La lettera ai Romani 8839406301, 9788839406309

Il destino di Paolo apostolo è strettamente legato alla lettera ai Romani, così come il cammino della chiesa all'in

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Italian Pages 320 [312] Year 2002

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La lettera ai Romani
 8839406301, 9788839406309

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LA LETTERA Al ROMANI

Il destino di Paolo apostolo è strettamente legato alla lettera ai Romani, così come il cammino della chiesa all'interpretazione di questa lettera: da Origene a Giovanni Crisostomo e Agostino, da Tommaso d'Aquino alla Riforma e sino a oggi, ogni volta che si è voluto mettere a confronto la chiesa con l'annuncio paolino sempre si è preso spunto dalla lettera ai Romani. Precipitato della teologia di Paolo, questa richiede ali'esegeta non poco sforzo nella ricostruzione del pensiero deli'apostolo. Nel suo .commento Peter Stuhlmacher intende appunto non soltanto commentare il testo pericope per pericope e versetto per versetto, bensì anche far toccare al lettore il significato dell'opera e del pensiero di Paolo. E questo intento presiede pure ai quindici excursus che accompagnano il commento, in cui si affrontano sia momenti dell'attività missionaria di Paolo (ad esempio «Apostolo di Gesù Cristo»; Paolo e lo stato romano), sia aspetti fondamentali del Paolo teologo (la conoscenza naturale di Dio; Giustificazione in Paolo; Paolo e Israele).

NT 06/1

ISBN 88 394 0630 l

€ 27.00



9 788839 406309

Nu v Test Seconda serie

ento

a cura di Peter Stuhlmacher e Hans Weder 6 La lettera ai Romani

Paideia Editrice

La lettera ai Romani Peter Stuhlmacher

Paideia Editrice

in riconoscente memoria di Gerhard Friedrich

(20.8. I908- I 8. I. I 986)

Titolo originale dell'opera: J?.er Brief an die Romer Ubersetzt und erklart von Peter Stuhlmacher Traduzione italiana di Paola Florioli Revisione di Monica Negri © Vandenhoeck & Ruprecht, Gottingen 11998 © Paideia Editrice, Brescia 2002

ISBN 88.J94·06JO.I

Indice del volume

9

Elenco delle abbreviazioni

I3 I3 I5 23

Introduzione 1. L'incontro con la lettera ai Romani oggi 2. La lettera ai Romani come problema storico 3· Tematica e importanza della lettera ai Romani

26

Struttura della lettera

30

Introduzione della lettera ( I , I - I 7)

48

Parte prima Giustizia di Dio per giudei e gentili ( I , I 8-8,J9)

I75

223

Parte seconda Giustizia di Dio per Israele (9 , I -I I , 3 6) Parte terza La testimonianza della giustizia di Dio nella vita della comunità (I 2, I -I 5,I 3)

278

Epilogo (I 5,14-I6,27)

305

;Bibliografia

3 II

Indice analitico Excursus

34 36 44 6o 62 8I 98

1. «Apostolo di Gesù Cristo» 2. Vangelo in Paolo 3 . La giustizia di Dio per Paolo 4· La conoscenza naturale. di Dio 5. Il giudizio finale secondo le opere 6. Giustificazione in Paolo 7· Fede in Paolo

8

Indice del volume

I05

8. Giustificazione e riconciliazione 9· La concezione del battesimo ro. L'«io» in Rom. 7,7-25 I I. La dottrina paolina della legge I 2. Paolo e Israele I3· La vita dei cristiani sotto l'autorità dello stato 14. L'esortazione paolina alla comunità (paraclesi) I 5· Il cap. r6 fa parte della lettera ai Romani?

I 23

144 I53 2 I5 24 5 25 5

288

Elenco delle abbreviazioni

Scritti biblici Ab. Abacuc. Abd. Abdia. Agg. Aggeo. Am. Amos. Apoc. Apocalisse. Atti Atti degli Apostoli. Bar. Baruc. Cant. Cantico dei cantici. Col. Lettera ai Colossesi. I, 2. Cor. Prima, seconda lettera ai Corinti. I, i Cron. Primo, secondo libro delle Cronache. Dan. Daniele. Deut. Deu­ teronomio. Ebr. Lettera agli Ebrei. Ecci. Ecclesiaste. Ef. Lettera agli Efesini. Es. Esodo. Esd. Esdra. Est. Ester. Ez. Ezechiele. Fil. Lette­ ra ai Filippesi. Film. Lettera a Filemone. Gal. Lettera ai Galati. Gd. Lettera di Giuda. Gdt. Giuditta. Geri. Genesi. Ger. Geremia. Giac. Lettera di Giacomo. Giob. Giobbe. Gion. Giona. Gios. Giosuè. Giud. Giudici. Gl. Gioele. Gv. Vangelo di Giovanni. I, 2, 3 Gv. Prima, se­ conda, terza lettera di Giovanni. Is. Isaia. Lam. Lamentazioni. Le. Vangelo di Luca. Lev. Levitico. I , 2. Macc. Primo, secondo libro dei Maccabei. Mal. Malachia. Mc. Vangelo di Marco. Mich. Michea. Mt. Vangelo di Matteo. Naum Naum. Neem. Neemia. Num. Numeri. Os. Osea. I, 2. Pt. Prima, seconda lettera di Pietro. Prov. Proverbi. I, .1 Re Primo, secondo libro dei Re. I, 2, 3, 4 Regn. Primo, secondo, terzo, quarto libro dei Regni (LXX). Rom. Lettera ai Romani. Rut Rut. Sal. Salmi. 1, .1 Sam. Primo, secondo libro di Samuele. Sap. Sapienza di Sa­ lomone. Sir. Siracide (Ecclesiastico). Sof. So fonia. I, 2 Tess. Prima, seconda lettera ai Tessalonicesi. I, 2 Tim. Prima, seconda lettera a Timo­ teo. Tit. Tito. Toh. Tobia. Zacc. Zaccaria.

Scritti giudaici del II sec. a.C.- II sec. d.C.

Enoc etiopico (n sec. a.C.- I sec. d.C.). Iub. Libro dei Giubi­ lei (n sec. a.C.). 3, 4 Macc. Terzo, quarto libro dei Maccabei (I sec. a.C., n sec. d.C.). Ps. Sal. Salmi di Salomone (LXX, farisaico, I sec. a.C.). IQ, 4Q ecc. Scritti delle grotte 1, 4 ecc. di Qumran ( III-I sec. a.C.): IQH Roto­ lo degli Inni (Hodajot); 1QM Rotolo della Guerra; 1QpHab Commento a Abacuc; IQS Regola della Comunità; 4QFlor Florilegio; 4QpPs Com­ mento ai Salmi di Qumran. Test. Abr. Testamento di Abramo (I/n sec. d.C.). Test. Iob Testamento di Giobbe ( I sec. a.C.- I sec. d.C.). Test. XII Hen. aeth.

IO

Elenco delle abbreviazioni

Testamenti dei dodici Patriarchi (n sec. a.C., con interpolazioni cristiane): Test. As. Testamento di Aser; Test. Ben. Testamento di Beniamino; Test. Dan Testamento di Dan; Test. Gad Testamento di Gad; Test. Ios. Testa­ mento di Giuseppe; Test. Iud. Testamento di Giuda; Test. Lev. Testamen­ to di Levi; Test. Naph. Testamento di Neftali; Test. Sim. Testamento di Simeone. Scritti giudaià del /f/1 sec. d.C. e posteriori

Apocalisse di Mosè (I sec. d.C.). Apoc. Soph. Apocalisse di Sofonia (I sec. a.C. - I sec. d.C.). Bar. syr. Apocalisse siriaca di Baruc (ini­ zio n sec. d.C.). Ep. Arist. Lettera di Aristea (n sec. a.C. - I sec. d.C.). 4 Esd. Quarto libro di Esdra (fine I sec. d.C.). Filone Filone di Alessandria (ca. 20 a.C.- 50 d.C.): Abr. De Abrahamo; Confus. De confusione lingua­ rum; Contempi. De vita contemplativa; Decal. De decalogo; Her. Quis re­ rum divinarum heres sit; Leg. ali. Legum allegoriae; Legat. Legatio ad Gaium; Plant. De plantatione; Spec.leg. De specialibus legibus; Somn. De somniis. Ps. Filone Pseudo Filone, Liber Antiquitatum Biblicarum (I/11 sec. d.C.). Giuseppe Flavio Giuseppe (storico giudaico, n. 37/38, m. dopo il roo) : Ant. Antichità giudaiche; Ap. Contro Apione; Beli. Guerra giudai­ ca; Vit. Vita Iosephi. Hen. slav. Enoc slavo (fine I sec. d.C.). Vit. Ad. Vita di Adamo ed Eva (I sec. d.C.).

