La soggettività trascendentale concreta. Linee per una rilettura della fenomenologia di Edmund Husserl 8879995111, 9788879995115


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Italian Pages 252 [244] Year 2003

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La soggettività trascendentale concreta. Linee per una rilettura della fenomenologia di Edmund Husserl
 8879995111, 9788879995115

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MARIO SMARGIASSI

La soggettività trascendentale concreta Linee per una rilettura della fenomenologia di Edmund Husserl

ARACNE

Copyright ©

MMIII

ARACNE EDITRICE S.R.L.

 Roma, via Raffaele Garofalo,  a/b tel. ()  telefax  www.aracne–editrice.it info@aracne–editrice.it ISBN

---

I diritti di traduzione, di memorizzazione elettronica, di riproduzione e di adattamento anche parziale, con qualsiasi mezzo, sono riservati per tutti i Paesi. Non sono assolutamente consentite le fotocopie senza il permesso scritto dell’Editore. I edizione: luglio 

Sommario

Avvertenze...................................................................................... 9 Introduzione ................................................................................. 11 1. L’approccio husserliano alla soggettività trascendentale: la riduzione fenomenologica............................................................ 19 1. La struttura formale della riduzione fenomenlogico–trascendentale: atteggiamento naturale, epoché, coscienza pura......................................................... 19 2. Il problema delle vie della riduzione e l’unità della riflessione fenomenologico–trascendentale.......................... 29 3. La via cartesiana .................................................................... 33 4. La via ontologica .................................................................. 41 5. La via psicologico–intenzionale ........................................... 52 6. Considerazioni critiche sul problema delle vie della riduzione fenomenologica.................................................... 60 2. L’io puro come soggettività trascendentale fenomenologica .. 65 1. L’io puro come polo della vita soggettiva............................ 65 2. Evidenza dell’io puro: riflessione e temporalità ................... 71 3. Unità della coscienza e intersoggettività: la questione dell’io puro da Logische Untersuchungen a Ideen I.............................. 78 4. Io puro e io reale: la tensione problematica......................... 84 5. Dall’ “io penso” all’ “io puro”: la struttura dell’io trascendentale in Husserl e in Kant...................................... 92 6. Aporie della riflessione e limiti dell’afferrabilità dell’io...... 106

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Sommario

3. La concretezza della soggettività trascendentale: intersoggettività e monadologia .................................................121 1. Il problema dell’intersoggettività nella fenomenologia trascendentale......................................................................121 2. Mondo oggettivo e riduzione primordiale.........................138 3. Immanenza e trascendenza tra soggettività e intersoggettività ..................................................................147 4. La corporeità del cogito: mondanizzazione e comunicazione ............................................................................................155 5. Percezione, orizzonte, cinestesi..........................................162 6. Intersoggettività aperta e limiti della riduzione primordiale ............................................................................................175 7. Comunità monadica, temporalità, individuazione: intersoggettività trascendentale come soggettività trascendentale concreta.......................................................188 8. L’Ur–Ich e il paradosso della soggettività intersoggettiva ...203 Conclusioni.................................................................................227 Bibliografia..................................................................................231 I. Opere di Husserl .................................................................231 II. Letteratura critica ...............................................................234

Avvertenze

a) Le opere di Husserl saranno citate direttamente dalla collana Husserliana (ved. bibliografia) con la sigla Hu, se­ guita dall'indicazione del numero del volume (in cifra ro­ mana) e del numero di pagina (in cifra araba) . Es . : Hu I , 5 0 ; H u VIII, 136 . b ) L e traduzioni italiane utilizzate (ve d . bibliografia) saran­ no citate con le seguenti sigle (seguite dall'indicazione, in cifra araba, del numero di pagina) : Crisi EG

= La crisi delle scienze europee e la fenomenologia tra­ scendentale (tr. it. di Hu VI) Esperienza e giudizio

Idee

Idee per una fonomenologia pura e per una fi losofia fe­ nomenologica (3 voli. : tr. it. di Hu III, Hu IV, Hu V)

KFT LFT

= Kant e l 'idea della fi losofia trascendentale (tr. it. par­ ziale di Hu VII) Logica formale e trascendentale (tr. it. di Hu XVII)

MC

= Meditazioni cartesiane (tr. it. di Hu l)

RL/ 1-2

SCI SP

Ricerche logiche (2 voli . : tr. it. di Hu XVI I I , XIX/ 1 , XIX/2)

Storia critica delle idee (tr. it. parziale di Hu VII) = Lezioni sulla sintesi passiva (tr. it. di Hu XI)

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Introduzione

« L'io concreto stesso è il tema universale della descri­ zione. O per dirla più chiaramente, io da fenomenologo meditante mi pongo il compito universale di rivelare me stesso come ego trasc endentale nella mia piena concretezza (als transzendentales ego in meiner vollen Konkretion) e perciò con tutti i correlati intenzionali che vi s ono inclusi >> (Hu I , 68) . Secondo l'ipotesi del nostro lavoro , l a fenomenologia husserliana ha p er la prima volta affrontato il tema della soggettività concreta all'interno di una prospettiva trascenden­ tale, connettendo intenzionalmente e sistematicamente due termini tra i quali sono intercorse profonde tensioni e riva­ lità nella tradizione filosofica moderna. Il carattere singolare e concreto dell'io non è facilmente coniugabile c on un approccio filosofico-trascendentale di tipo tradizionale; da un lato si ritiene che un'assunzione ra­ dicale della concretezza del soggetto porti inevitabilmente lo scompiglio nei quadri formali del trascendentale e im­ ponga quindi il loro superamento , dall'altro la filosofia tra­ scendentale (soprattutto nella sua versione kantiana e neo­ kantiana) ha spesso considerato irrilevante per i suoi fini il problema della soggettività c oncreta, delegandone la com­ petenza alla psicologia o alla metafisica. Ci sembra però che questa dissociazione di piani non abbia più motivo di sussistere, se si riesce a mostrare che la stessa filosofia trasc endentale deve accogliere al proprio in­ terno le dimensioni concrete della corp oreità , della tem­ poralità, dell'intersoggettività, non solo come possibili temi

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Introduzione

di approfondimento , ma come necessari momenti di svilup­ po; in altri termini, la "scoperta" del carattere finito , tem­ porale, incarnato, prospettico e relazionale della soggettività umana, sul quale hanno giustamente insistito le filosofie dell' esistenza e l' ermeneutica, può essere interpretata non tanto come una crisi o dissoluzione del paradigma trascen­ dentale, quanto piuttosto come una sua estrema radicalizza­ zione e concretizzazione. S otto questo aspetto, la trasforma­ zione husserliana del paradigma filosofico-trascendentale ha aperto nuovi scenari di ricerca, preparando di fatto il terre­ no per le successive "rotture metodologiche" dell'idea tra­ dizionale di "soggetto" . S e l a profonda influenza esercitata dalla fenomenologia husserliana sul pensiero c ontemp oraneo appare fuori di­ scussione ed è stata ampiamente sottolineata n ella Hus­ serl-Forschung, sarebbe però riduttivo vedere in Husserl solo l'ultimo rappresentante della crisi del razionalismo idealisti­ c o ; in questo caso , la sua proposta teoretica non avrebbe margini di reale attualità e c onserverebbe al massimo un interesse storiografico . Invece un "recup ero" della fenome­ nologia come filosofia trascendentale rappresenta o ggi un'autentica chance per ripensare criticamente lo statuto e­ pistemologico e antologico della soggettività, senza cedere il p asso alle tendenze più marcatamente irrazionalistiche e decostruzionistiche del pensiero contemporaneo, alle mul­ tiformi derive postmoderne, e senza pretendere di restau­ rare un modello di razionalità compatto e lineare , incapace di rendere conto della complessità dell' esperienza umana. Propri o perché l' operazione c ostitutiva di Husserl rin­ nova la fondazione moderna del soggetto , ma precede la destrutturazione postmoderna (si pensi, in tale ottica, alle profonde divergenze tra Husserl e Heidegger sul destino ultimo della fenomenologia) , essa configura inevitabilmente una nuova semantica del linguaggio e delle matrici c on­ cettuali del trascendentalismo . Una densa pagina della Krisis von europèiischen Wissenschqften esprime b ene questa tensione

Introduzione

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radicale tra innovazione e tradizione, dentro il paradigma trascendentale; scrive infatti Husserl: « Il termine ''filosofia trascendentale" è diventato d'uso comune da Kant in poi, anche come titolo generale per la filos ofia universale i cui concetti venivano orientati secondo il tipo kantiano . l o personalmente uso i l termine trascendentale i n u n senso più ampio, per indicare quel motivo originale [ . . . ] il quale, do­ p o Cartesio, c onferisce un senso alle filosofie moderne, e nel quale tutte quelle che vogliono attingere una forma pura dei loro compiti e una struttura sistematica pervengo­ no per così dire a s e stesse. È il motivo del ritorno alle fonti ultime di tutte le formazioni conoscitive (Ruckfrage nach der letzten Quelle aller Erkenntnisbildungen) , della riflessione da parte del soggetto conoscente su se stesso e sulla sua vita conoscitiva, in cui si definisc ono conformemente a uno scopo tutte le formazioni scientifiche che valgono per lui, in cui si attuano come risultati, in cui sono disponibili e costantemente lo divengono . Radicalmente svolto è il mo­ tivo di una filosofia universale fondata su queste sorgenti e quindi definitivamente fondata. Questa sorgente va sotto il titolo io-stesso, con tutta la mia vita conoscitiva reale e pos­ sibile (lch-Selbst, mit meinem gesam ten wirklichen und vermo­ glichen Erkenntnisleben) , e infine c on la mia vita c oncreta in generale . Tutta la problematica trascendentale si aggira at­ torno al rapporto di questo mio io - dell' " ego " - con ciò che dapprima viene posto come ovvio in vece sua: la mia anima; poi attorno al rapporto di questo io e della sua vita di coscienza con il mondo di cui l'io è c osciente, e di cui conosce il vero essere, nelle proprie formazioni cono­ scitive» (Hu VI , 1 00-1 0 1 ; Crisi, 1 25) . Fenomenologia trascendentale come fi losofia della soggettività concreta, c ome c oncretizzazione effettiva del trasc endentale al di là dei limiti storici del kantismo ; tuttavia ciò restereb­ be solo un manifesto programmatico suggestivo se non ve­ nissero specificate altre coordinate, e se nei testi husserliani non vi fossero effettivamente gli elementi che autorizzano

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Introduzione

questa identificazione apparentemente azzardata - almeno in un'ottica filosofica "tradizionale" . Come abbiamo anti­ cipato , l'indagine muove dalla convinzione che in Husserl avvenga una trasfo rmazione strutturale della nozione di soggettività trascendentale, e c erca di individuare i punti no dali di questa trasfomazione attraverso l'analisi delle se­ guenti aree tematiche : la riduzione fenomenologica, l' io puro, l' intersoggettività. In particolare, anche nella discussione sugli asp e tti più generali della metodologia fen o menologi­ c o-trasc endentale, o nel c onfronto con la teoria dell ' i o puro, i n cui i l linguaggio husserliano raggiunge indubbia­ mente vette di elevata astrattezza, abbiamo tentato di far emergere una propensione verso il concreto , una disponi­ bilità ad integrare il discorso non appena siano state fissate le c oordinate fondamentali, secondo quello schema analiti­ co dell'esplicitazione progressiva che esige una continua ri­ presa degli argomenti trattati . Se non si tiene presente ciò , si rischia di fraintendere il senso stesso delle analisi fenome­ nologiche. Dal punto di vista del metodo , la conquista della c on­ cretezza del soggetto appare infatti come una stratificazione successiva , ogni fas e possiede un'autonomia relativa e si a­ pre a nuovi sviluppi. Nella riflessione husserliana la polarità tra "astratto " e "concreto" non è dunque una contrapposi­ zione fissa e immobile , ma un 'interazione funzionale e dialettica in cui i termini si chiariscono di volta in volta alla luc e di precise esigenze analitiche ; fenomenologicamente parlando , non esiste un'astrazione assoluta, così come non esiste un' assoluta concretezza , p oiché p er raggiungere il concreto abbiamo bisogno proprio di "astrazioni " , di mo­ delli, di situazioni esemplari, e queste astrazioni manifestano un potere esplicativo reale solo aderendo gradualmente al contesto d' esperienza dal quale sono sorte. Si potrebbe dire che il n ostro accesso al c o ncreto è reso p ossibile da "astrazioni" sempre più ricche di contenuto , è mediato da prospettive di approfondimento , anziché avvenire in una

Introduzione

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sorta di presa diretta che condurrebbe il discorso alle soglie dell' inetfabilità. Sarebbe infatti fuori luogo leggere nel costante e quasi ossessivo richiamo di Husserl all' evidenza, alla visione intui­ tiva, all' immediatezza dell' esperienza vissuta (Erlebnis) , qualcosa di più della rivendicazione di un modo possibile di intendere l'attività filosofica, in aperta polemica con altri indirizzi di ricerca, ritenuti privi di autentico valore scien­ tifico proprio perché dominati da un'intenzione speculativa e costruttiva piuttosto che critica e analitica. Ciò premesso , l' "immediatezza" che la filosofia fenomenologico-trascen­ dentale ha di mira e sempre persegue nel su o articolato percorso non è affatto una dimensione univoca e indiffe­ renziata, un "paradiso pre-logico e pre-categoriale " acqui­ sito una volta per tutte ; ogni tema, ogni ambito della ricer­ ca fenomenologica ha le sue forme di evidenza che non so­ no le stesse che definiscono altri ambiti . All o ra, il problema filosofico di fondo non sarà quello di ridurre una data for­ ma di evidenza ad un'altra più fondamentale, preventiva­ mente assurta al ruolo di modello vincolante, bensì di ve­ dere come tutte queste forme contribuiscano a determinare l'unità del mondo, tessendo la struttura sistematica della no­ stra esperienza. L' evidenza fenomenologica (dopo quanto abbiamo detto , sarebbe forse più opp ortuno utilizzare il plurale - le " evidenze" della fenomenologia) è stretta­ mente legata alla questione del metodo, intes o non tanto come una procedura che automaticamente dischiude la ve­ rità, quanto come una disposizione preliminare, un atteg­ giamento critico volto a ritrovare le radici, i fondamenti e­ lementari della forma di vita complessiva e " naturale" del soggetto . Quello indicato ci sembra il senso più pregnante dell'intuizionismo fenomenologi c o , anche se solo rara­ mente la filosofia trascendentale di Husserl è stata interpre­ tata attraverso questa chiave di lettura. Naturalmente non sarebbe stato possibile, nei limiti di questo saggio, discutere la filosofia trascendentale husserlia-

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Introduzione

na nel suo compless o , mostrandone le implicazioni così stringenti e originali da produrre una trasformazione radi­ cale, e per c erti aspetti irreversibile, della nozione stessa di "trascendentale" . Non era però nostra intenzione neppure !imitarci all' esame di un aspetto particolare della problema­ tica, rinunciando a fornire un filo conduttore unificante per orientarsi nell'interpretazione dei testi husserliani; abbiamo quindi sc elto un tema di per sé capace di gettare luce sull'intera filos ofia fenomenologica di Husserl, di eviden­ ziarne la valenza trascendentale e il carattere sistematico, ma anche suscettibile di numerose variazioni interne (qui se ne sono considerate solo alcune tra le molte possibili) . Si tratta precisamente dell ' intersoggettività trascendentale che tuttavia, come si vedrà, non può essere identificata con un perc orso qualsiasi lungo la tematizzazione fenomenologica della soggettività, ma deve essere esibito come il percorso che prima o poi bisogna attraversare ed esplorare approfon­ ditamente per conoscere l'esatta portata della questione del "soggetto " in Husserl. S e infatti siamo partiti dall'ipotesi che in Husserl si possa fondatamente parlare di una soggettività trascendentale concreta, e dunque di un'ottica filosofico-trasc endentale che non comprime e sacrifica bensì rivela e valorizza la concretezza della vita s oggettiva nei suoi molteplici aspetti, la "tesi" fi­ nale che esprime compiutamente quest'assunzione è che la soggettività trascendentale è realmente concreta solo come intersog­ gettività. A ciò però si arriverà in un certo senso solo dopo una lunga "deviazione" , che ci impegnerà a fissare e discu­ tere alcuni temi centrali della riflessione trascendentale fe­ nomenologica (la riduzione fenomenologica come "metodo " , e l ' io puro come forma della soggettività trascendentale; a questi argomenti saranno dedicati i primi due capitoli) , che sembrano porsi in netto contrasto con l'asserita possibilità di individuare nell'orizzonte generale del trascendentalismo lo spazio logico e antologico per l'io concreto . Il terzo e conclusivo capitolo, che dopo quanto abbiamo detto deve

Introduzione

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costituire il cuore della nostra indagine, il momento di ve­ rifica più significativo , permette non solo di collocare in u­ na luce più favorevole quelle che comunemente venivano considerate difficoltà interne o "aporie" del discorso hus­ serliano sulla soggettività, ma anche di cogliere la filosofia trascendentale da prospettive in gran p arte inedite, attra­ verso la valorizzazione esplicita di elementi spesso trascurati (il corpo proprio, l'alterità, il temp o , la percezione, la ge­ neratività) . Ovviamente, nei limiti del nostro lavoro , abbiamo po­ tuto tracciare solo un itinerario teoretico , attraverso linee di interpretazione che possano in qualche modo stimolare ulte­ riori approfondimenti. Pur avendo tenuto presente la let­ teratura critica su Husserl, anche la più recente, e talvolta entrando in discussione c on essa, abbiamo privilegiato net­ tamente il confronto diretto con i testi, senza p articolari preoccupazioni " cronolo giche" e individuando per c osì dire le "costanti" del pensiero husserliano rispetto ai temi in questione . L'intento di fondo che ci siamo prefissi è di far emergere una certa complessità e ricchezza del pensiero filosofico-trascendentale di Husserl, che rischia di andare perduta nell'attuale clima speculativo, in cui si tende a considerare la "filosofia del soggetto " (espressione quanto mai generica) nei termini di un' esperienza teoretica ormai esaurita. Come cercheremo di mostrare , in Husserl l' approccio trasc endentale non incontra un limite insuperabile nell'in­ dividualità dell'io , come se di fronte all' emergenza radicale del concreto la parola dovesse necessariamente passare ad una filosofia dell' essere o dell' esistenza; al contrario , essen­ do il " trascendentale" innanzitutto un a tteggiamento, un'a­ pertura problematica, una direzione di ricerca fondativa, la stessa esibizione di un contesto monadico e intermonadico di coscienza genera la domanda sulle sue condizioni di possi­ bilità, e queste ultime si c onfigurano c ome veri e propri principia individu ationis del s o ggett o . S crive Husserl:

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> (Hu IX, 443). L 'atteggiamento fenomenologico-trascendentale com­ porta p er Husserl una interruzione dell'ingenua e imme­ diata adesione del soggetto al mondo come realtà già data; la tesi generale , in quanto riflette il fondamento antologico della vita naturale, viene preliminarmente neutralizzata dal fenomenologo o, per usare un' espressione analoga , essa viene posta tra parentesi. In effetti , il termine " neutralizza­ zione" può suscitare l'impressione di un passaggio ad una dimensione radicalmente diversa da quella dell'atteggia­ mento naturale , il che è per certi aspetti vero , ma non in

La struttura formale della riduzione fenomenologico-trascendentale

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senso assoluto ; al contrario , l'immagine delle "parentesi" è tesa a sottolineare la possibilità di un rapporto indiretto, " obliquo" con il mondo naturale, per cui quest'ultimo non scompare propriamente dall'orizzonte tematico , ma rimane presente in una forma modificata. Ad ogni modo , questa neutralizzazione (Ausschaltung) o messa tra parentesi (Einklammerung) della tesi generale, che Husserl designa assai spesso con il termine tecnico di epoché, non deve essere c onfusa con una qualche forma di argo­ mentazione scettica in cui si cerca di stabilire l'infondatezza o l'inaffidabilità della credenza naturale nell' esistenza del mondo esterno . Per Husserl, la fenomenologia trascenden­ tale assume dalla scepsi il radicalismo della prospettiva, cioè l'universalità della critica, attraverso una rigorosa purifica­ zione della sfera conoscitiva, ma proprio il significato gno­ seologico della critica fenomenologica esclude la possibilità di c onferirle un carattere puramente negativo . In partico­ lare, il compimento dell' epoché non intende negare, o anche soltanto porre in dubbio, che il mondo sia reale; la tesi ge­ nerale della "realtà" del mondo viene certamente privata di quella c ogenza e perentorietà con cui si manifestava nell'atteggiamento naturale, ma ciò non implica affatto una presa di posizione esplicita sulla sua verità. Scrive Husserl: « L' epoché [fenomenologica] non è dunque quella che gli scettici (per esempio lo scetticismo pirroniano) imponeva­ no a se stessi come principio pratico . [ . . . ] La nostra epoché è un'astensione tematica . Essa impone all'io fenomenologico, a quell'io che si autoconsidera come vita nel mondo ( Wel­ tleben) , di assistere allo spettacolo di questa vita, di descri­ verla, ma al tempo stesso di non accettare alcuna delle vali­ dità che questa vita pone in essere » (Hu IX, 444). Nell' epoché il fenomenologo si astiene (almeno inizial­ mente) dal prendere posizione sul problema della "realtà" del mondo ; in modo analogo , un' analisi fenomenologica della percezione può prescindere dalla questione inerente l' esistenza o inesistenza dell'oggetto percepit o . Il mondo

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Capitolo I

dell' atteggiamento naturale è « p osto fuori della validità (ausser Geltung) : non provato , ma anche non contestato , esso va messo in parentesi (eingeklammert) » (Hu III, 69; Ide­ e, 6 7) . Di fatto, non si formula alcuna asserzione risolutiva e vincolante sulla validità o non-validità della tesi generale , e nemmeno sulla possibile verità di tutti i giudizi che pre­ suppongono la tesi: « Il radicalismo della riduzione feno­ menologica consiste nell ' esclusione conseguente di ogni interesse per l' essere oggettivo » (Hu IX, 1 89) . La sospensio­ ne del giudizio ( Urteilsenthaltung) operata dalla riduzione fe­ nomenologica è universale e riguarda la realtà naturale nella sua interezza. Il mondo , come totalità del reale , viene posto tra parentesi; ogni forma di trascendenza, c ome ingenua in­ dip endenza dalla c o s c ie nz a , s o ggia c e al d e s ti n o dell' esclusione tematica; l' epoché v a estesa ovviamente anche a Dio, in quanto trascendenza assoluta (Hu III, 1 40) , e a tutte le scienze della natura e dello spirito, che in vario modo si muovono all'interno dell'atteggiamento naturale (Hu III, 137) . C ome abbiamo anticipato , la riduzione fenomenologica deve rendere possibile l'analisi della c oscienza trasc enden­ tale, ma ciò significa che l' epoché non può identificarsi tout cou rt con la riduzione . Appartiene infatti al compito della riduzione fenomenologica anche la determinazione di ciò che permane come residuo dopo l' epoché, ovvero lo stesso orizzonte della coscienza pura o trascendentale: « Questa è ciò che ci rimane come " residuo fenomenologico ", e rimane , sebbene abbiamo neutralizzato il mondo intero , con tutte le c ose, gli esseri viventi e gli uomini, compresi noi stessi » (Hu III, 1 1 8-1 1 9; Idee, 1 1 O). La coscienza pura tuttavia re­ cupera, come suo c orrelato , il mondo reale, lo stesso mon­ do dell'atteggiamento naturale : « Il mondo reale ci risulta u­ no dei molti mondi possibili, i quali non sono che correlati di essenzialmente possibili modificazioni dell'idea di coscien­ za esperiente con nessi empirici più o meno ordinati >> (Hu III, 1 1 1 ; Idee, 1 04) .

La struttura formale della riduzione fenomenologico-trascendentale

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A b en vedere, tutto ciò che l' epochè aveva posto tra pa­ rentesi continua in un certo senso a sussistere dentro le pa­ rentesi e può essere assunto nella modificazione coscien­ ziale c orrispondente ; in questo modo , ogni trascendenza è inquadrabile e tematizzabile in una dimensione puramente immanente, c ome ftnomeno della coscienza: « Propriamente, non abb iamo perduto nulla, anzi abbiamo guadagnato l'essere assoluto che, rettamente intes o , racchiude quale correlato intenzionale degli atti della validità abituale [ . . . ] tutte le trascendenze mondane e le "costituisce " in sé » (Hu III, 1 1 9 ; Idee, 1 1 O). Il mondo ritorna nell' orizzonte tematico del fenomenologo in quanto senso del mondo: « Il fatto che l' esistenza del mondo è trascendente alla coscienza e tale ne­ cessariamente rimane anche nell'autodatità evidente , non impedisce che solo nel vivere della coscienza si c ostituisca ogni trascendente come inseparabile da essa e che questo vivere, inteso specialmente c ome coscienza del mondo , p orti inseparabilmente in sé il senso del mondo e anche il senso di un mondo come questo qui iffettivamente esistente » (Hu I , 96; MC , 8 8) . Esistenza, realtà, trascendenza diventa­ no p ro blem i trascendentali, ciò che non potevano ess ere nell'atteggiamento naturale della "datità " antologicamente mgenua. La polarità tra immanenza e trascendenza è operante a tutti i livelli dell'indagine fenomenologica e gli stessi termini si caricano di una valenza semantica che Husserl sembra la­ sciare allo stato fluido . In ogni caso , è p ossibile individuare nei testi husserliani due forme generali dell' opposizione tra "immanente" e "trascendente" , nella misura in cui l'imma­ nenza può essere reale (ree/Q o intenzionale (intentionaQ . Nella seconda edizione di Logische Untersuchungen, Husserl distin­ gue il contenuto reale dell'atto di coscienza dal contenuto intenzionale: « Per contenuto fenomenologico reale di un atto intendiamo il sistema complessivo delle sue parti, sia astratte che concrete, o, in altri termini, il sistema comples­ sivo dei vissuti parziali di cui esso è realmente costituito »

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Capitolo I

(XIX/ 1 , 4 1 1 ; RL/2 , 1 85) . Il contenuto intenzionale indica invece la proprietà dei vissuti intenzionali (o atti) come tali, la loro natura specifica (XIX/ 1 , 4 1 3; RL/2 , 1 8 6-1 87) . Nella prima edizione di Logische Untersuchungen l'imma­ nenza fenomenologica abbraccia soltanto il contenu to reale dell'atto; l 'indagine husserliana sembra paradossalmente li­ mitarsi all' evidenza dei vissuti parziali e all'analisi dei loro meccanismi associativi, mostrando quindi una palese di­ pendenza dall' atteggiamento psicologico . In Die Idee der Phii nomenologie (1 907) Husserl introduce la nozione di con­ tenuto intenzionale, in quanto distingue l'immanenza reale (re­ elle Immanenz) dall'immanenza nel senso della datità evidente o au todatità (Selbstgegebenheit) (Hu II, 35-36) . Un oggetto , pur non essendo una parte reale del vissuto (ed essendo , da questo punto di vista , "trascendente") , è tuttavia autenti­ camente dato nel vissuto , c ome contenuto intenzionale (ed è dunque, da questo punto di vista, "immanente") . Questa distinzione di piani è importante per il problema della ridu­ zione , poiché ciò che è immanente in senso intenzionale, è anche dato in maniera evidente e può dunque permanere come residuo dopo l' ep oché delle trascendenze naturali. Il doppio concetto di immanenza introdotto nelle Funf Vor­ lesungen non viene tematizzato esplicitamente negli scritti husserliani successivi , ma costituisce un presupposto per l'interpretazione di fondamentali passaggi di Ideen I. Se in­ fatti il criterio formale di appartenenza all' orizzonte feno­ menologico è l'immanenza intesa come datità evidente , vi può essere una "trascendenza immanente", una trascenden­ za che si manifesta come tale nella coscienza trascendentale, e dunqu e l ' ep och é es clude p rogrammaticamente soltanto quella trascendenza dogmatica che non può essere comprovata e documentata da alcuna evidenza. La coscienza trascendentale è la dimensione originaria dell' evidenza e , so tto questo asp e tto, si c onfigura c o me

La struttura formale della riduzione fenomenologico-trascendentale

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"assoluta" 6 : « La riduzione fenomenologica ci ha messo in possesso del regn o della coscienza trascendentale come dell' essere, in un determinato sens o , " assoluto " . Essa è la categoria originaria dell 'essere in generale (o, nei nostri termini, la regione orig inaria) , nella quale si radicano tutte le altre re­ gioni dell' essere , alle quali tutte si riferiscono per la loro es­ senza e dalla quale pertanto tutte sono essenzialmente di­ pendenti» (Hu III, 1 74 ; Idee, 1 6 1 ) .

2. n problema delle vie della riduzione e l'unità della riflessione fenomenologico-trascendentale.

Nel paragrafo precedente non abbiamo preso in consi­ derazione il fatto che la riduzione fenomenologica costi­ tuisce in Husserl un intreccio di motivi e argomentazioni di tip o diverso , dal momento che il nostro obiettivo era provvisoriamente quello di delineare il significato generale della riduzione e la sua articolazione interna. D'altra parte, nella letteratura husserliana si u tilizza abitualment e l' espressione via ( Weg) , per designare le diverse forme argo­ mentative e strategie che Husserl elabora nel tentativo di ren­ dere accessibile al lettore il territorio puro della coscienza trascendentale 7• 6

La proposizione husserliana sull'assolutezza della coscienza tra­ scendentale ci sembra sia stata interpretata in maniera corretta da Bo­ ehm: « Se la coscienza assoluta non fosse, nulla potrebbe essere. Ma ciò non equivale a dire: tutto ciò che è, è per mezzo (durch) della coscienza assoluta » (R. BoEHM, Vom Gesichtspunkt der Phiinomenologie, Den Haag 1 968, p. 1 00) . Detto in altri termini, la coscienza trascendentale è la condizione necessaria dell'esibizione veritativa del senso dell'essere, ma non è né può essere in alcun modo una condizione sufficiente dell'esistenza concreta degli enti. Un'interpretazione analoga si trova in Tugendhat (cfr. E . TUGENDHAT, Der Wahrheitsbegri.ff bei Husserl und Heidegger, Berlin 1 967) . 7 Cfr. , R. BERNET, l . KERN, E . MARBACH, Edmund Husserl (tr. it.

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La distinzione di molteplici vie della riduzione ( Wege der Reduktion) è perfettamente aderente al linguaggio husserlia­ no . Ad esempio , in un manoscritto del 1 923 (Hu V I I I , 2 1 8-sgg.) , Husserl parla d i due vie della riduzione fenome­ nologica: la prima muove dall' antologia e si conclude con il riconoscimento che il mondo nella sua totalità è pensabile solo come c orrelato di una soggettività trascendentale; l' altra è la via cartesiana ( cartesianische Weg) , il cui punto di partenza è c ostituito dall' ego cogito, naturalmente rimo del­ lato sulla base delle esigenze del metodo fenomenologico (Hu VII I , 225 ) . Tuttavia gli interpreti hanno stabilito ulte­ riori differenze, individuando nei testi husserliani una più complessa stratificazione del problema; nella fattispecie , si è parlato e si parla di tre o quattro percorsi ai quali Husserl ri­ manda il lettore che intenda compiere la riduzione feno­ menologica. Naturalmente, la classificazione delle vie non è rigida e univoca, ma si modifica nelle diverse esposizioni della riduzione . P ossiamo in tal senso riportare alcuni e­ sempi, tra i più noti nella letteratura critica sulla fenome­ nologia husserliana. Oskar Becker distingue, in riferimento alla riduzione, tre > 9 3) La problematica "cartesiana " può essere considerata in una prospettiva psicologica, e questa è per Becker la terza via alla fenomenologia trascendentale . Eugen Fink individua quattro vie della riduzione fenome­ nologica: •

di C. La Rocca) , Bologna, 1 992, pp. 91-92. 8 O. BECKER, Die Phiinomenologie Husserls ( 1 930) , in H. NOACK (hrsg.) , Husserl, Darmstadt 1 973, pp. 1 29-167, pp. 1 63-1 67. 9 lvi, p. 1 65.

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1 ) « La via della logica formale ». 2) « La radicalizzazione dell'argomentazione cartesiana » . 3) « I l Leitmotiv della teoria della scienza ». 4) « La trasformazione della psicologia fenomenologica in una problematica trascendentale >> 10• Anche Rudolf Boehm enumera quattro vie , ma la sua clas­ sificazione si discosta da quella di Fink. N ella sua introdu­ zione a Erste Philosophie II egli distingue : 1 ) « La via cartesiana >>. 2) « La via attraverso la critica delle scienze p ositive » . 3) « L a via attraverso l e antologie positive e la filosofia pri­ ma positiva >>. 4) « La via della psicologia universale fenomenologica >> 11• Iso Kern considera la « via attraverso la critica delle scien­ ze positive » come una semplice variante della « via antolo­ gica » richiamata da B o ehm. Egli quindi propende per una tripartizione delle vie, nel modo seguente: 1) « La via cartesiana >>. 2) « La via antologica» . 3) « L a via attraverso la psicologia intenzionale » 12• La via ontologica può avere tre diversi punti di partenza: a) la logica formale, b) la critica delle scienze positive (in relazione alle antologie regionali che determinano i principi delle diverse scienze) , c) l' ontologia del mondo della vita (Kern ritiene che quest'ultimo punto sia il più importante per una caratteriz­ zazione adeguata del metodo fenomenologico 13) . La classificazione di Kern, con la sua tripartizione delle 10

E. FINK, Die Spiitphilosophie Husserls in der Freiburger Zeit, in: Edmund Husserl1859-1959, Den Haag 1959, pp. 99-115, p . 108. 11 Hu VIII, Einleitung des Herausgebers, pp . XXXIII-XXXVII. 12 L KERN, Husserl und Kant, Den Haag 1 964, p . 195. Il paragrafo in cui Kem discute le vie della riduzione è sostanzialmente identico al saggi o : "Di e drei W ege zur transzendentalphanomenologischen Reduktion in der Philosophie Edmund Husserls", in: Tijdschrift voor Philosophie, 24 (1962) , pp. 303-349. 13 I. KERN, Husserl und Kant, cit. , p. 218.

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vie, include in un modo o nell' altro tutte le vie presenti negli autori qui menzionati, per cui la nostra esp osizione si atterrà ad essa. Vogliamo tuttavia sottolineare più netta­ mente di Kern l' unità della riflessione fenomenologico-- trascen­ dentale nelle diverse vie seguite da Husserl: le vie non sono altro che diversi asp etti della stessa riflessione. In particolare , non ci sembra corretto affermare c he ogni via rappresenti una "versione" della riduzione fenomenologica; in ciascun percorso Husserl accentua un aspetto della riduzione !a­ sciandone altri sullo sfondo, ma tutte le vie contribuisc ono a disegnare la fisionomia complessiva della fenomenologia trascendentale. Se si tiene presente ciò, si comprende facil­ mente perché gli interpreti non siano mai pervenuti ad un accordo circa la priorità da assegnare ad una determinata via; la realtà è che una via non esclude le altre, ed anche in sede di interpretazione del pensiero husserliano non è ne­ cessario privilegiare un' unica via, perc hé tutte si integrano e completano in una rete di rimandi. Alcuni interpreti hanno inoltre notato come in determi­ nati contesti risulti assai difficile separare nettamente una via dall' altra, richiamando l' attenzione sul carattere spesso artificioso delle distinzioni. Per esempio , Janssen ritiene che nella Krisis non abbia molto senso operare una distinzione tra la via antologica (a partire dal mondo della vita) e la via psi­ cologico--intenzionale; di fatto, nell' ultima opera husserliana queste vie appaiono talmente intrecciate che forse « sarebbe più appropriato parlare di una via, che si sviluppa in due direzioni » 14• Questa osservazione critica viene a c onfer­ mare il nostro assunto di una stretta interdip endenza tra le diverse vie della riduzione fenomenologica. Nelle pagine seguenti daremo un' esposizione delle vie della riduzione, cercando di individuare la peculiarità di o­ gni p erc ors o , ma anche evidenziando la sua incap acità di 14

nota.

P. JANSSEN , Geschichte u nd Lebenswelt, Den Haag 1 979, p . 49,

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rappresentare l' intero ambito della problematic a trascen­ dentale . Negli scritti husserliani si riscontrano differenti e­ laborazioni e approfondimenti delle singole vie, ma ognuna di esse p ossiede una struttura che emerge chiaramente dal contesto in cui è inserita. Ci limitiamo peraltro a presentare soltanto le linee essenziali di questa struttura, seguendo al­ meno in parte le indicazioni di Kern.

3. La via cartesiana

La c osiddetta via cartesiana della riduzione fenomenolo­ gica è una riflessione sulla possibilità di reperire un'istanza di fondazione assoluta. Questa riflessione si svolge sec ondo i passaggi seguenti. 1) L'idea della filosofia come scienza assolutamente fondata costituisce l'inizio del percorso, ma Husserl ritiene che sol­ tanto un' evidenza apodittica possa offrire il terreno metodologi­ co della fondazione e la garanzia autentica del carattere tra­ scendentale della ricerca; l'apoditticità in questione è per lo più intesa come riempimento senza residui dell'atto conosciti­ vo, e dunque come evidenza adeguata (Hu VIII , 35) . 2) La c onoscenza naturale del mondo c ome realtà tra­ scendente non può soddisfare l' esigenza di apoditticità, per­ ciò si impone necessariamente un' epoché nei confronti di questa conoscenza : « Di fatto si può mostrare che tutta la dimostrazione dell'indubitabilità dell' esistenza del mondo o della legittimità dell'esperienza del mondo non resiste alla prova dell'ap oditticità autentica; e che, di conseguenza, per una filosofia che si deve fondare in modo assoluto, l' universo nella sua piena totalità deve restare fuori validità (in sospeso) , cioè in quanto sprovvisto di fondazione asso­ luta deve , fino a nuovo ordine, rimanere in questione co­ me le proposizioni di tutte le scienze del mondo e le scien­ ze in generale » (Hu VIII, 42) .

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3) Ciò che p ermane come evidenza indubitabile dop o aver compiuto l ' epoché è i l cogito del filosofo: « Per quanto la mia corrente di coscienza non venga afferrata che in ri­ stretta misura, per quanto sia sconosciuta nelle parti già de­ fluite o ancora a venire, tuttavia, gettando lo sguardo sul suo effettivo presente, prendendolo puramente in sé, e co­ gliendo me stesso c ome puro soggetto di questa vita [ . . . ] , necessariamente affermo : io sono, questo vivere è , io vivo : cogito » (Hu III, 1 06 ; Idee, 99) . 4) Sviluppando altre considerazioni, Husserl mostra che il cogito non è un semplice frammento del mondo (questo era il limite dell' argomentazione prefenomenologica di Descartes) , ma porta con sé, c ome correlato intenzionale, il mondo stesso (Hu I, 60; MC, 54) . Attraverso questa linea argomentativa, la riflessione fenomenologica conduc e alla soggettività pura o assoluta, che come tale non si identifica con la coscienza umana. La coscienza trascendentale è una coscienza del mondo, ma non una coscienza nel mondo; il filosofo c ome sp ettatore disinteressato (unbeteiligter Zuschauer) di se stesso e dei suoi vissuti (Hu l, 7 5 ; Idee, 67) deve per­ tanto essere tenuto rigorosamente distinto dal filosofo come uomo-nel-mondo , con un corp o , un carattere personale , ecc . (anche se, come vedremo meglio più avanti, Husserl ritiene che una qualche identità tra c oscienza naturale, mondana e coscienza trascendentale, assoluta debba pur sus­ sistere) . La matrice "cartesiana" di questa riflessione si manifesta con particolare chiarezza nei passi in c ui Husserl sottolinea l' asimmetria strutturale tra le forme di evidenza che caratte­ rizzano , rispettivamente, il mondo e la coscienza trascendentale. Se infatti il mondo è esperibile solo come correlato di una coscienza trascendentale, quest'ultima p ossiede uno statuto evidenziale che non dipende in alcun modo dalla presenza del mondo , di un mondo , nella c ompagine assolutamente autonoma dei suoi vissuti. « L' essere della c oscienza, di o­ gni corrente di Erlebnisse in generale , verrebbe sì modifi-

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cato necessariamente da un annientamento del mondo delle cose (aus einer Vernichtung der Dingwelt), ma non ne sarebbe toccato nella sua propria esistenza . M odificato senza dub­ bio . Poiché l'annientamento del mondo non significa cor­ relativamente altro che da ogni corrente di Erlebnisse [ . . . ] sarebbero escluse certe ordinate connessioni d' esperienza e le connessioni della ragione teoretizzante o rientate su quelle . Ma con ciò non è detto che altri Erlebnisse e altre c onnessioni di Erlebnisse sarebbero ugualmente esclusi. Dunque nessun essere reale, tale cioè che si rappresenti e si giustifichi coscienzialmente mediante apparizioni, è necessa­ rio all'essere della coscienza stessa (nel senso amplissimo di corrente di Erlebnisse) » (Hu III, 1 15; Idee, 107). Quando Husserl prende in considerazione l' eventualità di un annientamento del mondo ( Weltvernichtung) , questa as­ sunzione non è di tipo metafisic a, ma gnoseologic o, e si riferisc e ad una possibile dissoluzione della struttura ordi­ nata delle percezioni esterne. Se il decorso delle percezioni non mantenesse uno stile unitario e coerente, un' a rm onia di fo ndo al di là delle occasionali modalizzazioni, il "mondo" sarebbe per noi una parola vuota di senso; la stessa coscien­ za umana, in quanto parte del mondo , non avrebbe più al­ cuna base esp erienziale (Hu VIII, 56-57). La Weltverni­ chtung è, in questa ottica, un esp erimento mentale, un'ipotesi priva di qualsiasi risc ontro immediato , tuttavia capace per Husserl di generare la persuasione che « quanto al senso, tra coscienza e realtà si apre un abisso » (Hu I I I , 1 17; Idee, 108). In effetti, anche se Husserl afferma che il mondo stesso non è estraneo alla vita immanente della coscienza, ma è il suo correlato , è altrettanto vero che egli in numerose cir­ costanze attribuisce a questa correlazione un carattere pu­ ramente fattuale; l' essenza della c oscienza è l'intenzionalità, il riferimento-ad-altro, ma questo "altro " può essere tanto un mondo, quanto un mero « caos di fenomeni )) ( Gewiihl von Erscheinungen) (Hu VIII, 48). L' ultima espressione ri-

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manda ad una situazione-limite che, attualmente, non è la nostra, ma che corrisponde ad un p ossibile mutamento radi­ cale nella struttura dell' esperienza esterna. Più precisamen­ te, al posto delle forme abituali di ordinamento sistematic o del campo percettivo, potrebbe presentarsi una sequenza di fenomeni talmente c ontraddittoria da togliere qualsiasi for­ za empirica alla credenza in un mondo reale; incapace di e­ sibire delle linee di tendenza che motivano coerentemente l' apprensione di cose, il materiale sensibile non cesserebbe di orientare in qualche modo l'intenzionalità della coscienza , ma essa si muoverebbe ormai in un universo di pure finzio­ ni: « rozze formazioni unitarie », « punti d'arresto di visioni che sarebbero meri analoga delle visioni di cose, poiché sa­ rebbero del tutto inette a costituire delle "realtà" stabili, delle unità di durata, che esistano in sé, siano o non siano percepite » (Hu III, 1 15; Idee, 107). In linea di principio , per il mondo della nostra esperien­ za la possibilità del non-essere non è mai esclusa; di contro , proprio nel passaggio al limite in cui si contempla l'ipotesi perturbante di una Vernichtung del terreno mondano, la coscienza in quanto orizzonte trascendentale si staglia nitida­ mente c ome residu o incancellabile . Husserl può quindi formulare la seguente prop osizione fenomenologica fon­ damentale , che icasticamente sancisc e una possibilità e una impossibilità essenzial i : « Alla tesi del mondo , che è " accidentale", si c ontrappone dunque la tesi del mio io puro e del suo vivere, che è "necessaria" e indubitabile. O­ gni cosa spaziale , anche se data in carne ed ossa, può non essere , mentre un Erlebnis dato in carne ed ossa non può non essere » (Hu I I I, 108- 109; Idee, 10 1). È chiara in que­ ste pagine l'istituzione di una proc edura che ricorda piut­ tosto da vicino il dubbio ip erbolico di Descartes, poiché la possibilità del non-essere del mondo svolge una funzione strategica di primo piano nella determinazione della coscien­ za (o del cogito) come « punto archimedeo della filosofia » (Hu VIII, 5).

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La via cartesiana viene percorsa da Husserl sia in Die Idee der Phiinomenologie che in Ideen I, e naturalmente anche nelle Cartesianische Meditationen; la sua elaborazione più va­ sta e approfondita si trova tuttavia in Erste Ph ilosoph ie II. Questa via può essere valutata in maniera diversa, a seconda dell'importanza che l'inteprete annette alla pretesa della fe­ nomenologia trascendentale di configurarsi come rinnovata filosofia p rima (erste Philosop hie) . Becker ritiene, come ab­ biamo visto , che la via cartesiana (la « via delle Meditazioni cartesiane ») offra « l' accesso autenticamente centrale alla fe­ nomenologia come tale » 15• Al contrario, Kern giudica ne­ gativamente la via c artesiana , individuando alcuni p unti problematici che rendono precaria la struttura dell' argo­ mentazione ; in partic olare, egli pone in disc ussione l' autentico profilo fenomenologico della via, avanzando l'ipotesi che la presentazione della fenomenologia c ome "neocartesianismo " , al di là delle affermazioni husserliane che sembrerebbero stabilire una precisa linea di continuità con la riflessione di D escartes , risulti in larga misura fuor­ viante per la c omprensione effettiva delle analisi fenomeno 1 ogtco-trascend enta1·1 M . La critica di Kern, che qui non riporteremo nei dettagli, rappresenta una seria obiezione contro l'interpretazione della via cartesiana c ome forma argomentativa principale della riduzione fenomenologica. Per una valutazione più e­ quilibrata della questione occorre tuttavia ricordare il rap­ p orto essenziale che la via cartesiana ha sempre intessuto , nella riflessione husserliana, con la determinazione della fe­ nomenologia c ome scienza dei fondamenti e filosofia p rima, dunque con una direzione di ricerca che si trova all' origine della stessa problematica della riduzione e che Husserl non ha mai abbandonato. Come abbiamo potuto verificare, la via cartesiana della .

15

16

0. BECKER, op. cit. , p. 1 65 . Cfr. l. KERN , op. cit., pp. 203-205.

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riduzione fenomenologica si presenta c ome un' articolata riflessione sul problema filosofic o della fondazione ultima (Letztbegrundung). La struttura dell' ego cogito, fenomenologi­ camente appro fondita, c i o è purificata da quei limiti "mondani" che in D escartes ne ostacolavano la piena com­ prensione e il concreto sviluppo, esibisce una conoscenza indubitabile . In questo modo, la riflessione fenomenologi­ co-trasc endentale si assicura manifestamente un solido fon­ damento, ma dopo un primo sguardo sull'intero percorso è difficile sottrarsi all'impressione che il prezzo da p agare all' assolutezza del cogito sia comunque alto ; l'emergere di u­ na c oscienza assoluta, colta in un' evidenza apodittica e ade­ guata, è infatti il "c ontracc olp o " della p ossibilità teorica dell' annientamento del mondo, e in questi termini il pro­ blema della riduzione fenomenologica sembra destinato ad assumere una fisionomia paradossale, riproponendo tutti i limiti di uno schema "dualistic o " della relazione tra sog­ getto e mondo : « L"'annientamento del mondo " ha di pa­ radossale il fatto di livellare quella differenza tra il soggetto e il mondo che essa si proponeva di mettere in luc e : l' esistenza del mondo è considerata come se s i trattasse della realtà di una cosa singola, che si dà, si conferma o al contrario "si dissolve" ( uexplose '') nel c orso di un' esperienza partico­ lare e limitata. D'altra parte , il soggetto si manifesta sotto la forma difettiva e indeterminata di un "residuo" immanente dell' annientamento del mondo trascendente, vale a dire an­ cora come una "picc ola porzione di mondo " ( ''petite parcelle du monde '') » 17• Kern ritiene che l'analogia tra la riduzione fenomenolo­ gico-trascendentale e il dubbio metodico di Descartes non oltrepassi in Husserl un livello vago e generic o; l'esigenza della riduzione non sorgerebbe dal problema dell' evidenza assoluta, ma, principalmente, da una volontà di chiarifica-

17

R. BERNET, LA vie du sujet, Paris 1 994 , p. 98.

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zione delle forme dell' esperienza 18• Inoltre , sul piano pm propriamente teoretico , l'approccio cartesiano alla riduzio­ ne sembra opporre una tenace resistenza alla piena valoriz­ zazione della dottrina husserliana dell'intenzionalità: la pos­ sibilità della Weltvernichtung rischia di vanificare il movi­ mento intenzionale della c oscienza, la struttura relazionale (non-sostanzialistica) del "cogito" fenomenologico . Su que­ sta lunghezza d'onda troviamo per esempio Brand, il quale rovescia l' assunto di Descartes osservando che , se si pone un soggetto "isolato " e autosufficiente che dubita del mon­ do, si perde la possibilità di un c o minciamento filosofi co : « L 'io è appunto vita-che-esp erisc e-il-mondo , l ' io è se stesso soltanto nell'autoestraneazione; un io privo di mon­ do è un non-senso » 19• Ma Husserl, almeno in Ideen I e in Erste Philosophie II, non afferma proprio ciò che Brand, sulla base di mano­ sc ritti hus s e rliani degli anni ' 30 , stigmatizza c o me "non-senso " , cioè la possibilità di un soggetto privo di mondo , la legittimità di una coscienza weltlos? Era dunque fatale che intorno agli esiti radicali della via cartesiana si concentrassero le critiche più severe , tra le quali basti qui ricordare quelle classiche di Heidegger in Sein und Zeit e di Merleau-Ponty nella Phénoménologie de la percep tion, ripro­ p oste c on poche variazioni negli ultimi decenni. Recente­ mente , Rudolf Bernet ha paragonato l'ip otesi della Weltver­ nich tung addirittura a un « gio c o di prestigio » (tour de ma­ gie) 20 cui non si saprebbe assegnare una funzione determi­ nata nella tessitura delle regole metodologiche , inquietante retaggio di una conc ezione pre-intenzionale e pre-feno­ menologica del soggetto e della coscienza: « L'ipotesi di un "annientamento del mondo" è dunque c ontraria al senso dell' intenzionalità che, incessantemente, porta il soggetto a 18

l. KERN, op. cit., p. 235. G. BRANO, Mondo, io e tempo nei manoscritti inediti di Husserl (tr. it. a cura di E. Filippini) , Milano, 1 960, pp. 64-65. 2 0 R. BERNET, op. cit., p. 97. 19

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interessarsi tanto delle cose del mondo quanto del loro ap. panre » 21 . Anche chi non c ondividesse il giudizio di Bernet non potrebbe tuttavia esimersi dal riconoscere, almeno , l'insuffi­ ciente profilo fenomenologico della via cartesiana; sebbene infatti la radicalizzazione dell'ego cogito di Descartes riesca a dischiudere l' orizzonte formale dell' immanenza come am­ bito proprio della fenomenologia, essa non può tuttavia af­ ferrare, c on i suoi soli mezzi, il contenuto concreto e totale che emerge nella dimensione immanente della coscienza 2 2• Del resto , lo stesso Husserl sembra pienamente consapevole delle difficoltà adombrate nella via c artesiana e dei rischi di "sostanzializzazione" della soggettività trasc endentale che ne derivano ; nella Krisis, l'opera che forse riflette nella ma­ niera più chiara il suo distacco dal cartesianismo , Husserl formula un' esplicita autocritica nei confronti dell'approccio (cartesiano) di Ideen I, rilevando c ome in quel c ontesto l'ego trasc endentale fosse assunto « in un' apparente mancanza di contenuto , talché sulle prime non si riesce affatto a c apire che cosa si sia guadagnato e come p ossa essere stata attinta una scienza del fondamento , una scienza c ompletamente nuova e decisiva per qualsiasi nuova filosofia » (Hu VI, 158; Crisi, 182). Per Kern la via cartesiana è da c ompletare c on altre vie, attraverso le quali il mondo possa più agevolmente e c on­ cretamente manifestarsi c ome polo intenzionale della co­ scienza; questa osservazione è del tutto c ondivisibile e, a ben vedere, non fa altro che rispecchiare le intenzioni di Husserl, il quale ha conc epito le vie come percorsi aperti, non solo nel senso di una loro costante rivedibilità, ma an­ che di una loro limitatezza e necessità di integrazione reci­ proca. Le oscillazioni e perplessità che affiorano all'interno della 21

Ibidem, p. 98. KERN, op. cit. , p. 212

22 1 .

sgg.

