Introduzione alla Linguistica Cognitiva
 9788843026548

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STUDI SUPERIORI/ 898 LINGUISTICA

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Introduzione alla Linguistica Cognitiva A cura di Livio Gaeta e Silvia Luraghi

Carocci editore

Ia

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ristampa, giugno 2016

edizione Studi Superiori, febbraio 2013 edizione Università, 2003 (1 ristampa)

©copyright 2003 by Carocci editore S.p.A., Roma ISBN

978-88-430-2654-8

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. è

Indice

Premessa

Parte prima Basi teoriche e metodi della Linguistica Cognitiva

I.

Introduzione

r.r.

Storia e formazione della

di Silvia Luraghi e Livio Gaeta LC

I. I. I. Origini della LC l I. 1.2. Space Grammar l I. I. 3. Categorizzazio­ ne l 1.1.4. Metafora !.2 .

Basi teoriche della

LC

I7 I7

22

1.2.1. Non autonomia del linguaggio l 1.2.2. Tipi di metafora l 1.2.3. n ruolo della metonimia l 1.2.4. Convenzionalizzazione l 1.2.5. Profila­ zione (Profiling) l 1.2.6. Allineamento Trajector-Landmark l 1.2.7. Do­ minio di ricerca (search domain) l 1.2.8. Soggettificazione (subjectifi­

cation)

Incontro fra Grammatica Cognitiva e Funzionalismo Problemi attuali 1.4-1. Tipologia l 1.4.2. Spazi mentali (menta! spaces) l 1.4.3· n di­ battito teorico: idealismo ed empirismo l I ·4+ Critica letteraria

2.

2 .! . 2 .2 .

Indicazioni bibliografiche

34

Per un bilancio della Semantica Cognitiva

37

di Federica Casadei La Semantica Cognitiva: assunti di base Un'alternativa ai modelli classici 2.2. I. Prototipi e categorizzazione l 2.2.2. L'apporto della Semantica Cognitiva alla semantica

7

37 42

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

Alcuni aspetti problematici della Semantica Cognitiva

49

2.3.r. Critiche alla Semantica Cognitiva l 2.3.2. Plausibilità cognitiva e riduzionismo concettuale



3·I. 3 .2. 3 ·3 · 3 ·4·

Le tematiche del corporeo nella Semantica Cognitiva

di Patrizia Violi La comparsa dell' embodiment Embodiment: un termine ombrello? Le critiche al cognitivismo classico Rappresentazioni, contesti e situazioni nelle teorie

57 57 59 62

embodied Basi corporee e motivazione Quale corpo per quale embodiment?



Il ruolo dei domini semantici nell'interpretazione di metafore e metonimie

di William Cro/t Introduzione Significato lessicale e domini nella Grammatica Co­ gnitiva

77 77

4.2.r. Profilo e base l 4.2.2. Tipi di domini

4· 3 · 4·4 ·

Domini, metafora e metonimia Differenze fra sovrapposizione di domini ed eviden­ ziazione del dominio 4·4·r. Concetti relazionali, dipendenti e autonomi l 4·4·2· Dipendenza e autonomia nei processi metaforici e metonimici

4·5 ·

L'unità del dominio: una revisione

94

4·5·I. Portata dell'unità semantica l 4·5·2· La fonte dell'unità concet­ tuale

Conclusioni

97 IO!

Per una morfologia cognitiva

di Livio Gaeta Introduzione Una cornice rappresentazionale per morfologici 8

IO! procedimenti

! 02

11'\DICE

5·3 · 5·4· 5·5 ·

Le nominalizzazioni nella Grammatica Cognitiva C ategorie derivazionali in morfologia cognitiva Conclusioni

1 09 1 17 121

Parte seconda Applicazioni pratiche 6.

La distribuzione degli ausiliari haben e sein in tedesco

125

di Carlo Serra Borneto 6. I . 6.2. 6.3.

Premessa I dati del problema Presupposti linguistico-cognitivi dell'analisi

1 25 1 26 127

6.3.r. Archetipi Concettuali l 6.3.2. Profilazione



Archetipi Concettuali e profìlazione nella formazione del Per/ekt tedesco Schemi di Immagini nella formazione del Per/ekt te­ desco

139

Le metafore di 'parlare' in latino

147

di Francisco Garcia Jurado Introduzione Dall'espressione 'raffreddare la bocca' all'orator /rigi­

1 47

dus 7·4 ·

L'espressione 'parlare in modo oscuro/parlare chiara­ mente' Conclusioni

8.

L'origine delle espressioni di Agente

7·3 ·

159

di Silvia Luraghi 8. I .

159

Introduzione 8.r.r. Perché l'Agente l 8.r.2. Caratteristiche del ruolo semantico Agente

8.2.

Il passivo con Agente in greco 8.2.r. L'Agente come Origine l 8.2.2. Superiorità e controllo l 8.2-3- Causatività e Provenienza l 8.2-4- Dal greco classico al greco moderno l 8.2.5. L'Agente come Intermediario

L'Agente in greco in prospettiva contrastiva 9

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA



I verbi deittici di moto in italiano e tedesco

I8I

di Claudio Di Meola Introduzione Gli usi concreti

I8I I 82

9.2.r. Gli usi concreti: i significati deittici l 9.2.2. Gli usi concreti: i significati non deittici

9·3 ·

Gli usi astratti 9·3·r. Gli usi astratti deittici l 9.3.2. Gli usi astratti non deittici

9·4·

Conclusioni

I 95

I o.

La polisemia dei verbi clar, pegar e meter in spagnolo

I 97

I o. I . I 0.2 . IO.3 .

Introduzione Basi teoriche Il verbo dar e la Costruzione Dativa di Trasferi­ mento La Costruzione di ' colpire' in spagnolo

I 0.4.

di Enrique L. Palancar

I 99 2 02

Io+r. I verbi dar, pegar e meter come verbi di 'colpire' l 10.4.2. Dal colpire al coinvolgimento fisico

I0 .5 . Io.6.

La Costruzione di C ausa Fisica Conclusioni

I I.

Comitativo e Strumentale nelle lingue germaniche e

2 09 2 I2

2 I3

romanze

di Thomas Stolz I I.I. I I .2 . I 1 .3 . I I ·4·

Introduzione Definizioni Dall'universale all'europeismo: la Metafora del Com­ pagno La situazione nelle lingue romanze e germaniche IO

2I3 2 I4 2I8 222

11'\DICE

I 1 .5 . I I .6 .

Particolarità Conclusioni

2 24 230

Glossario

233

Bibliografia

237

II

Premessa

Il riferimento al cognitivismo in senso lato è diventato comune da al­ cuni decenni nei campi della psicologia e della linguistica. Fra i lin­ guisti stessi, poi, si definiscono parimenti cognitivisti studiosi che si riconoscono in approcci teorici molto lontani l'uno dall'altro. Occor­ re dunque, in primo luogo, chiarire dove esattamente si situi la Lin­ guistica Cognitiva ( Le ) nel vasto spazio del cognitivismo. Benché, come chiariremo meglio al PAR. r.r. 3 , alcuni principi cen­ trali della LC derivino dalla psicologia, la LC ha proceduto su una strada affatto diversa, e attualmente non corrisponde a quanto è dif­ fuso in Italia e altrove sotto l'etichetta di Psicologia Cognitiva. Anzi, gli esponenti di quest'ultima sono spesso molto critici nei confronti della prima (si veda per esempio l'ottima introduzione di Marconi, 2 oor ). Né la LC trova spazio fra le discipline che compongono i curri­ cula di Scienze Cognitive, nati negli ultimi anni in varie università ita­ liane: anzi, qualora tali curricula comprendano discipline linguistiche, i loro riferimenti teorici sono piuttosto di matrice generativa. Infatti, il termine ' cognitivo' viene oggi impiegato per qualsiasi tipo di ap­ proccio (psico)linguistico post-chomskiano, che segua cioè la svolta 'mentalista' imposta da Chomsky alla riflessione sullo statuto del lin­ guaggio come facoltà umana. Pertanto si rifà al cognitivismo inteso in questo senso più ampio anche la Grammatica Generativa. Ben distinta invece è la LC, che si fonda su un modello teorico nato negli Stati Uniti in aperta contrapposizione con i principi fonda­ mentali del Generativismo. Attualmente, la International Cognitive Linguistics Associati on ( ICLA ) riunisce studiosi che condividono alcu­ ne convinzioni basilari sulla natura del linguaggio in rapporto alle ca­ pacità cognitive umane. Fondata verso la fine degli anni ottanta, la ICLA organizza congressi con scadenza biennale e pubblica la rivista "Cognitive Linguistics " . Nonostante l'interesse d i numerosi studiosi italiani, l a L C è oggi in Italia poco rappresentata a livello istituzionale: come abbiamo appena

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GlJISTICA COG�ITIVA

notato, in realtà il suo respiro internazionale è ben maggiore, non solo negli usA ma anche a livello europeo. Con il presente volume ci prefiggiamo pertanto di fornire uno strumento di appoggio all'inse­ gnamento della linguistica per tutti coloro che condividono questo approccio teorico, ma che non hanno trovato fino a ora adeguato ri­ scontro nel panorama editoriale italiano.

Parte prima Basi teoriche e metodi della Linguistica Cognitiva

I

Introduzione di Silvia Luraghi

e

Livio Gaeta

1.1

Storia e formazione della Le

I . I . I . Origini della

LC

Verso la fine degli anni sessanta il dibattito teorico negli usA registra varie reazioni critiche alla Grammatica Generativa. In generale, il de­ nominatore comune è la necessità di dare maggior spazio al significa­ to , in quanto esso stesso principio strutturale della grammatica. Sono gli anni della Semantica Generativa, nella quale si concretizza la pole­ mica tra i cosiddetti semanticisti e sintatticisti (per informazioni sulla questione, si veda Cinque, I 97 9 ) . I primi criticano lo statuto primario attribuito alle rappresentazioni sintattiche che viene invece sostenuto dai secondi. Sarebbero invece le rappresentazioni semantiche astratte a fungere poi da input per le regole sintattiche trasformazionali. La svolta sintatticista imposta da Chomsky alla fine degli anni sessanta ha determinato la prima grande scissione all'interno della linguistica di matrice generativa. In questa fase, gli studiosi che si riconoscevano nella Semantica Generativa mantenevano le caratteristiche fondamentali dell' approc­ cio chomskiano alla grammatica, e in particolare la bipartizione su due livelli di rappresentazione, superficiale e profondo , oltre che delle regole trasformazionali che connettono i due livelli. Inoltre, non veni­ va messa in discussione la concezione modulare del linguaggio: que­ st 'ultimo, benché essenzialmente fondato su rappresentazioni semanti­ che soggiacenti, restava concepito come un modulo a sé rispetto al­ l'insieme delle abilità cognitive umane. Su questi postulati si basa per esempio la Case Grammar, o Grammatica dei Casi, di Fillmore ( I 978) (uscito in origine nel I 96 8 ) , che, s e d a u n lato può essere visto come u n progenitore d i tutti gli studi di semantica successivi, da un altro funge ancora da interlocuto-

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

re con l'ala più ortodossa della linguistica chomskiana. Infatti, i casi profondi, introdotti in Fillmore ( 1 97 8 ) , sono alla base sia della teoria dei ruoli-th (o ruoli tematici) della Grammatica Generativa, sia del concetto di ruoli semantici, come usato nella LC . (In realtà la divisio­ ne terminologica e in parte anche la conseguente distinzione concet­ tuale non sono così nette e la denominazione 'ruoli tematici' viene usata anche da studiosi vicini alla LC: un esempio fra tutti è Croft, 1 99 ! . ) r . r . 2 . Space Grammar La Semantica Generativa, non essendo mai stata una vera e propria teoria con metodi e strumenti definiti, si disperse in varie direzioni già a metà degli anni settanta (cfr. Cinque, 1 97 9 ) . Il gruppo di stu­ diosi che diede poi vita alla Le , fra cui spiccano Langacker e Lakoff, iniziò l'elaborazione di un modello di grammatica più marcatamente cognitiva, abbandonando il modularismo, e adottando invece un ap­ proccio olistico al significato che pone sullo stesso livello , benché con gradi diversi di astrazione, esperienze fisiche e loro rappresentazione mentale e/o linguistica. Per esempio, nello studio dei casi grammati­ cali e delle preposizioni vengono elaborate teorie localistiche, che ve­ dono il significato concreto come base delle forme grammaticali, sulle quali poi si costruisce il significato astratto. Il nuovo modello viene in un primo tempo denominato Space Grammar. Un'esposizione, in cui i principi illustrati sono già sostan­ zialmente quelli della LC, si trova in Langacker ( 1 9 82 ) (poi ristampato in Langacker, 1 99 1 b, con alcune modifiche terminologiche) . In que­ sto articolo, Langacker sceglie un tema, il passivo inglese, che gli per­ mette di sottolineare le differenze fra la nascente Space Grammar e la Grammatica Generativa, prima fra tutte la rinuncia a postulare una struttura profonda soggiacente al piano dell'enunciato concreto e la conseguente inutilità del concetto di trasformazione. Proprio il passi­ vo è sempre stato considerato nella Grammatica Generativa l'esempio principe di una regola trasformazionale. Un altro importantissimo principio della LC esposto in Langacker ( 1 9 8 2 ) è costituito dall'idea dell'esistenza di un continuum fra lessico, morfologia e sintassi, anche questo in opposizione alle posizioni della Grammatica Generativa. Questo principio si basa su una concezione generalizzata delle cate­ gorie come strutture prototipiche e non discrete, che esporremo nel paragrafo seguente. Dopo poco tempo, Langacker inizia a parlare di Grammatica Co­ gnitiva (Cognitive Grammar, il cui primo schizzo è datato 1 9 8 3 , poi 18

I. I�TRODUZIONE

confluito nei due volumi del I987 e I 9 9 I a) e alla sua fondazione teo­ rica dedica alcuni importanti volumi (cfr. PAR. r .5 ) . Lo sforzo fondativo sostenuto d a Langacker non mira solo a for­ nire una cornice teorica coerente alla LC, sulla base dell'idea generale di una corrispondenza diretta tra elaborazione della conoscenza e fa­ coltà del linguaggio. Soprattutto Langacker cerca con la sua Gram­ matica Cognitiva di fornire degli strumenti descrittivi e una notazione adeguati alla rappresentazione delle strutture linguistiche. Da questo punto di vista la Grammatica Cognitiva di Langacker rappresenta la punta più originale e rigorosa all'interno della LC . I . I . 3 . Categorizzazione Gli studi compiuti dalla psicologa Eleonor Rosch nel corso degli anni settanta sulla categorizzazione (cfr. PAR. r .5 ) offrono un importantissi­ mo spunto alla LC, perché costituiscono una prova empirica del conti­ nuum categoriale: la mente umana non separa le entità in categorie discrete, ma prototipiche. Per convenienza, riassumiamo brevemente quanto esposto da Lakoff ( I 987) a proposito della categorizzazione (un'esposizione più approfondita sarà svolta più avanti, PAR. 2 .2 . I ) . Secondo il punto di vista tradizionale, le categorie risiedono nel reale, sono discrete e sono conoscibili in maniera indipendente dalle proprietà cognitive della mente umana. L'appartenenza di un'entità a una data categoria dipende dalla condivisione di una serie di proprie­ tà, tutte necessarie e sufficienti. Pertanto, le entità esistenti formano categorie dotate di esistenza oggettiva, in base a proprietà oggettiva­ mente condivise. Ciascun membro di una categoria ne è membro allo stesso titolo e le categorie non hanno struttura interna (cfr. Lakoff, I 9 87, pp. I 5 7 -6 I ) . Secondo il punto di vista suggerito dagli esperimenti di Rosch, in­ vece, le proprietà che definiscono i membri di una categoria non de­ vono necessariamente essere tutte condivise: in altre parole, in ogni categoria ci sono membri più centrali, o più prototipici, e altri mem­ bri marginali; al limite, possiamo trovare entità che, condividendo ca­ ratteristiche di più categorie, presentano problemi di classificazione. Così, se esaminiamo la categoria 'uccello' , troviamo rappresentanti prototipici, come l'usignolo o il passero, e altri che lo sono meno, come il pinguino. Al limite esistono anche esseri come il pipistrello, che possono sembrare uccelli, ma sono in realtà mammiferi, pur con­ dividendo un importante tratto della categoria degli uccelli, cioè la capacità di volare, che invece i pinguini non hanno . I membri proto­ tipici sono anche i primi che ci vengono alla mente come esempi del-

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

la categoria: e infatti, i membri prototipici appartengono a maggior titolo alla categoria, sono membri più centrali, che non danno adito a dubbi sulla loro classificazione. In altre parole, le categorie, secondo questo punto di vista, hanno una struttura interna organizzata intor­ no ai membri più prototipici e non sono separate da margini netti, ma piuttosto da un continuum, sul quale si situano membri via via meno prototipici. Fra i membri di una categoria c'è perciò ciò che Wittgenstein chiamava una somiglianza di famiglia: fra di loro, i vari membri condividono qualcosa, ma si tratta di volta in volta di ca­ ratteristiche diverse. Un secondo aspetto importantissimo del modello di categoria pro­ totipica è dato dal ruolo attivo della mente umana: le categorie, se­ condo questa prospettiva, che Lakoff chiama «realismo sperimenta­ le», corrispondono sì a qualcosa di esistente nel mondo esterno alla mente , ma sono conoscibili solo attraverso la sua mediazione attiva. Se il riconoscimento del ruolo attivo della mente umana nei processi cognitivi può non essere una completa novità, nell'approccio della LC esso si fonda però su un 'idea che è veramente nuova, cioè quella di embodiment. Come vedremo estesamente nel CAP. 3 , per la Le la mente non è, come nella tradizione filosofica occidentale, qualcosa di astratto e separato dal corpo, ma è embodied, inserita cioè in una di­ mensione corporea, o meglio, è tutt 'uno con la dimensione fisica del­ l'essere umano. Questa visione, che supera il dualismo corpo-mente, ha, come vedremo, importanti conseguenze sulla concezione del si­ gnificato linguistico. I.I

·



Metafora

Gli studi dedicati alla metafora hanno avuto un grande impulso negli ultimi decenni, anche in ambiti diversi dalla linguistica. Condiviso da studiosi di varie appartenenze è «il passaggio da una concezione della metafora come fatto eminentemente linguistico a una centrata invece sulla sua natura concettuale» (Cacciari, I 99 I , p. 2; su questa conce­ zione della metafora vedi soprattutto Eco, I 9 8o) . Proprio per la sua natura concettuale, la metafora assume un rilievo fondamentale nella Le, con risvolti importantissimi sullo studio del significato delle forme grammaticali e offrendo una via per l'integrazione fra prospettiva sin­ cronica e diacronica. La teoria della metafora viene elaborata soprattutto da Lakoff e Johnson in vari lavori a partire dal I 9 8o (cfr. Lakoff, Johnson, I 998a). In questa prospettiva, la metafora rappresenta la connessione tra la semantica astratta, propria di un codice complesso come la

20

I. I�TRODUZIONE

lingua, e la base cognitiva che informa la nostra conoscenza. La me­ tafora è intesa da Lakoff e J ohnson come un meccanismo cognitivo fondamentale che permette per mezzo del riferimento a un dominio concettuale concreto, detto dominio di partenza, di interpretare o elaborare concetti più astratti, appartenenti a un dominio di arrivo (cfr. CAP . 4 ) . Più in generale, la fertilità metaforica dell'essere umano è uno strumento essenziale di conoscenza del mondo, un processo che avviene grazie alla riduzione continua dell'astratto al concreto, del complesso al semplice. La metafora rappresenta uno strumento cognitivo che permette di rintracciare le basi fisico-percettive della cognizione, e rispondere in questo modo al cosiddetto 'impegno co­ gnitivo' (cognitive commitment) , per cui la teoria del linguaggio deve render conto in maniera esplicita della relazione tra corpo-mente e linguaggio (cfr. Lakoff, 1 990) . La centralità della teoria della metafora per l'approfondimento della dimensione cognitiva della facoltà di linguaggio si manifesta an­ cor più nella definizione degli Schemi di Immagini (image schemas) , che sono uno degli strumenti operativi più importanti della LC . Defi­ niti da Johnson ( 1 987, p. 2 ) «dynamic patterns that function some­ what like the abstract structure of an image, and thereby connect up a vast range of different experiences that manifest the same recurrent structure» 1, gli Schemi di Immagini rappresentano la sintesi di un certo comportamento linguistico, necessariamente basato sulla seman­ tica, in uno schema di base, che immediatamente ne mette in evi­ denza le caratteristiche e le possibilità combinatorie. Come rilevato da Casonato e Cervi ( 1 9 98, p. 1 3 ) , gli Schemi di Immagini sono «modi di costruire il significato [ . . .] costituiti da un'immagine che proviene dall'esperienza della realtà che l'uomo fa in virtù del fatto di vivere in un corpo umano in un ambiente terrestre». Un esempio di Schema di Immagini che trova amplissima applicazione nei procedi­ menti metaforici con i quali la mente analizza il reale è quella del contenitore, basata sulla percezione umana del proprio corpo (cfr. Lakoff, Johnson, 1 998a e, in/ra, PAR. 6.5 ) . Un'ulteriore generalizzazio­ ne basata sugli Schemi di Immagini viene a costituire un Archetipo Concettuale. Si tratta di una forma di schema complesso di carattere olistico, funzionante cioè come un tutto, piuttosto che come una somma di parti, che riflette direttamente sulle costruzioni grammati­ cali aspetti della concettualizzaione degli eventi. Sul ruolo degli ArI. "Modelli dinamici che funzionano più o meno come la struttura astratta di un'immagine, connettendo in questo modo un'ampia gamma di esperienze diverse che manifestano la stessa struttura ricorrente".

21

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

chetipi Concettuali e degli Schemi di Immagini si tornerà più avanti, cfr. soprattutto PARR. 6 . 3 e 6.5 . 1.2

Basi teoriche della LC

r .2 . r . Non autonomia del linguaggio Contrariamente alle idee vigenti nel Generativismo, nella LC il lin­ guaggio, e quindi la grammatica, non è visto come autonomo. Questo significa che non esiste una facoltà del linguaggio svincolata dal resto delle capacità cognitive umane, e non si deve descrivere la mente come modulare, cioè strutturata in moduli autonomi dedicati a facol­ tà diverse (questo punto sarà ulteriormente sviluppato nel PAR. 2 . I ) . L a non autonomia della grammatica non implica che non esista nell'essere umano una predisposizione all'apprendimento del linguag­ gio , ma questa deriva da altre capacità cognitive precedenti, e si in­ scrive nel quadro globale delle capacità cognitive umane (Langacker, I 999a, p. 2 6 ) : O f course, I a m not assuming pure induction starting from a blank siate. The acquisition process is part and parcel of the physical, cognitive, social, an d cultura! development of the language learner, an d reflects an innate pre­ disposition to learn language. This predisposition most likely represents the specialization and adaptation for language of more basic and generai structu­ res and abilities. 2

Inoltre, come abbiamo già osservato nel PAR. I . I . 3 , le capacita co­ gnitive sono condizionate dalle dimensioni fisiche dell'essere umano. La mente è come si è detto embodied, tutt'uno con il corpo. Come sarà chiarito meglio nel CAP . 3 , questo significa che in primo luogo essa è condizionata dalle dimensioni fisiche del cervello, e, in secondo luogo, dalla dimensione corporea in generale e dalla struttura e dalle leggi del mondo circostante (per esempio dalla forza di gravità) . Le varie dimensioni interne e esterne all'individuo hanno un'importanza

2. "Ovviamente, non presuppongo che vi sia pura induzione a partire da una n processo di acquisizione è parte integrante dello sviluppo fisico, co­ gnitivo e sociale dell'apprendente di una lingua, e riflette una predisposizione innata all'apprendimento linguistico. Questa predisposizione rappresenta verosimilmente la specializzazione e l'adattamento alla lingua di strutture e capacità più basilari".

tabula rasa.

22

I. I�TRODUZIONE

costitutiva per la struttura del linguaggio, perché determinano i tipi di metafora che attraverso gli Schemi di Immagini danno poi luogo alle forme grammaticali. Abbiamo detto sopra che esponendo i principi della Space Gram­ mar, poi diventata Grammatica Cognitiva, Langacker dava risalto al­ l' assunto secondo il quale esiste un continuum fra grammatica e lessi­ co. Ciò significa che le forme grammaticali sono dotate di significato, e che il loro significato non è qualitativamente diverso da quello delle forme lessicali, ma semplicemente più astratto. Questo principio ha come conseguenza il rifiuto dell'idea di arbitrarietà, che tanta impor­ tanza ha avuto nella Linguistica Strutturale. Pertanto, la LC si oppone non solo alla Grammatica Generativa, ma anche allo Strutturalismo europeo, rifiutando , o mettendo in se­ condo piano, il concetto di invarianti come principio strutturante del­ la lingua. Il linguista cognitivo rifiuta sistematicamente di postulare e impiegare costrutti teorici che non abbiano un pendant cognitivo im­ mediato. In questo senso, rispetto alla prospettiva post-saussuriana di larga parte della linguistica strutturalista europea, per cui la teoria del linguaggio deve «montrer au linguiste ce qu'il fait» (cioè spingere il linguista a riflettere sul metodo adottato e così facendo a svelare i fondamenti epistemologici della propria disciplina; cfr. Simone, I 992 ) , siamo in un 'ottica profondamente diversa: scopo della lingui­ stica è piuttosto indagare la connessione tra struttura del linguaggio e motivazione cognitiva. Ciò che in altri approcci al linguaggio è visto come primitivo grammaticale viene coerentemente ricondotto alla sua origine cognitivamente fondata, per cui risulta motivato semantica­ mente . In altre parole, le forme grammaticali ( affissi, ma anche le cosid­ dette 'parole vuote', come articoli, preposizioni, ausiliari ecc.) non sono semplici indicatori privi di significato fin dalla loro origine: al­ meno diacronicamente, un loro significato originario è rintracciabile in linea di principio, e motiva la loro estensione da un'originaria funzione significativa più 'piena' a uno specifico significato gramma­ ticale. I .2 .2 . Tipi di metafora Da metafore spaziali derivano i significati delle forme grammaticali. Spesso la base di partenza è offerta da sostantivi che denotano parti del corpo: per esempio fronte nell' awerbio e preposizione italiana di fronte (a) . Infatti, la conoscenza dello spazio awiene attraverso il cor-

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

po e per sua mediazione, e d' altra parte la dimensione corporea è la prima dimensione fisica accessibile all'essere umano. Di qui derivano per esempio alcune asimmetrie nel valore dato a uno dei poli in alcu­ ne coppie bipolari, come su e giù, o destra e sinistra. N el primo caso, si osserva che lingue diverse si servono di metafore del tipo 'bene (o 'più') è su/male (o 'meno ') è giù' : ciò deriva dal valore attribuito da­ gli esseri umani alla testa, in quanto sede del pensiero e della vista. Analogo il motivo per cui spesso si incontrano metafore secondo cui ' destra è bene l sinistra è male', data la maggioranza di individui de­ stri rispetto ai mancini. A volte, quando si dispone di sufficiente materiale diacronico, si può osservare come un morfema legato derivi da una forma libera: si veda l'italiano liberamente dal lat. libera mente, originariamente 'con attitudine libera', da cui poi è derivato il significato italiano. Anche qui abbiamo prima uno spostamento da un significato più concreto, quello originario di mens, 'mente', a uno astratto, 'attitudine', 'manie­ ra' . Una disposizione mentale viene intesa come la maniera in cui è compiuta l' azione. È chiaro che per giungere da un significato concreto, legato alla dimensione fisica dell'essere umano , al significato astratto delle for­ me grammaticali il passaggio è lungo, e il concreto sviluppo di for­ me grammaticali richiede complessi mutamenti diacronici. Anche in questo la LC si differenzia dalla Grammatica Generativa e da molti modelli strutturalisti: essa infatti non considera la diacronia come una dimensione staccata da quella dell'analisi strutturale sin cronica, ma integra in maniera inscindibile i due piani. Molto importante a questo proposito è stato l'incontro fra LC e il vasto filone di studi dedicato alla grammaticalizzazione, che ha avuto recentemente gran­ de sviluppo anche in Italia. Gli studi sulla grammaticalizzazione (cfr. PAR . 1 .5 ) hanno dimostrato, come nell'esempio del suffisso -mente esposto sopra, che i morfemi grammaticali possono effettivamente essere ricondotti a originarie forme lessicali, fornendo così ampie di­ mostrazioni pratiche della sostanziale identità del significato dei due tipi di forme. 1 .2 .3 .

Il ruolo della metonimia

La metonimia è un processo basato sulla contiguità concettuale, piut­ tosto che sulla somiglianza, come invece è la metafora. Per esempio, quando usiamo il nome dell'autore per l'opera (sto leggendo Dante per sto leggendo la Divina Commedia) , facciamo ciò in base alla vici-

I. I�TRODUZIONE

nanza dei due concetti e non a una somiglianza metaforica fra di essi. Come vedremo estesamente nel CAP . 4, al contrario della metafora la metonimia non si fonda sull'imposizione di una corrispondenza (map­ ping) fra due domini cognitivo-concettuali, ma nell'ambito di un do. . . m1n1o un1co. All'uso attivo di espressioni metonimiche spesso si intrecciano an­ che procedimenti metaforici, come ha dimostrato C asadei ( I 996) . In generale, comunque, mentre ci sono molti studi empirici sui procedi­ menti metaforici coinvolti nella grammaticalizzazione e quindi nella creazione di forme grammaticali, gli studi sulla metonimia sono per ora essenzialmente limitati al lessico. Come vedremo più avanti ( PAR. 1 .4.2 ) , la metonimia ha un ruolo importante nella teoria degli Spazi Mentali, elaborata da Fauconnier. I . 2 .4. Convenzionalizzazione Si è detto sopra che nulla è arbitrario e tutto può essere ricondotto a una base semantica. Si era infatti posto in evidenza come la LC intro­ duca una nuova prospettiva profondamente diversa dall'approccio ar­ bitrarista saussuriano, interessato a identificare le peculiarità proprie del linguaggio come oggetto di studio autonomo. L'ottica cognitivista non mette invece in discussione l'arbitrarietà ' di risulta' del linguag­ gio , che emerge dalla sovrapposizione, come in strati sotterranei che denunciano la diversa appartenenza geologica, di strutture originaria­ mente motivate, e solo in seguito all'uso convenzionalizzate (cfr. Lan­ gacker, I 999a, p. I 9 ) . Spesso, come nei processi di grammaticalizzazione, l a base seman­ tica sarà riconoscibile diacronicamente, ma non più accessibile sincro­ nicamente al parlante. Inoltre, è molto importante osservare che, an­ che se la base di partenza per la nascita di una struttura grammaticale è motivata, la struttura effettiva non può essere prevista completa­ mente in base ai fattori motivanti. L'idea di convenzionalizzazione ri­ apre dunque uno spazio all'arbitrarietà. Un filone di studi recentemente aperto, soprattutto a seguito di Croft (2oo i ) , è quello della Grammatica Costruzionista (construction grammar) , illustrato in questo volume dall'esemplificazione contenuta nel CAP . I o. Secondo questo approccio, una costruzione è una strut­ tura linguistica in una certa misura convenzionalizzata, cui è associata una rappresentazione semantica. Le costruzioni divengono oggetto di studio fondamentale, piuttosto che i loro singoli componenti, in quanto più immediatamente osservabili.

25

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

I .2 .5 . Profilazione (Profiling) Le costruzioni grammaticali, ma anche le forme, sia grammaticali sia lessicali, esprimono qualcosa sotto un determinato punto di vista: 'profilano' cioè una relazione in una data prospettiva. Per esempio, se prendiamo le parole moglie e marito, vediamo che entrambe evocano la stessa relazione, e lo stesso insieme di partecipanti (normalmente un uomo e una donna sposati) , ma ne profilano solamente uno. In termini di profilazione Langacker recupera alcune nozioni grammaticali più tradizionali, come quella di 'testa', sulla quale scri­ ve: «a head, in a particular grammatica! construction, is describable as a component structure whose profile is the same as the construc­ tion's composite structure profile» ( I 999a, p. 3 0 ) 3• Si osservi che questa definizione in sostanza corrisponde alla definizione tradiziona­ le, secondo cui la testa di un sintagma (endocentrico) è quella parte del sintagma la cui categoria è la stessa dell'intero sintagma (nel sin­ tagma nominale il libro spesso la testa il libro è ancora un sintagma nominale; cfr. la discussione in PAR. 4.4) . Il concetto di profilazione sarà illustrato più dettagliatamente, in­ sieme con la descrizione dei fenomeni in cui è rilevante , più avanti nel volume, cfr. in particolare PAR. 4 . 2 , e CAPP. 6 e 8 . I .2 .6. Allineamento Trajector-Landmark In una relazione riconosciamo due elementi fondamentali, chiamati in termini gestaltici 'figura' e 'sfondo' (figure e ground) . La cosiddetta 'psicologia della Gestalt' ( Gestalt in tedesco significa 'forma') è una teoria sorta nei primi decenni del Novecento, soprattutto a opera di W. Kohler (cfr. Kohler, I 99o) , che si è interessata in maniera partico­ lare ai problemi connessi con la percezione. Nella LC vengono usati i termini Trajector (per 'figura') e Landmark (per 'sfondo' ) . Il Trajector è un'entità meglio individuata, più saliente e più mobile del Land­ mark, che di contro presenta una maggiore stabilità. Spesso è una scelta libera che cosa viene presentato come figura, o Trajector, e che cosa invece viene presentato come sfondo, o Land­ mark. Si vedano le frasi:

3· "Una testa, in una specifica costruzione grammaticale, può essere definita come una struttura componente il cui profilo è lo stesso del profilo della struttura composta".

I. I�TRODUZIONE

( r ) Il libro è vicino al quaderno. (2) Il quaderno è vicino al libro. Le due frasi sono diverse in base alla prospettiva scelta: nella prima è scelto come figura il libro, nella seconda invece è scelto il quaderno. Altre volte, sono le proprietà fisiche a noi note di certe entità che le rendono più adatte a essere scelte come figura o come sfondo. In genere per esempio diremo: (3 ) Il libro è sul tavolo, piuttosto che: (4) ? Il tavolo è sotto al libro. Questo perché un tavolo è un'entità di maggiori dimensioni e soprat­ tutto con una maggiore stabilità di un libro, di cui sappiamo che è più mobile, potendo facilmente essere spostato. r .2 .7 . Dominio di ricerca (search domain) Anche questa nozione deriva da studi sulla percezione. Un ' dominio' si definisce come la regione in cui una espressione spaziale situa un dato Trajector. Questa nozione è facilmente esemplificabile per mezzo di preposizioni spaziali: per esempio, in il gatto sotto al letto, sotto definisce una regione in cui è situata l'entità da localizzare. Il Land­ mark ha dunque la funzione di stabilire un punto fisso e sufficiente­ mente saliente in base al quale definire un dominio. Ovviamente, la precisa localizzazione del dominio dipende anche dalle nostre conoscenze del mondo: infatti, in ( 5 ) Giovanni è seduto sotto l'albero, la regione sotto non avrà la stessa posizione rispetto al Landmark che ha in : (6) Il gatto è accucciato sotto al letto. Più in generale, Langacker ( r 9 9 r b, pp. r 89-2 o r ) definisce il concetto di 'zona attiva' (active zone) , relativamente non solo alla regione, ma anche più specificamente al rapporto fra Trajector e Landmark. La zona attiva è definita dalle nostre conoscenze sulla struttura delle en­ tità fisiche e degli eventi. Così se dico :

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

(7) metto la matita nel cassetto, la zona attiva del Trajector sarà ovviamente l'intera matita, ma diver­ samente, se dico : ( 8 ) metto la matita nel temperino, si intenderà solo uno degli estremi della matita, a cui voglio tempera­ re la punta. Secondo Sweetser ( 1 999, p. 1 3 5 ) la definizione di zona attiva fa parte del contenuto semantico delle parole che ricorrono in un dato contesto. Normalmente, nella tradizione della linguistica funzionale, sia europea, sia americana, parrebbe più appropriato definire le cono­ scenze che ci permettono di distinguere le due frasi citate sopra come dovute a conoscenze pragmatiche. Vediamo qui un'importante diffe­ renza fra LC e linguistica funzionale: per la LC, e in particolare nel quadro della Grammatica Cognitiva, il ruolo normalmente ascritto alla pragmatica è in buona parte assunto dalla semantica. Langacker spiega infatti che il significato di ciascun lessema (o di ciascuna for­ ma) comprende anche le conoscenze che conseguono alla natura spe­ cifica del referente. Pertanto il significato, come vedremo meglio in PAR. 4 . 2 , è enciclopedico . Scrive Langacker ( r 987, p. 1 5 4) : «The di­ stinction between semantics an d pragmatics (or between linguisti c and extralinguistic knowledge) is largely artifactual, and the only via­ ble conception of linguistic semantics is one that avoids such false dichotomies» 4. r . 2 . 8 . Soggettificazione (subjectification ) Nel nostro modo di descrivere il reale spesso scambiamo il punto di vista esterno, oggettivo, con un punto di vista soggettivo. In questo modo, determinate relazioni vengono a ricoprirne altre attraverso una 'mappatura' (mapping) . Un tipico esempio è la tendenza a descrivere uno stato come se risultasse da un movimento, come nella frase: (9) La strada va verso la stazione. Invece di prendere la prospettiva dell'entità descritta, che è stati ca, noi prendiamo in questo caso la prospettiva dinamica di una persona 4· "La distinzione fra semantica e pragmatica (o fra conoscenze linguistiche e extralinguistiche) è in larga parte artificiale e l'unica maniera possibile di concepire la semantica linguistica è quella che evita false dicotomie di questo genere".

I. I�TRODUZIONE

che esegue un movimento ('moto immaginario' , o fictive motion, Tal­ my, 2oooa, cap . 2 ; Langacker, 1 99 r b, cap. 5; e più avanti, PARR. 9 .2 . r e 9·2 · 3 ) . Altro esempio d i soggettificazione è fornito dagli avverbi deittici del tedesco e del francese: in tedesco, l'avverbio spaziale da, origina­ riamente distale (cioè che indica una posizione lontana dal parlante, come l'italiano là) , passa a indicare invece il prossimale, denotando una posizione vicina al parlante come nella frase ich bin da 'sono qui' . Analogamente, troviamo in francese voilà 'ecco qua', je suis là 'sono qui', dove compare l'avverbio là, che in origine aveva lo stesso significato dell'omofono avverbio italiano . Benché apparentemente in­ solito, questo mutamento linguistico è perfettamente motivato nell'ot­ tica della soggettificazione: lo spazio deittico, in cui avviene l'indica­ zione di una regione spaziale, viene rifiltrato attraverso la prospettiva dell'ego deittico , per cui la regione indicata finisce per essere quella occupata dall'emittente che regola su di sé la deissi (per ulteriori ap­ profondimenti sul problema della deissi, cfr. CAP. 9, nota r ) . I .J Incontro fra Grammatica Cognitiva

e

Funzionalismo

In questo paragrafo, intendiamo con Funzionalismo e linguistica fun­ zionale il Funzionalismo americano, legato ai nomi di Giv6n , e so­ prattutto Hopper e Thompson , e non il Funzionalismo europeo, di­ scendente dallo Strutturalismo classico e legato al concetto di inva­ riante. La distanza tra le due prospettive è molto forte. Per il Funzio­ nalismo classico europeo (da Saussure a J akobson) oggetto della lin­ guistica è lo studio della funzione di un certo elemento all'interno del sistema linguistico, mentre il Funzionalismo americano cerca la fun­ zione esterna al sistema linguistico (ma all'interno dell'atto comunica­ tivo) , che motiva e spiega la presenza di una certa struttura lingui­ stica. Come abbiamo visto in precedenza, la LC non dà, in linea di prin­ cipio, grande spazio alla pragmatica, in un 'ottica semanticista estre­ mizzata, eredità della Semantica Generativa. Tuttavia, anche nella LC è molto forte l'interesse per la lingua come strumento di comunica­ zione. Soprattutto sul piano della sintassi, quindi, l'incontro fra LC e Funzionalismo è avvenuto in maniera naturale, dato che anche il Funzionalismo rappresenta una reazione alla Grammatica Generativa. Langacker sottolinea l'affinità fra LC e Funzionalismo, mettendo in luce come cognitivisti e funzionalisti concordino nel ritenere che il linguaggio sia modellato dall'uso. Tuttavia, non mancano le osserva29

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

zioni critiche, soprattutto rivolte allo scarso grado di formalizzazione tipico dei lavori di alcuni funzionalisti. Così, recensendo Giv6n ( 1 979 ) , Langacker ( r 98 r , p. 444) sottolinea come Though [Giv6n] has much of validity and importance to say about the fune­ tiana! motivation of grammatica! structure, he is almost totally silent about the character of this structure and the nature of a viable framework far de­ scribing it [. .. ] . Explanations far why grammar has the properties it has will be more convincing and firmly grounded when we have some clear idea about precisely what these properties are supposed to be 5•

Come abbiamo osservato sopra ( PAR. r .2 .4 ) , Langacker recupera la nozione di struttura grammaticale attraverso il concetto di convenzio­ nalizzazione, che manca sostanzialmente al Funzionalismo americano (e soprattutto a Giv6n) , ma meno a alcuni funzionalisti europei come H. J. Seiler o Ch . Lehmann. Ciò non è sorprendente, date le diverse origini delle due scuole funzionaliste; attualmente, molti studiosi eu­ ropei si stanno avvicinando alla LC, e il loro apporto è ricco di spunti importanti, proprio in conseguenza del bagaglio che questi studiosi portano con sé, e che è in larga misura estraneo agli americani. Un altro importante terreno di incontro fra LC e Funzionalismo è dato dall'interesse per la diacronia. Qui le due prospettive si incrocia­ no e si complementano, per esempio negli studi sulla grammaticaliz­ zazione e sulle sue motivazioni (cfr. supra, PAR. r .2 . 2 ) . 1 .4 Problemi attuali

r .4. r . Tipologia Vari studiosi stanno applicando la LC a diversi settori sviluppandone le capacità descrittive. In primo luogo, possiamo citare l'incontro fra tipologia linguistica e LC, qui esemplificato soprattutto nel CAP. r r . La tipologia linguistica, almeno a partire da Greenberg (anni sessanta) si è sempre contrapposta alla Grammatica Generativa, non tanto per

5· "Benché [Giv6n] abbia molte cose valide e importanti da dire rispetto alla motivazione funzionale della struttura grammaticale, non dice quasi niente sul caratte­ re di tale struttura e sulla natura di un possibile quadro teorico per descriverla [. .. ]. Le spiegazioni riguardo ai fattori che motivano le proprietà della grammatica saranno più convincenti e più solide quando avremo idee chiare proprio riguardo a che cosa tali proprietà debbano essere".

I. I�TRODUZIONE

scelta esplicita, quanto per forza di cose, dati i suoi metodi e i tipi di problemi studiati. La tipologia linguistica in realtà affonda le sue ra­ dici molto più indietro nel tempo, perché, anche nelle sue manife­ stazioni contemporanee, si ricollega direttamente con l'opera dei tipo­ logi prestrutturalisti, risalendo fino a Humboldt. Gli studiosi dell'Ot­ tocento erano dal nostro punto di vista parzialmente ateorici, o per lo meno si ponevano problemi teorici molto diversi e con un minor gra­ do di formalizzazione, ma molte delle loro intuizioni sono pienamen­ te recuperabili da una prospettiva cognitivistica, come osservato an­ che in Geeraerts ( 1 99 1 ) , citato più avanti, PAR. 2 .2 .2 . Infatti, prima dello Strutturalismo, era normale pensare a una base semantica della grammatica e non va dimenticato che gli studi sulla grammaticalizza­ zione hanno un importante precedente nelle idee glottogoniche di Franz Bopp (cfr. PAR. r .5 ) . Si può notare che questo ritorno alla 'ma­ teria', in quanto contrapposta alla forma, ha caratterizzato la reazione agli eccessi di formalismo tipici dello Strutturalismo europeo prima e della Grammatica Generativa poi, e si ritrova in correnti teoriche quali la fonologia naturale, che ha una base fortemente fonetica, o la morfologia naturale, che ha invece un fondamento semiotico (cfr. a questo proposito Simone, 1 99 2 ) . Croft ( 1 999 ) , dopo aver sottolineato che, come tipologo, u n lin­ guista deve essere pronto a accettare un certo grado di arbitrarietà nel linguaggio, vede come principale contributo della LC alla Tipolo­ gia Linguistica l'elaborazione del concetto di prototipo e categoria prototipica, che ha grande rilevanza per l'individuazione e lo studio degli universali linguistici. Inoltre, Croft sottolinea come sia i tipologi, sia i linguisti cognitivi siano d'accordo nel riconoscere l'importanza della semantica per la strutturazione iconica della sintassi. r .4 . 2 . Spazi mentali (menta! spaces) La teoria degli spazi mentali, inaugurata con il volume di Fauconnier Espaces mentaux ( 1 9 84, poi tradotto in inglese come Menta! Spaces, 1 9 85 ) , prende le mosse dalla nozione di /rame, o 'cornice ', introdotta originariamente in Fillmore ( 1 982 , 1 9 85 a) . Ogni evento evoca in noi una cornice: per esempio, il verbo 'comprare' evoca la cornice dello scambio, dei possibili partecipanti, del luogo ecc. La cornice evocata da un evento, o anche da un'entità di qualunque genere, è il suo spa­ zio mentale, concetto che in larga parte coincide con quello di 'domi­ nio', discusso nel CAP . 4· Lo spazio mentale di un 'entità contiene al­ tre entità, a loro volta evocatrici di spazi mentali diversi. Si apre così

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

il passaggio da uno spazio mentale a un altro, attraverso le entità e gli spazi mentali simultaneamente evocati. Come vedremo meglio nel corso del CAP . 4, un ruolo fondamenta­ le nel passaggio da uno spazio mentale a un altro è svolto dalla meto­ nimia. Se dico (Io) Ho appena finito di leggere Pirandello,

la metonimia secondo la quale il nome dell'autore si riferisce alla sua opera può evocare gli spazi mentali di entrambe le entità: posso infat­ ti proseguire dicendo (I I ) L'ho rimesso al suo posto nello scaffale;

oppure (I2 ) Domani vado a vedere una sua commedia.

Gli spazi mentali costituiscono uno strumento per descrivere le possi­ bili interconnessioni fra parti di una costruzione complessa: infatti, è tipico di un tutto l'evocare le proprie parti. Sostanzialmente, possia­ mo definire uno spazio mentale come un insieme di conoscenze evo­ cate da un'entità linguistica. Con 'spazio mentale' ci si riferisce a volte a ciò che in altre teorie viene detto 'mondo possibile' , dato che si parla di 'spazio condiziona­ le' (Sweetser, I999, p. I 35, e più avanti, PAR. 4 . 6) . Di importanza cru­ ciale per la teoria degli spazi mentali è l'idea di 'fusione' , o blending. In una costruzione complessa entrano in gioco più termini, ciascuno dei quali apre spazi mentali diversi. La comprensione del significato di più termini costruiti insieme avviene solo parzialmente su base composizionale. Sweetser (I999) dimostra che anche il significato di un 'espressione come red ball, la palla rossa, non può semplicemente essere descritto come l'intersezione delle estensioni dei due termini (cioè dell'insieme delle palle con l'insieme degli oggetti rossi) . Per esempio, in un contesto appropriato 'la palla rossa' può essere la pal­ la con un segno rosso sulla superficie, oppure la palla che appartiene alla squadra i cui giocatori vestono una maglia rossa, o perfino la palla fabbricata in un paese comunista. Il significato di un ' espressio­ ne complessa si definisce meglio in termini di fusione. Gli spazi mentali aperti dalle due espressioni si fondono fra loro per dare il significato dell'espressione complessa. Fauconnier (I999, p. Io2 ) defi­ nisce il blending come segue: «Blending [ . . . ] matches two input spa32

I. I�TRODUZIONE

ces through a partial cross-space mapping and projects selectively from both inputs into a third space, the blend, which gets elaborated dynamically» 6. I

·

4·3 .

Il dibattito teorico: idealismo ed empirismo

Abbiamo già detto che la LC ha una base di ' realismo' : non nega il reale, non è quindi idealismo, ma allo stesso tempo vede le nostre conoscenze come informate in maniera ineludibile dalle nostre di­ mensioni psichiche e fisiche. In questo senso, sfugge all'accusa di idealismo mossa allo strutturalismo europeo di matrice saussuriana (cfr. la discussione di questo aspetto ad esempio in Eco, I 96 8 ) , e si pone invece in una posizione di antisaussurianismo: la linguistica non pone il suo oggetto, come nel dettato del maestro ginevrino , ma lo individua a partire da specifiche esperienze psico-fisiche. A questo proposito, da parte dei seguaci della LC si è registrato negli ultimi anni un interesse anche per altre teorie semantiche, più chiaramente idealiste, come quella elaborata in numerosi studi da Anna Wierzbicka ( cfr. per esempio Wierzbicka, I 996) . L'approccio teorico sviluppato dalla studiosa polacca può essere definito leibnizia­ no, in quanto teso a identificare un certo numero di primitivi seman­ tici, una sorta di universale Alphabet o/ Human Thought. Lakoff ( I 990, p. 46) , pur prendendo chiaramente le distanze dall'approccio, tuttavia riconosce lo sforzo comune verso la messa a fuoco di aspetti cognitivi e semantici essenziali alla comprensione del linguaggio. Vari aspetti relativi alle implicazioni filosofiche dei due quadri teorici sono discussi in numerosi contributi da Geeraerts, cfr. soprattutto Gee­ raerts (I 99 9 ) . I

·

4·4 ·

Critica letteraria

Negli ultimi anni, soprattutto negli Stati Uniti, le linee di pensiero della LC hanno destato interesse anche in studiosi di letteratura. A questo proposito va citato soprattutto M. Turner, che in alcuni im­ portanti contributi (cfr. soprattutto Turner, I 9 87 , I 996) ha esplorato le basi cognitive della lingua letteraria, sostenendo che, in pratica, quest'ultima differisce solo in grado di elaborazione dalla lingua di

6. "La fusione mette a confronto due spazi attraverso una mappatura parziale tra uno spazio e l'altro e proietta selettivamente da entrambi gli spazi a un terzo spazio, il blend, che viene elaborato dinamicamente".

33

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

tutti i giorni, ma che i procedimenti impiegati sono sostanzialmente gli stessi. I .j Indicazioni bibliografiche

Fra le opere disponibili in Italia, dedicate alla LC e che hanno o pos­ sono avere scopi didattici segnaliamo i seguenti volumi: Lakoff e Johnson ( 1 998a, 1 998b) ; Bersani Berselli, Soffritti e Zanettin ( 1 999) ; Taylor (2003 ) ; e inoltre gli articoli di Langacker ( 1 9 87) e Casadei ( I 999a) . Sul concetto di prototipo e sulle possibili differenze fra pro­ totipo cognitivo e prototipo linguistico si vedano, oltre al già citato Taylor (2003 ) con l'introduzione di Giannini (sostanzialmente ripresa in Giannini, 2 002 ) , Luraghi ( 1 9 9 3 ) , Mazzoleni ( 1 99 9 ) . Sulla metafora, oltre al fondamentale Eco ( 1 9 80) , si vedano gli studi in prospettive diverse raccolti nel volume a cura di Cacciari ( 1 99 1 ) . Sull'impiego di procedimenti metaforici e metonimici nelle espressioni idiomatiche si veda Casadei ( 1 996) . Gli studi sulla grammaticalizzazione pubblicati negli ultimi anni sono numerosissimi; qui rimandiamo solo ai due vo­ lumi dell"' Archivio Glottologico Italiano " (8o e 8 1 , rispettivamente del 1 995 e 1 996) dedicati quasi interamente a questo argomento. Sul­ la rilettura degli studiosi pre-strutturalisti si può vedere Graffi (2 oo2 ) ; in particolare su Bopp come precorritore degli studi sulla grammati­ calizzazione rimandiamo a Vallini ( 1 98 7 ) . Per una breve esposizione in italiano delle posizioni di F auconnier rimandiamo a Marconi ( 1 99 2 ) . Per conoscere alcuni principi della psicologia della Gestalt serve da riferimento Kohler ( 1 990) . Su tutto ciò che non è la LC, pur andando sotto il nome di cognitivismo linguistico, si veda Pinker ( ! 99 7 ) . Per quanto riguarda la ricca letteratura i n inglese, citiamo qui solo qualche opera fondamentale, rimandando poi alla bibliografia generale. In particolare sugli studi di Rosch riguardo la categorizza­ zione si vedano Rosch ( 1 973 a, 1 975 ) e Lakoff ( 1 9 87 ) , dove si discuto­ no anche il rapporto fra gli studi di Rosch e altri studi sulla percezio­ ne e il concetto, preso da Wittgenstein, di somiglianza di famiglia. I fondamenti della Grammatica Cognitiva sono esposti in Langacker ( 1 9 87, 1 9 9 1 a) ; molto utile è anche Langacker ( 1 99 1 b), una raccolta di studi che contiene fra l'altro una revisione di Langacker ( 1 9 82 ) e un saggio dedicato al processo di soggetivazione. Di recente pubblicazio­ ne e molto completo è anche Taylor (2 oo2 ) . Per conoscere la Lingui­ stica Funzionale americana rimandiamo a Giv6n ( 1 979) . Sui rapporti fra LC, tipologia linguistica, linguistica funzionale e vari altri indirizzi 34

I. I�TRODUZIONE

di indagine con essa compatibili, si veda Langacker ( 1 999a) , e in ge­ nerale tutti i saggi contenuti nel volume a cura di J anssen e Redeker ( 1 999 ) ; in particolare sugli spazi mentali, si veda Fauconnier ( 1 9 84) . La ICLA ha un sito web, il cui indirizzo è: http://www . cognitive­ linguistics.org/. La pagina web della rivista "Cognitive Linguistics " si trova invece all'indirizzo: http ://www .degruyter.de/rs/3 84_3 86_DEU_h.htm . Un interessante forum dedicato alla LC è ospitato dal server del­ l'Università di San Diego; può essere contattato all'indirizzo di posta elettronica: [email protected] .

35

2

Per un bilancio della Semantica Cognitiva di Federica Casa dei

2.1

La Semantica Cognitiva: assunti di base

La Semantica Cognitiva, cioè l'insieme degli studi sul significato svi­ luppati nell'ambito della LC, è un'area molto variegata ed eterogenea, nella quale confluiscono studiosi - tra i quali, per citare alcuni dei più noti, George Lakoff, Ronald Langacker, Leonard Talmy, Ray Jac­ kendoff, Charles Fillmore, Gilles Fauconnier, Philip Johnson-Laird i cui interessi e ambiti di ricerca, che vanno dalla linguistica alla psi­ cologia cognitiva all'intelligenza artificiale alla filosofia del linguaggio, differiscono anche notevolmente. Dunque, come evidenzia Marconi ( 1 992 , p. 43 1 ) , parlando di Semantica Cognitiva ci si riferisce in effet­ ti non tanto a una singola teoria o a uno specifico programma di ri­ cerca quanto a una «famiglia di teorie», o meglio ancora a «un insie­ me di esigenze e atteggiamenti critici» verso altre teorie del significato di ambito linguistico e filosofico; sicché sarebbe forse meglio parlare di approccio cognitivista alla semantica anziché di Semantica Cogniti­ va vera e propria. Si possono comunque individuare alcuni assunti di base condivisi, più o meno esplicitamente e in misura più o meno ampia, da gran parte degli studiosi che si rifanno all'approccio co­ gnitivista. Si tratta essenzialmente di quattro punti: r . La non-autonomia del linguaggio e della linguistica L'assunto di fondo della Le è che vi sia una relazione imprescindibile tra il lin­ guaggio e altri aspetti della cognizione umana (cfr. PAR. r . 2 . r ) . In questo approccio il linguaggio non è visto come un'entità autonoma, come un sistema autosufficiente e governato da principi di funziona­ mento propri, ma come una facoltà mentale le cui caratteristiche sono legate indissolubilmente al complessivo funzionamento della mente umana. Di conseguenza la Le ritiene che i fenomeni linguistici non siano analizzabili restando all'interno del linguaggio in quanto 37

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

tale : sia le caratteristiche delle lingue, sia le abilità linguistiche, cioè la capacità degli esseri umani di usare il linguaggio, possono essere de­ scritte e spiegate solo in relazione alle altre facoltà cognitive, ad altri processi mentali, ed è impossibile tracciare una separazione netta tra le conoscenze, le capacità e i fenomeni linguistici e le conoscenze, le capacità e i fenomeni cognitivi. Lo studio del linguaggio non può es­ sere condotto guardando ai fenomeni linguistici considerati in se stes­ si, ma guardando alla relazione tra quei fenomeni e il piano cognitivo - i processi di comprensione, i meccanismi con cui si formano i con­ cetti, il modo in cui si organizzano mentalmente la nostra esperienza della realtà extralinguistica e le nostre conoscenze relative al mondo esterno. La comprensione dei fenomeni linguistici richiede dunque uno 'sforamento' verso l' extralinguistico, e la linguistica non può fare a meno di servirsi dei dati provenienti da altri ambiti di studio e in particolare dalla psicologia. 2. La natura concettuale del significato e la semantica come teoria del­ la comprensione L'ipotesi della non autonomia del linguaggio, fon­

data sull'esistenza di una relazione indissolubile tra piano linguistico e piano cognitivo , vale secondo l'approccio della Le per ogni livello dell'analisi linguistica e tanto più per la semantica, che è l' ambito dove la relazione tra piano linguistico e piano concettuale è più di­ retta. La Semantica Cognitiva intende il significato non come un fe­ nomeno linguistico ma come il risultato di un processo cognitivo, come l'esito di una concettualizzazione: il significato ha una natura concettuale. Esistono in realtà, in proposito, posizioni diverse, e non tutti i rappresentanti della Semantica Cognitiva condividono la stessa concezione della relazione tra piano linguistico e piano concettuale: secondo una posizione più moderata il piano linguistico mantiene co­ munque una sua specificità nel realizzare certi e non altri contenuti concettuali, e non esiste una corrispondenza uno a uno tra significati e concetti; secondo una concezione più radicale, invece, i significati delle parole non sono altro che 'pezzi' del sistema concettuale asso­ ciati, nella nostra memoria, a una veste fonologica e grammaticale, sicché studiare la semantica coincide tout court con lo studiare la psi­ cologia. In tutti i casi, comunque, si assume che i significati delle pa­ role abbiano sempre una controparte concettuale, cioè che dietro i significati linguistici vi siano dei contenuti mentali e che l'analisi se­ manti ca sia inseparabile dall'analisi dei processi tramite i quali quei contenuti si costruiscono. Descrivere i significati linguistici significa descrivere quali contenuti concettuali sono espressi dalle parole, quali processi mentali hanno portato alla formazione di quei contenuti e,

2 . PER UN BILANCIO DELLA SEMANTICA COGNITIVA

parallelamente, quali processi mentali ne consentono la comprensio­ ne. In termini più generali, la semantica è una teoria della compren­ sione: una teoria semantica adeguata deve rispondere alla domanda " che cosa avviene nella mente del parlante quando comprende una parola o una frase? " . 3 . Il radicamento esperienziale e corporeo (embodiment) dei concetti/ significati Un terzo assunto fondamentale della Semantica Cognitiva

riguarda la natura del sistema concettuale sottostante al linguaggio. Si tratta dell'ipotesi secondo cui le strutture cognitive traggono il loro fondamento dal complesso dell'esperienza degli esseri umani e in par­ ticolare dall'esperienza corporea, fisico-percettiva (cfr. PARR. 1 . 1 . 3 , 1 . 2 . 1 e soprattutto la discussione nel CAP. 3 ) . Il cognitivismo classico, cui si rifà l a Linguistica Generativa, assu­ me che il pensiero consista nella manipolazione di simboli astratti e che il funzionamento della mente sia indipendente dalle caratteristi­ che fisiche degli esseri umani, secondo il principio per cui " il softwa­ re è indipendente dall'hardware " . La LC assume invece che non vi sia separazione tra mente e corpo e che anzi la dimensione mentale sia radicata nella dimensione fisica, poiché ritiene che il nucleo essenziale del sistema concettuale scaturisca direttamente dall'esperienza corpo­ rea. Quest'ultima, lungi dall'essere caotica (cosa che impedirebbe agli esseri umani di funzionare come organismi viventi e di interagire con successo con l'ambiente in cui vivono e con i loro simili) , è intrinse­ camente organizzata e strutturata anche prima dell'intervento dei concetti: il fatto stesso di avere un corpo, di essere dotati di movi­ mento, di poter manipolare oggetti, e in generale tutta la nostra inter­ azione fì.sico-percettiva con l'ambiente, dà luogo, secondo questa ipo­ tesi, a una serie di schemi preconcettuali basilari che a loro volta co­ stituirebbero il fondamento del sistema concettuale (Schemi di Imma­ gini, cfr. PAR. 1 . 1 .4 ) . Esempi di schemi di questo tipo sono gli schemi di CONTENITORE O PARTE-TUTTO (originati dal fatto di esperire il no­ stro corpo come un contenitore e come un tutto dotato di parti), lo schema PERCORSO (originato dal fatto di essere organismi capaci di movimento) \ schemi come su-Giù e DAVANTI-DIETRO, connessi all'o­ rientamento spaziale, oppure schemi legati a quella che Talmy (2 oooa, cap . 7) chiama «la dinamica delle forze», come EQUILIBRIO, CONTROLLO, LEGAME, ATTRAZIONE. Schemi di questo tipo racchiudo­ no in forma preconcettuale pacchetti di informazioni fondamentali 1. Questo schema fa parte dell'Archetipo Concettuale del movimento, cfr. PARR . 6.3 . 1 e 9. 1 .

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per la nostra esistenza; e sarebbero proprio strutture preconcettuali come queste, secondo l'approccio della LC, a dare origine alle struttu­ re semantico-concettuali che troviamo nel linguaggio, le quali quindi trarrebbero senso proprio dall'essere 'incarnate' (embodied) nella di­ mensione fisica. Nell'ambito di questo modello semantico, che Lakoff ( ! 987 ) pro­ pone di chiamare semantica esperienziale o esperienzialismo, uno de­ gli obiettivi è mostrare che molti aspetti della semantica delle lingue sono motivati in ultima analisi da schemi di questo tipo. Un campo di studi privilegiato è offerto dalle parole che si riferiscono al domi­ nio spaziale, come le preposizioni e i verbi di movimento, trattati ri­ spettivamente nei CAPP. 8 e 9, i cui significati sono difficilmente de­ scrivibili senza chiamare in causa la percezione spaziale e l'esperienza motoria. Ma anche aspetti della semantica profonda delle lingue pos­ sono essere spiegati ricorrendo agli schemi emergenti dall'esperienza corporea; per esempio Talmy (2oooa, cap. 7) usa il modello della di­ namica delle forze per descrivere i fenomeni della modalità. Inoltre sono stati compiuti molti studi sull'uso della metafora per la costru­ zione di concetti di livello più astratto a partire da concetti basati sull'esperienza. L'ipotesi della Semantica Cognitiva è infatti che anche i concetti astratti, non derivati direttamente dall'esperienza corporea, siano legati a essa grazie a processi immaginativi come la metafora, ritenuta in questo approccio un meccanismo mentale prima che lin­ guistico. Per esempio un concetto astratto come quello di 'conoscen­ za' può essere rappresentato metaforicamente in termini visivi (come dimostrano espressioni come Non vedo il problema, La questione è

chiara, La /accenda è oscura, Avere vedute ristrette, Brancolare nel buio

ecc., in proposito si veda anche il CAP. 7 , in particolare PAR. 7 . 3 ) , e il concetto di tempo è spesso rappresentato in termini spaziali tramite lo schema del percorso (cfr. espressioni come È arrivata l'estate/Sia­

mo arrivati all)estate, Il mio compleanno è passato, Si avvicina il Nata­ le, Stiamo andando verso l'autunno) ; in questi casi la rappresentazione

mentale e l'espressione linguistica di un concetto astratto si basano su un concetto concreto derivante dall'esperienza senso-motoria e dal ruolo che tale esperienza ha nell'esistenza umana (per esempio, la vi­ sta è per gli esseri umani la principale fonte di informazioni sul mon­ do esterno) .

