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Italian Pages 324 Year 2015
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Alexander Schnell
Husserl e i fondamenti della fenomenologia costruttiva
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Collana diretta da: Umberto Curi ed Elio Matassi †
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Alexander Schnell Husserl e i fondamenti della fenomenologia costruttiva Traduzione dal francese di Marco Cavallaro
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Titolo originale Husserl et les fondements de la phénoménologie constructive © 2007, Éditions Jérôme Millon
© 2015, INSCHIBBOLETH EDIZIONI, Roma. Proprietà letteraria riservata di Inschibboleth società cooperativa, via A. Fusco, 21 - 00136 - Roma www.inschibbolethedizioni.com e-mail: [email protected] Passages ISSN: 2282-5282 n. 6 - luglio 2015 ISBN – Edizione cartacea: 9788898694143 ISBN – E-book: 9788898694754 Copertina e Grafica: Ufficio grafico Inschibboleth Immagine di copertina: infographics background seo optimization - dettaglio © ellagrin - Fotolia.com
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Sommario dettagliato
Premessa
Introduzione I «concetti operativi» impliciti della fenomenologia come idealismo trascendentale – La «genesi», il «factum» e la «costruzione» fenomenologica – La fenomenologia trascendentale come sviluppo delle conseguenze derivanti da una ridefinizione dei concetti di «trascendenza» e «immanenza» – La «svolta trascendentale» o «idealista» – L’emergenza di una nuova attitudine filosofica riguardo al «reale» (reell) e alla «realtà» e le conseguenze per la nozione di «soggetto trascendentale» – Il carattere assurdo dell’ipotesi di una realtà trascendente – La fenomenologia contra il relativismo e il dogmatismo – Le due trasformazioni semantiche che Husserl fa subire ai concetti di trascendenza e immanenza – 1) Il duplice significato di trascendenza e immanenza – L’integrazione degli oggetti trascendenti all’interno della sfera fenomenologica (svolta trascendentale) – 2) Trascendenza, immanenza e pre-immanenza (svolta genetica) – Piano dell’opera.
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Capitolo I La fenomenologia come idealismo trascendentale – il chiarimento delle condizioni di possibilità della conoscenza come caratteristica fondamentale «del» trascendentale in Kant – Il trascendentalismo kantiano in quanto opera sulla fondazione di un nuovo procedimento di legittimazione della conoscenza – Messa in evidenza, da parte di Husserl, di un’«esperienza trascendentale». Il trascendentale in Husserl – 1) Prospettive storiche. Secondo Husserl, il trascendentalismo kantiano è stato condizionato da due esigenze: a) un’esigenza empirista (o oggettivista) e b) un’esigenza anti-psicologista – Lo statuto «mitico» del soggetto trascendentale kantiano – La «soggettività trascendentale» come campo specifico del trascendentalismo husserliano – 2) Fondamenti sistematici. Quattro determinazioni caratterizzanti il trascendentalismo husserliano: a) il trascendentale come «fonte di ogni conoscenza» – La conoscenza di cui si informa il fenomenologo come «conoscenza assoluta della possibilità della conoscenza assoluta» – Definizione del trascendentale – b) L’Io trascendentale, nel suo rapporto col mondo trascendente, come fonte di ogni conoscenza – c) La fenomenologia trascendentale come «auto-meditazione» della «soggettività trascendentale» – Definizione della soggettività trascendentale – Lo statuto ontologico della soggettività trascendentale – Il senso dell’idealismo trascendentale – d) La «legittimazione» come motivo fondamentale della fenomenologia trascendentale. Considerazioni metodologiche fondamentali – Evidenza e intuitività – Il «principio di tutti i principi» della fenomenologia – Il problema di legittimazione dell’evidenza intuitiva – Le due sfere della soggettività trascendentale: la sfera immanente e la sfera pre-immanente (prima approssimazione) – L’epoché e la riduzione fenomenologiche – Il significato dell’epoché – L’epoché come conseguenza dell’idealismo derivante dalla fenomenologia trascendentale – L’attitudine naturale e l’at-
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titudine fenomenologica – La motivazione dell’epoché – La riduzione fenomenologica – Differenze tra l’epoché e la riduzione – Due significati di fenomeno in Husserl. Il primo livello della legittimazione fenomenologica: la sfera immanente – Le «implicazioni intenzionali» e il «senso» delle operazioni intenzionali. Il secondo livello della legittimazione fenomenologica: la sfera pre-immanente – La costruzione fenomenologica conferisce alle analisi fenomenologiche la loro «legittimazione ultima» – Differenza tra la costruzione fenomenologica e le costruzioni speculative – Ciò che motiva il fatto di procedere ad una costruzione fenomenologica – Cosa la costruzione fenomenologica costruisce – I limiti dell’analisi descrittiva – «Costruzione genetica» in Fichte e Husserl – La base su cui la costruzione fenomenologica costruisce ciò che costruisce – L’intuitività specifica che richiede la fenomenologia costruttiva – Il procedimento a «zig zag» – Costruzione fenomenologica e discesa nella sfera pre-immanente della coscienza trascendentale.
Capitolo II L’intenzionalità – L’analisi intenzionale – Definizione dell’intenzionalità – La fenomenologia contra il realismo e il soggettivismo – La correlazione soggetto-oggetto e la sua struttura essenziale come problema fondamentale della fenomenologia – Definizione della logica come «scienza dei significati» (che si costituiscono nella coscienza intenzionale). Espressione, significato, oggetto – L’espressione e il segno – 1) L’informazione dell’espressione – 2) Il significato dell’espressione – L’intenzione significante e l’intenzione di riempimento – 3) Il significato come contenuto ideale dell’espressione – 4) L’oggetto dell’espressione.
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L’analisi della coscienza intenzionale – I differenti significati del concetto di «coscienza» – 1) Primo significato di coscienza: la coscienza come l’unità effettiva dei vissuti dell’Io – 2) Secondo significato di coscienza: la coscienza «interna» come percezione interna – 3) Terzo significato di coscienza: la coscienza come «atto» o «vissuto intenzionale» – Lo schema apprensione/contenuto d’apprensione – Il contenuto dell’atto intenzionale – 1) Il contenuto intenzionale come oggetto intenzionale – 2) Materia intenzionale (come «senso dell’apprensione oggettiva») e qualità intenzionale (come carattere generale dell’atto) – 3) a) L’essenza intenzionale «relativa al significato» (come unità della qualità e della materia dell’atto) – 3) b) L’essenza intenzionale «relativa alla conoscenza» – La «pienezza» – La categorialità – Il riempimento delle componenti formali e categoriali del significato – L’intuizione categoriale. La verità – La concezione tradizionale della verità (intesa come adeguazione) – La verità intesa come evidenza (in quanto «sintesi perfetta di riempimento») – Evidenza adeguata e evidenza inadeguata – Altri tre concetti di verità – La verità «fenomenologica» e l’abbozzo della concezione della costruzione fenomenologica – La «verità categoriale» – L’idea del riempimento delle forme categoriali come concezione che permette di superare la teoria della verità come adeguazione.
Capitolo III Coscienza oggettivante e coscienza immaginativa – La natura temporale della coscienza e il ruolo del tempo nella distinzione tra differenti tipi di intenzionalità – Coscienza immaginativa e atti significativi – Coscienza immaginante e coscienza d’immagine – La rappresentazione immaginante come rappresentazione intuitiva e sensibile – Il problema del portatore (o rappresentante) della coscienza immaginante.
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Immaginazione e phantasia – I differenti tipi della coscienza immaginante: l’immaginazione e la phantasia. L’immaginazione – La questione dell’applicabilità dello schema apprensione/contenuto d’apprensione alla coscienza immaginante – Punti comuni tra l’immaginazione e la percezione – La coscienza di un’immagine fisica come esempio illustrante il ruolo dell’immaginazione – La cosa fisica, l’immagine-oggetto e l’immagine-soggetto – Lo statuto enigmatico dell’immagine-oggetto – Un’apprensione nel caso della percezione, due apprensioni nel caso della coscienza d’immagine – La temporalità dell’immaginazione – Distinzione tra manifestazioni della coscienza immaginante e manifestazioni della percezione – La distinzione tra percezione e immaginazione dipende da una differenza temporale. La phantasia – Distinzioni tra la rappresentazione di phantasia e la rappresentazione della percezione – 1) Conflitto di «mondi» (non dell’immagine di phantasia) – 2) Differenza di stabilità – 3) Differenza di gradualità nell’adeguazione – 4) Differenza riguardo alla continuità – La temporalità della phantasia – Tre determinazioni della temporalità della phantasia – 1) La discontinuità della temporalità della phantasia – Tre caratteristiche: a) Carattere proteiforme – b) Carattere intermittente – c) Variabilità dell’immagine – 2) Il carattere presentificante della temporalità della phantasia – La rappresentazione della fantasia è caratterizzata da una «coscienza di non-essere» – Il ruolo dei contenuti d’apprensione – 3) La virtù costituente della temporalità della phantasia – Sensazioni e phantasmata. La coscienza riproduttiva – Coscienza immaginante e ricordo – La coscienza interna in quanto coscienza pre-riflessiva – Quattro caratteristiche della rappresentazione della fantasia: 1) Implicazione intenzionale – 2) Riproduzione dell’impressone di un atto possibile – 3) Non inclusione di un atto percettivo originario – 4) Neutralità ontologica – Carattere nello stesso
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tempo riproduttivo e produttivo della rappresentazione della phantasia – Lo «sdoppiamento» della coscienza e la «scissione dell’Io» – Il rapporto tra reale e immaginario.
Capitolo IV Il tempo come forma – La struttura temporale della coscienza trascendentale. La temporalità immanente – La messa «fuori circuito» del tempo oggettivo – Il «tempo apparente» come oggetto della fenomenologia del tempo – L’intenzionalità ritenzionale – L’auto-differenziazione degli atti d’apprensione – L’intrecciarsi delle fasi ritenzionali – Il carattere sintetico dell’intenzionalità ritenzionale – L’intenzionalità protenzionale – Simmetrie e asimmetrie tra l’intenzionalità protenzionale e l’intenzionalità ritenzionale – Il legame tra le protenzioni e le ritenzioni – Il flusso assoluto della coscienza – Cinque ragioni giustificanti l’introduzione della nozione di «coscienza assoluta» e la discesa nella «sfera pre-immanente» della coscienza trascendentale – 1) La coscienza assoluta come coscienza dei data sensibili intesi in una temporalità fenomenologica «prima» della loro oggettivazione trascendente – 2) Il flusso assoluto come «flusso fansiologico» – 3) La coscienza di sé della coscienza assoluta – 4) La coscienza assoluta al di qua della differenza presentazione/presentificazione – 5) La coscienza assoluta come coscienza pre-immanente costitutiva della temporalità immanente. La temporalità pre-immanente – Lo statuto della «hyle» e del «noema» nella fenomenologia husserliana del tempo – La hyle temporale – Il noema – Il «noema-tempo» – Altri argomenti giustificanti la discesa nella sfera pre-immanente della coscienza – Necessità di rendere conto della temporalità dei contenuti della sfera immanente della coscienza – Distinzione
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tra «oggetti temporali» e «oggetti-tempo» – Lo statuto della costruzione fenomenologica nella fenomenologia husserliana del tempo – Il «processo originario» e la sua struttura in «nuclei» – La costruzione fenomenologica del «processo originario» – Le fasi del processo originario: fasi ritenzionali («fenomeni di evanescenza, affievolimento») e protenzionali – 2) L’auto-costituzione del processo originario – Le «forme noematiche» – L’analisi dal versante «noematico» del processo originario – Il carattere intenzionale del «noema-tempo» – Il ruolo della «modificazione» nell’analisi noematica – Lo statuto dei data iletici.
Capitolo V Considerazioni metodologiche – Ritorno all’epoché fenomenologica – Critica di un malinteso sull’epoché – Il senso e lo statuto della fenomenologia genetica – La fenomenologia genetica procede verso la «genesi di una fattualità» – I campi di ricerca della fenomenologia genetica – Le nozioni di «pulsione» e d’«istinto» in Husserl. La fenomenologia delle pulsioni e degli istinti – Pulsioni e istinti nelle Ricerche Logiche – La nozione di «motivazione» nella fenomenologia statica e genetica – Il ruolo della «motivazione» passiva nell’intenzionalità dell’istinto – I differenti livelli costitutivi nella fenomenologia delle pulsioni e degli istinti: 1) L’intenzionalità di pulsione nella percezione esteriore, 2) il ruolo dell’istinto nella costituzione della hyle sensibile e 3) il sistema pulsionale degli istinti originari nella costituzione della «hyle originaria» all’interno del flusso temporale assoluto – «Costruzione fenomenologica» e «riduzione smantellante» nella fenomenologia delle pulsioni e degli istinti – 1) L’intenzionalità di pulsione nella percezione esteriore – Associazioni «riproduttive» e «induttive» – 2) Il ruolo dell’istinto nella costituzione della hyle sensibile – Il campo della «hyle di sensa-
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zione» – L’istinto di «oggettivazione» o della «curiosità» – 3) Il sistema pulsionale degli istinti originari nella costituzione della «hyle originaria» all’interno del flusso temporale assoluto – La «hyle originaria» – La costruzione fenomenologica nella fenomenologia delle pulsioni e degli istinti – L’«originariamente iletico» e il «pre-egoico» – Il «sistema pulsionale» come insieme dei contributi degli istinti originari alla genesi ultima della hyle originaria – L’«affezione originaria» come «prima apertura al mondo» – L’«associazione originaria» in quanto condizione di tutte le forme di sedimentazione dell’esperienza. La dimensione pratica della fenomenologia delle pulsioni e degli istinti – La dimensione pratica nelle tre sfere costitutive della fenomenologia delle pulsioni e degli istinti – Kant e Husserl – L’istinto come «proto-forma» della volontà.
Capitolo VI Le tre questioni fondamentali della fenomenologia dell’intersoggettività: 1) Perché la soggettività trascendentale deve essere necessariamente conosciuta – nella fenomenologia trascendentale – come un’intersoggettività trascendentale? 2) In che modo la comprensione dell’altro in termini di «alter ego» costituisce una comprensione fenomenologica dell’alterità e dell’estraneità? 3) In quale maniera l’intersoggettività interviene nella costituzione dell’oggettività? Preliminari metodologici – Il punto di partenza problematico e il punto di partenza metodologico della fenomenologia dell’intersoggettività – Il problema del modo di accesso all’intersoggettività – Il paradosso della fenomenologia dell’intersoggettività – La fenomenologia dell’intersoggettività come monadologia – Il metodo della fenomenologia dell’intersoggettività – La costruzione fenomenologica e la riduzione smantellante nella fenomenologia husserliana dell’intersoggettività.
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La costituzione dell’intersoggettività – La riduzione primordiale (all’immanenza dell’ego) – La necessità metodologica di prendere il suo punto di partenza in una sorta di «solipsismo» trascendentale – La «riduzione primordiale» e l’epoché fenomenologica – L’Io ridotto – Caratterizzazione negativa della sfera primordiale – 1) La caratterizzazione della «natura primordiale» specifica dell’ego ridotto – 2) Il ruolo del «corpo vivente» nell’analisi della primordialità – 3) Il rapporto di fondazione che esiste tra il primordiale e l’estraneo – Rapporto tra l’Io primordiale e l’ego trascendentale – L’«appercezione di sé mondanizzante» – Caratterizzazione positiva della sfera primordiale («prima trascendenza») – Forme e contenuti della sfera primordiale – La trascendenza intersoggettiva («seconda trascendenza») – La prima trascendenza e la seconda trascendenza sono due facce della stessa medaglia – La costituzione dell’alter ego – L’«appaiamento» – L’apprensione analogizzante come fondante l’appercezione dell’altro – La concordanza – Le potenzialità della sfera primordiale – I punti di vista dell’altro Io in quanto potenzialità della sfera primordiale dell’ego – L’associazione caratteristica della costituzione dell’altro – La costruzione fenomenologica del modo di manifestazione dell’altro. La costituzione dell’oggettività – La costituzione della forma primaria dell’oggettività – La presentificazione della sfera estranea in quanto correlato soggettivo della concordanza dei fenomeni del mondo – La costituzione dei livelli più alti dell’oggettività mondana – L’«assimilazione oggettivante» – L’auto-mondanizzazione – La correlazione mondo/intersoggettività – Risultati metafisici dell’analisi dell’esperienza dell’altro – La fenomenologia trascendentale come fenomenologia dell’intersoggettività trascendentale.
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Conclusione Le tre critiche fondamentali indirizzate tradizionalmente a Husserl: 1) La fenomenologia come filosofia della coscienza – Primato dell’oggettivazione e della percezione – 2) Il carattere ingiustificato dello «sdoppiamento» coscienza/oggetto – 3) La fenomenologia deriva ancora dalla «metafisica della presenza» – Assenza di un interesse per l’«essere» – La fenomenologia compresa come idealismo trascendentale che procede a costruzioni fenomenologiche risponde a tutte queste critiche – La fenomenologia: un metodo o una metafisica? – Husserl e Fichte: due trascendentalismi che si completano – La fenomenologia costruttiva e il suo rapporto al trascendentale al di qua della scissione del soggetto e dell’oggetto.
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Premessa
La fenomenologia ha per obiettivo l’analisi e la descrizione della maniera in cui il senso di ciò che è (e di ciò che è così) si presenta alla coscienza. Essa, dunque, non tematizza direttamente le «cose» e gli «oggetti», ma i «modi» (Weisen o Arten) della coscienza «in» cui ciò che è si manifesta (da cui il senso etimologico del termine «fenomenologia») – modi di coscienza che sono le cose stesse a cui Husserl, come è noto, invita a «ritornare». In tal modo la fenomenologia s’inscrive direttamente nella tradizione della filosofia trascendentale. D’altronde, non ha forse Kant definito la conoscenza trascendentale come la conoscenza «che si occupa non degli oggetti ma del nostro modo di conoscere gli oggetti in quanto questa modalità di conoscenza deve essere possibile a priori»? La fenomenologia ne dirotta tuttavia profondamente il senso: in luogo di lasciare indeterminato lo statuto delle «condizioni di possibilità» della conoscenza, essa assume pienamente un’esperienza trascendentale che è quella della costituzione del senso negli atti della coscienza trascendentale. Quindi, ad essa non spetta certamente più il «titolo pomposo» di un’ontologia, ma non si accontenta nemmeno del «titolo modesto» di una «analitica»: la fenomenologia si intende innanzitutto e soprattutto come una analisi intenzionale che non s’interroga sulla maniera in
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cui un soggetto e un oggetto, esterni l’uno all’altro, possono incontrarsi, ma che ha per tema la correlazione, intenzionale, del soggetto e dell’oggetto, «prima» della loro «scissione» in due «poli» distinti. Attraverso questo appello ad un «ritorno alle cose stesse», la fenomenologia – husserliana – ha sempre rivendicato per il suo discorso uno statuto costituente, cioè fondazionale (a tal punto che Husserl vede nella fenomenologica una nuova «filosofia prima» o perlomeno il compimento dell’idea originaria di ogni filosofia) – rivendicazione che ha d’altronde sovente posto un problema e sollevato delle difficoltà ai suoi successori. Nello stesso tempo, questa esigenza riflette per Husserl il principio che egli vede all’opera nella filosofia dai suoi inizi socratici, e al quale non cessa di ritornare a partire dagli anni Venti: vale a dire, il principio di una legittimazione assoluta della conoscenza. Ora, è precisamente sul senso di questa legittimazione che noi ci interrogheremo. Questo interrogare parte da una doppia constatazione. In primo luogo, malgrado tutte le acquisizioni o, almeno, i progressi decisivi a cui il lavoro, teoreticamente infinito, delle concrete analisi fenomenologiche è pervenuto all’interno degli svariati campi della ricerca fenomenologica, non è men vero che queste stesse analisi riscontrano talvolta dei limiti che il loro procedimento «descrittivo» non è in grado di superare. Per esempio – e ci ritorneremo a più riprese nel presente saggio – l’analisi fenomenologica della costituzione della coscienza del tempo si accorge del fatto che tanto il flusso iletico delle impressioni che si succedono senza posa quanto l’intenzionalità specifica che si ritiene costituire la coscienza del tempo possiedono una forma temporale. C’è «del» tempo tanto in ciò che ci affeziona «dal di fuori» quanto negli «atti» o, per dirla in modo succinto (e quasi in maniera abusiva – in ogni caso, non conforme all’uso husserliano): c’è del tempo tanto «oggettivo» quanto «soggettivo» – ma, ed è qui l’intera questione,
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cosa fa sì che, in questi due casi, sia lecito parlare di tempo? Più esattamente, che cosa costituisce il tempo di ciò che è propriamente ritenuto costituire il tempo, se questa (nuova) costituzione non potrebbe evidentemente essere assicurata da ciò che in primo luogo è stato da essa costituito? Ecco quindi un esempio (e vedremo che la fenomenologia ne riserva ben altri) di un limite, se non addirittura di un’«aporia» che l’analisi puramente descrittiva non permette di risolvere. Ora, ed è la seconda constatazione, tale difficoltà non concerne «solamente» tutti i «punti ciechi», tutti gli «angoli morti» dell’analisi fenomenologica descrittiva, ma – e la questione si fa assai più difficile – ci si può domandare a buon diritto in che misura, in generale, il ricorso alla sfera «costitutiva» della soggettività trascendentale permette di rendere conto del senso e del senso d’essere dei fenomeni: detto altrimenti, cosa precisamente legittima il fenomenologo a ricorrere ad un sfera che «raddoppia», per così dire, la sfera del reale? E in che misura il ricorso a questa sfera risponde dunque al problema di sapere come si costituisce il senso di ciò che si manifesta alla coscienza? Evidentemente le questioni qui sollevate sono altrettanto enormi che semplici: cosa legittima il filosofo fenomenologico tanto nei confronti dei «fatti (facta)» irriducibili sui quali applica un procedimento puramente descrittivo quanto riguardo al suo principio stesso – secondo cui tutto ciò che è si costituisce, nel suo senso, nell’evidenza intuitiva degli atti della soggettività trascendentale originariamente costituente? Husserl risponde a tale questione – questa è la tesi fondamentale che tenteremo di verificare in queste pagine – attenendosi ad un processo di legittimazione che oltrepassa i limiti di un semplice modo di procedere descrittivo senza pertanto cadere nella metafisica o (il che è ad ogni modo escluso) in una speculazione puramente discorsiva (ovvero «fittizia»). Proponiamo dunque al lettore di riprendere la fenomenologia husserliana
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alla sua radice – vale a dire, precisamente, al livello del suo metodo legittimante. È al fine di rispondere proprio all’esigenza di una legittimazione assoluta della costituzione del senso dei fenomeni (nella loro «verità») che Husserl procede – nel momento in cui si spinge dunque verso i limiti inerenti all’analisi descrittiva – a delle costruzioni fenomenologiche che non sono, sottolineiamolo ancora una volta, delle costruzioni speculative, né dei procedimenti per far esistere col pensiero ciò che non esiste nella realtà, ma degli attrezzi che il fenomenologo si dà per rendere conto di un tenore fenomenico specifico e di cui non ne scopre la regolarità (ovverosia la legittimità, precisamente!) se non procedendo attraverso queste stesse costruzioni. I fondamenti di una fenomenologia costruttiva avranno così a loro volta per compito chiarire lo statuto ed esibire l’efficienza di queste costruzioni alla luce dei «fatti (facta)» ultimi incontrati dal fenomenologo nelle sue analisi concrete – il che ci obbligherà ad addentrarci in un terreno dove talvolta, per la natura stessa della «cosa», «ci mancheranno i nomi». La costruzione fenomenologica rappresenta a nostro avviso l’attrezzo metodologico fondamentale di una forma inedita della filosofia trascendentale, la cui morte è stata annunciata forse troppo frettolosamente. Parigi, inizio novembre 2006
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Introduzione
L’elaborazione – compiuta da Husserl – della fenomenologia e, in particolare, del suo metodo specifico è determinata, in maniera decisiva, dall’acquisizione e chiarificazione dei «concetti operativi» fondamentali. Eugen Fink, il più importante collaboratore di Husserl, ha attirato l’attenzione su alcuni concetti operativi espliciti del metodo fenomenologico, il cui uso appropriato permette senza alcun dubbio di pervenire ad un consenso – sia pur minimo – su ciò che bisogna intendere con questo metodo. Il «fenomeno», l’«epoché», la «costituzione», l’«operazione (Leistung)» e la «logica trascendentale» sono così dei concetti che «operano», più che, a dire il vero, essere «tematizzati» in quanto tali.1 Ma nello stesso modo in cui Husserl non intravede che in maniera progressiva (ed esitante – non priva di «svolte» e capovolgimenti) il senso della fenomenologia in quanto idealismo trascendentale, è da notare anche che un certo numero dei suoi concetti operativi impliciti (che non operano solamente nell’ombra, ma di cui non si può davvero prendere coscienza se non per mezzo di una riflessione meto1 E. Fink, «Operative Begriffe in Husserls Phänomenologie», Zeitschrift für philosophische Forschung, 11, 1957, p. 321-337 (ripreso in Nähe und Distanz. Phänomenologische Vorträge und Aufsätze, Freiburg, Alber, 1976; Prossimità e distanza. Saggi e discorsi fenomenologici, tr. it. di A. Lossi, ETS, Pisa, 2006).
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dologica sul senso del filosofare fenomenologico che Husserl stesso ha compiuto solo in pochi casi2) non si costituiscono che al termine di mutamenti importanti da cui risultano talora dei malintesi sullo statuto definitivo della fenomenologia. È ai chiarimenti di questi concetti operativi impliciti – e alle conseguenze che ne derivano per il metodo fenomenologico in generale – che dobbiamo innanzitutto rivolgerci, se vogliamo circoscrivere la prospettiva inerente alla fenomenologia per concepirla come una filosofia trascendentale. Quali sono i concetti operativi della fenomenologia così intesa? Sono i concetti – propri all’elaborazione definitiva, fin dagli inizi degli anni Venti, della fenomenologia genetica3 della «genesi», del «fatto» (o «factum») e della «costruzione»4 (sapendo che una tale enumerazione non pretende in nessun modo di essere esaustiva). Tradizionalmente, si contrappone, seguendo la distinzione introdotta dallo stesso Husserl, la fenomenologia statica – quella che ordina e sistematizza, in maniera descrittiva5, i differenti tipi di fenomeni per mezzo di 2 Per questa distinzione tra concetti operativi espliciti e impliciti, cfr. il nostro Temps et phénomène. La phénoménologie husserlienne du temps (18931918), coll. «Europæa Memoria», Hildesheim, Olms (diff. Vrin), 2004, p. 255. 3 In quest’opera (cfr. in particolare il Capitolo V) ci siamo proposti in effetti di mostrare che il senso definitivo della fenomenologia trascendentale si svela con la «svolta genetica» di Husserl. 4 Il lettore si accorgerà del fatto che utilizziamo ciascuno di questi termini in un senso un po’ differente dalla loro accezione abituale (e ciò in ragione del loro carattere implicito!) – slittamenti di senso che rispondono alle esigenze, lo vedremo, della fondazione di una fenomenologia costruttiva. 5 Quarta Meditazione Cartesiana, § 37, Husserliana I, p. 110; Meditazioni cartesiane, tr. it. di F. Costa, Milano, Bompiani, 2002, p. 100. (Tutte le citazioni di Husserl sono riprese dall’Husserliana – salvo quelle, ovviamente, dei testi che non sono (ancora) apparsi, fino ad oggi, in questa edizione. In generale, ma non sempre, le traduzioni sono state da noi realizzate e confrontate con le traduzioni esistenti. Per maggiori dettagli concernenti i riferimenti ai testi, vedere la bibliografia. N.d.A.) (Nella traduzione dei testi
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«fili conduttori» – alla fenomenologia genetica ritenuta svelare i fenomeni, appartenenti alla «storia» della soggettività trascendentale (anonima), che permettono di rendere conto della costituzione (genetica, per l’appunto) di ciò che, nella fenomenologia detta «statica» non si presenta mai che in un modo già costituito. In un testo celebre del 1921, Husserl presenta più precisamente la fenomenologia genetica come la disciplina che tratta della formazione delle appercezioni, vale a dire dei vissuti intenzionali che racchiudono in se stessi, in modo cosciente, qualcosa che non vi è tuttavia dato in sé e per sé (selbstgegeben)6, ovvero che è sempre in eccesso rispetto a ciò che è attualmente dato7. Ma tale accezione ristretta del termine «genesi» permette davvero di esaurire tutti i significati che essa possiede nella fenomenologia husserliana o, almeno, che quest’ultima contiene in maniera implicita? È risaputo che la fenomenologia «descrittiva» si è all’inizio costituita (al passaggio del secolo scorso) contro una certa accezione – psicologica e empirica – della genesi (e di ciò che gli psicologi chiamavano metodo «genetico»). Se, alla fine degli anni Dieci e all’inizio degli anni Venti del Novecento, Husserl ritorna su questa nozione di genesi, è certamente per correggere un’insufficienza interna alla fenomenologia intesa come disciplina eidetica (e che concerne più particolarmente il fatto di aver trascurato tutto quello che contribuisce in modo costi-
husserliani in lingua italiana si è fatto riferimento, laddove era possibile, alle principali edizioni pubblicate in Italia. Soltanto in alcuni casi si è voluto modificare la traduzione italiana per accordarla a quella francese proposta dall’autore. Nel loro complesso le traduzioni sono state confrontate con l’originale tedesco dell’Husserliana. N.d.T.) 6 «Statische und genetische phänomenologische Methode» (1921), Husserliana XI, M. Fleischer (ed.), 1966, p. 336. 7 Vedremo nel capitolo V che, in realtà, la nozione di «eccesso» non svela il vero criterio distintivo che permette di distinguere la fenomenologia statica dalla fenomenologia genetica.
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tutivo alla «storia» della soggettività trascendentale). Ma non è questa la sola ragione che giustifica la ripresa di questo termine. In effetti, si può mostrare che se Husserl ha fatto ricorso a questa nozione e se elabora una «fenomenologia genetica», è in realtà per dotare la fenomenologia di procedimenti metodologici che l’obbligano ad abbandonare il ristretto dominio di una fenomenologia descrittiva. Detto altrimenti, ed è la tesi che vorremmo difendere nel presente studio, la fenomenologia genetica può essere compresa sotto tutte le sue sfaccettature solo se la fenomenologia si concepisce anche – in ogni caso là dove è necessario, ovvero nella discesa nella sfera al di qua della sfera immanente della coscienza trascendentale – come una fenomenologia costruttiva. Ora, questa fenomenologia genetica effettua delle «genesi» che si lasciano ogni volta concepire solo rispetto a dei «fatti» (facta). Tali facta non devono essere confusi con ciò che Husserl chiama «Urtatsachen (fatti originari)»: quest’ultimi – oggetti per eccellenza della metafisica – si sottraggono ad ogni genetizzazione, ad ogni costruzione fenomenologica possibile (la fenomenologia costruttiva «si situa» così nell’intervallo «tra» la fenomenologia descrittiva e la metafisica). Contrariamente alle Urtatsachen, i «facta»8 – che sono precisamente quei dati della sfera immanente della coscienza, di cui un’analisi costitutiva descrittiva non giunge a rendere conto –sono i
8 In realtà, bisogna distinguere tre tipi di «facta» che corrispondono rispettivamente a tre regioni o domini fondamentali della fenomenologia: innanzitutto, i «fatti originari» o «assoluti» che rientrano nel campo della (fenomenologia) metafisica; quindi, i «fatti» nel senso più ampio e più generale del termine di cui si occupa la fenomenologia descrittiva; ed infine i «fatti» del tutto particolari (che costituiscono al tempo stesso un limite al procedimento descrittivo, ma sono «costruibili» geneticamente) che sono quindi l’oggetto della fenomenologia costruttiva. La fenomenologia si lascia caratterizzare come un filosofare che rende conto – attraverso procedimenti metodologici ogni volta specifici – di questi differenti tipi di facta.
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«depositi» di un fungere genetico che la fenomenologia ha il compito di «ri»fare. Ciò che è decisivo, è che questo «fungere» della soggettività trascendentale «anonima» non è inaccessibile ad un’analisi fenomenologica – a condizione, tuttavia, di procedere effettivamente ad una costruzione fenomenologica che faccia ricorso, come sopra accennato, ad una discesa nella sfera al di qua della sfera immanente della coscienza trascendentale.9 Notiamo fin dall’inizio che utilizziamo il termine «costruzione fenomenologica» in un senso differente da quello che si trova innanzitutto in Heidegger e Fink. Essa non designa una ricostruzione di un tutto di cui solo certe parti sarebbero attualmente date. E, in linea di massima, essa non produce affatto qualcosa. La costruzione fenomenologica non è una costruzione speculativa (che procede per semplici concetti), ma non si lascia neanche ridurre ad una «semplice» «costituzione». Non è una costruzione speculativa perché è diretta dal tenore fenomenologico dei facta e perché oscilla di conseguenza, in virtù di quello che si potrebbe chiamare «zigzag genetico», tra il factum «da costruire» e la costruzione (pre-immanente) propriamente detta10. Ma essa non è neanche una costituzione11, 9 Abbiamo già dedicato una prima riflessione sulla nozione di «costruzione fenomenologica» nella nostra opera La Genèse de l’apparaître. Études phénoménologiques sur le statut de l’intentionnalité, Beauvais, Mémoires des Annales de Phénoménologie, 2004, pp. 33 ss. e in Temps et phénomène. La phénoménologie husserlienne du temps (1893-1918), op. cit., pp. 9-14, 202 ss., 250 ss., 255 ss. 10 Per opposizione al ben noto «zigzag fenomenologico» che rinvia continuamente, al livello della sfera immanente della coscienza trascendentale, dal costituente al costituito e viceversa. 11 La fenomenologia trascendentale ha in effetti per contenuto un a priori «di nuovo genere» che è quello della costituzione (Quinta Meditazione Cartesiana, § 59, Husserliana I, p. 164; tr. it. p. 154). Che cosa significa questa costituzione? La correlazione costitutiva – la correlazione «noeticonoematica» –, messa in evidenza da Husserl a partire dalla metà del primo
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perché la costituzione è sempre costituzione di un oggetto (nel senso di noema) – in quanto «filo conduttore» nel quadro della fenomenologia detta «statica». Nella «sfera» pre-immanente, al contrario, non vi è oggetto (costituito), di modo che è effettivamente il caso di distinguere tra il procedimento costruttivo e ogni processo costitutivo caratterizzante tanto la fenomenologia statica quanto la fenomenologia genetica nel senso ristretto che abbiamo appena tracciato. Una volta compiuta questa prima messa a punto del tutto generale, tenteremo adesso di precisare e approfondire la portata filosofica della fenomenologia costruttiva.
* In quest’opera si tratterà per noi di investigare in maniera sistematica il senso e le implicazioni della fenomenologia com-
decennio del Novecento, implica una trasformazione radicale del tradizionale rapporto soggetto-oggetto, trasformazione che presuppone, come prerogativa assolutamente indispensabile, il metodo dell’epoché e della riduzione fenomenologica (cfr. Capitolo I). Il risultato di questa trasformazione è che il soggetto non è più staticamente di fronte ad un oggetto supposto e già dato, né l’oggetto di fronte ad un soggetto (o una pluralità di soggetti) costituito(i), di modo che il loro entrare in relazione risulterebbe (ontologicamente e cronologicamente) da una presenza preliminare degli oggetti, da un lato, e dei soggetti, dall’altro, ma che, in maniera essenziale, il senso – e il senso d’essere – degli oggetti è per l’appunto costituito dal soggetto trascendentale (ogni costituzione è dunque costituzione di un oggetto!), il quale soggetto non precede, nel medesimo tempo, questo atto costitutivo: l’essere e la coscienza devono essere pensati assieme, o meglio: appartengono assieme all’unità concreta dell’atto intenzionale che deve essere concepito come un’«essenza», un «eidos» (laddove il termine «atto» non indica quindi né un’attività, né una maniera d’agire di una qualsiasi coscienza psichica) (cfr. Capitolo II).
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presa come «idealismo trascendentale»12 – progetto che non coincide, sottolineiamolo, con quell’altro compito importante consistente nel descrivere, in una prospettiva più che altro storica, la formazione della fenomenologia trascendentale13 (e la sua elaborazione ulteriore) così come si è costituita attraverso la «svolta» trascendentale nei primi anni del Novecento. Ora, una tale investigazione non può essere realizzata senza adottare innanzitutto il «punto di vista» del fenomenologo trascendentale che, lungi dal fare completamente torto in particolare a quell’opera inaugurale della fenomenologia che sono le Ricerche Logiche (1900/1901), non corrisponde in realtà a nient’altro che alla «riflessione sulla problematica14» di queste Ricerche – il che implica che la fenomenologia è presente in esse almento «potenzialmente»15 (un fatto che Husserl stesso non ha mai d’altronde cessato di ripetere16). Ma che cosa caratterizza in verità il «punto di vista» (o l’«attitudine») del fenomenologo trascendentale? E come si può allora determinare il senso fondamentale della fenomenologia trascendentale in generale? La tesi che vorremmo difendere in queste pagine è che la fenomenologia trascendentale di Husserl non è altro che lo svolgersi delle conseguenze, profonde, che derivano da una
12 E si tratterà in particolare di mostrare che la fenomenologia costruttiva fornisce delle risposte a coloro che giudicano questo idealismo «poco accettabile». 13 Cfr. a tal proposito lo studio molto istruttivo di J.-F. Lavigne, Husserl et la naissance de la phénoménologie (1900-1913), Paris, puf, 2005. 14 L’espressione è di Ernst Tugendhat. 15 E. Tugendhat, Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger, Berlin, Walter de Gruyter, 1970, p. 229. 16 Cfr. per esempio Formale und transzendentale Logik, Husserliana XVII, p. 160 et 170; Erste Philosophie (prima parte), Husserliana VII, p. 233; Krisis, Husserliana VI, p. 237; Erfahrung und Urteil, L. Landgrebe (ed.), Hamburg, Meiner, 19856, p. 78.
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ridefinizione di principio dei concetti di «trascendenza» e di «immanenza» (senza che questa ridefinizione si restringa al «modo di datità (Gegebenheitsweise)» dell’oggetto trascendente in una coscienza immanente!)17. Ciò che caratterizza la svolta «trascendentale» (o «idealista») della fenomenologia di Husserl è l’emergenza di una nuova attitudine filosofica rispetto al «reale» (reell) e alla «realtà» che contamina essenzialmente la nozione stessa di «soggetto» e di soggetto «trascendentale». Laddove le Ricerche Logiche (pubblicate quindi prima di questa «svolta» che sembra essere intervenuta a partire dal 1906) opponevano ancora, sulla scia dello psicologismo brentaniano, una certa accezione della «coscienza» (immanente), suscettibile di un’analisi «descrittiva», da un lato, e la «realtà» degli oggetti «trascendenti» che erano esclusi da una tale analisi (e il cui statuto ontologico restava alla fine indeterminato18), dall’altro, l’idealismo trascendentale husserliano insegna semplicemente l’assurdità dell’ipotesi di una tale realtà trascendente: «un essere reale (real) e ideale (ideal) che trasgredisce (überschreitet) la soggettività trascendentale totale è un controsenso (Widersinn)19». Assolutamente essenziale è che
17 Cosa che, ben inteso, non invalida assolutamente l’idea che «[…] il rapporto intenzionale si sottrae all’influsso delle opposizioni così inveterate come quelle del mentale e dell’extramentale […] o dell’immanente e del trascendente», L. Tengelyi, L’expérience retrouvée. Essais philosophiques I, Paris, L’Harmattan, 2006, p. 55. 18 È in questo senso che J.-F. Lavigne può scrivere che «nel 1901 Husserl era già idealista, sulla questione dell’essere effettivo del mondo sensibile, ma che la fenomenologia che egli pratica non lo è necessariamente», Husserl et la naissance de la phénoménologie (1900-1913), op. cit., p. 720. 19 Husserliana VIII, Appendice XXX (forse del 1924) alla Lezione LIII della seconda parte del corso Filosofia prima (1923/1924), p. 482. Vedere anche Husserliana XXXV, B. Goossens (ed.), 2002, p. 271: «Un’esteriorità al di là dell’universum del senso possibile è un nonsenso, di conseguenza lo sono anche un’altra verità e un altro essere vero al di là dell’universum di quelli che possono ottenere o hanno ottenuto la loro datità di senso in me […]».
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Husserl ne trarrà le conseguenze riguardo alla sfera immanente stessa le cui analisi più correnti (e le più comunemente ammesse) si riveleranno in realtà insufficienti! D’ora in avanti ogni «trascendenza» e ogni «immanenza» dovranno essere considerate nel loro rapporto con la «soggettività trascendentale» (cosa che, lo vedremo, non risulterà semplicemente nella necessità di considerare la loro correlazione – lungi da ciò!); e, all’opposto, lo statuto di questa soggettività trascendentale e il rapporto ch’essa intrattiene con ogni forma di realtà esigono una riconsiderazione dei concetti di «trascendenza» e di «immanenza» (ovvero, lo vedremo, di «pre-immanenza»).
* Che cosa bisogna intendere per «immanenza» e «trascendenza» in fenomenologia? In seguito all’apparizione del celebre articolo di R. Boehm sulle ambiguità dei concetti di immanenza e di trascendenza20 in Husserl, gli studi husserliani hanno preso l’abitudine di collegare le differenti accezioni di questi concetti alla «svolta idealista», appena evocata, della fenomenologia husserliana, svolta che è caratterizzata dall’introdu-
20 R. Boehm, «Les ambiguïtés des concepts husserliens d’‘immanence’ et de ‘transcendance’», dans Revue Philosophique de la France et de l’Étranger, vol. 84, 1959, p. 481-526. Rammentiamo, in anticipo, che l’apporto di questo studio, che ha fatto scuola, consiste nel mostrare che, dopo questa svolta, Husserl si è persuaso che l’oggetto intenzionale – dotato di una certa «trascendenza» rispetto al soggetto che lo intenziona – deve essere integrato nella sfera «effettiva [reell]» o «immanente» della coscienza, dominio di studio per eccellenza, si sa, di ogni descrizione fenomenologica. Ora, in verità, l’importanza di questi concetti non si limita a quell’aspetto. Vedremo, conformemente a ciò, che queste nozioni sono ugualmente al centro di un’altra «svolta» – che data dalla fine degli anni 1910 e che si potrebbe chiamare la svolta «genetica» – dove esse non riguarderanno più soltanto lo statuto dell’oggetto, ma ugualmente quello della stessa soggettività trascendentale.
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zione (o rivalutazione) della nozione di «trascendentale» (e di trascendentalismo), in generale, e di quella di «costituzione», in particolare. Ora, Husserl attinge queste nozioni innanzitutto – all’epoca della redazione delle Ricerche Logiche – all’interno del contesto della filosofia psicologica (nella misura in cui essa tratta di problemi logici), per disporsi subito dopo sul terreno stesso della psicologia, combattere quest’ultima con le sue stesse armi e inaugurare quindi una filosofia fenomenologica – combattimento che la posiziona allo stesso tempo in rapporto ad ogni forma di realismo. Di che cosa si tratta più precisamente? Il dibattito filosofico intorno al 1900 era dominato dalla questione – considerata come essenziale da secoli e posta, in questo dibattito, in termini originali e inediti – di sapere ciò su cui si fonda la validità (e anche, per utilizzare un termine risalente alla tradizione kantiana, la legittimità) delle «idealità», in generale, e delle «idealità logiche», in particolare. Per Husserl si tratta di lottare contro due avversari principali: lo psicologismo, da una parte, e il logicismo, ovvero un certo realismo delle verità «in sé», dall’altra. Se il primo conduce al relativismo e, nelle sue conseguenze ultime, allo scetticismo, il secondo non evita lo scoglio del dogmatismo. Ora, all’interno delle Ricerche Logiche, la confutazione dello psicologismo è stata realizzata in una maniera tanto magistrale quanto definitiva nei Prolegomeni. Ma che ne è stato del dogmatismo? La confutazione dello psicologismo veniva condotta nei Prolegomeni in nome di una «verità» in quanto correlato del genere d’atto in cui esso è dato21. Ma questa verità (che Husserl chiama, lui stesso, una «verità in sé») in quanto trascende quell’atto e in quanto appartenente all’«in sé», non deve integrare questo in sé all’interno della sfera fenomenologica? Ora, è precisamente una tale conseguenza che Husserl respin21 Cfr. a tal proposito infra Capitolo II.
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ge ancora nelle Ricerche Logiche. Ed è in ragione di questo residuo dogmatico, caratteristico della posizione di Husserl nel 1900/1901, che lo Husserl fenomenologo trascendentale riprende alcuni anni più tardi le nozioni di «immanenza» e di «trascendenza» in un altro senso rispetto a quello familiare agli psicologi suoi contemporanei. In effetti, se l’immanenza rinvia alla sfera della coscienza trascendentale e la trascendenza, da parte sua, all’insieme delle oggettualità a cui quella si rapporta intenzionalmente, ciò non vuol dire affatto che occorra intendere questa coscienza ancora in senso psicologico, ovvero nel senso in cui essa – considerata in termini empirici, temporali – rinvierebbe ad una realtà ontologica «all’infuori» di lei, in un rapporto partes extra partes tra due entità «reali», ovvero che può essere l’oggetto di un’esperienza sensibile. Nelle Ricerche Logiche – e soprattutto nella loro rilettura posteriore, certamente – la coscienza è considerata come species, rispetto alla sua essenza. Ciò non toglie che nel 1900/1901 – e Boehm lo ha in effetti ben illustrato – Husserl rifiutava di integrare l’oggetto intenzionale all’interno della sfera fenomenologica. E la conseguenza immediata è stata che non appariva chiaro come la fenomenologia potesse rendere conto delle «verità in sé» senza ricadere nel dogmatismo, che bisognava tuttavia escludere – poiché, in questo modo, Husserl lasciava intendere che ogni evidenza attuale si estende al di là della sua concretezza presente, quella di un intenzionato in sé (il che è, evidentemente, un presupposto dogmatico dal momento che nulla prova che ciò che è così intenzionato appare in maniera evidente anche ad un’altra coscienza). La soluzione di Husserl – che caratterizza già in una prima approssimazione la «svolta trascendentale» – consiste quindi in un’integrazione di questo in-sé nella sfera fenomenologica (o, se si vuole, in un’estensione del concetto di trascendenza che contiene d’ora in poi anche l’immanenza). Lo testimoniano in maniera esemplare i testi più tardi delle Meditazione Cartesiane (Terza Meditazione, § 28) e della Logica formale e tra-
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scendentale (§ 58 e soprattutto § 68): se vi è certamente una «trascendenza» dell’oggetto identico rispetto all’atto concreto in cui esso si dà per «adombramenti» (abschattungsmäßig), cioè secondo un semplice aspetto o profilo, esso è nondimeno costituito in quanto identico (e identificabile) – e questo «concetto più ampio della trascendenza» ingloba dunque, Husserl lo sottolinea nel § 68 di Logica formale e trascendentale, sia l’«immanenza» sia la «trascendenza».
* Ora, in realtà, e questo è di capitale importanza, le nozioni di «trascendenza» e di «immanenza» conoscono due trasformazioni semantiche che giocano un ruolo decisivo rispettivamente nella «svolta trascendentale» e, in seguito, nella «svolta genetica» (che, Husserl, data dalla fine del 1910 e l’inizio del 1920). La prima trasformazione – che abbiamo appena abbozzata in una prima approssimazione e di cui si tratta adesso di mettere in evidenza altre implicazioni – è esposta nell’introduzione (intitolata L’idea della fenomenologia) per il corso estivo del 1907, la seconda in un testo del 1913 (anche se i testi «inaugurali» della fenomenologia genetica non sono redatti prima del 1917/1918). Husserl parla, nel 1907, di un doppio senso delle nozioni di «trascendenza» e «immanenza». La questione fondamentale che si pone è sapere come posso sapere che l’oggetto che conosco grazie ai miei vissuti soggettivi è effettivamente, e che i miei vissuti lo conoscono come esso è? Come può la nostra conoscenza «incontrare (treffen)» un’oggettualità? Tale problema non si solleva affatto se ci si pone, in modo «ingenuo», sul terreno delle sole oggettualità. Tuttavia, questa attitudine è dogmatica, precisamente: essa presuppone ciò che bisogna spiegare – ossia il modo in cui il rapporto con queste oggettualità è possibile. Ma se si distoglie lo sguardo dalle sole og-
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gettualità per focalizzarsi sulla correlazione tra la conoscenza e queste oggettualità, cominciano le difficoltà – in particolare quella, propria dello psicologismo, che consiste nel domandarsi come un vissuto psichico può rendere conto di una verità che trascende la sfera psichica. La «soluzione» di Husserl nel 1907 consiste allora nella messa a punto di una distinzione fondamentale. Ciò che è problematico, egli constata, è la trascendenza: la conoscenza pretende di rendere conto di stati di cose, l’abbiamo detto, che non le sono «immanenti». Ma in realtà, la nozione di «trascendenza» è ambigua: «trascendente» può significare 1) «non essere contenuto in maniera effettiva (reell) nella sfera della coscienza» e 2) «non essere dato in maniera assoluta e chiara», «non dipendere da un’auto-datità in senso assoluto». «Immanente» significa allora: 1) immanente in senso «effettivo» (reell) o 2) immanente nel senso di una «auto-datità assoluta». L’errore dello psicologismo consiste nel fare dell’immanenza effettiva la sola datità assoluta possibile (quindi nel ridurre il secondo senso dell’immanenza al primo). È su questo punto che Husserl introduce nel 1907 una novità radicale. Grazie alla riduzione fenomenologica, ogni trascendenza sarà messa «fuori circuito», «annullata». «A ogni vissuto psichico, insomma, corrisponde, sulla strada della riduzione fenomenologica, un fenomeno puro, che esibisce la sua immanente natura (intesa in senso individuale) come assoluta datità [Gegebenheit]»22. Tuttavia ci sono fenomeni che, sebbene riguardino degli «oggetti» che non sono effettivamente immanenti alla coscienza, sono ugualmente «dati-in-sé (selbstgegeben)» in maniera assoluta: in particolare quelli che hanno una generalità ideale o quelli che dipendono da un oggetto
22 Die Idee der Phänomenologie. Fünf Vorlesungen, Husserliana II, W. Biemel (ed.), 1950, p. 45; L’idea della fenomenologia. Cinque lezioni, Intro. e tr. it. di Andrea Vasa, a cura di Marino Rosso, Milano, il Saggiatore, 1981, 78.
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spaziale dato in una percezione trascendente. Si tratta qui delle oggettualità che possiedono – secondo un’espressione utilizzata nei paragrafi 49 e 50 della Quinta Meditazione Cartesiana – una «trascendenza immanente» il cui senso si chiarisce adesso senza ambiguità: si tratta delle oggettualità che hanno una trascendenza nel primo senso, pur essendo immanenti nel secondo senso. Sembra quindi che «il riferirsi ad un trascendente, intenzionarlo in questa o quella maniera, è un carattere interno (inner) del fenomeno»23. Perciò occorre effettivamente integrare, come abbiamo già detto, nella sfera della coscienza immanente, tanto l’apparizione (Erscheinung) quanto l’oggetto che appare (Erscheinendes) (che è «immanente nel senso intenzionale»). Ma non è questo il solo senso delle nozioni d’immanenza e di trascendenza che occorre far valere nella fenomenologia, e in particolare nella fenomenologia compresa come filosofia trascendentale. Il concetto fondamentale della fenomenologia husserliana intesa come idealismo trascendentale è il concetto di legittimazione (Rechtfertigung) (della conoscenza)24. Se è dunque vero che il problema originariamente «metafisico» (anche se Husserl utilizza questo termine in un’accezione particolare) della fenomenologia concerne l’elucidazione della trascendenza del mondo, il suo problema originariamente «gnoseologico» è quello della legittimazione della stessa esperienza immanente. Ora, al più tardi a partire dal 1913 (nell’ultimo testo della Husserliana X), appare –nel contesto, decisivo, dell’analisi temporale del flusso assoluto della coscienza – che tale legittimazione si opera grazie alla discesa, già evocata precedente-
23 Husserliana II, p. 46; tr. it. p. 79. 24 Cfr. infra Capitolo I.
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mente, nella sfera pre-immanente (o «pre-fenomenale») della coscienza. Cosa significa allora questa «discesa» e che cosa bisogna intendere per «sfera pre-immanente» della coscienza trascendentale? Il fatto che ogni problema della conoscenza deve essere posto in termini di correlazione soggetto-oggetto – espresso anche attraverso la «riscoperta», da parte di Brentano e in seguito di Husserl, dell’intenzionalità come proprietà della coscienza d’essere orientata verso un oggetto – caratterizza già in un certo qual modo la «rivoluzione copernicana» di Kant ed è quindi sinonimo dell’entrata in scena del trascendentalismo in generale. Ma laddove, per Kant, questa fondazione dell’esperienza nel soggetto conoscente è problematica, in quanto solleva la questione della «validità oggettiva» delle «funzioni» soggettive (questione a cui Kant risponde con le sue «deduzioni trascendentali», riprese dal contesto giuridico), Husserl taglia corto con ogni problematizzazione in termini di «condizioni di possibilità»25 e ricolloca questo problema sul terreno di un’«esperienza trascendentale» – che designa l’esperienza (effettiva e attestabile), che fa la fenomenologia della costituzione, di ogni senso e di ogni senso d’essere nelle «operazioni fungenti» (fungierende Leistungen) della «soggettività trascendentale». Ma se si abbandona il terreno – kantiano – di una legittimazione della conoscenza nel e attraverso quelle che Kant chiama precisamente «condizioni trascendentali» di ogni conoscenza, se si privilegia un’«esperienza» – descrittiva – ritenuta ricondurre ogni vissuto (di un «oggetto») alla sua origine (nel «soggetto trascendentale»), si pone nondimeno la questione di sapere cos’è che legittima a sua volta questo ri-
25 È in questo senso – e in questo solamente – che Husserl può scrivere nella sua Psicologia fenomenologica (corso del 1925) che non è affatto motivato «da interessi filosofici nel senso di una filosofia trascendentale», Husserliana IX, p. 94.
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corso ad una sfera altra (soggettiva, precisamente) rispetto a quella dell’oggetto, altra, dunque, rispetto a quella che è propriamente esperita? Altrimenti detto, cosa impedisce a Husserl un semplice sdoppiamento, di ciò che è, in una struttura che è ritenuta darne conto – ciò equivale a domandarsi se la questione della legittimità dell’esperienza trascendentale non faccia rientrare per la porta di dietro una problematica che le analisi descrittive della fenomenologia, appena avviate, avevano creduto di regolare una volta per tutte? L’obiettivo del presente lavoro consiste nel mostrare non solamente che una tale questione si pone necessariamente, se si vuole poter condurre a termine il progetto della fenomenologia trascendentale di Husserl, ma anche che Husserl stesso ha effettivamente dato una risposta a tale questione tanto sul piano delle considerazioni metodologiche quanto riguardo alle elaborazioni molto precise nei differenti campi della ricerca fenomenologica (concernente, come è noto, quello che si potrebbe chiamare il «concetto fenomenologico» della verità in quanto costituzione del tempo, della hyle sensibile e dell’alterità). Husserl vi ha risposto precisamente introducendo delle componenti costruttive e ponendole, precisamente, ad un livello che non è quello descrittivo della sfera immanente della coscienza, ma ad un livello pre-immanente dove l’analisi descrittiva è effettivamente supportata e sostenuta da procedimenti costruttivi (che, a ben intendere, devono restare fedeli alla prescrizione fenomenologica fondamentale dell’attestabilità e ampliare attraverso di essa, in maniera decisiva, il concetto di «esperienza trascendentale»). Ecco in che senso bisogna intendere questi fondamenti di una «fenomenologia costruttiva»: lungi dal ricorrere ad una forma di speculazione metafisica messa al bando da Husserl fin dai propri inizi filosofici, si tratta di svelare il nucleo di una sorta di «speculazione fenomenologica» che non fa che mettere in luce le implicazioni dei principi fondamentali della fenome-
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nologia stessa – e in particolare, dunque, dell’esigenza della legittimità di ogni conoscenza.
* Un tale progetto – che si afferma in maniera definitiva nei testi e nei manoscritti dell’ultimo Husserl e in particolare in quelli che sono i frutti della sua collaborazione con Fink – ha il dovere di essere giustificato e ciò non soltanto in ragione del fatto che Husserl non cesserà mai di sottolineare l’aspetto «descrittivo» delle proprie analisi. Ci impegneremo a questo riguardo nel nostro primo capitolo, «metodologico», nel quale cercheremo di chiarire lo statuto del trascendentale in Husserl contrastandolo, in particolare, con l’accezione kantiana di questo termine. Il primo indizio di ciò che darà luogo alla «costruzione fenomenologica» si trova nella Sesta Ricerca Logica dove Husserl introduce un concetto del tutto originale di verità (che può essere chiamato il concetto fenomenologico di verità). Non è affatto sorprendente (come vedremo in seguito) che questo concetto – che presenteremo nel capitolo II dopo aver introdotto un certo numero di distinzioni fondamentali che restano valide dopo la svolta trascendentale – appare nel momento in cui Husserl si interroga su ciò su cui si basa la percezione categoriale, ovvero l’esperienza, appunto, di ciò che va al di là della mera datità di oggettività sensibili (di cui dovrebbero occuparsi le analisi semplicemente descrittive). Il concetto di una «costruzione fenomenologica» riceve la sua forma più illustre nella fenomenologia husserliana del tempo. Prima di trattare la costruzione fenomenologica del processo originario della coscienza con la sua struttura in «nuclei» (capitolo IV), procederemo innanzitutto all’analisi fenomenologica dell’immaginazione e della phantasia (capitolo III) che
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illustra in maniera molto pertinente la tesi secondo la quale è la natura temporale della coscienza che permette di rendere conto della distinzione entro le differenti maniere in cui la coscienza si rapporta intenzionalmente al suo oggetto. Nei capitoli V e VI verificheremo l’applicabilità della costruzione fenomenologica al livello della costituzione della hyle sensibile e nel dominio dell’esperienza dell’altro e dell’alterità. Facciamo notare che negli ultimi tre capitoli del presente volume la costruzione fenomenologica si rivelerà strettamente legata alla ridefinizione, evocata più in alto, dei concetti di «trascendenza» e di «immanenza». Apparirà in particolare che i differenti domini fondamentali della fenomenologia genetica si lasciano circoscrivere secondo la maniera in cui si differenziano, ciascuno a suo modo, entro tre sfere costitutive che mettono in gioco delle accezioni più elaborate ancora della «trascendenza» e dell’«immanenza». Così, allorché nelle analisi relative alla costituzione della temporalità, Husserl distingue nei suoi Manoscritti di Bernau (1917/1918) tra 1) la temporalità «oggettiva», 2) la temporalità «immanente» e 3) la temporalità «pre-immanente», la sua fenomenologia delle pulsioni e degli istinti (degli anni Venti) differenzia a sua volta tre accezioni della materia sensibile - 1) quella sulla quale si edifica la «percezione esteriore» (che riguarda l’intenzionalità della pulsione), 2) la «hyle sensibile» (che riguarda l’intenzionalità d’istinto) e 3) la «hyle originaria» (che riguarda un sistema pulsionale di istinti originari) – che corrispondono ciascuno ad una sfera costitutiva specifica. E vedremo che una tale distinzione si impone ugualmente nelle analisi fenomenologiche dell’intersoggettività. Qui, tale distinzione è condotta in termini 1) di «trascendenza secondaria» e «oggettiva», 2) di trascendenza «primaria» o «primordiale» («trascendenza im-
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manente») e 3) di immanenza propria all’ego concreto26. Risulterà quindi che il trascendentalismo husserliano non può compiersi che in e attraverso la messa in evidenza della dimensione intersoggettiva della soggettività trascendentale.
26 Vedremo che, secondo il campo fenomenologico considerato, queste tripartizioni in tre sfere (o in tre livelli della sfera trascendentale) non corrispondono sempre in maniera identica le une alle altre. Questo fatto testimonia del carattere aperto delle ricerche fenomenologiche che non si lasciano racchiudere in un sistema chiuso secondo una qualsivoglia «idea» preconcetta.
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Capitolo primo Il metodo fenomenologico
«Solo colui che fraintende il significato più profondo del metodo intenzionale o quello della riduzione trascendentale, ovvero sia l’uno che l’altro, può voler separare la fenomenologia e l’idealismo trascendentale27.» In questa famosa citazione del discours de la méthode della fenomenologia, brano che si pronuncia in maniera molto chiara sul senso definitivo della fenomenologia, Husserl afferma due cose fondamentali. In primo luogo, la fenomenologia deve essere concepita come idealismo trascendentale – il che significa, da un lato, che essa si comprende come parte della tradizione della filosofia trascendentale e, dall’altro – di conseguenza28 – che essa difende una posizione idealista (il cui senso dovrà essere precisato)29. E, in secondo luogo, che il legame tra fenomenologia e idealismo 27 E. Husserl, Quarta Meditazione Cartesiana, Husserliana I, § 41, p. 119; tr. it. p. 109 (traduzione modificata). Husserl scrive altrove, nello stesso senso, che «tutte le ontologie filosofiche sono delle ontologie trascendentaliidealiste», Husserliana VIII, Appendice XXX (1924), p. 482. 28 Essendo l’espressione «realismo trascendentale» una contradictio in adiecto. 29 Ogni realismo e ogni naturalizzazione della fenomenologia o dei concetti fondamentali che essa mette in opera sono dunque fin dall’inizio esclusi. Cfr. per esempio Husserliana VIII, Appendice XXXII (1921 o 1924), p. 499.
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trascendentale richiede un chiarimento e una comprensione precisa del metodo fenomenologico e degli strumenti – in particolare della (o piuttosto: delle) riduzione(i) – che essa realizza. Ciò corrisponde d’altronde ad un’auto-chiarificazione della fenomenologia, tant’è vero che la «fenomenologia trascendentale ha […] come risultato essenziale quello di essere la scienza necessaria del metodo30». L’obiettivo del presente lavoro risiede nel tentativo di soddisfare contemporaneamente queste due esigenze – che si confondono in un solo e medesimo progetto: ovvero rendere intellegibile il senso husserliano del «trascendentale» (perlomeno come si cristallizza a partire dal 1905) attraverso l’esposizione e la messa alla prova, nei campi fondamentali della ricerca fenomenologica, di ciò che costituisce propriamente il metodo stesso della fenomenologia. Si sa che, al più tardi dopo quella famosa «svolta trascendentale» di cui si è già discusso nell’Introduzione, Husserl non cessa di ripetere che la fenomenologia consiste nell’acquisizione della filosofia trascendentale – ma, sorprendentemente, non espone che raramente in maniera diretta, esplicita ed esaustiva, ciò che intende per «trascendentale» e per «trascendentalismo», e, fatto non meno curioso, non si pronuncia in ragione dell’appartenenza storica31 (pur rivendicata in maniera perlomeno implicita) ad una tradizione alla quale aderiscono dei pensatori così diversi quali Kant, Fichte, Schelling e, dopo di
30 Husserliana XXXV, p. 313. Cfr. anche E. Husserl, L’idea della fenomenologia, Husserliana II, p. 23. 31 Vedremo in effetti che Husserl si inscrive nella filiazione di un’idea – prima di tutto messa in evidenza da Husserl medesimo – di una filosofia trascendentale (di cui egli ne trova l’origine in Cartesio e Hume), ma che non riflette sul rapporto nei confronti di altri grandi rappresentanti della tradizione storica della filosofia trascendentale post-kantiana.
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lui (perlomeno fino al 1928), Heidegger32 – per non menzionare che i più importanti. Il fatto di identificare la fenomenologia e l’«idealismo trascendentale» (o piuttosto una sorta di idealismo trascendentale) può in effetti sorprendere e pone subito un certo numero di problemi. Per qualificare innanzitutto il concetto di «trascendentale» in Kant (accezione alla quale la scelta terminologica di Husserl rinvia in modo del tutto evidente), è necessario rammentare che non si trova né nella Critica della ragion pura, né altrove, una qualunque analisi della struttura o della costituzione di una sfera che sarebbe delimitata in maniera specifica – contrariamente all’utilizzo che Husserl farà di questo termine (parlando sovente di una «sfera trascendentale»). «Il» trascendentale non esiste per Kant, non vi sono che delle condizioni trascendentali, delle sintesi trascendentali, delle facoltà trascendentali, ecc., in breve, il trascendentale non è mai altro che un attributo – ma in nessun caso qualcosa di sostantivo o di autonomo. Per quanto concerne lo statuto «del» trascendentale, o piuttosto: delle condizioni trascendentali (dell’esperienza, della conoscenza, ecc.), è importante soprattutto evidenziare che tali condizioni esprimono delle condizioni di possibilità, ovvero ciò che è propriamente necessario affinché l’esperienza, la conoscenza, ecc. sia possibile. E ciò che è essenziale è che una condizione trascendentale dell’esperienza non può a sua volta essere «esperita» (descritta, mostrata, analizzata) precisamen-
32 Che sia possibile scoprire negli scritti di Heidegger della seconda metà degli anni Venti una figura inedita del trascendentalismo è quello che abbiamo tentato di stabilire nella nostra opera De l’existence ouverte au monde fini. Heidegger 1925-1930, Paris, Vrin, 2005. Su questo punto cfr. anche il nostro studio «La Temporalité de l’être dans les Problèmes fondamentaux de la phénoménologie de M. Heidegger», in Recherches phénoménologiques actuelles en Roumanie et en France, I. Copoeru, A. Schnell (ed.), coll. Europæa Memoria, Hildesheim, Olms (diff. Vrin), 2006.
