208 87 32MB
Italian Pages 266 [270] Year 1996
FABIO BETTANIN
LA FABBRICA
DEL
MIТО
ПОЕЗД ИДЕТ ОТ ст.СОЦИАЛИЗМ ДО ст. КОММУНИЗМ
CT HASRAYERNA
КОММУНИЗМ ДЕЙСТВУЮЩИЙ
ТРАФИК
ГРАФИК ИСПОЛНЕННОГО ДВИЖЕНИЯ БОЛЬШЕВИСТСКОГО ПОЕЗДА НАЗВ. СТАНЦИЯ
СОЦИАЛИЗМ
ЕТ. ОТПРАВЛЕНИЯ
СОЦИАЛИЗМ
ОКТЯБРЬ 1917
ИСПЫТАННЫЙ
ПРАВДА 1912
МАШИНИСТ ЛОКОМОТИВА РЕВОЛЮЦИИ
ДЕКАБРЬ1905 ИСКРА 1900
Т.
СТАЛИН
STORIA E POLITICA NELL'URSS STALINIANA
Edizioni Scientifiche Italiane
BSSA/83907
TILB48469
FABIO BETTANIN
STORIA
DISTORIA UNIVERSITA DEGUSTUDI
TRIESTE
V [YAS
LA FABBRICA DEL MITO Storia e politica nell'Urss staliniana
Edizioni Scientifiche Italiane
DEL 'ARTE
Volume pubblicato con un contributo del Ministero dell'Università e della Ricerca Scientifica e Tecnologica (fondo 60%) erogato attraverso l'Istituto Universitario Orientale di Napoli
BETTANIN, Fabio
La fabbrica del mito. Storia e politica nell'Urss staliniana Napoli: Edizioni Scientifiche Italiane, 1996 Pp. 268; 24 cm. ISBN 88-8114-301-1
1996 by Edizioni Scientifiche Italiane s.p.a.
80121 Napoli, via Chiatamone 7 00185 Roma, via dei Taurini 27
82100 Benevento, via Porta Rettori 19 20129 Milano, via Fratelli Bronzetti 11 Internet: www.dial.it/esi E-mail: [email protected]
I diritti di traduzione, riproduzione e adattamento totale o parziale
e con qualsiasi mezzo (compresi i microfilms e le copie fotostatiche) sono riservati per tutti i Paesi
] ошил
Le volevo tutte chiamare per nome, ma han preso l'elenco, e non so come fare.
Coi poveri suoni che ho inteso da loro
per loro ho tessuto un lungo manto.
Le ricorderò sempre e in ogni dove, non le scorderò neanche in nuove sventure, ma se tapperanno la bocca straziata con cui un popolo di centinaia di milioni grida, mi commemorino allo stesso modo,
la vigilia del mio giorno di suffragio. E dalle immote, bronzee palpebre la neve sciolta scorra come lacrime, e il colombo del carcere tubi di lontano,
e vadano le navi placide sulla Nevà. A. ACHMATOVA, «Requiem», da La corsa del tempo, a cura di M. Colucci, Einaudi, Torino, 1992, pp. 165-67
La storia come
una
non si
snoda
catena
di anelli ininterrotta.
In ogni caso
molti anelli non tengono... La storia non giustifica e non deplora, la storia non è intrinseca
perché è fuori. La storia non somministra
carezze o colpi di frusta. La storia non è magistra
di niente che ci riguardi. Accorgersene non serve
a farla più vera e giusta. E. MONTALE, «La storia», in Tutte le poesie, Mondadori, Milano, 1977, pp. 365-66
Elenco delle abbreviazioni
Agitprop
Dipartimento della propaganda e agitazione del Comitato centrale
Gulag
Amministrazione centrale dei lager del Ogpu (in seguito del NKVD)
IKP
Istituto dei Professori Rossi
IMEL
Istituto Marx Engels Lenin
KGB
Comitato per la sicurezza statale
Kul'tprop
Dipartimento per la cultura e propaganda del Comitato centrale
NKVD
Commissariato del popolo all'educazione Commissariato del popolo agli affari interni
Obkom
Comitato regionale del partito
OGPU
Amministrazione politica unificata. Succede alla Ceka e, nel 1922,
NKPros
al GPU OIM
Società degli storici marxisti
OSB
Società dei vecchi bolscevichi
Rajkom
Comitato distrettuale del partito
RANION
Associazione russa degli istituti di scienze sociali
RCCHIDNI Centro russo per
conservazione e lo studio dei documenti di
storia contemporanea
Sovnarkom
Consiglio dei Commissari del Popolo
VKP(b)
Partito comunista bolscevico di tutta l'Unione
Questo lavoro deve molto ai consigli di numerosi colleghi e amici. Nell'impossibilità di
elencarli tutti, desidero ringraziare in particolare Sergio Bertolissi, Rita di Leo e Emilio Gentile che hanno avuto la pazienza di leggere il manoscritto.
Preziosa è stata l'opera del personale del RCChIDNI di Mosca, che, pur in condizioni
difficili, ha mostrato in ogni occasione competenza e disponibilità nei confronti dello studioso sempre alle prese con problemi di tempo.
Capitolo primo Stalin dixit
Negli ultimi giorni dell'ottobre 1931 la Proletarskaja Revolucija, rivi sta della commissione del Comitato centrale del partito comunista sovie
tico per la storia della Rivoluzione d'ottobre pubblicò una lettera di Stalin: «A proposito di alcuni problemi di storia del bolscevismo». La
lettera iniziava con una veemente protesta contro la decisione della re
dazione della rivista di pubblicare un saggio sulla socialdemocrazia tede sca nel periodo prebellico scritto da A.G. Sluckij, un giovane storico
dell'Istituto di storia del'Accademia comunista. Il saggio era definito da
Stalin come «ostile al partito ed semitrockista»; il suo autore qualificato
come «calunniatore e falsario»; «alcuni, nostri storici..., storici senza
virgolette, storici bolscevichi del nostro partito» tacciati di «errori che [portavano] acqua al mulino degli Sluckij»>.
A suscitare l'indignazione di Stalin era la tesi avanzata da Sluckij
secondo la quale Lenin non sempre si era opposto alle correnti centriste presenti nella Seconda Internazionale. All'interpretazione di Sluckij, Stalin contrappose alcune verità note ad «ogni bolscevico..., se veramente è un
bolscevico». Tutta l'attività politica di Lenin era stata contrassegnata dall'opposizione più netta alla socialdemocrazia, mai attenuata da consi
derazioni di ordine tattico. Per la sua coerente intransigenza, la politica dei bolscevichi era divenuta, già prima della guerra e dell'Ottobre, un
il movimento rivoluzionario dell'Europa occidentale. Solo i «topi d'archivio»> accecati da pretesi documenti storici - concludeva Stalin modello per
- potevano dubitare di queste elementari verità; e solo un > il socialismo in un paese arretrato, ha potuto adattarsi, senza modificare
in modo significativo i propri dogmi, alle mutate condizioni interne ed esterne dell'Urss, alla industrializzazione e alla lotta antifascista, alle
condanne del cosmopolitismo e alla distensione, e ha guadagnato proseliti
anche in paesi dove non era sostenuta dalla minaccia del Terrore o dal monopolio dei mezzi di comunicazione?
L'immagine orwelliana del partito «grande fratello», che conquista le
menti degli individui grazie al monopolio dei mezzi di comunicazione,
indipendentemente dai contenuti del messaggio che diffonde, è suggesti 6 G.A. ZJUGANOV, Za gorizontom, Vesnye vody, Orel, 1995, p. 66.
'H. ARENDT, Origini del totalitarismo, Comunità, Milano, 1967; in particolare, cap.
XIII.
8 Nel Corso sugli avversari, tenuto a Mosca, alla scuola dell'Internazionale comunista,
all'inizio del 1935, Togliatti giudicò l'ideologia fascista «confusa e eclettica», e mise in
guardia i corsisti dalla tentazione di considerarla come «qualche cosa di saldamente
costituito, finito, omogeneo» (P. TOGLIATTI, Opere. 1929-1935, v. 3, t. 2, Editori Riuniti, Roma, 1973, pp. 540-541). La sottovalutazione dello spessore e dell'efficacia dell'ideolo
gia del fascismo trova una spiegazione nel confronto con l'ideologia del marxismo leninismo, che all'epoca ocupava un posto ben altrimenti visibile e cruciale nel funzio
namento dei meccanismi del regime sovietico. Per una analisi dell'ideologia fascista che si presta a una riflessione comparativa, cfr. P.G. ZUNINO, L'ideologia del fascismo. Miti,
credenze e valori nella stabilizzazione del regime, Il Mulino, Bologna, 1985.
12
CAPITOLO
PRIMO
va, ma i tentativi di usarla come chiave universale di interpretazione della storia sovietica sono destinati all'insuccesso. Seguire le sorti della Lettera di Stalin ci trascina in tutt'altro quadro, dove «inventare la tradizione>>
è impresa ardua, come dimostra l'imbarazzo della propaganda ufficiale nel diffondere un documento, come la Lettera, lungo e farraginoso, privo di frasi di particolare efficacia, che continuò infatti ad essere menzionato
in toto, evitando citazioni di singoli passi. Ed ancor più difficile è col legare questa «invenzione» alle sue naturali finalità, come la raziona
lizzazione delle politiche del regime, la socializzazione delle nuove gene razioni, la legittimazione delle istituzioni sovietiche. La ricostruzione
delle vicende successive alla Lettera ci condurrà quindi a seguire la po litica del regime in molti vicoli ciechi, imboccati e percorsi sino all'ulti mo, prima di accorgersi che non conducevano in alcun luogo. Ci co stringerà anche a registrare gli innumerevoli mutamenti di rotta e l'ap parente casualità di molte scelte, e a cercare di orientarsi nel confuso carosello di persone e istituzioni cui furono affidate e poi tolte respon sabilità in campo storico. Invece che in un asettico laboratorio del con senso, il lettore si troverà proiettato in una sorta di fabbrica ottocentesca
il lavoro è condotto ancora con criteri artigianali, non tandardiz zati, e dove ogni manufatto è rivisto più volte prima di assumere la forma definitiva.
Non v'è tuttavia rapporto diretto fra il carattere artigianale del lavoro della «fabbrica» e la sua efficacia. Se si parte dall'ipotesi che la politica totalitaria in campo culturale sia il prodotto di una strategia definita a
priori in tutti i suoi dettagli, calata con tecniche raffinate dai vertici del
potere sulla società, non si può che giungere alla logica conclusione che i suoi effetti siano destinati a scomparire, o a sopravvivere come fenome
no residuale, con il venir meno delle condizioni politiche che l'hanno generata, siano esse individuate nella morte di Stalin, suo artefice unico, o nel disconoscimento dell'ideologia del marxismo-leninismo, non più
funzionale alla politica del regime. Può sembrare paradossale, ma i più tenaci assertori della teoria del totalitarismo hanno finito con il prevede
re una rapida scomparsa dei regimi totalitari una volta venute meno le condizioni che ne avevano determinato la nascita.
Per una analisi generale cfr. E.J. HOBSBAWM, «Come si inventa una tradizione», in
L'invenzione della tradizione (a cura di E.J. Hobsbawm e T. Renger), Einaudi, Torino, 1987, pp. 11-32. Per uno studio dell'esperienza sovietica, cfr. N. WHITTIER HEER, Politics
and History in the Soviet Union, Mit Press, Cambridge, Mass, 1971.
STALIN DIXIT
13
Le loro previsioni si sono rivelate ottimistiche. «Stalin è morto ieri»,
ammoniva nel 1987 uno dei protagonisti della vita culturale russa degli
ultimi decenni, M. Ja. Gefter, individuando l'essenza dello stalinismo
nella cancellazione della capacità di pensare, prima ancora che di perse guire, alternative alla politica del regime¹0. Parlare di ruolo centrale del
l'ideologia ufficiale nel totalitarismo sovietico non significa quindi asserirne
il maggior rilievo rispetto ad altri fattori, come la direzione centralizzata
dell'economia, il terrorismo poliziesco, il monopolio degli strumenti della
lotta armata, il cui ruolo fu altrettanto determinante nella formazione di
quello che oggi viene comunemente definito come sistema staliniano.
Piuttosto, l'ideologia è un prius logico e temporale, senza il quale sareb be difficile cogliere le motivazioni più profonde della «rivoluzione dal l'alto» che a questo sistema diede origine. Essa è anche l'elemento che ha
assicurato, fra immani sconvolgimenti sociali e politici, la continuità e la riproduzione dei meccanismi di questo sistema. Basti considerare le vi
cende degli anni trenta, cruciali nella formazione del regime staliniano.
Sarebbe stato possibile distruggere e ricostruire in breve tempo, nel corso delle purghe staliniane, gli apparati di polizia e le forze armate, o rifor
mare, dopo la seconda guerra mondiale, l'«economia di comando», se
l'ideologia non avesse radicato la convinzione che le decisioni del regime si limitavano a ripristinare l'ordine naturale della società?
La speranza che giustifica il nostro lavoro è che la documentazione ora accessibile consenta di analizzare in modo nuovo le vicende che
precedettero e seguirono la redazione di quel breve corso di storia del
partito comunista (bolscevico) dell'Urss, che dell'ideologia del periodo staliniano fu l'insostituibile pilastro.
10 M. JA. GEFTER, Iz tech i etich let, Moskva, Progress, 1991, pp. 235-64.
Capitolo secondo
La scoperta
della storia
La Lettera alla Proletarskaja Revolucija era aperta da una salva di interrogativi retorici, secondo lo stile prediletto da Stalin quando si at teggiava a interprete degli stati d'animo più profondi e inespressi del partito. Che responsabilità aveva Lenin se i socialdemocratici di sinistra
erano un «gruppo debole ed impotente..., ideologicamente non tempra to»? Chi poteva dubitare che la politica intransigente dei bolscevichi verso «opportunisti e conciliatori centristi» fosse «un modello di politica
per i sinistri nell'Europa occidentale»? Chi non sapeva che i bolscevichi avevano da sempre tentato di spingere alla scissione i socialdemocratici
di sinistra nell'Europa occidentale, i quali tuttavia si erano rivelati inca paci di seguire l'esempio sovietico?
La risposta agli interrogativi era una sola: a partire dal 1903 Lenin
aveva seguito una politica di netta contrapposizione agli opportunisti e
centristi presenti nel movimento socialista internazionale. Stabilito ciò, la
Lettera proseguiva con una puntigliosa elencazione degli errori e dei ¹.
La Lettera di Stalin alla Proletarskaja Revolucija non si segnala per qualità di approfondimento ed i temi da essa toccati sono secondari sul piano teorico, e lontani dall'agenda politica del momento. Il linguaggio,
allusivo e minaccioso, ricorda più le dispute da setta che avevano squassato
la socialdemocrazia russa prima della rivoluzione che la didascalica chia rezza degli interventi ufficiali di Stalin. L'interesse che essa suscita è
legato esclusivamente alla sua capacità di mutare «in modo sostanziale le relazioni fra la leadership politica e gli intellettuali»². Come e perché ciò sia accaduto non è facile stabilire. Categorie come culto della personalità,
repressione, partijnost', termine assurto già in quegli anni a sinonimo della necessaria subordinazione di ogni disciplina scientifica o artistica agli imperativi della politica', definiscono la cornice generale nella quale si colloca la Lettera, ma quando si tenta di applicarle all'analisi degli
'I.V. STALIN, Sočinenija, t. 13, cit., pp. 84-102. 2J. BARBER, Soviet Historians in Crisis. 1928-1932, MacMillan, London, 1981, p. 11.
«La partijnost' è il principio fondamentale della educazione comunista... e pietra
miliare del bolscevismo», così recita il dizionario Kommunističeskoe Vospitanie pubblica to alla vigilia della perestrojka. «In contrapposizione all'ipocrisia e all'inganno che contrad
distinguono le forme mascherate di partijnost' borghese, si legge ancora nella stessa voce,
la classe operaia e il suo partito marxista-leninista proclamano il contenuto di classe, la partijnost' comunista della propria ideologia, la sua aspirazione alla trasformazione rivo
luzionaria della vita sociale». Sull'origine di una partijnost' così intesa il dizionario non
ha dubbi: essa può essere fatta risalire ai primi lavori teorici di Lenin (Kommunističeskoe
Vospitanie, Politizdat, Moskva, 1984, pp. 176-177).
LA
SCOPERTA
DELLA
STORIA
17
avvenimenti concreti divengono generiche e per molti aspetti insoddi sfacenti.
Iniziamo dal dato più clamoroso. La Lettera trasuda violenza. Ci trascina in un mondo nel quale una opinione incauta, un giudizio su avvenimenti lontani nel tempo erano sufficienti ad inserire chi li aveva
pronunciati in una lista di proscrizione. È naturale che l'attenzione degli storici si sia concentrata su questo aspetto. La versione ufficiale del periodo post-staliniano è stata fissata nella assemblea degli storici sovietici del dicembre 1962. In quella occasione,
I.I. Minc, che di quella vicenda fu assieme vittima e beneficiario, parlò di uno «sterminio dei quadri storici», iniziato «dopo la pubblicazione della Lettera di Stalin». Gli fece eco Gorodeckij: in coincidenza con la pubblicazione della Lettera erano stati introdotti «metodi alla Arakčeev nella
scienza storica»>5.
Il giudizio storico successivo - anche quello proveniente da studiosi
di differente orientamento ideale non si è molto discostato da queste valutazioni. Konstantin Shteppa scrive che la Lettera «condusse ad una
devastante purga di storici»6. Avtorchanov, protagonista, seppure in posizione defilata, delle vicende di quegli anni, traccia anch'egli un pa rallelo storico con la arakčeevščina'; al pari di questa la Lettera avrebbe
assunto «> Vsesojuznoe soveščanie o merach ulučšenija naučno-pedagogiceskich kadrov po istoričeskim naukam, Nauka, Moskva, 1964, p. 75. 5 Ivi,P. 363.
K. SHTEPPA, Russian Historians and the Soviet State, Rutgers University Press,
New Brunswick, 1962, p. 90.
L'espressione è comunemente usata per definire il decennio successivo alle guerre napoleoniche, dominato in Russia dalla figura del conte A.A. Arakčeev, che usò l'enorme potere concentrato nelle sue mani per rafforzare l'autocrazia e consolidare la servitù della gleba.
8 A. AVTORKHANOV, La tecnologia del potere. Il potere in Urss da Stalin a Breznev, La Casa di Matriona, Milano, 1980, p. 267.
L.G. BABIČENKO, «Pis'mo Stalina v 'Proletarskuju Revoluciju' i ego posledstvija»>, Voprosy istorii Kpss,
1990, 6, p. 94.
18
CAPITOLO
SECONDO
e di «repressioni selvagge» che colpirono gli storici, ma ne fissa l'inizio al momento, di alcuni anni posteriore, in cui «critiche tendenziose» co minciarono ad essere rivolte al decano degli storici marxisti in Unione sovietica, M. N. Pokrovskij¹0. Solo di recente, in un clima meno condizionato dall'imperativo di
denunciare i crimini di Stalin, G. Enteen, il biografo di Pokrovskij, ha
potuto allargare lo sguardo al più ampio contesto storico, richiamando l'attenzione su due aspetti della vicenda. La Lettera non costituisce la prima incursione di Stalin in campo storico; a partire dal 1924 il gensek era stato autore di «dichiarazioni autocratiche» su temi storici. Allo stes
so modo, essa non segna l'inizio dell'attacco all'indipendenza della sto
riografia. A partire dal 1928, nell'ambito della generale offensiva contro gli «specialisti borghesi», il partito aveva abbandonato la strategia di , Voprosy Istorii Kpss, 1987, n. 7, PP. 93-107. 33 B. SOUVARINE, Stalin, Adelphi, Milano, 1983, p. 696.
"
LA
SCOPERTA
DELLA
STORIA
25
da anni di campagne contro deviazioni e nemici di classe, potesse essere
mobilitato solo rendendo iperboliche le accuse e frenetiche le misure organizzative.
Come da copione, la redazione della Proletarskaja Revolucija fu sciolta
e il suo direttore, M.A. Savel'ev, allontanato. La Società degli storici marxisti (OIM) fu la prima a mobilitarsi, seguita in rapida successione
dalle frazioni di partito delle istituzioni storiche e poi, a partire dalla fine di novembre, anche delle istituzioni culturali. In dicembre, la campagna per l'«esame» della Lettera divenne un affare nazionale, coinvolgendo
tutto il partito, e i quotidiani furono sommersi da una valanga di lettere,
risoluzioni, proposte³4. Il risultato di tanto furore verbale e cartaceo fu di trovare «interpre
tazioni trockiste»> negli scritti di una sfilza di storici. Seguirono, dopo alcuni tentativi di resistenza, le inevitabili autocritiche, che coinvolsero
anche altri storici, secondo un meccanismo che, prima ancora di delazio ne, era di elementare autodifesa: non aveva Stalin individuato nel «>
dalla risoluzione della OIM55. In questo caso si potrebbe ipotizzare l'ese cuzione posticipata di una condanna implicita nella Lettera. Ma come
spiegare, se si segue lo stesso criterio, il fatto che anche la scuola di Pokrovskij, che pure in un primo momento era stata preservata dalle
critiche staliniane, pagò il suo pesante tributo di vittime"? E che signi
duri attacchi di carattere professionale e personale). Nonostante i servizi resi al partito,
nel giugno 1937 Knorin fu arrestato e scomparve nelle purghe. Sulla sua sorte cfr. R. CONQUEST, op. cit., p. 602; R. MEDVEDEV, op. cit., p. 275.
50 Lukin era uno dei pochi storici di partito che potessero vantare un'attività scien
tifica risalente al periodo prerivoluzionario. Scolaro di Pokrovskij, dopo la Lettera e dopo aver pronunciato la canonica autocritica, Lukin ne ereditò anche le numerose
cariche. Fu arrestato nel 1938; secondo il biografo di Pokrovskij su richiesta di Jaroslavskij (G. ENTEEN, op. cit., p. 191)
51 Autore di varie opere sul partito e sulla guerra civile, A.S. Bubnov fu tra coloro
che trassero vantaggio dalla svolta della politica culturale del regime. Nel luglio del 1930 fu chiamato a sostituire Lunačarskij nell'incarico di Commissario del popolo dell'educa zione. Negli anni seguenti tenne una posizione defilata, adeguando con diligenza la sua storia del partito ai canoni dell'ideologia ufficiale. L'impegno si rivelò inutile: Bubnov fu giustiziato nel 1938. Cfr. Političeskie Dejateli Rossii. 1917., BSE, Moskva, 1993, pp. 47-48.
52 Diplomato all'IKP, Steckij diresse l'agitprop dal 1929 al 1937, ed in questa veste svolse un ruolo poco noto, ma di sicuro fondamentale nella attuazione della politica
culturale del regime (A. AVTORKHANOV, op. cit., pp. 262-265). 53 A. KNIGHT, Beria. Stalin's First Lieutenant, Princeton University Press, Princeton, 1993, p. 63. 54 J. BARBER, op. cit., p. 96.
55 Istorik Marksist, 1932, n. 1, p. 213.
56 Cfr. J. BARBER, op. cit., p. 140; G.M. ENTEEN, op. cit., p. 191. Shteppa segue, fra l'ammirato e lo scandalizzato, il vero e proprio virtuosismo mostrato dalla Pankratova,
30
CAPITOLO
SECONDO
ficato 20 attribuire dei suoi agli38 apprezzamenti docenti di dell'IKP Kaganovič scomparvero nelle nei purghe confronti " ?? se
,
Allo stato attuale delle nostre conoscenze, la risposta è che non esiste un momento storico, un tema politico e forse nemmeno una perso
nalità dai quali far discendere la catena causale che conduce al Terrore. A decidere il destino degli storici fu, oltre al capriccio del potere,
incapace di controllare il meccanismo sfuggitogli di mano58, la loro capacità di adattarsi o meno ai mutamenti del quadro politico, di com
prendere con un attimo di anticipo ciò che i vertici del potere volevano da loro.
