La scrittura di Francesco Petrarca 8821004236, 9788821004230


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Italian Pages 158 [204] Year 1967

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La scrittura di Francesco Petrarca
 8821004236, 9788821004230

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STUDI ------------

E TESTI

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ARMANDO PETRUCCI

LA SCRITTURA DI

FRANCESCO PETRARCA

CITTÀ D E I/ VATICANO BIBLIOTECA APOSTOI/ICA VATICANA

1967

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STUDI

E TESTI

150. Cerulli, Enrico. Il « Libro della Scala » e la questione delle fonti arabo-spagnole della Divina Commedia, 1949. pp. 574. 15 tav.

166-169. Rouet de Joumel, M. J., S. J. Nonciatures de Russie d'après les documents authentiques. 1922-52. voi. 4.

151. Diwan Abatur... or Progress through thè Purgatories. Text with translation, notes and appendices by E. S. Drower. 1950. pp. vn, 45. Facs. 650 X 24 cm.

170. Maier, Anneliese. Codices Burghesiani Bi­ bliothecae Vaticanae. 1952. pp. vn, 496.

152. Loenertz, R. J., O. P. Correspondance de Manuel Calécàs. 1950. pp. x i i , 350.

172. Graf, Georg. Geschichte der christlichen arabischen Literatur. V. Bd. Register. 1953. pp. 1, 196.

153. Prete, Sesto. Il Codice Bembino di Teren­ zio. 1950. pp. 110. 5 tav. 154. Mercati, Giovanni, card. Il frammento Maffeiano di Nestorio e la catena dei Salmi d'onde fu tratto. 1950. pp. [5], 40. 155. Blum, Rudolf. La biblioteca della Badia Fiorentina e i codici di Antonio Corbinelli. 1951. pp. xn , 190.

171. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Constantiniana. 1953. pp. 207, [1],

173. Honigmann, Emest. Patristic Studies. 1953. pp. vii, 255. 174. Rossi, Ettore. Elenco dei manoscritti turchi della Biblioteca Vaticana. 1953. pp. xxii, 41ó. 175. Franchi de’ Cavalieri, Pio. Note agiografi­ che. Fascicolo 9. 1953. pp. [5], 253.

156. Clan, Vittorio. Un illustre nunzio pontificio del Rinascimento: Baldassar Castiglione. 1951. pp. xx, 340.

176. The Haran Gawaita and The Baptism of Hibil-Ziwa . . . translation, notes and commentary by E. S. Drower, 1953. pp. xi, 96. Facs.

157. Mercati, Angelo. 1951. pp. 119.

Vaticano.

177. Andreu, Francesco. Le lettere di s. Gae­ tano da Thiene. 1954. pp. xxxiv, 144, 3 tav.

158. Mercati, Giovanni, card. Alla ricerca dei nomi degli « altri » traduttori nelle Omilie sui Salmi di s. Giovanni Crisostomo e va­ riazioni su alarne catene del Salterio. 1952. pp. vm , 248, 10 tav.

178. Mercati, Angelo. I costituti di Niccolò Fran­ co (1568-1570) dinanzi l'Inquisizione di Ro­ ma, esistenti nell'Archivio Segreto Vaticano. 1955. pp. [2], 242.

Dall’Archivio

159. Rossi, Ettore, n « Kitàb-i Dede Qorqut »: racconti epico-cavallereschi dei turchi Oguz tradotti e annotati con « facsimile » del ms. Vat. turco 102. 1952. pp. 2, [364], 160. Pertusl, A. Costantino Porfirogenito: thematibus, 1952. pp. xv, 210. 3 tav.

De

161. Rationes decimarum Italiae. Umbria, a cu­ ra di P. Sella. I. Testo. 1952. pp. [4], 916.

179. Patzes, Μ. Μ. Κριτοϋ του Πατζή Τιπούκειτος. Librorum LX Basilicorum summarium. Li­ bros XXXIX-XLVIII edid. St. Hoermann et E. Seidl. 1955. pp. xxrv, 287. 180. Baur, Chrysostomus, O. S. B. Initia Patrum graecorum. Voi. I. Α -Λ 1955. pp. cxm , [2], 661. 1 8 1 . ------Voi. II. Μ-Ω. 1955. pp.

xlvi,

720.

1 6 2 . ------II. Indice. Carta geogr. delle diocesi. 1952. pp. 204.

182. Gullotta, Giuseppe. Gli antichi cataloghi e i codici della abbazia di Nonantola. 1955. pp. xxviii, 539.

163. Monneret de Villard, Ugo. Le leggende orientali sui Magi evangelici. 1952. pp. 262.

182-bis. Ruysschasrt, José. Les manuscrits de l’abbaye de Nonantola. 1955. pp. 76.

164. Mercati, Giovanni, card. Note per la storia di alcune biblioteche romane nei secoli XVI-XIX. 1952. pp. [5], 190, 9 tav.

183. Devreesse, R. Les manuscrits grecs de l’Italie méridionale. 1955. pp. 67, 7 tav.

165. Miscellanea archivistica Angelo Mercati. 1952. pp. xxvix, 462. ant. (ritr.), 10 tav.

184 Biedl, Artur. Zur Textgeschichte des Laer­ tios Diogenes. Das Grosse Exzerpt Φ .. 1955. pp. 132, ili.

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F irenze, Bibl. N az. C entrale, P al. 184, c. Iv . II P e tra rc a alio scrittoio. M in iatu ra del sec. X V (cf. M om m sen, Petrarch and the decoration, p. 100 e fig. 6).

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I

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EDIZIONE ANASTATICA Anno 2010

Tip. Cardoni s.a.s. - Roma

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STUDI -------------

E TESTI 248 -------------

A R M A N D O PETRUCCI

LA S CRI T T U R A DI

FRANCESCO

PETRARCA

CITTÀ DEE VATICANO B IB L IO T E C A A PO STO L IC A V A TICA N A

1967

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IM P R IM A T U R f F r. P e tr u s Ca n isiu s Vic. Gen.lis

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P ie r d e

e V ica riatu C ivit. V aticanae die 23 Septembris 1967.

T IP O G R A F IA S . P IO X — V IA D E G IA E T R U S C H I , 7-9 — R O M A , 1967

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PREMESSA

Queste ricerche sulla scrittura di Francesco Petrarca hanno avuto inizio durante un corso su «Scrittura e cultura nel Trecento italiano», da me tenuto presso la Scuola speciale per Archivisti e bibliotecari dell’Università di Roma nell'anno accademico 1963-1964. Il saggio che ne è scaturito ha preso gradatamente le proporzioni di uno studio autonomo, tanto da consigliare la sua pubblicazione a sè, in questa collana di Studi e Testi nella quale il Prefetto della Biblioteca Apostolica Vaticana, p. Alfonso Raes, cui va tutta la mia gratitudine per la lar­ ghezza con la quale ha in ogni occasione favorito le mie ricerche, ha benevolmente voluto ospitarlo. Come tutti gli studi che richiedono pazienti ricerche bibliografiche e lunghe consultazioni, anche questo sulla scrittura del Petrarca molto deve all’aiuto cortese e competente di amici, di colleghi, di funzionari di biblioteche italiani e stranieri. Basterà ricordare qui i nomi di coloro ai cui consigli quest’opera deve di più: Giuseppe Billanovich, Giorgio Cencetti, Alessandro Pratesi, Emanuele Casamassima. Un grazie riconoscente va agli amici della Sala dei manoscritti e rari della Biblioteca Nazionale Centrale di Roma che mi hanno agevolato in tu tti i modi nello studio e nelle ricerche. A

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PROPOSITI E METODO DEDRTNDAGINE

Nei consueti schemi della paleografìa tradizionale non è lasciato molto spazio alla considerazione delle scritture personali, anche quando esse appartengano a personaggi che dal punto di vista culturale o sociale costituiscono soggetti di ricerca estremamente ricchi di interesse. Manca infatti un metodo di analisi appropriato a tale argomento e manca una tradizione di ricerca in un terreno delicato e pieno d’insidie qual è quello appunto delle scritture personali. Tutto ciò è dovuto indubbiamente al particolare carattere degli orientamenti teorici seguiti dagli studi paleografici negli ultimi decenni ed alla prevalenza in essi di interessi a pro­ blemi totalmente diversi; ma dipende anche dalla non del tutto ingiusti­ ficata diffidenza, sempre nutrita dagli studiosi di paleografia rispetto ad argomenti che sembrano scivolare dal solido terreno della ricerca storico­ erudita verso i più labili domini dello psicologismo o della grafologia (*). E invece nostra convinzione che lo studio critico delle esperienze grafiche di personalità significative, limitatamente al periodo anteriore (]) E sem p i di ricerche nel cam po delle sc rittu re p erso n ali sono sta ti negli u ltim i te m p i fo rn iti dal Ceriini p e r l ’A riosto (La scrittura dell’A riosto), d al F a v a p er Ciriaco d ’A ncona (La scrittura libraria), d a l M uzzioli p er P o m ­ ponio P e to (Due nuovi codici), d al C am pana (Scritture di umanisti-, cf. in p artico la re p. 232: « il cam po degli u m a n isti ita lia n i è uno d i quelli che possono fornire elem enti di grande p o r ta ta a problem i paleografici e m a teria li d i p rim a im p o rta n z a per la sto ria della sc rittu ra , pro p rio perchè su lla sto ria d ella s c rittu ra lib ra ria incidono fortem ente, accanto a f a tto ri generali dello sv ilu p p o d ella d if­ fusione della cu ltu ra, quali u n iv e rsità e cancellerie, influenze in d iv id u ali d i sin ­ gole p ersonalità. L a sc rittu ra di ta li em in en ti p erso n a lità cu ltu rali è spesso u n a s c rittu ra ' d ’av a n g u ard ia ’, in anticipo su q uella del p ro p rio tem po, e spesso non è s ta to l ’u ltim o degli asp etti del raggio p iù o m eno am p io d ’influenza che si allarga in to rn o a quelle personalità»), e dal M arichal (in E xtra it des rapports sur les conférences-. Paléographie latine et française-, cf. in p artico la re p. 231: « U ne analyse u n p eu fine de l’écriture p e u t donc, à c e tte d ate, a p p o rte r su r les ten dences intellectuelles du sc rip teu r des indicatio n s v alab les »). Cf. in o ltre P étrucci, I l protocollo notarile di Coluccio Salutati, cap. IV , I l Salutati e la crisi grafica dell’Umanesimo, pp. 21-45, Ouy, Enquête, e A lverny, L'écriture de Bernard H ier (in particolare, pp. 51-2).

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L a s c rittu ra di F rancesco P e tra rc a

alla diffusione (diffusione, non invenzione) della stampa (l), può portare utili risultati alla conoscenza della storia della scrittura latina, anzi, generalmente, di ogni scrittura. Cosa intendiamo, in questo particolare caso, per « personalità significative »? Naturalmente, non necessariamente i massimi personaggi della scala sociale (molti dei quali, anzi, offriranno ben poco di significativo all’occhio del paleografo) e non soltanto i grandi uomini di cultura; bensì tutti coloro, la cui scrittura, considerata in ogni suo aspetto, può rappresentare la diretta e organica testimonianza di un determinato ambiente culturale, di un certo livello comune di istruzione, della particolare configurazione locale di una fase di sviluppo della società. Perchè queste testimonianze possano apparire convincenti e risultino utilizzabili da un punto di vista generale, occorre però che ciascuna delle personalità isolate come campione non rappresenti, all’interno dell’am­ biente culturale cui appartiene, un’eccezione o un soggetto completamente isolato, ma vi abbia un suo rilievo sintomatico e ne rifletta, almeno in parte, gli orientamenti e le caratteristiche; e, inoltre, che l’esperienza grafica presa in esame risulti, nei limiti del possibile, completa sia come tipologia (comprenda, cioè, esempi di tutti i tipi di scrittura adoperati dal soggetto), sia come cronologia (comprenda, cioè, esempi appartenenti ad ogni epoca della sua vita). Anche quando questi requisiti necessari all’impostazione dell’inda­ gine siano tutti presenti (e ciò potrà avvenire di rado), la ricerca dovrà essere svolta con estrema cautela e secondo due diversi orientamenti: il primo, strettamente tecnico-grafico, volto alla puntuale ricostruzione della scrittura del soggetto dal punto di vista strutturale, mediante l’individuazione delle tecniche scrittorie e dei diversi tipi di scrittura ado­ perati, dei loro eventuali mutamenti, del loro susseguirsi cronologico, delle funzioni cui il soggetto li ha adattati. Il secondo, più propriamente storico-culturale, inteso all’inserimento della singola esperienza grafica considerata nell’ambito del quadro generale della scrittura o delle scrit­ ture coeve, mediante lo studio dei sistemi di insegnamento e di diffusione, il confronto diretto delle testimonianze, la considerazione di eventuali influenze di carattere più genericamente culturale od estetico. Nell’ambito di questa duplice ricerca occorrerà tenere presenti ancora altri elementi: innanzi tutto l’atteggiamento del soggetto, passivo o attivo, consapevole o inconsapevole nei confronti della propria espe­ rienza grafica. Esso sarà passivo, se il soggetto si limiterà a ripetere, senza alcun apporto personale, le tecniche e i modelli appresi nella fase forma(l) E) cioè, alm eno per q u an to rig u a rd a l'Ita lia , fino al 1520 circa.

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P ropositi e m etodi dell’indagine

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ti va della sua grafìa; attivo, se invece si allontanerà più o meno decisamente dalla propria esperienza scolastica; inconsapevole, se le modificazioni da lui apportate alla norma ideale della scrittura del suo tempo ed alle tecniche in uso saranno provocate dall’inconscio bisogno di rendere tale scrittura più semplice, più rapida o comunque più adatta alle sue particolari esigenze; consapevole, se i mutamenti stessi saranno dettati da precisi intendimenti di ordine grafico, estetico o più generi­ camente culturale. Nel caso che l’esperienza grafica considerata rappresenti un fattore di novità o di rottura rispetto ai canoni grafici consueti all’ambiente culturale di appartenenza (e questo è appunto il caso del Petrarca), occorrerà anche valutare la reazione dell’ambiente stesso alle novità proposte dal soggetto; poiché l’accettazione e diffusione di tali novità in cerehie più o meno vaste di scriventi può provocare modificazioni pro­ fonde della norma grafica universalmente accettata ed influire grande­ mente sullo sviluppo stesso del sistema di scrittura cui lo scrivente ap­ partiene. Po studio di una scrittura personale, così come noi lo intendiamo, non dovrà dunque mai essere limitato alle manifestazioni grafiche del soggetto preso in esame, ma sempre collegato allo sviluppo storico del sistema grafico entro il quale essa si svolge, dal quale è condizionata e, sul quale può, in determinate circostanze, esercitare una notevole in­ fluenza. I criteri generali qui esposti sono stati alla base della nostra ricerca sulla scrittura di Francesco Petrarca; un soggetto, quest’ultimo, parti­ colarmente significativo e ricco di interesse, nel quale il duplice aspetto, di prodotto culturale di ambiente e di realizzazione individuale, che è proprio di ogni scrittura, appare particolarmente evidente, e la cui espe­ rienza grafica, attiva e consapevole, ha avuto una forte influenza sugli ulteriori sviluppi della scrittura latina nell’Occidente europeo.

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I.

D’EDUCAZIONE E I PRIMI MODEEEI

Il problema delle origini e della tipizzazione di una scrittura per­ sonale è sempre un problema di scuola e, in un senso più ampio, di ambiente culturale. Ma nel caso della scrittura del Petrarca, la cui prima educazione nacque dall'incrocio, ideale e geografico, di tradizioni e tendenze fra loro assai diverse, la ricerca paleografica deve neces­ sariamente allargarsi alle varie tappe delle sue peregrinazioni spirituali e terrene di esule figlio di esule, e perciò spaziare dalla regione di origine alla curia pontificia, dai luoghi di studi francesi a Bologna; un panorama dunque, che da un punto di vista grafico — e non da questo soltanto — si presenta, come vedremo, estremamente vario e discordante; ma di cui è indispensabile ricostruire, sia pure sommariamente, il paesaggio, perchè esso costituì, con tutti i suoi contrasti, l’ambiente nel quale si vennero formando la mano e il gusto calligrafico del giovane letterato; Tra la fine del Duecento e il primo venticinquennio del Trecento — quest’ultimo è il periodo in cui il Petrarca compì l’intero ciclo del­ l’educazione scolastica — l’unità grafica prima carolina e poi gotica^ che aveva caratterizzato in Europa i trascorsi secoli, era ormai defini­ tivamente compromessa. Al contrasto generico fra scritture documen­ tarie di ascendenza carolina e scrittura gotica libraria, già vivo nel primo Duecento, si aggiungevano ora nuove tipizzazioni sorte sia in campo librario, sia in campo documentario e usuale, diverse da regione a regione, da ambiente ad ambiente, da gruppo a gruppo. D’uso della scrittura si era infatti venuto diffondendo a categorie sociali sempre più vaste, che avevano arricchito e frantumato il patrimonio grafico tradizionale mediante l’afflusso di un tumultuoso filone di soluzioni personali, dietro ciascuna delle quali è a volte arduo riconoscere l’ori­ ginario modello scolastico. D’altra parte l’avviato processo di differenzia­ zione delle scritture era anche un effetto dell’affermazione prepotente delle letterature nazionali, ciascuna delle quali aveva un pubblico suo proprio, ormai pienamente capace di adoperare e di creare scrittura;

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I. L ’educazione e i prim i m odelli

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pubblico « colto » ma non « erudito » (1), che non aveva dimestichezza con la cultura ufficiale e con i suoi strumenti e che perciò era indotto a crearne di nuovi. Contribuivano ulteriormente al disgregamento della unità grafica tradizionale anche i grandi centri culturali che nel pre­ cedente periodo avevano assolto la funzione di creatori di modelli gra­ fici: le università e le cancellerie. Le possibilità uniformatrici delle grandi università erano fortemente diminuite, in quanto l’influenza del loro magistero grafico — svolto in modo diretto o indiretto — si veniva sempre più limitando a un ambito culturale ristretto alla nazione di appartenenza. Analogamente le varie cancellerie regie, liberatesi dalla soggezione secolare ai modelli pontifici e imperiali, venivano creando, ciascuna per proprio conto, nuove tipizzazioni della minuscola docu­ mentaria, che in questo periodo prendevano vita, quasi contempora­ neamente, in Inghilterra, in Spagna, in Francia, in Germania (2). Questo processo di differenziazione grafica non si produceva na­ turalmente solo entro un rigido schema di coordinate geografiche, ma anche secondo un nuovo sistema di dislocazione culturale, quale si ve­ niva configurando nella società europea del tempo: ciò lo differenzia in modo sostanziale dal particolarismo grafico altomedievale, che fu fe­ nomeno di tipizzazioni geograficamente localizzate, ma nate entro un ambiente socialmente e culturalmente omogeneo. La diffusione generale dell’uso della scrittura aveva provocato anche una diffusione capillare dell’insegnamento primario; il quale, peraltro, non organizzato rigida­ mente dalle pubbliche autorità, ma abbandonato alle iniziative private o di ristrette comunità, finiva per favorire il formarsi e il perpetuarsi di tipizzazioni grafiche particolari all’interno di categorie di mestiere o di gruppi sociali delimitati. Così, ad esempio, in Italia i notai appren­ devano a scrivere nell’ambito di scuole professionali che elaboravano un tipo caratteristico di minuscola cancelleresca; altrove, invece, l’inse­ gnamento della scrittura veniva loro impartito direttamente nelle Uni­ versità (3). In Toscana la nascente categoria mercantile adoperava una individuata canonizzazione della minuscola documentaria elaborata nel-

f1) Di u n « ceto colto m a n on eru d ito », a proposito del pubblico le tte ra rio d i D a n te nel p rim o T recento, p a rla A uerbach, L in g u a letteraria e pubblico, p. 282. (2) Cf., p er questo im p o rta n te fenom eno d i d isgregam ento dell’u n ità g ra ­ fica europea, C encetti, Lineam enti, pp. 224-54. (3) È q u e sta la te si fond am en tale dell’opera dello H ajn a l, L ’enseignement de l ’écriture, s o p r a ttu tto capp. I l i e IV , pp. 60-116 e 180-227.