Apoc. Mos.

Letteratura profana greca e romana (Ps.) Columella, Arb. L. Giunio Moderato Columella (autore agronomista dell'epoca di Seneca, 1 sec. d.C.), Liber de arboribus, suo o di anon.imo. Corp. Herm. Corpus Hermeticum. Dio Chrys., Or. Dione di Prosa (ca. 40-1 20 d.C., poi chiamato Crisostomo), Orazioni. Elio Aristide, Or. Elio Aristide (I 29- r89 d.C., retore greco), Orazioni. Empedocle, fr. Empedo­ cle (ca. 495-435 a.C., filosofo greco), Frammenti. Epitteto Epitteto (ca. so­ I 30 d.C., rappresentante principale della stoa più recente), Dissertazioni. Euripide, Hipp. Euripide (480-406 a.C., tragico greco), Ippolito. Liv. Ti­ to Livio (59 a.C.- 1 7 d.C., storico romano). Ovidio, Metam. Publio Ovi­ dio Nasone (43 a.C. - ca. r8 d.C., poeta romano), Metamorfosi. Tacito, Hist. Cornelio Tacito (fine I sec. d.C., storico romano), Storie; Ann. An­ nali.

Scritti cristiani del /f/1 sec. d.C. e posteriori

Lettera di Barnaba (ca. IJO/I40 d.C.). 1 Clem. Prima lettera di Cle­ mente (96 ca., Roma). Did. Didachè (Dottrina dei dodici apostoli, fine I Barn.

Elenco delle abbreviazioni

II

sec., Siria?). Iust., Apol. Giustino Martire (Efeso, Roma; m. 165 ca.), Apo­ logia. Orosio, Hist. Paolo Orosio (presbitero spagnolo, m. dopo il 4 I 8), Storia �ontro i pagani. Tertulliano, Adv. Mare. Q. Septimio Florenzio Tertulliano (cartaginese, storico della chiesa, n. I 6o ca., m. dopo il 220), Contro Marcione. Lessici e opere collettive Bauer W. Bauer, Griechisch-deutsches Worterbuch zu den Schriften des Neuen Testaments und der fruhchristlichen Literatur, 6a ed. interamente riveduta, ed. K. Aland e B. Aland, I 9 88 . Bill. (H.L. Strack-) P. Billerbeck, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrasch I-IV, 19221961.

Introduzione

1.

L 'incontro con la lettera ai Romani oggi

In tutte le edizioni e traduzioni della Bibbia oggi reperibili, la lette­ ra ai Romani apre l'epistolario paolino. Il destino dell'apostolo Paolo è strettamente legato a essa, e il cammino della chiesa alla sua interpre­ tazione. Da Origene ( 1 8 5-2 54 circa d.C.) a Giovanni Crisostomo (347407 d.C.) e Agostino (3 54-43 0 d.C.), a Tommaso d'Aquino ( 1 22 5 1 274), all'epoca della riforma e sino a oggi, gli interpreti di ogni con­ fessione hanno sempre preso spunto dalla lettera ai Romani ogni vol­ ta che hanno voluto mettere la chiesa a confronto con l'annuncio del­ l' apostolo Paolo. Il protestantesimo ha un rapporto particolare con questa lettera, dal momento che l'incontro con essa segna l'ora fatale e decisiva della sua storia. Studiando la lettera ai Romani, o meglio leggendo Rom. 1 , 1 6 1 7, Lutero poté pervenire alla scoperta del vangelo della giustizia sal­ vifica di Dio, il quale per amore di Cristo giustifica il peccatore solo per fede, senza opere della legge. La sua valutazione della lettera ai Romani ha trovato espressione anzitutto nella « Vorrede all'epistola di San Paolo ai Romani» che si trova in Das Newe Testament Deutzsch, la traduzione del Nuovo Testamento alla quale Lutero attese nella Wartburg, presso Eisenach, pubblicata a Wittenberg nel settembre del 1 5 22. Egli vi scrive: Questa lettera è la parte più importante del Nuovo Testamento e il vangelo più puro, pertanto è cosa in tutto degna e meritevole che ogni cristiano non solo la conosca a memoria, parola per parola, ma la mediti ogni giorno come se fosse il pane quotidiano d eli' anima. Lutero prosegue poi precisando che chi volesse comprendere la let­ tera ai Romani deve prima apprendere cosa Paolo intenda con i prin­ cipali concetti teologici ricorrenti nella sua lettera, quali «legge», «pec­ cato», «fede», «giustizia» ecc. Dopo averli spiegati, Lutero delinea il contenuto della lettera e conclude la sua Vorrede con queste parole: -

I4

Introduzione

Dunque in q uesta lettera troviamo in modo sovrabbondante cosa deve sa­ pere un cristiano, ovvero cosa siano legge, vangelo, peccato, punizione, gra­ zia, fede, giustizia, Cristo, Dio, buone opere, amore, speranza, croce, e co­ me dobbiamo co mpo rta rci nei confronti di chiunque, sia egli pio o pecca­ tore, forte o debole, amico o nemico, e nei confronti di noi stessi. E tutto tan­ to mirabilmente motivato dalle Scritture, dimostrato da esempi di queste stesse e dei profeti, che non si può p rop rio desiderare di meglio. Pertanto è come se in questa lettera Paolo abbia voluto riassumere una volta per tutte l'intera dottrina cristiana ed evangelica e preparare un accesso all'Antico Testamento. Infatti non v'è dubbio che chi conserva questa lettera nel pro­ prio cuore ha in sé la luce e la potenza dell'Antico Testamento; per questo ogni cristiano deve aver dimestichezza con essa e meditarla di continuo . .Così Dio conceda la sua grazia. Amen. Filippo Melantone, amico di L utero, sia nei Loci communes, apparsi in prima edizione nel 1 5 2 1 , sia successivamente nel commentario alla lettera ai Romani del 1 5 3 2, ha interpretato la lettera paolina come un compendio di dottrina cristiana, e tale è stata ritenuta sino a oggi. Il pastore anglicano John Wesley ( 1 703- 1 79 1 ), uno dei fondatori del metodismo, ha vissuto la propria conversione interiore durante la pubblica lettura della Vorrede alla lettera ai Romani di Lutero. Il ri­ fiorire della teologia e della chiesa evangelica dopo la prima guerra mondiale è scandito dalla celebre opera prima di Karl Barth La lettera ai Romani ( 1 a edizione 1 9 1 9, 2a 1 92 1 ). Nel commentario alla lettera ai Romani pubblicato nel 1 93 5 con il titolo programmatico La giustizia di Dio, Adolf Schlatter ha evidenziato che l'annuncio di Paolo non può essere semplicemente identificato con l'interpretazione di Lutero e dei suoi discepoli, anzi va molto più in là. La presentazione che di Paolo fa Rudolf Bultmann nella sua Theologie des Neuen Testaments ( 1 9 5 3) è fortemente condizionata da Lutero, mentre Ernst Kasemann nel suo commentario alla lettera ai Romani del 1 973 ha continuato con coerenza la strada aperta da A. Schlatter. Anche per lui la giustizia di Dio costituisce il tema principale della lettera ai Romani, nella qua­ le scorge «la signoria di Dio sul mondo che si rivela in Cristo». Con tale interpretazione Kasemann ha convinto non solo Paul Althaus, il quale nel I 96 5 ha rielaborato ancora una volta a fondo il suo commen­ to alla lettera ai Romani ( 1 9 3 5, precedente questo nuovo nostro com­ mento), ma anche Ulrich Wilckens, il cui commento in tre volumi, Der Brief an die Romer ( 1 978- I 9 82 [e nuove edizioni]), ha imposto cri­ teri interpretativi che resteranno insuperati ancora a lungo.

La lettera ai Romani come problema storico

I5

Ad ogni modo ormai da tempo l'interpretazione della lettera ai Ro­ mani non è più d'esclusiva competenza protestante. Nei paesi di lin­ gua tedesca oggi ciò è testimoniato anzitutto dai cospicui commentari alla lettera ai Romani di Otto Kuss ( 1 9 5 7- 1 978) e Heinrich Schlier ( I 977). Dal punto di vista della chiesa è certo fonte di gioia vedere che i fronti delle diverse confessioni, irrigiditi ormai da secoli, si vanno ammorbidendo proprio grazie allo studio della lettera ai Romani, con­ cedendo quindi ampio spazio a una comune consapevolezza che la chiesa di Gesù Cristo vive del vangelo, e solo testimoniandolo trova giustificazione alla propria esistenza. Inoltre, che questo vangelo è l'an­ nuncio della giustizia di Dio in e per mezzo di Gesù Cristo così come lo sviluppa Paolo nella lettera ai Romani attualmente non è più ogget­ to di discussione tra cattolici e protestanti. 2.