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te poiché, e nella misura in cui, essa rende l’esperienza possibile. Una tale precisazione è capitale in quanto esprime l’idea, rivoluzionaria, che non si può rendere conto della conoscenza, senza cadere in un dogmatismo o in un empirismo mutilato, se non istituendo un discorso che si situa ad un altro livello rispetto a quello che caratterizza il discorso razionalista, da un lato, o ogni costruzione a partire dai dati sensibili (e poco importa, d’altronde, che essi siano «atomici», come pensavano i primi empiristi, o che dipendano da strutture «gestaltiche», come è stato stabilito all’inizio del XX secolo), dall’altro, in quanto entrambi non fanno altro che raddoppiare il reale (o ridurlo in maniera dogmatica) senza spiegare ciò che ne giustifichi e legittimi la conoscenza. È dunque questa la ragione profonda che mostra per quale motivo «il» trascendentale in Kant non circoscrive assolutamente un «campo» o un «dominio» suscettibile di essere descritto rispetto alle sue proprietà o momenti strutturali: in effetti, non si tratta per lui nientemeno che di fondare un nuovo processo di legittimazione della conoscenza. Alla luce di queste precisazioni ben note (a proposito di ciò che si sa comunemente su «il» trascendentale nella sua accezione kantiana), l’utilizzo husserliano del termine – che mette in primo piano un’«esperienza trascendentale33» – appare in effetti alquanto sorprendente. Per vedere in che misura lo sia e, soprattutto, per giustificare questo utilizzo, ci proponiamo ora un duplice compito: da una parte, vorremmo tentare di contribuire ad un chiarimento di ciò che Husserl intende esattamente per «trascendentale», cosa che esige di trattare in modo più preciso la differenza tra il progetto husserliano e quello fondato nella Critica della ragion pura. (Questo ci aiuterà a comprendere perché Husserl afferma la sua fedeltà
33 Questa espressione è onnipresente nella Filosofia Prima ed è utilizzata, tra l’altro, nelle Meditazioni Cartesiane.
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nei riguardi di un pensiero che, alla fin fine, ha l’aria di rigettare – molte cose separano, in effetti, lo vedremo, l’idealismo trascendentale husserliano dal trascendentalismo kantiano34). E, d’altra parte, tenuto conto del fatto che Husserl non ha esposto in maniera esplicita la propria concezione del trascendentale e che non l’ha neppure sviluppata in modo completo, integrando in maniera sistematica tutte le elaborazioni in cui il metodo della fenomenologia – intesa come idealismo trascendentale – è stato effettivamente realizzato, il secondo compito che andremo ad espletare consisterà nel sistematizzare gli sviluppi alquanto sparsi e dispersi di Husserl su questo punto assolutamente cruciale, al fine quindi di consegnare, sul piano metodologico, il quadro completo dei differenti livelli dell’idealismo trascendentale e dei differenti aspetti che assume in Husserl il trascendentale nel suo carattere originale e inedito rispetto all’accezione tradizionale di tale concetto.
Il trascendentale in Husserl Prospettive storiche È innanzitutto all’interno del corso intitolato Filosofia prima (1923/1924) così come nella Crisi (1936) che Husserl affronta il problema della filiazione storica della fenomenologia trascendentale in rapporto al trascendentalismo «tradizionale».
34 Come conciliare in particolare l’idea secondo la quale le condizioni trascendentali sono le condizioni di possibilità dell’esperienza e, per tale motivo, all’infuori della portata di ogni esperienza (nella misura, precisamente, in cui esse la rendono possibile) (Kant) e quella secondo la quale l’attestabilità (ovvero la possibilità di fare e di rifare l’esperienza) dei fenomeni ultimamente costitutivi (e, quindi, trascendentali) di ogni apparire è il criterio (o piuttosto: la «costrizione minima» (J.-T. Desanti)) di tutta la fenomenologia trascendentale (Husserl)?
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Per quanto concerne il rapporto tra Husserl e Kant essendo già stato trattato in modo quasi esaustivo in uno studio che ha fatto scuola35, ci possiamo limitare qui all’essenziale. Come appare in maniera esplicita nei paragrafi 20-32 della Crisi, la comprensione husserliana del trascendentale kantiano è fortemente influenzata dalla sua lettura di Cartesio e Hume. Husserl nota qui in effetti che il trascendentalismo kantiano fu alla fine costretto a difendere una posizione difficile da comprendere (apparentandosi talvolta ad una concettualità «mitica»36), poiché preso tra due esigenze: un’esigenza empirista (o oggettivista), da un lato, e un’esigenza anti-psicologista, dall’altro. La critica di Husserl è qui molto vicina a quella trovata già in certi scritti del Fichte di Jena (cfr. i trattati introduttivi dal 1794 al 179737). Il «Gemüt» (l’«animo») è concepito da Kant in e attraverso i soli termini dell’esperienza sensibile. Come afferma esplicitamente Husserl, «Kant, pur volgendosi contro l’empirismo, rimane debitore, nella sua concezione dell’anima e dei compiti della psicologia, appunto di questo empirismo», in modo tale che è «l’anima naturalizzata38», l’anima concepita come «una componente dell’uomo psico-fisico nel tempo
35 I. Kern, Husserl und Kant. Eine Untersuchung über Husserls Verhältnis zu Kant und zum Neukantianismus, La Haye, M. Nijhoff, Phaenomenologica 16, 1964. 36 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, trad. it. di E. Filippini. Milano, il Saggiatore 2002, § 30, p. 143. 37 Cfr. Johann Gottlieb Fichte, Scritti sulla dottrina della scienza 17941804, a cura di M. Sacchetto. Milano, Mondadori, 2008. 38 Se l’errore dipende qui da una comprensione dell’anima come anima naturalizzata, ciò significa, inversamente, e in maniera più generale, che ogni tentativo di naturalizzare la soggettività trascendentale incontrerà inevitabilmente gli stessi ostacoli di quelli nei quali Kant si era già imbattuto per proprio conto.
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della natura, della spazio-temporalità»39 che vale per lui come «l’anima generale», ovvero come ciò che costituisce le «funzioni» costitutive del soggetto trascendentale. Malgrado ciò, Kant si è tuttavia ben risvegliato dal suo «sonno dogmatico» grazie a Hume – e questo vuol dire qui che è lo scetticismo del filosofo scozzese che lo ha allertato e lo ha guardato bene dal ricorrere alla psicologia nella sua analisi delle funzioni costitutive dell’intelletto40. Di conseguenza, Kant è stato condotto a prestare al soggetto trascendentale uno statuto ambiguo: i suoi modi operativi sono descritti attraverso le sintesi concrete dell’intelletto considerato come facoltà del pensiero ma, allo stesso tempo, Kant sottolinea che queste sintesi non hanno nulla di «psicologico». Per Husserl, la questione dello statuto del soggetto trascendentale non trova quindi, all’interno dell’elaborazione kantiana, una risposta soddisfacente. Così sono queste due esigenze (che, in realtà, come l’avevano già dimostrato i Prolegomeni, si contraddicono – anche se il destinatario esplicito di Husserl, in questo testo, non è Kant) che spiegano secondo Husserl perché il trascendentalismo kantiano difende una posizione (e utilizza un linguaggio) quasi «mitica» nel momento in cui tratta del soggetto trascendentale e delle sue funzioni costitutive. Ed è effettivamente innegabile che l’argomentazione kantiana, a proposito del ruolo e dello statuto «del» trascendentale, non sia priva di ambiguità. In effetti almeno una distinzione (che Kant non ha fatto esplicitamente, ma che si dimostrerà decisiva per comprendere il trascendentale in Husserl) s’impone: una cosa è scoprire
39 Edmund Husserl, La crisi delle scienze europee, cit., § 30, p. 144. 40 Come è noto, alcune delle modifiche essenziali apportate alla seconda edizione della Critica della ragion pura miravano precisamente – specialmente in ciò che concerne la deduzione trascendentale delle categorie – a contrastare le critiche di psicologismo che gli furono avanzate dopo il 1781.
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una «argomentazione» o un «regime» che prescrive ciò che bisogna necessariamente pensare affinché l’esperienza (o la conoscenza) sia possibile, sottolineando allo stesso tempo che l’originalità di tale argomentazione o di questo regime risiede precisamente nel fatto che quello che è qui realizzato non potrebbe a sua volta essere l’oggetto di un’esperienza qualunque. Un’altra cosa è analizzare concretamente le condizioni trascendentali – le forme pure della sensibilità, le «categorie», le sintesi a priori dell’intelletto, gli schemi a priori, ecc. e ciò rispetto al loro numero, alla loro ampiezza, ai loro limiti. Husserl pone dunque, ripetiamolo, semplicemente la questione di sapere – ed è lungi dall’essere il primo a farlo – quale forma d’esperienza è qui in gioco per poter rendere conto di tutto ciò che Kant stabilì nell’«Analitica trascendentale» della Critica della ragion pura. Per escludere ogni malinteso a proposito della concezione husserliana del trascendentale (malinteso che potrebbe facilmente sorgere se quest’ultima viene affrontata a partire dal punto di vista di un kantismo ortodosso), bisogna anche precisare che se Husserl non prende in considerazione l’idea secondo cui sono delle condizioni di possibilità che legittimano la conoscenza, ma piuttosto un campo del tutto specifico – quello, lo vedremo, della «soggettività trascendentale» – di operazioni, di effettuazioni, di funzioni (che svilupperemo in maniera dettagliata), è precisamente per il fatto che egli ha elaborato un metodo che permette di rendere conto di questa esperienza specifica che è stata sempre negata da Kant.
Fondamenti sistematici Se nell’opera di Husserl non troviamo una definizione pura e semplice – e definitiva – del trascendentale, possiamo nondimeno scoprire numerose precisazioni che permettono di stabilire come Husserl intenda rifondare la filosofia trascen-
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dentale (nella sua accezione tradizionale) e ciò, lo abbiamo appena segnalato, su un piano innanzitutto metodologico. Queste precisazioni concernono in particolare: 1) il trascendentale come «fonte di ogni conoscenza»; 2) il rapporto con il «mondo trascendente»; 3) l’«auto-meditazione» della «soggettività trascendentale»; 4) la «legittimazione» come motivo fondamentale della fenomenologia trascendentale.
Il trascendentale come «fonte di ogni conoscenza» Per circoscrivere in una prima approssimazione il trascendentalismo husserliano ci si potrebbe servire di un testo del 1925 che distingue tra i differenti «stadi» dello sviluppo di una scienza della soggettività trascendentale. Husserl stabilisce in questo brano che la fenomenologia ha il dovere di fondare una «conoscenza assoluta della possibilità della conoscenza assoluta41». L’accento è messo sulla «conoscenza» e non, come in Kant, sulle «condizioni di possibilità della conoscenza». Per poter stabilire questa «conoscenza assoluta» (primo termine), bisogna identificare la fonte della conoscenza assoluta (secondo termine) – ciò che equivale a domandarsi su ciò che motiva il filosofare trascendentale. Ora, nella Krisis, Husserl dà la seguente definizione (probabilmente la più esplicita) del trascendentale: esso designa precisamente la «motivazione (Motiv)» del questionare a ritroso (Rückfragen) verso le fonti ultime di ogni formazione di conoscenza (Erkenntnisbildung) e della meditazione (Sichbesinnen), da parte di colui che conosce, 41 E. Husserl, Scheidung der Stadien ( distinzione degli stadi ) (dicembre 1925), Husserliana VIII, p. 252.
52 su se stesso e sulla sua vita conoscitiva, in cui tutte le formazioni (Gebilde) scientifiche che valgono per lui si attuano – e questo, in virtù di un’attività in vista di un fine (zwecktätig) –, e [nella cui vita conoscitiva esse] sono e saranno conservate come acquisizioni, liberamente disponibili.42
Vediamo quindi che l’interrogazione sulla quale si fonda la conoscenza «assoluta» di ogni conoscenza identifica il trascendentale (nella prima parte di questa definizione – ritorneremo più avanti sulla seconda) come la fonte di ogni conoscenza. Qual è questa fonte?
Il rapporto col mondo «trascendente» come questione fondamentale della filosofia trascendentale Un secondo elemento importante nella determinazione dell’accezione husserliana del trascendentale permetterà di rispondere a tale questione. Se Husserl non considera la parola «trascendentale» nel senso che essa aveva in Kant, è perché rimprovera a quest’ultimo di aver presupposto il mondo come fondamento di ogni giudizio e, in questo modo, di rimanere legato ad una «positività ingenua»43. Per Husserl, il termine «trascendentale» è in rapporto diretto con la trascendenza del mondo44, ne è il «concetto correlativo». «Radicalmente svolta (sich auswirkend), essa [ovvero la motivazione sopra menzionata] è la motivazione di una filosofia universale, fondata pu-
42 Crisi, Husserliana VI, § 26, tr. it. p. 125 (traduzione modificata, N.d.T.). Questa stessa definizione è stata ripresa in termini esattamente identici da Landgrebe nella sua introduzione a Esperienza e giudizio § 11, Meiner, p. 48 s. 43 Husserliana VIII, Appendice XXVII (1924), p. 462. 44 Husserliana XXXV, p. 267.
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ramente su questa fonte, e quindi definitivamente fondata45». Ancora una volta: qual è questa fonte? Questa fonte va sotto il titolo di io-stesso, con l’intera mia vita conoscitiva (Erkenntnisleben) effettiva (wirklich) e potenziale (vermöglich), e infine con l’intera mia vita concreta in generale. Tutta la problematica trascendentale gira intorno al rapporto tra questo Io che è il mio – l’ego – e ciò che per prima cosa viene stabilito, come ovvio, al suo posto: cioè la mia anima; e poi attorno al rapporto tra questo io, così come la vita della mia coscienza e il mondo di cui l’io è cosciente, e di cui conosce il vero essere, nelle proprie formazioni conoscitive (Erkenntnisgebilde).46
Questa fonte è allora l’Io «trascendentale». Ed esso la è, in senso fenomenologico (ciò che significa che esso non è né «umano», né «psichico (seelisch)», e nemmeno «dipendente dal corpo vivente (leiblich)»47), precisamente nella misura in cui «porta» in se stesso, in maniera «irreale», il mondo trascendente48 – il tutto mettendo «fuori circuito» (ed è qui che si distingue quindi da Kant) «ogni oggettività trascendente49». Sottolineiamo tuttavia che questa messa fuori circuito dell’og-
45 Crisi, Husserliana VI, § 26, p. 101; tr. it. p. 125 (traduzione modificata, N.d.T.). 46 Ibidem (traduzione modificata, N.d.T.). 47 Husserliana VIII, Appendice XXV (1924 o 1925), p. 454. 48 Si veda tutta la fine della Prima Meditazione Cartesiana. 49 Husserliana VIII, Appendice XIX (1920), p. 427. È in quel senso che Husserl scrive altrove che il termine «trascendentale» è equivalente all’idea di una «soppressione del pregiudizio del mondo» (Husserliana VIII, Appendice XXX (1924), p. 481).
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gettività trascendente non significa affatto una qualsivoglia «perdita» del mondo50. In effetti, e ci ritorneremo, per il mondo, la ricerca (Forschung) trascendentale non è un metodo che consisterebbe nell’abbandonarlo o nel privarlo del suo senso naturale o, piuttosto, del suo senso proprio (eigentlich), ma nel raggiungere questo mondo in un modo tale che esso sveli (enthüllt) prima di tutto il suo senso – [«esso»,] ovvero il mondo della vita naturale e della scienza positiva che si stabilisce in essa.51
Ciò che è decisivo – i due passaggi della citazione della Crisi l’affermano chiaramente –, è che la trascendenza del mondo è il problema fondamentale della fenomenologia precisamente nella misura in cui quest’ultima tematizza la soggettività trascendentale e viceversa. Per comprendere tutte le implicazioni delle citazioni precedenti (e in particolare la seconda parte della definizione del trascendentale nella Crisi), è indispensabile ora chiarire lo statuto di questa soggettività trascendentale.
50 «La messa fuori circuito del mondo significa […] la messa fuori circuito del mondo in quanto ‘pregiudizio’ ingenuo», Husserliana VIII, Appendice XXVII (1924), p. 465. 51 Husserliana VIII, Appendice XXV (datata 1924 o 1925), p. 457 (sottolineature nostre). In generale, possiamo distinguere tre fasi nell’elaborazione husserliana del carattere «indubitabile (unzweifelhaft)» del mondo. 1) Nella Filosofia Prima (seconda parte) così come nell’Appendice XIX (1920) di Husserliana VIII (p. 426), Husserl afferma ancora il carattere dubbio della posizione del mondo. 2) Nell’Appendice XIII (1925) di Husserliana VIII, Husserl dice che il mondo è dato in maniera «relativamente apodittica» (p. 400). 3) Infine, in Logica formale e trascendentale (1929), Husserl stabilisce che il mondo è «indubitabile».
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La filosofia trascendentale come «auto-meditazione» della soggettività trascendentale Il problema universale è […] la costituzione dell’essere oggettivo-mondano nella soggettività trascendentale.52
La fenomenologia – Husserl non si è dato tregua nel ripeterlo all’interno delle grandi introduzioni programmatiche alla fenomenologia degli anni Venti – è una filosofia prima, la «scienza della soggettività trascendentale», in cui la «conoscenza trascendentale di sé (transzendentale Selbsterkenntnis)» costituisce la «fonte originaria» di ogni conoscenza53. In Logica formale e trascendentale, leggiamo a tal proposito: L’intera fenomenologia non è nient’altro che la meditazione (Selbstbesinnung) scientifica della soggettività trascendentale che si effettua dapprima direttamente (geradehin), ovvero in una certa ingenuità, ma che poi procede anche criticamente al logos di se stessa – meditazione che procede a partire da un factum per andare alle necessità d’essenza, al logos originario […]. Ogni critica della conoscenza logica, di quella che crea la logica ma che è anche già mediata da essa, la critica della conoscenza in tutti i tipi di scienze è, in quanto operazione (Leistung) fenomenologica, un’auto-esplicitazione (Selbstauslegung) della soggettività che diviene cosciente delle sue funzioni trascendentali.54
52 Husserliana VIII, Appendice XXVII (1924), p. 465. 53 Cfr. Filosofia Prima (seconda parte), Lezione XXVIII. 54 Logica formale e trascendentale, Husserliana XVII, § 104, p. 280; tr. it. di S. Bigi, Milano, Mimesis, 2009, p. 274 s. (traduzione modificata, N.d.T.).
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Questa «soggettività» (e la sua vita intenzionale) che Husserl chiama anche sovente, come sinonimo, il soggetto trascendentale – che non potrà essere descritto che grazie all’epoché55 (ci ritorneremo) – non è un «soggetto» se si intende con questo termine un polo coscienziale posto di fronte all’oggetto al quale si rapporta. Essa designa la sfera di tutte le «operazioni» e «effettuazioni» che costituiscono originariamente il senso di ciò che si manifesta: «ogni essere colto come vero nasce (entspringt), soggettivamente», «a partire dall’effettuazione coscienziale, a partire dalla passività preteoretica e dall’attività teoretica» «della soggettività conoscente (erkennend)»56. In quanto tale essa «contiene» – non «realmente», ma intenzionalmente – l’oggetto come fenomeno57. Tutta la difficoltà sta nel sapere quale statuto ontologico bisogna accordare alle cose qua fenomeni e, anche, come si deve concepire il legame entro la sfera fenomenologica e l’esperienza mondana. In breve, qual è l’essere (e il senso d’essere) di questa soggettività trascendentale? La soggettività trascendentale non è – se si intende con ciò l’essere «reale (real) o mondano58. Ma questo non vuol dire affatto che non vi sia un senso dell’essere fenomenologico59 che caratterizzi la soggettività trascendentale una volta che il senso dell’essere mondano sia stato messo fuori circuito: 55 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XLV p. 121; tr. it. di P. Bucci, Torino, ETS, 2009, p. 168. 56 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXI, p. 27; tr. it. p. 63 (traduzione modificata, N.d.T.). 57 Ritorneremo a breve sul senso (o piuttosto: sui differenti sensi) del concetto di fenomeno in Husserl. 58 Vi è qui un’altra formulazione della stessa idea – espressa nel nostro lavoro La genesi dell’apparire – secondo la quale i fenomeni originariamente costitutivi dell’esperienza sono «privi di un fondamento ontologico». 59 Husserliana VIII, Appendice XVIII (1924), p. 417; Appendice XIX (1920), p. 418.
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L’interesse dell’essere (Seininteresse) che è ancora possibile quando escludo tutti gli altri interessi – ossia tutti gli interessi che avevo in quanto Io che compie atti direttamente [diretti sui correlati noematici] (geradehin Akte vollziehendes Ich) – è l’interesse [dell’essere] puramente fenomenologico.60
Il soggetto trascendentale – che è innanzitutto per se stesso «anonimo»61 – è «l’irrealtà che ogni realtà presuppone»62. L’essere della soggettività precede ogni essente63 e ogni conoscenza64 dell’essente: «il mondo è la totalità dell’essere costituito ed esige un’interpretazione (Deutung) trascendentale in virtù della quale è riconosciuto in quanto costituito65. È a partire da essa che ogni oggettività «acquista (gewinnt)» il suo carattere oggettivo. Il soggetto trascendentale appartiene così ad una sfera aprentesi su un nuovo senso d’essere che, sebbene sia proibito caratterizzarlo nei termini di una qualsiasi forma di rappresentazione religiosa66, possiede nondimeno uno statuto ontologico radicalmente differente dal senso d’essere 60 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XLIII, p. 110 (nostre sottolineature); tr. it. p. 155 (traduzione modificata, N.d.T.). 61 Husserliana VIII, Appendice XVIII (1924), p. 417. 62 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXVIII, p. 79; tr. it. p. 120. 63 «Il mio essere [del mio ego in quanto soggetto trascendentale] e l’esperienza di me stesso, la vita nella quale tutto ciò che è là per me e si verifica come essente effettivamente (ossia la totalità dell’essente stesso, il mondo), non precedono (vorangehen) necessariamente, nella sua esistenza, [l’essere mondano]?», Husserliana VIII, Appendice XVIII (1924), p. 414. Vedere anche ibidem, p. 416; Appendice XXVII (1924), p. 463. 64 Husserliana VIII, Appendice XXIII (1925), p. 448. 65 Husserliana VIII, Appendice XXXI (1923), p. 496. 66 Cfr. a tal proposito Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXVII, p. 73; tr. it. p. 112 s.
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mondano (Husserl scrive in un testo del 1925 che «il trascendentale (das Transzendentale)» è «la spiritualità pura (reine Geistigkeit)»67 e parla un po’ più oltre nello stesso testo del «prodigio (Wunder)»68 delle comprensioni (Einsichten) a cui ci apre l’epoché). A partire da ciò comprendiamo il senso dell’idealismo trascendentale: la fenomenologia husserliana è un idealismo in quanto suo tema è la soggettività trascendentale nella sua irrealtà – ossia, per l’appunto, nella sua idealità (intesa non già nel senso dell’idealità matematica, ma di una apriorità non «reale»). La citazione seguente esprime quest’ultimo punto in maniera cogente: […] il pensiero […] non può, per principio, saltare oltre questa soggettività, [...] la soggettività trascendentale non mai in se stessa prefigurare altro che la soggettività trascendentale, […] delle formazioni (Gebilde) trascendentali ideali, da parte loro, non possono restare che nella [sfera del] trascendentale, […] la loro idealità, il loro in sé, non può mai significare una trasgressione della sfera trascendentale […] e, in generale, un essere reale (real) e ideale che trasgredisce la soggettività trascendentale totale è un controsenso e deve assolutamente essere inteso come tale.69
La «legittimazione» come il principio più generale di ogni conoscenza L’ultimo aspetto – e il più importante di tutti – che giustifica la caratterizzazione della fenomenologia come filosofia trascendentale concerne l’esigenza stessa di ogni filosofia in quanto
67 Husserliana VIII, Appendice XXIII (1925), p. 447. 68 Husserliana VIII, Appendice XXIII (1925), p. 450 e p. 448. 69 Husserliana VIII, Appendice XXX (1924), p. 482 (passaggio già citato).
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essa prende coscienza della sua finalità essenziale e intrinseca70. Nella fenomenologia si esprime, di nuovo, un principio fondamentale che ha già guidato ogni filosofia precedente (che abbia voluto istituirsi come scienza) e che si è espressa in maniera esplicita per la prima volta – ma nel senso alquanto specifico che abbiamo contrassegnato supra – nella filosofia trascendentale kantiana71. Di che principio si tratta? È «il più generale» principio, di una «legittimazione assoluta (absolute Rechtfertigung)» che non può essere ottenuta che sul cammino di una «conoscenza di sé trascendentale (transzendentale Selbsterkenntnis)» in quanto «fonte originaria» di ogni conoscenza; un principio, quindi, che fonda la fenomenologia come «filosofia prima», come «scienza della soggettività trascendentale»72. Il concetto centrale di questa caratterizzazione – che guida le grandi introduzioni alla fenomenologia degli anni Venti e nella quale si congiungono tutti gli aspetti precedentemente tracciati – è dunque in effetti quello della «legittimazione» (ed è in ciò che risiede quindi l’eredità trascendentale kantiana nella fenomenologia husserliana). Ma su cosa si fonda tale legittimazione? Prima di tutto, essa deve compiersi in un’evidenza pura. In secondo luogo, «l’evidenza
70 Ed è quest’ultimo aspetto che chiarirà e giustificherà alla fine il senso ontologico specifico della soggettività trascendentale. 71 L’obiezione fatta per esempio da certi discepoli gottinghesi di Husserl – ossia da certi membri del circolo dei primi fenomenologi attorno e poco tempo dopo la pubblicazione delle Ricerche logiche, specialmente Theodor Conrad, Hedwig Martius e Adolf Reinach – secondo la quale la «svolta trascendentale» rappresenterebbe semplicemente l’influenza subita dalla scuola neo-kantiana che devierebbe la fenomenologia dalla direzione presa nei suoi primi passi estremamente innovatori e promettenti all’inizio del Novecento, manca così l’essenziale. Cfr. a questo proposito per esempio l’Entwurf einer «Vorrede» zu den «Logischen Untersuchungen» (1913), edito da E. Fink nella Tijdschrift voor Philosophie (1939). 72 Vedi Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXVIII, p. 4 s.; tr. it. p. 35 s. e Lezione XXXI, p. 32; tr. it. p. 66 s.
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che abbiamo deve [a sua volta] legittimarsi per noi in quanto evidenza»73. Solo la presa in considerazione dei due momenti di questa caratterizzazione giustifica il titolo di una fenomenologia trascendentale in Husserl.
Considerazioni metodologiche fondamentali Evidenza e intuitività La fenomenologia riconoscerà come valido (gültig), ossia come essente e come essente così, solamente quello che si presenta agli occhi del fenomenologo in un’evidenza intuitiva74. Il celebre § 24 di Ideen I lo formula espressamente: il «principio di tutti i principi» è l’«intuizione originariamente offerente»
73 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXI, p. 33; tr. it. p. 67. Il passaggio seguente – che può servirci da filo conduttore per numerosi aspetti importanti trattati in questo capitolo – caratterizza il metodo trascendentale di Husserl in un modo che va nel medesimo senso: «La via regressiva della giustificazione di una scienza assolutamente legittimante (ossia di una scienza che deve essere giustificata fino all’ultimo dettaglio) conduce così dalla messa in evidenza (Aufweisung) del presupposto – che consiste nell’essere-dato-in-anticipo (Vorgegebenheit) del mondo per le scienze positive così come per la vita dell’esperienza pre-scientifica – all’esigenza della giustificazione di questo presupposto; di conseguenza, [questa via conduce] alla necessità della «messa tra parentesi» dell’esistenza del mondo (al punto che, dunque, resti conseguentemente «fluttuante») e alla messa in evidenza del terreno dell’esperienza e dell’essere, al quale l’essere in questione e ogni via della decisione e della giustificazione sono legati. Questo terreno dell’essere deve ora divenire tematico in quanto presupposto della conoscenza (Erkenntnisvoraussetzung) di una conoscenza ultimamente giustificatrice del mondo. La conoscenza della soggettività pura (trascendentale) precede necessariamente la conoscenza della scienza positiva», Husserliana VIII, Appendice XXIX (1923), p. 476. 74 Niente potrebbe meglio illustrare l’eredità cartesiana del metodo fenomenologico – perlomeno al livello costitutivo raggiunto fin qui.
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che costituisce la «fonte di diritto della conoscenza». «Originariamente offerente» significa che, in questa intuizione, la «cosa» è data per se stessa e a partire da se stessa «tale come è» in se stessa – risiede qui, precisamente, il senso del suo carattere «selbstgebend (auto-offerente)». Ma questa evidenza non potrebbe assolutamente essere un semplice «sentimento» che accompagnerebbe questo darsi e questa presenza della cosa (svilupperemo questo punto nel seguente capitolo). In effetti, come dicevamo, l’evidenza intuitiva deve essere a sua volta legittimata! Come trova l’evidenza intuitiva questa legittimazione? La fenomenologia trascendentale di Husserl – e questo punto, assolutamente essenziale, guiderà tutti i nostri sviluppi ulteriori – procede qui in due tempi, ponendosi in corrispondenza di due livelli differenti (che corrispondono alle due «sfere», immanente e pre-immanente, presentate nella nostra Introduzione). Innanzitutto, si tratta di consacrarsi, in un’evidenza quasi «ingenua», all’esperienza (che non è quella di una psiche mondana, ma che svela delle strutture eidetiche75) che l’ego fa di se stesso entro una costante concordanza – ovvero quella che Husserl chiama anche dei «fatti egologici». Appartengono a questo primo livello tutte le analisi descrittive della sfera «immanente» della coscienza. Questa «quasi-ingenuità»76, che non bisogna evidentemente confondere con l’ingenuità (mondana) dell’attitudine naturale, si spiega col fatto che si effettua senza alcuna critica (nel senso in cui Kant aveva già inteso la «critica della conoscenza» come un’investigazione trascendentale). E questa critica trascendentale, nel senso husserliano, è precisamente il compito che il secondo livello della ricerca
75 È necessario in effetti sottolineare che un’analisi eidetica non equivale strettamente ad un’analisi trascendentale! 76 Sul concetto di una «fenomenologia ingenua» e sui due livelli qui menzionati, cfr. l’importante Appendice XXIX della Husserliana VIII.
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fenomenologica deve adempiere procedendo a «riduzioni decostruttive (Abbaureduktionen)» e a «costruzioni fenomenologiche» dipendenti dalla sfera «pre-fenomenale» o «preimmanente» della coscienza – ovvero a delle costruzioni genetiche dei «facta» che pongono un limite alla fenomenologia descrittiva. Ma con che mezzo è possibile accedere a queste due «sfere»? E come si attestano fenomenologicamente?
L’epoché e la riduzione fenomenologiche La risposta a tale questione – che proveremo a dare prima di approfondire lo statuto e la natura di queste due sfere – esige di delucidare il senso dello strumento metodologico fondamentale della fenomenologia (accanto alla variazione eidetica), a cui abbiamo già fatto riferimento a più riprese e che Husserl chiama, riprendendo questo termine dagli scettici antichi, l’epoché fenomenologica. Cosa significa questa epoché77? Essa consiste nella messa fuori gioco del senso d’essere di ciò che si presenta alla coscienza. Ma questo non significa che essa consista in un atto psichico o in un comportamento psicologico che uno potrebbe adottare di fronte a ciò che si dà da percepire, conoscere, ecc.: l’epoché esprime piuttosto l’«attitudine (Einstellung)» propriamente fenomenologica il cui precetto fondamentale (che deriva, innanzitutto negativamente, dall’esigenza della legittimazione della conoscenza) 77 L’epoché non è il cominciamento assoluto del metodo fenomenologico, ma, come nota a giusto titolo A. Aguirre, essa «è essenzialmente la conseguenza dell’idealismo che dipende dalla fenomenologia trascendentale», Genetische Phänomenologie und Reduktion, Phaenomenologica n° 38, La Haye, M. Nijhoff, 1970, p. 55. E nello steso senso, J.-F. Lavigne nota: «Storicamente, l’idealismo dell’intenzionalità (in particolare percettiva) ha preceduto l’elaborazione del metodo della riduzione [...]», Husserl et la naissance de la phénoménologie (1900-1913), op. cit., p. 720. Ciò giustifica quindi perché ne trattiamo solo ora.
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è l’«assenza di ogni pregiudizio», ossia l’assenza di ogni concezione metafisica, scientifica, ecc. preconcetta che determinerebbe in anticipo il senso d’essere di ciò che si manifesta. A tale riguardo, essa si oppone all’attitudine detta «naturale». Per l’uomo «ingenuo» che si trova in questa attitudine naturale (ma questo vale altrettanto bene per l’uomo di scienza o per chiunque non ha familiarità con l’attitudine fenomenologica), il mondo è presupposto in quanto al suo essere in sé, alla sua «realtà», e il filosofo o lo scienziato non è altro che un semplice spettatore – «trasparente» –, il cui sguardo su questo mondo non cambia rigorosamente nulla rispetto al suo senso d’essere. Ma ancora una volta: una tale attitudine non esprime un comportamento che l’essere umano potrebbe avere rispetto agli oggetti, ma un punto di vista – che solo lo sguardo filosofante può identificare – adottato rispetto al senso d’essere di ciò che appare78. L’attitudine fenomenologica, al contrario, rinuncia a «partecipare» ad una tale posizione dell’essere-in-sé del mondo. Essa è un metodo che consiste nel «togliere l’abito empirico oggettivo che mi sono interiormente imposto, o che piuttosto non cesso in ogni momento di impormi in un’appercezione abituale – [metodo, dunque] che resta inosservato durante l’esperienza vissuta ingenuamente»79. Ed è precisamente questa sospensione, questa «messa fuori circuito» di ogni senso «mondano» – ossia di ogni oggettivazione80 – che
78 Come nota A. Aguirre, «l’epoché, come conseguenza dell’idealismo dipendente dalla fenomenologia trascendentale, non è dunque un procedimento semplicemente metodico, ma è la decisione filosofica fondamentale rispetto all’essere-in-sé, rispetto alla trascendenza del mondo» (rimessa(o) in causa, precisamente, dalla fenomenologia trascendentale), Genetische Phänomenologie und Reduktion, op. cit., p. 61. 79 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXVIII, p. 78; tr. it. p. 118. 80 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXIX, p. 83; tr. it. p. 125.
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caratterizza fondamentalmente l’epoché. Ciò significa peraltro, e questo va sottolineato, che non si applica l’epoché in qualche modo «dall’esterno»81 all’essere mondano per recuperare qualcosa di più puro (di purificato, di spirituale, ecc.) di questo mondo empirico, ma l’attitudine fenomenologica e l’epoché esprimono una sola e medesima cosa: vale a dire il fatto di rendersi presente il mondo come fenomeno, come correlato della soggettività trascendentale costitutiva del senso di ciò che le è correlato. E in quanto questo mondo, come fenomeno, è il correlato della soggettività trascendentale, esso è «trascendentalmente spiritualizzato» o «trasfigurato» (transzendental vergeistigt)»82. Ciò significa infine che, per me stesso, in virtù dell’epoché, isolo i miei vissuti dal mondo, dalla causalità naturale. Nei termini di Fink: compiendo l’epoché, mi «disumanizzo», se tuttavia si intende per «essere umano» l’uomo mondano. In altre parole, compiendo l’epoché, rimetto fondamentalmente in causa il pregiudizio secondo il quale sono un «essere umano nel mondo» (nel senso di mondo in sé – il che non significa, ripetiamolo, la perdita di questo mondo). Ciò che motiva inoltre l’epoché è che io prendo coscienza del fatto che ogni senso del mondo – che è caratterizzato, l’abbiamo visto, dalla sua trascendenza – ha la sua fonte nell’esperienza che ho di me stesso83. Il mondo è un «momento» all’interno
81 Ritorneremo ancora una volta su questo aspetto dell’epoché all’inizio del capitolo V quando si tratterà di precisare lo statuto di quest’ultima nel quadro della fenomenologia genetica. 82 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XLV, p. 123; tr. it. p. 171. 83 «La motivazione (Motiv) [dell’epoché] è chiara: prendo interiormente coscienza (innewerden) del fatto […] che ogni guardare e ogni sapere del soggetto riguardo al mondo – in virtù del quale esso è semplicemente là per me ed è già là in anticipo, anche in ogni specie di illusione che lo riguarda, e in quanto [esso è il] dominio del sostrato (Substratgebiet), che è già là in anticipo, per ciò che è vero e falso – dipende dalla mia stessa esperienza»,
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della soggettività pura, ma non a titolo di un «suo vissuto»84. Pertanto, il metodo fenomenologico non si limita alla messa fuori circuito del senso dell’essere mondano dell’essente, ma in più procede poi alla riconduzione di quest’ultimo alla soggettività trascendentale che permette, all’inverso, di svelare tutte le operazioni ed effettuazioni costitutive di quest’ultima. Husserl pare talvolta utilizzare – secondo la celebre distinzione che dobbiamo al suo discepolo J. Patočka – il termine di «riduzione fenomenologica»85 per questa sola riconduzione e
Husserliana VIII, Appendice XVIII (1924), p. 416 (sottolineature nostre). Cfr. anche ivi, p. 417. 84 Husserliana VIII, Appendice XXIII (1925), p. 448. 85 Husserl distingue principalmente tre vie della riduzione fenomenologica: la via «cartesiana», la via «ontologica» (che Marbach chiama anche la via «kantiana») e la via «psicologica». La prima via si rifà alla considerazione cartesiana del «dubbio» (e scopre nella «percezione chiara e distinta» il principio fenomenologico dell’«auto-datità»). Essa sfocia nella «messa fuori circuito» del senso d’essere dal mondo dell’esperienza trascendente. La seconda via (cfr. Husserliana VIII, p. 219-228), alla quale si affiancherà anche (nella Crisi §§ 28-55) la via a partire dal «mondo della vita», prende come punto di partenza non già l’ego cogito, ma il correlato oggettivo, «ontologico». Husserl rinnova con ciò, alla sua maniera, la «rivoluzione copernicana» di Kant. Questa non richiede l’epoché, ma il mondo vi è compreso come «indice» per l’apriori soggettivo della costituzione. Husserl caratterizza il cammino della riduzione in questi termini: «La riduzione fenomenologica non è nient’altro che un cambiamento di attitudine nel quale il mondo dell’esperienza è considerato in maniera conseguente e universale come un mondo dell’esperienza possibile; e si considera così anche la vita esperiente (erfahrendes Leben), nella quale ciò che è esperito è a sua volta – e in maniera universale – il senso dell’esperienza con un orizzonte intenzionale determinato», Husserliana VIII, Appendice XX (1924), p. 436. Il terzo cammino, infine, si riallaccia all’«esperienza interna» tematizzata per la prima volta dagli empiristi inglesi e che Husserl eredita da Brentano. Qui, ancora, si verifica un «cambiamento di attitudine»: l’«esperienza interna» (di cui trattano Locke e Hume) diviene quella dell’esperienza trascendentale anonima e la psicologia descrittiva brentaniana dei fenomeni psichici diviene l’analisi eidetica della coscienza intenzionale. Questa via è l’illustrazione per eccel-
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riservare l’epoché alla messa fuori circuito precedentemente descritta86, ma è facile constatare che questo utilizzo non è mantenuto in maniera coerente in tutti i testi che presentano l’epoché e la riduzione fenomenologiche. Tenuto conto del fatto che qui si tratta effettivamente di due aspetti differenti dello stesso metodo – l’uno essendo orientato verso il polo oggettivo, l’altro verso il polo soggettivo della correlazione – utilizzeremo tali termini in questo senso ristretto87. Teniamo a mente da tutto ciò che l’essenziale risiede in questo – ed è ciò che risulta da tutto l’incatenamento dei differenti anelli dello sviluppo precedente – che l’epoché, lungi dall’essere semplicemente un procedimento metodologico applicato dall’esterno, deriva piuttosto dall’esigenza del principio generale della legittimazione di ogni conoscenza. L’epoché in effetti risulta così essere lo strumento metodologico fondamentale della fenomenologia compresa come filosofia trascendentale.
Il fenomeno Compiute (e mantenute) l’epoché e la riduzione fenomenologiche, cambiamo dunque essenzialmente «attitudine», «punto di vista» rispetto al mondo così come si presenta alla nostra coscienza. Invece di ritenere, come fa l’uomo che si trova
lenza della sostituzione del concetto kantiano di trascendentale (che rivela le condizioni di possibilità dell’esperienza) con il concetto husserliano (che, in virtù di un’esperienza fenomenologica, fornisce quindi la legittimazione di queste stesse condizioni di possibilità). 86 Cfr. per esempio il titolo del § 41 della Crisi. 87 Nelle Lezioni LI e LII della seconda parte di Filosofia Prima, Husserl propone ancora un’altra distinzione: caratterizza la riduzione cartesiana come una semplice messa tra parentesi del mondo e la riduzione psicologica come quella che opera sulle strutture (temporali) della stessa soggettività trascendentale.
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nell’attitudine naturale, che il mondo si presenti nel suo in-sé e che noi siamo spettatori unicamente passivi di ciò (trasparenti e indifferenti), abbiamo oramai accesso alla soggettività trascendentale e alle sue operazioni costituenti (konstituierende Leistungen). Vediamo così che il nostro rapporto verso il mondo cambia, nel senso che da una parte, la sfera della soggettività costituente che ci permette di analizzare le operazioni costitutive del senso è «nuova», «inedita», ma d’altra parte, l’abbiamo già indicato in precedenza, non abbiamo perso il mondo, non siamo, d’ora in poi, «altrove», ma il mondo ci è dato come fenomeno. Più precisamente, la messa tra parentesi del carattere mondano dei contenuti della vita intenzionale non significa affatto che quest’ultimi non si relazionerebbero col mondo – e questo a prescindere dall’attitudine (psicologica o trascendentale) adottata. I vissuti della coscienza non sono delle immagini in cui il mondo si darebbe in maniera soltanto duplicata, ma recano in se stessi il rapporto – intenzionale – col mondo. Allo stesso modo in cui la soggettività trascendentale non potrebbe essere considerata sconnessa dai vissuti, questi ultimi non potrebbero esserlo dai loro correlati oggettivi ai quali si rapportano intrinsecamente. La sfera della soggettività trascendentale ci svela ora la totalità concreta delle «cose» – degli «oggetti» del mondo non come essenti «in sé», ma in quanto fenomeni – e dei costituenti «effettivi (reell)» della coscienza che effettuano e realizzano tali fenomeni (gli «atti» della coscienza, i dati sensibili, ecc.). Ora, si è sovente obiettato a Husserl (sbagliandosi sul significato del concetto di fenomeno) che queste analisi riflessive non sarebbero infine nient’altro che delle descrizioni psicologiche. In cosa si distingue l’analisi fenomenologica delle componenti della sfera immanente della coscienza intenzionale dall’introspezione nella vita interiore della nostra psiche (escluso, ben inteso, tutto ciò che dipende dallo psicofisico)? Questa
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differenza è quella tra le realtà mondane dello psichismo, dell’«anima» (che sono oggettivamente misurabili, nello spazio e nel tempo, ecc.), da un lato, e, dall’altro, quello che è così dato, mantenendo fermamente l’epoché, come «fenomeno» della realtà effettiva (Wirklichkeitsphänomen). Ma cos’è dunque un fenomeno? In maniera generale, si può identificare, in Husserl, due accezioni fondamentali di fenomeno che corrispondono alle due sfere indicate nell’introduzione e che sono sviluppate per esempio nelle Conferenze di Londra (1922). 1) Il fenomeno è innanzitutto il «vivere puro come fatto»88, vale a dire il fatto («egologico») di una datità, di un manifestarsi alla coscienza, indipendentemente dallo statuto ontologico di quello che si manifesta. Per accedervi bisogna mettere fuori circuito tutto ciò che rinvia ad una posizione d’essere trascendente. È quindi la «soggettività trascendentale» che costituisce il «regno di [questi] fatti egologici»89: «il fenomeno è ogni conoscenza, per me, nella soggettività trascendentale, e il metodo autentico (echt) e puro esige anche in primo luogo di non porre nient’altro che questo essere-dato (Gegebenheit) – che è effettivamente il primo tra tutti – nient’altro, quindi, che la soggettività trascendentale ‘assolutamente’ evidente»90. 2) La seconda accezione di fenomeno – oggetto per eccellenza di una «fenomenologia trascendentale» assolutamente legittimante – concerne le «operazioni funzionali» di questa soggettività trascendentale in quanto queste rendono conto dei «fenomeni costitutivi» di ogni senso. La messa in evidenza di queste operazioni esige, lo vedremo, l’irruzione nella sfera pre-immanente della coscienza trascendentale. Si conferma (e si mantiene) qui nello stesso tempo il ruolo e lo statuto dell’epoché: questa non è uno strumento da applicare
88 Husserliana XXXV, p. 77. 89 Husserliana XXXV, p. 81. 90 Filosofia Prima (prima parte), Husserliana VII, Lezione XXVII, p. 195.
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nel quadro di una «pratica» fenomenologica, ma esprime precisamente il senso d’essere del fenomeno per il fatto che esso non è mondano, ma dipende dall’«esperienza trascendentale» a cui Husserl fa riferimento – e ciò a prescindere dal suo livello costitutivo.
Il primo livello della legittimazione fenomenologica: la sfera immanente Le «implicazioni intenzionali» e il «senso» delle operazioni intenzionali Fatte queste precisazioni –riguardo all’epoché, alla riduzione e alle differenti accezioni del fenomeno –, possiamo ora illustrare il senso delle due sfere della soggettività trascendentale. Per fare ciò ricordiamo che l’analisi intenzionale, in quanto procede ad una «descrizione d’essenze (Wesensdeskription)», comincia con una descrizione «ingenua»91 (primo livello) che sfocerà, in un secondo tempo, in una «teoria e critica della ragione fenomenologica (critica dell’Ego fenomenologizzante)»92 (secondo livello), completata da «descrizioni superiori93 in cui ogni ingenuità deve essere definitivamente messa da parte. A questi due livelli corrispondono le due suddette «sfere trascendentali»: quella che costituisce
91 Vi è anche, l’abbiamo vista, un’«ingenuità trascendentale» (cfr. Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione LIII, p. 170; tr. it. p. 224), al primo livello (che concerne la soggettività trascendentale, ma prima di ogni critica apodittica), che si distingue da quella dell’attitudine naturale, la quale si dimentica nel proprio oggetto di cui ammette – in una orientazione «diretta (geradehin)» – l’essere «in sé». 92 Husserliana VIII, Appendice XXIX (1923), p. 478. 93 Ibidem.
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quindi l’essere immanente94 (primo livello) e quella che ingloba ogni fenomeno costitutivo dipendente dalla sfera preimmanente della coscienza (secondo livello)95. Discuteremo esplicitamente questi due livelli (o queste due «sfere»), riguardo al loro contenuto, nei capitoli II-III (primo livello) e IV-VI (secondo livello). Adesso ne circoscriveremo i procedimenti formali, decisivi in una considerazione metodologica della fenomenologia trascendentale. Ciò che caratterizza fondamentalmente il trascendentalismo husserliano al primo livello dell’analisi intenzionale è la messa in evidenza delle implicazioni intenzionali che sono implicitamente contenute in ogni rapporto intenzionale. Anche se l’analisi verte sempre innanzitutto sulle caratteristiche dei vissuti intenzionali attuali, avendo di mira l’oggetto nella sua presenza concreta, è importante sottolineare che ogni attualità implica delle proprie potenzialità: ogni presenza significa co-presenza d’orizzontalità che sono ugualmente date, sebbene non siano esplicitamente prese di mira, e ogni percezione rinvia ad altre percezioni che non sono attualizzate, ma coinvolte nel passato (habitus e sedimentazioni) e anticipate nel futuro. Queste orizzontalità sono «in eccesso» rispetto alla presenza attuale: ciò che è co-presente oltrepassa sempre, e in maniera essenziale, ciò che si dà attualmente alla coscienza. Questi orizzonti co-presenti non sono «possibilità vuote», non sono pure ipotesi, né finzioni, ma pre-delineano delle possibilità già realizzate e da realizzare, delle possibilità, per giunta, che caratterizzano essenzialmente l’ego concreto. Husserl chiama dunque tali possibilità delle «potenzialità (Potentialitäten)», che sono sempre possibilità dell’«io posso» e dell’«io agisco» dell’ego. Ciò vuol dire che nel momento in cui vedo per esempio la fac-
94 Husserliana VIII, Appendice XXXI (1923), p. 488. 95 Queste due sfere si sovrappongono d’altronde, l’abbiamo già menzionato, alle due accezioni di fenomeno precedentemente discusse.
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ciata frontale di una casa, la vista della facciata posteriore non si riduce alla scoperta di una proprietà (per esempio quel tal altro aspetto della casa) appartenente all’oggetto «casa», ma che ogni visione della casa – come qualsiasi altro atto intenzionale – è indissociabile dall’ego, più esattamente: da una potenzialità della coscienza dell’ego (in questo caso: quella di fare il giro della casa). Ogni rapporto intenzionale implica sempre un orizzonte di tali potenzialità. Vedremo (nel capitolo IV) che questo orizzonte è d’altronde in un’unità strutturale con l’orizzonte temporale, dato che le potenzialità sono legate alle attualità presenti attraverso aspettative e ricordi e attraverso «protenzioni» e «ritenzioni» del processo originario (Urprozess) che destano quelle aspettative e quei ricordi. A ciò bisogna aggiungere questa idea fondamentale: l’oggetto della coscienza non entra, con la sua identità, dall’esterno in quest’ultima, ma è contenuto in essa «come senso (Sinn)», vale a dire come «portato intenzionale della sintesi della coscienza»96. L’oggetto intenzionale non è mai rappresentato come qualcosa di definitivamente dato; al contrario, non può essere chiarito che grazie all’esplicitazione degli orizzonti, attuali e potenziali, ma continuamente aperti, che dipendono dalla soggettività trascendentale. L’intenzionalità d’orizzonte è effettivamente un fattore essenziale nella costituzione del senso dell’oggetto intenzionale, poiché questo senso non è mai colto totalmente, ma solamente in maniera «implicita» – il che esige dunque la sua esplicitazione in altre esperienze intenzionali. Vediamo così come, nella sfera immanente della coscienza trascendentale, Husserl arricchisce il terreno di una semplice descrizione (che rende conto solo di ciò che è presente in modo diretto e immediato di fronte agli occhi del filosofo o dello psicologo) di un’analisi – trascendentale – che svela le 96 Seconda Meditazione Cartesiana, § 18, Husserliana I, p. 80; tr. it. p. 72.
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implicazioni intenzionali che il fenomenologo ha il dovere di esplicitare nell’analisi del senso delle effettuazioni intenzionali. Ma questo è sufficiente per fornire davvero la legittimazione di ciò che è così esplicitato?
Il secondo livello della legittimazione fenomenologica: la sfera pre-immanente La costruzione fenomenologica Se la riduzione fenomenologico-trascendentale che ci riconduce, l’abbiamo visto, alla soggettività trascendentale e alla sua vita intenzionale, costituisce propriamente il «metodo fondamentale della fenomenologia»97, queste considerazioni metodologiche non si riducono tuttavia alla «scoperta» o alla «messa a nudo» (Freilegung) del campo d’esperienza dell’ego assieme alle sue implicazioni intenzionali. Il termine Freilegung rinvia in realtà implicitamente ad aspetti fondamentali del metodo fenomenologico di cui Husserl ha preso pienamente coscienza solo nel corso – e in particolar modo alla fine – degli anni Venti. Più precisamente, ciò significa che, se l’analisi descrittiva (nel senso di una descrizione eidetica) della fenomenologia rimane utile e necessaria per caratterizzare le componenti «effettive» della coscienza «immanente», essa si rivela tuttavia insufficiente nel momento in cui – come raccomanda un metodo trascendentale ultimamente legittimante – si tratta di scendere ai livelli ultimamente costitutivi di questi fenomeni immanenti. In effetti, questo campo dell’esperienza dell’ego non è solamente dato, presente, per quanto una descrizione sia sufficiente a farne emergere i momenti strutturali (anche se dati in implicazioni intenzionali), ma esso richiede per di più un 97 Cfr. il § 8 della Prima Meditazione Cartesiana.
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lavoro aggiuntivo di superamento degli ostacoli che lo nascondono o, perlomeno, che intralciano la comprensione del suo ruolo costitutivo – lavoro «decostruttivo»98 (nei manoscritti di lavoro dello stesso periodo, Husserl parla a questo proposito di una «riduzione smantellante (Abbaureduktion)»99) al quale corrisponderà, a questo stesso estremo livello costitutivo, un elemento positivo: quello di una costruzione100 che non è né speculativa né metafisica, ma fenomenologica (e che Husserl evocherà esplicitamente nei paragrafi 59 e 64 della Quinta Meditazione, i quali sviluppano aspetti decisivi del metodo della fenomenologia trascendentale). Tutta la difficoltà consiste nel comprendere correttamente, sul piano di questo ultimissimo livello costitutivo, lo statuto di questo metodo101: non si tratta né di una semplice descrizione empirica né di una speculazione sistematizzante, tantomeno di una ricerca delle «condizioni di possibilità» dell’esperienza: essa mette piuttosto in 98 Questa «decostruzione» deve essere accuratamente distinta dal concetto fondamentale della filosofia di Derrida (e della sua scuola) e ciò malgrado il fatto che quest’ultimo pretenda di inscriversi – precisamente per «decostruirlo» – in un metodo i cui inizi sono ritenuti essere fedeli alla fenomenologia husserliana (e heideggeriana). 99 La «riduzione primordiale, che Husserl sviluppa nel § 44 della Quinta Meditazione Cartesiana, è un buon esempio di una tale Abbaureduktion. Ritorneremo su questa nozione nei capitoli V e VI. 100 Husserl parla a tal proposito di una «parte costruttiva complementare (konstruktives Ergänzungsstück)» del metodo fenomenologico, Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XLVIII, p. 139; tr. it. p. 190. 101 Il metodo fenomenologico è così caratterizzato, in maniera generale, dall’epoché e dalla riduzione (vale a dire la riconduzione alla soggettività trascendentale), dall’analisi intenzionale della sfera immanente della coscienza e, infine, da un certo numero di «riduzioni smantellanti (Abbaureduktionen)» così come di «costruzioni fenomenologiche» a livello della sfera pre-immanente della coscienza. Queste ultime non sono le stesse per tutte le regioni ontologiche trattate e si distinguono quindi le une dalle altre in funzione di «fili conduttori» specifici di ogni regione presa in esame.
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opera un’esperienza di tipo nuovo – che non è altro, l’abbiamo detto, che un’«esperienza trascendentale» (contradictio in adjecto, certamente, per un kantiano ortodosso). Il campo dell’esperienza dell’ego è in effetti un campo trascendentale dell’esperienza. Ciò non vuol (solamente) dire, come avevano creduto i primi idealisti tedeschi, che ci sarebbe un’esperienza effettiva del trascendentale, ma innanzitutto e soprattutto che l’esperienza di cui parla il fenomenologo possiede essa stessa una (o delle) «struttura(e)» trascendentale(i). Come dà luogo allora a delle «costruzioni fenomenologiche» questo secondo livello metodologico (al di qua dell’esperienza descrittiva «ingenua» della sfera immanente della coscienza trascendentale)? Husserl sostiene innanzitutto, negativamente, che le analisi intenzionali della sfera immanente della coscienza si legittimano per il fatto che è impossibile che ciò che si dà in maniera evidente in queste analisi descrittive – e tutto quello che queste analisi svelano deve in effetti bastare all’esigenza dell’evidenza – non sia (ancor meno, che sia dubbio). Husserl chiama questa proprietà il carattere «adeguato» o «apodittico» dell’evidenza102. Ma che l’apoditticità non sia un fattore irremovibile risulta già dal semplice fatto che vi sono dei modi di datità originaria che si presentano in un’evidenza inadeguata (la percezione di un oggetto trascendente ne è l’esempio più evidente). Non è già questo un primo segno esplicito di una minaccia apportata nei confronti della legittimazione, pure asserita, delle analisi descrittive in quanto esse si poggiano per l’appunto sempre su questa evidenza apodittica? Possiamo dunque ripetere la medesima domanda: con l’«automeditazione» (Selbstbesinnung) della soggettività trascendentale – che scopre le operazioni costitutive nel loro rapporto coi 102 Cfr. per esempio Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXI, p. 35; tr. it. p. 61.
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rispettivi correlati oggettivi (con tutte le implicazioni intenzionali, gli orizzonti, ecc. che ciò mette in atto) – la questione della legittimità di ogni conoscenza ha veramente trovato la sua risposta soddisfacente e definitiva? E, più in particolare, riesce con ciò Husserl a confutare tutti quelli – numerosi – che lo rimproverano di raddoppiare semplicemente il reale con una struttura «trascendentale»103? In un testo del 1923, Husserl fa questa osservazione decisiva: Dicevo che la «descrizione» universale è il primo compito in vista (hinsichtlich) della [costituzione] della scienza della soggettività pura. La descrizione deve essere scientifica, ovvero l’esigenza di essere preparata per – quindi adatta a – il compito ultimo della legittimazione. Ma se poniamo la questione generale di sapere come una tale conoscenza descrittiva è possibile […], operiamo già, in essa, con concetti che sono ripresi dalla descrizione […]. La possibilità della conoscenza dell’essere è presupposta – ed è essa che bisogna legittimare.104
Già nelle Conferenze di Londra Husserl notava – a proposito della questione del carattere adeguato di ciò che si dà nell’analisi intenzionale – che «il concetto di legittimazione ha subito», nelle analisi eidetiche descrittive, «uno spostamento»105. Ma in questo testo del 1922, ciò non era che per sottolineare
103 È il caso ad esempio di Deleuze. Cfr. a tale proposito la nostra opera La Genèse de l’apparaître. Études phénoménologiques sur le statut de l’intentionnalité, op. cit., p. 40 ss. Ritorneremo su questo punto in seguito nel capitolo IV. 104 Husserliana VIII, Appendice XXIX (1923), p. 477 (sottolineature nostre). 105 Husserliana XXXV, p. 337.
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l’abbandono (appena evocato) dell’evidenza adeguata come norma di ogni scientificità autentica. Dopo i Manoscritti di Bernau (1917/1918) un’altra ragione – resa esplicita solamente alla fine degli anni Venti – giustifica tuttavia questo «spostamento»: ovvero quella che ha giustamente condotto alla sistemazione della costruzione fenomenologica. Ciò è messo in evidenza chiaramente dal seguente brano dell’importante Appendice X in Husserliana VIII dove Husserl tratta ancora una volta del carattere inadeguato dell’esperienza finita: […] L’esperienza finita, ovvero quella che possiamo effettivamente compiere, è inadeguata. Ma l’essere possibile del mondo non deve prima di tutto essere pensato (auszudenken) come possibilità, se non come possibilità di un’infinità dell’esperienza, di un’esperienza [che] nel suo stile, nella sua forma, [sarebbe] costruibile (konstruierbar)106, in modo tale che il vero essere del mondo, del mondo appreso in maniera presuntiva, diviene in primo luogo evidente come possibilità?107
Due sono qui le cose importanti. In primo luogo, la quasi ingenuità che dà i fenomeni costitutivi dell’apparire in un’esperienza concreta e diretta deve essere elevata (grazie alla variazione eidetica) alla sfera delle possibilità. E in secondo luogo, questo innalzamento ad una sfera del possibile non si limita ad una semplice descrizione eidetica, ma l’essenza dell’esperienza – che non si riduce né ad una qualunque forma di «naturalismo» né ad una «astrazione generalizzante»108 – richiede una
106 Le sottolineature sono nostre. 107 Husserliana VIII, Appendice X (probabilmente del 1924), p. 390. 108 «La lotta che conduce la fenomenologia affinché sia ottenuta la sola specie di teoria della conoscenza che essa difende non è semplicemente una lotta contro ogni teoria della conoscenza che ha il suo terreno nel naturalismo, è anche una lotta contro ogni teoria della conoscenza fatta di semplici
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forma di costruzione fenomenologica109. Ciò ci è confermato dal seguente passo tratto dal § 59 della Quinta Meditazione Cartesiana: […] ogni essere naturale già dato immediatamente viene ricostruito (wiederaufgebaut) in nuova originarietà e non è più interpretato semplicemente quasi come una validità ultima.110
Abbiamo qui una testimonianza esplicita del ruolo fondamentale che gioca la (ri-)costruzione fenomenologica nel metodo della fenomenologia trascendentale. Ora, l’essenziale è espresso attraverso il «wieder» («ri-», «di nuovo»). Ciò che il fenomenologo costruisce non è costruito ex nihilo, quindi non si tratta qui di una costruzione metafisica «con semplici concetti», il «ritorno alle cose stesse» preconizzato da Husserl lo impedisce già in partenza – da cui il «ri-»; ma è propriamente costruito111, e non descritto come qualcosa di semplicemente pre-dato. Quello che caratterizza propriamente la costruzione fenomenologica112, è che essa non costruisce, in modo spe-
generalità, contro ogni teoria della conoscenza che, dialetticamente, specula dall’alto sulla conoscenza», Husserliana XXXV, p. 274. 109 Cfr. anche Husserliana VIII, Appendice XX (1924), p. 435. 110 Quinta Meditazione Cartesiana, § 59, Husserliana I, p. 165; tr. it. 155. Sottolineiamo per inciso che la fenomenologia costruttiva contesta così la fenomenologia cosiddetta «ermeneutica». 111 Husserl scrive alla fine delle Meditazioni Cartesiane: «Una fenomenologia condotta consequenzialmente costruisce quindi a priori, ma pure in necessità e universalità d’essenza rigorosamente intuitiva, le forme dei mondi immaginabili e queste ancora nell’ambito di ogni forma d’essere immaginabile in generale e del suo sistema di gradi», Quinta Meditazione Cartesiana, § 64, Husserliana I, p. 180; tr. it. p. 169. 112 È da notare che questo cammino «costruttivo» non è annunciato o sviluppato tale e quale da Husserl – e non si trova in lui la nozione di «costruzione fenomenologica» se non nei testi degli anni Trenta, direttamente
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culativo, un constructum (per esempio in funzione di esibire il principio di un sistema metafisico), ma che essa si attiene strettamente ai limiti stessi dei fenomeni113. Più precisamente, la costruzione fenomenologica è un «pro-getto»114 che costruisce le condizioni trascendentali (nel senso fenomenologico) di ciò che è richiesto e imposto dai fenomeni stessi. Due cose la caratterizzano innanzitutto. Da una parte, essa scopre – costruendo – la necessità di ciò che è da costruire e delle leggi che presiedono a tale costruzione115. Dall’altra parte, la costruzione fenomenologica non impone nulla a ciò che è, ma è comandata, pretesa dai fenomeni stessi – più esattamente: dai facta (cfr. l’Introduzione) di cui l’analisi semplicemente descrittiva non arriva a rendere conto. Approfondiamo questi due punti.
ispirati dagli incontri che aveva avuto con Fink. Per quanto ne sappiamo, questa nozione è utilizzata per la prima volta da Heidegger nei paragrafi 63 e 72 di Sein und Zeit. Se ne trova uno sviluppo più approfondito nel corso del semestre estivo del 1929 dove Heidegger ha sviluppato la sua concezione di una «costruzione» sulla base della Grundlage der gesamten Wissenschaftslehre (1794/95) di Fichte (cfr. M. Heidegger, Der deutsche Idealismus (Fichte, Schelling, Hegel) und die philosophische Problemlage der Gegenwart, Gesamtausgabe, vol. 28, Francfort s/Main, Klostermann, 1997). 113 Un esempio molto illuminante è la costruzione in atto nell’associazione caratteristica della costituzione dell’altro. Quando Husserl dice che il darsi di un corpo estraneo «risveglia» in maniera riproduttiva (quindi a partire da me stesso) un modo di manifestarsi simile al mio, rende nota l’esperienza della necessità di costruire una struttura a partire dalla quale solamente il vissuto in questione (in questo caso: quello dell’apparizione di un Leib estraneo) diviene comprensibile (e non si tratta dunque affatto in tal caso di un’esperienza psicologica). Approfondiremo questo punto nel capitolo VI. 114 Cfr. il nostro lavoro La genèse de l’apparaître. Études phénoménologiques sur le statut de l’intentionnalité, op. cit., p. 34. 115 Cfr. il § 63 di Logica formale e trascendentale.
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Per comprendere il ruolo e lo statuto della costruzione fenomenologica, bisogna rispondere alle due questioni seguenti: 1) Cosa costruisce la costruzione fenomenologica? 2) Sulla base di cosa costruisce quello che costruisce – ammesso che non è una pura speculazione fittizia116? 1) Come abbiamo visto, bisogna procedere ad una costruzione fenomenologica ogni volta che l’analisi descrittiva incontra un limite – «ogni volta» vuol dire: non semplicemente nell’ambito della ricostituzione di una parte o di un segmento della «storia» della soggettività trascendentale che non sarebbe stato accessibile all’Io fenomenologico riflessivo117. Un tale limite non è una semplice impasse che un’esperienza più ricca o più completa potrebbe superare grazie ad un vissuto ulteriore. Al contrario, il limite dell’analisi descrittiva che darà luogo alla necessità di procedere ad una costruzione fenomenologica ha un carattere definitivo. Ciò che pone tale limite sono tutti i punti ciechi dell’analisi descrittiva in generale. In cosa consiste più precisamente questo limite dell’analisi descrittiva? Sappiamo che l’analisi intenzionale si propone di svelare le effettuazioni della soggettività trascendentale in quanto quest’ultima costituisce il senso di ciò che si manifesta alla coscienza. Una tale analisi non fa semplicemente un «inventario» degli atti della coscienza, ma propone una genesi 116 Per rispondere a queste due questioni, non possiamo basarci su degli sviluppi husserliani, ma siamo obbligati a ricostruire ciò che bisogna necessariamente pensare per poter rendere esplicito questo «concetto operativo implicito». 117 Teniamo quindi a sottolineare con forza che le analisi con cui procederemo in seguito oltrepassano, l’abbiamo già annunciato nella nostra Introduzione, il quadro alquanto limitato delle considerazioni heideggeriane (cfr. Sein und Zeit, M. Niemeyer, § 63, p. 310 ss. et § 72, p. 375 ss.) e finkiane (cfr. la Sesta Meditazione Cartesiana) riguardanti la costruzione fenomenologica.