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L a s c rittu ra di F rancesco P e tra rc a

je scuole di abaco e nelle botteghe stesse. Scritture, queste di categoria, che si prestavano sia ad uso documentario che ad uso librario; che cioè, nell’ambito della categoria utente, divenivano «la scrittura » in assoluto, potenziando in tal modo, con un progressivo isolamento rispetto ad ad altre manifestazioni grafiche, il loro conservatorismo formale. Altra importante categoria di scriventi era allora quella degli uomini di cultura universitaria; non degli scribi al servizio dell’Università, che adoperavano, per vergare i libri di testo, le canonizzate «litterae scho­ lasticae », ma di coloro che avevano all’università studiato diritto, me­ dicina, filosofia, e che vi avevano appreso a scrivere un tipo generico di gotica libraria,-priva di ambizioni calligrafiche, tracciata con d u c t u s corsivo e ricca di adattamenti personali (1). Nel complesso e diversificato panorama grafico del periodo che andiamo esaminando, la «scrittura dei dotti », ammesso che possa costituire una tipizzazione individuabile, rappresenta un elemento di unità, piuttosto che di rottura, in quanto appare uniformemente adoperata, in tutta l’Europa, dall’ideale consor­ zio degli uomini di cultura superiore, che se ne servivano per zibaldoni, minute, lettere, glosse. Questa scrittura (o meglio: questa tendenza grafica) che nacque da una particolare esigenza funzionale, cui non potevano essere piegate né le gotiche librarie canonizzate, né le corsive documentarie, di per sé estranee all’ambiente, può essere considerata il primo sintomo di quella reazione dei dotti alle scritture librarie arti­ gianali, che sfocerà nella riforma petrarchesca e nella nascita della mi­ nuscola umanistica. Per questo non sembrerà strano se su alcune delle sue manifestazioni saremo indotti a ritornare più avanti. ❖ %❖ Se da una prospettiva generale, qual è quella fin qui disegnata, si vorrà scendere ad esaminare più da vicino le caratteristiche grafiche delle regioni che direttamente influirono sulla formazione culturale del giovane Petrarca, sarà necessario soffermarsi innanzi tutto sulla Toscana,

f1) È il tip o d i s c rittu ra che il C encetti (L ineam enti, p p . 233-4) h a ch ia­ m a to « s c rittu ra dei d o tti » (term ine d a noi a d o tta to p er la tipizzazione ado­ p e ra ta nella ste su ra d i codici in teri, cioè n ell’accezione « te stu a le ») e il L ieftinck, invece, « sc rip tu ra n o tu la ris » (Pour une nomenclature, p p . 18-9), te rm in e che p iù a v a n ti ad o tterem o p er designare specificam ente la s c rittu ra d i glossa dei d o tti del D ue-T recento.

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I. 1 /educazione e i p rim i m odelli

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terra dei suoi genitori, del suo primo maestro, degli uomini che costi­ tuirono l’ambiente familiare della sua infanzia. Fra il secondo Duecento e il primo Trecento la Toscana creò una civiltà letteraria di altissimo livello promuovendo in pochi decenni il suo dialetto a dignità di lingua colta e assorbendo, mediante una fitta rete di volgarizzamenti, di rielaborazioni, di composizioni didascaliche, un enorme patrimonio culturale di ascendenza classica o romanza (l). Ma questa, in Toscana, non fu soltanto l’età di Dante: fu anche l’età della civiltà comunale e della sua nuova classe dirigente, formata di uomini d’affari, banchieri, giudici, notai, artigiani, la quale dovette crearsi una cultura sostanzialmente nuova e prevalentemente pratica, per le necessità stesse di organizzazione amministrativa e di giustifica­ zione ideale del nuovo ordine politico. D’opera fu resa più facile e più rapida dall’assenza di uno Studio universitario organizzato, le cui tra­ dizioni auliche, i cui orientamenti ideologici, la cui forza di attrazione in senso conservatore, avrebbero notevolmente ostacolato o deviato un qualsiasi movimento innovatore. Ad una nuova cultura dovevano corrispondere nuovi strumenti, e fra questi essenziale era la scrittura. Da scrittura mediante la quale vennero pubblicate e diffuse quasi tutte le opere che costituirono il tessuto connettivo della cultura co­ munale, dai trattatelli ascetici ai volgarizzamenti religiosi, dalle tra­ duzioni dal francese alle divulgazioni didascaliche, fu la minuscola can­ celleresca: la scrittura, cioè, dei documenti e delle epistole, degli atti del Comune e, sia pure con d u c t u s corrente e con forme più semplici, anche dell’uso quotidiano; attraverso di essa avvenne la prima diffusione del testo della Divina Commedia (2) e di molti altri incunaboli della nascente letteratura italiana. D’uso librario della minuscola cancelleresca non fu soltanto to­ scano, ma abbracciò un’area che comprendeva anche le altre regioni dell’Italia comunale; a Bologna, in Dombardia, nel Veneto, questa scrittura fu, come in Toscana, lo strumento grafico della cultura vol­ gare; ma a Firenze toccò il vertice più alto dell’eleganza nella mano di (x) Cf. a q uesto p roposito il saggio del Segre, L a prosa del Duecento, in L ìngua, stile e società, pp. 13-47, s o p ra ttu tto p p. 21-5,31-7, 43-7. (2) A lcuni u tili d a ti sulle c a ratte ristic h e grafiche e codicologiche dei p iù an tich i m a n o scritti delia Commedia possono oggi ricav arsi d a lla Introduzione di G. P etro cch i alla edizione de L a Commedia secondo l ’antica vulgata, 1, p p. 5791; nonché d a ll’ac cu rato catalogo della Collezione manoscritta di codici dan­ teschi com pilato d a M. Ceresi, I, pp. 3-94; I I , pp. 15-35.

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L a s c rittu ra di F rancesco P e tra rc a

ser Francesco di ser Nardo da Barberino e nello stile della sua bottega^). Nella stessa città, verso la metà del Trecento, avrebbe raggiunto la prima tipizzazione una scrittura nata, nell’ambito delle scuole di abaco e delle botteghe commerciali, dalla minuscola usuale duecentesca e ri­ servata a mercanti, artigiani, banchieri : la « mercantesca », che ebbe an­ che una certa fioritura libraria, ma che rimase confinata in un parti­ colare ambito sociale, sempre più ristretto e via via sempre più desti­ tuito di prestigio culturale (2). Ma Firenze, Siena e gli altri maggiori centri toscani, come Pisa ed Arezzo, elaborarono anche, in questo periodo, una particolare ti­ pizzazione della gotica libraria italiana; tipizzazione finora da nessuno studiata, e che pure presenta sue caratteristiche ben individuate. Non è certo questa la sede per avviare un discorso esauriente sulla gotica toscana, anche perchè la scarsità e la dispersione del materiale ripro­ dotto renderebbe ardua e difficoltosa la trattazione. Basterà perciò dire che si tratta di una scrittura dal tratteggio ora più, ora meno marcato, anche se mai pesante come nella «bononiensis », con lettere staccate le une dalle altre, modulo piuttosto piccolo, forme slanciate, aste alte sul rigo e munite in fine e in cima di sottili svolazzi e codine ornamentali, cui corrispondono anche le caratteristiche maiuscole proprie della corsiva documentaria coeva (3). In complesso, si tratta di una gotica ancora strettamente legata alla tradizione tardo-carolina — in Toscana parti­ colarmente forte — e influenzata da quella minuscola cancelleresca che sappiamo largamente diffusa nella regione e ricca di prestigio nell’uso librario. (1) S u ser F rancesco di ser N ardo, cf. C encetti, Lineam enti, p p. 247-8; cf. anche, p er il valore te stu a le dei codici della Commedia a ttr ib u iti alla su a of­ ficina scritto ria, Petrocchi, Introduzione alla Commedia, pp. 289-317. (2) P e r la «m ercantesca», cf. O rlandelli, Osservazioni sulla scrittura mercan­ tesca, pp. 445-60; cf. anche C encetti, L ineam enti, p p . 232-3 e 248-9; agli esem pi a d d o tti d a ll’O rlandelli, si aggiungano o ra quelli rip ro d o tti in Melis, A sp etti della vita economica medievale, I, t a w . V I I ,2, V i l i , I X - X II , X X - X X II I , X X V , ecc. (s) Cf. u n accenno alla d iv e rsità delle g o tica to scan a d a q u ella bolognese in P agnin, L a « littera bononiensis », p . 1648. U n notevole n u m ero d i esem pi di gotica to sc an a del D uecento e del T recen to si h a n el catalogo della M ostra di codici rom anzi, ta v . X X I (Ricc. 2164 del sec. X I I I ex.); p. 7 (Canzoniere L aur. R ed ian o n. 9, del sec. X I I I ex.); ta v . X I I I (Canzoniere P a la t. 418 della Bibl. N az. C entrale di Firenze, del sec. X III-X IV ); ta v . X V (Naz. C entrale d i Firenze, B .R . 19, del sec. X IV ); ta v . I I (Laur. A shb. della fine del sec. X IV ). Cf. anche D ’A ncona, L a m iniatura fiorentina, t a w . X X V II, L I, V II . P er u n esem pio della seconda m e tà del T recento, cf. M agnani, L a Cronaca figurata.

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Assai diverso da quello fin qui tracciato era il panorama grafico che la dotta Bologna offriva nei primi decenni del Trecento ai suoi giovani ospiti avidi di sapere. Il rapporto fra scritture documentarie e scritture librarie, che a Firenze — e nella Toscana tu tta — vedeva la minuscola cancelleresca dominare, come tramite di cultura, sulla gotica libraria, era qui invertito; qui imperava ormai una tradizione culturale aulica, che si esprimeva attraverso una scrittura libraria sicuramente canonizzata e di larghissima influenza. Bologna era infatti culturalmente dominata dall’attività dello Stu­ dio, che interveniva direttamente nella produzione libraria dei testi scolastici destinati agli studenti attraverso un rigoroso sistema di revi­ sioni e di controlli ormai ben noto (1). A questa produzione partecipava un gran numero di scribi, molti dei quali studenti, e perciò anche stranieri; ma altri bolognesi, e di ogni condizione, frati, artigiani, donne, che esercitavano soltanto l’arte di scrivere libri e costituivano, magari, di­ nastie familiari (2). Fa scrittura principe, a Bologna, era dunque, quando il Petrarca vi giunse, la ben nota «littera bononiensis », che dovette divenirgli presto familiare alla lettura nei primi libri di testo che certamente egli si procurò sul posto. Ma la « bononiensis » era la scrittura dei codici, non quella usuale; era la scrittura che gli studenti, nella maggior parte dei casi, apprendevano a leggere, ma non a scrivere; era la scrittura, potremmo dire con ardito anacronismo, della tipografia universitaria, non quella, perciò, adoperata giorno per giorno dalle persone che nello Studio e per lo Studio vivevano ed operavano. L,a massa degli studenti, infatti, nel prendere gli appunti delle lezioni recitate « ex cathedra », avrà adoperato la corsiva usuale appresa nell’infanzia, mentre i pro­ fessori, per stendere le minute delle loro opere o per postillare, nel chiuso dello studio, i codici nuovi e antichi dei testi preferiti, avranno fatto ricorso alle niille varietà personali di quella « scrittura dei dotti », di­ versa eppure individuabile, di cui si è già parlato. Dall’Italia eccoci alla Francia, anzi alla cosmopolita Avignone, da poco divenuta capitale della Cristianità. Qui si incontravano e si me­ scolavano tradizioni diverse e operavano fianco a fianco ecclesiastici f1) F il sistem a cosiddetto della « pecia », p er il quale ci lim itiam o a rin ­ viare a C encetti, L ineam enti, pp. 45-8 e al recen te saggio d i F in k -E rre ra, Une institution du monde médiéval: la « pecia ». (2) Cf. p er q u esto O rlandelii, I l libro a Bologna, pp. 36-7; per im a d in a stia fam iliare d i scribi, cf. ibid. n. 129, p. 67.

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francesi educati a Parigi e cardinali romani portatori di antiche e nuove tendenze classicheggiarìti; notai toscani e scribi di curia provenzali; maestri laici e teologi degli ordini mendicanti; artisti spagnoli e nordici, insieme con pittori e miniatori di Toscana e di Lombardia (*). Come bene osserva il Castelnuovo, «la singolare condizione della corte papale che andava allora rapidamente sviluppandosi e rinnovandosi, abban­ donando schemi organizzativi tipicamente medievali per sostituirli con altri francamente nuovi, il rapporto costante che correva tra essa e quella di Parigi per certi aspetti decisamente moderna, e d’altronde il vincolo strettissimo che continuava a legarla all’Italia, possono apparire elementi concomitanti all’insorgere di certi stimoli, di certi interessi...»(2). Tutto ciò aveva il suo riflesso in campo grafico, ove, proprio nel­ l’ambiente della curia pontificia, si affrontavano le corsive documentarie italiane e la nascente bastarda francese. Nella cancelleria di Giovanni X X II e di Benedetto X II sedevano fianco a fianco « scriptores » italiani e francesi (3), cosicché nei registri di questi pontefici è facile notare l’alternanza di tipi angolosi e trascurati con tipi più vicini alla tradi­ zione della minuscola cancelleresca (4); che, invece, dominava ancora negli originali, evidentemente vergati da scribi italiani o educati alla tradizione italiana (6). Ma l’Avignone papale della prima metà del Trecento non era sol­ tanto un centro di documentazione; era anche una capitale della cul­ tura europea, ove, al seguito del papa e dei cardinali, si adunavano dotti di ogni tendenza, che davano vita ad una varia e ricca attività intellettuale. Ivi si componevano opere di grande rilievo in campo let­ terario e filosofico (6); ivi si leggevano e si postillavano testi classici e (1) P e r u n q u ad ro d ’insiem e dell’A vignone papale, si v edano le pagine di M ollai, Les papes d’A vignon, pp. 301-11. (2) C astelnuovo, Un pittore, pp. 145-6. (3) Cf. B enoit X I I , Lettres C om m unes. . I l i , p p . r v i l l e p ix . (4) Cf. p er G iovanni X X I I il Reg. Y at. 109, ove a u n a p rim a p a rte (cc. l r163r) in m inuscola cancelleresca d i tip o ita lia n o segue u n a seconda p a rte (cc. 169rfine) in m inuscola corsiva p iù angolosa e c o n tra sta ta ; p er B en ed etto X I I il Reg. Y at. 131, ove a ll’In d ic e e alle cc. in iziali ( l r-19r) in b a s ta rd a angolosa, seguono diverse m a n i p iù o m eno rotondegg ian ti, che nelle cc. finali (78v-116r) cedono il cam po a u n a m inuscola a lta e s tre tta . (5) Cf. C encetti, L ineam enti, p . 231, B illanovich, T ra Dante, p p . 13-4, nonché Acta P ontificum , a cu ra d i G. B a tte lli, ta v v . 23, 24, 25. (6) B a sti ricordare la feconda produzione le tte ra ria d i Iaco p o Stefanesehi (cf. T av. X IX ) e d i P ierre B ersuire, p e r i q u a li c f. F ru g o n i, L a figura e l’opera del cardinale Iacopo Stefanesehi, e Sim one, I l R inascim ento francese, p p. 12-5; cf. iv i.