La lettera ai Romani come problema storico

2. I.

Lo status quaestionis

Interpretare la lettera ai Romani oggi non può più significare sol­ tanto enucleare la dottrina che l'apostolo vi espone. Certo nell'inter­ pretare Paolo tale dottrina non può mai essere ignorata, ma se si pre­ sta attenzione a essa soltanto, diviene facile perdere di vista che il van­ gelo biblico ha ricevuto da Dio una figura storica inconfondibile: in primo luogo nella persona e nel destino di Gesù di N azaret, e poi, do­ po la pasqua, nella testimonianza resagli dagli apostoli. La lettera ai Ro­ mani è potuta diventare per la chiesa il compendio della dottrina cri­ stiana solo perché originariamente si trattava di una lettera scritta da Paolo per informare i cristiani che vivevano a Roma su come stavano realmente le cose riguardo al suo vangelo. Al di là dell'effetto scon­ volgente che la lettera ai Romani ha avuto e continuerà ad avere sulla chiesa, non è bene dimenticare l'epoca e il contesto storico in cui essa ebbe origine. Le vie di Dio relative alla chiesa e ai singoli credenti non sono semplicemente sovratemporali, ma vengono sperimentate nella storia. Queste vie si comprendono tanto più a fondo quanto più chia­ ramente viene delineata la vicenda storica di Gesù e degli apostoli. Nel secolo scorso nessuno ha saputo evidenziare questo concetto in rela­ zione alla lettera ai Romani in modo più efficace di Ferdinand Chri­ stian Baur ( 1 792-1 86o), a partire dal r 8 26 docente di Storia della chie­ sa alla Facoltà di teologia evangelica di Tubinga. Per Baur la lettera aì

I6

Introduzione

Romani può essere valutata dal punto di vista teologico soltanto dopo aver preso in esatta considerazione tutte le implicazioni storiche con­ nesse alla sua stesura. Solo così facendo per Baur non si corre più il pericolo di intendere ad esempio Rom. 9- I I unicamente come inse­ gnamento paolina sulla provvidenza di Dio (così Lutero) o addirittu­ ra di parlarne come di una digressione sul problema d'Israele, fonda­ mentalmente superflua ai fini della comprensione della dottrina della giustificazione (così alcuni interpreti moderni). Si constata invece che proprio in questi capitoli l'apostolo lotta contro i giudaizzanti di Ro­ ma per dimostrare che il suo vangelo universale della giustizia di Dio è. valido e ricco di promesse anche per Israele; secondo questa pro­ spettiva storica i tre capitoli si pongono allora al centro della lettera, rappresentandone uno dei punti nodali. L'esempio di Baur ha fatto scuola, con il risultato che oggi un'interpretazione paolina veramente seria deve sempre porsi un duplice interrogativo: quale profilo storico e quale significato oggettivo ha ciò che scrive l'apostolo nelle lettere conservateci ? L'importanza capitale che la lettera ai Romani riveste per la chiesa, insieme alla circostanza che in essa Paolo di fatto tratta diffusamente del vangelo e delle sue conseguenze, non aiutano certo a stabilire con quale intento l'apostolo abbia redatto questa lettera dottrinale. Un nu­ trito gruppo d'interpreti è dell'avviso che l'indirizzo «Roma» sia di secondaria importanza per tale lettera, facendo notare che Paolo, co­ me egli stesso dichiara, scrive a una comunità di cristiani a lui perso­ nalmente ancora sconosciuta, della quale è stato informato solo da ter­ zi (cf. I ,9 ss.; I 5,22 ss.), e ritengono Rom. I 6 un'aggiunta successiva alla lettera, che originariamente terminava al cap. I 5· In I 5,2 5 -3 2 Pao­ lo riferisce che prima di recarsi a Roma vorrebbe condurre a buon fi­ ne il mandato della colletta affidatogli al concilio apostolico (cf. Gal. 2, 1 0) portando di persona a Gerusalemme le offerte raccolte. In tale contesto chiede che i cristiani di Roma preghino per lui, «affinché io sia liberato da coloro che in Giudea non obbediscono (al vangelo) e il mio servizio a Gerusalemme torni gradito ai santi (là)» (v. 3 I ). In base a tali dichiarazioni, questi interpreti così definiscono l'intento della lettera ai Romani: di fronte alle difficoltà e ai pericoli che lo attendono a Gerusalemme, Paolo stende un resoconto complessivo della sua pre­ dicazione per portarlo con sé in questa città. Ne invia però una copia �nche ai cristiani di Roma, perché spera che essi non solo intercedano

La lettera ai Romani come problema storico

I7

per lui, ma anche lo raccomandino presso gli abitanti di Gerusalem­ me. In questa prospettiva, Roma è per così dire solo l'indirizzo pro forma dello scritto dottrinale, destinato principalmente ai rappresen­ tanti della comunità primitiva di Gerusalemme. Tale soluzione del problema non riesce a celare una certa artificiosi­ tà. Per questo motivo un secondo gruppo di interpreti tenta di ricer­ care anzitutto nella stessa Roma lo spunto per la stesura della lettera. Costoro fanno notare che Paolo doveva essere perfettamente a cono­ scenza della vita e dei problemi della comunità cristiana romana, dal momento che in I 4, 1 - I 5 , 1 3 esorta i cosiddetti «forti» e «deboli» ad «accogliersi» gli uni gli altri con sollecitudine fraterna. Come risulta da recenti ricerche sulla storia del testo, anche il cap. 1 6 non può più essere ritenuto un'appendice aggiunta successivamente alla lettera; con­ viene piuttosto ipotizzare che la lettera comprendesse già in origine tutti e 1 6 i capitoli (v. sotto, pp. 288 ss.). Diventa così effettivamente le­ cito supporre che Paolo ricevesse orientamenti circa la situazione dei cristiani di Roma dai suoi amici e conoscenti, che menziona in I 6,31 6; questo canale informativo era favorito dalla celerità degli antichi collegamenti postali tra Italia e Grecia. Diventa pertanto storicamente opportuno ricercare prima di tutto a Roma il motivo della stesura del­ la lettera ai Romani (per quanto con ciò non si possa né si debba esclu­ dere a priori che l'apostolo abbia esposto anche a Gerusalemme alcuni dei concetti di base espressi nella lettera ai Romani). Per quanto semplice, tale supposizione necessita tuttavia di confer­ me e motivazioni storiche che vadano al di là dei rimandi alle indica­ zioni concrete dell'apostolo in I 4, I- I 5 , I 3 e alla cerchia degli amici di Paolo nominati in I 6,3 ss. Tali motivazioni possono senz' altro essere fornite: basterà approfondire e precisare gli accenni illuminanti che il successore di F.Chr. Baur a Tubinga, Cari Weizsacker, ha fornito per la comprensione storica della lettera ai Romani nel suo libro L 'epoca apostolica della chiesa cristiana, apparso già nel I 8 8 6. Spinto da Baur, Weizsacker parte dalla supposizione che nella lettera ai Romani Paolo difenda il suo vangelo dagli attacchi di «maestri giudaizzanti>>: «La lettera ai Romani è uno scritto polemico non solo contro dottrine giu­ daizzanti, ma indubbiamente anche contro l'attività giudaizzante» (op. cit., 440). Secondo Weizsacker, Paolo ha un motivo pressante per scrivere a Roma: ha appreso infatti che. tra i cristiani della città sono all'opera giudaizzanti «i quali ... volevano introdurre il vangelo della _

