Che cos'è la linguistica cognitiva
 8843047167, 9788843047161

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BUSSOLE/ 332 STUDI LINGUISTICO-LETIERARI

3a ristampa, dicembre 2014 la edizione, ottobre 2008 © copyright 2008 by Carocci editore S.p.A., Roma ISBN

978-88-430-4716-1

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico. l lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a:

Carocci editore Corso Vittorio Emanuele 00186 Roma. tel 06 42 81 84 17 fax 06 42 74 79 31

Il,

229

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Stefano Arduini

Roberta Fabbri

Che cos'è la linguistica cognitiva

Carocci editore

A Maria Chiara e Cecilia

Attribuzioni Molte delle questioni presentate nel testo nascono da una serie di lezio­ ni, seminari e conferenze che gli autori hanno tenuto nel corso degli ultimi due anni. In particolare Stefano Arduini ha dedicato alla lingui­ stica cognitiva e alla teoria della metafora i corsi di Linguistica generale tenuti all'Università di Urbino negli anni accademici 2006-2007 e 200720o8. Il nucleo del contenuto del capitolo sulla metafora è stato ogget­ to dell'introduzione al seminario "Metafore e concetti" tenuto, sempre all'Università di Urbino, nel 2006 e di una conferenza alla Universidade da Beira Interior (Portogallo) nell'aprile del 2008. Roberta Fabbri ha sviluppato buona parte del materiale dei capitoli 4, 5 e 6 nel corso di Linguistica tenuto nel 2007-2008 alla Scuola Superiore per Mediatori Linguistici "San Pellegrino" di Misano Adriatico ( RN). Come per ogni opera scritta a quattro mani, le conversazioni e gli scam­ bi sono stati tali e tanti che in molti casi risulta difficile ricordare chi di noi due abbia scritto, riscritto, commentato e alla fine stabilito la versio­ ne finale. Tuttavia abbiamo seguito questo schema: Stefano Arduini si è fatto carico dei capitoli 1, 2, 3 e della nota conclusiva. A Roberta Fabbri invece si devono i capitoli 4, 5 e 6.

L'Introduzione

è stata redatta

congiuntamente. Ovviamente, siamo entrambi responsabili per l'opera nel suo complesso.

Indice Introduzione

7

1.

La l inguistica cogn itiva: un nuovo pa ra d i gma

1.1.

Una nuova concezione de l la linguistica

11

1.2.

Le tre svolte cognitive de l la l inguistica

13

1.3.

La svolta culturale

1.4.

Approcci cognitivi e linguistica cognitiva

2.

Categorizza zione

2.1.

Il mode llo classico

2.2.

Somig lianze di famiglia

2.3.

Prototipi

2.4. Similarità

16 17

22 22 23

25 28

2.5.

Ambiti di applicazione de l concetto di prototipo

3.

Metafo ra e m eton i m i a

3.1.

l predecessori

La riflessione novecentesca

3.3.

Metafora e linguistica cognitiva

3.4. Metonimia

29

33

3.2.

33 35 41

48

4.

Se m antica

4.1.

Principi de l la semantica cognitiva

4.2.

Frame e dominio

4.3.

L'organizzazione de l profilo-frame/dominio

51 51

56 60

4.4. Alcuni svil uppi della re lazione frame/dominio 4-5·

11

Rapporti fra i domini

4.6. Spazi mentali

61

66

74

5

s.

Con cettu a l izzazione e operazi o n i d i costru zi o n e

5.1.

Le operazioni di costr uzione

5.2.

Classificazione de l le operazioni di costruzione

5.3.

G l i sch emi d i immagine

6.

Gra m m ati ca cogn itiva

6.1.

Che cos'è la grammatica cognitiva?

6.2.

Il linguaggio come sistema simbolico

6.3.

Alcune caratteristic he della grammatica cognitiva

6.4. Le relazioni fra l e unità

6

Con cl u s i o n i

99

Bibl iografi a

102

79 80

88

97

89 89 91 94

79

Introduzione La linguistica cognitiva è un'ampia galassia di studi che ha comincia­ to a svilupparsi fra la fine degli anni settan ta e l ' inizio degli anni ottanta, avendo come punto centrale delle proprie ricerche l'impor­ tanza del significato e dei processi concettuali. Benché alcuni dei suoi rappresentanti si fossero formati nell'ambito della grammatica gene­ rativa, una tale impostazione si è posta come alternativa alla visione autonoma delle strutture linguistiche tipica di quella, ripensando e sviluppando una tradizione che ha considerato il linguaggio in funzione del significato senza separarlo dagli altri aspetti della cogni­ zione. In questo senso il linguaggio non è altro che una delle mani­ festazioni di una potenzialità cognitiva più generale che permette di connettere diverse informazioni. Per la linguistica cognitiva, inoltre, il linguaggio è strettamente legato all'uso, in quanto le categorie e le s trutture in semantica, sintassi, morfologia e fonologia vengono costruite a partire dalla nostra cognizione di specifiche occorrenze in specifiche situazioni. Occorre ricordare, a o n or del vero, che tali principi sono stati svilup­ pati anche da altre tradizioni di ricerca, soprattutto in Europa. A partire dagli anni settanta la semi o ti ca, la linguistica testuale, la prag­ mati ca e la nuova retorica sono andate proprio nella direzione di contestare alcuni degli assunti fondamentali della grammatica gene­ rativa e proporre modelli alternativi . Si è così sviluppato un ampio movimento che partendo dal presupposto che lo studio del linguag­ gio si trova, per la consistenza s tessa del suo oggetto , al cen tro di molteplici crocevia, avrà allora bisogno di un modello orientato a integrare il più possibile i risultati ottenuti. Così, grazie ai contribu­ ti della seman ti ca generativa e al suo recupero della teoria degli atti linguistici, grazie anche alla linguistica testuale e alla sociolinguisti­ ca, senza dimenticare gli studi sul linguaggio figurato delle neoreto­ riche, già in quegli anni avevano assunto un rilievo sempre maggio­ re gli aspetti semantici, quelli pragmatici e quindi anche la funzione comunicativa del linguaggio (Arduini, 1989, p. 12) . 7

Tuttavia i vari modelli non hanno fatto sistema e non hanno svilup­ pato proposte veramente utilizzabili negli ambiti tradizionalmente linguistici, quali la fonologia, la morfologia e la sin tassi, con l'ecce­ zione forse di quello di Janos Petofi (cfr. Petofi, 2004) . La conse­ guenza è stata una dispersione delle ricerche, pur convergenti, in aree molto diverse senza riuscire a costruire una proposta organica. In qualche modo chi ha lavorato nei programmi di ricerca alternativi alla grammatica generativa ha finito con il lasciarle il presidio degli aspetti più specificamente linguistici, anche qui con l'eccezione di coloro che si sono occupati di ti p o logia ( cfr. Cristo faro, Ram a t, 1999 ) , sviluppando le aree più legate all'uso e al significato. Potremmo dire che la linguistica cognitiva, pur avendo un'origine non europea, ha raccolto il meglio di quella tradizione, componen­ do un quadro di riferimento teorico in cui le ricerche provenienti dalle diverse aree potrebbero trovare un contesto più opportuno per poter essere rivalutate. Non solo, ma ha anche sfidato la grammati­ ca generativa nel suo campo, dunque nella grammati ca, traendo tutte le conseguenze dai presupposti elaborati dalle linguistiche non­ generative nei decenni precedenti. Il libro che presentiamo vuole essere in questo senso anche un tenta­ tivo di mettere in rete , per così dire, i contributi delle scienze del linguaggio con il grande lavoro svolto dalla linguistica cognitiva, riconoscendo a quest'ultima il merito di rappresentare un'alternati­ va generale alla concezione formalistica del linguaggio . Il primo capitolo costituisce, nella direzione appena accennata, un'introduzione alla linguistica cognitiva rintracciandone i presup­ posti principali e fornendo il quadro di riferimento entro cui collo­ carla. Il secondo capitolo tratta della categorizzazione, che è uno dei temi centrali della linguistica cognitiva perché riguarda il modo in cui le strutture cognitive si manifestano nel linguaggio . L'approccio classi­ co a questo tipo di problemi è quello aristotelico, che definisce una categoria in base ai tratti che la compongono . I tratti sono necessari, sufficienti e binari . Qualcosa dunque possiederà o non possiederà quel tratto e quindi entrerà o non entrerà nella categoria. Questa 8

prospettiva esclude così i casi di ambiguità, cioè i casi in cui l' appar­ tenenza dei tratti non sia del tutto chiara. Ai problemi derivati dall'approccio classico la linguistica cognitiva ha opposto un punto di vista diverso che, a partire dall'idea wittgensteiniana delle " somi­ glianze di famiglia " , gi unge alla teoria dei prototipi ( cfr. CAP. 2). L'aspetto interessante del concetto di prototipo è che il suo ambito di applicazione è estremamente vasto e investe il lessico, la sintassi, la morfologia e la fonologia. Il terzo capitolo riguarda uno dei temi tipici della linguistica cogni­ tiva, quello della metafora, a cui si aggiunge la questione di come trattare la metonimia (cfr. CAP. 3). La linguistica cognitiva considera la metafora come un modo per strutturare i concetti . N o n si tratta dunque di un 'anomalia semantica ma del modo di connettere il sistema concettuale astratto con la nostra esperienza e così di costrui­ re una possibile conoscenza. Sviluppando questa idea, Fauconnier e Turner ( 1 9 9 6 ) hanno considerato la metafora come un processo generale della cognizione umana chiamato blending (fusione) , che combina materiale cognitivo con origini diverse. Questa mescolan­ za è l'aspetto vitale perché costituisce qualcosa di nuovo che non può essere ricondotto a una base letterale . La linguistica cognitiva ha dedicato una certa attenzione anche alla metonimia, differenziando­ la dalla metafora nel senso che mentre questa è una relazione fra due domini cognitivi, la prima rimane all'interno di uno stesso dominio . Il quarto capitolo tratta il nucleo centrale della linguistica cognitiva, e cioè l ' ambito della semantica. La struttura semantica riflette la s truttura co ncettuale, i significati sono quindi i concetti che si cos truiscono attraverso l'interazione del linguaggio con gli altri aspetti della cognizione. Questa visione permette di considerare il significato di una parola o di un'espressione come una porta di acces­ so verso un 'area concettuale più vasta che è il frame, o dominio, e delimitarne i confini diventa quasi impossibile . Il quinto capitolo approfondisce alcune delle operazioni di costru­ zione che più caratterizzano l'approccio cognitivo . La percezione e concettualizzazione della realtà avviene attraverso alcuni procedi­ men ti già riconosciuti nella psicologia cognitiva, come " figura" e 9

" sfondo " , s chematizzazione , selezione ecc. che perme ttono di costruire una scena in modi diversi. Il sesto capitolo offre un'introduzione alla grammatica cognitiva che nasce e si sviluppa come modello forte e alternativo alla grammatica generativa di Chomsky. La gram matica cognitiva si propone di analizzare i principi e i meccanismi cognitivi che motivano la forma­ zione e l ' uso delle unità linguistiche . Tutte le unità linguistiche hanno una motivazione se m an ti ca, anche se ormai sedimentata e non più riconoscibile. Grammatica e lessico non sono più separati ma gradazioni di uno stesso continuum.

lO

1.

