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Italian Pages 148/161 [161] Year 2018
Introduzione alla cultura coreana
Andrea De Benedittis
Introduzione alla cultura coreana Aspetti linguistici, storici e religiosi del Paese del Calmo Mattino
EDITORE ULRICO HOEPLI MILANO
Copyright © Ulrico Hoepli Editore S.p.A. 2018 via Hoepli 5, 20121 Milano (Italy) tel. + 39 02 864871 - fax + 39 02 8052886 e-mail [email protected]
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ISBN 978-88-203-8308-4 Realizzazione editoriale: Exegi S.n.c., Bologna Disegni: Massimo Carelli e Andrea De Benedittis Foto: Chiara Colombini ed Erika Mingoni Copertina: mncg S.r.l., Milano Stampato da L.E.G.O. S.p.A. – Stabilimento di Lavis (TN) Printed in Italy
Indice
PREFAZIONE ...........................................................................................IX INTRODUZIONE Corea capta ferum victorem cepit ................................................................XI 1. LINGUA E SCRITTURA
1.2 La scrittura in Corea .................................................................................5
Indice
1.1 La lingua coreana ......................................................................................1 Lessico del coreano e caratteri cinesi .....................................................5
1.3 La stampa in Corea .................................................................................15 I testi di riferimento nell’educazione del periodo Chosŏn.....................15
V
1.4 Le modalità di rilegatura dei libri ...................................................... 22 2. GEOGRAFIA 2.1 Aspetti generali della penisola coreana ...............................................25 2.2 Le isole .....................................................................................................28 2.3 I fiumi e i monti .......................................................................................29 2.4 Le città .....................................................................................................34 2.4.1 Seoul ...............................................................................................34 I Palazzi reali del regno Chosŏn ............................................................40 Il Palazzo reale, Kyŏngbokkung ............................................................40 2.4.2 P’yŏngyang .....................................................................................44 2.4.3 Kaesŏng ..........................................................................................46 Hwang Chin’i (1506-1560)....................................................................48 2.4.4 Kyŏngju ...........................................................................................48 Sŏkkur’am .............................................................................................50
3. I COREANI 3.1 La flessibilità del popolo coreano .........................................................53 3.2 Ipotesi sull’origine dei coreani ..............................................................57 3.3 I coreani della diaspora ..........................................................................63 Arirang ..................................................................................................65 3.4 I nomi dei coreani ...................................................................................67 Educazione del feto 태교 ......................................................................71 4. STORIA DELLA COREA 4.1 Problematiche generali ..........................................................................73 Prospetto della storia coreana..............................................................74 Fonti non autentiche .............................................................................76
Indice
4.2 Rapporto con la storia cinese ................................................................78 Legame tra la storia cinese e quella coreana .......................................82
VI
4.3 I re .................................................................................................... 84 4.4 Storia e tempo ........................................................................................86 Sezioni di un testo storico basato sulle biografie .................................87 Principali ricorrenze sudcoreane e nordcoreane ..................................88 4.5 Panoramica della preistoria e della storia coreana .............................92 4.5.1 Introduzione...................................................................................92 4.5.2 Paleolitico e Neolitico ...................................................................93 4.5.3 Metallurgia e Protostoria ..............................................................94 4.5.4 Chosŏn antico e Tan’gun ............................................................96 Il mito di Tan’gun...................................................................................96 4.5.5 Periodo dei presidi militari e dei Quattro Regni (108 a.C.-668 d.C.) ......................................................................99 4.5.6 Periodo di Silla Posteriore e di Parhae .......................................101 4.5.7 Periodo di Koryŏ e dei barbari (918-1392) ................................102 4.5.8 Periodo di Chosŏn (1392-1910) .................................................103 4.5.9 Colonizzazione giapponese (1910-1945) ..................................105 4.5.10 Fine della Seconda Guerra Mondiale e Guerra di Corea ......106 Tappe principali della guerra di Corea ................................................107 4.5.11 Il dopoguerra e la Corea del Sud oggi ....................................107
5. RELIGIONI 5.1 Aspetti religiosi della Corea .................................................................111 La religione in Corea del Nord ............................................................114 5.2 Lo Sciamanesimo 무교/샤마니즘 ......................................................115 5.3 Il Taoismo 도교 .....................................................................................117 Ying e Yang, i Cinque Elementi e il Classico dei Mutamenti ............... 118 5.4 La geomanzia 풍수지리학 ............................................................. 121 5.5 Il Confucianesimo 유교 e il Neoconfucianesimo 성리학/주자학 ....124 Le cinque norme .................................................................................125 I riti funerari 제사 ...............................................................................127 L’ Accademia confuciana 성균관 .......................................................129 Gli istituti confuciani del periodo Chosŏn 서원 ..................................132
5.7 Il Buddhismo 불교 ................................................................................135 Appendice Cronologia della Storia della Corea fino al 1953 ........................................139 Bibliografia essenziale ...................................................................................145
Indice
5.6 Il Cristianesimo 기독교, 천주교, 개신교 ..........................................133
VII
Questo testo illustra nozioni di base indispensabili per poter intraprendere con maggiore consapevolezza critica lo studio della cultura della Corea e si rivolge sia ai lettori che hanno già delle basi di conoscenza della civiltà coreana e che intendono meglio contestualizzare le proprie informazioni, sia a coloro che per la prima volta si avvicinano a essa. Si propone, dunque, come una chiave di lettura della cultura coreana nel suo complesso, ma anche come una fonte di spunti per chi voglia approfondirne aspetti specifici. Fu durante il periodo Koryŏ (918-1392) che la Corea fu conosciuta, seppur indirettamente, dai mercanti arabi e dai primi occidentali e dal nome di questa dinastia deriva quello con cui viene ancora chiamata nelle lingue europee. Tuttavia attualmente nella penisola coesistono due Paesi distinti e politicamente autonomi che portano rispettivamente il nome di Han’guk 한국 (‘Corea nel Sud’) e di Chosŏn 조선 (‘Corea nel Nord’) e il termine “Corea” riecheggia nostalgicamente solo al di fuori dei confini nazionali come ad auspicare un’unificazione che tuttavia, dopo oltre settant’anni di separazione, tarda a concretizzarsi. Eppure, al di là delle divergenze ideologiche ed economiche dei due Stati, la cultura risulta fondamentalmente omogenea, e, pertanto, con questa espressione ci riferiremo nel testo alla cultura coreana nel suo complesso. I contenuti di questo volume si basano principalmente su fonti locali, per consentire ai coreani di raccontare direttamente se stessi, senza troppi filtri e interpolazioni, se non ovviamente quelli del giudizio dell’autore. Laddove possibile, si è cercato di riportare nel testo e nelle mappe la trascrizione in alfabeto coreano dei personaggi storici, dei toponimi e dei termini tecnici, per favorire i lettori che hanno già acquisito una certa dimestichezza con esso e con le lingue orientali, e che presumibilmente potranno proseguire lo studio direttamente in lingua originale. Per la latinizzazione si è preferito ricorrere al sistema McCune Reischauer, più adatto ai lettori italofoni.
Prefazione
Prefazione
IX
Vocali
Consonanti
ㅏ a
ㄱ k // g (tra vocali e dopo m, n, ng, l ) ng (prima di m, n, l )
ㅑ ya ㅓ ŏ ㅕ yŏ ㅗ o ㅛ yo ㅜ u
Prefazione
ㄹ r (tra vocali) l (prima di una consonante, dopo n, l e alla fine di parola) n (dopo una consonante)
ㅡ ŭ
ㅁ m ㅂ p // b (tra vocali e dopo m, n, ng, l) // m (prima di m, n, l)
ㅣ i
ㅅ s // t (in posizione di patch’im se seguita da consonante)
ㅐ ae
ㅇ ng ㅈ ch // j (tra vocali o dopo m, n, ng)
ㅠ yu
X
ㄴ n ㄷ t // d (tra vocali o dopo m, n, ng)
ㅒ yae ㅔ e ㅖ ye ㅚ oe ㅟ wi ㅢ ŭi ㅘ wa ㅙ wae ㅝ wŏ ㅞ we
ㅊ ch’ ㅋ k’ ㅌ t’ ㅍ p’ ㅎ h ㄲ kk ㄸ tt ㅃ pp ㅆ ss ㅉ tch
Quadro sinottico essenziale della traslitterazione dell’alfabeto coreano secondo il metodo McCune Reischauer.
Ringrazio la Casa editrice per aver creduto in questo progetto e per il contributo che sta dando alla diffusione della cultura coreana in Italia. Alcuni contenuti di questo testo trovano spunto in mie precedenti pubblicazioni, in particolare in Rappresentare l’aldilà (Mimesis, 2015), La via del guerriero (Cafoscarina, 2016) e nei miei contributi alla rivista “Limes”.
Introduzione
La penisola coreana si colloca geograficamente in una periferia orientale dell’Eurasia – tra la Cina, la Russia e il Giappone – e la sua cultura millenaria è un delicato e originale connubio fra influenze diverse: quelle dell’Asia settentrionale e centrale, innanzitutto, su cui si innestano, a partire dai primi secoli a.C., elementi culturali provenienti dalle civiltà cinese, mongola e mancese. Durante gli oltre trent’anni di dominazione giapponese, essa attinse a piene mani al patrimonio scientifico, artistico, storico e letterario del Giappone e – di pari passo – cominciò a essere suggestionata dalla cultura europea. Oggi è un Paese dove valori di stampo confuciano permangono caparbiamente nella morale comune e si conservano superstizioni fondate sulle pratiche del Taoismo, della geomanzia e dello Sciamanesimo, ma la cui popolazione è libera di credere nel Buddhismo, nel Cristianesimo cattolico o protestante oppure in culti autoctoni (come il credo di Tan’gun, il Taejonggyo 대종교 o quello sincretico del Ch’ŏndoismo 천도교). Ciò può sembrare paradossale, se si considera che agli occhi dei primi occidentali che vi giunsero, apparve come un Paese impenetrabile, una “conchiglia chiusa nell’Oceano Pacifico”, un “Regno eremita”, come la definì efficacemente William Eliot Griffis in un libro di successo pubblicato nel 1894 a New York, Corea, The Hermit Nation. Al contrario, il popolo coreano è allenato sin dall’antichità alle grandi distanze, ai contatti con le civiltà più disparate e ai grandi cambiamenti. Già tra il VI e il VII secolo i coreani potevano viaggiare liberamente ripercorrendo a ritroso la Via della Seta, raggiungendo Chang’an, Samarcanda, le regioni settentrionali della Siberia oppure quelle più meridionali dell’India. Con un atteggiamento talvolta opportunista, talvolta vittimista, ma molto più spesso intraprendente e coraggioso, la Corea ha saputo reagire alle molteplici invasioni subite e ai profondi sconvolgimenti della storia dell’Asia Orientale, cesellando un po’ alla volta una cultura tra le più raffinate del patrimonio mondiale. Essa gravita senza vincoli tra la tradizione e l’innovazione, ‘attinge
Introduzione
Corea capta ferum victorem cepit
XI
Introduzione
dall’antico per creare il nuovo’ (법고창신), come recita un’espressione locale. In pochi decenni, nel secolo scorso, la Corea ha dovuto affannosamente metabolizzare le principali tappe della modernità e dell’industrializzazione, attenta a non disperdere la memoria del proprio passato, ma avida di radicali cambiamenti e sempre disposta a mettersi in discussione. Quello che era conosciuto come il “Paese del calmo mattino” ha ricalibrato la sua fisionomia, assumendo i connotati di un Paese frenetico, tecnologico; a tratti antichissimo, a tratti ultramoderno.
XII
La forza motrice di questo dinamismo è stata probabilmente il senso del “rischio”, innato nel popolo coreano: il timore permanente di essere fagocitato e assimilato dai suoi potenti vicini e di perdere la propria identità, le proprie radici, oppure di finire nel vortice di una grave crisi politica o economica; strumentalizzando questo potenziale “rischio”, si è cercato di instillare nella popolazione un senso di precarietà reale o fittizia che ha aleggiato costantemente all’interno della penisola, esacerbando l’ansia popolare. Le grandi tombe megalitiche costruite a margine dello spazio abitativo – dolmen, piramidi di pietra, mausolei a tumulo – hanno, ad esempio, rappresentato un monito collettivo all’osservazione dei valori su cui era imperniata la società antica e al “rischio” che il loro mancato rispetto avrebbe determinato. Ancora oggi i tunnel scavati dai nordcoreani sotto il 38° parallelo per attaccare Seoul, le pubblicità antispionaggio negli autobus e nella metro, le basi militari nel cuore della capitale, la segnaletica con le indicazioni di evacuazione in caso di guerra, la statua dell’ammiraglio Yi Sunsin 이순신 (1545-1598, a cui si ascrive il merito di aver respinto l’aggressione giapponese nel XVI secolo) di fronte al Palazzo Reale, oppure la propaganda militare in Corea del Nord rammentano a tutti la tragica storia di questa penisola e l’imminenza di un rischio, l’obbligo di appartenere a una comunità in pericolo e di rispettarne stoicamente le rigide regole. Sono state difatti le più grandi invasioni a consentire alla penisola di cementare la propria identità e la propria cultura, di riscoprire se stessa e il proprio destino. Ma queste invasioni avrebbero potuto far vacillare il suo corpo (l’anima terrestre), non di certo il suo spirito (l’anima celeste), come dichiarava profeticamente lo storico Pak Ŭnsik 박은식 (1859-1925) all’indomani dell’annessione della penisola da parte del Giappone. Nessun’arma sarebbe riuscita ad annientare la sua cultura millenaria, la sua lingua, la sua storia e la sua tradizione. La Corea è un territorio in grado di stupire, risorto più volte dalle sue ceneri e in grado di influenzare ancora oggi politicamente, economicamente, ma soprattutto culturalmente, i suoi grandi vicini. Un Paese rapito, ma che ha saputo sempre, a sua volta, rapire i suoi conquistatori.
1
Lingua e scrittura
Stando alle ipotesi linguistiche più accreditate la lingua coreana appartiene – insieme al mancese, al mongolo, alle lingue turche e al giapponese – alla famiglia delle lingue altaiche e si differenzia pertanto dal cinese che rientra, invece, nel gruppo di quelle sinotibetane. L’origine di questa ipotesi coincide con lo studio comparativo di Shiratori che nel 1914 ha compilato una lista di circa seicento vocaboli di varie lingue altaiche che ha poi messo a confronto con i corrispettivi lemmi del coreano. L’ipotesi ha acquisito ulteriore autorevolezza quando, negli anni venti, Ramstedt e Polivanov hanno notato l’esistenza nel coreano di alcuni fenomeni, come l’armonia vocalica, che lo accomunavano a quel gruppo linguistico. In effetti come altre lingue altaiche il coreano: 1) è agglutinante, nella misura in cui a delle radici invariabili si aggiungono dei suffissi verbali (Esempio 1) oppure delle posposizioni enclitiche (Esempio 2), anche chiamate semplicemente “particelle”; Esempio 1. Coniugazione del verbo andare ka- (radice del verbo ‘andare’): ka-mnida (vado), ka-ssŏyo (sono andato), ka-kessŭmnida (andrò), ecc. Esempio 2. Applicazione di postposizioni al sostantivo studente haksaeng (studente): haksaeng-i, haksaeng-ŭl, haksaeng-ege (studente marcato rispettivamente dalle posposizioni del soggetto, del complemento oggetto e del complemento di termine). 2) nell’ordine della frase il verbo si trova per ultimo ed è preceduto dai complementi diretti e indiretti, mentre i “modificanti” (ovvero gli aggettivi, gli avverbi e le forme relative) anticipano i termini cui si riferiscono;
Lingua e scrittura
1.1 La lingua coreana
1
3) non prevede distinzioni di numero e genere e l’uso di articoli, mentre abbonda di ‘espressioni onomatopeiche’ (의성어, 의태어).
Struttura della frase in italiano Io frequento la scuola dove lui ha studiato l’inglese commerciale. Struttura della frase in coreano Io lui commerciale inglese ha studiato (dove) la scuola frequento.
나는 그가 비즈니스 영어를 공부한 학교에 다니고 있다.
Capitolo 1
Esempio di variazione di costrutto di una proposizione in italiano e coreano.
2
Tra le altre lingue di questo gruppo, il giapponese è quella che rivela maggiori analogie con il coreano, anche se i due idiomi non sono ormai reciprocamente più intellegibili se non limitatamente a una porzione di termini di origine cinese. Ciò è determinato sia dalla rapida evoluzione delle lingue, soprattutto a livello fonetico e semantico (anche se molto meno a livello grammaticale), sia dal fatto che il giapponese non sarebbe originariamente legato alla lingua di Silla – che ha portato alla formazione del coreano contemporaneo – ma a quella parlata nel regno di Koguryŏ. Secondo K.M. Lee è possibile recuperare nel Samguk Sagi circa ottanta termini autoctoni della lingua di Koguryŏ che sono simili ai corrispettivi del giapponese: in effetti il forte legame culturale tra il regno coreano e il Sol Levante è suffragato dai reperti archeologici e tra questi in particolare le tombe di Takamatsuzuka e di Kitora nei pressi di Asuka, con struttura e iconografie decorative simili a quelle del regno coreano. La ricostruzione del coreano antico è resa difficile dal fatto che esso è stato scritto fino al XV secolo interamente in caratteri cinesi: per questo
Biblioteca cor. 도서관(圖書館) tosŏgwan giap. としょかん(図書館) toshokan Ambasciata cor. 대사관(大使館) taesagwan giap. たいしかん(大使館) taishikan Casa editrice cor. 출판사(出版社) ch’ulp’ansa giap. しゅっぱんしゃ(出版社) shuppansha Esempi di vocaboli di origine cinese in coreano e giapponese.
Proto Altaico
Proto Altaico Orientale
Proto Mongolo
Proto Altaico Settentrionale e Peninsulare
Proto Tunguso Turco antico, ecc.
Bulgaro antico, ecc.
Mongolo Mancese, Nanay, Evenky, ecc.
Proto Peninsulare e Pelagico Coreano medievale, Giapponese antico, Lingue Ryukyuane, ecc.
Tratto da Miller, R.A.:1971. Japanese and other Altaic Languages. Chicago: University of Chicago Press.
motivo non sappiamo con certezza come venissero letti i caratteri nei vari regni e come sia variata la loro pronuncia nel tempo. Un dato generico, ma piuttosto verosimile, è che sia il coreano che il giapponese deriverebbero da una ramificazione orientale di un gruppo linguistico definibile come “proto-alcaico”. L’ultima grande espansione linguistica conosciuta dall’uomo è stata proprio quella delle lingue altaiche che è cominciata circa 2.300 anni fa e continua ancora oggi sostituendo lingue indeuropee che erano precedentemente parlate in Asia centrale e in Turchia (Cavalli-Sforza, 1996:226). La presenza nel coreano, secondo taluni linguisti, anche di elementi tipici delle lingue uraliche o sinotibetane tradisce la complessità che caratterizza il processo di formazione della lingua e del popolo coreano. Di fatto esistono attualmente soltanto alcune varianti locali o dialettali del “coreano centrale” cui appartiene la ‘parlata’ dell’area di Seoul, considerata ‘coreano standard’ 표준어 in Corea del Sud. Tra queste annoveriamo: 1) il dialetto del P’yŏng’an, 2) il dialetto dello Hamgyŏng, 3) il dialetto delle regioni del Chŏlla,
Lingua e scrittura
Proto Altaico Occidentale
3
1. dialetto del P'yŏng'an
2.
2. dialetto dello Hamgyŏng
1.
3. con il dialetto delle regioni del Ch’ungch’ŏng 4. dialetto delle regioni del Chŏlla 5. dialetto delle regioni del Kyŏngsang
Capitolo 1
3.
5. 4.
4
Mappa delle principali varianti attuali della lingua coreana.
4) il dialetto delle regioni del Ch’ungch’ŏng, 5) il dialetto delle regioni del Kyŏngsang. Questi dialetti si distinguono principalmente per l’inflessione e l’accento, mentre la variante che si differenzia maggiormente è quella della lingua dell’isola di Cheju (originariamente ‘regno di T’amna’ 탐라국), che godette fino almeno al 1402 di un’autonomia culturale e politica notevole rispetto al resto della penisola e che da alcuni linguisti è finanche considerata una lingua a sé stante. La lingua ufficiale della Corea del Nord si differenzia, invece, da quella del Sud non solo nell’inflessione, ma anche nella grammatica, nell’ortografia e nel lessico che si è moderatamente diversificato in seguito alla separazione delle due Coree, tanto che paradossalmente sono previsti dei corsi di ‘sudcoreano’ per i profughi nordcoreani 탈북자 che approdano al Sud.
Il lessico del coreano deriva per oltre il 60% da vocaboli di origine cinese 한자어, che sono pertanto trascrivibili in caratteri, mentre una sua porzione più ridotta consiste, invece, in termini importati da altre lingue moderne e principalmente dall’inglese. Attualmente i caratteri cinesi non vengono affatto utilizzati nelle pubblicazioni e nei siti nordcoreani e solo marginalmente appaiono nei giornali o nei romanzi redatti in Corea del Sud, spesso preceduti dalla loro trascrizione in alfabeto. L’uso dei caratteri si fa più diffuso solo in testi specialistici, principalmente nel campo umanistico. Aspramente criticato ed estromesso infine dal sistema educativo al tempo della Terza Repubblica (1968-72), l’apprendimento dei caratteri è stato infine reintegrato nel sistema scolastico sudcoreano, anche in considerazione del gran numero di turisti, giapponesi prima e cinesi ora, che arrivano in vacanza a Seoul soprattutto dopo la riapertura dei rapporti con la Repubblica Popolare negli anni ’90. Nel solo 2016 su un totale di diciassette milioni di visitatori stranieri circa nove erano di nazionalità cinese.
1.2 La scrittura in Corea In Asia Orientale, la scrittura si è caricata sin dalle origini di sfumature religiose e virtù esoteriche e ha assunto un fascino straordinario, giocando un ruolo estetico di grande spicco. Poiché con gli stessi strumenti – inchiostro e pennello – era possibile comporre una poesia o dipingere un paesaggio, nelle pitture tradizionali i componimenti poetici sfociavano in rappresentazioni pittoriche e, anche se posta a margine, la scrittura era parte integrante della pittura stessa. ‘Nella poesia c’è pittura, nella pittura c’è poesia’ (詩中有 畵, 畵中有詩), commentava nell’XI secolo Su Shi riferendosi alle opere di Wang Wei, poeta di epoca Tang, in quanto esse rappresentavano due elementi inscindibili di una stessa produzione grafica. Questa tendenza è evidente in Corea sin dalle tappe più antiche del suo percorso artistico, come dimostra il fatto che già alcune pitture parietali del regno di Koguryŏ erano corredate di epitaffi in inchiostro. Questa abitudine avrebbe portato molto più tardi all’ideazione di un genere tra i più apprezzati della pittura popolare coreana 민화, che elaborava virtuosismi decorativi intorno a un singolo carattere cinese particolarmente pregno di significato o di buon auspicio (ad esempio quello di ‘devozione filiale’ 孝효, ‘lealtà’ 忠충, ‘fortuna’ 福복, ‘lunga vita’ 壽수).
Lingua e scrittura
Lessico del coreano e caratteri cinesi
5
Capitolo 1 6
Esempio di pittura popolare, rappresentazione del carattere di devozione filiale 효 (Wikimedia Commons).
Gli studiosi coreani hanno tradizionalmente adoperato i caratteri cinesi per la redazione di testi scritti adattandoli con vari sistemi (hyangch’al 향찰, idu 이두, kugyŏl 구결) alla grammatica, alla semantica e alla fonetica del coreano, una lingua polisillabica, agglutinante e quindi con molti suffissi. Non ci sorprende se i metodi applicati si sono rivelati analoghi a quelli adoperati nei primi poemi giapponesi del Man’yōshu, dal momento che le strutture sintattiche del giapponese sono assai simili a quelle del coreano e hanno indotto evidentemente a simili intuizioni linguistiche necessarie per ovviare alle incompatibilità del sistema di scrittura cinese. A partire, però, dal 1443, nel corso del regno di Sejong 세종왕, re e illustre mecenate del periodo Chosŏn, la Corea si è dotata di un sistema alfabetico, inizialmente definito con l’espressione hunmin chŏng’ŭm 훈민정음 (‘suoni corretti per istruire il popolo’) che dava anche il titolo al testo della sua promulgazione. Esso era corredato da un libro esegetico, lo Hunmin chŏng’ŭm haerye (Spiegazioni ed esempi dei ‘suoni corretti per istruire il popolo’), rinvenuto solo nel 1940, che illustrava più nel dettaglio i principi alla base della creazione del nuovo sistema di scrittura. Vi si scopre, ad esempio, che i gra-
femi delle consonanti furono ispirati dagli elementi dell’apparato fonatorio più legati alla pronuncia di quel determinato suono e che essi furono associati a loro volta a uno dei cinque elementi; invece le vocali furono costruite sulla combinazione dei tre elementi cardine della cosmologia confuciana che costituiscono il mondo (i sancai, ovvero ‘cielo, uomo e terra’). Questa scrittura fu peraltro concepita in blocchi sillabici che potevano essere disposti sia orizzontalmente che verticalmente e che si armonizzavano con i caratteri cinesi nel caso di frasi promiscue. Al momento della sua invenzione, l’alfabeto consisteva di ventotto lettere, ridotte poi a ventiquattro come conseguenza del disuso di alcuni suoni della lingua. Esso è oggi meglio conosciuto con il nome di han’gŭl (traducibile come ‘scrittura coreana’ oppure come ‘grandiosa scrittura’), attribuitogli nel 1910 dal linguista Chu Sigyŏng 주시경 (1876-1914). Ricordiamo che lo stesso alfabeto è diversamente noto in Corea del Nord con il nome di chosŏn’gŭl 조선글 (‘scrittura di Chosŏn’) o semplicemente di uri kŭlja 우 리 글자 (‘scrittura nostra’). Esso fu tuttavia originariamente additato dagli studiosi locali come una forma di ‘scrittura volgare’ 언문, rispetto al cinese, la lingua dotta, e non mancarono forme di protesta e ribellioni da parte dei funzionari coreani contro la sua promulgazione (egualmente anche i sil-
Lingua e scrittura
Statua di re Sejong a Kwanghwamun (foto di Chiara Colombini).
