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Italian Pages [128] Year 2003
Strumenti per la formazione dei formatori 4 Collana diretta da Elisa Frauenfelder e Vincenzo Sarracino
Fabrizio Manuel Sirignano
LA PEDAGOGIA DELLA FORMAZIONE Teoria e storia
ISSN 1972-0750
Liguori Editore
Questa opera è protetta dalla Legge 22 aprile 1941 n. 633 e successive modificazioni. L’utilizzo del libro elettronico costituisce accettazione dei termini e delle condizioni stabilite nel Contratto di licenza consultabile sul sito dell’Editore all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/ebook.asp/areadownload/eBookLicenza. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La duplicazione digitale dell’opera, anche se parziale è vietata. Il regolamento per l’uso dei contenuti e dei servizi presenti sul sito della Casa Editrice Liguori è disponibile all’indirizzo Internet http://www.liguori.it/politiche_contatti/default.asp?c=legal Liguori Editore Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ © 2003 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Ottobre 2003 Sirignano, Fabrizio Manuel: La pedagogia della formazione. Teoria e storia/Fabrizio Manuel Sirignano La formazione dei formatori Napoli : Liguori, 2003 ISBN-13 978 - 88 - 207 - 5747 - 2 ISSN 1972-0750 1. Società della conoscenza
2. Educazione all’apprendimento
I. Titolo
II. Collana
III. Serie
Aggiornamenti: ————————————————————————————————————––—————— 12 11 10 09 08 07 06 05 04 03 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0
INDICE
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Prefazione di Vincenzo Sarracino
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Introduzione
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Capitolo primo L’itinerario della pedagogia scientifica Il declino del paradigma metafisico-religioso 9; Lo sviluppo del paradigma sociopolitico 14; Il paradigma scientifico 17; La formazione come categoria centrale 24.
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Capitolo secondo Il percorso della formazione Il modello della paideia e quello della Bildung 31; Nuove ipotesi interpretative 35; La formazione come fondamento della pedagogia 39; L’orizzonte della complessita` 48; I modelli della complessita` 54.
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Capitolo terzo I nuovi modelli della societa` complessa La formazione nella societa` della conoscenza 61; La formazione permanente come sfida pedagogica 66; La differenza come problema e come valore 92, a) La differenza di genere 94, b) Le differenze culturali 100.
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Bibliografia ragionata
PREFAZIONE di Vincenzo Sarracino*
Il saggio di Fabrizio Sirignano offre un contributo efficace all’analisi di alcuni problemi posti oggi alla pedagogia dalla societa` complessa della quale essa, in quanto scienza della formazione, viene chiamata a decifrare i segnali di cambiamento e a risolvere le antinomie. Nella prima parte del lavoro il giovane studioso napoletano effettua una ricognizione storica dell’itinerario compiuto dalla pedagogia per acquisire uno statuto epistemologico a carattere scientifico, all’interno del quale la formazione si afferma, secondo quanto sostiene Franco Cambi, come categoria reggente. Il Seicento appare, ad ogni modo, il secolo in cui matura il cambiamento, con l’entrata in crisi del paradigma metafisico-religioso, un cambiamento che apre nuovi spazi alla riflessione pedagogica principalmente in due direzioni: quella di un approccio scientifico e quella di un approccio socio-politico, i quali, alimentati dallo scambio continuo con altri saperi e campi della conoscenza, proseguono il loro cammino nei due secoli successivi, dando luogo rispettivamente ad un paradigma scientifico e ad un paradigma socio-politico, all’interno del quale puo` essere collocata la dimensione dell’utopia con un percorso a se stante. Nella seconda parte del volume, l’autore si sofferma sull’itinerario – che nell’attualita`, ha visto la formazione porsi a fondamento della pedagogia – e in particolare oggi sullo snaturamento del concetto di formazione nelle accezioni, culturalmente riduttive, del mercato del lavoro. Si sofferma, inoltre, sull’apertura di ulteriori temi di riflessione sul processo di formazione, aperti dalla sua estensione ad un ambito piu` scientifico e pragmatico, quegli stessi che possono aiutare a coglierne piu` compiutamente la costitutiva pluralita`. * Ordinario di Pedagogia Generale, Seconda Universita` degli Studi di Napoli.
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LA PEDAGOGIA DELLA FORMAZIONE
Nella terza parte, soffermandosi sui modelli di formazione nella societa` complessa, e quindi ancora una volta nella contemporaneita` delle vicende che ci riguardano, Fabrizio Sirignano affronta le problematiche formative che vengono poste, oggi, alla pedagogia, focalizzando l’attenzione sull’affermazione della cosiddetta societa` della conoscenza, in cui l’educazione permanente, l’educazione per l’intera esistenza, il lifelong learning e la ricerca di una nuova felicita` umana, da un lato, e la flessibilita` cognitiva, dall’altro, diventano condizioni indispensabili per non essere esclusi dal mercato del lavoro. Riflette, inoltre, sul tema delle differenze, intese come risorsa e come valore, le quali oggi sembrano essere una delle priorita` dell’educazione per l’edificazione di una societa` pluralista e tollerante, fondata su basi democratiche. In conclusione, il lavoro di Fabrizio Sirignano, attraverso una puntuale ricostruzione storico-teorica delle vicende legate alla pedagogia della formazione e del dibattito attuale che attorno a tali temi si va svolgendo, offre spunti di riflessione sulle sfide che la societa` attuale pone alla pedagogia e alle scienze dell’educazione, soprattutto sulle soluzioni che e` necessario predisporre per rispondere in maniera efficace alle emergenze economiche, sociali e culturali incalzanti. Il manuale e` rivolto a quanti, docenti, operatori della formazione, studenti e studiosi, intendono introdursi nel campo della ricerca pedagogica e delle sue ricadute formative.
INTRODUZIONE
Il presente lavoro parte con l’obiettivo di focalizzare i problemi formativi dei singoli e dei gruppi, posti alla pedagogia dalla realta` attuale, privilegiando l’approccio storico, nella consapevolezza che la conoscenza del passato e` essenziale alla comprensione del presente. A tale proposito, viene ricostruito il lungo cammino della pedagogia verso l’acquisizione di un autonomo statuto epistemologico a carattere scientifico, il quale pone al centro l’emergere della formazione come categoria reggente (Cambi, Frauenfelder, 2000) nell’attuale orizzonte della complessita`, tenendo conto delle nuove sfide pedagogiche poste dall’interconnessione di una molteplicita` di problemi inediti e dalla forza con cui le differenze chiedono oggi spazio ed attenzione. La ricognizione storica effettuata individua nel Seicento il periodo di rottura epistemologica (Kuhn, 1999), quello in cui, con l’avvento della nuova scienza e della nuova filosofia, si produce una svolta epocale nel modo di procedere della conoscenza, che in campo scientifico e` esemplificato dalla fisica galileiana e in campo filosofico dalle idee di Bacone, prima, di Cartesio e Locke, poi, i quali superano, ciascuno con accentuazioni diverse, la speculazione filosofica aristotelica mediante l’uso di un metodo razionale del pensiero (Blattner, 1968). E` questo il periodo, d’altra parte, in cui per la pedagogia, priva di un proprio statuto epistemologico e strettamente legata alla filosofia, inizia il declino del paradigma metafisico-religioso (Cambi, 1986), utilizzato per secoli come canone e guida per l’interpretazione e la classificazione della conoscenza, ma gia` da allora non piu` adeguato ad inquadrare correttamente le coordinate di pensiero che delineano l’eta` nuova. Sembra di poter scorgere, tuttavia, nelle pieghe del discorso pedagogico cosı` come esso si e` andato sviluppando nel tempo, due direttrici lungo le quali si e` faticosamente snodato il suo percorso di elaborazione di disciplina autonoma, connotata da una multiproblematicita` ed avviata verso
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LA PEDAGOGIA DELLA FORMAZIONE
l’acquisizione di uno statuto a carattere scientifico. Le due direttrici, che potremmo definire ‘linee-guida’ del cammino della pedagogia verso la modernita`, confluiscono rispettivamente in un paradigma socio-politico e in un paradigma scientifico (Cambi, 1986), muovendo dai fermenti sociali e culturali che innervano, vivificano, trasformano ogni epoca storica, in un processo che non ha mai un termine. Cosı`, su un versante nasce e si consolida nel tempo l’attenzione alla dimensione sociale dell’educazione, dando l’avvio alla costruzione di un paradigma socio-politico che diventera` il modello educativo dominante dei due secoli successivi e che e` fondato sulla concezione di una pedagogia strettamente legata ad una filosofia politica che indica i fini da perseguire e traccia il percorso da compiere. A tale paradigma sono ancorate le pedagogie di una vasta schiera di autori da Rousseau a Kant, da Hegel a Marx, da Gentile a Gramsci, tutte fondate su fini sociali ed opzioni politiche e tutte “socialmente valutative e che non vogliono affatto sfuggire all’assunzione e alla universalizzazione (teorica e pratica) di un punto di vista” (Cambi, 1986, p. 45). Sull’altro versante sembra delinearsi timidamente con Comenio e, poi, piu` decisamente con Cartesio, che indirizza la pedagogia verso un approccio di tipo razionale al processo educativo, un paradigma scientifico, che poi assume maggiore spessore con l’empirismo di Locke attraverso l’adozione di un’ontologia moderna che, criticando la dottrina delle idee innate, elimina l’influenza della predestinazione ed apre la strada all’acquisizione di una metodologia di tipo scientifico (Boyd, 1968). Il paradigma scientifico, pur con i suoi limiti, ha consentito di costruire una metodica d’indagine dei fenomeni educativi ed ha concorso a determinare un nuovo assetto del sapere pedagogico articolato in piu` discipline, denominate in generale scienze dell’educazione, tutte diramantesi a partire da un “dispositivo cognitivo di controllo” (Cambi, 2000, p. 6) costituito dalla pedagogia nella forma di una filosofia dell’educazione, la quale viene a connotarsi come pensiero critico sul senso di questo sapere e sul suo universo di valori. Dalla riflessione sui valori emerge il ruolo-chiave esercitato dall’emancipazione, vero principio regolatore della pedagogia, che pone al centro della sua prassi il rapporto educativo teso alla formazione e, quindi, alla emancipazione del soggetto. Dall’esercizio del pensiero critico sull’oggetto della pedagogia si delinea il ruolo centrale della “formazione” che viene definita il suo “volano di senso” (Cambi, 2000, p. 8). La formazione, quindi, e` categoria reggente della pedagogia, anzi e` il suo “volano di senso”. Non si puo` pensare la pedagogia senza pensare alla formazione che ne ha accompagnato la storia assu-
INTRODUZIONE
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mendo di volta in volta connotazioni aderenti ai contesti culturali delle varie epoche, dando vita a modelli organici come la paideia e la Bildung. La paideia, con la sua concezione della formazione intesa come processo culturale, come esercizio di riflessione dell’uomo teso all’adesione convinta ad un modello etico generale, marca profondamente tutta la pedagogia occidentale di cui resta come principio regolatore, modellandosi alle esigenze culturali succedentesi nel tempo (Cambi, Frauenfelder, 2000) fino all’avvento dell’eta` moderna in cui sembra non piu` adeguata alle esigenze di una nuova cultura fondata sull’empirismo filosofico e sul mito della scienza. Ma il declino del modello di una formazione antropologica e` di breve durata ed e` Kant per primo ad affermare la posizione di un nuovo umanesimo, dando l’avvio alla Bildung, modello formativo di stampo idealistico che si sviluppa, cresce e si arricchisce con il contributo di pensatori di diversa estrazione e cultura. La formazione resta, quindi, come categoria reggente del discorso pedagogico ma appartiene anche alle altre scienze umane, come la psicologia, la sociologia e l’antropologia per ciascuna delle quali assume connotazioni ed accezioni specifiche, sempre all’interno di un quadro teorico generale che vede la formazione come fondamento della pedagogia che la ingloba nel proprio stemma interpretativo, chiamato a classificare e a decodificare i segnali della complessita`. In un contesto sociale dominato dalla fluidita` e dal cambiamento continuo, in un mondo in cui il sapere ha perso la sua struttura organica e un suo centro irradiatore, configurandosi secondo un modello reticolare, la ricerca ha individuato per la formazione un ruolo decisivo come mai prima nella storia dell’umanita` per la sopravvivenza non solo del singolo individuo ma della societa` stessa: “la formazione puo` fungere da regolatore pedagogico (da dispositivo di difesa del soggetto-persona) in grado di portare per mano ad una diffusa presa di coscienza che i mass-media e i personal media possono lasciare ‘via libera’ all’avvento – esistenzialmente devastante – di un soggetto-massa” (Frabboni 2002, p. 18). La formazione, inoltre, e` essenziale per decifrare la complessita` che si accompagna alla crisi dell’onniscienza, della pretesa di attingere un sapere globalizzante e definito, quindi all’accettazione anche dell’irrazionale, della singolarita`: “Oggi il modello della complessita` viene affermandosi come un paradigma epistemico generale” (Cambi, 1995, p. 132) di tutti i saperi, mettendo in discussione la separazione netta tra scienze pure e scienze umane attraverso l’introduzione dell’imprevedibile, del caso anche nella fisica classica e fornendo cosı` alla pedagogia la possibilita` di condurre ad unita` le sue
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LA PEDAGOGIA DELLA FORMAZIONE
antinomie, affermando una propria autonomia dai saperi forti che storicamente hanno teso a riassorbirla. E` interessante riportare il contributo di Prigogine sul modello della complessita` nell’ambito delle scienze della natura e quello di Morin nell’ambito delle scienze umane. Prigogine osserva che in situazioni di nonequilibrio la materia si organizza in strutture complesse che sembrano obbedire a proprieta` del tutto sconosciute e che in tal modo l’universo tende ad assumere “[...] una complessita` paragonabile a quella che viviamo dentro di noi” (Prigogine, 1988). Morin, invece, a conclusione di un’originale messa a punto degli elementi caratterizzanti la complessita`, conclude che essa non e` solo legata a fenomeni empirici, ma e` anche legata a problemi di ordine concettuale inerenti l’impossibilita` di stabilire una demarcazione netta tra il tutto e la parte. Essa puo` essere attinta solo rinunciando ai concetti chiusi e chiari, al principio cartesiano che la verita` sia rappresentata dalle idee chiare e distinte (Morin, 1988). La parte conclusiva del lavoro tende a focalizzare i problemi e le emergenze formative che si pongono oggi alla nostra attenzione e che mettono la scienza pedagogica di fronte a nuovi orizzonti d’indagine. Da una disamina delle caratteristiche peculiari della societa` attuale emerge che e` in atto un suo processo di trasformazione da societa` fondata sulla forza-lavoro a societa` fondata sulla conoscenza, di cui sono protagonisti assoluti i knowledge workers, lavoratori in possesso di competenze elevate che svolgono lavori ad alta qualificazione e che sostituiscono la figura dell’operaio-massa dell’inizio del Novecento (Alberici, 2002). Tale processo sta determinando una vera emergenza formativa dei giovani che devono inserirsi nel mondo del lavoro, e degli adulti che rischiano di esserne espulsi perche´ carenti delle competenze richieste. La necessita` di promuovere con urgenza politiche mirate a sostenere e diffondere progetti di formazione permanente e` da tempo avvertita a livello sovranazionale, e in concreto il Consiglio Europeo e la Commissione Europea si sono attivati tracciando le linee d’azione di una corretta strategia di formazione permanente di cui hanno fissato i punti nodali, affidando ai singoli stati il compito di realizzare progetti attuativi coerenti con tali direttive. Si pone quindi la necessita` di dare risposte adeguate a bisogni formativi diffusi e complessi in cui si sovrappongono il problema di attuare progetti a medio-lungo periodo mirati a rafforzare l’apprendimento come potenzialita` individuale e il problema di dare risposte immediate ad emergenze impellenti come quelle di alfabetizzazione, di disoccupazione, di emarginazione e di esclusione (Orefice, 2001; Gelpi, 2002). Appare necessa-
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rio riorganizzare gli attuali sistemi di istruzione valorizzando anche l’istruzione non formale ed informale e prevedendone intersezioni con percorsi formali; l’odierna situazione di estrema variabilita` dei percorsi di vita porta in superficie la dimensione individuale dell’apprendimento da cui discende l’opportunita` di prevedere programmi personalizzati di istruzione e il riconoscimento di ogni forma di apprendimento realizzata in qualsivoglia contesto poiche´ “la formazione [...] non sara` piu` sinonimo di scuola o istruzione, di alfabetizzazione o di scolarizzazione, bensı` capacita` di apprendere ad apprendere, di acquisire conoscenze di base spendibili nel corso dell’intera esistenza nelle varie occasioni di vita, istituzionali e non, ma anche di tentare di acquisire per se´ un proprio senso dell’esistere’’ (Sarracino, 2002, p. 38). L’emergere prepotente delle differenze che agitano la societa` attuale, rompe gli schemi consolidati, provocando lacerazioni, facendo esplodere contraddizioni e chiedendo risposte non sempre indolori. In particolare, sembrano essere nodi problematici di particolare rilevanza la differenza di genere e la differenza culturale. La differenza di genere, posta con forza dalle donne, comporta una riflessione critica su un modello culturale e familiare centrato sul predominio maschile, innescando una rivoluzione nei comportamenti, nel modo di pensare l’educazione, nella scelta dei valori di riferimento (Ulivieri, 1997). La pedagogia, per lungo tempo indifferente ad una riflessione sul problema della differenza di genere, a partire dagli anni Ottanta ha dato spazio al tema dell’educazione al femminile affrontato sia come ricerca storica sia come elaborazione teorica di un modello di societa` in cui siano poi rappresentati i valori tipici del mondo femminile che cerca una conciliazione tra mente e affetti. Ha cosı` potuto affermarsi una pedagogia degli affetti (Contini, 1992; Mottana, 1998; Rossi, 2002) che si muove verso una formazione intesa in un’accezione piu` ampia che comprende, insieme all’intelletto, anche le qualita` umane del soggetto cogliendone la dialettica emozionale interna. La differenza culturale, dal canto suo, contribuisce ad accrescere la complessita` del nostro tempo, aprendo alla nostra riflessione spazi inimmaginabili nel passato e spingendo la pedagogia ad affrontare un discorso orientato a promuovere una cultura rispettosa delle differenze etniche, capace di favorire un clima di scambio e di comprensione. Appare con tutta la sua pregnanza la necessita` di avviare una seria riflessione pedagogica intorno alle problematiche connesse al confronto tra culture diverse e lontane tra loro, contribuendo cosı` a sviluppare un pensiero aperto al nuovo, antidogmatico, capace di decentrarsi. Lo sviluppo di questa rifles-
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LA PEDAGOGIA DELLA FORMAZIONE
sione pedagogica puo` richiedere di ridefinire l’impostazione del nostro modello culturale centrato sulla esaltazione della civilta` e della storia occidentali. Per la pedagogia quindi si pone come problema aperto e come difficile sfida l’elaborazione di un modello formativo che possa contribuire alla edificazione di una reale e moderna societa` interculturale, che accolga ogni differenza come risorsa e come valore (Pinto Minerva, 2002).
1 L’ITINERARIO DELLA PEDAGOGIA SCIENTIFICA
1.1 Il declino del paradigma metafisico-religioso Nel Seicento giungono a compimento i fermenti dell’Umanesimo e del Rinascimento determinando, con l’avvento della nuova scienza e della nuova filosofia una svolta epocale nella storia del pensiero. La sistemazione tradizionale di un sapere di tipo enciclopedico, che procede per accumulazione, appare d’un tratto inadeguata a ricomporre in un quadro unitario le nuove conoscenze che richiedono l’individuazione di un metodo di analisi e di studio della realta`. 1 Nel campo della conoscenza umana avviene quella che T. S. Kuhn chiama: una rivoluzione scientifica, consistente nell’abbandono del paradigma aristotelico-tolemaico utilizzato per quindici secoli come canone per l’interpretazione e la classificazione del sapere, e nell’assunzione di un diverso paradigma, cioe` di una costruzione teorica complessiva fondata su basi diverse. Poiche´ secondo Kuhn “l’esistenza stessa del paradigma stabilisce il problema da risolvere”2, l’assunzione di un nuovo paradigma comporta un cambiamento nel modo di osservare il mondo. Il mutamento del quadro concettuale di riferimento fa sorgere nuove domande e sposta in avanti l’asse della conoscenza umana aprendo l’accesso a ricerche inimmaginabili col vecchio paradigma, come e` avvenuto con la rivoluzione copernicana dove “la radicale riclassificazione dei corpi celesti sottostante alla rivoluzione copernicana, se pure risolse alcuni problemi locali dell’astronomia tolemaica, d’altra parte sollevo` una miriade di problemi nemmeno 1
T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, Biblioteca Einaudi, Torino 1999, pp. 43-55, p. 29. 2 Ivi, p. 47.
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formulabili entro il quadro concettuale sottostante al sistema tolemaico: perche´ i corpi pesanti continuano a cadere in direzione della superficie della terra che ruota, che si sposta cioe` nella sua orbita intorno al sole? Che cosa muove i pianeti, e come in assenza della sfere sono trattenuti nelle loro orbite? L’astronomia copernicana minava credenze stabilite e dogmi rassicuranti, ma poneva piu` domande di quelle cui rispondeva. Pero` le domande eccedenti erano interessanti. Erano delle sfide intellettuali. Non manco` percio` chi vi si impegno`. E alla fine qualcuno vi riuscı`, da Galileo a 3 Newton, da Gauss a Poincare´” . Il mutamento della concezione del mondo “[...] Guidati da un nuovo paradigma gli scienziati adottano nuovi strumenti e guardano in nuove direzioni. Ma il fatto ancora piu` importante e` che, durante le rivoluzioni, gli scienziati vedono cose nuove e diverse anche quando guardano con gli strumenti tradizionali nelle direzioni in cui avevano gia` guardato prima. E` quasi come se la comunita` degli specialisti fosse stata improvvisamente trasportata su un altro pianeta dove gli oggetti familiari fossero visti sotto una luce differente e venissero accostati ad oggetti insoliti. Naturalmente, non succede niente di simile: non si tratta di uno spostamento geografico; al di fuori del laboratorio la vita d’ogni giorno continua a scorrere come prima. Tuttavia, dopo un mutamento di paradigma, gli scienziati non possono non vedere in maniera diversa il mondo in cui sono impegnate le loro ricerche. Nei limiti in cui i loro rapporti con quel mondo hanno luogo attraverso cio` che essi vedono e fanno, possiamo dire che, dopo una rivoluzione, gli scienziati reagiscono in modo differente. [...] Quello che nel mondo dello scienziato prima della rivoluzione erano anatre, appaiono dopo come conigli. Colui che in un primo momento aveva visto la parte esterna di una scatola dall’alto, piu` tardi ne vede la parte interna dal basso. Trasformazioni di questo genere ma di solito piu` graduali e quasi sempre irreversibili, si verificano abitualmente e ripetutamente nel corso dell’educazione scientifica”. T. S. Kuhn, La struttura delle rivoluzioni scientifiche, cit., pp. 139-140.
Elemento peculiare e rivoluzionario del cambiamento in atto nel corso del secolo e` la frammentazione e diversificazione dei saperi; scompare la figura dell’intellettuale che e` insieme scienziato, filosofo e letterato, nel giro di pochi decenni si diversificano le competenze e gli interessi mentre si accentua rapidamente il rigore specialistico che fara` dire, a Galileo gia` vecchio, di non riuscire a comprendere fino in fondo il trattato di geometria che un suo discepolo, Bonaventura Cavalieri, ha pubblicato nel 1635 a Bologna4. 3
G. Giorello, M. Mondadori, Oltre il metodo. Mutamento e conoscenza scientifica, in «Problemi della transizione», 1, 1979, p. 97. 4 R. Cesarini, L. De Federicis, Il materiale e l’immaginario, vol. 5, Loesher, Torino 1984, p. 306.
L’ITINERARIO DELLA PEDAGOGIA SCIENTIFICA
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Mentre in campo scientifico Galileo, applicando gli strumenti matematici alla lettura della realta` imprime una svolta radicale allo sviluppo della fisica aprendo la strada alla grandiosa sistemazione della meccanica newtoniana, in campo filosofico e` tutto un fermento di idee nuove con Bacone prima, Cartesio e Locke poi, che superano, ciascuno con accentuazioni diverse, la speculazione filosofica aristotelica mediante l’uso di un metodo 5 razionale del pensiero che per Bacone e` fondato sull’induzione e sull’esperienza, per Cartesio sulla forza logica e matematica della ragione, per Locke sulla rivalutazione della conoscenza sensibile i cui prodotti, le sensazioni, sono poi elaborati dalla riflessione. La filosofia di Cartesio ha in se´ una carica dirompente perche´ contribuisce a distruggere la visione rassicurante della realta` cosı` come e` percepita dai sensi, in sintonia con l’azione condotta da Copernico in campo astronomico che ha sostituito alla realta` di un universo percepibile con l’esperienza quotidiana (il sole qui nasce e lı` tramonta) una realta` diversa, ottenuta attraverso il pensiero matematico e contrastante con quanto appare alla vista. Infatti egli opera in campo filosofico un ribaltamento di prospettiva sostituendo alla verita` dell’essere la verita` prodotta dal pensiero che e` capace di operare secondo un procedimento rigorosamente logico. Ne discende che il mondo percepibile dai sensi e` ingannevole, mentre assume valore di realta` un mondo solo pensato: “la prima [regola] era di non accogliere mai nulla per vero che non conoscessi esser tale con evidenza: di evitare, cioe`, accuratamente la precipitazione e la prevenzione; e di non comprendere nei miei giudizi nulla piu` di quello che si presentava cosı` chiaramente e distintamente alla mia intelligenza da escludere ogni possibilita` di dubbio. La seconda era di dividere ogni problema preso a studiare in tante parti minori, quante fosse possibile e necessario per meglio risolverlo. La terza, di condurre con ordine i miei pensieri, cominciando dagli oggetti piu` semplici e piu` facili a conoscere, per salire a poco a poco, come per gradi, sino alla conoscenza dei piu` complessi; e supponendo un ordine anche tra quelli di cui gli uni non precedono naturalmente gli altri. In fine, di far dovunque enumerazioni cosı` complete e revisioni cosı` generali da esser sicuro di non aver omesso nulla”6. Galileo, muovendosi su un terreno diverso, compie un’operazione analoga a quella di Cartesio perche´ anche egli sostituisce, nello studio della fisica, alla realta` sensibile come essa “appare”, una realta` ottenuta appli5 6
F. Bla¨ttner, Storia della pedagogia, Armando, Roma 1968, p. 62. R. Cartesio, Discorso sul metodo, a cura di A. Carlini, Laterza, Bari 1963, pp. 54-56.
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LA PEDAGOGIA DELLA FORMAZIONE
cando allo studio dei fenomeni il razionalismo matematico supportato da esperimenti talvolta solo pensati. 7 Secondo il filosofo della scienza S. Amsterdamski il formarsi di un nuovo ideale di scienza e` stato reso possibile da una riforma della filosofia naturale, con l’abbandono dell’ontologia aristotelica e quindi della visione di un mondo finito, ordinato, gerarchicamente differenziato, sostituita dall’idea di un mondo aperto, infinito, regolato da leggi universali. E` un universo in cui cielo e terra hanno lo stesso status ontologico e in cui non c’e` piu` spazio per concetti come perfezione, armonia, senso, predestinazione. Da un mondo di cose la scienza si trasferisce in un mondo di corpi astratti che si muovono in un astratto spazio geometrico, guidato da leggi universali. Il mondo delle qualita` sensibili e` sostituito da un mondo di grandezze, forme e rapporti, un mondo che si lascia misurare. La conoscenza immediata, ritenuta per secoli criterio di verita`, ora e` ritenuta ingannevole. Alla concezione aristotelica secondo la quale la spiegazione scientifica consiste nel ridurre cio` che e` ignoto a cio` che e` noto, si sostituisce la convinzione che la scienza abbia come scopo di spiegare cio` che e` noto mediante l’ignoto: “Ogni volta che la spiegazione scientifica evidenziera` una scoperta, si trattera` di una spiegazione di cio` che e` noto per mezzo di cio` che e` ignoto”8. La pedagogia, ancora priva di un proprio autonomo statuto epistemologico, acquisisce, per il suo legame con la filosofia, un orientamento antropologico-sociale che caratterizza la riflessione teorica in campo educativo di un ampio schieramento di autori, da Comenio a Fenelon, a Locke. Secondo Cambi9 le novita` che in ogni campo agitano il Seicento determinano, per la pedagogia, l’inizio del declino del paradigma metafisicoreligioso non piu` adeguato ad inquadrare correttamente le coordinate di pensiero che caratterizzano l’eta` nuova, in cui predomina l’aspetto sociale e politico di un sapere orientato all’azione e all’impegno civile10.
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Cfr. S. Amsterdamski, Tra la storia e il metodo. Discussione sulla razionalita` della scienza, tr. it., Edizioni Theoria, Roma-Napoli 1986, pp. 70-71. 8 K. Popper, J. Eccles, L’io e il suo cervello, Armando, Roma 1981, p. 191. 9 F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, Clueb, Bologna 1986, p. 41. 10 Ibid.
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La dimensione sociale dell’educazione “[...] Col Settecento, tra Illuminismo e Rivoluzione, questo paradigma del sapere pedagogico esplode. Da Rousseau a d’Holbach, a Basedow, da Condorcet a Pestalozzi la pedagogia si costituisce intorno al proprio destino sociale, fa emergere al proprio centro la funzione politica e si viene a definire come un momento centrale (se non proprio il momento) della riforma della societa`. Il nesso che corre tra pedagogia e societa` si fa sempre piu` esplicito e sempre piu` decisivo e intorno ad esso viene ad organizzarsi il discorso pedagogico nella sua globalita`. Rousseau e Kant sono in questo senso emblematici: le loro pedagogie guardano ad una rigenerazione-rifondazione della societa`, il loro telos e` eminentemente politico. Dal Settecento si avvia una fase di affermazione e di sviluppo di questo paradigma che attraverso la stagione romantica, quella positivistica e poi quella pragmatistica si delinea come la crescita di una egemonia, come il modello dominante nella fase piu` matura della modernita`. Dall’Ottocento al Novecento vengono a delinearsi i modelli piu` organici di questo tipo di sapere pedagogico. Hegel e Marx, Comte e Dewey [...] vengono a scandire e articolare la crescita del paradigma socio-politico della pedagogia. F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, cit., p. 41.
Il discorso pedagogico assume in tale clima finalita` sociali e politiche, attento alla realizzazione di un uomo pienamente inserito nel contesto del suo tempo. La tradizione metafisico-retorica ha dominato incontrastata il sapere pedagogico per un arco di tempo lunghissimo, forte di una doppia struttura, teorico-normativa ed insieme pragmatico-deontologica, perfettamente rispondente alle esigenze di una societa` gerarchizzata, con rapporti di forze tra le classi sociali cristallizzati ed immutabili. L’irrompere sulla scena con l’Umanesimo prima e col Rinascimento poi di un nuovo tipo di intellettuale11 immerso nei problemi del proprio tempo, interessato a discutere questioni giuridiche e politiche concrete, finisce per sconvolgere un quadro culturale rigidamente organizzato; cambiano i punti di riferimento, mentre si afferma un nuovo paradigma del sapere, di tipo socio-politico, un nuovo modo di organizzare le conoscenze, un diverso schema interpretativo della realta`. La pedagogia, in quanto disciplina che codifica e trasmette i comportamenti richiesti dal modello socio-culturale di riferimento, e` investita in pieno dall’onda di cambiamento e si spinge a teorizzare un nuovo ideale educativo centrato sulla formazione di un uomo capace di partecipare attivamente e coscientemente alla vita sociale e politica12. La 11
Cfr. E. Frauenfelder, Il pensiero pedagogico di Leon Battista Alberti, ESI, Napoli 1995. “L’importanza che la pedagogia assume nell’Umanesimo ha radici evidentissime: l’uomo ha trovato energie proprie, l’io deve sviluppare le sue forze, deve formarsi. Un nuovo senso gioioso del mondo e della vita terrena ha preso il posto del vecchio dualismo medievale; alla natura umana vengono riconosciuti tutti i piu` svariati diritti, l’uomo rinascimentale ha della vita una visione ottimistica: il senso del peccato, il timore del castigo eterno 12
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nuova pedagogia, strettamente legata alla svolta immanentistica della riflessione filosofica, costruisce la propria identita` attraverso le idee espresse da 13 Tommaso Moro, Campanella e Bacone, teorizzando modelli e percorsi educativi adeguati a trasmettere i valori della modernita`. In particolare Bacone, nel suo Discorso in aiuto del potere intellettivo scritto intorno al 1600 sotto forma di lettera al direttore della scuola di Eton14, esprime la sua concezione dell’educazione intesa come sviluppo delle facolta` mentali, lamentando la insufficiente attenzione posta dai pedagogisti a questo aspetto15. L’esigenza per la pedagogia di puntare con decisione alla formazione civile e` talmente sentita da essere posta con forza sia da ambienti della Riforma calvinista che da ambienti della Controriforma cattolica che organizzano istituzioni16 con finalita` sociali e politiche.
1.2 Lo sviluppo del paradigma socio-politico Nel Settecento il processo di cambiamento nella visione del mondo e nel modo di intendere la conoscenza si consolida favorendo la nascita di un diffuso atteggiamento mentale laico. Mentre nel Seicento era stata dominante l’identificazione della scienza con il metodo matematico e con i suoi procedimenti, nel Settecento, soprattutto per influenza della filosofia di Locke, si tende a valorizzare il sapere empirico. Il nesso ragione-esperienza rappresenta una caratteristica peculiare del pensiero illuministico17. Da Locke, interpretato e mediato dai filosofi francesi, deriva l’accettazione di sono scomparsi, lasciando nell’uomo una serena visione del mondo. [...] Sono queste le premesse che permettono all’Umanesimo quello sviluppo pedagogico che poi assunse. L’uomo, divenuto attivo, libero dalla passiva ricezione medievale, puo` aspirare alla formazione di se stesso ottenuta da se stesso; l’elemento volontaristico e` senza dubbio basilare in tutta la pedagogia umanistica” (Ivi, pp. 41-42). 13 Cfr. E.Frauenfelder, La Citta` del sole di Tommaso Campanella, Ferraro, Napoli 1981. 14 W. Boyd, Storia dell’educazione occidentale, Armando, Roma 1968, p. 265. 15 “Con Bacone ha origine l’empirismo che caratterizzo` il pensiero del Seicento e del Settecento; ma l’aspetto piu` importante della sua operazione culturale riguarda il senso e le finalita` della scienza: non piu` considerata come una semplice riflessione sulla natura, essa doveva portare i suoi frutti eliminando la frattura tra teoria e pratica, essere applicabile all’industria e costituire uno strumento per trasformare, migliorandole, le condizioni di vita degli uomini, per dominare la natura, conoscendone e rispettandone le leggi” (G. Balduzzi, Storia della pedagogia e dei modelli educativi, Guerini Studio, Milano 1999, p. 89). 16 Cfr. F. M. Sirignano, L’itinerario pedagogico della Ratio Studiorum, Luciano Editore, Napoli 2001. 17 Cfr. P. Rossi [a cura di], Gli illuministi francesi, Loescher, Torino 1968.
