La visione matematica della realtà 9788842050353


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La visione matematica della realtà
 9788842050353

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Biblioteca di Cultura Moderna

Giorgio lsrael

La visione matematica della realtà

iGW/ Editori Laterza

Titolo dell'edizione originale La 111arhé111atisatio11 dn ,-ée/. Essai Sflr la !1/fJdélisalio11 111athé111atiq11e © 1996, Éditions du Seui!, Paris

Traduzione dell'autore Prima edizione 1996 Quarta edizione 2012 www.laterza.it Questo libro è stampato Proprietà letteraria riservata su carta amica delle foreste, certificata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari dal Forest Stewardship Counc.il Finito di stampare nel febbraio 2012 Marcano editrice srl - Lecce (ltaly) per conto della Gius. Laterza & Figli Spa ISBN 978-88-420-5035-3

È vietata la riproduzione, anche parziale, con qualsiasi mezzo effettuata, compresa la fotocopia, anche ad uso interno o didattico. Per la legge italiana la fotocopia è lecita solo per uso personale p11rché 11011 da1111eggi l'alltol"e. Quindi ogni fotocopia che eviti l'acquisto di un libro è illecita e minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza. Chi fotocopia un libro, chi mette a disposizione i mezzi per fotocopiare, chi comunque favorisce questa pratica commette un furto e opera ai danni della cultura.

a Paolo

PREMESSA

Una moltitudine infinita di linguaggi inonda il mondo Gershom Scholem

La presenza della matematica nelle attività teoriche e pratiche dell'uomo è ormai talmente diffusa e profonda che un famoso scienziato, Eugene P. Wigner, ha posto alcuni anni or sono il problema dell'«irragionevole efficacia della matematica» (Wigner 1960). Tuttavia, questa formulazione del problema da parte di Wigner potrebbe apparire persino riduttiva, perché essa sembra riferirsi soltanto all'idea di 'efficacia' e dunque all'idea di 'uso' e di 'utilità' della matematica. Wigner ricorre a un punto di vista certamente vicino alla nostra sensibilità contemporanea, ma che esprime soltanto un aspetto del ruolo della matematica nei nostri rapporti con il mondo. In effetti, da molti secoli, la matematica non è soltanto uno strumento estremamente importante per intervenire sulla natura e modificarla, uno dei pilastri portanti della tecnica e della tecnologia, ma anche (e forse soprattutto) uno degli strumenti principali per la comprensione della realtà: e, in tal senso, essa non è soltanto fonte di 'utilità' ma anche di 'verità'. È indubbio che, a partire dal Seicento, le immagini con cui rappresentiamo il mondo (e non soltanto il mondo della natura) sono sempre più delle immagini matematiche. Questo processo d'invasione da parte della matematica sia dell'ambito dei processi di descrizione e di analisi del mondo che delle forme d'intervento attivo su di esso, viene talvolta chiamato (con un brutto termine) matematizzazione della realtà. Da un punto di vista molto generale, la visione matematica del mondo (e il corrispondente processo di matematizzazione) non è esclusiva del periodo storico che ha inizio con la rivoluzione scientifica del Seicento. La tendenza verso una visione matematica del mondo è assai più IX

antica. È ben vero che fu Galileo a enunciare in modo chiaro ed esplicito l'idea secondo cui il mondo può essere compreso soltanto se si conosce la lingua in cui esso è stato scritto, owero la matematica. Ma quest'idea non era completamente nuova: essa si ricollegava a una lunga tradizione pitagorica, neopitagorica e platonistica che si manifesta nd modo più chiaro nel pensiero del Rinascimento. Secondo questa tradizione di pensiero, le strutture del mondo e gli intrecci complicati e misteriosi che formano le armonie e le associazioni di queste strutture sono rappresentati da numeri. Indubbiamente, la distanza che separa queste visioni numerologiche - sempre soltanto qualitative e spesso di natura mistica - e la visione oggettivista, razionalista e quantitativa del ruolo della matematica che caratterizza il pensiero di Galileo è grande; a tal punto che è del tutto naturale parlare di una vera e propria rottura. Tuttavia, si tratta di una distanza che, nel percorso storico reale, è colmata da transizioni graduali. Un esempio caratteristico di questo processo di transizione è fornito dalla concezione di Keplero della struttura del cosmo, che è radicata nella visione platonistica di un Universo ordinato secondo un piano matematico prestabilito: l'immagine del mondo che Keplero propone, alla fine del Cinquecento, nel suo Mysterium Cosmographicum - secondo la quale il numero dei cieli, i loro rapporti e le relazioni dei loro moti sarebbero stati stabiliti da Dio in accordo con le proprietà dei cinque corpi regolari della geometria euclidea - fa ricorso a idee geometriche piuttosto che numerologiche, ma consenra un legame evidente con le visioni mistiche ed esoteriche che caratterizzano il pensiero del Rinascimento. Questo libro non ha lo scopo di trattare un tema così vasto e complesso. Al contrario, il suo oggetto è una delle forme più recenti e moderne della matematizzazione: la modellistica matematica. È tuttavia indubbio che i temi di cui intendiamo occuparci possono essere definiti in modo preciso e non generico soltanto se si tiene conto della complessità concettuale del processo di matematizzazione e della grande ricchezza della sua evoluzione storica. Le forme svariate con cui si presenta la visione matematica dell'Universo hanno dei legami fra di loro che non debbono indurci a dimenticare le loro diversità e le loro caratteristiche specifiche. Se la numerologia del Rinascimento è assai distante dalla cosmologia kepleriana, che, a sua volta, è ben diversa dalle concezioni quantitative del mondo fisico di Galileo, di Descartes o di Newton, anche la modellistica matematica è una forma di matematizzazione della realtà assai lontana da quelle che l'hanno preceduta. La storia della scienza non ci è ancora di molto aiuto nel tentativo di cogliere queste differenze, perché essa è curiosamente assai poco sviluppata sul tema della matematizzazione. Stephen Brush ha osservato giustamente che «in generale, si ammette che il ragionamento maternaX

tico sia una caratteristica essenziale dello sviluppo della scienza nel corso dei quattro secoli passati. E tuttavia, con l'emergere recente della storia della scienza come disciplina indipendente, si è assistito a una tendenza marcata a omettere ogni analisi critica seria di questo genere di ragionamento» (Brush 1976, p. 115). Nel corso di questo libro tenteremo di dire qualcosa circa le cause della povertà dell'analisi storica del processo di matematizzazione, ma non potremo certamente porvi rimedio in questa sede. Riterremo di aver conseguito un risultato notevole se riusciremo anche soltanto a definire una serie di questioni aperte e a stabilire gli elementi di un'analisi critica. Il termine 'modello' è talmente generale e ha avuto un uso così lungo, diffuso e generalizzato che è del tutto spontaneo - in tal modo subendo l'influsso della pratica scientifica presente - utilizzarlo in modo estensivo e designare con il termine 'modello matematico' ogni forma di descrizione matematica di una classe di fenomeni. Tuttavia, l'uso acritico dei termini non aiuta a comprendere e a distinguere le caratteristiche specifiche delle diverse forme di matematizzazione. A nostro awiso, la modellistica matematica è una forma di matematizzazione tipica del nostro secolo, che non ha quasi precedenti nei secoli passati e possiede delle caratteristiche che la distinguono in modo assai netto dalle forme di matematizzazione precedenti. Senza anticipare i temi centrali di questo libro, ci limiteremo a osservare che le caratteristiche specifiche della modellistica matematica sono fondamentalmente due. In primo luogo, la rinuncia a ogni tentativo di conseguire un'immagine unificata della natura. Il modello matematico è un frammento di matematica applicato a un frammento di realtà. Un singolo modello può descrivere diverse situazioni reali, e inoltre lo stesso frammento di realtà può essere descritto con modelli differenti. In secondo luogo, il metodo fondamentale della modellistica matematica è !"analogia matematica' (che esprime il valore concettuale unificante di quel frammento astratto di matematica rispetto a tutti i fenomeni che pretende di descrivere) e non più !"analogia meccanica', che è stata per tanto tempo il procedimento principale della matematizzazione. È noto che lo studio matematico della natura ha avuto inizio nel1' ambito dei fenomeni del moto (la meccanica) e, più in generale, dei fenomeni fisici. La matematica irruppe in questo contesto non come un semplice strumento pratico e ausiliario rispetto a degli obbiettivi fondamentali della fisica che sarebbero stati definiti indipendentemente da esso. Nella formazione della meccanica, e più in generale della fisica, la matematica ha avuto un ruolo costitutivo. Non soltanto il processo di formazione della fisica è legato in modo indissolubile al linguaggio matematico ma, nelle descrizioni matematiche dei fenomeni fisici, XI

le immagini meccaniche hanno avuto un ruolo privilegiato e, per così dire, 'naturale'. Di qui il carattere privilegiato e 'spontaneo' del ricorso all'analogia meccanica, perché la meccanica è stata, sia dal punto di vista storico che dal punto di vista concettuale, il nucleo di formazione della fisica. Inoltre, la matematizzazione dei fenomeni ha sempre perseguito lo scopo di costruire un'immagine matematica unica e univoca della realtà. La dissoluzione di questi due aspetti nella modellistica matematica del nostro secolo - per ragioni ed entro forme che ci proponiamo di descrivere in questo libro - ha avuto come conseguenza la rinunzia all'univocità della rappresentazione matematica della realtà e al ruolo privilegiato dell'analogia meccanica .. D'altra parte, la nascita della modellistica matematica si è accompagnata allo sviluppo della matematizzazione delle scienze non fisiche, e in particolare dell'economia e della biologia. In questo contesto, il ruolo dell'analogia meccanica (e, più in generale, dell'analogia fisica) appariva non necessario e persino non pertinente. L'intervento della matematica al di fuori dell'ambito dei fenomeni fisici ha avuto un influsso determinante sulle caratteristiche della modellistica matematica. Occorre sottolineare, al riguardo, che mentre la matematica ha avuto un ruolo costitutivo nella fisica, essa non ha avuto un ruolo costitutivo nelle scienze non fisiche: la biologia, l'economia, le scienze sociali e del comportamento, la psicologia, si sono formate elaborando dei sistemi concettuali e dei metodi che non avevano (o quasi) rapporti con la visione matematica del mondo. È ben vero che, alla luce di un'analisi storica più attenta, questa affermazione deve essere presa cum grano salis. Ad esempio, nell'ambito dei primi sviluppi dell'economia teorica si manifestò una forte tendenza verso l'approccio matematico e prese corpo il tentativo di stabilirne i fondamenti in termini matematici, in completa analogia con la meccanica. Questi tentativi influenzarono in modo importante le forme dello sviluppo storico e concettuale dell'economia teorica. Non sarebbe altrimenti possibile comprendere il peso crescente della matematica nella scienza economica, fino al punto di espellere quasi completamente l'approccio storico che aveva giocato, in questa disciplina, un ruolo dominante nel secolo passato. Tuttavia le differenze restano e sono all'origine delle forme assai più complesse dello statuto della modellistica nelle scienze non fisiche, rispetto allo statuto della modellistica nella fisica. D'altra parte, anche nella fisica, il punto di vista modellistico ha introdotto un approccio scientifico in conflitto con le vedute oggettiviste e unitarie della scienza classica. In questo libro tenteremo di descrivere e di analizzare questi aspetti e di mostrare come la modellistica abbia messo in luce dei nodi critici cruciali della scienza contemporanea. Un libro dedicato ai temi sopra accennati può essere scritto in molXII

ti modi. I tre approcci più spontanei sono: il punto di vista storico, il punto di vista descrittivo, l'approccio divulgativo. Si è già detto che un approccio storico richiederebbe come base un corpus di lavoro preliminare di cui a tutt'oggi esistono soltanto i primi abbozzi. D'altra parte, un approccio descrittivo - mirante a fornire una rassegna tecnica e specializzata, anche se condotta secondo un punto di vista critico - sarebbe assurdamente ambizioso: chi potrebbe pretendere di possedere le conoscenze necessarie per fornire un panorama esauriente degli immensi sviluppi della modellistica matematica contemporanea? Un siffatto approccio rischia quindi di essere inutile per gli specialisti, noioso e pedante per i non specialisti. Infme, non insisterò sui difetti sempre più evidenti di certe forme di divulgazione scientifica che escludono ogni forma di analisi critica e pretendono di fornire immagini semplici di questioni che non possono essere semplificate (pena la distruzione della loro stessa sostanza) e, in tal modo, creano nel lettore l'illusione di un controllo impossibile di vasti campi che spesso gli stessi specialisti non riescono a dominare. L'ambizione di questo libro è di seguire un approccio che è una sorta di miscela di questi tre punti di vista, secondo un criterio consistente nel porre al centro di un'analisi critica e storica un certo numero di nodi concettuali che, a nostro awiso, fanno degli sviluppi della modellistica matematica un tema interessante anche per coloro che, pur non possedendo una cultura scientifica specifica, sono interessati ai problemi della conoscenza. Non si tratta quindi di un libro rivolto al pubblico degli specialisti, in quanto tali - anche se speriamo vivamente che alcune delle tesi esposte possano attirare la loro attenzione - e quindi, per questo aspetto, esso può anche essere considerato come un testo di divulgazione, ma di divulgazione storica e critica. Quanto precede può permettere di comprendere la suddivisione del libro in tre parti. Nella Parte prima affrontiamo il problema della definizione e del significato del concetto di modello matematico, mediante esempi elementari esposti in modo semplice, e analizzando dei casi tipici che esprimono chiaramente le caratteristiche distintive di questo concetto. Questa Parte prima contiene anche un panorama (molto approssimativo e schematico, e di cui gli specialisti coglieranno subito i grandi limiti) di talune branche della modellistica matematica. È questa la parte del libro che più aderisce all'approccio divulgativo. Nella Parte seconda tenteremo di descrivere alcuni nodi storici dello sviluppo della matematizzazione, dalla meccanica alla fisica matematica e fino alla svolta modellistica del nostro secolo. Qui l'approccio seguito è storico, sebbene esso non possieda il rigore e i metodi caratteristici di un'opera di storia della scienza. Tenteremo di porre un parXIII

ziale rimedio a questo difetto fornendo, di volta in volta, riferimenti bibliografici a trattazioni più approfondite. La Parte terza è dedicata alla discussione di alcuni temi della matematizzazione matematica contemporanea, nel contesto modellistico e, più precisamente, alla discussione di alcune coppie tematiche: punti di vista statici e dinamici nella matematizzazione, approcci locali e globali, determinismo e caso, il problema della previsione e dell'ordine (con riferimento ai nuovi sviluppi della matematica del caos), la complessità e gli approcci qualitativi e quantitativi. Concluderemo discutendo alcuni temi della modellistica matematica nei campi della biologia e dell'economia. Non sfuggiranno al lettore le osservazioni critiche e le perplessità circa talune impasses cui conduce il punto di vista modellistico. Tuttavia, queste situazioni di impasse hanno, a nostro avviso, il merito di chiarire alcune delle difficoltà che ostacolano lo sviluppo della ricerca scientifica contemporanea. Concludiamo con qualche osservazione sulle nozioni matematiche di cui abbiamo fatto uso in questo libro, e quindi sul problema della difficoltà tecnica della sua lettura. Abbiamo detto che la nostra ambizione (senza dubbio eccessiva) è di interessare non tanto o non soltanto gli specialisti, ma soprattutto i lettori interessati ai problemi posti dalla matematizzazione della realtà, in quanto forma di conoscenza, e ai temi storici e filosofici che essa solleva. Per questa ragione, una delle nostre principali preoccupazioni è stata quella di ridurre al minimo l'uso di tecniche matematiche. È evidente che questa scelta non può non indebolire e impoverire l'esposizione. D'altra parte, come abbiamo già detto, crediamo assai poco alle virtù miracolose della divulgazione e alla pretesa di rendere semplice ciò che, per sua natura, è difficile e complicato. Esiste tuttavia, a nostro avviso, la possibilità di introdurre un certo numero di esempi relativamente molto facili - e che possono essere compresi con un bagaglio matematico minimo e soprattutto con un poco di buona volontà - i quali hanno la caratteristica di rappresentare in modo sintetico e completo alcuni temi e concetti fondamentali. In questo ordine di idee abbiamo ritenuto che il metodo della rappresentazione geometrica e intuitiva - che è poi il metodo dell'approccio moderno in termini di analisi qualitativa e globale sia il solo che permette di evitare quasi completamente l'uso di rappresentazioni analitiche e di formule. È evidente che tutto ciò ha comportato limitazioni drastiche nella scelta degli esempi, che sono non di radp un poco 'vecchi': confidiamo tuttavia che questa scelta sia coerente con l'itinerario concettuale e storico della nostra esposizione. Desidero, in primo luogo, esprimere calorosamente la mia riconoscenza a Jean-Marc Lévy-Leblond, che mi ha incoraggiato a scrivere XIV

questo libro e ha fatto una lettura critica della prima versione: debbo molto alle sue osservazioni, alle sue critiche e ai suoi consigli, indipendentemente dal fatto ovvio che la responsabilità di ciò che ho scritto è soltanto mia. Desidero ringraziare i miei colleghi e amici del gruppo di ricerca in storia della matematica del Dipartimento di Matematica dell'Università di Roma «La Sapienza». La collaborazione scientifica, le attività seminariali e le frequenti discussioni che ho sviluppato nel corso di tanti anni con loro hanno avuto un ruolo considerevole nella formazione delle idee che presento in questo libro. Desidero anche ricordare i frequenti soggiorni di ricerca in Francia nel corso degli anni passati, che mi hanno permesso di stabilire rapporti scientifici con molti colleghi storici della scienza e matematici: questo libro risente delle discussioni e delle collaborazioni scientifiche che ho avuto con loro. Desidero infine (e soprattutto) ringraziare coloro - familiari e amici - il cui affetto è stata la vera conditio sine qua non della realizzazione di questo libro.

LA VISIONE MATEMATICA DELLA REALTÀ

Parte prima IL CONCETTO DI MODELLO MATEMATICO

Capitolo primo

ALLA RICERCA DI UNA DEFINIZIONE DI MODELLO MATEMATICO

Quando si intraprende lo studio di un argomento o di un concetto difficile, è spontaneo il desiderio di possederne subito una definizione chiara e semplice. Ma questo desiderio è quasi sempre fonte di delusione. Così, se si chiederà a uno specialista di descrivere in modo conciso e semplice l'attività del 'matematico applicato', ci si sentirà probabilmente rispondere con l'enunciato del risultato di questa attività: «l'attività del matematico applicato consiste nel produrre modelli matematici di uno o più aspetti della realtà». La difficoltà è soltanto spostata: perché definire cos'è un modello matematico -locuzione assai alla moda oggigiorno - è assai difficile. Si può averne la prova leggendo le 'definizioni' fomite da taluni libri di divulgazione scientifica o dataluni manuali universitari che introducono alla modellistica matematica. Ci si imbatterà in autori che dicono che «la. modellistica matematica è l'arte di studiare la realtà matematicamente». Altri, invece di ricorrere ad asserzioni lapalissiane, tenteranno di descrivere quest"arte' in modo pragmatico, e cioè stendendo la lista delle operazioni che il matematico compie quando costruisce un modello matematico. Ma accade spesso che la lista sia incompleta o incomprensibile: essendo ispirata alla pretesa di ridurre l'attività del 'matematico applicato' a una sequenza di operazioni simile alla descrizione di un programma per calcolatori, quella lista solleva nel lettore non specialista più problemi di quanti ne risolva 1• Delusi dagli specialisti, rivolgiamoci al senso comune, o piuttosto ali' etimologia. Se apriamo, ad esempio, un dizionario famoso come il Dizionario della lingua francese del Littré, apprendiamo che un modello, nel senso figurato del termine, «è, per le cose dello spirito, l' equivalente dei modelli nelle arti». Questa definizione ci riconduce a una nozione più familiare: in effetti, tutti sanno che un modello nelle arti è una 1 Si veda, ad esempio, Burkhardt 1979. Una discussione di alcune di queste definizioni si trova in Israel 1986.

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rappresentazione, «in terra o in un altro materiale»2 , di un oggetto reale (esistente o da realizzare). Nel nostro caso dobbiamo costruire il modello con una 'materia' affatto speciale: la matematica. Disponiamo in tal modo di una definizione che deriva dal significato testuale delle parole: un modello matematico è una rappresentazione, in linguaggio matematico, di un aspetto della realtà, sia che tale aspetto esista già, sia che si tratti di realizzarlo. Vedremo subito che questa definizione 'ingenua' pone dei problemi alquanto sottili. In primo luogo, è evidente che è possibile costruire un numero illimitato di modelli di un oggetto reale. E se si vuol decidere quale, fra questi modelli, rappresenti meglio l'oggetto considerato, occorrerà addentrarsi in un'analisi assai complicata. Se l'analogia con i modelli matematici è valida, occorre attendersi che sia possibile costruire un gran numero di rappresentazioni in linguaggio matematico dell'oggetto considerato, o, per essere più precisi, del fenomeno reale studiato. La decisione circa quale di queste rappresentazioni sia preferibile sarà conseguenza di un'analisi scientifica mirante a determinare la descrizione matematica del fenomeno più aderente alla realtà. Queste considerazioni sembrano ispirate al buon senso e persino evidenti. E invece non lo sono affatto. In effetti quanto precede equivale a dire che non esiste una sola via che conduce in modo determinato e univoco a una sola rappresentazione matematica del fenomeno in esame. Se si risale indietro nella storia, ci si rende facilmente conto che il punto di vista dei grandi scienziati 'classici' era assai diverso. Per Galileo Galilei (1564-1642) la natura è stata scritta da Dio in linguaggio matematico e il compito dello scienziato è quello di svelare le leggi matematiche nascoste che la governano. Cosl, la nostra discussione terminologica ci conduce subito a dei temi di storia della scienza, su cui torneremo nella Parte seconda. Per ora, ci limiteremo a dire che il punto di vista di Galilei fu rafforzato dall'opera scientifica di Isaac Newton (1642-1727) e fu l'origine di un programma 'meccanicista' che ha dominato per secoli la scienza e che è ancor oggi lungi dall'essere morto. Secondo questo approccio - che fu enunciato nel modo più radicale da Pierre Simon Laplace (1749-1827) - tutti i fenomeni dell'Universo sono il risultato dei moti dei corpi e poiché questi moti sono retti da una formula matematica assai semplice (la famosa formula che stabilisce che l'accelerazione a di un corpo è proporzionale alla forza/ agente su di esso:/= ma, dove m è la massa del corpo), tutti i fenomeni dell'Universo sono condensati in una sola espressione matematica. Vedremo nella Parte seconda che, anche se questo programma ambizioso fu ab2

Si veda il Dictionnaire di Littré alla voce Modèle.

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bandonato - almeno nella sua formulazione più radicale - gli scienziati 'classici' difesero ostinatamente uno dei nuclei più importanti del programma newtoniano: l'idea che la scienza deve fornire un'immagine unitaria e oggettiva dell'Universo. Anche se non è possibile racchiudere l'Universo in una sola formula, occorre almeno che le differenti parti della scienza (e cioè le teorie che spiegano campi diversi dei fenomeni) siano collegate e coerenti fra di loro, che formino una costruzione unitaria e all'interno della quale il posto preminente è riservato alla meccanica. Secondo questo punto di vista non esistono né 'modelli' né matematica 'applicata': diversamente, si negherebbe l'unità stessa della scienza. La matematica non è un linguaggio, e neppure una tecnica separata dalla natura, che viene talvolta 'applicata' allo studio dei fenomeni. La matematica deriva dalla natura e «è altrettanto estesa della Natura stessa» (Fourier 1822, p. XXIII). Le denominazioni scientifiche non sono etichette che determinano in modo univoco un contenuto3 , ma nel nostro caso è ben vero che parlare di modelli matematici (e di matematica applicata) evoca esattamente quel che ci si attende da queste parole: e cioè un punto di vista opposto a ogni concezione unitaria della scienza. Di fatto queste due parole ('matematica applicata', ma soprattutto 'modelli matematici') cominciarono a essere usate sistematicamente quando entrò in crisi non soltanto la concezione meccanicistica ma anche la concezione unitaria della scienza. In una conferenza del 1901 il matematico italiano Vito Volterra (1860-1940) descrisse in modo assai chiaro il nesso fra la crisi della scienza classica e l'introduzione dei 'modelli': Sono passate oggi molte illusioni sul modo di dare una spiegazione meccanica dell'Universo. Ora, se la fiducia di spiegare tutti i fenomeni fisici con leggi simili a quella della gravitazione universale o con un unico meccanismo è venuta a svanire, andò concretandosi, quasi a compenso di tutto questo edificio di speranze che stava crollando, l'idea dei modelli meccanici, i quali, se non soddisfano chi cerca sistemi nuovi di filosofia naturale, contentano provvisoriamente coloro che, più modesti, si appagano di ogni analogia e specialmente di ogni analogia matematica che valga a dissipare un poco le tenebre avvolgenti tanti fatti naturali. Un modello meccanico di un fenomeno è infatti un apparecchio, il quale viene architettato senza preoccuparsi se nella sua essenza abbia rapporto alcu-

' Difatti, «se le scienze dovessero, a ogni loro conquista, cercarsi una nuova denominazione - quanti battesimi e quante perdite di tempo, nel regno delle accademie!» (Bloch 1964, p. 1 dell'ed. or.).

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no col fenomeno stesso; ma è costruito con la sola condizione che, quando sia posto in moto, certe sue parti si spostino o mutino seguendo le stesse leggi con cui cambiano altrettanti elementi variabili nel fenomeno: elementi che si assumono quali parametri fondamentali di esso. L'esperienza ci insegna che i modelli furono utili e servirono, come servon tuttora, a orientarci nei campi della scienza più nuovi, più oscuri e nei quali si cerca a tentoni la via (Volterra 1901, in Volterra 1920, pp. 20-21). L'analisi di Volterra riguarda l'introduzione dei modelli meccanici - con i quali si tentava di difendere la visione meccanicista dei fenomeni fisici - ma essa si applica anche all'introduzione dei modelli in un senso più largo. I modelli meccanici rassomigliano molto ai modelli nelle arti. I modelli astratti, come dice Littré, sono l'equivalente, nelle cose dello spirito, dei modelli nelle arti. Abbiamo visto, in effetti, che ciò che caratterizza i modelli è il fatto che essi mettono in luce l'esistenza di un'analogia: nel caso dei modelli meccanici si tratta di un'analogia meccanica, mentre nel caso dei modelli matematici si tratta di un'analogia matematica. Tuttavia, mentre la prima nozione è abbastanza chiara (si tratta di costruire un modello meccanico che imiti il fenomeno studiato), il concetto di analogia matematica è assai meno evidente. Si tratta forse di costruire uno schema matematico (che consiste, in generale, in un sistema di equazioni) che sia 'analogo' al fenomeno studiato? Ma qual è il significato di 'analogia' in questo contesto? Potremmo dire che il metodo dell'analogia matematica consiste nel trovare delle 'analogie' (nel senso generale e generico di questo termine) tra fenomeni eventualmente anche molto diversi fra loro, all'interno dei quali

ne esiste almeno uno che può essere descritto matematicamente in modo chiaro e convincente. Quando si siano stabilite queste analogie, quella descrizione potrà essere considerata come un modello matematico di tutti i fenomeni 'simili' presi in esame. Occorre ora precisare queste idee che, in mancanza di esempi, rischiano di apparire alquanto astratte, se non vaghe. Allo scopo, faremo ricorso a un esempio che è un eccellente prototipo di un modello matematico4. Ma sarà necessario, in primo luogo, spiegare in qual modo ci proponiamo di superare la difficoltà di parlare di modelli matematici utilizzando il meno possibile le tecniche matematiche, e occorrerà altresì introdurre alcune nozioni preliminari. 4

Si veda il capitolo 3.

Capitolo secondo

IL LINGUAGGIO QUALITATIVO. UNA DESCRIZIONE MATEMATICA DELLE OSCILLAZIONI

Occorre ammettere che la pretesa di parlare di modelli matematici senza far ricorso alla matematica è più di una difficile scommessa: si tratta di un paradosso. Per tentare di venirne a capo occorre riflettere sul ruolo della matematica. In primo luogo, la matematica ci offre un linguaggio nel quale i problemi sono formulati in termini logici e, indipendentemente dalle difficoltà tecniche, trasparenti. Ma questo vantaggio sarebbe ancora poca cosa di fronte a un altro: quello di consentire dei calcoli e quindi di prevedere in termini quantitativi l' andamento del fenomeno studiato. È possibile descrivere anche nel linguaggio ordinario il moto di un missile lanciato nello spazio, dicendo che esso obbedisce alla legge secondo la quale l'accelerazione con cui si muove è proporzionale alla forza che gli è stata impressa. Ma è soltanto a partire dalla stenografia matematica di questa legge (cioè, a partire da una formula scritta in forma conveniente) che è possibile eseguire dei calcoli e prevedere quale sarà la posizione e la velocità del missile dopo un certo tempo, o descrivere tutta la sua traiettoria. Il nostro punto di vista consisterà nell'omettere completamente la fase del calcolo e nel riferirci soltanto all'inizio e alla fine del processo di matematizzazione, owero alle prime tappe della traduzione 'stenografica' e ai risultati finali. Nei nostri esempi tenteremo di mostrare come si può dare una rappresentazione matematica di un fenomeno e ci riferiremo ai risultati che questa rappresentazione permette di ottenere. Inoltre, il campo degli esempi scelti verrà drasticamente delimitato sulla base di criteri di semplicità. Ciò non consentirà di annullare completamente la presenza del linguaggio matematico, ma almeno di farricorso soltanto a concetti che fanno parte di un bagaglio di conoscenze matematiche di base abbastanza diffuse. Iniziamo esaminando il problema della descrizione (o rappresentazione) matematica di un fenomeno. Come si può passare da una descrizione verbale a una descrizione quantitativa di un fenomeno? Se, ad esempio, il nostro scopo è quello di descrivere la crescita nel tempo di 9

una popolazione di animali o di uomini, la traduzione matematica di questo problema sarà facile. Quel che occorre conoscere è il numero dei membri della popolazione a ogni istante, o almeno a intervalli di tempo assegnati (per esempio, ogni mese, ogni anno, ogni giorno). Possiamo denotare questo numero con il simbolo N, che non rappresenta tuttavia un numero, ma una serie di numeri, cioè le quantità di individui della popolazione in tutti gli istanti considerati. In linea di principio si potrebbe associare a ogni istante il numero degli individui della popolazione in vita in qud dato istante. Anche il tempo può essere rappresentato mediante numeri: si tratta di una rappresentazione che fa parte del nostro senso comune, dopo alcuni secoli di utilizzazione degli orologi. Quindi è possibile associare a ogni numero t che rappresenta un istante temporale un altro numero N, dove N è il numero di individui della popolazione all'istante t. Questa corrispondenza è ciò che si chiama di solito una/unzione. Si scriverà N(t) (numero degli individui della popolazione all'istante t) per sottolineare che esiste una relazione 'funzionale' fra Net. Il fenomeno della variazione della popolazione sarà quindi descritto dalla variabile N che, a sua volta, è funzione della variabile t. Dobbiamo ora scoprire in che modo cambia N(t). Ad esempio, la variazione della popolazione degli Stati Uniti nel periodo 1790-1950 è descritTab. 2.1. Popolazione degli Stati Uniti dal 1790 al 1950. Tempo t in anni

Popolazione N(t)

1790 1800 1810 1820 1830 1840 1850 1860 1870 1880 1890 1900 1910 1920 1930 1940 1950

3.929.000 5.308.000 7.240.000 9.638.000 12.866.000 17.069.000 23.192.000 31.443.000 38.558.000 50.156.000 62.948.000 75.972.000 91.972.000 105.711.000 122.775.000 131.669.000 150.697.000

ta nella tabella 1, in cui appaiono soltanto alcuni dati (essendo owiamente impossibile conoscere N(t) per ogni t) 1 • È facile rappresentare geometricamente questi dati. Si ottiene il grafico rappresentato nella figura 2.1.