7
labari giapponesi sono tutt’oggi ricordati come kana 假名, ovvero ‘scrittura falsa’, in contrasto con quella in caratteri cinesi definita ‘scrittura vera’, mana 眞名). A partire, però, dal XVIII secolo, romanzi, componimenti poetici e diari redatti in alfabeto coreano cominciarono a godere di un certo consenso da parte delle donne di corte e del popolo e permisero il proliferare di una cultura puro-coreana, che ispirò la popolazione angariata da ingiustizie e vessazioni. Fuoco
Capitolo 1
Lingua ㄴ ㄷ ㅌ
8
Legno
Terra
Metallo
Denti posteriori
Labbra
Denti anteriori
ㄱ ㅋ
ㅁ ㅂ ㅍ
ㅅ ㅈ ㅊ ㅿ
Acqua Gola ㅇㆆㅎ
Corrispondenza tra consonanti e cinque elementi.
Sorprende senz’altro il vistoso ritardo rispetto al Giappone, dove la scrittura cinese era giunta tramite i coreani stessi e dove, però, sin dal IX secolo furono ideati due sillabari, i kana, tuttora in uso. Sicuramente la struttura più semplice della sillaba giapponese costituita in stragrande maggioranza da coppie consonante/vocale agevolò la più precoce intuizione di un sistema di scrittura locale, ma ciò non giustifica del tutto l’assenza di un’alternativa locale al cinese. Nella storia dell’uomo gli alfabeti si sono generalmente diffusi spostandosi da una regione all’altra in risposta a conquiste militari, a scambi religiosi o commerciali. Eppure, nel caso della Corea, eccezionalmente, la creazione di un alfabeto rispose a una volontà esplicita di riforma linguistica. Nei testi ufficiali si riporta che tale volontà era dettata dall’esigenza di garantire al popolo analfabeta un sistema di scrittura più pratico e semplice da apprendere e che meglio si confacesse alla morfologia e alla fonetica della sua lingua. I suoni della lingua coreana sono differenti da quelli del cinese e quindi non comunicabili attraverso l’uso dei caratteri cinesi. Per questo in tanti,
pur volendolo, non riescono a mettere per iscritto i loro sentimenti. Per risolvere questo inconveniente, ho realizzato ventotto lettere e desidero fare in modo che le persone le imparino con facilità e le utilizzino nella loro vita quotidiana. 國之語音 異乎中國 與文字不相流通 故愚民 有所欲言 而終不得伸 其情者多矣 予爲此憫然 新制二十八字 欲使人人易習便於日用'耳' (tratto dall’incipit dello Hunmin chŏng’ŭm)
1. I linguisti coreani furono influenzati e affascinati da altri alfabeti al tempo in uso in varie regioni dell’Asia. D’altronde, prima della fondazione della dinastia Chosŏn (1592-1910), il regno Koryŏ (918-1392) era stato per circa un secolo un protettorato dell’Impero mongolo e lo studio della sua lingua si era diffuso molto tra i ceti alti della popolazione coreana, tanto che il suo apprendimento era diventato quasi una conditio sine qua non per poter accedere alla carriera politica nell’Impero. Cho Ingyu 조인규 (1237-1308), poeta e funzionario del tempo, si chiuse in casa per tre anni consecutivi per poterla apprendere, tanto che fu persino insignito della carica di interprete ufficiale. Molti uomini e donne di Koryŏ, volontariamente o meno, si spostavano nel territorio dell’Impero e inevitabilmente venivano in contatto con questa lingua: si tramanda che nella sola invasione mongola del 1254 oltre 200.000 di loro furono deportati a Pechino. Su otto re coreani, tra il 1275 e il 1375, ben cinque ebbero spose mongole; molti di loro portavano nomi mongoli e venivano istruiti nella capitale Yuan prima di ritornare in patria e salire al trono. I documenti ufficiali, redatti in ‘Phags-pa 파 스파 문자 probabilmente non furono distrutti dopo la caduta dell’Impero, ma affollarono gli archivi reali anche durante il periodo Chosŏn, al tempo del re Sejong. Il mongolo continuò a essere studiato fino al XV secolo e lo aveva appreso anche il poliglotta Sin Sukchu 신숙주 (1417-1475), uno degli ideatori dello hŭnmin chŏng’ŭm, insieme al cinese Sukju, al giapponese e alla lingua degli Jurchen. Esso era originariamente scritto con la scrittura uigura, che risultava particolarmente aggraziata da un punto di vista estetico, ma poco idonea ai fini pratici. Per questo motivo e su ordine di Khubilai Khan, fu successivamente creato dal monaco omonimo l’alfabeto ‘phags-pa, liberamente ispirato a quello tibetano. Alcuni suoi grafemi assomigliano molto a quelli del coreano, in particolare quelli evidenziati nell’immagine.
Lingua e scrittura
Eppure dietro questa visione populista si insinua l’ipotesi di altre motivazioni alla base di questa scelta certamente di natura culturale, ma venata anche di sfumature politiche e ideologiche.
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Capitolo 1
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10 ‘Phags-pa: in evidenza i grafemi che somigliano a lettere dello han’gŭl (riportate a margine in grigio)
Senz’altro i coreani non furono insensibili al fascino del sanscrito, tanto che alcuni visitatori occidentali del XIX secolo avevano già ipotizzato una sua influenza sullo hunmin chŏng’ŭm. Oltre alla scrittura devanāgarī – un adattamento indiano di un alfabeto semitico, penetrato in India attraverso la Mesopotamia – il sanscrito era scritto anche in altri alfabeti come il siddhaṃ, utilizzato dai buddhisti dell’Asia Orientale nella compilazione di testi religiosi e di preghiera. I re coreani erano certamente al corrente della sua esistenza dal momento che esso impreziosiva la soffittatura della sala delle udienze del Palazzo Reale. 2. Un altro importante fattore da tenere in considerazione è il grande sviluppo dell’editoria del tempo. L’invenzione dei caratteri mobili nel 1234 aveva innescato un’espansione del settore che vide il suo apogeo proprio attorno al XV secolo, grazie alle ingenti risorse destinate alla cultura da sovrani illuminati come Sejong.
Un albero con radici profonde non vacilla al vento, ma porta bei fiori e frutti abbondanti. Un’acqua di sorgente profonda non si secca nella stagione arida, ma forma un ruscello e sfocia nel mare. 불휘기픈남ᄀᆞᆫᄇᆞᄅᆞ매아니뮐ᄊᆡ。곶됴코여름하ᄂᆞ니 ᄉᆡ미기픈므른ᄀᆞᄆᆞ래아니그츨ᄊᆡ。내히이러바ᄅᆞ래가 ᄂᆞ니 (tratto dal Canto dei draghi che volano al Cielo) 3. Un’ulteriore motivazione è, invece, di carattere politico: il regno Chosŏn era tributario della dinastia Ming, bacino culturale indispensabile per lo sviluppo del regno, la cui ingerenza, però, indispettiva ciclicamente la dinastia coreana. L’Impero accettò inizialmente di mal grado la salita al potere di un membro della famiglia Yi, i cui antenati erano considerati collaborazionisti mongoli e troppo vicini ai nemici nüzhen. Questo rapporto conflittuale, di apparente sudditanza ma di recondita insofferenza, traspare già prima del periodo Chosŏn; ad esempio, nel celebre documento ‘Le dieci ingiunzioni’ hun’yo sipjo 훈요십조, il testamento politico del fondatore della dinastia Koryŏ, si legge: Sin dai tempi antichi, la Corea ha imitato i costumi dei Tang [Cina] e ha seguito nella cultura, nei riti e nella musica il suo sistema. Tuttavia il nostro regno è diverso e anche il temperamento della sua gente è differente, dunque non è affatto necessario conformarsi a tutti i costi alla Cina. 惟我東方, 舊慕唐風, 文物禮樂, 悉遵其制, 殊方異土, 人性各異, 不 必苟同. (tratto da Le dieci ingiunzioni)
Lingua e scrittura
I testi divennero più economici e di più ampia fruizione e si determinò l’esigenza di espandere la cerchia di lettori di tali prodotti editoriali. Istruire il popolo significava non solo dare sfogo al potenziale del mercato librario della penisola, ma anche poter instillare in esso quei valori morali e ideologici che propugnava la corte e legittimare la linea di potere reale. Non a caso, uno dei primi testi in alfabeto che entrò in circolazione fu il Samgang haengsildo 삼강 행실도 (‘Guida illustrata alle tre virtù’), un manuale illustrato che, attraverso semplici parabole, forniva al popolo dei modelli comportamentali cui attenersi: in particolare si instillava il dovere di lealtà 忠 nei confronti del sovrano. Nella stessa ottica, nel 1447, fu tradotto in alfabeto il Canto dei draghi che volano al Cielo 용비어천가, un componimento propagandistico che esaltava le origini degli antenati reali della giovane dinastia Chosŏn, dando particolare enfasi alle gesta del suo grande fondatore Yi Sŏnggye 이성계 (1335-1408).
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X-XI sec. Scriura Uigura an ca
VIII sec. Scriura Göktürk
X sec. XIII sec. Scriura tanguta Alfabeto 'Phags-pa
Capitolo 1 12
VII-VIII sec. Alfabeto betano
དབུ་ཅན་
X sec. Alfabeto devanagari
देवनागरी
Mappa con l’indicazione dei principali alfabeti in uso in territori vicini alla penisola coreana.
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西夏文
XIII sec. Scriura mongola
漢字
ᡥᡝᡵᡤᡝᠨ ᠮᠠᠨᠵᡠ
Scri ura Han
XV sec. Alfabeto coreano
훈민정음
Hiragana e Katakana ひらがな・カタカナ
Lingua e scrittura
ᠪᠢᠴᠢᠭ ᠮᠣᠩᠭᠣᠯ X sec. Scriura Khitan 契丹大字
XVI sec. Alfabeto mancese
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XIII sec. Chữ Nôm XIII sec. Alfabeto Thai
อักษรไทย
Capitolo 1 14
L’alfabeto serviva a reclamare l’autonomia identitaria e di conseguenza anche politica del regno coreano; serviva in sostanza a spezzare quell’atavico vincolo culturale con l’Impero Celeste. I documenti redatti in alfabeto divenivano indecifrabili per i cinesi, consentendo ai coreani stessi una maggiore segretezza nella gestione dei propri affari politici, che preconizzava, insomma, un distacco dalla Cina, paradossalmente proprio negli anni in cui a livello formale l’intesa diplomatica tra Ming e Chosŏn era quanto mai forte. Dalla fine del XIX secolo e soprattutto durante gli anni della dominazione giapponese, l’alfabeto coreano fu visto come un motivo di rivalsa del popolo coreano. Su influenza delle teorie di separatismo culturale del Datsu-A Ron, di Fukuzawa Yukichi, trapiantate nella penisola dai primi modernisti coreani che avevano studiato in Giappone, esso fu rivalutato proprio per sancire la conquista definitiva dell’indipendenza dalla Cina, uno strumento distintivo di autodeterminazione del popolo coreano e di apertura ai nuovi valori della modernità. In han’gŭl fu completamente pubblicato il ‘Giornale dell’Indipendenza’ tongnip sinmun 독립신문, fondato nel 1894 da Sŏ Chaep’il 서재필 (1864-1951), che rivendicava appunto l’autonomia politica dall’Impero Qing. Se mai il popolo conoscesse le questioni del governo e il governo conoscesse le questioni del popolo, non sarebbe questo profittevole per entrambi? Noi non pubblichiamo di certo questo giornale per fini di lucro, ma abbiamo fatto in modo di ridurne il costo e lo scriviamo in volgare perché uomini e donne, del ceto più alto o di quello più basso, possano tutti leggerlo. 만일 백성이 정부 일을 자세히 알고, 정부에서 백성의 일을 자세히 아시면 피차에 유익한 일이 많이 있을 터이요. 우리가 이 신문 출판하기는 취리하려는 게 아닌고로, 값을 헐하도록 하였고, 모두 언문으로 쓰기는 남녀 상하 귀천이 모두 보게 함이요. (tratto dal primo numero del Giornale dell’indipendenza) Poi, durante gli anni della colonizzazione giapponese, esso fu ulteriormente rivalutato come elemento di resistenza del popolo coreano e dal 1926 a oggi si celebra il 9 ottobre una ricorrenza in onore dello han’gŭl, simbolo per antonomasia della cultura coreana stessa. Il re Sejong, cui esso si ascrive, è rappresentato al centro della strada più centrale di Seoul – di fronte al Palazzo reale come massimo portavoce, in Corea del Sud, di tutta la civiltà coreana.
1.3 La stampa in Corea
Conosciuta oggi come hanji 한지 (Chosŏn chong’i 조선종이 in nordcoreano), la resistente carta tradizionale è stata adoperata in passato anche per rivestire porte e finestre al posto del vetro, per creare unici e diversificati prodotti di artigianato e perfino per produrre accessori di vestiario, vasi e mobili. Questa grande attenzione dei coreani verso la stampa è una naturale conseguenza della loro devozione verso lo studio. Ancora oggi il sistema educativo coreano è riconosciuto come il più efficiente al mondo dopo quello finlandese. Lo studio è stato lo strumento che ha tradizionalmente consentito alla classe dirigente di legittimare e perpetuare il proprio potere e di dinstiguersi dal resto della popolazione. Nel passato, infatti, la conditio sine qua non per poter accedere a una carica politica in Corea era il superamento di complessi esami di Stato 과거, che prevedevano varie prove basate principalmente sulla memorizzazione e interpretazione dei Classici confuciani.
I testi di riferimento nell’educazione del periodo Chosŏn Il percorso di studio in Corea iniziava solitamente con il Testo dei Mille Caratteri 천자문 scritto in Cina, su incarico dell’imperatore Wu dei Liang, da Zhou Xingsi (470-521), che – si racconta – si impegnò talmente tanto nella stesura dell’opera da ritrovarsi, quando l’ebbe completata, con tutti i capelli bianchi: da questo avvenimento deriverebbe il soprannome dell’opera Testo dei capelli bianchi 백수문. Come suggerisce il titolo, si tratta di una lista di mille caratteri di base che dovevano essere mandati a memoria, prima di poter accedere alla lettura di libri più complessi: tra cui, ad esempio, quello redatto da Pak Semun 박세문 (14871554) Esercizi preliminari per bambini illetterati 동몽선습, un sussidiario destinato ai più piccoli che introduce con frasi elementari ai precetti
Lingua e scrittura
La Corea vanta una lunga tradizione nella produzione di accessori di cancelleria (i cosiddetti ‘quattro amici’ 문방사우, ovvero il ‘pennello’ 붓, la ‘carta’ 종이, l’‘inchiostro’ 먹 e la ‘pietra da inchiostro’ 벼루) rinvenuti nelle più antiche tombe di epoca storica. Inventata in Cina, la carta raggiunse ben presto la penisola coreana e le maestranze locali riuscirono a produrre con la fibra dell’albero di gelso esemplari tra i più pregiati, duraturi e, quindi, richiesti di tutta l’Asia Orientale.
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Capitolo 1
del Neoconfucianesimo. Questa prima fase dell’apprendimento era propedeutica allo studio dei Quattro Libri 사서 (Il grande studio 대학, Il giusto mezzo 중용, I Dialoghi 논어 e Il Mencio 맹자), nelle versioni revisionate e chiosate da Zhu Xi (1130-1200), filosofo di epoca Song, e dei Tre Classici 삼경 (Classico dei Versi 시경, Classico dei documenti 서경, Classico dei Mutamenti 주역) attribuiti a Confucio. Si trattava di una raccolta di sette titoli considerati imprescindibili nell’educazione neoconfuciana e su cui si formarono i funzionari del periodo Chosŏn. Se si considera che oltre al testo in cinese classico molte delle edizioni del tempo riportavano chiose e commenti esegetici (sia in cinese che in alfabeto), queste opere ammontavano complessivamente a ben ottanta volumi: un carico davvero non indifferente di nozioni e precetti da leggere, studiare e mandare a memoria.
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Anche i sovrani dedicavano quotidianamente del tempo alla lettura e allo studio e, alla loro morte, venivano tumulati insieme ai testi di Confucio perché potessero proseguire la loro educazione anche nell’aldilà. Il nome stesso di Confucio, Kongbuja 공부자/孔夫子, riecheggia d’altronde nel termine stesso di ‘studio’, in coreano kongbu 공부/工夫 (differente dal cinese “xuexi” e dal giapponese “benkyō”), e i suoi Dialoghi 논어 iniziano proprio con la celebre riflessione secondo cui l’apprendimento è il massimo piacere nella vita di un uomo. Studiare e poi di tanto in tanto esercitarsi in quello che si è studiato, quale fonte maggiore di piacere è mai questa? 學而時習之 不亦說乎. Nell’VIII secolo d.C. la storia della tipografia coreana compì la sua epocale evoluzione grazie alla realizzazione delle prime matrici in legno con cui sarebbe stato possibile replicare su più copie la stampa di una stessa opera. La più antica testimonianza al mondo di un prodotto editoriale ottenuto con questa tecnica (risalente a circa il 704 d.C.) è proprio quella rinvenuta in Corea nell’antica capitale Kyŏngju: si tratta del Grande dhāranī sutra della pura luce 무구정광대다라니경, riportato casualmente alla luce nel 1966 all’interno della pagoda in legno del Pulguksa 불국사, durante i lavori di manutenzione. Tra tutti le opere in matrici in legno la più pregevole in assoluto prodotta nella penisola è il Tripitaka Coreana (‘Tre Canestri’, una raccolta di scritture buddhiste) conosciuto anche col nome di Ottantamila Tripitaka 팔만대 장경, con riferimento alle 81.258 matrici di cui si compone. I primi sermoni
di Buddha sono citati in varie raccolte, tuttavia l’unico testo originario che è arrivato ai nostri giorni è un canone in pali (una lingua volgare simile al sanscrito) redatto intorno alla metà del I secolo a.C. e diviso appunto in “tre canestri” (da cui deriva il termine “tri pitaka”): i discorsi di Buddha, la regola monastica (le norme che disciplinano la vita monastica) e i trattati scolastici (una raccolta di chiose un po’ più tarda).
La creazione di matrici in legno richiedeva, però, un lungo processo di fabbricazione e un estenuante lavoro di équipe, tanto che si cominciò a guardare a eventuali alternative più rapide e pratiche: quella che si rivelò risolutiva fu suggerita dalla tecnica per l’impressione di immagini e motivi sulle monete in metallo, già in uso a partire dal 996. Sfruttando questa tecnologia, nel 1234 i coreani coniarono per la prima volta al mondo dei caratteri mobili in metallo 금속활자 con cui stamparono il primo testo nel suo genere, Esempi di retta condotta antichi e moderni 상정고금예문, che, però, sfortunatamente non ci è pervenuto. Siamo, invece, in possesso dell’Antologia dei grandi monaci buddhisti 직지심체요절 (comunemente conosciuta nell’abbreviazione Chikji 직지), stampata nel 1377, che anticipa di settantotto anni la Bibbia di Gutenberg; purtroppo l’unico volume del testo conservato è stato trafugato dai francesi nel 1866 e si trova attualmente nella Biblioteca Nazionale di Francia. Nel periodo Koryŏ erano principalmente i templi a occuparsi della produzione di libri e della loro distribuzione, così come della coniazione dei caratteri in metallo, ma a partire dal periodo Chosŏn fu la corte reale che si assunse il compito di realizzare e far circolare i testi, soprattutto all’interno dei ceti più alti della popolazione. Malgrado la rivoluzione editoriale del periodo precedente, i processi di stampa rimanevano assai dispendiosi e l’accesso ai libri era ancora un fenomeno di nicchia: spesso erano il re o persone particolarmente facoltose che ne ordinavano la stampa e, all’occorrere, donavano le copie, mentre il fenomeno della compravendita era ancora molto circoscritto e fuori dalla portata dei ceti medio bassi. Erano almeno centocin-
Lingua e scrittura
Si tramanda che la realizzazione della copia coreana in matrici fu avviata e ultimata durante l’invasione mongola, nel 1251, come atto di devozione dei monaci per scongiurare la salvezza del regno dagli attacchi nemici. Realizzato originariamente nell’isola di Kanghwa, esso fu poi successivamente trasferito in un edificio del tempio Haein 해인사, dov’è attualmente custodito. Si tratta del più completo e meglio conservato prodotto di questo genere e perciò è stato iscritto nel 2007 nella Lista del Patrimonio culturale UNESCO.
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Capitolo 1
quanta gli addetti alla tipografia di Stato 주자소 e il loro lavoro era di grande responsabilità al punto che venivano puniti con trenta bastonate per ogni refuso presente in un volume stampato, alla stregua di veri e propri criminali. All’interno della tipografia venivano prodotte tipologie di caratteri diversi che rispettavano le mode editoriali dei vari periodi, così dallo stile calligrafico è possibile desumere con buona approssimazione il periodo di stampa di un determinato prodotto editoriale. Alla fine del Settecento i caratteri disponibili arrivarono a ben trecentomila, consentendo un’ampia e diversificata produzione libraria.
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È ormai sterminato il numero di font utilizzati in ambiente informatico in Corea, ma quello più comune rimane il batangChe 바탕체, che imita uno stile calligrafico ed è stato disegnato dalla Moris Design nel 1999. Lo stile editoriale nordcoreano è facilmente riconoscibile da quello del sud, dal momento che preferisce spesso il carattere ch’ŏngbongCh’e 청봉체, il quale replica la grafia di una lettera scritta di suo pugno e a pennello da Kim Ilsŏng, durante la resistenza antinipponica.
Il traguardo più alto raggiunto dall’arte tipografica coreana sono senza dubbio gli Annali della dinastia Chosŏn 조선왕조실록, un’opera storica immensa che riporta nei minimi dettagli, con cura certosina e in ordine cronologico, le attività svolte da venticinque sovrani. Abbraccia ben 472 anni di storia e con i suoi 1893 volumi è l’opera più estesa mai prodotta dall’uomo. Essa contiene anche utili riferimenti a geografia, astronomia, cataclismi così come a tradizioni e costumi, crimini, ribellioni popolari, che ci aiutano a ricostruire capillarmente la storia del tempo. Per consentire ai funzionari deputati alla realizzazione dell’opera di svolgere serenamente e con obiettività il lavoro redazionale, veniva loro conferita una sorta di immunità giudiziaria e ai re in carica era proibita la consultazione degli annali in corso, che venivano resi pubblici solo alla fine del loro mandato. Per evitare inoltre che durante una calamità l’opera venisse danneggiata o distrutta, essa veniva stampata in quattro copie di cui una conservata nella Sala delle Primavere e degli Autunni della capitale, le altre dislocate in tre archivi storici, ubicati in tre località diverse di periferia. Altra opera di grande rilevanza, che riscosse successo persino in Cina e in Giappone, è il Tesoro medico della Corea 동의보감, pubblicato nel 1613 da Hŏ Chun 허준 (1539-1615) – il medico coreano più celebre di tutti i tempi – e riconosciuto come patrimonio librario dell’umanità dall’UNESCO
Lo spirito dell’universo si trasforma nella forma di tutte le creature: lo spirito del padre diventa l’anima celeste, quello della madre diventa l’anima terrestre. Il primo mese il feto è come un panetto di caglio, ma nel secondo mese diventa come una susina. Nel terzo acquisisce una forma e nel quarto si decide il sesso. Nel quinto mese si formano muscoli e ossa. Nel sesto appaiono i capelli e nel settimo la sua anima celeste gioca e comincia a muovere la mano destra. Nell’ottavo la sua anima terrestre gioca e comincia a muovere la mano sinistra. Nel nono mese ruota tre volte il corpo e nel decimo mese, quando la forma è ormai completa, mamma e figlio si distaccano. Se la luna sarà piena il bimbo sarà ricco e vivrà a lungo, in caso contrario sarà povero e morirà presto. (Tesoro medico della Corea, Medicina interna, v. 1) Hŏ Chun era diventato famoso già nel 1569 per aver curato la moglie di un prestigioso funzionario della capitale, ma la sua fama lievitò enormemente dopo che ebbe salvato la vita di due principi, curato la consorte reale Kong dalla paralisi di Bell e accudito il re Sŏnjo stesso, durante il suo periodo di fuga a Ŭiju, nel corso dell’invasione giapponese. Quando, però, nel 1607 le condizioni di salute del re si aggravarono e l’anno successivo passò a miglior vita, il medico fu accusato di avergli somministrato una cura sbagliata e fu condannato all’esilio per il resto dei suoi giorni. Per ironia della sorte la sua tomba, quella della moglie e della madre si trovano attualmente nell’area demilitarizzata e, per rispetto al suo valore di medico, sono state faticosamente restaurate nel 1991. Il primo libro del Tesoro medico della Corea si apre con una celebre sezione del corpo umano. Esso viene rappresentato come una proiezione in piccolo del cosmo che, in dimensioni ridotte, replica le stesse leggi che sottendono al funzionamento dell’universo: la testa che corrisponde al cielo e il tronco del
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nel 2009. Si tratta di un testo di pratica consultazione, elaborato in maniera estremamente sistematica, che fa corrispondere a ogni malanno contemplato uno specifico trattamento. Tra l’altro fu compilato alla fine dell’invasione giapponese del XVI secolo, quando le condizioni igienico-sanitarie e la diffusione di malattie infettive quali la lebbra rendevano quanto mai impellente la ricerca in campo medico. In buona parte i suoi contenuti consistono in citazioni estrapolate dai più autorevoli testi di medicina reperibili al tempo, assemblati con pazienza dall’autore in un unico prodotto editoriale, che gli costò ben quindici anni di lavoro. Ecco come viene descritto il processo della nascita all’interno dell’opera.
