Interviste a D'Annunzio (1895-1938) 8888340394, 9788888340395

«Non vorrei essere intervistato, ne ho abbastanza di interviste!» (in "La Ragione", 21 maggio 1911); «Non vole

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Interviste a D'Annunzio (1895-1938)
 8888340394, 9788888340395

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LA BIBLIOTECA DEL PARTICOLARE

Collana diretta da Gianni Oliva

INTERVISTE A D'ANNUNZIO (1895-1938)

a cura di Gianni Oliva con la collaborazione di Maria Paolucci

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Il presente volume è stato stampato con il contributo del centro ASAM (Archivio Scrittori abruzzesi e meridionali) del Dipartimento di Studi Medievali e Moderni della Facoltà di Lettere - Università degli Studi "G. D'Annunzio" di Chieti

© Copyright by

Casa Editrice Rocco Carabba srl Lanciano

2002 Printed in Italy

INTRODUZIONE

«Non vorrei essere intervistato, ne ho abbastanza di inter­ vine! l giornalisti di Parigi me ne fanno dire da otto giorni di tutti i co/ori e comprenderete che /a cosa comincia a seccarmi». (in La Ragione", 21 maggio 1911) ..

«Non volevo

orda re più alcuna intervista, non si riferi­

acc

sce come si deve quello che io dico. Talvolta mi si attribuiscono .frasi la cui pesantezza mi esaspera, talvolta mi sifo parlare con una ridonadanza che non è. Le mie .frasi sono un pocQ del/a mia arte: trasformandosi non sono più /e mie».

(in «la Tribuna», 15 giugno 1913)

Il desiderio quasi febbrile di affermazione e di alimentazione del proprio mito in un contesto difficile, denso di fermenti storici e culturali variegati, induce D'Annunzio, com'è ormai noto, a consi­ derare le grandi potenzialità dell'industria giornalistica, dei suoi strumenti di commercializzazione e di propaganda. Egli non manca occasione di inserirsi nel mercato dell'informazione interpretando e orientando i gusti del pubblico. A tal proposito l'intervista rappre­ senta un mezzo efficace e talvolta indispensabile per offrire e rivela­ re gli artifici e la «magia», le tecniche e i segreti della propria atti­ vità letteraria, anche al fine ultimo di accreditare una speciale auto­ biografia intellerruale. Le dichiarazioni rilasciate a giornalisti e scrit­ tori dal

1895

fino all'anno della morte

(1938)

rispondono allo

scopo, almeno nelle intenzioni, di configurare una testimonianza autentica, proponendo un «ritratto d'artista''

nei

suoi aspetti più

7

intimi, anche con liberi abbandoni e malinconie scoperte, persino con una sorprendente vena umoristica. Ma nelle conversazioni D'Annunzio tende a trasfigurare il reale, com'è suo costume, a sfu­ mare gli avvenimenti fino a deformarli, rivendicando, dinanzi a un'impossibile rappresentazione obiettiva del mondo, il ruolo pri­ mario della soggettività. E solo nei casi più fortunati, dietro le pie­ ghe dell'ufficialità e della «gestualità» acclarata, l'intervistatore, quand'è abile, riesce a far emergere un profilo diverso, un carattere che riguarda l'uomo fuori dagli schemi. Cerro è che mediante l'intervista è possibile delineare un itine­ rario per certi aspetti sconosciuto dell'opera e della personalità di D'Annunzio nelle sue fasi più significative e nei vari settori creativi (dalla poesia al romanzo, dal teatro al cinema, dalla poetica alla politica) , mentre per altri versi trovano conferma atteggiamenti già acclarati in sede ufficiale. In ogni modo , l'intera documentazione raccolta offre un ventaglio di riflessioni e di dichiarazioni che allar­ ga gli orizzonti della ricerca e li irrobustisce, restituendo un profilo del personaggio e dell'uomo da tutt'altra angolazione, se non altro mai tentata fino ad ora.

Caratteri dell'intervista Nel 1 891 esce a puntate in Francia l' Enquete sur l'évolution litté­ raire condotta da Jules Huret, un' indagine tra scrittori e intellettua­ li sulla situazione della letteratura in epoca post-naturalista. È il primo tentativo di sollecitare il dibattito ascoltando la viva voce dei protagonisti. Liniziativa è da ritenersi più che fortunata, tanto che in Italia non mancano ben presto imitatori, tra i quali, non ultimo, il giovane e promettente Ugo Ojetti che all'altezza di quegli anni gira la penisola alla caccia di testimonianze autentiche. I nomi di spicco non mancano (Carducci, Fogazzaro, Verga, Pascoli, Capua­ na e molti al tri) e la lista si chiude proprio con D'Annunzio 1, le cui 1

8

Le interviste

di Ojetti furono poi raccolte, com'è noto, i n un libro rimasro cele­ bre, Alla scopa-ta dei letterati, Milano, Dumolard, 1 8 9 5; rist. a cu ra di P. Pancra­ zi, Firenze, Le Monnier, 1 9 57.

dichiarazioni possono ritenersi, per quanto lo riguarda, le prime in assoluto per consistenza ed efficacia critica e teorica. Con la nascita della "terza paginà' ai primi del Novecento, D'An­ nunzio intensifica la sua presenza sui giornali. Lesperimento di Alberto Bergamini sul «Giornale d'Italia» del 9 dicembre 1 90 l di dedicare uno spazio specifico agli avvenimenti culturali ha un note­ vole successo e dilaga nella stampa quotidiana dell'epoca. La "terza paginà' diventa ben presto una caratteristica del giornalismo italiano permettendo alla letteratura di entrare a contatto con un pubblico sempre più vasto. Il giornale, cioè, seleziona i temi degli articoli sulla base delle aspettative e dei codici di riconoscimento del lettore che si aspetta un linguaggio semplice e chiaro, antiretorico e antiaccademi­ co. D'Annunzio in questa sorta di "rivoluzione copernicanà' occupa un posto di grande rilievo sia come autore e collaboratore, sia come personaggio oggetto di curiosità, allorché raggiunge una fama sempre più diffusa, in Italia e all'estero; tra l'altro finisce per elaborare una teoria coerente e unitaria che gli consente di maneggiare con abilità gli elementi della produzione e del consumo nella logica della massi­ ficazione dell'arte e della mercificazione dell'oggetto artistico 2. Egli ricompatta il rapporto diretto tra letteratura e pubblico e la sua pro­ gettualità agisce dentro l'organizzazione culturale con aderenza al pre­ sente storico-sociale. Il giornale diventa meno elitario e s'inserisce nel circolo delle comunicazioni di massa sfruttando mezzi accattivanti come, appunto, l'intervista, capace di sorprendere e di interessare il lettore attraverso il dialogo e l'uso del punto di vista interno. L intervista (nel suo stesso significato etimologico) è dunque un colloquio, un rapporto d'interazione, uno scambio di vedute tra due persone basato su giochi di ruolo predefiniti (l'intervistatore e l'intervistato) . Insomma, una struttura dualistica incentrata sulla tecnica verbale diretta. Naturalmente, ai tempi di D'Annunzio il flusso di comunicazione tra le due parti non raggiunge ancora l'o­ dierna dissimmetria a vantaggio di chi conduce il colloquio; anzi, data la caratura del personaggio intervistato e una tecnica giornali­ stica tutt'altro che scaltrita, si ottiene semmai il contrario, laddove 2 Cfr. G. FABRE, D'Annunzio e,-teta per L'informazione, Napoli, Liguori, 1 98 1 .

9

le domande risultano formulate con tono ossequioso ed enfatico, peraltro quasi sempre per iscritto, come anche le risposte; il che accresce il carauere paludato e un po' freddo delle conversazioni. In ogni caso, l'intervista a D'Annunzio ha sempre ii pregio dell' even­ to eccezionale e r isponde a determinate strategie o interessi. In più di un'occasione è palese come le risposte siano state detta te diretta­ mente dal personaggio intervistato il quale non abbandona la guida del colloquio , ma prob abilmen te lo promuove e lo sollecita. Que­ sto rifer isce, ad esempio, Renato Simoni: «Ma poiché alle mie domande Gabriele D'Annunzio ha avuto la cortesia di rispondere, riproduco qui le pa ro l e che egli mi ha detto. Le riferisco letteral­ mente, ché non mi limi ta i a prendere qualche appunto da svilup­ pare più tardi, ma prega i Gabriele D'Annunzio di ripetere e di det­ tarmi le risposte che mi aveva dato. Questo feci non soltanto per scrupo l o di esattezza in una materia così delicata, e per alto rispet­ to per l'uomo che si lasciava intervistare, ma anche per non sosti­ tuire prosa mia a quella magnifica di sì grande artista)) 3 . In altri casi, per alimentare l'interesse del lettore, i lunghi preamboli narrativi insistono quasi sempre sull'eccezionalità della situazione e sulla inaccessibilità del pe rsona ggio, come succede a Ugo Ojetti, ad Achille Ricciardi e ad Antonio Conte. Le sue resi­ denze, dalla Ca pponcina di Settignano, alla Villa Charitas di Arca­ chon, a quella di Cargnacco a Gardone risultano presidiate da incorruttibili guardiani che evitano il facile accesso dei giornalisti nel rispetto della quiete creativa del Vate. Scrive Conte: «D'An­ nunzio era a Pa rigi ed io, avendoci creduto prima, mi rassegnavo a prendere qualche fotografia della villa, senonché Secondo mi osservò che non poteva assumerne la responsabilità ( ... ) Evidente­ mente egli temeva di farsi sfuggire un'indiscrezione. Rifletteva prima di rispondere, quasi in ognuna delle mie domande ci scor­ gesse un tranello, e attribuendosi volentieri una parte dell'autorità e della gloria del padrone mi faceva il prezioso>>4. Ma, allorché il

3

R.

SIMONI, A

colloquio con D'Annunzio, in "Corriere della sera", 15 giugno 1922. Conversando con Gabriele D'Annunzio, in «Il Giornale d'Italia••, 1 8 1913.

4 A. CONTE,

dicembre

lO

poeta si concede ai giornalisti, emerge dai resoconti un vero culto della personalità per le insistenze sul fascino dd gesto e della voce: «Riodo la sua voce acuta, precisa, lenta che si compiace d'accom­ pagnare le care parole lettera per lettera fino all'ultima vocale, come chi ne intende, compiacendosene, tutta l'onnipotenza intel­ lettiva e sonora))5; ugualmente Antonio Cippico dedica

molti

aggettivi a descrivere la voce melodiosa del poeta, la sua gestualità espressiva scevra d'affettazione,

l occhio chiaro, la parola che '

incanta6; anche De Amici s indugia sull'effetto del suo modo di comunicare: «Parla con voce sottile, un po' velata, con un le gge ro accento meridionale e una cadenza leggermente monotona; ma con pronunzia, salvo le aspirazioni, quasi prettameme toscana. Ma

la forza del suo discorso -prosegue -deriva dalla mirabile ric­ chezza, dalla delicatezza e proprietà di l inguaggio, dall'arte finissi­ ma di dar valore ad ogni parola, di dire le cose più co m uni co me le più difficili in modo che vi penetrano e vi s'imprimono nel cer­ vello come se egli ve le segnasse con la penna, di rappresentare quello che dice non solo con le parole e con le frasi, ma anche col suono della voce, coi movimenti delle labbra, con gli atti della mano, con l'espressione dello sguardo,/. E di questo passo non si scostan o dal cliché Mos (Ettore Moschino), Giovanni Piazza, Achille Ricciardi, Henri Prunières8 ed altri ancora, a testimonian­ za di un mito confermato nel tempo e difficilmente discutibile. Ma non sempre l'esercizio del controllo sull'intervista è totale: accanto a questa affettata cordialità non mancano casi di contrasti con gli inrerlocutori, rimproverati di alterare le pieghe del suo discorso o di fantasticare nel riportare la verità. Di ciò D'Annunzio

5 U. 0JETTI, op. cit. 6 Cfr. A. CIPPICO, Visita a Gabriele D'Annunzio, in «Minerva», novembre 1898.

E. DE AMICIS, Gabriele D'Annunzio per Edmondo De Amicis, in «La Tribuna», l O giugno 1902. 8 Mos [Ettore Moschino], Visita a Gabriele D'Ann unzio, in «La Tribuna>> , 25 apri­ le 1905; G. PIAZZA, Conversando con Gabriele D'Annunzio, ivi, 4 giugno 1909; A. RrcCIARDI, Una visita a Gabriele D 'Annunzio, in «' en iralien, mais que la France serait sa terre d' élection. N'avair-il pas laissé, près de Florence, une villa superbe que des créanciers sans respect se disputent? ]' évoquai ces souvenirs, discrè­ tement, mais il n'e n parut éprouver nulle gene, et so uri t: En vérité, je suis un grand seigneur d' autrefois, un seigneur flo­ rentin, sompteux et désordonné. Je vis sans préoccupation d'inté­ rèt, et souvent mes goùts disproportionnés, mon enthusiasme pour le beau, m'entralnent à de fàcheux mécomptes. Or, cela n'a pas d'importance. J'espère sauver !es manuscrits que je laissai dans ma mai so n , et c'est seulment ce qui peut m' occuper. Les malheurs, l' exil sont bons, nécessaires et féconds, l' exil surtout, qui refait !es ames. Cetre maison, qui me fut chère, est maintenant un lieu défunt. Lorsque, d'aventure, j 'y retourne, !es fantòmes du passé surgissent de chaque ombre et m' étreignent à la poi trine. J' étouffe; je m' éva­ de, je m'enfuis! Ah! De l'air, de l'espace, des pays nouveaux où l'ame s' épanouit et la vie recommence devant des horizons inconnus! Voyez-vous, pour moi, se renouveler, tout est là: ou se renouveter, ou mounr. J'ai trouvé ce renouveau dans une province de France tendre et recueillie: des pins et des dunes légères, des contours harmonieux et discrets qui me rappellent mes chères campagnes de Pise; c'est près d'Arcachon: une villa dans !es pins, et la mer tout proche; j'y vais revenir, et j'y chercherai le repos; !es paysans landais me sont favo­ rables; ils ont pour moi de la sympathie, et lorsque je passe dans !es 232

clairières, ils disent: «C'est l'Italie» avec un grand l! Ce so n t les com­ pagnons que j'avais . . . » Si les Français ont été séduits par M. d'Annunzio, celui-ci leur rend cet hommage qu'ils sont le peuple le plus sensible et le plus charmant du monde. Il m'a confié, tout bas, qu'en ltalie les prin­ cipes démocratiques envahissants retardaient l'influence des imelli­ gences d'élite, et il ne compte point etre compris en son royaume avant trois quarts de siècle . . . Alors il préfère la France, et Paris, qui conservent une place à part, place qu'il envie, à l'aristocratie impé­ rissable: celle de l'esprit.

[In « Le Temps» 16 maggio 1 9 1 1 ] .

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[S .F.]

D'Annunzio "Re sole" a Versailles: «lo so n un gran signore fiorentino sontuoso e disordinato» 1 [Li:mesa della prima rappresentazione del San Sebastiano «L'e­ silio rinnova le anime» - «Sarò compreso nel mio paese solo fra tre quarti di secolo»] -

Parigi,

16

maggio.

Pochi giorni ormai ci dividono dalla prima rappresentazione del mistero dannunziano e l'interesse e la curiosità del pubblico si fanno sempre più vivi ed intensi. I giornali risentono tutti di questo stato d'animo e cercano ognuno di penetrare il mistero che circonda opera e autore. Parec­ chi periodici stamane gli dedicano articoli assai lusinghieri. La Comoedia ha parlato già a lungo delle intenzioni artistiche di Gabriele D'Annunzio. Quando si chiede - scrive l' lntransigeant - a Gabriele D'An­ nunzio della sua opera nuova egli non vuole parlarne. Ma come impedire le indiscrezioni? Il libro è scritto nel più puro francese arcaico. La Rubinstein danzerà meravigliosamente sui carboni

1

La presente in tervista è poco più di un resoconto in italiano dell'articolo prece­ dente di R. Aubry.