Popolazione degli Stati Uniti dal 1790 al 1950 160 140

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1810

1830

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1870

1890

1910

1930

1950

Anni

Figura 2.1

In verità, la tabella 2.1 e la figura 2.1 non esprimono un modello matematico della crescita della popolazione degli Stati Uniti, ma soltanto i risultati di una rilevazione demografica. Un modello matematico è molto di più (o almeno qualcosa di assai diverso) di una tabella di numeri. Un modello ha l'ambizione di stabilire una legge (enunciata in forma matematica) che descrive in termini generali la variazione di una popolazione. Ad esempio, un modello matematico della crescita di una popolazione può avere come nucleo la seguente legge: «Ogni popolazione di esseri viventi cresce proporzionalmente al suo numero». Si può certamente tentare di ricavare una legge del genere dall'esame di una tabella di dati statistici, ma vedremo che una deduzione siffatta non è 1

La tabella 2.1 riproduce i dati statistici raccolti dai biomatematici statunitensi

R. Pearl e W. Reed (le tre ultime cifre sono state aggiunte dal Dartmouth College Writing Group). Si veda anche Braun 197.5, pp. 32-33.

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affatto univoca e può spesso dar luogo a risultati dubbi o persino contraddittori. Viceversa, se si esprime nel linguaggio matematico una 'legge' come quella enunciata sopra, si può dedurne la forma di N(t) e calcolare delle tabelle di numeri. In tal caso, non si tratta di numeri che rappresentano dati reali, ma di numeri 'previsti' dalla legge, che potremo in seguito confrontare con i dati rilevati sul campo, al fine di verificare la 'verosimiglianza' della nostra legge. Ritorneremo su tali questioni, con alcuni esempi, nei capitoli 4 e 7. Per il momento vogliamo sottolineare soprattutto due problemi che derivano dall'esempio precedente. Il primo è che, per tradurre il fenomeno studiato nel linguaggio della matematica, occorre determinare una o più variabili che descrivono lo stato del fenomeno a ogni istante del tempo (evidentemente, nel caso in cui si abbia a che fare con un fenomeno dinamico, cioè con un fenomeno che evolve nel tempo). Il secondo problema è che occorre fare delle ipotesi circa la legge di cambiamento di queste variabili: ciò ci consentirà di pen•enire a una legge matematica che descriva l'andamento del fenomeno. Il primo obbiettivo è pertanto quello di determinare variabili che descrivano, in modo se non completo almeno soddisfacente, i differenti stati del fenomeno: in effetti, è usuale chiamarle variabili di stato. Nelle nostre intenzioni esse dovrebbero essere sufficienti a caratterizzare gli aspetti del fenomeno che ci interessano. Dopo aver determinato le variabili di stato del sistema in esame, si tratterà di determinare, fra tutti gli stati possibili del sistema, quelli in cui esso si troverà effettivamente. Si tratterà dunque di determinare un insieme di valori numerici che esprimono questi differenti stati e questo insieme sarà ordinato secondo l'ordine definito dal trascorrere del tempo. Questo insieme ordinato è la rappresentazione matematica della 'legge di evoluzione' del fenomeno. La determinazione delle variabili di stato di un fenomeno non è quasi mai semplice. Può sembrare evidente che, se si vuole costruire un modello matematico che permetta di diagnosticare il diabete mellito, una variabile di stato conveniente sia la concentrazione del glucosio nel sangue. Ma è facile constatare che questa variabile da sola è insufficiente ad analizzare il problema in modo soddisfacente2. Anche nello studio della dinamica di una popolazione la variabile N(t) può rivelarsi insufficiente. Difatti essa non basta a descrivere aspetti di grande interesse come l'invecchiamento o il ringiovanimento di una popolazione (ovvero l'aumento o la diminuzione dell'età media). Allo scopo, oc2 Si veda Ackerman, Gatewood, Rosevear, Molnar 1969. Un riassunto dd contenuto di questo articolo si trova in Braun 1975, pp. 127-33.

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correrebbe disporre di molte variabili in più, come le variabili N0 , N z, N2 , ••• , dove N0 rappresenta il numero degli individui di età compresa fra O e 9 anni, N 1 il numero degli individui di età compresa fra 10 e 19 anni, e cosl via. Questo esempio permette di comprendere che le difficoltà nella determinazione delle variabili di stato non dipendono soltanto da ragioni intrinseche (cioè dalla complessità del fenomeno studiato), ma anche da una scelta che dipende da noi: owero da ciò che abbiamo deciso di analizzare nella realtà. Soffermiamoci tuttavia per il momento sulle difficoltà 'intrinseche'. Possiamo dame un buon esempio tratto dalla branca che abbiamo presentato nel capitolo 1 come la scienza 'per eccellenza': la meccanica. Sono stati necessari secoli di sforzi per stabilire un quadro descrittivo soddisfacente dei fenomeni meccanici e, in particolare, per determinare le variabili che descrivono in modo esauriente lo stato meccanico di un sistema materiale. Per fornire un'idea intuitiva e grossolana di questa difficoltà, consideriamo il moto di un treno che viaggia da una città A verso una città B. Supponiamo che la curva della figura 2.2 rappresenti il percorso reale del treno, quale appare su una carta geografica: in definitiva, il tracciato dei binari. A x(O) =0

x(t)

B

Figura 2.2

Se conosciamo questo tracciato, è sufficiente una sola variabile (una coordinata x sulla curva) per determinare la posizione del treno nello spazio. Questa variabile x è una funzione x(t) del tempo t: essa rappresenta tutte le posizioni del treno a ogni istante t. Supponiamo di conoscere il tempo totale T che il treno impiega per compiere il tragitto da A a B. Questo dato può essere sufficiente per taluni scopi pratici ma è del tutto insufficiente al fine di dare una descrizione completa del fenomeno meccanico. La sola informazione che esso può fornire è quella della velocità 'media' v111 del treno, che si ottiene dividendo lo spazio totale percorso x(T) per il tempo impiegato T: v,11 = x~). Tuttavia, nel corso del suo viaggio, il treno avrà accelerato e decelerato la sua marcia più volte e il dato generico della velocità media nasconde comple-

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tam ente le variazioni della velocità. Per descrivere completamente l' evoluzione meccanica del treno occorrerebbe conoscere la sua velocità a ogni istante e le posizioni occupate dal treno in ogni istante. Si potrebbe credere che la sola conoscenza di queste posizioni (e cioè la conoscenza dei valori di x(t) a ogni istante t) possa essere sufficiente per determinare tutti gli stati della velocità. Analogamente, potrebbe sembrare a prima vista ragionevole l'idea che la conoscenza di tutti gli stati di velocità possa essere sufficiente allo scopo di determinare tutte le posizioni occupate dal treno istante per istante. Ma non è così. La determinazione delle velocità del treno istante per istante, a partire dalla conoscenz!l delle posizioni che esso ha occupato istante per istante, è possibile soltanto se si conosce a priori la sua velocità nel punto A = x(O). Ad esempio, se il treno parte dalla stazione A con una velocità nulla, si otterranno determinati valori per le velocità successive. Questi valori cambieranno completamente se il treno lascia A con una velocità non nulla, e cioè se il treno passa per la stazione A senza fermarsi. Tutti i nostri calcoli dipendono dalla conoscenza della velocità nell'istante t = O- la velocità 'iniziale' v(O) - senza la quale la conoscenza di tutti i valori x(t) è insufficiente a descrivere completamente il moto del treno. Analogamente, la conoscenza di tutti i valori della velocità del treno istante per istante è insufficiente allo scopo di determinare le posizioni in cui il treno si troverà istante per istante, se il punto di partenza A del treno non è fissato una volta per tutte. Se consideriamo un diverso punto di partenza, e pur ammettendo che la successione delle velocità del treno sia la stessa, cambieranno anche tutte le posizioni. Questo ragionamento, per quanto grossolano, suggerisce una conclusione: per determinare l'evoluzione meccanica di un sistema in moto non è sufficiente conoscere le sue posizioni o le sue velocità, occorre conoscerle entrambe. L'evoluzione meccanica del sistema è pertanto descritta da due variabili- la posizione e la velocità - e per determinarla completamente occorrerebbe conoscere i valori di queste variabili istante per istante. Se rappresentiamo queste due variabili di stato x e v in un piano cartesiano, l'evoluzione meccanica del treno sarà rappresentata da una curva (v. fig. 2.3 ). Ogni punto della curva fornisce un'informazione che caratterizza completamente lo stato meccanico del sistema in un dato istante t. Ad esempio, la curva 1 ci dice che all'istante t = Oil treno si trova nella posizione A con una velocità nulla. È allora possibile determinare la velocità corrispondente a ogni posizione spaziale. La coordinata 'tempo' t non appare esplicitamente: essa è un'ascissa sulla curva (come x sulla figura 2.2) che rappresenta, per così dire, la durata del percorso. La curva 2 descrive un'evoluzione meccanica differente: il treno si muove esattamente con la stessa sequenza di velocità, ma il suo

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V

3

v{O) ,I

,, .,,2

/

'

I I

\

'

I

\

I I

x(O)

O=A

X

B

Figura 2.3

punto di partenza x(O) è diverso. Nel caso della curva 3, quel che cambia è la velocità iniziale v(O). È evidente che è possibile immaginare un'infinità di curve identiche che partono da punti differenti del piano (x, v)-e quindi da diversi stati iniziali di posizione e velocità - e che descrivono dei 'viaggi' del tutto diversi, anche se la legge del movimento è la stessa. In effetti, il treno accelera e decelera allo stesso modo, ma il cambiamento del punto di partenza cambia i paesaggi attraversati, mentre il cambiamento della velocità iniziale modifica i valori delle velocità successive. Non è difficile 'rileggere' i ragionamenti precedenti in questo contesto simbolico. Ci proponiamo ora di applicare le considerazioni precedenti al caso del moto di un pendolo. Faremo uso della rappresentazione geometrica dell'evoluzione meccanica di un sistema che abbiamo impiegato nella figura 2.3. Questa tecnica, semplice e utile al contempo, consiste nel rappresentare la successione degli stati del sistema mediante una curva o 'traiettoria' e si basa sul concetto di 'variabile di stato'. Essa è al centro di quel metodo qualitativo che viene utilizzato tanto spesso nell'analisi dei modelli matematici e ci consentirà di evitare una gran quantità di difficoltà matematiche. In questa descrizione le coordinate di ogni punto rappresentano uno stato del sistema. L'insieme di tutti gli stati possibili è quel che viene chiamato di solito lo spazio degli stati o spazio delle fasi. Si tratterà allora di determinare le curve che rappresentano, in questo spazio, l'evoluzione del sistema, e cioè le successioni degli stati attraverso cui esso può passare. L'insieme di tutte queste traiettorie rappresenta tutte le evoluzioni possibili del sistema: esso viene chiamato diagramma delle fasi o diagramma degli stati.

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9

o Figura 2.4

Consideriamo ora un pendolo. Il modo più semplice di descriverlo è di considerarlo come una massa concentrata in un punto P e sospesa a un filo inestensibile che è fissato a un perno (fig. 2.4). Se imprimiamo una spinta al pendolo, oppure lo spostiamo dalla sua posizione di equilibrio O- nella quale, come insegna l'esperienza, si trova in equilibrio - esso oscillerà attorno a ne, dopo un certo numero di oscillazioni di ampiezza decrescente, si fermerà nella posizione O. Per descrivere il suo moto occorre determinare le variabili di stato che, come sappiamo, sono la posizione e la velocità del pendolo. Per reperire la posizione di un punto nello spazio abbiamo bisogno di tre coordinate, espresse da tre numeri. Queste tre coordinate si riducono a due se, come nel caso del pendolo, il moto ha luogo in un piano. Tuttavia, dato che abbiamo supposto che il filo del pendolo sia inestensibile, è sufficiente una sola coordinata, un solo numero, per determinare la sua posizione: ad esempio, l'angolo 8 che il filo forma con il segmento no. Una sola variabile è anche sufficiente per determinare la velocità del pendolo: si tratta della velocità con cui varia l'angolo di rotazione 8. La chiameremo 'velocità angolare' ro. Le traiettorie che descrivono l'evoluzione meccanica del pendolo sono pertanto delle curve del piano cartesiano(~ ro). Svolgendo alcuni calcoli matematici è possibile dimostrare che queste curve sono delle spirali che si awolgono attorno al punto O= (O, O), che rappresenta lo stato di equilibrio del pendolo quando esso si trova nella posizione O con velocità nulla. La figura 2.5 mostra una di queste spirali calcolate e tracciate mediante un calcolatore a partire dall'equazione matematica che descrive il moto del pendolo. È facile giustificare intuitivamente questo risultato. Supponiamo di

n

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(I)

D =(O, ro')

E =(8", O)

6

A=(6, O)

C=(-6',0)

Figura 2.5

spostare il pendolo dalla sua posizione di riposo (O, O) nella posizione 1 della figura 2.6, nella quale il filo forma un angolo 0 con il segmento 00, e che il pendolo abbia ivi una velocità nulla: questo stato è rappresentato sul piano (Q, m) mediante il punto A di coordinate (Q, O), nella figura 2.5. Lasciamo ora cadere il pendolo verso la posizione O. Esso vi arriverà con la più grande velocità che possa raggiungere: difatti, quando supererà questa posizione, dovrà 'salire' e quindi perderà velocità. Il pendolo attraversa quindi la posizione O con una velocità ro: il suo stato meccanico è rappresentato sulla figura 2.5 dal punto B di coordinate (O, -m). 3 Ora il pendolo oscilla fino alla posizione 2 della figura 2.6. L' esperienza ci mostra che l'angolo 0' che esso forma con il segmento no è più piccolo dell'angolo 04, perché il pendolo avrà perso 'energia' a ' Il segno - è dovuto al fatto che la direzione del moto è opposta al senso di crescita della coordinata ro. 4 Si tratta sempre di un confronto fra 'valori assoluti': in effetti, il valore 8' verrà considerato con il segno negativo. Si vedano la nota 1 e la figura 2.5.

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2

o Figura 2.6

causa delle resistenze opposte dal!' aria, dal perno e da tutte le circostanze che in meccanica vengono riassunte con il termine di 'attrito'. D'altra parte la sua velocità sarà nulla, perché in questa posizione esso inverte la sua marcia. Pertanto il suo stato meccanico sarà rappresentato nella figura 2.5 con il punto C = (-0: O). A causa della perdita di energia, il pendolo attraverserà una seconda volta la posizione O con una velocità angolare m' più piccola della velocità angolare mdell'oscillazione precedente. Se il lettore riflette un poco sulle caratteristiche fisiche del moto del pendolo si convincerà senza difficoltà del risultato rappresentato nella figura 2.5: gli stati meccanici successivi di un pendolo formano una traiettoria a spirale. L'andamento della spirale rappresenta in modo assai chiaro il comportamento di un pendolo reale che, oscillando attorno al punto O con un'ampiezza decrescente, tende alla fine ad arrestarsi in questo punto. Ciò equivale a dire che esso tende verso lo stato di equilibrio (O, O). È possibile descrivere l'evoluzione dinamica del pendolo con attrito in un linguaggio matematico più tradizionale mediante le curve 0 = 0(t) e m= m(t) che rappresentano l'evoluzione delle posizioni 0e delle velocità min funzione del tempo su un piano cartesiano la cui ascissa è il tempo e la cui ordinata è 0oppure m. La figura 2.7 presenta due esemplari di queste curve (nello stesso caso numerico della figura 2.5). Il lettore potrà riconoscere senza difficoltà l'andamento empirico che abbiamo appena descritto: lo smorzamento delle oscillazioni è evidente. Abbiamo così dato un'idea del modello matematico del pendolo -

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Figura 2.7 un'idea peraltro assai vaga, perché le equazioni sono restate nell'ombra ... - prendendo come punto di partenza il pendolo 'reale', del quale abbiamo una gran quantità di esempi concreti dinanzi a noi e il cui moto oscillatorio è caratterizzato dal fatto che l'insieme degli 'attriti' determina una perdita di energia che smorza le oscillazioni fmo al raggiungimento dello stato di riposo. Vedremo, nella Parte seconda, che la meccanica moderna ha seguito una via del tutto opposta, elaborando dei modelli di sistemi meccanici (e, in particolare, del pendolo) nei quali si fa astrazione dagli attriti e si immagina una situazione ideale, 'al limite'. In una situazione del genere - in cui non si hanno resistenze dovute alla presenza dell'aria o all'attrito attorno al-perno !2-il pendolo non dovrebbe perdere energia e dovrebbe raggiungere la posizione 2 della figura 2.6 con un angolo 0' uguale all'angolo 0 .5 Anche l'angolo 0" dovrebbe essere uguale a 0, e il pendolo ritornerebbe nella stessa posizione iniziale 1 con la stessa velocità iniziale, dopo un'oscillazione completa. Il suo moto sarebbe quindi una successione infinita di oscillazioni sempre uguali attorno a n. Non è difficile convincersi del fatto che le traiettorie che descrivono l'evoluzione del pendolo senza attrito (chiamato anche, per ragioni evidenti, oscillatore armonico) avranno la

' In valore assoluto, ma con un segno opposto (la posizione è simmetrica, ma non è la stessa). Si veda ancora la nota 1.

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(I)

D = (O, ro)

o

A'

8

(8',0) A=(8,0)

C= (-8, O)

B = (O, -(I))

Figura 2.8 forma rappresentata nella figura 2.86 • Si tratta di curve chiuse perché il pendolo riassume ciclicamente le stesse posizioni con le stesse velocità. Possiamo descrivere questa situazione anche mediante le curve 0 = 0(t) e OJ = OJ(t) che descrivono l'evoluzione delle posizioni 0 e delle velocità OJin funzione del tempo. La figura 2.9 presenta due di queste curve nello stesso caso numerico. Viene spontaneo chiedersi se la descrizione geometrica che abbiamo fornito (soprattutto con la figura 2.8) sia soltanto un'astrazione matematica necessaria per esaminare i fatti con un metodo coerente. La risposta è: non soltanto. Esistono difatti molti processi naturali o artifi6 Su questa figura abbiamo rappresentato due curve che corrispondono a due evoluzioni meccaniche diverse. La traiettoria che parte da A' corrisponde a una situazione in cui l'ampiezza dell'oscillazione è più piccola (la velocità raggiunta dal pendolo in O sarà anch'essa più piccola). In generale, si tratta di ellissi piuttosto che di circonferenze, come nella nostra figura. Si può immaginare un'infinità di traiettorie che coprono tutto il piano (0, w) e descrivono tutti i movimenti possibili del pendolo. Si può fare un ragionamento analogo nel caso del pendolo con attrito. Il piano (0, w) sarà allora ricoperto da un'infinità di spirali che si avvolgono attorno ali' origine (O, O) degli assi coordinati e tendono verso di essa.

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8, (O

Figura 2.9 ciali in cui è possibile constatare il ripetersi illimitato di fenomeni oscillatori. Tale è il caso di un orologio a pendolo, il cui movimento è totalmente differente da quello di un pendolo con attrito. In effetti un pendolo non si arresta mai, purché lo si carichi ... e proprio qui risiedè la difficoltà. Abbiamo a disposizione due modelli matematici entrambi inadeguati per una buona descrizione di un fenomeno di oscillazioni non smorzate che si presenta nella realtà. Il moto del pendolo non può essere descritto con il modello del pendolo con attrito - perché il pendolo non si ferma mai - ma neppure può essere descritto con il model-

lo dell'oscillatore armonico, che è un caso 'limite' del pendolo con attrito. In effetti nel caso del pendolo vi è certamente perdita di energia. Se ne ha la prova nella necessità di far ricorso a una molla (o un peso) che rappresenta evidentemente una sorgente di energia esterna. Vedremo che è proprio questa forma di compensazione energetica la chiave per spiegare il moto dell'orologio a pendolo. Quindi il moto del pendolo - come quello di un gran numero di oscillazioni che si incontrano nella realtà - ha caratteristiche completamente diverse dal modello del1'oscillatore armonico, nel quale non esiste attrito e quindi non si verifica perdita di energia. Nel capitolo seguente esamineremo il funzionamento dell'orologio a pendolo. Sarà questo il punto di partenza per applicare il modello cosl ottenuto a una situazione del tutto diversa che ci servirà a illustrare alcune caratteristiche della modellistica matematica contemporanea.

Capitolo terzo

UN MODELLO DEI MODELLI: LA DESCRIZIONE MATEMATICA DEL BATTITO CARDIACO SECONDO VAN DEA POL

È evidente che un orologio a pendolo è un pendolo smorzato (in quanto il suo moto si svolge nell'aria), le cui oscillazioni non si smorzano a causa dell'azione della carica. In effetti la carica fornisce l'energia che il pendolo perde a causa dell'attrito. Come si realizza questo equilibrio fra entrate e spese energetiche di un pendolo? Per rispondere a questa domanda, esamineremo a grandi linee il funzionamento di un orologio a pendolo, e in particolare il meccanismo detto 'scappamento ad ancora'. L'elemento di base dell'apparato è un pendolo con attrito. Per far sì che le sue oscillazioni non si smorzino, lo si rifornisce dell'energia di una molla o di un peso, mediante il meccanismo descritto nella figura 3.1. Il peso fa girare una ruota dentata al cui asse è sospeso mediante un filo. Il pendolo oscilla attorno a un perno sul quale è fissata un"ancora' con due denti. Quando il pendolo raggiunge il massimo di ampiezza dell'oscillazione, l'ancora libera un dente della ruota e qualche istante dopo blocca il dente successivo. Questa situazione si ripete a intervalli di tempo eguali e ogni urto fra il dente e l'ancora trasmette un impulso al pendolo. In tal modo viene trasmessa energia al pendolo e la sua oscillazione non si smorza. L'orologio a pendolo è un sistema meccanico e quindi il suo moto è completamente noto se si conosce la sua velocità e la posizione a ogni istante. Come nel caso del pendolo, è sufficiente conoscere l'angolo di rotazione 0 e la velocità angolare ro. Se rappresentiamo l'evoluzione meccanica del pendolo nel piano (0, ro), si ottiene una traiettoria chiusa, come nel caso del pendolo senza attrito (v. fig. 2.8): le oscillazioni si ripetono sempre uguali1. Ma qui cessa l'analogia con il pendolo senza attrito e iniziano le differenze, che sono considerevoli. 1 Di fatto non si tratta più di un'ellisse o di un cerchio, come nella figura 2.8, ma di una curva chiusa irregolare. Tuttavia questa semplificazione non modifica il sen-

so generale delle nostre considerazioni.

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Ruota di scappamento

Asse

Figura 3.1 Non è difatti più vero che modificando la velocità (o la posizione) iniziale si ottiene un'altra traiettoria dello stesso tipo - cioè una curva chiusa. Una sola evoluzione ciclica è possibile per l'orologio a pendolo. È possibile convincersene con esperienze elementari: se tentiamo di accelerare o di frenare il moto di un pendolo, dopo alcune oscillazioni si constaterà che esso riprende 'da solo' il suo moto abituale. Non è dif-

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ficile comprendere le ragioni per cui ciò accade. Supponiamo infatti di disporre di un pendolo i cui elementi siano costruiti in modo da realizzare il moto oscillatorio regolare e ciclico che permette di misurare il tempo dividendolo in intervalli di tempo uguali fra loro. Ora, imprimiamo una spinta al pendolo, oppure costringiamolo a partire da una posizione 0' più alta di quella dell'angolo di massima ampiezza 0*. Le oscillazioni del pendolo saranno più grandi del solito e l'attrito con l'aria aumenterà. L'energia fornita dal peso (mediante la ruota dentata e l'ancora) non è sufficiente a compensare questo maggior attrito. Si verificherà quindi una perdita di energia, come nel caso del pendolo con attrito, e l'ampiezza delle oscillazioni decrescerà nel tempo. Dopo un intervallo di tempo (sufficiente alla dissipazione dell'energia in eccesso) il bilancio energetico sarà ristabilito e il pendolo riprenderà il suo moto abituale. (l)

Figura 3.2

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Questa evoluzione è rappresentata da una traiettoria a forma di spirale che parte dal punto (0= 0', m=O) e si avvolge attorno alla curva chiusa r, che corrisponde al moto 'abituale' del pendolo, e la stringe sempre di più fino a confondersi con essa (v. fig. 3.2). Una situazione opposta si verificherà se arrestiamo il pendolo, oppure se lo costringiamo a partire da una posizione individuata da un angolo 0"più piccolo di 0"'. In questo caso, le oscillazioni del pendolo saranno più piccole del solito e quindi l'attrito con l'aria sarà minore. L' energia fornita dal peso sarà allora in eccesso e, di conseguenza, l'ampiezza delle oscillazioni crescerà nel corso del tempo fino a che il pendolo riprenderà il suo moto abituale. Questa evoluzione è descritta da una traiettoria a spirale che parte dal punto (0'~ O) e si avvolge con un'ampiezza crescente all'interno della curvar, fino a confondersi con essa (v. fig. 3.2). Otterremo pertanto un diagramma del tutto diverso dai due diagrammi del moto del pendolo che già conosciamo (v. figg. 2.5 e·2.8). Nel diagramma della figura 3.2 si ha una sola traiettoria chiusa (una sola evoluzione ciclica è possibile per l'orologio a pendolo) e una infinità di spirali2 le quali tendono verso questa traiettoria che rappresenta il moto usuale dell'orologio a pendolo. Questa traiettoria chiusa è chiamata, con una locuzione del tutto spontanea, ciclo limite. È opportuno sottolineare una caratteristica importante del comportamento meccanico dell'orologio a pendolo. Si tratta del fatto che questa macchina è capace di opporsi a ogni tentativo di modificare il suo moto e di reagire alle sollecitazioni esterne ristabilendo, dopo un

breve intervallo di tempo, il suo stato oscillatorio normale. Il ciclo limite è una rappresentazione matematica assai chiara di questa proprietà: tutte le evoluzioni dinamiche diverse dall'evoluzione oscillatoria ciclica tendono ineluttabilmente verso quest'ultima. Si tratta della rappresentazione matematica di un fenomeno che ha un'importanza fondamentale nelle scienze applicate moderne: la retroazione (feedback in inglese). La retroazione è l'azione 'contraria' che la macchina oppone a una sollecitazione proveniente dall'esterno. Tutti gli apparecchi di controllo offrono dei casi di retroazione. Ad esempio, il funzionamento del termostato di uno scaldabagno o di un frigorifero è basato su un meccanismo di retroazione: quando la temperatura dell'acqua o dell' aria scende al disotto o sale al disopra di un valore prefissato, il termostato blocca o mette in funzione la macchina allo scopo di ristabilire quel valore della temperatura. Ma esistono innumerevoli esempi di meccanismi naturali di retroazione, come il processo che garantisce la 2

Ogni spirale corrisponde a una scdta di 8 '> 8• (o di 8" < 8•).

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costanza della temperatura del corpo umano (alterata soltanto da malattia). Beninteso, questi esempi sono alquanto differenti dal caso dell'orologio a pendolo. Si tratta difatti di processi che riconducono il sistema a un livello costante, mentre nel caso dell'orologio il processoriconduce il sistema a un regime oscillatorio. Nonostante questa consi-

derevole differenza tutti questi sistemi condividono la stessa caratteristica: sono governati da un meccanismo di retroazione. Ci si può allora chiedere se ogni regime oscillatorio che possiede un meccanismo di retroazione simile a quello dell'orologio a pendolo possa essere rappresentato matematicamente mediante un ciclo limite, cioè mediante un diagramma del tipo di quello della figura 3.2 3 • Tale questione ci conduce al concetto moderno di modello matematico. Lo schema astratto rappresentato nella figura 3.2 (uno schema matematico presentato in forma geometrica) si presenta come un 'modello' capace di riflettere una varietà di fenomeni che condividono tutti le stesse caratteristiche. Lo abbiamo dedotto dall'analisi di un fenomeno particolare e ora lo considereremo sotto un profilo diverso, e cioè come uno schema 'vuoto' che può essere riempito di contenuti differenti. Questo punto di vista corrisponde a una concezione della matematica intesa «come una riserva di/orme astratte», di modo che «certi aspetti della realtà sperimentale si plasmano entro alcune di queste forme co-

me per una sorta di preadattamento» (Bourbaki 1948, pp. 46-47). Ritorneremo in seguito su questa concezione del rapporto fra matematica e realtà. Per il momento fermiamoci sulla considerazione delle oscillazioni con ciclo limite e osserviamo che la via seguita per introdurle non è quella effettivamente seguita dal punto di vista storico. I matematici non hanno scoperto i cicli limite studiando il meccanismo di una macchina antica come l'orologio a pendolo, ma attraverso un percorso molto più tortuoso. I cicli limite sono stati studiati in dettaglio per la prima volta da Henri Poincaré (1854-1912), alla fine del secolo scorso, in relazione a questioni di meccanica celeste. Il termine stesso di 'ciclo limite' fu introdotto da Poincaré. Ma soltanto nel corso degli anni venti del nostro secolo ci si rese conto che i cicli limite erano uno strumento matematico capace di rappresentare una gran quantità di fenomeni che manifestavano la presenza di processi oscillatori J Più precisamente, occorrerebbe determinare le variabili di stato del sistema considerato e mostrare che il diagramma che rappresenta l'evoluzione del sistema è simile a quello della figura 3.2. Occorrerebbe anche osservare che gran parte dei sistemi reali non è suscettibile di una rappresentazione matematica continua. Tuttavia la nostra esposizione si colloca a un livello molto elementare e non pretende di essere né rigorosa né esauriente. Gli esempi sono scelti al solo scopo di illustrare il concetto di modello matematico.

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con retroazione (o, come si dice talvolta, 'auto-oscillatori'), e ciò ben al di là del campo della meccanica. Questa svolta è contrassegnata da due articoli di un ingegnere olandese, Balthasar Van der Pol (1889-1959) 4 • L'oggetto primario degli interessi di Van der Pol non era né la meccanica, né la biologia, bensì lo studio dei circuiti elettrici. Nel tentativo di spiegare il funzionamento di un triodo montato come oscillatore, Van der Poi si rese conto del fatto che le equazioni matematiche classiche delle oscillazioni erano inutilizzabili. Il ragiol')amento che egli sviluppò è molto vicino a quello che abbiamo seguito analizzando il moto del pendolo. L'intensità della corrente elettrica nel circuito studiato da Van der Poi oscillava, ma l'ampiezza delle oscillazioni era crescente per piccoli valori della resistenza del circuito, mentre era decrescente con una resistenza abbastanza grande. Si trattava di una situazione del tutto analoga a quella dell'orologio a pendolo e che non rientrava nei casi classici delle oscillazioni con o senza attrito. Non è possibile descrivere qui la via seguita da Van der Pol per modificare l'equazione classica dell'oscillatore smorzato (v. fig. 2.5). Ci limiteremo a dire che la sua analisi conduceva a un'equazione le cui soluzioni avevano un andamento del tutto analogo a quelle rappresentate nella figura 3.2: si trattava dunque di un sistema con ciclo limite. Di fatto il sistema particolare considerato da Van der Poi conduceva a un diagramma un poco differente da quello della figura 3 .2. Nella figura 3 .3 ne forniamo una rappresentazione ottenuta al calcolatore'. Le differenze dall'evoluzione rappresentata nella figura 3 .2 sono abbastanza evidenti. Le oscillazioni tendono a sincronizzarsi (a 'confondersi') molto rapidamente con il ciclo limite ma questo ha una forma alquanto diversa da quella di un cerchio o di un'ellisse. Le oscillazioni del sistema sono quindi molto irregolari: a una crescita lenta segue una decrescita molto rapida, quasi brusca, e così di seguito. È per questo motivo che Van der Poi le chiamò «oscillazioni con rilassamento». Le caratteristiche di queste oscillazioni appaiono più chiaramente nel diagramma che rappresenta le variazioni di 0 in funzione del tempo t, dove tè rappresentato sull'asse delle ascisse e 0sull' asse delle ordinate. La figura 3 .4 rappresenta due cicli completi dell'oscillazione. Lo studio delle oscillazioni con rilassamento condusse Van der Pol a riflettere sul fatto che numerosi altri fenomeni presentavano le stesse caratteristiche dei suoi circuiti elettrici oscillatori. In un articolo scritto in collaborazione con J. Van der Mark nel 1928 Van der Poi fornì ◄ Van der Pol 1926 e Van der Pol, Van der Mark 1928. ' 0 rappresenta l'oscillazione della corrente elettrica ero la 'velocità' di questa oscillazione.