La linguistica cognitiva: un nuovo paradigma

1.1. Una n u ova co n cezi o n e d e l l a l i n gu i sti ca Negli ultimi trent'anni nell'ambito degli studi sul linguaggio si è sviluppato un ripensamento radicale delle basi sulle quali la teoria linguistica si è costruita a partire dagli anni cinquanta. In particolare si è venuta progressivamente approfondendo la critica ai pres upposti della grammatica generativa che considera il linguaggio come un dato biologico con universali linguis tici inn ati e parametri spe cifi ci riguardanti le lingue particolari. Sulla base di questi ripensamenti è stata inoltre sottoposta a critica la visione modulare del linguaggio inaugurata da Noam Chomsky e centrale in tutta la prospettiva generativista. Come scrive Gilles Fauconnier ( 2ooo) , in contrasto con questa visione autonoma delle strutture linguistiche, le n uove ri cerche sviluppatesi all'interno della linguistica cognitiva hanno ri abilitato una tradizione diversa. Un a tradizione che ha se m p re considerato il linguaggio in funzione del significato, e che non sepa­ ra quello dagli altri aspetti della cognizione. Inoltre, nella prospettiva della linguistica cognitiva, la capacità lingui­ stica non viene ascritta essenzialmente a un potenziale innato, ma deri­ va dalle interazioni e dal contesto d'uso in cui le abilità linguistiche si acquisiscono e si sviluppano . Dunque la facoltà del linguaggio non può essere isolata dalle altre abilità cognitive; dietro il fatto linguistico c'è un vasto assortimento di risorse cognitive che mettono in gioco innumerevoli connessioni e che coordinano molte informazioni. Molti di questi punti sono s tati oggetto dello studio dei vari programmi di ricerca non generativisti che si sono succeduti nella seconda metà del secolo scorso; funzionalismo, linguistica testuale, pragmatica e retorica generale hanno sviluppato indipendentemen­ te dalla linguis tica cognitiva molti dei temi che sono poi diventati centrali in quest'ultima. Tuttavia ciò che la linguistica cognitiva ha offerto è un quadro generale entro cui collocare i risultati ottenuti, 11

contribuendo a costruire un nuovo paradigma degli studi linguisti­ ci per il XXI secolo. Gli inizi della linguistica cognitiva si possono collocare grosso modo attorno al 1975 (cfr. Peeters, 2001; Nerlich, Clarke, 2007) , quando George Lakoff chiude il tentativo di sviluppare una semantica gene­ rativa e usa l'espressione per la prima volta. Più o meno negli stessi anni Charles Fillmore comincia a lavorare alla Frame Semantics, mentre Ronald Langacker getta le basi della Space Grammar (cfr. G aeta, Luraghi , 2003, pp. 18-9) che più tardi prenderà il nome di Cognitive Grammar. Il lavoro di Langacker si incrocia con quello di Talmy ( 2oooa e 2ooob) che, a partire dalla sua tesi di dottorato del 1 972, aveva cercato di introdurre i principi della psicologia della Gestalt nell'analisi linguistica. È utilizzando i concetti difigure (figu­ ra) e ground (sfondo ) , che Talmy aveva tratto dalla Gestalt, che Langacker svilupperà l'idea centrale della profilazione concettuale (su questi concetti cfr. CA P P. 4 e 5) ( cfr . Nerlich, Clarke , 2007, p. 591) . Come si vede, fin dall'inizio la linguistica cognitiva non nasce da un unico filone ma è piuttosto il risultato di ricerche diverse che però hanno alcune caratteristiche comuni . Certamente comune è il senso da dare al termine " cognitivo " . La linguistica cognitiva è tale perché considera il linguaggio come il deposi t o della conoscenza del mondo, come scrivono Geeraerts e Cuyckens ( 2007, p. 5 ) , un insie­ me di categorie significative che ci ai utano a sviluppare la nostra esperienza e a immagazzinare l'informazione. Una prospettiva del genere considera inevitabilmente il significato un aspetto centrale dell'indagine linguistica. Il significato non è, come per lo strutturalismo americano classico e per la grammatica generativa, separato dalla grammatica, ma ne diviene la sostanza. Con le parole di F auconnier, «il linguaggio serve per costruire e comunicare significati e per il linguista e scienziato cognitivo è una finestra verso la mente» (Fauconnier, 2000, p. 58) . MarkJohnson (2002) ha inquadrato questo nuovo paradigma all'in­ terno di tre svolte cognitive più generali che hanno caratterizzato la linguistica nella seconda metà del secolo scorso. 12

1.2. Le tre svo lte cogn itive d e l l a l i ngu istica La prima svolta è quella determinata dallo stesso Chomsky e dalla grammatica gene­ rativa. Chomsky costituisce un punto di partenza importante nell' af­ fermarsi di una prospettiva cognitiva in quanto da una parte, sul versante statunitense, ha definitivamente messo in discussione l'ipo­ tesi comportamentista che la mente non esistesse , e dall'altro , sul versante e uropeo, che la linguistica fosse p uramente descrittiva e avesse come compito quello di definire le strutture della lingua senza spiegare i processi mentali che stanno dietro quelle strutture ( cfr. Arduini, 1981, 1985 e 1986) . Chomsky rifiutò l'idea che la grammati­ ca fosse acquisita secondo un procedimento puramente induttivo e, ricollegandosi alla tradizione cartesiana, ha affermato che l' acquisi­ zione di un a grammatica è possibile perché organizzata secondo alcuni principi universali innati, mentre le diverse lingue differisco­ no secondo determinati parametri locali (cfr. Moro, 2006) . In secon­ do luogo Chomsky ha sosten uto che la mente è modulare e che il linguaggio costituisce uno specifi co modulo che in quei termini appartiene solo alla specie uman a. Queste premesse conducono la grammatica generativa ad alcune assunzioni che la linguistica cognitiva metterà in discussione. Innan­ zitutto il richiamo cartesiano porta a una distinzione netta fra mente e corpo. Le strutture mentali non hanno nulla a che fare con il corpo ed è possibile ricostruirle per mezzo di sistemi formali. Il ragiona­ mento riguarda l'elaborazione formale di simboli, il significato ne rimane fuori, o meglio, secondo la tradizione della linguistica ameri­ cana, il significato non e n tra fra i temi specifici della linguis tica. Questo fatto riguarda anche la grammatica universale, che ha a che fare con regole formali. Tali assunzioni portano a un 'idea della linguistica molto precisa. Essa sarà (J ohnson, 2002, pp. 26-7) : una scienza della forma, per formulare generalizzazioni (o regole) alla base della grammatica dei linguaggi naturali. Chomsky non aveva alcun interesse specifico per il significato, perché non può costituire un ambito della scienza della forma. Per Chomsky, quindi, la sintassi (forma linguistica) è separata dalla semantica (significa­ to) ed entrambe lo sono dalla pragmatica.

13

Un'ulteriore conseguenza degli ass unti chomskiani è la sua modula­ rità. La grammatica è un modulo specifico della mente, essa dunque è una facoltà cognitiva separata dalle altre, organizzata secondo principi del tutto autonomi . Del resto la stessa grammatica ha una struttura modulare, essa cioè è suddivisa in sottomoduli, ognuno riguardante una funzione specifica. J ohnson considera quella che provocherà la nascita della linguistica cognitiva la seconda svolta cognitiva. Essa è stata preparata e favori­ ta, come abbiamo già accennato, da una serie di ricerche in ambiti diversi che avevano però in comune la necessità di non ignorare il significato considerandolo centrale all'interno dei loro interessi. Un primo contrib uto a indirizzare la ri cerca verso il significato venne dall'interno della grammatica generativa con il tentativo di costruire una semantica generativa. L'idea era quella di interpretare il livello profondo della grammatica chomskiana in termini seman­ tici, cercando di individuare le forme logiche sottostan ti la forma linguistica. Tali forme erano intese come le basi per la costruzione del significato e del ragionamento. Sarà tuttavia a partire dagli anni settanta con l'introduzione del concetto di frame da parte di Fillmore, le ricerche sulla categorizza­ zione della Rosch e sugli schemi motori e spaziali della concettua­ lizzazione (cfr. CAPP. 4 e 5) dello stesso Johnson, di Langacker e di altri, che prenderà piede la seconda svolta cognitiva, che mira a rovesciare l'idea cartesiana della mente disincarnata per giungere a un'ipotesi ben differente . Secondo Johnson ( 2002, pp. 37-8 ) , tale svolta cognitiva è caratterizzata da alcuni assunti fondamentali che mettono in discussione la linguistica così come l'abbiamo conosciu­ ta per b uona parte della seconda metà del Novecento . Il primo assunto è che la mente non è staccata dal corpo, essa interagisce con l'ambiente e con il corpo, e questa interazione struttura le nostre operazioni mentali . In secondo luogo, la mente umana non costi­ tuisce un qualcosa di separato rispetto agli altri esseri viventi, vi è continuità fra la capaci tà umana e quella degli animali . Inoltre ragionare non significa semplicemente elaborare simboli che non hanno significato, esistono strutture immaginative, come le figure 14

retoriche, che riguardano gli aspetti semantici . In questo senso le forme non sono vuote ma sono dotate di significato. È ovviamente difficile, da questa prospettiva, ritenere che le strut­ ture linguistiche siano separate dagli altri domini. Più probabil­ mente le strutture linguistiche sono continuamente sottoposte alle trasformazioni dovute alle storie interazionali delle loro unità. Non possiamo, ad esempio, prescindere dalla funzione per studiare la s truttura, in quanto entrambi i componenti si trovano in un rapporto reciproco tendente a stabilire un determinato equilibrio. Anche per il linguaggio è possibile pres upporre ciò che vale per altri sis temi cognitivi . Questi esistono e funzionano proprio in quanto la loro stessa organizzazione crea un orizzonte possibile di interazioni e queste, avendo come fine l' auto conservazione del sistema, agiscono a loro volta sull'organizzazione stessa. Questa s o rta di circolarità non riguarda naturalmente solo il rappo rto struttura-funzione ma molti altri ambiti concernenti il linguaggio e più in generale presuppone un modo di considerare la realtà diverso . Non può essere accettata, ad esempio, l'idea che la realtà esterna sia costituita da oggetti determinati, con proprietà specifi­ che e che quindi possano esistere regole applicabili logicamente ad oggetti o a situazioni da cui noi siamo in grado di trarre inferenze. Riguardo al linguaggio, la conseguenza è che non esistono la sintas­ si e la semantica come oggetti separati ma i vari livelli sono stretta­ mente connessi. Come si vede, sia la grammatica generativa sia la linguistica cogni­ tiva rivendicano un approccio cognitivo. Ma dove sta la differenza ? Come hanno chiarito Geeraerts e Cuyckens (2007) , la differenza riguarda il ruolo del linguaggi o . Tanto la grammatica generativa quanto la linguistica cognitiva concordano sul fatto che le rappre­ sentazioni mentali svolgono un ruolo fondamentale nel mediare fra individuo e realtà e dunque sono alla base della conoscenza. Per la linguistica cognitiva il linguaggio svolge una funzione categoriale e l'interesse maggiore è capire il funzionamento di questo legame tra soggetto e mondo . La grammatica generativa è invece interessata alla nostra conoscenza del linguaggio e a come lo acquisiamo . In 15

