazione muta sensibilmente nei decenni successivi al 3 13, quando il complesso episcopale evidentemente comin­ cia a subire un processo di trasformazione progressiva, orientandosi verso forme sempre più monumentali e articolate e sviluppando al suo interno spazi destinati a funzioni specifiche e differenziate, in parte cer­ tamente già previste nella fase precedente, in parte rispondenti alle nuove condizioni sociali e politiche della Chiesa all'interno del sistema imperiale. Anche la gerarchia ecclesiastica assume forme più rigide, con composizione e titoli variabili a seconda delle località, e con la colloca­ zione nell'ambito della curia episcopale, oltre al personale di servizio, anche di persone qualificate con precise funzioni burocratiche. Dal 318 viene attribuita ufficialmente al vescovo l'amministrazione della giustizia nella episcopalis audientia (udienza vescovile) . La sede episcopale inoltre incrementa la sua funzione di centro economico soprattutto dopo la confisca dei beni dei santuari pagani e la restitu­ zione degli edifici e dei terreni precedentemente requisiti agli stessi cristiani, con rendite immobiliari e fondiarie e con introiti sempre più cospicui grazie alle donazioni dei fedeli. Ai presuli era affidato il com­ pito di amministrare il patrimonio delle rispettive chiese secondo il proprio discernimento e gli abusi erano contrastati in sede conciliare: già in questa fase, inoltre, il ruolo sempre più emergente del vescovo nell'ambito della città tardoantica è accompagnato nelle fonti agio­ grafiche da una reazione di disapprovazione verso le manifestazioni di eccessiva ostentazione e verso uno stile di vita non consono ai giusti canoni di moderatezza cristiana. Un ruolo fondamentale nell'elaborazione di un nuovo modello di sede episcopale può essere stato rivestito dal Laterano a Roma, per il quale, tuttavia, disponiamo di informazioni estremamente scarse sulle 108

fasi di sviluppo più antiche. La prima fonte diretta risale solo agli inizi del VI secolo e la stessa identificazione toponomastica e strutturale del­ l' area in cui sorgeva il complesso, come il suo collegamento e l' even­ tuale continuità con la Domus di T Sextius Lateranus donatagli dal­ l'imperatore Settimio Severo (193-211) , di cui potrebbe essere parte la successiva residenza di Fausta, moglie di Costantino, costituiscono argomento di una discussione ancora priva di testimonianze archeolo­ giche sufficienti. Per il IV e il v secolo mancano in sostanza fonti con­ crete e solo sulla base di alcune citazioni è stato possibile ricostruire la presenza dell'episcopio presso la Basilica Salvatoris almeno a partire dalla fine del IV secolo; notizie dettagliate e menzioni esplicite sull' epi­ scopium e sul patriarchium, però, appartengono unicamente alle fasi più tarde. In questo caso sembra comunque che la caratterizzazione della sede episcopale nelle forme di una vera e propria residenza con soluzioni tipiche dell'edilizia abitativa di alto livello possa dipendere non solo dal ruolo eminente del vescovo di Roma, ma anche dalla pos­ sibilità di utilizzare spazi e strutture preesistenti di una domus tardo­ imperiale, della quale, comunque , non si conosce con certezza la cro­ nologia del passaggio nelle proprietà ecclesiali. Pur trattandosi di un esempio certamente fondamentale per lo svi­ luppo successivo della tipologia, la mancanza quasi completa di ele­ menti per il periodo compreso tra il IV e il v secolo non permette di inserire le poche indicazioni disponibili nel corpus organico della documentazione. Bisogna rivolgersi, perciò, ancora una volta a testi­ monianze provenienti da aree esterne alla penisola italica; nel secondo decennio del IV secolo Eusebio di Cesarea, descrivendo gli edifici soni in relazione alla basilica di Tiro (Eus. Hist. Eccl 10, 4, 37-45) , non fa menzione di una residenza per il vescovo, ma parla di «esedre e edifici grandissimi adiacenti l'uno all'altro e addossati ai fianchi della basilica, con la quale comunicavano mediante passaggi che portavano all' edifi­ cio centrale» . La stessa genericità delle informazioni letterarie riguarda la chiesa costantinopolitana dei SS. Apostoli, che non svolge comun­ que la funzione di cattedrale, ma a proposito della quale lo stesso Eusebio segnala l'esistenza di numerose strutture a fianco dell 'atrio, tra cui terme e abitazioni per i custodi, senza citare esplicitamente un alloggio stabile per il clero (Eus. Vita Constantini, 4, 58) .