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moderni (*) ; ivi si veniva radunando una grande biblioteca, quella pon­ tificia, di vasto respiro internazionale (2), e molte altre minori, ma non meno notevoli, di singoli laici ed ecclesiastici di curia (3). La formazione e lo sviluppo di queste biblioteche comportava un vivace commercio librario (4), nonché la presenza « in loco » di amanuensi e di miniatori, che per la maggior parte dovevano essere francesi, più che italiani (6). Manca finora uno studio esauriente sulle caratteristiche paleografiche dei codici prodotti in questo periodo ad Avignone; ma penso si possa egualmente affermare che la scrittura adoperata nella maggior parte di essi era la gotica libraria francese del XIV secolo nelle sue diverse tipizzazioni, «littera de forma », cioè, e « littera parisiensis »; ambedue nelle forme, nel tratteggio, nell’aspetto generale assai diverse dalla «rotunda» italiana e dalla «bononiensis» in modo particolare. Se poi si volesse dir tutto, occorrerebbe anche aggiungere che quegli ecclesiastici di curia raccoglitori di libri e quei dotti laici che loro facevano corona adoperavano di sicuro nell’uso quotidiano ora la bastarda, ora la cancelleresca italiana, ora la gotichetta dei dotti: scrit­ tura, quest’ultima, che fioriva perciò sui margini di molti di quei codici che arricchivano i palazzi avignonesi, e che proprio ad Avignone qualcuno, come si vedrà più avanti, avrebbe portato ad un notevole livello d’eleganza. :jc % ijc

Il Petrarca (e) ricevette i primi insegnamenti e imparò a leggere e scrivere sicuramente fuori d’Italia, ove il padre si era trasferito nel pp. 9-24, u n qu ad ro com plessivo dell’am biente cu ltu rale e delle ten d en ze u m a­ n istiche nell’A vignone del T recento. Sullo stesso argom ento è u tile consultare an che B. fi. U llm an, Some aspects of thè origin of Ita lia n H um anism , in Studies, p p . 27-40, e D i Stefano, Ricerche, pp. 1-16. (!) T a n to p er fare u n esem pio, il vescovo d i C astres Amelio de L au tre c (f 1337) av ev a ra d u n a to u n a im p o rta n te biblioteca d i a u to ri classici: cf. B arré, Bibliothèques médiévales, pp. 331-41. (а) Cf. p er essa la m onum entale opera dell’E hrle, H istoria bibliothecae romanorum p o n tific u m ..., I , pp. 277-437 (inventario del 1369). (3) Cf. Eìhrle, H istoria, pp. 194-249; cf. anche Guidi, Inventari di libri, n n . 6, 9, 21, 24, 27, 32. (4) Cf. esem pi in Guidi, Inventari, nn. 21, 24, 30, 32, 34, 36, ecc. (б) Cf. p er la m in ia tu ra avignonese, L abande, Les m iniaturistes avignonais, s o p ra ttu tto pp. 223-5, 232-40, 290-7; cf. anche C astelnuovo, Un pittore, p . 153, n. 4. (6) P er le vicende biografiche del P etrarca , cui si fa rà riferim en to in questo capitolo, si rin v ia u n a v o lta p er tu tt e a W ilkins, V ita del Petrarca, p p . 13-330. Si

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1312 con tutta la famiglia. Ma ciononostante la sua istruzione elemen­ tare ebbe tono italiano, perché fra Avignone e Carpentras si era for­ mata in quegli anni una piccola colonia di toscani, molti dei quali esuli; e uno di essi, ser Convenevole da Prato, notaio grammatico e dotto, fu il primo maestro del precoce fanciullo e per quattro anni gli insegnò «aliquantulum grammatice, dialectice ac rhetorice quantum etas po­ tuit» (Ad posteros). Nel 1312 Petrarca aveva otto anni e forse sapeva già tracciare qualche lettera; ma certo fu ser Convenevole ad insegnargli compiutamente a scrivere, prima ancora di passare ad insegnargli il latino, secondo quanto lo stesso Petrarca ricorderà, ormai prossimo alla morte, scrivendone a Nuca de Penne: «fuit mihi pene ab infantia magi­ ster qui me primas litteras doceret; sub hoc postea grammaticam et rhetoricam audivi... » (Sen. XVI, 1). Quale fu, dunque, la prima scrittura che Petrarca imparò ad usare? Non conosciamo, purtroppo, autografi di ser Convenevole; ma sappiamo che era notaio e toscano; cosicché non andremo lontani dal vero af­ fermando che egli avrà sicuramente adoperato, insegnandola quindi all’allievo prediletto, la sua scrittura usuale e professionale insieme: la minuscola cancelleresca (x). Ma già in questi verdissimi anni il Petrarca aveva modo di com­ piere, almeno visivamente, altre esperienze grafiche: precoce studente, egli manifestò subito viva propensione per la lettura e per Cicerone in a v v e rte in o ltre che p er le racco lte e p isto la ri del P e tra rc a si fa rà riferim en to alle seguenti edizioni: Fam iliares: F . P e tra rc a , Le F am iliari, a c u ra d i V. Rossi e TJ. Bosco; Seniles: F. P e tra rc a e Opera, V enetiis 1503; Variae: F . P etrarca e Epistolae a cu ra d i G. F ra c a sse tti, I I I . P e r la d atazio n e delle singole lettere, si rim a n d a a W ilkins, Petrarch's Correspondence. (x) F r a q u esta anche la s c rittu ra a d o p e ra ta d a l n o n n o d el P etrarca , ser P arenzo dell’In cisa, e d a ser P etracco suo p ad re, come ab b iam o p o tu to con­ s ta ta re d all’esam e d i due d o cum enti d a loro ro g ati, o ra n ell’A rchivio d i S ta to di Firenze, che la cortesia del prof. R e n a to P ia tto li (il quale si riserv a di pubb licarn e il te sto n el Codice diplomatico petrarchesco) ci h a seg n alato e perm esso di consultare. I l prim o d i essi, d i m an o d i ser P arenzo, risale al 24 dicem bre del 1314 ed è conservato n el fondo D iplom atico, Cestello, a lla d ata; il secondo, d i m ano del p a d re del P e tra rc a e d a ta to 3 giugno 1297, è invece in serito n el voi. 30 dei C apitoli del Com une d i Firenze, cc. 150r-151r. F a corsiva d i ser P arenzo, p u r essendo, n ell’esem pio considerato, cronologicam ente p iù recente della s c rittu ra del figlio, app are anco ra duecentesca n ell’im p ian to ge­ nerale e n ella rigidezza spoglia, anche se ag g raziata, d el disegno; q uella d i ser P etracco, invece, ra p p re se n ta u n bell’esem pio d i elegante m inuscola cancel­ leresca, c a ra tte riz z a ta d ag li am pi occhielli orn am en tali, dalle aste desinenti « a chiodo » so tto il rigo, e dalla g con am p ia ansa sch iacciata e chiusa.

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particolare, che amava scorrere senza ancora intenderne il senso, at­ tratto dalla «verborum dulcedo quedam et sonoritas » (Sen. XVI, 1); e ciò avrà fatto su manoscritti posseduti da suo padre o dal maestro, forse venuti con loro dall’Italia e vergati in quella piccola, nervosa e chiara gotica toscana, così diversa dalle spigolose consorelle d'Oltralpe. Fra essi era forse già anche l’Isidoro parigino, al fanciullo donato dal padre «tempore pueritie », e cioè proprio in questi primi anni di studio (*). Poi, con il 1316, il gran salto dalla grammatica al diritto, da Carpentras a Montpellier. Petrarca vi giunse a dodici anni appena, ma con tale conoscenza del latino e tale già viva propensione alle lettere, da cominciare a raccogliere quanti più poteva libri di Cicerone e di poeti latini, la cui lettura valeva a distrarlo dal tedio dei testamenti e dei codicilli, dei contratti e dei formulari. In questi anni va collocato, per esplicita testimonianza del protagonista, l’episodio famoso del falò cui ser Petracco ebbe a votare la prima bibliotechina del figliolo, salvan­ done soltanto un Virgilio e un Cicerone: l’uno «solatium animi», l’altro « adminiculum civilis studii» (Sen. XVI, 1). Quei libri che Petrarca giovinetto acquistava e leggeva erano an­ tichi o moderni? Di mano francese o italiana? Nulla è possibile dire di ciò: ma è certo che allora egli non poteva e non voleva prestare atten­ zione ad altro che non fosse l’armonia del testo, il fascino della lingua; e la scrittura di quei suoi primi codici gli sarà appena rimasta impressa negli occhi della memoria. Nell’autunno del 1320 il Petrarca sedicenne si trasferì da Montpellier a Bologna, e, sia pure fra interruzioni e riprese, vi compì, sino all’aprile del 1326, quasi cinque corsi accademici di studi giuridici. In questi anni si accostò al diritto con maggior interesse e rispetto di quanto non avesse fatto a Montpellier, e conservò un vivo ricordo della dignità e della capaci­ tà dei professori, che gli richiamavano alla mente «iurisconsultos veteres » (Sen, X,2). Si può dunque facilmente immaginare che, attraverso la consultazione e lo studio, egli abbia preso via via dimestichezza anche con i manoscritti giuridici, con la loro scrittura e le loro particolarità grafiche, con il complesso sistema della glossa e con l’abitudine del commento marginale e interlineare; anche se si può escludere che abbia mai appreso a scrivere la « littera bononiensis ». Di questa vasta espe­ rienza, diretta e indiretta, non abbiamo esplicite testimonianze; ma dob­ biamo supporla, perchè soltanto la sua attiva presenza spiegherà alcuni atteggiamenti grafici del giovane Petrarca, altrimenti non giustificabili. f1) Cf. N olhac, Pétrarque, I I, p. 209.

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Ai primi mesi, anzi giorni, del 1325 appartiene la più antica testi­ monianza autografa del Petrarca giunta sino a noi, costituita dalla nota di acquisto e dalle glosse marginali apposte in un grosso codice del De civitate Dei di s. Agostino, acquistato ad Avignone nel febbraio di quell’anno, oggi n. 1490 della Biblioteca Universitaria di Padova (1). È questo il primo incunabolo della passione letteraria del Petrarca die noi possiamo avere sotto gli occhi e sfogliare. Ive brevi parole ner­ vosamente tracciate nei suoi margini, in una grafia rapida ma chiara, rese visibilissime dall’inchiostro nero e dal tratto deciso, sono le più antiche prove grafiche del grande letterato che ci sia dato conoscere. Egli non aveva ancora compiuto ventun anni quando acquistò il volume, e subito avrà cominciato a leggerlo e a postillarlo; ma non tutte le note appartengono a questa prima lettura, perchè una almeno reca una data di molto posteriore (1342) (2), e altre rivelano diversità di modulo e di inchiostro che le fanno assegnare a tempi diversi. Ciononostante, possiamo considerare come compresa in un arco di tempo piuttosto breve (qualche mese? un anno?) la grande maggioranza delle postille, che costituiscono perdo un complesso di grande valore per la conoscenza della scrittura giovanile di Petrarca. Il s. Agostino padovano è un codice di notevole mole, grande nel formato (3), massiccio nel peso, ricco di testo, del tipo, insomma, di quelli che sarebbero piaciuti anche al Petrarca maturo; ma, al contrario di questi, è vergato in una fitta, anche se non sgradevole, «littera parisiensis » ricca di abbreviazioni, pesante di tratteggio, piuttosto piccola di forme; è codice di notevole livello calligrafico, con accurata impagi­ nazione a due colonne, eleganti iniziali in rosso e turchino e maiuscole leggermente toccate di rosso. he numerose postille che Petrarca ha vergato nei suoi margini mostrano, come già fu notato dal Nolhac (4), un interesse meramente (x) P er il com puto cronologico ad o p e rato d al P e tra rc a n ella n o ta d i ac­ q u isto d i q uesto codice (della N a tiv ità e n o n d ell’In carn azio n e secondo lo stile fiorentino), cf. R . S abbadini, I I prim o nucleo, p . 373; cf. anche N olhac, Pétrarque, I I , pp. 195-8, e C alcaterra, Nella selva, p p . 398-9. (2) c. 32r ; cf. N olhac, Pétrarque, I I , p. 198. (3) m m . 322 X 222; cc. I I + 24 8 - f i . D esidero q u i rin g raziare p u b b lic a­ m en te la d irettrice della B iblioteca U n iv ersitaria d i P ad o v a, d o tt.s s a A ngela Z anini, che, p erm e tte n d o il trasfe rim en to del codice a R o m a presso la B iblioteca dell’A ccadem ia naz. dei Lincei e C orsiniana, m e n e h a agevolato la consultazione. (4) Pétrarque, I I , p. 197.

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erudito alle persone e ai fatti citati nel testo e vanno diminuendo di frequenza col passare dei fogli; in genere sono assai brevi e solo in pochi casi superano le due o tre righe. L,a scrittura, eseguita con penna a punta fine, è una rapida e nervosa minuscola corsiva di tipo notarile, di modulo piuttosto grande, spaziosa ma ricca di legamenti, dal trat­ teggio sottile ed uniforme. Caratteristiche appaiono la s finale a a in un tratto solo; la v iniziale col primo tratto più alto e spezzato in due curve sovrapposte; la g con ampia pancia aperta (ma a volte la curva in basso è più ridotta); i legamenti della b e della l (in questi casi munite di oc­ chiello) con la lettera precedente; i lunghi apici sulle i. Forme e tra t­ teggi che rientrano nel quadro ben noto della scrittura usuale di quel periodo, senza alcun tratto spiccatamente personale, che mostri parti­ colari propensioni grafiche (cf. Tav. I). Più interessante appare, forse, il sistema di annotazione: le postille sono collegate al testo in genere con segni costituiti da barrette oblique o orizzontali munite di puntini, o da cerchietti con lineetta orizzontale sulla destra; a volte il testo è fiancheggiato da più o meno brevi segni consistenti in linee alternativamente diritte o spezzate obliquamente, mentre alcune delle note più lunghe sono delimitate sui lati da irregolari serie di curve o di «graffes »; in un caso una mano con l’indice puntato, tracciata con notevole disinvoltura, unisce la nota al passo che si voleva porre in rilievo (l). Tutti questi elementi non rappresentano novità nel quadro delle abitudini scolastiche del primo Trecento; essi fanno parte del sistema di studio e di annotazione dei testi largamente diffuso nelle Università e nei circoli intellettuali. Numerosissimi sono i manoscritti sia italiani, sia francesi, universitari o di altra origine, che mostrano nei margini quei segni di richiamo o di sottolineatura, quelle mani, quelle lineette e quei puntolini che il Petrarca ventunenne adoperava con disinvoltura nel suo s. Agostino (2). Si tratta dunque in lui di un’abitudine scolastica contratta con tutta probabilità a Bologna, durante gli anni più intensi degli studi giuridici; abitudine che solo più tardi si andò modificando sotto l’influenza di modelli grafici di assai diversa natura. Altri codici furono certamente letti, postillati ed anche scritti dal Petrarca in quel primo periodo della sua formazione culturale, che, alt1) c. 51r. (2) Assai eloquente è a q uesto proposito il co n fro n to con le n o te m arginali ap poste in alcuni m a n o scritti d a R o b e rto d e’ B ardi, professore d i teologia a P arig i nel 1333-1335 e cancelliere della S orbona n el 1336, m o rto n el 1349, p er le q u ali cf. Pozzi, I l Vai. lai. 479 ed altri codici, figg. 1-15.

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l’incirca, possiamo far giungere sino al 1335, e cioè ai trentuno anni d’età. Furono, questi dal 1326 al 1335, dieci anni assai importanti per la formazione culturale e umana del giovane appena uscito dagli studi giuridici e ormai decisamente avviato alla lettere; furono gli anni del primo incontro con Laura; dell’ingresso nella famiglia del cardinale Giovanni Colonna; dall’inizio della carriera ecclesiastica; del viaggio in Francia e in Germania alla ricerca di codici classici; delle prime scoperte e dei primi lavori filologici. Nessun autografo di lui recante una esplicita data compresa in questo periodo ci è giunto; ma il confronto paleografico con la scrittura delle note del s. Agostino ed altri occasionali elementi hanno permesso di riconoscere e di riunire un gruppetto di codici sicuramente dal Pe­ trarca postillati o in parte scritti nel decennio 1326-1335. Primo fra essi è indubbiamente l’Isidoro di Parigi, cui si è già accennato, e che reca forse annotazioni anteriori perfino a quelle del s. Agostino; il giovane letterato, che aveva ricevuto il codice in dono dal padre nella fanciullezza, lo aveva annotato qua e là nei margini con osservazioni a volte piuttosto ampie. La scrittura adoperata in queste postille — che vanno distinte da altre posteriori, apposte dal Petrarca stesso in grafia notevolmente diversa (*) — è perfettanente corrispondente a quella del codice padovano del De civitate Dei', si tratta, infatti, della stessa rapida e nervosa minuscola corsiva, tracciata con penna a punta sottile, con lettere piuttosto grandi e numerosi le­ gamenti; identici anche l’ancora semplice sistema di inserimento nei margini delle glosse e di richiamo al testo, nonché i segni di varia natura e funzione e, soprattutto, quella certa aria di fretta e di disordine gio­ vanile che così chiaramente distingue le abitudini grafiche del Petrarca ventenne da quelle dello studioso maturo (cf. Tav. II). * %* Sono queste tutte caratteristiche che ritornano anche in altri mano­ scritti recentemente riconosciuti come petrarcheschi dalla critica mo­ derna. Di gran lunga il più importante fra tutti è il Livio Harleiano 2493 del British Museum di Londra, nel quale il giovane ma già esperto letterato diede al nascente umanesimo europeo la prima edizione critica (*) Cf. per esem pio cc. 10r, 10T, 12r, 22v, 83r, 85r, 88v, 110T, 113v, 118v 129r, 140r, 141T, 162r, 172v, 201v, 217r (ove com p leta il testo ): tu tt e n o te tra c c ia te in epoca posteriore al recupero del 1347.

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dei superstiti libri degli Ab Urbe condita (1). ria grande fatica filologica del Petrarca si compì in due fasi distinte e dovette svolgersi in diversi anni, per compiersi prima del 1330 (2). Egli dapprima riunì il testo della terza Decade, da lui posseduto, con una trascrizione della prima compiuta sotto il suo controllo e con la sua diretta partecipazione; quindi unì a queste due parti una trascrizione della quarta Decade, desunta da un codice di riandolfo Colonna proveniente da Cliartres, per colla­ zionare infine con altri testimoni il testo e annotarlo nei margini (3). ria scrittura delle varianti e delle annotazioni non è uniforme; ma le postille più antiche rivelano — come è stato già notato (4) — una forte rassomiglianza con la nervosa corsiva del s. Agostino e dell’Isidoro, che si estende anche ai segni di richiamo e a quelli di paragrafo. Nel suo complesso, però, il « corpus » di annotazioni del riivio Harleiano mostra un’esperienza scolastica e grafica più matura ed articolata rispetto agli esempi precedenti, e un più ampio repertorio di segni e di simboli, fra i quali compaiono per la prima volta in modo sistematico le «graffes» e un ancora schematico monogramma per «Nota ». Alcune delle po­ stille, evidentemente di poco posteriori alle altre, sono vergate in una scrittura ferma ed elegante, di tratteggio largo, caratterizzata da piccole lettere staccate e da leggeri filetti in cima alle aste alte: quasi una libraria, dunque? Per quanto riguarda la scrittura libraria del Petrarca, il riivio Harleiano ci riserba però ben più ampie sorprese: fra le sue non omoge­ nee carte l’occhio acuto dello scopritore ha infatti nel testo stesso di­ vinato la mano del giovane letterato e filologo, il quale non disdegnò di completare in diversi punti, ed anche per lunghi tratti, le vari parti del riivio, con una scrittura già di sicura eleganza e di tono personale. Gli autografi del giovane Petrarca finora noti escludevano ogni esempio di scrittura libraria, anche se, a ben guardare nel margine in­ feriore di una carta dell’Isidoro parigino (s), una citazione di Ovidio disposta su tre righe e vergata in una grande gotica di incerto allinea­ mento, potrebbe rivelare un primo tentativo librario, eseguito con atten­ zione e con sforzo (a volte il tratteggio delle lettere è ripreso) da una mano P) I l codice, com ’è ben noto, fu identificato e s tu d ia to d a G iuseppe B illano­ vich: Petrarch, p p . 137-208; cf. anche dello stesso D al L ivio di Raterio, p p . 103-78. (2) Cf. B illanovich, Petrarch, pp. 204-5. (2) I l procedim ento è chiaram en te riassu n to d al B illanovich in D al Livio d i Raterio, p p . 140-1. (4) B illanovich, Petrarch, p. 193, ta v v . 35 e 37. (5) c. 581'.