altri termini , se «la grammatica generativa è interessata alla cono­ scenza del linguaggio, la linguistica cognitiva è interessata alla cono­ scenza attraverso il linguaggio» (Geeraerts, Cuyckens, 2007, p. 6) . La terza rivoluzione cognitiva riguarda gli sviluppi più vicini a noi che toccano le ricerche effettuate nell'ambito delle neuroscienze . In questa direzione l'idea che la concettualizzazione ha a che fare con il corporeo si sposta a livello neuronale: «siamo organismi con sistemi neurali complessi, che nascono e si evolvono nel tempo attraverso le interazioni del corpo con i diversi luoghi in cui ci veniamo a trova­ re» (J ohnson, 2002, p. 39) . 1.3. la svo lta c u ltu ra l e Alle tre svo lte illustrate da Johnson aggiungeremmo una svolta recente che potremmo definire cultura­ le . Così come viene illus trata nel volume di Michael T o m asello ( 20 0 5 ) , secondo il quale la cognizione umana ha caratteris ti che specie-specifiche perché (i vi, pp. 28-9) : sul piano filogenetico: i moderni esseri umani hanno evoluto la capacità di identifi­ carsi con i conspecifici, capacità che permette di comprenderli come esseri intenzio­ nali e mentali al pari del Sé; sul piano storico: ciò ha reso possibili nuove forme di apprendimento culturale e sociogenesi, che hanno condotto ad artefatti culturali e tradizioni comportamentali che si modificano cumulativamente in tempi storici; sul piano ontogenetico: i bambini crescono circondati da tradizioni e artefatti social­ mente e storicamente costituiti, che permettono loro a) di trarre profitto dalle cono­ scenze e dalle abilità accumulate dai gruppi sociali cui appartengono; b) acquisire e usare rappresentazioni cognitive dipendenti dalla prospettiva nella forma di simboli linguistici [ ...]; c) interiorizzare certi tipi di interazioni discorsive in abilità di metaco­ gnizione, riformulazione delle rappresentazioni e pensiero dialogico.

Nella direzione di un rapporto fra linguistica cognitiva e cultura occorre menzionare René Dirven, Hans-Georg Wolf e Frank Polzenhagen (2007, pp. 1203 ss .) . Questi autori hanno sottolineato che i modelli culturali sono schemi cognitivi condivisi dai gruppi sociali. In questo senso sono il naturale terreno d'incontro fra lingui16

sti cognitivi e antropologi. In particolare è a partire dalle menti indi­ viduali che è possibile risalire alla conoscenza linguistica e culturale. 1.4. A p p ro cci co g n itivi e l i n g u i st i ca co g n itiva Le quattro svolte illustrano bene l'evoluzione della prospettiva cognitiva e costi­ tuiscono una b uona introduzione per comprendere che co n la linguistica cognitiva c'è un rito rno agli interessi che la linguistica aveva sempre coltivato e un tentativo di uscire dalle strettoie a cui la grammatica generativa aveva costretto la ricerca per un lungo perio­ do . Tuttavia non bisogna confondere la linguistica cognitiva vera e propria con i più generali appro cci c ogni ti vi ( cfr. T aylor, 2002, pp. 4-5) . In effetti non è sufficiente limitarsi a segnalare che il linguag­ gio ha a che fare con la mente . Come ha suggerito Taylor (ivi, pp. 1 1 ss . ) , la linguistica cognitiva si presenta come un indirizzo nuovo per alcune questioni specifiche che collegano il linguaggio alla mente. Innanzi tutto il problema della categorizzazione (cfr. G aeta, Luraghi, 2003 , pp. 19-20) : si tratta di un tema centrale che obbliga a rivedere l'idea di lingua della seconda metà del Novecento. Ne ripar­ leremo nel secondo capitolo, ma è proprio su questo punto che la linguistica cognitiva ha creato una svolta. Infatti , se da un lato la categorizzazione riguarda la cognizione non linguistica, in quanto la capacità di muoversi nel mondo fisico e sociale dipende da come ri usciamo a categorizzare , dall' altro diventa un as petto centrale quando facciamo intervenire il linguaggio . Ad esempio perché le stesse parole possono essere viste come un modo di categorizzare e poi, come insiste Taylor (2002, p. 9 ) , perché il linguaggio stesso è oggetto di categorizzazione. Un ulteriore aspetto da considerare è che la percezione visiva offre un modello per l'organizzazione delle conoscenze in termini di " figura" e " sfondo " . Si tratta di un punto centrale per !a semantica. La distin­ zione fra " figura" e " sfondo " s tudiata, come s 'è de tto , prima da Talmy e poi da Langacker, è importante, ne parleremo nel capitolo 5· Sostanzialmente essa è legata alla capacità umana di attenzione e permette di offrire alcune risposte a come pensiamo o concettualiz­ ziamo una situazione (i vi, p. 11) . 17

Come suggerisce ancora Taylor, l'organizzazione " figura" e " sfon­ do " si connette con l'idea che esista una più generale capacità cogni­ tiva umana di costruire la realtà in modi diversi . Possiamo rappresen­ tare una scena con organizzazioni distinte di " figura" e " sfondo ", e questo ha strettamente a che fare con il linguaggio, perché la forma linguistica che scegliamo è connessa con il modo in cui abbiamo costruito mentalmente una situazione (Taylor, 2002) . Si tratta di una questione che ad esempio apre una prospettiva del tutto nuova per studiare la traduzione, come vedremo più avanti. Il fatto di come possiamo cos truire mentalmente una si tu azione tocca il problema della metafora ( cfr. anche Gaeta, Luraghi, 2003, pp. 20 ss .) e degli archetipi concettuali. Alla metafora dedicheremo il capitolo 3, la seconda questione è invece connessa al problema più generale dell' acquisizione del linguaggio . A questo pro posito la linguistica cognitiva ha una posizione di sintesi fra l'idea razionali­ sta di una base fortemente innata e una empirista di una mente come tabula rasa. Ad esempio possiamo osservare, nonostante la grande diversità delle lingue , alcune somiglianze che Langacker chiama archetipi concettuali come quelli di evento, azione o cosa. Esistono poi altre caratteristiche della mente che svolgono un ruolo determinante per il linguaggio . Ad esempio la capacità inferenziale determina il modo in cui costruiamo significati. Qui l'idea di signifi­ cato presente in linguistica cognitiva trova interessanti collegamenti con l'idea di implicatura sviluppata da Paul Grice. Grice in Logica e conversazione (Grice, 1978) analizza i vari modi in cui il significato può essere esplicito e implicito e in particolare si occupa di quella determi­ nata inferenza che egli chiama " implicatura conversazionale " , i cui meccanismi sono molto utili per comprendere come funziona quel­ l' altro tipo di inferenza che è la metafora. Tale nozione si colloca all'in­ terno di un discorso più ampio che considera gli scambi linguistici fra i parlanti regolati da un principio di cooperazione che orienta la comu­ nicazione verso uno scopo o un insieme di scopi. Senza questo princi­ pio non esisterebbe comunicazione perché verrebbe meno quel terre­ no comune che permette lo scambio; esso renderà dunque possibili certe mosse men tre ne vieterà altre non adatte alla conversazione . 18

Tale principio, come è noto, è definito da Grice " principio di coope­ razione " . Assieme a quest'ultimo , Grice presenta alcune categorie a esso conformi sotto cui colloca alcune massime che le specificano: • quantità, che riguarda la quantità di informazione che ognuno dei partner deve fornire . Per questa categoria avremo le seguen ti massime : " Dai un contributo s ufficientemente inform ativo agli scopi della conversazione " ; " Non fornire un contributo più infor­ mativo di quanto è necessario "; • qualità, che riguarda la verità del contributo. Anche qui abbia­ mo due massime: " Non dire ciò che sai essere falso " ; " Non dire ciò di cui non si hanno prove adeguate" ; • relazione, ovvero: " sii pertinente " ; • modo, sotto cui Gr ice include la supermassima " Sii perspicuo " e le seguenti altre massime: " Evita l'oscurità" ; " Evita l'ambiguità"; " Evita la prolissità", " Sii breve " ; " Sii ordinato nell'esposizione " . Queste massime vengono regolarmen te violate, sia involontaria­ mente sia perché si è obbligati : ad esempio , alle volte non possiamo essere al tempo stesso informativi quanto richiesto e dire solo ciò di cui abbiamo prove adeguate. Ma spesso le violiamo consapevolmen­ te e ostentatamente e questo è il caso che Grice definisce " burlarsi di una massima" . Come reagisce l'ascoltatore a questa violazione osten­ tata ? Egli sa che il locutore può soddisfare la massima in causa, sa inoltre che essendo la trasgressione evidente il locutore non ha inten­ zione di ingannarlo, sa anche che la violazione non avviene a causa del conflitto con un 'altra massima; in altri termini, la violazione sembra rientrare nell'ambito del principio di cooperazione. Questa, secondo Grice, è la tipica situazione che origina implicature conver­ sazionali . In questo caso la massima non è soddisfatta ma sfruttata. È importante no tare che l' impli catura conversazionale deve essere inferita e non solo intuita. A partire dalle conclusioni griceiane possiamo affermare che non tutto ciò che costituisce il significato di un'espressione è presen te in essa o è possibile determinarlo composizionalmente come somma dei significati delle parti. L'interpretazione che diamo a un' espressio­ ne va in realtà ben al di là di quanto effettivamente diciamo. 19