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Solo dalla seconda metà del secolo inizia a essere testimoniata una grande varietà di soluzioni, con differenze anche notevoli tra i diversi centri urbani. Questa disparità emerge innanzitutto dalle fonti lette­ rarie, che contrappongono la sobrietà di alcuni vescovi allo stile di vita eccessivo di altri. Nella Vita di san Martino di Tours ( 10 , 1, 3 ) scritta da Sulpicio Severo, si dice ad esempio che il santo, eletto vescovo nel 371, per molto tempo aveva abitato «in una piccola cella addossata alla chiesa, poi, non potendo sopportare la fastidiosa inquietudine per tutti coloro che gli facevano visita, si stabilì in una cella di eremita a circa due miglia fuori della città» . In un passo del Chronicon (Sulp. Chr. 2, 50, 2) inol­ tre, lo stesso autore ribadisce il contrasto tra la vita ascetica di Martino e quella dei chierici vestiti con ricchi abiti e che abitavano sotto volte dorate di costruzioni lussuosamente ammobiliate. La medesima opposizione ricorre in Ammiano Marcellino (Am . Mare., 27, 3, 14-15) nella descrizione dei papi, che «organizzano ban­ chetti più fastosi di quelli dell'imperatore>> , al contrario dei vescovi provinciali «che la moderazione nei cibi e nel bere, la semplicità degli abiti e gli sguardi rivolti a terra raccomandano, perché puri e costu­ mati, all'eterna divinità ed ai suoi veri cultori». Sorprende che le fonti non forniscano alcuna informazione utile circa la sede episcopale di Milano in età ambrosiana, per la quale non disponia­ mo neppure di informazioni archeologiche. L'abitazione del vescovo viene ricordata da Paolina (che scrive attorno al 422) come la domus in qua manebat nell'episodio in cui alcuni demoni non sarebbero riusciti ad avvicinarsi non solo a sant'Ambrogio, ma addirittura alle porte della sua casa ( Vita di sant'Ambrogio, 20, 47) . L'aneddoto non permette di trarre alcuna informazione sull'edificio, ma forse sottintende l'esistenza di una casa privata del vescovo, distinta dalla cattedrale, che nell' episo­ dio narrato non viene citata. Altrettanto problematica è l'interpretazio­ ne del passo riguardante la morte del santo, posto a giacere nel portico di un edificio che non viene specificato, ma che era dotato di un piano superiore con camere da letto ( Vita di sant'Ambrogio, 46-47) . Una testimonianza particolarmente significativa è costituita dall ' episto­ la 94 di san Basilio (vescovo di Cesarea tra il 370 e il 379) , che descrive l'insieme delle costruzioni fatte erigere dalla comunità cristiana: attor-