La centralità della semantica L'interesse per l a relazione tra il lin­ guaggio e l'organizzazione concettuale che emerge dall'esperienza del mondo spiega infine un quarto assunto della LC, cioè la centralità del­ la semantica. La rivendicazione della priorità della semantica è forse 4·

2 . PER UN BILANCIO DELLA SEMANTICA COGNITIVA

l'assunto che più caratterizza l'approccio cognitivista fin dai suoi esordi. La LC ha infatti le radici nella critica al Generativismo avviata alla fine degli anni sessanta dai sostenitori della Semantica Generativa (cfr. PAR. r . r . ! ) , alcuni dei quali, come Lakoff e Langacker, sono poi divenuti esponenti di spicco della LC. In opposizione al modello chomskiano, i semanticisti generativi non solo rifiutavano la separa­ zione tra semantica e sintassi ma sostenevano che è la semantica a generare, cioè a determinare, la struttura delle frasi (da qui il nome di Semantica Generativa dato al movimento, in contrapposizione alla Grammatica Generativa) ; conclusa l'esperienza della Semantica Gene­ rativa, questa rivendicazione diverrà uno dei principi chiave della LC, caratterizzata appunto dal ritenere che sia la semantica anziché la sin­ tassi il 'motore' del linguaggio e dunque il componente centrale di ogni teoria linguistica. Alcune citazioni dai due testi che rappresentano una sorta di sum­ ma della LC, i volumi di Lakoff ( 1 98 7 ) e Langacker ( 1 9 87, 1 99 1 a) , chiariscono bene questo punto. Lakoff ( 1 9 87, p . 2 2 8 ) scrive che il punto di partenza della Grammatica Generativa, cioè assumere che la sintassi sia autonoma dalla semantica, è totalmente fuorviante: «the primary purposes of language are to frame and express thoughts and to communicate, not to produce sequences of uninterpreted sounds [ . . . ] , [thus] one would expect that many (not necessarily all) aspects of natural language syntax would be dependent in at least some way on the thought expressed» 2 ) . A sua volta Langacker ( 1 987, p. 2) af­ ferma che la sintassi non costituisce un livello autonomo di rappre­ sentazione bensì è un sistema simbolico convenzionale che dà forma al contenuto concettuale; dunque analizzare le unità grammaticali senza fare riferimento al loro valore semantico sarebbe come scrivere un dizionario senza spiegare i significati delle parole (Langacker, 1 99 1 a , p. 1 75 ) . Entrambi gli studiosi concludono dunque che è la se­ mantica il componente centrale della teoria linguistica: «We have ta­ ken meaning to be the centrai issue. The centrai issue [ . . . ] is how linguistic expressions and the concepts they express can be meaning­ ful» (Lakoff, 1 9 87, p. 2 66) 3; «The most fundamental issue in lingui2. "Le funzioni primarie del linguaggio sono quelle di dare forma ai pensieri ed esprimerli e quella di comunicare - non certo quella di produrre sequenze di suoni privi di interpretazione -, dunque ci si può aspettare che molti aspetti (non necessa­ riamente tutti) della sintassi delle lingue naturali dipendano almeno in parte dai pen­ sieri espressi". 3 · "Abbiamo assunto che la questione centrale è il significato. La questione cen­ trale [ .. .] è in che modo le espressioni linguistiche e i concetti che esse esprimono possano avere un significato".

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

stic theory is the nature of meaning and how to deal with it» (L an­ gacker, 1 987 , p. 5 ) 4. Date queste premesse non sarebbe esagerato sostenere che gran parte di ciò che chiamiamo Linguistica o Grammatica Cognitiva è in ultima analisi Semantica Cognitiva; e ciò , insieme all'eterogeneità dei modelli di cui si diceva all'inizio, rende ancora più complesso tentare un bilancio dell'approccio semantico cognitivo senza che questo fini­ sca per essere un bilancio della LC nel suo insieme. Lo scopo che mi prefiggo in questo capitolo è ben più limitato: senza pretendere di proporre in poche pagine un esame complessivo (o anche solo una rassegna) della Semantica Cognitiva, cercherò di illustrare quali ne sono a mio avviso i maggiori punti di forza e limiti, discutendo alcuni dei risultati possibili e degli obiettivi mancati di questo approccio. Mi riferirò soprattutto alla semantica in senso stret­ to , intendendo con ciò le ricerche e i metodi che trovano un' applica­ zione diretta alla semantica lessicale; in particolare farò spesso riferi­ mento alla teoria della metafora, che è uno dei contributi più salienti dell'approccio cognitivista alla semantica lessicale e allo stesso tempo uno dei componenti centrali dell'intera Le. 2.2

Un'altemativa ai modelli classici

2 .2 . 1 . Prototipi e categorizzazione

La Semantica Cognitiva è la principale novità nel panorama della se­ mantica degli ultimi decenni e rappresenta oggi l'alternativa più con­ sistente agli altri due grandi modelli semantici esistenti, l' approccio componenziale di derivazione strutturalista, basato sull'analisi del si­ gnificato in componenti semantici, e l' approccio formale di matrice logico-filosofica, che applica alle lingue naturali i metodi d'analisi ori­ ginariamente pensati per i linguaggi formali della logica e della mate­ matica. Un po' paradossalmente, anzi, si potrebbe dire che il maggio­ re pregio della Semantica Cognitiva è il fatto stesso di esistere, dando espressione ai numerosi motivi di insoddisfazione che linguisti, sernio­ dci e filosofi del linguaggio nutrono nei confronti della concezione del significato e dei metodi di analisi semantica proposti sia dalla se­ mantica componenziale sia dalla semantica formale.

4· "La questione fondamentale della teoria linguistica è la natura del significato e come affrontarlo".

2 . PER UN BILANCIO DELLA SEMANTICA COGNITIVA

La semantica formale è il principale bersaglio della Semantica Co­ gnitiva, che ne critica radicalmente l'intero impianto teorico. Assume­ re che comprendere un enunciato significhi sapere in quale condizio­ ni esso sia vero o falso, e che dunque il significato si identifichi con le condizioni di verità, dà luogo secondo la Semantica Cognitiva a una teoria semantica psicologicamente implausibile e inadeguata sul piano descrittivo, cioè incapace di dar conto di molti aspetti cruciali della semantica delle lingue naturali. In sostanza ciò che si rimprovera alla semantica formale è escludere il lessico dalla teoria semantica, elu­ dendo così due questioni che qualunque linguista ritiene fondamenta­ li per l'analisi delle lingue naturali: r . come descrivere il contenuto lessicale ( cioè i significati delle pa­ role) e in particolare come descrivere i rapporti tra i diversi sensi di una parola (cioè come dare conto della polisemia e della meta­ foricità); 2 . come descrivere le relazioni di senso tra espressioni che dipendo­ no dal diverso contenuto delle unità lessicali che le costituiscono. Questi tipi di fenomeni non rientrano nel raggio d 'azione della semantica formale, interessata essenzialmente a descrivere gli aspetti strutturali del significato, cioè in che modo il significato delle espres­ sioni complesse dipende dal significato dei loro costituenti semplici: il significato di un'espressione complessa è identificato con le sue con­ dizioni di verità, le quali sono ricondotte alle condizioni di verità dei costituenti, le quali a loro volta dipendono dai significati delle parole che li costituiscono; ma sul contenuto di queste unità ultime la se­ mantica formale non dice nulla. Le regole della semantica formale di­ cono come derivare l'interpretazione di un 'espressione complessa a partire dalle espressioni semplici che la costituiscono a prescindere dal contenuto specifico di tali espressioni, la cui interpretazione non viene specificata. Ciò fa sì, per esempio, che la semantica formale sia in grado di descrivere il diverso comportamento di un verbo transiti­ vo e di un verbo intransitivo ma non sia in grado, per citare un esem­ pio di Marconi ( 1 99 2 , p. 4 3 9 ) , di «dare un contenuto alla distinzione tra il significato di Il gatto è sul tappeto e quello di Il libro è sul tavo­ lo» o, per riprendere alcuni esempi di Violi ( 1 997 ) , di descrivere i casi in cui a parità di significato proposizionale due espressioni mo­ strano differenze di tipo connotativo (parsimonioso vs. tirchio) o fun­ zionale (Il candidato è capace ma disordinato vs . Il candidato è disordi­ nato ma capace) o 'prospettico' (La penna è sopra il tavolo vs. Il tavo­ lo è sotto la penna) . In sostanza, sono escluse dal raggio d'azione del­ la teoria tutte le differenze di contenuto che non corrispondono a differenze sul piano dei valori di verità.

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A questa critica si può rispondere proponendo, come Partee ( r 98o ) , la distinzione tra una semantica strutturale, il cui compito sa­ rebbe descrivere le relazioni tra costituenti semplici e complessi, e una semantica lessicale che si occupi di specificare il significato dei costituenti basici (cioè delle parole) ; e in questo senso la semantica formale sarebbe non inadeguata ma parziale, rappresentando solo una delle due componenti della semantica delle lingue naturali. Tuttavia non è chiaro quale valore abbia una semantica che esclude dal suo raggio d'azione il lessico; parafrasando l'affermazione di Lewis ( 1 97 2 , p. r 69) secondo cui una semantica che non tratta adeguatamente le condizioni di verità non è una semantica, Bonomi ( r 9 83 , p. r 68 ) scri­ ve che una semantica che non tratta adeguatamente il lessico non è una semantica. Soprattutto non è chiaro se tale esclusione sia un limi­ te di fatto, e dunque superabile, della semantica formale, o se vice­ versa sia impossibile una genuina semantica lessicale all'interno di un approccio che teorizza l'irrilevanza per la semantica della dimensione cognitiva, cioè dell'organizzazione concettuale sottostante ai significati linguistici; come sintetizza Marconi ( 1 992 , p. 43 9 ) , «sembra che il problema della semantica lessicale [ . . ] non possa essere affrontato con strumenti analoghi a quelli messi in opera dalla semantica [for­ male] . Nella rappresentazione del significato delle parole, infatti, sem­ bra difficile [ . . .] prescindere da aspetti cognitivi, cioè dalle rappre­ sentazioni e procedure in cui si realizza di fatto la conoscenza del significato lessicale». Per quanto riguarda la semantica componenziale - etichetta sotto la quale si possono ricomprendere tutti i modelli che propongono di analizzare il significato delle parole scomponendolo in unità di senso più piccole (i tratti o componenti semantici) - le critiche da parte cognitivista si rivolgono alla concezione categoriale del significato su cui essa si fonda. L 'approccio componenziale presuppone infatti la cosiddetta "teoria classica delle categorie " ( cfr. anche PAR. r . r . 3 ) , i cui assunti sono così riassumibili: r . una categoria è definita da un insieme di proprietà necessarie e sufficienti, che corrispondono alle proprietà essenziali dei suoi mem­ bri (come per esempio le proprietà 'bovino' , 'maschio' e 'adulto' per l'entità 'toro'); 2 . le categorie sono interamente non strutturate, nel senso che i loro membri sono tutti equivalenti (per esempio tutti i tori lo sono in ugual misura e non esiste un membro della categoria che sia 'più toro' di un altro); 3. le categorie sono discrete, cioè hanno confini chiari e ben definiti, tali che si può sempre distinguere in modo netto una categoria dal.

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2 . PER UN BILANCIO DELLA SEMANTICA COGNITIVA

l' altra e stabilire se un 'entità appartiene o no a una categoria (per esempio un animale o è un toro o non lo è, e non esistono animali che siano 'un po' tori e un po' no' o 'tori in un certo senso ' ) . Applicato alla semantica lessicale, il modello categoriale classico implica che i significati delle parole siano categorie discrete, descrivi­ bili attraverso un numero finito di proprietà (espresse da tratti se­ mantici come BOVINO, ADULTO , MASCHIO ) necessarie e sufficienti a di­ stinguere ciascun significato da ogni altro e a stabilire senza incertez­ ze se una certa entità sia denotabile o meno da quella parola. Ciò presuppone anzitutto che sia possibile individuare esattamente quali e quante informazioni definiscono il significato lessicale, isolando le proprietà essenziali e costitutive del significato linguistico (le cosid­ dette proprietà dizionariali come 'essere un animale' o 'essere un bo­ vino') da altre proprietà che esprimono conoscenze extralinguistiche aggiuntive relative a ciò che le parole indicano (le cosiddette proprie­ tà enciclopediche come 'avere le corna' o 'infuriarsi quando si vede rosso ' ) . Inoltre, e soprattutto, il modello componenziale presuppone che il contenuto delle unità lessicali sia nettamente e precisamente delimitabile e non preveda né sfumature né casi borderline, ovvero presuppone che i significati siano entità discrete, non vaghe - nel senso tecnico del termine per cui un'espressione è vaga quando sia impossibile stabilire in tutte le circostanze se essa si applichi o meno a una certa entità. Entrambi questi presupposti sono rigettati dalla Semantica Cogni­ tiva, che da un lato (e piuttosto ovviamente, visto il suo assunto non­ autonomista) ritiene impossibile in linea di principio tracciare una se­ parazione tra conoscenze di natura puramente linguistica e conoscen­ ze di natura extralinguistica, e d'altra parte assume che la vaghezza sia una caratteristica essenziale del significato linguistico. Sin dai tem­ pi della Semantica Generativa i futuri esponenti della LC hanno insi­ stito sul carattere vago, non discreto , dei fenomeni linguistici e sulla necessità di sviluppare, di conseguenza, costrutti teorici e strumenti di analisi in grado di rispecchiarne la non discretezza (cfr. per esem­ pio Lakoff, 1 97 2 , 1 9 79a) ; ma solo in seguito questa idea troverà pie­ na espressione nella nozione di prototipo e nella complessiva teoria delle categorie proposta dalla psicologa sperimentale Eleanor Rosch. Gli studi di Rosch sulla formazione delle categorie ( cfr. Rosch, 1 973b, 1 975 , 1 97 8 ) e il dibattito che ne è seguito hanno infatti porta­ to all'affermarsi di una concezione categoriale opposta a quella classi­ ca, secondo la quale: r . una categoria non è definita da un insieme di proprietà necessarie e sufficienti ma da una correlazione probabilistica di proprietà tipi45

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

che, che corrispondono alle caratteristiche percettivamente e funzio­ nalmente più salienti dei suoi membri ( come per esempio le proprietà 'avere le ali', 'volare' e ' deporre uova' per la categoria uccelli); 2. le categorie sono internamente strutturate in forma gerarchica, poiché includono membri più rappresentativi di altri, cioè più proto­ tipici, che possiedono al massimo grado tutte le proprietà tipiche del­ la categoria (come i passeri, che hanno le ali, volano e depongono uova) e membri meno tipici, che ne possiedono solo alcune (per esempio le galline, che non volano) ; 3 . le categorie hanno confini vaghi, cioè formano un continuum ai cui estremi l'appartenenza categoriale è dubbia (un passero è senza dubbio un uccello e un'ape senza dubbio non lo è, ma i pinguini sono uccelli? Sono classificati come tali, eppure non volano e anzi sono animali nuotatori) . Il concetto d i prototipicità h a trovato nella L C un 'applicazione sempre più vasta, che a partire dalla semantica si è estesa alla fonolo­ gia, alla morfologia, alla sintassi; ma è senza dubbio la semantica les­ sicale il suo terreno più fertile: l'ipotesi della Semantica Cognitiva è che i significati lessicali rispondano alla concezione categoriale di Rosch, cioè siano gruppi polisemici organizzati in forma radiale, in­ centrati su un nucleo semantico prototipico (definito da proprietà non puramente linguistiche ma che sono il prodotto dell'interazione tra le salienze del mondo percepito e l'attività percettiva e cognitiva umana) e digradanti verso una periferia vaga e dai confini sfumati. Proprio la saldatura tra questi due aspetti - la non distinzione tra proprietà linguistiche ed extralinguistiche e il riconoscimento del ca­ rattere vago dei significati - è alla base del successo della semantica prototipica all'interno della Semantica Cognitiva. 2 . 2 .2 . L'apporto della Semantica Cognitiva alla semantica Nessuna delle critiche mosse ai modelli classici è esclusiva della Se­ mantica Cognitiva, come del resto, nel complesso, nessuna delle mag­ giori istanze della LC è un 'invenzione originale di questo approccio. La critica alla concezione autonomista del linguaggio è alla base della sociolinguistica, della pragmatica, dell'etnolinguistica e più in gene­ rale di quello che Simone ( r 99 2 ) chiama «il paradigma della sostan­ za» - rappresentato da filosofi come Platone, Leibniz, Condillac e Vico e da linguisti come J espersen, Frei e Zipf - storicamente per­ dente ma che gode oggi di un forte revival all'interno dei molti studi di fonologia, morfologia e sintassi che adottano un approccio funzio-

2 . PER UN BILANCIO DELLA SEMANTICA COGNITIVA

naie incentrato sull'assunto che il linguaggio è progettato per funzio­ nare in modo coerente con le caratteristiche fisiche e mentali dei suoi utenti. Quanto alla centralità della vaghezza come proprietà semiotica fondante delle lingue naturali basterà menzionare Wittgenstein, non a caso uno dei pochi pensatori europei citati dagli esponenti americani della LC, in quanto precursore della nozione di prototipo; e i limiti della concezione classica delle categorie e i suoi fallimenti descrittivi in ambito linguistico erano stati ben evidenziati, anche prima degli sviluppi della teoria dei prototipi, da Labov, studioso tuttavia a mala­ pena ricordato in gran parte dei lavori di Semantica Cognitiva (lo stesso Lakoff, I 9 87, in un volume monumentale tutto dedicato al tema delle categorie, si limita a citare a p . I 5 il «classico saggio» di Labov, I 977 , sulla categorizzazione senza poi farne più menzione nel corso del volume) . Restando nell'ambito più ristretto della semantica lessicale, ha ben mostrato Geeraerts come le affinità tra la Semantica Cognitiva e la semantica storica ottocentesca, caratterizzata da un for­ te orientamento psicologico e dall'interesse per i principi mentali re­ sponsabili del mutamento semantico e della polisemia, siano tali che la prima andrebbe considerata «un ritorno parziale alle posizioni me­ todologiche della tradizione prestrutturalista, storico-filologica, in campo semantico» (Geeraerts, I99 I , p . 46) . Inoltre è indubbio che molti costrutti tipici della Semantica Cognitiva siano stati elaborati al­ trove, specie in ambito psicologico; ciò vale per la nozione di prototi­ po ma anche, per esempio, per il principio percettivo figura/sfondo, individuato dalla psicologia della Gestalt e diffusamente applicato in LC da Langacker, Talmy e altri. Minimizzare la novità dell'approccio proprio della LC non vuoi dire però sostenere che la Semantica Cognitiva non abbia fatto passi avanti rispetto alla tradizione precedente e ai modelli concorrenti. Il punto di forza di questo approccio non è tanto la sua straordinaria originalità, quanto la capacità di proporre un modello teorico forte che integra in una prospettiva unificata le due maggiori acquisizioni della teoria (e della pratica) semantica, cioè l'impossibilità di affronta­ re il tema del significato senza 'sporcarsi le mani' col piano mentale ed extralinguistico e la natura vaga dei segni linguistici. Un modello nel quale, dunque, è almeno in linea di principio possibile affrontare i fenomeni semantici senza i due limiti intrinseci dei modelli classici due limiti che, come abbiamo visto, la Semantica Cognitiva imputa rispettivamente alla semantica formale e alla semantica componenziale ma che in effetti investono in ugual misura entrambi gli approcci: an47

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

che la semantica componenziale trova il suo limite finale nella diffi­ coltà di gestire il significato in termini puramente intralinguistici, e anche la semantica formale soffre (forse anche più della semantica componenziale) della difficoltà di fare i conti con la vaghezza, visto che, se i significati sono vaghi, appare impossibile definire il valore di verità di qualunque enunciato di una lingua naturale . Allo stesso tempo la Semantica Cognitiva ha contribuito a recupe­ rare, sviluppare e diffondere nozioni - come quelle di prototipo, figu­ ra/sfondo e altre - che consentono di analizzare molti fenomeni se­ mantici in una prospettiva più elastica e naturale. Benché sia proba­ bilmente esagerato l'ottimismo che alcuni nutrono nella nozione di prototipo e «l'entusiasmo generale per il mutamento di paradigma scientifico che gli studi di Rosch sulla categorizzazione starebbero causando» (Luraghi, I 99 3 , p. 5 I 2 ) , e benché anche la semantica pro­ totipica (e la Semantica Cognitiva nel suo insieme) sia lungi dall'aver risolto tutti i problemi connessi all'analisi del significato, essa offre comunque un'alternativa efficace alla rigidità e alla conseguente im­ passe descrittiva dell'approccio componenziale - che pure, con tutti i suoi limiti, ha rappresentato per decenni l'unico metodo linguistico di analisi lessicale. Non a caso, infatti, la Semantica Cognitiva dà il meglio di sé nella descrizione dei fenomeni più problematici per l' approccio componen­ ziale, come la polisemia e la metafora: la prima è spesso ridotta nella semantica componenziale a mera omonimia, data la difficoltà di de­ scrivere in termini di tratti le relazioni tra i vari sensi di una parola; mentre la metafora, pur essendo un fenomeno centrale nel funziona­ mento delle lingue verbali, è per lo più etichettata dalla semantica linguistica come ' anomalia' o 'eccezione alla regola' data la violazione, da parte del linguaggio non-letterale, del principio di composizionali­ tà (il quale stabilisce che il significato di un 'espressione complessa de­ v'essere determinabile a partire dai significati dei componenti, come invece non avviene in espressioni figurate come vedere rosso 'infuriar­ si') . Anche in questo caso il merito della teoria cognitivista non è tan­ to aver affermato la 'normalità' della metafora - sostenuta da più par­ ti ben prima dell'avvento della Semantica Cognitiva - quanto averne tratto la conseguenza che il linguaggio figurato debba allora funziona­ re ed essere descrivibile secondo principi generali analoghi a quelli che operano altrove nel linguaggio, individuare i quali deve essere uno dei compiti centrali della semantica. Questo principio è rintrac­ ciato dalla teoria cognitivista nell'ipotesi, già discussa nel PAR. I . I .4, che le espressioni metaforiche siano la realizzazione linguistica di

2 . PER UN BILANCIO DELLA SEMANTICA COGNITIVA

strutture metaforiche mentali, chiamate perciò metafore concettuali, che svolgerebbero la funzione cognitiva di esprimere concetti astratti in termini di concetti più concreti o direttamente radica ti nell' espe­ rienza fisico-percettiva; per esempio la relazione tra significato lettera­ le e significato metaforico di un 'espressione come Vorrei vederci chia­ ro in questa storia (e di migliaia di altre espressioni) risponderebbe a una più generale associazione mentale tra i domini della vista e della conoscenza - cioè alla metafora concettuale CONOSCERE È VEDERE - a sua volta motivata dall'esistenza di un nesso esperienziale tra questi due domini (il fatto cioè che la vista sia per gli esseri umani la fonte primaria di dati sul mondo esterno renderebbe il dominio del vedere cognitivamente 'predisposto' a essere il punto di partenza per la con­ cettualizzazione metaforica del dominio del conoscere) . La teoria co­ gnitivista della metafora, proposta da Lakoff e J ohnson ( I 998a) e poi elaborata in numerosi lavori degli stessi Lakoff e J ohnson e di altri (Lakoff, I 99 I , I 99 3 ; Lakoff, Turner, I 9 89; Johnson, I 9 87 ; Kovecses, I 9 8 6 , I 99o; Sweetser, I 99o) , non è certo esente da critiche, come ve­ dremo nel prossimo paragrafo; si tratta però del primo tentativo se­ rio, nella storia della semantica, di individuare le regole che consento­ no ai parlanti di produrre e comprendere il linguaggio figurato, e ai linguisti di ridurre una gamma potenzialmente infinita di espressioni metaforiche a un insieme ristretto di meccanismi esplicativi. 2 .J Alcuni aspetti problematici della Semantica Cognitiva 2 .3 . I .

Critiche alla Semantica Cognitiva

Una delle critiche più frequentemente mosse alla Semantica Cogniti­ va riguarda l'eccessiva presunzione dei suoi proponitori, rimproverati di presentarla - vuoi per enfatizzarne la novità, vuoi per semplice ignoranza della storia delle idee - come una straordinaria innovazio­ ne rispetto a un non meglio precisato punto di vista tradizionale o addirittura rispetto all'insieme del pensiero occidentale. I maggiori esponenti della Semantica Cognitiva sono spesso accusati di trattare in modo superficiale o semplicemente di ignorare la letteratura esi­ stente, di eludere il confronto dettagliato con la tradizione avversa (o anche con quella a favore) , di rifarsi a una versione sommaria e idea­ lizzata del pensiero filosofico e linguistico buona solo a fare da "uomo di paglia " per dimostrare la clamorosa novità dell'approccio cognitivista (traggo quest'ultima definizione da Wierzbicka, I 9 86, che 49

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definisce la concezione tradizionale attaccata da Lakoff e Johnson, 1 998a, nient'altro che una convenient fiction e uno strawman e dileg­ gia il tentativo dei due autori di presentare il loro libro come «uno dei libri più importanti nella storia delle idee», p. 2 8 7 ) . È facile mo­ strare come questa critica colga spesso nel segno: Lakoff e J ohnson ( r 998a, p. r 6 ) affermano di essersi resi conto nel giro di una settima­ na che gli assunti della filosofia e della linguistica contemporanea, dati per buoni a partire dall'antica Grecia fin ai giorni nostri, non consentono di trattare in modo adeguato il problema del significato e che dunque è necessario rivederli interamente; Lakoff ( r 987 , pp. 1 5 7 ss. ) identifica il punto di vista tradizionale sulla categorizzazione, co­ mune a tutto il pensiero occidentale da Aristotele in poi, col para­ digma oggettivista secondo cui il reale è conoscibile indipendente­ mente dalle proprietà della mente umana, tralasciando però di men­ zionare Kant; Langacker ( r 987, p . r 2 ) scrive che la concezione classi­ ca esagera l'arbitrarietà dei segni linguistici, poiché non tiene conto dell'ovvia considerazione che i nomi derivati sono motivati - c'è in­ fatti un motivo se stapler significa 'pinzatrice', poiché to staple signifi­ ca 'pinzare ' -, ignorando evidentemente che Saussure ( r 967, p. r 5 8 ) porta questo stesso esempio a testimonianza del fatto che il segno può essere relativamente motivato. Dal punto di vista metodologico , inoltre, si rimprovera spesso ai semantici cognitivi un uso spregiudicato dei dati linguistici, consisten­ te nel lavorare più su esempi costruiti ad hoc che su dati reali e nel­ l' evitare di menzionare i casi che 'non tornano' rispetto all'analisi proposta. Si vedano per esempio le dure critiche di Ortony ( r 98 8 , pp. 99 r oo ) al metodo usato d a Lakoff e Johnson ( r 998a) e d a Ko­ vecses ( r 986) per l' analisi del linguaggio metaforico: -

The method is advertised as a discovery procedure, but is in reality a hy­ pothesis confirmation procedure [ . . . ] . One would expect the method to start with a corpus of conventionalized expressions and to move from there to an organization of the corpus into the hypothesised underlying metaphorical concepts. [ . . . ] Secondly, and more troublesome, is the problem of the selecti­ ve use of the data. Many of the examples are forced, artificial, an d ( conve­ niently) limited to cases that are consistent with the proposed hypothesis. Thus, one is left with the impression that their purpose is to substantiate a preconceived idea rather than that their existence inexorably leads to the proposed conclusion. A third, related, problem is [that] some of the exam­ ples are fabricated cases that are not in fact conventionalised expressions at ali. In other words, they are cases of creating data to fit a hypothesis, rather than explaining data with a generalisation. [ . . . ] The enterprise would have

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been more interesting and more convincing had it been based on a real cor­ pus derived from a representative sample of English speakers 5 •

U n terzo frequente motivo d i critica riguarda il disinteresse manife­ stato da molti studiosi per l'ipotesi di convergere su un modello se non unificato quantomeno non conflittuale: non solo infatti l'analisi di singoli fenomeni è spesso condotta ignorando coraggiosamente quasi tutta la letteratura linguistica esistente a riguardo, ma spesso è la stessa letteratura prodotta nell'ambito della Semantica Cognitiva a essere ignorata, col risultato che, oltre a prodursi un'inutile moltipli­ cazione delle terminologie , è spesso difficile integrare le analisi pro­ poste nel complessivo panorama cognitivista; Talmy (2 oooa, cap . 2 ) , per esempio, ignora pressoché totalmente l a teoria cognitivista della metafora, benché molti fenomeni di 'movimento immaginario' (fictive motion) da lui esaminati siano casi di estensione metaforica da un do­ minio concreto a un dominio astratto. 2 . 3 .2 . Plausibilità cognitiva e riduzionismo concettuale Benché simili critiche siano senz' altro valide per alcuni studi di Se­ mantica Cognitiva, soprattutto per quelli statunitensi, mi pare che gli aspetti più problematici dell'approccio semantico cognitivo vadano ri­ cercati in caratteristiche più 'interne' del modello; proverò nel seguito a illustrarne due a mio avviso particolarmente rilevanti: I . la questione della plausibilità cognitiva (in che misura è cognitiva la Semantica Cognitiva? ) 2 . l a questione del riduzionismo concettuale (in che misura è lingui­ stica la Semantica Cognitiva? ) . Porre la questione della plausibilità cognitiva consiste in sostanza 5· "li metodo viene presentato come una procedura di scoperta, ma è in realtà una procedura di conferma di ipotesi preesistenti [... ]. Ci si aspetterebbe che il meto­ do consistesse nel partire da un corpus di espressioni convenzionali, e che poi il cor­ pus fosse analizzato riconducendo ogni espressione al concetto metaforico sottostante. [. . ] Un secondo aspetto, ancora più problematico, è l'uso selettivo dei dati. Molti degli esempi discussi sono forzati, artificiosi e vantaggiosamente limitati ai casi che si rivelano coerenti con l'ipotesi formulata. Si resta dunque con l'impressione che serva­ no a suffragare un'idea preconcetta, anziché condurci ineluttabilmente, con la loro esistenza, verso la conclusione proposta. Un terzo problema, in parte legato al prece­ dente, è che alcuni esempi sono costruiti ad hoc e non sono affatto espressioni con­ venzionalizzate. In altre parole, anziché spiegare i dati tramite una generalizzazione, vengono appositamente creati dei dati per sostenere un'ipotesi. [.. .] L'impresa sarebbe stata più interessante e più convincente se fosse stata basata su un corpus di espres­ sioni autentiche ricavate da un campione rappresentativo di parlanti inglesi". .

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nel chiedersi questo: la Semantica Cognitiva offre descrizioni più o meno efficaci di certi fenomeni linguistici o le sue analisi costituisco­ no un'ipotesi sull'effettivo funzionamento della mente ? La questione non investe solo la Semantica Cognitiva: l'esigenza non-autonomista rivendicata dalla LC si esaurisce nell'invito a tener conto, nella descri­ zione linguistica, di fatti percettivi, psicologici, antropologici ecc . , op­ pure comporta l'obbligo della plausibilità psicologica delle descrizioni offerte? Questo interrogativo, benché cruciale, appare del tutto aper­ to nel dibattito attuale. Mentre molti linguisti accettano una versione forte di quello che Lakoff ( 1 990, p. 40) chiama «l'impegno cognitivo» (cognitive commitment) , ritenendo che un modello linguistico possa dirsi cognitivo solo se le analisi che propone sono coerenti con i dati empirici relativi al funzionamento della mente, altri non si impegnano in ipotesi sullo statuto mentale e la plausibilità psicologica dei co­ strutti con cui operano; per esempio Fauconnier ( r 984, p. r 3 ) dichia­ ra riguardo al costrutto da lui definito «spazi mentali» ( cfr. PAR. 1 .4.2 ) : le terme "construction mentale" n e peut pas etre pris littéralement: les espa­ ces dont il est question ne se dessinent pas dans notre cerveau; la terminolo­ gie employée (espaces, éléments, correspondances) n'est elle-meme, camme dans toute science, qu'une façon de parler; cela n 'empeche pas de présumer qu'à un certain niveau d'organisation cognitive ces processus ont effective­ ment lieu 6 •

Inoltre di gran parte delle descrizioni proposte dalla Semantica Co­ gnitiva non è mai stata verificata, o è molto dubbia, la plausibilità cognitiva pure dichiarata, come dimostra l'esempio della teoria della metafora. Una delle ipotesi centrali della teoria cognitivista è che le metafore concettuali siano strutture cognitive reali, come lo stesso La­ koff sottolinea continuamente. In Lakoff ( r 99 3) si legge a più riprese che la metafora è un meccanismo mentale, una modalità di funziona­ mento del pensiero, un fenomeno di natura anzitutto concettuale; che il cognitive commitment è uno dei due soli assunti di base della teoria (p. 346) ; che il sistema metaforico concettuale è effettivamente usato nella produzione e comprensione di linguaggio metaforico ( «Our me­ taphor system [ .. .] is constantly active, and is used maximally in in6. " TI termine 'costruzione mentale' non dev'essere preso alla lettera: gli spazi in questione non esistono fisicamente nel nostro cervello; come in ogni scienza, la termi­ nologia qui utilizzata (spazio, elementi, corrispondenze) non rappresenta altro che un modo di parlare, e non implica assumere che a un qualche livello dell'organizzazione cognitiva questi processi abbiano effettivamente luogo".

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terpreting novel metaphorical uses of language» 7 , p. 2 3 7 ) . Ma le pro­ ve a riguardo sono tutt 'altro che nette: gli esperimenti di Gibbs ( I 990, I 9 9 2 , I 99 3 ) sembrano confermare la realtà psicologica delle metafore concettuali, mostrando che l'interpretazione di linguaggio metaforico awiene attivando automaticamente gli schemi metaforici presenti nella memoria a lungo termine; ma Glucksberg, Keysar e McGlone ( I 99 2 ) replicano che non è affatto chiaro in quali circostan­ ze e se le metafore concettuali svolgano un ruolo nell'elaborazione del linguaggio metaforico, poiché sottoponendo ai soggetti espressioni legate alla metafora dell'amore come viaggio «even the presence of words such as journey, road, or travelled did not seem to activate journey-related concepts» 8 (p. 5 7 9 ) ; dunque l'esistenza di metafore concettuali non implica che esse abbiano un ruolo nella comprensio­ ne. La conclusione minima che se ne può ricavare è che lo statuto mentale delle metafore concettuali è incerto, e che i risultati ottenibili con il modello cognitivista non sono immediatamente trasferibili sul piano dell'uso e della comprensione del linguaggio metaforico. E sep­ pure ciò nulla toglie alla capacità descrittiva della teoria cognitivista, è chiaro che ne limita drasticamente la pretesa di costituire un mo­ dello del funzionamento della mente . Un secondo aspetto problematico della Semantica Cognitiva è il suo interesse prevalente, quando non esclusivo, per la dimensione concettuale a scapito della dimensione linguistica. Ancora una volta la teoria della metafora fornisce un ottimo esempio. Ritenere la metafo­ ra un fatto di pensiero anziché di linguaggio è, come ribadisce Lakoff ( I 99 3 ) , ciò che più distingue la teoria cognitivista dalle altre: nelle teorie linguistiche classiche la metafora è vista come «una questione di linguaggio, non di pensiero» (p. 202 ) , mentre secondo la teoria co­ gnitivista «il luogo della metafora non risiede affatto nel linguaggio, bensì nel modo in cui concettualizziamo un dominio mentale nei ter­ mini di un altro» (p. 2 03 ) ; e ciò che rende «rivoluzionaria» (p. 244) la teoria proposta dalla LC è l'idea che «la metafora abbia una natura essenzialmente concettuale, non linguistica» (ibid. ) . Esiste certo una manifestazione linguistica della metaforicità, ma i due livelli vanno te­ nuti ben distinti anche sul piano terminologico (riservando il termine meta/ora alle metafore concettuali, non alle espressioni linguistiche) , e non c'è dubbio che il livello primario sia quello concettuale: il lin7· "li sistema metaforico [ . .] è sempre attivo, ed è utilizzato soprattutto per in­ terpretare nuovi usi linguistici metaforici". 8. "Persino la presenza di parole come percorso, strada o viaggiare non sembra aver attivato i concetti relativi alla metafora del viaggio". .

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guaggio metaforico è una manifestazione superficiale della metaforici­ tà concettuale (p. 2 4 4 ) 9• Tuttavia concepire il linguaggio metaforico come una sorta di epifenomeno secondario della metaforicità mentale porta con sé alcune conseguenze sgradite dal punto di vista lingui­ stico : l'analisi del linguaggio metaforico può divenire infatti puramen­ te strumentale alla verifica di ipotesi riguardo all'esistenza e alle ca­ ratteristiche di certe strutture concettuali, secondo il metodo definito da Kovecses ( I 986, p. I ) «approccio lessicale al sistema concettuale»; e, anche tralasciando il fatto che un simile approccio è pericolosa­ mente esposto all'uso selettivo dei dati di cui si diceva sopra, questa prospettiva comporta un riduzionismo che rischia di eludere, più che risolvere, molti dei problemi linguistici in gioco. Tra i molti esempi che si potrebbero fare vorrei citarne due relati­ vi alla metonimia. Copestake e Briscoe ( I 996) osservano che alcune forme di estensione metonimica sono associate, in modo variabile in­ terlinguisticamente, a particolari processi morfologici, come avviene in italiano con l'alternanza di genere nella metonimia 'il frutto per l'albero' (mela/melo) o in inglese con la suffissazione in -ful nella me­ tonimia 'il contenitore per il contenuto' (He drank a bottle/He drank a bottleful) ; e ne concludono che, nonostante la spiegazione ultima di simili processi possa risiedere in un «meccanismo cognitivo di trasfe­ rimento concettuale» (p. I ? ) , è necessario postulare anche l'esistenza di regole lessicali «in which conventionalized and language-specific aspects of these generai processes of conceptual transfer are expres­ sed, an d which serve as language-specific "filters " on the generai pro­ cesses» 10 (ibid. ) . A conclusioni simili giunge Nunberg ( I 996) tramite l'analisi di casi particolari di trasferimento di senso rappresentati da frasi come ( I ) e ( 2 ) , pronunciate dal conducente di un'automobile mentre consegna le chiavi al parcheggiatore: (I) (2 )

È parcheggiata là dietro. Sono parcheggiato là dietro.

Entrambe le frasi implicano un processo metonimico basato sulla re­ lazione tra un 'entità in un dominio (l' automobile parcheggiata) ed en­ tità in un altro dominio (chiavi e conducente) , ma questa relazione dà

9· TI rapporto fra metafora concettuale e linguaggio metaforico in quanto sua espressione è discusso più avanti, nel CAP. 7, vedi in particolare PAR. 7. I . I O . "Che esprimono gli aspetti convenzionalizzati e linguo-specifici di questi pro­ cessi generali di trasferimento concettuale, e che agiscono dunque come 'filtri' linguo­ specifici per tali processi".

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2 . PER UN BILANCIO DELLA SEMANTICA COGNITIVA

luogo a due forme diverse di trasferimento . Perciò, afferma Nunberg ( 1 996, p. 1 1 2 ) , the various mechanisms of transfer can't be distinguished simply by pointing at the types of correspondences they exploit. And for this reason the descri­ ption of these mechanisms is fundamentally a linguistic problem, rather than a problem of conceptual analysis. That is, there is nothing we can learn about keys, drivers, or cars that will help us to explain the differences bet­ ween examples like ( r ) and ( 2 ) I I .

In questo e altri casi, sostiene Nunberg ( 1 9 96, p. r r o) , per spiegare le ricadute linguistiche di certi fatti concettuali si devono individuare meccanismi specificamente linguistici, che fungono sì da " ancelle lin­ guistiche " della figuratività («linguistic handmaidens of figuration») e servono a esprimere certe regolarità concettuali, ma che sono specia­ lizzati nella loro funzione e in linea di principio indipendenti da quel­ le regolarità. Indipendentemente dalle soluzioni teoriche e pratiche proposte ri­ guardo al modo di intendere la relazione tra il piano concettuale e il piano linguistico, la necessità che simili casi evidenziano di affiancare una semantica linguistica più fine alla spiegazione concettuale della natura dei trasferimenti di senso sembra ineludibile. Come mostra l'e­ sempio delle espressioni metaforiche, la teoria cognitivista fa un buon lavoro, per così dire, nel delineare la mappa delle relazioni metafori­ che disponibili e le loro possibili motivazioni; ma appare illusorio pensare che con ciò si possa rendere conto di tutti gli aspetti salienti della metaforicità o del fenomeno dell'estensione semantica nel suo complesso.

I I. "I vari meccanismi di trasferimento non possono essere classificati semplice­ mente in base ai tipi di corrispondenze che sfruttano. E per questo motivo la de­ scrizione di questi meccanismi è un problema essenzialmente linguistico piuttosto che un problema di analisi concettuale. In altri termini, nulla di ciò che possiamo sapere riguardo alle chiavi, all e automobili o ai conducenti potrà aiutarci a spiegare la diffe­ renza tra esempi come ( I ) e (2)".

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Le tematiche del corporeo nella Semantica Cognitiva di Patrizia Violi

J.I La comparsa dell' embocliment

Negli ultimi quindici anni si è andato affermando, nell'ambito della Semantica Cognitiva e più in generale di varie discipline che si occu­ pano di linguaggio e cognizione, un concetto che è diventato presto molto popolare, forse anche troppo: il concetto di embodiment, ter­ mine di non facile traduzione italiana. Se la radice del termine ri­ manda infatti al concetto di corpo e corporeità, la traduzione più comune è piuttosto quella di 'cognizione incarnata' , a sottolineare l'aspetto di profondo radicamento del pensiero nella carne stessa, come suggerito per esempio nel titolo di uno dei più recenti lavori di Lakoff e Johnson ( 1 999 ) . Tanto radicale è apparsa questa svolta d a evocare l'idea d i u n cor­ porea! turn, una svolta 'corporea' che affiancherebbe la svolta lingui­ stica che ha caratterizzato la filosofia del linguaggio contemporanea. Ma in cosa consiste realmente questo corporea! turn e cosa implica? Si può davvero, e fino a che punto, parlare di una svolta nel para­ digma degli studi linguistici-cognitivi, o la svolta è più apparente che reale? Per il momento lasciamo la questione in sospeso, e limitiamoci a osservare che vi è indubbiamente, se non una svolta, certo un'atten­ zione nuova o rinnovata per certe tematiche sia negli studi di area cognitivista anglosassone, sia, se pure con angolature e tagli diversi, nella semiotica europea post-strutturalista, il che fa effettivamente pensare che l'interesse per le tematiche connesse al corpo sia nell'aria del tempo. Il campo è assai vasto, e come vedremo copre anche discipline diverse; in questa sede non mi prefiggo di farne una trattazione esau­ riente, né una rassegna completa, ma piuttosto di concentrarmi su tre questioni principali: innanzitutto indicare i nodi teorici più importanti toccati dalle teorie dell' embodiment, e i concetti e le nozioni rimesse 57

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in discussione da queste rispetto al cognitivismo classico. In secondo luogo, esaminare le aree della ricerca che si sono dimostrate più pro­ duttive rispetto a questo tipo di indagine, indicandone gli aspetti più interessanti e i risultati più promettenti. Infine tentare un primo bi­ lancio, seppure provvisorio, e una prima valutazione critica dei punti di forza e dei possibili limiti di questo approccio . È opportuno preliminarmente chiarire meglio cosa si intende con embodiment. In termini molto generali e semplificati potremmo dire che l'idea principale alla base del concetto di embodiment è che la mente deriva e si forma dall'avere un corpo che interagisce con l'am­ biente. Questo assunto è generalmente visto come drasticamente con­ trapposto al cognitivismo classico rappresentazionale, basato sul fun­ zionalismo e sulla teoria della mente come computer. Secondo il fun­ zionalismo, infatti, i meccanismi della mente sono indipendenti dalla loro implementazione materiale, e proprio da questo assunto si è svi­ luppata la fin troppo fortunata metafora della mente come computer. Implicitamente connessa a queste posizioni è anche una teoria dei concetti e delle categorie semantiche che va generalmente sotto il nome di teoria 'classica', e che sostiene la possibilità di arrivare a una definizione precisa e univoca delle categorie semantiche al di fuori e indipendentemente dal loro uso e dai contesti di applicazione. In questa prospettiva il corpo non riveste un ruolo rilevante : è essenzial­ mente un output device, come è spesso definito, cioè un dispositivo 'in uscita' che ha esclusivamente il compito di eseguire i comandi ge­ nerati nella mente attraverso la manipolazione di simboli. In una otti­ ca embodied invece, la cognizione dipende in modo essenziale dal corpo e dalle sue particolari proprietà percettive e motorie, nonché dal tipo di esperienze che quel corpo fa, e dalla sua interazione con l' ambiente e il mondo. Prima di approfondire la critica che le teorie dell'embodiment fan­ no al cognitivismo è però necessaria una precisazione importante. Parlare di embodiment al singolare può generare l'impressione che esista una teoria unitaria e univocamente definita; è bene chiarire su­ bito che non è così. Il concetto di embodiment è un concetto molto diffuso, ma per nulla univoco, e il modo in cui viene utilizzato da vari autori non è sempre lo stesso. In realtà non vi è una sola teoria dell'embodiment, ma molte diverse teorie che spesso presentano di­ vergenze rilevanti anche su assunti non marginali, così che a uno sguardo più attento rivelano di avere meno in comune di quanto si potrebbe pensare a prima vista. Si riproduce in questo caso una situazione non molto dissimile da quella che a suo tempo si era venuta a creare con la Semantica Co-

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gnitiva, un altro termine ombrello che copriva in realtà molte diverse teorie, come si è cercato di chiarire nel CAP . 2 . Anche il concetto di embodiment si presenta oggi come un termine ombrello, a forte ca­ rattere polisemico, che include posizioni non sempre interamente compatibili e permette interpretazioni assai diversificate. Data questa realtà composita è opportuno definire meglio alcune possibili linee di lettura, nonché l'intrecciarsi di accezioni almeno parzialmente diver­ genti che fanno in alcuni casi capo anche a discipline diverse. J .2 Embodiment : un termine ombrello ?

Ripartiamo dunque da quella che, come s i è detto, può essere presa come l'idea di base delle varie teorie dell' embodiment. Cosa significa esattamente dire che la mente è incarnata e che emerge e deriva dal corpo? A ben guardare vi sono vari sensi possibili di questa stessa formulazione, che vanno da una accezione debolissima a una invece molto forte, teoricamente più interessante, ma anche più controversa. In una prima accezione estremamente debole si potrebbe sempli­ cemente sostenere che i processi cognitivi hanno un substrato mate­ riale. È questa una lettura così generica che difficilmente potrebbe trovare contraddittori, ma al tempo stesso proprio la sua genericità la rende del tutto poco significativa. Una variante più interessante della versione debole è dire che i processi cognitivi non possono non avere una base materiale o, detto in altri termini, che la cognizione è con­ nessa direttamente alle strutture e ai processi biologici che la sosten­ gono. Una simile versione, ancora piuttosto debole e teoricamente poco impegnativa, implica che per capire i processi mentali non si può ignorare come funzionano il sistema nervoso e il cervello . Negli ultimi decenni sia le neuroscienze che la neuropsicologia hanno reso questa posizione molto popolare e direi largamente accettata : oggi probabilmente pochi ricercatori nell'ambito delle scienze cognitive sa­ rebbero in disaccordo con una simile affermazione, con l'eccezione forse dei funzionalisti più ortodossi. Una terza interpretazione, che è stata anche definita embodiment 'materiale' (cfr. Nuiiez, 1 999 ) , oltre ad accettare l'idea che la cogni­ zione e la mente sono rese possibili dai processi neurobiologici sotto­ stanti, prende anche esplicitamente in carico i vincoli imposti dalla complessità delle azioni concretamente eseguite da un agente in un ambiente reale e in tempo reale. È una posizione molto popolare oggi nelle ricerche di robotica che si occupano di compiti cognitivi cosid­ detti low-level, per esempio di scanning visivo o di locomozione. Do59

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vendo costruire dei robot che eseguono concretamente azion1 1n un ambiente, la robotica deve necessariamente sviluppare modelli di vi­ sione, percezione e movimento legati a un corpo e alle sue effettive interazioni percettivo-motorie con l' ambiente. In questa accezione, embodiment vuol dire soprattutto farsi carico, nella elaborazione dei propri modelli, dei vincoli spazio-temporali reali dei corpi concreti. Di per sé però questa posizione non implica un assunto teorico forte relativo a tutta la cognizione. Si potrebbe fino a qui parlare, come suggeriscono Lakoff e Johnson ( 1 99 9 ) , di embodiment come realizza­ zione contrapposto a un embodiment come shaping. L' embodiment come shaping, a volte definito anche embodiment 'completo' (full embodiment) , o cognizione incarnata radicale (radica! embodied cognition ), è certamente l' accezione che più frequentemente si incontra negli studi di Semantica Cognitiva contemporanea. Secon­ do questa accezione le proprietà stesse dei concetti, anche quelli più astratti come i concetti matematici (cfr. Lakoff, Nufiez, 2 ooo ) sono il risultato «of the way the brain and body are structured and the way they function in interpersonal relations and in the physical world» (Lakoff, Johnson, 1 999, p. 3 7 ) 1 • Si noti in questa citazione d a Lakoff e J ohnson come cervello e corpo vengano accomunati e trattati sostanzialmente come intercam­ biabili; questo slittamento è costante nei lavori sull' embodiment. Si veda per esempio Nufiez secondo cui tutti gli oggetti creati dalla mente umana, anche i più astratti come le teorie e la logica, dipendo­ no da esperienze corporee non arbitrarie, «sostenute dalle specificità dei cervelli e dei corpi» (Nufiez, 1 9 99, p. 5 6 ) . È questo u n punto delicato. Vi è infatti una potenziale ambiguità nel trattare come equivalenti corpo e cervello , che potrebbe rivelarsi fonte di pericolose confusioni. Corpo e cervello non sono la stessa cosa, per lo meno non lo sono nella tradizione fenomenologica, né in Husserl né in Merlau-Ponty, a cui pure alcuni di questi autori si rife­ riscono, in particolare quelli or ora citati. Il corpo è qualcosa di mol­ to diverso dal cervello, e se quest'ultimo può essere visto come ogget­ to immediato di indagine scientifica, il corpo certamente non lo è in maniera diretta e trasparente. Anzi, una delle tesi che vorrei sostenere va proprio nella direzione opposta, e guarda al corpo come qualcosa che non è affatto così autoevidente come può sembrare. Tornerò su questo punto . Per il momento vorrei solo segnalare questa ambiguità, e osservare che, mentre l' embodiment materiale si 1. "Del modo in cui il cervello e il corpo sono strutturati e funzionano nelle relazioni interpersonali e nel mondo fisico".

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riferisce strettamente alle proprietà del cervello, e dunque il corpo a cui fa riferimento è un corpo-cervello, quando si parla di concetti ra­ dicati nel corpo, come quelli di spazialità o di metafore corporee, si parla di corpo in un modo diverso, affine piuttosto all'idea di schema corporeo, anche se questo importante concetto non viene quasi mai utilizzato . Naturalmente anche il corpo in questa accezione può avere la sua implementazione a livello cerebrale, ma non coincide con essa. In altri termini sono due livelli di descrizione diversi, che andrebbero tenuti separati per rendere più esplicito e chiaro il filone di ricerca entro cui ci si sta movendo. Questo proliferare di sensi e accezioni diverse per lo stesso termi­ ne, embodiment, produce una certa confusione, anche perché diverse sono le discipline di riferimento e le metodologie di indagine dei ri­ cercatori che hanno abbracciato il nuovo paradigma all'interno delle scienze cognitive, e non tutti condividono la prospettiva della lingui­ stica cognitiva. Semplificando nuovamente, perché la situazione è più complessa e intrecciata, si possono distinguere almeno tre ambiti di ricerca differenti: connessionismo e neoconnessionismo, robotica, e Semantica Cognitiva (linguistica e filosofica) . Il concetto di embodi­ ment a cui si fa comunemente riferimento in ognuno di questi campi non è necessariamente condiviso dagli altri. Per fare un esempio, molti dei modelli neoconnessionisti che uti­ lizzano quello che viene chiamato un approccio dinamico non sono affatto necessariamente embodied, nel senso di avere relazioni siste­ matiche con i loro effettivi referenti percettivi e motori. Si tratta piut­ tosto di interpretazioni concettuali che non hanno nulla in comune con gli stati percettivi effettivi, come hanno ben mostrato Prinz e Barsalou (2ooo) . Insomma, le reti connessioniste non necessariamente garantisono l' embodiment, né nel senso di embodiment completo e ra­ dicale, come quello a cui fa riferimento la LC, né forse nemmeno nel senso più debole di embodiment materiale. Per quanto riguarda invece la robotica situata, come ho già accen­ nato essa deve necessariamente tenere in conto i vincoli corporei, perché, per essere efficace, il sistema cognitivo che guida un robot deve avere una buona interfaccia con la percezione e l' azione, né sa­ rebbe sufficiente un sistema che computasse semplicemente funzioni astratte. Forse l'insegnamento principale che possiamo ricavare dalla robotica situata è proprio questo: per poter realizzare percezione e azione non si possono usare le sole risorse del sistema cognitivo in sé, in forma isolata, ma bisogna utilizzare le risorse del corpo e dell' am­ biente. Come sostenuto con vigore da Clark ( 1 99 7 ), l'intelligenza non 6r

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si basa solo su meccanismi cognitivi, ma evolve dalla interazione dina­ mica fra cervello, corpo e ambiente. Tuttavia il concetto di embodiment usato nella robotica situata è ancora una cosa diversa dall'accezione di embodiment che si ritrova nell'area più teorica e meno empirica, quella cioè che fa più diretta­ mente capo alla linguistica e alla Semantica Cognitiva. Qui il concetto centrale è quello di esperienza corporea: l'esperienza umana, costitu­ tivamente ancorata alla corporeità e da essa imprescindibile, è la base per la formazione dei concetti (cfr. supra, PARR. 1 . 1 .3 e 1 .2 . r ) . Per concludere, fra i ricercatori che fanno esplicitamente uso del­ la nozione di embodiment sono forse più le differenze delle somi­ glianze, sia dal punto di vista teorico, che metodologico, che filosofi­ co. Per alcuni la mente 'incarnata' continua a essere computazionale in senso letterale, per altri solo in senso metaforico, per altri ancora non è computazionale affatto. Alcuni rifiutano interamente il concetto di rappresentazione, generalmente in favore della modellizzazione dei sistemi dinamici, altri, come Barsalou, rifiutano i sistemi dinamici e usano ancora forme, se pur specifiche, di rappresentazioni; per alcuni si può parlare di embodiment solo in sistemi autenticamente viventi (e non in simulazioni, anche se connessioniste) , per altri questo vincolo è invece irrilevante; infine per una parte della Semantica Cognitiva è essenziale il concetto di esperienza fenomenologica corporea, un li­ vello ulteriore rispetto a quello dei sistemi viventi intesi in senso più generico, e che forse restringe l'ambito del vivente alla nostra sola specie. 3 ·3 Le critiche al cognitivismo classico

A questo punto ci si potrebbe chiedere se ci sia davvero qualcosa di comune in tutte queste diverse accezioni del termine embodiment. Forse l'unico elemento che davvero accomuna famiglie di teorie per altri versi anche profondamente divergenti è l'aspetto critico. Come spesso accade i nemici comuni avvicinano più delle affinità, e non vi è dubbio che in questo caso vi è un nemico comunemente inviso, rappresentato dal cognitivismo classico. Le teorie dell'embodiment nascono principalmente come reazione critica alle forme del cognitivismo rappresentazionale, avvertite come inadeguate e insoddisfacenti. In particolare, come ho già accennato, è diffusa la critica al funzionalismo alla Fod or, che esclude ogni possi­ bile rilevanza del corpo, relegato al livello della implementazione ma­ teriale, e che guarda ai processi cognitivi come puri fenomeni sintatti-

3 . LE TEMATICHE DEL CORPOREO NELLA SEMAI'\TICA COGNITIVA

ci di manipolazione simbolica totalmente scorporata (si pensi di nuo­ vo alla metafora della mente come computer) . Da questo punto di vista le teorie dell' embodiment si presentano come prosecuzione e na­ turale sviluppo della LC e della Semantica Cognitiva. I precedenti teo­ rici possono essere rintracciati nella Space Grammar (cfr. PAR. 1 . 1 .2 ) e nella teoria degli spazi mentali (cfr. PAR . 1 .4.2 ) ; nelle ricerche sulla spazialità (cfr., fra gli altri, Talmy, 2 oooa, cap . 3 ) e sulla Force Dyna­ mics, il sistema di forze che Talmy (2 oooa, cap. 7 ) vedeva alla base della organizzazione modale e che derivava in modo essenziale dalla strutturazione corporea. Un antecedente fondamentale è poi da ricercare nella revisione critica della teoria delle categorie e dei concetti classici che è stata elaborata dalla Semantica Cognitiva e che va sotto il nome generico di teoria, o meglio teorie, dei prototipi, che è stata esposta dettaglia­ tamente nel PAR. 2 . 2 . r 2• In particolare l'idea che ci fosse un livello di base nell'organizzazione verticale delle categorie, con una funzione e un ruolo del tutto particolare nella organizzazione categoriale, riman­ dava in modo diretto a una fenomenologia corporea e alla sua intera­ zione con l' ambiente. Sebbene questo punto non sia stato sempre messo in luce nelle ricerche di quel periodo, l'esistenza, sperimental­ mente provata a moltissimi livelli, di una pregnanza categoriale al li­ vello di base testimoniava l'esistenza di una complessa funzionalità fe­ nomenologica della nostra interazione corporea con l'ambiente. È im­ portante parlare qui di interazione corporea con l'ambiente e non semplicemente di corpo perché il solo concetto di corpo, staticamen­ te inteso, non aiuta a illuminare gli aspetti funzionali interattivi da cui emergeva il livello di base. A partire dai lavori di quegli anni, la ricerca si è poi sviluppata attraverso una spesso radicale riformulazione di alcuni concetti chia­ ve, a cominciare dalla nozione centrale di rappresentazione. 3 ·4 Rappresentazioni, contesti e situazioni nelle teorie embodied Gli studi degli anni settanta e ottanta, pur modificando in profondità

il paradigma della teoria dei concetti e delle categorie, non avevano comunque messo in discussione il concetto di rappresentazione, che

2. Impossibile indicare, anche solo sommariamente, la sterminata bibliografia sul­ l'argomento. Per una lettura critica si veda Violi ( r 997 ) .