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via cartesiana sembrano ridefinire i n termini nuovi e p m convinc enti il problema dell' evidenza fenomenologica. Se per esempio in Erste Philosophie II Husserl identific ava an­ cora evidenza apodittica ed evidenza adeguata, in Cartesianische Meditationen i due lati dell'equazione si spezzano , e dunque vi può essere un'apoditticità senza adeguazione (Hu I, 62) . La differenza non è di poco conto, in quanto segna un ridi­ mensionamento delle pretese di assolutezza racchiuse nella proposizione ego cogito; l' ego che apoditticamente funge nel cogito fenomenologic o, nell'esperienza trascendentale, è sì indubitabile, ma all'inizio soltanto in forma di « universalità indeterminata di un orizzonte aperto » (Hu l, 62) ; apoditti­ ca è la priorità del piano gnoseologico della coscienza come sede dell' evidenza originaria , anzi c ome questa stessa evi­ denza, tuttavia con ciò non è ancora stabilita la piena e­ stensione e c oncretezza della soggettività esperiente. L'ap oditticità che Husserl esige dai contesti descrittivi della fenomenologia sembra attenere alla dimensione più generale dei principi che devono fissare univocamente la p ossibilità dell' esperienza; l' adeguazione è invece postulata metodicamente come un limite ideale cui la conoscenza fe­ nomenologica può approssimarsi lungo una serie infinita di gradi di riempimento .

4. La via ontologica

Per un'integrazione della via cartesiana appare partico­ larmente significativa la via ontologica, nella quale si compie fin dal principio una riflessione sul rapporto tra la coscienza e i suoi oggetti. La struttura fondamentale della via antologica si articola in tre momenti. 1) La via muove da un' ontologia positiva o dalla logica for­ male; più precisamente , vi sono tre diverse discipline che p ossono fungere da punto di partenza della riflessione tra-

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scendentale, per cui la via antologica può essere di fatto percorsa in tre modi differenti: a) attraverso la logica formale, b) attraverso le scienze positive e i loro fondamenti nelle antologie regionali (che contengono i principi per gli og­ getti delle rispettive regioni) , e c) attraverso l' « ontologia del mondo della vita » . D elle tre varianti della via antologica l'ultima menzionata è sicuramente la più imp ortante per l' indagine che stiamo c onducendo ; essa è c onoscibile so­ prattutto dall' esposizione sistematica di Krisis, in cui la no­ zione di mondo della vita (Lebenswelt) svolge un ruolo cen­ trale nella determinazione del significato delle scienze , nell' analisi delle operazioni soggettive e intersoggettive che le rendono possibili. 2) Le singole antologie c ontengono un apriori ontologico (vi sono per Husserl tre diverse regioni dell' antologia: a) la regione materiale, b) la regione psichica, e c) la regione spiri­ tuale, ognuna delle quali è sottoposta a principi che fungo­ no da regole per la costituzione dei rispettivi oggetti) . Il compito generale della chiarificazione dell'apriori c onduce l'indagine ad oltrepassare i confini di una singola regione e la stessa stratificazione delle regioni in quanto già data; si manifesta quindi l' esigenza di una riflessione radicale, in grado di illuminare la struttura antologica dell' apriori nella sua relazione costitutiva con la soggettività. « È una conoscenza di enorme importanza il fatto che ogni esperienza naturale , presa come essere immanente , motivi una molteplicità di altre esperienze naturali e una molteplicità di possibilità re­ ali di esperienza naturale , e che noi p ossiamo sviluppare queste connessioni motivate , che sono connessioni della c oscienza pura , e rivolgere ad esse il nostro sguard o . E questo sguardo ha il carattere dell' esperienza fenomenolo­ gica » (Hu XIII, 180) . L'oggetto, come unità antologica di tipo peculiare, diventa il filo conduttore della problematica trascendentale , poiché questa unità si scopre intimamente c orrelata a funzioni soggettive, a regole operative, a sistemi di manifestazione in cui essa per così dire si "risolve", senza che

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cw c omp orti m1mmamente una diss oluzione s c etti­ co-fenomenistica della sua validità; la relazione dell' oggetto con la soggettività conoscente non è dunque p uramente "accidentale" , ma universale e necessaria, strutturale . In altri termini, nella via antologica la soggettività trascendentale e­ merge c ome terreno di fondazione di tutti gli oggetti pos­ sibili, attraverso un movimento regressivo-giustific ativo che per certi aspetti ric orda la rivoluzione c opernic ana di Kant. Per Husserl si tratta, come già per il Kant della Kritik der reinen Vernu nft, di pro durre c o e rentemente una « soggettivizzazione trasc endentale, che non solo è c ompa­ tibile con l'autentica oggettività, ma è piuttosto la sua con­ troparte a priori » (Hu XVII, 226; LFT, 3 16). 3) Il tema specifico della ricerc a è ora l' apriori soggettivo della costituzione, ma ciò presenta singolari difficoltà. Infatti, colui che intraprende la ric erca trasc endentale può essere fatalmente indotto a considerare il nuovo terreno soggetti­ vo c ome un dato antologico-positivo (e dunque c ome una parte del mondo) . Per evitare il pericolo di un tale frain­ tendimento, è necessario porre tra parentesi tutti i riferi­ menti alle "positività" e " ovvietà" del mondo naturale . In quanto interessato unicamente alla sfera trasc endentale , il fenomenologo non lascia valere alcuna delle proposizioni delle scienze positive come premessa delle sue analisi teore­ tiche : in questo modo, egli si sottrae al rischio di una meta­ basis dall'atteggiamento filosofic o-trascendentale al mondo dell' atteggiamento naturale (Hu III, 1 4 4- 1 45). Com' è facile vedere , nel contesto della via antologica il compimento dell' epoché è determinato da motivazioni e ar­ gomenti piuttosto diversi da quelli che operavano , in modo prevalente, nella via cartesiana. La finalità metodologica che orienta il p ercorso della riduzione non è, in questo cas o , l'individuazione di una sfera d i certezza apodittica (come nella via cartesiana) , e nepp ure la riplasmazione di tutte le questioni c onoscitive in un ambito puramente soggettivo (c ome nella via psicologico-intenzionale, che tra breve pren-

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deremo in esame) ; al centro dell' interesse è la correlazione strutturale tra la soggettività trascendentale costituente e le u­ nità antologiche costituite, e queste ultime sono subito as­ sunte c ome unità di validità. In linea di principio, la ridu­ zione fenomenologico-trascendentale si dissocia rigorosa­ mente da altre forme della riflessione filosofica alle quali è stata troppo spesso assimilata. L' epochè non deve infatti esibire il fondamento indubitabile su cui ricostruire una totalità epistemica minacciata dalla scepsi (secondo un modello argomentativo che nella tradi­ zione era stato incarnato in maniera esemplare dalle Medi­ tazioni di D esc artes) , ma esercitare una funzione critica e chiarificatrice nei confronti di ciò che il linguaggio naturale . fiIssa Ingenuamente come " rea lta' " e " mon d o " : « All ' Interno del modo naturale di pensare avevamo il mondo , esso era dato come realtà indubbia. Noi ne facevamo esperienza, ne facevamo o ggetto di pensiero, di te oria, nell' ambito dell' evidenza naturale e ottenevamo le scienze, degne di ammirazione per il loro metodo e i loro risultati. Ora, pe­ rò, nel capovolgimento del modo di pensare naturale, noi abbiamo, invece che semplicemente il mondo , solo la co­ scienza del "mondo " . Detto più chiaramente : noi abbiamo allora solo la nostra soggettività trasc endentale pura, cono­ scibile in una evidenza assolutamente autonoma , e che porta in sé nel fluire della sua c oscienza tutto il suo senso conoscitivo , dunque anche il "mondo" , che noi "abbiamo in mente" , e così come ce l'abbiamo . Esso è il mondo in­ tenzionato, il mondo conosciuto e c onoscibile , tale quale appunto è conosciuto e conoscibile . Soltanto c osì esso di­ venta qui un tema di ricerca » (Hu VII, 27 1-272; KFT, 166). La via antologica della riduzione si manifesta sostanzial­ mente come un approfondimento di quella « rivoluzione del modo di pensare naturale » che Kant aveva realizzato nella sua filosofia trascendentale (sia pure in forma incom­ pleta e in un atteggiamento che Husserl non esita a definire .

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c ostruttivo » o addirittura « mitic o », cioè ancora lontano dalle autentiche fonti fenomenologiche 23) ; alla prospettiva naturale dei " dati", dei fatti, della positività subentra dun­ que , kantianamente, la ricerca delle regole, delle possibilità, della validità. La via antologica, anche quando non viene nominata come tale, si disegna con chiarezza in numerosi luoghi della produzione husserliana, tanto nei testi pubblic ati dallo stesso Husserl quanto nei corsi di lezioni e manoscritti che affrontano il problema della riduzione fenomenologica. Come abbiamo anticipato , i riferimenti più puntuali si tro­ vano in Krisis, soprattutto quando Husserl sottolinea che il compito di un' analisi delle strutture formali-generali della Lebenswelt, assolto con pieno rigore, sfocia necessariamente nella problematica tras c endentale, p erché « ciò che è [l' essente] , in qualsiasi senso, c oncreto o astratto, reale o i­ deale , ha i suoi modi di datità, e, dalla parte dell'io, ha i suoi modi intenzionali, i modi di validità e gli inerenti mo­ di di evoluzione soggettiva dell'intenzione stessa, nelle sin­ tesi soggettive e intersoggettive della concordanza e della discordanza » (Hu VI, 1 69 ; Crisi, 1 9 3) . In altri termini, s e l' essente è per ragioni essenziali « indice di un sistema soggettivo di correlazione », la feno­ menologia trascendentale , indagando l' « apriori universale della correlazione » (Hu VI, 1 6 1) , articola la trama concreta delle condizioni di possibilità dell'antologia. Per ammissione di Husserl, questo orientamento risale addirittura alle Logische 23 « Ci si lamenta delle o s c urità della filo s o fi a kantian a , dell'inafferrabilità delle evidenze nel s u o metodo regressivo, delle sue "facoltà" , "funzioni", "formazioni" trascendental-soggettive, della dif­ ficoltà di capire che cosa sia propriamente la soggettività trascendentale , come si producano la sua funzione e le sue operazioni, e come, perciò, possa rendere comprensibili le scienze obiettive . Effettivamente Kant cade in un nuovo tipo di discorso mitico, il cui senso letterale rimanda sì all' elemento soggettivo, ma a un modo di so ggettività che di princi­ pio non può essere reso intuitivo, né attraverso esempi fattuali, né me­ diante adeguate analogie » (Hu VI , 1 1 6; Crisi, 1 4 3).

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Untersuchungen, e dunque può essere senz'altro c onsiderato un nucleo o riginari o del progetto fenomenologic o , più precisamente una diretta c o nsegu enza della te o ria dell' intenzionalità; nelle lezioni del 1 9 1 0-1 1 , Grundprobleme der Phiinomenologie, la riduzione manifesta la c apacità di a­ prirsi immediatamente alle istanze della fondazione inter­ soggettiva degli oggetti dell' esperienza (Hu XIII, 1 5 4) , e­ vitando quel confronto laborioso con la questione del so­ lipsismo che ha contribuito non poco ad offuscare l'imma­ gine autentic a della fenomenologia husserliana. Ma anche in opere più profondamente segnate dal pathos neocartesia­ no, come Erste Philosophie II e Cartesianische Meditationen, lo stile antologic o-trascendentale della Ruckfrage alle condi­ zioni soggettive dell' oggettività appare per lunghi tratti in­ confondibile. E proprio il carattere pervasivo e dominante di questo stile può far pensare che non ci si trovi di fronte ad una "via " tra le altre, ma alla forma stessa della filosofia fenomenologica. La letteratura critica ha posto abbondantemente in luce i vantaggi di questo perc orso c he, a detta di Husserl, privile­ gia la linea kantiana nello sviluppo storico-teoretico della filosofia della soggettività. 1 ) Husserl sembra mettere da parte il pathos della giusti­ ficazione assoluta, che rischia di trasformare l' impresa fe­ nomenologic o-trasc endentale in un c ompito al di fuori della nostra portata ; nella via antologica si prende più fa­ cilmente atto che, almeno inizialmente , è inevitabile una certa "ingenuità" della stessa prospettiva del fenomenologo . 2) Il problema dell' inizio , che in alcune pieghe argo­ mentative della via c artesiana prendeva la forma di un'ipertrofica richiesta di evidenza, viene ripo rtato da Husserl a dimensioni più accettabili, e l'evidenza adeguata che doveva c ostituire il dato assoluto sembra stemperarsi nel compito infinito della determinazione conoscitiva. 3) Il superamento della naturliche Einstellung non avviene in modo istantane o : la via cartesiana di Ideen I, che attra-

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verso un " salto " si lascia alle spalle tutte le ovvietà del mondo naturale (Hu VI, 158) , non è altro che la semplifi­ cazione ideale di un proc esso assai più artic olato ; in con­ creto , l' epoché trasc endentale è preparata da una riflessione sul mondo della vita (che per noi è già sempre dato) c ome tema autonomo: « Procediamo in questo modo : ricomincia­ mo da c ap o , poniamo il problema del c ome dell' essere­ già-dato del mondo, partendo dalla vita mondana naturale; [questo problema] dev' essere inteso dapprima in un senso che è acc essibile a chiunque sulla base dell' atteggiamento naturale, cioè c ome l' essere-già-dato di un mondo di cose essenti nella costante evoluzione dei modi di datità. [ . . . ] Noi lo rendiamo o ra c o nsegu entemente tematic o , in quanto terreno di tutti i nostri interessi, dei nostri progetti di vita, di cui le scienze teoretiche e obiettive costituiscono soltanto un grupp o p artic olare » (Hu VI, 156-157; Crisi, 18 1). 4) La sospensione del giudizi o non riguarda quindi il mondo dell' esp erienza c ome tale, ma il mondo fattuale; quest' ultimo offre tuttavia una base per cogliere delle possi­ bilità: « La riduzione fenomenologica non è app unto nient' altro che una modificazione di atteggiamento (Einstellun­ gsanderung) nella quale il mondo dell'esperienza viene con­ siderato in modo c onseguente ed universale come mondo dell'esperienza possibile (als W elt der moglichen Erfahrung) nel quale cioè viene c onsiderata la vita esperiente in cui l' esperito è ogni volta - e universalmente - un senso di esperienza con un determinato orizzonte intenzionale » (Hu VIII, p . 436). 5) L' intersoggettività, tema che solo c on estrema difficoltà p oteva inserirsi nel quadro della via c artesiana, si presenta nella via antologica c ome nec essario c o mpimento di una teoria dell' esperienza che riflette sui dati dell'atteggiamento naturale per chiarirne la genesi e il significato ; l' ac cusa di solipsismo metodo logico, che trovava le sue radici nell' ade­ sione della fenomenologia trascendentale al paradigma car-

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tesiano dell' ego cogito, perde qualunque spessore quando Husserl mostra l' esistenza di un movimento unico che porta dall' io all' altro, e dunque la stessa struttura intersog­ gettiva dell' esperienza umana può offrirsi c ome "residuo" dell' epoché (Hu XIII, 1 89-190) . Alc uni interpreti di Husserl hanno dato grande rilievo alla via antologica come specifico approccio alle tematiche della soggettività trasc endentale; se per esempio Boehm si limita a ravvisare che la via antologica « è storicamente la . pnma tra l e v1e sc operte da H usserl » 24 , . non-cartesiane . Kern attribuisc e ad essa una posizione del tutto privilegiata nell'interpretazione del pensiero husserliano. In particolare , questa via risulta libera da quelle tensioni ed aporie che ca­ ratterizzavano la via cartesiana, e si lascia preferire alla stessa via psic ologico-intenzionale in virtù della più ampia esten­ sione della sua problematica 25; per Kern, soltanto sulla base della via antologica la soggettività cui l' esercizio della ridu­ zione ci rimanda può essere realmente afferrata c ome tra­ scendentale, mentre nelle altre vie l' orientamento specifica­ mente trasc endentale dell'indagine fenomenologica non è individuabile c on altrettanta chiarezza e appare intrecciato con istanze filosofiche diverse . I n questa prospettiva , l a via antologica sarebbe l'unica all' altezza dell'impostazione metodologica e analitica della fenomenologia trascendentale, essa c orrisp onderebb e in modo adeguato alle più profonde intenzioni e "intuizioni" di Husserl: « Il senso della riduzione fenomenologica, come si manifesta nella via antologica, è quello che in ultima a­ nalisi Husserl intende sempre quando parla della riduzione fenomenologica, persino quando egli percorre altre vie » 2 6 • La riduzione fenomenologica, a livello profondo , al di là di occasionali c onc essioni fatte da Husserl ad altri p ossibili 24

R. BOEHM, Einleitung Hu VIII , p. XXXVI . cit. , p. 233.

25 1 . KERN, op. 26 lvi, p. 235.

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percorsi, verrebbe ad identificarsi c on la cosiddetta via an­ tologica, la quale dunque merita per Kern il nome di "via" in un senso assolutamente peculiare, essendo di fatto l' unico approccio autenticamente fenomenologico alla soggettività trascendentale . La determinazione di un primato della via antologica, piuttosto frequente nella letteratura su Husserl, si accompa­ gna regolarmente ad una valutazione critica e negativa della via cartesiana, come se l'impronta di Descartes non recasse un contributo sostanziale all'immagine della filosofia tra­ scendentale husserliana, o fosse addirittura una sorta di fat­ tore deformante nella visualizzazione del metodo fenome­ nologico . D ' altra parte , Husserl ha ribadito costantemente la centralità, sia da un punto di vista storic o che teoretico, delle Meditazioni metafisiche di Descartes per l' autocompren­ sione della fenomenologia trascendentale; in particolare, nonostante l' opinione contraria di autorevoli interpreti, non esiste in Husserl un abb andono della via c artesiana nell' ultima fase del suo pensiero , anche se, c ome abbiamo osservato a proposito di Krisis, Husserl senza dubbio prende atto di alcuni nodi problematici c he questa via, con i suoi soli mezzi, non è in grado di risolvere . Ma la via c artesiana non è certo l' unica formulazione del problema della riduzione fenomenologica ad essere inve­ stita dall' autocritica husserliana nel c orso degli anni; la pre­ senza di rilievi critici e l'individuazione di aporie, nell' ap­ profondimento progressivo dei capisaldi metodologici della fenomenologia, non ci autorizzano di per sé a c oncludere che Husserl si fosse convinto di una impraticabilità della via cartesiana. Una tale deduzione dovrebbe poggiare su ele­ menti più solidi, poiché portare l' attenzione sui limiti di un percorso teoretico non equivale sic et simpliciter ad una presa di congedo ; il confronto con Descartes si dipana ininter­ rottamente fino all' ultimissimo p eriodo della riflessione husserliana, c om' è ampiamente doc umentato dai mano­ scritti confluiti come appendici nel testo di Krisis: Husserl

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sottolinea spesso la forza inaudita del radicalismo delle Me­ ditazioni, di fronte al quale arretrano pensatori come Kant e Hume, che pure rappresentano punti di riferimento inelu­ dibili per la fenomenologia. Oltre a questa conferma indiretta della permanenza cen­ trale dell' approccio c artesiano in Husserl (accanto al rico­ noscimento della sua problematicità) , e indip endentemente dalle modalità estremamente mutevoli attraverso le quali Husserl situa il proprio pensiero nel c ontesto della tradizio­ ne filosofica moderna, vi sono precise ragioni che a nostro parere invalidano l'assunto di Kern (e di altri autori) circa una presunta "superiorità" , o addirittura "unicità" , della via antologica c ome percorso che conduce alla soggettività tra­ scendentale. Contro un giudizio unilateralmente positivo sulla via antologica, occorre rilevare c ome attraverso quest unica via non sia possibile cogliere in tutta la sua portata, peculiarità e originalità la riformulazione husserliana della filosofia tra­ scendentale . Di fatto, la struttura della via antologica si di­ scosta solo parzialmente da quella di altre forme (non fe­ nomenologiche) della riflessione filosofico-trascendentale ; lo stesso Kern riconosce che questa via presenta una mar­ cata « affinità con la forma del ritorno alla soggettività caratte­ ristica di Kant e Natorp » 27• Se consideriamo la via antolo­ gica per sé, senza fare riferimento ad altre vie della riduzio­ ne, non appare sufficientemente chiaro il fatto che Husserl, in opp osizione a Natorp , include la riflessione sugli atti della vita soggettiva nella sfera dell'indagine trascendentale, e che questa riflessione occupa una posizione centrale per u­ na corretta definizione del metodo trasc endentale fenome­ nologic o . Se il senso della riduzione consistesse esclusiva­ mente in una trasformazione-approfondimento della rivolu­ zione copernicana di Kant, attraverso una Ruckfrage che muo­ vendo dall'antologia perviene alla soggettività trasc enden'

27 1 .

KERN, op. cit., p. 236.

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tale c ome fondamento delle s trutture antologiche del mondo naturale, sarebbe difficile individuare il contributo autenticamente innovativo della fenomenologia husserliana, nell' ambito di una "storia ideale" della filosofia trasc en­ dentale . Considerata per sé, cioè astraendo dall'intreccio con le altre vie della riduzione, la via antologica non risulta particolarmente appropriata a rendere trasparente l' orienta­ mento peculiare delle indagini di Husserl, il differenziale metodologico che , in qualche modo, separa la fenomeno­ logia da altre possibili direzioni della riflessione trascenden­ tale. Da questo punto di vista, ci sembra necessario attribuire alla via psicologico-intenzionale un'importanza maggiore di quella che Kern è disposto a riconoscere. Seguendo tale via è infatti più agevole comprendere che la riflessione feno­ menologico-trascendentale non si configura soltanto come una fondazione dell' antologia, ma anche come un' analitica integrale dei vissuti soggettivi che tradizionalmente c ostitui­ scono l' oggetto della psicologia. Per il neokantiano Natorp , gli atti o i vissuti della soggettività non rientrano nell'ambito della filosofia trascendentale , la loro rilevanza si manifesta all'interno di un'indagine puramente psic ologica. In Na­ torp si p ossono certamente trovare argomentazioni analo­ ghe a quelle sviluppate da Husserl nella descrizione della via antologica, ma proprio per questa ragione la via psico­ logic o-intenzionale app are più adatta a c aratterizzare il nuovo terreno in cui si artic ola il problema della soggetti­ vità in Husserl; la soggettività trascendentale fenomenolo­ gica non è solo un sistema di principi (come il "soggetto puro" o la "coscienza conoscente " del neokantismo) , ma include gli stessi atti nella loro concreta tipologia. Tra l'altro , la difficoltà di separare le due vie in determi­ nati contesti analitici è una testimonianza del fatto che la via antologica non può surrogare l'intera problematica della riduzione , né rivendicare un particolare privilegio nei confronti delle altre forme argomentative e strategie che

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Husserl ha elaborato per rendere accessibile la dimensione della coscienza trascendentale.

5 . La via psicologico-intenzionale

La via psicologico-intenzionale della riduzione fenomeno­ logica si configura esplicitamente come una riflessione sugli atti o i vissuti della coscienza. La sua struttura comprende tre momenti. 1 ) Il p unto di p artenza è c ostituito dall'idea di una scienza pura dello « psichico » (das Seelische); una tale scien­ za deve metodicamente astrarre da tutto ciò che riguarda la « corporeità )) (das Korperliche) , in modo opposto e simme­ tric o alla fisica, che astrae da tutte le qualità non-spaziali delle cose. 2) L'astrazione della psicologia pura è tuttavia radical­ mente diversa da quella op erata nell' ambito delle scienze naturali; nell'indagine rivolta ai puri Erlebnisse occorre in­ fatti neutralizzare ogni forma di interesse per la validità delle rappresentazioni della coscienza. In particolare, un'e­ poch é tematica sospende il giudizio sulla verità o falsità di queste rappresentazioni. 3) L ' epoché non si applica soltanto all'oggetto di un sin­ golo vissuto, p oiché ad ogni oggetto è sempre sotteso il mondo come orizzonte totale . Per accedere alla sfera psico­ logica pura dobbiamo dunque estendere l' epoché all'intero mondo naturale ; ma , attraverso l' epoché universale , la di­ mensione psichica oltrepassa i propri confini di "regione" e diventa un filo conduttore per la problematica fenomeno­ logico-trascendentale. La descrizione dei fenomeni psichici nella loro p urezza eidetica si trasforma gradualmente in un'analisi generale dell' intenzionalità della coscienza; il sistema delle implicazioni intenzionali da un lato consente di recu­ perare il mondo come unità di senso inseparabile dai vissuti

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della soggettività, dall' altro manifesta l'inerenza del mondo a tutti i possibili soggetti (la soggettività fenomenologica è , propriamente , una intersoggettività trascendentale). L' idea di una psicologia intenzionale pura (cioè di una psicologia descritti­ va, che non presuppone la validità delle rappresentazioni e le condizioni psic oftsiche dei vissuti di coscienza) conduce dunque, attraverso una rottura della limitazione imp osta dal concetto di regione, alla filosofia trascendentale : « Così ci acc orgiamo , pens o , con stup ore c he la c onseguenza p ura dell'idea di una psic ologia descrittiva, che intende rilevare le anime (die Seelen) nella loro essenza peculiare, produce necessariamente un ribaltamento dell' epoché fenomenologi­ co-psicologica in quella trascendentale » (Hu VI, 259; Crisi, 275) . La prima esposizione sistematica della via psicolo gi­ co-intenzionale si trova in Erste Philosoph ie II ( 1 923-24) . Naturalmente anche le lezioni del 1 92 5 , Phiinomenologische Psychologie, sviluppano un' approfondita disamina dei nessi strutturali tra psicologia e fenomenologia (una disamina ric­ ca di riferimenti storici) . N ella Krisis, infine, la questione della psic ologia c ome nodo irrisolto della filosofia e della scienza moderne si intreccia continuamente con la tematica della Lebenswelt, e la determinazione dell'unità prcifo nda (in un certo senso "identità") tra psicologia intenzionale e fe­ nomenologia trascendentale è senz' altro una delle movenze teoretiche più interessanti (e più problematiche) dell' ultima opera husserliana. Il punto critico della via è il passaggio, che essa dovreb­ be autorizzare , da una c onsiderazione puramente psicologica della c oscienza e dei suoi vissuti ad una c onsiderazione propriamente trascendentale (Hu VIII, 1 39-sgg.) . Di fatto , non è c osì semplice individuare l e c o ordinate di questa rottura metodologica. Se la psicologia pura non è ancora una riflessione trascendentale, non si comprende la motivazione effettiva che dovrebbe sospingerla oltre il proprio orizzonte di ricerca; se essa è già, in qualche modo , una riflessione

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trascendentale, il problema del "passaggio" perde molto del suo significato; se infine , c ome Husserl sembra ritenere, tra psicologia pura e fenomenologia trascendentale non sussiste mera identità, né astratta s eparazione, ma un p aralleli­ smo-isomorfismo del tutto peculiare , per cui il loro rap­ porto è profondamente diverso da quello che la fenome­ nologia intesse con le altre scienze , resta comunque da sta­ bilire il fondamento del rapporto (a meno di assumerlo come un fatto non ulteriormente indagabile) . Sulle controverse questioni qui accennate dovremo ri­ tornare più avanti ; ad ogni modo H usserl ha avvertito l' esigenza, in una nota critica all' esposizione della via psi­ cologico-intenzionale in Erste Philosophie II, di distinguere l' autentica riduzione trasc endentale da un' epoché che, pur essendo universale, rimane c onno tata psicologicamente : « Alla riduzione p sicologica universale manca il c arattere autentico della riduzione trascendentale . Ma esso manca anche alla riduzione intersoggettiva in quanto psicologica » (Hu VIII, 3 1 9) . L'autocritica di Husserl ha forse motivato l'atteggiamento negativo di Kern nei c onfronti della via psic ologic o-intenzionale, c he a suo avviso presenta non poche difficoltà . La principale di queste difficoltà sarebbe da individuare nel fatto che la sfera trasc endentale è rag­ giunta attraverso un' "astrazione" (quella che ci rimanda ai "fenomeni psichici") , mentre non è dato comprendere c ome un procedimento astrattivo possa c ondurre alla fe­ nomenologia trasc endentale, che Husserl esplicitamente caratterizza come la più concreta delle scienze 28 • L'identifi­ cazione husserliana della psicologia pura con la fenomeno­ logia trasc endentale nella Krisis è quindi per Kem proble­ matica ed « estremamente dubbia » 29 • Ora, pur ammettendo la problematicità di questa identi­ ficazione (che tuttavia, è bene ric ordare , Husserl non in28 1 . 29

KERN, op. cit. , p. 2 1 6. lvi, p. 2 1 7 .

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tende in senso statico e immediato, ma in una prospettiva dinamica e dialettica) , e tenendo presente che in altri testi husserliani si sottolinea al contrario la differenza tra una qualunque psic ologia (anche fen omenologicamente ap­ profondita) e la filosofia trasc endentale fenomenologica, ci sembra che la critica non c olga realmente nel segno . All' obiezione di Kem, secondo la quale l'astrazione com­ piuta nella via psicologico-intenzionale conduce a nient' al­ tro che psic ologia (e dunque fallisc e in sostanza il suo sc o­ po) , si può replic are che la psic ologia p ura p ossiede un'universalità c he le altre scienze non manifestano e che quindi la pone in un rapporto di feconda tensione con la fenomenologia trascendentale ; infatti, tutti gli oggetti del­ l' esperienza possono essere inclusi nella sfera "psicologica", tematizzati esclusivamente come vissuti soggettivi. La psicologia e la fenomenologia hanno un terreno co­ mune, la soggettività, e in linea generale divergono solo per l' atteggiamento metodologic o adottato . Più precisamente, la psic ologia si muove dentro l' atteggiamento naturale e tende a considerare il soggetto come una parte del mondo ; ma nella misura in cui la scienza psicologica c oglie la di­ mensione dei vissuti nella sua irriducibilità alle interpreta­ zioni naturalistiche che inizialmente le si sovrappongono, essa giunge a lambire il territorio della filosofia trasc enden­ tale: « Lo psicologo che persegue la pura sfera psichic a e che è inevitabilmente c ostretto a porre fuori gioco tutte le reali co-validità (Mitgeltungen) , opera un' epoché; poi, pro­ muovendola metodicamente attraverso difficili considera­ zioni, si libera dall'ingenuità che inerisce inconsciamente a tutta la vita nel mondo e a tutte le scienze obiettive del mondo » (Hu VI, 263-264; Crisi, 279) . Il risultato della ri­ duzione (anche nel caso della via psic ologica) è che tutti gli oggetti si possono assumere c ome c orrelati intenzionali della coscienza e studiare c ome tali. Kern potrebbe ribat­ tere che in questo modo siamo di fatto passati dalla via psi­ cologico-intenzionale alla via antologica (dal momento

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che in essa, come abbiamo visto , si rivela compiutamente la "dipendenza" dell' essente dalla coscienza) , ma ciò sarebbe una c onferma della relazione orizzontale e integrativa tra le due vie e una testimonianza della diffic oltà di argomentare un primato della via antologica. Un giudizio negativo sulla via psicologico-intenzionale trascura inoltre che nella Krisis Husserl assegna a questa via un ruolo c entrale; si può quindi c oncordare con Janssen, che ha osservato c ome l'antologia della Lebenswelt e il pro­ blema della psic ologia pura costituiscano nell' ultima opera husserliana una salda c ompagine teoretica, per cui ogni tentativo di dissociare totalmente le due vie appare impro­ ponibile. Anche Elisabeth Stroker valuta la via psicologi­ co-intenzionale in maniera diversa da Kern, ritenendo che essa rappresenti, almeno nell' esposizione di Krisis, il mi­ gliore percorso di c omprensione della filosofia trascenden­ tale di Husserl 30 • In particolare, Stroker rileva un' identità tra la riduzione fenomenologico-trasc endentale e quella « psi­ c ologic o-universale » , il che peraltro è confermato dallo stesso Husserl in un passo di Krisis (Hu VI, 26 1 ) . La nota di Erste Philosoph ie II, in cui Husserl manifestava l' esigenza di distinguere in modo netto le due forme di riduzione rele­ gando ad un livello pre-trasc endentale la riduzione psico­ logico-universale, individua una differenza che , per Stro­ ker, non esiste ; non saremmo quindi autorizzati a parlare di due forme di riduzione , ma unic amente di due direzioni dell'interesse teoretico 31 • Siamo d'accordo con Stroker sulla necessità di restituire alla via psicologic o-intenzionale il senso di un percorso fondamentale nella fenomenologia husserliana, accanto alla via antologica; più problematica è l'affermazione di una i­ dentità immediata tra la riduzione psic ologic o-universale e 3° Cfr. E . STROKER, " Husserls letzter W eg zur Transzendentalphi­ losophie in Krisis-Werk" , in: Zeitschrift fiir ph ilosophische Forschung, 198 1 , 35, pp. 1 65-1 83. 3 1 E. STROKER, op. cit. , p . 1 79.

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la riduzione fenomenologico-trasc endentale, non solo per­ ché essa riprop one una gerarchia tra le vie sostenibile solo al prezzo di un'estrema semplificazione del discors o , ma anche p erché si fonda su un unico riferimento testuale , mentre Husserl per lo più ritiene che una sfumatura essen­ ziale separi la psicologia pura dalla fenomenologia, pur nella fitta rete di rimandi, correlazioni e corrispondenze tra le due discipline (Hu XVII, 259-260) . D el resto , se la stessa Stroker sottolinea, giustamente, che non si tratta di due ri­ duzioni, ma di due diverse direzioni dell'interesse teoreti­ c o , ciò significa che una qualche differenza sussiste e, dal momento che Husserl vi ritorna a più riprese, non può es­ sere passata sotto silenzio. Per Husserl, nella psicologia pura, o meglio in ogni for­ ma di psicologia, l' atteggiamento naturale resta operante come inevitabile tendenza a porre la coscienza, la vita sog­ gettiva, sullo stesso piano dei suoi oggetti, o del mondo come orizzonte totale, anche quando più radicalmente affiora la consapevolezza dell'impossibilità ed incoerenza di fondo di questa operazione (Hu IX, 292) . Soltanto la critica gnoseolo­ gica dell' atteggiamento naturale produce quella separazione di piani che dal punto di vista metodologic o configura l'effettivo passaggio alla dimensione trascendentale del pro­ blema della soggettività; soltanto dopo tale critica può ma­ nifestarsi pienamente il "parallelismo" tra psicologia e fe­ nomenologia, e si può quindi parlare di "identità morfolo­ gica" delle loro strutture . La psicologia pura è la fenome­ nologia trascendentale in quanto ad essa si apre e vi confluisce; se invece c ontinua a presentarsi come scienza della regione psichica (accanto alle altre scienze antologico-mondane) , la psic ologia rimane al di qua delle autentiche questioni tra­ sc endentali, anche se l' universalità della sua prospettiva la p one in un rapporto di singolare affmità teorica e tematica con la fenomenologia. Se uno psic ologo intenzionale , pur non avendo mai sentito parlare di atteggiamento naturale e di riduzione fe-

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nomenologica, avesse c ompiuto analisi dei vissuti soggettivi che risultano del tutto c ongruenti, sul piano descrittivo, con quelle husserliane , egli non sarebbe tuttavia anc ora un fi­ losofo trascendentale , perché sul piano del metodo le diffe­ renze resterebbero marcate. In altri termini, ad un'indagine psicologica sfugge necessariamente la portata gnoseologica del problema della soggettività, nella misura in cui esso implica una fondazione di validità che oltrepassa il momento pura­ mente descrittivo ; nel caso di Husserl, c ome sappiamo , questa esigenza assume il significato di una critica dell' atteg­ giamento naturale, la cui realizzazione si sc ompone in due segmenti successivi: a) l'individuazione dell'essenza dell'at­ teggiamento naturale (e la c orrispondente determinazione della tesi generale come "indipendenza del mondo dalla co­ scienza") ; b) il compimento dell' epoché tematica, attraverso la quale ogni forma di trascendenza che affonda le radici nella tesi generale diventa il titolo di un problema di fonda­ zione nell' orizzonte dell' immanenza, cioè nella sfera dei vissuti. La riflessione fenomenologica è dunque trascendentale perché non si rivolge a questo o quel settore della c ono­ scenza, ma pone l'istanza della fondazione nella sua globa­ lità , come analisi dei fondamenti che rendono possibile la conoscenza e che all'interno dell'atteggiamento naturale o­ perano "anonimamente " ; da questo punto di vista, la psi­ cologia può rappresentare sempre solo una "via" alla feno­ menologia trasc endentale, mai identificarsi con essa sotto tutti gli aspetti. Nel c ontesto della psicologia pura, un Er­ lebnis, anche se descritto in maniera ineccepibile nelle sue c omponenti fenomenologiche , rischia di essere nu ova­ mente ipostatizzato in una res, in una porzione del reale, c osì c ome il matematic o p uro può fraintendere il senso delle sue stesse operazioni idealizzanti, ad esempio ritenen­ do che il "numero " sia un oggetto del mondo accanto agli altri. Nemmeno una totale c ongruenza sul piano dei con­ tenuti ci autorizzerebbe, in linea di principio, ad asserire

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un' ide ntità immediata dal punto di vista del metodo : « Nella riduzione psic ologica ottengo certamente la mia soggettività pura, ma [solo] come anima di questo uomo , come elemento di un' appercezione oggettiva (als Bestan­ dstiick einer objektiven Apperzeption) » (Hu IX, 454-45 5) . Per quanto riguarda la via psicologico-intenzionale della riduzione fenomenologica si può dunque accogliere , alme­ no parzialmente, il rilievo di Kern, il quale ritiene che la fenomenologia si c oll o c hi in una dimensione criti­ co-trascendentale che il semplice fùo conduttore offerto dalla psicologia pura non è in grado di penetrare; in questa otti­ ca, la via antologica, "kantiana" appare molto più produttiva, poiché prende le mosse dalla conoscenza naturale in quanto fatto p er risalire alle condizioni di possibilità intese c ome si­ stemi di manifestazioni soggettive, e dunque il motivo "trascendentale" (l' esigenza della fondazione conoscitiva) caratterizza esplicitamente la riflessione fenomenologica dal suo primo articolarsi. La via psicologico-intenzionale va dunque completata con la via antologica; ma, c ome abbiamo cercato di mostrare, la stessa via antologica deve essere apprcifondita e integrata attraverso la via psicologico-intenzionale, per cui non può in alc un mo­ do rivendicare quel primato assoluto che Kern gli attribui­ sc e . Più precisamente , la questione del "primato" di una via sull' altra, come capacità di raffigurare il metodo feno­ menologic o nella sua fisionomia reale , ci sembra un pro­ blema mal posto, almeno nei termini in c ui si presenta in Kern e (in parte) anche in Stroker; non si tratta di stabilire se la riduzione fenomenologica sia da caratterizzare, prima­ riamente , in senso antologico-trascendentale opp ure in senso psicologico-intenzionale, perché la fenomenologia husserliana abbraccia e compenetra i due lati come aspetti o "punti di vista" di una stessa problematica.

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6.

Capitolo I

Considerazioni critiche sul problema delle vie

della riduzione fenomenologica

La dissoluzione della questione del primato , quale si è delineata nella nostra analisi delle vie, potrebbe apparire ar­ bitraria, soprattutto dopo le ultime osservazioni sui limiti dell' approccio psicologico-intenzionale, in cui il motivo trascendentale si affaccia problematicamente come univer­ salizzazione di una indagine che per sua natura presenta spiccate connotazioni regionali. In effetti, porre generica­ mente sullo stesso piano la direzione antologico-trascen­ dentale e quella psicologico-intenzionale della fenomeno­ logia husserliana significa non soltanto ignorare i limiti sud­ detti, ma anche prestare il fianco all'accusa, spesso ripetuta, secondo la quale la filosofia fenomenologica sarebbe una s o rta di tensione irrisolta o equilibrio instabile tra "psicologismo" e "trascendentalismo " . Ora, s e l' alternativa è formulata in maniera così rigida, e se si tiene presente che la lotta c ontro lo psicologismo ha rappresentato una costante lungo la riflessione di Husserl, il privilegio accordato al motivo trasc endentale è fuori di­ scussione. Ma non appena abbandoniamo il terreno pura­ mente filologic o (ricordando c omunque che p er Husserl "psicologismo" e "psicologia" non sono affatto sinonimi) , i contorni del problema della soggettività trasc endentale di­ ventano inevitabilmente più complessi e sfumati. Certo la fenomenologia husserliana è, nella sua stessa autoc omprensione, una filosofia trascendentale; ma che cosa significa "trascendentale" nella prospettiva fenomeno­ logica? Come si configura il metodo trasc endentale specifi­ c amente fenomenologic o rispetto alle forme tradizionali della riflessione trascendentale? Se Husserl declina la pro­ blematica trascendentale in un senso rigorosamente gnose­ ologico , e dunque sembra ripercorrere la linea argomenta­ tiva di Kant, per quale ragione la psicologia occupa uno spa­ zio così essenziale nel suo pensiero?

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Di fatto , il riferimento a Kant e alla rivoluzione coper­ nicana, pur pertinente e talvolta illuminante , non esaurisce la strutturale poliedricità del trascendentale fenomenologi­ co, che proprio dal confronto diretto c on le tematiche psi­ cologiche acquista la sua ricchezza e concretezza; da questo punto di vista, la via antologica della riduzione, per la sua evidente ripresa di modelli argomentativi della filosofia trascendentale "classica" , non può rendere accessibili i con­ testi concreti della riflessione trascendentale fenomenologic a senza rimandare alla via psicologico-intenzionale. Il c ontributo più radicale della fenomenologia husserlia­ na, in una storia della filosofia trascendentale moderna, è forse costituito proprio dalla scoperta di un parallelismo o isomorfìsmo tra riflessione trascendentale e analisi psicolo­ gica, nel senso della possibilità di porre domande trascenden­ tali alla stessa psicologia. Se Kant negava all'indagine psico­ logica qualsiasi rilevanza sul piano della filosofia trasc en­ dentale , per cui il "soggetto " kantiano appariva sì fornito di strutture universali e necessarie, ma anche c aratterizzato prevalentemente sotto il profilo epistemologico del giudizio, Husserl, individuando tra psicologia pura e fenomenologia, oltre ad una differenza essenziale, un complesso sistema di correlazioni, introduce nel c ontesto della riflessione tra­ scendentale la dimensione dell' atto. La trasc endentalità fe­ nomenologica non è soltanto quella formale dei giudizi (o delle categorie c ome funzioni del giudizio) , ma anche e so­ prattutto quella materiale degli atti; ciò signific a che la sog­ gettività trascendentale è, in una c erta prosp ettiva, identic a alla soggettività concreta e "reale " 32 • 32 Scrive Marbach: « L'interesse del tutto particolare di questo per­ corso di pensiero dalla psicologia pura alla fenomenologia trascenden­ tale risiede di certo nel fatto che per questa via riesce ad Husserl in ma­ niera particolarmente efficace di rendere comprensibile la chiarificazio­ ne e lo svolgimento della problematica trasc endentale inaugurata da Kant, in quanto problematica non meramente "costruttiva" , ma con­ creto-intuitiva >> (R. BERNET, l. KERN, E. MARBACH, Edm u nd Hus-

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D op o aver tracciato un quadro complessivo delle vie della riduzione fenomenologica, può essere utile ridiscutere la posizione della via cartesiana. Come rilevato , sarebbe un errore c onsiderarla quasi un corpo estraneo all'interno della fenomenologia trascendentale , e ciò non per un problema di aderenza alla lettera del testo , ma perché anch' essa gioca un ruolo ben definito nella genesi e struttura del metodo fenomenologico . Gli interpreti che riconoscono la validità e l'attualità del programma husserliano sono soliti mettere in luce nel modo più vivo i tratti non-cartesiani o an­ ti-cartesiani che la filosofia fenomenologica indubbiamente porta c on sé; di fatto , sia che si intenda porre esplicita­ mente la riflessione di Husserl sotto l' egida del trascenden­ talismo kantiano , o sottolinearne i possibili punti di c on­ tatto con le tematiche psic ologiche contemp oranee, o al­ tresì interpretarla nel senso di una filosofia dell' esperienza di orientamento essenzialmente analitic o , app are sp esso in primo piano l' esigenza di prendere le distanze da Descartes , di segnalare senza equivoci la cesura radicale tra l'istituzione cartesiana del "soggetto " e quella husserliana. Questa opzione è motivata da profonde ragioni, e noi stessi abbiamo avuto modo di farle presenti; d'altro c anto, in Husserl il richiamo ai pensatori del passato non costitui­ sce una questione di scuola o di ortodossia , per cui è im­ portante non tanto stabilire le reali proporzioni del rap­ porto con il D escartes storico , quanto decidere se la cosid­ detta via cartesiana, come è stata disegnata da Husserl, for­ nisca un contrib uto ftnomenologicamente significativo che non si riscontra c osì c hiaramente negli altri perc o rsi della riduzione. La peculiarità della via cartesiana consiste, in ultima ana­ lisi, nell'individuazione di una sfera di evidenza che , sebbe­ ne localmente p ossa essere intaccata dal dubbio o dalla nega­ zione, globalmente non lo è mai e per principio non può seri, tr. it. cit. , p . 1 03) .

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esserlo; questa sfera non è altro che la coscienza in quanto orizzonte trascendentale : « Approdati all' ego , ci si rende conto di trovarsi in una sfera di evidenza; il tentativo di in­ dagare al di là di essa sarebbe un non-sens o . Di fronte a questa evidenza tutti i richiami usuali all' evidenza, che pure dovevano impedire un' indagine ulteriore, dal punto di vista teoretico non rappresentavano che l' esigenza di un oracolo in cui si manifestass e un dio » (Hu V I , 1 92 ; Crisi, 2 1 4-2 1 5) . Quello che potrebbe dirsi il "cartesianismo " di Husserl, ben presente anche nei passi di Krisis più severi nei c on­ fronti del Descartes storico , è la forte sottolineatura teoreti­ ca della trascendentalità della coscienza come essenziale immanenza, intrascendibilità e indubitabilità della dimensione del senso. Fenomenologicamente, la via cartesiana non solo oppone una solida barriera allo scetticismo , ma elimina alla radice un'impostazione rigidamente dualistica del problema della conoscenza, che com' è noto conduce ad insolubili a­ p orie ; in partic olare, è vero che anche nelle altre vie della riduzione fenomenologica il mondo si manifesta c ome correlato della c oscienza, tuttavia, p oiché entrambe artico­ lano la ricerca trascendentale muovendo direttamente dal mondo naturale, dalle sue strutture antologiche date, po­ trebbe sempre insinuarsi nel lettore il dubbio che il mon­ do-della-c oscienza non sia anc ora il mondo-in-sé . Sol­ tanto la via cartesiana mostra per Husserl in maniera ine­ quivocabile che, se vi è un "mondo-in-sé" , questo è pro­ prio il mondo della coscienza, il mondo che si rivela nella coscienza, e l' apparente paradosso si risolve osservando co­ me il mondo sia "in sé", cioè per il suo stesso senso, il tema di una coscienza trascendentale . In proposito, è singolare che la rigorizzazione fenome­ nologica del cartesianismo passi attraverso una critica serrata del dualismo gnoseologico di D escartes . Scrive infatti Husserl: « D escartes si perde qui [nelle Meditazioni metcifìsi­ che] , quando tenta di dimostrare il diritto dell' evidenza e

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della sua portata trans-soggettiva, in un circ olo che ben presto è stato c olto e posto sotto accusa. Dalla finitezza dell' eg o puro dell'uomo egli deriva - non importa il modo - l' esistenza necessaria di Dio: Dio non può trarci in in­ ganno con il criterio dell' evidenza; l'uso di tale criterio è dunque consentito e, con la sua guida, si perviene alla vali­ dità oggettiva della matematica e della scienza matematica della natura, quindi all' essere vero della natura, così c ome è c onosciuta da questa scienza . Vengono così poste le b asi della teoria delle due sostanze , secondo cui il vero mondo oggettivo nella sua ultima verità filosofica consiste in corpi materiali e in essenze spirituali con essi c asualmente c on­ nesse, ognuna delle quali è in sé e per sé in modo assoluto , come il mio ego » (Hu VII, 6 5 ; SCI, 8 1) . Al termine della nostra esp osizione critica delle vie, dobbiamo rilevare che nessuna di esse può avere la pretesa di rappresentare l'unica (o la più corretta) forma argomen­ tativa della riduzione fenomenologica , perché ogni gerar­ chia in tal senso è subordinata, da un lato , alla prospettiva dell' interprete , dall'altro , all'interesse che Husserl di volta in volta lascia prevalere nella definizione delle coordinate metodologiche . Occorre poi aggiungere , c ome corollario naturale della discussione , che la tripartizione delle vie ha anche una motivazione storica, nella misura in cui rispecchia tre grandi c ostellazioni del pensiero moderno che varia­ mente sono confluite nella fenomenologia husserliana (se non altro come punti di riferimento critico) , cioè : a) la fi­ losofia di Descartes; b) il trascendentalismo kantiano ; c) la psic ologia filosofica (l' empirismo anglosassone e, più re­ centemente, Brentano) .