Da questo punto di vista la vicenda di Emel'jan Jaroslavskij, il più illustre sopravvissuto alla tempesta scatenata dalla Lettera, si presenta
come un impareggiabile manuale di sopravvivenza. Jaroslavskij comprese subito che, nonostante il carattere a prima vista occasionale dei passi
della Lettera che lo riguardavano, la minaccia che pendeva sul suo capo non era da sottovalutare e inviò subito una missiva personale a Stalin. Il tono era umile, considerata la posizione di rilievo che Jaroslavskij occu
pava nel partito, anche se leggermente infastidito:
uno dei più illustri Professori rossi, nell'usare quello che potremmo definire il metodo della bilancia storica». Nei suoi scritti ogni avvenimento è interpretato attraverso la formula: «da un lato..., dall'altro...», in modo di preparare la via d'uscita in caso di mutamenti dell'ortodossia ufficiale (K. SHTEPPA, op. cit., p. 367). La conoscenza della
posta in gioco induce a maggiore indulgenza. Espulsa dal partito nell'assemblea dell'IKP dell'agosto 1936, la Pankratova fu inviata al confino a Saratov. Attorno a lei si creò la
terra bruciata. Sciolta la redazione della Storia del proletariato dell'Urss, da lei diretta; arrestati i suoi più stretti collaboratori, fra i quali l'ex-marito, lo storico Jakovin, la Pankratova si salvò forse per il prestigio di cui godeva, che conferì particolare valore all'abiura da lei pronunciata nei confronti del suo maestro Pokrovskij (vedi p. 210). In
quei tempi foschi, la sorte personale era affidata alla capacità di muoversi nello spazio fra «un lato... e l'altro» (A.N. ARTIZOV, «Kritika M.N. Pokrovskogo i ego školy. K istorii voprosa.", Istorija Sssr, 1991, n. 1, p. 110-111).
57 V.D. SOLOVEJ, «Institut Krasnoj Professury: podgotovka kadrov istorikov partii v 20-30 e gody», Voprosy Istorii Kpss, 1990, n. 12, p. 97.
58 L'interpretazione delle «grandi purghe» come originate da una sorta di effetto valanga della politca repressiva del partito è avanzata da: J. ARCH GETTY, Origins of the Great Purges. The Soviet Communist Party Reconsidered, 1933-1938, Cambridge Uni
versity Press, Cambridge, 1985. Un quadro non dissimile emerge dal lavoro di Vucinich sulle vicende dell'Accademia delle scienze negli anni trenta, dove però i «capricci»> della politica del partito hanno come postulato l'esistenza di un potere totalitario, il cui scopo
primario è di rompere, con qualsiasi mezzo a disposizione, ogni forma di solidarietà di gruppo (op. cit., pp. 125-199).
LA SCOPERTA DELLA STORIA
31
Giudico fondati i Vostri rimproveri nei miei confronti... Di alcuni di essi
ho già parlato anche io... Ho pregato i compagni di aiutarmi a correg gere errori e sviste nelle prossime edizioni... Sebbene i tomi della storia del partito siano il risultato del lavoro di un enorme collettivo (più di trenta persone), non ho diritto di non riconoscere la mia responsabilità per essi.
Jaroslavskij mostrava di non nutrire dubbi sul fatto che a suscitare l'ira di Stalin fosse stato il saggio di Kin sugli avvenimenti successivi alla
Rivoluzione di febbraio, nel quale, attraverso una citazione tratta dal libro dell'ex-oppositore Šljapnikov, veniva esposta la posizione attendista tenuta da Stalin prima del ritorno di Lenin in Russia. L'errore era dav vero imperdonabile, ma Jaroslavskij non rinunciava a notare che il libro incriminato era stato pubblicato con «l'autorizzazione del Comitato
centrale, dell'Istituto di storia del partito»>. La missiva terminava con una dichiarazione di disponibilità che con teneva un velato rimprovero alla scarsa chiarezza della Lettera:
Considero mio dovere correggere tutti gli errrori commessi in questo
lavoro. Perciò mi rivolgo a voi con una preghiera: mostratemi quella . Jaro
slavskij li elencava con una diligenza che ci introduce nel laboratorio della vulgata di regime.
Il primo era di aver troppo accentuato la componente contadina della
rivoluzione del 1905-1907, ignorando che Lenin aveva posto già allora
l'obiettivo della pererastanie, della trasformazione della rivoluzione bor
ghese in socialista. Da esso ne discendeva un altro: aver parlato di una 59 RCChIDNI, f. 89, op. 7, ed. chr. 72, II. 1-2.
32
CAPITOLO
SECONDO
doppia rivoluzione borghese e poi socialista, nel corso del 1917 e di un corrispondente «riarmamento» (perevooruženie) della strategia dei bol scevichi. Altro errore capitale era stato di aver sostenuto che il partito bolscevico aveva guadagnato un ascendente internazionale solo nel corso
della prima guerra mondiale, quando tutti sapevano che ciò era avvenuto al momento della Rivoluzione del 1905. L'autocritica si sarebbe potuta
fermare qui, ma Jaroslavskij aveva imparato la lezione: meglio prevenire le critiche che adeguarsi ad esse, e quindi si affrettò a riconoscere di aver tollerato, in qualità di curatore del Kurs istorii VKP(b), la sottovalutazione
del problema nazionale e una descrizione troppo favorevole dei comu nisti di sinistra.
A questo punto si poneva il problema cruciale: la denuncia dei suoi collaboratori. Riconoscere di aver sbagliato nello scegliere Kin e El'vov, > non fu perché essi erano protetti dalla corporazione degli storici, o dal
loro passato di bolscevichi. Al contrario, se la repressione fu blanda, è 62 RCChIDNI, f. 89, op. 7, ed. chr. 89, Il. 31-53; ivi, f. 89, op. 7, ed. chr. ll. 11-16. 63 RCChIDNI, f. 89, op. 7, ed. chr. 69, ll. 3-7 e 21. 64 Ivi, f. 17, op. 3, d. 867.
65 A conferma che non sempre le memorie collettive tramandate sono attendibili, nella già menzionata assemblea degli storici del 1962, lo storico E.N. Gorodeckij dipinse uno Jaroslavskij capace di contrapporsi a Stalin, lamentando la situazione insostenibile
degli «onorati storici-bolscevichi», sui quali venivano rovesciati gli epiteti di «trockisti, falsificatori, controrivoluzionari»>, con il risultato di provocare un netto scadimento della
ricerca storica. (Soveščanie..., cit., 1962, p. 363) Colpisce, più che gli inevitabili inganni della memoria, il fatto che nel 1962 fosse ancora considerato normale dividere gli storici in buoni (gli «onorati bolscevichi») e cattivi (i trockisti).
34
CAPITOLO
SECONDO
perché altrettanto tenue fu la resistenza. Il clima di violenza che si respi rava nel paese e la sorte toccata gli storici «borghesi», furono argomenti
sufficienti a convincere gli storici
in questo caso può essere accolto il giudizio di
Avtorchanov - rispetto agli obiettivi politici generali del regime. La cam pagna contro il «contrabbando trockista» in campo storico aveva attiz zato un anti-intellettualismo, di cui trasuda il discorso di Kaganovič
all'IKP, che minacciava di compromettere l'impegno per il recupero degli
specialisti «borghesi» che operavano nell'economia".
La stessa caccia agli errori ideologici non poteva prolungarsi all'infi nito. La sua prima conseguenza era stata di aver paralizzato la ricerca storica; e di certo questo era per il regime un danno di poco conto". Ad essa poteva seguire, se gli anatemi non fossero stati accompagnati da adeguate misure coercitive, la perdita di credibilità dei vertici del partito, e questa sarebbe stata una conseguenza di ben maggiore gravità. Ma
avrebbe avuto senso lanciare una purga generalizzata degli istituti storici,
quando ben altri erano i problemi che assillavano il paese? La risposta, giunta attraverso l'intervento di Postyšev era stata chiara: no.
6 In campo culturale, il ritorno a curricula di studi tradizionali nelle scuole di ogni
ordine e specializzazione è l'aspetto più vistoso del processo di generale ripensamento della strategia iniziale di industrializzazione Per un quadro della parabola dell'organizzazione
dell'insegnamento in Urss, dalla sperimentazione radicale al compromesso ed infine al ritorno alla tradizione, cfr. L.E. HOLMES, The Kremlin and the School House. Reforming Education in Soviet Russia, 1917-1931, Indiana University Press, Bloomington, 1991. Per
una analisi del ruolo svolto dalle considerazioni di ordine produttivo nel determinare la svolta, cfr. K.E. BAILES, Technology and Society under Lenin and Stalin. Origins of the
Soviet Technical Intelligencija, 1917-41, Princeton University Press, Princeton, 1978, cap. 9.
67 È comunque importante che le stesse fonti ufficiali sovietiche fossero autorizzate a
sottolineare la circostanza (cfr. Vestnik Kommunističeskoj Akademii, 1932, nn. 1-2, p. 148).
Capitolo terzo La storia come mito
La prima conclusione che si trae dalle vicende descritte è che l'inizia
tiva di Stalin non può essere spiegata con le sole finalità repressive. Per
conseguire questo obiettivo esistevano altri mezzi, come dimostrava in modo esauriente l'esperienza del passato, e come avrebbero confermato le vicende successive.
Non va trascurato l'aspetto personale della questione. Nella sua lunga
carriera politica, Stalin fu sempre attento a non legare il suo nome a politiche esclusivamente repressive'. A questa regola di condotta politica si era attenuto anche nel decidere la sorte del suo intervento all'Istituto
di filosofia dell'IKP, di pochi mesi anteriore alla Lettera. L'intervento, ed
in particolare le risposte ai filosofi presenti all'incontro, non mancavano, se interpretati in chiave politica, di momenti di interesse. Tuttavia, con
siderato nel suo complesso, esso si presentava come una invettiva gene ralizzata. Contro le scuole filosofiche marxiste. Contro Plechanov, che
bisognava «distruggere» perché aveva sempre guardato «dall'alto in bas so»> Lenin. Contro Engels, colpevole di una errata valutazione dei rap porti fra Russia e Germania e di aver scritto un passo sulla transizione
al socialismo utilizzato da Bucharin. Di positivo vi era solo l'esortazione
a studiare il leniniano Materialismo ed empiriocriticismo². Poco per de finire le direttrici di una nuovo politica culturale. E poco anche per ¹ Quanto Stalin tenesse ad alimentare l'immagine del leader saggio e magnanimo, protettore degli artisti di talento, compresi coloro che non gli avevano risparmiato cri tiche, è dimostrato dalla telefonata «personale» che egli fece a Bulgakov nell'aprile del 1930 per rassicurarlo sulle possibilità di lavorare in Unione sovietica in condizioni di piena libertà. Come il vozd' si attendeva, la notizia della telefonata si sparse in un baleno
per Mosca e alimentò una delle leggende più tenaci degli anni dello stalinismo. In merito, cfr. V. SENTALINSKIJ, I manoscritti non bruciano. Gli archivi letterari del Kgb., Garzanti, Milano, 1994, p. 347-358; V. LOSEV, «Bulgakov e Stalin», in M. Bulgakov, Il Grande
Cancelliere e altri inediti, Leonardo, Milano, 1991, pp. 7-8. 2 RCChIDNI, f. 5, op. 1; ed. chr. 24, ll. 2-3.
36
CAPITOLO
TERZO
aprire a Stalin la strada verso l'«Olimpo filosofico». Ammesso che que
sto fosse stato il suo fine, il vožd' dimostrò di saper subordinare le ambizioni personali a una più fredda valutazione politica e decise di non pubblicare l'intervento³.
Perché invece pubblicò la Lettera alla Proletarskaja Revolucija, che
non si distingueva né per originalità né per capacità di proposta politica? Perché scelse, per una delle sue rare incursioni in campo culturale, un
argomento storico? Ed infine perché, fra i tanti possibili, proprio quel tema?
Agli interrogativi è possibile naturalmente rispondere che Stalin in tendeva riaffermare la partijnost', e nell'ambito di questa rilanciare anche il «culto della personalità». Ma queste considerazioni potrebbero essere estese a quasi tutte le iniziative staliniane, e dunque ben poco esse ci aiutano a cogliere la specificità degli eventi collegati alla Lettera.
La partijnost' era un punto fermo dell'ideologia bolscevica almeno dal 1895. È importante quindi cogliere non la sua scontata presenza nel l'azione del partito, quanto piuttosto i contenuti che essa assunse nei diversi contesti storici.
Per tornare alle vicende che ci interessano, è da condividere il giudi
zio secondo il quale, una volta usciti di scena gli storici «borghesi», il «rifiuto assoluto degli studi non marxisti, la necessità di rendere politi
camente significative le ricerche storiche, l'opportunità di stretti contatti fra le sfere politiche e intellettuali»5 divennero valori condivisi da tutti gli storici sovietici. A dividere questi ultimi erano semmai l'interpretazione
della partijnost' e, ancor più, le rivalità personali suscitate dall'ambizione di essere scelti come interpreti della politica culturale del regime. La conferma di quanto mutevole potesse essere il concetto di partijnost' e
quanto, di conseguenza, altalenanti le fortune degli storici di partito giunge dal dibattito storico svoltosi dal 1928 in poi.
Per limitarci ad alcuni degli episodi più noti e significativi, si potrà
ricordare come la categoria di «modo di produzione asiatico» era stata Per una diversa interpretazione, che individua nelle ambizioni filosofiche di Stalin la molla del suo comportamento, cfr. N.N. MASLOV, «Ideologija stalinizma: istorija utverždenija i suščnost'. 1929-1956», Znanie, 1990, n. 3, p. 29 e «Ob utverždenii ideologii stalinizma», Istorija i stalinizm, cit., p. 62.
*Per le prime teorizzazioni leniniane cfr. R. SERVICE, Lenin: a Political Life. I.
Strenghts of Contradiction, MacMillan, London, 1985, p. 36. J. BARBER, op. cit., p. 144.
LA
STORIA
COME
MITO
37
dapprima usata dalla maggioranza del partito nella polemica contro Trockij sui fini della Rivoluzione cinese. Un paese arretrato questa era la tesi della maggioranza za - non poteva andare oltre la rivoluzione bor
ghese. Eliminato Trockij, era emersa un'insidia sino allora non conside rata: l'applicazione della categoria poteva essere estesa all'Urss, condu cendo a conclusioni non dissimili sulla strategia politica. Con la benedi zione ufficiale, l'attacco contro il «modo di produzione asiatico», ora bollato come eresia «trockista», fu lanciato nel 1929 da uno storico for matosi alla scuola di Pokrovskij: S.M. Dubrovskij. Dopo i primi rovesci
della collettivizzazione anche la tesi di Dubrovskij divenne scomoda,
poiché accentuava le similarità fra la storia russa e quella dell'Occidente, con il risultato di sottovalutare l'arretratezza russa e di offuscare le con
quiste postrivoluzionarie. Fu un intervento di Stalin sull'argomento, nel
1934, a porre fine ad ogni disputa in merito, tracciando la linea divisoria fra ortodossia ed eterodossia'.
Il dibattito ora ricordato si intrecciò con l'altro, sulla natura del ca
pitalismo russo. La tesi, sostenuta da Pokrovskij, di una Russia zarista dipendente dal capitale straniero fu convalidata nel 1925 da uno studio approfondito di Vanag, uno dei suoi più noti discepoli. Le conclusioni di Vanag furono confutate da più parti, ma con prudenza. In merito non
esisteva una posizione ufficiale, e incombeva quindi il pericolo di ecce dere in critiche, cadendo in una delle tante eresie attribuite a Trockij, secondo la quale, nel regime zarista, la sovrastruttura politica sarebbe stata autonoma dalla struttura sociale. Le conclusioni del lavoro di Vanag
furono infine sconfessate alla Conferenza degli storici marxisti, nel di cembre del 1928 e da allora furono bollate come «teoria della snaziona
lizzazione». Ma anche questo argomento fu usato con grande cautela. Come avrebbe potuto essere infatti conciliata l'immagine di una Russia in grado di compiere le scelte di politica interna in piena indipendenza da condizionamenti esterni con la teoria leniniana, tanto cara a Stalin, della Russia «anello debole» della catena dell'imperialismo??
La natura dei rapporti della Russia zarista con il mondo esterno re stava tuttavia indefinita, coinvolgendo anche il giudizio sulla politica 6 Ivi, cap. III, ed anche A.I. ALATORCEVA, «Žurnal Istorik Marksist - organ Obščestva Istorikov-marksistov i Instituta istorii Komakademii», Istorija i istoriki, Nauka, Moskva, 1971, pp. 64 sgg.
'Per il dibattito cfr. J. BARBER, op. cit., cap. 5. In particolare, sulle posizioni della scuola di Pokrovskij su questo tema: G.M. ENTEEN, op. cit., p. 58-59 e 96-97.
38
CAPITOLO
TERZO
estera. Nell'autunno del 1928 Pokrovskij in persona aveva lanciato un
duro attacco contro Tarle, colpevole di aver scritto un libro, L'Europa nell'epoca dell'imperialismo, nel quale le responsabilità della prima guerra mondiale erano attribuite alla
Germania e
la
durezza
del
trattato
di
Versailles spiegata con l'antecedente della pace di Brest-Litovsk. Da tem po Pokrovskij sosteneva una tesi contraria, individuando negli interessi
dell'imperialismo inglese e nella spinta verso Costantinopoli dello zarismo i maggiori responsabili della guerra. La controversia si mosse su un
terreno politico più che storiografico. Il clima anti-inglese che si respi
rava allora in Unione sovietica consentì a Pokrovskij di spingere le sue critiche sino a qualificare Tarle come un nemico di classe. A Tarle fu concesso di replicare, e, nonostante il successivo arresto, la sua analisi
delle origini della prima guerra mondiale non fu mai ufficialmente scon fessata. Al contrario, fu Pokrovskij a dover rivedere la sua versione.
Queste erano le conseguenze inevitabili di una attenzione eccessiva alle
evoluzioni della politica'. Un altro tema per il quale sarebbe inutile cercare una definizione
univoca e stabile di partijnost', è il rapporto tra il bolscevismo e la tra
dizione rivoluzionaria russa. La disputa sul ruolo di Narodnaja Volja¹⁰
e dei contadini nella Rivoluzione del 1905 aveva visto l'aspra contrappo sizione fra Pokrovskij e Jaroslavskij, sostenuti dai loro rispettivi adepti e si era anch'essa conclusa senza giungere alla definizione di una versione ufficiale. Unico suo retaggio certo erano le pesanti invettive che i due schieramenti si erano lanciati. Jaroslavskij fu accusato di «deviazione
populista»; il suo antagonista Gorin fu ricambiato con l'epiteto di «semi trockista». Il minaccioso linguaggio della Lettera di Stalin non giunse certo come un fulmine a ciel sereno!
Per un approfondimento cfr. B.S. KAGANOVIČ, Evgenij Viktorovič Tarle i peter burgskaja škola istorikov, DB, S. Peterburg, 1995, pp. 34-38. Cfr. J. BARBER, op. cit., pp. 35-37; G.M. ENTEEN, op. cit., pp. 86-88.
10 Formatasi nel 1879, la Narodnaja Volja aveva concentrato la sua attività negli
attentati contro alti esponenti del regime zarista. La sua impresa più nota fu l'uccisione dello zar Alessandro II. Dopo il suo scioglimento la maggioranza dei suoi membri era confluita nel Partito dei socialisti rivoluzionari. Da non trascurare che la parabola di
Narodnaja Volja presentava un aspetto assai delicato per gli storici: fra i suoi dirigenti figurava infatti Aleksandr Uljanov, fratello di Lenin, giustiziato dal regime zarista per la sua attività.
"Per una sintesi del dibattito cfr. J. BARBER, op. cit., cap. 6. È significativo che una versione sovietica del dibattito, risalente agli anni settanta, pur prodiga di riferimenti agli
LA
STORIA
COME
MITO
39
In tutti questi casi, le citazioni estensive, ossessive dei classici del marxismo-leninismo, e di Stalin in primo luogo, non si rivelarono un'ar ma vincente. Da esse poteva essere tratto tutto e il contrario di tutto, e ciò rendeva il ricorso continuo all'autorità dei classici imbarazzante, poiché
rivelava che anch'essi non sempre avevano le idee chiare e spesso erano
disposti a sacrificare i supremi princìpi agli imperativi della politica. Un
intervento del Comitato centrale volto a riportare ordine in materia era
quindi da attendersi. È tuttavia dubbio che l'inaspettato intervento di
Stalin in persona abbia contribuito a risolvere le incertezze sulla defini zione della partijnost' in campo storico.
I contributi degli storici di partito non si erano distinti, negli anni
precedenti, né per respiro culturale (essi avevano ignorato la storia del l'Occidente e degli altri popoli dell'Urss) né per capacità di approfondi mento. La Lettera restrinse ancor più gli orizzonti, intervenendo su un
tema marginale del dibattito e da essa non giunse nemmeno l'attesa versione ufficiale sui controversi temi dell'arretratezza e della tradizione
rivoluzionaria in Russia. In assenza di una versione ufficiale, il mosaico
della partijnost' continuava a essere tanto incompleto da risultare inde cifrabile. E le ragioni storiche che avevano fatto dell'Unione sovietica il faro della rivoluzione mondiale un enigma difficile da sciogliere anche per gli zeloti di partito. Di tutto ciò bisogna tener conto quando si parla di culto della per sonalità. La decisione di Stalin di arrogarsi il ruolo di arbitro supremo di una controversia storica e di detentore della verità ufficiale in materia
era evidentemente finalizzata all'attribuzione alla sua figura di un'aura di infallibilità. I precedenti storici e l'andamento del dibattito successivo alla Lettera inducono tuttavia ad essere cauti prima di giungere alla conclu sione che il culto potesse essere alimentato dal solo bombardamento propagandistico dell'agitprop. Il culto del capo era radicato nella tradizione bolscevica. Esso era
sorto e si era sviluppato spontaneamente nelle difficili condizioni che avevano fatto seguito alla Rivoluzione. Tutti i dirigenti bolscevichi ave
attacchi portati agli «storici borghesi e piccolo borghesi», eviti ogni accenno al confronto fra storici marxisti (cfr. A. ALATORCEVA, art. cit., in Istorija i istoriki, cit., pp. 48-67). La durezza dello scontro, e la sua forte personalizzazione, emergono invece dalla corrispon
denza, di recente pubblicata in Urss, fra Pokrovskij e altri due protagonisti, seppur in diverse vesti, del dibattito: Jaroslavskij e Molotov (cfr. Istoričeskij Archiv, 1993, n. 4, pp. 194-96).
CAPITOLO TERZO
40
vano contribuito alla sua diffusione il «giuramento»> pronunciato da Stalin in occasione dei funerali di Lenin, con la sua «fraseologia di tipo
biblico» e la sua «ispirazione liturgica» accentuò, ma non creò ex novo, l'elemento religioso in esso presente¹2. Solo negli anni seguenti esso sa
rebbe divenuto predominante, conferendo al culto di Lenin l'impronta della visione che Stalin nutriva della politica¹³.
Un conto era indirizzare in una determinata direzione un culto già esistente; un altro formarlo dal nulla con una operazione di manipola
zione ideologica condotta dagli apparati burocratici. Il mito di Lenin era nato con gli anni, ed era cresciuto di pari passo con le conquiste della Rivoluzione. Il mito di Mussolini «duce del fascismo» era stato precedu
to dai miti di Mussolini «socialista», e poi, al tempo della prima guerra
mondiale, di Mussolini «uomo nuovo»¹4. Rispetto a Stalin anche Hitler
godeva di un grande vantaggio: nella memoria collettiva egli era il fon datore del nazismo, e ciò conferì al suo culto un carattere spontaneo
assente in quello del vožd"¹5.
Alla fine degli anni venti, Stalin godeva di un indubbio prestigio fra i membri del partito, ma non di attributi carismatici tali da ammantare
la sua figura di un'aura di venerazione religiosa, e l'operazione «culto della personalità», lanciata nel dicembre del 1929, in occasione del suo
cinquantesimo compleanno, si scontrò presto con seri ostacoli. Le virtù che vennero celebrate nella pioggia di articoli agiografici sul segretario generale furono quelle del «condottiero» (vožď') del «capo»(rukovoditel),
del «maestro» (učiteľ'), e, ovviamente, quella di «migliore leninista», che
le compendiava tutte e stabiliva la sua preminenza nei confronti degli altri membri del gruppo dirigente. Nessuno parlò di Stalin come di un
batjuška, di un padre che sorveglia sui destini della popolazione: il momento storico richiedeva ai dirigenti come ai cittadini sovietici virtù eroiche, non benevolenza e paternalismo". Il termine «genio» ricorre a 12 Sulle origini e i momenti salienti della diffusione del culto del capo, cfr. N. TUMAR KIN, Lenin Lives! The Lenin Cult in Soviet Russia, Harvard University Press, 1983, pp.
83-107. Una diversa interpretazione, più incline a cogliere l'originalità per forma e con tenuto dell'orazione funebre di Stalin, è fornita da E.H. CARR (La morte di Lenin.
L'interregno, 1923-1924, Einaudi, Torino, 1965, pp. 324-25). "N. TUMARKIN, op. cit., pp. 137-200.
14 Cfr. E. GENTILE, Il culto del Littorio, Laterza, Bari, 1993, pp. 264-67. 15 Cfr. le osservazioni di A. BULLOCK, Hitler and Stalin. Parallel Lives, Fontana
Press, London, pp. 392-94. 16 Cfr. Pravda, 21.XII.1929.