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restava una nozione centrale anche nella Semantica Cognitiva di que­ gli anni. Questa nozione appare invece oggi profondamente in crisi: molte delle ricerche che utilizzano il concetto di embodiment spesso esibiscono una generale e marcata attitudine anti-rappresentazionale, a volte anche eccessiva. Tale eccesso di critica è forse riconducibile a quella che potremmo definire una 'sindrome da nuovo paradigma' (cfr. PAR. 2 . 2 . 2 ) : ogniqualvolta un nuovo - o presunto nuovo - para­ digma cerca di emergere, lo fa spesso prendendo drastiche distanze dalle concettualizzazioni precedenti, a volte forse più per necessità di distinguersi e marcare la propria differenza e novità che per effettive necessità teoriche. In una prospettiva più rigorosamente semiotica, appare piuttosto problematico che si possa sostenere, nel campo della cognizione e in particolare del significato, una posizione totalmente anti-rappresenta­ zionale: le rappresentazioni essendo in definitiva nient'altro che segni, mal si capisce come si potrebbe avere cognizione, significato e pensie­ ro stesso senza semiosi, cioè senza la possibilità di sostituire qualcosa (di presente) con qualcos 'altro (di assente) . In questa stessa ottica ap­ pare così perlomeno strano che si debba ricordare, come fanno - pe­ raltro giustamente - Prinz e Barsalou ( 2ooo ) la «utilità evolutiva delle rappresentazioni». Questi autori, che sostengono la necessità delle rappresentazioni, seppure di un tipo particolare ed embodied, argo­ mentano, fra altre considerazioni, che le rappresentazioni hanno un ruolo insostituibile nella costruzione della cognizione umana proprio sulla base della elementare natura semiotica del rimando a ciò che è assente: come potremmo riferirei, evocare e parlare di ciò che non è direttamente alla presenza dei nostri sensi e del nostro contesto più stretto di riferimento senza una qualche forma di rappresentazione? (0, detto in altri termini, senza una qualche forma di semiosi? ) Data l'evidente ragionevolezza di una simile posizione, l a polemi­ ca non è tanto con le rappresentazioni in generale, ma piuttosto con una certa accezione della nozione di rappresentazione, che coincide di fatto con l'accezione simbolica. In effetti, quando si parla di rap­ presentazioni in questo contesto, il problema maggiore appare ancora una volta quello di una certa polisemia e ambiguità nell 'uso del ter­ mine, che tende a diventare, come quello di embodiment, un termine ombrello. La mancata specificazione rischia così di nascondere l'esi­ stenza di vari tipi di rappresentazione, con funzionamenti e caratteri­ stiche differenziate. Una conferma di questa confusione viene se rileggiamo, per esem­ pio, la discussione sulla natura rappresentazionale o meno di certi di-

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spositivi meccanici. La polemica nasce da un lavoro di van Gelder ( r 99 5 ) contro le rappresentazioni interne, basato sul carattere dinami­ co dei sistemi cognitivi naturali. L'argomento di van Gel der riposa sull'analogia con un noto sistema dinamico, quello del regolatore di Watt , un apparecchio che nei motori a vapore trasforma la pressione irregolare che proviene da un pistone a vapore in una rotazione uni­ forme. Van Gel der sostiene che il regolato re di Watt (che è un sistema dinamico) svolge il suo complesso compito ingegneristico senza biso­ gno di rappresentazioni interne, e che per analogia anche la cognizio­ ne (altro sistema dinamico) possa fare a meno del concetto di rap­ presentazione, in quanto molto più simile a un regolatore di Watt che non a una macchina di Turing. Senza entrare troppo in merito ai dettagli della discussione, che non ci interessano in questa sede, vor­ rei riportare l'attenzione sull'uso del termine 'rappresentazione' e sul­ la possibilità o meno di applicarlo per sistemi di questo genere. La questione riguarda la natura rappresentazionale (ma sarebbe più cor­ retto chiamarla semiotica) di sistemi certamente non dotati di cogni­ zione, come per esempio il termostato, che già Dretske ( r 98 r ) consi­ derava rappresentazionale. Ora , da un punto di vista semiotico, Dret­ ske ha ragione nel sostenere che il termostato ha una natura rappre­ sentazionale, proprio in quanto rappresenta un dispositivo semiotico, essendo infatti, secondo l'accezione di Peirce, un tipo di segno. Ciò che può indurre in equivoco è la natura delle rappresentazioni coin­ volte in simili dispositivi, che sono in questo caso segni (o rappre­ sentazioni) di natura non simbolica, se utilizziamo la terminologia di Peirce. Come noto, Peirce distingue vari tipi di segni - indice, icona, sim­ bolo - che sono più propriamente differenti modalità di relazione fra rappresentante e rappresentato. Il termostato è un dispositivo che funziona secondo una modalità di tipo indicale, con una relazione causale e diretta fra rappresentante e rappresentato, tipica appunto degli indici. Ora un indice è indubbiamente un tipo di segno, ma è ben diverso da un simbolo, che funziona sulla base di una legge ge­ nerale, astratta e generalmente convenzionale. È mia impressione che spesso il termine 'rappresentazione' venga implicitamente preso come sinonimo di rappresentazione simbolica o simbolo, e venga a mancare un 'idea più differenziata delle varie tipologie che consentirebbe inve­ ce di vedere come anche dispositivi meccanici come un termostato possano essere considerati 'rappresentazionali' , se pure non in senso simbolico . La polemica anti-rappresentazionale andrebbe quindi più

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propriamente riformulata come una polemica a un tipo particolare di rappresentazioni, le rappresentazioni simboliche intese nell'accezione fodoriana, che non considerano né la dimensione corporea né l'inte­ razione con il contesto e l' ambiente. In questa direzione si muove Rosch ( 1 999) , che sostiene la neces­ sità di distinguere fra due diversi tipi di rappresentazioni, che rinvia­ no a concetti completamente differenti. Il primo è un dispositivo che media fra mente e mondo, e che ricorda da vicino l'idea peirceana di semiosi come elemento di connessione fra mondo esterno e mondo interno; il secondo è invece il concetto usato nel cognitivismo classi­ co, in cui i simboli sono simboli sintattici, cioè operazioni formali al­ l'interno del sistema chiuso della macchina (o della mente, non a caso equiparata a una macchina) . Per Fodor è questo il solo livello accessi­ bile alla scienza cognitiva, secondo l'ipotesi comunemente nota come solipsismo metodologico. Una delle differenze discriminanti fra i due modelli è senza dubbio quella del contesto. Le scienze cognitive han­ no tradizionalmente sempre pensato alle rappresentazioni come confi­ gurazioni stabili, context-insensitive, cioè non sensibili al contesto. Tutta la cosiddetta teoria classica delle categorie partiva precisamente da questi assunti: una categoria (o un concetto) poteva essere un nodo, uno schema di attivazione stabile, un insieme fisso di tratti, un network, un mondo mentale, ma era sempre una entità statica e im­ mutabile. In altri termini l'idea di base era che una stessa struttura invariante rappresentasse una data categoria in tutti i contesti possi­ bili. Questo quadro sembra fortemente problematico: non vi è dubbio infatti che i sistemi cognitivi naturali esibiscono un alto grado di va­ rietà, e il nostro funzionamento nel mondo è molto più flessibile di quanto presupposto da una struttura fissa. Sia i nostri comportamenti che i nostri stati mentali si adattano continuamente ai differenti con­ testi, rispondendo in modo diverso alle modificazioni ambientali. Il concetto tradizionale di rappresentazione risulta radicalmente inade­ guato . Su questo punto mi sembra indiscutibile che le critiche avan­ zate dai sostenitori, a vario titolo, di una cognizione (e di una seman­ tica) incarnata siano fondate: i concetti sono sensibili al contesto pro­ prio perché siamo organismi dotati di un corpo che interagisce con l'ambiente, e questa è una caratteristica fondamentale del nostro si­ stema semantico. D'altra parte tutta la teoria dei prototipi nelle sue varie versioni, e qualunque sia la valutazione complessiva che se ne voglia dare, ha avuto precisamente il merito di mostrare la necessità di strutture gra66

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duali sensibili al contesto. Si noti però che la questione della sensibi­ lità al contesto, certamente importante e discriminante rispetto al co­ gnitivismo classico, non implica però, di per sé , né il rifiuto totale del concetto di rappresentazione, né il rifiuto totale dell'idea di una qual­ che forma, o livello, di stabilità e regolarità della rappresentazione. Si pensi di nuovo alle teorie dei prototipi, che erano, come ho già indi­ cato, teorie in grado di dar conto dei fenomeni di sensibilità al conte­ sto, pur rimanendo ancora a pieno titolo teorie rappresentazionali. Erano anche teorie che, almeno in molti casi, non negavano l'esisten­ za di un nucleo tendenzialmente più stabile di proprietà, ma prevede­ vano la possibilità di riorganizzare i tratti in modo diverso a seconda dei contesti. L'idea generale presente in molti modelli prototipici era quella di combinare insieme un certo grado, anche alto, di variabilità contestuale con un livello di invarianza che garantisse la stabilità del sistema. Come è cambiato il panorama di queste problematiche nelle più recenti teorie dell' embodiment, e in che direzioni si va evolvendo la ricerca? Le posizioni su questi punti si presentano oggi piuttosto va­ riate, e spaziano da posizioni moderate ad altre decisamente più radi­ cali. Vi è chi, come Barsalou, sostiene la necessità di mantenere il concetto di rappresentazione e non vede in questo contraddizione con il requisito della context-sensitivity, considerato fondamentale per un adeguato trattamento dei concetti. Per Barsalou è infatti possibile sviluppare teorie rappresentazionali che siano sensibili al contesto, e al tempo stesso siano anche modelli a base corporea (Barsalou, 1 99 9 ) . Quanto alla questione della stabilità, Barsalou sostiene che l a va­ rietà dei contesti non esclude comunque un livello di organizzazione dotato di maggiore stabilità. Anzi, a suo avviso la sensibilità al conte­ sto si realizza non eliminando la stabilità, ma creando nuove e flessi­ bili combinazioni di rappresentazioni relativamente stabili. In partico­ lare Barsalou polemizza su questo punto con i sostenitori dei sistemi dinamici di tipo connessionista, perché a suo parere alla estrema sen­ sitività al contesto (e quindi variabilità) dei livelli bassi, si accompa­ gna, a un livello più alto di analisi, una certa stabilità che emerge dalla funzione (Prinz , Barsalou , 2 ooo, p. 6 1 ) : For certain explanatory purposes, it is appropriate t o treat neurally distinct states as the same precisely because of their functional equivalence. If we did not co-classify such states, it would be extraordinary difficult to explain how we manage to recognize the same inputs again and again. Thus, that applica-

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bility of dynamics tools at the lowest level does not vitiate a representational account at a somewhat higher level 3 •

S u posizioni decisamente più radicali s i trova invece Rosch, che ac­ centua fortemente l'opzione contestualista e il ruolo della situazione. Secondo Rosch ( 1 999) anche quando ci appaiono come universali e astratti, i concetti compaiono solo e sempre in specifiche situazioni concrete. Le situazioni reali sono «eventi completi ricchi di informa­ zione» e dovrebbero essere il vero oggetto della ricerca. In genere la psicologia tende a vedere gli effetti contestuali come fattori negativi, che invalidano la teoria o il lavoro sperimentale, ma la prospettiva andrebbe ribaltata e proprio le variazioni dovrebbero essere le vere unità di analisi della ricerca. È interessante notare che questo contestualismo forte è avvicina­ bile a certe posizioni recenti in semiotica, che spostano fortemente l'accento dal sistema, e quindi dalle regolarità strutturali, al processo e al testo: si parla in questo senso di svolta testuale, a sottolineare che la vera unità di indagine è il testo , secondo un movimento confronta­ bile, pur nella diversità di linguaggio, con le posizioni di Rosch, che considera la singola situazione l'oggetto pertinente di analisi. Comune a entrambe le posizioni è una conseguente impostazione fortemente olistica, che in certi esiti semiotici appare estremamente radicalizzata (cfr. Rastier, Cavazza, Abeillé, 1 994) . Pur nella diversità dei rispettivi impianti teorici di riferimento, si possono cogliere in questi due ap­ procci alcune preoccupazioni comuni. Per quanto riguarda la natura rappresentazionale dei concetti e il loro ruolo nella organizzazione della mente, le posizioni di Rosch sono oggi assai lontane dai suoi primi lavori sui prototipi, e si inseri­ scono in una visione fortemente olistica dell'unità mente-mondo. I concetti piuttosto partecipano alle situazioni: «Concepts and catego­ ries do not represent the world in the mind ; they are a participating part of the mind-world whole» (Rosch, 1 999, p. 7 2 ) 4. La loro natura partecipativa, piuttosto che rappresentativa o identificativa, deriva dal fatto che essi costituiscono la mediazione naturale fra mente e mon3 · " Può essere appropriato, per certi fini esplicativi, trattare stati neuronali di­ stinti come se invece non lo fossero, proprio sulla base della loro equivalenza funzio­ nale. Se non co-classificassimo questi stati, sarebbe estremamente difficile spiegare come riusciamo a riconoscere gli stessi input di volta in volta. Quindi la applicabilità degli strumenti dinamici al livello più basso non contraddice un trattamento rappre­ sentazionale a un livello più alto". 4· " Concetti e categorie non rappresentano il mondo nella mente, essi sono una parte che partecipa al tutto mente-mondo".

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do, mediazione necessariamente ancorata alle situazioni specifiche, lo­ calmente definite (Rosch, 1 999, p. 6 1 ) : Concepts are the natura! bridge between mind and world to such an extent that they require us to change what we think of as mind and what we think of as world; concepts occur only in actual situations in which they function as participating parts of the situation rather than either as representations or as mechanisms far identifying objects 5 •

S e l a formulazione d i Eleanor Rosch sulla natura partecipativa dei concetti può non essere da tutti condivisa, è invece certamente diffu­ sa l'idea che le rappresentazioni, per chi continua ad accettarne la funzione, siano non tanto, o non principalmente, strutture che rap­ presentano internamente il mondo esterno, quanto strutture di con­ trollo che servono all'interazione nel e con il mondo esterno. Questo spostamento da modelli di rappresentazione come specchio o enco­ ding a modelli di rappresentazione come dispositivi per l'azione si ri­ trova in vari ambiti delle ricerche contemporanee che assumono come centrale la nozione di embodiment. Nella robotica per esempio Clark parla di rappresentazioni come strutture e forme di controllo: «The idea here is that the brain should not be seen as primarily a locus of inner descriptions of external states of affairs ; rather, it should be seen as a locus of inner structures that act as operators upon the world via their role in determining actions» (Clark, 1 997 , p. 47) 6 . Le rappresentazione diventano così 'orientate all 'azione ', cioè rappresentazioni che contemporaneamente descrivono aspetti del mondo e prescrivono azioni possibili, e sono in equilibrio fra «pure strutture di controllo e rappresentazioni passive della realtà esterna», per usare i termini di Clark. Un'idea simile si ritrova anche nelle ricerche sulla memoria, in particolare nel modello proposto da Glenberg ( 1 997 ) , dove la memo­ ria non ha tanto una funzione rappresentativa volta a immagazzinare il passato, ma serve piuttosto per il ripristino dell'azione. Una pro­ spettiva di questo tipo, variamente condivisa entro il campo della ri-

5· "I concetti sono il ponte naturale fra la mente e il mondo a tal punto che ci costringono a modificare le nostre concezioni sia della mente che del mondo; i con­ cetti si manifestano solo in situazioni attuali in cui essi funzionano come componenti partecipative della situazione piuttosto che rappresentazioni o meccanismi per identi­ ficare oggetti". 6. "L'idea è che il cervello non debba essere visto principalmente come il luogo di descrizioni interne di stati esterni, ma come il luogo di strutture interne che funzio­ nano come operatori sul mondo attraverso il loro ruolo nel determinare le azioni".

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cerca sull'embodiment, riporta fortemente l'attenzione sull'interazione organismo-ambiente. Il fatto che la mente non sia più vista esclusiva­ mente come puro dispositivo rappresentazionale implica infatti anche una diversa importanza del ruolo dell'ambiente e più in generale del­ l'interazione fra mondo interno e mondo esterno (o, se si preferisce, fra organismo e ambiente) . In questo contesto culturale v a inquadrata una generale ripresa del lavoro di Gibson ( r 9 7 9 ) e una rilettura e approfondimento del concetto di a//ordances. Gibson sosteneva un'idea di rappresentazione non molto dissimile da quella appena indicata: comune a entrambi gli approcci è l'idea che gli stati interni, che mediano il rapporto con il mondo esterno, siano " centrati sull'azione " , o, per usare la terminolo­ gia gibsoniana, connessi alle a//ordances. Le a//ordances non sono al­ tro che possibilità per l'azione, l'uso, l'intervento che vengono offerte dall' ambiente locale a un particolare tipo di agente embodied, quindi dotato di specifiche caratteristiche corporee. In questo modo la per­ cezione è sempre, per così dire, contestualizzata e costruita: il mondo viene infatti percepito essenzialmente come opportunità per l'azione finalizzata a un certo scopo , da parte di uno specifico organismo che agisce con determinate finalità, all'interno di una data interazione. In questo modo la percezione è direttamente connessa all'azione e a loro volta percezione e azione sono legate alla cognizione. Tocchiamo qui un punto centrale, perché il nesso azione-perce­ zione-cognizione è forse uno dei pochi grandi temi comuni alle ricer­ che sull' embodiment. Tutte le teorie che, in varia misura e secondo modalità differenti, si rifanno all' embodiment rifiutano qualunque idea di percezione come passiva registrazione di informazione, la per­ cezione è invece vista come immediatamente legata alle possibilità per l'azione. Gibson sostituiva all'idea di rappresentazione passiva quella di una sorta di 'percezione diretta' dell'insieme complesso di opportuni­ tà per l'azione che l'ambiente ci fornisce tramite le a//ordances. Ma anche chi continua a mantenere l'esistenza di stati interni di media­ zione fra mondo interno e mondo esterno li vede come dotati con­ temporaneamente di due aspetti: da un lato essi descrivono, sempre parzialmente, aspetti del mondo e della situazione in cui si è immersi, dall' altro prescrivono possibili corsi di azioni e di interazioni con l'ambiente. Tende così a sfumare una rigida distinzione fra percezio­ ne e cognizione, che divengono processi più integrati e sovrapposti. Non sorprende che questo approccio guardi con grande interesse agli studi neurofisiologici che sembrano provare la connessione, anche a livello neuronale, fra percezione, azione, pensiero e immaginazione.

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In particolare gli studi sui mirror neurons hanno mostrato che, non solo nei primati ma anche negli umani, gli stessi neuroni scaricano sia quando una data azione (come afferrare una tazzina da caffè) viene effettivamente eseguita, sia quando viene vista eseguita da un altro, sia quando viene pensata. È poi interessante osservare che ciò non avviene per qualunque tipo di movimento, ma solo per azioni fina­ lizzate a uno scopo (come appunto afferrare una tazza) , quindi intera­ zioni intenzionali con l'ambiente, o se si preferisce interazioni connes­ se a precise a/fordances, per usare i termini di Gibson. 3 ·5 Basi corporee e motivazione

L'individuazione di strutture comuni soggiacenti a percezione, azione, linguaggio costituisce forse il nucleo più caratterizzante delle ricerche sulle basi corporee del linguaggio nella Semantica Cognitiva contem­ poranea 7. Ciò implica una altissima integrazione fra questi sistemi, che non sono più pensabili come moduli rigorosamente separati e in­ dipendenti, ma come specificazioni funzionali diverse a partire da una comune configurazione unitaria. È probabilmente da ricercare a que­ sto livello la ragione teorica della centralità del concetto di metafora nella Semantica Cognitiva, come proiezione sul piano linguistico e concettuale di configurazioni corporee di vario tipo (percettive, moto­ rie, spaziali ecc. ) . L e proiezioni metaforiche sono però sempre proiezioni motivate: è questa la seconda importante caratteristica che emerge in queste ri­ cerche. Forse uno dei meriti più importanti dell'approccio basato sul­ l' embodiment è stato quello di rimettere radicalmente in discussione l'idea, che ha così pervicacemente dominato tutta la linguistica nove­ centesca, del linguaggio come sistema formale, astratto e totalmente arbitrario (cfr. PARR. 1 .2 . r e 2 .2 . 2 ) . Il concetto di motivazione può essere veramente considerato il concetto chiave alla base della ricerca embodied: individuare le basi corporee del pensiero e del linguaggio costringe infatti a una rilettura a tutto campo degli aspetti motivazio­ nali del sistema linguistico, a tutti i suoi livelli, lessicali, semantici, grammaticali. È impossibile dare un resoconto, neppure parziale, dei numero­ sissimi studi che negli ultimi anni si sono andati moltiplicando su

7. Su percezione e linguaggio si veda anche la recente raccolta di saggi in Con­ tessi, Mazzeo, Russo (2oo2) .

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queste tematiche 8 . Come abbiamo già avuto modo di vedere nei ca­ pitoli precedenti, la Grammatica Cognitiva fa ampio riferimento a concetti topologici a base corporeo-spaziale, nonché alla revisione della teoria classica delle categorie e dei concetti. In analoga direzio­ ne si sviluppano gli studi sulla metafora, a partire dal testo fondazio­ nale di Lakoff e Johnson ( 1 998a) . Innumerevoli i campi di applicazio­ ne, dagli schemi di orientamento, alle metafore primarie, alle emozio­ ni fino ai sistemi di numerazione e concetti matematici. Quanto agli ambiti tematici, forse uno dei terreni su cui l'idea di un principio di motivazione a partire dalla strutturazione corporea ha prodotto mag­ giori risultati è stato il campo della spazialità nel linguaggio, oggetto negli ultimi anni di moltissimi studi, che includono le rappresentazio­ ni del movimento, gli schemi di orientamento, le metafore temporali a base spaziale ecc. 9 . Resta infine da ricordare un'ultima area d i ricerca, solo apparente­ mente marginale ma in realtà di grandissimo interesse e rilevanza teo­ rica, rappresentata dagli studi su linguaggio, gestualità, lingue segna­ te 10• La ragione per cui mi pare di fondamentale importanza almeno citare questa area è che essa rimette in discussione un punto fonda­ mentale per tutta la problematica dell' embodiment, e cioè la natura formale del linguaggio, un altro dei dogmi che hanno dominato larga parte della linguistica contemporanea. L'unità concettuale e ideativa che connette parola e gesto riporta infatti al centro dell'attenzione il ruolo cruciale della sostanza linguistica e delle sue specifiche determi­ nazioni, così a lungo trascurate nella linguistica formalista, ancora permeata, come ha osservato Petitot (200 1 ) , dalla tradizionale opposi­ zione aristotelica tra forma e materia, secondo cui «la materia è un continuum magmatico amorfo e passivo, mentre l'imposizione della forma come principio attivo conferisce una struttura differenziata differenziale - a questa passività materiale indifferenziata, generando così il senso» (Petitot, 2 00 1 , p. 7 3 ) . Le conseguenze di questa impo­ stazione idealistica sono molteplici, e tutte cruciali dal nostro punto di vista: in primo luogo la natura completamente disincarnata del senso, che perde ogni rapporto «con la coppia percezione-azione che fonda il nostro rapporto ecologico ed etologico con il mondo» (ibid. ) ,

8 . Per una rassegna piuttosto esaustiva si può vedere l a bibliografia ragionata in Lakoff, Johnson ( I 999 ) . 9· S i veda, per una valutazione critica, Violi ( I 99 I ) e s u spazialità e movimento Violi ( I 996) . IO. Limito anche in questo caso le sconfinate indicazioni bibliografiche a due te­ sti fondamentali: McNeill ( I 99 2 ) e Armstrong, Stokoe, Wilcox ( I 995 ) .

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la cancellazione di qualsiasi principio di auto-organizzazione sistemica all'interno della materia, e di conseguenza una forma puramente logi­ co- combinatoria. Una linguistica autenticamente embodied realizzerà invece un dop­ pio programma che potremmo definire contemporaneamente di 'de­ mentalizzazione' e ' de-formalizzazione' del linguaggio, trasformandosi da linguistica della forma in linguistica della sostanza. J .6 Quale corpo per quale embodiment ?

Siamo ora in grado di tentare, se non un bilancio, almeno qualche prima riflessione sulla base di quanto abbiamo esposto finora. Pur nella varietà e molteplicità degli approcci, l'insieme di posizioni che abbiamo unificato sotto il termine generale di embodiment presenta molti punti di notevole interesse e novità: innanzitutto una visione più realistica di come gli esseri umani percepiscono e interagiscono con l' ambiente, e di come il senso, anche linguistico, emerge da que­ ste attività. In secondo luogo la non separabilità di un'attività pura­ mente cognitiva dalla sfera della percezione e dell'azione, l'importan­ za delle situazioni e dei contesti, una diversa e più adeguata idea del­ la relazione fra mondo interno e mondo esterno. Infine il ruolo del corpo nella cognizione e nel linguaggio, la base corporea nella forma­ zione dei concetti e nella strutturazione dei mapping metaforici. Un altro punto da segnalare è l'attenzione per lo sfondo non concettuale dei concetti, che emerge in alcune ricerche sull' embodiment. Gli ulti­ mi lavori di Rosch per esempio fanno riferimento all'esistenza di un livello che potremmo definire pre-categoriale, anche se questa resta più una suggestione che una vera elaborazione. Certamente questo li­ vello andrebbe ulteriormente specificato, perché 'non concettuale' può significare cose assai diverse, da una conoscenza automatica lega­ ta all'azione piuttosto che alla cognizione, all'esistenza di un'area del sensibile distinta dalla percezione vera e propria, una problematica su cui si sta oggi molto interrogando anche la semiotica. Nonostante tutte queste importanti acquisizioni, vi sono tuttavia ancora punti che richiederebbero un ulteriore approfondimento. Pa­ radossalmente, in primo luogo, proprio il concetto stesso di corpo. Si parla spesso infatti di corpo al singolare, come se fosse un concetto univoco e così naturalmente dato da non richiedere alcuna altra ri­ flessione. L'illusione nasce dal fatto che il corpo si presenta come ap­ parentemente qualcosa di molto semplice, oggettivo, fisicamente defi73

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nito . Il corpo ci appare 'già lì' dotato di una sua auto-evidenza imme­ diata che non richiede di essere analizzata o specificata. Ma non è così. Il corpo, ben lungi dall'essere auto-evidente, è piuttosto il risultato di un discorso che lo costruisce. Se l'esperienza fenomenologica del corpo ci può apparire immediata, il concetto di 'corpo ' certamente non lo è, esso si presenta come il punto di arrivo di una ricostruzione che ne viene fatta a partire da un certo sguardo disciplinare. In altri termini è un concetto costruito dalle discipline che lo interrogano e che riceve al loro interno le proprie specificazio­ ni. Il corpo delle neuroscienze non è lo stesso di quello della psicoa­ nalisi o della psicologia sperimentale e così via. I molteplici corpi costruiti non sono facilmente riducibili gli uni agli altri, anzi danno luogo, come ho cercato di mostrare, a un ogget­ to piuttosto eteroclito, come lo era il linguaggio quando Saussure aveva cominciato a descriverlo, all'inizio del secolo scorso . Molte del­ le differenze fra le varie accezioni del termine embodiment che ho in­ dicato all'inizio sembrano essere il portato dei diversi discorsi che co­ struiscono l'oggetto 'corpo' . Vorrei riprendere, per concludere , alcune possibili 'confusioni' che mi paiono particolarmente delicate. La prima 'confusione ', o so­ vrapposizione, è già stata indicata, e riguarda l'uso interscambiabile che molti fanno fra corpo e cervello. Vale la pena di sottolineare an­ cora la non coincidenza dei due livelli: il corpo non è certo riducibile alla sola attivazione neuronale. Un 'corpo-cervello' di questo tipo esclude tutta la dimensione fenomenologica dell'esperienza del corpo, quella presenza vitale che Husserl chiamava Leib e che distingueva dal Korper inteso come corpo materiale. La seconda 'confusione' è fra corpo e schema corporeo. In realtà si tratta di una confusione per così dire implicita, perché raramente viene fatto riferimento alla nozione di schema corporeo. Strana di­ menticanza, dato che proprio questa nozione dovrebbe rappresentare la via maestra per ragionare sui concetti basati sull'esperienza corpo­ rea. Il concetto di schema corporeo non è certo recente, compare tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento in ambito neurologico e psichiatrico, e viene poi sviluppato soprattutto da Paul Schilder in­ torno agli anni trenta (Schilder, [ 1 9 3 5 ] 1 984) . Lo schema corporeo non è solo il senso generale cinestetico che noi abbiamo del nostro corpo, ma ha anche una dimensione spaziale, che rimanda al senso di occupare un 'nostro' luogo. Secondo Schilder non è né pura sensa­ zione né pura rappresentazione mentale, ma ha uno statuto interme­ dio fra i due livelli. La nozione viene poi ripresa e modificata da Merleau-Ponty ( [ 1 94 5 ] 1 9 6 5 ) , a cui serve come momento di passag74

3 . LE TEMATICHE DEL CORPOREO NELLA SEMAI'\TICA COGNITIVA

gio per la nozione di corpo proprio e quindi per instaurare il nesso fra corpo e soggetto. Merleau-Ponty ne sottolinea sia la componente gestaltica, di forma in cui il tutto è anteriore alle parti, sia soprattutto il carattere dinamico, che implica la coscienza del proprio progetto nel mondo e quindi la dimensione dell'intenzionalità. Il corpo è per lui sempre dotato di una intrinseca progettualità, di una finalità che gli deriva dal suo muoversi nel mondo, dalla interazione con l'am­ biente. Le nozioni di corpo proprio e schema corporeo mi parrebbe­ ro imprescindibili soprattutto là dove si vogliano investigare le basi corporee dei concetti e delle configurazioni semantiche. A questo li­ vello infatti non è tanto in questione il 'corpo' come dato bruto e naturale, ma la sua schematizzazione, come tutta la ricerca sulla spa­ zializzazione nel linguaggio mostra assai bene. Infine la terza ' confusione' è quella fra corpo e soggetto. Più che confusione si tratta in questo caso di un vero e proprio silenzio, per­ ché la problematica del soggetto sembra completamente assente. Per­ ché parlare allora di 'confusione'? In realtà alcuni autori, pur senza nominarla, parlano in realtà di qualcosa che potremmo chiamare sog­ gettività linguistica, ma la sovrappongono curiosamente al concetto di embodiment, da cui invece è cosa assolutamente distinta. Prendo a titolo di esempio un articolo, peraltro assai interessante, di MacWhin­ ney ( r 999) , in cui l'autore prende in esame varie istanze in cui il lin­ guaggio emerge dalla corporeità. MacWhinney parla di diversi sistemi prospettici dipendenti dal corpo come quelli legati alle a//ordances o agli schemi di riferimento spaziale. È per esempio ben noto come il corpo umano funzioni da fondamentale schema di riferimento che viene poi proiettato sul mondo, strutturando la spazialità su base cor­ porea, in modi complessi e articolati. Successivamente MacWhinney passa a esaminare altri due sistemi prospettici, secondo lui sempre derivanti dall' embodiment, legati questa volta a schemi causali e a /ra­ mes sociali, per mostrare come ogni enunciato linguistico sia ancorato a una prospettiva, individuale o collettiva, che investe anche una serie di aspetti grammaticali, come per esempio la scelta fra transitività e intransitività. Il lavoro è molto interessante, ma c'è uno spostamento profondo rispetto al problema della prospettivizzazione spaziale nel linguaggio, di cui l'autore non pare consapevole. Quando parliamo di prospettiva che una certa costruzione grammaticale impone sull'azione, o di pro­ spettiva legata a /rames sociali ed interpersonali, non è più in gioco il corpo, ma il punto di vista del soggetto nel linguaggio. Stiamo insom­ ma parlando delle tracce che il processo d'enunciazione ha lasciato a livello dell'enunciato. La nozione di prospettiva rimanda infatti al più 75

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

ampio problema della soggettività nel linguaggio che, nella linguistica europea post -saussuriana, ha trovato il suo quadro di riferimento più elaborato nella teoria dell'enunciazione (Benveniste, I 97 I , I 98 5 ) in grado di unificare in un unico modello vari fenomeni prospettici che vanno dal sistema pronominale, temporale, spaziale, alla focalizzazio­ ne, al punto di vista ecc. Naturalmente il problema non è l'utilizzo o meno della teoria dell'enunciazione come formulata nella linguistica post-strutturalista, ma la confusione fra due ordini di questioni di­ verse, entrambe importanti, ma non necessariamente connesse. I pro­ blemi di 'prospettiva' , intesi come la traccia ineliminabile, in ogni enunciato, di un punto di vista che rinvia alla enunciazione, rimanda­ no alla questione della soggettività nel linguaggio, e sono altra cosa dalle problematiche dell' embodiment, più propriamente connesse alla presenza, nella struttura linguistica, di configurazioni motivate dalla esperienza corporea. A tal punto le due questioni non coincidono, che tutta la teoria dell'enunciazione ha da sempre rimosso completa­ mente la questione della corporeità, rifacendosi a un soggetto di tipo trascendentale, totalmente privo di qualunque specificazione corpo­ rea, differenziazione di genere, o alcuna altra dimensione legata alla individualità dei singoli soggetti ( cfr. Violi, I 9 86) . Sembra così delinearsi un curioso chiasmo: da un lato una teoria dell' embodiment senza soggetto, dall'altro una teoria del soggetto sen­ za corpo. Intrecciare insieme, finalmente, corpo e soggetto, potrebbe aiutare a capire meglio entrambe le questioni, e forse permetterebbe anche una riflessione sull'individualità nel linguaggio, che a tutt 'oggi manca in entrambi gli approcci.

4

Il ruolo dei domini semantici nell'interpretazione di metafore e metonimie �':

di William Cro/t

4· 1 Introduzione

Si consideri la frase seguente (r)

La Danimarca ha affondato il trattato di Maastricht.

Si considera in genere che questa frase nasconda sia una metafora sia una metonimia: il nome proprio soggetto Danimarca è una metonimia per 'gli elettori danesi' , mentre il predicato affondare è una metafora per 'determinare il fallimento'. Tutto ciò può apparire ovvio. Ma come fa chi ascolta a sapere che questa frase non ha a che fare con un 'azione militare, o con un pezzo specifico di territorio europeo? La domanda che quest'articolo cercherà di porre, anche in assenza di una risposta completa, è: come sono costruiti questi significati 'figura­ ti' in una particolare espressione verbale? Cosa induce i parlanti ad applicare o non applicare il significato di base o letterale di quelle parole, oppure, se lo fanno, a passare al significato appropriato? Questo è un problema di composizionalità semantica, che riguar­ da la relazione del significato del tutto rispetto al significato delle sue parti. A differenza dei problemi tipici della composizionalità semanti­ ca discussi nella letteratura semantica di stampo formale, in cui il si­ gnificato del tutto è almeno in parte determinato dal significato delle sue parti, il significato delle parti in questo caso sembra essere in par­ te determinato dal significato del tutto . Cercherò di dimostrare in * La versione originale di questo articolo è uscita in " Cognitive Linguistics " , 4 ( 1 99 3 ) , pp. 3 35 -70, con il titolo The Role o/ Domains in the Interpretation o/ Meta­ phors and Metonymies; la versione riveduta è uscita poi in R. Dirven, R. Poering (eds . ) , Metaphor and Metonymy in Comparison and Contrast, Mouton de Gruyter, Ber­ lin 2 002 , pp. 1 6 1 -2 05 . Qui, in accordo con l'autore, se ne riproduce una versione ridotta la cui traduzione è stata curata da Livio Gaeta.

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INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

quanto segue che 'il significato del tutto ' che abbraccia il significato delle sue parti è ciò che io chiamo l'unità concettuale del dominio: tutti gli elementi in un'unità sintattica devono essere interpretati in un singolo dominio. Nel caso ( I ) , per esempio, il dominio è l' attività politica. Inoltre, una larga parte (benché non tutto) di ciò che succede nel caso di un'interpretazione metaforica e metonimica è l'aggiustamento dei domini degli elementi costitutivi, e pertanto dei loro significati, per soddisfare l'unità concettuale del dominio. Uso qui la parola ' ag­ giustamento' perché l'aggiustamento dei domini è connesso con i fe­ nomeni di concettualizzazione che Langacker chiama aggiustamenti focali (Langacker, 1 9 87, cap. 3 ) . 4· 2 Significato lessicale e domini nella Grammatica Cognitiva

Uno degli assunti centrali della Semantica Cognitiva è che il signifi­ cato delle parole è enciclopedico: tutto ciò che si sa su di un con­ cetto è parte del suo significato (Haiman, 1 9 8o; Langacker, 1 9 87, e, supra, PARR. 1 .2 .7 e 2 . I ) . Da ciò segue che non c'è una diffe­ renza sostanziale tra la rappresentazione semantica (linguistica) e la rappresentazione cognitiva (generale) ; lo studio della semantica lin­ guistica è lo studio dell'esperienza umana comune. Pertanto, quel­ l' aspetto della pragmatica che presuppone l'impiego della 'cono­ scenza del mondo' o 'conoscenza condivisa', e perfino la conoscen­ za contestuale (giacché l'atto linguistico è parte della nostra cono­ scenza del mondo, per quanto un caso molto specifico di cono­ scenza) , diviene parte della semantica. Non sorprende che un approccio enciclopedico alla semantica possa alterare drasticamente la nostra visione dei problemi inerenti alla semantica stessa (senza tuttavia necessariamente risolverli; ma al­ meno appaiono molto più naturali) . Benché tutte le conoscenze con­ cernenti una certa entità siano in teoria accessibili - cioè, l'intera rete di conoscenze è accessibile -, qualche conoscenza è più centrale di altre (Langacker, 1 9 87, pp. 1 5 8- 6 ! ) , e questo schema di centralità e perifericità è essenziale per distinguere il significato di una parola da quello di un'altra. Langacker identifica quattro criteri per la centrali­ tà: la misura in cui le conoscenze su di un concetto si applicano a tutte le entità categorizzate da quel concetto ( criterio generico) , la mi­ sura in cui le conoscenze su di un concetto si applicano solo a quelle entità (criterio caratteristico) , la misura in cui quelle conoscenze sono conoscenze condivise nella comunità dei parlanti (criterio convenzio-

4 . IL RlJOLO DEI DOMII'\I SEMAI'\TICI

nale) , e il grado in cui quelle conoscenze si applicano all'oggetto stes­ so in opposizione ad entità esterne (criterio intrinseco) . La centralità è chiaramente connessa con la prototipicità, nel senso di proprietà prototipiche piuttosto che di rappresentanti prototipici di una catego­ ria, come invece suggerisce il riferimento all'analisi dei prototipi di Rosch ( 1 97 8 ) . In ogni caso, la centralità pertiene all'organizzazione delle conoscenze nella mente, non alla categorizzazione degli indivi­ dui che può aver dato luogo a quella struttura di conoscenze e può far uso di quella struttura. Comprendere il significato di una parola nella visione enciclopedi­ ca significa entrare nella rete di conoscenze ad un certo punto, più precisamente, attivare la rete in un certo punto o in certi punti, chia­ mati da (Langacker, 1 98 7 , p. 1 63 ) nodi di accesso. Pertanto, lo spazio semantico è l'intera rete di conoscenze di un individuo - e di una comunità. Questa conoscenza non è priva di struttura. Le conoscenze enciclopediche sembrano organizzate in do­ mini esperienziali (Langacker, 1 9 87, pp. 147-54; Lakoff, 1 9 87 , tra molti altri). La nozione di dominio utilizzata in questo capitolo corri­ sponde in buona misura al concetto di spazio mentale, come è stato definito in PAR. 1 .4 . 2 . Essa è centrale per la comprensione della meta­ fora e della metonimia. In particolare, essa è cruciale per comprende­ re quando si ha a che fare con un dominio singolo o con domini differenti. Questa nozione è connessa con quella di campo semantico, come nella teoria dei campi semantici di Trier e altri. Quest' approc­ cio è stato sottoposto a critiche considerevoli, non da ultimo perché la nozione di campo semantico resta non definita: «Ciò che manca in definitiva, come per altro molti studiosi dei campi semantici proba­ bilmene ammetterebbero, è una formulazione più esplicita dei criteri che definiscono un campo lessicale rispetto a quella fornita sinora» (Lyons, 1 977 , p. 2 67 ) . L a descrizione dei domini più accuratamente elaborata sinora si ritrova in Langacker ( 1 9 8 7 ) , che è in parte basata su Lakoff e John­ son ( 1 99 8 a) ; la descrizione che segue esplicita alcuni degli assunti che sono impliciti in quei lavori. Ma per capire la nozione di dominio, dobbiamo cominciare col descrivere un aspetto centrale del concetto simbolizzato da una parola, la sua divisione in 'profilo' e 'base'. 4. 2 . I . Profilo e base Cominceremo con l'esempio di Langacker di un arco e di un cer­ chio (Langacker, 1 9 87 , pp. 1 8 3 -4). Un concetto, per esempio un arco , presuppone altri concetti, in questo caso quello di cerchio. 79

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

Un arco è definito solo rispetto a un cerchio; altrimenti sarebbe semplicemente un segmento di linea curva. Ciò che intuitivamente pensiamo come l'arco stesso è il profilo; la nozione di cerchio che lo presuppone è la sua base. Quest'idea non è del tutto nuova; una delle sue manifestazioni meglio conosciute è quella di 'cornice' in intelligenza artificiale e in linguistica. Il concetto di [ARco] non è solo il profilo ma contiene anche la base; il concetto è definibile solo rispetto a ciò che esso presuppone (Searle, 1 97 9 , sostiene an­ che l'inclusione necessaria di assunti di sfondo nella definizione di una parola) . Un cerchio da parte sua è definito rispetto a uno spa­ zio bidimensionale. Il concetto di [CERCHIO] profila quella configu­ razione figurativa, e ha uno spazio (bidimensionale) come sua base . (Per essere precisi, ha la figura come sua base, e il concetto di fi­ gura - non una figura specifica, semplicemente 'figura' - è profilato in uno spazio bidimensionale. Si ritornerà su questo punto in se­ guito . ) In altre parole, un concetto può fungere o da profilo o da base per il profilo di un altro concetto. La relazione base-profilo non è identica alla relazione centro-peri­ feria discussa sopra in relazione alla definizione enciclopedica del si­ gnificato lessicale. La base è quell' aspetto della conoscenza che è ne­ cessariamente presupposto nella concettualizzazione del profilo. Le conoscenze periferiche sono conoscenze associate con un concetto che non sono così generiche, caratteristiche, convenzionali e intrinse­ che come le conoscenze più centrali. Le conoscenze periferiche non sono conoscenze presupposte, ma conoscenze asserite meno centrali, addizionali. Certamente, le conoscenze periferiche così come le cono­ scenze centrali sono organizzate secondo il modello profilo-base. Profilo e base sono concettualmente interdipendenti. Da un lato, i concetti profilati non possono essere compresi se non rispet­ to alle conoscenze di sfondo fornite dalla base. Dall'altro, la base esiste in quanto 'porzione' cognitivamente unificata e delimitata di conoscenze solo in virtù del concetto o dei concetti definiti rispetto ad essa. Una base è quasi sempre la base per parecchi profili concettuali. Per esempio, un cerchio è la base non solo per [ARCO] , ma anche per [DIAMETRO] , [RAGGIO] , [coRDA] ecc. Questo è ciò che rende la base un dominio, nel senso intuitivo: profili concettuali diversi possono averlo come base. Possiamo ora definire un dominio una struttura se­ mantica che /unge da base per almeno un profilo concettuale (tipica­ mente, per molti profili) . Come nota Taylor ( [ ! 9 89, p. 84] 2003 ) , «in principle, any conceptualization or knowledge configuration, no mat­ ter how simple or complex , can serve as the cognitive domain for the 8o

4 . IL RlJOLO DEI DOMI!'\ I SEMAI'\TICI

characterization of meanings» r. Possiamo dire che il dominio di un cerchio include i concetti di arco, diametro , raggio, corda ecc. Un cerchio da parte sua è nel dominio dello spazio bidimensionale (in pratica, una figura) . Ciò dimostra che una determinata struttura se­ mantica può essere un concetto in un dominio (quando è profilata), o il dominio stesso (quando funge da base per altri profili concettuali) . 4.2.2 . Tipi di domini Lo spazio non sembra profilato in un dominio che serve da sua base. Piuttosto, esso emerge direttamente dall'esperienza (Lakoff, J ohnson, 1 998a, cap . r 2 ) . Langacker definisce lo spazio un dominio basico. I domini basici sono concetti che non sembrano definibili rispetto ad altri concetti più basici, almeno nel modello esperienziale fondato sul senso comune (detto folk mode!) . Langacker chiama un dominio non basico dominio astratto. La nozione di un cerchio che funge da base è un esempio di un do­ minio astratto. Un dominio astratto di per sé è un concetto che presuppone un altro dominio. L 'altro dominio non deve necessaria­ mente essere un dominio basico . Ho osservato sopra che la figura è più precisamente la base per [cERCHIO] ; il concetto di [FIGURA] è a sua volta profilato in uno spazio bidimensionale (l'altro concetto fondamentale profilato nello spazio è [POSIZIONE] ) . Si può avere un intreccio arbitrariamente complesso di domini astratti prima di rag­ giungere un dominio basico. In ogni caso, la base è in genere con­ siderata il dominio immediatamente presupposto dal concetto profi­ lato . Chiameremo questo dominio il dominio della base (o semplice­ mente la base; ciò corrisponde anche a quanto Langacker chiama la portata della predicazione; si ricordi che la predicazione è un concetto) . Langacker ( r 9 87, p. 493 ) osserva che la portata della predicazione/base può talvolta costituire solo una porzione limitata dei domini rilevanti. Langacker ( r 987, pp . r 5 o- r ) mostra che alcuni domini coinvolgo­ no più di una dimensione. Un caso ovvio è lo spazio, che coinvolge tre dimensioni ( alcuni concetti come [cERCHIO] richiedono solo due dimensioni per la loro definizione; altri solo una). Molte qualità fisi-

1 . "In teoria, ogni concettualizzazione o configurazione di conoscenze, indipen­ dentemente da quanto sia semplice o complessa, può servire da dominio cognitivo per la caratterizzazione dei significati " .

8r

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che che si fondano sull'esperienza della percezione sensoriale, come la temperatura e l'altezza tonale, sono monodimensionali. Altre, come il colore, possono essere suddivise in tonalità, brillantezza e saturazio­ ne. In genere, le dimensioni di un dominio sono tutte simultaneamen­ te presupposte dai concetti profilati in quel dominio. Questo è il punto cruciale: un concetto può presupporre allo stesso tempo parec­ chie dimensioni diverse. In effetti, un concetto può presupporre parecchi domini diversi. Per esempio, un essere umano deve essere definito rispetto ai domini degli oggetti fisici, degli esseri viventi, e degli agenti intenzionali (e di parecchi altri domini, per esempio le emozioni) . La combinazione dei domini simultaneamente presupposti da un concetto come [ESSERE UMANO] è chiamata dominio matrice. Langacker ( r 9 87, p. 1 5 2 ) dimo­ stra come ci sia in teoria solo una differenza di grado tra le dimensio­ ni di un dominio e i domini in una matrice. In pratica, è più plausibi­ le definire una struttura semantica un dominio se c'è un numero so­ stanziale di concetti profilati rispetto a quella struttura. Se invece ci sono pochi o nessun concetto profilato rispetto a quella struttura, ma ci sono concetti profilati rispetto a quella struttura e ad un 'altra anco­ ra, allora quelle strutture devono essere definite plausibilmente due dimensioni di un singolo dominio. Il termine 'dominio' implica un grado di indipendenza cognitiva che non si riscontra altrimenti in una dimensione. La struttura di un dominio presupposta da un concetto può esse­ re estremamente complessa. Possiamo cominciare dal dominio degli oggetti fisici, comunemente invocato come dominio basico. Il domi­ nio degli oggetti fisici è in effetti non un dominio basico, ma un do­ minio matrice. Esso consiste dei domini di materia (un oggetto è fat­ to di materia) , figura (giacché gli oggetti formano figure; anche le so­ stanze formano figure, benché non fisse), e posizione (incarnando il principio che due oggetti non possono occupare la stessa posizione) . Materia è un dominio basico, ma, come osservato sopra, figura e po­ sizione sono domini astratti basati sullo spazio, che è un dominio basico. Gli oggetti fisici sono di per sé molto generali. Consideriamo ora come si possa definire ciò che sembra un tipo di oggetto fisico, la lettera T. Essa è definita immediatamente come lettera dell'alfa­ beto; la sua base (dominio) è pertanto l'alfabeto . L'alfabeto da par­ te sua è un dominio astratto che presuppone la nozione di sistema di scrittura - non è semplicemente un esempio di sistema di scrit­ tura, poiché quest'ultimo implica non solo un insieme di simboli

4 . IL RlJOLO DEI DOMII'\I SEMAI'\TICI

quali l'alfabeto ma anche il modo di combinarli. Il dominio dei si­ stemi di scrittura a sua volta presuppone l'attività di scrivere. L'at­ tività di scrivere deve essere definita nei termini della comunicazio­ ne umana, che presuppone la nozione di significato - presumibil­ mente un dominio basico , poiché la relazione simbolica sembra non riducibile a qualche altra relazione - e quella di sensazione vi­ siva, poiché scrivere è una comunicazione per mezzo di iscrizioni in genere percepite visivamente piuttosto che uditivamente o attra­ verso gesti. Inoltre, dal momento che scrivere è un'attività, anche i domini di tempo e forza o causa (entrambi dei domini basici; forza è una generalizzazione di causa, cfr. Talmy 2 oooa, cap. 7) sono im­ plicati nel dominio matrice dello scrivere, poiché la lettera T è il prodotto di un 'attività. Siccome è un'attività umana, essa presuppo­ ne il coinvolgimento di esseri umani. Gli essere umani sono esseri viventi con abilità mentali, come l'intenzione e la cognizione ( da parte loro dimensioni del dominio mentale o, meglio, domini nella matrice del dominio della mente ) . Gli esseri viventi a loro volta sono oggetti fisici dotati di vita. La gran parte dei concetti appartiene a domini astratti che sono a loro volta profilati in domini matrice complessi, spesso anche astratti, che presuppongono in ultima istanza una lunga serie di domini, che chiamerò struttura del dominio. I domini che fungono da base immediata del concetto saranno chiamati domini primari. Tutte le strutture semantiche cognitive discusse sopra - defini­ zioni enciclopediche, conoscenze centrali vs. periferiche, profilo e base, domini concreti e astratti - sono necessarie per la definizione di un significato singolo di una parola (Langacker, r 9 87, p. r 64, n. r 2 ) . Non è stato fornito tuttavia un apparato specifico per descri­ vere significati multipli di una parola. In un capitolo successivo ( r 9 87, cap. r o) , Langacker assume una 'rete schematica' ( cfr. la no­ zione di Lakoff, r 9 8 7 , di categoria radiale) per descrivere usi diffe­ renti di una parola, che combina sia le nozioni classiche che quella di prototipo. Tutti gli usi di una parola sono correlati attraverso vari tipi di estensioni da un significato originale ( 'originale' nel sen­ so ontogenetico); in aggiunta, può emergere e inserirsi nella rete un significato più schematico che sussume molti o tutti gli usi spe­ cifici. La metafora e la metonimia sono due tipi di estensioni del signifi­ cato lessicale; esse rappresentano usi diversi di una determinata paro­ la. Si tratta ora di discutere il ruolo dei domini nello sviluppo di que­ ste estensioni semantiche.

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4·3 Domini, metafora e metonimia

In quanto segue esaminerò i tipi di metafora che sono centrali per la teoria della metafora di Lakoff e Johnson ( 1 998a). Quest'ultima può essere illustrata dal contrasto nelle due frasi seguenti 2 :

(2 ) (3 )

Harry è in cucina. Harry è in uno stato di eu/oria.

Lakoff e Johnson impiegano un modello semantico cognttlvo e ana­ lizzano questo tipo di metafora come una concettualizzazione di un dominio sulla base della struttura di un altro dominio autonomo e indipendente, una sovrapposizione di domini. I due domini, il domi­ nio di partenza e il dominio di arrivo, non formano un dominio ma­ trice per i concetti implicati. In quest'esempio, l'uso di in in (3) a proposito della relazione tra una persona e il suo stato emotivo non significa che chi parla abbia costruito un profilo per lo in metaforico che codifichi simultaneamente una relazione spaziale e una emotiva. In ( 3 ) è profilato solo il dominio emotivo; il dominio emotivo è con­ cettualizzato tuttavia come una struttura identica o simile a quella spaziale dall'uso del predicato in . Se si accetta la teoria della metafora di Lakoff e J ohnson, si deve anche essere più specifici rispetto a quale dominio o a quali domini possano essere coinvolti in una metafora. Dal mio punto di vista, i due domini da confrontare devono essere domini di base, cioè le basi della predicazione profilata. In questo caso , i due domini sono posi­ zione ed emozione, i domini di base dei due usi di in in ( 2 ) e (3 ) . (Inoltre in implica anche l'essere contenuto in qualcosa, sicché nel dominio d'origine è contenuto qualcosa di più che posizione . ) Per avere una descrizione adeguata della metafora, quest'ultima deve essere formulata in modo tale che i due domini di base siano equivalenti. Per esempio, Lakoff e Johnson ( 1 998a, p. 96) descrivono l'esempio seguente come un caso di metafora del tipo L ' OGGETTO ESCE DALLA SOSTANZA.

2. Lakoff e Johnson descrivono come metafore un'ampia classe di fenomeni, al­ cuni dei quali probabilmente sono meglio spiegati per mezzo di altri processi cogniti­ vi. Ad esempio, essi descrivono una metafora Più FORMA È Più CONTEI'\VTO ( r 998a, p. 1 6 2 ) , illustrata dall'intensificazione esemplificata in Corse e corse e corse; ma presumi­ bilmente abbiamo qui un caso di motivazione iconica (Haiman, 1 9 8 3 , 1 98 5 ) .

4 . IL RUOLO DEI DOMI!'\ I SEMAI'\TICI

(4)

Ho ricavato una statua da questo blocco di argilla.

L'espressione metaforica è da. Il suo dominio di base nell'uso metafo­ rico è creazione (cioè il significato di ricavare selezionato nella frase) ; il significato letterale ha il movimento come dominio d i base, sicché la metafora può essere parafrasata come CREAZIONE È MOVIMENTO. Certamente entrambi questi domini astratti, creazione e movimento, hanno domini multipli nelle loro matrici di base; per esempio, il mo­ vimento implica tempo, cambiamento e posizione. Allo stesso modo, bisogna stare attenti a definire la metafora nei termini del dominio di base delle parole in questione. Ciò non è sem­ pre semplice. Si consideri la metafora descritta da Lakoff e J ohnson ( r 998a, p. 70) come L ' AMORE È UN PAZIENTE: (5 )

Questa relazione è malata. Essi hanno un forte e sano matrimo­ nio. Il matrimonio è morto, non lo si può far rinascere. Il loro matrimonio sta migliorando. Ci stiamo rimettendo in piedi. Il loro rapporto è davvero in buona forma. Il loro matrimonio sta tirando gli ultimi. È un rapporto stanco .

Innanzitutto, la metafora è probabilmente meglio descritta come L ' A­ MORE È UNO STATO CORPOREO . Le parole malato, /orte, sano, stanco hanno tutte come loro base uno stato corporeo. I sintagmi rimettersi in piedi, davvero in buona /orma e tirar gli ultimi sono essi stessi me­ tafore il cui dominio d'arrivo è costituito da stati corporei. Tuttavia, le parole morto e rinascere sono profilate chiaramente nel dominio della vita, che è uno dei domini che soggiacciono agli esseri viventi, il che a sua volta soggiace al dominio degli stati corporei. Esse sono parte di un'altra metafora, L 'AMORE È VITA, che può generare espres­ sioni metaforiche che usano parole profilate nel dominio degli esseri viventi: (6)

} Le loro lettere mantennero viva la loro relazione. L egoismo ucci­ se la loro relazione. Il suo sforzo di comprenderla instillò nuova vita nel loro matrimonio.

Certamente, L 'AMORE È UNO STATO CORPOREO e L ' AMORE È VITA sono metafore coerenti l'una con l'altra, dal momento che gli stati corporei presuppongono la nozione di vita. Tuttavia, le metafore non possono essere fuse assieme in qualcosa come 'l'amore è un essere vivente', poiché ci sono molti altri aspetti degli esseri viventi che non sono metafore per l'amore, specificamente quelle associate con il corpo (a t-

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tività corporee come sputare, sudare; o il corpo stesso, per esempio le sue parti ecc. ) . Il ruolo dei domini nella metafora è centrale per l a definizione di questo concetto nel modello di Lakoff e J ohnson. Tuttavia, per essere più precisi rispetto al fenomeno che sto esaminando, userò il termine 'sovrapposizione di domini' (domain mapping) per descrivere la meta­ fora. Il ruolo dei domini nella metonimia, d' altro canto , non è di­ retto, benché esso sia più pervasivo di quanto non sia stato in genere osservato , una volta condotto un esame più accurato della struttura del dominio che soggiace a un concetto. La definizione tradizionale di metonimia è uno slittamento del si­ gnificato di una parola dall'entità denotata a un'entità ' contigua' (Ull­ mann, 1 977 , p. 2 64; Lakoff, Johnson, 1 998a, p. 5 5 ; Taylor [ r 989, p . 1 2 2 ] , 2 003 ) . L e entità sono contigue perché sono associate nell'espe­ rienza (Lakoff, Johnson, 1 99 8 a, p. 6o) . Lakoff e Turner sostengono che la metonimia, a differenza della metafora, «involves only one conceptual domain. A metonymic mapping occurs within a single do­ main, not across domains» (Lakoff, Turner, 1 9 89, p. r o3 ) 3 • Tuttavia, come abbiamo visto sopra, un concetto è profilato rispetto a una struttura di dominio o a una matrice spesso molto complessa, anche se c'è solo un dominio astratto a far da base. In effetti, nella frase successiva, Lakoff e Turner passano a descrivere la metonimia come una sovrapposizione all'interno di uno schema; il termine 'schema' è molto più adeguato per descrivere una struttura di dominio com­ plessa ( cfr. Taylor [ r 989, p. 87] , 2 003 ) . Lakoff ( r 9 87, p. 2 8 8) de­ scrive la sovrapposizione metonimica come localizzata «within a sin­ gle conceptual domain, which is structured by an ICM [idealized co­ gnitive modelJ » 4 • Langacker mostra che gli ICM sono domini astratti (Langacker, 1 9 87, p. r 5 0 , n. 4) . Pertanto, la generalizzazione do­ vrebbe essere riformulata così: «un trasferimento metonimico ha luogo all'interno di un singolo dominio matrice, non tra domini (o domini matrice)». Certamente, il dominio matrice possiede un'unità che è creata dall'esperienza - l'elemento cruciale della posizione di Lakoff. Questa è senza dubbio la differenza critica tra metafora e metani­ mia. La metafora è l'instaurarsi di una corrispondenza (mapping) fra due domini che non sono parte della stessa matrice; se si dice lei si 3 · "Implica solo un dominio concettuale. Una sovrapposizione metonimica ha luogo all'interno di un singolo dominio, non tra domini " . 4· "All ' interno di u n singolo dominio concettuale, che è strutturato d a u n MCI [modello cognitivo idealizzato] " .

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4 . IL RlJOLO DEI DOMII'\I SEMAI'\TICI

sente giù, non c'è nessun dominio di orientamento spaziale nella ma­

trice del concetto metaforico di emozione espresso; LA FELICITA È su implica due diversi concetti con le rispettive strutture di dominio loro soggiacenti. Nella metonimia, d'altro canto, la corrispondenza ha luo­ go solo all'interno di un dominio matrice. Tuttavia, è possibile per la metonimia, così come per altre ambiguità lessicali, aver luogo tra do­ mini all'interno di un dominio matrice. In questo modo, i domini giocano un ruolo senza dubbio significativo nell'interpretazione della metonimia. Illustrerò ora alcuni esempi di questo ruolo. Si considerino i tipici esempi di metonimia che seguono: (7) ( 8) (9) ( r o)

Proust trascorse la maggior parte della sua vita a letto. Proust è pesante da leggere. Il ((Time" è piuttosto scialbo. Il ((Time" ha assunto il controllo del ((Sunset", e da allora è andato peggiorando.

Le frasi (7) e (9) sono considerate 'letterali', quelle in ( 8 ) e ( r o ) 'me­ tonimiche' . Tuttavia nell'approccio enciclopedico alla semantica, le opere di Proust e l'editore che pubblica il "Time " sono parti dei con­ cetti [PROUST] e [ TIME] rispettivamente. In ogni caso, essi sono meno centrali rispetto al fatto che Proust era una persona e il " Time" è un settimanale, se non altro perché sono abbastanza estrinseci rispetto ai concetti centrali. Il dominio matrice di una caratterizzazione enciclo­ pedica di [PROUST] includerà il dominio dell'attività creativa. Dal mo­ mento che la fama di Proust è legata al fatto che è uno scrittore e l'opera prodotta è un elemento saliente nel dominio dell'attività crea­ tiva, lo slittamento metonimico è abbastanza naturale (e, in effetti, abbastanza produttivo) . Nondimeno, lo slittamento metonimico coin­ volge anche uno slittamento dei domini all'interno del dominio ma­ trice (schema, cornice, canovaccio) di Proust. Un simile argomento si applica anche al "Time " : un dominio secondario per i settimanali è quello del processo di pubblicazione, nel quale l'editore è un 'entità saliente. La metonimia che fa slittare il riferimento dal settimanale al­ l' editore fa anche slittare i domini dal settimanale come oggetto con un certo contenuto semantico al dominio della pubblicazione. Chia­ meremo questo effetto concettuale 'evidenziazione del dominio' (do­ main highlighting, cfr. Cruse, 1 9 86, p. 5 3 ) , poiché la metonimia rende primario un dominio che è secondario nel significato letterale. L'evidenziazione del dominio sembra condizione necessaria ma non sufficiente per la metonimia, che implica anche lo slittamento del riferimento, almeno nelle sue occorrenze più tipiche. Pertanto, la re-

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lazione tra evidenziazione del dominio e metonimia differisce da quella tra sovrapposizione di domini e metafora, poiché la sovrappo­ sizione di domini sembra essere definitoria per la metafora. Mentre l' evidenziazione del dominio sembra una conseguenza di molti, se non di tutti gli esempi di metonimia, essa ricorre anche in altri tipi di ambiguità lessicale che non sono stati sempre considerati metonimie. Si considerino le frasi seguenti:

(I I) (I2)

Questo libro è pesante. Questo libro è una storia dell'Iraq.

Il concetto di [LIBRO] è profilato in ( almeno) due domini primari, il dominio degli oggetti fisici e quello del contenuto semantico. In ( I I ) , il dominio degli oggetti fisici di libro è messo in evidenza in virtù dei requisiti del predicato pesante. In ( I 2 ) , d' altro lato, il dominio del contenuto semantico è messo in evidenza, di nuovo grazie ai requisiti del predicato essere una storia dell'Iraq. (C'è un 'altra lettura di ( I I ) che si riferisce al contenuto semantico che discuterò in seguito. ) Non è chiaro s e ci siano d i fatto due entità diverse cui s i fa riferi­ mento in ( I I ) e ( I 2 ) . Da un punto di vista concettuale, tuttavia, il concetto simbolizzato da questo libro è diverso in ( I I ) e ( I 2 ) . N on è un esempio di metonimia nel senso usuale del termine, poiché gli ele­ menti profilati in entrambi i domini sono fortemente intrinseci; non si fa nessun riferimento a entità esterne. Per entrambe queste ragioni, la parola libro non è sempre trattata come metonimica in queste frasi. Un altro esempio citato spesso illustra la distinzione dei domini di spazio e materia fisica nella caratterizzazione degli oggetti fisici (cfr. , per esempio, Cruse, I 9 86, p. 65 ; Taylor [ I 989, p. I 24] , 2 003 ) :

(I3) ( I 4)

Ho rotto la finestra. Carla entrò dentro attraverso la finestra del bagno.

I due usi di finestra sono in genere analizzati come un'ambiguità; nel­ l' approccio enciclopedico alla semantica, essi evidenziano rispettiva­ mente il dominio degli oggetti fisici e quello figurativo o topologico del concetto [FINESTRA] . L'interpretazione di [FINESTRA] come un'a­ pertura nel dominio figurativo è in qualche modo estrinseca perché fa riferimento a ciò che c'è attorno ad essa - si contrasti l'uso di finestra per descrivere un oggetto fisico in una sala d'esposizione di articoli di ferramenta - benché essa appaia meno estrinseca al concetto [FINE­ STRA] rispetto a quanto editore ed opere non siano negli esempi ( 8) e ( I o) visti sopra. L'esistenza di esempi come finestra in ( I 3 ) e ( I 4) 88

4 . IL RlJOLO DEI DOMI!'\ I SEMAI'\TICI

suggerisce la presenza di un continuum tra i casi chiari di metonimia e l' evidenziazione di aspetti fortemente intrinseci di un concetto come in ( I I ) e ( I 2 ) . L'esistenza di questo continuum suggerisce l'idea che l'evidenziazione del dominio giochi un ruolo nelle ambiguità les­ sicali diverse dalla metonimia (assumendo che non si voglia estendere il termine 'metonimia' all'esempio del libro e della finestra) . L'evidenziazione del dominio all'interno del dominio matrice di una parola non è necessariamente coinvolta in tutti i casi di metani­ mia. In alcuni casi, lo slittamento della prominenza dei domini nella matrice è molto sottile, e sensibile alla semantica delle parole associa­ te. Si considerino ad esempio i casi seguenti di sineddoche, un feno­ meno in genere sussunto sotto la metonimia (Ullmann, I 97 7 , p. 2 64; Lakoff, Johnson, I 998a, p. 5 6 ) : (I5) ( I 6) ( I 7)

Abbiamo bisogno di due braccia robuste per la nostra squadra. Ci sono molti buoni cervelli all'università. Abbiamo bisogno di /acce nuove qui intorno.

Dal momento che una parte ha in genere il suo intero come suo do­ minio di base, non sembra esserci nessuna selezione di domini in questi esempi. Ma in effetti in una caratterizzazione enciclopedica di braccio, cervello e /accia il dominio matrice di ogni singola parte è di­ verso, poiché ogni parte del corpo è associata con qualità e compor­ tamenti umani diversi. La selezione di braccia in ( I 5 ) è sancita dalla necessità di evidenziare il dominio dell'abilità/forza fisica che saggia­ ce al dominio degli esseri umani; cervelli in ( I 6) dalla necessità di evi­ denziare il dominio dell'intelligenza umana; mentre /acce in ( I 7 ) è una sineddoche diffusa a livello interlinguistico per la nozione di per­ sona, l'assenza o la presenza delle quali è l'argomento di ( I ? ) ( cfr. Lakoff, Johnson, I 998a, p. 5 7 ) . La sineddoche è in effetti l'evidenzia­ zione precisamente del dominio che è rilevante per la predicazione. Si confrontino ( I 5 ) - ( I 7 ) con ( I 8)-(2o), in cui la scelta delle parti per il tutto è diversa: (I 8 ) ( I 9) (20)

? ?Abbiamo bisogno di due /acce robuste per la nostra squadra. ? ? Ci sono molte buone braccia all'università. ? ?Abbiamo bisogno di cervelli nuovi qui intorno.

Benché queste frasi siano in qualche contesto interpretabili, esse non hanno lo stesso significato delle precedenti. L'analisi della metonimia in una teoria enciclopedica del significa­ to , indipendentemente dal fatto che un dominio secondario possa es-

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sere messo in evidenza nel processo, getta una luce diversa su un problema nella rappresentazione semantica sollevato da Nunberg ( 1 97 9 ) . Quest'ultimo presenta un'analisi della metonimia in una pro­ spettiva non enciclopedica della semantica. Nunberg sostiene che ci dovrebbe essere una denotazione 'basica' di un termine polisemico, ad esempio per Proust, ((Time" e finestra. Gli usi metonimici devono essere derivati da un insieme di funzioni pragmatiche che fanno slit­ tare il significato al riferimento appropriato. Nell'approccio enciclopedico non c'è un significato 'basico' ; tutti i significati metonimici sono presenti nella rappresentazione semantica enciclopedica. 4·4 Differenze fra sovrapposizione di domini ed evidenziazione del dominio

Nel paragrafo precedente è stata adottata l' analisi della metafora di Lakoff e Johnson nei termini di una sovrapposizione di domini, e si è mostrato che i domini di partenza e di arrivo sono i domini di base dei concetti 'letterali' e 'figurati' simbolizzati dalla parola. Si è anche mostrato che una parte essenziale della metonimia è l' evidenziazione di un aspetto del profilo di un concetto in un dominio collocato al­ l'interno dell'intero dominio matrice o della struttura del dominio che soggiace al concetto profilato. Queste analisi implicano che un aspetto centrale del linguaggio figurato è la manipolazione di domini esperienziali nella comprensione e nella comunicazione. Nel caso del­ la metonimia questa manipolazione gioca un ruolo significativo, ma la metonimia non può essere ridotta all'evidenziazione del dominio, poi­ ché quest 'ultima ricorre in altri tipi di ambiguità lessicale per i quali il termine 'metonimia' potrebbe non essere appropriato. D'ora in poi userò i termini 'sovrapposizione di domini' ed 'evidenziazione di do­ minio' per descrivere i fenomeni semantici sotto esame in quest'arti­ colo. 4·4· r .