2 . L'io puro come soggettività

trascendentale fenomenologica

1 . L'io puro come polo della vita soggettiva « L' epochè, come può anche dirsi, è il metodo radicale e universale con il quale io colgo me stesso come io puro as­ sieme alla mia propria vita di coscienza pura, nella quale e p er la quale è per me l'intero mondo oggettivo , nel modo appunto in cui esso è per me » (Hu l , 60; MC, 54) . Nel primo capitolo , abbiamo inteso ripercorrere le tappe che scandisc ono la metodologia della ric erca trascendentale in Husserl: se l'atteggiamento naturale si è rivelato il punto di partenza in cui siamo già sempre situati nella vita preteore­ tica, la riduzione fenomenologica ci ha dischiuso la c oscienza trascendentale c ome terreno dell ' evidenza originaria . Si tratta ora di passare da una discussione generale sul metodo ad un'analisi effettiva delle strutture, e in tale ottica dovre­ mo conferire alla nostra indagine un taglio maggiormente descrittivo ; ciò non deve trarre tuttavia in inganno, perché il tema che ci impegnerà in queste pagine presenta un ele­ vato livello di "astrattezza" . Come risulta chiaramente dal passo riportato in apertura, l'io puro è per Husserl la prima e più elementare determi­ nazione della soggettività trascendentale fenomenologica. In particolare, occorre notare che "coscienza" e "soggetti­ vità " non sono propriamente sinonimi, anche se sp esso Husserl li utilizza come tali; la coscienza trascendentale coin­ cide infatti con la totalità degli Erlebnisse fenomenologica-

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mente ridotti, mentre la soggettività trascendentale sembra rinviare in maniera più netta ad una struttura di inerenza, ad un centro di riferimento intorno al quale si organizza la vita della coscienza . Il problema fenomenologico dell'io puro s o rge non appena ci si interroghi c ritic amente su un' ovvietà dell' atteggiamento naturale, cioè sul fatto che la coscienza non è soltanto coscienza di qualcosa, ma è anche appartenente a qualcuno, ad un "io" : « Ognuno di noi dice "io" e , così dic endo, si sa come io. Come tale si trova preli­ minarmente e quindi si trova sempre come c entro di un mondo circostante. "lo" per ognuno di noi significa qualcosa di diverso , la persona totalmente determinata che ha un determinato nome proprio; che vive le proprie percezioni, ricordi, aspettative, rappresentazioni fantastiche, sentimenti, desideri, volizioni; che ha le proprie situazioni, c ompie i propri atti; che ha inoltre le proprie disposizioni, attitudini innate , capacità e abilità acquisite, ecc . » (Hu XIII, 1 1 2) . Ritradurre nel contesto trasc endentale questa certezza na­ turale comporta però l'uso di una grammatica che inizial­ mente prescinde dalle forme più concrete della vita del soggetto . M olti dei problemi c onnessi c on l' assunzione di un io puro non riguardano direttamente la tensione tra soggetti­ vità trascendentale e soggettività c oncreta, ma coinvolgono la sostanza stessa del programma fenomenologico-trascen­ dentale , la sua fedeltà al principio della datità intuitiva, lo scarto che eventualmente si stabilisce nella fenomenologia tra la "cosa stessa" e il linguaggio che la esprime. L'io puro è senza dubbio uno dei concetti più discussi del pensiero husserliano e, contro le intenzioni di Husserl, anche uno dei meno fortunati, se si tiene presente che esso è stato sottoposto ad una critica radicale da autori molto vicini alla prospettiva fenomenologica , c ome H eidegger, Patocka, Sartre , Gurwitsch. È infatti singolare che i più importanti discep oli di Husserl non abbiano accettato l'impostazione egologica della

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fenomenologia, e che a questa rottura siano pervenuti in nome di una rigorosa declinazione dello sguardo ; com'è noto , la storia del movimento fenomenologico può essere letta in gran parte come un "tradimento" dell'intenzionalità del suo fondatore, che aveva stabilito una connessione molto stretta tra il problema delle Sachen selbst e il destino storico della filosofia del soggetto da D escartes in poi. Se le p enetranti analisi husserliane hanno preparato per alcuni versi l'attuale crisi o tramonto di una ben determinata for­ ma di "soggettività" consegnataci dalla tradizione, è pur vero che in Husserl la ricerca dei fenomeni originari appare inscindibile dal riferimento ad un io trascendentale costitu­ tivo, e sotto questo profilo si può misurare tutta la distanza rispetto alle numerose varianti asoggettive della fenomenolo­ gia posthusserliana, per quanto profonde siano le differenze che intercorrono tra i pensatori che abbiamo prima ricor­ dato . Ciò premesso, ci interessa subito sottolineare che il pro­ blema dell'io puro acquista un particolare rilievo per il te­ ma generale della nostra indagine e in tale ottica intendia­ mo affrontarlo nelle pagine seguenti. In primo luogo , in­ fatti , l'io p uro è per Husserl il fondamento dell ' unità tra soggettività concreta, reale e soggettività ridotta , trasc en­ dentale; in un passo di ldeen II l'io puro viene esplicita­ mente individuato come il soggetto ultimo della ricerca fe­ nomenologica (Hu IV, 1 7 4) . Inoltre un'analisi della dottri­ na husserliana dell'io puro appare estremamente significati­ va per cogliere affinità strutturali e differenze specifiche tra la fenomenologia e le forme tradizionali della filosofia tra­ scendentale. Come ci si può rendere conto attraverso una semplic e rassegna di testi, Husserl introduce il concetto dell'io puro per designare il polo soggettivo degli atti di coscienza. La p ola­ rizzazione del c ampo coscienziale è infatti duplice ; se l'oggetto è una « guida trascendentale )) (Hu I, 87) nel pro­ cesso di c ostituzione dei correlati intenzionali, l ' io puro è il

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centro unitario degli atti; all'interno della sfera trasc enden­ tale troviamo > (Hu III, 23 1 ; Ideen, 211). All'interno della sfera dell'immanenza fenomenologica, l'io puro o ccupa una posizione del tutto particolare che Husserl denota con l' espressione p aradossale di « trascen­ denza nell'immanenza » (Hu III, 1 3 8) . In realtà, c ome ab­ biamo visto nel primo capitolo , quello della "trascendenza immanente" è il paradosso stesso della fenomenologia tra­ scendentale, nella misura in cui la tematizzazione della tra­ scendenza nell'atteggiamento fenomenologico è un com­ pito che si articola e sviluppa integralmente nella dimensio­ ne dei vissuti; ogni trascendenza, in quanto problema tra­ scendentale, si trasfo rma in un fenomeno della coscienza . Tuttavia nel caso dell'io puro la "trascendenza immanente" significa in primo luogo che l'io non è una parte reale degli Erlebnisse c oscienziali (Hu III, 1 37-1 38) ; più precisamente, da un lato l'io puro non si identifica con i singoli atti in quanto ne è la sorgente , il polo funzionale , d'altro canto esso vive negli atti, li "inibita " , e dunque « può essere di­ stinto dagli atti soltanto per via astrattiva » (Hu IV, 99 ; Idee, 496) . L'io non è pensabile separatamente dai vissuti, se non attraverso un' astrazione metodologica; ma il risultato di questa operazione è del tutto privo di consistenza descritti­ va, è una vuota struttura formale, che si limita ad esprimere in maniera indeterminata l'inerenza necessaria di tutti i

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vissuti ad un polo di identità. < < S e prescindiamo dai suoi mo di di "relazione" (Beziehung) o di "comportamento " ( Verhaltung) , ess o [l'io] manca completamente di compo­ nenti essenziali; non ha più alcun contenuto esplicabile; è, in sé e p er sé, indescrivibile (unbeschreiblich) : puro i o e niente più » (Hu III, 1 95; Idee, 1 79) . P er afferrare concretamente l'io puro devo studiare i suoi atti, i suoi vissuti, le sue funzioni; ma vale anche il re­ ciproc o, cioè che gli atti sono soltanto un medium nel quale si rifrange la vita dell'io. L'io fenomenologico non è infatti una sostanza cui i vissuti ineriscano come attributi o mo­ menti antologicamente distinti; a questo errore non è riuscito a sottrarsi neppure l' empirista Locke, che postulando in ag­ giunta ai vissuti d' esperienza un sostrato materiale incono­ scibile si precludeva il significato più profondo della sco­ perta cartesiana, cioè l' evidenza dell' ego nella cogitatio (Hu VII , 1 03-1 04) . Una elaborazione corretta del c ampo co­ scienziale ci porta invece a riconoscere che gli eventi che vi compaiono hanno sempre un rapporto potenziale o attuale con un io , e che questo io, nella sua astratta "puntualità", è c o mpletamente divers o dal soggetto reale c o rpore o . « Riflettendo sui miei vissuti-atti [ . . . ] i o non li trovo mai come dati di fatto privi dell'io , ma sempre necessariamente nella forma fondamentale dell' ego cogito. [ . . . ] Anzi in modo completamente generale, qualsiasi vissuto della coscienza, anche un vissuto che non sia un atto dell'io, è proprio in questo modo un mio vissuto >> (Hu VII, 1 04 , SCI, 1 1 9) . In ultima analisi, tra l'io puro e gli atti si realizza una piena compenetrazione di livelli operativi, tuttavia ciò non sembra affatto imp edire che sul piano metodologico l'io puro sia differenziabile per principio dagli atti che da esso continuamente si irraggiano nel flusso di coscienza: « L'io è nient'altro che un polo di atti privo di qualità e ottiene tutte le determinazioni da questa polarità, rispetto alla quale gli atti stessi sono qualcosa di inc omparabile (etwas Unver­ gleichliches) e non qualcosa prima accanto all'io , che in qual-

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che maniera sarebbe posto in relazione ad ess o . L'io vive nei s u o i atti, li emana da s é , o esperisce qualcosa dall'esterno , viene affetto (a.ffìz iert) e vive c ome affetto . In ciò ha la sua stabilità (Zustiindlichkeit) > > (Hu XIV, 43) . Ogni atto o vissuto , ogni cogito (come Husserl spesso si esprime utilizzando la terminologia cartesiana) appare e scompare nel Bewusstseinsstrom, ma l'io, in quanto io puro , > (Hu III, 1 37 , Idee, 1 2 6) . I l carattere astrattivo, ma anche necessario, di questa dif­ ferenziazione fa sì che l'io puro non possa essere esperito in modo diretto , c ome un c ontenuto immediatamente dato nell' Erlebnis attuale . L'io non si offre percettivamente nel vis­ suto , c ome una sua porzione o un momento ; il punto di irraggiamento degli atti cognitivi non può essere localizzato tra le unità effettuali del campo di c oscienza, quasi si trat­ tasse di un oggetto qualunque. Per c ogliere tematicamente l'io puro « dobbiamo muoverei controcorrente », eserci­ tando una peculiare riflessione (Hu XVII, 3 63) . Ponendo tra parentesi il soggetto reale la polarità dell'io non scompare , m a si manifesta p e r l a prima volta nella sua purezza feno­ menologica. « L'io è qui un centro , che si può esibire attra­ verso la riflessione , a cui fanno riferimento la vita e l' esperire, è il centro al quale sono riferiti il percepire, il giudicare , il sentire, il volere >> (Hu XVII, 362-363) .

2. Evidenza dell'io puro: riflessione e temporalità

L ' a fferrabilità dell ' i o puro implica una riflessione, un'attiva focalizzazione dello sguardo sulla compagine dei vissuti, sulle relazioni essenziali che intessono con i loro oggetti : « L 'io è dato soltanto attraverso una riflessione sull' o ggettualità (consaputa, rappresentata in qualche mo­ do) , ma proprio per questo può essere dato sempre . È evi-

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dente che, dove c'è un oggetto , è afferrabile riflessivamente anche l'io, che si dirige sull'oggetto e se lo rappresenta » (Hu XIV, 53) . Per ogni atto della vita soggettiva è possibile un nuovo atto che , sulla base del prec edente , riesce a cogliere il sog­ getto puro nella modalità del suo fungere ; la riflessione è , come tale, sempre " oggettivante" , m a per Husserl ciò non significa che il soggetto autentico degli atti sfugga costan­ temente alla presa della riflessione, o che quest'ultima tra­ sformi l'io fungente in un oggetto puramente empirico , in una res . Al contrario, l'io pu ò diventare oggetto di se stesso, in un'automediazione che non produce alcun regresso infi­ nito ; il polo soggettivo , l'io puro , senza dividersi in se stesso, ha la facoltà di "riflettersi" nell'atto e ritrovarsi come oggetto tematico : > 1 . Se è solo attraverso un' astrazione che si 1 Il "principio di tutti i principi", l'imperativo intuizionistico della fe­ nomenologia trascendentale, è espresso da Husserl nel modo seguente:

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perviene all'individuazione di un io puro distinto dai vissu­ ti, qual' è l'autentico fondamento intuitivo che ne giustifica l'assunzione nella fenomenologia trascendentale? È davvero necessario introdurre un io-p olo per determinare l 'unità della coscienza come Erlebnisstrom? Posto che Husserl con­ sideri l'io puro come una "trascendenza nell 'immanenza", p er cui l'identità del soggetto nel mutare degli atti è affer­ rabile soltanto riflessivamente, a quale forma di "datità" il fe­ nomenologo deve fare appello per caratterizzare l'io puro? In linea generale, la caratterizzazione autenticamente fe­ nomenologica dell'io puro , che peraltro non è dato in ma­ niera diretta, è resa possibile dalla distinzione tra evidenza apodittica ed evidenza adeguata. Husserl ha analizzato il rap­ porto tra queste due forme dell' evidenza fenomenologi­ co-trascendentale tanto in Erste Philosophie II quanto in Cartesianische Meditationen, giungendo a conclusioni piutto­ sto diverse; ma in entrambe le opere egli afferma c omun­ que che esiste un' evidenza apodittica dell 'io puro. Nelle Ideen, dove p er la prima volta il problema dell'io puro è affron­ tato in maniera articolata, Husserl sembra propendere p er la possibilità di c ogliere « adeguatamente » l'io puro nella ri­ flessione (Hu IV, 1 05) ; ma va osservato , in primo luogo, che nel periodo di Ideen la distinzione tra apoditticità e a­ deguazione non è stata ancora messa a fuoco nelle sue reali implicazioni, e in secondo luogo , che l' "adeguazione " della datità dell'io puro si presenta, paradossalmente, come conseguenza di una "formalizzazione", cioè astraendo la pura forma funzionale del cogito dal nesso costitutivo con i vissuti . Inoltre , la dottrina husserliana dell'io puro acquista nuo­ ve dimensioni di senso quando l'analisi fenomen ologica della soggettività si approfondisce in una direzione genetica, � O gni visione originalmente offerente è una sorgente legittima di co­ noscenza, [ . . . ] tutto ciò che si dà originalmente nell'intuizione (per così dire, in carne ed ossa) è da assumere come esso si dà, ma anche soltanto nei limiti in cui si dà » (Hu III, 52; Idee, 50-5 1 ) .

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all'interno della quale lo schematismo dell' Ieh-pol mostra i propri limiti; in particolare, nelle Cartesianisehe Meditationen si puntualizza che l' evidenza dell'io « fornisce solo un certo settore di ciò che è esperito in modo veramente adegua­ to » , e che al di là di esso si estende « un orizzonte di qual­ cosa che non è propriamente esperito ma necessariamente c o-intenzionato >> (Hu l, 62) . L'io puro non può quindi essere dato in modo completo in un singolo vissuto , e l' evidenza apodittica della necessità della sua funzione come polo della vita soggettiva non è un' evidenza adeguata. In un testo c o evo alle lezioni del 1 923-2 4 Huss erl scrive : « L'io-penso stesso (Selbst das Ieh-denke) , anche se è c ono­ scibile apoditticamente - cioè come esperienza che si può sempre p ortare alla forma di una posizione d'essere apodit­ tica - , non è conoscibile adeguatamente » (Hu VII I , 397) . L ' ap o ditticità , c h e non necessariamente implica l'adeguazione (cioè la perfetta coincidenza tra intenzione e riempimento nell'atto c onoscitivo) , è in ogni caso una ga­ ranzia sufficiente per la rilevanza fenomenologica di una struttura o proposizione. Anche nelle Ideen Husserl si richiama apertamente all' e­ videnza dell'io puro in quanto fondata su una struttura es­ senziale del flusso di coscienza (Hu III, 1 8 4) ; in particolare, la necessità dell'io puro sembra scaturire da una funzione sintetica che non può essere realmente interrotta, pena la dissoluzione della stessa unità e intelligibilità dell' esperien­ za. Questa consapevolezza è espressa da Husserl in un lin­ guaggio che quasi in maniera letterale ricalca la nota pro­ posizione kantiana dell' unità trascendentale dell ' autoc o ­ scienza : > (muss . . . konnen) si­ gnifica che l'io, innanzitutto e per lo più, esercita la sua fun­ zione in modo anonimo, e che tuttavia è sempre possibile un ridestamento che opera il p assaggio alla modalità riflessa , nella quale l'io può c ogliere tutto ciò che si c ostituisce in­ tenzionalmente nel flusso di coscienza (Hu IV , 1 07-1 08) . Com'è facile c oncedere , la specificazione > (Hu VIII, 77) . La distinzione rigorosa tra io p uro e i o reale è c erta­ mente utile per mettere a fuoc o i differenti piani in cui il disc orso filosofico sulla "soggettività" acquista significato e spessore , ed è sempre stata un punto nevralgico della filo­ sofia trasc endentale , tuttavia suscita alcuni interrogativi nel c aso di Husserl, che ha sempre rifiutato di imp ostare la questione del soggetto in una generalità indeterminata , lontana dai fenomeni effettivi. Questa distinzione non rap­ presenta un implicito ritorno al soggetto epistemologico neokantiano? L'io puro sono ancora « io stesso, con tutta la mia vita conoscitiva reale e possibile » (Hu VI, 1 0 1 ) ? Non c ' è inoltre il rischio di "sezionare" la soggettività in due strati (l'uno assolu to, l' altro relativo) , restaurando in qualche modo quel soggetto-sostanza c he la fenomenologia espres­ samente liquidava come un fantasma metafisic a? Se l' io puro , per Husserl, « non va c onfuso con l'io della persona

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reale , col soggetto dell'uomo reale » perché « non ha di­ sposizioni di carattere, facoltà, disposizioni originarie o ac­ quisite » (Hu IV, 104; Idee, 500-5 0 1 ) , in quale misura esso p otrà incidere sull' esperienza senza perdere le p roprie ca­ ratteristiche essenziali? In alcuni c ontesti, l'accentuazione della differenza sem­ bra addirittura riproporre un dualismo di tipo antologic o che rende problematica la ricerca dell'unità; ad esempio, in un'appendice delle Analysen zur passiven Synthesen, a pro­ posito della differenza tra io trascendentale e soggetto reale, Husserl afferma che l' « anima del c orpo (Seele des Leibes) » non è immortale, ma « ogni io-uomo (jedes Menschen-Ich) p orta in sé in certo modo il suo io trascendentale , ed esso non nasce e non muore, è un essere eterno nel divenire (es ist ein ewiges Sein im Werden) )) (Hu XI, 38 1 ) . L'Ich-Mensch , il soggetto nella sua individuazione c o rporeo-psichica, è strutturalmente destinato alla morte, ma vi è per Husserl un livello della soggettività fenomenologica in cui la morte non ha alcun senso e non esercita alcun potere : l'io tra­ sc endentale è immortale (Hu XXIX, 338) . In realtà , nei numerosi passi c he adombrano in questi termini il proble­ ma della morte e dell'immortalità, Husserl riannoda i fili di una discussione teoretica di fondamentale interesse nell'i­ dealismo kantiano e postkantiano , quella relativa al costi­ tuirsi di un "io stabile e permanente " al di sotto (o al di so­ pra) delle mutevoli e transeunti figure della soggettività emptnca. Com' è noto , in Kant il problema dell'immortalità si delinea nel quadro dell' analisi dei paralogismi della ragione pura; l'impossibilità di ammettere sul piano epistemico un' anima come sostrato immutabile dei fenomeni interni è il corre­ lato dell' indagine critic o-trasc endentale sui fondamenti della c onoscenza, che rivela la natura puramente formale, "funzionale" , non-sostanziale dell' Ich denke. Se nella prima edizione della Kritik der reinen Vernunft Kant era anc ora propenso a caratterizzare l'io dell' appercezione trascenden-

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tale c ome un « io stabile e permanente (steh endes und blei­ bendes Ich) » , la seconda edizione della Kritik puntualizza nel modo più netto il significato gnoseologico dell'assunzione dell'io, espungendo dal capitolo della deduzione trascen­ dentale i residui riferime nti ontologici o psicologici alla "permanenza " e " stabilità " . Kant tuttavia non ha potuto distinguere con sufficiente chiarezza il problema metcifìsi­ co-ontologico della sostanzialità e immortalità dell' anima, c he egli voleva dissolvere epistemologicamente c ome illusione trascendentale, dal p roblema analitico-fenomenologico della possibilità di un polo egologic o dei vissuti acc ertabile in­ tuitivamente, che manifesta una precisa rilevanza nella prospettiva di una teoria dell'esperienza diversa da quella kantiana. Come comprendere, allora, !"'immortalità" del­ l'io trasc endentale fenomenologico senza inc orrere nei p a­ ralogismi già smascherati da Kant nelle pagine della Dialet­ tica trascendentale? L' analisi del rapporto tra io e tempo rende meno sor­ prendente, e di più modesto profilo , la determinazione husserliana dell'io come "essere eterno nel divenire " . Se infatti si spoglia questa affermazione di ogni carico ideolo­ gico riconducendola interamente al contesto elementare da cui prende il suo senso, essa non esprime altro che la dina­ mica dell'attualità dell'io, la sua costante presenzialità, la ne­ cessità fenomenologica del polarizzarsi temporale delle e­ sperienze vissute attorno a un centro vivente. Come abbiamo rilevato, non si dà mai un segmento di temporalità del Be­ wusstseinsleben in cui l'io puro non eserciti, almeno virtual­ mente, la sua funzione. La vita soggettiva è un divenire continuo, un flusso incessante, ma i vissuti restano sempre miei, l'io rimane il punto fisso del dirigersi dello sguardo sulla sfera dei fenomeni della coscienza: « In un senso spe­ ciale esso [l'io puro] vive in ogni cogito attuale , ma anche tutti gli Erlebnisse di "sfondo " appartengono ad ess o , ed esso a loro ; essi tutti, in quanto appartengono a quell' una corrente di Erlebnisse che è la mia, devono potersi trasfor-

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mare in cogitationes attuali o inserirsi intrinsecamente in queste . In termini kantiani (e lasciando in sospeso la que­ stione intorno al senso dei termini stessi) : l'"io penso" deve poter accompagnare tutte le mie rappresentazioni » (Hu III, 1 37 ; Idee, 1 26) . L"' eternità" dell'io, nonostante le sugge­ stioni che può evocare nel lettore, costituisce un espediente retorico per rafforzare la tesi di fondo della fenomenologia huss erliana : l'imp ossibilità di trasc endere realmente l'orizzonte trascendentale della coscienza pura e le condizioni strutturali della sua unità. La purezza dell'io non equivale perciò ad una qualche profondità metafisica o mistica, che dovrebbe fungere da modello o archetipo per l'io reale. Il problema della diffe­ renza tra io puro e io empiric o-reale non può risolversi in una scissione di piani conoscitivi, in una tensione tra nou­ meno e fenomeno; Husserl ha infatti sempre mantenuto un atteggiamento di vigile cautela critica, di fronte alle possi­ bili trasformazioni speculative del metodo fenomenologico . Come tale , l'io puro « non nasconde in s é segrete e inte­ riori ricchezze , è assolutamente semplic e, è assolutamente in luce; tutte le ricchezze stanno nel cogito e nelle modalità della sua funzione >> (Hu IV, 1 0 5 ; Idee, 5 0 1 ) . L'assunzione radicale e c oerente dell'io puro come soggetto della fun­ zione permette a H usserl di coglierlo c ome fondamento dell'io reale , ma nell' io reale : è l' io concreto (l'io che noi stessi siamo) che l'astrazione metodologica dell'io puro è chiamata a fondare, e soltanto come primo passo della fon­ dazione . Se l'io, in quanto puro , non è riducibile ad una trama di elementi psicologici, personali, "reali" , vale però che nella prospettiva fenomenologico-trasc endentale ogni uomo, ogni persona è esplicabile solo c ome concretizzazione dell'io puro, di un io puro . L' Ichpol è il nucleo fenomenolo­ gic o originario di tutti i concetti dell' "io " , di tutte le sue variazioni e c omplicazioni, anche dell'io reale, con cui si trova in una c ostante connessione funzionale: « Ogni io puro che attui l'appercezione "io, l'uomo" ha c ome og-

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getto nel suo ambiente circostante se stesso, l'io-uomo , la personalità. D ' altra parte esso si ritrova, in quanto io puro , nell'uomo e nella personalità, p oiché la posizione di questi oggetti comporta un senso dell'apprensione tale che l'io re­ ale include l'io puro come nucleo appercettivo » (Hu IV, 1 1 0 ; Ide­ e, 506-507) . Nel linguaggio kantiano, che Husserl mostra qui di ap­ prezzare, si p o trebbe formulare l'asserto seguente : ogni "appercezione empirica" dell'io è resa possibile da un"'ap­ percezione pura", che precede la prima nella serie delle condizioni. Ma poiché in Husserl l'adozione del linguaggio della tradizione non esclude , anzi implica, un ripensamento radicale del concetto corrispondente, ci pare opportuno un c onfronto più diretto con la Kritik der reinen Vernunft su questo punto.

5 . Dall' "io penso" all' "io puro": la struttura dell'io trascendentale in Husserl e in Kant

Abbiamo visto come Husserl, affrontando il problema dell'io puro, riconosca un elemento di validità nella dottri­ na kantiana dell' appercezione trascendentale e, spesso, si avval­ ga di una terminologia analitica molto simile a quella di Kant. Per meglio porre in luce il significato e i limiti di questa correlazione tra fenomenologia e criticismo, voglia­ mo ora individuarne gli aspetti più salienti, attraverso pun­ tuali riferimenti al testo kantiano . Non possiamo ovvia­ mente addentrarci in un'analisi approfondita del problema dell'io in Husserl e in Kant, per la quale già esistono note­ voli contrib uti nella letteratura husserliana 6 ; c1 mteressa piuttosto fissare , almeno nelle sue linee più generali, la 6 Per i riferimenti più generali, cfr. : l. KERN, Husserl u nd Kant, cit . , pp. 286-293; E . MARBACH, Das Problem des Ich i n der Phiinomenologie Husserls, cit. , pp. 274-283 e pp . 3 1 9-329.

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struttura dell'io trascendentale in Kant (limitatamente ad al­ cuni passaggi dell'Analitica trascendentale) , per poi enucleare le ragioni che induc ono Husserl a ridisegnarla in un conte­ sto teoretic o differente . Nella Kritik der reinen Vernunft 7, Kant pone la questione della soggettività trasc endentale all'intern o di una teoria dell'esperienza, e più precisamente al centro di quella com­ plessa strategia di giustificazione che prende il nome di De­ duzione trascendentale dei concetti puri dell'intelletto. In partico­ lare, l'io è determinato da Kant in relazione c on l'unità dell' esperienza e come c ondizione di questa unità. Il sog­ getto trascendentale è l' io penso: « L'io penso (Ich denke) deve p oter accompagnare tutte le mie rappresentazioni; in caso diverso, si darebbe in me la rappresentazione di qualcosa che non potrebbe essere pensata; il che equivale a dire che la rappresentazione o sarebbe impossibile o, per me alme­ no, sarebbe nulla » (CRP , 1 28) . La terminologia kantiana è rivelativa: che si parli di "io-penso " , e non piuttosto di un "io che pensa" o "res cogitans" , non è una semplice questio­ ne di sfumature, perché con ciò si dichiara illegittima ogni sostanzializzazione dell'io . Nella prospettiva trascendentale non è possibile parlare di un io separato dalle sue funzioni; come Kant ha mostrato nel capitolo della Kritik (peraltro studiato a fondo da Husserl) sui paralogismi della ragione p ura, nell'io penso « null' altro viene rappresentato che un sog­ getto trascendentale dei pensieri = x, non c onosciuto altri­ menti che attraverso i pensieri, che sono i suoi predicati e di cui, preso per sé , non potremo mai possedere il minimo concetto » (CRP, 300) . Kant caratterizza l' Ich denke anche c ome « appercezione originaria » o « appercezione pura » (CRP , 1 28) , per distin­ guerlo dal soggetto empiric o della psicologia, e attesta che 7 La traduzione italiana utilizzata è quella di P. Chiodi (I. KANT, Critica della ragion pura, Milano 1 996) , che citeremo con la sigla CRP, seguita dall'indicazione del numero di pagina.

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esso è identico in tutte le rappresentazioni della coscienza. Se infatti il soggetto dell' esp erienza fosse soltanto un i o « multicolore » (vielfarbig) , cioè un io che nella successione temporale dei suoi stati diventa sempre diverso , essendo coinvolto nel mutamento e nel fluire allo stesso titolo delle sue rappresentazioni, l'esperienza come tale sarebbe impossi­ bile a qualsiasi livello (CRP, 1 29- 1 30) . Per Kant, le rap­ presentazioni molteplici e mutevoli che c olorano la vita della mente sono formalmente riducibili ad un denomina­ tore comune, almeno nella misura in cui esse sono mie; ma le rappresentazioni non potrebb ero essere dette "mie" se non appartenessero tutte ad una sola autocoscienza (CRP , 1 28) . Ad esempio, posso affermare che il libro sul mio ta­ volo è lo stesso oggetto che prima era sullo scaffale solo se la mia coscienza rimane identica in questo mutamento della scena perc ettiva e unifica le due percezioni sotto un deter­ minato concetto; se al contrario la c oscienza perdesse la sua identità nella serie delle percezioni, non potrei avere alcuna esp erienza di quel libro o di qualunque altra cosa . Ora, questa mia possibilità empirica di c onoscere l' oggetto si fon­ da su una condizione trascendentale c he è già sempre presup­ posta in ogni atto c onoscitivo e non riposa a sua volta su una condizione più stringente. Scrive infatti Kant: « L' unità sintetica della coscienza è quindi la condizione di ogni co­ noscenza, tale che non solo mi è indispensabile per cono­ scere un oggetto, ma a cui non può far a meno di sottostare ogni intuizione, p er divenire oggetto per me, perché di­ versamente , in mancanza di questa sintesi, il molteplice non sarebbe unificato in un 'unica c oscienza » (CRP , 1 32) . L'identità numerica del soggetto è una condizione di possi­ bilità dell' esperienza, e c ome tale non può essere rimessa in questione da contingenti osservazioni di carattere psicolo­ gico tese a sottolineare la frammentarietà e dispersione delle percezioni dell"'io" reale: « Non è p ossibile p ensare per mezzo di dati empirici ciò che deve essere necessariamente rappresentato come numericamente identic o . Un presup-

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p osto trasc endentale di questo genere richiede, per la sua validità, l' esistenza di una condizione c he preceda ogni e­ sperienza e la renda, anzi, p ossibile » (CRP , 6 1 2) . L a direzione antiempiristica della riflessione gnoseologica di Kant si manifesta chiaramente nei passi della Deduzione trascendentale in cui la necessità dell' appercezione originaria, come unità sintetica che accompagna le rappresentazioni, è giustificata attraverso l' analisi di operazioni c ognitive ele­ mentari, c ome quelle del "contare" o del "tracciare una li­ nea " . Nella prima edizione della Kritik, il paragrafo sulla Synthese der Rekognition offre un ftlo c onduttore interessante per cogliere sia le p otenziali pieghe fenomenologiche del­ l' argomentare kantiano , sia la rinnovata fisionomia che vie­ ne assumendo la p roblematica dell ' " io " rispetto all' empirismo di Hume: « Se mancasse la coscienza che ciò che ora p ensiamo è ciò stesso che pensavamo un istante prima, ogni riproduzione nella serie delle rappresentazioni risulterebbe inutile . Al momento presente si darebbe infatti una nuova rappresentazione, che non apparterrebbe mini­ mamente all' atto attraverso il quale essa doveva venir gra­ dualmente prodotta, e il molteplice che le è p roprio non costituirebbe mai un tutto , p erchè risulterebb e privo di quell' unità c he soltanto la coscienza è in grado di conferir­ gli. Se, mentre c onto , dimenticassi che le unità presenti ai miei sensi in questo momento sono state da me gradual­ mente aggiunte l' una dopo l' altra, non sarei in grado di rendermi conto dell' originarsi della pluralità di questa ordi­ nata addizione d' una unità all'altra e non potrei quindi ren­ dermi conto del numero; questo conc etto , infatti , non consiste che nella c oscienza di tale unità della sintesi » (CRP, 609-6 1 0) . Il secondo esempio c he Kant ci presenta è altrettanto significativo : p er conosc ere una linea retta come unità nello spazio, devo tracciarla aggiungendo parte a parte e mantenendo una direzione costante ; in questo modo, nella continuità di un procedimento costruttivo che si svolge secondo una regola, si rivela l'unità della coscienza

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nella sintesi che produce l ' unità della linea (CRP , 1 3 1-1 32) . Kant condivide con Hume l'assunto secondo il quale u­ na semplice analisi delle percezioni soggettive non ci auto­ rizza a parlare di un "io stabile e permanente", ma proprio per questo motivo egli riformula il problema dell"'identità" dell'io in una diversa prospettiva . Se Hume dichiarava di non saper trovare un io identic o nella mobile trama della coscienza approdando a conclusioni decisamente sc ettiche , Kant sposta i termini della questione fac endo intervenire la differenza metodologica tra io trascendentale e io empirico, cioè c ompiendo la "rivoluzione c opernicana " ; in altre pa­ role , non è affatto l'io reale, il soggetto c oncreto delle per­ cezioni, la pietra di paragone cui vanno commisurate criti­ camente le pretese della conoscenza. Com' è noto , l' orizzonte semantico della filosofia tra­ scendentale kantiana non è quello della "realtà", ma quello della possibilità (e delle condizioni e limiti del suo esercizio) ; tale imp ostazione si riflette in maniera esemplare nella struttura argomentativa della deduzione trasc endentale, all' interno della quale Kant fissa il principio dell' unità dell'autocoscienza come c ondizione suprema del c onoscere (CRP , 1 30) . Il ragionamento è il seguente : se c ' è un' unità oggettiva delle rappresentazioni, deve esserci una funzione u­ nificante ; questa funzione è l'io penso, che esprimendo la pura possibilità delle sintesi cognitive (ad esempio il nu­ merare o la c ostruzione di una figura geometrica) è da as­ sumere c ome identico, sotto il prof:ùo logico , in tutte le rap­ presentazioni della coscienza, e dunque si distingue rigoro­ samente da quell'io empirico-reale che si rivela nei mute­ voli stati della perc ezione interna . Per Kant, c ome per Hume, « la coscienza empiric a, che accompagna diverse rappresentazioni, è in sé dispersa e senza riferimento alla i­ dentità del soggetto » , ma Kant non trae alcuna conseguen­ za di ordine scettic o o problematicistico, perché questo ri­ ferimento « si dà solo quando pongo ogni rappresentazione

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assieme alle altre e ho coscienza della loro sintesi. S olo dunque in quanto posso c ongiungere in una c oscienza un molteplice di rappresentazioni date, mi diviene possibile rappresentarmi l'identità della coscienza in queste rappre­ sentazioni » (CRP , 129) . Ci siamo soffermati a lungo sulla p osizione di Kant non soltanto perché Husserl nelle Ideen, e altrove , vi si richiama apertamente, sottolineandone la virtualità fenomenologica nello stesso tempo in cui ne denuncia le ambiguità e i fraintendimenti, ma anche p erché la dottrina kantiana dell' Ich denke offre uno sfondo teoretico dal quale imme­ diatamente risalta lo scarto cui Husserl sottopone la rifles­ sione trascendentale rispetto ai p arametri tradizionali, che peraltro non mancano di esercitare un influsso signific ativo sulla fenomenologia. Come abbiamo p o tuto ve dere in queste pagine, le affinità tra l'io penso kantiano e l'io puro della fenomenologia husserliana non sono affatto trascura­ bili : 1 ) entramb i hanno di per sé un c arattere formale e "vuoto " ; 2) si presentano sempre insieme alle rispettive o­ perazioni o "atti" ; 3) si distinguono in modo netto dal sog­ getto reale , caratterizzato in senso psichic o e corpore o ; 4) rimangono assolutamente identici nel mutare dei contenuti della c oscienza ; 5) non p ossono configurarsi come res o "sostanze" , perché si tratta piuttosto di c ondizioni trascen­ dentali dell' esperienza; 6) di essi non si dà percezione im­ mediata, e diveniamo consapevoli della loro funzione ne­ cessaria solo muovendoci controcorrente , attraverso una ri­ flessione sulla vita conoscitiva. Questi rilievi hanno indotto qualche interprete ad af­ fermare che in Ideen I, e segnatamente nella teoria dell' io puro, non sia possibile indicare in concreto la tip ologia specifica e innovativa del soggetto fenomenologico, perché la rappresentazione formalistica dell"'io" c ome mero polo degli atti sarebbe del tutto conforme al paradigma classico (kantiano e neokantiano) della filosofia della soggettività; soltanto Ideen II, dove l'indagine si apre alle più profonde

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dimensioni della corporeità , della psiche , dell'intersogget­ tività, documenterebbe in modo inoppugnabile il passaggio ad una nuova forma di trascendentalismo . Ora, è fuori discussione che per cogliere la soggettività trascendentale fenomenologica come soggettività concreta occorra rinviare ai c ontributi analitici di Ideen II (senza pe­ raltro dimenticare quelli di Analysen zur passiven Synthesen, di Phiinomenologische Psychologie e dei tre volumi sull'inter­ soggettività) ; non ci sembra tuttavia corretto parlare di una prospettiva ancora tendenzialmente kantiana e pre-feno­ menologica implicita nelle c onsiderazioni di Husserl sull'io puro . C erto , c hi s i fosse formato un' immagine del "soggetto " della fenomenologia husserliana soltanto sulla base di Ideen I, avrebbe una percezione incompleta se non fuorviante, perché l' opera del 1 9 1 3 è un testo essenzial­ mente introduttivo e quindi prende in considerazione solo alcuni livelli dell'analitica fenomenologica; da questo punto di vista, l'io puro è il frutto di un procedimento astrattivo: per isolarlo nella corrente dei vissuti Husserl deve porre fuori circuito le forme costitutive dell'io reale . Ma ciò si­ gnifica che la differenza tra l'io fenomenologic o e il sog­ getto kantiano resta, a questo livello, inevitabilmente opaca? Al c ontrario , proprio il c onfronto diretto con la Kritik der reinen Vernunft che abbiamo tentato nelle pagine precedenti m o s tra c he , s e H us s erl ri c o n o s c e n e l c o nc e tt o dell'appercezione trascendentale u n nucleo di validità, al­ trettanto nettamente prende le distanze da Kant su aspetti essenziali del problema dell"'io " . Abbiamo più volte evidenziato come per Husserl la fi­ losofia trascendentale di Kant presenti un orientamento co­ struttivo che per principio sottrae le sue asserzioni ad una chiarificazione ultima, a meno di non riformularle nel lin­ guaggio proprio della fenomenologia; questa "riformulazio­ ne" , qualora sia davvero possibile, equivale ad una tradu­ zione sul terreno (autenticamente) intuitivo di alcuni temi che Kant svolgeva sul piano della spontaneità intellettuale,

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del pensiero predicativo. È il motivo della Philosoph ie von unten che ha sempre caratterizzato , almeno programmati­ camente , l'itinerario teoretic o di Husserl; esso agisce senza dubbio anche nella determinazione husserliana dell' Ich-Pol come centro degli atti o dei vissuti. In Kant l' identità del soggetto è il correlato dell' unità degli oggetti dell'esperienza, un' unità che non si trova già costituita a livello passivo-percettivo , ma è il prodotto dell'attività sintetica dell'intelletto ; la c o stituzione attiva, "spontanea" dell' oggetto , come unificazione di un molteplice di rap­ presentazioni attraverso le forme c ategoriali, è l' orizzonte in cui per Kant acquista un senso determinato e incontesta­ bile il discorso sull'identità dell'io. In questa prospettiva, se Kant in alcune circostanze (soprattutto nella prima edizione della Kritik) sembra procedere verso una fenomenologia della c onoscenza, ad esempio quando nell'analisi di opera­ zioni elementari (il contare, il tracciare una linea) si affaccia in qualche modo l'unità temporale dell'io, il nesso imma­ nente tra identità e temporalità, è innegabile che l' Ich denke, data l' equazione c he Kant stabilisce tra "pensare" e "giudicare " , sia il soggetto del giudizio; l' "io" dell' apperc e­ zione trascendentale viene dunque intenzionalmente pro­ iettato sul piano delle condizioni epistemologiche della validità , nel contesto d i una riflessione filosofic a i n c u i il modello delle scienze positive esercita una funzione essenziale . Ma proprio p erché alla fondazione kantiana è talora sottesa una fenomenologia implicita e latente , Husserl ha potuto proporre un'interpretazione della Kritik der reinen Vernunft molto diversa da quella fornita dai neocriticisti di Marburgo, i quali radicalizzavano la riflessione trasc enden­ tale in una direzione apertamente asoggettiva, al punto che il "soggetto " designava ormai soltanto il sistema dei principi che si incarnano nella conoscenza scientifica e che la filoso­ fia ha il c ompito di individuare nella loro purezza logi­ co-trascendentale; in definitiva, il p roblema delle sintesi cognitive , degli "atti", delle operazioni, che già in Kant di-

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vengono tematiche solo attraverso il filo conduttore del giudizio, tende sempre più a spostarsi sul terreno della psi­ cologia, cioè al di fuori (o ai margini) dell'indagine trascen­ dentale propriamente detta. Questo esito "asoggettivo " del criticismo, una c orrente filosofica il cui atto fondatore (la rivoluzione copernicana) c o nsisteva in un ritorno al soggetto, ha le s u e radici nell'ambigua nozione di "esperienza" che Kant ha elabo­ rato nel tentativo di sfuggire all' impasse dello scetticismo humiano . Di fatto, la teoria kantiana dell' esperienza è inti­ mamente connessa ad una teoria del giudizio scientific o , alla riflessione sulle forme storiche della scienza i n cui l a ra­ gione umana accampa una pretesa di validità ; se invece Kant avesse posto chiaramente la domanda trascendentale non solo all' esperienza scientifica , c odificata nella scienza matematica della natura, ma anche all' esperienza prescienti­ jìca, avrebbe forse potuto contrastare Hume in maniera più effic ac e, mostrando che anche sul terreno della semplice percezione si costituiscono oggetti e strutture. Nella Kritik der reinen Vernunft, però, non è questa la direzione effettiva dell'indagine , e le implicazioni fenomenologiche della de­ duzione trascendentale kantiana non riescono a racc ogliersi in un' unità tematica. Tornando a Husserl e alla questione dell'io puro , ci si può chiedere se la possibilità di afferrare l'io nelle funzioni che gli sono proprie sia legata così strettamente alla costitu­ zione categoriale dell' ogge tto nel giudizio , c ome Kant sembra sostenere in numerosi luoghi della Kritik der reinen Vernunft; il principio dell' unità dell' appercezione « è in ve­ rità esso stesso una proposizione identica e come tale anali­ tic a, ma attesta tuttavia c ome necessaria una sintesi del molteplice dato in un'intuizione ; senza questa sintesi di­ verrebbe impensabile la costante identità dell' autocoscien­ za » (CRP, 1 30) . L'io "identico " , per Kant, si profila con nettezza c onsiderando l 'identità della funzi o n e logi­ c o-trasc endentale nella sintesi del molteplice intuitivo;

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questa sintesi assume figure diverse (le categorie) , m a alla sua radice vi è un' unica facoltà di connessione (l'intelletto) di cui l"'io penso" rappresenta la trascrizione formale. L'acc usa di formalismo è uno dei motivi critici più ri­ correnti nei c onfronti dell'io trasc endentale kantiano ; se tuttavia teniamo presenti i risultati fin qui raggiunti nella discussione del problema dell'io puro , possiamo convenire che H usserl rimprovera a Kant non tanto il formalismo, bensì il fatto che tale formalismo non sia davvero rigoroso e conseguente . In ultima istanza, l'io dell'appercezione origi­ naria non è un principio rigorosamente formale, una struttura trascendentale vuota (come tale c apace di accogliere qual­ siasi atto della vita soggettiva) , perc hé Kant ne individua il profilo privilegiando le forme del pensiero, della spontaneità intellettuale, del giudizio, e relegando in secondo piano tutti gli altri atti o vissuti in cui l"'io" è, con pari evidenza, fungente . Il nesso tra attività pensante e oggettività pensata, come chiave per la comprensione del problema dell'identi­ tà dell ' io nella de duzione trasc endentale, è stato c olto molto bene da Husserl: « Il puro soggetto [in Kant] , il sog­ getto dell' operazione egologica compiuta in modo puro nell' intelletto , è di tipo tale, che si può conservare in quanto identico soltanto se è in grado di mantenere , in tutti i suoi dec orsi di pensiero , costantemente identica a se stessa l' oggettività pensata » (Hu VII, 398 ; KFT , 45) . Paradossalmente , la rigorizzazione del formalismo , che Husserl realizza in Ideen I con la teoria dell'io puro, prepara il p assaggio ad una filosofia trasc endentale concreta, nella misura in cui il soggetto della fenomenologia, in quanto "puro " , non può essere schematizzato o esemplificato da una particolare tipologia di funzioni, da una sola dimensione dell' Erlebnis; in altri termini, l'io puro fenomenologic o è tanto un "io penso" quanto un "io percepisc o" , è un "io sento " non meno che un "io p osso", è anche un "io ricor­ do" e un "io immagino " , e l'io che in queste funzioni ri­ mane identico c ome p ol o non è l ' i o empirico (l' io

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"multicolore" che Kant eliminava dal quadro dell' analitica trascendentale perché psicologico) , non è l'io reale (che per Husserl dipende dalle fluttuazioni dell' esperienza nella co­ stituzione della propria unità) . La purezza dell'io, fenome­ nologicamente p arlando , non si situa quindi al di là del c oncreto dispiegarsi delle molteplici funzioni soggettive, ma al di qua, come un'implicita tendenza verso la c oncre­ tezza, anche verso quella concretezza che , dopo l' epoché, dentro le parentesi, resta in attesa di essere penetrata e illu­ minata. Certo l'io concreto , la monade, la persona non si identificano con l' Ich-pol, perc hé come vedremo si tratta di unità fenomenologiche la cui comprensione chiama in causa una serie di elementi dai quali in Ideen I si fa quasi completamente astrazione (ad esempio il ruolo giocato dal corpo nei processi percettivi) ; ad ogni modo, la schematizza­ zione dell ' io c ome p ol o , riconosciuta ap ertamente da Husserl c ome un'astrazione metodologica, non solo svin­ cola il problema dell'afferrabilità dell'io da un legame trop­ po esplicito con la tematica del pensiero e del giudizio, ma rivela altresì i "limiti" della stessa procedura astrattiva, che per avere una qualche presa sul terreno intuitivo deve pur sempre riferirsi a fenomeni (le modificazioni attenzionali, la riflessione , la temporalità) che offrono una sorta di gram­ matica elementare del Bewusstseinsleben. L 'assunzione di un'ottica (preliminare) di pura formalità non appare di per sé in contrasto con l'intuizionismo fenomenologico , con­ trasto che inevitabilmente sorgerebbe se il formalismo, an­ ziché rappresentare un primo passo verso la realtà e il con­ creto , fosse ad essi sovrapposto c ome costruzione estrinseca o Ideenkleid. Il parallelo tra la dottrina husserliana dell'io p uro e il concetto kantiano dell'apperc ezione trascendentale ha mo­ strato una c aratteristica strutturale comune : l' identità del soggetto è condizione necessaria dell' unità dell'esperienza . Come sappiamo , in Kant questo princip io c ostituisc e il punto più alto della deduzione trascendentale delle catego-

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rie e , in tale ottica, può essere riformulato nel modo se­ guente : l' unità e identità dell' autocoscienza è la condizione necessaria dell' unità e identità degli oggetti c onosciuti e c o­ noscibili. Husserl sembra sostenere una tesi del tutto analo­ ga, ad esempio quando afferma che « la c oscienza moltepli­ ce (das viele Bewusstsein) nella sua unità è anche una co­ scienza . Noi ci imbattiamo qui nel fatto fondamentale ( Grundtatsache) dell'unità e identità della coscienza, il cui correlato è l' oggetto intenzionale uno e identico » (Hu XI, 392) ; del resto l"' apriori universale della correlazione" di Krisis, che abbiamo richiamato discutendo la via antologica della riduzione fenomenologic o-trasc endentale, riflette puntualmente sul piano dei principi questo "fatto fonda­ mentale" dell'intenzionalità della coscienza. Ma, anche qui , occorre ric onosc ere l'autonomia della posizione husserliana: mentre infatti Kant ha preteso di in­ dividuare un nesso implicativo forte tra l'identità dell ' ap­ percezione trascendentale e la forma specifica assunta dalle categorie intellettuali nel processo di unificazione dell' espe­ rienza, Husserl non ha mai cercato di "dedurre" dall' unità dell'autocoscienza la struttura categoriale del mondo dei fenomeni . L ' io puro è riferito originariamente al proprio flusso di coscienza, e non alla fondazione e oggettivazione dell'esperienza nel senso kantiano (cioè, in ultima analisi, alla produzione di giudizi scientifici) ; certo anche per Husserl l'identità dell'io "fonda " l' unità dell' esperienza, o meglio degli Erlebnisse, ma ciò significa soltanto che ogni Erlebnis, persino il più semplic e, il meno strutturato , può essere sempre portato nella relazione sintetica c on un io , con il suo 1 0 . Come abbiamo visto , l'io fenomenologico non intrat­ tiene un rapporto privilegiato e vincolante con gli atti del pensiero , la sua polarità ricopre un ambito molto più vasto di quello che compete all'io trascendentale kantiano : par­ lando di un " io puro" anzichè di un "io penso" Husserl conferisce alla problematica fenomenologica dell'io la mas-

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sima estensione possibile. N el tentativo di stabilire una rela­ zione diretta tra l'identità del soggetto e le forme categoriali nel loro uso empiric o , poi tra queste ultime e i princip i della conoscenza scientifica, Kant avrebbe invece non solo caratterizzato unidimensionalmente l"'io " , ma anche o­ rientato in senso speculativo e c ostruttivo la sua filosofia trascendentale. Per Husserl, l'intera analisi kantiana della soggettività trasc endentale, delle funzioni trasc endentali, è avvolta da un' osc urità che non viene dissipata neppure dalle p otenti intuizioni fenomenologiche che occasionalmente l' attraver­ sano: « Tutti i c oncetti trascendentali di Kant, quelli dell'io dell' appercezione trascendentale, delle diverse facoltà tra­ scendentali, della " c osa in sé" (che sta a fondamento dei corpi come delle anime) , sono concetti c ostruttivi, che si oppongono di principio a un chiarimento ultimo. Ciò vale, a maggior ragione, per i successivi sistemi idealistici » (Hu VI, 203 ; Krisis, 224) . Non vogliamo ora discutere fino a che punto la critica husserliana renda effettivamente giustizia al Kant storico , o non poggi piuttosto su un fraintendimento almeno parziale del suo pensiero . Sul terreno fenomenologico, c he ovvia­ mente non poteva essere quello di Kant, occorre comun­ que distinguere la questione della datità dell'io e dei suoi vissuti dal problema (di tutt' altro genere e per così dire di ordine superiore) della giustificazione teoretica dei concetti fondamentali della logica e della scienza matematica della natura. È in questa prospettiva che l' obiezione di Husserl, secondo la quale Kant sarebbe ricaduto in una sorta di di­ scorso mitico (Hu VI, 1 1 6) , può rivelarsi non priva di fon­ damento e di legittimità. Nella deduzione kantiana, tra il soggetto trasc endentale e le categorie sussiste un rapporto c osì intimo che esse sembrano associate in modo quasi naturale all' unità dell' ap­ perc ezione , c ome se si trattasse di forme già sempre costi­ tuite sulla cui genesi la filosofia non avrebbe nulla da dire ;

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come se correlativamente l'io stesso non fosse altro che il "dispositivo " di queste forme. È vero che per Kant le cate­ gorie rimangono vuote e gnoseologicamente improduttive se non vengono riferite alle c ondizioni spazio-temporali dell'intuizione , ma a prescindere dall'uso empirico esse so­ no il modo "naturale" di funzionare dell'intelletto umano e sotto questo aspetto non è possibile un chiarimento ulte­ riore . Il rischio di una naturalizzazione dell'io è evidente quando Kant giunge a sostenere che « della peculiarità del nostro intelletto di porre in essere l' unità a priori dell' ap­ percezione soltanto mediante le categorie , e proprio secon­ do questo loro modo e numero , non si può dare una ra­ gione come non si può darla del perché abbiamo queste e non quelle funzioni del giudicare o del perché il tempo e lo spazio sono le sole forme della nostra intuizione possibi­ le » (CRP, 1 36) . Se il ric onoscimento di un limite della ragione umana può corrispondere a una valida esigenza critica, una situa­ zione epistemologica chiusa come quella che Kant sembra qui presentarci è spiegabile storicamente solo come siste­ mazione concettuale dei principi della scienza newtoniana, e il programma generale della deduzione sbarra la strada ad un'indagine genetica. Questa strada sarà invece seguita pro­ prio da Husserl nelle sue ricerche sulla fenomenologia della logica. Al termine del c onfronto , si può osservare che gli argo­ menti portati da Husserl per l'io puro presentano qualche significa tiva analogia c o n le c onsiderazioni di Kant sull' unità sintetica dell'apperc ezione trascendentale, e ciò riveste particolare interesse non solo ai fini storiografici, ma anche teoretic i, perché ci c onduce in un certo senso al "limite " tra la filosofia trasc endentale classica e quella fe­ nomenologic a . Ad esempio , Mohanty ha rilevato che Husserl, quando pone l'io puro c ome condizione di possi­ bilità della riflessione (cioè mostrando che il fatto stesso della riflessione non sarebbe possibile senza un io puro) , sta

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svolgendo un' m;gomentazione trascendentale la c m matrice è indubbiamente kantiana 8• Tuttavia la consapevolezza di muoverei lungo una linea di frontiera deve favorire una corretta valutazione delle differenze , che in ultima istanza si riconnettono all' atteggia­ mento descrittivo tenuto da Husserl nell' affrontare la temati­ ca della soggettività trascendentale . L'astrazione dell'io puro non si separa mai totalmente dalla determinatezza e molte­ plicità dei c ontesti descrittivi; il riferimento all'esperienza, che Kant poneva come banco di prova della forza e fecondità della filosofia trascendentale , si manifesta in una luce nuova nella fenomenologia e acquista significati molto diversi: « Una chiarificazione che c onsenta di c omprendere il senso di un mondo che è essente ed essente-così solo in virtù delle sue operazioni di coscienza, non può scaturire mai da riflessioni puramente argomentative, che si muovono in u­ na generalità lontana dalle cose stesse, invece di produrre l'effettiva comprensione evidente (Einsicht) qui richiesta, attraverso lo studio concreto e sistematico della soggettività trascendentale, appresa nella sua purezza ed intuita anzi­ tutto concretamente, e della grande molteplicità dei tipi e delle operazioni di coscienza » (Hu VII, 282; KFT, 1 75) .