Un altro aspetto che interessa una prospettiva cognitiva è l'automa­ tizzazione, cioè la nostra capacità di riprodurre automaticamente certi processi. Nel linguaggio questo ovviamente ha a che fare con gli aspetti fonatori ma riguarda anche il modo in cui costruiamo strut­ ture complesse in termini di frasi o testi. Collegato in qualche modo con quest' ultimo aspetto troviamo il ruolo svolto dalla capacità delle nostre menti di archiviare, di computare, di immagazzinare liste e di applicare regole. Come scri­ ve Taylor ( 2002, p. 14) , abbiamo dei cervelli che sono cap aci di immagazzin are un gran numero di informazioni specifiche , così come siamo in grado di eseguire calcoli com p lessi seguendo un certo numero di istruzioni. Nel caso di una regola matematica, ad esempio, una volta che abbiamo imparato ad applicarla possiamo eseguire qualunque calcolo permesso attraverso di essa. Tuttavia non è necessario sempre applicare le regole . Ad esempio, sappiamo che 12 x 12 144 senza bisogno di eseguire effettivamente la molti­ plicazione . Abbiamo semplicemente immagazzinato nella memoria il risultato e lo recuperiamo da essa quando ne abbiamo bisogno. In realtà calcoliamo solo quando non è possibile far ricorso al magazzi­ no della memoria. Come già la retorica classica aveva mostrato, la memoria è uno degli elementi centrali nell'elaborazione della nostra conoscenza e, nell'ambito della strutturazione del discorso, è l' ele­ mento che permette di tenere assieme il complesso delle operazioni semiotiche. Un ulteriore importante aspe tto dell' attività linguistica è il ruolo della forma e il " piacere " che essa provoca. Taylor (2002) cita Halli­ day ricordando che nel linguaggio dei bambini un ruolo centrale è svolto dal " modello immaginativo " che to cca gli aspetti ritmici e sonori. Jakobson (1966) ha parlato di funzione poetica come di quel­ la funzione che riguarda il linguaggio stesso e che è centrale nell' espe­ rienza dell'uomo . Questo ci porta alle relazioni fra linguistica cogni­ tiva e studi letterari nella direzione di una poetica cogni tiva che studia la mente letteraria come elemento fondamentale nello svilup­ po della cognizione umana. =

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Per concludere questo capitolo, l'ultimo aspetto che Taylor menzio­ na, ma che è centrale in tutta la linguistica cognitiva, è il valore essen­ zialmente simbolico del linguaggio . Il linguaggio non è altro che un insieme di mezzi che permettono agli uomini di rappresentare il pensiero. Questo è anche il motivo per cui vale la pena studiarlo.

21

2.

Categorizzazione

2.1. Il m odel l o classico Sia qui noto che, astenendomi da qualunque argomentazione, io sostengo alla buona moda antica il punto di vista che la balena è un pesce, e chiamo a soccorso il santo G iona per appoggiarmi. Messa a posto questa questione fondamentale, il punto seguente è in quale rispetto interno la balena differisca dagli altri pesci. Sopra, Linneo vi ha dato i caratteri. Ma, a farla breve, essi sono questi: polmoni e sangue caldo, mentre tutti gli altri pesci non hanno polmoni e hanno il sangue freddo. Poi: come dovremo definire la balena secondo le ovvie caratteristiche esterne, in modo da schedarla chiarissima mente per tutto il tempo avvenire? A tagliar corto, allora, una balena è un pesce sfiatante, con una coda orizzontale. Eccola qua. (H erman Melvi Ile, Moby Dick, cap. XXXII, Cetologia)

Dunque la balena è un pesce o un mammifero ? Il problema di Ismael è un tipico problema di categorizzazione. A che classe o gruppo possiamo ascrivere Moby Dick ? Inoltre come facciamo ad assegna­ re una cosa o un essere a una categori a ? Ad es e m pio, cosa hanno a che fare una gallina e un'aquila ? Come li riconosciamo simili ? In campo del tutto diverso, un testo e la sua traduzione in una lingua sono simili, e se sì, rispetto a che cosa ? L'approccio classico a questo tipo di problemi è quello che ha origi­ ne con Aristotele e che definisce una categoria in base ai tratti che la compongono (cfr. Taylor, 1999, pp. 68-9) . I tratti sono necessari e sufficienti, essi sono inoltri binari, qualcosa dunque possiederà o non possiederà quel tratto e quindi entrerà o non entrerà nella cate­ goria. N o n esistono inoltre gradi di appartenenza, i confini sono netti e infine , come conseguenza, tutti i membri della categoria hanno confini netti . Questa prospettiva esclude così i casi di ambi­ guità, i casi cioè in cui l'appartenenza dei tratti non sia del tutto chia­ ra. Come ha sottolineato Taylor (ivi, pp. 69 ss. ) , questo approccio ha avuto diverse conseguenze in linguistica. Ad esempio, è alla base della teoria binaria in fonologia. I tratti fonologici sono binari, non 22

ulteriormente scomponi bili, sono universali e innati. Ma sta alla base anche della semantica sia di tipo strutturale sia di tipo generativo­ trasformazionale. In questo caso i tratti fonologici vengono sostitui­ ti con tratti semantici che determinano il significato . Anche questi sono binari, primitivi, universali e innati. I problemi che derivano dal modello classico sono diversi. Croft e Cruse (2004, p. 76) ne ricordano tre principali. Innanzi tutto in certi casi non è possibile una definizione adeguata in termini di tratti necessari e suffi cienti, ma anche nei casi in cui alcuni con cetti sembrano poter essere descritti da una definizione, questa tuttavia è valida solo per un certo dominio . In secondo luogo non tutti gli elementi di una categoria hanno lo stesso status, nel senso che alcu­ ni elementi sono più rappresentativi di altri . Infine all'interno del modello classico è impossibile rendere conto della vaghezza dei confini fra categorie . Riguardo a questo punto, un concetto della dialettologia strutturale può venire in ai uto ed essere trasferito nell'ambito della semantica, il concetto di diasistema. Come è noto, il concetto è stato introdotto da Uriel Weinreich ( 1 974) , che lo intende come una struttura linguistica, risultato di varietà confi­ nanti, e lo utilizza nello studio del contatto e dell'interferenza lingui­ stica. In questo senso il diasistema interpreta quelle zone d'ombra che sono i confini linguistici, i quali suddividono un continuum in varietà discrete e ci dice che i sistemi linguistici, come quelli concet­ tuali, non sono un tutto omogeneo ma sono una gradazione di possi­ bilità piuttosto diverse. 2.2. So m iglia nze d i fa m i gl i a Un suggerimento sul fatto che la soluzione tradizionale non funzionava è venuto da un 'intuizione di Ludwig Wittgenstein . C'è un brano delle Ricerchefilosofiche (Witt­ genstein, 197 4) in cui l'autore cerca di spiegare cosa fa di un gioco un gioco, in che senso cioè noi riconosciamo come giochi attività molto diverse fra di loro. In questo caso la definizione attraverso tratti non funziona perché alcuni giochi condividono determin ati tratti mentre altri giochi ne condividono diversi. Così non c'è niente in com une a giochi come gli scacchi o giochi con la palla. Wittgen23

stein conclude che è difficile identificare caratteristiche comuni ed è possibile piuttosto individuare alcune somigli anze : «Non posso caratterizzare queste somiglianze meglio che con l 'espressione " somiglianze di famiglia"» (Wittgenstein, 1974, p. 47) . C'è dunque qualche cosa che fa assomigliare i diversi giochi e che non può esse­ re ricondotto ad alcun principio aristotelico. In linguistica un'idea analoga era stata elaborata negli anni settanta da Labov ( 1 9 77) che aveva cercato di capire come ri uscissimo a distinguere oggetti molto comuni come una tazza e una ciotola asse­ gnandoli a categorie diverse (cfr. FIG. 1).

FIGURA 1

A

�@@�� � r=1 +

prototipo

B

fT10 \__/

� U

U

U

0/o

100

tazza

75 50 25 o

Recipiente 1

2

Fonte: Ungerer, Schmid (2006, p. 21).

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3

4

5

Labov si rese conto che il confine fra una tazza e una ciotola non era così netto e uno stesso re ci pie n te può essere categorizzato in modo diverso a seconda dell'uso che ne viene fatto. Dunque nella categoriz­ zazione quotidiana noi non dividiamo gli oggetti come X o non-X. Piuttosto abbiamo invece nomi diversi per indicare categorie vicine. I confini appunto non sono netti ma costituiscono un continuum. Questo significa che gli attributi che assegniamo a un oggetto non sono primitivi semantici, una tazza tipica è di porcellana, ha un mani­ co e ha un piattino, ma questi attributi non sono essenziali per asse­ gnarla a una categoria: ad esempio i contenitori che escono dai distri­ b utori automatici di bevande calde possono essere tazze anche se non hanno caratteristiche tipiche. 2.3. Prototi p i È s tata com un q ue Eleanor Rosch ( Cfr. Rosch 1973a, 1973b, 1975a, 1975b) che a partire dalla metà degli anni settan­ ta ha condotto il lavoro più completo sulla categorizzazione introdu­ cendo il concetto di prototipo (cfr. Luraghi, 1993; Giannini, Lazze­ roni, 1 994; Montanari, 1997; Mazzoleni, 1 9 9 9 ; Taylor, 1 9 9 9 ; Giannini, 2002) . La Rosch partiva da un'indagine sui colori (cfr. Heider, 1972, Heider è il suo primo cognome) secondo la quale i colori focali, cioè quelli di base e in qualche modo pro totipici, costituiscono il punto di partenza nell'acquisizione del linguaggio e sono il terreno comune delle diverse lingue. Si tratta di un punto importante che ad esempio diventa centrale a proposito della traduzione. In altri termini l'idea è che esista una sorta di centro del colore che lo identifica come tipi­ co (il rosso esemplare, ad esempio) e che questo sia più saliente da un punto di vista cognitivo . Naturalmente le diverse culture differisco­ no per le " periferie " del colore. Un discorso analogo può essere fatto anche per quelle che la Rosch chiama " categorie naturali " , ovvero quei concetti che vengono definiti da parole. A questo proposito la Rosch ( 1975b) propone un esperimen to . Prende in esame alcune categorie: mobilio, frutta, veicolo, arma, vegetale, attrezzo, uccello, sport, giocattolo, vestiario . A un certo numero di informatori vengo­ no sottoposti elementi (oggetti o entità) che possono appartenere a 25

tali categorie chiedendo loro di giudicare in che misura quegli elementi sono un buon esempio della categoria. Le risposte degli intervistati sono interessanti, ad esempio ci dicono che " sedia" è più mobilio di " telefono " , e quindi individuano elementi che sono più centrali nella categoria rispetto ad altri considerati più marginali. In qualche modo riusciamo a veder meglio, come ha scritto Eco (1997, p. 171) , i confini di una categoria: Mi pare che la nozione di prototipo abbia un valore per chiarire quali siano i "bordi" di una categoria di base: se si è deciso che i tratti salienti della categoria superordina­ ta degli uccelli sono becco, piume, ali, due zampe e capacità di volare, è naturale che ci sia imbarazzo a definire pienamente uccello la gallina.