Concetti relazionali, dipendenti e autonomi

Uno dei criteri per stabilire la centralità di una conoscenza rispetto a un determinato concetto è la sua intrinsecità: la misura in cui essa si riferisce (o piuttosto non si riferisce) a entità esterne a quel concetto. Alcuni concetti, tuttavia, implicano inerentemente entità esterne; que­ sti si chiamano concetti re/azionali. Le entità esterne 'incluse ' dai con­ cetti relazionali corrispondono grosso modo agli argomenti di un pre-

4 . IL RlJOLO DEI DOMII'\I SEMAI'\TICI

dicato in semantica formale; un esempio adeguato è [MANGIARE] , che fa inerentemente riferimento a uno che mangia, a una cosa mangiata, e in misura minore allo strumento usato da chi mangia per mangiare. Un concetto relazionale contiene solo una rappresentazione schemati­ ca delle entità estrinseche associate ad esso, nel nostro esempio chi mangia, la cosa mangiata ecc. Le cose (un termine tecnico in Gram­ matica Cognitiva) sono però concetti non relazionali (Langacker, r 9 87, pp . 2 r4-7 ) . I concetti relazionali sono suddivisi in relazioni atemporali e processi, che corrispondono grosso modo a quei concetti relazionali che sono costruiti come statici ( cioè atemporalmente) e a quelli che sono costruiti come sviluppantisi nel tempo. Le cose sono le strutture semantiche simbolizzate in genere dai nomi, mentre le re­ lazioni sono simbolizzate da verbi, aggettivi, avverbi e preposizioni. La composizione sintattica/semantica, cioè la composizione sim­ bolica nella Grammatica Cognitiva, implica due aspetti: quale sia il tipo semantico dell'espressione complessa risultante e come siano combinate le espressioni che la compongono. Il sintagma il libro spes­ so e la frase il libro è spesso simbolizzano due diversi tipi semantici: il sintagma simbolizza una cosa, mentre la frase simbolizza 'uno stato di cose' (nei termini della Grammatica Cognitiva, un processo imperfetti­ vo) . Le due costruzioni differiscono (fra l'altro) nel determinato re del profilo, dell'elemento cioè che determina il tipo semantico dell'intero costrutto (in altre parole la testa del costrutto: si veda la definizione di 'testa' in termini di profilo data in PAR. r .2 .5 ) . Nel sintagma, libro è il determinatore, perché è una cosa (si ignora qui il contributo se­ mantice dell'articolo) . Nella frase, libro non è il determinatore; se si ignora il contributo di essere, si potrebbe dire che il determinatore è (essere) spesso. Come si può evincere dal diverso status di libro e spesso nel sintagma e nella frase, la determinazione del profilo è fun­ zione della costruzione di cui le parole fanno parte. Ciò lascia aperto il problema di come le parole siano combinate semanticamente. La relazionalità sembra essere il presupposto per la componibilità semantica in Grammatica Cognitiva, ma ciò non è pre­ cisamente corretto . Nel caso canonico di un verbo da cui dipende un soggetto (ed eventualmente un oggetto) come in Mara canta, questo sembra apparentemente vero: il soggetto è non relazionale e il predi­ cato è relazionale; il referente del soggetto 'occupa il posto' di colui che canta nella struttura semantica relazionale di cantare. Ma come analizziamo Mara canta splendidamente? In questo caso splendidamen­ te è una struttura relazionale con un 'posto' per un processo, e canta 'occupa quel posto ' . Il fatto che canta sia inerentemente relazionale, è irrilevante per la combinazione di canta e splendidamente. Perciò, nel-

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la stessa identica frase canta è allo stesso tempo un'entità che intro­ duce posti da occupare, e a sua volta occupa il posto vuoto intro­ dotto da un'altra entità. In una delle sue analisi più illuminanti del rapporto tra sintassi e semantica, Langacker mostra come non sia la relazionalità a governa­ re le combinazioni simboliche, quanto piuttosto un fenomeno indi­ pendente definito autonomia e dipendenza. Nella gran parte delle combinazioni grammaticali, una predicazione può essere identificata come autonoma e l'altra come dipendente facendo uso della defini­ zione seguente: «One structure, D, is dependent on the other, A, to the extent that A constitutes an elaboration of a salient substructure within D» (Langacker, r 987, p. 300) 5 • Cerchiamo di esaminare il nostro esempio Mara canta splendida­ mente con l'aiuto di questa definizione. Mara (cioè la struttura se­ mantica simbolizzata da Mara) in effetti elabora una sotto-struttura saliente di canta, cioè lo schema di chi canta nella sua rappresentazio­ ne semantica che lo rende una predicazione relazionale (un concetto) . Dopo aver confrontato Mara con canta, dobbiamo ora fare l'opposto e confrontare canta con Mara: canta elabora una sotto-struttura sa­ liente di Mara? La risposta è no , ma non è una risposta categorica; dopo tutto, la rappresentazione semantica di Mara è enciclopedica, e parte delle conoscenze enciclopediche intorno a Mara è anche che chi parla sa che Mara canta. Ma quest'ultima è una sotto-struttura molto poco saliente di Mara. Perciò possiamo dire che canta è una predicazione dipendente e Mara è autonoma. Confrontiamo ora canta con splendidamente. Canta elabora una sotto-struttura saliente di splendidamente, cioè lo schema del processo che lo rende una predicazione relazionale . Ma splendidamente non elabora una sotto-struttura saliente di canta, benché canta sia relazio­ nale . Al massimo si può dire che canta non abbia una sotto-struttura molto saliente che rappresenti il modo in cui viene eseguito il pro­ cesso, ed è questo che viene elaborato da splendidamente; ma questa sotto-struttura non è concretamente allo stesso livello di salienza nella rappresentazione semantica della sotto-struttura di splendidamente che è a sua volta elaborata da canta. Perciò in conclusione splendida­ mente è la predicazione dipendente e canta è autonoma. Autonomia e dipendenza sono nozioni relative, e ciò è esattamente quanto ci oc­ corre per descrivere quest' aspetto della composizione semantica.

5· " Una struttura D è dipendente da una struttura A nella misura in cui A co­ stituisce un ' elaborazione di una sotto-struttura saliente di D " .

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4 . IL RlJOLO DEI DOMI!'\ I SEMAI'\TICI

4.4.2 . Dipendenza e autonomia nei processi metaforici e metonimici Siamo ora in grado di caratterizzare le condizioni nelle quali hanno luogo la sovrapposizione di domini e l' evidenziazione del dominio: la sovrapposizione di domini ha luogo con predicazioni dipendenti, e l'evidenziazione del dominio con predicazioni autonome. Come di­ mostra la precedente discussione di canta splendidamente, 'dipenden­ te' non corrisponde necessariamente a 'relazionale' (verbi, aggettivi ecc. ) , e ' autonomo' non corrisponde necessariamente a 'non relazio­ nale ' (nomi) . Perciò non sussiste alcuna connessione tra la metafora (o sovrapposizione di domini) e le predicazioni relazionali, o tra la metonimia (o l' evidenziazione del dominio) e le predicazioni non re­ lazionali. Si considerino gli esempi che seguono (Lakoff, J ohnson, 1 998a, p. 5 2 ) :

(2 I )

È in crisi. Siamo fuori dai guai ora. Sta uscendo dal coma. Sto lentamente tornando in /orma. È entrato in uno stato di eu/oria. È caduto in una depressione.

In (2 I ) , le espressioni metaforiche sono dipendenti dal soggetto e dal­ l' oggetto; perciò sono quelle soggette alla sovrapposizione di domini. Ma in particolare sono le espressioni autonome di cui sono dipenden­ ti ad indurre la sovrapposizione di domini: crisi, guai, coma, /orma, eu/oria e depressione sono tutti profilati come stati (fisici o emotivi) di un essere umano, e queste espressioni richiedono l'interpretazione metaforica delle preposizioni e dei verbi direzionali basati sullo sche­ ma del contenitore. Consideriamo ora gli esempi seguenti (Lakoff, Johnson, I 998a, p. 5 5 ) :

(22) (2 3 ) (24) (2 5 ) (26) ( 27)

A lui piacere leggere il Marchese d e Sade. Carlo lavora nel cinema. L'acrilico è subentrato nel mondo nell)arte. Il "Times " non è ancora arrivato alla conferenza stampa. Mrs. Gundy disapprova i blue jeans. Dei tergicristalli nuovi lo faranno contento.

In (22)-(2 7 ) le espressioni che manifestano l'evidenziazione del domi­ nio sono tutte autonome rispetto ai verbi che sono loro dipendenti. E, di converso, l'evidenziazione del dominio è indotta dalle espressio­ ni dipendenti rispetto alle quali le espressioni in corsivo sono autono93

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me. Per esempio, in ( 2 2 ) leggere richiede che l'oggetto sia inteso come testo ; in ( 2 5 ) arrivare richiede che il soggetto sia interpretato come una persona e in ( 2 7), far contento richiede che il soggetto sia un evento compiuto. Tutti questi esempi illustrano il principio che verrà discusso in PAR. 4.5 : nella combinazione grammaticale di una predicazione autonoma e di una dipendente, quest'ultima può indur­ re l' evidenziazione del dominio in quella autonoma, e la predicazione autonoma può indurre la sovrapposizione di domini in quella dipen­ dente. 4·5 L'unità del dominio: una revisione

Nella sezione precedente, ho mostrato come la sovrapposizione di domini possa ricorrere con una predicazione dipendente quando la induca la predicazione autonoma da cui essa dipende; e come l'evi­ denziazione del dominio possa ricorrere con una predicazione auto­ noma quando la induca la predicazione dipendente. Il motivo di ciò è che la combinazione grammaticale di una predicazione dipendente e della predicazione autonoma da cui dipende deve essere interpreta­ ta all'interno di un singolo dominio (o dominio matrice) . Si consideri­ no di nuovo gli esempi di metafora e metonimia seguenti:

(3 ) ( 8)

Harry è in uno stato di eu/oria. Proust è pesante da leggere.

In (3 ) , la predicazione relazionale (essere) in è interpretata metafori­ camente nel dominio d'arrivo delle emozioni. Ciò rende la frase se­ manticamente coerente poiché il soggetto di essere e il complemento di in sono nello stesso dominio delle emozioni. In ( 8), Proust è inter­ pretato metonimicamente poiché il predicato complesso esser pesante da leggere richiede un'entità nel dominio del contenuto concettuale e l'interpretazione metonimica fornisce esattamente un'entità in quel dominio. In entrambi i casi, e in generale in tutti i casi analoghi, si ha il tentativo di far collimare il dominio della predicazione dipendente e della predicazione autonoma che lo elabora. Frasi come ( 3 ) e (8) in cui i domini nelle interpretazioni 'letterali' degli elementi che le compongono non collimano non vengono rifiu­ tate come incoerenti semanticamente. Al contrario, chi ascolta tenta di interpretare uno o più elementi in modo figurato, usando la meta­ fora o la metonimia (o altri processi cognitivi non discussi qui) . In

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4 . IL RlJOLO DEI DOMI!'\ I SEMAI'\TICI

altre parole, da parte di chi ascolta c'è l'assunto implicito che le frasi sono coerenti semanticamente. Chiamo questi assunti impliciti le 'uni­ tà concettuali' . L'unità concettuale discussa in questo capitolo è l'uni­ tà del dominio. Questa spiegazione lascia tuttavia aperte due questioni: la portata dell'unità semantica che richiede l'unità concettuale, e la fonte dell'u­ nità concettuale richiesta. In quanto segue cercheremo di dare ad en­ trambe una risposta.

4.5 . r . Portata dell'unità semantica Dovrebbe essere chiaro sulla base della nostra descrizione degli acco­ modamenti concettuali richiesti dai domini che la portata dell'unità del dominio è data da nient'altro che dalla predicazione dipendente e dalle predicazioni autonome da cui essa dipende. Ciò significa che se una parola entra in una relazione grammaticale con più di una parola - per esempio canta in confronto a Mara e canta in confronto a splen­ didamente - è possibile che venga interpretata in domini diversi per ognuna delle relazioni grammaticali stabilite. Un esempio di ciò è dato da un altro problema individuato da Nunberg ( 1 979) rispetto a quest' analisi dei significati basici e traslati di nomi che consentono metonimia. In alcuni esempi il significato ba­ sico e traslato devono essere simultaneamente attribuiti alla stessa oc­ correnza di una parola (si vedano anche a questo proposito gli esem­ pi in PAR. 1 .4 . 2 ) :

(28)

Ctedmon, che fu il primo poeta anglosassone, occupa solo un paio di pagine in questo libro di poesia (Nunberg, 1 979, p. 1 67 ) .

L a singola occorrenza della parola Ctedmon è usata per far riferimen­ to sia alla persona che alla sua opera. Questo problema scompare nella visione enciclopedica della metonimia. Entrambi i domini sono presenti nel dominio matrice del complesso. Della parola Ctedmon può essere evidenziata più di una parte del dominio matrice simulta­ neamente. Tuttavia gli elementi che inducono la diversa lettura si tro­ vano in relazioni grammaticali diverse: Ctedmon sta da un lato in rela­ zione con la frase relativa non restrittiva che fu il primo poeta anglo­ sassone, e dall'altro con la frase principale occupa solo un paio di pagi­ ne in questo libro di poesia. Ctedmon è in entrambi i casi la predica­ zione autonoma, ma rispetto a diverse predicazioni dipendenti.

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INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA 4 · 5 .2 .

La fonte dell'unità concettuale

Per quanto riguarda la seconda questione, se si può o meno predire quale sarà il dominio della combinazione di una predicazione dipen­ dente e della predicazione autonoma da cui dipende, la risposta è che questo non è decidibile, perché - e la cosa non sorprende - nella determinazione semantica del dominio in cui viene interpretato un enunciato possono entrare delle conoscenze contestuali implicite. Sia il dominio della predicazione autonoma che quello della di­ pendente possono essere modificati, per mezzo di sovrapposizione di domini o di evidenziazione del dominio. Nei casi più semplici, come quelli in ( 3 ) e ( 8 ) , la predicazione autonoma e quella dipendente sono interpretate ' alla lettera' - cioè secondo l'entità più intrinseca profila­ ta nel dominio primario del concetto - e il dominio dell'altro ele­ mento della frase viene modificato. Come dimostrano ( 3 ) e (8), non c'è a priori una direzionalità che richieda che la predicazione autono­ ma o quella dipendente siano interpretate letteralmente. In effetti, en­ trambe possono essere interpretate in modo figurato, come in ( I ) , ri­ petuta qui di sotto, o (2 9 ) :

(I)

La Danimarca h a affondato il trattato di Maastricht. (29) Le vendite hanno raggiunto € J. o o o l'anno scorso.

In ( I ) , il dominio della forza politica è evidenziato nel sintagma no­ minale soggetto, e c'è una sovrapposizione di domini nel verbo tra il dominio militare e quello dell'azione politica. In ( 2 9 ) , è evidenziato nel sintagma nominale soggetto il dominio del valore (prezzo) piutto­ sto che quello dell'oggetto, servizio ecc., mentre c'è una sovrapposi­ zione di domini nel verbo tra quello del movimento e quello della crescita in quantità, specificamente quantità di denaro. Si potrebbero identificare i sintagmi nominali trattato di Maa­ stricht e € J. o o o rispettivamente in ( I ) e ( 2 9 ) come la fonte delle interpretazioni figurate del soggetto e del verbo, dal momento che essi si riferiscono in modo letterale rispettivamente ai domini dell'atti­ vità politica e del valore pecuniario. Tuttavia non è sempre possibile attribuire le interpretazioni figurate delle parti di una costruzione a un elemento della frase interpretato in modo 'letterale' . In alcuni esempi, solo le proprietà contestuali sono in grado di fornire la 'fon­ te' delle interpretazioni figurate. Si consideri di nuovo l'esempio se­ guente:

(I I)

Questo libro è pesante.

4 . IL RlJOLO DEI DOMII'\I SEMAI'\TICI

Il profilo del concetto simbolizzato dalla parola libro occupa due do­ mini, quello degli oggetti fisici e quello del contenuto concettuale. Tuttavia, il predicato pesante può essere interpretato in modo 'lettera­ le' nel dominio degli oggetti fisici, oppure traslato metaforicamente nel dominio del significato concettuale. Perciò si hanno interpretazio­ ni sia del soggetto che del predicato all'interno sia del dominio degli oggetti fisici che di quello del contenuto concettuale, e infatti questa frase è ambigua fuori da un contesto proprio per questa ragione. Questi esempi dimostrano che la corretta interpretazione letterale o figurata degli elementi delle frasi non è decidibile in base agli ele­ menti stessi della frase. Il dominio in cui viene interpretata una predi­ cazione può essere determinato dal contesto. Ciò è possibile perché la relazione di autonomia-dipendenza è una relazione tra strutture se­ mantiche, che non hanno bisogno di essere esplicitate in un enuncia­ to . Una struttura semantica simbolizzata da una parola in una frase può contrarre una relazione di autonomia-dipendenza con una strut­ tura semantica non esplicitata nel contesto . In effetti, è sempre possibile un'interpretazione in qualche domi­ nio, a meno di incompatibilità semantiche (e limiti convenzionali im­ posti alle interpretazioni figurate di parole o frasi particolari) . Il che non è sorprendente, considerando che è questo ciò che in genere av­ viene nell'interpretazione semantica. 4· 6 Conclusioni

In questo capitolo ho mostrato che particolari costruzioni grammati­ cali, quelle che combinano un elemento grammaticale dipendente con elementi autonomi da cui esso dipende, devono essere interpretate in un singolo dominio (l'unità del dominio) . Ciò costituisce una parte necessaria dell'interpretazione di tali costruzioni, che comprendono quasi tutte le costruzioni grammaticali comuni, per esempio predica­ to-argomento, testa-modificatore, nome-genitivo , verbo-awerbio. Per realizzare la coerenza semantica specificata dall'unità del dominio, ci devono essere spesso degli aggiustamenti dei domini delle singole pa­ role nella costruzione. L'aggiustamento del dominio è anche un fatto­ re fondamentale, se non il fattore fondamentale, in una porzione si­ gnificativa di ciò che va in genere sotto il nome di metafora e metoni­ mia. Per focalizzare quest'aspetto dell'interpretazione delle parole, ho caratterizzato in maniera più precisa i fenomeni semantici concettuali che ho descritto rispettivamente come sovrapposizione di domini ed evidenziazione del dominio. Nel caso della metonimia, è particolar-

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INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

mente appropriato scegliere un termine diverso per descrivere l' ag­ giustamento di dominio implicato. L'unità concettuale del dominio è la prima di almeno tre unità concettuali. La seconda è l'unità dello spazio mentale, che include lo spazio 'fisico' e il tempo. Uno spazio mentale è un costrutto concet­ tuale usato per descrivere lo statuto antologico delle entità e delle situazioni - ad esempio, una credenza, un desiderio, un'ipotesi con­ trofattuale, o anche la realtà di una particolare posizione nel tempo o nello spazio (Fauconnier, I 9 84, e supra, PAR. 1 .4.2 ) . Fauconnier de­ scrive dettagliatamente i tipi di sovrapposizioni concettuali richieste nell'interpretazione delle frasi in cui predicati e argomenti hanno ori­ gine in spazi mentali diversi, cioè la varietà delle relazioni tra le con­ troparti. Si consideri ad esempio ( 3 o ) , che costruisce uno spazio men­ tale di credenze M per la credenza di Margaret: ( 3 o)

Margaret crede che sua sorella abbia comprato una macchina.

In (3o) si assume che Margaret abbia una sorella nella ' realtà' (R; cioè lo spazio mutuamente condiviso) . Il complemento di crede deve essere interpretato nello spazio M di credenze di Margaret; e così il sintagma sua sorella deve designare degli individui in M, che chi ascolta normalmente considera come controparti di Margaret e sua sorella in M. Allo stesso modo , una macchina deve essere interpretata come denotante un individuo in M, indipendentemente dal fatto che abbia una controparte in M o meno. Il punto cruciale per noi è che tutte le entità nel complemento vengono interpretate in M, e se l'in­ terpretazione 'normale' di un 'espressione linguistica fa riferimento a un 'entità in uno Spazio Mentale diverso da M, per esempio Margaret in ( 3 o) , quest'ultima deve essere interpretata in riferimento alla con­ troparte in M per essere coerente. La terza unità è l'unità di selezione (cfr. l'atto proposizionale mi­ nore di selezione in Croft, I 990) , in cui predicato e argomenti devo­ no collimare in individuazione, quantificazione o numero (la plexity di Talmy, 2 oooa, cap. 3 ) , e genericità (generico vs. specifico, o type vs . token) . Queste costruzioni sono state chiamate 'coercizioni di gra­ nularità' (Hobbs, I 9 85 ; Croft, in prep . ) . La necessità dell'unità di se­ lezione è illustrata negli esempi seguenti: (3 I )

Carla assomiglia ogni anno di più a sua madre

(32)

Un'acqua minerale a l tavolo

[predicato stativo costruito come processo incoativo] [sostanza costruita come un singolo oggetto individuato]

4 . IL RlJOLO DEI DOMI!'\ I SEMAI'\TICI

(3 3 )

I gatti hanno i baffi

(34)

I gatti poltrivano nel patio

[plurale costruito in riferimento a una specie con predicato generico] [plurale costruito in riferimento a un insieme di gatti con pre­ dicato specifico]

Quest'ultima unità è stata oggetto di un considerevole numero di la­ vori in semantica formale, ma non ne è stata ancora presentata una soddisfacente spiegazione unificata (ma si veda Croft, in prep . ) . C 'è ragione di credere che queste tre unità concettuali siano le più importanti nell'imporre coerenza semantica a un enunciato. Lan­ gacker (I 99 I a, p. 3 3) mostra che sia la struttura nominale che quella verbale implicano tre livelli di organizzazione: il livello del tipo di concetto manifestato in un nome o in una radice verbale; il livello dell'istanziazione evidenziata del tipo manifestato in un sintagma no­ minale completo di determinante e in una frase finita di senso com­ piuto; e un livello intermedio di istanziazione del tipo che corrispon­ de all'unità grammaticale in cui ha luogo la quantificazione. L'unità concettuale del dominio si situa al livello del tipo: un tipo di concetto è definito rispetto al suo dominio di base. L'unità dello spazio menta­ le si situa al livello di istanziazione evidenziata di un tipo: mettere in evidenza implica situare l'istanziazione rispetto alle conoscenze di chi parla/ascolta (Langacker, I 9 87, pp . I 2 6-7 ) , che sono modellate dagli spazi mentali ( I 99 I a, p. 97 ) . Infine, l'unità di selezione si situa al li­ vello dell'istanziazione, poiché è a quel livello che hanno luogo l'indi­ viduazione e la quantificazione. Le unità concettuali rappresentano l'esigenza che le predicazioni verbali dipendenti debbano essere se­ manticamente coerenti con le predicazioni nominali autonome da cui dipendono 6. Nel comprendere un enunciato chi ascolta assume le unità del do­ minio, dello spazio mentale e della selezione, e cerca di interpretare la frase in conformità con queste unità impiegando ove necessario la metafora, la metonimia, la granularità, le relazioni di controparte e altri aggiustamenti focali (Langacker, I 9 87 , pp. I I 6- 3 7 ) . Chi ascolta è guidato da una forte convenzione griceana, secondo cui chi parla vuole essere semanticamente coerente, particolarmente ai livelli più

6. La nozione di 'unità concettuale' è molto simile a quella di 'isotopia' (Grei­ mas, 2ooo; Rastier, 1 987). Tuttavia io uso l"unità concettuale' per far riferimento solo ai tre livelli di organizzazione di una frase, mentre l"isotopia' viene usata per un am­ bito molto più ampio di fenomeni di coerenza semantica.

99

INTRODUZIOI'\E ALLA L II'\GlJISTICA COG�ITIVA

bassi della composizione semantica come le costruzioni predicato-ar­ gomenti e testa-modificatore. Per questa ragione chi ascolta in genere cercherà quanto più è possibile di aggiustare il significato delle parti per fornire un'interpretazione coerente dell'insieme. Le unità concet­ tuali del dominio, dello spazio mentale e della selezione sono una parte significativa di ciò che per un enunciato significa essere coe­ rente. Questi aggiustamenti rappresentano il modo in cui l'interpreta­ zione delle parti è influenzata dal significato dell'insieme, come de­ scritto in PAR. 4 . r . Se questi aggiustamenti focali non forniscono in­ terpretazioni sensate, o sono convenzionalmente vietati a causa delle costruzioni sintattiche che vi ricorrono, chi ascolta può considerare la frase incoerente. Una migliore comprensione dei tipi specifici di coe­ renza (le unità) aiuterà molto di più a capire le 'irregolarità' del pro­ cesso di composizione semantica. Nondimeno, il processo non potrà mai essere reso completamente algoritmico . Come abbiamo osservato per l'unità del dominio, gli elementi di un enunciato interagiscono con il contesto, cioè con strutture concettuali già attivate a vari livelli al momento dell'enunciazione. Ciò sarà altrettanto vero per le altre unità. Ma questo fatto non è sorprendente, e infatti dovrebbe essere di conforto per quelli di noi che credono che l'espressività e la flessi­ bilità del linguaggio siano essenzialmente illimitate.

I OO

5

Per una morfologia cognitiva di Livio Gaeta

5·1 Introduzione

Alla morfologia si attribuiscono in genere due funzioni principali: quella di denominazione o lessicale, tipica della formazione delle pa­ role, che permette di arricchire il lessico, e quella sintattica, che inve­ ce ha maggior rilievo per la morfologia flessiva e serve a codificare relazioni sintattiche attraverso forme di parola morfologicamente complesse. Entrambe queste funzioni hanno in comune il modo in cui esse vengono realizzate, cioè per mezzo di relazioni forma-signifi­ cato in grado di motivare le parole, o le forme di parola, sia morfo­ tatticamente che morfosemanticamente. Queste relazioni possono es­ sere più o meno isolate all'interno del lessico. Per esempio, in inglese l'unico motivo per assumere un morfema -ric è la presenza di que­ st 'ultimo nel sostantivo denominale bishopric 'episcopato' (cfr. Bauer, 2 oo r , p. 47 ) . In altri casi invece un procedimento morfologico è mol­ to più produttivo, sia nel senso che ricorre in un numero molto mag­ giore di parole, sia nel senso più specifico che può essere utilizzato per creare delle neoformazioni. La condizione, sulla quale le posizioni degli studiosi convergono ampiamente, perché un morfema, o meglio un procedimento di formazione delle parole, possa essere utilizzato in maniera produttiva è la trasparenza semantica. In altre parole, la neo­ formazione deve essere dotata di una semantica trasparente che di­ scende dalla somma composizionale del significato degli elementi che la costituiscono. Anche dal punto di vista della LC, per la quale la grammatica è fondamentalmente connessa con la concettualizzazione, questa condizione è essenziale: sono i comportamenti produttivi a es­ sere connessi con rappresentazioni semantiche coerenti. Pertanto, la morfologia deve mediare tra la rappresentazione, possibilmente astratta, schematica, e la sua realizzazione in termini linguistici. Tutta­ via, come osserva Langacker ( r 999b, p. 94) , le strutture complesse

IOI

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

devono essere considerate delle unità di per se stesse, non strettamen­ te riducibili ai loro componenti. Per questo motivo, si preferisce par­ lare in LC di composizionalità 'parziale' . In quanto segue si cercherà di mettere a frutto gli strumenti della LC per elaborare un modello di analisi del significato morfologico che abbia le seguenti caratteristi­ che: - i morfemi sono associati con rappresentazioni schematiche che sono il risultato di metafore concettuali fortemente radicare (entren­ ched) - metafore, cioè, che mettono in connessione uno stato di cose e la sua concettualizzazione linguistica; - negli schemi viene profilato l'aspetto rappresentazionale piuttosto che quello derivazionale di un procedimento morfologico; dal punto di vista derivazionale, le rappresentazioni schematiche devono essere connesse con comportamenti produttivi che il parlante è in grado di estendere; - la produttività si approssima alla regolarità in quanto rispecchia la relazione di biunivocità tra forma e significato 1 • Mentre si entrerà più nel dettaglio per quanto riguarda i primi due punti di questa agenda, gli ultimi resteranno piuttosto sullo sfon­ do. Per questi si rimanda a Gaeta ( 2 002 , soprattutto capp . 2 - 3 ) . Og­ getto di studio di questo capitolo è costituito dai nomi d'azione, cioè i sostantivi deverbali. I nomi d' azione sono particolarmente interes­ santi per lo sviluppo di una morfologia cognitiva, in quanto mettono in gioco le proprietà essenziali di verbi e nomi, le due classi gramma­ ticali maggiori. Studiare la loro semantica significa anche valutare la bontà del modello di rappresentazione. 5 ·2 Una cornice rappresentazionale per i procedimenti morfologici

La morfologia opera su rappresentazioni semantiche lessicali per co­ struire nuove rappresentazioni che risultano dalla manipolazione del significato lessicale di partenza per mezzo di schemi concettuali. Per esempio i nomi d'azione possono essere considerati la 'reificazione' di un predicato, nel senso che un predicato viene concettualizzato come un oggetto dotato di qualità fisiche che gli consentono di condividere proprietà tipiche dei nomi, come per esempio la pluralizzabilità e la modificazione (Talmy, 1 9 88, p. 1 75 ) :

1 . Per l a difesa del concetto di regolarità rispetto a modelli analogici che pre­ scindono da schemi concettuali astratti, si veda Langacker ( 1 999b, pp. 142-5 ) .

! 02

5 . PER UI'\A MORFOLOGIA COGNITIVA

By the semantic effect of this operation, the referent becomes conceptualized as an object or mass, one that can participate in many of the same activities (such as being given or gotten) as a physical quantity, as well as in many of the corresponding syntactic constructions (including pluralization and modi­ fication) 2•

In termini di Schemi di Immagini, Langacker ( 1 99 1 b , p. 99) propone la seguente rappresentazione:

operare

operazione

Rispetto al verbo, che viene concettualizzato come una regione astrat­ ta comprendente degli stadi che si susseguono in modo sequenziale (sequential scanning) e in cui è profilato un Trajector rispetto a un Landmark, la nominalizzazione permette di concettualizzare il predi­ ca to come delimitato (bounded) : la regione concettuale viene messa in primo piano, in quanto il predicato viene percepito in modo olistico come un tutto, che contiene tuttavia al proprio interno i singoli ele­ menti della struttura concettuale ereditata dal derivato. Ciò è in sin­ tonia con la definizione basica dei nomi come ' regioni profilate in qualche dominio' , laddove una regione è definita come un insieme di entità interconnesse (cfr. Langacker, 1 99 1 a , p. 1 5 ) , mentre i verbi, così come categorie relazionali quali aggettivi, avverbi e preposizioni, 'profilano le interconnessioni' (Langacker, 1 99 1 a, p. 1 9 ) . Si noti che non sussiste una distinzione qualitativa tra nomi e verbi: nella concet­ tualizzazione di entrambe le categorie giocano un ruolo essenziale le interconnessioni. Ciò che distingue nomi e verbi è la profilazione: nel caso dei verbi la profilazione mette in primo piano l'insieme delle re­ lazioni di interconnessione, mentre nel caso dei nomi è profilata la regione concettuale formata dalle entità interconnesse. Da questo punto di vista, l'asse temporale indicato con una freccia orientata in ( I ) , rilevante nella concettualizzazione del verbo in quanto ne identi2. "Per l'effetto semantico di questa operazione, il referente viene a essere con­ cettualizzato come un oggetto o una massa, che è in grado di prendere parte a molte delle stesse attività di una quantità fisica (come l'essere dato o ricevuto) , così come a molte delle corrispondenti costruzioni sintattiche (inclusa la pluralizzabilità o la mo­ dificazione) " .

1 03

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

fica la dimensione di scansione sequenziale, viene messo in secondo piano nella nominalizzazione, a esprimere il fatto che, pur non an­ dando perduta, la scansione sequenziale cede il passo alla percezione olistica dell'evento. In questo senso, i nomi sono atemporali e impie­ gano la scansione sommaria (summary scanning, cfr. Langacker, 1 99 1b, p. 7 8 ) , in cui i vari aspetti di una situazione sono considerati in maniera 'cumulativa' . Ingredienti d i questa rappresentazione concettuale e dell' operazio­ ne morfologica a essa connessa sono dunque: - lo Schema di Immagini che rappresenta il predicato; - nello Schema di Immagini il predicato è rappresentato come una regione astratta, in cui vengono concettualizzate le proprietà essenzia­ li contenute nell'evento; - nello Schema di Immagini di base è presente la dimensione tem­ porale esemplificata per mezzo dell'asse temporale. L'operazione morfologica in questione, la nominalizzazione del predicato, agisce su questi tre elementi nel senso che: - lo Schema di Immagini che rappresenta il predicato viene fondai­ mente preservata nella reificazione; - il dominio viene profilato, nel senso che l'operazione di reificazio­ ne crea un sostantivo che permette di far riferimento al predicato come un tutto (di cui per esempio è possibile creare un plurale) ; - l'asse temporale viene messo in secondo piano (per cui tratti tem­ porali sono assenti nel sostantivo deverbale) . L'operazione connessa con l a nominalizzazione del predicato può agire su ognuno di questi tre aspetti, e in seguito vedremo come. Pri­ ma però è necessario illustrare più nel dettaglio le proprietà semanti­ che dei predicati, in maniera tale da individuare degli Schemi di lm­ magini che possano costituire il punto di partenza per le manipola­ zioni connesse con l'operazione di reificazione dei predicati. Langacker propone l'impiego di una serie di metafore spaziali che rispecchino le differenze tra le cosiddette classi azionali in cui sono in genere classificati i predicati. Benché la classificazione e la terminolo­ gia adottate da Langacker ( 1 99 1 a, pp. 59 ss . ; 1 9 9 1 b, pp. 85 -9 1 ) siano criticabili, poiché le classi azionali sono divise in predicati imperfetti­ vi, cioè i verbi stativi, e predicati perfettivi, in cui vengono sussunti tutti gli altri (per critiche su questo aspetto, cfr. Bertinetto, 1 9 94, pp. 3 9 8 ss. ) , in quanto segue verranno tuttavia sfruttate le possibilità of­ ferte dalla Grammatica Cognitiva, ricollocate nel quadro classificato­ rio e terminologico adottato da Bertinetto ( 1 99 1 , pp. 2 6 -4 1 ) . Quest'ultimo fondamentalmente distingue tra proprietà semanti­ che lessicali, che fanno riferimento alla semantica dell'evento in

5 . PER UI'\A MORFOLOGIA COGNITIVA

quanto tale, e proprietà semantiche connesse con la prospettiva di frase nella quale l'evento è inserito . Per esempio un predicato come fumare rappresenta un 'attività, con un certo svolgimento dinamico, in genere durativa, e non delimitata, nel senso che non prevede un limi­ te intrinseco (per esempio uno stato risultante da raggiungere) . Tutte queste sono proprietà azionali, che individuano cioè l' azionalità o il tipo di azione (Aktionsart) esemplificata dal predicato. Distinto dal­ l' azionalità, benché connesso con essa, è invece l'aspetto, che fa rife­ rimento alle proprietà di un predicato per come è impiegato in un certo contesto frasale. Per esempio, l'attività di fumare può essere vi­ sta come delimitata nel tempo in una frase come Giovanni ieri ha fu­ mato molto per il nervosismo. Diremo in questo caso che il predicato in questione ha un 'azionalità non telica, che non implica cioè uno stato risultante, ma un aspetto perfettivo, nel senso che l'evento è percepito olisticamente come un tutto delimitato (per maggiori infor­ mazioni sul problema Aspetto vs. Aktionsart, cfr. Bertinetto, Delfitto, 2 ooo) . Dal momento che la morfologia si occupa di parole, per que­ st 'ultima sarà evidentemente la configurazione azionale di un predica­ to ad aver maggior rilievo , mentre la prospettiva aspettuale resterà maggiormente sullo sfondo (per maggiori informazioni cfr. Gaeta, 2 002 , pp. 1 1 4 ss. ) . In termini azionali, i predicati sono in genere classificati in quat­ tro classi azionali maggiori (cfr. Bertinetto, 1 99 1 , pp. 28 ss. ) : predicati stativi, continuativi, risultativi e trasformativi. In genere, l'individuazione dell' azionalità di un verbo è resa possi­ bile dallo studio di alcuni contesti sintattici che fungono da veri e propri test 'rivelatori' dell' azionalità. Bertinetto illustra le qualità azio­ nali dei verbi basandosi sulla combinabilità dei predicati con alcuni avverbiali, per esempio di tempo: (2)

a. b. c. d.

Giorgio è partito in mezz'ora; si è sbrigato più del solito. Gli imbianchini dipinsero l'edificio in un paio di giorni. �':Giacomo dipinse in due ore. �':Andrea dipese in un anno da sua madre.

Come si vede, l'avverbiale 'in X tempo' è un 'rivelatore di telicità': esso mostra la qualità azionale di un predicato di avere un télos in­ trinseco che si esaurisce o arriva a compimento nel tempo stabilito dall'avverbiale. Gli esempi mostrano anche un' altra peculiarità dei predicati: l' azionalità dipende in molti casi dal contesto sintattico in cui compare il predicato. Per esempio, dipingere ha valore risultativo se impiegato come verbo bivalente; è invece un continuativo se usato 1 05

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GVISTICA COG:--I I TIVA

intransitivamente. L'avverbiale 'per X tempo' è un rivelatore di du­ ratività: (3 )

a. b. c. d.

,.( Giorgio è partito per mezz'ora. Gli imbianchini dipinsero l'edificio per un paio di giorni. Giacomo dipinse per due ore. Andrea dipese per un anno da sua madre.

Si noti che in (3b) il predicato risultativo appare in qualche maniera detelicizzato: dalla frase infatti non è ricavabile un'indicazione esplici­ ta a proposito del compimento dell'operazione di verniciatura dell'e­ dificio da parte degli imbianchini. Perciò i test non sono singolarmen­ te affidabili in assoluto: essi disegnano , se presi complessivamente, il comportamento del verbo, mettendone in evidenza il fascio di pro­ prietà dal quale si ricava la sua azionalità. Con l'aiuto di questi e altri test sintattici, cerchiamo di differen­ ziare i predicati in base alle classi azionali di appartenenza. Una pri­ ma differenziazione concerne predicati dinamici e non dinamici. Predicati non dinamici sono gli stativi, che vengono in genere in­ dividuati dall'impossibilità di impiegare la perifrasi progressiva ( cfr. '�'Giovanni sta permanendo a casa) e di ricorrere all'imperativo, che ne mette in evidenza l' assenza di agentività (cfr. �'' Permani a casa.' , cfr. Bertinetto , 1 99 1 , p. 30) . Langacker ( 1 99 1 b, p. 88) concettualizza un verbo stativo come permanere come una linea retta, che ha uno svol­ gimento temporale - una durata, cfr. il test in (3d) sopra -, ma non presuppone dei mutamenti rilevanti:

portata

...

t

permanere

La finestra che rappresenta la 'portata' di riferimento della predica­ zione include l'asse orientato del tempo: la portata individua lo spa­ zio concettualmente rilevante, in cui è profilato un segmento della retta (in teoria infinita), rappresentata in grassetto nello schema. 1 06

5 . PER UI\'A MORFOLOGIA COGNITIVA

A differenza dei predicati stativi, quelli dinamici possono essere concettualizzati in uno Schema di Immagini come onde, che nel caso di predicati continuativi come fumare hanno uno svolgimento nel tem­ po che contempla dei mutamenti (cfr. Croft, in prep . , par. 1 .2 . 3 ) , ma non sono delimitate, cioè non conducono a un cambiamento di stato con il conseguente nuovo stato risultante - vedi sopra il test in (2c) : portata

fumare

Come si vede nella figura, nella portata è profilata una porzione d'on­ da idealmente infinita, che non presenta alcun limite intrinseco . Tra i predicati dinamici i risultativi (come per esempio costruire) combina­ no la proprietà della durata con quella della telicità: sono cioè delimi­ tati da confini esterni e implicano un cambiamento di stato - si veda­ no rispettivamente i test in (2b) e (3b) sopra. Queste due proprietà risultano combinate nella rappresentazione seguente nella misura in cui un segmento d'onda è delimitato da confini ben precisi all'interno del dominio di concettualizzazione rilevante:

(6)

portata

costruire

Infine l'ultima classe azionale, quella dei verbi trasformativi (per esempio cadere) può essere rappresentata come un singolo frammento d'onda delimitato rispetto al dominio temporale rilevante:

! 07

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GVISTICA COG:--I I TIVA

cadere

Rispetto ai predicati risultativi i predicati trasformativi sono infatti non durativi - si veda il test in ( 3 a) sopra -, per cui il diagramma a onda è ridotto alla sua oscillazione semplice con cui si intende concettualizzare un cambiamento immediato di stato. È importante sottolineare infatti come in questi ultimi due casi il risultato porta­ to dall'onda dinamica sia uno stato risultante diverso da quello di partenza. Per questo motivo, Croft (in prep . , par. r .2 . 5 ) adotta una rappresentazione schematica dei risultativi che mette in evidenza il cambiamento di stato - cfr. (8a) -, rispetto invece ai continuativi cfr. ( 8b ) : (8) b.

a.

t.

t.

Alla fine del processo nel caso dei continuativi si ritorna nello stato di partenza, mentre nel caso dei risultativi, così come per i trasforma­ dvi, lo stato risultante è diverso da quello di partenza. Data per inte­ sa questa particolarità che distingue i predicati dinamici telici da quelli non telici, in quanto segue si terranno presenti gli schemi sem­ plificati visti in precedenza. Infine, è necessario aggiungere un cavea!. La breve esemplificazio­ ne dell' azionalità verbale vista sinora mette in secondo piano tra l'al­ tro il fatto che spesso i predicati presentano più di un valore azionale

r o8

5 . PER UI'\A MORFOLOGIA COGNITIVA

a seconda della sottocategorizzazione selezionata. Come si è visto in (2b) , dipingere con doppio argomento ha valore risultativo, mentre con un solo argomento è continuativo - cfr. (2 c) sopra. Allo stesso modo, mentre fumare, monoargomentale, è un predicato continuati­ vo, con quadro argomentale bivalente (ad esempio fumare una siga­ retta) diviene risultativo. Per i nostri scopi, si considererà come rile­ vante il valore 'prototipico' di un predicato (cfr. Brinton, 1 995 ) , per cui si intenderà fumare come un 'attività non delimitata, indipendente­ mente dagli altri usi. 5 ·3 Le nominalizzazioni nella Grammatica Cognitiva

Cerchiamo ora di studiare l'interazione tra semantica dei predicati e procedimenti di nominalizzazione, seguendo le linee d' analisi suggeri­ te da Langacker a proposito della nominalizzazione come reificazione di un predicato . In italiano esistono grosso modo tre tipi principali di nomi d' azio­ ne (per un quadro complessivo delle caratteristiche dei veri tipi deri­ vazionali, cfr. Gaeta, 2003 ) :

(9)

a. i sostantivi deverbali formati per mezzo di suffisso o conversione:

credere affondare costruire stirare lavare nuotare seminare

� � � � � � �

credenza affondamento costruzione stiratura lavaggio nuoto semina

b. la sostantivazione dell'infinito; c. i sostantivi formati sulla base del participio passato femminile:

cadere correre mangiare



caduta corsa mangiata

Una caratteristica delle nominalizzazioni è l'interazione tra proprietà azionali del predicato e tipo di procedimento derivazionale impiega­ to . Per esempio, in italiano esiste una correlazione abbastanza solida tra predicati stativi e il suffisso -za che si ritrova in esistenza, perma-

1 09

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

nenza ecc. La gran parte di nomi d'azione formati con questo suffisso seleziona predicati stativi (cfr. Gaeta, 2 002 , cap. 4 ) . Questa proprietà del suffisso -za si correla anche col fatto che questo suffisso oltre a selezionare come basi predicati stativi seleziona anche aggettivi (de­ cente, elegante ecc . , cfr. Rainer, 1 9 89, pp. 2 o r - r 2 ) . Si noti che anche gli aggettivi possono essere analizzati come predicati stativi ( cfr. La­ koff, 1 979b) . Oltre a giocare un ruolo nelle proprietà di selezione di un suffis­ so , l' azionalità è rilevante anche per le proprietà semantiche del nome d'azione derivato. Per verificare queste ultime si fa in genere uso di una serie di test, nei quali il nome d'azione viene combinato con un predicato 'contenitore' che ne mette in evidenza i tratti azionali come . . . dura già da due ore, . . . portò via due ore, . . . si compì in due anni, . . . è stato completato ( cfr. Bartsch , 1 9 86) . Nel caso del suffisso -za, il nome d' azione preserva le caratteristi­ che fondamentalmente stative del predicato di base, nel senso che per esempio non può ricorrere con predicati contenitore che mettano in evidenza il carattere telico del nome 3 : ( r o)

a. b.

''(La convivenza di Giovanni con Roberta si compì in due anni.

''(La permanenza di Antonio a Roma è stata completata.

Impiegando la rappresentazione vista sopra dei predicati stativi, il ruolo del suffisso può essere illustrato mettendo in evidenza la sago­ ma lineare del predicato reificato:

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

t



permanenza

3· Non c'è qui lo spazio per discutere il valore e la possibile rappresentazione degli argomenti verbali e in particolare della preposizione di. Si veda comunque quan­ to Langacker ( 1 999b, pp. 86-9) assume per il corrispondente inglese of

I lO

5 . PER UI'\A MORFOLOGIA COGNITIVA

In questo schema, similmente a quanto accennato sopra in ( I ) , nella portata viene profilata solo la regione che contiene la linea che con­ cettualizza il predicato stativo, mentre è messo in secondo piano l' as­ se temporale. Schemi simili sono ipotizzabili anche per i nomi deriva­ ti da verbi delle altre classe azionali, per esempio i continuativi e i risultativi, in cui il derivato profila la regione delimitata che include il contenuto concettuale del verbo: b.

a.

t

-----------------------------------

.

t

- - 2 - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - � - -



a/fondamento

nuoto

A parte il suffisso -za, in cui abbiamo osservato una restrizione positi­ va sul dominio di selezione lessi cale del suffisso sulla base della stati­ vità, gli altri procedimenti derivazionali illustrati sopra in (9a) non presentano correlazioni interessanti tra tipo di processo morfologico e categorie azionali. A questo tipo derivazionale caratterizzato dalla concettualizza­ zione olistica del predicato si contrappone il secondo tipo menzio­ nato sopra in (9b) , cioè l'infinito sostantivato. Si noti soprattutto il fatto che l'infinito sostantivato comporta un certo grado di deteli­ cizzazione del predicato di base, come si vede dall'inaccettabilità di ( I 3 a ) , in cui l'infinito sostantivato di un predicato telico come af fondare è combinato con un predicato contenitore 'delimitato' come compirsi; a/fondamento è invece perfettamente accettabile nel­ lo stesso contesto: (I3)

a. b.

�·�L)a/fondare della nave si compì in due ore. L)affondamento della nave si compì in due ore.

Mentre, come si è visto, il suffisso -mento profila una regione di spa­ zio delimitata contenente il predicato risultativo reificato, l'infinito so­ stantivato mette in secondo piano la scansione temporale e il caratteIII

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG:--I I TIVA

re telico, delimitato del predicato , e focalizza invece sulla dinamica interna dell'evento:

l'affondare

La caratteristica dell'infinito sostantivato sembra proprio quella di fo­ calizzare sulla dinamica interna dell'evento, come si evince dal con­ trasto seguente, in cui la diversa nominalizzazione di un predicato te­ lico come ottenere è combinata con un predicato contenitore che mette in evidenza la durata 'interna' dell'evento: (r5)

a. b.

L'ottenere il rimborso ci portò via due ore. ? ?L'ottenimento del rimborso ci portò via due ore.

Possiamo rappresentare questo carattere particolare dell'infinito sostantivato nel modo seguente , in cui i confini esterni sono la­ sciati al di fuori della portata immediata della predicazione e la struttura a forma d 'onda del predicato di base è 'stirata' a forma­ re una linea ( cfr. Langacker, 1 99 r a , p. 92 ) , come se l'evento fosse 'stativizzato': - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -

portata :

�: '

,

,

_

_ , ''

' ,

' ,

,

,,

' '

:l

�----------------- ------- ---��,,

t

--------------------------------+

ottenere

I I2

'

portata immediata

5 . PER UI'\A MORFOLOGIA COGNITIVA

Rappresentazioni simili possono essere assunte per infiniti sostantivati da verbi di altre classi azionali, come per esempio i predicati conti­ nuativi (il nuotare) e quelli stativi (il permanere) : b.

a. portata :

portata

8 t

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - -



t

il nuotare

-- -

-- - -

- - - - ·- -

-- - - - - - -·- - -

- - - - - ....

il permanere

Questa operazione di 'stiramento' non dà luogo a nomi numerabili come quelli derivati per mezzo dei procedimenti enucleati in (9a) : infatti lo 'stiramento' concerne la dilatazione interna del tempo del­ l' evento, senza aver tuttavia conseguenze sui confini esterni della regione occupata dal predicato reificato. Pertanto , l'infinito sostanti­ vato sarà un nome di massa, cioè non numerabile, rispetto agli altri tipi che invece sono numerabili. Si noti che dal momento che i predicati stativi sono già rappresentati come linee, gli effetti del­ l' apporto semantico dell'infinito sostantivato rispetto al nome dever­ bale suffissato sono estremamente ridotti. La differenza fondamen­ tale è data infatti in questo caso dalla proprietà della numerabilità del nome suffissato, per cui la regione spaziale è delimitata - cfr. ( r r ) sopra: ( r 8)

a. b.

Le varie convivenze di Giovanni con Roberta sono state una catastrofe. ·kJ vari conviveri di Giovanni con Roberta sono stati una catastrofe.

Il caso più complesso di selezione tra classi azionali e procedimenti di formazione di nominalizzazione è costituito dal tipo menzionato so­ pra in (9c) . Come è stato osservato (cfr. Mayo, Schepping, Schwarze, Zaffanella, 1 9 95 , p. 9 1 2 ) , questo tipo di derivati è condizionato se­ manticamente in maniera tale da non poter in genere essere interpre­ tato come tipo d'azione, ma solo come evento individuale o istanzia­ to . In altre parole, la peculiarità di questi derivati è quella di rap-

I I3

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GUISTICA COG�ITIVA

presentare una singola istanziazione di un processo dinamico e non possono essere invece impiegati per far riferimento al tipo d'azione. Per questo motivo, questi derivati non possono essere accompagnati dall'articolo determinativo usato in senso generico e dall'articolo nul­ lo:

( r 9)

a. b.

La semina/�'(seminata a maggese garantisce fertilità alla terra.

Quest'anno si anticipa il periodo di seminalkseminata.

Se invece non viene denotato l'evento o il processo in quanto tale ma solo una sua singola istanziazione, le frasi diventano accettabili come negli esempi seguenti in cui il derivato è modificato dall'articolo inde­ terminativo o da una frase relativa restrittiva:

(2 0)

a. b.

Una seminata a maggese garantisce fertilità alla terra. La seminata a maggese che ripetiamo ogni anno garantisce

fertilità alla terra. Come ha messo in evidenza Talmy ( r 988, p. 1 7 6 ) , una singola istanziazione delle unità specificate è presa e portata al centro del­ l' attenzione, esattamente come negli esempi inglesi del tipo to breathe � take a breath nel dominio verbale, e /urnz'ture � a piece o/ /urniture nel dominio nominale 4. Questo fenomeno di carattere molto generale viene comunemente definito packaging, cioè 'impac­ chettamento' dell'informazione contenuta nel predicato (cfr. Paprot­ té, 1 988; Jackendoff, 1 99 1 ; Brinton, 1 995 ) 5 • Questi derivati realiz­ zano l'operazione di packaging nel dominio verbale: predicati non delimitati vengono trasformati in porzioni singole e delimitate del­ l' attività denotata.

4· S i noti che i n italiano, esattamente come i n spagnolo (si veda a tal proposito il

CAP. ro), questi derivati formano un'analoga struttura con i verbi supporto /are o dare del tipo /are una seminata o dare una verniciata (per dettagli si veda Gaeta 2 002 , pp. 1 5 9 ss . ) . Come ha osservato Torricelli ( 1 97 5 , p. 1 9 1 ) , questi derivati «permettendo di isolare nel continuum verbale di per sé illimitato, in virtù della loro maggior concre­ tezza, una sezione con un preciso termine, producono una opposizione di aspetto tra l'azione continuativa espressa dal verbo pieno e l'azione singolativa o terminativa espressa dal nesso verbo-nominale (passeggiare - /are una passeggiata)». 5· n fenomeno opposto è il cosiddetto grinding, cioè la 'frantumazione' dell'in­ formazione, e serve per esempio a creare nomi di massa da nomi numerabili come in una frase del tipo: In quest}insalata c}è delfananas.

1 14

5 . PER UI'\A MORFOLOGIA COGNITIVA

Seguendo la rappresentazione adottata in questo capitolo, lo sche­ ma seguente rappresenta la semantica di questi derivati:

/�: - - - - - - - portata-! ,.... - ...

,

l

1

' l l

l l l l l , ... 1- ... l l l

1---------------------J

t

- - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - _.,..

seminata

Si può dire che questo suffisso 'rompa le onde' , nel senso che indi­ vidua e porta in primo piano una singola onda di un processo non delimitato. Alternativamente, si può rappresentare la semantica di questo suffisso come la messa in primo piano di un processo che ha la forma di una routine. Tenendo presente la descrizione di un pre­ dicato nei termini di una relazione Trajector-Landmark come nello schema visto sopra in ( I ) , la differenza rispetto a semina, che si limi­ ta a reificare il predicato base profilandone il contorno spaziale, è costituita dal fatto che viene profilata una singola istanziazione della routine sequenziale:

semina

seminare

seminata

Per questo motivo, semina può denotare il processo come tipo, op­ zione non disponibile per seminata. Lo schema in ( 2 I) illustra anche le restrizioni sul dominio selezione di questo tipo di derivati:

(2 3 )

a.

b.

amare conoscere credere costruire

�·� amata �·� conosciuta �·� creduta �·� costruita

� � � �

I I5

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GL'ISTICA COG="!ITIVA

"�( distrutta �·( edificata

distruggere edificare

Infatti sono incompatibili con questa nominalizzazione i predicativi stativi - cfr. (2 3 a) - in quanto non dinamici (non presentano cioè la caratteristica forma d'onda) e i predicati risultativi - cfr. (23b) -, in quanto seppur forniti di dinamicità profilano il tratto di duratività in modo inscindibile con il confine finale dell'evento riferentesi al cam­ biamento di stato, che non può esser messo in secondo piano. Come ha osservato Wierzbicka ( 1 9 88, p. 3 2 3 ) , i risultativi presentano in ge­ nere una meta esterna a un confine naturale, raggiunto quando si è raggiunta la meta. Si è visto invece come questo tipo di derivati de­ noti di solito una piccola porzione di un processo. La conferma di tutto ciò si ritrova nel fatto che solo quei risultativi che permettono una lettura non telica (in cui cioè il télos è messo in secondo piano) sono disponibili a formare questi derivati: a. b.

(24)

stampare il volantino stampare i volantini

�·( una stampata del volantino una stampata dei volantini

� �

Infine, in maniera speculare rispetto a quanto abbiamo visto a propo­ sito degli stativi con l'infinito sostantivato, si osserva che i predicati trasformativi possono essere selezionati da questo suffisso: caduta, fer­ mata, scivolata ecc. Come messo in evidenza dallo schema seguente, probabilmente la compatibilità è dovuta alla proprietà dei trasforma­ dvi di essere già un "onda rotta' : b.

l l l l l l

l l

l l l l l l

l l l - - - -

t

l

� - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - - �- - - ·

caduta

cadere

Infatti, come si vede dal confronto tra lo schema che concettualizza un trasformativo come cadere - cfr. sopra (7) riproposto qui come II6

5 . PER UI'\A MORFOLOGIA COGNITIVA

( 2 5 a) - e il derivato caduta, l'effetto del suffisso è quello di profilare la singola istanziazione del predicato non durativo. Si noti comunque che permane una grossa differenza tra questo tipo di derivati da verbi trasformativi e da verbi continuativi. Infatti, mentre per i trasformati­ vi questo derivato è spesso l'unico tipo possibile di nominalizzazione (prescindendo owiamente dall'infinito sostantivato) , per quanto ri­ guarda i continuativi il derivato ha un preciso valore semelfattivo, ed è in genere accompagnato da un 'altra nominalizzazione formata con una procedura derivazionale diversa, che fa riferimento al predicato reificato 6: (26)

a.

cadere entrare fermare venire

caduta entrata fermata venuta

�·: cadimento l �': cadizione �·:entramento l �·:entrazione �·:fermamento l '':fermazione �·: venimento l '�: venizione

b.

insaponare nuotare regolare stirare

insaponata nuotata regolata stirata

insaponamento nuoto regolamento stiramento

In questo caso, la rappresentazione schematica mette in evidenza come la particolare selezione dei trasformativi sia da mettere in rap­ porto con la struttura a 'onda rotta' di questi ultimi. Proprio per que­ sto matching immediato della semantica del suffisso e della classe azionale si spiega il fatto che nel caso dei trasformativi questo tipo derivazionale produca gli unici nomi deverbali, mentre risultano bloc­ cati altri procedimenti derivazionali. 5 ·4 Categorie derivazionali in morfologia cognitiva

È stato più volte ripetuto che da un punto di vista cognitivo non c'è una differenza qualitativa tra nomi e verbi: entrambi sono predicati in cui è profilata una regione di spazio su uno sfondo. In questa pro­ spettiva, si consideri che il tipo derivazionale che opera il packaging agisce su verbi e nomi con un effetto simile: 6. In altre parole, nel caso dei trasformativi questo tipo di derivato 'blocca' gli altri procedimenti derivazionali. Per il concetto di blocco lessicale, si veda Rainer ( r 988), e le considerazioni di Langacker ( r 999b, pp. r 2o- r ) per una sua possibile im­ plementazione all'interno della Grammatica Cognitiva.

1 17

INTRODUZIOI'\E ALLA L II'\GlJISTICA COG�ITIVA

(27)

a. b. c.

azione tipica di X

bambino ospite l ospitare colpo di X bottigliata martello l martellare quantità contenuta in X cucchiaio scodella l scodellare

bambinata ospitata bottigliata martellata cucchiaiata scodellata

In tutti questi casi si vede come il significato di base di questi derivati può essere ugualmente riassunto come 'singola istanziazione della so­ stanza X', indipendentemente dalla categoria lessicale della base. Si noti che in tutti i casi è in teoria possibile selezionare come base deri­ vazionale sia un nome che un verbo, per cui qualcuno parla di «dop­ pia motivazione» (cfr. Szymanek, 1 988, p. 65 ) mettendo così in evi­ denza come in morfologia derivazionale la semantica svolga un ruolo primario rispetto a tratti categoriali astratti 7 . La rappresentazione schematica si presta pertanto a cogliere un aspetto centrale di questo tipo derivazionale, e funge da strumento rappresentazionale per la definizione del comportamento produttivo dei parlanti. Il significato dei singoli derivati dipende così dal tipo di sostanza ('verbale' o 'no­ minale') che forma il nome complesso, facendo leva sulle conoscenze enciclopediche di cui il parlante dispone (cfr. PAR. 4 . 2 ) . Pertanto il tipo derivazionale può essere considerato come categoria prototipica (di packaging) , che assume valori diversi a seconda della 'sostanza' con cui si combina: (28)

l Singolo (tipico) atto di Xl a. ! Singolo atto di [ + durativo, - telico]vl 'Singolo atto di V' b. ! Singolo atto di [ + umano] N I 'Tipico comportamento da N' c. ! Singolo atto di [- animato] N I 'Colpo con N '

Se l a sostanza è u n contenitore, otteniamo il significato in (27c) . Tut­ tavia, il tratto fondamentale che configura l'operazione di packaging, cioè la selezione di una sostanza non ben delimitata per trasformarla in un tutto delimitato, è decisivo anche in quest'ultimo caso: solo contenitori di sostanze non ben delimitate permettono quest'ultima interpretazione (cfr. cucchiaiata, padellata, secchiata, vassoiata ecc. ) , al-

7. Questi ultimi hanno trovato attualmente espressione in ipotesi, a lungo discus­ se soprattutto nell'ambito della morfologia generativa, come quella della base unica di Aronoff ( 1 976, p. 47 ) e difesa in Scalise ( 1 994, p. 2 1 3 ) proprio sulla base del tipo derivazionale illustrato qui.

1 18

5 . PER UI'\A MORFOLOGIA COGNITIVA

trimenti resta disponibile solo l'interpretazione più generale 'Colpo con N' come in bottigliata. Si veda a questo proposito il chiaro con­ trasto tra una frase come Questa vasca contiene esattamente 2 3 litri d)acqua rispetto a ? ? Questa vasca contiene esattamente 7 secchiate

dJacqua. Possiamo rappresentare la complessa rete di relazioni che soggiace al prototipo espresso da questo tipo derivazionale per mezzo dello schema seguente, che mette in evidenza da un lato il ruolo delle cate­ gorie derivazionali, dall' altro quello della motivazione cognitiva a esse soggiacente (cfr. Szymanek, 1 988, p. r 67 ) :

(2 9) Categorie

Categorie

Esponenti

cognitive

derivazionali

derivazionali

(Concetti)

(Funzioni/Significati)

(Formativi)

Nello schema è messo in evidenza il tipo derivazionale in questione, che trova una sua espressione simbolica per mezzo di un certo forma­ tivo morfologico, cioè i sostantivi con la forma del participio passato femminile 8• Tuttavia, la parte più rilevante della rappresentazione è quella che mette in connessione una certa categoria derivazionale con la propria motivazione cognitiva. Benché il prototipo profili alcuni concetti di base, non sono escluse connessioni con altri concetti, e in

8. Considerazioni di carattere formale esulano dallo scopo (e dallo spazio) di questo capitolo. Tuttavia, si può mettere in evidenza una certa tendenza comune a denominali e deverbali verso il tipo -ata, che rappresenta il participio passato femmi­ nile dell'unica classe flessiva verbale produttiva. Si consideri per esempio la possibilità di formare derivati da participi regolari rispetto all 'inaccettabilità di neoformazioni co­ struite sulla base di participi passati irregolari (dare una) 0concimata (al terreno) vs. (dare una) *cosparsa (di concime al terreno) , (dare una) 0asciugata (al sudore) vs. (dare una) "''detersa (al sudore). Si veda comunque Rainer (2oo r ) .