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una relativa pluralita` di modalita` e strategie cognitive, la costruzione di modelli applicativi secondo linee empirico-induttive, la riabilitazione dell’osservazione sensibile. Di questa apertura metodologica si avvantaggiano le discipline che indagano lo sviluppo delle facolta` umane e quindi l’evoluzione dell’individuo: la medicina, l’etnologia, la pedagogia: un testo che illustra la pedagogia del secolo puo` essere considerato il memoriale in due volumi in cui il medico philosophe Jean Itard descrive la sua esperienza di educazione di un 18 giovane che viveva allo stato animale nei boschi di Lacaune nell’Aveyron : l’attenzione alla dimensione sociale dell’educazione e` presente con forza in tutta la pedagogia del secolo. Il paradigma socio-politico inizia ad affermarsi in questo periodo, diventando il modello educativo dominante dei due secoli successivi. Da Rousseau a Kant la funzione politica e` centrale nel discorso pedagogico, che viene costruendosi intorno alle riforme della societa`. Hegel poi che, per l’organicita` e la potenza del suo pensiero esercitera` una profonda influenza su tutta la riflessione successiva, pone al centro del discorso pedagogico l’aspetto sociale dell’educazione mentre Marx declina il paradigma evidenziandone l’aspetto politico. L’educazione impartita ai giovani e` sempre, per Marx, una educazione di classe che trasmette idee funzionali all’interesse di una determinata classe sociale; da qui il ruolo strategico che il problema pedagogico riveste in un progetto di cambiamento sociale. Dewey, erede delle idee espresse dalle grandi correnti filosofiche dell’Ottocento, elabora un modello di filosofia sociale dell’educazione che orientera` per lungo tempo le scelte della pedagogia nel corso del Novecento, diventando un elemento fondante del pensiero contempora19 neo . Dewey nel delineare i tratti della societa` ideale20, disegna una societa` aperta, che offra a tutti uguali possibilita` di realizzare le proprie potenzialita`, priva di barriere di classe, di razza e di territorio nazionale, mobile, ricca di canali distributori dei cambiamenti. Una societa` siffatta, autenticamente democratica, puo` realizzarsi solo provvedendo a rendere accessibili a tutti a condizioni eque le necessarie opportunita` di crescita intellettuale e quindi un’educazione adeguata21. Essa e` una societa` educante, che ha per voca18
Cfr. A. Canevaro, A. Goussot [a cura di], La difficile storia degli handicappati, Carocci, Roma 2000, pp. 34-53. 19 Cfr. A. Granese, Introduzione a Dewey, Laterza, Roma-Bari 2001. 20 J. Dewey, Democrazia ed educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1984. 21 “La devozione della democrazia all’educazione e` un fatto ben noto. La spiegazione superficiale e` che un governo che dipende dal suffragio popolare non puo` prosperare se coloro che eleggono e seguono i loro governanti non sono educati. Poiche´ una societa`
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zione l’educazione, perche´ si regge su una partecipazione convinta ad esperienze condivise e continuamente comunicate, che produce una grande varieta` di stimoli a cui un individuo deve rispondere, e la liberazione di capacita` personali altrimenti soffocate. Dewey esamina anche le tre filosofie dell’educazione che, elaborate in epoche diverse, hanno dato particolare rilievo al significato sociale dell’educazione, mettendone in risalto, accanto agli elementi innovativi che ciascuna di esse ha prodotto nella storia del pensiero pedagogico, gli aspetti per cui esse non sono attuali. In particolare, egli ritiene che la filosofia elaborata da Platone sia centrata su un ideale formalmente assai simile a quello da lui esposto ma che sia compromesso nel suo funzionamento, in quanto considera unita` sociale la classe piuttosto 22 che l’individuo . Quanto all’individualismo illuministico, esso implicava l’idea di una societa` vasta come l’umanita` del cui progresso l’individuo doveva essere l’organo, ma non era in grado di indicare una istituzione nella quale tale ideale potesse concretamente realizzarsi. Le filosofie idealistiche classiche del ’900 hanno individuato nello stato nazionale l’istituzione nella quale realizzare il processo educativo, limitando cosı` la concezione dello scopo sociale ai soli membri della medesima unita` politica, e reintroducendo cosı` l’idea della subordinazione dell’individuo all’istituzione. Il paradigma socio-politico viene declinato dai singoli autori con accenti diversi in relazione alla sensibilita` e alla collocazione politica di ciascuno, ma presenta dei caratteri peculiari che ne definiscono la tipologia. A fondamento del paradigma e` posta la concezione di una pedagogia strettamente legata ad una filosofia politica che indica i fini da perseguire e traccia il percorso da compiere23. Cambi a questo proposito cita Dewey e
democratica ripudia il principio dell’autorita` esterna, deve trovarle un surrogato nelle disposizioni e nell’interesse volontari; e questi possono essere creati solamente dall’educazione. Ma vi e` una spiegazione piu` profonda. Una democrazia e` qualcosa di piu` di una forma di governo. E` prima di tutto un tipo di vita associata, di esperienza continuamente comunicata. L’estensione nello spazio del numero di individui che partecipano a un interesse in tal guisa che ognuno deve riferire la sua azione a quella degli altri e considerare l’azione degli altri per dare un motivo e una direzione alla sua equivale all’abbattimento di quelle barriere di classe, di razza e di territorio nazionale che impedivano agli uomini di cogliere il pieno significato della loro attivita`. [...] Una societa` mobile, ricca di canali distributori dei cambiamenti dovunque essi si verifichino, deve provvedere a che i suoi membri siano educati all’iniziativa personale e all’adattabilita`. Altrimenti essi sarebbero sopraffatti dai cambiamenti nei quali si trovassero coinvolti e di cui non capissero il significato e la connessione” (Ivi, pp. 110-112). 22 Ivi, pp. 107-110. 23 Cfr. A. Broccoli, Ideologia ed educazione, La Nuova Italia, Firenze 1974.
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Gramsci ma anche Gentile ed Hegel, Kant e Marx, rilevando come le loro pedagogie abbiano a fondamento fini sociali ed opzioni politiche e siano “socialmente valutative e che non vogliono affatto sfuggire all’assunzione e 24 alla universalizzazione (teorica e pratica) di un punto di vista” . Come a piu` riprese ricorda Cambi, a partire dal Seicento il declino del paradigma metafisico-religioso e` accompagnato dal sorgere di paradigmi diversi che coesistono, intrecciandosi, contrapponendosi l’un l’altro, talvolta completandosi; le vicende sociali e culturali poi determinano, per periodi piu` o meno lunghi, il predominio dell’uno o dell’altro. Cosı`, al paradigma socio-politico comincia ad affiancarsi gia` dal Seicento quello scientifico che poi prevarra` nel corso dell’Ottocento col Positivismo. A partire invece dalla seconda meta` del Settecento gli si affianca in un confronto dialettico uno di tipo antropologico-filosofico, alimentato dalle idee espresse dall’Illuminismo tedesco e da un certo Romanticismo. E` una concezione pedagogica centrata sulla Bildung, intesa come formazione dell’uomo integrale, fatto di sentimento e ragione. E` un paradigma tutto costruito intorno all’uomo e alle sue esigenze spirituali, alle quali va piegata la modernita` che, invece, presenta caratteri disumanizzanti ed alienanti.
1.3 Il paradigma scientifico Con l’affermazione del Positivismo in Europa nel corso dell’Ottocento, cui si e` gia` accennato, acquista sempre maggiore rilievo in pedagogia il paradigma scientifico che gia` ha mosso i primi passi nel corso del Seicento con Comenio che, pur intriso di religiosita`, valorizza l’osservazione e la ricerca di leggi regolatrici della natura umana su cui fondare l’apprendimento. La filosofia di Cartesio poi spinge decisamente la pedagogia nella direzione di un approccio di tipo razionale al problema educativo anche se in essa e` ancora presente un’ontologia tradizionale, espressa dall’innatismo delle idee fondamentali. Alla fine del secolo e` l’empirismo di Locke a indirizzare la pedagogia 25 verso l’acquisizione di una metodologia di tipo scientifico , determinando l’avvio del suo conflittuale rapporto con le scienze sperimentali. Locke 24
F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, cit., p. 45. “L’empirista John Locke (1632-1704), scartato l’innatismo, puntava sull’esperienza e sull’intelligenza, due fattori sui quali e` stata costruita gran parte della pedagogia scientifica contemporanea” (R. Fornaca, R. S. Di Pol, Dalla certezza alla complessita`. La pedagogia scientifica del ’900, Principato, Milano 1993, p. 3). 25
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avvia un profondo rinnovamento della pedagogia attraverso l’adozione di un’ontologia moderna che critica radicalmente la dottrina delle idee innate e l’ontologia cartesiana (Saggio sull’intelligenza umana, 1690) eliminando cosı` l’influenza della predestinazione che ha caratterizzato per secoli la riflessione filosofica. I Pensieri sull’educazione pubblicati da Locke nel 1693 sono, 26 secondo Gusford , uno dei testi fondamentali del pensiero moderno. L’empirismo di Locke, liberando l’uomo dalla predestinazione, favorisce lo sviluppo di una cultura diversa e la creazione di una societa` rinnovata, piu` dinamica, in cui l’intelligenza e l’iniziativa del singolo possono giocare un ruolo decisivo sugli sviluppi della sua condizione sociale ed economica. La posizione di Locke e` quella del protestantesimo liberale27che riconosce l’esistenza di una liberta` umana del cui buon uso l’uomo e` responsabile; tale posizione riprende quella di Pelagio, teologo inglese, che nel V secolo d.C. disputo` con Sant’Agostino sostenendo che il peccato originale ha determinato la condanna di Adamo ma non dell’intera specie umana, per cui l’uomo e` titolare di una liberta` la cui esistenza salva il senso dell’azione morale. La posizione di Pelagio e` stata condannata dalla Chiesa ma, a distanza di secoli, ha trovato sostenitori e Locke e` uno di essi, seguito da Rousseau che rifiuta il peccato originale. Mentre secondo Sant’Agostino, che si ispira a Platone, il fanciullo non puo` apprendere se non quello che gia` sa e l’educazione e` la rivelazione di un sapere innato, Locke rifiuta l’idea di pre-formazione e di predestinazione; per lui l’educazione dell’uomo avviene sulla terra, a partire da un grado zero della coscienza psicologica e morale: Se e` vero cio` che ho detto in principio di questo discorso, come non dubito che sia, che le differenze rilevabili nel contegno e nella capacita` degli uomini sono, piu` che ad ogni altra causa, imputabili all’educazione ricevuta, ho ragione di concludere che si deve porre grandissima cura nel formare la mente dei bambini, dandole sin dal principio quell’impronta che dovra` poi avere influenza su tutta la loro vita. (J. Locke, Pensieri sull’educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1992, pp. 44-45).
Le idee di Locke diventano patrimonio anche di settori della cultura cattolica apparentemente lontanissimi dalle sue posizioni; i gesuiti, ad esempio, vengono accusati dai giansenisti di semi-pelagianesimo, per la
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Cfr. G. Gusford, Le scienze umane nel secolo dei lumi, La Nuova Italia, Firenze 1980. Ivi, p. 85.
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loro fiducia nell’istruzione intesa come strumento di liberta` perche´ consente all’uomo di operare scelte consapevoli. Nel secolo successivo Rousseau delineera` poi con chiarezza le coordinate della pedagogia scientifica28, fissandone l’oggetto formale (il bambino e la sua evoluzione)29 e lo statuto di scienza antropologico-sociale30. Visalberghi31, nell’affrontare il discorso sulla scientificita` della pedagogia indica le caratteristiche peculiari di una disciplina scientifica, che sono: una natura empirico-sperimentale e una salda struttura di tipo ipotetico-deduttivo, ma aggiunge che si puo` parlare di scienza anche quando almeno una delle due caratteristiche e` presente, come nel caso della matematica e della logica in cui manca l’aspetto sperimentale o della demografia dove e` assente la struttura ipotetico-deduttiva32. Nel caso delle scienze dell’educazione33, al28
“[...] Con l’Emilio (1726), il romanzo pedagogico di Jean-Jacques Rousseau [...], inizia la pedagogia moderna e – per molti aspetti – contemporanea, per l’insieme delle questioni che vi sono trattate: vari stadi della formazione dell’uomo, concetto di natura, concezione ottimistica, autoeducazione, apprendimento attivo, genesi, sviluppo e maturazione dell’intelligenza, ruolo dell’esperienza, carattere essenziale della coscienza, formazione dell’uomo senza condizionamenti, non violenza, uguaglianza. Un romanzo che contiene molte riflessioni scientifiche [...]” (R. Fornaca, R. S. Di Pol, Dalla certezza alla complessita`, cit., pp. 3-4). 29 “[...] Ho preso quindi la decisione di crearmi un allievo immaginario, di suppormi l’eta`, la salute, le cognizioni e il talento conveniente per accudire alla sua educazione e condurla dal momento della sua nascita a quello in cui, divenuto uomo fatto, non avra` piu` bisogno di altra guida che se stesso” ( J. J. Rousseau, Emilio o sull’educazione, tr. it., Sansoni, Firenze 1966, p. 21). 30 F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, cit., p. 56. 31 Cfr. A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell’educazione, Mondadori, Milano 1978; Oscar saggi Mondadori, 1990. 32 “Quando diciamo che le scienze sottentrano alla filosofia o che le scienze dell’educazione sottentrano alla pedagogia, usiamo il termine scienza in un significato per cui non potremmo dire che la filosofia stessa, o la pedagogia, sono esse medesime scienze, nel senso di conoscenza di pari attendibilita`. Questo significato della parola scienza, intesa come una forma di conoscenza particolarmente garantita, ma non esclusiva, e` del resto quello piu` corrente. Ma chiarirlo non e` facile. Qui, per brevita`, indicheremo i due elementi caratteristici in base ai quali riconosciamo di solito carattere scientifico ad un complesso di conoscenze. Il primo elemento e` metodologico: la scienza si basa su esperienze replicabili che autorizzano a fare sensate generalizzazioni e percio` previsioni. Il secondo elemento e` logico-strutturale: una scienza e` costituita da un insieme ordinato e coerente di concetti ben definiti, connessi in proposizioni (o ipotesi, o leggi, o relazioni) fondamentali da cui altre sono deducibili secondo regole anch’esse ben definite” (Ivi, p. 16). 33 “La prima volta che in Occidente si e` parlato di scienze dell’educazione, ce lo ricorda Mialaret, e` stato a Ginevra all’inizio del secolo. In altri termini, sotto la spinta delle scienze sociali, a loro volta interpreti dei cambiamenti in atto nelle societa` industriali, si e` riconosciuto che la pedagogia come disciplina che si occupa dell’educazione da sola non bastava
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cune di esse presentano una carente strutturazione teorica ma la presenza di un approccio metodologico di tipo empirico-sperimentale autorizza ad attribuire loro il carattere di scienza. Inoltre Visalberghi riconosce a Rousseau il merito di avere per primo indicato come oggetto della pedagogia lo studio dell’allievo e lo vede come “primo e principale portatore dell’istanza di una psicologia scientifica che illumini l’opera dell’educatore”34, quindi come uno dei precursori della pedagogia scientifica insieme a Pestalozzi che invece fissa l’attenzione sulla necessita` per il docente di possedere strumenti metodologici adeguati ad ottimizzare l’intervento educativo, precorrendo i tempi (dato che nel secolo successivo gli sperimentalisti studieranno scientificamente il problema dei metodi d’insegnamento) e mette in luce l’influenza della condizione sociale di partenza del soggetto sui risultati dell’apprendimento, anticipando una riflessione che sara` adeguatamente sviluppata nel pensiero di Dewey. Le fonti scientifiche dell’educazione “[...] Possiamo con un certo diritto chiamare la pratica educativa una specie di ingegneria sociale, dandole tale nome mettiamo in risalto subito che come arte essa e` molto piu` arretrata delle branche dell’ingegneria fisica, quali il rilievo topografico, la costruzione dei ponti e delle ferrovie. La ragione e` ovvia. Tenuto in debito conto che il tirocinio e` meno sistematico per le persone che si occupano dell’arte dell’educazione, rimane il fatto rilevante che le scienze, cui attingere per fornire il contenuto scientifico all’opera di colui che esercita l’educazione, sono esse stesse meno mature di quelle che forniscono il contenuto intellettuale dell’ingegneria. Le scienze umane che sono le fonti del contenuto scientifico dell’educazione – la biologia, la psicologia e la sociologia – per esempio, sono relativamente arretrate a confronto della matematica e della meccanica. [...] Non e` solo la pratica che ha sofferto a cagione dell’isolamento degli studiosi delle discipline sociali e psicologiche dagli avvenimenti che si verificano nelle scuole. L’indifferenza verso quest’ultime, il disprezzo intellettuale mal celato per esse, ha rafforzato indubbiamente nelle scuole la diffusione del convenzionalismo e della abitudinarieta` delle opinioni contingenti [...]. A questo punto, e` particolarmente significativo il fatto che i sistemi educativi siano una fonte dei problemi della scienza dell’educazione piuttosto che del suo contenuto vero e proprio. Un adeguato riconoscimento che la fonte del contenuto realmente scientifico si trova in altre scienze costringerebbe al tentativo di impossessarsi di cio` che esse possono offrire”. J. Dewey, Le fonti di una scienza dell’educazione, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1951, pp. 27-28. ad indagare un campo cosı` composito. Si e` cominciato a parlare di scienze dell’educazione intendendo con esse un ambito complessivo di discipline – dalla filosofia alle scienze sociali – che studiano il fenomeno educativo da differenti angolature e che intervengono diversamente per modificarlo” (P. Orefice, Il processo formativo: questioni formali e teoriche, in P. Orefice [a cura di], Formazione e processo formativo, FrancoAngeli, Milano 1997, p. 16). 34 A. Visalberghi, Pedagogia e scienze dell’educazione, cit., p. 18.
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Ma e` col Positivismo che nasce una vera e propria pedagogia scientifica legata alla fisiologia, alla teoria dell’evoluzione, alla sociologia, in grado di avviare processi di analisi sperimentale dei modelli educativi proposti. In questo periodo storico si compie un processo di rinnovamento soprattutto metodologico, applicando alla pedagogia il metodo galileiano fondato sulla sequenza: individuazione delle grandezze significative di un fenomenoosservazione-formulazione di un’ipotesi o modello interpretativo del fenomeno-validazione del modello. L’applicazione del metodo e` una spinta al rinnovamento, perche´ attiva procedure di analisi dei dati sperimentali producendo cosı` nuova conoscenza. Si inizia a parlare di misurazioni nel campo della valutazione scolastica, innescando processi che innalzano il livello di competenza degli operatori pedagogici. Il paradigma scientifico, pur con i suoi limiti, ha alimentato, attraverso una folta schiera di autori, un vasto movimento di idee ed ha consentito di costruire una metodica di indagine dei fenomeni educativi che e` ormai acquisita. Rispetto ai contenuti, il sapere pedagogico si e` articolato in piu` discipline, scienze dell’educazione, che concorrono, da angolazioni diverse, allo studio e alla soluzione dei problemi educativi scaturiti dalle esigenze formative di una societa` in rapida evoluzione, fortemente caratterizzata sul versante delle innovazioni tecnologiche che richiedono, per essere consapevolmente gestite, un ampliamento di conoscenze in ambiti nuovi mentre inducono cambiamenti profondi nella condizione dell’uomo che vanno analizzati con strumenti idonei a comprenderne la portata per poterli dominare e indirizzare correttamente. Alla pedagogia come sapere depositario dei problemi inerenti l’educare si sono affiancati saperi specializzati che autonomamente, con tecniche e strumenti d’indagine propri, analizzano aspetti e settori diversi dei fenomeni che innervano l’attuale societa` complessa. Le diverse discipline che concorrono a formare le scienze dell’educazione si sono poi ramificate suddividendosi a loro volta in settori specifici (ad esempio la psicologia si e` articolata in psicologia sociale, psicologia dell’eta` evolutiva, psicologia differenziale, psicometria) per indagare adeguatamente i problemi che ogni acquisizione nuova fatalmente pone, spostando in avanti l’orizzonte della conoscenza. Alla pedagogia, nello scenario rinnovato delle scienze dell’educazione, e` assegnato il ruolo fondamentale, come filosofia dell’educazione, di riflessione filosofica “che come epistemologia (= rigorizzazione logico-scientifica e filosofica del discorso) e come axiologia (= scelta dei valori-guida per l’elaborazione pedagogica ed educativa) si dispone quale frontiera impre-
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scindibile di ogni esercizio o comprensione del discorso pedagogico nella 35 sua interezza” . L’articolazione della pedagogia in scienze dell’educazione e` avvenuta con difficolta`, superando resistenze dei settori piu` tradizionali della disciplina stessa che hanno esposto timori e critiche, anche fondate36, sui rischi di dissolvere la complessita` del sapere pedagogico privilegiando procedure empiriche e trascurando il lavoro critico-ermeneutico che e` a fondamento della conoscenza in pedagogia. Il nuovo assetto delle scienze dell’educazione che ha assegnato alla pedagogia, attraverso la filosofia dell’educazione, un ruolo centrale, e` stato “l’evento epocale della pedagogia contemporanea, che ne ha mutato l’identita` e la portata, che ne ha caratterizzato la crescita e l’autocomprensione come sapere e come prassi”37. La nuova pedagogia ha assunto connotazioni piu` legate alla sfera dell’esperienza38, della concretezza, si e` aperta al contributo di altre scienze riorganizzandosi dal punto di vista teoretico. 35
F. Cambi, Storia della pedagogia, Laterza, Roma-Bari 1995, p. 498. “[...] Cosı` come si sono andate costituendo, le scienze dell’educazione hanno portato nella direzione di una proliferazione selvaggia di discipline, che, se da un lato potevano portare a un arricchimento e a un approccio piu` comprensivo, per il modo in cui sono state concepite, hanno portato solo frantumazione, confusione e crisi di identita`. L’interdisciplinarita` (brutta parola ormai troppo logora e usurata, per cui sarebbe meglio dire lo scambio critico con altre discipline), di cui la pedagogia ha particolarmente bisogno, non puo` continuare ad essere intesa come un ritagliare dagli altri saperi uno spazio angusto; lo spazio di cio` che e` direttamente e visibilmente, ma a volte anche superficialmente e niente affatto radicalmente, pedagogizzabile. Dunque il problema non e` quello di ritornare in qualche modo ad un sapere panpedagogico, chiuso agli altri saperi, che´, anzi, proprio alle scienze dell’educazione puo` essere fatto l’addebito di aver pedagogizzato il sapere, i saperi, cioe` di volere un rapporto con le altre discipline pilotato, garantito a priori e, come tale, spesso angusto e inautentico, mentre la riflessione generale e integrale sulla formazione, se e` seria, dovrebbe cercare il rapporto aperto e critico con gli altri saperi, essere in continua tensione dialettica con le altre discipline di cui ricerca i significati pedagogici, mettere a confronto criticamente assunti teorici, approcci metodologici e ricadute pratiche e non limitarsi a quest’ultimo aspetto, cioe` non accontentarsi di essere la dimensione applicativa di teorie altrove formulate e mai messe in questione. E` questo il modo inautentico e fuorviante di pedagogizzare il sapere, ed e` anche questo che rende la pedagogia marginale e afflitta da cronica crisi d’identita` e di inferiorita` [...]” (R. Fadda, Sentieri della formazione, Armando, Roma 2002, p. 15). 37 F. Cambi, Storia della pedagogia, cit., p. 499. 38 Nell’ambito del dibattito pedagogico italiano contemporaneo la valenza educativa dell’esperienza ha trovato conferme nelle ricerche portate avanti dal settore delle scienze bio-educative. In particolare il concetto di esperienza emerge a piu` riprese negli studi condotti da Elisa Frauenfelder che si sofferma sul rapporto tra sviluppo naturale e comunicazione simbolico-culturale e sul peso che tale dialettica assume nella stabilizzazione delle 36
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In sintonia con la prassi pedagogica di tipo scientifico si e` sviluppata nell’ambito della filosofia dell’educazione una corrente interessata ad elaborare teorie di supporto alla ricerca sperimentale, che ha in Dewey un 39 esponente di assoluto rilievo . Come rileva Cambi, da un’analisi del cammino secolare del paradigma scientifico emerge con forza la scientificita` difficile della pedagogia. La difficolta` e` essenzialmente legata alla complessita` del discorso pedagogico e alla molteplicita` dei suoi aspetti che ne rendono impossibile l’incasellamento in modelli interpretativi globali come quelli tipici delle scienze sperimentali. La scientificita` difficile esige, per essere risolta, un approccio epistemico al sapere pedagogico, teso a fissarne le strutture trascendentali40. modalita` di rapportarsi del cervello con il mondo. Frauenfelder ritiene che l’esperienza sia lo strumento di raccordo tra condizionamento biologico e flessibilita` apprenditiva: e` l’esperienza che consente al soggetto di mettere in atto le potenzialita` neuronali geneticamente possedute. Cfr. E. Frauenfelder, La prospettiva educativa tra biologia e cultura, Liguori, Napoli 1987; Id., Pedagogia e biologia, una possibile ‘alleanza’, Liguori, Napoli 1996; Id., Le scienze bioeducative, a cura di, con F. Santoianni, Liguori, Napoli 2002. 39 Il problema del fondamento scientifico della pedagogia viene affrontato lucidamente da Dewey: “[...] La scienza dell’educazione non puo` essere costruita semplicemente col prendere a prestito le tecniche di sperimentazione e di misura che troviamo nella scienza fisica. Questo sarebbe possibile soltanto se si fosse riusciti in qualche modo a esprimere i fenomeni mentali e psicologici in termini di unita` di spazio, tempo, moto e massa [...]. Le fonti della scienza dell’educazione sono costituite da porzioni qualsiasi di conoscenza accertata che entrano nel cuore, nella mente e nelle mani degli educatori e che, entrandovi, rendono l’esplicazione della funzione dell’educazione piu` illuminata, piu` umana, piu` schiettamente educativa di quanto fosse prima, ma non v’e` modo di scoprire che cosa sia piu` ‘schiettamente educativa’ fuorche´ mediante la continuazione dell’atto educativo stesso. La scoperta non e` mai effettuata; e` sempre in corso. Puo` contribuire ad un immediato sollievo o ad una momentanea efficienza la ricerca di una risposta alle domande che sono al di fuori dell’educazione, in mezzo a materiale che gia` abbia un prestigio scientifico. Ma una tale ricerca corrisponde ad una abdicazione, ad una resa. In ultima analisi, essa non fa che diminuire le probabilita` che l’educazione, nella sua effettiva azione, riesca a fornire i materiali per una scienza migliorata. Essa arresta lo sviluppo, impedisce il pensare che rappresenta la fonte originaria di ogni progresso. L’educazione e` per sua natura un circolo o una spirale senza fine. E` un’attivita` che include in se´ la scienza. Nel suo processo essa pone sempre nuovi problemi che richiedono ulteriori studi, che a lor volta reagiscono sul processo educativo per modificarlo ancor di piu`, e in tal modo richiedono maggior pensiero, piu` vasta scienza e cosı` via, in perpetua successione” (J. Dewey, Le fonti di una scienza dell’educazione, cit., p. 15; pp. 57-58). 40 “L’avvicinamento della pedagogia al modello scientifico del sapere e` avvenuto attraverso un itinerario complesso e niente affatto omogeneo e lineare. All’interno di questo percorso ci sono state infatti fasi di arresto, deviazioni e contestazioni, come pure un allineamento piu` o meno critico ai criteri di scientificita` vigenti nel sapere piu` esplicitamente connotato in senso sperimentale e logico-matematico, a seconda delle tappe di crescita della
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Ma, nonostante le difficolta` d’uso e i limiti mostrati, il paradigma scientifico ha consentito alla pedagogia, oltre ad un affrancamento dai vincoli metafisici e socio-culturali, l’acquisizione di una metodologia di analisi improntata ad un principio di rigore sperimentale e la consapevolezza della sua capacita` di risolvere i problemi, una volta storicizzati e collocati in ambito tecnico.
1.4 La formazione come categoria centrale Nel corso degli ultimi venti anni ha avuto inizio, sotto l’influenza delle filosofie analitiche ed in risposta ad una crisi d’identita` della pedagogia, sempre in bilico tra filosofia e scienza, una riflessione teorica sulla struttura del discorso pedagogico e sui suoi elementi costitutivi. E` andato cosı` sviluppandosi un paradigma epistemologico-metateorico che coinvolge vari gruppi di ricerca di diversi paesi e che sembra rispondere, attraverso una rilettura e sistemazione organica del sapere pedagogico, all’esigenza di offrire un ancoraggio stabile ad una conoscenza disciplinare cosı` frammentata e insicura come la pedagogia attuale. Il paradigma e` ancora in fieri perche´ la riflessione teorica in campo pedagogico presenta, come in tutte le scienze umane, caratteri di maggiore difficolta` rispetto alle scienze fisiche e naturali per la complessita` e problematicita` del proprio oggetto. Attualmente e` possibile individuare, all’interno del panorama della ricerca pedagogica, alcuni gruppi di studio tesi a teorizzare per la pedagogia, anche se con accenti diversi, lo statuto di una scienza empirica dell’educazione che presenta i caratteri dell’interdisciplinarieta` (perche´ legata alle altre scienze umane), della sperimentazione e del controllo metodologico. Tale ricerca sembra muoversi nella direzione indicata da Piaget che ha auspicato anche per la pedagogia un’evoluzione in linea con i progressi della psicologia
conoscenza scientifica. [...] La sua crescita scientifica e` stata pertanto contraddistinta da un andamento schizoide, che tende a realizzare una adesione ai principi della scienza tout court, invocando un adeguamento a forme piu` illustri e fondate di sapere (le scienze naturali), ma anche fa agire un ricorrente sospetto verso la riduzione del sapere pedagogico a solo sapere scientifico [...]. L’adesione e` avvenuta sia per ragioni intrinseche sia per sollecitazioni estrinseche. E` stata la presa di coscienza di una subalternita`, di una genericita`, di una “cattiva” praticita` del sapere pedagogico, connessa alla sua poverta` logico-epistemologica, che ha spinto la pedagogia a saldarsi agli statuti piu` solidi del sapere scientifico, ai suoi principi epistemologici [...]” (F. Cambi, Il congegno del discorso pedagogico, cit., p. 52).
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dell’eta` evolutiva e della sociologia legati all’uso del metodo sperimentale41. Contributi all’elaborazione di una scienza empirica dell’educazione sono stati portati da Brezinka, Visalberghi, De Bartolomeis, Laporta che, unitamente ad altri hanno indagato gli aspetti logici, quelli metodologici, i contenuti e i requisiti che devono caratterizzare una disciplina cosı` definita. In particolare Laporta42 ha messo in rilievo la necessita` per la pedagogia di evidenziare i propri nessi con le scienze del comportamento laddove queste si occupano di educazione, stabilendo la propria area di competenza, e la propria specifica visuale del fenomeno, senza lasciarsi attrarre dalla tentazione di una sua lettura in chiave ideologica43.
41 “[...] si e` affermata, come una tendenza fondamentale e irreversibile, la elaborazione di una pedagogia scientifica che si salda ai risultati/scoperte delle varie scienze delle quali e` tributaria e ne assimila, sempre piu` intimamente, i principi metodologici. La pedagogia in breve diventa scientifica, si organizza come ricerca assumendo un habitus sperimentale rivolto a fissare una dimensione nomologica che permette la spiegazione e anche la previsione dei fenomeni educativi. L’ideale di una pedagogia sperimentale viene, come abbiamo gia` ricordato, da lontano, almeno dalla fine del secolo scorso, ma ha subı`to negli ultimi dieci-venti anni, pur tra tante tempeste, un’accelerazione eccezionale e un’affermazione (pur contrastata) pressoche´ universale. Buona parte della pedagogia e` oggi risolta in ricerca educativa (o pedagogica), in indagini sperimentali, metodologicamente accorte, su problemi specifici, dalla soluzione dei quali, e attraverso il loro raccordo, si tende a fissare un orizzonte scientifico di tutta la problematica educativa, una scienza dell’educazione che investa – sperimentalmente – l’apprendimento e i suoi fattori costitutivi (dalla motivazione al feedback), la socializzazione infantile e giovanile, l’organizzazione scolastica, la didattica delle varie materie, etc.” (Ivi, p. 75). 42 Cfr. R. Laporta, La difficile scommessa, La Nuova Italia, Firenze 1975; Id., L’assoluto pedagogico. Saggio sulla liberta` in educazione, La Nuova Italia, Firenze 1996. 43 “Empirica dunque si definisce la nuova scienza – come d’altronde appare da tutto quanto si va dicendo – nel senso che dal terreno teoretico e da quello teorico (di teorie elaborate con metodologie scientifiche non empiriche) intende assumere un insieme di topoi da riconsiderare con procedure nuove per essi, e ispirate a modelli che – come che si voglia poi giudicarli – sono quelli originariamente elaborati con successo nell’ambito delle discipline classificabili come empiriche per le metodologie utilizzate. Il successo che ci si attende dovrebbe consistere nel trovare o porre un ordine, una coerenza accettabile da tutti (indipendentemente da ogni assunzione ideologica su un qualsiasi senso del mondo) nella realta` in cui operiamo quando diciamo di educare: coerenza intesa come un ulteriore fattore di efficacia” (R. Laporta, L’assoluto pedagogico, cit., p. 93).
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LA PEDAGOGIA DELLA FORMAZIONE
Per una scienza empirica dell’educazione “[...] Il nuovo tipo di ricerca empirica di cui si tratta risulta dunque caratterizzato da due diversi ed opposti rapporti con le discipline di riferimento: il primo consiste nell’attingere da quelle i propri materiali di lavoro; il secondo sta nel rinviare a ciascuna di esse per la verifica, ove questa si renda necessaria, le proprie ipotesi teoriche. Stante questa doppia dipendenza, c’e` da porsi (ed e` stato posto di fatto) piu` di un quesito circa l’autonomia di una scienza tanto apparentemente subalterna. Si puo` proporsi cioe` a questo punto piu` esplicitamente e direttamente il quesito se si debba o possa parlarsi della nuova scienza come di una forma di ricerca empirica vera e propria o solamente di una teoria dell’educazione, ossia di una procedura – magari nuova, magari originale – escogitata per mettere in atto una di quelle sistemazioni teoretiche di dati e teorie empiriche relativi alla educazione cosı` comuni nella letteratura pedagogica. [...] Per riassumere l’intero rapporto fra la nuova scienza empirica generale e le varie scienze specialistiche dell’educazione: nessuna e` in grado da sola di dare una soluzione empirica ai problemi educativi di fondo [...], lo spazio disponibile per l’osservazione invece, almeno per quanto si puo` oggi immaginare, e` gia` tutto occupato dall’una o dall’altra; infine la nuova scienza ha per oggetto un rapporto tra i topoi di origine teoretica e i loro possibili equivalenti o riferimenti nelle scienze empiriche”. R. Laporta, L’assoluto pedagogico, cit., pp. 98-105.