6.

Aporie della riflessione e limiti dell'afferrabilità

dell'io

Abbandoniamo il problema del rapporto Husserl-Kant e rivolgiamo di nuovo l' attenzione alla riflessione come fonte della nostra c onosc enza dell ' io puro . C ome sappiamo, l' evidenza dell'io puro nella riflessione è apodittica e la sua caratteristica formale è l'identità: « L'io che percepisce ora e compie questa percezione è identicamente lo stesso io che 8 J . N . MOHANTY, "Husserl's Concept of Intentionality" , in: Analecta Husserliana, vol. I, 1 970, pp. 1 00-1 32.

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si trova nel ric ordo, c ome l'io che ha percepito il passato . L'identità assoluta la conosco (erkennen) nella riflessione » (H u IX, 208) . Se l'affermazione husserliana non lascia apparentemente spazio ad eventuali dubbi o perplessità (ponendoci per così dire di fronte al fatto c ompiuto) , nel concetto di "riflessione" si annidano paradossi e aporie di cui è opportuno almeno prendere atto . Ciò vale soprattutto per quelle prospettive che hanno coniugato il concetto filosofico della riflessione con una teoria generale della soggettività , parlando sia di una riflessione sul soggetto che di un soggetto della riflessione, tentando dunque di risolvere , appianare o dominare c oe­ rentemente la scissione che sembrava derivarne . Quale relazione esiste tra l'io che opera la riflessione e l'io "riflesso" e oggettivato nell'atto c onoscitivo? Si tratta davvero dello stesso soggetto c onsiderato da punti di vista diversi? Il sapere che esprime questa "identità" è una cono­ scenza assoluta, o una vuota tautologia? La p ossibilità di af­ ferrare l'io nella riflessione riesce a sottrarsi al pericolo di un regresso infinito? Questi interrogativi sono stati lungamente dibattuti nell' idealismo postkantiano e tornano d' attualità nel panorama contemp oraneo , in cui la filosofia classica te­ desca c ontinua ad occupare un posto di primo piano (se non altro come riferimento critico e polemico) . Com' è facile comprendere , il ripensamento dell' eredità dell'idealismo , in una discussione sulle p ossibilità e limiti della riflessione c ome metodo della filosofia, tocca solo marginalmente Husserl, che ha seguito un percorso teoreti­ co del tutto autonomo rispetto alle premesse metodologi­ che e agli esiti effettivi del pensiero trascendentale dopo Kant; poiché tuttavia, secondo alcuni autori, la critica della riflessione assoluta e la contestuale affermazione della fini­ tezza del soggetto avrebbero conseguenze distruttive (o, se si preferisc e, "decostruttive") anche per la fenomenologia trascendentale , per la sua dottrina dell' io puro , è imp or­ tante stabilire se la difìnizione husserliana della riflessione e-

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gologica , c erto non priva di problemi , app aia almeno all' altezza delle obiezioni che c omunemente le vengono ri­ volte . A questo proposito, dobbiamo riprendere il filo di un discorso più volte interrotto nelle pagine precedenti. Anche Husserl ha riconosciuto l'aporeticità della rifles­ sione c ome una forma di scissione che si instaura nella vita dell'io, addirittura elevandola al rango di condizione ne­ cessaria per l'acquisizione di un habitus filosofico radicale: senza di essa non sarebbe possibile la riduzione fenomeno­ logico-trascendentale e dunque neppure la fenomenologia come scienza. Scrive Husserl: « Ma ora mi stabilisco come io fenomenologico , e in una volta si modifica l'intero at­ teggiamento, e certo proprio per questo io fenomenologi­ camente atteggiato : l'io, che ho scisso da me attraverso la riflessione (das Ich, das ich durch Rejlexio n von mir gespalten habe) e che ora diventa centro di un' abitualità del tutto pe­ culiare , che gli app artiene in maniera esclusiva » (Hu IX, 442) . Parlare di una « scissione dell'io (Ichspaltung) » è ine­ vitabile , altrimenti l'io stesso non potrebbe diventare tema di descrizione , p erché non si aprirebbe quella "distanza" che sep ara l'io-soggetto dall'io-oggetto e che costituisce l' autentico spazio di gioc o della riduzione (Hu VIII, 7 1 ) . Del resto anche nell'atteggiamento naturale l'io può riflet­ tere su di sé, ad esempio nell'analisi psicologica, e ciò com­ porta sempre una qualche scissione; questa dinamica, poi, si riproduce nella stessa sfera trasc endentale , dove bisogna di nuovo distinguere tra l'io c ome spettatore disinteressato dei suoi vissuti e l'io c ome soggetto a ttivo della donazione di senso. Infine, nella Krisis Husserl ha sottolineato con vigore « il paradosso della soggettività umana, che è soggetto per il mondo e insieme oggetto del mondo » (Hu VI, 1 82-sgg.) : il filosofo deve indagare come ciò sia possibile, interrogando i fenomeni che attestano la duplice modalità di vita soggetti­ va. Se per Husserl ogni riflessione è una forma di scissione , quest' ultima non rappresenta un peric olo per l' unità dell'io ;

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l'io-soggetto e l'io-oggetto sono infatti modi diversi di considerare lo stesso io. In ogni riflessione ha anche luogo una sintesi di identificazione, per cui la "scissione" del sog­ getto è solo relativa e, almeno quando sembra pregiudicare l' unità, metaforica. Nelle Cartesianische Meditationen, la ri­ duzione fenomenologica si presenta addirittura c ome ratio cognoscendi dell'identità dell'io: « lo, come io atteggiato na­ turalmente , sono pure e sempre un io trascendentale, ma io so questo solo mediante il compimento della riduzione trasc endentale » (Hu I, 7 5 ; MC, 67) . C ' è dunque identità dell' Ichpol c on se stesso in un flusso di coscienza e, paralle­ lamente, " identità " dell'io trascendentale con l'io naturale prefilosofic o : un'identità che si dice diversamente nei due casi, ma che Husserl pone a fondamento di un' analisi gno­ seologica unitaria. Se non vi fosse unità del soggetto, nelle forme della sua vita e negli atteggiamenti assunti (naturale e trascendentale) , se quindi la riduzione ci conducesse in una dimensione to­ talmente diversa da quella naturale , non solo il metodo fe­ nomenologico si perderebbe nella speculazione metafisica, ma non avrebbe nemmeno senso discorrere di un passaggio da una forma di vita all' altra. Da un lato , infatti, l'io natu­ rale non saprebbe anticipatamente nulla dell'io trasc enden­ tale e perciò non potrebbe oltrepassare la propria prospetti­ va, d' altro canto l'io trasc endentale dimenticherebbe di es­ sere stato un io naturale, mondano e non potrebbe mai ri­ tornare nel sistema di coordinate precedente : una situazio­ ne insostenibile da cui si esce ric onoscendo che l'identità dell'io è originaria e la differenza esibita dalla fenomenolo­ gia è soltanto modale. Possiamo quindi concludere che , se la riflessione è ratio cognoscendi dell'identità, l'identità è ratio essendi della riflessione ; l'io naturale già era trascendentale, ma lo era in sé e non per sé, anonimamente, in una con­ crezione muta (Hu VI, 1 9 1 ) . Il sapere dell'identità non è un p uro movimento con­ cettuale, è anche un voler sapere; la c omponente pratica

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dello sforzo di autocomprensione trascendentale è chiara­ mente affermata nella teoria husserliana della riflessione. La filosofia si realizza solo in una serie di atti riflessivi attra­ verso i quali l'io guadagna una comprensione sempre più profonda del suo carattere trascendentale : « La riflessione è originariamente tale nella volontà. [ . . . ] Per poter realizzare una filosofia, l'io che filosofa deve divenire p er se stesso tema della volontà; ciò significa , ma soltanto in sequenza successiva, che esso deve diventare p er se stesso il primo tema della sua c onosc enza, cioè deve , sulla base di una c erta appercezione metodica, c omprendersi come io tra­ scendentale o io p uro e in questo deve trovare il campo fondamentale del suo lavoro teoretico » (Hu VIII, 6-7) . La struttura iterativa della riflessione è un lucido esem­ pio della coesione di momenti teoretici e pratici nella filo­ sofia fenomenologica , ma essa ci interessa qui per il pro­ blema dell' unità dell'io . In Erste Ph ilosophie II Husserl di­ scute la possibilità di trasformare una singola riflessione nell'oggetto di una nuova riflessione (Hu VIII, 86-sgg.) . In un atto di percezione il soggetto dell' atto (il suo io) non è solitamente il tema specifico dell'attenzione; se io percepi­ sc o una casa, la mia attenzione è per lo più rivolta alla casa, non a me-che-percepisco-la-casa. La direzione naturale dello sguardo non è sull'io , ma sulle cose; il soggetto rima­ ne per c osì dire "nascosto " (verborgen) e Husserl a tale pro­ posito parla di un io latente (latentes Ich). Ora, in un atto di riflessione l' io latente del primo atto (dell' atto immediato , percettivo) si trasforma in oggetto tematic o , p erciò l' io stesso viene illuminato e reso manifesto nella sua funzione, esso diventa un io patente (patentes Ich) : « Un io che c ompie un atto, un io desto , diventa patente, insieme all' atto stesso, solo con la comparsa di un io che riflette sul primo e che è a sua volta latente. Inoltre : questo modo di divenir-patente (patentwerden) è possibile per ogni io latente, dunque anche per ogni riflessione » (Hu VIII, 90) . Iterando il procedimento , cioè p onendo l' atto riflessivo

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come oggetto di una nuova riflessione , ci si rende conto che la dinamica di latenza e manifestazione dell'io è ine­ sauribile, poiché se ogni io latente può diventare patente, è anche vero che il nuovo io patente è tale per un io (at­ tualmente) latente. La possibilità di una serie infinita di ite­ razioni è una struttura formale della riflessione, ma per Husserl, che si richiama qui ad una evidenza , l'io identico attraversa c omunque tutti i gradi dell'iterazione (Hu VIII, 9 1 ) , fungendo da garante dell'unità dell'esperienza. Non sono però ancora emerse le difficoltà più impor­ tanti che deve affrontare una teoria della riflessione (non solo quella husserliana) per costituirsi a tutti gli effetti come discorso argomentato e coerente . In particolare, alla possi­ bilità di una riflessione sull'io vengono mosse due fonda­ mentali obiezioni, che radicalizzano il profilo aporetico del c onc etto in ques tion e : 1 ) l' obiezione di circolarità, 2) l'obiezione di regresso infinito. Si è fatto notare, in primo luogo, che per autoafferrarsi nella riflessione il soggetto dovrebbe possedere un sapere di se stesso già prima della riflessione, altrimenti non potrebbe mai acquisire la certezza di aver attinto realmente l'"io" e non qualc os'altro ; ma allora l' argomento assume una forma palesemente circolare , perché era compito della riflessione procurare quel "sapere" 9• Ci si può sottrarre all' aporia at9 Cfr. , per esempio, W. ScHULTZ, Das Problem der absoluten Rifle­ xion, Frankfurt am Main 1 963, p . 1 9. Il "circolo" della riflessione come possibile esito aporetico di una teoria dell' autocoscienza è stato espresso molto bene da Tugendhat, nella maniera seguente: � L'autocoscienza deve essere una coscienza dell'io. Ma un io deve essere qualcosa s ol­ tanto se esso ha la struttura dell'identità di chi sa e di ciò che è saputo . Ma se, secondo la teoria della riflessione, l'autocoscienza deve compier­ si in un ripiegamento su se stessa, allora soltanto nell' atto di questo ri­ piegamento verrà costituita quell'identità fra chi sa e ciò che è saputo . D'altro canto , il soggetto, sul quale si ripiega l'atto, deve già essere un io. Quindi, da un lato, l'atto ripiegandosi deve rappresentare l'io e , dall'altro , l 'i o si costituisce c onforme a l concetto dell'io soltanto in questo atto >> (E . TUGENDHAT, Selbstbewusstsein und Selbstbes timmung,

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traverso un' ac curata distinzione dei livelli semantici, ad e­ sempio sostenendo che il soggetto riflettente sia diverso dall'io come oggetto della riflessione, ma questo tentativo di soluzione innesca una nuova difficoltà, non meno insi­ diosa della precedente. Se infatti a cogliere riflessivamente l'io è un secondo soggetto, per la struttura iterativa della ri­ flessione esso potrà a sua volta diventare " oggetto" di un terzo soggetto riflettente, e c osì via; in altre parole, alla moltiplicazione indefinita dell'istanza riflessiva fa riscontro un io costantemente in ritardo su se stesso e perciò incapa­ ce di approdare ad un'autofondazione ultima 10 • Il dilemma che ne consegue è piuttosto chiaro: o la riflessione egologi­ ca non è in grado di produrre un autentic o sap ere (e in questo caso si risolve in una tautologia, perché la conoscen­ za dell'io deriva in realtà da un' altra fonte) , oppure essa n­ mane impigliata in una forma di regresso infinito (e in questo caso si dimostra inc o nsistente o , quantomeno , "incompleta") 1 1 • Frankfurt am Main 1 979, p . 62) . 10 Dieter Henrich ritiene che ogni teoria della riflessione presup­ ponga semplicemente la c onoscenza dell'io senza paterne esibire la ge­ nesi. Cfr. , per i fondamenti generali di questa critica, D . Henrich, Sel­ bstbewusstsein. Kritische Einleitung in eine Theorie, in: R. BUBNER , W. CRAMER, R. WIEHL (hrsgg.) , Hermeneu tik und Dialektik, Tiibingen 1 970, vol. I, pp . 257-284. Un riferimento diretto alla dottrina husser­ liana dell'io si trova in : D . HENRICH, Fichtes ursprnngliche Einsicht, Frankfurt am Main 1 967 , p. 50. 11 La strategia che Henrich adotta per uscire dal dilemma indicato è appunto quella di negare che la riflessione costituisca la fonte primaria del nostro sap ere dell'identità dell'io. Occorre invece ammettere una coscienza preriflessiva in cui il soggetto possiede già da sempre una fami­ liarità con sé, un' originaria e impersonale conoscenza di sé; l'atto rifles­ sivo , allora, non "pone" l'io come oggetto del sapere, ma può al mas­ simo artic olare quel sapere di sé che è accessibile preriflessivamente . Scrive infatti Henrich: � Un autoriferimento sp etta alla coscienza tutt'al più in quanto noi ci intendiamo su di essa; si tratta di c oscienza e di conoscenza della coscienza insieme e quindi nel nostro difficilmente eludibile ma equivocabile: conoscenza di sé. L' autoriflessione del sape-

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Sarebbe interessante esaminare la critica del concetto di riflessione alla luce del dibattito attuale sulla "crisi" della soggettività c ome paradigma della filosofia, perché in que­ sta ottica si chiarirebbe appieno l'intento p olemico che la anima. A ben vedere, non è tanto in discussione la p ossibi­ lità della riflessione come tale, quanto il diritto di una rifles­ sione che si pretende assoluta, c ome quella che storicamente ha c aratterizzato la filosofia dell'idealismo moderno e che ha trovato il suo compimento in H egel. Ma la c ontestazio­ ne del carattere assoluto e totalizzante della riflessione, la rivendicazione della finitezza del soggetto , la consapevolez­ za dei limiti di un'approccio scientifico e disincarnato al re­ ale , non hanno nec ess ariamente com e c onseguenza l' abbandono di ogni prospettiva filosofica di tipo riflessivo. Ciò premesso , non p otendo ovviamente approfo ndire questo discorso , dobbiamo almeno verificare fino a che punto l' aporetica della riflessione entri in c onflitto con gli assunti principali dell' egologia husserliana. L ' esibizione fenomenologica di un "io puro " non è il prodotto inconsapevole di un dogmatismo della riflessione, che rompe il cerchio dell' aporia appellandosi quasi magi­ camente ad un' evidenza non meglio precisata 1 2• In realtà, re, che sta nella riflessione, non è un dato di fatto fondamentale , bensì un esplicitare che isola col presupposto non di un' autocoscienza impli­ cata, comunque configurata, bensì di una coscienza (implicita) senza sé del sé (selbstloses Bewusstsein vom Selbst) » (D. HENRICH, Selbstbewus­ stsein: kritische Einleitu ng in eine Theorie, in: R. BUBNER, W. CRAMER, R. WIEHL, op . cit. , p. 2 80) . A parte la problematicità dell'ultima e­ spressione ("coscienza senza sé del sé") , che non possiamo discutere qui, Henrich ha ragione nel rilevare che una qualche forma di "autoconoscenza immediata" deve precedere ed orientare l' esercizio della riflessione; tuttavia, se ciò può rappresentare un' obiezione diffi­ cilmente rimovibile p er alcune teorie tradizionali della riflessione e dell'autocoscienza, Husserl condivide senz'altro la tesi dell' esistenza di un sapere preriflessivo dell'identità dell'io; nell'atteggiamento naturale l'io già sa se stesso come io, sebbene nell'ingenuità per cui si coglie come "parte del mondo " , " cosa tra le cose". 12 Com'è noto, alla fenomenologia husserliana e in generale ad ogni

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Husserl si era reso conto che per evitare l'accusa di tautolo­ gia la sua teoria della riflessione doveva prendere sul serio la possibilità di una lchspaltung, e che in questo modo sorgeva però un problema supplementare di regresso infinito . In un passaggio testuale del 1 920-2 1 , che può essere accostato ad analoghe c onsiderazioni sulla differenza tra io latente e i o patente svolte i n Erste Philosophie Il, Husserl afferma c o n chiarezza c h e il polo egologico può diventare oggetto della riflessione solo nella misura in cui non è più polo fungente, e in quanto fungente non è dunque mai propriamente og­ getto (Hu XIV, 29) . Nell'atto riflessivo l' originarietà dell'io, anziché rivelarsi, sembra piuttosto ritrarsi, poiché non app ena lo sguardo si fissa attenzionalmente sul polo egologico , cercando di af­ ferrarlo come oggetto, l' lchpol medesimo che c ompie la funzione oggettivante esce dal campo tematico e scivola per così dire alle spalle del processo . Naturalmente una ri­ flessione di secondo grado esplicita anche questo io restato anonimo , ma allora l'io fungente originario è di nuovo fuori dalla portata dello sguardo (Hu XIV, 28-29) . Per una sorta di principio di indeterminazione fenomenologica, l'io puro è sì dato nella riflessione, ma non come originario, e correlativamente si deve aggiungere che in quanto origina­ rio l'io è sempre pre-dato; la sorgente degli atti non può il­ luminare se stessa senza modificarsi. Un paradosso affetta il soggetto, poiché le c ondizioni che gli permettono di ri­ flettere su di sé sono proprio quelle che generano lo "scarto" , la distanza, la differenza da sé. La minaccia di regresso infinito della riflessione è qui filosofia trascendentale Hans Albert ha obiettato che il richiamo a "fondamenti evidenti" o "datità assolute " , che come tali non avrebbero a loro volta bisogno di giustificazione , esercita per lo più la funzione di proteggere dalla discussione critica un certo nucleo di assunzioni teoriche ritenute vincolanti per tutti. Per l'analisi della nozione di evidenza nella prospettiva del razionalismo critico, cfr. H. ALBERT, Traktat iiber kriti­ sche Vemutift, Ti.ibingen 1 969.

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annunc iata nel c ontinu o diffe rimento dell' originarietà dell'io, c ui in ultima analisi sembra precluso un accesso di­ retto , e nell'inevitabile riprodursi dell'intervallo tra moda­ lità riflettente e modalità riflessa del p olo soggettivo , che impone un limite invalicabile alla possibilità dell'aggettiva­ zione ; tuttavia , in un ' o ttica fenomenologica rigo rosa, l'aporia non deve essere esorcizzata, ma attraversata, perché nella serie infinita di rimandi in cui apparentemente naufra­ ga la pretesa di fissare oggettivamente l'io potrebbe mani­ festarsi in c ontroluc e una nuova forma di necessità : « Anche dove " incombono" regressi, si deve avere il co­ raggio di dire quello che si vede e di !asciarlo valere nella sua evidenza » (Hu VIII, 442) . Nelle Cartesianische Medita­ tionen Husserl riconosce il paradosso in tutta la sua portata, ma accenna anche ad una possibile soluzione, in uno spo­ stamento prospettico che c onfigura diversamente il "movi­ mento " della riflessione : « L'illustrazione e la comprensione di questo fatto comportano delle difficoltà straordinarie . Ma ciò nonostante si tratta di un fatto evidente , anzi apodittic o che designa un lato del mirabile ess ere-per-se-stesso dell' ego , e precisamente del vivere coscienziale che assume la forma del ritornare-intenzionalmente-a-se-stesso » (Hu I, 8 1 ; MC, 73) . I n altre parole , ciò che suscita l' apparenza di "regresso" è in realtà il ritorno dell'io a se stesso , il suo ritrovarsi nella distanza aperta dalla riflessione; nella distanza da sé, e solo in essa, l'io è autenticamente per sé. Riflettere è ritornare-a, ma allora bisogna ammettere che l'io esisteva già p rima della riflessione; scrive infatti Husserl: « In ogni riflessione mi trovo come lo stesso io, in una identificazione nec essa­ ria (in notwendiger Selbstdeckung). Io vedo che la vita fluente per così dire nella ingenuità dell'assenza dell'io (Ichlosigkeit) era solo inconsapevole dell'io (des Ich nich t bewusst war) , ma l'io c' era già (das Ich da war) » (Hu VIII, 4 1 1) . Questa iden­ tità-nella-distanza non è altro che la temporalità originaria dell'io .

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lo, temp o , riflessione disegnano un plesso problematico di cui Husserl si è occupato in alcuni importanti mano­ scritti, utilizzati da Brand e Held c ome base delle loro ri­ c erche. La riflessione temporalizza l'i o , che riflettendo si coglie nella tensione tra l' " ora" e il "non più" , in un fluire costante, ma essa non produce la temp oralità: « La riflessio­ ne come agire ( Tun) reale, c ome temporalizzazione, espli­ cita soltanto la temporalità dell' io, che si attua passivamen­ te » 1 3• Ciò significa che la temporalizzazione è anche sempre temporalità, ogni riflessione come atto dell'io è anche sem­ pre un'autoaffezione della coscienza interna del tempo; l'io non "pone" se stesso , è se stesso , è originariamente vita. « Perciò la riflessione c ome temporalizzazione attiva inclu­ de una doppia passività: essa riflette l'io così c ome era poco fa nel dispiegamento temp orale passivo , e fac endo questo è essa stessa un fungere attivamente esplicitante in un dispiegamento tempora1 e passivo > > 1 4 Se la riflessione fosse un' attività assoluta, l'io sarebbe immanenza pura, interiorità priva di distanza , concidenza totale con sé, ma non è questo il caso di Husserl, che ha mostrato con grande chiarezza ed acume l'impossibilità di simili "totalizzazioni", almeno per il soggetto dell' esperien­ za trascendentale. L'io non può riflettere senza temporaliz­ zarsi, e temporalizzandosi è sempre qualcosa di più di un og­ getto del campo tematico ; questo pensiero è espresso ad e­ sempio in un' app endice di Ideen II: « L'io non è, origina­ riamente, in virtù dell' esperienza - nel senso di un' apper­ cezione associativa in cui si costituiscono le molteplicità del suo c ontesto , bensì in virtù della vita (è quello che è, non per l'io , bensì: è l'io) » (Hu IV, 252) . In altri termini, esse­ re-per-l'io, essere oggetto, non significa ancora essere-l'io; l' aggettivazione dell' Ichpol è incompleta, non perché la spe­ cularità riflessiva ne offra un'immagine "rovesciata" e inau.



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G. BRANO, Mondo, io e tempo, cit. , p. 1 4 1 . lvi, pp. 1 4 1-142.

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tentica, ma perché la stessa struttura della riflessione c om­ p orta l'impossibilità di far coincidere in una presenza asso­ luta (e assolutamente disponibile) l'io fungente-vivente e l'io oggettuale-tematico. Se essi coincidessero realmente, l'io non sarebbe più vita e temporalità, ma allora non sarebbe nem­ meno più riflessione: tale è il "circ olo" della soggettività trasc endentale, o meglio il sistema di connessioni interne che la rendono fenomenologicamente acc essibile . In parti­ colare, quello che Husserl nei manoscritti inediti degli anni ' 30 chiama « io fungente ultimo (letzifungierendes !eh) » o anche, ponendo l' accento sulla modalità temporale , « pre­ sente funzionale egologico (ichliche Funktionsgegenwart) » è necessanamente pre-oggettual e e anommo 1 5 . L'unica conseguenza che si può trarre con rigore da un'elaborazione critica dell' aporia del " regresso" è che il polo fungente appare per principio più originario di ogni pos­ sibile riflessione 16 , ma in questa prospettiva la teoria husser­ liana della riflessione recupera un'interna coerenza e addi­ rittura giunge a rendere conto della genesi dell'ap o ria . Quest' ultima di fatto insorge quando non si comprende che è proprio l' qfferrabilità dell'io puro nella riflessione ad esigere l' incompletezza del riempimento intuitivo, e che dunque le condizioni di possibilità dell' aggettivazione ri­ flessiva del polo egologico includono l ' esistenza di un punto ciec o dell'intenzionalità. Non si tratta di una circo­ stanza sorp rendente , o di un elemento controfattuale ri­ spetto alle esigenze programmatiche della fenomenologia trasc endentale, come talora si è ritenuto ; incompletezza e afferrabilità vanno insieme perché questo richiede la confi­ gurazione fenomenologica del problema. Il "principio di indeterminazione" , sul quale ci siamo prima soffermati, è un teorema di limitazione dei poteri della o

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35.

o

Cfr. K. HELD, Lebendige Gegenwart, Den Haag 1 966, p p . 1 20 sgg. Cfr. H. T!ETJEN, Fichte und Husserl, Frankfurt am Main 1 980, p .

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riflessione, anche se Husserl non lo formula mai c ome tale. Se la riflessione non produc e la temporalità, né solamente la scopre , ma è temp orale da parte a parte , la presenza dell'io a se stesso non è un fenomeno semplice, ma un mo­ vimento inc essante di latenza e manifestazione: « Nella ri­ flessione l'io, che poco prima fungeva anonimamente , di­ venta oggettuale, e tuttavia l'i o è " di nuovo " fungente , continuamente fluente, e coglie progressivamente se stesso come io oggettualmente riflesso nell' unità con l'io attual­ mente fungente » 1 7• In fondo, l' obiezione di regresso infi­ nito muove dal presupposto che l'io fungente sia afferrabile direttamente in un punto determinato della serie temporale, salvo poi accorgersi che nessun punto della serie soddisfa questo requisito , poiché per ragioni essenziali l'io fungente deve rimanere anonimo in ogni atto di riflessione. La "trascendenza nell'immanenza" che Husserl attribui­ sce all'io è dunque anche espressione di una struttura dif­ ferenziale che regola il dec orso fenomenic o ; l'io puro tra­ scen de l'intera serie delle aggettivazioni ed "ontificazioni" riflessive , pur essendo ogni volta immanente in ciascuna di esse . C ome si ricorderà, in un passo di Ideen II Husserl ave­ va affermato che il polo della vita soggettiva è « assoluta­ mente semplice » e « assolutamente in luce » (Hu IV, 1 0 5) ; ora comprendiamo meglio il significato di questa afferma­ zione: essa astraeva non solo dall' opacità corporea, relegata dentro le parentesi, ma anche da una considerazione più approfondita della temporalità, c oerentemente con l' im­ pianto statico-strutturale di una fen omenologia elementare dell' ego . P ossiamo quindi c oncludere l' analisi del problema dell'io puro con alcune considerazioni generali. 1 ) La teoria husserliana della riflessione ha individuato correttamente e c ercato di risolvere al proprio interno al­ cune delle aporie più tipiche del c oncetto di riflessione e17

G. BRANO,

op.

cit. , p. 1 3 8

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L 'io puro come soggettività trascendentale fenomenologica

gologica, in particolare quella del regresso infinito . 2) Ciò che minimizza il rischio di "regresso " è l' evidenza dell'identità dell'io in tutte le iterazioni della riflessione. 3) L'anonimato dell'i o fungente è una condizione di possibilità della riflessione e dunque, come abbiamo appena verificato , la conoscenza intuitiva del polo egologico non può essere c ompleta (nel linguaggio husserliano ciò equi­ vale a dire che l' evidenza apodittica dell'io puro nella rifles­ sione non è un'evidenza adeguata) . 4) Un'esplicitazione totale del fungere nascosto dell ego , che trasformerebbe la fenomenologia husserliana in una fi­ losofia assoluta dell' autocoscienza o dello spirito , presuppo­ ne un'istantaneità atemporale della riflessione, ma in questo modo la soggettività trascendentale non p otrebbe cogliersi come vita. 5) La temporalità della riflessione è un punto nodale dell' autentico riconoscimento della finitezza e dell'indivi­ duazione della soggettività, che dunque non vengono af­ fatto negate da Husserl, ma semmai giustific ate rigorosa­ mente nella loro struttura di senso. 6) Un c ontributo importante della teoria husserliana della riflessione è che tra fondazione fenomenologico-trascen­ dentale e attestazione della finitezza non esiste opposizione di principio; al contrari o , l' analisi fenomenologic a può rap­ presentare per molti aspetti un eccellente correttivo ad una interpretazione ingenuamente "relativistica" o "antropolo­ gica" della finitezza del soggetto . '

3 . La concretezza della soggettività trascendentale: intersoggettività e monadologia

1. n problema dell'intersoggettività nella fenome­ nologia trascendentale

Se il problema dell'intersoggettività è per la filosofia trascendentale una sorta di spina nel fianco, in quanto più di ogni altro sembra portarne chiaramente in luce le diffi­ coltà interne e i limiti, questa considerazione dovrebbe va­ lere a maggior ragione nel caso di Husserl . Una prima ana­ lisi del quadro di riferimento generale in cui si pone la que­ stione fenomenologica della plu ralità dei soggetti non offre infatti indicazioni molto confortanti per la possibilità di trovare in Husserl quelle risorse conc ettuali, metodologiche e analiti­ che che ci consentirebbero di dare pieno risalto alla costitu­ zione di un mondo s ociale, alla formazione di una prassi comunitaria ; al contrari o , il problema stesso di una in­ ter-soggettività, come coesistenza di due o più soggetti su un identico piano categoriale, sembra subito assumere un marcato profilo aporetico, nella misura in cui l' affermazio­ ne dell'autonomia antologica della soggettività altrui deve per Husserl lasciare sostanzialmente intatto il postulato fon­ damentale dell"'assolutezza" della mia soggettività. L'accentuazione radicale dell'io come centro dell' attività conoscitiva e di ogni possibile esperienza, la sua caratteriz­ zazione trascendentale che almeno inizialmente lo colloca ad un livello funzionale assai diverso da quello della concre-

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Capitolo III

tezza umana e interumana, infine l'adesione mai revocata ad una prospettiva di idealismo in cui l'evidenza dell' alterità è sempre c ostituita negli atti di una coscienza fondatrice questi elementi non possono essere minimizzati senza mo­ dificare profondamente il senso che Husserl ha assegnato non solo alla tematica dell'intersoggettività, ma a tutta la filosofia fenomenologica . U n confronto più approfondito c o n i testi mostra però una realtà abbastanza eterogenea e un'articolazione più ric­ ca e differenziata della stessa prospettiva trascendentale che abbiamo ric ostruito nei capitoli prec edenti ; p ersino gli e­ lementi che p o tevano apparire un limite intrinseco dell'impostazione husserliana si rivelano talvolta un' occa­ sione p ositiva, non solo per avere un'immagine meno sem­ plificata del pensiero di Husserl nel suo complesso , ma an­ che per c ogliere le nuove possibilità che vengono proposte dalla riflessione fen omenologica sull'intersoggettività alla "filosofia trascendentale" e che permettono di riscoprime la vera attualità. Secondo l'ipotesi ermeneutica che abbiamo adottato in questo saggio l' intersoggettività trascendentale, che Husserl ha per la prima volta reso accessibile in maniera si­ stematica e attraverso una serie di raffinati contributi anali­ tici, è nient' altro che la "soggettività trascendentale con­ creta" o, se si vuole , la "concretizzazione della soggettività trascendentale" , e la ricognizione del problema dell'inter­ soggettività in Husserl che svolgeremo nelle pagine se­ guenti dovrà misurare il valore effettivo di queste afferma­ ztonl. Cercheremo di sottolineare il più possibile gli aspetti del discorso husserliano che a nostro avviso producono una re­ ale trasformazione della nozione di "trasc endentale" , a­ prendola a p otenzialità più ampie di quelle giustificate e garantite dalla tradizione; l' ottica intersoggettiva ci consente non solo di riconsiderare prospetticamente il senso di tutto il percorso prec edente , in cui si era si era giunti soltanto ad una determinazione provvisoria delle strutture del soggetto

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fenomenologic o , ma anche di approfondire quelle implica­ zioni particolarmente originali della fenomenologia husser­ liana cui avevamo spesso fatto riferimento , senza tuttavia disporre anc ora dell'orizzonte più generale p er una loro interpretazione e valutazione . Ci sono due pregiudizi che hanno gravato a lungo sulla filosofia husserliana dell'intersoggettività e che , sebbene lar­ gamente ridimensionati dalla letteratura critica più recente, rischiano tuttora di alimentare interpretazioni riduttive e fuorvianti, soprattutto quando non si proceda ad un esame sistematico e comparativo dei testi disp onibili. Il primo luogo comune , che è anche il più facile da c onfutare per la sua limpida c ontrofattualità, è la convinzione che Husserl abbia affrontato con un certo impegno le tematiche inter­ soggettive solo in una fase molto avanzata della sua rifles­ sione fenomenologica, e precisamente nella seconda metà degli anni '20, quando cioè la "svolta trascendentale" era stata compiuta , elaborata ed istituzionalizzata da più di un decennio . Una parziale giustificazione di questo assunto è costituita dal fatto che le analisi husserliane sull'intersoggettività sono rimaste in gran parte inedite , e che in Ideen I si trova solo qualche generico accenno al problema, mentre invece nelle opere pubblicate da Husserl nel 1 929 soprattutto in Cartesianische Meditationen, ma anche in Formale und tran­ szendentale Logik si delineano del tutto chiaramente i contorni di una teoria dell'intersoggettività come nucleo centrale della fenomenologia e della .filoscifìa trascendentale fenom enologica. Ma la pubblicazione dei volumi XIII-XIV-XV della Hus­ serliana (il c ui titolo è Zur Phanomenologie der Intersubjektivi­ tiit e che, tra l' altro , rappresentano il frutto di un'accurata selezione editoriale da un orizzonte molto più vasto di ma­ noscritti di ric erc a) documenta in modo inequivocabile come la riflessione sull' intersoggettività abbia acc ompa­ gnato il percorso fenomenologic o-trascendentale di Hus­ serl dai suoi esordi e, addirittura, possa essere considerata -

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uno degli impulsi più importanti nella trasformazione tra­ scendentale della fenomenologia. Alcuni scritti del periodo 1 90 5- 1 908 già ravvisano chia­ ramente , anche se in forma embrionale , il problema dell' alter ego e dell' empatia, i nessi che legano la costituzio­ ne dell' oggettività alla molteplicità dei flussi di coscienza, nonché la necessità di tradurre su un terreno fenomenolo­ gico puro il dato naturale dell' individualità soggettiva; signi­ fic ativamente, è di questo periodo una breve riflessione di Husserl sulla "monadologia" (Hu XII I , 5-sgg.) . Nelle le­ zioni del 1 9 1 0-1 1 Grundprobleme der Phiinomenologie, Hus­ serl abbozza un progetto di sistema fenomenologic o e il tessuto connettivo tra i vari elementi è fondato esplicita­ mente sull' « acquisizione della pluralità fenomenologica delle monadi ( Gewinnung der phiinomeno logischen Monaden­ vielheit) » (Hu XIII, 1 83) ; dopo aver respinto fermamente l'accusa di solipsismo in quanto fraintendimento del senso gnoseologico autentic o dell' epoché, H usserl tematizza « la duplice forma di riduzione fenomenologica (die doppelte Art der phiinomenologischen Reduktion) » cui per principio p os­ siamo sottoporre ogni esperienza naturale ; la prima ridu­ zione ha come residuo il mio io fenomenologico (nel flusso di coscienza originale) , la seconda l'altro io (in un flusso di c oscienza estraneo) , e sebbene non vi sia una "continuità di passaggio" tra i due flussi, la coscienza estranea è una sor­ gente di evidenza fenomenologicamente inda g_abile c osì come lo è la mia coscienza (Hu XIII, 1 89-1 90) . E questa la prima occasione nota in cui Husserl prende seriamente in considerazione la possibilità di una estensione della riduzione fenomenologico-trascendentale alla ifera dell' intersoggettività. Anche limitandosi a scorrere sommariamente i tre grossi volumi husserliani sull'intersoggettività, ci si può facilmente rendere conto di aver di fronte un flusso di riflessione i­ ninterrotto, che p erc orre quasi tutto l' arc o temp orale dell' attività filosofica di Husserl successiva alle Logische Un­ tersuchungen, che innesta sugli stessi argomenti nuove varia-

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zioni significative , che con-cresce in una sorta di osmosi con gli altri temi fondamentali della fenomenologia (ridu­ zione , intenzionalità, egologia, temp oralità, corporeità) . In questo processo di sviluppo , che diventa sempre meno di­ stinguibile dal processo di sviluppo della fenomenologia tra­ scen dentale come tale nella misura in c ui Husserl acquista sempre maggiore c onsap evolezza del carattere filosofi­ co-sistematico dell'intersoggettività, anche una trattazione ampia e ben strutturata c ome la V delle Cartesianische Me­ ditationen ( 1 929) può costituire solo una sintesi provvisoria, una "pausa" che si risolve nuovamente nel divenire della ncerca. Va da sé che un'interpretazione attendibile della dottrina dell'intersoggettività (e, per quanto abbiamo appena detto , della filosofia trascendentale fenomenologica) non p ossa prescindere da una lettura integrata, in cui la ricchissima ri­ flessione inedita fa da contrappunto continuo alle rilevanti, ma pur sempre limitate espressioni "pubbliche " del pen­ siero di Husserl sul tema. Da questo approccio ha tutto da guadagnare la comprensione dell' unità metodologica della fenomenologia husserliana , p oichè gli s critti inediti sull'intersoggettività non ci mo strano propriamente uno Husserl diverso da quello delle Cartesianische Meditationen (la distinzione tra "esoterico" ed "essoterico " non ha qui sen­ so) , ma svolgendo puntualmente un ruolo di integrazione e contestualizzazione del materiale problematico autorizzano alcune importanti rettifiche. In partic olare , un confronto c on Zur Phanomenologie der Intersubjektivitat I, II, III risulta decisivo p er sgombrare il campo dall'altro pregiudizio interpretativo di cui andiamo a discutere , che deriva principalmente da una c oncentrazione unilaterale dell'attenzione del lettore sull'impianto espositi­ vo delle Cartesianische Meditationen. Spesso, infatti, si identi­ fica lo scopo essenziale delle analisi husserliane dedic ate al tema dell' intersoggettività c on la chiarificazione dell' espe­ rienza dell' "estraneo " , o più genericamente c on il supera-

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mento della posizione "solipsistica" come punto di parten­ za di ogni filosofia trascendentale 1 • Nel primo caso, l' area di rilevanza dell'intersoggettività tende a ridursi a quella di una regione antologica qualsiasi di cui la fenomenologia trasc endentale indaga le c ondizioni di possibilità (o, analo­ gamente, le "strutture costitutive") , nel secondo, essa viene strettamente associata alla soluzione di un classico rompica­ po filosofico (il "solipsismo " appunto) . In entrambe le cir­ costanze si so ttolinea p revalen temente il c arattere "settoriale" o , come direbbe Husserl, regionale della feno­ menologia dell'intersoggettività: il problema dell'intersog­ gettività è solo un problema della fenomenologia trascen­ dentale tra i molti possibili, magari importante, non però capace di focalizzare attorno a sé le direttrici principali della ricerca fenomenologica facendole apparire nella loro vera luce. Ora, anche se Husserl ha effettivamemente seguito in diverse occasioni questo tipo di impostazione , e se è inne­ gabile che entro certi limiti l'intersoggettività può c orret­ tamente pres entarsi c ome problema p arziale all' interno dell'universale orizzonte fenomenologico del senso , sarebbe tuttavia errato pensare che qui si esaurisca la tensione ar­ gomentativa della riflessione husserliana. Al contrario, rite­ niamo che all' analisi ed approfondimento della dimensione intersoggettiva Husserl sia stato spinto dalla stessa volontà di realizzazione e concretizzazione radicale del suo program­ ma filosofico-trascendentale . Nel c orso dell'indagine fenomenologica sulla costituzio­ ne dell'oggettività, della realtà, della trascendenza, Husserl è giunto a tematizzare l'intersoggettività non per una circo­ stanza estrinseca, o per puro interesse personale, ma perché le categorie suddette non poss ono per ragioni di principio co­ stituirsi sul terreno egologico-solitario; ciò significa che il 1 C fr . , per e s e mp i o , R. KoZLOWSKI. , Intersubjektivitat, Wiirzburg 1 99 1 , p . 1 5 .

Die Ap orien der

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problema dell'intersoggettività, nelle sue ramificazioni in­ terne, è assolutamente centrale nella filosofia fenomenolo­ gica e ne rappresenta il vertice o il c ompimento . Un com­ pimento che può essere espresso nella maniera seguente : la comunità trascendentale dei soggetti è il terreno sul quale ogni ve­ rità e ogni essere hanno la loro fonte intenzionale più profonda. Che il problema specificamente trasc endentale dell'in­ tersoggettività consista nel c ontributo che essa può e deve offrire ad una teoria della c ostituzione degli oggetti inten­ zionali, è affermato con chiarezza da Husserl sia in Ideen III (Hu V, 1 50) , dove il problema fenomenologic o dell'inter­ soggettività è esplicitamente c onnesso alla possibilità di un mondo oggettivo, sia in un passaggio di Formale und transzen­ dentale Logik: (Hu XXIX, 1 1 8) .

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muovendo da un livello metasoggettivo , che oltrepassereb­ be in qualche modo l' esperienza dell'io singolo , ma deve manifestarsi nell'io stesso che pone il problema trascenden­ tale della pluralità dei soggetti; in altre parole , non si dà una prospettiva "esterna " e non-egologica da cui si possa a­ strattamente contemplare la genesi dell' estraneità, l' origine della distinzione tra me e l'altro : l'io rimane il punto di partenza di tutte le analisi costitutive (Hu VI, 206) . Questa osservazione è di fondamentale imp ortanza e nella fattispecie segna una differenza decisiva tra la fenome­ nologia husserliana ed altre filosofie dell' intersoggettività dell' epoca c ontemporanea: la c ostituzione dell'intersogget­ tività trascendentale non è realizzata da una coscienza collet­ tiva, ultimo residuo della concezione hegeliana dello Spirito assoluto e della sua dissoluzione, bensì da una coscienza sin­ gola, che si apre per così dire "spontaneamente" e in virtù della propria legalità interna alla relazione con altri soggetti. Come abbiamo accennato, le riflessioni husserliane sulla c ostituzione dell'intersoggettività sono state spesso criticate, in diversi modi. Da un lato si è rimproverato a Husserl di non essere mai riuscito a descrivere la specificità della rela­ zione io-tu, la socialità c oncreta. Ma, a nostro avviso, que­ sta critica non colpisce realmente Husserl, perché egli era interessato prima di tutto ad una chiarificazione trascenden­ tale della trascendenza e dell' oggettività c ome fenomeni intenzionali, e non ad un' esposizione dettagliata e per c osì dire " onnilaterale" della c oncreta esperienza interpersonale. Certo Husserl considera l' analisi della ricc a molteplicità delle forme di rapporti sociali e personali come un compito fenomenologicamente rilevante, anzi indispensabile , ma al tempo stesso sottolinea senza esitazioni che questo compito può essere assolto pienamente solo sul terreno della rifles­ sione trascendentale (Hu I, 1 5 7- 1 5 9) . Nelle prossime pagine cercheremo di seguire Husserl su questo punto; in particolare, pur prendendo in esame alcu­ ni tipi fondamentali di Frem derfah ru ng e Fremdbeziehung,

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non potremo soffermarci a lungo sulla fenomenologia della relazione io-tu c ome paradigma degli atti specificamente sociali e c omunicativi, che Husserl tra l' altro include nella sfera dei problemi di ordine superiore. Il nostro obiettivo è più modesto e consiste in una valutazione generale del contributo della teoria husserliana dell'intersoggettività ad una riformulazione del concetto di soggettività trascenden­ tale . Una critica più seria viene mossa a Husserl quando non ci si limita a rimproverargli di fatto il mancato approfondi­ mento della relazione io-tu, ma si ritiene che per ragioni di principio egli non avrebbe potuto fare altrimenti, nella mi­ sura in cui la sua fenomenologia, con il compimento della riduzione trascendentale , viene a precludersi metodologi­ camente la possibilità di un superamento della dimensione manifestativa dell'io individuale . Se infatti l' analisi inten­ zionale-costitutiva ha il c ompito di indagare il senso del mondo per me, c ome potrebbe indagare con gli stessi stru­ menti metodologici il senso del mondo per un altro soggetto? Quale via c onduc e dall 'io all 'altro, dopo aver apparente­ mente rinunciato a p orre, fin dall'inizio , l'io con l' altro , in una socialità originaria? L'autonomia del problema inter­ soggettivo non imp one forse, per ragioni essenziali, una rottura metodo logica dell'orizzonte trascendentale husserliano in cui l"'io" separato e solitario sembra anc ora c ostituire l'istanza fondativa ultima? La domanda ineludibile, c ontinuamente riproposta in sede di interpretazione del pensiero di Husserl, è dunque fino a che punto l'intersoggettività sia pensabile all'interno di un idealismo trascendentale (per quanto la maggioranza dei critici riconosca che questo idealismo si muove spesso lun­ go binari molto diversi da quelli della tradizione speculativa kantiana e postkantiana) , e se l'impostazione egologica della fenomenologia trascendentale non abbia pregiudicato in sens o solipsistico l'intera linea argomentativa. Scrive per e­ sempio Schiitz: « Ci si deve seriamente chiedere se l'io tra-

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sc endentale nel concetto husserliano non sia essenzialmente ciò che i grammatici latini chiamano un "singulare tantum", cioè un termine che non può essere declinato al plurale . I­ noltre , non è stabilito in nessun modo se l'esistenza di altri sia davvero un problema della sfera trasc endentale , vale a dire se tra soggetti trasc ende ntali si po nga il problema dell' intersoggettività [ . . . ] ; o se invece intersoggettività e so­ cialità non appartengano esclusivamente alla sfera mondana del nostro mondo-della-vita » 4. L'alternativa prospettata da Schi.itz è emblematica di un diffuso orientamento ermeneutic o, che individua nel testo husserliano la permanenza di un atteggiamento che in larga misura c omprime o addirittura elimina le possibilità di una trattazione del problema dell' intersoggettività all' altezza dei suoi nodi concettuali più importanti. In altri termini, per Schi.itz, la tensione effettivamente esistente nell' ultimo Husserl tra filosofia trascendentale e antologia della Leben­ swelt va risolta chiaramente a favore di uno dei due p oli, e precisamente di quello antologico-mondano: « L'intersog­ gettività non è un problema della costituzione , risolvibile nella sfera trasc endentale , ma è una datità della Leben­ swelt » 5• Si dovrebbe pertanto seguire Husserl sul terreno delle analisi concrete del mondo-della-vita, ma non sul ter­ reno della soggettività trasc endentale, p roprio p erché quest' ultima, nonostante le buone intenzioni di Husserl, è di per sé unica e "indeclinabile" , cioè incapace di generare iuxta propria prindpia quella distinzione delle persone (io , tu, noi) rivelata non solo da elementari considerazioni gram­ maticali, ma molto più originariamente dalla concreta se­ mantic a del m o n d o i n t eruma n o m c u t t u t t i , "naturalmente" , siamo collocati ed operiamo . Com' è facile comprendere, da questa de-trascendendenta­ lizzazione e naturalizzazione dell' inters o ggettività c he 4 5

A. SCHÙTZ , Collected Papers I, The Hague 1 962, p . 1 67 . A. ScHDTZ , Collected Papers III, The Hague 1 975, p . 1 1 6.