27

CO

8

Figura 3.3 8

Figura 3.4 una lista dei fenomeni che, a suo avviso, presentavano oscillazioni con rilassamento. La lettura di questa lista è alquanto sorprendente: Alcuni tipici esempi di oscillazioni con rilassamento sono: l'arpa eoliana, un martello pneumatico, il rumore cigolante di un coltello su un piatto, lo sventolio di una bandiera al vento, il rumore ronzante che fa talvolta un rubinetto d' acqua, il cigolio di una porta, il multivibratore di Abraham e Bloch, il tetrodo multivibratore, le scintille periodiche prodotte da una macchina di Wimshurst, l'interruttore di Wehnelt, la scarica intermittente di un condensatore in un tubo a neon, la manifestazione periodica di epidemie e di crisi economiche, la densità

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periodica di un numero pari di specie animali che vivono assieme e una delle quali serve di nutrimento all'altra, il sonno dei fiori, la manifestazione periodica di temporali dopo una depressione, i brividi di freddo, la mestruazione, e infine i battiti del cuore (Van der Poi, Van der Mark 1928, pp. 765-66).

Questa lista è sorprendente per molte ragioni. In primo luogo a causa dell'eterogeneità dei fenomeni menzionati, i quali fanno riferimento a contesti molto diversi fra loro. Essi sono collegati fra loro soltanto da un'analogia che consiste nel fatto di essere tutti descrivibili con una sola immagine matematica, quella rappresentata nella figura 3.3. Ritroviamo così un concetto di cui abbiamo già parlato all'inizio di questo libro: il concetto di analogia matematica. La definizione che ne abbiamo dato nel capitolo 1 si adatta perfettamente a questa circostanza. In effetti Van der Pol è alla ricerca di analogie, nel senso generale e generico della parola, tra fenomeni talora assai diversi, dei quali uno almeno (nel caso specifico, il circuito elettrico auto-oscillante) può essere descritto matematicamente in modo semplice. La seconda ragione che rende sorprendente la nostra lista è l' assenza di ogni spiegazione delle ragioni per le quali i fenomeni in oggetto possono essere considerati come auto-oscillatori. Vedremo meglio nel capitolo seguente come la fisica matematica classica abbia codificato un complesso di regole generali che indicano le forme del passaggio dall'analisi dei fatti empirici alla loro formulazione matematica. Secondo questo complesso di regole occorre in primo luogo identificare con precisione, mediante un'analisi empirica o sperimentale, le caratteristiche più importanti del fenomeno studiato. Occorre, in secondo luogo, pervenire a una rappresentazione matematica, il che richiede l'identificazione delle variabili di stato del sistema e la costruzione di una 'struttura' matematica appropriata alla descrizione di quel fenomeno (si tratterà di equazioni o di qualcosa di analogo). Infine occorre stabilire un confronto fra le previsioni ottenute a partire dalla 'struttura' matematica e i dati reali, al fine di giustificare la rappresentazione matematica: qui l'analisi sperimentale gioca un ruolo centrale. Questa impalcatura concettuale non esiste più nella visione di Van der Pol. Nella lista degli «esempi di oscillazioni con rilassamento tipiche» soltanto alcuni di essi (il circuito elettrico, il tubo a neon, ecc.) possono essere considerati come fenomeni auto-oscillatori sulla base di un fondamento solido da un punto di vista teorico e sperimentale. In tutti gli altri casi l'esistenza di un'auto-oscillazione con rilassamento e di un ciclo limite poggia soltanto su un'intuizione vaga e priva di rigore: l'autore non fornisce alcuna giustificazione di questa esistenza, salvo la sua personale intuizione. Di fatto l'idea di rappresentare i fenomeni dina-

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tura non fisica descritti in questa lista mediante un 'oscillatore di Van der Poi' è nata e morta con questo articolo, con una sola eccezione: il battito cardiaco. In effetti in questo articolo troviamo la descrizione di un modello matematico che è divenuto il prototipo famoso di una lunga serie di modelli matematici del battito cardiaco i quali hanno dimostrato di esser validi e di avere un'effettiva utilità pratica. Quando Van der Poi parla della possibilità di descrivere in termini matematici la coesistenza delle specie animali, egli menziona i risultati di Volterra. Ma questo riferimento è privo di fondamento, perché i modelli classici di Volterra (di cui parleremo nel capitolo seguente) non presentano cicli limite. Si è anche tentato di descrivere le crisi economiche mediante modelli matematici 'analoghi' ai modelli di Volterra6. L'idea di descrivere la dinamica delle crisi economiche mediante autooscillazioni ha suscitato un interesse alquanto modesto. Gli altri suggerimenti di Van der Poi sono rimasti quasi tutti nel regno della fantasia. Dunque è soltanto nel caso del battito cardiaco che l'analogia di Van der Pol si è rivelata davvero feconda. Il modo in cui questo modello fu costruito è alquanto sorprendente ed è interessante darne una descrizione, sia pur sommaria. Per molto tempo si ritenne che i battiti del cuore fossero diretti dal sistema nervoso centrale, ma gli sviluppi della fisiologia moderna mostrarono che non era affatto cosl: il sistema nervoso può influenzare il ritmo cardiaco ma non ha il ruolo di 'controllore' (o pace-maker) di questo processo. Nonostante il cuore possieda una proprietà di irritabilità che lo rende sensibile agli stimoli del sistema nervoso, esso stesso è al1'origine della sua funzione di contrattilità. Per di più, ogni parte del cuore è capace di generare la contrazione in modo autonomo. Esiste tuttavia una gerarchia delle differenti parti del cuore nella funzione di stimolare la contrazione. Si ammette che il ruolo principale di 'pacemaker' appartenga a un sistema di cellule detto nodo sinusale o seno (S nella figura .3.5). Se il cuore è in buona salute, i suoi battiti sono regolati dallo stimolo che proviene dal seno e che si propaga nelle sue differenti parti, a cominciare dagli atri (o orecchiette) (AJ, A ). Ma se lo stimolo del seno non perviene agli atri, essi n~n mancheranno di contrarsi secondo un loro proprio ritmo, che è più lento di quello del seno. La stessa cosa accade per le altre parti del cuore. Lo stimolo del seno si trasmette dagli atri ai ventricoli (VJ, Vg) attraverso un fascio di fibre muscolari che è detto /ascio atrio-ventricolare o fascio di His (H). In tal modo si ottiene uno schema di ripartizione gerarchica del cuore in cinque parti che è alquanto grossolano: schemi di ripartizione più fini possono condurre a descrizioni più precise. La ge6

Si veda Goodwin 1982. Si veda anche infra il capitolo 22.

JO

s

Figura 3.5 rarchia adottata da Van der Poi è la più semplice possibile; essa è basata sull'ipotesi che le contrazioni rispettivamente degli atri e dei ventricoli siano sincrone (il che è vero soltanto in forma assai approssimata), e schematizza il cuore come un sistema a tre gradi di libertà: il seno (S), l'atrio (A), il ventricolo (V), con la gerarchia S ~A~ (H) ~ V (in cui il passaggio A ~ V non è diretto ma avviene attraverso la mediazione del fascio di His H). La manifestazione più evidente della contrattilità del cuore è la sua funzione di 'pompa' che determina la circolazione del sangue. È quindi naturale che una descrizione quantitativa del ciclo cardiaco abbia come obbiettivo dapprima gli aspetti meccanici e miri a misurare le variazioni di pressione indotte dall'attività del cuore. È questa, in effetti, la via seguita dalla fisiologia dal punto di vista storico: si misurava la variazione nel tempo della pressione intracardiaca (o arteriosa, o venosa) con diversi apparecchi e la si rappresentava mediante curve dette 'cardiogrammi'7. È assai sorprendente constatare che il cardiogramma del ventricolo di un cuore normale è del tutto analogo alla curva che si ottiene rappresentando le variazioni d'intensità della corrente elettrica in un circuito auto-oscillante 'alla Van der Poi'. In entrambi i casi, questa curva ha approssimativamente la forma rappresentata nella figura 3.4. 7

Una sintesi storica di queste ricerche si trova in Luciani 1923, voi. I, pp. 189-

244.

31

Ma ancor più sorprendente è il fatto che la matematizzazione dell'attività cardiaca non si sia -sviluppata seguendo la linea pur promettente dell'analogia meccanica. Nell'articolo di Van der Poi e Van der Mark non si fa menzione alcuna dell'analogia, sebbene evidente, fra il cardiogramma del cuore e la soluzione ddl'equazione di Van der Pol. Non è difficile spiegare questo disinteresse per l'analogia meccanica diretta. Già da alcuni anni un nuovo e potente strumento permetteva di analizzare il comportamento fisiologico e patologico del cuore e di dare una descrizione quantitativa di alcuni aspetti del suo comportamento: l'elettrocardiografia. Fu senza dubbio questa tecnica, legata alla scoperta che l'attività del cuore è associata alla produzione di una corrente elettrica misurabile8 , a spingere Van der Pol alla ricerca di un'analogia sul piano elettrico. E ciò nonostante la curva dell'oscillazione elettrica cardiaca (l'elettrocardiogramma rappresentato nella figura 3.9) non presenti la minima somiglianza con la curva dell'auto-oscillazione del circuito di Van der Poi (v. fig. 3.4). Scegliendo la via dell'analogia fra il suo modello elettrico e il comportamento elettrico del cuore umano, Van der Poi era da un lato influenzato dalle correnti dominanti nella ricerca scientifica dell'epoca, dall'altro ispirato da un'intuizione tanto fortunata quanto priva di solide giustificazioni. L'idea di Van der Pol fu dunque quella di assimilare il cuore a un sistema elettrico a tre gradi di libertà - le tre componenti S, A, V - ciascuna funzionante come un sistema elettrico a oscillazioni con rilassamento. Il sistema elettrico capace di produrre delle oscillazioni con rilassamento, e scelto da Van der Pol per il suo modello, è riprodotto nella figura 3 .6. Esso è formato da una lampada a neon Ne, da un condensatore C avente la capacità di 1 microfarad circa, da una resistenza R di 1 megaohm e da una batteria di 180 volt. Con queste caratteristiche fisiche il sistema dà luogo a un lampo nella lampada a neon circa ogni secondo. Il modello elettrico del cuore di Van der Pol è dato dall'accoppiamento gerarchico di tre di questi sistemi: il primo di essi rappresenta il seno, il secondo l'atrio e il terzo il ventricolo (v. fig. 3.7). La trasmissione dello stimolo da A a V è rappresentata mediante un sistema con ritardo realizzato mediante un quarto tubo a neon R, «che simula il tempo finito necessario allo stimolo per essere trasmesso dall'atrio al ventricolo attraverso il fascio atrio-ventricolare» (Van der Pol, Van der Mark 1928, p. 768).

"Questa scoperta, dovuta a Ludwig e Waller nel 1887, diede luogo allo sviluppo dell'elettrocardiografia soltanto dopo l'introduzione dell'uso sistematico del galvanometro a corda da parte di Einthoven nel 1907.

32

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Figura 3.6

Figura 3.7

L'apparecchio aveva l'aspetto descritto nella figura 3.8. «Lo strumento possiede sul retro tre chiavi, mediante le quali è possibile trasmettere un breve impulso elettrico ai sistemi S, A, e V, producendo così rispettivamente delle extrasistole del seno, dell'atrio e del ventricolo. Inoltre, l'accoppiamento fra A e V (atrio e ventricolo) può essere graduato a volontà, imitando in tal modo le belle esperienze di Erlanger consistenti nel serrare progressivamente il fascio di His» (Van der Poi, Van der Mark 1928, p. 769). È possibile ottenere elettrocardiogrammi del cuore artificiale sovrapponendo gli impulsi dell'atrio e del ventricolo e registrandoli con un oscillografo. Il risultato è rappresentato nella figura 3.9. L'analogia con l'elettrocardiogramma del cuore umano è evidente: si ritrovano i principali elementi costitutivi di quest'ultimo (l'onda P e il complesso 33

o 1 2 3 4

5 6 7 8 9

10

Figura 3.8

QRS) con l'eccezione dell'onda T. D'altra parte, il significato di quest'onda non era ancora ben chiaro all'epoca9 : «Poiché l'origine dell'onda T nell'elettrocardiogramma del cuore umano non è ancora del tutto chiara - osseivano Van der Poi e Van der Mark - non siamo in grado di inserire un meccanismo che la rappresenti» (Van der Poi, Van der Mark 1928, p. 769). Ma l'interesse del modello non è legato soltanto all'analogia che esiste fra i due elettrocardiogrammi (umano e artificiale). Abbiamo visto difatti che il modello concreto (v. fig. 3.9) era costruito in modo da permettere la simulazione dei disturbi di conduzione del battito cardiaco. In effetti Van der Poi e Van der Mark mostrarono che, trasmettendo degli impulsi al 'cuore' attraverso le chiavi poste sul retro dell'apparecchio, era possibile simulare i tre tipi standard di extrasistole del cuore umano: le extrasistoli ventricolari (v. fig. 3.10), quelle atriali (v. fig. 3.11) e quelle sinusali (v. fig. 3.12). Tuttavia l'articolo di Van der Poi e Van der Mark contiene un secondo gruppo di simulazioni che è ancor più interessante. Abbiamo visto che il modello conteneva un sistema con ritardo R che simulava il fascio di His. Modificando questo ritardo era possibile simulare delle lesioni più o meno gravi di questo fascio, le quali comportano per il cuore umano la perdita di una parte o di tutti gli stimoli provenienti dal seno e, di conseguenza, dei battiti ventricolari. Questa perdita può essere occasionale, ma una lesione accentuata può determinare una per9 Le oscillazioni dell'elettrocardiogramma rappresentano i processi di depolarizzazione e ripolarizzazione degli atri e dei ventricoli. L'onda T corrisponde alla ripolarizzazione ventricolare.

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T

a Elettrocardiogramma del cuore umano

Elettrocardiogramma del cuore artificiale

Figura3.9

2

3

1: cuore artificiale normale; 2 e 3: extrasistoli ventricolari

Figura 3.10 dita sistematica dei battiti ventricolari, che possono allora prodursi al ritmo di un battito ogni due battiti del seno o di un battito ogni tre battiti del seno, e cosl via, incluso il caso della «dissociazione completa». In quest'ultima circostanza, il ventricolo batte secondo il suo proprio ritmo (il ritmo «idio-ventricolare»). Queste situazioni sono note da lungo tempo sotto il nome di blocchi atrio-ventricolari; in particolare, i ca-

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2

3

1: cuore artificiale normale; 2 e 3: extrasistoli degli atrii

Figura 3.11

2

1: cuore artificiale normale; 2: extrasistole sinusale

Figura 3.12 si di un rapporto ben determinato fra i battiti, sono detti blocchi di Wenckebach di tipo n:l (dove il numero n dei battiti del seno può variare fra 1 e 5). Ebbene, il modello di Van der Poi permette di ottenere una classificazione completa di questi blocchi. La figura .3.13 mostra i risultati ottenuti modificando progressivamente il sistema con ritardo. Ma l'aspetto più interessante è che questa classificazione non era completamente nota all'epoca in cui fu pubblicato l'articolo di Van der Poi e Van der Mark: «Questa nuova teoria - osservavano gli autori permette di predire certe anomalie del ritmo cardiaco che, a nostra conoscenza, non sono state finora osservate e riconosciute nel cuore umano» (Van der Poi, Van der Mark 1928, p. 767). Pertanto il modello di Van der Poi non aveva soltanto una funzione descrittiva, ma poteva essere utilizzato per prevedere e classificare disturbi cardiaci conosciuti soltanto in parte all'epoca. È quindi facile comprendere perché la classe di modelli più perfezionati dedotti in seguito a partire da questo pri.36

2 3 4

5

6

7

1: elettrocardiogramma nonnale del cuore artificiale; 2: perdita occasionale del battito ventricolare; 3: blocco atrio-ventricolare 2:1; 4: blocco 3:1; 5: blocco 4:1; 6 e 7: blocco totale o dissociazione completa fra atrio e ventricolo.

FiguraJ.13 mo modello grossolano si rivelò assai utile (soprattutto nel quadro di un approccio informatico) tanto al fine di una classificazione scientifica quanto al fine di una diagnosi rapida dei disturbi di conduzione cardiaca 10 • Ci siamo soffermati cosl a lungo sul modello di Van der Pol perché, a nostro awiso, esso rappresenta un eccellente prototipo di 'modello matematico' nel senso moderno del termine. In esso vediamo all'opera il metodo dell'analogia matematica e una concezione del tutto nuova del rapporto fra teoria matematica e verifica empirica. Esamineremo ora in maggior dettaglio come questi due aspetti si connettano nel quadro di una concezione unitaria.

10 Questo modello non può essere utilizzato per analizzare gli aspetti nei quali non è possibile trascurare la velocità finita di propagazione della contrazione nel cuore. In questa circostanza occorre far uso di tecniche matematiche differenti (la teoria delle equazioni alle derivate parziali). Non è quindi possibile studiare disturbi come la fibrillazione o il flutter nel quadro concettuale del modello di Van der Poi. Per un modello più recente, si veda Zloof, Rosenberg, Abbott 1973. Invece Zeeman 1972 presenta una generalizzazione del modello di Van der Poi nel linguaggio della teoria delle catastrofi (si veda anche infra il capitolo 20).

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Abbiamo già osservato che, nell'approccio di Van der Pol, il modello non è costruito sulla base di un'analisi rigorosa delle proprietà specifiche del fenomeno studiato. La via seguita è piuttosto quella di una ricerca di analogie fra alcune caratteristiche importanti del fenomeno in oggetto e le caratteristiche di un altro fenomeno, per il quale si dispone di una rappresentazione matematica soddisfacente. Il fenomeno che serve da modello non è di natura necessariamente meccanica: pertanto le rappresentazioni di tipo meccanico non hanno un ruolo privilegiato; quel che conta è la struttura matematica: a essa compete il ruolo di modello. Come abbiamo osservato nel capitolo 1, questo metodo consiste dunque nel trovare delle 'analogie' (nel senso generale e generico del termine) tra fenomeni talora assai diversi fra loro, e fra i quali ne esiste almeno uno suscettibile di una descrizione matematica 'semplice'. Non appena stabilite queste analogie, tale descrizione sarà un modello matematico per tutti i fenomeni 'simili'. Non insisteremo mai abbastanza sul carattere assai vago e talora arbitrario dell'analogia di partenza, la quale può ridursi persino a un'intuizione vaga ed embrionale e rivelarsi alla fine persino infondata. Nel capitolo successivo mostreremo in modo più chiaro l'abisso che separa questo procedimento alquanto audace dai metodi prudenti della fisica matematica classica, ma mostreremo anche la persistenza di legami più o meno nascosti. La costruzione di un modello non è mai, in fin dei conti, totalmente arbitraria, perché non è possibile sopprimere l'esigenza di una giustificazione dell'analogia. L'approccio della fisica classica era ispirato al metodo sperimentale, fondato sull'idea galileiana del «cimento»: si interroga la natura e si confrontano i risultati ottenuti con le previsioni matematiche. L'approccio seguito da Van der Pol segue soltanto in parte questo punto di vista: la modellistica matematica se ne allontanerà ancor di più, accontentandosi di vaghe verifiche o di ragionamenti generali volti a giustificare la verosimiglianza del modello. L'analogia fra il battito cardiaco e le oscillazioni con rilassamento non è altro che un'ipotesi vaga e inverificabile: i due fenomeni non hanno alcun punto di contatto evidente. Per avvicinarli, Van der Pol costruisce un modello concreto del cuore mediante circuiti elettrici che producono delle oscillazioni con rilassamento. A posteriori questo armamentario permette di legittimare l'analogia iniziale. Persiste tuttavia un profondo iato fra realtà e modello: il modello non è dedotto dalla realtà e non rappresenta neppure un'approssimazione concettuale, tutt'al più si tratta di una meta/ora matematica di alcuni suoi aspetti. In effetti è chiaro che il modello di Van der Poi non è una rappresentazione del cuore, e neppure un modello del ritmo cardiaco, perché esso trascura deliberatamente numerosi aspetti tutt'altro che accessori del processo. Questo modello ci offre soltanto una metafora matematica di alcuni lati del fe-

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nomeno. La sua legittimità è a posteriori e si basa su una catena alquanto complessa di connessioni che permettono di stabilirne la verosimiglianza e l'utilità. La scelta dell'analogia di partenza può essere soltanto giustificata entro un contesto intuitivo, psicologico o storico, ma al di fuori di questo contesto è priva di qualsiasi fondamento. In conclusione il modello di Van der Pol offre un eccellente esempio del metodo dell'analogia matematica. Esso mostra come uno schema matematico possa divenire uno strumento capace di rappresentare fenomeni anche molto diversi fra loro. Il legame che la modellistica così stabilisce fra questi fenomeni sarà designato più tardi da un teorico della teoria dei sistemi, Ludwig von Bertalanffy 11 , con un termine ripreso dalla matematica: isomorfismo. Il fatto di condividere una rappresentazione matematica unica permette di considerare dei fenomeni diversi come 'isomorfi', cioè come 'aventi la stessa forma'. 11

Si veda Bertalanffy 1%8.

Capitolo quarto

UN DIVERSO PUNTO DI VISTA: I MODELLI DI DINAMICA DELLE POPOLAZIONI DI VOLTERRA

In questo capitolo esamineremo un altro esempio di modello matematico. Il suo interesse deriva dal fatto che, nonostante fosse concepito negli stessi anni in cui Van der Poi pubblicava i suoi lavori, esso è ispirato da un approccio radicalmente diverso, legato a una concezione assai tradizionale dell'analogia meccanica e che ha come punto di riferimento esplicito i metodi della fisica matematica classica. L'autore di questo modello, Vito Volterra, era uno dei matematici italiani più famosi dell'epoca. Volterra si interessava soprattutto dianalisi matematica e di problemi di teoria dell'elasticità. Tuttavia il suo interesse per le applicazioni della matematica fuori del campo della fisica si era manifestato fin dagli inizi della sua attività scientifica. Nel capitolo 1 abbiamo citato un brano di una conferenza che Volterra tenne nel 1901, e che era dedicata proprio alle applicazioni della matematica alle scienze biologiche e sociali. Il punto di vista di Volterra era classico: esso seguiva un approccio strettamente determinista e meccanicista, e si riferiva alla fisica matematica e alla meccanica come alle cornici concettuali necessarie a costruire nuove branche scientifiche degne di questo nome. Come vedremo, agli inizi del secolo Volterra si interessò molto alle applicazioni della matematica all'economia sviluppate da Léon W alras e da Vilfredo Pareto. Egli considerava i loro lavori come un eccellente esempio di una corretta trasposizione dei metodi della meccanica a una scienza non fisica. Nella conferenza del 1901 egli rivolgeva invece la sua attenzione alle applicazioni della matematica alla biologia e le considerava molto meno soddisfacenti di quelle economiche, in quanto rientravano piuttosto nel campo dei metodi statistici e probabilistici (e, in particolare, nel campo della 'biometria') che non in quello dei metodi matematici 'propriamente detti', da lui identificati con il calcolo infinitesimale. Volterra stesso spiegò, in questa conferenza, quale era il metodo da seguire nella matematizzazione della realtà. Non è sufficiente 'utilizzare' la matematica, perché «il tradurre nel linguaggio dell'aritmetica o 40

della geometria i fatti della natura, è piuttosto schiudere il varco alle matematiche che non porre in opra lo strumento dell'analisi» (Volterra 1901, p. 9). Occorre invece ricorrere a un vero e proprio metodo: Lo studiare le leggi con cui variano gli enti suscettibili di misura, l'idealizzarli, spogliandoli di certe proprietà o attribuendone loro alcune in modo assoluto, e lo stabilire una o più ipotesi elementari che regolino il loro variare simultaneo e complesso; ciò segna il momento in cui veramente si gettano le basi sulle quali potrà costruirsi l'intero edificio analitico. Ed è allora che si vede rifulgere tutta la potenza dei metodi, che la matematica largamente pone a disposizione di chi sa usarli. [. .. ] Plasmare dunque concetti in modo da potere introdurre la misura; misurare quindi; dedurre poi delle leggi; risalire da esse a ipotesi; dedurre da queste, mercé l'analisi, una scienza di enti ideali, s1, ma rigorosamente logica; confrontare poscia colla realtà; rigettare o trasformare, man mano che nascono contraddizioni fra i risultati del calcolo e il mondo reale, le ipotesi fondamentali che han già servito; e giungere così a divinare ad argomentare quale fu il passato e che cosa sarà l'avvenire; ecco, nei più brevi termini possibili, riassunto il nascere e l'evolversi di una scienza avente carattere matematico (Volterra 1901, pp. 10-12). -

L'occasione di mettere in opera questo metodo in biologia si presentò nel 1925. L'interesse di Volterra per i problemi di equilibrio fra specie animali negli ecosistemi fu suscitato da suo genero, lo zoologo Umberto D'Ancona (1896-1964). D'Ancona si occupava da alcuni anni di statistiche concernenti la pesca nel nord dell'Adriatico. I dati di queste statistiche riguardavano la percentuale dei predatori (Selaci) pescati in tre porti italiani: T deste, Fiume e Venezia. Essi mostravano che questa percentuale era in generale abbastanza stabile (dal 10 al 12% circa), ma che durante gli ultimi anni della prima guerra mondiale e nei due o tre anni seguenti si era verificata una crescita significativa dei Selaci. Una sintesi delle statistiche di D'Ancona è contenuta nella figura 4.1. La sola circostanza che sembrava chiaramente legata a questa crescita era una diminuzione dell'attività di pesca causata dalle attività belliche, e precisamente dalla guerra navale nell'Adriatico durante la prima guerra mondiale. Secondo l'ipotesi di D'Ancona, la pesca perturbava l'equilibrio naturale fra le specie determinando un incremento relativo delle specie 'preda', cioè dei pesci che si nutrono soltanto di plancton, e una diminuzione delle specie predatrici che si nutrono di altri pesci. Pertanto la diminuzione della pesca dovuta alla guerra aveva ristabilito, almeno in parte, l'equilibrio naturale. D'Ancona si rivolse a Volterra chiedendogli di trovare una dimostrazione matematica della sua ipotesi.

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Figura 4.1 Volterra affrontò con molto entusiasmo il problema che gli era stato posto 1 • L'approccio che egli seguì è un'eccellente illustrazione delle sue concezioni meccaniciste. Come in meccanica, per studiare il moto di un corpo (ad esempio, l'oscillazione di un pendolo o la caduta di un corpo lungo un piano inclinato), si comincia con lo studiare il fenomeno facendo astrazione dall'attrito e quindi considerando un caso limite ideale, così Volterra affrontò il problema di D'Ancona facendo astrazione proprio dal fenomeno della pesca. Si trattava di considerare la pesca come una sorta di 'attrito' del sistema, di far astrazione fin dall'inizio da questo elemento che perturbava il fenomeno 'puro', di esaminare quindi il caso della coesistenza fra una specie di prede e una specie di predatori, di descriverla matematicamente, e successivamente di reintrodurre la perturbazione, cioè l'attrito dovuto alla pesca, per vedere se l'ipotesi di D'Ancona fosse corretta. La rappresentazione matematica del fenomeno della coesistenza fra prede e predatori data da 1

I risultati ottenuti da Volterra furono pubblicati in Volterra 1926 (a).

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Figura 4.2 Volterra è legata a una visione meccanicista in modo ancor più profondo. Le due popolazioni sono schematizzate mediante due sistemi di particelle che si muovono a caso in un recipiente chiuso che rappresenta l'ambiente naturale: il mare nel nostro caso. Questo modello è ben noto in fisica, e in particolare in meccanica statistica: si considera un gas perfetto come un insieme di particelle che si spostano e si urtano a caso in un recipiente chiuso (v. fig. 4.2). Nel modello di Volterra ogni collisione rappresenta un 'incontro' fra una 'particella-preda' e una 'particella-predatore' e fornisce al predatore l'occasione di divorare una preda. Tentiamo ora di descrivere la traduzione matematica data da Volterra di questo modello meccanico di un ecosistema formato da una popolazione di prede e una popolazione di predatori. Le due popolazioni saranno rappresentate da due numeri che variano nel tempo, ovvero da due funzioni del tempo, x(t) e y(t), che rappresentano rispettivamente il numero delle prede e il numero dei predatori all'istante t; x(t) e y(t) sono dunque le due variabili di stato del sistema. Occorre innanzitutto esaminare quel che accade quando le due popolazioni non si incontrano; e quindi esaminare ancora una volta una situazione limite. In questo caso le prede si riprodurranno nutrendosi di plancton, mentre i predatori che hanno come unico nutrimento le prede finiranno con l'estinguersi. La traduzione in termini matematici di questo caso impone una digressione.