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ardenti. Si sa meno però come dirà i versi del suo poeta, perché fin qui ella non ha coltivato l'arte della declamazione che con Bre­ mond, ma non ha finora consentito a farsi sentire da alcuno. Per di più vi è la musica di Debussy e lo scenario del Bakst che è stato visto da qualcuno e dichiarato meraviglioso. Nel Temps, Aubry fa un simpatico quadro della vita di D'An­ nunzio a Versailles, ove il poeta abita il vasto albergo, nel quale alcu­ ni parigini innamorati dei grandi parchi vivono fra le famiglie eso­ tiche che hanno scritto nel programma dei loro viaggi un soggior­ no nella città del Re Sole. Si cita questa frase di D'Annunzio: - Io sono il solo francese di Versailles. D'Annunzio, osserva Aubry, esagera, ma si può dire che nel palazzo internazionale egli è il solo che si esprima nel linguaggio di Luigi XIV. Egli riceve poche visite, lavora molto, corregge le bozze del San Sebastiano, perché vuole che il volume sia pubblicato nell'i­ stesso momento, anzi nelle stesso giorno che sarà giudicato allo Chatelet: egli sorveglia gli esperimenti della signorina Rubinstein, sua interprete: in breve egli dedica tutta la sua attività al grande movimento che ci riconduce ai misteri del secolo decimoquarto e che celebra la fede cristiana in versi ottonari. Certo D'Annunzio è originalissimo. Se non commette le stravaganze che i cronisti brio­ si gli affibbiano, è certo sorprendente per la sua personalità, anzi tutta la sua vita non è quella di tutti quanti. Il giornalista tracciando un profilo dell'uomo dice: " Non è uno scrittore comune: di lui si citano cento tratti biz­ zarri che danno l' idea di un letterato, ben diverso dai soliti. È molto originale ma non commette le stravaganze che i cronisti gli attri­ buiscono. Tuttavia la sua personalità è stupefacente. La sua esistenza non è come quella di ogni altro uomo: passa dall' uno all'altro albergo cedendo ad un eterno bisogno di avventure. Inoltre lo tormenta l'incessante agitazione intellettuale. La sua fecondità come lui stes­ so ha detto , lo sgomenta. Egli esprime il suo pensiero in modo vera­ mente nuovo o impreveduto, con una parola torrenziale che trae seco le immagini, travolge gli epiteti, scuote l'anima ed i nervi. A questo punto Aubry riferisce varie dichiarazioni che in mezzo al suo grande riserbo D'Annunzio ha creduto opportuno render

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pubbliche per spiegare anzitutto l'ortodossia del suo mistero e l' op­ portunità di scrivere in francese invece che in italiano. Riferendo queste cose, Aubry dice che D 'Annunzio si esprime sempre in un francese purissimo e personalissimo. - lo ho scacciato dal mio stile per comporre il San Sebastiano tutti i termini che non sono di razza, cioè che non datino almeno da quattro secoli. D'Annunzio mi annunziò che egli aveva l'intenzione di scrivere un romanzo bianco in italiano, ma che la sua terra d'elezione era sempre la Francia. Non ha egli infatti lasciato presso Firenze una villa superba e dei creditori senza rispetto? Questo ricordo è con discrezione evocato al poeta che non si scompose, sorrise e disse: "La verità è che io sono un gran signore fiorentino, sontuoso e disordinato. Vivo senza preoccupazione d'interessi, spesso i miei gusti sono sproporzionati, il mio entusiasmo per il bello mi trasci­ na a penosi errori. Tutto quello che voi dite per me non ha impor­ tanza; spero solo di salvare i manoscritti che serbo a casa mia, e che soltanto mi interessano. Le disgrazie e l'esilio sono beni necessari e fecondi, soprattutto l'esilio rinnova le anime. Questa casa che mi fu cara è ora per me una cosa defunta; se per caso dovrò ritornarvi, i fantasmi del passato balzeranno su dalle opere e mi trapasseranno il tetto . . . Io soffoco, mi allontano , fuggo. Per me la vita consiste in una parola: Rinnovarsi; tutto consiste in queste parole Rinnovarsi o perire . . Ho trovato questo rinnovamento in una provincia della Francia tenera e raccolta, dai pini e dalle dune leggere, dai contor­ ni graziosi e discreti che mi riportano le care campagne di Pisa. Il mio nuovo dominio è una villa circondata dai pini, vicino al mare, presso Arcachon. Vi ritornerò fra breve e vi cercherò il riposo. I contadini del luogo mi conoscono ed hanno per me una viva simpatia. Quando passo nei campi essi dicono: "È l' Italiano . . . " . Questi sono i compagni che avrò ad Arcachon. "Se i francesi lo hanno sedotto, conclude il redattore del Temps, egli rende loro un grande omaggio dicendo che è il popolo più sen­ sibile e più affascinante del mondo" . E fi n qui i l complimento agli ospiti era d i dovere. M a per porre in maggior rilievo questa sua benevolenza, non dirò adulazione, ha .

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creduto utile definire il valore intellettuale degl'Italiani. Da quel­ l' artista che è, Gabriele non ha mancato di calcolare degli effetti del chiaroscuro. Ed ecco la confidenza finale come la chiama il redat­ tore del Temps: " In Italia - ha dunque Gabriele confidato al giornalista france­ se - i principi democratici hanno oppresso la mia voce ritardando la preponderanza dell'intelligenza nelle cose della Nazione" . Crede quindi che potrà essere compreso nel suo paese solo fra tre quarti di secolo. Preferisce quindi la Francia e Parigi che consa­ crano le facoltà più nobili dello spirito all'Arte imperitura. La storia è vecchia. È il rovescio di Stendhal: questi diceva di sentirsi italiano e prevedeva che i francesi lo avrebbero capito a cio­ quant' anni dalla sua morte: Gabriele infranciosato, dice di aver tro­ vato la patria d'elezione e chiede 75 anni per l'evoluzione dell'Italia beota verso una nuova Italia franco-attiva. Settantacinque anni! Quanta generosità in Gabriele per i nostri nepoti! Disgraziati i suoi connazionali contemporanei che non possono far altro che ringraziare io poeta per il battesimo d'idioti che ponti­ ficalmente regala agl' Italiani d'oggi. Ma non tutti i giornali sono benevoli per il nostro poeta. I nazionalisti monarchici cattolici del!'Action Francaise attacca­ no violentemente il San Sebastiano, mostrando di non voler crede­ re alle dichiarazioni di ortodossia fatte dall'autore, specialmente per quanto riguarda l'esibizione della Rubinstein, la quale, agli occhi dei cattolici nazionalisti, ha anche il torto di essere ebrea e stranie­ ra. Anzi, su questo punto del giudaismo s'insiste moltissimo.

[In «Il Giornale d'Italia>> , 1 7 maggio 1 9 1 1 ] .

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GUALTIERO CASTELLINI

Colloqui dannunziani [Ironia amara dinanzi all'incomprensione - Ebe dea della giovi­ nezza - Milano città d'energia - «lo non dovevo nascere ancora» ­ «Seguire i propri istinti» - Natura delle Faville - Scrittore volubile - Riflessioni sulla vita operosa e sull'inerzia] Ritorna dunque, per molti segni il quarto d'ora di Gabriele D'Annunzio. E la nuova rivelazione del poeta è, come si conviene, un'epifania mistica. Dopo i travestimenti ellenici e barbarici, il maestro riappare insegnando la figura macra di San Sebastiano. Tacciono già i clamori levati dalle vicende finanziarie del poeta che non volle esser duro con l'usuriere come il protagonista di Più che l'amore; e della sua improvvisa povertà l'artefice si circonda di un nuovo castissimo velo per dare al proprio spirito, che sa le nostalgie francescane, la contrizione che gli permetterà di compiere il miste­ ro sacro in istato di grazia . . . Né, dinanzi al fenomeno mirabile di quest' uomo che vive ai giorni nostri la più folle vita del buono avventuriero antico, le paro­ le soccorrono alla mente de' commentatori altrimenti che ironiche e mordaci: tale è ormai il verso del giornalismo che vigila sugli even­ ti quotidiani. E Gabriele D'Annunzio dà troppi spunti alla silen­ ziosa arguzia che vigila in ognuno di noi, perché - di tanto in tanto - non ceda alla tentazione di commentare burlevolmente il maraviglioso gioco d'arte e di vita, ch'egli gioca in faccia al mondo. Ma l'arguzia si accende in noi, s' in cocca su l'arco della parola, sale, ricade senza ferire. Non cosl si commenta né si comprende

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Gabriele D'Annunzio: quando il suo segreto ci sfugge non abbiamo che a scrutare il suo pensiero. E la sua fama non si illumina con vampate di risa gioconde. La sua ironia - poiché egli ha pure di questi giorni una sottile ironia che ricorre di continuo nei periodi aspri di sua vita è profondamente amara, e ci ridesta in cuore la memoria dei colloqui vicini in cui si svelavano all'ascoltatore le sor­ genti della sua secura filosofia di volitivo, della sua morale di egoar­ ca. Ricordo il mio primo colloquio con Gabriele D'Annunzio. Milano aveva accolto trionfalmente la poesia della Nave, e il giorno successivo mi recavo a salutare il poeta con la trepida ardenza, forse, che infiamma i zelatori della fede nuova nella tragedia cattolica ed imperiale. Parlammo a lungo delle nuove energie del paese, che si venivano ridestando improvvise, della nuova giovinezza che pareva adornare l'Italia in quella primavera calorosa. "Mi sta sempre nella mente - egli diceva - un motto della nostra grande Grecia, la cui luminosa primavera si diffonde eterna sul mondo. D urante la bat­ taglia di Micale, una delle più splendide della storia antica, i solda­ ti combatterono avendo come parola d'ordine il nome di Ebe, la dea della giovinezza. E vinsero in questo nome. Così ora dobbiamo vincere noi" . E in così dire il volto del poeta, che si è fatto ormai glabro ed ermetico, sorrideva come per un rinnovato tocco di gio­ vinezza, della dea che pare non voglia lasciarlo, e che gli dà sempre nuovo fervore. "Milano mi accende - continuava - poiché, ogni­ qualvolta io la rivedo sento rialzarsi in me il tono vitale. È una città d'energia. Conviene ora si rivesta di bellezza: tutta l'Italia nuova deve rivestirsi di bellezza. È doloroso il vedere come non vi siano ora in Italia anime di artisti capaci di dare nobili forme alla materia rude. Perché fra vent'anni occorrerà siano abbattuti i monumenti elevati oggi, affinché ne sorgano altri. Ma so - ha ripetuto il poeta guardando fuor della finestra gli alberi verdi dei giardini - con­ verrà meglio lasciare che su le piazze ridano il cielo ed il sole. Io non dovevo nascere ora . . . . Gabriele D 'Annunzio parla mirabilmente, con una grazia nati­ va nelle parole carezzevoli, che non hanno né le tonalità spiecate del toscano né le asprezze dell'accento romano, ma un puro timbro ita­ lico. E si lasciava indurre a parlare di sé e del successo della Nave. -

"

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"Ma infine il successo non è per l'opera che un elemento acces­ sorio: è certamente desiderabile e soddisfa quand'è conseguito. Quello che nobilita il lavoro si è la volontà e l'intenzione. Per que­ sto io lavoro forse con alacrità. Né ho tempo di curare le molte ciance che si vanno contando". (Già, dopo aver conseguito con la Figlia di forio il vertice della fama, lo intronavano in quegli anni le voci meschine dei favoreggiatori che lo dileggiano e la bocca gli si torceva spesso in un fuggevole cenno di disgusto: pareva prevedere i giorni amari dell'esilio) . "Anche ora ritornerò alla Capponcina, dove godo meglio che in ogni luogo. Poiché scrivo e vivo intensa­ mente, in mezzo ai miei cani ed ai miei cavalli, i quali mi compen­ sano spesso delle amarezze procuratemi dagli uomini . . . "Ho sempre cercato di lavorare con serenità e con misura. lo credo infine, che la vera teoria della felicità per i moderni consista in questa regola di condotta: nel seguire i propri istinti, osservan­ doli da vicino con una grande lucidità di mente, e cercando di nobilitarli. Ma senza combatterli mai: avvolgendoli in armonia con la vita: foggiando su quelli la tua vita, e procedendo, sempre". E su un libro aperto che attendeva forse una sua riga, ha scritto improvviso il motto superbo che egli ha fatto suo: "La maggior gioia è sempre all'altra riva." Fuori (eravamo sullo scorcio di mag­ gio) splendeva alto in cielo il sole dell'Ascensione. Un altro colloquio, ricordo, - l'ultimo - alla vigilia del volon­ tario esilio. Parlava con foga dei molti lavori intrapresi, dei fram­ menti da condurre a termine. E già lo temeva un poco quello stra­ no fervor mistico che oggi lo ha investito. "Uscirà fra pochi giorni - diceva - su un gran quotidiano un mio studio sull'infanzia e sull'adolescenza di Gesù, in frammento del Quinto Evangelio che ho altra volta promesso. Ritrarrò l'immagine del Cristo in quel perio­ do oscuro che corre dalla disputa con i dottori alle prime predica­ zioni. E stimo di poter raggiungere gli effetti di intensità poetica e di penetrazione umana più forte in un' indagine breve che non in una lunga opera diffusa. "Perciò credo che acconsentirò anche al desiderio del mio edi­ tore, dell'amico Emilio Treves che mi proclama volentieri . . . pigro, e raccoglierò Le Faville del maglio. Le quali non avranno significato alcuno di sosta nella produzione, né carattere di raccolta di pagine "

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inedite o sparse. lo intendo rilegare i miei frammenti (e non molti) con una serie di osservazioni che siano il frutto di una indagine auto-psicologica. Spiegherò cosl, spesso, la genesi di un lavoro incompiuto. In molti periodi della mia vita mi sono esaminato inte­ riormente. Ne ho tratto osservazioni psicologiche e fisiologiche: alcune ho comunicate al Mosso per i suoi studi sulla fatica altre ho conservate. Questi documenti di vita interiore costituiranno la trama delle Faville . . . "Se pure le compirò! È strano come mi accada di accostarmi rapidamente a un soggetto, di sentirne invaso lo spirito completa­ mente, ma solo per breve tempo. In seguito me ne allontano. Non perseguo, ottenuto uno scopo nella via che a quella meta mi ha con­ dotto. E abbandono l'opera alla quale ho lungamente lavorato per tentare altra via, per cercare in altro argomento il godimento che sempre procura la verginità di un soggetto nuovo. È un diletto ancor questo, non è vero?". Cosl il poeta pianamente si confessa: la volubilità della sua opera finalmente è chiarita. Ed egli addita inconsciamente all'ascoltatore il beneficio arrecato dalla sosta, che il lavacro rinnovatore dello spi­ rito stanco. Nel travestimento nuovo egli è dunque ancor simile a se stesso , ma arde di un desiderio diverso d'altezza. Cosl solamente si spiega la sua attività infaticata e la varietà delle promesse non mantenute che apparentemente l'opera sua s'intona ad un solo motivo, in realtà il suo spirito è quello di un artefice dedaleo. Per questo la folla (e nella folla i critici) anche allor che tenta di sottrarsi al suo fascino - credendolo fascino malvagio - cede, e lo segue poi magneticamente attratta. Egli alterna intanto ozii e riposi. "Vi sono - egli conclude - due periodi alterni nella vita ope­ rosa. Uno di attività grande, di fatica incessante, in cui null' altro ci occupa fuor che il lavoro. Ma a questo succede un periodo d'iner­ zia. Ed io pure godo dei giorni di riposo, giorni di completa man­ canza di attività intellettuale, in cui mi compiaccio anche - come dire? - della compagnia di persone sciocche, e in cui mi do con frenesia agli esercizi di attività fisica . . . periodi di sosta indispensa­ bili. L anno scorso ho scritto, per esempio, Fedra e Forse che si forse che no. Ebbene, prima di accingermi all'ultimo lavoro , ho passato lunghi mesi di riposo assoluto: necessario affinché nel lavo ro stesso 24 1

non apparissero le scorie del precedente. È chiaro? Così anche la sosta ha un officio suo, officio degno". Un mese dopo egli era in Francia, lontano dal compimento di ogni sogno ideato. Oramai la sosta pare compiuta. Si riavvicina il giorno dell'Ascensione, e Gabriele D'Annunzio - come per un rito - appresta la celebrazione del santo che fu saettato dagli implacabili arcieri. Anche una volta l'enigma inafferrabile dell'arte­ fice ci tiene: e l'attesa si fa morbosa alla vigilia della rappresentazio­ ne sacra di un poeta pagano, del canto francese di un poeta italia­ no. Pare a noi ch'egli aduni tutti i nodi in una sola voluta, tutte le difficoltà in un solo contrasto, per rendere più arduo il colpo della lama che troncherà l'intrico gordiano. Trionferà egli, non trionferà nel duplice cimento con lo stranie­ ro e con l'antico? Non questo da noi ora si chiede. Gabriele D'An­ nunzio ci pare oggi sopra tutto grande per avere osato. Chi ripensi il giovinetto che stornellava nelle selve d'Abruzzo, il raffinato romanziere che bizantineggiava a Roma, l'immenso lirico delle Laudi e il trageda antico e moderno , chi ripensi alle molte trasfigu­ razioni dannunziane, vede il prodigio nelle successive incarnazioni più che nei loro portati. Gabriele D'Annunzio non ci ha dato una serie di capolavori: ci ha dato qualcosa di più e di meno: una serie di prodigi. Anche il San Sebastiano sarà tale. Non sarà una perfetta opera d'arte, sarà certo un tentativo d' inesausto ardire: molti grandi hanno durato minori fatiche per giungere alla cima di quelle che abbia durate quest' uomo per tentar vette a loro ignote. E la sua grandezza sta in questo. Noi dobbiamo rinunciare ad attendere da Gabriele D'An­ nunzio il capolavoro: il capolavoro è il coronamento di una serie di lavori diretti ad un fine, è - oserei dire con un termine matemati­ co - il resultato di una serie di sforzi omogenei. Il poeta d'Abruz­ zo non conosce che sforzi eterogenei. Il suo orgoglio si appunta ogni volta alla cima: non la giunge ma non la ritenta. Questa è la sua debolezza e la sua forza. La sua forza, anche, poiché dobbiamo apprendere a misurare le sue imprese con una misura che ci è ignota per altre sperimentazio­ ni. Ed egli perde in ideale altezza quanto guadagna in infinita vastità. Certo più del monte solenne cui paragona l'Alighieri, egli