Ci sono tuttavia anche altri motivi di interesse nell'esperimento della Rosch. Ad esempio, è rilevante che gli intervistati ritengano il quesi­ to sensato, abbiano cioè considerato come un dato di fatto che alcu­ ni elementi appartengano più a una categoria di altri : «In una visio­ ne rigorosamente classica, semplicemente non ha senso chiedersi " in che misura" una cosa appartiene ad una categoria: o vi appartiene, o non vi appartiene» (Taylor, 1999, p. 91) . Croft e Cruse ricordano che la gradazione rispetto al proto tipo (Croft, Cruse, 2004, pp. 77 ss. parlano di Goodness-OfExemplar: GOE ) è motivata da diverse caratteristiche. Innanzi tutto più alto è il grado di appartenenza di un elemento alla categoria e più alta è la sua frequenza e ordine di menzione. Ino ltre, dalla maggiore o minore vicinanza al prototipo dipende l'ordine di apprendimento. Questo accade ad esempio con i bambini, per cui è logico supporre che essi apprendano più tardi gli elementi marginali. Dalla vicinan­ za al prototipo di pende poi anche il più facile riconoscimento di una somiglianza di famiglia (nei termini wittgensteiniani già visti) e dunque anche la velocità con cui si assegna una parola a una cate­ goria. L' ultima caratteristica è la velo cità con cui una sequenza è riconosciuta come sensata se in collegamento con un termine cate­ goriale . Dunque po tremmo immaginare le categorie come una sorta di 26

cen tri concentrici in cui quelli più centrali sono più esemplari di quelli esterni . Naturalmente dobbiamo pensare che l'appartenere più o meno al centro è una questione legata al complesso di cono­ scenze che ci costituiscono. Potremmo qui rielaborare il concetto di " enciclopedia" discusso da Umberto Eco (1975 e 1997) . L'enciclope­ dia è costituita dall' insieme delle conoscenze e delle esperienze acquisite dall'individuo, dalla società e dalla specie. A livello elemen­ tare noi tutti abbiamo esperienza di ciò e regoliamo le nostre attese e le nostre azioni su questo insieme di conoscenze ed esperienze. Ad un livello più elaborato la cosa è meno evidente, soprattutto per quan­ to concerne le conoscenze che vanno oltre l'individuo e riguardano la società o la specie. N o n è possibile infatti considerare l' enciclope­ dia come un sistema chiuso , essa si costituisce grazie all'interazione con gli altri sistemi lungo tutto l'arco della vita. Sincronicamente la nostra enciclopedia è il frutto di un n ucleo individuale che interagi­ sce con altri sistemi i quali contribuiscono a trasformare continua­ mente questo nucleo. Diacronicamente anche il nucleo individuale dell'enciclopedia si è costituito progressivamente grazie a una serie di in te razioni in cui ogni passo è stato conservato nella memoria ed è andato a costituire un elemento fondamentale del passo successivo. Perché abbiamo bisogno dei pro totipi ? Rosch ( 1975c) addebita questo alla struttura della nostra percezione. Così come per i colori, anche certe forme geometriche o certi orientamenti spaziali sono più caratteristici e in questo senso diventano tipici. Ma probabilmente esiste anche una spiegazione più significativa dell'importanza dei prototipi. Geeraerts (1985, p. 141 ) ad esempio ci dice che le categorie prototipiche hanno la proprietà di essere al tempo stesso flessibili e stabili . Queste due peculiarità permettono al nostro sistema cogni­ tivo di funzionare nel migliore dei modi, di non cambiare di conti­ nuo, al contrario, di adattarsi alle situazioni. Ma un prototipo è un'entità reale o è uno schema del centro concet­ tuale di una categoria ? Rosch (1978) sembra intendere che non è né l'uno né l'altro, ma è semplicemente il risultato sperimentale derivato dai giudizi di un certo numero di soggetti. Eco ( 1997, pp. 1 68 ss . ) offre tre modi di 27

intendere il proto tipo . Il primo lo interpreta come l'elemento di una categoria che diviene il modello per riconoscere gli altri . In questo caso è un'entità reale che diventa esemplare . Per il secondo modo è uno schema: «In tal senso quando pensiamo a un cane ( a meno che n e abbiamo uno con cui conviviamo giornalmente) non pensiamo a un dalmata piuttosto che a un labrador, bensì a un tipo bastardo [ . . . ] . Questa forma bastarda varia a seconda delle culture» . In questo caso il prototipo sembra somigliare a quello che Eco chia­ ma " tipo cognitivo ", cioè «quel qualcosa che consente il riconosci­ mento» (ivi , p. 1 1 0) . Il terzo senso di prototipo è « un insieme di requisiti esprimibili proposizionalmente, necessari per predicare l'appartenenza a una categoria» (i vi, p. 1 68) . 2.4. Si m i l a rità Taylor (1999, p . 110) considera il prototipo una rappresentazione mentale schematica. Le entità appartengono alla categoria perché in qualche modo sono simili al prototipo. Qui entra un concetto importante e difficile come quello di similarità. In base a cosa un 'entità è simile a un 'altra (cfr. Cacciari, 1 9 9 5 ; Arduini, Hodgson, 2007) ? Se rifiutiamo l'approccio classico basato sui tratti semantici, le cose si fanno indubbiamente complesse. Scrive lucida­ mente Taylor (1999 , p. 111) a questo proposito: Le cose possono essere più simili, o meno simili. Ma quanto diverse devono essere due cose per cessare di essere simili?[ ...] La similarità, come la bellezza, sta nell'occhio di chi guarda. Se la invochiamo come fondamento della categorizzazione, è inevitabile che tiriamo in ballo chi usa il linguaggio, con le sue convinzioni, i suoi interessi e le sue esperienze passate. Le cose sono simili nella misura in cui un essere umano, in un certo contesto e per qualche scopo determinato, sceglie di considerarle simili.

È chiaro che la semantica classica non aiuta a rispondere ai quesiti posti dalla similarità, in quanto si limita a considerare simili le enti­ tà che condividono un certo numero di tratti . Taylor propone l' ap­ proccio di Tversky che considera la similari tà non solo sulla base degli elementi condivisi ma an che sulla base di quelli che non si condividono, stabilendo così una gradazione di similarità sulla base 28

del contesto . Più utile potrebbe risultare il suggerimento di Good­ man (1972) che propone di considerare la similarità come una rela­ zione triadica; A è simile a B dal punto di vista di C. In questo caso la similarità non sarebbe un qualcosa che sussiste di per sé, ma dipen­ derebbe dai presupposti dell'osservatore . Il punto centrale comun­ que è di non intendere la similarità come un qualcosa che sussiste fra insiemi di tratti come se una struttura cognitiva fosse semplice­ mente la somma di quei tratti ( cfr. anche Gentner, Markman, 1995) . Come abbiamo già detto , una delle affermazioni pi ù importanti della linguistica cognitiva è proprio che non è possibile spiegare una s truttura cognitiva elencando i suoi componenti . S crive infatti Taylor (1999, p. 113) : Le strutture cognitive spesso devono essere comprese più come configurazioni olisti­ che, gestaltiche che come fasce di attributi. Specialmente quando si ha a che fare con categorie del livello basico, l'insieme potrebbe risultare molto più semplice, in senso percettivo e cognitivo, di ciascuna delle sue singole parti, in modo tale che le parti vengono comprese in riferimento all'insieme, piuttosto che il contrario.

Po tremmo dire che questo è un principio di base dell ' appro ccio cognitivo e ciò che veramente si oppone a tutta la tradizione lingui­ stica precedente. 2.5. Ambiti di a p p l i ca z i o n e d e l co n cetto di p rototi p o L'aspetto interessante del concetto di prototipo è che il suo ambito di applicazione è estremamente vasto. Taylor (1999) ha mostrato ad esempio che il problema delle categorie prototipiche investe il lessi­ co , la sintassi, la morfologia e la fonologia. Un esempio proposto proprio da questo autore nell'ambito della sintassi è la nozione di " testa sin tattica" nel caso dei sintagmi nominali. Nelle teorie tradi­ zionali, dato un sintagma nominale come " il ragazzo " , " ragazzo " è la testa con l'articolo determinativo che funziona come specificato re. Questa, ad esempio, è l'analisi di autori di ambito generativista come Giorgi e Longobardi (1991) . Tuttavia secondo Taylor (1999, p. 351) sono possibili interpretazioni alternative in cui la testa è il determi29

nativo " il" con " ragazzo " che funge da sintagma nominale comple­ mento . Se è possibile assegnare il ruolo di testa a elementi diversi, il problema diventa capire effettivamente cosa sia una tes ta o un complemento . Un modo è quello di individuare una serie di cate­ gorie prototipiche delle teste che possano essere usate nei casi contro­ versi. Il concetto di proto tipo può essere molto utile anche nel caso del lessico, specie per quanto riguarda la polisemia. In questa direzione i vari significati di un termine potrebbero essere ricondotti ad un significato prototipico. Ma anche le tradizionali prospettive sema­ siologica, attraverso la quale si stabilisce per ogni espressione lingui­ stica quali cose o stati di cose vi corrispondano, e onomasiologica, attraverso la quale per ogni cosa o stato di cose si stabilisce quali espressioni si usano per denotarla, possono trovare un utile punto di riferimento nel concetto di prototipo. In particolare, il lavoro di Geeraerts, Grondelaers, B akema ( 1 9 94) sui nomi degli abiti ha permesso di combinare le due prospettive con quella che utilizza l'idea di prototipo e livello basico . Seguiamo Taylor (1999, p. 3 54) nella spiegazione dei risultati : L'identificazione di un prototipo si basa sulla prospettiva semasiologica, in quanto un prototipo può essere caratterizzato in termini di sa/ienza semasio/ogica. Per termini come broeck 'pantaloni', jeans, /egging 'gambali', è stato possibile elencare i tratti, e le combinazioni di tratti, più frequenti dei referenti, e giungere così a specificazioni dettagliate degli esempi prototipici delle categorie. La metodologia seguita ha reso inoltre possibile, naturalmente, tracciare l'area d'uso di un dato termine al di fuori del nucleo prototipico [ ...]. La salienza onomasiologica, d'altra parte, definisce la nozione di termine di livello basico. Un termine costituisce il livello basico nella misu­ ra in cui questo termine non un altro viene più frequentemente selezionato per far rife­ rimento ad una determinata realtà.