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no alla casa di preghiera, alcune dimore, «l'una di aspetto nobile, riser­ vata al capo, le altre più semplici per gli uomini preposti al servizio divi­ no, distribuite con ordine>>; inoltre, ostelli per gli stranieri e i malati (definiti katagoghia) e laboratori artigianali. La presenza di katagoghia in relazione all'episcopio è attestata anche a Rhinocoroura (Egitto) , dove il vescovo Melas accoglie i latori del decreto del 373 (Sozom. Hist. EccL VI, 31) e qualche decennio più tardi anche presso la chiesa dell'Anastasis (la Resurrezione) di Gerusalemme, dove santa Melania con il marito e la madre alloggiano nelle celle della chiesa situate sui portici laterali, al di sopra delle gallerie dell'atrio. La residenza vescovile viene citata con il termine specifico di domus episcopi (casa del vescovo) solo dopo il 390, quando si svolgono le vicende narrate da sant'Agostino nel Sermo 3 5 5, composto nel 425. Nel testo si tratta dell'edificio in cui il santo aveva trasferito la propria comunità monastica, fondata a Ippona nel 391, dopo l' elezione epi­ scopale del 396-97: «Giunsi poi all'episcopato. E lì mi resi conto che il vescovo è tenuto ad usare ospitalità a coloro che lo vengono a tro­ vare, o che sono di passaggio. Se il vescovo non lo facesse, apparireb­ be non umano. E in un monastero non sarebbe conveniente intro­ durre una tale co nsuetudine, perciò io volli avere con me , in questa stessa sede vescovile, un monastero di chierici» . È evidente che la situazione di Ippona deve essere considerata un caso specifico , come emerge dalle stesse parole di Agostino, ma risulta di un certo interesse notare che in questa fase finale del IV secolo, comunque, si dia per scontato che il vescovo debba risiedere stabilmente nella domus episcopi; questa non è una casa privata e non sembra che si sia definito in maniera stabile un cerimoniale rappresentativo derivato dalle dimore del periodo. Dal racconto emerge invece che vi è ancora spazio per soluzioni molto varie e individuali, come appunto il caso africano, in cui l'edificio si amplia ad accogliere una comunità di tipo monastico. Si tratta evidentemente di un esempio particolare, che non sembra essere divenuto un modello stabile, ma che forse, come in altri casi, viene citato da Agostino proprio a scopo morale. Questa situazione, comunque, non doveva costituire un caso unico, come attesta l 'esempio di Melas, primo vescovo di Rhinocoroura, e della sua comunità (Sozom. Hist. Eccl. VI, 3 1 ) ; a Salamina di Cipro,

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inoltre, se le numerose citazioni riguardanti l'episcopio all'epoca del vescovo Epifania non permettono di trarre particolari indicazioni di carattere tipologico, comunque rivelano l' importanza del complesso, che ospita fino a ottanta monachi (Polib. Vita s. Epiph. 55) , sottoli­ neando ancora una volta, come in altre fonti coeve, le sue funzioni di katagoghion e di alloggio monastico, analogamente a Ippona, aspetti che sembrano in qualche modo prevalenti su quelli residen­ ziali rappresentativi . Anche in Italia, infine, la presenza di una comu­ nità di tipo monastico in rel azione al vescovo e al clero locale sembra illustrata nel IV secolo, secondo le testimonianze letterarie, dall'e­ sempio di Vercelli, purtroppo senza la possibilità di alcun riscontro archeologico . Gli ultimi decenni del IV secolo sono anche caratterizzati da uno svi­ luppo considerevole del complesso episcopale di Costantinopoli, già dotato da tempo di una struttura ecclesiastica organizzata in forma gerarchica secondo il modello imperiale, con titoli e attribuzioni spe­ cifiche per i vari livelli e con organismi di segreteria, di cancelleria e di economato. Sono significative a questo riguardo le informazioni sull'episcopato di Giovanni Crisostomo (3 97) , quando l'amministra­ zione economica dipendente dal vescovo era divenuta così articolata da prevedere una distinzione tra la contabilità dell'economato e quel­ la relativa alle spese dell'episcopio. Quanto agli edifici che costituivano la sede arcivescovile, a parte l'in­ dicazione generica dell'incendio della oikia episkopou (la casa del vescovo) nel 388, l'unica testimonianza utile a definirne i caratteri di monumentalità sono le notizie relative alla grande istituzione di tipo monastico di santa Olimpia, che prende posto con duecentocinquan­ ta compagne in un edificio dell'arcivescovado, sull'angolo meridiona­ le di S . Sofia, assumendosi l'onere del mantenimento quotidiano del­ l' arcivescovo . Questo complesso, detto anch'esso oikia (casa) , dispo­ ne di un tribunale, di terme private, di edifici contigui e di strutture produttive, collegandosi alla cattedrale per mezzo di un passaggio e rimanendo separato dall'arcivescovado vero e proprio mediante un muro divisorio. Per lo stesso periodo Sozomeno fa riferimento a un episkopikon kata­ goghion e Palladio indica anche l'esistenza di un triclinio ( Sozom. Hist. 112