43

Abbiamo già esaminato il problema della legge matematica della crescita di una popolazione N(t) nel capitolo 1. Esaminiamo ora la questione più da vicino. Come è possibile rappresentare le variazioni di una popolazione in un intervallo di tempo qualsiasi, che denoteremo col simbolo Lll? La risposta è semplice: se N(t) è il numero degli individui all'istante t, questo numero sarà, al termine dell'intervallo Lit, N(t + Lit). La differenza fra i due numeri N(t) e N(t + Lit) misura il numero degli individui presenti in più, o in meno, dopo il tempo Lit. Denoteremo questa differenza con il simbolo L1N. Ma se si desidera stimare come varia la variazione stessa, ovvero misurare la 'velocità' con cui varia la popolazione, il numero L1t non serve: occorre piuttosto conoscere il rapporto fra questa variazione e l'intervallo di tempo: L1N Lit

N(t +Lit) - N(t) Lit

La quantità soprascritta rappresenta quindi la velocità con cui varia la popolazione in un certo intervallo di tempo Lit: ad esempio, nel corso di un anno, un mese, un giorno, ecc. È allora naturale chiedersi quale sia questa velocità di variazione istante per istante. Questo passaggio dalla misura media di una quantità alla sua misura istantanea (che rappresenta, in certo senso, il suo 'vero' valore) è un procedimento consueto. Ad esempio, se si impiega un tempo Lit per andare in automobile da una città A a una città B, è usuale calcolare la velocità media di percorrenza dividendo per Lit la distanza fra A e B. Ma questorisultato, per quanto interessante, non fornisce alcuna informazione circa la velocità dell'automobile in un istante dato, Per conoscere questa velocità, almeno in via approssimata, occorrerebbe fare la divisione di cui sopra per intervalli di tempo molto piccoli, anzi 'tendenti a zero'. Si tratta, almeno in linea di tendenza, di quel che fa il tachimetro dell'automobile quando segna con la lancetta la velocità 'ad ogni istante'. Questo calcolo di rapporti fra quantità 'tendenti a zero' forma l'oggetto di una branca fondamentale della matematica: il calcolo infinitesimale. Calcolando il rapporto L1N/L1t quando Lit tende a zero, si ottiene quindi la velocità con cui varia la popolazione all'istante t. Il valore 'limite' che rappresenta questa velocità istantanea si chiama derivata della funzione N(t) rispetto al tempo t. La denoteremo col simbolo N(t) (o dN/dt o anche N'(t)). Osserviamo ora che la velocità (media o istantanea) di crescita di una popolazione non è una grandezza di cui si parla solitamente, mentre è abituale misurare la crescita di una popolazione mediante il tasso di crescita: per esempio, dicendo che essa cresce al tasso annuo del 2%, il che significa che essa si incrementa di 2 individui ogni 100 individui in un anno. 100 rappresenta la popolazione all'inizio dell'anno: si tratta dun-

44

que di N(t) dove tè l'istante iniziale dell'anno; 2 rappresenta la crescita L1N. La crescita relativa è data dal rapporto fra la crescita annua e la popolazione iniziale, ovvero da L1N/N: si tratta del cosiddetto tasso di crescita annuo della popolazione. Per conoscere il tasso di crescita in un intervallo di tempo .1t, basta dividere la quantità precedente per .1t:

L1N

..1N = N(t + ..1t) - N(t) ..1t - N(t) · ..1t N(t) · .1t

N(t) _

Riconosciamo in questa espressione la presenza della velocità media di crescita della popolazione nell'intervallo di tempo .1t. Possiamo allora 'far tendere .1t a zero' e ottenere così il tasso di crescita della po-

polazione all'istante t: N(t) N(t).

Finora ci siamo limitati a dare definizioni matematiche. Il problema empirico è invece il seguente: qual è il valore del rapporto scritto sopra? Più precisamente: è possibile stabilire il tasso di crescita istantaneo di una popolazione data e in circostanze ambientali date? Il problema empirico è dunque il seguente: N(t) N(t)

=?

.

Sono state date molte risposte a questa domanda. La prima risposta (che è anche la più semplice e la più grossolana) è attribuita a Thomas R. Malthus (1766-1834): il tasso di crescita è costante. La popolazione crescerebbe dunque costantemente del 2%, 5%, 20%, ecc. in rapporto alla popolazione umana o animale considerata. Si ottiene così l'equazione N(t) =k N(t), dove il tasso di crescita k è un numero costante. In altri termini, la velocità di crescita di una popolazione è proporzionale al suo numero. Da questa ipotesi deriva una conseguenza dimostrabile in termini matematici: secondo questa legge la popolazione crescerà senza limite e in modo esplosivo, seguendo una tendenza detta esponenziale. Non discuteremo qui i limiti entro cui questa ipotesi è verosimile2. Ci limiteremo a osservare che la legge di crescita malthusiana o esponenziale è in contrasto con i fatti quando N(t) è grande e si accorda ab2 Per maggiori dettagli si veda lsrael 1986; si troveranno anche alcune osservazioni nel capitolo 7.

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bastanza bene con essi per popolazioni poco numerose. Ciò è dovuto al fatto che questa legge non tiene conto dei limiti imposti alla crescita dall'ambiente. Quando questi limiti non sono sensibili (per abbondanza del cibo, assenza di inquinamento, ecc.) il processo di crescita è influenzato soltanto dal potenziale 'riproduttivo' che è allora caratterizzato da una tendenza esponenziale intrinseca. Torniamo ora al problema di D'Ancona e Volterra. Volterra suppone che il tasso di crescita della popolazione delle prede sia costante, in altri termini che la sua crescita sia malthusiana. Si tratta di un'ipotesi accettabile se si suppone che l'ambiente marino offra ai pesci tutto il nutrimento necessario. La crescita della popolazione delle prede sarà allora rappresentata dall'equazione x(t) = A x(t), dove A è un numero positivo. La situazione è del tutto diversa nel caso dei predatori che dipendono dalle prede per il loro nutrimento. In assenza di queste ultime i predatori si estingueranno progressivamente. L'ipotesi di Volterra è che questa estinzione si verifichi a una velocità esponenziale. Il tasso di decrescita dei predatori è dato allora da un numero negativo: y(t) = -C y(t), dove C è un numero positivo. Occorre ora introdurre l'interazione fra prede e predatori, cioè rappresentare matematicamente il meccanismo di predazione. Allo scopo occorre tornare alla descrizione meccanica di tale interazione fornita da Volterra e che si basa sulla 'teoria degli incontri' che abbiamo esposto qualche pagina prima (v. anche fig. 4.2). La predazione potrà verificarsi se una preda e un predatore si incontrano. In prima approssimazione, questo modello non tiene conto degli incontri fra tre, quattro o più individui. Il numero delle predazioni sarà allora proporzionale al numero totale degli incontri possibili fra una preda e un predatore. È facile constatare che il numero di questi incontri a due a due è uguale al prodotto dei numeri degli individui delle due popolazioni. In effetti, ogni preda potrà incontrare y predatori. Gli incontri possibili saranno quindi x ·y. La diminuzione del numero delle prede è quindi proporzionale a questo prodotto. La stessa situazione si verifica per i predatori, che potranno sopravvivere e riprodursi soltanto divorando le prede3. Occorre quindi sottrarre dalla velocità di crescita delle prede un termine proporzionale al prodotto x · y e aggiungere alla velocità di crescita dei predatori un termine dello stesso tipo. Le equazioni di Volterra (dette 3 Beninteso, le costanti di proporzionalità corrispondenti (B e D nel sistema di equazioni che segue) non sono uguali, perché la sparizione di una preda non comporta automaticamente la nascita di un predatore...

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equazioni di Volterra-Lotka per ragioni che spiegheremo nel capitolo successivo) si presentano sotto la forma seguente: x(t) = A x(t) -B x(t) y(t) { y(t) = -C y(t) + D x(t) y(t) Non è possibile sviluppare qui l'analisi matematica che conduce alla determinazione del diagramma di fase, e cioè delle traiettorie geometriche che rappresentano l'evoluzione delle variabili di stato del sistema nel tempo. Questa analisi permette di mostrare che il sistema evolve secondo le traiettorie rappresentate nella figura 4.3, e che sono state ottenute mediante un calcolatore, determinando le soluzioni per valori particolari dei coefficienti A, B, C, D. L'interpretazione della loro forma è assai semplice. Partiamo, ad esempio, dal punto I che rappresenta uno stato dell'ecosistema nel quale le prede e i predatori sono assai poco numerosi. La scarsità dei predatori, e quindi degli incontri, favorisce la crescita del numero delle prede. L'andamento verso destra della traiettoria mette in evidenza chiaramente tale crescita. A poco a poco l'incremento del numero delle prede (cioè dix) contribuisce all'incremento del numero degli incontri, il che favorisce, a sua volta, la crescita del numero dei predatori. La traiettoria mostra questa evoluzione salendo risolutamente verso l'alto. Questa tendenza persiste fino al momento in cui i predatori, sempre più numerosi, cominciano a distruggere le prede in modo sempre più intenso. La traiettoria flette, in effetti, verso sinistra evidenziando la diminuzione dix, il che comporta una conseguenza disastrosa per i predatori che in tal modo distruggono il loro mezzo di sussistenza. Di conseguenza y diminuisce fino a che il sistema ritorna allo stato I. E così di seguito. La prima conclusione che si può ricavare da questo modello (e che lo stesso Volterra chiamò prima legge) è la seguente: la coesistenza fra una specie di prede e una specie di predatori ha un andamento periodico e i numeri delle specie oscillano indefinitamente. Il lettore avrà ora l'opportunità di svolgere un calcolo elementare. Fra tutte le evoluzioni possibili, quelle che si riducono a un punto hanno un'importanza del tutto speciale. Si tratta dei cosiddetti stati di equilibrio del sistema. In effetti, se una traiettoria si riduce a un punto, ciò significa che il sistema resta in questo stato per l'eternità, cioè che si trova 'in equilibrio'. Abbiamo già incontrato altri esempi di equilibri studiando il pendolo con o senza attrito. Il punto O = (O, O) delle figure 2.5 e 2.8 rappresenta uno stato di equilibrio del pendolo ben noto: quello in cui il pendolo ha una velocità nulla e si trova nella posizione verticale inferiore (corrispondente alla posizione O della figura 2.4). Si

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y

X

o Figura 4.3 tratta di uno stato in cui resterà per l'eternità se non sarà 'svegliato' da un intervento esterno. Il punto (O, O) è anche uno stato di equilibrio per il sistema rappresentato nelle figure 3 .2 e 3 .3. Dal punto di vista matematico un equilibrio è caratterizzato dal fatto che le variabili di stato del sistema restano costanti nel tempo. Nel nostro caso ciò significa che x(t) e y(t) sono delle costanti, dei numeri xe y, cioè: x(t)=xe y(t)=y, per ogni istante t. In questo stato di equilibrio le due popolazioni restano costanti nel tempo, il che significa che le loro velocità di variazione sono nulle: x(t) = O, y(t) = O. Quindi per ottenere gli stati di equilibrio del sistema di equazioni di Volterra-Lotka è sufficiente porre x(t) =y(t) = Oe calcolare i valori dix e y che soddisfano queste relazioni. Ciò equivale a risolvere il sistema di equazioni:

A x(t)-B x(t) y(t) = O { -C y(t) + D x(t) y(t) = O Ciò è assai facile, e il lettore potrà verificare senza difficoltà che le uniche soluzioni di questo sistema sono i punti di coordinate (O, O) e (C/D, AIB). Nel primo caso si ottiene uno stato di equilibrio banale: le popolazioni non esistono e il loro numero è quindi nullo per l'eternità. Il secondo equilibrio è non banale e dipende dai valori del tasso di crescita A delle prede e del tasso di mortalità C dei predatori, nonché dai coefficienti di predazione B e di voracità D. 48

Nella figura 4.4 forniamo un'altra rappresentazione dell'evoluzione del sistema, analogamente a quanto si è fatto nel caso del pendolo, nel capitolo 2. Le variazioni delle popolazioni non sono rappresentate nello spazio delle fasi, ma nel piano cartesiano ordinario con il tempo in ascissa e i valori dix e y in ordinata. L'andamento periodico delle oscillazioni delle due variabili è evidente. Le due rette rappresentano lo stato di equilibrio delle prede e dei predatori, rispettivamente x = C/D e y=AIB. ,,

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Equilibrio delle prede

Figura 4.4 L'equilibrio (CID, AIB) del sistema di Volterra-Lotka ha un ruolo molto importante nella formulazione della seconda legge di Volte"a. Per enunciare questa legge occorre partire dal concetto di valore medio di una popolazione. Tale nozione è ben nota: la popolazione media su un periodo dato (ad esempio un anno) si ottiene considerando un certo numero di censimenti della popolazione eseguiti a intervalli fissi (per esempio ogni mese); se si censisce la popolazione all'inizio dei mesi dell'anno si ottengono i numeri N1, N2, NJ' ... N 11 , N 12 . Occorre quindi dividere

1a somma N1 + N2 + ... + N 12 per 12 . Il numero

N1+N2+ ... +N12 co12

sl ottenuto rappresenta il valore medio della popolazione nel periodo considerato. Questo valore medio delle popolazioni x e y può essere calcolato per un intervallo di tempo qualsiasi. Ci scontriamo tuttavia

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qui con una difficoltà: x(t) e y(t) rappresentano delle misure effettuate in un istante qualsiasi del tempo te quindi i dati sono in numero infinito. La matematica insegna a superare questa difficoltà permettendo di definire e calcolare la media di un numero infinito di dati con un procedimento del tutto analogo a quello che permette di passare dal concetto di velocità media a quello di velocità istantanea4 • È interessante calcolare il valore medio delle popolazioni in un 'periodo', cioè nell'intervallo di tempo necessario per fare un giro completo di una delle curve chiuse che rappresentano l'evoluzione del sistema. Ad esempio, nel caso della figura 4.3 il periodo è il tempo necessario per andare da I a I sulla traiettoria5 • Il risultato più significativo è il seguente: il valore medio della popolazione x(t) in un periodo è sempre uguale a C/D quale che sia la traiettoria considerata. Lo stesso accade per il valore medio di y(t) su un periodo: esso è sempre uguale a AIB. Questo risultato è il contenuto della seconda legge di Volterra. Questa legge ci permette di fare dei confronti fra il modello e i dati statistici. In effetti è facile calcolare i valori corrispondenti all'equilibrio. La seconda legge ci garantisce che questi valori sono i dati davvero significativi del modello, perché sono indipendenti dalle particolari traiettorie di evoluzione del sistema. Questa osservazione ci permette di ottenere la terza legge di Volterra, la quale fornisce una spiegazione del fenomeno di D'Ancona. Occorre ora tenere conto dell'attività della pesca, e quindi introdurre nel modello questo tipo di 'attrito' dal quale abbiamo finora fatto astrazione. La pesca può essere considerata come un 'prelievo' indiscriminato di prede e di predatori: si lanciano le reti e si catturano delle quantità di entrambe le specie proporzionali alla loro presenza, ovvero al loro numero. La diminuzione delle due popolazioni è quindi proporzionale ai numeri x e y e il coefficiente di proporzionalità dipende soltanto dall"intensità' della pesca. Occorre allora sottrarre dai secondi membri delle equazioni rispettivamente i termini ex(t) e ey(t), dove e è un numero positivo che viene chiamato precisamente 'intensità della pesca'. In tal modo si otterranno le equazioni: x(t) = A x(t) - B x(t) y(t) - ex(t) { y(t) = -C y(t) + D x(t) y(t) - ey(t)

4 In quel caso si definisce la velocità istantanea mediante il concetto matematico di derivata. Qui è il concetto di integrale che permette di definire la nozione di valore medio. ' Nella figura 4.4 si tratta del tempo necessario per percorrere il tratto di una curva compreso fra un vertice e quello successivo.

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Il calcolo dell'equilibrio non banale (a coordinate non tutte nulle) di questo nuovo sistema è semplice: le sue coordinate rappresentano evidentemente i valori medi delle due popolazioni in un periodo, nel caso in cui vi sia attività di pesca. Questo equilibrio è rappresentato dal punto di coordinate ( C;

e, A i e). Ne segue la teri.a legge di Volterra,

che si enuncia al seguente modo: a causa della pesca, il valore medio della popolazione delle prede x cresce della quantità e/D, mentre il valore medio della popolazione dei predatori y diminuisce della quantità e/B. Il fenomeno di D'Ancona è cosl spiegato: la crescita del numero dei predatori e la diminuzione del numero delle prede erano conseguenza dell'interruzione della pesca, che aveva modificato l'equilibrio naturale che esisteva prima della guerra fra prede e predatori, a vantaggio delle prime. La sospensione della pesca aveva ristabilito le condizioni naturali, favorendo lo sviluppo delle specie predatrici6 • La giustificazione delle statistiche di D'Ancona non fu l'unico successo del modello di Volterra. Questo modello può essere anche utilizzato per fornire una brillante spiegazione di taluni effetti apparentemente contraddittori dell'uso dei pesticidi in agricoltura. Consideriamo, ad esempio, il seguente fatto storico. Nel 1868 un parassita del cotone, l'insetto di origine australiana lcerya Purchasi, si introdusse negli Stati Uniti dove danneggiò in modo imponente le coltivazioni di agrumi. Si pensò allora di introdurre il suo predatore naturale australiano, la coccinella Novius Cardinalis, grazie alla quale la presenza dell'Icerya Purchasi fu contenuta e ridotta a un livello assai basso. Più tardi la sco-

perta del pesticida DDT suggerì un nuovo intervento volto a eliminare completamente il parassita. Il risultato fu opposto agli effetti sperati: il numero degli lcerya Purchasi aumentò! Questo fenomeno può essere facilmente spiegato nel quadro del modello di Volterra, perché l'uso del DDT può essere considerato come una sorta di 'pesca' degli insetti. Il modello prevede, nel caso di intensificazione della pesca, un incremento del numero delle prede (Icerya Purchasi) e una diminuzione del numero dei predatori (Novius Cardinalis). Quanto precede potrebbe suggerire la conclusione che il modello di Volterra sia in perfetto accordo con i fatti empirici. Purtroppo la si6 Per una descrizione più dettagliata dei risultati di Volterra si veda Israel 1988, 1990 (b), 1991 (c), 1993 (c) e l'introduzione all'ed. it. (199.5) di Volterra, D'Ancona 193.5. Una presentazione elementare del contenuto delle tre leggi fu fatta in un film preparato nel 1938 da un collaboratore di Volterra, il biomatematico russo Vladimir A. Kostitzin (1882-1963), in collaborazione conJean Painlevé (1902-1989), pioniere della cinematografia di divulgazione scientifica. Questo film è conservato negli archivi del Palais de la Découverte a Parigi. Per una descrizione del contenuto e dello stile dd film si veda Millan Gasca 1993,

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tuazione non è così semplice. La migliore dimostrazione della validità del modello di Volterra consiste nella sua capacità di giustificare dei fenomeni 'alla D'Ancona'. Ma è possibile dire che ciò sia dovuto al fatto che un ecosistema formato da una specie di prede e da una specie di predatori evolve secondo l'andamento ciclico previsto dal modello e rappresentato nelle figure 4.3 e 4.4? Non esiste una risposta chiara e univoca a tale quesito. Alcuni anni dopo la formulazione di questo modello si tentò di verificarne la prima legge (e cioè la periodicità delle oscillazioni). Lo stesso Volterra si dedicò col massimo impegno al perseguimento di questo obbiettivo7 • Gli inizi furono promettenti: le esperienze del biologo russo Jurij Francevic Gause (1910-1989) sembrarono confermare la prima legge e Gause stesso scrisse a Volterra manifestando la sua adesione alle previsioni del modello. Ma il seguito fu deludente: non si riuscivano a trovare casi veramente chiari e inconfutabili di un comportamento ciclico negli ecosistemi preda-predatore. Le obbiezioni si moltiplicarono fino a che molti ecologisti cambiarono opinione e si giunse fino al punto che l'interpretazione delle statistiche di D'Ancona venne rimessa in discussione. Secondo certi biologi, fra cui Karl Pearson (1857-1936) e Friedrich Simon Bodenheimer (18971959), le conclusioni di D'Ancona erano corrette soltanto se si contavano i Selaci relativamente alla massa totale degli animali bentonici commestibili, mentre non erano più evidenti se da questa massa si sottraevano le seppie. Verso la fine di questa polemica persino D'Ancona aveva quasi cambiato parere e ammetteva che le critiche di Pearson, Bodenheimer e Gause avevano un fondamento. Fino a oggi il solo esempio di ecosistema pred~-predatore che presenta un'evoluzione avente un carattere approssimativamente ciclico è dato da una statistica concernente le lepri e le linci del Canada. La storia di questa statistica è alquanto curiosa. Per molti anni, dal 1847 al 1903, la Hudson's Bay Company controllò la caccia della lince del Canada (o 'gatto del Canada') e del suo alimento primario, la lepre, registrando con regolarità il numero di animali cacciati. Nonostante queste cifre forniscano un'idea soltanto approssimativa della densità effettiva delle linci e delle lepri in quella zona, esse presentano il vantaggio di estendersi su un periodo molto lungo, più di mezzo secolo. Esse forniscono quindi un'immagine molto interessante, forse unica, di una dinamica delle variazioni di densità di due popolazioni animali, sintetizzata nell'istogramma della figura 4.5. 7 Sui tentativi messi in opera da Volterra per verificare le sue teorie dal punto di vista sperimentale e sulle sue discussioni con i biologi, si veda Millan Gasca in stampa, Israel, Millan Gasca 1993, e l'introduzione all'edizione italiana (199.5) di Volterra. D'Ancona 1935.

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Figura4.5

La figura 4.5 mostra chiaramente l'andamento oscillatorio e (approssimativamente) periodico del numero delle lepri e dei loro predatori, il quale è in discreto accordo con il modello di Volterra. Ma si tratta di un caso isolato. La questione della validità generale del modello di Volterra resta aperta. Si potrebbe anche dire che essa è chiusa, se si ammette che questo modello, a causa della sua estrema semplicità, può spiegare soltanto situazioni limite, ovvero dei casi di laboratorio o quello dell'ecosistema lepri-linci, nel quale le influenze esterne sono trascurabili. In tutte queste circostanze le interazioni fra prede e predatori sono, per cosl dire, allo stato 'puro', cioè non sono perturbate da fattori esterni. Non appena si ha a che fare con una situazione più complessa, come è quasi sempre il caso degli ecosistemi naturali, il modello si rivela del tutto inadeguato. Nei capitoli 7 e 21 torneremo sugli sviluppi della teoria matematica della coesistenza fra popolazioni animali, volti a perfezionare i primi risultati di Volterra. Per il momento il nostro obbiettivo è soltanto quello di sottolineare gli aspetti essenziali del modello di Volterra e di mettere in luce la concezione che lo ispira, in modo da distinguerla nettamente dagli approcci alla Van der Pol. In primo luogo il modello di Volterra non è dedotto per analogia, come nel caso del modello di Van der Pol. Esso è ispirato da un approccio del tutto classico: si parte dall'analisi di un fenomeno reale, si fa .astrazione dagli aspetti accessori ('attriti'), si determinano le variabili di stato, e si formula un'ipotesi matematica circa l'andamento del fe.

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nomeno. In secondo luogo il modello è costruito sulla base di un'analogia meccanica: si potrebbe persino dire che esso è l'espressione di un tentativo di trapianto di concetti della meccanica in biologia. Infine nel modello di Van der Pol il problema della verifica si pone in modo assai indiretto, benché efficace, mentre nd caso del modello di Volterra

l'approccio è del tutto tradizionale: si tratta di trovare delle prove empiriche o sperimentali che verifichino direttamente le leggi dedotte dal modello e non di giustificarne la validità in modo inqiretto, cioè basandosi sull'efficacia di alcune delle sue conseguenze. E per queste ragioni che secondo Volterra la giustificazione dell'ipotesi di D'Ancona sugli effetti della pesca non era sufficiente a dimostrare la validità empirica del modello. Ed è a causa di questa convinzione che egli cercò, durante il resto della sua vita, una dimostrazione empirica diretta della validità della prima legge, secondo cui l'evoluzione delle popolazioni presenta oscillazioni periodiche. Torneremo su questi temi. Per il momento concentreremo la nostra attenzione sul primo aspetto, e cioè sul ruolo del procedimento dianalogia. L'atteggiamento diffidente di Volterra, come di molti altri scienziati della sua epoca, nei confronti di questo approccio mostra chiaramente l'importanza della svolta che prese forma nel corso degli anni venti e condusse alla formazione delle concezioni moderne della modellistica matematica.

Capitolo quinto

LA SORPRENDENTE STORIA DI UNA DISPUTA DI PRIORITÀ

Volterra era in ottimi rapporti con il celebre biologo scozzese D'Arcy Wentworth Thompson (1860-1948). Quando questi venne a conoscenza dei risultati delle ricerche di Volterra 1, gli propose di scriverne un riassunto per la rivista «Nature». Volterra preparò immediatamente un breve articolo, nel quale taceva gli aspetti strettamente matematici della sua teoria, e che fu pubblicato sulla rivista «Nature» nel corso dello stesso anno 19262, attirando così l'attenzione di uno statistico americano, Alfred J. Lotka (1880-1949). La figura scientifica di Lotka è molto interessante. Egli non era uno scienziato nel senso consueto del termine: non faceva parte di alcuna Università né di alcuna istituzione scientifica. Era supervisore dell'Ufficio di Statistica della Metropolitan Life lnsurance Company di New York. Sulla base della sua esperienza come funzionario delle assicurazioni, egli aveva studiato in modo rigoroso i problemi della statistica delle popolazioni. Inoltre Lotka possedeva vaste conoscenze di chimica e di biologia. L'elenco dei suoi lavori è assai sorprendente: si interessava di una quantità impressionante di temi scientifici, dalla teoria astratta delle reazioni chimiche alla fisica statistica, dalla statistica delle popolazioni ai problemi della teoria dell'evoluzione, dall'epidemiologia alla teoria delle probabilità. Lotka era, nel senso pieno del termine, uno scienziato non 'ufficiale', un pensatore solitario ed eclettico. Egli ebbe una carriera scientifica alquanto sfortunata, disseminata di incomprensioni e circondata da un pesante silenzio3 • E tuttavia il volume Elements o/ Physical Bio1 D'Arcy Thompson ne era venuto a conoscenza leggendo l'articolo Volterra 1926 (a). 2 Si tratta dell'articolo Volterra 1926 (b). 'Il biomatematico russo emigrato in-Francia V.A. Kostitzin scriveva a Volterra nel 1935: «L'umanità scientifica {come l'umanità in generale) è stupida, ingiusta e incline a frustrare gli uni a profitto degli altri, e soprattutto i poveri a svantaggio dei ricchi. [...] Per [Lotka] la biologia matematica è tutta la sua vita scientifica, la sua

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logy, pubblicato nel 1925-1, che era un compendio di considerazioni, risultati e analisi che spaziavano dalla teoria dell'evoluzione all'ecologia, dalla fisiologia all'endocrinologia e alla psicologia, esercitò un grande influsso postumo su scienziati come Norbert Wiener (1894-1964). Alle pagine 88 e seguenti del libro di Lotka si trova la rappresentazione matematica di un problema di parassitologia. L'autore si proponeva di descrivere la coesistenza di una popolazione animale con un suo parassita: evidentemente un problema del tipo 'preda-predatore'. L'analisi di Lotka non si basava su un'analogia meccanica, come nel caso di Volterra. La predazione veniva descritta mediante delle ipotesi concernenti la crescita e la decrescita delle popolazioni, ma l'analisi matematica conduceva a equazioni identiche a quelle di Volterra. Tuttavia, il primo articolo pubblicato da Volterra nel 19261 non si limitava allo studio di questo caso particolare: esso affrontava il problema generale della descrizione matematica di un ecosistema formato da un numero qualsiasi di specie che si nutrono l'una dell'altra. Anche nel caso di due sole specie l'analisi matematica di Volterra era molto più completa di quella di Lotka6. Eppure si poneva senza alcun dubbio una questione di priorità: Lotka scrisse immediatamente alla rivista «Nature» rivendicando la priorità nella scoperta delle equazioni (che abbiamo introdotto nel capitolo precedente), dette oggi «equazioni di Volterra-Lotka». Non entreremo nei dettagli della disputa 7, che non è molto interessante in sé, perché gli avversari avevano entrambi ragione. Nel caso di due specie, Lotka aveva la priorità nella scoperta delle equazioni. Ma Volterra non aveva certamente ancora letto il libro di Lotka quando aveva sviluppato le sue teorie. Ben più interessante è un curioso episodio a margine di questa disputa. Dopo aver inviato alla rivista «Nature» la lettera che rivendicava la priorità nella scoperta delle equazioni 'preda-predatore' sulla base del suo libro del 1925, Lotka scrisse a Volterra e gli inviò un plico contenente il suo libro e un certo numero di pubblicazioni precedenti8 • Uno di questi articoli, pubblicato nel 1920, sola ragione di vita, la sola giustificazione della sua esistenza. Come volete che non sia un po' corrucciato quando vede i suoi lavori, per quanto così recenti, trascurati e dimenticati ingiustamente? [. .. ] Lotka sa molto bene che merita più di questo e ha ragione» {lettera conservata nell'Archivio Volterra, Accademia Nazionale dei Lincei, Roma e riprodotta in Israel, Millan Gasca 1993). 4 Lotka 192.5. Il libro fu ripubblicato nel 19.56 con il titolo Elements o/ Mathe-

matical Biology. 'Volterra 1926 (a). Si vedano i capitoli 19 e 21. 7 Si veda in merito Israel 1982 e Israel 1988. 8 Questa spedizione fu fatta nel novembre del 1926.

6

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descriveva un modello matematico di una reazione chimica oscillante9 • Di fatto si trattava di un modello assai curioso, perché non descriveva una reazione chimica reale. Si trattava piuttosto di un'esperienza 'pensata': Lotka definiva in modo puramente teorico una reazione chimica ipotetica la cui evoluzione risultava essere oscillatoria. Ne daremo qui soltanto una descrizione sommaria. Lotka considerava una reazione chimica ipotetica nella quale una sostanza A si trasforma in una sostanza B, mediante la seguente successione di reazioni intermedie:

A +X

ki

)I,

X+ y

k2

)I,

y

k; )I,

2X 2Y B

dove X e Y sono delle sostanze intermedie; k 1, k2' k3 sono i tassi di reazione costanti, e le concentrazioni di A e B sono supposte costanti. Denotiamo con a, b, x, y le concentrazioni rispettive delle sostanze A, B, X, Y e applichiamo la 'legge dell'azione di massa', che asserisce che il tasso di reazione è proporzionale secondo k; (i= 1, 2, 3) alle concentrazioni attive 10 dei reagenti. Si ottengono allora facilmente delle equazioni formalmente identiche alle equazioni 'preda-predatore': {

~ = k 1a x - k2 x y

y =-k;y+k2XY

Conosciamo già il diagramma delle fasi di questo sistema di equazioni e possiamo quindi concludere che le concentrazioni x e y debbono oscillare periodicamente. Il modello così proposto era ispirato a un punto di vista modellistico del tutto astratto - molto più astratto di quello di Van der Poi. Esso non era neppure 'analogico', ma era sprowisto di qualsiasi fondamento empirico. Si trattava, di fatto, di una di quelle felici intuizioni di cui era disseminata l'opera di Lotka perché, molti anni dopo, lo studio delle reazioni chimiche oscillanti realmente esistenti11 divenne alla moda. Ma ciò non altera affatto il carattere totalmente astratto e formale dell'approccio seguito da Lotka nel momento in cui egli formulò il suo modello di reazione chimica. 9

Lotka 1920. La concentrazione attiva è la quantità del reagente che partecipa effettivamente alla reazione. 11 Ad esempio, la reazione di Belusov-Zabotinskij (si veda Murray 1974), 10

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Il fatto che più colpisce è che Lotka aveva scoperto le equazioni che formavano il nucleo del modello preda-predatore ben prima del 1925. E oltretutto era possibile trovare un'anticipazione di questo modello in un altro lavoro di Lotka che risaliva al 1910. È quindi spontaneo chiedersi perché Lotka non avesse rivendicato la priorità nella scoperta ddle equazioni sulla base del suo articolo del 1920, anziché riferendosi soltanto al suo libro del 1925. Era evidente che Volterra aveva già iniziato a sviluppare i suoi calcoli nd 1925, nel momento in cui Lotka pubblicava il suo libro. Volterra aveva quindi il diritto di affermare di non aver avuto alcuna possibilità di leggerlo prima di aver scritto e pubblicato il suo articolo. L'articolo del 1920 avrebbe stabilito la rivendicazione di priorità di Lotka su basi ben più solide. Per risolvere questo enigma esaminiamo l'atteggiamento dell'altro protagonista. Avremo di che stupirci. Volterra, dopo aver ricevuto il plico, studiò il dossier inviato da Lotka e gli scrisse trionfalmente alcuni giorni dopo 12 : ho letto le due memorie [sulle reazioni chimiche oscillanti] e ho compreso la via che avete seguito per ottenere le equazioni nel caso di due specie. E l'analogia del caso biologico con la questione chimica che vi ha guidato. Per parte mia, ignoravo la questione chimica, ed è per rispondere alla questione che mi poneva il signor D'Ancona che ho ottenuto le stesse equazioni.