Brezinka invece, dopo aver ricordato che vanno accettate come conoscenza scientifica solo le asserzioni controllabili, quindi confutabili o validabili da osservazioni condotte su dati empirici, chiarisce che il motivo per cui e` difficile per la pedagogia accreditarsi come scienza risiede nel suo carattere di disciplina valutativa. La pedagogia tradizionale infatti comprende anche “giudizi di valore, asserzioni su fatti, richieste concernenti il dover essere”44, ha in se´ incorporata una ideologia, una visione del mondo, e come tale non possiede i requisiti di sapere scientifico ma svolge nella societa` una funzione che non puo` essere svolta da una scienza empirica dell’educazione. Propone allora di sostituire alla forma tradizionale di pedagogia una tripartizione della disciplina in: una scienza empirica dell’educazione, una filosofia dell’educazione ed una pedagogia pratica, ciascuna con un proprio metodo d’indagine (scientifico, filosofico, pratico) e con un peculiare campo d’azione. La scienza empirica dell’educazione che emerge allo stato attuale dai contributi citati e` fondata metodologicamente sulla ricerca sperimentale e tende all’elaborazione di teorie dell’educazione45 che guidano una progetta44
W. Brezinka, Metateoria dell’educazione, Armando, Roma 1980, p. 25. Riflette a tal proposito Enza Colicchi Lapresa: “La proposta – quale viene avanzata da R. Laporta – relativa all’istituzione di una teoria dell’educazione che assume l’indagine di quelle tematiche – concernenti il significato dell’educazione, le finalita`, le possibilita` ed i limiti dell’intervento e del rapporto educativi – fin qui di pertinenza prevalentemente 45
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zione educativa fondata su teorie dell’apprendimento e sullo studio degli aspetti motivazionali del comportamento. Essa ha come elemento peculiare il costante controllo dei suoi metodi, delle sue procedure, degli strumenti adoperati, e dei suoi scopi, sottoposti a continue analisi, critiche, revisioni, in sintonia con il procedere di ogni disciplina connotata come scientifica. E` attiva anche una corrente di studio su una filosofia dell’educazione capace di attuare una riflessione approfondita sulla struttura del sapere pedagogico, sui suoi fini, sulla sua fenomenologia. Una tale filosofia si connota come pensiero critico, e` esercizio di una critica radicale sull’oggetto della pedagogia, sulla sua strutturazione logica, sul suo linguaggio, sui modelli che adotta, tesa sia a ricercare il senso della pedagogia che a fissarne 46 le regole interne . filosofica e/o ideologica, e miri a sottoporre al controllo di una forma di conoscenza empirica taluni termini centrali del processo dell’educazione intenzionale, fa appello ad argomenti disparati e adduce giustificazioni di varia natura. Essa, in linea generale, riconosce all’educazione uno dei fattori primari di ogni possibile cambiamento della societa` e delle sue forme di sopravvivenza e, da qui, passa ad affermare la assoluta necessita` di ‘controllare un procedimento che offre alternative radicali di successi e fallimenti e che nasce da esigenze decisive per l’esistenza della societa`’ (R. Laporta, La via filosofica alla pedagogia, in «Bollettino della Societa` Filosofica Italiana», 90-91, 1975, p. 33). Accanto a questa proposizione generale vengono avanzate argomentazioni diverse: si sottolinea l’inadeguatezza, da parte della riflessione filosofica sistematica, a rendere conto dell’effettiva realta` dell’educazione, nella specificita` e particolarita` dei suoi aspetti e realizzazioni; si denuncia la gestione dei valori educativi da parte di forze di natura ideologica e assorbente; si lamenta l’indebita assunzione ed invasione di campo della ricerca educativa ad opera delle altre scienze umane; si adducono, infine, le ragioni di un ‘itinerario ben noto lungo il quale molti problemi della natura e dell’uomo si sono trasferiti via via dall’ambito speculativo a quello sperimentale’ (R. Laporta, Educazione e scienza empirica, RAI-DSE, Roma 1980, p. 42). In ogni caso, pero`, il progetto di una teoria empirica dell’educazione si basa e si istituisce su di un atteggiamento favorevole e fiducioso nei confronti della scienza [...]. Accade, allora, che la proposta di una costruzione di una teoria empirica dell’educazione – qualunque possa essere la sua articolazione ed elaborazione – inevitabilmente rimandi e riferisca a considerazioni e giudizi che investono insieme la scienza e la filosofia in quanto attivita` conoscitive in qualche modo ‘istituzionalizzate’. Ed accade, pure, che tali considerazioni e giudizi tendano a radicalizzare – secondo schemi stereotipati ed assoluti – le due attivita` e ad interpretarne il rapporto in senso irriducibilmente antinomico, di opposizione ed esclusione reciproca” (E. Colicchi Lapresa, Linee di una teoria dell’educazione, Herder Editore, Roma 1984, pp. 31-35). 46 “La condizione di possibilita` della fondazione del sapere pedagogico, quindi, si basa sull’accettazione che l’educazione non e` solo l’oggetto di identificazione specifico della pedagogia rispetto alle altre scienze umane, la sua identita` negativa, il suo essere costantemente negato all’interno di altri contesti disciplinari, ma e` anche l’ipotesi da cui partire per fondare una pedagogia critica. L’ipotesi di fondazione parte dal presupposto che la pedagogia come riflessione specifica sull’educazione deve approfondire in modo radicale il nesso teoria-pratica e quello piu` complesso comprensione-applicazione, tenendo presente che essa
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Negli ultimi decenni diversi gruppi di ricerca hanno fornito un contributo importante alla riflessione sul senso del sapere pedagogico, indagato a partire da una molteplicita` di angoli visuali e di approcci metodologici. Da una cosı` ampia base di riflessione sulla pedagogia, a cui hanno dato il loro apporto tutte le attuali correnti della filosofia contemporanea, dal pragmatismo alla filosofia analitica, a quella dialettica, strutturalistica, all’ermeneutica, ciascuna delle quali ne ha illuminato un aspetto, emerge il quadro di un sapere “articolato e dismorfico, sempre in tensione tra uso ideologico, rigorizzazione formale e metodologica, instaurazione di modelli per pensare/volere il futuro: e` scienza si, ma critica e progettuale. Critica nel senso di attentamente autocritica, capace di leggersi oltre ogni reductio scientistica. Progettuale nel senso di proiettata verso il futuro e la sua ideazione/prefigurazione/scelta, 47 attraverso la costruzione di modelli (di uomo, di cultura, di societa`)” . La filosofia dell’educazione e` inoltre impegnata sul versante axiologico della pedagogia, quindi nel definire rigorosamente l’universo dei valori che la connotano e che contribuiscono a stabilizzarne il senso. Il secolare percorso della pedagogia converge verso alcuni valori-guida che riguardano il soggetto e la sua formazione sia come individuo che come essere sociale. Essi sono: la liberta`, l’eguaglianza, l’emancipazione, la differenza, la comunicazione e la responsabilita`. Sono i valori che indicano il percorso, hanno in se´ anche una carica di utopia, categoria sempre connaturata alle scelte valoriali, perche´ funzionale alla progettazione di percorsi concreti tesi a realizzarle, alla tensione etica verso un fine. La riflessione filosofica attuale ha individuato con Habermas, all’interno di un tale panorama di valori, il ruolo-guida che l’emancipazione assolve nelle scienze umane che per loro natura tendono ad emancipare l’uomo, offrendogli gli strumenti per riconoscere e quindi superare i condizionamenti posti da se stesso, talvolta inconsciamente, e dal sistema sociale, al dispiegamento delle proprie potenzialita`. La pedagogia, tra le scienze umane, e` quella con maggiore valenza emancipativa. Infatti, se l’emancipazione e` il valore-guida per le scienze umane, esso e` il vero principio regolatore per la pedagogia che pone al puo` esprimere una sua dimensione autosufficiente specialmente nei concetti di formazione e didattica, ma nello stesso tempo puo` cogliere le problematiche pedagogiche all’interno di altri territori di indagine come ad esempio la storia, la ricerca filosofica, la prassi politica, la dimensione delle scienze dell’educazione” (G. Spadafora, Ipotesi di fondazione del sapere pedagogico, in M. Borrelli [a cura di], La Pedagogia italiana contemporanea, vol. III, Pellegrini, Cosenza 1996, p. 275). 47 F. Cambi, Manuale di filosofia dell’educazione, Laterza, Roma-Bari 2000, p. 36.
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centro della sua prassi il rapporto educativo teso alla formazione e quindi all’emancipazione del soggetto. Il rapporto educativo e` intersoggettivo ed e` centrato sul dialogo, canale insostituibile di comunicazione e di scambio razionale ed emotivo tra due individui, collettore di razionalita`, di emozioni, di conoscenze, in una parola del processo di formazione, esito finale dell’emancipazione dell’individuo fatto persona. La centralita` della categoria “formazione” oggi “[...] La formazione, prima di tutto. E` un concetto decisivo per la pedagogia e lo e` stato nella sua storia. Di formazione (umana dell’uomo) parlava la paideia greca che legava tale processo all’assimilazione della cultura (fosse poi incardinata sulla filosofia o sulla retorica), l’humanitas dei latini e le humaniora degli umanisti, come pure la paideia Christi medievale e poi la Bildung tedesca. Formazione umana e` un processo di oggettivazione di se´ nella cultura, e` un universalizzarsi uscendo da se´, ma e` anche un riportare a se´ tutta questa produzione dell’uomo, per riviverla, appropriandosene, per operare su di essa una sintesi vitale che diviene la forma del soggetto. Tra cultura e cura sui si scandisce questo processo che non e` mai e affatto lineare, evolutivo, quanto animato da tensioni e rotture, inversioni e catastrofi, strutturazioni e decostruzioni, operante con una logica poietica (e estetica), piuttosto che esplicativa e tecnica: potremmo dirla connessa alla circolarita` e non-conclusivita` dell’interpretazione [...]. Oggi pero` tale categoria si trova sottoposta a una serie di slittamenti semantici, a una serie di torsioni di significato che inquietano la riflessione pedagogica e reclamano una messa-a-punto della categoria. Ed e` cio` che sta avvenendo, e – potremmo dire – di necessita`. Infatti, la categoria della formazione ha avuto e sta avendo un forte rilancio oggi, ma per vie ormai lontane (anzi contrarie) dalla pedagogia. E` stato il farsi piu` flessibile, piu` mobile al proprio interno, piu` inquieto e incerto, piu` fondato sull’innovazione del mercato del lavoro che ha posto al centro tale problema, ma in direzione economico-sociologica [...]. Formazione qui vale come formazione professionale nuova, aperta e plastica, anche piu` colta, ma pensata da e per il mercato del lavoro. [...] Se un risultato positivo e` stato il ri-pensamento della professionalita` e dell’educazione professionale [...] un risultato invece, meno convincente, anzi piu` equivoco, e` stata l’espropriazione fatta alla pedagogia di tale categoria, che e` stata de-pedagogizzata, ma cosı` anche ridotta, anche ‘castrata’ dei suoi significati piu` alti e piu` nobili, e anche semanticamente piu` densi, culturalmente piu` incisivi, per farla vivere in una accezione meramente tecnica [...]”. F. Cambi, Manuale di filosofia dell’educazione, cit., pp. 158-159.
Per Cambi la filosofia dell’educazione, forte della sua attitudine metariflessiva, funziona da “dispositivo cognitivo di controllo” sui saperi della pedagogia, fissandone lo stemma epistemico e ponendolo nella “complessita` del suo discorso, complessita` che [...] anche fissa gli ambiti in cui questo processo di interpretazione e di rigorizzazione del sapere pedagogico si articola”48. Inoltre “la sua specificita` e` di pensare la pedagogia alla luce del 48
Ivi, p. 6.
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49 suo ‘volano di senso’ (la formazione)” . Quindi la formazione e` una categoria reggente della pedagogia, anzi e` il suo volano di senso. Non si puo` pensare la pedagogia senza pensare anche la formazione che le e` strettamente connessa e che ne ha accompagnato la storia, assumendo di volta in volta connotazioni modellate sui contesti culturali relativi alle varie epoche, dalla paideia greca alla Bildung tedesca ed oltre. Cambi ricorda come i teorici della Bildung abbiano chiarito il carattere processuale della formazione legandola all’io-individuo e rimarcandone la crescente centralita` nella “societa` degli individui che ha contrassegnato, sempre piu` nettamente, la 50 Modernita`” . Oggi il concetto di formazione e` diventato centrale nel contesto di una societa` ad elevata densita` di conoscenza come quella a tecnologia avanzata in cui viviamo. Cosı` la pedagogia si trova davanti a nuovi problemi legati sia allo snaturamento del concetto di formazione nelle accezioni, culturalmente riduttive, del mercato del lavoro, sia all’apertura di ulteriori temi di riflessione sul processo di formazione aperti dalla sua estensione ad un ambito piu` scientifico e pragmatico, che possono aiutare a coglierne piu` compiutamente la costitutiva pluralita`.
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Ivi, p. 8. Ivi, p. 158.
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2.1 Il modello della paideia e quello della Bildung Ogni attivita` educativa e`, appunto, educazione (da e-ducere, trarre fuori e da edere, nutrire); ma e` anche istruzione, perche´ educa attraverso gli apprendimenti e perche´ l’istruzione e` un bisogno sia delle societa`, perche´ funzionale al loro sviluppo, sia del soggetto, al quale fornisce le competenze necessarie per affermarsi nel contesto sociale; e` anche formazione per il soggetto, nella sua interezza. Oggi e` la formazione il concetto piu` importante; esso comprende in se´ educazione, che ha valenza conformativa, e istruzione, che copre solo parte delle attivita` educative. Formazione e` un termine antico; esso affonda le radici nello sviluppo della civilta` greca che elaboro` il concetto di paideia, intesa come processo di formazione dell’uomo ideale capace di realizzare la propria umanita` secondo valori universali. L’idea di un uomo che si realizza tendendo ad un modello di umanita` intrisa di valori universali e` un aspetto peculiare della 1 civilta` greca che diventera` patrimonio della civilta` occidentale . 1
“Se la nozione di paideia va ricercata gia` nelle fasi piu` remote della cultura greca, toccando la cultura dei medici come poi quella dei tragici e infine quella dei filosofi, e` pero` nell’eta` dei Sofisti e di Socrate che essa si afferma in modo organico e dispiegato e segna il passaggio – esplicito – dall’educazione alla pedagogia, da una dimensione pragmatica a una teoretica dell’educare, che si delinea secondo i caratteri universali e necessari della filosofia. Nasce la pedagogia come sapere autonomo, sistematico, rigoroso; nasce il pensiero dell’educazione come episteme, e non piu` solo come ethos e come praxis. La svolta sara` determinante per la cultura occidentale, in quanto rielabora a un livello piu` alto e complesso i problemi dell’educazione e li affronta oltre ogni localismo e determinismo culturale e ambientale, in un processo di universalita` razionale; e mettera` in circolazione quella nozione di paideia che ha sostenuto per millenni la riflessione educativa, rielaborandosi come paideia cristiana, come paideia umanistica e poi come Bildung” (F. Cambi, Storia della pedagogia, cit., p. 59).
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Nel corso della civilta` greca si sono avvicendate diverse forme di paideia, ispirate ciascuna al modello ideale di uomo espresso dalla societa` e cultura dell’epoca. In Omero troviamo una prima paideia, aristocratico2 guerriera, tesa alla formazione degli aristoi o guerrieri . Con i sofisti si delinea un’idea di paideia capace di realizzare una formazione politica mediante il controllo e il possesso dello strumento linguistico. Nella civilta` ellenistica invece emerge con forza il nesso uomo-cultura come elemento fondante di una paideia che e` formazione di un uomo completo, profondamente etico, intriso di filosofia, cultore delle humanae litterae; una paideia che tende ad un ideale di uomo de-storicizzato, de-politicizzato, alla ricerca di un equilibrio spirituale interiore, che trova la propria universalizzazione nella cultura. Caratteristica che accomuna le diverse forme di paideia elaborate nel mondo greco e` l’idea forte della formazione come processo aperto, mai concluso verso un modello ideale, a cui l’uomo deve tendere con un atteggiamento attivo, che richiede una grande disciplina interiore sorretta dall’intelligenza e dalla volonta`. La riflessione dei greci sul concetto di paideia ci ha consegnato inoltre, nel modello dominante, quello socratico, l’idea della formazione come processo culturale, quindi condotto dall’uomo attraverso l’esercizio del pensiero che riflette su se stesso, e su se stesso nel mondo, per giungere alla formulazione di concetti universali e all’adesione convinta ad un modello etico generale. Il binomio formazione-cultura puo` sintetizzare il senso profondo della paideia classica, che ha pensato l’educazione dell’uomo come formazione, come processo sempre aperto di costruzione di un uomo universalizzato, tracciando il solco in cui la pedagogia occidentale si e` incamminata. Cosı`, per secoli la formazione ha conservato il significato di processo di crescita di un soggetto immerso nella cultura del suo tempo, da cui raccoglie gli stimoli per il suo sviluppo interiore, per la costruzione piena di se´ nel mondo; il Cristianesimo e il Rinascimento hanno solo modificato, arricchendoli di contenuti nuovi, i modelli di riferimento del processo formativo elaborato nel mondo classico, lasciandone inalterata la struttura.
2 F. Cambi, I grandi modelli della formazione, in F. Cambi, E. Frauenfelder [a cura di], La formazione. Studi di pedagogia critica, Unicopli, Milano 2000, p. 39.
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Il modello di formazione della paideia “[...] La paideia e` formazione di un uomo secondo un’idea che tende a de-storicizzarlo, ad universalizzarlo, a renderlo sintesi vissuta e punto di convergenza di tutto un universo (articolato) di cultura. E i Greci trasmettono alla civilta` occidentale questa idea di uomo modellato su un ideale, che si fa sintesi viva e autonoma del mondo, che coglie il proprio senso e valore in un processo di universalizzazione; idea che costituisce uno degli aspetti piu` originali, piu` costanti e determinanti di tale civilta` e radica in essa, gia` a livello antropologico, la nozione di liberta`. La paideia fu, quindi, nozione squisitamente greca e, di qui, occidentale, idea antropologica e culturale insieme, che si pone al punto di intersezione tra due “domini”, caratterizzandosi in senso dinamico e deontologico (quindi etico), da un lato, e in senso “oggettivo”, istituzionale, dall’altro. La paideia si caratterizza cosı` come processo ideale di un rapporto tra individuo, cultura e mondo (naturale e sociale), ma anche e` processo di educazione che si compie nello spazio e nel tempo, nella societa`, nelle sue istituzioni [...]”. F. Cambi, I grandi modelli della formazione, in F. Cambi, E. Frauenfelder [a cura di], La formazione. Studi di pedagogia critica, cit., p. 38.
Il Seicento, secolo di rottura di tanti equilibri, determina una crisi profonda della paideia rinascimentale intesa come processo formativo dei giovani delle classi privilegiate secondo le norme di un estetismo classicheggiante. Nel nuovo clima culturale alimentato dal mito della scienza e dell’empirismo in campo filosofico, a cui corrisponde una societa` piu` moderna, piu` aperta ai traffici e al commercio, non e` piu` attuale un modello pedagogico aristocratico, di stampo classico, basato su una cultura umanistica e priva di concretezza. Locke nei Pensieri sull’educazione afferma l’assoluta inutilita` dell’insegnamento come e` praticato all’epoca in Europa. Nel Settecento la crisi del modello umanistico si approfondisce perche´ il sistema dei valori che si afferma nell’eta` dei Lumi non puo` accettare un ideale pedagogico contemplativo ne´ l’egoismo di classe che lo anima; la nuova societa` richiede la formazione di cittadini capaci di contribuire al progresso. E` avvertita la necessita` di integrare il settore pedagogico nella vita sociale; di provvedere ad un programma di istruzione pubblica generalizzata, di formazione civile, tesa a cementare la coesione della societa` e delle istituzioni sociali. In Francia e nei paesi cattolici la nazionalizzazione dell’insegnamento e` legata alla sua secolarizzazione e il dibattito pedagogico si colloca nella crisi aperta dalla espulsione dei gesuiti donde una passione e un’urgenza che non esistono allo stesso titolo nei paesi prote3 stanti . La cultura dei gesuiti va combattuta perche´ non e` in grado di formare cittadini per lo Stato ma nell’ultimo scorcio di secolo comincia di nuovo ad emergere una sensibilita` di tipo umanistico. 3
G. Gusford, Le scienze umane nel secolo dei lumi, cit., p. 98.
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Kant espone la sua pedagogia in una serie di lezioni tenute a Ko¨nigsberg nel 1776 in cui spiega che l’educazione del cittadino di una nazione deve essere allo stesso tempo educazione dell’uomo come membro della universale comunita` umana. E` la posizione di un nuovo umanesimo, attento alla formazione dell’uomo, condivisa da Herder. Poi Schiller, alla fine del secolo, sostiene una posizione che anticipa l’idealismo ed apre ad un nuovo modello di paideia, la Bildung, affermando che ogni individuo porta in se´ un puro ideale di uomo coincidente con lo Stato che e` la forma in cui tende a 4 riunificarsi la varieta` dei soggetti . La Bildung e` un modello di formazione a matrice neoumanistica che si afferma nell’Ottocento in Germania ed affonda le sue radici nella reazione romantica alla visione illuministica dell’uomo immerso nel sociale, intriso di scienza e di tecnica, pragmatico. La matrice filosofica della Bildung e` di stampo idealistico ed e` Hegel che ne compie l’elaborazione piu` completa. Il modello della Bildung “[...] La Bildung e` stato un modello per pensare la formazione, questa categoria reggente del pedagogico, ma anche sfuggente, complessa e sottoposta spesso a forti amputazioni, a rischiosi rattrappimenti e che solo una riflessione filosofica – e questa e` la prima lezione che ci viene dai pedagogisti della Bildung – permette di ben possedere e ben controllare. E` stato un modello articolato che ha operato in profondita` nella pedagogia contemporanea, secondo linee diverse, ma sempre ben riconoscibili. Si e` trattato di un modello contro, prima di tutto: contro le pedagogie tecniche, parziali, separate dall’antropologia e risolte in chiave sociologica o politica o scientifica [...]. La Bildung ha dato alla pedagogia un modello per pensare la formazione centrandola sul soggetto e sull’oggetto contemporaneamente e sulla loro relazione dinamica aperta. Ha mantenuto nella pedagogia contemporanea una voce forte capace di rilanciare l’intenzionalita` pedagogica al suo livello piu` alto, anche – forse – piu` esclusivo [...], certamente ancora oggi piu` pregnante. In certo qual modo la Bildung ha riattivato – rinnovandola – la categoria della paideia, propria del mondo classico e valida ancora nelle societa` tradizionali, ma ormai obsoleta, tramontata in quelle moderne, che hanno altre direttive [...]”. F. Cambi, I grandi modelli della formazione, in F. Cambi, E. Frauenfelder [a cura di], La formazione. Studi di pedagogia critica, cit., pp. 70-71.
Cambi5 disegna il percorso di crescita, di arricchimento, di sviluppo del modello formativo della Bildung maturato in Germania attraverso il contributo di pensatori di diversa estrazione e formazione, da Marx a Dilthey, ad 4
F. Schiller, Lettere sull’educazione estetica dell’uomo, lettera quarta, tr. it., Sansone, Firenze 1927, pp. 14-15. 5 F. Cambi, I grandi modelli della formazione, in F. Cambi, E. Frauenfelder [a cura di], La formazione. Studi di pedagogia critica, cit., pp. 65-71.
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esponenti dello storicismo come Simmel, passando per Herbart, Schopenhauer, Schleiermacher, Nietzsche. Ne segue poi gli sviluppi nel Novecento in Italia, dove affiora limpidamente nel pensiero pedagogico di Banfi che vede la formazione come un processo spirituale attuato nella cultura, e nel pensiero di Gramsci che vede nella cultura lo strumento per realizzare la formazione dell’individuo-persona e nella scuola il luogo in cui tale pro6 cesso puo` concretarsi . La formazione va intesa come un processo7, e come tale dura quanto la vita del soggetto; Cambi la definisce come “processo di oggettivazione di se´ nella cultura, e` un universalizzarsi uscendo da se´, ma e` anche un riportare a se´ tutta la produzione dell’uomo per riviverla, appropriandosene, per operare su di essa una sintesi vitale che diviene la forma del soggetto”8.
2.2 Nuove ipotesi interpretative Attualmente, nella post-modernita`, assistiamo a processi di parcellizzazione sociale e culturale nei quali viene coinvolto il soggetto che, ricoprendo contemporaneamente una pluralita` di ruoli, perde la sua centralita` ed unita`. In tale contesto nascono posizioni filosofiche che tendono a relegare la 6
Cfr. M. A. Manacorda, Il principio educativo in Gramsci, Armando, Roma 1976. “[...] Quello della formazione, oggi piu` che ieri, induce a pensare all’inizio del processo, all’obiettivo preliminare di considerare quello che occorre per partire, quindi che porta a far riferimento al curricolo implicito, ai saperi connessi al processo formativo, ai contesti di vita, ai vissuti individuali e collettivi, alle risorse necessarie per costruire un itinerario culturale e didattico sagomato sul singolo, ma nell’interazione con la comunita` [...]. In definitiva si potrebbe affermare che il termine sottolinea insieme i momenti di ingresso del processo formativo (inputs), quelli processuali (fasici, periodali) e, infine, quelli finali (outputs) che concludono quel progetto e quell’intervento culturale e formativo [...]. Quella del terzo millennio sara`, probabilmente, una societa` consensuale, al cui interno specialisti e tecnocrati conteranno di piu`, ma tutti gli altri svolgeranno compiti adeguati al tempo storico. Essi non saranno abbandonati a se stessi: anzi, l’otium, tradotto in negotium, sara` considerato il fulcro dell’esistenza e consistera` in un insieme di attivita` ludiche e creative in grado di coprire proficuamente il tempo liberato dal facchinaggio delle attivita` lavorative, soprattutto delle macchine, e dal peso della sopravvivenza per far durare le istituzioni della societa`. [...] La formazione, di conseguenza, non sara` piu` sinonimo di scuola o di istruzione, di alfabetizzazione o di scolarizzazione, bensı` di capacita` di apprendere ad apprendere, di acquisire conoscenze di base spendibili nel corso dell’intera esistenza nelle varie occasioni di vita, istituzionali e non, ma anche di tentare di raggiungere per se´ un proprio senso dell’esistere [...]” (V. Sarracino, La pedagogia sociale e la dimensione attuale della formazione, in V. Sarracino et al., Elementi di pedagogia sociale, L’Orientale Editrice, Napoli 2002, pp. 36-38). 8 F. Cambi, Manuale di filosofia dell’educazione, cit., p. 158. 7
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Bildung nel passato, elaborando nuove categorie per pensare il presente. Particolarmente interessante e` in tale ottica la posizione di Luhmann che, in seguito ad un’analisi comparata della societa` attuale e di quelle del passato, ritiene che oggi la categoria della formazione vada sostituita da quella 9 della capacita` di apprendere . Luhmann distingue le societa` in societa` stratificate e societa` funzionalmente differenziate, in relazione alle loro modalita` di differenziazione interna. Le societa` del passato sono del primo tipo, presentano una scarsa differenziazione interna e mancano di un sistema differenziato per l’educazione che e` pensata unicamente per superare problemi di comunicazione degli strati sociali superiori ed e` indistinguibile dalla societa` stessa. A partire dalla fine del XVIII secolo la societa` inizia a differenziarsi in sotto-insiemi con funzioni specifiche: per la politica, l’economia, la religione, la scienza, l’educazione. Nasce allora il concetto di educazione alla societa`, quindi alla totalita` delle relazioni sociali dell’uomo. La differenziazione funzionale della societa` determina il fenomeno dell’inclusione che consente l’accesso di ciascun soggetto sociale (tramite l’appartenenza ai ruoli complementari) ad ogni sistema funzionale10. Allo stesso modo determina per ciascuna funzione l’interazione, non solo con il proprio ambito funzionale, ma anche con ambiti contigui detti ambiti di coincidenza della funzione stessa. Ad esempio, a partire dal XIX secolo, si riconosce come ambito funzionale dell’educazione quello scolastico, e come suoi ambiti di coincidenza la famiglia, l’azienda, l’universita`. Ogni sistema funzionale che viene a crearsi per differenziazione all’interno della societa` comporta la necessita` di ripensare le relazioni esistenti tra la propria funzione e l’ambiente sociale circostante; da qui la necessita` di creare strutture simboliche tese a risolvere i problemi posti, dette formule di contingenza, che vengono scelte a partire dalla riflessione sulla funzione. Il sistema educativo ha, nel corso degli ultimi duecento anni, riformulato piu` volte la sua formula di contingenza che, nell’ordine, e` stata: perfezione umana, formazione, capacita` di apprendere. La sequenza: perfezione-formazione-capacita` di apprendere non indica che una formulazione esclude l’altra, ma che una prevale sulle altre. L’idea della formazione riformula il concetto di perfezione con l’aiuto della 9
N. Luhmann, K. E. Schorr, Il sistema educativo. Problemi di riflessivita`, tr. it., Armando, Roma 1988, pp. 31-98. 10 Ad ogni sistema funzionale corrisponde un ruolo funzionale ed un certo numero di ruoli complementari. Ad esempio, nell’ambito del sistema sanitario, il medico ricopre un ruolo funzionale mentre i singoli cittadini ricoprono, come pazienti, un ruolo complementare.
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filosofia trascendentale: accentuando l’acquisizione del metodo, essa e` un’anticipazione dell’idea di apprendere per un apprendimento ulteriore. Oggi, con la crisi della filosofia del soggetto e della razionalita` illuministica, il riferimento alla formazione come rapporto dell’individuo con l’universo appare svuotato di senso. Questo svuotarsi di senso consente di continuare ad usare il termine estendendo e generalizzando il concetto di formazione intesa come sinonimo di educazione in tutti i campi in cui manca un orientamento verso un valore. Si assiste ad un proliferare di espressioni contenenti il termine formazione: “ricerca formativa, pianificazione della formazione, deficit formativo, valore formativo e sistema formativo convergono in una semantica della confusione [...] la formazione va a sciogliersi in 11 quell’indeterminatezza che avrebbe dovuto determinare la sua funzione” . La formula di contingenza che sostituisce quella della formazione ha un carattere di universalita` (include tutti e ogni insegnamento) e di specificita`; si puo` apprendere solo attraverso l’insegnamento che comporta da un lato una pianificazione del lavoro, con una scelta degli argomenti tesa a favorire l’apprendimento del saper apprendere piuttosto che di contenuti, e dall’altro costringe ad esercitare l’apprendimento con intensita` adeguata allo scopo. Con l’apprendimento dell’apprendere, il processo educativo conclude se stesso poiche´ pone l’apprendimento su un piano di stabilita`. Il concetto del saper apprendere si inserisce in un ordine sociale funzionalmente differenziato, quindi complesso, ed e` una competenza permanentemente a disposizione, e` la disponibilita` permanente di andare incontro a conoscenze nuove modificando i modelli noti di decodifica e interpretazione della realta`. L’educazione e` possibile dove e` presupposta la capacita` di apprendere che non e` solo la finalita` del sistema educativo, ma ne e` anche la premessa di funzionamento. Habermas contesta la posizione di Luhmann polemizzando con la sua teoria sistemica della societa` che, appropriandosi di concetti fondamentali e problematiche della filosofia del soggetto, tenta di superarne la capacita` di risolvere i problemi. Per Habermas, Luhmann sostituisce al rapporto interno-esterno tra il soggetto conoscente e il mondo, il rapporto sistemaambiente. Tale trasposizione determina lo slittamento del problema di riferimento che, dalla conoscenza del mondo e di se´, diventa quello del mantenimento ed ampliamento della stabilita` del sistema. Ma, trasferendo al sistema il ruolo che era del soggetto, si perde la possibilita` di autoconoscenza nella forma dell’autocoscienza; al concetto di coscienza viene sosti11
N. Luhmann, K. E. Schorr, Il sistema educativo. Problemi di riflessivita`, cit., p. 92.
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tuito quello di senso, mentre al soggetto capace di autocoscienza subentra il sistema capace di elaborare il senso. L’impossibilita` del sistema di autoriferirsi si rispecchia nel carattere a-centrico di una societa` completamente adattata alla differenziazione funzionale nella quale “non si puo` piu` stabilire alcun punto fermo dal quale il tutto possa essere correttamente osservato”12. Inoltre, se gli individui vengono subordinati come parti ad un soggetto di grado superiore che e` la societa` intesa come un tutto, si determina un azzeramento degli spazi di movimento e dei gradi di liberta` dell’individuo; infatti i processi di formazione dell’opinione e della volonta` mostrano lo stretto intreccio esistente tra socializzazione e individuazione, identita` di singoli e di gruppi. Luhmann prova a raffigurare queste connessioni interne mediante il modello di inclusione delle parti nel tutto, considerando inoltre l’essere umano come parte non della societa` ma del suo ambiente. Con tale posizione egli si distacca dalla tradizione umanistica che ha attribuito all’uomo un ruolo essenziale all’interno della societa` e assume una posizione di “antiumanesimo metodico”13. Nella concezione di Luhmann coscienza individuale e societa` sono sistemi autarchici che possono vicendevolmente fungere da ambiente l’un l’altro solo attraverso relazioni esterne, ipotesi aggiuntiva che e` necessario introdurre per spiegare le connessioni esistenti tra individuo e societa`, tra storia individuale e forma di vita collettiva, da cui dipende la riproduzione culturale, l’integrazione sociale e la socializzazione. Data la supposta indipendenza reciproca tra sistema psichico e sistema sociale, Luhmann deve spiegare la socializzazione come una prestazione propria del sistema psichico, come autosocializzazione mentre l’individualita` e` per lui solo una modalita` di autodescrizione. Infine Habermas mette in evidenza che, riguardo agli aspetti del sociale e dello psichico, Luhmann “scompone la vita del genere e quella dei suoi esemplari, per ripartirla in due sistemi ‘esteriori’ l’uno all’altro, benche´ il nesso ‘interno’ di entrambi gli aspetti sia costitutivo per forme di vita 14 linguisticamente costituite” e conclude la sua disamina della posizione di Luhmann inserendola all’interno di una tradizione che riflette il modello selettivo del razionalismo occidentale teso a raggiungere un’autocomprensione obbiettivistica dell’uomo e del suo mondo, a comprendere l’uomo a partire dagli oggetti, utilizzando modelli e linguaggi mutuati dalle scienze fisiche, inadatti a rappresentare le forme socioculturali della vita. 12 13 14
N. Luhmann, Soziale Systeme, Frankfurt a. M. 1984, p. 630. J. Habermas, Il discorso filosofico della modernita`, tr. it., Laterza, Bari 1987, p. 375. Ivi, p. 381.
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2.3 La formazione come fondamento della pedagogia Oggi il concetto di formazione e` sottoposto a forzature di significato, utilizzato per rappresentare cose tra loro molto diverse, e talvolta legate a bisogni del mondo del lavoro, e lontane dal controllo della pedagogia15. Ad esempio, formazione significa sempre piu` spesso formazione professionale, formazione di un soggetto in possesso delle caratteristiche e delle competenze richieste da un mercato del lavoro in continua evoluzione e che cerca delle professionalita` multiformi e flessibili.
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“[...] Non si puo` intanto non rilevare il fatto che, a fronte della crescita della domanda diffusa di educazione nella societa` a tutti i livelli, a fronte anche della apparente crescita di potere istituzionale delle discipline pedagogiche, assistiamo alla marginalizzazione, quando non al declino e all’oblio, proprio dell’ambito del sapere istituzionalmente deputato a farsi carico del problema della formazione dell’uomo, in grado di comprendere questa realta` in modo globale, critico, integrale, di riflettere sui significati piu` radicali di cio` che attiene alla fenomenologia della formazione umana. [...] Il primo passo e` quello di riappropriarsi della categoria della formazione, assumendola come categoria-cardine della pedagogia e di disporsi in una posizione di massima apertura, cioe` di un proposito di pensamento tendenzialmente globale, radicale, esaustivo, di ampia curvatura, del suo oggetto, del suo metodo, delle sue categorie e sub-categorie, del congegno del suo discorso. Ma per far cio` occorre anche rendersi conto che una categoria cosı` radicale come quella della formazione si trova necessariamente disseminata, trattata, tematizzata, maneggiata, spesso dispersa o sottesa, talvolta occultata in registri non pedagogici, in una molteplicita` di ambiti di sapere, sia disciplinarmente codificati, sia frutto e risultato di teorizzazioni sempre piu` tese a fornire sintesi che infrangono i confini tra discipline per dar conto di problemi che sembrano non piu` sopportare le specializzazioni disciplinari e sempre piu` invocano nuove alleanze, riorientamenti radicali nel modo di pensare e di conoscere e frequenti ritorni alla filosofia. E` il caso delle teorie sistemiche, che tendono a dar conto di problemi relativi alla realta` nel suo insieme, dal cosmo all’universo biologico, dalla societa` all’individuo, o delle cosiddette scienze cognitive, che abbracciano anch’esse una pluralita` di livelli della realta`, o ancora delle cosiddette teorie della complessita`, scaturite prevalentemente da un’impostazione sistemica del problema cosmogenico e morfogenico insieme. La pedagogia dovrebbe essere in grado di stabilire rapporti con questi campi del sapere e rendere espliciti, disoccultare i concetti di forma-formazione in essi presenti, sia pure in modo implicito e soggiacente; non puo` continuare ad essere assente e a ritagliarsi un suo piccolo e angusto spazio [...]” (R. Fadda, Sentieri della formazione, cit., pp. 12-13).