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Schiitz pone come imperativo metodologico alla fenome­ nologia posthusserliana deriva sì un' attenzione più marc ata verso i fenomeni concreti della c omunicazione , del lin­ guaggio, dell' etica, delle relazioni sociali, ma è anche vero che la rinuncia preventiva ad ogni forma di riflessione tra­ scendentale sui dati dell ' esperienza naturale rischia di la­ sciare privo di un' elab orazione rigorosa e sistematica il nesso strutturale che sussiste tra soggettività, intersoggettività e oggettività, e ciò è precisamente quanto accade in Schiitz (ed anche , da prospettive diverse, in Merleau-Ponty e in Hei­ degger) . Tra l' altro , c ome cerc heremo di mostrare attra­ verso un c onfronto puntuale con i testi più significativi in proposito , Husserl sembra condividere l'assunto antologi­ c o , comune a molti fenomenologi, secondo il quale l'io si costituisce originariamente nell 'intersoggettività, ma proprio il ri­ conoscimento della c entralità di questo assunto ai fini di u­ na corretta valutazione della filosofia fenomenologica lo in­ duce a darne una fondazione trasc endentale, a produrne un'interrogazione .filoscifìca radicale che si avvale spesso di proce­ dure astrattive ("riduzioni") , e che ai " dati concreti" dell'in­ tersoggettività risale attraverso c ontinui approfondimenti che illuminano sempre nuovi aspetti del problema. Ci pare quindi che il percorso husserliano possieda un'interna coe­ renza, e che le stesse incertezze , oscillazioni e ripensamenti che lo caratterizzano intimamente stiano a testimoniare una chiara perc ezione della c omplessità del quadro analitic o di riferimento . Quando Husserl nelle sue analisi della Fremdeifahrung i­ dentific a l'alter ego con il p olo noematico di una costituzione di senso che funzionalmente si dispiega nell'intenzionalità della mia coscienza trasc endentale, si deve sempre tener presente che l'io estraneo si distingue radicalmente da tutti gli altri oggetti intenzionali della mia coscienza, in quanto esso è per definizione un soggetto costituente. L'alter ego non è un puro cogitatum, ma un cogitatum cogitans (Hu XIII, 463-464) , e tale resta anche dopo l' esercizio dell' epoché u-

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niversale. Si tratta di una soggettività che nel suo originario essere-per-sé non può esaurirsi n el suo p ossibile es se­ re-per-me, neppure se il mio "io" in questione è una sog­ gettività trascendentale ridotta, un io puro . A ben vedere, la "sospensione" della realtà antologico-naturale dell'alter ego e, successivamente , la "riduzione primordiale" ad una sfera di vissuti in cui si fa astrazione da ogni signific ato in­ tersoggettivo loro competente, non sono dettate dalla pre­ sunta volontà di irretire l'alter nel perimetro dell' ego , piut­ tosto occorre comprendere la dinamica dell'intreccio tra soggettività e intersoggettività nelle sue implicazioni filoso­ fiche più generali. Husserl affronta chiaramente in questi termini il problema della costituzione di un alter ego, e seb­ bene egli non fosse partic olarmente interessato al tema dell'alterità come tale (ma solo in connessione con il tenta­ tivo di rendere pienamente intelligibili le categorie feno­ menologiche dell' oggettività, della trasc endenza e della re­ altà) , non si può negare che la regione di senso posta sotto il titolo di "c oscienza estranea " (Fremdbewusstsein) rappre­ senti una provocazione teorica del tutto pec uliare per la fe­ nomenologia trasc endentale e che Husserl si imbatta fre­ quentemente in situazioni aporetiche . Riannodando il filo di queste c onsiderazioni, p ossiamo parlare di due problem i fondamentali che ritornano costante­ mente nella fenomenologia husserliana della Fremdeifahrung, generando una tensione cui Husserl attribuisce in modo e­ splicito un carattere paradossale . In primo luogo , devo po­ ter avere un' esp erienza dell' altro come altro, c ome un' altra soggettività a me irriducibile; ma c ome è possibile questa esperienza radicale dell'alterità in una prospettiva "ideali­ stica", come quella di Husserl, sec ondo la quale ogni espe­ rito è un correlato intenzionale di validità della mia co­ scienza trascendentale? In secondo luogo , la mia conoscen­ za dell' altro deve poter essere un'autentica esperienza e non una mera deduzione o un "postulato" ; ma chi mi garanti­ sc e che l'altro sia afferrabile fenomenologicamente? L' estra-

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neità e trascendenza del suo essere non pongono un limite insuperabile alle p ossibilità della "visione " , del riempi­ mento intuitivo? Sembrerebbe allora che l'aporia dell' altro vada innanzi­ tutto riconosciuta come tale, nel punto cieco della perce­ zione e della rappresentazione, e muovendo da questa consapevolezza occorrerà poi trovare lo spazio per una po­ sitiva comprensione dell'estraneità. La premessa (non, come si potrebbe pensare , l'esito) della fenomenologia husserliana della Fremdeifahrung è che l'altro , per definizione, rimane i­ naccessibile alla mia attività percettiva immediata : « Se il caso fosse questo, se cioè il proprio essenziale dell' altro (das Eigenwesentliche des Anderen) si p otesse attingere in maniera immediata e diretta , egli allora non sarebbe che un mo­ mento della mia propria essenza (bloss Moment meines Ei­ genwesen) e in conclusione egli stesso e io saremmo un' uni­ ca cosa » (Hu I, 1 39; MC, 1 29) . Da quest'ultimo passaggio già emerge con tutta chiarezza che H usserl non nega la trasc endenza dell' altro ; la sua esigenza è semmai quella di coniugare l'alterità con una forma di "esperienza" capace di rispettarne il profilo . Nelle sue discussioni generali sul problema del metodo, Husserl ha spesso sostenuto la tesi che l' autoriflessione del filosofo cominciante debba svolgersi all'interno di un atteg­ giamento solipsistico. Poiché la mia esperienza di altri sog­ getti, come tutte le forme di esperienza che costituiscono l'ambito di pertinenza dell' analisi fenomenologica, deve essere interrogata criticamente nelle sue c ondizioni di p os­ sibilità e strutture di senso , l'esistenza degli altri non può essere presupposta ingenuamente c ome un "fatto " ; da que­ sta considerazione scaturisce per Husserl la necessità di c o­ struire un' egologia s istem atica o , equivalentemente, una "fenomenologia solipsistica" : « Una fen omenologia tra­ scendentale può dunque, a quanto pare, essere possibile solo come egologia trascendentale. C ome fenomenologo io sono necessariamente solipsista (als Phanomenologe bin ich notwen-

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dig Solipsist) , anche se non in quel senso comune e risibile (liicherlich) che ha le sue radici nell'atteggiamento naturale ; tuttavia lo sono proprio in senso trascendentale » (Hu VIII, 1 7 4) . Ciò sembrerebbe gettare un' ombra sulla p ossibilità stessa di una fenomenologia dell'intersoggettività, ma Husserl ha sempre di nuovo s ottolineato c he la portata effe ttiva dell' esp erienza fenomenologic o-trascendentale non si li­ mita al mio io puro, ma include p otenzialmente o attual­ mente una comunità di soggetti che si manifesta nel mio io puro attraverso l'esperienza (reale) dell' estraneità, e per tale ragione è p ossibile una filosofia trascendentale strutturata intersoggettivamente . In un passaggio cruciale delle Carte­ sianische Meditationen, Husserl offre proprio questa chiave di lettura: « La riduzione all'io trascendentale contiene solo la parvenza di una scienza che resti solipsistica, mentre la sua c onseguente esecuzione , sec ondo il suo senso proprio , c onduce a una fenomenologia dell'intersoggettività tra­ scendentale , attraverso la quale sviluppandosi, porta infine alla .filoscifta trascendentale in generale. In effetti, si mostrerà che il solipsismo trascendentale è solo uno stadio inferiore e c ome tale deve essere rettamente concepito e delimitato in una considerazione metodologica, per p oter mettere in o­ pera la problematica dell'intersoggettività trascendentale , darle un fondamento e portarla a uno stadio superiore » (Hu I , 69 ; M C , 62) 6 • A lla .filoscifta trascendentale in generale: ciò significa che l'introduzione della dimensione intersog­ gettiva non rappresenta un ampliamento estrinse c o della sfera della soggettività trascendentale , ma esprime una dire­ zione immanente e inevitabile del suo sviluppo. Riprenderemo nelle prossime pagine la questione del rapporto tra fenomenologia egologica e fenomenologia in­ tersoggettiva, anche p e r c ontribuire alla dis cussione sull'intimo nesso che esiste in Husserl tra il punto di par6

Il corsivo è nostro .

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tenza solipsistico (o "primordiale ") e il c oncreto approdo c omunitario della sua filos ofia trasc endentale . Siamo dell'avviso che le ric ognizioni husserliane sul tema dell'in­ tersoggettività costituente abbiano un valore filosofico indi­ pendente e dunque non debbano necessariamente situarsi sullo sfondo delle analisi dell'intersoggettività costituita, an­ che se in Husserl quest'ultimo aspetto figura spesso al pri­ mo posto nella gerarchia fondativa; tra l'altro, ci sembra che in alcuni inediti sul problema dell'intersoggettività Husserl sia pervenuto ad una revisione di questa gerarchia, o almeno abbia posto le basi per una chiarificazione più ar­ ticolata e convincente degli elementi in gioco . Seguendo le stesse indicazioni di Husserl, dobbiamo di­ stinguere molteplici forme di "intersoggettività" , una delle quali è afferrabile, paradossalmente , già prima di ogni fat­ tuale esperienza di altri uomini e si trova a fondamento di essa come c ondizione trasc endentale di intelligibilità; in al­ tre parole , le analisi husserliane della Fremdeifahrung, che oltrepassano l'esperienza puramente percettiva del corpo fi­ sico dell'alter ego cogliendovi il nucleo espressivo di una vita personale e spirituale , si muovono già all'interno di una dimensione intersoggettiva, per cui il raggio d'azione della cosiddetta "riduzione primordiale" andrebbe attentamente riconsiderato . Ciò non pone comunque in discussione , dal punto di vista del metodo , il "primato " dell'io puro , del mio io puro , come orizzonte di ogni possibile incontro con l'alterità, purchè questo primato sia compreso nel suo vero significato . C ome Husserl rileva in una pagina di Formale und transzendentale Logik, l"'io sono" è unicamente il punto di partenza fattuale inaggirabile dell' analitica fenomenologica: « lo esisto come primo e prima di ogni cosa pensabile . Questo "io sono" è per me, per me c he dico questo , e lo dic o in piena c omprensione, la base primaria intenzionale per il mio mondo (der intentionale U rgrund ft.ir me in e W elt) : dove io non posso trascurare il fatto che anche il mondo " oggettivo" , il "mondo per noi tutti" quale vale per me in

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questo senso , è il mio mondo . [ ... ] Questo è il dato di fatto primario che io debbo affrontare, e dal quale io , in quanto filo­ sofo, non posso mai distogliere lo sguardo (es ist die Urta­ tsache, der ich standhalten muss, von der ich als Ph ilosoph keinen A ugenblick wegsehen dm:/). Per filosofi apprendisti questo può essere l'angolo oscuro in cui si agitano gli spet­ tri del solipsismo o anche dello psicologismo e del relati­ vismo. Il vero filosofo però, anziché !asciarsene impaurire, preferirà gettare luce su questo angolo buio » (Hu XVI I , 243-244; LFT, 293) .

2. Mondo oggettivo e riduzione primordiale

Il compito della fenomenologia husserliana consiste es­ senzialmente nella chiarificazione strutturale e sistematica del senso d' essere del mondo, attraverso un' analisi approfon­ dita delle operazioni intenzionali-costitutive della soggetti­ vità trascendentale . All'interno dell'atteggiamento naturale il mondo è inteso come realtà comune a tutti i soggetti; è in­ fatti una ovvietà dell' esperienza il fatto che io e l' altro per­ cepiamo le stesse c ose (Hu IX, 389) . Il mondo è immedia­ tamente esperito come uno e identico, sebbene esso si ma­ nifesti a ciascun soggetto da una prospettiva partic olare : « Tutto ciò che vale p er me , vale anche, a quanto ne so, per tutti gli altri uomini, che mi sono alla mano nel mio mondo circostante. Sperimentandoli come uomini, li com­ prendo e li acc etto c ome "io ", quale io sono, e riferentisi ciascuno al suo mondo circostante naturale : in maniera tale però che conc episco il loro e il mio mondo circostante c ome un solo e medesimo mondo oggettivo , che si diver­ sifica soltanto nel modo con cui giunge alla c oscienza di ciascuno di noi. [ . . . ] Con tutto questo, noi ci intendiamo con i nostri simili e poniamo insieme una realtà oggettiva spazio-temporale , quale nostro comune mondo esistente, a cui

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noi stessi apparteniamo >> (Hu III, 61-62; Idee, 6 1 ) . Al suo senso autentico , in quanto mondo oggettivo , ap­ partiene la forma categoriale dell'essere-per-tutti, della ve­ rità-per-tutti. In altre p arole , la verità del mondo non è limitata alle rappresentazioni di un io singolo , si c ostituisce in un nesso di verifica intersoggettiva e dunque presuppone la possibilità della comunicazione reciproca. Ciò vale non solo sul terreno della ragione teoretica, che fissa stabilmente in asserzioni scientifiche il flusso delle perc ezioni, ma già nella pura dimensione antepredicativa si può cogliere un ri­ mando all'intersoggettività (Hu XIV, 2 89) . Ora, anche se Husserl ha occ asionalmente ammesso la possibilità di una riduzione fenomenologica che muovendo dal mondo co­ mune ac ceda direttamente all'intersoggettività trascenden­ tale (quasi in una proiezione immediata dall' ego cogito al nos cogitamus) 7, è imp ortante rilevare che il senso di validità intersoggettiva che p ervade la Welteifahrung naturale può 7 Questa è, almeno parzialmente, l'ottica assunta da Husserl nelle le­ zioni del 1 9 1 Q-1 1 su Grundprobleme der Phiinomenologie, in cui il passag­ gio dalla s oggettività trascendentale all'intersoggettività si configura in modo "naturale " (sulla base della sola riduzione fenomenologica gene­ rale e senza ricorrere ad una successiva "riduzione primordiale") come estensione metodologicamente richiesta dalla problematica degli oggetti intenzionali, che c ome tali presupp ongono sistemi soggettivi e intersog­ gettivi di manifestazioni. Questo approccio, che si ritrova anche in Kri­ sis, ha il vantaggio non indifferente di prescindere quasi completamente dall'ardua questione del "solipsismo " (che nello stesso Husserl non è priva di ambiguità) , presentando l'apertura intersoggettiva più come un fatto fenomenologico da sottoporre ad analisi diretta che come un pro­ blema trascendentale che suscita imbarazzo e difficoltà al filosofo . Ciò non significa p erò che l' altra via, per c erti aspetti più cartesiana, quella della riduzione primordiale, sia priva di interesse o prop onga solo un'inutile complicazione (come talvolta si è ritenuto) ; il riferimento alla "primordialità" , come subito vedremo , appare invece utile per indivi­ duare i differenti livelli entro cui si articola il binomio trascenden­ za-immanenza nella filosofia fenomenologica (sebbene non si possa ne­ gare che Husserl abbia in alcune occasioni sovradeterminato il ruolo fondante della "sfera primordiale" per l'intersoggettività) .

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essere c onservato , nel passaggio all' atteggiamento trascen­ dentale, soltanto c ome fenomeno, come correlato di una c oscienza assoluta. Per qu esta ragione Husserl ha intro dotto , come seg­ mento metodologico aggiuntivo , una riduzione primordiale (primordiale Reduktion) , cioè al fine di sospendere l'ingenua validità intersoggettiva che siamo soliti attribuire al mondo empirico . Quest'ultima non viene negata, ma si cerca solo di sottrarla ad un a prec omprensione ingenua e anonima, all' opacità naturale che la caratterizza inizialmente e che ne rende impossibile un'analisi filosoficamente rilevante. L' esperienza del mondo c ome essente-p er-tutti e degli altri come soggetti di questo mondo è un' esperienza di tra­ scendenza rispetto alla mia prospettiva singolare di approc­ cio. Scrive infatti Husserl nelle Cartesianische Meditationen: « In ogni caso io esperisco in me, entro il mio vivere co­ scienziale trascendentalmente ridotto , il mondo insieme a­ gli altri; il senso di questa esperienza implica che gli altri non siano quasi mie formazioni sintetiche private, ma co­ stituiscano un mondo in quanto a me estraneo , come inter­ soggettivo, un mondo che c ' è per tutti e i cui oggetti s ono disponibili a tutti. Tuttavia ognuno ha le sue esperienze , le sue manifestazioni e unità di manifestazione , il suo feno­ meno mondano , mentre il mondo esperito in sé è di c on­ tro a ogni soggetto che ha esp erienza e ai suoi fenomeni mondani » (Hu I, 123; MC, 1 1 5) . Una chiarificazione adeguata di questo essere-in-sé del mondo, che naturalmente non ha alcun significato metafisi­ c a , si può ottenere solo sulla base di un'analisi della Frem­ derfahrung, ma per Husserl una forma di "essere-in-sé" de­ gli oggetti del mondo si manifesta anche all' interno dell' esperienza di un soggetto solitario , e dunque è neces­ sario tematizzare la differenza fondamentale tra una tra­ scendenza primordiale, soggettiva o immanente, e una tra­ scendenza vera e propria, che si rivela nella relazione c on un alter ego (Hu XIV, 8) .

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Prima di iniziare l'analisi di questa differenza, vale la pe­ na di soffermarsi brevemente sul paragrafo 44 delle Carte­ sianische Mediatationen (Hu I, 124-sgg.) . In tale contesto , Husserl parla di un' epoché peculiare il cui scopo è quello di individuare una sfera di proprietà o sfera appartentiva (Eigen­ heitssphiire) , nella quale l' esp erienza di altri soggetti non gioca più alcun ruolo , e chiama riduzione primordiale la pro­ cedura metodologica correlata. Spesso la riduzione primordiale viene presentata c ome una versione radicalizzata della riduzione fenomenologi­ co-trascendentale , ma ciò potrebbe risultare fuorviante ; essa presuppone certamente la sospensione della tesi natu­ rale e l'apertura della dimensione trascendentale degli Er­ lebnisse, e sotto questo asp etto si può forse parlare di "riduzione nella riduzione " o "riduzione alla seconda p o­ tenza" 8, tuttavia ci semb ra più c o rretto , e più fedele al dettato husserliano , definire la riduzione primordiale un'a­ strazione. Si tratta propriamente di una limitazione tematica, ad un determinat o settore della sfera fenomenologi­ co-trascendentale già resa acc essibile dall' epoché universale . In questo modo si comprende perché Husserl afferma che lo stesso tentativo di isolare uno strato della vita dell'io in cui è assente ogni riferimento ad altri soggetti presuppone l' esistenza degli altri c ome dato elementare d' esperienza (H u XIV, 387) ; infatti, la sfera appartentiva non ha una priorità temporale nei confronti della sfera dell' estraneità, ma svolge soltanto la funzione di fondamento esplicativo per i gradi fenomenologicamente più complessi. Il risultato o "residuo " della riduzione primordiale è una sorta di solitudine radicale del soggetto 9: « Noi escludiamo 8 Per queste defmizioni, cfr. A. RIGOBELLO, Verità, verificazione, co­ m unicazione interpersonale. "Rilettura " della V Meditazione cartesiana di Edmund Husserl, in: AA.VV . , Studi di filosofia in onore di Gustavo Bontadi­ ni, Milano 1 975, vol. II, pp . 2 87-304. 9 In realtà, il concetto di "primordialità" o " sfera primordiale" è caratterizzato da un' ambiguità di fondo nei testi husserliani e nelle

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innanzitutto dal campo tematico tutto ciò che ora è dubi­ tabile , cioè noi facciamo astrazione da tutti i prodotti costitutivi dell'intenzionalità riferita mediatamente o immediatamente alla soggettività estranea e delimitiamo dapprima l' intero contesto di quell' intenzionalità, attuale o potenziale, in cui l' ego si costituisce nel suo essere proprio e costituisce le unità sin­ tetiche da essa inseparabili e per ciò stesso attribuite alla sua proprietà » (Hu I, 1 24 ; MC, 1 1 6) . Nella sfera trasc endentale dell' ego si delinea quindi uno strato unitario e coerente che prende il nome di natura ap­ partentiva (eigenheitlich e Natur) e che si distingue nettamente dalla "natura" intesa in senso stretto ; quest' ultima p ossiede infatti un senso oggettivo che rimanda alla possibile presenza di persone umane. A ben vedere, la stessa sfera appartentiva stesse Cartesianische Meditationen, e non sempre chiara appare la sua rela­ zione con il problema del "solipsismo" (anche inteso, quest'ultimo, nel significato metodolo gico proprio della fenomenologia trascendentale) . Mentre infatti Husserl afferma (ad esempio nel passaggio delle Medita­ tionen da noi citato) che per ottenere la sfera primordiale o appartentiva occorre mettere fuori gioco tutti i vissuti riferiti ai soggetti estranei (e in questo caso il senso originario della primordialità sarebbe in ultima istanza quello solipsistico) , in altri testi egli sembra invec e distinguere nettamente tra " riduzione solipsistica" e "riduzione primordiale" ; la sfera primordiale conterrebbe al suo interno tutti i vissuti miei, l'intero contesto della mia esperienza originale, quindi anche le Eitifuhlungen, le mie esp erienze di soggetti estranei, sebbene non vi siano inclusi i cor­ relati intenzionali di queste esp erienze, cioè gli altri stessi, che riman­ gono come tali trascendenti (Hu XV, 5 1 ) . L' " ambiguità" (Doppeldeuti­ gkeit) è peraltro ben nota a Husserl, che in un testo del 1 934 rileva co­ me essa sia in qualche misura inevitabile perché fondata su ragioni es­ senziali: « Nel senso metodico originario [la primordialità] ] significa l' astrazione che io, l' ego dell'atteggiamento riduttivo, compio c ome fe­ nomenologo , tagliando fuori astrattivamente tutte le Einfuhlungen. Se poi dico " ego primordiale" , allora assume il significato della monade in modalità originaria (urmodale Monade) , in cui è c ompresa l'Einfohlung in modalità originaria » (Hu XV, 635) . Fa p erò notare Iso Kern che « in effetti, per il punto di partenza dell' analisi husserliana dell' esperienza dell ' altro il concetto solipsistico svolge il ruolo dominante �> (R. BERNET , I. KERN, E . MARBACH, Edmund Husserl, cit. , p . 206) .

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del soggetto non è semplice e indifferenziata; ad essa rima­ ne c onnesso il campo percettivo dell' esperienza sensibile e , soprattutto, il corpo proprio. Scrive Husserl: « Tra i corpi di questa natura colti in modo appartentivo io trovo poi il mio corpo nella sua pec uliarità unica, cioè come l'unico a non essere mero corpo fisico (Korper) , ma proprio corpo organi­ co ( Leib) , oggetto unico entro il mio strato astrattivo del mondo. [ . . . ] Questo corpo è la sola e unica cosa in cui di­ rettamente governo e impero, dominando singolarmente in ciascuno dei suoi organi » (Hu I , 1 28 ; MC, 1 1 9) . In altri termini, il corpo organico è l'autentico elemento di singo­ larizzazione, nella sfera primordiale dell' esperienza fenome­ nologic a niente mi appartiene più del mio corpo; soltanto per mezzo del corpo il soggetto trascendentale è in c ostante rapporto operativo con il mondo esterno (Hu I, 1 2 8-1 29) . C ome vedremo , il mio c orp o funge sempre in qualche modo da "ponte" per la comprensione analogica della sog­ gettività estranea. Questa riduzi one primordiale c onduce non solo ad un'articolazione teoretica della sfera appartentiva del sog­ getto, ma offre indirettamente il terreno per una discussio­ ne più proficua dell'intersoggettività, poiché consente di e­ nucleare i rapporti fondativi tra c ostituzione soggettiva e c o­ stituzione intersoggettiva nella fenomenologia trascendentale. In tale ottica, è estremamente significativo quanto Husserl afferma in un testo degli anni ' 30, in cui si riflette la pro­ blematic a delle Cartesianische Meditationen: « Resta da ve­ dere fin dove arriva la costituzione d' essere della primor­ dialità, che devo porre in luc e astrattivamente, anche se naturalmente so bene, e me ne sono convinto ampiamente nella riflessione, che il senso d'essere della natura estesa non si costruisce in modo puramente primordiale e che gli altri per così dire collaborano sempre con me - in quanto sono da me esperiti ed esperibili come altri. Ma io voglio capire come è costituita la validità d' essere del senso di "altri" nei suoi fondamenti e fino a che punto la validità ed unità di

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validità primordiale (primordiale Geltung und Geltungseinheit) è fondante per la possibilità della percezione degli altri » (XV, 270-27 1 ) . Quando Husserl parla di "fondamenti di validità" , si riferisce ad alcuni elementi essenziali della sua teoria dell'intenzionalità. Come abbiamo rilevato prima, in una prospettiva fenomenologic o-trascendentale non è p os­ sibile presupporre un alter ego e una pluralità di soggetti c ome semplici fatti empirici, nella filosofia trascendentale ogni "fatto" si traduc e in un problema "giuridic o " e "genetico" di fondazione ; occorre cioè stabilire in che modo, attraverso quali operazioni conoscitive, quali strutture della vita esperiente , un io estraneo è dato c ome unità di senso nei vissuti della mia c oscienza trascendentale (Hu I , 1 22) . Husserl ha sempre mostrato un grande interesse per la de­ terminazione rigorosa di una gerarchia fondativa tra le di­ verse tip ologie di atti, accordando il primato alla percezione come coscienza originale. Il primato fenomenologico della p erc ezione consiste nella capacità di esibire l' oggetto nella sua presenza origi­ nale o, c ome anche dice Husserl, "in carne ed ossa" (lei­ bhafi). La percezione è, anche etimologicamente (percipere, wahrnehmen) , una presa diretta dell ' oggetto : « L' evidenza della verificazione in cui può essere dato un oggetto e si ri­ vela c ome realtà esistente può essere un' evidenza imme­ diata o mediata. L' evidenza della percezione è immediata (unmittelbar ist die Evidenz der Wahrnehmung) » (Hu V I I I , 1 8 6) . Invece l a coscienza di immagine (Bildbewusstsein) e la presentifìcazione ( Vergegenwiirtigung) , nel loro statuto di atti intenzionali, sono caratterizzate da una certa mediatezza e rinviano nec essariamente a forme di c oscienza originale ; ad esempio , un ric ordo non è solo coscienza del passato, ma più propriamente è c oscienza di una percezione passata e possiede quindi, c ome modo di c oscienza derivato, un in­ trinseco riferimento funzionale alla modalità originaria del percepire . Ogni presentificazione è, come tale, modifica­ zione di un' originaria presentazione ( Gegenwiirtigung) e non è

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possibile senza una percezione precedente (Hu XIII, 337) . Queste c onsiderazioni sulla struttura intenzionale degli atti valgono anche per il rapp orto tra autoesp erienza dell' ego ed esperienza dell'estraneità, poiché per Husserl il soggetto esperisc e se stesso originalmente e l'alter ego solo indirettamente , attraverso il medium dell' empatia: « Io p osso esperire me stesso " direttamente " , ma p er principio non p osso esperire la forma intersoggettiva della mia realtà [ . . . ] . Io p osso esperire gli altri, ma soltanto attraverso l'emp atia (Einfuhlung); il loro proprio c ontenuto , soltanto loro posso­ no esperirlo, attraverso la perc ezione originaria ( Unvahrne­ hmung). Allo stesso modo : i miei Erlebnisse mi sono dati direttamente, gli Erlebnisse nel loro contenuto intrinsec o . M a gli Erlebnisse degli altri, i o posso esperidi soltanto me­ diatamente, attraverso l'empatia » (Hu IV, 200; Idee, 595) . L' empatia (Einfuhlung) 1 0 , come approccio fenomenologi10 Il termine Einfuhlung, che Husserl assume probabilmente da The­ odor Lipps , è tradotto di norma con " empatia", e nel vocabolario fe­ nomenologico indica quell' atto intenzionale attraverso il quale l'io si apre alla vita soggettiva dell'altro e lo coglie appunto come alter, nelle varie modalità in cui ciò è p ossibile. È chiaro che Husserl è interessato soprattutto alla valenza gnoseologica di questo atto, anche se riconosce ovviamente la possibilità un'analisi puramente psicologica dell'Einfuhlung. Occorre inoltre notare che il problema dell' Einfii h lung in Husserl non riguarda genericamente la dimensione del comprendere ( Verstehen) come ambito metodologico delle scienze dello spirito - ad es empio nell'interpretazione di un testo del passato, o nel tentativo di ricostruire il significato originario di determinati prodotti culturali - ma, in ma­ niera conforme all'orientamento di una f:ùosofìa che comincia da ciò che è a noi più vicin o , riguarda innanzitutto le forme più elementari dell'esperienza dell'estraneità; come vedremo meglio in seguito , la Einfuhlung è strettamente c onnessa con la corporeità dei soggetti e in prima istanza la sua operazione intenzionale ci rivela l'altro come essere incarnato . Per avere un quadro sufficientemente articolato della teoria dell' empatia è ancora molto utile la dissertazione di Edith Stein del 1 9 1 7, con la supervisione di Husserl (E . STEI N, Zum Problem der Einfu­ hlung, Halle 1 9 1 7) . Per altri rife rimenti, c fr. A . DIEMER, Edmund Husserl, Meisenheim am Glan 1 965, pp. 2 84-294; M. THEUNISSEN, Der Andere, Berlin 1 965.

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c o-trascendentale all' alterità, appartiene alla classe delle presentificazioni intuitive e per principio non può mai tra­ sformarsi in esp erienza originale degli Erlebnisse altrui; in caso contrario, io e l'altro saremmo un'unica c osa, mi sa­ rebb e cioè preclusa la p ossibilità di c omprendere l' altro c ome " estraneo " ifremJ). Il senso della "soggettività" mi è dato originariamente nell' autoesperienza dell'io p uro , nel fluss o dei vissuti in quanto vissuti miei, e questo senso viene trasferito appercettivamente all' altro uomo nell'operazione costitutiva dell' empatia: « D ev'esserci qui una certa inten­ zionalità indiretta che proceda a partire dallo strato inferiore del mondo primordiale posto sempre a fondamento ; è questa mediazione che rende rappresentabile il momento della presenza secondaria (Mit-da) , la quale non è ancora la presen­ za stessa né può mai diventare presenza primaria (Selbst-da) . S i tratta qui dunque di una specie d' atto di rende­ re-compresente, di una specie di appresentazione » (Hu I, 1 39; MC, 1 29) . Il fondamento motivante per la costituzione dell' alterità deve trovarsi all'interno della sfera dell' esperienza originale o "primordiale" ; ma, in questo modo , non viene forse in luce il carattere aporetico dell'impostazione husserliana, nel suo tentativo di costituire il senso dell'alter ego muovendo dai vissuti di un soggetto solipsistico? Oppure qui Husserl descrive s emplic emente il p unto di p artenza c riti­ c o-trascendentale di un'indagine che non vuole assumere l'intersoggettività c ome un fatto ingiustificabile? Una ri­ sposta plausibile a questi interrogativi dovrà naturalmente tenere c onto della ricchezza e complessità delle analisi hus­ serliane sul tema.

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3. Immanenza e trascendenza tra soggettività e in­ tersoggettività

Nel paragrafo precedente abbiamo accennato a diverse forme di trascendenza che si manifestano nel campo feno­ menologic o , tra le quali per Husserl si deve annoverare la trascendenza primordiale c ome livello originario e fondante ; per approfondire questo aspetto, è necessario richiamare al­ cuni elementi di base della teoria husserliana dell'intenziona­ lità, in cui il problema della ' trascendenza' è affrontato nei suoi termini più generali. In particolare, già nella seconda edizione delle Logische Untersuchungen, la questione dell'identità oggettuale c ondu­ ce al ric ono scimento della trascendenza dell' ogge tto ri­ sp etto ai singoli atti intenzionali che di volta in volta lo prendono di mira. Se una teoria dell' intenzionalità deve a­ nalizzare a fondo la relazione strutturale che interc orre tra atto e oggetto , Husserl, a differenza di Brentano, ritiene che l'oggetto intenzionale non sia realmente (reelD imma­ nente nell'atto , come una sua p orzione o momento (Hu XIX/ 1 , 385) . Ad esempio, due diverse perc ezioni di un cubo non equivalgono a due cubi, e l'indipendenza gnose­ ologica dell'identità dell' ogg etto dall'identità dell' atto è defi­ nibile formalmente come immanenza irreale o ideale del pri­ mo nel secondo : « C ertamente, c ome prima l'identità dell' oggetto di presunzione [l' oggetto intenzionale] preso come tale e in generale, così anche ora l'identità dell' ogget­ to che esiste veramente e quindi ancora l'identità dell' ade­ guazione tra quell' oggetto presunto come tale e questo che esiste veramente , non costituisc e un momento reale del fluss o degli Erlebnisse di evidenza e di c onferma . Si tratta piuttosto di una immanenza ideale (ideale Immanenz) che ci rimanda a ulteriori ed essenziali c onnessioni di sintesi possi­ bili » (Hu I, 95; MC, 87) . A ben vedere, l' oggetto empirico non si dissolve nelle percezioni puntuali che posso averne , esso può sempre essere identificato in nuovi atti cognitivi e,

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sotto questo profilo , si deve giustamente parlare di una sua esistenza in sé o "trascendenza " . Se l a trasc endenza dell' oggetto implic a l a s u a indip en­ denza dai singoli atti, si comprende perché nelle Analysen zur passiven Synthesen Husserl possa affermare senza esita­ zioni che l'autentica fonte dell' in sé degli oggetti sia la ri­ memorazione ( Wiedererinnerung) (Hu XI, 1 1 0- 1 1 1 ) . Di fatto , la trascendenza dell' oggetto è costituita nel momento in cui si constata la sua identità ritornante in una serie di percezioni; l' identijìcazione è qui il c orrelato noetic o dell' identità og­ gettuale . Senza l ' operazione costitutiva della Wiedererinne­ rung, che Husserl con un' espressione kantiana chiama "sin­ tesi della ricognizione" e che consente di fissare l'identità di un senso nella scansione di un molteplice percettivo, non ci sarebbe p er noi alcun essere stabile e permanente, alcun "oggetto" vero e propri o : « L' unità c he si costituisce esclu­ sivamente nella percezione , nella pura passività, prima di o­ gni rimemorazione e riconoscimento attivo (vor aller Wie­ dererinnerung und aller aktiven Erkenntnis) , non è anc ora un " oggetto " . " Oggetto" [in senso stretto] è correlato della conoscenza, la quale c onoscenza si trova originariamente nell'identificazione sintetica (urspriinglich in synthetischer I­ dentifìzierung) , che presuppone la rimemorazione » (Hu XI , 327) . Da ciò si può anche ricavare che la sintesi trascen­ dentale della coscienza interna del tempo è la condizione for­ male universale di ogni costituzione (sia soggettiva che inter­ soggettiva) dell' unità e identità degli oggetti dell' esperienza (Hu XI, 1 2 5) . È tuttavia evidente che questa trascendenza, resa possi­ bile dalla coscienza del tempo, non è ancora sufficiente af­ finchè si possa parlare fondatamente di "oggettività" ( Obje­ ktivitiit) , la q u a l e è p m d e l s e mp l i c e av e r­ di-fronte-qualcosa ( Gegenstiindlichkeit) e poterlo sempre di nuovo identificare . Infatti, anche eventi di pura fantasia o illusioni, che di norma designiamo c ome meramente sog­ gettivi, possono essere fissati stabilmente nel ricordo . Que-

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sta p ossibilità di identificazione attesta certamente la loro trascendenza, nel senso prima chiarito , ma non la loro og­ gettività; l' esperienza trasc endente di cui si tratta qui merita solo parzialmente il suo nome, essa è una trascendenza pu­ ramente soggettiva. L'oggetto è costituito come unità intenzionale, punto di confluenza di percezioni reali e possibili, ma queste perce­ zioni sono finora soltanto mie . Anche se la trascendenza soggettiva o primordiale non è una parte reale dell' Erlebnis (come unità intenzionale p ossiede, come abbiamo visto, u­ na peculiare "idealità") , essa non conduce in modo radicale oltre me stesso (Hu XIV, 8) . Detto altrimenti, l' oggetto è sì trascendente , ma solo rispetto al mio vissuto perc ettivo at­ tuale, non rispetto ai miei vissuti perc ettivi possibili. Ciò si­ gnifica che non abbiamo anc ora abb andonato la sfera pri­ mordiale , all'interno della quale gli oggetti non sono altro che c orrelati intenzionali dei miei atti reali o possibili (Hu VIII, 1 80) . La riduzione primordiale porta allo scoperto la dimensione fenomenologica della mia esperienza originale; tutto ciò che si costituisce originalmente nella mia soggetti­ vità è un essere immanente, anche se non in senso " reale" . In proposito , Husserl utilizza spesso il termine leibniziano di monade: « Dall' io c ome polo identico e come sostrato delle abitualità noi distinguiamo l'ego preso nella sua piena concrete zza (che noi c o n p arola leibniziana vogliamo chiamare monade) , in quanto aggiungiamo al primo io ciò senza di cui l'io non potrebbe essere concreto . E questo può accadere solo entro il flusso multiforme della sua vita intenzionale e degli oggetti che vi si c ostituiscono per esso come intenzionati ed eventualmente c ome oggetti esisten­ ti » (Hu I , 1 02; MC, 93) . Mentre la trasc endenza dell' oggetto intenzionale è , se­ condo Husserl, indipendente dalla Fremderfahrung e dall'alter ' 11 ' . .' ego , c ' e un espenenza pm pro fcon da de lia trascen d enza; u11

In realtà, un'indipendenza dell'oggetto intenzionale dall' intersog-

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na trascendenza "vera", che è già implicita in ogni discorso sull' oggettività e che rimanda ad un contesto plurale di soggetti: « La trasc endenza di un oggetto della natura è per sua essenza profondamente diversa dalla trascendenza di un soggetto estraneo, di una soggettività monadica estranea » (Hu XIV, 244) . Dobbiamo quindi distinguere tra una tra­ sc endenza primordiale e una trascendenza intersoggettiva e sta­ bilire le modalità del loro rapporto . Come abbiamo già rilevato , l' estraneità e trascendenza dell' altro c onsiste nel fatto che egli è per me inaccessibile nella sua esperienza originale : « Proprio perché la soggetti­ vità estranea non appartiene alla sfera delle mie possibilità di percezione originale , essa non si risolve in correlati in­ tenzionali della mia propria vita e delle sue strutture rego­ late » (Hu VIII, 1 89) . La tesi radicale di Husserl è che la trascendenza dell' oggettività è costitutivamente riferita alla trascendenza dell'alter ego, al carattere eccedente della Frem­ deifahrung, all ' impossibilità di inglobare l' altro nei miei schemi percettivi privati. Solo quando esperisco un alter ego posso parlare propriamente di trascendenza; la costituzione di un mondo oggettivo è mediata dalla mia esperienza dell' altro : « Qui è l' unica trascendenza che merita davvero questo nome , e tutto ciò che altrimenti significa trascen­ denza, come il mondo oggettivo, si fonda sulla trascenden­ za della soggettività estranea » (Hu VIII, 495) . Perciò Hus­ serl può coerentemente affermare che soltanto la fenome­ nologia trasc endentale ha saputo cogliere la piena dimen­ sione filosofica del problema dell'alterità (Hu I, 1 73) . Ma perché il mondo e tutto l' essere mondano ricevono dalla Fremdeifah ru ng un nuovo e decisivo significato tra­ scendente? In primo luogo perchè il mondo non è riduci­ bile ai miei vissuti (attuali o p ossibili) , se può essere esperito gettività non è possibile sotto tutti gli aspetti, perché c ome vedremo per Husserl la possibilità di altri soggetti (l' "intersoggettività aperta") conser­ va un senso trascendentale per la mia c omprensione dell'oggettività an­ che in una situazione di assenza di qualsiasi Fremdeifahrung reale.

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anche d a (almeno) u n altro soggetto ; l a trascendenza au­ tentica del mondo implica antologicamente la possibilità della dissociazione dal mio flusso di c oscienza, altrimenti il mondo stesso sarebbe un' artic olazione interna dell' i o , un' unità sintetica c h e h a i n m e e soltanto i n m e l a sorgente originaria della sua verità. La trasc endenza del mondo e la possibilità di un' espe­ rienza intersoggettiva di esso vengono saldamente unite da Husserl in un nesso trascendentale di implicazione . Natu­ ralmente, questa struttura formale non può fungere da cri­ terio epistemologico per la "dimostrazione" della realtà del mondo esterno e per il superamento dello sc etticismo , essa non dice anc ora nulla sull'esistenza di un mondo e di altri soggetti nel mondo , ma si limita ad asserire che la stessa semantica antologica della "trascendenza" del reale implica l' "esperibilità-per-un-altro-soggetto " . Che il mondo e gli altri esistano di fatto, lo apprendo dalla mia esperienza c on­ creta, anche se per Husserl questa esperienza non è mai de­ finitiva e ha bisogno di una continua verifica. In altri ter­ mini, se la concreta Fremdeifahrung è sempre presuntiva, è esposta alla possibilità del dubbio e della negazione, è dun­ que fallibile e finita , ciò non vale per la connessione di principio tra Frem deifahrung e trascendenza vera, intersogget­ tività e oggettività. Ci sembra quindi che la critica spesso rivolta a Husserl, secondo la quale egli non avrebbe indicato alcuna soluzio­ ne al problema del solipsismo , debba essere valutata ope­ rando una chiara distinzione tra problema empirico e pro­ blema trascendentale. Se consideriamo il problema empirico , cioè quello relativo all'esistenza fattuale di soggetti diversi da me , Husserl ritiene che di essa non si p ossa esibire una "prova", né con un' argomentazione a priori né con un ra­ gionamento induttivo (così come non avrebbe sens o , fe­ nomenologicamente , una dimostrazione dell'esistenza del mondo) ; gli altri mi sono dati nell' empatia e nei molteplici gradi di comunicazione intersoggettiva, ogni Frem deifahrung

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è inserita in un sistema ap erto di p ossibili esperienze di c onferma, ma p er Husserl la possibilità che io sia so lo al mondo , nonostante tutta l' evidenza empirica degli altri soggetti, non è di per sé assurda, non è in contrasto con le leggi essenziali di un Erlebnisstrom e dunque rimane pensabi­ le. La possibilità della Weltvernich tung, che Husserl ha mo­ strato nel contesto della via c artesiana della riduzione fe­ nomenologica, comporta la possibilità della non-esistenza di altri soggetti, perché in un eventuale annientamento del mondo non avrei neppure esperienza di corpi organici come "indici" di una vita egologica estranea: « Se io ric onosco la possibilità di quella trasformazione in un mero caos di fe­ nomeni, in cui si dissolve ogni unità della credenza, così che p er me non si p otrebbe più p arlare di un mondo "esistente " empiricamente indubitabile, la conseguenza ne­ cessaria da trarre è che per me non si potrebbe nemmeno più parlare di animali e uomini esistenti » (Hu VIII, 64) . Chi desidera una dimostrazione dell' esistenza degli altri che sia qualcosa di più di un'attestazione ben fondata nell'espe­ rienza, nella regolazione sistematica dell' esperienza, non può dunque richiamarsi a Husserl, il quale a nostro parere ha fornito motivazioni molto c o nvincenti circa l' il­ legittimità di una simile pretesa. Per quanto riguarda invece il terreno trascendentale , l'interesse della proposta husserliana risiede nell' aver sotto­ lineato in maniera radicale, e c on il sostegno di analisi fe­ nomenologiche dettagliate , che la costituzione della realtà è sempre un' operazione comunitaria (o, meglio, una tessitura aperta di operazioni comunitarie) ; per Husserl, il solipsismo non è una situazione originaria da cui il soggetto deve in qualche maniera uscire , ma un' astrazione tesa a fissare rap­ porti esplicativi tra le forme di esperienza del soggett o . Trascendentalmente parlando, il mio io è s ì i l punto d i par­ tenza di ogni interrogazione filosofica e/ o fenomenologica, ma lo è soltanto per me; in altri termini, anche nella ridu­ zione primordiale come singolarizzazione estrema dell'io , la

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possibilità di un alter ego è "oscurata" ma non annullata. Scrive infatti Husserl: « Nell' atteggiamento naturale della "mondanità" io trovo distinti, sotto forma di contrapposi­ zione , me e gli altri. Se astraggo dagli altri, intesi nel senso usuale, io rimango solo . Ma una tale astrazione non è radi­ cale, un tale esser-solo non altera per nulla il senso naturale e mondano dell"'essere-esperibile-per-ognuno " , senso che affetta anche l'io (inteso in maniera naturale) e che non an­ drebbe perduto anche se una pestilenza universale non do­ vesse lasciare esistere che me solo » (Hu I, 1 25 ; MC, 1 1 6) . Proseguendo la nostra analisi della nozione di trascen­ denza, dobbiamo ora aggiungere un elemento importante , che tuttavia era implicito in tutto il disc orso precedente . Se per Husserl, come abbiamo visto , la trascendenza del mon­ do esterno presuppone la sua (possibile) datità negli Erleb­ nisse di una soggettività a me estranea, ciò vuol dire che la mia Fremdeifahrung, comunque si realizzi, non è semplice­ mente "esp erienza-di-un-alter-ego" , b ensì precisamente "esperienza-di-un-alter-ego-che-esperisce-il-mondo " . Non s i tratta d i u n p uro raddoppiamento dell' in­ tenzionalità che proviene dal mio ego, perc hé allora l' altro sarebbe in definitiva indistinguibile da me ; quello che e­ merge qui è piuttosto il fatto che tra me e l'altro esiste un terreno comune, per cui non solo l' altro ha esperienza di un mondo, ma questo mondo è lo stesso di cui io ho espe­ rienza. Detto altrimenti, la Fremdeifahrung non è esperienza del totalmente altro , non p one l'acc ento univocamente sulla Fremdheit del non-io, ma articola fin dal principio la comprensione di un orizzonte analogic o acc omunante : « Certamente , finchè io considero le presenzialità nella mia sfera di appartenenza, l'io che fa da centro c orrelativamente determinato non è che l'unico identico io-stesso . Ma a o­ gni essere estraneo , in quanto contiene entro di sé un oriz­ zonte di concretezza dato in una appresentazione che ne­ cessariamente gli appartiene, è propri o un io dato in ap­ presentazione, che non sono però io stesso ma la mia mo-

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dificazione, l' altro io » (Hu l, 1 45 ; MC, 1 35-1 36) . L' alter ego, in quanto modificazione del mio ego concreto , della mia monade, è per c osì dire esperito c ome esperiente , cen­ tro di una vita propria, in una relazione costitutiva c on il mondo circostante . Ma, trasposto nell' atteggiamento trasc endentale , questo dato elementare della co-esperienza del mondo da parte di due monadi genera una serie di ulteriori interrogativi e pa­ radossi, come si può desumere da un testo husserliano del 1 92 1 : « Un io è per me , ciò significa nec essariamente che anche il suo mondo circostante ( Um welt) è per me. Ma può lo stesso mondo che è costituito per lui, per l'altro , essere c ostituito anche per me? Se sussiste questa identità, do­ vrebbe poter essere c onosciuta , ma come è possibile ciò senza che al conoscente siano dati il mondo circostante co­ stituito nel primo esperiente e qu ello c o sì c ostituito nell' altro io, dunque senza che abbia esperienza dei vissuti dell' uno e dell'altro , e dei suoi vissuti, delle sue esperienze e delle unità in esse esperite? Un terzo io di questo tipo presuppone già la soluzione del problema che ora cerchia­ mo di risolvere . Se facciamo coincidere questo terzo io con uno degli altri due, ci chiediamo come può un io acc ertarsi del mondo circostante dell'altro e trovarlo identico al suo, senza impadronirsi dell' altro io » (Hu XIV, 1 40) . Questo passo c ontiene indicazioni interessanti dal punto di vista gnoseologic o . In primo luogo , Husserl pone in luce in tutta la sua asprezza e radicalità il paradosso di una pro­ spettiva "monadica" c ondotta alle estreme conseguenze ; se infatti le monadi fossero pensate leibnizianamente c ome u­ nità chiuse e autosufficienti, ciascuna di esse avrebbe solo la percezione del proprio universo e in tal caso la costituzione di un orizzonte comune sarebbe delegata ad un "terzo sog­ getto " , epistemologicamente fondante (per Leibniz, com'è noto, si tratta di Dio come garante dell' armonia prestabili­ ta) . Ma, per Husserl, una soluzione di questo genere è una petitio principii, poiché se sono io a formulare la domanda

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sulle condizioni di possibilità dell'esperienza dell' altro c ome soggetto del suo mondo , deve esistere nel mio flusso dei vissuti una struttura di motivazione che mi apra in qualche modo all' alter ego come tale (altrimenti non potrei saperne nulla) , e dunque trasc endentalmente parlando il "terzo" devo essere proprio io . In altri termini, l' approccio all'in­ tersoggettività è sempre ego-c entrato (s ebbene non "egocentrico ") , il mondo dell' altro è esperito anche come il mio mondo , ma allora il problema principale non è più quello di sapere come due soggetti totalmente autoreferen­ ziali, che formano per così dire universi paralleli, possano avere le stesse rappresentazioni, ma diventa quello di c om­ prendere come la mia certezza empirica di un unico mondo sia trascendentalmente compatibile con il reale riconosci­ mento della trascendenza, originalità e differenza della sog­ gettività estranea.

4 . La corporeità del cogi to : mondanizzazione e co­ municazione

Abbiamo già detto che il corpo proprio, il quale nella ridu­ zione primordiale si manifesta c ome fondamento della mondanizzazione del mio io puro (nelle Cartesianische Medi­ tationen, Husserl parla dell'autoesperienza della corp oreità in termini di « autoappercezione mondanizzante » (Hu I, 1 30) della soggettività trasc endentale fenomenologica) , è anche un indice espressivo della trasc endenza dell' altro, una con­ dizione di p ossibilità di ogni c oncreta Frem deifahrung. Scrive Husserl: « Se mi domando come sono esperiti ed esperibili corpi estranei come tali, e perciò animali e altri uomini c o­ me tali, nell' ambito universale della mia percezione del mondo, la risposta è: il mio corpo gioca in questo ambito , cioè dal punto di vista dell' originaria conoscenza empirica, il ruolo del corpo originario ( Urleib) da cui deriva l'esperienza

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di tutti gli altri corpi (Leiber) » (Hu VIII, 6 1 ) . Il mio corpo non è una c osa fisica (Korper) , un oggetto percepito tra gli altri (sebbene in un ' o ttica limitativa sia anche questo) ; in quanto corpo organico vivente (Leib) , esso è l' automanifestazione dell'io trascendentale c o me esse­ re-nel-mondo, come soggettività incarnata. L'io puro , che in una prima fase del procedimento riduttivo veniva c olto nella forma della polarità egologica, si scopre in relazione costitutiva con il c orpo , attraverso il quale concretamente agisce e patisce: « Tra tutte le cose il mio corpo è la cosa più prossima alla perc ezione, la più prossima al mio sentire e volere. E quindi io, l'io fungente , sono unito ad esso (mit ihm einig) in una maniera particolare , prima di tutti gli altri oggetti del mondo circostante. Esso è , in maniera propria e diversa, punto centrale (Mittelpunkt) , oggetto che sta nel mezzo , io l'ho come oggetto fungente nel mezzo e diven­ ta, anche se esso è già oggetto (di fronte a me) , centro di funzione per tutti gli altri oggetti (Funktionszentrum fur alle andern Objekte) , per tutte le mie funzioni in relazione ad essi » (Hu XIV, 58-59) . Mittelpunkt, Funktionszentrum: Husserl si esprime qui con un linguaggio analogo a quello che in altre occasioni aveva usato per l' io puro , e ciò mostra chiaramente che nella prospettiva fenomenologica il corp o non è l'aggettivazione sec ondaria e inessenziale di una soggettività trascendentale assoluta. Se Husserl sp esso sembra p orre il problema in questi termini "dualistici " , recuperando moduli argomen­ tativi della tradizione cartesiana, si tratta in realtà soltanto di una separazione metodologica di piani, per cui un' analisi formale del soggetto c ome polo degli Erlebnisse è possibile anche lasciando indeterm inata e non-tematizzata la dimen­ sione della corporeità (il che naturalmente non significa che essa sia assente) . Ma soltanto nel mondo e con gli altri il sog­ getto si c oncretizza e su questo doppio versante di ricerc a fenomenologico-trascendentale l a funzione costitutiva del corpo proprio può difficilmente essere sopravvalutata.