E in una lettera a D' Arcy Thompson ritornava sull'argomento 13: Il Signor Lotka parte da una analogia che esiste con il problema chimico già trattato e si limita a integrare le due equazioni che si hanno nel caso di due specie [ ... ] ma non ne ricava le tre leggi che io ho trovato né alcuna delle conseguenze che io ne ho tratto.

Era dunque Volterra stesso a mettere in evidenza il fatto che la priorità di Lotka risaliva ai suoi lavori precedenti e non soltanto agli Elements o/Physical Biology! E Lotka, nella sua lettera di risposta, non diceva una sola parola a questo proposito ... Ma è sufficiente riflettere un poco per dissipare ogni sorpresa. Questa priorità può essere considerata sotto due profili: da un lato nella scoperta delle equazioni, dall'altro nella formulazione di un modello specifico, ovvero del modello biologico in questione. L'atteggiamento 12 Cioè verso la fine del novembre 1926. Questa lettera e la seguente sono conservate nell'Archivio Volterra (Accademia Nazionale dei Lincei, Roma). 13 Anche questa lettera fu scritta verso la fine del novembre 1926.

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di Lotka può essere riassunto dicendo che egli rivendica il secondo tipo di priorità, ma non il primo. Quanto a Volterra, egli concede a Lotka il primo tipo di priorità ma non il secondo, o quantomeno cerca di sminuirne la portata. Il suo principale argomento, al riguardo, è che Lotka non ha veramente costruito il modello matematico a partire dal problema biologico, ma per analogia, ispirandosi al modello chimico. L' atteggiamento di Volterra è del tutto coerente. In effetti la priorità del primo tipo esiste soltanto all'interno di una concezione modellistica fondata sul procedimento dell'analogia matematica, quale è stato descritto nei capitoli precedenti. Da questo punto di vista, l'aspetto più importante è lo schema matematico, che è una forma 'vuota' la quale può accogliere diversi 'contenuti possibili'. Al contrario, nella concezione classica il posto più importante è riservato ai fondamenti empirici e sperimentali della teoria: le equazioni matematiche ne sono una conseguenza perché, come dice Fourier, lo studio della natura è il mezzo più sicuro per formare l'analisi matematica. In questo quadro, un modello 'chimico' e un modello 'biologico' non possono essere assimilati l'uno all'altro, anche se conducono alla stessa equazione matematica. Essi sono e resteranno separati dalla natura specifica dei loro oggetti, dalla diversità irriducibile dei/atti di cui parlano. Ciò non è in contraddizione con il principio dell'unità della scienza, la quale però deve essere ricercata a un altro livello, quello di un programma filosofico: esso può fondarsi, ad esempio, su una visione meccanicista dell'universo. La ricerca di una spiegazione meccanica per tutti i fenomeni può essere un principio di unificazione della scienza, mentre la matematica non

può esserlo, o tutt'al più offre un riflesso della prima nelle proprie strutture. L'analogia meccanica (come ogni altro procedimento basato su una determinata filosofia della natura) può essere accettata, mentre l' analogia matematica è priva di senso, perché essa avvicina oggetti differenti, senza giustificare questo avvicinamento né sul piano dei principi, né sul terreno empirico o sperimentale. Se, al contrario, si rinunzia à forme di unificazione sul terreno dei contenuti, e si ricerca un'unità o, piuttosto, un'analogia/orma/e, è la formula matematica a prendere il sopravvento, a diventare il primum. La diversità dei fattori 'reali' ha allora un'importanza secondaria, quel che conta è la corrispondenza formale. Con un'evidente allusione ai modelli di Volterra e Lotka, Bertalanffy osservava: Si hanno delle corrispondenze tra i principi che governano il comportamento di entità che sono, intrinsecamente, molto diverse tra di loro. Tanto per fare un esempio semplice, una legge esponenziale di crescita si applica a certe cellule batteriche, a popolazioni di batteri, di animali o di uomini, e ai progressi della ricerc11 scientifica misurati mediante il numero delle pubblicazioni in ge-

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netica o nella scienza in generale. Le entità in questione, quali i batteri, gli animali, gli uomini, i libri, ecc., sono completamente differenti le une rispetto alle altre, e questo vale anche per i meccanismi causali implicati. Ciò nondimeno, la legge matematica è la medesima. Oppure ci sono dei sistemi di equazioni che descrivono la competizione tra specie vegetali e animali in natura. Ma risulta che gli stessi sistemi di equazioni sono altrettanto bene applicabili in certi campi della chimica-fisica e della economia (Bertalanffy 1968, p. 67). Bertalanffy ricercava, con molta coerenza, in questi isomorfismi un nuovo principio di unità della scienza, che avrebbe dovuto prendere il posto dei vecchi principi 'superati'. Volterra era indubbiamente uno dei fautori di questi vecchi principi 'superati'. A suo avviso il metodo di analogia matematica era lungi dall'essere irreprensibile. Lotka aveva utilizzato proprio questo metodo discutibile per costruire il suo modello. Invece di partire da dati empirici solidi e chiaramente analizzati, egli si era limitato (come Van der Pol, siamo tentati di dire) a trasferire un modello chimico nel contesto biologico, poggiando su una vaga analogia. Inoltre egli aveva tentato di dissimulare questo procedimento, ma Volterra aveva compreso l'approccio seguito da Lotka e aveva così mostrato la debolezza della sua scoperta. Dobbiamo allora stupirci del silenzio di Lotka circa i suoi lavori precedenti e circa l'accusa mossa da Volterra di aver fatto ricorso all"analogia matematica'? Niente affatto. Perché Lotka, sebbene fosse un innovatore e un eclettico, capace in certi casi di incursioni modellistiche molto astratte (come il modello di reazione chimica ipotetica), non avrebbe mai rinnegato i principi generali della scienza classica, e di certo non il principio della necessità di una fondazione empirica e sperimentale di ogni teoria matematica della realtà. Molto correttamente Lotka si era limitato a indicare il suo libro Elements o/ Physical Biology come riferimento per la sua rivendicazione di priorità. Come Volterra, egli non si sarebbe mai sognato di avanzare questa rivendicazione sulla base di un modello 'analogo'. Non si può negare-e la lettura del suo libro elimina ogni dubbio in merito - che Lotka, studiando il problema della coesistenza fra un parassita e il suo ospite, pensava soltanto alla biologia. Almeno da questo punto di vista il suo approccio era assai vicino a quello di Volterra. Lotka stesso ne fornisce una prova chiarissima nel suo libro, quando cita in nota il suo articolo del 1920 sulle reazioni chimiche oscillanti, non per mettere in evidenza l'analogia con zl modello biologico, ma soltanto per utilizzare i calcoli matematici relativi alle equazioni che egli aveva già sviluppato in quell'articolo. La storia di questa disputa di priorità costituisce in storia della scienza quel che nella letteratura anglosassone viene chiamato un «ca-

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se study», lo studio di un 'caso' storico. Essa mostra in modo assai chiaro qual è il problema centrale che si pone ftn dagli inizi della modellistica matematica moderna e che può essere riassunto con una domanda: l'analogia matematica è legittima? Le diverse risposte che possono essere date a questa domanda dividono i fautori del punto di vista classico e i fautori della matematizzazione a oltranza. Volterra aveva dovuto attendere quasi trent'anni per trovare !"occasione' empirica che giustificasse l'uso della matematica in biologia. Invece la debolezza dei legami imposti dal principio di analogia matematica avrebbe soppresso ogni ostacolo, aprendo la porta allo sviluppo di un flusso sempre più impetuoso di applicazioni matematiche di ogni tipo. Un altro episodio concernente Volterra può servire a comprendere ancor meglio il carattere radicale del cambiamento che intervenne con l'awento di una matematizzazione fondata su un approccio 'analogico'. Abbiamo già parlato, nel capitolo precedente, delle difficoltà che il modello di Volterra poneva per la verifica empirica. La reazione di Volterra di fronte alle difficoltà e alle critiche fu molto energica: fino alla fine dei suoi giorni egli ricercò prove empiriche e sperimentali convincenti delle sue teorie. Egli non avrebbe mai accettato di veder ridurre le sue teorie a uno schema matematico 'vuoto' o tutt'al più dal significato incerto. Volterra tentò di ottenere la collaborazione e l'appoggio non soltanto del genero D'Ancona ma anche di altri biologi. La sua corrispondenza fornisce una chiara testimonianza di questa sua preoccupazione quasi ossessiva 14 • È dunque ancor più sorprendente assistere a un vero e proprio rovesciamento dei ruoli. Nel 1935, quando le critiche corrodono seriamente da tutti i lati il valore empirico della teoria, è Umberto D'Ancona a collocarsi dal punto di vista del matematico attento soltanto ali' aspetto astratto delle sue teorie, mentre Volterra si colloca sul terreno della biologia. In quell'anno il disaccordo fra i due scienziati diviene esplicito. In una lettera, che possiamo senza esagerazione definire memorabile, D'Ancona 'spiega' a Volterra il punto di vista astratto del matematico e ne difende la legittimità. E fornisce, al contempo, una descrizione molto chiara dell'approccio della modellistica matematica moderna: sarei ben lieto che ci fossero delle precise dimostrazioni sperimentali delle Sue teorie matematiche. [... ] Certamente le mie osservazioni sulla pesca nell'Alto Adriatico dovrebbero dare un sostegno più sicuro alla Sua teoria perché esse ne dovrebbero dimostrare un punto essenziale, la terza legge. Purtroppo però le mie osservazioni statistiche possono essere interpretate come ho fatto io, ma possono essere interpretate anche in modo diverso e di questa opinione sono 14

Si veda, in merito, Millnn G11sc11 1996 e lsrael, Millnn Gasca 1993.

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Pearson, Bodenheimer, Gause. Perciò anch'io riconosco che queste critiche un fondo di serietà ce l'hanno. Le mie osservazioni possono essere interpretate nel senso della Sua teoria ma ciò non è fatto assolutamente indiscutibile, è soltanto una interpretazione. [. .. ] La Sua teoria in tutte queste questioni non viene toccata per niente. Essa è una teoria impostata logicamente e in modo verosimile, concordante con molti dati noti e verosimili. Perciò essa rimane come ipotesi di lavoro che può essere fonte di nuove indagini e che rimane anche se non è appoggiata da prove empiriche. Certamente essa da queste può acquistare maggior autorità. Ma bisogna esser cauti nell'accettare queste prove, accertarsi che siano sicure e dimostrative, altrimenti è meglio che Lei non leghi la Sua teoria a una base sperimentale, che è certamente meno solida della teoria stessa 13 •

"Questa lettera, scritta il 6 febbraio 19.35, è conservata, come le precedenti, nell'Archivio Volterra (Accademia Nazionale dei Lincei, Roma). I corsivi sono nostri.

Capitolo sesto

DUE TEMI DELLA MODELLISTICA: L'ANALOGIA MATEMATICA E IL 'FASCINO DISCRETO' DELLA FISICA

Fermiamoci un momento per riflettere su quel che abbiamo visto finora. Abbiamo isolato uno dei temi fondamentali della modellistica matematica moderna: l'analogia matematica, strettamente legato al concetto di isomorfismo. Abbiamo visto che un ruolo centrale compete agli schemi matematici che unificano 'realtà' differenti ma isomorfe. Tuttavia questa unificazione è possibile soltanto mettendo sullo sfondo, se non fra parentesi, i problemi empirici che sono all'origine del modello. L'ostilità di Volterra nei confronti di un approccio del genere e l'atteggiamento risoluto con cui Van der Pol invece lo adotta, forniscono due esempi di reazioni divergenti di fronte a questa nuova forma di pratica scientifica. È del tutto spontaneo voler approfondire questi temi e porsi altre domande. Cosa è accaduto prima e dopo questi sviluppi? Si può davvero dire che la nascita della concezione modellistica risale agli anni venti del nostro secolo? Queste domande ci conducono direttamente al tema centrale dei rapporti fra la modellistica matematica e la fisica classica, e in particolare la meccanica. Abbiamo già constatato l'importanza che questo tema riveste nell'approccio di Volterra. Ciò non deve stupirci, perché la prima forma di matematizzazione sistematica dei fenomeni reali si è rivolta ai fenomeni fisici e, in primo luogo, ai fenomeni del moto. È con l'awento della meccanica (o scienza del moto) che la matematica - che fino a quel momento aveva avuto un ruolo accessorio nello studio dei fenomeni naturali- assume una posizione centrale nel1' attività scientifica. I successi folgoranti conseguiti da Galileo e da Newton nello studio del moto dei corpi celesti e terrestri pongono la meccanica in una posizione centrale e dominante: ormai qualsiasi scienza dovrà riferirsi a questo esempio e tentare di imitarlo, conformarsi a dei metodi che hanno dato prova di un'incontestabile efficacia. Gli inizi della matematizzazione delle scienze biologiche e delle scienze economiche e sociali nel Settecento, e il dibattito sullo statuto di queste scienze che si sviluppò a partire da questo periodo, costitui-

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scono una prova eloquente di quanto veniamo dicendo. In effetti era del tutto naturale tentare di 'esportare' i metodi della meccanica classica entro domini di fenomeni diversi - come i fenomeni biologici o sociali - allo scopo di conferire a queste scienze lo stesso livello di efficacia e di chiarezza della prima. Nel secolo dei Lumi, che era affascinato dalla filosofia della natura di Newton e la considerava come il vessillo del libero pensiero, si poneva un altro problema: la necessità di una riorganizzazione razionale della società al fine di eliminare una volta per tutte !'«abisso di disordine» 1 nel quale essa era precipitata. Un'analisi scientifica della società ricalcata sul modello della scienza newtoniana non avrebbe potuto offrire la via per formare quell' «arte sociale» che, secondo gli auspici di Condorcet, avrebbe permesso di guidare la società secondo i principi della ragione?2 Gli inizi della scienza economica moderna (e, in particolare, della teoria dell'equilibrio economico) risalgono in buona misura a questo tentativo di esportazione dei metodi della meccanica newtoniana 3 • Un altro esempio significativo, sul quale torneremo nel capitolo 11, è dato dal grande dibattito che impegnò alcuni fra i maggiori scienziati del Settecento sul tema del vaiolo, che falciava allora in Europa migliaia e migliaia di vittime. Si era scoperto che l'inoculazione della malattia a persone in buona salute, e in determinate circostanze ambientali, dava luogo a una forma benigna della malattia che conduceva all'immunità. La domanda che si poneva era se fosse vantaggioso utilizzare sistematicamente questa forma primitiva di vaccino, praticata anche prima delle ricerche sistematiche di Edward Jenner (1749-1823) e senza conoscerne il principio teorico, che sarebbe poi stato stabilito da Louis Pasteur (1822-1895). Per dare una risposta adeguata a questa domanda occorreva conoscere in modo rigoroso l'influsso dell'inoculazione sulla mortalità, in modo da sapere se questo metodo poteva realmente condurre a una diminuzione effettiva e consistente dei decessi causati dal vaiolo. Su questo tema scoppiò una violenta disputa. Per dirimere la questione, il matematico Daniel Bernoulli (1700-1782) decise di sottoporre il problema a un' analisi in termini di calcolo delle probabilità. Ne seguì una polemica scientifica, cui presero parte numerosi scienziati, fra cui ancheJean le Rond d' Alembert (1717-1783) 4 • Il dibattito sull'inoculazione del vaiolo fu ali'origine di una nuova branca della matematica applicata: lo studio delSecondo l'espressione di F. Quesnay (si veda il capitolo 11). Si veda Baker 197.5. 1 Ritorneremo su questi temi nei capitoli 11 e 22, Per un'analisi dettagliata si veda Ingrao, Israel 1987-1990 e lsrael 1993 (b). ~ Si può trovare una sintesi della polemica sulla questione dell'inoculazione in Laplace 182.5. Si veda anche il capitolo 11. 1

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le tavole di mortalità e la ricerca delle leggi matematiche che governano la mortalità umana. Queste ricerche ebbero, a loro volta, un'importanza considerevole nello sviluppo delle ricerche matematiche concernenti la legge di crescita di una popolazione e, in tal modo, contribuirono considerevolmente ai primi sviluppi di una branca della biologia matematica oggi detta «dinamica delle popolazioni». I primi metodi, fondati sull'uso del calcolo delle probabilità, cedettero ben presto il passo ai metodi dell'analisi infinitesimale, più vicini all'approccio della fisica matematica e, in particolare, della meccanica. Ecco dunque un esempio che mostra come un'esigenza di organizzazione razionale della società si collegasse strettamente alla tendenza a trasferire i metodi matematici della sola scienza esatta dell'epoca - la meccanica - nelle questioni di organizzazione razionale della società e nelle questioni biologiche. Un altro esempio celebre e non meno rivelatore è dato dalla nuova chimica quantitativa di Antoine-Laurent de Lavoisier (17431794), che fu esplicitamente costruita assumendo come modello la scienza newtoniana. Le questioni che abbiamo sollevato ci conducono in modo del tutto naturale a temi di storia della scienza. Per poter procedere nella nostra analisi non potremo fare a meno di affrontarli, anche se a un livello elementare. Ma prima di dedicarci a questo compito occorre ancora aggiungere qualcosa circa le caratteristiche generali dello schema meccanicista, che tutte le scienze tentarono di imitare a partire dal diciottesimo secolo. Queste caratteristiche possono essere riassunte molto grossolanamente in tre aspetti. In primo luogo, si manifesta la tendenza a considerare ogni sistema reale come l'aggregato di componenti elementari e l'evoluzione del sistema come il risultato dell'interazione di queste unità elementari. Quindi il punto di vista è fondamentalmente atomista (ogni aggregato reale è la somma di unità elementari o 'atomi') e analitico (il metodo impiegato mira a decomporre ogni sistema in unità elementari). In secondo luogo, ogni componente elementare è governata da un processo strettamente deterministico: essa è soggetta a una causa che determina in modo univoco la sua evoluzione futura. Questo punto di vista è conseguenza della concezione meccanicista: essa afferma che ogni fenomeno è di natura meccanica o, almeno, può essere spiegato con uno schema di tipo meccanico. Ora, il moto di ogni particella elementare di un sistema meccanico è governato da una legge strettamente determinista: le forze che agiscono su questa particella determinano in modo univoco la sua evoluzione. Vedremo nella Parte seconda che lo schema meccanico influenzò in modo assai peculiare la rappresentazione di queste unità elementari. In effetti il ricorso ai concetti del calcolo infinitesimale impose sempre più l'esigenza di passare

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a una rappresentazione continua dei fenomeni-'5: l'unità elementare viene allora considerata come un 'punto geometrico', una sorta di atomo astratto. Questa componente elementare di ogni figura presenta tuttavia la caratteristica paradossale di essere priva di dimensioni. Il 'punto materiale', punto geometrico privo di dimensioni ma dotato di una massa non nulla, è l'unità elementare della meccanica classica. L'influenza di questa concezione sugli inizi della matematizzazione delle scienze non fisiche è del tutto evidente. L'abbiamo vista all' opera nei modelli biomatematici di Volterra. Ma, se si risale indietro nel passato, si può constatare che il concetto di homo su/fragans, che è alla base dell'analisi matematica di Condorcet (1743-1794) della teoria delle elezioni, è una traduzione del concetto di punto materiale nel campo delle scienze sociali. L'homo su/fragans è un individuo astratto di cui si considera un solo aspetto: il suo comportamento in quanto membro di un corpo elettorale. Si tratta quindi di un'astrazione scientifica che identifica le caratteristiche della 'componente elementare' di un sistema di individui che si riuniscono con un solo scopo, quello di votare. L'homo su/fragans è il prototipo di un concetto analogo, che è alla base delle teorie microeconomiche: l'homo reconomicus, altro individuo astratto che rappresenta la sola attività economica dello scambio e della produzione di merci. L'origine meccanica di questo concetto è talmente evidente che essa fu ben compresa (e forse meglio degli stessi economisti!) da un fisico-matematico come Volterra. La descrizione che egli ne diede rappresenta una vera apologia dell'approccio meccanicista, e mette in evidenza l'importanza sia del punto di vista analitico che di quello 'continuista'. Essa merita dunque di essere citata integralmente: Il concetto dell'homo ceconomicus che ha dato luogo a tante discussioni, che ha suscitato così grandi difficoltà e che tuttora trova delle menti ribelli ad accettarlo, riesce al nostro meccanico così naturale, che egli prova una vera sorpresa dell'altrui diffidente meraviglia suscitata da questo essere ideale e schematico. Egli vede nell'homo ceconomicus un concetto analogo a quelli che per una lunga consuetudine gli son divenuti famigliari. Egli è avvezzo infatti ad idealizzare le superfici ritenendole senza attrito, i fili ammettendoli inestensibili, i corpi solidi supponendoli indeformabili, ed è solito sostituire ai fluidi della natura i liquidi e i gas perfetti. E non solo ha l'abitudine di tutto ciò, ma sa il vantaggio che recano questi concetti. Se il cultore della meccanica procede innanzi, si accorge che tanto nella sua scienza che in quella economica tutto si riduce ad un giuoco di tendenze e di vincoli, questi limitanti l'azione delle prime, che per reazione generano delle ' Ne abbiamo visto un esempio nel capitolo 2.

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tensioni. Da questo insieme nasce talora l'equilibrio, talora il moto, d' onde una statica ed una dinamica e nell'una e nell'altra scienza. Noi abbiamo già accennato alle vicende che l'idea di forza ha avuto in meccanica; dalle vette della metafisica essa è discesa nel campo degli enti misurabili. Così in economia non è più ora il momento di parlare col Jevons della espressione matematica delle quantità non misurabili. Lo stesso Pareto sembra rinunziare all'idea di ofelimità, che era la pietra angolare del suo primitivo edificio e viene a concetti puramente quantitativi colle sue curve di indifferenza

che corrispondono così bene alle curve di livello e alle superfici equipotenziali della mecèanica. Le teorie molecolari e atomiche inducono a concepire discontinua l'intima costituzione dei corpi; Lamé, Cauchy e tutti coloro che stabilirono la teoria matematica dell'elasticità, la cui grande portata e le continue applicazioni pratiche si rivelano ogni giorno, poterono raggiunger lo scopo solo passando, con un vero tratto di genio, dal discontinuo al continuo. Ora, analogamente a quanto fecero i creatori della teoria della elasticità, e Fourier in quella del calore, gli economisti suppongono che le quantità di beni di cui ciascuno può disporre, le quali di natura loro sarebbero discontinue, varino per gradi continui. Finalmente il nostro meccanico ravvisa nel processo logico per ottenere le condizioni dell'equilibrio economico lo stesso ragionamento che egli fa per stabilire il principio dei lavori virtuali e, allorché si trova dinanzi alle equazioni differenziali dell'economia, prova il desiderio di applicarvi per primo quei metodi di integrazione che ben conosce alla prova (Volterra 1901, pp. 15-17). L'esempio della fisica, e in particolare della meccanica, esercitò quindi, fin dagli inizi, un considerevole influsso sulla matematizzazione delle scienze non fisiche. E continuò a esercitarlo per molto tempo. Parafrasando il titolo di un celebre film di Luis Bufiuel6 , si potrebbe definire questo influsso come il /ascino discreto della fisica matematica classica. Un fascino che ha resistito, come quello della borghesia del film di Bufiuel, a molte crisi e insuccessi. Perché il modello meccanico rivelò presto i suoi limiti al livello della verosimiglianza dei risultati che pretendeva di ottenere. In effetti, questo schema si è rivelato (e si rivela ancora) alquanto inadatto a descrivere dei fenomeni, come i processi biologici e sociali, in cui l'elemento della scelta soggettiva, del finalismo e del carattere unitario e globale dei sistemi in gioco sembrano escludere una procedura di decomposizione analitica in parti elementari soggette a una stretta causalità. Per di più, la matematizzazione delle scienze non fisiche si è sviluppata in un periodo in cui la fisica classica stessa conosceva una crisi apparentemente irreversibile, che investiva i fondamenti stessi della concezione classica: la meccanica quan6

Il fascino discreto della borghesia.

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tistica metteva in discussione non soltanto la concezione determinista della realtà fisica, ma anche la concezione continua della realtà fisica. È senza dubbio per questi motivi che la matematizzazione si orientò progressivamente nella direzione di una modellistica ispirata all'analogia matematica piuttosto che all'analogia meccanica. L'abbandono del punto di vista classico in fisica e le difficoltà dell'approccio meccanicista favorirono lo sviluppo impetuoso di una modellistica matematica assai poco influenzata dai principi (e dai pregiudizi) del passato, per quel che concerne la scelta dei concetti e dei metodi. Ecco perché la storia della modellistica matematica coincide in buona misura con la fine del dominio incontestato del 'modello' della fisica matematica classica. E per le stesse ragioni la storia della modellistica matematica è soprattutto la storia della matematizzazione delle scienze non fisiche. Quest'ultima osservazione solleva immediatamente una questione delicata. In effetti è abbastanza chiaro che i rapporti fra matematica e fisica differiscono considerevolmente da quelli esistenti fra la matematica e le altre scienze. È corretto dire che la matematica ha un ruolo costitutivo nella fisica, non soltanto perché non si può pensare a una fisica senza matematica, ma soprattutto perché la fisica si è strutturata attorno alla matematica, o, più precisamente, attorno al progetto di costruire un'immagine matematica della realtà fisica 7. Lo stesso non può dirsi per le scienze non fisiche. Si può certamente pensare a una biologia, a un'economia, e anche a una chimica senza matematica. In effetti, dal punto di vista storico, queste scienze non si sono costituite a partire dal progetto di fornire un'immagine matematica degli oggetti reali di cui si occupavano. È vero che l'analisi storica dovrebbe correggere una presentazione troppo semplicistica di questa tesi, la quale rischierebbe di falsare l'immagine della formazione di certe scienze. L'influenza del modello newtoniano è stata più o meno forte in questo processo di formazione e, in certi casi, come quello dell'economia, è stata talmente forte che il progetto di costituzione matematica della scienza economica è stato effettivamente proposto e perseguito con determinazione8, al punto che oggi la matematica ha un ruolo così centrale nell'economia teorica che è difficile pensare di ragionare in questo ambito senza far ricorso a schemi matematici. Avremo il modo di perfezionare queste osservazioni in seguito, ma per il momento possiamo considerare come fondamentalmente esatta la distinzione precedente: la matematica rappresenta nella fisica molto più che una tecnica, gioca in essa il ruolo di metodo per la formazione dei concetti fondamentali. È quindi privo di sen7 8

Questa tesi è esposta con chiarezza in Lévy-Leblond 1982. Si veda lngrao, lsrael 1990 e lngrao 1991, 1994.

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so parlare di applicazione della matematica alla fisica, come se la matematica fosse «uno strumento puramente tecnico, in posizione di esteriorità rispetto al luogo del suo intervento» (Lévy-Leblond 1982, p. 198). Invece la matematica ha avuto un ruolo più o meno marginale nel processo costitutivo di quasi tutte le scienze non fisiche e, in questo caso, è corretto parlare di applicazione della matematica. Queste osservazioni possono permettere di ottenere un'immagine abbastanza coerente. L'emergere della modellistica matematica e dell'approccio 'analogico' è strettamente legato alla crisi del modello unitario e meccanicista della realtà. La diffusione dell'approccio modellista in fisica teorica è una testimonianza del declino del ruolo della fisica matematica e della meccanica classica. Questa diffusione si presenta come un processo di crisi, perché la fisica si è strutturata attorno all'aspirazione a un'immagine unitaria della realtà. La modellistica rappresenta quindi anche una rinunzia. La tradizione storica della fisica non è coerente con l'idea che la matematica sia soltanto una riserva di immagini che possono essere applicate in modi diversi alla realtà. Al contrario, lo sviluppo impetuoso della modellistica nelle scienze non fisiche (al punto che la storia della modellistica matematica coincide con una parte importante della storia della loro matematizzazione) testimonia del fatto che l'eliminazione dello schema stretto e rigido del meccanicismo ha aperto la strada alla possibilità di un'applicazione senza ostacoli della matematica. Questa applicazione è stata per l'appunto possibile proprio perché non era fondata sulla pretesa di consegui-

re una descrizione unica della realtà scritta in linguaggio matematico. I concetti delle scienze non fisiche sono stati forgiati quasi sempre seguendo un approccio non matematlco9, che talora ricorre a immagini matematiche fornite dai modelli, ma non può ridursi a esse né a un solo tipo di rappresentazione, che avrebbe assunto altrimenti un ruolo centrale e non ausiliario. Avremo l'occasione di tornare su questo tema - che, di fatto, è uno dei temi centrali di questo libro -, ma dobbiamo fin d'ora sottolineare che questa descrizione, anche se fondamentalmente corretta, rischia di trasmettere un'immagine falsa. Essa può far credere che la modellistica matematica si identifichi con la dissoluzione totale del programma meccanicista, e che il 'fascino discreto' della fisica si sia completamente dissolto nel contesto della matematizzazione delle scienze non fisiche. Ciò non corrisponde ai fatti. Non soltanto perché la fisica non si è mai veramente sbarazzata delle sue ascendenze meccaniciste, ma so9 Sottolineiamo ancora una volta che l'economia costituisce, almeno in parte, un'eccezione importante, soprattutto per quel che concerne il concetto di equilibrio economico.

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prattutto perché nell'ambito della modellistica delle scienze non fisiche, dopo un periodo 'iconoclasta', ci si rese presto conto del fatto che nella scelta dei concetti fondamentali e dei metodi dell'analisi matematica di un modello non si possedevano esempi e idee direttive diverse dalle idee tratte dalla fisica e, in particolare, dalla fisica classica. Ci limiteremo qui a citare un solo esempio. Negli anni trenta l'economista Oskar Morgenstern (1902-1977) e uno dei più grandi matematici del nostro secolo, John von Neumann (1903-1957), si posero il problema di una matematizzazione astratta e assiomatica dell'economia: come era possibile perseguirla senza ricorrere a idee e concetti ricavati dalla fisica e dalla meccanica? La loro risposta fu che il nuovo sistema di concetti era dato dalla teoria dei giochi di strategia. Ma dieci anni più tardi, quando pubblicarono i risultati delle loro ricerche in un trattato che segna gli inizi dell'economia matematica moderna 10, il loro atteggiamento era alquanto cambiato. Morgenstern e von Neumann finirono per scrivere che era «prematuro» affermare che l'economia non poteva essere ricalcata sulla fisica, perché - aggiungevano - «dato che non si è ancora evidenziata la necessità di principi differenti per l' economia» sarebbe «insensato» perseguire le ricerche «in un modo diverso da quello che ha condotto alla fondazione della fisica» (Neumann, Morgenstern 1944, pp. 3-4). È dunque più corretto dire che la storia della modellistica matematica ha sempre oscillato (e continua a oscillare) fra la Scilla dell'analogia matematica e la Cariddi dell'analogia meccanica e dell'approccio meccanicista. Ancora una volta constatiamo che la discussione delle caratteristiche della modellistica matematica conduce spontaneamente a temi di storia della scienza. Occorre dunque attingere a quest'ultima per meglio comprendere le differenze di cui abbiamo parlato molto grossolanamente fin qui. 'Attingere' è la parola esatta, perché i limiti di questo libro non ci permettono di delineare una storia tanto lunga, complessa e inesplorata com'è quella della matematizzazione. Ci limiteremo a isolarne i temi più importanti, in modo da illuminare, per contrasto, le caratteristiche della modellistica contemporanea. Tuttavia, prima di collocarci in questa prospettiva storica, che ispira la Parte seconda di questo libro, tenteremo di fornire informazioni su altri temi e altre caratteristiche della modellistica, a un livello puramente descrittivo e molto elementare. IO

Neumann, Morgenstern 1944. Torneremo su questi temi più avanti.