I8

Introduzione

legge mostrando con l'esempio di Paolo dove può portare il vangelo se è predicato senza la legge)) (op. cit. , 44 I ). Se si considera la situazio­ ne in cui si trovava Paolo al momento della stesura della lettera, e se si tiene conto inoltre della condizione dei cristiani di Roma nel mede­ simo periodo, di fatto risulta confermata la posizione sostenuta da Weizsacker. 2.2. La situazione di Paolo Nel momento in cui dettava la lettera ai Romani (presumibilmente nella primavera dell'anno 56 d.C.) a Corinto, in casa di Gaio (cf. Rom. 1 6,22 s. con Atti 20,3 s.), Paolo si trovava davanti a una svolta decisiva della sua attività missionaria. Nel mondo mediterraneo orientale ave­ va portato al pieno sviluppo il vangelo di . Cristo affidatogli, e aveva . condotto a termine secondo le istruzioni l'incarico di raccogliere la colletta. Progettava perciò di estendere la sua azione missionaria in Occidente, spingendosi sino in Spagna; secondo tale piano Roma do­ veva divenire il suo nuovo punto di partenza (cf. I 5 , 1 5-29). Certo l'a­ zione di Paolo in Oriente si era svolta non senza contestazioni. Non solo l'apostolo si era trovato in continuo conflitto con i tutori dell'or­ dine pubblico e con rappresentanti delle comunità giudaiche nella sua area di missione (cf. 2 Cor. I 1 ,24-27), ma aveva anche dovuto speri­ mentare in misura crescente la critica da parte di giudeocristiani ligi ai riti e più fedeli di lui alla legge di Mosè. Al concilio apostolico di Ge­ rusalemme, nel 48 d.C., costoro non erano riusciti a imporsi contro Paolo e Barnaba (cf. Gal. 2,3 s.; Atti I 5 , 1 s.24). Quando però, dopo il concilio, l'apostolo si scontrò con (gli inviati di Giacomo, fratello del Signore, e) Pietro in merito alla questione della comunione dei pasti tra giudeocristiani ed etnicocristiani ad Antiochia, non riuscì a impor­ re il proprio punto di vista sulla libertà dei secondi da ogni obbligo della legge; dovette quindi proseguire senza Barnaba la sua missione tra i gentili (Gal. 2, I I - I 4; Atti I s,J6-4 I ). A questo punto i suoi op­ positori ritennero che fosse giunto il loro momento. Tollerati se non addirittura sostenuti da Giacomo, fratello del Signore, e richiamando­ si ai veri apostoli, quelli scelti prima di Paolo, e anzitutto a Pietro, mi­ sero in atto da Gerusalemme e da Antiochia una sorta di contromis­ sione. Per prima cosa, in Galazia tentarono d'allontanare dal vangelo dell'apostolo le comunità da lui fondate (cf. Gal. 1 ,6 ss.; J,I ss.; 5,7 ss.;

La lettera ai Romani come problema storico

I9

6, I 2). Poi seguirono Paolo a Tessalonica (cf. 1 Tess. 2, 5 ss.) e a Filippi (cf. Fil. 3,2 ss. 18 s.), a Corinto suscitarono grande agitazione con il lo­ ro «altro vangelo>> (2 Cor. I I ,4.2 I ss.) e infine, senza che Paolo potes­ se impedirlo, anche a Roma cominciarono a far fronte comune contro di lui e contro il suo vangelo, che a parer loro era stato eccessivamente adattato ai desideri dei lassi gentili (Gal. I , I o; 2 Cor. 5 , I o): secondo Rom. 3,8, a Roma «certa gente calunnia» Paolo insinuando che egli vada predicando: «Facciamo (tranquillamente) ciò che è male, affinché {ne) venga il bene! » (3,8), e suscitando «divisioni e ostacoli contro la dottrina che avete appreso» ( I 6, I 7 ). Da lontano, all'apostolo non resta che respingere con la massima durezza queste calunnie, raccomandan­ do ai cristiani di Roma di non frequentare quelle persone (cf. 3 ,8; I 6, I 7). Se infatti gli oppositori riuscissero a prender piede a Roma prima che Paolo stesso possa giungere nella capitale del mondo, i suoi pro­ getti missionari relativi alla Spagna sarebbero seriamente compromes­ si. Paolo scrive la lettera ai Romani per rendere edotti i cristiani della città circa il suo vangelo e le sue reali intenzioni, sperando con il suo scritto d'essere ancora in tempo ad arginare l'agitazione che i suoi op­ positori giudeocristiani cominciavano a seminare in Roma. 2. 3 . La situazio ne dei cristia ni di Roma Purtroppo non si conosce chi sia stato a portare il cristianesimo a Roma. Considerando l'elevatissima mobilità documentata per gli abi­ tanti del mondo greco-romano del I sec. d.C., saranno stati commer­ cianti e artigiani giunti a Roma da Gerusalemme e Antiochia. Proba­ bilmente anche la coppia di (coniugi) apostoli Androni co e ·Giunia, elogiati da Paolo in Rom. I 6,7, presero parte attiva alla missione ro­ mana. Come nelle altre grandi città del mondo mediterraneo, anche a Roma la fede cristiana prese piede dapprima tra i numerosi giudei ivi residenti e tra i «timorati di Dio» raccolti attorno alle sinagoghe. Al­ lorché, in seguito alla missione cristiana nelle sinagoghe romane, fini­ rono per verificarsi dei tumulti, l'imperatore romano Claudio espulse dalla città i fomentatori dei disordini, tra i quali si trovavano anche Aquila e Prisca, che Paolo incontrerà a Corinto (cf. Atti 1 8,2). Dell'edit­ to di Claudio riferisce Io storico romano Svetonio nella sua biografia di Claudio (§ 2 5) esprimendosi così: Claudio I udaeos imp ulsore Ch re ­ sto assidue tum ultua ntes Roma e xpulit (l'imperatore Claudio «espulse

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Introduzione

da Roma i giudei, continuamente in tumulto su istigazione di Cre­ sta»). Con ogni probabilità «Cresta» non indica un sovversivo roma­ no bensì Gesù Cristo, il cui nome ingenerava disordini tra i giudei di Roma. Secondo la datazione assolutamente attendibile fornita dallo storico romano Orosio (Hist. 7,6, 1 5), l'editto risale all'anno 49 d.C. Il provvedimento di Claudio ebbe conseguenze radicali per il giovane cristianesimo romano. Come mostra l'esempio di Aquila e Prisca, l'e­ ditto colpì non solo giudei ma anche giudeocristiani. Dopo la loro espulsione, nella città rimasero soprattutto etnicocristiani. Questi si trovarono così nell'impossibilità di organizzare ancora le proprie ri.: unioni comunitarie in qualità di «sinagoghe particolari» avvalendosi dei privilegi religiosi e legali dei giudei; dovettero invece costituire del­ le proprie associazioni comunitarie libere, senza appoggiarsi alle sina­ goghe giudaiche. In tal modo si trovarono molto più esposti di prima alla diffidenza romana nei confronti di ogni forma di superstizione orientale; inoltre dovettero cominciare a osservare l'ordinanza in vi­ gore dall'epoca di Cesare (assassinato nel 44 a.C.) che vietava a tutte le associazioni private e pubbliche di aderire a qualsivoglia agitazione di matrice politica o vicina alla politica. Contravvenire a tale divieto avrebbe significato l'immediato scioglimento delle comunità (associa­ tive). Come documenta Rom. 1 6, anche al tempo della lettera ai Ro­ mani i cristiani della città erano organizzati soltanto in singole comu­ nità domestiche; non costituivano ancora un'unica comunità, alla qua­ le Paolo avrebbe potuto scrivere. La lettera ai Romani perciò dev'es­ sere stata fatta circolare da una comunità domestica all'altra, dove ve­ niva ogni volta letta e discussa. L'editto di Claudio restò in vigore solo fino alla sua morte. Dopo l'ascesa al trono del suo successore Nerone (54-68 d.C.) i giudei e i giudeocristiani scacciati da Roma poterono a poco a poco farvi ritor­ no. Ad esempio anche Aquila e Prisca, stando a 1 6,3 s., colsero questa occasione, e con loro diversi altri giudei e giudeocristiani. Il ritorno di quanti erano stati espulsi pose i cristiani di Roma di fronte a nuovi problemi. Gli etnicocristiani che nel frattempo si erano stabiliti nella città tutt'a un tratto si trovarono davanti al compito di integrare nelle comunità domestiche quei giudeocristiani che facevano ritorno, con tutte le peculiarità a cui non erano avvezzi; oltre a ciò si trovarono an­ che esposti alle critiche di tutti quei giudei che erano stati scacciati da Roma a causa della missione cristiana. Infine, quanti ritornavano ave-

La lettera ai Romani come problema storico

2I

vano partecipato, nelle località del loro esilio, a una parte delle con­ troversie sorte in Galazia, a Efeso (cf. 2 Cor. 1 ,8 ss. con Atti 1 9,23 -20, 2), Filippi e Corinto in merito al vangelo predicato da Paolo, e aveva­ no perciò avuto contatti non solo con Paolo e i suoi collaboratori, ma anche con i «contromissionari» che li seguivano. Se già gli etnicocri­ stiani residenti a Roma potevano avere opinioni contrastanti riguardo alla missione di Paolo, tanto più le comunità domestiche affollate di rimpatriati del 5 6 d.C., anno in cui Paolo scriveva loro. Se veramente voleva che avesse successo la missione in Spagna, per cui dipendeva dal sostegno dei cristiani di Roma ( 1 5,24), con la sua lettera l'apostolo non solo doveva confutare i detrattori che lo stavano precedendo a Roma, ma al tempo stesso e anzitutto doveva convincere i cristiani delle comunità domestiche romane della verità del suo vangelo. Con­ siderata da questa prospettiva, la lettera ai Romani è molto più di un semplice scritto polemico; doveva essere invece una lettera dottrinale, se non voleva fallire il suo scopo storico missionario. 2.4.