LA
STORIA
COME
MITO
41
volte negli articoli, ma in una accezione simile a quella usata da Stalin nel
suo breve saggio su Lenin. «Genio» è quel dirigente politico che in
qualsiasi circostanza, felice o avversa, si fa guidare dalla ragione, dalla fiducia nelle proprie idee, e grazie a queste sue qualità mostra, nelle
circostanze più difficili, una «geniale capacità di previsione» degli avve nimenti¹7. In definitiva, Stalin veniva descritto come uno statista lungimi
rante più che come individuo dotato di virtù sovrannaturali. Negli stessi anni Mussolini veniva celebrato dalla propaganda di regime come: «sta tista, legislatore, filosofo, artista, genio universale ma anche profeta, messia,
apostolo infallibile, inviato da Dio, eletto dal destino e portatore di destino, annunciato dai profeti del Risorgimento»¹8. La comparazione aiuta a cogliere quanto ristretto fosse, al confronto, lo spettro delle qualità attribuite a Stalin, e quanto esse tendessero alla prosaicità.
Era questo il punto di forza dell'operazione, poiché consentiva a Stalin di evitare un confronto con Lenin, che in quel momento sarebbe
apparso a molti oltraggioso. Ma era allo stesso tempo un elemento di debolezza, poiché virtù così terrene come quelle attribuite a Stalin anda vano soggette alla prova dei fatti, che rivelò sfavorevole. I rovesci della collettivizzazione costrinsero ad una parziale ritirata il cui segnale giunse, nel marzo del 1930, dall'articolo di Stalin Vertigine dei successi. Le rea zioni dell'apparato del partito non dovettero essere delle migliori se il
vožď', a difesa del proprio prestigio, fu costretto a cercare rifugio, meno di un mese dopo, nel principio della direzione collettiva: V'è chi pensa che l'articolo «Vertigine dei successi» sia il risultato del
l'iniziativa personale di Stalin. Queste naturalmente sono sciocchezze. Il
nostro Comitato centrale non esiste per consentire a chicchesia di pren dere un'iniziativa personale. L'indagine condotta in merito dal Comitato centrale è stata profonda. [Stalin si riferisce alla decisione di consentire ai
contadini di uscire dai kolchoz]... Il nostro Comitato centrale si chiama
Comitato centrale del partito leninista proprio perché sa superare simili difficili momenti¹⁹.
Il marasma dell'industrializzazione fece il resto. Il culto fu riposto nel cassetto, a vantaggio dell'esaltazione della saggezza collettiva del partito.
Tutto fa ritenere che fra i fini preminenti della Lettera alla Proletarskaja 17 I.V. STALIN, Sočinenija, t. 6, Ogiz, Moskva, 1947, pp. 52-64. 18 E. GENTILE, op. cit., p. 271.
19 I.V. STALIN, Sočinenija, t. 12, Ogiz, Moskva, 1949, p. 213.
40
CAPITOLO
TERZO
vano contribuito alla sua diffusione e il «giuramento» pronunciato da Stalin in occasione dei funerali di Lenin, con la sua « come esito
ineluttabile di ogni tentativo di «costruire» il socialismo in Russia prima che negli altri paesi europei. Una visione troppo rosea dell'eredità dello 33 I.V. STALIN, op. cit., t. 2 (1946), pp. 360-361. Si veda in merito R.C. TUCKER, Stalin in Power. The Revolution from Above,
1928-1941, W.W. Norton and Co., New York, 1990, pp. 50-58. 35 I.V. STALIN, Sočinenija, t. 5, cit., p. 72. 36 Ivi, t. 6, cit., pp. 72-74.
LA
STORIA
COME
MITO
47
zarismo avrebbe gettato un'ombra fosca sui lutti e i sacrifici che erano
stati imposti al paese in nome del socialismo, sollevando l'innominabile interrogativo: non sarebbe stato meglio lasciare la borghesia libera di completare la sua rivoluzione?
Il problema aveva assillato Lenin, e lo aveva costretto a continue oscillazioni di giudizio". Stalin se ne sbarazzò a suo modo, con alcune
sentenze che ne negavano la consistenza: L'arretratezza tecnica del nostro paese non è un ostacolo insormontabile alla costruzione di una società compiutamente socialista.
Chi, come Zinov'ev, osò parlare di una «rivoluzione iniziata in un
paese a predominanza contadina», incorse nella sua scomunica: [Affermare questo] significa fare del leninismo non più una dottrina
proletaria internazionale, ma un prodotto delle specifiche condizioni russe³8.
Si può concordare con Trockij quando scrive che la teoria leniniana
dello sviluppo diseguale del capitalismo era divenuta per Stalin un «fe
ticcio teorico» utilizzato per spiegare il paradosso di un paese arretrato divenuto la culla della rivoluzione socialista³⁹.
In effetti, Stalin mostrò sempre di essere poco interessato agli aspetti
economici e sociali della questione. I contadini russi erano passati attra verso la scuola di tre rivoluzioni; il proletariato già prima della guerra era «una forza politica indipendente». Perciò, già al momento della rivolu zione borghese, «in Russia... le condizioni della lotta di classe erano più
sviluppate che in occidente»> +0.
Questa visione del problema spiega la violenza con la quale Stalin, in una lettera destinata ad essere pubblicata solo nel 1952, attaccò lo scrit tore Demjan Bednyj, colpevole di aver descritto i disastri del primo 37 Cfr. R. SERVICE, op. cit., pp. 55-67 e 162-191.
38 I.V. STALIN, Sočinenija, t. 8, Ogiz, Moskva, 1948, pp. 16 e 64. 39 L. TROCKIJ, Scritti. 1929-36, Mondadori, Milano, 1968, p. 97. 10 I.V. STALIN, Sočinenija, t. 5, cit., pp. 123-127. Molto più sfumato (a conferma che
già negli anni venti Stalin aveva stabilito una gerarchia fra i popoli sovietici) il giudizio che egli dà dei movimenti rivoluzionari nazionali in Fondamenti del leninismo: «Il carat
tere indubbiamente rivoluzionario della grande maggioranza dei movimenti nazionali è
relativo e legato a condizioni peculiari, come del resto è relativo e peculiare il carattere potenzialmente reazionario di alcuni di questi movimenti» (ivi, t. 6, cit., p. 143).
48
CAPITOLO
TERZO
periodo dell'industrializzazione, attribuendone la responsabilità non agli
errori di valutazione dei dirigenti del partito, ma all'indolenza e all'incu ria ereditate dalla vecchia Russia:
Tutto il mondo riconosce ora che il centro del movimento rivoluzionario
si è spostato dall'Europa occidentale alla Russia. I dirigenti dei mo ...
vimenti rivoluzionari di tutti i paesi studiano con avidità la storia esem
plare del proletariato russo, il suo passato, il passato della Russia, ben sapendo che oltre una Russia reazionaria esisteva una Russia rivoluzio naria, la Russia dei Radiščev e Černisevskij, dei Željabov e Uljanov, dei Chalturin ed Alekseev...
E voi?...Avete proclamato ai quattro venti che la Russia del passato si
presentava come un impasto di orrori e devastazioni..., che la «, la voglia di «sedere sulla stufa» sono quasi un tratto nazionale dei russi in generale, e quindi anche degli operai russi¹¹. Dei tratti morali e politici negativi della vecchia Russia non si poteva
dunque parlare, perché essi potevano riverberarsi sulla classe operaia e sul movimento rivoluzionario. Dell'arretratezza economica e sociale sì,
poiché essa giustificava i sacrifici cui il popolo sovietico doveva sotto
porsi. Stalin tornò su questo tema alla Conferenza dei lavoratori dell'in dustria socialista, nel febbraio 1931:
La storia della vecchia Russia consistette, fra l'altro, nel fatto che essa fu continuamente battuta a causa della sua arretratezza. La batterono i chan
mongoli. La batterono i bey turchi. La batterono i cavalieri feudali sve desi. La batterono i pan polacchi e lituani. La batterono i capitalisti anglo-francesi. La batterono tutti a causa dell'arretratezza. A causa del l'arretratezza militare, dell'arretratezza culturale, dell'arretratezza statale, dell'arretratezza industriale, dell'arretratezza agricola¹2.
Da notare che pochi mesi prima Stalin era intervenuto a suo modo nel dibattito che divideva gli storici di partito, con una lettera ad un tal Šatunovskij, anch'essa pubblicata solo nel 1952, nella quale aveva negato
che la Russia potesse essere considerata un «paese coloniale». Al contra rio, esistevano le premesse perché essa si avvviasse verso una fase di «capitalismo sviluppato»¹³.
Ivi, t. 13 (1952), pp. 24-25. 42 Ivi, p. 38. 43 Ivi, P. 18.
LA STORIA COME
MITO
49
A giudicare da questi interventi, Stalin non aveva alcun interesse a definire una volta per tutte, su questi temi, una partijnost' che, vincolan
dolo a proposizioni inalterabili, lo avrebbe privato della libertà di con traddirsi. Il senso politico in Stalin era ancora troppo forte perché egli si facesse trascinare da ambizioni intellettuali.
Per tornare al merito degli obiter dicta storici di Stalin, il riconosci mento delle potenzialità di sviluppo del capitalismo russo era di scarso
significato. Negli scritti di Stalin il capitalismo è sempre associato ad immagini di disorganizzazione, stagnazione, sfacelo. Quando egli aveva
voluto esprimere apprezzamento nei confronti di un paese capitalistico, gli Usa, lo aveva fatto lodando lo «spirito pratico americano»: una qua
lità soggettiva, come tale esportabile nell'Urss socialista, dove avrebbe
potuto essere usato come antidoto agli eccessi dello «slancio rivolu zionario»> 44.
Che, alla fine, sarebbe stato quest'ultimo, e non l'eredità di arretratez za della Russia zarista, a decidere le sorti della «edificazione socialista»,
Stalin lo proclamò a chiare lettere non appena si sentì abbastanza sicuro, come dirigente politico, da cimentarsi in imprese più impegnative delle chiose ai classici del marxismo.
Già nel 1921, ad una immagine convenzionale della storia del partito,
la cui periodizzazione è scandita dalla progressiva conquista del consen
so delle masse¹5, egli ne sovrappose un'altra, ben più pregnante del: partito comunista come un suo genere di Ordine di portaspada all'inter no dello stato sovietico.
La formula, troppo cruda, non sarebbe stata più usata da Stalin. Il proponimento di mostrare il «significato della vecchia guardia all'interno
di questo possente ordine»46 avrebbe invece trovato attuazione nei suoi interventi del 1924-26, raccolti ne Le questioni del leninismo.
Alle nuove leve, Stalin presentò l'immagine di un partito che già nel 1905, grazie a Lenin, era «armato della teoria rivoluzionaria» necessaria per trasformare la rivoluzione borghese in socialista. Di un partito che si era rafforzato «epurandosi dagli opportunisti». E che poteva sostituirsi al proletariato, poiché:
44 Ivi, t. 6, cit., p. 186.
45 Ivi, t. 5, cit., pp. 101-105.
46 Ibidem, p.
71.
50
CAPITOLO TERZO
la dittatura del proletariato è, in essenza, la «dittatura» della sua avan
guardia, la «dittatura» del suo partito¹7. Quale che sia stata la sua origine, la Lettera, nella versione finale, rispecchia la visione, rimasta sostanzialmente immutata nel tempo, che
Stalin aveva della storia e dei suoi protagonisti. Essa non si distingueva «né per originalità né per sottigliezza di ar gomentazione». Nella sua polemica Stalin era stato preceduto, fra gli altri, da Kathe Pol', una storica che aveva criticato Sluckij per aver limi
tato la propria analisi al periodo precedente il 1910. A giudizio della
Pol', prima di trarre generalizzazioni dalla politica di Lenin nei confronti del centrismo socialdemocratico e di Kautskij in particolare era necessa rio analizzare con cura la sua attività nel periodo successivo; altrimenti si sarebbe giunti all'assurdo di ritenere che la guerra e la Rivoluzione non modificarono in alcun modo le convinzioni di Lenin in merito. Gli
argomenti della Pol' erano ineccepibili sotto il profilo ideologico e co
glievano con abilità il punto debole del'articolo di Sluckij, e quanti si sono occupati della vicenda hanno finito per chiedersi perché Stalin non abbia fatto proprie le tesi della Pol', nascondendo la fonte50. Poiché è da escludere che Stalin, nonostante la sua propensione alle semplificazioni storiche, non fosse in grado di cogliere i termini intellettuali della que
stione, l'unica risposta possibile è che egli non aveva alcun interesse ad una diatriba condotta secondo canoni storiografici. Per anni, mentre diveniva sempre più evidente il significato politico
della storia, il dibattito fra gli storici aveva errato alla ricerca di una definizione soddisfacente e stabile di partijnost', e gli strumenti che il
partito aveva via via usato, dalla repressione alla mobilitazione degli ap parati, all'intervento di intellettuali esterni come Gor'kij, si erano rivelati
incapaci di portare ordine e un senso di finalità in tanta confusione. Questa impotenza non poteva non indurre a cercare vie diverse da quelle sino ad allora battute.
La ricostruzione del contesto storico porta quindi ad approfondire considerazioni che già emergevano dall'analisi del testo della Lettera. La
constatazione del suo scarso valore storiografico poco ci aiuta a cogliere 47
Ivi, t. 6, cit., pp. 183-186; t. 8, cit., pp. 34-35.
J. BARBER, op. cit., p. 131. 49
Proletarskaja Revolucija, 1931, nn. 2-3, pp. 22-59 e nn. 4-5, pp. 35-79. 50 Cfr. J. BARBER, op. cit., p. 115; L.G. BABIČENKO, art. cit., p. 95.
LA STORIA COME MITO
51
ragioni e finalità dell'iniziativa staliniana, e anzi v'è da chiedersi se Stalin intendesse realmente confutare le tesi di Sluckij su di un piano strettamen
te storico. Al malcapitato storico egli non rimproverò di aver sottovalutato
la tempra morale di Lenin, la sua dedizione agli ideali del socialismo: simili tesi erano da tempo impensabili in Urss. La colpa di Sluckij era un'altra:
aver osato presentare le posizioni e le scelte di Lenin come soggette ad
evoluzione. Se si prescinde dagli aspetti più direttamente politici della vi cenda, non è difficile cogliere gli aspetti mitici dell'argomentazione di Stalin.
In un momento di generale disorientamento, e di contraddittoria defini zione della partijnost', l'intervento del vožď recise il nodo gordiano delle questioni irrisolte adattando alle nuove condizioni il mito del partito
guida, elemento fondante della tradizione bolscevica. Nella rappresenta zione del mito, il partito è «armato» sin dai suoi esordi della teoria
rivoluzionaria, ha risolto le questioni strategiche fondamentali, si pone come modello per la rivoluzione internazionale, e, soprattutto, è guidato da un leader capace di incarnare e tradurre in pratica questi attributi. Sotto il profilo storico, la contrapposizione staliniana degli «atti» reali
della vita di Lenin all'uso «> non potevano essere sconfitti, e giustificare gli errori e le sofferenze
patite con l'argomento più ovvio: così era sempre accaduto. Le restanti
funzioni assegnate alla storiografia di regime (la socializzazione delle nuove generazioni, la legittimazione delle istituzioni politiche, la razio
nalizzazione delle politiche) erano subordinate alla capacità di creare un
giusto equilibrio fra pratica e teoria, fra volontà e certezze64.
La Lettera di Stalin comprendeva altri elementi tipici del «mito razio nale»> che, sviluppati ed articolati, sarebbero andati a formare, alla fine degli
anni trenta, la vulgata ideologica del regime, a cominciare dalla descrizione del partito come eroe collettivo cui tutti devono incondizionata fiducia e subordinazione. L'elemento di forza delle scelte del regime era nella capa
cità di attingere categorie presenti dalla notte dei tempi nella psiche:
Psicologicamente parlando - scrive Cassirer - la credenza nella magia ci mostra sempre un duplice volto. È una combinazione di disperazione e di eccesso di fiducia. L'uomo diffida profondamente di se stesso e delle sue capacità individuali. Ma ripone d'altro canto una fiducia fuor di misura
nel potere dei desideri e delle azioni collettive. Ciò che fa la vera forza del mago, del negromante o dello stregone è che egli non agisce in quan to individuo; in lui si condensa e si concentra potere dell'intera tribù65.
63 Per una analisi della «guerra mossa ai sognatori» in questi anni, cfr. R. STITES, Revolutionary Dreams. Utopian Vision and Experimental Life in the Russian revolution, Oxford University Press, Oxford, 1989, pp. 225-41. Dello stesso autore, «Stalinism and
the Restructuring of Revolutionary Utopianism», in The Culture of the Stalinist Period, ed. H. GUNTHER, MacMillan, London, 1990, pp. 80-113. 6+ Per una riflessione sull'influenza del mito dell'infallibilità del partito sulla storiogra fia sovietica, cfr. H. WHITTIER HEER, op. cit., pp. 189-217. 65 E. CASSIRER, op. cit., p. 254.
56
CAPITOLO TERZO
Simile il giudizio di Isaiah Berlin, che nota come «la trasformazione
di movimenti politici e sociali in organismi monolitici che imponevano ai loro seguaci una disciplina ferrea, amministrata da una casta di sacer doti laici» abbia potuto assumere nel corso del nostro secolo dimensioni
impensabili anche per il «più fanatico sistematizzatore» proprio perché sostenuta dalla diffusa convinzione che i «sacerdoti» fossero depositari di una «conoscenza scientifica (presunta unica) degli uomini e delle cose». Anche in questo caso, dunque, le vicende politiche sovietiche si inseri
scono nel flusso dei fenomeni politici centrali del nostro secolo, pur con alcune peculiarità che vanno sottolineate. Colpisce, nella Lettera di Stalin, l'assenza di appelli alla mobilitazione di massa e le scarse e rituali concessioni al pathos rivoluzionario. Dopo
le illusioni perdute sulla possibilità di politicizzare rapidamente gli «ope rai di banco», il partito al potere era di nuovo descritto come una sorta di «ordine dei templari», dei quali si diveniva membri solo dopo un
lungo tirocinio politico ed ideologico. Di qui l'enfasi sul momento della
lotta, presentata nella Lettera e negli altri documenti ufficiali dell'epoca come una ordalia, dalla quale sarebbero emersi i degni". Di qui l'osses sione per la purificazione continua del «corpo collettivo»> del partito,
poiché le peggiori insidie giungevano dai suoi membri indegni, i quali, operando al suo interno, avevano modo di diffondere con maggior faci lità dubbi ed incertezze.
Ultimo essenziale elemento di questo quadro era la pretesa che il «mito razionale» avesse un fondamento obiettivo. La disavventura dello
storico I.I. Minc, caduto in disgrazia per aver espresso dubbi sul carat
tere scientifico della storia di partito, è indicativa dei pericoli cui si an
dava incontro quando si dimenticava che, nel pensiero mitico, «ricorda re, vedere, sapere sono termini equivalenti»68.
Toccò a Pokrovskij, decano della storiografia marxista, spiegare le
ragioni del duplice ruolo, scientifico e politico, assolto dalla storia nel regime sovietico:
66 I. BERLIN, Il legno storto dell'umanità. Capitoli di storia delle idee, Adelphi, Mi lano, 1994, p. 335-36.
67 Il rilancio, proprio nel 1931, del tema dell'eroismo nella propaganda di regime, all'insegna della parola d'ordine: «Il paese deve conoscere i propri eroi», è ben analizzato
da R. ROBIN («Stalinism and popular culture», The Culture of the Stalinist Period, cit. PP. 21-44). 68 J.-P. VERNANT, op. cit., p. 96.
LA STORIA
COME
MITO
57
Alcuni ordini sociali nascono, altri scompaiono, ed a loro posto ne na scono di nuovi. Non possiamo prevedere e immaginare il fine ultimo di questi mutamenti; ma se li osserviamo per decenni e secoli, potremo
cogliere la loro regolarità, conoscere le loro leggi... Così potremo sapere come, in quale modo, l'umanità muterà nel corso dei prossimi migliaia di anni. E chi conosce il futuro, lo domina perché, prevedendolo, ci si può preparare ad esso... Sapere, significa prevedere, e prevedere significa potere
e dominare. La conoscenza del passato ci dà in tal modo il potere sul futuro. Per questo è necessario conoscere il passato6⁹.
In poche righe Pokrovskij aveva sintetizzato le ragioni più profonde
della riscoperta della storia. O meglio: del mito di una storia che pretendeva non solo di legittimare il presente, ma anche di «dominare»> il futuro". La lungimiranza del disegno di Stalin non va esagerata. L'uso del
che sono anch'essi molto necessari.
come una guerra di liberazione, e, in ultima analisi, preannunciavano il 28 RCCHIDNI, f. 17, op. 3, d. 950.
88
CAPITOLO QUINTO
tradimento della socialdemocrazia tedesca, che, nell'agosto 1914, aveva
votato i crediti di guerra. Questi erano, secondo Stalin, il risultati del tentativo di Engels di ostacolare l'allenza franco-russa del 1891 descri
vendo la politica estera dello zarismo in modo tale da «>
35 I.V. STALIN, op. cit., 1 (XIV), pp. 36-45. 36
JU. LEVADA, «Stalinskie al'ternativy» in Osmyslit' kul't Stalina, Progress, Moskva,
1989, p. 449.
37 RCChIDNI, f. 17, op. 3, d. 950.
92
CAPITOLO
QUINTO
attraverso la circolazione di un numero limitato di copie e la comunica zione orale¹s.
Come era implicito nell'assenza di rilievi di carattere ideologico nelle
Osservazioni di Stalin, la strada scelta dai vertici del partito fu quella, inusitata, della cooperazione critica con gli storici piuttosto che della intimidazione, tanto che i curatori dei due manuali, Lukin e Vanag, e i
loro collaboratori poterono proseguire nell'impresa. Il lavoro di Vanag meritò persino gli apprezzamenti di Istorik Marksist". Tutto questo non fu sufficiente a restituire, né a lui né ai suoi colleghi, la serenità necessaria per svolgere il compito loro affidato. La cronaca della seduta sulla reda
zione del manuale di storia, tenuta nell'aprile del 1935 dagli storici della
Accademia comunista, mostra la realtà prosaica di studiosi ai quali si chiedeva di formare le nuove generazioni e che erano invece disorientati dalla massa di direttive che si riversavano sul loro capo e non osavano parlare di questioni generali se non attraverso citazioni dei classici del
marxismo. A trasformare, in molti casi, la prudenza in terrore era so praggiunto, un mese prima, l'«affare Nevskij», che aveva visto l'arresto di alcuni ricercatori dell'Accademia comunista e la destituzione del suo vice-direttore, Vanag, di nuovo tornato nell'occhio del ciclone, e del segretario scientifico della rivista Istorik Marksist: Bočarovo. Nel reso
conto, lungo venti pagine, della riunione degli storici sarebbe inutile cercare un'idea guida, un contrasto che riveli un'elaborazione, un con fronto di idee. Gli interventi di Lukin, Dal'in, Fridljand, Lur'e e altri storici destinati, di lì a due anni, ad essere bollati come trockisti e a
scomparire nelle purghe, si riducono una lunga chiosa delle Osservazioni di Stalin". Su questa base non era possibile costruire nessuna storia, nemmeno quella «semplificata» di regime.
L'assassinio di Kirov gettò gli storici in una posizione ancor più
38 M.V. NEČKINA, «K itogam discussii o periodizacii istorii sovetskoj istoričeskoj nauki», Istorija Sssr, 1962, n. 2, 73. Citazioni dei due documenti possono esser facilmente individuate anche nei resoconti della seduta degli storici sul manuale di storia moderna, dell'aprile 1935 (Istorik Marksist, 1935, n. 4, pp. 87-103). In questo caso, l'imposizione
della segretezza era determinata più da un riflesso condizionato del potere che da effet tive esigenze politiche. 39 Ivi, 1935, n. 10, PP. 64-65. 40 Secondo la stessa fonte, proprio in questo momento si fecero più insistenti le
pressioni sulla Pankratova perché condannasse Pokrovskij (cfr. A.N. ARTIZOV, art. cit. (1991) p. 108). "Istorik Marksist, 1935, n. 4, pp. 87-106.
UNA STORIA
PER LE NUOVE GENERAZIONI
93
precaria, che emerge con chiarezza dall'intervento di Ždanov all'obkom di Leningrado. Secondo Ždanov, a armare la mano di Nikolaev non era
stato solo un complotto politico; l'assassino di Kirov era anche l'espo nente di una gioventù
pervasa dal senso del fatalismo, dal pessimismo, dalla completa sfiducia nella nostra edificazione socialista, dall'odio nei confronti dei dirigenti del partito¹2.