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Nuove prospettive di ricerca in pedagogia: le scienze bioeducative “Nelle scienze bioeducative un discorso sulla formazione considera l’apprendimento come centro di convergenza moltiplicativa a cui possono essere ricondotti gli apporti di tutte quelle discipline la cui competenza perennemente si intreccia con quella piu` specificamente pedagogica; in esse le potenziali prospettive di studio si avvalgono in modo rilevante dei contributi della ricerca neuroscientifica, contributi rielaborati nel rispetto dell’identita` pedagogica ma, nello stesso tempo, nella consapevolezza della necessita` di correlare all’analisi pedagogica – seppur, naturalmente, attraverso percorsi differenti – discorsi volti alla interpretazione e alla comprensione dell’individuo nella sua interezza, fenomeno complesso sinergico, dinamico e multidimensionale [...]. La funzione formativa si puo` esprimere, dunque, nella complessificazione degli ambienti di apprendimento, sia attraverso processi multipli di selezione, sia attraverso il riconoscimento delle possibili relazioni tra gli elementi di sviluppo cognitivo e individuale. Ogni soggetto, nella sua evoluzione cognitiva, dovrebbe essere iscritto quanto prima possibile in un sistema di strutture a rete che aiuti l’individuo a orientarsi attraverso il riferimento a specifici criteri [...]. La formazione, dunque, e` significativa sia come autoformazione del soggetto che riconosce e usa strategie adattive, sia come formazione mediata in un ambiente che si connota sempre piu` come formatore [...]”. E. Frauenfelder, I cardini bioeducativi della formazione, in E. Frauenfelder, F. Santoianni [a cura di], Le scienze bioeducative. Prospettive di ricerca, Liguori, Napoli 2002, pp. 39-49.
Le scienze umane, ciascuna nel proprio ambito di competenza, sono impegnate a mettere a punto il concetto di formazione e a progettare modalita` specifiche di intervento. Per la sociologia e la psicologia sociale la formazione ha il significato di socializzazione, vista come elemento fondamentale per il mantenimento di una data organizzazione sociale16. Formare in tale accezione significa trasmettere attraverso le generazioni le competenze necessarie al mantenimento delle diverse funzioni costitutive dell’organizzazione sociale, le norme che regolano le interazioni sociali, e i valori che sostengono il patto sociale. I canali istituzionali di trasmissione della socializzazione sono la scuola e la famiglia, la cui azione e` oggi affiancata da quella dei media, dalla partecipazione e dalle frequenti occasioni di contatto dei giovani con la realta` esterna. Queste due discipline quindi approcciano la formazione dal punto di vista dell’azione esercitata sull’individuo dal gruppo sociale in termini di trasmissione di norme e valori e di addestramento alle competenze richieste dai diversi ruoli sociali. Da parte sua, l’individuo riesce a creare un legame stabile con la societa` in cui e` immerso mediante due strumenti fondamentali: l’acquisizione del linguaggio e l’identificazione con i valori fondanti17. In aggiunta alla socializzazione 16
C. Josso, Cheminer vers soi, L’Age d’Homme, Lausanne 1991, p. 33. P. Berger, T. Luckmann, La construccion social dela realidad, Amorrortu, Buenos Aires 1968, pp. 180-182. 17
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primaria, il gruppo sociale mette in atto una socializzazione secondaria nei confronti degli individui adulti, quindi gia` socializzati, come processo di formazione continua teso a stabilizzare e ad estendere l’interiorizzazione 18 dei valori sociali gia` acquisiti . Il meccanismo che presiede a tale stabilizzazione della realta` sociale interiorizzata dal soggetto consiste nella conferma quotidiana ottenuta dagli altri attraverso la conversazione che mantiene viva la realta` circostante, modificandone alcuni aspetti, abbandonandone altri e rafforzandone altri ancora, in un’azione di adeguamento continuo ai cambiamenti in atto nell’ambiente sociale19. Per l’antropologia la formazione ha il significato di inculturazione. L’inculturazione e` qualcosa di piu` della socializzazione, perche´ e` trasmissione, attraverso le generazioni, non solo dei saperi e dei vari saper-fare, ma anche e soprattutto del sentimento di appartenenza e del sentimento di identita`, che si costruiscono tramandando la conoscenza della storia mitica del gruppo sociale. La cultura riunisce in se´ un doppio capitale: da una parte un capitale tecnico e cognitivo che puo` essere trasmesso in linea di massima ad ogni societa` e, d’altra parte, un capitale specifico, che costitusce i tratti della identita` di una singola comunita` che viene alimentata col riferimento ai suoi antenati, ai suoi morti, alle sue tradizioni20. Non esistono gruppi umani capaci di vivere senza un ancoraggio forte alle loro origini, necessario perche´ alimenta il senso di filiazione, rassicurante perche´ trasmette una visione del mondo e nello stesso tempo fornisce un senso alla vita umana, e un orientamento nelle scelte. Ogni cultura attraverso i suoi tabu`, i suoi imperativi, il suo sistema di educazione, i suoi modelli di comportamento, influisce profondamente sullo sviluppo della personalita` dell’individuo favorendo, inibendo, rigettando questa o quell’attitudine, questo o quell’aspetto dell’affinita`21. Tratto peculiare dell’inculturazione e` l’accettazione, attraverso le generazioni, sia delle regole che fissano i rapporti sociali sia delle responsabilita` attribuite ai ruoli sociali. La trasmissione culturale quindi e` relativa non solo a conoscenze utili al mantenimento di un dato tipo di societa`, ma anche a tipologie di comportamenti individuali aderenti al sistema dei valori di riferimento del gruppo sociale. La psicologia, invece, ha per oggetto lo studio della psiche umana che,
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Ivi, p. 201. Ivi, p. 209. Cfr. E. Morin, La rumeur d’Orle´ans, Seuil, Paris 1973. Ibid.
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non essendo direttamente accessibile, viene approcciata attraverso la mediazione di strumenti diversi come tests, relazioni analitico-terapeutiche, 22 messa in opera di simulazioni sperimentali . L’articolazione della disciplina in piu` correnti che studiano la psiche e la sua maturazione secondo angoli visuali diversi rende difficile definire unitariamente il suo concetto di formazione. Si possono pero` individuare quattro tematiche intorno alle quali attualmente si accentrano i percorsi di riflessione all’interno della disciplina. La prima tematica inerisce lo studio dell’apprendimento di condotte; la seconda e` relativa allo studio delle funzioni psichiche come immaginazione, intuizione, sentimento, volonta`; la terza invece e` centrata sullo studio di istanze psichiche come istinti, desideri, complessi, condotto spesso a partire dalla cura della patologia; la quarta infine e` legata alla comprensione della capacita` adattativa e creatrice e privilegia lo studio globale della persona che sta attualizzando una sua intenzionalita`. Christine Josso ha individuato, all’interno del composito panorama della psicologia, il contributo di quattro autori, non tutti egualmente noti, alla formulazione del concetto di formazione secondo gli approcci sopra indicati. Per Piaget l’organismo, inteso come essere psico-somatico, vive con l’ambiente circostante una continua interazione dialettica che procede attraverso fasi di assimilazione di dati esperienziali nei propri schemi di azione gia` stabilizzati, e fasi successive di accomodamento di questi schemi alle nuove esperienze23. Un tale meccanismo di costruzione delle modalita` di azione sull’ambiente costituisce il contenuto strutturale della formazione. Quindi la formazione per Piaget puo` essere definita come il processo continuo di auto-regolazione di un organismo in costante interazione con l’ambiente. L’energia che alimenta questo processo dinamico di costruzione degli schemi di azione e` l’interesse visto come prolungamento del bisogno24. L’interesse poi, diversificandosi, costituisce un sistema di valori che definiscono gli scopi dell’azione. Nell’interazione con l’ambiente il soggetto svolge una doppia funzione: da una parte effettua le operazioni di assimilazione e di accomodamento gia` descritte, dall’altra si orienta in funzione dell’interesse. Piaget, pur affermando che le radici della conoscenza sono di ordine biologico e che la conoscenza si costruisce su una potenzialita`
22
G. P. Quaglino, Fare formazione, Il Mulino, Bologna 2002. Cfr. J. Piaget, Biologie et connaissance, Paris, Gallimard 1967; Id., La psychologie de l’intelligence, Colin, Paris 1967. 24 Cfr. J. Piaget, Six e´tudes de psychologie, Gonthier, Gene`ve 1964. 23
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neuro-psicologica, riconosce un ruolo importante al soggetto che, interagendo con l’ambiente, acquista una crescente capacita` di rapportarsi agli altri, fino ad impadronirsi di condotte socializzate, realizzando la socializzazione. Delpierre considera la formazione come un processo dinamico di emancipazione progressiva dell’uomo dai suoi automatismi e conformismi. Egli parte dallo studio degli effetti prodotti da emozioni forti come la paura sui comportamenti sia individuali che collettivi, per giungere alla conclusione che la presa di coscienza delle limitazioni prodotte sui nostri comportamenti da un’emozione come la paura puo` aiutarci a superarle, in un percorso di maturazione psico-somatica. Per lui quindi la formazione consiste in un percorso in cui l’essere cerca di superare i propri limiti partendo da un livello istintivo-affettivo e giungendo al livello della coscien25 za . Jung considera la formazione della psiche come il risultato della tensione dialettica conscio-inconscio. La psicologia del livello cosciente e` articolata intorno al gioco combinatorio di due atteggiamenti fondamentali (estroversione-introversione) e di due coppie bipolari di funzioni: razionali (pensiero e sentimento), irrazionali (intuizione e sensazione), che conduce alla costituzione di “tipi” psicologici in base ai quali e` possibile distinguere e classificare i diversi comportamenti umani e i vari modi di orientamento nella realta`. La psicologia dell’inconscio si appoggia invece sugli archetipi e sui complessi individuali come indicatori di una dinamica interna non controllata dalla volonta`. La formazione e` considerata come un processo di individuazione, cioe` del perseguimento di un’autonomia individuale, ostacolata dagli stereotipi culturali in cui il soggetto e` originariamente immerso e con cui e` in parte identificato. In questo senso l’individuazione e` un processo di differenziazione dal collettivo, che non conduce all’individualismo perche´ implica un processo di integrazione dei valori universali custoditi dalla cultura, la cui concreta modalita` di attuazione appartiene al singolo. E` importante mettere in rilievo come per Jung l’apporto che “l’inconscio” fornisce all’attivita` cosciente della psiche sia fondamentale nel processo di formazione, per la sua funzione di riequilibrio delle polarita` funzionali, e quindi di autoregolazione26. Per Rogers la maturazione psicologica e` veicolata dalla tensione verso l’autorealizzazione, verso una attualizzazione delle proprie potenzialita`, 25 26
Cfr. G. Delpierre, La peur et l’eˆtre, Privat, Toulose 1974. G. Jung, Psychologie de l’inconscient, Georg, Gene`ve 1983.
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sotto la spinta di un’energia direzionale presente nell’organismo umano, rivolta alla crescita, all’ampliamento, non solo alla conservazione. La presa di coscienza del funzionamento del proprio organismo consente all’essere umano di autoregolarsi, rifiutando il controllo di forze esterne. Talvolta pero` si produce una spaccatura tra il se´ e l’esperienza vissuta che altera la capacita` dell’individuo di autoregolarsi, producendo un fenomeno di dissociazione, che consiste nel mettere in atto un comportamento cosciente riguardo a modelli sociali rigidi, incorporati staticamente, e un comportamento non cosciente riguardo alla propria tendenza a realizzarsi. La dissociazione individuale, che e` alla base delle nevrosi e delle psicosi, e` un prodotto della nostra societa` occidentale, ed e` presente nella maggior parte di noi. Rogers ritiene che sia importante, al fine del raggiungimento di un equilibrio interiore che consente l’autorealizzazione, ascoltare i propri orientamenti interiori non coscienti, che sono prodotti dal nostro organismo, considerato nella sua interezza e complessita`. In tale contesto la formazione e` intesa come la capacita` di apprendere dalle esperienze vissute, superando la dissociazione tra se´ e l’esterno, di saper rivisitare le proprie scelte alla ricerca di un ordine e un senso, di riorganizzare la propria visione della realta` se necessario. La maturita` psicologica designa una persona capace di vivere pienamente i suoi sentimenti, di utilizzare ogni capacita` per percepire al meglio la propria situazione esistenziale, interna ed esterna. Una persona in grado di far funzionare il suo organismo senza limitazioni e condizionamenti, per poter scegliere, in ogni situazione di tempo e di luogo, tra una moltitudine di possibilita`, il comportamento piu` soddisfacente27. Infine, per la pedagogia e` importante mettere in moto un processo di riflessione sul significato globale di formazione, sulla sua identita` sul suo pluralismo di modelli, sulla sua struttura di categoria capace di decifrare la realta` mutevole dell’oggi, inglobandola all’interno del proprio stemma interpretativo, chiamato a classificare e decodificare i segnali della complessita`, meta-paradigma del tempo attuale. Quello odierno e` infatti il tempo della complessita`, che appare come elemento peculiare della societa`, caratterizzata dalla interconnessione di molteplici fenomeni sociali e culturali, dalla pervasivita` di strumenti di comunicazione di massa, dal predominio della tecnica, da una grande frammentazione sociale e ideologica28. 27
Cfr. C. Rogers, Liberte´ pour apprendre, Dunod, Paris 1976 ; Id., Le de´veloppement de la personne, Dunod, Paris 1980. 28 “Siamo davanti all’avvento di una societa` piu` complessa e flessibile, piu` incerta anche, che della trasformazione fa il proprio paradigma, come pure dell’interconnessione dei vari
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Un modello di formazione per il terzo millennio “[...] L’azione formativa, ad ogni modo, perche´ possa definirsi ‘educativa’, nel senso di essere in grado di giungere ad un positivo esito di crescita, di maturazione non puo` che essere scientifica e partire da dati certi: essa, anzi, come si diceva deve farsi attenta ed indagare i motivi delle differenze, delle diversita`, delle peculiarita` e specificita` dei soggetti, dei luoghi e delle occasioni economiche, sociali, culturali per porli all’attenzione del progetto formativo come ‘valori’ e come ‘risorse’, per farne una base di partenza comunque solida e reale: non e` il valore astratto, quindi, non la finalita` in se´, ad essere fondante, quanto piuttosto l’itinerario formativo da costruire, un percorso che rispetti lo ‘specifico’ ma si apra al ‘generale’ che necessariamente (e questo potrebbe diventare lo specifico storico della progettualita` educativa per la societa` del terzo millennio) abitui il soggetto a trasferire l’idea particolare e il suo vissuto peculiare in piu` ampi contesti di vita reticolare e globale, che abitui ciascuno di noi a vivere non solo per se´ e per il proprio punto di vista, quanto necessariamente per l’altro da se´, per il bene comune. L’idea forte che potrebbe governare la riflessione sulla formazione del soggetto (ma anche della comunita`) viene cosı` a concentrarsi sulla dinamicita` degli eventi e delle emergenze che riguardano l’uomo e il suo tempo, da un lato, e sulle procedure per farvi fronte, dall’altro: queste ultime non possono che essere attrezzate ad operare in profondita` per aprire le coscienze, per fornire loro conoscenze, consapevolezze, competenze, abilita`[...]”. V. Sarracino, Educazione e pedagogia sociale. La dimensione politica e quella socioculturale, in V. Sarracino, M. Striano [a cura di], La pedagogia sociale. Prospettive d’indagine, Edizioni ETS, Pisa 2001, pp. 310-311.
Oggi la famiglia, un tempo istituzione portante di ogni assetto sociale, nucleo primario di socializzazione, sta perdendo la propria identita`, e sta assumendo una pluralita` di forme. Famiglia allargata, costituita da genitori divorziati e figli di piu` unioni, famiglie di fatto, famiglie guidate da donne sole, in assenza o latitanza dei padri. Famiglie piu` deboli, quindi, in cui spesso i minori non ricevono una guida adeguata, ne´ l’attenzione necessaria ad una crescita armonica. La trasformazione impetuosa della famiglia richiederebbe nel corpo sociale la presenza di istituzioni capaci di sosteelementi che la compongono: una societa` senza centro e pur vitalissima e autoregolata, nella quale la cultura, l’informazione, il sapere occupano un ruolo sempre piu` determinante, e nella quale tutte le posizioni (di soggetti, di istituzioni, di saperi, etc.) si indeboliscono, si rendono piu` fluide, vengono contrassegnate dall’indebolimento e dalla metamorfosi. Siamo davanti a una svolta: si chiude un’epoca, un’altra si apre; piu` instabile, piu` polimorfa, piu` complessa e problematica. Si tratta di attrezzarsi cognitivamente e eticamente a vivere la nuova epoca adveniente, che e` si erede del Moderno (della Secolarizzazione, del Progresso, della Tecnica, dell’Individuo, etc.) ma anche lo supera, lo distorce, lo spiazza e lo rinnova andando verso il Pluralismo, il De-centramento, la Precarieta`, la Complessita`, etc. Aspetti che stanno – per dirlo in sintesi – oltre la metafisica che pur – mutatis mutandis – contrassegna ancora la genetica del Moderno” (F. Cambi, L’autocomprensione del sapere pedagogico: tra metateoria e costruzione di senso, in M. Borrelli [a cura di], La Pedagogia italiana contemporanea, cit., pp. 65-66).
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nerne le difficolta` e di offrire un valido aiuto all’educazione dei giovani; invece la carenza di tali supporti determina emarginazione e sofferenze dei singoli che finiscono per innescare fenomeni di devianza giovanile, di 29 disadattamento, di uso di droghe i cui effetti ricadono su tutta la societa` . Anche il livello individuale e` profondamente segnato dal mutato assetto sociale; e` in atto un movimento che coinvolge corsi di vita modificando struttura, caratteristiche e durata dei segmenti intermedi, le cui connotazioni perdono rilievo, dissolvendosi in un magma indistinto. Chi si interessa di educazione non puo` sottrarsi al compito di osservare con attenzione i cambiamenti in atto; nelle societa` moderne siamo di fronte ad uno slittamento (shift) che Peter Alheit30 definisce drammatico delle fasi della vita. Mentre la durata della vita media va crescendo sempre piu`, si sono allungate notevolmente la fase giovanile e quella della old age (eta` della pensione). Inoltre, rispetto alla lunghezza del corso della vita, e` diminuita la durata del ruolo di genitore ed e` aumentata quella di figlio. Per la prima volta nella storia, gli uomini trascorrono piu` tempo come figli di genitori viventi che come genitori di figli sotto i venti anni31. Da tali considerazioni emerge con chiarezza il cambiamento relativo allo stato di adulto; allo slittamento delle fasi della vita si aggiunge una modifica strutturale nelle biografie lavorative. E` sempre piu` rara la successione: fase di apprendimento, fase di attivita` lavorativa, fase di riposo; i periodi di formazione talvolta si innestano sui periodi di occupazione, e questi sono frammentari, interrotti da periodi di ulteriore formazione e seguiti da cambi di attivita`. E` un processo in cui sembra perdere impor29
Cfr. S. Ulivieri [a cura di], L’educazione e i marginali. Storie, teorie, luoghi e tipologie dell’emarginazione, La Nuova Italia, Firenze 1997. 30 Fondatore a Ginevra – con Pierre Dominice´, Matthias Finger e Christine Josso – del Groupe de Recherche sur les Adultes et leurs processus d’Apprentissage (GRAPA), si occupa dei processi di apprendimento degli adulti. Peter Alheit ha dato un importante contributo al Gruppo di ricerca ginevrino per quanto riguarda la elaborazione del metodo delle storie di vita. Alheit infatti individua nelle storie di vita il primo terreno di apprendimento dell’adulto. Egli vede ogni percorso di vita come una palestra della mente in cui l’individuo esercita abilita` e competenze ed acquisisce continuamente nuove conoscenze. Aver coscienza di cio`, per Alheit, significa ripensare la funzione educativa che deve essere mirata a favorire nel soggetto adulto la piena esplicazione delle proprie potenzialita`; in realta` si tratta di comprendere la capacita` individuale di auto-dirigersi, il potenziale creativo insito in ciascuno. Analizzando una storia di vita dal suo interno, si comprende come essa sia diretta e orientata dalle autonome scelte del soggetto. 31 P. Alheit, Biographical learning. Theoretical outline, challenges and contradictions of a new approach in adult education, in P. Alheit et al., The Biographical Approach in European Adult Education, Verband Wiener Volksbildung, Wien 1995, p. 58.
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tanza il potere centralizzante dell’etica protestante del lavoro teorizzata da Max Weber32 che e` stato uno dei piu` influenti modelli di orientamento nella modernita` capitalistica mentre affiorano nuovi orientamenti post-materialisti33. E` possibile che nella nostra vita i periodi dedicati alla formazione prevalgano su quelli dedicati all’attivita` professionale. Da qui scaturisce con grande evidenza la necessita` di ripensare la formazione34 adeguandone obiettivi e modalita` attuative alle esigenze molteplici di una realta` la cui caratteristica dominante sembra essere la fluidita`. La formazione come sfida del soggetto “In quanto sfida verso l’attuale processo di globalizzazione culturale, la formazione puo` fungere da regolatore pedagogico (da dispositivo di difesa del soggetto-persona) in grado di portare per mano ad una diffusa presa di coscienza che i mass media e i personal media possono lasciare ‘via libera’ all’avvento – esistenzialmente devastante – di un soggetto-massa. Ad un uomo e ad una donna modellati e standardizzati (l’uomo ‘utile’, in serie) nei loro comportamenti quotidiani: affettivi, cognitivi, sociali, valoriali. E` a partire da queste ragioni pedagogiche che oggi squillano le ‘campane’ della sfida della formazione, i cui rintocchi appartengono al mondo dell’educazione. Questa, la tesi. La formazione costituisce un ‘cantiere’ irrinunciabile per la costruzione esistenziale di un soggetto-persona cosparso dei ‘segni’ dell’integralita`, della multidimensionalita` e della valorialita`’’. F. Frabboni, Il curricolo, Laterza, Roma-Bari 2002, p. 18.
Tutto e` in movimento, tutto cambia continuamente con rapidita` straordinaria, corsi di vita, esigenze dei singoli, modalita` soggettive, qualificazioni richieste da un mercato del lavoro sempre piu` globalizzato, in cui la competizione spinge gli operatori all’innovazione continua, ad un efficientismo esasperato teso a tagliare i costi, e con essi il numero di occupati. In un mondo cosı` articolato il singolo rischia di essere schiacciato, di perdere la propria individualita` di smarrire le coordinate di senso dell’esistenza, se e` privo degli strumenti di interpretazione della realta` che solo una formazione correttamente impostata puo` avergli fornito.
32
Cfr. M. Weber, Die protestantische Ethick und der Geist des Kapitalismus (1905); tr. it., L’etica protestante e lo spirito del capitalismo, BUR, Milano 1996. 33 Ibid. 34 Cfr. V. Sarracino, M. R. Strollo [a cura di], Ripensare la formazione, Liguori, Napoli 2000.
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2.4 L’orizzonte della complessita` Con tutta la sua pregnanza quindi affiora il problema di stabilire le coordinate di senso della formazione nel mondo odierno; mai forse nella storia dell’umanita`, la formazione ha rivestito un ruolo cosı` decisivo non solo per il singolo ma per la sopravvivenza della societa` stessa. Una societa` complessa nell’era della complessita`, in un mondo in cui il sapere ha perso la sua struttura organica e definita configurandosi secondo un modello reticolare, quindi privo di un centro irradiatore, di riferimenti certi. In tale realta` il soggetto e` in evidente difficolta` e fatica ad orientarsi, se e` sprovvisto di un bagaglio formativo che gli fornisca le coordinate necessarie a governare razionalmente gli eventi ed a vivere senza angoscia l’incertezza e la provvisorieta` caratteristiche peculiari della complessita`. Nel campo della conoscenza la complessita` si accompagna alla crisi dell’onniscienza, della pretesa di attingere un sapere globalizzante e perfettamente definito, e quindi alla tendenza ad approfondire, a problematizzare; la ragione comincia a confrontarsi con l’irrazionalita`, a tener conto della pluralita` dei punti di vista, ad accettare anche la singolarita`, la particolarita`. Non sono in discussione ruolo e valore della scienza che e` sempre capace di fornire una chiave di lettura della realta`, e di offrire un modello rappresentativo che pero` viene ora accettato in senso probabilistico e in via non definitiva, con la categoria della possibilita` che viene a sostituire la categoria della certezza. 35 Cives a questo proposito cita Morin: “non c’e` una ricetta semplice della complessita` [...] la scienza e` un’arte perche´ e` una strategia della conoscenza”36. Da cui l’esigenza di “pensare senza mai chiudere i concetti”37. Continua Cives: “aspirare a totalita` integratrici anche sapendo problematicamente che la totalita` e` verita` e non verita` allo stesso tempo. Da cui l’esigenza di imparare a convivere con la complessita`, a provvedere all’insegna del pensiero della complessita` a ‘civilizzare’ la nostra mente”38. “Morin” – ricorda Cives – “non ha mancato di aggiungere – una indicazione rilevante – che tale tipo di impostazione corrisponde particolarmente a quella democratica che si pone come salvaguardia della complessita`”39. 35
G. Cives, Complessita` ed educazione democratica, in F. Cambi, G. Cives, R. Fornaca, Complessita`, pedagogia critica, educazione democratica, La Nuova Italia, Firenze 1995, p. 31. 36 E. Morin, Le vie della complessita`, in G. Bocchi, M. Ceruti [a cura di], La sfida della complessita`, Feltrinelli, Milano 1988, p. 59. 37 Ibid. 38 G. Cives, Complessita` ed educazione democratica, cit., p. 31. 39 Ibid.
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Discende da cio` la consapevolezza che la complessita` comporta l’adozione di un atteggiamento mentale duttile, aperto alle varie dimensioni del reale, capace di cogliere razionalmente la realta` senza trascurarne pero` gli elementi di incertezza e di variabilita`. Visalberghi fa notare come il principio di semplificazione che ha consentito alla scienza moderna di raggiungere risultati di grande portata innescando applicazioni tecnologiche che hanno contribuito a cambiare la nostra vita, ora non e` piu` sufficiente ad affrontare i nuovi problemi posti all’uomo dal livello dei saperi acquisiti, che richiedono l’impiego di conoscenze multidisciplinari e di “una sorta di ponderazione congiunta di mezzi e di fini, di strumenti e di valori”40. Ne discende l’esigenza di una scienza capace di ideare per i problemi strategie risolutive atte a valutare l’incidenza di un’azione su una molteplicita` di aspetti, e a proiettare l’effetto anche sul tempo futuro. Per Cives l’uomo puo` vincere la sfida della complessita` attraverso il disincanto, capacita` di interpretare la realta` senza gli annebbiamenti prodotti dall’ideologia e dalle illusioni della sicurezza e dell’onniscienza. Il disincanto puo` consentirgli di relazionarsi al mondo esterno con disponibilita` al confronto e apertura verso la conoscenza, senza pregiudizi ma anche senza aspettative fideistiche in certezze rassicuranti. E` compito dell’educazione affinare gli strumenti idonei a formare un uomo in possesso delle qualita` necessarie a vivere in modo consapevole una siffatta realta` e solo un’educazione democratica puo` rispondere alle esigenze poste dalla complessita`, che richiede non una formazione vista come addestramento, ma la capacita` di adeguarsi a molteplici esigenze, di affrontare con serenita` situazioni nuove, trovando nel proprio bagaglio cognitivo la soluzione piu` adatta allo specifico problema. Non e` cosa semplice riuscire a realizzare un’educazione autenticamente democratica, perche´ non sono sufficienti le competenze, ma e` richiesto un impegno, una tensione ideale, la consapevolezza di partecipare ad una impresa storicamente importante. Dewey, precorrendo i tempi, scriveva gia` nel 1917 che “una societa` mobile, ricca di canali distributori dei cambiamenti [...] deve provvedere a che i suoi membri siano educati all’iniziativa personale e all’adattabilita`. Altrimenti essi sarebbero sopraffatti dai cambiamenti nei quali si trovassero coinvolti e di cui non capissero il significato e la connessione. Ne conseguirebbe una confusione nella quale un piccolo numero di persone si impadronirebbe dei risultati delle attivita` altrui cieche 41 e dirette dall’esterno” . 40 41
Ivi, p. 33. J. Dewey, Democrazia ed educazione, cit., p. 111.
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42 L’educazione democratica e` caratterizzata dalla centralita` dell’alunno che va aiutato a costruirsi armonicamente come persona nella sua interezza, fatta di sentimenti e intelletto, educato ai valori della solidarieta` e dell’eguaglianza e ai rapporti interpersonali, nel rispetto degli altri ma anche nella capacita` di affermare le proprie idee. Un progetto educativo con tali caratteristiche puo` essere realizzato solo nella scuola pubblica aperta alla societa`, capace quindi di cogliere i fermenti sociali e di valorizzare ogni contributo esterno; la didattica, in tale contesto, deve essere quella che valorizza l’indagine, la ricerca, puntando a stimolare l’interesse dell’allievo, in un’attivita` di progressiva e graduale rigorizzazione della metodologia, tesa a fornire gradatamente gli strumenti anche formali di lettura della realta`. In una prospettiva di educazione democratica cosı` presentata compito dello Stato e` quello di garantire la liberta` di ricerca e di insegnamento “nella scuola”, diversa dalla liberta` “della scuola”, cioe` quella di aprire da parte delle istituzioni scuole ispirate ai loro orientamenti ideologici43. Remo Fornaca44 considera il concetto di complessita` come uno strumento metodologico atto a decifrare ogni realta` sociale che, per il sovrapporsi di una molteplicita` di fenomeni interconnessi, non si presta mai ad una lettura razionale, ne´ e` inquadrabile in schemi semplificatori. La societa` attuale poi, presenta caratteri di maggiore complessita` rispetto al passato per gli effetti innescati dal progresso scientifico e dal conseguente progresso tecnologico a cui si accompagna un sistema di informazione di massa che ha drasticamente ridotto le dimensioni spazio-temporali del pianeta, portando in tempo reale le immagini di ogni avvenimento negli angoli piu` remoti della terra, e alimentando l’illusione per tutti di appartenere ad un
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“L’idea fondamentale su cui poggia la rivoluzione copernicana dell’approccio scientifico all’educazione consiste nel ribaltamento del primato dell’educatore in quello del soggetto che si educa. Pertanto, sono io in quanto educatore a non conoscere il processo formativo in atto nel soggetto; appare cioe` in tutta la sua pregnanza e indivisibilita` il soggetto come elemento di riferimento ineludibile. Evidentemente dietro ad affermazioni di questo tipo non c’e` soltanto un modo di usare l’approccio scientifico, ma c’e` anche una concezione della societa` in senso democratico, nel senso che e` il soggetto in quanto tale ad avere il diritto di sviluppare la sua educazione secondo le sue caratteristiche peculiari, che quindi vanno esplorate dall’educatore per quelle che sono” (P. Orefice, Il processo formativo: questioni formali e teoriche, cit., p. 19). 43 Cfr. N. Bobbio, Prefazione a G. Pecora, Uomini della democrazia, ESI, Napoli 1986, pp. 5-8. 44 R. Fornaca, Societa` e cultura complesse, educazione nuova e pedagogia, in F. Cambi, G. Cives, R. Fornaca, Complessita`, pedagogia critica, educazione democratica, cit., pp. 51-98.
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villaggio globale. Scienza, tecnica, informazione, sono strumenti capaci di indurre cambiamenti sull’assetto della societa`, e sui modelli educativi, e pongono il problema del controllo e della gestione di tali risorse per indirizzarle verso un uso che impedisca processi di emarginazione e di esclusione dei piu` deboli. In particolare Fornaca si sofferma sulla gestione, nella nostra societa`, dei modelli educativi e scolastici osservando che, se attualmente prevale un orientamento che riconosce il ruolo centrale spettante alla scuola e all’educazione, e` pero` avvertibile la presenza nel corpo sociale di fenomeni disgregativi che investono anche la scuola, mettendone in discussione le modalita` di approccio al mondo giovanile, l’efficacia dell’insegnamento, la capacita` di rispondere alle esigenze sociali. Fornaca sembra cogliere i segnali di una differenziazione sociale in atto tra i gruppi economicamente e culturalmente piu` deboli che si affidano alla scuola pubblica e le classi sociali egemoni che cercano di volgere a proprio vantaggio il cambiamento con una strategia tesa da un lato a scegliere scuole che offrano garanzie culturali, dall’altro a integrare i percorsi scolastici con attivita` nel tempo libero mirate a fornire ai loro figli strumenti idonei ad un inserimento adeguato in un certo mondo, che richiede sicurezza, stima di se´, capacita` di competere. E` quindi in atto un processo di divaricazione sociale, in cui si allarga la forbice tra i soggetti socialmente piu` deboli e quelli appartenenti ai ceti forti. La divaricazione e` agevolata dal disgregarsi di un tessuto sociale solidaristico e del prevalere della competizione che spinge al pragmatismo, al soggettivismo, a soluzioni personali. E` un processo che sta logorando la coesione della societa` civile e la sua identita` educativa e culturale; prenderne atto e` il punto di partenza di ogni discorso pedagogico. La nuova era tecnologica richiede conoscenze e competenze sempre piu` specialistiche, l’uso di linguaggi formali, la capacita` di adeguarsi rapidamente alle novita` della tecnica; a fronte di tali esigenze c’e` una societa` che fatica a fornire le qualificazioni e le competenze richieste, rischiando di aggravare i fenomeni di emarginazione. Alcuni propongono, per superare questo “gap” che va allargandosi tra i pochi in grado di gestire le nuove tecnologie e i molti che ne restano esclusi, di puntare decisamente su modelli formativi tesi a fornire strumenti logici di base che possano favorire l’acquisizione di linguaggi anche formali. Una posizione siffatta e` dannosa per la sua unilateralita` e per la pretesa di rappresentare la complessita` dell’uomo schiacciandolo sulle sue funzioni razionali di tipo logico-scientifico, e trascurando la ricchezza della sua componente esistenziale rappresentata da cultura, relazioni inter-
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personali, modalita` di aggregazione sociale, valori. Una impostazione formativa tutta centrata sulla razionalita` scientifica e lontana dalla “razionalita` vissuta”45 finirebbe per allargare il distacco esistente tra scuola e societa`, accrescendo la disaffezione per la scuola, per la cultura, rendendo non praticabile l’impostazione di una educazione democratica. Diventerebbe cosı` concreto il rischio di creare, piu` o meno consapevolmente, nella societa` “isole tecnicamente avanzate in un mare di irrazionalita` ed emarginazione”46; l’antidoto a tale prospettiva resta l’elaborazione di modelli educativi capaci di soddisfare l’esigenza di inserimento del soggetto nell’universo tecnologico senza trascurarne la dimensione esistenziale, storica, sociale. E` necessario elaborare una pedagogia nuova per una educazione nuova, capace di instaurare un reale processo di cambiamento e di maturazione all’interno del corpo sociale, riaggregandone le componenti intorno ad un percorso di crescita collettiva condiviso. Una pedagogia nuova per una societa` complessa “[...] All’interno di societa` complesse come quelle che attualmente esistono o stanno emergendo, occorre una pedagogia, una cultura pedagogica, un insieme di scienze dell’educazione caratterizzate da una presa di coscienza dei problemi piu` immediati e dall’istanza di approfondimenti teorici e di ricerca scientifica. Non si sottolineera` mai abbastanza l’importanza della formazione e della diffusione, all’interno della societa`, di una cultura pedagogica attenta alle situazioni, alle esigenze, alle richieste, alle sfasature, in grado di chiarire, orientare, stimolare, introdurre atteggiamenti e metodi piu` funzionali, di suggerire e sostenere forme piu` civili di condotta, di mettere a punto modelli educativi qualitativamente migliori; il grado di civilta` di una societa` si misura anche dal tipo e dalla qualita` dei costumi educativi e della cultura pedagogica. Quest’ultima dovrebbe caratterizzarsi, dicevamo, per la messa a punto di metodi e linguaggi, in grado di fare chiarezza sulla situazione esistente e di elaborare e sperimentare indirizzi e tecniche per affrontare contraddizioni, ingiustizie, sfasature educative, scolastiche, culturali e per incentivare interventi e riforme. Impostata in questo senso la cultura pedagogica dovra` esprimere apporti conoscitivi e metodologie differenziate in rapporto ai problemi da affrontare, ma convergenti rispetto ai fini da raggiungere. Contano le situazioni e i concetti generali, ma altrettanto le contingenze particolari ed esistenziali; d’altra parte gli accertamenti, le scelte, gli obiettivi educativi e pedagogici richiedono idee e forze anche sociali, ricche di coscienza critica e propositiva, specie nei confronti di quei problemi (emarginazione, difficolta` di apprendimento, handicap, droga, delinquenza, analfabetismo, disoccupazione, degrado ambientale, demotivazioni esistenziali, ecc.) che rappresentano degli autentici scogli educativi [...]”. R. Fornaca, Societa` e cultura complesse, educazione nuova e pedagogia, cit., p. 69.