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ama l'Oceano indefinito e sterminato come l'istessa poesia. Quan­ do egli ha scritto: "La maggior gioia è sempre all'altra riva" egli ci ha detto la sua più alta parola, ch'è desiderio di novità meglio che di compiutezza. E la via nuova egli tenta, assecondando una guida naturale, l'istinto. Cosl Gabriele D'Annunzio ci appare oggi come il più vario spe­ rimentatore sorto nella lunga vita letteraria della nazio ne, e alla sua gloria si accompagna una virtù che troppi letterati ignorarono: l'ar­ dire. Egli fu , su i mari dell'Ellade, il cantore della decima musa: la musa imperiale Energia. Sicuramente il suo gioco ci affascina perché non è più soltanto giocato nel chiuso agone delle lettere, è un gioco che sa i pericoli di ogni più duro rischio umano. Noi salutiamo in Italia Gabriele D'Annunzio Maestro soltanto per ciò. I retori d' un tempo, per certo, avrebbero augurato al poeta ­ alla vigilia del cimento nuovo - di poter cingere la fronte di un lauro verde ed ornato di bacche auree. Ma i gazzettieri d'oggi - confondendo le vicende della vita con quelle dell'arte, poiché a loro sono accessibili le prime - diranno serenamente arguti, che la novella fronda è ormai verde davvero e che le bacche d'oro sono di princiabecco . . .

[In «>, 1 8 maggio 1 9 1 1 ] .

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CESARE BRIGANTI

La nostra intervista con Gabriele D'Annunzio [«Non vorrei essere intervistato, ne ho abbastanza di interviste» Parigi non è terra straniera ma terra comune - «Quando ritornerà in Italia?»] Il poeta ama l'Italia con amore sereno e tranquillo, ama la Fran­ cia con tutta la fiamma ideale del suo spirito. Parigi 18. Capitato stamane a Parigi, il primo italiano che la mia buona ventura mi ha portato incontro, mentre imboccavo l'atrio del Grand Hotel nella Piace de l'Opera, è stato Gabriele D'Annunzio. - Anche Lei ha alloggiato qui, Maestro? - l' interpellai subito. - No abito a Versailles. Sono a Parigi per una visita. - E il San Sebastiano? - Me l'aspettavo. È la domanda d'obbligo di quanti mi stringono la mano. - Buon segno. - Forse che si . . . forse che no. Ad ogni modo io sono un profondo ottimista. È la mia virtù migliore. Se il San Sebastiano naufragasse in un mare di fischi, il giorno dopo sa che cosa sarei capace di fare? - Abbandonerebbe Parigi. - Niente affatto. Mi butterei a scrivere subito un altro dramma e dopo quello un altro ancora se fosse necessario, finché questa città che amo con tutta la fiamma ideale del mio spirito d'artista non mi decretas.se l'agognato guiderdone. - Si direbbe che Ella ama più la Francia che l' Italia. 244

- È un'altra cosa. La patria si ama di un amore più calmo e tranquillo, d'un amore più riflessivo, sarei per dire. Ma intendia­ moci, non vorrei essere intervistato, ne ho abbastanza di interviste. l giornalisti di Parigi me ne fanno dire da otto giorni, di tutti i colo­ ri e comprenderà che la cosa comincia a seccarmi. - Giusto, giusto. Niente intervista. Due parole alla buona come si possono scambiare tra due concittadini che si incontrano per caso in terra straniera. - Non dica terra straniera, - mi osservò ridendo il poeta. Parigi non è terra straniera a nessuno perché è terra comune, per­ ché è patria comune, perché comprende l'aroma intellettuale di ogni popolo, perché riassume e esprime in un pensiero, in una voce, in un gesto, le più alte espressioni dello spirito umano. Non le sem­ bra? - Ella dice sempre delle cose belle e profonde a cui non si può contraddire. Ma a p roposito di interviste ha letto ciò che un redat­ tore del Temps ha scritto nel numero dell'altro ieri? Sembra che lei abbia affermato che in Italia i principi democratici ritardino, al con­ trario di quanto avviene in Francia, lo sviluppo delle intelligenze elette. Che perciò Ella deve riserbare la sua ammirazione per la Francia la quale tiene in onore l'aristocrazia imperitura dello spiri­ to , aristocrazia assai negletta nella nostra Italia. - Non gliel'avevo detto che i giornalisti me ne fanno dire di tutti i colori? Forse in linea puramente ideale posso avere accenna­ to che a Parigi vi è una sensibilità superiore ad ogni altro paese nella valutazione delle opere dello spirito, ma quanto all'influenza nega­ tiva dei principii democratici vorrebbe un bel coraggio a sostenerla dal momento che la banditrice al mondo di riforme democratiche è stata precisamente la Francia. - Quando rito rnerà in Italia? - Chi lo sa. Non è ormai un segreto per nessuno che avrei qualche affare da sistemare in Italia. I giornalisti, bontà loro, s' inca­ ricano di divulgare in tutto il mondo i miei interessi. Ma il più comico è questo, che mi giungono lettere di rimprovero e di consi­ glio per parte di miei ammiratori italiani e stranieri che io non conosco. Per poco che la duri corro il rischio di trovarmi ai fianchi un comitato di consulenza internazionale.

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- Sono i malanni della celebrità. Quello che importa in questo momento è che il San Sebastiano segni Parigi con un trionfo per il suo autore ed un altro trionfo per il nome italiano, ciò che le augu­ ro con tutto cuore. - Grazie. Oramai non si contano più i giorni, si possono con­ tare le ore che mi separano da questa incognita. Ma come le ho detto, io sono in fondo ottimista. Il poeta sorrise porgendo mi amabilmente la mano ed infilò l'a­ scensore dell' Hotel. Da un corridoio laterale un impiegato della casa mi si avvicinò con circospezione dicendomi: - Perdono, signore è quello Gabriele D'Annunzio?- Sicuro! - risposi imper­ territo.

[In «La Ragione», 2 1 maggio 1 9 1 1 ] .

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ACHILLE RICCIARD I

Una visita a Gabriele D'Annunzio Verso l'oceano - Arcachon - Le Lande - La casa del poeta Un amico e conterraneo di Gabriele D'Annunzio poté, ora è un anno, essere accolto nel rifugio del poeta di Arcachon, quando era per essere compiuto il Mistero di San Sebastiano: e questa visita racconta nell'articolo che pubblichiamo oggi, articolo che piacerà a tutti coloro - e son gli italiani - i quali con ammirazione ed amore seguono la prodigiosa operosità del poeta. Avevo lasciato Montecarlo da un'ora e già pensavo di rito marci. Come tutti i pellegrini del sogno e del desiderio, avevo finito per pagare una seconda volta il tributo alla chimera: e già meditavo la rivincita. A Montecarlo più si perde e più la certezza del guadagno vi ossessiona. Basterà mutar sistema un'altra volta, diciamo; e ci si persuade che l'errore è nostro, ed il caso è come il tempo: un signo­ re di parola. E poi il giuoco assume lì delle forme tangibili, gli aspetti stessi del paese. E al momento di partire, sulla via del ritor­ no, vi assale a un tempo la nostalgia dei luoghi e della emozione: un ricordo p ungente, un desiderio intenso e doloroso, come quello che lasciano le donne, che abbiamo amato senza successo. E vi riappa­ re in treno la visione gioiosa. Non più tavoli verdi all'ombra di una vecchia casa, dove si entra di soppiatto; non più il biscazziere losco e il baro in agguato, ma il giuoco alla luce, innanzi al mare, circon­ dato di musiche e di sfarzo, restituito alle sue origini divine. Nes­ suno più si nasconde; ci si ritrova lì come in ogni altro tempio, per-

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ché il giuoco, assumendo delle proporzioni vaste, si purifica, e diviene una passione davvero nobile, oltre che una funzione di Stato. Da un pezzo il Cap Martin, il rifugio degli amanti e lo scenario degli ultimi atti delle commedie parigine, era sco m parso all' oriz­ zonte, e il treno filava rapidissimo verso Cannes. A mezzanotte ero a Marsiglia, indeciso sulla via da prendere. Per viaggiare solo oramai conviene seguire una corrente. E come l'Oceano, l' Europa è per­ corsa da correnti umane, che hanno una direzione costante e un carattere proprio e che il geografo della società contemporanea può divertirsi a tracciare sulle carte, come le correnti marine. Ecco il "Gulf-stream" dei turisti. La Costa Azzurra, il campo­ samo di" Pisa, il Foro Romano, il Vesuvio, gli aranceti di Taormina. Ecco il Cure Sive dei ricostruttori: gli istrioni della passione che vivono a ritroso nei luoghi del calvario di Musset, rifanno il viaggio sentimentale, rinnovano il gioco dell'amore e del dolore, compiono il loro romanzo vissuto nell'ambiente e nel paesaggio del romanzo scruto. V'è poi "l'Equatorial Stream" del gran mondo, la società cosmo­ polita. A Parigi pel "Grand Prix" , a Siviglia la settimana santa, a Saint-Moritz d'agosto, a Cairo in gennaio. Ed infine gli esteti, lasciato Bayreuth attraverso il "Deutsche­ Theater" di Berlino , si spingono fino a Orange, per vedervi rappre­ sentare le tragedie greche da Mounet-Sully al teatro antico. Ma per assistere a questi spettacoli bisogna trovarsi di là in agosto, verso sera: quando la tragedia si accende sulla scena di pietra, sullo sfon­ do del muro romano arrossato e il sole cade più lontano: un sole di Provenza sul fato greco: è la moltitudine, disposta sulle polite soglie ad arco di cerchio, attende il grido di Cassandra sulla scena e il sor­ gere di Diana in cielo. Eravamo invece ai primi giorni di marzo. La vite, gloria della Provenza, dopo Misera!, fremeva ai soffi impetuosi del vento che dal golfo di Lione porta l'odore acre di Cette, il paese delle saline. Così alla deriva, ricercando nel viso delle passanti le sembianze di Mireille, leggendo in prossimità delle arene di Nimes deserte Turghenieff o i poemi di Heine; da Carcassone a Béziers, fra l'al­ ternarsi della pioggia di lillà dell'Innocente e l' apparizione del ponte 248

di Tarascona e dell'ombra di Tartarin, io mi avvicinavo insensibil­ mente all'Oceano, con la speranza d'arrivare in tempo utile a Bor­ deaux. Di Il ad Arcachon è breve il tragitto, un'ora appena sulla Parigi-Madrid. E ad Arcachon avrei raggiunto la meta del mio viag­ gio spirituale, poiché ivi dimora - non è più un segreto - il poeta della terza Italia. Ma sapevo pure che Gabriele D'Annunzio s'era a più riprese rifiutato di ricevere qualcuno, e raccolto nella solitudine, alle prese con la nuova sua opera, desiderava non essere avvicinato, soprattut­ to dagli indiscreti, che avrebbero riferito, se non i dettagli del Mistero, almeno la forma del tavolo da studio o degli alari, per appagare l'avidità del pubblico , così intensa, più che mai allora, attorno le vicende del nuovo lavoro e dell'artefice che lo compieva in un impeto di smisurato ardore e di fede. Perciò l' inquietudine e la speranza si alternavano man mano che mi avvicinavo a Bordeaux, la città degli anacronismi spirituali, dove ad un tratto, nell'interno dei sotterranei, dove si custodiscono i "fusti", per un'affinità del sangue e del vino, vi assale il ricordo di M . me Roland, la Ninfa Ege­ ria dell' ultima cena. So che Gabriele D'Annunzio scriverà uno stu­ dio sul paese, dove il "San Sebastiano" è stato compiuto, e descri­ verà, fra le altre cose caratteristiche, uno di questi sotterranei appar­ tenenti a M. Calvé, la più vasta custodia "spirituale" del mondo, simile ad una chiesa gotica sterminata e profonda, nell'arco acuto delle sue volte: la Cattedrale di Bordeaux. Giunsi ad Arcachon sul far del mattino. Una nebbia leggera velava l'orizzonte: una luce bianca uguale sulle alghe e sul paesaggio indefinito, che ricorda quello d'Olanda. Specchi d'acqua nella cam­ pagnia brulla, casolari di legno col tetto a punta, "silhouettes" di cuffie bianche più che di donne oscure, e qua e là nel velo di neb­ bia, in alto, i ciuffi dei pini marittimi, enormi uccelli verde-cupo appollaiati sul fusto agile: la ricchezza d' Arcachon. La grande indu­ stria del paese è quella della resina: seguita però dall'industria del forestiere. Grazie al clima dolce e alla selva di pini, Arcachon dal nome greco " il porto dei soccorsi", che di estate è un ritrovo balneare ele­ gantissimo, diviene all'inverno una stazione di riposo per le esisten­ ze affaticate dal lusso delle grandi città o dalla vita troppo intensa.