Le responsabilità di questa situazione non potevano non ricadere anche sulle spalle degli storici, incapaci di assolvere le funzioni pedagogiche che il partito aveva loro assegnato. Il loro coinvolgimento nelle repressioni che seguirono l'assassinio di Kirov fu marginale, ma il clima che si re
spirava nel paese influì in modo pesante sulla loro attività. La messa al bando, nel marzo del 1935, dei libri dei principali oppositori di Stalin era il segnale inequivocabile che, in tutti i campi dell'attività culturale e ar
tistica, i ristrettissimi margini di autonomia conquistati nel 1934 erano venuti meno e la spada di Damocle dell'eresia pendeva più che mai sul
capo dei loro autori. Un quadro vivido, anche se non sempre attendibile, delle condizioni
di lavoro nelle istituzioni culturali e scientifiche dell'epoca emerge dalle memorie di A.G. Solov'ev. Questi aveva percorso la carriera tipica di molti giovani funzionari di partito, dirottati, all'inizio degli anni trenta, verso l'IKP. Diplomatosi nel 1934, iniziò subito a lavorare nell'Istituto
di economia e politica mondiali, diretto da E. Varga. Alla fine del marzo 1935 fu convocato, assieme al suo capo, al Comitato centrale del partito, dove i due si trovarono di fronte Ždanov e il Commissario agli interni Ežov, il primo impegnato, in accordo ad una consumata tattica polizie sca, nella parte del dirigente comprensivo, il secondo in quella del «cat
tivo». Il colloquio si chiuse con una richiesta interlocutoria di maggiore
«vigilanza»>. Pochi giorni dopo, Solov'ev era già impegnato nella «veri fica» dell'apparato governativo diretto da Enukidze, uno dei primi qua
dri staliniani a cadere vittima delle purghe. La situazione si inasprì pro
gressivamente, sino a che nel novembre dall'NKVD giunse una richiesta ineludibile: inviare a Ežov le note caratteristiche di tutti i funzionari
dell'Istituto di Varga. A quel punto, la scure era pronta ad abbattersi¹³. +2 RCChIDNI, f. 77, op. 1, ed. chr. 421, II. 35-36.
43 A.G. SOLOV'EV, «Tetradi krasnogo professora», Neizvestnaja Rossija, 1993, n. 4, PP. 172-183.
94
CAPITOLO
QUINTO
In campo storico, la prima conseguenza di questo stato di cose fu, secondo un consolidato copione, il blocco di ogni attività, cui fecero
seguito accuse di deviazione ideologica rivolte in ogni direzione. Ad un anno di distanza dalle Osservazioni di Stalin, un membro della Commis
sione del Comitato centrale per la scuola superiore tracciò un quadro sconfortante della situazione. I manuali erano molti, ma mediocri. I Com
missariati del popolo all'istruzione erano disattenti al problema; le case editrici non avevano settori specializzati per le pubblicazioni scolastiche;
non esistevano incentivi finanziari per gli autori dei manuali¹4. A ciò si
aggiungevano rivalità personali fra storici e burocrati, che intralciavano i lavori della Commissione per i manuali, costringendo in continuazione a tornare su decisioni già prese¹5. Come di consueto le responsabilità vennero scaricate sull'anello più debole della catena: i Commissariati del popolo all'istruzione delle re pubbliche. Dapprima essi furono rimproverati per i «gravissimi errori»> commessi nella redazione dei manuali, affidati a persone non qualificate e pubblicati senza l'adeguata cura. Poi, secondo un crescendo già speri
mentato, si passò agli attacchi politici. Una «parte consistente» dei fun zionari dei Commissariati per l'istruzione era ancora infetta dalla «teoria profondamente antileniniana della soppressione della scuola>> 6. La presentazione, nel settembre del 1935, a Ždanov del nuovo ma nuale redatto sotto la direzione di Vanag non giunse quindi nel momen
to più propizio. Infatti, il 4 dicembre la Commissione Ždanov lo boc ciò definitivamente, assieme a tutti gli altri manuali presi in esame. Il giudizio di Ždanov sul lavoro sino ad allora svolto, non ammetteva
appelli e non accennava ad autocritiche: Tutti i manuali di storia scritti per le nostre scuole si distinguono per schematismo, aridità, oscurità nell'esposizione. Sono stati scritti da pro fessori per professori¹8.
In altre circostanze, i vertici del partito si sarebbero disinteressati, come era accaduto dopo la Lettera di Stalin, della questione, o magari avrebbero avviato una epurazione degli storici, visto che, dopo la "RCChIDNI, f. 5, op. 1, d. 165, ll. 10-13. 45
46
Ivi, f. 5, op. 1, d. 166, 1. 2.
Kpss v rez., t. 6, pp. 254-55 e 263.
+7 RCChIDNI, f. 17, op. 120, d. 356, 1. 2. 48
Ivi, f. 77, op. 1, d. 571, l. 58.
UNA
STORIA
PER
LE
NUOVE
GENERAZIONI
95
grandinata di decreti e articoli sulla revisione dei programmi di insegna mento e soprattutto dopo l'intervento di Stalin, lo smacco subìto era
davvero grave e un capro espiatorio andava trovato. Nel 1936 fu presa la decisione di andare nella direzione opposta. Il dibattito sulla nuova Costituzione, l'approvazione di un nuovo Statuto dell'artel' agricolo, per
sino le frequenti apparizioni pubbliche di Stalin mostravano che il regime cercava di consolidare il consenso interno ricorrendo anche a strumenti
non economici. Nell'ambito di questa strategia la storia svolgeva una fun zione di crescente importanza. La celebrazione delle radici comuni dei
popoli sovietici, le oleografie sul cammino dalla Russia arretrata all'Urss >.
Esisteva - si legge nell'intervento del primo - questa pratica: prima di far firmare il verbale dell'interrogatorio all'imputato, esso era visionato dal
¹4 Ivi, 1992, nn. 4-5, p. 29. 15 Ivi, 1992, n. 10, p. 29.
16 A giudicare dalla comunicazione di Stalin al plenum, le differenze di orientamento
nel Comitato centrale riguardavano non la necessità di condannare Bucharin, Rykov e
gli altri oppositori, quanto le forme di questa condanna. Secondo Stalin, nella commis sione erano emersi in proposito quattro orientamenti: il primo favorevole ad una imme
diata fucilazione, decisa formalmente dal Tribunale militare (soluzione rapida, radicale e il meno possibile pubblica); il secondo ad una condanna a 10 anni; un terzo favorevole
a trasmettere tutta la vicenda al Tribunale, «senza decidere in anticipo la pena» (qui sembra emergere, più che un improbabile tentativo di salvare le vittime predestinate,
la volontà di salvaguardare le ultime vestigia della «legalità socialista»); il quarto, e prevalente, era favorevole a trasmettere tutto al Commissariato del popolo degli inter ni. Questa era la strada che conduceva ai «processi spettacolo» (Voprosy Istorii, 1994, n. 1, p.
12).
110
CAPITOLO
SESTO
giudice istruttore, poi trasmesso all'istanza superiore, mentre i verbali più importanti giungevano sino al Commissario del popolo. Questi impartiva indicazioni su ciò e come bisognava scrivere e non scrivere; infine il verbale tornava all'imputato. (Molotov: Una pratica davvero deplorevole) Non deplorevole, criminale¹.
Le considerazioni di Ežov lasciavano trapelare la volontà di regolare i conti con il suo predecessore Jagoda, mentre l'intervento di Vyšinskij era più attento agli aspetti formali della questione: Il maggior difetto degli organi dell'Nkvd e della Procura era da ricercare nella tendenza a costruire l'istruttoria sulle confessioni dello stesso accu sato.
In molti casi, continuava Vyšinskij, questi organi si erano comportati come
se
all'accusato toccasse dimostrare che le cose non stanno in quel modo, e
non invece come se l'accusatore dovesse provare che «è così», sostenendo l'atto di accusa con riscontri oggettivi, tali da non lasciar scampo all'im putato.
Vyšinskij condannò anche la pratica di considerare la conclusione dell'istruttoria senza un atto formale di accusa un insuccesso e una mi
naccia alla carriera, e non il riconoscimento dell'insufficienza delle prove, e quindi della non colpevolezza dell'inquisito.
Con un salto mortale logico, Vyšinskij aggiunse che, nonostante
queste pratiche, tutti i maggiori processi sino ad allora celebrati erano stati «obiettivi, convincenti e legittimi»¹8. Il suo intervento
più che
sufficiente a spiegare i motivi per i quali fu deciso di continuare una istruttoria il cui obiettivo principale era non di eliminare oppositori da
tempo ridotti all'impotenza, bensì di dimostrare che, nell'Urss degli anni trenta, l'opposizione equivaleva al tradimento, e che «, a segnalare che la scure avrebbe colpito ancora. Così avvenne. Gli arresti continuarono per tutto il 1937 e 1938,
facendo vittime illustri: gli storici di partito Popov e Knorin; Dubrovskij; Bantke, che aveva sostituito Zajdeľ' nella carica di preside della facoltà di 51 G. FEDOTOV, «Rossija i svoboda», Russkaja Ideja, t. I., Isskustvo, Moskva, 1994,
PP. 185-189. 52 N. TRUBECKOJ, «O turanskom elemente v russkoj kul'ture», ivi, pp. 76-82.
118
CAPITOLO
SESTO
storia di Leningrado; Sluckij; Kin, dai tempi della Lettera sull'orlo del l'abisso, nel quale era infine precipitato; tutta la direzione dell'IKP; Savel'ev, che era stato vice di Pokrovskij all'Accademia comunista;
Rjazanov, uno dei pochi a non essersi mai piegato a Stalin, punito con un secondo arresto, seguito dalla condanna a morte, nel gennaio del 193853. Infine, Lukin, rimosso nel febbraio del 1938 dalla carica di di
rettore dell'Istituto di storia ed arrestato nell'agosto; e naturalmente molti altri54.
Stupisce non la falsità, quanto la plausibilità delle imputazioni". Frid
ljand si era comportato da padrone della rivista Istorik Marksist (anche perché, v'è da supporre, il direttore Lukin era troppo assorbito dalle dispute sui manuali per dedicare il suo tempo al lavoro redazionale) e ne aveva approfittato per criticare alcune lettere di Engels. (Attività, que
st'ultima, nella quale, come abbiamo visto si era già cimentato Stalin e quindi era, sino a poco tempo prima, del tutto corretta sotto il profilo
ideologico). Più grave l'altra colpa di Fridljand: aveva presentato il patto franco-sovietico del 1935 come la continuazione dell'intesa franco-russa
del 1894, ed suoi «lavori» (virgolette dell'articolo) erano stati apprezzati da Radek56.
Il resto era routine. Zajdeľ aveva «falsificato» i rapporti fra Marx, Lassalle e Bakunin. Vanag aveva descritto la Russia come un «imbelle
fantoccio dell'imperialismo mondiale». (Di nuovo: cose del genere non le
aveva già dette Stalin? E in precedenza Vanag non era stato forse rim
proverato per il difetto opposto?). Piontkovskij si era distinto scrivendo ogni sorta di «sciocchezza controrivoluzionaria»; anche nelle vesti – v’è
da supporre - di influente consulente ufficiale del Comitato centrale per i manuali. Tutti, compreso Lukin che aveva permesso che i loro articoli venissero pubblicati su Istorik marksist, erano uniti da un colpa comune:
53
«Ja ne soveršal nikakogo prestuplenija», in Istoričeskij Archiv, 1995, n. 2, pp.
201-204.
54 A.N. ARTIZOV, art. cit., p. 107; V.A. DUNAEVSKIJ, «'Delo' akademika Nikolaja Michajloviča Lukina», Novaja i Novejšaja Istorija, 1990, n. 6, pp. 189-190. 55 Una eccezione di un certo rilievo a questa tendenza è costitutita dal caso di Lur'e,
docente di Storia antica all'Università di Mosca, il quale, secondo l'accusa, avrebbe svolto il ruolo di tramite fra Trockij e l'opposizione interna sin dal gennaio 1935. Il suo man
cato arresto fu usato come capo di accusa contro Molčanov, dirigente della sezione per la sicurezza interna dell'NKVD (Voprosy Istorii, 1994, n. 12, pp. 27-28). 56 Per attaccare Fridljand si scomodò lo stesso Lukin, cfr. Otečestvennaja istorija, 1992, n. 6, p. 121.
CADUTA ED ASCESA DEGLI
UOMINI INUTILI
119
essersi formati alla scuola di Pokrovskij, nido di «doppiogiochisti trocki sti e restauratori di destra»57.
In definitiva, per lo più gli storici non furono accusati di fantasiosi
complotti, come era accaduto anni prima a Platonov, Tarle, Rjazanov, ma di opinioni ed atti che sino a poco tempo prima erano stati consi derati legittimi e persino doverosi. Il problema per gli storici coinvolti era che contro simili accuse, all'apparenza poco gravi, non esisteva dife
sa. Altre vittime del Terrore si erano salvate, o avevano tentato di farlo, confessando colpe inesistenti, tentando di coinvolgere nuovi sventurati
nella loro disgrazia, oppure cercando di dimostrare di poter essere ancora utili al regime. Ma che cosa avrebbero dovuto confessare gli
storici se essi stessi, scrivendo i loro saggi e libri, avevano firmato
l'istruttoria che li condannava? E quale fiducia poteva nutrire nei loro confronti un regime che per tre anni aveva rigettato tutti i loro progetti di manuale58?
Una volta pagato il tributo alle purghe, l'operazione manuali di storia
poté ripartire, favorita dallo slittamento nella lista delle priorità politiche; le minori intromissioni del Comitato centrale del VKP(b) rimossero infatti
il principale intralcio al lavoro degli storici. Ironia e assieme tragedia della storia, i princìpi ai quali questi dovevano ispirarsi erano stati fissati da Lukin appena prima di essere arrestato. Loro cardine era il rifiuto
della storiografia borghese occidentale che (v'è da supporre in blocco, visto che Lukin non faceva esempi concreti) assegnava ai popoli dell'Eu
ropa orientale un ruolo marginale nella storia dell'umanità. Compito della storiografia sovietica era dunque di:
mostrare come il nostro paese si sia posto all'avanguardia della storia
dell'umanità, indicando il cammino di sviluppo sociale lungo il quale debbono muoversi gli altri popoli. 57 Pravda, 20.III.1937.
58 Secondo una prassi consolidata, nel maggio del 1937, all'assemblea di partito
dell'IKP, i direttori delle principali riviste storiche recitarono il loro atto di contrizio ne, riconoscendo la fondatezza degli addebiti mossi nei loro confronti. A conferma che
le autocritiche erano ormai incapaci di fermare il meccanismo repressivo che si era messo in moto, i direttori di Istorik Marksist Lukin, dell'Istoričeskij Žurnal Vejland, della Proletarskaja revolucija Ryklin, scomparvero nelle epurazioni. Si salvò il direttore
del Krasnyj Archiv Maksakov, apparentemente per un capriccio del potere, dietro il
quale si celava forse un calcolo più raffinato: bisognava lasciare sempre aperto uno spiraglio per invogliare i reprobi all'autocritica (cfr. Otečestvennaja Istorija, 1994, n. 5, Pp.
A
121-141).
120
CAPITOLO
SESTO
L'obiettivo era stato mancato per la presenza di ogni sorta di spie. Ma le forze per assolverlo, concludeva Lukin, si erano di nuovo costi tuite. Purtroppo per lui, qualcuno decise che il suo contributo all'im
presa non era più necessario.
Per altri aspetti, la previsione di Lukin si avverò. Nell'agosto del
1937, proprio nel momento in cui le purghe toccavano il loro acme, i vertici del regime si risolsero a porre fine all'annosa vicenda dei manuali,
premiando, fra i 46 che erano stati presentati alla giuria del concorso, il manuale di storia dell'Urss dello Šestakovo. La contraddizione solo apparente: una volta vibrato il colpo, bisognava dare un segnale rassicu
rante agli storici scampati alle purghe, perché si rimettessero al lavoro. Nel maggio era stata pubblicata la lettera di Stalin ai « del
manuale di storia del partito, nella quale il vožď' in persona aveva trac
ciato lo schema cui doveva attenersi il nuovo testo6¹. Il premio a Šestakov giungeva a rassicurare tutti gli storici: il regime aveva ancora bisogno di
loro. La logica del Terrore era questa. Per altro, i vertici del partito, non mancarono di comunicare la loro
insoddisfazione per lavoro degli storici attraverso le dichiarazioni ufficia li della giuria del concorso. A Šestakov fu assegnato solo il secondo premio. Inoltre, la motivazione non conteneva, come è prassi in simili
circostanze, gli elogi dell'opera premiata, quanto la meticolosa esposizio ne degli errori presenti in tutti i manuali presentati al concorso. Che
possono essere sintetizzati in tre punti principali.
I manuali avevano trascurato di approfondire l'analisi dell'arretra
tezza russa, del carattere dipendente del capitalismo russo, dell'immo bilismo e dei tradimenti di capitalisti e proprietari terrieri. Per conver
so, non erano state sottolineate a sufficienza le conquiste del periodo
post-rivoluzionario. Il terzo punto era il meno definito. Affiora nelle puntualizzazioni sul ruolo dei giacobini russi, di Chmel'nickij, dei mo nasteri (sottovalutato) e delle rivolte contadine e di personalità come Aleksandr Nevskij (sopravvalutato), il paradigma, destinato ad impron
tare la storiografia sovietica nei decenni a venire, del «ruolo progressista>>
di singole personalità o fenomeni storici, che, a prescindere dalla loro natura di classe e dalle loro convinzioni ideologiche, avevano tracciato, senza contributi esterni, la strada della Russia arretrata verso il sociali
56 Istorik Marksist, 1937, n. 3, pp. 4-19.
60 Ivi, 1937, n. 3, pp. 86-87. 61 Pravda, 6.V.1937. Ora in I.V. STALIN, op. cit., t. 1 (XIV), pp. 248-52.
CADUTA ED ASCESA
DEGLI
UOMINI
INUTILI
121
smo62. Ma esso non è ancora definito con chiarezza; e, soprattutto, non
è ancora presentato come componente stabile dell'ideologia ufficiale sovietica63.
Il manuale di Šestakov, destinato ad essere usato nelle scuole so
vietiche sino alla metà degli anni quaranta, riflette, a partire dalla bio grafia politica e professionale del suo autore, lo spirito dei tempi.
Andrej Vasilevič Šestakov era stato a lungo «rivoluzionario di profes sione», prima di diplomarsi nel 1924, quasi cinquantenne, con la prima leva dell'IKP. Dopo di allora la sua attività di storico si era concentrata sulla redazione di opere divulgative di storia agraria e di storia uni versale64.
La purga, colpendo gli storici marxisti più noti, aveva reso inevitabile la scelta di uno storico con credenziali scientifiche non entusiasmanti. In
quanto agli storici «borghesi»>, Stalin poteva ricompensare Tarle con un seggio all'Accademia per la sua biografia di Napoleones, o consentire a Grekov di dirigere l'Istituto di storia dell'Accademia delle scienze e persino di di attaccare Pokrovskij per la sua interpretazione del feudale
simo russo sulle pagine di Istorik Marksist". Ma il tempo di affidare loro
un manuale che doveva educare la futura gioventù socialista non era ancora giunto.
Non è chiaro da dove Tucker tragga motivo per presentare il manua le come il coronamento della ricerca da parte di Stalin di una «,
dato il disinteresse degli storici sovietici per lo studio delle fonti docu mentarie in
materia²8.
A differenza di quanto era accaduto nel 1932, Jaroslavskij non si lasciò scoraggiare dai dinieghi di Tovstucha. Forte della documentazione acquisita sui periodi trascorsi da Stalin in Siberia, Jaroslavskij polemizzò con l'IMEL, ed indirettamente con Tovstucha, il quale al lavoro nella segreteria personale di Stalin assommava la carica di vice-presidente del l'Istituto:
Debbo dire senza falsa modestia che, se si considera il materiale per il I
volume della stioria del Vkp(b) preparato dal collettivo di studiosi dell'IMEL, io, piccolo artigiano, non lavoro peggio dei professori del l'IMEL2⁹.
Gli archivi confermano l'incessante attività svolta da Jaroslavskij per acquisire, attraverso i canali ufficiali, la documentazione sull'attività di
Stalin nel Transcaucaso ed in Siberia. Quantità e qualità dei materiali otter
per questa via furono scoraggianti per Jaroslavskij come lo era
no stati per Gor'kij, e il «libro... utile per tutto il partito, e per i comu nisti del Trancaucaso in generale» giunse da tutt'altra direzione³0. Al pari di quanto era accaduto nel caso della biografia di Stalin,
abbozzata e poi abbandonata da Gor'kij, l'insuccesso dei tentativi di Jaroslavskij non può essere spiegato solo con l'insufficienza della docu
mentazione. È opinione ormai largamente condivisa che proprio nel corso degli anni trenta il culto di Stalin abbia trovato solide radici sociali non
fra le masse più arretrate, legate ad una tradizione di adorazione dello zar «piccolo padre», quanto nelle decine di milioni di persone gettate nella fornace della industrializzazione, acculturate in tutta fretta, incerte sul proprio ruolo, ansiose per il proprio futuro, ed in definitiva predi
sposte, per la loro condizione psicologica e sociale, a cercare in una autorità forte e indiscutibile la soluzione del loro disorientamento e delle
loro angosce³¹. A queste novità corrispose un diverso comportamento 28 Ivi, f. 89, op. 8, d. 1001, l. 23. 29 Ibidem, 1. 24.
30 Ibidem, II. 1-19.
31 Il tema della industrializzazione «dall'alto» come generatore di autoritarismo e del
«culto della personalità» fa da filo conduttore a M. LEWIN, Storia sociale dello stalinismo,
138
CAPITOLO
SETTIMO
pubblico di Stalin, che si concesse, se non a dei bagni di folla³2, a incontri con platee più vaste, non strettamente di partito. A supplire alla limitata presenza fisica del vožď' interveniva l'iconografia di regime, nella quale
trovava espressione la teoria dei due leader della Rivoluzione. A partire dagli anni trenta, l'Urss fu disseminata di monumenti e quadri che
rappresentavano uno Stalin idealizzato mentre parlava da qualche tri buna o partecipava a eventi cruciali della storia sovietica, come la Ri voluzione e la guerra civile. Lo scopo era di creare concreti simboli
della presenza in Stalin delle qualità politiche sino ad allora attribuite al solo Lenin: la sapienza, che sapeva comunicare al partito e alle masse,
l'acume e la volontà politica, che gli avevano consentito di trovarsi
pronto ai grandi appuntamenti della Storia³. La figura di Stalin fu inse rita, anche se con prudenza, nei romanzi a sfondo storico, con i tratti del dirigente benevolo e severo, pronto ad entrare in contatto con le masse, mai a mescolarsi con esse, poiché le sue qualità e il suo ruolo gli impo
nevano di conservare la sua diversità³4. A questa immagine, dopo la
guerra se ne sarebbe aggiunta un'altra imposta dalle circostanze, di padre e marito putativo. Uno Stalin bogatyr', eroe mitico rappresentabile con
sembianze e tratti psicologici umani, si affiancò o si sostituì nei racconti del folklore a Lenin35. Il contributo dell'arte sovietica all'identificazione
Torino, Einaudi, 1988. Nonostante la denuncia chrusceviana del «culto della personali
tà», in Urss il tema dei rapporti fra industrializzazione e rafforzamento del culto del capo è stato riscoperto e dibattuto solo negli anni della perestrojka; cfr. M. FERRETTI, La memoria mutilata. La Russia ricorda, Corbaccio, Milano, 1993, pp. 309-336.
32 Stalin continuò a presenziare alla manifestazioni del I maggio e degli anniversari dell'Ottobre, che erano tuttavia feste della Rivoluzione, rispetto alla quale il fattore di
omaggio al vozd, pur presente, passava in secondo piano. Per il resto, l'attività pub blica di Stalin si limitò al ricevimento di delegazioni di operai, kolchosiani e di
espo
nenti di gruppi professionali al Cremlino e alla visita a fabbriche e mostre artistiche (per una dettagliata cronaca dell'attività di Stalin cfr. I.V. STALIN, op. cit., t. 13, pp. 400
418). Il contrasto con l'attività pubblica di Hitler e Mussolini, al confronto frenetica, nei è clamoroso e definisce una degli elementi di differenziazione del culto del capo
vari totalitarismi (cfr. E. GENTILE, op. cit., pp. 181-196 e A. BULLOCK, op. cit., pp. 482-488).
33 Sull'evoluzione dell'iconografia dei leader della Rivoluzione dal 1918 sino agli anni trenta, cfr. I. GOLOMSTOK, op. cit., pp. 107-183.