45 46
Ivi, p. 60. Ibid.
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Elementi fondanti di un progetto educativo nuovo, teso a realizzare una educazione democratica, fortemente ancorato ai valori sociali, storici, culturali della societa` ma anche aperto alle applicazioni della scienza e della tecnica, sono, accanto ad una impostazione storica nello studio delle dinamiche sociali esaminate nella complessita` delle interconnessioni esistenti tra gli elementi in gioco, l’uso di una didattica moderna, coinvolgente, centrata sull’alunno, aperta alle nuove tecnologie, e una formazione scientifica che abitui i giovani al vaglio razionale delle ipotesi, alla comprensione di linguaggi diversi, alla formalizzazione matematica, al rigore logico proprio della scienza. Franco Cambi fa notare come la complessita` sia diventata quindi il principio educativo di riferimento e alla pedagogia spetta un ruolo decisivo per “[...] costruire/valorizzare tale principio educativo; essa deve evidenziare il ruolo formativo (e in senso sociale e in senso soggettivo-personale), deve fissare le nuove competenze cognitive e le formae mentis richieste, e deve pure contrassegnare il nuovo tipo di socializzazione che viene ad attivarsi, sempre in relazione al paradigma della complessita`, assunto come modello e come regola. Proprio la pedagogia dovra` farci entrare in quel parallelismo/simbiosi che oggi corre tra formazione e complessita`: giustificarlo, mostrarlo, interpretarlo. Ed e` cio` che, in parte, sta facendo, soprattutto cola` dove si nutre di ricca coscienza epistemologica e si accorpa a un’idea del formativo visto come processo articolato in cui i percorsi dell’inculturazione e dell’apprendimento si ri-qualificano proprio in termini di forma mentis e di orientamento axiologico (individuale e sociale)”47. Nella riflessione contemporanea sulla societa` della complessita` un contributo importante sul concetto di liberta` viene portato da Karl Polanyi, il quale osserva che la moderna societa` tecnologica ha profondamente inciso sulla condizione dell’uomo, sottraendogli il bene della liberta`. L’uomo e` entrato nella societa` della macchina come individuo ma si e` in breve sentito come “un semplice aggregato di materia che poteva essere fatto scomparire nella massa”48, perche´ ha dovuto conformarsi ad un tipo ideale di uomo medio intercambiabile, mentre l’aggressione dei media ha prodotto un desolante conformismo mentale che rappresenta una restrizione di liberta`. Polanyi inoltre mette in risalto la relazione esistente tra complessita` 47 F. Cambi, La complessita` come paradigma formativo, in M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti, Formare alla complessita`. Prospettive dell’educazione nelle societa` globali, Carocci, Roma 2003, p. 137. 48 K. Polanyi, La liberta` in una societa` complessa, tr. it., Bollati Boringhieri, Torino 1987, p. 182.
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sociale e perdita di liberta` dell’uomo, legata alla dipendenza dalle tecnologie. Infatti la societa` moderna e` organizzata in modo che la vita dell’uomo non e` nelle sue mani, ma e` strettamente dipendente dal funzionamento di macchine “il cui venir meno equivale a sicura distruzione oppure, peggio ancora, a un tipo d’incertezza che combina totale impotenza ed estrema angoscia”49. Polanyi mette in evidenza come una societa` tecnicamente complessa, mentre fornisce all’uomo i mezzi che gli consentono di dominare le forze della natura liberandolo dalla fatica fisica e da una serie di timori secolari, d’altro canto induce in lui un tipo nuovo di paura legato alla consapevolezza che la civilta` in cui vive puo` essere distrutta da chi schiaccia i bottoni. Egli pensa che, per impedire la scomparsa della liberta` sia necessario un intervento educativo teso a incoraggiare l’indipendenza del pensiero, e interventi legislativi che sanciscano il diritto all’obiezione di coscienza e tutelino i diritti delle minoranze.
2.5 I modelli della complessita` Secondo Cambi “oggi il modello della complessita` viene affermandosi come un paradigma epistemico generale, come un ideale operativoregolativo e descrittivo dell’identita` dei saperi contemporanei”50, dei saperi legati alle scienze della natura e insieme di quelli legati alle scienze umane, che appaiono complessi e richiedono un approccio sistemico capace di cogliere le interconnessioni reciproche; cio` comporta nella ricerca epistemica la sostituzione di modelli dei saperi tesi alla ricerca di relazioni invarianti di stampo positivistico, con un modello interpretativo attento alla specificita` e non linearita` di ogni sapere, svincolato da un criterio unitario e dalla ricerca di leggi universali. La pedagogia in cerca di identita` attraverso la ricerca epistemologica51, trova oggi nel paradigma della complessita` la 49
Ivi, p. 176. F. Cambi, Complessita` ed epistemologia pedagogica. Modelli interpretativi, in F. Cambi, G. Cives, R. Fornaca [a cura di], Complessita`, pedagogia critica, educazione democratica, cit., p. 132. 51 Il nuovo modello di ricerca educativa, imperniato sulla centralita` del soggetto conoscente nei riguardi della propria impresa cognitiva, e` governato dal paradigma della complessita`. Sottolinea a tal proposito Patrizia de Mennato: “La mutazione di paradigma che ha contraddistinto il sapere pedagogico e` centrata, difatti, sulla trasformazione da un modello unitario e semplificante di spiegazione scientifica ad uno molteplice e, nel contempo, singolare; riguarda, cioe`, la trasformazione da un modello di ricerca in aderenza ai requisiti di scientificita` delle scienze della natura, ad un modello che afferma l’autonomia delle scienze umane nella costruzione di originali, specifiche e plurali immagini di scienza. Per queste ragioni prende forma un modello critico della ricerca educativa centrato sulla 50
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possibilita` di condurre ad unita` le sue antinomie, affermando una propria 52 autonomia dai saperi forti che storicamente hanno teso a riassorbirla . Cambi ricorda il contributo fondamentale che Prigogine e Morin hanno apportato ad una riflessione approfondita sul modello della complessita` negli ambiti rispettivamente delle scienze della natura e delle scienze umane. 53 Prigogine approccia il tema della complessita` dal punto di vista delle scienze fisiche ricordando come la rappresentazione di una realta` di tipo deterministico, fondata su fenomeni reversibili, fornita dalla fisica classica sia stata messa in discussione dallo studio di situazioni di non-equilibrio in cui la materia assume proprieta` del tutto diverse. Riprende, a titolo esemplificativo, il fenomeno dell’instabilita` di Be´nard in cui, scaldando un liquido nella parte inferiore, si producono strutture coerenti come celle di convenzione a partire da una situazione di caos; sembra che, in quella situazione particolare, le proprieta` della materia cambino, e singole particelle di liquido sentano in qualche modo la presenza di particelle lontane, aggregandosi ad esse. Dove ci aspetteremmo caos e disordine, troviamo delle strutture ordinate. Prigogine scrive: “Mi piace dire, in certo qual modo, che nello stato di equilibrio la materia e` cieca e che essa comincia a vedere nello stato di non-equilibrio”54. Tale evento porta a concludere che il nonequilibrio puo` avere un ruolo costruttivo producendo strutture complesse impensabili in una situazione ordinata quale e` quella descritta dalle leggi fisiche che regolano fenomeni reversibili. E` il concetto di reversibilita` dei fenomeni introdotto dalla fisica classica che impedisce di afferrare la complessita` del reale. Reversibilita` significa a-temporalita`; significa che ogni fenomeno puo` essere ripercorso a ritroso senza che nulla cambi nel modo di descriverlo. Il concetto di reversibilita` si accompagna alla difficolta` di stabilire il prima e il dopo del tempo.
difformita` dei paradigmi, sul punto di vista costruttivo del ricercatore e sulla contestualizzazione delle azioni e delle operazioni cognitive poste in essere. Questa rivoluzione scientifica si impernia, infatti, nella centralita` del soggetto conoscente nei riguardi della propria impresa cognitiva e della propria responsabilita`” (P. de Mennato, La ricerca «partigiana». Teoria di ricerca educativa, Cuem, Milano 1994, pp. 57-58). 52 F. Cambi, Complessita` ed epistemologia pedagogica. Modelli interpretativi, in F. Cambi, G. Cives, R. Fornaca [a cura di], Complessita`, pedagogia critica, educazione democratica, cit., pp. 136-142. 53 I. Prigogine, L’esplorazione della complessita`, in G. Bocchi, M. Ceruti [a cura di], La sfida della complessita`, cit., pp. 179-193. 54 Ivi, p. 180.
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Il problema di stabilire la successione del prima e del dopo e` stato affrontato senza risultati nel corso dei secoli da filosofi e fisici, da Aristotele fino ad Heidegger, da Einstein a Bergson. Ma l’irreversibilita` dei fenomeni naturali e la scoperta in essi di attrattori intorno ai quali la materia si organizza in strutture ordinate proprio in conseguenza dell’irreversibilita`, consente di concepire una storia naturale del tempo. Inoltre, la fisica contemporanea e` giunta alla conclusione che la maggior parte dei sistemi dinamici sono instabili e l’instabilita` e` associata a proprieta` nuove, all’introduzione di concetti nuovi tra cui quello di tempo interno di un sistema che e` una proprieta` globale del sistema ed e` distinto dal tempo astronomico. L’esplorazione della complessita` “[...] Altrove ho trattato a lungo sull’esempio dell’instabilita` di Be´nard, in cui si scalda un liquido dal disotto, e ho potuto mostrare le magnifiche correnti e le grandi celle di convenzione che si producono in seguito al non equilibrio. Il non equilibrio trasforma completamente le proprieta` della materia: a causa del non equilibrio le particelle diventano ‘sensibili’ ad altre molecole che si trovano a distanze macroscopiche. Mi piace dire, in certo qual modo, che nello stato di equilibrio la materia e` ‘cieca’ e che essa comincia a ‘vedere’ nello stato di non equilibrio. E dato che le equazioni sono non lineari, lontano dall’equilibrio si manifesta una grande varieta` di comportamenti che non trovano analogie nel caso della fisica dell’equilibrio. A grandi linee possiamo dire che negli ultimi decenni si sono avute grandi sorprese in quel campo della fisica che definirei macroscopico, oltre alle grandi sorprese provenienti dal campo microscopico (subatomico) o cosmologico (l’universo). [...] Penso che il risultato piu` inaspettato provenga dal ruolo costruttivo del non equilibrio. Lontano dall’equilibrio, si creano stati coerenti e strutture complesse che non potrebbero esistere in un mondo reversibile. Questo dipende da una proprieta` fondamentale dei fenomeni dissipativi che i sistemi meccanici non posseggono: la stabilita` asintotica. Stabilita` asintotica puo` essere un termine scientifico un po’ pesante, ma significa semplicemente che nei sistemi dissipativi esiste la possibilita` di dimenticare le perturbazioni. [...] Non appena si e` in presenza di fenomeni irreversibili si possono dimenticare le condizioni iniziali”. I. Prigogine, L’esplorazione della complessita`, cit., p. 180.
Prigogine scrive: “Il mondo che ci circonda non e` per niente simbolizzato dal moto dei pianeti, stabile e ripetitivo. Il suo simbolo sono piuttosto le instabilita` dei sistemi che possono passare da una struttura all’altra proprio per il fatto che sono instabili”55. Per la fisica classica la materia e` simmetrica rispetto al passato e al futuro che si equivalgono; ma il secondo principio della termodinamica, asserendo che l’entropia (il disordine dell’universo) aumenta, introduce per la materia 55
Ivi, p. 190.
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una freccia del tempo, rompendo la simmetria rispetto al tempo perche´ distingue tra passato e futuro. Con la rottura della simmetria, la fisica perde il suo carattere di immobilita` e di eternita` e tende ad assumere una connotazione di tipo biologico, mettendo fine alla secolare divisione tra scienze dure e scienze umane. Prigogine si chiede a questo punto se, in considerazione di cio` non si possa concepire un progetto teso a stabilire un legame piu` stretto tra cultura delle scienze fisiche e cultura delle scienze umane; egli ritiene che l’esistenza di una freccia del tempo sia un elemento di coesione, perche´ tutti apparteniamo ad un universo in evoluzione, caratterizzato dalla rottura di simmetria, un universo “la cui immagine comincia ad avere una complessita` paragonabile a quella che viviamo dentro di noi. Mi chiedo se questa convergenza fra il mondo attorno a noi e il mondo dentro di noi non sia uno 56 degli avvenimenti piu` significativi del nostro secolo” . 57 Morin ricorda che per lungo tempo e` stata dominante l’idea che le scienze umane, invischiate nella complessita` dei fenomeni oggetto del loro studio, andassero fatalmente collocate ad un gradino inferiore rispetto alle scienze naturali, regolate da principi generali e da leggi deterministiche. La crisi della spiegazione semplice che ha segnato le scienze fisiche e biologiche ha poi rimesso in gioco gli aspetti considerati non-scientifici tipici delle scienze umane come l’incertezza, il disordine, la pluralita`, inserendoli a pieno titolo nella problematica di fondo della conoscenza scientifica. Di conseguenza oggi la complessita` sembra essere il termine piu` adeguato a descrivere la realta`, ma e` un termine di cui si abusa, e su cui si tende a fare confusione. Essendo impossibile definire la complessita`, Morin cerca di cogliere il concetto analizzando gli aspetti qualificanti. Parte da “caso e disordine” che sono presenti nell’universo svolgendo un ruolo attivo e nella sua evoluzione, ma sulla cui nozione permane in noi l’incertezza in quanto resta sempre il dubbio che il caso ci appaia tale solo per nostra ignoranza. Lo sviluppo delle discipline ecologiche in biologia ha inoltre evidenziato l’importanza delle nozioni di singolare e locale in quanto individui singolari vivono in un habitat localizzato. La complessita` puo` essere poi approcciata attraverso la complicazione legata al groviglio di interazioni che legano i fenomeni biologici e sociali, ma anche attraverso una insondabile relazione esistente tra ordine, disordine e organizzazione sintetizzata dal principio dell’order from noise58 che indica come da una 56 57 58
Ivi, p. 193. E. Morin, Le vie della complessita`, cit., pp. 49-60. Ivi, p. 51.
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turbolenza disordinata possono nascere fenomeni organizzati, esemplificato da Prigogine nel caso dei vortici, strutture coerenti nate da perturbazioni disordinate. Si puo` giungere alla complessita` anche attraverso il concetto di organizzazione, il collante che consente a elementi singoli di diventare sistema. Il sistema creato dall’organizzazione e` una struttura insieme unitaria e molteplice, quindi complessa; e` cosa diversa dalla somma delle parti, ciascuna delle quali perde autonomia ma guadagna vantaggi legati all’appartenenza ad un tutto di cui assorbe retroattivamente le qualita` emergenti, proprieta` esistenti solo al livello di sistema. Esempio di qualita` emergente in un sistema sociale sono la cultura, il linguaggio, l’educazione, proprieta` del tutto e non del singolo che, retroagendo sulle parti, contribuiscono a sviluppare negli individui capacita` mentali e intellettive. Ulteriore e straordinario elemento della complessita` e` il principio ologrammatico per il quale ogni elemento contiene in se` il tutto. Ad esempio, ogni cellula di un vivente contiene in se` l’informazione genetica dell’intero organismo; quindi, se la parte e` nel tutto, anche il tutto e` nella parte. Al principio ologrammatico puo` essere connesso inoltre il principio dell’organizzazione ricorsiva, tipico di un sistema i cui prodotti sono necessari per produrlo, quindi di un sistema che si autoproduce come il sistema dei viventi che si autoconserva attraverso il ciclo della riproduzione sessuale. Diventa evidente, attraverso l’esistenza del principio ologrammatico e di quello dell’organizzazione ricorsiva, che la complessita` non e` solo legata a fenomeni empirici (il caso, il disordine, la complicazione delle interazioni tra elementi diversi) ma e` anche connessa a problemi di ordine concettuale inerenti alla impossibilita` di stabilire una demarcazione netta tra il tutto e la parte, tra causa ed effetto. Di conseguenza, si puo` affermare che la complessita` puo` essere attinta rinunciando ai concetti chiusi e chiari, al principio cartesiano che la verita` sia rappresentata dalle idee chiare e distinte; alla separazione netta tra scienza e non scienza, tra soggetto e oggetto, tra organismo e ambiente59. 59
“Quanto alla complessita` va fissata come struttura portante, come supporto e come modello; va compresa, va salvaguardata, va potenziata: va pensata. Come? Ci ricordava Morin che non si puo` pensare in modo semplice, lineare la complessita`. Va invece svolta come con-plexus, come insieme di nessi, come intreccio, come rete o rete di reti. Va costruita in forma dialettica: plurale, dinamica, aperta. Va studiata nelle sue logiche: diverse, plurali, dismorfiche. E usata nel suo polimorfismo in relazione a eventi, a classi di eventi, a processi di interpretazione. Va collegata ai fenomeni e pensata sui fenomeni. [...] Anche la complessita` ha funzioni epistemologiche (a livello metateorico e teorico: come autocompensione del ‘congegno’ della pedagogia, come criterio per elaborare teorie dell’educazione), ma anche
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Infine, elemento costitutivo della complessita` e` la perturbazione indotta dalla presenza dell’osservatore, ormai comunemente riconosciuta sia al livello delle scienze umane e sociali che al livello delle scienze fisiche e naturali. Morin sostiene a questo punto che “la complessita` e` all’origine 60 stessa delle teorie scientifiche, anche delle teorie piu` semplificatrici” ricordando che, se pure con accenti diversi, studiosi del calibro di Popper, Holton, Kuhn, Feyerabend hanno mostrato l’esistenza, in ogni teoria scientifica, di un nucleo non scientifico. La complessita` possiede una connotazione negativa legata all’introduzione dell’incertezza all’interno di un percorso di conoscenza avviato verso la certezza assoluta; possiede anche una connotazione positiva derivante dalla spinta che essa puo` imprimere verso lo sviluppo di un pensiero multidimensionale, capace di formalizzare e quantificare ma anche attento alle molteplici dimensioni del reale: La sfida della complessita` ci fa rinunciare per sempre al mito della chiarificazione totale dell’universo, ma ci incoraggia a continuare l’avventura della conoscenza, che e` un dialogo con l’universo [...]. Abbiamo creduto che la ragione dovesse eliminare tutto cio` che fosse irrazionalizzabile – e quindi l’aleatorio, il disordine, la contraddizione – per rinchiudere le strutture del reale dentro una struttura di idee coerenti, teoria o ideologia che fosse. Ma la realta` oltrepassa le nostre strutture mentali da ogni parte. “Ci sono piu` cose in cielo e in terra che in tutta la nostra filosofia”, notava Shakespeare. E il fine della nostra conoscenza non e` quello di chiudere, ma quello di aprire il dialogo con l’universo. Il che significa: non soltanto strappare all’universo cio` che puo` venire determinato in maniera chiara, con precisione ed esattezza, come erano le leggi di natura, ma entrare anche in quel gioco fra chiarezza e oscurita` che e` appunto la complessita` [...]. Cosı` il metodo della complessita` ci richiede di pensare senza mai chiudere i concetti, di spezzare le sfere chiuse, di ristabilire le articolazioni tra cio` che e` disgiunto, di sforzarci di comprendere la multidimensionalita`, di pensare con la singolarita`, con la localita`, con la temporalita`, di non dimenticare mai le totalita` integratrici [...]. L’imperativo della complessita` consiste anche nel pensare in forma organizzazionale, consiste nel capire come l’organizzazione non si risolva in
axiologiche e prassiche (relative al ‘politeismo sui valori’ e alle dinamiche articolate/dialettiche della mediazione educativa), ed e` su tutti questi piani che va illuminata e potenziata” (F. Cambi, L’autocomprensione del sapere pedagogico: tra metateoria e costruzione di senso, in M. Borrelli [a cura di], La Pedagogia italiana contemporanea, cit., pp. 69-70). 60 E. Morin, Le vie della complessita`, cit., p. 55.
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pochi principi d’ordine, in poche leggi e come essa abbia invece bisogno di un pensiero complesso estremamente elaborato. Un pensiero organizzazionale che non comprenda la relazione auto-eco-organizzatrice – cioe` la relazione profonda e intima tra sistema e ambiente – che non comprenda la relazione ologrammatica fra le parti e il tutto, che non comprenda il principio di ricorsivita`...ebbene, un pensiero di tal genere e` condannato ai luoghi comuni, alla banalita`, e quindi all’errore. La regressione delle ambizioni astratte e illimitate del pensiero, la distruzione di quel falso infinito che pretendeva di attribuire poteri illimitati alla ragione ci aprono oggi un nuovo infinito, l’infinito di una conoscenza mai compiuta (E. Morin, Le vie della complessita`, cit., pp. 58-60).
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3.1 La formazione nella societa` della conoscenza Nella attuale societa` complessa lo sviluppo tecnologico ha determinato una dematerializzazione del lavoro e la contestuale richiesta di competenze professionali sempre nuove, sempre piu` legate alle capacita` del soggetto di acquisire conoscenza. E` ormai richiesta sempre piu` una nuova tipologia di 1 lavoratori, i knowledge workers, lavoratori della conoscenza . Dalla societa` fondata sul lavoro siamo passati alla “societa` che apprende”2 in cui “il sapere diviene il nuovo capitale a fondamento dell’economia, dello sviluppo sociale e della realizzazione degli individui, e la condizione per la partecipazione e la cittadinanza attiva, aprendo cosı` inedite prospettive per l’istruzione e la formazione lungo l’intero corso della vita degli individui”3. Le figure lavorative nell’ultimo decennio hanno subı`to una trasformazione straordinaria con la tendenza alla scomparsa dell’operaio-massa e l’aumento crescente di lavoratori ad alta qualificazione. La trasformazione e` radicale ed investe tutto il mondo occidentale, compreso il nostro Paese dove le modifiche in atto stanno cambiando il volto delle imprese, della Pubblica Amministrazione, e stanno creando forti contraccolpi nel sistema educativo che fatica ad adeguarsi alle esigenze culturali emergenti dalla societa`. Secondo studiosi ed operatori del settore la trasformazione che sta avvenendo e` talmente radicale che i sindacati dei lavoratori, tradizionalmente rappresentativi delle istanze delle varie categorie, oggi si trovano a non rappresentare una parte consistente delle nuove figure professionali in 1 2 3
A. Alberici, L’educazione degli adulti, Carocci, Roma 2002, p. 13. Ibid. Ibid.
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possesso di caratteristiche e qualifiche non inquadrabili all’interno della corrente ripartizione in: dirigenti, quadri, impiegati, operai. “Il nuovo sistema di produzione centrato sulla conoscenza sta portando sulla scena un nuovo soggetto – il lavoratore della conoscenza – [...] che, come nel caso dell’operaiomassa dell’inizio del ’900, introduce un radicale mutamento nella struttura del 4 lavoro e pone problemi di management delle imprese del tutto nuovi” . Una ricerca condotta da Enrico Butera e Cesare Donati sui trend quantitativi e qualitativi che interessano i “quadri” nei principali paesi industrializzati ha consentito di evidenziare una crescita straordinaria, sia in numero di addetti che in qualita` delle competenze possedute, di persone che svolgono lavori ad alta qualificazione in tutti i campi dell’attivita` dell’impresa, e che tendono ad influenzare il modello generale di comportamento richiesto a tutti i lavoratori. L’impiego massiccio della conoscenza in tutti i processi produttivi non solo modifica il rapporto tra numero dei lavoratori qualificati e numero dei lavoratori a bassa qualificazione, ma spinge verso una radicale trasformazione dell’intera struttura dei sistemi di lavoro. Dalla ricerca e` inoltre e` emerso che, all’interno delle aziende, esiste una categoria culturalmente trainante rappresentata dai “professionisti d’azienda o professionisti che operano nelle organizzazioni”5 che hanno al loro interno grande varieta` di denominazioni, di contenuti concreti di lavoro, di livelli di inquadramento, ma presentano alcuni tratti comuni che ne caratterizzano l’elemento di novita` rispetto a figure tradizionali. L’Europa societa` della conoscenza “In virtu` dei numerosi cambiamenti avvenuti a livello politico, economico e sociale in questi ultimi anni, e` possibile rintracciare, nelle politiche europee in materia di istruzione e formazione [...] la volonta` di pervenire all’adozione di una strategia globale finalizzata a facilitare la transizione verso un’economia e una societa` fondate sulla conoscenza. Oggi l’istruzione e la formazione lungo il corso della vita rappresentano quindi due concetti ritenuti fondamentali al fine di garantire il pieno accesso alla vita economica, sociale e politica di tutti i cittadini europei. L’Unione europea li ha posti al centro della propria agenda politica e la Commissione europea ha teso a creare una forte cooperazione in tali ambiti tra gli stati membri, con l’obiettivo di garantire l’equita`, la giustizia e la partecipazione sociale di tutti i cittadini, per offrire reali opportunita` di crescita e di sviluppo personale, professionale e sociale”. A. Alberici, L’educazione degli adulti, cit., p. 72.
4
F. Butera, E. Donati, R. Cesaria, I lavoratori della conoscenza, FrancoAngeli, Milano 2000, p.
19. 5 Cfr. F. Butera, Dalle occupazioni industriali alle nuove professioni: tendenze, paradigmi e metodi per l’analisi e la progettazione di aree professionali emergenti, FrancoAngeli, Milano 1987.
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I tratti comuni sono essenzialmente riconducibili al fatto che i loro specifici ruoli non ne fissano in modo rigido ne´ le competenze, ne´ i compiti, ne´ l’organizzazione del lavoro. Al contrario, l’attivita` individuale varia in funzione di “cio` che c’e` da fare e delle competenze che ognuno e` in grado di mettere in campo nel tempo. Il ruolo non e` quindi la gabbia in cui e` costretto il lavoro delle persone ma e` una sorta di copione che evolve mano a mano che evolvono le capacita` e le competenze individuali e, soprattutto, mano a mano che si modificano le esigenze produttive”6. I curricula di studio e la formazione continua rappresentano una componente fondamentale nella vita dei professionisti d’azienda, come risulta dallo stretto rapporto che si e` instaurato tra imprese ed Universita`, soprattutto negli Stati Uniti, ma ora anche in Italia. Dalla ricerca risulta che siamo in presenza di una vera e ineludibile emergenza formativa sia dei giovani che devono acquisire strumenti mentali adeguati ad affrontare le nuove esigenze del mercato del lavoro, sia degli adulti che rischiano di essere espulsi dal mondo lavorativo se privi delle competenze necessarie ad affrontare la sfida del nuovo che avanza7. 6
F. Butera, E. Donati, R. Cesaria, I lavoratori della conoscenza, cit., p. 23. Sottolinea lucidamente Ettore Gelpi: “Disoccupati, lavoratori a rischio, impossibilita` di accesso di una parte dei giovani al mercato del lavoro, espulsione di una quota di lavoratori al di sopra dei 45 anni, Paesi del Sud che raggiungono spesso un tasso di disoccupazione che supera la meta` della popolazione. [...] Di fronte a questa realta` si continuano a proporre politiche di sviluppo e di educazione che contribuiscono a rafforzare la crisi dei lavoratori. L’ideologia della formazione come risposta al problema generato dalla destrutturazione del lavoro o dalla ‘fine del lavoro’ e` rafforzata dai media. Le strutture del potere cercano un appoggio anche nei sindacati e nelle associazioni di lavoratori per rafforzare tale ideologia. Sfortunatamente, la formazione e` spesso uno strumento per accentuare la divisione tra i lavoratori. Infatti, l’investimento nella formazione tende a privilegiare i lavoratori salariati, considerati redditizi per il futuro delle imprese, e i lavoratori indipendenti, che interessano il tessuto economico territoriale e che, inoltre, possono partecipare in parte al costo della propria formazione. I lavoratori giovani e adulti economicamente non vantaggiosi a breve termine e nella prospettiva puramente finanziaria sono dimenticati, o ricevono formazioni di intrattenimento al fine di limitare i danni sociali [...]. La crisi accentuata, nei Paesi del Nord, delle contrattazioni salariali e, nei nuovi Paesi industrializzati, lo sfruttamento senza pieta` della grande maggioranza dei lavoratori incrementano il numero di quanti sono a rischio, cosı` come dei disoccupati, dei precari e degli esclusi dal mercato del lavoro. Le formazioni che si propongono loro sono spesso palliativi e ammortizzatori. Si continuano a proporre stage il cui risultato certo e` lavoro per gli educatori, ma non per i lavoratori in formazione. Nel caso dei lavoratori che non hanno un’adeguata formazione iniziale, si tratterebbe di organizzare lunghi percorsi formativi per colmare tale lacuna, soprattutto in materia scientifica e in ambito comunicativo. Nel caso dei lavoratori la cui formazione iniziale e` sufficiente, si tratta di prevedere formazioni integrate con i lavoratori in attivita` per permettere loro di dominare i saperi, oggi significativi, della produzione. Per cio` che riguarda i giovani esclusi 7
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Sullo scenario futuro disegnato dall’avanzare nel corpo sociale dei knowledge workers si confrontano dialetticamente due posizioni, una sostenuta tra gli altri da J. Rifkin8 che vede in prospettiva una concentrazione di conoscenze specialistiche, di potere economico e sociale in un gruppo ristretto ed elitario di lavoratori ad alta professionalita`, a cui fara` riscontro una moltitudine di lavoratori precari, a continuo rischio di espulsione dal contesto produttivo, con bassa qualificazione e scarso livello di istruzione. L’altra, a cui si rifanno Butera, Donati e Cesaria9, considera la diffusione in campo lavorativo delle nuove tecnologie come elemento trainante di una possibile ampia diffusione del sapere che deve passare pero` attraverso politiche di profonda riforma e di qualificazione dei sistemi formativi. Il Consiglio Europeo (Lisbona, marzo 2000) ha sottolineato la necessita` di una strategia comune tesa a sviluppare progetti di istruzione e formazione permanente aventi tra gli obiettivi prioritari quelli di ampliare i sistemi di istruzione e formazione, di fornire a tutti la possibilita` di accesso alla formazione, di promuovere il diritto ad una cittadinanza attiva. In relazione al diritto di cittadinanza attiva viene affiancato al concetto di lifelong learning che sottolinea la formazione, quello di lifewide learning che estende la formazione ad una molteplicita` di ambiti e di aspetti della vita e ai diversi tipi possibili di apprendimento, da quello scolastico a quello lavorativo a quello esperienziale. Il concetto di lifelong learning e` strettamente legato a quello dello sviluppo di una societa` di cui l’educazione, l’istruzione e la formazione siano elementi fondanti. Una societa` in cui gli individui entrino quotidianamente in contatto con i prodotti di una conoscenza in continua evoluzione la cui gestione richiede competenze e abilita` sottoposte a rapidissima obsolescenza. In tale contesto la capacita` di apprendere rappresenta per i singoli la condizione indispensabile per autodeterminarsi, per conservare margini di autonomia e di liberta` individuale. L’espressione learning society “rinvia alle teorie dei sistemi sociali e alla concezione del sistema come 10 organizzazione che apprende” ed evoca la presenza di un sistema sociale dal mercato del lavoro, e` necessaria una revisione del sistema educativo per impedirne la futura esclusione (la cui origine e` spesso sociale, economica e geografica) rafforzata dalle selezioni scolastiche che non hanno niente a che vedere con la capacita` dei giovani e dei bambini” (E. Gelpi, Lavoro futuro. La formazione come progetto politico, a cura di B. Schettini, Guerini e Associati, Milano 2002, pp. 165-166). 8 Cfr. J. Rifkin, La fine del lavoro, Baldini & Castoldi, Milano 1995. 9 Cfr. F. Butera, E. Donati, R. Cesaria, I lavoratori della conoscenza, cit. 10 A. Alberici, Imparare sempre nella societa` della conoscenza, Bruno Mondadori, Milano 2002, p. 7.
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il cui motore utilizza come carburante la conoscenza, ed in cui e` quindi vitale l’apprendimento, ad ogni livello e a ogni eta`. E` “una concezione di sistema in cui la dimensione strutturale si interseca sempre piu` con la valorizzazione delle cosiddette ‘risorse immateriali dei sistemi’ il cui cuore 11 sono le risorse umane” . Le teorie sull’organizzazione dei sistemi focalizzano l’attenzione non solo sulle risorse umane intese come competenze, ma anche sul valore sociale rappresentato dalla conoscenza diffusa che va quindi potenziata e mantenuta ad un alto livello. Inoltre, la traslazione del modello dell’organizzazione che apprende al contesto della formazione nella societa` della conoscenza, consente di evidenziare l’interdipendenza strutturale tra sviluppo del corpo sociale e quantita` e qualita` delle conoscenze in esso incorporate. Aureliana Alberici12 disegna il percorso storico del concetto di learning society ricordando che esso e` stato introdotto gia` negli anni ’60 da R. Hutchins13 che l’ha immaginata come una ideale societa` futura in cui le istituzioni siano finalizzate a realizzare la crescita delle potenzialita` umane attraverso l’apprendimento, visto come obiettivo comune agli individui e alla societa`. Nel 1994 poi S. Ranson14 ha ipotizzato una societa` che consideri prioritaria la promozione dei valori dell’educazione e dei processi di apprendimento, ritenendoli indispensabili per formare cittadini capaci di partecipare responsabilmente alla vita sociale. La concezione di Ranson di una societa` educante ha suscitato riserve e critiche per il rischio in essa contenuto di favorire, attraverso l’apprendimento di saperi e competenze, processi di riproduzione di un dato modello sociale e di integrazione in esso dell’individuo in formazione a detrimento di un personale processo di autonoma crescita. Altri studiosi, come E. Faure15, P. Lengrand16 e B. Schwartz17 hanno, con accentuazioni diverse da Ranson, elaborato il concetto di una societa` conoscitiva come societa` ideale per il futuro, centrata sull’educazione degli individui vista come condizione per una crescita democratica. E` particolarmente interessante ripercorrere l’analisi compiuta da B. 11 12 13 14 15 16 17
Ibid. Ivi, pp. 12 e sgg. Cfr. R. Hutchins, The Learning Society, Penguin, Harmondsworth 1968. Cfr. S. Ranson, Towards the Learning Society, Cassel, London 1994. Cfr. E. Faure, Apprendre a` eˆtre, Unesco-Fayard, Paris 1972. Cfr. P. Lengrand, Introduction a` l’e´ducation permanente, Unesco, Paris 1970. Cfr. B. Schwartz, L’educazione di domani, tr. it., La Nuova Italia, Firenze 1977.
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LA PEDAGOGIA DELLA FORMAZIONE
Schwartz sulle societa` europee contemporanee in cui egli individua alcuni caratteri che gli sembrano aderenti al modello della learning society, come l’aumento del tempo libero, una grande flessibilita` dei percorsi di vita, la moltiplicazione delle informazioni e una crescente domanda di educazione. Partendo da tale analisi, compiuta negli anni settanta, egli riesce a prevedere un futuro che si sta realizzando caratterizzato da uno spettacolare sviluppo dei media e da una crescita qualitativa dei sistemi educativi, sempre piu` decisivi per lo sviluppo economico, politico e sociale perche´ ai lavoratori sara` richiesta una continua capacita` di adeguarsi a nuove mansioni, di modificare le proprie conoscenze, di ampliare le competenze acquisite.
3.2 La formazione permanente come sfida pedagogica La necessita` di promuovere con efficacia ed urgenza politiche mirate a sostenere e diffondere progetti di formazione permanente e` avvertita da tempo a livello sovranazionale. Il Consiglio Europeo tenutosi a Lisbona nel marzo 2000 ha segnato una tappa decisiva per l’orientamento della politica e dell’azione dell’Unione Europea affermando nelle sue conclusioni che “il buon esito della transizione ad un’economia e una societa` basate sulla conoscenza deve essere accompagnato da un orientamento verso l’istruzione e la formazione permanente”18. Ha inoltre affidato all’Unione Europea l’obiettivo strategico, ribadito nel Consiglio Europeo di Stoccolma del marzo 2001, di far divenire quella europea l’economia basata sulla conoscenza piu` competitiva e dinamica del mondo. Il successivo Consiglio Europeo tenutosi a Feira nel giugno 2000 ha invitato nelle sue conclusioni “gli Stati membri, il Consiglio e la Commissione [...] ciascuno nelle rispettive aree di competenza, ad individuare strategie coerenti e misure pratiche al fine di favorire la formazione permanente per tutti”19. La Commissione Europea ha risposto al mandato assegnatole dai Consigli europei di Lisbona e di Feira con l’elaborazione di un Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente diffuso nel novembre 2000 e finalizzato ad avviare un dibattito su scala europea inerente una strategia globale di attuazione dell’istruzione e della formazione permanente in ogni campo della vita
18
Commissione delle Comunita` Europee, Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente, Bruxelles 2000, p. 3. 19 Commissione delle Comunita` Europee, Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente, Bruxelles 2001, p. 3.