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La relazione tra l'io puro e il suo corpo non si risolve nella s e quenza l o gic o-anto logic a tra " s ostanza " e "accidente" , e neppure è corretto assegnare al primo uno statuto "trasc endentale " e al secondo una rilevanza pura­ mente "empirica" o "psicologica"; al contrario , nonostante tutte le ambiguità che possono affiorare da testi introduttivi come Ideen I e che rischiano di oscurare questo fatto fon­ damentale , Husserl ci invita a ric onosc ere nella sue conse­ guenze filosofiche ancora impensate la rilevanza trascenden­ tale dell'incarnazione, e la fenomenologia husserliana dell'in­ tersoggettività c ostituisce un punto d' osservazione ideale per cogliere l' esatta p ortata della trasformazione del ruolo della corporeità. La struttura elementare dell' esperienza intersoggettiva è per ragioni essenziali una relazione tra soggetti incarnati; se nella riduzione primordiale il mio corpo organico è il cen­ tro di un mondo circ ostante casale , l' alter ego può essere e­ sperito c ome tale solo quando il suo c orpo si presenta nel mio campo di percezione . Ma come è possibile attribuire al corpo fisico che mi appare percettivamente "là", non diver­ samente da tutte le altre cose, il carattere di corpo organico? Perché non solo il mio corp o , ma anche quel corpo "là", a me esterno, si rivela come portatore di una vita percettiva, psichica e personale? Husserl pensa ad una sintesi associativa fondata sulla somiglianza: « Se ora un corpo appare distinto nella mia sfera primordiale e mi si presenta come simile al mio essere corporeo , tale cioè da formare un appaiamento (Paarung) fenomenico con il mio corp o , è senz' altro chiaro che quel corpo deve assumere il senso di un corpo organi­ co dal mio corpo stesso mediante un trasferimento di senso (Sinnesiiberschiebung) » (Hu I, 1 43; MC, 1 33) . Naturalmente il discorso sarebbe inc ompleto e , in fon­ do, tautologico se Husserl non chiarisse le modalità di que­ sto "trasferimento" ; l'altro possiede infatti la sua sfera pri­ mordiale e i vissuti dati originalmente in tale sfera non p ossono coincidere con i miei, altrimenti egli sarebbe un

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duplicato di me stesso, una mera proiezione della mia vita. Quel c orpo (di colui che sarà tosto l'altro) appartenente al mio mondo circostante primordiale è per me corp o nel modo del "là". Il suo modo di apparizione non fa coppia in associazione diretta con il modo di apparizione che effetti­ vamente p ossiede il mio corp o (nel modo del " qui") , ma suscita e riproduce un' apparizione simile appartenente al sistema costitutivo del mio c o rp o organic o c ome c o rp o nello spazio . Quest' apparizione richiama l' aspetto c h e a­ vrebbe il mio corpo, se io fossi là (wenn ich dort wi:ire) » (Hu I, 1 47; MC, 1 37) . L'ultima formula ("se io fossi là") 1 2 è rive­ lativa di un paradosso , che però corrisponde all' esperienza reale dell' alterità. L' " appaiamento " (Paaru ng) , c ome rela­ zione percettiva inter--c orporea, suscita un' appresentazione analogica dei vissuti che potrei avere se mi trovassi "là", se fossi al posto del corpo organico estraneo che ho di fronte, se potessi osservare il mio corpo da una p osizione diversa da quella che attualmente occupo; ma ciò è impossibile pro­ prio nella misura in cui io sono "qui". L'altro non è dunque tale solo perc hé i suoi vissuti non poss ono essermi dati in un' esperienza originale, ma innan­ zitutto perché viene esperito in una situazione soggettiva che per principio non può essere la mia: è semplicemente u n 'altra monade, un'altra prosp ettiva sul mondo . L' alterità "modifica " il mio io, la mia monade, e la dinamic a della comprensione si attua necessariamente attraverso la consi­ derazione della corporeità: « Un secondo soggetto mi è di fronte (gegenuber) , o è esperibile c ome diverso da me , solo se io sono soggetto di un corpo organico e di una natura al di fuori del [mio] corp o , nella quale p osso esperire un se«

12 Sull' ambiguità di questa formula, che di per sé può designare tanto un congiuntivo potenziale quanto un congiuntivo i"eale, cfr. K. HELD, Das Problem der Intersubjektivitiit u nd die Idee einer phiinomenologi­ schen Transzendentalphilosophie, in: U . CLAESGES, K. HELD (hrsgg.), Perspektiven transzendental-phiinomenologischer Forschung, Den Haag 1 972, pp. 3-60.

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condo corp o organico come tale. Ma questa è una connes­ sione apriori (eine apriorischer Zusammenhang) » (Hu XIV, 98) . L' inc arnazione non è tanto un ostac olo o una zona d' ombra che si frappone tra me e l' altro, quasi che in sua assenza il commercium c omunicativo delle monadi potesse avvenire per diretto rispecchiamento della loro interiorità in un mezzo puramente ' spirituale ' , bensì il riconoscimento della corporeità organica nella sua funzione espressiva ha una priorità genetica nella c ostituzione della forma più ele­ mentare di esperienza dell' estraneità. La prima compren­ sione significativa dello "spirito" (Geist) è offerta proprio dalla "carne" (Leib) c ome dimensione fenomenologica in cui si rivela la soggettività. Il fatto stesso che l'altro , nella sua trasc endenza, sia co­ munque esperito come analogon della mia monade , significa che deve esistere un qualche sistema di corrispondenza tra le percezioni, in caso c ontrario questo nesso analogico non avrebbe mai potuto stabilirsi. In partic olare , il corpo estra­ neo (il corpo dell'alter ego) è per Husserl il primo "oggetto" intersoggettivo e la mia apprensione di esso c ome Leibli­ chkeit, come incarnazione-espressione di una soggettività, rappresenta il primo passo verso la costituzione di un mon­ do comune tra le monadi. Scrive infatti Husserl: « Già il fatto che il suo corpo non sia solo Korper, come tale perce­ pito direttamente da me , ma Leib, include in sé la co-validità (Mitgeltung) della percezione che l' altro ha del suo corpo come dello stesso c o rp o che io p ercepis c o , e questo vale anche per il suo mondo circostante , che è es­ senzialmente lo stesso di cui io ho esperienza. N o n posso p orre altri soggetti senza porre-contestualmente (mitsetzen) ciò che essi esperiscono nella loro vita » (Hu XIV, 388) . L' altro esperisce non solo la propria corporeità, ma an­ che me stesso e il mondo; in altre parole, la Paarung, l' esperienza interc orporea, e l' Einfuhlung, l' appresentazione di vissuti estranei, comportano la necessità trascendentale di

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un mondo comune , di un mondo . Ma se l' altro è un sog­ getto di esperienza come me, la mia esperienza del mondo vi ene sì c onfermata , ma in un c e rt o s enso anche de-potenziata e de-assolutizzata; essa acquista propriamente il carattere di esperienza "soggettiva " , termine che in una situazione solipsistica radicale solleva non p oche riserve e perplessità: « È problematico (fraglich) , più che problemati­ c o , se io qui, al livello di una c ostituzione casale pensata solipsisticamente (auf der Stufe einer so lipsistisch gedach ten Dingkonstitution) , posso designare le manifestazioni c ome soggettive. [ . . . ] L'introiezione delle sensazioni e manifesta­ zioni in un soggetto o la loro comprensione come mera­ mente soggettive deriva dall'intersoggettività » (Hu XIII, 38 8-389) . Questa conclusione , per certi versi sconc ertante in un filosofo che ha dovuto a lungo difendersi dall'accusa di so­ lipsismo e al quale si obietta tuttora di aver sottovalutato l'importanza della dimensione intersoggettiva, è la logica c onseguenza del disc orso precedente : se le categorie di "oggettività ", trascendenza e realtà sono costituite inter­ soggettivamente, altrettanto si deve dire delle correlative categorie di "soggettività ", immanenza e manifestazione. L'in­ tersoggettività si rivela una struttura pervasiva che in mul­ tiformi profili c o opera alla stessa autocostituzione ed auto­ comprensione dell'io. Dire infatti che la mia esperienza del mondo è "soggettiva " , è un modo di apparire di qualcosa "in sé" (come tale irriducibile alla manifestazione che ne ho o posso averne) equivale a sostenere il mondo può es­ sere esperito da un altro soggetto (o, come vedremo me­ glio , da un'infinità aperta di possibili soggetti) . Sec ondo Husserl, muovendo dal "fatto " della Frem deifa­ hrung, si può proc edere ad una vera e propria deduzione trasc endentale dell' unicità del mondo , dell' identità dei rife­ rimenti spazio-temporali di base, come condizione di p os­ sibilità della comunicazione intermonadica e di ogni pensa­ bile c oesistenza tra i soggetti (Hu XIV, 9 1-sgg.) . Un io e-

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straneo che vivesse in un mondo soltanto suo, sarebbe asso­ lutamente inconfigurabile (e dunque , per me , fenomenolo­ gic amente irrilevante) ; a rigore , non potrei nemmeno dire che questo io esperisce un mondo a me totalmente sconosciu­ to, p oiché la semantica antologica originaria del concetto di "mondo " , con le sue possibili oscillazi oni e variazioni, si radica sempre nel concreto mondo della vita, nella Lebenswelt, e dun � ue implica una struttura di "conosciutezza" (Bekan­ ntheit) 3. Due mondi totalmente separati, c osì come due soggetti che per principio non possano entrare in una qual­ siasi forma di comunicazione, sono per Husserl impensabili. Deve darsi un unico mondo oggettivo e, c orrelativamente, un' unica intersoggettività trasc endentale ; qu est' ultima, e n o n l ' io trasc e ndentale (come nell' interpre tazione di Schiitz) , è da considerare un autentico singulare tantum. Non bisogna tuttavia pensare che, in questo modo, ogni forma di discordanza tra i soggetti, ogni anomalia e/ o in­ terruzione del processo comunicativo, sarebbero sempre ri­ composte in un quadro omogene o , e in fondo liquidate come problemi secondari di fronte ad un paradigma di ra ­ zionalità normale nitidamente accessibile ed autogarantito; al contrario, una delle conseguenze più radicali della trasfor­ mazione intersoggettiva della filosofia trascendentale è pro­ prio il ric o n o s c imento dei lim i ti della n o zione di "normalità" . L'insorgenza di anomalie è una possibilità che Husserl 1 3 « La struttura di conosciutezza e sconosciu tezza (con la propria rela­ tività complessiva e con l'altrettanto relativa distinzione complessiva di generalità indeterminata e specificazione determinata) è una struttura fondamentale della c oscienza del mondo e rispettivamente nella con­ formazione c orrelativa del mondo come orizzonte di tutti i singoli reali esperibili. [ . . . ] La sconosciutezza piuttosto è sempre in pari tempo un modo della conosciutezza. Per lo meno, quel che ci affetta è già cono­ sciuto in precedenza in quanto è una cosa con certe determinazioni; esso è consaputo nella forma vuota della determinabilità, quindi prov­ visto di un orizzonte vuoto di determinazioni, "in certo modo " inde­ terminate, sconosciute )) (EG, 34-35) .

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prende in considerazione molto seriamente , in un gruppo di analisi specifiche, ed egli ritiene anzi che una caratteristi­ ca fondamentale (e, si potrebbe dire , " trascendentale ") dell' estraneo sia proprio quella di interromp ere la conti­ nuità e lo stile della mia esperienza normale (Hu XV, 43 1) , talora ponendo addirittura in questione o in crisi il mio si­ stema di riferimento percettivo-rappresentativo, c ome si può verificare dal confronto con soggetti che hanno per­ duto uno o più campi sensoriali. Ma una base di consenso nelle operazioni cognitive deve essere presupposta in tutti i soggetti: « Ora, io vedo c on evidenza che , se io , colui che medita filosoficamente , devo trasformarmi ed essere il s og­ getto per la conoscenza della p ossibilità del vero essere , se tendo verso la chiarezza per me stesso , allora presuppongo già in me una struttura molto estesa. E appunto questa struttura della normalità, in quanto mia struttura essenziale di quella "ragione " che è il correlato del vero essere, si e­ stende ad ogni altro per me reale o immaginabile , ed egli stesso, per sé, deve poter essere portatore della verità, s og­ getto della ragione trascendentale >> (Hu XV, 3 6) . S e le cose stanno c osì, appare chiaro che un carattere trascendentale fondativo spetta non tanto a me come sog­ ge tto solipsistic o , bensì in modo eminente all'intersog­ gettività, e la soggettività che costituisce le idee teleo­ logiche di normalità e di ragione è l' intersoggettività in quanto infinita connessione di soggetti generativamente uni­ fic ata, come Husserl ha spesso sottolineato nell'ultimo pe­ riodo della sua riflessione filosofica.

5 . Percezione, orizzonte, cinestesi

Abbiamo prima affermato che in Husserl si presentano molteplici forme di Fremdeifahrung e che una di esse è ope­ rante già prima di ogni fattuale esperienza di un alter ego. In

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un certo senso, è possibile parlare di "intersoggettività" an­ che nell' astrazione di un soggetto "solo"; questa p ossibilità, che ha conseguenze non trascurabili per l'interpretazione della fenomenologia trascendentale , deve essere argomen­ tata attraverso nuovi concetti e situazioni esemplari . Come punto di partenza riprendiamo l' analisi della per­ cezione esterna. Si è visto che l'oggetto percepito è sempre trascendente rispetto all'atto di percezione, ma si deve an­ che distinguere tra la man ifestazione della cosa e la cosa che si man ifes ta, e soltanto in questa maniera si può comprendere adeguatamente il significato di "trascendenza" qui in gioco. L' oggetto non è mai dato nella sua totalità, ma sempre per aspetti, adombramenti, prospettive : « Se la percezione fosse in ogni senso ciò che pretende di essere , cioè vera e propria autopresentazione ( Selbstdarstellung) dell' oggetto (la sua es­ senza peculiare consiste infatti in questa autopresentazione) , vi sarebbe per ogni oggetto solo una singola percezione » (Hu XIX/2, 589) . Ma, al contrario, c ' è sempre una molte­ plicità di possibili modi di manifestazione dello stesso og­ getto. Questo rilievo fenomenologico, apparentemente banale , contiene una serie di profonde implicazioni, che complica­ no notevolmente il quadro analitico . In particolare, Husserl fa notare che nell' atto di percezione è già presente un rife­ rimento all' oggetto intero. Anche se nella perc ezione mi è dato in modo originale (''in carne ed ossa") soltanto un a­ spetto della cosa, ciò che vedo non è questo aspetto , ma la cosa stessa (sotto questo aspetto) : « Al senso proprio di ogni perc ezione inerisce infatti , come suo senso oggettuale , l' oggetto percepito , quindi questa cosa: i l tavolo che vedo. Questa c osa non è p erò il lato ( Seite) che ora è propria­ mente visto , ma è (c onformemente al senso proprio della percezione) la cosa nella sua interezza ( das Vollding) , che ha ancora altri lati che p otrebbero essere propriamente perce­ piti, non in questa ma in altre percezioni » (Hu XI, 4; SP, 34) .

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Il senso del lato propriamente perc epito è determinato dalla sua relazione con i lati non percepiti e nessuna perce­ zione oggettuale sarebbe possibile senza questa relazione intenzionale ; in termini più tecnici, si può parlare di una intenzionalità di orizzonte che, nella c oscienza di percezione, rimanda ad aspetti dell' oggetto non propriamente percepiti, ma percepibili. La c onoscenza di un orizzonte della perce­ zione presuppone naturalmente le estasi della coscienza in­ tern a del temp o , a ttrav e rs o le quali il pres ente dell'impressione originaria si apre protenzionalmente al futuro trattenendo ritenzionalmente il p assato (Hu XI, 72-sgg.) ; l' esperienza percettiva non è infatti un evento i­ stantaneo, ma un processo. La logica temporale della percezione si snoda tra pienez­ za e vuoto, presenza e assenza, datità originale e struttura di rinvio , ed è questo singolare c arattere "misto " a rendere possibile la continuità del percepire : « Tutto ciò che si ma­ nifesta propriamente è una manifestazione di cosa s olo in quanto è intrecciato e attraversato da un orizzonte inten­ zionale vuoto [ . . . ] . Questo vuoto non è però un nulla, ma un vuoto che deve essere riempito , è dunque una indeter­ minatezza determinabile (bestimmbare Unbes timm th eit). L' orizzonte intenzionale non può infatti essere riempito a piac ere; si tratta di un orizzonte di c oscienza che ha esso stesso il c arattere fondamentale della coscienza in quanto coscienza di qualcosa. Questo alone di coscienza ha il suo senso, nonostante la sua vuotezza, nella forma di una pre­ delineazione ( Vorzeichnung) che prescrive il passaggio a nuove manifestazioni attualizzanti » (Hu XI, 6; SP, 36) . Il "vuoto " in questione è un' esplicita richiesta di riem­ pimento e, nella teleologia immanente che la orienta, la percezione si c onfigura c ome un progressivo prendere atto (Kenntnisnahme) di nuovi aspetti dell' oggetto, e tuttavia non bisogna lasciarsi ingannare ; nessuna percezione, o sequenza finita di percezioni, può esaurire la c onoscenza dell' og­ getto . La polarità c ostitutiva tra "pienezza" è "vuoto" ap-

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partiene all' essenza della perc ezione, al suo schematismo interno, e dunque una determinazione completa, che ci da­ rebbe l' oggetto per così dire " da tutti i lati" o " sotto tutti gli aspetti" , è per Husserl un controsenso fenomenologico. È vero che, quando la predelineazione si riempie per­ cettivamente, si arricchisc e anche la mia c onosc enza dell' oggetto , tuttavia nella perc ezione « il continuo pro­ gressivo riemp imento (Eifiillung) è c ontemporaneamente un continuo p rogressivo svuotamento (Entleerung) » (Hu XI , 8-9 ; SP, 39) , e ciò per due ragioni; in primo luogo perché l' aspetto prima perc epito diventa non più visibile (ad esempio , se giro intorno ad un tavolo per vederne il lato posteriore, il lato anteriore non è più percepibile) , in secondo luogo perché in ogni fase percettiva è implicito un orizzonte intenzionale cui corrispondono nuove possibili manifestazioni. « In generale nulla può essere dato senza che (nel caso di una datità realmente c oncreta) sia consa­ puto un al-di-là dell' intuizione (ein Jensei ts der An­ schauung) » (Hu IX, 486) . In altri termini, l' orizzonte viene costantemente spostato , mai eliminato . La determinazione delle caratteristiche fenomeniche interne e dei modi di ma­ nifestazione dell' oggetto può essere c ontinuamente " ag­ giornata " , arricchita di nuovi elementi, in indefinitum. La percezione raggiunge la cosa stessa (la stessa intenzionalità dell' atto percettivo fa sì che esso non possa offrirei un mero segno o simulacro della cosa) , ma solo rimanendo sempre aperta ad integrazioni successive del senso oggettuale . L' inadeguatezza della percezione esterna (che va sempre accanto alla datità originale dell'oggetto) non è una limita­ zione gnoseologica del s o ggetto p e rcipiente, ma è l' espressione più profonda della trascendenza della c osa (Hu XI, 2 1) . L' oggetto è fenomenologicamente il polo noema­ tic o di una rivelazione interminabile : « Nessuna percezione di cosa è definitivamente chiusa, resta sempre spazio per nuove percezioni [ . ] . È una intuizione essenziale che ogni percezione o molteplicità di perc ezioni sia susc ettibile di .

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ampliamento ; il processo è quindi senza fine; quindi nessu­ na apprensione intuitiva dell' essenza della c osa può esser così piena che una suc cessiva percezione non vi possa ag­ giungere qualcosa di noematicamente nuovo » (Hu I I I , 3 67; Idee, 333). Ma se la determinazione dell' oggetto è sempre una tes­ situra aperta, un c ompito infinito, le conseguenze sul piano di una teoria della c onoscenza sono di notevole interesse, e meriterebbero un maggiore approfondimento . Innanzitutto va sottolineato che, in tale ottica, il senso della cosa perce­ pita non può essere esibito una volta per tutte , perché ogni nuova fas e n o n s olo integra le prec edenti, ma p u ò ri-disegnare diversamente l'intenzionalità del processo; ciò è evidente nel caso delle modalizzazioni della coscienza, in cui la predelineazione originaria del senso dell'oggetto vie­ ne contestata dalle p erc ezioni successive. In p roposito , Husserl riporta un esempio molto chiaro. Se ho di fronte un oggetto che mi appariva uniformemente rosso e sferico, ma ora, c ontro qualsiasi attesa, il suo lato posteriore dive­ nuto visibile si rivela verde e ammacc ato , è l'intero senso della perc ezione che si modifica, e non solo quello appar­ tenente al tratto percettivo attuale (Hu XI, 26-27) . In altre parole, la c osa è un progetto di senso teleologicamente strutturato , tuttavia la direzione effettiva del decorso non è prefissata, se non nella forma dell'orizzonte ; il senso delle percezioni passate predelinea quello delle manifestazioni future , altrimenti non vi sarebbe alcuna continuità dell' e­ sperienza, ma c orrelativamente è il futuro a riconfigurare il senso del passato . Può anche accadere che la teleologia del percepire risulti illusoria , ad esempio quando una presun­ zione di esistenza viene delusa empiricamente e la c osa si dissolve in un mero "fantasma" ; proprio perché una perce­ zione priva di orizzonte è impensabile, rimane aperta la possibilità dell' essere-altro e anche del non-essere della cosa percepita (Hu VIII, 45) . Cerchiamo di penetrare più a fondo nella struttura fe-

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nomenologica dell' orizzonte . Abbiamo visto che i lati non percepiti della cosa sono nec essariamente w-intenzionati in forma di " indeterminatezza determinabile" , Husserl tutta­ via distingue tra orizzonte interno ed orizzonte esterno. Se in generale il concetto di orizzonte indica quella "induzione originaria" (precategoriale e prescientifica) che appartiene ins ep arabilmente ad ogni esperienza e che estende l'intenzione conoscitiva al di là del nucleo di datità attuale , l' attività intenzionale non si limita ad anticipare nuove possibilità di percezione dell' oggetto, poiché esso è sempre situato in uno ifon do, accanto ad altri oggetti . « Ciò vuol dire che ogni c osa esperita non solo possiede un orizzonte interno, ma anche un orizzonte esterno indifìnitamente aperto di oggetti coesistenti (quindi un orizzonte di secondo grado , riferito all'orizzonte di primo grado che è implicito in quello) . Questi oggetti sono tali che io non sono per ora rivolto ad essi, ma mi ci p osso in ogni tempo rivolgere , e quindi sono distinti dall' oggetto ora esperito oppure sono simili ad esso secondo una certa tipica. Ma, per quanto di­ versi possano essere gli altri oggetti c onsaputi nell' antici­ pazione , v'è tuttavia una c osa eguale : i reali volta a volta anticipati tutti insieme o anche consaputi solo nello sfondo come orizzonte esterno, sono c onsaputi c ome oggetti reali (rispettivamente proprietà, relazioni, ecc .) che provengono dal mo ndo , come esistenti nell' uni c o orizzonte spa­ zio-temporale » (EG, 30--3 1 ) . In ultima istanza, il sistema di implicazioni intenzionali dell' oggetto rimanda essenzial­ mente all' unità del m o n do; l' orizzontalità dell' esp erienza, come apertura illimitata, è la sua "mondanità" , il suo esse­ re-nel-mondo e, quando questo dato naturale si innalza a struttura trascendentale, si può parlare del mondo come "apriori materiale" della c oscienza percettiva. Il mondo non è, concettualmente , un mero stenogram­ ma per designare la totalità delle c ose, ma è l' orizzonte on­ nicomprensivo in cui esse si inseriscono , la trama stabile del loro sens o . Orizzonte totale, dunque , e non "totalità degli

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orizzonti" . Ogni singola cosa, c on il suo orizzonte , è infatti connessa a tutte le altre in una sorta di sintesi trascendentale dell'affinità (se si vuole utilizzare un linguaggio kantiano) , per cui in luogo di una molteplicità disparata di orizzonti esiste un unico mondo reale , un ' u nità c onco rdante dell' esp erienza . Se ogni oggetto è per la cosci enza " qualcosa del mondo " , è nell' orizzonte totale, « d'altra parte il mondo non è essente nel modo in cui lo è un og­ getto qualsiasi, è essente, bensì, in una singolarità per la quale qualsiasi plurale sarebbe senza senso »; a questa diffe­ renza antologica tra il mondo c ome tale e gli oggetti in­ tramondani c o rrisponde evidentemente una diversità dei modi di conoscenza (Hu VI , 1 4 6-1 47) . Come abbiamo già potuto appurare , il recupero del mo ndo diventa fonda­ mentale nella prospettiva dell'intersoggettività e, in linea di principio, consente a Husserl di pervenire ad una concre­ tizzazione e "materializzazione" della sfera trascendentale . A questo punto, nell' analisi del rapporto tra percezione, manifestazione e orizzonte, dobbiamo introdurre un altro elemento importante, che si salda strettamente agli ultimi temi trattati. Se abbiamo parlato di "manifestazione " (anzi, più precisamente , di un "sistema di manifestazioni") , ciò presuppone naturalmente non solo qualcosa che appare , ma anche qualcuno a c ui la cosa appare . La manifestazione è sempre manifestazione di qualcosa a qualcuno; ci imbattia­ mo ancora una volta in una prop osizione banale , ma, come spesso avviene nella fenomenologia husserliana, le presunte ovvietà possono nascondere implicazioni inedite. Si è visto che, dal semplic e assunto di un oggetto che si manifesta in modi differenti, deriva tutta una serie di c onseguenze inte­ ressanti, se ci si dispone sul terreno descrittivo a noi più familiare, e altrettanto è lecito attendersi lungo questa nuo­ va direzione di ric erca . Se l' oggetto mi appare sempre da una determinata prospettiva, esso appare anche ad una de­ terminata distanza da me ; ma ciò significa che il soggetto dell ' esperienza percettiva deve necessariamente avere una

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relazione con lo spazio, deve egli stesso inserirsi in una rete di riferimenti spaziali. Ora, se ha un senso dire che le cose mi appaiono da questo o da quel lato , a questa o a quella distanza, ecc . , il discorso presuppone l'esistenza di un si­ stema di riferimento , e Husserl non ha alcuna difficoltà ad identificarne l'origine: « Per il proprio io, il corp o proprio ha un posto privilegiato , determinato dal fatto di portare in sé il punto zero di tutti questi orientamenti. Uno dei suoi punti nello spazio, per quanto p ossa essere anche non visto realmente , è sempre c aratterizzato nel modo dell' ultimo e centrale "qui", un qui che non ne ha un altro fuori di sé, perché , in relazione con esso , sarebbe un "là " . Così, tutte le cose del mondo circostante hanno un loro orientamento rispetto al corpo, così come tutte le espressioni dell' orienta­ mento portano in sé questa relazione » (Hu IV , 1 58 ; Idee, 552) . L' apparire di un oggetto qualsiasi nello spazi o non implica dunque solo il co-apparire dell'orizzonte totale, ma anche il co-apparire del corpo proprio dell'io, in una connes­ sione sistematica che l'analisi filosofica può esplicitare , ma non modific are. Nell'esperienza spaziale immediata (cioè prima della co­ stituzione di uno spazio oggettivo) , il mio c orpo è il centro originario da cui si irraggiano le funzioni orientative ele­ mentari che mi permettono di "vedere " il mondo (e le cose nel mondo) . Abbiamo già notato come la relazione tra l'io puro e il suo corpo non p ossa essere semplicisticamente risolta sul terreno della polarità tra empirico e trascendentale, perché se è vero che per Husserl l'io puro rimane il centro di tutte le funzioni della vita soggettiva, è altrettanto fuori discussione che esso deve per così dire "incarnarsi" , operare in un corpo organic o , per poter avere di fronte a sé un mondo sensibile. In ultima analisi, la stessa correlazione tra sensibilità e corporeità è ((trascendentale ", è funzionalmente ne­ cessaria per la costituzione dell' esperienza e l'io c ome resi­ duo dell' epoch é fenomenologica non vi si s o ttrae; in un passo di Ideen II, Husserl scrive infatti che il c orp o è

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« portatore dei punti "zero" dell' orientamento , [ . . . ] del qui ed ora (Hier und ]etzt) , da cui l'io puro intuisce (anschaut) lo spazio e l'intero mondo sensibile » (Hu IV , 5 6) . Persino nelle variazioni immaginative della nostra esperienza, o in un mondo di mera fantasia, il cogito non può rinunciare del tutto alla sua incarnazione (se immagino un c entauro l'esempio è di Husserl - non posso fare a meno di collo­ c arlo in un certo orientamento rispetto al mio c orpo e ai miei organi di senso) . Senza il corp o l'io, ammesso che possa continuare ad e­ sistere, non sarebbe minimamente in grado di comprendere il significato della parola "mondo " , e dunque non potrebbe defmirsi realmente un io trascendentale, nella misura in cui la trascendenza del mondo gli risulterebbe del tutto inesplica­ bile. Senza le funzioni dell' orientamento , che predispongo­ no passivamente una struttura di senso nell' altrimenti inde­ cifrata molteplicità dei fenomeni esterni, non solo non sa­ rebbe possibile alcuna conoscenza scientifica, ma neppure una singola percezione casale . Un soggetto privo di corpo è es­ senzialmente un soggetto privo di mondo. Husserl può c osì af­ fermare che il corpo proprio non è un oggetto tra gli altri nel camp o perc ettivo, ma una condizione di p ossibilità dell' esperienza di altri oggetti come tali (Hu XIV, 540) . Il corpo è trascendentale, in quanto prima radice del mio orientamento nel mondo 1 4, ciò c he mi apre originaria14 Elmar Holenstein ha avanzato dei dubbi sul fatto che il corpo funga realmente e in ogni circostanza da centro dell' orientamento per il soggetto esperiente (cfr. : E . HOLENSTEIN, "Der Nullpunkt der Orien­ tie run g. E i n e Auseinanders e tzung mit der h e rko mmli c h e n phanomenologischen These der egozentrischen Raumwahmehmung" , in : Tijdschrift voor Philosophie, 34, 1 972, pp. 2 8-78) . In particolare a Husserl l'autore obietta che, quando ci muoviamo in una città, il cen­ tro dell'orientamento è costituito da un qualche luogo "esterno" (ad esempio: una piazza) piuttosto che dal c orpo proprio. Questa osserva­ zione , chiaramente tesa a trasfe rire la funzione strutturante dell'orientamento dal soggetto al mondo, è esatta, ma non ci sembra che dica qualcosa di sostanziale contro la tesi husserliana. Di fatto, Husserl

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mente il "sens o " dell' orizzonte mondano , m a è anche sin­ golare e concreto, essendo ciò che mi appartiene nella maniera più profonda, ciò che c aratterizza espressivamente e fun­ zionalmente la mia monade. Attraverso il corpo, l'io coglie se stesso nel mondo , tra le c ose, con gli altri; la corporeità fungente del cogito fenomenologico, la sua incarnazione, interseca tutti gli strati della c ostituzione trascendentale della realtà. È solo in virtù di una determinazione astrattiva e provvisoria della soggettività fenomenologica che Husserl ha p otuto presentare, in maniera non arbitraria, un io costi­ tuente (l'io trascendentale puro) in cui il corpo non svolge alcun ruolo costitutivo. Approfondendo gli strati più concreti della vita del soggetto , e rimanendo tuttavia sul terreno trascendentale, si scopre che l' io puro non solo diventa concreto quando assume in sé lo spessore della corporeità, ma questa corporeità è già da sempre il modo di essere, è la struttura antologica originaria di una vita-che-esperi­ sce-il-mondo . In altre parole, ciò che una fenomenologia del corpo ci mostra chiaramente è che il soggetto trascen­ dentale , per avere presa cognitiva e pratica sul mondo, deve a sua volta "mondanizzarsi" , apparire cioè c ome esse­ re-nel-mondo , e il modo in c ui si configura questa mon­ danizzazione del trascendentale è un tratto caratterizzante ed essenziale della filosofia trascendentale stessa, anziché un suo semplice corollario empirico. Queste c onsiderazioni sulla trascendentalità del corp o non nega che c i s i p ossa orientare rispetto a d o ggetti spaziali qualsiasi (ciò è naturale ed inevitabile) e che in tal modo il nostro c orpo perda quel 'primato' di Nullpunkt che gli si attribuiva; ma è anche vero che sul piano puramente fenomenologico , nella genesi delle prime e più e­ lementari linee direttive dell'orientamento, il ruolo del Leibki:irper pos­ siede una priorità difficilmente contestabile (nel relativismo integrale delle c oordinate spaziali - destra/sinistra, alto /basso , ecc. -, nella u­ niversale " fluidità" delle p osizioni de gli ogge tti, come p o trebbe l' esperienza mantenere uno stile complessivo invariante se il soggetto non potesse in ogni momento ritornare al 'fatto' della corporeità del suo essere-nel-mondo?) .

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proprio si radicalizzano nel momento in cui Husserl non si limita ad esibire la caratteristica strutturale di centro dell' o­ rientamento, ma illustra altresì la funzione costitutiva del movimento corporeo nell' articolazione dei processi percettivi e cognitivi. L' operatività del soggetto nel mondo si fonda innanzitutto sulla disponibilità di un corpo mobile, punto di innesto di atti che scaturiscono direttamente dall"' io" . La libertà dell'io si manifesta nella possibilità di muovere il suo corp o ; quest'ultimo, afferma Husserl, è l' « organo della vo­ lontà )) ( Willensorgan) , l'unico oggetto che la volontà del mio io puro possa muovere liberamente e spontaneamente )) (Hu IV, 1 5 1 - 1 52) . Più esattamente, il c orpo è una totalità coordi­ nata di organi, ciascuno dei quali p ossiede singolarmente qualche grado di libertà (si pensi ai movimenti degli occhi e delle mani, alle rotazioni del cap o , al camminare , ecc.) . Attraverso lo schema del movimento corporeo , l"'io vo­ glio" trapassa nell"'io posso " (Ich kann) , acquista concretez­ za operativa, e ciò ha conseguenze rilevanti non solo per una fenomenologia della volontà, ma anche per la c ostitu­ zione dell' unità degli oggetti sul terreno della semplice per­ cezlOne . Se, come abbiamo visto , ad ogni manifestazione percet­ tiva dell' oggetto corrisponde una determinata posizione del mio corpo, la libertà di movimento della soggettività cor­ porea rende fluido e plasmabile questo sistema di c orrela­ zione. È qui che Husserl inserisc e coerentemente il tema della cinestesi: « Il sistema delle mie libere p ossibilità di mo­ vimento è intenzionalmente c ostituito come un orizzonte cinestetic o pratico ; questo sistema si attualizza, in ogni per­ c orrimento attuale di singole linee di movimento , nella forma dell' esser conosciuto (Bekanntheit) , quindi del riem­ pimento. Ogni posizione degli oc chi, ogni posizione del corpo c he di volta in volta abbiamo non è c osciente sola­ mente come una momentanea sensazione di movimento , ma è cosciente anche come posizione all'interno di un si­ stema di posizioni, quindi insieme ad un orizzonte vuoto

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che è un orizzonte di libertà» (Hu XI, 1 5 ; SP , 46) . Ciò signific a che la percezione non è un' operazione puramente passiva, ma è sempre intrecciata con funzioni della spontaneità; se non vi fosse la c oscienza di un oriz­ zonte cinestetico , le manifestazioni dell' oggetto non po­ trebbero tessersi nell' unità di un senso 1 5• Il movimento del corp o mi offre la fac oltà di osservare lo stesso oggetto da prospettive diverse, di girargli attorno p er determinarne meglio le caratteristiche, di identificarlo c ome entità stabile ed accessibile anche quando scompare dal mio campo di percezione . In altre parole, la c orporeità fungente c ome coscienza cinestetica è, accanto alla Wiedererinnerung, una condizione di possibilità della " trascendenza" degli oggetti spaziali 16 • 15 Un'analisi molto accurata del rapporto tra corpo proprio, spazio e cinestesi si trova in: V. COSTA, L'estetica trascendentale fenomenologica, Milano 1 999 (si vedano soprattutto i capp . IX-X-XI) . Ludwig Lan­ dgrebe è uno degli autori che maggiormente hanno valorizzato la di­ mensione cinestetica della coscienza, individuandovi una sorta di prati­ cità originaria ( Urpraxis) in cui si radicano in ultima istanza tutte le forme dell' attività teoretica (cfr. , per esempio, L. Landgrebe, "Das Problem der Teleologie und der Leiblichkeit in der Phanomenologie und im Marxismus" , in AA. Vv. , Phiinomenologie und Marxismus, Vol I, Fran­ kfurt am Main 1 97 7 , pp. 7 1 -1 04 , p. 79 sgg) . Non a torto Claesges ha definito la cinestesi come « il c oncetto fondamentale della teoria hus­ serliana della p ercezione » (U. Claesges, Edmund Husserls Theorie der Raumkonstitution, Den Haag 1 964, p. 64, nota) . 16 « Per Husserl la corporeità costituente, cioè trascendentalmente fungente , è innanzitutto nient' altro che coscienza cinestetica, per cui l' automobilità del mio c orpo organico è condizione di possibilità di u­ na p ercezione del c orpo spazio-temporale. [ . . . ] Come sistema semo­ vente di organi percettivi, il corpo organico, attraverso i suoi movi­ menti, ha un c erto p otere sui decorsi di manifestazione in cui gli og­ getti si rappresentano. Questi sono nell ' o rdine della loro successione realmente dipendenti dalla direzione di movimento che io intraprendo con il mio corpo organic o . Attraverso i movimenti dei miei organi percettivi e del mio corpo organico come sistema totale di questi orga­ ni percettivi, io metto in scena, per così dire , il decorso di manifesta­ zione » (U. MELLE, Das Wahrnehmungsproblem und seine Verwandlung in

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Il carattere prospettico della percezione non è tuttavia espressione della finitezza umana; che ogni oggetto spaziale possa manifestarsi solo ad un soggetto corporeamente situato, è una necessità fenomenologica essenziale. Scrive infatti Husserl: « Ciò che noi, in quanto fenomenologicamente ingenui, prendiamo per meri fatti [ . . . ] si rivelano fino alla minima particolarità empirica c ome necessità essenziali. Si rivela pertanto che una c osa spaziale è visibile per mezzo di manifestazioni non soltanto da noi uomini, ma anche da parte di Dio - quale rappresentante ideale della conoscen­ za assoluta - , nelle quali manifestazioni è e deve esser data soltanto prospetticamente » (Hu III, 3 5 1 ; Idee 33 7) . La corporeità della conoscenza e la strutturazione cinestetica del campo perc ettivo non vanno dunque fraintese in un senso antrop ologico inge nu o ; se è legittimo parlare qui di " finitezza" , essa riguarda non tanto il soggetto umano , quanto il modo di darsi della cosa stessa : oggetti spaziali possono essere conosciuti solo da soggetti incarnati. Il paradosso della questione è che, se Dio conosc e og­ ge tti sp aziali, li c onosce prospetticamente e cinesteticamente come noi uomini, e se non può conoscerli in questo modo, non li conosce affatto c ome oggetti spaziali. Anc or più ra­ dicalmente , in un p ass aggio delle Analysen zur passiven Synthesis Husserl afferma che attribuire a Dio una c ono­ scenza adeguata , non-prospettica della cosa spaziale equi­ vale a c oncedergli il potere di trasformare un numero pari in un numero dispari, aprendo così la strada alla più patente delle contraddizioni: chi per ragioni apologetiche imputa negativamente ai limiti della coscienza umana ciò che dob­ biamo invece ric onoscere come positiva determinazione dell'essenza della c osa, rende un cattivo servizio a Dio stesso (Hu XI, 1 9; SP, 50) . N o n è qui in discussione l ' e s ito te olo gic o ( o a-teologic o) d i un' analisi dell'esperienza percettiva, né phanomenologischer Einstellung, Den Haag 1 983, pp. 1 1 4-1 1 5) .

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p ossiamo ora decidere se la tesi fenomenologico-trascen­ dentale di un Dio che conosc e la c osa per prospettive sia meno problematica della tesi opposta, visto che il suo svi­ luppo c oerente ci porterebbe a c onsiderare la temporalità, la corporeità e la cinestesi c ome momenti della conosc enza divina. Ad ogni modo , occorre osservare che per Husserl il parallelismo tra la nostra coscienza trascendentale e Dio co­ me rappresentante ideale della c onoscenza assoluta non ha tanto lo scopo di negare l'autonomia della c onoscenza di­ vina, quanto piuttosto di "stabilizzare " il sapere fenome­ nologico di fronte ad eventuali declinazioni scettiche della finitezza del conoscere . Se la p ercezione esterna è cono­ scenza inadeguata della cosa, in quanto ne c oglie di volta in volta solo un aspetto, ciò non signific a che all'uomo sia preclusa la vera realtà della cosa, bensì che ad ogni p ossibile soggettività la cosa stessa non può che darsi attraverso pro­ spezioni finite 1 7•

6 . Intersoggettività aperta e limiti della riduzione primordiale

Il nostro percorso nella teoria husserliana della percezio­ ne , oltre a mettere in luce la c apacità di penetrazione anali­ tica della fenomenologia, ci ha c onsentito di trarre indica­ zioni significative sulla concretezza della soggettività trascen­ dentale fenomenologica. Ora si tratta di valutare le conse­ guenze sul terreno intersoggettivo , e a questo proposito dobbiamo ritornare alla nozione di orizzonte intenzionale . Com' è noto , ad ogni datità originale è sotteso un intero si1 7 Un " intelletto archetipo " o intuitus originarius nel senso kantiano (al quale rimane in fondo legato anche lo Heidegger di Kant und das Problem der Metaphysik) potrebbe rivelarsi addirittura una contradictio in adjecto, se si porta il disc orso husserliano alle estreme conseguenze. In tale ottica, soggettività e finitezza sarebbero essenzialmente la stessa cosa.

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stema di rimandi, gli aspetti non visibili della c osa sono predelineati " orizzontalmente " come correlati di possibili percezioni. Se ho di fronte un tavolo, il suo lato posteriore non è attualmente percepibile, ma potrei perc epirlo in fu­ turo o averlo già perc epito in passato. Sembra dunque che il senso dell' orizzonte intenzionale si esaurisca nella correla­ zione con le mie possibilità di percezione e che la costitu­ zione prospettica dell' oggetto non implichi alcuna struttura di "alterità " . Tuttavia questa tesi n o n è convinc ente , perché i l lato anteriore dell' oggetto non è tale in relazione ad un lato posteriore passato o futuro , bensì in relazione ad un lato posteriore co-presente (mitgegenwartig) (Hu I, 1 39) . Più pre­ cisamente , in ogni istante del proc esso percettivo la coscien­ za intenziona una molteplicità di aspetti co-esistenti dello stesso oggetto. Come è stato fatto notare , la mera correla­ zione dell'orizzonte con le percezioni passate o future non mi darebbe propriamente un lato posteriore , ma un altro lato anteriore: avremmo paradossalmente una serie di "lati anteriori" in c oncorrenza tra loro 18• In realtà, l'intenziona­ lità donatrice di senso non è diretta solo sulla mia possibilità di percezione (passata o futura) , ma innanzi tutto sulla mia impossibilità di percezione attuale: è questa "impossibilità" che mi fa cogliere il lato posteriore di un oggetto come tale. Es­ sendo un soggetto incarnato , occup o sempre una posizione determinata nello spazio; certo posso modificare cinesteti­ camente questa posizione, disvelare il lato dell' oggetto che non vedevo, ma questo lato non è "creato " dal mio movi­ mento c orp ore o , esso esisteva già prima di percepirlo . Tuttavia , prima di percepirlo realmente , mi era già noto c ome percepibile. Non solo percepibile da me in un' espe­ rienza successiva , ma percepibile da un altro soggetto in 18

Cfr. , su questo punto , H. KOJIMA, "The Potential Plurality of the Transcendental Ego of Husserl and its Relevance to the Theory of Space", in: Analecta Husserliana VIII, 1 978, pp. 55-6 1 .

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un' esperienza attuale . Ora, non posso percepire il lato p o­ steriore dell' oggetto, ma potrebbe farlo un altro . Scrive Husserl: « La manifestazione che io ho dal mio "punto di vista" (posizione del mio corp o nell' ora) , non posso averla da un altro punto di vista, con il mutamento del punto di vista si modific a necessariamente la manifestazione, e le manifestazioni sono evidentemente incompatibili (unvertrii­ glich). Io posso avere la manifestazione incompatibile in un altro momento, se io assumo un'altra posizione nello spa­ zio. E allo stesso modo un "altro ", che proprio ora si trova in una p osizione diversa, può avere ora quella manifesta­ zione ( Und ebenso kann ein "Anderer" dieselbe Erscheinung jetzt haben, der eben jetzt an einem anderen Orte ist) » (Hu XIII, 2-3) . Se vogliamo prendere sul serio il testo husserliano, dob­ biamo c oncludere che una forma particolare di esperienza dell' estraneità è implicita nella stessa costituzione (plu­ ri)prospettica della cosa spaziale, e che ogni manifestazione co-presente è definibile come correlato noematico della percezione di un soggetto estraneo . Fermiamoci a riflettere su questo punto . La Fremdeifahrung di cui ci siamo occupati finora si caratterizzava come esperienza di un alter ego moti­ vata dalla presenza di un secondo corpo organico nella mia sfera primordiale; in questo caso, l' altro è esperito come soggetto reale, sebbene i suoi vissuti non siano a me accessi­ bili nella forma della datità originale . Ma, nel caso della Dingwahrnehmung, abbiamo potuto prescindere c ompleta­ mente dall' esistenza di altri soggetti, e ciononostante nelle implicazioni intenzionali, temporali e cinestetiche dell' oriz­ zonte percettivo si nascondeva un riferimento ineliminabile all ' intersoggettività. In questa circ ostanza, la cosa spaziale non diventa inter­ soggettiva solo quando viene esperita da un altro soggetto , diverso da me ; piuttosto, la cosa è costituita intersoggettiva­ mente in quanto cosa, in quanto unità sintetica di percezioni, vi sia o no realmente un alter ego che ne fa esperienza insieme

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c on m e . Del resto nelle Cartesianische Meditationen, dove l ' estrema generalizzazione del problema dell' intersogget­ tività conc ede il massimo spazio possibile all'ipotesi di un soggetto "solipsistico " , Husserl è c ostretto a fare un' osser­ vazione che restringe non poc o il campo di applicabilità di questa ip otesi: anche se una pestilenza universale mi la­ sciasse solo al mondo, il senso intersoggettivo dell'esperienza mondana non scomparirebbe (Hu I, 1 2 5) . Un solipsismo veramente assoluto , nel quale cioè la possibilità di un altro io sarebbe per me del tutto impensabile, contraddice in ultima istanza le stesse leggi dell' esperienza trasc endentale dell'io in quanto soggetto-per-il-mondo , poiché spezza in qual­ che punto quel nesso di implicazione tra soggettività, tem­ poralità, corporeità e cinestesi che solo rende possibile il darsi di un mondo e di cose . S embrerebb e allora che l' Einfuhlung non rappresenti l' unico modo di accostarsi al senso della soggettività estra­ nea, nella misura in cui la possibilità di un alter ego è ope­ rante anche all'interno di una costituzione " solipsistica" della cosa spaziale; utilizzando un linguaggio un p o ' diver­ so, potremmo dire che la mia esperienza della prospetticità della cosa sarebbe di per sé " intersoggettiva" anche se non esistessero altri soggetti. La Dingwahrnehmung è in un certo senso già una Fremdeifahrung, e la sua struttura orizzontale rimanda ad un' alterità possibile , anzi più esattamente ad u­ na pluralità infinita di possibili altri, che Husserl talora designa c ome intersoggettività aperta: « Dunque ogni oggetto , che mi sta di fronte agli occhi in un' esperienza e innanzitutto in u­ na percezione, ha un orizzonte appercettivo , quello dell'e­ sperienza possibile, propria ed estranea. Ontologic amente parlando , ogni manifestazione che io ho è fin dal principio membro di una sfera apertamente infinita, ma non esplici­ tamente realizzata, di p ossibili manifestazioni della stessa c osa, e la soggettività di queste manifestazioni è l'intersoggettività aperta (und die Subjektivitiit dieser Erscheinungen ist die ciffene Intersubjektivitiit) )) (Hu XIV, 289) . La cosa è dunque costi-

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tuita come unità sintetica delle mie esperienze reali e possi­ bili e di quelle di ogni reale e possibile altro, in una tele ologia trascendentale pluralistica che si proietta all' infinito. L"'in­ tersoggettività" è la verità della cosa: « La cosa è una regola per le manifestazioni. Ciò significa: la c osa è una realtà in quanto unità di una molteplicità di manifestazioni che sono connesse in modo regolato. E questa unità è un'unità inter­ soggettiva » (Hu IV, 8 6) . La struttura orizzontale degli oggetti dell' esperienza è un' attestazione originaria della loro apertura intersoggetti­ va. La m ia perc ezione non esaurisce il senso della cosa, si danno sempre prospettive alternative, aspetti c o-presenti che potrebbero essere percepiti da soggetti estranei. P oiché appartiene essenzialmente alla c ostituzione dell'oggetto di percezione la possibilità di un' esperienza diversa dalla mia (vi sia o no realmente questa esperienza) , l'oggetto è di per sé aperto alla pluralità delle prospettive , e si deve quindi af­ fermare che l'apri ori intersoggettivo (o, come si esprime Hus­ serl, l' "intersoggettività aperta") non è una conseguenza dell' Einfuhlung, della concreta Fremdeifahrung, ma un suo presupposto fenomenologico-trascendentale. Certo, l' esperienza più profonda di estraneità e trascen­ denza rimane per Husserl quella di un alter ego reale , solo nella dinamica effettiva dell'incontro con un' altra c oscien­ za, con un' altra monade, « la [mia] c oscienza oltrepassa per la prima volta realmente se stessa )) (Hu XIV, 9) , c ome le nostre analisi hanno ampiamente mostrato; tuttavia, la dire­ zione di questo oltrepassamento è pre-delineata dalla stessa "mondanità" ed "orizzontalità" dell'esperienza, dalle trame interne di rinvio che si disegnano nel materiale fenomeni­ c o , imprimendogli delle pieghe intersoggettive potenziali. La soggettività trascendentale è, intrinsecamente, intersogget­ tività, non perché gli altri siano deducibili da me , ma per­ ché nel cuore stesso dell'auto esperienza trasc endentale si trova anticipata, per così dire "inviluppata", la p ossibilità di altri soggetti.