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Capitolo 1 20
Tavola del corpo umano tratta dal Tesoro medico della Corea.
corpo che rappresenta la terra sono collegati da una catena, che è la colonna vertebrale. A differenza di altri analoghi testi di medicina, in questo la testa viene rappresentata come una parte integrante del corpo: per Hŏ Chun, infatti, il cervello, denominato ‘mare cerebrale’, è il ricettacolo della ‘vitalità’ 정/精, che è la quintessenza della vita. Tale vitalità è un elemento primo nel funzionamento del corpo; se scarseggia infatti proviamo vertigini e il corpo si espone facilmente ai malanni; dalla testa scorre giù lungo la colonna e, attraverso il rene, irrora di energia ki 기/氣 gli organi interni. La quantità di vitalità e di energia di cui dispone un corpo viene già definita al momento del concepimento, ma è possibile aumentarne le dosi attraverso la terra, ovvero il frumento 곡식, e il cielo, ovvero il ‘respiro’ 호흡 (il carattere di ‘energia’ 氣 è appunto formato da una parte che rappresenta il ‘fiato’ 气 e da una che rappresenta il ‘frumento’ 米). Il respiro è in sé la vita stessa, che inizia quando il feto si stacca dal grembo materno e continua ininterrottamente fino al decesso dell’individuo. La circolazione corretta dell’energia all’interno del nostro corpo consente di avere un corpo sano e di prevenire le malattie, al contrario in caso di malanni è necessario ripristinare la sua corretta circolazione. Da questa energia dipende anche un
Altri ammirevoli prodotti editoriali del tempo sono i protocolli reali della dinastia Chosŏn, conosciuti comunemente col termine ŭigwe 의궤. Tutti quelli che appartengono alla prima fase della dinastia sono andati distrutti durante l’invasione giapponese del XVI secolo e la vasta collezione esistente di 3895 libri risale interamente alle fasi più tarde del periodo. Alcuni di essi sono di fattura assai recente, come il protocollo dei funerali di Sunjong (ultimo imperatore coreano, morto nel 1926) e quello della deposizione della sua tavoletta ancestrale nel 1929, al termine dei tre anni di lutto. La parte più significativa della collezione è conservata presso la Libreria Reale 규장각, oggi ospitata all’interno dell’Università Nazionale di Seoul, ma molti altri ŭigwe si trovano in Francia e in Giappone. Questi protocolli consistono generalmente in una raccolta di registri che ricostruiscono minuziosamente le fasi di preparazione di eventi pubblici di rilievo – come matrimoni reali, funerali, sacrifici, banchetti – oppure lavori edilizi – come la costruzione e riparazione di palazzi o di fortezze militari. Probabilmente essi servivano per monitorare le fasi di organizzazione di un evento o di un cantiere – per riuscire a individuare i responsabili in caso di inconvenienti o di ammanchi di denaro – oppure semplicemente come riferimento per eventi successivi. Generalmente si aprono con l’editto reale che ordinava l’organizzazione di un evento o l’apertura di un determinato cantiere, cui seguivano tutta la documentazione ufficiale, la lista dei referenti, dei partecipanti e degli oggetti utilizzati, i dettagli delle spese e i premi assegnati ai più meritevoli. La parte più affascinante di questi protocolli consiste, però, nelle illustrazioni che mostrano scene dell’evento 반차도 – danze a palazzo, sontuosi banchetti o più spesso cortei – e nelle tavole tecniche dei vari edifici e degli oggetti coinvolti nel progetto 도설. Anticipando di cinquecento anni le fotografie e le videoriprese, questi disegni, prodotti dai maggiori artisti dell’epoca con pigmenti naturali, riescono a fornire uno spaccato quasi tridimensionale della vita di corte e una rosa di dettagli che non sarebbe stato possibile desumere col solo ausilio dei testi scritti. Le rappresentazioni sono così accurate che vengono ancora oggi adoperate nel caso di alcuni particolari restauri, come è avvenuto ad esempio nel
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ulteriore elemento: lo ‘spirito’ 신/神, ovvero il seme di divino che è all’interno di noi, la forma e la manifestazione del nostro intelletto. Quando il bimbo nasce, si muove poco: egli infatti ha già in nuce tutte le caratteristiche dell’uomo, ma la sua energia non circola efficacemente; col passare del tempo i suoi movimenti si sveltiscono e con le parole e con l’espressione dei sentimenti ecco che finalmente manifesta il suo “seme di divino”.
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Capitolo 1
1975 in occasione della ricostruzione delle mura della fortezza di Hwasŏng di Suwŏn. Tra tutti spiccano per fama quelli relativi ai sontuosi matrimoni reali 가례, ma incuriosiscono molto un lettore contemporaneo anche gli ŭigye relativi al seppellimento della placenta e del cordone ombelicale dei principi reali, considerati sacri e oggetto di culto. Dopo essere stato lavato cento volte, il cordone era adagiato in un foglio di carta e poi in un panno di seta blu, attorcigliato a un filo rosso. Successivamente era deposto in una preziosa giara bianca 태옹 e infine era tumulato in un monumento in pietra 태실. Alcuni di questi sono ancora intatti e, ad esempio, a Sŏngju è possibile visitare una vera e propria necropoli “fetale”, che ospita le giare con i cordoni ombelicali e la placenta dei principi dei diciotto figli maschi del re Sejong e di suo nipote Tanjong.
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A partire dal XV secolo l’attività di stampa fiorì significativamente, per merito degli investimenti proprio del re Sejong e anche grazie al perfezionamento della produzione di carta, “lucida come specchi”, che riduceva le sbavature e migliorava la qualità delle impressioni. Il boom vero e proprio dell’editoria coincide, però, con il XIX secolo, che portò a una maggiore commercializzazione dei libri e a un considerevole calo dei loro prezzi al pubblico. In questo periodo si registrò peraltro un inedito interesse delle donne per la lettura, come mezzo di evasione dalla loro condizione di marginalità. Grazie a loro fiorì il genere del romanzo 소설, che già alla fine del secolo XIX contava migliaia di titoli, spesso e volentieri scritti in alfabeto. Particolarmente in voga erano quelli cinesi tradotti in coreano, come il Romanzo dei tre regni, I briganti, Il padiglione a ponente, oppure opere coreane ambientate in Cina come il Sogno delle Nove Nuvole e, infine, opere coreane ambientate in Corea come la Storia di Ch’unhyang e la Storia di Simch’ŏng. Molti sono romanzi d’amore, ma non mancano storie di eroi e di fantasmi.
1.4 Le modalità di rilegatura dei libri Un libro coreano è tradizionalmente diviso in più volumi 권, corrispondenti in realtà ai capitoli del testo che trattano di temi e argomenti differenti. Il carattere cinese per ‘libro’ 책/冊 si ispira alla più antica forma di rilegatura di un testo. Poiché la carta era un bene assai costoso, tradizionalmente si era soliti scrivere su supporti di legno 목간 o di bambù 죽간. Questi materiali venivano prima seccati e poi tagliati in listelli di dimensioni tra 20 cm e 25 cm, che venivano successivamente legati fra loro da cordoncini di seta o
Rotolo 두루마기
A listelli 목간/죽간
Asse in legno
Copertina
Principali modalità di rilegatura in Corea.
cuoio. Dei piccoli taglierini consentivano all’occasione di correggere i refusi oppure di cancellare caratteri per scriverli di nuovo. Più tarda è invece la rilegatura su rotolo: quello orizzontale 두루마리 era utilizzato principalmente per testi scritti e in particolare per i canoni, mentre quello verticale 족자 era generalmente adoperato in pittura. Esso consisteva in un foglio di carta o di seta di lunghezza variabile che presentava sull’estremità sinistra un asse rotondo in legno 축 su cui era scritto il titolo dell’opera e avvolto il testo, e su quella destra un listello di bambù con un filo con cui si annodava il rotolo chiuso. Questo sistema si rivelò relativamente poco pratico, soprattutto per testi di notevole lunghezza, e nel tempo fu soppiantato da una rilegatura a fisarmonica, dove il testo era riportato solo su un lato (‘rilegatura pieghevole’ 접철장) oppure su due lati speculari incollati fra loro (‘rilegatura a farfalla’ 호접장). Sebbene questa tipologia di testo risultasse di più facile consultazione, nel tempo le giunture delle pagine tendevano a cedere e i caratteri sui bordi si logoravano diventando illeggibili. La struttura del libro divenne di gran lunga più pratica e solida con l’introduzione di una rilegatura a filo 선장 (importata dalla Cina della dinastia Ming), che assicurava una maggiore tenuta della co-
Lingua e scrittura
A filo 선장
Pieghevole 절첩장
Copertina
Listello in bambù
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Capitolo 1
pertina e delle pagine interne del libro. A seconda della dimensione venivano praticati su tutto l’asse sinistro del testo da quattro a sei fori che venivano cuciti, ma in Corea gli editori preferirono una rilegatura a cinque fori e con filo rosso 오침안정법.
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Geografia
Il territorio coreano è una piccola propaggine orientale del continente eurasiatico, lunga circa 1100 km e compresa tra il 33° e il 43° parallelo, grosso modo la stessa latitudine del Sud Italia. La forma della penisola è stata tradizionalmente associata a una tigre rampante con le zanne e le fauci rivolte verso i confini settentrionali e solo nel 1908 il geografo giapponese Kotō Bunjirō la raffigurò, invece, come un coniglio, animale certamente più debole e che quindi necessitava della protezione del vicino impero giapponese. I confini settentrionali coincidono con il corso di due fiumi, l’Amnok (c. Yalu, 790 km; il termine significa letteralmente ‘verde anatra’, dal tipico colore della sua acqua) e il Tuman (c. Tumen, 610 km). È probabilmente per questo motivo che i primi cartografi occidentali a disegnare la Corea le attribuirono la forma di un’isola, immaginandola come un territorio del tutto separato dal resto del continente. La Corea confina a Nord con la Cina (1416 km, province del Jilin e del Liaoning) e con la Russia (per appena 19 km) ed è, invece, bagnata ai fianchi dal Mar Giallo 황해 (così definito perché la sabbia del deserto del Gobi trascinata dal fiume Giallo sulla sua superficie lo tinge di questo colore) e dal Mare Orientale 동해 (erroneamente conosciuto come il Mar del Giappone). A circa 190 km a est si trova la penisola cinese dello Shandong, un territorio di assoluta rilevanza nella civiltà della Cina, perché ha rappresentato la culla del suo pensiero filosofico. Ospita nel suo territorio il monte Tai, in più importante delle cinque montagne sacre del Taoismo, e siti buddhisti tra i più pregevoli; come se non bastasse, nel passato ha dato i natali sia a Confucio (Qufu) che a Mencio (Zouxian), figure fondamentali della filosofia orientale. Dal diario di viaggio di un monaco buddhista giapponese, Ennin, Cronaca di un pellegrinaggio in Cina alla ricerca della legge, scopriamo che almeno a
Geografia
2.1 Aspetti generali della penisola coreana
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Capitolo 2
partire dal IX secolo viveva nella penisola dello Shandong una grande comunità di coreani, che vi aveva eretto un tempio, a prova dell’intenso scambio religioso e culturale che intercorreva tra la penisola coreana e questa area.
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Mappa con l’indicazione dei principali luoghi di interesse intorno alla penisola coreana.
A circa 200 km di distanza dalla punta meridionale della Corea si trova invece l’isola del Kyūshū, la terza più grande dell’arcipelago giapponese. Prima dell’ultima glaciazione di Würm, circa 10.000 anni fa, una striscia di terra collegava la penisola al Kyūshū rendendo percorribile a piedi il tratto che separa oggi i due Paesi. Negli anni ’30 i giapponesi progettarono la costruzione di un tunnel sottomarino tra la città di Pusan e quella di Karatsu (nel Kyūshū) della lunghezza di 230 km per riunire nuovamente i due territori; il progetto fu recuperato negli anni ’80, ma non incontrò il favore del governo coreano e fu definitivamente accantonato. Ad ogni modo i rap-
Geografia
porti tra le due culture sono stati nella storia tanto intensi quanto problematici; gli abitanti dell’attuale Giappone guardavano con enorme interesse agli scambi con i Tre Regni (57 a.C.-668 d.C.) e i tanti rifugiati coreani che trovarono riparo nelle isole giapponesi vi importarono le conquiste della cultura continentale. Dopo il 668 le relazioni si fecero però più tese, ridimensionandosi e, a periodi, risolvendosi in un completo isolamento: la pirateria dei Wakō 왜구 (pirati giapponesi) sulle coste della Corea prima e le invasioni (1592, 1597, 1910) dopo furono espedienti drastici che consentirono al Giappone di forzare la riapertura di tali rapporti e di godere nuovamente dei benefici che i contatti con la penisola garantivano loro. Quando, a partire dal 1600, i rapporti tra il regno di Chosŏn e lo shogunato furono normalizzati, l’isola di Tsushima 대마도, politicamente autonoma e sotto il comando della famiglia dei Sō, svolse un ruolo d’intercessione di estrema rilevanza, godendo a sua volta dei grandi vantaggi che tali intermediazioni implicavano.
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Mappa delle distanze tra Hansŏng e le capitali vicine (adattamento dal testo Il-Han-Chung-ŭi kyoryu, p. 9)
La capitale coreana del regno di Chosŏn, Hansŏng 한성 (l’attuale Seoul), si trovava in una posizione assai strategica rispetto ai maggiori attori della
geopolitica del tempo e la sua popolazione era orgogliosa del ruolo privilegiato che la geografia le aveva consentito; ma la morale confuciana scoraggiava il commercio, considerandolo un’attività di lucro parassitaria e dannosa, e la Corea non approfittò mai appieno degli enormi vantaggi che la sua felice collocazione geografica le avrebbe potuto consentire in ambito mercantile, rimanendo un paese a vocazione agricola fino agli inizi del secolo scorso.
Capitolo 2
2.2 Le isole
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Si contano oltre tremila isole intorno alle coste coreane: di queste la più grande è quella vulcanica di Cheju 제주도, nota attrattiva turistica. Sul suo territorio sono state rinvenute quarantasette statue antropomorfe alte fino a 190 cm in basalto poroso, pietra lavica tipica dell’isola; esse sono conosciute col nome di tol harŭbang 돌하르방 (traducibile come ‘anziani in pietra’). Non si sa con precisione a quale periodo risalgano, ma convince l’ipotesi che mette in relazione queste sculture ad altre simili (uomini di pietra) prodotte nelle steppe della manciuria e della mongolia e oggetto di culto sin dall’antichità; si pensa pertanto che possano essere state realizzate dopo il X secolo, su in-
Esemplare di Anziano in Pietra, tol harŭbang 돌하르방, isola di Cheju.
fluenza della cultura Jurchen o durante il periodo dell’ingerenza mongola. Simbolo di prosperità e fertilità, rappresentano guardiani posti a protezione della comunità.
Dopo la fine della guerra russo-giapponese (1905), gli scogli Liancourt (dal nome di una baleniera francese, meglio conosciuti con il nome coreano Tokto 독도, ‘isole solitarie’, e con quello giapponese Takeshima, ‘isole di bambù’), a circa 87 km di distanza dall’isola di Ŭllŭng, furono irregolarmente accorpati al territorio giapponese e sono tutt’oggi al centro di un’accesa disputa tra le due nazioni.
2.3 I fiumi e i monti I corsi d’acqua della Corea scorrono prevalentemente verso occidente e, dopo aver attraversato le maggiori pianure del territorio, sfociano nel Mar Giallo, dove sboccano anche i maggiori fiumi cinesi: questo mare non a caso è stato nel passato un importante crocevia di traffici marittimi, una sorta di Mediterraneo dell’Asia Orientale. Lo testimonia, fra l’altro, il relitto di un celebre mercantile rinvenuto nell’ottobre del 2011 e conosciuto col nome di Mado n. 3 마도3호, affondato probabilmente nel XIII secolo al largo delle coste coreane: al suo interno sono stati rinvenuti quasi trecento oggetti tra cui listelli di legno, vasi, ossa di cervo, cesti e posate in metallo. Tra gli altri fiumi di maggiore rilevanza annoveriamo il Taedong 대동강, che con i suoi 439 km rappresenta il fiume più lungo in Corea del Nord: attraversa P’yŏngyang, costeggiando la piazza di Kim Ilsŏng e la torre del Chuch’e.
Geografia
L’isola di Kanghwa 강화도, a breve distanza dalla città di Seoul, è stata abitata sin dall’era del bronzo, come attestano i manufatti in metallo e il numero cospicuo di dolmen rinvenuti. Essa è stata testimone di molte tappe – spesso tragiche – della storia coreana, come l’invasione mongola (1232), l’aggressione francese (1866); americana (1871) e il trattato ineguale firmato con i giapponesi (1876), prima importante tappa della colonizzazione della Corea. Considerata roccaforte di massima sicurezza fin dal periodo di Silla unificato, quando fungeva da presidio nella lotta contro la pirateria, ospitò dal 1782 la Biblioteca esterna di corte 외규장각, che fu depredata dai soldati francesi nel 1866. Il patrimonio librario di oltre 5.000 volumi andò in quell’occasione distrutto, mentre oltre 340 rotoli furono trasportati in Francia dove in parte sono ancora conservati.
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“Fiume Taedong” di Chŏng Chisang 정지상 (1068-1135), poeta del periodo Koryŏ. Ora che ha smesso di piovere / il verde della lunga diga è quanto mai intenso; sulla darsena a sud, da dove tu parti, / risuona solo un triste canto. O acqua verde del fiume Taedong, quando mai ti seccherai se accogli in te, anno dopo anno, / le lacrime degli addii! 雨歇長堤草色多 送君南浦動悲歌 大同江水何時盡 別淚年年添綠波
두만강
Fiume Amnok
압록강
Fiume Taedong P’yŏngyang k’an
북한강
Seoul
Fiume P u
대동강
임진e Imji 강 n
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Fiume Tuman
Fiu m
Capitolo 2
Il fiume Han 한강 scorre, invece, attraverso Seoul dividendola in due parti: quella a Nord del fiume, Kangbuk 강북, che comprende per così dire il centro storico della città, e la parte più moderna e ricca posta a sud, l’area di Kangnam 강남.
Fiume Han
한강
Fiume Kŭm
금강
Fiume Yŏngsan
영산강
Mappa dei principali fiumi della penisola coreana.
Fiume Naktong
낙동강
Così come la storia, anche la geografia della Corea è stata turbata dalla divisione politica della penisola al 38° parallelo: regioni, pianure, montagne sono state recise nettamente da un’immaginaria, ma assai controversa, linea divisoria: la zona demilitarizzata 비무장지대. Questo procedimento ha coinvolto anche il corso del fiume Imjin, che scorre a ridosso del confine tra le due Coree. Un problema analogo caratterizza il fiume Puk’an, la cui sorgente si trova in territorio nordcoreano: esso percorre tutta la zona demilitarizzata per poi affluire nel fiume Han. Durante gli anni ’80 il governo sudcoreano ha enfatizzato – e strumentalizzato – il rischio (poco probabile, in realtà) di una catastrofica inondazione su Seoul che poteva essere determinata dall’incuria o da una deliberata volontà nordcoreana, cioè dal mancato funzionamento o dalla brusca apertura della diga creata sull’affluente dai nordcoreani; ciò ha portato alla costruzione di un impianto, conosciuto oggi con il nome di ‘Diga della pace’ 평화의 댐, ultimato nel 2005, per regolare il flusso della corrente in caso di piena del fiume. Le maggiori città della penisola sono sorte a margine dei principali fiumi, sia nel rispetto delle pratiche geomantiche secondo le quali un corso d’acqua avrebbe favorito la trasmissione di energia positiva alla popolazione, sia perché tradizionalmente i trasporti fluviali e marittimi erano privilegiati per lo spostamento di derrate alimentari, merci e tasse. Il terreno montuoso occupa infatti l’80% dell’intero territorio e rende poco pratici i trasporti interni, tanto che bisognerà attendere la costruzione delle prime reti ferroviarie alla fine del XIX secolo perché finalmente essi diventino efficienti. L’altezza media delle montagne coreane è di appena 200-500 m, con poche vette che superano i 1000 m. Il primato spetta al monte Paektu 백두산 (in cinese Changbai) che arriva a 2.744 m di altezza: insieme al monte Halla 한 라산, esso rappresenta anche uno degli unici due vulcani coreani. Le catene che si sviluppano verso Sud comprendono la Mach’ŏllyŏng 마천령산맥, la Nangnim 낭림산맥 e la T’aebaek 태백산맥 che attraversa la penisola come una sorta di spina dorsale; scendendo verso il Sud si divide in due propaggini: una prosegue verso Pusan e si ricongiunge con le montagne dell’isola giapponese di Tsushima e una si riconnette alle montagne Sobaek e al monte
Geografia
Il più lungo fiume della Corea del Sud è invece il fiume Naktong 낙동강 (521 km), che bagna sia la città di Taegu che quella di Pusan. Ha storicamente rappresentato un’arteria di comunicazione di estrema rilevanza per i traffici di metalli e beni alimentari (in particolare pesce durante il periodo Chosŏn) e durante le prime battute della guerra di Corea (1950-53) delimitò l’unica area che riuscì a scampare all’invasione nordcoreana.
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Capitolo 2
Halla nell’isola di Cheju. Queste condizioni geomorfologiche e climatiche (il 60% delle precipitazioni si concentra nei mesi di luglio e agosto) hanno costretto i contadini coreani a compattarsi in gruppi di lavoro (ture 두레) e a concorrere alla creazione di ambiziosi terrazzamenti sui pendii delle colline, a continue opere di irrigazione e alla realizzazione di riserve di acqua. Ciò ha contribuito senz’altro, nel tempo, alla cementificazione di un forte spirito di gruppo e di collaborazione del popolo della Corea.
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La vegetazione è caratterizzata in prevalenza da pini coreani e da alberi decidui a foglie larghe. Gli alberi sempreverdi sono principalmente larici e ginepri. Un’altra specie, l’‘acero’ tanp’ung 단풍, ha dato il nome a quel fenomeno (appunto tanp’ung) assai apprezzato nei paesaggi d’autunno dell’Asia Orientale quando le foglie si tingono di rosso e giallo. I coreani amano generalmente i paesaggi di montagna e la pietra è stata oggetto di culto sin dall’antichità; il figlio del dio supremo che avrebbe dato vita al capostipite del popolo coreano discese dal cielo sul monte T’aebaek e lo stesso Kim Chŏng’il, secondo la sua biografia ufficiale, è nato sulle pendici del monte Paektu; rocce a forma di feto o di fallo sono state venerate in molte aree rurali della penisola. Le montagne hanno inoltre rappresentato un luogo di sicuro riparo durante le invasioni straniere o per i contadini caduti in difficoltà economiche; esse furono anche covo di briganti e partigiani. Ancora oggi le escursioni in montagna costituiscono il passatempo più apprezzato dalla popolazione coreana. Varie montagne in Corea prendono il nome da concetti buddhisti, come ad esempio il monte Kŭmgang (Monte del Diamante), monte Sŏr’ak ‘roccia di neve’, che richiama quello dell’Himalaya, monte Kaya (che richiama quello del sito religioso di Bodh Gaya), monte Chiri (ovvero ‘montagna della saggezza’). Tra le principali montagne coreane annoveriamo le seguenti: Monte Chiri 지리산 (1915 m): venerato sin dall’antichità come monte sacro, si trova all’interno del più grande parco naturale coreano. Ospita molti monumenti e templi, tra cui quello della Ghirlanda Fiorita, Hwa’ŏmsa 화 엄사. Monte Halla 한라산 (1950 m): ha determinato la formazione dell’isola vulcanica di Cheju e ospita nel cratere un lago chiamato del ‘cervo bianco’, paengnoktam 백록담, animale sacro in Corea sin da tempi remoti. Monte Sŏr’ak 설악산 (1708 m): terzo per altezza in Corea del Sud, ospita un parco visitato in prevalenza in autunno quando le foglie degli alberi si tingono dei colori più belli della penisola.
Monte Paektu iM g ŏn lly h'ŏ ac
catena di Nangnim
ad ten ca
Monte Myohyang Monte Kŭmgang Monte Sŏr'ak na cate di T
’aeb
monte Chiri
monte Halla
Mappa dei principali monti e catene della penisola coreana.
Monte Kŭmgang 금강산 (1638 m): è stato spesso dipinto dagli artisti coreani del passato in quanto vi si ammirano dei paesaggi tra i più belli del territorio. Un accordo tra le due Coree, sponsorizzato dalla Hyundai Asan, ha consentito, a partire dal 1998, l’avvio di un progetto di sviluppo turistico dell’area che permetteva l’accesso al monte ai cittadini sudcoreani. Malgrado il grande successo del programma, l’assassinio, nel luglio del 2008, di una turista coreana, Pak Wangja, sul litorale dell’area, ha portato a una sua brusca interruzione. Monte Paektu 백두산 (2744 m): significa ‘testa canuta’ e si trova infatti sul confine settentrionale della penisola; ‘testa’ sta forse anche per ‘capo’ e quindi ‘antenato’, dal momento che si crede che su questo monte sia disceso
Geografia
aek
Monte Puk’an
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Capitolo 2
il capostipite del popolo coreano. Secondo le testimonianze scritte, la sua ultima eruzione, avvenuta nell’inverno del 946, è stata una delle più violente (in gergo definita ‘super-colossale’) registrate al mondo. Sulla sommità ospita un lago vulcanico conosciuto come ‘Lago del cielo’ 천지 e rappresenta un’attrattiva molto importante sia per il turismo nordcoreano che per quello cinese. Appartiene infatti per il 54,5% alla Corea del Nord e per la restante parte alla Repubblica Popolare cinese dove viene chiamato “Changbai”; in realtà la porzione cinese è stata ceduta in base a un accordo stipulato con la sola Corea del Nord, mai approvato dal governo sudcoreano.
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Monte Myohyang 묘향산 (1909 m): i caratteri 묘/妙 e 향/香 di cui si compone il nome di cui si compone il nome, ‘mistico’ e ‘fragranza’, si riferiscono alla forma misteriosa della montagna e all’odore intenso dell’aria probabilmente determinato dalla ricca presenza di tuie orientali. Considerato la dimora di Tan’gun, esso ospita attualmente la Mostra Internazionale dell’Amicizia, un museo che accoglie i principali regali ricevuti in dono da Kim Ilsŏng e da Kim Chŏng’il.
2.4 Le città La penisola coreana ha una conformazione tale per cui è ‘alta a oriente e bassa a occidente’ 동고서저 e, pertanto, le aree pianeggianti si collocano nell’area ovest, che è diventata il cuore dell’economia agricola e dove la densità di popolazione è generalmente più alta. Approfondiamo di seguito alcuni aspetti di alcune città coreane – Seoul, P’yŏngyang, Kaesŏng e Kyŏngju –, quelle più importanti della storia coreana e che quindi conservano le più illustri testimonianze del patrimonio storico e artistico della penisola.