In questo caso, possono essere ravvisati elementi di somiglianza con il culto del
capo nel fascismo, anch'esso contraddistinto dalla celebrazione, a prima vista contraddit
toria, del «primigenio legame» di Mussolini con le masse e delle virtù che determinavano un «allontanamento del capo dal paese» (cfr. P.G. ZUNINO, op. cit., p. 203).
, pp. 138-152; R. ROBIN, art. cit., in The Culture of the
QUALE STORIA? PER QUALE PARTITO?
139
nella figura del capo di masse sconvolte dalla girandola di mutamenti
succedutisi dall'inizio della «grande svolta», fu certamente di grande ri lievo36.
L'identificazione fra masse disorientate dai troppi mutamenti vissuti e il capo, depositario di virtù straordinarie, non era tuttavia che un anello di una catena. L'individuo doveva anche venire inserito in strutture so
ciali ed istituzionali che gli inculcassero il senso della disciplina nel lavo
ro e dei legami sociali; due qualità delle quali, a giudicare dalle mosse del regime, v'era un disperato bisogno in quegli anni. Altrettanto importante
era la definizione dei legami fra queste strutture e la figura del capo; altrimenti, le prime non avrebbero mai potuto guadagnare legittimità, mentre il capo avrebbe rischiato di svolgere il ruolo di profeta, rispettato ma inascoltato.
È possibile che le difficoltà incontrate nel tramutare il culto del capo che cresceva nel paese in canone storiografico fosse dovuto alla «painfully
Stalinist Period, cit., pp. 21-28; F.J. MILLER, «The Image of Stalin in Soviet Russian Folklore»>, The Russian Review, 1980 (39), pp. 53-62; N. TUMARKIN, op. cit., pp. 252-268;
R.C. TUCKER, Stalin in Power, cit., pp. 564-68.
36 A conferma che le vicende delle quali ci occupiamo non sono che un aspetto di più generali vicende umane, il ruolo svolto dalla perdita di identità nel favorire il consolida mento di rapporti autoritari era già stato colto da uno scrittore che viveva nell'Inghilterra vittoriana un'esperienza lontana da quella dei regimi totalitari: Tu chi sei? , disse il Bruco. Come introduzione ad una conversazione non era
incoraggiante. Alice rispose, piuttosto intimidita: - Io... io, ora come ora, non lo so più, signore... almeno, so chi ero quando mi sono alzata stamattina, ma credo di essere cambiata parecchie volte da allora.
Cosa significa tutto ciò? disse il Bruco con severità. - Spiegati meglio! -
Non posso spiegarmi, signore, mi dispiace - disse Alice, - poiché io non sono io,
capisci?
Non capisco, disse il Bruco. - Temo proprio di non poter essere più chiara, - rispose Alice molto educatamente,
- perché prima di tutto non riesco a capire qualcosa neanch'io; e inoltre cambiar di misura tante volte in un giorno confonde le idee. Non è vero,
-
disse il Bruco.
- Beh, forse la pensi così adesso, - disse Alice; ma quando dovrai trasformarti in una crisalide... un giorno ti capiterà, sai... e poi ancora in una farfalla, oserei dire che ti sentirai un pò confuso, vero?
Neanche un pò,
disse il Bruco.
- Beh, forse le tue sensazioni sono differenti, - disse Alice - Quel che so è che lo lo troverei molto strano.
- Tu! - disse il Bruco con disprezzo - E chi sei tu? (L. CARROLL, Alice nel Paese delle Meraviglie, Einaudi, Torino, 1978, pp. 43-44).
140
CAPITOLO
SETTIMO
sensitive self-esteem» di Stalin", che gli rendeva intollerabile, in quanto inadeguato all'immagine ideale di sé, ogni giudizio sulla sua persona,
tanto più se pronunciato in nome di una disciplina, la storia, che nella sua opinione assumeva caratteri di scientificità. Non v'è tuttavia bisogno di ricorrere alla psicanalisi per cogliere i motivi che rendevano improbo il compito degli aspiranti biografi. I grandi uomini possono nascere dovunque, nelle steppe della Mongolia, come nelle montagne dell'Illiria
o del Caucaso. Ma se si deve dimostrare che lo spirito della storia passò proprio di lì, che nella loro ascesa non vi fu nulla di occasionale o di personale, e quindi caduco, allora una giovinezza trascorsa lontano dai centri
riconosciuti della rivoluzione mondiale
e un
riconoscimento
molto tardo e contrastato del ruolo di vožď del partito, divengono un
ostacolo difficile da superare anche per lo storico più agguerrito o spre giudicato.
A rendere ancor più arduo il compito contribuiva l'impossibilità di sottolineare la grandezza della figura di Stalin facendo ricorso al consue to espediente dell'analogia storica. Su Pietro I continuò a gravare il giu dizio espresso da Stalin nell'intervista a Ludwig, e, nel corso di tutto il periodo staliniano, alla trilogia agiografica di Aleksej Tol'stoj corrispose,
in campo storiografico, un giudizio più prudente, non immune da riser ve sull'operato dello zar³8. Ammettiamo pure, con il biografo di Stalin, che al culmine del Terrore fosse Ivan il Terribile a «parlare» attraverso
gli atti del segretario generale del partito bolscevico". Anche in questo
caso, la traduzione in canone storiografico di questa identificazione tardò
a giungere, e non divenne mai completa. Abbiamo già parlato del modo in cui Šestakov tratteggiò la figura storica di Ivan il Terribile. Il giudizio sullo zar è certamente più favorevole nella biografia scritta nel 1922, e
ripubblicata nel 1944, da Vipper, uno storico «borghese» ma non al
punto da oltrepassare le colonne d'Ercole dell'ideologia ufficiale. Ivan è una figura nel complesso positiva, un « la cui gran dezza risalta al cospetto dei nemici interni ed esterni, ma pur sempre un
uomo del suo tempo, non un individuo cosmico-storico, capace di rom pere i vincoli della società e dell'ideologia di cui era espressione¹0. La 37 R.C. TUCKER, Stalin in Power, cit., p. 147.
38 N.V. RIASANOVSKI, The Image of Peter the Great in Russian History and Thought,
Oxford University Press, Oxford, 1985, pp. 255-282. 39 R.C. TUCKER, Stalin in Power, cit., p. 486. 40 R.V. VIPPER, Ivan Groznyj, Moskva, 1947.
QUALE STORIA? PER QUALE PARTITO?
141
cultura politica di Stalin, impregnata da un elementare storicismo, gli
rendeva impossibile pensare che simili paralleli storici potessero essere inseriti nella ideologia ufficiale¹¹. L'azione di questo meccanismo mentale emerge con ancor maggiore
chiarezza dalle vicende relative alla biografia di Tarle su Napoleone Bonaparte, publicata nel 1936; una delle più importanti e più popolari opere storiche del periodo ¹2. Forse l'ambizione di stabilire un parallelo fra il genio militare di Napoleone, descritto con efficacia da Tarle, e i
propri trascorsi al tempo della guerra civile, fece dimenticare a Stalin il pericolo che il lettore interpretasse il giudizio storico che l'autore dava
di Napoleone, usurpatore ed affossatore della rivoluzione, come riferito a lui. Ad ogni modo la vanità non lo abbagliò sino ad indurlo a rove sciare la sua filosofia semplificata della storia. Avuta la conferma di avere a che fare con un eccellente storico, commissionò a Tarle, come abbiamo
già ricordato, un'opera destinata a celebrare la vittoriosa resistenza del popolo russo all'invasione napoleonica, senz'altro più ortodossa sotto il
profilo ideologico. Per aver sostanziato questo punto di vista con una
analisi storica che, nonostante la sua dubbia genesi, raggiunse livelli inattingibili dalle altre opere di regime, Tarle fu premiato con l'ingresso nell'Accademia delle scienze¹4.
La difficoltà a tradurre il culto del capo in canone storico emerge
anche dalla fluidità delle formule canoniche della «successione apostoli
ca». Come ha dovuto constatare chi ha tentato una loro classificazione, alla metà degli anni trenta esse erano «molto sfaccettate» 45. Formule ri
41 La maggiore spregiudicatezza di Stalin quando toccavano i canoni estetici ed
artistici emerge dall'analisi che della riscoperta di Ivan IV in campo cinematografico fà B. Uhlenbruck, «The Annexation of History: Eisenstein and the Ivan the Groznyj Cult of the 1940s», in The Culture of the Stalinist Period, cit., pp. 266-284.
42 Tarle iniziò a scrivere il libro, destinato alla collana «Vite degli uomini illustri»>, nel marzo del 1935 (cfr. B.S. KAGANOVIČ, op. cit., p. 58).
43 Con una caduta nel marxismo volgare, Tarle presentò Napoleone come colui che aveva . Presunti oppositori, come Varejkis e Kirov,
esaltarono la «geniale relazione» di Stalin. Le citazioni potrebbero mol
tiplicarsi, ed inutilmente, poiché non v'è certezza che lo stenogramma rifletta la terminologia usata negli interventi. È bene allora limitarsi ad
una constatazione di carattere generale. Esistesse o meno fra i delegati un'opposizione a Stalin, i panegirici rivolti ad un tipo-ideale di dirigente
bolscevico, affidati a formule rituali nelle quali era difficile discernere le
intenzioni individuali, non erano tali da tranquillizzare il segretario ge
nerale sulla sincerità dei tributi alla sua persona. E, per quel che riguarda il tema del nostro lavoro, essi offrivano un povero materiale agli aspiran ti biografi. Non stupisce che le storie del partito pubblicate nel corso del
1934 si mostrino imbarazzate nel presentare la figura politica di Stalin, in particolare quando si imbattono nella cruciale questione delle sue relazioni con Lenin.
Questi precedenti consentono di cogliere i motivi del successo del
breve volume dal lungo titolo: A proposito della storia dell'organizza zione
bolscevica nel Transcaucaso, il cui testo tratto dalla relazione
tenuta da Berija all'attivo di partito di Tiflis nel luglio del 1935, privo
di particolari qualità letterarie e di una qualsiasi attendibilità storica, ha lasciato nella memoria collettiva un'impronta ben più profonda delle +8 XVII s'ezd VKP(b), cit., in particolare, pp. 64, 129, 93, 152, 167, 252-53, 351.
144
CAPITOLO
SETTIMO
tante storie del partito dell'epoca, anch'esse distribuite in milioni di copie ¹⁹. La relazione di Berijaso ebbe una lunga gestazione. Il suo primo ante
fatto può essere fatto risalire alla pubblicazione nel 1932 della «Lettera del Caucaso» nella rivista teorica del partito, il Bolševik. Due anni dopo
la stessa rivista pubblicò un articolo piuttosto anodino sui bolscevichi del Transcauso nel periodo prerivoluzionario, firmato da Berija5¹. Il livello di attenzione della stampa centrale era quello che si conveniva ad un'area considerata marginale, anche se non insignificante, nella storia del movi mento rivoluzionario. Nonostante gli scarsi incoraggiamenti provenienti
dal centro, Berija non rinunciò al progetto di una nuova storia del movimento bolscevico nel Trancausaso, e, come recenti ricerche hanno
confermato, il suo impegno divenne frenetico dopo la pubblicazione della lettera segreta del Comitato centrale del gennaio 1935, e crebbe in
parallelo con la crescita, nel corso dell'anno, del significato politico della storia del partito2.
I legami personali, oltre che politici, che Berija era riuscito a stabilire con Stalin inducono a ritenere che il vožď' fosse al corrente di questa attività. Non è invece scontato che Stalin conoscesse il contenuto pre
ciso della relazione di Berija54, che sorprese anche chi disponeva di an
tenne sensibili per captare quanto accadeva ai vertici di partito. È il caso
di Jaroslavskij, il quale appena pochi giorni prima aveva escluso, di fron 49
Sugli aspetti organizzativi della vicenda, cfr. A. KNIGHT, Beria. Stalin's First Lieute
nant, Princeton University Press, Princeton, 1993, p. 59
50 L'attribuzione in questo caso rispecchia la tradizione e il significato politico della
vicenda. Che Berija, data la sua limitata formazione storica, non potesse essere l'autore
della relazione era scontato, ancor prima che egli stesso confessasse di essersi servito dello storico georgiano Bedija come scrittore ombra (cfr. ivi, pp. 16-59). 51 Bolševik, 1934, n. 11, pp. 63-74.
52 A. KNIGHT, op. cit., pp. 57-62; A. ANTONOV-OVSEENKO, «Put' naverch», in Berija. Konec karery, Politizdat, Moskva, 1991, pp. 51-53. 53 Cfr. Istočnik, 1993, n. 1, pp. 15-22.
34 Secondo una versione orale tramandata negli anni, già nell'agosto del 1934 Stalin avrebbe istruito uno degli scrittori ombra del testo, Toroselidze, su «cosa e con chi
scrivere», e poi avrebbe corretto di proprio pugno il testo di 250 pagine che gli era stato
sottoposto, inserendo, ogni volta che veniva nominato il suo nome, formule del tipo:
«con un brillante intervento», «con ineguagliabile capacità teorica», «lottò senza tregua», ecc. (cfr. A. ANTONOV-OVSEENKO, art. cit., pp. 51-52). Quest'ultima scelta in particolare, così poco in linea con il comportamento tenuto da Stalin prima e dopo quel momento,
rende poco attendibile una versione non suffragata da alcun documento di archivio.
QUALE STORIA? PER QUALE PARTITO?
145
te al comitato moscovita del partito, che fosse in preparazione una bio grafia di Stalin, motivando la sua affermazione con la «risoluta avversio
ne di Stalin a che ci si occupi della sua persona». L'errata previsione di Jaroslavskij offre una chiave psicologica di interpretazione degli interven
ti in materia: di Stalin si poteva parlare, ma fingendo di vincere le sue resistenze. Ed infatti, la relazione di Berija, che di fatto narrava come nasce un vožď, fu presentata con un titolo più anonimo, che la accomu nava alle tante storie di organizzazioni locali del partito.
Ma il Transcaucaso descritto da Berija non era una periferia. Era un crocevia della storia mondiale, che non era rimasto estraneo ai sommo
vimenti rivoluzionari del secolo, ai quali aveva anzi conferito nuovo impulso. Nessuno, leggendo le pagine dedicate al 1905, avrebbe potuto dubitare che, a partire dal novembre, il centro della rivoluzione si fosse
spostato nel Transcaucaso. O che la spallata decisiva ai menscevichi fosse stata data, ancor prima della Conferenza di Praga, dai bolscevichi del Transcaucaso. Perciò Stalin non era un dirigente locale, che aveva dovuto
attendere il 1912 per entrare nell'areopago rivoluzionario, ma una perso nalità di statura internazionale sin dai suoi esordi come rivoluzionario di
professione. Le clamorose falsificazioni sul ruolo svolto da Stalin a par
tire dal 1901 non erano fini a sé stesse, ma giustificate dalla costruzione di questa immagine. Gli sforzi di Jaroslavskij per conferire spessore alla
figura di Stalin attraverso la ricostruzione dei periodi trascorsi nell'esilio
siberiano apparivano al confronto ben poca cosa, condizionati com'era
no da un duplice pregiudizio: del grande russo (nonostante Jaroslavskij fosse di origine ebrea) verso tutto ciò che accadeva nella periferia del
l'Impero e dello storico nei confronti di una narrazione non sostenuta da una adeguata base di documentazione. Una volta deciso di falsificare la
storia, simili pregiudizi divenivano eccessivi e dannosi³6.
La relazione di Berija si discostava dai canoni storiografici ufficiali 55 RCChIDNI, f. 89, op. 8, d. 604, l. 43. 56 Il
primo a nutrire pregiudizi era lo stesso Stalin, nel motivato timore che la
pubblicazione dei suoi anonimi articoli politici dell'epoca e del periodo trascorso al confino nei cruciali anni 1902-1903 avrebbero finito con il sottolineare la sua emarginazione dal centro del partito e il ruolo marginale svolto nei grandi scioperi che scoppiarono nel Transcaucaso in quegli anni. Solo quando la sua figura di vožď si era
definitivamente consolidata, egli consentì di essere presentato come un interlocutore del gruppo dirigente del partito già in quegli anni e come il principale organizzatore degli scioperi di Batumi (cfr. I.V. Stalin. Kratkaja biografija. Politizdat, Moskva, 1946, PP. 18-20).
146
CAPITOLO
SETTIMO
per un altro, fondamentale aspetto. A partire dalla Lettera di Stalin del
1931, gli interventi sulla storia del partito avevano concesso sempre più spazio alla descrizione del «nemico», sino a riservare ai protagonisti
positivi un ruolo di secondo piano. Menscevichi, dašnaki e altri prota gonisti delle rivolte antizariste, così come esponenti e istituzioni del re
gime zarista, sono presenti nella storia di Berija, ma confinati sullo sfon do, oscurati dall'eroe positivo della narrazione epica: uno Iosif Stalin,
non più proiezione dell'immagine ideale di Lenin, ma protagonista in carne ed ossa, provvisto, sin dai suoi esordi di dirigente rivoluzionario,
di una personalità politica autonoma.
A decenni di distanza, l'epopea descritta da Berija non si presenta come particolarmente avvicente o convincente. Ma nell'Urss degli anni trenta essa creò un genere a metà strada fra la biografia romanzata e il testo di storia, a conferma che la Storia di Berija non era il frutto del l'iniziativa di un «mostro staliniano»57, quanto piuttosto di un abile bu
rocrate che aveva saputo cogliere lo spirito dei tempi e aveva reciso i lacci che avvolgevano la storiografia di regime, favorito in questo anche
dalla distanza dagli apparati centrali, la cui prudenza era ormai divenuta un ostacolo a qualsiasi iniziativa. Presentata dalla Pravda con un leggero ritardo che avvalora l'ipotesi che l'operazione non fosse stata organizzata
dal centro, la storia dei bolscevichi del Transcaucaso divenne presto un
classico, del quale sarebbero state pubblicate prima del 1941 altre sei versioni, tutte aggiornate con nuovi documenti, a rafforzamento di una : Se noi potessimo, se noi sapessimo temprare politicamente e preparare
ideologicamente i nostri quadri di partito, dal basso all'alto, in modo che
152
CAPITOLO
OTTAVO
essi possano orientarsi liberamente nei problemi di politica estera ed interna... avremmo risolto nove decimi di tutti i nostri compiti.
Con il piglio burocratico che non abbandonava nemmeno nei grandi momenti politici, Stalin continuò elencando i provvedimenti necessari per raggiungere l'obiettivo. Corsi di partito di quattro mesi per i segre
tari di cellula; «corsi leniniani» di otto mesi nelle province; «corsi per la storia e la politica del partito» nelle città; una «conferenza per i problemi della politica interna ed internazionale», organizzata dal Comitato cen
trale per i quadri regionali¹.
Stalin si era forse fatto prendere la mano. Con un partito falcidiato dalle purghe, oberato dalla gestione quotidiana del paese, minacciato da un ultimo devastante attacco, le misure elencate avevano probabilità
pressoché nulle di trovare realizzazione. Segnalavano però il cuore del
problema. Il partito non poteva rimanere all'infinito una «fortezza asse diata», poiché le sue possibilità di rinnnovamento interno si erano esau
rite. Doveva aprirsi alla società, conferendo contenuti più concreti e precisi alla formula dei «bolscevichi senza partito»>².
Per Postyšev, almeno a giudicare dal suo intervento al plenum, il compito era relativamente semplice. Assorbito dai grandi compiti posti dalla «rivoluzione dall'alto», il partito si era abbandonato alla pratica
della cooptazione. Le conseguenze erano state molto gravi, come dimo strava l'andamento dei lavori del plenum, ma i rimedi erano a portata di
mano, poiché si poteva fare affidamento su di un popolo nuovo, cosciente, con un buon livello culturale, cresciuto con vigore, attivo nel processo di edificazione socialista.
La riapertura delle iscrizioni e il rispetto dello statuto del partito,
ignorato ed aggirato negli ultimi anni, avrebbe consentito di immettere nuova linfa nel tronco della tradizione rivoluzionaria'. I.V. STALIN, op. cit., t. 1 (XIV), cit., pp. 220-223.
2 Le iscrizioni al partito erano state riaperte nel novembre del 1936, con risultati
insignificanti: sino al giugno 1937 le adesioni non superarono le 12.000 unità (cfr. T.H. RIGBY, op. cit., pp. 142-143).
Voprosy Istori, 1993, 7, pp. 11-14. Concetti simili ricorrono negli interventi di segre tari regionali come Seboldaev, Kosior, Chataevič (ivi, 1993, n. 6, pp. 10-11 e 14). Più che opposizione politica, si intravede in essi la difesa corporativa di chi, pur facendo mostra di
condividere l'analisi staliniana dei mali che affliggevano il partito, riteneva di essere in grado di risolverli senza subire le ingerenze degli apparati centrali o degli organi di polizia.
UNA
CARRIERA
IRRESISTIBILE
153
La prospettiva di una ristrutturazione relativamente indolore del par tito fu affossata dagli interventi della parte finale del plenum, che fecero seguito alla prima relazione di Stalin. La necessità di procedere a una
epurazione radicale degli apparati del partito e dello Stato e di usare l'educazione politica per combattere le chiusure corporative e specialisti che funse da filo conduttore.
I problemi della preparazione militare - dichiarò il capo dell'Ammini strazione politica dell'Armata rossa Gamarnik - debbono restare, è in dubbio, al centro di tutto il lavoro delle organizzazioni di partito e degli organi politici. Ma, compagni, bisogna riconoscere, che ora tutto ciò va a scapito del lavoro partitico-politico. Molti funzionari non sono ancora convinti che il momento più importante del loro lavoro è l'educazione
politica degli uomini, l'educazione nello spirito bolscevico. Che l'obiet tivo centrale del loro lavoro è di formare bolscevichi fedeli al partito, alla causa di Lenin e Stalin¹.
Gli fece eco l'allora segretario del comitato di partito di Mosca Chruščev, che sino allora non si era distinto per l'interesse per i temi culturali:
Parte dei membri del partito tengono ora un atteggiamento non bolscevico
nei confronti del lavoro di partito. Spesso gli uomini, anche i lavoratori
di partito, non si occupano di studiare la storia del partito, di studiare il marxismo-leninismo, ma studiano la meccanica, la tecnica, o altre mate
rie, utili e necessarie per la nostra economia, ma non centrali nel lavoro di partito³.
Con sperimentata regia Stalin, nei suoi due interventi finali, si collocò
in un posizione mediana. Egli si dissociò in parte dall'analisi dei suoi
portavoce al plenum, Ždanov e Molotov. Secondo la sua interpretazione, i pericoli che minacciavano la «fortezza» erano reali, ma provenivano dall'esterno, dall'«accerchiamento capitalistico», non da una società so
vietica definitivamente conquistata ai valori del socialismo, dove non esistevano classi o gruppi sociali ostili. Per questo i «sabotatori» erano,
Ivi,
1995, n. 7, p. 6.
Ivi, 1995, n. 8, p. 23. 6 Come il lettore ricorderà, nel dibattito sulle elezioni ai sovety
destinato a non
essere reso pubblico - Stalin aveva mostrato opinioni del tutto diverse in merito. Spinta sino alla schizofrenia la doppiezza di Ždanov, che non perdeva occasione per lodare i
154
CAPITOLO
OTTAVO
a differenza di dieci anni prima, alla vigilia dell'industrializzazione, una banda pericolosissima, ma priva di sostegno nella società, ed incapace in
definitiva di arrestare lo sviluppo dell'economia sovietica. Pericoli ancor
più insidiosi provenivano semmai dai «lati oscuri» dei successi economici, il significato dei quali è indubbiamente immenso, e che noi continuiremo a conseguire anche in futuro, ogni giorno, ogni
anno, e che non esauriscono tuttavia il significato della nostra edificazio ne socialista.
Forte del sostegno che gli era giunto dai dirigenti che si erano succeduti alla tribuna del plenum nei due giorni precedenti, Stalin mostrò di non condividere l'ottimistica valutazione di Postyšev sulla maturità della so
cietà sovietica. Come voleva il mito di Anteo, il partito poteva uscire rafforzato da più stretti contatti con essa, ma un'apertura indiscriminata avrebbe trasformato il partito da organo di direzione politica organiz
zazione di larga rappresentanza sociale. Il ridimensionamento dei proget
ti per i manuali di storia generale dimostra che Stalin non desiderava un simile esito. Le sue convinzioni in materia restavano quelle di sempre: in
ultima analisi, il carattere socialista della società sarebbe stato determina
to dalle caratteristiche e dall'ideologia del partito che la guidava. Perciò era necessario
prima di tutto, volgere l'attenzione dei nostri compagni di partito invischiati nei «problemi correnti» di questa o quella istituzione, ai pro blemi politici, interni ed internazionali.
E bisognava anche
porre in primo piano l'educazione politica e la tempra bolscevica dei
quadri economici, sovietici e di partito... (perché) i successi economici,
la loro durata e solidità dipendono in tutto e per tutto dai successi del lavoro politico-organizzativo, senza i quali i successi economici (poteva
no) rivelarsi fondati sulla sabbia.