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È un altro faro sull'oceano: dopo Biarritz, S. Sebastiano, Poma Del­ gada, le sentinelle morte della mondanità cosmopolita: i luoghi dove le agonie dello spirito e quelle dei corpi si confondono, sullo sfondo della mondanità e della eleganza suprema. Vicino al tisico esangue, la passionale sfinita: e quegli chiede all'oceano l'ossigeno, questa l'oblio. L uno e l'altra ai limiti del mondo abitato per abi­ tuarsi all' infinito e soffrire meno , illudendosi d'esser loro che fug­ gono la vita verso il silenzio. Perché Gabriele D'Annunzio, artista della più salda razza, che non conosce i languori del romanticismo, nella pienezza della sua vita fisica ha scelto questo rifugio? È l'amore della foresta che lo ha soggiogato. Egli che ha conosciuto le emozioni del mare, i colori delle ore sull'Adriatico, il silenzio ritmico delle onde, ha scelto il suo rifugio nella più verde e profonda foresta. Immenso labirinto tutto musica di acque, tutto odore di resina - che si estende da Bordeaux a Baiona, lungo l'oceano, nel paesaggio di dune. "Dove è possibile perdersi" , mi diceva il poeta entusiasta. Dove si può caval­ care per delle ore nel silenzio della sabbia, interrotto solo dai colpi d'ascia degli incisori di pino, che nella scorza degli alberi aprono la ferita rosso-mattone per raccogliere la gomma. La città d'Arcachon (sul bacino) non ha grandi vie né grandi case. Ogni famiglia ha la sua piccola villa, uno "chalet" circondato da giardini. E, percorrendo le vie quasi deserte, i nomi scritti sulle facciate accompagnano le vostre idee. Nomi di musici: Villa Ber­ lioz, Bizet, Bach, Rossini. Nomi di donna: Anne - Héléne, Elisa­ beth, Emilia, creature che hanno vissuto in questi piccoli rifugi di anime: i giardini. Nomi di capriccio: l' Hermitage, Jasmin, Mon­ repos, che sono la sintesi psicologica di chi vi abita. E Maupassant, Lamartine, Salammbò e Richelieu, sono posti lì, uno accanto all'al­ tro, come le insegne del vivere, come i numi delle famiglie. Perciò Arcachon si direbbe una città di esteti, non di cultori di ostriche, le famose ostriche verdi, le "marennes" , delle quali parla Rebelais, che contendono sul mercato di Parigi il primato a quelle di Ostenda. Gli arcascionesi hanno diviso in quattro zone ideali il loro terri­ torio: Città d'estate, sulle rive del mare; Città d'autunno, all'est; attorno alla stazione ferroviaria Città d'inverno, ai limiti della fore­ sta; e Città di primavera, ad ovest.

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Ricongiungendosi per questa loro necessità di battezzare le con­ trade e le spiagge, con nomi di poesia e di sogno, alla grande madre francese, che dalla costa azzurra alla costa d'oro e d'argento; dalla costa smeraldo a quella d'avorio, in patria e nelle colonie rinnova il prodigio trasfiguratore, crea il mito delle regioni, proprio delle razze latine. In questo paesaggio incantevole, calmo e "reposant" nel suo cromatismo: azzurro pallido dell'oceano, bianco l uminoso delle dune, verde cupo della foresta, Gabriele D'Annunzio ha scritto gli ultimi suoi lavori alla Villa Charitas. Questo artista magnifico, che ama dividere, quasi sulla nuova guida di Esiodo, la sua esistenza in opere e giorni, ricerca l'intima rispondenza fra la materia dell'arte e quella della vita. Così, mentre dal paganesimo delle Laudi egli si avvicina alle fonti cristiane dei "Misteri" , la sua casa ha pure il nome della virtù cara a S. Francesco. Perduta nel golfo dei pini, Villa Cha­ ritas, guarda il bacino d'Arcachon dal lato sud-ovest. Al crocicchio del Moulleau dove le strade si biforcano, dei manovali riparavano i danni prodotti dalle piogge alle ferme del tenore Alvarez, il celebre cantante "dell'Opèra" , che vive lì nelle epoche di riposo. Uno di essi mi accompagnò fino alla porta del "maitre italien" . La casa pareva deserta. - È lì che "le maitre" lavora - mi disse l'operaio indicando mi una finestra al secondo piano. - Alla none c'è sempre il lume acceso. Intanto la porta s'era socchiusa. Io feci passare il mio biglietto e attesi, in preda alla più viva emozione. Non riuscivo più a fissare le idee. Guardavo solo attraverso le arcate dei pini della basilica silenziosa: guardavo oltre l'ombra verde, lontano, le piccole lagune, gli estuari, i minuscoli golfi, i rica­ mi d'acqua lucente che la marea discendente lascia all'isola degli uccelli, biancastra, opaca sotto il sole, nella vastità luminosa del bacino azzurro. La porta si riaprì. Traversai una camera ornata del­ l' effigie di S. Sebastiano nei pittori quattrocentisti. - Venga, venga. lo faccio una eccezione per lei. Innanzi tutto perché è abruzzese: e lei sa quanto amore mi lega alla mia terra. E così, che si fa di bello in Italia? È la voce del maestro. Egli che è al tavolo e scrive, si alza per venirmi incontro. Io per tutta risposta gli racconto il mio viaggio, interrompendomi ogni momento.

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Quando si parla con D'Annunzio è meglio tacere ed ascoltare. Quest'uomo, che conosce tutti i segreti della parola, la forza miste­ riosa dei vocaboli, le sfumature del pensiero vi paralizza a tutta prima: vi par che innanzi all'artefice meraviglioso voi dobbiate subire un continuo controllo, e, dopo ogni frase, vi chiedete: - Chi sa che sciocchezze ho detto! - Oppure: - Ho tradito il mio pensiero? Ma D'Annunzio vi mette subito a vostro agio , inizia una con­ versazione famigliare e accompagna con un sorriso, ora dolce ora enigmatico, il dire facile armonioso, che vi dà ad un tempo delle sensazioni d' indole musicale e descrittiva. Il suo gesto è sobrio , ma ha dei movimenti improvvisi e rapidi della mano efficacissimi per disegnare una sagoma, per accompagnare l'imagine evocata, o farvi penetrare in un attimo tutta la bellezza d'una linea architettonica. - Sì. Il San Sebastiano è a buon punto. Bakst sarà qui domani. I suoi "figurini" sono meravigliosi. Egli ha compiuto un'opera degna del modello che lo ha inspirato: Carpaccio. Debussy ha scrit­ to una musica purissima. Senza sovrapporsi alla parola declamata, il canto , la frase melodica avvolge la Poesia, come un fiume dolce e discreto cinge un'isola mistica. Così abilmente egli sfuggiva a tutto quel che io non osavo chiedere: cercava quasi di scomparire e par­ lava dell'opera altrui. E poiché io insistevo, per conoscere almeno qualche dettaglio dell'opera di poesia: - Ebbene; io spero che ella sarà discreto - mi disse a un trat­ to , e avvicinandosi al tavolo trasse dal tiretto un fascicolo macchia­ to, qua e là, di rosso: - il sangue del martire. Lo aprì e mentre lo scorreva io potei vedere che l'opera è uscita quasi di getto: le cancellature del manoscritto sono rarissime. Egli cercava qualche passaggio della prima mansione. La luce gli batte­ va in pieno sul viso, che ha nelle tempie dei toni d'avorio. Curvo sul libro, lasciava sco rgere di profilo, la linea vigorosa dell'arco della fronte, e del naso: i segni della volontà. -Voi ci d es gàteaux

Au miei de l' Hymette

e la sua voce sonora, ricca di toni alti, cominciò a scandire i versi, facendone scintillare tutte le gemme. Nelle pause, nei brevi riposi

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io sentivo ancora vibrare l'essenza del canto; e intesi allora per la prima volta tutta la bellezza degli echi nelle musiche. lo e il poeta eravamo soli innanzi la Bellezza cristiana ch'egli rivelava a me per il prima. Oh, dono senza l' uguale! I pini erano immobili al sole nel­ l'azzurro profondo . . . - Ho voluto in queste strofe offerenti tracciare dei brevi dise­ gni melodici, ritmati: un periodo musicale, chiuso e definito come un'aria antica, una variazione . . . - E in fatto di musica - gli chiesi - quali sono le vostre pre­ ferenze? Wagner? - Certo Wagner ha saputo compiere il prodigio della fusione tra poesia ed orchestra. Ma nel campo della musica pura, sinfonica, il mio Dio è Brahms. E parlò della musica com'egli solo sa. Notò le affinità fra le arti e il processo intimo dell'artista che trasforma le sensazioni sonore in v1s1ve. - Scrivendo Il Mistero di San Sebastiano io sono dominato da certe tinte e da certi accordi, che ritornano incessantemente, con un insistere di "leit motiv" nel mio cervello. Alla notte, mentre scrivo, questa m usica indefinita accompagna la mia veglia. È nata con la poesia ed io esprimerei così, se fossi un musicista, i momenti del martirio di San Sebastiano. E, sedutosi all'armonium, che è nel suo studio, eseguì degli accordi che si raggruppavano attorno a un pensiero melodico litur­ gico purissimo di stile. Sullo sfondo grave e solenne si levavano delle note alte, a ritmi definiti, come archi sottili, come steli bian­ chi. E rileggendo Il San Sebastiano io ho riavuto la sensazione di quella musica lontana ai versi "Me voici prèt" fino all'ultimo grido del santo: "Le lys font toute la lumiére''. D'Annunzio ha così com­ piuto nel modo più perfetto il prodigio annunziato da Nietzsche. Questo spiega quale sia il contributo dei valori musicali nell'o­ pera più recente di D'Annunzio. Mentre nelle sue prime pagine è più vivo il senso del colore, e le imagini visive abbondano, dal Trionfo della morte in poi le imagini musicali si fanno più frequenti e l' influenza dei sinfonisti più sensi­ bile nella sua arte, che obbedisce alle leggi biologiche della evolu­ ZiOne. 253

A questo proposito ricordo che mentre parlavamo dei tormenti delle anime d'artisti, io accennai ad uno scultore tedesco, che, da molti anni rinchiuso in forme fisse, pare quasi un "sopravvissuto" alla sua scultura. - Egli non ha saputo rinnovarsi. - O rinnovarsi o morire. E voi - gli domandai - come fate a rinnovarvi costantemente? Qual'è il segreto per mantenervi da trent'anni il vincitore sempre "in forma" ? Egli m i guardò meravigliato, come s e gli avessi chiesto perché respirasse. Per vivere. In quel momento il domestico venne ad annunziare che il pran­ zo era servito. A tavola fu un continuo parlare della nostra Italia e del nostro Abruzzo: il Sagittario, il paese dei Marsi, Ovidio. Ricordò le peregrinazioni della giovinezza, con la gaia brigata, con Michetti e Scarfoglio, nelle nostre terre, e la Grotta di Scanno, la processione dei serpi. Ogni tanto mi chiedeva notizie di qualcu­ no, degli amici lontani , con un sorriso dolce in cui traspariva tutta la sua anima nostalgica. Dopo uscimmo all'aperto. D'Annunzio mi iniziò al tiro del­ l' arco in cui è abilissimo. Ne aveva lì parecchi per prova. Erano gli archi degli arcieri d' Emése. E così armati vagammo per il bosco, come due uomini primitivi alla ricerca della selvaggina. Con la differenza che parlavamo dei voli di Védrines anziché del prezzo delle pelli. Un improvviso scroscio di pioggia ci obbligò a rientrare. Un lieve aroma di belzoino era nella camera tiepida. - E questi libri? - chiesi indicando un mucchio di antichi volumi accatastati in un angolo. - Sono serviti per la preparazione. Ho voluto documentarmi pazientemente, conoscere le antiche leggende (alcune di dodicimi­ la versi) , perché solo conoscendo l'antico ce ne possiamo distaccare . con s1cura cosc1enza, e non per tgnoranza. Queste parole definiscono l'artista: insonne implacabile, avido di conoscere e di creare, "morso il cuore dell'aquila immo rtale" . Il cielo è ritornato limpido e l'ora del congedo prossima. Gli rivolgo un' ultima domanda che mi tormenta da un pezzo. .

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- Si, si. Tornerò in Italia. Arrivederci. Da un momento all'al­ tro . . . Con questa promessa e col ricordo delle buone parole, ch'egli aggiunge per me, scendo i gradini della pensilina. Attraverso la porta dischiusa do un ultimo sguardo alle ortensie che sul tavolo del maestro ardono d'una tenue luce bluastra. È il sole dell'ultima ora che le accende. Dalla parete violacea il S . Sebastiano del Foppa mi sorride appena dolorosamente. Il poeta è ancora sulla porta e mi fa segno con la mano fine. Per un attimo il cammeo dell'anello s'illu­ mina. Dal mare si leva una leggera nebbia d' un verde tenuo. La foresta, che sotto il vento aveva pocanzi un mormorio wagneriano, è divenuta silenziosa. Scendo la china: cerco di orientarmi. La sera discende e non v'è nessuno per la via bianca, che ha dei riflessi salini. Ma ecco fra gli alberi le cupole dorate del casino moresco, il Club degli Inglesi, dove si balla. Poco dopo mi giunge il grido del giornalaio: "Le Ma ti n" , ''l'Excelsior" . Un po' più giù dei riflessi del mare, i lumi della "jetée" . Dopo l'ora dell' incantesimo eccomi rientrare nella vita, uscendo dalla foresta, entro cui vive solo lo spirito di Gabriele D'Annunzio, più giovane che il canto di Siegfried. E alla pineta d'Arcachon, perduto fra la folla elegante che gre­ miva il teatro dello "Chatelet", alla prima rappresentazione del Martirio, io ripensavo , scorgendo gli antichi lauri del Bosco d'A­ pollo. Perché in questa quarta mansione si sente tutta la religione della foresta. Ed i lauri, come !ance ritte verso il cielo, sono i pini del Moul­ leau, trasfigurati dallo spirito del poeta. La prima ispirazione di questo quarto atto deve ricercarsi nello "scenario" in cui nel giorno di marzo vagammo, armati di arco , il maestro ed io, ricercando invano il tronco, sul quale il corpo fine di Lyde Rubinstein ponesse il rilievo di cera. Forse il miracolo s'era già compiuto e l'albero solo era ferito. Il Martire era già alla quinta mansione. E oggi, mentre ancora gli Italiani aspettano di conosce­ re sulla scena l' ultimo lavoro di D'Annunzio ricevendo il volume delle Canzoni che il poeta m'invia, in questo chiaro vespero del rac­ coglimento, fiuto invano l'odore di resina dei pini lontani. Nell'a-

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ria è l'odore di Pasqua e del grano bianco, e "il vento della landa solitaria" mi rievoca il paesaggio del Moulleau e il rifugio della fore­ sta, di dove sono giunte fino a noi le Canzoni del sangue, della Diane e le altre sorelle. Solo per esse che vi sono cresciute cosl libe­ re e forti, il paese delle Lande è da considerarsi come una provincia annessa dello spirito italiano.

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[S .F.]

Intervista con D'Annunzio sulla guerra e i rapporti italo-inglesi 1 [Diffidenza verso t'Inghilterra - Ingiuste accuse sulle "atrocità " di Tripoli - La guerra di Turchia - La rigenerazione de/t'Italia come potenza militare] Una sola parola di Londra poteva eliminare il conflitto Parigi,

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luglio.

Gabriele D 'Annunzio, che si trova a Parigi, ha esposto ieri ad un redattore del New York Herald le sue vedute sulla ardente questione sollevata da Churchill, se cioè in certe circostanze la Gran Bretagna potrebbe annoverare la flotta italiana fra le flotte amiche. - In primo luogo - ha detto D'Annunzio - è innegabile che le relazioni ufficiali anglo-italiane rimangano amichevoli e inalterate, ma è pure innegabile che il sentimento pubblico in Italia si è mutato e il popolo segue il corso degli eventi con ansiosa attenzione. - A che cosa attribuisce questo mutamento?