2.4.1 Seoul Città UNESCO del Design e tra le più trendy in Asia, la città “speciale” (tecnicamente chiamata così perché gode di amministrazione autonoma), di Seoul 서울특별시 vanta una storia millenaria e, come dimostra il parco preistorico nel suo quartiere di Amsa 암사동, i suoi primi insediamenti sono retrodatabili almeno al Neolitico. Sempre al Neolitico risalgono molti frammenti di vasi con decorazione a pettine rinvenuti per caso nel 1925, a seguito di un’inondazione del fiume Han. Col nome di Wiryesŏng 위례성 fu la prima e più longeva capitale del regno di Paekche fino al 475 e nel quartiere di Songp’agu è ancora visibile parte della muraglia che all’epoca circon-
덕수궁
Tŏksugung
육조
Sei Ministeri
Mappa del centro storico di Seoul.
경희궁
Kyŏnghŭigung
사직
Altare delle divinità della terra
남대문
Portale Sud
종각
Via della Campana
종묘
Altare degli Antena
창덕궁
Geografia
파고다 공원
Padiglione della Campana
보신각
성균관
창경궁 Ch'angdŏkkung
Accademia Confuciana
Ch'anggyŏnggung
Parco della Pagoda
경복궁
Palazzo reale
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Sejong'no
세종로
동대문
Portale Est
dava il nucleo abitativo della città 풍납토성. Alla fine del V secolo fu contesa ferocemente dai regni Koguryŏ e Silla e, dopo la sconfitta di Paekche nel 660, assumendo il nome di Han’yang 한양, divenne un distretto amministrativo di Silla Posteriore. Con il nome Hansŏng 한성 (letteralmente ‘fortezza Han’) fu scelta nuovamente dai geomanti come nuova capitale nel 1392, all’esordio della dinastia Chosŏn. Il suo artefice politico, Chŏng Tojŏn 정도 전 (1342-1398), le dedicò un celebre componimento successivamente conosciuto come Inno alla nuova capitale 신도가 la cui parte consclusiva recita:
Capitolo 2
Il re viva a lungo e il popolo sia felice! Col fiume Han di fronte e alle spalle il monte Samgak – tripudio di virtù – che la nuova capitale viva in eterno.
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Come menzionato nel componimento, la città era circondata (ora ha inglobato gran parte di queste zone) a nordovest dalle montagne di Puk’ansan 북 한산 (nel componimento chiamata “Samgak”) e In’wangsan 인왕산 e a sudest da quelle di Naksan 낙산 e Namsan 남산, su cui sorge la famosa torre omonima 남산타워, attuale simbolo della città. Il fiume Han, citato nella poesia, la divide in una parte sud (Kangnam 강남) di più recente sviluppo e una parte nord (Kangbuk 강북), che abbraccia grosso modo il centro storico della città. La parte antica è a sua volta divisa in un ‘villaggio settentrionale’ 북촌 e uno ‘meridionale’ 남촌 da un fiume di dimensioni decisamente più ridotte, meno di 11 km, e conosciuto come Ch’ŏnggyech’ŏn 청계천. Questo fiume era stato interrato e solo nel 2003 è stato riportato alla luce per decisione dall’allora sindaco di Seoul, Yi Myŏngbak. Il villaggio meridionale divenne politicamente importante dopo la colonizzazione giapponese che stabilì in questa zona il suo quartier generale. Le sue strade furono le prime ad essere asfaltate. In quegli anni fu costruito anche un tempio shintō 조선신사 dedicato al culto di Amaterasu e dell’Imperatore Giapponese, poi distrutto appena dopo la liberazione della Corea. Il villaggio settentrionale si sviluppa, invece, a partire dal Palazzo reale 경복궁, che è affiancato da due altri importanti monumenti dell’urbanistica tradizionale: l’Altare delle divinità della terra 사직, dove venivano celebrati i riti per gli dei tutelari dell’agricoltura, e l’Altare degli Antenati 종묘. Quest’ultimo è il tempio dove venivano ospitate e venerate le tavolette ancestrali 신주 di re e regine coreane meritevoli. Oltre a queste tavolette, vi è depositata anche quella di uno degli ultimi sovrani Koryŏ, Kongmin, come ad avallare un senso di continuità tra quella dinastia e quella Chosŏn. L’architettura austera e solenne esclude l’uso di colori, ad eccezione del rosso, che tradizionalmente si credeva permettesse di tenere lontani gli spiriti malvagi.
Le tombe vere e proprie di quarantadue re e regine Chosŏn 조선왕릉 sono conservate intatte a Seoul, in un parco, patrimonio UNESCO, distante dal centro storico. Le regine erano seppellite sotto lo stesso tumulo del consorte oppure in uno speculare costruito di fianco. Questi mausolei rappresentano una replica in miniatura del Palazzo reale, poiché hanno l’apertura rivolta a Sud su un piccolo fiumiciattolo che delimitava il limite invalicabile dello spazio tombale. La porta principale del Palazzo reale 광화문 presenta tre ingressi, di cui quello centrale, il più alto, era destinato al solo sovrano. Davanti alla porta si trovano due animali mitologici, haechÕi 해치, con in testa un unico corno, che consentirebbe loro di discernere il buono dal malvagio. Essi definiscono anche il limite superato il quale solo il re poteva continuare ad avanzare a cavallo o in palanchino, mentre tutti i sudditi sarebbero dovuti scendere e proseguire a piedi. Questa porta si apre su un’imponente strada, Sejong’no 세종로, su cui, durante il periodo Chosŏn, affacciavano gli uffici ministeriali e, durante la colonizzazione giapponese, il Governatorato generale. Dal palazzo si diparte una strada maestosa che poteva essere percorsa da sette carri l’uno di fianco all’altro. Percorrendola, si giunge al portale meridionale 남대문 (uno degli otto del-
Geografia
La torre Namsan, uno dei simboli della città di Seoul.
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Capitolo 2
Statua di haech’i di fronte al Palazzo reale, Seoul.
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la città), da cui entravano dal Sud agricolo le migliori mercanzie e intorno al quale, non a caso, si è costituita una delle aree di mercato tuttora più attive della città. Un’altra lunga arteria di Seoul si sviluppa perpendicolarmente rispetto alla suddetta via di Sejong’no, verso il portale orientale 동대문, ed è conosciuta come Chongno종로, ‘via della Campana’, dal nome dell’imponente campana in bronzo nel padiglione Posin 보신각 che scandiva tradizionalmente l’apertura e la chiusura delle attività commerciali: negozi di tessuti, medicamenti, accessori di cartoleria. Lungo la strada è ubicato un piccolo parco, che era originariamente conosciuto come (parco) ‘dell’osso di Pagoda’ 탑골(공원) e oggi semplicemente come (parco) ‘della Pagoda’ 파고다(공원), dal nome del monumento in pietra che ospita all’interno. È tutto ciò che è rimasto del tempio buddhista del Wŏngaksa 원각사 costruito nel 1464 dal re Sejo, raro fautore del Buddhismo del periodo Chosŏn. Questo parco fu teatro della più importante manifestazione antinipponica organizzata dai coreani il primo marzo del 1919 (3·1운동). Oltre a ospitare i quartieri più tradizionali caratterizzati dalle tipiche case coreane 한옥, Seoul è stata teatro delle prime tappe della modernità, così come del boom economico degli anni ’70. L’area intorno al palazzo del comune di Seoul, City Hall 시청, edificio originariamente costruito nel 1910 dai giapponesi, è stata il centro della modernità coreana. Tutt’intorno immigrati dell’impero Qing avevano aperto attività commerciali e ristoranti cinesi, mentre nell’area prospiciente il palazzo di Tŏksugung, architetti stranieri
Geografia
avevano edificato in stile occidentale i più importanti uffici di rappresentanza (i Consolati statunitense, britannico, tedesco, francese e russo). Il torrione del Consolato russo, la sola parte dell’edificio ancora in piedi, lascia intendere quanto imponente fosse l’impianto della struttura, la più grande tra le rappresentanze straniere in Corea, e quindi quale, all’inizio del Novecento, fosse l’ascendente dell’Impero russo sulla penisola. Sempre nei paraggi è ancora visitabile la Banca centrale di Corea 한국은행, la prima costruita nella città, in cemento armato e stile rinascimentale, adibita da qualche anno a Museo della moneta.
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Kyŏnghoeru 경회루, all’interno del Palazzo reale, destinato a ospitare feste e celebrazioni (foto di Chiara Colombini).
A partire dalla fine del periodo Chosŏn, aumentò significativamente la popolazione di Seoul così come il numero di poveri braccianti che arrivavano nella capitale in cerca di fortuna. Nel contempo sorsero progressivamente quartieri residenziali nei sobborghi ed essa cominciò lentamente a perdere la sua fisionomia di città ordinata e a svilupparsi in maniera disomogenea in tutte le direzioni. Attualmente ospita, insieme all’area metropolitana che comprende anche la città di Inch’ŏn e la regione del Kyŏnggi, oltre venticinque milioni di persone, ovvero metà dell’intera popolazione sudcoreana. Per decongestionare la città e promuovere contemporaneamente lo sviluppo regionale, a partire dal 2007 il governo ha provveduto a delocalizzare alcuni ministeri e dipartimenti di Stato nella città di Sejong 세종시, situata a circa 120 km a Sud della capitale e divenuta ormai il cervello amministrativo del Paese.
Capitolo 2
I Palazzi reali del regno Chosŏn
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Pur essendo formalmente proprietario di tutte le terre del regno, il sovrano nel periodo Chosŏn trascorreva il suo tempo in un’area estremamente circoscritta, quella del Palazzo reale, teatro della sua vita pubblica e privata. Occasionalmente gli capitava di effettuare delle visite all’esterno, ma ogni suo spostamento era molto impegnativo in termini di preparazione e costi, tanto che alcuni sovrani preferirono uscite dal Palazzo in abiti borghesi, per poter girare liberamente nella città senza dare troppo nell’occhio. I palazzi reali attualmente visitabili a Seoul sono ben quattro, dislocati in varie aree della capitale, mentre un quinto, il Kyŏnghŭigung 경희 궁, destinato a dimora straordinaria in caso di emergenza, perse ben presto di importanza, poco dopo la sua costruzione: delle sue cento strutture che in origine lo componevano, quelle sopravvissute furono adibite a edifici scolastici durante gli anni della colonizzazione giapponese. Con la fondazione della dinastia Chosŏn e lo spostamento della capitale nell’attuale Seoul fu deliberata immediatamente la realizzazione del primo Palazzo reale 경복궁 (di questo si tratterà nel paragrafo successivo. A questo si aggiunse nel 1405 un palazzo secondario, successivamente conosciuto come Ch’angdŏkkung 창덕궁, dove si trasferì ben presto parte della famiglia reale. Data la sua popolarità, aumentarono in poco tempo i suoi residenti al punto che si rese necessaria la costruzione di un ulteriore palazzo sussidiario, indipendente, ma comunicante: il Ch’anggyŏng gung 창경궁. Malauguratamente tutti e tre i palazzi andarono distrutti nel XVI secolo a seguito dell’invasione giapponese e, a causa del conseguente dissesto finanziario, l’allora re Sŏnjo rinunciò alla ricostruzione del primo palazzo, ormai considerato infausto dalla corte, preferendo anticipare la riparazione degli altri due palazzi sussidiari. Un nuovo complesso, il Tŏksugung 덕수궁 (anche conosciuto come Kyŏng’un’gung 경운궁) fu costruito agli inizi del XVII come residenza privata di un ramo collaterale della famiglia reale e acquisì una notevole rilevanza soltanto nello scorcio finale del periodo Chosŏn.
Il Palazzo reale, Kyŏngbokkung Kyŏngbok 경복 ovvero ‘auspicio di fortuna’: questo è il nome, ispirato al Classico delle Odi, del Palazzo Legale, ovvero della dimora ufficiale del re nonché centro della vita politica del regno, il più importante dei palazzi sopra elencati e ancora visitabili. All’inizio del periodo Chosŏn, però, al-
Struttura del palazzo Il palazzo era originariamente diviso in due aree principali, quella esterna 외전, la parte anteriore, destinata alla vita politica, e quella interna 내전, la parte posteriore, che ospitava gli edifici privati del re e delle sue consorti. I nomi dei singoli edifici che compongono la struttura sono ispirati, come il palazzo stesso, a passi dei classici confuciani. Il portale principale rivolto a Sud porta il nome di Kwanghwamun 광화문, dove i caratteri di ‘luce’ 광 e di ‘istruzione’ 화 si riferiscono al ruolo del sovrano di ‘illuminare e istruire’ il suo popolo. Superato un piccolo rigagnolo, si accede a un ampio cortile su cui affaccia la sala delle udienze 근정전 (letteralemente ‘Palazzo della politica diligente’). Qui i funzionari si riunivano al cospetto del sovrano, occupando ordinatamente, in base al rango di
Geografia
cuni geomanti profetizzarono che l’inadeguatezza del corso d’acqua prospiciente al palazzo avrebbe rischiato di portare mala sorte ai suoi residenti: questa profezia cominciò significativamente a preoccupare i reali, soprattutto dopo la precoce e improvvisa morte del re Munjong (1414 1452), dopo appena due anni di governo. La catastrofe più grave si abbatté, però, esattamente due secoli dopo la fondazione del regno, nel 1592, quando la città di Seoul fu conquistata e saccheggiata dai soldati giapponesi: durante i combattimenti il palazzo fu divorato da un incendio e andò quasi completamente distrutto. Da quel momento in poi il sito fu praticamente abbandonato a se stesso, tanto che negli Annali si riporta che, a un certo punto, al suo interno si aggiravano delle tigri in cattività. La ricostruzione fu deliberata soltanto nel 1867 nel tentativo di riconquistare autorevolezza per la figura del sovrano, che era stato quasi esautorato del suo potere per vari decenni. Eppure ancora una volta la profezia funestò il destino del sito. Appena qualche anno dopo i lavori di ristrutturazione, nel 1876, un incendio colpì infatti alcuni dei principali edifici, una rivolta militare sfociò nell’assedio del palazzo e nel 1895 la regina Min fu assassinata nelle sue stanze per mano di un ufficiale giapponese. All’indomani di questa tragedia che colpì il casato reale, lo stesso re Kojong si ritrovò a fuggire dalla sua dimora e a trasferirsi prima presso il Consolato russo e poi nel Tŏksugung che ritenne a quel punto più sicuro. Con la stipula del trattato di annessione nel 1910, il Kyŏngbokkung finì nelle mani dei colonizzatori giapponesi che costruirono dirimpetto l’imponente edificio del Governatorato generale e umiliarono il complesso reale adibendolo a zoo e orto botanico.
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ṫ
Capitolo 2
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Pianta della struttura di base del Palazzo reale.
appartenza, le postazioni marcate da piccole stele in pietra. In quest’area avevano luogo le principali cerimonie di Stato, ad esempio l’incoronazione di un sovrano, vi venivano organizzati gli incontri pubblici con emissari stranieri e vi si tenevano gli esami di Stato 과거, conditio sine
Superando anche questo edificio si accede alla zona esterna, riservata al re, alle sue consorti, alle donne di corte ed eventualmente agli eunuchi. La dimora del sovrano prendeva il nome di kangnyŏng 강녕, con riferimento a una delle cinque felicità di cui può godere l’uomo, ovvero ‘il corpo in salute e l’animo quieto’; ma questo termine contiene anche un velato invito, rivolto al sovrano, ad arginare i suoi desideri sessuali e la sua sete di potere. Questo edificio occupava la posizione centrale nella struttura del palazzo perché simboleggiava la mediocritas, il giusto mezzo, elemento portante nell’etica di un saggio sovrano. La struttura architettonica si sviluppa attorno a una sala centrale, l’alcova vera e propria del re, circondata da otto altre stanze che rappresentavano gli otto trigrammi 8 괘.
Geografia
qua non per poter accedere a qualsiasi carriera nell’amministrazione. Alle spalle, in una piccola area separata, sorge un ufficio privato del sovrano 사정전 (letteralemente ‘Palazzo della politica assennata’), dove il re trascorreva il tempo impegnato nella preparazione dei suoi piani politici.
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Dettaglio del tetto del Palazzo reale, le sculture di demoni 잡귀 servono per tenere alla larga spiriti malevoli dalla corte reale (foto di Erika Mingozzi).
Alle sue spalle è visibile la dimora della regina 교태전, che viveva in un appartamento indipendente; nei giorni favorevoli al concepimento il re le rendeva visita e giaceva con lei. Al sovrano era concesso avere rapporti anche con quattro ‘concubine reali’ 후궁 che risiedevano in sale dislocate dietro quella della regina. Inoltre aveva la facoltà di invitare nella sua dimora ‘damigelle di corte’ 궁녀 o ‘intrattenitrici’ kisaeng 기생 a suo piacimento, anche se la morale sessuale biasimava condotte libertine. L’alcova del sovrano era tappezzata da pitture o calligrafie con intento dida-
scalico, che miravano a frenare le sue pulsioni, ma ciò non impedì a più di un re di condurre una vita così dissoluta da rovinarsi. Yŏn’sangun fu celebre per la sua sfrenata libido sessuale e, oltre a invitare a corte un numero imprecisato di kisaeng, si fece costruire un palanchino comodo abbastanza per ospitare donne durante le trasferte.
2.4.2 P’yŏngyang
Capitolo 2
A meno di 200 km da Seoul si trova la bella città di P’yŏngyang 평양직할시, capitale della Corea del Nord e ‘capitale della rivoluzione’ (socialista), oltre che sito storico di estrema rilevanza. Fu probabilmente una delle aree di più antico insediamento nella penisola e senz’altro uno dei centri principali, se non capitale, del regno di Chosŏn antico; fu sede del comando militare cinese di Lelang (108 a.C.-313 d.C.) per poi divenire la terza capitale, la prima
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Festa per il governatore di P’yŏngyang (Wikimedia Commons).
in suolo coreano, del regno di Koguryŏ. Il suo successo si deve alla sua posizione pianeggiante e al privilegio di essere percorsa dal fiume Taedong, che è navigabile e sfocia nel Mar Giallo.
Geografia
Pur vantando un così lungo passato, P’yŏngyang si presenta come una città moderna, relativamente ricca di verde, con alti palazzi e ariose strade, come spesso capita nell’urbanistica socialista. Con una popolazione di circa due milioni e mezzo, è la città più popolosa della Corea del Nord e ne è il centro politico, dal momento che ospita, sulla collina di Mansudae 만수대, l’omonimo ‘Palazzo degli affari politici’ 만수대의사당, una struttura di quattro piani dove si riunisce il massimo consiglio politico del Paese: l’‘Assemblea Popolare Suprema’ 최고인민회의. È stato proprio questo edificio a ospitare fra l’altro nel 2000 l’incontro di vertice tra l’allora segretario di partito, Kim Chŏngil, e il presidente sudcoreano, Kim Taejung, importante premessa di un riavvicinamento dei due Paesi.
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Statua di Kim Ilsŏng a P’yŏngyang.
Nei pressi del palazzo si trova una statua in bronzo di Kim Ilsŏng alta circa 20 metri, cui è stata aggiunta più recentemente quella del figlio Kim Chŏng’il, incorniciati alle spalle da un enorme mosaico della ‘montagna sacra della rivoluzione’, il monte Paektu. Nei pressi si trova anche il Museo della Storia della Corea 조선중앙력사박물관, che contiene circa diecimila manufatti di tutta la preistoria e storia coreana e molte delle più pregevoli testimonianze risalenti al regno di Koguryŏ e a quello di Koryŏ. Singolare monumento è senz’altro la torre del Chuch’e 주체탑, che, coi suoi 150 metri, si staglia nel cuore della capitale, illuminandone le notti. L’arco di trionfo 개선문, il più grande al mondo nel suo genere, celebra la vittoriosa resistenza al Giappone, che vide come protagonista in prima linea Kim Ilsŏng. Altro simbolo della città è stato per anni l’hotel Ryugyŏng (류경호텔), conosciuto anche come ‘l’hotel fantasma’, la cui costruzione iniziò nel 1987 ma fu interrotta a causa della profonda crisi che travolse l’economia nordcoreana negli anni ’90.
2.4.3 Kaesŏng Fondata durante il regno di Koguryŏ, la città speciale di Kaesŏng 개성특급시 era già conosciuta nell’antichità come centro di produzione e smercio di ‘gin-
La fortuna della città coincise con la fondazione nel 918 del regno di Koryŏ di cui divenne capitale. Essendo protetta dalle montagne a nord e affacciandosi su un’ampia pianura a sud, era perfettamente predisposta per questo suo nuovo ruolo. Il Palazzo reale fu costruito ai piedi della montagna Song’aksan 송악산, la ‘roccia dei pini’, ma, a causa delle invasioni mongole e dei Turbanti rossi, fu gravemente danneggiato, così che del complesso originario non rimangono attualmente che le scalinate in pietra. Tra le testimonianze principali della città annoveriamo in particolare il Portale meridionale 남대문, costruito in granito nel 1398 ma restaurato più volte nel corso del tempo, l’intelaiatura in pietra dell’Osservatorio astronomico 첨성대 e l’Accademia confuciana 성균 관 e tra i monumenti funerari nei pressi della capitale le tombe di Wang Kŏn 왕건, fondatore della dinastia Koryŏ 왕건왕릉, e quella di uno degli ultimi sovrani, il re Kongmin 공민왕릉. Dopo il lungo periodo di fasto, la città perse d’importanza con la presa di potere nel 1392 della nuova dinastia Chosŏn che non solo pose la capitale a Seoul, ma favorì l’agricoltura a discapito del commercio dei cui proventi avevano da generazioni beneficiato i mercanti di Kaesŏng. Prima della guerra di Corea la città apparteneva al territorio del Sud e fu poi ceduta alla Corea del Nord in seguito all’armistizio del 1953. Tuttavia, data la prossimità di Kaesŏng a Seoul, ha continuato a essere un punto di congiunzione nelle relazioni tra i due Paesi e dal 2000 è al centro di un’importante serie di progetti di cooperazione e di investimento, in particolare quelli della Hyundai Asan 현대아산, che hanno portato alla costituzione dell’area industriale di Kaesŏng 개성공단.
Geografia
seng’ 인삼, particolarmente richiesto in Cina. Fu costruita nel rispetto dei canoni della geomanzia, assai popolare nel periodo Koryŏ, su un ‘sito propizio’ 명당 che rispondeva alla formula ‘ostruire il vento e ricevere l’acqua’ 장 풍득수. Nel suo momento di massima crescita vantò una popolazione di circa cinquecentomila anime, ovvero un sesto di tutta la popolazione coreana del tempo. Originariamente molte delle principali arterie che univano il Sud con il Nord passavano per questa città e, quando fu capitale, Kaesŏng aveva ben ventidue strade che la collegavano agli altri principali centri della penisola. Alcune di queste servivano per portare mercanzie in altre città come P’yŏngyang e poi Ŭiju, centro di transito sul confine con la Cina. Nel porto di Kaesŏng, Pyŏngnando벽란도, attraccavano navi di mercanti provenienti dall’India, dalla Thailandia e dal Sudest asiatico, attratti dagli spettacolari prodotti dell’artigianato locale.
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Capitolo 2
Hwang Chin’i (1506-1560)
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La città di Kaesŏng è fra l’altro famosa per aver dato i natali a Hwang Chin’i 황진이: conosciuta anche col suo nome d’arte ‘luna luminosa’ 명 월, è probabilmente la più celebre kisaeng del periodo Chosŏn, rinomata non solo per la sua bellezza, ma anche per le sue doti artistiche. Danzatrice, poetessa, calligrafa, pittrice, scrittrice, musicista, oltre che versata nei classici confuciani, fece innamorare di sé uomini della corte, nobili, ma anche monaci buddhisti. Strinse numerose relazioni adulterine con letterati del tempo e lasciò lei stessa ai posteri vari componimenti poetici e dipinti. Se alcuni di questi andarono distrutti durante le invasioni subite dalla Corea, molti altri furono artatamente dati alle fiamme: a causa infatti della sua morale libertina – in stridente antitesi con il modello di donna casta e virtuosa promosso all’epoca – le sue opere furono additate come simbolo di lussuria e vizio. Chi le legge, oggi, invece trova in loro una testimonianza suggestiva della letteratura classica coreana. Acqua limpida di ruscello della verde montagna, non ti vantare di scorrere così svelta! Sappi che, una volta che avrai raggiunto il grande mare, ti sarà difficile tornare indietro. Ora che la luminosa luna inonda questa montagna solitaria, che ne diresti di fermarti un po’? 青山里碧溪水 莫誇易移去 一到滄海不復還 明月滿空山 暫休且去 奈何
2.4.4 Kyŏngju La città di Kyŏngju 경주시 è bagnata dal fiume Hyŏngsan’gang 형산강, uno dei più grandi tra quei pochi che sfociano sul litorale orientale della penisola. Fu capitale del regno di Silla dalla sua fondazione nel 57 a.C. fino alla sua caduta nel 918 d.C. e in questo millennio fu protagonista dei principali avvenimenti della storia coreana. La città rappresentava geograficamente l’ultima tappa continentale della Via della seta, che la metteva in contatto con l’Asia Centrale e con le culture del Mediterraneo. Diversi stranieri la percorsero portando con sé monili esotici e mercanzie preziose dalle terre da cui provenivano, alcuni dei quali sono
stati rinvenuti nelle tombe di Silla; le bizzarre fisionomie di alcuni di questi forestieri sono state immortalate in statue scolpite in pietra, ad esempio di fronte alla tomba di re Hŭngdŏk e di re Wŏnsŏng. Nel suo periodo di massima espansione Kyŏngju era popolata da quasi duecentomila famiglie – per un totale di circa un milione di persone – e ospitava al suo interno case con tetti in tegole, un lusso senza eguali al tempo. Le sue strade erano affollate durante tutta la giornata e la musica e le danze riempivano la città. Era anche un rinomato centro per il culto e per lo studio del Buddhismo e, come si legge nel Samguk Yusa, ‘i templi, uno dietro l’altro, sembra[va]no stelle; le pagode, l’una in fila all’altra, sembra[va]no gru’ 寺寺星張塔塔雁行. Tuttavia di questo splendore che fece meritare a Kyŏngju il titolo di ‘fortezza d’oro’ 금성 non rimangono che le tombe di alcuni sovrani e alcuni sparuti monumenti – peraltro in buona parte ricostruzioni tarde – che lasciano solo intravedere come un tempo poteva apparire la capitale. Un esempio dell’estetica e dell’architettura dell’epoca d’oro di Kyŏngju lo restituisce, ad esempio, il giardino reale, an’apji 안압지 (poi conosciuto come wŏlji 월지), costruito originariamente nel 674 nei pressi del Palazzo orientale attorno a un laghetto artificiale con tre piccole isole. Nei suoi padiglioni venivano allestiti banchetti e celebrate cerimonie ufficiali, gli aristocratici del tempo componevano versi e intrattenevano gli ospiti stranieri che visitavano la capitale.