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pubblica e privata. Il Memorandum, per favorire un contributo proficuo, strutturava il dibattito intorno a sei messaggi chiave in ciascuno dei quali era formulata una serie di questioni su cui erano richiesti gli interventi di risposta al fine di chiarire i campi d’azione prioritari. Sulla base dei risultati della consultazione avviata con la diffusione del documento la Commissione ha poi redatto nel novembre del 2001 un rapporto sotto la forma di “Comunicazione della Commissione” dal titolo Realizzare uno spazio europeo dell’apprendimento permanente. Il testo della comunicazione evidenzia l’ampiezza della consultazione sul Memorandum, che ha coinvolto varie istituzioni ed organizzazioni internazionali, e da cui e` emerso un accordo unanime sul valore assoluto della cooperazione e del coordinamento nell’ambito delle politiche formative. Ribadisce che l’agenda sociale europea ha in calendario una serie di iniziative finalizzare a ridurre le diseguaglianze e a promuovere la coesione sociale; tra queste figura la realizzazione di “uno spazio europeo dell’apprendimento permanente”20 che verra` correlato ad uno “spazio europeo della ricerca”21. Agli Stati membri e` affidato il compito di elaborare ed attuare strategie coerenti con l’apprendimento permanente che viene cosı` definito: “Qualsiasi attivita` di apprendimento avviata in qualsiasi momento della vita, volta a migliorare le conoscenze, le capacita` e le competenze in una prospettiva personale, civica, sociale e/o occupazionale”22 e i cui obiettivi generali scaturiti dalla consultazione sono: — — — — —
l’autorealizzazione; la cittadinanza attiva; l’inclusione sociale; l’occupabilita`; l’adattabilita` professionale.
L’ampiezza della definizione di apprendimento permanente attira l’attenzione sull’insieme delle attivita` di apprendimento da utilizzare: formale, non formale e informale. Dal dibattito e` inoltre emersa l’importanza attribuita all’alta qualita` dell’apprendimento e alla pertinenza che richiama alla necessita` di mettere in atto iniziative supportate da un piano strategico adeguato.
20 21 22
Ibid. Ibid. Ivi, p. 10.
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Il documento traccia infine le linee d’azione di una corretta strategia formativa fissandone i seguenti punti nodali: 1) Conoscere la domanda di apprendimento Per garantire un approccio efficace ogni strategia di apprendimento permanente deve essere fondata su una adeguata conoscenza dei bisogni educativi dei singoli, delle collettivita` e della societa` in senso lato, nonche´ del mercato del lavoro. 2) Determinare risorse adeguate Ogni azione di apprendimento permanente, accessibile a tutti, in grado di produrre mutamenti radicali delle condizioni di partenza, richiede un aumento dei livelli di investimento che puo` essere attuato sia destinando maggiori risorse, sia ottimizzando la distribuzione delle risorse esistenti ed assicurando la trasparenza della loro allocazione, sia studiando nuove forme di investimento come incentivi fiscali. 3) Facilitare l’accesso alle opportunita` di apprendimento L’accesso all’apprendimento dovrebbe essere oggetto di un duplice approccio. Da un lato bisogna rendere le offerte esistenti piu` visibili, flessibili, integrate ed efficaci. Dall’altro, si devono elaborare nuovi processi prodotti e contesti di apprendimento tendendo a rimuovere gli ostacoli sociali, geografici, psicologici e di altro tipo che impediscono a gruppi marginali di accedere alle risorse formative. 4) Creare una cultura dell’apprendimento E` necessario mettere in campo una serie di iniziative tese a motivare i potenziali discenti e ad aumentare i livelli di partecipazione. Occorre: promuovere una percezione piu` positiva dell’apprendimento sensibilizzando i cittadini ai vantaggi e ai diritti offerti dall’apprendimento, anche attraverso campagne sui media; promuovere il ruolo dei fornitori di servizi di informazione e di orientamento allo scopo di sensibilizzare tutti ai vantaggi personali, sociali ed economici dell’apprendimento; incoraggiare le imprese a diventare organizzazioni che apprendono; incoraggiare i prestatori di servizi pubblici, le associazioni di volontariato, i datori di lavoro e le organizzazioni sindacali a sviluppare e/o promuovere offerte di
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apprendimento adattate ai bisogni dei gruppi di cui si occupano; valorizzare e ricompensare l’apprendimento, in particolare l’apprendimento non formale ed informale in tutti i settori, riconoscendone il valore intrinseco. 5) Aspirare all’eccellenza. E` necessario ideare meccanismi volti a massimizzare la qualita` dei processi attuativi e dei servizi correlati all’apprendimento. La qualita` non e` soltanto un obbligo, ma anche un fattore di motivazione. Tali meccanismi dovrebbero comprendere: obiettivi ambiziosi, strumenti efficaci di garanzia della qualita` dell’apprendimento, una valutazione e revisione periodica delle strategie per mantenerne l’efficacia e la pertinenza nel tempo. Il documento inoltre evidenzia l’importanza strategica di soluzioni pedagogiche innovative mirate ad una didattica centrata sul discente e caratterizzata da un’elevata flessibilita` ed adattabilita` a contesti anche non formali ed informali d’apprendimento. Viene ritenuto urgente provvedere ad una specifica formazione per i mediatori culturali tesa a prepararli e a motivarli alle nuove sfide che dovranno affrontare nelle situazioni formative piu` diverse. Tutti i contribuiti giunti in risposta alla consultazione hanno posto l’accento sulle grandi potenzialita` offerte dalle T.I.C. (Tecnologie dell’informazione e della comunicazione) nell’ambito della progettazione e della attuazione di iniziative di formazione permanente, pur riconoscendo il rischio di un “fossato digitale” che esse possono creare tra coloro che vi hanno accesso e coloro che ne sono esclusi. L’idea di una lifelong learning richiede per la sua realizzazione una adeguata politica tesa a realizzare progetti di formazione permanente, che non significa aggiungere formazione ulteriore a quella di base degli individui, magari per superare un’emergenza occupazionale, ma piuttosto guidare societa` e singoli verso un futuro che e` gia` qui. E` necessario, allo scopo, partire da un ripensamento dell’istruzione formale come e` oggi organizzata, da una parte rendendo i percorsi scolastici piu` flessibili e reversibili, facilitando i passaggi tra i vari indirizzi di studio e operando cosı` concretamente contro le esclusioni, dall’altra adottando strategie operative finalizzate alla prospettiva di un apprendimento per tutto il corso della vita. Non e` cosa banale riuscire nel concreto a dare adeguate risposte a bisogni formativi cosı` diffusi e complessi come quelli presenti nella contemporanea societa` conoscitiva perche´ ogni strategia di formazione a medio-
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lungo periodo tesa a rafforzare l’apprendimento come potenzialita` individuale, come “driving force of the human being”23 e a fornire la capacita` di affrontare situazioni complesse e variabili, e` anche stretta dalla urgenza di situazioni di emergenza continua che vanno affrontate con interventi di altro tipo mirati a risolvere nell’immediato problemi di analfabetismo, di disoccupazione, di emarginazione ed esclusione. “Per superare il concetto dell’emergenza come dato strutturale della fase attuale e, quindi anche l’aspetto prevalentemente emergenziale dell’educazione degli adulti, c’e` la necessita` di sviluppare una nuova cultura della stessa educazione degli adulti, che sia consapevole dell’importanza strategica delle politiche a medio e lungo termine per l’istruzione e la formazione nella prospettiva dell’apprendimento nel corso della vita”24. Una strategia possibile per concretizzare una politica di lifelong learning e` stata indicata dall’OECE-OCDE25 che ha focalizzato tre direttrici lungo le quali e` opportuna un’azione sinergica: — migliorare le basi dell’apprendimento per tutti, giovani e anziani; — agevolare le transizioni in ogni fase della vita sia delle situazioni di apprendimento che all’interno delle situazioni lavorative; — ripensare ruoli e responsabilita` delle istituzioni formative pubbliche e dei loro partners. Appare evidente la necessita` di riorganizzare gli attuali sistemi di istruzione per offrire agli adulti molteplici opportunita` di istruzione e formazione in sedi non istituzionali e intersecantesi con percorsi formali di istruzione e formazione, anche promuovendo iniziative di orientamento26.
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P. Jarvis, Paradoxes of Learning, Jossey Bass, San Francisco 1992, p. 67. A. Alberici, Imparare sempre nella societa` della conoscenza, cit., p. 135. 25 OECD-OCDE, Apprendere a tutte le eta`, Armando, Roma 1997. 26 “L’attivita` di orientamento nella prospettiva dell’aiuto, del servizio aggiunto all’attivita` educativa, ancorche´ esteso al curriculum scolastico o all’intero arco della vita del cittadino, si configura come un intervento esterno, anche quando tenta di raccordare il riferimento alla realta` sociale (diffusione delle informazioni sui percorsi scolastici e sulle opportunita` lavorative, sulle modalita` e le strategie di accesso, ecc.) con quello al mondo della soggettivita` (test, colloqui attitudinali per individuare interessi, motivazioni e attitudini personali). In questa logica, infatti, il bisogno di orientamento viene affrontato solo nel suo momento conclusivo, quando cioe` esso emerge con l’apparente semplicita` di un’alternanza operativa. Rimane fuori dell’interrogazione la consapevolezza che il bisogno dell’individuo di orientarsi si fonda sulla struttura stessa dell’esperienza, in cui problematicita` e intenzionalita` sono polarita` tra loro inscindibili, profondamente radicate nei processi dello sviluppo e 24
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La formazione continua va ripensata per adeguarla al “cambiamento della tipologia dei partecipanti, ai sistemi di istruzione, alla formazione continua e all’educazione degli adulti”27. Non siamo in presenza di soggetti usciti precocemente dall’istruzione formale ma, secondo una dinamica comune a tutti i Paesi ad alto livello di sviluppo, di individui che si trovano nella condizione di doversi formare per un nuovo lavoro avendo alle spalle una lunga, talvolta lunghissima permanenza in situazioni di apprendimento28 ed avendo superato una fase lunga di transizione tra scuola e lavoro. I percorsi di vita non sono oggi piu` rigidamente sequenziali: studiolavoro-fine del lavoro ma sono intersecati e frammentari, con piu` transizioni e fasi all’interno di ogni biografia29. Una tale situazione di grande dinamicita` e variabilita` dei percorsi di vita porta in superficie la dimensione individuale dell’apprendimento che deve comportare la possibilita` di fruire di percorsi individualizzati di istruzione e il riconoscimento di ogni forma di apprendimento, in qualsivoglia contesto e situazione esso si sia concretizzato. Per rendere praticabile, dunque, una formazione permanente in una situazione di elevata complessita` come quella descritta, e` necessaria un’azione sinergica di piu` soggetti, agenzie formative istituzionali, gruppi, individui su alcuni obiettivi condivisi: — reperire le risorse economiche; — trovare un punto di convergenza tra bisogni individuali e interessi specifici, come quelli del mercato del lavoro e quelli di gruppi che mirano a conservare posizioni dominanti; — realizzare una attivita` di orientamento continuo che coinvolga istituzioni, agenzie formative, soggetti economici e professionali.
della formazione individuale [...]. Gli obiettivi dell’orientamento (e quelli dell’educazione), quando non sono riferiti alla globalita` del processo di formazione, risultano esposti e subordinati alle sollecitazioni, spesso contrastanti e di corto respiro, provenienti da settori e da agenzie sociali ed economiche diverse. Tra i rischi maggiori cui va incontro l’attivita` d’orientamento c’e` quello di una prospettiva a forte funzionalizzazione economicistica [...]” (E. Corbi, Orientamento come formazione, Pensa Multimedia, Lecce 2002, pp. 65-67). 27 A. Alberici, Imparare sempre nella societa` della conoscenza, cit., p. 136. 28 OCDE, Regards sur l’e´ducation. Les indicateurs de l’OCDE, Paris 1998, pp. 10-14. 29 Cfr. P. Dominice´, L’histoire de vie comme processus de formation, L’Harmattan, Paris 1990.
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Dal Memorandum sull’istruzione e la formazione permanente: Le societa` della conoscenza: la sfida del cambiamento L’Europa di oggi e` alle prese con una trasformazione di portata comparabile a quella della rivoluzione industriale. La tecnologia digitale sta trasformando la nostra vita sotto tutti i punti di vista e la biotecnologia cambiera` forse un giorno la vita stessa. Il commercio, i viaggi e le comunicazioni su scala planetaria allargano gli orizzonti culturali di ciascuno di noi e sconvolgono le regole della concorrenza tra le economie. La vita moderna offre al singolo maggiori opportunita` e prospettive, ma presenta anche maggiori rischi e incertezze. Le persone sono al contempo libere di decidere tra diversi stili di vita e responsabili di gestire la propria vita. Sono sempre piu` numerosi coloro che protraggono gli studi, ma aumenta lo scarto tra coloro che hanno qualifiche sufficienti per sopravvivere sul mercato del lavoro e quelli che ne sono irrimediabilmente esclusi. Inoltre, la popolazione europea invecchia rapidamente, il che comportera` una trasformazione nella composizione della manodopera e nei modelli di domanda di servizi sociali, sanitari ed educativi. Infine, le societa` europee si stanno trasformando in mosaici pluriculturali. Tale diversita` racchiude un notevole potenziale di creativita` e di innovazione in tutte le sfere della vita. Il presente Memorandum non puo` fornire un’analisi approfondita dei cambiamenti brevemente suddescritti. Essi costituiscono tuttavia parte integrante del processo di transizione verso la societa` della conoscenza, la cui economia si basa sulla creazione e lo scambio di beni e servizi immateriali. In questo tipo di universo sociale, riveste una cruciale importanza l’aggiornamento dell’informazione, delle conoscenze e delle competenze. Nelle societa` della conoscenza, sono gli individui stessi a fare da protagonisti Cio` che conta maggiormente e` la capacita` umana di creare e usare le conoscenze in maniera efficace ed intelligente, su basi in costante evoluzione. Per sfruttare al meglio tale capacita` le persone devono essere disposte a gestire il proprio destino e capaci di farlo – in breve, diventare cittadini attivi. L’istruzione e formazione lungo tutto l’arco della vita rappresentano il modo migliore per affrontare la sfida del cambiamento. La continuita` dell’apprendimento lungo l’intero arco della vita Le conoscenze, le competenze e i modi di comprensione appresi da
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bambini o adolescenti, nell’ambito della famiglia, della scuola, della formazione, dell’istruzione superiore o universitaria non saranno valide per tutta la vita. Per l’attuazione dell’istruzione e formazione permanente, e` oltremodo importante integrare l’apprendimento piu` solidamente nella vita adulta; tuttavia, si tratta solo di un aspetto parziale di un processo piu` ampio. Per apprendimento lungo tutto l’arco della vita s’intende un apprendimento senza soluzioni di continuita` da un capo all’altro dell’esistenza. Premessa essenziale e` un’istruzione di base di qualita` per tutti, fin dalla prima infanzia. L’istruzione di base, seguita da un’istruzione o una formazione iniziali dovra` consentire a tutti i giovani di acquisire le nuove competenze di base richieste in una economia fondata sulla conoscenza. Essa dovra` inoltre “insegnare ad apprendere” e far sı` che essi assumano un atteggiamento positivo nei confronti dell’apprendimento. La pianificazione di azioni coerenti d’istruzione e formazione permanente sara` tuttavia possibile solo in presenza di un’adeguata motivazione nei confronti dell’apprendimento. La gente non avra` voglia di continuare a sottoporsi alla formazione se le sue esperienze precedenti saranno state vane o addirittura negative sul piano personale. Non vorra` proseguire se non avra` accesso a possibilita` adeguate di formazione a causa di problemi di orario, di ritmo, di luogo o di costi. Non sara` inoltre motivata se il contenuto e i metodi didattici non terranno sufficientemente conto del suo ambiente culturale e delle esperienze precedenti. Si rifiutera` d’investire tempo, energia e danaro in nuovi corsi di formazione se le conoscenze, le qualifiche e le competenze gia` acquisite non saranno riconosciute in maniera adeguata, sia sul piano personale, che nell’evoluzione della carriera professionale. La volonta` individuale di apprendere e la diversita` dell’offerta sono le ultime condizioni indispensabili per la messa in pratica e la riuscita dell’istruzione e formazione permanente. E` essenziale rafforzare non solo l’offerta, ma anche la domanda di formazione soprattutto nei confronti di coloro che meno hanno beneficiato finora delle strutture didattiche formative. Ciascuno dovra` avere la possibilita` di seguire, senza alcuna restrizione, percorsi di formazione a sua scelta, senza essere obbligato a rispettare filiere predeterminate per raggiungere obiettivi specifici. Cio` significa semplicemente che i sistemi di formazione e d’istruzione devono adattarsi ai bisogni dell’individuo e non viceversa. Si distinguono tre diverse categorie fondamentali di apprendimento finalizzato: • l’apprendimento formale che si svolge negli istituti d’istruzione e di formazione e porta all’ottenimento di diplomi e di qualifiche riconosciute;
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• l’apprendimento non formale che si svolge al di fuori delle principali strutture d’istruzione e di formazione e, di solito, non porta a certificati ufficiali. L’apprendimento non formale e` dispensato sul luogo di lavoro o nel quadro di attivita` di organizzazioni o gruppi della societa` civile (associazioni giovanili, sindacati o partiti politici). Puo` essere fornito anche da organizzazioni o servizi istituiti a complemento dei sistemi formali (quali corsi d’istruzione artistica, musicale e sportiva o corsi privati per la preparazione degli esami) ; • l’apprendimento informale e` il corollario naturale della vita quotidiana. Contrariamente all’apprendimento formale e non formale, esso non e` necessariamente intenzionale e puo` pertanto non essere riconosciuto, a volte dallo stesso interessato, come apporto alle sue conoscenze e competenze. Fino a questo momento, l’istruzione formale ha dominato la riflessione politica, influenzando l’impostazione dei modelli d’istruzione e formazione nonche´ la percezione generale di “apprendimento”. L’apprendimento permanente senza soluzioni di continuita` consente l’inserimento dell’apprendimento non formale ed informale in un unico contesto. L’istruzione non formale, per definizione, e` impartita al di fuori di scuole, istituti d’istruzione superiori, centri di formazione o universita`. Questo tipo d’istruzione e` raramente percepita come una formazione “vera e propria” e i suoi risultati non hanno un valore riconosciuto sul mercato del lavoro. L’apprendimento non formale e` pertanto in generale sottostimato. Tuttavia, e` l’apprendimento informale che rischia di essere completamente trascurato, benche´ costituisca la prima forma di apprendimento e il fondamento stesso dello sviluppo infantile. Il fatto che la tecnologia informatica sia entrata prima nelle famiglie che nelle scuole conferma l’importanza dell’apprendimento informale. L’ambiente informale rappresenta una riserva considerevole di sapere e potrebbe costituire un’importante fonte d’innovazione nei metodi d’insegnamento e di apprendimento. L’espressione “istruzione e formazione permanente” (lifelong learning), vale a dire lungo l’intero arco della vita, sottolinea la durata della formazione: si tratta infatti di una formazione costante o ad intervalli regolari. Il neologismo lifewide learning (istruzione e formazione che abbraccia tutti gli aspetti della vita) completa il quadro e sottolinea l’estensione “orizzontale” della formazione che puo` aver luogo in tutti gli ambiti e in qualsiasi fase della vita. Tale dimensione mette ulteriormente in luce la complementarita` dell’apprendimento formale, non formale e informale. Essa ci ricorda che si possono acquisire conoscenze utili in maniera piacevole anche nell’ambito
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della famiglia, durante il tempo libero, in seno alla collettivita` locale e il proprio lavoro quotidiano. Il concetto di “istruzione e formazione riguardante tutti gli aspetti della vita” rivela anche che le attivita` di insegnamento e di apprendimento sono ruoli e attivita` intercambiabili in funzione del momento e del luogo. Tuttavia, l’istruzione e la formazione permanente (lifelong learning) sono tuttora diversamente definite, a fini diversi, secondo il singolo contesto nazionale. Gli ultimi studi disponibili rivelano che le definizioni restano per lo piu` sul piano informale e pragmatico, e si riferiscono piu` alle azioni intraprese che a un concetto chiaro o a una nozione giuridica. La preoccupazione di migliorare le capacita` d’inserimento professionale e di adattamento dei cittadini alla luce di un elevato tasso di disoccupazione strutturale che colpisce piu` duramente le persone meno qualificate ha ridato un carattere politico prioritario all’istruzione e alla formazione permanente nel decennio degli anni ’90. Il rapido invecchiamento della popolazione europea significa che sara` impossibile soddisfare il bisogno di conoscenze e di competenze aggiornate contando principalmente sui nuovi arrivati sul mercato del lavoro – come e` stato il caso in passato – in quanto sara` troppo scarso il numero di giovani e troppo rapido il ritmo dell’evoluzione tecnologica, in particolare la transizione verso l’economia digitale. Assistiamo oggigiorno ad un chiaro riorientamento verso politiche integrate che associano obiettivi sociali e culturali con argomenti economici a favore dell’istruzione e della formazione permanente. Si affermano nuove concezioni dell’equilibrio tra i diritti e le responsabilita` dei cittadini e dei poteri pubblici. Sempre piu` persone osano rivendicare un’identita` e modi di vita differenti. E` generale la richiesta di un processo decisionale il piu` possibile vicino ai cittadini e basato sempre piu` sulla loro partecipazione. L’attenzione si focalizza pertanto sulla necessita` di modernizzare la gestione degli affari interni a tutti i livelli della societa`. Parallelamente, si accentua sempre piu` il divario tra coloro che alimentano la principale corrente della vita sociale e coloro che rischiano di esserne esclusi per lungo tempo. L’istruzione e la formazione influiscono, piu` che mai, sulle possibilita` di inserirsi sul mercato del lavoro e di riuscire nella vita. Schemi sempre piu` complessi del passaggio iniziale di giovani dal mondo dell’istruzione a quello del lavoro sono forse un segnale delle sfide che le future generazioni dovranno affrontare. L’occupabilita` e` evidentemente uno dei risultati fondamentali di una formazione riuscita, ma l’inserimento sociale richiede piu` che un semplice lavoro retribuito. L’istruzione apre la via ad una vita
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produttiva foriera di soddisfazioni, indipendentemente dalla situazione professionale e dalle prospettive d’impiego. Un’azione comune per mettere in pratica l’istruzione e la formazione permanente Benche´ solo una minima parte degli Stati membri non abbia ancora messo a punto strategie globali coerenti, tutti riconoscono che la collaborazione, in varie forme di partenariato, e` essenziale per la realizzazione concreta dell’istruzione e formazione permanente. Tali forme di cooperazione prevedono la collaborazione tra ministeri e poteri pubblici allo scopo di definire politiche coordinate. Al processo di elaborazione e di attuazione delle politiche, combinate con iniziative pubbliche/private, prendono parte sistematicamente le parti sociali. Tali partenariati beneficiano innanzitutto della partecipazione attiva degli organismi locali e regionali e delle organizzazioni della societa` civile, che sono prestatarie di servizi vicini ai cittadini e che meglio rispondono ai bisogni specifici delle comunita` locali. Dal canto loro, i programmi comunitari in materia di istruzione, formazione e gioventu` hanno dimostrato la loro utilita` nel rafforzare la cooperazione, i partenariati e gli scambi transnazionali, finalizzati all’elaborazione di buone prassi. L’istruzione e la formazione senza soluzioni di continuita` lungo tutto l’arco e nei diversi ambiti della vita devono essere abbinate ad una stretta collaborazione tra i diversi livelli e settori dei sistemi d’istruzione e di formazione, compresi gli ambiti non formali. Collaborare in maniera efficace significa in questo senso impegnarsi ulteriormente per creare dei reali collegamenti tra le diverse parti dei sistemi esistenti. Con la creazione di una rete di opportunita` di formazione permanente incentrate sulle esigenze della persona, si crea l’immagine di un’osmosi progressiva tra le diverse strutture dell’offerta che, benche´ coesistano, sono oggi relativamente isolate le une dalle altre. Il dibattito attualmente in corso negli Stati membri sull’avvenire delle universita` e` un esempio di come il pensiero politico inizi a riflettere sulle implicazioni pratiche di una tale visione. L’apertura delle universita` ad un pubblico piu` ampio e` inscindibile da una evoluzione delle stesse istituzioni dell’istruzione superiore – e non solo per quanto riguarda il loro funzionamento interno, ma anche a livello di relazioni con gli altri “sistemi di formazione”. Questa immagine di una “osmosi” progressiva racchiude in se´ una duplice sfida: si tratta innanzitutto di valutare la complementarita` dei sistemi di apprendimento formale, non formale e
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informale e, in secondo luogo, di costruire reti aperte di offerte di formazione e di riconoscimento delle qualifiche tra questi tre contesti dell’apprendimento. AGIRE PER L’ISTRUZIONE E LA FORMAZIONE PERMANENTE: SEI MESSAGGI CHIAVE Messaggio chiave n. 1: Nuove competenze di base per tutti Obiettivo: garantire un accesso universale e permanente all’istruzione e alla formazione, per consentire l’acquisizione e l’aggiornamento delle competenze necessarie per una partecipazione attiva alla societa` della conoscenza. La realizzazione di tale obiettivo e` la premessa incondizionata di una cittadinanza attiva e dell’occupabilita` nell’Europa del XXI secolo. I cambiamenti economici e sociali comportano un’evoluzione e un’elevazione del livello di competenze di base di cui ciascuno deve disporre come minimo per partecipare attivamente alla vita professionale, familiare o collettiva, a tutti i livelli, da quello locale a quello europeo. Le nuove competenze di base menzionate nelle Conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona (paragrafo 26) sono le competenze relative alle tecnologie dell’informazione, la conoscenza delle lingue straniere, una cultura tecnologica, lo spirito d’impresa e le competenze sociali. L’elenco non e` certo completo, ma copre comunque gli ambiti piu` importanti. Esso non intende peraltro negare l’importanza delle qualifiche di base tradizionali – leggere, scrivere e far di conto. E` importante inoltre sottolineare che non si tratta in questo caso di un elenco di materie o di discipline che risalgono ai tempi della scuola o a una successiva formazione. Essa definisce ampi ambiti di conoscenza e di competenza, interdisciplinari: ad esempio, la padronanza delle lingue straniere richiede anche l’acquisizione di abilita` tecniche, culturali ed estetiche, utili alla comunicazione, al rendimento e alla valutazione. Di conseguenza, il contenuto e la funzione delle competenze generali, professionali e sociali, si possono definire sempre piu` complementari. Come spunto di discussione il presente Memorandum definisce le nuove competenze di base come le competenze indispensabili alla partecipazione attiva nella societa` e nell’economia della conoscenza – sul mercato del lavoro e sul luogo di lavoro stesso, in seno a comunita` “reali” e virtuali, nonche´ in una democrazia – in quanto persona dotata di una percezione coerente della propria identita` e dell’orientamento della propria vita. Al-
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cune di queste competenze, quali l’alfabetizzazione digitale, sono del tutto nuove, mentre altre, tra cui la conoscenza delle lingue straniere, acquisiscono rispetto al passato un’importanza sempre maggiore e per un numero sempre maggiore di persone. Anche le competenze sociali, quali la fiducia in se´ stessi, l’autodeterminazione e la capacita` di assumere dei rischi, sono sempre piu` determinanti, in quanto si suppone che le persone acquistino sempre maggiore autonomia rispetto al passato. Le competenze relative allo spirito imprenditoriale si traducono nella capacita` dell’individuo di migliorare la sua prestazione sul piano professionale e nella capacita` di diversificare le attivita` di una societa`. Esse favoriscono anche la creazione di impiego, sia nelle societa` esistenti, in particolare nelle PMI, che nell’ambito del lavoro indipendente. Imparare ad apprendere, sapersi adattare al cambiamento e gestire i grandi flussi d’informazione sono le competenze generali di cui ciascuno di noi oggigiorno dovrebbe disporre. I datori di lavoro esigono sempre piu` dalla manodopera la capacita` di apprendere, di assimilare rapidamente le nuove competenze e di adattarsi alle nuove sfide e situazioni. Benche´ la padronanza di tali competenze di base sia di capitale importanza, essa costituisce solo la prima fase di un percorso continuo di formazione lungo l’intero arco della vita. Il mercato del lavoro odierno e` caratterizzato dalla costante evoluzione dei profili professionali per quanto riguarda le competenze, le qualifiche e l’esperienza. La carenza di personale qualificato e la carenza di competenze non adeguate al profilo della domanda, in particolare nelle TIC, sono tra le principali ragioni del persistere di un elevato tasso di disoccupazione in talune regioni, comparti dell’industria o categorie sociali sfavorite. Coloro che non sono stati in grado, per qualsivoglia ragione, di acquisire un livello minimo di competenze di base, devono avere la possibilita` di colmare in qualsiasi momento tale lacuna, anche se in passato hanno fallito o non hanno saputo approfittare delle occasioni che si sono loro presentate. I sistemi nazionali dell’istruzione e della formazione, di qualsivoglia livello, iniziale, complementare/superiore o continuo/per adulti devono, per quanto possibile, far sı` che ciascuno possa acquisire, perfezionare e consolidare un livello minimo prestabilito di competenze. In tal senso, anche i diversi ambiti dell’apprendimento non formale svolgono un ruolo assai importante. Tutto cio` impone la garanzia di un elevato livello di qualita` dell’offerta e dei risultati dell’apprendimento, per il maggior numero possibile di persone. E` inoltre opportuno rivedere periodicamente i livelli di riferimento delle competenze di base affinche´ l’offerta pedagogica possa corrispondere ai bisogni economici e sociali.
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Messaggio chiave n. 2: Maggiori investimenti nelle risorse umane Obiettivo: assicurare una crescita visibile dell’investimento nelle risorse umane per rendere prioritaria la piu` importante risorsa dell’Europa – la sua gente. Le Conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona stabiliscono in chiari termini gli obiettivi che tutti i responsabili interessati devono perseguire ai fini dell’incremento dell’investimento annuale pro capite nelle risorse umane. Gli Orientamenti per l’occupazione (13, 14 e 16) invitano gli Stati membri a prefissarsi obiettivi corrispondenti. Cio` significa da un lato che l’investimento attuale e` giudicato insufficiente per ricostituire le riserve di competenze, e dall’altro che e` necessario riflettere su cio` che, in maniera generale, si debba intendere per investimento. I regimi fiscali, le norme di contabilita`, nonche´ gli obblighi delle imprese in materia di rendiconti finanziari e di divulgazione delle informazioni differiscono da uno Stato membro all’altro. Anche solo per quest’unica ragione e` impossibile prevedere una soluzione unica – ad esempio, nel caso dell’investimento di un’impresa nelle sue risorse umane considerato alla stregua dell’investimento in capitale. Tuttavia, una tale situazione non sarebbe auspicabile: il rispetto della diversita` costituisce uno dei principi informatori dell’azione comunitaria. Una soluzione potrebbe consistere nella conclusione di accordi quadro generali tra le parti sociali sull’istruzione e la formazione permanente che fissino obiettivi alla formazione continua (basati sulle buone prassi) e che introducono un premio europeo a riconoscimento dei meriti delle imprese piu` avanzate. E` inoltre necessario che gli investimenti nelle risorse umane acquistino sempre maggiore trasparenza. E` innegabile tuttavia la necessita` di sviluppare piu` ampiamente misure d’incentivo su scala individuale. La proposta di creare conti di formazione individuali costituisce un esempio con il quale gli interessati sono incoraggiati a partecipare alla loro formazione con risparmi e versamenti speciali, integrati da aiuti e sussidi provenienti da fonti pubbliche o private. Un altro esempio e` costituito dai regimi d’impresa che consentano ai dipendenti di beneficiare del tempo libero o dell’aiuto finanziario necessario per seguire una formazione, che sia a loro scelta o giudicata utile sul piano professionale. In taluni Stati membri e` stato convenuto dalle parti un diritto al congedo di formazione retribuito per i lavoratori dipendenti. Anche i disoccupati hanno il diritto di beneficiare delle opportunita` in materia di formazione. Talune imprese consentono inoltre ai loro dipendenti in congedo parentale di partecipare a corsi di aggiornamento durante l’assenza dal lavoro o prima della ripresa dell’attivita` professionale.
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Per quanto riguarda la formazione sul posto di lavoro o direttamente connesso con l’attivita` professionale, nel prossimo decennio va prestata particolare attenzione ai lavoratori di 35 anni e piu` in quanto, da un lato, le tendenze demografiche aumenteranno il ruolo strategico dei lavoratori piu` anziani e dall’altro, la partecipazione ad azioni di formazione continua da parte dei lavoratori di eta` piu` avanzata, in particolare quelli meno qualificati e quelli che esercitano attivita` di importanza secondaria, e` in deciso calo. Sempre crescente e` la richiesta da parte dei dipendenti di contratti di lavoro a tempo parziale, richieste dettate non solo da ragioni familiari, ma anche dal desiderio di proseguire gli studi. In molti casi, si tratta di situazioni difficili da organizzare nella pratica. Tuttavia si constata che la percentuale del lavoro volontario a tempo parziale varia considerevolmente da uno Stato membro all’altro, vale a dire e` chiaro il bisogno di uno scambio di buone prassi. In genere, sono le parti sociali che svolgono un ruolo importante nella negoziazione di accordi sul cofinanziamento della formazione dei dipendenti e su modi piu` flessibili di organizzazione del lavoro che consentano la fattiva partecipazione ad azioni di formazione. Investire nelle risorse umane significa pertanto anche consentire alle persone di gestire personalmente la pianificazione della propria vita e del proprio tempo, prospettandogli in maniera chiara e trasparente il traguardo di tale formazione. La definizione di approcci creativi e innovativi costituisce parte integrante della creazione di organizzazioni impegnate nella formazione. Qualsivoglia siano le misure specifiche concepite negli Stati membri, nei settori industriali, nelle branche di attivita` o nelle imprese stesse, l’importante e` che una crescita dell’investimento nelle risorse umane implica anche un riorientamento verso una cultura basata sulla responsabilita` comune e su modalita` chiare di finanziamento per la partecipazione all’istruzione e formazione lungo l’arco della vita. Questioni da esaminare • Come rendere piu` tangibili e piu` trasparenti gli investimenti nella formazione agli occhi dei lavoratori dipendenti e dei datori di lavoro o delle imprese, in particolare rafforzando gli incentivi finanziari e sopprimendo gli ostacoli esistenti? Come indurre il singolo a cofinanziare e gestire il proprio percorso di formazione (ad esempio, tramite “conti di formazione” personali o regimi di assicurazione delle competenze)?