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àncora giovanile (cf. Tav. III). Ma nel Livio non si tratta più di annotazio­ ni di postille, di singole parole o di poche righe: si tratta di fogli e fogli (cc. 65v'92r, 213rv, 220r-v) riempiti con regolarità da una minuta, fitta ed elegante minuscola libraria disposta canonicamente su due colonne. Come, non pensare a quel passo di una lettera del 1352 diretta a Lapo da Castiglionchio, in cui il Petrarca ricorda di avere da giovane spesso copiato codici per sè? (x) Si tratta di una indicazione indubbiamente assai vaga, e non di una prova diretta; ma è un’indicazione che rivela come da giovane il Petrarca, oltre alla penna a punta sottile, adope­ rasse anche quella a punta mozza degli scribi di professione. Oltre alla corsiva usuale, dunque, anche una scrittura libraria ben altrimenti im­ pegnativa dal punto di vista calligrafico. Va identificata questa scrittura con l’elegante gotichetta del Livio Harleiano? Ecco un problema che il paleografo affronta con trepida­ zione, privo come rimane di probanti termini di confronto; nessun rapporto, infatti, collega la corsiva delle note giovanili con questa ferma e chiara libraria: com’è possibile dunque attribuirla al Petrarca? La prova dell’autografia ci è fornita proprio dalle postille, che la critica filologica ha dimostrato essere sicuramente del giovane letterato: di esse alcune in scrittura più ferma e posata (cui si è già accennato) (2) appaiono quasi identiche, nel gusto e nel tratteggio, alla gotichetta del testo; le lievi differenze di modulo e l’apparizione di questa o quella lettera di un d u c t u s corsiveggiante vanno interpretate come i naturali cambiamenti apportati dalla medesima mano alla sua stessa scrittura nel passaggio del testo alle postille marginali: anche questa un’abitudine di scuola. Siamo dunque di fronte alla prima prova calligrafica del Petrarca, alla sua prima scrittura libraria: quali ne sono le caratteristiche? È una piccola gotica uniforme, piuttosto bassa e larga, caratterizzata dal tratteggio marcato e dalla estrema limitatezza delle aste; la sua grazia è tutta nella regolarità, nella minuzia del modulo, nell’uso parco, ma effi­ cace, di apici e di filetti, e soprattutto nella limpidezza e chiarezza dell’in­ sieme, ottenute con un appena visibile distacco fra lettera e lettera. Delle particolarità minori ricorderemo la g, sempre chiusa e a volte arricchita di una sottile codina volta in basso; la s finale di tipo maiu(1) P asso già p osto in rilievo d al Billanovich, Petrarch, p. 146, n o ta 3. (2) Cf., ad esempio, cc. 68r, 69r, 84r. P e r u n confronto fra la s c rittu ra del te sto a ttrib u ita al P e tra rc a e quella delle note, c f. anche B illanovich, Petrarch, p. 145, n o ta 2.

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scolo, ma aperta e di forma serpeggiante; la h bassa e con ampia ansa; la d di tipo minuscolo, adoperata promiscuamente con quella di tipo onciale, senza alcun rispetto della nota legge del Meyer; la lineetta orizzontale del segno abbreviativo, che invece di tagliare le cortissime aste della p e della q si limita a sfiorarle. Fra le lettere maiuscole, proprie dell’alfabeto gotico, si notino la A alta e stretta, di tipo vaga­ mente onciale, ora con l’ansa piccola e chiusa, ora invece aperta e ripiegata; la E, anch’essa stretta e di tipo onciale; la larghissima H; e, infine, l’uso abbondante di filetti ornamentali singoli o doppi (cf. Tav. IV). Assai proficuo risulta lo studio del sistema abbreviativo adoperato dal Petrarca in questa sua prima prova calligrafica : che è, nella sostanza, il sistema abbreviativo proprio degli scribi del suo tempo, basato sui due fondamentali principi della contrazione e del troncamento e su un vasto repertorio di segni, di simboli, di formule reso tradizionale dal­ l’uso secolare. Ma in tale sistema il Petrarca inserì numerosi elementi nuovi, dovuti in parte alla sua inesperienza, in parte all’influenza degli esemplari di tradizione carolina, che aveva sotto gli occhi. Nel metodo di abbreviazione adoperato nelle parti autografe del bivio Harleiano si notano, infatti, una certa tendenza ad abusare delle letterine sopraO

e

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scritte (cf. per es. cdo per credo, magis per magistro, .pr. o pr per pretor, ecc.), nonché una certa oscillazione nella scelta dell’abbreviazione propria a ciascun vocabolo o del segno proprio a ciascun tipo di abbreviazione, che finiscono per generare confusione (cf. per es. poq e pq) per postquam e l’uso di due diversi segni -> e — per indicare l’assenza di una r). Ma l’aspetto più notevole del sistema abbreviativo petrarchesco è costituito in questo codice dall’uso sistematico di un gran numero di sigle o di troncamenti per tutte le parole che nel testo indichino titoli o cariche, nonché per i prenomi dei personaggi citati. Particolarmente interessanti appaiono la abbreviazioni per « cónsul » (COS), «cónsules» (COSS o CONSS), «populus romanus » (.P R ., con 00

letterine soprascritte a indicare le desinenze dei vari casi: .P R ., mm

m

m

.R P ., ecc.: ma anche PO P .R ., .PO .RO ., ecc.), «senatus consulto» to

___

___

.

_____

(.SC.), «tribunus militis » (.TR. MR.), «tribunus plebis » (.TR. PR., ma anche tb ’ . pi .), che, insieme con le sigle adoperate per indicare i prenomi, sono scritte sempre in lettere capitali e potrebbero, anche per

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questo, apparire esemplate direttamente dalla tradizione abbrevia­ tiva propria dell’epigrafia latina classica. Ma il giovane Petrarca non fu un Ciriaco d’Ancona o un Mantegna «ante litteram»; le sigle di lontana ascendenza romana che egli adopera così largamente (e a volte impro­ priamente) con l'entusiasmo proprio del neofita, giungevano a lui non già dalle lapidi del I e II secolo, ma, con ogni probabilità, dai codici di tarda grafia carolina adoperati come esemplari nell’opera di trascri­ zione: come dimostra la più antica sezione (cc. 93r-219v) dello stesso bivio Harleiano, in cui abbondano analoghe abbreviazioni di tipo epigrafico, espresse in lettere capitali dello stesso stile di quelle petrarchesche. È), questa del giovane Petrarca, una tipizzazione nuova della gotica del suo tempo ? Oppure può agevolmente collocarsi nel complesso quadro delle scritture librarie del primo Trecento? Un primo confronto è pos­ sibile già nel codice stesso del bivio, ove ben tre copisti al servizio del precoce filologo furono impiegati a copiare altre parti degli Ab Urbe condita (1); ma è un confronto negativo, perchè la elegante e minuta libraria del Petrarca mostra di non avere alcun rapporto con le pesanti gotiche di tipo scolastico (italiano o francese) degli amanuensi di pro­ fessione (2). Occorrerà dunque cercare altri elementi di paragone lon­ tano dall’Avignone papale, dove pure il codice fu composto; e li tro­ veremo in Italia, nella regione d’origine del poeta e del suo primo am­ biente culturale. Abbiamo già avuto occasione di accennare alle particolari carat­ teristiche formali della gotica toscana degli inizi del XIV secolo: piccola di modulo, ricca di svolazzi, di filetti, di codine ornamentali, essa mostra chiaramente la sua discendenza dagli antichi modelli carolini e un non mai interrotto rapporto con la minuscola cancelleresca. Fra tutte le scritture librarie che il giovane Petrarca aveva potuto conoscere, questa si rivela come la più vicina alla gotichetta del bivio Harleiano, sia nei caratteri generali, sia in quelli particolari; senza che con ciò si voglia negare la già notevole càpacità individualizzante della mano del Pe­ trarca, e, anche, la diretta influenza del modello (già gotico, però, più (1) P e r la distribuzione delle diverse m an i nel codice, cf. B illanovich, Petrarch, pp. 203-5. (2) P e r le sc rittu re dei copisti del codice, cf. B illanovic, Petrarch, ta v . 31; T he N ew P alaeographical Society, Facsím iles o f ancients m anuscripts, I I , ta v v . 104, 105, 130.

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che tardo-carolino) fi) che egli aveva sotto gli occhi nello stesso mano­ scritto che veniva completando. Tuttavia l’esperienza di codici in scrittura di tipo carolino doveva intorno al 1330 essere già vasta nel Petrarca ventiseienne. Intorno a quell’anno, ad esempio, egli postillò parte di un manoscritto italiano del X secolo, contenente una raccolta di opere di retori latini minori, ac­ costati ad un Cicerone, che, più degli altri testi, aveva attirato l’atten­ zione del giovane letterato (2). ha scrittura di queste postille è notevol­ mente diversa da quella solita ai codici da lui letti qualche anno avanti: è una minuscola posata di tipo gotico e di modulo minuto, assai vicina a quella del testo — e di una parte delle note — del Livio Harleiano. Siamo, dunque, ben lontani dalla disordinata corsiva dell’Isidoro o del s. Agostino; la ricerca di un tipo ideale di eleganza grafica ha avuto forse già inizio sullo scrittoio del letterato non ancora trentenne. Il quale, nel 1333, compì un libero viaggio di istruzione in Francia e in Germania, nel corso del quale visitò numerose città e rovistò parecchie biblioteche. A Liegi scoprì e copiò due orazioni di Cicerone: ancora incontri e contatti, dunque, di sapore già umanistico, con antichi codici in minuscola carolina. * ❖ * Densi di esperienze culturali nuove e di testimonianze grafiche di notevole impegno furono gli anni immediatamente successivi, all’inizio dei quali il Petrarca tracciò un primo bilancio del suo panorama cul­ turale in un elenco delle opere giudicate decisive per la sua formazione di autodidatta ; ove quei « Libri mei » non rappresentano un inventario di biblioteca, ma le tappe di un ideale itinerario spirituale perseguito in dieci anni di studio indefesso (3). fi) P er la s c rittu ra del ms. H arleiano, cf. B illanovich, Petrarch, ta v . 32a. fi) Codice o ra nella B iblioteca p riv a ta B odm er d i Coligny-G inevra, id en ­ tific ato nel 1960 d a G iuseppe B illanovich: I l Petrarca e i retori latini, p p . 103-164. P e r la datazio n e delle postille petrarch esch e e p er le loro c a ratte ristic h e g ra­ fiche, cf. ibid., pp. 123-8 e ta v v . V I, V II, V i l i . fi) E lenco fam oso e rip e tu ta m e n te stu d ia to : cf. Delisle, Notice sur un livre; S abbadini, I l prim o nucleo, pp. 369-88; F o resti, Le letture del Petrarca p rim a del 1337, in Aneddoti, pp. 45-52; U llm an, Petrarch’s favorite hooks, in Studies, pp. 117-37; B illanovich, Petrarch, pp. 191-9.

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L a sc rittu ra di F rancesco P e tra rc a

1/elenco stesso fu tracciato in minuscola cancelleresca su un foglio di guardia di quel Cassiodoro Par. lat. 2201, che si raccomanda alla nostra attenzione per altre, notevolissime prove della mano petrar­ chesca: ivi, infatti, si legge all’inizio (cc. l r_v) una lunga preghiera datata 1° giugno 1335, scritta in una minuscola libraria che già non può dirsi più gotica, anche se della gotica conserva il tratteggio marcato; di modulo piccolo, ordinata, armoniosa, semplice e priva di svolazzi, questa scrittura rappresenta una fase di ricerca grafica notevolmente diversa dalla libraria del bivio Harleiano, soprattutto per le caratteri­ stiche influenze corsive evidenti nella g aperta, nella v iniziale, nella r, per lo slancio più pronunciato delle aste, per la maggiore ariosità^). In questi anni Petrarca attraversava un periodo di curiosità grafica e la sua mano era ancora docile ad ogni suggestione, come appare evidente in un altro testo da lui vergato nel 1338 nello stesso manoscritto (c. 2r) con una gotica di modulo grande, piuttosto rigida e diritta, tracciata in un certo sforzo: si tratta forse in questo caso della volenterosa imitazione di un modello calligrafico? (cf. Tav. V). Fra questi due termini cronologici, 1335 e 1338, si collocano vero­ similmente le numerose note che costellano le carte di questo Cassiodoro parigino, vergate tutte in una minuscola cancelleresca piccola, elegante, diritta, e disposte nei margini con scrupolosa regolarità ed evidente preoccupazione calligrafica (2); un atteggiamento, dunque, assai diverso da quello dell’annotatore del s. Agostino e dell’Isidoro, che si riflette anche nell’uso di segni di richiamo e di paragrafo meglio disegnati e spesso studiosamente ricercati (3) (cf. Tav. VI). I1) Cf. la riproduzione della c. l r in Delisle, Notice sur un lim e, ta v . I. (2) M olte delle n o te sono disposte a grappolo, a ltre n ell’in terlin eo (cf. per es. c. 24r); spesso sono tra c c ia te in corpo m o lto piccolo (cf. p er es. cc. 6r, 7v-8r). P u r risalendo t u t t e allo stesso periodo, queste n o te in m inuscola ca n ­ celleresca sono s ta te ce rtam e n te sc ritte in te m p i diversi, come d im o stran o le e v id e n ti differenze nel to n o deH’incliiostro e le aggiunte effettu ate ad alcune d i esse. A ltre n o te in qu esto tip o di sc rittu ra , e perciò a ttrib u ib ili allo stesso periodo, si scorgono su alcune cc. (cf. p er es. 35v, 36r) del P ar. la t. 6280 con­ te n e n te il T im eo d i P la to n e tr a d o tto in la tin o (cf. N olhac, Pétm rque, I I , pp. 141-3). V i sono, nello stesso codice, anche n o te p iù ta rd e (cf. p er es. c. 4V), d i cui u n a d a ta ta 1355 fu rip ro d o tta dal N olhac nella p rim a edizione del suo Pétmrque, ta v . I I b. (3) L a sc rittu ra delle n o te ed anche lo stile dei segni d i richiam o cam b ian o b ru scam en te d a c. 35v in poi, m o stra n d o ev id en ti analogie con la s c rittu ra e i segni ad o p erati d al P e tra rc a in e tà m a tu ra.

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La minuscola cancelleresca fu adoperata dal Petrarca fra il 1336 ed il 1337 per tracciare su alcuni fogli cartacei, ora conservati nel Vat. lat. 3196 (1), una prima silloge provvisoria dei suoi componimenti in volgare; si tratta di una scrittura a volte (cc. 16r-v) assai corrente e perciò poco significativa; spesso, invece (cf. soprattutto cc. 10r in fine e l l r), estremamente calligrafica, diritta, ricca di svolazzi, code, filetti ornamentali, che nel gusto rivela una certa imitazione di modelli can­ cellereschi. Un preciso, anche se minimo, elemento di confronto può metterci sulla strada di una non casuale corrispondenza: in questi fo­ gli (*) il Petrarca adopera una curiosa A maiuscola in un tratto solo

,

che compare anche nei registri delle lettere di Giovanni X X II (3). Che del resto il giovane letterato sentisse in quegli anni l'influenza grafica della cancelleria pontificia, è confermato anche dalla lunga annotazione apposta in data 21 marzo 1337 all’inizio del Par. lat. 1994, acquistato a Roma in quell’anno (4), vergata in una elegantissima minuscola can­ celleresca sensibilmente angolosa e dal chiaroscuro accentuato, tale, cioè, da richiamare alla mente altri esempi usciti dalla penna di esperti scrittori della cancelleria pontificia (s) : appartenenti, dunque, a quel­ l’ambiente curiale avignonese, con il quale il giovane Petrarca aveva ancora così stretti rapporti. Ma proprio all’inizio di quell’anno egli s’era allontanato da Avignone per visitare Roma; e a Roma sentì più vicino il richiamo del mondo classico, verso il quale già lo traevano l’immaginazione, gli studi, la letteraria ambizione; a Roma acquistò altri manoscritti (6); a Roma — con molta probabilità — maturò la risoluzione di abbandonare la let­ teratura volgare, destinata ad un pubblico che non sentiva degno: «intellexi tandem molli in limo et instabili arena perdi operam meque et

P) I l fam oso m an o scritto co n ten en te m in u te d i R im e e d i a ltr i com po­ n im e n ti del P e tra rc a , p er il quale cf. la riproduzione fo to tip ica in teg rale c u ra ta d a M anfredi P orena: I l codice Vaticano latino 3196. A gli an n i 1336-1337 risal­ gono le cc. 7-8, 9-10, 11r, 16: cf. W ilkins, Vita del Petrarca, p. 336. (2) M a anche nel Cassiodoro P a r. la t. 2201 già citato , cc. 4 r, 32v. (3) Cf. p e r esem pio A rchivio segreto V aticano, Reg. A ven. 2 (del 1316-1317) cc. 21v, 22v, 101v, e A ven. 43 (del 1332-1333), c. 362··. (4) R ip ro d o tta in N olhac, Facsimilés, ta v . IV , 1. (5) Cf. ad esem pio le « litterae solem ues» del 20 giugno 1332 em an a te ad A vignone d a G iovanni X X I I e rip ro d o tte in A cta pontificum , ta v . 23. (6) Cf. oltre, pp. 38-9.

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L a s c rittu ra di F rancesco P e tra rc a

laborem meum inter vulgi manus laceratum iri» (Sen. V,l), per dedi­ care tutte le sue forze ad opere redatte in latino, di intonazione erudita o epica. Tornato da Roma in Provenza nel corso di quel medesimo 1337, Francesco Petrarca abbandonò Avignone per ritirarsi sulle rive della Sorga, a Valchiusa, dove poteva dedicarsi in solitudine agli studi. Ivi riprese con maggiore intensità il colloquio con gli autori preferiti, lo studio dei manoscritti, la produzione letteraria; ivi trovò una nuova espressione grafica : la sua « scrittura di glossa ».

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II.

RA SCRITTURA DERRA GROSSA R’abitudine di annotare nei margini e negli interlinei i testi, al line di proporre correzioni, integrazioni, interpretazioni o confronti di singole parole e di interi brani, costituì una delle tante eredità che i dotti tardo-antichi trasmisero ai loro successori (J). Nel medioevo questa abitudine, estesa indifferentemente dagli autori classici a quelli giuridici, dalla Bibbia ai Padri della Chiesa, assunse le caratteristiche di un vero e proprio genere letterario, le cui prime manifestazioni organizzate si possono cogliere in epoca carolingia (2). Si trattava, certo, di un genere letterario riflesso, nel quale però la dottrina dell’erudito, l’acribìa del giurista, l’acume del filosofo avevano modo di dispiegarsi pienamente, tanto che esso fu ritenuto il mezzo migliore, anzi l’unico, per prendere possesso di un autore o per trasmetterne ad altri l’interpretazione. Sin dall’inizio, infatti, la glossa fu un genere letterario rivolto all’esterno, indirizzato ad un pubblico: ad un ceto ristretto di dotti, nel caso dei testi classici; ad un limitato numero di discepoli, nel caso dei tradi­ zionali testi scolastici; ad un vasto ambiente di ecclesiastici, quando si trattava dei Padri o della Bibbia; al mondo degli scolari e dei professori, per i testi dell’insegnamento universitario. Ra glossa era un genere letterario che, in un certo senso, condizio­ nava la produzione libraria, obbligandola ad adottare determinate regole e precisi schemi di impaginazione (3). Per assecondarne le particolari esi­ genze, nacque, infine, anche un particolare tipo di scrittura: la «notula» (4). Ra glossa aveva a disposizione nel codice uno spazio ristretto, co­ stituito dagli interlinei e dai margini di ciascuna carta; occorreva, (b Cf. p er questo N atale, M arginalia, pp. 617-23; sulle ca ra tte ristic h e paleografiche delle glosse tard o -an tich e , cf. C encetti, Lineam enti, p p . 75-6. (2) Cf. N atale, M arginalia, pp. 626-30. (3) Cf. p er q uesto N atale, M arginalia, pp. 615-6 e 622 n o ta 16. (4) O vverosia la « glossenschrift », la cui identificazione nei codici dei secoli I X - X I I è s ta ta opera di B e rn h a rd Bischofì: L a nomenclature des écritures livresques, p. 8 e fig. 2; cf. dello stesso Paldographie, coll. 41-2.