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della fattualità118 (è questa, in effetti, la definizione vera e profonda della «fenomenologia genetica»)119. Questa «fattualità», questi «fatti» possono essere di ogni tipo – ad esempio il fatto della struttura temporale o quello della dimensione intersoggettiva della coscienza. Questi fatti non sono dei fatti grezzi, non sono semplici «stati di cose (Tatsachen)», ma sono, in quanto facta, i risultati (si potrebbe dire: i «sedimenti») di un fare anteriore – «anteriore» non nel senso cronologico, né logico, ma in un senso genetico (ossia in quanto essi dipendono, per l’appunto, da una genesi). La costruzione fenomenologica è la ricostituzione o la ricostruzione di questo fare che precede, da un punto di vista genetico, ogni «sedimento» fattuale. Sottolineiamo, per inciso, che questa maniera di porre il problema richiama il procedimento fichtiano (nella Dottrina della scienza del 1804) di una «costruzione genetica». Ma vi è una differenza importante tra le due. Fichte introduce l’idea di una «genesi» a seguito della sua critica del percorso kantiano che procede, secondo lui, per «sintesi post factum» (ponendo una unità di due termini disgiunti senza dedurla, ovvero senza costruirla geneticamente). Ora, le costruzioni genetiche di Husserl non sono quelle di un «sapere puro»120, ma non sono nemmeno equivalenti ad una «sintesi post factum» poiché, lungi dal lasciare i termini da sintetizzare tali e quali (come succede in Kant), esse ne svelano innanzitutto il senso fenome-
118 Ci ritorneremo in dettaglio nel capitolo V. 119 E laddove questa fattualità non può più essere genetizzata – e solamente là, ovvero là dove la costruzione non sarà più fenomenologica ma speculativa – abbandoniamo la fenomenologia (in senso stretto) per accedere alla metafisica. 120 Ricordiamo che questo «sapere puro» designa, in Fichte, non il sapere di un qualsiasi oggetto, ma quello stesso che risponde del fatto che un sapere è un sapere – quindi non già qualsiasi contenuto del sapere, ma il sapere puramente formale (Fichte dice anche: il sapere «qualitativo» che, di conseguenza, è sapere «di niente»).
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nologico – cosa che abbiamo notato, supra, quando abbiamo affermato che la costruzione fenomenologica scopre la necessità di ciò che è da costruire solamente realizzando questa costruzione. Possiamo formulare questo stesso stato di cose in un’altra maniera ancora. In effetti, la fenomenologia husserliana ritrova con questo espediente una verità che d’altronde è stata in un primo tempo scoperta da Kant – sebbene trasponendola, certamente, sul piano dell’esperienza fenomenologica. Tale verità concerne la struttura antinomica della ragione. Si sa che, nella «Dialettica trascendentale» della Critica della ragion pura, Kant aveva messo in evidenza delle antinomie dovute alla natura profondamente «contraddittoria» della ragione. Ora, l’analisi intenzionale husserliana incontra a sua volta dei paradossi, ovvero delle aporie. Per riprendere i nostri due esempi, si possono porre le seguenti domande: il tempo è soggettivo o oggettivo? L’intersoggettività è costituita in e con una soggettività irriducibile o, all’inverso, la soggettività è essa stessa intrinsecamente intersoggettiva? Ciò che caratterizza questi «paradossi» o queste «aporie» fenomenologiche, è che non dipendono dalla struttura – contraddittoria o meno – della ragione, ma da un limite dell’esperienza in quanto si cerca di renderne conto, per l’appunto, attraverso un’analisi descrittiva. Ora, ciò che è decisivo, è che questo limite non è insormontabile, ma che può essere precisamente superato grazie alla costruzione fenomenologica (ovvero grazie alla «costruzione genetica» nel senso della fenomenologia genetica). Ed è questa costruzione che legittimerà anche, in maniera definitiva, l’analisi intenzionale (abbandonando ben inteso il terreno di una semplice descrizione). 2) Ma per essere legittimata, una tale costruzione non potrebbe costruire niente «sul vuoto». Su che cosa si basa la costruzione fenomenologica? Si noti che il factum delimita già il campo
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della costruzione. Il tempo è o oggettivo, o soggettivo, oppure al di qua dell’opposizione soggettivo/oggettivo: la soggettività è o irriducibile o strutturata in maniera intersoggettiva, ecc. Ma la questione che si pone, piuttosto, è di sapere cosa determina la costruzione a costruire piuttosto l’uno che l’altro di questi facta. Il punto è che la costruzione fenomenologica resta evidentemente fedele all’esigenza suprema dell’attestabilità. A proposito della «verità definitiva» e del «mondo», nella seconda parte di Filosofia prima Husserl scrive: […] dire che la verità definitiva, che il mondo inteso come definitivamente vero è un’idea significa che, se da una parte è assolutamente inconcepibile che possa essere oggetto di una percezione adeguata, d’altra parte non è nemmeno un oggetto fittizio o un ideale arbitrario. Al contrario, è un’ideale motivato dalla forma (Gestalt) universale del corso dell’esperienza e – finché questa forma ci è data – deve essere necessariamente posto e non rifiutato; è un polo al quale si deve guardare (herauszuschauend) e […] al quale tutti gli aspetti relativi della verità empirica fanno riferimento nella loro validità.121
La costruzione fenomenologica costruisce sia il factum che le condizioni di possibilità di quest’ultimo – ovvero proprio ciò che lo rende possibile, lo «possibilizza (ermöglicht)». O, in altri termini, come abbiamo detto in precedenza, costruendo, la costruzione fenomenologica segue la necessità di ciò che è da costruire. Ma perché ciò sia possibile bisogna che la costruzione fenomenologica, lungi dal ridursi ad una costruzione puramente concettuale, intellettuale, possieda una intuitività specifica. Questa intuitività (Husserl evoca nel brano che abbiamo appena citato una certa «Herausschaubarkeit») non è
121 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXIII, p. 48 (sottolineature nostre); tr. it. p. 85.
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una intuizione intellettuale, non è l’«occhio della mente», ma è essa stessa istituita e fondata sulla «storia» del fenomenologo in quanto questa è dipendente – nella misura in cui la rivive e la riattualizza – dalla storia della filosofia in generale. Di conseguenza, l’intuitività che caratterizza segnatamente la costruzione fenomenologica è essa stessa suscettibile di essere ricostituita geneticamente rispetto ai suoi «strati» costitutivi. È solo relativamente tardi che Husserl si è accorto di tutta questa problematica – che rientra nel campo della «storia della ragione». Svelare le conseguenze fenomenologiche di questa presa di coscienza sarà oggetto dei prossimi capitoli. Facciamo un’ultima osservazione riguardante il metodo fenomenologico. Il procedimento di Husserl – punto essenziale che è già stato trattato nell’Introduzione – è un cammino a «zigzag»122. Quale ne è il senso? Non si possono comprendere le origini che a partire dal risultato, vale a dire a partire da una «retrospettiva» o da una «visione a ritroso» (Rückschau) che porta su tutto lo sviluppo; ma, d’ altra parte, non si può comprendere lo sviluppo come «sviluppo del senso (Sinnesentwicklung)» che a partire dalle origini. Questo procedimento a «zigzag», irriducibilmente circolare123, Husserl lo menziona certamente (nella Crisi) nel contesto di una riflessione sull’origine dello «spirito (Geist)» e delle scienze moderne (con lo stile metodico che propriamente li caratterizza), ma, in realtà, esso si applica allo stesso modo – e ciò è decisivo – ad ogni co122 Vedere il § 6 dell’Introduzione al volume II delle Ricerche Logiche così come la Crisi, § 9 1). Cfr. anche le importanti osservazioni di Marc Richir a tal proposito nelle sue Méditations phénoménologiques. Phénoménologie et phénoménologie du langage, «Prima Meditazione: Introduzione. Dell’analisi fenomenologica come procedimento ‘a zig-zag’», Grenoble, J. Millon, 1992, p. 9-23, in particolare p. 15 s. 123 M. Richir, Méditations phénoménologiques. Phénoménologie et phénoménologie du langage, op. cit., p. 11.
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stituzione di senso (Sinneskonstitution) in generale. Vorremmo difendere in questo libro la tesi che questo procedimento si impone al massimo grado nella sfera pre-immanente della coscienza dove il fenomenologo «oscilla» incessantemente (in un «zigzag genetico», dunque) tra ciò che è da costruire e la costruzione propriamente detta. Ora, ciò significa, e degli esempi precisi ci permetteranno di illustrarlo, che la costruzione fenomenologica è ineluttabilmente dipendente dalle «coordinate analitiche» del fenomeno – da cui il senso per l’appunto di questo procedimento a «zigzag», da cui anche un certo rischio, ovvero una «fluttuazione» alla quale si espone il «fenomenologo costruttivo». D’altronde, così come questa fluttuazione legittima la costruzione fenomenologica, allo stesso modo la rende fragile – rischio che il fenomenologo corre allorquando si inoltra al di là di un procedimento semplicemente descrittivo, ma che è anche obbligato a prendere se vuole rendere conto del senso ultimo, pienamente legittimato, dei fenomeni della sfera immanente della coscienza trascendentale. Dopo aver presentato ed esposto in questo modo gli strumenti fondamentali del metodo fenomenologico, fisseremo ora, nel capitolo successivo, certi concetti fondamentali dell’analisi intenzionale. Questo ci permetterà in seconda istanza di circoscrivere il concetto di «verità fenomenologica», concetto decisivo per il cammino costruttivo che è richiesto per il chiarimento della struttura immanente e – soprattutto – preimmanente della soggettività trascendentale.
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Capitolo secondo L’intenzionalità. Significato e verità
In questo capitolo perseguiremo un duplice obiettivo: da un lato, si tratterà di cogliere il senso del trascendentale nel quadro dell’analisi della coscienza intenzionale, il che ci porterà a chiarire un certo numero di distinzioni terminologiche fondamentali, introdotte molto presto da Husserl – concernenti l’intenzionalità stessa, i suoi atti, i suoi contenuti, i suoi oggetti, ecc. – e alle quali saremo indotti a tornare in seguito; dall’altro, analizzeremo la concezione fenomenologica della verità verso cui tali distinzioni sfoceranno all’interno delle Ricerche logiche. Ciò ci permetterà di mostrare che il concetto chiave della costruzione fenomenologica ha la sua radice nelle elaborazioni husserliane relative alla datità intuitiva delle oggettualità categoriali.
L’intenzionalità L’intenzionalità e la sua analisi specifica – l’«analisi intenzionale» – costituiscono la «cosa» stessa, il terreno d’investigazione per eccellenza, della fenomenologia husserliana. Che cosa si intende esattamente con questo termine? Nella sua breve Prefazione alla sua edizione delle Lezioni sulla fenomenologia
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della coscienza interna del tempo di Husserl, Heidegger scrive nel 1928 (non senza un certo spirito polemico) che l’intenzionalità non è una «parola d’ordine», ma il titolo indicante l’esistenza «di un problema centrale». Cosa significa dunque questo termine e qual è il problema che esso solleva? Troviamo una definizione esplicita dell’intenzionalità nella Seconda Meditazione Cartesiana. Husserl scrive alla fine del § 14: […] la parola intenzionalità non significa altro che quella proprietà universale e fondamentale della coscienza, di esser coscienza di qualcosa, di portare in sé come cogito il suo cogitatum.1
L’intenzionalità è quindi una «proprietà» della coscienza (cogito) – quella di rapportarsi, per definizione, ad un oggetto (cogitatum): «ogni coscienza è coscienza di qualcosa». In questo modo Husserl vuole innanzitutto evitare due presupposti metafisici: il realismo «ingenuo» e l’idealismo soggettivista. «Ogni coscienza è coscienza di qualcosa» vuol dire altrettanto che: tutto ciò che è si dà alla coscienza, è oggetto per una coscienza. Il «ritorno alle cose stesse», preconizzato da Husserl fin dagli inizi delle sue investigazioni fenomenologiche, esprime la necessità di assicurarsi, per ogni stato di cose, della sua attestazione (Ausweisung) legittimata in e attraverso gli atti della coscienza costitutiva del senso che si dà in se stesso. Ciò vuol dire che ogni «oggetto» è necessariamente il correlato di un atto e, ad un livello costitutivo più profondo, di una «funzione», di una «effettuazione», di una «operazione» coscienziale che sola permette di assicurarsi una fondazione sicura e un carattere legittimo della conoscenza alla quale si
1 Seconda Meditazione Cartesiana, § 14, Husserliana I, p. 72; tr. it. p. 64.
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rapporta. Se si ignora questo correlato «soggettivo» (in un senso che sarà necessario precisare) dell’oggetto della conoscenza non si potranno evitare i pericoli e le difficoltà del dogmatismo (che caratterizza ogni forma di naturalismo2 e di realismo detto «ingenuo») e l’oblio riguardo al problema del fondamento e della legittimazione della conoscenza in generale (che colpisce il positivismo scientista). Ma se l’analisi intenzionale fa della correlazione il tema proprio delle sue ricerche, ciò significa anche che non si tratta affatto di cadere nell’eccesso inverso, ovvero in un semplice soggettivismo3 (il quale, in ogni caso, non è mai stato veramente difeso da alcun filosofo importante – checché se ne dica), e nemmeno nello psicologismo – un colpo d’occhio, anche rapido, ai Prolegomeni permette infatti di confermarlo in maniera indubitabile e definitiva. L’oggetto dell’analisi intenzionale è la «descrizione» delle strutture d’essenza dell’attività coscienziale – del «modo di conoscere (Erkenntnisweise) di un mondo possibile»4 – in quanto essa viene effettuata sempre nella correlazione del soggetto e del suo oggetto. La critica del soggettivismo, sviluppata nel quadro di una filosofia trascendentale, è già familiare al lettore della Dottrina della scienza del 1804² di Fichte. Ma mentre, per quest’ultimo, solo «l’Assoluto» è in grado di rendere «vivente» la correlazione (o la ragione)5, per Husserl si tratta di realizzare delle «meditazioni a ritroso (Rückbesinnungen)» critiche miranti
2 Husserliana VIII, Appendice XXXII (1921 o1924), p. 499. 3 Ivi, p. 505. 4 Ivi, p. 502. 5 Cfr. a questo proposito lo studio di C. Asmuth, «‘Horizontale Reihe’ – ‘Perpendikuläre Reihe’. Die 11. Vorlesung der Wissenschaftslehre 1804/2 und die beiden Denkfiguren der Fichteschen Wissenschaftslehre», in Être et phénomène. La Doctrine de la Science de 1804 de Fichte, J.-C. Goddard, A. Schnell (ed.), Paris, Vrin 2007
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alla «comprensione di sé» radicale della soggettività trascendentale, in quanto origine ultima e vera (echt) del senso di ciò che si dà per se stesso a conoscere6. Lungi dall’abbandonare la correlazione per elevarsi ad un Essere (Assoluto) trascendente, Husserl si posizionerà all’interno di questa correlazione e svelerà i procedimenti costitutivi che in essa sono messi in atto. Pertanto, il suo progetto non si riduce, contrariamente a quello che gli viene sovente rimproverato, alla fondazione di una mera teoria della conoscenza: […] una filosofia universale riferita alla scienza in generale, per quanto si sforzi realmente di raggiungere la piena universalità, per quanto dunque tenga ben presente sia l’intera problematica trascendentale, sia tutti i mondi della conoscenza possibile, non è una «semplice» teoria della conoscenza, una «semplice» teoria delle scienze che, a titolo di conoscenza e di scienza possibile, avrebbe a che fare con un dominio limitato, cioè con una universalità logica e noetica. Al contrario, tutto ciò che in qualche maniera può intervenire fra soggettività e oggettività, come generalità essenziale o come particolarità concreta e comunque essenziale, qualunque siano i tipi di ragione e le formazioni della ragione, le forme essenziali della soggettività sociale, rientra nel quadro di una filosofia piena e completa.7
Vediamo così come Husserl – attraverso la messa in risalto della problematica della correlazione soggetto-oggetto – si scosta una volta di più (e in un sol colpo) da ogni forma di psicologismo. Le strutture coscienziali correlative dell’oggetto non sono analizzate dal punto di vista dello psicologo, ossia nella
6 Cfr. il § 7 della Crisi. 7 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXX, p. 26 (sottolineature nostre); tr. it. p. 59 (traduzione modificata, N.d.T.).
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loro realtà empirica, psicologica, ma dal punto di vista del fenomenologo trascendentale (al «primo livello», ossia innanzitutto nella sua «ingenuità trascendentale»8) – e ciò significa per Husserl: nella loro struttura essenziale (o «eidetica»)9. La difficoltà risiede pertanto nel non cadere in errore per quanto concerne lo statuto di tali «essenze»: le strutture intenzionali – così come si manifestano nell’«attitudine fenomenologica» – non sono né strutture psichiche o psicologiche (non possiedono quindi niente di un’individualità spazio-temporale), né – e questo sarebbe l’estremo opposto – delle idee in senso platonico10. La fenomenologia cerca di rendere conto dell’essere delle essenze senza cadere nel «realismo delle idee» e senza farne dei «prodotti psichici» o semplici «astrazioni» a partire da individualità sensibili. Dalle considerazioni precedenti risulta dunque che la fenomenologia trascendentale non si riduce né ad un realismo dell’oggetto, né ad un soggettivismo o ad uno psicologismo, ma che essa tematizza il rapporto tra soggetto e oggetto, la correlazione tra gli atti della coscienza e ciò a cui essi si rapportano. Il «problema» che pone questo concetto di intenzionalità è allora quello del senso e dello statuto di ciò che rende possibile il rapporto all’oggetto – quindi dell’intenzionalità stessa –, e, pertanto, dell’oggetto e del soggetto in quanto entrano in questo rapporto. La questione che solleva Husserl è nientemeno quella della possibilità di una manifestazione o 8 Cfr. supra il capitolo I. 9 È per questo motivo che il fatto di designare il rapporto all’oggetto come una «proprietà» della coscienza può eventualmente dare luogo ad un controsenso: l’intenzionalità non è una proprietà nel senso di un «predicato» o di un «attributo» che apparterrebbe a qualcosa che gli preesisteva, ma il rapporto all’oggetto definisce in modo essenziale e intrinseco la coscienza intenzionale. La coscienza non è se non intenzionale – e tale coscienza non è psichica, ma «trascendentale». 10 Cfr. Ideen I, § 22.
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di una datità di qualcosa per la coscienza e dell’apertura del soggetto a ciò che si presenta in tal modo. I fondamenti dell’analisi intenzionale sono forniti in quell’opera inaugurale della fenomenologia che sono le Ricerche Logiche – opera a cui bisognerà far riferimento in prima istanza, se è vero che il trascendentalismo husserliano non è altro che una «riflessione sulla problematica» delle Ricerche Logiche11. Perché l’intenzionalità occupa il posto principale in uno studio riguardante la logica? La definizione stessa della logica che troviamo nella Prima Ricerca ci offre la risposta a questa domanda: Se ogni unità teoretica data, secondo la sua essenza, è un’unità di significato, e se la logica è la scienza dell’unità teoretica in generale, essa sarà anche necessariamente scienza dei significati come tali, delle loro modalità essenziali e delle loro differenze, così come delle leggi che si fondano puramente in essi (e che quindi sono leggi ideali).12
La questione direttrice della logica è dunque quella della costituzione di ogni significato (il quale, lo vedremo, si costituisce precisamente in virtù della coscienza intenzionale). Per portare a termine questo compito, Husserl procede – in maniera un po’ complicata – ad un certo numero di distinzioni essenziali che, ed è proprio ciò che conta, in seguito non saranno più rimesse in discussione.
11 Cfr. la nostra Introduzione. 12 Prima Ricerca Logica, Husserliana XIX/1, § 29, p. 98; tr. it. di G. Piana, Milano, il Saggiatore, 1968, p. 360.
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Espressione, significato, oggetto Anche se il generico concetto supremo delle Ricerche Logiche è quello del segno (concezione criticata già prestissimo, per esempio da G. Misch13) – il quale dà luogo alla prima distinzione fondamentale: quella tra l’indicazione (che indica l’esistenza di un’altra cosa, nel senso che «la convinzione dell’esistenza della prima è vissuta come motivo per la convinzione o la supposizione riguardo all’esistenza della seconda») e l’espressione (che esprime un significato in un discorso (Rede) articolato) – è nondimeno l’espressione che serve come punto di partenza dell’analisi intenzionale. Quest’ultima contiene l’intenzione di comunicare in maniera espressiva dei «pensieri» ad altri; ciò implica che le mimiche e i gesti, per esempio, non costituiscono delle espressioni, potendo essere tuttalpiù interpretati da altri come indizi di stati d’animo, di umori, ecc. Quello che interessa a Husserl nell’espressione, una volta messo da parte il suo lato fisico (il segno sensibile: il suono, la parola scritta, ecc.), sono i vissuti psichici che ne fanno per l’appunto «l’espressione di qualcosa». Husserl sottolinea che, contrariamente all’opinione comunemente ammessa, questi vissuti psichici non si identificano con il senso o con il significato dell’espressione. Ciò vale per il caso particolare (e il più semplice) dei «nomi propri» – all’interno dei quali si distingue, accanto quindi al segno fisico, tra vissuti psichici (ciò che il nome «rende noto (kundgibt)»14), significato (il senso, il «contenuto» della rappresentazione del nome) e oggetto della rappresentazione del nome (ciò che esso nomina, a cui esso
13 Vedere su questo punto la nostra opera La genèse de l’apparaître. Études phénoménologiques sur le statut de l’intentionnalité, op. cit., p. 147. 14 In conformità alla traduzione di G. Piana, rendiamo qui il termine tedesco Kundgabe con „informazione“ e il verbo kundgeben con „rendere noto“. N.d.T.
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rinvia) –, ma altrettanto per tutte le espressioni in generale. Sviluppiamo ora più dettagliatamente il senso di ciascuno di questi termini.
L’informazione dell’espressione All’interno dell’espressione si può quindi distinguere tra il significato e la sua informazione. Quest’ultima consiste in ciò: che le espressioni «esprimono qualcosa», ovvero comunicano – il termine lo indica –, attraverso le parole (le espressioni fisiche), un senso (una intenzione) veicolato(a) in atti psichici. Nel discorso comunicativo vi è una stretta correlazione tra i vissuti fisici e i vissuti psichici di persone che parlano tra loro; e la comprensione del senso di un’espressione (fisica, quindi della parola) si trova in quella dell’intenzione di colui che, attraverso un tale discorso, si rivolge a qualcuno. Per Husserl questa correlazione significa che nel discorso comunicativo le espressioni (parole) operano come indicazioni: esse sono infatti i segni dei «pensieri» (dei vissuti psichici significanti) di colui che parla (sapendo che questa comunicazione non coinvolge affatto il significato stesso). Husserl chiama pertanto questa funzione la «funzione informativa (kundgebende Funktion)» delle espressioni (che deve essere distinta dai vissuti psichici comunicati, i quali sono il contenuto della manifestazione). Ora, da ciò che precede, diviene evidente che, al fine di poter circoscrivere il senso del significato dell’espressione, bisogna ancora distinguere tra l’atto intenzionale (o il vissuto psichico) significante, da un lato, e il suo contenuto (ideale), dall’altro.
Il significato dell’espressione: l’intenzione di significato La tesi principale, introdotta e discussa da Husserl nel § 9 della Prima Ricerca Logica, consiste nell’affermare che il
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significato dell’espressione è costituito negli atti, nelle intenzioni (Meinungen), che conferiscono all’espressione il suo significato (e che egli chiama «atti signitivi» o «intenzioni di significato»)15. A ciò si deve aggiungere quest’altra tesi fondamentale: che la presenza dell’oggetto (il suo «riempimento intuitivo») si compie in un altro tipo di atti, ovvero gli atti «riempienti» o «intenzioni di riempimento». È solo attraverso questi atti intuitivi, infatti, che si costituisce il rapporto ad una oggettività espressa. Ora, la nozione di significato si riferisce esclusivamente a questo primo tipo di atti: la presenza dell’oggetto (il riempimento) non è necessaria per conferire il significato ad un’espressione. E, viceversa, l’intenzione dell’oggetto, essenziale quindi all’intenzione di significato, non implica la presenza piena e intera di questo oggetto; in altre parole, il significato non necessita di riempimento.
Il significato come contenuto ideale dell’espressione Dopo aver considerato l’espressione come vissuto concreto (l’aspetto fisico dell’espressione così come i vissuti significanti), ora si può passare, con Husserl, da una considerazione «soggettiva» ad una considerazione «oggettiva», tematizzando 15 L’espressione nel senso dell’«espressione significante» (e ciò, grazie ad un’intenzione di significato) è chiamata da Husserl «espressione in senso assoluto (Ausdruck schlechthin)». Le intenzioni di significato appartengono effettivamente in modo essenziale all’espressione. Le intenzioni di riempimento, ci ritorneremo, non svolgono questo ruolo essenziale. Al contrario, esse «attualizzano il rapporto oggettivo» dell’espressione. Per la tesi secondo la quale il significato si costituisce negli atti signitivi, cfr. la Prima Ricerca Logica, Husserliana XIX/1, § 10, p. 47 (l. 2-19); § 18, p. 71 (l. 29-35: si tratta qui della tesi dell’identità dei contenuti d’apprensione e della differenza a livello delle apprensioni), p. 72 (l. 2-6); § 22, p. 78; § 30, p. 104; e l’Introduzione alla Quinta Ricerca Logica, p. 352-353.
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ciò stesso che si esprime «attraverso» l’espressione, vale a dire il nesso ideale degli oggetti (cioè dei contenuti) degli atti. In altre parole, si tratta ora di chiarire il correlato ideale degli atti effettivi (reell). Quando mi interrogo sul significato di qualsiasi espressione (ad esempio la «radice quadrata di un numero»), non voglio riferirmi a questa espressione concreta, qui e ora, ma all’espressione in specie che non dipende né dalla situazione in cui essa viene enunciata né dalla persona che la pronuncia. Dobbiamo pertanto chiaramente distinguere tra il significato ideale, da un lato, e gli atti effettivi, costitutivi del significato, dall’altro – correlazione che Husserl chiamerà in Ideen I «correlazione noetico-noematica». Ciò che caratterizza la differenza di statuto tra l’uno e l’altro elemento di questa correlazione è il fatto che i vissuti significanti sono ogni volta diversi, mentre il loro contenuto ideale rimane lo stesso: il significato è, in termini husserliani, «l’identità nella molteplicità». Questo vale per qualsiasi significato – a prescindere dal fatto che ciò che viene espresso sia vero o falso. D’altra parte, non c’è verità che là dove il significato trova il suo riempimento intuitivo (ci torneremo)16.
L’oggetto dell’espressione Ma queste distinzioni non sono ancora sufficienti. L’espressione non afferma solamente qualcosa, ma anche qualcosa a proposito di qualcosa; non ha solo un significato, ma si riferisce anche a degli oggetti. Questo significa che il significato mira 16 Notiamo del resto che il significato non si limita ai giudizi apofantici: in effetti, l’identità ideale del significato si esprime non solamente negli enunciati, ma anche nelle singole parti degli enunciati (cfr. per esempio l’espressione «se la somma degli angoli di un triangolo non è uguale a 2r…») – che abbiano o meno la forma di enunciati.
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ed esprime un’oggettività rispetto a cui, tuttavia, si distingue. Husserl ha deciso allora di utilizzare la nozione di «contenuto» solo per il significato e di distinguerlo da quello dell’oggetto. Si danno così quattro possibilità: a) Due espressioni hanno lo stesso significato e lo stesso oggetto: è il caso delle espressioni tautologiche, ad esempio espressioni in due lingue diverse con lo stesso significato e lo stesso oggetto: Londra, London; due, zwei, ecc. b) Due espressioni hanno lo stesso significato e oggetti diversi: tutti i nomi universali (estensionali), per esempio il nome cavallo, in: «Bucefalo è un cavallo», «questo ronzino è un cavallo». (Attraverso lo stesso significato, «un cavallo» rappresenta nel primo caso Bucefalo, nel secondo caso il ronzino). c) Due espressioni hanno significati differenti e lo stesso oggetto: «il vincitore di Jena», «il vinto di Waterloo». d) Due espressioni hanno significati differenti e differenti oggetti : «Socrate» il filosofo e «Socrate» il programma di scambio accademico in Europa. Queste possibilità possono riguardare oggetti a proposito dei quali si afferma qualcosa, ma anche «stati di cose» (Sachlagen), per esempio: a è maggiore di b, b è minore di a (caso c), ecc. Ciò non significa tuttavia che, se si pone la questione della costituzione del significato di un’espressione, si potrebbe distinguere tra due lati17 dell’espressione (finché la si consideri come portatrice del significato) quali: 1) il significato e 2) la determinazione della direzione oggettiva, ma che l’essenza
17 Lo stesso Twardowski ammette una tale dualità, cfr. Zur Lehre vom Inhalt und Gegenstand der Vorstellungen, Vienna, 1894, p. 14.
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dell’espressione risiede esclusivamente nel significato. La costituzione del significato non dipende dalla direzione all’oggetto. Per quanto riguarda l’oggetto, si può ancora distinguere l’oggetto stesso e il suo correlato ideale nell’atto (che lo costituisce) del riempimento del significato, vale a dire il senso riempiente. Abbiamo quindi le due correlazioni seguenti:
Atto effettivo (Contenuto soggettivo)
Oggetto
Correlato ideale (Contenuto oggettivo)
Intenzione di significato
Oggetto intenzionato
Senso intenzionato
Intenzione di riempimento
Oggetto percepito
Senso riempiente
Il contenuto, nel senso oggettivo, può essere inteso come il senso intenzionato (il senso o il significato in senso assoluto), come il senso riempiente e, infine, come l’oggetto. Compiute queste prime distinzioni, i «vissuti di pensiero e di conoscenza (Denk- und Erkenntniserlebnisse)» devono ora essere esposti in maniera sistematica rispetto al loro significato e al loro contenuto. È questo il compito su cui Husserl si concentra nella Quinta Ricerca Logica. Si tratta, com’ è noto, del testo fondamentale di Husserl in materia di analisi della coscienza intenzionale.
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L’analisi della coscienza intenzionale Questa analisi costituisce una «rivoluzione fenomenologica» nel senso che non si tratta più di domandarsi circa il modo in cui un soggetto può avere coscienza di un «mondo esterno» né su quello in cui il mondo reale può diventare cosciente per un soggetto – il che presuppone nei due casi un’esteriorità del soggetto in rapporto all’oggetto – ma di stabilire come, all’interno della sfera della coscienza intenzionale, sia possibile rendere conto del senso dell’esperienza. («Rivoluzione» che pone la questione dell’«idealismo» e del «realismo», l’abbiamo indicato nell’Introduzione, su una base completamente nuova e senza precedenti, e di cui Husserl prende pienamente coscienza solo dopo la «svolta trascendentale».) Questo è il motivo profondo per cui, nella Quinta Ricerca Logica, Husserl si propone di chiarire la nozione di «atto» (vissuto intenzionale), in generale, così come la differenza tra il carattere d’atto (l’apprensione) e il contenuto dell’atto (contenuto d’apprensione), in particolare.
I differenti significati del concetto di «coscienza» Husserl distingue innanzitutto tre significati del concetto di «coscienza» (che tuttavia non esauriscono tutti i significati che offrono i linguaggi naturali): 1) La coscienza come l’insieme delle componenti fenomenologiche effettive (reell) dell’Io empirico in quanto intreccio (Verwebung) delle esperienze psichiche nell’unità del flusso dei vissuti; 2) La coscienza come la percezione (Gewahrwerden) interna dei propri vissuti psichici;
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3) La coscienza come «atto psichico» o «vissuto intenzionale». Precisiamo il senso di ciascuno di questi significati.
Primo significato di coscienza: coscienza come l’unità effettiva (reell) dei vissuti dell’Io A differenza della psicologia moderna (Wundt, Brentano, ecc.), la fenomenologia non prende in considerazione i vissuti (Erlebnisse) come dei componenti «real» (concreti, spaziotemporali) della coscienza, ma come dei componenti «reell» (ossia i componenti immanenti alla coscienza considerati secondo la loro struttura eidetica)18. Tutto ciò che la coscienza «contiene» (in un senso rigorosamente non-spaziale) come suoi elementi sono i «vissuti di coscienza» o i «contenuti di coscienza». Vissuti (erlebt) sono, al tempo stesso, i vissuti stessi nella loro totalità e, ugualmente, i loro componenti effettivi (reell). Husserl sottolinea con forza che non bisogna in nessun caso confondere i componenti «real», oggetti della psicologia empirica, con i componenti «reell», i quali rappresentano l’oggetto proprio della fenomenologia, la cui struttura è precisamente non «reale», dunque ideale, come sull’esempio delle idealità matematiche. Come giungere a questa attitudine che permette di considerare i vissuti come dei non «real»? Mettendo in sospeso il loro senso d’essere nascosto e oscurato, ossia mediante l’«epoché» fenomenologica che abbiamo già trattato nel capitolo precedente. Sebbene Husserl non abbia ancora acquisito in modo esplicito questo concetto nella prima edizione delle Ricerche 18 «Reell» rinvia così all’immanenza della coscienza, e «real» all’essere trascendente, «reale-oggettivo» (che deriva da «res», «cosa»).
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Logiche, esso opera qui, secondo quanto Husserl stesso riporterà in seguito, in modo implicito. Prendiamo ora un esempio concreto: la percezione di una palla rossa. Che cosa vi si può trovare come «contenuto cosciente», come «vissuto cosciente»? Innanzitutto, la sensazione di colore: il contenuto sensibile; quindi, il carattere della percezione che «apprende» il contenuto sensibile; e, infine, la manifestazione della percezione (Wahrnehmungserscheinung) dell’oggetto (palla rossa) – quest’ultima equivale all’apprensione dei contenuti sensibili che corrispondono alle qualità oggettive dell’oggetto. D’altronde, l’oggetto stesso che si manifesta, che viene percepito, non è cosciente, l’oggetto non viene vissuto. Le manifestazioni stesse non appaiono, sono vissute. Che l’oggetto esista o meno, può essere percepito. Ma nel 1901 il senso d’essere dell’oggetto non riguarda, l’abbiamo visto nella nostra Introduzione, la descrizione fenomenologica. Invece, il contenuto sensibile è vissuto, «corrisponde» «effettivamente» (reell) al colore oggettivo che non è vissuto. Husserl sottolinea il fatto che il contenuto non è la stessa cosa che la qualità oggettiva, con l’unica differenza che il primo sarebbe l’aspetto soggettivo e la seconda l’aspetto oggettivo della manifestazione. I due si distinguono fenomenologicamente: è sufficiente in effetti prestare attenzione alla differenza tra l’aspetto sempre mutevole del rosso percepito (contenuto sensibile) e l’omogeneità del colore rosso della palla (qualità oggettiva). Ne deriva un significato equivoco del concetto di «manifestazione». La manifestazione può designare il vissuto che consiste nel manifestarsi dell’oggetto. Ma la manifestazione può anche riferirsi all’oggetto che si manifesta in quanto tale. Solo la manifestazione nel primo senso è pertanto una componente immanente del vissuto della manifestazione.
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Secondo significato di coscienza: la coscienza «interna» come percezione interna Un secondo concetto di «coscienza» caratterizza la coscienza interna che accompagna i vissuti attualmente presenti in quanto suoi oggetti. L’intenzione è detta «adeguata» quando l’oggetto da essa preso di mira è presente in essa «in carne ed ossa» (leibhaftig), cioè quando è colto esattamente così com’è e quando è effettivamente (reell) contenuto nella coscienza della percezione. Ne consegue che la percezione adeguata può essere soltanto percezione «interna». L’inverso è falso. Perciò conviene tracciare la differenza tra percezione adeguata (la percezione evidente dove vi è sovrapposizione tra l’oggetto e il vissuto) e la percezione interna (percezione dei propri vissuti dove non vi è necessariamente una tale sovrapposizione). Ora, il primo significato di coscienza ha la sua origine nel secondo. Il «nucleo» dell’Io (che viene percepito in maniera adeguata) è arricchito con tutto ciò che corrisponde al tempo immanente, che appartiene alla forma di presentazione del flusso di coscienza (o del «flusso dei vissuti»). (Nella prima edizione delle Ricerche Logiche, Husserl ha definito la «coscienza soggettiva del tempo» come «adombramento» delle «sensazioni di tempo (Zeitempfindungen)», la cui coscienza temporale presenta una forma che ingloba l’istante coscienziale, cioè una forma di vissuti che coesistono all’interno di un solo e medesimo punto temporale oggettivo19.) Così, la coscienza – interpretata come ciò che è percepito in maniera «interna» – si estende al concetto di «Io fenomenologico» che costituisce intenzionalmente l’Io empirico. Torneremo sulla coscienza «interna» (o «intima») nella seconda parte del prossimo capitolo. 19 Vedremo nel capitolo IV come Husserl renderà conto della costituzione della coscienza del tempo una volta abbandonata la concezione sviluppata nelle Ricerche Logiche.
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Terzo significato di coscienza: la coscienza come «atto» o «vissuto intenzionale» Il terzo significato di coscienza prende corpo al termine di una discussione con Brentano. Husserl sottolinea che la distinzione tra «fenomeni fisici» e «fenomeni psichici» in Brentano non permette, contrariamente a quanto quest’ultimo ritiene, di fondare la distinzione tra scienze naturali e psicologia. Non tutti i fenomeni psichici sono degli atti (Brentano ritiene infatti che tutti i fenomeni psichici siano intenzionali, quindi degli atti) e, all’inverso, un certo numero di fenomeni fisici, nel senso di Brentano, sono in realtà dei fenomeni psichici. Per Brentano, i fenomeni psichici sono caratterizzati dalla «inesistenza intenzionale dell’oggetto», cioè per il fatto che sono diretti verso, che si rapportano a un oggetto. Vi sono tre tipi di fenomeni psichici: le rappresentazioni, i giudizi e i «movimenti dell’anima» («i fenomeni dell’amore e dell’odio»). Husserl, da parte sua, concorda sul fatto che ci sono specifiche differenze sostanziali tra i vari rapporti intenzionali (o intenzioni): rappresentazioni oggettive, giudizi, valutazioni estetiche, aspettative, desideri, ecc. E pensa anche lui che non si tratta di domandare se questo o quel fenomeno (sentimento, ecc.) possieda o meno un carattere intenzionale, ma, al contrario, di sapere se questi fenomeni sono in effetti fenomeni psichici. Il carattere intenzionale fonda ultimamente un tipo di fenomeni psichici – quello del vissuto intenzionale o del suo sinonimo: l’atto. Ma – ed è in ciò che Husserl si distingue chiaramente da Brentano – vi sono altri fenomeni psichici che non sono intenzionali: le sensazioni. Le sensazioni, quantunque vissute, non sono prese di mira in una percezione20.
20 Lo schema secondo il quale le sensazioni sono apprese nella coscienza di un oggetto manifestantesi, si chiama «schema di apprensione/contenuto d’apprensione». Per un approfondimento della natura e della funzione di
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Husserl non accetta nemmeno l’altro principio essenziale di Brentano secondo cui tutti i fenomeni psichici sono rappresentazioni o sono fondati su rappresentazioni – e questo in ragione del fatto che il concetto di «rappresentazione» è ambiguo21. Husserl quindi sostituisce alla nozione brentaniana di «fenomeno psichico» quella di «vissuto» o di «atto intenzionale». E infine rifiuta l’idea secondo cui ogni fenomeno (vissuto intenzionale) sarebbe l’oggetto di una coscienza o di una percezione interna (tornerà su di esso alcuni anni più tardi). Prima di portare a termine l’analisi dell’atto intenzionale abbiamo ancora da caratterizzare altre due concezioni giudicate erronee da Husserl. Ecco le due tesi che egli con forza difende: in primo luogo, la relazione oggetto-coscienza non consiste in un’inclusione di due termini ritenuti entrambi immanenti, tanto l’uno quanto l’altro, come se un contenuto psichico ne «contenesse» letteralmente un altro. (In effetti, è la coscienza che ha uno statuto immanente, ma non l’oggetto che è puramente inteso). In secondo luogo, la relazione intenzionale non è una relazione «reale» (real). Nell’intenzione vengono vissuti gli atti e i componenti sensibili costitutivi degli atti, ma non l’oggetto intenzionale. Gli atti e i contenuti sensibili sono «effettivamente immanenti» alla coscienza, cioè sono presenti alla coscienza; al contrario, gli oggetti presi di mira, cioè gli oggetti intenzionali, non lo sono. La presenza del vissuto intenzionale implica eo ipso la relazione ad un oggetto trascendente (qui risiede, l’abbiamo visto, il senso dell’intenzionalità). E, naturalmente, un oggetto può essere preso di mira senza essere effettivamente esistente. Ad
questo schema, ci permettiamo di rinviare al capitolo I della sezione A della nostra opera Temps et phénomène, op. cit., p. 21-33. 21 Ritorneremo in seguito su questa importante affermazione.
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esempio: il dio Giove (che non esiste) o il castello di Berlino (che esisteva al tempo di Husserl)22. L’oggetto e la coscienza (l’Io) non entrano in una relazione «reale» (real). L’Io non è parte integrante del vissuto. Nella descrizione il rapporto all’Io è essenziale; ma la descrizione non è possibile che nell’ambito di una riflessione oggettivante (cfr. il capitolo seguente) che modifica il vissuto stesso. Si opera così un cambiamento descrittivo essenziale a seguito del quale non viviamo più nell’atto (dove l’Io non appare), ma dirigiamo la nostra attenzione e portiamo il nostro giudizio su questo atto. Da quanto precede bisogna ricordare che, invece dell’espressione brentaniana «fenomeno psichico», Husserl utilizzerà quindi il termine «vissuto intenzionale» o «atto». La nozione di «intenzione» non implica alcuna attenzione. L’intenzione può essere utilizzata in senso ampio – in questo caso designa tutti gli atti, siano essi signitivi o di riempimento – o in senso stretto – in tal caso riguarda solo gli atti signitivi. Va notato che il concetto di «atto» non comporta un’attività (actus). Husserl concorda qui con la posizione di Natorp. I due autori rifiutano la «mitologia delle attività». Gli atti non sono attività psichiche, ma vissuti intenzionali. Riprendiamo, a guisa d’illustrazione, il nostro esempio sulla percezione visiva di una palla rossa. «Viviamo» diversi contenuti sensibili, e tuttavia vediamo una sola e la stessa palla. Non si può pertanto identificare il contenuto vissuto e l’oggetto percepito. Ciò non impedisce il fatto che «viviamo» direttamente questa coscienza di identità, la quale appartiene alla sfera vissuta, alla sfera dei vissuti. Cosa fonda questa coscienza di identità? Husserl
22 La stessa cosa vale ugualmente per i vissuti intenzionali fondati su queste rappresentazioni (per esempio: un giudizio sul castello di Berlino, ecc.).
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risponde che è l’apprensione responsabile dell’identità dell’oggetto: diversi tipi di contenuto d’apprensione sono appresi (o «appercepiti») secondo un senso identico (in «demselben Sinne»); questa apprensione è un carattere del vissuto (Erlebnischarakter) in virtù del quale «l’oggetto esiste per me». La coscienza d’identità è compiuta grazie al fatto che prendo coscienza che, ogni volta, delle identità vissute si riferiscono alla stessa cosa. A sua volta questa presa di coscienza dipende da un atto il cui correlato oggettivo risiede proprio in questa identità. È quindi evidente che si deve distinguere tra i contenuti (le sensazioni presentanti (darstellende)) e gli atti di apprensione e, d’altronde, che l’atto concreto di percezione consiste nell’unità di queste apprensioni e di questi contenuti d’apprensione. Oppure, per riprendere ancora una volta l’esempio dell’espressione (cfr. la Prima Ricerca Logica): la differenza tra un’espressione e un semplice suono acustico dipende dai caratteri dell’atto. Qualsiasi differenza logica si costituisce così negli atti logici (cioè nelle intenzioni). L’appercezione è allora «l’eccesso», nei confronti del vissuto, riguardo al suo contenuto descrittivo, in rapporto all’esistenza nuda della sensazione. Gli atti e i contenuti degli atti sono vissuti, ma non lo sono oggettivamente. Gli oggetti si manifestano, ma, l’abbiamo detto, non sono vissuti – che si tratti di una percezione, di un’immaginazione, ecc. È chiaro anche che ci sono diversi «modi di coscienza», varie relazioni intenzionali con l’oggetto – e ciò sulla base dell’oggetto rappresentato. Esempi: percezione, presentificazione, coscienza d’immagine, coscienza di segno, ecc. Su quest’ultimo punto Husserl si oppone a Natorp per il quale «ogni ricchezza, ogni diversità della coscienza dipende esclusivamente dal contenuto»: l’errore commesso dal neo-kantiano risiede, secondo Husserl, nel fatto che egli non distingue in maniera sufficientemente rigorosa tra i diversi significati di «coscienza» e di «contenuto».
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Il contenuto dell’atto intenzionale Chiarito così il concetto di «atto», ora possiamo rivolgerci al contenuto dell’atto. La prima fondamentale distinzione a tal proposito è quella tra il contenuto «reell» e il contenuto «intenzionale» di un atto. Il contenuto reell di un atto designa l’insieme dei vissuti (o vissuti parziali) che lo costituiscono in maniera effettiva (o immanente) (cfr. § 11 della Quinta Ricerca): vale a dire, in particolare, i dati o contenuti sensibili (che sono vissuti anche se non sono intenzionali) e gli atti che li «apprendono» o li «animano»23. Al contrario, il contenuto intenzionale di un atto – che concerne la «specificità» dei vissuti intenzionali (o degli atti) in quanto tali – non è (ma solamente, l’abbiamo visto, secondo la concezione di Husserl prima della «svolta trascendentale») immanente alla coscienza. Husserl distingue quindi tre concetti di «contenuto intenzionale»: L’oggetto intenzionale dell’atto; La materia intenzionale dell’atto (in contrasto con la sua qualità intenzionale); L’essenza intenzionale dell’atto, dove occorre distinguere ancora tra a) l’essenza «rispetto al significato» e b) l’essenza «rispetto alla conoscenza».
Il contenuto intenzionale come oggetto intenzionale Un primo significato del concetto di «contenuto intenzionale» riguarda l’oggetto intenzionale. Esso trascende la sfera della coscienza – il che significa che non è un contenuto immanente (tranne nel caso di una percezione interna adeguata). Ciò non implica, tuttavia, che l’atto intenzionale si rapporti necessariamente ad un oggetto trascendente; l’oggetto intenzionale può 23 A proposito di questa distinzione, cfr. anche il § 97 di Ideen I.
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essere proprio il correlato oggettivo di un atto che intenzionalmente si riferisce ai propri vissuti attuali: in questo caso, l’abbiamo visto, l’oggetto intenzionale può in effetti trascendere la sfera propriamente immanente della coscienza – si pensi ad esempio agli oggetti di un sogno, o anche alle motivazioni ultime di taluni atti che non ci spieghiamo, ecc. Per questo significato del contenuto intenzionale, è necessario procedere inoltre ad un’altra distinzione: quella tra l’oggetto così come esso è inteso (l’oggetto «nel suo come»), da un lato, e l’oggetto, che è inteso, in senso «assoluto», dall’altro. Ad esempio, le espressioni «il vincitore di Jena» e «il vinto di Waterloo» rappresentano ciascuno in modo diverso «Napoleone». In connessione con la precedente distinzione, può essere fatta quest’altra distinzione (più importante ancora) tra l’oggettività intenzionata da un atto composto e gli oggetti intenzionati dagli atti parziali, costitutivi di questo atto composto. Per esempio, nell’atto composto «il coltello sul tavolo» (composto da «il coltello» e «(essere) sul tavolo»), il coltello è l’oggetto dell’atto completo e il tavolo quello dell’atto parziale. Ma si possono anche guardare le cose da un diverso punto di vista: l’oggetto composto del giudizio non è il coltello, ma «lo stato di cose (Sachverhalt)» per cui il coltello è sul tavolo – che si tratti di un giudizio di percezione, di un desiderio, di un ordine, di una domanda, ecc., l’oggetto (questo stato di cose) rimane ogni volta identicamente lo stesso. Husserl evita di utilizzare l’espressione «contenuto intenzionale» per questo significato; piuttosto riserva per esso l’espressione «oggetto intenzionale» dell’atto corrispondente.
Materia intenzionale e qualità intenzionale Husserl distingue inoltre tra la qualità dell’atto e la materia dell’atto. Qualità dell’atto è il carattere generale dell’atto che
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indica se si tratta di una rappresentazione, di un giudizio, di un sentimento, di un desiderio, ecc. La materia dell’atto si riferisce, in prima approssimazione, al «contenuto» dell’atto – ciò di cui la rappresentazione è rappresentazione, l’immaginazione immaginazione, ecc.24 Quando si dice «7 + 5 = 12» e «nel 2006 viene celebrato il 250° anniversario di Mozart», la qualità dell’atto è identica (si tratta in entrambi i casi di un’asserzione), ma la materia dell’atto è diversa (il contenuto espresso dal primo atto si distingue ovviamente da quello espresso dal secondo). Al contrario, la rappresentazione secondo la quale «il pianeta Marte è abitato da esseri intelligenti», la domanda «il pianeta Marte è abitato da esseri intelligenti?», l’asserzione «il pianeta Marte è abitato da esseri intelligenti», il desiderio «che il pianeta Marte possa essere abitato da esseri intelligenti», ecc. sono atti la cui qualità è differente ma il cui materiale è identico. Quando il materiale intenzionale è lo stesso, l’oggettualità intenzionale lo è ugualmente: è lo stesso «stato di cose (Sachverhalt)», che è rappresentato nella rappresentazione, interrogato nella domanda, augurato nel desiderio, ecc. Ma in realtà questa caratterizzazione (identità rispetto all’oggettualità intenzionale) è insufficiente. Infatti, fenomenologicamente parlando, l’oggettualità trascende l’atto (l’atto può avere di mira un oggetto che non esiste). Quello che conta è che l’atto sia diretto sull’oggettualità – che essa esista o meno. Ed è questa modalità di relazione all’oggetto (diese Weise der gegenständlichen Beziehung) che determina la materia intenzionale in modo decisivo e univoco. Il fatto di rapportarsi ad un oggetto caratterizza specificatamente l’atto: qualsiasi atto (qualsiasi vissuto intenzionale) che ha questa caratteristica è chiamato esattamente per definizione «vissuto intenzionale». Ogni differenza riguardante la
24 Vedremo che la materia dell’atto concerne in realtà la maniera in cui ci si rapporta all’oggetto.
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modalità di rapporto all’oggetto è una differenza rispetto ai vissuti intenzionali corrispondenti. Secondo questa descrizione, l’atto sarebbe quindi caratterizzato dalla sua qualità e dal suo modo di rapportarsi all’oggetto. Ma questa caratterizzazione (che è in ogni caso corretta) può ancora dar luogo ad un malinteso. Due atti che hanno la stessa qualità e che prendono di mira lo stesso oggetto possono ancora differire: «stella del mattino» e «stella della sera» sono due rappresentazioni (della stessa qualità) che prendono di mira lo stesso oggetto (Venere), ma esprimono un contenuto distinto: la materia è l’identità non già semplicemente rispetto alla relazione all’oggetto, ma, essenzialmente, rispetto al modo in cui l’atto prende di mira l’oggetto (ciò corrisponde precisamente al «senso» in Frege25). La materia non determina solamente il fatto che l’atto apprende un oggetto, ma anche come cosa (als was) lo apprende. La materia è il senso dell’apprensione oggettiva (der Sinn der gegenständlichen Auffassung), o ancora il senso di apprensione (Auffassungssinn) (si vede dunque la vicinanza con Frege che definisce anche lui il «senso» in questo modo). La stessa materia non può mai dar luogo a diversi rapporti oggettivi; al contrario, come abbiamo visto, materie differenti possono dare origine ad una stessa relazione oggettiva. Qualità e materia sono dei momenti astratti dell’atto che non sono indipendenti fra loro. Non vi può essere alcuna qualità senza materia, così come non c’è nessuna materia senza qualità. Riassumendo, possiamo quindi dire che l’atto è da un lato caratterizzato dalla qualità (la dimensione della «forza» in Frege) e dall’altro, dalla materia, che corrisponde al «senso
25 Cfr. il suo celebre articolo «Über Sinn und Bedeutung» (1892).
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di apprensione»: è ciò che conferisce la relazione all’oggetto – non a ciò che dipende dall’oggettualità in generale (das Gegenstandliche überhaupt), ma che stabilisce quale oggetto è appreso così come il modo in cui è appreso (il «senso» in Frege). Al contrario, l’oggetto stesso (il «significato» in Frege) trascende l’atto.
L’essenza intenzionale «rispetto al significato» Husserl chiama «essenza intenzionale» l’unità dei due componenti essenziali dell’atto (precedentemente esposti) quali la qualità e la materia dell’atto. Notiamo che questa essenza intenzionale non è l’atto intenzionale nella sua concretezza poiché esistono atti con una stessa essenza intenzionale che tuttavia si differenziano per il loro contenuto descrittivo. L’essenza intenzionale degli atti signitivi è chiamata anche «l’essenza relativa al significato» (bedeutungsmäßiges Wesen) dell’atto. L’astrazione ideatrice (ideierende Abstraktion) dell’essenza intenzionale fornisce il significato nel senso ideale del termine26. Cosa significa «avere una stessa essenza intenzionale»? Si tratta di una triplice identità: 1) un’identità del «senso di apprensione» (e della qualità); (2) un’identità rispetto a ciò che, analiticamente, può essere enunciato a proposito dell’oggetto rappresentato; (3) un’identità rispetto al valore di verità. Quali sono le differenze a livello di contenuto descrittivo che possono ancora persistere in atti aventi una stessa essenza intenzionale? Uno stesso individuo può essere dato in momenti diversi. Ma anche molti individui possono essere dati in un stesso momento o in momenti diversi. E infine, nel caso di una
26 In rapporto a questo aspetto della definizione del significato, cfr. ancora la Quinta Ricerca Logica, Husserliana XIX/1, § 25, p. 453.
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rappresentazione di phantasia, ci possono essere anche differenze per quanto riguarda «l’apparizione di phantasia», cioè per quanto riguarda la «pienezza» e la «vivacità» dei contenuti sensibili27 che fondano gli atti (o, in relazione all’oggetto, differenze rispetto alla chiarezza e alla distinzione di questo ultimo)28. Ora, queste analisi descrittive servono a mettere in evidenza il modo in cui si costituisce l’identità di un oggetto (Husserl ritrova qui un risultato che Kant aveva già stabilito nella Deduzione delle categorie della prima edizione della Critica della ragion pura29). Husserl si domanda: che cosa si trova alla base di questa coscienza [dell’identità dell’oggetto]? Non sarebbe forse giusto rispondere che nei due casi ci sono diversi contenuti sensoriali, che sono però appresi, appercepiti nello «stesso senso» e che l’apprensione secondo questo «senso» è un carattere del vissuto che costituisce innanzitutto «l’esserci per me dell’oggetto»?30
L’apprensione è il «carattere d’atto» in virtù del quale l’oggetto ci si manifesta e questo, quindi, grazie all’animazione dei contenuti sensibili su cui è costruito questo atto. Ciò non esclude, 27 Cfr. il capitolo III. 28 Lo stesso vale per qualsiasi tipo di atti, ad esempio della percezione e delle rappresentazioni in cui rientrano sia la percezione sia la phantasia; ci può perfino essere un’identità rispetto all’essenza intenzionale tra una rappresentazione di percezione e una rappresentazione di phantasia (è il caso del ricordo dove la qualità delle due rappresentazioni è la stessa). 29 Cfr. su questo punto il nostro studio «Le problème du temps dans l’Analytique transcendantale», nell’opera collettiva Philosophie transcendentale et métaphysique selon Kant, a cura di M. Lequan, La librairie des Humanités, Paris, L’Harmattan, 2005, p. 115 ss. 30 Quinta Ricerca Logica, § 14, Husserliana XIX/1, p. 397; tr. it. p. 172 (traduzione modificata, N.d.T.).
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ma anzi esige che l’oggetto trascenda questo atto o, per dirla diversamente, l’oggetto (identico), che è preso di mira, non appare mai completamente, ma solo attraverso i molteplici «adombramenti» (Abschattungen)», cioè gli aspetti parziali o i profili in cui «si tratteggia».
L’essenza intenzionale «relativa alla conoscenza» Se ora si tiene conto anche della «pienezza (Fülle)» dell’atto31, cioè di quello che «riempie» l’intenzione di significato (riempimento che può essere analizzato rispetto al suo contenuto fenomenologico), arriviamo ad un concetto ancora più ampio di essenza intenzionale: vale a dire «l’essenza relativa alla conoscenza (erkenntnismäßiges Wesen)». Ciò che caratterizza questa pienezza è il «rappresentante (Repräsentant)», più precisamente: il contenuto che (rap)presenta l’oggetto in modo intuitivo. Nel caso della percezione sensibile questo rappresentante prende il nome di «sensazione», nel caso dell’immaginazione, Husserl lo chiama il «phantasma» (cfr. infra capitolo III)32. Ma questa pienezza non caratterizza i soli atti intuitivi: la forma di apprensione determina piuttosto il fatto che l’atto sia puramente signitivo, puramente intuitivo o misto. Husserl aggiunge, tuttavia, che il rappresentante dell’atto signitivo non lo è che in senso «improprio (uneigentlich)»33.
31 Le seguenti analisi costituiscono l’oggetto della Sesta Ricerca Logica. 32 Husserl chiama l’unità della materia dell’atto e della pienezza (astrazione fatta, dunque, dalla qualità dell’atto) la «forma della rappresentazione o dell’apprensione». Quest’ultima determina, prima della scoperta della «coscienza interna», la maniera in cui l’oggetto è intenzionato – per esempio in una intuizione percettiva, in una intuizione immaginativa o ancora in una intenzione puramente simbolica. 33 Sesta Ricerca Logica, § 55, Husserliana XIX/2, p. 699; tr. it. p. 472.
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La categorialità Vi è solo riempimento degli oggetti sensibili? Se la prima sezione della Sesta Ricerca Logica sviluppa in maniera molto dettagliata le procedure per il riempimento di un oggetto sensibile nella percezione, la seconda sezione menziona il carattere astratto di tale limitazione. Prendiamo un semplice esempio: l’enunciato «l’oro è giallo». Il riempimento di questo enunciato non riguarda solo la datità dell’oggetto «oro» e quella della proprietà «giallo», ma anche lo stato di cose dell’«essere giallo», caratteristico di questo metallo. «È» esprime un sovrappiù di riempimento rispetto a quello del contenuto del significato sensibile. Ciò solleva immediatamente la seguente questione: cosa riempie le componenti formali e categoriali del significato (nel nostro esempio: la copula «è»)? O per fare un altro esempio: cosa riempie l’identità nella proposizione «il vincitore di Jena è il vinto di Waterloo» (dove è chiaro che si può certamente percepire, di regola, i due personaggi, ma non la loro identità)? Le cose si fanno ancora più complesse se si considera un’altra distinzione. Non bisogna confondere, infatti, il riempimento delle forme categoriali (vedi esempi precedenti) con il relativo riempimento di un «intuizione ‘generale’ o ‘astrattiva’ (allgemeine oder abstraktive Anschauung)», con quello, quindi, di un contenuto materiale nella sua essenza universale (cioè con quello che, in Ideen I, rientrerà nel campo della «intuizione d’essenze (Wesenserschauung)»). Ciò che questi due generi di intuizioni categoriali hanno in comune è il loro carattere sintetico (cfr. § 52 della Sesta Ricerca Logica) – la qual cosa non può non turbare, naturalmente, chiunque è abituato al significato kantiano (e post-kantiano) di intuizione. Per capire perché Husserl è stato condotto ad estendere il concetto di riempimento oltre il riempimento sensibile è sufficiente notare che la forma categoriale di un’espressione non trova il relativo riempimento in alcuna forma di percezione
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sensibile, ma che, nella misura in cui è sempre messa in opera una forma di sintesi, essa deve essere accompagnata da un atto che «dà» e «costituisce» l’oggetto categoriale. Husserl può quindi distinguere la datità di un oggetto sensibile da quella di un oggetto categoriale ricorrendo esclusivamente alla modalità di costituzione, in un atto, di questi oggetti: mentre l’oggetto sensibile è costituito in un atto «semplice (schlicht)», l’oggetto categoriale si costituisce in un atto «categoriale», cioè in un atto che è fondato (fundiert) in altri atti (oggettivanti) che rinviano in ultima istanza ad un’intuizione sensibile. Se Husserl caratterizza l’intuizione categoriale come «soprasensibile (übersinnlich)»34, ciò non vuol dire non sensibile, ma edificantesi sulla (über) sensibilità. Ma è davvero giustificato chiamare il riempimento categoriale un’«intuizione»? Ciò si può dubitare e non solo per motivi di convenzione terminologica (dato che il termine «intuizione» per indicare un rapporto immediato, cioè semplice, all’oggetto). La difficoltà deriva dal fatto che Husserl chiama il categoriale un «oggetto» o una «oggettualità», mentre esso si costituisce soltanto nell’esecuzione di un atto sintetico35. Checché ne sia, disponiamo ormai degli elementi necessari per essere in grado di porre la questione della verità nella fenomenologia e, più in particolare, quella di una verità propriamente fenomenologica.
34 Sesta Ricerca Logica, § 45, Husserliana XIX/2, p. 672; tr. fr. p. 176. 35 Nel quadro della nostra ricerca non è necessario entrare nella discussione che si concentra sul «rappresentante» sensibile dell’intuizione categoriale (una concezione che Husserl ha sviluppato nel settimo capitolo della Sesta Ricerca Logica). È sufficiente notare qui che il famoso «legame psichico (psychisches Band)» evocato da Husserl – cioè la «forma psichica» che collega tra loro gli atti «fondanti (fundierend)» – è una costruzione che non è attestabile fenomenologicamente; ciò spiega anche perché Husserl abbia respinto tale concezione nella Prefazione alla terza edizione (1921).
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La verità Verità e evidenza La concezione tradizionale – e possiamo dire: vicina al senso comune – della teoria della verità (come adæquatio) ammette, come è ben noto, che vi è verità (di un enunciato, di un pensiero, ecc.) quando ciò che viene detto (o pensato, ecc.) della cosa è in adeguazione con la cosa stessa (veritas est adæquatio rei et intellectus). La proposizione «la palla è rossa» per esempio è vera, allorché si dia effettivamente il caso che la palla sia rossa. Ora, il problema di tale definizione – a prescindere dalla questione di sapere che cosa determina precisamente «il darsi effettivamente il caso» – è, tenuto conto del fatto che, in generale, i termini attraverso i quali si cerca di stabilire l’adeguazione sono di natura eterogenea (la «cosa» e lo «spirito», l’oggetto e il soggetto), che questa definizione presuppone in realtà ciò che dovrebbe stabilire: la verità non deriva dall’adeguazione, all’opposto ci può essere adeguazione solamente se si sa già ciò che deve essere messo in adeguazione e come metterlo in adeguazione – in altre parole, se si conosce già il vero. La teoria della verità intesa come adeguazione riposa quindi su una petizione di principio, appunto, a causa della diversa natura dei termini di questo rapporto. Ora, nella Sesta Ricerca Logica Husserl offre non solo una concezione della verità che evita questa difficoltà, ma sviluppa concetti differenti (e diverse concezioni) della verità di cui uno, in particolare (quello di verità categoriale), giocherà un ruolo determinante per la fenomenologia compresa come filosofia trascendentale. Ora, se Husserl certamente parte dalla concezione della verità intesa come adeguazione, la trasformerà subito in maniera fondamentale – per infine abbandonarla in modo definitivo. Vediamo innanzitutto in cosa consiste la trasformazione che egli introduce nella Sesta Ricerca.
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Husserl stabilisce che i due termini del rapporto di adeguazione, lungi dall’essere di natura eterogenea, devono avere lo stesso «contenuto», più precisamente: lo stesso contenuto «noematico». Il contributo decisivo dell’approccio fenomenologico consisterà quindi nel modo in cui si differenzia, «noeticamente», questo contenuto rispetto al modo in cui è dato – unico modo per poter realizzare concretamente, e in modo comprensibile, l’adeguatezza in questione. Ernst Tugendhat ha riassunto in maniera perfettamente chiara la concezione husserliana della verità. Qui possiamo perciò trarre ispirazione dalle sue analisi illuminanti36. La nozione di verità mette in atto lungo tutta la Sesta Ricerca due adeguazioni – in conformità, naturalmente, alla prospettiva correlativa, noetica e noematica, che caratterizza l’analisi intenzionale. Husserl chiama «adeguazione (Adäquation)» (in senso stretto, quindi) ciò che concerne il versante noetico e «corrispondenza (Übereinstimmung)» ciò che concerne il versante noematico della correlazione. L’adeguazione ricorre alla sintesi di sovrapposizione fra l’inteso, da un lato, e l’intenzione riempiente che le corrisponde perfettamente, dall’altro. Husserl chiama il vissuto di questa «sintesi perfetta di riempimento» «evidenza». Questa designa l’atto del darsi dell’oggetto, il riempimento della sua intenzione, o più precisamente: nell’evidenza, l’oggetto è dato esattamente come è stato innanzitutto intenzionato. E la verità (l’«essere, la verità, il vero37») si lascia allora definire come il correlato oggettivo dell’evidenza: è corrispondenza (Übereinstimmung) piena e intera – o anche «identità (Identität)» – tra ciò che è intenzionato e ciò che è
36 E. Tugendhat, Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger, op. cit., p. 92 ss. 37 Sesta Ricerca Logica, § 39, Husserliana XIX/2, p. 652; tr. it. p. 423.
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dato38. Nella misura in cui, in questo stesso passaggio, Husserl caratterizza inoltre l’evidenza come il vissuto specifico della verità, i due sensi dell’adeguazione si confondono nella nozione di evidenza39. Prima di arrivare agli altri concetti di verità, possiamo notare che la concezione che Husserl sviluppa dell’evidenza gioca un ruolo centrale nella sua comprensione del trascendentale40 (anche se questa comprensione ovviamente non ha potuto essere resa esplicita da Husserl nelle Ricerche Logiche). Infatti, bisogna sottolineare, con Tugendhat41, che l’evidenza, lungi dall’essere un sentimento che attesterebbe, per esempio, la verità di un giudizio a livello psicologico, non ha assolutamente nulla a che vedere con un dato psichico condizionato da una causalità empirica, e questo per il semplice motivo che la logica riguarda solo le condizioni ideali dell’evidenza e per nulla la genesi empirica dei «sentimenti» di evidenza. Se l’evidenza è il vissuto che ci mette in presenza della verità, tutta la questione è sapere come questo rapporto alla verità sia possibile e
38 Per questa definizione di verità, cfr. la fine del § 38 e l’inizio del §39 della Sesta Ricerca Logica. 39 Si noti che la verità non consiste nella datità in persona, in un atto individuale, di una cosa individuale, ma nella possibilità, per la cosa, di essere data in un atto che possiede la stessa essenza. Questo stato di cose spiega al contempo il motivo per cui vi sono verità «in sé» senza che siano necessariamente date in una conoscenza attuale: il fatto che ciò che è inteso sia anche dato rientra perciò nell’ambito di una possibilità ideale. 40 Husserl scrive in Logica formale e trascendentale che le «ricerche fenomenologiche» del secondo volume delle Ricerche Logiche «hanno aperto il cammino verso una fenomenologia trascendentale» (Husserliana XVII, p. 160) e che «è solo la comprensione [che si deve alle Ricerche Logiche così come all’approfondimento, su questo punto, in Ideen I] dell’essenza (e della problematica propria) dell’evidenza che ha reso possibile una rigorosa filosofia scientifica trascendentale» (ivi, p. 170). 41 E. Tugendhat, Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger, op. cit., p. 101 ss.