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L ' i o , anche nell' astrazione della solitudine integrale, dell'assenza di relazione, è strutturalmente prospettic o, è e­ sigenza di alterità, è in ultima analisi una soggettività finita. Ma, se tali c onsiderazioni sono esatte, non dovremmo conseguentemente ridiscutere la pretesa della " riduzione primordiale " di individuare uno strato di fenomeni total­ mente privo di strutturazione e di semantica intersoggetti­ ve? Non è in fondo proprio questa l' esigenza di Husserl nel paragrafo 44 delle Cartesianische Meditationen che abbiamo esaminato? Anziché dire, come fa spesso Husserl, che la ri­ duzione primordiale c ostituisce uno strato elementare sul quale poi viene a innestarsi l'intersoggettività attraverso il c ontributo operativo della Fremdeifahrung, non dovremmo invece riconosc ere che in qualche modo la stessa ifera ap­ partentiva o primordiale del soggetto si fonda sull 'intersoggettività aperta? Anche se il "poi" non sta certo a significare un pro­ cesso temporale, bensì una sequenza di fondamenti, come c omprendere che l'intersoggettività in generale si fondi sulla sfera primordiale quando abbiamo risc ontrato c on chiarezza che persino in questa sfera ultra-ridotta i feno­ meni risultano marcati indelebilmente da una forma incoa­ tiva di intersoggettività? Non c ' è qui il pericolo di un cir­ colo vizios o , e proprio al centro della questione del rap­ porto tra fenomenologia egologica e fenomenologia inter­ soggettiva, che Husserl c onsidera così cruciale per la c oe­ renza architettonica della filosofia trascendentale? E se ef­ fettivamente l'intersoggettività come categoria fenomeno­ logic o-trascendentale si rivelasse in un c erto senso più ori­ ginaria della soggettività, ciò non sarebbe una testimonian­ za del fatto che l'ipotesi solipsistica costituisce il vero pec­ c ato originale nell'impostazione husserliana del problema dell' intersoggettività? Ci si può quindi chiedere non solo fino a che punto si estenda il raggio d' azione della riduzione primordiale (Hu XV, 270-27 1 ) , ma anche se di fronte alla c ogenza innega­ bile del dato fenomenologico dell'intersoggettività aperta

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abbia anc ora senso parlare d i "primordialità" c ome d i una dimensione esplic ativa dell' esp erienza del soggetto non pervasa da significati intersoggettivi qualsiasi. In particolare , l'ultima domanda rimane legittima anche quando si tiene presente il carattere astrattivo (e , quindi, "artificioso") della riduzione primordiale in Husserl; se infatti la p ossibilità dell' esperienza intersoggettiva si delinea direttamente nel sistema di rimandi orizzontali di cui è intessuta la percezio­ ne dell' oggetto , e dunque app are indipendente dal darsi fattuale di una soggettività estranea nel mio campo di espe­ rienza, non si può non riconoscere all'intersoggettività un qualche ruolo costitutivo anche all'interno della (c osiddet­ ta) sfera primordiale. Husserl identifica sovente la sfera della primordialità trascendentale c on uno strato o nucleo di « esperienza pu­ ra » (reine Eifahrung) , che non presuppone alcuna esperienza dell' estraneo (Hu XV, 1 1 0) , e ciò potrebbe apparire in pa­ lese c ontrasto con quell' onnipervasività dei rimandi inten­ zionali intersoggettivi che si annuncia c osì chiaramente nella fenomenologia della Dingwahrnehmung. Nelle stesse Cartesianische Meditationen, c ome abbiamo visto, Husserl non manca di sottolineare c ome il nesso di implicazione tra l' "oggettività" (a tutti i livelli) e l'intersoggettività sia tal­ mente stretto da non dissiparsi neppure quando la riduzio­ ne primordiale ci ha privati di ogni riferimento all'esistenza di altri uomini; nondimeno , l' ambiguità che si può risc on­ trare in certe analisi husserliane è dettata dalla non sempre chiara distinzione tra la Fremdeifahrung c ome concreta espe­ rienza di un altro essere incarnato e la "Frem deifahrung" come piega intersoggettiva autonoma assunta per ragioni strutturali da ogni esperienza di oggetti, c ompresa quella primordiale . È, i n ultima analisi, l a differenza tra l a materialità fenomenica dell' esperienza percettiva, che c ome tale porta potenzial­ mente in sé la molteplicità delle prospettive, è intrinseca­ mente aperta ad essa , e la relazione tra soggetti estranei, che non fa altro che artic olare concretamente questa apertura

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intersoggettiva, attualizzandola sotto un aspetto determi­ nato e inconfondibile . In un testo molto denso del 1 929 , Husserl svolge alcune considerazioni che possono risultare preziose p er mettere ordine tra i diversi problemi della costituzione fenomeno­ logico-trascendentale dell' intersoggettività . Innanzi tutto , ogni volta che un nuovo soggetto entra nel mio campo di esperienza, il senso antologic o del mondo nel suo c om­ plesso si modifica e si arricchisc e , la mia esperienza del mondo rimodula il suo stile in maniera conforme . Ma tutto ciò non sarebbe possibile se l'essere mondano non avesse in se stesso la marca dell'inters oggettività : « Tutto l ' essere mondano è c ostituito intersoggettivamente . La costituzione dell'intersoggettività e del mondo intersoggettivo è co­ stantemente in marcia (die Konstitution der Intersubjektivitéit und intersubjektiven Welt ist bestéindig auf dem Marsch) e ha un orizzonte corrispondente , in cui essa vale preliminarmente per me in quanto assume un senso intersoggettivo sempre nuovo, in relazione a nuovi soggetti-io (Ichsubjekte) . [ . . . ] Io potrei anche dire : il senso del mondo essente per me , come mondo della mia esperienza, della mia vita trascendentale, non è mai fisso (fertig) , è un senso aperto all'infinito . Esso si forma ininterrottamente nel progresso della mia esperienza, ma non solo della mia esperienza primordiale , ma anche , e in maniera del tutto diversa, attraverso l' esperienza empati­ ca di altri » (Hu XV, 45) . Oltre a tracciare le linee della fondazione trascendentale di un' antologia pluralistica, che risolve l'apparente fissità del senso dell'essere in un processo infinito cui attivamente partecipano sempre nuovi soggetti, questo passaggio hus­ serliano ci mostra chiaramente come ogni ampliamento p os­ sibile della sfera intersoggettiva sia prescritto già dall'inizio nella forma di un orizzonte intenzionale indeterminato 1 9• 1 9 Rompp h a giustamente sottolineato i l carattere operativo, dina­ mico e innovante della costituzione del mondo come unità intersog-

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Questo orizzonte indeterminato, ma determinabile , è c10 che Husserl altrove chiama intersoggettività aperta o apriori intersoggettivo , ed è inseparabile dalla compagine di senso in cui si costituisce ogni essere mondano ; si tratta qui di u­ na struttura fo rmale che apre il senso fenomenologico dell' oggettività c ome tale, e per tale ragione essa non ci parla solo di un alter ego o di una molteplicità determinata di soggetti di cui p o ssiamo avere realmente esperienza , bensì innanzi tutto della totalità indeterminata ("infinita" , "infinitamente aperta") dei soggetti p ossibili nella misura in cui ognuno di essi è un c entro relativamente indip endente e comunque necessario per la costituzione del mondo og­ gettivo . Spiega Husserl: « Ora si comprende in che senso devo dire : io sto tuttavia sullo stesso piano dell' altro come co-portatore costitutivo del mondo (Ich stehe doch jedem Anderen als konstituierendem Mittrager der Welt gleich). C osì come me stesso , anche ogni altro è necessario per l' esserci del mondo , di quello stesso mondo che per me è il mondo reale, oggettivo . Non p osso ignorare l' esistenza di nessuno , se non voglio rinunciare a questo mondo (Keinen kann ich wegdenken, ohne diese Welt preiszugeben) . Non si può igno­ rare nessun altro soggetto già determinato , e implicita­ mente nessun altro soggetto anticipato nell ' ap ertura di senso dell' orizzonte, sebbene indeterminato » (Hu XV, 46) . gettiva, che non può essere pensata come ' data' una volta per tutte e non più modificabile : « Se il mondo intersoggettivo deve ora valere come mondo valido per ' o gnuno' ( Jederm a nn ') , ciò riguarda solo 'o­ gnuno' che può essere appresentato [empaticamente] nella soggettività di volta in volta in questione. [ . . . ] L'identità dell' esperienza dell'ogget­ tività, strutturata intersoggettivamente, non è dunque pre-data (vorgege­ ben) , ma prodotta (hergestellt) in operazioni specifiche della soggettività >> (G. RòMPP, Husserls Phiinomenologie der Intersubjektivitiit, cit . , p . 1 50) . Tuttavia Rompp non sembra qui distinguere tra l'intersoggettività tra­ scendentale in quanto c omunità effettiva e concreta della monadi , e l'intersoggettività trascendentale come 'apertura già sempre aperta' (e, in questo sens o , ' pre-data') in cui si insedia il processo dinami­ co-storico della costituzione.

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L ' apriori intersoggettivo anttctpa l' infinità dei soggetti dell' esperienza in quanto richiesta dall' orizzontalità che c a­ ratterizza ogni oggetto mondano , strutturandolo intersog­ gettivamente ; l' apertura infinita dell'intersoggettività, come correlato dell' unità del mondo , non è dunque un semplic e dato dell'esperienza, ma un presupposto trascendentale che c ondiziona e rende p ossibile la c ontinuità e la connessione dei dati dell' esperienza in un sistema. Per Husserl, togliere un elemento qualsiasi alla totalità trascendentale dei soggetti significherebbe rinunciare al mondo stesso, alla sua realtà oggettiva, perché ciò comporterebbe una palese violazione del tessuto sistematico dell' esperienza: in altre parole, se la verità della cosa è l'intersoggettività, e se l'intersoggettività non può essere pensata che c ome infinità, eliminare anche un solo soggetto reale o possibile dalla serie delle c ondizioni c ostitutive equivale sic et simpliciter a distruggere la serie stessa, e dunque l' unità dell 'esperienza che funzionalmente ne dipende . Come abbiamo mostrato nell'analisi della percezione e­ sterna, la p ossibilità dell' alterità è fondata direttamente nella struttura della mia situazione, in ciò che mi lega indissolu­ bilmente al c orpo e al tempo, e che rivelando la finitezza della mia relazione intenzionale c on il mondo mi apre im­ mediatamente ad altri p ossibili punti di vista, ad altre pro­ spettive. Finitezza della monade e infinità aperta delle prospetti­ ve sono aspetti coessenziali di una stessa dialettica onto-Jenomeno­ logica, in cui l"'intersoggettività" non si aggiunge dal­ l' esterno ad un io solitario, ma c ostituisce per così dire la "struttura reticolare" , "il campo di proiezione trascenden­ tale" dell'identità del soggetto . In questa ottica, soggettività e intersoggettività non sono propriamente due c ategorie separate che si contendono il terreno dell'esperienza fenomenologico-trascendentale, ma momenti emergenti di una struttura sistematica unitaria : la soggettività è in tersoggettività, la possibilità dell' altro è nel cuore dell' esperienza dell'io, l'intenzionalità che mi fa co-

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gliere la concretezza della mia situazione è la stessa che ne­ cessariamente segna per me la distanza da me e mi rende quindi "declinabile " . È molto imp ortante in proposito un' osservazione di Merleau-Ponty: « Perché gli altri uomi­ ni esistenti empiricamente siano per me altri uomini, è ne­ cessario che io abbia quanto occorre per riconoscerli, è quindi necessario che le strutture del per-altri siano già le dimensioni del per-s é . [ . . . ] Occorre che io mi colga im­ mediatamente come eccentrico a me stesso e che la mia e­ sistenza singolare diffonda per così dire attorno a sé un alo­ ne di generalità. Occorre che i per-sé - io per me stesso e l'altro per se stesso - si stacchino su uno sfondo di per-altri - io per l' altro e l'altro per me stesso. Occorre che la mia vita abbia un senso che io non costituisc o , che ci sia a ri­ gore una intersoggettività, che ciascuno di noi sia un ano­ nimo nel senso della generalità assoluta. Il nostro essere nel mondo è il portatore c oncreto di tale duplic e anonima­ to » 2 o . La riduzione primordiale ha dunque dei limiti che lo stesso Husserl non sempre pone in evidenza c ome si richie­ derebbe; d' altra parte la riflessione di Merleau-P onty che abbiamo riportato non fa altro che esplicitare , consapevol­ mente o meno , la nozione husserliana di intersoggettività aperta. All a luce delle ultime considerazioni, bisogna rico­ noscere che la pretesa husserliana di attingere una sfera di esperienza fenomenologicamente ridotta in cui ogni p ossi­ bile rimando all'intersoggettività, reale o p ossibile , diretto o indiretto , sia completamente assente, non può essere fatta va­ lere in maniera letterale, per le ragioni che abbiamo visto in questo paragrafo . Va tuttavia detto che l' intenzione più profonda di Husserl nella determinazione della "sfera pri­ mordiale" non è questa, e la riduzione primordiale c onti­ nua ad essere uno strumento metodologico valido se viene 20 M. MERLEAU-PONTY, Fenomenologia della percezione, tr. it. di A. Bonomi, Milano 1 980, pp. 572-573.

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assunta non in connessione con la costituzione dell'inter­ soggettività in senso generale , ma più correttamente e li­ mitatamente con la c ostituzione di un alter ego reale, di una soggettività a me d a t a c ome estranea (nelle forme dell' Einfuhlung) . L"'astrazione" dall'intersoggettività, anche nel senso metodologico-analitico che Husserl chiaramente le c onferisc e nelle Cartesianische Meditationen, non può mai prescindere del tutto dalla possibilità dell'alterità, perché lo stesso ego "solitario" ne risulta sottilmente implicato , e non può non c ondividerne intimamente le strutture. La nozione di intersoggettività ap erta è suscettibile di importanti sviluppi in direzione di una filosofia della fini­ tezza che non abbandoni il terreno trascendentale , e che quindi p ossa dar luogo, entro certi limiti, ad una vera e propria giustificazione del finito . Disso ciare in linea di principio il c oncetto fenomenologic o dell'intersoggettività dalla presenza reale di un soggetto estraneo significa in fon­ do affermare che la pluralità delle prospettive non è a sua volta un effetto di "prospettiva" , ma è il modo di darsi (fi­ nito) dell' essere stesso, la sua unica p ossibilità di venire a ma­ nifestazione 2 1 • In altre parole , ogni cosa nell' orizzonte del 2 1 Richard Cobb-Stevens, discutendo con D errida e la sua inter­ pretazione della fenomenologia husserliana, fa giustamente rilevare co­ me in Husserl non si p ossano minimamente trovare le basi per un 'prospettivismo' di tipo nietzscheano (o, anche, derridiano) , cioè per una c oncezione per cui la 'verità' , ogni verità, si risolve sempre nel gioco di specchi delle apparenze, nella deriva infinita del significato (cfr . , per esempio, ]. DERRIDA, LA voce e il fenomeno, tr. it. a cura di G. Dalmasso , Milano 1 997 , pp. 1 44-1 4 5) . Mentre infatti è vero che nella fenomenologia husserliana della perc ezione la prospetticità è una caratte­ ristica essenziale del modo d' essere della cosa, l' evidenza della prospetticità non è a sua volta una 'prospettiva parziale' sulla cosa, ma è in un certo senso un'evidenza assoluta e a-prospettica: � L' afferramento intuitivo del carattere essenzialmente prospettico della percezione non è di per sé un'altra prospettiva che si trova allo stesso livello delle manifestazioni percettive di una cosa. Afferrare il principio che governa la continuità infinita dei profili non significa disporre di un altro profilo, ma identifi­ care una struttura invariante dell' apparire » (R. CoBB-STEVENS, Hobbes

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mondo non si scompone in un'infinità di prospettive per­ ché vi sono di fatto molteplici soggetti esperienti; al contra­ rio , la possibilità che vi siano molteplici soggetti è fondata e s s a s t e s s a nella c os ti t u zi o n e plurip r o s p e tti c a ( o "pluralistica ") della c osa, e dunque l a molteplicità delle coscienze esistenti non produce ma rivela l'intersoggettività del senso d'essere del mondo . Il carattere filosofico-universale (trascendentale) dell'in­ tersoggettività non avrebbe potuto ricevere una sottoline­ atura più netta , e ci sembra che le c onseguenze di questo assunto conducano Husserl non solo ben oltre i limiti della filosofia trascendentale classica di impronta kantiana e neo­ kantiana, ma, per alcuni aspetti, anche oltre le prese di po­ sizione radicali contemporanee che esplicitamente prendo­ no congedo dal paradigma trasc endentale . Qu est' ultima opzione , non priva di ragioni se vista in funzione di un re­ cupero delle forme concrete dell'esperienza e dell' esistenza umana, sembra tuttavia incapace di indicare p ositivamente un qualche nesso necessario c he lega la molteplicità dei sog­ getti all' unità dell' essere, mostrando in primo luogo c he questa unità non può non essere intersoggettiva, e in sec on­ do luogo che la c ostituzione intersoggettiva della verità non prelude puramente ad un esito relativistico, ma esprime semmai il dinamismo relazionistico che abita la ragione . Il fatto che Husserl abbia perseguito questi obiettivi muoven­ do preferibilmente da livelli di esperienza "elementari" (c ome la semplic e percezione di un oggetto nello spazio) non deve apparire un limite, bensì un' occasione di appro­ fondimento da cui il pensiero contemporaneo può trarre spunti teoretici originali, al di là della lettera dell' inse­ gnamento husserliano .

and Husserl on Reason and Its Limits, in: R. SOKOLOWSKY (ed. ) , Edmund Husserl and the Phenomenological Tradition, Washingto n , 1 98 8 , p p . 47-6 1 , p. 60) .

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7. Comunità monadica, temporalità, individuazio­ ne: intersoggettività trascendentale come soggetti­ vità trascendentale concreta.

Nelle pagine prec edenti abbiamo già p o tuto verificare che l' esperienza del mondo non è l'operazione coscienziale di un soggetto singolo, ma è sempre e necessariamente co­ stituita nella reciprocità della c omunicazione. Fac endo e­ sperienza di me stesso come monade originaria, io sc opro le monadi per me altre, ma scoprendole come altre monadi, centri di una vita soggettiva autonoma, mi colgo all'interno di una relazione c omunitaria da cui non posso prescindere : « Il mio ego datomi apoditticamente , l' unico ego che io debba porre c ome esistente in maniera assolutamente apo­ dittica, non può a priori essere un ego che ha esperienza del mondo se non in quanto si trova in comunità c on altri a lui simili (kann a priori nur welteifahrendes ego sein, indem es mit anderen seines gleichen in Gemeinschcift ist) , in quanto è un membro di una società di monadi che è orientata a partire da lui » (Hu I, 1 66; MC, 1 56) . È notevole , in questo passaggio, la connessione strettis­ sima tra il punto di vista egologico-monadico e quello in­ tersoggettivo-comunitario, tra l'autorappresentazione del cogito nella sua evidenza originaria e la necessità del fungere dell' altro (o degli altri) negli strati più profondi e signific a­ tivi dell' esperienza del mondo . Ciò equivale ad affermare che per Husserl il cosiddetto mondo primordiale non è re­ almente e in senso pregnante un m o n do, e si è visto c on molta chiarezza come nella stessa dimensione fenomenica della "primordialità" si possa sì tagliare fuori astrattivamente la realtà degli altri, ma non la loro possibilità, p oiché quest' ultima risulta intimamente aderente al carattere pro­ spettico della mia esperienza c osale, alle strutture intenzio­ nali ed orizzonti che vi sono inclusi. Tra il mondo e le c ose nel mondo da una parte , e l'in­ tersoggettività dall' altra, si dà quindi una connessione a-

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priori (un'implicazione trasc endentale) innanzitutto perché ogni res mondana dispiega originariamente il suo senso nel camp o di proiezione dell ' intersoggettività aperta (in ambito primordiale o solipsistico , essa è una sorta di orizzonte in­ tersoggettivo vuoto ma ineliminabile) ; tuttavia si può fa­ cilmente capire che l' intersoggettività riveste un interesse filosofic o-trasc endentale di primo piano non solo come intersoggettività aperta - o puro "apriori" nel senso spie­ gato - ma anche come comunità (inter)monadica iffettiva, in cui l'ego trasc endentale fen omenologic o propriamente si "realizza" e concretizza. L' approfondimento del significato costitutivo dell'inter­ soggettività doveva condurre Husserl ad una modificazione decisiva del concetto di soggettività assoluta, poiché mentre quest'ultima appariva inizialmente in forma di mera polarità egologic a, ad una riflessione più profonda manifesta una strutturazione complessa e plurale . In altre parole, " as­ soluto " non è propriamente l'io puro (se non al primo live­ llo dell' autoriflessione trascendentale del fenomenologo) , bensì la to talità dei soggetti, la com unità monadica, l'inter­ soggettività trascendentale. Su questo punto Husserl è molto chiar o : « C o sì la soggettività trasc endentale si estende all'intersoggettività (die transzendentale Subjektivitat erweitert sich zur Intersubjektivitat) o piuttosto , propriamente parlan­ do, essa non si estende, ma solo comprende meglio se stes­ sa. Essa si comprende c ome monade primordiale, che porta intenzionalmente in sé altre monadi (in sich andere Monaden intentional tragt) , perciò deve porle come altri soggetti tra­ scendentali (la concordanza dell' esperienza rende necessaria la certezza d' essere, quando questa procede realmente nello stile della concordanza) » (Hu XV, 1 7) . Le monadi estranee sono soggetti trascendentali costi­ tuenti, come me; il correlato soggettivo del mondo , che si offre come residuo evidente della riduzione fenomenologi­ ca, non è dunque esaurito dal mio io singolare , dalla mia sfera appartentiva, ma include la soggettività di tutti gli al-

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tri. « Attraverso il metodo trascendentale io scopro la mia "soggettività trascendentale " . Ma innanzi tutto ciò non signifi­ ca : la mia proprietà primordiale, questo è un errore quasi ine­ vitabile per il principiante [fenomenologico] » (Hu XV, 368) . In realtà, il contributo operativo della riduzione è duplice, poiché l' espressione "soggettività trascendentale" può indicare tanto la soggettività monadica del fenomenolo­ go assunta nella sua purezza c ostitutiva , quanto l' intersog­ gettività da essa inseparabile (Hu XV, 74-7 5) . L ' esperienza dell' estraneità c o mporta chiaramente un decentramento dell'io, un rivolgimento della stessa feno­ menologia trascendentale che da egologica ed egocentrica (senza dare a quest'ultimo termine una connotazione etica) si fa centrifuga e c omunitaria 22 • Naturalmente il mio ego trascendentale funge anc ora da polo di qualsiasi intenziona­ lità e, per me, non potrebbe essere altrimenti; tuttavia, con il guadagno di un' ottica c omunitaria, la mia esperienza del mondo non è l' assoluto , ma è più semplicemente una pro­ spettiva sull 'assolu to. Se esiste una pluralità di monadi, nessu­ na di esse è autosufficiente in senso pieno, nessuna è a tutti gli effetti "sostanza" ; l' essere-per-sé della monade esige strutturalmente la connessione con "altro " , con un'altra monade . Realmente assoluta è solo la totalità delle monadi (das MonadenalQ (Hu XIV, 295) . Ogni ego, ogni soggetto , è nello stesso tempo trascenden­ tale e finito , c ostituente e costituito , essere-per-sé ed esi­ genza dell'altro, "portatore " ma non p ossessore dell'asso­ luto , il quale si manifesta in me solo in quanto trasborda le mie p ossibilità di appropriazione. Lo sviluppo sistematico e coerente dell' egologia fenomenologica è dunque una mo­ nadologia trasc endentale, e lo stesso Husserl si colloca a­ pertamente sul terreno di un rinnovamento del pensiero di

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Cfr. E . BACCARINI , La fenomenologia. Filosofia come vocazione, Roma 1 98 1 , p. 85.

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Leibniz 23: « L a totalità assoluta dell' essere è l'universo dei soggetti trasc endentali, che stanno reciprocamente in una comunità reale e possibile. Perciò la fenomenologia condu­ ce alla monadologia, anticipata da Leibniz in un tentativo geniale » (Hu VIII, 190) . Ovviamente , Husserl rifiuta gran parte dell' architettura metafisica della monadologia tradizionale . Le monadi non sono inserite in un' armonia prestabilita, hanno "finestre " che consentono l' esplicarsi della relazione comunicativa: « Ogni io è per sé, è un'unità per sé, ha il suo flusso di vis­ suto , ha i suoi poli ideali, ecc . Ogni io è [sotto questo a­ spetto] una "monade" . Ma le monadi hanno finestre . Esse non hanno finestre o porte in cui possa entrare realmente un altro soggetto , ma attraverso di esse (le finestre sono le en­ tropatie) è p ossibile esperirle c osì bene come esperiamo i nostri vissuti passati attraverso la rimemorazione » (Hu XIV, 260) . Mentre le monadi leibniziane sono unità rap­ presentative chiuse, e la loro correlazione è resa possibile da un'istanza superiore, da Dio c ome garante dell' armonia del mondo metafisic a , le monadi fenomenologiche sono real­ mente chiuse (nel senso che i vissuti dell' una non possono essere percepiti direttamente dall'altra) , ma intenzionalmente aperte , cioè riferite l' una all'altra in virtù della loro natura prospettica, finita, relazionale 24• In parole diverse, « vi è tra 23 Per una prima articolazione del confronto Husserl-Leibniz, cfr. R . CRISTIN, "Phanomenologie und M onadologi e . Huss erl und Leibniz " , in: Studia leib nitiana, XXI I / 2 , 1 990, pp. 1 63-1 7 4 ; K. MERTENS, "Husserls Phanomenologie der Monade : B emerkungen zu Husserls Auseinandersetzung mi t Leibniz" , in: Husserls Studies, 1 7 , 2000, pp. 1-20. 2 4 Nota in proposito Ricoeur: « But in Leibniz ali perspectives are integrated into a higher p oint of view, that of God, by an operation of over-viewing which allows passing from the monad to monadology. No such view from above is permitted in Husserl. It is always from the side, and no t from above, that each of us discovers that the same world is grasped from different points of view. For the other perspectives are appresented within one originary perspective , mine, as being different

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un essere e l' altro una comunità intenzionale, un legame che per principio ha un carattere del tutto proprio, una comunità effettiva, quella appunto che rende trascenden­ talmente possibile l' essere di un mondo , mondo di uomini e di c ose » (Hu I, 1 5 7; MC, 1 47) . Sappiamo che la corporeità delle monadi è una condi­ zione di possibilità della relazione intersoggettiva, ma anche la temporalità ha una funzione essenziale nella determinazio­ ne dei c apisaldi della monadol ogia fenomenologica. L'esperienza dell'estraneità implica tanto un appaiamento (Paarung) tra il mio c orpo e quello dell' altro , quanto un' identificazione (Deckung) delle rispettive c o o rdinate temporali (Hu XV, 33 1) . In particolare , io esperisco l'altro c ome soggetto di un flusso temporale centrato nel presente vivente ed "estes o " nelle due direzioni del passato e del fu­ turo; l'altro percepisc e la propria temporalità così c ome io percepisc o la mia, ma in questo modo il tempo c essa di a­ derire esclusivamente ad una singola monade e viene a co­ stituirsi tra me e l'altro un orizzonte temporale com une. Anche qui si stabilisce un nesso di implicazione feno­ menologic o-trascendentale ; se infatti il mio tempo e il temp o dell' altro non fossero modi diversi di esperire lo stesso orizzonte temporale , non avrebbe alc un senso defi­ nito attribuire all' altro una temporalità estranea, perché ogni senso di " estraneità" è per me accessibile solo come modi­ ficazione o auto-estraneazione della mia monade (Hu XV, 640) . Nell'empatia, il mio presente originario si sintonizza ed unifica punto per punto c on il pre sente originario dell' altro, così tra le fasi temporali dei due flussi monadici si realizza una c oincidenza continua; tuttavia, questa c oinci­ denza è pur sempre unità-nel-contrasto o, in modo analo­ go , identità-nella-differenza, altrimenti la trascendenza radi­ cale della soggettività estranea non potrebbe affatto manifeperspectives upon the same world » (P. RICOEUR, Husserl: an Analysis ofhis Phenomenology, Evanston 1 967, p. 1 37) .

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starsi nel mio flusso di coscienza. Scrive Husserl: « Il tempo della mia vita fluente è separato da un abisso (abgrundtiifge­ schieden) da quello del mio prossimo , e questa espressione metaforica dic e ancora troppo poc o . Se questo tempo si u­ nificasse [realmente] con quello del prossimo, io e lui sa­ remmo un [unico] io con una vita, un flusso di vissuti, una facoltà, ecc . » (Hu XV, 339) . Ancora una volta, la distinzione gnoseologica tra unifi­ cazione reale e unificazione intenzionale si rivela particolar­ mente feconda, e nel caso della Fremdeifahrung essa ci per­ mette di pensare insieme, senza c ontraddizione, l'assoluta separazione delle temp oralità monadiche e la necessità di un unico tempo intermonadico . È evidente che tra il mio flusso di coscienza e quello dell' altro non si dà alcun pas­ saggio c ontinuo , alcuna via diretta, come se fosse possibile colmare la distanza abissale che li separa senza distruggere le condizioni stesse dell' esperienza dell'alterità. Come abbiamo spesso notato, dell' alter ego c ome tale non si dà percezione originale, e ciò si deve innanzitutto al fatto che egli (come soggetto incarnato) occupa una posi­ zione spaziale-prospettica che non può identificarsi c on la mia; ma la trascendenza dell'altro può essere espressa, forse in modo ancora più radicale , attraverso c oncetti temporali. Husserl sembra infatti sostenere c on molta chiarezza che la temp oralità , come ape rtura estatico-orizzontale in cui « ogni istante del presente porta in sé un riferimento ad altri istanti, che ad esso si sottraggono nella loro presenza ge­ nuina e hanno il loro significato solo in quanto dirompono dall' interno la presenza » 2\ assume una rilevanza decisiva per la p ossibilità della Fremdeifahrung e Frem dbeziehung. L' autotemp oralizzazione dell'io, come incessante auto­ movimento del presente vivente che rimanendo forma im25 G. ROMPP , "Der Andere als Z ukunft und Gegenwart: zur Interpretation der Erfahrung fremder Personalitat in temp o ralen B egriffen bei Lévinas und Husserl", in : Husserl Studies, 6, 1 989, pp. 1 29-1 54.

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mutabile dell' attualità della vita fluente del cogito parimenti si "svuota" e de-presentifica volta a volta nelle direzioni del passato e del futuro, è già una struttura di " e ­ straneità-a-sé" della mia coscienza, e c ome tale rende p os­ sibile l'apertura alla " estraneità-dell' altro" , alla Frem deifa­ hrung propriamente detta (in modo schematico , si potrebbe affermare che l' intra-temporalità è una condizione di possi­ bilità dell' inter-temporalità) 26 • N ella sua lunga riflessione sul problema dell'intersoggettività, Husserl ha sempre di nuovo sottolineato l'analogia che sussiste tra Frem deifahrung ed E­ rinnerung, tra esp erienza dell' altro e presentificazione del passato . Se il passato è una modificazione del presente, è un "presente " che non può (più) essere percepito , l' a lter ego è un "presente " che non può (mai) essere vissuto diretta­ mente da me (H u XV, 642) . Il presente dell' altro è, per me, un presente presentificato, un presente non percepibile. Accanto al momento analogico , si deve anche sc orgere una radicale asimmetria tra le due forme di esperienza che ab­ biamo appena richiamato; mentre infatti il mio passato è tale proprio perché (una volta) è stato p erc epito, il presente dell'altro non è mai stato accessibile (né potrà esserlo) alla mia p ercezione originale. È unicamente l' altro ad avere un' esp erienza diretta della propria tempo ralità (Hu XV, 339) . Le dimensio ni temp orali in cui si articola la vita dell' altro sono le stesse che aprono e fondano il mio esse­ re-nel-mondo, anche la coscienza estranea è cioè struttu­ rata temporalmente in modo triplice (passato-presente-fu­ turo) e saputa come tale da me . Ma l' Einfuhlung che scopre l' altro come un essere vivente in un presente , abitato da un passato e proteso ad un futuro , dunque c ome un essere temporale, è radicalmente e definitivamente diversa dalla 26

Per Held, la possibilità dell'intersoggettività trascendentale è fon­ data in ultima analisi nella struttura estatica della coscienza interna del tempo. Cfr. K. HELD, Lebendige Gegenwart, cit. , pp. 1 62 sgg.

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Wahrnehmung che l' altro ha del suo presente, ha avuto del suo passato ed avrà del suo futuro. D ella c oncretezza tem­ porale dell'alter ego non si dà propriamente percezione, ma solo una comprensione interpretante che tuttavia è pur sempre un' autentica esperi e nza e d è anzi l ' unic o modo di "esperire" , nel temp o dell ' altro , un altro tempo, un altro ritmo vitale, irriducibile al mio . L' altro sfugge alla mia presa, è l"'inoggettivabile" per ecc ellenza, tuttavia rimane b eninteso che questo asserto non delinea una mistica inafferrabilità del suo essere, ma rappresenta la chiarificazione trasc endentale di un dato fe­ nomenologico tanto elementare quanto pregnante , solo apparentemente c ontraddittorio : l'alter ego, l' analogon della mia monade , è come tale il trascendente, l'inassumibile, il distante, il differente . Per Husserl, il luogo originario della differenza come condizione (e limite) dell' esperienza dell'io non è c ostituito da una p otenza manifestativa anonima dell' essere, ma fondamentalmente dalla relazione intersog­ gettiva, in cui una temporalità a me "eccentrica" perché in sé "assoluta" si rivela sottraendosi. La prossimità dell'altro è l'evento della sua trascendenza, c osì p otremmo sintetizzare avvalendoci di una terminologia di chiaro sapore levinasiano ; ma va almeno puntualizzato, in questa sede, che nel caso di Husserl la "trascendenza" del­ l' altro uomo non ha una risonanza etica immediata e co­ gente, non assume la forma imperativa di un appello in­ condizionato alla responsabilità per gli altri uomini. Sem­ mai si può parlare, in prospettiva, di premesse antologiche ele­ men tari dell 'individuazione e della relaz ione, trasc endental­ mente sottese ad ogni disc orso etico anche se non imme­ diatamente congruenti con esso. In alcuni scritti inediti degli anni '30 sui quali ci siamo già soffermati nelle ultime pagine, Husserl sottolinea quella potenza individuante della temp oralità che costituis ce in qualche modo lo "spessore " , la stratificazione concreta della monade fenomenologico-trascendentale . Certo , il corpo è

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c ome abbiamo visto l' automanifestazione dell' ego trascen­ dentale in quanto essere-nel-mondo , e dunque è il modo stesso di apparire (a sé e ad altri) di una soggettività c on­ creta, di un individuum; tuttavia il tempo è per Husserl più radicalmente principium individuationis, se si considera che le monadi sono "individui" non solo e non tanto in virtù della loro separazione nello spazio, del loro occupare posi­ zioni differenti, bensì si tratta di esseri in se stessi ( antologi­ camente) "separati" (Hu XV, 334) . « L'individualità delle anime [delle monadi] significa in un certo senso separazio­ ne incolmabile (unuberbruckbare Trennung) , dunque un es­ sere-altrimenti e un essere-l'una-fuori-dell' altra (in senso logico e non spaziale) c he mai possono trasformarsi in una connessione c ontinua (zu einer kontinuierlichen Verbindung), una connessione intesa come trapassare-l'uno-nell' altro (I­ neinandeifliessen) dei tempi propri monadici. Per altro verso questa separazione non impedisce che le monadi p ossano "identificarsi" (sich udecken "), che in altre parole p ossano essere in c omunità, ma è una c ondizione di possibilità di tutto ciò » (Hu XV, 334-33 5) . Sotto questo profilo , non si potrebbe immaginare una discontinuità più marcata , e dunque l'orizzonte temporale non può includere al suo interno le temp oralità individuali c ome parti, momenti o funzioni di una totalità, perché in tale circ ostanza le monadi non sarebbero propriamente "individui"; piuttosto , la temporalità intermonadica è una temporalità costituita, un' unità di ordine superiore (Hu XV, 340) , che ha c ome strato elementare fondativo l'esperienza c oncreta di un alter ego. Per Husserl, il continuum intersog­ ge ttivo presupp one trascendentalmente la dis co ntinuità antologica delle monadi, l' unità del tempo intermonadico si costruisce sulla "sfasatura" delle temporalità singolari, la possibilità della comunicazione deve stabilirsi là dove per principio è impossibile il riempimento percettivo . Se dun­ que rimane vero che ogni monade ha il suo tempo , il c on­ tatto entropatic o con un'altra monade de-assolutizza la

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temp o ralità singolare , rivelando n e la prospetttClta. Pertanto è originariamente fondata la coesistenza del mio io (e del mio io concreto in generale) c on l'io estraneo, del mio vivere intenzionale con il suo, delle mie realtà c on le sue; in breve si è fondata una forma temporale comune, o­ ve ogni temp oralità primordiale ottiene da sé il puro signi­ ficato di un modo o riginale e soggettivo-individuale di manifestazione della temporalità oggettiva. Si vede qui c o­ me la comunità temporale delle monadi, riferite c ostituti­ vamente l'una all' altra, sia indissolubile, perché è essenzial­ mente connessa alla c ostituzione del mondo e del tempo mondano » (Hu I , 1 5 6; MC, 1 46) . Il tempo appare qui come fondamento dell' individuazio­ ne del soggetto , della " monadizzazione" , ma è altrettanto essenziale rilevare come tra le condizioni fenomenologi­ co-trascendentali del c oncreto strutturarsi della mia unità individuale figuri la temporalità in quanto intersoggettiva; di fatto, quest'ultima dona al concetto di orizzonte temporale il suo significato più profondo . La vita individuale non di­ sp one mai del senso totale del temp o , non solo perché il presente della mia monade è finitizzato dal darsi di altre presenze, di altre monadi, con le quali c oesisto attualmente , ma soprattutto perché , c ome vedremo meglio tra breve, il tempo trasc endentale monadic o è in se stesso "finito " , è inserito in una catena generativa e storica, e solo in tale contesto , strutturalmente intersoggettivo, il soggetto può acquisire un significato che trascende (entro certi limiti) la sua stessa finitezza e storicità. L'individuazione della soggettività trascendentale è pri­ mariamente il suo temporalizzarsi, che naturalmente non può essere ormai inteso come l'operazione di un io formale disincarnato , ma piuttosto c ome il progressivo rivelarsi a se stessi come temporali, nella piena concretezza degli atti e dei contenuti, e nella tessitura umanizzante della vita comuni­ taria. S olo a tali condizioni il conc etto fenomenologic o della monade come io realmente c oncreto assume suffi«

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ciente determinatezza analitica: « lo comprendo in generale gli uomini nel mondo c ome generativamente connessi in un'infinità bilaterale aperta (als generativ in olfener beiderseiti­ ger Endlosigkeit zusammenhiingeml) , e comprendo che l' essere del mondo , che io esperisco, è stato e sarà esperito come lo stesso dagli uomini lungo la catena infinita delle generazio­ ni, è stato e sarà dato nella connessione [intersoggettiva] c ome lo stesso , attraverso l' esperienza c oncordante (e la correzione scambievole) e in presunzione evidente. Attra­ verso le unità di vita degli uomini, limitate da nascita e morte, si estende l'unità di una vita umana come unità di un' esperienza umana totale [ . . . ] e di una tradizione fondata su di essa. Perciò comprendo l'umanità come umanità storica, l' estendersi del tempo del mondo (das Hinausreichen der Weltzeit) , del tempo riempito da eventi mondani , oltre il mio tempo di vita e quello degli uomini a me contempo­ ranei (uber meine Lebenszeit und die meiner mitgegenwiirtigen Menschengenossen) » (Hu XV, 1 6 8- 1 69) . La generatività, l' (auto)produzione dell'unità di un genere umano e di un'umanità storicamente unific ata, nell'u­ niverso intersoggettivo segnato dal ritmo di nascita e morte, è chiaramente assunta da Huss erl c ome dime ns i o ne "assiale " del trascendentale fenomenologico , al punto che se si spinge la considerazione filosofico-trascendentale della soggettività sino agli esiti più c oncreti non si può non par­ lare di intersoggettività generativa. In altri termini, la connes­ sione tra i soggetti non si realizza solo in uno statico riferi­ mento al mondo circostante c omune, ma anche in un di­ namico rapporto di generazione, che ridisegna e approfon­ disce intersoggettivamente quella temporalità della coscienza che Husserl aveva sempre sottolineato nel suo ruolo fon­ dante per la possibilità di ogni sintesi oggettiva e cognitiva. Non basta annettere all'ego trascendentale una c oscienza del p assato, del presente , del futuro , occ orre anche assu­ merlo c ome soggetto generato da altri soggetti, e sotto questo aspetto "venuto al mondo", in un mondo già umanizzato ,

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che esisteva prima di lui e che continuerà ad esistere dopo di lui 27• Qualche volta Husserl sembra negare c he "nascita" e "morte" possano riguardare l'io assoluto emergente dalla riflessione fenomenologica (Hu XXIX, 338) , ma ciò ri­ sponde principalmente alla nec essità di salvaguardare il senso funzionale della polarità egologica senza ridurla ad occorrenza empirica: l'io puro non "appare " e "scompare" come una qualunque res intramondana. Ma l' esistenza di un vincolo generativo tra le monadi apre lo spazio per una n­ formulazione sul terreno trascendentale dei problemi tradi­ zionali di nascita e morte, che in tal modo perdono il loro carattere di fattualità impenetrabile, e rientrano almeno parzialmente in una logica della differenza e della socialità. In un testo dell' inizio degli anni ' 30 , Husserl rovescia la tesi ricorrente di un'inessenzialità della morte all'interno di una prospettiva di idealismo trascendentale , giungendo ad af­ fermare che generatività, nascita e morte non solo hanno piena rilevanza fenomenologica, ma sono « eventi essenziali per la 27 Anthony Steinbock ha dato il massimo risalto possibile alla di­ mensione della generatività, rilevando come essa non rappresenti un terreno di indagine tra gli altri, ma una direzione strutturale del metodo fenomenologico-trascendentale ; in altre parole, in Husserl vi sarebbe una vera e propria fenomenologia generativa accanto alla fenomenologia sta­ fica e alla fenomenologia genetica, come loro intrinseco sviluppo e com­ pletamento (cfr. A. STEINBOCK, Home and Beyond. Generative Phenome­ nology after Husserl, Evanston 1 995) . Il volume di Steinbock è interes­ ssante non solo p er l'interpretazione dei numerosi problemi che in Husserl gravitano attorno alla nozione di soggettività (e intersoggetti­ vità) generativa, sui quali non abbiamo p otuto soffermarci qui (ad e­ sempio il problema della costituzione dei diversi "mondi" storici e culturali, secondo strutture di "appartenenza" , "familiarità" , "estranei­ tà" , ecc . ) , ma anche per cogliere le potenzialità di un approccio gene­ rativo alle questioni fondamentali della filosofia, oltre lo stesso Husserl. Più discutibile ci sembra invece il tentativo di interpretare l'ottica ge­ nerativa come specificazione ultima e centrale del metodo fenomeno­ logico husserliano, perché ciò conduce forse Steinbock a sottovalutare l'importanza che continuano a rivestire il momento statico e quello ge­ netico all'interno di una fenomenologia della generatività.

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c ostituzione del mondo ( Wesensvorkommnisse fur die Wel­ tkonstitu tion) » , e quindi « devono valere c ome elementi essenziali per un mondo costituito » (Hu XV, 1 7 1 ) . S e la coscienza interna del tempo è centrale per ogni at­ tività costitutiva del soggetto, la nascita e la morte introdu­ cono un nuovo grado nella comprensione della temporalità monadica, qualificandola inequivocabilmente come finitez­ za. L'intersog- gettività generativa, che consente di dare un senso dinamico e storico all'intenzionalità trascendentale, in una tensione verso !"'infinità" che si propaga lungo le ge­ nerazioni umane, è anche ciò che situa le possibilità opera­ tive della (singola) monade entro limiti strutturali invalica­ bili. Il temp o monadico non è solo prospettico , ma anche "finito" nel significato letterale del termine; tuttavia il tem­ po finito, che abita p er così dire tra gli estremi o i "punti-limite" di nascita e morte, è il tempo propriamente umano, è il mio tempo così come il tempo dell' altro, il tem­ po di c ui realmente disponiamo . Scrive Husserl: « La cer­ tezza futura (Zukunftsgewissheit) del mio essere come uomo vivente nel mondo tra uomini, e dell' essere di ogni altro, riceve un limite insuperabile (eine unuberschreitbare Grenze) , e così correlativamente la c ertezza memoriale (Erinnerun­ gsgewissheit) del passato umano e della vita di uomini nel mondo » (Hu XV, 1 7 1 ) . Nell' ottica della generatività, la fi­ nitezza temporale del soggetto, la sua mortalità come indi­ viduo umano , non equivale ad una chiusura, ma lo inseri­ sce in una trama di senso che permette di riconoscere la morte non tanto come fatalità o c ondanna , quanto c ome dono dell 'altro, c ondizione di possibilità dell' esistenza di altri uomini: il senso antologic o-fondamentale della morte è per Husserl l'intersoggettività 28 • 28 Sarebbe interessante un confronto tra Husserl e Heidegger sul problema della morte, proprio perché nel comune orientamento feno­ menologico emerge chiaramente una diversa concezione della finitezza; mentre infatti in H eidegger la struttura antologic o-esistenziale

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Queste considerazioni, che adeguatamente sviluppate c o ntrib uirebbero non p o c o ad incrinare l' immagine "istituzionale" della filosofia trasce ndentale, forniscono nuove importanti c onferme alla tesi generale sul rapporto tra s oggettività e intersoggettività nel pensiero di Husserl . Solo pensato come membro di una c omunità il soggetto è concretamente trascendentale, o nel linguaggio di Krisis: « Solo nell'intersoggettività la soggettività è quello che è: un io costitutivamente fungente (konstitutiv fungierendes Ich) » (Hu VI, 1 7 5) . Le ripercussioni di questo asserto husserliano sul piano fenomenologico , gnoseologic o ed epistemologico ci sem­ brano inequivocabili e p ossono essere sintetizzate c ome se­ gue: l'io trascendentale non è un singulare tantum, nessun assoluto pensabile è solus ipse, l' unic o vero "assoluto" è la connessione infinitamente aperta e generativamente unifi­ cata delle monadi nel loro essere-l'una-per-l' altra. La c ondell"' essere-per-la-morte " enfatizza in ultima istanza la solitudine del Dasein, in Husserl la finitezza e mortalità del soggetto sono originaria­ mente situate in un orizzonte di socialità. Tra l' altro, in Sein u nd Zeit il fenomeno della morte non è mai connesso in maniera esplicita a ciò che lo precede, cioè alla nascita o "natalità" , e dunque a ciò che nel lin­ guaggio husserliano si chiama " generatività" . Appare allora legittimo il sospetto che l'analisi heideggeriana manifesti una lacuna fenomenologi­ ca di fondo, nella misura in cui l'essere-per-la-morte come autocom­ prensione della finitezza del Dasein non si costituisce nel contesto di un' esperienza solitaria, ma presuppone generatività e intersoggettività. Nota in proposito Blumenberg: « Naturalmente, chiunque faccia fe­ nomenologia sa - esattamente come chi non la conosce - che la pro­ pria c oscienza ha avuto un inizio nel tempo e avrà una fine nello stesso. Questo sapere però è mediato , non proviene dall'immanenza della co­ scienza e quindi non può essere attribuito alla sua costituzione. Il prin­ cipio che tutti gli uomini sono stati messi al mondo e devono morire è il risultato di un'esperienza intersoggettiva. Ad ogni uomo si "fa sape­ re" che è stato messo al mondo, poiché non era lì a "vivere" questo i­ stante; ed è con cautela che bisogna fargli capire che morirà, p erché non può immaginarsi una c essazione della propria coscienza » (H. BLUMENBERG, Tempo della vita e tempo del mondo, tr. it. a cura di G. Carchia, Bologna 1 996, p . 1 1 0) .

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cretezza della soggettività trascendentale è la comunità in­ ter-monadica: « La soggettività trascendentale pienamente c oncreta al proprio interno è la totalità - trasc endental­ mente unica e solo in questo modo concreta - della co­ munità aperta dei soggetti. L'intersoggettività trascenden­ tale è il terreno antologico assoluto , l'unic o terreno auto­ sufficiente (der allein eigenstiindige Seinsboden) , dal quale ogni oggettività - la totalità dell' essente realmente oggettivo , ma anche ogni mondo ideale oggettivo - ric eve il suo senso e la sua validità » (Hu IX, 344) . Ma allora, per c ompletare il discors o , si dovrebbe affer­ mare che una filosofia della soggettività che non affronta esplicitamente e tematicamente la questione della pluralità dei soggetti non può essere definita a pieno titolo una filoso­ fia trascendentale . Lo spostamento del centro di gravità della costituzione fenomenologico-trascendentale dall' io al noi è il fondamento di un' antologia pluralistica, in cui l' essere si rifrange nella molteplicità delle prospettive singolari e solo nella tensione teleologica della comunicazione in­ tersoggettiva si dà come uno e identifìcabile. Scrive Husserl: « Il mondo oggettivo c ome idea, c ome correlato ideale di un' esp erienza intersoggettiva c ondotta o c onducibile ide­ almente sempre innanzi in maniera c oncordante - di un' esperienza intersoggettiva partecipata dalla c omunità è riferito essenzialmente alla stessa intersoggettività , c osti­ tuita nell'idealità di un'apertura sc onfinata, i cui soggetti singoli sono provvisti di sistemi c ostitutivi c oerenti che si corrispondono l'un l'altro » (Hu I , 1 38; MC, 1 28) . Troviamo qui tutti gli elementi indispensabili per parlare di un'intenzionalità plurale , gnoseologicamente operante , che ha come p olo noetico il noi e c ome polo noematico il mondo, e per dedurne che la costituzione veritativa del senso mondano, dell'orizzonte totale , è un compito possibile sì, ma infinito. L' unica infinità della verità p ossibile per noi (soggetti trascendentali e finiti) è quella del compito infini­ to .