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L a sc rittu ra di F rancesco P e tra rc a

perciò, che la scrittura con la quale veniva vergata fosse di modulo ridotto, spesso minuto; e la diversità di modulo portò irresistibilmente anche a diversità di forme e a volte anche di tratteggio e di d u c t u s , a un altro tipo, insomma, di scrittura, anche quando — come spesso accadeva — la mano era una sola. Nacque così, già in epoca carolina, la «notula », caratterizzata dal tratteggio uniforme e sottile, dalle forme strette delle lettere, dallo slancio delle aste, da qualche elemento cor­ sivo (l): tutte caratteristiche che, già presenti in alcuni manoscritti turonensi del IX secolo (2), si vennero precisando meglio nel secolo se­ guente, per giungere fra X I e X II secolo ad una vera e propria tipiz­ zazione, i cui esempi sono così numerosi che risulta ben difficile fornirne una esauriente documentazione (3). All’interno del genere letterario costituito dalla glossa occorre di­ stinguere due diversi momenti. Il primo, che vorremmo dire originario, era costituito dalle annotazioni che ciascun dotto vergava privatamente sui margini dei manoscritti consultati a sussidio del suo lavoro. A volte si trattava di veri e propri « corpora » sistematicamente perseguiti lungo tutto il corso dell’opera; ma per lo più queste «postillae» avevano un carattere occasionale, che si rifletteva anche nel loro aspetto esteriore, poco accurato e caratterizzato da scritture usuali corsive o corsiveggianti. L ’altro momento era quello della glossa, entrata, per così dire, nel repertorio scolastico comune e perciò riprodotta in più esemplari per mano degù scribi di professione; essa è di solito tracciata secondo le regole e nel tipo di scrittura cui si accennava sopra. Graficamente, dunque, è più significativa dell’altra; culturalmente, ne costituisce sol­ tanto una fase secondaria. Sin dall’epoca carolingia è possibile osservare una netta diversità fra questi sue aspetti del genere. Se osserviamo, infatti, le note di Lupo di Ferrières, piccole, chiare, corsiveggianti (4), quelle analoghe ed eleganti (l) C aratteristich e enu n ciate d al Bisclioff nei saggi c ita ti n ella n o ta p re ­ cedente. (a) Cf. N atale, M arginalia, pp. 626-30. (3) I n q u e sta sede b a s te rà u n a su c cin ta esem plificazione d esu n ta d alla ra c ­ co lta d i E . C hâtelain, Paléographie, I , ta v v . X V II I, L X V II, L X X X I II , L X X X IV , L X X X V , XC; I I , ta v v . C X X V I, C X X X , C X X X IV , C L V II (ripr. t r a t t a dallo stesso codice d i cui alla fig. 8 d i Bischoff, Nomenclature), CLX . P er l ’uso di an n o tare i te s ti nei m a rg in i in epoca pre-gotica, cf. Lesne, H istorié de la propriété ecclésiastique, pp. 418-21. (4) U n elenco dei m a n o sc ritti con n o te d i L u p o d i F errières finora id e n ti­ ficati è in Pellegrin, Les m anuscrits de Loup, p p. 10-9. P er il sistem a d i an n o ta-

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del suo allievo Eirieo di Auxerre (*) e infine le postille di Raterio, estre­ mamente diverse da esempio ad esempio (ora in minuscola carolina piccola ed elegante, ora in una trascurata usuale, ora perfino in capitale rustica), spesso raccolte in irregolari cornici tracciate alla brava (2), dobbiamo concludere che nessuno dei dotti del IX e del X secolo ado­ perava la vera e propria « notula », la quale rimaneva, dunque, un tipo di scrittura usato unicamente dagli scribi professionisti. Tale divario grafico si accentuò e si precisò col tempo: nell’X I se­ colo nessun rapporto esiste, ad esempio, fra la disordinata e fitta mi­ nuscola di Ademaro di Chabannes (3) e i tipici esempi di filiforme scrit­ tura di glossa (assai vicina ai modelli della minuscola diplomatica) offerti da numerosi manoscritti dell’epoca, così come nel X III secolo la «inintelligibilis littera » di Tommaso d’Aquino e la trascurata gotichetta dei suoi colleghi universitari (4) non sono comparabili con gli esempi ancora numerosi di «notula» visibili nei margini dei codici coevi (s). zione di P upo, cf. ivi, pp. 20-1; 26-8; cf. anche M eagher, The Gellius, p p . 21-60, con esem pi, e Billanovich, D all’antica Ravenna, p p . 83-4. I l p iù am pio co r­ red o illu stra tiv o è in Beeson, L u p u s o f Ferrières. P) Cf. Barrow , Codex Vaticanus, pp. 97-8, ta v v . 15, 16, 18; B illanovich, D all’antica Ravenna, pp. 83-90, ta v v . I - I I I . (2) P er la s c rittu ra di glossa di R aterio , cf. Ongaro, Coltura e scuola calli­ grafica veronese, p. 72 e ta v . 1; Muzzioli, I l p iù antico codice, p p . 323-32; L eonardi, Raterio e M arziano Capella, pp. 73-152; B illanovich, D al L ivio di Raterio, p p. 112-3, ta v v . V -V II. (3) P er la tra s c u ra ta « n o tu la » di A dem aro di C habannes, cf. Delisle, Notice sur les m anuscrits originaux d ’A dém ar de Chabannes, in p artico lare ta v . I l i , e V azin, XJn nouveau m anuscrit (con ulteriore bibl.). (4) S ulla s c rittu ra d i s. T om m aso e su q uella dei suoi colleghi u n iv ersitari, p iù o m eno d iso rd in a ta e «inintelligibilis», cf. D estrez, Etudes critiques, p p. 183-4; e ora D ondaine, Secrétaires de Sa in t Thomas, pp. 23-24; su l sistem a e sui segni d i richiam o ad o p e rati o f a tti adoperare da s. T om m aso, cf. ib id ., ta v v . IV , IX , X X V I I I. Sulla s c rittu ra di s. T om m aso, cf. an co ra N atale, A p p u n to sulla inintelligibilis littera, in Ricerche paleografiche, pp. 71-5. (5) A tito lo esem plificativo b a s te rà rin v ia re a q u a ttr o codici ita lia n i e francesi del D uecento, co n ten en ti te s ti classici, recen tem en te esp o sti alla m o stra d an tesca di F irenze del 1965: cf. M ostra di codici e di edizioni dantesche, n n . 3, 7, 8, 9, t u t t i c a ra tte riz z a ti d a u n a m in u ta ed elegante s c rittu ra di glossa, a v o lte in c o rn icia ta d a eleganti disegni o rnam entali; lo stesso fenom eno si v e ri­ fica anche in m a n o scritti dello stesso secolo, an terio ri cioè alla d efinitiva c a ­ nonizzazione delle sc rittu re scolastiche e della glossa giu rid ica; cf. H erm a n n , D ìe italienischen H andschriften, 1, n. 14, ta v . IV e n. 32, ta v . X IX ; cf. anche S alatiele, A rs notane, I, pp. x x iv -s., ta v . I l i (ms. B. 1484 della B ib lio teca dell’A rchiginnasio di B ologna del 1242 circa). 3

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Ma col X III secolo la « notula » si esaurì come tipo autonomo di scrittura, mentre all’interno del genere letterario si veniva precisando una frattura, già matura da tempo, che avrebbe investito la sostanza stessa della glossa e, perciò stesso, anche il suo aspetto grafico e codicologico. ha glossa dei testi giuridici e teologici, infatti, si venne allora differenziando nella struttura e nei caratteri formali da quella lettera­ ria, per assumere l’aspetto di un vero e proprio commento continuo, pari, per importanza, se non addirittura superiore, al testo; mentre l’altra rimaneva in genere legata al suo carattere originario di sussidio illustrativo, di correzione formale e puntuale. Tale diversità era già evidente ai contemporanei, se l’autore di una biografia di Anastasio IV poteva distinguere fra una «glosatura » eseguita « per glosulas interli­ neantes marginalesque distincta », e un’altra, considerata superiore, « con­ tinuative producta » (*). Nei manoscritti giuridici la «notula » di tradizione carolina fu usata assai poco e soltanto nel X III secolo (3). In essi, che pure offrirono nel Trecento gli esempi più alti di composizione della glossa e di rapporto architettonico nella pagina fra testo ed apparato, fra le due scritture non vi fu più differenza di tipo, bensì soltanto di modulo: le gotiche scolastiche, affidate alla mano di abili, ma meccanici scribi, non am­ mettevano infatti deroghe dal canone rigidamente fissato ed universal­ mente accettato. Nell’ambito della glossa letteraria la gotica libraria non riuscì in­ vece ad uccidere del tutto una certa autonomia della scrittura di glossa; non si tratta più, certo, della tipizzata ed elegante « notula » carolina; ma molti scribi, ancora nel X III secolo, adoperano tipizzazioni diverse, eppure fra loro simili, di gotica, che, per modulo e d u c t u s , si di­ stinguono notevolmente dalla scrittura del testo (3). Continuava inoltre, e si potenziava anzi nel tempo, col diffondersi dell’insegnamento universitario, l’abitudine della glossa privata, ca­ suale, marginale ed interlineare. Era questo il regno dei dotti; ed ecco che, fra X III e XIV secolo, alle «litterae scholasticae » dei fitti com­ mentari al Corpus, alle piccole gotiche delle glosse letterarie, si vengono accompagnando, negli ultimi residui di margini rimasti vuoti, ancora altre postille, vergate nella internazionale gotichetta usuale dei dotti. P) Cf. Vita A nastasii papae I V , I I I , p. 440. P) Cf. sopra, p. 33, n o ta 5. (3) Cf. sopra, p. 33, n o ta 5.

in M u rato ri, Rer. Italie. Scriptores,

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Sostanzialmente identico, sia nel mondo del diritto, sia in quello delle lettere e delle « artes », diverso nei particolari da persona a persona, questo tipo di scrittura — recentemente definita « scriptura notularis » (2) — costituisce la nuova « notula » dell’epoca gotica. Ma all’inizio del Trecento un gruppo di umanisti italiani ne mutò profondamente le forme, l’aspetto, la funzione stessa: fra essi, maggiore di tutti, il Petrarca. ^ ^ ^ In Italia, tra la fine del Duecento e i primi decenni del Trecento, il clima culturale si venne, ove più lentamente, ove più rapidamente, mutando; l’orizzonte mentale dell’uomo dotto, dell’intellettuale, direm­ mo oggi, si allargava via via ad un repertorio di « auctores » che l’orga­ nica architettura della Scolastica non aveva consentito di conoscere alle generazioni precedenti; si risvegliava un interesse precipuo verso il mondo classico in tutti i suoi aspetti; si iniziava sistemativamente la ricerca di testimonianze indirette e dirette della cultura antica, dai manoscritti alle iscrizioni; se ne imitavano le lingua, lo stile, i generi letterari, il mondo fantastico; e ciò anche se in pochi si faceva chiara la coscienza del distacco e perciò l’esigenza di un rinnovamento di fondo. Tutte queste tendenze vennero interpretate e rese attive da una composita categoria di letterati, fatta di grammatici e di notai, di eccle­ siastici minori e di amministratori comunali, i quali tutti vantavano, come unico denominatore comune, una precisa specializzazione let­ teraria e, perciò stesso, il rifiuto della cultura universalistica del canone universitario. Essi apparivano generalmente indifferenti alla logica e alle scienze naturali, al diritto, alla teologia, alle matematiche, almeno tanto quanto erano invece attenti ai problemi della lingua e dello stile, della interpretazione dei classici e dell’erudizione antiquaria: unica de­ roga consentita a questo esclusivo mestiere delle lettere era in loro il vagheggiamento di un ideale ordinamento politico della società comunale; sentimento anch’esso prevalentemente retorico e orientato più verso l’imitazione dei modelli oratori antichi che non verso un’azione suscet­ tibile di sviluppi concreti. Zone di elezione di questo nuovo genere di cultura furono il Veneto e la Toscana; quindi anche la Dombardia e l’Emilia. I nomi dei suoi maggiori rappresentanti sono ben noti: Lovato Dovati, Albertino (l) D ieftinck, P our une nomenclature, pp. 18-9.

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Mussato, Ferrato Ferretti, Benzo d’Alessandria, Giovanni d’Andrea, e poi Guglielmo da Pastrengo, Lapo da Castiglionchio, Zanobi da Strada; ma con questi ultimi si entra già nel mondo del Petrarca. L'uso della glossa letteraria fu ereditato anche da costoro, che si usa chiamare i preumanisti; ma la « scriptura notularis » da loro adoperata non doveva nella maggior parte dei casi differire gran che dalla « scrittura dei dotti », propria dei rappresentanti ecclesiastici è laici della cultura tradizionale; infatti, la composita origine, intellettuale e sociale, dei campioni di tale nuova categoria di dilettanti delle lettere, finiva per imporre loro, in un certo senso e per un lungo periodo, l’uso dei tipi di scrittura propri agli ambienti scolastici, notarili, ammini­ strativi, ecclesiastici, dai quali ciascuno di loro proveniva; talché (a prescindere dall’unica e ancora poco conosciuta eccezione rappresentata da Lovato Lovati) (1), nessuna sostanziale novità grafica poteva sca­ turire dalla prima generazione dei pionieri dell’umanesimo. Basti, per sincerarsene, confrontare (è un esempio fra i tanti possibili) la scrittura delle note marginali apposte da Giovanni Mansionario all’autografo della sua Historia Imperialis (2), con quelle che il filosofo domenicano Remigio dei Girolami vergava sui margini dei suoi trattati (3) : due corsiveggianti gotichette personali, che rientrano nel quadro composito, ma sostan­ zialmente uniforme, delle «scritture dei dotti ». E il confronto, volendo, potrebbe essere esteso anche al di là delle Alpi, dove analoga agli esempi italiani appare la scrittura adoperata per glosse e aggiunte dallo storico e inquisitore domenicano Bernard Gui, la cui mano, naturalmente, ri­ vela a colpo d’occhio l’educazione francese (4). P) Secondo q u a n to afferm a G iuseppe B illanovich, e sem b ra conferm are u n a piccola riproduzione d a lu i p u b b lic a ta (I p rim i u m anisti, p p . 19-20 e t a v . I), L o v ato dei L o v ati sarebbe s ta to il prim o le tte ra to ita lia n o a te n ta re u n a d ire tta im itazione della m inuscola carolina, in co n tra sto con l ’o rm ai diffuso g u sto gotico: M a q uesto isolato te n ta tiv o — rim a sto senza p ra tic h e conseguenze — n o n può m u ta re il p an o ra m a grafico d ell'am b ien te p reu m an istico . (2) B iblioteca A postolica V aticana, m s. Chigiano I . V II. 259, sco p erto d a A ugusto C am pana e segnalato p er la p rim a v o lta d a R o b e rt W eiss, L in ea ­ m enti per una storia, pp. 151, 196. Iv i la s c rittu r a delle ag g iu n te o an n o tazio n i m arginali, m in u ta, d i tra tte g g io uniform e e con le tte re staccate, ap p a re in n e tto co n tra sto con la g o tica del testo; p esan te d i tr a tto , grande, d ir itta e co m p atta. (3) Cf. esem pi in C apitani, L ’incom phito « Tractatus de iu stitia », p p . 91-134, ta v v . I l i , IV , V. (4) Cf. Delisle, Notice sur les m anuscrits de Bernard Gui, pp. 169-455; cf. in p artico la re ta v v . IV e V.

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Anche Avignone, da un punto di vista geografico, apparteneva alla Francia; ma già abbiamo avuto modo di accennare al tono cosmopo­ lita dell’ambiente culturale di quella singolare città, e al carattere pre­ valentemente italiano impresso alla curia pontificia da un folto gruppo di immigrati toscani e romani, ecclesiastici, artisti e notai. Vi appar­ tenevano anche il padre e il maestro del Petrarca, nonché i suoi primi amici e protettori: Landolfo e Giovanni Colonna e ser Simone della Tenca; fra loro erano anche il romano Giovanni Cavallini, Bartolomeo Papazurri, Ildebrandino Conti. Di due fra i più interessanti membri di questo cenacolo avignonese conosciamo la «scriptura notularis »: Simone della Tenca e Landolfo Colonna. Ed è, in ambedue i casi, una scrittura assai singolare, che si distacca dal tipo di scrittura di glossa comune nei manoscritti letterali dell’epoca, per doti tutte sue di chiarezza e di eleganza. Fra le due, quella che conosciamo meglio è la mano di Landolfo Colonna; l’altra (x) serve soltanto a dimostrare che il fenomeno non si limitava ad un caso isolato di scrittura personale. Landolfo, canonico di Chartres, bibliofilo e scrittore (2), adoperava, come tutti gli uomini di cultura del suo tempo, due diverse scritture: una minuscola corsiva di tipo cancelleresco, piccola di modulo, bassa di forme, di andamento diritto, caratterizzata dagli ampi occhielli delle lettere alte, e anche, sotto il rigo, delle aste raddoppiate di g, p, q\ e una minuscola posata per le glosse, anch’essa minuta e regolare, di tratteggio sottile e uniforme, con aste ora più basse, ora slanciate, priva di ele­ menti corsivi, con qualche filetto ornamentale in cima alle aste alte (cf. Tav. VII) (3). Ciò che più colpisce in tale scrittura è l’impressione ge­ nerale di armonia, di sobria eleganza, di accuratezza raffinata; doti, que­ ste, che si riflettono anche nella disposizione delle singole postille, nella P) Id e n tific a ta d al B illanovich, D al L ivio di Raterio, p p . 145-8 e ta v . X I, 4-7; si t r a t t a di u n a s c rittu ra di glossa di m odulo piccolo, tra tte g g io so ttile ed uniform e, aste a lte desinenti qualche v o lta a forcella, le tte re sta cc ate ; le n o te sono o rd in a ta m e n te disposte nei m argini su righe d i ug u ale lunghezza, tra n n e T ultim a, v o lu ta m e n te la sciata p iù breve. U n anonim o esem pio coevo d i an aloga s c rittu ra di. glossa si h a nel m s. A rsenal 979, d el 1305 (cf. Catalogue des m anuscrits en écrìture latine, I, ta v . X X V I I I, I). (2) P er il Colonna, cf. B illanovich, Petrarch, p p. 153-8 e passim ; Id ., D al L ivio di Raterio, pp. 141-3 e passim , nonché gli a ltri saggi c ita ti n ella n o ta seguente. (3) R ip ro d u zio n i delle sc rittu re del Colonna in B illanovich, Petrarch, ta v v . 33, 34, 35a; Id .; Gli um anisti e le cronache medievali, p p. 103-37, ta v v . X IV e X V , 1; Pellegrin, U n m anuscrit de J u stin , p p . 241-9, ta v . X I 1,2.