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che cosa lo legittima. Ora, la comprensione husserliana dell’evidenza è strettamente legata all’idea che egli si fa della verità stessa. Per Husserl, la verità è il correlato oggettivo dell’autodatità dell’oggetto – e l’evidenza non è nient’altro che questa «coscienza di una datità originaria»42. Pertanto l’evidenza non è un sentimento che si aggiunge all’atto in cui ci rapportiamo all’oggetto, non ha nulla di psichico, ma corrisponde semplicemente al carattere intuitivo dell’atto. Così dunque deve essere compresa l’espressione secondo cui «l’evidenza è il vissuto (Erlebnis) della verità». Husserl vede nella sua accezione di evidenza una «conversione ontologica dell’idea di evidenza»43 che aveva già effettuato alcuni anni prima, nel 1894, nel suo «Bericht über deutsche Schriften zur Logik»: essa consiste nell’idea che ciò che ci costringe ad ammettere come vero un giudizio non è affatto una circostanza di tipo causale (tale giudizio provoca tale sentimento di evidenza), ma la «cosa stessa» in quanto essa si dà in un atto intenzionale. Infine, va notato che questa concezione dell’evidenza come «coscienza di una datità originaria» rende innanzitutto possibile la distinzione tra un’evidenza adeguata e un’evidenza inadeguata (che diventerà centrale nelle Meditazioni Cartesiane e nella Logica formale e trascendentale) – e anche il fatto che la verità non è altro che un’«idea regolatrice». Questo punto è centrale perché invalida evidentemente un pregiudizio corrente sulla fenomenologia husserliana (pregiudizio che riguarda l’importanza accordata all’evidenza adeguata e apodittica nella fenomenologia in generale). In effetti, nel § 138 di Ideen I e nel § 60 di Logica formale e trascendentale, Husserl riconoscerà all’evidenza inadeguata – è già stato accennato nel
42 E. Husserl, Prolegomeni alla logica pura, Husserliana XVIII, § 51, p. 193. 43 E. Husserl, Terza Ricerca Logica, Husserliana XIX/I, § 7, p. 243; tr. it. p. 50 s.
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capitolo precedente – uno «stile di evidenza» specifico che determina un modo di datità dell’oggetto che è carente rispetto ad una datità adeguata, ma che non la priva perciò del suo carattere originario. Anche se una tale evidenza non può mai essere convertita in un’evidenza adeguata, è ancora valida in quanto intende quest’ultima come «idea regolatrice» (cfr. il § 143 di Ideen I), cioè come punto focale di evidenze inadeguate in concordanza (einstimmig) le une con le altre. E la carenza di questa evidenza inadeguata, rinviando sempre ad altre evidenze, può essere interpretata da Husserl, in modo positivo, come suscettibile di essere «perfezionata (vervollkommnet)» (cfr. il § 106 della Logica formale e trascendentale e il § 28 della Terza Meditazione Cartesiana) – cioè come conducente, precisamente, all’idea «nel senso kantiano del termine». Questa precisazione è importante perché dimostra come l’inadeguatezza possa persino avere una funzione positiva nella fenomenologia trascendentale husserliana. Accanto a questo primo concetto di verità – la corrispondenza o l’identità di ciò che è inteso e di ciò che è dato, dove l’accento è posto sull’ «oggettivo (das Gegenständliche)» che corrisponde all’atto di evidenza –, Husserl ne identifica altri tre nel § 39 della Sesta Ricerca Logica: in primo luogo, l’essenza, colta come idea, dell’atto di evidenza o «l’idea dell’adeguazione assoluta come tale»; poi, dal lato dell’atto che dà la «pienezza (Fülle)», la «pienezza ideale dell’essenza dell’intenzione»; e infine, sul lato dell’intenzione, la «giustezza (Richtigkeit)», cioè il fatto che l’intenzione (in specie) «si dirige verso (richtet sich nach)» l’oggetto vero. Tutti questi significati si riferiscono al rapporto tra l’intenzionato e il dato. Nel quadro della nostra indagine non è necessario svilupparli ulteriormente.
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Il concetto fenomenologico di verità D’altra parte nel § 46 – vale a dire non più nel capitolo che tratta in modo esplicito della verità, ma in quello che si occupa dell’intuizione categoriale – appare ancora (almeno implicitamente) un altro concetto di verità che si rivelerà cruciale, sotto il profilo metodologico, per la fenomenologia trascendentale e a cui il § 62 arrecherà a sua volta preziose indicazioni. In primo luogo includiamo un passaggio molto importante del § 46 della Sesta Ricerca Logica: Ogni atto della semplice percezione può […], da solo oppure insieme ad altri atti, fungere come atto di base di nuovi atti da cui esso è incluso o anche soltanto presupposto e che, nella loro nuova modalità di coscienza (Bewusstseinsweise), danno luogo (zeitigen) al tempo stesso ad una nuova coscienza di oggettualità (Objektivitätsbewusstsein) che presuppone per essenza la coscienza originaria. Quando intervengono (sich einstellen) i nuovi atti di congiunzione, di disgiunzione, di apprensione singolare determinata ed indeterminata (questo – qualcosa), di generalizzazione, di conoscenza semplice, relazionale e connettiva, non sorgono (entstehen) così vissuti soggettivi qualsiasi, e neppure atti associati a quelli originari, ma atti che […] costituiscono nuove oggettualità; sorgono atti in cui qualcosa appare come effettivo (wirklich) e come dato in se stesso (selbst gegeben), in modo tale che la stessa cosa che qui si manifesta così come si manifesta (dasselbe, als was es hier erscheint) non era e non poteva essere ancora data soltanto negli atti fondanti (fundierende Akte). D’altro lato, questa nuova oggettualità si fonda sulla precedente; essa ha una relazione oggettuale (gegenständliche Beziehung) con l’oggettualità che si manifesta negli atti di base (Grundakte). Il suo modo di manifestarsi è essenzialmente determinato da questa relazione. Si tratta qui di una sfera di oggettualità che possono giungere a manifestarsi «in persona (selbst)» soltanto in atti fondati di questo genere.
120 In tali atti fondati risiede l’aspetto categoriale dell’intuire e del conoscere, in essi il pensiero enunciativo, quando funge (fungiert) come espressione, trova il proprio riempimento: la possibilità di un’adeguazione completa a questi atti determina la verità dell’enunciato come sua giustezza (Richtigkeit).44
Husserl tenta qui di rendere conto di ciò che fonda la percezione categoriale. Essa è fondata nella percezione sensibile – Husserl non negherà mai il collegamento, la «relazione oggettiva (gegenständliche Beziehung)», con gli oggetti che si danno in maniera sensibile. Ma – ed è qui la cosa principale – la percezione categoriale dà luogo nondimeno a nuovi atti veicolanti nuove oggettualità (vale a dire, per l’appunto, le oggettualità categoriali). La difficoltà consiste qui nel verbo «dare luogo (zeitigen)»: si tratta di una produzione puramente soggettiva o di una semplice costruzione, esteriore, su delle oggettualità fondate? L’importanza del passo citato risiede nel fatto che Husserl cerca di rendere conto di due cose (e si potrebbe dire che è in questo che egli fonda la concezione di una «verità fenomenologica»): nella misura in cui ciò che qui «sorge» è un atto, cioè qualcosa di soggettivo (con il suo correlato, la «nuova oggettualità»), vi è una genesi che è effettivamente soggettiva; ma, al contempo, Husserl si affretta a sottolineare che non si tratta qui di vissuti puramente soggettivi (casuali, fittizi), ma che essi dipendono da una oggettualità che li lega sempre a ciò che li fonda. La percezione categoriale, quindi, mette in atto, come nota a giusto titolo Dan Zahavi, «le condizioni dell’auto-manifestazione (Selbsterscheinung), grazie al nostro atto, dell’oggetto»45. Ora, questi due aspetti della 44 Sesta Ricerca Logica, § 46, Husserliana XIX/2, p. 674 s.; tr. it. p. 448 s. (traduzione modificata, N.d.T.). 45 D. Zahavi, Intentionalität und Konstitution. Eine Einführung in Husserls Logische Untersuchungen, Copenhagen, Museum Tusculanum Press, 1992, p. 90 (sottolineature nostre).
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caratterizzazione della percezione categoriale – da un lato, la nascita di atti costitutivi di «nuove oggettualità» e, dall’altro, il ricongiungimento ad una necessità «fondante (fundierend)» – rappresentano perciò essenzialmente l’approccio costruttivo in fenomenologia (evidenziato nel capitolo precedente). Di conseguenza, è del tutto legittimo riconoscere – in queste analisi, quindi, di una «verità fenomenologica» – la bozza di quello che verrà chiamato quasi tre decenni più tardi la «costruzione fenomenologica».
La verità categoriale Ma questo passo ha ancora un altro interesse. Rispondendo alla domanda di sapere quali sono qui le parole da mettere in adeguazione, Husserl fornisce elementi per capire come abbia abbandonato – in modo definitivo, questa volta – la concezione tradizionale della verità intesa come adeguazione. Infatti l’«adeguazione», qui, non è semplicemente un’adeguazione rispetto a contenuti esclusivamente sensibili – altrimenti, la percezione categoriale non si distinguerebbe in alcun modo dalla percezione sensibile. Quindi ci si può chiedere che cosa è allora ad essere in adeguazione, ammesso che la verità si definisce come corrispondenza tra ciò che è intenzionato e ciò che è dato (cfr., supra, il primo concetto di verità)? E – soprattutto – bisogna domandarsi che cosa è esattamente «l’essere, la verità, il vero» (cfr. il terzo concetto di verità) con il quale l’intenzionato deve essere in adeguazione? «Con cosa può essere in adeguazione l’intenzionato, se l’‘oggetto’ categoriale ‘stesso’ si costituisce innanzitutto solo nell’atto intuitivo?»46 Come lo sottolinea l’importante § 62, nel concetto «più esteso» di verità
46 E. Tugendhat, Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger, op. cit., p. 130 (sottolineature nostre).
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qui in gioco (che può essere chiamato la «verità categoriale»47) «si manifesta eo ipso un certo legame (Gebundenheit)». Questo «legame», e qui si trova confermato quello che Husserl aveva prima delineato nel § 46, è innanzitutto il sensibile (la «materia (Stoff)») che fonda il categoriale. Ma bisogna essere più precisi: non tanto il sensibile in quanto formato da una sola forma categoriale, ma in conformità all’essenza delle forme categoriali considerate nel loro rapporto reciproco. Questa essenza generale delle forme categoriali determina a priori la maniera in cui si effettua la messa in forma della materia sensibile. Si tratta di «leggi analitiche»48 che qui ne determinano le possibilità e impossibilità. Ora, ciò che rende originale la posizione – fenomenologica – di Husserl, è che la determinazione formale del sensibile, grazie a queste leggi analitiche a priori, non si verifica in virtù di un’applicazione acritica (dogmatica) di leggi logiche al reale. Al contrario, per Husserl queste leggi analitiche sono esse stesse basate sull’intuizione categoriale! Come lo precisa nel § 63, questa intuizione non è un’intuizione intellettuale speculativa, ma esprime l’idea – decisiva – che la determinazione del sensibile dipende dal completamento (Vollziehen) del suo significato in un’intuizione di riempimento. Precisiamo questo punto assolutamente capitale. Nel § 63, Husserl espone come, nella sfera del «significato semplice» (che lui chiama anche del «pensiero in senso improprio (uneigentliches Denken)»), siamo liberi rispetto ai limiti che potrebbero esserci imposti dalle leggi categoriali: «Nella formazione e nella trasformazione categoriali in senso impro-
47 Husserl utilizza questo termine una sola volta – e ciò, abbastanza più tardi, in Logica formale e logica trascendentale. Riprendiamo questo termine da Tugendhat (che parla, in questo caso, di una «verità categoriale empirica»). 48 Sesta Ricerca Logica, § 62, Husserliana XIX/2, p. 718; tr. it. p. 489.
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prio noi siamo liberi, soltanto a patto di non agglomerare i significati in modo insensato»49. Husserl continua: Ma se vogliamo tener lontano anche il controsenso formale e reale (real), si riduce notevolmente l’ampia sfera del pensiero in senso improprio, di ciò che può essere significativamente connesso. Si tratta ora della possibilità oggettiva dei significati complessi, quindi della possibilità del loro adeguamento (Anpassung) ad un’intuizione che li riempie in quanto unità nella loro totalità. Le leggi pure di validità dei significati, della possibilità ideale della loro traduzione intuitiva adeguata (angemessene Veranschaulichung), si sviluppano palesemente in un parallelismo con le leggi pure che regolano la connessione e la trasformazione delle forme categoriali propriamente dette.50
Cos’è che rende allora possibile questa adeguazione dei significati all’intuizione di riempimento? È la realizzazione del significato, realizzazione che risponde quindi del riempimento di quest’ultimo. Pertanto sembra che Husserl non si accontenti affatto del criterio della non-contraddizione dei significati formali: in più occorre che si aggiunga, ripetiamolo, la loro realizzazione effettiva che sola ci consegna la chiarezza intuitiva per quanto riguarda questo o quel rapporto categoriale. Che cosa possiamo dedurne riguardo allo statuto del concetto di verità che si cristallizza nelle analisi precedenti? Husserl trasforma in sostanza la verità intesa come adeguazione: la forma categoriale non è adeguazione con un’entità preesistente (per esempio un materiale sensibile), piuttosto – e questo è il punto decisivo – con la possibilità, per questa forma, di essere
49 Sesta Ricerca Logica, § 63, Husserliana XIX/2, p. 723; tr. it. p. 495 (traduzione modificata, N.d.T.). 50 Ivi; tr. it. p. 495 s. (sottolineature nostre).
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realizzata! Ma nella misura in cui ciò a cui la forma si rapporta non si costituisce che in questa realizzazione stessa51, non si può più veramente parlare di una adeguazione tra due termini di una relazione. E ciò che è ancor più notevole è che Husserl stesso riconosce questa «possibilità di essere compiuto (Vollziehbarkeit)» come una condizione di possibilità: «nelle leggi del pensiero ‘in senso proprio (eigentlich)’ si radicano nuove leggi […], le quali […] esprimono […] le condizioni ideali di una verità possibile in generale (= giustezza (Richtigkeit) in generale), cioè le condizioni ideali della compatibilità ‘logica’ (purché riferita ad una adeguazione possibile)»52 nella sfera di ciò che è intenzionato. Quello che distingue queste «condizioni di possibilità» da quelle esposte da Kant nella Critica della ragion pura – e ciò che distingue, pertanto, come l’abbiamo già sviluppato nel capitolo precedente, il trascendentale husserliano dal trascendentale kantiano – è che nell’intuizione categoriale – lungi dall’essere condizioni puramente logiche – esse si attestano fenomenologicamente. Husserl sottolinea questa differenza modificando in questo modo una famosa citazione della prima Critica: «le condizioni ideali di possibilità dell’intuizione categoriale in generale sono correlativamente le condizioni di possibilità degli oggetti dell’intuizione categoriale, e della possibilità di oggetti categoriali sic et simpliciter»53. 51 Cfr., su questo punto, la corretta interpretazione (a nostro avviso) di E. Tugendhat, che riportiamo qui per esteso, in Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger, op. cit., p. 133 et 135. 52 Sesta Ricerca Logica, § 64, Husserliana XIX/2, p. 727 s. (sottolineature nostre); tr. it. p. 499 s. (traduzione modificata, N.d.T.) 53 Sesta Ricerca Logica, § 62, Husserliana XIX/2, p. 718 s.; tr. it. p.491. Tugendhat commenta questo passaggio del § 62 in maniera pertinente quando scrive che, per «Husserl, il concetto fondamentale caratteristico dell’a priori è quello della possibilità. Necessità e possibilità non sono valide che in certe condizioni, mentre certe possibilità sono presupposte senza essere a loro volta necessarie», Der Wahrheitsbegriff bei Husserl und Heidegger, op. cit., p. 134.
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Nelle Ricerche Logiche Husserl ha privilegiato l’analisi intenzionale della coscienza percettiva. Nel Corso – estremamente importante – del 1904/1905, la cui quarta parte costituisce le famose Lezioni per una fenomenologia della coscienza interna del tempo, Husserl espone nella terza parte la sua fenomenologia dell’immaginazione e della phantasia che arricchisce notevolmente l’analisi della sfera immanente della coscienza. Vediamo ora quello che la lettura di questa terza parte (così come di altri testi, più tardivi, sulla coscienza immaginante) ci insegna in più riguardo la concezione husserliana del primo livello dell’analisi intenzionale e quali sono gli elementi primi «costruttivi» che già è possibile rivelare (perlomeno in modo implicito).
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Capitolo terzo L’immaginazione e la phantasia
Tradizionalmente1 la coscienza di percezione (Wahrnehmungsbewusstsein) viene presentata come il modello paradigmatico della coscienza, come il punto di partenza e il punto di riferimento di qualsiasi analisi intenzionale. Ma non è stato ancor prima Eugen Fink a stabilire nella sua dissertazione2 che è piuttosto la coscienza immaginante che, lungi dall’essere una semplice modalità derivata dalla prima, stabilisce, in verità, i diversi modi in cui la coscienza si rapporta all’oggetto – così che le analisi relative all’immaginazione (e alla phantasia) rimettono fondamentalmente in causa la priorità dell’intenzionalità della percezione rispetto a tutte le altre forme di rapporti intenzionali? E ciò non significa al tempo stesso una rimessa in discussione – che trascina con sé gravi conseguenze – del primato della coscienza oggettivante in generale?
1 È innanzitutto e soprattutto il caso di Maurice Merleau-Ponty nella Fenomenologia della percezione. Cfr. anche Gérard Granel, Le sens du temps et de la perception chez E. Husserl, Paris, Gallimard, 1968. 2 «Vergegenwärtigung und Bild», in Studien zur Phänomenologie 19301939, Phaenomenologica 21, Den Haag, Martin Nijhoff, 1966.
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In questo capitolo si tratterà di presentare la concezione husserliana relativa alle due forme fondamentali della coscienza immaginante: l’immaginazione (la coscienza d’immagine) e la phantasia (Phantasie), così come sono analizzate nella terza parte del corso del 1904-1905 e nei testi riuniti in un importante volume della Husserliana sulla phantasia, la coscienza d’immagine e il ricordo3. Il contributo fondamentale della fenomenologia di Husserl consiste nel chiarimento della temporalità specifica della coscienza immaginante (in queste due forme). Vedremo che questo non vuol semplicemente dire che ciascuna di queste forme possiederebbe una temporalità propria, ma che, al contrario – un fatto che illustra bene la posizione propriamente fenomenologica di Husserl – è la modalità temporale della coscienza che rende possibile in primo luogo la maniera in cui essa si rapporta all’oggetto, conformemente a queste due forme. Si possono distinguere due momenti decisivi nello sviluppo della fenomenologia husserliana della coscienza immaginante: il Corso del 1904-1905 e alcuni testi della fine degli anni Dieci del Novecento. In questo corso (pubblicato come testo Nr. 1 di Husserliana XXIII), Husserl si accorge, in generale, della specificità della coscienza immaginante in rapporto ad ogni intenzione di significato così come rispetto alla coscienza dei segni, ed espone, in particolare, le due forme di coscienza immaginante che abbiamo appena menzionato. Alcuni anni dopo, tornando su questa stessa problematica, Husserl stabilirà quindi che la coscienza immaginante in realtà comporta uno specifico «sdoppiamento riproduttivo» che si distingue tanto dal ricordo quanto dalla coscienza dell’altro. Diamo un’occhiata ora da vicino come, mano a mano, Husserl accede
3 Il testo di riferimento è il volume XXIII dell’Husserliana: Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung (1898-1925), E. Marbach (ed.), Den Haag, M. Nijhoff, 1980.
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a queste conquiste fondamentali per l’analisi della coscienza intenzionale in generale. Cosa significa «immaginarsi» qualcosa – un oggetto, una cosa, qualsiasi contenuto di pensiero? Ci si immagina qualcosa, si direbbe senza dubbio spontaneamente, quando si pensa a questa o quella cosa che ci si figura nella mente (laddove è senza alcuna importanza sapere anche se questa cosa esiste davvero oppure no). Ma «pensare a (denken an)» non è affatto equivalente a «pensare (denken)» – Husserl, discepolo di Brentano4, ha messo del tempo ad accorgersene ed a lasciare le orme che erano state prima tracciate dal suo maestro – anche dopo aver già preparato le basi delle proprie elaborazioni fenomenologiche. A tal proposito, nel capitolo precedente abbiamo visto che Husserl ha stabilito nelle Ricerche Logiche (1900/1901) la distinzione fondamentale tra due tipi di intenzioni (o di rapporti all’oggetto): le intenzioni di significato (o intenzioni signitive) e le intenzioni di riempimento (o intenzioni riempienti). Mentre le prime costituiscono, nella (semplice) intenzione dell’oggetto, il significato di ciò a cui si rapporta la coscienza, le ultime – che sono solo intuitive – costituiscono il rapporto effettivo all’oggetto (nell’atto intuitivo di riempimento l’oggetto appare e si dà «in carne ed ossa»). Anche se Husserl abbandona in modo implicito, attraverso questa distinzione, il dualismo kantiano tra il sensibile e l’intellettuale, tra la sensibilità e l’intelletto (o meglio pone questa distinzione su una nuova base), è tuttavia chiaro che l’intenzione signitiva dipende dal «pensato» e il riempimento – in ogni caso quando si tratta della percezione di un oggetto trascendente – da qualcosa di intuito in maniera «sensibile» (che tuttavia non significa affatto che questi due tipi di intenzioni 4 Cfr. Franz Brentano, Grundzüge der Ästhetik, F. Mayer-Hillebrand (ed.), Bern, Francke Verlag, 1959.
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si ridurrebbero a queste sole determinazioni). Pertanto, solo un piccolo passo sembra necessario per fare dell’oggetto, intenzionato in un atto immaginante (dove l’oggetto è assente), qualcosa di semplicemente «pensato» e classificare l’immaginazione tra le intenzioni signitive. Un altro modo di considerare gli atti immaginanti consiste nell’equipararli ad una forma di coscienza d’immagine. Infatti, se l’immaginazione si rapporta ad un oggetto assente, allora, quello che in questa immaginazione è «presente» alla «mente» potrebbe essere considerato come un segno esteriore (presente) che rinvia all’oggetto (non presente). Per tale motivo Brentano comprende l’immagine precisamente come un analogon del segno che si riferisce ad un oggetto assente. Ora, a partire dal 1900/1901 – e soprattutto dal 1904/1905 – Husserl procede a due chiarimenti decisivi che lo allontaneranno permanentemente dalle elaborazioni brentaniane. Il primo riguarda lo statuto «sensibile» della coscienza immaginante e il secondo quello del «rappresentante» della coscienza immaginante (che d’ora in poi non sarà più concepito come un’immagine esterna). Husserl scopre – un’acquisizione che data già dalle Ricerche Logiche – che la coscienza immaginante non ha nulla di un’intenzione signitiva, ma è una coscienza intuitiva e sensibile. Così, accanto alla scoperta, fin dalla Prima Ricerca Logica, della datità intuitiva dell’oggetto nei termini di atto di riempimento, nelle sue analisi intenzionali Husserl si rende conto (nella Sesta Ricerca Logica e in seguito nel Corso del 1904/1905) di una seconda novità radicale: vale a dire appunto del fatto che la coscienza immaginante dipende dall’intuizione sensibile e in nessun modo dal pensiero. Ecco, dunque, il nuovo terreno su cui si giocherà d’ora in poi ogni analisi dell’immaginazione (e della phantasia). Se certamente Husserl non abbandona l’idea (di origine brentaniana) che la coscienza immaginante sia la modificazione
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di una coscienza percettiva (ci torneremo), tuttavia cambia completamente concezione rispetto al rappresentante (o al portatore) della coscienza dell’immaginazione. Mentre per Brentano l’immaginazione si spiega quindi con un rinvio partes extra partes da un segno presente ad un oggetto assente, Husserl interiorizzerà il portatore della coscienza immaginante all’interno stesso di quest’ultima. (Così riconduce qui su un piano diverso la sua famosa confutazione della Bildertheorie nell’Appendice al capitolo secondo della Quinta Ricerca Logica.) Vediamo ora in maniera più precisa come questi cambiamenti si effettuano concretamente nel Corso del 1904/1905.
Immaginazione e phantasia L’obiettivo fondamentale della terza parte del Corso del 19041905 consiste nel chiarimento della specifica intenzionalità della coscienza immaginante. Questo chiarimento svelerà la differenza temporale tra i diversi tipi di coscienze immaginanti. La nostra analisi si effettuerà in due tempi: per prima cosa verificheremo l’applicabilità dello schema apprensione/ contenuto di apprensione per la costituzione di un oggetto immaginato o figurato nella phantasia. La domanda che si porrà allora è quella di sapere se la differenza tra percezione, immaginazione e phantasia dipende dalla differenza tra gli atti di apprensione o da quella tra i contenuti di questi atti. In un secondo tempo si procederà con l’analisi temporale propriamente detta della coscienza immaginante. Il primo merito della fenomenologia husserliana della coscienza immaginante risiede nell’identificazione di diversi tipi di coscienza immaginante. Ciò che li caratterizza è che mettono in atto dei vissuti che sono presentificanti (vergegenwärti-
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gend) – vale a dire che rendono (di nuovo) presente ciò che è stato in precedenza, ma che ora è assente –, e che si oppongono chiaramente ai vissuti presentanti (gegenwärtigend) della percezione, i quali danno un’oggettualità in modo originario. I due tipi fondamentali di coscienza immaginante sono l’immaginazione e la phantasia (Phantasie). Ciò su cui si basa la loro differenza è la maniera in cui «mettono in immagine (verbildlichen)» l’oggetto a cui si rapportano. Infatti, l’«immaginazione» (nel senso proprio del termine), o l’apprensione «che mette in immagine (verbildlichend)», è all’opera sia a livello delle rappresentazioni d’immagine, siano esse «esterne» (quadri e fotografie) o «interne» (laddove un tale «supporto» esteriore manca) – in questo caso Husserl parlerà di «immaginazione» in senso stretto –, sia a livello delle rappresentazioni immaginanti, laddove nessuna «immagine», nessuna rappresentazione oggettiva (qualunque essa sia) «funge (fungiert)» – e in questo caso abbiamo a che fare con la «phantasia (Phantasie)».
L’immaginazione L’immaginazione designa la coscienza di un oggetto che non è l’intenzione di un’immagine, ma l’intenzione di un oggetto attraverso un’immagine (ciò che è propriamente intenzionato non è mai solamente l’oggetto assente). Ora, al fine di circoscrivere l’essenza dell’immaginazione, vedremo in primo luogo quello che essa ha in comune con la percezione. Per fare questo – che richiede di studiare le realizzazioni specifiche dell’immaginazione –, possiamo utilizzare il caso particolare dell’immagine fisica (quadro o foto). Qui si è in presenza di tre elementi:
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1) L’immagine come cosa fisica: è «l’immagine fisica (physisches Bild)», per esempio questo quadro di legno con questi strati di pittura ad olio in tale o tal colore, ecc. 2) L’oggetto-immagine (Bildobjekt), l’oggetto immaginante: cioè l’immagine che appare sullo sfondo dell’immagine fisica; si tratta dell’oggetto(-immagine) che appare5 in quanto rappresentante del Bildsujet, per esempio un castello situato nei pressi di un fiume senza che si consideri «a che cosa» questa immagine (questo oggetto-immagine) rinvii. 3) Il soggetto-immagine (Bildsujet): l’oggetto rappresentato o immaginato che non compare (è l’oggetto intenzionale dell’immaginazione con il suo senso intenzionale, in «figurazione» («Darstellung») intuitiva nell’oggetto-immagine), per esempio il castello di Berlino, preso di mira in quanto tale, rappresentato sotto forma di oggetto-immagine nell’immagine (fisica). Qual è lo statuto dell’oggetto-immagine nell’immaginazione? – dato che quest’ultimo non «esiste» in senso stretto non è «effettivamente (reell)» contenuto nella coscienza (contrariamente all’accezione corrente per cui, nel caso dell’immaginazione come del resto nel caso della percezione, un’immagine «immanente» alla coscienza rappresenta o rinvia ad un oggetto trascendente). Da un lato, l’oggetto-immagine non è «niente», altrimenti una coscienza d’immagine non potrebbe aver luogo. Dall’altro, l’oggetto-immagine non possiede un’esistenza reale – né al di fuori della coscienza né nella coscienza. (La sua modalità esistenziale, difficile da afferrare, è stata
5 Si noti che Husserl lo caratterizza fin da subito come un «oggetto apparente che non è mai esistito e che mai esisterà [è un «niente», un non presente – sebbene si manifesti! Husserl lo caratterizza subito dopo come una «cosa apparente» o «illusoria» (Scheinding)], e che, naturalmente, non è colto in alcun istante come una realtà effettiva», Husserliana XXIII, p. 19.
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meglio caratterizzata da Husserl come «esistenza di fictum»). Ciò che esiste, al contrario, è il contenuto di apprensione (che è un complesso di sensazioni) e la loro apprensione che mette in immagine (verbildlichend)6 (e che è identica al possesso dell’oggetto nella rappresentazione), così come l’intenzione (l’atto) fondata(o) in quest’ultimi (cioè nell’apprensione e nel contenuto d’apprensione). Dunque, le cose si presentano in modo analogo che nella percezione salvo che, nel caso dell’immaginazione, due apprensioni (nella misura in cui vi sono due oggetti – l’oggetto-immagine e il soggetto-immagine) sono costruite una sopra l’altra, mentre nel caso dell’apprensione percettiva non c’è altro che un’unica apprensione7. Cerchiamo di comprendere da vicino questo fenomeno della costruzione di un’apprensione sopra un’altra (che non rinvia in nessun caso ad un rapporto di fondazione (Fundierung)). Vediamo chiaramente come si costituisce l’oggetto-immagine – grazie all’apprensione («vissuta (erlebt)») dei contenuti sensibili (nel caso dell’immagine fisica, ricordiamolo, Husserl 6 Secondo questa prima concezione della manifestazione di phantasia, vi sarebbe dunque un’immagine di phantasia suscettibile di essere descritta per mezzo dello schema apprensione/contenuto di apprensione. La seconda concezione stabilirà al contrario (ci torneremo in dettaglio) che la phantasia è in realtà caratterizzata dal fatto che non c’è un’immagine di phantasia. 7 «Nella rappresentazione di phantasia [che abbia un supporto fisico o meno], abbiamo due apprensioni costruite una sull’altra, costituenti due oggetti, ovvero l’immagine di phantasia che appare, e l’oggetto figurato nell’immagine copia, il soggetto-immagine, che è precisamente figurato attraverso l’immagine», Husserliana XXIII, p. 24. Notiamo tuttavia che se l’una (quella del soggetto-immagine) è certo posizionale di un «oggetto» (per esempio il castello di Berlino intenzionato), l’altra non lo è: in effetti, se l’oggetto-immagine è stato posto, questa posizione subito lo annienta. L’apprensione dell’oggetto-immagine (che non ha in realtà nulla di un’immagine) non è quindi altro che una pseudo-apprensione. Sottolineiamo infine che Husserl abbandonerà nel 1912 questa idea di un’apprensione nel caso dell’oggetto-immagine (cfr. su questo punto il Nr. XVI di Husserliana XXXIII).
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chiama quest’ultimi «sensazioni», nel caso della rappresentazione della phantasia, «phantasmata»). Ma questa apprensione, lungi dal fornirci l’oggetto-immagine, non rivela in realtà che l’oggetto-immagine (cioè, molto semplicemente, un oggetto fisico che non ha evidentemente nulla di un’immagine) – dato che qualsiasi tematizzazione esplicita dell’oggetto-immagine ci fa perdere quest’ultimo. Come si costituisce allora lo statuto dell’immagine (con la sua funzione di rinvio)? Alla base della messa in immagine (Verbildlichung) vi è una certa «mediazione (Mittelbarkeit)»8 che permette di distinguere tra la rappresentazione dell’immagine e la rappresentazione della percezione (dove essa ovviamente manca). Questa «mediazione» – che a quanto pare opera anche nella simbolizzazione e in ogni uso di segni (dove l’intenzione è tuttavia non necessariamente intuitiva) – assicura il rapporto all’immagine in modo immediato. Ma in tutti i casi, questa doppia apprensione (all’opera nella rappresentazione d’immagine) non costituisce due manifestazioni; essa non consiste in due apprensioni isolate che si congiungerebbero in seguito, ma è così costituita, come abbiamo appena visto, da due apprensioni costruite una sopra l’altra.
La temporalità dell’immaginazione Una volta completata la descrizione dei caratteri comuni tra immaginazione e percezione è ora tempo di sapere ciò che distingue le manifestazioni della coscienza immaginante dalle manifestazioni della percezione. La tesi di Husserl è che la distinzione tra questi due tipi di manifestazioni dipende fondamentalmente da una differenza temporale (così come, lo vedremo, dal carattere di irrealtà).
8 Husserliana XXIII, p. 24.
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Un esempio utile che permette di analizzare positivamente l’immaginazione è quello della contemplazione di un quadro sullo sfondo di una parete. In questo caso vi è un conflitto tra l’apprensione della percezione della cornice e l’apprensione dell’immagine (vale a dire dell’oggetto-immagine) del quadro. Laddove i contenuti d’apprensione si sovrappongono, l’apprensione d’immagine si discosta dall’apprensione dell’oggetto percepito. Ma ciò che è decisivo è che anche dove l’apprensione di immagine «prevale» sull’apprensione della percezione vi è nondimeno un’apprensione (quasi) percettiva: si potrebbe anche dire che è la persistenza di quest’ultima che rende questo conflitto possibile. Se si considera ancora l’esempio del quadro appeso al muro si vede chiaramente che ciò che circonda il quadro è percepito. E il quadro stesso, anche se è afferrato come immagine, è anch’esso «percepito» (in quanto si trova all’interno dell’apprensione del campo visivo completo). È la percezione della cornice che dà a quest’ultimo (e al quadro che essa racchiude) il carattere di «realtà presente (gegenwärtige Wirklichkeit)»9 con cui l’immagine può entrare in conflitto. Tuttavia, la manifestazione dell’oggetto-immagine si distingue su un punto dall’apprensione della percezione normale, su un punto essenziale che ci vieta di considerarla come una percezione normale: essa porta in se stessa il carattere dell’irrealtà, del conflitto con il presente attuale. [...] Perciò, abbiamo qui una manifestazione, un’intuizione sensibile e un’oggettivazione,
9 L’«effettivamente presente (wirklich Gegenwärtige)» è determinato dalla percezione totale (Gesamtwahrnehmung), l’altra apprensione non costituisce che un semplice fictum – Husserl dirà perfino una cosa apparente o illusoria, una semplice «immagine» (Bild). È la stessa configurazione che si ritrova nel caso dell’illusione sensibile (esempi: il bastone nell’acqua, il manichino nella vetrina). Il «niente» (Nichts) che ci appare dipende da un’altra temporalità (cfr. Husserliana XXIII, p. 48 ss.).
137 ma in conflitto con un presente vissuto; abbiamo la manifestazione di un non-adesso nell’adesso.10
Il fatto che Husserl parli qui di «presente», «adesso», «nonadesso» mostra chiaramente che l’analisi è ormai condotta in termini temporali. E vi si trova difatti l’abbozzo di due temporalità. In una prima approssimazione, si può dire che i caratteri di realtà (dell’adesso) e dell’irrealtà (di un «niente», di un non-adesso) sono il segno di una differenza temporale che si esprime innanzitutto attraverso una differenza spaziale: l’immagine e il percepito si escludono reciprocamente – essi possiedono un’ubicazione separata – e, in questo senso, l’immaginato resta tributario di ciò che nega poiché è disposto in funzione di un percepito che lo circonda e dal quale si distacca. Come si può ulteriormente caratterizzare questa differenza temporale? Nel § 14 del Corso Husserl mostra ciò che rende la forza della rappresentazione della coscienza immaginante, che è anche ciò che ne rende la fragilità: essa paga per così dire per la sua particolare proprietà di essere costituita attraverso l’intreccio di due apprensioni con una forma «discontinua» che l’esclude dall’unità della presenza oggettiva e che la pone nella modalità del «come se». Affermando che vi è, nella coscienza d’immagine, questa coscienza particolare e specifica di una «presentificazione di ciò che non appare in ciò che appare»11, Husserl opera effettivamente uno slittamento – decisivo – nella descrizione dell’apprensione doppia verso
10 Husserliana XXIII, p. 47 (sottolineature nostre) Cfr. anche la ricapitolazione della presente analisi che Husserl espone nel § 25 del Nr.1 di Husserliana XXIII (p. 51-52 e p. 53). 11 Husserliana XXIII, p. 31.
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l’apertura di un’analisi temporale12, poiché sono ben due regni temporali – quello della presentazione (percezione) e quello della presentificazione (che caratterizza tanto il ricordo e l’immaginazione quanto la phantasia) – che qui si oppongono. Il carattere decisivo dell’analisi temporale consiste dunque, lo vedremo, nel fatto di non considerare l’immaginazione e la phantasia come semplici modalità di rappresentazione, ma propriamente come modalità coscienziali temporali (spiegando così l’uso del termine «presentificazione»).
La phantasia Rivolgiamoci ora alle caratteristiche della rappresentazione di phantasia. Se, in relazione all’immaginazione, si prescinde dai caratteri che rispondono della validità (cioè, della nullità (Nichtigkeit) o della realitas), dell’adeguazione, del carattere rappresentativo (cioè della figurazione in immagine (Bildlichkeit)), ecc. della rappresentazione dell’oggetto, non si constata alcuna differenza tra l’immagine e la cosa. Per la phantasia, le cose si presentano altrimenti. Le differenze tra la rappresentazione di phantasia e la rappresentazione della percezione sono molto più fondamentali. 1) Non c’è semplicemente conflitto «locale»13, ma una differenza globale, totale, tra l’oggetto di phantasia e l’oggetto percepito (e anche l’immagine fisica). Nei termini di Husserl: «l’oggetto di phantasia appare per così dire in un mondo completamente differente». Questo «mondo» è «totalmente sepa-
12 È evidente che i verbi gegenwärtigen (presentare) e vergegenwärtigen (presentificare) hanno una connotazione temporale che per noi si tratterà di chiarire in seguito. 13 Come era il caso dell’immaginazione.
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rato dal mondo del presente attuale (aktuelle Gegenwart)»14. Quanto all’oggetto stesso della phantasia, è impossibile trovarlo tra gli oggetti della percezione. Husserl fonda qui15 la sua concezione definitiva della manifestazione di phantasia secondo la quale non c’è immagine di phantasia. (Più tardi, nel testo Nr. 16 di Husserliana XXIII, egli parlerà a tal proposito di «apparenza percettiva».) Pertanto, nella misura in cui la manifestazione di phantasia non compare all’interno del campo percettivo, essa non è, ovviamente, un fictum di percezione. Ciò che caratterizza infatti essenzialmente la phantasia è una certa coscienza di non-presenza (Nichtgegenwärtigkeitsbew usstsein)16. Accanto al campo percettivo, accanto al campo presente, abbiamo delle manifestazioni che rappresentano un non-presente (Nichtgegenwärtiges)17. Ma questo non era il caso della temporalità dell’immaginazione già in atto nella raffigurazione in immagine dell’immagine fisica (seppur in assenza di quest’ultima)? No, perché questa «coscienza della non-presenza» si distingue in questo caso qualitativamente dalla rappresentazione di un niente caratteristica del fictum dell’immaginazione. Là l’immagine si inscriveva (anche se era nel modo della privazione) ancora negativamente nel rapporto temporale globale, fisso e ordinato. Qui tutto è diverso. Quali sono queste «nuove differenze»?
14 Husserliana XXIII, p. 57 ss. Cfr. anche p. 67. 15 Cfr. le § 26 del Nr. 1 de Husserliana XXIII, p. 54-55. 16 Ivi, p. 58 ss. 17 «Le manifestazioni di phantasia hanno dunque questa proprietà paradossale – generalmente oscurata nella tradizione, uscita in realtà dallo stoicismo, della loro ricodificazione come immagini – di essere, in qualche modo direttamente, manifestazioni di un non presente – e non manifestazioni in un immagine (Bildobjekt) che ‘rappresenta’ un non presente», M. Richir, Phénoménologie en esquisses. Nouvelles fondations, coll. Krisis, Grenoble, J. Millon, 2000, p. 74.
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2) L’oggetto percepito e quello della Bildlichkeit dell’immaginazione è stabile, mentre quello della phantasia appare come uno «schema vuoto» (sbiadito, con contorni vaghi, senza vivacità, senza pienezza, senza forza (né intensità)18). Si tratta qui di «distinzioni interne» relative ai «contenuti figurativi (darstellende Inhalte)». Questa differenza è dovuta, secondo Husserl, ad una differenza a livello dei contenuti di apprensioni (cioè a livello dei phantasmata in opposizione alle sensazioni). 3) D’altra parte, vi sono tipi di adeguatezza graduali rispetto all’oggetto rappresentato – caratterizzati da una mancanza di fissità, dalla fugacità e da variazioni permanenti dei contenuti non solamente quanto alla loro pienezza, ma anche quanto alla loro qualità in generale (mentre nel caso dell’immaginazione nel senso stretto del termine, non vi sono differenti «gradi» cangianti di adeguatezza ma solamente un grado fisso, immutabile). 4) L’ultima differenza concerne l’opposizione tra la continuità e la costanza della manifestazione nel caso della percezione (e di quella dell’immaginazione) e la discontinuità dovuta a rapidi cambiamenti a livello delle manifestazioni – e ciò sulla base della stessa intenzione di rappresentazione! – nel caso della manifestazione di phantasia19. Così, Husserl può altrove scrivere: «ogni modificazione [cioè ogni modificazione ritenzionale dipendente dalla temporalità della percezione] è una modificazione continua [in opposizione alla discontinuità della modificazione temporale della phantasia]. È appunto ciò che 18 Cfr. le copie di Husserl delle «Vorlesungen über Psychologie von Professor Carl Stumpf, Halle, semestre invernale 1886/87», secondo capitolo: Phantasievorstellungen von Sinnesinhalten («Rappresentazioni di phantasia dei contenuti sensibili») (citato da E. Marbach, Einleitung alla sua edizione di Husserliana XXIII, p. XLIV ss.). 19 Qui non ci sono semplicemente contenuti figurativi (cfr. 3), ma intenzione oggettiva all’origine della manifestazione primaria dell’oggetto di phantasia.
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distingue questo tipo di modificazione dalla modificazione di phantasia e d’immagine»20. Questo aspetto (che riguarda quindi la discontinuità) caratterizza una prima determinazione della temporalità della phantasia. Gli altri due sono il suo carattere presentificante e la sua virtù costituente. Adesso cercheremo di determinare questa temporalità della phantasia approfondendo ciascuna di queste determinazioni.
La discontinuità della temporalità della phantasia La prima caratteristica della temporalità della phantasia (come abbiamo appena abbozzato in una prima approssimazione) si evince più facilmente se la si contrappone alla temporalità della percezione. Trattandosi della percezione, l’unità sintetica – che si inscrive in una catena fissa e ben ordinata – del rapporto «presentativo»21 che caratterizza l’oggetto determina i limiti in cui i cambiamenti della manifestazione possono avvenire: si tratta qui più in particolare della forma del «luogo del momento-ora (Jetztstelle)» che assegna ad ogni impressione il suo «luogo» temporale22. La continuità è assolutamente rigorosa secondo questa ipotesi; è un elemento costitutivo del flusso temporale immanente. Del resto è tale forma che permetterà 20 Lezioni sulla coscienza interna del tempo, Appendice I, p. 129 (Husserliana X, p. 99). 21 Husserliana XXIII, p. 61. Notiamo la sfumatura temporale dell’attributo «presentativo» (präsentativ). 22 Cfr. K. Held, Lebendige Gegenwart, Phænomenologica 23, Den Haag, M. Nijhoff, 1966, p. 31 ss. Vedere anche, in modo particolare, l’importantissima Appendice VIII delle Lezioni sulla coscienza interna del tempo in cui Husserl rende conto della possibilità dell’identificazione di un oggetto all’interno dell’unità del vissuto (Erlebniseinheit).
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la ri-presentazione di un oggetto precedentemente percepito. Ciò che garantisce l’unità del rapporto del campo visivo e della coscienza percettiva è la «forma del nello-stesso-tempo (die Form des Zugleich)» che costituisce la percezione simultanea. Questa forma è ovviamente solo una «sezione trasversale» della coscienza di percezione: in realtà, il rapporto oggettivo si svolge in una successione. (Questa analisi risulta così molto simile, come altrove in Husserl, allo studio di una funzione matematica: questo rapporto è possibile solo nella successione perché si trova in ogni punto di questa successione.) Nel caso della phantasia tale continuità è assente23. Possiamo perciò distinguere tre aspetti, intimamente legati, che caratterizzano questa prima determinazione della temporalità propria della phantasia: 1) Nell’unità della rappresentazione della phantasia l’unità dell’immagine rappresentativa non è mantenuta: la manifestazione della phantasia cambia costantemente, da cui risulta una modificazione della ricchezza (e della povertà) dei momenti rappresentativi e anche dell’adeguazione rispetto all’oggetto rappresentato. È ciò che Husserl chiama il carattere «proteiforme» della rappresentazione di phantasia. Questo carattere proteiforme gioca su due livelli. Vi è certo la costituzione di un’unità sintetica della rappresentazione di phantasia (sulla base di un’unica e stessa intenzione), ma questa unità è affetta da una certa mancanza di coerenza nella sintesi delle intenzioni dell’oggetto. Non vi è costituzione di un «oggetto [intenzionale] primario (primärer Gegenstand)»24 singolare. In compenso, all’interno di questa unità, l’«oggetto» cambia: si tratta qui di un cambiamento a livello della manifestazione primaria (ci sono pertanto cambiamenti e incoerenze non solo a livel23 Vedi E. Husserl, Esperienza e Giudizio, §§ 38-42; Husserliana XXIII, Appendice LVI (1918) e il Nr. 19 (1922/1923). 24 Husserliana XXIII, p. 65.
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lo dell’unità sintetica ma anche nell’oggetto primario stesso). Questo spiega perché la rappresentazione corrisponde, ora più ora meno, all’originale. Questo spiega anche perché tali cambiamenti possono riguardare una stessa «immagine», ma anche «immagini» differenti. L’unità di queste «immagini» è dovuta ad una unificazione di «tempi» che possono essere molto distanti 25. 2) Il secondo aspetto di discontinuità della rappresentazione di phantasia concerne il carattere «intermittente» dell’«immagine» (la sua fugacità, le sue scomparse, le sue riapparizioni). 3) Infine si constata una variabilità dell’«immagine» di phantasia. All’interno del processo di cambiamento dell’oggetto (cfr. il primo punto) si constata una variazione dell’«immagine» che si distingue qualitativamente dalla variabilità delle «adombrazioni (Abschattungen)» nella sintesi complessiva della percezione (nella quale l’oggetto non cambia). Nel caso della percezione, l’unità dell’oggetto appare attraverso la diversità delle adombrazioni; d’altro lato, nel caso della phantasia, l’unità dell’«immagine» di phantasia si stabilisce grazie ad una «combinazione»26 dell’identità e della non-identità dell’oggetto rappresentato. Questa prima determinazione della temporalità della phantasia ci permette ora – e questo punto è assolutamente fondamentale – di circoscrivere precisamente in cosa si distinguono le apprensioni di percezione, d’immaginazione e di phantasia. Mentre l’immaginazione è basata su un fictum (oggetto-immagine) (dove quest’ultimo appare «nel» campo visivo della percezione), la percezione e la phantasia intenzionano il loro oggetto in maniera «diretta» (con la differenza, tuttavia, che questo oggetto è reale (wirklich) nel caso della percezione, e 25 Ivi. 26 Husserliana XXIII, p. 62 ss.
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completamente irreale nel caso della phantasia). Per quanto riguarda la differenza tra immaginazione e la phantasia possiamo dire che, nel caso dell’apprensione dell’immaginazione, qualcosa di «fenomenalmente presente (ein phänomenal Gegenwartiges)» che si manifesta nella percezione serve da supporto per qualcos’altro che si manifesta nell’immaginazione (cioè, l’oggetto-immagine). Intuiamo il non-presente all’interno di ciò che si manifesta (wir schauen das Nichtgegenwärtige in das Erscheinende hinein), ma questo si manifesta nondimeno alla maniera di un presente (in der Weise eines Gegenwärtigen)27. Di contro, nel caso dell’apprensione della phantasia non vi è nulla di «presente», non c’è nessun oggetto-immagine (Bildobjekt). «Viviamo» (erleben) certamente dei phantasmata, ma questi non costituiscono nulla che non sia lì presente e che non operi come portatore di una coscienza della figurazione in immagine (Bildlichkeit). Il rapporto al presente (Gegenwart) è completamente assente nella manifestazione. Vi è un’intuizione immediata dell’«intenzionato» in ciò che appare. E l’apprensione oggettivante di qualcosa di presente può effettuarsi solo in seguito. Quindi, bisogna tenere a mente, a proposito della prima determinazione della temporalità della phantasia, che non vi è, ripetiamolo, fictum (in altre parole, non c’è un oggetto-immagine non presente come nel caso dell’apprensione propria all’ immaginazione: la manifestazione primaria della phantasia è diretta28), poiché non vi è costituzione di un oggetto primario singolare29. E questo è anche il motivo per cui la rappresenta27 Husserliana XXIII, p. 79. 28 Husserliana XXIII, p. 63. Cfr. anche M. Richir, Phénoménologie en esquisses, op. cit., p. 75. 29 Su questo punto la phantasia assomiglia al ricordo. Come Husserl scrive in effetti nel Nr. 47 di Husserliana X (scritto secondo lui nell’agosto del 1909 a Silvaplana, o dopo – ma secondo Boehm non dopo l’autunno 1908 – e ripreso nella prima parte delle Lezioni, §§12 e 13), «l’intuizione del passato
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zione di phantasia non potrebbe essere, «nello stesso tempo», solo la rappresentazione della percezione.
Il carattere presentificante della temporalità della phantasia La seconda determinazione della temporalità della phantasia è il suo carattere presentificante. Per comprenderne la natura è necessario chiarire ancora un’altra differenza tra le rappresentazioni della percezione e le rappresentazioni di phantasia. Infatti, ciò che le distingue in egual misura è lo statuto della «coscienza dell’essere-presente (Bewusstsein des Gegenwärtigseins)». Le rappresentazioni di phantasia sono riconosciute come «non essenti (nichtseiend)»30: la percezione implica un «nucleo di sensazione» che le assicura il suo carattere di presente attuale, primario, intuito (che è un importantissimo aspetto riguardante lo statuto della sensazione (impressione) per la formazione della coscienza del tempo), laddove alla phantasia manca proprio quel carattere di un presente attuale. Perché? Qual è il motivo di questo «non-essere» della rappresentazione di phantasia? È stata già spiegata la coscienza del non-essere (Nichtigkeitsbewusstsein) nel caso dell’immagine fisica attraverso il conflitto tra il fictum e la percezione. Come spiegare, per la phantasia, questa stessa coscienza del non-essere (dal momento che qui non vi è necessariamente conflitto all’interno del campo percettivo)31? Il campo della manifestazione di (Vergangenheitsanschauung) di per sè non può essere una messa in immagine (Verbildlichung) [sottolineature nostre]. Essa è una coscienza originaria» Husserliana X, p. 311. Cfr. anche Lezioni, § 12, p. 46 ss. (Husserliana X, p. 31 ss.). 30 Torneremo più avanti su questa «neutralità» della coscienza immaginante in relazione alla coscienza percettiva. 31 Husserliana XXIII, p. 66.
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phantasia è totalmente distinto da quello della percezione. Il conflitto non si gioca qui a livello di una porzione del campo percettivo, ma l’intero campo percettivo è in conflitto con l’intero campo della phantasia! Ciò che entra in conflitto con la percezione non è dunque presente (gegenwärtig) allo stesso titolo del percepito. Ora, può sembrare che questa ipotesi sia simile a quella riferentesi all’immagine fisica (cioè a quella dell’immagine considerata semplicemente come supporto fisico), laddove era un fictum apparente che rappresentava in immagine un nonpresente32 e che entrava in conflitto con la percezione. Ma a differenza dell’immaginazione e della percezione il campo della phantasia non può mai entrare nell’unità della manifestazione oggettiva. Il campo di phantasia non è mai, l’abbiamo già detto, «nello stesso tempo» di quello della percezione (o immaginazione). Abbiamo qui una differenza temporale ancora più fondamentale di quella che vi era tra la percezione e l’apprensione dell’oggetto-immagine nel caso dell’immaginazione: mentre in quel caso la non-presenza s’inscriveva tuttavia in un rapporto di presenza globale, qui la non-presenza esclude qualsiasi relazione con la presenza. E tutto porta a credere che ciò sia dovuto ai contenuti d’apprensione. Infatti, qual è il rapporto tra i phantasmata e le apparizioni della phantasia, da un lato, e l’intero campo percettivo, dall’altro? I contenuti sensibili sono, così pare, della stessa natura nel caso della phantasia e della percezione33. Non vi è dubbio che si può avere un vissuto simultaneo di apprensioni di sensazioni e di phantasmata (ad esempio: osserviamo un paesaggio e «fantastichiamo» al tempo stesso una melodia). Tuttavia non
32 La differenza è che qui non vi è solo conflitto con il campo percettivo ma anche con l’esperienza all’interno stesso dell’apprensione di una rappresentazione di phantasia (cfr. il § 33 del Corso). 33 Cfr. Husserliana XXIII, § 35, p. 73.
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c’è rapporto di appartenenza intenzionale reciproca tra le sensazioni e i phantasmata. Non c’è unità intuitiva che unirebbe entrambi. Che ne è ora del rapporto tra i campi sensibili della sensazione e della phantasia? I diversi campi della sensazione (visione, tatto, ecc.) possono unirsi in unità intuitive e appercettive. Questo non è il caso di un campo sensibile della percezione e dello stesso campo della phantasia (per esempio della visione). L’uno esclude l’altro (non è possibile vedere qualcosa in una percezione e allo stesso tempo «vederlo» nella phantasia.) Per quanto riguarda le sue modalità di manifestazione, la rappresentazione di phantasia non si dà mai come una manifestazione percettiva. In compenso, sensazioni e phantasmata appartenenti a campi sensibili distinti possono perfettamente coesistere. Ciò che impedisce la loro convivenza è la località (il fondamento dell’ordine spaziale oggettivo e fenomenale). Se la percezione e la phantasia si escludono reciprocamente, si pone allora la questione di sapere perché l’una è percezione e l’altra phantasia. Su cosa si fondano in quanto tali? Può effettivamente essere difesa l’omogeneità a livello dei contenuti sensibili? Non c’è piuttosto una differenza fenomenologica a livello dei contenuti sensibili (anche se sembrano appartenere alla stessa «specie»)? Le sensazioni non sono, esse sole, una «vera realtà»? Non sono i phantasmata irreali34, non sono come un niente rispetto a quest’ultime35? Ma come spiegare 34 In certi testi della Husserliana XXIII, Husserl afferma che i phantasmata sono non presenti (vedere ad esempio Husserliana XXIII, p. 166, l. 24-25 e p. 167, l. 41-43. 35 Nelle Lezioni sulla coscienza interna del tempo, Husserl dirà espressamente – e contraddicendo così ciò che aveva lui stesso affermato nel § 35 del Corso (cfr. la nota precedente) – che la phantasia di un suono e la sensazione del suono sono principalmente distinti: non si tratta qui della stessa materia che sarebbe semplicemente «interpretata» o «appresa» diversamente, ma di una distinzione insormontabile tra la sensazione e il phantasma. La
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allora che le une come gli altri risultano essere, nella riflessione fenomenologica, dei vissuti reali, effettivi?
La virtù costitutiva della temporalità della phantasia Abbiamo già visto che l’apprensione della percezione si basa sulle sensazioni e l’apprensione immaginativa sui phantasmata. La prima dipende dall’auto-presenza (Selbstgegenwärtigkeit) del sentito; la seconda non è fondata (fundiert) su apprensioni dirette di natura percettiva, ma fonda «immediatamente una coscienza immanente di presentificazione (unmittelbar ein immanentes Vergegenwärtigungsbewusstsein)» senza che il vissuto sensibile sia qualcosa di presente (ein Gegenwärtiges) per questa coscienza. La differenza fenomenologica originaria tra le sensazioni e i phantasmata è quindi la seguente: la sensazione resiste al fatto di non valere che come immagine, essa è il «marchio della realtà» che manifesta un presente primario e attuale (primäre, aktuelle Gegenwart). Il phantasma, al contrario, lo abbiamo già detto, si dà come non presente (nichtgegenwärtig)36, è portatore diretto del carattere dell’irrealità (Charakter der Irrealität)37. Ciò è dovuto al fatto che non vi è instaurazione del presente sui phantasmata38. Ecco dove risiede quindi la terza determinazione della temporalità della phantasia che sarà in seguito «oscurata» dall’inserimento del «fantasmato» nel rapporto globale della percezione. Citiamo tutto il passaggio che caratterizza correttamente le ap-
stessa differenza esiste anche tra la ritenzione e la percezione (Husserliana X, p. 312; Lezioni, § 12, p. 48 (Husserliana X, p. 32)). 36 Husserliana XXIII, p. 80. 37 Husserliana XXIII, p. 81. 38 Cfr. Husserliana XXIII, p. 78. Vedere anche M. Richir, Phénoménologie en esquisses, op. cit., p. 81.
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prensioni di phantasia (che Husserl qui chiama apprensioni «immaginative»): In virtù della loro somiglianza più o meno ravvicinata, [le apprensioni di phantasia] fondano immediatamente una coscienza immanente di presentificazione – una coscienza modificata – del guardare all’interno dell’intenzionato in ciò che è vissuto, senza che per questo ciò che è vissuto in modo sensibile valga solo per se stesso – cioè per qualcosa di presente. Ma in seguito possiamo fare astrazione di questo carattere dell’immaginazione [bisogna intendere: della phantasia], possiamo fissare la manifestazione concreta della phantasia come un adesso – cogliendola come simultanea ad un dato della percezione; ad esempio possiamo cogliere una manifestazione visiva di un volto come adesso, come simultanea a un grido che sentiamo, in seguito separare attraverso l’analisi nella complessione della manifestazione di phantasia il phantasma che, perciò, è esso stesso, come parte del tutto, qualcosa di presente. Solo il processo mediato provoca qui l’iscrizione ordinata nel presente, che è già un presente oggettivato da mediazioni, non un presente sentito in modo immediato.39
Così, ci sono due tipi di temporalità: con la phantasia, entriamo nel registro non di una temporalità costituita (quella che caratterizza la percezione), ma in quello di una temporalità «costituente». Ogni atteggiamento che cerca di concepire la rappresentazione di phantasia a partire da un supporto (immaginativo), come l’oggetto (un centauro) ad esempio, si situa sul terreno di un’oggettività già costituita (effettuata, completata, ecc.). Ora, pensando l’attività della phantasia al di qua della sua ripresa riflessiva, cioè all’origine sfuggente del suo compimento in atto (che non può mai essere descritto come tale poiché vorrebbe dire essere già nella sfera costituita), 39 Husserliana XXIII, p. 78 (sottolineature nostre).
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Husserl cerca di approfondire questa nozione di «temporalità costituente» che si manifesta attraverso le caratteristiche appena descritte40. La chiave per tale analisi – se mai si trova nel Corso – ci è data nel § 38. Husserl oppone qui l’essente «presente» e «oggettivo» dell’immaginazione (che è costituito attraverso «oggettivazioni che la riflessione opera in seguito»41, e che quindi presuppone una certa mediazione) ai fenomeni immediatamente costitutivi della rappresentazione presentificante. Questa situazione sembra paradossale: i fenomeni all’origine di un oggetto presentificato lo costituiscono in maniera immediata, mentre quelli che costituiscono l’oggetto presente
40 Ci si potrebbe chiedere se questa temporalità «costituente» operi solo a livello della phantasia o se non è valida anche per altri modi di apprensione. Le Lezioni sulla fenomenologia della coscienza del tempo avranno proprio come oggetto quello di svelare la temporalità costituente – ma solo quella che dipende dalla temporalità immanente (cfr. su questo punto infra il capitolo IV). Raggiungiamo veramente il livello di costituzione più fondamentale possibile? Non bisogna ancora fare la distinzione tra la temporalità costitutiva degli oggetti-tempo percettivi e quella che costituisce i fenomeni presentificanti? 41 Si tratta qui del problema dello statuto temporale del presente (Jetzt) della phantasia. Husserl scrive: «Possiamo compiere l’apprensione dopo: adesso mi si manifesta questo qui, adesso ho questa manifestazione del municipio, ecc., e attraverso questa mi rapporto allo stesso municipio. Ma afferrare una manifestazione presente del municipio, un oggetto-immagine che si presenta al momento, non è compiuto nel semplice vissuto di phantasia», Husserliana XXIII, p. 79. Questo significa che lo «Jetzt, l’adesso, che è stato mancato (o cortocircuitato) nel vissuto semplice di phantasia, si è dunque costituito in seguito, là dove non era, attraverso la realizzazione di una seconda apprensione che lo pone, o piuttosto lo mette in gioco (ansetzen), e da lì deforma in modo coerente la manifestazione di phantasia trasponendola in un’‘immagine’ presente o piuttosto quasi-presente in quanto fittizia», M. Richir, Phénoménologie en esquisses, op. cit., p. 82; cfr. anche ivi, p. 83. L’istituzione dell’adesso si realizza «in seguito», secondo una «deformazione coerente» che fissa l’apparizione di phantasia in una «immagine» (in un «Bildobjekt» in quanto componente astratto del vissuto d’immaginazione).
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richiedono una mediazione42. Citiamo di seguito tutto il passo decisivo del § 38: Nel vissuto stesso, preso semplicemente e senza le oggettivazioni che la riflessione compie in seguito, l’intenzione immaginativa si compie sulla base dei phantasmata in modo tale che essa ha coscienza del simile nel simile, e là dove non vi è assimilazione, è per così dire una parte vuota dell’intenzione. Qui è anche data la possibilità di cogliere il fenomeno, tale come è all’istante, come fenomenizzazione di un oggettoimmagine che appare nel presente e che è completamente diverso dal soggetto[-immagine]. Ma la coscienza di un presente manca del tutto e di conseguenza anche la mediazione. I momenti immaginativi reggono (tragen) l’immaginazione, ciò che rimane sono momenti che non sono determinati e che non valgono come tali, ma [sono] «indeterminatezze», e non sempre sono in conflitto con l’intenzione e non danno pertanto una coscienza di oggetto-immagine distinta. Nell’altro caso, la coscienza di un oggetto-immagine è effettivamente compiuta, ma l’oggetto-immagine non si manifesta come presente, essendo già dato come immagine. Un oggetto-immagine immaginativo opera qui esattamente nella stessa maniera di un oggetto-immagine percettivo nella percezione.43
Ora, in realtà, tale ipotesi non si limita alla sola immaginazione. Per comprendere questo passaggio è infatti necessario distinguere tra due mediazioni. L’una che permette una volta di più di stabilire la differenza fra l’apprensione di phantasia e quella dell’immaginazione44. È di questo tipo di mediazione
42 In realtà, questa mediazione ha luogo solo nel caso dell’immagine fisica. 43 Husserliana XXIII, p. 79 ss. (sottolineature nostre). 44 Vedi infra. Per quanto concerne l’istituzione dell’immagine nell’immaginazione, cfr. l’eccellente analisi di M. Richir in Phénoménologie en esquisses, op. cit., p. 83-84.
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che il passo citato sembra trattare in maniera esclusiva. In realtà, se si mette questo passaggio in relazione con altri due45, ci si può accorgere dell’opposizione decisiva non semplicemente tra due specie di apprensioni immaginative (la phantasia e l’immaginazione in senso ristretto), ma tra la temporalità della phantasia e la temporalità della percezione. Quest’ultima è infatti «mediata» al momento del «presente» (e in modo particolare dalla sua iscrizione in un concatenamento ordinato) che manca all’oggetto di phantasia. Nell’apprensione percettiva l’oggetto percepito è percepito solo se si inscrive nella forma della temporalità immanente, il cui nucleo è la triade protenzione-impressione-ritenzione46 – mentre la phantasia afferra propriamente il suo oggetto senza che questo possieda
45 Cfr. Husserliana XXIII, p. 81: «È solo la riflessione indiretta che gli [ovvero al contenuto sensibile della phantasia] conferisce un presente acquisito»; e p. 85: «Questi modi di esprimersi [che sembrano assimilare la phantasia all’apprensione d’una immagine] traggono la loro origine dalla riflessione, la quale oppone le manifestazioni della phantasia alle percezioni possibili di questa stessa oggettività [...]» (sottolineature nostre). Notiamo che questa possibilità intravista qui sarà completamente abbandonata nel 1911 (cfr. Lezioni sulla coscienza interna del tempo, § 20) dove la «fissità» del rapporto globale ordinato non è più spiegata dalla riflessione, ma dall’«affezione» (Husserl dice letteralmente: «L’apparire originario, e il flusso dei modi di scorrimento in questo apparire, è qualcosa di fisso, qualcosa di cui abbiamo coscienza attraverso l’affezione sulla quale soltanto possiamo poggiare il nostro sguardo» (Husserliana X, p. 47 s.) – in cui dunque la riflessione è uno sguardo riflessivo puramente trasparente. Questo abbandono si illustra anche col fatto che Husserl inscrive la temporalità della presentificazione nella temporalità immanente: «La presentificazione è essa stessa qui un evento della coscienza interna e ha come tale il suo adesso attuale, i suoi modi di scorrimento, ecc. E nello stesso intervallo temporale immanente in cui essa si produce effettivamente [...] noi possiamo percorrere [il processo presentifcato] più veloce o più lentamente» (ivi). 46 Cfr. infra il capitolo seguente.