La lettera ai Romani come resoconto

Se si considera la situazione in cui si trovavano Paolo e i cristiani di Roma nel momento in cui l'apostolo scriveva, le particolarità della lettera ai Romani, da sempre evidenziate, si spiegano senza difficoltà. Anzitutto colpiscono l'ampiezza e il tono della lettera. Dal primo al­ l'ultimo capitolo Paolo si sforza quasi di proposito di tributare rico­ noscimento ai cristiani di Roma come spetta loro vista la grande fede per cui sono famosi in tutto il mondo antico (cf. ad es. 1 ,8 ss.; 6, 1 7; 7, 1 ; 1 5 , 1 4 s.; I 6, 1 7- 1 9). Allo stesso tempo sviluppa le sue argomenta­ zioni in modo tale che il suo scritto dottrinale appaia persuasivo e conforme alla conoscenza di fede dei cristiani di Roma, mentre le af­ fermazioni degli oppositori non sono altro che calunnie e falsità che poco o nulla hanno a che vedere con la tradizione di fede propria di Roma. Si può essere certi di quest'affermazione perché dietro le do­ mande retoriche che interrompono di continuo l'argomentazione del­ l' apostolo si intravedono le obiezioni critiche che da parte avversa venivano mosse alla predicazione di Paolo. Proprio per questo in 3,3 1 l'apostolo domanda: «Togliamo dunque ogni valore alla legge median­ te la fede? Nient'affatto! », oppure in 6, 1 : «Dobbiamo restare nel pec­ cato affinché abbondi la grazia? Nient'affatto! », o in 6, 1 5 : «Dobbiamo

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Introduzione

peccare perché non siamo (più) sotto la legge ma sotto la grazia? Nient'affatto ! », o ancora in 7,7 ss.: « ... la legge è peccato ? Nient'affat­ to ! ... La legge è santa e santo e giusto e buono è il comandamento», ecc. Il discorso che qui Paolo porta avanti e nel quale finisce per coin­ volgere i suoi lettori è un vero e proprio dialogo. L'apostolo lotta per conquistare i cuori e la comprensione dei cristiani di Roma, e questo di fronte alle obiezioni critiche contro il suo vangelo che sono state espresse in quella città e che hanno radici principalmente giudeocri­ stiane. Se la lettera di Giacomo s'è diffusa da Gerusalemme nel mondo mediterraneo già prima della morte di Paolo, ipotesi storicamente più che attendibile, allora si possono dedurre da Giac. 2, I 8-26 le argo­ mentazioni alle quali ricorrevano gli oppositori di Paolo, protetti e in­ coraggiati dal fratello del Signore, a proposito della giustificazione. Per quanto nella sua lettera l'apostolo venga incontro ai cristiani di Roma, e per quanto, grazie alle allusioni e alle citazioni della tradizio­ ne che inserisce di continuo nel testo, ponga in evidenza che la sua dot­ trina concorda con la tradizione dottrinale e confessionale_ recepita dai cristiani romani (cf. solo I,J s.; 3,2 5 s.; 4,2 5; 6, I 7; 8,3; I o,9; · I J,8 s.; I4, 1 7; I 5 , 1 4 s.), tuttavia sotto un aspetto è inflessibile: non può né vuole cambiare nulla del vangelo di Gesù Cristo a lui affidato. Esso è stato dato a lui (e a tutti i cristiani), e precisamente nell'invio storico del messia Gesù Cristo da parte di Dio, nella sua morte espiatrice, risurre­ zione ed elevazione alla destra di Dio, e nella sua elezione a redentore e giudice del giudizio universale. In questo vangelo è rivelata la giusti­ zia salvifica di Dio, e in esso non v'è nulla su cui cavillare. Quando in 1 ,16 l'apostolo ribadisce di non vergognarsi del vangelo, tale frase fa capire ad amici e nemici fin dall'inizio della lettera che anche a Roma Paolo ha intenzione di sostenere la causa affidatagli, qualunque cosa o persona gli si possa contrapporre. Né l'apostolo passa sotto silenzio l'altra faccia della medaglia a proposito del legame con l'unico vangelo di Dio, riguardo al quale non è meno inflessibile che nella lettera ai Galati e nella seconda ai Corinti. Lì scaglia l'anatema contro coloro che predicano un «altro vangelo» o un «altro Cristo», smascherandoli come messaggeri del diavolo sotto mentite spoglie (cf. Gal. I ,9; 2 Cor. 1 I,4.I3-1 5). Analogamente anche nella lettera ai Romani: chi sostiene che Paolo predica solo la «grazia a buon mercato» (D. Bonhoeffer) deve subire il giudizio divino in quanto servo di satana (3,8; I 6, I 7 s.2o). Ta­ le replica agli oppositori è tanto dura quanto evidente ne è la ragione:

Tematica e importanza della lettera ai Romani

23

chiunque dubiti anche solo in minima parte, o intenda apportare una qualsiasi correzione al fatto che in e per mezzo di Cristo Dio giustifi­ ca gli empi malvagi, e questo senza opere della legge ma solo in base alla fede loro donata (cf. 3,28; 4, 5 . 24 s.), costui mette in dubbio la sal­ vezza escatologica destinata a giudei e gentili. Ma è proprio questo che Paolo, il quale in quanto apostolo vive e muore per il vangelo ( 1 Cor. 9, 1 6; Rom. 1 , 1 -7. 1 6), non può né vuole tollerare. Che non an­ nuncia la grazia a buon mercato, bensì quella «a caro prezzo» (D. Bonhoeffer), Paolo lo rende evidente insegnando a vedere nel vangelo l'annuncio dell'azione di salvezza e della signoria giudicante di Cristo (cf. 2, I 6); al tempo stesso Paolo ribadisce che la fede pone al servizio della giustizia e nell'adempimento della volontà di Dio (6, 1 7 ss.; 8,4 ss.; 1 2, 1 ss.). A. Schlatter ha pienamente ragione: Paolo non scompone la grazia divina «in due doni l'uno successivo all'altro» detti «giustifica­ zione e santificazione», ma piuttosto «in lui l'adesione di fede al Si­ gnore (determina) totalmente la conoscenza e la volontà dell'uomo (po­ nendo) tutta l'impostazione della sua vita sotto l'azione del Cristo». 3 · Tematica e importanza della lettera ai Romani Considerando l'intestazione della lettera in 1 , 1 -7, costruita a regola d'arte, e la sua conclusione in 1 6,2 5 -27, che è formulata in modo non meno accurato e rinvia ancora una volta al prescritto iniziale, non può più essere in discussione quale sia il tema della lettera ai Romani: è il vangelo affidato a Paolo, che in quanto vangelo di Cristo è rivelazione della giustizia salvifica di Dio per giudei e gentili ( I , I 6- 1 7). Di fatto la lettera ai Romani tratta della giustizia di Dio in ognuno dei suoi capi­ toli (A. Schlatter, E. Kasemann, U. Wilckens e altri), ma lo fa non co­ me una dissertazione avulsa dal contesto, bensì nella forma di un pressante dialogo in grande stile con i cristiani di Roma sul contenuto e le reali proporzioni del vangelo paolino, criticato fin nella capitale da giudeocristiani e giudei. Trovandosi alle soglie di un nuovo capito­ lo della sua missione tra i gentili ( 1 5,23 s.), l'apostolo scrive ai cristiani di Roma un resoconto in cui difende la propria causa, cercando di con­ solidarla il più possibile nella città. Ciò che l'apostolo non poteva ancora immaginare nel dettare la sua lettera era che non sarebbe giunto a Roma se non come prigioniero romano (Atti 28, 1 1 -3 1). Paolo patì infatti il martirio a Roma sotto Ne-