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• Un’iniziativa concertata basata sulla ricerca negli Stati membri e a livello comunitario potrebbe chiarire i vantaggi sociali ed economici di un investimento nell’istruzione e formazione permanente e contribuire, tra l’altro, a definire piu` chiaramente i mezzi per misurare le risorse investite e i risultati ottenuti? Esiste per questo una volonta` comune sufficiente per dare il via e realizzare al meglio una simile iniziativa? • Come utilizzare al meglio i Fondi strutturali, in particolare il Fondo sociale europeo, per incentrare l’investimento sulle infrastrutture didattiche di formazione permanente e, in particolare, per instaurare centri locali di acquisizione delle conoscenze e fornire loro un’attrezzatura moderna nel campo delle TIC? In che misura tali risorse e misure possono garantire una qualita` dell’istruzione e della formazione pubblica pari a quella dell’offerta del settore privato? • Tramite quali meccanismi, ivi compresi quelli che consentono ai genitori e ai lavoratori con persone a carico di conciliare la formazione con i loro obblighi familiari e professionali, i datori di lavoro piu` progressisti concedono ai loro salariati il tempo e la flessibilita` necessaria per partecipare ad azioni d’istruzione e formazione permanente? Come diffondere al meglio le buone prassi nelle imprese europee? Come possono lo Stato e di datori di lavoro del servizio pubblico diventare dei modelli efficaci di buone prassi in tale contesto? Messaggio chiave n. 3: Innovazione nelle tecniche di insegnamento e di apprendimento Obiettivo: sviluppare contesti e metodi efficaci d’insegnamento e di apprendimento per un’offerta ininterrotta d’istruzione e di formazione lungo l’intero arco della vita e in tutti i suoi aspetti. Quanto piu` entriamo a far parte dell’era della conoscenza, tanto piu` cambia il nostro modo d’intendere l’apprendimento, il suo contesto, la sua forma e la sua finalita`. Sempre piu` si parte dal presupposto che metodi e quadri d’istruzione e di apprendimento debbano prendere atto dei diversi interessi, bisogni e requisiti, non solo del singolo, ma anche di categorie specifiche delle nostre societa` europee pluriculturali ed adattarsi di conseguenza. Cio` implica un’importante transizione verso sistemi di formazione basati sulle esigenze dell’utente e caratterizzati da frontiere permeabili tra i diversi settori e livelli. Un apprendimento attivo presuppone da un lato il miglioramento delle pratiche esistenti e dall’altro lo sviluppo di nuovi
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metodi che consentano di sfruttare le opportunita` offerte dalle TIC e dalla gamma completa dei contesti di apprendimento. I criteri determinanti sono la qualita` e i risultati dell’esperienza formativa, anche agli occhi degli utenti stessi della formazione. Tuttavia, il cambiamento e l’innovazione sono possibili solo in parte se manca l’impegno attivo dei professionisti del settore, che sono i piu` vicini ai cittadini nel loro ruolo di allievi e piu` al corrente della diversita` dei bisogni e dei processi di formazione. Le tecniche di apprendimento basate sulle TIC offrono un grande potenziale d’innovazione per i metodi d’insegnamento e di apprendimento, anche se i pedagogisti insistono sulla necessita` di integrarli in contesti e in una relazione insegnante/allievo “in tempo reale” per renderli pienamente efficaci. I nuovi metodi devono inoltre tener conto dell’evoluzione del ruolo dei tutori e degli insegnanti, che spesso non hanno contatti con i loro allievi per motivi di tempo e spazio. Inoltre, la maggior parte di quanto offerto dai nostri sistemi d’istruzione e di formazione e` tuttora organizzata ed erogata come se la pianificazione e l’organizzazione della nostra vita da cinquant’anni a questa parte fosse sempre la stessa. I sistemi di apprendimento devono adattarsi agli odierni stili di vita e alla nuova impostazione dell’esistenza. Tale aspetto e` particolarmente importante nell’ottica della parita` delle opportunita` e della presa in considerazione di “una terza eta`” sempre piu` attiva. Troppo poco sappiamo e ci diciamo, ad esempio, su come realizzare un apprendimento indipendente e produttivo, anche se non va dimenticato che l’apprendimento e`, in definitiva, un processo sociale. Ne´ conosciamo ancora il modo migliore per le persone anziane di apprendere, ne´ i mezzi per adattare l’ambiente formativo in modo da consentire l’integrazione dei disabili o, ancora, le possibilita` offerte da gruppi di allievi di eta` mista per lo sviluppo delle competenze cognitive, pratiche e sociali. Per migliorare la qualita` dei metodi e dei contesti dell’insegnamento e dell’apprendimento sono necessari considerevoli investimenti da parte degli Stati membri al fine di adattare, migliorare e sostenere le competenze degli operatori del settore dell’apprendimento formale e non formale, sia che si tratti di professionisti retribuiti, di volontari o di persone per le quali l’istruzione rappresenta un’attivita` secondaria (ad esempio, personale qualificato ed esperto sul luogo di lavoro o animatori di quartiere). Pedagoghi e formatori lavorano in tipi assai diversi di strutture e con gruppi di allievi assai diversi. Molto spesso la dimensione didattica della loro attivita` non e` riconosciuta – talvolta neppure da loro stessi – come e` il caso di coloro che operano nelle organizzazioni per i giovani. In altri termini, bisogna innanzi-
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tutto procedere ad una revisione e ad una riforma minuziosa della formazione iniziale e permanente degli insegnanti, perche´ possa rispondere effettivamente alle esigenze dei diversi contesti d’apprendimento e dei diversi gruppi destinatari. Il profilo professionale del docente cambiera` sostanzialmente nei prossimi decenni: insegnanti e formatori diventeranno consulenti, tutori e mediatori. Il loro ruolo – un ruolo d’importanza cruciale – consistera` nell’assistere gli allievi che, per quanto possibile, dovranno farsi carico della propria formazione. La capacita` di definire e di mettere in pratica metodi aperti e partecipativi d’insegnamento e di apprendimento dovra` essere una delle competenze professionali di base di insegnanti e formatori, sia nel quadro dell’apprendimento formale che di quello non formale. Un apprendimento attivo presuppone la volonta` di apprendere, la capacita` di emettere giudizi critici e sapere come apprendere. Il ruolo insostituibile dell’insegnante consiste nell’istruire questa capacita` dell’essere umano di creare e utilizzare il sapere. Questioni da esaminare • Come combinare in maniera efficace l’elaborazione di metodi didattici basati sulle TIC con il miglioramento e l’innovazione di metodi pedagogici e didattici imperniati sull’essere umano? Come realizzare una collaborazione piu` efficace tra i tecnici e i formatori/insegnanti per produrre materiale e risorse didattici di qualita`? Dato il volume sempre crescente di materiali e risorse didattici commercializzati sul mercato, come sorvegliarne la qualita` e l’utilizzo, eventualmente tramite una cooperazione a livello europeo? • Come controllare e analizzare al meglio i risultati di progetti transnazionali in vista dell’elaborazione di un rapporto su metodi efficaci di formazione permanente per determinati contesti, determinate finalita` e determinate categorie di utenti? Quali sono le possibilita` di sviluppare riferimenti qualitativi pertinenti, basati su studi di casi comparativi in questo campo? • Le formazioni e le qualifiche per gli specialisti dell’istruzione e della formazione che operano nei settori non formali (ad esempio, con i giovani o in seno a collettivita` locali) nonche´ nel campo della formazione degli adulti o della formazione continua sono sottosviluppate nell’intera Europa. Come migliorare tale situazione, eventualmente tramite la cooperazione europea?
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• Quali dovranno essere le priorita` della ricerca applicata nel campo dell’educazione negli Stati membri a livello comunitario nel corso del prossimo decennio? Come accrescere il valore aggiunto delle attivita` di ricerca tramite un’intensificazione della cooperazione degli scambi transnazionali? Come sostenere la ricerca sulle scienze dell’educazione in stretta collaborazione con i professionisti stessi del settore dal momento che tali attivita` sono spesso sottostimate dalla comunita` scientifica? Messaggio chiave n. 4: Valutazione dei risultati dell’apprendimento Obiettivo: migliorare considerevolmente il modo in cui sono valutati e giudicati la partecipazione e i risultati delle azioni di formazione, in particolare nel quadro dell’apprendimento non formale e informale. Nell’economia della conoscenza, la piena valorizzazione delle risorse umane costituisce uno dei fattori decisivi del mantenimento della competitivita`. I diplomi, gli attestati e le qualifiche rappresentano pertanto punti di riferimento importanti per i datori di lavoro e i lavoratori sul mercato del lavoro e nelle imprese. La domanda crescente di manodopera qualificata da parte dei datori di lavoro e l’intensificazione della concorrenza per la ricerca di un lavoro ha portato ad una domanda fino ad oggi inesistente di riconoscimento della formazione acquisita. Come modernizzare al meglio le pratiche e i sistemi nazionali di certificazione per adattarli alle nuove condizioni socioeconomiche? L’Unione intera si pone ora questa domanda sul piano sia politico che professionale. I sistemi d’istruzione e di formazione costituiscono un servizio per il singolo cittadino, per i datori di lavoro e la societa` civile nel suo insieme. Garantire un riconoscimento visibile e adeguato dell’apprendimento costituisce parte integrante della qualita` del servizio fornito. Nell’interesse di un’Europa integrata, sia un mercato del lavoro aperto che i diritti del cittadino di vivere, studiare, formarsi e lavorare in qualsivoglia Stato membro, richiedono che le conoscenze, le competenze e le qualifiche siano piu` trasparenti e piu` facilmente “trasferibili” da uno Stato membro all’altro. Notevoli progressi sono gia` stati raggiunti nel migliorare la trasparenza e il riconoscimento reciproco delle qualifiche, in particolare nel campo dell’istruzione superiore e per taluni professioni regolamentate. Tutti sono, tuttavia, d’accordo nell’affermare che dobbiamo fare molto di piu` in questo campo, nell’interesse di segmenti della popolazione molto piu` vasti e del mercato del lavoro.
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Un riconoscimento esplicito – in qualsivoglia forma – costituisce una motivazione efficace per coloro “che non hanno l’abitudine alla formazione”, nonche´ per coloro che per un lungo periodo sono stati lontani dal mercato del lavoro per motivi di disoccupazione, impegni professionali o malattia. E` importante inoltre introdurre forme innovative di certificazione dell’apprendimento non formale al fine di allargare lo spettro del riconoscimento delle qualifiche, indipendentemente dal tipo di utente interessato. E` assolutamente indispensabile elaborare sistemi di alta qualita` per la “convalida dell’esperienza precedente” (APEL, Accreditation of Prior and Experiential Learning) e promuoverne l’applicazione nei diversi contesti. I datori di lavoro e gli esaminatori responsabili dell’ammissione negli istituti d’istruzione e di formazione devono essere convinti del valore di questo tipo di certificazione. I sistemi di convalida dell’esperienza precedente valutano e riconoscono le competenze, l’esperienza e il sapere acquisito nel corso del tempo e in diversi contesti, anche nel quadro della formazione non formale o informale. Tali metodi possono rivelare competenze e abilita` di cui l’interessato stesso e` spesso inconsapevole e il cui valore ai fini dell’esercizio della professione non e` da loro riconosciuto. Tale processo richiede la partecipazione attiva del candidato, il che a sua volta rafforza il sentimento di fiducia in se´ stesso e di autostima. La diversita` delle terminologie nazionali e i presupposti culturali che ne sono alla base continua a rendere difficile ogni tentativo di trasparenza e di riconoscimento reciproco delle qualifiche. In questo campo e` essenziale, per concepire e attuare sistemi di riconoscimento attendibili e validi, ricorrere all’aiuto di esperti. Questo passo deve essere accompagnato da una maggiore integrazione di coloro che, in ultima analisi, convalidano tali esperienze in pratica e sono al corrente di come i singoli e le imprese utilizzano tali esperienze nella vita quotidiana. Le parti sociali e le ONG interessate svolgono un ruolo tanto importante in questo campo quanto quello delle autorita` ufficiali e dei professionisti dell’istruzione. Questioni da esaminare • La definizione di forme innovative di valutazione e riconoscimento rappresenta un campo d’azione prioritario. Come stabilire sistemi di convalida di esperienza acquisita in precedenza in tutti gli Stati membri? Come elaborare e scambiare in maniera sistematica informazioni sul loro utilizzo e sul loro grado di accettazione? Come instaurare sistemi che consentano il riconoscimento delle compe-
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tenze acquisite in un quadro non formale o informale, quali le associazioni di giovani o le organizzazioni locali? • Con l’aiuto di programmi comunitari in materia di educazione, formazione e gioventu`, sono stati messi a punto strumenti comuni di valutazione e di riconoscimento delle competenze. Tra questi figurano l’ECTS (European Credit Transfer Scheme, Sistema europeo di trasferimento di unita` di corsi capitalizzabili), il Supplemento europeo al diploma (Europea Diploma Supplement) nell’istruzione superiore, l’EUROPASSFormazione (riconoscimento della formazione professionale in alternanza), il certificato SVE (partecipazione al Servizio volontario europeo), la patente informatica europea (ECDL European Computer Driving Licence) e diversi strumenti automatizzati di autovalutazione (Progetti pilota europei). Nel quadro dell’iniziativa eLearning sara` istituito un diploma europeo che attesta l’acquisizione di competenze di base nelle tecnologie dell’informazione. Come estendere e sviluppare ulteriormente questi diversi strumenti in maniera coerente? Quale sara` il margine di manovra di una vasta iniziativa basata sulle unita` di valore intesa a definire un quadro comune per un “curriculum vitae” europeo, quale proposto nel paragrafo 26 delle Conclusioni di Lisbona? • La proposta di Orientamenti per l’occupazione per l’anno 2001 (Orientamento 4) invita gli Stati membri a migliorare il riconoscimento delle conoscenze, delle qualifiche e delle competenze al fine di facilitare la mobilita` e l’istruzione e la formazione permanente. Quali saranno le misure da adottare allo scopo? Come sviluppare l’attuale Foro europeo sulla trasparenza delle qualifiche ai fini della realizzazione di tali obiettivi e quali iniziative analoghe potrebbero migliorare l’elaborazione di approcci comuni, nonche´ la diffusione delle buone prassi in materia di valutazione e riconoscimento delle competenze? • Come migliorare la comunicazione e il dialogo tra le parti sociali, le imprese e le associazioni professionali allo scopo di aumentare la loro fiducia nei confronti della validita` e dell’utilita` di forme diversificate di riconoscimento delle qualifiche? Messaggio chiave n. 5: Ripensare l’orientamento Obiettivo: garantire a tutti un facile accesso ad informazioni e ad un
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orientamento di qualita` sulle opportunita` d’istruzione e formazione in tutta l’Europa e durante tutta la vita. In passato, il passaggio dal mondo dell’istruzione e della formazione a quello del lavoro era un evento unico nell’esistenza delle persone, che accadeva quando i giovani lasciavano la scuola o l’universita` per trovare un lavoro, eventualmente aver forse seguito uno o piu` periodi di formazione professionale. Oggi, puo` succedere a chiunque di noi di aver bisogno di informazioni e consigli sulla “strada da prendere” in diversi momenti della nostra vita e in maniera pressoche´ imprevedibile. Il cambiamento diventa parte integrante della pianificazione e dell’attuazione permanente di un progetto di vita in cui il lavoro retribuito non rappresenta che una delle componenti, per importante che sia. Per valutare le diverse alternative e adottare una decisione e` necessario disporre di informazioni pertinenti e precise, ma anche i consigli degli operatori possono spesso aiutare a chiarirsi le idee. In tale contesto, e` necessario adottare un nuovo metodo che preveda l’orientamento come un servizio accessibile a tutti in permanenza, senza piu` distinguere tra orientamento scolastico, professionale e personale, e si rivolga ad un pubblico nuovo. Vivere e lavorare nella societa` della conoscenza richiedono cittadini attivi che vogliono gestire autonomamente il loro percorso personale e professionale. Cio` significa che tali servizi devono essere non piu` incentrati sull’offerta, bensı` sulla domanda, focalizzando l’interesse sui bisogni e le esigenze degli utenti. Il compito dell’orientatore consiste in questo caso nell’accompagnare le persone in questo viaggio individuale attraverso la vita, motivandoli, fornendo loro informazioni pertinenti e facilitandone le scelte. Questo compito implica un approccio piu` attivo che consiste nel cercare volontariamente un contatto con la persona, invece di aspettare che sia lei a chiedere consiglio, e nel seguirne personalmente i progressi realizzati. Esso implica inoltre azioni per prevenire l’abbandono scolastico e perseguire il rientro di chi lo ha vissuto. Il futuro ruolo degli operatori dell’orientamento si potrebbe descrivere come una “mediazione”. Tenendo sempre presenti gli interessi del cliente, il “mediatore d’orientamento” e` capace di sfruttare e adeguare una vasta gamma di informazioni che saranno d’aiuto al cliente nella scelta della via da seguire. Le fonti d’informazione e gli strumenti diagnostici basati sulle TIC e su Internet aprono nuovi orizzonti, che migliorano la gamma e la qualita` dei servizi di orientamento. Essi possono arricchire e rafforzare il ruolo dell’operatore, ma non possono sostituirlo, senza contare che le
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nuove tecnologie creano a loro volta nuovi potenziali problemi. Ad esempio, gli specialisti dell’orientamento dovranno acquisire un livello elevato di competenze nella gestione e nell’analisi dell’informazione. Essi dovranno aiutare la gente ad orientarsi nel labirinto dell’informazione e a cercare cio` che risponde in maniera pertinente ed utile ai loro bisogni. La globalizzazione delle prestazioni di formazione rendera` inoltre necessari dei chiarimenti sulla qualita` dell’offerta. Per tutte queste ragioni, i servizi di orientamento e consulenza devono evolvere verso stili di servizio piu` “olistici”, in grado di soddisfare bisogni, esigenze e pubblici diversi. E` evidente che tali servizi devono essere localmente accessibili. Gli specialisti dell’orientamento devono essere al corrente della situazione personale e sociale delle persone alle quali forniscono informazioni e consigli, ma devono anche conoscere il profilo del mercato del lavoro locale e le richieste dei datori di lavoro. Inoltre, i servizi di orientamento devono essere maggiormente integrati in reti di servizi personali, sociali e pedagogici tra loro correlati – il che facilitera` la messa in comune di conoscenze specializzate, di esperienze e di risorse. In questi ultimi anni e` emerso sempre piu` chiaramente che buona parte dell’informazione e dei consigli era ottenuta tramite canali non formali o informali. I servizi professionali di orientamento e consulenza tengono sempre piu` conto di tali fattori, non solo stabilendo collegamenti in rete con associazioni locali e gruppi di volontariato, ma anche istituendo “servizi di accesso facilitati” in contesti familiari. Tali strategie contribuiscono in maniera considerevole a migliorare l’accesso ai gruppi della popolazione piu` svantaggiati. Originariamente, l’orientamento era un servizio pubblico, concepito per aiutare nella transizione iniziale dalla scuola al mercato del lavoro. Negli ultimi trent’anni sono sorti molteplici servizi privati, in particolare per personale altamente qualificato. In taluni Stati membri molti servizi di orientamento e consulenza sono totalmente o parzialmente privatizzati. Le imprese stesse hanno cominciato ad investire nei servizi di orientamento a favore dei loro dipendenti. Tuttavia resta responsabilita` del settore pubblico fissare norme minime di qualita` e definire i diritti di ciascuno. Questioni da esaminare • Come rafforzare le iniziative e i servizi esistenti affinche´ l’orientamento diventi parte integrante di un’Europa aperta? Quali sono i miglioramenti da apportare in vista della creazione di basi di dati europee in rete sull’istruzione e la formazione lungo l’arco della
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vita? Quali sono le implicazioni del nuovo concetto di “istruzione senza frontiere” – vale a dire accedere in un dato paese alla formazione erogata in un altro – per i servizi di orientamento? L’iniziativa eLearning prevede che entro la fine del 2002 i servizi di orientamento professionale offrano un accesso universale all’informazione relativa alla formazione, ai mercati del lavoro e alle prospettive di carriera in materia di nuove tecnologie. Come raggiungere un tale risultato? Come stimolare in genere lo sviluppo di strumenti di autorientamento basati sull’utilizzazione di Internet? Come modernizzare e migliorare la formazione iniziale e continua, nonche´ l’evoluzione della carriera, degli specialisti dell’orientamento? In quali campi e` piu` urgente ampliare la loro formazione? Quali tipi di progetti in questo campo si dovrebbero considerare prioritari nel quadro dei programmi Socrates II, Leonardo II e Gioventu`? E` chiaramente necessario estendere l’offerta locale di servizi accessibili e concepiti per gruppi destinatari specifici. Come allargare a tutta l’Europa approcci innovativi quali “gli sportelli unici”? Qual e` il ruolo che le strategie di marketing possono svolgere nel campo dell’orientamento e come renderle piu` efficaci? Come realizzare reti di intermediazione che consentano ai fornitori locali, tramite la messa in comune di fonti specializzate, di proporre servizi personalizzati davvero “su misura”? Come garantire al meglio la qualita` sul mercato pubblico e privato dell’orientamento? E` opportuno elaborare orientamenti sulla qualita` dei servizi d’orientamento e di consulenza, eventualmente mediante una cooperazione a livello europeo?
Messaggio chiave n. 6: Un apprendimento sempre piu` vicino a casa Obiettivo: offrire opportunita` di formazione permanente il piu` possibile vicine agli utenti della formazione, nell’ambito delle loro comunita` e con il sostegno, qualora opportuno, di infrastrutture basate sulle TIC. La gestione regionale o locale ha acquisito in questi ultimi anni un’importanza sempre maggiore quanto piu` si rafforzava l’esigenza di processi decisionali e di servizi “vicini alla gente”. L’offerta d’istruzione e di formazione costituisce un settore politico interessato da tale tendenza, in quanto la maggior parte della gente, dai piu` giovani alla terza eta`, si forma su base locale. Inoltre, le autorita` regionali e locali sono quelle che forniscono le
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infrastrutture di accesso all’istruzione e formazione permanente, ivi compresi i servizi di cura dell’infanzia, di trasporto e i servizi sociali. E` pertanto essenziale mobilitare le risorse nelle autorita` regionali e locali a favore dell’istruzione e della formazione permanente. Inoltre, e` soprattutto a livello locale che le organizzazioni della societa` civile e le associazioni sono insediate ed hanno accumulato un’importante riserva di conoscenze e di esperienze sulle comunita` di cui esse fanno parte. La diversita` culturale e` il marchio distintivo dell’Europa, benche´ talune localita` possano presentare caratteristiche diverse e affrontare problemi diversi, esse hanno tutte in comune una specificita` geografica e un’identita` inconfondibile. Tale specificita` della comunita` locale e della regione di accoglienza da` fiducia e consente l’inserimento in reti sociali. Tali fattori svolgono un ruolo importante e conferiscono un senso all’istruzione e alla formazione, facilitando la riuscita dell’apprendimento. Azioni locali e diversificate di formazione permanente fanno sı` che le persone non siano obbligate a lasciare la loro regione per studiare o formarsi – benche´ non si debba impedire loro di farlo, in quanto la mobilita` costituisce gia` di per se´ una positiva esperienza. Per talune categorie della popolazione, quali i disabili, non e` sempre possibile essere fisicamente mobili. In questo caso, la parita` di accesso all’istruzione e all formazione puo` essere ottenuta solo avvicinando l’offerta agli utenti. Le TIC rappresentano un mezzo formidabile per raggiungere popolazioni sparpagliate e isolate a costi relativamente contenuti – non soltanto nell’interesse dell’istruzione e della formazione, ma anche nella prospettiva di comunicazioni che servano a mantenere l’identita` della comunita` al di la` delle distanze. Piu` in generale, un accesso permanente e mobile a servizi di apprendimento ivi incluso l’apprendimento on-line consente a ciascuno di sfruttare al meglio il tempo di cui dispone ovunque si trovi. Le zone urbane densamente popolate possono, dal canto loro, riunire le componenti della loro diversita` in seno a molteplici partenariati, in cui l’istruzione e formazione permanente e` la forza motrice della rigenerazione regionale. L’agglomerazione, punto di incontro di gruppi e di idee in costante evoluzione, e` sempre stata una calamita per l’innovazione e gli scambi di opinione. Nell’ambiente urbano abbondano le diverse possibilita` di formazione, sia per i giovani che per i meno giovani, dall’ambiente della strada alle imprese in costante e rapida evoluzione. I paesi e le citta` hanno gia` stabilito diversi contatti con comunita` partner nell’intera Europa grazie ai programmi e alle attivita` di gemellaggio cofinanziate in gran parte dalla
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Comunita`. Tali attivita` costituiscono la base della cooperazione transnazionale e dello scambio di informazioni transnazionali tra comuni che presentano caratteristiche ed affrontano difficolta` analoghe e costituiscono pertanto una piattaforma naturale per iniziative di apprendimento non formale. Le TIC allargano tali possibilita` aprendo la via alle comunicazioni virtuali tra collettivita` locali tra loro geograficamente distanti. Partenariati non restrittivi e approcci integrati consentono di raggiungere i (potenziali) utenti e di rispondere in maniera coerente ai loro bisogni e alle loro esigenze in materia di apprendimento. Misure d’incentivo e altre misure di aiuto possono incoraggiare e sostenere un approccio volontaristico dell’istruzione e formazione permanente, sia da parte degli stessi interessati che delle citta` e regioni in quanto strutture di coordinamento. Per avvicinare l’offerta di formazione all’utente sara` inoltre opportuno riorganizzare e ridistribuire le risorse esistenti al fine di creare centri appropriati di acquisizione delle conoscenze negli ambienti di vita quotidiana dove la gente si riunisce – non solo nelle strutture scolastiche, ma anche nei circoli municipali, i centri commerciali, le biblioteche e i musei, i luoghi di culto, i parchi e le piazze pubbliche, le stazioni ferroviarie e le autostazioni, i centri medici e i complessi per il divertimento, nonche´ le mense sul luogo di lavoro. Questioni da esaminare • Nelle Conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona (paragrafo 26) si propone di trasformare le scuole e i centri di formazione in centri locali polivalenti di acquisizione delle conoscenze, dotati di collegamento a Internet e accessibili ai cittadini di ogni eta`. Si tratta di una sfida importante per tutti gli Stati membri. Quali sono, tra i progetti e le prestazioni abituali, quelle che potrebbero rivelarsi promettenti e servire da esempio di buone prassi? Quali progetti pilota potrebbero essere sostenuti a tale scopo nel quadro di programmi comunitari in materia d’istruzione, formazione ai giovani? • Come stabilire, a livello locale e regionale, partenariati reciprocamente utili tra gli organismi d’istruzione e di formazione, i club e le associazioni di giovani, le imprese e i centri di ricerca e sviluppo? Le verifiche dei bisogni in materia di formazione dei cittadini e dei bisogni in materia di qualifiche dei datori di lavoro, realizzate su scala locale, si sono rivelate utili strumenti per riconsiderare l’offerta di formazione permanente in talune comunita` o regioni?
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• Le Conclusioni del Consiglio europeo di Lisbona (paragrafo 38) rivelano una netta preferenza per le strategie di attuazione basate sulla decentralizzazione e il partenariato. Quale tipo d’incentivo potrebbe incoraggiare le iniziative locali e regionali – quali “citta` o regioni degli studi” – a cooperare e a scambiare esempi di buone prassi a diversi livelli, anche su scala transnazionale? Le autorita` municipali o regionali potrebbero impegnarsi a destinare una percentuale fissa dei loro redditi all’istruzione e formazione permanente? • Qual e` il margine di manovra per favorire partenariati decentralizzati nel campo dell’istruzione e della formazione permanente tramite collegamenti piu` stretti tra le organizzazioni europee (Parlamento europeo, Comitato delle regioni, Comitato economico e sociale, Consiglio d’Europa)?
3.3 La differenza come problema e come valore La pedagogia oggi deve confrontarsi con i problemi posti dalla complessita` che non sono riconducibili unicamente ad un crescente e diffuso bisogno di istruzione/formazione ma sono anche legati all’emergere della differenza30 30 “[...] Compito di una rinnovata ed autentica pedagogia allora e` quello di promuovere un pensiero capace di decentrarsi in funzione di un vero riconoscimento dell’altro e in grado poi di ritornare su se stesso arricchito ed accresciuto del confronto con la pluralita` dei modelli, degli stili, dei sistemi e dei mondi. La pedagogia ha il dovere, che non e` solo etico, di ricercare un fondamento epistemologico ed una collocazione teorica per una valorizzazione delle differenze. Peraltro quando si parla di valorizzazione e` bene non farsi tentare dal generico, edulcorato e perbenista discorso secondo il quale lo straniero o l’handicappato costituiscono una non meglio definita o presunta risorsa, ne´ tanto meno e` lecito andare alla ricerca di didatticismi o di tecnicismi, bensı` e` opportuno, muovendo da assunti teorici, far riferimento ad un sistema di valori, e non a giudizi di valore, che si collochino in un quadro globale e siano per tale ragione capaci di promuovere e di favorire una completa e totale integrazione, che consenta di accogliere i singoli soggetti diversi rispettandone l’identita` personale, culturale ed anche fisica. Tutto questo e` possibile solo attraverso un sincero e consapevole riconoscimento dei peculiari bisogni di ciascuno e la pedagogia, se veramente aspira ad assumere un ruolo autonomo e scientifico, si impegnera` a precisarli e a definirli, offrendo poi risposte formative realmente rispettose delle esigenze di ciascun soggetto. [...] Soltanto se il tema della differenza cessa di essere materia di dibattito teorico e accademico o argomento di corso di aggiornamento, e si trasforma in questione della prassi educativa, la diversita` si andra` a collocare all’interno dell’intreccio complesso del mondo della scuola e dell’educazione [...]” (S. Salmeri, I percorsi della differenza: ermeneutica e pedagogia, Bonanno Editore, Catania 2003, pp. 23-26).
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come elemento caratterizzante la societa` attuale in contrapposizione al principio dell’identita` che per molti secoli e` stato a fondamento della cultura occidentale, agendovi come criterio regolatore capace di annientare e sconfiggere ogni tentativo di dare spazio all’alterita`, ad un pensiero diverso. Cambi31 sottolinea come la valorizzazione della differenza sia entrata a far parte della cultura occidentale partendo dall’Illuminismo, momento di rottura di tanti equilibri, passando poi attraverso il Romanticismo con la sua esaltazione della liberta` individuale rispetto alla norma, e via via la filosofia di Hegel che assegna un ruolo positivo alla contraddizione e poi Marx con la dialettica come negazione, e ancora il pensiero negativo da Kierkegaard a Schopenhauer, a Nietzsche che mettera` in crisi le certezze della cultura occidentale, dal logos alla morale. Nel corso del Novecento sara` poi Heidegger “il grande decostruttore della metafisica e il teorico 32 radicale della Differenza” . Nell’ambito delle scienze umane l’antropologia culturale e la psicanalisi aprono la via alla cultura della differenza con gli studi rispettivamente di Le´vi Strauss e di Freud. Oggi la differenza, nelle sue varie espressioni, innerva il nostro mondo ponendo problemi, facendo esplodere contraddizioni, provocando lacerazioni, chiedendo risposte non sempre indolori. La differenza di genere posta con forza dalle donne, sta determinando una tumultuosa riorganizzazione della societa` nelle sue strutture portanti, la famiglia in primo luogo. Allo stesso tempo, ha comportato una riflessione critica su un modello culturale e familiare centrato sul predominio maschile, innescando una rivoluzione nei comportamenti, nel modo di pensare l’educazione, nella scelta dei valori di riferimento. La presenza di etnie e culture diverse ha portato alla nostra attenzione quesiti nuovi, inerenti alla differenza di lingua, tradizioni, religione, costumi. Per Cambi la categoria-chiave per rappresentare il presente e` il disincanto, gia` introdotta da Max Weber in relazione alla secolarizzazione, e 33 riproposta oggi con la connotazione ulteriore di “congedo dal senso” . Il disincanto e` la modalita` con cui il soggetto si inoltra in un mondo de34 sacralizzato, da “vivere come avventura e come possibilita`” , che gli consente una totale liberta` di organizzare la sua esistenza, privandolo pero` di ogni certezza e di ogni sostegno. 31 32 33 34
F. Cambi, Intercultura: fondamenti pedagogici, Carocci, Roma 2001, p. 47. Ivi, p. 48. F. Cambi, Manuale di filosofia dell’educazione, cit., p. 167. Ibid.
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a) La differenza di genere Il tumultuoso emergere delle istanze poste dall’universo femminile sta determinando nell’assetto dell’attuale societa` occidentale profonde modificazioni strutturali legate alla diffusa scolarizzazione delle donne e dal loro imponente ingresso nel mondo del lavoro dove esse scalano, superando resistenze e difficolta`, anche posizioni storicamente maschili. In questi anni e` diventato inarrestabile il lungo processo di liberazione femminile iniziato con la diffusione delle idee della filosofia illuminista che esaltavano la ragione e il progresso, e postularono uguali diritti tra gli individui. Cosı`, nel 1791, Olympe de Gonges rivendicava l’estensione alle donne della Dichiarazione dei diritti dell’uomo35 mentre un anno dopo Mary Wollstonecraft, sulla base delle idee illuministe e della Rivoluzione francese, scriveva The Vindication of the Right of Women36. La rivendicazione femminile dell’estensione anche alle donne dei diritti naturali dell’uomo era resa necessaria dal fatto che, nonostante il Preambolo della Costituzione francese del 1791 recitasse: “non vi e` piu`, per alcuna 35
“[...] Nella percezione acuita del momento rivoluzionario, la cosa non sfugge a Olympe de Gouges, nome di battaglia di Maria Gouze, giovane donna giunta a Parigi dalla profonda provincia francese, richiamata dalle inaudite possibilita` sociali che sempre schiudono, per le donne, come per ogni minoranza, il fermento e l’effervescenza collettiva di ogni rivoluzione. Olympe/Marie risponde al paradosso con la radicalia` assoluta di un gesto paradossalmente semplicissimo: con la baldanza rivoluzionaria dello sguardo di colei che vede per la prima volta, ella riscrive la Dichiarazione e il Preambolo, anzi li trascrive, lasciandone identiche struttura sintattica e parole, salvo che per il fatto che le declina al femminile. Olympe aggiunge infatti le donne e le cittadine ogni volta che nel testo si parla di uomini e cittadini, concorda aggettivi e verbi secondo il genere femminile: ne risulta un testo nuovo, che si rivela subito tale, alieno, inedito, che sottolinea, in controluce, come i diritti proclamati dalla Dichiarazione, che si vorrebbero universali, escludono di per se´ le donne dalla loro presunta generalita`, (donne alle quali, vale la pena di ricordarlo, la rivoluzione non concedera` mai quel diritto al suffragio, cosiddetto universale, affermato fra i suoi principıˆ). Si tratta di un gesto di straordinaria forza simbolica: poiche´ l’universalismo dei diritti custodisce al suo interno l’esclusione e consolida il pregiudizio del piu` forte, vengono usati proprio i principıˆ astratti e generali del suo codice per rideclinarli, affermando cosı` quelle differenze che non possono essere obliterate pena la cancellazione di una parte dell’umanita`. Ma cancellare una parte di umanita`, quando non lo si nasconde piu` con la strategia della reductio ad unum, fa crollare, come un castello di carte, l’edificio universalista, mentre nominare le differenze significa ammettere una pluralita` all’interno del soggetto dei diritti: significa mettere a nudo il re” (P. Bora, Diversita` culturali e differenza di genere: complessita` e comunicazione, in A. Fabris [a cura di], Comunicazione e mediazione interculturale. Prospettive a confronto, Edizioni ETS, Pisa 2002, pp. 70-71). 36 G. Fraisse, M. Perrot [a cura di], Storia delle donne. L’Ottocento, Laterza, Roma-Bari 1993, p. 484.