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questa presenza originaria47! È Husserl ad insistere sull’idea che proprio la riflessione accorda all’oggetto «fantasmato» la sua presenza48. Cosa possiamo dire, infine, sul rapporto tra le sensazioni e i phantasmata? Si tratta nei due casi di contenuti sensibili identici che subiscono apprensioni differenti? Oppure dipendono da contenuti qualitativamente distinti? O c’è ancora un’altra soluzione? Nel Corso del 1904-1905, Husserl esita a lungo prima di dare una risposta definitiva. Alla fine del Corso Husserl propone (nei due ultimi paragrafi) due «approcci (Ansätze)» diversi per chiarire il rapporto tra la percezione e la phantasia. Secondo il primo approccio (§ 51), che riassume la precedente concezione sviluppata nel Corso (cfr. §§ 48-50), la distinzione tra la percezione e la phantasia è fondata su una «caratterizzazione della coscienza (Bewusstseinscharakterisierung)» che 47 Cfr. Husserliana XXIII, Nr. 8, p. 265 e Husserliana XXXIII, Nr. 11, p. 215. 48 Le analisi di Husserl relative alla phantasia (e alla sua temporalità specifica) comportano anche degli elementi «costruttivi» sotto due aspetti: da una parte, la phantasia pura, per il fatto che è priva di ogni «rappresentante» presente, non si attesta, contrariamente all’immaginazione, in modo diretto – quello che si lascia afferrare, sono tutt’al più, per così dire, i «movimenti» della phantasia. Nelle parole di Richir: la temporalizzazione in presenza delle phantasiai procede da una costruttività iscritta nei fenomeni, nelle coordinate dell’attestabile. Lo stesso dicasi, d’altra parte, per la temporalità costituente della phantasia che – contrariamente alla temporalità dell’immaginazione che dipende dalla «relazione globale ordinata» che caratterizza la temporalità costituita – richiede a sua volta un procedimento costruttivo poiché si attesta, anch’essa, solo in maniera indiretta. Nella misura in cui Husserl non procede a tali costruzioni – nemmeno implicitamente – ci accontenteremo qui di questa semplice constatazione. Per quanto concerne la questione difficile della costruttività nella sfera della phantasia pura, cfr. M. Richir, Phénoménologie en esquisses (op. cit.) e Phantasia, imagination, affectivité. Phénoménologie et anthropologie phénoménologique, coll. Krisis, Grenoble, J. Millon, 2004.
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conferisce alla coscienza il suo carattere «presente» (è il caso della percezione) o «presentificato» (è il caso della phantasia). La presentazione è non modificata, mentre la presentificazione – o la «rappresentazione (Repräsentation)» – possiede il carattere modificato. Seguendo il secondo approccio, al contrario (§ 52), gli atti della percezione e della phantasia non sono in un ordine gerarchico modificato/non modificato, ma possiedono un «valore uguale (gleichberechtigt)». La distinzione dipende quindi da una differenza qualitativa tra il phantasma e la sensazione. Husserl sembra preferire il primo approccio, anche se, l’abbiamo detto, per lungo tempo è stato tentato dal secondo. Che il primo prevalga definitivamente è confermato da una elaborazione più tarda (cfr. il testo Nr. 8, del 1909, di Husserliana XXIII). Husserl precisa in questo testo che nella phantasia (ma la stessa cosa vale anche per la percezione!) non si è in presenza di un datum sensibile (ad esempio un colore) che rappresenterebbe un dato reale (wirklich): Al contrario: la «coscienza» è coscienza da parte a parte, e la sensazione, così come il phantasma, è «coscienza». Qui abbiamo innanzitutto la percezione come coscienza-del-presente (Gegenwartsbewusstsein) impressionale (originaria), la coscienza in persona (selbst da), ecc. e la phantasia (nel senso in cui la percezione ne è l’opposto!) in quanto coscienza-delpresente (Gegenwartsbewusstsein) modificata in modo riproduttivo, coscienza in persona [sotto la modalità del] «come se (gleichsam)», del quasi presente, della phantasia del presente.49
49 Husserliana XXIII, Nr. 8, p. 265 ss. Cfr. anche ivi, Nr. 9, p. 275 e Husserliana XXXIII, Nr. 9, p. 175 ss.
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Per chiarire questa citazione importante ci occuperemo ora della seconda acquisizione fondamentale della fenomenologia husserliana dell’intenzionalità immaginante: la coscienza riproduttiva.
La coscienza riproduttiva Il secondo contributo decisivo della fenomenologia husserliana dell’immaginazione e della phantasia concerne l’essenza stessa dell’atto immaginante e il suo rapporto con la percezione. Mentre nelle prime elaborazioni di Husserl l’immaginazione è stata considerata rispetto ad un oggetto (presente o assente) che essa «immagina» in un certo modo, i testi di fine anni Dieci rivelano che la coscienza è essa stessa in grado – attraverso uno sdoppiamento specifico – di «produrre» l’immaginato (e questo, senza alcun ricorso ad oggetti esterni), senza che Husserl tuttavia abbandoni l’idea secondo cui la coscienza immaginante è la «modificazione» di una coscienza percettiva! Cerchiamo di capire questo stato di cose paradossale e – apparentemente – contraddittorio.
La coscienza interna La nuova elaborazione della coscienza immaginante è (o forse risulta) contemporanea ad una nuova concezione del ricordo50. A questo proposito, la scoperta decisiva, che costituisce l’approfondimento ulteriore di un’idea di Brentano, è quella della «coscienza interna (inneres Bewusstsein)» – la «seconda 50 Vedere qui e in ciò che segue le riflessioni illuminanti di R. Bernet in Conscience et existence. Perspectives phénoménologiques, Paris, puf, 2004, in particolare p. 93-117.
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accezione» della coscienza, descritta nel capitolo precedente, della cui importanza (su questo punto) la Quinta Ricerca Logica non aveva ancora fatto parola – che si rivelerà in seguito cruciale per la fenomenologia husserliana del tempo. Cosa significa questa «coscienza interna»? Husserl fa notare che in ogni atto di percezione lo sguardo fenomenologizzante può dirigersi sia verso l’atto di percezione riflessivo, che ritorna, in seguito, su una percezione effettiva (e i commentatori e i critici di Husserl si arrestano in generale su questo tipo di atto), sia verso la coscienza interna, che non è nient’altro che una coscienza pre-riflessiva, ultima e incondizionata, che accompagna ogni atto che si riferisce al proprio oggetto (trascendente o immanente). Se si trovano, certo, le più esplicite analisi di questa coscienza interna con i suoi intrecci fra «impressioni originarie», ritenzioni e protenzioni – in termini di «processo originario (Urprozess)» e della sua struttura in nuclei – solamente nel 1917/1918 (nei famosi «Manoscritti di Bernau»51), è importante sottolineare però che già dieci anni prima (cfr. la sezione B di Husserliana X) Husserl consegna importanti abbozzi che svolgono un ruolo capitale nella «svolta trascendentale» della fenomenologia. Ad ogni modo, non è quindi certamente l’atto riflessivo che rende manifesta la coscienza interna, ma, al contrario (ancora un’idea di Brentano la cui importanza non si può dimenticare), è la coscienza interna che rende innanzitutto possibile il ritorno riflessivo su qualsiasi atto! Ora, a questo proposito, è del tutto interessante notare che Husserl designi questa coscienza interna come «impressionale». E questo non solo, ovviamente, per «distinguersi» dal lessico «rappresentazionale» del suo maestro (Husserl non ebbe a che fare con questo genere di preoccupazioni), né tantomeno – e su questo punto Paul Ricoeur, e probabilmente anche lo stesso Michel Henry, si sono sbagliati – per accordare
51 Su questo punto vedere il capitolo successivo.
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una priorità al flusso iletico, ma per dare una base fenomenologica che attesti questo accompagnamento sistematico, e verificabile, di ogni atto da parte della coscienza interna52, da un lato, e, dall’altro, del fatto che la coscienza interna rende innanzitutto possibile la distinzione tra un atto di percezione, un atto di immaginazione, ecc. (distinzione la cui stessa coscienza interna non è tuttavia contaminata). Vediamo ora come la struttura della coscienza interna permette di rendere conto del già accennato sdoppiamento della coscienza immaginante. La rinascita di interesse (dopo Brentano) nei confronti della coscienza interna si spiega con la rimessa in discussione, caratteristica della metà e della fine degli anni Dieci del Novecento, dello schema «apprensione/contenuto di apprensione»53 che Husserl aveva dapprima introdotto nelle Ricerche Logiche, l’abbiamo visto, per rendere conto della percezione di un oggetto trascendente e le cui carenze apparvero, poco tempo dopo, nell’analisi del ricordo primario (chiamato successivamente «ritenzione»). Secondo questo schema, rammentiamolo, la manifestazione di un oggetto è resa possibile da un atto di apprensione che «apprende», «anima», un contenuto sensibile, il quale è vissuto, ma non si manifesta in senso proprio (ciò che si manifesta è l’oggetto percepito). Se adesso lo sta-
52 È R. Bernet a sottolineare a buon diritto: «[…] la coscienza interna […], lungi dal produrre lo sdoppiamento della coscienza intenzionale in una coscienza intenzionale riproduttiva e una coscienza intenzionale riprodotta, non fa che registrarlo sotto forma di un vissuto impressionale. In altre parole, la coscienza interna che accompagna l’effettuazione di un atto di rimembranza o di fantasia non è che la coscienza impressionale di una coscienza intenzionale riproduttiva e non una coscienza intenzionale che riprodurrebbe essa stessa un’altra coscienza intenzionale», Conscience et existence, op. cit., p. 96. 53 Cfr. R. Sokolowski, The Formation of Husserl’s Concept of Constitution, Phaenomenologica 18, Den Haag, M. Nijhoff, 1970.
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tuto del contenuto sensibile diventa problematico – è il caso, segnatamente, della phantasia (e, in particolare, della phantasia «pura» che non si basa su alcun portatore fisico o di altra natura) – allora questo modello può dimostrarsi inadeguato. Ed è precisamente ciò di cui Husserl si è reso conto nei testi in realtà poco sistematici che troviamo in Husserliana XXIII (per esempio in parecchi testi del 1909). La «soluzione» (certo abbandonata abbastanza rapidamente) per rendere conto del ricordo primario consisteva nell’evidenziare un’auto-differenziazione dell’atto percettivo54. Questo abbandono si spiega con l’elaborazione di una intenzionalità specifica – l’intenzionalità «ritenzionale» (e «protenzionale»). Al contrario, per quanto riguarda la phantasia, un modello simile si rivelerà più efficace agli occhi di Husserl: quello dello sdoppiamento, in particolare, della coscienza immaginante. Cosa significa questo «sdoppiamento»? Si potrebbe pensare innanzitutto allo sdoppiamento riflessivo. Ma è chiaro che, nel caso della phantasia, non si tratta di una riflessone. Il duomo di Orvieto immaginato in phantasia non si lascia ricondurre ad una riflessione sul duomo percepito. Come concepire dunque la relazione tra l’oggetto percepito e l’oggetto immaginato in phantasia? Husserl risponde che l’oggetto immaginato in phantasia è l’oggetto percepito – ma in quanto «modificato» e «riprodotto». È molto importante non fraintendere questi termini, ai quali Husserl dà un significato molto specifico55. La percezione presenta (gegenwärtigt) un oggetto – la phantasia, l’abbiamo visto, lo presentifica (vergegenwärtigt). La presentificazione che caratterizza la phantasia non è né un ricordo né una riproduzione – nel senso proprio del termine – d’immagine. Essa rende presente una rappresentazione di qualcosa di as-
54 Cfr. infra il capitolo successivo. 55 Cfr. in particolare Husserliana XXIII, Nr. 14 così come le Appendici.
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sente ed il cui statuto d’essere è neutralizzato56 (sospensione che evidentemente ricorda quella dell’epoché fenomenologica, ma con la quale, in quanto costitutiva di un oggetto fittizio, non si identifica affatto). Qual è il legame tra questa presentificazione della phantasia e la coscienza interna? Innanzitutto, per quanto riguarda la neutralità ontologica dell’immagine di phantasia, Husserl stabilisce che è proprio grazie alla coscienza interna, l’abbiamo detto, che si diventa consapevoli del fatto che un oggetto è percepito, immaginato, ricordato, ecc. Ed è questa stessa coscienza interna – che non è, sottolineiamolo, un vissuto (Erlebnis)57 allo stesso titolo della coscienza percettiva! – che costituisce (ausmacht) quindi questa presentificazione (modificante e riproduttiva). Più precisamente: l’immaginato in phantasia appare «per» la coscienza interna come modificazione dell’oggetto percepito, cioè come un atto che implica intenzionalmente (il che non significa «contiene effettivamente (reell)»!) l’atto percettivo possibile58 in cui l’oggetto può di diritto essere dato (a differenza del ricordo che implica intenzionalmente l’atto primitivo in cui l’oggetto è stato, di fatto, inizialmente dato in maniera percettiva). E, d’altra parte, la presentificazione (in questo caso: la phantasia) non solo è coscienza dell’oggetto presentificato, ma, «nella» coscienza interna, coscienza riproduttiva di ciò che fonda impressionalmente (ma non come datum sensibile, cfr. infra) questo possibile atto percettivo di cui abbiamo appena parlato. La coscienza presentificante è così caratterizzata da una «mediazione specifica (eigentümliche Mittelbarkeit)»59 che è vei56 Cfr. Ideen I, § 111. Vedere anche Husserliana XXIII, testi Nr. 15 e 18. 57 Husserliana XXIII, Nr. 14, p. 314. 58 Cfr. il § 1 («Phantasie, Bildbewusstsein, Erinnerung»), redatto da E. Marbach, del capitolo 5 intitolato «Phänomenologie der anschaulichen Vergegenwärtigungen», in R. Bernet, I. Kern, E. Marbach, Edmund Husserl. Darstellung seines Denkens, Hambourg, F. Meiner, 1989, p. 135. 59 Husserliana X, Appendice XII, p. 128.
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colata attraverso la coscienza riproduttiva e che non ha nulla in comune con una qualsiasi forma di coscienza d’immagine. Vediamo così in che modo questa concezione è infine determinante per l’abbandono dello schema apprensione/contenuto d’apprensione. L’«impressione» contenuta nella coscienza riproduttiva non è, infatti, un datum sul quale si innesterebbe un’apprensione, ma essa è già, da parte a parte, coscienziale60. Implicazione intenzionale, riproduzione dell’impressione di un atto possibile, il fatto di non contenere effettivamente un atto percettivo originario e neutralità per quanto riguarda lo statuto d’essere – tali sono, quindi, per riassumere, le quattro caratteristiche essenziali della rappresentazione di phantasia dovute alla coscienza interna.
Lo «sdoppiamento» della coscienza e la «scissione dell’Io» L’oggetto della phantasia è fittizio– la sua «presenza» è alla stregua del suo carattere riprodotto. Rispetto a un oggetto percepito è certamente assente. Ma per la phantasia esso possiede propriamente una forma di presenza sotto il modo del «quasi»: è quasi presente, ed è in questo senso, e in questo solamente, che possiamo parlare dell’oggetto immaginato in phantasia come di una «quasi percezione». Rudolf Bernet riassume ciò in questo modo: «Contrariamente al ricordo, si tratta [...] di una riproduzione che produce la quasi-percezione riproducendola, e di una modificazione che crea, modificandola, la percezione che essa modifica in una quasi-percezione»61. In effetti, la difficoltà della rappresentazione di phantasia – come il suo interesse e la sua ricchezza –, è che essa dipende nello stesso
60 È ciò che Husserl afferma in modo molto convincente nel Nr. 8 (del 1909) di Husserliana XXIII, p. 265 ss. 61 R. Bernet, Conscience et existence, op. cit., p.111.
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tempo da una «riproduzione» e da una «produzione» (donde il senso specifico, l’abbiamo capito, del suo carattere riprodotto). Riprodotta essa lo è, perché esprime una modificazione (di un oggetto percettibile). Ma essa produce o «crea» anche qualcosa (in virtù della coscienza interna, ci torneremo immediatamente): vale a dire questa quasi percezione, enigmatica (perché non si appoggia infine su nessun datum sensibile), di un oggetto fittivo il cui Io «fantasticante» ha coscienza. Ma come possiamo legittimamente parlare, nel caso della rappresentazione di phantasia, di un’assenza di contenuti sensibili? Come può il soggetto «fantasticante» «quasi percepire» qualcosa, se una tale quasi percezione non si fonda su «niente»? È qui che entra in gioco, ancora una volta e decisamente, grazie alla coscienza interna, lo «sdoppiamento» della coscienza intenzionale. Quando la coscienza interna s’immagina, in phantasia, un oggetto effettivo, la coscienza intenzionale difatti si sdoppia – dato che la coscienza riproduttiva «si appoggia» su una coscienza immaginata! E come l’ha dimostrato in modo magistrale Marc Richir in Phantasía, imagination, affectivité62, una Ichspaltung, una «scissione dell’Io» (ciò che pone d’altronde la spinosa questione di sapere se vi è davvero «vita» e «vissuto» nell’Io immaginario diviso63) si verifica nello stesso tempo dal lato dell’Io tra la coscienza riproduttiva e quella che è intenzionalmente implicata in essa64 – scissione tra una coscienza impressionale (la prima) e un’altra che non lo è (nel62 Cfr. in particolare il capitolo I dell’Introduzione di M. Richir, Phantasia, imagination, affectivité, Phénoménologie et anthropologie phénoménologique (op. cit.) (pubblicato inizialmente nel Nr. 2, 2003 degli Annales de Phénoménologie). 63 È la risposta a questa domanda che inaugura, nell’opera di M. Richir, una psicopatologia fenomenologica. 64 Bernet formula l’interessante ipotesi secondo cui sarebbe la phantasia riproduttiva che rappresenterebbe la forma più fondamentale dell’alterità, Conscience et existence, op. cit., p.113; cfr. anche R. Bernet, «L’analyse hus-
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la misura in cui, l’abbiamo già detto sopra, essa non lo è mai stata). Ed è anche questa scissione (registrata dalla coscienza interna) che, lungi dal derivare dal «conflitto (Streit)» tra una percezione effettiva e la rappresentazione di phantasia, lo rende in primo luogo possibile.
Il reale e l’immaginario Qual è, all’interno di questa divisione, il rapporto tra l’Io «reale» o «effettivo» (che Husserl chiama il «Real-Ich») e l’Io «immaginario» o «fittizio» (il «Phantasie-Ich»)? Da un lato, a causa della loro separazione, questi due Io appartengono a realtà distinte – il mondo reale non è il mondo immaginario di un racconto o di qualsiasi finzione. Ma dall’altro, sono ben io che «vivo» tanto nell’uno, quanto nell’altro. Come rendere conto di questa duplice appartenenza di un solo e medesimo «Io»? Come abbiamo visto precedentemente (nella nostra lettura del Corso del 1904/1905), questa differenza si spiega temporalmente – ed è la soggettività trascendentale che costituisce il tempo, a meno che non siano dei regimi di temporalizzazioni differenti che costituiscono fin dal principio una distinzione, come quella tra il Real-Ich e il Phantasie-Ich! Ad ogni modo, quello che qui è in gioco, è nientemeno che il rapporto fondamentale – quanto al loro statuto ontologico – tra il reale e l’immaginario. Delle due l’una: o si considera che è l’unità che prevale e che l’Io può vivere successivamente (o meglio: simultaneamente) in realtà differenti senza che ciò intacchi questa unità; oppure si prende sul serio l’idea che l’Io possa condurre una «doppia vita» – che è in realtà una «vita multipla»: la vita reale o effettiva, e le tante vite immaginarie
serlienne de l’imagination comme fondement du concept freudien d’inconscient», in ALTER, Nr. 4, 1996, p. 43-67.
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che il Phantasie-Ich «si fantasmizza» in «mondi immaginari (Phantasie-Welten)» – la qual cosa farebbe scoppiare l’unità dell’Io in una pluralità indeterminata. Anche se in fin dei conti Husserl sembra privilegiare il primo termine dell’alternativa (istituendo il «flusso assoluto della coscienza» come istanza costituiva ultima), non è men vero che la phantasia gioca sotto diversi aspetti un ruolo costitutivo fondamentale: che si pensi all’istituzione dell’idealità nella fenomenologia eidetica65 o alla tesi, già menzionata, di Rudolf Bernet (sviluppata in un’altra direzione da Marc Richir66) secondo cui la coscienza immaginante costituisce la matrice di ogni forma di coscienza dell’alterità67. Cosa ci insegnano le analisi precedenti sulla concezione husserliana del trascendentale? Esse rivelano che l’analisi intenzionale non si restringe affatto, in maniera esclusiva, alla percezione oggettivante, ma che si apre a dei tipi di rapporto all’oggetto che fuoriescono dal quadro ristretto di una realtà già costituita, di cui si tratterebbe semplicemente di chiarire le modalità costitutive. Ora, questa analisi è stata condotta in termini temporali. Ma come si costituisce la temporalità stessa? E, più fondamentalmente, in che cosa la costituzione della temporalità è legata all’auto-costituzione della soggettività
65 Cfr. M. Richir, L’institution de l’idéalité. Des schématismes phénoménologiques, Beauvais, Mémoires des Annales de Phénoménologie, 2002. 66 M. Richir, Phénoménologie en esquisses (op. cit.). 67 Questa tesi non è molto lontana da quella formulata in primo luogo da Maurice Merleau-Ponty in La phénoménologie de la perception e successivamente da Emmanuel Levinas in Le temps et l’autre – secondo la quale il tempo è costitutivo dell’alterità – poiché, ed era qui l’oggetto di questo capitolo, proprio la natura temporale della coscienza permette di rendere conto della distinzione tra le intuizioni «in carne ed ossa» della coscienza presentante e le intuizioni posizionali (ricordi e immagini) o anche neutralizzate (phantasia) della coscienza presentificante.
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trascendentale – campo fondamentale, l’abbiamo visto, della fenomenologia intesa come filosofia trascendentale?
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Capitolo quarto La coscienza del tempo
La fenomenologia della coscienza immaginante ha mostrato in maniera evidente che la descrizione dei diversi tipi di intenzionalità ha il dovere, se essa vuole fedelmente rendere conto delle differenti possibilità per il soggetto di rapportarsi all’oggetto, di tematizzare la dimensione temporale della coscienza trascendentale. Il compito del presente capitolo consisterà ora nel mettere in evidenza, per se stessa (e non in vista di un altro fine), la struttura temporale della coscienza intenzionale. Vedremo che la realizzazione di questo compito svelerà i limiti dell’analisi descrittiva, i quali non potranno essere superati che grazie ad una costruzione fenomenologica di cui noi ricostruiremo, passo dopo passo, i diversi momenti. La fenomenologia husserliana del tempo – presentata inizialmente nella quarta parte del suo celebre Corso del 1904/051, approfondita in ulteriori testi importanti tra il 1905 e il 19132 e che trova una prima forma compiuta decisiva nei Manoscritti
1 Edmund Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), a cura di Rudolf Boehm, tr. it. di A. Marini, Milano, Franco Angeli, 1985, pp. 39-122. 2 Cfr. a tal proposito Edmund Husserl, Per la fenomenologia della coscienza interna del tempo (1893-1917), cit., pp. 123-368.
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di Bernau (1917/1918)3 – stabilisce che il tempo è una forma. Le analisi degli «oggetti-tempo (Zeitobjekte)»4 in Husserliana X e del «processo originario» (Urprozess) nei Manoscritti di Bernau hanno in effetti lo scopo di mostrare che si può rendere conto della costituzione del tempo solo precisando la struttura formale – che pone il problema del tempo su un piano costitutivo al di qua della scissione soggetto/oggetto5 – dell’intenzionalità percettiva degli oggetti dipendente, da un lato, dalla sfera immanente della coscienza e, dall’altro, dai campi «orizzontali», mediati «protenzionalmente» e «ritenzionalmente», che caratterizzano ciò che Husserl chiama, l’abbiamo già indicato, la sfera «pre-immanente», la quale è costitutiva contemporaneamente degli oggetti-tempo immanenti costituiti e dell’auto-manifestazione stessa del flusso (o processo) originario. Una delle scoperte fondamentali della fenomenologia del tempo è che il tempo non è semplicemente un «oggetto» della coscienza fra tutti gli altri, ma che la coscienza è essa stessa intrinsecamente strutturata in modo temporale, ovvero che perfino il tempo gioca un ruolo primordiale nell’auto-costituzione del flusso assoluto della coscienza. Qual è allora questa 3 Die Bernauer Manuskripte über das Zeitbewusstsein (1917/18), Husserliana XXXIII, R. Bernet e D. Lohmar (ed.) Dordrecht, Boston, Londra, Kluwer, 2001. 4 G. Granel ha tradotto il termine “Zeitobjekt” con “tempo-oggetto”. Anche se questa traduzione si è più o meno imposta, noi preferiamo tuttavia tradurre questo termine con “oggetto-tempo” (seguendo in ciò J.-T. Desanti). 5 L’apporto essenziale della fenomenologia husserliana del tempo consiste così nel mostrare che il problema del tempo non è quello di sapere se il tempo “originario” sia “oggettivo” o “soggettivo”, ma che – e ciò non è nient’altro, ben inteso, che la problematica stessa dell’idealismo trascendentale di Husserl – il problema della costituzione ultima del tempo richiede di discendere in una sfera costitutiva che rende questa distinzione innanzitutto possibile (e vedremo quindi che il procedimento che permetterà di stabilirlo non sarà costitutivo, ma costruttivo).
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temporalità «del manifestarsi stesso»? È una sintesi passiva – che non dipende da un atto intellettuale e che struttura il campo delle potenzialità della coscienza costituente (vi torneremo più avanti) – che attraversa tutta la vita intenzionale della soggettività trascendentale. Essa non unisce dall’esterno i vissuti intenzionali gli uni con gli altri, ma in un’unità sintetica nella quale si incastrano per così dire «dall’interno» – il che giustifica una volta di più l’appellativo di coscienza «intima (inneres)»6. La correlazione della coscienza del tempo e della temporalità immanente forma essa stessa così l’orizzonte temporale7 universale in cui si organizzano successivamente tutti i vissuti intenzionali dell’ego.
La temporalità immanente Non si può rendere conto in modo esaustivo di tutte le componenti della sfera immanente della coscienza se, in modo generale, si fa astrazione della loro dimensione temporale. Abbiamo mostrato nel Capitolo II che l’analisi intenzionale delle Ricerche Logiche introduceva un certo numero di distinzioni che in seguito Husserl non ha più messo in discussione. In sostanza ciò è vero per quanto concerne il contenuto delle analisi effettivamente realizzate; ma queste sono state nondimeno incomplete. Come Husserl sottolinea nella Lezione XXXIX di Filosofia prima (seconda parte), l’analisi intenzionale può essere completata soltanto integrando per l’appunto la dimensione temporale. Risulterà quindi che il trascendentale è in
6 Cfr. Husserliana XXIII, Appendice XXXIII, p. 316. 7 Questo orizzonte caratterizza, ripetiamolo, tanto la sfera immanente della coscienza (al livello dell’orizzonte ontologico) che la sua sfera pre-immanente (al livello dell’orizzonte delle potenzialità).
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realtà dato «in maniera duplice»: oltre le componenti effettive attuali (data sensibili, apprensioni – quali la percezione attuale, il ricordo attuale, ecc.), in effetti vi si trova ugualmente il ricordato in quanto esso è dato in una percezione passata. In altre parole, nel ricordo è dato un vissuto trascendentale presente e un vissuto trascendentale passato. Com’è possibile? È possibile dal momento che «io, l’io trascendentale, vivo una vita trascendentale che si presenta in un’esperienza trascendentale continua sotto una propria forma temporale trascendentale»8. Si tratta ora di rendere conto della costituzione di questa forma temporale. Per fare questo bisogna innanzitutto mettere fuori gioco ogni «ipotesi» (Annahme), ogni «determinazione» (Festsetzung), ogni «convinzione» (Überzeugung) riguardo al tempo oggettivo. Ciò non vuol dire che il tempo stesso sia messo fuori circuito, ma che lo sguardo fenomenologizzante è portato sul tempo che si manifesta (privo di qualsiasi senso d’essere oggettivo). Sembrerebbe dunque che si abbiano qui due «temporalità» differenti: il tempo oggettivo (o empirico) e il tempo immanente o pre-empirico9. Ora, a rigore, è meglio non parlare di due temporalità differenti né di due «sfere» o «livelli» di temporalità, ma occorre limitarsi strettamente al lessico husserliano: si tratta qui di due livelli costitutivi o livelli di costituzione (Konstitutionsstufen) differenti – terminologia che permette di rispettare la differenza quanto al senso d’essere di questi livelli. Cos’è allora questo tempo «che si manifesta», questa temporalità immanente? È il tempo caratteristico delle componenti della sfera immanente della coscienza: delle oggettività che si manifestano, in primo luogo, ma anche degli «ingredien8 Filosofia prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXIX, p. 86. 9 Cfr. il § 34 delle Lezioni per una fenomenologia della coscienza interna del tempo.
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ti» noetici e iletici di tale sfera: le ritenzioni, le protenzioni, i «data iletici», ecc. A questo punto occorre essere molto prudenti: lo statuto delle ritenzioni (e delle protenzioni) evolve tra la prima introduzione di questi termini (nel 1904), la concezione della ritenzione del 1908 o 190910 e l’idea che le ritenzioni sarebbero dei momenti del flusso11. Nell’accezione del 1904/05 (la ritenzione come «auto-differenziazione» di un atto di percezione) e nell’accezione del 1908/09 (la ritenzione come intenzionalità del tutto specifica che non si riduce ad una intenzionalità d’atto), la ritenzione e la protenzione fanno parte delle componenti della sfera effettiva (reell) o immanente della coscienza. In seguito affronteremo le due sfere della temporalità così come le analizza Husserl rispettivamente nei testi del 19051909 (temporalità immanente) e del 1917-1918 (temporalità pre-immanente). Per quanto concerne la prima, accenneremo brevemente alle analisi husserliane dell’intenzionalità ritenzionale (che sono relativamente conosciute12), approfondiremo maggiormente le elaborazioni – meno conosciute – dell’intenzionalità protenzionale e giustificheremo infine l’introduzione, da parte di Husserl, del concetto di «coscienza assoluta». Quanto alla sfera pre-immanente, su cui ci focalizzeremo principalmente in questo capitolo, procederemo (seguendo fedelmente le analisi di Husserl) alla costruzione fenomenologica tanto sul versante «noetico.» quanto sul versante» noematico» del «processo originario» con la sua struttura in «nuclei».
10 Husserliana X, Nr. 50. 11 Husserliana X, Nr. 54, p.371; tr. it. p. 356. 12 Abbiamo cercato di descrivere la sistemazione dell’intenzionalità ritenzionale di Husserl nel nostro lavoro Temps et phénomène, op. cit., sezione B, capitolo II, p. 99 ss.
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L’intenzionalità ritenzionale All’epoca delle Lezioni del 1904-1905 Husserl esita tra i due termini della seguente alternativa: in certi testi assegna la virtù costitutiva del tempo ai data iletici (contenuti d’apprensione), mentre in altri testi privilegia le apprensioni – esitazione che non riguarda semplicemente le analisi del tempo ma ugualmente, l’abbiamo visto, quelle dell’immaginazione e della phantasia. La soluzione che in un primo tempo prende in considerazione, vi avevamo già fatto riferimento nel capitolo precedente, è la tesi di un’auto-differenziazione degli atti di apprensione e ciò accordando la priorità agli atti di apprensione in quanto essi costituiscono un’intenzionalità specifica – non già quella che chiamerà più tardi la «coscienza ritenzionale»13, ma una specie d’intenzionalità d’atto, di certo differente da una intenzione oggettivante mirante ad un oggetto trascendente che rende conto del passaggio continuo da qualche cosa di percepito a qualche cosa di ritenuto in un ricordo primario. La novità della concezione dell’intenzionalità ritenzionale – esposta per la prima volta molto chiaramente in un testo del 1908-190914 – risiede esattamente nella messa in discussione di ogni intenzionalità d’atto per rendere conto della costituzione di un flusso temporale. Due caratteristiche fondamentali distinguono la ritenzione da una semplice auto-differenziazione di un atto: da una parte l’intreccio tra le fasi successive della coscienza ritenzionale (cioè tra la ritenzione, la ritenzione della ritenzione, ecc.) e, dall’altra, il carattere originariamente sintetico (in un senso vicino a quello di Kant) di questa «inten-
13 Anche se il termine “ritenzione” appare qua e là nei testi di Husserl dal 1904, il suo senso tecnico non sarà raggiunto che intorno al 1907 – e Husserl non lo utilizzerà esplicitamente in questo senso che a partire dal 1908-1909. Notiamo d’altronde che questo termine non appare affatto nelle Lezioni del 1905. 14 Cfr. Husserliana X, Nr. 50.
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zionalità» specifica: non si potrebbe assegnare alcun polo egologico alla ritenzione, dato che la »coscienza « ritenzionale non è niente di più che la sensazione originaria ricordata (dunque, né un carattere d’atto né un contenuto psichico ipostatizzato). Il passaggio seguente mette bene in evidenza questa caratteristica: Ma che cosa significa ciò se non appunto che le ordinate trapassano le une nelle altre e che qui il trapassare stesso non è altro che un trapassare della modificazione memorativa? O meglio: il flusso di coscienza è bensì dal canto suo una SUCCESSIONE, ma adempie da sé le condizioni di possibilità della COSCIENZA DI SUCCESSIONE. […] [Il ricordo] implica già in se stesso il «ricordo» del ricordo precedente (ritenzione).15
Husserl conferisce in questo modo uno statuto all’oggetto passato in quanto passato: quest’ultimo non è un atto psichico, non è una entità ipostatizzata, ma corrisponde all’insieme sintetico degli «adombramenti (Abschattungen)» intrecciati del punto iniziale. Egli caratterizza la ritenzione come segue: […] ritenzione è […] un’espressione che si può usare per indicare la relazione intenzionale […] da fase di coscienza a fase di coscienza, dove le fasi di coscienza e le continuità di coscienza in se stesse non devono esser viste a loro volta come oggetti temporali [i quali dipendono dalla temporalità immanente]. Dunque la sensazione, se con questa parola si intende la coscienza (non il rosso, il suono, ecc., durativo immanente, cioè il sentito), e così la ritenzione, la rimemorazione, la percezio-
15 Husserliana X, p. 332 s.; tr. it. p. 326.
172 ne, ecc. sono atemporali, ossia nulla che sia nel tempo immanente. […] Queste sono cose della massima importanza, forse le più importanti di tutta la fenomenologia.16
Husserl segnala qui, a livello di analisi della temporalità immanente, l’entrata in gioco di fenomeni atemporali che ci rimandano dunque ad una sfera al di là (o piuttosto al di qua) della sfera immanente. Questa «atemporalità» non significa che questi fenomeni sarebbero privi di un carattere temporale, ma che essi non sono temporali con lo stesso titolo degli oggetti-tempo immanenti costituiti.
L’intenzionalità protenzionale Ma prima di affrontare questi aspetti in maniera più approfondita, ci volgeremo adesso verso il versante protenzionale della temporalità immanente (che troviamo nei Manoscritti di Bernau17). Husserl compie in questi manoscritti l’analisi della costituzione di un oggetto temporale immanente, completandola con la componente dell’intenzionalità protenzionale che era ancora assente nelle descrizioni precedenti della coscienza ritenzionale. Vediamo innanzitutto, in generale, ciò che implicano le analisi relative all’intenzionalità protenzionale per la concezione dell’intenzionalità ritenzionale. Mentre la ritenzione attraversa la serie dei punti ritenuti «scendendo» nel passato al fine di fissare l’oggetto preso in considerazione18, la protenzione, 16 Husserliana X, p. 333 s.; tr. it. p. 327. 17 In ciò che segue riprenderemo in parte dalle analisi già sviluppate nel capitolo III della sezione B del nostro lavoro Temps et phénomène (op. cit.). 18 Husserliana XXXIII, Nr. 12, p. 256.
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in maniera simmetrica, attraversa la serie degli avvenimenti attesi per fissare il proprio oggetto e, in entrambi i casi, essa non è discontinua, «saltando» in certo qual modo da un punto all’altro, ma è un’intenzionalità protenzionale diretta continuamente su tutto ciò che può «raggiungere». «Essa passa – se consideriamo il continuum come composto da fasi – da una fase all’altra, attraverso essa alla seguente, attraverso quest’ultima a quella che segue ancora dopo, e così a tutte le fasi»19. Ciò implica che, secondo la sua struttura, questa intenzionalità è munita di un orizzonte le cui fasi possono essere riempite dall’avvenire di un datum di presenza originaria, senza che ciò esaurisca o assorbi il carattere d’orizzonte; la protenzione conserva la sua continuità intenzionale estendendosi sempre al di là di ogni riempimento (e andando smorzandosi, così come anche la ritenzione si smorza al di là di una certa soglia). Un altro parallelo con la ritenzione è che la protenzione si dirige nello stesso tempo verso i futuri data originari e verso le protenzioni future corrispondenti (come la ritenzione, quindi, che si dirige verso il punto ritenuto e verso la ritenzione del punto ritenuto, ecc.). Così vi è un intreccio di protenzioni che richiama la «coda di cometa» delle ritenzioni. «Il continuum degli atti protenzionali è esso stesso in ogni fase un continuum, e, più esattamente, un punto è una protenzione riempita, e quello che resta [è] una protenzione vuota»20. Husserl stesso esprime in un modo molto pregnante la simmetria tra la protenzione e la ritenzione: Nel continuum protenzionale, ogni protenzione anteriore si comporta rispetto alla protenzione successiva come ogni ritenzione posteriore si comporta rispetto alla ritenzione antecedente della stessa serie. La protenzione anteriore racchiude
19 Husserliana XXXIII, Nr. 1, § 3, p. 8. 20 Husserliana XXXIII, p. 9.
174 in se stessa intenzionalmente (le implica) tutte le protenzioni posteriori, la ritenzione posteriore implica intenzionalmente tutte le ritenzioni anteriori.21
Al di là delle simmetrie tra le analisi di queste due specie d’intenzionalità, si riscontrano anche delle asimmetrie tra quest’ultime. Nel corso di uno flusso temporale, la protenzione di qualsiasi contenuto in un dato istante è più «piena (voll)» dell’istante successivo. In questo senso, è giustificato dire che le protenzioni posteriori «riempiono» le protenzioni anteriori. Nel caso delle ritenzioni, al contrario, un tale riempimento è impossibile. Se si parla di «riempimento», lo si fa in un senso totalmente diverso da quello della modificazione protenzionale – ovvero quello che mette in rapporto la presentazione con una presentificazione (una ritenzione anteriore «riempie» così una ritenzione posteriore, ma questa non può effettuarsi che in un atto presentificante, cioè, dopo, «tornando» sul ricordo). La modificazione protenzionale è quindi continua, mentre la modificazione che regola il riempimento di una ritenzione posteriore con una ritenzione anteriore è irriducibilmente discreta. A partire dalle descrizioni precedenti, vediamo fin d’ora qual è il supplemento decisivo (che tiene conto dell’intenzionalità protenzionale nella costituzione della coscienza del tempo) apportato da Husserl alla struttura temporale della sfera immanente. Le analisi precedenti ci hanno in effetti chiarito il ruolo costitutivo delle protenzioni, conformemente all’osservazione di Husserl secondo cui la protenzione sarebbe una ritenzione «capovolta (umgestülpt)»22. Ma nel testo Nr. 2 di 21 Ivi, p. 10. 22 Cfr. il Appendice I, già citato, al § 4 del Nr. 1 di Husserliana XXXIII, p. 17: “La figura permette di vedere in che misura la protenzione è una riten-
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Husserliana XXXIII, Husserl stabilirà che questa descrizione non è ancora sufficiente poiché una descrizione fenomenologica rigorosa della protenzione non potrebbe accontentarsi di una caratterizzazione in termini di un semplice «elemento simmetrico» della ritenzione. In realtà, il punto è che protenzione e ritenzione sono aggrovigliate. Non c’è dunque solo una modificazione ritenzionale di ciascun nucleo originario, ma ugualmente una modificazione protenzionale che si innesta tanto sul nucleo presente che sugli intervalli ritenzionali. Questa intenzionalità protenzionale, lungi dal costituire un atto che si andrebbe ad aggiungere ad altre intenzionalità, tesse in qualche modo una «struttura» coscienziale continua – costitutiva della coscienza immanente che si rivela essere così strutturata in maniera temporale – e assicura in questo modo il sorgere di nuovi presenti che sono i punti d’arrivo di ognuna di queste protenzioni. È precisamente questa continuità che ha in mente Husserl quando dice che la protenzione non si applica semplicemente da «un punto all’altro». Ricapitolando, possiamo enumerare le diverse e decisive acquisizioni – venendo a completare le prime analisi della temporalità immanente che erano centrate, praticamente in modo esclusivo, sull’intenzionalità ritenzionale – che abbiamo potuto evidenziare in ciò che precede. Queste acquisizioni concernono dunque: gli intrecci delle ritenzioni (nelle ritenzioni di ritenzioni, ecc.) (Husserliana X, testo Nr. 50) (lo stesso varrà in seguito anche per le protenzioni); l’intenzionalità protenzionale (Husserliana XXXIII, testo Nr. 1); e infine l’intreccio tra le protenzioni e le ritenzioni (Husserliana XXXIII, testo Nr. 2).
zione capovolta, ma si tratta qui di una modificazione della ritenzione che tuttavia ‘presuppone’ in qualche modo la ritenzione”.
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Per poter giustificare la necessità della discesa nella sfera «preimmanente» della coscienza trascendentale occorre adesso ritracciare il cammino che ha portato Husserl ad introdurre la nozione di «flusso assoluto della coscienza».
Il flusso assoluto della coscienza Le analisi relative al tempo degli anni 1906-1911, che si propongono dunque di rendere conto della costituzione della temporalità immanente, conducono in effetti, attraverso diverse prospettive, alla necessità di ammettere che la temporalità immanente è a sua volta costituita in una forma di «coscienza» più «originaria» – una coscienza di cui bisogna determinare esattamente lo statuto temporale. Facciamo ora l’inventario degli argomenti che parlano in favore di ciò che porterà effettivamente all’ipotesi di quella che Husserl chiama «una coscienza assoluta» ed alla necessità di ammettere una temporalità «pre-immanente». 1) La prima menzione esplicita della «coscienza assoluta» si trova nel § 42 della terza sezione intitolata «Le forme di oggettivazione» in un Corso insegnato da Husserl nel semestre invernale 1906/0723. Il problema che si poneva era quello della coscienza dei contenuti di apprensione, da un lato, e delle apprensioni, dall’altro. La percezione, l’apprensione, è vissuta nel momento in cui il contenuto è cosciente, ma non vissuto. Husserl chiama «pre-fenomenale»24 l’essere del vissuto che può essere dato solo in virtù di un’analisi riflessiva – cioè, in questo caso, quello dei contenuti sensibili. Nel caso di una
23 “Introduzione alla logica ed alla teoria della conoscenza (Einleitung in die Logik und Erkenntnistheorie)”, testo edito da U. Melle e pubblicato in Husserliana XXIV. 24 Husserliana XXIV, § 42, p. 244.
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percezione adeguata (rapportandosi allo scorrimento dei contenuti nel flusso del tempo fenomenologico attuale), gli «oggetti» percepiti sono nello stesso tempo dei vissuti. Ora, vi è un vissuto di un datum esteso in una temporalità fenomenologica «prima» della sua oggettivazione trascendentale. Husserl chiama la coscienza di un tale datum precisamente «coscienza assoluta»25. Bisogna sottolineare che questa coscienza assoluta non è affatto ancora quella a cui accederà a partire dal 1909; nel 1906/07 Husserl si è limitato alla sola sfera immanente (con i modi di coscienza che le corrispondono) e non ha ancora stabilito la tripartizione nei tre distinti livelli costitutivi della coscienza. 2) Un’altra menzione della coscienza assoluta è fatta nel testo Nr. 39 di Husserliana X del 1909 e che è una ripresa di quello stesso Corso del 1906/07. Husserl svolge qui l’analisi del flusso assoluto come «flusso fansiologico». Questa analisi, condotta in tre tempi, propone uno sviluppo che si pone inizialmente a livello della sfera immanente prima di aprire, anticipando, al livello della sfera pre-immanente. a) Nella prima parte dell’analisi Husserl si interroga, all’inizio, sulle diverse accezioni della percezione. Egli distingue tra la percezione presentante (darstellende) e la percezione non presentante (nicht darstellende). Il punto comune di ogni percezione è che essa si rapporta a qualche cosa di individuale. Ora, ciò che fa in modo che un individuo (per esempio un suono) sia un individuo, è il fatto di essere un’unità temporale. Ne deriva la distinzione fondamentale tra l’unità della cosa (Ding) e la molteplicità delle fasi di tempo (zeitliche Dingphasen) costitutive del processo (Vorgang) temporale della cosa. Pertanto vi sono due specie di unità: da una parte, l’identità della cosa (la cosa è identica in
25 Husserliana XXIV, § 42, p. 246.
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ogni punto della durata; un punto della durata non rientra in maniera costitutiva nella cosa); e, dall’altra parte, l’unità della continuità di fasi (Einheit der Phasenkontinuität) che rimanda alla durata della cosa: è il tempo concretamente riempito in quanto unità del processo. (Il processo cambia nel corso della durata, è una durata riempita; ogni punto costruisce (baut auf) il processo stesso.) Questa distinzione è valida tanto sul piano di una percezione trascendente che su quello della sfera immanente della coscienza b) Un altro punto cruciale del testo Nr. 39 concerne la messa in evidenza di una «nuova continuità» che non è quella dei punti temporali che costituiscono la durata dell’oggetto, ma degli adombramenti temporali del suono26. Si tratta qui di una forma di coscienza che Husserl chiamerà in seguito intenzionalità trasversale che riguarda la coscienza, nell’adesso, delle fasi passate del suono. Husserl fa qui dell’intenzionalità ritenzionale una dimensione o un «momento» del flusso assoluto. Nel 1909 Husserl vede nella coscienza – nella quale «si profilano» (sich abschatten), nell’adesso, le molteplicità temporali passate – il «flusso ultimo del tempo» «nel quale risiede l’assoluto a cui riconduce ogni analisi fenomenologica»27. A tal proposito, Husserl parla del flusso di tempo fansiologico assoluto (absoluter phansiologischer Zeitfluss) in cui si costituiscono tutte le unità. Abbiamo dunque qui tre aspetti: il livello dell’oggetto trascendente (cosa); il livello del processo temporale (processo) e infine la continuità delle adombrazioni temporali – flusso fansiologico assoluto. c) Nella sua «ricapitolazione», che troviamo in questo stesso testo, Husserl preciserà la natura del terzo aspetto evocato,
26 Husserliana X, p. 275; tr. it. p. 279. 27 Husserliana X, p. 277, n. 1; tr. it. p. 281
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cioè del flusso fansiologico assoluto. Contrariamente a ciò che lasciavano intendere i primi sviluppi del testo Nr. 39, Husserl afferma ora esplicitamente28 che la coscienza di manifestazione dell’essere temporale non è né immanente (nel senso in cui essa sarebbe una componente effettivamente (reell) immanente alla coscienza) e nemmeno, ben inteso, trascendente, nel senso in cui il Ding è trascendente. L’unità temporale – pre-immanente – si «costituisce» nella coscienza assoluta, vale a dire in un «flusso di coscienza specificatamente compiuto e legato»29. Solo nella misura in cui il flusso di coscienza è, l’unità temporale è a sua volta30. Il punto qui essenziale è che le oggettività della sfera immanente sono delle oggettività costituite mentre la coscienza assoluta è la sfera dell’«oggettivazione non oggettivata»31. Il legame tra i processi temporali immanenti e il flusso assoluto della coscienza è un legame tra oggettivato e oggettivante. E la coscienza assoluta è a monte di ogni oggettivazione: «l’unità è unità dell’oggettivazione, e l’oggettivazione è precisamente oggettivante, ma non oggettivata»32.
28 Husserliana X, p. 283 ss.; tr. it. p. 285 ss. 29 Husserliana X, p. 284, l. 17-18; tr. it. p. 287 (traduzione modificata, N.d.T.). 30 “L’esse della cosa-suono immanente si risolve in un certo senso nel suo percipi. Questo percipi non è di per sé una cosa, ed ha un’altra maniera d’essere, ma l’una è data a priori con l’altra. Il percipi nel senso di quel flusso di coscienza e [nel senso] della percezione d’unità data con esso come possibilità, ‘crea’ la cosa, nella misura in cui l’essere assoluto di questo flusso di coscienza è la possibilità di avere e cogliere il suono, possibilità senza la quale esso non sarebbe nulla. L’oggetto (Objekt) stesso è ciò che è solo come [oggetto] intenzionale della percezione adeguata, cioè come quel determinato flusso di coscienza assoluta che rende possibile tale percezione adeguata”, Husserliana X, p. 284; tr. it. p. 287 (traduzione modificata, N.d.T.). 31 Husserliana X, p. 286; tr. it. p. 289 (traduzione modificata, N.d.T.). 32 Husserliana X, p. 286, l. 27-30; tr. it. p. 289.
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3) Fin qui abbiamo visto che la nozione di «coscienza assoluta» è stata introdotta da Husserl per rendere conto del flusso fansiologico assoluto, cioè del versante «trasversale» di ciò che sarà, a partire dal 1911, la doppia intenzionalità ritenzionale. Ora, prima del 1911, vi era anche una prefigurazione di ciò che sarà il versante «longitudinale» e ciò a partire dal momento in cui Husserl passa da una comprensione della ritenzione di un oggetto a quella di una ritenzione come momento del flusso! A questo punto è necessario il passaggio – all’inizio compiuto in modo solo implicito – da una fenomenologia della temporalità immanente a una fenomenologia della temporalità pre-immanente. In altre parole, l’introduzione della coscienza assoluta è ugualmente giustificata dalla necessità di rispondere al problema della possibilità di una «coscienza di sé» del flusso. È concepibile una tale coscienza di sé senza esigere a sua volta un flusso coscienziale nel quale essa si costituisce, è così di seguito? Lo spettro di una regressione all’infinito aleggia su tutte le elaborazioni husserliane relative alla costituzione della coscienza del tempo, ivi compresi, d’altronde, i Manoscritti di Bernau. 4) Un altro aspetto decisivo che giustifica l’introduzione della nozione di «coscienza assoluta» consiste nella necessità di rendere conto della distinzione tra percezione e ricordo (che servirà da modello a quella tra la percezione e la phantasia). Essa permette di comprendere una volta di più in che modo la coscienza ultima è coscienza del tempo, in che modo la temporalità gioca effettivamente un ruolo fondamentale nella comprensione della struttura dell’intenzionalità. Ora, un duplice problema si è posto a Husserl33: 1) Come un’apprensione presente di un contenuto di apprensione presente può presentificare un oggetto non presente? 2) Come 33 Cfr. su questo punto R. Bernet Conscience et existence. Perspectives phénoménologiques, op cit., Prima parte, Capitolo III.
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un’apprensione presente di un contenuto di apprensione presente può presentificare l’oggetto non presente come prorpio di un’effettiva esperienza del passato? Risposta: il carattere «passato» non è un momento né dell’apprensione né del contenuto di apprensione, ma dipende da una coscienza del tempo più originaria, più primitiva, dell’atto stesso del ricordo. Ora, questa «proto-coscienza», al di qua dello schema apprensione-contenuto d’apprensione, costitutiva della differenza tra presentazione e presentificazione, è temporale ed è introdotta nel 1906/7, l’abbiamo visto, in termini di «coscienza assoluta». Perché questa coscienza è chiamata «assoluta»? Per il fatto che qui si tratta dello strato più primitivo della coscienza il cui ruolo fondamentale consiste nella costituzione trascendentale della temporalità degli atti intenzionali e dei loro correlati noematici34. È nel testo Nr. 54 di Husserliana X che Husserl si dedicherà all’analisi accurata di questa «coscienza assoluta»35. 5) Infine, l’ultima ragione per cui è necessario introdurre un terzo livello costitutivo del tempo è per evitare un circolo vizioso: se il tempo empirico, o il tempo «oggettivo», è costituito nei fenomeni costitutivi della temporalità immanente (cioè le ritenzioni, le protenzioni, ecc.), allora quali fenomeni corrispondono alla costituzione della temporalità di quelle stesse entità immanenti? Certamente non dei fenomeni «oggettivi» poiché, da un lato, sarebbe impossibile identificarli, e dall’altro, ciò significherebbe presupporre una temporalità oggettiva, cosa che Husserl vuole ad ogni costo evitare – proprio perché ciò costituirebbe un circolo. Essendo la temporalità
34 R. Bernet, Conscience et existence. Perspectives phénoménologiques, op. cit., p. 97. 35 Per un’analisi più approfondita degli argomenti precedenti (la cui lista non contiene qui che gli elementi più importanti), cfr. il nostro lavoro Temps et phénomène, op. cit., p. 146-153.
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oggettiva costituita nella temporalità immanente, la temporalità oggettiva non potrebbe, di conseguenza, costituire la temporalità dei componenti della sfera immanente della coscienza. Quale sarà allora la soluzione proposta da Husserl? Ancora una volta si tratta di rendere conto della costituzione della temporalità immanente, sapendo che la temporalità oggettiva, da parte sua, è costituita all’interno di fenomeni che dipendono dalla sfera immanente. La sola scappatoia – se si vuole evitare il circolo vizioso – consiste nel discendere in una sfera al di qua della temporalità immanente – sfera di una temporalità che Husserl chiama nel 1911 «pre-fenomenale», «pre-immanente»36 in quanto si costituisce come forma della coscienza costitutiva del tempo. Questa soluzione, solamente abbozzata in alcune pagine del 1911, è ripresa e fondamentalmente approfondita nel 1917/1918 nei cosiddetti manoscritti «di Bernau». Nelle analisi, del resto assai eterogenee, che si trovano in questi Manoscritti, Husserl riorganizza la sua analisi del flusso originario della coscienza assoluta in termini di «processo originario». Questa analisi si avvantaggia della riconsiderazione, della stessa epoca e ricostruita supra, dell’intenzionalità protenzionale che permette nello stesso tempo di evitare il sensualismo delle «impressioni originarie», così come prevaleva ancora nelle analisi precedenti. Questo «processo originario» è dotato di una struttura in «fasi» che costituiscono un campo intenzionale nel seno del quale questo processo prende coscienza di sé stesso senza che ciò necessiti una distanza della coscienza da sé stessa (invalidando così tutte le critiche che hanno potuto in seguito essere indirizzate ad Husserl su questo punto). Ora, qual è lo statuto dell’analisi del processo originario? Si tratta di una descrizione come lo è stata l’analisi dei fenomeni costitutivi della temporalità immanente? Teniamo a sottoline36 Husserliana X, Nr. 54, p. 381; tr. it. p. 365.
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are che non si tratta di ciò – ed è senza dubbio in questo che è da annoverare, fra l’altro, la novità dei Manoscritti di Bernau. L’analisi del processo originario viene messa in opera attraverso una costruzione fenomenologica, che è il concetto operativo implicito della fenomenologia husserliana del tempo.
La temporalità pre-immanente Ecco innanzitutto il piano che ci guiderà nelle riflessioni seguenti37: Per poter chiarire il progetto di una incursione nella sfera ultimamente costitutiva di una temporalità pre-immanente, nella quale rincontreremo una correlazione «noetico-noematica» in un senso nuovo, occorre innanzitutto fare due annotazioni. La prima riguarderà le nozioni di «hyle» e di «noema» e la seconda completa la nostra enumerazione delle ragioni per le quali è necessario scendere in questa sfera pre-immanente. In seguito analizzeremo il versante «noematico» della correlazione: il «processo originario» e la sua struttura in «nuclei». Infine ne studieremo il lato «noematico», ciò che ci porterà, beninteso sempre seguendo Husserl, ad introdurre la nozione di «forme noematiche» che caratterizzano una nuova accezione del noema.
37 Questo paragrafo 5 riprende un certo numero di analisi che si trovano già nel nostro studio “Temporalité hyletique et temporalité noématique chez Husserl”, Annales de Phénoménologie, 2004/3, p. 64-82.
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Lo statuto della «hyle» e del «noema» nella fenomenologia husserliana del tempo La nozione di «impressione originaria (Urimpression)» ha posto – tanto a Husserl quanto ai suoi successori – un certo numero di problemi nelle analisi della costituzione della temporalità immanente (particolarmente riguardo alla sua eredità «sensualista»). Dal momento che lo statuto della componente iletica dovrà essere chiarito nella sfera pre-immanente e siccome, d’altronde (compito che per prima cosa assolveremo), ci sarà bisogno di interrogarci sullo statuto del correlato noematico del flusso della coscienza originariamente costitutiva del tempo, la nostra analisi della costituzione della temporalità pre-immanente procederà inizialmente ad una messa a punto generale concernente le nozioni di «hyle» e di «noema». Per prima cosa un cenno sullo statuto della hyle nella fenomenologia husserliana del tempo. Lo statuto ambiguo della hyle temporale – tra «materia di tempo (Zeirmaterie)» e «forma temporale (Temporalform)», termini introdotti da Husserl nel § 31 delle Lezioni – è stato spesso rimarcato (per esempio da E. Levinas, M. Henry, R. Bernet). Non ci attardiamo dunque e rinviamo a tale proposito alle eccellenti analisi di L. Tengelyi che ne presenta l’essenziale nel suo importante lavoro L’histoire d’une vie et sa région sauvage (Seconda parte, I, 1 e 2)38. Notiamo semplicemente che il problema della costituzione della fase iniziale di un processo temporale – punto capitale per Tengelyi poiché racchiude tutto il carattere paradossale e ambiguo dello statuto della hyle temporale – troverà una soluzione nei Manoscritti di Bernau, senza tuttavia che ci sia bisogno di constatare il suo fallimento per la messa in evidenza di una pretesa «differenza originaria» (come è il caso, tra gli altri, di M. Merleau-Ponty, J. Derrida, P. Ricœur). Citando la 38 L. Tengelyi, L’histoire d’une vie et sa région sauvage, tr. fr. P. Quesne, coll. Krisis, Grenoble, J. Millon, 2005, p. 93-110.
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preziosa Appendice IX al testo Nr. 1 di Husserliana X, L. Tengelyi si interroga sulla possibilità di una coscienza della fase temporale iniziale che non sia «oggettiva (gegenständlich)»39 e a tal proposito rinvia alle «sensazioni di sentimento» e di «desiderio» (Gefühlsempfindungen e Begehrensempfindungen) di cui tratta il § 15 b) della Quinta Ricerca Logica. Ora, è precisamente questa struttura non oggettivante della coscienza ultimamente costitutiva del tempo che cercheremo di chiarire in seguito. «Noema» e «noematico» non sono nozioni estranee nemmeno alle analisi fenomenologiche del tempo. A cosa rinvia esattamente la nozione di «temporalità noematica»? Tradizionalmente essa designa la temporalità degli oggetti temporali costituiti della sfera immanente (e di quella trascendente). Così K. Held parla ad esempio, a tal proposito, di una «costituzione originaria di un percepito sensibile in quanto tale – in quanto oggetto mondano e trascendente nel tempo oggettivo»40. Tuttavia, nei Manoscritti di Bernau (in particolare nel testo Nr. 7 e 8), Husserl introduce un’altra accezione della temporalità noematica che riguarda la temporalità del contenuto di una fase del processo originario. Nella sfera immanente siamo in presenza di data iletici, di atti (di percezione, di ritenzione e di protenzione – ma tutta la difficoltà sta appunto nel sapere se le ritenzioni e le protenzioni siano degli «atti») e di oggetti temporali correlativi (che sono degli oggetti immanenti). Nella sfera «costitutiva» dei fenomeni della sfera immanente, al contrario, tutte queste entità sono «costituite»41 in una dimensione che Husserl chiama a volte sfera pre-immanente, 39 Husserliana X, p. 119. 40 K. Held, Lebendige Gegenwart, op. cit., p. 48. 41 Come l’abbiamo già indicato a più riprese, non si può parlare, stricto sensu, della costituzione della temporalità immanente in une “sfera” pre-im-
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ma per la quale sceglie ugualmente altri numerosi termini: essa è un’«altra dimensione», un altro «mondo» materiale o reale, un altro «piano costitutivo», un’altra «sfera d’oggetto», un altro «strato di riflessione», ecc.42. Questa sfera pre-immanente è caratterizzata da una temporalità di un altro ordine (di «secondo livello») che è quella di un processo (il «processo originario») costitutivo della temporalità come forma e che possiede anch’esso dei correlati, ugualmente pre-immanenti, che Husserl chiama – questa volta in un senso nuovo – «unità noematiche»43. A questo proposito Husserl rinvia, per esempio, a ciò che è cosciente del punto del suono nel modo (Modus) adesso, nel modo passato, ecc.44 E insiste: […] bisogna chiaramente distinguere: [tra] la forma di tempo (Zeitform) appartenente all’essenza del suono stesso (che si costituisce in virtù di questi noemi), [da un lato,] e la forma che appartiene ai processi della coscienza [= processo originario] così come i loro correlati noematici, [dall’altro].45
Più in là, Husserl domanda inoltre: Non si deve dire: le presentazioni relative al contenuto [cioè i noemata qua «oggetti nel modo del come» della sfera imma-
manente perché a questo livello costitutivo non c’è “oggetto” propriamente detto (vi torneremo ancora in seguito). 42 Cfr. tutte le espressioni del Nr. 6, p. 117-120: “verschiedene Dimensionen”, “Sach-‘Welten’”, “konstitutive Ebenen”, “Gegenstandssphären”, “Reflexionsschichten”. 43 Per la caratterizzazione di queste “unità noematiche”, cfr. Husserliana XXXIII, p. 147 e p. 151. 44 Husserliana XXXIII, p. 129. 45 Ibidem.
187 nente costituita] non sono, in realtà, dei noemata nel senso in cui i modi dei punti temporali lo sono?46
– il che significa, all’inverso, che se i primi (gli «oggetti nel modo del come») sono propri dei noemata, i secondi (i modi degli Zeitpunkte) lo saranno in un senso diverso. In effetti, quindi, vediamo bene che Husserl introduce qui una nozione di «noema» al di qua della sfera immanente distinguendola per l’appunto dalle entità costituite appartenenti alla sfera immanente, nozione che egli mette sullo stesso piano costitutivo del processo originario stesso. Affinché si possa valutare, in seno alla sfera pre-immanente, il senso di questa nuova accezione del noema – che si potrebbe chiamare «noema-tempo» (questo termine non è di Husserl) – così come la nuova correlazione noetico-noematica messa qui in gioco, bisogna ancora una volta tornare sulla necessità di discendere in quella sfera ultimamente costitutiva del tempo; ciò ci permetterà in seguito di seguire Husserl nell’analisi del versante «noetico» e, infine, del versante «noematico» (già annunciata precedentemente) del «processo originario» con la sua struttura in nuclei.
«Oggetti-temporali» e «oggetti-tempo» Nelle riflessioni posteriori a quelle che abbiamo considerato finora (e che datano dalla seconda metà del primo decennio del Novecento), Husserl fornisce in effetti ancora altri argomenti (oltre quelli che abbiamo già messi in evidenza precedentemente) che giustificano la discesa nella sfera pre-immanente, al di qua delle entità costituite della sfera immanente. Prima di analizzare questi due argomenti (che troviamo nei Manoscritti di Bernau), considereremo innanzitutto, negati-
46 Husserliana XXXIII, p. 156 ss.
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vamente, una lettura erronea della fenomenologia di Husserl il cui contrasto con la sua posizione permette per l’appunto di chiarire ancora di più quest’ultima. L’esempio paradigmatico di una tale lettura erronea ci sembra essere quella di Deleuze47. Nel suo raffronto tra le concezioni del tempo di Husserl e di Bergson48 in Cinéma I. L’image-mouvement, Deleuze prolunga implicitamente un’analisi che aveva esplicitamente condotta quattordici anni prima nella Quatorzième série della Logique du sens, secondo cui le descrizioni husserliane dell’esperienza, in generale, e della costituzione della temporalità immanente, in particolare, non fanno che raddoppiare, intellettualizzare e conservare la «doxa» del senso comune. Per Deleuze, l’analisi fenomenologica del tempo – egli ha presente quella delle Lezioni per una fenomenologia della coscienza interna del tempo – non risponde strettamente alle costrizioni minimali del problema costitutivo: dire che la temporalità si costituisce in una «intenzionalità ritenzionale» non sarebbe altro secondo lui che applicare delle strutture fittizie su una realtà che potrebbe benissimo farne a meno, e non farebbe dunque che raddoppiare49 (o, nel migliore dei casi, ritardare) l’evento, ma senza che ciò ci ragguagli minimamente sul modo in cui si costituisce veramente la temporalità. Ora, se veramente bastassero le descrizioni fenomenologiche, si potrebbe indubbiamente dar ragione a Deleuze, e Husserl stesso l’avrebbe fatto. Ma il fatto è che le cose non sono così semplici – anzi. Sviluppiamo questa nostra lettura.
47 Per il rapporto tra Deleuze e Husserl, cfr. il nostro lavoro La genèse de l’apparaître, op. cit., Prima parte, Capitolo II, p. 39 ss. 48 Cfr. a questo proposito, Marc Rölli, “Zur Phänomenologie im Denken von Gilles Deleuze”, in Journal Phänomenologie, 17, 2002, p. 7 ss. 49 Su questo punto, cfr. il nostro lavoro La genèse de l’apparaître, op. cit., p. 40 ss.