1 19

INTRODUZIOI'\E ALLA L II'\GlJISTICA COG�ITIVA

generale abbiamo visto come le conoscenze enciclopediche siano es­ senziali per la determinazione della semantica del derivato . Con que­ sta discussione siamo arrivati a un punto decisivo per un approccio cognitivo alla morfologia, cioè il trattamento della cosiddetta 'polise­ mia' . Spesso infatti i derivati con un certo procedimento morfologico presentano una varietà di significati, che solo in parte corrispondono al significato centrale della categoria, ma che sono connessi tra loro per mezzo di una serie di slittamenti semantici di vario tipo riassumi­ bili in quelle 'somiglianze di famiglia' che tanta importanza hanno per la teoria dei prototipi (cfr. PAR. I . I . 3 ) . Il fenomeno della polise­ mia è illustrato qui di seguito per mezzo dei derivati con il suffisso -mento (per una discussione dei problemi connessi con la polisemia a proposito dei nomi d'azione si veda la rassegna di Rainer, I 996) :

Queste reti di polisemia in genere si intersecano con quelle delineate da altri procedimenti derivazionali (per esempio gli altri suffissi per formare nomi d'azione, o il suffisso -iere, si considerino esempi come tappezziere, bombardiere, braciere, in cui ritroviamo le categorie co­ gnitive PERSONA, STRUMENTO, LUOGO ) . La polisemia è anche alla base della lessicalizzazione (o convezionalizzazione) di un forma complessa (come nel caso di parlamento, sedimento ecc . ) , che ha luogo quando diminuisce il grado di analizzabilità del tutto rispetto alle sue parti, rappresentabile per mezzo dello schema seguente (cfr. Langacker, I 999b, p. I 2 7 ) :

I20

5 . PER UI'\A MORFOLOGIA COGNITIVA

>

Un'unità complessa [C] , che risulta dalla composizione di [A] e [B] e allo stesso tempo ha una propria autonomia semantica legata al con­ testo d'uso, finisce per non essere più (o a un grado molto ridotto) analizzabile rispetto ai suoi componenti, e viene di conseguenza a for­ mare un'entrata lessicale convenzionalizzata, che non è più in grado di attivare [A] e [B] . Ovviamente tra parole trasparenti e lessicalizza­ te è da immaginare un continuum, di cui lo schema in (3 r) rappre­ senta solo i due casi agli estremi. 5 ·5 Conclusioni

L'impiego delle metafore spaziali adottate da Langacker, pur con qualche modifica, si è dimostrato un modo utile ed elegante per rap­ presentare il complesso sistema di rapporti tra classi azionali e tipi di nominalizzazione in italiano. Le diverse possibilità offerte dal sistema dell'italiano vengono sfruttate in modo coerente e produttivo. La rap­ presentazione per mezzo di schemi permette di rendere chiaramente visibile tutto ciò. Inoltre gli schemi permettono di comprendere le sottili differenze semantiche esistenti tra le diverse tecniche di nomi­ nalizzazione impiegate e di vederne illustrati gli effetti come per esempio nei verbi stativi, dove si è osservato come il rapporto seman­ tico stretto tra infinito sostantivato e derivato con suffisso discenda dalla caratteristica struttura semantica 'lineare' di questa classe azio­ nale. Inoltre, è molto significativo il caso dell'operatore di packaging, in quanto mette in evidenza come la rappresentazione adottata per­ metta di spiegare il comportamento apparentemente anomalo dei pre­ dicati trasformativi rispetto a questo tipo derivazionale. Benché non ci sia stato spazio per discutere quest'aspetto, gli schemi concettuali illustrati in questo capitolo sono connessi con procedimenti derivazionali anch'essi rappresentabili per mezzo di schemi astratti, si veda Tuggy ( r 99 2 ) e Langacker ( r 999b, pp. r 3 r - 8 ) . A tal proposito, si può mostrare (cfr. Gaeta, 2 002 , capp. 2 e 7) come il rapporto tra il livello morfotattico e quello morfosemantiI2 I

INTRODUZIOI'\E ALLA L II'\GlJISTICA COG�ITIVA

co non sia arbitrario, ma rispecchi il cosiddetto iconismo costruzio­ nale che è alla base della Morfologia Naturale, un modello teorico che presenta molti punti di contatto con la LC (cfr. PAR. 1 .4 . 1 e Dres­ sler, 1 990) . Procedimenti morfologici produttivi presentano un grado di allomorfia e di opacità semantica complessivamente inferiore ri­ spetto a procedimenti morfologici meno produttivi. In questo senso, la morfologia cognitiva si qualifica, in contrapposizione ad altri mo­ delli teorici di matrice formalista (cfr. Anderson, 1 992 , e soprattutto Beard , 1 995 ) , come decisamente ' antiseparatista', nel senso che rifiuta una separazione netta tra piano morfofonemico e semantico, ma fa proprio invece il principio, che si suole ricondurre a Humboldt, 'una forma - un significato ' .

122

Parte seconda Applicazioni pratiche

6

La distribuzione degli ausiliari haben e sein in tedesco di Carlo Serra Borneto

6. 1 Premessa

In questo capitolo mi riprometto di illustrare alcune tecniche di ana­ lisi della LC, applicandole a un caso della morfosintassi del tedesco: l'uso dell 'ausiliare (haben vs. sein) nei tempi composti (per esempio il

Per/ekt) .

Lo scopo non è quello di fornire un'analisi esaustiva del fenome­ no (che comunque richiederebbe più spazio di quanto qui consenti­ to) ma di mostrare in maniera il più possibile rigorosa e allo stesso tempo didatticamente efficace come sia possibile applicare alcuni con­ cetti dell'armamentario teorico della LC a un caso specifico per giun­ gere a un'interpretazione coerente dei dati. Il quadro teorico a cui mi ispiro è in particolare quello elaborato da Ronald Langacker, che molto si è dedicato all'indagine dei feno­ meni grammaticali, intesi nel senso tradizionale della morfosintassi, il­ luminandoli dello spirito della sua variante della LC, denominata ap­ punto Grammatica Cognitiva (cfr. PAR. 1 . 1 . 2 ) . Come si è già ampiamente ricordato nei CAPP. r e 2 , per Langacker la grammatica (e in particolare la sintassi) non rappresenta un modu­ lo autonomo, con regole qualitativamente diverse da quelle che ispi­ rano altri settori del sistema della lingua, ma semplicemente una ap­ plicazione delle stesse modalità che caratterizzano le realizzazioni lin­ guistiche in generale, per esempio quelle relative al lessico. In realtà tali modalità non sono affatto limitate all'ambito linguistico ma sono comuni a tutta l'attività cognitiva mentale e implicano l'utilizzo di sva­ riate nozioni (schemi, immagini, archetipi ecc.) e di operazioni (com­ binazione, profilazione ecc. ) che costituiscono un vero e proprio re­ pertorio variamente esaminato e indagato da Langacker in tutta una serie di lavori. Per la trattazione del tema prescelto qui, mi limiterò ad applicare

125

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

un numero assai ridotto di tali nozioni, in particolare quelle di sche­ ma (e di Schema di Immagini) , di Archetipo Concettuale e di profila­ zione. Le loro caratteristiche, già illustrate sommariamente in PARR. I . I ·4 e I .2 . 5 , verranno trattate più approfonditamente nei paragrafi seguenti, come presupposto per l'interpretazione del fenomeno mor­ fologico del tedesco, oggetto dello studio. 6.2 I dati del problema

Il perfetto tedesco è morfologicamente una forma verbale analitica, composta di un ausiliare (haben o sein) e il participio perfetto del verbo. All'alternanza dei due ausiliari non è stata data particolare at­ tenzione in tempi recenti, se non come parte integrante della cosid­ detta 'ipotesi ergativa' , che l'interpreta in cooccorrenza con una serie di altri fenomeni sintattici (Eisenberg, I 9 89 ; Fanselow, I 992 ; Abra­ ham , I 995 ) 1 • La massima parte degli studi recenti si concentra tutta­ via più che altro sulle caratteristiche semantiche del tempo verbale e dei suoi usi e sulle sue correlazioni aspettuali (Klein, 2 ooo; Vater, 2 ooo; Musan, 2 002 ) . Il problema viene trattato con una certa sistema­ deità nelle grammatiche, che tuttavia differiscono sensibilmente nella loro impostazione e approfondimento. Per i nostri scopi sarà sufficiente richiamare i dati riportati nella grammatica del Duden ( I 995 , p. I 2 o- I ) , sintetizzandoli come segue . I . Tutti i verbi transitivi e riflessivi tedeschi richiedono haben come ausiliare. Questo tipo di costruzione non pone quindi alcun proble­ ma. Le difficoltà sorgono con i verbi intransitivi, che hanno il seguen­ te comportamento: 2. i verbi intransitivi possono richiedere o solo haben, o solo sein, o sia l'uno che l'altro . In particolare: 2 a . richiedono haben i verbi intransitivi di azione durativa (schlafen, 'dormire', bluhen, 'essere in fiore'); 2b. richiedono sein i verbi intransitivi di pura traslazione (kommen, 'venire' , gehen, 'andare') e che indicano l'inizio o la fine di un 'azione (einschlafen, ' addormentarsi' , verbluhen, 'fiorire' ) ; 2 c . oscillano tra haben e sein i verbi che esprimono un movimento con modalità complessa (tanzen , ' danzare', paddeln, ' remare', reiten, 'cavalcare' ecc. ) . In generale, se è prevalente l'idea di durata nel tem1 . L'interpretazione cognitivista che qui si presenta non è necessariamente in concorrenza con quella sintatticista, rappresenta piuttosto un modo diverso e com­ plementare di vedere le cose.

I26

6 . LA DISTRIBUZIONE DEGL I AlJS ILIARI

HABEN

E

SEIN

I� TEDESCO

po, si usa haben (!eh habe als }unger Mensch viel getanzt, " da giovane ho ballato molto " ) , se invece è dominante l'idea che si modifichi la posizione nello spazio si usa sein (!eh bin durch den Saal getanzt, "ho attraversato la stanza ballando " ) . Inoltre vi sono verbi di movimento che, al mutare della valenza, selezionano un ausiliare diverso, per esempio Peter ist nach Berlin gefahren/Peter hat einen Bus (bis nach Berlin) gefahren ( "Peter è andato a Berlino (in macchina, in autobus)/ Peter ha guidato un autobus fino a Berlino " ) . Naturalmente esistono casi intermedi, determinati dai contesti, e variazioni dialettali, ma quelli enunciati sono i dati essenziali che in­ tendiamo interpretare, dai quali è poi possibile derivare tutti gli altri. È tuttavia necessario illustrare preliminarmente i concetti essenziali della LC che sarà necessario utilizzare. 6.3 Presupposti linguistico-cognitivi dell'analisi

6. 3 . I . Archetipi Concettuali Il concetto di schema attraversa tutta la filosofia cogn1t1va. Presente già nella psicologia della Gestalt (cfr. PAR. r .2 .6 ) , è stato adottato con funzione determinante dalla maggioranza degli esponenti della LC, a partire da Lakoff e T almy. Per Langacker uno schema è un'astrazione di alcuni aspetti salienti di un oggetto o fenomeno (anche non fisico), derivante dalla elaborazione concettuale di tratti sostanzialmente affi­ ni, depurati delle loro forme contingenti. Lo schema consente di con­ cepire le varie situazioni (tra cui, in senso lato, anche i fatti lingui­ stici) in vari gradi di specificità e dettaglio, lasciando convergere l' at­ tenzione sugli aspetti di volta in volta più salienti. Quella dello sche­ matizzare è quindi una capacità generale della cognizione umana, pari a quella di confrontare, categorizzare o stabilire correlazioni, cioè una forma di concettualizzazione, di processo mentale che secondo i lin­ guisti cognitivi contribuisce a elaborare le esperienze fondamentali della vita umana, per poi riflettersi in tutte le attività cognitive , com­ preso il linguaggio. Tra i vari tipi di schema attivabili ve ne sono due di particolare interesse per la nostra argomentazione: gli Schemi di Immagini (ima­ ge schemas) e gli Archetipi Concettuali (conceptual archetypes) . Come si è già accennato in PAR. I . I 4 si tratta di costrutti abbastanza simili, che si differenziano essenzialmente per il loro grado di sintesi e astrazione. Uno Schema di Immagini è una forma di generalizzazione tratta .

,

I27

INTRODUZIOI'\E ALLA L II'\GlJISTICA COG�ITIVA

dall'esperienza, spesso percettiva o corporea, che costituisce un riferi­ mento concettuale anche a carattere immaginifico, come potrebbe es­ sere la nozione di contenitore/contenuto (containerlcontent) , centro/ periferia (centerlperiphery) , equilibrio (balance) ecc. Un Archetipo Concettuale è una forma di schema complesso di carattere olistico che secondo Langacker include gli aspetti della concettualizzazione degli eventi che si riflettono nelle costruzioni grammaticali, in particolare nelle strutture frasali (Langacker, 1 99 3 , p. 485 ) : Relevant to clause structure are numerous conceptual archetypes, some of which are incorporated as components of others. One set of archetypes rela­ ted in this fashion includes, first, the conception of a physical object, next the conception of a physical object occupying a location in space, and finally that of an object moving through space (i.e. changing location through time) 2•

L'importanza dell'Archetipo Concettuale risulta evidente se si tiene presente che nella LC le stesse costruzioni grammaticali sono un ri­ flesso - più o meno mediato - della maniera in cui la mente concet­ tualizza l'esperienza. Come vedremo più estesamente nel CAP . r o , in ogni costruzione grammaticale è possibile ritrovare, a diversi livelli di complessità e simbolicità, una qualche combinazione delle modalità di percezione, elaborazione e schematizzazione delle esperienze uma­ ne (incluse quelle di tipo culturale) . Naturalmente non è possibile correlare direttamente un'espressione linguistica o grammaticale a una e una sola modellizzazione concettuale, cioè non è possibile indi­ viduare una vera e propria 'regola' di corrispondenza biunivoca tra concetto e forma grammaticale. Tuttavia l'analisi parallela di concetti e forme riesce a rivelare spesso corrispondenze più che casuali in vari settori, in particolare per quello che riguarda le forme canoniche e meno idiosincratiche del comportamento grammaticale. In pratica, le tendenze prototipiche delle espressioni linguistiche sono nel comples­ so adeguatamente rappresentate da determinati prototipi e Archetipi Concettuali. Come si è visto Langacker considera quello dell'oggetto in moto nello spazio uno degli archetipi più significativi. T ale archetipo può

2. "Per la struttura della frase sono rilevanti numerosi archetipi concettuali, alcu­ ni dei quali sono incorporati come componenti in altri. Una serie di archetipi correlati in questo modo comprende, in primo luogo, la concezione di un oggetto fisico, in secondo luogo, la concezione di un oggetto fisico che occupa un luogo nello spazio e infine quella di un oggetto che si muove nello spazio (cioè che cambia luogo nel tempo) " .

128

6 . LA DISTRIBUZIONE DEGLI AUSILIARI

HABEN

E

SEIN

I� TEDESCO

FIGURA 6.1 Modello del movimento nello spazio

Mover direzione del movimento

Source

Goal Percorso

essere rappresentato schematicamente in maniera semplice attraverso il modello di FIG . 6. 1 . Un'entità dotata di moto (Mover) si sposta in una certa direzione lungo un percorso che è canonicamente costituito da un punto di partenza (Source) , un tragitto e un punto finale di arrivo (Goal) (su questo archetipo cfr. anche PAR. 9 . r ) . Un altro archetipo di basilare importanza è quello definito come billiard ba!! mode! ( 'modello della palla da biliardo') 3, cioè una strut­ tura in cui un'entità viene in contatto con un 'altra e trasferisce a que­ sta una forma di energia (fisica o anche mentale) . Il modello può ave­ re molte varianti: l'esempio più semplice è quello in cui la prima enti­ tà ha ruolo di Agente, la seconda quello di Paziente (la realizzazione linguistica di tale configurazione è quella di un frase tipicamente tran­ sitiva, per esempio Paolo rompe un bicchiere) . Questa variante è chia­ mata canonica! event mode! ('modello dell'evento canonico' ) e rappre­ senta la forma base del billiard ba!! mode!, rappresentabile grafica­ mente come in FIG . 6.2 . In esso l'Agente ( ' a monte') trasferisce energia (rappresentata dal­ la freccia ondulata) sul Paziente (a valle della microcatena) . Ma il bil­ liard ba!! mode! può presentare forme più complesse in cui il trasferi­ mento di energia può interessare anche una serie di entità intermedie, come per esempio uno Strumento (per esempio Paolo rompe un bic­ chiere con un martello, dove l'Agente trasferisce l'energia sullo Stru­ mento che a sua volta la trasferisce sul Paziente) . È chiaro che qui abbiamo a che vedere con il concetto dei ruoli (semantici o tematici, cfr. PAR. 1 . 1 . r e CAP . 8 ) , che risultano distribuiti

3· Langacker ( 1 99 1 a, pp. 2 83 -6) .

! 29

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GlJISTICA COG�ITIVA FIGURA

6.2

Canonica! event mode!

� energia

Agente

Paziente

in modo tale che a ognuno di essi viene prototipicamente assegnata una posizione nella catena delle entità implicate. Così il ruolo di Agente ( che sarà definito in maggior dettaglio in PAR. 8 . 3 ) si trova all'inizio della catena ( ' a monte') in quanto iniziatore e fonte dell'e­ nergia dell'azione, quello di Paziente normalmente alla fine, in quanto ricettore finale dell'energia (talvolta anche modificato nel suo stato fi­ sico come nell'esempio del bicchiere) . Più in generale tutti gli eventi presentano un punto di partenza e un punto di arrivo e un percorso mentale lungo il quale si collocano le entità concepite. Tali entità (as­ sociate a ruoli semantico-concettuali) sono tendenzialmente dislocate verso l'inizio (energy source, 'fonte dell'energia') o verso la fine (ener­ gy sink, 'calo dell'energia') del percorso (percorso energetico se è im­ plicato trasferimento di energia) . Per Langacker questo tipo di dire­ zionalità (che è fondamentalmente una direzionalità concettuale) non riguarda solo i ruoli direttamente interessati dallo scambio di energia ma anche tutti gli altri partecipanti a una struttura di evento, tra i quali per esempio quello dello stesso Mover (entità in movimento), che abbiamo osservato nel precedente modello, oppure di Zero (enti­ tà puramente localizzata in un punto) , che sono considerate nella par­ te bassa della catena dell'evento- azione 4 , mentre quella di Esperiente (persona implicata in una attività mentale) o Strumento (oggetto uti­ lizzato da un Agente per intervenire su un Paziente) si trovano ten­ denzialmente verso il centro della catena.

4· Che il Mover si collochi nella parte 'bassa' della catena non deve stupire più che tanto: se infatti è vero da una parte che esso è in genere causa del suo stesso moto, è anche vero che ne risulta affetto (è il Mover stesso - e non un'altra entità che si ritrova in un'altra posizione al termine del movimento) e pertanto viene concet­ tualmente assimilato ai ruoli 'non attivi' , come i locativi (Zero) e gli esperienziali (Esperiente) piuttosto che a quelli energetici 'attivi' (quale Agente, Causa ed eventual­ mente Strumento) .

6 . LA DISTRIBUZIONE DEGLI AlJS ILIARI

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6 . 3 .2 . Profilazione Mentre gli archetipi sono concettualizzazioni complesse collegate al­ l'esperienza, la profilazione (profiling) è un 'operazione mentale relati­ vamente elementare e ricorrente. Nella LC ogni espressione linguistica risulta primariamente da una scelta semantica, cioè dall'intenzione di illustrare attraverso le con­ venzioni del linguaggio una determinata 'scena' nel senso più lato del termine. All'interno di tale 'scena' vengono poi selezionati gli aspetti specifici che rappresentano l'oggetto da comunicare. Come già si è visto in maniera particolareggiata in PAR. 4 . 2 . I , tali oggetti risultano 'profilati' rispetto a un dominio base, che può avere varia natura. Per esempio, in campo lessicale, il termine dito risulta dalla profilazione operata sul concetto di mano (che ne rappresenta appunto il dominio base) , perché lo presuppone e ne rappresenta nello stesso tempo una parte resa saliente. Langacker mostra con una serie di esempi sugge­ stivi come la base rappresenti concettualmente il referente immediato della profilazione e come ciò possa riflettersi nella maggiore o minore felicità semantica di alcune espressioni, tutte grammaticalmente accet­ tabili. Egli contrappone due gruppi di frasi: (I) (2) (3) (4)

Un corpo ha due braccia. Un braccio ha un gomito e una mano. Una mano ha cinque dita. Un dito ha tre falangi e un)unghia.

(5 ) ( 6) (7) (8)

? Un corpo ha due gomiti. ? ? Un braccio ha cinque dita. ??? Un braccio ha cinque unghie e quindici falangi. ? ? ? Un corpo ha ventotto falangi.

Le frasi (5 )-(8) appaiono singolari appunto perché l'oggetto profilato e la sua base sono concettualmente troppo distanti, anche se in base alla pura proprietà logica transitiva sono perfettamente adeguate (il braccio include le mani, che includono unghie e falangi, quindi a ri­ gore un braccio ha unghie e falangi ecc. ) . Ciò significa che nel pro­ cesso di concettualizzazione vengono applicate operazioni gestaltiche (come per esempio la distribuzione di salienza fra 'figura' e 'sfondo', per la cui definizione cfr. PAR. r .2 . 6) atte a gestire i rapporti tra le parti, le preferenze nella loro scelta, la salienza relativa ecc. Tali ope­ razioni non sono limitate al campo lessicale ma si possono riscontrare a tutti i livelli delle realizzazioni grammaticali.

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

Per tornare al caso del billiard hall mode! (Paolo che rompe il bicchiere) , una volta scelta la scena da rappresentare, ne possono de­ rivare frasi diverse che mostrano le diverse profilazioni della catena dell'azione implicata: Paolo ha rotto il bicchiere con il martello, se si profila l'intera catena, il martello ha rotto il bicchiere, se ne viene esclusa l' energy source e viene profilata solo la parte restante, il bic­ chiere è stato rotto se viene profilata solo l'ultima parte (l'energy sink) , escludendo le precedenti (che, tuttavia, pur non essendo menzionate restano implicite, costituendo la base della profilazione) . Se questo meccanismo si applica non soltanto a un esempio specifico (a una specifica scena) ma lo si estende alle strutture semantico-concettuali più sistematiche, quali gli archetipi concettuali, è possibile avanzare un 'interpretazione di fenomeni grammaticali più generali, tra cui quelli oggetto di questo saggio. 6 .4 Archetipi Concettuali e profìlazione nella formazione del Perfekt tedesco

Come abbiamo visto, per la formazione del Per/ekt tedesco sono in concorrenza gli ausiliari sein e haben. Ciascuno di essi è prototipica­ mente associato a uno dei due Archetipi Concettuali illustrati in pre­ cedenza: sein a quello del movimento, haben a quello del canonica! event mode!. Il verbo di movimento è infatti quello più tipicamente intransitivo, mentre il canonica! event mode! altro non è che un mo­ dello standard di transitività. Che tra i due ausiliari haben sia associa­ to alla transitività non sorprende, in quanto si tratta di un verbo (proto)tipicamente bivalente, cioè con due ruoli obbligati, il che rap­ presenta la condizione basica perché si abbia trans/er di energia ( al­ meno due attori). D'altro canto sein è prototipicamente monovalente, il che è perfettamente in linea con l' azione del movimento, che inte­ ressa la traslazione di una sola entità. In questo senso la struttura concettuale (i due modelli di partenza) coincide - prototipicamente con quella morfosintattica (i due tipi di costruzione; per ulteriori ap­ profondimenti cfr. Stettberger, 1 9 9 3 ) . Come abbiamo visto dai dati, però, mentre l' associazione tra co­ struzione transitiva e ausiliare haben è assolutamente coerente e si ri­ propone in tutti i casi, per quanto riguarda la costruzione intransitiva vi sono diverse eccezioni all'uso prototipico di sein (cioè alcuni verbi 'intransitivi' richiedono malgrado tutto haben) . Questo genere di 'in­ coerenza' è a nostro parere risolvibile utilizzando in maniera adeguata l'armamentario concettuale qui sopra illustrato .

6 . LA DISTRIBUZIONE DEGLI AUSILIARI

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FIGURA 6.3 'Profilazione' del Paziente nel modello canonico

Agente

Paziente

Richiamando alla memoria la FIG. 6.2 del canonica! event mode! pos­ siamo dire che a esso corrisponde in maniera adeguata una frase del tipo (9 ) , prototipicamente associata a haben: (9)

Die Sonne hat den Schnee geschmolzen. "Il sole ha sciolto la neve " .

In questo caso tutta l a catena del modello è profilata (la sua rappre­ sentazione in termini di archetipi coincide con l'intero modello della FIG. 6. 2 ) . Immaginiamo ora d i pro@arne (cioè d i 'ritagliare' rispetto alla base costituita dall'intero modello) una parte e in particolare la parte finale , coincidente con ruolo del Paziente; otterremo una rappresenta­ zione, in cui la parte profilata è evidenziata mediante un quadrato che la iscrive (FIG. 6 .3 ) . In questo caso il ruolo dell'Agente 5 resta presupposto e tutta l'at­ tenzione descrittiva della scena si concentra sul Paziente pro@ato. La frase corrispondente sarà:

( r o)

Der Schnee ist geschmolzen "La neve si è sciolta " .

L'effetto della profilazione è quello di selezionare l'ausiliare ' in com­ petizione' con haben, cioè sein .

5· O meglio, in questo caso, ddla Causa, visto che il sole non esibisce una delle caratteristiche fondamentali dell'agentività, cioè l'animatezza (cfr. a questo proposito PAR. 8 . 3 ) .

133

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GlJISTICA COG�ITIVA

6.4 'Profilazione' dell'Agente nel modello canonico FIGURA

Agente

Paziente

Prendiamo ora in considerazione un altro tipo di frase, in cui si veri­ fica un trans/er di energia mentale tra l'Agente e il Paziente: (I I)

Peter ha t ein Buch gelesen "Peter ha letto un libro " .

Pur essendo tale trans/er meno prototipico di quello fisico dell'esem­ pio ( 9 ) , anche in questo caso si avrà, in conformità con la profilazio­ ne dell'intero modello, la selezione di haben. Se ora invece di profilare il Paziente profiliamo l'Agente, otterre­ mo la rappresentazione della FIG . 6.4. In questo caso l'oggetto dell'a­ zione (della lettura) risulta escluso dalla scena, anche se naturalmente lo si deve considerare presupposto. A questo modello corrisponde la frase: (I2)

Peter hat (zwei Stunden lang) gelesen " Peter ha letto (per due ore) " .

L a profilazione in questo caso non sembra aver provocato alcun cam­ biamento nella selezione dell'ausiliare (haben). La prima considerazione che si può avanzare è quindi che nel modello canonico, che è prototipico dell'uso di haben , è richiesto questo ausiliare se tale modello è interamente profilato; nei casi di profilazione di un parte di esso, si ha ancora haben se se ne profila la parte 'a monte' (che corrisponde all'Agente) , mentre viene selezionato sein se se ne profila la parte 'a valle' (corrispondente al Paziente) . Passiamo ora a esaminare il modello prototipico per l'uso di sein (cfr. FIG . 6. I ) . In questo caso il modello interamente profilato corri­ sponderà alla seguente frase: I 34

6 . LA DISTRIBUZIONE DEGLI AUSILIARI

(r3)

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Peter ist vom Marienplatz nach Hause gegangen " Peter è andato da Marienplatz a casa " .

Si nota il ruolo di Maver (Peter) sottolineato d a un verbo di puro movimento (gehen) e il percorso segnalato dai due punti estremi del­ l'inizio (Source) e del suo termine (Goal) . I verbi che esprimono un movimento non sono tuttavia semanti­ camente equivalenti: ve ne sono alcuni (come gehen , ' andare', lau/en , 'correre' ecc.) in cui la principale funzione è quella di esprimere un movimento e un passaggio da un punto all'altro di un percorso e altri (come per esempio schwimmen, 'nuotare', paddeln, ' remare', tanzen, 'danzare') che indicano sì una traslazione ma non necessariamente verso una meta specifica e l'azione del Maver non sembra finalizzata al semplice movimento ma è accompagnata da una serie di altre atti­ vità. In un certo senso, il Mover assolve in questo caso un ruolo se­ mantice complesso (o misto) , di cui il movimento è certamente co­ stitutivo ma di cui fanno parte altre caratteristiche più legate a una funzione agentiva (Langacker 1 99 r a, p. 3 89 ) : An intransitive verb's scope o f predication i s not always limited t o a thema­ tic relationship. [. . . ] Even within the processual profile, many intransitive verbs have one or more layers of causation. These are verbs in which the same participant both undergoes the thematic process and supplies the ener­ gy that brings it about; for example, the subject of walk, crawl, jump, swim, or dive not only move through space but carries out a pattern of muscular excertion to propel itself along this path 6•

L'uso dell'ausiliare riflette questa caratteristica. In particolare, se si intende sottolineare l'aspetto ' agentivo' del Mover a discapito di quel­ lo spaziale, verrà selezionato l'ausiliare haben, se invece è l'aspetto del movimento nello spazio che risulta maggiormente saliente verrà uti­ lizzato l'ausiliare sein. Questo tipo di alternanza è esemplificato dalle frasi: 6. "La portata di un verbo intransitivo non è sempre limitata a una relazione tematica. [ . . ] Anche all'interno del profilo processuale, molti verbi intransitivi hanno vari strati di causatività. Si tratta di verbi con i quali lo stesso partecipante che subi­ sce il processo tematico fornisce anche l'energia per svolgerlo, per esempio, il sogget­ to di camminare, strisciare, saltare, nuotare o tu/farsi non si muove solo attraverso lo spazio, ma compie uno sforzo fisico per muoversi lungo il suo percorso" . Va comun­ que notato che all'interno del modello del movimento (e non più del billiard ball mo­ de!) il Mover si pone in ogni caso 'a monte' nella catena dell'azione, visto che le altre componenti sono di carattere esclusivamente locativo. .

135

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

6.5 'Profilazione' del Mover complesso nel modello del movimento FIG URA

Mover direzione del movimento

Source

Goal Percorso

( r4)

Peter hat (zwei Stunden lang) geschwommen

(r5)

Peter ist bis ans andere Ufer geschwommen

"Peter ha nuotato (per due ore) " . " Peter è andato a nuoto fino all'altra riva " . Anche in questi casi è possibile osservare una differenza nella profi­ lazione nel modello di riferimento, che è appunto quello del movi­ mento. La profilazione del Mover (o meglio di quel Mover ' agentivo' complesso a cui si è accennato) corrisponde alla rappresentazione in FIG .

6.5 .

Questo schema è cognitivamente sottostante alla frase ( r4), in cui lo spazio non è esplicitamente menzionato e risulta quindi pre­ supposto, ma in cui soprattutto il ruolo di Mover è da considerarsi 'misto ' , con caratteri agentivi (==> ausiliare haben) . S e invece nello stesso schema viene profilata l a parte relativa al percorso, cioè al movimento nello spazio, si avrà la variante in FIG . 6.6. A questo corrispondono quindi frasi con ausiliare sein del tipo ( r 5 ) , in cui l'indicazione di spazio deve essere espressa. Per quanto riguarda il modello del movimento, che è prototipico dell'uso di sein, si nota quindi che è richiesto questo ausiliare se il modello è interamente profilato; nei casi di profilazione di una parte di esso, si ha ancora sein se se ne profila la parte 'a valle', corrispon­ dente al percorso spaziale, mentre viene selezionato haben se se ne profila la parte 'a monte' , cioè il Mover con caratteristiche agentive. I casi finora analizzati possono condurci alle seguenti osservazioni riassuntive. r . La formazione del Per/ekt tedesco avviene con l'inserimento dei due verbi haben e sein, che quindi possono essere considerati da que-

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FIGURA 6.6 'Profilazione ' del percorso nel modello del movimento

Mover direzione del movimento

Source

Goal Percorso

sto punto di vista 'in concorrenza' (o viene selezionato l'uno o viene selezionato l'altro) . 2 . A ciascuno dei due verbi è associato un archetipo concettuale di base, che esso rappresenta prototipicamente. T ale archetipo è quello del modello canonico dell'evento per il verbo haben e quello del mo­ vimento su un percorso per il verbo sein. Se tale modello è intera­ mente profilato si avranno le selezioni prototipiche appena indicate (cfr. FIGG . 6 . r e 6 .2 ) . 3 . Ulteriori operazioni di profilazione all'interno di ciascun modello provocano la selezione di un ausiliare che può anche essere quello alternativo rispetto al caso prototipi co (cioè è possibile che venga se­ lezionato - in determinate condizioni - sein per il modello dell'even­ to canonico e haben per il modello del movimento) . 4 · L a caratteristica principale d i tale sotto-selezione si può sintetizza­ re come segue : se viene profilato un elemento che si trova ' a monte' della catena simboleggiata dal modello, viene selezionato l'ausiliare haben (profilazione dell'Agente nel modello canonico - es. ( r 2 ) , FIG . 6.4 - e profilazione del Mover agentivo nel modello del movimento ­ es. ( r 4) , FIG . 6 .5 ) . Se invece viene profilato un elemento 'a valle' nel modello verrà selezionato l' ausilare sein (profilazione del Paziente nel modello canonico - es. ( r o) , FIG . 6 . 3 - e profilazione del percorso nel modello del movimento - es. ( r 5 ) , FIG . 6.6) 7 • 7. Questo comportamento è idiosincratico del tedesco, non necessariamente estendibile a altre lingue (per esempio all'inglese e nemmeno del tutto all'italiano, che pure ha punti di contatto). La maniera in cui l'esperienza semantica viene 'costruita' linguisticamente non è universale ma ha una radice di carattere convenzionale o cultu­ rale, anche se non è completamente arbitraria (cfr. Langacker, 1 99 1 a, p. 3 89) . In ge­ nerale si può riscontrare una buona corrispondenza tra struttura esperienzial-concet­ tuale e costruzioni linguistiche prototipiche, mentre a mano a mano che ci si allontana

1 37

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GlJISTICA COG�ITIVA FIGURA 6.7 Modello del 'movimento causato' interamente profilato

Mover direzione del movimento

Agente

Source

Goal Percorso

L'ultima affermazione (punto 4) rappresenta una generalizzazione che risulta compatibile con altri dati, in particolare con casi riconducibili alla combinazione dei due modelli discussi, cioè casi in cui il moto è il risultato di un trasferimento di energia da parte di un Agente, del tipo di quello esemplificato dalle due frasi:

( r 6)

Peter hat einen Bus (bis nach Berlin) gefahren

(r7)

Der Bus ist schnell nach Berlin ge/ahren

"Peter ha guidato un autobus (fino a Berlino) " ; "L'autobus è andato velocemente a Berlino " . In ( r 6 ) ( costruzione causativa) vi è un Agente esplicitamente nomina­ to (Peter) che causa con la sua guida il movimento del Mover (l'auto­ bus) verso una meta (Berlino) . Il modello concettuale sottostante che è in certo modo la 'somma' dei due precedenti - è quello in FIG. 6.7. L'intero modello appare profilato e l'ausiliare selezionato è haben . Se invece si profila la parte 'a valle' del modello (che coincide in que­ sto caso con il modello del movimento), evidenziando il Mover e con­ siderando presupposto l'Agente si ottiene il modello concettuale sot­ tostante alla frase ( r 7 ) che, coerentemente con l'ipotesi 4, darà luogo alla selezione di sein (FIG . 6 . 8 ) . I casi illustrati finora riguardano l a quasi totalità dei dati del pro­ blema presi in considerazione in PAR. 6.2 , all'infuori di una parte di quelli citati in (2b), cioè quelli che riguardano l'uso di sein in correla-

dalle costruzioni prototipiche l'aspetto convenzionale, idiosincratico di ogni lingua (o dialetto, o addirittura idioletto) , prende il soprawento.

6 . LA DISTRIBUZIONE DEGLI AlJS ILIARI

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FIGURA 6.8 Modello del 'movimento causato' con Mover profilato

Mover



direzione del movimento

energia

Agente

Source

Percorso

Goal

zione con verbi che indicano l'inizio o la fine di un 'azione (einschla­ /en , verbluhen) . Di questi ci occuperemo nel paragrafo seguente. 6 .j Schemi di Immagini nella formazione del Perfekt tedesco

Una delle caratteristiche principali della LC, forse riconducibile all'in­ fluenza della psicologia gestaltica, sta nel concepire i fenomeni lingui­ stici in termini per quanto possibile olistici e dinamici. Gli Schemi di Immagini e gli Archetipi Concettuali sono chiaramente configurazioni a carattere complessivo, che tendono all'unificazione più che alla par­ cellizzazione, e per conseguenza si adattano a essere applicate ai feno­ meni più disparati della lingua, dalla grammatica, al lessico, al discor­ so ecc. (che peraltro sono visti come realizzazioni - a diverso livello di astrazione e applicazione - dei medesimi meccanismi di simboliz­ zazione propri del linguaggio) . Il dinamismo è intrinseco a una concezione di questo tipo, poiché le entità cui fa riferimento sono tutte concepite in termini di processo: gli Schemi di Immagini, come del resto tutte le forme di concettua­ lizzazione, sono costruzioni mentali in continuo sviluppo che si appli­ cano progressivamente nel corso della codificazione-decodificazione del messaggio linguistico (Langacker, 2 o o r ) . Uno Schema di Immagi­ ni, quindi, è da una parte il risultato di una operazione di connessio­ ne fra e di astrazione da esperienze diverse, dall'altra è uno strumen­ to produttivo che si applica, anche ricorsivamente, alle diverse fasi della pianificazione della comunicazione linguistica, a partire dalla concezione di quanto si vuole comunicare fino alla sua vera e propria strutturazione in forma di frase. In questo processo diversi schemi possono essere attivati contemporaneamente o in successione e posso139

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

no anche dare luogo a conflitti (è questo in particolare il caso dei fenomeni non prototipici, cosiddetti marginali o 'di confine' ) . Prendiamo in esame gruppi di verbi come erbluhen-bluhen-verblu­ hen , 'fiorire-essere in fiore-sfiorire' o anche geboren sein-leben-sterben, 'nascere-vivere-morire' (se ne potrebbero citare altri analoghi) , in cui il primo e l'ultimo verbo richiedono sein nel Per/ekt, mentre quello centrale seleziona haben. All'interno della nostra impostazione, gli eventi sottostanti non sono visti come entità separate ma come facenti parte della medesima concettualizzazione (quello della FIORITURA nel primo caso, quello della VITA, nel secondo) nelle sue varie fasi. In termini gestaltici gli eventi non sono visti come atomi isolati ( ciascu­ no , per esempio, rappresentato da un verbo) ma come un complesso che si staglia (una sorta di figura) sul contesto dei domini cognitivi (che rappresenterebbero lo sfondo) della concettualizzazione delle esperienze. T almy sostiene esplicitamente che la concezione di un evento corrisponde alla creazione attorno ad esso di un ' confine con­ cettuale' (boundary) che ne ritaglia i caratteri (contenutistici, spaziali, temporali ecc.) dal continuum della esperienza circostante (Talmy, 2 ooob, p. 2 1 5 ) : [ . . ] the human mind in perception or conception can extend a boundary aro un d a portio n of what would otherwise be a continuum [ . . ] an d ascribe to the excerpted contents within the boundary the property of being a single unit entity. Among various alternatives, one category of such an entity is per­ ceived as or conceptualized as an event. This is a type of entity that includes within its boundary a continuous correlation between at least some portion of its identifying qualitative domain and some portion of the so-conceived temporal continuum 8 . .

.

,

Ora, la creazione di un confine attorno a un 'entità (sia pure concettuale) corrisponde all'applicazione di un ben noto Schema di Immagini, più volte ricordato da Lakoff nelle operazioni logiche e mentali e legato convincentemente da Johnson all'esperienza corporea: quello del Con-

8. "La mente umana nella percezione o nella formazione dei concetti può trac­ ciare un confine attorno a una porzione di ciò che farebbe altrimenti parte di un continuum e ascrivere ai contenuti così isolati la proprietà di essere un'entità unica. Fra varie alternative, una categoria di tali entità è percepita o concettualizzata come un evento. Si tratta di un tipo di entità che comprende all'interno dei suoi confini una correlazione continua fra almeno qualche porzione del dominio qualitativo che la identifica e qualche porzione del continuum temporale così concepito" .

6 . LA DISTRIBUZIONE DEGL I AlJS ILIARI

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tenitore (container) . Lo Schema del Contenitore è molto produttivo e risponde perfettamente alle caratteristiche sopra ricordate di estendibi­ lità a diversi contesti, da quelli esperienziali, a quelli logico-razionali (Lakoff riconduce allo Schema del Contenitore addirittura le operazioni del sillogismo classico) , a quelli linguistici in tutti i loro aspetti. Le sue caratteristiche principali sono quelle di racchiudere un contenuto all'in­ terno di confini delimitati da pareti o bordi (boundaries) , così come il nostro corpo contiene in sé tutti gli organi vitali. Riportando il discorso ai gruppi di verbi sopra ricordati, si potrà dire che essi rappresentano la concettualizzazione di un evento-conte­ nitore complesso, costituito da un centro in cui si svolge l'azione do­ minante (bliihen, leben) e due ' confini' (boundaries) coincidenti con le situazioni in cui questo evento viene prima a costituirsi e poi a cessa­ re (erbliihen e verbliihen e - rispettivamente - geboren sein e sterben) . S e infatti consideriamo l'evento complessivo del fiorire-bliihen come un contenitore, al cui esterno si trova tutto il continuum esperienziale che non ne fa parte (cioè l'insieme di ciò che non fa parte del fiorire, il 'non-fiorire' per così dire), allora erbliihen, 'sbocciare' , simboleggia linguisticamente (precisamente come verbo) uno dei suoi bordi e in­ dica il superamento in entrata di tale confine, mentre verbliihen , 'sfio­ rire' , si colloca sul bordo che indica il superamento in uscita; in tale contesto bliihen è invece il verbo che rappresenta l'evento nel suo svolgersi. In questo caso specifico la struttura eventiva è mantenuta visibile in maniera trasparente attraverso una sorta di 'costanza lessi­ cale' dettata dal radicale bliih-, accompagnato da quelli che Talmy chiamerebbe i 'satelliti' (satellites), cioè i prefissi che indicano l'attra­ versamento del boundary ( er-bliih-enlbliih-en/ ver-bliih-en). Il tedesco utilizza tuttavia anche un altro mezzo morfologico per indicare l' at­ traversamento del boundary, almeno nella formazione del Per/ekt: l'al­ ternanza dei verbi haben e sein. In particolare, mentre haben è il ver­ bo selezionato per indicare l'azione eventiva all'interno dell'immagine del contenitore, sein indica il passaggio dei suoi confini. Nei casi in cui non si manifesta 'costanza lessicale' tra i vari stadi dell'evento (come nel caso dell'evento complesso del vivere : geboren sein-leben­ sterben) l'uso dell' ausiliare resta l'unico indicatore del superamento del boundary: ( r 8 ) Die Rose ist erbluht - Die Rose hat gebliiht "La rosa è fiorita - La rosa ha fiorito - Peter hat gelebt ( r 9) Peter ist geboren - Peter ha vissuto "Peter è nato

- Die Rose ist verbluht - La rosa è sfiorita" - Peter ist gestorben - Peter è morto "

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

La domanda che si pone ora è se questo comportamento sia in qual­ che modo 'spiegabile' (perché proprio sein per la funzione di attra­ versamento e haben per quella eventiva interna? ) o se per lo meno sia coerente con quanto sappiamo dei comportamenti morfologici del te­ desco legati all'applicazione dello Schema del Contenitore. Va detto innanzi tutto che - coerentemente con l'ipotesi dell'applicabilità degli schemi attraverso vari domini è lecito per la LC cercare analogie in altri settori della grammatica. A questo proposito Talmy (2 ooob, p. 2 3 I ) ricorda che la concettualizzazione dei contorni temporali di un evento ricalca quella della strutturazione spaziale, in particolare quel­ la del percorso (path) . In effetti esiste un ambito della morfosintassi del tedesco nel qua­ le la concettualizzazione del percorso si associa all'applicazione dello Schema del Contenitore, determinando esiti chiaramente visibili: si tratta della selezione del caso (accusativo vs. dativo) in dipendenza da preposizioni spaziali. In Serra Borneto ( I 997) e (2oo i ) ho cercato di mostrare la correlazione esistente tra la selezione dell'uno o dell'altro caso , la profilazione del percorso e l'attivazione dello Schema del Contenitore. Non è qui il caso di ripercorrere l'intera argomentazio­ ne, mi limiterò quindi a discutere due soli esempi illustrativi: -

(20) (2 I )

Wir sind in den Rittersaal getanzt " Siamo entrati nel [ace.] salone dei Cavalieri ballando " ; Wir haben (den ganzen Abend) im Rittersaal getanzt 9 "Abbiamo ballato (tutta la sera) nel [dat .] salone dei cavalieri " .

In (2o) (accusativo) si intende che il Mover (wir) è entrato nel salone danzando, proveniendo quindi dall'esterno del salone stesso; in (2 I ) (dativo) è invece inteso che l'azione del danzare si è svolta inte­ ramente nel salone, e si sottolinea eventualmente anche la durata del­ l' azione (den ganzen A ben d) . In analogia con quanto affermato per gli eventi, l a concettualizzio­ ne dello spazio interessato si configura come la creazione attorno al­ l' oggetto di riferimento (il cosiddetto Landmark, qui il salone) di un 'confine concettuale' (boundary) che ne ritaglia lo spazio interessato (un cosiddetto dominio determinato dalla preposizione in) dal conti­ nuum dello spazio circostante. Si crea così un contenitore entro cui il

9· Esempi da Abraham ( 1 995 , p. 67).

6 . LA DISTRIBUZIONE DEGLI AUS ILIARI FIGURA

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6.9

Mover attraversa boundary (Ace) (a), Mover all'interno del boundary (DAT) (b)

Accusativo

l

..1

Dativo

TR · �\0

c!5

�o�t

- LM

- LM

a.

b.

Mover (o Trajector) si viene a collocare con la sua azione di movi­

mento. Se tuttavia l' azione del movimento si inizia già all'esterno del contenitore e il Mover-Trajector vi penetra superandone il confine (boundary) , viene selezionato l'accusativo, se invece il movimento del Mover-Trajector si svolge interamente all'interno del contenitore, sen­ za oltrepassarne i confini, viene selezionato il dativo. Simbolicamente, e graficamente, le due situazioni possono essere rappresentate come in FIG . 6.9. V a ricordato che questa configurazione non è limitata al caso spe­ cifico qui trattato ma è sistematica e coerente per tutte quelle prepo­ sizioni tedesche che consentono nella loro reggenza la scelta tra dati­ vo e accusativo. Tornando agli esempi in discussione, si nota che nella frase all'ac­ cusativo ( 2 o ) viene selezionato (al Per/ekt) l'ausiliare sein, mentre nel­ la frase con il dativo ( 2 r ) viene selezionato haben, in coerenza con quanto postulato più sopra a proposito del superamento del boundary eventivo (sein) o della sua permanenza all'interno del contenitore (ha­ ben ) . Vi è però un 'importante differenza rispetto ai gruppi di verbi discussi in precedenza (erbliihen-bliihen-verbliihen e geboren sein-le­ ben-sterben) : in questo caso l'evento concettualizzato non subisce va­ riazione interna (il tipo di azione resta la medesima, cioè il danzare) , ma sono interessate precipuamente le relazioni spaziali. Questo lascia intendere che il concetto di attraversamento del boundary non coinci­ de necessariamente con il tradizionale concetto di inizio e fine di un 'azione (o di incoatività e risultatività) ma è più generale e può ri­ guardare anche un'azione che non si caratterizza per uno dei suddetti aspetti. Una conferma indiretta di ciò ci viene dall'uso degli ausiliari con i 143

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

verbi che indicano il concetto di inizio e fine di una azione e richiedo­ no senza eccezione l'ausiliare haben ( ha t ange/angen, 'ha iniziato' , ha t begonnen, 'ha incominciato', ha t beendet, 'ha finito' , ha t au/gehort, 'ha smesso' ecc . ) . Se l'idea sottostante alla selezione di haben/sein nel caso dei verbi eventivi fosse quella dell'inizio (o fine) dell'azione, allo­ ra ci aspetteremo in questo caso la selezione di sein , in analogia con quanto avviene per i verbi incoativi o risultativi ( ist erbluht, 'è fiori­ to ', ist verbluht, 'è sfiorito' ecc . ) . In effetti le cose stanno diversamen­ te; anzi se osserviamo i verbi di inizio/fine (an/angen ecc.) non singo­ larmente ma in una sequenza che comprenda anche la concettualizza­ zione del verificarsi dell'evento, noteremo un singolare 'parallelismo inverso' rispetto ai verbi eventivi finora esaminati: ( 2 2 ) Die Rose ist erbluht - Die Rose hat gebluht - Die Rose ist verbluht "La rosa è fiorita - La rosa ha fiorito - La rosa è sfiorita" (2 3 ) Peter ist geboren - Peter ha t gelebt - Peter ist gestorben - Peter è morto " "Peter è nato - Peter ha vissuto (24) Es ha t ange/angen - Es ist geschehen - Es ha t aufgehohrt "Ha/è cominciato - È avvenuto - Ha smesso " (2 5 ) Es ha t begonnen - Es ist passiert - Es hat beendet. "Ha/è cominciato - È successo - Ha/è finito " Mentre nelle sequenze eventive i due verbi 'estremi' (di confine del contenitore secondo la nostra interpretazione) selezionano sein e quello ' centrale' (interno al contenitore) seleziona haben, nel caso dei verbi concettuali di inizio/verificarsi/fine (an/angen ecc.) abbiamo una selezione inversa. Come si spiega tutto questo? Forse il concetto di Schema di Immagini e di contenitore va abbandonato in questo caso? Ancora una volta ci viene in aiuto Talmy, il quale afferma a proposito delle «lexical verb forms comparable to English begin , end, continue, repeat, finish» (Talmy, 2 ooob, p. 2 3 2 ) : The main cognitive basis may involve force dynamics - that is, the generai and language-based conceptual system pertaining to force exertion, opposi­ don, resistance, and overcoming. The particular application of force dyna­ mics bere may be that the temporal contouring event, as Antagonist, overco­ mes the so-conceived intrinsic temporal character of the substrate activity, as Agonist. [ . . ] An imposition to overcome an activity's natura! temporal ten­ dency can thus then be conceptualized as a distinct process, separable from an idealized version of the activity itself, and so be amenable to representa­ tion by a main verb . A further cognitive basis far the agentive form of such .

144

6 . LA DISTRIBUZIONE DEGLI AUSILIARI

HABEN

E

SEIN

I� TEDESCO

impositional process might be an individual's own developmental experience of the exercise of agency IO.

T almy non parla qui di Schemi di Immagini, anche perché si soffer­ ma su singoli verbi, ma sottolinea il fatto che la loro semantica va interpretata nell'ambito della concettualizzazione dell' agentività e del­ l'esercizio di forze (force dynamics) . È invece Johnson ( 1 9 87) che si è occupato di definire le caratteristiche degli Schemi di Immagini. In particolare, Johnson ( 1 987, p. 2 2 ) ricorda una serie di implicazioni relative allo Schema del Contenitore, di cui le prime due sono: (i) The experience of containment typically involves protection from , or resi­ stance to, external forces. When eyeglasses are in a case, they are protected against forceful impacts. (ii) Containment also limits and restricts forces wit­ hin the container. When I am in a room, or in a jacket , I am restrained in my forceful movements I I.

Da questa caratterizzazione appare evidente che lo Schema del Con­ tenitore esercita una resistenza verso l'esterno, che richiede l'esercizio di una forza per essere superata e quindi rientra perfettamente in un «sistema concettuale che pertiene alla produzione di forza, resistenza e superamento di un ostacolo», per dirla con le parole di Talmy. Il superamento dei margini di un contenitore-evento sembra quindi giu­ stificare l'uso di un ausiliare ' agentivo' come haben (ricordiamo che haben è l'ausiliare che meglio interpreta il trans/er di energia) , mentre ciò che si trova all'interno del contenitore è in tendenziale condizione di stasi («Il contenimento inoltre limita e contiene le forze all'interno del contenitore») e quindi più adeguatamente rappresentato dall'ausi­ liare sein. Questa opposizione, che ricorda quella fra transitività e I O . " La base cognitiva principale può coinvolgere la dinamica della forza - vale a dire il sistema concettuale generale e basato sulla lingua che pertiene alla produzio­ ne di forza, resistenza e superamento di un ostacolo. L'applicazione particolare della dinamica della forza qui può essere che l ' evento che costituisce il contorno temporale, come Antagonista, supera il carattere concepito così intrinsecamente del sostrato co­ stituito dall 'attività, come Agonista. [ . . . ] Un'imposizione a superare le tendenze tem­ porali naturali di un'attività può pertanto essere concettualizzata come un processo distinto, separabile da una versione idealizzata dell'attività in sé, e come tale passibile di essere rappresentata da un verbo indipendente. Un'ulteriore base cognitiva della forma agentiva di un tale processo di imposizione potrebbe essere l'esperienza di svi­ luppo di un individuo riguardo all'esercizio delle forze" . I I . " (i) L'esperienza del contenimento tipicamente comporta protezione d a o re­ sistenza contro forze esterne. Se gli occhiali sono nella custodia, sono protetti dai col­ pi. (ii) TI contenimento inoltre limita e contiene le forze all'interno del contenitore. Se sono in una stanza, o in una giacca, i miei movimenti di forze sono limitati " .

145

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

non-transitività, è del resto confermata dal fatto che le costruzioni con haben consentono la specificazione dell'azione implicata (Es ha t ange/angen zu regnen!Es hat au/gehohrt zu regnen) in una sorta di co­ struzione transitiva, mentre quelle con sein non lo consentono (�':Es ist geschehen zu regnen) . Le considerazioni appena sviluppate paiono confermare che anche nel caso dei verbi che concettualizzano le fasi di un evento, venga attivato lo Schema del Contenitore. Naturalmente non sarà sfuggito a nessuno che lo stesso schema una volta è accompagnato dalla selezio­ ne di sein per l'azione sul confine, e una volta dalla selezione di ha­ ben per il medesimo tipo di azione. E viceversa per la parte che si identifica con il contenuto del contenitore. Questa contraddizione è in realtà apparente, poiché non tiene conto delle caratteristiche dinamiche dell'applicazione degli Schemi di Immagini (cfr. supra) . Evidentemente si tratta qui di un 'applicazio­ ne differenziata non di uno stesso schema ma di più schemi (in effetti di più schemi abbiamo parlato finora) che per comodità potremmo immaginare in successione. Innanzi tutto viene attivato lo Schema del Contenitore come base generale della concettualizzazione degli eventi; a esso si sovrappone di volta in volta un secondo schema, che po­ tremmo definire 'operativo' : nel primo caso (rappresentato dai verbi 'pieni ') quello del Percorso (path ), nel secondo (rappresentato dai verbi 'concettuali' ) quello della Agentività Dinamica (force dynamics) . In sostanza, mentre lo Schema del Contenitore detta le condizioni di contorno in cui il fenomeno viene concepito (la presenza di un conte­ nuto circondato da confini) , lo schema 'operativo' detta le condizioni di realizzazione specifica in cui tale fenomeno assume forma lingui­ stica. O ancora : lo Schema del Contenitore ci dice che ci sono situa­ zioni complesse e correlate, incentrate su una parte centrale relativa­ mente stabile e dei confini da superare (o da 'forzare'), gli schemi 'operativi' del path e della force dynamics indicano come trattare tale situazione complessa, in particolare come superare i confini del con­ tenitore utilizzando i mezzi linguistici più adatti e coerenti. Come si diceva all'inizio, esistono altri casi marginali (non molti) che non abbiamo potuto trattare in questo articolo e soprattutto esi­ stono altri punti di vista, altrettanto validi e spesso meglio accreditati, da cui osservare i fenomeni indicati. Lo scopo di questo studio era tuttavia quello di mostrare come sia possibile analizzare un aspetto della morfosintassi del tedesco in termini rigorosamente ed esclusiva­ mente cognitivisti, senza fare ricorso ad altri strumenti teorici.

7

Le metafore di 'parlare' 1n latino di Francisco Garcia Jurado

7·1 Introduzione

Lo studio delle metafore cognitive e della loro organizzazione in spazi mentali è uno degli aspetti maggiormente sviluppati nell'ambito della LC 1 • In un lavoro precedente (Garda Jurado, 2 0 0 1 ) abbiamo traccia­ to in modo prowisorio un saggio di organizzazione metaforica nel la­ tino di Plauto dividendolo, secondo l'originaria classificazione di La­ koff e Johnson ( r 998a), nei tre tipi di metafora che questi stabilisco­ no: orientazionale, antologica e strutturale. Nel nostro precedente la­ voro, abbiamo evidenziato come si sia creato un ricco insieme di me­ tafore basate sull'esperienza che, in qualità di esseri dotati della paro­ la, abbiamo riguardo a diversi aspetti del linguaggio , come le parole, il senso o la coerenza del discorso. Troviamo pertanto un vasto grup­ po di espressioni metaforiche riferite alle parole, per esempio metafo­ re antologiche, in base alle quali le parole sono considerate alimenti o bevande (Plaut. Aul. 5 3 7 nimium lubenter edi sermonem tuom , "non ti so dire con che piacere ho ascoltato [mangiato] il tuo sermoncino " , trad. di E . Paratore) , o metafore venatorie e commerciali, che h a stu­ diato approfonditamente Emilia Sergi ( r 994) nei testi di Plauto, dal punto di vista della nozione di 'campo metaforico'. A loro volta, le metafore connesse con il discorso vanno da quella che interpreta il senso come un cammino (Plaut. Me n. 5 6 verum illuc redeo unde abii atque uno asta in loco, "ma ora torno al punto di partenza e non me ne allontano più " , trad. di E. P aratore) all'interessante metafora della incoerenza, esemplificata dall'espressione italiana non avere né capo né coda e dall'equivalente espressione spagnola esto no tiene n i pies n i

1 . Questo lavoro rientra nel progetto di Ricerca PB-98-0794, finanziato dalla Di­ recci6n Generai de Enseiianza Superior.

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

cabeza Oett . : " questo non ha né piedi né testa " , cfr. Garda Jurado ,

Maiz Arévalo, 2 002 ) . Studiando la semantica delle metafore, è fondamentale distinguere chiaramente tra le METAFORE CONCETTUALI in sé, cioè gli schemi men­ tali dai quali si parte e che appartengono al livello del contenuto, e le differenti ESPRESSIONI della METAFORA.

Meta/ora concettuale. In questo caso, formuliamo la metafora come

una frase copulativa (seguiamo Lakoff, Johnson, 1 99 8 a) del tipo: LA VITA È UN GIOCO O LA COERENZA È UN CORPO COMPLETO. In questo modo, si delimitano chiaramente tanto il punto di partenza, il Source Domain, o dominio di origine, quanto il punto di destinazione, Target Doma in , o dominio di arrivo:

Source domain

Target domain

Gioco

Vita

Corpo completo: testa e piedi

Coerenza

Sebbene la formulazione di questo tipo di equivalenza sia implicita nella conseguente espressione della metafora, può presentarsi il caso in cui ci sia un 'espressione metaforica che riproduce in tutti i suoi termini la metafora concettuale, come succede nel seguente verso di Terenzio nel quale si ricuperano due termini della metafora LA VITA È UN GIOCO: (r)

ita vitast hominum quasi quom ludas tesseris

"la vita umana è come quando tu giuochi ai dadi " (Ter. Ad. 7 3 9 , trad. di A. Ronconi) .

Espressione della meta/ora. Si può manifestare in vari livelli, dalle

estensioni semantiche delle singole parole sino al livello fraseologico, che in genere è il più percepito. La lettura dei testi ci dà, in linea generale, varie versioni dell'espressione della metafora cognitiva. Per esempio, in riferimento alla metafora precedentemente citata, LA VITA È UN GIOCO ( n ' AZZARDO ) , troviamo una curiosa espressione latina ba­ sata su un gioco da tavolo: ad incitas (calces) redigere traduci bile con il nostro 'dare scacco matto' (Marquez Huelves, 2 oo r , 2 002 ) . L'e­ spressione risponde concretamente a un gioco da tavolo nel quale uno dei giocatori è riuscito a immobilizzare la pedina dell' awersario. Questa circostanza propria del gioco si può applicare ad altre si-

7 · LE METAFORE DI ' PARLARE ' IN LATII'\0

tuazioni della vita in cui qualcuno è in grado di sconfiggere un altro, come se si trattasse di una partita. L'espressione, probabilmente mol­ to diffusa nella lingua parlata, si è evoluta fino a perdere il sostantivo calces (' piccole pietre') e con la trasformazione dell' aggetivo incitas ('immobile ') in sostantivo. Questa è la situazione che l'espressione presenta nel latino di Plauto: (2 )

pro/ecto acl incitas lenonem recliget, si eas abduxerit " certamente darà scacco matto al ruffiano se gliele porterà via " (Plaut . Poen . 907 , trad. d i E. P aratore) .

A sua volta, la metafora formulabile come LA COERENZA È UN CORPO COMPLETO si esprime con varianti minime per mezzo dell'espressione idiomatica equivalente a 'non avere né capo né coda' , che si trova già nel latino di Plauto:

(3 )

garriet quoi neque pes umquam neque caput compareat "ti graciderà una cicalata senza capo né coda " (Plaut. Capt. 6 r 4, trad. di E. Paratore).

All'interno di questo ricco contesto di metafore cognitive, analizzere­ mo in questo capitolo due espressioni latine relative all'espressione verbale: r . 'Dire sciocchezze' è 'raffreddarsi la bocca'; 2 . 'Parlare male e in modo inintelligibile' è 'parlare oscuro , o spor­ co' , in opposizione a 'parlare chiaro'. Si tratta di espressioni nelle quali concorrono vari schemi metafo­ rici. In primo luogo, sulla polarità freddo-caldo e chiaro-scuro, in cui ciò che è freddo e oscuro si caratterizza in modo negativo in opposi­ zione a ciò che è caldo e chiaro, si arriva, per analogia ad uno sche­ ma spaziale, secondo Lakoff e J ohnson ( r 998a) , formulabile nei se­ guenti termini:

Sopra

è

buono-positivo

Sotto

è

cattivo-negativo

Lo schema permette di stabilire all'interno di uno spazio mentale di carattere verticale basato sulla polarità sopra/sotto un criterio di valu-

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

tazione molto produttivo nei diversi livelli della lingua. I prefissi sub­ ( 'verso l'alto': sub-ire, ' ascendere') de- ('dall'alto' : de-scendere, ' discen­ dere') presentano chiare realizzazioni dello schema (Garda Jurado, 2 002 ) . Bisogna inoltre tener presente che sull'orientamento si forma­ no analogamente altre metafore che servono pure per esprimere il ca­ rattere positivo o negativo di distinti aspetti della realtà. Tra le molte possibili, si trovano quelle che riguardano il CALORE e il COLORE­ SPLENDORE. T ali metafore si possono articolare intorno ai poli se­ guenti in perfetta analogia con le metafore più puramente orientazio­ nali. N el caso del calore abbiamo la seguente equivalenza:

Ciò che è caldo Ciò che

è

è

freddo

sopra - positivo è

sotto - negativo

Nel caso del colore otteniamo uno schema simile:

Ciò che

è

bianco - chiaro

Ciò che

è

nero - oscuro

è

è

sopra - positivo

sotto - negativo

L'adeguamento delle varianti all'asse della verticalità dà come risulta­ to le seguenti equazioni: SOPRA, BIANCO e CALDO è POSITIVO, mentre invece SOTTO, NERO e FREDDO è NEGATIVO. Questa lista di equiva­ lenze è suscettibile di ampliarsi sostanzialmente, man mano che si in­ corporano nuove varianti che incidono anche sul sistema di valutazio­ ne, come il movimento in opposizione alla staticità, o la vicinanza in opposizione alla lontananza. Ci troviamo dunque di fronte all'applicazione della metafora a un contesto determinato. Nel caso dell'applicazione all'espressione ver­ bale, la relazione dell'atto di parlare con ciò che è caldo o bianco sarà positiva, mentre l' analogia con il freddo e l'oscurità sarà negati­ va. Questo schema si realizza in una serie di espressioni concrete, ca­ ratterizzate da un contesto determinato, di carattere colloquiale, in opposizione allo schema cognitivo, di carattere generale. Possiamo riassumere quanto esposto per mezzo del seguente schema: I 50

7 · LE METAFORE DI ' PARLARE ' IN LATII'\0

Espressione

Contenuto

Contesto

'raffreddarsi la bocca' 'parlare chiaramente/ in modo oscuro, o sporco'

Schema cognitivo: - sopra è positivo-caldochiaro - sotto è negativo-freddo­ scuro Schema riferito all' espres­ sione verbale.