Capitolo settimo

UNA PASSEGGIATA NELLO STRANO ZOO DEI MODELLI MATEMATICI

Quando entriamo in uno zoo ci attendiamo di vedere gli animali disposti secondo un ordine dotato di qualche senso. Pertanto non consideriamo neppure l'ipotesi di trovare la vetrina di un serpente accanto alla gabbia di un leone, mentre altri serpenti si troverebbero dall'altra parte dello zoo, accanto alle scimmie. Prima ancora di entrare nello zoo, sappiamo bene che i suoi ospiti sono disposti secondo un criterio di classificazione. La situazione non è la stessa per lo zoo dei modelli matematici! Tentare di stabilire un criterio di classificazione dei modelli matematici è un'impresa assai più difficile e probabilmente destinata all'insuccesso. La prima ragione di questo stato di cose è certamente legata al fatto che i modelli matematici non sono soltanto molto numerosi, ma sono in numero illimitato. La seconda ragione è legata alla natura molto speciale degli abitanti di questo zoo: si tratta di costruzioni concettuali concernenti fatti reali. Si presentano allora in modo naturale due criteri di classificazione completamente diversi fra loro: si può pensare di classificare i modelli secondo gli oggetti di cui trattano, oppure secondo i concetti e i metodi di rappresentazione di cui fanno uso. Se ci si attiene a questo secondo approccio, si potrebbe considerare un altro criterio di classificazione, legato alla caratteristica della modellistica matematica di cui abbiamo parlato nei capitoli precedenti: l'analogia matematica. Secondo questo punto di vista, occorre considerare come isomorfi dei modelli che ricorrono alla stessa rappresentazione matematica. Si potrebbe allora pensare a una classificazione di queste strutture rappresentative, identificando quelle fra loro isomorfe. Ciò equivale a tentare di stabilire una lista delle strutture matematiche utilizzate nelle applicazioni. Avremo così l'oscillatore armonico (v. fig. 2.8), l'oscillatore smorzato (v. fig. 2.5), l'oscillatore con ciclo limite (v. fig. 3 .2), l'oscillatore non lineare del tipo Volterra-Lotka (v. fig. 4.3), e così via. Ognuna di queste strutture racchiude una grande varietà di situazioni reali. Il problema è che un approccio del genere non soltanto non garantisce af-

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fatto la possibilità di passare da un numero infinito a un numero finito di casi, ma non permette neppure di stabilire un criterio di classificazione chiaro. Si tratta di un approccio che assomiglia a quello in uso nella 'teoria dei sistemi': Bertalanffy riteneva infatti che il punto di vista dell'isomorfismo fosse la chiave di una visione unitaria della scienza 1. Tuttavia, fra i meriti della teoria dei sistemi non si può menzionare quello di aver contribuito a fare dei passi avanti verso una siffatta visione unitaria. Malgrado gli isomorfismi e l'analogia matematica, la scienza - e a fortiori la matematica applicata - è oggi più frammentata che mai, certamente assai più di quanto lo fosse prima dell' awento della modellistica matematica. In effetti ricondurre il problema della classificazione dei modelli a quello delle 'strutture' matematiche è scarsamente utile, anche se permette di accantonare l'aspetto empirico del problema. È sufficiente pensare al declino dei grandi tentativi di unificazione della matematica pura basati sul concetto di struttura (come quello bourbakista) e alla rinascita della matematica 'informale e concreta', per capire che la matematica pura ha già abbastanza problemi per suo conto per pretendere di venire in aiuto della matematica applicata ... A nostro awiso occorre rinunziare a ogni tentativo di ottenere una classificazione rigorosa ed esaustiva. La povertà, se non la miseria, dei risultati di coloro che si ostinano in questa direzione (come i filosofi analitici ma anche tutti i classificatori delle strategie del pensiero umano concepite come le regole di una partita di scacchi) ci incoraggiano ad accettare con serenità i risultati di un'analisi essenzialmente fenomenologica e soprattutto storica. In questo capitolo ci limiteremo ad alcune considerazioni molto generali, se non generiche, e ad alcuni esempi. Per non smarrirci nella massa enorme dei modelli matematici, proponiamo di tornare ai due criteri di selezione già enunciati: la distinzione dei modelli secondo i concetti di cui fanno uso e secondo l'argomento che ne forma l'oggetto. Seguendo il primo punto di vista, è possibile stabilire una doppia distinzione fra i modelli, la quale è suggerita dall'evoluzione storica, e in particolare dalla perdita di supremazia del punto di vista classico. Da un lato abbiamo la distinzione fra modelli deterministici e non deterministici, dall'altro la distinzione fra modelli descrittivi e modelli di con-

trollo. Diremo che il processo evolutivo di un sistema reale è deterministico se esso è governato da una legge strettamente causale. Le cause che agiscono sul sistema considerato determinano in modo univoco la 1

Si veda Bertalanffy 1968.

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sua evoluzione, senza alcuna alternativa possibile: esso deve seguire ineluttabilmente la via che tali cause gli prescrivono. I matematici enunciano questo principio dicendo che le 'condizioni iniziali' del sistema determinano in modo univoco la sua evoluzione nel tempo. Non soltanto il futuro del sistema, ma anche il suo passato, sono una semplice conseguenza di queste condizioni iniziali. Tutti i sistemi che abbiamo incontrato finora sono stati descritti in termini deterministici. Nel caso dei sistemi meccanici (come quelli descritti nel capitolo2), l'evoluzione del sistema è perfettamente determinata - e quindi, in linea di principio, perfettamente conoscibile - dalla sua posizione e velocità iniziale. La meccanica classica è di fatto il vero regno del determinismo: è nell'ambito di questa scienza che la concezione determinista della scienza ha assunto la sua forma più chiara ed esplicita. Abbiamo detto che tutti i sistemi fin qui incontrati sono stati descritti in termini deterministici. In effetti, mentre la visione della scienza classica era per lo più deterministica da un punto di vista ontologico - il che è quanto dire che un sistema veniva rappresentato come deterministico perché si riteneva che lo fosse nella realtà-, il punto di vista moderno è ispirato a una distinzione fra l'essenza dei fenomeni, che esso non pretende di conoscere, e la loro descrizione. Se abbiamo dei motivi sufficienti per ritenere che un fenomeno possa essere descritto in termini deterministici, adotteremo una rappresentazione di questo genere. In tal caso, il modello concettuale e tecnico più adeguato sarà fornito dalla meccanica classica. I modelli matematici deterministici sono pertanto dei modelli in

cui la struttura matematica in gioco è caratterizzata dal fatto che la conoscenza dei valori delle variabili di stato a un determinato istante determina in modo univoco tutti gli stati del sistema (nel futuro e nel passato). A partire dal momento in cui sono stati incontrati dei casi di sistemi reali apparentemente refrattari a ogni tentativo di descrizione deterministica, la matematizzazione ha seguito vie diverse che hanno segnato il declino del ruolo centrale del sistema concettuale ispirato dalla meccanica classica. Il caso più famoso di una rappresentazione matematica non deterministica è dato dal «principio di indeterminazione» di Werner Heisenberg (1901-1976) in meccanica quantistica. Questo principio afferma che non è possibile conoscere simultaneamente la velocità e la posizione iniziale di particelle materiali molto piccole, perché la determinazione della posizione modifica la velocità, e viceversa. Più in generale, la modellistica matematica ha affrontato l'analisi di sistemi reali refrattari a una descrizione deterministica introducendo lo schema concettuale di un processo in cui non esiste alcuna influenza del presente sul futuro: il sistema evolve in una direzione o in un'altra

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senza regole apparenti, in modo puramente casuale o, come si dice in matematica, aleatorio. Fra questi due casi estremi - quello di un sistema strettamente deterministico e quello di un sistema totalmente aleatorio - esistono, nella modellistica matematica, molte situazioni intermedie. Ad esempio, si considerano dei sistemi in cui il presente determina in modo univoco il futuro ma non il passato. Si tratta quindi di modelli che potrebbero essere chiamati semi-deterministici. Un esempio di un contesto empirico in cui vengono utilizzati dei modelli semi-deterministici è dato dalla propagazione del calore: la conoscenza delle condizioni termiche iniziali di un corpo determina in modo univoco il 'futuro' del processo di propagazione, ma non permette di conoscere la storia passata del corpo, cioè di conoscere il modo in cui il calore si è propagato nel corpo fino a raggiungere lo stato presente. Esistono altri esempi di modellizzazioni non strettamente deterministiche di certi fenomeni fisici. Ad esempio, il comportamento meccanico di un filo sembra dipendere non soltanto dal suo stato iniziale (posizione e velocità), ma anche dalle sollecitazioni (ad esempio le torsioni) che esso ha subito nel corso della sua storia passata. Due fili possono sembrare del tutto identici a prima vista. Ma se appendiamo due masse identiche ai fili, li sottoponiamo a una torsione e osserviamo le loro oscillazioni, esse possono risultare assai differenti, senza che sia possibile discernere alcuna differenza macroscopica fra i fili che permetta di giustificare questa divergenza di comportamento. La descrizione deterministica macroscopica si rivela quindi inadeguata in una situazione del genere. Tuttavia, si è riusciti a spiegare i diversi comportamenti dei fili tenendo conto del loro 'passato' meccanico: uno dei due potrebbe aver subito delle torsioni mentre l'altro è rimasto vergine di ogni azione esterna. In una situazione del genere si considera il sistema come ereditario, intendendo con ciò che il suo passato, la sua 'eredità', influenza la sua evoluzione futura. Si possono fare due osservazioni. La prima è che tutti questi esempi offrono delle versioni deboli di sistemi deterministici. Una certa forma di determinazione continua a operare, anche se in modo meno vincolante che nel determinismo stretto, di cui la meccanica classica fornisce l'esempio per eccellenza. Si potrebbe quindi spostare la frontiera fra i modelli deterministici e i modelli non deterministici riservando quest'ultima denominazione ai modelli strettamente aleatori. La seconda osservazione è che il carattere non deterministico (cioè debolmente deterministico, semi-deterministico o aleatorio) dei modelli che abbiamo presentato come esempi non riguarda minimamente i fenomeni reali. Resta aperta la questione di sapere se un sistema meccanico sia 'ereditario' nella realtà, oppure se la descrizione ereditaria sia

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il solo modello matematico possibile allo stato attuale delle nostre conoscenze. Ciò è quanto dire che noi siamo incapaci di determinare completamente le condizioni iniziali del sistema - e anche che questa determinazione è praticamente impossibile in linea di principio, come nel caso della meccanica quantistica - senza che ciò implichi alcunché circa la natura effettivamente causale, semi-causale, ereditaria o aleatoria dei fenomeni studiati. La necessità di far ricorso a dei modelli non deterministici significa soltanto che noi siamo attualmente incapaci di descrivere il sistema come deterministico, oppure che è praticamente impossibile farlo, il che non implica affatto che il fenomeno non sia causale nella sua essenza2 • Si potrebbe obbiettare che questa 'essenza' non esiste, oppure che essa non presenta alcun interesse per la scienza, la quale si occupa soltanto di ciò che 'sa' dei fenollleni e non di ciò che essi 'sono'. Queste considerazioni ci portano sul terreno della filosofia, che ha sempre giocato un ruolo assai importante nello sviluppo della scienza, anche se ai nostri giorni si tenta di ridimensionarlo seguendo la moda di un certo rozzo empirismo. Di fatto, gli scienziati del passato (come quelli del presente) hanno sempre avuto (ed hanno) le loro idee filosofiche o, come si dice talvolta, la loro 'metafisica influente'. Ritorneremo su questo ordine di problemi, limitandoci per ora a sottolineare il loro carattere controverso. La seconda distinzione, quella che differenzia i modelli descrittivi dai modelli di controllo, è in gran parte legata alla modellistica matematica contemporanea e, più in generale, all'estensione della scienza moderna al di fuori dei campi tradizionali. Fintantoché lo scopo della scienza era quello di osservare la natura, di comprenderne il funzionamento e di descriverlo, una distinzione del genere non si poneva neppure. Essa è il risultato di due aspetti dell'evoluzione dell'attività scientifica. Il primo di questi aspetti è legato al tentativo di estendere l' analisi scientifica a campi non tradizionali, in particolare alle scienze sociali. In quest'ultimo campo il compito della descrizione è affidato alla storia, ma la scienza non può limitarsi a leggere la storia per ricavarne delle pretese leggi 'obbiettive' che governano l'evoluzione della società. Un approccio del genere sarebbe soprattutto inutile e falso perché, per riprendere la frase di François Quesnay (1694-1774) citata nel capitolo precedente3, la scienza sociale non può accontentarsi di estrarre esempi e lezioni da quell' «abisso di disordine» che è la storia umana. Le scienze sociali cercano di enunciare leggi normative, cioè regole giu2 In linguaggio filosofico, diremmo che si tratta di indeterminismo sul piano epistemologico, ma non necessariamente sul piano ontologico. Preciseremo questi concetti più avanti. 3

Si veda la nota 1 del capitolo 6.

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ste e razionali che la comunità umana può decidere di seguire per il suo bene4 • L'uso della matematica nelle scienze sociali (e, ovviamente, economiche) conduce in modo naturale alla ricerca di modelli matematici che definiscono il comportamento più adeguato in vista di certe finalità. Lo scopo principale di questi modelli non è dunque quello di descrivere la realtà ma di determinare un insieme di regole che occorre imporre alla realtà per plasmarla in funzione di determinati obbiettivi: si tratta quindi di modelli di controllo. Esiste tuttavia un altro aspetto dell'evoluzione dell'attività scientifica che ha condotto all'elaborazione di modelli normativi o di controllo. Si tratta del passaggio da un punto di vista 'contemplativo' a un approccio che mira a modificare la natura - un'evoluzione questa che è certamente legata allo sviluppo della tecnologia. Consideriamo due esempi. Il volo di un aereo non può essere considerato come un problema meccanico nel senso tradizionale. In effetti il moto dell'aereo non è determinato soltanto dalle forze che agiscono su di esso (l'impulso dato dal motore): esso è influenzato anche dall'attività di guida esercitata dal pilota. Una modellizzazione corretta di questo processo di evoluzione meccanica deve quindi prendere in considerazione, oltre alle variabili di stato del sistema, un certo numero di variabili di controllo che tengono conto dell'intervento di apparecchiature come gli ipersostentatori. Non si tratta dunque soltanto di descrivere il moto dell'aereo, ma anche di introdurre l'influsso che una serie di elementi di controllo esterno esercitano su questo moto, e ciò al fine di determinare le condizioni ottimali di volo. Un'altra classe di esempi che mostra assai più chiaramente la differenza concettuale fra modelli descrittivi e modelli di controllo è data dai modelli delle 'code' o file d'attesa. Si tratta di determinare le condizioni sotto le quali è possibile minimizzare il tempo d'attesa in una coda, che si tratti della coda per pagare il pedaggio di un'autostrada o della coda allo sportello di una banca o di un ufficio postale. In tal caso il problema non è ovviamente quello di descrivere una coda: perché mai dovremmo sforzarci di rappresentare una fila lenta e caotica? Si tratta soltanto di determinare le condizioni 'ottimali' che possono rendere minima l'attesa. Quel che cerchiamo, in questo caso, è un modello matematico che permetta di intervenire sulla realtà e di modificarla: ancora una volta si tratta di un modello di controllo. Passiamo ora all'altro criterio mediante il quale è possibile considerare i modelli: e cioè secondo il loro oggetto. Entro tale punto di vi4 Vedremo tuttavia che tale questione ha suscitato un gran dibattito. Si veda il capitolo 11.

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sta l'approccio più semplice e naturale è di ricorrere alle classificazioni disciplinari tradizionali: fisica, chimica, biologia, economia. Escluderemo tuttavia subito la fisica, per ragioni che abbiamo già spiegato e sulle quali torneremo nella Parte seconda. La fisica ha sempre avuto uno statuto a parte, anche dopo la svolta legata alla diffusione del metodo dell'analogia matematica. Lo sviluppo storico della moddlistica matematica ha un legame molto stretto con la matematizzazione delle scienze non fisiche. Non è un caso se tutti i manuali che hanno come oggetto la modellistica matematica ricorrono quasi esclusivamente a esempi tratti dalle scienze non fisiche. E ciò nonostante gli esempi di natura fisica siano sempre presenti come una sorta di leitmotiv: quello dell'analogia meccanica sempre esorcizzata e tuttavia sempre viva... . Ci limiteremo qui a fornire qualche idea circa alcuni dei campi più importanti e ormai classici delle applicazioni della matematica alla biologia (dinamica delle popolazioni e teoria matematica delle epidemie) e all'economia (teoria dell'equilibrio economico). Per rendere la nostra esposizione meno complessa sceglieremo questi esempi fra i più semplici e i più omogenei ai concetti matematici che abbiamo già introdott Lr Quali che siano i numeri iniziali delle due popolazioni, la popolazione x sparirà, e tutte le traiettorie d'evoluzione tenderanno verso l' equilibrio (O, K), dove x = Oe)' raggiunge il suo valore limite L2 = K. y

K

o

X

Figura 7.4 b) Modelli matematici della di/fusione delle epidemie La letteratura concernente i modelli matematici in biologia ha raggiunto oggigiorno una diffusione considerevole. Queste ricerche riguardano non soltanto la dinamica delle popolazioni, ma anche la diagnosi delle malattie, sia che si tratti di disturbi cardiaci (il modello di Van der Poi ha lasciato il posto a modelli molto più sofisticati e utilizzabili sul calcolatore) o di altre patologie (esistono, ad esempio, dei modelli per la diagnosi del diabete o di certe forme di tumore mediante un'analisi statistica dei risultati di analisi diagnostiche). Un altro cam-

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po d'intervento molto vasto della modellistica matematica nelle scienze della vita è rappresentato dalla teoria delle epidemie. Si tratta di ricerche che risalgono all'inizio del secolo e che (ancora una volta) hanno conosciuto un pieno sviluppo verso la metà degli anni venti. Loscopo è quello di determinare le condizioni entro le quali una malattia infettiva si sviluppa in forma epidemica e di descrivere quantitativamente la sua diffusione. La massa dei risultati ottenuti in questo campo è imponente e concerne praticamente ogni tipo di malattia infettiva7 , dalle malattie esantematiche alla malaria, dalle malattie veneree alla tubercolosi. I modelli più recenti riguardano evidentemente la diffusione dell' Aids 8 • Restando fedeli al nostro approccio, che consiste nel dare idee generali dei temi assortite a esempi molto semplici ed elementari, ci limiteremo a descrivere quel che viene detto il modello matematico di base della diffusione di un'epidemia. Questo modello fu elaborato dai biomatematici W.O. Kermack e A.G. McKendrick nel 1927 9 e com- · prende un teorema che viene detto 'teorema della soglia di Kermack e McKendrick'. Nonostante la sua estrema semplicità, esso si è rivelato utile per descrivere la diffusione di certe epidemie, come la peste di Bombay del 1905 (come fecero con successo gli stessi autori). In questo modello, la popolazione nell'ambito della quale la malattia si sta diffondendo viene divisa in tre gruppi: i suscettibili, cioè gli individui che possono contrarre la malattia ma non l'hanno ancora contratta, e che sono rappresentati dalla variabile S(t); gli in/etti I(t), che hanno la malattia in pieno sviluppo o in incubazione e non sono isolati, il che implica che sono i vettori del contagio; infine gli isolati R(t), che comprendono gli individui malati e isolati a casa o all'ospedale (e che non possono quindi essere vettori del contagio), gli individui guariti e che hanno acquisito l'immunità, e infine gli individui morti a causa della malattia. Si suppone inoltre che la popolazione totale N(t) =S(t) + l(t) + R(t) sia costante (cioè che il numero dei nati sia uguale al numero dei morti), che è un'ipotesi accettabile se il periodo durante il quale si studia la diffusione della malattia è abbastanza corto. Il meccanismo di diffusione della malattia è ancora una volta molto simile a quello della 'teoria degli incontri' utilizzata nella dinamica delle popolazioni. Supporremo che l'incremento degli infetti sia proporzionale al numero degli in7 Si può trovare una panoramica molto vasta e completa dei risultati classici in .Bailey 19.57. Per le teorie moderne ci si può riferire a volumi più recenti, anche se nessuno ha il carattere metodico del trattato di Bailey. 8 Si veda ad esempio May, Anderson 1987, May, Anderson 1988, Denning 1988. 9 Kcrmack, McKendrick 1927.

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contri fra infetti e suscettibili. Il numero di questi ultimi diminuirà quindi di una quantità uguale all'incremento del numero degli infetti. D'altra parte, la popolazione degli infetti diminuirà di una quantità proporzionale al loro numero: questa diminuzione è esattamente uguale ali' aumento del numero degli 'isolati'. Le equazioni che descrivono la dinamica delle tre componenti della popolazione saranno allora: S(t) = - r S(t)I(t) ~ (t) = r S(t)I(t) - y I(t) R(t) = yl(t)

I

L'ultima equazione dipende dalle prime due, che sono quindi sufficienti per un'analisi completa del modello. Questa analisi mostra che l'andamento delle traiettorie nello spazio delle fasi (S, I) è quello rappresentato nella figura 7.5.

p

s Soglia

Figura 7.5 Quali che siano i valori iniziali delle due popolazioni S e I, la malattia tende a sparire. Dopo un certo tempo il sistema tende verso uno stato in cui I = O, e non per la mancanza di suscettibili, ma perché la malattia non colpisce tutti. La seconda conclusione importante che sca-

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turisce da questo modello è la seguente. La figura 7 .5 mostra che il massimo numero di infetti è raggiunto per uno stesso valore del numero dei suscettibili: questo valore è p = 1'.. Se la traiettoria inizia al disotto di r

questo valore, il numero degli infetti non potrà che diminuire. Pertanto una diffusione epidemica della malattia potrà verificarsi soltanto se il numero dei suscettibili è maggiore di p, che rappresenta il 'valore soglia' al di là del quale si manifesta l'epidemia. Il teorema di Kermack e McKendrick mostra che, sotto certe ipotesi poco restrittive, il numero totale degli infetti è uguale a 2(S0 - p), dove S0 è il numero degli infetti all'inizio dell'epidemia. Kermack e McKendrick confrontarono questo modello con i dati reali della diffusione della peste a Bombay fra il 1905 e gli inizi del 1906.



900 800 700 600

'~E

500 400 300 200 100

• 5

10

15

20

25

30

35

Settimane

Figura 7.6 In generale le statistiche sono possibili soltanto per la popolazione degli isolati. Esse sono particolarmente semplici quando gli isolati coincidono con i morti, come era nel caso della peste di Bomqay. L'ipotesi di una popolazione totale costante permette di scrivere: R(t)

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r

r

= I(t) = (N - R - S), dove N è la popolazione totale supposta costante. Mediante calcoli abbastanza semplici è possibile esprimere la variabile Sin funzione della variabile R. Si ottiene, in tal modo, un'equazione che contiene soltanto R(t), e la cui soluzione è rappresentata da una curva a forma di 'campana' (v. fig. 7.6). I punti rappresentano il numero dei decessi per settimana secondo le statistiche effettuate all'epoca. Si constata che l'accordo fra i valori previsti (indicati dalla curva) e i valori reali è abbastanza soddisfacente. c) Equilibrio economico

Un altro campo di applicazione assai importante della matematica alla modellizzazione dei fenomeni non fisici è quello dei sistemi economici e sociali. È soprattutto nel campo dell'economia che la matematica è stata applicata nel modo più sistematico. È difficile fare una sintesi di questi temi, sui quali torneremo nel capitolo 22 e, da un punto di vista storico, nel capitolo 11. Ci limiteremo a dire, per ora, che l'applicazione della matematica all'economia risale alla fine del diciottesimo secolo, e ha inizio con lo studio dell'economia come risultato delle azioni della moltitudine degli agenti economici individuali. Le prime forme di matematizzazione sono quindi legate a un approccio microeconomico. Il programma microeconomico fu definito in modo sistematico da Antoine-Augustin Coumot (1801-1877), Léon Walras (18341910) e Vilfredo Pareto (1848-1923). I concetti fondamentali di questo programma sono le nozioni di funzione d'utilità (o funzione di domanda) e di equilibrio; quest'ultimo è chiaramente legato alla nozione di equilibrio meccanico 10 • Tentiamo di dare un'idea, sia pure molto grossolana, dei problemi matematici che si pongono in questo contesto. Da un punto di vista microeconomico, l'unità elementare dell'aggregato economico è l'homo ceconomicus, il cui ruolo è quello di formulare un piano di consumo e di produzione dal momento presente al futuro. Questo piano è descritto mediante una funzione che rappresenta l'insieme delle sue scelte fra tutte le merci o servizi disponibili (e fra le produzioni possibili) in funzione della sua ricchezza, cioè della quantità ro dei beni che egli possiede e in funzione del prezzo corrente p delle merci1 1: si tratta della funzione di domanda l;(p,ro). Una seconda funzione 1C(p,ro) rappre-

rn Su questi temi si veda Ingrao, Israel 1987 -1990 e il capitolo 11 di questo libro. 11 p e w sono dei vettori, cioè delle liste di valori (la lista dei prezzi di ogni merce e la lista delle quantità di beni posseduti dall'agente economico).

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senta }"offerta' dei beni, ed è legata all'attività della produzione delle merci. La differenza ~(p, m) - n(p, m) = t;(p, m) è !"eccesso di domanda' dell'agente economico. La somma degli eccessi di domanda di tutti gli agenti definisce l'eccesso di domanda globale del mercato. Il problema fondamentale della teoria economica è di dimostrare che esiste almeno una situazione di equilibrio, ovvero un valore dei prezzi per il quale la domanda e l'offerta si equilibrano, cioè l'eccesso di domanda è nullo. Dal punto di vista matematico, determinare i prezzi di equilibrio del mercato equivale a ricercare le soluzioni di un sistema di equazioni t;/p, m) = O, dove t;;rappresenta la differenza fra l'offerta e la domanda della i-esima merce (i varia fra 1 e n, e n è il numero di tutte le merci presenti sul mercato). Il secondo problema fondamentale della teoria microeconomica classica è di dimostrare che l'equilibrio è unico. Il terzo è di dimostrare che la legge dell'offerta e della domanda (ovvero la legge secondo cui un aumento della domanda corrisponde a un incremento dei prezzi e viceversa) determina un cambiamento dei prezzi nel corso del tempo, il quale conduce a uno stato di equilibrio: si tratta della vecchia idea, ancora ben viva 12 , secondo la quale l'economia di mercato possiede una virtù di autoregolazione che le permette di raggiungere in modo automatico uno stato di compatibilità fra le azioni degli agenti economici, cioè uno stato di equilibrio. Il modo più semplice di tradurre matematicamente questa relazione fra crescita e diminuzione dei prezzi e l'evoluzione dell"eccesso di domanda' è di supporre che la velocità di variazione dei prezzi (cioè la loro derivata) sia proporzionale alla funzione eccesso di domanda. In tal modo si ottiene un sistema di equazioni differenziali della forma seguente: p,(t) = k; ({p, (1)). Il problema matematico consiste nel dimostrare che tutte le traiettorie di evoluzione definite da questo sistema di equazioni - cioè i processi di variazione dei prezzi - conducono a un insieme di valori dei prezzi che stabilisce un equilibrio fra offerta e domanda nell'economia. Questi problemi matematici, che abbiamo qui descritto in modo assai sommario, sono di grande complessità. È occorso più di mezzo secolo, dopo la loro enunciazione da parte di Walras, per avvicinarsi alla loro soluzione. Le prime dimostrazioni dell'esistenza dell'equilibrio furono conseguite negli anni trenta dai matematici Abraham Wald (19021950) e John von Neumann. La prima dimostrazione generale e completa, dovuta agli economisti-matematici KennethJ. Arrow (n. 1921) e Gérard Debreu (n. 1921), ricorre a un arsenale di strumenti matemati12 Soprattutto nelle politiche economiche seguite da Margaret Thatcher in Inghilterra e da Ronald Reagan negli Stati Uniti, e ispirate dalle teorie della scuola di Chicago.

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ci assai sofisticati e risale agli anni cinquanta. Si è tentato in seguito di estendere questa dimostrazione a casi sempre più generali. Per quel che concerne i problemi dell'unicità e della stabilità, si è dovuto attendere gli anni più recenti per ottenere dei risultati che, nella maggior parte dei casi, hanno deluso le speranze dei fondatori della teoria. La modellistica matematica si è anche sviluppata nel campo dell'analisi macroeconomica, owero dello studio dei fenomeni economici sviluppato sulla base della considerazione di un numero limitato di variabili descriventi in grande (o, come si dice spesso, nell"aggregato') il corso dell'economia. Questa forma di analisi si è recentemente collegata ai metodi statistici e numerici e ha condotto alla formulazione di modelli detti 'macroeconometrici' che hanno come fine la gestione pratica della politica economica. Un altro campo della modellistica matematica economica 'astratta', che conosce oggi un grande sviluppo, è fondato sull'uso sistematico della teoria dei giochi, le cui origini risalgono ai lavori di von Neumann negli anni venti e ai lavori del matematico francese Émile Bore!. Di fatto lo studio dei problemi economici in termini di teoria dei giochi precede, nel periodo modellistico, l'uso dell'approccio differenziale, e ad esso ricorse von Neumann per dimostrare il primo teorema di esistenza dell'equilibrio economico generale. In seguito si ha la netta impressione che sia stato fatto uno sforzo sistematico per eliminare dall'economia matematica ogni traccia di un approccio in termini di teoria dei giochi. La situazione si è completamente rovesciata da una ventina di anni, e si assiste a una massiccia rinascita d'interesse per tale approccio. Concludiamo qui questa passeggiata alquanto aleatoria, il cui scopo era quello di rendere familiari al lettore alcuni temi della modellistica matematica. Ritorneremo su questi temi nella Parte terza, soprattutto su quelli più complessi, come la matematizzazione dell'economia e della biologia, che non si prestano molto a esemplificazioni disordinate. Ci rivolgiamo ora a un altro obbiettivo: quello di dare un quadro dei temi storici della matematizzazione che ci permetterà di definire in modo più chiaro le caratteristiche della modellistica matematica contemporanea.