24

Introduzione

rone all'inizio degli anni Sessanta (1 Clem. 5 ,4-7). La lettera con la qua­ le intendeva spalancare al vangelo le porte dell'Occidente è divenuta per la chiesa il «testamento di Paolo)), secondo una bella espressione di Giinther Bornkamm. I suoi stessi oppositori erano disposti ad ammettere che Paolo era un eccellente epistolografo (2 Cor. I o, I o). Per quanto concerne la let­ tera ai Romani, il mandato missionario, dei buoni amici e gli opposi­ tori che lo provocavano hanno indotto l'apostolo a elaborare formu­ lazioni divenute spiritualmente autorevoli per la chiesa d'ogni tempo. In nessun'altra parte della sacra Scrittura la sostanza del vangelo è esposta con maggiore chiarezza e pregnanza che nella lettera ai Roma­ ni. È questo a costituire l'importanza teologica della lettera. Dal momento che Paolo e Gesù sono stati più volte contrapposti, quanto affermato sopra va precisato meglio: dalla lettera ai Romani non solo si può ricavare come l'apostolo abbia compreso e testimoniato il vangelo, ma le sue affermazioni chiariscono anche che cosa innanzi­ tutto il vangelo è. Paolo sa e approva che la dottrina da lui elogiata in Rom. 6, I 7 è il «vangelo» di tutti gli apostoli provenienti da Gerusa­ lemme, da lui citato alla lettera in I Cor. I 5 ,J- 5 . In esso, come pure nei testi della tradizione citati da Paolo in I ,3 s.; 3,2 5 s.; 4,2 5, egualmente provenienti da questa città, viene definitivamente fissato chi Gesù stesso voleva essere e come egli abbia inteso il proprio sacrificio sulla croce, culminante sul Golgota. Gesù s'è visto come messia - Figlio dell'uomo inviato a Israele; in quanto servo di Dio prescelto per tale compito (cf. /s. 5 2, I 3 - 5 3, I 2), con il proprio sacrificio sulla croce vole­ va anzitutto ricondurre il popolo eletto, e al suo seguito anche i genti­ li, alla pace con Dio, dalla quale tutti si erano allontanati a causa del peccato. Ne sono prova Mc. I 0,4 5 par. e le parole dell'ultima cena in Mc. I 4,22-2 5 par. Poiché Paolo cita espressamente (nella versione lu­ cana) la tradizione dell'ultima cena in I Cor. I I ,23 -26, definendo l'an­ nuncio del destino di passione del servo di Dio Gesù Cristo come il vangelo proclamato da tutti gli apostoli e da lui stesso (cf. I Cor. 1 5 , 1 I e Rom. I o, I 6 s.), il cerchio si chiude: non solo nelle formule tradizio­ nali citate da Paolo, ma anche e soprattutto nelle formulazioni sue proprie del vangelo è fissato una volta per tutte chi era Gesù e che co­ sa ha portato a giudei e gentili in nome di Dio, ossia la salvezza come comunione divina mediante la morte espiatrice del servo di Dio. Il vangelo paolino, di cui l'apostolo rende conto in Romani, è la chiave

Tematica

e importanza della lettera ai Romani

2S

per comprendere Gesù; viceversa, l'esistenza messianica di Gesù è d'aiuto nella comprensione del vangelo così come lo insegna Paolo. Lutero ha annoverato la lettera ai Romani tra i libri della Bibbia «che ti mostrano Cristo e insegnano tutto quello che ti serve e ti è fonte di gioia sapere, anche se non vedrai né udirai mai nessun altro libro né dottrina». Il che è vero ancora oggi. Per finire, un breve cenno riguardo alla dedica. L'eredità che Ger­ hard Friedrich ha lasciato nel campo dell'esegesi di (Antico e) Nuovo Testamento va individuata principalmente nell'opera monumentale ini­ ziata nel I 9 3 3 da Gerhard Kittel, continuata dopo la seconda guerra mondiale da Friedrich e portata a termine nel 1 979, il Theologisches Worterbuch zum Neuen Testament. I più significativi contributi scrit­ ti da Friedrich sono apparsi nel 1 978, editi dalla Vandenhoeck & Rup­ recht di Gottingen sotto il titolo Aufdas Wort kommt es an. Gesammel­

te Aufsatze zum 70. Geburtstag herausgegeben von johannes H. Fried­ rich. In questo volume si trova anche una bibliografia relativa agli an­ ni 1973- 1 978, proseguimento di quella per il periodo 1 934- I 972 tratta dalla Festschrift per G. Friedrich Das Wort und die Worter, apparsa nel I 973 ed edita da H. Balz e S. Schulz. Personalmente io ebbi l'ono­ re di conoscere G. Friedrich nel 1 967 a Erlangen; da allora egli diven­ ne mio paterno mentore. In origine intendeva scrivere egli stesso il commento alla lettera ai Romani per il Neues Testament Deutsch, edi­ to da lui e Paul Althaus, e così chiamato dal Testamento di settembre di Lutero (v. sopra, p. I J) (cf. la sua voce Romerbrief nella RGG3 v, 1 1 3 7- 1 1 43). Dopo essere divenuto, su iniziativa di Friedrich, coedito­ re della collana, mi fu da lui affidata la stesura del volume. Ora che fi­ nalmente il commento è ultimato, non posso che dedicarlo con grati­ tudine alla memoria di quest'uomo straordinario (cf. Ebr. I J,7)·

Struttura della lettera

Nell'antichità molto più di oggi, la redazione di una lettera era un'abi­ lità che andava appresa. Non concerneva solamente l'arte dello scrive­ re in quanto tale, ma anche e in misura ancora maggiore la capacità di sapersi esprimere in modo corretto e pertinente davanti agli altri in determinate situazioni. Pur essendo nato in Cilicia, nella metropoli commerciale di Tarso, Paolo fu educato a Gerusalemme alla scuola di Gamaliele I, ove ricevette l'istruzione di scriba (cf. Atti 22,3). Quanto possedeva in formazione e capacità retorica, non lo aveva appreso né in una delle antiche accademie d'élite di Pergamo o di Alessandria, né in una delle maggiori scuole greche di retorica, bensì dall'istruzione di base ricevuta a Gerusalemme prima e nel corso della frequenza alla scuola di Gamaliele. Fin dal livello inferiore della formazione elleni­ stica si usava svolgere esercitazioni di retorica impratichendosi nella stesura di determinati tipi di testo. Anche i rabbi conoscevano e ap­ prezzavano questi progymnasmata. Evidentemente Paolo vi si applicò con successo, dal momento che i suoi stessi oppositori ammettevano che le lettere da lui redatte erano «energiche e piene di forza», mentre trovavano poco convincente la sua presenza fisica (cf. 2 Cor. Io, I o) . Se si cerca di comprendere la lettera ai Romani dal punto di vista retorico, si potrebbe tutt'al più definirla con David A une e Klaus Ber­ ger un logos protreptikos. Il verbo greco 7tpo'tpÉ7tetv (protrepein) signi­ fica «far notare qualcosa a qualcuno, interessare qualcuno a qualco­ sa», e un logos protreptikos è propriamente «uno scritto di propaganda mirante in primo luogo a trovare seguaci che si dedichino a una de­ terminata disciplina, in particolare alla filosofia» (K. Berger). Il genere del logos protreptikos era abbastanza flessibile e aperto da poter essere trasformato anche in una lettera ampia e meditata, com'è illustrato dalla lettera ai Romani che Paolo dettò al suo collaboratore Terzo nel corso di svariate settimane (v. sotto, pp. 299 s.). Le lettere antiche seguivano uno schema epistolare ben preciso. Al­ l'inizio venivano nominati mittente e destinatari(o), si esprimevano sa-

Struttura della lettera

17

luti ed eventualmente anche ringraziamenti; seguiva poi la lettera vera e propria, che si concludeva con saluti e auguri. Paolo conosceva e im­ piegava tale schema. La scrittura su papiro era faticosa e richiedeva molto tempo. Ancora non si usava ricorrere a una suddivisione della lettera in capitoli, né si apponevano titoli che evidenziassero singole unità di senso. Per il lettore e il destinatario (o i destinatari), la strut­ tura di una lettera e gli argomenti trattati dovevano emergere chiara­ mente dal testo, scritto senza interruzioni, e dalle caratteristiche strut­ turali. Se si pone attenzione a tali peculiarità nella lettera ai Romani e ci si sforza di seguirle, ne risulta una suddivisione accuratamente strut­ turata dello scritto: 1,1-17 1,1-7 II. 1,8-17

Introduzione della lettera

I.