Il primo compito pratico che si poneva al partito era dunque «bolscevichi senza partito» in pubblico, ma in una relazione all'Orgbjuro del settembre 1936 aveva manifestato il timore che la riapertura delle iscrizioni al partito desse luogo ad ammissioni «a valanga» e aveva parlato di un atteggiamento in merito «poco serio,
superficiale, criminale» dei comitati di partito (cfr. RCChIDNI, f. 77, op. 3, d. 14, 1. 1).
UNA
CARRIERA
IRRESISTIBILE
155
integrare la vecchia parola d'ordine sull'assimilazione della tecnica, ade
guata al periodo del caso Šachty, con una nuova parola d'ordine sulla educazione politica dei quadri, sulla assimilazione del bolscevismo e sulla
eliminazione della nostra credulità politica, una parola d'ordine del tutto adeguata al periodo che stiamo attraversando (corsivo nostro).
La strategia del doppio binario era giunta alla sua stretta finale. A conferma dei nessi esistenti fra purghe, rinnovamento e «educazione di partito», fra il marzo e l'aprile del 1937, nel momento in cui il colpo
finale si abbatteva sui quadri, si tennero le elezioni per i nuovi comitati di partito. Mentre gli storici che si occupavano di storia generale comin
ciavano a scomparire nelle purghe, il Politbjuro trovò il tempo di discu tere per due volte le proposte di Stalin sul nuovo manuale di storia del
partito, che, approvate, a giudicare dai documenti noti, senza modifiche',
furono rese pubbliche a distanza di pochi giorni. Per la terza volta in sei anni Stalin interveniva in prima persona su questioni di storia. Dopo iniziative intraprese con grande clamore, e poi lasciate progressivamente decadere; dopo la miriade di veti opposti a contributi ritenuti non all'altezza dei soggetti trattati; dopo aver bruciato tempo, energie e vite umane in progetti irrealizzabili, Stalin mostrava
finalmente di aver chiaro che cosa chiedere ad un'opera sulla storia del partito. Passava il tempo, ma la struttura retorica degli interventi del vožď' restava immutata: come di consueto, il suo intervento mosse da un attacco, «ai nostri manuali di storia del VKP(b)», «insoddisfacenti» per tre motivi: non coglievano i nessi fra la storia del partito e la storia del paese; non fornivano una «spiegazione marxista» della lotta delle corren
I.V. STALIN, op. cit., t. 1 (XIV), cit., pp. 224-247. 8 Il ricambio dei membri delle «organizzazioni primarie» fu molto alto, quasi dovun que superiore al 50%, con punte del 70%. La percentuale scende di un poco, rimanendo comunque superiore al 30%, se si considerano i soli segretari di queste organizzazioni
(cfr. J. ARCH GETTY, op. cit., pp. 153-160). È chiaro che un così alto ricambio dei quadri poneva con rinnovata urgenza il problema della loro educazione politica.
"I documenti conservati negli archivi confermano che Stalin in persona scrisse il progetto (cfr. RCChIDNI, f. 558, op. 1, d. 3212, ll. 1-11), approvato poi dal Politbjuro nella seduta del 7 aprile (ibidem, ll. 28-32). A dimostrazione dell'importanza che attri buiva all'iniziativa, Stalin seguì con assiduità i lavori per la redazione della nuova storia
di partito, intervenendo in continuazione (persino il giorno prima della sua pubblicazio ne!) con integrazioni e correzioni al testo. Spicca fra queste la decisione staliniana di
presentare l'aprile del 1917 come data discriminante della «preparazione dell'Ottobre», a riconoscimento del ruolo svolto dalle leniniane Tesi di aprile (ibidem, 1. 20).
156
CAPITOLO
OTTAVO
ti; presentavano una periodizzazione errata. I rilievi erano pesanti; tali da precipitare alcuni storici nella voragine del Terrore e da ridurre i fortu nati chiamati a scrivere il nuovo manuale nella condizione di scribi tenuti
a rispettare le rigide direttive staliniane¹o. Il testo doveva abbracciare il periodo che andava dalla formazione nel 1883, del «Gruppo della libe razione del lavoro», prima organizzazione marxista in Russia, sino alla
approvazione della Costituzione staliniana. A ogni capitolo dovevano
essere premessi cenni storici sulla «situazione politica ed economica del paese», per evitare che la storia del partito scadesse a «racconto futile ed incomprensibile degli avvenimenti del passato». Ai «> del futuro manuale di storia del partito Stalin chiedeva di mostrare che la «molti tudine di correnti e frazioni» presenti nel partito rifletteva il carattere
«piccolo borghese» della società russa e che la lotta condotta contro le frazioni aveva consentito ai bolscevichi di temprarsi ideologicamente. Infine, la storia del partito non doveva essere scandita dai congressi, ma
dalle vicende generali del paese, in accordo ad uno schema in 12 capitoli, dei quali 7 sul periodo prerivoluzionario, definito da Stalin in personal.
La procedura seguita era contorta, ma il suo senso politico chiaro. Il tipo di storia esaltato tre anni prima nelle direttive sull'insegnamento
della storia, con la sua narrazione di avvenimenti politici e delle gesta delle personalità illustri, non aveva perso del tutto la sua validità, come avrebbe confermato la premiazione del manuale di Sestakov, ma non
poteva essere estesa alla storia di partito, alla quale si chiedeva, oltre che
di inventare la tradizione, di mostrare con una analisi «scientifica» che la
trasformazione della «frazione» bolscevica in partito della rivoluzione socialista mondiale rispondeva alla necessità storica e non era il frutto
dell'abilità tattica di un manipolo di rivoluzionari. La decisione di Stalin «
di indirizzare le sue considerazioni a non meglio specificati ,
apportando in più parti modifiche significative alla versione originale. Del quarto capitolo, oltre a scrivere il paragrafo sul materialismo storico
e dialettico, Stalin corresse puntigliosamente la prima parte, sulla «rea zione di Stolypin». Altrove espunse gli elogi più smaccati alla sua per sona e la cronistoria dettagliata delle sue condanne e fughe dal confino
siberiano e della sua attività rivoluzionaria nel Transcaucaso. Il testo di
Berija andava bene per diffondere un'immagine popolare del vožď', ma da una «enciclopedia» si pretendeva una definizione meno personalizzata
del rilievo storico della sua figura²¹. Stalin riscrisse anche buona parte del paragrafo sulla collettivizzazione, sottolineando il ruolo svolto dal Co
mitato centrale nel frenare gli eccessi dei comunisti locali: le antiche
ferite bruciavano ancora²². Un ultimo tocco, connesso ad una delle più radicate idiosincrasie staliniane, giunse dalla precisazione che la esecrata teoria della «repubblica parlamentare» come fase di passaggio al sociali smo era da attribuire al mai amato Engels23.
Tutto era ormai pronto per un la pubblicazione del testo che Ždanov, in un crescendo di enfasi, in questo caso non del tutto destituita di fon
damento, definì come «un avvenimento di significato mondiale» sul quale
si sarebbero formate «intere generazioni». Anche i dettagli organizzativi erano stati definiti: il manuale sarebbe stato pubblicato sulla Pravda²4. Uno spaccato del clima politico e intellettuale del momento ci è of
ferto dalla fitta corrispondenza (nove lettere in tutto) che Jaroslavskij 19 RCChIDNI, f. 77, op. 3, d. 14, ll. 6-7. 20 Ivi, f. 77,
op. 1, ed. chr. 692, l. 177.
21 Ivi, f. 558, op. 1, d. 5300, 11. 5-28. 22 Ibidem, 11. 31-38 23 Ibidem, 11. 42-43. 24 Ivi, f. 77,
op. 3, d. 14, ll.
11-14.
CAPITOLO
160
OTTAVO
intrecciò con il segretario generale fra il 17 agosto e il 9 settembre 1938, data di pubblicazione del primo capitolo della storia del partito sulla Pravda. Dopo l'eliminazione di Knorin, Jaroslavskij si era dovuto sobbarcare l'onere principale per la scrittura del manuale, data la scarsa esperienza di Pospelov.
I tempi non erano tali da rivendicare quel minimo di autonomia e di orgoglio professionali che Jaroslavskij, negli anni precedenti, pur tra mille compromessi intellettuali e morali, si era sforzato di conservare. Nel for mulare le osservazioni ai capitoli, corretti di pugno da Stalin, che gli ve
nivano restituiti, Jaroslavskij mostrò di aver acquisito l'arte del perfetto cortigiano, che sa nascondere il proprio contributo per tributare un cre scendo di riconoscimenti alle virtù del vožd'. Nella prima lettera Jaroslavskij protestò con Stalin perché dai primi due capitoli era stata espunta: persino la menzione del Vostro nome, del Vostro lavoro. In ciò v'è una manifestazione della Vostra modestia, che fa onore ad un bolscevico. Ma
Voi appartenete alla storia, e il Vostro contributo alla costruzione del bolscevismo deve essere completamente riconosciuto.
Il III capitolo confermò in Jaroslavski la convinzione che il manuale, >¹⁰
Il cammino era stato fissato e la Rivoluzione poteva essere minacciata solo da una perdita di identità o da un calo di tensione politica del
partito rivoluzionario. Di qui l'acribia, tipica di una visione da setta della
storia, con la quale veniva rievocato ogni movimento, gruppo, giornale ostile ai bolscevichi. Di qui anche l'importanza attribuita alla Confe renza di Praga del 1912, nella rievocazione del Breve Corso momento
della rottura irreparabile con i menscevichi, in virtù della quale i bolsce vichi avevano acquisito una definitiva consapevolezza del loro ruolo politico¹¹.
Dare la caccia a tutte le incongruenze, falsificazioni, omissioni conte
nute nei capitoli che il Breve Corso riserva al periodo prerivoluzionario sarebbe esercizio vano. Più che di inventare la tradizione, scopo dei sei 10 Questa convinzione non è un tratto esclusivo dello stalinismo. Essa emerge in vari momenti della storia del movimento rivoluzionario russo (cfr. T. SZAMUELLY, The Russian Tradition, Secker e Warburg, London, 1974). È dubbio tuttavia che Stalin, dato il suo disinteresse per quanto non poteva essere catalogato come «marxista»>, abbia attinto ad
essa per formare le proprie convinzioni. "Dopo la morte di Stalin, il ruolo assegnato dal Breve Corso alla Conferenza di
Praga si è trasformato in una vera ossessione per la storiografia sovietica, impegnata nell'anticipare al II Congresso del Posdr il momento di fondazione del partito bolscevico (per una sintesi, cfr. N.N. MASLOV, art. cit., pp. 40-44). V'è da chiedersi se anche questa versione, in sé non priva di motivazioni, non finisca con l'ignorare la drammaticità dela
rottura con i menscevichi consumata alla Conferenza di Praga.
168
CAPITOLO
NONO
capitoli sul periodo prerivoluzionario (metà dell'intera opera) era di for nire finalmente - un solido fondamento al mito della genesi. I bol scevichi erano stati i primi fra tutti i movimenti rivoluzionari a conqui stare il potere e ad «edificare» il socialismo non per per il concorso
casuale degli avvenimenti, o per il contributo di una personalità eccezio
nale come Lenin, ma in virtù della loro capacità di assecondare e guidare la necessità storica, e l'atto iniziale della Rivoluzione definiva l'essenza e leggittimava ogni loro azione futura¹2. Nel Breve Corso il processo di
arricchimento delle cognizioni teoriche viene presentato come già fonda
mentalmente compiuto alle soglie della Rivoluzione. È stato scritto di recente che il Breve Corso cancellò dalla storia del paese la Nep¹³. Si può
convenire con questo giudizio, a condizione di aggiungere che furono cancellati anche la Rivoluzione, la collettivizzazione, l'industrializzazione
e tutti momenti di correzione, di drammatico rovesciamento delle scelte
precedenti. Il cammino verso la Rivoluzione era tracciato da quella che la propaganda ufficiale definiva come la «scienza della rivoluzione», in
fusa nel partito da «tutta la storia precedente». Non v'era quindi spazio per la narrazione di svolte drammatiche:
Già nel 1905, Lenin, nella sua opera «Due tattiche della socialdemocrazia
nella rivoluzione democratica» aveva scritto che dopo aver rovesciato lo
zarismo, il proletariato sarebbe passato alla realizzazione della rivoluzio ne socialista.
In questa prospettiva, le leniniane Tesi di aprile si limitarono ad esporre un «piano concreto» per l'attuazione di una Rivoluzione scritta nel co dice genetico del bolscevismo. Allo stesso modo, la collettivizzazione è
presentata come null'altro che la realizzazione del «piano cooperativo leniniano» e l'industrializzazione come un piano che:
malgrado tutta la sua grandiosità non presentava nulla di inaspettato, né di vertiginoso per i bolscevichi.
«Piano» è una delle parole-chiave attraverso le quali il Breve Corso
trasmette l'immagine di un processo storico inesorabile nel suo incedere ma svincolato da qualsiasi causalità di ordine metastorico o religioso, ¹2 La forza dei paradigmi mentali del «mito della genesi» è ben analizzato da due
grandi storici come M. BLOCH, Apologia dela storia, o mestiere di storico, Einaudi, Torino, 1969, pp. 43-48; W. KULA, op. cit., pp. 83-91. N.N. MASLOv, art. cit., p. 43.
IL
BREVE
CORSO
169
guidato dalla volontà umana ma indipendente dalla volontà dei singoli.
A partire dagli anni trenta, tutto è «piano», e non v'è spazio per la descrizione di stravolgimenti, per la descrizione e spiegazione delle re pentine svolte della politica ufficiale, ed ancor meno per qualsiasi visione utopica del futuro. La «rivoluzione culturale» dei primi anni trenta è ridotta ad un
elenco della crescita dei livelli di alfabetizzazione e del
reddito materiale. La Costituzione del 1936 è presentata come una regi strazione degli «immensi cambiamenti intervenuti nella vita dell'Urss>>
Gettato alle ortiche il napoleonico «on s'engage et puis on voit», fatto proprio da Lenin, la «vertigine dei successi» è bollata come uno dei mali
peggiori che possano colpire un partito al potere. Negli ultimi capitoli del Breve Corso, non v'è traccia di una «grande
ritirata» o di una ricerca di legittimazione nel passato prerivoluzionario¹¹.
Questo continua ad essere descritto a tinte fosche, e più spesso ignorato, quasi che fosse stato reso insignificante dalle grandi conquiste del socia
lismo. Il messaggio dell'ultima parte del Breve Corso è piuttosto di natura conservatrice. Già con l'approvazione della Costituzione e dello statuto dell'artel' kolchosiano il regime aveva voluto rassicurare i cittadini sovie
tici che l'epoca delle «grandi svolte» era finita, ed ora, a completamento dell'operazione, giungeva anche la sanzione ideologica dell'ordine esi stente, ben più autorevole, data la tradizione politica sovietica, della sem plice norma giuridica. Da allora i mutamenti del sistema sovietico sareb
bero stati quantitativi e non qualitativi, e i suoi momenti di dinamismo
sarebbero stati segnalati dal ricorrente rilancio della parola d'ordine del «. Non era facile per i vecchi ed i nuovi membri, che ricominciavano ad affluire con comprensibile prudenza nel partito", definire una propria identità. La soluzione veniva trovata, già nell'incipit del Breve Corso, nella collaudata formula dell'«immagine del nemico»: Lo studio della storia del Partito comunista (bolscevico dell'Urss, lo studio della storia della lotta sostenuta dal nostro partito contro tutti
i nemici del marxismo-leninismo, contro tutti i nemici dei lavoratori, ci aiuta ad assimilare il
bolscevismo
e rafforza
la
nostra
vigilanza
politica.
Il testo teneva fede a questi proponimenti. Eccezion fattaper ilcaso Sachty, il «nemico» non veniva usato come capro espiatorio. Una analisi
storica nella quale non c'era posto per sconfitte, battute d'arresto, inde
cisioni, errori, non aveva bisogno di introdurre una simile figura. L'im
magine del nemico serviva piuttosto per definire, secondo un procedi mento tipico di qualsiasi mitologia, «razionale» o meno, l'identità dei membri del partito. Il Breve Corso era, sin dalle prime pagine, popolato da una selva di nemici. Per quanto possa sembrare strano in una storia
di un partito che aveva trovato la propria ragione d'essere nella lotta
all'autocrazia e al capitalismo, l'immagine del nemico esterno stentava a configurarsi. Lo zarismo era descritto come inetto; la borghesia era una
meteora scomparsa senza lasciare tracce; l'imperialismo era da sempre attanagliato da insolubili contraddizioni. In questo quadro Germania,
Giappone ed Italia, i tre stati qualificati come fascisti, meritavano mag
giore considerazione, non per quanto avevano fatto sul piano interno (su
questo il Breve Corso taceva, difficile stabilire se per non evidenziare
possibili analogie con l'Urss o per semplice disinteresse), quanto nelle vesti di promotori della «seconda guerra mondiale imperialistica», che le imbelli «potenze 'democratiche'» fingevano di ignorare, nonostante l'ag
gressione fosse diretta contro di loro... In quanto alla socialdemocrazia occidentale, le cui vicende avevano offerto spunto alla Lettera di Stalin alla Proletarskaja Revolucija, essa era menzionata per il suo «tradimen to» alla vigilia della prima guerra mondiale, dal quale veniva tratto motivo 16 Nel primo semestre del 1938 erano entrati nel partito 109.000 nuovi membri, e solo dopo molte sollecitazioni dall'alto, il reclutamento accelerò, sino a raggiungere a fine anno le 400.000 unità (T.H. RIGBY, op. cit., p. 143).
IL
BREVE
171
CORSO
per una condanna definitiva che giustificava un sostanziale disinteresse per il resto della sua storia. Se scopo dell'immagine del nemico» era di infondere sicurezza e
fiducia attraverso la rievocazione delle prove superate, il Breve Corso mancava l'obiettivo; o meglio, lo spostava alla minuziosa, ossessiva de
scrizione delle trame del nemico «interno». Anche in questo caso, regi strare tutte le falsificazioni del Breve Corso sarebbe fatica di Sisifo, tanto
esse sono numerose. Conviene piuttosto notare che su questo tema, più che in altre parti del libro, l'esposizione aderisce alla struttura del mito:
il «nemico» è sempre senza volto, privo di spessore morale e personalità; i suoi programmi, se ne ha, hanno l'unico scopo di nascondere le sue
vere intenzioni. Esso compare sulla scena solo nelle vesti di avversario
del bolscevismo, ed è destinato a percorrere una ineluttabile parabola: dall'opposizione alla sconfitta politica, che innesca un processo di de generazione morale culminante nell'intesa con il «nemico» esterno.
Messa da parte la rischiosa ambizione di trovare le «prove» della colpe
volezza del nemico, la funzione della memoria storica era di mostrare che la sua presenza era inevitabile e pervasiva e la punizione necessaria.
Gli argomenti del Breve Corso traevano forza dalla capacità di appel
larsi a elementari meccanismi psicologici, che la fantasia del professor Dodgson, alias Lewis Carroll, ci aiuta ancora una volta a comprendere,
in un'altra metafora delle purghe staliniane scritta più di mezzo secolo prima:
- Vivere all'indietro! - ripeté Alice stupefatta. - Non ho mai sentito una cosa simile!
- ...ma c'è un grande vantaggio: che la memoria lavora nei due sensi. Io son certa che la mia lavora soltanto in un senso, osservò Alice. -
Non si può ricordare le cose prima che accadano.
È una ben misera memoria quella che lavora sempre all'indietro,
osservò la Regina.
Quali sono le cose che ricordate meglio? - s'azzardò a chiedere Alice.
- Oh, quelle che sono accadute tra due settimane - rispose la Regina con noncuranza.
Per esempio, adesso... mi viene in mente l'Alfiere del Re.
È stato punito e ora si trova in prigione. E il processo non comincierà che il mercoledì venturo. Naturalmente, il delitto è l'ultimo ad accadere. - E se non lo commettesse? domandò Alice.
- Tanto meglio, non ti pare? - disse la Regina". 17 L. CARROLL, Attraverso lo specchio, Einaudi, Torino, 1978, p. 170.
172
CAPITOLO
NONO
Al lettore odierno è difficile calarsi nel clima del momento; ai suoi
occhi balzano evidenti le incongruenze dell'immagine del nemico, già presenti nelle precedenti storie del partito, che il Breve Corso non risol veva. Se tutti gli oppositori del bolscevismo erano uniti, già alla vigilia della Rivoluzione del 1905, in una sorta di Pangea controrivoluzionaria con (la data, come si vede, scivolava sempre indietro nel tempo), perché mai i bolscevichi continuarono a collaborare, e persino a militare nello stesso
partito con i menscevichi sino alla vigilia dell'Ottobre? Allo stesso modo,
se Bucharin si era rivelato già nel corso delle trattative di Brest-Litovsk
un «tirapiedi» di Trockij, che senso aveva sostenere che, «ai primi del
1929», egli si era «legato con i trockisti per mezzo di Kamenev»? Ed ancora: se, a quanto risulta dal resoconto che ne fa il Breve Corso, le
trame degli oppositori erano note da sempre, come era possibile afferma re che, ancora dopo il XV Congresso, «il partito non poteva sapere» che
Trockij ed i suoi seguaci erano al soldo dello «spionaggio straniero»? L'obiettivo di inoculare nelle nuove leve del partito la virtù della
vigilanza e di spiegare ai vecchi membri come mai le persone con le quali
avevano a lungo lavorato erano divenute «nemici del popolo» fu forse raggiunto, ma pagando lo scotto, almeno se ci si attiene al testo del manuale, di formare un'identità debole, basata sulla diffidenza nei con fronti di tutto e di tutti, lontana dall'immagine prometeica dei primi
rivoluzionari, che si erano temprati lottando contro un nemico dichiara to e potente, ed erano riusciti a vincere.
Mentre infuriavano arresti e condanne, la celebrazione dell'«unità
morale e politica del popolo sovietico» fu affidata alla riproposizione, a mo' di chiusura del Breve Corso, dei passi dell'intervento di Stalin al plenum di febbraio-marzo 1937 nei quali il vožď' aveva evocato il mito di Anteo. La scelta equivaleva ad una dichiarazione di impotenza. Nelle
300 e passa pagine del Breve Corso viene tributato un solo omaggio al «genio creatore»> delle masse: quando
riconosce che i sovety nacquero
per loro iniziativa. Per il resto, le masse sono descritte sempre come
passive, arretrate, immature quando non contrarie, come nel caso dei kulaki, al socialismo, e comunque incapaci di mobilitarsi se non per iniziativa del partito. La stessa formazione, alle elezioni sovietiche del dicembre 1937, di un «blocco elettorale dei comunisti e dei senza par
tito» è presentata come una concessione del partito ed il suo significato viene fissato con una lunga citazione del messaggio del Comitato centra le agli elettori, nel dicembre 1937. Delle epurazioni di massa che avevano sconvolto il paese si parla solo indirettamente, attraverso le notizie sull'at
IL
BREVE
CORSO
173
tività e sui processi agli agenti dei servizi segreti stranieri: anche in questo caso, il «popolo» non aveva diritto ad ergersi a protagonista. Alla luce del
Breve Corso la formula «bolscevichi senza partito», cavallo di battaglia della propaganda ufficiale, non può che essere interpretata come espressio ne della convinzione che, senza la guida del partito, la società sovietica fosse incapace di esprimere princìpi di convivenza civile e valori etici.
Se l'efficacia di un mito dipende, oltre che dal suo contenuto, dalle pratiche rituali ad esso connesse¹8, il mito di Anteo non veniva riproposto nelle migliori circostanze. In un decennio che aveva visto i leader dei
principali paesi, democratici e non, usare ampiamente ciò che la tecno logia metteva loro a disposizione, dall'aereo alla radio, per rivolgersi alle
masse, Stalin continuava a limitare al massimo le sue apparizioni pubbli
che ed entrava in contatto con grande pubblico solo attraverso la parola scritta: come agli inizi del Novecento. Può darsi che le sue scelte ri
velino, più che ignoranza di quanto accadeva altrove, la convinzione che
la cultura politica del paese imponesse di circondare il potere di un'aura
di sacralità e di mistero20. In ogni caso, nemmeno il più entusiasta dei membri del partito si sarebbe sognato di accostare la figura di Stalin a quella di Anteo.
In definitiva, la sopravvivenza del mito era affidata ai consueti riti di
massa, controllati dall'alto, delle parate del Primo maggio, dell'anniver
sario dell'Ottobre, e, soprattutto, del pellegrinaggio al Mausoleo di Le
nin²¹, visto che le nuove forme di manifestazione di massa, come il «car nevale» sulla Piazza Rossa, non avevano avuto seguito²². Il mito di Anteo non rassicurava i nuovi membri, né forniva loro una
nuova identità. Nel Breve Corso il compito era affidato ad un tema più tradizionale, anche se in attesa di definitiva sistematizzazione: la celebra
zione del ruolo politico del capo. 18 E. CASSIRER, Simbolo mito e cultura, cit., pp. 6-72.