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Per cogliere ancora un’altra ragione che giustifichi la discesa nella sfera pre-immanente, si potrebbe in primo luogo rilevare che Husserl va perfino oltre la direzione indicata da Deleuze al fine di trarne le conseguenze necessarie (che andranno tuttavia nel senso opposto a quello inteso dall’autore della Logique du sens). In effetti, una descrizione della costituzione della temporalità immanente in termini d’impressione originaria, di ritenzione e di protenzione, cioè in termini che mettono in campo un’intenzionalità affatto specifica, non risolve tutti i problemi se, l’abbiamo già detto, non permette di rendere conto del carattere temporale delle componenti stesse della sfera immanente. La questione della costituzione della temporalità deve dunque – ed è qui il punto cruciale – estendersi su tutte le oggettività (e le componenti in generale) della sfera immanente; e ciò non è possibile che a condizione di analizzare la temporalità dei fenomeni costitutivi delle componenti immanenti, e ciò nei vissuti fenomenologici in cui questi fenomeni si attestano. Nelle parole di Husserl: Se si chiama il tempo fenomenologico così come le sue oggettività [tempo] trascendentale-«soggettivo» in rapporto al tempo della natura in quanto [tempo] «oggettivo», al di qua della soggettività di questa sfera del tempo risiede un’altra sfera trascendentale-soggettiva: la sfera dei «vissuti» (dato che anch’essi dipendono da un altro livello, che è munito di un nuovo senso) nei quali si costituisce questa temporalità; vissuti, si dirà dunque innanzitutto, che figurano, che rendono manifesti (manifestazioni che sono anch’esse di un livello trascendentale più profondo) degli oggetti temporali con la loro forma temporale ma che non sono essi stessi temporali, né oggettivamente-temporali, né temporali nel senso di un evento di questo tempo trascendentale del primo livello.50
50 Husserliana XXXIII, Nr. 10, p. 184 (sottolineature nostre).
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Questa incursione permetterà ora di procedere ad una distinzione capitale: quella tra la fenomenologia degli «oggetti-temporali» e la fenomenologia degli «oggetti-tempo», distinzione attraverso cui giungiamo così alla seconda ragione evocata precedentemente. Di che si tratta esattamente? Se si ritorna al punto al di qua dell’astrazione della dimensione temporale degli «atti» intenzionali e dei loro fenomeni costitutivi, ci si accorge che ogni «essente» possiede, ognuno nella propria maniera, un certo carattere temporale51. Prima di poter porre la questione sullo statuto della temporalità di ogni «essente», bisogna innanzitutto distinguere le differenti maniere in cui si può concepire il loro «carattere» o la loro «dimensione» temporale (un punto a proposito del quale le precisazioni di Husserl restano in fin dei conti abbastanza ellittiche). Prendiamo l’esempio di qualsiasi oggetto immanente (il manifestarsi di una cosa percepita, immaginata, ricordata, ecc. o ancora l’atto che intenziona un essente «atemporale», ecc.): in cosa consistono le sue determinazioni temporali? Si può osservare, ad esempio, che vi è tempo solo di un’entità in movimento o di un’entità che subisce qualsiasi altra specie di trasformazione52. In questo caso, il «tempo» dell’oggetto dipende palesemente dalle condizioni d’osservazione: su scala umana questa pietra sembra assolutamente in riposo, ma subisce delle trasformazioni molto significative (di logoramento, ecc.) in un dato ambiente, se la si osserva su scala microscopica. Ma si può considerare anche che le diverse «frequenze» di tutti questi oggetti non cambiano nulla al fatto che esse si iscrivano tutte in una durata «assoluta», che scorre in modo uniforme e continuo, senza nessun cambio di «velocità» (poi-
51 Cfr. Husserliana XVI, p. 6. 52 Cfr. per esempio Aristotele, Fisica, Libro Δ, 11, 219a7-8.
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ché è solo il tempo che permette che si parli di un movimento «lento» o «veloce»)53, e che è indipendente dalle unità di misura in grado di decomporla in fasi. Ora, gli oggetti dotati di movimento, di trasformazioni, in breve: di un cambiamento temporale, sono chiamati da Husserl «oggetti temporali»54 (zeitliche Objekte o, spesso, anche, zeitliche Gegenstände). Per il tempo uniformemente continuo, al contrario, ci si può servire di ciò che fu nominato da Newton col termine di «tempo assoluto» (ad immagine del sensorium Dei, termine che Newton ha utilizzato per lo spazio assoluto), in quanto forma assoluta del «tempo oggettivo» in cui si iscrivono tutte le fasi temporali55 – e ciò a prescindere dal fatto che ci sia o meno un osservatore. Ciò che è essenziale, è che la distinzione che abbiamo appena tracciato riflette la concezione del tempo propria dell’attitudine naturale: qui un oggetto identico (persistente attraverso i suoi cambiamenti), là il tempo come cornice o come forma «dentro» cui ogni cambiamento «si svolge» o «scorre». Ora, sono per l’appunto i limiti di un tale «quadro» che la fenomenologia husserliana del tempo si propone di mettere in luce: in effetti, questa non è esclusivamente una fenomenologia degli «oggetti temporali (zeitliche Objekte)» (costituiti), ma essa è ugualmente una fenomenologia degli «oggetti-tempo (Zeitobjekte)» (costitutivi del «tempo»)! Cos’è allora un oggettotempo? Con oggetti-tempo (Zeitobjekte) in senso specifico intendiamo oggetti che, oltre ad essere unità [cioè degli «oggetti tempo-
53 Ciò non è sfuggito neppure ad Aristotele, Fisica, libro Δ, 10, 218b14-15. 54 Vedere, ad esempio, le Lezioni per la fenomenologia della coscienza interna del tempo, cit., § 7, p. 56; Husserliana X, p. 22. 55 Kant diceva a tal proposito che “tempi diversi non sono che parti dello stesso tempo”, Critica della ragion pura, 1781, A 31-32.
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Tutta la difficoltà consiste, beninteso, nel fatto di comprendere come gli oggetti-tempo siano suscettibili di contenere l’«estensione temporale». Quello che si può dire è che un oggetto-tempo è il nome per la durata temporale (zeitliche Dauer) di un oggetto temporale, senza essere identica a quest’ultimo57 – a condizione, tuttavia, di distinguere accuratamente questa accezione della «durata» dal «tempo assoluto» di cui si è parlato in precedenza. Non si tratta qui di una determinazione puramente oggettiva (vedi gli oggetti temporali), e nemmeno di un quadro assoluto (che sia «oggettivo» – il tempo assoluto newtoniano –, o puramente «soggettivo» – la «distensio» dell’«anima» di Agostino), ma di una dimensione al di qua di tale distinzione nella quale si costituisce ogni determinazione temporale. Da tutto ciò che precede deduciamo quindi che la discesa in una sfera pre-immanente, al di qua della sfera immanente, così come si offre alla descrizione fenomenologica abituale, è necessaria se vogliamo rendere conto del carattere temporale di tutte le componenti di questa sfera immanente. Inoltre, questa discesa ci mette in presenza di «oggetti» specifici (gli «oggetti-tempo» che non sono veramente oggetti poiché non riguardano che la dimensione puramente temporale che la fenomenologia del tempo si propone dunque di analizzare nella sua essenza specifica) che Husserl analizzerà attraverso la sua analisi del «processo originario» con la struttura che propriamente lo caratterizza. Ora, il ricorso alla temporalità
56 Husserliana X, p. 23; tr. it. p. 59 (traduzione modificata). 57 Cfr. R. Bernet, “Einleitung der Herausgeber”, Husserliana XXXIII, p. XXXII.
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pre-immanente è reso possibile (e unicamente58 reso possibile) da una costruzione fenomenologica (di cui abbiamo presentato i tratti fondamentali nel capitolo I) che è dunque richiesta, ripetiamolo, dalla necessità di rendere conto della temporalità immanente (che costituisce a sua volta, come è noto, la temporalità oggettiva). Ciò che distingue questo progetto da quello di Kant – precisazione che si impone nella misura in cui il prefisso «pre-» rinvia indubbiamente al carattere a priori del tempo in Kant – è che questa temporalità pre-immanente non è semplicemente posta come pura forma della sensibilità, ma è possibile averne un’«esperienza» (nel senso, allargato, di un’attestazione che ingloba una dimensione non sensibile e che richiede dunque una costruzione fenomenologica)59. 58 Solo una costruzione fenomenologica permette di rendere conto del carattere temporale sia delle “oggettività immanenti” che dei fenomeni soggettivi in cui si costituisce la temporalità immanente. E – altro argomento decisivo – solo una costruzione fenomenologica permette di farlo, in virtù dello “zigzag genetico”, senza cadere in un regresso all’infinito. 59 Senza tornare in dettaglio sui nostri sviluppi a proposito della costruzione fenomenologica nel capitolo I, ci teniamo qui a ricordare che la costruzione fenomenologica non inventa di sana pianta ed ex nihilo quello che essa costruisce, ma ricostituisce proprio i fenomeni costitutivi necessari per rendere conto di un dato fenomenale (in questo caso: la temporalità immanente) – ed è ciò che spiega dunque perché vi è davvero un’esperienza (anche se indiretta) di questi fenomeni. Forse si potrebbe obiettare che le analisi husserliane non costruiscono nulla, ma che utilizzano un linguaggio descrittivo così come nelle analisi della sfera immanente della coscienza. Ciò risulta vero sul piano lessicale, ma non testimonia nondimeno di un’incomprensione rispetto allo statuto di queste analisi. Qui il nostro argomento è lo stesso di quello utilizzato da Husserl quando risponde a quelli che gli hanno rimproverato di ricadere, nelle Ricerche Logiche (dopo il suo rifiuto, nei Prolegomeni, dello psicologismo), in un’altra forma di psicologismo: non è perché la terminologia si apparenta ad un’analisi psicologica che il suo statuto non è eidetico. E nel nostro caso: non è perché il linguaggio di Husserl è simile a quello di una semplice descrizione fenomenologica che lo statuto di tali analisi non dipende – e ciò, in modo necessario – da una costruzione fenomenologica. In realtà, è che “ci mancano i nomi” per rendere conto di
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Il «processo originario» e la sua struttura in «nuclei» Una tale costruzione fenomenologica è messa in atto nell’analisi husserliana del polo «noetico» del «processo originario», vale a dire, più particolarmente, del versante noetico della correlazione che caratterizza da ultimo la temporalità della sfera pre-immanente. È nel testo Nr. 11 di Husserliana XXXIII che Husserl si pone direttamente a livello di quel processo originario e avvia l’analisi del suo versante noetico. Questa analisi realizza quella fenomenologia degli oggetti-tempo tratteggiata sopra, cioè quella stessa che dipende dal momento temporale dell’oggetto temporale immanente – rinunciando così, lo vedremo, allo schema apprensione/contenuto d’apprensione. Come effettua Husserl la costruzione fenomenologica di questo processo originario? La struttura di tale processo è caratterizzata dalle fasi che sono costitutive delle diverse dimensioni del tempo. Queste fasi sono costituite da «data di nuclei (Kerndaten)» effettivi (reell), quando racchiudono dei data non modificati, e da data di nuclei non effettivi, allorché i data che essi contengono sono modificati. Husserl chiama «[fenomeni di] evanescenza» («Abklang»60) il nucleo «ritenzionale» – ovvero la fase del processo originario costitutiva delle ritenzioni – in quanto contiene la modificazione ritenzionale dei data di nuclei percettivi. Questo nucleo «ritenzionale» non è un atto, né un semplice contenuto sensoriale, ma l’espressione della modificazione sia della coscienza sia del contenuto (la cui doppia modificazione dipende per l’appunto da una costruzione fenomenologica poiché una semplice descrizione fenomenologica saprebbe
questa sfumatura (mancanza che d’altronde appartiene in generale al carattere precario della terminologia filosofica) – tale è in ogni caso la maniera in cui si può interpretare anche, crediamo, questa formula, tanto celebre quanto profonda, di Husserl. 60 Cfr. Husserliana XXXIII, p. 216.
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solo riconoscere, nella sfera immanente, o la prima o il secondo), e questo in modo «continuo» e «mediato»61. L’analisi fenomenologica di queste «fasi» costitutive del processo originario si effettua in due tempi: 1) si tratterà inizialmente di caratterizzare la natura di queste fasi ed il rapporto che intrattengono con il processo originario; 2) questo ci permetterà in seguito di capire la maniera in cui il processo originario si manifesta a se stesso. 1) Ricostruiamo innanzitutto l’analisi di Husserl della struttura del processo originario e in particolare dei «vissuti originari» di «contenuti» di un nuovo genere (che sono i contenuti della presentazione originaria) e delle modificazioni di una «stessa specie» (che sono le fasi ritenzionali e protenzionali). Nel testo Nr. 2 (§ 8) di Husserliana XXXIII, Husserl scrive: La coscienza è un flusso. Ma essa non lo è allo stesso modo di una corrente d’acqua la quale ha il suo essere nel tempo oggettivo. Il flusso della coscienza non è nel tempo oggettivo, nel tempo nel senso ordinario del termine; piuttosto esso porta in sé questo tempo, la forma di ogni oggettività e innanzitutto di ogni oggettività trascendentale di primo grado, con tutti gli eventi trascendenti che gli appartengono propriamente (e poi anche dell’oggettività esterna nel tempo esterno). D’altro canto, la coscienza è in se stessa un flusso. Possiede essa stessa una forma d’essere «tempo», proprio in quanto «flusso» […].62
Qual è la forma di questo «flusso di vissuti originari»? Il processo originario è un processo «protenzionale» infinito («eter-
61 Ivi, p. 212. 62 Husserliana XXXIII, p. 45.
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no»), continuo, unidirezionale e irreversibile. Ogni sua fase è intenzione e riempimento, all’infinito. C’è un ordine ben determinato che regola ogni fase costitutiva del processo63: il processo originario è un continuum di fasi. Ogni fase è a sua volta un continuum «ritenzionale» e un continuum «protenzionale». Ora, il continuum di fasi del processo originario è chiamato da Husserl «serie fondamentale (Grundreihe)». Ogni fase di questa serie è costituita da un «nucleo (Kern)» (di una «fase originaria») – a gradi di riempimento massimo – e di nuclei modificati a gradi di riempimento variabile tendente allo zero. Il nucleo – o la fase – originaria non è più descritto in termini di «impressioni» (come era il caso nelle Lezioni), ma «è ciò che è in quanto nucleo racchiuso intenzionalmente»64. Husserl dice anche che esso è «coscienza satura» (punto di saturazione del momento di prossimità). Per i nuclei modificati, il loro «carattere di nucleo (Kernhaftigkeit)» diminuisce di grado mano a mano che la modificazione progredisce. Questi nuclei modificati sono chiamati «fenomeni di evanescenza (Abklangsphänomene)»65 quando si tratta dei nuclei «ritenzionali». Per chiarirne la natura, occorre ancora una volta tornare al testo Nr. 11 di Husserliana XXXIII. In questo testo Husserl descrive schematicamente la maniera in cui una presentazione originaria si modifica in un fenomeno di evanescenza. Secondo i differenti diagrammi del tempo che si trovano nei testi raccolti in Husserliana X, un’impressione originaria a si trasformava in ritenzione di a: (Ra), questa in una ritenzione della ritenzione, ecc.. Ora qui66
63 Cfr. anche Husserliana XXXIII, pp. 43 ss. 64 Husserliana XXXIII, p. 32. 65 Sono in effetti le fasi in quanto “data di nuclei” ritenzionali che Husserl chiama “fenomeni di evanescenza” (cfr. a questo proposito Husserliana XXXIII, Nr. 11, pp. 216 ss.). 66 Cfr. Husserliana XXXIII, p. 218.
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Husserl descrive la modificazione ritenzionale come segue: un avvenimento E0 si modifica in R[E0’], questi in R[{R[E0’]}’], ecc.. Ciò che è decisivo, è che E0 si modifica adesso non già in REo (o in R[E0]) – come sarebbe stato il caso se questa analisi corrispondesse alle precedenti –, ma in R[E0’]. Come capire questo evento E0’ (di cui Husserl dice che appare come un «nuovo presente»)? Husserl segnala con ciò che il «contenuto» E0 non si modifica semplicemente in contenuto ritenuto (che era rappresentato da R[E0]), ma che il fenomeno temporale – esprimendosi attraverso l’apprensione di un contenuto nel senso nuovo che è qui acquisito – è un fenomeno «nuovo», «indipendente», che Husserl chiama per l’appunto «fenomeno di evanescenza». Questo fenomeno di evanescenza non è solo la ritenzione di un contenuto E0, ma il «fenomeno» – che dipende da una costruzione fenomenologica e non si attesta quindi che in modo implicito – che permette di rendere conto dell’appena-passato in quanto passato, senza cadere nell’aporia che dovrebbe spiegare che si tratta qui di un atto, di un contenuto d’atto o della loro «mediazione». Ora, la struttura del fenomeno di evanescenza possiede una doppia «intenzionalità» (che rinvia all’intenzionalità «trasversale» e «longitudinale» del § 39 delle Lezioni per una fenomenologia della coscienza interna del tempo): in effetti, come caratterizzare R[{(R[E0’]}’]67? Il fenomeno di evanescenza E0’ è un «contenuto» presente, «appreso» come un contenuto che rappresenta l’appena-passato. R è una «coscienza» che ingloba il «contenuto» che si presenta nella sua «evanescenza»68. Questa «coscienza» si modifica a sua volta. Si è effettivamente in presenza di due modificazioni – quella di R e quella di E0’. La modificazione ritenzionale di R[E0’] si scinde quindi
67 L’analisi deve partire da R[R[E0’]]’ e non già da R[E0]’, poiché in R[E0]’ non c’è ancora modificazione della ritenzione. 68 Husserliana XXXIII, p. 218, righe 12-13.
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in due: in R[{R[E0’]}’] e R[R’[E0’’]]. R[R’[E0’’]] racchiude RR’ (la ritenzione di R, cioè dell’«apprensione» passata) e R[E0’’] (l’«apprensione» che si rapporta ritenzionalmente a E0’). «Il tutto R[R’[E0’’]] si rapporta ritenzionalmente a R[E0’] e, attraverso esso, a E0»69. Dunque non è più affatto questione di «contenuti d’apprensione», e se Husserl si serve ancora della nozione di «apprensione» non è per dissolvere tutti gli elementi in una intenzionalità d’atto, ma semplicemente perché gli manca un altro termine per designare la «coscienza» di questa modificazione temporale70. Quale temporalità assegna Husserl a questi fenomeni di evanescenza? I fenomeni di evanescenza sono dei nuclei intenzionali che possono a loro volta, per astrazione, essere divisi in momenti che dipendono da una forma identica (noeticamente l’adesso e la sua «modalizzazione», noematicamente il «senso») e da un contenuto mutevole (noematicamente la «pienezza» di questo senso). Così si è sempre in presenza, anche a livello di questa sfera pre-oggettiva, di una certa «correlazione noetico-noematica». Ciò che risponde dell’evanescenza è l’«impoverimento» di questa «pienezza». Ora, questa pienezza non raggiunge il grado «zero», altrimenti non si capirebbe come il tempo può continuare a scorrere mentre la pienezza si è già completamente impoverita fino a zero. Quanto ai nuclei «protenzionali», Husserl non li designa con un nome particolare. L’asimmetria tra i fenomeni d’evanescenza e i nuclei «protenzionali» traduce quella tra il carattere «legato» della ritenzione ed il carattere «libero» della proten69 Cfr. Husserliana XXXIII, p. 218. 70 Nella sua eccellente analisi della “Urhyle”, D. Franck arriva allo stesso risultato e ciò già a livello stesso della sfera immanente (cfr. D. Franck, Dramatique des phénomènes, Paris, PUF, 2001, p. 17-18). Ma egli non tiene conto del fatto che, successivamente, Husserl si è accorto delle insufficienze di una tale analisi (che si restringe alle componenti effettive della sfera immanente), insufficienze a cui i Manoscritti di Bernau dovrebbero rimediare.
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zione71. In effetti, la più evidente espressione dell’asimmetria tra la ritenzione e la protenzione consiste nel fatto che il processo originario ha dei nuclei intenzionali «riempiti» solo rispetto al passato (ovvero i fenomeni d’evanescenza, per l’appunto). Infine, sono questi due generi di nuclei modificati che assicurano il legame tra i continua ascendenti e discendenti, a livello della sfera pre-immanente, e le protenzioni e le ritenzioni, a livello della sfera immanente. Il processo originario è allora intenzionale da parte a parte72, e non resta nessun elemento non-coscienziale in quest’ultimo livello della costituzione. In particolare non l’«impressione originaria», la cui possibilità di essere mediatizzata intenzionalmente non aveva mai potuto essere stabilita prima in un modo convincente da Husserl – eccetto che nel testo Nr. 54 di Husserliana X che, tuttavia, ne consegna più un semplice schizzo che un’elaborazione veramente riuscita. Vediamo anche come Husserl risponde al problema del rapporto tra l’impressione originaria e le intenzionalità protenzionali e ritenzionali: la loro mediazione è assicurata dal riempimento e lo s-vuotamento delle fasi che caratterizzano in modo essenziale il processo originario. 2) Il § 7 del testo Nr. 2 di Husserliana XXXIII precisa la natura della doppia intenzionalità del flusso di coscienza. Questo testo si oppone in maniera evidente ai tentativi che cercano di ridurre la filosofia di Husserl ad una filosofia della riflessione, che non riuscirebbe a sfuggire all’aporia secondo cui il coglimento del «soggetto», dell’«Io», ecc. attraverso se stesso sarebbe votato al fallimento poiché, in questo coglimento, il 71 Cfr. a questo proposito il Manoscritto L I 18, Haupttext 11, Bl. 2-4, p. 3b (che non è stato integrato nel volume di Husserliana XXXIII) dove Husserl approfondisce la differenza tra l’attesa ed il ricordo. 72 Cfr. anche Husserliana XXXIII, p. 100.
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polo-soggetto sarebbe sempre «in ritardo» nel momento in cui cerca di cogliersi come polo-oggetto. In Husserl non c’è l’idea che un polo-soggetto sostanzializzato si rapporti a se stesso in quanto oggetto ipostatizzato. Ciò non toglie che i paragrafi in questione delle Lezioni non permettano di comprendere in modo soddisfacente la maniera in cui il flusso assoluto appare a se stesso. È qui che il § 7 del testo citato porta dei chiarimenti importanti – al di là di ciò che suggerirebbe già il § 1 di Husserliana XXXIII. Husserl precisa, in effetti, la natura di questa «doppia intenzionalità» del flusso di coscienza. Da un lato, essa possiede il suo oggetto «primario» verso cui è diretta, e che si dà secondo diversi modi di riempimento rappresentati da Husserl sotto forma di un diagramma tridimensionale del tempo73 (ripetiamolo, non si tratta qui di oggetti-tempo immanenti, ma di fenomeni – dipendenti dalla temporalità preimmanente – costitutivi di questi ultimi). Dall’altro, questa coscienza ha, però, anche altri oggetti, «infinitamente numerosi»: gli oggetti «secondari», che sono i modi di manifestazione secondo cui la coscienza appare a se stessa «internamente» (detto diversamente, si tratta qui della coscienza del proprio «processo intenzionale»)74. Come concepire allora questo modo di auto-manifestazione? Questo modo non è intenzionato in maniera diretta. È mediato. E, soprattutto, il coglimento della coscienza attraverso se stessa si effettua grazie al riempimento di ogni intenzione nel passaggio continuo dall’una all’altra: «ogni intenzione posteriore include in un certo
73 Cfr. a questo proposito la nostra opera Temps et phénomène, op. cit., pp. 211 ss. 74 Husserliana XXXIII, p. 42.
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modo l’intenzione precedente, non realmente, ma tuttavia in modo coscienziale […]»75,76. Cosa possiamo dedurre da queste analisi? Contrariamente a ciò che le Lezioni ancora ci insegnavano, non c’è nella sfera pre-immanente la costituzione di una serie di «adesso» a cui si incatenerebbero dei continua ritenzionali (e protenzionali). Non vi sono neanche serie di impressioni originarie la cui apparizione successiva coinciderebbe in modo misterioso con le fasi dell’auto-apparizione del flusso assoluto. Piuttosto, ciò che costituisce propriamente l’auto-apparizione del processo originario è un doppio continuum d’intenzioni (una «gradualità intenzionale positiva e negativa» che non ha nulla a che fare con un’intenzionalità d’atto – non c’è dunque, ripetiamolo, un momento sensuale ultimo) in cui l’intersezione o l’ «incontro» nelle fasi originarie costituisce la coscienza di una presenza originaria (vi è identità tra il punto massimo della gradualità positiva ed il punto minimo della gradualità negativa). E contrariamente a ciò che emergeva da quelle stesse Lezioni, il processo originario non prende coscienza di se stesso «a cose fatte», in un modo «ritardato», ma in un flusso di nuclei mediatizzati «protenzionalmente e ritenzionalmente», il quale flusso è cosciente in un presente a sua volta fluente77. È proprio perché il processo originario è, in questa sfera «primitiva», un doppio continuum «protenzionale» e «ritenzionale»78 75 Husserliana XXXIII, p. 42 (sottolineature nostre). Cfr. anche ivi, p. 47. 76 Il fatto che Husserl precisa che questo modo d’inclusione non dipende da una coscienza “effettiva” (reell) equivale ancora qui ad una rimessa in causa esplicita dell’applicabilità dello schema apprensione/contenuto d’apprensione al livello ultimamente costitutivo del processo originario (cfr. anche Husserliana XXXIII, Appendice IV, p. 162). 77 Cfr. R. Bernet, “Einleitung der Herausgeber”, in Husserliana XXXIII, p. XLII. 78 L’espressione più appropriata, introdotta qui da Husserl, è quella di una intenzionalità “riempiente” (“erfüllend”) e “svuotante” (“entleerend”).
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che esso ha coscienza di se stesso «nello stesso tempo»79 che l’ha dell’oggetto-tempo che esso «in-staura». Questa «concatenazione» tra i due ordini continui costituisce un continuum di fasi originarie di cui non è che il riempimento attraverso un contenuto che costituisce, infine, l’oggettività della temporalità immanente.
Le «forme noematiche» Ora possiamo procedere all’analisi dal punto di vista «noematico» del processo originario. Abbiamo visto sopra come Husserl introduce nella sfera pre-immanente una nuova accezione del noema. Un passaggio del testo Nr. 7 di Husserliana XXXIII, dove Husserl stabilisce come si articolano la «forma» ed il «contenuto» in una fase del processo originario, viene a confermare questa analisi. Husserl vi scrive che il contenuto del processo costitutivo, il «contenuto nella forma originaria dell’adesso» non è un secondo contenuto [a fianco o al di qua del contenuto dell’impressione originaria], ma il contenuto stesso non semplicemente in quanto intenzionato, non già in quanto intuito in generale, ma in quanto dato in modo originale. E questo essere-dato originale non è qualche cosa che fa il contenuto (etwas den Inhalt Ausmachendes) [vale a dire che non è lui stesso un contenuto sensibile né della sfera immanente né di quella del processo originario], ma un carattere intenzionale, attraverso cui il contenuto è cosciente per la coscienza.80
79 L’avverbio temporale è qui privo di senso in quanto dipende a sua volta dalla sfera immanente costituita. 80 Husserliana XXXIII, p. 128-129.
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Questo contenuto noematico, ovvero ciò che costituisce quello che è suscettibile di essere adesso nel modo «adesso» della fase originaria, di essere passato nel modo «passato» del fenomeno di evanescenza, ecc., non è dunque esso stesso un contenuto, ma un carattere intenzionale81 che rende possibile ogni rapporto ad un contenuto, e questo in termini di riempimento e di svuotamento. Esso corrisponde più precisamente a quell’unità della «presentazione originaria» e del suo contenuto (così come delle modificazioni «ritenzionali» e «protenzionali» e dei loro rispettivi contenuti) o ancora ai «nuclei» – che si danno nei «vissuti originari» – che erano già emersi precedentemente. L’evidenziazione del carattere intenzionale degli stessi «noemi-tempo» permette di capire perché Husserl parla, quando analizza quest’ultimi, di «forme noematiche» (noematische Formen). Tale espressione mira ad eliminare definitivamente il dualismo tra la forma «soggettiva» ed il contenuto «oggettivo» che persisteva ancora nella prima versione dell’analisi del processo originario. Husserl caratterizza queste forme noematiche come «forme noematiche di ‘senso’ (noematische ‘Sinnes’-Formen)»82. Come fa Husserl a compiere l’analisi noematica degli oggettitempo che corrisponde a quella del versante noematico del processo originario con la sua struttura in nuclei? I termini che permettono di congiungere queste due analisi sono quelli di «salita» (o «accrescimento») e di «discesa» (o «diminuzione») graduali (graduelle Steigung e Minderung o Sinken)83. Mentre la prima analisi, quella del versante noetico del processo ori81 Cfr. la caratterizzazione dei nuclei del processo originario in Husserliana XXXIII, Nr. 2, p. 32 e p. 38. 82 Husserliana XXXIII, Nr. 8, p. 142. 83 Husserliana XXXIII, pp. 34 ss. e pp. 143 ss.
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ginario, è focalizzata sulla struttura in nuclei del processo così come sui fenomeni del suo riempimento e del suo svuotamento, la seconda è condotta in termini di «modificazioni». Ecco come Husserl caratterizza queste modificazioni: La «modificazione» designa […] un’operazione che si compie in un senso sempre identico. Questo operare (das Operieren) è il flusso vivente, continuo, della coscienza stessa e designa la sua specifica effettuazione (Leistung) intenzionale che cambia continuamente, un salto (Hervorströmen) continuo di stati (Bestände) noematici ognuno dei quali è secondo la sua «forma» una modificazione continua degli stati precedenti […].84
Le modificazioni aumentano o diminuiscono gradualmente85 e sono esse stesse suscettibili di venir modificate86 – Husserl affida così l’analisi della costituzione della connessione (che aveva già caratterizzato la sfera immanente) a livello delle «ritenzioni» e delle «protenzioni» nella sfera pre-immanente, che è ultimamente costitutiva di queste entità immanenti. Da un punto di vista formale, sembrerebbe dunque che si possa tenere separate le due analisi: quella del processo originario permetterebbe di rendere conto del flusso temporale e quella delle modificazioni del rapporto con il contenuto noematico. Ora, in realtà, e ciò testimonia una volta di più il fatto che Husserl procede qui ad una costruzione fenomenologica,
84 Husserliana XXXIII, p. 144. 85 Husserliana XXXIII, p. 143. 86 Ibidem.
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queste due analisi sono indissociabili,87 poiché «la forma non cambia senza contenuto»88. Il passaggio seguente permette di accertarsi pienamente di questo carattere indissociabile: a) Il contenuto come materia della forma dell’adesso e di ogni forma del passato è un nucleo di senso (Sinneskern) che attraversa in modo identico tutte queste forme. Dal punto di vista del contenuto, il punto in questione dell’oggetto-tempo è «intenzionato» come identico, vale a dire che […] esso è qui lo stesso, appunto, per tutte le modificazioni (Abwandlungen) continue. b) Ma non solo. In ogni modifica della forma, nel passaggio ideale […] da un modo della forma della datità del tempo a modi continuamente nuovi della stessa materia, non è solamente la materia che è identica, ma ugualmente il punto temporale (Zeitpunkt) stesso. È in permanenza lo stesso punto dell’oggetto-tempo, la sua forma: il puro punto temporale ed il suo contenuto sono […] identicamente lo stesso per tutti i modi di datità di questo punto dell’oggetto-tempo. […] Il contenuto è certamente di continuo identico […] ma ha, anch’esso, modi di datità cangianti che sono paralleli a quelli della forma di datità del punto temporale.89
Si nota dunque che 1) Husserl identifica l’analisi del processo originario e delle modificazioni noematiche mettendo in evidenza un «nucleo di senso» identico che attraversa tutte le modalità dell’oggetto-tempo. Questo «nucleo di senso» non è nient’altro che il «noema-tempo», il noema nel senso della
87 Tale carattere indissociabile è ugualmente testimoniato dalla seguente citazione: “Delle due parti la separazione in momenti noetici e noematici è una separazione ideale nella misura in cui la coscienza di fasi è una, così come quella di cui essa ha coscienza in quanto tale, cioè: il suo noema”, Husserliana XXXIII, p. 147. 88 Husserliana XXXIII, p. 145. 89 Ibidem.
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fenomenologia del tempo, cioè la materia, il contenuto delle modalità temporali. In altri termini, si tratta qui della materia o del contenuto di questo nucleo da parte a parte intenzionale di cui parlava il testo Nr. 2 di Husserliana XXXIII. 2) Questa identità del «noema-tempo» è indissociabile da quella della modalità temporale stessa e vi è nello stesso tempo una costruzione fenomenologica dell’identità della modificazione e dei modi di datità della materia e della forma dell’oggettotempo (cioè del «noema-tempo» e del punto temporale). Ora, questa fenomenologia della temporalità noematica porta con sé correlativamente delle implicazioni riguardanti lo statuto stesso dei data iletici: Husserl procederà così, al termine di queste analisi, ad una «riconfigurazione» (Neugestaltung) del concetto di datum iletico90: il «datum iletico» (Husserl non sceglie un termine particolare per distinguerlo dal datum iletico nel senso abituale del termine) specifico del «tempo fenomenologico» è qualche cosa di reale che si rapporta al formale, a ciò che c’è di formale, in quanto «coscienza dell’originalità»91. Vi è una sensazione (Empfinden) specifica – tanto a livello della fase originaria che, in un modo modificato, a livello delle fasi ritenzionali (e protenzionali) – che non assicura soltanto il rapporto al contenuto, ma che permette esattamente di gettare il ponte verso l’analisi del processo originario, nella misura in cui ne va di un momento della vita che in effetti sopraggiunge come fluendo (fließend) e che sparisce, o anzi: il «datum iletico effettivo (reell) della coscienza stessa e non è un
90 Husserliana XXXIII, Appendice IV, p. 161, Nr. 1. 91 Husserliana XXXIII, p. 161.
207 componente dell’oggetto cosciente (del cosiddetto suono immanente del tempo immanente)».92
In altre parole, i fenomeni ultimamente costitutivi della temporalità immanente possiedono, al di qua della distinzione tra la noesi e il noema nel senso immanente e a livello di questa correlazione noetico-noematica nel senso più radicale del termine, un carattere iletico del tutto specifico93 – essi sono dei «nuclei della coscienza che non sono indipendenti»94, o ancora dei «contenuti di nuclei (Kerngehalte)»95 in quanto «sostrati» della noesi (in un senso certamente non sostanziale, Husserl sottolinea a tal proposito che non bisogna «farsi fuorviare»96 dall’uso di questa espressione) –, carattere iletico che non appartiene a nessun oggetto, ma alla coscienza intenzionale originariamente costitutiva degli oggetti-tempo97. Questa distinzione illustra anche una disgiunzione tra la temporalizzazione e l’oggettivazione che ha luogo tanto sul piano del versante noematico che su quello del versante noetico del processo originario.
92 Ibidem. 93 Vi ritorneremo, nel capitolo successivo, nel quadro della fenomenologia husserliana delle pulsioni e degli istinti. 94 Ibidem. 95 Husserliana XXXIII, p. 162. 96 Bisogna effettivamente astenersi dall’ipostatizzare questi “data iletici” (il che potrebbe dar luogo fra l’altro ad una erronea applicazione dello schema apprensione/contenuto d’apprensione) poiché una modificazione “ritenzionale” e “protenzionale” nella sfera pre-immanente non si basa mai su sensazioni, né su riproduzioni, ma proprio sui nuclei (fasi originarie, fenomeni di evanescenza e fasi “protenzionali”). 97 Cfr. Husserliana XXXIII, p. 161.
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In che consiste allora il contributo della fenomenologia husserliana alla filosofia del tempo in generale? Husserl mostra che la risposta alla questione di sapere «che cos’è il tempo» esige di interrogarsi sulla maniera in cui si costituisce il tempo. Una tale costituzione non è l’opera di un soggetto «creatore» (il tempo non è «soggettivo» nel senso dell’«idealismo del creatore»), ma essa non si contenta nemmeno, beninteso, di constatare semplicemente l’essere-in-sé del tempo (e il suo carattere falsamente «oggettivo»). L’originalità della fenomenologia husserliana del tempo consiste, grazie ad una costruzione fenomenologica, nella messa in evidenza di un livello costitutivo al di qua della separazione tradizionale tra il soggetto e l’oggetto, livello ultimo dove si costituisce nello stesso tempo la temporalità originaria e ciò di cui essa è la «stoffa» – cioè il flusso originario della «coscienza assoluta» (nel senso «asoggettivo» e «anonimo» che è necessario per non ricadere, per l’appunto, in una prospettiva soggettivista ricusata dalla fenomenologia genetica).
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Capitolo quinto Pulsioni e istinti
La discesa – attraverso una costruzione fenomenologica – nella sfera pre-immanente della coscienza non è richiesta solo quando si tratta di spiegare la costituzione della coscienza del tempo. Una situazione analoga si presenta anche nella fenomenologia delle pulsioni e degli istinti. Al fine di poter mostrare come i concetti di «pulsione» e «istinto» giochino un ruolo importante nella fenomenologia trascendentale di Husserl, è opportuno prima compiere un’osservazione preliminare. In essa, che è di tipo metodologico, faremo una breve messa a punto dello statuto della fenomenologia genetica, cui i manoscritti di Bernau avevano già preparato il terreno, ma che sarà esplicitamente elaborata solo all’inizio degli anni Venti. Nella parte centrale di questo capitolo analizzeremo il ruolo e lo statuto dei concetti di «pulsione» e di «istinto» su diversi piani costitutivi (che citeremo in dettaglio), in quanto questi concetti sono coinvolti nella costituzione genetica della oggettività, cioè di ciò che fa sì che un oggetto sia un oggetto. Un’ultima parte, più breve e conclusiva, cercherà infine di chiarire la dimensione concreta della «fenomenologia delle pulsioni» e degli «istinti» specificando, qui ancora, lo statuto dell’approccio husserliano rispetto a quello di Kant. Ma, prima di tutto, torneremo ancora una volta sull’epoché fenomenologica al fine di insistere (più di quanto abbiamo fatto finora) su un
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aspetto fondamentale di questo processo metodologico per la comprensione, dunque, del significato della fenomenologia genetica.
Considerazioni metodologiche Ritorno all’epoché fenomenologica Abbiamo già sottolineato (nel capitolo I) il fatto che l’epoché e la riduzione costituiscono – accanto alla variazione eidetica – gli strumenti metodologici fondamentali della fenomenologia. Ora, in filosofia, il metodo, propriamente inteso, come Husserl stesso lo specifica in Ideen I, non è qualcosa «che si applichi o possa essere applicato dall’esterno a un territorio»; al contrario, «un metodo determinato […] è una norma che scaturisce dalla fondamentale articolazione regionale del territorio e delle sue strutture generali, per cui la sua conoscibilità dipende essenzialmente dalla conoscenza di queste strutture»1. Per ironizzare su ogni tentativo consistente nell’applicare dall’esterno un «metodo» al suo oggetto, Hegel aveva scelto l’immagine della «pania per gli uccelli»2 (con ciò prendendo di mira dunque ogni tentativo di una critica delle facoltà di conoscenza esterna alla conoscenza stessa). Se, cosa del tutto plausibile, si traspone questa immagine al nostro contesto, ciò significa che è un errore considerare l’epoché come l’espressione di un procedimento applicato ai fenomeni o tenuto a darvi accesso
1 Ideen I, § 76, Husserliana III/1, p. 177; Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica. Libro primo: Introduzione generale alla fenomenologia pura, a cura di V. Costa, Torino, Einaudi, 2002, p. 183. 2 G. W. F. Hegel, Phänomenologie des Geistes, Hambourg, Meiner, 1988, p. 58; Fenomenologia dello Spirito, a cura di V. Cicero, Milano, Bompiani, p. 149.
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(anche se, bisogna ammetterlo, Husserl sembra presentare le cose in questo modo in un certo numero di suoi scritti). Questo primo aspetto – l’impossibilità di un metodo applicato dall’esterno all’oggetto – è collegato ad un secondo aspetto: J.P. Sartre, nell’Introduzione a L’être et le néant, si chiedeva se è possibile «restituire»3 il senso d’essere del fenomeno una volta che è apparentemente messo in sospeso dall’epoché. Ora, un tal modo di considerare le cose (che non è naturalmente quello di Sartre) dimostrerebbe una comprensione insufficiente dello statuto dell’epoché – le seguenti righe lo testimoniano in maniera evidente: Il principiante penserà forse a questo punto – a meno che non abbia già quei presentimenti «alati» che gli permettono di cercare nell’interiorità ogni vera esteriorità – che a un dato momento si dovrà pur eliminare l’epoché fenomenologica, che dovrà pur ritornare il tempo nel quale fare esperienza e pensare in modo naturale, e nel quale soddisfare le scienze naturali.4 [...] Tuttavia, che non sia affatto così, è ciò che una comprensione più penetrante del compito da soddisfare dell’epoché non mancherà di mettere in evidenza. Per me, lo riconosco, la prima intuizione che ho avuto della riduzione fenomenologica fu di una portata limitata [...]. Ma, alla fine, vidi aprirsi davanti a me un percorso che doveva essere di una importanza decisiva per la possibilità di realizzare una fenomenologia
3 Cfr. Jean-Paul Sartre, L’être et le néant, Paris, Gallimard, 1943, p. 24; tr. it. di G. Del Bo, L’essere e il nulla, Milano, il Saggiatore, 2008, p. 24: «[…] L’essere della coscienza basta a fondare l’essere della manifestazione in quanto manifestazione? Abbiamo tolto l’essere al fenomeno per darlo alla coscienza, e calcolavamo che questa glielo avrebbe restituito. Lo potrà?» (sottolineatura nostra). 4 Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione LIII, p. 174; tr. it. p. 227.
212 completamente trascendentale e – ad un livello superiore – una filosofia trascendentale.5
Pertanto per Husserl non si tratta di applicare (dall’esterno) questo strumento metodologico a ciò che innanzitutto si dà alla coscienza – ciò darebbe l’impressione che ne risulti una divisione tra la sfera fenomenale, da un lato, e il senso d’essere, dall’altro. Ma questo metodo, in perfetto accordo con il passo di Ideen I che abbiamo sopra citato, si sviluppa a partire dal grembo stesso dell’«oggetto» per antonomasia della fenomenologia – vale a dire il grembo stesso dei fenomeni in quanto fenomeni. E la caratteristica specifica di quest’ultimi – in questo la fenomenologia husserliana occupa un posto di prim’ordine nella storia della filosofia – è che sono privi di ogni fondamento ontologico (se si intende con «fondamento ontologico», l’abbiamo già detto, un essere in sé). Di modo che non ha effettivamente alcun senso esigere una qualsiasi «restituzione» del senso d’essere dopo che la sua messa tra parentesi sia stata effettuata in virtù dell’epoché. Se la fenomenologia studia e descrive i fenomeni in quanto fenomeni, cioè in quanto si manifestano e solo in quanto si manifestano, è esattamente perché non si tratta più di cercare un qualsiasi fondamento ontologico ai fenomeni. E – occorre insistere su questo punto – è precisamente di questo stato di cose che testimonia l’epoché: la messa tra parentesi del senso d’essere non ha niente di provvisorio, ma esprime il senso d’essere specifico dei fenomeni – vale a dire il fatto di non ammettere alcuna costruzione metafisica nei loro confronti e di esigere un esame approfondito del senso d’essere di qualcosa che è
5 Ibid. Il secondo capoverso di questa citazione è tratto dalla prima versione di questo Corso.
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solo apparente (cioè che non può contare su alcuna stabilità, su nessuna permanenza presupposta)6. Stabilito ciò, sorge immediatamente una nuova domanda: se si nega la fondatezza di ogni considerazione dei fenomeni nei termini di un divario apparire/essere e se si va financo a contestare ogni fondamento ontologico ai fenomeni, come tematizzare allora il senso d’essere dei fenomeni – precisamente nella misura in cui non ci si potrebbe sottrarre all’evidenza di ciò che il fenomeno è, anche se in un modo specifico? In altre parole: che cosa significa esattamente il manifestarsi dei fenomeni? Rispondere a tale domanda è precisamente il senso fondamentale della fenomenologia genetica. Approfondiamo quindi il significato e lo statuto di questa fenomenologia genetica.
Il significato e lo statuto della fenomenologia genetica Al di là della «svolta trascendentale» della metà del primo decennio del Novecento, la fenomenologia husserliana ha conosciuto alla fine degli anni Dieci e all’inizio degli anni Venti un’altra «svolta», da una fenomenologia detta «statica» verso una fenomenologia «genetica». La fenomenologia statica è la fenomenologia dei «fili conduttori (Leitfäden)». Questo significa che parte da un oggetto dato in anticipo di cui descrive staticamente – senza fare intervenire alcuna dimensione temporale – i fenomeni nei loro momenti costitutivi (atti, contenuti dell’atto, ecc.). Al contrario, la fenomenologia genetica è spesso presentata come una nuova prospettiva che fa intervenire, in primo luogo, una dimensione temporale che la fe-
6 Pertanto, se è ancora permesso parlare di «ontologia» in una prospettiva fenomenologica, è evidentemente in un senso diverso da quello, ad esempio, di Heidegger.
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nomenologia statica avrebbe completamente trascurata7. Ora, basandosi questa caratterizzazione troppo unilateralmente sull’introduzione della temporalità, essa è problematica sotto diversi aspetti. In primo luogo, lo stesso divario tra una fenomenologia statica e una fenomenologia genetica non è affatto evidente8 – non fosse che nella misura in cui, come Husserl mostra nella Quarta Meditazione Cartesiana, esiste un «legame (Bindung)» intimo tra l’ego (che sia un Ur-Ich nel senso dell’ego cartesiano o un Vor-Ich, ci torneremo), che si interroga di fronte alla sua genesi, e il mondo costituito9. In secondo luogo, le analisi relative alla costituzione della coscienza del tempo intervengono in entrambi i «punti di vista»10. E, in terzo luogo, il senso stesso della dimensione temporale differisce a seconda delle sfere costitutive in cui si situa – la temporalità della sfera immanente della coscienza (sfera che descrive la fenomenologia statica) non è quella della sfera pre-immanente, che costituisce la fenomenologia genetica. Per tutte queste ragioni, ci sembra più giusto identificare la fenomenologia genetica attraverso un altro criterio – già annunciato nell’Introduzione – diverso da quello che si limita ad evidenziare la 7 Cfr. ad esempio Nam-In Lee nella sua opera Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, Phaenomenologica 128, Dordrecht/Boston/Londres, Kluwer, 1993. Questo libro ha il gran merito di citare numerosi testi molto utili per la comprensione del ruolo e dello statuto della pulsione e degli istinti nella fenomenologia genetica di Husserl. Come il lettore vedrà in seguito, ci serviremo a più riprese di quest’opera come “fonte” per la nostra trattazione. 8 Cfr. anche I. Yamaguchi, «Triebintentionalität als uraffektive passive Synthesis in der genetischen Phänomenologie», in Alter, Nr. 9/2001, p. 223. 9 Quarta Meditazione Cartesiana, § 37, Husserliana I, p. 110; tr. it. p. 100. 10 Cfr. I. Kern, «Statische und genetische Konstitution», in Bernet, Rudolf/ Kern, Iso/Marbach, Eduard, Edmund Husserl. Darstellung seines Denkens, Hambourg, Meiner, 1989, p. 183-185; B. Bégout, La généalogie de la logique. Husserl, l’antéprédicatif et le catégorial, Paris, Vrin, 2000, p. 54, nota 2.
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presa in considerazione di una dimensione temporale. Quale sarà allora questo criterio? Il termine «genetico» è introdotto da Husserl dal momento che si tratta, in questa fenomenologia genetica, di una genesi. Qual è questa genesi? È quella – l’abbiamo visto – di certi facta o meglio della fattualità. Lo scopo fondamentale della fenomenologia genetica consiste infatti nel «produrre» o piuttosto: nel «costruire» la genesi di un fattualità verso cui lo sguardo del fenomenologo si è in primo luogo confrontato e di cui ha innanzitutto reso conto, in maniera descrittiva e strutturale, nelle elaborazioni «statiche». In questo senso si può dare perfettamente ragione a B. Bégout quando caratterizza la fenomenologia genetica come segue: «L’idea centrale della fenomenologia genetica», scrive nella sua notevole opera La généalogie de la logique 11, «consiste [...]nello svelare i sottointesi dell’analisi statica, mostrando che ogni fondamento di validità è basato essenzialmente su una genesi di motivazioni e implicazioni intenzionali, su una storia sedimentata del senso e delle operazioni di senso, sugli “strati di validità”»12 in quanto questi hanno sempre «funzionato (fungiert)» a tutti i livelli della costituzione. Vediamo, quindi, qual è il legame tra questa seconda osservazione preliminare e la prima. Per essere in grado di spiegare il fenomeno in quanto fenomeno, in quanto dimensione della manifestazione che non si basa e che non può poggiarsi su un fondamento ontologico stabile, Husserl si vede costretto ad elaborare una fenomenologia che prende veramente sul serio un tale senso d’essere “precario”, privo di qualsiasi forma di stabilità. Tale genesi di una fattualità (che non deve essere confusa, ripetiamolo, con le «Urtatsachen» della metafisica di
11 B. Bégout, La généalogie de la logique, op. cit., p. 60. 12 Husserliana XV, p. 615.
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Husserl) si trova almeno nei seguenti sei campi della ricerca fenomenologica13: 1. la fenomenologia della ragione produttrice14 (erzeugende Vernunft) e la costituzione delle idealità15; 2. la fenomenologia della phantasia in contrasto con la fenomenologia dell’immaginazione (cfr. il Corso del 1904/05)16; 3. la fenomenologia della Leiblichkeit (cfr. Ideen II)17;
13 La fenomenologia della «teleologia della storia» (che non esprime una «finalità naturale») non dipende – nella misura in cui elabora la genesi della storia come «factum assoluto», come «artificiosità trascendentale» – dalla fenomenologia costruttiva, ma dalla metafisica (Husserl dice anche che questo factum assoluto è il «solo tema della metafisica», cfr. la celebre Appendice XXXII, del 1921 o 1924, in Husserliana VIII così come La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale). Torniamo così su quello che abbiamo scritto su Temps et phénomène, op. cit., p. 12-13 e nel nostro articolo «Pulsion et instincts dans la phénoménologie génétique», Annales de Phénoménologie, 5/2006, p. 82-83 dove la distinzione precisa tra ciò che dipende dalla costruzione fenomenologica e ciò che dipende dalla metafisica non ci era ancora apparsa in maniera così chiara come ora (per ciò che concerne, in particolare, la differenza tra i facta che si lasciano costruire fenomenologicamente e le «Urtatsachen (fatti originari o assoluti)» della metafisica (cioè, quindi, la storia come factum assoluto, ma anche l’esperienza in generale, l’essere-nel-mondo, ecc.) che sfuggono a ogni genetizzazione). Ringraziamo vivamente L. Tengelyi delle sue osservazioni su questo punto che hanno permesso di renderci conto di queste distinzioni così come di poter introdurre tali chiarimenti. 14 «Produttrice», beninteso, nel senso di una costruzione fenomenologica (come l’abbiamo visto alla fine del Capitolo II). 15 Cfr. Logica formale e logica trascendentale, Husserliana XVII, §§ 63, 85, 86. 16 Cfr. il Capitolo III. 17 Incontriamo effettivamente dei fenomeni al di qua della sfera della coscienza immanente nel «campo» della «Leiblichkeit (corporeità vivente)» e, più particolarmente, delle «Empfindnisse» (che Levinas traduce con «sentances»), vale a dire delle specie di sensazioni che costituiscono l’unità del
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4. la costruzione fenomenologica, nei Manoscritti di Bernau (del 1917/18), di una temporalità pre-immanente al fine di rendere conto della costituzione della temporalità immanente e fattuale18; 5. la fenomenologia degli istinti come quella parte della fenomenologia genetica che spiega l’«istinto universale trascendentale» come sua «ultima fattualità», suo «ultimo factum»19. 6. la costruzione fenomenologica della struttura intersoggettiva della soggettività trascendentale20. Prima di affrontare la fenomenologia delle pulsioni e degli istinti per se stessa, bisogna dire ancora una parola sulla relazione che questi concetti di pulsione e istinto hanno tra loro: Husserl li distingue o li utilizza come sinonimi? La situazione
senziente e del sentito e che rendono questa distinzione (tra il senziente e il sentito) in primo luogo possibile (a tale proposito vedere Ideen II, Husserliana IV, § 36-42). Più elementi indicano la possibilità di procedere qui a delle «costruzioni fenomenologiche»: da un lato, Husserl pone, al di qua del vissuto immanente, una «unità fisico-estesiologica» in quanto costituisce la maniera il cui corpo vivente «è presente» (mit dabei)» nell’insieme delle condizioni o circostanze «reali (real)» che caratterizzano la sensazione (Empfindung) di un oggetto. E, dall’altro lato, la sensazione propria del corpo vivente mette in atto altri «rapporti dipendenti dal corpo vivente (leibliche Zusammenhänge)» che non sono necessariamente percepiti (rispetto al sistema nervoso, ecc.), e che concernono anch’essi in maniera essenziale tutto ciò che costituisce l’«eccitabilità in generale (Reizbarkeit überhaupt)». Ma nella misura in cui questi rapporti non appaiono in realtà che nello zigzag tra la descrizione immanente di una sensazione e quella che scopre innanzitutto l’analisi di una sensazione già costituita, non tratteremo questa ipotesi nel quadro della nostra investigazione relativa alla costruzione, fenomenologica, dei fenomeni pre-immanenti della soggettività trascendentale. 18 Cfr. il Capitolo IV. 19 Cfr. Nam-In Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 231. 20 Cfr. il Capitolo VI.
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è simile a quella di molte altre coppie di concetti in Husserl: il fatto che ad un dato momento abbia raggiunto una precisa delimitazione non vuol dire per questo che egli la rispetterà in modo del tutto consequenziale successivamente (cfr. ad esempio la distinzione tra immaginazione e phantasia di cui abbiamo già trattato in dettaglio nel Capitolo III). Nel corpus husserliano, dove i termini «pulsione» e «istinto» sono presenti dall’inizio alla fine, si trova spesso un uso quasi sinonimico di questi concetti, ma anche importanti distinzioni. Qui, per nostro partito preso, si proporrà e si manterrà un certo numero di distinzioni architettoniche per assegnare loro un posto specifico e per evidenziare il ruolo che esse svolgono nella fenomenologia genetica.
La fenomenologia delle pulsioni e degli istinti Pulsioni e istinti nelle Ricerche Logiche Abbiamo visto in dettaglio nel Capitolo II che la fenomenologia ha come oggetto di studio fondamentale l’intenzionalità, ovvero la caratteristica della coscienza di essere orientata verso un oggetto. Si sa che i vissuti «intenzionali» garantiscono la relazione all’oggetto: sono atti di apprensione distinti da un’altra specie di vissuti: la materia sensibile (la «hyle») che è precisamente «appresa» da questi atti per realizzare in tal modo la relazione all’oggetto. La questione adesso è sapere: da quale lato occorre sistemare i vissuti pulsionali e istintivi? Sono vissuti «intenzionali» nel senso in cui li abbiamo appena caratterizzati o no? Se è vero che l’elaborazione brentaniana dell’intenzionalità – che erediterà il suo discepolo Husserl – si è in primo luogo costituita contro un certo significato della coscienza pulsionale, non è men vero che nel corpus husserliano i concetti di «pul-
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sione» e «istinto» s’inscrivono innanzitutto nel quadro di una classe ben precisa di intenzioni dove il riferimento cosciente ad un oggetto manca o, almeno, è indeterminato: vale a dire le intenzioni che dipendono dalla «sfera del desiderio e del volere»21 (nella Quinta Ricerca Logica, Husserl rinvia, a tal proposito, alla «vasta sfera degli istinti naturali»). In effetti, in questa Quinta Ricerca Husserl sta valutando due possibilità: innanzitutto quella che consiste nel definire l’istinto come una semplice sensazione, cioè come un vissuto non-intenzionale22 (in tale prospettiva, Husserl parla di «sentimenti pulsionali (Triebgefühle)»23 come per esempio la fame); in seguito, quella secondo cui gli istinti possiedono uno specifico carattere intenzionale, ma il cui oggetto è indeterminato (indeterminazione che non è necessario intendere come una privazione, ma nel senso di un carattere di rappresentazione specifico24). Pertanto questi vissuti si apparentano ad altri vissuti il cui oggetto è indeterminato, del tipo «qualcuno suona», «qualcosa si muove», ecc. Si noti che Husserl manterrà questa distinzione tra istinti non intenzionali e istinti intenzionali fino agli inizi degli anni Venti. Secondo la prospettiva delle Ricerche Logiche, le pulsioni e gli istinti si inscrivono allora nel quadro dell’applicazione dello schema apprensione/contenuto d’apprensione che è lo schema che domina la fenomenologia statica. Come si è appena notato, essi sono di tre tipi: vissuti iletici25; vissuti intenzionali
21 Quinta Ricerca Logica, § 15, Husserliana XIX/1, p. 409; tr. it. p. 183. 22 Quinta Ricerca Logica, § 15, Husserliana XIX/1, p. 409-410; tr. it. p. 184. 23 Manoscritto M III 3 III 1 II, p. 93, citato da Nam-In Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 44. 24 Quinta Ricerca Logica, § 15, Husserliana XIX/1, p. 410; tr. it. p. 184. 25 Cfr. per esempio Ideen I, § 85, p. 208; tr. it. p. 213.
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il cui oggetto è indeterminato; o fenomeni mondani, costituiti, ad esempio dalle abitudini costitutive della personalità26, ecc. Ma la tematizzazione delle pulsioni e degli istinti si riduce davvero a questo quadro rigoroso prescritto dalla fenomenologia statica? La considerazione delle pulsioni e degli istinti attraverso lo schema apprensione/contenuto d’apprensione riesce ad esaurire la ricchezza fenomenologica di questi fenomeni? La risposta è chiaramente negativa. Per comprendere il ruolo molto più fondamentale che svolgono le pulsioni e gli istinti nel passaggio dalla fenomenologia statica alla fenomenologia genetica, occorre ancora una volta tornare su questa distinzione e introdurre il concetto di «motivazione» che figurerà qui come un termine chiave.
Il ruolo della ‘motivazione’ passiva nell’intenzionalità dell’istinto La fenomenologia statica descrive i diversi tipi di intenzionalità (di percezione, d’immaginazione, del ricordo, ecc.), cioè i vari modi in cui la coscienza si rapporta al suo oggetto. Essa rende conto del fatto che, in quanto coscienza, l’intenzionalità è certo intenzione (Meinung) di qualcosa, ma che a ogni momento ciò che è così intenzionato è più di quello che è rispettivamente presente in quanto esplicitamente intenzionato27 – Husserl parla a tal proposito di un «sovrappiù»28 dell’intenzionato in rapporto a ciò che è attualmente presente alla
26 Cfr. Ideen II, § 61. 27 Seconda Meditazione Cartesiana, § 20, Husserliana I, p. 84; tr. it. p. 75. 28 Husserl utilizza le espressioni «intendere-oltre-di-sé» (Über-sich-hinausmeinen), «sovrappiù» (Überschuss) per caratterizzare ogni intenzione cosciente di una oggettività trascendente, Seconda Meditazione Cartesiana, § 20, Husserliana I, p. 84; tr. it. p. 75.
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coscienza. Quando percepiamo una lampada, ad esempio, quello che è attualmente presente è questo lato della lampada (questo «profilo», questo «schizzo», questa «adombrazione» (Abschattung)). E tuttavia quello che vedo non è solo un lato della lampada, ma la lampada intera. Questo significa che l’intenzione di percezione trascende l’intenzionato esplicito, attuale, essa sconfina su ciò stesso di cui l’adombrazione è adombrazione – sconfinamento che Husserl chiama, ricordiamolo, «costituzione». In altre parole, l’analisi costitutiva che caratterizza la fenomenologia statica descrive sia l’intenzione attuale, presente, sia l’orizzonte co-presente ma non attualmente intenzionato dell’oggetto – e, quindi, contrariamente a ciò che afferma Husserl nel testo (già citato nella nostra introduzione) di Husseliana XI, intitolato «Statische und genetische phänomenologische Methode» (1921), il «sovrappiù» non è un criterio sufficiente che permette di distinguere la fenomenologia genetica dalla fenomenologia statica. Husserl chiama «orizzonte interno (Innenhorizont)» il senso dell’oggetto che si svela quando si approfondisce la determinazione dell’oggetto attualmente intenzionato, e «orizzonte esterno (Außenhorizont)» il senso dell’oggetto in quanto si richiede di prendere un’altra prospettiva (ciò riguarda allora tanto le adombrazioni non attualmente date quanto l’ambiente circostante più o meno immediato dell’oggetto). Qual è allora il principio o il motivo dello sconfinamento di un intenzionato verso la datità attuale dell’oggetto? È il concetto di «motivazione» che qui ci fornisce la risposta. Come Husserl scrive in Ideen I, la «posizione» (cioè l’intenzione totalizzante) dell’oggetto è «razionalmente motivata (“vernunftig motiviert”)»29 dall’apparizione «in carne e ossa» – sotto forma di una adombrazione – di quello stesso oggetto. Tale motiva29 Ideen I, § 136, Husserliana III/1, p. 335; tr. it. p. 340.
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zione studiata dalla fenomenologia statica non ha niente della dimensione genetica giacché fa astrazione di ogni orizzonte temporale e – soprattutto – non svela la genesi di un factum fenomenologico particolare. Questo significato della motivazione che rientra dunque nel campo della fenomenologia statica deve essere distinto da quello che abbiamo già incontrato nella citazione di B. Bégout e sulla quale anche Nam-In Lee aveva già richiamato l’attenzione: abbiamo visto che la fenomenologia genetica consiste proprio nel fatto di fornire la GENESI delle MOTIVAZIONI e delle implicazioni intenzionali di ogni fondamento di validità in quanto mettono in gioco una storia sedimentata del senso, vale a dire un passaggio che implica delle «operazioni costitutive (konstitutive Leistungen)» da qualcosa di temporalmente anteriore a qualcosa di temporalmente posteriore. Se la forma universale dell’unità del flusso temporale originario è già una «forma di motivazione che connette [tutti gli elementi della costituzione genetica] dominando particolarmente in ogni caso singolo»30, si può tuttavia fare distinzione tra vari tipi di motivazioni e sistemi di motivazioni tra cui, in particolare (e qui seguiamo Nam-In Lee31) le motivazioni «attive» e le motivazioni «passive». Le motivazioni attive sono motivazioni della ragione (Vernunftmotivationen) in quanto non sono semplicemente portatrici di una qualsiasi validità (è il caso delle motivazioni della ragione nella fenomenologia statica), ma in quanto possiedono una «caratteristica dell’aspirazione e della volontà (Strebens - und Wollenszug)»32. Torneremo alla fine di questo capitolo
30 Quarta Meditazione Cartesiana, § 37, Husserliana I, p. 109; tr. it. p. 100. 31 Cfr. Nam-In Lee, Edmund Husserls Phänomenologie der Instinkte, op. cit., p. 54. 32 Erste Philosophie, Husserliana VII, p. 193.
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sulla dimensione pratica della fenomenologia genetica così come appare qui attraverso la nozione di volontà. Al contrario, le motivazioni passive o «motivazioni associative»33 (come Husserl scrive in Ideen II) sono «sia dei vissuti che sono ‘depositi’ di atti e di precedenti operazioni razionali, o sorgono come unità appercettive secondo “analogia” in rapporto a tali atti[...], sia dei vissuti che sono completamente privi di ragione (vernunftlos): la sensibilità, ciò che si impone (das sich Aufdrängende), la pre-datità, il pulsionale (das Getriebe) nella sfera della passività»34. Queste motivazioni passive non sono altro, lo vedremo, che le motivazioni dell’intenzionalità dell’istinto sui diversi livelli della costituzione passiva. In ciò, esse non riguardano semplicemente gli atti istintivi, ma ugualmente gli atti razionali nella misura in cui sono ispirati da motivazioni istintive. Vediamo così come già la fenomenologia della motivazione passiva dell’intenzionalità dell’istinto ci obbliga a riconsiderare l’accezione usuale del concetto di «genesi» nella fenomenologia genetica.
I diversi livelli costitutivi nella fenomenologia delle pulsioni e degli istinti Cerchiamo ora di circoscrivere i vari livelli costitutivi in cui intervengono le nozioni di pulsione e istinto, e precisarne il senso e lo statuto. I manoscritti su cui ci baseremo (oltre al volume XI della Husserliana che contiene le Analisi sulla sintesi passiva) sono principalmente i Manoscritti di St. Märgen risalenti all’autunno 1921 (immediatamente posteriori al Corso sulla genesi della logica del 1920/21 che sviluppò precisamen33 Ideen II, Husserliana IV, p. 223. 34 Ideen II, Husserliana IV, p. 222.
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te le analisi sulla sintesi passiva), il cui Manoscritto πρ (la seconda parte del Manoscritto A VII 13), soprattutto, può essere considerato come il luogo e la data di nascita dell’intenzionalità della pulsione così come sarà sviluppata nella fenomenologia genetica; i Manoscritti E III 9 (1931-32); il Manoscritto C 16 V (1931); il Manoscritto A VI 34 (1931) e il Manoscritto C 16 IV (1932). Distingueremo tre livelli costitutivi35 nella costituzione genetica dell’oggettività per quanto l’intenzionalità di pulsione e le intenzioni d’istinto vi intervengono – tre livelli che fanno intervenire tre accezioni della materia sensibile o della componente noematica all’interno dell’a priori correlativo che caratterizza ogni analisi intenzionale. Li affronteremo in modo «smantellante» (Husserl parla a tal proposito del metodo dell’«Abbau»36) cioè nella direzione dal costituito al costituente: 1) l’intenzionalità di PULSIONE nella percezione esterna; 2) il ruolo dell’ISTINTO nella costituzione della hyle sensibile; 3) il sistema PULSIONALE d’ISTINTI originari nella costituzione della «hyle originaria» all’interno del flusso temporale assoluto. Prima di sviluppare in dettaglio ciascuno di questi livelli costitutivi, dobbiamo dire ancora una parola circa il processo metodologico della «riduzione smantellante».
35 Questa tripartizione – che è identica a quella che si incontra nelle analisi relative alla costituzione della coscienza del tempo (temporalità oggettiva o trascendente, temporalità immanente, temporalità pre-immanente) è stata già messa in evidenza da Nam-In Lee (op. cit.). 36 Manoscritto C 6, p. 1.