VIII, 2 1 ) : si tratta senza dubbio di una sala con caratteristiche monumentali, forse simile a quelle absidate e polilobate già descritte, tanto ampia da poter ospitare ben quarantuno vescovi. L' insieme delle fonti citate mostra in maniera inequivocabile che sono proprio gli ultimi decenni del IV secolo che vedono l'affermarsi delle funzioni residenziali a imitazione dei grandi palazzi del potere impe­ riale : sembrano le grandi e ricche sedi di Roma (secondo la testimo­ nianza di Ammiano Marcellino) e di Costantinopoli a svilupparsi in questo senso, in alcuni casi divenendo oggetto di im itazione, come accade a Efeso poco prima del 400 , anche a spese di altre proprietà ecclesiastiche e delle stesse strutture di culto: un procedimento attua­ to in quell 'anno contro Antonino, vescovo della città, lo accusa infat­ ti di essersi appropriato per fini personali di suppellettile preziosa di ambito sacro, di aver sottratto marmi dall'ingresso del battistero per riutilizzarli nelle terme e inoltre di aver trasportato le colonne di una chiesa, abbandonate da molti anni, per porli nel proprio triclinio (Pall Dialoghi, 1 3 ) . In questi anni la polemica contro il lusso dei vescovi sembra compa­ rire per la prima volta in maniera significativa, come dimostrano Ammiano e Sulpicio Severo, che sottolineano il co ntrasto tra il lusso della sede papale o di alcuni ecclesiastici rispetto alla semplicità e alla santità dei vescovi provinciali come lo stesso san Martino di Tours. È anche significativo che, mentre le fonti più antiche si riferiscono in un primo tempo prevalentemente alle funzioni essenziali della comu­ nità cristiana, solo in un secondo momento includono nelle citazio­ ni delle sedi episcopali le strutture di accoglienza a chierici ed espo­ nenti dell 'amministrazione imperiale (katagoghia) , i nuclei monasti­ ci (Ippona, Salamina, Costantinopoli, forse Roma) e, dagli anni intorno al 370 , anche la menzione di una residenza del vescovo spe­ cifica e a volte «di nobile aspetto» (san Basilio di Cesarea) . La neces­ sità da parte del vescovo di abitare presso il luogo adibito alle sue funzioni pubbliche probabilmente può dipendere, nello stesso perio­ do , anche da un aumento delle attività vescovili di ricevimento , soprattutto per arbitrati giudiziari , compito che, per esempio, sem­ bra occupasse gran parte delle giornate di Agostino, di Abramo di Ciro o di Epifania di Salamina.

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Si tratta, quindi, di un processo graduale, sebbene abbastanza rapido, di trasformazione non solo dell'aspetto originario del complesso epi­ scopale, ma soprattutto delle funzioni e del ruolo sociale del vescovo nella comunità urbana. Considerando la documentazione archeologica pertinente a questo stes­ so periodo, il caso di Aquileia rappresenta certamente uno dei meglio conosciuti e più significativi. Le testimonianze più antiche risalgono al secondo decennio del IV secolo, con la costruzione del complesso teo­ doriano che in questa prima fase presenta ancora la struttura compatta, tipica delle soluzioni architettoniche precostantiniane già esaminate. Due grandi aule longitudinali e un ambiente minore con il battistero erano certamente destinati alle pratiche liturgiche, mentre un'ampia sala trasversale (28 X 13, 50 metri) può aver assolto importanti funzioni col­ lettive di tipo cerimoniale, considerando la monumentalità del vano, suddiviso in tre navate distinte da quattro pilastri ( FI G . 52) .