1

Di questa intervista esisrono altre due versioni, una in francese (M. Gabriele 29 luglio 1 9 1 2), l'altra in inglese (Signor Gabriele D'Ann unzio says Eng!.md should assist ftafy to end war wuth Turkey, in «New York Herald-Paris, 29 luglio 1 9 1 2). Pub­ blichiamo la versione italiana. D 'Annunzio juge !es rapports anglo-itafiem, in « New York Herald Paris>>,

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- A parecchie cause: alla malevole mendace spregevole campa­ gna di certi giornali inglesi sulle così dette atrocità a Tripoli, cam­ pagna che prima sorprese poi addolorò e quindi infuriò tutti gli ita­ liani. Noi eravamo abituati a considerare l'Inghilterra come un'amica sincera, come la protettrice dell' Italia. Immaginate quindi il colpo per la nostra nazione nel vedere che la stampa inglese approvata dal popolo inglese vilipendeva le nostre truppe accusandole di delitti bestiali, di atrocità indegne e fantastiche. Quella dolorosa impressione è stata in parte cancellata soprat­ tutto dallo sforzo di pochi, ma autorevoli scrittori e uomini politi­ ci inglesi che senza dubbio fecero sì che la stampa inglese cambias­ se tono , specialmente quando la prova irrefutabile convinse che qualsiasi severità esercitata dalle truppe italiane poteva trovare un riscontro con centinaia di fatti più gravi nella condotta delle guer­ re coloniali degli inglesi. La cessazione della campagna ami-italiana nei giornali inglesi ricondusse il cuore degli italiani ai vecchi sentimenti di amicizia per l'Inghilterra. Tuttavia il sentimento italiano per quel che riguarda l'Inghilterra è difficile a definire essendo in uno stato di flusso. Si scorge un certo malessere nel pensiero che l' Inghilterra non ha dato all' Italia l'appoggio che questa aveva ogni ragione di aspettarsi. Il prolungamento della guerra è in gran parte una conseguenza della politica inglese. L lnghilterra potrebbe fare finire la guerra, potrebbe averla fatta finire da lungo tempo con una sola parola. Nelle prime fasi della guerra avrebbe avuto dalla sua la Francia e la Russia: e la Turchia non avrebbe osato resistere poiché la Germania e l'Austria non avrebbero trovato politico incoraggiare la Turchia a rifiutarsi. Il D'Annunzio seguita esponendo l'impressione che il prolun­ garsi del conflitto si debba anche alla politica del Governo italiano, che ad atti magnifici di audacia ha fatto sempre seguire periodi di mazwne. Il Poeta ha poi detto: - La gesta di Milano solamente trova il principio direttivo che avrebbe dovuto la guerra. Dopo quasi un anno durante il quale la Turchia aveva avuto ogni facilità di organizzare la difesa dei Darda-

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nelli, cinque torpediniere italiane sono arrivate fino a metà dei Dar­ danelli, hanno sfidato le mine subacquee, i fuochi dei forti turchi e delle cannoniere turche e sono tornate incolumi. Se la flotta italia­ na avesse risalito i Dardanelli nelle prime settimane della guerra, quando la difesa della Turchia non era nemmeno progettata, pote­ va arrivare davanti a Costantinopoli senza sparare un colpo, e pote­ va dettare le condizioni di pace nella capitale della Turchia. Le Potenze non sarebbero intervenute, né potevano intervenire. Comunque, la guerra ha servito a uno scopo, e ha dimostrato al mondo che la rigenerazione dell' Italia come potenza militare è un fatto compiuto. Churchill ha perfettamente ragione: la flotta italia­ na deve d'ora in poi formare un elemento in tutte le questioni inter­ nazionali. Se poi l'Inghilterra debba riguardarla come un'arma in suo favore o che debba essere usata contro di essa, è una questione cui gli atti stessi dell'Inghilterra risponderanno.

[In «Il Giornale d'Italia>>, 30 luglio 1 9 1 2] .

259

[S . F.]

Gabriele D'Annunzio intervistato sulla sua opera recente 1 [Le prove della Pisanella - «Non volevo più accordare alcuna intervista»]

Parigi,

13 giugno,

notte.

Per telefono al Corriere della Sera. La Pisanella di D'Annunzio è il maggiore avvenimento lettera­ rio e teatrale degli ultimi tempi poiché non v'è giornale o periodi­ co che non se ne occupi a lungo. Il fascicolo odierno dell'ebdomadario Les Annales è dedicato in buona parte al grande poeta italiano di cui riferisce ancora un recente colloquio. Un redattore del periodico andò ad interrogare il poeta sul palcoscenico dello Chatelet durante le prove. - Non volevo più accordare alcuna intervista - rispose il poeta. - Non si riferisce come si deve quello che io dico. Talvolta mi si attribuiscono frasi la cui pesantezza mi esaspera. Talvolta mi si fa parlare con una ridondanza che non ho. Le mie frasi sono un poco della mia arte; trasformandosi non sono più le mie. Avendo il giornalista chiesto al poeta se aveva finito di scrivere il romanzo sulla vita parigina di cui si parlò a lungo l'anno scorso, D'Annunzio rispose di no, e aggiunse:

1

Un breve regesto di questo articolo anche in «La Tribuna>> , 1 5 giugno 1 9 1 3 .

260

- È un grande lavoro. Per un romanzo simile io dovrei scrive­ re almeno un migliaio di pagine. Vi è l'intenzione, ma occorre anche il lavoro materiale. Bisognerebbe come gli artisti della Rina­ scenza, avere una bottega, voglio dire dei discepoli. Data l'idea, i discepoli farebbero il lavoro e non vi sarebbe che aggiungere qua e là una frase, una parola, dare insomma il tocco personale. Il giornalista chiese allora al poeta se quest'anno era stato inte­ ramente assorbito dalla Pisanella, ma D'Annunzio gli osservò che oltre alla Pisanella egli ha scritto da un anno in qua La Contempla­ zione della Morte, Le Faville del Maglio, La Vita di Cola da Rienzi, e un breve romanzo La Leda senza Cigno. Il periodico contiene anche un articolo su D'Annunzio del poeta Enrico de Regnier e altri articoli intorno alla maniera ed alle fonti della Pisanella. Tutti i giornali hanno messo in rilievo lo sfar­ zo eccezionale della messa in scena della Pisanella. [!ntransigeant assicura che essa è costata circa 400 .000 lire e che il mantello por­ tato dalla protagonista all'ultimo atto vale da solo 40. 000 lire.

[In

«II Corriere della Sera» ,

1 4 giugno 1 9 1 3] .

26 1

DIEGO ANGELI La nostalgia di Gabriele D'Annunzio [Il seguito di Pisanella: Viviana e Merlino - La Fiaccola sotto il moggio in francese - Il dramma della femminilità italiana - Due romanzi: La Leda senza il Cigno - Il ratto della Gioconda] . Parigi, giugno. Una conversazione a Parigi: Il ritorno in Italia? - Dunque per ora non si pensa a ritornare in Italia? Eravamo nel piccolo appartamento chiaro e luminoso, dove i grandi fasci delle rose e i ciuffi azzurri delle ortensie, mettevano come una nota di suprema eleganza. Ed era l'unico segno persona­ le di quella stanza, dove mancavano gli oggetti rari e i tessuti pre­ ziosi che seguivano un tempo, Gabriele D'Annunzio, dovunque egli andasse. Ma nella solitudine aspra delle lande, il suo spirito si è spogliato di molte cose che lo ingombravano: molti fiori e molti libri, qualche prezioso calco di capolavori antichi e qualche bella fotografia di pitture illustri. E sui muri una tela semplice e rozza. Di tutto il lusso antico è questo quello che rimane: un lusso intellet­ tuale di edizioni rare e di belle rilegature. Del resto, le une e le altre furono sempre il "vizio" più incorreggibile di Gabriele D'Annunzio. Perché il prodigioso artefice della forma è giunto alla più alta per­ fezione dello stile, a traverso uno studio profondo e tenace. Quan­ do apparve la Francesca da Rimini, il Raj na scrisse un articolo d' am­ mirazione per dimostrare che ogni parola adoperata dal Poeta era

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esattamente una parola del secolo XIII, in una magnifica ricostru­ zione di vocaboli e di stile. La sera della prova generale di questa sua ultima Pisanella, Renè Basin - il sommo critico della somma Revue des Deux Mondes, dichiarava a Edmondo Rostand "qu'il fal­ lait remonter à Rabelais, pour trouver un ècrivain francais qui aurait une si profonde connaissance de la langue francaise" . In una lingua, come nell'altra, Gabriele D 'Annunzio aveva rag­ giunto quel grado di perfezione assoluta non mai raggiunta prima da nessun altro scrittore delle due nazioni. Così per la ricostruzio­ ne storica dei suoi lavori. Quando comparve il San Sebastiano uno dei più dotti agiografi di Francia gli scrisse una lettera per doman­ dargli come era potuto giungere a esprimere con tanta precisione quel punto suggestivo - e anche uno dei più misteriosi delle ori­ gini cristiane - in cui la religione del Cristo sembra confondersi o per lo meno contaminarsi coi miti mitraci e adoniasti. Ma Gabrie­ le D'Annunzio è un erudito oltre ad essere un grande poeta: un eru­ dito profondo e sottile che piega al suo genio creativo le molte cose apprese sicuramente riuscendo così a darci intiera e compiuta quel­ la "ricostruzione del luogo e del tempo" che Sant'Ignazio racco­ mandava alle meditazioni dei suoi fedeli. Ma Gabriele D 'Annunzio è l'uomo più sconosciuto del suo tempo. Laltro giorno, un critico francese, asseriva che non ostante tutto quello che si diceva intorno a lui, il D'Annunzio era forse uno degli artisti più isolati dei giorni nostri: e aveva ragione. Isolato per l'altezza a cui è giunto e che lo mette così al di sopra dei suoi con­ temporanei isolato per quel disprezzo ch'egli ha di tutto quanto è volgare e piazzaiolo. Quest'uomo, che le cronache dei rep orters in mala fede ci presentano così diverso da quello che è, ha uno spirito semplice e quasi infantile. Io so che queste parole faranno sorridere molti in Italia. Ma p ure è così, e bisognerà pure un giorno far cono­ scere una verità ignorata, e dare al pubblico italiano, la vera imma­ gine del suo poeta più grande. E badate, il pubblico italiano è verso il D'Annunzio di una ine­ splicabile cecità. Girate nei corridoi dello Chàtelet, le sere in cui vi si rappresenta la Pisanella e potete scommettere che su dieci interlocutori che par­ lano di quest'opera prodigiosa, se ve ne sono cinque che ne dicono 263

male, questi cinque sono italiani. La sera della prova generale, quando il De Max venne ad annunciare al pubblico i nomi di colo­ ro che avevano collaborato col Poeta, un signore italiano che avreb­ be dovuto ritenersi più degli altri, diceva a un artista francese: "Sta bene tutto, ma si sono dimenticati di nominare i quattrini della Rubinstein!" La lepidezza finanziaria era di un gusto più tosto discutibile: ma l'artista francese fu felicissimo di ripeterla, facendo notare a punto che era stata detta da un italiano. E il giorno dopo la prima rappresentazione ogni italiano che s' incontrava e che non vi aveva assistito vi dimandava subito: " Dunque la Pisanella? Una porcheria a quanto si dice, non è vero?" E se uno rispondeva il con­ trario, si vedeva trattato come un povero di spirito, accecato da chi sa quale amicizia personale. Perché gl'italiani sono fatti cosl: nazio­ nalisti e non nazionalisti, essi hanno sempre bisogno di abbattere gli uomini rappresentativi della loro stirpe. Leggete tutta la storia let­ teraria del nostro paese, e troverete costantemente una quantità di sembenelli, drizzati in antagonismo coi pochi artisti veramente grandi e veramente significativi. Questo fenomeno non è tale da incoraggiare Gabriele D'An­ nunzio a ritornare in Italia. Nelle lande odorose di resina d'Arca­ chon egli ha trovato il riposo e la calma; ha trovato l'affetto e il rispetto di coloro che lo circondano, e ha trovato un meraviglioso silenzio che gli permette un lavoro più intenso e più proficuo. In un anno, questo meraviglioso creatore, ha potuto dare alla lingua ita­ liana: le Canzoni delle gesta d'oltremare, le Faville del maglio, le Con­ templazioni morte e quella impagabile prefazione alla Vita di Cola di Rienzo, dove - a proposito di certi giudizi italiani - è pur facile riconoscere una delle opere più squisitamente ironiche della lette­ ratura italiana. Alla lingua francese poi, ha dato questa nuovissima Pisanella, che per molti francesi - primo fra tutti Maurizio Barrès - è stata una rivelazione. Nessuno di loro - è stato il più erudito di tutti a confessarlo: Anatole France - avrebbe mai potuto far rivivere in una cosl compiuta perfezione d'immagini e di fatti, un intiero periodo storico della vita francese, come ha fatto questo stra­ niero veramente miracoloso. Del resto la Pisanella avrà un seguito, che compirà il trittico delle tre opere teatrali di poesia francese. E questo seguito s' intitolerà Viviana e Merlino e sarà come la sintesi

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dello spirito cavalleresco dell'alta melodia francese. Un atto, fra gli altri, dovrà esprimere la visione ferrea delle canzoni di gesta, e conoscendo la potenza evocatrice del poeta - riuscirà una creazio­ ne ammirevole e definitiva. Le altre opere teatrali, che egli prepara per il teatro francese, sono due. Una è La Hache, nella quale egli vuol fare questo curioso ten­ tativo: riprendere il puro soggetto della Fiaccola sotto il moggio, in quanto ha di umano e di violento e di trasportarlo sopra una scena moderna, spogliandolo d'ogni particolare etnico e topografico. [al­ tra sarà un'opera drammatica, di una grande rapidità e intensità di azione, dove si troveranno di fronte due donne, una delle quali non più giovane in contrasto con una giovanissima di carattere aspro e ribelle, vera espressione di una speciale tendenza della femminilità moderna. Il lavoro, che sarà pronto per l'autunno , verrà rappresen­ tato in Francia dalla Rèjane e dalla Rogers. In Italia, Gabriele D'An­ nunzio vorrebbe avere per interprete Emma Gramatica, a cui da gran tempo ha promesso questo suo dramma violento e passionale. Tutti questi lavori, intanto, non lo distolgono dal romanzo. Uno è già pronto: La Leda senza cigno, che sarà pubblicato fra breve in un giornale italiano. In questo romanzo egli tenterà una forma nuova, per rendere i vari stati d'anima dei personaggi. "Finora - egli dice - il romanzo, sia di fantasia, sia di vita borghese è chiuso dentro certe formule che nessuno ha voluto infrangere. Ora io voglio tenta­ re qualcosa di nuovo, per dimostrare come con uno strumento per­ fetto quale è la lingua italiana, si possa giungere a dare tutte le sfu­ mature del sentimento con una espressione non tentata mai primà' . E lo stesso farà per il secondo romanzo, quel Ratto della Giocon­ da - è il titolo italiano del lavoro annunciato come L'Homme qui vola la foconde - che è oramai già molto innanzi e che sarà com­ piuto il prossimo anno. Con quella precisione di particolari che fanno di lui il più pre­ ciso degli evocatori, Gabriele D'Annunzio racconta come egli abbia conosciuto il suo eroe, e come questi - con la complicità di un for­ matore carrarese, addetto ai moulages del Louvre - abbia portato il quadro nella sua villa d'Arcachon. Il ladro è un Peter Van Blomen, discendente di quel Van Blomen che sotto il soprannome di Oriz­ zonte e di Stendardo lavorarono a Roma sulla fine del secolo XVII. 265

Egli ha da compiere una grande esperienza: ammirare la divina immagine di monna Lisa e sprigionare dalle sue forme materiali l'a­ nima che vi racchiuse Leonardo. In una notte di ansia e di mistero, l'esperienza riesce e la figura si anima e monna Lisa rivive la sua vita corporea e apparisce quale era stata: una donnetta querula e chiac­ chierina, una saggia massaia toscana che si occupa più delle sue fac­ cende domestiche e dei suoi affari personali, che non del dramma suscitato nell'animo di colui che doveva imprigionarla nella sua tavola immortale. Ed ecco la donna misteriosa abbandonare per sempre il suo "bel paese irriguo" e ritornare nella vita lasciando per sempre vuota la terra dei bei fiumi e delle grandi montagne dove l'aveva incatenata, come in una vendetta d'amore, il suo ermetico amante. Ma questa favola non sarà se non un pretesto per permet­ tere al Poeta di svolgere l'analisi dell'influenza che la donna può esercitare sopra l'animo di un uomo, sul declinare della sua poten­ za fisica. E nel tempo stesso sarà la glorificazione di quella terra arcascionese, dalle dune di sabbia e dai pini resinosi, che è fra i più belli e i più selvaggi paesi che il Poeta abbia visto mai. Ma tutto questo non toglie a Gabriele D'Annunzio la nostalgia del suo paese. " Io avevo sempre creduto - egli mi diceva - che la nostalgia fosse la semplice espressione di un sentimento: e mi sono dovuto convincere che è una vera e propria malattia, con tutti gli effetti e tutte le conseguenze di una malattia" . Ma in quanto al ritorno . . . A ottobre vorrebbe andare a Venezia, ma egli teme che una volta messo il piede in Italia, non avrebbe più la forza di ritornare ad Arcachon, dove la sua vita è più selvaggia e dove il suo lavoro è più intenso. E poi non aveva scritto, qualche tempo fa a un amico d' I­ talia "che per invecchiare e per morire bisogna inselvarsi" ? È vero che a vederlo così attivo e così giovanile sempre, al suo lavoro e alla lotta si ha veramente l'immagine di uno di quei prodigiosi artisti italiani del rinascimento o dell'epoca barocca - un Michelangelo o un Bernini - che vivevano novanta anni e morivano dopo aver lasciato agli uomini stupefatti tutto un mondo immortale di pietra e di bronzo. [In « I l Giornale d'Italia», 2 1 giugno 1 9 1 3] .