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8. L' Ur-Ich e il paradosso della soggettività intersog­ gettiva

L' analisi generale del problema dell'intersoggettività che si è dipanata fin qui ha mostrato , s o tto diversi asp etti, l' originalità della concezione husserliana della filosofia tra­ scendentale, e la dimensione intersoggettiva si è rivelata u­ na sorta di meta-categoria o di "grande genere" (nel senso platonico) in cui tutte le categorie fenomenologiche si tra­ sfigurano assumendo il loro significato più c aratterizzante e la loro esatta estensione. D ' altro c anto , come abbiamo spesso notato , l'intersoggettività trasc endentale in Husserl rimane saldamente ancorata ad un punto di vista egologico o monadico , all'io che ha esperienza di soggetti estranei (e che solo in quanto "io" può averne esperienza) , cosicché l' approccio all'intersoggettività non può che presentarsi come interna direzione di sviluppo e di autocomprensione dell' egologia. In altri termini, l"' altro" non è tale in asso, l uto , ma per me; per se stesso, l altro non e' un " al tro , , ma e' un t o . Si potrebbe quindi dire , c on un' espressione hegeliana , che ciascun io è l'altro non di se stesso, ma dell'altro e , simmetricamente, c h e ogni altro è u n io n o n (propria­ mente) per l'altro , ma per se stesso . Certo, nella c ompren­ sione l'altro mi è dato come "io" , non però c ome l'io che io sono e che io vivo. Nella mia prospettiva singolare di soggetto esperiente , sono un « io assolutamente unico e fungente » (Hu VI, 1 90) per il quale la pluralità non ha alcun senso . La verità del "solipsismo" cui Husserl fa spesso riferi­ mento , equiparandola ad una premessa metodologica fon­ damentale che non può essere intacc ata dai successivi ap­ profondimenti dell'indagine, è questa unità intrascendibile, immoltiplicabile ed inalterabile dell'io p uro fenomenologi­ co-trascendentale c ome ultimo polo di referenza di tutto l' essere possibile e conoscibile . Scrive infatti Husserl: « L'io assoluto , che nella sua stabilità mai interrotta è prima di o-

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gni essente e p orta c o n sé ogni essente , nella s u a " c o ncretezza " è prima d i tutte le c oncretezze, l ' i o che porta in sé tutto questo ed ogni pensabile essente, è l"'ego" primo della riduzione - un ego, che si chiama così in mo­ do falso , dal momento che per esso un alter ego è privo di senso » (Hu XV, 586) . Ritorna così in primo piano quella p olarizzazione ego­ logica del c ampo d' esperienza c he in Ideen I era stata tena­ cemente affermata e difesa contro ogni scetticismo natura­ listic o . Qualsiasi trascendenza , c omunqu e c onfigurabile, non può mai far uscire l'io da se stesso, almeno quando sia inteso nella rigorosa purezza trascendentale . A ben vedere, c ome Husserl argomenta in un famoso (e discusso) passag­ gio di Krisis, l'io fungente assoluto che emerge dalla ridu­ zione fenomenologica può essere definito un "io" solo per equivocità (anche se si tratta di un equivoco in qualche misura inevitabile) , p oiché nella sua assoluta unicità e "solitudine" non ammette accanto a sé alcun tu, non è cioè declinabile nel senso consueto dei pronomi personali (Hu VI, 1 88) . Questa apparente spersonalizzazione dell ' io o riginario ( Urlch) , che si affaccia in modo problematic o in diversi testi degli anni ' 30 e che nei paragrafi conclusivi della Krisis fa da supporto teoric o alla tesi husserliana che l'intersog­ gettività non c ostituisca ancora il livello fondativo ultimo della riflessione filosofico-trasc endentale, ha suscitato nu­ merose critiche ed obiezioni, ed è stata per lo più assunta c ome testimonianza esplicita di un'ambiguità di fondo da parte di Husserl (anche nella fase più matura del suo pen­ siero) nel disegnare i nessi concettuali, le articolazioni si­ stematiche tra soggettività e intersoggettività. Ora, si può senz' altro conc edere che questi nessi, queste articolazioni, non siano ovunque perspicui, tuttavia nella stessa prospetti­ va di Krisis ci sembra essenziale non lasciarsi fuorviare dall' intricata terminologia husserliana, per riconoscere che quando Husserl afferma l'imp ossibilità di un "salto" imme-

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diato nella dimensione dell'intersoggettività non sta difen­ dendo una priorità reale (metafisic a o temporale) dell' "io" come soggetto solitario; il suo obiettivo è piuttosto quello di stabilire solidamente , dal punto di vista del metodo, la necessità della polarità ego logica anche nell'apertura intersoggettiva. In parole diverse, per H usserl non esiste un approccio all'intersoggettività che non risulti strutturalmente e fun­ zionalmente mediato dall' ego singolare, dalla monade , dal mio io per il quale i soggetti "altri" si danno appunto c ome altri: ogni sapere dell'intersoggettività, ad ogni grado di complessità e sviluppo, è sempre p rospettic o p erché e­ go-centrato (si potrebbe anche dire: "situato" - nel senso trascendentale della corporeità , della temporalità , della con­ cretezza storica e generativa che ab biamo potuto vedere lungo la nostra analisi) . La tarda tematica husserliana dell' Ur-Ich non revoca in dubbio quanto si è manifestato con chiarezza circa il c arattere trasc endentale dell'intersog­ gettività come dimensione del fungere effettivo e concreto della vita dell' ego . Di fatto , non c ' è per Husserl contraddizione tra l' unicità assolu ta del mio i o , che dalla sua prospettiva può essere sempre soltanto un "io" e mai un "tu" o un " egli" , e la pluralità infinita dei soggetti necessariamente c o-fungenti nella costituzione trasc endentale della realtà, del mondo : « Ciò [l' evidenza trascendentale dell' Ur-Ich] è contraddetto soltanto app arentemente dal fatto che l'io - attraverso un' operazione partic olare e c ostitutiva - si faccia per se stesso trasc endentalmente declinabile; cioè che a partire da esso e in esso si costituisca l 'intersoggettività trascendentale, nella quale esso poi rientra semplicemente come un membro privilegiato, come l 'io degli altri io trascendentali. È questo che in realtà insegna l'auto-esplicitazione filosofica dell' epoché » (Hu VI, 1 8 8; Crisi, 2 1 1) 2 9• Che l'assolutamente unico e centrale Ur-Ich debba es29

I corsivi sono nostri.

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sere pensato anche c ome semplic e membro di una totalità più vasta e mobile , rispetto alla quale la sua posizione tra­ scendentale è solo una tra le molte p ossib ili, è quel "paradosso" della soggettività su cui Husserl richiama pre­ potentemente l' attenzione nelle pagine c onclusive della se­ c onda sezione di Krisis. Sembra infatti contraddittorio o quantomeno inc oerente che Husserl, dop o aver ricono­ sciuto che ogni trascendenza ed oggettività si risolve nell' intersoggettività trascendentale , c o ntinui a ravvis are nell' ego il centro ultimo della c ostituzione fenomenologi­ c o-trascendentale , anche della c o stituzione intersoggettiva, affermando a più riprese che l'unico io realmente concreto è il mio io fungente; se da un lato l'intersoggettività include la mia soggettività trasc endentale come la totalità include i suoi membri, d' altro canto occorre per Husserl mantenere ferma l'assoluta unicità dell' ego e la sua centralità per qual­ siasi operazione costitutiva (Hu VI, 1 89) , e perciò si deve anche ammettere che sotto questo aspetto è il mio io c on­ creto ad includere nel proprio campo d'esperienza la tota­ lità dei soggetti trascendentali, delle monadi. Lungo questo cammino aporetico , la tensione tra sogget­ tività e intersoggettività n e lla t eoria fenomenologi­ c o-trascendentale della costituzione è apparsa a molti critici c ome un' oscillazione continua e irrisolta tra i due p oli piuttosto che c ome la loro compatta unità sistematica; in particolare , se Husserl in Erste Philosophie II e Cartesianische Meditationen aveva parlato dell'intersoggettività monadolo­ gica come dell' unic o vero ass oluto , nella cui trama la mia soggettività diventa per la prima volta concreta, l' acc ento posto in Krisis sulla "concretezza" di un io pensato nella sua unicità indeclinabile (sebbene c apace di aprirsi all' alterità) sembrerebbe rimettere in discussione la precedente con­ quista. Dire infatti che l'apertura intersoggettiva si costituisce nel (e a partire da O mio ego assoluto non equivale in fondo a delineare un rapporto asimmetrico tra soggettività e inter-

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soggettività, per c ui l'attributo dell' assolutezza spetterebbe autenticamente alla prima e potrebb e c ompetere alla se­ conda solo in senso improprio e derivato? Se l'intersog­ gettività fenomenologica ha la sua fonte di validità non in se stessa, ma in altro da sé, non decade da istanza costituente a prodotto " c ostituito"? E come non vedere che , in tal modo, il suo carattere trascendentale sarebbe fortemente ri­ dimensionato , se non addirittura eliminato? Sul versante opposto dell' alternativa, cioè assumendo che solo l'inter­ soggettività possieda un carattere trasc endentale autentic o (anche se esso si rivela solo al termine di lunga deviazione analitica) , come comprendere l'insistenza di Husserl sull' ego nella sua funzione insostituibile di "centro" attorno al quale si organizza la totalità dell'esperienza? Ci sembra che l' unic o modo di risolvere il paradosso in questione sia quello di dissolverlo, mostrando cioè che alla sua radic e non vi sia un' opacità enigmatica c he sollecita intepretazioni speculative, ma piuttosto una fattualità ele­ mentare che tuttavia, proprio perché previamente acquisita come " ovvia" e non problematica, si ripresenta in forma di antinomia. Si tratterà quindi di vedere c ome i due lati in cui sembra contraddittoriamente scindersi l'equazione fe­ nomenologico-trascendentale del "soggetto " siano in realtà aspetti c ompossibili di un intero teorico, che richiede que­ sta interna differenziazione. Come abbiamo spesso sottolineato , la soggettività e l'in­ tersoggettività, nel contesto trascendentale della fenome­ nologia husserliana, sono categorie profondamente c orre­ late e quindi non ha senso stabilire un rigido assetto gerar­ chico tra le rispettive funzioni costitutive: l'intersoggettività è la soggettività trascendentale nel suo concreto sviluppo . Ma, bisogna aggiungere, l'apertura intersoggettiva non può per principio scavalcare la dimensione dell'io singolare, che rimane sempre presupposta e operante nel "passaggio" all'intersoggettività . Se gli altri sono trascendenti in senso radicale, è pur vero che la loro trascendenza è tale per me,

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è ric onosciuta da me , si "costituisce" in me , non perché il mio ego goda di una supremazia antologica che l'altro non potrebbe rivendicare per sé, ma più semplic emente perché la pluralità delle coscienze può essere solo il fenomeno in­ tenzionale di una coscienza singola (o, meglio, il fenomeno intenzionale di ogni coscienza in quanto c oscienza singola, "monade") . Ogni soggettività trasc endentale è c oncreta solo c ome intersoggettività, e dunque è c orretto designare come "assoluta" la c omunità trascendentale nella sua connessione sistematica interna e come "relative" le monadi che vi sono incluse. Ma per altro verso, e per ragioni fenomenologiche altrettanto stringenti, il mio ego è "assoluto" c ome monade originaria in cui l'esperienza di altre monadi si costituisce in maniera evidente : in questo caso l'assolutezza è quella della prospettiva, che in quanto mia non può essere se non unic a e indeclinabile, e come tale può essere infinitamente arti­ c olata, modificata ed arrichita, ma mai letteralmente trasfe­ rita ad altri. « L'io assoluto con il suo assoluto io-p olo, c he permane ovviamente identic o attraverso tutte le autotem­ poralizzazioni ( Selbstverzeitlichungen) , è lo stesso che compie l' empatia (Einfuhlung) , l' autoestraneazione (Selbstenifrem­ dung) , la monadizzazione (Monadisierung) , la mondanizza­ zione ( Verweltlichung) nei suoi atti e nei suoi sostrati passi­ vi )) (Hu XV , 639-640) . Come si è letto in Formale und transzendentale Logik, l'io è per Husserl il punto di partenza obbligatorio per ogni indagine sulla struttura della nostra esperienza, e alla luce delle ultime considerazioni si deve anche dire che esso rimane un presupposto immutabile in tutti i gradi effettivi dello sviluppo dell'analisi fenomenolo­ gica: « In me, in ultima istanza, si manifesta il mondo anche in quanto mondo intersoggettivo (In mir letztlich weist sich die Welt auch als intersubjektive aus) )) (Hu III, 40 1 ) . L a polarità egologica non viene abbandonata e per c osì dire "superata" (Hegel direbbe : "aujgehoben") nell'intersog­ gettività trasc endentale, il s ogge tto che si sa ins erito

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nell' orizzonte universale intersoggettivo e che in tal modo sembra ridursi ad un punto insignificante della catena ge­ nerativa e storica da cui dipende, è in realtà anche il luogo fenomenologico originario in cui questo orizzonte è aperto come senso , come intenzionalità concreta . La totalità delle monadi, l'intersoggettività generativa, che per un verso mi include, per un altro è "inclusa" nel mio ego trascendentale e s olo in esso è accessibile : « Ciò che vale per me come totalità mondana, è c ostituito in me attraverso la mia vita trascendentale (ist in m ir selbst und durch mein transzendenta­ les Leben konstituiert) , e dunque anche questa intera connes­ sione generativa alla quale io stesso appartengo c ome uo­ mo, costituito come oggetto di possibile esperienza mon­ dana; anche questa connessione è mondana, è oggetto di "esperienza" possibile )) (Hu XV, 38) . La ricerca di condizioni evidenti della possibilità dell' e­ sperienza definisce, com' è noto , l'idealismo fenomenologi­ c o , p er il quale ogni oggetto p ossibile si costituisce nelle funzioni (Leistungen) della soggettività esperiente, e non c ' è "trascendenza" dotata d i qualche senso apprezzabile che non abbia i suoi modi di datità immanente, in una c oscien­ za trascendentale, una volta che si sia dichiarata gnoseologi­ camente insostenibile la prospettiva del realismo dogmati­ c o ; sotto questo profilo, anche l'intersoggettività, la plura­ lità dei soggetti reali e possibili nell'apertura sconfinata che la c ontraddistingue , è un "portato" (intenzionale) della mia coscienza trasc endentale, è trascendentalmente in me in quanto il suo senso è per me (nelle varie forme, sia attive che passive, dell'intenzionalità) . Tra le categorie fondamentali della filosofia fenomeno­ logica sembra quindi determinarsi un'asimmetria o "squi­ librio " nella costruzione della serie delle c ondizioni tra­ scendentali, per cui l'intersoggettività dipenderebbe in ulti­ ma istanza dalla soggettività , l'io altrui dal mio io, pur es­ sendo ciascun ego realmente c oncreto solo all'interno della comunità. In effetti, per Husserl, che l'alter ego si costituisca

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nella mia soggettività non vuoi dire semplicemente che , se io non ci fossi, non p otrei "conosc ere" l' altro (Hu XV, 39) , ma significa che lo stesso essere dell' altro sarebbe (per me) nulla, se non potessi in qualche misura afferrarlo e ve­ rificarlo nella c ompagine dei miei vissuti. Al contrario, una soggettività senza intersoggettività, un "io" privo di mondo e di altri, rimane pensabile, sia pure con tutte le difficoltà già note; ma questa vuota p ossibilità del solipsismo radicale non inficia minimamente la convinzione di Husserl che la soggettività trascendentale fenomenologica sia concreta solo c ome intersoggettività, incarnazione, mondanizzazione. Un " i o " che non ha di fronte a sé alc un tu nell'unità dell'orizzonte del mondo può dirsi tale solo equivoc amente , è "trascendentale" nel senso limitativo (benché indispensa­ bile) dell' Ich-Pol, della pura p olarità egologica, cui è riferita p e r le ragioni viste prima la stessa fenomenologia dell' intersoggettività. Il senso più rigoroso e pregnante della trasc endentalità fenomenologica è definito propriamente dal ricorso husser­ liano alla nozione di monade, che reca in sé il paradosso di una s oggettività " ap erta" all' altro in quanto " chiusa" nell 'immanenza del s u o flusso temp o rale-c ostitutiv o . L'altro , per Husserl, è altro da me, è esperito e c ostituito come modificazione del mio io, e se questo incardinamento dell'alter nell' ego potrebbe inizialmente apparire come nega­ zione della sua trasc endenza, in realtà ci permette di rico­ noscere, senza c omplicazioni metafisiche, l' autonomia ed originalità della vita soggettiva estranea: « È dunque evi­ dente che l' essere dell'altro dipende , trasc endentalmente parlando, dal mio essere . Tuttavia al senso dell'altro essente per me appartiene anche il fatto che per lui vale la stessa c osa [nei miei confronti] . Il mondo è dunque costituito per me, con il conc orso di altri, c ome mondo intersoggettivo , in modo tale che tutto ciò che è per me dipende dal mio essere, ma anche dall' essere degli altri che sono per me » -

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(Hu XV, 39) 30• L ' a ntologia fenomenologica dell' inter­ soggettività divide quindi il mondo in sistemi di esperienza che fanno cap o ad una pluralità di centri costitutivi, ognu­ no dei quali costituisce gli altri e nello stesso tempo ne è co­ stituito, p erché la verità dell' essere può scaturire solo dall' ideale della completezza sistematica dell' esp erienza possibile e dunque è strutturalmente "pluralistica " . È però interessante sottolineare come Husserl, a c onclu­ sione del passo precedente, introduca un elemento di rot­ tura in quella che sembrava una perfetta simmetria: se in­ fatti sul piano più generale della costituzione trascendentale della realtà e dell' essere si disegna un rapporto di dipenden­ za reciproca tra me e gli altri (per cui io ho bisogno della prospettiva dell'altro come egli ha bisogno della mia) , ciò non muta in nulla il fatto che gli altri siano tali per me e che l'impossibilità di ridurli a meri oggetti c ostituiti emerga nell'autoriflessione in cui mi colgo c ome soggetto trascen­ dentale dell' esperienza. In altri termini, non si tratta tanto di spezzare la circolarità riflessiva dell'io quasi fosse un osta­ colo alla comprensione dell' altro , quanto piuttosto di rile­ vare c o n chiarezza come dietro la ric hiesta di un "superamento " della sfera egologica (inteso c ome 'reale' e non puramente "intenzionale" - essere-fuori-di-sé) si annidi il pregiudizio naturalistico dell'io come sostanza. Una volta che il soggetto sia coerentemente assunto non solo come "altro dell'altro ", ma c ome un "io trascenden­ tale" che diventa concreto nel mondo e con gli altri, e che proprio nella misura in cui rimane sempre per se stesso un "io" (sotto questo asp etto è assolutamente indeclinabile, non può cioè diventare per se stesso un "tu") può avere e­ sperienza di altri (nella loro trascendenza radicale che è il se­ gno di una trascendentalità co-originaria) , il paradosso di cui abbiamo disc usso in queste pagine perde molto del suo ca­ rattere sconcertante e, tutto sommato , si ric oncilia c on la 30

Il corsivo è nostro.

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grammatica dell' atteggiamento naturale, che per quanto immersa nei pregiudizi mondani non rescinde mai total­ mente il legame con le fonti dell' evidenza fenomenologica. Anche c o m e i o rifle tte nte rimango u n uo­ mo-tra-gli-uomini, la mia soggettività si coglie come arti­ c olazione di uno spazio intersoggettivo, ma ciò non signifi­ ca che l'astrazione del solus ipse debba essere rifiutata nel suo valore metodologic o . Per Husserl, l'ip otesi solipsistica esplicita l' identità della mia vita di c oscienza non in quanto marcata dal c ontrasto con altri soggetti, ma in quanto au­ to-rivelata (in senso trascendentale) dal movimento della temporalizzazione (Hu XV, 35 1 ) . I n particolare , l o schematismo fenomenologico del solus ipse si regge sulla distinzione di principio che ha senso sta­ bilire tra l' "io" come polo identico in un Erlebnisstrom e l' "io" c ome soggetto personale. Se astraggo dagli altri, io ri­ mango "solo ", mi riduco cioè alla mia sfera primordiale , ma in questa astrazione non va perduto il senso di polarità egologica che appartiene al c ampo temporale dei vissuti. Guardando all'intrinseca unità del flusso di coscienza, la cui dinamica c ostitutiva è scandita dall'intreccio della forma temporale con i contenuti che di volta in volta vi si manife­ stano, posso provvisoriamente descrivermi c ome Ich-Pol senza prendere in considerazione i nodi della relazione in­ tersoggettiva; ma è altrettanto chiaro che la fisionomia più generale della soggettività fenomenologica oltrepassa radi­ calmente questo stadio. Si può parlare di un soggetto senza gli altri solo all'in­ terno di una struttura stratificata del concetto dell'io, e nel se­ guente passaggio testuale Husserl esp rime puntualmente l' esigenza di un approfondimento nella direzione dell'inter­ soggettività: « Il polo di tutte le affezioni ed azioni, neces­ sariamente presente e raffigurato in modo solipsistic o , il soggetto motivante che permane [identico] nel flusso dei vissuti, il soggetto stabile di un tendere in molteplici moda­ lità, diventa un io e perciò un soggetto personale , acquista

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"autocoscienza" personale nella relazione io-tu, nella co­ munità del tendere e del volere resa possibile dalla comuni­ cazione » (Hu XIV, 1 70-- 1 7 1 ) . Il solus ipse non è l a negazione dall'intersoggettività, ma la sua condizione astratta e formale, c osì come la persona non è la negazione dell'io puro , ma la sua concretizzazione necessaria e tangibile. Più precisamente , lo spettro fenome­ nologico-trascendentale della nozione di "soggetto" si arti­ cola sec ondo tali distinzioni: 1 ) l'io puro come polo degli atti e delle affezioni (non necessariamente inteso in senso solipsistic o) ; 2) l'io primordiale (nella sua c orporeità orga­ nic a) ; 3) l' intersoggettività trascendentale (come relazione reale o possibile tra soggetti diversi) ; 4) l'io c ome persona (nell' associazione delle persone e, in particolare, nell' etica) . Il termine "monade" risulta trasversale a queste distinzioni in quanto viene utilizzato da Husserl per designare sia la soggettività singolare in sé considerata che la sua apertura intersoggettiva (in quest'ultimo c aso si parla di monadolo­ gia trascendentale e di comunità monadica) . Per quanto poi riguarda l' Ur-Ich di Krisis, l'io originario, definito come assolutamente unico e fungente, alla cui o­ perazione intenzionale resta affidata la sfera dell' intersog­ gettività, esso non è altro che la sottolineatura della dimen­ sione soggettiva intrasc endibile nella quale lo stesso discor­ rere di una pluralità infinita di soggetti affonda le sue radici ed attinge un significato fenomenologico autentic o . È la necessità della "centralizzazione egologica" (Ich-Zentrier­ ung) , è il paradosso della soggettività intersoggettiva che ha costituito il filo conduttore di questo paragrafo . Scrive in proposito Husserl: « Dobbiamo innanzitutto vedere che in ogni "noi" è inclusa in maniera sensata una centralizzazione in me (in jedem uwir" sinngemiiss beschlossen ist eine Zentrie­ rung in mir) , in quanto io ho coscienza-del-noi ( Wir-Be­ wusstsein) ed eventualmente la esprimo » (Hu XV, 426) . L'evidenza dell'intersoggettività non ha dunque luogo in un Bewusstsein uberhaupt, che sarebbe una terra di nessuno,

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e neppure avrebbe senso parlare dell' Urlch come di una soggettività pr�individuale, poiché per Husserl le c ondizioni di possibilità del darsi di un qualunque "soggetto " sono e­ sattamente le stesse che determinano la sua individuazio­ ne 31 • È vero che Husserl si esprime spesso come se prima venisse l'io puro , il polo trasc endentale degli Erlebnisse, e s ol o in un s ec ondo momento s o rgesse il problema dell'individuo concreto ; ma questa trascrizione succ essiva dell'auto-aggettivazione e individuazione dell'io trasc en­ dentale risulta appropriata unicamente nel c ontesto di una ricognizione analitica di diversi "strati" della soggettività, e non come descrizione di un processo reale. Così, quando Husserl afferma che l' Ur-Ich , il soggetto originario dell' epoché, è unico e indeclinabile, e dunque non è "persona" nel sens o usuale perché non tollera ac­ canto a sé un "tu " , non bisogna pensare che dietro la c on­ creta realtà personale (dietro l'io che noi stessi siamo) si an­ nunci una realtà più profonda e pervasiva che sfugge alle c ondizioni dell'individuazione; ciò implicherebbe, senza mezzi termini, una deriva speculativa del metodo fenome­ nologico-trascendentale , e la rinuncia a quel criterio epi­ stemologico del controllo intuitivo cui Husserl ha sempre prestato la massima attenzione. Questo esito non è affatto nec essario e , come abbiamo già notato , per il "paradosso" dell' Urlch esiste una solu­ zione piuttosto semplic e, purchè si tenga presente che le ambiguità del testo husserliano dipendono fondamenta!3 1 Non condividiamo quindi la tesi di Fink, secondo la quale Hus­ serl con la dottrina dell' Ur-Ich si sarebbe approssimato ad una rottura dell'orizzonte egologico-trascendentale che aveva caratterizzato tutto il suo itinerario teoretico precedente; in realtà, l' Ur-Ich non è pensabile come una "vita originaria" ( Urleben) ancora assolutamente " unica" e "pre-individuale " , dal cui fondo deve in qualche modo (non ben pre­ cisato) affiorare la pluralità degli ego. Per riferimenti p iù precisi all' interpretazione finkiana dell' ultimo Husserl, cfr. E . FINK, Niihe und Distanz, Miinchen 1 976, p . 223 sgg.

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mente dal c ontinuo intrecciarsi e sovrapporsi di due pro­ blemi differenti. Se infatti la posizione di Husserl sembra oscillare in modo indefinito tra unicità assoluta e pluralità irri­ ducibile della soggettività fenomenologica originaria (per cui nelle pagine di Krisis, a diversi livelli della trattazione, si può leggere tanto che l' io si costituisc e originariamente nell'intersoggettività quanto che l'intersog- gettività riposa nel suo senso ultimo sull'unicità assoluta dell'io) , una certa coerenza argomentativa può essere ritrovata, senza partico­ lari diffic oltà , alla luce della stratificazione del c onc etto dell'io che abbiamo visto prima. In tale ottica, l' Ur-Ich di c ui si predic a l'indeclinabilità personale esprime l' autoreferenzialità del soggetto all'inter­ no del proprio campo di esperienza, quella che p otrebbe definirsi la ]em einigkeit, l' esser-sempre-mio c ome marca non puramente logico-linguistica, ma materiale-fenome­ nologica dell'identità soggettiva . Il punto in questione è decisivo e ci rip orta al c entro dell' ap oria dell'intersog­ gettività trascendentale . È a questo riferimento identificante elementare (alla Je-meinigkeit c ome espressione di un "io") che Husserl rivolge lo sguardo, affermando che deve esi­ stere un ambito semantico in c ui l ' ego è assolutamente "unic o " (einzig) , e porsi il problema della sua "pluraliz­ zazione" ( Vervielfaltigung) è totalmente privo di senso (Hu XV, 590) . Ma anziché scorgere in un' asserzione del genere il segno evidente del fallimento della filosofia trascendentale husserliana, che muovendo arbitrariamente dall' ego isolato non riuscirebbe poi a pensare il " dato " della pluralità dei soggetti, ci pare che Husserl voglia dire una c osa molto più semplice: il mio io originario non ammette plurale nel senso che può essere originariamente vissuto c ome io soltanto da me, così come l'io altrui può essere vissuto propriamente come io solo dall' altro . È fuori discussione che io esperisco l' altro c ome "io " , ma nella mia prospettiva s i d à un'asimmetria fondamentale tra l'io che io sono per me e l'io che l'altro è per sé; se infatti

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nel mio c amp o di esperienza , nella mia monade , questi " due" soggetti fossero realmente tali allo stesso titolo (o fossero per c osì dire disposti sullo stesso piano , come p os­ sono esserlo due cose nello spazio) , io e l'altro saremmo in definitiva indistinguibili, e la messa a fuoco delle rispettive identità risulterebbe impossibile. Il risvolto paradossale , ma intelligibile, dell' intersoggettività trasc endentale fenome­ nologica è un' antologia della separazione ; l' unicità del'io fungente è formalmente e c oncretamente la condizione dell' esistenza di soggetti "separati", che come tali, come "monadi", possono realmente entrare in relazione. In ogni flusso di c oscienza esiste per ragioni essenziali un unico io che può assumere la funzione del 'soggetto' ; in parole diverse, io posso essere un tu per un altro , ma non per me stesso (se non nell' accezione deb ole e metaforica, e tuttavia non priva di significato fenomenologico , che si at­ tribuisce al termine " tu" quando si parla di un "dialogo con se stessi") . Si tratta di un dato assolutamente elemen­ tare, ma a nostro avviso è ad esso che H usserl implicita­ mente fac eva appello nella tematizzazione del rapporto tra Ur-Ich e intersoggettività, e abbiamo potuto vedere che in molti casi non è azzardato definire la fenomenologia c ome una "filosofia dell' ovvio " (che dall' ovvietà c erca però di trarre , in quanto filosofia, delle implicazioni legalz). Una c onferma ci viene dal testo seguente: « In generale noi non siamo soltanto nella stessa connessione casale, nello stesso "luogo " , ma siamo in un presente " co mune" (in einer "gemeinsamen " Gegenwart) , in un luogo attualmente c omu­ ne, in un mondo circostante comune , noi siamo i soggetti di questo mondo , costituiti come " noi" ( "wir") nella reci­ procità: e siamo presenti l'uno per l'altro , ognuno come e­ go, l' altro c ome altro (jeder als ego, der An dere als Anderer) . Il "noi due " (das "wir beide ") mi è dato nella forma "io e lui" ( "ich und er'') ed è dato a lui nella forma che io esprimo c ome "lui ed io" ( "er un d ich ") , ma che egli esprime come "io e lui" ( (ich und er') » (Hu XIV, 2 1 2) .

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Ciò c h e emerge qui è innanzitutto i l carattere indessicale dell' "io" come espressione linguistica il cui valore semanti­ co dipende dal contesto in cui viene formulata, e che come tale presuppone l'intersoggettività; in secondo luogo , que­ sta caratteristica dell"'io " (e, in generale , dei pronomi per­ sonali) non si fonda solo sull'universalità dell' artic olazione linguistica della nostra esperienza, o su considerazioni di ti­ p o empirico legate alle forme effettive del linguaggio na­ turale , ma investe la relazione complessiva (percettiva , tem­ porale, c orporea) tra i soggetti nell' unità di un mondo cir­ costante. L' intersoggettività trascendentale è una dimensione complessa in cui il linguaggio svolge indubbiamente una funzione indispensabile, ma non esclusiva e nemmeno do­ minante; che cosa sia un "io" per sé, come p ossa essere un "tu" per qualcun altro , come in questa "autoestraneazione" (Selbstenifrem dung) rimanga sempre un io trascendentale e fungente , tutto ciò non può essere deciso solo sulla base di una filosofia del linguaggio (si presenti essa nella forma di un' ermeneutica universale, di una grammatologia, o di una riflessione sul linguaggio quotidiano) . Ma se la forma generica dell"'io" può essere indifferen­ temente riempita da me o da qualsiasi altro, senza che il gio c o linguistico venga ostacolato o interrotto (ed anzi, questa mediazione e risoluzione del particolare nell'univer­ sale è la natura stessa del linguaggio, la c ondizione di possi­ bilità di ogni gioco linguistico) , sul terreno fenomenologi­ co l"'io" non p uò che essere singolare. L'io che solleva la problematic a trasc endentale è pur sempre la soggettività concreta del fenomenologo : « Sono io che attuo l' epoch é, anche quando con me ci sono gli altri, altri uomini che o­ perano con me l' epoché in una comunità attuale; perciò con la mia epoché tutti gli altri uomini, e la vita di tutti i loro at­ ti, rientrano nel fenomeno del mondo che , nella mia epoché, è esclusivamente mio . L' epoché crea una peculiare solitudine filosofica, che è l'esigenza fondamentale di una filosofia re-

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almente radicale. In questa solitudine l'io non è un singolo per un capriccio qualsiasi, per quanto teoreticamente legit­ timo (oppure per un caso, c ome quello per cui, per esem­ pio, un uomo può essere travolto dalla vita) , voglia parti­ colarizzarsi ed estraniarsi dalla comunità degli uomini a cui sa tuttavia di appartenere » (Hu VI, 1 87 ; Crisi, 2 1 0) . L a "solitudine " del cogito, c he in D esc artes segnava il passaggio obbligato per ritrovare la concretezza del mondo e degli altri sul piano dell' evidenza ap odittica e dunque della fondazione filosofica radicale, è in Husserl almeno parzialmente purificata dalle ambiguità cartesiane e assunta in un significato più rigorosamente trasc endentale : è l' attestazione risoluta della singolarità dell' "io " , o meglio dell' "io" come singolarità. Il me todo trascendentale fenomenologic o può essere allora schematizzato come un movimento di autoillumina­ zione che procede dall' io e ritorna all'io, dall' io concreto (naturale e anc ora muto) all'io concreto (trasc endentalmente artic olato in tutta la ricchezza del suo potenziale espressi­ vo) , c ostituendo un "circolo " in cui il soggetto incessante­ mente si dispiega senza propriamente uscire da se stesso, pertanto si può a ragione dire che in ogni "punto " o "fase" di questo processo l'io è sempre presso di sé, è solo della vita dell'io che si tratta, l'io è cioè realmente "solus ipse", e nient'altro. Ma, ovviamente, non bisogna leggere quest' af­ fermazione in senso limitativo e soggettivistico, c ome se l' essere-per-sé dell'io escludesse aprioristicamente l' esisten­ za dell' alterità, o la rendesse acc essibile solo " deduttiva­ mente " sul presupposto di una veracitas Dei, o comunque gettasse un' ombra di sospetto sulla realtà effettiva degli altri uomini che ho di fronte . Il solus ipse trascendentale, il mio io concreto, è il fon­ damento della filosofia non perché l' essere degli altri sog­ getti sia "dubbio " o "problematico " per principio (sebbene possa diventarlo in alcune particolari circostanze , come te­ stimoniano coloro che vengono, per dirla con Husserl,

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"travolti dalla vita") ; piuttosto , s e è vero c h e l a concretezza dell' ego si c ostituisce pienamente nell'intersoggettività, non va neppure trascurato che la totalità attuale o possibile degli altri c ome Mitsubjekte del mondo dell' esperienza non può che rivelarsi - proprio in quanto "trascendente " - nella mia soggettività singolare . L ' evidenza dell' alterità è feno­ menologic amente inscindibile da quella dell'io che ne fa esperienza, per cui paradossalmente il soggetto può essere "estatico", trascendersi , incontrare l' "altro " (in ogni sua accezione semantica, dalla più forte alla più debole : l' alter ego, o il mondo esterno casale, o se stesso c ome "io del passato " , ecc . ) solo nella misura in cui rimane "centrale " , immanente, presente; p u ò essere intersoggettivo (e dunqu e concreto) solo nella mis ura in cui rimane singolare o "monadico " . I l soggetto trasc endentale è una monade ; i l "circ olo " della vita dell'io è così esteso da comprendere la tempora­ lità, l'incarnazione, l'intersoggettività c ome propri mo­ menti costitutivi essenziali, ma in ogni cas o , lo abbiamo visto, il suo sviluppo effettivo non ci conduc e mai oltre quel « fatto fondamentale ( Grundtatsiiche) » - apparente­ mente semplice , in verità infinitamente artic olato e diffe­ renziato - dell' « io sono » (Hu XVI I , 243-244; LFT, 293) , e quindi del mondo c ome mondo per me . È un controsenso fenomenologico pretendere di abbandonare, in qualunque modo p ensabile, la dimensione manifestativa dell"'io" , dell'individualità, della monade; tuttavia, e questo è l'altro aspetto fondamentale della questione che abbiamo costantemente cercato di sottolineare, da un punto di vista trasc endentale il "circolo " della soggettività si c oncretizza solo ponendo la (mia) monade tra le (altre) monadi, l'io nella comunità, o meglio esplicando l' etero-relazione, la re­ lazione intersoggettiva, come momento dell' auto-relazione, come c oefficiente intern o della definizione dell' identità dell'io . La monade husserliana, la soggettività concreta della fe-

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nomenologia trasc endentale, non ha dunque nulla a che vedere con il solus ipse classic o , cartesiano e prefenomeno­ logico , che dubita della reale esistenza degli "altri" di cui pure ha esperienza, chiedendo argomenti di tipo metafisi­ ca-deduttivo per avvalorare questa esistenza oltre il livello della mera fenomenicità . L'alter ego va invece compreso proprio nel suo statuto di fenomeno intenzionale , sia pure sui generis, e solo in questo modo l'intuizione cartesiana del cogito si dimostra sul serio fruttuosa e rivela la sua verità non tanto nella forma di una substantia cogitans su c ui fa perno l'organizzazione antologica del reale , bensì come a­ p e rtura riflessiva integrale sulla to talità delle forme dell'esperienza p ossibile . La "solitudine" della monade non si coglie tanto nei casi limite della perdita dell' universo intersoggettivo, nelle a­ nomalie più radicali e inquietanti che contraggono fino all'incomunicabilità l' orizzonte d' esperienza del soggetto, anche se questi casi sono per Husserl assolutamente signifi­ cativi per apprezzare la fragilità della linea di demarcazione che separa ragione e non-ragione . La monade non è sin­ golare in quanto "sola " , irrelata, autosufficiente , bensì essa può essere sola, astrarre in determinate circostanze dalla re­ lazione con altri (in un modo qualsiasi, e persino nelle for­ me più estreme) , unicamente in quanto è singolare ; in pa­ role diverse, non è la possibilità del solipsismo che fonda la singolarità, ma è alla singolarità intrascendibile dell'io (nel senso precisato, implicante l'apertura intersoggettiva) che occorre ric ondurre la possibilità del "solipsismo" (in tutti i significati del termine) come una modificazione dell' essenza originaria della singolarità. L'io fen omenologico è un "singolo" anche nella pienezza dell'intersoggettività , della comunicazione , della socialità; si può anzi affermare , in a­ desione sostanziale allo spirito della filosofia husserliana, che la struttura antologica singolare dell'io viene tanto più chiaramente in luce quanto più c oncretamente l'io si inse­ risce nella trama intersoggettiva, e dunque quanto più il

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"solipsismo " della "sfera primordiale " è riconosciuto come astrazione da un viluppo tematico la cui risoluzione e chia­ rificazione si compie in una serie di gradi succ essivi. In questa ottic a, è importante evitare ogni sovrapposizione terminologic a tra la monade e il solus ipse, operando una chiara distinzione tra la soggettività trascendentale concreta, che è strutturalmente intersoggettiva proprio perché singolare nella sua essenza, e l'io come residuo della riduzione primordiale, che costituisc e solo un grado provvisorio, anche se neces­ sario, nell'esplicitazione progressiva dei fondamenti filosofi­ co-trascendentali della soggettività. Nella definizione fe­ nomenologic a della monade, l'accento teorico cade non sulla "solitudine" ma sulla singolarità; è solo la mancata o insufficiente distinzione di questi aspetti che ha potuto su­ scitare l'impressione di un'interna incoerenza della te oria husserliana dell'intersoggettività, amplificandone in misura eccessiva il carattere "aporetic o " . N o n è dunque corretto sostenere che nelle riflessioni dell' ultimo Husserl sulla necessità di radicare la costituzione intersoggettiva sul solido terreno dell' Ur-Ich , della soggetti­ vità singolare, dell' egologia, si affacci un significativo cam­ biamento di rotta rispetto agli scritti sull'intersoggettività degli anni '20, nei quali Husserl aveva affermato chiara­ mente che il vero assoluto fenomenologico risiede non nell"'io", ma nel "noi" , non nell' egologia, ma nella mona­ dologia trascendentale. Ora, se vi è qualcosa di equivoco in tale interpretazione è proprio il riferimento all' assoluto, che lo stesso H usserl non sempre ha assunto c on la dovuta cautela critica, favorendo così l'insorgere di problemi di per sé estranei ad una prospettiva trascendentale sviluppata in maniera conseguente . In particolare , ci sembra del tutto fuorviante la domanda: dove si trova il fondamento asso­ luto della teoria della costituzione, nella soggettività o nell'inters oggettività? - poiché in tal mo do, a parte l' opacità s e mantic a dei termini , s i dà p er sc ontata un' accezione sostanzialistica dell' assoluto, per cui una plura-

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Capitolo III

lità di "assoluti" è immediatamente autocontraddittoria. Se tuttavia si modifica il postulato di base, adottando un'accezione rigorosamente funzionale, per cui nella rifles­ s i o n e fen o me n ol o gic o-tras c e ndentale ogni ac c es s o all' assoluto è sempre mediato da un contesto e da una pro­ spettiva, vi p otranno essere punti di vista sull 'assoluto non puramente identici, modi diversi di considerare il problema della fondazione ultima. La questione può quindi essere riformulata più criticamente c ome segue : sotto quale a­ spetto della teoria della costituzione la soggettività (e, cor­ relativame nte, l' inters o ggettività) è giustificabile c ome "assoluta"? Con ciò non vogliamo difendere ad ogni costo l' unità e la coerenza della tesi husserliana, e nemmeno negare che in alcune occasioni Husserl abbia posto maggiormente in ri­ salto un aspetto piuttosto che l'altro; ma si tratta appunto di aspetti, di evidenziazioni più o meno radicali che si impon­ gono in c orrispondenza di esigenze teoretiche determinate , e non di visioni alternative che Husserl avrebbe faticato a dominare, oscillando dall' una all'altra in periodi diversi del suo pensiero e talora anche all'interno di una singola unità testuale . "Assoluta" l ' inters oggettività trasc endentale, " assoluto" il mio Ur-Ich, "assoluta" la loro correlazione , purchè si tengano ben presenti alcuni dati. 1 ) L ' ass olutezza dell'intersogge ttività trasc endentale , c ome comunità monadica trascendentale , riguarda s oprat­ tutto la possibilità di una connessione sistematica dell'esperienza e dunque l'individuazione di una "totalità concreta" al cui interno si specificano le singole "posizioni trascendentali" dei soggetti esperienti e si costituisce un riferimento inten­ zionale comune all'unità del mondo . 2) La totalità dell' universo intersoggettivo è infinita­ mente aperta e mobile al suo interno, nelle direzioni già note della temporalità, della generazione e della storia , ma proprio per tale ragione deve essere "chiusa" nei confronti di un possibile "esterno" , nel senso che ogni ampliamento

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della sfera intersoggettiva è un' ampliamento nell'inter­ soggettività , e non propriamente dell'intersoggettività; in altri termini, dal punto di vista del sistema fenomenologico , l a totalità dei soggetti trasc endentali rappresenta l a dimen­ sione esplicativa più generale e al tempo stesso più c oncre­ ta, oltre la quale non è possibile andare , e non perché al di là di essa sussista una realtà positiva anche se sconosciuta, un Uno al cui cospetto la pluralità si annulla; al c ontrario, è l' essere stesso che si dà intersoggettivamente ed esige una pluralità aperta di centri di esperienza. Sotto questo aspetto l'intersoggettività è realmente un assoluto , nell' unico senso trascendentale legittimo, cioè c ome (apertura della) totalità concreta dell ' esperienza possibile , e si può senz' altro defi­ nirla un singulare tantum, nella misura in c ui è organizzata sec ondo una struttura sistematica e una c ontinuità di ri­ mandi interni che fanno sì che essa possa essere pensata soltanto come " una " : si danno molteplici soggetti , ma un' unica dimensione del loro coesistere , un'unica intersog­ gettività. 3) L'accesso a questa totalità non avviene però tramite una coscienza collettiva, bensì tramite una prospettiva sin­ golare , "egologica" , la mia, e non p otrebbe essere altri­ menti; il salto immediato nell'intersoggettività, che Husserl in Krisis c ollegava esplicitamente alla pretesa di varcare i "limiti" dell' egologia, e che occorreva denunciare kantia­ namente come illusione trasc endentale sottolineando la p olarità ineliminabile dell' Ur-Ich, distruggerebbe non solo l'autocoscienza dell'io, ma anche la p ossibilità di compren­ dere l' alter come essere trascendente, separato. 4) L' Ur-Ich , in quanto espressione assoluta della mia soggettività, è una monade, ma non è un singulare tantum; quest'ultima definizione è adeguata solo all'intersoggetti­ vità, mentre appare totalmente fuori luogo nel caso dell'io concreto , che è tale non come solus ipse, comunque inteso, ma come monade-tra-le-monadi. 5) La monadologia c ome teoria dell'intersoggettività

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Capitolo III

non introduce dunque una cesura nel metodo fenomeno­ logico-trascendentale, si configura c ome una necessità im­ manente del procedimento che aveva individuato nell' io puro il c entro di ogni costituzione di senso; retrospettiva­ mente , l'insistenza husserliana sul primato dell' ego , anche c olto nell' analisi statica di Ideen I, appare non tanto c ome un c o nsapev ole e legittimo ric hiamo alla tradizione dell'idealismo trasc endentale, quanto come il tentativo di salvaguardare fin dal principio il carattere singolare , p ro­ spettico e concreto dell'io, che va affermato insieme (non in c ontrasto) con la possibilità dell'inc ontro e della relazione con altri soggetti. 6) Per H usserl l'i o è un singolo , una monade, anche nelle più ricche e coinvolgenti esperienze intersoggettive ; al concetto fenomenologic o dell'io trascendentale è dun­ que profondamente estraneo ogni pathos della fusione , ogni culto dell' anonimo, ogni mitologia c ollettiva che possa oc­ cultare il "fatto fondamentale" dell"'io sono" , della singo­ larità vivente , e ciò non esclude (anzi rende possibile) un forte interesse husserliano per le dimensioni concrete della socialità nella prospettiva di un'autentica realizzazione u­ mana, con risvolti etici importanti ancora da pensare . Conclusivamente , la tensione tra soggettività e intersog­ gettività non rappresenta l'impasse di una filosofia trascen­ dentale nel punto di massima radicalizzazione del suo pro­ cedimento, ma una necessità di struttura che aprendo ori­ ginariam ente il s ens o dell 'a ltro si riverb e ra s ull' i o "modificandolo " , o meglio rivelando/o come "altro dell' al­ tro " . L'alterità abita i l c uore stesso della soggettività, e quanto più l'io si coglie per sé c ome centro assoluto di ogni Sin­ ngebung, tanto più deve ri-distribuire questa "centralità" fuori di sé, nei soggetti esperiti come altri, negli altri espe­ riti c ome soggetti, sec ondo la legge analogica che regola il contesto intersoggettivo : « C ome ego io sono assolutamente esistente in me e per me . lo sono esistente p er un altro

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nella misura in cui egli, l'altro , l' alter ego, è egli stesso sog­ gettività trascendentale che tuttavia viene ad essere p osta necessariamente in me in quanto io sono l'ego che già esiste anticipatamente per s é . In modo analogo , anche l'in­ tersoggettività trascendentale (la soggettività trascendentale in senso allargato) che è costituita in me, e dunque è a me relativa, come pluralità di "ego" [ ] è, quanto al suo senso, benché nella modificazione corrispondente , " in sé e p er se" ' , ne l genere de ll"' essere asso luto " . L' essente asso l u to sussiste nella forma di una vita intenzionale la quale , di qua­ lunque cosa p ossa aver coscienza di volta in volta, è insie­ me coscienza di se stessa >> (Hu XVII, 305-306; LFT, 355) . . . .

Conclusioni

Il percorso fin qui s eguito ci sembra aver confermato , almeno in riferimento ai temi trattati, la nostra ipotesi ini­ ziale: la fenomenologia di Husserl, nella sua forma più matura, ha prodotto una trasformazione strutturale del con­ cetto di soggettività trascendentale. Il paradosso dell'idea­ lismo trascendentale fenomenologico è la sua concretezza ra­ dicale , la fedeltà ai diversi piani dell' esperienza, alla loro costituzione p eculiare , alla dinamica intenzionale che li connette, senza che ciò dia luogo ad un superficiale quanto inconcludente "descrittivismo " . Naturalmente, il nostro percorso interpretativo è solo uno tra i molti possibili che condurrebbero a risultati ana­ loghi; avremmo per esempio potuto dedicare uno spazio più ampio alle analisi husserliane della temporalità, corpo­ reità e percezione, o inserire nella discussione aspetti del pensiero fenomenologico altrettanto significativi, c ome la teoria della verità e del giudizio, la logica trascendentale, la fondazione delle scienze nella Lebenswelt. Tuttavia, nell' ot­ tica adottata, ci interessava non tanto illustrare i singoli contesti descrittivi, quanto sottolineare la dimensione meto­ dologica e analitica alla loro base. Ciò è stato possibile innan­ zitutto attraverso un c onfronto approfondito con il tema della riduzione o epoché, poi affrontando il problema dell'io puro, ed infine mostrando che soltanto come inters oggetti­ vità trascendentale la soggettività fenomenologica acquista la sua concretezza più piena. Nella prospettiva dell'intersoggettività, non s olo si dis-

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228

Conclusioni

solvono alcune delle obiezioni più ricorrenti sollevate con­ tro l'impostazione egologica di Husserl, ma occorre anche ri-dislocare in una trama intersoggettiva tutte le c ategorie fenomenologiche fondamentali . In particolare , il formali­ smo dell' Ichpol aveva solo lo scopo di istituire un primo nu­ cleo di regole nella grammatica fenomenologico-trascen­ dentale della soggettività, e in sede di interpretazione non ci si può appellare ad esso per contestare la validità del pro­ gramma husserliano nel suo complesso : non ha infatti alcun senso rimproverare ad un'astrazione (quale è consapevol­ mente per Husserl l'io puro) il fatto di essere ' astratta' . C ome abbiamo visto dettagliatamente nell'ultimo capi­ tolo, la soggettività trascendentale fenomenologica non è una vu ota struttura formale , ma una concretezza monado­ logica, e ciò significa che fenomeni come la corporeità dell'io, l'esperienza percettiva, le differenze prospettiche nel modo di riferirsi dei soggetti all'unità del mondo, rientrano a pieno titolo nella filosofia trascendentale . In questa ottica, è facile comprendere che in Husserl è avvenuta una sorta di "rivoluzione c opernicana" all' interno del trascendentali­ smo , nella misura in cui i fondamenti della filosofia fenome­ nologica sono proprio ciò che è a noi più vicino , sono le forme originarie concrete dell' esperienza del mondo, che tutta­ via vanno individuate nella loro purezza gnoseologica, e per tale ragione è necessaria una riduzione o epoché del si­ gnificato ingenuo e preteoretico che esse possiedono nel­ l' atteggiamento naturale. Vogliamo concludere il nostro lavoro con qualche os­ servazione generale sull' opportunità di un "recupero" della fenomenologia husserliana nel contesto della riflessione fi­ losofica contemporanea. In Husserl, com' è noto, l'invito a ritornare alle cose stesse nasce da un netto rifiuto delle for­ mulazioni meramente linguistiche dei problemi, e implica anche una presa di distanza dalle categorie puramente spe­ culative del filosofare che lungo la tradizione hanno occu­ pato una p osizione c entrale, relegando spesso in secondo

Conclusioni

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piano le procedure in cui di fatto si stabilisce un rapporto intuitivo e "immediato " con gli oggetti della nostra esp e­ rienza. Il tentativo di saltare le mediazioni linguistiche affi­ dandosi ad una presunta intuizione originaria può apparire sulle prime come un'ingenua richiesta metafisica cui non compete altro che una risposta indeterminata, e questa im­ pressione di fondo potrebbe coniugarsi con la convinzione, propria di importanti settori della filosofia contemporanea, secondo la quale soltanto nel linguaggio i nodi problematici della riflessione filosofica possono trovare un ' adeguata chiarificazione. In realtà, pur ric onoscendo che la teoria husserliana dell'intuizione non risulta immune da critiche, dobbiamo anche dire che essa è stata spesso contestata in base a pre­ supposti assai diversi da quelli che ne orientavano concre­ tamente il cammino ; l'Anschauung, l' evidenza fenomenolo­ gico-trascendentale non può identificarsi c on una generica e indifferenziata dimensione prelinguistica, ma si costituisce in un rapporto di tensione fondativa con il linguaggio, nella misura in cui il linguaggio risulta c apace di portare a com­ piuta espressione quei "dati originari" o fenomeni che la vi­ sione offre di per sé, in quanto fonte conoscitiva. Husserl dunque non rifiuta affatto il linguaggio come o­ rizzonte esplicativo dei fenomeni, ma soltanto l 'assolutizza­ zione del linguaggio, il linguaggio che si chiude in un'auto­ nomia ed autoreferenzialità narcisistiche , dimenticando la sua autentica funzione espressiva, la sua capacità di rinviare ad altro da sé, a "fenomeni" che, pur essendo espressi in parole , non sono e non possono essere soltanto parole . In altri termini, la relazione tra i fenomeni e il linguaggio è problematica, perché le forme lingu i stiche in cui viene gra­ dualmente a fissarsi ed articolarsi la nostra esperienza del re­ ale non sempre manifestano l'aderenza al senso originario dei fenomeni che Husserl pone c ome condizione di possi­ bilità della fondazione conoscitiva; da questo punto di vista, che ovviamente richiederebbe un'analisi specifica, Husserl

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Conclusioni

non nutre quella fiducia illimitata nel linguaggio come me­ dium della comprensione che , dopo Heidegger e Wittgen­ stein, sembra caratterizzare autorevoli esponenti della filo­ sofia contemporanea. La c osiddetta " svolta linguistica" , che nelle sue molte­ plici varianti ha indubbiamente avuto il merito di sottoline­ are la dimensione intersoggettiva e comunicativa dell' espe­ rienza umana, contribuendo a porre in crisi le forme tradi­ zionali del trascendentalismo, ha però spesso manifestato un difrcit di descrizione fenomenologica , proprio per l ' enfasi posta sul linguaggio come paradigma unificante del pen­ siero . La filosofia trascendentale di Husserl rivela invec e un' arti c olazione più c o mplessa del nostro ess ere-nel­ mondo , che non è soltanto un effetto di linguaggio, ma af­ fonda concretamente le radici nella vita intenzionale, percetti­ va, temporale e corporea della soggettività . S otto questo pro­ filo, i sentieri del 'trascendentale' non ci sembrano ancora interrotti e il contributo di Husserl ad una teoria della sog­ gettività e della ragione merita di essere sempre di nuovo interrogato.

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