Il fatto che il modello di categorizzazione secondo la teoria dei proto­ tipi sia pervasivo occupando ambiti molto diversi è di particolare rilevanza. Possiamo infatti ritenere che le categorie così costruite rappresen tino degli strumenti cognitivi che svolgono un ruolo 30

centrale in molti aspetti del linguaggio. Croft e Cruse (2004, p. 74 ) ne individuano almeno quattro. Innanzi tutto nell'apprendimento; impariamo infatti facendo riferimento all'esperienza passata e collo­ candola in categorie di riferimento . In secondo luogo nella pianifi­ cazione , in quanto la formulazione di obiettivi ha bisogno di una conoscenza che deve essere raccolta in categorie (ibid.) . Poi nella comunicazione, dato che il linguaggio funziona in termini di gene­ ralizzazioni e cioè di categorie ( ibid. ) . Infine nell 'economia della conoscenza: infatti la n uova conoscenza ottenuta a partire da un elemento può facilmente venire estesa ad altri membri della catego­ ria così come il contrario (ibid. ) . Potremmo concludere che il discorso sulle categorie e i prototipi ha rimesso in gioco molte questioni che erano state messe da parte o risolte estremizzando i p un ti di vista. Innanzi tutto ha riaperto il problema posto da Kant del collegamen­ to fra linguaggio e concetti. Per Kant le rappresentazioni della cono­ scenza non possono catturare le cose in sé, e pertanto la conoscenza umana non si configura sugli oggetti, ma piuttosto sono questi ad essere organizzati dalla conoscenza. Così per Kant l'uomo non è posto fuori del mondo come osservatore distante, ma è egli stesso che con il suo conoscere permette che gli oggetti dell'esperienza possa­ no essere ordinati. Kant non dedica troppo spazio al linguaggio , anche s e abbiamo un passo della Critica della ragionpura e uno della Critica del giudizio che possono far immagin are una linguistica kantiana (cfr. De Mauro , 1979 , pp. 73-6) . Il primo lo troviamo nell'A nalitica dei principi, dove si parla degli schemi che stanno alla base dei concetti sensibili; il secondo menziona esplicitamente il linguaggio e distingue fra denominazioni, schematismi e simboli . A proposito di questi passi Tullio De Mauro (ivi, pp. 75-6) sostiene che rappresentano un tentativo di porre in relazione i segni con le imma­ gini e i concetti. Possiamo ritenere che prefìgurino buona parte dei problemi che la linguistica cognitiva si è trovata davanti. In secondo luogo, l'idea che nei nostri processi cognitivi cerchiamo delle similarità e che queste similarità, in parte regolate dalle diverse enciclopedie, permettono di costruire una rappresentazione sensata 31

del mondo si oppone tanto alle posizioni nominaliste (o decostru­ zioniste) quanto al realismo . Il nominalismo (e la decostruzione è un caso di nominalismo) ci dice che la similarità è una convenzione; il realismo ci dice che le categorie rispecchiano le caratteristiche del mondo . L'approccio cognitivo si pone come una soluzione inter­ media. Scrive Taylor (1999, p. 40) : Se il linguaggio è un sistema convenzionale di simboli, va tuttavia ricordato che esso impone ai suoi utenti una serie di categorie- infatti convenzionalizzazione non impli­ ca necessariamente arbitrarietà. Le categorie codificate in una data lingua sono anzi motivate in diversa misura da un certo numero di fattori: dalla discontinuità effettiva­ mente esistente nel mondo; dai modi in cui gli esseri umani interagiscono in una cultura data, con il mondo, e in generale dai processi di formazione dei concetti.

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3 . Metafora e metonimia Uno dei capitoli principali nella storia della linguistica cognitiva è rappresentato dagli studi sulla metafora. O ccuparsi di metafora infatti mette in gioco molte delle convinzioni linguistiche più comu­ ni e obbliga inevitabilmente a co nsiderare il co llegamento degli aspetti formali e grammaticali con il significato . Lakoff e J ohnson ( 1998, p. 161) hanno scritto a questo proposito: N oi parliamo in ordine lineare: in una frase diciamo alcune parole prima di altre. Poiché il parlare è collegato con il tempo e il tempo è concettualizzato metaforicamen­ te in termini di spazio, è per noi naturale concettualizzare il tempo in termini di spazio, e tale concettualizzazione è rafforzata anche dal nostro sistema di scrittura[ ...]. Ciò può darci connessioni automatiche e dirette tra forma e contenuto, basate su metafore generali del nostro contenuto concettuale. Tali connessioni rendono la relazione tra forma e contenuto tutt'altro che arbitraria, e parte del significato di una frase può esse­ re dovuto precisamente alla forma che quella frase assume.

3.1. l p red e cess o ri L'interesse cognitivista per la metafora si collo ca all'interno di una lunga tradizione. L'idea che gli uomini abbiano la capacità cognitiva di concettualizzare il mondo in termi­ ni figurali si ricollega infatti al pensiero di alcuni autorevoli pensa­ tori. A dire il vero, questo è talvolta dimenticato dalla linguistica cognitiva al punto che OlafJankel ( 1 9 9 9 ) , dedicando un saggio ai contributi alla teoria della metafora di Kant, Blumemberg e Wein­ rich, annota che si tratta di autori ormai dimenticati. Dimentica ti per la verità solo dalla tradizione statunitense, in quanto si tratta di autori fondamentali nella tradizione europea. Per quanto ci riguarda non possiamo fare a meno di partire almeno da Giambattista Vico e Fiederich Nietzsche.

Che Vico rappresenti un antecedente importante lo ha affermato a più riprese Marcel Danesi, il quale ha sottolineato espli­ citamente che la prospettiva cognitivista prefigura un vero a proprio

3.1.1. Vi co

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ritorno a Vico (cfr. Danesi, 2001 e 2003) . Se dunque la grammatica generativa si richiamava a Cartesio proponendosi come linguistica cartesiana, la linguistica cogni tiva potrebbe essere definita un a linguistica vichian a. Secondo Vico, la conoscenza non sta infatti nella pura cogitatio ma anche nella capacità dell'uomo di produrre simboli e nella possibilità di questi simboli di trasformarsi in linguaggio. Questo è già visibile in quanto Vico scriveva a proposito dei tropi nel De Constantia Philologiae, dove è presente un'idea della retorica secondo la quale questa, collegandosi all'antropologia, inter­ preta il parlare figurato non come un ornamen to superfluo del discorso ma come il linguaggio normale dell'origine. Le figure gene­ rano la conoscenza, esattamente come accade nel processo di acqui­ sizione del linguaggio infantile. In questo senso sembra che per Vico le figure entrino nella costruzione stessa della realtà e ne costituisca­ no, per così dire, le linee guida su cui si articolerà il linguaggio. L'interesse di Vico è rivolto agli schemi concettuali che sottostanno alle diverse manifestazioni espressive dell'uomo . Un'attenzione alle capacità che oggi chiameremmo " cognitive " che però entra in rela­ zione con il differente, il culturalmente determinato, il lo cale. Diventa allora essenziale definire cosa significhi questa stretta rela­ zione e che ti p o di schemi generali sono utilizzati nella costruzione di un a cultura. Per Vico questi schemi sono di natura retori ca e rappresentano mezzi cognitivi attraverso i quali mondo e linguag­ gio entrano in contatto ; in questo il suo pensiero si avvicina in modo sorprendente alle ricerche contemporanee in ambito cognitivo (cfr. Danesi, 2001) . In altri termini, possiamo dire che la figura non salta, non devi a né rompe il linguaggio comune; la figura non nasce aggiungendo qualcosa alla parola ma nasce per mezzo di intersezio­ ni, antitesi, inclusioni, contiguità, soppressione di aree concettuali . 3.1.2. N i etzsche Il discorso di Vico non è lontano dalla posizione di Nietzsche . In Darstellung der antiken Rhetorik (Nietzsche, 1 9 9 5 ) , Nietzsche scrive ad esempio che la retorica non è un artificio che si sovrappone alla lingua, è piuttos to vero il contrari o . La retorica nietzschiana si presenta nei termini di un'abilità cognitiva che sele-

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ziona determinate forme attraverso le quali il mondo circostante viene de fini t o. Impostata in questi termini la questione, Nietzsche procede inevi­ tabilmente per la strada di interpretare l'apparato delle figure come la maniera attraverso cui l' uomo costruisce significati . Partendo dall'idea che il linguaggio ha una struttura essenzialmente figurativa, Nietzs che arriva all'idea della natura intrinsecamente metaforica della comunicazione . Analogamente in B l umenberg le metafore sono «forme di cicatrizzazione, segno di una ferita, di un'anomalia del pensiero concettuale, che viene avviata a guarigione e riconnessa al tess uto circostan te [ . . . ] , fossili guida di uno strato arcaico del processo della curiosità teoretica» ( Blumemberg, 1985, p. 116) . Con una notevole vicinanza alle posizioni cognitiviste, Nietzsche attribuisce al linguaggio una s truttura essenzialmente figurativa poiché individua un processo metaforico alla base della formazione dei concetti. Come egli specifica in Su verità e menzogna in senso extra­ morale (Nietzsche, 1980) , si ha una prima metafora nella trasposizio­ ne ( Obertragung) dello stimolo nervoso in immagine; una seconda nel passaggio da immagine visiva a suono; una terza, infine, da imma­ gine sonora a concetto. Secondo Nietzsche il linguaggio ha alle sue radici un carattere figurativo perché è proprio tale carattere a permet­ tere di esprimere per via " immaginativa" la struttura del reale. 3.2. La riflessione novecentesca Dopo i contributi classici, la centralità della metafora nella riflessione sul linguaggio ha avuto un particolare sviluppo in epoca moderna. In questo senso non ha certa­ mente ragione Grady quando scrive che la linguistica cognitiva è la prima a considerare «la metafora come un serio oggetto di studio» ( Grady, 2007, p. 189) . Occorre invece sottolineare che dopo la grande trattatistica del passato, il tema del valore cognitivo della metafora è s tato centrale nello sviluppo novecentesco della linguistica e della filosofia del linguaggio (cfr. Eco , 1980, pp. 21 2-3) . Del resto già in Problemi di linguistica generale, Ben veniste ( 1971 ) aveva riflettuto, analogamente aJakobson (1966) , sul fatto che le figure retoriche costi­ tuiscono una sorta di struttura cognitiva comune ad ambiti diversi che 35

vanno dalla letteratura al sogno (J iménez Cano, 2004) . Occorrerà dunque fare un breve ripasso, magari vedendo le relazioni con le posi­ zioni cognitive, di quanto la tradizione ha prodotto, notando che i vari orientamenti hanno privilegiato ora gli aspetti di deviazione da una norma standard, ora il valore cognitivo con una duplicità che risale già ad Aristotele, che ha inteso da un lato la metafora come scarto dall'uso comune, dall'altro come tipica anche del parlare quotidiano. Il tema dello scarto è stato affrontato da Gérard Gene tte che si è riallacciato a César Chesneau Du Marsais e soprattutto alla critica che ne aveva fatto Pierre Fontanier. Si tratta innanzi tutto di chiarire che cosa si debba intendere con l'idea che la metafora sia una devia­ zione dall'uso . Tale definizione si fonda su una distinzione arbitraria fra uso e letteralità. In effetti quando Fontanier aveva definito la figura come modo di parlare lontano dal parlare " semplice e comu­ ne ", aveva già intuito questa confusione : " semplice " non significa infatti " com une " ; la figura può essere semplice ma non comune, dunque il punto di partenza non è quello empirico di un parlare non figurato dal quale la metafora si allontanerebbe . In tale direzio­ ne Genette ha interpretato il concetto di figura (cfr. Genette, 1988, pp. 191-2) , intendendo il rapporto fra espressione semplice ed espres­ sione figurata su una dimensione virtuale. La figura cioè è coscienza di figura, ovvero quello spazio che si apre fra quanto scritto e quan­ to pensato . In altri termini, non esiste per Genette linguaggio non figurato, e il grado zero diviene virtuale . Il rapporto assenza-presen­ za non è tuttavia sempre produttore di figure, nel senso che uno scar­ to può generare anche nonsensi o semplici sinonimi. Ecco allora che Genette aggiunge che uno scarto è produtto re di figure solo quando produce una connotazione. Il segno " cane ", nella sua unio­ ne di significante e significato, diventa significante di un segno più complesso che ha, per così dire, ampliato l'aspetto del significato . Un modo del tutto particolare di intendere la metafora come scarto è rappresentato dalla retorica sviluppata da un gruppo di studiosi dell'U­ niversità di Liegi, che va sotto il nome di Gruppo �' e che ha avuto fra i propri rappresentanti Jacques Dubois, Francis Edeline, Jean-Marie Klinkenberg, Philippe Minguet, F rançois P ire, Hadelin Trinon.