Geografia
Dettaglio del laghetto del giardino reale nella città di Kyŏngju.
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Sŏkkur’am
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Le testimonianze più rappresentative dell’arte di Silla e della sua capitale Kyŏngju sono certamente i templi Pulguksa 불국사 e Sŏkkur’am 석굴암, entrambi a Kyŏngju e attribuiti al genio di Kim Taesŏng 김대성. La leggenda vuole che l’artista abbia dedicato il primo ai genitori della vita attuale e il secondo a quelli delle vite precedenti. Del primo monumento rimangono intatti, di fatto, solo la pagoda dei molti tesori 다보탑, quella di Sakyamuni 석가탑 e la scalinata principale, mentre il resto della stupefacente struttura è un a ricostruzione più tarda. Un suggestivo unicum dell’arte coreana è rappresentato dalla grotta artificiale di Sŏkkur’am 석 굴암, rinvenuta accidentalmente (e maldestramente riparata in cemento) nel 1912. Si tratterebbe di un adattamento locale dell’antica tradizione dei templi rupestri, avviata in India già nel III secolo a.C. e diffusasi poi ampiamente dal II secolo d.C. in Cina. Poiché la dura pietra coreana impediva la lavorazione delle pareti delle montagne coreane, Kim Taesŏng decise di costruire artificialmente una grotta con blocchi in granito e, solo dopo, di installare al suo interno alcune statue scolpite a parte. Così facendo adottò una formula architettonica già ampiamente collaudata in contesto funerario, ovvero la struttura a “buco di serratura”, costituita da un’anticamera quadrangolare (simbolo della Terra) che portava a una camera circolare (rappresentazione del Cielo).
Sala centrale Shakyamuni, Bodhisattva, Discepoli, Divinità Hindu
Corridoio Quattro re del Cielo e due Vajrapāni
Anticamera Otto classi degli esseri divini
Pianta di Sŏkkur’am.
Anche il tetto che si richiudeva progressivamente verso l’alto fino a con-
vergere in un’unica pietra rievocava la tecnica del ‘tetto a lanterna’ 말각 조정 spesso applicata nelle tombe di Koguryŏ. L’area centrale del tempio ospita una statua di Siddhārtha Gautama Buddha alta 3,5 m, seduto con le gambe incrociate su un piedistallo a forma di loto e con le mani composte nel mudrā della saggezza e dell’illuminazione. Tutt’attorno si sviluppa un tripudio di arte scultorea in altorilievo, che rappresenta guardiani, bodhisattva, discepoli di Buddha e divinità hindù.
Geografia
La città di Kyŏngju rappresentò un importante centro culturale anche dopo che perse il suo ruolo di capitale e, durante il periodo Chosŏn, ha ospitato il villaggio di Yangdong 양동마을: ancora visitabile, esso è conosciuto come uno dei più grandi e meglio conservati nel suo genere; fu abitato per seicento anni dalle famiglie concorrenti Yi e Son, che diedero i natali a numerosi letterati del tempo e a ben centosedici studenti vincitori degli esami di Stato.
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I coreani
Frenetico, irrequieto, impulsivo, insofferente. Il popolo coreano ha un temperamento tenace e caparbio; è capace di grandi esaltazioni, così come di profondi abbattimenti. Nel suo animo vibra una profonda carica di pathos 정, che lo induce a una sentimentalità talvolta eccessiva, lo spinge a vivere la sua esistenza con intensità, toccando note parossistiche. Iperbuddhista, iperconfuciano o ipercristiano; ipercapitalista o ipercomunista; iperxenofobo o iperinternazionalista: esso ha cambiato molti volti, radicalmente diversi l’uno dall’altro, mostrando nel tempo una straordinaria flessibilità e una rara capacità di adattamento alle circostanze, ma anche una tendenza a sconfinare talvolta nell’esasperazione. Nel 1895 lo studioso confuciano Yu Insŏk 유인석 (1842-1915) guidò una ribellione contro l’editto reale che imponeva al popolo per la prima volta di ‘accorciare i capelli’ 단발령. Fino ad allora, infatti, la barba veniva lasciata crescere e la capigliatura veniva raccolta in crocchie, eventualmente coperta da varie e bizzarre tipologie di cappelli; il corpo era considerato un dono immacolato e inviolabile ricevuto dai propri genitori e qualsiasi sua alterazione un atto ingiurioso nei confronti dei propri antenati, proprio come recitava il Classico della Pietà Filiale 효경: Corpo, capelli e pelle sono un dono dei nostri genitori. Non danneggiarli è la prima dimostrazione della nostra devozione nei loro confronti. 身體髮膚受之父母 不敢毁傷 孝之始也. Persino i ritratti prodotti durante il periodo Chosŏn dovevano rappresentare scrupolosamente ogni minimo dettaglio del soggetto, senza sofisticarne alcun particolare – addirittura macchie solari, nei e punti neri –, tanto che è stato possibile, grazie a essi, condurre ricerche sui maggiori problemi epidermici del periodo. Era ammissibile alterare il proprio corpo solo se lo avesse
Lingua e scrittura
3.1 La flessibilità del popolo coreano
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richiesto proprio la devozione filiale, come nel caso di Hyangdŏk, diventato poi modello per antonomasia di hyo 효 (rispetto verso i genitori) che, durante la carestia del 755, si tagliò a fette le cosce per darle in pasto alla madre malata.
Capitolo 3
Deturpare un corpo – ancora in vita o già cadavere – rappresentava un atto estremo di protesta o d’infamia. Una poesia composta nel 1803 dall’enciclopedista Chŏng Yag’yong (정약용 1762-1836) rievoca la storia di un povero contadino che, soffocato dalle tasse, si recise il pene come protesta contro le autorità. Molto tempo prima, nel 1498, all’alba di una delle quattro persecuzioni contro i letterati sarim, per accanirsi contro la fazione nemica, alcuni funzionari Chosŏn riesumarono il cadavere del suo massimo esponente passato poco prima a miglior vita, Kim Chongjik: gli recisero la testa per poi tumularlo di nuovo. Le punizioni più gravi comminate in Corea presupponevano sfregi corporei e, in ordine di gravità, erano: il tatuaggio sulla pelle del carattere del crimine commesso 묵/墨, il taglio del naso 의/劓, il taglio del gomito 월/刖, il taglio della testa 대벽/大劈 e, infine, la castrazione 궁/宮.
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Ebbene, bastarono pochi anni di editto del taglio di capelli che la ballerina Choi Sŭnghŭi 최승희 (1911-1969) infrangesse quest’atavica tradizione con la moda del suo trasgressivo taglio a caschetto, seguito soltanto qualche
La ballerina Choi Sŭnghŭi, in una celebre posa.
Anche i ruoli all’interno della società sono cambiati eccezionalmente. Se nel periodo dei Tre Regni la donna poteva assurgere ai gradini più alti della scala sociale – poteva persino aspirare a diventare regina – e nel periodo Koryŏ godeva di diritti familiari e di successione eguali a quelli dell’uomo, per tutto il periodo Chosŏn fu del tutto marginalizzata dalla società, costretta persino talora a muoversi chiusa in un palanchino o a indossare sopravvesti e accessori simili a burqa 너울, per non mostrarsi al mondo esteriore nel rispetto del principio confuciano ‘l’uomo è onorevole, la donna inferiore’ 남 존여비/男尊女卑. Inoltre quando, tra la fine dell’800 e l’inizio del ’900, furono aperte le prime scuole femminili era imposto alle alunne di indossare un manto 장옷 con cui coprirsi il capo. Solo nel 1911 la scuola Paehwa 배화학 당 abrogò definitivamente questa pratica, anche se le donne continuarono ancora per molto tempo a utilizzare con dei parasoli scuri oppure a indossare scialli con cui coprivano il viso. Celebre è il commento misogino dello storico confuciano Kim Pusik 김부식 (forse un’interpolazione del periodo Chosŏn alla sua opera), che in questi termini si rammaricava dell’elezione di Sŏndŏk 선덕여왕 a regina di Silla. Silla ha posto sul trono una donna, quale delirio è stato mai questo! Bisogna solo ringraziare che il regno non sia andato definitivamente a rotoli. 新羅扶起女子, 處之王位, 誠亂世之事, 國之不亡幸也書云. (Kim Pusik, Samguk Sagi, v. 5, regina Sŏndŏk) La cucina, il luogo domestico destinato alla donna, era posto un gradino più in basso rispetto al piano dove gli uomini consumavano i pasti, imbandito su appositi tavolini in legno laccato 소반 che venivano loro portati nella sala per il pranzo. Gli spazi domestici erano completamente divisi secondo il precetto confuciano secondo cui ‘tra l’uomo e la donna ci deve essere distinzione’ 남녀유별/ 男女有別. Nelle case tradizionali 한옥 dei ceti più alti una par-
I coreani
anno più tardi dal ‘capello elettrico’ 전발: successivamente conosciuto come ‘permanente’ 파마, esso si è ormai affermato in tutta la Corea del Sud come lo status symbol delle donne di mezza età. Se si considera che fino a un secolo fa era inammissibile persino tagliarsi i capelli, è davvero sorprendente che oggi la Corea detiene il primato di Paese col più alto numero di operazioni di chirurgia estetica in proporzione al numero degli abitanti. A distanza di un secolo, paradossalmente “non” alterare il proprio corpo, i propri capelli e la propria pelle è diventato quasi disdicevole e anticonvenzionale e ciò ha capovolto completamente i canoni estetici e morali nazionali.
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Capitolo 3
te ‘interna’ 안채 era destinata alle mansioni domestiche e quindi alle donne, mentre una camera separata serviva all’uomo adulto. Nel periodo Chosŏn agli uomini era permesso tenere dei diari in cui riportare indecorosi e scabrosi dettagli delle proprie relazioni adulterine (celebre è il Pubuk Ilki 부북 일기 di Pak Ch’wimun 박취문, 1617-1690), mentre alle donne non era consentita nemmeno la gelosia, pena il divorzio. Agli uomini erano consentiti relazioni di concubinato e incontri con kisaeng e prostitute, alle donne non era permesso di risposarsi nemmeno se vedove. In un celebre ritratto di Sin Yunbok 신윤복 (1758-1814), La vedova che agogna la primavera 이부탐춘, una vedova osserva con sguardo affranto e nostalgico due cani che copulano, consapevole che la legge le impedirà, pur rimasta sola, di poter ambire a una nuova storia d’amore.
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Una delle più crude e forse oggettive testimonianze della condizione delle donne nel XVII secolo è quella che ci restituisce l’olandese Hendrik Hamel, naufragato sulle coste coreane nel 1653 e ivi rimasto fino al 1666. Così descrive il diverso trattamento in caso di adulterio di uomini e donne nella Corea Chosŏn: Se una donna uccide il marito, viene seppellita fino alle spalle lungo una strada molto frequentata. Dietro di lei viene collocata una sega di legno che tutti i passanti, a eccezione dei nobili, devono usare; ognuno le dà un colpo in testa finché non muore. […] Se [invece] un uomo uccide la moglie, ma è in grado di dimostrare di aver avuto un buon motivo per farlo – come l’adulterio o cose del genere – non viene condannato. (Hendrik Hamel, Il naufragio dello sparviero e la descrizione del Regno di Corea, p. 54) Dopo questa lunga parentesi di misoginia, la donna rapidamente recuperò la sua posizione e, simbolicamente, spiccò il volo nei primi anni ’20 con Pak Kyŏng’wŏn 박경원 (1901-1933), la prima donna aviatrice coreana. Nel 1886 Mary F. Scranton (1832-1909), missionaria in Corea della chiesa episcopale metodista, fondò una scuola femminile, l’Accademia dei Fiori di Pero 이화여 자학당, destinata a diventare l’università femminile più importante in Asia e in assoluto una delle maggiori istituzioni di ricerca e d’istruzione superiore della Corea del Sud. Grazie a questa e ad altre scuole analoghe, la donna cominciò ad acquisire una maggiore competitività nella società coreana e ad ambire finalmente alla tanto agognata emancipazione. Sorprende la presenza, in soli cento anni, nella Casa Blu 청화대 (ufficio esecutivo e residenza ufficiale del Presidente sudcoreano, così chiamato dal colore delle sue tegole) di una donna presidente, Pak Kŭnhye 박근혜, condannata quasi allo scadere
del suo mandato nel 2017 per impeachment dal capo della Corte Costituzionale, Yi Chŏngmi 이정미, donna a sua volta. Un altro aspetto della società coreana cambiato radicalmente è il rapporto con gli stranieri. Alla fine dell’800 l’atteggiamento nei loro confronti era di intransigente xenofobia: il reggente al potere, padre del re Kojong, fece erigere in tutto il territorio delle ‘stele in pietra’ 척화비 come monito contro gli stranieri per scoraggiare ogni tentativo di contatto con loro: I barbari occidentali ci aggrediscono, non lottare e scendere a patti significa dare loro in pasto il nostro Paese.
Avvicinarsi alle coste coreane all’epoca significava morte sicura e questo destino toccò nel 1866 a ben nove missionari francesi. Oggi, invece, la sola Corea (del Sud) ospita quasi due milioni di stranieri e conta circa 25.000 matrimoni misti all’anno, mentre si registra in tutti gli ambiti una tendenza sempre più spiccata verso l’internazionalizzazione e verso l’importazione di gusti e mode straniere. Nel 1896 il console russo Karl lvanovich Veber fece assaggiare per la prima volta ai nobili coreani del caffè e il re Kojong ne fu tanto piacevolmente sorpreso da farsi aprire una caffetteria 정관헌, ancora visitabile, all’interno del Tŏksugung 덕수궁, uno dei palazzi reali della capitale. A distanza di appena un secolo nella sola città di Seoul hanno aperto i battenti ben 17.000 caffetterie e il mercato del caffè ha definitivamente surclassato quello del tè, la bevanda tradizionalmente consumata nella penisola. Ma questo è solo un esempio della grande flessibilità 융통성 del popolo coreano in tutti gli ambiti, della sua insolita capacità di fluttuare da un estremo all’altro, che deriva probabilmente dalle condizioni ambientali della Corea, ma anche dall’indole, ovvero dal “codice genetico”: si tratta di una questione assai discussa, che non ha trovato e non troverà facilmente una soluzione, ma a cui dedichiamo nel prossimo paragrafo qualche riflessione.
3.2 Ipotesi sull’origine dei coreani Gli storici cinesi dell’antichità consideravano gli antichi abitanti della penisola coreana membri di quel vasto gruppo etnico insediato in un territorio che andava dal Nordest della Cina fino all’arcipelago giapponese, che erano soliti indicare col nome di ‘barbari orientali’, dongyi 동이. Il carattere che lo
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洋夷侵犯 非戰則和 主和賣國.
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contraddistingue 이/夷, rappresenta un grosso uomo 대/大 che impugna un arco 궁/弓. Questi “barbari” avevano una corporatura robusta ed erano conosciuti come abili tiratori e fabbricatori di archi: qualità che effettivamente caratterizzavano anche gli antichi abitanti della penisola coreana1.
Capitolo 3
Alcuni di questi gruppi venivano poi più specificamente indicati con nomi che contemplavano all’interno l’uso di un carattere di quadrupede: questa sorte toccò agli Yemaek 예맥/濊貊, che presumibilmente vivevano nella bassa Manciuria e che sono nelle fonti cinesi l’etnia “storicamente” più prossima agli abitanti della penisola coreana. Questi caratteri enfatizzavano la barbarie delle popolazioni a cui venivano riferiti: il regno animale, secondo il Buddhismo, era appena un livello superiore rispetto all’inferno: gli animali sono solo predatori in cerca di cibo, dominati dall’istinto bruto e, non riuscendo a comprendere la loro situazione, non possono fare nulla per migliorarla (Kweon D.: 1999, p. 35).
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Uno dei maggiori ostacoli per ricostruire il processo di formazione del popolo coreano è la considerevole esiguità di reperti umani rinvenuti nel territorio a causa dell’acidità del suolo e del suo clima umido durante i periodi estivi, così come la difficoltà ad accedere a progetti di scavo in Corea del Nord. Una ventina di corpi è stata rinvenuta integra, mummificata, ma i decessi risalgono al massimo a 500 anni fa: celebre è, ad esempio, la mummia di nobildonna con feto in grembo della famiglia Yun di P’ap’yŏng 파평 윤씨 모자 미라, rinvenuta in ottimo stato di conservazione, ma che risale appena al 1566, oppure le consorti di un alto funzionario del periodo Chosŏn (XVII secolo) rinvenute a Osan. Pochi frammenti di ossa sono stati scoperti in siti preistorici o in tombe del periodo antico e assai dubbia è la datazione dello scheletro umano che i nordcoreani hanno riesumato nel 1993 all’interno della presunta Tomba di Tan’gun 단군왕릉, il capostipite del popolo coreano. In assoluto la più antica testimonianza di un insediamento umano nel territorio coreano è quella di Kŏm’ŭnmoru nel distretto di Sang’wŏn a P’yŏngyang, che risale a circa 500.000 anni fa. Decisamente più recenti sono, invece, i ritrovamenti di Mandalli e Sŭngnisan e, malgrado la difformità dei resti ossei rispetto alle caratteristiche fisiche degli odierni abitanti della penisola, gli studiosi nordcoreani hanno da subito ipotizzato un legame di discendenza diretta tra loro. Se è ammissibile che una parte del corredo genetico delle pri1 Il fondatore del regno di Koguryŏ fu chiamato Chumong 주몽, che nel dialetto locale significava ‘abile arciere’. Molti secoli dopo, Yi Sŏnggye 이성계, fondatore della dinastia Chosŏn, si distinse a sua volta per il suo talento nel tiro con l’arco e ancora oggi molti dei campioni olimpici nelle varie specialità di tiro con l’arco sono di nazionalità coreana.
Questa eterogeneità è confermata anche da alcuni recenti studi di fisiognomica che hanno dimostrato come effettivamente i coreani appartengano almeno a due gruppi morfologicamente diversi, definibili, con un buon margine di approssimazione, uno ‘settentrionale’ e l’altro ‘meridionale’, a comprova del carattere profondamente complesso della popolazione locale. Sorprende come a fronte di questa evidente eterogeneità i coreani abbiano tradizionalmente preferito considerarsi una ‘razza unica’ 단일민족, tanto che per questo motivo, fino a qualche decennio fa, erano fortemente scoraggiati i matrimoni “internazionali”, ovvero con stranieri.
Esempi di coreano di “tipo meridionale” (presidente Kim Taejung, a sinistra) e “tipo settentrionale” (presidente Pak Chŏnghŭi, a destra)
I coreani
me popolazioni stabilitesi nella penisola sia effettivamente confluito in quello dei coreani, è anche vero che è di gran lunga più verosimile che il popolo coreano non sia il frutto di un’evoluzione genetica interna, ma il risultato di progressivi e ormai indecifrabili fenomeni di migrazione e d’integrazione iniziati nelle fasi più remote dell’insediamento umano nella penisola. La lingua coreana stessa è probabilmente un ibrido di elementi di una lingua altaica che si innestano su altri di altri gruppi linguistici (ad esempio uralici e sinotibetani) e l’archeologia a sua volta conferma questa spiccata mescolanza culturale. Il ‘vasellame con decorazione a pettine’ 빗살무늬토기, nel periodo Neolitico, convive nel resto del territorio con una produzione molto diversificata e complessa, frutto evidentemente di insediamenti e sottoculture distinte, anche se meno documentate. La produzione di pugnali bilobati, in fase metallurgica, è accompagnata da almeno due tipologie differenti di dolmen 지석 묘 –, definite l’una di tipo ‘settentrionale’ 북방식, l’altra ‘meridionale’ 남방 식 – che testimoniano anche nel primo millennio a.C. la coesistenza di almeno due ulteriori culture distinte all’interno del medesimo spazio geografico.
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Dai dati archeologici e di antropologia fisica in nostro possesso, è ragionevole ipotizzare che nei territori dell’Asia Orientale sia originariamente vissuto un gruppo di “paleomongoloidi”, probabilmente di origine meridionale, in cui rientrerebbero anche le popolazioni Jōmon del Neolitico giapponese. Una lunga e lenta migrazione li avrebbe spinti progressivamente dal Sudest asiatico e dalla Cina meridionale su fino alle regioni più a Nord del continente.
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Tuttavia, in concomitanza coi cambiamenti climatici determinati dalle glaciazioni, essi furono costretti a ulteriori spostamenti ed è verosimile che la favorevole posizione climatica e le caratteristiche geomorfologiche abbiano reso da subito le coste della penisola coreana e del Giappone particolarmente ospitali per molti di loro. Sembra inoltre che una parte di questi uomini, rimasta nella Siberia orientale, riuscì straordinariamente ad adattarsi nel tempo al brusco calo delle temperature acquisendo caratteristiche fisiche differenti da quelle originarie, atte a garantire una maggiore protezione dal freddo: alcune di queste sono ancora visibili nei coreani odierni. Ad esempio, per proteggersi dalle raffiche di vento, l’occhio, sempre più lungo e sottile, si dotò di un tessuto adiposo chiamato “tarso”, attorno alla palpebra. Il tarso copre il bulbo oculare, ma impedisce la formazione di una piega superiore (o “doppia palpebra”) tipica degli occhi occidentali – molte donne coreane, che la ritengono esteticamente bella, ricorrono oggi all’operazione di blefaroplastica per ricostruirla artificialmente. Gli zigomi sporgenti e una piccola piega, conosciuta come “epicantica”, in prossimità del naso, contribuirono a loro volta a mantenere al sicuro gli occhi dal vento. Il naso si fece più piccolo e le sue narici si strinsero perché l’aria potesse entrare lentamente, così da riscaldarsi prima di entrare nei polmoni. I peli corporei si diradarono per evitare il rischio di congelamento, mentre il corpo e la testa assunsero una forma tendenzialmente più rotonda e un volume maggiore, diminuendo la superficie in rapporto al volume e minimizzando, così, la dispersione di calore. Alcuni di questi uomini, conosciuti come “neomongoloidi” si insediarono nelle regioni intorno al lago Baikal, che sarebbero diventate linguisticamente di prevalenza altaica. A causa dell’aumento demografico o per bisogno di cibo e di climi più ospitali, diverse famiglie presero a spostarsi verso il sud, vagarono per gli altopiani mongoli e per i deserti della Mongolia interna e si spinsero ben oltre il fiume Amur. Nei loro viaggi si trovarono a imbattersi in comunità di paleomongoloidi: alcune volte forse le rimpiazzarono con la violenza o furono da loro annientate, altre volte convissero colonizzando territori differenti, altre ancora si mescolarono pacificamente per formare dei gruppi geneticamente ibridi. Sembrerebbe questo il caso della Manciuria e in particolare della sua parte meridionale, dove già intorno al nono millennio
Questa ricostruzione è generalmente confortata dai risultati degli studi di genetica finora condotti sulle popolazioni asiatiche, secondo le quali il DNA dei coreani è compatibile con quello dei mongoli, dei mancesi e dei giapponesi. Cavalli Sforza (Geni, popoli e lingue, 1996) ha giustamente aggiunto a questo insieme anche gli Ainu, i Ryukyuiani, i Tibetani e i Bhutanesi; con tutta probabilità, si potrà ulteriormente integrare questo gruppo con altre minoranze che vivono nell’Asia Nordorientale, come quella degli Hezhen, ovvero dei Nanai, una piccola popolazione di meno di ventimila anime insediata in parte in Cina e in parte in Russia, che pratica lo sciamanesimo e la cui lingua appartiene alla famiglia altaica. Uno studio mirato a distinguere le popolazioni dell’Asia Orientale e Meridionale smistandole in gruppi distinti in base all’analisi degli alleli di 386 individui ha confermato la notevole affinità dei dati dei coreani e dei giapponesi che, con una compatibilità media rispettivamente di 84% e 76%, sono stati collocati nello stesso raggruppamento. Varie altre analisi comparativistiche, ad esempio della tipologia di cerume – secco o umido – o della diffusione degli antigeni del virus dell’epatite B, hanno confermato una notevole corrispondenza dei dati dei coreani con quelli dei giapponesi, in particolare dei Kinki. Al contrario, le maggiori difformità si sono riscontrate nei dati degli Ainu e delle popolazioni delle isole meridionali dell’arcipelago giapponese. Si ipotizza che effettivamente, dopo l’esponenziale aumento demografico nella penisola coreana in seguito all’ingresso del ferro nel IV secolo circa a.C., si sia innescato un fenomeno migratorio verso il Giappone. Poche famiglie oppure migliaia di individui neomongoloidi portarono l’agricoltura e la
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a.C. andò a maturare una civiltà “di matrice altaica” lungo il corso del fiume Liao 요하, nell’attuale provincia cinese del Liaoning. Posto in una posizione strategica, questo territorio si affacciava sul mare, era collegato alla penisola coreana e, grazie al corridoio delle steppe, aveva le sue terminazioni più lontane nell’Asia Centrale, dove l’addomesticamento degli animali prima e la metallurgia dopo avevano consentito l’affermarsi delle culture più all’avanguardia dell’epoca. Grazie a questa sua privilegiata posizione geografica, alla ricchezza di risorse e di tecnologia, la civiltà del fiume Liao anticipò di parecchi secoli quella “cinese” che si sarebbe sviluppata più tardi al di sotto del Fiume Giallo, in quell’area conosciuta come ‘Pianura centrale’ 중원. Il territorio del fiume Liao ha rappresentato, dal punto di vista della Corea, una sorta di avamposto culturale, che ha anticipato la maggior parte dei fenomeni che poi sono stati trasmessi anche nella penisola ed è forse l’area geografica in cui si potrebbero intravedere le origini più prossime del popolo coreano.
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Capitolo 3
metallurgia prima nel Kyūshū e poi progressivamente nel resto del territorio, scalzando progressivamente le popolazioni locali di cacciatori e raccoglitori paleomongoloidi, che trovarono riparo solo nello Hokkaidō e nelle isole sudoccidentali. Sempre Cavalli Sforza (Geni, popoli e lingue, 1996) ricorda che bastano migliaia di persone per colonizzare un posto, come è capitato ad esempio nel Canada francese, dove Luigi XIV inviò mille donne che in capo a tre secoli portarono al raggiungimento della densità attuale di popolazione; oppure come nell’Africa meridionale, dove approdarono solo pochi gruppi di contadini olandesi. I raccoglitori paleomongoloidi e gli agricoltori neomongoloidi probabilmente convissero iniziando da un rapporto di densità simile, ma nel tempo i secondi aumentarono demograficamente a una velocità nettamente maggiore surclassando numericamente l’altra comunità.