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«Costruzione fenomenologica» e «riduzione smantellante» nella fenomenologia delle pulsioni e degli istinti Nel Capitolo I abbiamo già stabilito che il processo dell’«elaborazione fenomenologica» si applica ogni volta in modo specifico secondo il campo fenomenologico considerato e che esso mette in generale in atto un versante «decostruttivo» o «smantellante». Ciò è dovuto al fatto che l’elaborazione fenomenologica non procede ad un’elaborazione speculativa basata su un principio o un’idea (della ragione), ma essa si attiene al tenore fenomenale dell’esperienza. (Husserl utilizza diversi tipi di riduzioni smantellanti – di cui trattiamo negli ultimi tre capitoli di questo libro). Infatti, la natura della riduzione smantellante dipende dal fenomeno di cui si tratta di chiarire la modalità costitutiva. Nel caso della costituzione della dimensione intersoggettiva della soggettività trascendentale bisogna innanzitutto procedere, lo vedremo, ad una riduzione alla sfera propria dell’ego nella sua immanenza radicale. Nel caso della fenomenologia delle pulsioni e degli istinti – proprio come altrove sul piano della costituzione della coscienza del tempo – una tale riduzione «primordiale» non è richiesta. In compenso, affinché la costruzione non costruisca il proprio oggetto in modo fittizio, il fenomenologo deve ben prendere di mira, in una «intuitività (Anschaulichkeit)» che lo caratterizza in quanto tale, proprio ciò che si tratta di costruire. Ora, un tale prender di mira ciò che deve essere costruito è precisamente reso possibile dalla riduzione smantellante: questa rimuove, partendo dall’oggettività costituita, i diversi strati costitutivi svelando gradualmente i fenomeni costitutivi – installandosi in primo luogo nella sfera immanente e, in seguito, discendendo nella sfera pre-immanente della coscienza trascendentale. Ora, ciò che la riduzione smantellante, che caratterizza in modo specifico la fenomenologia delle pulsioni e degli istinti, ha di particolare è che discende – in conformità quindi con
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la natura del campo fenomenologico sulla quale si applica – nelle profondità costitutive della hyle sensibile, permettendogli di prescindere, a partire dal secondo livello costitutivo, da ogni atto di apprensione. Su questo punto essa si distingue così, come abbiamo visto nel capitolo precedente, dalla riduzione smantellante che opera nella fenomenologia della costituzione del tempo. Vediamo ora ciò che questo schema metodologico permette di stabilire sul piano della coscienza intenzionale delle pulsioni e degli istinti.
L’intenzionalità della pulsione nella percezione esterna Stabilire che la percezione esterna mette in atto un’intenzionalità di pulsione sarà adesso il nostro primo obiettivo. Abbiamo visto in precedenza che la percezione di un oggetto trascendente è caratterizzata da una tensione tra la percezione di un oggetto presente dato sotto forma di «adombrazioni», da un lato, e la percezione (che è piuttosto una «percettibilità»), potenziale, dello stesso oggetto intenzionato, ma non dato in adombrazione (intuizione), che si annuncia per «sovrappiù» rispetto alla datità attuale, dall’altro. La descrizione fenomenologica palesa questa tensione svelando, dal lato noematico, orizzonti interni ed esterni e, dal lato noetico, una «intenzionalità d’orizzonte». Ma questa tensione, questo «paradosso», lungi dal presentare un limite o una debolezza del sistema percettivo, rende piuttosto possibile la percezione, poiché se l’intenzione prendesse di mira esclusivamente un oggetto attuale, sarebbe impossibile capire come un’intenzione di percezione passi continuamente in una nuova intenzione di percezione. Nella capacità della coscienza di approfondire sempre di più la datità dell’oggetto intenzionato senza per questo mai afferrarlo nella sua interezza, appare così che l’«essere-diretto è tendenziale e ‘vuole’ (hinauswill) immediatamente, in quanto tendenza, in quanto aspirazione, procurarsi una soddisfazione
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possibile solo in una specifica sintesi intuitiva (veranschaulichende), una sintesi che porta alla datità di sé l’oggettività rappresentata (das vorstellige Gegenständliche)»37. A partire dal 192138 Husserl chiama questa intenzione tendenziale, responsabile di quella «tensione» descritta in precedenza, che partecipa alla percezione e che rende possibile il passaggio da un’intenzione di percezione ad un’altra, «intenzionalità di pulsione» o «pulsione percettiva (Trieb zur Wahrnehmung)»39. Leggiamo ad esempio nel Manoscritto πρ: «Si tratta qui di interi sistemi di pulsione (ganze Triebsysteme), di sistemi d’intenzioni di pulsione (Triebintentionen) che sono mediati in una continua intenzionalità di pulsione, ma che non sono realizzabili (zu verwirklichen) in tutte le specifiche intenzioni di pulsione»40. Come si effettua l’intenzionalità di pulsione nella percezione di un oggetto trascendente? Essa risponde al risveglio del rapporto di associazione tra una rappresentazione intuitiva di un oggetto (o una parte di questo oggetto) attualmente dato e una rappresentazione vuota – sia essa protenzionale o ritenzionale – verso cui la rappresentazione intuitiva si trascende in questa associazione. Questo rapporto di associazione può rivestire due forme, vale a dire può mettere in atto due tipi di associazioni: le associazioni riproduttive, dove la tendenza va dalla presentazione a una presentificazione di qualche cosa che si è già verificato in passato; e le associazioni induttive, dove la tendenza va dalla presentazione ad una presentificazione di qualcosa che ci si aspetta in futuro. La differenza fondamen-
37 Husserliana XI, p. 83. 38 Notiamo per inciso che prima delle elaborazioni dell’autunno del 1921, Husserl aveva sempre assegnato alla sola sfera del desiderio l’intenzionalità di pulsione. 39 Manoscritto A VII 13, p. 15. 40 Manoscritto A VII 13, p. 20.
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tale tra questi due tipi di associazioni (che svolgono quindi un ruolo essenziale nell’intenzionalità di pulsione in atto nella percezione esterna) sta nel fatto che l’associazione riproduttiva «svela» solamente qualcosa che è già stato presente in passato, mentre le associazioni induttive devono innanzitutto assicurare la relazione a qualcosa di (non ancora) presente. Ricordiamo allora che, sul piano della percezione esterna, l’intenzionalità di pulsione interviene sotto forma di due tipi di associazioni: associazioni riproduttive ed induttive. Nel Manoscritto πρ, Husserl chiama esplicitamente l’associazione che collega una rappresentazione intuitiva ad una rappresentazione vuota «associazione di pulsione» e aggiunge che qui si tratta di un’«associazione di pulsioni acquisite e di processi di pulsione orientati, di processi di pulsione passivi e dei loro effetti immanenti»41.
Il ruolo dell’istinto nella costituzione della hyle sensibile Perseguendo con Husserl lo «smantellamento (Abbau)» del campo della percezione, possiamo ora orientare lo sguardo fenomenologizzante sulla sola sfera impressionale, vale a dire sulla sfera che include l’insieme delle sensazioni (il che implica ignorare non solo ogni sorta di noesi (= atti intenzionali) dipendenti dai sistemi superiori di appercezione, ma ugualmente le presentificazioni e associazioni che abbiamo incontrate al primo livello della nostra analisi). Husserl chiama il campo che in questo modo si dischiude il campo della «hyle di sensazione (Empfindungshyle)»42. Ciò che caratterizza propriamente quest’ultimo è l’essere costituito da varie forme di «associazione originaria» che sono all’origine e avviano la ge-
41 Manoscritto A VII 13, p. 20. 42 Cfr. Manoscritto C 6, p. 5.
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nesi delle associazioni (riproduttive e induttive) che dipendevano – l’abbiamo visto – dalla sfera della percezione esterna. La necessità di procedere ad una tale «discesa» in una sfera costitutiva più profonda è indicata tra l’altro dal fatto che la sfera della percezione esterna si apre su una spazialità tridimensionale mentre il campo della hyle di sensazione è solamente bidimensionale43. È importante sottolineare che questo campo bidimensionale non si integra nella sfera tridimensionale dello spazio percepito, ma è il fondamento costitutivo di quest’ultimo. Il primo problema che si pone quando si cerca di determinare la hyle riguarda la questione di sapere se momenti che dipendono dall’Io (ichliche Momente) intervengono o no nella sua costituzione passiva. In Ideen I, Husserl sembra ancora vacillare tra due posizioni contraddittorie: da un lato, descrive la hyle come componente effettiva (reell) della coscienza, il che implica che è priva di ogni forma di spazialità (e dunque che è completamente integrata nel campo coscienziale); dall’altro, le attribuisce una qualche forma di «estensione», il che significa che essa trascende la sfera egoica. Come conciliare queste due posizioni? Le analisi sulla sintesi passiva rivelano un rapporto di correlazione tra i momenti «noetici» (o meglio: «proto-noetici», poiché non si tratta qui di un’intenzionalità d’atto) passivi e le unità noematiche passive. In quanto alla sua genesi, ciascuno dei due componenti di questa correlazione può essere approfondito. Sul lato noematico, Husserl propone nel Corso del 1920/21 una «considerazione cinetica (kinetische Betrachtung)»44 che
43 Così ad esempio scrive Husserl in Phänomenologische Psychologie: «La forma del campo visuale che persiste dentro il cambiamento dei data di sensazione è […] bidimensionale mentre lo spazio degli oggetti di percezione è tridimensionale», Husserliana IX, p. 164. 44 Husserliana XI, p. 130.
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rivela una molteplicità di sintesi passive, geneticamente fondate le une sulle altre, all’opera nella formazione del campo iletico (una prima sintesi continua tra le molteplicità astratte all’interno della coscienza originaria del tempo45; una «fusione vicina (Nahverschmelzung)»46 tra i data sensibili concreti; e una «fusione remota (Fernverschmelzung)»47 tra le unità noematiche discontinue). Dal lato proto-noetico, Husserl identifica un’«affezione»48, come eccitazione coscienziale esercitata dall’oggetto sull’Io, la quale ha una tripla dimensione: una dimensione dossica (benché puramente passiva), si tratta qui di una «intenzione di rappresentazione passiva (passive Vorstellungsintention)» che fornisce la relazione al campo iletico originario; una dimensione estetica, che mette in atto un «sentimento sensibile (sinnliches Gefühl)» che accompagna la relazione dossica alla hyle e, infine, una dimensione cinestetica, Husserl parla allora di una «tendenza di attività» dipendente dalle cinestesie. Ciò che è qui decisivo è che fin dalle Lezioni sulle sintesi passive, Husserl si è accorto che l’istinto interviene a questo livello costitutivo della hyle di sensazione49. E ciò diventa del tutto evidente in un manoscritto risalente al marzo del 1932: «Il datum [visuale] cambia nel corso della cinestesia, non già secondo la maniera di un accompagnamento (Mitlaufen) di sensazioni cinestetico-iletico, ma qui si tratta di corsi (Verläufe) istintivi, pulsionali (triebmäßig)»50. Quello che qui è detto della cinestesia vale allo stesso modo per l’intenzione di rappresentazione passiva e per il sentimento sensibile. Ciò 45 Husserliana XI, p. 128. 46 Husserliana XI, p. 140. 47 Husserliana XI, p. 139. 48 Husserliana XI, p. 148. 49 Husserliana XI, p. 150. 50 Manoscritto C 16 IV, p. 16, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 107.
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è dimostrato da un altro manoscritto (risalente al novembre 1931) che, oltretutto, introduce in modo esplicito il concetto di «istinto originario (Urinstinkt)»: «La prima cosa (das Erste) della costituzione del mondo nella primordialità è la costituzione della ‘natura’ a partire dalla natura originaria iletica o piuttosto a partire dal triplo materiale originario: nucleo sensibile, sentimento sensibile, cinestesia sensibile. A ciò corrisponde l’‘istinto originario’»51. Quest’istinto originario – che si può allora opporre all’intenzionalità di pulsione in atto nella percezione esterna – corrisponde alla «tendenza noetico-noematica istintiva (instinktive noetisch-noematische Tendenz)», un interesse «istintivamente diretto [...] alla costituzione di esperienze di cose, alla conoscenza di cose»52. Come sottolinea Nam-In Lee53, nella costituzione iletica originaria Husserl chiama questo istinto «istinto originario dell’“oggettivazione” (Instinkt der “Objektivierung”)»54 o «istinto di curiosità (Instinkt der Neugier)»55. A proposito di tale istinto di oggettivazione o di curiosità si possono fare diverse osservazioni: 1) L’istinto di oggettivazione, in quanto correlato della prima oggettivazione, è il fenomeno ultimo dove si può ancora identificare una eccitazione coscienziale; qui siamo alla fonte stessa della coscienza e del suo interesse – l’inter-esse che esprime bene la tensione originaria che caratterizza l’intenzionalità – originariamente portato verso le cose e il mondo. Per esprimere l’indivisibilità inestricabile tra il momento ricevente e il momento orientato, Husserl indica tale istinto come «affezio51 Manoscritto B III 9, p. 67, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 108. 52 Manoscritto E III 9, p. 5 (1931), citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 108. 53 Nam-In Lee, op. cit., p. 108. 54 Manoscritto C 13 I, p. 14. 55 Manoscritto A VI 26, p. 60 ss.; Manoscritto C 16 IV, p. 7; Manoscritto E III 9, p. 28.
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ne originaria (ursprüngliche Affektion)»56 (che a sua volta sarà fondata su un’associazione originaria57). 2) L’istinto di oggettivazione in quanto partecipa alla costituzione iletica originaria motiva il passaggio da un’unità inferiore ad un’unità superiore della sintesi passiva – passaggio che abbiamo potuto identificare dal lato della componente noematica della correlazione originaria che caratterizza la hyle di sensazione. 3) L’istinto di oggettivazione costituisce geneticamente l’intenzionalità di pulsione della percezione esterna, ne è la figura originaria e trova il suo ultimo adempimento nella costituzione dell’oggetto della percezione.
Il sistema pulsionale degli istinti originari nella costituzione della «hyle originaria» all’interno del flusso temporale assoluto Con le analisi relative alla genesi del campo iletico appena compiute non siamo ancora giunti al livello in definitiva costitutivo della hyle e dei fenomeni pulsionali che le sono correlati. Come abbiamo appena visto, l’istinto di oggettivazione, in quanto «affezione originaria», è alla fonte della dimensione coscienziale ultima del campo iletico. Tuttavia, c’è una hyle che Husserl chiama «hyle originaria (Urhyle)» che è priva di ogni dimensione coscienziale. È verso quest’ultima, così come verso il sistema pulsionale qui messo in gioco, che torneremo adesso al terzo livello della discesa nella sfera originariamente costitutiva della hyle sensibile. In effetti, i campi iletici con i data sensibili che vi si possono scoprire non sono il momento iletico ultimo della vita trascen56 Manoscritto C 16 IV, p. 7, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 110. 57 Vedi infra.
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dentale, in realtà si rivelano a loro volta essere «costituiti». In questo modo essi presuppongono un livello costitutivo ancora più profondo (il più profondo che metterà in gioco, qui ancora, una costruzione fenomenologica): il livello genetico della passività originaria (Husserl parla di una «passività iletica»58) che non è nient’altro ciò che Husserl chiama il «flusso originario». Per accedervi siamo ora indotti ad ignorare i momenti costitutivi incontrati nella parte precedente – cioè sia noeticamente, ogni momento coscienziale (anche la stessa affezione originaria), che noematicamente, i campi iletici costituiti. A questo livello si pone una questione metodologica fondamentale che si ricongiunge alle considerazioni metodologiche dei capitoli precedenti. Se facciamo astrazione al livello ultimamente costitutivo della hyle originaria di ogni momento coscienziale, non potremo più, come nota giustamente Nam-In Lee, basarci sul cammino cartesiano della riduzione fenomenologica, nella misura in cui questo cammino si riduce precisamente al campo della riflessione egologica e non trascende la certezza dell’io attuale e concreto. Ora, per Nam-In Lee, è il cammino della riduzione che passa per la psicologia intenzionale che deve «riempire» il «vuoto» del cammino cartesiano – e questo, non nel senso in cui questo cammino (presentato nella seconda parte della Filosofia prima) verrebbe a sostituire il cammino cartesiano, ma nel senso in cui ne sarebbe una «modificazione»59. Solo il cammino che passa per la psicologia intenzionale sarebbe in grado di circoscrivere l’ego non in maniera astratta, ma discendendo nelle «profondità [...] della soggettività trascendentale»60, ciò che solo permetterebbe di
58 Husserliana XI, p. 162. 59 Husserliana VIII, Appendice II, p. 316. 60 Filosofia prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione LII, p. 168; tr. it. p. 217.
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inscriverlo nel «flusso della vita trascendentale»61, cioè apprenderlo come monade trascendentale o come vita monadica trascendentale. Ora, una tale prospettiva non ci sembra essere convincente. Non si tratta di negare l’arricchimento che ci fornisce la considerazione della psicologia intenzionale, né tantomeno contestare la critica secondo cui il fatto di situarsi sul solo piano dell’ego astratto conduce a dei vicoli ciechi che d’altronde Husserl non ha mai negato e che ha sempre considerato come provvisori. Ciò che ci sembra piuttosto problematico è che qui si abbandona un terreno che ha tuttavia costituito una delle conquiste metodologiche fondamentali di Husserl (e a cui si è tenuto fino alla fine, fino alla redazione delle Meditazioni Cartesiane e oltre) – quello dell’attestazione fenomenologica, quello della possibilità che ognuno ha di fare e rifare l’esperienza per proprio conto. Se si afferma, come lo fa ripetutamente Nam-In Lee (basandosi su K. Held e B. Waldenfels) che, superando la limitata sfera egologica e immergendosi nella vita trascendentale monadica, non ci si può più fondare su un’esperienza diretta, ma si è obbligati a ricorrere alle testimonianze di terze persone (i genitori, ecc.) per procurarsi informazioni necessarie alla spiegazione della genesi originaria di un individuo, è chiaro che abbandoniamo semplicemente il campo della fenomenologia. La via che bisogna favorire e che sola permette di mantenere entrambi i capi del problema – il fatto di tener stretto il vincolo fenomenologico dell’attestabilità e della sperimentabilità universale, da un lato, ed il fatto di superare la sfera troppo limitata della certezza reale di sé al fine di poter immergersi nelle sfere ultimamente costitutive della monade, dall’altro – è la via della costruzione fenomenologica. È in questo senso che intendiamo «l’astrazione specifica» qui richiesta e – soprattutto – il ruolo dell’identificazione
61 Husserliana VIII, Appendice II, p. 316.
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«che crea a posteriori» l’oggettività di cui parla Husserl in un manoscritto risalente al 193462. Ed è anche in quel senso, ci sembra, che bisogna intendere lo statuto paradossale di una identificazione «posteriore» (come menzionato nel Manoscritto πρ) che rende possibile l’esplicitazione fenomenologica «a priori»63. Cosa resta allora se si fa astrazione dei campi sensibili? C’è ancora qualcosa che potrebbe restare dal lato iletico? I campi iletici non rappresentavano piuttosto il momento iletico finale al di qua del quale nessuna costruzione poteva e può essere effettuata? Due esempi ci mostrano a che condizione si può effettivamente identificare una sfera originariamente iletica, priva, come era giusto che fosse, l’abbiamo visto, di ogni dimensione coscienziale: lo stato del sonno e la «sensazione» di un cambiamento dell’ambiente (sul piano tattile, olfattivo, sonoro o altro) che non è stato notato subito dall’Io poiché assorto, nel corso di questo cambiamento, in un’attività che aveva attratto tutta la sua attenzione (ad esempio il cambiamento, lento ma progressivo, della temperatura in una stanza mentre si è assorti in un’attività che richiede un’intensa concentrazione). Husserl chiama nel Manoscritto πρ, «l’originariamente iletico» o «ciò che è originariamente iletico» (das Urhyletische), il momento iletico geneticamente più originario, all’interno del
62 Cfr. il Manoscritto C 13 II, p. 9 (citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 115): l’accesso alla sfera originariamente passiva è «attestabile, per mezzo di un questionare a ritroso, dall’Io fenomenologizzante e ciò, in un’astrazione specifica e in un’identificazione, prima di essere messa in evidenza da lui, che crea (schafft) l’oggettività a posteriori (nachkommend)». 63 Cfr. il Manoscritto A VII 13, p. 67: «L’iletico originario (das Urhyletische) non può essere identificato (herausidentifiziert) a priori che dopo grazie all’esplicitazione fenomenologica della costituzione delle unità iletiche».
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flusso originariamente passivo, che è costitutivo della hyle di sensazione64. Qui è il momento iletico che risponde effettivamente di un cambiamento del campo sensibile prima che questo si manifesti coscienzialmente sotto forma di una affezione originaria. È proprio il caso di come quando “ho” freddo prima di prenderne coscienza. Il correlato di ciò che è in questo modo «originariamente iletico» e non è direttamente attestabile fenomenologicamente, ma che il fenomenologo deve costruire, è «il pre-egoico (das Vor-Ichliche)» che richiede a sua volta una costruzione. A questo proposito citiamo l’importante Appendice XLIII al testo Nr. 34 di Husserliana XV (del settembre 1933): L’analisi strutturale del presente originario (urtümliche Gegenwart) (la corrente vivente e stans nel flusso) (das stehend lebendige Strömen) [= il flusso originario] ci conduce alla struttura dell’Io (Ichstruktur) e allo strato inferiore e permanente che la fonda della corrente fluente (Strömen) privata dell’Io, che lo [= lo Strömen] riconduce attraverso un conseguente questionare a ritroso [...] al pre-egoico radicale.65
Che questa costruzione riveli tuttavia qualcosa di egoico, cioè qualcosa che è in un rapporto costitutivo con l’Io, ce lo
64 Husserl scrive nel Manoscritto C 16 V, p. 10 (citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 117): «Nell’attitudine trascendentale […], sono condotto alla mia soggettività trascendentale e da lì al mio presente originariamente modale; pertanto, [sono ricondotto] […] ad una sfera temporale (Zeitsphäre) trascendentale ultima, presupposta in ogni cambiamento dei fenomeni del mondo, in quanto tempo trascendentale con il contenuto di tempo (Zeitinhalt) trascendentale, all’interno del quale, ultimamente, il fenomeno ‘mondo’ perviene a me – in quanto Io trascendentale – alla coscienza, [e all’interno del quale questo fenomeno] è per l’appunto il mio fenomeno, [cioè] il fenomeno dell’Io trascendentale e fenomenologico». 65 Husserliana XV, p. 598.
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mostra un frammento risalente al 1931: «È già qui allora un aspirare privo dell’Io che conduce continuamente alla realizzazione (Verwirklichung), che risveglia continuamente aspirazioni nuove, ecc.? Ma che ne è di questa costruzione? Ogni aspirazione non è già egoica (ichlich)»66? Già Ideen II avevano sottolineato la relazione tra questo «fondo dipendente dall’anima (seelischen Untergrund)» e l’Io: in effetti, si tratta a proposito di questo fondo pre-egoico di una «struttura dell’Io (Ichstruktur) che per l’appunto permette ed esige di dire che l’Io allo stadio dell’“essere-incosciente” (Unbewusstsein) specifico, [allo stadio] dell’occultazione (Verborgenheit), non è un nulla o la vuota potenzialità del cambiamento di questi fenomeni in fenomeni di attualità dell’Io (Ich-Aktualität), ma un momento della sua struttura»67. Ora, il fatto che l’«originariamente iletico» possieda uno statuto pre-conscienziale significa che non è il correlato «noematico» di un atto oggettivante. È piuttosto il correlato di un atto non oggettivante e non è dunque un noema nel senso stretto del termine (dato che il noema significa, per definizione, il correlato di una intenzione dossica). Husserl sviluppa allora in dettaglio che questo «originariamente iletico» è in un’inestricabile unità con una «cinestesia originaria (Urkinasthese)»68 – intreccio della componente noematica e della componente noetica che si danno qui in una unità primitiva – manifestando l’originaria aspirazione più caratteristica di un istinto originario69: «Questa aspirazione è istintiva [e si realizza] istintivamente, vale a dire che è ‘orientata’ in modo occulto verso le unità mondane che, “in futuro”,
66 Manoscritto C 16 V, p. 16, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 123. 67 Ideen II, Husserliana IV, p. 275 ss. (tr. it. p. 274), p. 332 (tr. it. p. 325). 68 Cfr. il Manoscritto C 11 IV, p. 10, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 118. 69 Ibid.
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si costituiranno solo in modo disocculto»70. E il polo «noetico» di questo istinto originario – che si colloca al di qua dell’istinto d’oggettivazione che si è ignorato a questo livello costitutivo – non è altro che il «pre-egoico», il «polo dell’Io» in quanto «polo di istinti originari»71. Si noti che Husserl chiama tutti i contributi dell’istinto originario (o piuttosto degli istinti originari) alla genesi ultima della hyle originaria, un «sistema pulsionale (Triebsystem)»72. Questo significa che al primo livello costitutivo Husserl utilizza piuttosto la nozione di «pulsione», al secondo livello invece il concetto di «istinto» e al terzo livello i due concetti nello stesso tempo («istinti originari» e «sistema pulsionale»), dove parla inoltre anche di una «pulsione istintiva»73 – ma questa scelta terminologica così fissata dalle nostre considerazioni non deve occultare, l’abbiamo già segnalato, il fatto che, sui tre piani costitutivi, Husserl impieghi entrambi i concetti. Questo cieco adempimento degli istinti originari significa allora che questi ultimi sono totalmente privi di una relazione intenzionale al mondo? Nient’affatto74! Ad esempio in pagine illuminanti75 del 1923, e quindi quattro anni prima dell’appa-
70 Manoscritto A VI 34, p. 34, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 118. 71 Manoscritto E III 9, p. 18, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 123. 72 Husserliana XV, testo Nr. 34 (settembre 1933), p. 594. 73 Cfr. per esempio il Manoscritto C 16 IV, p. 11, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 121. 74 Husserl scrive: «In ogni istinto originario non scoperto, la direzione intenzionale è là, se è in atto, direzione verso un orizzonte vuoto che non è affatto formato, verso una meta che non ha struttura nota tracciata in anticipo», Manoscritto E III 9, p. 22, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 119. Cfr. anche D. Zahavi, Husserl und die transzendentale Intersubjektivität, op. cit., p. 95-96. 75 Cfr. ad esempio il Manoscritto M III 3 II 1, p. 25-35 e p. 89-99 (19001914); il Manoscritto F I 24, p. 35 (1909-1923) e il Manoscritto A VI 26, p. 3 (1921-1931).
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rizione di Sein und Zeit – in analisi filosoficamente forse meno edificanti, ma, di sicuro, fenomenologicamente più precise dei corrispondenti sviluppi heideggeriani – Husserl mostra che la «prima apertura al mondo» (l’espressione è di Landgrebe76) si effettua in una «affezione originaria (ursprüngliche Affektion)»77 (che occorre distinguere da quella evidenziata sul piano costitutivo della hyle di sensazione), un’affezione – in anticipo ovviamente sulla «disposizione emotiva (Befindlichkeit) heideggeriana – che Husserl non esita, nel febbraio del 1931, a chiamare «umore (Stimmung)»78. Ecco un passaggio che fa intervenire i due significati di affezione originaria per distinguerli nettamente (Husserl usa qui il termine «Uraffektion» e non «ursprüngliche Affektion», ma evidentemente, dato il contesto, ciò non cambia granché): «Affezione originaria [sul piano «costitutivo» della hyle di sensazione]: l’essereattratto da qualcosa che è “messo in rilievo”. L’essere-attratto esprime molte cose nella misura in cui ciò rinvia ad un più o meno, ad un essere-accanto-a più o meno prossimo. Ora, per essere costituito esso presuppone già un’affezione originaria [sull’ultimo livello costitutivo], è un essere-accanto-a, un essere-orientato-verso originario»79. Notiamo d’altronde che il «pre-egoico» in quanto polo di questa affezione originaria è anche il centro di un’altra operazione funzionale (fungierende Leistung) decisiva – benché anonima – della soggettività trascendentale: l’«associazione originaria» in quanto condizione di qualsiasi forma di sedimentazione di esperienze vissute che hanno avuto luogo nel passato. Que-
76 L. Landgrebe, Faktizität und Individuation, Hamburg, Meiner, p. 83. 77 Cfr. innanzitutto il Manoscritto A VI 26, p. 29 e poi il Manoscritto C 16 IV, p. 11 (1932). 78 Manoscritto A VI 34, p. 19, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 122. 79 Manoscritto A VI 26, p. 29, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 121 (sottolineature nostre).
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sta associazione originaria corrisponde all’affezione originaria dell’intenzione d’istinto non oggettivante in quanto si esprime con, e dà luogo a delle abitualità80 grazie alle quali si costituiscono gli oggetti suscettibili di veicolare sedimentazioni anteriori. In virtù di una ripetizione dell’intenzione d’istinto si formano così, «noeticamente», la sfera del pre-egoico e, noematicamente, l’orizzonte della hyle originaria. La totalità di questi orizzonti costituisce il «mondo» pre-egoico. Di tutto ciò bisogna tenere a mente che al livello ultimamente costitutivo della hyle originaria interviene un sistema pulsionale d’istinti originari in cui i momenti egoici, non-egoici e cinestetici sono in un rapporto di unità originaria che risponde alla prima apertura al mondo della soggettività trascendentale. In virtù delle strutture pre-egoiche messe in evidenza in precedenza, è chiaro che questa soggettività non potrebbe essere compresa come coscienza costituente assolutamente trasparente, ma solo come quella dimensione o quella sfera che richiede una costruzione fenomenologica richiesta dai fenomeni stessi e che permette in tal modo di rendere conto della «coscienza» della hyle originaria. Notiamo, infine, che questo approccio ci conferma ancora una volta la specificità della comprensione husserliana del trascendentale: si tratta qui di una sfera costitutiva non semplicemente logica (come per Kant), ma in quanto tale attestabile fenomenologicamente, anche se in modo indiretto, in un’esperienza. E ciò spiega anche perché ha un senso parlare di una dottrina trascendentale delle pulsioni e degli istinti in Husserl, espressione che, in una prospettiva kantiana, è già stato detto, risulterebbe semplicemente una contradictio in adiecto.
80 Cfr. ad esempio il Manoscritto B III 3, p. 7.
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La dimensione pratica della fenomenologia delle pulsioni e degli istinti Un ultimo aspetto che ci sembra essere centrale rispetto al chiarimento dello statuto della pulsione e dell’istinto in Husserl – e che è già apparso in ciò che precede – riguarda la relazione tra queste nozioni e il concetto di volontà. Lo sviluppo di questo punto ci permetterà infine di svelare la dimensione pratica della fenomenologia degli istinti. Questa dimensione emerge in particolare sotto due aspetti: in primo luogo, possiamo identificarla, riassumendo, nell’insieme delle tre sfere costitutive che abbiamo studiato precedentemente, e, in secondo luogo, appare ugualmente nella concezione husserliana dell’istinto come «proto-forma (Vorform)» della volontà.
La dimensione pratica nelle tre sfere costitutive della fenomenologia delle pulsioni e degli istinti La dimensione pratica appariva già sul piano della percezione esterna. Si era posta la questione della tendenza dell’intenzione della percezione alla soddisfazione. Questo è possibile solo se l’intenzione di pulsione della percezione passa continuamente in una cinestesia, vale a dire in un «atto» o una «praxis» – il che significa che essa si rivela come «intento pratico». E l’intenzionalità d’orizzonte, sempre in gioco nella percezione trascendente, si rivela essere così una «possibilità ‘attiva’ (tätig)»81, una «possibilità pratica»82 dell’intenzionalità di pulsione.
81 Manoscritto A VII 13, p. 17. 82 Cfr. Ideen II, Husserliana IV, p. 258; Erfahrung und Urteil, p. 89; Manoscritto A VII 13, p. 17 ss.
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Questa determinazione era ugualmente visibile nella dimensione cinestetica dell’affezione originaria sul piano costitutivo della hyle di sensazione e soprattutto nel suo intrecciarsi con l’istinto di oggettivazione. L’incessante passaggio, nella costituzione della hyle originaria, da una intenzione di rappresentazione passiva ad un’altra, si è ugualmente presentato sotto forma di una possibilità pratica. Il punto qui decisivo– già messo in luce da A. Montavont nel suo libro De la passivité dans la phénoménologie de Husserl83 – ci sembra essere il superamento della divergenza tradizionale tra attività e passività84: nella misura in cui, nella sfera passiva, la costituzione genetica appare come intenzione pratica, questa sfera «passiva» è solamente passiva (proprio come la sensibilità, secondo Kant, è solamente passiva, da cui l’introduzione, nell’Estetica trascendentale, del concetto di «ricettività») ma ingloba ugualmente intenzioni fondate nell’intenzionalità di pulsione in quanto questa ha la sua fonte nel «pre-egoico».
L’istinto come «proto-forma» della volontà Ancora una volta è il confronto con Kant che infine ci permetterà di evidenziare la concezione veramente husserliana dell’iscrizione della volontà nell’intenzionalità di pulsione. Se spesso si caratterizza la concezione kantiana della volontà come «formale», questo non corrisponde al fatto che l’imperativo categorico non avrebbe contenuto (poiché, al contrario, ne ha uno: la persona come fine in sé), ma alla concezione stessa della volontà che Kant ci propone. Proprio come per
83 A. Montavont, De la passivité dans la phénoménologie de Husserl, Paris, puf, 1999, p. 10. 84 Vedi ad esempio il Manoscritto A VII 13, p. 19, citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 136.
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Kant «pensare» significa qualcosa di molto più formale che «riflettere», «ragionare», o qualcosa del genere – cioè semplicemente «sintetizzare», «unificare» un molteplice –, «volere» non è identico a qualche particolare forma di desiderio, ma significa anche qualcosa di più limitato: cioè porsi un fine, ciò che implica darsi la regola per poter raggiungerlo. E, come si sa, la nozione più pura della volontà è raggiunta nel momento in cui l’ascesi della fondazione della morale è giunta al termine – alla purificazione della volontà da qualsiasi aspirazione che trascenderebbe la ragion pratica (vale a dire la stessa volontà) – in altre parole, quando questa ascesi è giunta ad un concetto di volontà, quindi, in cui un fine in sé è il fine, e l’imperativo categorico la formulazione della regola necessaria a raggiungere questo fine85. Al contrario, l’originalità della posizione di Husserl consiste nell’introduzione di un concetto di volontà che non è formale (probabilmente non lontano, d’altronde, da quello di Schopenhauer86) e che, tuttavia, non riconduce semplicemente questo concetto ad una qualsiasi forma di desiderio. Infatti, secondo Husserl, l’intenzione d’istinto – in quanto si ripete incessantemente – anticipa ad un livello costitutivo inferiore il ruolo e la funzione della volontà che si situa ad un livello costitutivo superiore. In effetti, l’istinto si rivela essere la «protoforma (Vorform)»87 della volontà: «[…] nella pulsione, e nel fare che ne segue è presente (vorliegt) una forma inferiore del volere, una passività del volere in contrasto con l’attività dell’“io voglio” in quanto adempimento del volere da parte
85 Per tutto ciò ci permettiamo di rinviare al nostro studio «Figures du langage dans la philosophie pratique de Kant», in Kant, J.-M. Vaysse (ed.), «Les Cahiers d’histoire de la philosophie», Paris, Éditions du «cerf», 2007. 86 Cfr. su questo punto i lavori molto illuminanti di V. Stanek. 87 Husserliana XV, p. 511.
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dell’Io»88. Come Husserl argomenta nell’Appendice XLIII già citata del testo Nr. 34 di Husserliana XV, nella costituzione genetica c’è una gradazione gerarchica dalla «vita pulsionale inferiore» all’«universalità» dell’«umanità» (cioè la ragion pratica) passando per la «vita del volere»89. Si può certamente ricondurre, come fa Nam-In Lee, questa vita pulsionale all’espressione della necessità di far fronte alle esigenze della vita. Tuttavia ci sembra che la vita pulsionale svolga un ruolo ancora più fondamentale: qui ne va della fondazione, che richiede una discesa al di qua delle manifestazioni coscienti del volere, della volontà in una sfera che non consegna una materia a quest’ultima, né presenta semplicemente e in generale una forma di desiderio, ma che attesta il vissuto di una forma di volere alla fonte – fenomenologica – anche della ragion pratica. Ma sono riflessioni queste che solo uno studio più approfondito potrebbe chiarire. Parlare – come fa Nam-In Lee90 – di un atto «volontaristico» della fenomenologia husserliana (a tale proposito si può citare per esempio Filosofia prima: «La ragione conoscente (Erkenntnisvernunft) è una funzione della ragion pratica, l’intelletto è il servitore della volontà»91) consiste tuttavia in uno spostamento d’accento troppo unilaterale che si giustifica solo per il fatto, che sovente si constata presso i commentatori di Husserl, di favorire un solo aspetto all’interno di un’opera che nondimeno resiste bene ad ogni tentativo di riduzione o di semplificazione eccessive.
88 Manoscritto M III 3 III 1 II, p. 103 (sottolineature nostre), citato da Nam-In Lee, op. cit., p. 184. 89 Husserliana XV, p. 599 ss. 90 Nam-In Lee, op. cit., p. 5 e p. 245. 91 Erste Philosophie, Husserliana VIII, p. 201.
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Capitolo sesto L’intersoggettività
Se la fenomenologia trascendentale cerca di rendere conto, l’abbiamo visto, della costituzione di ogni senso e di ogni senso d’essere nella vita intenzionale della soggettività trascendentale, questo senso tuttavia non deve limitarsi alla sfera privata di una coscienza individuale, ma deve avere, come direbbe Kant, una «validità oggettiva» – ed ora è finalmente venuto il momento di dedicarsi a questa ultima condizione assolutamente necessaria del carattere fondato del discorso fenomenologico. Il chiarimento del modo in cui la costituzione – in e attraverso la soggettività trascendentale – del senso d’essere dei fenomeni racchiude un senso obiettivo è infatti un compito essenziale che il fenomenologo deve adempiere. Ora, due punti sono qui essenziali. In primo luogo, non bisogna (sup)porre dogmaticamente l’esperienza dell’oggettività. Ma, d’altra parte, si ha veramente l’esperienza di qualcosa soltanto se questa esperienza possiede effettivamente una validità oggettiva attestata e verificata da una comunità intersoggettiva (ciò che, in sé, non conferisce evidentemente ancora uno statuto epistemico particolare all’intersoggettività). La tesi che vorremmo dimostrare in questo capitolo è che per poter realizzare e compiere non solo questo compito, ma tutta la fenomenologia trascendentale in generale (punto sul quale Husserl stesso ha più volte insistito), bisogna per l’appunto risolvere il problema dell’intersoggetti-
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vità, che – sia detto per inciso – rivela qui ancora la necessità della costruzione fenomenologica, raramente identificata dai commentatori (e dai numerosi critici) come il fulcro delle elaborazioni husserliane su questo argomento. Ma che cosa è innanzitutto questo «problema dell’intersoggettività»? Ecco le tre questioni fondamentali che permettono di circoscrivere il campo di ricerca in cui esso si inscrive: 1) In che misura la soggettività trascendentale deve necessariamente essere concepita – nella fenomenologia trascendentale – come una intersoggettività trascendentale? (Si tratta qui, su un piano architettonico, del ruolo e della funzione dell’intersoggettività nella fenomenologia trascendentale in generale.) 2) Come la comprensione dell’altro in termini di «alter ego» costituisce una comprensione fenomenologica dell’alterità e dell’estraneità? (Questa è la questione delle condizioni fenomenologiche di ciò che Husserl chiama l’«esperienza dell’altro»). 3) In quale maniera l’intersoggettività interviene nella costituzione dell’oggettività1? (Ciò riguarda allo stesso tempo la costituzione dell’oggettività, in generale, e quella del mondo e della comunità di soggetti, in particolare.) In quello che segue, cercheremo di ricostruire la fenomenologia dell’intersoggettività di Husserl basandoci principalmente sulla Quinta Meditazione Cartesiana. Questo testo rimane beninteso il testo di riferimento nella materia – sebbene le sue analisi si riferiscono sovente, in maniera implicita, ai volumi VIII (Filosofia Prima, seconda parte e ulteriori importanti 1 Cfr. Ideen III, Husserliana V, p. 150 e Formale und transzendentale Logik, Husserliana XVII, p. 245.
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Appendici) e soprattutto XIII-XV della Husserliana dedicati all’intersoggettività2, i quali, è vero, ne chiariscono il significato in modo decisivo. Faremo riferimento anche, quando è necessario, ad altri testi che non sono stati necessariamente redatti nello stesso tempo delle Meditazioni Cartesiane (1929), ma che si scaglionano su quasi tutti i periodi della produzione filosofica di Husserl.
Preliminari metodologici Che cos’è l’intersoggettività trascendentale? Non è un «superio», né una «coscienza collettiva»; e non è neppure una struttura sistematica che fonderebbe la coscienza; e, infine, non è una relazione mondana che si potrebbe osservare dall’esterno. L’intersoggettività trascendentale – e conviene prestare attenzione a questa prospettiva del tutto originale e inedita – è una relazione tra io ed altri che non si può analizzare che all’interno di questa relazione, e a partire dall’ego3. Ora, l’analisi di questa intersoggettività richiede due punti di partenza: un punto di partenza problematico e un punto di partenza metodologico. Il punto di partenza problematico – che non formula una presupposizione, ma «prende di mira» ciò che la costruzione fenomenologica dovrà costruire – è che la soggettività è strutturata in maniera intersoggettiva (proprio perché la mia esperienza non è davvero un’esperienza a meno che non si
2 Questi volumi – Husserliana XIII: Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Erster Teil : 1905-1920; Husserliana XIV: Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Zweiter Teil: 1921-1928 e Husserliana XV: Zur Phänomenologie der Intersubjektivität. Texte aus dem Nachlass. Dritter Teil: 1929-1935 – sono stati redatti e pubblicati da I. Kern nel 1973. 3 Questa idea riassume nell’essenziale la differenza tra la concezione husserliana e la concezione leibniziana della monadologia.
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faccia testimone di una prospettiva che trascende la mia sfera privata). La costruzione fenomenologica stabilirà così il senso e il senso d’essere di questa intersoggettività. Per verificarlo, bisogna rendere conto – per me – dell’esperienza concreta dell’altro. In questo modo si attesterà lo statuto trans-soggettivo dell’esperienza, a partire dal quale l’oggettività si lascerà costituire. Il punto di partenza metodologico sarà quindi, insistiamo, l’ego4 – sola possibilità (per evitare così il dogmatismo) offerta all’idealismo trascendentale che si propone, lo si sa, di rendere conto della costituzione di ogni senso e di ogni senso d’essere a partire dalle operazioni della soggettività trascendentale «fungente (fungierend)». Affrontando questa problematica da un’altra angolazione, si può dire che la questione alla quale la fenomenologia deve innanzitutto rispondere, se intende contribuire a risolvere il problema dell’intersoggettività – in un modo che corrisponde alle prescrizioni che essa dà a se stessa –, concerne, come del resto sempre nella fenomenologia, la modalità di accesso all’intersoggettività (e la legittimità di quest’ultima). Dobbiamo evitare qui due insidie: da una parte, bisogna rendere conto dell’altro in quanto altro – altrimenti l’esperienza di quest’ultimo non potrebbe essere distinta dall’esperienza che l’ego ha di se stesso. Dall’altra, non si può accedere all’intersoggettività «dall’esterno», a partire da una prospettiva a volo d’uccello – perché, al di là di ogni esperienza egoica, agli occhi del fenomenologo l’intersoggettività non si lascia comprendere a partire da una sorta di meta-livello. Di qui, pertanto, la seguente domanda: come può l’alterità essere attestata a partire dalla vita intenzionale dell’ego senza rinchiudersi in una 4 La circolarità implicita in questo modo di procedere (che caratterizza necessariamente, ma non erroneamente, la fenomenologia) è stata evidenziata da Heidegger in Essere e Tempo. Per l’abbozzo di una «soluzione» a questo problema, ci permettiamo di rinviare al nostro lavoro De l’existence ouverte au monde fini. Heidegger 1925-1930, Paris, Vrin, 2005, p. 31 s.
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prospettiva solipsistica e senza adottare allo stesso tempo una prospettiva esterna che non soddisfa una delle «condizioni minime» (cfr. J.-T. Desanti) della fenomenologia – quella dell’attestabilità fenomenologica?
Il paradosso della fenomenologia dell’intersoggettività La risposta a questa domanda rivela innanzitutto un paradosso – quello dell’approccio dell’intersoggettività nel quadro stesso di una filosofia (fenomenologia) trascendentale. Sviluppiamo in primo luogo in maniera più approfondita il problema (già menzionato nelle parole introduttive del presente capitolo) che qui si pone. Husserl caratterizza la filosofia trascendentale come una filosofia che si propone di risolvere «i problemi trascendentali del mondo oggettivo»5 – problemi che concernono in particolare la comprensione intenzionale e costituiva della trascendenza dell’oggettività. Lo scopo dell’epoché, che consiste nel mettere «fuori circuito» ogni posizione d’essere di ciò che si manifesta, è in effetti di chiarire, attraverso questo gesto metodologico fondamentale, il rapporto possibile tra la soggettività trascendentale costituente e gli oggetti, in quanto questi non sono «pure manifestazioni» per un individuo isolato, ma possiedono un senso oggettivo, riconosciuto per «ognuno». Nella nostra investigazione sul trascendentale nella fenomenologia husserliana si apre qui un nuovo campo di problemi del tutto essenziale. Tenuto conto di questa prima caratterizzazione, il
5 Quinta Meditazione Cartesiana, § 42, Husserliana I, p. 121; tr. it. p. 113. In maniera più generale, Husserl scrive più avanti (nel § 59): «La filosofia richiede invero spiegazioni basate su necessità di essenza ultime e concrete, tali da soddisfare alla essenziale fondazione radicale di ogni mondo oggettivo sulla soggettività trascendentale, che quindi rendano concretamente intellegibile il mondo come senso costituito», p. 164; tr. it. p. 154.
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problema che si pone in effetti è quello di sapere se la fenomenologia può realmente, e a buon diritto, pretendere di definirsi come filosofia «trascendentale». Non vi è una falsa contraddizione tra il carattere «solipsista» di una soggettività che deve costituire il senso d’essere di ciò che si manifesta, da un lato, e la dimensione oggettiva – ovvero che va al di là del semplice soggetto individuale – di quest’ultimo, dall’altro? Detto altrimenti, la fenomenologia trascendentale non è condannata, a causa del suo stesso punto di partenza, a rimanere intrappolata in un «solipsismo trascendentale»? Conviene addurre qui una precisazione che permette di evitare un controsenso a proposito del significato del passaggio introduttivo della Quinta Meditazione Cartesiana (dove questo problema è affrontato) e che si dirama largamente al di là di quello – controsenso che non esprime d’altronde nient’altro che un’incomprensione totale tanto della stessa soggettività trascendentale che del rapporto al mondo che propriamente la caratterizza. La messa fuori circuito della positività dell’essere di ciò che si manifesta, l’abbiamo già brevemente esposto nel capitolo I, non significa affatto che la soggettività trascendentale sarebbe isolata dal mondo, né che essa sarebbe «priva di mondo (weltlos)». Al contrario. Come Husserl sottolinea nel § 33 della Quarta Meditazione Cartesiana, l’ego concreto – ossia la monade, termine che Husserl sceglie seguendo Leibniz per caratterizzare in effetti la soggettività nella sua piena concretezza – ingloba la totalità della vita effettiva (wirklich) e potenziale (potentiell) della coscienza. Pertanto, la «risoluzione» dei «problemi trascendentali del mondo oggettivo» necessita di comprendere la soggettività trascendentale nel quadro della monadologia6 fenomenologica – vale a dire, quindi,
6 Una tale monadologia non ammette in verità un’«armonia prestabilita», né una monade «centrale» (nel senso leibniziano). Torneremo in seguito sulla differenza tra la monadologia husserliana e quella di Leibniz.
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comprenderla come una monade nel senso specificatamente husserliano, e in nessun modo come un ego solipsista. Ma come bisogna comprendere questa «concretezza»? Più precisamente, cosa significa l’idea che la monade «ingloba» tutta la propria vita di coscienza? Ciò non giunge ad una petizione di principio (per il fatto che, da un lato, la fenomenologia trascendentale si propone di rendere conto del rapporto tra la soggettività e l’oggettività e dall’altro si afferma che questa soggettività, compresa quindi come una monade, racchiude in sé tale rapporto all’oggetto)? E, di conseguenza, non dovremmo dare ragione al «realismo trascendentale» di tipo cartesiano (almeno secondo la lettura che Husserl di esso ci propone7), secondo il quale la comprensione del mondo (e, in questo caso, dell’altro) si effettua a partire da un ego in quanto «pezzo» «reale» del mondo, così «reale» quanto questo mondo stesso? Perché bisognerebbe dare ragione al «realismo trascendentale»? Semplicemente perché, nella misura in cui il mondo è già presupposto come costituito, non si rende conto (contrariamente a ciò che è preteso) dell’altro – in quanto altro – a partire da una prospettiva di filosofia trascendentale (che si propone per l’appunto di chiarire il senso, intenzionale, di una tale costituzione), ma a partire da un mondo in quanto in sé e in quanto è già presupposto come essere in sé. Ora, sappiamo che Husserl rigetta fermamente una tale prospettiva. Si tratta per lui di rendere conto dell’altro – in quanto alter ego8 – e ciò nella prospettiva di una fenomenologia trascendentale che non ha altra pretesa che domandare il senso dei «facta trascendentali», all’interno della sfera fenomenologica in cui sono presenti l’esperienza dell’altro e le «operazioni 7 Cfr. per esempio Prima Meditazione Cartesiana, § 10, Husserliana I, p. 63 s.; tr. it. p. 56 s. 8 Spiegheremo infra il senso di questo termine.
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funzionali» della soggettività trascendentale implicate e presupposte da questa esperienza.
Il metodo della fenomenologia dell’intersoggettività La questione, ripetiamolo, è così la seguente: come tenere insieme due affermazioni apparentemente contraddittorie – quella secondo la quale il mondo si presenta «per ognuno (für jedermann)», quindi oggettivamente; e quell’altra per cui ogni senso si costituisce nella vita della coscienza dell’ego9, quindi nel soggetto trascendentale (il che implica l’opposizione tra il soggetto che fa l’esperienza del mondo, da un lato, e il mondo come è in sé, dall’altro)? Per rendere conto dell’oggettività a partire dalla soggettività trascendentale compresa come intersoggettività, Husserl sosterrà due tesi: in primo luogo, che l’oggettività è mediata in modo intersoggettivo (mediazione che non si effettua in maniera lineare, ma che è affine alla messa in evidenza di «due facce della stessa medaglia»). E, in secondo luogo, la tesi (già affermata più in alto) che la soggettività trascendentale è una intersoggettività trascendentale. La difficoltà qui è che bisogna evitare ogni petitio principii. Da qui l’importanza del metodo: Husserl utilizzerà una riduzione smantellante e una costruzione fenomenologica. Formalmente, ciò vuol dire che si tratta di «costruire» la struttura intersoggettiva della soggettività trascendentale – ovvero: si tratta di (ri)costruire, passo dopo passo, in che modo la soggettività si riveli essere intersoggettiva. Ma una tale costruzione esige preliminarmente un procedimento che smantelli, a partire dall’esperienza (oggettiva) concreta, tutti gli strati indicanti il ruolo costitutivo di una intersoggettività (che certo è già costi9 Che il senso dell’altro sia costituito nell’ego, Husserl l’afferma per esempio in Husserliana VI, p. 189. Cfr. anche Husserliana XV, Nr. 2 (seconda metà degli anni Venti), p. 39 o ancora Husserliana XV, Nr. 21 (1931), p. 369 ss.
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tuita e di cui bisogna precisamente chiarire la costituzione). Per fare ciò, Husserl si propone di stabilire che la costituzione trascendentale di altri soggetti è la condizione necessaria per la costituzione di uno «strato universale di senso (transzendentale Sinnesschicht)» che, emanando da questi soggetti, rende innanzitutto possibile il mondo oggettivo per me e per qualsiasi altro soggetto. Se è così, ovvero se ciò che è indagato – la costituzione del mondo oggettivo – implica la costituzione dell’esperienza dell’altro (ovvero dell’alter ego), questa non potrebbe essere un’esperienza che si rapporta ad un soggetto mondano che sarebbe dotato di un carattere oggettivo. Da qui la necessità di distinguere in modo rigoroso tra il senso d’essere dell’Io, quello dell’altro e, infine, quello dell’oggettività mondana.
La costituzione dell’intersoggettività Tracciamo rapidamente il piano d’insieme dell’analisi dell’intersoggettività. Il punto di partenza metodologico di Husserl, l’abbiamo detto, consiste nel mostrare che il senso dell’oggettività è costituito nella, e a partire dalla, immanenza dell’ego10 – ciò che necessita d’introdurre il procedimento metodologico
10 Husserl procederà in tappe distinte. Dapprima, si tratta di analizzare la specificità dell’intenzionalità, aperta, nella quale si costituisce e si effettua l’essere dell’altro. Quindi, è l’esperienza concreta dell’altro che viene analizzata secondo i suoi momenti costitutivi. È l’analisi intenzionale nei termini di «empatia» che rivela qui le componenti effettive (reell) di questa esperienza dell’altro. Si tratta qui della questione dell’«essere-qui-per-me (Für-mich-da)» dell’altro. Infine, si pone la questione dell’«essere-qui-perognuno (Für-jedermann-da)» degli oggetti (siano essi «naturali» o «culturali» – Husserl dice anche: «spirituali»), che non è altro che quella della realtà (Wirklichkeit) oggettiva stessa.
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della «riduzione primordiale» – sulla cui immanenza si fonda successivamente la sfera intersoggettiva. Quest’ultima mette in atto due significati di «trascendenza» (caratterizzanti, ben inteso, il rapporto dell’ego rispetto a ciò che lo trascende), intimamente legati: la trascendenza primaria (che concerne il solo ego) e la trascendenza secondaria (che concernerà l’alter ego)11 – una doppia costituzione che rende quindi innanzitutto possibile la costituzione dell’oggettività propriamente detta.
La riduzione primordiale (all’immanenza dell’ego) Forse che, per la datità degli altri, Husserl mobilita una riduzione che permetterà di accedere direttamente all’intersoggettività? Esiste una riduzione intersoggettiva? In alcuni testi è una possibilità effettivamente considerata. Leggiamo per esempio alla fine del testo Nr. 4 di Husserliana XV:
11 Vediamo così che i due significati di trascendenza così come quello di immanenza nella fenomenologia dell’intersoggettività non si sovrappongono, identicamente, con la sfera trascendente, la sfera immanente e la sfera pre-immanente per esempio della fenomenologia del tempo. Questa differenza si basa soprattutto su una differenza di metodo (e di scopi): allorché la fenomenologia husserliana del tempo mette «fuori circuito» la temporalità oggettiva, la fenomenologia husserliana dell’intersoggettività si propone precisamente di rendere conto dell’oggettività. La fenomenologia del tempo prende di mira la costituzione della temporalità al di qua della scissione soggetto/oggetto (il che non ci obbliga a ricorrere ad una sfera «primordiale» o «propria», ma a costruire fenomenologicamente una temporalità preimmanente), mentre uno degli obiettivi fondamentali della fenomenologia dell’intersoggettività consiste per l’appunto nel rendere conto del carattere obiettivo della nostra esperienza. Sappiamo che la fenomenologia husserliana si limita ai fenomeni e non già all’idea preconcetta di una coerenza, se non perfino di una sistematicità, che costringerebbe questi ultimi. Anche gli strumenti metodologici si adattano ai dati fenomenali che caratterizzano rispettivamente tutti i campi specifici della ricerca fenomenologica.
255 Partendo dall’intersoggettività, si può stabilire la riduzione intersoggettiva, e questo mettendo tra parentesi il mondo che è in sé e realizzando con ciò la riduzione all’universo dell’intersoggettivo che ingloba in sé tutto ciò che è individualmente soggettivo.12
Questa non è tuttavia la strada imboccata da Husserl nelle Meditazioni Cartesiane. Qui, egli si limita ad una via strettamente cartesiana e a ragione, dato che il fatto di partire dall’ego, l’abbiamo già detto, costituisce una necessità metodologica. Se vogliamo accedere al senso d’essere dell’altro (e, in secondo luogo, del mondo oggettivo), bisogna, innanzitutto, delimitare ciò che caratterizza propriamente l’Io – una «finzione solipsistica» che è quindi dovuta «a sane ragioni di metodo»13. Per fare ciò occorre, come Husserl precisa nel § 44 della Quinta Meditazione Cartesiana, un procedimento metodologico inedito – quello di una riduzione specifica che consiste nel mettere fuori circuito ogni funzione costitutiva dell’intenzionalità in quanto rapportata ad una soggettività altra. Questa riduzione – che Husserl designa «riduzione primordiale» – ci mette in presenza, o piuttosto riduce l’Io, nel suo rapporto al mondo, a ciò che Husserl chiama la «sfera primordiale» dell’ego, alla sua immanenza irriducibile, ovverosia alla sfera intenzionale – attuale e potenziale – nella quale l’ego si costituisce in ciò che ha di «proprio (eigen)».
12 «Il mondo personale e la sua articolazione. », Nr. 4, Husserliana XV, p. 69. Cfr. anche Filosofia Prima (seconda parte), Husserliana VIII, p. 316 e p. 134 ss. 13 Husserliana XXXV, p. 281. Nella Lezione XXXV di Filosofia prima (seconda parte), Husserl adduce ancora un’altra ragione (che non mobiliterà più in seguito) che giustifica la necessità di un inizio «cartesiano»: un tale inizio è il solo a permettere di evitare il venir meno della concordanza dell’esperienza nel caso in cui altri soggetti fossero affetti da follia!
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Bisogna qui insistere sul fatto che la riduzione primordiale si distingue metodologicamente dalla riduzione fenomenologica classica. Laddove questa ci riconduce alla soggettività trascendentale costituente, la prima (che presuppone quest’ultima) deve essere intesa come una «riduzione smantellante (Abbaureduktion)» (nel contempo indispensabile, l’abbiamo già visto nei due capitoli precedenti, alla «costruzione fenomenologica») il cui ruolo è determinato dalla fenomenologia genetica e oltrepassa, là ancora, il quadro di una fenomenologia puramente descrittiva. Cosa caratterizza l’ego così ridotto? Non si tratta di un Io mondano che sarebbe ormai «solo al mondo» come se una «peste universale» avesse eliminato tutti gli altri esseri umani. Infatti, l’astrazione è qui più radicale ancora: non si tratta solamente di fare astrazione dagli altri soggetti, ma anche da ciò che costituisce il carattere mondano, oggettivo (e, quindi, intersoggettivo) del proprio Io. Ciò di cui si deve fare astrazione è, l’abbiamo accennato, il mio Io in quanto è considerato secondo la forma categoriale di ciò che è – e di ciò che è vero – «per-ognuno». Ancora una volta: che cos’è allora questo Io primordialmente ridotto?
Caratterizzazione negativa della sfera primordiale Come Husserl preciserà all’inizio del § 46 della Quinta Meditazione Cartesiana – ed è del tutto conseguente data la natura specifica, non descrittiva, di questa riduzione –, l’ego primordiale non può innanzitutto essere caratterizzato che negativamente. Tre punti sono qui decisivi: la caratterizzazione della «natura primordiale» specifica dell’ego ridotto; il ruolo del «corpo vivente (Leib)» nell’analisi della primordialità; il rapporto di fondazione che esiste tra il primordiale e l’estraneo. Ciò che mi è proprio è quello che non mi è estraneo e non dipende dall’alterità – tale è la prima formula, tanto triviale
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quanto apparentemente circolare14 (poiché ciò che è preso di mira è appunto un chiarimento di questa alterità) con cui Husserl apre la sua analisi della primordialità. Pertanto, per ottenerlo nella sua «purezza», bisogna fare astrazione della maniera in cui l’estraneo co-determina eventualmente il senso di ciò che mi si manifesta. Cos’è che co-determina così il manifestarsi? Per esempio, tutto ciò che rinvia ad altri soggetti egoici, al mondo quotidiano così come è qui per tutti, a fenomeni spirituali, culturali, ecc. Ora, si noti che questa astrazione non ci fa completamente perdere il mondo, ma che uno «strato» del fenomeno «mondo» resta intatto15, ossia ciò che Husserl chiama la «natura primordiale». Che cosa bisogna intendere con questa espressione? La natura primordiale non è la natura nel senso del «Naturwissenchaftler» o del «Naturforscher» – semplicemente perché questa appartiene al mondo oggettivo, laddove la nostra astrazione è astrazione, per l’appunto, di ciò che è oggettivamente costituito. Quindi, la natura primordiale è privata dell’«essere-là-per-ognuno» che caratterizza il mondo oggettivo. Ma in che senso costituisce essa una «natura»? Cosa giustifica questa denominazione? Si tratta di ciò che Husserl aveva caratterizzato per esempio nelle Ricerche Logiche come «identità» degli oggetti (Gegenstände) in quanto trascendenti gli atti intenzionali. D’altronde, nelle Lezioni sulla coscienza interna del tempo, Husserl aveva stabilito che non vi è costituzione di qualcosa di oggettivo che grazie al ricordo, il quale rende possibile l’identificazione dell’oggetto16. Ma non essen14 Quinta Meditazione Cartesiana, § 46, Husseliana I p. 131 ss.; tr. it. p. 122 ss. 15 La «disciplina», «estremamente complessa», che ha per oggetto il «mondo primordiale» è chiamata da Husserl «estetica trascendentale» (cfr. la Quinta Meditazione Cartesiana, § 61). 16 Cfr. su questo punto il nostro Temps et phénomène. La phénoménologie husserlienne du temps (1893-1918), op. cit., p. 117 ss.
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do altro che la condizione della trascendenza dell’oggetto in rapporto ad un atto della coscienza, ciò non è ancora una condizione sufficiente di ogni oggettività. Perché si possa parlare di oggettività è necessario inoltre che l’oggetto sia dato per una pluralità di soggetti (la coscienza del tempo non è quindi – attraverso la costituzione del ricordo – che una condizione necessaria, ma non sufficiente, dell’oggettività). Ora, qui, la riduzione primordiale permette di farne astrazione: l’insieme di ciò che è identicamente, di fronte alla pluralità degli atti nei quali questa identità si costituisce, è una «realtà», una «natura» che è all’interno di una concatenazione unitaria («einheitlich zusammenhängend») precedente ad ogni convalida da parte di altri soggetti! Una tale natura, Husserl la chiama dunque «natura primordiale»17. La seconda caratteristica dell’Io primordiale concerne la «corporeità vivente (Leiblichkeit)» dell’ego che indica – anch’essa negativamente – in quale maniera la corporeità vivente dell’altro interviene nella costituzione del nostro rapporto col mondo e qual è il ruolo che vi svolge nell’intersoggettività. Il corpo vivente (o «corpo proprio») (Leib) si distingue, si sa, dal corpo fisico (Körper) per il fatto di essere dotato di sensazioni18 – che non concernono solamente gli oggetti che presentano la facoltà del sentire «dall’esterno», ma anche i movimenti propri (e «interni») del Leib stesso (e che Husserl chiama le «cinestesie»). Queste sensazioni lo legano a ciò che lo affeziona, ed è attraverso il corpo vivente che, all’inverso, il soggetto può agire sul «mondo esterno». L’analisi del corpo vivente apre quindi verso una realtà che oltrepassa la mia sfera propria. Questo sarà il caso anche, ma in maniera differente, dell’ana-
17 Cfr. anche Husserliana VIII, Appendice XX (1924), p. 435. 18 A proposito della nozione di «Leib», cfr. Filosofia prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXV, p. 60. Cfr. anche Husserliana VIII, Appendice XXXI (1923), p. 491.
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lisi del corpo vivente dell’altro. Vedremo più avanti (analizzando i §§ 53-55 della Quinta Meditazione Cartesiana) quali conseguenze decisive derivano da questa analisi del corpo vivente dell’altro per la costituzione dell’intersoggettività (e, da lì, dell’oggettività). La terza caratteristica della sfera primordiale consiste in ciò: essa fonda – da un punto di vista costitutivo – l’esperienza dell’altro così come il senso dell’esperienza del mondo oggettivo19. In un passaggio della Crisi Husserl ci mette in guardia, rispetto al metodo, contro l’idea di «saltare» direttamente all’intersoggettività trascendentale e, da lì, «all’io originario (Ur-Ich), l’ego della mia epoché, che non può mai rinunciare alla sua peculiarità né alla sua indeclinabilità personale»20. In questo testo tardivo Husserl non fa che ripetere, in realtà, ciò che aveva già affermato all’inizio della Quinta Meditazione Cartesiana, ovvero che in ogni interrogazione fenomenologica costitutiva – anche per quella dell’intersoggettività – non bisognerebbe trascurare il fatto che ogni costituzione, qualunque essa sia, dipende dalla soggettività trascendentale originariamente costituente, ovvero dalla «mia» vita intenzionale e dalle sintesi costitutive di questa «mia» vita. Ben inteso, non si tratta qui di una coscienza «trasparente» dal momento che essa ingloba le funzioni potenziali e «anonime», che dipendono dalla «sfera pre-immanente» e dalle «sintesi passive». Ma come bisogna allora considerare l’«io originario»? «Nella mia unità spirituale io resto ancora, tuttavia, come polo (Ichpol) identico dei miei molteplici Erlebnisse puri, momenti della mia intenzionalità attiva e passiva e di tutte le abitualità che si costituiscono o si costituiranno in base a quest’intenzionalità»21. Più esattamente –ed è in questo senso 19 Quinta Meditazione Cartesiana, § 44, Husserliana I, p. 127; tr. it. p. 118. 20 Krisis, Husserliana VI, p. 188; tr. it. P. 211. 21 Quinta Meditazione Cartesiana, § 44, p. 129; tr. it. p. 120.