Intestazione Introduzione ed enunciazione del tema: il vangelo paolino della giustizia di Dio per tutti i credenti

1,1 8-8,J9 I. 1,18-J,20 I. I,I8-J2 2. 2,1-29 2.1. 2,1- 1 I 2.2. 2,12-16 2.J. 2,17-29 3· 3,1-8 4· 3,9-20

Parte prima. Giustizia di Dio per giudei e gentili

Gentili e giudei sotto l'ira di Dio I gentili sotto l'ira di Dio I giudei sotto l'ira di Dio Giudizio imparziale di Dio Il criterio del giudizio La colpa dei giudei Obiezioni Giudei e gentili sotto il peccato La giustizia di Dio come giustizia di fede e motivo della riconciliazione I. 3,21-26 Giustizia di Dio nella morte espiatrice di Gesù Cristo 2. 3,27-3 I L'universalità della giustificazione 3· 4,1-2 5 La giustizia della fede già promessa ad Abramo 4· 5,1-1 I Lo stato di riconciliazione 5· 5,12-21 La signoria della grazia III. 6,1-8,39 La giustizia divina motivo e forza della nuova vita I. 6,1-23 La libertà dal pòtere del peccato e il servizio alla giustizia Il mutamento di signoria col battesimo 1.1. 6,1- 14 1.2. 6,1 5-2 3 Il servizio alla giustizia 2. 7,1-8,17 La fine della signoria della legge e il nuovo servizio nello spirito La fine della signoria della legge 2..1. 7,1-6 Legge e peccato 2..2.. 7,7-2.5 a 2.2.1. 7,7-12 Il rovesciamento della legge a strumento del peccato 2.2.2. 7,13 -25a La signoria del peccato per mezzo della legge

28

Struttura della lettera 2.3. 7,2 5b-8, 1 2.4. 8,2- 17

. Bilancio provvisorio Il nuovo servizio nello Spirito come vita nella figlio­ lanza divina 2.4. 1 . 8,2- 1 I La liberazione dal peccato e il nuovo sen'izio nello Spirito 2.4.2. 8, 1 2- 1 7 Spirito e figliolanza 3 · 8, 1 8-39 Soffrire nella certezza della redenzione Soffrire nella s eranza 3· I. 8,I8-30 3.2. 8,3 I-39 L'amore incro labile di Dio in Gesù Cristo



9,1-1I,J6

1. 9,I-5 II. 9,6-29 I. 9,6-I3 2. 9, 1 4-29 III. 9,30-I0,2I I. 9,30-33 2. IO,I- 1 3 3 · IO,I4-2I II,I-3 2 I. II,I- 10 2. II,II-24 J. II,2 5-32 V. I 1 ,3 3-36

IV.

Parte seconda. Giustizia di Dio per Israele

Lamento su Israele Elezione e misericordia di Dio Libera elezione di Dio Libera misericordia di Dio Ribellione d'Israele alla giustizia di Dio in Cristo Israele inciampa nella pietra dello scandalo Disconoscimento della giustizia di Dio da parte d'Israele Disobbedienza d'Israele di fronte al vangelo La via della misericordia di Dio Il resto eletto Indurimento temporaneo d'Israele Il mistero della salvazione di tutto Israele Lode delle vie di Dio Parte terza. La testimonianza della giustizia di Dio nella vita della comunità

I. 1 2, 1 -2 II. I 2,3 -8

III. I 2,9-2 I IV. IJ ,I-7 V. I3,8- 1 0 VI. I3, 1 I- 14 VII. 1 4,I- 1 5 ,I3 I. 1 4, 1 - 1 2 2 . 1 4,I 3-23 3· I 5 , 1 -6 4· I 5,7-I3 I 5 , 1 4-I6,27 I. I 5,I4-2 1 II. l h22-24 III. I 5 ,2 5- 3 3

Culto come testimonianza di vita Comunità secondo la misura della fede . Condotta nell'amore Il rapporto con le istituzioni statali L'amore per il prossimo come adempimento della legge Condotta cristiana di fronte alla salvezza imminente Accoglienza reciproca nella comunità Un unico Signore e giudice per deboli e forti Edificazione della comunità nel rispetto Rinuncia a sé sull'esempio di Cristo Accoglienza reciproca di chi è stato accolto Epilogo

Il ministero dell'apostolo dei gentili Da Roma verso la Spagna Il viaggio a Gerusalemme per la colletta

Struttura della lettera IV. 16,1-2 V. I6,J-I6 VI. 16,17-20 VII. 16,21-24 VIII. 16,25-27

Raccomandazione per Febe Elenco dei saluti Guardarsi dai falsi maestri Saluti dei collaboratori dell'apostolo Dossologia conclusiva

29

Introduzione della lettera

(1,1-17)

Nel canone biblico, la lettera ai Romani è divenuta lo scritto dottrina­ le per eccellenza sulla fede cristiana. In quanto tale tuttavia può essere degnamente apprezzata solo dopo aver convenuto che in origine si trattava di una lettera inviata dall'apostolo Paolo ai cristiani di Roma da Corinto verso la metà del 1 secolo d.C. per un motivo contingente: Paolo intendeva informare di prima mano i destinatari sul suo tanto osteggiato vangelo, allo scopo di renderli favorevoli ai propri intenti mtsstonan. Da I 6,22 risulta che l'apostolo ha dettato la lettera ai Romani al suo collaboratore cristiano Terzo, con un intenso lavoro che probabil­ mente richiese più settimane. Contava sul fatto che la lettera venisse letta ai membri delle comunità domesti�he di Roma nominate in I 6, 5 . 1 4 s . e che poi venisse da essi discussa. Come evidenzia la suddivisione illustrata poco fa (v. sopra, pp. 27 ss.), Paolo ha costruito con estrema cura le proprie asserzioni. Quest'accuratissima strutturazione e la tra­ dizione del testo greco, che presenta sempre la lettera come un tutto unitario, provano che non ci si trova di fronte a una compilazione di seconda o terza mano che solo in epoca successiva a Paolo assemblò più lettere paoline (indirizzate a Roma e ad Efeso) (W. Schmithals e altri), bensì a un'unità originaria, comprendente anche il cap. I 6. L'apostolo ha formulato con cura particolare e maestria retorica l'inizio della lettera. Esso si divide in due sezioni, seguendo in questo l'uso epistolare antico. All'intestazione (I, I -7) fa seguito un'introdu­ zione che passa poi direttamente all'enunciazione del tema trattato ( I , 8- 1 7). I. Intestazione (I, 1 -7)

Paolo, schiavo di Cristo Gesù, chiamato a essere apostolo, prescelto per il vangelo di Dio, - 2 che egli aveva precedentemente promesso per mezzo dei suoi profeti in (nelle) sacre Scritture, 3 (che tratta) di suo figlio, che è 1

Rom.

1 , 1 -7.

Intestazione

3I

nato dal seme di D avide secondo la carne, 4 che è stato costituito Figlio di Dio in potenza secondo lo Spirito della santità a motivo della risurrezione dei morti, (di) Gesù Cristo, nostro Signore, 5 mediante il quale abbiamo ri­ cevuto grazia e apost.olato per l'obbedienza della fede tra tutti i popoli gentili a onore del suo nome, 6 t ra i quali siete anche voi come chiamati di Gesù Cristo, 7 a tutti quelli amati da Dio, chiamati a essere santi, che si trovano a Roma: grazia (sia) con voi e pace da Dio, Padre nostro, e dal Si­ gnore Gesù Cristo. l s. 2 Sam. 7, 1 1 ss.; Sal. 1,7; 89,17 s.; n o, I ss. -

A. Come tutte le epistole paoline, anche la lettera ai Romani inizia con un'intestazione ponderatamente formulata. In occasione della pubblica lettura delle epistole durante le riunioni delle comunità (cf. 1 Tess. 5,2 7; Col. 4, I 6), tale premessa conferiva un carattere ufficiale alle comunicazioni dell'apostolo: invece di conformarsi semplicemente al­ l'uso greco di iniziare una missiva con un'unica breve frase d'introdu­ zione e saluto (cf. Giac. 1 , 1 ; Atti 1 5,23; 23,26), Paolo segue lo stesso modello che si ritrova in Dan. 3,3 1 (4, 1 ) e irt lettere giudaiche contem­ poranee. Il mittente presenta il proprio titolo (o titoli), nomina altret­ tanto esplicitamente rango e posizione dei destinatari ai quali, in una frase successiva, porge i propri saluti. L'intestazione della lettera ai Romani è più estesa di tutte le altre introduzioni delle lettere paoline. In frasi accuratamente concatenate sono descritti incarico, annuncio e intenti di Paolo, allo scopo di chiarire ai cristiani di Roma, che l' apo­ stolo ancora non conosce di persona, che nella lettera loro indirizzata si troveranno di fronte a un interlocutore e a una problematica della massima importanza per loro. Per conferire un peso ancora maggiore alle sue frasi ben costruite, nei vv. 3 s. Paolo ricorre a una formula dot­ trinale e confessionale presumibilmente già nota anche a Roma: il van­ gelo affidatogli riguarda Gesù Cristo, il Figlio di Dio, il quale durante la propria (umile) esistenza terrena nacque dalla stirpe di Davide (a cui era stato promesso il messia che doveva venire) e in forza della propria risurrezione ed elevazione alla destra del Padre ricevette i di­ ritti di signoria spettanti al messianico Figlio di Dio. Lingua e stile del v. 3 tradiscono il ricorso di Paolo alle parole della tradizione: i vv. 3 e 4 insieme formano un parallelismo simile a quelli che si ritrovano spes­ so nei Salmi o nei poemi sapienziali veterotestamentari; della prove­ nienza di Gesù dalla stirpe di Davide e dello «Spirito della santità)) (forma giudaica per Spirito santo) Paolo non parla mai altrove, mentre

32

Rom.