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Matsumoto Hideo ha aggiunto un argomento prezioso a questa ricostruzione. Dopo aver isolato nel sangue una proteina immunitaria IgG, si è accorto che essa differiva da popolazione a popolazione. In particolare, ha constatato come nel sangue dei coreani e dei giapponesi sia presente una notevole quantità del gene Gm ab3st (la cui concentrazione maggiore si riscontra nelle popolazioni che vivono nei pressi del lago Baikal), con una percentuale rispettivamente del 14,5% e del 26%. In aggiunta ha rilevato che nel sangue coreano è presente una quantità superiore del gene Gm afb1b3, più caratteristico delle popolazioni meridionali e che raggiungeva un’incidenza di oltre il 24% nei cinesi continentali. Dunque, la sua ricerca ha dimostrato che geneticamente i coreani e i giapponesi sono di base uguali, ma che probabilmente i primi hanno ricevuto ulteriori contributi genetici da ondate migratorie che evidentemente non hanno coinvolto, se non in parte, il Giappone. Se ne trova conferma anche nelle ricerche condotte sul cromosoma-Y (quello che tra le ventitré coppie di geni stabilisce il sesso di un individuo), che rivelano che il popolo coreano è sostanzialmente un gruppo endemico che ha ciclicamente accolto varie nuove migrazioni. In tal senso conviene ricordare che, oltre alle “grandi” migrazioni, citate dalle fonti storiche, foriere di una vera e propria colonizzazione di territori, esistono anche delle “piccole” migrazioni di gruppi di uomini o semplicemente di un pugno di famiglie che si spostano per colpa di una persecuzione, di una guerra, di problemi igienici o alimentari. Altre volte si può verificare una supersaturazione della colonia, che conduce a costanti e progressive migrazioni. In effetti nel corso della storia molti han, khitan, nüzhen, mongoli migrarono nella penisola coreana fondendosi lentamente con la popolazione locale: erano soldati, monaci, rifugiati, commercianti, schiavi, prigionieri, politici, tecnici, artisti e artigiani, ma anche principi o regine. Un illustre esempio è la tomba di un funzionario cinese di nome “Chin” cui si fa cenno nell’epigra-
All’interno della popolazione coreana convissero anche vere e proprie minoranze etniche come quella dei hwach’ŏk 화척. Si trattava di individui, probabilmente di etnia nüzhen e senza fissa dimora, che svolgevano umili mansioni: producevano, ad esempio, cesti in corteccia di salice, comodi per il trasporto, oppure prestavano servizio come macellai e cacciatori, attività ripudiate nel periodo buddhista Koryŏ. Le donne tra loro più belle e con particolari doti canore venivano prescelte e invitate a corte per partecipare alle maggiori celebrazioni pubbliche in presenza del sovrano: da loro avrebbero avuto origine le kisaeng 기생, artiste e intrattenitrici. Bisognerà attendere un editto del re Sejong nel XV secolo perché tali hwach’ŏk non vengano più trattati come fuoricasta, ma integrati finalmente con il resto della popolazione. Fu proprio in questo periodo che un relativo isolamento politico e un maggiore controllo centralizzato consentirono l’avviarsi di strategie mirate di omologazione culturale. Si radicò ben presto nei coreani il convincimento collettivo di appartenere a una civiltà “unica e omogenea” ed essi non solo cominciarono a chiedersi chi fossero, ma lentamente e artificiosamente presero a vestirsi di una propria, nuova identità.
3.3 I coreani della diaspora La Corea è stata terra di immigrazione, ma ciclicamente è anche capitato che gruppi di coreani, per motivi di carattere economico o politico, si siano trasferiti al di fuori dei confini nazionali. Si stima che ad oggi siano circa nove milioni i coreani residenti all’estero. Questo trend continua ancora oggi, sia tra i profughi nordcoreani che cercano nella fuga migliori condizioni di vita, sia nei sudcoreani che, passaporto in mano, scelgono un altro Paese per studiare o vivere. Nel 2012, ad esempio, la Corea del Sud era al terzo posto dopo Cina e India per numero di studenti all’estero (120.000). Nel primo ’800 il malgoverno della famiglia dei Kim di Andong (1800-1852), le carestie e lo sfruttamento perpetrato ai danni della popolazione contadina innescarono un intenso fenomeno migratorio dei coreani verso la Manciuria. Il fenomeno si accentuò nel corso della colonizzazione giapponese (1910-1945), durante la quale cominciò anche a formarsi una comunità di coreani residenti in Giappone, gli zainichi 재일교포. Essa raggiunse quasi due milioni di membri
I coreani
fe della tomba di Tŏkhŭng-ri (408 d.C.); altro esempio è quello fornito dalla tomba del re Kongmin, che si trova a Kaesŏng e che è in assoluto una delle meglio conservate in Corea del Nord: essa è affiancata da quella della moglie mongola, la regina Noguk, morta di parto nel 1365.
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alla fine della Seconda guerra mondiale, e sarebbe risultata di gran lunga la più numerosa comunità coreana al di fuori dei confini nazionali, se una legge, dopo la sconfitta del Sol Levante del ’45, non avesse consentito il parziale rimpatrio dei suoi membri, permettendo loro di optare per il Sud o per il Nord del Paese.
Capitolo 3
Negli anni a seguire i residui di questa comunità coreana si andarono poi a integrare progressivamente nella società giapponese, in particolare dopo che nel 1985 una legge concesse alle coppie miste di scegliere la nazionalità dei figli. Alcuni zainichi riuscirono faticosamente a farsi strada nella società giapponese arrivando anche a godere di una certa notorietà. Tra questi Mitsuhiro Momota (1924-1963), meglio conosciuto come Rikidōzan 역도산 che divenne un vero e proprio eroe del wrestling professionale e godette di un successo paragonabile a quello di Hulk Hogan negli Stati Uniti. Nel panorama letterario va ricordato, invece, Yu Miri 유미리 (1968-), autrice di successo di romanzi, spesso autobiografici, in giapponese, già tradotti in varie lingue.
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Ritratto di Rikidōzan.
Altre significative comunità coreane che si sono formate nel secolo scorso sono quella americana 재미교포, che al 2010 contava circa 1,7 milioni di membri: il coreano è, ad oggi, la sesta lingua straniera più parlata negli Stati Uniti. Ricordiamo ancora la comunità dei coreani ‘sovietici’, i Koryŏin 고 려인, che vanta ancora una presenza di 500.000 anime nella sola Comunità degli Stati Indipendenti in particolare nell’Uzbekistan e nel Kazakistan, dove Stalin deportò i coreani residenti nell’URSS. A questa comunità apparteneva Viktor Robertovich Tsoi (1962-1990), una sorta di Jim Morrison coreano
Di grande rilevanza è poi, in ultimo, la comunità dei sinocoreani 조선족 (letteralmente ‘etnia Chosŏn’), che è cresciuta nel tempo sino a diventare attualmente la tredicesima minoranza etnica cinese per popolazione (secondo il censimento del 2000, i sinocoreani ammonterebbero a 1.923.842 persone). Essa si concentrava soprattutto nelle tre province del Nordest della Cina (Jilin, Liaoning, Heilongjiang), geograficamente più vicine alla penisola coreana, ma il boom economico della Corea prima e della Cina dopo hanno portato a un suo rapido smistamento in tutte le maggiori città produttive dell’Asia Orientale. Dopo aver fondato la dinastia Qing (1644-1912), i mancesi, pur mantenendo a Pechino la capitale dell’Impero, tentarono di proteggere i territori delle province nordorientali dell’Impero stesso, che rappresentavano la culla della loro civiltà, ma erano climaticamente meno ospitali, privi di sufficienti risorse idriche e non bonificati. In concomitanza con l’aumento del rischio di un’infiltrazione russa in quell’area, soprattutto dopo la stipula della Convenzione di Pechino (1860), che riconobbe a Mosca la proprietà dei territori, delimitati dal fiume Amur e dall’Ussuri, l’Impero cinese revocò il divieto d’immigrazione imposto ai coreani, consentendo loro di insediarsi soprattutto in quell’area che da allora in poi venne comunemente conosciuta come ‘isola d’intermezzo’ ovvero Jiandao 간도. Con la fine del conflitto e la liberazione della Manciuria, nell’agosto del 1949, i coreani residenti in Cina furono integrati come ‘minoranza etnica’ 소수민족 nel popolo cinese, mentre dal 1953 fu riconosciuta nella Repubblica Popolare l’autonomia culturale a oltre trenta borghi e oltre cento villaggi con forte presenza coreana. In particolare va ricordata la prefettura autonoma dello Yanbian 연변, che rappresenta una vera e propria oasi coreana in territorio cinese: i residenti di origine coreana sarebbero 800.000 circa, ovvero il 37% della popolazione. Al suo interno le insegne e i cartelli sono anche in coreano, i suoi residenti possono studiare in coreano fino all’università (Yanbian University, 연변대학교), e sempre in lingua coreana sono pubblicati giornali e riviste.
Arirang Ai due inni nazionali delle Coree 애국가, si aggiunge un canto popolare, capace di far vibrare le corde dell’animo di qualsiasi coreano. Si tratta di Arirang 아리랑, di cui esistono 3.600 versioni diverse e che è divenuto celebre soprattutto dopo il lancio del film omonimo del regista di Na Un’gyu, durante la colonizzazione. Censurato dal Giappone, esso ha rappresentato
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che, dopo un’intensa carriera come cantante e pioniere del rock russo, morì improvvisamente in un incidente d’auto a soli 28 anni.
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Argentina 22.000
Brasile 50.000
Kazakistan 107.000 Uzbekistan 173.000
Medio Oriente 16.000
Africa 11.000
Italia 4.000
Regno Unito 46.000 Germania 31.000
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Mappa con l’indicazione delle principali comunità di coreani residenti all’estero (dati 2010, Moe).
Messico 11.000
Stati Uniti 2.176.000
Canada 231.000
66 Indonesia 36.000
Vietnam 83.000
Cina 2.704.000
Russia 218.000
Oceania 132.000
Filippine 96.000
Giappone 904.000
la colonna sonora della migrazione dei braccianti in Siberia e in Manciuria tra la fine del XVIII e gli inizi del XIX secolo, e poi successivamente dei minatori, degli operai, dei commercianti costretti a lasciare la propria terra natìa. Sebbene resti incerta l’origine etimologica del titolo, il tema del canto è certamente quello della divisione, della separazione e dell’abbandono. Arirang, Arirang, Arari’o, Arirang. Tu che, valicando il passo della montagna, vai via, abbandonandomi qui, dopo nemmeno dieci li sei già stremato di fatica. 아리랑, 아리랑 아라리오 아리랑 고개로 넘어간다 나를 버리고 가시는 임은 십 리도 못 가서 발병이 난다.
Può stupire che quasi dieci milioni di individui nel solo Sud portino l’antico cognome dei re di Silla, Kim 김 (in cinese 金, ‘metallo’ o ‘oro’), lo stesso tra l’altro dei leader nordcoreani. In realtà la Corea vanta una suggestiva e complessa storia anagrafica. In epoca protostorica gli abitanti della penisola dapprima utilizzarono nomi purocoreani, ma nei secoli adottarono – per moda o imposizione – prima nomi cinesi (soprattutto dopo il V secolo), poi mongoli (nel XIII secolo), poi occidentali (a partire dal XVIII secolo) e poi ancora giapponesi (nel XX secolo). Durante il periodo Koryŏ, alcuni sovrani si fregiarono di nomi mongoli: ad esempio il re Kongmin 공민 era anche conosciuto col suo nome straniero Bayan Temür. Dopo la colonizzazione e in particolare a partire dal 1940 – a seguito della promulgazione della riforma anagrafica 창씨개명, finalizzata all’assimilazione del popolo coreano – fu richiesta a tutti i cittadini l’adozione di un nome impostato sul modello giapponese. Solo per fare un esempio, Kim Taejung 김대중 (1924-2009), ottavo presidente della Repubblica di Corea e premio Nobel per la Pace, all’età di quindici anni ricevette il nome di Toyota Daichū (豊田大中, Daichū è, di fatto, la lettura giapponese del suo nome coreano, Taejung) e così veniva chiamato ai tempi delle scuole superiori. Dopo l’introduzione del Cristianesimo, molti coreani convertiti erano soliti scegliere un loro ‘nome di battesimo’ 세례명 e tanti altri che studiavano o vivevano all’estero naturalizzavano per praticità il loro nome nella lingua locale. Illustre è il caso di Sŏ Chaep’il 서재필 (1864-1951), fondatore nei primi del ’900 del Giornale dell’Indipendenza 독립신문, che, durante il suo soggiorno di studio negli Stati Uniti, adattò il suo nome in “Phillip Jaisohn”.
I coreani
3.4 I nomi dei coreani
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Di norma un nome per esteso in coreano si compone di tre sillabe (più raramente di due), di cui una appartiene al ‘cognome’ 성/姓 e due al nome 이름 (in cinese 명/名). Sebbene il cognome si riferisca al gruppo di discendenza patrilineare, il carattere cinese che gli corrisponde significherebbe ‘generato da una donna’ e si riferirebbe dunque in origine a una linea di discendenza matrilineare (di fatto solo dal 2008 col consenso dei genitori è possibile, in Corea del Sud, trasmettere ai figli il cognome della madre). Secondo un censimento del 1985, in Corea esistono ben duecentosettantacinque cognomi differenti, ma la stragrande maggioranza della popolazione appartiene alle famiglie Kim 김, Yi 이 e Pak 박. Pak 3.895.000 Yi 6.796.000
Capitolo 3
altri cognomi 30.000.000
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Kim 9.925.000
Distribuzione dei cognomi nella popolazione sudcoreana.
Nel periodo classico era pratica del sovrano “concedere” ai suoi funzionari, insieme a cariche specifiche, dei cognomi, che permettevano loro di essere ufficialmente cooptati nell’élite del regno. Pur di accattivarsi le simpatie delle aristocrazie locali, il re Wang Kŏn ebbe trenta consorti, spesso figlie di nobili, e conferì a molte di loro il cognome del suo casato, Wang, così da integrare le loro famiglie nei ranghi più alti della corte Koryŏ. Il cognome era, dunque, appannaggio della mera aristocrazia e ancora alla fine del XIX secolo si ipotizza che ben il 90% della popolazione (in particolare donne e schiavi) non avesse un nome completo. Nel tempo e, in particolare nel XVI secolo, in molti – soprattutto mercanti di successo – si attribuirono artatamente dei cognomi di prestigio per dissimulare la loro umile origine. Comprando registri di famiglia 호족 di nobili decaduti, essi potevano così aspirare a un più elevato tenore sociale e, ancor più, ottenere l’esenzione dal servizio militare e dalle corvée. Questo fenomeno dilagò in tutto il tardo periodo Chosŏn, tanto che il letterato Chŏng Yag’yong 정약용 (1762-1836) nell’ottavo volume del suo Ammonimenti per governare il popolo 목민심서 ebbe a lamentarsi che nel villaggio in cui risiedeva la gente del posto sottoponeva alla sua attenzione i registri di famiglia, che quasi sempre non risultava-
no autentici. Tale tendenza fu ulteriormente esasperata con le riforme catastali varate tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo, in quanto molti schiavi richiesero i cognomi dei propri padroni e chi era senza nome si fece attribuire i cognomi più prestigiosi dell’epoca. Da ciò deriva la grande concentrazione di persone con gli stessi cognomi, Kim in primis. Nel tempo si è reso pertanto necessario suddividere i nomi di famiglia in vari clan 씨, differenziandoli in base al pon’gwan 본관, ovvero alla città di origine del suo capostipite 시조. 본관 origine del nome
안동
Andong
성 cognome
김
Kim
이름 nome
은정
Ŭnjŏng
I cognomi più prestigiosi erano quelli il cui capostipite era stato un re o un personaggio di chiara fama, talvolta anche di origine straniera. Ne consegue che di tutti i Kim alcuni sono originari della città di Kyŏngju, altri di Kimhae, altri ancora di Andong, ecc. Interessante è ricordare che paradossalmente la famiglia leader nella Corea del Nord appartiene ai Kim originari di Chŏnju, una città sudcoreana. Ogni cognome è, dunque, dotato di una o più origini e due persone con lo stesso cognome, ma di origini diverse, non hanno pertanto legami di parentela. Mentre il cognome veniva ereditato in base alla linea di discendenza, la scelta del nome sottendeva tradizionalmente pratiche enigmatiche e spesso superstiziose. Poiché il nome avrebbe riflettuto il destino di chi lo portava, nella sua ‘scelta’ 작명 si cercava di trovare un equilibrio nei caratteri che lo componevano, sia calcolando oculatamente il numero di tratti, sia dosando sapientemente i componenti che riguardavano i Cinque Elementi (metallo, acqua, fuoco, legno, terra). Inoltre generalmente i nomi dovevano contenere caratteri di virtù o di buon auspicio. A differenza, quindi, dei nomi giapponesi, in Corea si era soliti attingere da un bacino limitato di caratteri che per gli uomini afferivano alla sfera della virilità, per le donne a doti femminili come la bellezza, il candore, la benevolenza. Ciò ha determinato a sua volta una frequente ricorrenza degli stessi nomi, oltre che come abbiamo visto dei cognomi. Peraltro, all’interno della famiglia, soprattutto per i figli maschi era invalsa la pratica, per rispetto del padre, di mantenere inalterato uno dei due caratteri che componevano il suo nome – similmente a come in Italia si usa spesso acquisire il nome di un proprio nonno – e di “ruotare” l’altro, che diventava la variante del nome 돌림자, 항렬. Tale variante veniva scelta in base a un criterio prestabilito
I coreani
Schema di un nome completo in coreano.
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ed esplicitato di solito sul proprio registro di famiglia, che seguiva generalmente l’ordine dei cinque elementi oppure dei dodici segni zodiacali e che consentiva di capire immediatamente la gerarchia dei membri di una stessa famiglia. Se si guarda alla genealogia della famiglia dei leader Kim in Corea del Nord, si noterà che il carattere di ‘sole’, il 일, viene conservato nel nome di Kim Ch’ŏng’il, mentre i suoi figli portano tutti nel nome il carattere di ‘giustezza’ chŏng 정/正 un segno di rispetto per il padre. Kim Ilsŏng
김일성 ª
Kim Chŏng'il
김정일 ª ª
ª
Kim Chŏngnam Kim Chŏngch'ŏl
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김정남
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김정철
Kim Chŏng'ŭn
김정은
Negli ultimi decenni si sta affermando sempre più la tendenza di scegliere termini purocoreani, piuttosto che nomi di derivazione cinese. Proprio perché al nome si lega il proprio destino, alcuni coreani lo cambiano deliberatamente nel corso della loro vita nella speranza di migliorare il proprio futuro; altri invece lo alterano per renderlo più altisonante. È quanto capitato a un famoso stilista coreano nato col nome di Kim Pongnam 김봉남
Ritratto di Kim Pongnam, in arte André Kim, uno dei più celebri stilisti coreani contemporanei.
(1935-2010), ma diventato famoso come André Kim 앙드레 김. Caso forse ancora più celebre è quello di Kim Sŏngju 김성주, che cambiò il carattere finale di ‘colonna’ 주 in quello di ‘sole’ 일, conferendo un’aria quasi di sacralità alla sua figura e diventando noto come Kim Ilsŏng.
All’inizio delle gravidanza, veniva attribuito al feto un nome 태명 con cui sarebbe stato chiamato durante il periodo di gestazione; lo si faceva perché era credenza comune che il bambino neoconcepito andasse educato anche durante il periodo della gravidanza e anzi, secondo la Nuova cronaca dell’educazione fetale 태교신기 (1800): L’istruzione di un individuo nei primi dieci mesi [dentro la pancia] è più importante di quella dei suoi primi dieci anni [di vita]. 師敎十年 未若母十月之育. A causa dell’alta mortalità infantile, soprattutto nell’era precedente alla scoperta degli antibiotici, si era soliti non attribuire da subito un nome ufficiale al nascituro, ma si attendeva un lasso di tempo, di qualche mese o anno, prima di conferirglielo. Nel frattempo gli veniva assegnato un nome provvisorio d’infante 아명, usato principalmente all’interno delle mura domestiche: ne veniva talvolta scelto volontariamente e ironicamente uno di cattivo gusto (come ad esempio ‘testicolo di cane’), perché si pensava che questo avrebbe favorito la crescita sana del piccolo.
Educazione del feto 태교 Nelle famiglie aristocratiche era assegnata la massima importanza all’educazione fetale, dopo il concepimento. La condotta dei genitori era di estrema rilevanza e in particolare lo era quella del padre, che doveva condurre per nove mesi una “gestazione virtuale”: perché il figlio potesse nascere e crescere correttamente, doveva infatti prima del parto contenere i suoi desideri, alimentarsi correttamente, dormire in una posizione
I coreani
Al nome proprio, si possono poi aggiungere ulteriori epiteti, nomi d’arte, nomignoli – ufficiali o meno – assegnati dal diretto interessato, da un suo genitore o anche da amici e insegnanti. D’altronde nella cultura confuciana era considerato poco rispettoso chiamare una persona direttamente con il suo nome proprio e da questo deriva la tendenza che tuttora si conserva nel coreano contemporaneo di rivolgersi all’interlocutore ricorrendo a un titolo 직함 o assegnandogli un fittizio grado di parentela (fratello, sorella, zio).
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Capitolo 3
corretta, non portare pesi né percorrere strade scoscese, non indugiare in cattivi pensieri e moderare il linguaggio. Cento giorni dopo la nascita si teneva la prima festa in onore del bimbo, per celebrare il superamento del primo scoglio per la sopravvivenza. La festa più importante era al compimento del primo anno 돌: il bimbo veniva fatto sedere di fronte a un tavolo imbandito di ‘piatti di riso’ 쌀, ‘fettuccine’ 국수, ‘dolci di riso’ 떡 nei cinque colori e poi con ‘libri’ 책, ‘filo’ 실, ‘denaro’ 돈 e vari altri oggetti. Ciò che il bimbo toccava per primo avrebbe segnato irreversibilmente il suo destino (ad esempio, se avesse toccato un libro sarebbe andato bene a scuola, se avesse toccato il filo avrebbe avuto una lunga vita, se avesse toccato i soldi sarebbe diventato ricco).
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A letterati, politici, artisti e personaggi importanti veniva, invece, solitamente assegnato uno pseudonimo, ho 호, che, a differenza del nome vero e proprio, poteva essere scelto liberamente, senza nessun vincolo o limitazione. Si ispirava o a elementi biografici di quel personaggio oppure veniva tratto da passi di classici confuciani. Ad esempio, lo ho del grande letterato Chŏng Yag’yong 정약용 (1762-1836), con cui sarebbe stato conosciuto ai posteri, è ‘Montagna di tè’ 다산, con riferimento al monte Mandŏk, ricco di piante di tè, nei cui pressi egli trascorse circa dieci anni in esilio. Yi Ik 이익 (1681-1763), altro letterato del periodo Chosŏn, si lasciava chiamare ‘Lago di stelle’ 성호, mentre Choi Che’u 최제우 (1824-1864), esponente religioso, ‘Nuvola d’acqua’ 수운. Un individuo poteva ricevere un nome anche da morto. Era questo principalmente il caso di sovrani cui veniva attribuito un nome postumo 시호, in base ai propri meriti o alla propria condotta morale. Il diciannovesimo sovrano di Koguryŏ (374-412) sarebbe stato conosciuto col nome di Kwanggaet’o 광개토, ‘il re della grande espansione’, con riferimento alle sue gesta che avevano condotto alla conquista di enormi territori; il ventitreesimo re di Silla (?-540) sarebbe stato ricordato, invece, come re Pŏp’ŭng 법흥, ‘promotore della Legge’, in quanto grande sostenitore della religione indiana. Nel periodo Chosŏn posteri assegnavano ai defunti sovrani che in vita aveva acquisito particolari meriti (spesso militari), il carattere cho 조, mentre a sovrani dotati di spiccate virtù (oppure che potevano vantare meriti culturali) il carattere chong 종. Al contrario sovrani incapaci, illegittimi o che avevano mostrato atteggiamenti dispotici e sanguinari avrebbero acquisito nel nome postumo il carattere kun 군 e non avrebbero meritato alcuna devozione nel sacello reale 종묘, dimora imperitura di tutti i “veri” sovrani del periodo Chosŏn.
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Storia della Corea
La Corea è, e probabilmente rimarrà ancora a lungo, un paese diviso. Sebbene la retorica ufficiale reclami questa come la grande tragedia del popolo coreano (e davvero lo è per le famiglie separate 이산가족, che sono state spezzate dal trentottesimo parallelo), storicamente la Corea è stata spesso divisa in due, tre o quattro entità politiche diverse, a volte in guerra fra loro, tanto che quella del 1950-53 è solo l’ultima – invero la più cruenta – delle decine di guerre combattute tra coreani sulla penisola. Per tutto il periodo dei Tre Regni fu combattuta in media una guerra ogni tre anni e celebre è la battaglia della fortezza di Kwansan nel 554 tra gli eserciti dei regni di Paekche e di Silla, che si risolse in una disastrosa sconfitta per il primo e durante la quale lo stesso re trovò la morte. Nel Samguk Sagi al riguardo si riporta che: Furono decapitati quattro consiglieri e 29.600 soldati. Nemmeno un cavallo fece più ritorno. 斬佐平四人, 士卒二萬九千六百人, 匹馬無反者. (Samguk Sagi, v. 4, re Chinhŭng) Si tratta indubbiamente di un massacro impressionante se si rapporta questa cifra ai dati demografici del tempo e considerate le armi disponibili all’epoca. Di fatto, l’unico periodo dinastico in cui tutto il territorio coreano fu culturalmente unito e politicamente unificato sotto l’egida di uno stesso casato reale, quello Chosŏn (1392-1910), ha testimoniato un marcato settarismo politico e profonde fratture sociali, foriere di continui colpi di Stato, ribellioni e velleità sovversive e irredentiste e la Corea non si sentiva nemmeno allora del tutto “unificata” perché reclamava la paternità dei territori della Manciuria. Persino durante la colonizzazione i movimenti di indipendenza seguirono due linee politiche del tutto diverse fra loro, una maggiormente militarista, con centro a Vladivostock dove fu costituita l’Associazione del popolo
Lingua e scrittura
4.1 Problematiche generali
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del Grande Han 대한국민의회, e l’altra più diplomatica, con centro a Shanghai dove nel 1919 si era formato il Governo provvisorio del Grande Han 대 한민국임시정부. Questa stessa frattura era, in tempi non sospetti, antesignana della tragica Guerra di Corea, che sarebbe stata combattuta all’indomani della liberazione del Paese. La periodizzazione di seguito proposta per inquadrare l’evoluzione storica della penisola e che utilizzeremo in questo testo si discosta sensibilmente da quella attualmente suggerita nei principali testi di storia coreana, ma risulta di gran lunga più fedele alla realtà dei fatti e mostra molto chiaramente il frazionamento della penisola in tutto il suo passato.