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che ciò riguarda quindi, a questo punto, la riduzione primordiale –, si può isolare per astrazione, all’interno della sfera intersoggettiva, un «polo di ogni affezione e di ogni azione»22. Ciò che si manifesta nell’analisi fenomenologica, e non semplicemente in quella relativa al linguaggio, è che il polo soggettivo non è un predicato, ma un centro funzionale al quale si rapporta ogni predicato o attributo, e che questo è il fondamento di ogni individuazione possibile. Ogni vissuto, ogni esperienza, è vissuto (esperita) da un Io. Questa caratteristica fondamentale della correlazione «noetico-noematica» rimane valida al livello ultimamente costitutivo dell’intersoggettività – anche se questo polo egoico originario non si lascia identificare che per astrazione, in virtù quindi di una «riduzione smantellante». Qual è ora il rapporto tra questo Io primordiale al quale accediamo grazie alla riduzione «smantellante» e l’ego trascendentale al quale ci riconduce la riduzione fenomenologica «classica»? Per rispondere a questa domanda è necessario innanzitutto chiarire il rapporto tra la sfera fenomenologica ridotta e quella – mondana – del mondo concreto e oggettivo. In effetti, nell’attitudine trascendentale si apre e diviene manifesto il correlato costituente della riduzione: nello stesso modo in cui la riduzione ci riconduce dal mondo oggettivo all’ego trascendentale, è possibile, all’inverso, identificare l’atto costitutivo che permette di rendere conto della costituzione del mondo oggettivo partendo dall’ego trascendentale. Qual è questo atto costitutivo – che è (come lo mostra il § 45 della Quinta Meditazione Cartesiana) di un’importanza cruciale? Husserl lo chiama l’«appercezione di sé mondanizzante (verweltlichende Selbstapperzeption)» dell’ego trascendentale. In virtù di questa appercezione (di sé), l’ego trascendentale
22 Husserliana XIV, Nr. 9 (1921), p. 170.
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«si fa» mondo23. È grazie ad essa che assistiamo alla costituzione del mondo a partire dall’ego trascendentale24. Ecco come possiamo ora caratterizzare il rapporto tra l’ego trascendentale e l’ego primordiale. Ciò che congiunge l’ego trascendentale all’Io mondano (concreto, oggettivo) è l’appercezione del mondo (Weltapperzeption). Ed è nella misura in cui l’ego trascendentale costituisce il mondo come fenomeno che esso può procedere ad una tale «appercezione di sé mondanizzante». Pertanto possiamo mettere in evidenza la correlazione seguente. Da un lato, abbiamo l’Io mondano, nel quale distinguiamo tra l’«anima» e il corpo, e, dall’altro lato, l’ego trascendentale, laddove bisogna distinguere tra ciò che rientra nella sfera del proprio e ciò che rientra nella sfera dell’estraneo25. Husserl nota allora che ciò che, sul piano mondano, dipende dall’«anima» corrisponde, all’interno dell’ego trascendentale, alla sfera del proprio, laddove ciò che dipende dal corpo corrisponde alla sfera dell’estraneo. Ciò non impedisce che la sfera del proprio inglobi giustappunto la coscienza, il modo di manifestarsi, di ciò che è estraneo! Spieghiamo e approfondiamo ora questo punto delicato.
23 Cfr. anche le spiegazioni illuminanti in Filosofia prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXVIII, p. 77. 24 Riguardo all’idea che il passaggio dall’Io trascendentale all’Io naturale si effettui grazie ad una oggettivazione di sé, cfr. ad esempio Husserliana IX, p. 294. 25 Husserl precisa che quello che dipende dallo «psichico» (dall’«anima» dell’Io concreto) è trascendentalmente «secondario» in rapporto alla sfera propria dell’ego trascendentale (che è dunque trascendentalmente «primaria»).
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Caratterizzazione positiva della sfera primordiale (trascendenza «primaria») Attraverso l’analisi positiva dell’Io primordiale – alla quale ora procederemo – si paleserà un’accezione di trascendenza che Husserl chiama trascendenza «primaria» o «primordiale». Questa dipende da uno strato costitutivo al di qua del mondo oggettivo e costituisce – pur essendo una componente determinante dell’ego concreto – una «trascendenza immanente». Chiariamo quindi ora in che consiste questo modo di manifestarsi o questa coscienza dell’estraneo che appartiene alla sfera primordiale. Un tale chiarimento esige l’esplicitazione, l’esperienza esplicitante, di tutto ciò che appartiene all’ego trascendentale e ciò in un’intuizione originale e originaria che lo dà costantemente e continuamente nella sua identità. Cosa appartiene quindi all’ego? Sembra innanzitutto che questa datità è problematica: non è dato l’ego – in un presente vivente – che in una percezione attuale, presente a sua volta? E il passato non è dato che nei ricordi e il futuro nei «ricordi anticipatori (Vorerinnerung)», quindi in presentificazioni e non in presentazioni? Certamente, ma – ed è questo un risultato, l’abbiamo visto, che risale già alle Lezioni sulla fenomenologia della coscienza interna del tempo (1905) – esiste un modo di datità originario che non dipende dalla percezione (che non è «wahrnehmungsmäßig»): quello dei ricordi primari (“ritenzioni») e delle anticipazioni future primarie (“protenzioni») che appartengono alla «forma [che dipende da un «apriori eidetico»] di costante autocostituzione dei suoi vissuti propri come momenti temporali (zeitliche) entro il tempo universale»26. Ma la «sfera originale» (che è quella dell’auto-esplicitazione originale) non si limita a questa pura forma: «manifestamente, ciò che è essenzialmente proprio (das Eigenwesentliche) a me come ego non si estende soltanto […] alle attualità o potenzia26 Quinta Meditazione Cartesiana, § 46, Husserliana I, p. 133; tr. it. p. 124.
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lità del corso degli Erlebnisse ma come ai sistemi costitutivi, così anche alle unità costituite»27 (cosa che certamente non riguarda altro che le unità che sono inseparabili dalla costituzione originaria). Più in particolare, Husserl ha qui in vista tre tipi di fenomeni: i data sensibili che si costituiscono come delle «temporalità immanenti» proprie dell’ego; le abitualità e sedimentazioni che si costituiscono come delle «convinzioni permanenti (bleibende Überzeugungen)», le quali determinano specificatamente l’Io in quanto polo egoico concreto; gli «oggetti trascendenti» (siano essi dati attualmente o potenzialmente28) – a condizione di prendere di mira esclusivamente ciò che si manifesta (spazialmente) in virtù della mia sensibilità propria (e delle appercezioni che sono inseparabili dai modi di manifestazione sensibili, ovvero inseparabili dalla mia «vita propria»). Ricapitoliamo. Prima ancora di affrontare la costituzione della coscienza concreta dell’altro, Husserl ha quindi potuto stabilire la distinzione, «all’interno» dell’ego trascendentale – più precisamente: all’interno della sfera di ciò che gli è proprio – tra ciò che dipende dall’ego propriamente detto, ovvero l’immanenza propria all’ego concreto, e ciò che dipende da un primo tipo di trascendenza (“trascendenza immanente») che, anche se appartiene all’ego, concerne (ma non costituisce) la coscienza che esso ha di ciò che è estraneo. Adesso si tratterà di chiarire la costituzione della coscienza dell’altro, il che metterà in atto, l’abbiamo già annunciato, una seconda accezione di trascendenza – ossia la trascendenza secondaria.
27 Quinta Meditazione Cartesiana, § 47, Husserliana I, p. 134; tr. it. p. 125. 28 Questi includono quindi per esempio le rappresentazioni illusorie, le rappresentazioni di phantasia, le «semplici» possibilità, le oggettività eidetiche, ecc.
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La trascendenza intersoggettiva («trascendenza secondaria») Si tratta ora di analizzare da vicino in quale maniera l’altro si presenta concretamente alla coscienza. Per fare ciò, sono necessarie in primo luogo alcune precauzioni metodologiche. Disponiamo qui di due indizi. Da una parte, vi sono modi di coscienza che non sono modi della mia coscienza di sé; e, dall’altra, vi sono nel mio «io» dei «sistemi di concordanza (Systeme der Einstimmigkeit)» dell’esperienza che trascendono l’essere proprio dell’ego. Ora, questa coscienza dell’altro si costituisce in effetti in tappe distinte che sono abbozzate nell’importante § 49 della Quinta Meditazione Cartesiana: 1) La costituzione del mondo primordiale all’interno della sfera propria dell’ego concreto (cfr. gli sviluppi precedenti); 2) La costituzione dell’«altro in generale (Andere überhaupt)» o di un «mero altro» che non ha ancora senso mondano (essendo il «primo estraneo» anche l’alter ego); 3) La stratificazione di senso che si basa su quei due primi livelli: il manifestarsi di un mondo oggettivo (che ha per correlato l’intersoggettività29 in quanto comunità monadologica). Soffermiamoci un po’ più dettagliatamente, in una prima approssimazione, su ciascuno di questi livelli costitutivi. In generale bisogna evitare, l’abbiamo già riportato, due insidie: la riduzione della sfera primordiale ad uno psicologismo solipsista e la posizione dogmatica di una comunità universale di ego. L’intento di Husserl è quello di rendere conto dell’intersoggettività in quanto comunità di monadi – sapendo che, l’abbiamo detto, questo progetto serve alla fondazione dell’oggettività. Ora, l’oggettività non potrebbe essere semplicemente presupposta o stipulata– altrimenti si ricade nel dogmatismo. È necessario quindi proprio partire dall’ego trascendentale. 29 Husserliana VIII, Appendice XXX (1924), p. 480.
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Ma, dall’altro lato, questo ego non deve nemmeno essere considerato come privato, o come «solipsista» – poiché altrimenti è impossibile uscirne. Husserl cerca così semplicemente di rendere conto del factum fenomenologico dell’«in-sé-perme»30 – dove l’essere in-sé del mondo oggettivo non è meno fenomenologicamente attestabile, e effettivamente attestato, di questo essere(-in-sé) per me. L’essenziale, qui, è allora comprendere che l’analisi della trascendenza primaria (ovvero di ciò che dipende ancora dalla primordialità) e quella della trascendenza secondaria31 sono le due facce della stessa medaglia! – è Husserl a sottolineare che non si tratta qui né di una sostruzione, né di una invenzione, né di un’ipotesi metafisica: ciò che si è appena visto «inerisce alla descrizione dei contenuti (Bestände) intenzionali che si trovano nei fatti del mondo dell’esperienza esistente per noi»32. Che cosa bisogna intendere con ciò? Si potrebbe avere l’impressione che, per rendere conto dell’intersoggettività, Husserl ponga dogmaticamente la costituzione dell’intersoggettività senza veramente svelarne la genesi. In realtà, non è affatto così. Qui conviene prestare estrema attenzione alle prescrizioni metodologiche fornite da Husserl:
30 Come Husserl dice nel § 46 della Quinta Meditazione Cartesiana (p. 133; tr. it. p. 124): «quanta apparenza, tanto essere […]» (“Soviel Schein, soviel […] Sein»). 31 Husserl caratterizza la trascendenza secondaria in modo seguente: è «la trascendenza che sola può propriamente essere chiamata così, e tutto ciò che si chiama ancora trascendenza al di là di quella – come il mondo oggettivo – si basa sulla trascendenza di una soggettività estranea», Husserliana VIII, Appendice XXXI (1923), p. 495, nota 2. Questa trascendenza secondaria – che è correlativa all’effettuazione dell’alter ego, ovvero che è resa possibile persino solo attraverso l’esperienza dell’altro – trascende 1) la trascendenza primaria (o primordiale), 2) la mia esperienza attuale e 3) la mia esperienza fattualmente possibile 32 Quinta Meditazione Cartesiana, § 49, Husserliana I, p. 138; tr. it. p. 128.
266 Bisogna ancora una volta osservare a questo punto che, come è stato già notato in molti modi, le idee delineate [di mondo e del suo correlato – l’intersoggettività – che è essa stessa «costituita nell’idealità di un’apertura infinita»] non sono fantasie o modi di un essere come-se; ché esse sorgono già insieme a ogni esperienza oggettiva in maniera costitutiva e hanno i loro modi (Weise) di correttezza (Rechtgebung) e della loro attiva configurazione (Ausgestaltung) scientifica.33
Due cose sono qui decisive: 1) l’intersoggettività non è affatto semplicemente posta o stipulata in anticipo, e non è nemmeno costituita dopo, ma si costituisce geneticamente, ovvero essa si dà allo stesso tempo dell’esperienza oggettiva. 2) Pertanto, la sua messa in evidenza richiede un tipo di legittimazione specifico: non si lascia esibire in una maniera semplicemente descrittiva, ma neanche – la condizione minima della fenomenologia lo proibisce! – in maniera speculativa. Questo «tipo di legittimazione» richiesto è quello della costruzione fenomenologica, che è sempre, l’abbiamo notato a più riprese, la costruzione o genesi di una fattualità. Questa fattualità è qui ben inteso quel factum del «mondo dell’esperienza», menzionato più sopra, in quanto è costituito in maniera intersoggettiva. La «costruzione fenomenologica» – cosa «costruisce»? (Ancora una volta; non si tratta di una costruzione metafisica o speculativa, ma della messa in evidenza di un’intersoggettività che sorge nello stesso tempo («in uno») insieme all’esperienza oggettiva.) Ciò che costruisce è precisamente quell’Einsicht (veduta o comprensione) fenomenologica che permette di notare che, primariamente, l’esperienza dell’altro provoca il fatto che l’Io primordiale, anche se irriducibilmente uno e singolo, entra nella comunità monadica, ossia che esso è uno e singolo soltanto in quanto tutti gli altri Io ugualmente lo sono;
33 Quinta Meditazione Cartesiana, § 49, Husserliana I, p. 138; tr. it. p. 129.
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e, secondariamente, che la comunità intersoggettiva mai si «stratifica» (aufstuft), a suo modo, se non sul «mondo» dell’Io primordiale. Non vi è qui alcuna dialettica speculativa: l’esperienza dell’altro trasforma la manifestazione del mondo per l’Io, in ciò che lo caratterizza propriamente, in una manifestazione di un mondo «oggettivo», in quanto è «per ognuno». E tutto il «mistero» della fenomenologia dell’intersoggettività risiede precisamente in questa «stratificazione di senso (Sinnesaufstufung)» in virtù della quale l’esperienza dell’altro conferisce al mondo proprio l’oggettività che caratterizza per l’appunto il mondo di ognuno, uno e unico. La costituzione di questa intersoggettività monadologica – che Husserl chiama «socializzazione (Vergemeinscahftung)» e nella quale nessun ego (neppure il mio!) resta assolutamente singolare – significa allo stesso tempo la costituzione di una sfera propria dell’intersoggettività che, l’abbiamo già menzionato, non è altro che il correlato «soggettivo» (a dire il vero: «intersoggettivo») del mondo oggettivo. Proprio come all’interno della sfera propria dell’ego, cioè a monte della costituzione intersoggettiva, Husserl aveva distinto tra ciò che è proprio dell’ego, in senso stretto, e ciò che costituisce la coscienza di un’alterità, ora distingue, all’interno della sfera intersoggettiva, tra il «noi trascendentale» e il mondo oggettivo. E per caratterizzare questo rapporto utilizza qui di nuovo, come prima, il termine di «trascendenza immanente»: il mondo oggettivo non trascende il «noi intersoggettivo» in modo assoluto, ma – per l’appunto – in modo «immanente»34.
34 E se c’è un’«armonia» tra le monadi che costituiscono questa comunità intersoggettiva, questa armonia non è pre-stabilita grazie ad una «scelta» metafisica che dovremmo ad una monade centrale, ma si tratta di una armonia nel senso di un’«unica costituzione armoniosa nelle singole monadi»: non vi è quindi armonia tra le monadi nel migliore dei mondi possibili, ma entro i sistemi costitutivi «concordanti (zusammenstimmend)» all’interno della genesi della comunità monadologica, in quanto la genesi dell’inter-
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La costituzione dell’alter ego Si tratta ora, quindi, di rendere conto della costituzione propriamente detta dell’altro. A tale scopo, sviluppiamo adesso le determinazioni intenzionali che caratterizzano l’esperienza dell’altro. Per rendere conto dell’altro in quanto altro è necessario analizzare la maniera in cui si manifesta alla coscienza costituente. Nello stesso tempo, è chiaro che esso non potrebbe mai darsi nella maniera in cui si dà a sé medesimo, altrimenti «non sarebbe che un momento della mia propria essenza e, in conclusione, egli stesso e io saremmo un’unica cosa»35. Per mettere ben in evidenza questo stato di cose, Husserl sceglie di impiegare un nuovo concetto (che abbiamo già impiegato più sopra): quello di alter ego. Il concetto di «alter ego» è in effetti introdotto da Husserl non semplicemente per designare terminologicamente l’altro attraverso un termine specifico, ma per mettere in evidenza l’«oggetto» che caratterizza propriamente l’esperienza fenomenologica dell’altro: Il secondo ego non è semplicemente presente, datoci autenticamente, ma è costituito come «alter ego», ove l’ego incluso
soggettività risponde della correlazione ultima tra la costituzione, sulla base della sfera primordiale dell’ego, dell’alterità, da un lato, e la stratificazione di un senso oggettivo che presuppone a sua volta l’esperienza dell’altro, dall’altro lato. Ciò che distingue allora la monadologia husserliana da quella di Leibniz, è che l’«armonia prestabilita» tra le monadi non è posta e presupposta, né creata da Dio, ma che, al contrario, le monadi sono – attivamente e passivamente – legate fra loro. Esse costituiscono così un’«unità dell’agire e dell’essere-affetto delle une sulle altre, per cui un prodotto comune in quanto natura – come ciò che è in sé primo– si trova là in ognuna di esse», Husserliana XIV, Nr. 13 (1922), p. 271. 35 Quinta Meditazione Cartesiana, § 50, Husserliana I, p. 139; tr it. p. 129.
269 nella espressione alter ego sono proprio io stesso nel mio proprio essere.36
E Husserl prosegue con questa celebre affermazione: L’«altro», per il suo senso costitutivo, rinvia a me stesso; l’altro è il rispecchiamento (Spiegelung) di me stesso e tuttavia esso non è propriamente un rispecchiamento, un analogo di me stesso, né addirittura un analogo in senso comune.37
L’altro non è quindi direttamente accessibile – da qui una certa «mediatezza (Mittelbarkeit)» nell’intenzionalità costitutiva dell’intersoggettività. Come caratterizzare questa mediatezza?
L’«appaiamento» La mediatezza in questione esprime un certo intreccio (Verflechtung) entro due intenzionalità: nella coscienza dell’altro, interviene allo stesso tempo una datità di sé (dell’ego) e un’appresentazione di un altro ego. Questo intreccio è quello di una trasposizione appercettiva che non è un ragionamento analogico ma, come indica la citazione dal § 44 delle Meditazioni Cartesiane, un’apprensione analogizzante38. (I differenti termini di un ragionamento sono legati gli uni agli altri da un atto della facoltà del pensare, mentre nell’apprensione la trasposizione si compie in maniera diretta, senza alcun intervento di un atto intellettuale.) «Tuttavia l’analogia non è com-
36 Quinta Meditazione Cartesiana, § 44, Husserliana I, p. 125; tr. it. p. 117. 37 Ibid. 38 Cfr. anche Filosofia prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXV, p. 62; tr. it. pp. 100 s.
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pleta (voll); è un’indicazione, non un’anticipazione (Vorgriff) quella che potrebbe divenire afferramento della cosa stessa (Selbstgriff)»39. Cosa fonda in particolare l’apprensione o l’appercezione dell’altro? Come Husserl afferma in maniera del tutto esplicita all’inizio del § 51 della Quinta Meditazione, ciò che caratterizza in particolare l’appercezione dell’altro è che l’«originale» – ovvero l’ego – resta costantemente presente (contrariamente all’appercezione di qualsiasi oggetto – ad esempio questa lampada qui – che non esige l’appercezione, originaria, nella quale la lampada si è costituita per la prima volta per me in una «Urstiftung»). L’«Urstiftung» si compie continuamente! Ciò significa che l’ego e l’alter ego sono sempre – e necessariamente – dati in un «appaiamento (Paarung)» originario, in quanto condizione (trascendentale) dell’apprensione analogizzante. Ma come si deve concepire questo «appaiamento»? L’appaiamento designa la forma primitiva dell’«associazione» tra due (o più) data – una delle «sintesi passive» studiate dalla fenomenologia genetica – in virtù della quale si costituisce una «coppia» (o una «pluralità (Mehrheit)») di data che sono certamente differenti, ma che sono riconosciuti, passivamente, come «simili (ähnlich)» (cfr. sempre il § 51). Nel caso dell’esperienza dell’altro, questi data simili sono quelli della manifestazione del corpo vivente dell’altro così come del corpo proprio dell’ego. L’appaiamento è allora caratterizzato da uno «sconfinamento (Übergreifen) intenzionale» del senso dell’uno sull’altro, e viceversa, sapendo che il senso dell’uno può «destare» quello stesso senso nell’altro (ci ritorneremo), il quale può ricoprirlo, ecc. e che, in ogni caso, ciò implica una
39 Filosofia prima (seconda parte), Husserliana VIII, Lezione XXXV, p. 63; tr. it. p. 101. Cfr anche ibid., Lezione LIII, pp. 180 s..; tr. it. pp. 222 ss..
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«trasposizione di senso (Sinnesübertragung)»40 diretta a quello che è così accoppiato41.
La concordanza Siamo davvero riusciti a spiegare, con questa costituzione della coscienza dell’altro nella sintesi di appaiamento, in che modo, attraverso l’appercezione, il corpo dell’altro sia appreso come Leib dell’altro e non come un mio secondo Leib? Per rispondere a tale questione vanno qui menzionati innanzitutto due punti. Abbiamo già incontrato più in alto il primo, che risponde alla questione di sapere come è possibile che l’altro si manifesti come altro soggetto. Abbiamo visto in effetti che nell’apprensione analogizzante solamente il mio proprio Leib è realizzato in modo originale e che non vale per il Leib dell’altro. Ora, questa è esattamente la ragione per la quale, nell’appaiamento, la distanza che separa l’alter ego dall’ego rimane. Il secondo punto, in cui Husserl farà ricorso ad una strategia argomentativa che troviamo già in Kant (e, prima di lui, in Hume), concerne la manifestazione dell’altro in quanto altro soggetto. Come guida indicativa per un’opportuna chiarificazione può bastare la seguente proposizione: il corpo vivente (Leib)
40 Questa trasposizione di senso non è né una semplice analogia né una proiezione. 41 Ma si può veramente concludere che questa analisi permette di rendere conto dell’«incontro» di un’altra persona? In realtà, non è questo l’obiettivo di Husserl: per lui, si tratta piuttosto (in maniera più «formale») della messa in evidenza dell’esperienza della presenza di un’altra coscienza in quanto essa è appresentata in un corpo vivente (verleiblicht).
272 estraneo, di cui ho esperienza, si rende noto progressivamente come vero (wirklich) corpo vivente solo nel suo comportamento esteriore (Gebaren) mutevole ma sempre concordante, che è tale da mostrar sempre il suo aspetto psichico alludente appresentativamente alla psiche che deve ora comparire nella pienezza d’una esperienza originale.42
Secondo un ragionamento analogo a quello della prima Deduzione trascendentale delle categorie (1781) – dove Kant aveva stabilito che il rapporto delle rappresentazioni all’oggetto non è reso possibile solo per il fatto che, in rapporto a questo oggetto, le rappresentazioni devono accordarsi le une in relazione alle altre in virtù di una regola a priori della loro unità sintetica43 – Husserl afferma qui che il Leib non si manifesta veramente come Leib se non nella concordanza dei suoi aspetti, gesti e condotte (idee a cui arriverà ugualmente MerleauPonty). Detto altrimenti, vi è qualcosa – e vedremo un po’ più sotto di che cosa si tratti – che permette di riconoscere l’altro nella maniera in cui questo qualcosa indicante l’esistenza di un alter ego si lascia continuamente verificare in maniera conseguente. Per riassumere questi due primi punti, si può dire, con Husserl, che l’altro è fondato nell’«accessibilità verificabile [o attestabile] di ciò che è originariamente irraggiungibile»44,45.
42 Quinta Meditazione Cartesiana, § 52, Husserliana I, p. 144; tr. it. p. 134 43 Cfr. a questo proposito il nostro lavoro «Le problème du temps dans l’Analytique transcendantale», art. cit., pp. 114 ss. 44 Quinta Meditazione Cartesiana, § 52, Husserliana I, p. 144; tr. it. p. 134 (traduzione modificata, N.d.T.). 45 Husserl fa allora un’analogia – che poggia sul termine di «modificazione intenzionale» – tra l’esperienza dell’altro e la coscienza del tempo. L’altro è una modificazione del «mio sé (mein Selbst)», così come la coscienza del passato è la modificazione di un presente passato – che esige quindi una modificazione intenzionale del presente. Nello stesso modo in cui il passato richiede una «sintesi concordante (Einstimmigkeitssynthese)» affinché sia
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Ora, è soddisfacente il ricorso a questa nozione di «concordanza»46? Non implica già una regolarità che regge il corso dell’esperienza mondana e, in seguito, la realizzazione della costituzione del mondo oggettivo (di cui si doveva tuttavia all’inizio rendere conto)47?
Le potenzialità della sfera primordiale L’operazione (Leistung) costitutiva caratterizzante l’esperienza dell’altro necessita in effetti ancora di un altro elemento: ovvero la funzione costitutiva delle potenzialità della sfera primordiale nell’appercezione dell’altro. Quali sono queste potenzialità? Per rispondere a ciò è necessario ancora una volta ritornare alla corporeità vivente (Leiblichkeit). Questa non è
verificato come passato, l’altro si verifica in delle esperienze concordanti. E nella stessa maniera in cui il presene non può essere cosciente come tale che «in seguito», ossia in contrasto con il (appena-)passato, il Sé non può essere «mio» che in contrasto – nell’accoppiamento – con l’altro (cfr. per esempio Husserliana XIII, Appendice III (1908), p. 6; Appendice XXXI (intorno al 1910), p. 244 e Appendice XXXIII (intorno al 1914), p. 247 (ma anche, in opposizione a quello, Husserliana XV, Appendice XX (1932), p. 351)). Come Husserl dice altrove – e non si potrebbe sottolinearlo abbastanza: «l’uomo estraneo è costitutivamente uomo in sé primo», Quinta Meditazione Cartesiana, § 55, p. 153; tr. it. p. 143. Cfr. anche Husserliana VIII, Appendice XX (1924), p. 438. 46 Già nel § 84 di La cosa e lo spazio, Husserl aveva caratterizzato il mondo come un «factum intenzionale» la cui fatticità dipende proprio dalla concordanza (Husserl dice letteralmente: «dalla fissità dei rapporti di motivazione») (Husserliana XVI, p. 289 s.) – senza rendere conto, là ancora, di ciò che fonda questa concordanza. Ringraziamo J.-F. Lavigne per aver attirato la nostra attenzione su questo passaggio. 47 Vedremo, in realtà, che questo non è affatto il caso: la costituzione del mondo oggettivo non è presupposta perché il senso del mondo oggettivo è lui stesso tributario dell’auto-mondanizzazione della soggettività trascendentale compresa come intersoggettività trascendentale.
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semplicemente caratterizzata dal fatto di avere delle sensazioni, ma anche dalla sua capacità di costituire la natura spaziale. In effetti, nella misura in cui l’ego, che è innanzitutto un «qui assoluto», «può» orientarsi verso un «laggiù» – un’orientazione «che sottostà alla libera variazione in virtù delle mie cinestesie»48 –, esso costituisce l’orizzonte cinestetico di una spazialità propria sulla quale si edifica, ad un livello costitutivo superiore, una spazialità uniforme, ovvero ortonormata. Ma, affinché questa spazialità costituita attraverso cinestesie sia possibile, i punti di vista degli altri «qui assoluti» sono indispensabili: «a ogni essere estraneo, in quanto contiene entro di sé un orizzonte di concretezza dato in una appresentazione che necessariamente gli appartiene, è proprio un io dato in appresentazione, che non sono però io stesso ma la mia modificazione, l’altro io»49. Ora, secondo Husserl, i punti di vista dell’altro Io (o degli altri «qui assoluti») sono rilevatori delle potenzialità della sfera primordiale dell’ego! Il fatto che io sia in grado di appercepire gli oggetti «come se fossi laggiù» significa che non percepisco l’altro semplicemente come un oggetto, ma come un «oggetto» percipiente – quindi precisamente come un altro soggetto. Ciò significa che la sfera primordiale è già strutturata in maniera intersoggettiva. Numerosi testi di Husserliana XIV e Husserliana XV permettono di supportare questa lettura dei paragrafi delle Meditazioni Cartesiani che abbiamo appena proposto.
48 Quinta Meditazione Cartesiana, § 53, Husserliana I, p. 146; tr. it. p. 136. 49 Quinta Meditazione Cartesiana, § 52, p. 145; tr. it. p. 135 s. Cfr. anche Husserliana XXXV, p. 282. Per quanto concerne l’«intersoggettività aperta» qui in gioco, ci si può riferire con profitto alle analisi di Dan Zahavi, in Husserl und die transzendentale Intersubjektivität. Eine Antwort auf die sprachpragmatische Kritik, Phænomenologica 135, Dordrecht/Boston/ Londres, Kluwer, 1996, p. 35-40.
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«Un Io è là per me, ciò vuol necessariamente anche dire che è là per me il suo [ovvero di questo altro Io] mondo circostante (Umwelt), tale come è esperito e tale come può essere esperito»50. Cosa permette di affermare questo? […] ogni soggetto si costituisce con il mondo circostante che gli appartiene nei suoi modi di manifestazione e con la sua corporeità vivente (Leiblichkeit) in quanto unità intersoggettiva.51
E sono allora posti come identici: 1) il corpo fisico-vivente (Leibkörper) estraneo che mi si manifesta esteriormente e l’auto-manifestazione presentificata di questo corpo; in più […] 2) un fondo (Bestand) del corpo del mio ambiente che mi si manifesta esteriormente e un fondo di manifestazioni di questo stesso corpo, le quali sopraggiungono in modo ordinato nei confronti del corpo fisico-vivente (Leibkörper) estraneo in rapporto con l’auto-manifestazione di quest’ultimo e che appartengono all’«ambiente del soggetto estraneo».52
Husserl dirà in seguito in maniera quanto mai categorica: è contenuto nella validità dell’esperienza dell’altro – grazie alla quale ho l’altro come essente per me – la co-validità della sua esperienza per me. […] Non potrei porre l’altro senza porre nello stesso tempo (mitsetzen), con la sua vita esperiente, ciò stesso che egli esperisce, ovvero senza porre in una co-
50 Husserliana XIV, Nr. 7 (introno al 1921), p. 140. 51 Husserliana XIII, Nr. 8 (1914-1915), p. 252. 52 Ibid.
276 validità l’esperito presentificato così come quello che esperisco originariamente nel proprio.53
Ciò che qui è essenziale è che «la percezione che l’altro ha realizza, a partire dalla mia empatia, il medesimo modo di manifestazione di quello che è là anche per me, ma che non ho attualmente»54. L’ego e l’alter ego costituiscono un solo e medesimo mondo poiché le manifestazioni di quest’ultimo dipendono dallo stesso insieme di manifestazioni possibili di quelle di cui dispone il primo – ed è necessario che sia così affinché possano fare (almeno in teoria) la stessa esperienza. «Vi è, tra un essere e l’altro, una comunità intenzionale, un legame che per principio ha carattere tutto proprio, una comunità reale (wirklich), quella appunto che rende trascendentalmente possibile l’essere di un mondo, mondo di uomini e di cose»55. Così, è proprio nella misura in cui l’esperienza di questo Leib implica quella dell’ambiente in cui l’altro fa lui stesso esperienza, che il mondo non mi è solamente dato tale e quale esso è per me, ma anche così come esso è per altri. L’esperienza dell’essere-in-sé del mondo è per l’appunto mediata dall’esperienza dell’altro – da quella, dunque, del Leib dell’altro (cfr. supra)! Così, possiamo con vigore ripeterlo: la soggettività è effettivamente strutturata in un modo intersoggettivo.
L’associazione caratteristica della costituzione dell’altro Possiamo ormai circoscrivere con molta precisione l’associazione che interviene nell’esperienza dell’altro, analisi che 53 Husserliana XIV, Nr. 19 (tra il 1925 e il 1928), p. 388 (la sottolineatura dell’inizio della seconda frase è nostra). 54 Husserliana XIV, Appendice XXXIV (risalente probabilmente al 1922) del Nr. 13, p. 288. 55 Quinta Meditazione Cartesiana, § 56, Husserliana I, p. 157; tr. it. p. 147.
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Husserl consegna al § 53 della Quinta Meditazione Cartesiana. Vi sono due tipi di associazioni: le associazioni immediate e le associazioni mediate. L’associazione immediata costituisce un legame diretto tra un termine dato e un altro che può essere dato o meno (per esempio questo pezzo di alabastro che fa pensare alle vetrate della cattedrale di Orvieto). Per quanto concerne l’associazione mediata, il rapporto non è diretto – e questo è precisamente il caso dell’associazione costitutiva del modo (Modus) dell’«altro». Come si ottiene quindi il secondo termine dell’associazione? Su questo punto tutte le critiche di Husserl, che vi vedono solo o una descrizione psicologica o un desideratum che non troverebbe soddisfacimento che ponendo un modo di coscienza che non si attesta fenomenologicamente, mancano l’essenziale. Ci troviamo qui di fronte alla stessa ipotesi di quella per esempio della sfera ultimamente costitutiva della temporalità immanente (dove si disponeva di tutti gli elementi che dipendono dalla sfera immanente e dove la necessità si imponeva, per rendere conto precisamente della loro costituzione, di procedere ad una costruzione fenomenologica che scende nella sfera pre-immanente della coscienza). Qui disponiamo, grazie alle descrizioni fenomenologiche, di tutti gli intrecci, tra ciò che è «visto» e ciò che è preteso, che permettono di rendere conto del fenomeno – salvo di quello che non può quindi essere attestato nella sua validità che grazie ad una costruzione fenomenologica. Ricostruiamo la catena di questi intrecci nella costituzione dell’esperienza dell’altro. L’elemento mancante, che necessita dunque di una tale costruzione, è quello del modo di manifestazione dell’altro come altro soggetto (che non si riduce, certamente, ad un semplice «corpo fisico (Körper)»). Qui c’è il mio corpo vivente. Laggiù si manifesta un corpo che fa parte della mia sfera primordiale, ma che, beninteso, non è ancora «altro» nel senso proprio del termine (ma un semplice «corpo fisico», per l’appunto).
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Ora, questa manifestazione «risveglia» (espressione56 che non bisogna affatto intendere in senso psicologico) in modo riproduttivo, quindi a partire dall’ego, un modo di manifestazione «simile» al mio corpo vivente che rinvia al mio corpo vivente «come se fossi laggiù», risveglio che non vivo tuttavia in un’esperienza concreta. Ciò però non concerne solamente l’Io – altrimenti si resterebbe prigionieri della sfera dell’ego – né riguarda solamente l’altro Io – altrimenti se ne perderebbe la Leiblichkeit e non diviene fenomenologicamente comprensibile, e a ragione, che sul solo piano dei modi – possibili – di manifestazione (laddove interviene la costruzione fenomenologica)! L’appaiamento non ha semplicemente luogo tra «me» e il corpo scorto laggiù, ma tra il mio modo d’appercezione e quello che risveglia quella manifestazione del corpo laggiù (ovvero tra due modificazioni) – quindi ad un livello costitutivo inferiore (la qual cosa mostra, ancora una volta, che non si tratta d’altro che di una costruzione fenomenologica)57! Certamente «vivo» la presenza dell’altro, ma il senso di questo «vissuto» non diviene effettivamente comprensibile che attraverso la messa in atto di una costruzione fenomenologica. Ricapitolando, si può allora ritenere che l’esperienza fenomenologica dell’altro è caratterizzata dalle cinque determinazioni specifiche seguenti: 1) L’ego e l’alter ego sono istituiti originariamente in un’apprensione analogizzante – Urstiftung, quindi, in virtù della
56 Il prefisso «ri-» insiste d’altronde su una certa mediatezza (laddove si innesca precisamente una costruzione fenomenologica) che il verbo «wecken» non implica e che non ha altro senso che il senso molto concreto di «svegliare qualcuno». 57 Questa si chiarisce del resto ugualmente dal fatto che l’analisi di questa associazione, così come interviene nell’esperienza dell’altro, non dipende dalla sfera «effettiva» (reell) o immanente della coscienza.
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quale l’originale dell’appaiamento è dato in maniera tanto continua quanto lo è la sua modificazione intenzionale stessa. 2) La Leiblichkeit dell’altro non può, in questa apprensione, essere realizzata in modo originale – ciò che fa sì che il corpo di qualcuno si manifesta in effetti come un Leib dell’altro. 3) Eppure, è un altro ego che si manifesta – grazie alla concordanza degli «aspetti e gesti» del suo Leibkörper. 4) La Leiblichkeit, costitutiva della spazialità primordiale, implica essa stessa già una pluralità di punti di vista – quindi, nessuna soggettività senza intersoggettività. 5) Infine, l’associazione – in virtù della quale si effettua il «risveglio» della manifestazione del corpo dell’altro a partire da quello dell’ego originale – mette in atto una costruzione fenomenologica. (Ciò nella misura in cui questo risveglio, pur essendo necessario affinché l’esperienza dell’altro sia resa possibile, non si attesti in una semplice descrizione fenomenologica ma esiga di scendere nella sfera (pre-immanente) ultimamente costitutiva dei fenomeni dell’alterità che dipendono dalla sfera immanente).
La costituzione dell’oggettività La costituzione della prima forma dell’oggettività Quest’ultimo aspetto – di cui Husserl tratta nei §§ 53 e 54 della Quinta Meditazione Cartesiana – è assolutamente centrale per la fenomenologia husserliana dell’intersoggettività. È con esso che superiamo il limite che separa il punto di vista soggettivo dal punto di vista oggettivo della costituzione dell’intersoggettività (le due facce della stessa medaglia di cui abbiamo già parlato precedentemente), permettendoci così (girando la medaglia) di rivolgerci verso la costituzione della prima forma dell’oggettività.
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Si potrebbe obiettare, rispetto a quello che precede, che l’ego primordiale è separato – malgrado o piuttosto, data la stessa costruzione fenomenologica – da un abisso insondabile dall’alter ego. Perché una tale critica è tuttavia ingiustificata? Proprio perché, come Husserl a giusto titolo afferma58, una tale distinzione presuppone che l’esperienza dell’altro abbia già portato a termine la sua opera! Il fatto di prendere il suo punto di partenza nell’ego primordiale è una necessità metodologica; è un’astrazione – di cui testimonia molto precisamente l’epoché corrispondente e che dà senso a quest’ultima – per l’osservatore fenomenologizzante, il quale si rende conto che ciò che è fenomenologicamente originario è una sola e medesima natura costituita nella sfera primordiale come unità identica che ingloba tanto la «mia» natura che quella dell’altro. Husserl lo conferma nel passo seguente: Non è che io abbia una seconda sfera originale appresentata, provvista di una seconda natura e di un secondo corpo fisicovivente (Leibkörper) (quello dell’altro stesso) esistente in questa natura; in tal caso sarebbe innanzitutto da domandarsi come io faccia ad apprendere l’uno e l’altro in quanto modi di manifestazione di una stessa natura oggettiva. Piuttosto è mediante l’appresentazione stessa e la sua unione, in quanto appresentazione, ad una presentazione (in virtù della quale c’è per me un altro e di conseguenza il suo ego concreto) che si è già necessariamente prodotto il senso di identità che compete alla mia natura primordinale e alla natura degli altri presentificata. A buon diritto si parla perciò di percezione dell’estraneo e successivamente della percezione del mondo oggettivo, percezione del fatto che l’altro mira come me allo
58 Quinta Meditazione Cartesiana, § 55, Husserliana I, p. 150; tr. it. p. 141.
281 stesso oggetto ecc., sebbene essa si formi esclusivamente entro la mia sfera di appartenenza.59
Così il senso della riduzione primordiale si conferma qui in modo molto chiaro: vi sono due «strati», lo strato primordiale – nel quale l’altro mi si dà solo come «corpo fisico» – al quale accediamo grazie alla messa tra parentesi dell’esperienza dell’altro e lo strato che dipende da una comunità di soggetti – dove questo stesso corpo mi si manifesta come «corpo vivente» e dove si dà quindi a me pur essendo al tempo stesso dato ad altri. Si potrebbe allora formulare un’altra obiezione: cosa garantisce l’identità della mia esperienza del mondo e di quella dell’altro? Sapendo che vi sono «anomalie», cosa può servire da «norma» per un’esperienza intersoggettiva del mondo? Husserl risponde che l’anomalia suppone una normalità e che questa normalità si verifica – come già nel caso dell’esperienza del Leib altrui – nella concordanza (Einstimmigkeit) delle esperienze60. La concordanza è il contrassegno ultimo del mondo e quindi di una comunità intersoggettiva: [Il mondo] esiste in virtù della verifica concordante della costituzione appercettiva già costituita che ha luogo nel processo dell’esperienza vivente in conseguente unanimità ed eventualmente si può sempre stabilire attraverso correzioni. La concordanza si mantiene ora anche in virtù di una trasformazione delle appercezioni, ottenuta distinguendo le nor-
59 Quinta Meditazione Cartesiana, § 55, Husserliana I, p. 152; tr. it. p. 142 s. 60 Quinta Meditazione Cartesiana, § 55, Husserliana I, p. 154; tr. it. p. 144. Husserl insiste sul ruolo determinante di questa «Einstimmigkeit» nel riassunto dell’analisi intenzionale dell’esperienza dell’altro che troviamo nel § 62 della Quinta Meditazione Cartesiana.
282 malità dalle anormalità, siccome modificazione intenzionale delle prime, o anzi in virtù della costituzione di nuove unità nel mutare di queste anomalie.61
Come si può precisare la natura di questa «concordanza»? Essa stessa è costituita – costituzione che è «simile» a quella dell’identità di un oggetto (temporale) o ancora a quella delle oggettività ideali (caratterizzate dalla loro «omni-temporalità») e che richiede in tutti i casi il «medium» delle «presentificazioni rimemorative (erinnernde Vergegenwärtigungen)». Un legame è effettivamente (costantemente) stabilito tra la sfera primordiale dell’ego, ovvero l’esperienza di sé dell’ego concreto, da un lato, e la sfera estranea presentificata in essa, dall’altro. Questa presentificazione possibile è il correlato soggettivo della concordanza dei fenomeni del mondo. L’esperienza dell’altro «produce ciò mediante la sintesi identificativa del Leibkörper estraneo, dato primordialmente, con se stesso, ma appresentato in altri modi di apparizione. A partire da qua, essa si estende alla sintesi della natura identica, data a sua volta in maniera primordiale nell’originalità della sensibilità pura e nell’appresentazione verificata»62. Nella misura in cui l’intersoggettività – in quanto coesistenza dell’ego e dell’alter ego – costituisce una forma temporale (Zeitform) comune (dove la temporalità primordiale è un modo di manifestarsi originale della temporalità oggettiva), la costituzione del flusso temporale assoluto (svelata nei Manoscritti di Bernau, laddove era fatta astrazione di questa dimensione intersoggettiva) è eo ipso tributaria della costituzione della comunità monadologica63.
61 Quinta Meditazione Cartesiana, § 55, Husserliana I, p. 154; tr. it. p. 144. 62 Quinta Meditazione Cartesiana, § 55, Husserliana I, p. 156; tr. it. p. 146. 63 Ciò non impedisce che vi sia una temporalità (e una spazialità) propria della sfera primordiale – e in essa costituita – a monte dell’esperienza dell’altro (cfr. la Quinta Meditazione Cartesiana, § 61).
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La costituzione dei livelli più elevati dell’oggettività mondana (l’«assimilazione oggettivante») Come chiarire a questo punto lo statuto dei livelli più elevati della costituzione del mondo oggettivo? I rapporti reciproci caratterizzanti ciascun membro della comunità monadologica implicano una «assimilazione (Gleichstellung) oggettivante»64 dell’esistenza dell’ego e di quella degli altri. Non è a partire dall’esperienza empirica che accedo all’intersoggettività trascendentale, ma, all’inverso, è l’oggettivazione di quest’ultima che mi fa scoprire l’altro come colui che possiede un Leibkörper nel mio campo di percezione; che mi fa scoprire me stesso come colui che si colloca nel suo, gli altri come coloro che fanno l’esperienza degli altri in quanto altri, ecc. Questa oggettivazione mi mostra inoltre che il mondo trascendentalmente costituito in me è anche, nella sua essenza, un mondo di uomini. E ciò non solamente nel senso triviale secondo cui il mondo empirico è popolato da esseri umani empirici, ma nel senso – che richiama fortemente il Dasein heideggeriano – per cui il mondo dipende da parte a parte dall’esperienza dell’«anima (Seele)» umana (in un senso non religioso, naturalmente, ma esistenziale): «La costituzione psichica del mondo oggettivo si intende per esempio come mia reale o possibile esperienza mondana del mio io, il quale esperisce se stesso come uomo»65. Si comprende allora tutto il senso di questa «appercezione di sé mondanizzante» di cui si è già trattato in precedenza. In effetti, l’«anima» o «psiche» non è nient’altro che un’oggettivazione di sé (Selbstobjektivierung) che si compie nella monade – essendo questo «sé (Selbst)» la soggettività trascendentale in quanto strutturata in maniera intersoggettiva. Il parallelismo tra queste due sfere (della 64 Quinta Meditazione Cartesiana, § 56, Husserliana I, p. 157 ss.; tr. it. p.148. 65 Quinta Meditazione Cartesiana, § 56, Husserliana I, p. 158; tr. it. p. 149.
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«psiche» e dell’ego trascendentale) corrisponde a quello tra i campi di studio rispettivi della psicologia fenomenologica da un lato e della fenomenologia trascendentale dall’altro.
L’auto-mondanizzazione Il termine introdotto da Husserl per sostituire il concetto di «soggetto», nella sua accezione tradizionale (metafisica, ma anche criticista), con un altro (che rende conto di questa trasformazione) è, l’abbiamo visto, quello di «monade», che include contemporaneamente l’ego, gli oggetti che si costituiscono nella sua vita intenzionale – e il rinvio ad altre monadi (intersoggettività). Altrimenti – e semplicemente – detto: la monade esprime l’unità che ingloba nello stesso tempo l’Io, il mondo e gli altri66. In definitiva, è qui che si chiarisce dunque l’affermazione (del § 45 della Quinta Meditazione Cartesiana) – già evocata due volte – dell’«appercezione di sé mondanizzante». Quest’ultima è contemporaneamente una «mondanizzazione di sé (Selbstmundanisierung)» (ovvero la maniera in cui il Leib entra nel mondo), una datità del mondo e – ed è là che l’intersoggettività entra in gioco – l’istituzione di una comunità intersoggettiva. Un testo del 1937 lo afferma in modo categorico: Io, l’ego, ho quindi il mondo a partire da una effettuazione (Leistung), nella quale […] mi costituisco così come [si costituisce] il mio orizzonte degli altri e, nello stesso tempo (in eins damit), la comunità-del-noi (Wir-Gemeinschaft) omogenea, e tale costituzione non è una costituzione del mondo, ma l’effettuazione che può essere designata come «mondanizza-
66 Cfr. anche Ideen II, Husserliana IV, p. 288.
285 zione dell’ego» – come l’effettuazione della mondanizzazione personale, della pluralizzazione monadica.67
Non vi è dunque costituzione del mondo se non nella misura in cui l’ego si mondanizza – ciò significa ancora che si svolge e si rende effettivo come comunità intersoggettiva e in essa. Il mondo è il «risultato» dell’effettuazione trascendentale della mondanizzazione (o «auto-mondanizzazione») dell’intersoggettività trascendentale68. Se quindi vi è costituzione del mondo oggettivo nell’intersoggettività, non è perché ci si renderebbe conto del mondo oggettivo (già costituito) a partire da una dimensione soggettiva, ma ciò significa per l’appunto l’effettuazione di questa auto-mondanizzazione, ovvero l’«estensione» di una sfera adatta a ciò che viene chiamato «mondo» in quanto correlato di possibilità e potenzialità della soggettività intesa come intersoggettività trascendentale. Infine, enumeriamo i risultati «metafisici» (questo termine è di Husserl) dell’analisi dell’esperienza dell’altro sotto forma di quattro punti: 1) Ogni ego fa necessariamente (e a priori) l’esperienza del mondo dal momento che si trova in una comunità monadologica con altri ego. 2) Ogni attestazione di sé del mondo oggettivo è un’attestazione di sé di altre monadi. 3) Ogni pluralità di monadi è comunitaria, ovvero costituisce in sé il mondo oggettivo nel quale si spazializza, si temporalizza, si realizza. 67 Husserliana VI, p. 417. 68 Husserliana XV, Appendice XXIII (probabilmente risalente al 13 novembre 1931), p. 403.
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4) Non c’è che una pluralità di monadi (costituita in una sola soggettività trascendentale, in una sola «monade originaria») e, di conseguenza, non vi è che un mondo. Per concludere, ci preme insistere sull’idea che, quand’anche la Quinta Meditazione Cartesiana è un testo difficile la cui comprensione può certo essere facilitata facendo ricorso ai testi – più dettagliati – dei volumi VIII e XIII-XV della Husserliana, essa contiene nondimeno tutti gli elementi per una concezione tanto forte quanto coerente che permette di rendere conto della costituzione dell’intersoggettività e dell’esperienza dell’altro. Non vi è una trascendenza dell’oggettività che in virtù dell’intersoggettività, ed è in questo che la fenomenologia è una filosofia trascendentale o, come Husserl talora afferma, una «filosofia trascendentale “sociologica”»69 o ancora una «sociologia trascendentale»70 – questa è la tesi fondamentale che bisogna tenere a mente da quanto precede. Essa vuol dire che la fenomenologia non consegna solamente un’analisi fenomenologica dell’intersoggettività ma che è essa stessa intersoggettiva, consegnando delle analisi valide obiettivamente e per tutti (ciò che per l’appunto esige un’analisi dell’intersoggettività)71. Abbiamo visto che la fenomenologia dell’intersoggettività, anche se rivela la correlazione intersoggettività-mondo72, parte sempre da un ego individuale e non da una «coscienza collettiva» (ciò che la farebbe tornare ad una posizione dogmatica dell’intersoggettività). Ma questo non è qui nient’altro 69 Husserliana IX, Appendice XXXII, p. 539. 70 Husserliana XI, p. 220. 71 Cfr. D. Zahavi, Husserl und die transzendentale Intersubjektivität, op. cit., p. 12. 72 Cfr. per esempio Husserliana VIII, Appendice XX (1924), p. 432; Appendice XXX (1924), p. 480 e Appendice XXXI (1923), p. 495 s.
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che un punto di partenza metodologico: l’ego trascendentale è solamente un aspetto limitato dell’intersoggettività trascendentale73, ma allo stesso tempo la fonda (fundiert). Contrariamente a quello che aveva affermato Schütz, che faceva dell’intersoggettività una dimensione del solo mondo della vita (il che escluderebbe ogni progetto trascendentale e costitutivo dell’intersoggettività)74, è solamente nella misura in cui la si costruisce che l’intersoggettività ottiene il suo senso e il suo senso d’essere, una costruzione – affatto speculativa –, tuttavia, che procede seguendo la sua necessità d’essenza. L’intersoggettività è così un oggetto esemplare della costruzione fenomenologica75. È solamente in questo modo che è possibile concepire in maniera convincente, per quanto ci riguarda, il rapporto tra la soggettività e l’intersoggettività trascendentale.
73 Cfr. la prima versione della Quinta Meditazione Cartesiana, Husserliana XV, Nr. 1 (1929), p. 17: «Così, la soggettività trascendentale si estende all’intersoggettività o, piuttosto, ad essere precisi, non si estende, ma la soggettività trascendentale la si intende meglio. Essa si comprende come monade “primordi(n)ale” che porta in sé intenzionalmente altre monadi, e che deve necessariamente porvele come [essenti] degli “altri trascendentali (transzendentale Andere)” […]». 74 Cfr. il suo celebre studio: «Das Problem der transzendentalen Intersubjektivität bei Husserl», in Philosophische Rundschau, Nr. 5, 1957, p. 81-107. 75 Le preziose analisi di Schütz che vertono sull’intersoggettività nel quadro di un’ontologia della vita non sono per nulla da ciò invalidate. Al loro livello, conservano tutta la loro pertinenza – esse mancano semplicemente di una base metodologica «fondante (fundierend)» che si trova esattamente in Husserl (premesso tuttavia che la sua concezione si chiarisce ancora di più nei testi ai quali Schütz non poteva aver accesso nel 1957).
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Conclusione Si deve smettere, una buona volta, di lasciarci accecare dalle idee e dai metodi ideali e regolativi delle scienze «esatte», e in particolare nella filosofia e nella logica, come se il loro in sé fosse realmente norma assoluta, tanto per quanto riguarda l’essere oggettuale come per quanto riguarda la verità.1
Husserl, e questo fatto è di notevole importanza, è uno di quegli autori (assieme a Platone, Fichte e probabilmente anche Descartes) che è stato ispiratore di una produzione filosofica spesso di una profondità assolutamente incontestabile – ma più ricca di malintesi che di una comprensione fedele2. Le numerosissime critiche che gli sono state rivolte – formulate da autori che o rivendicano di appartenere alla “tradizione” della fenomenologia e ne utilizzano il metodo o, al contrario, la rifiutano – sono, in generale, di tre tipi. Ci atteniamo qui solo a grandi linee e, molto brevemente, allo stretto essenziale degli argomenti avanzati, senza entrare del tutto nei dettagli di una letteratura critica che ha più estensione di quella proveniente dalla tradizione della fenomenologia “ortodossa” propriamente detta. 1) Si rimprovera a Husserl di restare rinchiuso entro i limiti di una filosofia della coscienza e di non mettere a frutto le scoperte alle quali ha tuttavia aperto la strada – per esempio 1 Logica formale e trascendentale, Husserliana XVII, § 105, p. 284; tr. it. p. 278. 2 Dicendo ciò, non vogliamo riferirci, in primo luogo, alla letteratura secondaria!
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riguardo al ruolo del corpo vivente o dell’intersoggettività nella costituzione del rapporto con il mondo (Merleau-Ponty, Schütz, Levinas). Questa critica identifica in generale una preminenza, che rimette spesso in causa in maniera radicale, dell’oggettivazione e della percezione rispetto ad altri tipi di rapporti intenzionali (Merleau-Ponty, Granel, Derrida). 2) Il secondo indirizzo critico3 menziona uno «sdoppiamento» ingiustificato del reale e dell’esperienza al quale Husserl darebbe luogo. Questa è la critica di Deleuze (tra gli altri – si potrebbe citare anche, in tutt’altra prospettiva, M. Henry) che deplora a Husserl il fatto di non pensare in una maniera sufficientemente radicale il «piano di immanenza», il che gli avrebbe permesso (secondo Deleuze) di fare a meno di una struttura soggettiva (trascendentale) «di fronte a» o «al disotto» dell’esperienza stessa. 3) Se la prima critica annovera quindi Husserl dalla parte di una filosofia dell’«identità» – ossia dell’«unità» –, e se la seconda menziona, al contrario, una «dualità» ingiustificata e, perciò, superflua, ce n’è ancora una terza (formulata innanzitutto da Heidegger) che stigmatizza, in Husserl, un’attitudine dipendente dalla «metafisica della presenza» così come un’assenza d’interesse per la questione dell’«essere»4. Indirettamente, è possibile rintracciare questa critica in Fink, il quale certo non la formula espressamente, ma che la lascia nondimeno intendere in modo implicito nelle proprie elaborazioni sistematiche (nelle quali i suoi interessi per un modo di procedere più speculativo si manifestano con evidenza). È superfluo dire che qui non si tratta di rimettere in causa la ricchezza filosofica degli apporti positivi di ciascuno degli autori menzionati. Ad ogni modo, il lettore informato non ignora 3 Cfr. il capitolo IV. 4 Nel capitolo I abbiamo potuto relativizzare, ovvero annullare, la fondatezza di un tale rimprovero che riposa in realtà su un malinteso.
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affatto che un gran numero di tali critiche si riferiscono in realtà a testi ben precisi di Husserl, in particolare a quelli che sono stati pubblicati molto presto (segnatamente le Ricerche Logiche, le Ideen I, le Meditazioni Cartesiane, le Lezioni sulla coscienza interna del tempo, ecc.). Ed egli sa ugualmente che, su numerosissimi punti, i manoscritti di lavoro, oramai in larga parte divenuti accessibili, ci obbligano a ritornare su affermazioni che avevano tenuto conto, in realtà, solamente di certi aspetti molto limitati all’interno della totalità della produzione filosofica husserliana – evochiamo qui solamente, tra gli altri, il fatto che Husserl operi per esempio una disconnessione tra la temporalità e l’oggettività (nei Manoscritti di Bernau) e che riveli la struttura intersoggettiva della soggettività trascendentale (in particolare nei volumi XIV e XV della Husserliana). Pertanto il nostro proposito non era qui quello di “correggere” delle letture di Husserl il cui carattere unilaterale dipende in fin dei conti da fattori esterni. Ciò che ci importava, al contrario, era, in un primo tempo negativamente, difendere Husserl da queste critiche (alla fin fine ingiuste). Ritorniamo quindi ancora una volta, per un’ultima messa a punto, sui presupposti fondamentali della fenomenologia husserliana. Ciò che tutti i punti di vista critici condividono è che, in generale (e, su questo punto, l’opera di Husserl ha conosciuto curiosamente la medesima sorte di quella di Fichte), essi tacciano la fenomenologia husserliana di soggettivismo e di idealismo – il che si traduce, in fondo, in una critica al trascendentalismo nella sua accezione husserliana, che non è tuttavia stata mai tematizzata in quanto tale e per se stessa. Tutte queste critiche non avrebbero avuto ragion d’essere se il senso dell’epoché e della riduzione fenomenologiche – l’apertura sul campo della soggettività trascendentale che non ha nulla a che fare con un soggetto «chiuso», «trasparente», «produttore», «privo di mondo» – fosse veramente stato compreso nel suo significato assolutamente innovativo. Si tratta qui di una «rivoluzione», di un’apertura al senso d’essere del reale e della real-
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tà che rompe con ogni oggettivismo di un in-sé e, soprattutto che si apre (ed è qui il carattere inedito della fenomenologia) al senso d’essere del fenomeno in quanto fenomeno (come ciò che costituisce ultimamente ogni senso d’essere di ciò che si presenta alla coscienza). In effetti, Husserl, inscrivendosi nella tradizione della filosofia trascendentale inaugurata da Kant e Fichte, tiene fede e mantiene con questi procedimenti metodologici la correlazione, assolutamente irriducibile, del soggetto e dell’oggetto (così come si manifesta al soggetto) – laddove il senso d’essere di quest’ultimo è contaminato in maniera essenziale da questa correlazione. La discesa nella sfera dei fenomeni ultimamente costitutivi di ogni manifestazione – che è precisamente una discesa nella sfera al di qua di ogni polo soggettivo e oggettivo – apre così la strada, con i suoi procedimenti di legittimazione specifici, ad un filosofare che non si lascia effettivamente più caratterizzare dalle categorie, provenienti dalla metafisica tradizionale, dell’«idealismo» e del «realismo». Ma una questione si pone ugualmente: il trascendentalismo husserliano, l’iscrizione di ogni esperienza, a tutti i livelli costitutivi, nella correlazione «noetico-noematica», testimonia veramente l’«assenza di presupposti» costantemente rivendicata da Husserl? Si è potuto affermare, non senza un certo accento provocatorio, che «[l]a fenomenologia in quanto meditazione (Besinnung) che dipende dalla filosofia trascendentale non è un metodo, ma una metafisica»5. Se una totale assenza di pregiudizi è certo un’illusione (e non c’è stato bisogno di attendere la psicoanalisi, l’etnografia e la linguistica per accorgersene), è nondimeno perfettamente chiaro che l’epiteto di «metafisica» non si lascia attribuire alla fenomenologia che a condizione di prendere le dovute precauzioni – non sia altro perché essa è propriamente, ed evidentemente, anche un me-
5 A. Aguirre, Genetische Phänomenologie und Reduktion, op. cit., p. 61.
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todo! Un metodo, tuttavia, che nel momento in cui si scontra con i propri limiti non potrebbe evitare, né risparmiarsi, di deliberare su ciò che lo legittima e lo fonda. E se il trascendentalismo husserliano – il cui telos è e rimane, l’abbiamo visto, una legittimazione totale, precisamente, della conoscenza dell’esperienza (e di ogni necessità, in ultima istanza, di sé medesima) – mette in atto concetti e strumenti che, per giungere a tale legittimazione, operano attraverso procedimenti che non si lasciano affatto ricondurre a quelli di qualsiasi disciplina positiva (e in particolare delle «scienze “esatte”»!), è assolutamente opportuno porlo allo stesso livello degli altri grandi progetti filosofici – e metafisici – con i quali ha intavolato, fin dai suoi primi inizi, una discussione che sarà dovere dei filosofi fenomenologici portare avanti. In questo modo, Husserl non è solamente un interlocutore prezioso dei filosofi viennesi alle origini della filosofia analitica, così come non è solamente una fonte per la filosofia heideggeriana, ermeneutica, decostruttivista, ecc. o per ogni fenomenologia post-husserliana in generale – anche se è evidentemente anche tutto ciò, quantunque di solito suo malgrado. Husserl è – soprattutto se si considerano gli ultimi trent’anni della sua vita e della sua produzione filosofica – un filosofo trascendentale, e ciò vuol dire che ha arricchito la tradizione della filosofia trascendentale con una concezione globale del trascendentale e con analisi specifiche che lo elevano al rango dei più eminenti rappresentanti di questa tradizione.
* Per rendere più chiaro quello che è stato appena affermato, è necessario aggiungere ancora un’ultima parola sul trascendentalismo husserliano. Abbiamo cercato di mostrare che il fatto di tenere insieme l’esigenza della legittimazione totale e il progetto di una filosofia puramente descrittiva non solamente
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conduce ad un’impasse, ma finisce per contraddirsi. L’obiettivo principale di queste pagine consisteva così, positivamente, nel porre l’alternativa tra una costruzione speculativa e un’esperienza descrittiva su una nuova base – e ciò rispettando scrupolosamente le «condizioni minime» della fenomenologia. All’inizio della Dottrina della Scienza del 1804², Fichte ha mostrato che se Kant è considerato a giusto titolo come il fondatore della filosofia trascendentale, la sua comprensione del trascendentale resta purtuttavia carente dal momento che non rende conto del fatto che il trascendentale dà luogo alla distinzione, «nello stesso tempo», tra l’essere e il pensiero (o l’oggetto e il soggetto), da un lato, e il sensibile e il sovrasensibile (o ciò che dipende dal fatto (Tatsache) e dall’essenza (Wesen)), dall’altro – il che vuol dire (come J.-C. Goddard ha finemente sottolineato) che il trascendentale si situa, in realtà, al di là (o piuttosto: al di qua) della scissione del sensibile e del sovrasensibile6. Ora, se era certamente esagerato affermare che la fenomenologia costruttiva riprende esplicitamente l’eredità fichtiana, non è vero che un tale legame non si lasci stabilire perlomeno in maniera implicita7. Ma mentre Fichte si sforza 6 J.-C. Goddard utilizza a questo proposito l’espressione di «unità pre-differenziale del sensibile e del soprasensibile», cfr. «Construction et violence transcendantale dans la Doctrine de la Science 1804», in Être et phénomène. La Doctrine de la Science de 1804 de Fichte (op. cit.). 7 Le ricerche nel campo dell’idealismo – che, oggigiorno, vive tuttavia una sorta di «rinascimento» – non scorgono che progressivamente l’interesse che sussiste nel confrontare gli idealismi trascendentali di Husserl e di Fichte (sul piano dei problemi, non su quello della filiazione storica). Abbiamo tentato di contribuire all’apertura di una tale analisi nei capitolo I e IV della prima parte della nostra opera La genèse de l’apparaître così come nei nostri studi «Husserl und Fichte. Überlegungen zur transzendental-spezifischen Argumentation im transzendentalen Idealismus», in Phénoménologie française – Phénoménologie allemande. Deutsche und Französische Phänomenologie, É. Escoubas e B. Waldenfels (ed.), Cahiers de Philosophie de l’Université de Paris XII, n° 4, Paris, L’Harmattan, 2000, p. 129-153; «“Phénomène” et “Construction”. La notion fichtéenne de “construction” et la
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di costruire le condizioni del «sapere puro»8, del sapere «in quanto sapere» (il che spiega perché non si potrà ben inteso mai considerarlo come un fenomenologo nel senso husserliano del termine), Husserl si attiene a dei campi fenomenali concreti – apportando così un complemento all’investigazione trascendentale sul piano dei «fatti della coscienza» (che sono propriamente fatti trascendentali della coscienza). Ciò significa beninteso che, nella misura in cui la costruzione fenomenologica traspone (almeno in modo implicito, dunque) la costruzione genetica su un piano fenomenologico, le due costruzioni dipendono da un registro architettonico completamente differente: allorché il sistema fichtiano è chiuso (anche se la sua esposizione dà luogo, in realtà, ad innumerevoli versioni differenti), la costruzione fenomenologica husserliana rifiuta ogni «norma» prescritta da un in-sé (sia anche quello del sapere stesso) – ciò è d’altronde illustrato dal fatto (che lo avvicina di nuovo a Fichte) che questa costruzione non ricostruisce qualcosa di dato in anticipo (né, naturalmente, un essere di pura finzione), ma ne svela le leggi d’essenza (fenomenologiche) solo procedendo alla costruzione medesima. Se la distinzione tra questi due autori rimane quindi effettivamente irriducibile, è nondimeno giocoforza constatare che è precisamente l’approccio costruttivo (il cui senso speculativo non è stato chiarito che tardivamente, grazie a Fink) a ricordare da vicino (con le riserve che abbiamo segnalato9) la costruzione genetica fichtiana – come anche la discesa nella sfera pre-immanente della coscienza che prolunga la scoperta phénoménologie de Husserl et de Fink», in Fichte. La philosophie de la maturité (1804-1814). Réflexivité, Phénoménologie et Philosophie (appliquée), J.-G. Goddard e M. Maesschalck (ed.), Paris, Vrin, 2003, p. 235-252; «Les duex voies de la genèse du phénomène (Fichte et Husserl)», M. Maesschalck (ed.), coll. «Europæa Memoria», Hildesheim, Olms (diff. Vrin). 8 Per la definizione del «sapere puro» fichtiano cfr. supra, capitolo I. 9 Cfr. ancora il capitolo I.
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di Fichte che il trascendentale rompe con la distinzione, tradizionale, tra il sensibile e il sovrasensibile. È nella messa in evidenza– grazie al mantenimento dell’epoché e della riduzione e alla messa in atto dei procedimenti costruttivi richiesti da questa discesa – del senso d’essere dei fenomeni (sul piano tanto immanente che, soprattutto, pre-immanente della coscienza trascendentale) che consiste quindi la nuova concezione della realtà effettiva e del reale, annunciata nell’Introduzione, che abbiamo tentato di esplicitare e di supportare nel corso di tutto questo studio. È dunque probabile che ogni ricerca di una sfera che renda possibile e intellegibile la scissione tra il soggetto e l’oggetto – progetto che riassume senza dubbio in una maniera pregnante uno degli obiettivi fondamentali della filosofia contemporanea – debba effettivamente riprendere da capo la via della fenomenologia intesa come idealismo trascendentale.
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