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ANTONIO CONTE Con versando con Gabriele D'Annu nzio

[La fratellanza franco-italiana - La successione al Pascoli alla cat­ tedra di Bologna - Il ritorno in Italia? - Il manoscritto francese dello

Chévrefeuille - Futurismo non marinettiano -

Che 1mol dire "radi­

cale "? - «La mia morte de11e essere violenta, quale è stata la mia vita» - cc .

. .

lei non

riferirà nulla ai giornali»]

Pugnace primavera quella del 1912!

In Libia si combatteva e a Roma La Canzone dei Dardanelli, scomunicata dalla Congrega dell' I ndice di Palazzo Braschi, si decla­ mava di contrabbando nei caffè, in attesa che il signor Kiste­ maeckers la volgarizzasse per uso della platea francese. Io arrivavo allora in Francia. Passando per Tarascon mi ci fermai per visitare la Tarasca e il Castello di Re Renato, e se non ci vidi Tar­ tarin in persona, ne vidi poi di somigliantissimi a Parigi, che dai marciapiedi dei loro bouvelards lanciavano minacce contro l'Italia, e sulla carta del Mediterraneo, come in una partita a scacchi, segna­ vano con la punta del lapis gl'ipotetici attacchi di quella flotta di Tolone, nella romantica immaginazione del signor Painlevé affonda le altre flotte in 40 minuti. Si sentiva in aria l'odore della polvere! Bisognava vendicare l'onore del Carthage e del Manouba, e persino le barchette di carta che tutte le domeniche i bambini fanno gal­ leggiare nelle vasche dei giardin i delle Tuileries assumevano aspetti minacciosi agli occhi di noi poveri italiani. 267

Fu in queste circostanze che un giorno mi trovai a Bourdeaux con Gabriele D'Annunzio. Avevo lasciato Roma soltanto qualche settimana prima, e naturalmente parlammo a lungo dell' Italia e della guerra. È vero che l'eroe del momento, il signor Poincaré, non cessava di prendere ogni giorno contro di noi una di quelle pose da Giove Tonante che in Francia fanno diventare Presidenti della Repubblica. Ma D'Annunzio (illusione dei poeti!) sperava nel ritorno dei buoni rapporti fra le due sorelle latine, e credeva davvero all'effica­ cia di certa colla Luzzatti-Pichon che avrebbe dovuto rimettere assieme i pezzi di quel giocattolo più volte rotto che si chiama la fra­ tellanza franco-italiana.

La Landa Altro argomento di allora era la successione alla cattedra di Pascoli, che in Italia si voleva offrire per plebiscito a D'Annunzio. Proprio in quei giorni, tra le sinfonie alate della Landa, questi rievo­ cava nella Contemplazione della Morte "Giovanni di San Mauro" e le dolci primavere di Romagna che avevano cullato gli agresti sogni di Castelvecchio. Ma mentre egli aveva parole di vivo rimpianto per l'a­ mico, sorrideva all'idea che lo si potesse immaginare chiuso in un'au­ la a dar lezioni, con un mosaico di cose scolastiche nel cervello. Poi con un contrasto istintivo, che manifestava la gioia del vivere libero, si mise a discorrere dei duecento chilometri di foresta che corrono lungo la Costa d'Argento da Arcachon all'Adour, e nominando l'O­ ceano allargava le braccia per esprimerne l'immensità. M'accenno a un suo progetto di prossimo ritorno in Italia; io gli ricordai la Capponcina. Ero stato a Settignano nell'ottobre del 1 9 1 1 . La villa era in riparazione e nelle stanze vuote i muratori facevano cadere i calcinacci. Non altro che quel suo eterno motto di dolore "per non do rmire" impresso da per tutto, e l'effigie di un cuore serrato dalle edere, ancora riconoscibile sul frontone di un cammetto. Ma D'Annunzio sorvolò su quei ricordi e preferì parlarmi del suo soggiorno alla Landa melodiosa, con quella voce piena di colo-

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riro e d'inflessioni armoniose ch'è sempre accompagnata da un gesto delle dita, le quali descrivono in aria curve ora nervose, come per modellarvi le immagini scaturentigli dal pensiero. Mi diceva che in settembre avrebbe avuto ospite Mascagni per la musica di Parisina. E accennando a quella musica futura, già preludiata nei suoi versi, mi descriveva l'altra orchestra più wagneriana, che tutte le notti concertava il vento della pineta e l'Oceano ; e ogni volta che a testimoniarmene l'intento mi diceva "venga a trovarmi" mi inter­ rogava con quei suoi occhi chiari e luminosi che hanno un po' il colore del suo Adriatico e il sorriso dell'adolescenza, ma che diven­ tano cosl pensosi quando si nascondevano dietro una penombra tmprovvtsa. .

.

Un'intervista impreveduta. Qualche mese dopo, trovandomi ad Arcachon, volli recarmi al bosco di Maulleau e fare una scappata fino a villa Saint Dominique. La giornata era calda. Noi passavamo tra poggi e villini con le verande socchiuse che respiravano il profumo delle magnolie, tra ondulazioni di colore dove ingialliva la ginestra e maturavano le prime more. Dal fianco di ciascun pino squarciato da incisure cola­ va resina in piccoli vasi, e lo straro delle foglie secche, che copriva­ no il terreno bagnato dalle piogge dei giorni precedenti, emanava un fermento più forte nel calore di luglio. Ogni tanto s' incontrava una coppia; e poi null' altro che la velocità eccitante della nostra automobile, alla quale dalle branche degli alberi il vento faceva scrosciare le voci delle cicale, quelle vocine metalliche che si confondevano e rimbalzavano come grandine sonora. Arrivammo alla chiesetta di Notre Dame in pieno bosco. " Intorno alla Cappel­ la c'era l'odore di quelle lacrime di ragia che sovente sostituiscono l'incenso e il belsuino nei ruriboli delle Lande". E dopo aver visita­ to il piccolo Ospizio dei Padri Domenicani "la casa in sul ramo" lieve e canora tra il concerto degli uccelli coi balconi rosseggianti di pollini l'oro primaverile colato dal minuro "crivello dei pini" scen­ demmo al mare, dove un accampamento multicolore di bagnanti era attendaro attorno al Gran Pino Maulleau. Le donne, coi gon-

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nellini da bagno sorretti alla cintola, camminavano a pie' nudi sulla rena della spiaggia e poi con uno scoppio di risa fuggivano innanzi alla mareggiata. Ma a me premeva di vedere D'Annunzio e volgemmo nel viale che mena a Saint Dominique, così chiamata per la devozione che il suo defunto p roprietario, Adolfo Bermond, aveva per San Dome­ nico. La villetta occhieggiava col suo color d'argilla tra un gruppo di pini rivestiti di rampicanti, uno dei quali inclinantesi verso le finestre come per nasconderle con le sue cortine d'edera. Un assieme semplice dietro il quale s' intravedeva il balenio delle acque del bacino. La mia compagnia di escursione, la bella Contes­ sa di Blanq uefort, avrebbe desiderato anch'ella conoscere il Poeta da vicino, ma . . . con quale scusa? È vero che i poeti alla stregua degli altri mortali, sono tutt'altro che inaccessibili alle donne, special­ mente alle donne belle. Però Madame di Blanquefort si decise, nel­ l'attesa, a fare un giro nella foresta, e io me ne andai al villino. Secondo mi ricevette sul cancello con una domanda secca: - Giornalista? - No. Ma gettando un'occhiata ad un piccolo apparecchio fotografico che avevo meco, egli abbozzò un sorriso di diffidenza come chi la sappia lunga. Mi contò che D'Annunzio era a Parigi ed io, avendo­ ci creduto da prima, mi rassegnavo a prendere qualche fotografia della villa, senonché Secondo mi osservò che non poteva assumer­ ne la responsabilità. Era lì sullo spiazzale un bel levriere che mi si mostrava più socie­ vole del bravo valet de chambre. Ne chiesi il nome a Secondo . . . Non volle dirmelo! Evidentemente egli temeva di farsi sfuggire un'indiscrezione. Rifletteva prima di rispondere, quasi in ognuna delle mie domande ci scorgesse un tranello, e attribuendosi volen­ tieri una parte dell'autorità e della gloria del padrone mi faceva il prezioso. Del resto aveva ragione e poi . . . essere valet di D'Annun­ zio non è cosa che capita a tutti. lo cominciavo a divertirmi a quella specie di intervista impreve­ duta. Infine potetti varcare la soglia, e adesso che Secondo è dive­ nuto mia vecchia conoscenza non può fare a meno, vedendomi, di ridere ripensando alla gita dell'anno innanzi.

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Un refettorio di levrieri

Nella città vinosa (è il nome che D'Annunzio dà a Bourdeaux) , le vendemmie erano finite. lo sapevo che D'Annunzio lavorava senza tregua attorno al suo Chévrefeuille. Ma sul principio di questo novembre ebbi la gradita visita del Marchese di Casa Fuerte, latore di una lettera del poeta il quale mi scriveva che il lavoro era quasi a termine e m'invitava ad andare una mattina "a dividere seco una colazione monacale" . Di fatti qualche giorno dopo , con un' uggiosa pioggerella, me ne andai ad Arcachon, recandomi subito al vill ino San Domenico, che tro­ vai munito questa volta da una triplice cancellata per impedire ai curiosi di sostarvi dinanzi e prendere le fotografie dal di fuori. Secondo, in costume arcachonese, sabels e culatte rouge, venne ad apri rmi accompagnato dal latrato dei levrieri. D 'Annunzio stava al labor limae sulle cartelle ancora fragranti d'inchiostro, intento a ritoccare il manoscritto francese dello Ché­ vrefeuille che la notte stessa doveva portare a Parigi . No n lo inter­ ruppi, e in attesa che la cuoca ci preparasse la colazione, me ne andai giù ad assistere alla refezione dei dieci levrieri. Si compone il can ile di due graziosi chalets costruiti su architettura dello stesso D 'Annunzio, il quale vi ha fatto dipingere il distintivo della sua scu­ deria a scacch i rossi e azzurri , con tre frecce d'argento negli scacchi azzurri e tre anelli d'oro negli scacchi rossi . Ritti all'entrata, su altrettante colonnine, tre leprotti di stucco fanno la guardia a quel­ la piccola repubblica di levrieri i quali, appena aperta la porta, usci­ rono uggiolanti a farci festa a gara. ''Alzati sulle zampe nervute, mi coprivano della loro vita pieghevole e trepidante. I loro denti erano più puri del gelsomino, e i loro occhi vai o grigi o lionati . . . Mangiarono prima qualche polpetta d i carne cruda, poi a cia­ scuno fu portata una scodella di zuppa, con biscotti e maccheroni cotti in brodo che ai miei tempi di collegio non si dava ai . . . cani. Per i più giovani v'era anche il dessert, " Pisanella" s'ebbe qualche cucchiaio di fosfatina zuccherata come colei ch'essendo ancora ado­ lescente aveva il bisogno di rinforzare il sistema osseo. Invece "Undulna" un'elegante levriera russa, leccò con aristocratica com­ postezza due cucchiai di olio di fegato di merluzzo, ch'era giusto " .

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all'epoca pubera - quella delle pillole Pink - e D'Annunzio temeva per una possibile anemia. " Flay" una terza levriera di pel focato, veramente non aveva bisogno di ricostituenti. Ma c'era un altro inconveniente. Gli è ch'essendo di pel raso, con l'umidità della giornata poteva buscarsi un raffreddore; per cui l'u omo del canile l'aveva vestita con un drappo. Infine per "Wite Hayanà' ci voleva una dieta speciale, ché s'allenava per le prossime corse di Saint Cloud, dove ogni anno l'aristocrazia parigina s'appassiona a veder correre i greyhounis dei più rinomati canili di Francia. - Care bestiole! - io esclamavo distribuendo e ricevendo carezze in mezzo a quella nobile famiglia. - Care bestiole! - ripetè in tono un po' canzonatorio Secon­ do. - Se alla fine del mese le facessi vedere la nota del macellaio! . . .

Colazione monaca/e e discorsi fu turistici Ma la campanella del refettorio suonò anche per noi, ed io salii al primo piano del villino. Questa volta passai per un'altra porta. Attraversando due stanze piene di libri, vidi il gesso vigoroso del Torso del Belvedere e la possente bellezza dei due cavalli del Parte­ none, scorsi una misteriosa statuetta che piangeva in un cantuccio del caminetto, mentre dietro le cortine delle logge s' indovinava lo sfondo dell'Oceano, e m'arrestai col cuore gonfio di mille doman­ de, senza pertanto formularne alcuna. "Un'aria singolare è nella fucina, anche quando non rugge il fuoco" . Girando gli occhi sugli oggetti che mi circondavano, io li scru­ tavo con una certa rapidità ansiosa, come se da ciascuno di essi mi aspettassi una risposta, una rivelazione, finché il mio sguardo andò ad scontrarsi in una scritta a cifre dorate scolpite nel noce d' uno scaffale: "Tais-toi" Taci! D'Annunzio sorridendo mi premè una mano dietro le spalle e mi spinse nella sala da pranzo. Ci sedemmo a tavola tutti soli. Ora mi tor­ nava così naturale in mente l'invito alla "colazione monacale"; e spie­ gando la salvietta odorosa di bucato, non so perché pensavo che quel­ le biancherie provenissero dall'armadio Domenicano di un Monaste-

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ro.

Il mio ospite mi faceva con grande cordialità gli onori di casa; una bonne entrava di tanto in tanto per il ricambio delle vivande, senza dire una parola, come se camminasse con delle scarpe di feltro. Così tra un'ala di pollo e un bicchiere di Medoc la nostra favella meridionale si sprigionò senza reticenze e parlammo di elezioni politiche, di suffragio universale, di futurismo. Diceva D'Annun­ zio: "Se si tratta di volere un'Italia potente e p repotente sono futu­ rista anch'io, ché di futurismo ce n'è in tutte le mie opere". Egli però non poteva accettare il futurismo nel senso marinettiano da anteporre come regola fissa i ceffoni ai baci, o nel senso nathaniano da storpiare il Campidoglio e quant'altro di buono ci resta in Roma antica. Esprimeva la sua simpatia per la nostra giovine schiera di nazionalisti, specialmente per Gallenga e Federzoni che hanno dovuto vincere un'aspra battaglia; e questo ci dette campo di parla­ re dell'incertezza politica dei radicali che in qualche punto d'Italia hanno dato votazioni plebescitarie a dei ministri, mentre a Roma, sotto gli auspici del Blocco, si sono scalmanati per un socialista della specie dell'o n. Antonino! Se Dante tornasse a vivere li mette­ rebbe nell'Inferno a giuocare eternamente a . . . mosca cieca. - A proposito - chiesi a D'Annunzio - lei ch'è uno scritto­ re e per giunta un filologo, sa certamente il significato di tutte le parole. Che vuoi dire "radicale"? Egli mi guardò sorpreso. - Ecco, procediamo per etimologia. Che derivi dal latino radi­ cem o dal greco rhadica, radicale vuoi dire qualche cosa che vuoi mutare l'ordine sociale dalle radici. Ma . . . E D'Annunzio, che per conto dell'onorevole Fera si sforzava di trovare una definizione al radicalismo, non potendone trovare una nemmeno lui, passò a farmi una dissertazione sui pregi della pata­ te, specie della patata dolce, offertami arrostita alla frutta con delle pere succose e dei grappoli biondi di chasselas.