18 Sulla liturgia di massa del fascismo, cfr. E. GENTILE, op. cit., cap. IV. Sulle tecniche
usate da Hitler nelle campagne elettorali precedenti alla sua presa di potere, cfr. A. BULLOCK, op. cit., pp. 256-58. D'altro canto, non bisogna dimenticare che la scoperta di nuove tecniche di comunicazione non è prerogativa dei regimi totalitari, basti pensare alle radiofoniche «conversazioni dal caminetto» di Roosevelt.
20 Non è da escludere che a sconsigliare forme di contatto più dirette con le grandi masse fosse una circostanza ben impressa nella memoria delle vecchie generazioni: il forte accento georgiano di Stalin.
21 N. TUMARKIN, op. cit., cap. 7; I. GOLOMSTOK, op. cit., pp. 211.
22 Cfr. R. STITES, art. cit., in The Culture of the Stalinist Period, cit., pp. 82-90.
174
CAPITOLO
NONO
Se, come è stato sostenuto di recente, il Breve Corso può essere
considerato come l'«enciclopedia» del culto della personalità di Stalin", bisogna ammettere che il tema è introdotto, sin dalle prime pagine, in
modo singolare, per via indiretta, attribuendo ai populisti russi la «falsa teoria» secondo la quale «soltanto le individualità eccezionali fanno la
storia», mentre le masse possono «solo seguire ciecamente gli eroi». Un esordio così sorprendente può essere spiegato con un processo di rimo
zione mediante la proiezione su altri dei propri «desideri» inconfessabili o delle proprie «colpe»²4. Prima di accettare questa interpretazione come
l'unica possibile, è bene tener conto che, su questo punto, la trama del
Breve Corso non è rozza come sembrerebbe a prima vista. Essa segue il consolidato cliché della «successione apostolica», che nel testo viene
sostenuto da un elemento narrativo mai usato prima di allora in modo così ampio e sistematico: le citazioni.
Senza tener conto dei numerosissimi incisi, i capitoli sul periodo precedente alla morte di Lenin presentano 49 citazioni tratte da opere
dello stesso Lenin, 11 da Stalin e Marx, 10 da Engels, 7 da documenti del partito, 1 da Plechanov ed 1 da una petizione popolare del 1905. Il
quadro muta radicalmente dopo la morte di Lenin. Predominano le ci tazioni di Stalin, 27 in tutto, cui fanno da contrappunto le 8 citazioni
tratte da documenti del partito. Le 6 citazioni di Lenin, al pari dell'unica
di Engels, sono concentrate nelle Conclusioni. Infine, la Costituzione merita una sola citazione.
Il profluvio di citazioni, spesso assai lunghe, appesantisce un testo già arido e dogmatico, e, interrompendo in continuazione la narrazione, non
facilita la comprensione e l'interpretazione dei momenti salienti della storia del partito comunista. Ad esso era affidato il compito di instillare
nel lettore, al quale era preclusa la possibilità di confrontare il Breve
Corso con altri testi sullo stesso tema, che comunque fossero andate le
vicende esposte, esse avevano avuto come protagonisti, in due successive
fasi storiche, Lenin e Stalin, e che questi non erano singole personalità
eccezionali, ma esponenti di una tradizione, quella marxista, e di un
partito, quello bolscevico. A rafforzare questa convinzione dovevano contribuire i continui richiami alla «direzione collettiva», esercitata attra
verso il Comitato centrale. Mai associati a notizie sui singoli dirigenti, 23 N.N. MASLOV, «Kratkij kurs istorii VKP(b) - enciklopedija kul't ličnosti Stalina»>, Voprosy istorii Kpss, 1989, n. 11, pp. 54-56. 24 Cfr R.C. TUCKER, Stalin in Power, cit., p. 277.
IL
BREVE
CORSO
175
essi dovevano sottolineare che ciò che contava non erano gli individui,
ma l'istituzione, depositaria della «saggezza collettiva» del partito. Il messaggio era affidato, oltre che alle citazioni, al canovaccio narra
tivo che fissava la vulgata ufficiale in materia. In principio, ovviamente,
v'erano Marx ed Engels. Poi venne Plechanov autore di «opere marxiste sulle quali i marxisti in Russia studiarono e si educarono»; riconoscimen
questo, che
consentì di scampare, no te le sue posizioni
A due mesi della sua pubblicazione, il Breve Corso era già stato diffuso in 8 milioni di copie¹. Quando, qualche mese più tardi, si riunì
il XVIII Congresso del VKP(b), la sua tiratura sfiorava i 15 milioni di
copie: 12 in lingua russa, 2 nelle altre lingue parlate nell'Unione sovietica, 673.000 in 28 lingue straniere, e Ždanov poteva proclamare con un'enfasi
accentuata dagli applausi dell'assemblea che: dall'inizio dell'esistenza del marxismo, questo è il primo libro marxista
che ha avuto una così grande diffusione².
Per quanto possa sembrare singolare, dato l'eccezionale impegno organizzativo profuso, il gruppo dirigente del partito indugiò a lungo prima di rispondere agli interrogativi inevitabilmente posti dalla compar sa di un testo avvolto, sin dalla sua presentazione, in un'aura di sacralità
e diffuso in così grande numero di copie: a chi era diretto il Breve
Corso? Chi doveva curarne e seguirne la propaganda? Il Breve Corso fu subito salutato come un contributo di inestimabile
valore alla diffusione dei principi del «marxismo creativo» che avrebbe
rafforzato in tutti, come recitava uno dei passi dell'editoriale di presen tazione,
«la certezza che il comunismo vincerà in tutto il mondo»>³.
A
giudicare dai dati forniti da Ždanov, l'ispirazione internazionalistica pas sò presto in secondo piano rispetto all'attenzione preminente riservata ai
problemi della diffusione e dell'uso politico del Breve Corso in Urss: il rapporto fra le copie destinate al lettore sovietico e a quello straniero, di 20 a 1
nel marzo del 1939, non lascia dubbi in merito.
'RCChIDNI, f. 77, op. 1, d. 871, l. 56.
² XVIII s'ezd VKP(b). 10-21 marta 1939 g. Stenografičeskij otčet, Ogiz, Moskva, 1939, p. 531. 3 Pravda., 9.IX.1938.
180
CAPITOLO
DECIMO
Dati i precedenti, la scala di priorità non stupisce. Sorprende semmai che il gruppo dirigente del partito mostrasse di non avere idee precise sulla sorte del Breve Corso in Urss. L'iniziale direttiva impartita da Stalin
ai « del conte nuto del testo. L'imbarazzo, se non la perplessità, per le oscillazioni della politica del partito sono evidenti. Come avrebbe rivelato lo stesso
Ždanov, al momento della pubblicazione del Breve Corso, l'apparato si era mobilitato per allargare quanto più possibile la rete dei circoli di
lettura e spiegazione del testo. Tanto impegno si era rivelato inutile,
poiché la linea del partito aveva fatto registrare una virata verso direzio ne ignota. Comprensibile che Ždanov dichiarasse di non sentirsi «al passo con i tempi»>⁹. Il suo disorientamento consentì al successivo dibattito di fluire con
una libertà, e a tratti anche con una caoticità, inusuali in simili riunioni
burocratiche. Il primo dato ad emergere fu la bassa opinione che i pro pagandisti nutrivano della loro preparazione, unita ad una generale sfi
ducia sulla utilità dei «circoli». Uno degli intervenuti divise i propagan disti in tre categorie: 1. quadri formatisi all'IKP, che, falcidiati dalle
pur
ghe, contavano al più qualche decina, forse qualche centinaio di persone; 2. quadri «non del tutto preparati»; 3. quadri di fatto «inesistenti>>¹0
Unanime il riconoscimento che il capitolo staliniano sul materialismo storico e dialettico superava le capacità di comprensione della maggio ranza dei propagandisti. In quanto all'organizzazione dei «circoli»>, l'espe rienza di meno di due settimane era stata sufficiente per rispondere al
$ Ivi, ed. chr. 307, ll. 3-8.
9 Ivi, ed. chr. 308, ll. 40-45. 10 Ivi, ed. chr. 307, l. 55.
182
CAPITOLO
DECIMO
l'unisono alle ripetute domande di Stalin in merito che essi si erano rivelati «improvvisati» e di bassa qualità, incapaci di suscitare un reale dibattito. Il senso di smarrimento era tale, che più di un oratore avanzò
la proposta di rimandare di alcuni mesi lo «studio» del Breve Corso, suscitando l'ira di Jaroslavskij, il quale, da autore ombra, vantò la chia rezza del testo". Almeno in questo, si può concordare con Jaroslavskij: nel testo del Breve Corso non v'è traccia della neolingua totalitaria de scritta da George Orwell in 1984¹2. Il linguaggio è semplice sino alla
piattezza e alla povertà lessicale, e le perplessità dei propagandisti trova no spiegazione solo nella disabitudine a ragionare attraverso categorie e
concetti astratti, lontani dalla loro esperienza quotidiana. Molti oratori lamentarono, suscitando il consenso dello stesso Stalin,
i danni prodotti dall'eliminazione dell'IKP, che aveva privato il partito dell'unico centro di formazione di quadri con una solida preparazione storica e filosofica. Come v'era d'attendersi, nessuno ricordò che l'IKP,
fondato da Pokrovskij, era stato lasciato decadere e infine sciolto con il fine di disperdere la scuola dello storico scomparso¹³. La respon
sabilità fu attribuita, invece che a Stalin in persona, all'attività dei «ne
mici del popolo», senza troppo badare alla attendibilità delle accuse, poiché pochi potevano credere che l'Istituto fosse stato sciolto in con seguenza dell'attività dei «sabotatori» annidati nel Commissariato del
l'educazione, o delle manovre di Knorin e, ancor più incredibile, di
11 Ibidem, 1. 231.
12 La neolingua che G. Orwell in 1984 immagina parlata in Oceania (Mondadori,
Milano, 1989, pp. 315-326) ha dei punti di contatto con il linguaggio politico dell'Urss
degli anni trenta; in particolare per quanto riguarda l'impoverimento lessicale e il largo uso di parole composte. Altrettanto significative sono però le differenze. I testi e docu
menti ufficiali sovietici non sono scritti in un gergo inaccessibile ai non iniziati; al con trario, l'estrema semplificazione del lessico e della sintassi rivelano la volontà di rivolgersi al più ampio arco di lettori possibile. Da essi non sono espunte parole come «giustizia, onore, morale, internazionalismo, democrazia, scienza e religione», che semmai vengono
usate solo in una accezione compatibile con l'ideologia ufficiale. Inoltre, la propaganda
ufficiale sovietica non si servì mai di slogan che sconvolgevano ogni ordine logico (la
guerra è pace; la libertà è schiavitù; l'ignoranza è forza) e tentò invece di appellarsi al senso comune. In definitiva, se nell'Oceania di Orwell la lingua aveva il compito di sradicare ogni ricordo e legame con il passato, nell'Urss staliniana l'obiettivo del regime
era di creare, attraverso l'uso di strumenti linguistici il più possibile tradizionali e sem plici, una memoria fittizia, che rafforzasse il senso di appartenenza all'ordinamento so
ciale sovietico.
13 Cfr. V.D. SOLOVEJ, art. cit., pp. 96-98.
UNA
STORIA
PER
LA
«GENTE
MIGLIORE>>
183
Gamarnik, l’ex-vicecommissario alla difesa, arrestato e ucciso nel mag gio del
1937¹4.
Non fu questo l'unico momento in cui il dibattito sembrò perdere il contatto con la realtà. Ad esempio, il direttore dell'IMEL Adorackij pagò la fortuna di essere scampato alle purghe con una autocritica
umiliante ed incongrua, poiché non erano certo gli errori commessi nella traduzione delle opere di Marx o nell'introduzione del XIII tomo della raccolta di scritti di Lenin, dei quali si addossò le responsabilità, che
potevano spiegare le difficoltà incontrate nella propaganda del Breve Corso¹5.
Pronti, come richiedeva lo spirito dei tempi, all'autocritica e alla de lazione, i propagandisti mostrarono una sorprendente franchezza nel sollevare riserve su molti aspetti del Breve Corso. Il testo concedeva scarso rilievo a fatti e vicende storiche concreti; ignorava la storia dei più
importanti comitati del partito; taceva sugli aspetti internazionali dell'at tività del partito comunista russo e, lacuna ancor più grave, quasi igno
rava il ruolo dei principali dirigenti del partito, e di Stalin in particolare". È chiaro che i propagandisti attendevano un testo di presa più immediata; le ichiarazioni di Ždanov degli anni precedenti li avevano autorizzati a sperare in una riedizione, solo più autorevole, delle storie romanzate cui
erano abituati, ed ora invece, in omaggio al preteso carattere enciclope
dico del Breve Corso, si trovavano a dover parlare di tutto, persino del
ruolo del matriarcato nelle società primitive, senza avere a disposizione altri strumenti di conoscenza in merito che non fossero le apodittiche affermazione del testo. L'andamento della Conferenza è scandito dall'evoluzione dei toni e
dei contenuti degli interventi di Stalin. A giudicare dallo stenogramma, il segretario generale non si era presentato alla Conferenza animato da
una chiusura pregiudiziale nei confronti dei propagandisti. Al fine di
acquisire elementi di giudizio su di una situazione che, a quanto pare, non conosceva nei dettagli, nel corso delle prime sedute egli interruppe
con continue domande gli oratori, contribuendo non poco al procedere disordinato del dibattito.
Al termine del primo giorno, il vožď' era già giunto ad una prima conclusione sui «circoli»: la proposta, avanzata nel corso del dibattito, di In particolare: RCChIDNI, f. 17, op. 120, ed. chr 308, ll. 14 e 73. 15 Ibidem, l. 215-220.
16 In particolare: ibidem, Il. 8-11, II. 95-101, II. 148-152.
184
CAPITOLO
DECIMO
potenziarli sino ad inserire in essi 12 milioni di persone era insensata.
Era quindi necessario individuare una «tribuna, come il Boľševik, o
qualche altro giornale» dalla quale meglio, e con minore dispendio di energie ci si sarebbe potuti rivolgere ad un così grande numero di per
sone¹7. Con comprensibile cautela, Pospelov fece notare che il Bol'ševik,
la cui tiratura era di 550.000 copie, metà delle quali destinate ad istitu zioni, non si era mai distinto per capacità di divulgazione e non era il più adatto a fungere da «tribuna»¹8.
È singolare che nessuno degli oratori abbia preso in considerazione il ruolo che poteva svolgere, come strumento di propaganda, la radio, de
stinata a essere utilizzata in questa veste solo nel corso della seconda guerra mondiale. In assenza di valide alternative alle sue proposte, Stalin
ribadì che i «circoli» erano una forma di organizzazione legata al peri odo di clandestinità del partito, ma:
ora il potere è nelle nostre mani, la stampa è nostra, ed è nostra anche
la miopia che fà sì che nel paese la propaganda sia organizzata così male.
È incredibile quante forze si perdano in questi circoli, e la loro quantità sconfinata. La propaganda è mal organizzata; v'è molta improvvisazione, localismo, individualismo20.
Solo a conclusione del dibattito emerse un altro motivo di riserva nei
confronti dei «, attraverso la «lettura e rilettura»> delle loro opere. Ma i libri pubblicati erano ormai milioni, ed era impensabile che nei circoli e seminari se ne potesse parlare in modo esauriente.
17 Ivi, f. 307, l. 58. 18 Ibidem, 1. 139.
"In quel momento la radio, nonostante il basso numero di apparecchi (circa 3 milioni e mezzo) e la scarso tempo dedicato dai cittadini sovietici al suo ascolto (un'ora al giorno in media), era già utilizzata come strumento di diffusione di una cultura di massa in Urss (cfr. R. STTTES, Soviet Popular Culture. Entertainment and Society since
1900, Cambridge University Press, Cambridge, 1992, pp. 81-97). Per l'uso della radio
come strumento di indottrinamento politico nel corso della guerra, cfr. Velikaja Ote čestvennaja Vojna. Enciklopedija., Nauka, Moskva, 1985, pp. 546-49. 20 Ibidem, 11. 205-206.
UNA
STORIA
PER
LA
«GENTE
MIGLIORE>>
185
Considerate allora continuò - un ingegnere. Ha già finito l'istituto
superiore; è una vergogna imporgli di frequentare i corsi...; può benis simo leggere a casa. Se non capisce, dopo due o tre volte, chiederà spie gazioni...
Lasciateli vivere tranquillamente. Lasciateli leggere tranquillamente. E vedrete che anche i senza-partito capiranno ciò che leggono. Non si può abbracciare tutto; è una tendenza burocratica... Non incolpo voi, sono io
primo responsabile²¹.
Il paternalismo di Stalin si ricollegava direttamente, persino nella ter minologia, a quello che aveva sfoggiato in occasione del suo discorso sulla letteratura,
nell'ottobre del
1932. Cambiavano solo i destinatori
delle sue attenzioni: allora Stalin aveva parlato degli operai, nel 1938 tutto l'interesse era concentrato sull'intelligencija tecnica.
Nell'intervento finale, Stalin indossò di nuovo i panni del vožď' che parla in termini ultimativi. In tono stizzito, osservò che il Comitato
centrale si attendeva critiche serie e costruttive, e che invece le osserva
zioni sul Breve Corso ascoltate alla Conferenza erano state «avventate, superficiali, insoddisfacenti>>²². ...
Lo scopo del Breve Corso non era di fornire informazioni generiche su tutto; non era in questo senso che andava inteso il termine «enciclo
pedia». Nel togliere di circolazione gli altri manuali di storia del partito,
il Comitato centrale si era proposto di redigere un testo di autorevolezza tale da consentire al lettore di giungere a «conclusioni definitive»>²3 sui grandi temi della storia del partito: la lotta per la formazione di un 21 Ibidem, ll. 252-253.
22 Istoričeskij Archiv, 1994, n. 5, p. 5. Le nostre citazioni sono tratte dallo stenogram ma dell'intervento depositato nell'Archivio del Presidente della Federazione Russa, pub
blicato su Istoričeskij Archiv. Una copia abbreviata dell'intervento è conservata al RCChIDNI (f. 17, op. 120, d. 318). Fra le due copie esiste una sostanziale concordanza. Il linguaggio più diretto e colloquiale della seconda suggerisce che la copia più ampia sia
stata preparata in vista di una eventuale pubblicazione, alla quale Stalin finì con il ri nunciare.
23 Significativi gli argomenti con i quali Stalin respinse le lamentele sull'insufficiente analisi della politica agraria del partito. Al III Congresso del Posdr, i bolscevichi avevano in effetti parlato di «confisca delle terre»>. «È questa l'essenza della politica bolscevica?»,
si chiese Stalin. La risposta era scontata: no, poiché, a partire dal Congresso successivo
era stata lanciata la parola d'ordine della «nazionalizzazione». L'idea che il partito po
tesse modificare le proprie scelte doveva rimanere estranea ai nuovi iscritti, e quindi non
era necessario integrare il testo del Breve Corso con ulteriori specificazioni (Istoričeskij Archiv, 1994, n. 5, p. 6).
186
CAPITOLO
partito
DECIMO
rivoluzionario, la Rivoluzione, la continuità fra
marxismo e
leninismo, ecc.24.
La chiarezza e l'efficacia dell'argomentazione di Stalin soffrivano di non poter ammettere che, in questo campo, la scelte del partito e dello stesso segretario generale avevano subìto una brusca virata. Per anni,
dopo l'approvazione delle risoluzioni sull'insegnamento della storia, questa era stata presentata come uno strumento di formazione di una generica
coscienza civica e di immediata mobilitazione popolare. Ora si procla mava che la storia del partito era una summa teorica e pratica delle conoscenze e delle esperienze del marxismo, alla quale si chiedeva un
contributo alla soluzione del problema politico centrale del momento: la formazione dell'identità politica dell'intelligencija tecnico-scientifica, da Stalin enfaticamente definita come «il sale della terra>>²5.
Su questo punto Stalin fu categorico, persino minaccioso. Il Breve Corso doveva essere diretto «in primo luogo» ai quadri tecnici, all'intel ligencija sovietica, ed invece l'organizzazione della propaganda per «cir
coli»>, attenta ai soli «operai d'officina», aveva rivelato una «attitudine selvaggia, teppistica, machaevista»²6 nei confronti dell'intelligencija. A mo²
di incoraggiamento per i membri di quest'ultima Stalin accettò persino di gettare qualche ombra sulla vecchia generazione rivoluzionaria: Non considerate i vecchi bolscevichi dei pozzi di scienza. Erano anche uomini semplici, che capivano quanto e meno di voi, e meno di voi leggevano... Ora voi disponete di tutti i libri. Il potere è vostro, la stam
pa è vostra, i libri sono vostri. Per voi è ben più facile impadronirvi della teoria, se volete. E se non volete, è affar vostro²7.
Comprensibile che i propagandisti fossero sconcertati e atterriti dal
l'inattesa, drastica riduzione del loro numero28; dati i tempi, possibile preludio ad una disgrazia personale, oltre che politica. 24 Ibidem, p. 6-17. 25 Ibidem, p. 28.
26 J.V. Machajskij era divenuto famoso nell'anteguerra per i suoi lavori sull'organiz
zazione della produzione in fabbrica, che negavano ogni funzione positiva ai tecnici, presentati come parassiti sociali. Nella Russia rivoluzionaria il suo nome assurse a sim bolo dell'antintellettualismo più radicale. 27 Istoričeskij Archiv, 1994, n. 5, pp. 12-13.
28 Nel corso dell'assemblea Pospelov giudicò necessaria una contrazione del nume
ro dei propagandisti a 5.000 (RCChIDNI, f. 17, oP. 120, ed. chr. 308, 1. 38). Il dato si riferisce con tutta evidenza ai soli propagandisti preparati da appositi corsi e che
UNA
STORIA
PER
LA
«GENTE
MIGLIORE>>
187
Le proposte concrete erano meno radicali del linguaggio di Stalin.
Questi non chiese la completa abolizione di «circoli» e corsi, quanto la loro organizzazione in forma più aderente ai diversi livelli di preparazio
ne dei membri del partito. A un livello più basso, essi dovevano pren dere in considerazione solo i momenti essenziali della storia del partito: la sua formazione, la vittoria della rivoluzione, il consolidamento del
regime sovietico. A livello intermedio lo studio doveva procedere per capitoli; a livello superiore per paragrafi, ed essere integrato dalla lettura di non meglio precisate «,
«as
presupponeva un corpo dottrinale già esi
stente e non modificabile dalla riflessione individuale. La propaganda ufficiale batté ossessivamente su questo tasto: a «differenza dei vecchi manuali, che disponevano la storia attorno alle singole personalità», il
Breve Corso esponeva le vicende legandole «allo sviluppo delle idee di fondo del marxismo-leninismo»60. Ogni episodio non aveva quindi 60 Partijnoe stroitel'stvo, 1938, nn. 21-22, p. 2.
UNA
STORIA
PER
LA
«GENTE
MIGLIORE>>
197
valore in sé, ma assumeva il significato di una parabola che conduceva alla comprensione di verità universali, di cui il marxismo-leninismo era depositario.
È possibile che l'accentuazione degli elementi religiosi nell'ideologia ufficiale sovietica risalga al retaggio degli anni trascorsi da Stalin nel
seminario ortodosso di Tiflis¹. Difficilmente però una eredità così remo ta nel tempo avrebbe potuto sopravvivere se non avesse risposto alle
esigenze della politica del regime62. A queste ultime dobbiamo far rife rimento per comprendere come mai il processo di sacralizzazione del
,
tanto da essere stata proposta per il premio Stalin; tuttavia essa era «ideo logicamente ostile; una malevola calunnia nei confronti della realtà sovie tica»; perciò il Politbjuro vietò la sua rappresentazione²7. La rivalutazione 23 Ivi, 1939, n. 9, pp. 87-91. 24 Istorik Marksist, 1938, n. 5, pp. 231-33. Ivi, 1939, 4, pp. 4-7. 26 Istoričeskij Archiv, 1993, n. 2 e 3, pp. 210-216.
27 Literaturnyj front». Istorija političeskoj cenzury; 1932-1946 88. Enciklopedija rossijskich dereven', Moskva, 1994, pp. 45-48.