I , I -7·

Intestazione

la contrapposizione «secondo la carne» - «secondo lo Spirito della santità» va confrontata con il breve inno cristologico di 1 Tim. 3 , 1 6: il mondo terreno e quello celeste sono contrapposti l'uno all'altro. - Nel v. 7 Paolo si rivolge a «tutti quelli amati da Dio» e non, come ad es. in I Tess. r , r o in I Cor. 1 ,2, alla «comunità di Dio» di Roma. Dal punto di vista storico il motivo è semplice: al tempo in cui Paolo scriveva la lettera ai Romani, nella capitale del mondo non vi erano che poche co­ munità domestiche (cf. Rom. r 6, 5 . 1 2 ss.) sparse nei vari quartieri della metropoli, che però non avevano ancora potuto unirsi a formare una unica comunità. La lettera ai Romani veniva fatta passare di comunità in comunità, ove veniva letta e discussa. La modalità d'approccio (pa­ ragonabile a quella di Fil. r , r ) scelta dall'apostolo si addice perfetta­ mente a questa situazione. B. L'intestazione, formulata con estrema cura, lascia già capire cosa stia a cuore a Paolo nel corso della lettera: il suo mandato apostolico, il vangelo di Cristo affidatogli e l'accordo con tutti i cristiani di Roma in considerazione di tale vangelo e del ministero apostolico paolino. 1 - 7. Ai romani Paolo si presenta con tre qualità. Come Mosè, Gio­ suè, Davide e i profeti erano schiavi (servi) di Dio (cf. Gios. 14,7; 24, 29; Sal. 89,4.2 1; 2 Re 1 7,23), così anche Paolo è «schiavo (servo) del messia GesÙ». Il suo mandato prolunga l'opera dei profeti. Sulla via di Damasco fu «chiamato» a essere apostolo, dopo che fin dal grembo di sua madre Dio lo aveva destinato ( «prescelto») a divenire messaggero del suo annuncio di salvezza. Paolo si richiama dunque alla propria vocazione, descritta più ampiamente in Gal. r , r 1 - 1 7 e 2 Cor. 4, 5 s., contando sul fatto che a Roma vi fossero cristiani ai quali la sua storia era nota. Il vangelo affidatogli è interamente opera divina: già prima della comparsa terrena di Gesù Dio lo aveva fatto annunciare nelle sa­ ere Scritture (dell'Antico Testamento) mediante i profeti (cf. ad es. fs. 9, 1 -6; r 1 , 1-9; Ger. 23,5 s.; J I ,J I -34). Queste promesse si sono adem­ piute nell'invio di Gesù, il messia (2 Cor. 1 ,2o), ragion per cui il con­ tenuto del vangelo è chiarissimo: narra del cammino e dell'opera ter­ reni del messianico Figlio di Dio, che come uomo nacque da quella stirpe di Davide a cui è destinata la promessa di 2 Sam. 7, 1 2- 1 4; in lui, dopo passione e sepoltura, Dio, in forza della potenza creatrice dello Spirito santo, ha mandato a effetto secondo la promessa la risurrezio­ ne escatologica dei morti (cf. 1 Cor. r 5,20 con Rom. 6,4). Con la risur­ rezione Gesù, conformemente a Sal. 1 1 o, r , è stato «innalzato» alla

Rom.

1 , 1 -7.

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destra di Dio, ricevendo così i diritti di signoria spettanti al Figlio di Dio. Da quel momento si chiama «il Signore» (cf. Fil. 2,9- 1 1). I vv . 3 e 4 espongono in breve la storia di Cristo narrata nei vangeli e sottoli­ neano che l'intero cammino di Gesù, dalla nascita sino alla sua esalta­ zione, si svolge sotto il segno delle promesse di Dio (cf. soprattutto Le. 1 , 5 5; 24,24 ss.; Atti 2,30 ss.; 4,24 ss.; I o,36-43; 1 3,2 3 . 3 2 ss.). In I 5,8 l'apostolo tornerà ancora una volta su questo tema. All'inizio della lettera, si contenta di esprimersi in un linguaggio confessionale e for­ mulare, che i cristiani di Roma possano accettare senza esitazione (v. sopra). Quindi prosegue: per mezzo del Signore innalzato, noi (con questo plurale mai estatico Paolo intende se stesso) abbiamo ricevuto grazia e apostolato, cioè l'autorità conferita dalla grazia e la capacità di ottenere l'obbedienza di fede di tutti i popoli gentili su incarico del nome del Signore Gesù. L'espressione «su incarico del nome» diviene comprensibile se si pensa che secondo il pensiero biblico il nome di Gesù è l'essenza stessa della sua azione salvifica e della sua presenza (cf. Atti 4, 1 0- 1 2; 1 Cor. 6, 1 1 ). In qualità di apostolo, su incarico e nel­ lo spirito di Cristo (cf. 2 Co r. 5 ,20) Paolo deve destare «obbedienza di fede» . Con tale espressione s'intende la conversione e la sottomissione alla signoria di Gesù, risultato della predicazione del vangelo. - Con il v. 6 Paolo si rivolge direttamente ai suoi destinatari. Tra i popoli gen­ tili vivono anche i cristiani di Roma. Come Paolo è stato chiamato a essere apostolo, anch'essi sono chiamati da Cristo alla fede. Non solo: poiché Dio inviando Gesù ha dimostrato loro il suo amore, e con il sacrificio di suo figlio li ha liberati dai loro peccati e li ha santificati (1 Cor. 6, I I ), nella fede essi sono «quelli amati da Dio>>, «santi per voca­ zione». Paolo evidenzia di proposito che con la sua lettera si rivolge a «tutti» i cristiani di Roma. Epistola e saluto dell'apostolo sono desti­ nati non solo agli amici e conoscenti elencati nel cap. I 6, bensì a tutti i compagni di fede, siano essi ben disposti o meno nei suoi confronti. Il saluto «grazia e pace siano con voi» si riallaccia alla formula giudaica «misericordia e pace siano con voi» (Bar. syr. 78,2 e Gal. 6, 1 6 ) , rie­ cheggiando altresì il «Salve ! » d'uso all'inizio delle lettere greche: ai cristiani di Roma Paolo augura che abbiano parte alla grazia e alla pa­ ce instaurate da Dio per mezzo di Cristo (cf. Rom. 5, 1 ss.). Quanto l'apostolo dirà d'ora in avanti, sarà sotto quest'auspicio.

Excursus I «Apostolo di Gesù Cristo» Con la pretesa, espressa sin dalle prime righe della lettera ai Roma­ ni, d 'essere apostolo di Gesù Cristo, Paolo s'inserisce nel gruppo di uomini (e donne) che predicano il vangelo in forza di un mandato pa­ squale ricevuto dal Cristo risorto (la Giunia menzionata in Rom. I 6,7 svolge servizio missionario insieme a [suo marito ?] Andronico). - Il titolo neotestamentario di «apostolo» ha in comune con il termine gre­ co à7tocr"toÀo� (apostolos) = «ammiraglio, capo di spedizione navale» solo la forma della parola. Risale a modelli veterotestamentari e giu­ daici e ha ricevuto l'impronta decisiva da Gesù. Già a proposito di Mosè e dei profeti dell'Antico Testamento è detto che erano stati chiamati da Dio e «inviati» a predicare (cf. Es. J , I O. I J; /s. 6,8; Ger. I ,7; /s. 6 1 , 1 ecc.). Secondo Mc. 6,7 ss. par. e Le. I o, I ss. par., Gesù ha invia­ to i dodici da lui prescelti e altri suoi discepoli a predicare il regno di Dio in sua rappresentanza (secondo il diritto giudaico relativo ai mes­ saggeri, «l'inviato di una persona è come la persona stessa», Mishna, Berakot 5 , 5 ). Prima della pasqua si trattava di un impegno a tempo determinato. Dopo le apparizioni pasquali, delle quali narrano i van­ geli e Paolo in 1 Cor. I 5 , 5 ss., questo si trasformò per i diretti interes­ sati da incarico di predicazione limitato nel tempo in una missione a vita (cf. M t. 28, 1 6-2o; Gv. 20,2 1 -23; Atti 1 ,8; Rom. I O, I 4- 1 7). Per tutta la vita Paolo lottò per essere annoverato nella cerchia di questi apo­ stoli. L'impedimento principale era di duplice natura: non aveva co­ nosciuto il Gesù terreno, né dopo la pasqua s'era affiliato immediata­ mente alla comunità di Cristo a Gerusalemme come Giacomo, il fra­ tello del Signore; al contrari