Vivere o morire Precedendomi nelle stanze di fuori il mio ospite m' invitò a sede­ re di fronte al caminetto dove "una fiammata allegra di pino e di 273

pigne favellava su gli alari, con lo scroscio e il frigglo della resinà' . E là, tra il caffè e la sigaretta, parlammo di cronaca. Avevo ancora in tasca giornali italiani che avevano pubblicata la notizia sensazio­ nale data dal signor Le Bargy, secondo la quale D'Annunzio, recan­ dosi nella scorsa estate da Bourdeaux allo Chateau de 14 Brède, l'an­ tico dominio dei Montesquieu, avrebbe confessato all'artista parigi­ no il proposito di por fine alla sua esistenza tra un paio d'anni. Il poeta - racconta Le Bargy - avrebbe già ideata una maniera di morire che non dovrebbe lasciare alcuna traccia di sé, perché il suo essere si volatizzerebbe in molecole infinite. Domandai dunque a D'Annunzio, e non senza un sorriso d'in­ credulità, quanto vi fosse di vero in quella notizia. - Se dovessi smentire o rettificare tutto ciò che mi attribuisco­ no - rispose - starei fresco. Io ho detto che avendo menata fin ora una vita di eccezione, mi darei la morte quando dovessi rasse­ gnami a un vivere mediocre. Ma il signor Le Bargy impoverisce il mio pensiero facendomi volatizzare come un elemento gassoso. La mia morte dev'essere violenta, quale è stata la mia vita. Essa cioè deve avvenire mentre sono nella esuberanza delle mie forze fisiche e intellettive, senza aspettare quel declino al quale le leggi dell'età condannano l'uomo. E ho detto che non lascerei traccia di me . . . - Forse con un salto nel cratere di Mongibello, come quel filosofo della mitologia greca? Ma D'Annunzio mi parlava con la massima convinzione. - Del resto non c'è da sorprendersi. Il fascino della Morte io l'ho sempre sentito, anche nei momen­ ti più intensi della Vita, e lo si riscontra in tutte le mie opere. Il mio bisogno di libertà è così prepotente che non saprei, nemmeno morto, concepirmi chiuso in una bara. E poi andarmene coi fiori e i discorsi funebri non è per me. La sua foga m'andava convincendo, ed io cominciavo a trovare naturale che questo possente creatore dovesse sentire anche la voluttà della distruzione come in Italia sentì la voluttà dell'arsione volontaria della sua casa, prima che gli uscieri andassero a devastar­ gliela. "E voglio che la mia morte sia la più bella vittoria" . Non l'aveva egli già detto? 274

Un gwrno forse sentì in sé l'ombra di Socrate e disse: "Non vacillerò mai dinanzi alla necessità del mio spirito e alla cicuta" . Ma subito dopo la Morte lo chiama con una voce più selvaggiamente melodiosa, e va oltre le dune, lungo l'oceano, tra gli sterpi miste­ riosi della foresta, a cercare il piccolo serpe di Cleopatra che l'ucci­ da: "Il demone del rischio m'aveva detto: Va e gioisci. Bevi ti le musiche degli uccelli e dei venti, abbagliati delle luci, inebriati degli odori. Una vipera ti ucciderà". Io la comprendevo quest'acre gioia di morire. La quercia che stramazza sotto la scure, ancora rigogliosa di rampolli, ci commuo­ ve ben più che la quercia finita per esaurimento. Così abbiamo visto morire Carducci. Ma tra la voce di queste due eterne Sirene, la Vita e la Morte, io inclino a credere che il poeta resterà come il giovane amante di Parisina, che contempla il suo dolore tra le vie delle notte seminate di stelle, e udendo dopo una pausa nuovamente cantare l'usignolo , chiede trepidante: Vivere, vivere, o morire? Dimmi morire o vivere?

L'Eremo Il cielo, divenuto più grave di nuvole, gettava nella stanza un viluppo di ombre, attraverso le quali le statuette di due frati medioevali nascondevano sempre più la testa nei grandi cappucci. Ma troneggiava il gesso del Belvedere: "La grandiosità del torso erculeo bastava a riempire le mura, perché era quel terribile fram­ mento titanico presso cui Michelangelo decrepito e quasi cieco si faceva condurre per p alparlo" . D 'Annunzio mi menò a fare un giro per le sale, mostrandomi qualche oggetto, delle rilegature. Libri da per tutto. Eppure mi diceva che non bastavano e che si sarebbe fatto spedire i suoi venti­ mila volumi che ora giacciono a Roma se non avesse temuto - con questo nuovo trasferimento di penati - d'affezionarsi troppo ad Arcachon. - Gli amici mi scrivono che se li voglio me li vada a prendere io stesso, indovinando che una volta toccata l' Italia non la lascerei 27 5

più. E hanno ragione. La nostalgia della mia Terra talora mi assale così forte, che si commuta d'un subito in tristezza. Però ad Arca­ chon mi ritiene il fatto che posso dedicarmi più intensamente al lavoro. Vede: mi trova tutto solo. Sono un ramingo. Ma che può importare agli altri? La mia tomba sarà una e l'avrò alla foce della Pescara -. Io ripensavo alle sue parole: " E chi mi ama sappia che di ogni mia dimora distrutta io ho potuto sempre serbare la pietra che porta inciso l'enigma della mia libertà: Chi 1 tenerà legato"? " E chi mi segue sappia che persino nella mia nave piena di sozii l'istinto implacabile della liberazione mi spinse più d'una volta a gettarmi solo in mare, come il poeta di Metimna, ma senza ricorre­ re al delfino salvatore" . "E non vorrò mai essere prigioniero, neppure della gloria" . "E non vorrò mai riconoscere i miei limiti" . Scorrendo con l'occhio tra i libri, la mia curiosità si arrestò sopra un volume dalla copertina gialla, stampato in giapponese. Apren­ dolo, naturalmente, non ci capii nulla. Ma D 'Annunzio mi spiegò ch'era la traduzione del Trionfo della Morte, dicendomi che in fatto di traduzioni la letteratura del Giappone possiede la collezione più completa delle sue opere. - E lei - chiesi con l'evidente intenzione di scherzare conosce anche il giapponese? - Sì. La filologia è sempre stata il mio amore, e se non posso avere nelle altre lingue la stessa padronanza che ho pel francese e l' in­ glese, ciò non toglie che anche allo studio del sanscrito e delle lingue orientali in genere sono andato a dedicare una parte del mio tempo. Poi chiudendo il volume e volgendo uno sguardo agli altri libri, soggiunse sorridendo: - Eccole dunque i miei ferri del mestiere. Come vede, lei è nella casa di un operaio. E in così dire mi additava una vecchia espressione francese da lui fatta incidere sul frontone d'una scrivania: "L'o uvrier secogne à son travait' , e poi un'altra "Laissez moi penser à mon aise" , dandomene egli stesso lettura con quel suo accento che non ha cessato di essere abruzzese.

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Ma d'un tratto il mio ospite s'interruppe: - Senta, da circa quattro anni che son qui, lei è il sesto o settimo che ha varcato questa soglia. Badi, lei non riferirà nulla ai giornali. - Va . . . bene. Soltanto vorrei . . . - No. Lei non deve voler nulla. Questo è un Eremo, è abitato da me e non esiste che per me solo. lo l'ho accolta con tanto piace­ re e spero che a questa mia prova di fiducia lei saprà rispondere con la discrezione. Sarebbe antipatico dare in pasto alla cronaca ciò che lei ha potuto vedere o udire qua dentro. Né io, facendo quattro chiacchiere con lei, debbo stare a pensare che le mie parole, bene o male, passino oltre. Sarebbe antipatico, ripeto, come se mentre io parlo lei mi mettesse qualcuno a origliare dietro l' uscio. Infine che ha da dire? Quelli che mi lodano mi seccano; quelli che mi difen­ dono non sanno amarmi come io voglio essere amato -. D'Annunzio levò nei miei gli occhi chiari e indagatori per assi­ curarsi se mi aveva convinto; poi prendendo sul tavolo la Contem­ plazione della Morte me l' offerse con una dedica affettuosa: "In ricordo dell'Eremo e della visita fraterna" .

[In «Il Giornale d'Italia>> , 1 8 dicembre 1 9 1 3 ] .

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[S . F.] A

-

colloquio con D'Annunzio

Una forma nuova del dramma - L'attrazione del cinematografo Cabiria Nuovi lavori -

Parigi, 27jèbbraio Quando entra nella fucina del Fabbro, anche il più modesto visi­ tatore può avere la tentazione di ghermire a volo qualche favilla. Corre il rischio di !asciarla spegnere subito e di trovarsi semplice­ mente in possesso di una scheggia di metallo annerito e inutile: ma gli può capitare la fortuna che il Fabbro compiacente gli porga in modo acconcio una favilla ancor più rutilante. Suggerita da un tito­ lo oramai famoso, è questa una piccola allegoria, per dire che non si può discorrere con Gabriele D'Annunzio senza provare il bisogno di raccogliere ogni sua frase, anche se la conversazione ha errato da un argomento all'altro con la libertà più spigliata. Tutti coloro che conoscono il Poeta sanno che non si può resistere al fascino della sua parola precisa, elegante, colorita come nelle migliori pagine della sua opera, e assai più calda, insinuante: sanno che il prodigioso tumulto del pensiero e delle imagini ha sulle sue labbra una naturalezza somma. Un critico disse di Balzac che era una forza della natura, e intendeva alludere sovra tutto alla mole eccezionale del suo lavoro: Gabriele D'Annunzio non offre un minore esempio di operosità infaticabile, ma la definizione gli potrebbe convenire in un senso più elevato: la sua vena è così ricca che sembra traboccare da una sor-

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gente perenne, la sua inspirazione cosl costante che par di sentirne il soffio anche nel più piano colloquio. Entrando nell'appartamento del Poeta, ho sorpreso in parte il segreto della sua giovinezza fisica, che forma la meraviglia e il tor­ mentoso rimorso di quanti più di lui subiscono le ingiurie del tempo. È un segreto di cui egli concede volentieri la formula, a beneficio in particolar modo di chi deve compiere un intenso lavo­ ro intellettuale. Non è un dono esclusivo del cielo la ferrea salute che gli permette di conservare intatta l'agilità del corpo per sobbar­ carsi con pari agilità alle più ardue fatiche della mente. Se ha la robustezza dei cerri di montagna, dal tronco esile e compatto, dai rami pieghevoli e forti, la deve certamente alla buona linfa natia, ma la deve anche ad un salutare allenamento: i più lussureggianti alberi di serra non resistono alle intemperie. Uno stranissimo oggetto accoglie il visitatore nel mezw dell'an­ ticamera. Nella penombra si direbbe una testa di Medusa sostenu­ ta da un lungo stelo : per compiere l' illusione, il Poeta l'ha coperta di una fulva parrucca dalle trecce arruffate e ribelli. Edoardo Poe o Villiers de I.: Isle-Adam sognano forse uno strumento così fantasti­ co. È semplicemente un "avversario" per la boxe: un pallone, dal gambo duttile infisso in un piede d' acciajo contro cui si esercita la furia dei pugni, pronto a restituirli con un cozw da caprone mec­ canico se il pugilato re non si schermisce rapidamente. Anche D'An­ nunzio è un seguace della boxe, l'unico esercizio fisico completo a cui si possono dedicare i prigionieri delle celle urbane. È completo perché non lascia inerte alcun muscolo, senza imporre una mono­ tona serie di metodici movimenti ginnastici. È uno sport da came­ ra assai meno agevole di quanto si potrebbe presumere, e chi si ini­ zia ai suoi misteri non tarda a comprendere come i grandi campio­ ni siano rari e fortunati. Naturalmente non è piacevole farsi ammaccare il viso o sfondare il petto: ma sono inconvenienti riser­ vati alla gente del mestiere: i maestri li risparmiano ai dilettanti, esponendosi a riceverne i colpi ma restituendoli col debito garbo. Se qualche giovane allievo commette un'imprudenza, non può dolersi di doverne poi scontare il fio: cosl il nipote di un notissimo deputato ha rotta da un pajo di mesi la linea del naso per avere voluto, al momento in cui veniva sospeso il giuoco, assestare fìnal-

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mente un buon pugno al maestro il quale, giustamente untato, glielo rese a dovere. Un'ora di lezione mattutina è lo svago più salu­ bre. Maurizio Maeterlinck lo pratica indubbiamente per opporsi all' invasione della atavica pinguedine fiamminga; Tristan Bernard lo predilige perché è convinto che sarebbe il miglior sistema di scuotere dal corpo tozzo e tarchiato l'indolenza. D'Annunzio potrebbe già gareggiare di snellezza e di vigoria con uno dei più noti letterati francesi, Abele Hermant, il quale ogni giorno si tuffa agil­ mente nella piscina di un grande circolo elegante, tra l' ammirazio­ ne degli astanti che non osano più credere ai suoi cinquant'anni sonati: ma il Poeta è un troppo saggio conoscitore di precetti salu­ tari per non ricordarsi che nel forzato riposo urbano il corpo facil­ mente si intorpidisce. Non si può dire veramente che egli abbia rinunziato ad ogni altra forma di attività fisica. Se le carte, i manoscritti interrotti, di cui è ingombro il tavolino, i libri vecchi e rari dispersi sui mobili, nel salotto profumato invariabilmente di rose fresche e rose mori­ bonde sotto gli sguardi ermetici di un Budda, lo inducono a lunghe meditazioni e accendono in lui la febbre sottile del lavoro, non di rado egli sa rompere l'incantesimo. Le visite quasi quotidiane al lontano canile - i cui ospiti prediletti gli hanno suggerito il più audace contrapposto alle Vite di Plutarco - gli ingannano l'attesa delle belle cavalcate attraverso le dune. Largomento che in modo inevitabile ricorre più di frequente nelle conversazioni con l'autore del Ferro è il teatro, ed è assai inte­ ressante udire il drammaturgo dalla forma più doviziosa, dall' elo­ quenza più faconda, ragionare intorno alle nuove tendenze del pub­ blico, sempre più proclive alle rappresentazioni mute o quasi. Vi è una certa segreta e virile melanconia nelle sue parole, come per un'offesa recata alla divinità più cara. Il Poeta che scrisse con enfasi giovanile "la parola è tutto" comprende e penetra i misteri fecondi del silenzio, ma non potrebbe rassegnarsi di botto alla vanità dei discorsi brevi e disadorni o delle gesticolazioni superficiali. È il primo però a spiegare il fenomeno indiscutibile di una rapida evo­ luzione teatrale. - Certo, v'è una crisi della "parola" nel teatro, e v'è un predo­ minio della musica sempre più largo. I migliori spettacoli recenti -