Colloquiale e comico

7 ·2 Dall'espressione 'raffreddare la bocca' all' orator frigidus

In base a ciò che abbiamo esposto nel paragrafo precedente, bisogna inscrivere questa espressione metaforica in quella più generale che utilizza l'espressione 'freddo' come equivalente di qualità negative, in opposizione a 'caldo'. Quando questo schema si riferisce all'espressio­ ne verbale, la parte negativa serve per indicare che si dicono scioc­ chezze. Questa espressione metaforica come tale ricorre solo due vol­ te in Plauto, che ne sfrutta i risvolti comici: (4)

LY. calidum prandisti prandium hodie? dic mihi. / AG. quid iam? LY. quia os nunc frigefactas, quom rogas "Lu. Ma di' un po' , che oggi hai fatto una colazione bollente? BE. Come sarebbe a dire? LU. Perché ora con la domanda che mi fai cerchi di rinfrescarti il palato. La richiesta che mi fai è una sciocchezza ! " (Plaut. Poen. 75 9-760, trad. di E. Paratore [adattata] ) .

Plauto provoca un effetto di comicità inaspettata quando in piena di­ scussione uno dei personaggi chiede all'altro, apparentemente senza motivo, se ha mangiato qualcosa di caldo . Il motivo di queste do­ mande inaspettate prepara il contesto dell'espressione ' raffreddarsi la bocca' , non facilmente traducibile, ma equivalente a 'dire sciocchez­ ze' 2 • Lo stesso uso comico, benché questa volta in modo più conciso, appare in quest'altro passaggio:

2. In questo senso, non ci sembra particolarmente appropriata la traduzione di E. Paratore: "la richiesta che fai è una freddura " , che, se da un lato mantiene il lega­ me etimologico con la parola 'freddo', dall'altro utilizza un vocabolo il cui significato italiano non è quello di ' sciocchezza'.

15 1

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GlJISTICA COG�ITIVA

(5)

os calet tibz: n une id /rige/actas

"ma che ci hai la bocca che ti scotta e la vuoi rinfrescare con 'ste sciocchezze? " (Plaut. Rud. r 3 2 6 , trad. di E. P aratore [adat­ tata] ) .

L'espressione che vediamo ripetuta in uno e nell' altro verso d i Plauto è os /rige/acere, 'raffreddarsi la bocca' . Questa espressione non si può intendere letteralmente, ma solo grazie allo schema cognitivo secondo il quale il freddo è negativo. In questo modo essa equivale a 'dire sciocchezze'. L'espressione d' altro canto presenta alcune singolarità, come il fatto che la sua comparsa sia ristretta unicamente a due casi in Plauto, e non presenta un'alternativa metaforica di carattere positi­ vo che potrebbe benissimo essere stata ''(os cale/acere, 'scaldarsi la bocca' , cioè ' dire cose sensate' 3• D'altra parte, vista la sua scarsa ri­ correnza, non sappiamo in che misura si tratti di una espressione idiomatica vera e propria, cioè un ' discorso ripetuto ' , visto che non ritroviamo l'espressione os /rige/acere al di fuori dei testi plautini. Tuttavia, nello stesso schema cognitivo, dobbiamo considerare l'u­ so dell' aggettivo /rigidus, 'freddo' , riferito a un oratore per indicare la sua goffa esposizione, o dell'avverbio frigide, 'freddamente' , riferito alla scelta inadeguata di un vocabolo 4• ( 6)

nimis ille quidem lentus in dicendo et paene frigidus

" questi era un oratore lento nel parlare e un po' goffo " (Cic.

(7)

Brut. 1 7 8 , trad . di G . Norcio [adattata] ) ; videturne tibi - inquit - utroque in loco M. Cicero duobus verbis idem, sicuti tu putas, significantibus inepte et frigide esse usus [. . . ] ? "Credi tu che Marco Cicerone nei due passi citati abbia, come ritieni, adoperato con leggerezza e inopportinità due parole che

3· L'asimmetria delle espressioni metaforiche è un fenomeno comune, per esem­ pio, l'espressione latina nec caput nec pes alicui appare! ('' non hanno né capo né pie­ de" ) per esprimere l'incoerenza. In nessun luogo, appare l'espressione positiva (nem­ meno nei suoi equivalenti italiano, inglese o spagnolo) . Tuttavia, lo schema cognitivo deve essere formulato necessariamente in senso positivo: ' la coerenza è un corpo completo'. 4· «Al dominio de la naturaleza pertenecen también términos que designan las cualidades de frio y calor, y que, tomados en un sentido figurado, pasaron a designar al orador caracterizado por un estilo ' frio', freme al que hace gala de una expresi6n 'ardiente' y encendida o de un estilo ' calido'» ( " Al dominio della natura appartengo­ no anche termini che indicano qualità di freddo e caldo, e che nel loro senso figurato, passano a designare l'oratore che sostenta un 'espressione 'ardente' e accesa o uno stile 'caldo"' , Lorenzo, in prep.).

I52

7 · LE METAFORE DI ' PARLARE ' IN LATII'\0

hanno lo stesso significato [ . .. ] ? " (Gel. Rusca).

13,

25 (24),

7,

trad . di L.

In questo caso /rigidus e /rigide si possono opporre ai rispettivi termi­ ni antonimi calidus e calide. Fur rimanendo all'interno dello schema basico 'ciò che è freddo è negativo/ ciò che è caldo è positivo' , osser­ viamo tuttavia vistose differenze rispetto all'espressione plautina os /rige/acere. Queste differenze, già evidenti nella diversa espressione, riguardano anche il contenuto ( 'dire sciocchezze' in Flauto , rispetto a 'parlare goffamente' in Cicerone) e il contesto (colloquiale in Flauto rispetto al tono tecnico, assimilato al linguaggio della retorica in Ci­ cerone) . Risalta, in definitiva, la particolarità dell'espressione di Flauto (non solo nel caso studiato) , in contrasto con l'ampio ambito di ap­ plicazione della metafora cognitiva dalla quale si parte . 7 ·3 L'espressione 'parlare in modo oscuro/parlare chiaramente'

È molto diffusa l'espressione metaforica 'parlare in modo oscuro' ri­

ferita a un modo di parlare inintelligibile , mentre la chiarezza esprime la facilità di comprensione 5 • La metafora mette in relazione, attra­ verso una analogia produttiva, l'espressione verbale e la capacità visi­ va. Se prendiamo come punto di partenza lo schema 'sopra è positivo - chiaro/sotto è negativo - scuro ' , quando questo si applica all'e­ spressione verbale la chiarezza implica la correttezza del messaggio. Nella lingua latina, il verbo loqui, 'parlare', compare insieme con gli avverbi laute, 'in maniera pulita', ' con purezza' , e sordide, 'in maniera sporca' , di modo che il concetto di 'oscuro' rinforza il proprio ca­ rattere negativo relazionandosi con il concetto di 'sporco' e, a sua volta, il concetto di 'chiaro' rinforza il suo carattere positivo metten­ dosi in relazione con 'pulito' . Benché l'origine etimologica di sordide o sorditudo non sia nota con certezza, questi vocaboli possono essere posti in relazione con il gruppo di parole che in alcune lingue germaniche esprime l'idea di 'nero' (cfr. Ernout-Meillet, 1 97 9 , s. v. sordes) . Flauto sviluppa in ma-

5 · La metafora è giunta fino alla terminologia linguistica stessa, soprattutto nel­ l'etimologia, dove le parole la cui origine è sconosciuta sono chiamate parole ' arbi­ trarie' o 'opache' (Zamboni, 1 976) . Questa metafora è antichissima e non si può di­ menticare che la radice che dà luogo al verbo greco otda 'io so' e al verbo latino video 'io vedo' è la stessa.

153

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

niera comica l'analogia del chiaro con il pulito e dello scuro con lo sporco: (8)

edepol huiius sermo hau cinerem quaeritat. l PA. quo argumen­ to? PY. quia enim loquitur laute et minime sordide. PA. Quid­ quid istaec de te loquitur, nil attrectat sordidi PY.

PY. Perbacco, le sue parole non han bisogno di lucido. PA. Come sarebbe a dire? PY. Perché parla proprio in maniera for­ bita, senza ombra di sporco. PA. Del resto, qualunque cosa dica, appunto perché parla di te, non tocca nulla di sporco " (Plaut. Mil. I ooo- I oo2 , trad. di E. Paratore [adattata] ) . "

L'ampliamento sermo hau cinerem quaeritat cerca, come abbiamo vi­ sto negli usi comici precedenti, lo sconcerto momentaneo dell'ascolta­ tore, in quanto sfrutta nella parola sermo la dimensione metaforica come entità tangibile, suscettibile di essere pulita con la cenere. La stessa cosa ricorre nell'esempio seguente, dove la parola creta, ' argilla usata per imbrattare di bianco' , dà luogo a un sorprendente paragone con oratio: (9)

cretast pro/ecto horum hominum ora tio . / ut mi apsterserunt om­ nem sorditudinem .'

"Il loro discorso è proprio una creta, che mi ha lavato e sgrassa­ to di ogni sporcizia ! " (Plaut. Poen . 969-970, trad. di E. Parato­ re) . A fronte della ricchezza espressiva che si apprezza in Plauto, l ' espres­ sione che finisce per diventare idiomatica (Bustos, 2 ooo, p. 99) è lo­ quitur laute/sordide. Sembra che il legame fra 'sporco ' e 'nero' ancora persista in latino, tenendo conto della relazione semantica che vedia­ mo tra sordidus e obscuritas:

( I o ) de oratoribus qui verba antiqua et sordida consectantur et oratio­ nis obscuritatem severitatem putant [. . .] " a proposito degli oratori che vanno in cerca di parole arcaiche e oscure e stimano severità l'oscurità del discorso [. . . ] " (Sen. Con . 9 , 2 ,2 6 , trad. di A. Zanon Dal Bo [adattata] ) .

In questo modo, l a metafora continua a essere utilizzata dopo Plauto, sebbene l'espressione sia limitata fondamentalmente all'aggettivo sor­ didus e all'avverbio sordide. Per ciò che riguarda l'uso dell'aggettivo, 1 54

7 · LE METAFORE DI ' PARLARE ' IN LATII'\0

troviamo la struttura aggettivo e sostantivo verba sordida, però non abbiamo, �·( verba lauta, 'parole corrette' , né aggettivi relativi all'ars re­ torica come propria o electa, ' appropriate' o 'scelte' : ( I I ) Erit autem narratio aperta a c dilucida si /uerit primum exposita verbis propriis et significantibus et non sordidis quidem, non !a­

men exquisitis et ab usu remotis "l'esposizione sarà dunque piana e chiara se sarà effettuata in primo luogo con parole appropriate, efficaci nel significato e non banali, ma nello stesso tempo non ricercate e lontane dall'u­ so " (Quint. Inst. 4,2 ,3 6 ) . Negli esempi fin qui visti, 'parlare sporco' non sembra aver ancora acquisito il significato che ha oggi in italiano di 'parlare in maniera volgare' . Questa evoluzione, che comunque è già attestata in latino, come vedremo nell'esempio ( I 2 ) , presuppone un ulteriore sviluppo dell'analogia che abbiamo stabilito sopra: scuro > sporco > volga­ re. ( I 2 ) phrasin non vulgarem nec sordidam sed electam "un eloquio né banale né volgare, ma ricercato " ( Sen . Con. 3 , I pr,7sa, trad. di A. Zanon Dal Bo [adattato] ) . L'avverbio sordide si può anche trovare insieme ai verba dicendi: ( I 3 ) Et cum sin t populares multi variique lapsus, vz'tanda est acclamatio

adversa popufz: quae aut orationis peccato aliquo excitatur, si aspere, si arroganter, si turpiter, si sordide, si quo animi vitio dictum esse aliquid videtur, aut hominum o//ensione vel invidia, quae aut iusta est aut ex criminatione atque /ama, aut res si displicet, aut si est in aliquo motu suae cupiditatis aut metus multitudo. " Molti e svariati sono gli errori che si possono commettere parlan­ do in publico: perciò bisogna evitare il biasimo della folla. Questo può essere provocato o da qualche difetto del discorso - e ciò av­ viene quando nelle cose dette si crede di ravvisare un tono aspro o arrogante o turpe o gretto - o dall' avversione e invidia degli uomi­ ni - che possono essere o meritate o nate da false calunnie e da cattive voci - o dal fatto che la folla non approvi quello che viene detto o sia dominata da qualche passione o paura " (Cic. de Orat. 2 , 3 3 9 , trad. di G. Norcio [adattata] ) . I5 5

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

Osserviamo il prevedibile processo di idiomaticizzazione dell' espres­ sione, dove il legame con l'origine etimologica va man mano ridu­ cendosi, benché continui inalterato il suo carattere negativo: ( r 4) nescio qua circumlocutione male ac sordide nominavit "l'ha chiamato con non so quale perifrasi, cattiva e volgare " (Apul. Apol. 3 3 , 2 0 ) . 7 ·4 Conclusioni

Lo studio delle espressioni plautine relative al modo di parlare ( 'rinfre­ scarsi la bocca' e 'parlare chiaro /oscuramente') rivela un vistoso contra­ sto tra il particolarismo di alcune delle espressioni (è il caso di os /rige­ /actas) e il carattere generale degli schemi cognitivi dai quali si parte, come la metafora concettuale SOPRA È POSITIVO/SOTTO È NEGATIVO: Contenuto

Contesto

Schema spaziale analo­ gico con la polarità cal­ do/freddo 'dire sciocchezze è raf­ freddarsi la bocca'

Contesto colloquiale e comico

Schema spaziale analo­ gico con la polarità chiaro/scuro 'ciò che è intellegibile è chiaro, e ciò che non è intelligibile è scuro'

Contesto colloquiale e comico

Contenuto

Contesto

- orator calidus ( ? )lverbis calide usus - orator /rigidus/verbis /rigide usus

Schema spaziale analo­ gico con la polarità cal­ do/freddo 'parlare goffamente è freddo'

Contesto del linguaggio della retorica

- *verba lauta, ma verba propria) electa - verba sordida

Schema spaziale analo­ gico con la polarità chiaro/scuro 'parlare in modo inin­ telligibile è scuro'

Contesto del linguaggio della retorica

Espressioni in Plauto

- *os cale/actas ('dire cose

sensate')

- os /rige/actas ('dire

sciocchezze')

- loquitur laute ('parlare

chiaramente')

- loquitur sordide ('parlare

in modo oscuro')

Espressioni posteriori

7 · LE METAFORE DI ' PARLARE ' IN LATI!\:0

Pur partendo da una matrice metaforica che condivide lo stesso sche­ ma cognitivo, ogni espressione si realizza con caratteristiche ben di­ stinte. Nel caso di os /rige/actas osserviamo che la possibile continuità di tale espressione non va più in là di Plauto, sebbene lo schema ap­ plicato, 'caldo - positivo/freddo - negativo' , ricompaia nell'uso di /ri­ gidus nel contesto della retorica. In questo caso la differenza di con­ tenuto e di contesto segue la differenza di espressione. L'espressione loquitur lautelsordide, al contrario, compare anche dopo Plauto nel sintagma verba sordida. Tuttavia, troviamo variazioni nel contenuto e, soprattutto, nel contesto, che passa dal colloquiale allo stile tecnico della retorica.

157

8

L'origine delle espressioni di Agente di Silvia Luraghi

8.1 Introduzione

Nel presente capitolo, esaminerò l'origine delle espressioni di Agente con verbo passivo in greco, lingua nella quale la storia della loro evo­ luzione può essere seguita in maniera abbastanza agevole attraverso testi di epoche successive. Vedremo quindi come preposizioni che in origine hanno senso spaziale acquisiscono un nuovo significato più astratto, basato su diverse metafore che, prendendo lo spazio come dominio di partenza (source domain, cfr. PAR. 1 . 1 .4) , proiettano de­ terminate relazioni sul dominio dell' agentività. Nel corso della sua storia documentata, il greco presenta dappri­ ma una fase in cui varie espressioni, basate su metafore diverse, sono in concorrenza per esprimere il ruolo Agente con il passivo (i poemi omerici) , poi una fase in cui una delle varie metafore si grammatica­ lizza come variante principale (il greco classico) , e quindi la sostitu­ zione di questa espressione con un'altra, basata su una metafora di­ versa (il greco bizantino e poi moderno) . Dopo aver esaminato le varie preposizioni usate in greco e il loro sviluppo semantico, confronterò brevemente, a scopo di esemplifica­ zione didattica, le espressioni di Agente esaminate per il greco con varie espressioni di Agente nelle lingue romanze e germaniche di più immediato accesso , mostrando come, se da un lato ricorrono metafo­ re analoghe, da un altro ciascuna lingua grammaticalizzi una metafora specifica, attraverso la quale si profilano caratteristiche diverse di questo ruolo semantico. Lo scopo del capitolo è quello di mostrare come la linguistica sto­ rica possa avvalersi degli assunti teorici della LC, offrendo nello stesso tempo importanti conferme alla teoria della metafora. Infatti, metafo­ re che vengono ipotizzare sulla base di dati sincronici possono effettiI 59

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

vamente essere osservate in azione quando si passa all'esame dei dati in prospettiva diacronica. 8 . r . r . Perché l'Agente Lo studio delle metafore che sottendono all'uso di preposizioni spa­ ziali per esprimere Agente con il passivo nelle lingue indoeuropee è particolarmente interessante, perché in numerose lingue e in momenti diversi della loro storia è possibile seguire nei testi l'evoluzione che ha portato una certa preposizione a esprimere Agente, partendo da un significato il più delle volte spaziale . Ciò è dovuto a due motivi: in primo luogo, nelle fasi più antiche che conosciamo di queste lingue appare chiaro che il passivo con Agente era una innovazione abba­ stanza recente; pertanto, le lingue storiche non hanno ereditato dal­ l'indoeuropeo un caso o una preposizione (o posposizione) per espri­ mere questa categoria, come invece hanno ereditato, per esempio, il caso nominativo per indicare il soggetto r. Nelle fasi più antiche di alcune lingue si assiste dunque alla creazione di mezzi espressivi per denotare l'Agente del passivo. È il caso soprattutto del greco antico, ma anche delle lingue germaniche, soprattutto dell'inglese antico, a cui si accennerà in PAR. 8.3 . Il latino, come vedremo, presenta una situazione meno variegata; tuttavia nelle fasi più antiche delle lingue romanze si riproduce una certa varietà nell'espressione dell'Agente. D'altra parte, l'Agente del passivo sembra una categoria non par­ ticolarmente stabile, dato che molte lingue nel corso della loro storia hanno impiegato prima un certo tipo di espressione, più tardi abban­ donato in favore di un altro. Questo processo è favorito dalla fre­ quenza relativamente bassa, soprattutto nella lingua parlata, del passi­ vo con Agente: più spesso infatti il passivo è usato o come imperso­ nale , o comunque per defocalizzare l'Agente, !asciandolo inespresso. 8 . r . 2 . C aratteristiche del ruolo semantico Agente Il ruolo semantico Agente è assegnato prototipicamente a entità in grado di agire intenzionalmente: si tratta quindi di entità animate, o, più precisamente, umane; inoltre, l'Agente controlla l'azione. L'Agen­ te è dunque il partecipante che ha la responsabilità primaria di aver

1 . Questo fatto è stato messo in luce a più riprese da numerosi studiosi, si veda per esempio Schwyzer ( 1 942 ) , che tratta il problema in particolare in greco; analoghe osservazioni che prendono come spunto lo slavo antico si trovano in Brauer ( 1 95 2 ) . Per osservazioni più generali s i vedano anche Luraghi ( 1 986) e Hettrich ( 1 990).

r 6o

8 . L ' ORIGINE DELLE ESPRESSIONI DI AGENTE

mtztato volontariamente (intenzionalità) e di svolgere effettivamente (controllo) l'azione. Prototipicamente questo ruolo compare con eventi che denotano un cambiamento di stato in un'altra entità, a cui è assegnato il ruolo Paziente. Tali eventi si conformano alla forma base dell'Archetipo Concettuale che abbiamo chiamato billiard hall mode! ('modello della palla da biliardo' ) , cioè il canonica! event mode! ( 'modello dell'evento canonico' ) , rappresentano nella FIG . 6 . 2 . U n Agente e un Paziente prototipici compaiono per esempio ne­ gli enunciati in ( I ) : (I)

a . Giovanni ha mangiato la mela. b. La mela è stata mangiata da Giovanni.

I due enunciati denotano un cambiamento di stato (la mela, che ha il ruolo Paziente, esiste prima dell'evento denotato da mangiare e non esiste dopo); l'Agente in entrambi i casi è lo stesso, ma mentre in ( I a) abbiamo un enunciato attivo, di cui l'Agente è il soggetto (il sin­ tagma nominale Giovanni) , in ( I b) abbiamo un enunciato passivo, con l'Agente espresso mediante il sintagma preposizionale da Gio­

vanni.

Nelle lingue indoeuropee, e allo stesso modo in numerose altre lingue, verbi che non denotano cambiamento di stato vengono ugual­ mente riportati allo stesso Archetipo Concettuale: considerati transiti­ vi, vengono costruiti come se comportassero la presenza di un Agen­ te. Si consideri per esempio : (2)

a. Maria ha visto la mela. b. La mela è stata vista da Maria .

Gli enunciati in ( 2 ) non comportano cambiamento di stato: la mela esiste prima e dopo l'evento denotato dal verbo vedere. Il ruolo se­ mantico del sintagma nominale Maria è in realtà Esperiente, però normalmente, come si vede da (2b), questo partecipante viene tratta­ to come Agente. Dal punto di vista della semantica verbale, possiamo dire che l'enunciato in ( 2 a) è meno transitivo dell'enunciato in ( I a) , appunto perché il verbo non denota un cambiamento d i stato. Come vedremo, in greco il grado di transitività del verbo è rilevante per la scelta della preposizione con cui può venire espresso l'Agente del passivo. Inoltre, nelle lingue indoeuropee il soggetto di un verbo transitivo non deve necessariamente avere le proprietà di un Agente prototipi­ co , e può anche essere un nome che denota un'entità inanimata. In I6I

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

molte lingue, una tale entità può anche avere il ruolo di Agente nel passivo, come in (3 )

a. La nebbia impediva la guida sull'autostrada. b. La guida sull'autostrada era impedita dalla nebbia .

Come vedremo, anche il fatto che ci si trovi o meno in presenza di un Agente prototipico condiziona la distribuzione delle preposizioni agentive. Il ruolo semantico assegnato agli agenti non prototipici (cioè più specificatamente inanimati) viene a volte chiamato in inglese Force, che possiamo tradurre in italiano, seguendo la terminologia tradizionale, Causa Efficiente. Qui preferisco mantenere il termine Agente sia per agenti prototipici, sia per agenti che non lo sono 2 • Bisogna comunque sottolineare che l'Agente non prototipico, pur non potendo agire intenzionalmente, è ugualmente concettualizzato come responsabile ultimo di un dato evento : in questo si distingue dal ruolo Causa, perché uno stato di cose che comporti una Causa può comunque comportare anche un Agente, espresso o no, come dimostrano le frasi in (4) : (4)

a. Per la nebbia, gli alpinisti non potevano vedere la vetta della

montagna. b. La vetta della montagna non poteva essere vista per la nebbia (dagli alpinistz). Dal confronto fra (3b) e (4b) si vede facilmente che nel secondo esempio, anche se l'Agente può rimanere inespresso, esso è comun­ que diverso dalla Causa (la nebbia) , mentre in (3b) non c'è nessuna entità oltre all'Agente non prototipico (ancora la nebbia) a cui venga attribuita l'azione denotata dalla forma verbale impediva. In italiano, questa distinzione può sembrare banale, dato che Agente (prototipico e non) e C ausa sono in genere distinti formalmente dall'uso di prepo-

2. Sull'utilità di distinguere un ruolo semantico specifico per gli agenti non pro­ totipici nelle lingue indoeuropee, cfr. Luraghi ( 1 995 ) . Come ha ben messo in luce Nishimura ( 1 99 3 ) , occorre tener distinte le proprietà degli specifici referenti dalla loro concettualizzazione linguistica: non è detto che un'entità inanimata, poiché non dotata di intenzionalità a livello referenziale, non possa esser concettualizzata e comportarsi grammaticalmente come un Agente. Si osservi inoltre che le entità inanimate che pos­ sono normalmente, in lingue come l'italiano e molte altre lingue indoeuropee, essere trattate come Agenti sono entità che difficilmente potrebbero avere il ruolo Strumen­ to, caratterizzandosi per il loro basso potenziale di manipolabilità (per esempio, forze naturali ed emozioni) .

8 . L ' ORIGINE DELLE ESPRESSIONI DI AGENTE

sizioni diverse; in greco però , come vedremo, la stessa preposizione che denota Agente denota molto spesso anche Causa. Una caratteristica degli eventi che si conformano al canonica! event mode! è quella di poter contenere ulteriori partecipanti che fa­ cilitano il flusso di energia dall'Agente al Paziente. Si tratta in parti­ colare di partecipanti che hanno il ruolo semantico di Strumento e Intermediario. Esempi sono i seguenti: (5 )

a. Ho tagliato la mela con il coltello . b. I due capi di stato comunicano attraverso un interprete .

In (5 a) abbiamo un 'espressione di Strumento, che denota lo Strumen­ to concreto usato dall'Agente per portare a termine l'azione di taglia­ re. È chiaro che, se da un lato l'entità inanimata non può di per sé iniziare e svolgere l'azione, essa è però necessaria all'Agente, che altri­ menti non potrebbe svolgere una certa azione particolare. Pertanto, anche lo Strumento può in alcuni casi essere concettualizzato come responsabile di un 'azione. L'Intermediario, esemplificato in (5b), è un 'entità umana che compie un 'azione per conto di qualcuno. Nelle frasi in cui compaiono espressioni di Intermediario, l' agentività è di­ visa fra un Agente primario, che è presentato come capace di inten­ zionalità e controllo, e l'Intermediario, che, pur non avendo queste caratteristiche, è quello che porta effettivamente a termine l' azione. In definitiva, Strumento e Intermediario hanno un effetto sullo svolgi­ mento dell'azione nel suo segmento finale: nel canonica! event model, illustrato in PAR. 6 .3 . I , essi si situano alla fine del processo di passag­ gio di energia dall'Agente al Paziente. Se decidiamo di profilare solo la parte finale del trasferimento di energia, Strumento e Intermediario possono essere concepiti come vicini a Agente e Causa, e può essere loro attribuita la capacità di controllare (il segmento finale) dell'e­ vento. 8 .2 Il passivo con Agente in greco

La prima importante fonte letteraria che ci permette di studiare l'e­ spressione dell'Agente in greco è costituita dai poemi omerici 3• Nei poemi omerici non solo il passivo con Agente, ma il passivo in gene­ rale, è piuttosto raro, come rileva Chantraine ( I 9 5 3 , p. I 8 o ) . Otre ai 3· Sull'agentività nei poemi omerici vedi De la Villa ( 1 998); in generale sull'A­ gente in greco si veda Luraghi (2ooo) .

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

passivi morfologici, per lo più derivanti da medi o intransitivi, trovia­ mo in greco passivi lessicali. Si tratta di verbi intransitivi, che posso­ no fungere da passivi: per esempio, il verbo thneisko, 'io muoio', può fungere da passivo di kteino, 'io uccido' . Il fatto che queste forme vadano intese come passivi dipende proprio dalla presenza di un'e­ spressione che denota l'Agente. L'espressione dell'Agente in Omero si basa su due metafore: una, che coinvolge preposizioni che altrove denotano Origine, interpreta l'Agente come il punto di origine dell'azione, mentre l'altra, che sfrutta sintagmi preposizionali che denotano superiorità, è basata sul­ l'equivalenza fra superiorità fisica e controllo. Nel greco classico, l'uso del passivo è molto esteso. Le nostre fon­ ti sono per lo più testi letterari con un grande livello di elaborazione: anche questo, oltre al maggior grado di grammaticalizzazione del pas­ sivo, spiega la frequente comparsa di passivi con Agente. La metafora prevalente è quella della Superiorità; la Metafora dell'Origine, oltre a essere attestata in poesia, è usata da Erodoto, un autore il cui dia­ letto, lo ionico, era più vicino alla lingua omerica del dialetto degli altri prosa tori (l'attico) . Una terza metafora, sporadicamente attestata e basata sulla nozio­ ne di provenienza, è una variante di quella dell'Origine. Questa meta­ fora va estendendosi nel greco postclassico non solo al ruolo Agente, ma anche al ruolo Causa. Nelle fonti non letterarie dei primi secoli dopo Cristo le espressioni di Agente con verbo passivo sono rare, mentre la lingua letteraria va staccandosi sempre di più dalla lingua parlata. Quando ritroviamo , con il greco moderno, una nuova lingua letteraria, aderente anche alla lingua parlata, la Metafora della Prove­ nienza è l'unica rimasta per esprimere l'Agente del passivo 4• Marginalmente, nel greco classico troviamo infine una quarta me­ tafora, che sfrutta per alcune espressioni di Agente espressioni di In­ termediario. Questa metafora, che in greco rimane limitata a contesti in cui si voglia indicare un basso grado di volontarietà, è comunque ampiamente sfruttata in altre lingue. 8 .2 . r . L'Agente come Origine Nei poemi omerici la preposizione ek esprime il ruolo semantico Pro­ venienza, riferendosi in particolare all'allontanamento dall'interno di uno spazio chiuso. Questo significato, esemplificato in ( 6 ) , si presta 4· Sullo sviluppo storico della lingua greca e sul rapporto fra lingua scritta e lin­ gua parlata in varie epoche rimando a Horrocks ( r 997 ) .

8 . L ' ORIGINE DELLE ESPRESSIONI DI AGENTE

con una prima estensione metaforica a esprimere il significato di Ori­ gine, come in (7 ). Nel suo uso concreto, la preposizione può essere resa in italiano come 'dal di dentro' : il Landmark è concepito come un contenitore, secondo uno Schema di Immagini già più volte citato nel corso di questo volume (cfr. per esempio PAR. 6.5 ) , che si con­ cretizza in (7) nella metafora LE ORIGINI SONO CONTENITORI : (6)

eè peson ek neòs apophthimen enì p6ntoi

(7)

"se devo buttarmi dalla nave e morire nel mare " (Od. 1 0.5 1 ) ; Hipp6lokhos dé m'étikte, kaì ek toiì p h emi genésthai "lppoloco mi ha generato, e io affermo di discendere da lui " (Il. 6 .2 06) .

Origine deriva da Provenienza attraverso un'astrazione di significato, non comportando a rigore nessun movimento concreto. L'esempio (7) mostra anche che in un rapporto di origine il Landmark può ave­ re un certo grado di controllo sul Trajector: in questo caso, si tratta di un Landmark umano (tou, riferito a Hipp6lokhos) , di cui nella fra­ se precedente si è predicato uno stato di cose agentivo. Anche la no­ zione di controllo deriva direttamente dallo schema del contenitore. Come ha dimostrato Vandeloise ( I 994) nel suo studio delle preposi­ zioni equivalenti a in in francese, inglese e tedesco, il fatto che un Landmark sia concepito come contenitore implica che esso eserciti sul Trajector un 'controllo dinamico', vale a dire che in una certa mi­ sura ne condizioni il comportamento. Lo spostamento ad Agente si osserva dapprima con verbi il cui soggetto ha funzione di Paziente: ( 8)

ek gàr toiì patròs kakà peisomai "patirò dei mali (provenienti) da parte di suo padre " ( Od. 2 . 1 34 ) .

Alcuni esempi contengono verbi transitivi coniugati a l passivo: (9)

philethen ek Dios " furono amati da Zeus " (Il. 2 . 668-669 ) .

Ci troviamo pertanto davanti a una metafora, che chiameremo Meta­ fora dell'Origine, secondo cui UN AGENTE È uN ' oRIGINE (di un even­ to) . In casi di questo genere bisogna osservare che troviamo sempre verbi che denotano eventi caratterizzati da bassa transitività, come 'amare' in (9 ) , che non denota cambiamento di stato, e agenti prototi­ pici (cioè caratterizzati da un alto grado di agentività) .

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

Dopo Omero ek ricorre ancora in espressioni di Agente, ma so­ stanzialmente solo in Erodoto, e sempre limitatamente a verbi con basso grado di transitività e Landmark con alto grado di agentività: ( I o)

tropoi toi emeiì hupokeiménoi akéo " cerca di sistemarela faccenda come consigliato dame" (Hdt. 3 .4o4) .

Un'altra preposizione che esprime Origine in Omero è pr6s più geni­ tivo 5 • Il significato concreto di questa preposizione è 'contro', 'in contatto con'. L'uso di pr6s, che può accompagnarsi a tre casi diversi, è molto più complesso di quello di ek; qui osserviamo solo che, in espressioni di Origine, questa preposizione si trova esclusivamente con Landmark animati, come in: (I I)

(I 2)

xeinos h6d' . . . al6menos hiket' emòn do eè pròs eoion e hespe­ rion anthr6pon " questo straniero vagando è giunto alla mia casa, o dalle genti dell'est o da quelle dell'ovest " (Od. 8.2 8-2 9 ) ; timèn pròs Zenòs ékhontes " ricevendo onore da Zeus" (Od. I 1 .3 02 ) .

Il Landmark qui non è concettualizzato come u n contenitore che con­ tiene originariamente il Trajector, ma come un'entità che è originaria­ mente in contatto con il Trajector. Si osservi che la Metafora del Contenitore include l'idea di contatto: un'entità contenuta in un 'altra è infatti in contatto con il suo interno 6. L'espressione dell'Agente con pr6s più genitivo, come per ek, è sostanzialmente limitata a Omero e Erodoto (o alla lingua poetica) . In questo secondo autore, l'Agente è espresso con pr6s più genitivo soprattutto con verbi che denotano scambio di informazione: (I3)

h 6 ti mén nu n tà loipà ton khresterion ethéspise, o u légetai pròs ouclamon "ora, che responso abbia dato il resto dell'oracolo non è detto da nessuno " (Hdt. 1 .47 .2 ) ;

( I 4)

ho dè dè ape6n tou l6gou tdde en autoisi adikéetaz: diabletheis te hupò toiì hetérou kaì nomistheis pròs toiì hetérou kakòs einai

5. Specifico il caso insieme con la preposizione tutte le volte che ci troviamo in presenza di una preposizione che può reggere più casi . 6. A questo proposito si veda anche Cuyckens ( 1 99 3 ) .

I 66

8 . L ' ORIGINE DELLE ESPRESSIONI DI AGENTE

" chi è assente dal discorso viene danneggiato, poiché viene ca­ lunniato dall'uno e ritenuto malvagio dall' altro , (Hdt. 7 . I 01l 2 ) . S i osservi che in ( I 4) l'espressione d i Agente con pr6s più genitivo è coordinata a un'altra, con hup6 più genitivo (cfr. PAR. 8 . 2 .2 ) . Inoltre, pr6s ricorre diverse volte con nomi astratti che denotano azioni, come doulosune, 'schiavitù' , thdnatos, 'morte', 'uccisione' 7 , ph6nos, 'uccisione' , come in : (I5)

Karkhed6nioi mén nu n h outa doulosunen diéphugon pròs Per­ séon "i Cartaginesi sfuggirono così alla schiavitù da parte dei Persiani , (Hdt. 3 · I 9 3 ) .

Come possiamo vedere dagli esempi, l a Metafora dell'Origine, oltre a essere limitata dialettalmente e a essere meno frequente della Metafo­ ra della Superiorità, che esamineremo nel prossimo paragrafo, è an­ che limitata semanticamente: infatti, tutti i verbi che compaiono con espressioni di Agente introdotte da ek o da pr6s sono caratterizzati da uno scarso grado di transitività, denotando eventi che non comporta­ no un cambiamento di stato da parte del Paziente. In altri casi, tro­ viamo forme attive intransitive costruite con un 'espressione che deno­ ta l'origine dell'evento (i cosiddetti 'passivi lessicali' ) . Infine, troviamo nomi di azione, che, proprio in quanto nomi, sono meno transitivi di forme verbali. Soprattutto considerando l'uso di pr6s possiamo vedere una somi­ glianza con l'italiano da parte di, che può essere usato in espressioni di Agente in contesti formali e con verbi caratterizzati da bassa tran­ sitività - l'esempio ( I 3 ) potrebbe essere tradotto 'non è detto da par­ te di nessuno' -, e deve obbligatoriamente essere usato con nomi di azione - si veda la traduzione dell'esempio ( I 5 ) e sotto, PAR. 8 . 3 . 8.2 .2 . Superiorità e controllo La metafora impiegata in maniera più rilevante nel greco antico per esprimere Agente, che, già spesso impiegata in Omero, si è poi gram­ maticalizzata nel greco classico, è legata alla nozione di superiorità fisica e comporta l'uso della preposizione hup6, 'sotto ' . Si tratta di 7. Si osservi che, nonostante che thdnatos significhi in primo luogo 'morte', può anche avere il significato di ' uccisione ' , dato l'ampio uso del verbo thn!isko, propria­ mente 'io muoio', come passivo lessicale di kteino, ' io uccido', uso confermato appun­ to dalla comparsa di espressioni di Agente introdotte da hup6.

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

una metafora che ha la sua base nell'esperienza fisica dell'essere uma­ no. Come osservano Lakoff e Johnson ( I 998a, pp. 34-5 ) : «Avere con­ trollo o forza è su , essere soggetti al controllo o alla forza è giù [ . . ] Basi fisiche: le dimensioni fisiche sono generalmente correlate con la forza fisica e il vincitore nella lotta è generalmente sopra il vinto». La preposizione hup6 indica un rapporto di superiorità del Landmark ri­ spetto al Trajector: quest'ultimo, venendo a trovarsi 'sotto' il Land­ mark, ne subisce il controllo, essendo in condizione di inferiorità fisi­ ca. Poiché la metafora è basata principalmente sul concetto di con­ trollo, e non di intenzionalità, essa si presta a trasferire sul Landmark sia le caratteristiche dell'Agente, sia quelle di qualunque tipo di Cau­ sa, anche inanimata e non intenzionale. Inoltre, come vedremo negli esempi, in Omero hup6 può denotare anche Strumento e Intermedia­ rio, due ruoli che presuppongono la cooccorrenza di un Agente. Nei poemi omerici, l'estensione semantica che conduce all'espres­ sione dell'Agente si trova con hup6 e due casi diversi, il dativo e il genitivo. Più tardi l'uso agentivo di hup6 rimarrà limitato al genitivo. Il significato spaziale di hup6 è 'sotto' , come negli esempi ( I 6) (dati­ vo) e ( r 7 ) (genitivo) : .

( I 6)

t6i d) hupò possì mégas pelemizet' 6!umpos

( I 7)

hekhi bdthiston hupò khthonos esti bérethron " dove l' antro è più profondo sotto terra " (Il. 8 . I4)

"il grande Olimpo tremò sotto i suoi piedi " (Il. 8 .443 ) ;

8•

L e estensioni semantiche d i hup6 più dativo al campo della causativi­ tà sono numerose. Troviamo espressioni di Agente con passivi lessica­ li - cioè verbi che tradurremmo con una forma attiva intransitiva, se non ricorressero con un'espressione di Agente: phébomai, 'fuggo' , se ricorre con Agente prende il significato di 'sono messo in fuga', cfr. l'esempio ( I 8 ) - e con passivi morfologici 9 : ( I 8)

allà kaì autoì hup 'Argeioisi phébonto

"ma loro stessi erano messi in fuga dagli Achei " (Il. I I . I 2 I ) ;

8 . Con il genitivo, hup6 ricorre anche in qualche contesto con significato ablati­ vale ('da sotto'), ma più spesso il suo uso tende a coincidere con quello di hup6 più dativo in espressioni spaziali, tranne (forse) una maggiore propensione del dativo a esprimere contatto fra Trajector e Landmark. Per una trattazione dettagliata cfr. Lura­ ghi (in stampa, par. 3 . 1 3 ) . 9· Qualche passivo lessicale si trova anche con altre espressioni di Agente, in particolare con ek, ma si tratta di un uso sporadico; cfr. Luraghi (in stampa, par. 3 .2 ) .

I 68

8 . L ' ORIGINE DELLE ESPRESSIONI DI AGENTE

( I 9)

hoio tfi ge léonte duo 6reos koruphezsin etraphéten hupò metri

" come due leoni vennero allevati sulle cime delle montagne dalla madre " (Il. 5 .5 5 4-5 5 5 ) .

Il controllo sull'azione è una caratteristica di tutti i tipi di cause, non solo degli agenti volontari. Le espressioni di Causa con hup6 più dati­ vo sono semanticamente svariate, come vediamo dai due esempi che seguono: (2o)

(2 I )

hos d'h6t'apò platéos ptu6phin . . . thrfJzskosin kuamoi melan6khroes . . . pnoiei hupo ligurei kaì likmeteros eroei

" come dall'ampio vaglio rimbalzano le fave dalla buccia scura per il soffio sonoro del vento e il colpo del vagliatore " (Il. I 3 .5 8 8 - 5 90 ) ; hfJs kh 'ho xeinos . . . pompei huph 'hemetérei hèn patrida gaian

hiketai

" che lo straniero possa giungere alla sua terra natale grazie alla nostra guida " (Od. 7 . I 92 - I 93 ) .

In particolare, nell'esempio (2 I ) traduciamo hup6 più dativo con 'gra­ zie a'. La Causa è valutata come positiva: aiuta l'Agente a raggiungere un determinato scopo, ma si differenzia da uno Strumento in quanto non è direttamente manipolata dall'Agente 1 0 • Negli esempi troviamo sostantivi con referenti di vario genere, concreti e astratti; inoltre esi­ stono analoghi esempi anche contenenti sostantivi con referente ani­ mato (cfr. De la Villa, I 99 8 , pp. I 68-9 ) . Inoltre, l e espressioni hupò douri, 'sotto l a lancia' , e hupò khersi, 'sotto la mano ' denotano Strumento. L'interpretazione come Stru­ mento è favorita dall'occorrenza del riferimento all'Agente, espresso come possessore dello Strumento stesso: (22)

emoi d' hupò clourì daménta

"vinto per mezzo della mia lancia " (Il. 5 . 65 3 ) .

Sporadicamente, quando hup6 h a u n Landmark umano, troviamo an­ che la cooccorrenza di un Agente al nominativo. In questo caso, l'en­ tità denotata da hup6 più dativo ha il ruolo di Intermediario:

(2 3 )

tòn t6th ' hup 'Ic/omener Poseiddon eddmasse

" questi Poseidone vinse per mezzo di Idomeneo " (Il. I 3 .434) .

10. Su questo tipo di Causa, cfr. Luraghi ( 1 994) .

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

Le estensioni semantiche di hup6 con il genitivo sono simili a quelle viste con il dativo, ma anche più delimitate semanticamente. Trovia­ mo espressioni di Agente, come in (24) e (2 5 ) : (24) (2 5 )

polloì huph 'Héktoros . . . thnéiskontes piptosi "molti cadranno uccisi da Ettore " (Il. 1 .242 -243 ) ; moir) hupò Patrokloio . . . daménai "è fato che (Sarpedone) sia ucciso da Patroclo " (Il. r 6 .434) .

Inoltre, troviamo espressioni di Causa. A differenza del dativo, con il genitivo i Landmark sono per lo più astratti; inoltre non ci sono esempi del tipo di (2 r ) dove la Causa è valutata positivamente e neanche casi di referenti animati: ,

(26)

tò mèn exetélesse kaì ouk ethélous) hup 'anankes "l'ha finito contro la sua volontà, per forza " (Od. 2 . 1 r o) .

Espressioni di Strumento come quella vista in (22 ) non si trovano con il genitivo, solo in un caso si trova la parola per 'mano' . Neanche esistono espressioni di Intermediario. In compenso, con il passivo troviamo alcuni agenti non prototipici, cioè Landmark concreti inani­ mati, come in (2 7 )

Akhaious deù5sein . . . orinoménous hupò kapnou "fare strage degli Achei atterriti dal fumo " (Il. 9.242 -243 ) .

Dopo Omero, l'espressione principale usata per l'Agente del passivo rimane hup6 con il genitivo. A differenza delle espressioni di Origine, viste al paragrafo precedente, questo tipo di sintagma preposizionale può ricorrere con tutti i tipi di verbi, indipendentemente dalla loro alta o bassa transitività, e con tutti i tipi di Agente, prototipici e non, cioè anche con nomi inanimati. Oltre a denotare Agente, hup6 più genitivo continua a denotare Causa; in Erodoto troviamo anche un caso di Intermediario, funzione che per lo più , sia in questo autore sia nei prosatori attici, è svolta da did più genitivo (cfr. PAR. 8 . 2 .4) . In ( 2 8 ) troviamo un'espressione di Causa e una di Agente: (2 8)

hupò dè megatheos tes polios) hos légetai hupò ton tautei oikeménon) ton perì tà éskhata tés p6lios healok6ton toùs tò

méson oikéontas ton Babulonion ou manthdnein healok6tas "per la grandezza della città, come dicono Oett . : è detto) quelli

8 . L ' ORIGINE DELLE ESPRESSIONI DI AGENTE

che vi abitano, mentre gli abitanti della periferia venivano presi quelli del centro ignoravano quanto era avvenuto " (Hdt. I . I 9 I6). 8 . 2 . 3 . Causatività e Provenienza Non è facile, e in una certa misura neanche utile, distinguere fra la Metafora dell'Origine e quella della Provenienza. In greco, i due ruoli semantici sono espressi prototipicamente da preposizioni diverse: in particolare in Omero , Origine, come abbiamo visto, è espresso da ek e pr6s, mentre Provenienza è espresso, oltre che da ek (prototipica­ mente usata per l'allontanamento dall'interno di luoghi chiusi) , da ap6 e pard. Va però detto che fin dall'epoca omerica si assiste a una crescente sovrapposizione di ek e ap6, che in epoca classica si traduce in un'estensione di questa seconda preposizione anche alle funzioni espresse dalla prima. Pertanto, nel caso di ap6 in funzione agentiva, non è chiaro se non si debba pensare a una mediazione del ruolo Origine, analogamente al processo di spostamento metaforico descrit­ to per Omero. In effetti , di una Metafora della Provenienza accanto a una Meta­ fora dell'Origine si può parlare solo limitatamente, per pard, 'presso' . Questa preposizione con il genitivo si accompagna a Landmark uma­ ni I I e indica allontanamento concreto (a differenza di pr6s più geniti­ vo, che, come abbiamo visto sopra, ha solo significato astratto di Ori­ gine) da una regione di spazio vicina a quella occupata dal Landmark. Si differenzia pertanto sia da ek, che implica coincidenza iniziale di Trajector e Landmark, sia da ap6, che è neutra a questo riguardo: (29)

i6nta par' Eurutou "venendo da [cioè allentandosi da] Eurito " (Il. 2 .5 9 6 ) .

A volte l a preposizione ricorre in contesti dove c ' è un allontanamento concreto, ma il Landmark, più che come il punto di partenza del moto , è presentato come il mandante di una certa azione: ( 3 o)

elthe . . . !ris . . . pàr Diòs . . . sùn aggeliei

"Iris venne con un'ambasceria da parte di Zeus " (Il. 2 .786-7 8 7 ) .

I I . In Omero troviamo sia Landmark animati, sia inanimati; più tardi l e occor­ renze di pard con il genitivo vanno limitandosi sempre di più a Landmark animati.

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

In (3 I) un tipo di espressione analoga ricorre senza riferimento a un moto concreto: (3 I )

kai tind hai pàr Zenòs epéphrade p6tnia méter " e la nobile madre gliene ha svelato qualcuno (se. un oracolo) da parte di Zeus " (Il. I r .795 ) .

In questi casi, il Landmark è l'entità che h a istigato l'azione: il sogget­ to delle due frasi, benché presentato come Agente, svolge nella realtà un ruolo equivalente a quello dell'Intermediario (cfr. gli esempi in PAR. 8 .2 .4) . Quindi, anche se non possiamo parlare di espressioni d'Agente vere e proprie in Omero troviamo comunque contesti in cui para più genitivo denota l'entità che ha la responsabilità primaria dell'azione. In epoca successiva pard più genitivo ricorre occasionalmente an­ che con verbi passivi, come negli esempi seguenti: (32)

(3 3 )

ep )eutukhiai tei megistei parà theon he toiaute mania didotai "una tale follia viene data dagli dèi per la (nostra) più grande gioia " (Pl. Phaedr. 245b) ; hos parà panton homologeitai " come si concorda da parte di tutti " (Xen. An. r .9 . I ) .

Il senso metaforico sembra ancora vivo in questi casi. Si osservi inol­ tre che , anche con pard più genitivo, come si era rilevato per ek e pr6s più genitivo, i verbi hanno un grado di transitività relativamente basso, non denotando mai cambio di stato, e l'Agente è sempre pro­ totipico. 8 . 2 .4. Dal greco classico al greco moderno Fra le preposizioni che denotano Provenienza o Origine ci rimane da esaminare ap6. Questa preposizione significa 'da'; essa si differenzia dalle altre preposizioni analoghe perché può riferirsi sia al moto dal­ l'interno, sia dalla superficie, sia da vicino al Landmark. Inoltre, men­ tre in Omero e in parte in ionico, ek è comunque preferita per deno­ tare allontanamento dall'interno, più tardi, come abbiamo già rileva­ to , l'uso di ap6 si estende. Ciò vale sia per gli usi concreti, sia per quelli metaforici. Questi ultimi, non particolarmente sviluppati in Omero, comprendono, a partire da Erodoto, Origine e, in misura li­ mitata, Causa. Inoltre, in Erodoto troviamo esempi come (34):

8 . L ' ORIGINE DELLE ESPRESSIONI DI AGENTE

(34)

all' oudèn gàr méga ap 'autoiì dllo érgon egéneto

"ma non fu compiuto da lui null'altro di grande " (Hdt. r . r 44) ;

dove il verbo gignomai, 'io divengo' , è da intendersi come passivo les­ sicale di prdsso, 'io faccio ' : pertanto qui possiamo dire di trovarci da­ vanti a una vera espressione di Agente. Fra gli autori attici, quello che dimostra di prediligere maggior­ mente le espressioni di Agente con ap6 è Tucidide. Do qui di seguito due esempi: (3 5 )

eprdkhthe dè oudèn ap'auton érgon axi6logon

(36)

ek dè demokratias hairéseos gignoménes rhaion tà apobainonta hos ouk apò ton homoion elassoumen6s tis phérei

" da loro non fu compiuta alcuna opera degna di essere ricor­ data " (Th. r . r 7 ) ;

"si accetta più facilmente la sconfitta derivante da elezioni in regime di democrazia, poiché (lo sconfitto) non è umiliato dai suoi uguali " (Th. 8 . 8 9 .3 ) .

In ( 3 5 ) troviamo il passivo eprdkhthe, 'fu fatto' : questa frase equivale a (34) , dove abbiamo visto che ricorreva un passivo lessicale. In gene­ rale, anche con ap6 fin qui troviamo o verbi che non indicano cam­ biamento di stato, o verbi con significato generico (come appunto 'fare') . Non è facilissimo studiare l'evoluzione subita dalla lingua greca nei primi secoli dopo Cristo, dato che la lingua scritta e la lingua parlata avevano incominciato a distaccarsi notevolmente. Bisogna per­ tanto fare uso di testi che rispecchino il parlato, piuttosto che di quelli appartenenti alla letteratura colta. Una delle opere più impor­ tanti per la conoscenza del greco di quest'epoca è il Nuovo Testa­ mento. Si tratta di un'opera non del tutto priva di problemi lingui­ stici: gli autori del Nuovo Testamento dovevano essere persone suffi­ cientemente colte per conoscere il greco, che non era però la loro madrelingua. Pertanto, in molti settori della grammatica, e anche nel­ l'uso delle preposizioni, è stata ipotizzata l'influenza dell'aramaico, una lingua semitica parlata appunto all'epoca dei Vangeli. La portata di questa influenza, che da alcuni studiosi veniva spesso invocata ogni qual volta si trovassero 'irregolarità' rispetto alla lingua dei classici, va comunque ridimensionata 1 2 • Inoltre, le conoscenze che possiamo riI 2 . Per una valutazione del problema dei semitismi nel Nuovo Testamento cfr. soprattutto Moulton ( I 9 I I ) .

173

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

cavare da altre fonti , come i papiri non letterari, e anche dal greco moderno, possono comunque aiutarci a discriminare fra quelle che sono particolarità della lingua del Nuovo Testamento e i segni dell'ini­ zio di un vero mutamento diacronico. Per quanto riguarda l'espressione dell'Agente con il passivo, hup6 con il genitivo rimane la preposizione più usata; si fa però strada an­ che ap6, che tende a sostituire la prima preposizione non solo in espressioni di Agente, ma anche, come rileva Regard ( r 9 r 9 , pp. ro2-4) in espressioni di Causa. In qualche caso le espressioni di Agente si discostano da quelle che avevamo trovato negli autori pre­ cedenti, in cui pure comparivano preposizioni diverse da hup6, come nel seguente esempio, tratto dall'Apocalz5se : (3 7)

apò ton trion plegon touton apektdnthesan tò trito n ton an­

thr6pon

" da queste tre piaghe sarà ucciso un terzo degli uomini , (Ap. 9 . 1 8) .

In questo esempio, ap6 si estende anche ai contesti nei quali prima ricorreva unicamente hup6 più genitivo, comparendo con un verbo che denota cambiamento di stato e un sostantivo che denota un'enti­ tà inanimata, cioè un Agente non prototipico . Più tardi, nel greco bizantino, si assiste alla sostituzione completa di hup6 con ap6. La prima preposizione, fra l'altro, scompare del tut­ to , anche nel suo senso spaziale. Nel senso causale e agentivo , essa è sostituita completamente da ap6 in greco moderno:

( 3 8)

skot6thikan apo ataktus stratiotés

(3 9 )

ta òéntra kseriz6thikan apo ton anemo

(40)

" furono uccisi da soldati irregolari , ;

,, "gli alberi furono sradicati dal vento ; yeluse apo ti xara tis ,, " rideva dalla (sua) gioia 1 3 .

In greco moderno, il significato spaziale d i ap6 è ancora ' da' 1 4 • Per­ tanto, la sostituzione di hup6 con ap6 ha anche comportato la scom­ parsa della Metafora della Superiorità e la generalizzazione della Me­ tafora dell'Origine/Provenienza. 13. Gli esempi sono tratti da Holton, Mackridge, Philippaki-Warburton ( 1 997, p. 3 8 2 ) . 14. I n effetti il senso spaziale di ap6 i n greco moderno è più complesso, cfr. in proposito Holton, Mackridge, Philippaki-Warburton ( 1 997 , pp. 3 8o- I ) .

1 74

8 . L ' ORIGINE DELLE ESPRESSIONI DI AGENTE

8 . 2 . 5 . L'Agente come Intermediario In questo paragrafo desidero ancora prendere in esame un'altra meta­ fora, usata solo sporadicamente per denotare l'Agente del passivo in greco. Essa comporta l'uso della preposizione did più genitivo. Il si­ gnificato concreto di questa preposizione è ' attraverso ', come vedi a­ mo dall'esempio che segue: (4 ! )

Ji'6mou khdlkeon énkos elthen "la punta di bronzo (gli) attraversò la spalla {lett . : andò attra­ verso la spalla) " (Il. 4· 48 1 -482 ) .

I n Omero, did più genitivo ricorre solo con Landmark inanimati e h a unicamente significato spaziale. Più tardi, essa sviluppa vari altri si­ gnificati; unita a Landmark animati denota Intermediario, come nel seguente esempio tratto da Erodoto: (42 )

pémpsas dè ho Hdrpagos ton heoutou doruph6ron toùs pistotd­ tous eidé te Jià touton kaì éthapse tou bouk6lou tò paidion " mandate le sue guardie del corpo più fidate, Arpago vide e seppelli per mezzo loro il figlio del pastore " (Hdt. 1 . 1 1 3 3 ) .

Come abbiamo già avuto modo d i osservare, l'Intermediario è un partecipante che agisce su istigazione di quello che possiamo chiama­ re Agente primario: è a questa seconda entità che vengono ascritti non solo l'intenzionalità, ma anche il controllo. L'Intermediario, si­ milmente a uno Strumento, trasferisce l'energia dell'Agente sul Pa­ ziente; tuttavia, il suo ruolo in questo trasferimento è più attivo di quello di uno Strumento inanimato, dato che in realtà l'Intermediario agisce, anche se per conto dell'Agente, usando energie proprie, cosa che owiamente non può fare uno Strumento 1 5 . L'uso della preposi­ zione did più genitivo per esprimere Intermediario riproduce il con­ cetto di flusso di energia inerente al canonica! event mode!, in base alla metafora UN INTERMEDIARIO È UN CANALE: l'Intermediario cioè è concettualizzato come uno spazio attraverso il quale si propaga l'e­ nergia che deriva dall'Agente primario e si trasferisce sul Paziente. In qualche caso troviamo nei prosatori di epoca classica did più genitivo con Landmark umani e verbi passivi. Si tratta di contesti in

1 5 . Sulla definizione di questo ruolo semantico e sulla sua espressione in greco, cfr. Luraghi ( 1 989).

1 75

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

cui gli autori vogliono segnalare un grado di agentività ridotto, per motivi diversi. Esaminiamo gli esempi: (4 3 )

(44)

theon mèn eis anthr6pous d6sis . . . pothèn ek theon erriphe dia tinos Promethéos hdma phanotdtoi tinì puri

"è un dono degli dèi agli uomini, strappato da qualche posto agli dèi da un qualche Prometeo insieme con una scintilla di fuoco " (Pl. Phil. I 6c); kaì he mèn boulesis esti kaì perì tà medamos di'hautou pra­ khthénta dn} hoion hupokritén tina nikan è athletén proaireitai dè tà toiauta oudeis} alFh6sa oietai genésthai àn di'hautou "inoltre la volontà ha come oggetto anche cose che in nessun modo possono essere compiute da chi vuole, come che vinca un certo attore o un certo atleta, ma nessuno sceglie cose di questo genere, ma piuttosto quelle che possono essere compiu­ te da lui stesso " (Arist . EN I I I I b2 5 ) .

Nei due passi citati sopra, did più genitivo esprime effettivamente Agente. Nel primo caso, però, l'Agente è in realtà una specie di In­ termediario: l'Agente indefinito ha portato sì il dono agli uomini, ma strappandolo agli dèi, che sono presentati come la vera orgine e il mandante (si dice infatti 'un dono degli dèi') . In (46 ) , invece, did si accompagna al genitivo di un pronome riflessivo: un partecipante è presentato come al tempo stesso Agente e Intermediario della propria agentività, favorendo il trasferimento della sua stessa energia. 8. 3 L'Agente in greco in prospettiva contrastiva

Fra le metafore che abbiamo preso in esame parlando del greco, pos­ siamo notare, anche basando le nostre osservazioni su un piccolo nu­ mero di lingue a noi più vicine, che alcune sembrano ricorrere spesso anche altrove: in particolare, si tratta della Metafora dell'Origine/Pro­ venienza e di quella dell'Intermediario. La concettualizzazione dell'Agente come Origine/Provenienza è alla base dell'uso della preposizione da in italiano. Anche in latino l'Agente era espresso in maniera analoga, con la preposizione ab, il cui senso concreto era quello di Provenienza: (45 )

Caesari eu m id nuntiatum esset} eos per provinciam nostram iter /acere conari matura! ab urbe proficisci " appena gli fu annunciato che (gli Elvezi) cercavano di passare

8 . L ' ORIGINE DELLE ESPRESSIONI DI AGENTE

(46)

attraverso la nostra provincia, Cesare decise di partire al più presto dalla città " (Caes. BG r . 7 . r ) ; Eporedorix et Viridomarus, insimulati proditionis ab Romanis

indicta causa inter/ecti sunt "Eporedorige e Viridomaro , accusati di tradimento , sono stati trucidati dai Romani con giudizio sommario " (Ca es. BG

7 ·3 8 . 2 ) . I n latino esisteva anche una preposizione che poteva indicare Inter­ mediario, per, di significato simile a did più genitivo in greco . Nel suo significato spaziale, per significa 'per' , 'attraverso' , ed è esemplificata in (45 ) (per provinciam nostram) ; un 'espressione di Intermediario si trova invece in (4 7 ) , insieme con un sintagma preposizionale con ab che si riferisce al mandante dell'azione:

(4 7 )

id se ab ipsis per eorum nuntios compertum habere

" aveva saputo questo da loro per mezzo di messaggeri " (Ca es.

BG

! .44 · ! 2 ) .

Molto più che in greco, l'Intermediario si trova in latino classico an­ che dove non è specificato, o non esiste, un Agente primario, avvici­ nandosi così in misura maggiore all'Agente:

(48)

ea res per fugitivos L. Aemilit� decurionis equitum Gallorum, hostibus nuntiatur " ciò fu riferito ai nemici da alcuni fuggitivi, provenienti dalla decuria di cavalieri Galli agli ordini di L. Emilio " (Caes. BG

! .2 3 .2). Nei primi secoli dopo Cristo, l a preposizione ab è stata sostituita in latino dalla preposizione de, che aveva un significato simile. Nelle fasi più antiche delle lingue romanze, troviamo de anche per indicare l'A­ gente del passivo . In un 'epoca più recente, alcune lingue romanze, fra cui lo spagnolo e il francese, sostituirono la Metafora della Prove­ nienza con quella dell'Intermediario, utilizzando per l'Agente prepo­ sizioni derivanti dal latino per, cioè par per il francese e por per lo spagnolo. In italiano continuiamo a usare la preposizione da, ma troviamo anche da parte di, obbligatoria quando si voglia esprimere l'Agente con nomi d' azione (per esempio, la presa della città da parte del nemi­ co) . Con questa espressione, in italiano si rinforza maggiormente il senso di Provenienza espresso da da: potremmo dire che si ricaratte-

1 77

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

rizza l'Agente come luogo di origine o di provenienza dell'evento, de­ notato in questo caso da un nome, anziché, come avviene normal­ mente, da un verbo. Un breve confronto con le lingue germaniche ci offre ulteriori spunti di riflessione. In tedesco l'Agente del passivo è espresso con la preposizione von, 'da' , in maniera analoga all'italiano. Tuttavia, nel caso di nomi d'azione troviamo la preposizione durch , ' attraverso' : abbiamo una somiglianza con l'italiano, nel senso che l'Agente richie­ de una marcatura speciale con sostantivi, ma abbiamo anche un'im­ portante differenza, dato che non viene rinforzata l'espressione della stessa metafora, ma piuttosto viene usata una metafora alternativa, quella dell'Intermediario 1 6 : (49 )

a. Der Dieb wurde von der Polizei verha/tet "Il ladro è stato catturato dalla polizia " ; b. Die Verha/tung des Diebes durch die Polizei "La cattura del ladro da parte della polizia " .

Abbiamo lasciato per ultimo l'inglese: questa lingua infatti è partico­ larmente interessante, perché con poche considerazioni diacroniche possiamo seguire anche per l'inglese la sostituzione di una metafora inizialmente usata con un'altra. In inglese moderno, com'è noto, l'Agente è espresso con by. Que­ sta preposizione ha attualmente svariati significati concreti e metafori­ ci; in origine il suo significato spaziale era 'presso' , ancora ben pre­ sente nell'inglese attuale: (5 o )

Mary satlstood by the window "Maria stava seduta/in piedi vicino alla finestra " .

Al contrario di quanto possiamo osservare per il tedesco, che anche nelle sue fasi più antiche esprimeva l'Agente con la preposizione von 1 7 , se esaminiamo i testi in inglese antico possiamo rilevare una situazione analoga a quella che abbiamo descritto per Omero: diverse

r 6. L'Agente è espresso con durch occasionalmente in tedesco anche con forme passive del verbo (analogamente, in italiano possiamo a volte usare da parte di anche con voci verbali e non solo con nomi di azione) . Vedi Comrie e Thompson ( r 985 ) . 17. Per l a storia dell'espressione dell'Agente con i l passivo nelle lingue germani­ che vedi Green ( r 9 1 4).

8 . L ' ORIGINE DELLE ESPRESSIONI DI AGENTE

prepos1z1oni si trovavano in competizione. Le due più usate erano preposizioni che denotavano Provenienza, /ram (o /rom) e o/ 1 8 :

(5 1 )

seo burg wces getimbred of Lrecedemonium

(5 2 )

Hasterbal wearò o/slagen from his agnum folce

"la città era stata fondata dagli Spartani" (Or. 84.2 ) ; "Asterbale fu ucciso dal suo proprio popolo " (Or. 95 . 1 7 ) .