Parte seconda MATEMATICA E REALTÀ: UN PANORAMA STORICO

Capitolo ottavo

GLI INIZI DELLA MATEMATIZZAZIONE

DELLA REALTÀ

Fin dai suoi inizi la scienza moderna ha tentato di elevare una barriera insuperabile fra se stessa e le forme di conoscenza che l'avevano preceduta e che essa ha sempre considerato come qualitative, soggettive o di carattere puramente metafisico. Essa è giunta fino al punto di presentarle come forme di esoterismo o di magia, o, semplicemente, come il prodotto di un pensiero ispirato al rifiuto irrazionale di ogni conoscenza positiva della natura 1• L'idea che esista una barriera insuperabile fra il sapere scientifico e le forme di conoscenza 'pre-scientifiche' o 'anti-scientifiche' è stata diffusa come una verità così evidente che essa continua ancora a influenzare fortemente l'immagine contemporanea della scienza. Nel senso comune, la scienza moderna è una (o piuttosto 'la') conoscenza 'oggettiva' e 'razionale' della realtà che inizia a svilupparsi nel Seicento e trova la sua espressione più chiara nell' opera di Galileo e di René Descartes (1596-1650) e, più in generale, in quel processo che viene chiamato 'rivoluzione copernicana'. La storiografia della scienza ha accettato a lungo come cosa ovvia questa distinzione fra il 'bene' e il 'male', fino al momento in cui un' analisi più seria dei fatti storici ha dimostrato il suo carattere manicheo2 • Oggi gli storici della scienza sono assai meno inclini a definire come 'oscurantiste' tutte le forme di conoscenza che hanno preceduto la ri1 Questa rottura del pensiero scientifico con le forme di pensiero anteriori, e in particolare con il pensiero deJ Rinascimento, può essere persino simbolicamente datata in modo preciso: 1623. E l'anno della pubblicazione delle Quaestiones celeberrimae in Genesim di Marin Mersenne (Mersenne 1623 ), «una dèlle opere-chiave che segnano la transizione dalle forme rinascimentali di pensiero magico a quelle della rivoluzione scientifica» (Yates 1979, p. 217). È questo un punto particolarmente importante per il tema della matematizzazione, perché nell'universo di Mersenne «la matematica sostituisce la numerologia [... ) la magia è bandita, è arrivato il secolo XVII» (ivi, p. 218). 2 L'opera storica di Frances Yates (1899-1981), sebbene non si collochi nell'ottica della storia della scienza, ha molto contribuito a questo cambiamento di prospettiva (si veda Yates 1979 e soprattutto Yates 1964).

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voluzione scientifica del Seicento. Sono trascorsi trent'anni da quando Thomas Kuhn esprimeva il malessere degli storici di fronte all'obbligo di separare la componente 'scientifica' delle forme di conoscenza passate da ciò che è stato in seguito definito come 'errore' o 'superstizione'. E osservava: Quanto più accuratamente essi [gli storici] studiano la dinamica aristotelica o la teoria del flogisto o la termodinamica del calorico, tanto per fare degli esempi, con tanta maggiore certezza essi hanno la sensazione che le concezioni della natura che si erano affermate nel passato non fossero, considerate nel loro insieme, né meno scientifiche né il prodotto di idiosincrasie umane più di quanto lo siano essere prodotti dallo stesso genere di metodi e sostenuti per lo stesso genere di ragioni che oggi guidano la ricerca scientifica. Se, d'altra parte, essi meritano il nome di scienza, allora la scienza ha incluso complessi di credenze abbastanza incompatibili con quelle che oggi sosteniamo. Date questé alternative, lo storico deve scegliere quest'ultima. Le teorie fuori moda non sono in linea di principio prive di valore scientifico per il fatto di essere state abbandonate. Una simile scelta, però, rende difficile guardare allo sviluppo scientifico come ad un processo di accrescimento. La ricerca storica stessa, che mette in luce le difficoltà derivanti dall'isolare singole invenzioni e scoperte, fa nascere profondi dubbi circa il processo cumulativo per cui, si pensava, questi contributi particolari alla scienza si sarebbero aggiunti gli uni agli altri (Kuhn 1962, p. 21).

Sono quindi passati più di trent'anni da quando sono state scritte queste righe e le idee che esse esprimono sono entrate in modo irreversibile nella coscienza degli storici della scienza. Soltanto una divulgazione scientifica di pessimo livello, e che non è altro che una piatta e acritica agiografia delle scoperte scientifiche, insiste nel presentare la scienza moderna come la 'razionalità' contrapposta a quasi tutto il resto del pensiero, che non rappresenterebbe altro che il campo dell'incerto e dell'arbitrario e che aprirebbe spesso la porta - è un punto questo sul quale si insiste molto - alle peggiori forme di oscurantismo e di fanatismo. Occorre concludere che gli sviluppi avviatisi nel Seicento, e che vengono di solito identificati come l'inizio della 'rivoluzione scientifica', non hanno rappresentato nulla di nuovo rispetto alle precedenti forme di conoscenza? Una siffatta conclusione sarebbe evidentemente falsa e ridicola. Ma occorre insistere sul fatto che quegli sviluppi non possono essere considerati come l'emergere di una sorta di barriera fra 'buone' e 'cattive' conoscenze, fra 'scienza' e 'non-scienza'. Un approccio più razionale ed equilibrato condurrebbe piuttosto a parlare di differenze fondamentali che distinguono la 'nuova scienza' e che la caratterizzano rispetto alle forme di sapere precedenti. Una di queste dif-

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ferenze - forse la più importante - consiste nel fatto che lo studio della natura, a partire dal Seicento, è caratterizzato dall'uso sempre più sistematico del metodo quantitativo, cioè dal ruolo centrale della matematica. Occorre precisare questo punto con cura. È indubbio che l'ingresso in scena della matematica nello studio dei fenomeni naturali deriva da una tendenza che è già presente nel pensiero rinascimentale: si tratta dell'idea secondo cui il mondo è stato scritto da Dio nel linguaggio dei numeri. Questa forma di neopitagorismo numerologico rappresenta l'antecedente e il punto di partenza della concezione caratteristica della scienza del Seicento: il mondo è stato scritto da Dio in linguaggio matematico. Questo linguaggio è dapprima quello fortemente strutturato e trasparente della geometria (e in particolare della geometria greca), piuttosto che il linguaggio misterioso ed esoterico dei numeri. La sostituzione della visione numerologica del mondo con la visione matematica è stimolata da una tendenza legata allo spirito dell' epoca, al clima generale della società, che attribuisce un'importanza sempre più grande all'esigenza di misurare i fenomeni e non si accontenta di descriverli in modo puramente qualitativo. Così Galileo spesso allude agli esempi offerti dalle attività degli artigiani e dei mercanti e all'uso che questi ultimi fanno dei calcoli aritmetici. Descartes, nel suo tentativo di fondare la conoscenza quantitativa del mondo sulla teoria delle proporzioni, considera il lavoro della tessitura come un eccellente esempio di un'attività caratterizzata dalle idee di ordine e di misura3 • Ritorneremo su questi temi che sono molto importanti e interessanti. Per il momento ci limiteremo a osservare che la 'nuova scienza', benché stimolata dall'esigenza di misurare, non si limita assolutamente a una visione puramente pratica di questa nuova attività. Al contrario, essa focalizza la sua attenzione sul problema della fondazione di un metodo generale della misura. In altri termini, si tratta di definire una forma generale e sistematica di uso dello strumento matematico. Nel linguaggio moderno, potremmo definire questo problema come il tentativo di stabilire i principi di una analisi quantitativa dei fenomeni naturali di cui la matematica è lo strumento centrale. La matematica deve quindi essere considerata come un metodo di conoscenza e non come un semplice strumento di calcolo4 • 3 «Occorre approfondire dapprima le arti meno importanti e più semplici, quelle in cui regna di più l'ordine, come lo sono quelle degli artigiani che fanno tele o tappeti, o quelle delle donne che ricamano o fanno merletti, così come tutte le combinazioni di numeri e tutte le operazioni che si riconducono all'aritmetica, o altre cose simili» (Descartes 1701, Regola X, p. 70). Su questi temi si veda anche Israel 1990 (a). 4 Riprendendo i termini di Lévy-Leblond 1982, potremmo dire che la matematica ha un ruolo costilulivo nella formazione della scienza del Seicento.

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Le caratteristiche dell'uso della matematica come metodo di conoscenza sono state già sintetizzate nel capitolo I. Per illustrarle abbiamo fatto ricorso a un brano di un articolo del matematico italiano Vito Volterra che converrebbe, a questo punto, rileggere. Questo passaggio è preceduto da una descrizione efficace e semplice della differenza fra l'uso della matematica come strumento ausiliario e il processo di matematizzazione della scienza. Ecco come Volterra spiega questa differenza e illustra il relativo passaggio storico: Il passaggio di una scienza dall'epoca che dirò prematematica a quella in

cui essa tende a divenir matematica resta caratterizzato da ciò: che gli elementi che essa studia vengono esaminati in modo quantitativo anziché qualitativo; onde in questa transizione le definizioni che richiamano soltanto alla mente l'idea degli elementi stessi con una immagine più o meno vaga cedono man mano il posto a quelle definizioni o principii che li determinano offrendo invece il modo di misurarli. Quale importanza, per esempio, nella meccanica newtoniana viene ad avere il primitivo concetto di forza espresso nei termini: «la forza è la causa di moto», cli fronte alle due prime leggi che non danno in fondo altra cosa che il modo di misurarla? Tanto poca, che in alcuni moderni tentativi di rifacimento della meccanica la stessa parola forza, quest'ultimo residuo verbale di personificazione nel mondo inorganico, poté essere soppressa, soli restando a sostituirla quegli elementi che combinati ne danno la grandezza. [. .. ] Però, il tradurre nel linguaggio dell'aritmetica o della geometria i fatti della natura, è piuttosto schiudere il varco alle matematiche che non porre in opra lo strumento dell'analisi (Volterra 1901, pp. 9-10). La messa in opera degli strumenti dell'analisi è un processo assai più complesso. Essa richiede un'integrazione sofisticata dei metodi matematici con i metodi sperimentali, un'interazione fra di essi che permetta di verificare la solidità dei risultati ottenuti. Questo processo è descritto con molta chiarezza nel brano di Volterra citato nel capitolo I. Dal punto di vista storico, è occorso più di un secolo perché si realizzasse il passaggio dalla visione della matematica come strumento pratico a quella della matematica come strumento concettuale e metodologico della ricerca. Questo passaggio contrassegna la differenza fra Seicento e Settecento, anche se occorrerà attendere gli inizi dell'Ottocento per veder apparire chiaramente i contorni di un metodo ben definito come quello descritto da Volterra. Ritorneremo nei capitoli seguenti sulle forme storiche di questo sviluppo. D'altra parte, non bisogna credere che, prima della comparsa della 'nuova scienza', la matematica non abbia giocato alcun ruolo nella conoscenza e nel controllo della natura. Per parafrasare Volterra, «delle porte più o meno grandi si erano aperte alla matematica». Ma la que-

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stione è più sottile: di quale tipo di conoscenza e di controllo si trattava? La differenza fra la nuova scienza quantitativa e la scienza del Medioevo si colloca esattamente a questo livello, anche se la transizione ha avuto luogo attraverso una gran quantità di passaggi complessi e sfumati che è fuori questione analizzare in questa sede. Quel che caratterizza le forme di conoscenza anteriori alla rivoluzione scientifica è la divisione del mondo in due sfere separate che rinviano a due sfere distinte e separate della conoscenza'. La prima sfera comprende i moti dei corpi celesti, che sono retti dalle leggi divine e la cui conoscenza è garantita a priori in quanto pura descrizione di queste leggi. In questo contesto il calcolo matematico è legittimo e vero, perché è giustificato dalla natura divina e perfetta dell'oggetto dell'analisi. La seconda sfera è quella dei fenomeni terrestri, che appartengono a un mondo imperfetto i cui elementi sono effimeri, il mondo della 'generazione' e della 'corruzione'. Questo mondo materiale non è considerato come privo di interesse: esso non è né indegno di essere conosciuto, né al di fuori di ogni possibilità d'intervento pratico. Al contrario, il Medioevo fu un'epoca di grandi invenzioni. Tuttavia l'invenzione tecnica, la macchina, era considerata piuttosto come un artifizio, come uno strumento che serviva a 'ingannare' la natura e a strapparle i suoi segreti. Nel corso del Seicento comincia a farsi strada l'esigenza di conoscere razionalmente la natura: ci si comincia a convincere che occorre abbattere la barriera che separava il mondo della 'vera' conoscenza dal mondo dei fenomeni naturali, fino a quel momento considerati come dominio delle attività pratiche e della magia. Questa esigenza appare nell'interazione sempre più stretta fra attività intellettuali e le nuove forme di attività pratiche: sviluppo dell'artigianato, attività commerciali, invenzioni tecniche6. Nell'ambito di queste attività, la matematica comincia a imporsi come un potente strumento di unificazione delle scoperte e dei fatti. Nel corso del Seicento questa tendenza matura in modo decisivo. Si diffonde sempre più la consapevolezza che non è più sufficiente strappare dei segreti alla natura: occorre comprendere il funzionamento di questa macchina enormemente complessa. Ma, per fare questo passo, occorre abbandonare l'antico pregiudizio di una natura lontana

'Ci riferiamo qui al pensiero scolastico ispirato dall'aristotelismo e alla divisione del mondo della natura in due sfere, non al dualismo fra pensiero e materia. Per quanto riguarda quest'ultima dicotomia, «non troviamo, in effetti, due dottrine che si affrontano ali' epoca, ma tre: la Scolastica, il Meccanicismo, e il Naturalismo del Rinascimento» (Lenoble 1971, p. ,). Quest'ultimo si oppone alle altre per le sue tendenze panpsichiste e moniste e, se troverà in Descartes un nemico totale, influenzerà invece il pensiero di Leibniz e anche quello di Newton. 6 Su questi temi si veda Cardwell 1972.

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e misteriosa e, al contrario, analizzarla con la stessa chiarezza e lo stesso rigore che erano stati messi all'opera nello studio dei corpi celesti. Lo scienziato deve quindi porsi come obbiettivo lo studio di una natura unificata in tutte le sue parti. Secondo Galileo occorre, in un certo senso, 'nobilitare' e perfezionare la Terra, rendendola simile ai corpi celesti e collocandola di nuovo nel cielo, dal quale gli antichi filosofi l'avevano cacciata. Quali saranno i criteri di verità di questa nuova scienza? Non esistono più garanzie a priori che sarebbero la conseguenza della natura divina degli oggetti studiati. Le garanzie di verità debbono essere stabilite su altre basi. Ed è su questa questione di metodo che nasce il conflitto più acuto fra la Chiesa e la scienza galileiana. Galileo trova queste garanzie di verità nella matematica, a condizione di accantonare l' aristotelismo e di considerare il ruolo della matematica in una prospettiva platonistica. In effetti, secondo Galileo, l'universo è 'scritto' in linguaggio matematico, o piuttosto geometrico (cerchi, triangoli, rette, ecc.), perché la matematica è il linguaggio di Dio. Nonostante il suo interesse, lasciamo da parte questo aspetto della concezione di Galileo ed esaminiamo il modo in cui egli propone l'uso concettuale della matematica nello studio dei fenomeni naturali. Il passaggio del Dialogo dei Massimi Sistemi che analizziamo più avanti descrive molto chiaramente questa concezione.Tuttavia siamo qui in presenza di un paradosso: Galileo non realizzò mai l'uso effettivo della matematica nello studio dei problemi fisici. In effetti egli tentò di piegare la matematica della sua epoca - la geometria euclidea e la teoria delle proporzioni - alla rappresentazione dei fenomeni meccanici, ma si scontrò con i limiti intrinseci di questa matematica, che si rivelò in definitiva inadeguata alla descrizione quantitativa del moto7 • In un certo senso questi tentativi infruttuosi di Galileo e della sua scuola costituiscono la prova più chiara della 'necessità' del calcolo infinitesimale. Si potrebbe ben dire che anche Galileo si limitò ad «aprire le porte alla matematica». Ma, dal punto di vista concettuale, egli fece molto di più. In effetti si tratta del medesimo approccio che Volterra, quasi tre secoli dopo, enuncerà in un linguaggio soltanto più moderno per quanto riguarda i dettagli del metodo e delle tecniche. Questo approccio carat-

7 I tentativi di Galileo di costruire, a partire dalla teoria delle proporzioni, una matematica adeguata allo studio dei fenomeni della meccanica non sono stati finora oggetto di alcuna analisi storica esauriente. Questo vuoto nell'incer!Ìrerazione storica fondamentalmente corretta del processo di geometrizzazione de o spazio e del moto proposta da Alexandre Koyré (1882-1964) (Koyré 1966, 1968) è stato di recente colmato da un'importante opera di Enrico Giusti (Giusti 1993).

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terizza quindi gli sviluppi della nuova scienza matematizzata: la realizzazione concreta era ostacolata unicamente dall'assenza degli strumenti tecnici che sarebbero stati approntati da altri scienziati, e in particolare da Newton8 • Il brano di Galileo che segue permette, al contempo, di caratterizzare la differenza fra la scienza precedente e la 'nuova scienza': essa non può essere definita come l'opposizione fra 'scienza' e 'non scienza', bensl come la differenza tra una forma di conoscenza qualitativa, concreta e materiale e una forma di conoscenza quantitativa, generale e astratta. Galileo-Salviati vuole dimostrare all'aristotelico Simplicio che una sfera e un piano a essa tangente hanno in comune un punto e uno soltanto9. Secondo Simplicio, nella realtà materiale e sensibile una sfera non tocca mai un piano o un'altra sfera in un sol punto. Quel che è vero al livello dell'astrazione geometrica non ha alcun valore nella realtà: SIMPLICIO - [. .. ] perché finalmente queste sottigliezze matematiche, Sig. Salviati, son vere in astratto, ma applicate alla materia sensibile e fisica non rispondono: perché dimostreranno ben i matematici con i lor principii, per esempio, che sphaera tangi/ planum in puncto 10 , proposizione simile alla presente; ma come si viene alla materia, le cose vanno per un altro verso: e così voglio dire di quest'angoli del contatto e di queste proporzioni, che poi tutte vanno a monte quando si viene alle cose materiali e sensibili. La discussione fra Galileo-Salviati e Simplicio riguarda quindi i rapporti fra verità matematica e verità fisica. Nella sua risposta agli argomenti di Simplicio, Galileo-Salviati sviluppa un ragionamento molto sottile. Egli comincia col porre il problema della definizione della sfera, mostrando che non si può fare a meno della definizione geometrica - e quindi perfetta e astratta (la sfera è la superficie i cui punti sono tutti equidistanti da un punto dato) - se non si vuole introdurre una contraddizione, cioè definire una sfera come qualcosa che allo stesso tempo non lo è: 8 È il programma di descrizione quantitativa dei fenomeni meccanici che conduce alla determinazione di nuovi concetti e strumenti matematici, e mette così in evidenza i limiti intrinseci degli strumenti fino a quel momento disponibili. Quanto abbiamo detto non implica affatto una visione deterministica (o cumulativa) del processo di sviluppo della matematica. Questa precisazione sarebbe superflua se non fossimo in presenza di una moda bizzarra che tende a classificare ogni forma di storia intellettuale come una forma di «whiggism» - il che costituisce una parodia della critica delle storiografie cumulative sviluppata da Kuhn (si veda il capitolo 14). 9 I brani seguenti sono tratti da Galilei 1632, seconda giornata (pp. 277-83 ). JO

«Una sfera tocca un piano in un sol punto».

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SALVIATI - Ora, per mostrarvi quanto sia grande l'error di coloro che dicono che una sfera, v.g. 11 , di bronzo, non tocca un piano, v.g., d'acciaio, in un punto ditemi qual concetto voi vi formeresti di uno che dicesse costantemente asseverasse che la sfera non fusse veramente sfera. · SIMPLICIO - Lo stimerei per privo di discorso affatto. SALVIATI - In questo stato è colui che dice che la sfera materiale non tocca un piano, pur materiale, in un punto, perché il dir questo è l'istesso che dire che la sfera non è sfera. E che ciò sia vero, ditemi in quello che voi costituite l'essenza della sfera, cioè che cosa è quella che fa differir la sfera da tutti gli altri corpi solidi. SIMPLICIO - Credo che l'essere sfera consista nell'aver tutte le linee rette, prodotte dal suo centro sin alla circonferenza, eguali. SALVIATI- Talché quando tali linee non fossero eguali, quel tal solido non sarebbe altrimenti una sfera. SL'VIPLICI0 - Signor no. [ ... ] SALVIATI-[. .. ] Or torniamo al nostro proposito: basta che voi intendete, la retta esser la brevissima di tutte le linee che si posson tirare fra due punti. E quanto alla principal conclusione, voi dite che la sfera materiale non tocca il piano in un sol punto: qual è dunque il suo contano? SIMPLICIO - Sarà una parte della sua superficie. SALVIATI - E il contatto parimente d'un altra sfera eguale alla prima, sarà pure una simil particella della sua superficie? SL'VIPLICI0 - Non ci è ragione che non deva esser così.

Il problema della tangenza sfera-piano si è ora trasformato nel problema equivalente della tangenza sfera-sfera. Salviati dimostra facilmente che è assurdo supporre che sfere tangenti si tocchino in una parte della loro superficie formata da più di un punto: SALVIATI -Adunque ancor le due sfere, toccandosi, si toccheranno con le due medesime particelle di superficie, perché adattandosi ciascheduna di esse all'istesso piano, è forza che si adattino ancor tra di loro. Immaginatevi ora le due sfere, i cui centri A, B, che si tocchino e congiungansi i lor centri con la retta linea AB, la quale passerà per il toccamento. Passi per il punto C, e preso nel toccamento un altro punto D, congiungansi le due rette AD, BD, sì che si constituisca il triangolo ADB, del quale i due lati AD, DB, saranno eguali all'altro solo ACB, contenendo tanto quelli quanto questi, due semidiametri, che per la defmizion della sfera sono tutti eguali: e così la retta AB, tirata tra i due centri A, B, non sarà la brevissima di tutte, essendoci le due AD, DB eguali a lei; il che per le vostre concessioni è assurdo.

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Verbi gratia



quanto dire 'ad esempio').

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B

La risposta di Simplicio è prevedibile: la dimostrazione di Galileo è vera per le sfere matematiche, ma non dice nulla circa le sfere reali. SIMPLICIO - Questa dimostrazione conclude delle sfere in astratto, e non delle materiali. SALVIATI -Assegnatemi dunque in che cosa consiste la fallacia del mio argomento, già che non conclude nelle sfere materiali, ma sì bene nelle immateriali e astratte. SIMPLICIO - Le sfere materiali son soggette a molti accidenti, a i quali non soggiacciono le immateriali. E perché non può essere che, posandosi una sfera di metallo sopra un piano, il proprio peso non calchi in modo che il piano ceda qualche poco, o vero che l'istessa sfera nel contatto si ammacchi? In oltre, quel piano difficilmente potrà esser perfetto, quando non per altro, almeno per esser la materia porosa; e forse non sarà men difficile il trovare una sfera così perfetta che abbia tutte le linee dal centro alla superficie egualissime per l'appunto.

Simplicio tocca qui un punto essenziale: il carattere concreto della natura è irriducibile al carattere astratto della matematica; gli oggetti reali non raggiungono la perfezione ideale degli oggetti del pensiero geometrico. Secondo Simplicio le sfere non esistono nella realtà. Salviati non contesta questa conclusione, ma conduce passo a passo Simplicio verso la risposta corretta: SALVIATI- Oh, tutte queste cose ve le concedo io facilmente, ma elle sono assai fuor di proposito; perché mentre voi volete mostrarmi che una sfera materiale non tocca un piano materiale in un punto, voi vi servite d'una sfera che non è sfera e d'un piano che non è piano, poiché, per vostro detto, o queste cose non si trovano al mondo, o se si trovano si guastano nel!' applicarsi a far l'effetto. Era dunque manco male che voi concedeste la conclusione, ma condizionatamente, cioè che se si desse in materia una sfera e un piano che fussero e si conservassero perfetti, si toccherebber in un sol punto, e negaste poi ciò potersi dare. SIMPLICIO - lo credo che la proposizione de i fùosofi vada intesa in cotesto senso, perché non è dubbio che l'imperfezion della materia fa che le cose pre-

se in concreto non rispondono alle considerate in astratto.

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SALVIATI- Come non rispondono? Anzi quel che voi stesso dite al presente prova che elle rispondon puntualmente. SIMPLICIO - In che modo? SALVIATI-Non dite voi che per l'imperfezion della materia quel corpo che dovrebbe esser perfetto sferico, e quel piano che dovrebbe esser perfetto piano, non riescono poi tali in concreto quali altri se gli immagina in astratto? SIMPLICIO - Così dico. SALVIATI -Adunque tuttavolta che in concreto voi applicate una sfera materiale a un piano materiale, voi applicate una sfera non perfetta a un piano non perfetto; e questi dite che non si toccano in un punto. Ma io vi dico che anco in astratto una sfera immateriale, che non sia sfera perfetta, può toccare un piano immateriale, che non sia piano perfetto, non in un punto, ma con parte della sua superficie; talché sin qui quello che accade in concreto, accade nell'istesso modo in astratto: e sarebbe ben nuova cosa che i computi e le ragioni fatte in numeri astratti, non rispondessero poi alle monete d'oro e d'argento e alle mercanzie in concreto. Ecco quindi il nucleo centrale del pensiero di Galileo. I concetti astratti possono riprodurre l'imperfezione della realtà concreta. I calcoli e i ragionamenti astratti debbono corrispondere a tutti gli aspetti della realtà concreta. Il ruolo centrale della matematica nello studio degli oggetti fisici è affermato in modo chiaro. Per giustificare l'idea secondo cui i concetti della matematica sono i più adeguati a penetrare l'essenza della realtà fisica, Galileo-Salviati stabilisce un parallelo con le attività artigianali: SALVIATI- Ma sapete, Sig. Simplicio, quel che accade? Sì come a voler che

i calcoli tornino sopra i zuccheri, le sete e le lane, bisogna che il computista faccia le sue tare di casse, invoglie e altre bagaglie, così, quando il filosofo geometra vuol riconoscere in concreto gli effetti dimostrati in astratto, bisogna che difalchi gli impedimenti della materia; che se ciò saprà fare, io vi assicuro che le cose si riscontreranno non meno aggiustatamente che i computi aritmetici. Gli errori dunque non consistono né nell'astratto né nel concreto, né nella geometria o nella fisica, ma nel calcolatore, che non sa fare i conti giusti. Però quando voi aveste una sfera e un piano perfetti, benché materiali, non abbiate dubbio che si toccherebbero in un punto; e se questo era ed è impossibile ad aversi, molto fuor di proposito fu il dire che sphtera ienea non tangi! p/anum in puncto 12 • Il nucleo centrale del metodo matematico è quindi il procedimento del «difalcare gli impedimenti». Lo scienziato deve saper riconoscere, nell'intreccio estremamente complicato dei fatti reali, gli aspetti costanti e invariabili, le leggi che li governano, mettendo da parte gli 12

«Una sfera di bronzo non tocca un piano in un sol punto».

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aspetti accessori rispetto al problema centrale che egli si propone di analizzare. Dietro le sfere e i piani reali, egli deve saper vedere delle sfere e dei piani ideali e perfetti che ne rappresentano caratteristiche 'limite' alle quali può applicare il ragionamento astratto e quantitativo, in breve la matematica. In questo brano davvero affascinante di Galileo troviamo quindi la sostanza concettuale del metodo della matematizzazione della realtà che caratterizza la 'nuova scienza'. Sottolineiamo la caratteristica più paradossale e al contempo più originale di questo approccio. La filosofia della natura antica riteneva, in modo del tutto naturale e ragionevole, che per comprendere la realtà occorresse ottenere una descrizione aderente punto per punto a tutti gli aspetti concreti dei fenomeni. In breve, si trattava di avvicinarsi al concreto per comprendere il concreto. Al contrario, Galileo ci dice che, per comprendere il concreto, occorre allontanarsene... occorre «difalcare gli impedimenti» per attingere alla vera natura delle leggi che governano il concreto, che è astratta. Lo scienziato 'moderno' deve quindi seguire uno strano approccio che consiste nell'interposizione di un diaframma intellettuale tra i fatti naturali e la descrizione scientifica. Questo diaframma ci separa apparentemente dal concreto, ma, come una lente, permette di fatto di comprenderne meglio le leggi profonde. Questa astrazione, questo diaframma, questa lente che permette di avvicinarsi al concreto allontanandosene, è la matematica.

Capitolo nono

DAGLI INIZI DELLA MATEMATIZZAZIONE ALLA SCIENZA NEWTONIANA: MECCANICA E CALCOLO INFINITESIMALE

Il punto di vista galileiano e la sua concezione del rapporto fra 'astratto' e 'concreto' non è stato il solo modo di considerare il problema della matematizzazione della realtà. Abbiamo già osservato che l'interesse dell'uomo del Seicento per la natura era legato all'esplosione di correnti vitali della società, allo sviluppo impetuoso della tecnica e del commercio. Tutto ciò conduceva a considerare la natura come qualcosa che occorreva comprendere profondamente per meglio poterla utilizzare e trasformare. Quindi la comprensione e il dominio della natura sono le motivazioni fondamentali della nuova scienza. Tuttavia il rapporto con la natura, anche sotto il profilo della conoscenza scientifica, assunse forme molto diverse nei differenti contesti nazionali. In effetti, se il punto di vista di Galileo era legato ai valori del mondo dell'artigianato e alle sue attività pratiche e se l'inglese Francesco Bacone (1561-1626) aveva fatto dei valori di questo mondo il fondamento etico stesso sul quale occorreva costruire un modello di società basato sulla scienza e sulla tecnica, la situazione francese era molto diversa. Qui la tendenza fondamentale era verso il centralismo, sia dal punto di vista delle attività tecniche che dal punto di vista delle attività scientifiche. Lo sviluppo delle nuove forme di artigianato, le attività particolari e l'etica individualista non riescono a rompere il quadro centralista e, al contrario, finiscono con l'adattarvisi. La politica di Colbert (1619-1683) ebbe la funzione di porre al centro della nuova società il modello dell'assolutismo monarchico. Ciò ebbe l'effetto di favorire lo sviluppo di un'industria dirigista, come l'industria manifatturiera, a detrimento delle attività artigianali disperse. L'evento più importante nel campo scientifico fu rappresentato dalla fondazione, nel 1666, dell'Académie des Sciences che ebbe, fin dalle origini, il ruolo di coordinare e di dirigere non soltanto le attività scientifiche ma anche le attività tecniche. In effetti ogni invenzione tecnica era 104

soggetta a un controllo e a una verifica della validità scientifica dei principi su cui poggiava 1• Descartes può essere considerato, in un certo senso, come il più grande interprete di questa concezione che pone la tecnica sotto il controllo della scienza, anche se, come tutti gli uomini della sua epoca, egli nutriva un grande interesse per le macchine. Qui risiede la grande differenza fra la sua concezione e quella di Galileo, una differenza che spiega il disinteresse di Descartes per il metodo sperimentale. Per Galileo le macchine hanno un grande valore in quanto modelli che servono a studiare o a interrogare la natura. La matematica ha il ruolo di 'decodificare' l'apparente complessità dei dati empirici per risolverla nella semplicità del loro linguaggio; il che conduce alla formulazione di un'ipotesi quantitativa che deve essere verificata mediante un'esperienza (il 'cimento') che permette d'interrogare la natura utilizzando delle macchine o degli artifizi umani che la mettono, per cosl dire, nelle migliori condizioni per rispondere. Di qui il ruolo centrale dell' esperienza e delle macchine. Per Descartes, al contrario, la macchina è soltanto l'esemplificazione materiale, o, se si vuole, l'immagine fisica dei principi della scienza. A suo avviso, il più grande errore della scienza del passato è stato precisamente quello di aver imitato passivamente le 'arti', il loro carattere particolare e la loro frammentazione, allontanandosi in tal modo dall'ideale della formulazione di principi unitari. Secondo Descartes occorre fondare la scienza su basi solide e unitarie, stabilendo dei criteri indiscutibili che garantiscano la sua certezza. La critica che egli muove a Galileo è proprio quella di non essersi mosso in questa direzione: «senza aver considerato le prime cause della natura, egli ha soltanto cercato le ragioni di alcuni effetti particolari, e in tal modo[. .. ] ha costruito senza fondamento»2 • Il punto di vista di Descartes è invece deduttivo. Per costruire la scienza su fondamenti certi, occorre che il metodo dell'analisi scientifica sia fondato sulla ragione senza ricorrere alle conclusioni spesso fallaci ispirate dai sensi. Il solo punto di partenza sicuro è quindi rappresentato dalle idee chiare e distinte, la cui verità può essere stabilita con un atto unico del pensiero. I ragionamenti più complessi sono fondati su un procedimento deduttivo che consiste nel concatenare degli atti del pensiero la cui verità sia incontestabile. Descartes costruisce il suo metodo deduttivo sul modello della matematica, che non è però identificata con la matematica «volgare» del suo tempo, ma è una scienza ge-

1 Su questi temi si vedano: Fayet 1960; Dhombres, Dhombres 1989; Israel, Negrini 1973. 2 Lettera a Mersenne (11 ottobre 1638). Si veda Descartes, CEuvres et Lettres, Go.llimard, Paris 1966, pp. 1024-39.