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parte della Nazione, ne´ per alcun individuo, alcun privilegio o eccezione al 37 diritto comune di tutti i francesi” , tutti gli status personali su cui si reggeva l’ancien re´gime (che crearono situazioni giuridiche differenti in base alla nascita, al censo, alla professione, alla fede religiosa, ecc.) erano stati cancellati ad eccezione dello status fondato sul sesso. Cio` coerentemente con le idee dei giuristi prerivoluzionari, riprese da Rousseau, che distinguevano tra disuguaglianze artificiali, che andavano cancellate, e disuguaglianze naturali come quelle fondate sul sesso, da preservare. Quindi, “la Rivoluzione francese fu, per le donne – ad onta della loro partecipazione massiccia e qualificata – una delle tante occasioni mancate di cui e` piena la storia del movimento paritario. Ma [. ..] introducendo in modo cosı` nuovo e radicale il principio dell’eguaglianza di fronte alla legge, pose le basi teoriche e normative per le successive rivendicazioni femminili”38. Il primo Codice civile dell’Italia unita (1865) sanciva l’inferiorita` giuridica delle donne, “escluse dai diritti politici, e anche dalle funzioni civili come quelle di patrocinatore, di tutore, testimone negli atti civili, nei testamenti, negli atti tra vivi per mano di un notaio”39. Solo nel 1946 le donne ebbero in Italia diritto di voto ed elessero all’Assemblea Costituente una percentuale femminile pari a quella del Parlamento attuale; il testo della Costituzione del 1948 e` molto avanzato rispetto alla societa` di allora e porta il segno del contributo delle donne elette che vi si impegnarono a fondo; esso disegna i contorni di una societa` democratica, chiarendo puntigliosamente all’art. 3 l’eguaglianza di tutti (senza esclusione di razza, di religione, di sesso) di fronte alla legge, mentre altri articoli ribadiscono l’eguaglianza dei diritti nella famiglia, nei rapporti lavorativi, nell’accesso ai pubblici uffici e alle cariche elettive, tanto che Nilde Iotti dira`: “la Costituzione e` il piu` grande atto di questo secolo fatto in favore delle donne”40. Ma la strada per la parita`, dal 1948 ad oggi, e` stata tutta in salita per le donne che hanno dovuto lottare per l’applicazione piena delle norme costituzionali contro una classe politica e una magistratura di merito che tendevano a svuotare di contenuto le norme piu` innovative, fornendone interpretazioni riduttive e abroganti. Solo con una legge di iniziativa parlamentare (9 febbraio 1963, n. 66) le donne hanno visto riconosciuto il loro
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A. Galoppini, La lunga lotta per l’eguaglianza: dalla Costituzione alla legge di parita`, in S. Ulivieri [a cura di], Educazione e ruolo femminile, La Nuova Italia, Firenze 1992, p. 11. 38 Ivi, p. 13. 39 Ivi, p. 14. 40 Ivi, p. 16.
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diritto ad accedere alla magistratura, fino a quel momento loro preclusa; e` stata necessaria la promulgazione di una legge ordinaria e una lunga lotta per rendere operante l’art. 51 della Costituzione. E` poi l’ondata contestatrice del ’68, con la critica sistematica dell’assetto sociale e culturale, a scardinare una struttura familiare arcaica, centrata sulla figura dell’uomo, immutata per millenni, appena scalfita dai principi democratici della nuova Costituzione, a far presa sulle donne che cominciano ad aggregarsi, a creare gruppi di studio sull’identita` femminile e di analisi dei propri vissuti quotidiani, attivita` che aiutano il movimento a prendere coscienza dei condizionamenti sociali, delle violenze subı`te da istituzioni pensate per il predominio maschile, ad elaborare iniziative di lotta per modificare l’esistente41. Le donne iniziano a portare le proprie istanze riformatrici all’interno dei partiti politici “costretti a misurarsi, se non altro per calcolo elettoralistico, con un fenomeno numericamente sempre piu` massiccio”42. Per un’educazione al femminile “[...] Per secoli il divenire culturale delle donne e` rimasto bloccato e in parte si e` isterilito in un ordine simbolico esterno che non era il loro. Da sempre il disagio delle donne e` stato quello di vivere una condizione esistenziale subordinata nel privato e di totale o parziale esclusione dal pubblico, trovandosi ad operare in un universo sociale, in un mondo culturale, che ha posto regole e stabilito logiche, secondo parametri tipicamente maschili. Il genere femminile ha operato in una realta` sociale costruita attraverso una simbolizzazione creata e voluta dal genere maschile, secondo i propri bisogni, tempi e desideri, e divenuta norma (falsamente neutra) per ambedue i generi umani [...]. La cultura al femminile che rivendica oggi la differenza di genere possiede e compie ormai riflessioni autonome anche nel settore della formazione proponendosi come pedagogia della differenza. Essa rivendica modi nuovi dell’essere femminile e dunque dell’educare al femminile, per ristabilire e preservare sul nascere le identita` del se´ che garantiscono visibilita`, significativita` e salvaguardia alle differenze fondamentali dell’umanita`: sessuali, etniche e religiose, secondo una dialettica antiautoritaria tra unita` e alterita`, tra saperi forti e saperi deboli, e nello specifico tra modelli culturali e formativi al maschile e al femminile”. S. Ulivieri, Educare al femminile, Edizioni ETS, Pisa 1997, pp. 11-16.
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“I due conflitti mondiali con tutte le atrocita` che si portano dietro [...] rompono sistemi di controllo familiare, dando una liberta` prima inimmaginabile a donne, ragazze e bambine; l’uscita dai ruoli della domesticita`, le traversie e/o le persecuzioni subite, la nuova autonomia economica, l’approccio ai grandi temi della politica, la volonta` di pace comportano una nuova consapevolezza di genere. Questa nuova autonomia acquistata a volte a caro prezzo, dalle donne adulte, dalle nonne, dalle madri si riverbera sulle figlie e nipoti per le quali si sogna un destino diverso, che finalmente trova sbocco nel grande alveo del neo-femminismo” (S. Ulivieri, Il secolo delle bambine, in S. Ulivieri [a cura di], Le bambine nella storia dell’educazione, Laterza, Roma-Bari 1999, p. 302). 42 C. Ravaioli, Le donne, in AA.VV., Dal ’68 ad oggi, Laterza, Bari 1979, p. 347.
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Si avvia cosı` in campo legislativo un’attivita` riformatrice che nel corso degli anni ’70 contribuisce a cambiare la struttura familiare e il ruolo della donna nella societa` attraverso l’istituzione del divorzio (1970), il nuovo diritto di famiglia (1975), la legge sulla parita` (1977) e l’aborto (1978). Con queste misure legislative si completa dal punto di vista giuridico il processo di emancipazione femminile nel nostro Paese, assegnando alle donne uno strumento da utilizzare come grimaldello per scardinare le strutture portanti della societa` in vista di “una trasformazione radicale delle istituzioni, dei valori, dei rapporti dominanti [...] in base ai nuovi valori recati dalle donne”43. E questa trasformazione ha il carattere della radicalita` perche´, come afferma la Rossanda44, la cultura del femminismo e` negatrice della cultura maschile; non tende ad integrarla ma a sostituirla. Intanto le donne hanno iniziato una riflessione approfondita sul proprio universo, sui propri valori, tendendo puntigliosamente ad evidenziare il valore della differenza di genere, e stabilendo un legame dialettico con la modernizzazione che, se da un lato ha favorito la loro emancipazione, dall’altro ha ricevuto da tale processo un ulteriore impulso rinnovatore. Ma la pedagogia italiana resta per molto tempo indifferente ad una riflessione sul problema della differenza di genere, considerandolo superato. 45 Cambi rileva a tale proposito come Lamberto Borghi, esponente di punta della pedagogia laica, nel testo Educazione ed emarginazione da lui curato e pubblicato nel 1977, in pieno movimento femminista, si limiti a trattare in maniera tradizionale il ruolo femminile indicando nella donna-madre il “centro motore della struttura emarginante della famiglia” chiusa com’e` “nella privatezza della sua esistenza col marito e coi figli” e che fa “di tale stato una norma di comportamento”46, e come tale atteggiamento sia stato comune a pedagogisti di orientamento laico-progressista, cattolico e marxista, nella convinzione che il problema della differenza di genere, pur presente nella loro coscienza di intellettuali, non sia di competenza della pedagogia, data la sua struttura di sapere “rivolto a delineare quadri
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A. Galoppini, La lunga lotta per l’uguaglianza, cit., p. 27. R. Rossanda, Le altre. Conversazioni sulle parole della politica, Feltrinelli, Milano 1989, p.
211. 45
F. Cambi, La scoperta del «genere». Societa` italiana, cultura pedagogica e questione femminile, in S. Ulivieri [a cura di], Educazione e ruolo femminile, cit., pp. 41-42. 46 L. Borghi [a cura di], Educazione ed emarginazione, La Nuova Italia, Firenze 1977, p. XXXVI.
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razionali, quindi universali, quindi posti oltre le differenze del genere, 47 investendo direttamente l’uomo-come-essere-universale” . Solo a partire dagli anni Ottanta nella pedagogia italiana trova spazio il tema dell’educazione al femminile che viene affrontata sia come ricerca storica sul passato per individuare le radici e le modalita`, manifeste o nascoste, dell’esclusione48, sia come elaborazione teorica di un modello di societa` alternativa a quella attuale, in cui siano presenti i valori tipici del mondo femminile che cerca un equilibrio tra mente e affetti. Alla rilettura critica del rapporto tra donne e societa` hanno contribuito, insieme ad altri, i lavori di Luce Irigaray, psicoanalista belga che ha smascherato la struttura esclusivamente maschile della nostra societa` in cui non trova spazio il femminile, che semplicemente e` non-pensato, e in cui nessuna differenza ha diritto di cittadinanza49. Le donne hanno ormai acquisito la consapevolezza che e` necessario recuperare la differenza perche´, essa apporta ricchezza di significati, ampliamento dei concetti, offre la possibilita` di accettare il diverso, di pensare oltre, aprendo nuovi spazi alla progettazione di una realta` diversa, piu` aderente alle esigenze intellettive e affettive delle donne, incoraggiando l’utopia che e` capacita` di allargare gli orizzonti mentali, senza limitazioni. Attualmente sono presenti, all’interno del dibattito pedagogico sul femminile due posizioni. Una tende a completare il processo di emancipazione della donna, ridisegnando un modello di societa` in cui l’affermazione dei diritti e dei valori femminili possa coesistere con un mondo maschile capace di adeguarsi alle esigenze e alle richieste di pari dignita` delle donne. L’altra, piu` radicale, e` centrata sulla valorizzazione della differenza di genere e rifiuta l’emancipazionismo perche´ esso implica “l’omologazione al maschile considerato come valore universale e quindi normativo anche per le donne”50 non comprendendo che l’istruzione nella attuale societa` e` costruita su codici maschili e quindi mortifica la specificita` intellettuale delle donne. Ritiene inoltre che la categoria della differenza debba guidare il progetto di introdurre all’interno della societa` il dualismo dei generi e
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F. Cambi, La scoperta del «genere». Societa` italiana, cultura pedagogica e questione femminile, cit., p. 42. 48 Cfr. S. Ulivieri [a cura di], Le bambine nella storia dell’educazione, cit. 49 Cfr. L. Irigaray, Speculum. L’altra donna, Feltrinelli, Milano 1975; Etica della differenza sessuale, Feltrinelli, Milano 1985. 50 F. Cambi, La scoperta del «genere». Societa` italiana, cultura pedagogica e questione femminile, cit., p. 51.
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51 l’affermazione di una cultura al femminile , innovatrice perche´ piu` attenta a conciliare mente e affetti, logos e pathos, tesa ad una socializzazione fondata sulla comunita` piuttosto che sul dominio e sull’aggressivita`. La seconda posizione e` oggi prevalente nel dibattito pedagogico, in cui ha portato il contributo di una riflessione approfondita sulle forme, talora molto sottili, di discriminazione e di emarginazione messe in atto nei confronti delle donne da un costume sociale tanto radicato da essere scarsamente avvertito come una forma di violenza. Dallo studio accurato dei comportamenti comunemente tenuti dentro e fuori la famiglia, Simonetta Ulivieri sottolinea come appare chiaro che “in ogni sistema sociale le bambine e i bambini ricevono un’educazione diversa, secondo ben precise forme di addestramento al ruolo attribuito al proprio sesso di appartenenza”52 e sono sottoposti ad un condizionamento precoce capace di orientare il comportamento futuro, operato da una serie di messaggi che li raggiungono da ogni parte, sia dalle agenzie educative che dal sistema dei media, tutti tesi, piu` o meno consapevolmente, ad inserirli nei rispettivi ruoli. Un ordine sociale fondato sul riconoscimento e sulla valorizzazione della differenza di genere comporta un cambiamento di rotta nell’universo formativo dove, accanto al logos, entra a pieno titolo il pathos, accogliendo il contributo offerto dalla psicoanalisi che, con Freud, ha evidenziato il ruolo centrale della componente emotiva nel pensiero e quindi nel percorso formativo, che e` “soprattutto itinerario di affetti, poiche´ e` la loro dinamica che lascia il sigillo nell’io, ne nutre il vissuto, ne codifica il tracciato interiore”53. La formazione cosı` intesa e` connotata come conflitto tra forze interiori contrastanti, alimentato da frustrazioni, sensi di colpa, desideri, speranze. In tale modello il percorso di costruzione del soggetto e` attivato dalla dialettica interna delle emozioni ed ha quindi una componente di drammaticita` e di sofferenza; e` un percorso che privilegia, rispetto all’istruzione, il piano
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“La cultura al femminile che rivendica oggi la differenza di genere possiede e compie ormai riflessioni autonome anche nel settore della formazione proponendosi come pedagogia della differenza. Essa rivendica modi nuovi dell’essere femminile e dunque dell’educare al femminile, per ristabilire e preservare sul nascere le identita` del se´ che garantiscono visibilita`, significativita` e salvaguardia alle differenze fondamentali dell’umanita`: sessuali, etniche e religiose, secondo una dialettica antiautoritaria tra unita` e alterita`, tra saperi forti e saperi deboli, e nello specifico tra modelli culturali e formativi al maschile e al femminile” (S. Ulivieri, Educare al femminile, cit., p. 16). 52 Ivi, p. 89. 53 F. Cambi, Mente e affetti nell’educazione contemporanea, Armando, Roma 1996, p. 111.
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dell’educazione vista come opportunita` per la crescita integrale dell’individuo. Cio` significa che la formazione va considerata in una accezione piu` ampia che comprende, insieme all’intelletto, anche le qualita` piu` squisitamente umane del soggetto di cui coglie la dialettica emozionale interna. Ecco quindi svilupparsi una pedagogia degli affetti54 che si muove verso un “modello paidetico capace di conferire importanza, se non centralita`, all’affettivita` nella prospettiva dell’ideale dell’uomo integrale”55, e una riflessione sul ruolo che la scuola puo` svolgere nel senso di una formazione integrale, optando verso una didattica tesa a suscitare l’emozione per la conoscenza, nella consapevolezza che “l’appreso fa il suo ingresso nell’archivio della memoria insieme alle emozioni vissute durante l’apprendimento”56 e che “le emozioni che hanno accompagnato e colorato gli apprendimenti pregressi influiscono su quelli attuali e futuri disponendo affettivamente il soggetto nei loro confronti: in maniera favorevole o repulsiva, [...] entusiastica o apatica”57.
b) Le differenze culturali La differenza culturale, insieme alla differenza di genere, contribuisce ad accrescere la complessita` del nostro tempo, sollevando problemi, ponendo istanze, aprendo alla nostra riflessione spazi neppure immaginabili nel passato. La crescente presenza di immigrati stranieri sul nostro territorio ha contribuito a determinare in ambito pedagogico l’apertura di un discorso teso a promuovere una cultura del rispetto delle differenze etniche e 58 religiose , capace di favorire un clima di interscambio dialettico e di 54
Cfr. F. Cambi [a cura di], Nel conflitto delle emozioni, Armando, Roma 1998; M. Contini, Per una pedagogia delle emozioni, La Nuova Italia, Firenze 1992; D. Goleman, Intelligenza emotiva, Rizzoli, Milano 1997. 55 B. Rossi, Pedagogia degli affetti, Laterza, Roma-Bari 2002, p. VI. 56 Ivi, p. 43. 57 Ibid. 58 “[...] E` naturale che ogni religione tenda a considerarsi come l’unica vera. Se non fosse cosı`, perderebbe di credibilita` agli occhi dei suoi stessi credenti. Ma una condizione imprescindibile di questo dialogo e` che almeno si riconosca l’altra come vera e propria religione anche se non come la religione vera. Infatti, e` forte la tentazione per una religione che si ritiene vera di considerare le altre piuttosto come culture che come religioni. La differenza non e` trascurabile, perche´ una cosa e` considerare la religione come una espressione della religiosita` umana secondo determinate modalita` culturali e altra e` considerarla come una via d’accesso all’Assoluto, per quanto imperfetta. Il dialogo interreligioso presuppone un riconoscimento reciproco delle religioni in quanto tali. Questo riconoscimento
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reciproca comprensione59. Cio` nella consapevolezza che il raggiungimento dell’obiettivo di una coesistenza fondata sul rispetto reciproco tra soggetti aventi origini culturali, linguistiche, etniche differenti, e` elemento fondamentale per l’edificazione di una societa` multiculturale coesa e pacifica, in cui siano riconosciuti e tutelati i diritti di tutti60. Solo un progetto pedagogico di ampio respiro puo` trasformare una societa` multiculturale, costituita da persone di etnie, lingue e culture diverse che vivono fianco a fianco senza comunicare, singolarmente chiuse intorno ad un proprio centro, in una societa` interculturale in cui vari gruppi etnici si aprono ad uno scambio, ad una comunicazione che puo` arricchire tutti. Un tale progetto deve tendere a sviluppare nei giovani un pensiero aperto al nuovo, antidogmatico, capace di decentrarsi. Il primo passo verso la promozione del rispetto della diversita` culturale consiste nella lotta al pregiudizio che e` il meccanismo su cui si fondano l’esclusione, l’intolleranza, il razzismo e che si basa su processi di semplificazione e di categorizzazione della realta`. Il pregiudizio puo` essere sradicato solo promuovendo l’abitudine ad approfondire i problemi, ad affrontare situazioni articolate e complesse individuando le connessioni esistenti tra i diversi aspetti della realta`, quindi l’abitudine ad esercitare la mente, a nobilita le stesse identita` culturali e le rende piu` resistenti all’assimilazione, perche´ e` per la loro anima religiosa che le culture acquistano una forza di resistenza e di durabilita` anche nei confronti dello stesso progresso tecnologico. In una societa` multiculturale le culture che la abitano tendono a potenziare la loro anima religiosa per preservare meglio la loro identita`. Di conseguenza le identita` culturali sopraggiunte (spesso per difendersi dall’assimilazione) si presentano piu` aggressive sul piano religioso dei credenti locali con il risultato di aggravare i conflitti. La religione, infatti, si rivitalizza quando viene minacciata e tende a intiepidirsi quando non viene ostacolata o, addirittura, perseguitata [...]” (F. Viola, Il ruolo pubblico della religione nella societa` multiculturale, in C. Vigna, S. Zamagni [a cura di] Multiculturalismo e identita`, Vita e Pensiero, Milano 2002, pp. 131-132). 59 Cfr. F. Pinto Minerva, L’intercultura, Laterza, Roma-Bari 2002. 60 “Oggi il discorso pedagogico interculturale non pone l’obiettivo dell’integrazione sociale come la conseguenza positiva della cancellazione della propria diversita` (imposta o autoimposta); ne´ considera il persistere della diversita` come indicatore di una irriformabile condizione di inferiorita`: al contrario, tale discorso afferma che integrazione e convivenza sono favorite dal confronto e dalla riflessione sull’alterita`. I due termini – confronto e riflessione – che ritornano cosı` spesso lungo tale discorso gia` costituiscono un suo tratto caratterizzante e indicano uno degli importanti obiettivi educativi che intende raggiungere: l’altro e` da conoscere poiche´ non e` soltanto forza lavoro richiesta/offerta sul mercato, ma anche perche´ ha la dignita` di soggetto di cultura. In questo senso, pur nella sua differenza da noi, egli deve essere rispettato cosı` come vanno rispettati i modi e le credenze che pratica, e discussi quelli che invece ci appaiono non accettabili” (F. Gobbo, Pedagogia interculturale. Il progetto educativo nelle societa` complesse, Carocci, Roma 2000, p. 48).
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porsi domande, ad afferrare l’essenza di un problema, in sintesi l’abitudine ad un pensiero sistemico61. Un pensiero sistemico e` attrezzato ad abbracciare la complessita`, a rifiutare il conformismo, ad accettare tutte le differenze, ad apprendere secondo modalita` e codici diversi, a costruire modelli interpretativi nuovi per decodificare una realta` in rapida trasformazione. Esso e` in grado di predisporre le condizioni per vivere serenamente in un contesto interculturale, aprendosi agli altri senza tentare di omologarli a se´ e senza perdere la propria autonomia intellettuale. E` necessario comunque acquisire coscienza del fatto che una educazione interculturale pone certamente dei problemi al nostro sistema di istruzione pubblica, perche´ richiede di rivedere ampiamente l’impostazione di un modello culturale centrato sulla esaltazione della nostra civilta` e della nostra storia. “Riconoscere la natura di questo potenziale conflitto e` importante per ambedue le parti: l’educazione interculturale deve venire a patti con lo Stato moderno; questo, dal canto suo, deve venire a patti con la diversita` che lo caratterizza”62. Vale a dire, bisogna prendere coscienza del problema per poterlo poi avviare a soluzione. L’esigenza di modificare il proprio modello educativo in funzione del riconoscimento dei diritti delle minoranze e` stata avvertita gia` ad inizio del secolo XX negli Stati Uniti, dove ha prodotto un dibattito molto acceso, sostenuto da pedagogisti di alto livello, in cui si e` inserito Dewey con la proposta di adottare un modello di educazione pubblica capace di conciliare un’identita` nazionale unitaria con il pluralismo di culture, lingue, religioni del Paese. In Democrazia ed educazione (1917) e` esemplificata la sua proposta, in cui alla scuola pubblica e` affidato il compito di educare alla democrazia attraverso un insegnamento metodologicamente innovativo rispettoso delle differenze culturali e sociali, considerate come fattore di
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“[...] Il concetto di ‘sistema’, in tale nuova prospettiva, esce dalla dimensione onnicomprendente, tipica dei tradizionali approcci olistici, in cui tale concetto rimanda ad una architettura complessiva, una struttura ordinata e stabile di parti rigidamente gerarchizzate. La struttura, al contrario, si presenta come una configurazione di relazioni fra le parti di tipo probabilistico: essa si realizza nel tempo, all’incrocio imprevedibile e irreversibile (quindi non ripristinabile in altri ‘tempi’ e in altri ‘spazi’) di una molteplicita` incalcolabile di variabili contingenti [...]” (F. Frabboni, F. Pinto Minerva, Introduzione alla pedagogia generale, Editori Laterza, Roma-Bari 2003, p. 70). 62 C. Jones, Natione, State and Diversity, in Coulby, Gundara, Jones (eds), 1997, pp. 1 e sgg.
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63 arricchimento della societa` . Le idee di Dewey, ancora oggi attuali, hanno fatto breccia negli ambienti americani di stampo progressista, ma non sono diventate patrimonio di tutti per cui la realta` educativa degli Stati Uniti ha conosciuto fino al 1954 la segregazione scolastica negli Stati del Sud e solo da pochi anni, dopo essere passata attraverso una didattica di tipo compensativo, sotto la pressione del movimento afro-americano, e` approdata all’impostazione di un modello multiculturale che e` ancora oggetto di dibattito pedagogico e socio-politico. Nella situazione attuale la riflessione pedagogica e` chiamata a svolgere un ruolo fondamentale e a raccogliere una duplice sfida: riuscire da un lato ad elaborare strategie didattiche utili a promuovere nei giovani la capacita` di accogliere e rispettare le differenze, elaborando d’altro canto le metodologie piu` efficaci per l’educazione e la formazione degli adulti stranieri immigrati, soggetti deboli, che vanno riconosciuti come persone con un proprio vissuto, una propria individualita`, in possesso di capacita`, competenze, qualita` umane che noi talvolta non vediamo64.
63 “[...] Man mano che la societa` diviene piu` illuminata, si rende conto che a lei tocca trasmettere e conservare non gia` tutto cio` cui ha dato vita, ma solo quella parte che contribuisca a migliorare la societa` futura. La scuola e` il mezzo principale per arrivare a questo scopo. [...] E` compito dell’ambiente scolastico equilibrare i diversi elementi dell’ambiente sociale, e provvedere a che ogni individuo abbia la possibilita` di sfuggire alle limitazioni del gruppo sociale nel quale e` nato, e di venire in contatto vivo con un ambiente piu` largo. [...] In un paese come il nostro si trova un gran numero di razze, affiliazioni religiose, divisioni economiche. Entro la citta` moderna, malgrado la sua unita` politica nominale, vi sono probabilmente piu` comunita`, piu` costumi differenti, e tradizioni e aspirazioni e forme di governo o di controllo, di quante ne siano esistite in epoca piu` antica in un intero continente. [...] Il mescolarsi nella scuola di giovani di razze e religioni diverse, di abitudini dissimili, ha creato per tutti un ambiente nuovo e piu` largo. Essendo comune l’oggetto degli studi, ne nasce per tutti un’unita` di visione e insieme un orizzonte piu` largo di quello dei membri di qualsiasi gruppo finche´ rimane isolato” (J. Dewey, Democrazia e educazione, cit., pp. 27-28). 64 “L’immigrato si ritrova, in tal modo, a vivere una condizione di dolorosa frantumazione e scissione tra quello che realmente e` e quello che gli altri pensano che egli sia e gli permettono di essere permanentemente in bilico tra la difesa dell’appartenenza per il timore di perdere l’identita` e la necessita` di integrarsi ai nuovi contesti di vita, per poter essere accettato e sentirsi riconosciuto” (F. Pinto Minerva, L’alfabeto dell’intercultura, in F. Pinto Minerva [a cura di], Le parole dell’intercultura, Mario Adda, Bari 1996, p. 26).
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Un pensiero problematico per una societa` plurale “L’intercultura e` dunque, soprattutto, un modo di essere del pensiero che si conquista a livello di conoscenza-comprensione-interpretazione dell’alterita`. Essa implica e comporta la pratica di un pensiero plurale e di una relazione ricca e creativa. Si tratta di un pensiero che deve apprendere a ragionare in forma esplorativa, a esaltare la propria componente critica e creativa, ad attivare ed esercitare la propria natura multiforme e complessa. Quello che si propone, dunque, e` un ‘pensiero problematico’, capace di pensare la complessita` e di muoversi dialetticamente tra i molteplici piani esistenziali e culturali del reale. In tal senso, educare al pensiero problematico e complesso significa educare a pensare in maniera complessa, cioe` a sviluppare una ‘conoscenza della conoscenza’. Una conoscenza che guarda se stessa mentre conosce e mentre agisce, mentre costruisce le proprie strutture e i propri domini cognitivi. In tal modo, riflettendo sul proprio agire conoscitivo, il pensiero complesso esercita un’azione di autoriflessivita` su quel sistema di presupposizioni che costituisce il patrimonio piu` profondo a cui la nostra mente attinge nel corso delle proprie attivita` interpretative e in cui, talora, trovano inconsapevole sedimentazione pregiudizi e stereotipi”. F. Pinto Minerva, L’intercultura, cit., p. 22.
Il discorso interculturale non ha l’obiettivo di cancellare, attraverso l’integrazione sociale, la diversita` intesa come espressione di inferiorita`; ha invece quello di promuovere una riflessione sull’alterita`, utile a favorire l’integrazione e la convivenza, riconoscendo l’altro innanzitutto come appartenente al genere umano, poi come soggetto portatore di cultura e quindi degno di attenzione e di rispetto. E` necessario riuscire a “cogliere i nessi formazione-societa`, formazionecultura, formazione-civilta` che ci costringono a revocare in dubbi le certezze del nostro etnocentrismo e della nostra cultura antropologica ed intellettuale, indicando modelli e compiti ulteriori e diversi, fissando traguardi innovativi, anzi radicalmente innovativi”65. Un serio discorso di educazione interculturale puo` partire solo dalla scuola, istituzionalmente deputata non solo all’istruzione, ma anche alla trasmissione di modelli di comportamento e alla formazione complessiva del cittadino. In un’ottica interculturale alla scuola e` assegnato il compito di favorire nei giovani un atteggiamento mentale aperto al cambiamento, pronto ad accogliere nuovi schemi culturali, scevro da preclusioni pregiudiziali. Demetrio parla di una educazione alla transivita` o mobilita` emotiva66, cioe` alla capacita` di passare da una forma mentis ad un’altra. Solo una mente
65
F. Cambi, Mente e affetti nell’educazione contemporanea, cit., p. 114. Cfr. D. Demetrio, G. Favaro, Immigrazione e pedagogia interculturale, La Nuova Italia, Firenze 1992. 66
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aperta puo` essere infatti disponibile ad accettare la diversita` culturale, a rispettare e comprendere l’altro. Un progetto formativo interculturale passa attraverso una trasformazione radicale dell’istituzione scolastica “da luogo di trasmissione e di assimilazione culturale a spazio di confronto e di elaborazione inter-trans-cultu67 rale” . La scuola della prima infanzia e` il luogo da cui si puo` partire per avviare la sperimentazione di un’educazione in chiave interculturale, a prescindere dalla presenza fisica di bambini stranieri, promuovendo “la logica e la pratica della cooperazione e del confronto con le molteplici diversita`”68. Da alcuni anni la normativa scolastica del nostro Paese ha maturato un corretto approccio interculturale che emerge pienamente negli Orientamenti per la scuola materna del 1991 in cui, nel campo Il se´ e l’altro il processo di formazione del soggetto appare fondato sul principio di alterita`, sulla relazione con l’altro. In tal modo l’interculturalita` entra nella prassi educativa non come problema aggiunto ma come elemento qualificante della formazione del soggetto che avviene essenzialmente all’interno dei rapporti interpersonali. Nella concretezza dell’agire quotidiano, poi, l’effettiva integrazione dell’alunno straniero all’interno di una classe si rivela talvolta un compito arduo per l’insegnante che non sempre possiede strumenti culturali adeguati. E` compito della pedagogia interculturale insistere quindi sulla necessita` istituzionale di un progetto globale di formazione degli insegnanti finalizzato a diffondere nella societa` un atteggiamento positivo nei confronti dell’altro, visto come persona, portatore di una cultura e di valori che vanno conosciuti, rispettati e discussi se non sembrano accettabili. Il riconoscimento dell’alterita` e` il primo passo per instaurare una relazione69, capace di generare cambiamenti nella struttura psichica e mentale dei soggetti cui e` rivolta, e quindi di produrre un intervento educativo efficace. Infatti l’efficacia di un intervento educativo e` legata alla sua capacita` di attivare un cambiamento in ambito cognitivo, o affettivo, o psichico, o relazionale che consente di evidenziare il compimento di un percorso previsto. Come sottolinea Matilde Callari Galli: “in questa prospettiva una formazione che voglia assumere all’interno dei suoi apparati teorici e delle sue pratiche metodologiche le nuove interdipendenze che caratterizzano l’attuale com67 68 69
F. Pinto Minerva, L’intercultura, cit., p. 46. Ivi, p. 47. Ivi, p. 17.
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mercio tra le culture, che non voglia ignorare le frammentazioni e le fratture violente che si inseguono senza sosta nell’attuale organizzazione spazio temporale, dovrebbe con decisione abbandonare i suoi tradizionali percorsi, porre al centro della sua riflessione i nuovi meticciati, le nuove contaminazioni culturali, scegliere come luogo privilegiato di attenzione le aree di confine, le aree incerte del nomadismo contemporaneo, rifiutando la centralita` che la modernita` affidava ad un’unica cultura, ad un unico dominio. E forse trovare nei luoghi labili, fra i popoli della diaspora, dell’esilio, delle 70 migrazioni i suoi nuovi pensieri, le sue nuove parole” . La riflessione pedagogica in ambito interculturale deve quindi riuscire ad identificare approcci in grado di generare un mutamento non traumatico nel sistema relazionale dell’immigrato che gli consenta di compiere un percorso di integrazione senza disperdere i propri valori di riferimento. Nella concretezza della prassi, la pedagogia deve poi attivare una didattica71 in grado di provocare l’accettazione e l’accoglienza della diversita` e nello stesso tempo di individuare modalita` atte a favorire i processi di apprendimento dei bambini stranieri. Per centrare quest’ultimo obiettivo e` necessario pensare ad un approccio didattico fondato sulla valorizzazione dei diversi stili cognitivi e relazionali, teso ad incoraggiare ogni forma di comunicazione favorendo cosı` la costruzione di un pensiero aperto al nuovo, pronto a recepire le ragioni degli altri perche´ consapevole di diverse rappresentazioni della realta`. Non e` cosa banale riuscire ad operare concretamente nel senso della edificazione di una societa` interculturale perche´ il concetto della valorizzazione delle differenze e` fondamentalmente estraneo alla nostra cultura che storicamente ha sempre proceduto eliminando o assimilando le differenze72 come hanno messo in luce numerosi studi antropologici. Nella prassi educativa, anche se gli insegnanti impostano il loro lavoro nel rispetto della dignita` culturale dei bambini immigrati, persiste la tendenza a trascurare le loro conoscenze pregresse e a valutarli con i nostri parametri; le difficolta` linguistiche restano in primo piano, ostacolo al raggiungimento degli obiettivi di apprendimento, ostacolo ad una completa comprensione reciproca, alla espressione piena dei loro bisogni, delle loro conoscenze e capacita`. E` importante prendere coscienza del fatto che non e` sufficiente ricono-
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M. Callari Galli, Analisi culturale della complessita`, in M. Callari Galli, F. Cambi, M. Ceruti, Formare alla complessita`, cit., p. 85. 71 Cfr. D. Demetrio, G. Favaro, Didattica interculturale, FrancoAngeli, Milano 2002. 72 F. Gobbo, Pedagogia interculturale, cit., p. 90.
` COMPLESSA I NUOVI MODELLI DELLA SOCIETA
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scere formalmente nella scuola le diversita` culturali se poi tali diversita` sono considerate nella sostanza inadeguate rispetto alle esigenze scolastiche secondo un atteggiamento etnocentrico che finisce per scivolare inconsapevolmente verso un forzato assimilazionismo o addirittura verso il razzismo.
BIBLIOGRAFIA RAGIONATA
La presente bibliografia va oltre gli autori indicati nel testo e vuole costituire un aiuto per quei lettori e studiosi che volessero approfondire le varie tematiche.
1. L’itinerario storico della pedagogia ed il percorso compiuto per la strutturazione di un autonomo statuto epistemologico. Nell’ambito di questa sezione bibliografica vengono indicati i punti di riferimento che possono consentire una lettura critica del lungo percorso compiuto dalla pedagogia verso l’elaborazione di uno statuto epistemologico autonomo; la pedagogia viene, quindi, rapportata ai contesti storico-politici, agli orizzonti filosofici e ai modelli educativi affermatisi nel corso del tempo.
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3. Societa` complessa e nuovi paradigmi formativi: teorie e modelli emergenti Il percorso bibliografico e` indicato per riflettere sui temi legati al modello della complessita` che oggi si afferma come paradigma epistemico generale di tutti i saperi, compresa la pedagogia, che ha la possibilita` di condurre ad unita` le sue antinomie affermando la propria autonomia dai saperi forti che storicamente hanno teso ad assorbirla. Tenta inoltre di fornire spunti di riflessione sull’emergere del tema della differenza (culturale, sociale, di genere) e sulle risposte che la pedagogia e` chiamata a dare.
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La formazione dei formatori Collana diretta da Elisa Frauenfelder e Vincenzo Sarracino
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M. R. Strollo, Formazione e contesto. Itinerari teorici e percorsi antologici Orizzonti multimediali della formazione, a cura di O. De Sanctis V. D’Agnese, Trame della formazione. Itinerari antologici F. M. Sirignano, La pedagogia della formazione. Teoria e storia M. Striano, La “razionalità riflessiva” nell’agire educativo L’orientamento. Questioni pedagogiche, a cura di E. Frauenfelder e V. Sarracino E. Corbi, La formazione a distanza di terza generazione. Nuove frontiere per l’educazione degli adulti A. Cosentino, Costruttivismo e formazione. Proposte per lo sviluppo della professionalità docente M. R. Strollo, L’istruzione a Napoli nel “decennio francese”: il contributo di Matteo Angelo Galdi M. D’Ambrosio, Attori, scene, autobiografie. Per un approccio “narrativo” ai media e alla formazione Lineamenti di pedagogia sociale, a cura di V. Sarracino e M. R. Fiengo A. Anceschi, La formazione degli insegnanti di musica. Il tirocinio tra prassi didattica e riflessione teorica M. R. Fiengo, Ambientare la formazione. Un “design” pedagogico per l’autonomia, introduzione di E. Frauenfelder F. Batini, M. D’Ambrosio, Riscrivere la dispersione. Scrittura e orientamento narrativo per la prevenzione A. Cioffi, Educare ai beni culturali L’orientamento nei processi formativi (a cura di), O. De Sanctis, M. D’Ambrosio F. Frabboni, Una scuola condivisa. Il suo alfabeto: democratica, inclusiva, colta, solidale