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loro armonia interna, nell’uso di particolari segni di richiamo o di nota. Vastissimo è il repertorio di questi ultimi, per i quali Landolfo ricorre ampiamente alla tradizione carolina, desumendone anche un particolare monogramma di « nota » (1) e l’uso di lettere dell’alfabeto come ri­ chiami (2); mentre gentile manifestazione del suo gusto di calligrafo artista sono quegli enigmatici volti di uomini barbuti o di regnanti incoronati, che, visti di profilo o di faccia, servono qua e là di visibi­ lissimi richiami. Si sviluppa, dunque, ad Avignone, nei primi anni del Trecento, un nuovo stile di «glosatura » letteraria, che fece proprie le qualità es­ senziali della «notula » carolina, trasferite, com’è naturale, nell’«humus » grafica dell’epoca, che era ·— occorre ricordarlo — profondamente go­ tica. Con tutti i suoi limiti, la elegante glossa dei dotti avignonesi do­ vette costituire una grossa novità; e primo ad accorgersene fu, ancora una volta, il giovane Petrarca. * * * La storia dei rapporti diretti di Francesco Petrarca con Landolfo Colonna ci è stata narrata, una volta per tutte, da Giuseppe Billanovich (3); e fu una storia svoltasi interamente, nell’arco di due soli anni, intorno alla prodigiosa edizione di Livio. Ma fra i due vi furono anche dei rapporti indiretti, risoltisi, quasi dieci anni più tardi, in un muto colloquio fatto di letture e di meditazioni. A Roma, nel 1337, il Petrarca acquistò infatti due manoscritti provenienti dalla biblioteca del Colonna, gli attuali Par. lat. 1617 e 2540: due manoscritti poco significativi dal punto di vista del contenuto (si tratta di miscellanee patristiche e di autori ecclesiastici) e ancor meno dal punto di vista esterno (4); ma ambedue annotati nei margini dalla mano elegante del primo possessore. Del Colonna il Petrarca assimilò soltanto allora, attraverso lo studio e la lettura, l’insegnamento grafico, rimodellando la sua glossa sull’esemP) O ltre il consueto « N o. », che pu re d iseg n av a con innegabile e personale eleganza d i form e (cf. P ellegrin, U n m anuscrit de J u stin , ta v . X I, 1,2), il Colonna adoperò nel L ivio P ar. la t. 5690, che costituisce la p iù v a s ta an to lo g ia d i suoi autografi, anche u n a sigla N d i tip o v ag a m e n te onciale e u n m o n o g ram m a « N O T A » p iu tto sto im p e rfe tto (m unito d i du e O, m a senza la A ), assai diverso d a quello che sa rà adoperato d a l P etrarca . (2) Cf. il Livio P a r, la t. 5690, c. 55T. (3) Cf. i saggi c ita ti alle n o te n. 2 e n. 3 d i p . 37. (4) Cf. p er essi N olhac, Pétm rque, I I , p p. 207-8.

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pio di quella, assai suggestiva nella sua eleganza, del vecchio canonico. Dei due manoscritti parigini soltanto il primo (il 1617, cioè) reca, nel regolare succedersi delle due mani, testimonianza di quel muto ma­ gistero; ma la prova non è per questo meno evidente. Da somiglianza delle due grafie è anzi così forte, che a volte si fa fatica a distinguerle l’una dall'altra e si è costretti ad assumere come criterio discriminante non tanto la morfologia delle lettere o il tratteggio, quanto piuttosto l'uso di determinati segni di richiamo, di paragrafo, di nota. A Roma, in quello stesso anno 1337, il Petrarca acquistò anche un altro manoscritto, proveniente dalla biblioteca monastica di S. Gre­ gorio al Celio: l’attuale Par. lat. 1994: uno splendido codice in caro­ lina italiana dell’X I secolo contenente le Enarrationes in Psalmos del suo prediletto s. Agostino, sulla cui carta di guardia iniziale vergò, subito dopo l’acquisto, quella meditazione religiosa in elegante corsiva cancelleresca cui già si è accennato (1). Ma ben più importanti per noi sono le numerose note sparse sui margini del codice nello stesso periodo (l’inchiostro corrisponde nel colore a quello del testo in corsiva), tut­ te (2) in una piccola minuscola posata, assolutamente identica a quella delle postille del Par. lat. 1617 (cf. Tav. V ili). Da « scriptura notularis » del Petrarca appare dunque prima del 1340 già sostanzialmente tipizzata da alcune delle caratteristiche fon­ damentali che le saranno proprie nei decenni futuri: è una minuscola, come dicevamo, posata, piccola ed elegante, di tratteggio uniforme, di forme alte e slanciate, che all’eleganza dell’aspetto unisce la grazia dei segni di paragrafo, la disposizione accurata nei margini e la preziosa architettura «a grappolo », che si affaccia in qualche caso (s).

Quelli che abbiamo fin qui esaminati sono soltanto i primi esempi di un genere di scrittura che il Petrarca avrebbe col tempo gradualmente perfezionato e il cui massimo e più noto monumento è costituito dal Virgilio Ambrosiano. Da storia esterna di questo famoso codice è ormai ben nota (4); di quella interna, più mossa e affascinante dell’altra, ci (1) Cf. sopra, p. 29; p er il ms. P ar. la t. 1994 e gli acq u isti ro m an i del P e tra rc a , cf. B illanovich, N ella biblioteca del Petrarca, p p . 4-15. (2) D a c. 59v in poi com paiono però anche n o te v erg a te in epoca p iù ta rd a . (3) Cf. ad esem pio P ar. la t. 1994, c. 105r. (4) Cf. l ’a c c u ra ta descrizione fo rn itan e dal R a tti, Ancora del celebre codice manoscritto, pp. 217-42; nonché l ’edizione foto tip ica in te g rale a c u ra d i G. G albiati, F rancisci Petrarchae Vergilianus codex.

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parlerà presto Giuseppe Billanovich (1). Ma a noi interessa qui ricor­ dare che il Petrarca recuperò il suo Virgilio, già posseduto in anni lon­ tani, nel 1338, e che prese allora a svolgere sugli ampi margini di quel codice un suo lungo e paziente commentario, che avrebbe poi continuato, fra abbandoni e riprese, per tutta la vita. Questo commentario, fitto di citazioni e di riscontri eruditi, è tu t­ tora inedito (a); non soltanto per la sua mole e per la cruda osticità della ormai morta erudizione che lo sostanzia, ma anche per la difficoltà di riconoscere la successione cronologica dei suoi diversi strati, che si susseguono lungo l’intero codice e che spesso coesistono nella stessa carta o sullo stesso margine. Soltanto il confronto minuzioso e paziente dei diversi tipi di « scrip­ tum notularis », delle molteplici serie di segni e anche del colore degli inchiostri via via adoperati dal Petrarca, potrà offrire una base sicura allo studio della glossa virgiliana del grande letterato (3); confronto da noi compiuto molto sommariamente, ma di cui pensiamo sia ugualmente utile comunicare, se non altro a titolo di ipotesi, le prime conclusioni. Il Virgilio Ambrosiano non pare conservi tracce di glosse petrar­ chesche anteriori all’epoca del furto: la corsiva disordinata del s. Agostino e dell’Isidoro, infatti, non vi compare, e ciò fu già osservato a suo tempo dal Nolhac (4). Francesco Petrarca recuperò dopo averlo perduto, il co­ dice, come egli stesso ricorda, nell’aprile del 1338, e subito vi dedicò amorevoli cure, aggiungendovi un bifolio all’inizio; sulla carta di guardia tracciò la nota di recupero e altri più significativi testi, mentre sulla prima delle carte aggiunte faceva miniare dalla abile mano di Simone Martini la celeberrima scena bucolica raffigurante Virgilio circondato da Servio, da Enea e da un pastore, cui egli stesso aggiunse, in tre cartigli lasciati appositamente vuoti, alcuni distici illustrativi. Questi vari testi di mano del Petrarca sono vergati tu tti in una scrittura di glossa omogenea e tipica, sicuramente datata sia dall’espli­ cito riferimento cronologico contenuto nella nota di recupero (1338),(*) (*) Cf. B illanovich, D a D ante al Petrarca·, Id ., T ra Dante e Petrarca, p p . 20-5. (2) Q ualche b ran o fu p u b b licato d al N olhac, Pétrarque, I, p p . 145-61 e d al S abbadini, in D al « V irgilius Petrarcae », p p. 169-75, in Storia e critica, pp. 203-5, e in Quali biografie Vergiliane, p p . 193-8. S ta atte n d e n d o o ra alla preparazione dell’edizione in teg rale delle n o te p etrarch esch e la S ig.ra A n to n ie tta N ebuloni T esta. (3) Come auspicava n el 1904 il R a tti, Ancora del celebre codice m anoscritto, pp. 226-7. (4) N olhac, Pétrarque, I , p. 144.

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sia dal confronto con le postille dei Par. lat. 1617 e 1994, già ricordati. Con queste ultime, infatti, le corrispondenze sono numerose e non ca­ suali, tanto da poter dire che, in entrambi i casi, si tratta sostanzial­ mente dello stesso tipo di «scriptura notularis », che nel Virgilio Am­ brosiano si presenta con modulo leggermente più grande, forme alte e slanciate, anche se un po’ rigide, tratteggio appena marcato, assenza totale di filetti e svolazzi ornamentali, generale impressione di chiarezza e ariosità: caratteristiche tutte, che richiamano alla mente anche la bella gotichetta della preghiera vergata tre anni prima nel Par. lat. 2201 (1). Altre particolarità grafiche di questa prima «glosatura» del Virgilio Ambrosiano sono la A maiuscola senza traversa, con il primo tratto ricurvo in basso e il secondo ripiegato in alto a scavalcarlo, la g con pancia quadrangolare allungata, un elegante e semplice segno di paragrafo e numerosi segni di richiamo: tutti elementi facilmente iden­ tificabili, che ci permettono perciò di riconoscere questo tipo di scrittura anche dove compare accanto a glosse scritte con diverso stile. Il primo commento, vergato dal Petrarca in un periodo di tempo che potremmo ritenere limitato ai residui mesi di quello stesso anno 1338 (2), si estese infatti a tutto il manoscritto. Esso consisteva in una sistematica raccolta di dati desunti dai Saturnalia di Macrobio, che ve­ nivano di volta in volta confrontati con i relativi passi del testo o di Servio. Particolarmente impegnativo fu in questa fase il minuzioso commento in chiave allegorica composto intorno al testo dell’Egloga prima, che già fu studiato e parzialmente edito dal Nolhac(3). Altre ampie note vergate nello stesso periodo si leggono alle cc. 2r (margine ini.), 2V, 3r, 8r, (margine est.), 21v (margine sin. e inf.), 23r, 41r (margine est.), 63v (margine est.), 80r (margine est.), 93v-94r (margine inf.), 108v, 160', 173v, 195r (margine est.), 203r, 204L In questa prima «glosatura », dunque, il Petrarca si preoccupò soprattutto di distribuire sistematicamente (*) lungo il testo virgiliano la congerie di notizie ammassate nei Saturnalia di Macrobio. Ma poi, f1) Cf. sopra, p. 28. (2) Le n o te a p p a rte n e n ti a questo prim o com m entario sono in f a tti v e rg a te tu tt e con il m edesim o inchiostro, il cui colore m u ta in seguito. (3) Pétrarque, I, pp. 145-6. (4) N ella ste su ra del suo prim o com m ento sui m arg in i del g ran d e V irgilio, il P e tra rc a fece anche le p rim e prove della difficile a rte dell’im paginazione delle glosse, alcune delle quali, lunghissim e, furono d a lu i ce rtam e n te p rim a stese in m in u ta su u n foglio a p a rte e so lta n to in u n secondo m om ento rico p iate negli spazi liberi del codice.

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terminata questa prima fatica, riprese il gran codice per aggiungervi altre postille, per la maggior parte derivanti ancora da Macrobio, ma a volte riprese anche da altri autori. Non è sempre agevole distinguere con sicurezza dalle altre questa seconda fase di annotazioni; ma, a ben guardare, essa ha di suo proprio un modulo più minuto della scrittura, un segno di paragrafo più breve e semplice, una g con pancia meno allungata: tutti elementi che ne permettono, dopo una certa assuefa­ zione, il riconoscimento. Anche questa appendice al primo commento si estende a tutto il codice; gli esempi più significativi se ne hanno alle cc. 88r, 89r, 101r (margine sup.), 114v, 120r, 120T, 126v, 141v (mar­ gine sup.), 158r, 197v (margine est.), 215r, 229r (margine inf.) (cf. Tav. X II, margine destro in basso). I/epoca di tale seconda «glosatura » del Virgilio può essere com­ presa fra il 1339-1340 e il settembre del 1343, e cioè per le seguenti ragioni: le diversità grafiche rispetto alla fase precedente, iniziata nel 1338 e condotta a termine in assai breve tempo; le somiglianze che 1’avvicinano alle «note intime » vergate dal Petrarca al termine del Par. lat. 2923 (x) e in particolare a quelle del 1344; il fatto che, con tutta probabilità, il gran codice, non fu dal Petrarca portato con sè nel viaggio italiano del 1343-1345 (2); infine, le notevoli differenze ri­ spetto alla «glosatura » successiva — ancorata, nella datazione, al­ l’obituario di Paura del 1348 —, le quali escludono che questa seconda lettura possa essere attribuita ad un periodo ad essa troppo vicino. * * * Per seguire il lento formarsi della «scriptura notularis » del Petrarca, occorre ora lasciare momentaneamente da parte il Virgilio Ambrosiano, e rivolgere la nostra attenzione ad una miscellanea di autori latini minori (Vat. fiat. 2193), che Petrarca molto probabilmente fece eseguire da uno scriba di sua fiducia, e che nel 1343 era già in suo possesso (3). In questo codice la mano del Petrarca non si è limitata a vergare nei margini una serie di annotazioni più o meno fitte, ma ha inserito in (fi E d ite in N olhac, Pétrarque, I I , p p . 283-92 e rip ro d o tte dallo stesso n ella p rim a edizione dell’opera, ta v . I. (2) P er il viaggio, cf. W ilkins, V ita del Petrarca, p p . 62-78. (®) I l codice è d escritto in N olhac, Pétrarque, I I , p p . 98-102, e in V attasso, I codici petrarcheschi, p p . 161-2. P er la d a ta del 1343 — co n ferm ata d ai r i­ lievi paleografici — c f. B illanovich in P etrarca , R erum memorandarum libri, p. 29.

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I I . Da s c rittu ra della glossa

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alcune carte rimaste bianche (>) il testo di due orazioni di Cicerone. Il complesso di autografi petrarcheschi raccolti nel Vat. lat. 2193 è perciò assai notevole per la sua quantità; ma lo è ancor più per la qualità della « scriptum notularis » adoperata, che è identica nelle postille e nei testi e in ambedue i casi tocca livelli altissimi di armonia calligrafica. Per quanto riguarda il commentario, particolarmente eleganti appaiono le note apposte nelle cc. l r-14v, che ritornano poi anche, più saltua­ riamente, nelle cc. 27r-81v (2). In esse il tipo di scrittura è praticamente identico a quello proprio della seconda fase di annotazione del Virgilio; ma l’arte della disposizione delle postille, il frequente ricorso alla costru­ zione « a grappolo », il tratteggio fine, ma non esile, la perfetta armonia delle forme, donano qui alla scrittura di glossa un’eleganza nuova (cf. Tav. IX). E tali caratteristiche ritornano anche nelle carte che ospitano i testi ciceroniani, ove la mano del Petrarca rivela per la prima volta il pieno possesso di un canone nuovo di scrittura libraria, che non è né quello gotico e neppure quello carolino, ma che fonde in armoniosa sintesi elementi deil’una e dell’altra tradizione (cf. Tav. X). Dinanzi a queste pagine mirabilmente costruite dalla paziente opera del Petrarca, si può affermare che è nato un nuovo tipo di scrittura. E una minuscola posata di modulo piccolo, di tratteggio sottile, diritta, ariosa, leggibilissima; le singole lettere sono nettamente distinte le une dalle altre; le curve contrapposte sono più accostate che fuse; le aste sono piuttosto alte e leggermente sinuose; mancano i filetti e le codine ornamentali, ma in compenso elegantissime appaiono le maiuscole, anche se improntate tutte alla tradizione gotica. D’uso di particolari segni di paragrafo e di nota permette di attribuire questo nuovo esempio di minuscola petrarchesca ad un periodo anteriore al 1343, cui deve essere attribuita, per le medesime ragioni, anche l’aggiunta autografa affettuata dal Petrarca nelle carte finali del Par. lat. 7748, a completamento del commento ciceroniano di Vittorino ; ove la sua armoniosa e slanciata scrittura crea un vivace contrasto con l’angolosa gotica dell’amanuense scrittore delle pagine immediatamente precedenti (cf. Tav. XI) (3). P) Cc. 82v, 153r-154v. (2) A ltre postille d i m odulo assai piccolo ed ev id en tem en te p iù ta rd e (del 1347-1350 a ll’incirca), si n o ta n o alle cc. 15r-24v e alle cc. 28r-40r, conte­ n e n ti opere v arie di Apuleio. (3) Cf. p e r q uesto codice N olhac, Pétrarque, I , pp. 248-50. D’ag g iu n ta di P e tra rc a è a cc. 170r_v, ed è p reced u ta, alle cc. 167r-169T, d a a ltra ag g iu n ta e ffe ttu a ta in g o tica ita lia n a p iu tto sto angolosa, m a elegante ed accu rata, d a u n o scrib a p etrarch esco (cf. N olhac, Pétrarque, I, p. 249). I l codice rec a anche

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L a s c rittu ra di F rancesco P e tra rc a

❖ ❖ ❖ Il foglio più noto del Virgilio Ambrosiano è quello di guardia (1), sul quale il 19 maggio 1348 — o qualche giorno appresso — il Petrarca scrisse « ad acerbam rei memoriam », ma con « amara quadam dulcedine », il ricordo della motte di Paura, avvenuta il 6 aprile in Avignone. Egli era allora in Parma, e la lontananza, spaziale e temporale, dall’avvenimento, rese insieme più triste e più distaccato il sentimento con il quale fu allora indotto a riesaminare «preteriti temporis curas supervacuas spes inanes et inexpectatos exitus ». Quest’annotazione è dunque qual­ cosa di più di una memoria: è anche la testimonianza di uno di quegli esami di coscienza in Petrarca ormai abbastanza frequenti e che egli usava affidare ai fogli di guardia dei suoi codici più cari. Un altro degli aspetti più caratteristici, indubbiamente, del suo «habitus » letterario : cui, ogni volta, corrispondeva una veste grafica particolarmente ap­ propriata. In questo caso, più che in ogni altro, è evidente in lui lo sforzo di adoperare — anzi, meglio, di plasmare — una scrittura esteticamente espressiva del contenuto ; ora, infatti, il Petrarca rende la sua «scriptura notularis » ancor più minuta, sottile e sinuosa del solito, e tocca uno dei più alti livelli della sua calligrafia. Dinanzi alla tenue eleganza di quelle otto righe, sorge spontanea l’impressione di uno sforzo consapevole, di una voluta ricerca, di un’intenzione precisa: una conferma, insomma, di quella corrispondenza ideale fra « calamus » e testo, fra invenzione e forma grafica, che fu uno dei motivi costanti, anche se minore, del­ l’operosità letteraria del Petrarca. Nacque così nel 1348, e nel nome di Paura, una nuova fase della scrittura di glossa petrarchesca, che derivava, indubbiamente, dai pre­ cedenti, ma che ne esaltava, in modo particolarmente felice, i più limpidi e nuovi aspetti formali. Molto piccola nel modulo e sottile nel tratteggio, la « scriptura notularis » del 1348, che ritorna frequentemente

alcune (cc. 8r, 8V, 15r, 15v, 168r) noterelle d i m ano del P e tra rc a v e rg a te in u n secondo tem po, m o lto prob ab ilm en te in to rn o al 1350 o su b ito dopo q u esta d a ta . (l) Cf. edizioni dei diversi te s ti in esso co n ten u ti in N olhac, Pétrarque, I I , pp. 283-7; u n a n u o v a riproduzione, con la trascrizione e la trad u z io n e della n o ta o b itu a ria di L a u ra ad opera di G. S alvadori, in Biblioteca Am brosiana, pp. 90-1.