Secondo Fraser ( 1 98 7 ) , l a preposizione /ram sarebbe stata l a più anti­ ca in questa funzione, e sarebbe in un secondo tempo stata soppian­ tata da o/ Fraser sostiene inoltre che, mentre /ram profila il punto di partenza, o/ profila piuttosto la traiettoria ( 1 9 8 7 , p. 245 ) 1 9. Questo spiegherebbe la maggior frequenza di /ram con il passivo 'dinamico' (ausiliare weoròan) e di o/ con il passivo 'statico' (ausiliare beon/we­ san) , rilevata in alcuni testi da Fraser, che lega la sostituzione di /ram da parte di o/ con la scomparsa del primo tipo di passivo ( 1 987 , p. 245 -6). Un breve confronto con quanto esposto e i dati visti sopra per il greco possono evidenziare un parallelo fra le due preposizioni inglesi qui esemplificate e le varie preposizioni greche che esprimono preferibilmente Origine o Provenienza. L'uso di by per esprimere Agente si generalizza solo in inglese medio; nell'inglese antico ci sono esempi sporadici:

(5 3 )

fket be pcere cennendra gewyrhtum fkes bearnes weorpe ongyten wcere be < pyson > eallum oòrum mannum " affinché, grazie ai meriti dei genitori, il valore del figlio fosse compreso da tutti questi altri uomini " (Bl. H. 2 2 .5 7 ) 2 0 •

Oltre a esprimere luogo, la preposizione be/bi dell'inglese antico ha svariate funzioni, fra cui anche quella di esprimere Causa, come nella prima occorrenza in ( 5 3 ) , Strumento e Intermediario. Non è qui la sede per stabilire quale sia il significato da cui è derivato il suo valore agentivo: al riguardo sono state avanzate ipotesi contrastanti, e una soluzione si potrebbe raggiungere solo attraverso un esame puntuale

1 8 . Si veda l'esauriente trattazione in Mitchell ( 1 98 5 , p. 3 24-47 ) . 1 9 . L a differenza fra l e due preposizioni è descritta i n termini u n po' diversi in Mitchell ( 1 985 , p. 503 ) . 2 0 . Questo esempio, i n parte citato anche i n Fraser ( 1 987, p. 24 1 ) , non è citato in Mitchell ( 1 985 ) , che non rileva veri esempi di be/bi come agente del passivo in inglese antico. Bisogna comunque osservare che la traduzione "che il valore del figlio fosse compreso/noto presso tutti questi altri uomini " , dove di be si dà un'interpreta­ zione spaziale, è anche possibile.

1 79

INTRODUZIOI'\E ALLA L II'\GUISTICA COG:-.JITIVA

dei testi, che va al di là della portata del presente articolo 2 1 • Tutta­ via, i pochi dati esaminati dimostrano ancora una volta come l'Agente del passivo sia una categoria instabile, che tende a rinnovarsi nel cor­ so del mutamento diacronico. Vogliamo infine osservare, tornando brevemente al greco , che la Metafora della Superiorità non sembra particolarmente diffusa in al­ tre lingue. In effetti, un esame più ampio dell'origine delle espressio­ ni di Agente che abbracciasse un numero significativo di lingue non imparentate fra loro darebbe lo stesso risultato 2 2 • Pertanto l' evoluzio­ ne diacronica osservata in greco non dimostra soltanto come a una metafora se ne possa sostituire un'altra, ma anche la sostituzione di una metafora rara con una comparativamente più frequente.

2 r . In particolre, Fraser ( 1 9 87) collega il significato agentivo con quello locativo, mentre Palancar ( 1 997) vede nella generalizzazione di by per l'Agente la mediazione della Metafora dell'Intermediario. Fin qui, avendo esaminato poche lingue, non abbia­ mo trovato casi in cui preposizioni con significato di locativo si siano estese all'A­ gente; è però necessario precisare che una polisemia di questi due ruoli semantici è ben attestata in varie lingue non indoeuropee, cfr. in proposito Palancar (2002 ). 22. Cfr. Palancar (2002).

r 8o

9

I verbi deittici di moto in italiano e tedesco di Claudio Di Meola

9· 1 Introduzione

In numerose lingue, i verbi deittici di moto 1 - come andare e venire in italiano e kommen e gehen in tedesco - sono caratterizzati da una considerevole complessità semantica. Si tratta infatti di lessemi alta­ mente polisemici che presentano, oltre al loro concreto significato spaziale di base, un'ampia gamma di significati derivati e astratti 2 • L'analisi dei nostri lessemi tocca questioni teoriche d i notevole portata. A prima vista, i diversi usi di questi verbi sembrano formare un insieme casuale e confuso di varianti di significato tra loro scolle­ gate. È proprio questa l'impressione che si ricava consultando le en­ trate dei dizionari che, alle rispettive voci, non fanno che fornire sem­ plici elenchi. La LC, invece, parte dall'assunto che tutte le varianti di un de­ terminato lessema costituiscono una rete semantica ben strutturata e organica. Varianti marginali e periferiche sono motivate in quanto si­ stematicamente riconducibili alle varianti centrali e prototipiche. I col-

1. Sono definiti deittici quegli elementi di una lingua i quali servono a mettere in rapporto l'enunciato con il contesto situazionale. Essi stabiliscono le coordinate spa­ zio-temporali dell'enunciato (come ad esempio gli awerbi qui e lì oppure oggi e do­ mani) e contribuiscono a individuare i partecipanti alla comunicazione (vedi i prono­ mi personali io, tu, noi ecc. ) . 2 . A partire dal lavoro d i Fillmore del 197 1 (cfr. Fillmore, 1997 ) , numerosi studi si sono occupati - in chiave contrastiva o tipologica - del significato spaziale di base dei verbi deittici di moto (come ad esempio Cinque, 1972; Gathercole, 1978; Rauh, 1 98 1 ; Ricca, 1 993 ; Wilkins, Hill, 1 995 ) . I significati astratti hanno trovato invece rela­ tivamente poca attenzione (cfr. Clark, 1 974; Radden, 1 995 ). La presente analisi prende spunto da miei precedenti studi (Di Meola, 1 993 , 1 994) e si basa su un corpus di circa 3o.ooo frasi ben contestualizzate, provenienti da vari generi testuali (principalmente stampa e narrativa) .

r8r

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

legamenti tra le varianti sono costituiti da procedimenti cognitivi di carattere generale quali principalmente la metonimia e la metafora. I verbi deittici di moto , come significato di base, descrivono un movimento mettendolo in relazione a un punto di osservazione legato alla posizione del parlante stesso . I verbi 'ventivi' , venire e kommen, indicano tipicamente un movimento che si avvicina al parlante (vieni qui.'; komm her.' ), i verbi 'itivi' , andare e gehen, un movimento che se ne allontana (vai via.' ; geh weg.' ). L'opposta direzionalità dei rispettivi movimenti è ben codificata in espressioni del tipo "è un andare e ve­ nire di gente " . L'Archetipo Concettuale del movimento - che è cambiamento della collocazione di un oggetto nello spazio in un determinato lasso di tempo - implica due diversi tipi di entità: un'entità in movimento, il Trajector, nonché una o più entità immobili, i Landmark. Queste ultime fungono da quadro di riferimento fisso per stabilire le coordi­ nate del movimento nello spazio. Come si è già osservato in PAR. 6. 3 . I , tali coordinate sono costituite dalle tappe percorse dal soggetto movente, o Mover: luogo di origine del movimento (Source) , percorso (Path) e meta (Goal) . Ogni movimento si lascia quindi descrivere me­ diante il seguente schema che riproduce, semplificandola, la FIG . 6. I del capitolo 6 (cfr. Langacker, I 9 8 7 , p. I 67 ; Lakoff, I 9 8 7 , p. 2 7 5 ) : meta

origine percorso

Nel caso dei verbi deittici, a questo schema si aggiunge il punto di vista: per i verbi venire/kommen, il parlante è situato alla meta del movimento; nel caso di andare/gehen, il parlante si colloca all'origine. 9· 2 Gli usi concreti

9 .2 . I . Gli usi concreti: i significati deittici

Nei loro usi deittici, i nostri verbi descrivono un movimento in rela­ zione alla posizione di un osservatore. T ale origo del sistema deittico è data tipicamente dalla collocazione del parlante al momento stesso dell'enunciazione (hic et nunc) :

(I)

a. i t. Vieni subito.' , ted. Komm so/ort.' b. i t. Vai subito.' , ted. Geh so/ort.' I 82

9 . I VERBI DEITTICI DI MOTO IN ITAL IANO E TEDESCO

Mediante uno spostamento nello spazio mentale, il parlante si può identificare con un luogo diverso da quello di enunciazione. Un esempio è dato dalla posizione dell'ascoltatore: (2)

a. Vieni a trovarmi domani? - Sz: domani ti vengo a trovare. b. Kommst du mich morgen besuchen? - ]a, morgen komme ich

dich besuchen. Un'altra forma di identificazione è quella con una cosiddetta 'base di appoggio' (homebase nella terminologia di Fillmore, 1 99 7 ) , un luogo tanto importante per il parlante da costituire un riferimento costante nella sua vita anche nei momenti in cui non vi è fisicamente presente. Generalmente la homebase consiste nella dimora del parlante (ma po­ trebbe anche trattarsi del luogo di nascita, del posto di lavoro o di un luogo dove si è vissuto per molto tempo) . Così per esempio una persona che abita a Roma può pronunciare la seguente frase: (3 )

a. Carla è venuta a Roma la settimana scorsa, ma purtroppo ero

in vacanza.

b. Carla ist letzte Woche nach Rom gekommen, aber ich war lei­

der in Urlaub. Consideriamo ora il discorso indiretto. Due sono le prospettive possi­ bili: la prospettiva del parlante oppure quella della persona di cui vengono riferite le parole. In italiano si adotta la prima prospettiva, in tedesco la seconda: (4) (5 )

a. b. a. b.

Il collega mi ha detto: ( ( Vieni da me. " Il collega mi ha detto di anelare da lui. Der Kollege hat mir gesagt: (( Komm zu mir. " Der Kollege hat mir gesagt, zu zhm zu kommen .

Interessante è poi il caso di un racconto che non coinvolge diretta­ mente alcuno dei partecipanti alla comunicazione. Il narratore allora sceglie un punto di vista che in genere corrisponde al luogo dove ac­ cade l'evento principale: (6)

a. Era una bella festa. Vennero molti ospiti importanti. Dopo un 'ora se ne anelarono . b . Es war ein schones Fest. Viele wichtige Caste kamen . Nach einer Stunde gingen sie.

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

Negli esempi finora considerati, le coordinate del movimento sono unicamente stabilite dalla prospettiva deittica insita nei rispettivi ver­ bi. In altri casi , invece , un sistema di coordinate esterne può aggiun­ gersi e meglio specificare l'esatta collocazione del movimento stesso: a. Vieni a /armi visita in Italia l a Roma l a casa mia. b. Komm mich in Italien l in Rom l zu Hause besuchen .

(7)

Sono ovviamente possibili - oltre alle indicazioni della meta del mo­ vimento - anche indicazioni del percorso o dell'origine: a. b. a. b.

(8) (9)

Venne attraverso uno stretto corridoio. Br kam durch einen engen Gang. Venne fuori dal nascondiglio. Br kam aus dem Versteck.

Va menzionato inoltre il caso del movimento immaginario, o fictive motion (dove l'entità fissa del Landmark viene presentata come se fosse l'entità mobile del Trajector) , che è stato esaminato nel PAR. I .2 .8 e spiegato come un caso di soggettificazione:

a. Guida piano/ fra poco viene una curva pericolosa. b. Fahr langsam/ gleich kommt eine ge/iih rliche Kurve.

( I o)

I due verbi venire/ kommen possono indicare, infine, la provenienza di una persona in senso astratto, senza denotare moto concreto, indi­ candone cioè il luogo di origine 3 :

(I I)

a . Paola viene da Pisa [nel senso di ' è originaria di Pisa'] . b. Paola kommt aus Pisa.

Contrariamente al normale uso deittico esemplificato da frasi come ( 9 ) , in questo caso un evento verificatosi in un determinato luogo (la nascita di una persona) viene categorizzato in termini di un movi­ mento che diparte da quel luogo. 9 . 2 . 2 . Gli usi concreti: i significati non deittici I due verbi andare/gehen possono anche essere usati con un significa­ to non deittico. In questi casi, essi codificano un movimento le cui



Sul

rapporto fra Provenienza e Origine cfr., supra, PAR. 8.2.4.

9 . I VERBI DEITTICI DI MOTO IN ITAL IANO E TEDESCO

coordinate sono stabilite senza il riferimento a un parlante-osservato­ re. Vediamo una coppia di esempi in cui è indicata la meta del mo­ vimento: (I2)

a . Il ragazzo va in cucina. b. Der ]unge geht in die Kuche.

La differenza tra italiano e tedesco consiste nel fatto che il verbo an­ dare è aspecifico rispetto alla modalità del movimento, mentre gehen ha il significato di ' camminare ' : (I 3)

a. È anelato fino a l /aro a piedi/con la macchina. b. Er ist bis zum Leuchtturm zu FujSI�mit dem Auto gegangen .

I due verbi possono anche riferirsi a un movimento senza alcuna coordinata. Quando non è profilato alcun fattore dell'Archetipo del Movimento, viene specificata la modalità del movimento stesso : ( I 4)

a. La giovane donna va scalza. b. Die junge Frau geht bar/ufS.

Negli esempi ( I 2 ) e ( I 3 ) sopra riportati, la meta del movimento con­ siste in un luogo fisico considerato nella sua concreta dimensionalità. Prendiamo ora invece in considerazione le seguenti espressioni: ( I5)

a . anelare al ristorante, anelare a l cinema, anelare allo stadio, anelare dal medico, anelare in chiesa. b. ins Restaurant gehen, ins Kino gehen, ins Stadion gehen, zum Arzt gehen, in die Kirche gehen .

In questi usi, i verbi andare/gehen oltre a denotare un movimento verso una destinazione - contengono informazioni circa l' attività svol­ ta nel luogo di destinazione: andare al ristorante equivale infatti a ' re­ carsi in un ristorante e consumarvi un pasto' , andare al cinema a ' re­ carsi in un cinema e vedere un film ' ecc. Si può parlare di una 'meta funzionale' in quanto l' attenzione, più che al movimento stesso, è ri­ volta all'attività abitualmente associata al luogo in questione. Questo tipo di uso rappresenta un evidente caso di metonimia: il movimento verso la meta sta a significare l' attività svolta presso la meta stessa. Il carattere funzionale della meta emerge ancor più chiaramente nei casi in cui l'indicazione della stessa rimane implicita e, di contro, l'attività svolta una volta raggiunta la destinazione viene esplicitata mediante un infinito: -

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

( I 6)

a. andare a telefonare, andare a fare la spesa. b. telefonieren gehen, einkaufen gehen .

Nel seguente esempio, poi, l'attività intrapresa dal Mover ha un ca­ rattere istituzionalizzato : ( I 7)

a. Questa mattina il ragazzo è andato a scuola. b. Heute morgen ist der ]unge zur Schule gegangen .

In un 'estensione semantica, andarelgehen possono indicare la fre­ quenza regolare di un istituto di formazione; i verbi hanno significato iterativo e denotano un'attività abituale: ( I 8)

a. Cosa fa tuo figlio? - Va ancora a scuola. b. Was macht dein Sohn ? - Er geht noch zur Schule.

Abbiamo visto nel paragrafo precedente alcuni usi deittici dove il movimento è immaginario (esempi ( I o) e ( I I ) ) . Tali esempi si riscon­ trano anche negli usi non deittici: ( I 9)

a. Questa strada va fino a Milano. b. Diese Stra/Se geht bis nach Mailand.

Simile è anche la seguente forma di movimento virtuale (nel senso di 'entrarci, avere la misura giusta' ) : (2o)

a. È questa la chiave giusta? - Sz: questa chiave va nella toppa. b. Ist dies der richtige Schliissel? - ]a, dieser Schlussel geht ins

Schlo/S. Va infine notato che in tedesco, contrariamente all'italiano, esistono usi non deittici anche del verbo ventivo (kommen) : (2 I )

a . Der Einbrecher ist uber die Mauer gekommen . "Il ladro è riuscito a scavalcare il muro " . b. Der Fu/Sglinger ist unter ein Auto gekommen . "Il pedone è finito sotto una macchina " . c . Der Verletzte ist ins Krankenhaus gekommen . "Il ferito è stato portato in ospedale " .

In questi usi, viene sempre descritto un movimento che risulta condi­ zionato da forze esterne antagoniste: il superamento di un ostacolo (2 I a) , il movimento casuale (2 I b ) , il movimento forzato (2 I C ) . Solo I 86

9 . I VERBI DEITTICI DI MOTO IN ITAL IANO E TEDESCO

nel primo caso il soggetto movente riesce ad avere la meglio sulle for­ ze esterne portando a termine quanto prefissato. Nel secondo caso, il soggetto movente soccombe in quanto risulta distolto dalla meta ori­ ginariamente pianificata. Nel terzo caso, non solo la meta è decisa da altri, ma in aggiunta il movimento non è più attuato con le forze del soggetto movente stesso. 9·3 Gli usi astratti

Ricordiamo che negli usi classificati come concreti il movimento nello spazio fisico è sempre un aspetto costitutivo del significato (anche quando si tratti di movimento immaginario) . Siamo in presenza, inve­ ce , di usi astratto-metaforici quando lo svolgimento di un' attività op­ pure le varie fasi di un processo o di un evento vengono categorizza­ ti in termini di movimento . Più specificamente, il cambiamento da uno stato di cose A ad uno stato di cose B viene categorizzato come movimento che ha origine nel luogo A e destinazione nel luogo B (cfr. Lakoff, 1 99 0 , che cita metafore come CHANGES ARE MOVEMENTS INTO OR OUT OF BOUNDED REGIONS 'i cambiamenti sono movimenti in entrata o in uscita rispetto ad ambiti delimitati' oppure PROCESSES ARE MOVEMENTS 'i processi sono movimenti' e ACTIONS ARE SELF-PRO­ PELLED MOVEMENTS 'le azioni sono movimenti autonomamente intra­ presi') . Va notato che gli usi astratti di andare/venire e kommen/ gehen hanno carattere prettamente idiomatico in quanto il verbo di moto non è liberamente sostituibile. Così possiamo dire unicamente venire alla luce (e non �·(andare alla luce) oppure andare a pezzi (e non �·( veni­ re a pezzi) . Una tale idiomatizzazione dei due verbi non comporta però - come ora vedremo più in dettaglio - una loro completa dese­ mantizzazione. I due verbi, anzi, preservano le loro principali caratte­ ristiche distintive anche in ambito astratto. Ciò vale sia per gli usi deittici che per quelli non deittici. 9· 3 . r .

Gli usi astratti deittici

Gli usi temporali Una delle metafore concettuali più diffuse a livello interlinguistico è quella secondo cui categorie temporali vengono concepite in termini di categorie spaziali. In numerose lingue, il passare del tempo viene codificato mediante i verbi deittici di moto . In un primo modello me-

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

taforico ( MOVING WORLD 'mondo in movimento ' ) , l'osservatore deitti­ co è visto come fermo e gli eventi futuri gli si avvicinano per poi finire alle sue spalle (uso del verbo venire/kommen ) : (22) (2 3 )

a. b. a. b.

Ora è venuto il momento di agire. ]etzt ist der Moment gekommen zu handeln . Il mese che viene . Der kommencle Monat.

In un secondo modello metaforico ( MOVING EGO 'Ego in movimen­ to' ) , è l'osservatore stesso che si mette in moto verso il futuro , la­ sciandosi il passato alle spalle (uso del verbo andare/gehen) : (24) (25 )

a. b. a. b.

Va per i 70. Er geht auf die 70. Stiamo anelando verso un futuro incerto. Wir gehen in eine unsichere Zukunft.

Il focus interattivo Abbiamo visto in precedenza che, in una narrazione, il parlante-os­ servatore tende a scegliere come punto di riferimento per il movi­ mento il luogo dove si svolge l'azione principale. Negli usi astratti dei nostri verbi, poi, non è più il parlante a scegliere il punto di riferi­ mento deittico, ma - trattandosi di locuzioni fisse - esso è già codifi­ cato nella lingua come punto di vista convenzionalizzato. Si possono interpretare queste espressioni come codificanti un movimento in av­ vicinamento o in allontanamento rispetto a un osservatore astratto (canonico) , riconducendole in tal modo a categorie deittiche fonda­ mentali. Ci sono ben precisi motivi per cui l'osservatore si situa preferen­ zialmente in un luogo mentale piuttosto che in un altro. Egli sceglie, infatti, una posizione in cui le varie entità siano facilmente percepibili (vale a dire visibili, udibili o tangibili) e facilmente conoscibili. L'os­ servatore tende pertanto ad assumere una posizione privilegiata nello spazio, tale da garantirgli una immediata accessibilità del mondo che lo circonda, premessa indispensabile per interagire con la realtà (non a caso, il settore dello spazio attorno all'osservatore canonico è chia­ mato da Lindner, 1 983 , «regione del focus interattivo») . L'osservato­ re tende inoltre a identificarsi con uno stato di cose normale o co­ munque positivo e desiderabile. a) Il focus come percepibilità sensoriale. Consideriamo dapprima la 188

9 . I VERBI DEITTICI DI MOTO IN ITAL IANO E TEDESCO

percepibilità visiva. Le espressioni con i verbi venire/kommen posso­ no descrivere il movimento di un oggetto che entra nel campo visi­ vo dell'osservatore, le espressioni con andare/gehen il movimento di un oggetto che esce dal campo visivo (sia in senso letterale che tra­ slato) : (26)

(27)

a. venire alla luce, venire fuorz: venire allo scoperto, venire in vista, venire sott' occhio; venire in superficie, venire a galla; b. andare a picco, andare a fondo, andare in apnea; a. unterlvor die Augen kommen, vorlzu Augen kommen, zu Gesicht kommen, in Sicht kommen, in Betracht kommen, in den Blick kommen, ins Blickfeld kommen; ans Licht kom­ men, ans Tageslicht kommen, an den (hellen) Tag kommen, zutage kommen, an die Sonne kommen, ans Licht der Sonne kommen, zum Vorschein kommen, zur Erscheinung kom­ men, an die Ober/liich e kommen, in den Vordergrund kom­ men ; b. aus dem Licht gehen, zur Seite gehen, auf Gru n d gehen .

Anche l'udito e il tatto possono essere determinanti per l'entrata nella regione del focus interattivo. In questi casi abbiamo però relativa­ mente poche espressioni, il che riflette la predominanza cognitiva del­ la percezione visiva sugli altri sensi: (2 8) (29)

a. b. a. b.

venire all'orecchio; zu Ohren kommen, zu Gehor kommen ; venire tra le mani; in die Hiinde kommen, in die Finger kommen .

Alcuni modi di dire, poi, si riferiscono in generale alla sfera di atten­ zione dell'essere umano : (3 o) (3 1 )

a. b. a. b.

Nessuno mi venga a dire questo. Da sol! mir einer kommen un d so was sagen. È venuto fuori con una battuta cretina. Er ist mit einem dummen Spruch gekommen .

b) Il focus come controllo e possesso. Ciò che si avvicina all'osservato­ re può entrare nella sua sfera di influenza (venire/kommen) ; ciò che si allontana, invece, inevitabilmente ne esce (andare/gehen ) :

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

(32) (3 3 )

a. b. a. b.

venire in possesso; anelare perduto} anelare disperso} anelare smarrito; in Besitz kommen ; verloren gehen} verschutt gehen} fluchtig gehen} floten ge­ hen} stz/ten gehen .

c) Il focus come esistenza in vita. Alla nozione di focus interattivo può essere collegata una metafora che Lakoff ( r 99o) chiama EXISTEN­ CE IS LOCATION HERE - NONEXISTENCE IS LOCATION AWAY ('l'esistere è qui - il non esistere è lontano da qui' ) . La nascita può essere quin­ di considerata come un avvicinamento rispetto all'osservatore canoni­ co, la morte come un allontanamento: (3 4 )

(3 5 )

a. venire al mondo} venire alla luce; b. anelare altaltro mondo} anelare al Creatore} anelare altinfer­ no} anelarsene} anelare ; a . auf die Welt kommen} zur Welt kommen ; b. aus der Welt gehen} aus dem Leben gehen} von uns gehen} zu Gott gehen} in die Ewigkeit gehen} zu Grabe gehen} uber den ]ordan gehen} den Weg allen Fleisches gehen} von dannen gehen} hops gehen .

d) Il focus come salute fisico-mentale. Lo stato canonico dell'osserva­ tore stesso è rappresentato - oltre che da una buona salute fisica dall'essere cosciente, attivo, equilibrato e controllato (cfr. Clark, 1 974, pp. 3 r 8-2 r ) . Un'alterazione dello stato psichico può essere quindi interpretata come un'uscita dal focus interattivo e viene codifi­ cata da andare/gehen : (36)

a. anelare via col cervello} anelare fuori di testa} anelare in be­ stia} anelare in collera} anelare in estasz: anelare in visibilio} anelare in calore} anelare su tutte le furie} anelare in escande­

scenze;

b. auf die Palme gehen} in die Luft gehen} in die Hohe gehen} an die Decke gehen} die Wiinde hoch gehen .

e) Il focus come funzionamento. La nozione di focus interattivo può essere ulteriormente ampliata . Lo stato normale e atteso delle cose è collocato (nello spazio metaforico) vicino all'osservatore, uno stato anomalo invece lontano. Generalmente, l'osservatore canonico ha di­ nanzi a sé oggetti che funzionano. Un oggetto (concreto o astratto)

9 . I VERBI DEITTICI DI MOTO IN ITAL IANO E TEDESCO

che si 'guasta' non 'funziona' più . Questo processo viene descritto da espressioni contenenti i verbi andare/gehen: (3 7 )

(38)

a. anelare a/in pezzz� anelare in briciole, anelare in frantumz� an­ elare in polvere/ anelare in cancrena, anelare in putrefazione, anelare a male, anelare in rovina, anelare in malora/ anelare a fuoco, anelare in cenere, anelare in fumo/ anelare a monte, anelare all'aria, anelare per aria/ anelare a rotoh anelare a cata­ fascio, anelare in crisz> anelare in tilt, anelare fuori girz� anela­ re in cortocircuito, anelare nel pallone,· anelare in disuso, an­ elare a vuoto/ anelare in fallimento; anelare distrutto, anelare bruciato, anelare sprecato 4; b. kaputt gehen/ zu Bruch gehen, zu Schrott gehen, zu Schan­ den gehen,· in die Bruche gehen, in Stucke gehen, in Trum­ mer gehen, in Scherben gehen/ in die Binsen gehen, in die Hose gehen/ in die Luft gehen, ins Leere gehen, ins Auge gehen/ aus den Fugen gehen, aus dem Leim gehen, aus den Angeln gehen, aus den Niihten gehen, aus der Form gehen,· pleite gehen, bankrott gehen, in Konkurs gehen .

Per quanto riguarda la simmetria tra i due verbi, possiamo notare che - quando l'osservatore canonico si pone al centro della regione di percepibilità sensoriale - le espressioni con venire/kommen predo­ minano nei confronti di quelle con andarelgehen: l'osservatore è col­ pito soprattutto da ciò che compare nel suo campo percettivo e non tanto da ciò che ne esce. Se, invece, l'osservatore si identifica con uno stato di normalità (controllo, vita, salute , funzionamento), sono le espressioni con andare/gehen a prevalere nettamente: interessano soprattutto le deviazioni rispetto alla normalità (condizione data per scontata) .

Il corpo umano come centro deittico Consideriamo ora un gruppo di esempi in cui è il corpo umano a fungere da centro deittico. Attività intellettuali oppure mutamenti nello stato fisico ed emotivo dell'essere umano possono essere catego4- In questi esempi - come anche in quelli riportati in (32b) - siamo in presenza della costruzione "andare + participio passato" in cui andare ha il ruolo di un verbo ausiliare del passivo. Ma anche in tale uso prettamente grammaticale, andare non è affatto desemantizzato e mantiene intatto il suo significato deittico: tutti i verbi com­ binabili con andare hanno infatti significato negativo, indicando esclusivamente casi di allontanamento dall'osservatore canonico (uscita dal focus interattivo) .

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

rizzati come se fossero movimenti astratti di un'entità che dall'esterno penetra nel corpo umano . Vediamo dapprima qualche esempio riferi­ to alla sfera intellettiva. La meta del movimento può essere precisata (frase 3 9 ) oppure rimanere implicita (frasi 4oa-c) : (39) (4o)

Mi viene in mente che devo telefonare. a. Mi è venuta un'idea/un 'intuizione/un'illuminazione/un dub­ bio/un sospetto. b. Mi sono venute le parole giuste. c. Mi sono venuti degli scrupoli.

Anche l' awicinamento di entità appartenenti alla sfera dell'emotività viene codificato dal verbo venire: (4 ! )

a. b. c. d. e. f. g.

Mi viene una gran tristezza/una gran malinconia. Mi viene un desiderio irrefrenabile di mangiare cioccolata. Mi viene paura/fifa/strizza. Mi viene la tentazione/l'impulso di dargli un pugno. Mi viene voglia di disegnare. Mi viene il timore di aver sbagliato tutto. Mi viene una rabbia incredibile quando penso a quella ca­ lunnia. h . Mi vengono terribili rimorsi.

Si noti il fatto che si tratta esclusivamente di mutamenti per cui l'es­ sere umano perde in qualche modo la serenità o l'autocontrollo (cfr. invece l'impossibilità di espressioni come -J:mi viene serenità o -J:mi viene calma) . Da ciò si può dedurre che lo stato emotivo canonico dell'essere umano viene identificato con l'essere tranquillo ed equili­ brato. Tutto ciò che viene dal di fuori porta a un'alterazione per così dire patologica di tale stato (cfr. PAR. precedente) . La stato finale del movimento può essere precisato da un aggetti­ vo che chiaramente appartiene alla sfera dell'emotività: (42 )

Mi viene istintivo/naturale/spontaneo dargli del tu.

Simile è la costruzione venire + da + infinito: (43 )

Improvvisamente mi è venuto da dirgli tutta la verità.

Infine, anche alterazioni che riguardano l' ambito p rettamente fisico vengono categorizzate da venire. In alcuni casi, è precisata la meta

9 . I VERBI DEITTICI DI MOTO IN ITAL IANO E TEDESCO

del movimento astratto (44) , il più delle volte rimane però implicita (45 a-e) : (44) (45 )

a. b. c. d. e.

Mi viene un sudore freddo alla schiena/un dolore allo stoma­ co/un prurito alle gambe. Mi viene /ame/setelstanchezzalfiacca/sonno. Gli è venuto un in/arto/una terribile malattia/una gran debolezza/un senso di vertigine. Gli è venuta la /ebbre/la tosse/l'influenza/la pelle d'oca. Vorrei che gli venisse un bell'accidente. Quando ha appreso la notizia gli è venuto un colpo.

Va inoltre menzionata, anche per la sfera fisica, la costruzione veni­ re + da + infinito: (46)

Mi viene da piangere/ridere/tossire/starnutire/vomitare.

Come già per i mutamenti in ambito emotivo, anche qui si riscon­ trano soltanto esempi di deterioramento (mi viene debolezza ma non �·( mi viene forza; mi viene fame ma non "'( mi viene sazietà) . Il corpo di per sé viene quindi considerato come sano e in buona salute ; non gli manca nulla. Tutti i disturbi e i mali invece provengono dall'esterno e, penetrando nel corpo, modificano questo stato ideale di equili­ brio . Volgiamo ora la nostra attenzione al tedesco. Come già in italiano, mutamenti in ambito intellettivo vengono categorizzati in chiave di movimento ventivo. Se la meta è specificata - cfr. l'esempio italiano ( 3 9 ) , essa può consistere nella 'mente' (Sinn) , nella 'coscienza' (Be­ wu/Stsein) , nella 'memoria' (Erinnerung, Gediich t nis) o nella 'cono­ scenza' (Kenntnis) : -

(47 )

a. Es ist mir nicht in den Sinn gekommen, ihn anzuru/en . b. Die Schuld kommt mir zu Bewu/Stsein . c. in Erinnerung kommen, ins Gediich t nis kommen, zur Kennt­ nis kommen

In altri casi, la meta rimane inespressa (cfr. gli esempi italiani 4oa-c) : (48)

a. Mir kommt eine Idee/ein Gedanke/ein Verdachtleine Er­

leuchtunglein Ein/all. b. Mir kommt die Erkenntnis/die Einsichtldie Gewi/Sheit. c. Mir kommen Zwez/el/Bedenken/Skrupel/Gewissensbisse. 193

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

d. Mir kommen Erinnerungen/Bilder/Visionen/Eindrucke/Asso­

ziationen.

e. Mir kamen die richtigen Worte. Le somiglianze con l'italiano finiscono però qui. In tedesco, infatti, non è possibile usare il verbo ventivo kommen per codificare muta­ menti dello stato emotivo (49) o fisico (5 o) : (49) ( 5 o)

��Mir kommt Traurigkeit/WutlAngst. �"Mir kommt Fieber/Hustenleine Krankheit.

Alcuni mutamenti nella sfera psichico-emotiva, anzi, richiedono addi­ rittura l'uso del verbo itivo gehen: (5 I ) (52)

Diese Nachricht geht mir unter die Hautlzu Herzenlan die Nie­ ren/ans Gemut. Mein kleiner Bruder geht mir au/ die Nerven/au/ den Geist/au/ das Gemut.

Sembra quindi che nelle due lingue - italiano e tedesco - esistano due diversi modelli cognitivi (folk models nella terminologia di La­ koff, I 987) utilizzati per la categorizzazione del corpo umano. In ita­ liano, l'osservatore canonico si identifica con il corpo nella sua inte­ rezza, mentre in tedesco esso si limita alla testa, vale a dire alla sfera dell'intelletto. Tutto il resto - come cuore (Herz) , reni (Nieren) , nervi (Nerven) ecc. - sono considerati come 'Non-Ego' in quanto territori sconosciuti su cui l'Ego non esercita alcun controllo. Ulteriori studi dovranno verificare se questa localizzazione della origo è valida anche per altri settori della deissi nelle due lingue prese in esame. 9 · 3 . 2 . Gli usi astratti non deittici Negli usi non deittici in ambito astratto, i verbi andare/gehen denota­ no eventi iniziati da esseri umani: (53)

a. andare in /o n do alla questione, andare fino al limite, andare

in dettaglio;

(54)

b. der Sache auf den Grund gehen, bis an die Grenze gehen, ins Detail gehen ; a. andare in scena, andare in stampa, andare in produzione, andare in onda; b. in Szene gehen, in Druck gehen, in Produktion gehen, auf Sendung gehen . I94

9 . I VERBI DEITTICI DI MOTO IN ITAL IANO E TEDESCO

Sulla base del movimento senza coordinate, i due verbi codificano inoltre il generico evolversi degli eventi ( 5 5 ) o il funzionamento di un oggetto ( 5 6 ) : (55) (5 6)

a. b. a. b.

Le cose mi vanno bene l male. Es geht mir gut l schlecht. Il mio orologio non va più. Meine Uhr geht nicht mehr.

In tedesco , infine, il verbo ventivo kommen indica, anche in ambito astratto, un movimento condizionato dalla presenza di forze esterne. Ci limitiamo in questa sede alle seguenti due coppie di esempi per evidenziare la differenza di significato tra kommen e gehen: (5 7 )

(58)

a. zur Bundeswehr kommen "iniziare a fare il militare di leva " ; b . zur Bundeswehr gehen "iniziare a fare il militare di professione " ; a. zu Tode kommen "trovare la morte " ; b. in den Tod gehen " andare incontro alla morte " . 9·4 Conclusioni

Abbiamo visto come le numerose varianti di significato dei verbi ita­ liani andare/venire e dei verbi tedeschi kommen/gehen siano rispetti­ vamente collegate in maniera sistematica. Tra gli usi concreti, tale col­ legamento è dato principalmente dalle modificazioni dello schema del movimento (presenza o meno dell'osservatore, collocazione dell' osser­ vatore, esplicitazione o meno dei vari elementi dello schema ecc. ) . Gli usi astratti risultano sistematicamente riconducibili ai rispettivi usi concreti mediante metafore che preservano lo schema di movimento, sia per gli usi deittici ( dove si postula un osservatore canonico) sia per quelli non deittici. I verbi deittici di moto sono quindi un buon esempio di come le varianti di un lessema polisemico siano motivate e non totalmente ar­ bitrarie. La motivazione si presenta come un concetto non assoluto ma prettamente relazionale: una variante è motivata nella misura in cui si lascia ricondurre ad altre varianti. La motivazione, a livello co­ gnitivo generale, non è altro che un principio di organizzazione del 195

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GlJISTICA COG�ITIVA

sapere umano secondo criteri economici: per facilitare apprendimen­ to , memorizzazione e uso di determinate strutture mentali è bene che esse siano tra loro collegate. Il confronto tra le due lingue italiano e tedesco, infine, ha evi­ denziato come i procedimenti di estensione semantica siano molto si­ mili nelle due lingue. Ciò non vuoi dire, però, che tali procedimenti vengano applicati con la stessa frequenza e con le stesse modalità. Non sorprende quindi che vi siano, accanto a numerose corrispon­ denze letterali tra le due lingue, anche rimarchevoli differenze.

IO

La polisemia dei verbi dar, pegar e meter in spagnolo di Enrique L. Palancar

IO. l

Introduzione

In questo capitolo presento un'analisi che ha lo scopo di unificare le diverse estensioni semantiche di tre verbi in spagnolo, dar, pegar e meter. Do qui di seguito una serie di esempi di ogni verbo, per illu­ strarne i significati più rappresentativi. Incominceremo con il verbo

dar: (I)

a . Arantza le clio un libro a Ricardo "Arantza ha dato un libro a Ricardo " . b . El borracho le clio un puiietazo a su amigo " L'ubriaco ha dato un pugno al suo amico " . c . La coca-cola le clio acidez de est6mago a Doris " La Coca-cola ha fatto venire acidità di stomaco a Doris " .

Gli esempi in ( I ) illustrano usi naturali del verbo dar in qualsiasi va­ rietà dello spagnolo. In ( I a) viene descritto un evento di trasferimen­ to fisico . Arantza, come agente, sposta un libro nell'area di controllo di Ricardo e come risultato di questa azione Ricardo possiede il libro. L'esempio in ( I b) presenta un caso diverso, denotando quello che possiamo definire un 'evento di colpire' , nel quale un ubriaco, che funge da agente che colpisce, allunga il suo pugno verso il corpo di un 'altra persona, causando come risultato un danno fisico . Infine, ( I c) presenta una bibita come la causa di un'acidità di stomaco nel corpo di Doris, cosa che owiamente tocca la stessa Doris. Tutti que­ sti eventi non hanno apparentemente niente in comune, almeno a pri­ ma vista. Tuttavia, in tutte le frasi troviamo il verbo dar. Il verbo pegar, come il verbo dar, presenta diverse accezioni, come mostrano i seguenti esempi: I97

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

(2)

a. Susana pego el librero a la pared " Susana ha avvicinato lo scaffale alla parete " . b. El borracho le pego una patada a su amigo " L'ubriaco ha dato un calcio al suo amico " . c . Arantza le pego u n susto a Enrique "Arantza ha spaventato Enrique " .

In ( 2 a) si presenta un evento di movimento in cui Susana sposta uno scaffale dal suo posto originale e lo avvicina alla parete in modo tale che la sua superficie sia in contatto con il muro. In (2b) abbiamo di nuovo un evento di colpire, come nell'esempio ( r h) , nel quale un ubriaco aggredisce un amico colpendolo con un piede. In (2c) Arantza ha agito in maniera da spaventare Enrique. Vediamo infine alcune delle accezioni più rilevanti del verbo

meter: (3 )

a. ]ulis metio un libro en el caj6n "J ulis ha messo un libro nel cassetto " . b . El borracho le metio una patada a su amigo " L'ubriaco ha dato un calcio al suo amico " .

In ( 3 a) osserviamo di nuovo un evento di movimento causativo: Julis sposta un libro, il risultato del movimento è che il libro si trova al­ l'interno di un cassetto. L'esempio (3b) denota un evento di colpire, come quello trovato in precedenza in (2b): in questo caso, l'uso di meter implica un certo carattere di maggior impatto nel colpo. 1 0.2 Basi teoriche

Secondo l'approccio della LC, la pluralità del significato di questi ver­ bi non è intesa come dovuta a un 'omonimia, per la quale i diversi significati vengono considerati appartenenti a lessemi diversi e non correlati. Al contrario, si sostiene l'esistenza di una polisemia soggia­ cente, un'interrelazione semantica tra i diversi significati. In prima ap­ prossimazione conviene considerare, per esempio, che alcuni signifi­ cati sono più basici di altri: seguendo le proposte di Lakoff e John­ son ( r 998a), Lakoff ( r 9 87 ) , Sweetser ( r 99o) , Heine, Claudi e Hiinne­ meyer ( r 99 r ) ecc . , prenderò i significati che si riferiscono a un conte­ sto spaziale come base semantica per lo sviluppo delle altre estensio­ ni. Inoltre il mio approccio ai dati lessicali è di carattere costruzioni­ sta, prendendo come riferimento il modello della Construction Gram-

I O . LA POLISEMIA DEI VERBI

DAR , PEGAR

E

METER

IN SPAGI'\OLO

mar ('Grammatica Costruzionista') proposto in Goldberg ( r 992 ,

1 995 ), che risente dell'influenza di Fillmore ( r 985b, 1 9 8 8 ) , Fillmore e Kay ( r 994) e Fillmore, Kay e O'Connor ( r 9 8 8 ) ed è stato sviluppato posteriormente in ambito tipologico da Croft (2oo r ) . In un approccio costruzionista al linguaggio umano, l a gramma­ tica della lingua è concepita come un elenco di costruzioni grammati­ cali che funzionano come un tutto ( olisticamente) . In altre parole, esse non portano soltanto informazione strutturale, cioè di tipo sintat­ tico, ma comportano anche una semantica propria, oltre all'informa­ zione pragmatica rilevante che può allo stesso tempo essere accompa­ gnata da informazione fonologica significativa, quasi sempre di natura soprasegmentale, come l'intonazione. Secondo questa prospettiva costruzionista, le estensioni semanti­ che dei verbi dar, pegar e meter non sono fenomeni isolati. Al con­ trario, i differenti significati si confrontano e si osservano in maniera unitaria, e sono intesi come derivanti dal tipo di costruzione gramma­ ticale in cui i verbi ricorrono. In altre parole, le estensioni sono piut­ tosto il frutto della costruzione in cui i verbi sono inseriti con mag­ gior frequenza. Come abbiamo visto nella sezione precedente, i verbi dar, pegar e meter si riferiscono a eventi che implicano trasferimento o movimen­ to come negli esempi in (a), ma sono usati anche in maniera naturale per codificare eventi di colpire, come negli esempi di (b) . Il fatto che possano impiegarsi per far riferimento a eventi di colpire li rende in­ teressanti da un punto di vista costruzionista, poiché in questa pro­ spettiva l'impiego di questi verbi per esprimere l'evento di colpire non è interpretato come un fenomeno fortuito, bensì causato da una motivazione semantica sottostante. L'obiettivo di questo capitolo è mostrare, da un lato , come questi significati siano correlati, dall'altro, presentare i meccanismi che li rendono possibili. Iniziamo pertanto con il verbo dar e il tipo di azio­ ni a cui questo verbo fa riferimento in modo prototipico. IO. J Il verbo dar e la Costruzione Dativa di Trasferimento

Probabilmente il significato prototipico del verbo dar per un parlante spagnolo è quello di trasferimento. Questa accezione è presente in (4) , ripetizione di ( r a) : (4)

a. Arantza le dio un libro a Ricardo " Arantza ha dato un libro a Ricardo " . 1 99

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA FIGURA 1 0. 1

La 'Costruzione Dativa di Trasferimento' Con

Sem Sin

--

l

_ _ _ _

-----

j_�

_ _ _

CAUSNRICEVERE - -

l

- _ _ - - - - -

l ---l-----J-----

- - - _ _

VERBOcL:DA T

SOG

OGG

OGG DAT a

Questa frase può essere interpretata come la manifestazione dell'esi­ stenza nella lingua di una costruzione dativa con semantica di tra­ sferimento. Chiameremo questa costruzione 'Costruzione Dativa di Trasferimento' e la rappresenteremo con la FIG . I o . r . L a rappresentazione in FIG . I o. I implica tre livelli di organizzazio­ ne: il livello concettuale (Con), quello semantico (Sem) e quello sin­ tattico (Sin) . Nel dominio concettuale ho voluto rappresentare un evento tipico di trasferimento ; a tal fine impiegherò il modo di rap­ presentazione della Grammatica Cognitiva di Langacker ( I 987, I 99 I a, I 99 I b) . Un essere umano A realizza intenzionalmente un'inte­ razione con un'entità inanimata B. Questa interazione è indicata per mezzo di una freccia continua che va da A a B. Nell'azione, A con­ trolla l'interazione, facendo sì che l'entità B formi parte del dominio di controllo e possesso di un'altra entità umana, C. Questo dominio è indicato con l'ellisse. A ha realizzato il processo dinamico con l'inten­ zione di produrre un certo effetto in C. Di solito questa intenzione è indicata con una freccia punteggiata che va da A a C . L'effetto si ottiene con l'ingresso di B nel dominio di C, che viene indicato di nuovo per mezzo della freccia che unisce B e C. A livello semantico, ognuna di queste entità svolge un ruolo diffe­ rente come partecipante all'evento: A funge da Agente ( AG ) , B da Tema (T) o entità in movimento e C da Ricevente (ruc) . I parte ci­ panti e la dinamica dell'evento sono codificati anche a livello sintatti­ co. L'Agente è codificato come Soggetto, il Tema come Oggetto e il Ricevente come Oggetto Indiretto (Complemento di Termine) . Que­ sto Oggetto Indiretto in spagnolo è un sintagma nominale (sN) mar­ cato dalla preposizione a. Il verbo codifica la dinamica interattiva tra i partecipanti e riceve un clitico opzionale di concordanza con il SN che fa riferimento al Ricevente - le nell'esempio (4) . L a costruzione dativa, d a quanto visto, comporta una semantica

2 00

I O . LA POLISEMIA DEI VERBI

DAR , PEGAR

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IN SPAGI'\OLO

di trasferimento e permette la comparsa di altri verbi oltre a dar, come repartir, 'distribuire' , o regalar, 'regalare'. Tuttavia, la semantica di trasferimento della costruzione permette che siano inseriti verbi che non comportano inerentemente questa semantica, ma che ricevo­ no questo significato attraverso l'uso in questa costruzione, come di­ mostrano le coppie in (5 ) e ( 6 ) : (5 )

(6)

a.

Teresa aso un pollo para cenar " Teresa ha arrostito un pollo per la cena " . b . Cortaron el paste! " Hanno tagliato la torta " . a. Teresa le aso un pollo a Nacho para cenar " Teresa ha arrostito un pollo a Nacho per cena " . b. A Dora le cortaron el paste! " Hanno tagliato la torta a/per Dora " .

Le frasi in ( 5 ) denotano due azioni agentive transitive che presentano un certo cambiamento di stato in un'entità. In ( 5 a) Teresa determina un cambiamento di stato nel pollo, trasformandolo da crudo a cotto. In (5b), il cambiamento di stato si verifica in una torta, che passa da essere intera a essere tagliata; l'agente in questo caso non è menziona­ to . In questi atti non c'è niente che implichi trasferimento . La nozio­ ne di trasferimento appare nelle coppie di ( 6 ) , che si distinguono da quelle in (5 ) per la comparsa di un partecipante dativo. Tuttavia, il tipo di trasferimento implicito in (6) è diverso da quello visto nell'e­ sempio (4) . In ( 6a) siamo informati del fatto che Teresa ha deciso di arrostire un pollo con l'intenzione di offrirlo a Nacho, ma potrebbe darsi il caso che Nacho non riceva mai il pollo in questione. Analoga­ mente, in (6b) qualcuno ha tagliato la torta con l'idea di agire a bene­ ficio di Dora. Il ruolo semantico di Nacho in (6a) e di Dora in (6b) non è quel­ lo di Ricevente del trasferimento ma di Beneficiario. La stretta rela­ zione esistente tra Ricevente e Beneficiario, in termini concettuali, fa sì che la stessa marca sia impiegata in alcune lingue per codificare entrambi i ruoli. La Costruzione Dativa si può anche estendere per far riferimento a un altro tipo di eventi, in cui il trasferimento fisico stricto sensu non è rilevante. Possiamo vedere esempi di questa esten­ sione nella frase in (7 ) : (7)

fiiigo les rompi6 la ventana a los vecinos " Iiiigo ha rotto la finestra ai vicini " .

20I

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA FIG URA 1 0.2

'Costruzione Dativa di Trasferimento' > 'Costruzione di Coinvolgimento'

Sin

V SOG

OGG

Sin

OGG DAT

V SOG

OGG

OGG DAT

L' azione in (7) non presenta nessuna entità trasferita su un piano fisi­ co , ma un trasferimento di energia astratto. In altre parole, in (7) il fatto di rompere la finestra da parte di Iiiigo implica una certa ri­ percussione sui vicini (in quanto proprietari della finestra) . Questo esempio mostra come la costruzione si estenda come un tutto struttu­ rale per esprimere il coinvolgimento (ing . af/ectedness) di certi parte­ cipanti nell'azione (cfr. Maldonado, 2 002 , per uno studio più esau ­ riente di questo tipo di estensioni) . Così, il ruolo semantico-concettuale dei vicini in ( 7 ) non è quello di Ricevente (infatti non ricevono niente) bensì quello di Esperiente, che come risultato dell'azione ottiene un vantaggio o uno svantaggio. Questa estensione della Costruzione Dativa di Trasferimento produce un 'altra costruzione che ho denominato 'Costruzione di Coinvolgimento', che viene presentata nella FIG . I 0 . 2 . Per comodità, nella rappresentazione si sono uniti in uno solo i domini concettuale e semantico e sono stati eli­ minati i dettagli grammaticali che comparivano nella FIG . I o . I . Nella FIG . I 0 . 2 , P è Paziente, ES Esperiente. Nell'estensione che abbiamo visto negli esempi in ( 7 ) , il coinvolgimento è determinato da un 'enfatizzazione del ruolo del Ricevente, che diventa così un Espe­ riente . Allo stesso tempo appare in secondo piano la dinamica del trasferimento. A parte questa estensione, esiste anche in spagnolo un 'altra estensione possibile che implica un coinvolgimento , ma in questo caso di natura fisica e nella quale il senso di trasferimento è ancora presente. La vedremo nel paragrafo che segue. 1 0 .4 La Costruzione di 'colpire' in spagnolo

Seguendo la teoria della metafora di Lakoff e Johnson ( I 998a) , inter­ pretiamo il coinvolgimento come un' azione di trasferimento. A questo proposito, Goldberg ( I 995 , p. I 49) sostiene che azioni intenzionali

2 02

I O . LA POLISEMIA DEI VERBI

DAR , PEGAR

E

METER

IN SPAGI'\OLO

rivolte ad altre persone sono interpretate in maniera metaforica come se comportassero il trasferimento di entità fisiche. Per questo motivo, in una lingua come l'inglese la costruzione ditransitiva (cioè con due oggetti, come in fohn gave Mary the book, dove sia il SN Mary sia il SN the book possono diventare soggetto di frase passiva) che codifica trasferimenti fisici può essere impiegata anche per codificare un altro tipo di azioni rivolte a un'altra persona. In questi casi, abbiamo il verbo give più un SN che si riferisce all'azione in questione, come ve­ diamo in espressioni come She gave him a winklkisslbow. Questa metafora è particolarmente utile per esprimere eventi di colpire in in­ glese, come in She gave him a kicklpunch/buttlpush . In spagnolo, come in inglese, la stessa costruzione dativa è impie­ gata per codificare questo tipo di eventi di colpire. In questi casi tro­ viamo il verbo dar, così come si vedeva nell'esempio ( I b) , ripetuto qui come ( 8 ) : ( 8)

El borracho le dio un puiietazo a su amigo "L'ubriaco ha dato un pugno al suo amico " .

Come abbiamo visto, in questa frase l'ubriaco aggredisce il suo amico con un colpo prodotto con il suo pugno. Secondo la metafora illu­ strata sopra, per cui azioni intenzionali sono interpretate come tra­ sferimenti di entità fisiche , spieghiamo l'uso di dar tanto per esprime­ re fenomeni di trasferimento quanto eventi di colpire. Tuttavia, men­ tre in inglese questo tipo di struttura compare soltanto con il verbo give, in spagnolo troviamo altri verbi come pegar e meter, esemplifica­ ti in (2b) e (3b) . A differenza di dar, questi due verbi non sono verbi di trasferimento, almeno non del tipo esemplificato nella FIG . I o . I . Ciò è dimostrato dalla non grammaticalità di (9 ) : (9)

�·(Arantza le peg6/meti6 un libro a Ricardo agrammaticale con il significato "Arantza ha dato un libro a Ri­ cardo " .

In ogni caso , è interessante, da un punto di vista semantico, che pos­ sano comparire nella stessa costruzione di dar per esprimere eventi di colpire. Come mai può succedere questo? A mio parere, il tipo di evento di colpire in ( 8 ) non è motivato in spagnolo come in inglese dalla semplice interpretazione metaforica di un 'azione di trasferimen­ to . Voglio invece riprendere la proposta formulata in Palancar ( I 999 ) , nella quale una frase come ( 8) è interpretata come un esem203

INTRODUZIOI'\E ALLA L II'\GUISTICA COG:-.JITIVA FIGURA 1 0.3

'Costruzione di Eventi di Colpire' Con/Sem

Sin FIGURA 1 0.4

V

SOG

'Costruzione Dativa di Trasferimento'

Sin

V SOG

OGG

>

OGG DAT

OGG

OGG DAT

'Costruzione di Eventi di Colpire'

Sin

V SOG

OGG

OGG DAT

pio di una costruzione grammaticale speciale che ho denominato 'Costruzione di Eventi di Colpire' . Tale costruzione è presentata nel­ la FIG . I O . 3 . Nella FIG . r o. 3 , AC è Agente che colpisce, c è Colpo, EC è Espe­ riente colpito. La semantica di questa costruzione implica un'intera­ zione fisica tra le due entità presenti, la quale provoca danno o coin­ volgimento rilevante in una delle entità, quasi sempre umana, che funge semanticamente da Esperiente colpito. Questa costruzione di eventi di colpire deriva strutturalmente e semanticamente dalla Co­ struzione Dativa di Trasferimento vista nella FIG . r o . r , e perciò en­ trambe mostrano la stessa sintassi. Per capire l'origine di questa co­ struzione, dobbiamo risalire a un momento diacronico ideale nel pro­ cesso in cui la Costruzione Dativa si impiegava metaforicamente con il verbo dar per esprimere eventi di colpire. Il processo viene schema­ tizzato nella FIG . r o . 4 . N ella costruzione dativa, il sostantivo che fungeva da Oggetto aveva anche una semantica inerente di colpire (patada, 'calcio' ; puiie­ tazo, 'pugno' ; bo/etada, 'schiaffo ' ) . Tuttavia, è molto probabile che un rafforzamento pragmatico (nel senso di Traugott, 1 98 8 ) dell'uso di questa costruzione abbia fatto sì che man mano la costruzione per­ mettesse l'ingresso di altri sostantivi la cui semantica di colpire si in­ feriva soltanto dalla loro presenza nella costruzione. Per esempio, i

I O . LA POLISEMIA DEI VERBI

DAR , PEGAR

E

METER

IN SPAGI'\OLO

sostantivi torta, leche, castana che significano in altri contesti 'pane rotondo ' , 'latte' e 'castagna' rispettivamente, quando appaiono in questa costruzione fanno riferimento a un tipo di colpo generico (cfr. Palancar, I 999, per ulteriori dettagli su sostantivi di colpire in questa costruzione) . Inoltre altri sostantivi che si riferiscono a strumenti di colpire possono essere inseriti nel quadro concettuale in modo tale che la struttura dar un palo Oit . ' dare un bastone') è interpretata me­ tonimicamente come 'colpire con un bastone' ( 'bastonare' ) . In questo contesto, il trasferimento fisico denotato dalla costruzio­ ne è interpretato in spagnolo come un movimento direzionale di un colpo verso un 'altra persona. Così intervengono nuovi verbi nella co­ struzione che non portano un significato di trasferimento bensì una semantica spaziale di contatto. T ali sono i verbi pegar e meter. Il verbo pegar, visto in ( 2 a) , ripetuto qui come ( I o) , comporta un significato spaziale in cui le due entità entrano in stretto contatto fi­ SlCO :

( I o)

Susana pego el librero a la pared " Susana ha avvicinato lo scaffale alla parete " .

Inoltre, questo verbo è impiegato convenzionalmente in spagnolo per indicare un 'azione in cui due entità sono unite in modo da essere in­ separabili ('incollare' o ' appiccicare' ) , come si può vedere in ( I I ) : (I I)

Silvia pego las /otos en el album " Silvia ha appiccicato/incollato le foto neli' album " .

Un fenomeno simile appare con il verbo meter, che indica prototipi­ camente un tipo di azione di movimento causativo in cui qualcuno muove un'entità all'interno di uno spazio, come vediamo in ( I 2 ) , ri­ petizione di ( 3 a ) : (I 2)

Julis m etio un libro en el caj6n

"J ulis ha messo un libro nel cassetto " .

Entrambi i verbi mostrano una semantica di contatto che è accettabi­ le nel tipo di azione di coinvolgimento che la costruzione ha svilup­ pato. I due verbi impiegati in questa costruzione presentano metafori­ camente il colpo come un 'entità che si muove per entrare in contatto diretto con il Ricevente (in questo caso l'Esperiente dell'evento) . A differenza di dar, pegar implica un contatto provocato con un grado superiore di impatto. Diversamente, la semantica spaziale inerente a 205

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

meter fa sì che l'evento di colpire si presenti nell'interpretazione me­ taforica, non soltanto come un contatto fisico come pegar, bensì come un caso di adesione allo spazio o al corpo dell'Esperiente. Questa im­ magine (construal nel senso di Langacker, 1 98 7 ) produce come risul­ tato un effetto pragmatico di maggior impatto del colpo. Per questo motivo, i verbi mostrano una gradazione rispetto all'effetto dell'im­ patto , che viene presentata nella TAB. I O . I . Inoltre l'effetto dell'impat­ to provocato coincide con il registro d'uso , in modo che più grande è l'impatto, maggiore è la colloquialità. TABELLA I O . I

Continuum di coinvolgimento nel colpo dar

Uso: Registro: Coinvol.:

pegar

- marcato - colloquiale - impatto

meter

+ marcato + colloquiale + impatto

Originariamente, questi tre verbi codificavano nella costruzione sol­ tanto aspetti della direzione del colpo, mentre il SN Oggetto della co­ struzione si riferiva al tipo di colpo. Tuttavia, la semantica di colpire va permeando la costruzione in modo tale da venir trasmessa alla co­ struzione stessa, che acquisisce questo significato, come vedremo in PAR. 1 0 .4. 1 . 1 0.4. I . I verbi dar, pegar e meter come verbi di 'colpire' In primo luogo, il comportamento dei verbi che abbiamo studiato offre una prova importante del fatto che la costruzione ha rag­ giunto una semantica propria di colpire. Prova di ciò è che i ver­ bi dar e pegar fungono naturalmente in spagnolo da verbi di col­ pire senza bisogno della presenza di un SN che implichi colpire. Ciò si vede in ( I 3 ) : ( I 3 ) Adridn le ha pegaclol ha claclo a Valeria "Adrian ha colpito Valeria " .

I verbi pegar e dar fungono qui d a verbi con pieno significato di 'col­ pire'. Infatti, si può affermare che oggi il verbo pegar è il verbo pro­ totipico per indicare eventi di ' colpire' nella lingua spagnola, supe­ rando perfino golpear, 'colpire ' , a tal punto che alcuni dizionari (si veda per esempio vox, s. v. ) considerano il significato di ' colpire' 206

I O . LA POLISEMIA DEI VERBI

DAR , PEGAR

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METER

IN SPAGI'\OLO

come un 'accezione differente da quella spaziale, vista negli esempi in ( I o) e ( I I ) . Questa estensione semantica è apparsa presumibilmente in epoca post-medievale giacché non compare in Alonso ( I 986) . Nell'esempio ( I 3 ) appare il verbo dar come verbo di colpire. In termini generali i due verbi sono praticamente sinonimi in questo uso. Esisterebbe una sottile differenza semantica rispetto al grado di coinvolgimento e rispetto alla pragmatica del suo impiego. In un con­ testo di colpire transitivo come nel caso ( I 3 ) , in cui un'entità umana ne colpisce intenzionalmente un'altra, l'uso del verbo pegar è più neutro mentre dar è un po' più informale. In questo contesto dar evoca un certo carattere punitivo nell'interazione. In altri contesti, dove l'evento di colpire è involontario, dar esprime un impatto più leggero che pegar. L'espressione dell'impatto è un elemento soggetti­ vo di chi parla. Cioè, una situazione reale di colpire può essere pre­ sentata verbalmente implicando diversi gradi di impatto del colpo, in funzione della persona che presenta tale azione. Ciò dunque risponde a effetti pragmatici nella conversazione. Diversamente dai verbi dar e pegar, il verbo meter non funge da verbo di colpire nello spagnolo standard . Tuttavia, in alcuni socioletti urbani della penisola iberica la generazione più giovane ha incomin­ dato a usare meter come verbo di colpire in un registro colloquiale, in contesti che evocano bisticci o discussioni. Il verbo appare quasi sempre all'imperativo, in frasi in cui il paziente è dedotto dal conte­ sto, come in ( I 4 ) : , .". .' ( I 4 ) Juan, mete1e ....

"Juan, colpiscilo ! " {lett. "mettigli " ) .

È interessante osservare che nell'estensione al significato d i colpire, i verbi in esame conservano una struttura sintattica propria della co­ struzione dativa dalla quale sono sorti. Ciò si osserva in vari contesti: quando l'oggetto si manifesta in terza persona, il verbo pegar compa­ re sempre con il clitico dativo (le!les) se ha il senso di colpire. Com­ pare invece con il clitico accusativo (lo!las) quando esprime altri si­ gnificati. Questo si vede in ( I 5 ) : ( I 5 ) Susana le peg6 " Susana l'ha colpito/a " .

vs. Susana lo/la peg6 " Susana l'ha appiccicato/a "

1•

1 . Come mostrano gli esempi, nel caso del significato 'colpire' il clitico è dativo, le, forma che vale sia per il maschile sia per il femminile, mentre nel caso del si-

2 07

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

Inoltre, il verbo dar con senso di colpire non compare mai contem­ poraneamente al clitico accusativo. Attraverso questa analisi, è possi­ bile spiegare perché questi verbi presentano nella loro semantica les­ sicale un 'accezione di colpire, fenomeno che altri tipi di analisi non spiegano. Secondo la mia proposta i verbi non hanno acquisito il si­ gnificato di colpire casualmente. Il cambiamento semantico è il risul­ tato dell'uso frequente di questi verbi nella Costruzione di Colpire, che ha trasferito il proprio significato ai verbi, con un processo di spostamento semantico metonimico che si muove prima dal SN alla costruzione e poi da questa al verbo. D'altra parte, le differenze semantico-pragmatiche che comporta­ no i verbi - come appariva nel continuum della TAB. r o . r - si man­ tengono nel corso dell'estensione semantica. In base a questa scala, pegar risulta il termine non marcato da un punto di vista pragmatico, poiché si trova in uno spazio neutro nel continuum. Dar rappresenta un 'alternativa più marcata di pegar, che in certe occasioni denota mi­ nor forza di impatto quando l'evento di colpire è involontario. In fine, meter rappresenta l'opzione più marcata pragmaticamente nelle varietà che permettono la sua estensione, poiché, essendo il verbo che evoca un impatto maggiore, è impiegato anche in contesti piu collo­ quiali. r o .4.2 . Dal colpire al coinvolgimento fisico Nella costruzione possono comparire inoltre SN che si riferiscono ad azioni che non hanno un senso di colpire inerente, come per esempio beso, 'bacio', abrazo, ' abbraccio ', mirada, 'sguardo ' ecc. Quando que­ sti SN sono impiegati nella costruzione con i verbi che implicano im­ patto, l'azione evocata implica coinvolgimento dell'Esperiente, o per lo meno chi parla presenta questa azione nel suo ruolo di valutatore esterno come coinvolgente per l'Esperiente. Il fenomeno è illustrato in ( r 6) con l'uso di SN che non implicano azioni di colpire: ( r 6) a. Arantza le peg6 un susto a Enrique " Arantza ha spaventato Enrique " . b . Jaime le meti6 u n beso a la cocinera "J aime ha dato un bacio alla cuoca " .

gnifìcato 'appiccicare' il clitico è accusativo, e presenta l a forma lo per il maschile e la per il femminile.