Il punto centrale del discorso del Gruppo � è che lo scarto non può essere considerato una deviazione rispetto al «linguaggio quale ci è dato» (Gruppo � ' 1976, p. 50 e 2007) ma rispetto ad un grado zero inteso come l'insieme degli enunciati ridotti ai loro semi essenziali ( cioè agli elementi minimi di significato) ; essi inoltre hanno distin­ to fra un grado zero assoluto e uno pratico. L'idea di grado zero del Gruppo di Liegi oscilla dunque fra una concezione sostanzialmente metalinguistica (il grado zero non esiste nella realtà ma è ottenuto per soppressione di semi essenziali) , e una concezione pragmatica: il grado zero pratico . A partire dall 'idea di grado zero appena vista, essi intendono lo scarto come «un'alterazione riconosciuta del grado zero» (ivi, p. 6o) , un'alterazione che deve essere riconosciuta dal rice­ vente e su cui questi deve operare una riduzione: «La riduzione non è che una autocorrezione possibile solo nella misura in cui il tasso d'alterazione non ha superato quello di ridondanza» (ivi, p. 56) . Quindi in qualche modo la retorica opera sulla ridondanza naturale del linguaggio a cui pone un limite che non è possibile valicare senza disperdere il messaggio . S u di un livello di ridondanza normale, appartenente al grado zero , si sovrappongono due livelli marcati positivamente o negativamente rispetto al primo; il termine meta­ forico si segnala dunque attraverso una marca. Posto che un discor­ so figurato consiste in una parte non figurata, o base, e in una parte che ha subito lo scarto, l'operazione di riduzione è ottenuta tramite la presenza di un ' invariante . Da questo punto di vista sembra dunque che la retorica si occupi dei cambiamenti creati dagli scarti, tali cambiamenti sono quelli che il Gruppo di Liegi chiama " meta­ bo le " . I l discorso del Gruppo ,_., diventa particolarmente interessante quan­ do affrontiamo la metafora. A questo pro posito troviamo scritto nella Retorica generale (ivi, p. 1 61) : La metafora non è, rigorosamente parlando, una sostituzione di senso, ma una modi­ ficazione del contenuto semantico di un termine. Tale modificazione risulta dall'unio­ ne di due operazioni di base: addizione e soppressione di semi. In altre parole, la metafora è il prodotto di due sineddochi.

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Ma in che m o do una me tafora è il prodotto di due sineddochi ? Innanzi tutto occorre ricordare che uno stesso termine p uò essere scomposto semanticamente secondo due serie , una serie II e un a serie }: : «Nel primo caso esso dà luogo a una serie referenziale esocen­ trica ( albero ---+ ramo) , nel secondo a una serie semica endocentrica (albero---+ b etulla) » (Gruppo 11, 1976, p. 1 5 2) . Secondariamente una sineddoche si forma sopprimendo o aggiungendo semi al termine, sopprimendo semi quando la sineddo che è generalizzan te (Sg) , questa soppressione può avvenire lungo l'asse }: ( ferro per lama) o lungo l'asse II ( uomo per mano) ; aggiungendo semi quando la sined­ doche è particolarizzante, anche qui l'aggiunta può avvenire lungo l'asse II (il caso è raro, la Retorica generale propone un esempio di Geo rges S chéhadé: " z ul ù" per " nero " ) o l un go l'asse }: ( ''vela" per " barca" ) . Ora la metafora provo ca uno scarto introducendo un termine incompatibile con il sintagma. Ma una figura obbliga alla riduzione dello scarto e questo può avvenire lungo l'asse }: o lungo l'asse II alla ricerca di quel termine che giustifichi la sostituzione; tale termine virtuale è quello che fa da collegamento fra i due, quello cioè che costituisce la classe limite o l'intersezione fra i due termini. Se per il Gruppo di Liegi la metafora è un prodotto di due sineddo­ chi , per Albert Henry ( 1 975) è l' unione di due metonimie ( cfr. CAP. 3); troviamo qui una relazione con la metonimia che verrà sfrut­ tata ampi amente dalla linguistica cognitiva. Anche alla base di quest'idea c'è una concezione di figura come scarto, infatti la meto­ nimia trasforma i caratteri semici di un termine focalizzandosi su un sema e dimenticando gli altri, per cui quello che Henry chiama il concetto-entità viene designato con il termine che indicherebbe il sema se questo fosse a sua volta un concetto entità. Anticipando le posizioni della linguistica cognitiva, la metonimia opera su un solo termine, la metafora invece, che ugualmente sfrut­ ta il principio della focalizzazione, opera su due termini provenienti da campi semantici diversi. L'esempio è una frase di Vietar Hugo : " Malte avait trois cuirasses: ses forteresses, ses navires et la valeur de ses chevaliers " (" Malta aveva tre corazze: le sue fortezze, le sue navi e il valore dei suoi cavalieri " ) . Si tratta di un'analogia del tipo di quel-

le trattate da Aristotele nella Poetica, ma se guardiamo bene " Forte­ resses, navires, valeur de ses chevaliers " è una metonimia che ha foca­ lizzato il concetto " mezzo di protezione " , così come " cuirasses " che pure appartiene a un altro campo semantico . Due metonimie hanno creato una metafora. In un contesto filosofico, Ivor Armstrong Richards (1967) ha propo­ sto un'interessante interpretazione della metafora. Richards è stato fra i primi a rifiutare l'idea che una metafora sia una similitudine abbre­ viata, sottolineando l'impossibilità per il conten uto metaforico di essere espresso non metaforicamente. In questo senso potremmo dire che egli, in epoca moderna, ha veramente anticipato molte delle conclusioni cognitiviste . Richards ha negato , ad esempio, che la metafora sia un semplice fenomeno di sostituzione. Tale concezione è illustrata attraverso una tripartizione fondamentale, quella che distingue tra tenor, vehicle e ground. Il tenor è il concetto che si vuole esprimere. Con la metafora, è assente, poiché la presenza è solo del vehicle, cioè del lessema che materialmente leggiamo e udiamo. Con un esempio, nell'espressione " sei un leone " , leone è vehicle e il tenor è l'idea di " coraggio " o " forza" . Il ground è il terreno comune tra tenor e vehicle. Il vehicle non sostituisce semplicemente il tenor. S arebbe effettivamente un'operazione senza senso, perché se "leone " sosti tuis­ se semplicemente " coraggioso " non si comprenderebbe perché usare quello al posto di questo. In realtà nel vehicle convivono tanto il signi­ ficato del vehicle in senso s tretto quanto quello del tenor. In altri termini la metafora è molto più del significato dei due termini (assen­ te e presente) presi singolarmente, come è anche qualcosa di diverso dal ground, la parte comune a tenor e vehicle. Per Richards la metafo­ ra è una terza cosa: in qualche modo precedendo l'idea di blending di F auconnier, essa è l'interazione fra il pensiero di due cose diverse. In tal senso la metafora non sostituisce nulla, in quanto il con cetto espresso per suo tramite non può essere espresso in altro modo. N ella stessa direzione possiamo leggere anche il lavoro di Max Black ( 1983) , per il quale la metafora ha la funzione di costruire un'immagi­ ne del mondo e per questo non è sostituibile. Le metafore costituisco­ no in questo senso un elemento essenziale per la costruzione del 39

discorso, ne sono il nucleo generatore. Così quando diciamo che qual­ cuno è una " volpe ", sopprimendo alcuni semi del lessema e ponen­ done in rilievo altri che mostrano alcune caratteristiche della volpe, costruiamo un'immagine che ci offre le coordinate con cui " leggiamo " una persona. N o n si tratta di arricchire un'espressione per renderla più evi de n te o più chiara, ma di costruire per suo mezzo una sezione di mondo . La metafora diventa allora un mezzo di organizzazione del reale. N o n esiste un termine che indica referenzialmente uno stato di cose e un altro termine costruito a partire da quello, che lo deforma figurativamente, ma la realtà stessa è costruita attraverso metafore. Black propone, per illustrare la propria teoria, un esempio che sottoli­ nea il valore cognitivo della metafora e che ricorda gli esempi che utilizzerà Lakoff. Supponiamo che io voglia descrivere una battaglia con parole che appartengono al vocabolario del gioco degli scacchi. I vocaboli di questo gioco determinano un sistema di inferenze che dominerà la mia descrizione. La scelta di quel vocabolario farà sì che certi aspetti della battaglia vengano sottolineati e che altri passino in secondo piano. Il vocabolario degli scacchi filtra e trasforma, non seleziona soltanto ma fa emergere alcuni aspetti del combattimento che non sarebbero stati visibili in altro modo (Black, 1983) . Infine, in ambito ermeneutico non è possibile non menzionare la posizione di Paul Ricoeur ( 1 980) che ci porta alla problematicità della distinzione fra denotazione e connotazione . Com'è noto, la distinzione è quella fra il significato proprio del termine ( denotazio­ ne) , ad esempio " leone ", e il significato secondo che si forma a parti­ re da quello (connotazione) , ad esempio " coraggioso " . Secondo l'au­ tore tale distinzione poggia sul pregiudizio positivista che la capacità di denotare appartenga solo al linguaggio scie n tifi co e fuori di esso non potremmo denotare nulla. In realtà secondo Ricoeur, N orthrop Frye ha visto bene quando ha detto che una poesia evoca un valore affettivo e questo è un modo per " radicarsi nella realtà", dunque il referente ritorna ma in maniera diversa. Ricoeur contesta che la lette­ ratura, e il linguaggio me taforico , siano un discorso che non ha denotazioni ma solo connotazioni, questo partendo da una distin­ zione fra denotazione di primo grado e di secondo grado ; al primo 40

livello la denotazione riguarda la frase, al secondo livello le unità s uperiori alla frase . Il discorso letterario, così come la metafora, è appunto quello che dispiega una denotazione di secondo grado e sospende la denotazione di primo grado (i vi, p. 291) . In questa dire­ zione la metafora ha un s uo valore di verità nel senso che essa è comunque esperienza della realtà, un 'esperienza, sostiene Ricoeur, che non oppone più inventare e scoprire e che ridescrive la realtà «attraverso la deviazione rappresentata dalla finzione euristica» (ivi, p. 325) . Dal punto di vista di Ricoeur dunque le figure, e la metafora in particolare, hanno un valore ben maggiore del se m p l ice scarto sin tattico . Inoltre, rispetto alla metafora, il processo di selezione­ sostituzione, che per J akobson costituisce l'essere della metafora, non coglie il carattere di interazione specifico degli enunciati metaforici, viene così «omesso il carattere predicativo della metafora» (ibid. ) . 3.3. Metafo ra e l i ngu istica cogn itiva S i potrebbe affermare che la linguis ti ca cognitiva è il punto terminale di ques to l ungo processo di riflessione sul valore conoscitivo della metafora. Gli studi inaugurati all 'inizio degli anni o ttanta da George Lakoff e Mark Johnson (1998) hanno contribuito a presentare un'alternativa alla concezione formalistica della mente e del significato proprio inter­ pretando la metafora come un fatto del pensiero e non del linguag­ gio. La metafora, in questo senso, viene considerata come un modo per strutturare i concetti che permette di comprendere astrazioni come amore o amtc1z1a . Come sostengono Croft e Cruse ( 2004, p. 194) , la linguistica cogni­ tiva rifiuta l'idea che una metafora stia al posto di una qualche espres­ sione letterale con lo stesso significato . Correttamente essi afferma­ no che le metafore non sono parafrasabili o traducibili. Non si tratta dunque di un 'anomalia semantica, ma del modo di connettere il sistema concettuale astratto con la nostra esperienza e così di costruire una possibile conoscenza. In questa stessa direzione si è mosso, a partire dalla metà degli anni o ttan ta, il lavoro s ulle figure sviluppato all 'interno della retorica generale tes tuale (cfr. Albaladejo, 1989; Arduini, 1993 e 2000) . "