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I I . L a s c rittu ra della glossa

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nelle carte del Virgilio Ambrosiano (x) (cf. Tav. X II, margine inferiore), è caratterizzata da una squisita armonia compositiva, dalla accentuata sinuosità delle aste alte, dall’uso abbondante di filetti ornamentali, che si staccano da una lieve apertura a forcella visibile in cima alle aste alte. Scomparsi sono alcuni dei più spiccati elementi gotici, che pure ricorrevano negli esempi degli anni anteriori: quel senso di rigidezza, quelle spezzature agli angoli (in particolare nella pancia della g), quel tratteggio ancora contrastato; rinnovate anche le maiuscole e fra esse, in particolare, la A. Questa serie di fatti nuovi dimostra l’adozione, da parte del Petrarca, di modelli almeno in parte diversi da quelli fin’allora adoperati. Ormai egli è assai lontano dalla scrittura di glossa dei dotti avignonesi, da cui la sua mano ha appreso per la prima volta le forme di una scrittura non gotica. Nel faticoso cammino, intrapreso da decenni, lungo le strade maestre di quella tradizione letteraria di cui cercava ansiosamente le sorgenti vive, egli aveva ormai oltrepassato i confini della cultura del suo tempo, ed era entrato in un’altra età,: quella dalla quale gli giun­ gevano, insieme con i testi più amati, anche i modelli di un’antica ele­ ganza grafica: i codici del canone carolino (2). * * * ha nuova tipizzazione della scrittura di glossa petrarchesca, che nel 1348 si affaccia dalla carte del Virgilio Ambrosiano, compare anche, all’incirca nella stessa epoca, in un altro manoscritto quasi altrettanto famoso: l’Orazio Laurenziano (3). Questo elegante codice del X secolo, già ricco di una sua fitta glossa originale, fu dal Petrarca acquistato a Genova il 28 novembre 1347. Pira uno dei codici più antichi, forse il più antico, fra quelli allora da (1) Cf. cc. 3T (m argine sinistro in basso), 51' (note m inori), 6r (m argine inferiore), 7V, 10T (m argine inferiore), 20v (m argine inferiore), 46r (m argine inferiore), 97r (m argine superiore ed esterno), 98v-99r (m argine superiore), 1021', 115T, 119v-120r (m argine superiore), 124r, 193v, 194r, 223r (m argine esterno). L a fo rte d iv e rsità fra questo tip o e quello della p rim a serie d i n o ta risu lta ch ia­ ra m e n te alla c. 195r, ove nelle p a rte inferiore del margine, esterno si h a im a lu n g a po stilla del prim o periodo, cui si accom pagnano nel brev e spazio fra le due colonne del te s to due n o te del tip o del 1348. (2) P e r l ’in flu e n z a d e l c a n o n e g rafico c a ro lin o s u ll’e v o lu z io n e d e lla s c r it­ t u r a p e tra rc h e s c a , cf. o ltre , p p . 67-8.

(3) E dizione in teg rale in facsim ile e descrizione a cu ra d i E . R o stag n o in L ’Orazio Laurenziano.

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F a sc rittu ra di Francesco P e tra rc a

lui posseduti, e coincideva pienamente con le nuove tendenze del suo gusto grafico, sempre più decisamente orientato verso le manifestazioni dello stile carolino (1). Anche per questo dovette subito divenire uno dei più amati e studiati, e coprirsi presto nei margini di una serie di postille, che, pur non potendosi paragonare al fitto commentario del Virgilio, costituisce una viva testimonianza di attenta e prolungata lettura. Anche in questo codice le postille petrarchesche appartengono ad epoche diverse; ma è facilmente identificabile in esse un primo strato, costituito da rade ed eleganti annotazioni vergate nella esile minuscola della memoria di Inaura, e caratterizzate dai segni di nota e dalle alte e sinuose l munite di tipici filetti ornamentali (*). Di tali note possono essere considerate più o meno coeve alcune altre, pur piccole ed eleganti, che non presentano però né gli elementi ornamentali, né alcuni di quelli formali (cf. ad esempio le aste alte) del tipo del 1348 (3). I/O stile grafico creato dal Petrarca per la sua glossa nell’anno stesso della morte di Paura non si mantenne infatti identico col passare gli anni, ma subì una rapida, anche se non profonda, evoluzione, che ci permette di riconoscerne e datarne, sia pure approssimativamente, le fasi successive. Ciò è possibile nel Virgilio Ambrosiano, nell’Orazio Daurenziano e in alcuni altri manoscritti posseduti e annotati dal Petrarca dopo il 1350. Una preziosa testimonianza dei mutamenti gradualmente interve­ nuti nella scrittura di glossa del Petrarca si trova nelle carte finali di quel Vat. lat. 2193, di cui si è già parlato; ivi il Petrarca annotò al­ cuni suoi ricordi di coltivazioni agricole effettuate tra il 1348 e il 1389 (4). Ebbene, mentre le annotazioni del 1348 e del 1349 appaiono vergate nel tipo di «scriptura notularis » che conosciamo, quelle del 1350 e 1353 (per gli anni immediatamente seguenti non ve ne sono più) mo­ strano, nel complesso e nei particolari, alcune diversità, anche se pura­ mente formali e mai sostanziali, facilmente individuabili, che riguar­ dano sia l’aspetto generale della scrittura, sia le singole lettere e i segni. Il tratteggio, innanzi tutto, è appena più pesante; la scrittura appare meno ariosa e più compatta; le aste sono meno alte; sono scomparsi i tipici filetti ornamentali e le aperture a forcella in cima alle aste alte; fra le maiuscole, la A ha di nuovo perduto la traversa, fissandosi in(*·) (*·) (*) (3) (*)

Cf. oltre, pp. 67-8. Cf. cc. 37T, 45r, 92r, 94·', 97», 104··. Cf. cc. 27v 70», 78r, 78». E d iti e rip ro d o tti in V attasso, I codici petrarcheschi, pp. 229-34 e ta v v . I - I I .

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due forme, Luna di tipo carolino, l’altra di tipo capitale rustico; il segno di paragrafo è costituito da un punto sovrastato da un’ampia e sottile linea curva. Tutte queste variazioni del canone che la mano del Petrarca aveva disegnato del 1348, sono riconoscibili in un certo numero di annotazioni del Virgilio Ambrosiano, che perciò possono essere attribuite alla prima metà del sesto decennio del secolo all’incirca (1). Esse rivelano l’esistenza di un nuovo strato di commento sovrappostosi in quegli anni ai tre già svolti, di cui abbiamo fin qui seguito le vicende. Eseguita negli anni del primo soggiorno italiano, del ritorno a Vaichiusa e quindi del definitivo abbandono della Provenza, questa nuova «glosatura » virgiliana è sal­ tuaria ed occasionale e appare costituita da note in prevalenza di piccola estensione, spesso inquadrate da cartigli; gli inchiostri adoperati sono a volte schiettamente neri, a volte chiari o brunicci; gli autori citati diversi: Apuleio, Plauto, Macrobio (sempre lui!), Agostino, Seneca, ecc. (cf. Tav. XII, nell’interl. fra il testo e la glossa) (2). Anche l’Orazio Taurenziano rivela qua e là(3) la presenza di questa fase della scrittura di glossa petrarchesca, con note in genere di poche parole; una soltanto (4) è piuttosto estesa e può servire di guida per la identificazione del tipo. Tipo che ritorna anche in altri manoscritti, come nel Quintiliano incompleto donato a Petrarca in Firenze nel 1350 da Lapo da Castìglionchio e fittamente annotato nei margini subito dopo (6) (cf. Tav. X III); nel già citato Vat. lat. 2193, in corrispondenza di alcune opere minori di Apuleio e degli Strategematicon libri di Frontino (6); nella prima parte del Flavio Giuseppe Par. lat. 5054 (7); in alcune carte del 0) Il segno d istin tiv o di queste note, co stitu ito , come si è d e tto , d a un p u n to so v ra sta to d a u n ’am pia linea curva, no n a p p a rirà p iù u sa to nel m an o ­ sc ritto del Bucolicum Carmen, che è del 1357 (cf. oltre, p p. 73-5). (2) Cf. p er esem pio cc. 140v (m argine superiore ed esterno), 169v, 179T (m argine esterno). (3) Cf. cc. 14v, 50v, 87r, 91r. (4) c. 108'’. (5) P ar. la t. 7720, per il quale cf. N olhac, Pétrarque, I I , p p. 87-94. Le n o te sui m argini di q u esto codice paiono ap p a rten e re tu tt e ad u n m edesim o periodo: esem pi p artico la rm en te chiari alle cc. 87r-92r. (6) Cf. sopra, p. 43, n o ta 2. (7) Cf. N olhac, Pétrarque, I I , pp. 153-6. A q u esto periodo, com e già b en vide il N olhac (p. 154) si riferiscono solo le an n o tazio n i della p rim a p a rte del codice; le altre sono più ta rd e ; cf. anche M a rtelletti, Linee di sviluppo, pp. 76-7.

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L a s c rittu ra d i F rancesco P e tra rc a

giovanile Isidoro Par. lat. 7595 (1), del s. Agostino Par. lat. 2103 (2), del Livio Par. lat. 5690, già posseduto da Landolfo Colonna e acquistato da Petrarca ad Avignone nel 1351 (3), del Par. lat. 1994 posseduto fin dal 1337 (4). ❖ :!; * Un altro manoscritto che fu assai caro al Petrarca e che venne perciò da lui assiduamente studiato e fittamente postillato è il Plinio Par. lat. 6802, acquistato in Italia, a Mantova, il 6 luglio di quel 1350, che fu così ricco di buone prede per il bibliofilo letterato (B). Le note che ne ricoprono i margini, appartengono sia al periodo 1350-1355, di cui abbiamo già passato in rassegna gli esempi più co­ spicui, sia agli anni seguenti. Fra i due periodi non vi è differenza sostan­ ziale: il tipo di scrittura di glossa, fissato una volta per tutte nel 1348, lievemente modificato subito dopo, non subì in seguito altri sostanziali mutamenti, perchè il gusto grafico del Petrarca maturo (come si vedrà meglio più avanti) si era ormai stabilizzato nel perseguimento di un ideale canone di scrittura già raggiunto e codificato una volta per tutte. Ciononostante, due differenze (puramente esteriori, se si vuole, ma visi­ bilissime) permettono di distinguere le postille del quinquennio 13501355 da quelle degli anni posteriori, appartenenti ad un arco di tempo (b Cf. cc. 22v, 88v, 140r, 162r, 172''. (2) P er q uesto m anoscritto, recentem en te id en tificato d a E. Pellegrin, cf. d ella stessa, N ouveaux m anuscrits, pp. 272-3. L e n o te sem b ran o ap p a rten e re t u t t e allo stesso periodo. (3) C f. N olhac, Pétrarque, I I , pp. 14-33 e s o p ra ttu tto B illanovich, Dal L ivio di Raterio, pp. 142-59. N o te d i questo periodo si scorgono p e r esem pio a cc. 49v, 62r, 250v-251r. (4) Cf. cc. 59v e seguenti. A llo stesso periodo andreb b e a no stro parere a ttr ib u ita T unica n o ta sicuram ente au tografa del P e tra rc a tr a quelle v erg ate d a m an i diverse nel fam oso codice della Commedia V at. la t. 3199, in v ia to dal Boccaccio all'am ico nel 1351 (cf. B illanovich, Petrarca letterato, p p . 147-8). Si t r a t t a precisam ente di u n a po stilla v erg a ta a c. l v (cf. ta v . X IV ) accanto ai vv. 24-6 del ca n to secondo delT Inferno: «sic 2. 24. in m ed(io) et.i(n fra ). c. 7° in fine », già in te rp re ta ta d a l P ak sch er com e u n a citazione b ib lica (A us einem Katalog, p. 231) e d a l F ranciosi (Il Dante vaticano, p. 25, n. 2, il quale p eraltro ne negò T autografia petrarchesca) come u n riferim en to in tern o . L ’autografia p etrarch esca e la presum ibile datazio n e della brev e p o stilla sono a n o stro p a ­ rere d im o stra te dal tipico segno di paragrafo, d a lla fo rm a e d al tra tte g g io dell’abbreviazione i(nfra) (per la quale cf. p er es. V irgilio A m brosiano, c. 4V), nonché dal sistem a stesso di citazione, c a ra tte riz z a to fra l ’altro d a ll’uso di cifre arabe con esponente, che fu p roprio del P etrarca . (5) Cf. N olhac, Pétrarque, I I , p p . 69-83.

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che giunge, all’incirca, sino alle soglie dell’ultimo decennio della vita del Petrarca; e sono il modulo della scrittura, lievemente ingrandito nelle note più tarde, e il segno di paragrafo, che muta trasformandosi in un’unica linea variamente ondulata (cf. Tav. XV) (1). Poche sono le note degli anni 1350-1355 nel Plinio (2); più fitte e numerose le altre (3); e ciò si spiega anche col fatto che il Petrarca, lasciato il codice a Verona nel 1351, lo riebbe fra le mani soltanto al suo ritorno in Italia nella seconda metà del 1353 (4), e forse non riprese ad annotarlo immediatamente. Dal punto di vista grafico la «glosatura » del Plinio è assai accurata ed elegante. De note sono molto fitte, ma sempre disposte armoniosa­ mente e spesso circondate da esili cornici di disegno geometrico (cf. Tav. XVI); rare le postille « a grappolo » (6); frequenti invece, le sottili mani dall’indice proteso (·). I segni e il tipo di scrittura di glossa che abbiamo attribuito al periodo seguente al 1355 ritornano anche in altri codici posseduti dal Petrarca. Parecchi esempi ve ne sono nell’Orazio Daurenziano (7), nell’Isidoro posseduto sin dalla prima giovinezza (8) e nel Divio Par. lat. 5690 (9); molti nei manoscritti per la prima volta letti ed annotati in questi anni: il Cicerone di Troyes(10); il Quinto Curzio Par. lat. 5720, ricco di interessanti note, che per la maggior parte costituiscono un organico complesso vergato in un relativamente breve arco di tempo (u); il s. Agostino Par. lat. 2103 (12); i commentari evangelici del Par. lat. 1845 (12); il grande s. Agostino donato a Petrarca dal Boccaccio nel 1355, (!) A nche D. A. G iapponi h a rile v ato u n m u ta m e n to n ella s c rittu r a d i glossa del P e tra rc a fra il 1353 e il 1357: I l « De architectura », p . 94. (2) Cf. ad esem pio cc. 36r (m argine inferiore), 56r‘v, 58v, 59r. (3) Che si n o ta n o quasi ad ogni ca rta, e d i cui perciò riten iam o in u tile d a re qui u n sia p ure esem plificativo elenco. (4) Cf. N olhac, Pétrarque, I I , p. 71. (5) Cf. c. 63v (6) Cf. per esem pio cc. 651', 11 l v. (7) Cf. cc. 40r, 127v, 131v, 132r. (8) Cf. p er esem pio cc. 110v (m argine superiore), 113v (m argine inferiore). (9) Cf. cc. 45r, 107r, 135r, 15P . (10) Cf. N olhac, Pétrarque, I, pp. 226-46, secondo il quale il codice sarebbe s ta to a n n o ta to dal P e tra rc a fra il 1344 ed il 1352 (pp. 236-7). (n ) Cf. N olhac, Pétrarque, I I , pp. 94-9; g iu sta ci sem b ra l’ip o tesi del N olhac (p. 95), che il codice sia sta to eseguito p er P e tra rc a . I n esso com paiono anche, q u a e là (cc. 41v, 58r, 72r), alcune annotazioni riferib ili al periodo senile. H Cf. cc. 3V, 93r, 102r. (13) Cf. cc. 10r, 4 1 \ 56r. 4

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ora Par. lat. 1989 (cf. Tav. XVII) (4); la miscellanea patristica conte­ nuta nel Par. lat. 1655 (2); la miscellanea storica del Par. lat. 5150, in­ viatagli da Firenze (secondo una nota riportata dal Nolhac) nel 1361 (cf. Tav. XVIII) (3); il Par. lat. 1762, in bella carolina italiana dell’X I secolo, contenente commentari alle lettere di s. Paolo (4). Subì altri mutamenti la scrittura di glossa del Petrarca nell'ultimo decennio, e cioè fra il 1365 ed il 1374? Alcuni esempi indurrebbero a rispondere senz’altro di sì; altri, invece, a negare ogni evolutione ulteriore. Nei codici del Petrarca compare, infatti, da un certo momento, una scrittura di glossa di tratteggio pesante e incerto, di modulo grande, caratterizzata da numerosi elementi corsivi, dall’uso frequente delle sigla K7, da una generale trascuratezza di disegno e di inquadramento. Che si tratti di scrittura del periodo senile, è dimostrato dal confronto con le annotazioni, datate fra il 1361 ed il 1369, vergate nei fogli di guardia del Virgilio Ambrosiano (5) e del Vat. lat. 2193 (6). Postille di questo tipo si trovano piuttosto frequentemente nei margini del Virgilio Ambrosiano stesso (cf. Tav. X II, margine destro) (7), dell’Orazio Laurenziano (8), ma anche, occasionalmente, in altri manoscritti, come l’Isidoro Par. lat. 7595(9), il Quinto Curzio or ora ricordato(10), la mi­ scellanea di autori latini del Par. lat. 5802 (u). In realtà, non si tratta di un nuovo tipo di scrittura di glossa, ma semplicemente dell’uso, da parte del Petrarca ormai vecchio, della minuscola corsiva usuale per la stesura di qualche postilla; uso che, anche negli ultimi anni di vita, rimase in lui puramente occasionale. (1) Cf. per esem pio I , cc. 142v, 143r. (2) Cf. p er esem pio c. 49r. (3) Cf. N olhac, Pétrarque, I I , pp. 213-5 (la n o ta cronologica a pag. 214); cf. cc. 12r, 67r; a ltre n o te sem brano p iù ta rd e : cf. cc. 127r, 152r . (4) Cf. p er esem pio c. 227v. (5) P er le n o te del 1361 verg ate a c. l a v, cf. N olhac, Pétrarque, I I , p p. 284-5. (6) Cf. V attasso, I codici petrarcheschi, ta v . I I . (7) Cf. cc. 29r (m argine superiore), 31r (m argine esterno), 37v (m argine inferiore), 74r, 83r, 86r (m argine inferiore), 105v (al d iso tto del testo ), 119v (m argine inferiore, dopo a ltra n o ta del periodo 1348-1350), 145r_v (m argine inferiore), 172v (m argine inferiore), 176r (m argine esterno), 176v, 2 0 l r (m argine esterno), 235r. (8) cc. 4r, 52r, 100r, 136''. (») c. 10r. (10) Cf. sopra, p. 49, n o ta n. 11. (u ) Cf. N olhac, Pétrarque, I , p p . 246-8; B illanovich, Nella biblioteca del Petrarca, p. 28. B sem pi di n o te senili a cc. 143r, 143v.