208

I O . LA POLISEMIA DEI VERBI

DAR , PEGAR

E

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IN SPAGI'\OLO

Queste frasi non avrebbero le connotazioni che invece hanno se pre­ sentassero il verbo dar, che in questi contesti funzionerebbe come un verbo neutro per quel che riguarda il coinvolgimento. In ( I 6a), ripeti­ zione di (2c) , si dice che Arantza ha spaventato Enrique. Inoltre, vie­ ne anche presentato Enrique come altamente coinvolto da questa azione. Secondo la scala della TAB. I O. I , l'uso di meter aumenterebbe ulteriormente il grado di coinvolgimento denotato. Analogamente, in ( I 6b) l'azione di baciare è presentata con alto grado di coinvolgimen­ to per l'Esperiente (la cuoca) . Inoltre, la scelta del verbo meter può denotare che l'azione è stata improvvisa, tanto per l'Esperiente, quan­ to per l'osservatore che valuta l'azione. L'uso di sostantivi come que­ sti (e altri simili, come mirada, 'sguardo') in questi contesti induce a concludere che la Costruzione di Colpire ha acquisito definitivamente una semantica che possiamo caratterizzare genericamente come 'Coinvolgimento Fisico' . 1 0.5 La Costruzione di Causa Fisica

In questo capitolo abbiamo osservato il modo in cui i tre verbi presi in esame, dar, pegar e meter subiscono estensioni semantiche, adot­ tando una prospettiva costruzionista. Nella nostra analisi abbiamo spiegato l'estensione del verbo dar da verbo di trasferimento fisico a verbo che esprime l'azione di colpire. Analogamente, i verbi pegar e meter, che sono originariamente verbi di moto causativo, cioè che in­ dicano il trasferimento di un'entità da una posizione a un'altra, passa­ no a essere verbi di colpire o di coinvolgimento fisico. Resta ancora un 'estensione semantica di dar che non abbiamo spiegato. Questa estensione compare nell'esempio ( I c) , ripetuto qui come ( I ? ) : ( I 7 ) La coca-cola le dio acidez de est6mago a Doris "La Coca-cola ha fatto venire acidità di stomaco a Doris " . In questa frase una determinata bibita è l'entità causa che produce l'acidità di stomaco nel corpo di Doris, coinvolgendola in modo rile­ vante. Il soggetto del verbo dar in questa struttura presenta il ruolo semantico di Causa. Troviamo lo stesso tipo di semantica causale in ( I 8) : ( I 8 ) Sergio le dio dolor de cabeza a Enrique " Sergio ha fatto venire mal di testa a Enrique " . 209

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

In questa frase il sintagma nominale Sergio denota la causa di uno stato di cose che coinvolge un Esperiente (denotato dal sintagma no­ minale Enrique) . La costruzione che questi esempi riflettono non è un caso esteso della Costruzione di Coinvolgimento Fisico o di quella di Colpire, dal momento che i verbi pegar e meter non si possono im­ piegare qui, come si vede in ( I 9 ) : ( I 9 ) sergio le pegol metio dolor de cabeza a Enrique " Sergio ha fatto venir mal di testa a Enrique " . �·c

Il verbo pegar esprime convenzionalmente un processo di contagio quando appare con un sintagma nominale Oggetto riferito ad un tipo di malattia. Per questo motivo, l'esempio ( I 9) sarebbe grammaticale con un sintagma nominale del tipo un dolor de cabeza, 'un mal di testa' , ma evocherebbe una situazione molto strana perché i mal di testa normalmente non si trasmettono per contagio. La non grammaticalità dell'uso di verbi come pegar o meter in questo contesto dimostra che gli esempi ( I 7) e ( I 8 ) appartengono a un altro tipo di estensione. A mio parere, queste frasi esemplificano una costruzione speciale che denomino 'Costruzione di Causa Fisica' e che viene mostrata nella FIG . I 0 . 5 . FIGURA 1 0.5

'Costruzione di Causa Fisica' Con/Sem

Sin

V

SOG

OGG

OGG DAT

Nella FIG . I 0 .5 CA è C ausa, EFF Effetto . Questa costruzione è impie­ gata normalmente per esprimere cause che producono un determina­ to tipo di effetti che a loro volta coinvolgono direttamente un'entità animata - quasi sempre umana - che funge da Esperiente. Le entità che fungono da Causa possono essere di diversa natura: sostanze, come nel caso di ( I 7 ) , e persone, come in ( I 8 ) . In questo ultimo esempio un essere umano è presentato come la causa di un dolore. Si osservi però che l'interpretazione dell'entità causante in questo caso avviene attraverso una metonimia (cfr. Van Valin, Wilkins, I 99 7 ) . In2 IO

I O . LA POLISEMIA DEI VERBI

DAR , PEGAR

E

METER

IN SPAGI'\OLO

fatti, quello che viene interpretato come Causa del dolore non è la persona in se stessa, bensì una determinata azione della quale la per­ sona è responsabile (ad esempio cantare, parlare troppo, puzzare ecc . ) . Tra gli Effetti prodotti troviamo soprattutto SN che fanno riferi­ mento a dolori (ad esempio dolor, 'dolore'; acidez, agruras, ' acidità' ecc. ) . Sono dunque effetti fisici che un'entità animata, più specifica­ mente una persona, può sperimentare. Il più delle volte, le entità che causano questo tipo di effetti fisici non sono individuabili e agiscono in maniera misteriosa (DeLancey, 1 9 84 ) . Per esempio, un virus è la causa dell'influenza. Tuttavia, quan­ do abbiamo l'influenza e ragioniamo sulle sue cause in un contesto quotidiano, normalmente non abbiamo in mente un virus concreto, ma sappiamo che è influenza grazie ai sintomi che si presentano . In questo senso, molte delle C ause che producono gli Effetti considerati sono difficili da identificare. Per questo motivo la costruzione è im­ piegata frequentemente nella sua forma impersonale, in cui la Causa viene defocalizzata. Inoltre, il SN riferito all'Esperiente viene tematiz­ zato, poiché questo partecipante risulta il più rilevante nella frase da un punto di vista informativo e concettuale. Un esempio di questo uso si trova in ( 2o ) :

( 2 0 ) A ]uan le clio gripel/riolmiedo ecc.

"Juan ha avuto l'influenza/freddo/paura ecc. " .

In ( 2 o ) non è menzionata l'entità che causa i possibili stati elencati. La costruzione mostra una struttura sintattica identica a quella che si osserva nella Costruzione Dativa di Trasferimento nella FIG . r o . r . Questa somiglianza deriva dal fatto che la Costruzione di Causa Fisi­ ca è un'altra estensione della Costruzione Dativa. L'estensione com­ pare al principio per via metaforica. Nella proiezione metaforica il fe­ nomeno di causare un effetto fisico in una persona come Esperiente è interpretato come un trasferimento con un certo effetto a questa per­ sona, che funge metaforicamente da Ricevente. Nella Costruzione Dativa il Ricevente è interpretato come Espe­ riente anche nella Costruzione di Coinvolgimento nella FIG . r o . 2 . Un fenomeno simile compare nella Costruzione di Causa Fisica. Tuttavia, a differenza di quella di Coinvolgimento, la semantica di questa nuo­ va costruzione è ristretta e denota esclusivamente fenomeni di carat­ tere fisico. Per questo motivo, l'Agente nell'azione è interpretato come un'entità che causa l'evento, cioè come Causa. Il Tema nell'a­ zione di trasferimento è interpretato come l'Effetto, cioè il sintomo

2II

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GlJISTICA COG�ITIVA

che coinvolge l'entità animata, mentre il Ricevente del trasferimento è interpretato come l'Esperiente della sintomatologia in questione. 1 0.6 Conclusioni

In questo capitolo ho proposto che i diversi significati che presentano i verbi dar, pegar e meter in spagnolo possono essere interpretati come correlati fra loro in una rete polisemica. Il meccanismo di cam­ biamento semantico che provoca il processo di estensione nel signifi­ cato dei verbi è stato spiegato secondo un approccio costruzionista. In questa prospettiva, i verbi studiati non acquistano diverse accezio­ ni casualmente o indipendentemente l'uno dall'altro, ma in base alla loro presenza nelle diverse costruzioni. In questo senso, l'estensione semantica particolare di ogni verbo è regolata dall'estensione di una costruzione data. Nell'analisi ho considerato la Costruzione di Tra­ sferimento come base di tutte le altre estensioni. Questa costruzione serve a sua volta di base per altre tre costruzioni: quella di Coinvolgi­ mento, quella di Colpire o Coinvolgimento Fisico e quella di Causa Fisica. Lo schema principale della dinamica delle estensioni semanti­ che, illustrata nel corso del capitolo, è presentato come conclusione nella FIG . r o.6.

1 0.6 'Dinamica di estensione della Costruzione Dativa di Trasferimento'

FIGURA

Trasferimento Fisico Coinvolgimento Agente - Tema - Ricevente r----t Agente - (Azione) - Ricevente/Esperiente V SOG

OGG

OGG:DAT

SOG

(FV)

OGG:DAT

Colpire Agente - Colpo - Esperiente

V SOG

OGG

OGG:DAT

Coinvolgimento Fisico Agente - Azione - Esperiente

Causa Fisica Causa - Effetto - Esperiente V SOG

OGG

V SOG

OGG:DAT

2 !2

OGG

OGG:DAT

II

Comitativo e Strumentale nelle lingue germaniche e romanze di Thomas Stolz

I 1.1

Introduzione

In questo capitolo esporrò i risultati della ricerca sul comitativo condotta negli anni 1 996-2002 all'università di Brema \ limitata­ mente ad alcuni degli aspetti più interessanti dal punto di vista della tipologia linguistica e nella prospettiva della LC. La base em­ pirica di questo studio comprende soprattutto le lingue germaniche e romanze moderne a cui si aggiungono occasionalmente dati presi da altre lingue. La discussione riguardo al rapporto fra comitativo e strumentale (definiti sotto, PAR. r r .2 ) ha le sue origini negli anni sessanta, nell' am­ bito della nascente Grammatica dei Casi di Fillmore (cfr. supra, PAR. r . r . r e Buckingham , 1 973 ) . Successivamente , vari autori hanno preso in considerazione le due soluzioni giudicate possibili, vale a dire trat­ tare comitativo e strumentale o come due categorie distinte o come una sola categoria omogenea (contributi recenti sono per esempio Schlesinger, 1 995 ; Luraghi, 2oo rb; cfr. anche Schwarz, Stroh , Urdze , 200 1 ) . In un primo tempo, l a discussione riguardava problemi teorici e la maggior parte degli studi si basava sui dati di una sola lingua. Con questo metodo si era entrati in una via senza uscita perché

1. TI progetto " Komitativ und Verwandtes typologisch betrachtet" è stato sov­ venzionato della Deutsche Forschungsgemeinschaft (DFG) per un periodo di sei anni consecutivi. Non voglio perdere l'occasione di ringraziare la DFG del suo appoggio. Altrettanto vorrei esprimere la mia gratitudine ai membri del mio gruppo di ricerca per la loro cooperazione di molti anni. Meritano un grazie tanto anche gli informanti che hanno risposto al nostro questionario.

213

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

non era possibile postulare regolarità generali valide per più di un numero ristretto di lingue. Pertanto, ho deciso di affrontare il pro­ blema basandomi su una comparazione tipologica che comprendes­ se un grande numero di lingue. A mio parere si può comprendere la vera natura della lingua solo se si tiene conto in modo adeguato della variazione interlinguistica. Per questa ragione ho lavorato con tre campioni parzialmente diversi di lingue: il primo di 3 2 3 lingue basato sull'analisi delle informazioni date nelle grammatiche descrit­ tive (Stolz, 1 996b; Stolz, Stroh, Urdze, in stampa b), il secondo di 45 lingue basato sull'analisi delle risposte al nostro questionario, e infine il terzo di 64 lingue europee basato sull'analisi delle tradu­ zioni di Il piccolo principe di Antoine de Saint-Exupéry ( Stolz, Gu­ geler, 2ooo; Stolz , Stroh, Urdze, in stampa a) . Nel corso del nostro progetto abbiamo mostrato chiaramente che bisogna rivedere per la massima parte le ipotesi finora proposte nella discussione sul tema. I nostri risultati suggeriscono che il rapporto fra comitativo e stru ­ mentale diverge molto dal modello che ha dominato nella LC in questi ultimi anni. Partendo dalla critica della cosiddetta Metafora del Compagno (companion metaphor) , intendo mostrare in questo capitolo che ci sono altre possibili metafore per esprimere lo strumentale, che competono con la Metafora del Compagno, !imitandone il dominio e transformandola da un universale assoluto a una opzione poten­ ziale, allo stesso titolo di altre. In questo capitolo vedremo quindi che, sebbene l'approccio della LC che presuppone la natura metafo­ rica della grammatica sia corretto, l'universalizzazione della Metafo­ ra del Compagno proposta in Lakoff e Johnson ( r 99 8a) è facilmen­ te confutabile. 11.2

Definizioni

Questo studio si colloca nell' ambito della tipologia funzionale. Secon­ do l'approccio funzionale, al quale aderisco, nonostante le critiche contenute in Giv6n ( 1 995 ) , la lingua e le sue strutture servono, in primo luogo, per risolvere problemi comunicativi (nel senso più am­ pio della parola) . Fra tali problemi comunicativi si trova la necessità di esprimere linguisticamente stati di cose (o situazioni, ted. Sachver­ halte) che comprendono una relazione di accompagnamento e/o l'uso d'un attrezzo (utensile, strumento da lavoro) . Tutte le lingue devono assolvere queste funzioni, cfr. ( r ) - ( 2 ) .

I I . COMIT A TIVO E STRUMENTALE �ELLE LII'\GlJE GERMANICHE E ROMANZE

r.

Universale funzionale (versione positiva) .

Ogni lingua indipendentemente dalle coordinate temporali, spa­ ziali e sociali fornisce sia mezzi espressivi per descrivere una situazio­ ne di accompagnamento, sia mezzi espressivi per descrivere una situa­ zione in cui si fa uso di uno strumento. 2.

Universale funzionale (versione negativa) .

Non esistono lingue provviste di regole comunicative/pragmati­ che/grammaticali che proibiscono l'utilizzazione dei mezzi espressivi per descrivere una situazione di accompagnamento o per descrivere una situazione in cui si fa uso di uno strumento. Si tratta di veri e propri universali linguistico-funzionali. Il carat­ tere p ancronico ( cioè vero sia sincronicamente sia diacronicamente) e universale di una funzione di lingua, tuttavia, non implica che tutte le lingue riflettano modelli identici o impieghino gli stessi mezzi espres­ sivi . Anzi, le lingue si distinguono proprio nelle tecniche che adope­ rano per esprimere queste funzioni. Esiste una vasta gamma di tecni­ che alternative (una variazione che molto spesso dipende da fattori stilistici): espressioni lessicalizzate, perifrasi frasali e strategie più strettamente grammaticali possono rivaleggiare addirittura nella stessa lingua. Per facilitare la comparazione interlinguistica bisogna dunque limitarsi a una delle tecniche espressive concorrenti. In questa ricerca mi occupo soltanto delle tecniche morfosintattiche più grammatica­ lizzate. Le espressioni caratterizzate dal massimo grado di grammati­ calizzazione sono considerate i rappresentanti effettivi di comitativi elo strumentali. Il concetto di 'grammaticalizzazione' è qui inteso in senso sincronico, e non in senso diacronico , come in PAR. r . 2 . 2 . In senso sincronico, un'espressione sarà più grammaticalizzata di un ' al­ tra se è più obbligatoria e semanticamente meno trasparente. Per esempio, la preposizione con in italiano è più grammaticalizzata di una perifrasi come in compagnia di, anche se entrambe le espressioni possono denotare comitativo. Per definire più precisamente le nozioni di comitativo e strumen­ tale mi servirò del concetto di prototipo, che è stato definito in PARR. I . I . 3 e 2 . 2 . I . In questo modo è possibile identificare una struttura fondamentale come punto di riferimento. Di conseguenza intendo per comitativo prototipico l'espressione morfosintattica aperta e più grammaticalizzata di una relazione binaria aRb di accompagnamento che coinvolge un partecipante A - l'accompagnato - e un parteci­ pante B - l'accompagnatore. Ambedue hanno il valore [ + umano] e partecipano in una situazione il cui nucleo predicativo (NcP) è un verbo (intransitivo) di movimento, vedi la formula ( 3 ) e l'esempio svedese (4) , con la relativa traduzione italiana.

2 I5

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GlJISTICA COG�ITIVA

(3 )

(4)

Formula del comitativo R NcP A B accompagnato relazione accompagnatore verbo Svedese [comitativo] (Holm, Nylund Lindgren, 1 977, p . 1 3 7 ) [De]A kom hit [medln {/oriildrar-naln loro venire:PRET qui con genitori-DEF.UTR:PL "loro sono venuti qui con i genitori "

2

Osserviamo che nel caso di questo esempio di comitativo prototipico è possibile la parafrasi (4a) Loro e i genitori sono venuti qui; parafrasi che non è possibile in casi di comitativo non prototipico: si pensi a un esempio come Giovanni va a scuola con i libri, che non può essere parafrasato con ? ? Giovanni e i libri vanno a scuola. L'im­ possibilità della parafrasi è ancor più evidente dove con denota circo­ stanze concomitanti, come in Con questo tempo non ho voglia di usci­ re. Si veda anche sotto, esempio ( 7 ) . D'altra parte lo strumentale prototipico equivale all'espressione morfosintattica aperta e più grammaticalizzata di una relazione terna­ ria o due relazioni binarie gerarchizzate cRdlc,dRe di uso di un at­ trezzo da lavoro che coinvolge un partecipante C - l'agente -, un partecipante D - lo strumento - e un partecipante E - il paziente. L'agente è tipicamente [ + umano] mentre invece gli altri due par­ tecipanti mancano di questo attributo (vale a dire che sono [ •anima­ to] ) . Tutti e tre partecipano a una situazione il cui nucleo predicativo (NcP) è un verbo (transitivo) d'azione: si vedano la formula (5 ) e l'e­ sempio svedese ( 6 ) , con la traduzione italiana: (5)

Formula dello strumentale DJ R [C [agente relazione strumento]

R relazione

E paziente

NcP verbo

2. Abbreviazioni: A = accompagnato, Ab = abituale, Ace = accusativo, Ali = al­ lativo, Ass = assolutivo, Aus = ausiliare, B = accompagnatore, C = agente, Com = comitativo, D = strumento, Dat = dativo, Def = definito, Dim = dimo­ strativo, E = paziente, Erg = ergativo, Fem = femminile, lndef = indefinito, Lig = ligatura, Masc = maschile, NcP = nucleo predicativo, Neg = negazione, N eu = neu­ tro, Part = partitivo, Pass = passivo, Perf = perfettivo, Pl = plurale, Pres = pre­ sente, Pret = preterito, Pro = pronome, R = relazione, Rel = relativo, Rifl = ri­ flessivo, Sg = singolare, Str = strumentale, Utr = utrum. Sigle: Bestu = Indriòason ( r 99 r ) , Haska = Baldursd6ttir ( r 992 ) , Quest = questionario. 2 16

I I.

(6)

COMIT A TIVO E STRUMENTALE �ELLE LI!\:GlJE GERMANICHE E ROMANZE

Svedese [strumentale] (Montan , Rosenqvist 1 992 , p. 68) rakade [manie [sig,JE [med] R [kniviD prima radere:PRET uomo RIFL con coltello nu gor [manie det [med] R [rakapparatiD DIM:NEU con rasoio.di.sicurezza adesso fare:PRES uomo "Prima l'uomo si radeva con un coltello, adesso lo fa con un rasoio di sicurezza" 3 •

Forut

Come ha dimostrato ripetutamente Lazard (2oo i ) , l'uso del concetto di prototipo ha un altro vantaggio metodologico: attraverso le costru­ zioni prototipiche si può facilmente identificare il morfo che indica la relazione (cioè il relatore) dei partecipanti. Nel caso dello svedese ab­ biamo identificato così la preposizione med 'con', vedi (4) e (6) sopra. Idenficato questo 'morfo principale' delle relazioni in questione si of­ frono due possibilità: in primo luogo è possibile determinare la di­ stribuzione del morfo principale sui diversi contesti. In questo modo si ricava il profilo funzionale del relatore e il suo potenziale sincreti­ stico 4. Per esempio, lo svedese med si usa non solo per relazioni co­ mitative e strumentali prototipiche ma anche per altre relazioni, vedi ( 7 ) dove non è (più) possibile parlare né di accompagnamento né di uso di un attrezzo: (7)

Svedese (Montan, Rosenqvist, I 992 , p. 8 I )

Sverige /orlora-de

match-en

mot

Finland

med 2 - o

Svezia perdere-PRET partita-DEF.UTR contro Finlandia con 2-o "La Svezia ha perso la partita contro la Finlandia per (lett. : " con " ) 2 -o " .

In secondo luogo, si possono cercare le traduzioni primarie o equiva­ lenti funzionali del morfo principale in altre lingue - in altre parole, la comparazione interlinguistica è resa più facile. Nel caso di svedese med la preposizione 'con' dell'italiano è senza dubbio la prima opzio-

3· Si noti bene che i partecipanti appartengono al piano semantico-concettuale della situazione. Questo fatto significa che non sono necessariamente rappresentati sul piano morfosintattico. Questa osservazione spiega l'ellissi dell'oggetto diretto nella se­ conda parte dell'esempio (6) in svedese, che invece in italiano deve essere obbligato­ riamente espresso ed è quindi rappresentato dal pronome 'lo'; d'altra parte, in italiano abbiamo omesso il soggetto, sempre nella seconda parte di (6), mentre in svedese è ripetuto il sintagma nominale man, 'l 'uomo'. 4· Utilizzo il termine 'sincretismo' non nel senso tradizionale di processo diacro­ nico di fusione fra due categorie un tempo distinte, ma in senso sincronico, per desi­ gnare un fenomeno simile alla polisemia. Per una discussione del termine 'sincreti­ smo' vedi Luraghi (2oo r a) .

2 I7

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

ne per un'equivalenza traduttiva (e così via nelle altre lingue del cam­ pione) . Un ulteriore passo richiede che si comparino i profili distribu­ zionali e potenziali sincretistici di med e 'con' ecc. Le concordanze e le divergenze che si osservano tra le lingue costituiscono la base sulla quale si possono postulare da un lato tipi o classi di lingue e dall'al­ tro le cosiddette 'mappe cognitive' . In effetti, questa è la strategia co­ mune - si può anzi dire tradizionale - della tipologia funzionale e della ricerca cognitivo-universalistica (Croft, 2 00 I ) . Anche il mio gruppo di ricerca adopera questo metodo, che può però in alcuni casi portare a conclusioni errate, come si dimostrerà in PAR. I I . 3 . I I .J

Dall'universale all'europeismo: la Metafora del Compagno

Nella teoria di Lakoff e Johnson ( I 998a) il rapporto tra comitativo e strumentale riveste una certa importanza. Infatti, gli autori propongo­ no un universale linguistico secondo il quale le due funzioni in que­ stione riceverebbero una espressione morfosintattica identica ovunque nelle lingue del mondo (Lakoff, Johnson, I 998a, pp. I 68 -9 ) . Da un lato questa ipotesi viene spiegata nel quadro della teoria cognitiva di Lakoff e J ohnson - una teoria che assume una base metaforica per le categorie grammaticali. Comitativo e strumentale condividono la loro espressione morfosintattica perché la categoria più astratta - cioè lo strumentale - viene resa più trasparente (in prospettiva semantico­ concettuale) associandosi alla categoria più concreta - cioè il comita­ tivo. In altre parole, lo strumentale fa uso di un 'espressione che è in origine quella del comitativo. La metafora che circoscrive questo pro­ cesso è: UNO STRUMENTO È UN COMPAGNO . Lo schema ( 8 ) illustra il processo di trasferimento/associazione metaforica semplificandone molti dettagli: ( 8 ) La metafora del accompagnato A R [C [agente relazione

compagno relazione R DJ strumento]

verbo accompagnatore B NcP NcP R E relazione paziente verbo

A fronte della pretesa di universalismo, Lakoff e J ohnson si limitano ad analizzare come dato concreto la polisemia della preposizione with 'con' dell'inglese - la quale di fatto combina le due funzioni del co­ mitativo e dello strumentale: 2I8

I I . COMIT A TIVO E STRUMENTALE �ELLE LII'\GlJE GERMANICHE E ROMANZE

(9) (9a)

Inglese Comitativo

(9b)

came home with his brother Giovanni venire:PRET a. casa con suo fratello "Giovanni è venuto a casa con suo fratello " . Strumentale fohn ate the soup with a spoon Giovanni mangiare:PRET la zuppa con un cucchiaio "Giovanni ha mangiato la zuppa con un cucchiaio " . fohn

Lakoff e J ohnson generalizzano il modello inglese, sostenendo che lo stesso vale anche per (quasi) tutte le lingue del mondo, perché riflette direttamente la nostra base cognitiva. La Metafora del Compagno sa­ rebbe dunque un possibile candidato per lo status di universale lin­ guistico. Gli autori sostengono che questa metafora riflette diretta­ mente i processi cognitivi umani. In un certo senso, questo significa anche che non ci possono essere soluzioni alternative: il sincretismo di comitativo e strumentale - secondo il modello in questione - è (quasi) l'unica soluzione naturale. La Metafora del Compagno implica inoltre che comitativo e strumentale sono vicini(ssimi) in una possibi­ le mappa mentale dei concetti cognitivi. In un primo tempo, questa ipotesi è stata accolta con favore da molti linguisti, in particolare nell'ambito della teoria della grammati­ calizzazione. Heine, Claudi e Hiinnemeyer ( r 99 ! ) l'hanno adottata come parte centrale del loro approccio , pur accennando al fatto che molte lingue violano questo presunto universale. Partendo da questa osservazione, che in Heine, Claudi e Hiinne­ meyer ( r 99 r ) rimaneva marginale, abbiamo esaminato un campione globale di più di 3 2 0 lingue con l'intenzione di determinare la validi­ tà della tesi di Lakoff e J ohnson. In base ai dati raccolti, abbiamo identificato tre tipi differenti di lingue, per i quali abbiamo introdotto le seguenti denominazioni. Coerente: chiamiamo 'coerenti' le lingue che corrispondono al modello di Lakoff e Johnson ( r 998a) , poiché utilizzano lo stesso mor­ fo per codificare sia il comitativo sia lo strumentale. - Incoerente: chiamiamo 'incoerenti' le lingue che utilizzano due morfi diversi per esprimere comitativo e strumentale. - Misto: nelle lingue miste esistono per lo meno due morfi con un grado di grammaticalizzazione uguale, uno dei quali serve per espri­ mere sia il comitativo sia lo strumentale, mentre invece l'altro è spe­ cializzato a esprimere soltanto una delle due categorie. Come mostra la tavola ( r o), la distribuzione dei tre tipi tra le lin2 !9

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

gue del campione è molto asimmetrica, perché viene alla luce che la stragrande maggioranza della lingue non si comporta secondo le pre­ visioni di Lakoff e J ohnson. Questo fatto rende dubbio lo statuto di universale della Metafora del Compagno. ( r o) Distribuzione dei tipi in prospettiva mondiale (Stolz, 1 996b, p. 1 2 7 ) : Tipo

Lingue Numero assolu[O

Coerente (Com Str) Misto (Com /:t:Str) Incoerente (Com :;t Str) Totale =

=

Classificazione come soluzione Percentuale

79 35

24,46 % 10,84 %

323

roo%

2 09

64) 70 %

Minoritaria Marginale Predominante

È molto più frequente e perciò anche più normale per una lingua

distinguere il comitativo dallo strumentale con mezzi formali, come awiene per esempio nel basco che usa il suffì.so ekin per il comitati­ va e il suffì.so -z per lo strumentale: -

( r r ) Basco (r ra) Comitativo (Saltarelli, 1 988, p. 1 5 9) Neresenargai-a-r- ekin joa-n n-in-tz-en Italia-ra mio moglie-DEF-LIG-COM andare-PERF r SG.ASS-PRET-AUS-PRET Italia-ALL " Sono andato in Italia con mia moglie" . ( r rh) Strumentale (Saltarelli, 1 988, p. 1 5 8) agi-a ez la ba n- ez Esku- z zati-tzen d-u-t mano-STR divide-AB 3ASS-AUS- I SG.ERG pane-ASS NEG coltello-STR " Ho tagliato il pane con le mani e non con un coltello" .

Solo una minoranza di appena u n quarto del campione globale è in ac­ cordo con l'ipotesi di Lakoff e Johnson. Il gruppo più grande di queste lingue è formato da lingue europee, come mostra la tavola ( r 2 ) : ( r 2 ) Distribuzione del tipo coerente (Stolz, 1 996b, p . r 3 o ) : Comine me

Lingue Numero assoluto

Percentuale areale

Percentuale del tipo

Europa Africa America Asia Oceania Totale

25

49) 02

20 r6 12 6 79

3 0,77 20,5 1 r8,2o 9,52 (media 25 ,60)

) IJ 65

220

25,3 I 20,25 I5,I9 7,6o IOO

I I.

COMIT A TIVO E STRUMENTALE �ELLE LI!\:GlJE GERMANICHE E ROMANZE

Appare evidente che fuori d'Europa il sincretismo di comitativo e strumentale è abbastanza raro. L'unica area dove si può parlare di una importanza assai grande del modello di sincretismo comitativo­ strumentale è l'Europa. In questo continente, l'identità formale delle due categorie 5 in discussione è attestata pressappoco dalla metà delle lingue europee del campione, come evidenzia la tavola ( r 3 ) : ( I 3 ) L a distribuzione dei tipi nell'area europea (Stolz, 1 996b, p . r 2 8 ) : Tipo

Lingue

Classificazione come soluzione

1'\umero assoluto

Percentuale

25

49} 02 %

Predominante

Misto (Com /:;t:Str) Incoerente (Com :;t: Str)

16

1 9,60% 3 1 , 3 8%

Totale

51

1 00%

Minoritaria Frequente, ma non dominante

Coerente (Com =

=

Str)

IO

Dalla tavola vediamo che, nonostante la predominanza del tipo coe­ rente in Europa, anche il tipo incoerente ha un certo rilievo . Infatti , esso ricorre in più del 3 r o/o delle lingue : una percentuale più alta ri­ spetto a quella del tipo coerente nel campione mondiale - 2 5 , 60 % , come avevamo ricavato dalla tavola ( r o ) . Pertanto, l a predominanza locale del tipo coerente non è così pronunciata come la predominan­ za globale del tipo incoerente 6. In Stolz e Gugeler ( 2 ooo ) e Stolz (2oo r c) abbiamo dimostrato che la grande frequenza di lingue coe­ renti in Europa è uno sviluppo storicamente recente che procede len­ tamente dall'occidente all'oriente del continente. I dati esposti sopra mostrano che la Metafora del Compagno, in­ dividuata da Lakoff e Johnson, non può essere considerata un uni-

5. Questa identità formale ha causato anche una confusione terminologica nelle grammatiche descrittive di molte lingue europee perché la stessa categoria si chiama 'comitativo' in una lingua, e 'strumentale' nell'altra e viceversa (Stolz, Stroh, 200 1 ) . 6. n fatto che l e lingue del tipo incoerente sono numericamente superiori a quel­ le del tipo coerente non implica di per sé che si debba respingere totalmente la validi­ tà della Metafora del Compagno. Teoricamente è possibile - ma poco probabile - che tutti i relatori di strumentali nelle lingue incoerenti si siano sviluppati da comitativi. Questo scenario fittizio diventa assurdo se si tiene conto per esempio delle numerose lingue con verbi seriali (seria! verbs) , in cui l'equivalente delle nostre preposizioni de­ riva da verbi, e dove il relatore dello strumentale equivale normalmente a un verbo con il significato di 'usare/utilizzare', mentre invece il relatore del comitativo è origi­ nariamente un verbo 'accompagnare'. È inverosimile che questo verbo 'usare/utilizza­ re' fosse usato prima per esprimere una situazione prototipica di accompagnamento.

22 1

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

versale. Tuttavia, dato che questa metafora opera in una percentuale significativa di lingue (un quarto circa delle lingue del mondo sono coerenti, mentre poco meno dell' r r o/o sono del tipo misto), la esami­ neremo in maggior dettaglio nei paragrafi che seguono. Vogliamo sta­ bilire se le implicazioni cognitive della Metafora del Compagno siano valide almeno là dove il sincretismo del comitativo e dello strumenta­ le è effettivamente attestato. 1 1 .4 La situazione nelle lingue romanze e germaniche

Proprio le lingue che appartengono alla famiglia romanza e alla fami­ glia germanica mostrano una preferenza netta per il sincretismo di comitativo e strumentale - con l'eccezione dell'islandese (su cui vedi più avanti) . Indipendentemente dall'etimologia del relatore (cioè della preposizione impiegata) , tutte le lingue e varietà romanze e tutte le lingue e varietà germaniche fuorché l'islandese utilizzano la stessa for­ ma per esprimere sia il comitativo sia lo strumentale. L'inventario dei relatori che in questo caso sono tutte preposizioni si trova nella tavo­ la ( r 4) (Stroh, 1 99 8 , 1 999) : ( r 4) Inventario dei relatori romanzi e germanici: Famiglia

Gruppo

Lingue e relatori

Romanze

A (5 lingue)

Catalano amb, francese avec, guascone dab, lan­ guedochino amb, provenzale em' Aragonese con, asturiano con, badiota cun, cor­ so cù, friulano cun, gallego co, gardenese cun, italiano con, portoghese com, rumantsch gri­ schun eu, rumeno eu, sardo chin, spagnolo con, sursilvano cun, vallader cun afrikaans met, alsaziano mit, basso tedesco mit, danese med, frisone occidentale mei, frisone settentrionale ma, islandese meò, jiddish mit,

di lingue

Germaniche

limburghese meridionale mit, limburghese settentrio­ nale mèt, lussemburghese mat, norvegese med, svede­ se med, tedesco mit, neerlandese met

feringio vid, inglese with A questo riguardo le lingue elencate in ( r 4) - ancora con l'eccezione dell'islandese - si comportano come, per esempio, il turco ecc. Que-

222

I I . COMIT A TIVO E STRUMENTALE �ELLE LII'\GlJE GERMANICHE E ROMANZE

sta corrispondenza formale non implica che i relatori delle lingue in questione abbiano lo stesso profilo funzionale (cfr. più avanti) . Abbiamo già illustrato l'uso sincretistico dei relatori nei due grup­ pi delle lingue germaniche (basati sull'etimologia dei relatori) con gli esempi svedesi e inglesi in (6) e ( 9 ) . Per esemplificare il gruppo C delle lingue romanze, possono servire le relative traduzioni italiane; altri esempi dei due gruppi sono dati qui di seguito. Il catalano, nel­ l' esempio ( I 5 ) , rappresenta le lingue del gruppo A, mentre invece il rumeno , nell'esempio ( I 6 ) , illustra il sincretismo di comitativo e stru­ mentale nel gruppo C, a somiglianza dell'italiano: (I5) ( I 5 a)

Catalano Comitativo (Brumme, I 997, p. 3 6o) Anem al teatre amb els Badia andare: IPL a:DEF.MASC teatro con DEF.MASC .PL Badia "Andiamo a teatro con i Badia " . ( I 5b) Strumentale (Quintana, I 9 8 I , p . I 5 7 )

El PRO . 3 SG.ACC

( I 6) ( I 6a)

lligar a

andare:3PL legare a l-arbre una cordà amb DEF.MASC- albero con INDEF.FEM corda "L 'hanno legato all'albero con una corda " . Rumeno (lordan, Robu, 1 97 8 , p . 5 2 2 ) Comitativo

Io n ( I 6b)

van

vin e

eu

Gheorghe

lon venire:3SG con "Ion viene con Gheorghe " . Strumentale

Gheorghe

taie

topor-ul

lemne

eu

tagliare:3SG legna con "Taglia la legna con l'ascia " .

ascia-DEF.MASC

L'unica lingua che diverge dallo schema precedente è , come abbiamo già anticipato, l'islandese. Anche l'islandese si serve di una stessa pre­ posizione per rappresentare le due categorie in questione; tuttavia, questa preposizione, meò, 'con', regge due casi differenti: richiede cioè un nome o pronome in accusativo quando si tratta di una situa­ zione di accompagnamento (ma vedi più avanti) come dimostra l'e­ sempio ( I 7a) . Quando invece denota strumentale regge il dativo, come in ( I 7b) . Pertanto, possiamo dire che i casi morfologici fanno parte di due relatori complessi discontinui:

223

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

(I 7 ) ( I 7a)

lslandese Comitativo [Bestu I 67]

jJar var ci

essere:PRET. 3 SG

meò mig

maòur sem ,;et/a-ò-i uomo

REL

aò fljuga

volere-PRET-3SG a volare

heim

PRO . I SG .ACC a.casa " C 'era un uomo che voleva volare a casa con me " . Strumentale [Haska 97]

con

( I 7b)

Hun lét

sér

ekki n,;egja

aò hamra

essa lasciare.PRET.3SG RIFL . 3 .DAT NEG contentare a battere meò grj6t-in- u d hurò-ina con pietra-DEF-DAT. NEU SU porta-DEF.ACC.FEM " Non si accontentava di battere con la pietra sulla porta " .

Secondo l a nostra classificazione tutte le lingue romanze sono coe­ renti. Sono coerenti anche quasi tutte le lingue germaniche. Solamen­ te l'islandese non appartiene a questo tipo. Gli esempi in ( I 7 ) sugge­ riscono di classificare questa lingua come lingua incoerente . Ritornerò a questa classificazione fra poco. Finora abbiamo esaminato casi prototipici di comitativo e stru­ mentale. Ma le funzioni dei relatori non sono limitate a questi usi. Dalla sezione seguente risulta evidente che non tutti i comitativi sono uguali e neanche tutti gli strumentali sono uguali. 11.5

Particolarità

Incomincio ancora una volta con l'islandese. In questa lingua nordica la reggenza casuale variabile della preposizione meò, 'con', che, come abbiamo visto, può reggere l' accusativo o il dativo, non serve solo per distinguere il comitativo dallo strumentale, come negli esempi ( I7 ) , m a anche per distinguere due tipi di comitativo, come in ( I 8 ) : (I8) ( I 8a)

lslandese comitativo 'dell'accompagnatore' [Bestu I 5 8]

Um tiuleyt-iò

alle

dieci.ore-DEF:NEU

dreng- inn

kom

venire:PRET.3SG

sem hét

Sossa

Sossa

meò con

Simon

ragazzo-DEF.ACC.MASC REL chiamarsi:PRET. 3SG Simon "Alle dieci è venuta Sossa con il ragazzo che si chiamava Simon . "

224

I I . COMIT A TIVO E STRUMENTALE �ELLE LII'\GlJE GERMANICHE E ROMANZE

( r 8b)

comitativo 'dell'accompagnato' [Haska 1 3 9] segi-r-òu um aò koma meò mér che.cosa dire-2SG-tu su a venire con PRO. r SG.DAT gongu/erò? i stutta in corto:ACC.FEM passeggiata " Che cosa ne pensi di fare una passeggiatina con me? " .

Hvaò

In ( r 8a) meò regge l'accusativo del sostantivo drengur 'ragazzo' , men­ tre invece in ( r 8b) il complemento pronominale della stessa preposi­ zione è in dativo. La differenza tra le due costruzioni è l'orientamen­ to diverso: l' accusativo marca l'accompagnatore e il dativo marca l' ac­ compagnato. Dunque c'è una differenza di prospettiva nella descri­ zione della situazione d 'accompagnamento. Per questo riguardo l'i­ slandese è isolato tra le lingue germaniche perché nessuna delle lin­ gue sorelle può distinguere con mezzi grammaticali tra le due pro­ spettive. Ciò che pare eccezionale nell'ambito della famiglia germanica è però relativamente frequente altrove nel mondo: ci sono moltissime lingue che distinguono varie suddivisioni del comitativo ( Stolz, 1 997a) . Si noti inoltre che nell'islandese il comitativo dell'accompa­ gnato ha la stessa reggenza casuale dello strumentale, regge cioè il caso dativo - vedi sopra ( r 7b) . Perciò è legittimo riclassificare l'islan­ dese come lingua del tipo misto perché uno dei suoi relatori com­ plessi - vale a dire meò + dativo - serve a esprimere sia il comitativo sia lo strumentale. Tipologicamente la situazione nell'islandese equivale a quella atte­ stata per esempio nell'ungherese - un altro rappresentante del tipo misto in Europa. Il fatto che il comitativo dell'accompagnato e lo strumentale siano formalmente identici si spiega mediante il grado più alto di agentività o di controllo dei partecipanti: lo strumentale ha più caratteristiche in comune con l' agente che con il paziente, l'ac­ compagnato è il partecipante che inizia l' azione, quindi anch'esso ha caratteristiche in comune con l'agente. Un secondo fenomeno che riguarda il comitativo è rilevante per tutte le lingue delle due sottofamiglie in discussione, romanza e ger­ manica. Si tratta del cosiddetto comitativo rinforzato del tipo 'insieme con' o 'insieme a' dell'italiano. La stragrande maggioranza delle lin­ gue considerate qui adoperano una o varie costruzioni speciali, allo scopo di sottolineare che i due partecipanti di uno stato di cose agi­ scono insieme. Le lingue germaniche e le lingue romanze riflettono in parte ten­ denze differenti per quanto riguarda il rapporto del comitativo 'sem225

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

plice' con la sua versione rafforzata. Nelle lingue germaniche trovia­ mo una preferenza quasi totale per una struttura che è composta dal­ la preposizione del comitativo-strumentale e un avverbio rafforzante, come in ( r 9 ) : ( r 9)

Danese [Quest r ]

lterere-n

ga-r

ti! skole-n

insegnante-DEF.UTR andare-PRES a scuola-DEF.UTR sammen med elev-er-ne insieme con studente-PL-DEF .PL. UTR "L'insegnante va a scuola con/insieme con gli studenti " . L'esempio danese è rappresentativo delle lingue germaniche in gene­ rale. Strutture rafforzate come tedesco zusammen mit, inglese together with ecc. sono tutte basate sull'espressione del comitativo 'semplice' . Cioè l a struttura semplice e quella rafforzata appartengono alla stessa parte dello spazio concettuale. A differenza delle lingue germaniche, le lingue romanze preferi­ scono per lo più strutture rafforzate del comitativo che non fanno uso del relatore principale del comitativo-strumentale. Così, mentre in italiano possiamo trovare indifferentemente insieme con, dove si usa la preposizione del comitativo come nelle lingue germaniche, op­ pure insieme a, dove si usa invece una preposizione locativa, nelle al­ tre lingue romanze troviamo per lo più preposizioni locative. Per esempio, il gallego utilizza la locuzione a canda ' al lato, accanto' di carattere locativo per rafforzare il comitativo. (2o)

Gallego [Quest r ] a canda andare:3SG a lato :FEM os alumnos d escola DEF.MASC:PL studente:MASC.PL a:DEF.FEM scuola:FEM "L'insegnante va a scuola con/insieme agli studenti " .

o

DEF.MASC

pro/esor

insegnante

vai

Le lingue romanze non si comportano in modo tanto omogeneo come le lingue germaniche a questo proposito : in italiano abbiamo entrambe le possibilità, in rumeno si utilizza la preposizione del co­ mitativo, invece costruzioni come quella del francese ensemble à, o dello spagnolo }unto a non coinvolgono mai la stessa preposizione che si usa per esprimere il comitativo 'semplice' . Contrariamente a quanto avviene nelle lingue germaniche, dunque, nelle lingue roman­ ze non c'è una stretta corrispondenza concettuale tra la forma sem226

I I . COMIT A TIVO E STRUMENTALE :-.JELLE LII'\GUE GERMANICHE E ROMANZE

plice del comitativo e la sua versione rafforzata. Quest'ultima ha mol­ to di più in comune con l'espressione di relazioni locative - cioè ci troviamo di fronte a concetti spaziali veri e propri. Le due versioni del comitativo quindi appartengono a sezioni differenti dello spazio concettuale 7 . C i sono anche restrizioni sull'uso dello strumentale in combina­ zione con certi strumenti, che posso solo menzionare di passaggio. Quando si tratta per esempio di strumenti non prototipici - vale a dire strumenti che non sono attrezzi nel senso più stretto della parola - alcune lingue non permettono l'uso del relatore che è obbligatorio nelle costruzioni con strumenti prototipici. Questo può avvenire nelle espressioni che denotano parti del cor­ po e anche per mezzi di trasporto. Il francese per esempio preferisce 7. È interessante osservare che quello che a prima vista appare un epifenomeno del sincretismo di comitativo e strumentale risulta il riflesso di una tendenza generale. I comitativi rafforzati non solo sono più complessi delle forme semplici del comitativo ma anche di quelle dello strumentale - un fatto che non può sorprendere perché co­ mitativo e strumentale hanno la stessa rappresentazione morfica. Però c'è un fatto che colpisce: normalmente soltanto i comitativi hanno forme convenzionalizzate di raffor­ zamento, mentre invece gli strumentali o non ne hanno nessuna o ci sono varie solu­ zioni con un grado minore di convenzionalizzazione. Nella sua critica a una mia ipo­ tesi prematura Luraghi (2ooi b, p. 390, n. 1 2 ) constata che nelle lingue coerenti è quasi sempre il comitativo che riceve il rafforzamento. Bisogna trovare una spiegazio­ ne convincente per questa preferenza per una struttura più complessa del comitativo. Come ho mostrato altrove (Stolz, I 998a) è possibile generalizzare l'osservazione fatta da Luraghi (2oo ib), perché anche nelle lingue del tipo incoerente e del tipo misto del mio campione globale le espressioni morfologiche del comitativo tendono a essere più complesse di quelle degli strumentali corrispondenti. Tutto questo parla in favore del­ l' appartenenza delle due categorie in questione alla stessa macra-categoria. Questa ipotesi diventa più verosimile quando si considera un altro indizio: indipendentemen­ te dal tipo di lingua c'è normalmente solo una forma negativa comune per ambedue (Stolz, I 996a, I 997b) . Anzi in lingue incoerenti la distinzione categorica di comitativo e strumentale si neutralizza sotto negazione come illustra il finnico, cfr. (i). (i) Finnico (Sulkala, Karjalainen, I 992, pp. 2 24-5 ) (ia) Comitativo negato

Tul-i-n

ilman

laps-i-a

venire-PRET- I SG senza bambino-PL-PART " Sono venuto senza (i) bambini " . (ib) Strumentale negato

Harri halkais-i

kive-n

ilman

vasara-a

Harri tagliare-PRET.3SG pietra-Ace senza martello-PART " Harri tagliava la pietra senza martello " . I n finnico - una lingua del tipo incoerente - l a preposizione ilman 'senza' regge il partitivo del sostantivo negando sia il comitativo sia lo strumentale. Questa neu­ tralizzazione di una distinzione dimostra chiaramente che nonostante le differenze morfosintattiche comitativo e strumentale possono associarsi sotto certe condizioni.

227

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

i relatori de 'di' e à 'a' in parte del corpo (Cadiot, trasporto come illustrano

combinazioni con un nome che denota una

I 990) e il relatore en 'in' con un mezzo di (2 I ) e (22 ) :

(2 I ) Francese [Quest 8 ] le maitre

insegnante

DEF.MASC

lettre

de

une

montre

mostrare: 3SG

INDEF.FEM

son doigt

lettera di suo dito "L'insegnante indica una lettera con il dito " . (22) Francese [Quest I o]

le

maitre

va

en

insegnante andare:3SG in "L'insegnante va in città in macchina " .

DEF.MASC

ville en

città

in

voiture

macchina

Per quanto riguarda le parti del corpo, la maggioranza delle lingue romanze segue lo stesso modello che è prevalente tra le lingue germa­ niche, generalizzando l'uso del relatore della costruzione prototipica come nel neerlandese: (23)

Neerlandese [Quest 8]

de

leraar

DEF .UTR

insegnante

de

vinger

wijst

mostrare: 3 SG

de DEF.UTR

letter

lettera

met con

aan

dito a "L'insegnante indica una lettera con il dito " .

DEF .UTR

Al contrario, con mezzi di trasporto le lingue romanze - con eccezio­ ne del catalano (Sabater Fuentes, 2002 ) - tendono a utilizzare un re­ latore spaziale, come nell'esempio francese. Anche nelle lingue ger­ maniche si osserva in questo contesto una certa oscillazione tra il re­ latore del comitativo-strumentale e un relatore differente - molto spesso un locativo. Questa varietà non è totalmente arbitraria. Ancora una volta ci troviamo di fronte a una competizione della Metafora del Compagno con concetti più strettamente spaziali. (L'inglese è noto per il fatto che si usa by 'per' al posto di with 'con ' in combinazioni con mezzi di trasporto. ) Inoltre, i relatori del comitativo-strumentale possono essere usati anche per esprimere altre categorie addizionali: in altre parole, i sin­ eretismi dei relatori non sono limitati a comitativo e strumentale. Nel­ le lingue germaniche si riscontrano soprattutto funzioni spaziali dei relatori in questione come nell'esempio feringio (24) dove la preposi-

228

I I . COMIT A TIVO E STRUMENTALE �ELLE LII'\GlJE GERMANICHE E ROMANZE

zione viò 'con' indica la posizione in un certo luogo. Questo tipo di sincretismo sembra mancare nelle lingue romanze: (24)

Feringio (Ba m es, I 994 , p. 3 3 )

]6gvan

situr

Giovanni essere.seduto:3SG .PRES " Giovanni è seduto alla tavola " .

vi ò con

kaffiboròiò

tavola:DEF.NEU.ACC

Il relatore del comitativo-strumentale ricorre anche in costruzioni predicative di possesso - un fatto che si accorda bene con l'osserva­ zione che tutte le lingue esaminate qui permettono l'uso del relatore del comitativo-strumentale per introdurre un attributo in frasi nomi­ nali, che molto spesso ha un carattere di possesso. L'uso per esprime­ re il possesso predicativo (cioè equivalente a una frase con ' avere') è attestato solo nell'islandese e nel portoghese: (25 )

lslandese [Haska, I 34]

(26)

ég var ekki me d mina io essere:3SG .PRET NEG con mia " Non avevo la mia borsetta " . Portoghese [Prin XXVI , I 5 8] estava com medo essere: 3 SG .PRET con paura "Aveva paura " .

eigin

propria

tosku

borsa:Acc

In ambedue l e lingue l a costruzione con il relatore del comitativo­ strumentale (e il verbo 'essere') è riservata a una sottocategoria del possesso. Nel caso dell'islandese, meò si usa quando si tratta di una situazione di possesso temporaneo o di uno stato fisico-mentale. Que­ st'ultima categoria è anche il dominio di com nel portoghese, che si adopera solo per esprimere il 'possesso' di uno stato fisico-mentale. In una prospettiva globale, si osserva che i relatori del comitativo e dello strumentale delle lingue incoerenti partecipano a sincretismi differenti: il comitativo (incoerente) può esprimere possesso predicati­ vo (Stolz , 200 i a) e spesso corrisponde alla congiunzione coordinativa (Stolz, I 99 8b) , mentre invece lo strumentale (incoerente) preferisce combinazioni con l'agente (Stolz, 2 oo i b; Palancar, 2 002 ) e diversi tipi di locativi ( Stolz, I 996b) . È molto interessante vedere che i relatori coerenti non partecipa­ no in generale a catene sincretistiche lunghe, cioè presentano un gra­ do di polisemia limitato. Tra le lingue germaniche e romanze non c'è un solo esempio di sincretismo del comitativo-strumentale e congiun229

INTRODUZIOI'\E ALLA LII'\GlJISTICA COG�ITIVA

zione coordinativa sebbene il sincretismo di comitativo e congiunzio­ ne coordinativa sia così frequente fuori Europa che Stassen ( 2 ooo ) ne fa uno dei parametri principali per una tipologia delle lingue del mondo. In studi futuri bisognerà dunque investigare se la combina­ zione di tratti semantici di due concetti diversi nel sincretismo di co­ mitativo e strumentale ostacoli l'associazione del comitativo-strumen­ tale con i 'partners' preferiti nelle catene sincretistiche del comitativo e strumentale del tipo incoerente. 1 1 .6 Conclusioni

Le sezioni precedenti hanno dimostrato che è impossibile spiegare tutti i fenomeni riguardanti comitativo e strumentale con gli effetti della Metafora del Compagno. Owiamente i proponenti di tale meta­ fora esageravano universalizzandone la validità. È chiaro che questo è causato da un eurocentrismo inconscio, perché la regola postulata funziona proprio con le lingue del tipo SAE (Standard Average Euro­ pean), vale a dire essenzialmente le lingue romanze e germaniche moderne. Anche in queste due famiglie di lingue si riscontrano divergenze dal modello della Metafora del Compagno. Specialmente gli strumen­ ti meno tipici sono problematici. Nonostante tali problemi c'è tutta­ via la possibilità di mantenere il modello metaforico di Lakoff e Johnson - con alcune modifiche necessarie. In primo luogo è eviden­ te che metafore individuali non possiedono il monopolio per dare la base metaforica di certe categorie grammaticali. Si deve tener sempre conto di una competizione di metafore diverse - anche nella stessa lingua e allo stesso tempo. È evidente che la Metafora del Compagno è adatta per la gram­ maticalizzazione di espressioni sincretistiche del comitativo-strumen­ tale in un gruppo abbastanza grande, ma minoritario di lingue. Cioè ci sono molte lingue nelle quali la metafora è valida. Se si limita il dominio della metafora ai prototipi delle situazioni coinvolte la sua validità è altissima. Questo cambia quando parliamo delle situazioni meno prototipiche. Qui la competizione di altre metafore è massima. L'insuccesso parziale della Metafora del Compagno ha un effetto molto importante, vale a dire ci ha mostrato che ci sono di fatto clas­ si diverse di accompagnatori e strumenti, le quali spesso richiedono una codificazione distinta. Come si è visto nel caso delle situazioni meno prototipiche, le espressioni grammaticali si basano molto spesso su metafore che derivano dalle relazioni spaziali. Non è difficile iden-

I I.

COMIT A TIVO E STRUMENTALE �ELLE LII'\GlJE GERMANICHE E ROMANZE

tificare le metafore che competono con la Metafora del Compagno: per lo più, esse sono metafore spaziali che presuppongono la coesi­ stenza statica di due entità nello stesso spazio o implicano un movi­ mento perlativo/prolativo lungo o attraverso una linea o superficie 8 . Per quanto riguarda i mezzi di trasporto l a metafora competitrice è invece la Metafora del Contenitore (Lakoff, J ohnson, r 998a, p. 49-5 2 ) , basata sull'omonimo Schema di Immagini, che è già stata di­ scussa in precedenza, soprattutto in PAR. 6.5 . Infine, nel caso di parti del corpo non è facile precisare la forma della metafora in base ai dati discussi qui; probabilmente ne esistono diverse. Nonostante le restrizioni a cui è soggetta la validità della Metafora del Compagno, risulta che, dovunque riscontriamo relatori che posso­ no esprimere sia comitativo sia strumentale, tutti gli indizi parlano in favore di un rapporto diacronico unidirezionale, secondo il quale un relatore che inizialmente esprimeva solo comitativo acquista la funzio­ ne strumentale più tardi (Heine, Claudi e Hiinnemeyer, 1 99 1 ) . Tutte le presunte prove contro l'unidirezionalità dello sviluppo comitativo > strumentale sono poco convincenti (per esempio Nau, 1 995 ) .

8 . Un movimento ' perlativo' è un movimento attraverso un certo spazio; un mo­ vimento ' prolativo' è un movimento in avanti.

Glossario �(

ACCOMODAMENTO L'aggiustamento cui va incontro una struttura compo­ nenziale quando viene integrata con un 'altra per formare una struttura composta. ARCHETIPO COGNITIVO Una forma di schema complesso di carattere olistico che comprende gli aspetti della concettualizzazione degli eventi che si riflettono nelle costruzioni grammaticali. BASE Quelle porzioni dei domini cognitivi attivi invocati specificamente da una costruzione, che forniscono lo sfondo rispetto al quale un'entità emerge come profilata. BILLIARD-BALL-MODEL (modello della palla da biliardo) Un modello cognitivo fondamentale che concepisce il mondo come popolato da oggetti fisici discreti che si muovono e interagiscono scambiandosi energia quando vengono in contatto tra di loro. CANONICAL EVENT MODEL

(modello dell'evento canonico) Un modello cogni­ tivo fondamentale che rappresenta l'osservazione normale di un'azione prototipica. Comprende l'interazione di un agente e di un paziente, che costituisce un singolo evento osservato da un punto di osservazione esterno ad esso. COMPOSIZIONALITA Il grado in cui delle strutture composte possono essere pensate come assemblate sulla base dei loro componenti in accordo con principi composizionali regolari. cosA Una regione in un qualche dominio. COSTRUZIONE GRAMMATICALE Una qualsiasi serie di strutture simboliche connesse per mezzo di corrispondenze e relazioni di categorizzazione, comprese le strutture che le compongono e la struttura composta forma­ ta dalla loro integrazione. Più in generale, lo schema che descrive queste serie. Ancora più in generale, una famiglia di varianti costruzionali de-

* Questo glossario è parzialmente basato su quello contenuto in Langacker

( r 987).

233

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GUISTICA COG�ITIVA

scritte da una rete in cui gli schemi costruzionali fungono da nodi con­ nessi da relazioni di categorizzazione. Il grado in cui una struttura ne presuppone un'altra per la sua piena manifestazione. Una struttura D è dipendente da un 'altra struttura A nella misura in cui A elabora una sotto-struttura saliente di D. (Per esempio una consonante è dipendente rispetto a un nucleo vocalico, e un affisso rispetto a una radice.) DOMINIO Una qualsiasi area coerente di concettualizzazione rispetto alla quale si possono caratterizzare delle strutture semantiche (incluso ogni tipo di esperienza, concetto, o sistema di conoscenze) . ASTRATTO: Un dominio non basico. Qualsiasi concetto o complesso concettuale invoca­ to per la caratterizzazione di un predicato. BASICO: Un dominio co­ gnitivo (come il tempo, lo spazio tridimensionale, la scala della tonalità, lo spazio dei colori) , che è primitivo nel senso che non è caratterizzabile sulla base di altri domini ancora più basici. n 'ARRIVO: Rispetto ai ruoli semantici associati con le catene d'azioni, fa riferimento agli elementi 'a valle', in particolare quelli colpiti (direttamente o indirettamente) dall'e­ nergia trasmessa dagli elementi più 'a monte' . Rispetto alla metafora, fa riferimento a un dominio che è strutturato metaforicamente da un altro. FONTE: Rispetto ai ruoli semantici associati con le catene d'azioni, fa riferimento agli elementi 'a monte', in particolare l'Agente o lo Strumen­ to (che trasmettono energia agli elementi più 'a valle'). Rispetto alla me­ tafora, fa riferimento a un dominio che fornisce la base per strutturarne metaforicamente un altro. PRIMARIO: All'interno di una matrice, un do­ minio che è particolarmente prominente e passibile di attivazione. DI RICERCA: La regione alla quale una predicazione locativa limita il suo DIPENDENZA

-

-

-

-

-

-

Trajector.

Si riferisce alla natura aperta dei significati e alla mancanza di qualsiasi confine specifico tra le conoscenze linguistiche ed extralin­ guistiche. Perciò il significato delle espressioni linguistiche non può esse­ re caratterizzato con l'aiuto di definizioni brevi, del tipo di quelle fornite dai dizionari.

E:\'CICLOPEDICO

FOLK MODEL

Un insieme di credenze condivise non sostenute da dati

scientifici. Una figura secondaria che fa da sfondo al Trajector all'interno di una relazione profilata.

LANDMARK

MODIFICATORE

In una costruzione che mostra una notevole asimmetria

A/D, un modificatore è una struttura dipendente che è elaborata dalla testa autonoma.

234

GLOSSARIO

Dalla rete che rappresenta una categoria complessa, il nodo che è attivato per categorizzare qualche aspetto della categoria d'arrivo in uno specifico uso.

NODO ATTIVO

Un partecipante che ha lo status di figura relazionale primaria o secondaria, cioè un Trajector o un Landmark. A livello di fra­ se, i partecipanti focali sono codificati dai sintagmi nominali soggetto e oggetto diretto. PORTATA IMMEDIATA Quando c'è un intreccio di più portate, la portata im­ mediata è lo strato più interno, quello immediatamente rilevante a un certo livello di organizzazione. Il profilo di una predicazione è un tipo di punto focale all'interno della sua portata immediata. PROFILO L'entità designata da un 'espressione. Una sottostruttura all'interno della sua base che è immediatamente attivata, cui viene accordata una prominenza speciale, e che funge da punto focale all'interno della porta­ ta immediata della predicazione. PARTECIPANTE FOCALE

Il ruolo di un partecipante in un evento come concet­ tualizzato linguisticamente.

RUOLO SEMA:\'TICO

Un modo di elaborare informazioni in cui una se­ rie di stati componenziali vengono attivati successivamente in modo non cumulativo (cioè, una situazione è seguita nel suo sviluppo attraverso il tempo, come guardando un film). SCA:\'SIO:\'E SOMMARIA Un modo di elaborare informazioni in cui un insieme di specificazioni o una serie di stati componenziali vengono attivati suc­ cessivamente ma in modo cumulativo; perciò dopo una fase di accumulo, tutti gli aspetti di una struttura complessa vengono coattivati e sono si­ multanemante accessibili. SCHEMA Una struttura semantica, fonologica o simbolica che, rispetto a un'altra rappresentazione della stessa entità, è caratterizzata con meno specificità e dettaglio. Una rappresentazione 'a grana grossa' (in contra­ sto a una 'a grana fine'). È equivalente alla relazione tra una categoria subordinata e una superordinata in una gerarchia tassonomica. SCHEMA DI IMMAGINI Una forma di generalizzazione tratta dall'esperienza, spesso percettiva o corporea, che costituisce un riferimento concettuale anche a carattere immaginifico. SETTING Una regione globale, inclusiva, all'interno della quale si dispiega un evento o si delinea una situazione. SOGGETTIFICAZIONE Un 'estensione semantica in cui un'entità originariamen­ te costruita in modo oggettivo finisce per ricevere una costruzione più soggettiva. STRUTTURA AUTONOMA Una struttura che non ne presuppone un'altra per la propria manifestazione; per esempio le vocali sono autonome rispetto alle consonanti. SCA:\'SIO:\'E SEQUENZIALE

235

INTRODUZIO!\:E ALLA L I!\:GUISTICA COG�ITIVA

A un certo livello di costituenza, la testa è quella parte della struttu­ ra il cui profilo corrisponde a quello della struttura completa. In genera­ le, all'interno di un sintagma nominale o di una frase, la testa è il nome o il verbo che profilano la cosa o il processo designato dall'intero sintag­ ma nominale o dall'intera frase. TRAJECTOR La figura primaria all'interno di una relazione profilata.

TESTA

Quegli aspetti di un'entità che interagiscono più direttamente con un dato dominio, o partecipano in una data relazione.

ZONA ATTIVA

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