Capitolo 4
Prospetto della storia coreana
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2333 a.C.-108 a.C. Periodo dei tre Chosŏn antichi e dei tre Han 57 a.C.-668 d.C. Periodo dei Cinque presidi militari (108 a.C.-314 d.C.), periodo dei Quattro regni (57 a.C. 668 d.C.) 668-926 Periodo di Silla Posteriore e di Parhae 892-936 Periodo tardo dei Tre Regni Periodo di Koryŏ e dei Kithan (Liao)-Jurchen (Jin) 918-1392 Periodo di Chosŏn tardo (dal 1897 Impero del 1392-1910 Grande Han) 1910-1945 Colonizzazione Giapponese (Associazione del Popolo e Governo provvisorio) 1948-oggi Repubbliche di Corea Le premesse di una nuova divisione dovevano già sussistere se lo stesso Toyotomi Hideyoshi, prima di invadere la penisola nel 1592, aveva in precedenza ipotizzato una ripartizione a metà del paese non dissimile da quella attuale e se l’idea tornò nuovamente alla ribalta alla vigilia della guerra russo-giapponese del 1904-05. La concezione di una Corea unita culturalmente, oltre che territorialmente, e l’idea persino di una ‘razza unica’ 단일민족 sono suggestioni più recenti – mutuate dal Giappone Meiji –, che risalgono dunque all’arrivo della modernità e che furono adoperate come slogan per scoraggiare l’influenza straniera. È stato solo quando la Corea ha dovuto far fronte al nemico comune – l’Impero cinese, quello mongolo e poi soprattutto il Giappone – che il popolo coreano si è ritrovato a condividere realmente gli stessi valori e obiettivi e i coreani si sono scoperti davvero tali. Lo strumento più efficace che da subito i coreani scoprirono per poter confezionare una propria identità anche agli occhi delle popolazioni limitrofe
fu sicuramente la compilazione di un testo di storia. Per quanto riguarda i Tre Regni, nel caso di Paekche fu il re Kŭnch’ogo 근초고 (?-375) a ordinare allo studioso Ko Hŭng 고흥 di redigere delle ‘Memorie scritte’ 서기, la prima storia in assoluto di cui si trovi traccia nelle fonti, mentre in ben cento rotoli doveva essere quella del regno di Koguryŏ, le Memorie tramandate 유 기. Nel 545 anche a Silla veniva redatta una Storia del Regno 국사, che però, come le altre citate, non ci è mai pervenuta.
六年 秋七月 伊飡異斯夫奏曰 國史者 記君臣之善惡 示褒貶於萬代 不 有修撰 後代何觀 王深然之 命大阿飡居柒夫等 廣集文士 俾之修撰. (tratto dal Samguk Sagi) I primi testi di cui siamo in possesso sono tardi (XII e XIII secolo) e furono redatti in corrispondenza di delicati periodi di crisi; ad esempio, alla ribellione del monaco Myoch’ŏng nel 1135 seguì la compilazione del Samguk Sagi 삼국사기 (1145) ad opera del letterato Kim Pusik 김부식 (1075-1151), e all’invasione mongola del 1231 seguì la compilazione del Samguk Yusa 삼 국유사 (1181) del monaco buddista Ir’yŏn 일연 (1206-1289). Si tratta dei più importanti riferimenti in nostro possesso per ricostruire le prime tappe della storia della penisola, ma entrambe le opere sono relativamente poco affidabili. La prima presenta vistosi errori – ad esempio alcuni sovrani vivono da 100 a 130 anni, quando nel periodo classico le aspettative medie di vita erano di appena quarant’anni. Inoltre la sua impostazione favorisce chiaramente il regno di Silla, la cui fondazione viene artificiosamente fissata nel 57 a.C., primo anno di un ciclo di sessanta, per conferire maggiore coerenza e lustro alla sua storia. Alcuni commenti troppo esplicitamente confuciani lasciano, inoltre, adito al sospetto che letterati di epoche successive abbiano interpolato l’opera. Il Samguk Yusa, a sua volta, pecca nell’indugiare spesso nel favolistico e nel riportare dati piuttosto inverosimili, che minano la credibilità dell’intera opera; si legga a tal riguardo la storia del capostipite della famiglia dei Sŏk, T’arhae, di seguito riportata. In quei giorni la moglie di Hamdal, sovrano del regno di Wanha, rimase incinta e quando la Luna fu piena mise al mondo un uovo, che si
Storia della Corea
Nel settimo mese del sesto anno lo ich’an Isabu disse: “Poiché la storia consiste nel prendere memoria del bene e del male dei sudditi e nel giudicare eventi morali e immorali a favore delle future generazioni, se vostra maestà non provvede a far redigere delle memorie storiche, quale riferimento avranno i posteri?” Il re fu molto suggestionato da quelle parole e ordinò al grande anch’an Kŏch’ilbu di raccogliere le informazioni e di redigere una storia nazionale.
75
Capitolo 4
trasformò in un uomo e fu chiamato “T’arhae”. Lui attraversò il mare, era alto tre misure e la circonferenza della testa era di una misura. Arrivò al Palazzo reale, tutto giulivo, e si rivolse al sovrano dicendo: “Sono venuto appositamente per sottrarti il posto di sovrano”, ma il sovrano ribatté: “Il Cielo mi ha investito e intendo portare stabilità nel mio regno e pace fra la mia gente, quindi non posso andare contro il volere del Cielo e rinunciare al mio titolo di re, né d’altronde posso affidare a te il mio popolo”. A quel punto T’arhae propose un duello di magia e il re accettò. Per un attimo T’arhae si trasformò in un falco e il re in un’aquila. Poi di nuovo T’arhae in un passero, mentre il re in uno sparviero. Fu allora che i due tornarono ai loro corpi umani e T’arhae si arrese. 忽有琓夏國含達王之夫人妊娠. 彌月生卵, 化爲人. 名曰脫解. 從海 而來. 身長三尺. 頭圍一尺. 悅焉詣闕. 語於王云. 我欲奪王之位故 來耳. 王答曰. 天命我俾卽于位. 將令安中國而綏下民. 不敢違天之 命, 以與之位. 又不敢以吾國吾民, 付囑於汝. 解云. 若爾可爭其術. 王曰可也. 俄頃之間. 解化爲鷹. 王化爲鷲. 又解化爲雀. 王化爲鸇. 于此際也. 寸陰未移. 解還本身. 王亦復然. 解乃伏. (Samguk Yusa, Ki’i, v. 2)
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Fonti non autentiche Oltre al Samguk Sagi e Samguk Yusa sono conservate in Corea innumerevoli fonti storiche. Bisogna prestare però attenzione prima di consultarle, perché di alcune è stata ragionevolmente messa in dubbio l’autenticità. Qualche dubbio riguarda, ad esempio, il Hwarang Segi 화랑세기 (Cronache dei Hwarang), scritto presumibilmente tra il 702 e il 737 da Kim Taemun e “miracolosamente” rinvenuto nel 1989 a Kimhae (Sud Corea); oppure lo Hwandan Kogi 환단고기, una raccolta di testi sulla Corea classica, redatta in quattro volumi e compilata nel 1911 da Kye Yŏnsu 계연수, ma rimaneggiata e poi ripubblicata nel 1979: essa cerca maldestramente di colmare quell’oceanica lacuna documentaria che intercorre tra la fondazione del regno di Chosŏn antico (2333 a.C.) e la sua caduta (108 a.C.). Entrambe le opere impongono un’inverosimile trama di continuità agli eventi, ricercando un ordine artificioso delle vicende passate e ricorrendo spesso a una loro ingenua semplificazione. Questa impostazione deriva dall’interpretazione della storia come un filo ininterrotto che dal presente seguiva a ritroso il cammino dinastico del Paese sino ad affondare in un passa-
Ricostruzione della storia dal punto di vista del Nord P'yŏngyang
P'yŏngyang
1. Chosŏn Anco 2. Koguryŏ
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Hamhŭng Kaesŏng 3. Parhae
4. Koryŏ
5. DPKR
Ricostruzione della storia dal punto di vista del Sud Hansŏng Kyŏngju 1. Samhan
2. Silla
Kyŏngju 3. Silla posteriore
4. Chosŏn
Storia della Corea
to mitico e celestiale: con questo cavillo i confuciani laici del periodo Chosŏn ambivano a garantire alla loro storia una rispettabilità paragonabile a quella della storia cinese e a legittimare il presente grazie alla costruzione di un passato immortale. Il grande paradosso di questo processo è che gli storici per secoli si sono prodigati per creare un’artificiosa linea di continuità negli eventi della penisola e per scongiurare il rischio di trasmettere all’estero l’immagine di un paese frammentato, tanto da escogitare l’idea di una razza e di una cultura unica: ora invece, la Corea si trova geograficamente, politicamente e culturalmente divisa. Ma allora quale delle due Coree è “storicamente” legittima, ovvero in quale dei due Paesi approda questo lungo filo chiamato Storia? Di fronte a questo dilemma, gli storici delle due Coree, all’indomani della separazione, hanno dovuto rielaborare la ricostruzione del loro passato, per suffragare la propria ‘legittimità’ 정통성. Nel tentativo di contribuire ad avallare uno dei due sistemi politici a discapito dell’altro, hanno cercato di veicolare all’occorrenza l’epicentro della storia della penisola verso il Sud o verso il Nord, bypassando con indifferenza alcuni passaggi o interi periodi storici. Ne risulta un’impostazione estremamente diversa della storia coreana vista dal Sud, oppure dal Nord.
5. ROK
Effettivamente la storia della Corea, soprattutto quella antica, si è sempre prestata a varie interpretazioni, spesso discordanti fra loro, principalmente a causa della parzialità metodologica degli studiosi che nei secoli hanno cercato di ricostruire il suo sviluppo e che sono stati sovente suggestionati da influenze di carattere ideologico, politico o economico. La natura stessa del cinese classico – una scrittura senza punteggiatura, senza maiuscole, riportata spesso su supporti deperibili in carta, bambù, seta o legno, che ne compro-
mettevano anche la leggibilità – si prestava molto a interpretazioni diverse: la sola alterazione di un radicale di un singolo carattere rischia di capovolgere completamente il senso di una frase. Queste peculiarità della scrittura hanno aumentato il rischio di manipolabilità delle fonti, come accadde nel periodo coloniale (1910-45), allorquando alcuni studiosi giapponesi forzarono la decifrazione delle iscrizioni dei monumenti locali, perché divenissero prove della superiorità culturale del Sol Levante rispetto alla Corea; celebre è il caso dell’epigrafe monumentale della stele del re Kwanggaet’o (414) 광개토왕릉비 così come quello dell’incisione sulla spada a sette punte 칠지도 di Paekche.
Capitolo 4
4.2 Rapporto con la storia cinese
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Coeva al Samguk Yusa è un’opera storica di Yi Sŭnghyu 이승휴 (1224-1300), piuttosto atipica in quanto redatta interamente in versi e conosciuta appunto col nome di Versi di imperatori e sovrani 제왕운기 (1287). Si compone di due volumi di cui il primo narra della storia cinese (gli imperatori) e il secondo tratta, invece, di quella coreana (i sovrani) fino al Periodo tardo dei Tre Regni; far anticipare la storia coreana da quella dell’Impero cinese tradisce l’atteggiamento manieristico, oltre che il servilismo 사대주의, dell’autore nei suoi confronti. Nel Liaodong vi è un secondo creato, / separato dalla Cina, / circondato sui tre lati da mari con grandi onde. / Nel Nord è legato come una linea al resto della terra. / Si estende nelle quattro dimensioni per mille li / e il suo territorio è conosciuto al mondo come Chosŏn. / La sua gente vive di agricoltura, scava pozzi e da lì attinge l’acqua. / Tale Regno rispetta l’etichetta / e i cinesi stessi erano soliti chiamarla ‘piccola Cina’. / A fondare il primo regno / fu il nipote del Dio del Cielo, chiamato Tan’gun, / nello stesso anno dell’imperatore Yao. / Rimase al potere oltre il periodo del re Sun, fino alla dinastia Xia. / Poi, nell’anno 2333, entrò nella montagna di Asadal e diventò una divinità immortale. / Il suo Regno aveva 1028 anni. 遼東別有一乾坤, 斗與中朝區以分. 洪濤萬頃圍三面, 於北有陵連 如線一作華句. 中方千里是朝鮮, 江山形勝名敷天. 耕田鑿井禮義 家, 華人題作小中華. 初誰開國啓風雲, 釋帝之孫名檀君. 竝與帝高 興戊辰, 經虞歷夏居中宸. 於殷虎丁八乙未, 入阿斯達山爲神. 享國 一千二十八. (Versi di Imperatori e sovrani, v.2) Tale atteggiamento indusse gli storici coreani non solo a ricalcare l’imposta-
Tale equivoco scaturisce dalla particolarità piuttosto problematica che la storia coreana non è mai iniziata in Corea, cioè nel territorio che costituisce oggi la Corea: in altri termini, sia il regno di Chosŏn antico sia quello di Koguryŏ fondarono le proprie basi nella bassa Manciuria e principalmente nel Liaodong e, per ironia della sorte, oramai anche il monte sacro del popolo coreano, il Paektu, su cui discese secondo un’ipotesi il suo capostipite, Tan’gun 단군, appartiene quasi per metà alla Cina. L’equivoco è ulteriormente esasperato dalla natura intrinseca delle relazioni diplomatiche in Asia Orientale, basate tradizionalmente su un sistema sinocentrico e non paritetico, meglio definito come ‘tributario’ 조공; i coreani dovevano ciclicamente organizzare missioni dirette alla corte cinese per rendere “omaggio” all’Imperatore figlio del Cielo e attendere il suo beneplacito perché un nuovo sovrano potesse salire al trono della corte coreana. Non riconoscersi in questo – pur umiliante – sistema avrebbe condannato la Corea a escludersi da un bacino di cultura e tecnologia senza pari all’epoca; i regni coreani che si avvicendarono nella penisola si rassegnarono quasi sempre a rispettare il grande vicino, ma talvolta si pavoneggiarono persino nel rappresentare in tutta l’Asia Orientale il satellite con l’orbita più prossima alla civiltà cinese. Si vantarono perfino del titolo di ‘piccola Cina’ 소화, per aver affinato la cultura cinese raggiungendo i massimi traguardi di perfezionamento degli studi e dell’etichetta confuciani. Con la stessa fierezza, Seoul, capitale del regno Chosŏn e poi della Corea del Sud, è stata per secoli conosciuta come Hansŏng 한성, ovvero ‘fortezza cinese’, e in questo modo veniva ancora provocatoriamente chiamata nella Repubblica Popolare fino a qualche anno fa. Si può ragionevolmente sostenere che nel suo insieme il rapporto con l’Impero di Mezzo sia stato un’utilitaristica relazione di odi et amo: in cambio della deferenza coreana, i
Storia della Corea
zione dei modelli storiografici cinesi, ma a cercare di emulare la tradizione storica cinese, persino nei contenuti e nelle cronologie: ad esempio riproposero il mito oviparo, già precedentemente associato alla fondazione della dinastia Shang, o la formula di periodo dei “Tre Regni” eclissando dalla storia il “quarto” regno, quello di Kaya 가야 (42-532) e altri popoli, pur di periodizzare la propria storia secondo modelli già rodati dalla storiografia cinese; oppure retrodatarono la fondazione del regno di Chosŏn al 2333 a.C., così da riscattare un’autorevolezza paragonabile a quella dei primi imperi mitici cinesi. Questa tendenza ha, d’altro canto, rischiosamente spinto alcuni ricercatori della Repubblica Popolare cinese a guardare alla storia coreana non come a una storia indipendente, ma a una propaggine di quella imperiale cinese, una sorta di sua appendice regionale 속국.
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Corea Periodo Neolitico 신석기 8000 a.C.-X sec. a.C.
Chosŏn antico 고조선 2333. a.C.-IV sec. a.C.
Età del Bronzo 청동기
1000 a.C.
X sec. a.C.-IV sec. a.C.
Kija Chosŏn 기자조선 1122 a.C.-195 a.C.
500 a.C. Età del Ferro 철기 IV sec. a.C.-I sec. a.C.
Silla 신라
Capitolo 4
57 a.C.-X sec. d.C.
80
Koguryŏ 고구려
Wiman Chosŏn 위만조선 194 a.C.-108 a.C.
Comandi militari 오군 108 a.C.-314
Tre Han 삼한 ?-?
0
37 a.C.-668
Paekche 백제 18 a.C.-660
Kaya 가야 42-532
500 Silla Posteriore 후신라
Parhae 발해
668-918
698-926
Periodo tardo dei Tre Regni 후삼국 892 - 936
Koryŏ 고려
1000
918-1392 (Kithan, Jurchen, Mongoli)
Chosŏn 조선 2333. a.C.-IV sec. a.C.
1500
Impero del Grande Han 대한제국 1897-1910
Colonizzazione giapponese 일제강점기 1910-1945
Repubbliche di Corea 한국과 조선공화국 1948-oggi
2000
Cina
Giappone
Periodo Neolitico
Periodo Jōmon
8500 a.C.-2070 a.C.
14000 a.C.-IV sec. a.C.
Dinastia Xia 2070 a.C.-1600 a.C.
Dinastia Shang 1600 a.C.-1046 a.C.
Dinastia Zhou 1046 a.C.-256 a.C.
Periodo Yayoi IV sec a.C.-III sec. d.C.
Dinastia Qin 221 a.C.-206 a.C.
Storia della Corea
Dinastia Han 206 a.C.-220 d.C.
Tre Regni
國
220-280
Dinastia Jin 280-420
Dinastie del Sud e Nord
Periodo Kofun III sec. d.C.-538
420-589
81
Periodo Asuka
Dinastia Sui
538-710
589-618
Periodo Nara
Dinastia Tang
710-794
618-907
Cinque dinastie e dieci regni ṻỊ 907-960
Periodo Heian 794-1185
Dinastia Song 960-1279
Periodo Kamakura
Dinastia Yuan
1185-1333 (Restaurazione Kenmu 1336)
1279-1368
Dinastia Ming
Periodo Muromachi
1368-1644
1336-1573
Periodo Azuchi-Momoyama
Dinastia Qing
1573-1603
Periodo Edo
1644-1912
1603-1868
Periodo Meiji Repubblica di Cina Ḕ 1912-1949
Repubblica Popolare di CinaḔạ 1949-
1868-1912
Periodo Taishō
⑳
1912-1926
Periodo Shōwa ⑳ 1926-1989
✆
Capitolo 4 82
Ming inviarono un esercito di 40.000 uomini che aiutò la corte Chosŏn a scongiurare la sua rovina all’epoca dell’invasione di Hideyoshi (1592-7); furono poi i Qing a tamponare nuovamente, alla fine del XIX secolo, l’avanzata giapponese nella Corea in una guerra con il Sol Levante che costò loro 35.000 vittime tra morti e feriti; la Repubblica Popolare fu ancora a fianco della Corea del Nord durante la guerra nella penisola (1950-53), quando persino un figlio di Mao Zedong, Mao Anying, perse la vita; d’altro canto però la Corea fu una colonia cinese dal II secolo a.C. fino al IV d.C., Kija e Wiman, rifugiati cinesi, destituirono i sovrani di Chosŏn antico, i Sui e i Tang ciclicamente tentarono di conquistare la penisola e questi ultimi, dopo l’unificazione per merito dell’alleanza di Silla, provarono – seppur invano – ad assurgere al dominio dell’intera penisola. Politicamente ed economicamente, dunque, la Corea è stata protetta dall’Impero Cinese, ma ha dovuto anche proteggersene e ne ha subìto da sempre un’estenuante ingerenza. D’altronde ancora oggi la Cina è un partner da cui nessuna delle due Coree può e potrà mai prescindere e da cui dipenderà, che piaccia o meno, il loro destino.
Legame tra la storia cinese e quella coreana Sorprende come un territorio così culturalmente ed etnicamente disomogeneo qual è quello cinese abbia nel tempo raggiunto l’unità politica e come, al contrario, la penisola coreana, che si vanta della sua omogeneità etnica e culturale, sia ancora frazionata in due Stati e sistemi politici diversi. La storia cinese e la storia coreana sono, di fatto, fortemente collegate l’una all’altra e i grandi sconvolgimenti dell’una hanno generalmente provocato pesanti ripercussioni anche sull’altra. Non è quindi strano che la Corea guardi ancora oggi con profonda attenzione a ciò che accade al proprio vicino, così come che la Cina osservi con grande interesse la situazione politica ed economica della penisola, fonte di opportunità, ma anche potenziale minaccia alla sua stabilità. Ne abbiamo conferma passando in rassegna i principali punti di congiunzione della storia della Cina con quella coreana, dove i destini dei regni coreani si intrecciano a quelli degli imperi cinesi. Imperi Qin e Han: la costituzione dei primi due imperi scatenò decisi processi migratori diretti verso la penisola coreana: tra gli esuli anche Wiman 위만 che, forte delle sue maggiori conoscenze tecnologiche, fu in grado di usurpare il potere e di diventare re di Chosŏn. Nel 108 a.C. l’imperatore Wudi ordinò una campagna militare che gli permise di stabilire presidi/ comandi militari nel Nordest dell’Asia.
Periodo Medievale: i Wei prima e gli Yan poi si trovano continuamente in lotta con il regno di Koguryŏ, costretto alla costruzioni di imponenti muraglie per difendersi dagli attacchi stranieri, nonché allo spostamento della capitale. Impero Sui: nel tentativo di sottomettere il regno coreano, l’impero inviò nel 612 un esercito di 300.000 uomini contro Koguryŏ. La disfatta che ne seguì innescò una crisi nell’Impero cinese che cadde in soli sei anni.
Impero Yuan: dopo disastrose invasioni, i mongoli trasformarono la Corea in un protettorato e stabilirono dei comandi militari all’interno del suo territorio. Le rovinose sconfitte nel 1274 e 1281 durante le campagne contro il Giappone, avviate nella penisola e coordinate dai coreani, segnarono le prime battute di arresto dell’espansione mongola e l’inizio del declino dell’Impero. L’ultimo imperatore mongolo Huizong elevò una donna coreana al rango di seconda regina legittima: il Censore Li ammonì che le grandi calamità subite in quel periodo dall’Impero – e destinato a condurlo alla disfatta – erano proprio determinate dalla presenza a corte della consorte straniera. (Yuanshi, v. 41) Impero Ming: la fondazione dell’Impero Ming (1368) è quasi contemporanea a quella del regno Chosŏn (1392). Durante le invasioni giapponesi (1592-7), l’impero inviò un esercito nella penisola, ma ciò innescò una destabilizzazione del potere politico che portò in capo a qualche decennio alla sua caduta (1644). Impero Qing: i mancesi invasero a più riprese la Corea, costringendola poi a sottomettersi al suo sistema tributario. L’intervento militare mancese in Corea per reprimere la rivolta Tonghak (1895) fu la causa scatenante dello scoppio della guerra con il Giappone. Repubblica di Cina: appena dopo la caduta del regno Chosŏn (1910), venne proclamata nel 1912 la Repubblica di Cina. Sulla scia del movimento pacifico coreano contro il Giappone del 1° marzo 1919, fu organizzata anche in Cina una manifestazione antimperialista, il 4 maggio 1919. A partire dagli anni ’30 la Corea fu l’avamposto delle operazioni militari giapponesi che portarono alla conquista della Manciuria e di altri territori cinesi.
Storia della Corea
Impero Tang: alleandosi con Silla, l’impero Tang contribuì alla caduta dei regni di Paekche e di Koguryŏ e, dunque, alla presunta “unificazione” della penisola. Dopo la vittoria, rivolse le proprie armi contro il suo alleato con l’intento di assoggettare l’intera penisola. Tuttavia, il tentativo fallì e fu costretto alla ritirata.
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Repubblica Popolare cinese: la Repubblica di Corea venne fondata il 15 agosto 1948, esattamente tre anni dopo la sua liberazione. Il 9 settembre venne, invece, proclamata la Repubblica Popolare in Corea del Nord. Quasi un anno dopo sorse anche la Repubblica Popolare cinese, il 1° ottobre 1949. Molte strategie e politiche nordcoreane mutuarono idee e lessico dall’esperienza maoista, così come ad esempio il Grande Balzo in Avanti (1958-1961) cinese ha il suo corrispettivo nel Movimento stacanovista nordcoreano di Ch’ŏllima.