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I I . L a s c rittu ra della glossa

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Che, infatti, la scrittura di glossa del Petrarca sia rimasta sostan­ zialmente uniforme anche neH’ultimo periodo della vita di lui, è di­ mostrato dalle annotazioni apposte all’Omero Par. lat. 7880 1 e 2, stu­ diato e postillato dall’ormai vecchio letterato fra il 1369 e la morte (1); annotazioni in elegante e piccola minuscola posata, caratterizzata da alcune maiuscole, quali la A, la M, la T, dalla g aperta, dall’uso di sot­ tolineare le varianti o alcune parole isolate (2); elementi che ritornano anche in altri manoscritti tardi, come nell’originale, parzialmente auto­ grafo, del Canzoniere e nelle due copie di sua mano del De sui ipsius et muHorum ignorantia, delle quali si parlerà più avanti. * * * Uno degli aspetti più caratteristici ed interessanti della glossa petrarchesca è costituito dal sistema di citazione degli « auctores » cui Petrarca faceva riferimento nelle proprie postille. Nella sua struttura formale la citazione petrarchesca non si distingue gran che dal normale aspetto della glossa scolastica, in quanto è articolata in quattro elementi: verbo di rinvio (quasi sempre espresso con R = require), nome del­ l’autore, titolo dell’opera e infine citazione del passo che interessa. Tale citazione poteva essere indiretta (rinvio al libro, al capitolo e al paragrafo o brano), diretta (con ripetizione testuale del passo), o mista; eccezionalmente il rinvio poteva esser fatto secondo carta e pagina, cioè direttamente al codice posseduto o consultato dal postillatore. Nella glossa scolastica il nome dell’autore citato veniva di solito espresso in forme fortemente abbreviate; tipico e ben noto è a questo proposito il caso delle «sigle » (che poi in buona parte dei casi vere e proprie sigle non sono) dei nomi dei giuristi ricorrenti nelle opere giu­ ridiche medievali (3); si trattava però di abitudine diffusa, sia pure in (*) Cf. N olhac, Pétrarque, II, pp. 165-88; su lla trad u z io n e om erica d i Leonzio P ilato , cf. ora P ertu si, Leonzio Pilato', rip ro d u zio n i del 7780 ivi, ta v v . X X I I I e X X IV ; a ltra riproduzione in N olhac, Pétrarque, p rim a ed ., ta v . I I I ; 2a ed., I, p. 118. (2) L o stesso tip o d i s c rittu ra com pare in tr e le tte re au to g rafe del P e tra rc a d a ta te 1362 e conservate nel m s. L aur. L U I, 35 della B ib lio teca Me­ dicea L au ren z ia n a di F irenze (per il quale cf. R ostagno, Del m s. laur. petrar­ chesco pp. 265-9 e M ostra di codici rom anzi, pp. 37-8 con b ibl.), nonché n el­ l ’a ltra , lu n g a le tte ra au to g rafa a G iovanni D ondi d a ll’Orologio c o n serv ata n ella B iblioteca del sem inario vescovile di P adova, d a ta ta 1370 (per la quale cf. riproduzione in facsim ile con introduz. ed edizione in N el V I centenario della nascita di Francesco Petrarca, pp. 45-56); cf. anche oltre, A ppendice I, p. 113. (3) Cf. p er questo C encetti, Lineam enti, p. 469.

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h a sc rittu ra d i F rancesco P e tra rc a

forme meno sistematiche, a tutta la scuola medievale e propria anche ai codici filosofici, medici, grammaticali. Pure il Petrarca usava di con­ seguenza abbreviare i nomi degli autori e i titoli delle opere citate, ricorrendo di solito ad abbreviazioni per troncamento adoperate senza regolarità e modificate di volta in volta con assoluta indifferenza; si può presupporre che alcune di esse (almeno le più diffuse, come quelle per «Virgilius » o per « Seneca ») gli fossero state ispirate dalla tradi­ zione scolastica a lui precedente. Poiché tali abbreviazioni, usate largamente nei codici contenenti testi grammaticali, non hanno finora attratto l'attenzione degli studiosi, ci è sembrato opportuno dare qui un sommario elenco esemplificativo di alcune di quelle più frequentemente adoperate dal Petrarca, con rife­ rimento al codice in cui se ne è trovato esempio. Si tenga presente che nel nostro elenco i compendi sono disposti, secondo l’uso, nell’ordine alfabetico delle lettere espresse, senza tener conto di quelle soprascritte. .ab. ur. ab urbe .9. ab .u r.9 d ’. ab . u r . 9 di’. Afric. Alb*

Virg. Ambr., c. 124r Virg. Ambr., c. 147r Virg. Ambr., c. 3r Vat. lat. 2193, c. 85v Vat. lat. 2193, cc. 31r, 32r, 34v. Virg. Ambr., c. 168v

Virg. Ambr., c. 195r Vat. lat. 2193, c. 20r Orazio haur., c. 99v Vat. lat. 2193, cc. 15r, 16* AB] Vat. lat. 2193, c. 3r; Aug Virg. Ambr., c. 144v bue. Virg. Ambr., c. 36v Virg. Ambr., c. 205r Claud’ Virg. Ambr., cc. 144v, 172v de. ci. d’i . Orazio haur., c. l l r d’ cl’ Virg. Ambr., c. 179v d’ d’o .So. d’ haud’ Stil’ . Virg. Ambr., c. 205r Albe’ . Alex.

Ab Urbe condita [libri]

Africa [titolo del poema pe­ trarchesco] Albricus Alexander Aristoteles Augustinus Bucolica Claudianus De Civitate Dei De clementia [di Seneca] De deo Socratis [di Apuleio] De laude [consulatu] Stiliconis [di Claudiano]

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I I . L a s c rittu ra della glossa

demosth’ egl’ eglog .en. eney.

.eth’.

.G. cesar Geo. Geor. Georg Hor ist’ .Iu. Iust’. Euc. lucil’ ,M. Mach’ Macrob’

Par. lat. 7720, c. 9D Virg. Ambr., c. 2V Virg. Ambr., c. 2r Virg. Ambr., cc. 29r, 31v Virg. Ambr. c. 226r; Vat. lat. 2193, cc. 2r, 3r; Par. lat. 7748, c. 8r Virg. Ambr., c. 28r

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Demosthenes Egloga Eneys Eneydos Ethimologie [di Isidoro di Siviglia]

Vat. lat. 2193, cc. 82y, 153^ Vat. lat. 2193, c. 153r > Giulius Cesar Par. lat. 6802, c. 56y Virg. Ambr., c. 189v Virg. Ambr., c. 13r ? Georgica Vat. lat. 2193, c. 4r Virg. Ambr., c. 3Ve passim Horatius Orazio Eaur., c. 37v Institutiones [di Eattanzio] Virg. Ambr., cc. 5r,v Iuvenalis Vat. lat. 2193, c. 86r Iustinus Vat. lat. 2193, c. 86r Eucanus Vat. lat. 2193, c. 9y Eucilius Virg. Ambr., passim Virg. Ambr., passim i\ Macrobius Vat. lat. 2193, c. 13y

e

mag

Virg. Ambr., c. 13v

meth’ .n a .qo.

Virg. Ambr., c. 24r Vat. lat. 2193, c. 28v

. nal’ . Ili. nal’ _, yst’ .Natal’ yst’. . n a . yst’. . o r. ist’. pap.

Orazio Eaur., cc. 61r, 100r \ Par. lat. 7720, c. 89r / Naturalis historia Vat. lat. 2193, c. 71r ì Orazio Laur., c. 50v / Virg. Ambr., c. 2V Oratorie Institutiones Virg. Ambr., c. 44r Papias

Magie [De magia liber di Apuleio] Methamorphoses Naturalium questionum [Zibri, di Seneca]

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plin. i ps. qntir ca Sen .Sol’. Suet traqir th ’ Theb traqll’ Tuli’ tuscl’ Val’ Val’, max’ Val’ri’

vi Vg Vgil’ V iri Vlix Ysid’

L a s c rittu ra di F rancesco P e tra rc a

Vat. lat. 2193, c. 89r; Virg. Ambr., c. 15r Virg. Ambr., cc. 43v 164r Virg. Ambr., c. 2V Virg. Ambr., passim; ) Orazio Laur., c. l l r; ? Par. lat. 7720, c. 87' ) Virg. Ambr., cc. 31r, 176r

Plinius [il vecchio] Papias Quintilianus Seneca Solinus

Suetonius Tranquillus Par. lat. 7720, c. 88v Virg. Ambr., c. 213v 1 Thebaidos [libri] Virg. Ambr., c. 222' ) Tranquillus [Suetonius] Vat. lat. 2193, c. 117' Tullius Vat. lat. 2193 cc. 13v, 14r Tusculane [Disputationes] Vat. lat. 2193, c. 22' Vat. lat. 2193, c. 31* ] Vat. lat. 2193, c 3r ■ Valerius Maximus Vat. lat. 2193, c. 22' Virg. Ambr., cc. 7V, 36', Ugutio 41', 164' Vat. lat. 2193, c. 22' Vat. lat. 2193, c. 16v > Vergilius Vat. lat. 2193, c. l ' e passim Vat. lat. 2193, cc. 34',v Ulixes Ysidorus Virg. Ambr., c. 28'

Per quanto riguarda la citazione dei passi delle singole opere, il Petrarca adoperava tutti e tre i sistemi propri della tradizione scola­ stica: sia quello indiretto, sia quello diretto, sia quello misto, senza disdegnare, in casi eccezionali, quello del rinvio all’esemplare personale ('). _i (!) Cf. Orazio L aurenziano, c. 61r : « N al. hi. 1. 37 c. 7. col. 5. i p n . », ove il riferim en to è ev id en tem en te fa tto al P a r. la t. 6802; cf. anche in q u esto stesso _ O codice, c. 56v: « lu s tin i .12° cari. 3a pag. l a. i p rin . », ove il riferim en to (rip o rta to anche in N olhac, Pétrarque, I I , p. 79) è a u n codice della b ib lio teca del P e tra rc a n on ancora identificato.

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I I . I,a sc rittu ra della glossa

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I,a citazione indiretta era basata sul riferimento al libro e al capitolo, col sussidio di espressioni ausiliarie del tipo di « supra », « infra » (espresse di solito con .S. e.I.) (1), «in principio», «in fine», « ad finem », ecc. I,a citazione diretta, più delicata e complessa, consisteva, nella tradizione scolastica medievale comune alla maggior parte dei testi filo­ sofici, patristici e grammaticali, nella trascrizione più o meno abbreviata delle prime parole del passo, contraddistinte in genere da una evidente sottolineatura (2). Il Petrarca adopera a volte questo sistema, senza ricorrere alla sottolineatura; ma molto spesso alla prima o alle prime parole del passo riportate per esteso fa seguire le altre abbreviate per sigla, circondando ciascuna sigla fra due punti (3). Tale sistema, come è noto, è proprio delle citazioni dette « allegationes » di « auctores » inserite nei testi giuridici medievali (4); ma non manca neppure in codici di argomento diverso (5), soprattutto nella glossa ordinaria alla Bibbia (6) e nelle citazioni bibliche ricorrenti nei trattati filosofici e teologici, nei

P) P er « su p ra » e « in fra » nei codici giuridici, cf. C encetti, Lineam enti, p p. 463, 466. (2) Cf. p e r q uesto D esfrez, Etudes critiques, p p . 173-4. (3) L unghissim a sarebbe la serie degli esem pi; ci lim iterem o perciò a rin v ia re ad alcuni dei p iù e v id en ti com presi nel V irgilio A m brosiano e n ell’Orazio L au ren zian o : « F rig id a S a tu rn i . q . s . s . s . r . q . i . c . c . e . i . o . », cioè « frig id a S a­ tu r n i quo sese ste lla recep tet, quos ignis caelo Cyllenius e rre t in orbis» (Georg., I, vv. 336-7: V irg. A m br., c. 22v); «C um lu n o etern u m . s . s . p . v . e t cetera» , cioè: «Cum lu n o ae te rn u m servans sub p ectore vulnus» (A e n ., I, v. 36: Virg. A m br., c. 47r); « Q uaque sub hercúleo sa c ra tu s nom ine p o rtu s u rg e t . r . c . p . n . c . i . i . h . a . z . s . s . l . t . c . e . t . p . s . m onechi », cioè: « Q u aq u e sub hercúleo sa ­ c ra tu s n u m in e p o rtu s u rg e t rupes cava pelagus; non Corus in illu m iu s h a b e t a u t Z ephirus: solus su a lite ra tu r b a t Circius, e t tu b a p ro h ib e t sta tio n e Monoeci » (Ivucani Pharsalia, I, vv. 405-8: Virg. A m br., c. 147r); «C orniger .h . fluvius . r . a . », cioè: «C orniger H esperidum fluvius reg n a to r aq u a ru m » (A en., V III, v. 77: V irg. A m br., c. 164r); «D egener o populu s . v . s . l . d . », cioè: « D egener o p o pulus v ix saecula longa deco ru m » (L ucani Pharsalia, I I , v. 116: Virg. A m br., c. 164r); « U rb is . a . f . s . i . », cioè: « U rb is am ato rem F u scu s salvere iubem us » (H or. E p ., X , v .l: Orazio L au r., c. 11r) ; «Odi . p . v . », cioè: « O d i p ro fa n u m v u lg u s» (Hor. Carm., I I I , 1, v. 1: Orazio L au r., c. 85r). (4) Cf. p er q uesto K antorow ickz, D ie Allegationen\ C encetti, Lineam enti, p p. 462-72. (5) Cf. u n accenno in C encetti, Lineam enti, p. 452. (8) N e abbiam o risc o n tra to num erosi esem pi in due codici biblici d i origine francese del sec. X I I : V at. la t. 107 e Cors. 1156 (41 F 20) della B iblioteca dell’A ccadem ia N az. dei Lincei di R om a.

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L a s c rittu ra di F rancesco P e tra rc a

sermoni, ecc. (1). Naturalmente, citazioni di tale tipo presupponevano la conoscenza mnemonica totale del testo cui si riferivano, oppure la immediata possibilità di controllo; e anche il Petrarca usava limitarle o ad opere che ben conosceva (Virgilio, Plinio, Lucano), o a riferimenti interni al testo che veniva postillando. L’uso di citazioni abbreviate per sigla in glosse a testi grammaticali o letterari non pare fosse molto diffuso nella tradizione scolastica me­ dievale (2). Molto probabilmente, dunque, il Petrarca apprese tale si­ stema di citazione negli anni trascorsi studiando giurisprundenza all’Università di Bologna e, avendone apprezzato la praticità, lo adattò gradatamente alle sue esigenze di studioso e di filologo. A tal proposito, è assai interessante rilevare come nella glossa originale del Virgilio Ambrosiano, disposta accuratamente intorno al testo in ciascuna pagina, 10 scriba abbia adoperato regolarmente il sistema di citazione per sigla per i passi di Virgilio ricordati nel commentario. È troppo azzardato pensare che sia stato lo stesso giovanissimo Petrarca (sotto la cui guida 11 codice fu, secondo il Billanovich, composto) (3) a guidare l’amanuense nell’adozione di quel particolare tipo di citazione? Forse sì; anche perchè è pur sempre possibile che lo scriba stesso, dedito probabilmente anche alla copia di codici giuridici, abbia spontaneamente trasferito al testo virgiliano un sistema divenuto ormai abituale alla sua mente e alla sua mano. ❖ * * Termina così l’esame della scrittura di glossa adoperata dal Petrarca nella sua lunga carriera di letterato; esame che abbiamo di necessità esteso dai primi anni sino agli esempi della cadente, ma sempre operosa p) P er l'u so che ne faceva il teologo dom enicano R em igio d e’ G irolam i, cf. C apitani, L ’incom piuto «Tractatus de iu s titia », ta v . I l i ; a ltr i esem pi h o p o tu to risco n tra re nella riproduzione fotografica del m s. C. 4. 940 Conv. Soppr. della B iblioteca N azionale C entrale di Firenze, co n ten en te il De peccato usure d i Rem igio, che l ’am ico prof. Ovidio C apitani h a v o lu to segnalarm i e p restarm i. Cf. in o ltre anche Catalogue des m anuscrits en écriture latine, I , A rsenal 370 (tav. X II I ); I I , Bibl. N a t. 994 (tav. X X I); 6963 (tav. X X IX ); 605 (tav. X L V II). (2) M anca tu tto r a u n a sia p u r so m m aria tra tta z io n e su ll’argom ento, n é il vecchio T h u ro t, Notices et extraits, serve allo scopo. N eg ativ i sono com unque ris u lta ti i sondaggi d a m e eseguiti occasionalm ente su num erosi codici della B iblioteca A postolica V atica n a e della B iblioteca d ell’A ccadem ia N azionale dei L incei d i R om a, co n ten e n ti te s ti gram m aticali. (8) Cf. Billanovich, D a Dante al Petrarca.

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L A S C R IT T U R A D E L T A G L O SSA D E L P E T R A R C A N E L L E S U E V A R IE E P O C H E

1325 - 1335 (prima del)

CARATTERISTICHE P A L E O G R A F I C H E

S e

x,

a SE G N I

DI

1335- 1339 (?)

1340 - 1346 (?)

Sjjl

fi e

7&

}

1356 - 1365

1350 - 1355

aa

PA RA GRA FO,

Ôfo

'ffo

Padova, Bibl. Univ., ms. 1490; P ar. la t. 7595; London, B ritish Museum, H arl. 2494.

Par. lat. 1617; P ar. lat. 1994; P ar. la t. 2201; Virgilio Ambrosiano.

Cf. T a w . I, I I , IV.

Cf. Tav. V ili .

Hrr



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OO—’

'~VO

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V at. lat. 2193; Virgilio A m brosiano; Par. lat. 7748.

Virgilio A m brosiano; Orazio Laurenziano.

Cf. Tavv. IX , X , X I.

Cf. Tav. X II.

r f ! )ï

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Af.

Virgilio A m brosiano; Orazio L aurenziano; V at. lat. 2193; V at. lat. 3199; Pai. lat. 899; Par. lat. 1994: Par. lat. 5054; P ar. la t. 5690; Par. lat. 6802; P ar. lat. 7595; P ar lat. 7720. Cf. Tavv. X III, X IV .

1370 - 1374

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