Sbornik dokumentov,
SULLA
FORTUNA
DEL
BREVE
CORSO
213
di figure e momenti del passato era ammessa, purché essa non pretendesse
di estendersi al presente. La lezione valeva anche per gli storici. Nonostante questi condizionamenti, il compromesso fra storici e re
gime si rivelò abbastanza solido da resistere alle prove successive. La
prima giunse a poca distanza di tempo, imposta da una guerra che vide gli eserciti dell'Asse penetrare a fondo nel territorio sovietico. Sino a quel momento, le riemergenti spinte nazionalistiche erano state tenute a freno, ed incanalate verso il sicuro alveo del «patriottismo sovietico». Ma
una guerra condotta contro un invasore che, proclamava teorie di supe riorità razziale e il suo diritto allo «spazio vitale» non poteva che essere
- per usare i termini di Stalin - «giusta, di liberazione, patriottica»>²8. La formula: «Grande guerra patriottica» incoraggiò gli storici a usare
il passato russo come strumento di lotta contro l'aggressore29. Il senso di
questo recupero fu meglio di ogni altro riassunto da Tarle, nelle conclu sioni al secondo tomo della Guerra di Crimea, pubblicato nel 1943:
Tutto è cambiato. La Russia della servitù si è trasformata in uno Stato socialista. L'avversario di un tempo: l'Inghilterra, è ora al nostro fianco;
il nemico è un altro. Non è mutata solo una cosa. È rimasto un grande popolo eroe che come sempre saprà sfidare la morte...
Di «sconfitta» della Russia in questa guerra si può parlare solo in senso
molto ristretto e condizionato... Il grande colosso ha sopportato colpi terribili
nel 1854-1855, e non solo non è caduto, ma non è nemmeno
barcollato... Della guerra di Crimea è rimasta una gloria che non si offusca
nel tempo, la splendida leggenda delle imprese eroiche del popolo russo³0. L'immagine di un flusso ininterrotto del tempo, che fra sconfitte e
tragedie (fra le quali, v'è da supporre, Tarle includesse anche la Rivolu zione) fa emergere i veri protagonisti - il popolo, la grandezza della Russia era forse troppo sofisticato per esercitare una presa immediata.
Il motivo patriottico si trasformò spesso in razziale nelle popolarissime
corrispondenze di guerra di Erenburg, Simonov, Aleksej Tol'stoj, e nelle trasmissioni radio". Non si trattava di iniziative singole, tollerate per il
28 I.V. STALIN, op. cit., t. 2 (XV), p. 54.
29 La formula fu usata per la prima volta da Jaroslavskij (Pravda, 23.VI.1941), a conferma che, anche in questo caso, l'impulso giunse dai vertici del partito. 30 E.V. TARLE, O krymskoj vojne, tt. 2, Gosizdat, Moskva, 1943, p. 571. 31 R. STITES, op. cit., pp. 93-116; L. MAKSAKOVA, V rjadach vojušego naroda, Nauka, Moskva, 1965. Il sentimento di odio razziale nei confronti dei tedeschi emerge dalle
memorie di I. EHRENBURG (Uomini anni vita, Editori Riuniti, Roma, 1963, t. V).
214
CAPITOLO
UNDICESIMO
loro contributo al consolidamento del fronte interno. Toni e temi simili
possono essere rinvenuti in molti documenti ufficiali dell'epoca, fra i quali va ricordata, per gli sviluppi successivi ad essa connessi, una rela zione, destinata a circolare fra gli alti livelli del partito e dell'esercito, di
Sčerbakov, in quel momento responsabile del Comitato centrale per
l'ideologia e capo dell'Amministrazione politica dell'esercito. Secondo Ščerbakov, da sempre la politica estera della Germania aveva
avuto un obiettivo preminente: asservire la Russia, impedirgli di esistere come Stato autonomo. I nazisti proseguivano l'opera di Bismarck, il
quale, nell'impossibilità di sconfiggere militarmente la Russia, era stato costretto a battere la strada dell'isolamento diplomatico e della sottomis sione economica. Il Congresso di Berlino e le tariffe protezionistiche tedesche venivano invocate come prove inequivocabili di questa politica.
Presto la pur discutibile analisi storica cedeva allo scoperto pregiudizio
razziale, in tutto degno della «germanofobia» che aveva scosso la Russia nella prima metà del XVIII secolo. Attraverso la colonizzazione di ter ritori russi e l'accorta preparazione di «legami di sangue», alla corte zarista si era formata una «Russia interna», composta di persone di ori
gine tedesca, che si «consideravano chiamate alla conquista di un paese straniero»>.
Gli storici fungevano da capro espiatorio, per aver contribuito con le loro opere ad ottundere nel popolo russo la capacità di cogliere i «piani di devastazione e asservimento» provenienti dalla Germania³².
Piegare l'interpretazione della storia alle mutevoli contingenze politi che si rivelò più difficile del previsto. In un preoccupato intervento ad
una assemblea di segretari di partito dell'obkom di Mosca, Ščerbakov fu
costretto a segnalare un altro pericolo. La popolazione aveva preso sin troppo alla lettera le denunce di complotti stranieri, ed aveva interpretato
lo scioglimento dell'Internazionale comunista come il preannuncio che la
stessa sorte sarebbe toccata a sovety, kolchozy e sovchozy, considerati istituzioni importate dall'estero, al pari dell'«Internazionale:
mal
tolle
rata come inno sovietico. Era dunque necessario un «grande impegno>>
per spiegare che lo scioglimento del Komintern non comportava l'ab
bandono dell'«internazionalismo» della politica dello Stato sovietico³3. Le parole di Ščerbakov non lasciano dubbi sull'incombere del perico lo che i motivi della propaganda, utilizzati per chiamare il paese alla lotta 32 RCChIDNI, f. 88, op. 1, ed. chr. 1002, II. 1-30. Ivi, ed. chr. 870, 1. 1.
SULLA
FORTUNA
DEL
BREVE CORSO
215
contro il nemico invasore, stravolgessero l'ideologia ufficiale, minando le basi di legittimità del regime. I segnali di una inversione di tendenza divennero avvertibili già nella seconda metà del 1943, quando l'esercito sovietico cominciò a prendere il sopravvento sulle truppe nazi-fasciste.
Nel novembre Stalin tornò a qualificare il partito come « e guida del popolo sovietico, nei giorni di pace come in guerra". Il
lavoro interno di partito riprese con due obiettivi preminenti: l'educazio ne delle nuove leve, provenienti in larga parte dalle forze armate, che al
partito avevano dato una adesione «prepolitica» e la riconquista ideo logica delle aree a lungo occupate dagli eserciti dell'Asse³. Agli inizi del 1944, per il regime già si profilava la necessità di trovare
una nuova legittimazione ad una guerra nella quale alla difesa del suolo patrio sarebbe presto succeduta un'espansione al di là dei confini storici
della Russia. In questo contesto, il nazionalismo poteva divenire contro
producente. Nel febbraio del 1944, il Politbjuro vietò la pubblicazione degli ultimi scritti dello scrittore e regista ucraino Dovženko in conside
razione dei «gravi errori politici, di carattere antileniniano» in esso con tenuti. Un lungo rapporto, presumibilmente preparato per i membri del
Politbjuro, illustra le motivazioni politiche della decisione". A Dovženko veniva imputato di aver descritto a fosche tinte, nel suo racconto «Ucraina in fiamme», la «lotta di classe» condotta contro i kulaki e l'«edificazione
kolchosiana»; in definitiva, di «essersi fatto beffe di prìncipi sacri per
ogni comunista e ogni vero uomo sovietico». Altra colpa di Dovženko era di aver presentato lo Stato sovietico come «impotente, impreparato e credulo» di fronte all'attacco tedesco, dimenticando che la previsione
di un inevitabile aggressione imperialistica all'Urss faceva parte degli «in 34 I.V. STALIN, op. cit., 2 (XV), cit., p. 118.
35 A partire dal 1942, il partito effettuò una « (Kpss v rez., cit., t. 7, pp. 513-547). 37 Le fonti documentarie non consentono di stabilire se il rapporto sia da attribuire
a Stalin in persona o a Ščerbakov (in merito, cfr. «Literaturnyj front», cit., pp. 121-122). Considerazioni di stile e di contenuto inducono a propendere per la seconda ipotesi. In
ogni caso, la procedura seguita illustra bene il rilievo generale della vicenda.
216
CAPITOLO
UNDICESIMO
segnamenti di Lenin» e che, in difficili frangenti, il partito era riuscito a cogliere l'obiettivo principale: dividere il campo degli Stati imperialistici, alleandosi con gli Usa e la Gran Bretagna. Solo in ultimo comparivano riferimenti al messaggio nazionalistico contenuto nel racconto. Dovženko aveva esaltato le tradizioni nazionali ucraine, macchiandosi di due gravi dimenticanze: non solo gli ucraini, ma tutti i popoli dell'Urss avevano sofferto per l'aggressione tedesca; lo Stato sovietico e il partito bolscevico
erano i migliori garanti della conservazione delle tradizioni nazionali ucraine³
La ridefinizione dei temi della propaganda era imposta anche dalle esigenze del fronte interno. Con toni preoccupati, all'assemblea del
gorkom di Leningrado, nell'aprile del 1944, Ždanov stigmatizzò il rilas
samento che era seguito ai giorni eroici della difesa della città. La vastità dell'opera di ricostruzione imponeva di mantenere la disciplina del tem
po di guerra e di non seppellire l'entusiasmo. La conclusione era nel più puro stile zdanoviano: occorreva di nuovo «educare politicamente»> don
ne e ragazzi, «. Tarle aveva sottovalutato il significato della scon
fitta nella guerra di Crimea, dopo la quale la Russia era divenuta una
potenza semicoloniale. Jakovlev aveva sostenuto che l'amicizia fra i po
poli e il lavoro pacifico erano stati caratteri costanti della storia russa. E via di seguito.
Come da canovaccio, l'attacco agli storici «borghesi» fu seguito da un
fendente nell'altra direzione. Pokrovskij finì di nuovo nel mirino di
Ždanov per aver dipinto la storia della Russia prerivoluzionaria come una «distesa del tutto nera»>48.
La delicatezza delle questioni sollevate, oltre al carattere poco
convin
cente ed argomentato, anche per i tempi, dei rilievi mossi agli storici, costrinsero Ždanov a rivedere per ben sei volte, fra il 25 luglio e il 18
agosto, il progetto iniziale, tenendo conto, a quanto si legge in una sua comunicazione a Stalin, delle «,
impregnato di disprezzo per il passato russo, di Michajl Pokrovskij. Secondo Ždanov il partito era impegnato in una lotta «su due fronti>>,
che poi, come sempre, era uno solo, poiché gli «errori ed insufficienze 49
Ibidem, 11. 21-134 e 169.
50 I.V. STALIN, op. cit., t. 2 (XV), cit., p. 203.
1
CAPITOLO
220
UNDICESIMO
degli storici» potevano essere ricondotti ad un'unica fonte, che non era più, come nella prima bozza, la loro passione per gli «schemi sociologici»>, ma la volontà di interpretare la storia come «politica rivolta al pas sato» 51,
Data la sua provenienza, l'accusa era a dir poco speciosa, ma il mes
saggio che essa trasmetteva, ripetuto nella stampa di partito e nelle riviste teoriche, era chiaro. La decisione con la quale gli storici avevano difeso
le loro opinioni aveva fatto squillare il campanello d'allarme, e il partito
era pronto a correre ai ripari, ammonendoli a non seguire i pessimi esempi degli storici del passato, come Ključevskij, Miljukov e Pokrovskij,
che con le loro opere avevano preteso di fare politica, o anche solo di formare l'opinione pubblica. Né documento politico né saggio di analisi storica sullo stato della storiografia sovietica, il progetto Ždanov non era lo strumento migliore per ottenere un simile scopo, e fu quindi accan
tonato, a favore di politiche più tradizionali. La Pankratova fu rimossa
dai suoi incarichi per «comportamento antipartito»; vale a dire, per aver
fatto opera di proselitismo contro gli storici nazionalisti52. Sul Bolševik
fu pubblicata una recensione sfavorevole del libro di Tarle sulla guerra di Crimea. Questa duplice strategia poteva essere perseguita senza ec
cessive difficoltà; l'esistenza del Breve Corso rassicurava il partito sulla possibilità di difendere l'ortodossia ideologica senza ricorrere, a differen za di quanto accadeva per la letteratura e l'arte, a pressioni e censure. In tal modo, nel dopoguerra la campagna anticosmopolita poté mon
tare e gli storici poterono pubblicare opere nelle quali si esaltava il pas sato russo senza che ciò scalfisse i dogmi ufficiali. E mentre i colpi dello zdanovismo si orientavano verso le discipline con maggior seguito popo
lare, gli storici si ritirarono ancor più nel loro guscio, oscillando fra temi ultra specialistici e altri tanto generali da risultare vaghi; usando un lin guaggio a volte cifrato, altre volte al limite della corrività, ed in definitiva operando per non allargare cerchia dei lettori dei loro lavori54. In qualche rara occasione, fu consentito agli storici «borghesi» di oltrepas sare le colonne d'Ercole della Rivoluzione d'ottobre; il prezzo pagato fu
l'adesione alle scelte di Stalin. È il caso dell'opera di Tarle sulla politica estera di Caterina II. Dopo aver presentato le tre spartizioni della Polo 51 RCChIDNI, f. 77, op. 3, ed. chr. 27, II. 135-168. 52 Voprosy Istori, 1988, n. 11, p. 55. 53 Bolševik, 1945, n. 13, pp. 67-72.
54 Per un quadro generale cfr. K. SHTEPPA, op. cit., capp. 9-11.
SULLA
FORTUNA
DEL BREVE
CORSO
221
nia come un passo necessario per impedire che essa cadesse sotto il dominio prussiano, lo storico aggiungeva: L'errore fatale delle classi dominanti della Polonia del 1919-39 fu di aver
tentato di riproporre, per quanto possibile, molti elementi del passato... Il risultato di questi errori fatali si manifestò nel 1939: lo Stato di Pilsudski
scomparve in pochi giorni... Il destino storico si è mostrato in questo
caso più benevolo con il popolo polacco che tanto ha sofferto. La Po lonia è risorta, e su basi tali che le daranno, grazie all'attivo sostegno
dell'Urss, la più completa possibilità di divenire una potenza di primo
piano nell'Europa centrale55.
Pregi e difetti di questa storiografia emergono in effetti proprio dalle
opere di sintesi complessiva, come i volumi della storia della Russia prerivoluzionaria per gli studenti delle facoltà di storia, redatti sotto la direzione di Grekov per il periodo sino all'inizio del XIX secolo, e per
il periodo successivo (a conferma di una rigida divisione di ruoli fra storici marxisti e non) di una scolara di Pokrovskij: la Nečkina". Il
livello dell'analisi e dell'esposizione è complessivamente buono, ma ogni autore sembra aver concepito il capitolo da lui scritto come un'opera a
sé stante, senza curarsi della coerenza complessiva. E al lettore non resta
che porsi gli eterni interrogativi: come è possibile che un feudalesimo in tutto e per tutto simile a quello occidentale abbia generato il capitalismo
con un ritardo di alcuni secoli rispetto all'Occidente? Per quale capriccio della storia gli stranieri che entrano in contatto con una Russia «arretra ta»
si
rivelano
immancabilmente barbari? Se il livello culturale e scien
tifico della Russia era alto come si legge in molti saggi, perché la Russia non conobbe alcuna rivoluzione scientifica ed industriale? Come conci
liare il presunto carattere popolare dello zarismo con lo spirito rivolu zionario delle masse? Non stupisce che molti storici abbiano finito con
il mitizzare la figura, umana e professionale, di Pokrovskij, il quale, pur
accettando la partijnosť', non si era mai posto quelle autocensure e autolimitazioni divenute la prima virtù dello storico sovietico e era riu scito ad offrire una sintesi - discutibile, ma non banale della storia russa57.
55 E.V. TARLE, Ekaterina II i eë diplomatija, t. II, Gosizdat, Moskva, 1945, p. 239.
56 Istorija Sssr, (II ed.), tt. 2, Politizdat, Moskva, 1947-1949.
57 I motivi della riscoperta di Pokrovskij sono ben sintetizzati dal dibattito apertosi
fra A.M. ČERNOBAEV («M.N. Pokrovskij: učënyj i revoljucioner», Voprosy istorii, 1988,
CAPITOLO
222
UNDICESIMO
Per il regime questi interrogativi erano secondari rispetto alla capacità
del testo di comunicare la sensazione della violenza come levatrice della
storia; nelle pagine del manuale scarso spazio era lasciato all'esposizione del succedersi di formazioni economico-sociali, molto a svolte causate da
invasioni, rivolte, colpi di palazzo. Ciò poco si accordava con gli schemi
dialettici staliniani del Breve Corso. Aderiva però alla memoria storica e
all'esperienza di un paese che nell'arco di poco più di una generazione
aveva conosciuto immani cataclismi demografici e istituzionali: le rivolu
zioni, la guerra civile, varie carestie, la dekulakizzazione, la sanguinosa invasione degli eserciti dell'Asse. Al lettore del manuale queste tragiche
vicende dovevano apparire come l'ultimo anello di una catena di eventi
che risaliva a tempi remoti; di norme storiche, legate alla diversità della Russia, che rendevano inutile la ricerca di responsabilità politiche e per sonali. Anche in questo caso, il confronto con il passato non poteva
essere favorevole al regime sovietico. Lo zarismo aveva conosciuto momenti di gloria, le sue truppe avevano marciato a più riprese nel cuore dell'Europa (senza rimanervi a lungo), ma anche un testo impre
gnato di nazionalismo come quello del quale stiamo parlando trasmet
teva un senso generale di instabilità e di vulnerabilità. La trentennale esperienza del regime bolscevico era assai più brillante: l'intervento stra niero nel corso della guerra civile (sopravvalutato dalle fonti ufficiali, ma reale) era stato respinto, al pari dei tentativi di stendere attorno alla Unione sovietica un cordone sanitario; l'aggressione nazi-fascista si era conclusa con una sconfitta rovinosa, che aveva consentito di ridisegnare
la mappa d'Europa e aveva messo l'Urss nelle condizioni di ergersi di fronte ai potenti e ricchi Stati Uniti. La lettura del manuale (e dei tanti testi con la medesima impostazione pubblicati in quegli anni) autorizza va dunque il lettore a rimpiangere, a seconda delle sue propensioni, il fermento culturale della Rus' di Kiev, il senso di dignità dei boiari, l'equi librio spirituale della Russia seicentesca, e persina la tempra di un popolo
capace più di una volta di ribellarsi, anche se spesso «in nome dello zar>>,
ma lo induceva anche, dopo queste fughe nel tempo, a riconoscere che il regime sovietico era l'unica risposta possibile e complessiva ai tanti
problemi che avevano tormentato la storia della Russia. A rafforzare questa convinzione contribuiva la soluzione di una que
stione che si trascinava da tempo: la definizione del ruolo storico di Stalin. n. 8, pp. 34-42), e G. ENTEEN («Spor o M.N. Pokrovskom prodolžaetcja», ivi, 1989, n. 5, pp. 154-159).
SULLA
FORTUNA
DEL
BREVE
CORSO
223
Un primo passo in questa direzione era stato mosso, già qualche
mese prima del lancio dell'operazione Breve Corso, con la pubblicazione
di un breve saggio di Plechanov su: «Il problema del ruolo della perso nalità nella storia». Lo scritto non era fra i più felici di Plechanov, e gli ideologi chiamati a commentarlo se la cavarono rispolverando la tesi,
formulata da Stalin nell'intervista a Ludwig, secondo la quale i grandi
uomini nascono sempre in grandi epoche storichess. Era quanto bastava a proclamare l'assoluta inconciliabilità e diversità della visione marxista del ruolo della personalità nella storia con la teoria populista degli «eroi
e della folla» e con il führerprinzip"⁹. Poiché tutta la grandezza dell'epoca nella quale vivevano era già stata mostrata ai cittadini sovietici dal Breve Corso, il passo successivo non
poteva che essere la celebrazione della grandezza di Stalin. L'occasione fu offerta dal suo sessantesimo compleanno, che cadeva nel dicembre
1939. Gli articoli e saggi di omaggio a Stalin pubblicati sulla Pravda e sul Boľševik", e la breve biografia, pubblicata in questa occasione6¹, presen
tano un immagine del vožď' che si differenzia in alcuni punti essenziali dallo schema tracciato nel Breve Corso e dalle oleografie destinate al grande pubblico.
È indubbio che i tributi a Stalin sarebbero stati impensabili senza il suo beneplacito. Ancora una volta, è bene non dimenticare che in questo
campo non esisteva una partijnost' definita una volta per tutte, e valida per tutte le occasioni. Lo Stalin-bogatyr' del folklore popolare, o lo
Stalin-Pietro I di Tol'stoj, che si comportava come se fosse libero da vincoli morali e istituzionali, mal si adattava alla politica del regime nei
confronti delle elités, nelle quali tentava di instillare, dopo gli sconvol gimenti del Terrore, il rispetto delle gerarchie e dei ruoli sociali assegnatiº².
58 Cfr.
P.
69.
59 F. KONSTANTINOV, «O marksistkom ponimanii roli ličnosti v istorii», Bolševik, 1938, n. 10-1, pp. 48-56; L. IL'IČEV, «'K voprosu roli ličnosti v istori' G. Plechanova»>,
ivi, 1938, n. 12, pp. 89-94. 60 Le pagine della Pravda furono monopolizzate, dal 19 al 23 dicembre del 1939, da
articoli su Stalin, messaggi di augurio a Stalin, e da iniziative legate al suo nome come l'istituzione di Premi Stalin. Lo stesso si può dire dei primi tre numeri del Bolsevik del 1940. 6¹ Pravda, 20.XII.1939. Il testo fu poi raccolto in un volume e letto alla radio (RCChIDNI, f. 71, op. 10, d. 258, 1. 42)
62 In una prospettiva comparativa, va segnalato un importante elemento di dif
ferenziazione con il culto del Duce, che la propaganda del regime fascista presentava come « impose una temporanea eclisse del ruolo del partito comunista; di conseguenza esso cessò di
essere menzionato persino dalla stampa di partito. Nel corso del 1944, sulla scia della rivalutazione del ruolo guida del partito, fu riscoperto anche il Breve Corso, le cui funzioni furono ridefinite, in occasione del
sesto anniversario della pubblicazione, dall'unico «, ciò significa che l'oggetto della storia della filosofia coincide
con la storia della scienza in generale e che la filosofia stessa, in tal caso,
appare come la scienza delle scienze; il che è stato da tempo smentito dal marxismo.
Con il marxismo, la «vecchia filosofia, che pretendeva di dare una spiegazione universale del mondo», era scomparsa, e ad essa era suben
trato un , anche se «non esente da critiche», in particolare per l'uso acritico delle memorie. Solo la perentoria affermazione secondo la quale «, nella quale furono inclusi, oltre ai consueti custodi dell'ortossia ufficiale, anche studiosi di valore come Lel'čuk e Danilovs. La commis
sione, che sembra uscita da una pagina di Musil, conobbe per fortuna la 6 Ivi,P. 372.
Kpss o perestrojke. Sbornik dokumentov., Politizdat, Moskva, 1988, pp. 56 e 63-64.
8 Istorija Sssr, 1987, n. 6, p. 62.
248
CAPITOLO
TREDICESIMO
sorte che lo scrittore assegna ad organismi del genere: combinò poco e svani nel nulla. La sua esistenza ebbe un solo effetto: dimostrare che
ancora nel 1987 il partito rivendicava il monopolio della interpretazione
della sua storia, considerata come un elemento irrinunciabile di legittima zione delle scelte politiche".
In questo come altri campi, il processo di rinnovamento, una volta messo in moto, travolse gli argini posti dai documenti ufficiali. E la metafora delle «macchie bianche» si liberò presto dai vincoli iniziali per assurgere a simbolo di una diffusa volontà di costruire l'identità nazio nale e personale sulla conoscenza del passato. Al pari delle immagini
della memoria mutilata» e della «parola liberata», che altrove sarebbero state interpretate come sinonimo di menomazione delle capacità di giu dizio storico, se non di marasma intellettuale, e che invece nell'Urss di
quegli anni furono utilizzate per esprimere la fiducia nella possibilità di
raggiungere la «verità»: altro termine destinato a dominare il discorso dei primi anni della perestrojka¹0. Le metafore esprimevano la fiducia nella possibilità di pervenire alla
conoscenza del passato senza una revisione delle categorie di analisi sto rica, in definitiva aggiungendo solo alcune tessere ad un mosaico il cui disegno generale era già noto. Ribaltare il giudizio su di una singolo
episodio o personaggio storico era compito relativamente semplice; ri nunciare alla convinzione, inculcata da decenni di propaganda ufficiale, che dalla conoscenza del passato provenisse - come recitava il program
ma del partito «un sistema completo ed articolato di cognizioni filo sofiche»
lo era molto meno¹¹.
La denuncia dello stalinismo offrì lo strumento per giungere ad una