Capitolo 4
4.3 I re
84
All’interno delle fonti, la narrazione della storia coreana dalle sue origini fino al XX secolo è incentrata sulla figura del ‘re’ 왕, monarca assoluto e primo e ultimo responsabile delle politiche economiche, culturali e militari del regno. Biografie di altri personaggi pur di rilievo, persino dei principali eroi, vengono considerate secondarie e relegate alle appendici delle cronache del tempo. Lo studio di qualsiasi periodo della storia coreana non può, dunque, prescindere dall’analisi di questa figura, che ebbe un ruolo decisivo in tutti gli ambiti della cultura coreana sino almeno al secolo scorso: l’ultimo sovrano della Corea, Sunjong 순종, morì all’età di 52 anni nel 1926, quando ormai la Corea era diventata una colonia dell’Impero Giapponese. Il potere assoluto, il culto della personalità, le parate pubbliche, la metafora del Sole, l’immagine di padre benevolente, ma con potere di vita e morte sui suoi sudditi: alcuni aspetti di questa figura non si sono bruscamente estinti con l’epoca monarchica, ma sembrano in un certo senso essere stati recepiti – più o meno consapevolmente – da alcune leadership delle Coree postbelliche. I primi sovrani della storia coreana erano capi sciamani, che detenevano, oltre a un potere secolare, un significativo potere spirituale, e rappresentavano la proiezione terrestre di divinità del Cielo: erano divinità materiche nel mondo dei vivi, incarnazioni terrestri di entità trascendenti. Tan’gun, il mitico fondatore del primo regno coreano, era discendente in linea diretta di Hwan’in, dio supremo del Cielo; Chumong e Pak Hyŏkkŏse, fondatori di Koguryŏ e Silla, nacquero da uova fecondate da un raggio di sole. Quest’aura di sacro e di divino che aleggia attorno alla figura del sovrano permane costantemente anche nelle epoche successive. La statua in bronzo del re Wang Kŏn, rivestita in oro, veniva portata in processione per le strade di Kaesŏng ed era oggetto di un vero e proprio culto da parte della popolazione locale. I re ricevevano – alla stregua dell’imperatore cinese – un mandato celeste 천
명 che legittimava il loro status e grazie al quale assurgevano al ruolo di garanti dell’ordine della natura e dell’universo. Durante le carestie, come quella del 1672, erano loro a celebrare i riti della pioggia 기우제 o a commissionare sul fiume Han riti sciamanici in onore del dio drago 용왕제 per salvare la popolazione. I loro ritratti venivano dipinti dai maggiori artisti del tempo e impreziosivano le pareti di uffici pubblici e privati, pressappoco come oggi capita su più larga scala alle fotografie incorniciate dei leader nordcoreani. I re illuminavano il popolo come il Sole la Terra ed era loro consuetudine alzarsi alle cinque del mattino, all’alba, perché nessun altro Sole potesse sorgere prima di loro.
ogni terra all’interno del regno appartiene al sovrano e [che] tutta la popolazione è di lui suddita 普天之下 莫非王土 率土之濱 莫非王臣. In una regione per il 90% agricola e in cui le tasse venivano pagate in canapa o generi alimentari, il possesso delle terre implicava in sostanza il monopolio di tutta l’economia locale. Periodicamente i re amavano fare sfoggio dei loro poteri organizzando maestose parate pubbliche a cui partecipavano fino a cinquemila persone, tra cui cortigiani, funzionari, soldati, schiavi, musici e danzatori. I re erano peraltro gli unici a potere decidere la morte di un loro suddito, comminandogli la pena capitale; per quanto grave fosse un crimine, nessun altro giudice in tutto il regno poteva arrivare a tanto. Nel periodo Chosŏn era, inoltre, invalsa una pratica per la quale se un singolo cittadino avesse voluto avanzare un’istanza contro una legge avrebbe dovuto presentarsi al palazzo con un’ascia in mano: se il sovrano non l’avesse accolta – con quella stessa ascia – avrebbe avuto il diritto di recidergli il capo. Per non incorrere in comportamenti errati, il sovrano era costretto a seguire senza tregua sin dall’infanzia un percorso di educazione, sotto la rigida guida dei più illustri letterati del tempo. Anche una volta salito al potere, continuava a partecipare quotidianamente a pubbliche lezioni 경연 in cui discuteva con letterati e funzionari dei classici confuciani e di varie opere storiche e politiche. Egli era, però, anche modello di vita e insegnante a sua volta, un faro che illuminava il popolo, tanto che i suoi ordini venivano in gergo chiamati ‘insegnamenti impartiti’ 수교. Tuttavia, per evitare che i re abusassero dell’enorme potere loro conferito, erano imprigionati in una rete di censura e
Storia della Corea
La portata del potere dei re coreani è ben documentata da un passo del Classico delle Odi 시경, che recita che
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controllo che scoraggiava ogni loro eventuale trasgressione; ogni loro singola azione di rilievo era nel frattempo riportata per iscritto negli annali, così che anche la memoria dei posteri avrebbe potuto giudicarli in eterno. Ma prima ancora di quello degli uomini, le loro condotte erano passibili del severo giudizio del Cielo, che all’occorrenza non avrebbe esitato a dispensare loro ‘punizioni divine’ 천벌: inquietudine, malattie o finanche morti tragiche o improvvise. Coloro i quali, al contrario, mostravano condotte ineccepibili potevano aspirare anche a mandati estremamente lunghi. Ad esempio, il re Yŏngjo 영조 governò per ben cinquantadue anni, il re Sukjong 숙종 per quarantasei e il re Kojong 고종 per quarantaquattro. Le loro vite segnarono da sole il destino di mezzo secolo di storia coreana. Quando un mandato terminava, la successione avveniva principalmente secondo tre modalità differenti:
Capitolo 4
– con una cessione del trono 양위: il sovrano indicava come successore un individuo eccellente dal punto di vista morale e dotato di grandi capacità, che non era un consanguineo;
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– con una successione al trono 사위: era la soluzione convenzionalmente adottata dai sovrani che affidavano la successione a un loro diretto discendente o, nel caso di assenza di prole, a un altro consanguineo; – per mezzo di un’abdicazione coatta 반정, nel caso in cui, per inettitudine o cattiva condotta, i sudditi stessi avessero rinnegato il suo mandato. Durante il periodo Chosŏn due sovrani, Yŏnsangun 연산군 e Kwanghaegun 광해군 furono segnati da questo destino; le loro tavolette commemorative non furono pertanto depositate nell’Altare degli Antenati e gli annali relativi ai loro anni di malgoverno furono indicati come “diari”, quindi appunti ufficiosi e non vere e proprie “cronache” ufficiali come capitava per tutti gli altri.
4.4 Storia e tempo Oltre che ricostruire le proprie origini, la variazione storica coreana avrebbe dovuto fornire ai posteri paradigmi di condotta ed era concepita in un ripetersi ciclico di fasti e di decadimento 흥망성쇠 determinato dalla moralità o immoralità degli uomini. Un re saggio e benevolo trasmetteva influenza positiva alla sua popolazione, periodicamente decretava amnistie e, nei periodi di carestia, apriva i magazzini per distribuire derrate ai sudditi in difficoltà; al contrario, re tiranni portavano la popolazione alla rovina, ma potevano anche essere destituiti ed esiliati e la loro memoria rinnegata per sempre. Generalmente ai sovrani del primo tipo erano attribuite facoltà straordinarie e
condotte di ineccepibile rigore, mentre agli altri, da cui dipendeva la caduta di una dinastia, atteggiamenti dispotici e licenziosi. I meriti e i demeriti di un sovrano venivano attentamente scrutinati al momento del suo decesso e in base a quelli era attribuito loro un nome postumo. Con le loro opere, dunque, gli storici miravano principalmente a codificare esempi di virtù e di comportamento oppure di condotte esecrabili da aborrire, in modo da scandire modelli con cui i posteri avrebbero potuto confrontarsi. Questa tendenza spinse gli storici a prediligere un modello editoriale non basato sulla cronologia dei fatti, ma impostato sulle biografie dei protagonisti (re, eroi, monaci) delle vicende trattate 기전체, già ampiamente collaudato nella tradizione storiografica cinese.
I testi di storia basati sulle biografie si compongono di varie parti, generalmente le seguenti: ① biografie di base 본기: si tratta delle biografie legittime dei re, in successione cronologica; ② famiglie 세가: sono di commentari su eventuali regni vassalli; ③ quadri 표: tabelle in cui sono riportati gli avvenimenti storici principali; ④ cronache 지: in questi testi ci si occpua di vari argomenti, come dei sistemi amministrativi, della geografia e dell’economia; in generale consegnano utili informazioni circa aspetti culturali e sociali del tempo; ⑤ biografie collaterali 열전: concludono il testo le biografie di personaggi di regni non legittimi oppure descrizioni di popolazioni barbariche. La prima Storia Legittima cinese è Memorie di uno Storico 사기, opera di riferimento di tutti gli storici, cinesi e non, anche dei periodi successivi. A partire dal Libro degli Han 한서 fu sdoganata la pratica di redigere un’opera al termine di una dinastia, replicata ben presto anche in Corea. Infatti il Samguk Sagi e Yusa furono redatti nel periodo Koryŏ, mentre la Storia di Koryŏ 고려사 fu compilata soltanto nel periodo Chosŏn. Evidentemente si lasciava il tempo di decantare alle informazioni che riguardavano un determinato regno per poterne formulare un giudizio più lucido. Genere che godette di minor successo fu quello della ‘storia redatta in base
Storia della Corea
Sezioni di un testo storico basato sulle biografie
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Capitolo 4
a domande e risposte’ 강목체, il cui testo era diviso in ‘trama’ 강 (domande) e ‘trattazione’ 목 (risposte). Con questa formula si lasciava agli autori, letterati neoconfuciani, il margine per poter intervenire con commenti sulla ‘legittimità’ 통계 e ‘correttezza’ 포폄 delle scelte e azioni del passato. La più celebre opera di questo genere è quella di An Chŏngbok 안정복 (1712-1791), Domande e risposte sulla Storia della Corea 동사강목 (1781), che esordisce con la storia di Kija (1122 a.C.) e tratta del periodo che arriva alla caduta del regno di Koryŏ (1392).
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Tra le opere redatte, invece, in ordine cronologico 편년체 rientrano gli ‘annali’ 실록 – compilati nella successione anno, mese e giorno –, il cui esempio più celebre è quello della dinastia Chosŏn, già precedentemente citato. Il calendario tradizionale adottato in Corea era quello lunare 음력, che contemplava un anno di 354 giorni, ripartiti in mesi della durata di ventinove o trenta giorni, cui si aggiungeva, sette volte ogni diciannove anni, un ‘mese intercalare’ 윤달. Sebbene questo sistema sia stato soppiantato nel 1896 da quello gregoriano (il ‘calendario solare’ 양력), ancora oggi alcune ricorrenze rispettano quello tradizionale: ad esempio il ‘Capodanno’ 설날 ricorre il primo giorno del primo mese (del calendario lunare), il ‘Giorno dell’Avvento di Buddha’ 부처님 오신 날 si celebra l’ottavo giorno del quarto mese, e ogni persona oltre al proprio compleanno ‘solare’ ne ha anche uno ‘lunare’. All’inizio della stagione calda, durante il Tan’o 단오 (quinto giorno del quinto mese), si pregava per un raccolto abbondante: le donne salivano sull’altalena e gli uomini praticavano la lotta; in autunno, invece, nel ‘giorno del ringraziamento’ 추석 (quindicesimo giorno dell’ottavo mese), si festeggiava per il raccolto ottenuto.
Principali ricorrenze sudcoreane e nordcoreane Molte delle feste nazionali sudcoreane si ricollegano ad avvenimenti storici più o meno recenti e particolarmente rilevanti come: la ‘Festa del Primo Marzo’ 삼일절 (Primo marzo), giorno celebrato in memoria del movimento d’indipendenza coreano antinipponico del 1919; la ‘Festa della Costituzione’ 제헌절 (17 luglio), che ricorda la promulgazione della Costituzione sudcoreana, simbolo della sua indipendenza; il ‘Giorno della Memoria’ 현충일 (6 giugno), omaggio ai caduti per la difesa della patria; la ‘Festa della Liberazione’ 광복절 (15 agosto), in ricordo della fine della dominazione giapponese; la ‘Festa dell’Apertura del Cielo’ 개천절 (3 ottobre), che rievoca la fondazione del primo regno coreano da parte di Tan’gun. A queste festività si aggiungono altre ricorrenze laiche come: il ‘Giorno dei bambini ’어린이날 (5 maggio), tanto più importante in con-
In quanto lunare, il calendario dava giustamente grande risalto alle fasi della Luna e in particolare al quindicesimo giorno (luna piena) 보름, durante il quale venivano tradizionalmente celebrati i matrimoni. Poiché alla Luna corrisponde secondo il pensiero dello Yin e Yang 음양 l’elemento femminile (Yin 음) essa è stata considerata in Corea simbolo di fertilità e lo stesso ciclo mestruale è ancora oggi chiamato in coreano ‘passaggio lunare’ 월경, 달거 리. In quest’associazione trovano origine molte pratiche di fecondità, come quella di rivolgere preghiere alla Luna piena, in modo da ‘berne la forza’ 달 힘 마시기, per rimanere incinta. Si credeva sin dall’antichità che fosse infatti la Luna a conferire alle donne la capacità di partorire e forse è proprio per questo che nel termine di ‘figlia’ (ttal) 딸 riecheggia quello di ‘Luna’ (tal) 달. Un concetto importato dall’occidente, ma non convenzionalmente adoperato in Corea, è quello di secolo 세기. Tradizionalmente gli anni venivano, invece, raggruppati in cicli non di cento, ma di sessanta 간지; questo numero deriva dalla combinazione dei dieci tronchi celesti 천간 (replicati sei volte) e dei dodici rami terrestri 지지 (ovvero i dodici segni zodiacali, replicati cinque volte).
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Storia della Corea
siderazione del tasso di natalità tra i più bassi al mondo; il ‘Giorno degli insegnanti’ 스승의 날 (15 maggio), che ricorre in occasione del compleanno del re Sejong; il ‘Giorno dello han’gŭl’ 한글의 날 (9 ottobre). Molte delle maggiori ricorrenze nordcoreane sono legate a date biografiche dei leader oppure al Partito dei Lavoratori. La Festa del Sole altro non è che il compleanno di Kim Ilsŏng (15 aprile); il genetliaco del figlio Kim Chŏng’il si festeggia, invece, il 16 febbraio. La fondazione della Repubblica Popolare ricorre il 9 settembre, mentre quella del Partito dei Lavoratori il 10 ottobre. Il 27 luglio (giorno in cui fu siglato il cessate il fuoco con il Sud) si celebra, invece, il ‘Giorno della Memoria della Vittoria della Corea del Nord’ 전승 기념일, con riferimento al suo presunto successo militare nella guerra di Corea.
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Molti avvenimenti storici prendono il nome proprio da questo sistema: ricordiamo, ad esempio, l’invasione Imjin (1592, nello schema corrisponde alla combinazione 29, ovvero al ventinovesimo anno dell’era corrente), la rivolta dell’anno Im’o (1882, combinazione 19), la riforma Kab’o (1894, combinazione 31), ecc.
Capitolo 4
Il ciclo iniziava con l’anno kapja 갑자 (primo tronco celeste kap 갑 + primo ramo terrestre cha 자) e terminava con l’anno kyehae 계해 (ultimo tronco celeste kye 계 + ultimo ramo terrestre hae 해); non era previsto, dunque, un sessantunesimo anno, ma al termine di un ciclo si ripartiva nuovamente con la combinazione iniziale, kapja. Prima della scoperta degli antibiotici le aspettative di vita erano più basse di quelle attuali, raggiungere il compimento del sessantesimo anno – ovvero completare un intero ciclo sessagenario passando al successivo 환갑 (letteralmente ‘ritornare al kapja’) – era considerato un traguardo invidiabile e – a partire dal mandato del longevo re Yŏngjo (1694-1776) nel XVIII – questo raro avvenimento veniva celebrato in pompa magna all’interno di una famiglia.
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Solitamente si credeva che, oltre alla combinazione dell’anno di nascita, anche quella del mese, del giorno e dell’orario influenzassero profondamente il destino dell’uomo, tanto che il termine stesso di “fato” è stato tradotto in coreano con l’espressione ‘otto caratteri’ 팔자, con riferimento appunto agli otto caratteri che compongono la data di nascita di un individuo (due caratteri ciascuno per ora, giorno, mese e anno). Quest’ultima, insieme alla fisionomia, al luogo di nascita e all’ambiente circostante, rappresenta uno dei fattori che maggiormente influenzano la vita di un uomo e ancora oggi è facile imbattersi, nei quartieri storici delle città, in ‘indovini’ 점쟁이 che leggono il futuro interpretando la data di nascita in base al Classico dei Mutamenti 역경. A differenza del calendario gregoriano che fa riferimento alla nascita di Cristo, nei calendari orientali si privilegiavano avvenimenti – ad esempio l’incoronazione di un re o di un imperatore, come avviene ancora oggi per il Giappone – che davano avvio, ciascuno, a un’‘era dinastica’ 연호. I regni coreani tendevano generalmente a conformarsi al calendario cinese, ma non mancarono casi in cui, preconizzando la propria indipendenza dalla cultura cinese, furono proclamate ere locali: il caso più antico a noi noto è quello del re conquistatore di Koguryŏ, il re Kwanggaet’o 광개토 che, salito al trono nel 391, diede avvio all’era dell’‘Infinito piacere’ 영락. Più recentemente, quando il penultimo sovrano coreano, re Kojong 고종, dichiarò la nascita dell’Impero del grande Han대한제국 (1897) proclamò l’inizio dell’era della ‘Luce mi-
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1803, 1863, 1923, 1983
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litare’ 광무, termine che stride tragicomicamente con gli insuccessi militari della penisola all’epoca, ma che mirava a imporre simbolicamente il rifiuto formale delle convenzioni dell’Impero Qing. Sebbene sia divenuto assai raro soprattutto dopo il 2012, è in vigore in entrambe le Coree un calendario dalla vocazione esplicitamente sciovinista che ha come termine di riferimento il 2333 a.C., l’anno della fondazione di Chosŏn antico (secondo questo sistema il 2018 corrisponde al 4351° anno): si tratta proprio dell’era di Tan’gun 단기. A quest’ultima si aggiunge l’era del Chuch’e 주체연호, 주체력 ufficialmente adoperata come riferimento temporale in Corea del Nord, che prende avvio con l’anno di nascita del leader Kim Ilsŏng (1912).
4.5 Panoramica della preistoria e della storia coreana
Capitolo 4
4.5.1 Introduzione
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Una prima questione da affrontare, prima della periodizzazione, è definire se per “storia coreana” intendiamo quella del territorio oggi delimitato dai confini delle due Coree, oppure, in alternativa, se ci riferiamo alla storia, decisamente più ampia, di tutta quell’area in cui andò a maturare una civiltà relativamente poco documentata, che possiamo approssimativamente definire “altaica” – non Han –, di cui rimane ad oggi la traccia più elaborata e distinta nella penisola coreana. Parallelamente alla formazione della civiltà cinese se ne formava infatti un’altra che si estendeva dalla Mongolia interna fino allo Shandong, dal Liaoning fino al Sud della penisola coreana. A questo ampio bacino di cultura afferivano anche le popolazioni che risiedevano negli attuali territori della penisola: all’epoca non esistevano i ‘coreani’, ma comunità sparute, che divennero nel tempo principati (città Stato), poi confederazioni e poi Stati veri e propri. Esse furono le uniche a scongiurare il rischio di un’assimilazione grazie alla tenacia e caparbietà dei locali, ma anche aiutate dalla posizione geografica, ovvero alla protezione garantita loro ‘dalle alte montagne e dalle profonde vallate’ 고산심곡/高山深谷 e dai mari che separavano il territorio dal resto del continente. Yemaek, Xianbei, Jurchen, Nüzhen, Malgal: le tante popolazioni che affollavano questi territori e che contribuirono, ciascuna con le proprie caratteristiche, al patrimonio di questa civiltà altaica scomparvero, invece, una dopo l’altra, dal palcoscenico della storia e le loro culture si stratificarono in quella Han, fino a diventare un tutt’uno. Il paradosso della storia coreana è dunque che essa ha preso il via al di fuori del territorio che oggi definiamo ‘Corea’: il regno di Chosŏn probabilmen-
Attraverso le steppe, la Manciuria era in contatto con l’Asia Centrale, da cui derivano numerose caratteristiche di questa civiltà: la lingua, la metallurgia, il megalitismo, tanto per fare qualche esempio. D’altronde sin dalle pagine più antiche delle leggende coreane emerge il mito della fuga, dell’esilio, della migrazione, che adombra un continuo confluire di gruppi etnici e di elementi culturali verso la penisola coreana. Fu un principe di Puyŏ, Chumong, a fondare Koguryŏ dopo essere scappato via dalla sua terra natìa, mentre a sua volta fu un principe di Koguryŏ, Onjo, a scappare verso Sud per fondare Paekche. Ciò suggerisce come la cultura coreana sia scaturita dalla sedimentazione di elementi esterni, rivisitati e rimpastati nel tempo e filtrati ed elaborati dalle sensibilità locali.
4.5.2 Paleolitico e Neolitico
NEOLITICO
I primi insediamenti nella penisola coreana risalgono a circa 700.000 a.C., come testimoniano frammenti litici e rarissimi resti umani. È solo con la scoperta nel 1963 del sito di Kulp’o-ri 굴포리 e poi di quello di Sŏkchang-ni 석장리 che si è avuta conferma certa dell’esistenza di culture retrodatabili al Paleolitico. Negli anni ’70 si è assistito a un aumento considerevole della
빗살무늬토기
암각화
패총
Vasi con decorazione a pettine
Pitture rupestri
Tumuli di conchiglie
Elementi rappresentativi del Neolitico coreano.
Storia della Corea
te aveva il suo fulcro principale nella regione del Liaodong, il regno di Puyŏ nell’attuale città di Jilin nell’omonima provincia, Koguryŏ ebbe le sue prime due capitali a Huanren e a Ji’an, Parhae dominava persino alcune zone della Siberia Marittima (Russia). Questi territori non fanno amministrativamente più parte della Corea, ma sono stati teatro di eventi imprescindibili della sua cultura. Storicamente i coreani tentarono di sottomettere alcune di queste terre così strettamente legate alle loro radici, tanto che lo stesso Yi Sŏnggye 이 성계, il fondatore nel 1392 della dinastia Chosŏn, era stato incaricato dall’ultimo sovrano Koryŏ della missione di riconquistare la penisola del Liaodong.
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scoperta di siti e, allo stato attuale, se ne contano oltre cinquanta dislocati nei punti più disparati del territorio. Gli utensili erano ottenuti spaccando le pietre – generalmente quarzite e tufo – l’una sull’altra. La popolazione viveva di raccolta, caccia e pesca e abitava all’interno di caverne o in rudimentali capanne seminterrate.
Capitolo 4
Convenzionalmente si associa l’inizio delle prime culture neolitiche alla fine dell’ultima glaciazione (quella di Würm), intorno a 10.000 anni a.C., che stravolge insieme al clima dell’Asia Orientale anche la sua fisionomia geomorfologica. Molti dei siti archeologici di questa fase sono stati rinvenuti nei pressi della costa oppure di fiumi e attualmente sono oltre cinquecento quelli localizzati, che comprendono insediamenti abitativi, tombe e tumuli di conchiglie 패총.
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Al quarto millennio risalirebbe l’introduzione dell’agricoltura e in particolare dell’oryza sativa japonica, meglio adatta al clima coreano, ma anche di miglio, frumento e soia. Tuttavia solamente nel primo millennio a.C. la coltivazione del riso diviene parte sostanziale dell’economia locale e parallelamente si affermano le prime tradizioni vascolari, tra cui spicca quella della ceramica con decorazione a pettine 빗살무늬토기, così definita per le tipiche decorazioni impresse sulla sua superficie esterna. La forma d’arte più rappresentativa del Neolitico coreano è quella delle pitture rupestri 암각화 – in particolare ricordiamo quelle rinvenute a Pangudae, nella città di Ulsan – che segnano il maturare di un gusto estetico e l’affermarsi di più complesse pratiche religiose.
4.5.3 Metallurgia e Protostoria A partire dal X secolo a.C. si assiste a una brusca intensificazione del divario sociale e a un significativo processo di stratificazione che coincide con la prima fase della metallurgia: quella del bronzo. Si tratta di una lega costituita dall’80-90% di rame e da una percentuale di stagno, piombo e zinco. Pur richiedendo l’utilizzo di almeno due metalli diversi, essa anticipa l’uso del ferro poiché fonde a una temperatura più bassa, pari a 1093 °C. Le fonti attestano la presenza di miniere di rame in Corea, ma si ipotizza che gli altri elementi dovessero verosimilmente essere importati dall’estero, rendendo assai complessa la produzione locale di oggetti in bronzo. Tra i manufatti realizzati in questa lega, oltre a specchi e punte di freccia, spiccano in particolare i ‘pugnali bilobati’ 비파형동검, già caratteristici della regione della cultura di Xiajiadian inferiore (Liaodong), che ha evidentemente avuto un significativo ascendente sulla storia della metallurgia coreana.
PERIODO DEL BRONZO
비파형동검
지석묘
반달 돌칼
Pugnali bilobati
Dolmen
Coltelli a mezzaluna
PERIODO DEL FERRO
Altro elemento tipico di questa fase è la comparsa di costruzioni funerarie megalitiche in pietra, conosciute come dolmen 고인돌, 지석묘. Sono oltre 40.000 quelli presenti in Corea, quasi la metà di tutti quelli rinvenuti sulla superficie terrestre. Tra tutti i siti archeologici celebri per la presenza di queste tombe megalitiche, vale la pena menzionare quello di Koch’ang 고창, nella regione del Chŏlla Settentrionale, patrimonio dell’umanità. L’esistenza di costruzioni funerarie così impegnative, realizzate con massi che pesavano tonnellate e il cui trasporto richiedeva un’ingente forza lavoro, suggerisce il maturare di un processo di evoluzione che conduce già nel tardo periodo del bronzo alla formazione di società più complesse e alle prime forme di organizzazione politica. Questo processo si accentua con l’introduzione del ferro, intorno al IV secolo a.C., che porta a un netto aumento del raccolto agricolo e della ricchezza accumulabile. In questa fase i corredi funerari testimoniano una diversificazione degli oggetti e un raffinamento delle tecniche di fusione. Tipica di questo periodo è la sepoltura in due o più giare fuse fra loro. In tale frangente la preistoria sfuma lentamente nelle
세형동검
옹관묘
Pugnale assottigliato Tomba a giara
Elementi rappresentativi del Periodo del ferro.
곡옥
다뉴경
Giada ricurva
Specchi a più pomelli
Storia della Corea
Elementi rappresentativi del Periodo del Bronzo.
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prime tappe documentate della storia coreana e una prima comunità, quella di Chosŏn, riesce a controllare un territorio vasto al punto da interessare i primi storici cinesi.
4.5.4 Chosŏn antico e Tan’gun Il regno di Chosŏn 조선 rappresenta la tappa più antica della storia coreana e se ne trova riferimento già in opere cinesi quali il Guanzi, un testo politico e filosofico redatto presumibilmente intorno al VII secolo a.C. ;ϮϯϯϯĂ ϭϭϮϮĂ
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고조선
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