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Una vasta area intermedia è occupata da un gruppo di vani minori ancora di ricostruzione incompleta sia dal punto di vista planimetrico sia da quello cronologico; questi dipendono da una serie di modifica­ zioni avvenute durante il periodo di vita del complesso, fasi costruttive ancora difficilmente verificabil i, che in ogni caso mostrano l'esistenza di cortili progressivamente ridotti a vantaggio di ambienti chiusi, che ven­ gono a costituire un quartiere autonomo, forse anche dotato di un livel­ lo superiore. Tali spazi, meno chiaramente caratterizzati dal punto di vista tipologico, possono essere stati destinati a ospitare ulteriori fun­ zioni svolte nella sede episcopale, completandone l'articolazione. Si può confermare, quindi, l'ipotesi che il blocco costruttivo teodoriano accor­ pi tutte le destinazioni liturgiche e di altro tipo della sede vescovile; contestualmente si deve notare che la mancanza di un quartiere resi­ denziale specifico rientra, come già a Dura e a Cirta, nelle forme rico­ struibili per questa fase, prive degli elementi tipici di una residenza con­ cepita secondo i canoni rappresentativi dell'aristocrazia urbana coeva. La situazione muta sensibilmente quando viene realizzata la grande chiesa che si sovrappone alla precedente aula di culto settentrionale ( FI G . 53) ; la costruzione invade e riduce gli spazi del battistero e quel­ li a destinazione non liturgica del complesso episcopale precedente, determinando, tra l'altro, la costruzione di un nuovo battistero adia­ cente alla nuova chiesa, ora preceduta anche da un ampio atrio qua­ drangolare. A nord di esso, dopo il 360 , viene costruito un quartiere che si estende anche lungo la fiancata della chiesa, costituito da una serie di ambienti di ampie dimensioni in parte pavimentati a mosai­ co, che si sovrappongono a un'area precedentemente occupata da una casa a peristilio. Queste nuove strutture sono state identificate con l'e­ piscopio che nel 381 accoglie la riunione dei vescovi convocati ad Aquileia; l 'adunanza, secondo le fonti, si sarebbe svolta nel secreta­ rium, riconosciuto in forma ipotetica nella sala maggiore (9,50 x 12,50 metri) rinvenuta negli scavi, prossima all'atrio e al nartece della chie­ sa, in una posizione introduttiva alla sequenza di ambienti del com­ plesso. È evidente che in questo caso, nonostante le lacune della pla­ nimetria generale, si deve riconoscere la prima costruzione di un quartiere completamente nuovo, che mostra caratteristiche rappre­ sentative di tipo residenziale: può trattarsi della nuova tipologia di

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episcopio nota dalle fonti proprio per gli anni intorno al 3 70 , che con­ tinua a formare un corpo unico con la chiesa, ma accoglie nuove fun­ zioni, ampliandosi ad accogliere la residenza ufficiale del vescovo, compresi alloggi minori e katagoghia. Tale sviluppo determina un profondo cambiamento rispetto alle soluzioni più antiche a blocco compatto, come lo stesso complesso aquileiese mostra nella fase pre­ cedente, e introduce un processo di crescita monumentale e rappre­ sentativa che corrisponde a quello ben descritto da Basilio di Cesarea nell'epistola 94 citata in precedenza. FI G U RA 53 Il co m p l esso ep iscopa le di Aq u i l e i a (fase post-teod o ri a n a ) �

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Una nuova riorganizzazione dell' area si manifesta infine quando il complesso viene ricostruito dopo aver livellato la superficie interessa­ ta con un interro di circa 50 centimetri. Del nucleo episcopale costrui­ to contro il fianco nord della chiesa sopravvive solo la grande sala mosaicata, che viene ripavimentata a una quota più elevata e suddivi­ sa all'interno da pilastri ( F I G . 54) . Nella zona ancora più a nord, inol­ tre, sono stati rinvenuti altri vani pavimentati a mosaico, che mostra­ no un ulteriore ampliamento del complesso originario in questa dire­ zione. N ella stessa fase pare che il collegamento tra le strutture rinveFI G U RA 54 Il com p lesso e pisco p a l e d i Aq u i le i a : strutt u re posteri o ri

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nute e la chiesa avvenisse attraverso un probabile nartece, aggiunto nell'area del portico orientale dell'atrio originario. La situazione di Aquileia, sebbene nota solo parzialmente, sembra mostrare quindi un cambiamento sostanziale nella concezione del nucleo episcopale nelle due fasi databili entro la fine del IV secolo, quan­ do da una struttura quadrangolare compatta e dall'articolazione abba­ stanza semplice si passa a un complesso costituito da nuclei accostati e comunicanti, in cui gli ambienti identificabili con l'episcopio occupano una posizione contigua alla chiesa, formando sempre un corpo unico, ma mostrando uno sviluppo monumentale e decorativo del tutto nuovo. Un'ulteriore conferma di questa tendenza è riscontrabile soprat­ tutto nella ricostruzione della seconda metà del v secolo, con un amplia­ mento delle strutture episcopali, che si riqualificano anche sotto l' aspet­ to decorativo mediante nuove pavimentazioni musive. Monumentalità, decorazione ed estensione mostrano inoltre la ricchezza del vescovado, un vero e proprio centro economico con rendite stabili che permettono l'avviamento di complessi cantieri edilizi che si protraggono nel tempo. Gli ampliamenti costituiscono aggiunte di singole strutture o gruppi di vani, spesso addossati ai luoghi di culto e alle strutture esistenti, in un continuum costruttivo che procede sempre adattandosi alle disponibili­ tà di spazio, senza introdurre nuclei edilizi complessi e organici e man­ tenendo una stretta contiguità tra i vari corpi di fabbrica.

3.3. I l V secol o Dal primo venticinquennio del v secolo nelle fonti iniziano a essere diffusi espliciti riferimenti a edifici definiti con il t emine di episcopiumlepiskopeion. N o n si può escludere, tra l'altro, che anche la definizione di domus episcopi usata da sant'Agostino sia inquadrabile nello stesso ambito cronologico, considerando l'anno di composizione del Sermo 3 5 5 e la possibile attribuzione a posteriori di una denominazione attuale alla situazione narrata, ambientata un trentennio prima. Lo stesso fenomeno potrebbe riguardare anche Palladio (Pali. Storia Lausiaca, 63 , 2) , che scrivendo nel 419-20 ricor­ da la fuga di Atanasio, vescovo di Alessandria nel 356-62, da un edifi­ cio che definisce con il termine di episkopeion. L'adozione di un termine specifico, che identifica la residenza del vescovo e il luogo in cui questi svolge le proprie attività pastorali 118

insieme a una corte episcopale con compiti specifici, sembra essere concomitante all'incremento delle trasformazioni formali della sede vescovi! e e avviene attraverso l'adozione di elementi derivati dall' ar­ chitettura residenziale di alto l ivello. Le fonti riguardanti Costantinopoli ed Efeso già ricordate testimo­ niano in effetti proprio dagli ultimi anni del IV secolo un aumento degli aspetti rappresentativi degli episcopia, attraverso l'acquisizione di alcuni elementi strutturali particolarmente significativi , come le terme e i triclini privati, che compaiono per la prima volta nella let­ teratura sul tema. Queste trasformazioni sono attestate soprattutto nelle sedi di maggiore importanza, mentre fino alla metà del v secolo il processo di monu­ mentalizzazione e l'adeguamento a modelli aulici non sembrano genera­ lizzati. Nel 431, con l'estensione del diritto d'asilo alle pertinenze dei luo­ ghi di culto, vengono compresi anche