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nerale che ha come oggetto tutto ciò che concerne l'ordine e la misura. Si tratta della ,nathesis universalis, che è una teoria generale dei rapporti e delle proporzioni e costituisce il vero nucleo della scienza. La fisica può essere ridotta alla mathesis universalis perché l'idea chiara e distinta che fonda la conoscenza del mondo fisico è l'estensione. Per questa via, la materia può essere ridotta all'estensione e la fisica alla geometria. Poiché la teoria dei rapporti e delle proporzioni è il nucleo concettuale del funzionamento del mondo, le macchine che sono fondate su concatenamenti di rapporti e di proporzioni ne forniscono un'immagine. Ancora una volta, vediamo che la macchina può interessare lo scienziato se essa imita i principi chiari e distinti su cui è fondato l'Universo. Di fatto la sola macchina perfetta che obbedisce in modo completo a questi principi è l'Universo stesso. Per Descartes il mondo intero è una grande macchina le cui parti sono legate da rapporti ben definiti e il cui funzionamento può essere compreso mediante l'analisi matematica. Si tratta di un immenso orologio che Dio ha costruito secondo principi che garantiscono il concatenamento perfetto dei suoi innumerevoli ingranaggP. Questo concatenamento non sopporta né 'vuoti' né interruzioni. Il ragionamento deduttivo non ammette salti, così come la natura non ammette discontinuità e vuoti che potrebbero violare il principio secondo cui l'Universo è perfettamente determinato e conoscibile in termini razionali. La struttura matematica dell'Universo di Descartes è quindi piena e continua. La forma della causalità è altrettanto semplice e trasparente, perché ogni effetto risulta da un'azione per contatto fra corpi in un mondo pieno e continuo: nella concezione cartesiana meccanicismo e causalità sono intimamente legati. La mathesis universalis, di cui la geometria è il cuore, occupa una posizione centrale nella scienza cartesiana. L'algebra rappresenta per Descartes lo strumento per eccellenza con il quale è possibile studiare i rapporti fra le grandezze geometriche da un punto di vista analitico e non più sintetico4 • L'ideale scientifico di Descartes trova quindi la sua espressione in un'immagine della scienza strutturata attorno al nucleo della mathesis universalis, nel quadro di una gerarchia che le subordina tutte le scienze del mondo reale. Ecco perché il modello cartesiano della scienza, e soprattutto la sua concezione del processo di matematizzazione, sono ben diversi da quelli di Galileo. Si tratta di un modello ispirato da un ideale deduttivo, che eserciterà una grande influenza ' Si vede che questa concezione dell'Universo-macchina è perfettamente coerente con l'idea cartesiana della subordinazione delle macchine ai princìpi dclla scienza. ◄ Sui rapporti fra concezione 'analitica' e 'sintetica' in geometria e sulla geometria cartesiana si veda Israel 1990 (a).

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sul pensiero filosofico e scientifico del continente e sulle forme di propagazione, nel corso del Settecento, delle concezioni scientifiche empiristiche provenienti dalla scuola newtoniana inglese. Per dare un'idea (molto approssimativa) del ruolo della matematica nella scienza inglese di quest'epoca, occorre tener conto dell'influenza del pensiero di Francesco Bacone (1561-1626). Il progetto scientifico di Bacone poggia anch'esso sull'idea di un ruolo privilegiato delle scienze e delle tecniche nella società. Per proporre una soluzione dei problemi sociali ed economici posti dalla rivoluzione dei Tudor, Bacone prefigura una società fondata sulla cooperazione di piccoli produttori liberi e indipendenti e ispirata a un senso profondo della cooperazione sociale. Affinché ogni membro della società sia libero e conosca i mezzi necessari per conseguire l'utile collettivo, occorre abbattere tutte le barriere che separano la scienza teorica dalle attività pratiche. Di fatto, soltanto l'esistenza di uno stretto legame fra scienza e tecnica può permettere a ogni individuo di dominare tutti gli aspetti delle sue attività e porre così i fondamenti di una società il cui fine principale sia il controllo della natura. La scienza e la tecnica, strettamente legate fra loro e volte alla risoluzione dei problemi della vita associata, debbono essere il nuovo fondamento della società. In questa prospettiva lo sviluppo e la diffusione delle scienze e delle tecniche debbono essere affidati a una comunità di scienziati fondata sulla cooperazione e sulla collaborazione. Le attività di questa comunità debbono essere considerate dalla società come della massima utilità pubblica. Questa concezione permette di comprendere certe caratteristiche importanti che distinguono la Royal Society inglese dall'Académte des Sciences francese. La Royal Society realizza un intreccio di attività teoriche e pratiche che non manifesta, diversamente dalla visione che ispira l'Académie des Sciences, una qualsiasi forma di subordinazione delle seconde alle prime. Secondo Bacone il fondamento ideale della comunità scientifica deve essere il più stretto empirismo e il rifiuto di ogni concezione a priori e indipendente dall'osservazione e dall'esperienza. In effetti concezioni del genere potrebbero rendere impossibile una conoscenza completa ed efficace della natura e devierebbero l'attività scientifica verso questioni metafisiche suscettibili di ostacolarne lo sviluppo. Per conseguire l'oggettività scientifica occorre soltanto interrogare la natura rinunziando a ogni interpretazione soggettiva dei dati che essa ci fornisce. Si può tutt'al più costringere la natura a 'risponderci', creando delle situazioni artificiali particolari e studiandone il comportamento. La ricerca scientifica si riduce in tal modo a una lunga e interminabile raccolta di dati che permettono di svelare l'assenza o la presenza di un fenomeno. In questo tipo di analisi della natura la matematica ha soltanto un ruolo di ausilio puramente umano e soggettivo. 107

Non si tratta di determinare, come nella concezione galileiana, la struttura profonda della natura in quanto la natura non possiede, secondo Bacone, una struttura semplice e prevedibile5. La matematica è pertanto uno strumento soggettivo il cui uso può essere di aiuto nello stabilire un catalogo più preciso dei fatti, ma non nel decifrare o decodificare la natura. Anche se Bacone non diede alcun contributo alla nascita della nuova fisica, la sua concezione della scienza esercitò un profondo influsso sulla nascita del pensiero scientifico, soprattutto in Inghilterra, favorendo lo sviluppo di una visione empirista della matematica considerata come uno strumento esclusivamente pratico nel processo di descrizione della natura. È in questo contesto culturale che occorre collocare e comprendere l'opera scientifica di Newton, anche se la presentazione della sua concezione scientifica come una forma di empirismo costituirebbe una semplificazione grossolana e persino falsa. In effetti questa concezione poggia su elementi metafisici manifesti. Non discuteremo in questa sede, neppure sommariamente, una questione tanto complessa e controversa. Ci limiteremo ad alcune osservazioni. La formazione di Newton fu influenzata dal matematico Isaac Barrow (1630-1677) e dalla scuola di fisica matematica del continente, ma anche dalle ricerche del chimico Robert Boyle (1627-1691) sulla struttura atomica della materia e le differenze qualitative degli atomi che la compongono. Koyré osserva che per Newton «come per Boyle, il libro della Natura è scritto in caratteri e parole corpuscolari. Ma, come per Galilei e Descartes, è una sintassi puramente matematica che li lega e dà senso al testo del libro» (Koyré 1968, p. 34 dell'ed. or.). Per Newton lo spazio continuo, omogeneo e assoluto in cui la materia si trova e si sposta è uno spazio matematico (preciseremo fra poco il significato di questo termine). Lo stesso può dirsi del tempo in cui scorrono i fenomeni. Tuttavia questo approccio matematico è assai diverso da quello di Descartes, perché Newton respinge l'identificazione cartesiana fra materia ed estensione, che è il fondamento della riduzione della fisica alla geometria. Si tratta di un approccio che Newton considera come metafisico e incapace di cogliere le differenze qualitative nell'ambito della materia. Al contrario, la sua concezione atomistica lo conduce a considerare la materia come dotata di una struttura discreta che è immersa nello spazio continuo e assoluto e non coincide con esso. La concezione newtoniana presenta quindi uno iato fra la struttura dello spazio matematico astratto e continuo (e, in quanto tale, pieno) e la strut' In tal senso, il pensiero di Bacone presenta ancora dei legami evidenti con le concezioni magiche e mistiche del pensiero del Rinascimento. Si veda Yates 1979, capitolo XVI.

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tura discontinua della materia concreta che non riempie lo spazio. È questa una delle differenze fondamentali fra il meccanicismo cartesiano e il meccanicismo newtoniano. L'esistenza del vuoto conduce Newton a postulare un'azione a distanza di cui Descartes non ha affatto bisogno. Insistiamo sul fatto che sarebbe errato pensare che la concezione newtoniana sia antimetafisica ed empiristica, come ha tentato di far credere l'interpretazione positivistica. In effetti lo spazio e il tempo assoluti (il «sensorium Dei» secondo l'espressione di Newton) sono dei concetti che hanno un fondamento puramente metafisico, o, per meglio dire, teologico e che non possono essere giustificati empiricamente. La stessa osservazione può essere fatta per l'azione a distanza che Newton oppone all'azione per contatto di Descartes. Di fatto queste idee sono proprio all'origine dell'accusa che fu rivolta a Newton di aver introdotto degli elementi magici nell'analisi dei fenomeni fisici6 • Uno dei contributi più importanti di Newton consistette nel portare a compimento l'unificazione tra fisica celeste e fisica terrestre. Galilei aveva posto i fondamenti di questa unificazione, quando aveva distrutto l'idea aristotelica della differenza qualitativa fra posizioni spaziali. Nella nuova meccanica tutte le posizioni spaziali sono equivalenti e non esistono 'luoghi naturali' verso i quali i corpi sarebbero trascinati in conformità a leggi fmaliste (che, in tal modo, spiegherebbero la gravità). Ma il programma di Galilei era stato ostacolato, nel suo sviluppo, dall'idea del carattere geometricamente perfetto della forma circolare che egli attribuiva alle orbite dei corpi celesti. Il principio di inerzia, sebbene fosse implicito nelle sue opere, fu formulato in modo chiaro ed esplicito soltanto da Descartes. Questo principio definisce il comportamento universale di un corpo in assenza di interazioni con l'esterno7 • Newton vi oppose la concezione di uno spazio vuoto nel quale i corpi (e non soltanto i corpi celesti, ma anche gli atomi che formano la struttura discreta della materia) si spostano sotto l'azione delle forze di attrazione esercitate dagli altri corpi e che agiscono in ragione diretta del6 D'altra parte, se il pensiero scientifico di Descartes si sviluppa nel quadro ostile al pensiero del Rinascimento che Mersenne aveva contribuito a consolidare, il pensiero di Newton si colloca nel quadro assai più ambiguo delle concezioni baconiane, come è provato dai suoi interessi per pratiche 'pre-scientifiche' come quelle alchemiche. Si veda, in merito, Dobbs 197', 1991 e Verlet 1993. 7 Il principio di inerzia si enuncia dicendo che un corpo persiste nello stato di riposo o nello stato di moto rettilineo uniforme fino all'intervento di una causa esterna. Questo principio aveva condotto Descartes allo studio del comportamento non inerziale dei pianeti. Egli aveva tentato di spiegarlo mediante la teoria dei vortici, secondo cui i moti vorticosi della materia che riempie lo spazio (o dell"etere') verrebbero trasmessi ai pianeti.

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la loro massa e in ragione inversa del quadrato della loro distanza: si tratta della famosa legge dell'attrazione gravitazionale. Come si è già detto, una discussione della concezione generale del mondo di Newton è al di fuori degli obbiettivi di questo libro. Ci soffermeremo soltanto un poco sull'aspetto più importante dell'opera di Newton in relazione al nostro tema: il processo di matematizzazione della realtà. Newton ha costruito una struttura matematica per la descrizione della realtà fisica che ha orientato per più di due secoli la ricerca scientifica e che, nonostante le numerose 'rivoluzioni' scientifiche che si sono poi succedute, esercita ancora il suo influsso. Abbiamo detto che l'idea di una descrizione quantitativa del mondo fisico è dovuta a Galileo. E tuttavia, nelle sue opere, essa resta allo stadio di un'aspirazione. La matematica di cui fa uso Galileo consiste nella geometria antica e nella teoria delle proporzioni; nella sua opera non si trovano connessioni metodiche e tecniche chiare fra l'analisi della realtà fisica e l'analisi matematica. La situazione è più o meno la stessa nel caso di Descartes. Egli attribuisce un ruolo essenziale alla mathesis universalis nella costruzione della nuova scienza, ma essa consiste di fatto in un'interpretazione alquanto tradizionale della teoria classica delle proporzioni8 e non diventa mai uno strumento operativo per la descrizione matematica dei fenomeni fisici. Questo passaggio cruciale ha invece inizio nell'opera di Newton attraverso la creazione del calcolo infinitesimale, di cui egli condivide il merito con Gottfried Wilhelm Leibniz (1646-1716). É ben vero che Newton continuò a far uso dei metodi geometrici tradizionali, mentre la scuola matematica del continente ebbe il merito di sviluppare in modo più estensivo l'uso del calcolo infinitesimale. E tuttavia l'opera di Newton segnò un passaggio concettuale fondamentale: essa pose al centro dello studio dei fenomeni fisici (e, in particolare, dei fenomeni meccanici) lo strumento matematico 'giusto'. Alexandre Koyré ha spiegato in modo straordinariamente chiaro la duplice trasformazione che si è verificata nell'atto di nascita della scienza moderna e di cui abbiamo sottolineato il primo aspetto nel capitolo precedente. Da un lato, si tratta della sostituzione dell'astratto al concreto, il che significa, nello studio dei fenomeni del moto, sostituire la nozione di moto concepito come trasformazione concreta, come processo di cambiamento (opposto allo stato di riposo), con quella di stato di moto equivalente, dal punto di vista concettuale, allo stato di riposo. Ecco come Koyré spiega questa sostituzione:

8

Si veda lsrad 1990 (a).

110

Il nuovo concetto di moto che si afferma così vittoriosamente nella scienza classica è un concetto molto semplice; talmente semplice che [. ..] è molto dif. ficile coglierlo e comprenderlo pienamente. [. ..] questo concetto sostituisce una nozione puramente matematica a una nozione fisica: contrariamente alla concezione pregalileiana e precartesiana che considerava il movimento come una sorta di divenire, come un genere di processo di cambiamento che influenza i corpi che gli sono soggetti, in opposizione al riposo che non era un processo, la concezione nuova - o classica - interpreta il moto come una sorta di essere, cioè non come un processo ma come uno status, stato altrettanto permanente e indistruttibile del riposo e che non influenza i corpi in moto più di quanto non lo faccia il riposo. [... ] Il moto [... ] non è il moto dei corpi della nostra esperienza, noi non lo incontriamo nella nostra vita quotidiana. È il moto dei corpi geometrici [... ] nello spazio astratto. È per questo che esso non ha nulla a che vedere con il cambiamento. Il «moto» dei corpi geometrici nello spazio geometrico non cambia nulla; i «luoghi» in uno spazio siffatto sono equivalenti e persino identici. Si tratta di un cambiamento senza cambiamento, oserei dire, di un miscuglio strano e paradossale dello stesso e dell'altro (Koyré 1968, pp. 31-32 dell'ed. or.).

In tal modo la fisica compie un passo decisivo verso una scienza astratta e 'statica' come la matematica. Ma il movimento inverso è altrettanto importante. La matematica - la cui versione geometrico-algebrica tradizionale è troppo statica per essere utilizzabile nello studio del moto dei corpi - si avvicina alla fisica, incorporando i concetti di cambiamento, di trasformazione, di variazione nel tempo. Questo movimento della matematica in direzione della fisica si traduce nella nascita del calcolo infinitesimale, il quale è dovuto soprattutto all' opera di Newton: La trasformazione del concetto di moto mediante la sostituzione del concetto empirico con il concetto matematico ipostatizzato è inevitabile se vogliamo sottoporre il moto al numero per trattarlo matematicamente e costruire una fisica matematica. Ma ciò non basta. Reciprocamente la matematica stessa deve essere trasformata (ed è merito immortale di Newton aver realizzato questa trasformazione). Gli enti matematici debbono, in certo senso, essere avvicinati alla fisica, sottoposti al moto e considerati non nel loro «essere» ma nel loro «divenire» o nel loro «flusso». Occorre far vedere e comprendere le curve e le fi. gure della geometria non come costruite a partire da altri elementi geometrici né come ritagliate nello spazio dall'intersezione di corpi geometrici e di piani, né come l'immagine spaziale delle relazioni di struttura espresse direttamente dalle formule algebriche, ma come generate o descritte dal moto di punti e di curve nello spazio. Abbiamo a che fare qui, beninteso, con un moto senza rapporto con il tempo o, cosa ancor più strana, con un moto che si sviluppa in un tempo atemporale, nozione altrettanto paradossale di quella di un cambiamento senza cambiamento. E tuttavia è soltanto facendo procedere in un tempo atemporale un cambiamento che non cambia, che possfamo trattare - effet-

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tivamente così come intellettualmente - delle realtà come la velocità, l' accelerazione o la direzione di un mobile in un punto qualsiasi della sua traiettoria oppure vice versa in un momento qualsiasi del movimento che descrive questa traiettoria (Koyré 1968, p. 32 dell'ed. or.) 9 •

Riassumiamo. Abbiamo visto che quanto caratterizza la nascita della scienza del Seicento è l'interesse centrale per i problemi della meccanica. Il problema del moto è il problema centrale della comprensione dell'Universo. Strettamente legata a questo aspetto è la tendenza verso una descrizione quantitativa e non più qualitativa dei fenomeni reali, il che richiede una nuova matematica. Questa matematica non è presente né nell'opera di Galileo, né in quella di Descartes: essa è una delle creazioni immortali di Newton 10 • Furono questi sviluppi a condurre alla formazione della complessa e imponente costruzione che viene detta meccanica classica. Essa integra la nuova visione quantitativa del mondo con uno strumento matematico costruito quasi esclusivamente in funzione di questa visione. L'importanza di questa costruzione è troppo grande per non insistervi: tutti gli sviluppi della scienza fino ai giorni nostri si sono confrontati e si confrontano con il 'modello' della meccanica classica - che si tratti di imitarlo, di respingerlo, di tentare di estenderne o di ridurne il campo di applicazione. Non è possibile qui dare un'idea neppure sommaria dello sviluppo storico della meccanica classica. Tuttavia, in ragione del ruolo centrale dello schema meccanico, è necessario discuterne i concetti fondamentali. Ci limiteremo a un approccio (assai criticabile dal punto di vista storico, tanto più se è uno storico della scienza ad adottarlo ... ) che consiste nel presentare una sintesi molto schematica della struttura concettuale della meccanica quale risulta dalla sua forma storica più sviluppata. Questa scelta può essere giustificata non soltanto sulla base di ragioni legate alla struttura del volume, ma anche osservando che tutte le ipotesi di base della meccanica classica sono delle ipotesi metafi9 Per un'introduzione elementare alla concezione del calcolo infinitesimale di Newton si vedano Dhombres, Dahan Dalmedico, Bkouche, Houzel, Guillemot 1987; Dahan Dalmedico, Peiffer 1986. Per un'analisi più dettagliata si veda Kline 1972 e Boyer 1959. 10 È evidentemente scorretto trascurare il contributo di Leibniz in quelitO ambito (si vedano, ad esempio, le opere citate nella nota 9 di questo capitolo). E tanto più vero che le principali applicazioni del calcolo infinitesimale derivano dai lavori della scuola continentale (i fratelli Bernoulli, Euler, ccc.) ispirati dall'opera di Leibniz, che giocarono un ruolo ben più importante di quelli della declinante scuola dei discepoli di Newton. Tuttavia la concezione di Newton fornì il quadro concettuale più adeguato allo sviluppo della sintesi fra meccanica e calcolo. I grandi sviluppi della meccanica e della fisica matematica sono conseguenza della diffusione del ncwtonianesimo sul continente (si veda Brunet 1931).

112

siche che si traducono in strutture e ipotesi matematiche. Il lettore più esperto dal punto di vista matematico potrebbe svolgere un interessante esercizio consistente nello 'smontare' il capitolo iniziale di un libro moderno di meccanica - ad esempio il manuale di meccanica classica di Vladimir I. Arnold 11 - per ritrovare, dietro certe formulazioni apparentemente oggettive e assiomatiche, le ipotesi metafisiche che esporremo qui appresso. Il primo aspetto fondamentale della nuova meccanica è il mutamento del concetto di spazio, che permette di studiare, da un punto di vista matematico, i fenomeni del moto: lo spazio è ora pensato come un continuo geometrico uniforme. Abbiamo già osservato che nella fisica pregalileiana lo spazio non è distinto dagli oggetti che lo compongono. La concezione contemporanea dello spazio ci suggerisce di dire «che lo riempiono», mentre lo spazio pregalileiano non è un recipiente vuoto nel quale si spostano i corpi. In quanto insieme di corpi differenti, lo spazio non è omogeneo, i suoi luoghi sono qualitativamente diversi. La posizione di riposo sulla superficie terrestre è una posizione 'naturale' verso la quale tendono tutti i corpi che si trovano in posizioni non naturali e quindi transitorie. In questa visione lo scopo della meccanica è quello di determinare le 'finalità' che animano i corpi materiali. La legge della cacfuta dei corpi non esprime il rapporto fra spazio percorso e tempo impiegato, ma si limita a enunciare la 'finalità' della caduta, cioè la tendenza di ogni corpo verso il suo 'luogo naturale'. La nuova meccanica non considera il moto come una trasformazione qualitativa ma come una trasformazione quantitativa (il cambiamento di posizione del corpo nel tempo), determinata da cause fisiche e non più da finalità. Queste cause fisiche sono identificate da Descartes con le azioni per contatto, e da Newton con le forze (in particolare con l'azione a distanza esercitata dall'attrazione universale). E tuttavia non ci si inganni: in tal modo si è soltanto sostituita un'ipotesi metafisica finalista con un'ipotesi metafisica causalista. Il cambiamento della concezione dello spazio esige di considerarlo come il 'mezzo' nel quale si verificano gli eventi meccanici. La localizzazione spaziale di un oggetto non è più data da una 'qualità' ma è la pura e semplice espressione quantitativa della sua posizione (in linguaggio moderno, le sue 'coordinate', che si esprimono con terne di numeri reali). Lo stesso può dirsi per il tempo, che diviene una varlabile matematica omogenea atta a identificare le differenti posizioni tempo11 Amold 1976. ll primo capitolo di questo libro, intitolato Fatti di esperien:r.a, contiene una serie di assiomi sui quali è fondata la meccanica. In realtà, non si tratta né di fatti d'esperienza (nessuno potrà mai verificare sperimentalmente il determinismo) né di 1153iomi, ma, come vedremo, di ipotesi metafisiche.

113

rali degli eventi meccanici 12 • Per essere più precisi, l'uniformità dello spazio e del tempo, e quindi l'assenza di differenze qualitative nello spazio e nel tempo, implica l'equivalenza non soltanto di tutte le posizioni spaziali e di tutti gli istanti del tempo, ma anche di tutte le direzioni dello spazio e del tempo. Nel linguaggio scientifico moderno lo

spazio e t1 tempo sono omogenei e isotropi13 • A queste ipotesi concernenti la natura dello spazio e del tempo occorre aggiungerne altre due: a) non esiste alcun punto 'privilegiato' nello spazio; b) tutte le distanze restano immutate se si opera una trasformazione dello spazio che non ne alteri la struttura 14 • La nostra sintesi, per quanto schematica, traduce abbastanza fedelmente i principi fondamentali della concezione galileiana e newtoniana dei fenomeni meccanici 15 • In questo quadro, il problema era quello di determinare lo stato in cui si trovano i corpi che non sono soggetti ad alcuna azione fisica. La risposta a questo problema fu il principio di inerzia, che è il risultato di un'analisi concettuale fondata, come sempre, sul metodo del «difalcare gli impedimenti» (nel nostro caso, le azioni fisiche esterne) 16• Si noti che il principio di inerzia è a prima vista dedotto dall'esperienza, mentre le altre ipotesi sullo spazio e il tempo sono esplicitamente metafisiche. Ma l'esperienza che conduce a questo principio ha un carattere puramente mentale, ovvero, per dirla con Einstein, si tratta di un' «esperienza pensata». Esistono tuttavia differenze fondamentali fra la meccanica galileiana e la meccanica newtoniana. La prima non spiega il modo di trasmissione delle azioni che non avvengono per contatto 17 e soprattutto non definisce la legge quantitativa che governa il moto dei corpi 18 • !noi12 In linguaggio matematico moderno lo spazio è rappresentato dal prodotto cartesiano di tre esemplari dell'insieme dei numeri reali R: si tratta del continuo tridimensionale uniforme R3 • Il tempo è rappresentato da un esemplare dell'insieme R. 13 Queste ipotesi possono essere certamente indebolite. Ma esse determinano il quadro classico della meccanica quando si «difalcano gli impedimenti», come l'attrito. Si può anche osservare che l'omogeneità e l'isotropia del tempo implicano l'equivalenza di tutti gli istanti e delle due direzioni del tempo, il passato e il futuro, e quindi la reversibilità di tutti i fenomeni meccanici. 14 La prima di queste ipotesi può essere espressa in linguaggio matematico dicendo che lo spazio è 'affine'. La seconda traduce la nozione di corpo rigido (in altri termini, quando si 'difalchi' )"impedimento' costituito dalla deformabilità dei corpi materiali concreti) e si esprime dicendo che lo spazio è 'euclideo'. 1' Occorrerebbe, in verità, aggiungere la nozione di sistema inerziale (un sistema in cui le leggi della meccanica sono sempre valide), che è legata al principio di inerzia e al 'principio di relatività di Galileo'. Per maggiori dettagli si veda Arnold 197 6. 16 Si veda la nota 7 di questo capitolo, 17 Mentre secondo Descartes tutte le azioni fisiche si trasmettono per contatto. 18 Ed è per questo motivo che Galileo non riuscì davvero a unificare la fisica celeste e la fisica terrestre.

114

tre la geometrizzazione dello spazio non conduce a un metodo matematico uniforme. Questi problemi saranno risolti da Newton, che conseguì l'unificazione fra meccanica celeste e meccanica terrestre studiando le forze di coesione fra i corpi. Egli pervenne così alla formulazione di due grandi leggi. La prima stabilisce l'esistenza di un legame causale fra la forza/ che agisce su un corpo di massa me la sua accelerazione a. Si tratta della celebre equazione fondamentale della dinamica/= ma. La seconda legge stabilisce l'esistenza di una forza di interazione a distanza fra due corpi qualsiasi- la/orza di attrazione universale - la quale è proporzionale alle loro masse e inversamente proporzionale al quadrato della loro distanza. Infine, abbiamo già parlato del ruolo avuto da Newton nell'introduzione della matematica appropriata allo studio dei fenomeni meccanici, ovvero del calcolo infinitesimale. La definizione della velocità come derivata 19 e dell'accelerazione come derivata seconda condusse alla formulazione dell'equazione fondamentale della dinamica in forma differenziale. Entreremo ora in alcuni dettagli tecnici elementari, perché la forma della rappresentazione matematica ha influenzato la matematizzazione di ogni sorta di fenomeno. Nella Parte prima abbiamo introdotto il concetto di derivata in connessione con quello di velocità. Possiamo quindi scrivere esplicitamente in forma differenziale l'equazione della dinamica di Newton /=ma. L'accelerazione è la derivata della velocità v rispetto al tempo, ovvero

7t:

si tratta quindi della derivata della derivata dello spazio s

. al tempo t : a = dt dv = dt d (ds) . anc he co1s1m . bo1o ri:petto dt che s1. scrive

~t:

che indica la derivata seconda dello spazio rispetto al tempo. L' e-

quazione di Newton è quindi l'equazione differenziale: d2s I= m dt2. Scriviamo questa equazione sotto una forma più esplicita e al contempo più chiara e precisa. Lo spazio s non è altro che la posizione del corpo in moto che muta nel corso del tempo. Supponiamo ora che questo corpo sia talmente piccolo che lo si possa considerare come un punto avente una massa m. Il moto di questo punto materiale descrive una traiettoria o, il che è lo stesso, una curva nello spazio. La sua posizione è quindi una funzione s del tempo t, s(t). La posizione del punto s(t) è data dalle sue tre coordinate cartesiane x(t), y(t), z(t) (v. fig. 9.1). 19

Newton impiega il termine «flussione».

115

z

z(t)

-------

s(t)

y(t)

----------------""

,, ,,

,,

,, ,,

,, ,,

y

X

Figura 9.1 La forza/ è rappresentata da un vettore (owero da un segmento orientato), la cui lunghezza esprime l'intensità della forza e l'orientamento esprime la direzione della sua azione. Anche il vettore I è descritto dalle sue tre com ponenti cartesiane lx,~-, fz.. In conclusione, l 'equazione differenziale può essere scritta come un sistema di equazioni differenziali: m

(*)

J2x dt2 =lx

b.__ m

dt2 -/,

J2z m dt2

=fz.

Il problema matematico centrale della meccanica classica è allora il seguente: se è nota (per via sperimentale, empirica o mediante induzioni ragionevoli) l'espressione quantitativa della forza/, si tratta di risolvere il sistema di equazioni (*). Ciò equivale a calcolare esplicitamente tre funzioni del tempo x(t), y(t), z(t) che forniscono la posizione del punto materiale a ogni istante. Abbiamo visto nel capitolo 2 che, per caratterizzare completamente la dinamica di un sistema, occorre conoscere non soltanto le sue posizioni a ogni istante ma anche le sue

116

velocità. Un teorema matematico - il teorema di esistenza e unicità delle equazioni differenziali ordinarie - asserisce2° che le sei funzioni x(t), y(t), z(t), x(t), y(t), :t.(t) sono determinate in modo unico se si conosce il loro valore a un istante dato, ad esempio all'istante t = O, il che equivale a conoscere x(O), y(O), 1.(0), x(O), y(O), :t.(O). In altri termini, lo stato del sistema all'istante 'presente' t = Odetermina in modo univoco la sua evoluzione meccanica, sia 'futura' che 'passata'. Il linguaggio dei diagrammi di fase introdotto nella Parte prima fornisce una rappresentazione geometrica e intuitiva di questo risultato. La traiettoria che rappresenta l'evoluzione dinamica del punto materiale è una curva nello spazio delle fasi. Le variabili di stato del sistema sono sei, e quindi il piano non è più sufficiente per una siffatta rappresentazione. Abbiamo bisogno di uno spazio a sei dimensioni che non può essere rappresentato in un modo geometricamente semplice e intuitivo. Per dare un'idea della situazione, consideriamo allora il caso di un punto materiale che si sposti su una retta, o la cui posizione sia assegnata da una sola variabile (come nel caso del pendolo). Sia x(t) questa variabile. Le variabili di fase sono allora soltanto due: x(t) e x(t). Lo spazio delle fasi si riduce a un piano. In virtù del teorema sopra

x