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Un esempio proposto da George Lakoff e Mark Johnson per capire cosa intendono dicendo che la metafora è una questione di concetti è offerto dalla metafora concettuale " La discussione è una guerra" (cfr. Lakoff, Johnson, 1998, p. 22) . Possiamo certamente condivide­ re l'osservazione che tale metafora è presente in molte espressioni comun i . I due autori danno i seguenti esempi, che funzionano perfettamente anche nella traduzione italiana: Le tue richieste sono indifendibili Egli ha attaccato ogni punto debole nella mia argomentazione Le sue critiche hanno colpito nel segno Ho demolito il suo argomento Egli ha distrutto tutti i miei argomenti.

Ciò che occorre sottolineare in questi esempi è che rappresentare l'argomentazione in forma di guerra non è una questione di sole parole, ma comporta una serie di conseguenze per cui nelle discus­ sioni vinciamo o perdiamo, le viviamo cioè in termini di combatti­ mento . Tale metafora, dunque, struttura il nostro comportamento e influenza il modo di discutere. Una metafora come " La discussione è una guerra" è una metafora strutturale, per cui un concetto viene strutturato nei termini di un altro. Dello stesso tipo sono metafore come " Il tempo è denaro " o le tre metafore che strutturano il nostro modo di parlare del linguaggio: " Le idee (o i significati) sono oggetti " ; " Le espressioni linguistiche sono contenitori " ; " La comunicazione è l'atto di spedire qualcosa" . Accanto alle metafore strutturali incontriamo quelle che vengono chiamate metafore di orientamento che strutturano interi sistemi di concetti e che hanno a che fare con l'orientamento spaziale. Con le metafore spaziali, quelle quindi che sono collegate alla nostra posi­ zione nello spazio come " Il passato è alle nostre spalle " , acquista importanza il ruolo del corpo perché esse sono basate sull' esperien­ za corporea e culturale . Scrivono Lakoff e J ohnson (ivi, p. 37) : «Le metafore spaziali sono radicate nell'esperienza fisica e culturale e non sono arbitrariamente stabilite. Una metafora può servire da veicolo 42

per comprendere un concetto solo in virtù del suo fondamento nell'esperienza» . Da questo fatto derivano alcune conseguenze importanti . La prima è che i nostri concetti fondamentali sono strutturati nei termini delle metafore spaziali. Le metafore inoltre hanno una sistematicità inter­ na e una esterna, per cui se " buono " è metaforizzato con "su" anche " contento ", " salute " ecc. saranno " su " . Se l'esperienza fisica offre le basi per la metaforizzazione, ogni cultura poi la svilupperà secondo caratteristiche sue proprie . Infine la struttura metaforica dei concet­ ti centrali di una cultura modellerà i valori di quella cultura in maniera da renderli coerenti. Le metafore di orientamento non sono sufficienti per determinare il quadro dei concetti. Accanto a queste abbiamo le metafore ontologi­ che, che riguardano l'esperienza degli oggetti fisici e delle sostanze che vanno al di là dell'orientamento spaziale (ivi, p. 45) : Comprendere infatti le nostre esperienze in termini di oggetti e di sostanze ci permet­ te di selezionare parti della nostra esperienza e di considerarle come entità discrete o sostanze di tipo uniforme. Una volta che abbiamo identificato le nostre esperienze come entità o sostanze, possiamo riferirei ad esse, categorizzarle, raggrupparle e quantificarle, e in questo modo possiamo riferirei ad esse.

I n questo caso, dunque, le esperienze con oggetti fisici danno la possibilità di s trutturare molti concetti che riguardano eventi, emozioni o attività. Le metafore di questo tipo sono moltissime. Si possono menzionare le metafore di entità e di sostanza, quelle che implicano una concettualizzazione di esperienze come contenitori ( ad esempio va in questo senso l' idea che il campo visivo sia un contenitore) , e le metafore di personificazione. Lakoff e Johnson considerano ad esempio , rispetto al primo tipo, l'insieme di metafo­ re riconducibili alla metafora antologica " La mente è un 'entità" . Collegate a questa troviamo espressioni che ci dicono che la mente è una macchina come " La testa oggi non mi funziona", " Oggi sono un po ' arrugginito " ; espressioni che si riferiscono alla mente come un oggetto fragile, ad esempio " Sto andando a pezzi ", " Ha ceduto sotto 43

interrogatorio " . Tali metafore sono molto comuni e vengono consi­ derate ovvie. Per Lakoff e Jonhson (ivi, p. 49) , «la ragione è che meta­ fore come LA MENTE È UN OGGETTO FRAGILE sono parte integrante del modello che nella nostra cultura noi abbiamo della me n te, ed è sulla base di un tale modello che la maggior parte di noi pensa e agtsce» . Questa concezione h a conseguenze importanti per quanto riguarda il funzionamento del nostro sistema concettuale . L'idea è che nella concettualizzazione noi passiamo da ciò che è più chiaramente deli­ neato a ciò che lo è meno . Così a partire da concetti che emergono direttamente, come su-giù, dentro-fuori, oggetto, sostanza, o a partire da concetti che si costruiscono metaforicamente basandosi sulla nostra esperienza, come il fatto che il campo visivo e l'esperienza siano un contenitore, siamo in grado di costruire concetti più astrat­ ti che permettono di agire nel mondo. In realtà il processo di concettualizzazione non avviene solo in questi termini. Lakoff si richiama, per chiarire questo punto, alla teoria dei pro totipi che abbiamo discusso nel capitolo precedente . Come abbiamo visto, un prototipo è un insieme di proprietà che individua­ no una somiglianza di famiglia. Ad esempio, un concetto come quel­ lo di causalità (ivi, p. 98) si costruisce a partire dal prototipo di mani­ polazione diretta che si basa sulla nostra esperienza; questo nucleo viene poi rielaborato metaforicamen te ( ibid. ) : I l nucleo prototipico del concetto di CA USA L ITÀ, e precisamente la MA N I P O LAZ I O N E D I RETTA, non è un primitivo semantico non ulteriormente scomponibile, ma piutto­ sto una gestalt composta di proprietà che si manifestano naturalmente insieme nella nostra esperienza quotidiana delle manipolazioni dirette.

È importante aggiungere a quanto detto finora che le esperienze a partire dalle quali costruiamo concetti sono sempre esperienze strut­ turate, e questo permette loro di essere coerenti. Ad esempio, se siamo impegnati in una conversazione sappiamo che verranno rispe ttate alcune caratteris tiche, come il fatto che esis tano parti, stadi , turni e partecipanti . Come facciamo a capire che da un a 44

conversazione stiamo passan do a una discussione ? Perché alcuni degli elementi che caratterizzano la struttura " conversazione " tendo­ no a trasformarsi in altri che caratterizzano la struttura dell' esperien­ za " guerra", come la presenza di un conflitto, di strategie di vittoria o di difesa ecc. Proprio in quanto imponiamo la Gesta/t [CONVERSAZIONE] a ciò che sta succedendo, siamo in grado di percepire le azioni di parla­ re e ascoltare come ti p o particolare di esperienza, e precisamente come una conversazione . Quando percepiamo le dimensioni della nostra esperienza come corrispondenti alla Gesta/t [G UERRA] , diveniamo consapevoli che stiamo parte ci p an do a un altro ti p o di esperienza, cioè a una discussione. E in questo modo noi classifichia­ mo esperienze particolari, e abbiamo bisogno di classificare le nostre esperienze per poterle comprendere . L'idea ricorda in parte la nozio­ ne di frame introdotta da Minsky ( 1975) , che l'aveva utilizzata per rappresentare la conoscenza del computer. Un frame , secondo Minsky, è un nucleo centrale di conoscenza che offre tutti i caratte­ ri centrali di una situazione comuni cativa. Torneremo a parlare dell'argomento nei capitoli successivi. Il modello base di Lakoff e Johnson ha avuto diversi sviluppi . Uno dei più interessanti è quello proposto da Grady, Oakley e Coulson ( 1999) i quali, sulla base della nozione di blending di Fauconnier e Turner (199 6) , hanno sostenuto che una metafora probabilmente più che mettere in corrispondenza due domini diversi, tende a mescolarli. Proprio questa mescolanza è l'aspetto vitale (cfr. Grady, Oakley, Coulson, 1999, p. 114) , nel senso che il ris ultato è comun­ que un qualcosa di nuovo che non può essere ri condotto a una letteralità ipotetica. L'idea trae spunto, come si diceva, dalla proposta di Fauconnier e Turner di considerare la metafora come un processo generale della cognizione umana chiamato blending, che combina materiale cogni­ tivo con origini diverse (ma su questo cfr. il già citato Benveniste, 1 9 66; cfr. inoltre Arduini, 2007) . A questo proposito vale la pena illustrare l'idea di blending con un diagramma proposto da Turner ( cfr. F l G 2) •



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Il diagramma presenta quattro spazi, due di essi costituiscono l'in­ put, ad esempio il concetto di coraggio e quello di leone; il materia­ le proveniente da questi due spazi è proiettato in un terzo spazio, per così dire la miscela. Il quarto spazio è costituito da ciò che i due input condividono. Come scrive Turner ( 2007, p. 379) , la struttura nuova può essere generata in tre modi: da una combinazione delle proiezioni dei due input ottenendo relazioni che non esistono negli

FIGURA 2 I l d i a gramma d i Turner

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Fonte: Turner (2007, p. 379 ) .

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