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quelli in cui si manifesta una qualche ricerca nuova - non sono se non azioni mimiche accompagnate dalla sinfonia e talvolta dal coro. Assistiamo a una improvvisa esaltazione del senso ritmico. Sembra che ritorni fra noi l'imagine di quel Frinico il quale si van­ tava di aver nello spirito tante figure di danza "quante onde solleva una notte procellosa, durante l' inverno, sul mare" . Dalle mille figu­ re della danza e dalla potenza dei motivi musicali nasce una forma nuova di dramma che riesce a suscitare talvolta nello spettatore la più intensa delle commozioni. I personaggi sono lontani, così che qualunque contatto con essi ci sembra impossibile come con i fan­ tasmi; ma la sinfonia rischiara il fondo reale che li produce. "Qualcosa di simile è l'oggetto d'una meditazione in alcune pagine del mio libro Il Fuoco accese di presentimento. La musica, per mezzo de' suoi motivi, ci dà il carattere di tutti i fenomeni del­ l'Universo nella loro intima essenza. La formazione, la direzione, la modificazione di questi motivi sono comparabili alla creazione del dramma; e il dramma, rappresentato dai mimi e dai danzatori, non può essere compreso senza il soccorso di questi motivi musicali, così formati, diretti, svolti. Si sa che la strofe nella sua origine primitiva era una cornice destinata ad essere riempiuta da una serie ben com­ posta di movimenti corporei, formanti una specie di quadro ani­ mato, al quale la melodia comunicava la pienezza della vita. Ora, in questa nuova forma di dramma, per quale gioco misterioso il Poeta equilibrerà la parola con la mimica e con la sinfonia? Ecco il pro­ blema che oggi appassiona più di un artista, e affatica anche me. Nella ricerca bisogna ricordarsi che il concetto musicale perde la sua purità primitiva quando divien dipendente da rappresentazioni estranee, in sé, al genio della m usica. Anche bisogna ricordarsi che sentimenti, passioni, luoghi, persone, costumi e altre particolarità esterne non sono - per il poeta - se non segni da interpretare e che questi segni non han senso se non nei loro rapporti e nelle loro gerarchie. Larte s'allontana dalla natura, per creare tipi imprevedu­ ti di bellezza. Sul fianco dell'Acropoli ateniese, che domina il Tea­ tro di Diòniso, v'è un muro nudo, d'una nudità sublime, che sem­ bra fatto per le apparizioni di domani. L'ho sempre nella memoria. " Non è una profanazione interrompere ragionamenti così elevati con la più prosaica domanda, suggerita da un'associazione di ima28 1

gini, deplorevole come un giuoco di parole? Ma non può essere in qualche modo sublime la nudità del telone bianco, se la fantasia del Poeta vi facesse rivivere, per il maggior gaudio degli occhi e dello spirito, un mondo lontano? È noto oramai che egli ha consentito a scrivere un "canevaccio" per un dramma cinematografo; ma la pel­ licola lo aveva sedotto sulle prime con una prospettiva geniale. - Or è parecchi anni, a Milano, fui attratto dalla nuova inven­ zione che mi pareva potesse promuovere una nuova estetica del movimento. Passai più ore in una fabbrica di films per studiare la tecnica e specie per rendermi conto del partito che avrei potuto trarre da quegli accorgimenti che la gente del mestiere chiama "trucchi" . Pensavo che dal cinematografo potesse nascere un'arte piacevole il cui elemento essenziale fosse il "meraviglioso". Le Meta­ moifosi di Ovidio! Ecco un vero soggetto cinematografico. Tecnica­ mente, non v'è limite alla rappresentazione del prodigio e del sogno. Volli esperimentare la favola di Dafne. Non feci se non un braccio: il braccio che dalla punta delle dita comincia a fogliare sin­ ché si muta in ramo folto di alloro, come nella tavoletta di Antonio del Pollaiuolo che con gioia rividi a Londra pochi giorni fa. Mi ricordo sempre della grande commozione ch'ebbi alla prova. Lef­ fetto era mirabile. Il prodigio, immoto nel marmo dello scultore o nella tela del pittore, si compieva misteriosamente dinanzi agli occhi stupefatti, vincendo d'efficacia il numero ovidiano. La vita soprannaturale era là rappresentata in realtà palpitante . . . - E come mai l'esperimento fu interrotto? - Le difficoltà erano gravi e richiedevano una pazienza e una costanza che il risultato pratico non poteva compensare. I fabbri­ canti ad ogni tentativo insolito oppongono l'esecrabile "gusto del pubblico" . Il gusto del pubblico riduce oggi il cinematografo a una industria più o meno grossolana in concorrenza con il teatro. Io stesso - per quella famosa carne rossa che deve eccitare il coraggio dei miei cani corsieri - ho lasciato cincischiare in films alcuni dei miei drammi più noti. Ma questa volta (oh disonore! onta indele­ bile!) m'è piaciuto di fare un esperimento diretto. Una Casa torine­ se, diretta da un uomo colto ed energico che ha uno straordinario istinto plastico, dà un saggio d'arte popolare sopra un soggetto ine­ dito da me fornito. 282

- Qual è il soggetto ? - Si tratta d'un disegno di romanzo storico, delineato parecchi ann i fa e ritrovato tra le mie i n numerevoli carte. Il disegno era troppo ambizioso e non fu attuato in opera d'arte. Che tremendo sforzo di cultura e di creazione ci voleva infatti per rappresen tare, nel terzo seco­ lo avanti Cristo , il più tragico spettacolo che la lotta delle stirpi abbia dato al m o ndo! Gli eventi e gli ero i sembrano operare seco ndo la virtù del Fuoco infaticabile. Il soffio della guerra converte i popoli in una specie di materia in fiammata, che Roma si sforza di foggiare a sua simigl ianza. La Fortuna avversa - come si vede nell ' i rruzione d'An­ nibale "nato in tutt'arme" - sembra non cancellare ma sì approfon­ dire l' impronta tremenda. La pace - che sarà romana sull'intero Mediterraneo

-

è

ancora un vanissimo nome nella bocca stessa di

Qui n to Fabio. Simile a quella sua toga rude, l'anima di Roma non è gonfia se non di volontà ostile e in trepida. Nessuna energia naturale eguaglia in ritmo irresistibile la possanza e la costanza dell'Urbe fon­ data dall'eroe selvaggio i n cui lo spirito violento del Marte i tali co si congiunge allo spirito misterioso della Vesta orientale. Qui è il con fli tto supremo di due stirpi avverse, condotte vera­ m e n te dal Genio del Fuoco "che tutto doma, che tutto d ivora, s i re possente di tutto , artefice sempi terno" . Per ciò la creatura inconsa­ pevole, che passa i n colume a traverso l ' ardo re dei fati ,

è

n omata

Cabiria, co n un nome evocatore dei demoni vulcan ici, degl i operai ign i ti ed occulti i qual i travagliano senza tregua la materia d u ra e durevole. Per ciò è qui la visione dell' isola ardente che la mano ercuica della gente dorica sem bra aver foggiato nel tipo della com­ piuta grandezza. La mon tagna, che fu mistico sepolcro d i Empedo­ cle, segna qui i l ri tmo i niziale: di vita e di m o rte, di creazione e d i struzio ne, di splendore e d' oscuramento. " Cas i p rodigiosi, straordinarie fortune, fulm inee ruine. La virtù dell' uomo pare senza limiti, da che il Macedone ha superato Erco­ le e Bacco , il Semidio e il Dio. La fo rza pro cede per salti fo rmida­ b i l i , belluina e divina, n o n toccando la terra se n o n per moltiplica­ re il suo impeto . La sen tenza di Pirro dall'elmetto o rnato di corna d'ariete non

è

se non una parola d'oracolo sospesa sul m o ndo. ''A

chi i l retaggio ? Al ferro che m eglio trapasserà, che meglio taglierà " . D u n que alla corta, larga e aguzzata spada romana.

283

" Ed ecco , si compie ciò che non mai fu veduto i n terra, che non mai fu scri tto negl i annal i : una grande civil tà umana crolla i n tie ra­ mente, d'un tratto, co n i suoi idoli mostruosi , con i s u o i valori anti­ chi e n uovi , co n la sua tris tezza e con la sua cupidigia, co n l a sua vol o n tà di dominio senza pazienza, co n la sua sman ia d' avventura senza e ro i s m o , crolla d ' u n tratto , come una falsa s tella che p recipi­ ti n o n lasciando se non poco di fu mo e d i sco ria. Il Periplo d i Anno­ ne, qualche medagl ia corrosa, al cuni versi di Plauto : n o n altro resta del vasto e atroce mondo cartagi nese. Le ceneri dei fanciulli arsi nel b ronzo i nsaziato d i Moloch fu ro no fo rse meno !ab i l i . "Or c h i canta l e guerre puniche? - dice il fi nale epigramma d i sapo re anacreo ntico , accompagnato dal flauto di Pan . E sole l e favil­ le della fiaccola d i Eros indo m i to ora crepitano nella scia della nave fel ice" . - Si tratta dunque d'una vastissima tela. - C redo che non ne fu mai presen tata di più vas ta né lavo rata con più cura dei particolari, con più rispetto dell'archeologia e del carattere storico, co n maggiore armonia d i movimenti e d i aggrup­ pamen ti. La Casa editrice ha, senza dubbio compiuto il p i ù grande e ard ito sfo rzo che sia mai stata fatto in quest'arte. S i tratta d i gran­ di composizioni sto riche collegate da una finzione avventurosa che s i rivolge al più i ngenuo senti mento popolare. E il mio dilettiss i m o I ldebrando da Parma ha co mposto (oh disonore!) s u

Cabiria

un

m i rabile poema sinfo n ico. " No n cesso tuttavia di pensare al delicato b raccio di Dafne con­ verso i n ramo fro ndoso. La vera e singo lare vi rtù del C i n ematografo

è la trasfigurazione; e Le dico che Ovidio è il suo poeta. O prima o p o i , la poesia delle

Metamorfosi

i ncanterà la folla che oggi si diletta

d i così sco nce b u ffonerie. In ognuno dei nostri m i ti è una rivela­ zione profonda, un i n segnamento fel i ce, talvolta un a n nunzio m e raviglioso. Le dico , senza o m b ra d ' i ro n ia, che u n buon bagno d i m i tologia mediterranea p e r il pubblico d e l Cinematografo sarebbe d ' i ncalcolabile efficacia.

Erimus amor Phoebi Daphne Peneia

. . .

·:

La bacchetta magica ha nobilitato così co n un tocco anche l' ar­ te p i ù vo lgare, e il taumaturgo so rride come del p i ù agevole m i ra­ colo. Ma la paren tes i cinematografica n o n può essere per l u i che uno svago : a q uali n uovi lavo ri sta egl i o ra per acci ngers i ?

284

- Nei periodi di studio, di esperienze e di diporti come questo, io non so mai verso quale delle opere disegnate sia per inchinarsi il mio spirito. Quale mi possederà a un tratto? Quale si dileguerà? Forse quella che ora mi sembra la meno matura, all'improvviso prenderà una forma definitiva e mi forzerà a manifestarla. Chi sa! Confesso che ogni volta questa incertezza mi par deliziosa, e che nulla mi piace quanto l'essere infedele a un disegno troppo lunga­ mente amato per volgermi subitamente a un altro appena appena intravisto. Queste infedeltà e queste irrequierudini mi danno anco­ ra l'illusione della giovinezza, come se sul mio destino fosse rimasto inscritto il verso dell' Endymion che posi epigrafe al Canto Novo, il verso di quel John Keats che l'altro giorno mi commosse anche una volta, nella Galleria dei Ritratti a Londra, con la sua maschera pate­ tica, somigliante un poco a quella del Leopardi. Terminerò Il ratto della Gioconda? Forse. Scriverò Le Vite dei cani illustri? Forse. Pub­ blicherò in quest'anno il quinto libro delle Laudi? Forse. "E se Le dicessi che da qualche tempo sono tormentato dal pen­ siero di compiere i cicli del Giglio e del Melagrana? Se Le dicessi che la Violante delle Vergini delle Rocce mi visita assai spesso , ma con un viso un po' mutato?" "Certo, comporrò pel Teatro dell'Opera un ballo su la musica di Domenico Scarlatti (secondo l'interpretazione che ne ho data nella Leda senza cigno) , avendo per collaboratore uno tra i più singolari e tra i più acuti artisti della Francia contemporanea: Maurice Ravel. E certo farò rappresentare in Italia (in Italia, prima che altrove) , tra l'ottobre e il novembre venturo, il mio nuovo dramma moderno" . "Ma, tornando nella solitudine della Casa su la Duna, quale M usa troverò poggiata alla mia tavola di pena, sotto l'ombra del­ l'Apollo di Piombino, che ha per simbolica base una biblioteca gire­ vole? Chi sa! Assaporo già il piacere della sorpresa . . . L'eremo propizio accoglierà fra pochi giorni il Poeta, per cullare i suoi sogni operosi con la musica divina dell'oceano e della foresta. "

[In

,

28 febbraio 1 9 1 4 ] .

285

[S . F] «Confessioni di Gabriele D'Annunzio a farro» [Le prime prove al Cicognini - Il convento Michetti - I luoghi delle Laudi - L'attività teatrale - >, 5 maggio 1 9 1 5] .

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VERILDO SORRENTINO Conversando con Gabriele D'Annunzio a Genova [L'abbraccio di amici e parenti - La nipote Marina e i ricordi di famiglia - Dichiarazione sull'intervento dell'Italia in guerra Pescara, la Madre: le attese dell'incontro] Genova,

7 maggio.

Ho passato buontempo nella casa fastosa che i genovesi hanno aperto al Poeta: erano con me il cognato fedele del D'Annunzio, Nicola De Marinis e la nipote Marina, la giovane mesta e pensosa che non ha più la sua madre: Anna D'Annunzio! Anche v'erano gli intimi del Poeta, Luigi Luise e Carmine Zazzetta, gli amici della prima adolescenza, i quali, deposto il fiore del patrio Abruzzo sul soglio di Genova, recavano con me al Poeta il bacio della gente pescarese che aspetta il grande figlio in riva all'Adriatico , presso ''l'al­ tare chiamante di pini ove il povero padre riposa le sue grandi ossa" . Avevo ancora nel cuore tutta l a commozione d i quando l a piccola Marina si era slanciata nelle braccia dello zio, esclamando con voce strozzata dai singulti: è il bacio di Mamma! È il bacio di Mamma! " . Quella notte io h o passato insonne, o h notte d i vigilia! E d ho sentito a me vicino, a me vicino il palpito della vecchia madre, quel­ la che sola rimane e fedele alla sua terra e "costringe nelle braccia come in ferrea zona - la casa fenduta dai fulmini" . Siamo scesi all'Eden Palace appena terminata la cerimonia al "Carlo Felice" : ivi il Poeta era trattenuto nell'andro ne da Ugo Oj et-

3 14

ti che era accompagnato dalla propria signora; ed anche ho rivedu­ to colà il buon Tenneroni, calmo e silenzioso, tutto confortato dal­ l'amicizia immutabile che il Poeta gli serba da gran tempo. Nello studio , s ul tavolo, erano sparsi innumerevoli telegrammi e lettere che le mani esperte del Tenneroni, già molto affaticate, ordi­ navano e riordinavano con cura paziente. Il Poeta ci ha chiesto notizie della vecchia madre: - Chi sa che emozione avrà al mio ritorno! - ha esclamato con tenerezza e melanconia; poi è rimasto un po' m uto e silenzioso; forse le sem­ bianze della donna, che da cinque anni l'aspetta, passavano davan­ ti le sue p up ille con la tristezza della lunga aspettazione. E Marina, vestita di nero, certo gli richiamava alla mente l'imagine di Anna che andò a dormire per sempre senza il bacio fraterno. Il Poeta era commosso : i ricordi familiari tormentavano il suo spirito già stanco delle troppe emozioni. Ma subito il viso è torna­ to raggiante del suo sorriso dolcissimo, ed egli ha domandato : - Quanti anni hai, Marina? - Venti - ella ha risposto. - Venti?! Possibile?! - Sì , venti. Ti spaventano forse? Sono tant'anni che manchi dalla nostra casa . . . Quando sei partito, ricordi? lo avevo quindici anni . . . Allora dicevi che saresti andato a Parigi per trattenerti colà pochi giorni; e i tuoi giorni sono diventati settimane, mesi, lun­ ghissimi anni . . . E ti meravigli dei miei venti anni? Tu non ne hai, forse, cinquantadue? - Chi l'ha detto! - Io ne ho molto meno, molto meno . . . ha ripetuto sorridendo il Poeta. E seguitò. E seguitò: È per questo che voglio andare su una nave . . . Ma, ripensando alla mamma che aspetta, ha aggiunto: - Chi sa che dirà allora Donna Luisa! - Ma voglio andare. Forse accoglieranno il mio voto. Ho qui una lettera, mi assicura. - Ma chi te lo fa fare? - gli ha domandato amorevolmente la m ponna. - Ci andrò . . . perché altrimenti le notizie mi arriverebbero tardi! Eppoi, perché non dovrei farlo? Ho fatto ugualmente nel­ l'Argonna . . . Colà mi sono avvicinato tanto alle trincee tedesche che ne distavo pochi metri solamente. E da quelle, intanto, i tede-

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schi balestravano le bombe di mangano: come nella mia Francesca da Rimini. Ed ho veduto quel che mai avevo saputo immaginare; forse non avrei creduto se non avessi visto con quest'occhi. Gente meravigliosa i francesi! Tutti si o ffrono alla Patria: chi poteva mai supporre che i burocratici, gli addottorati, molti info rmi ed altri moltissimi panciuti da non poter sopportare alcuna fatica, si o ffris­ sero anch'essi alla morte? Io avevo con me una specie di "C rum" brettone: ha voluto partire anche lui. E non è tornato più, povero brettone! Quando mi accomiatavo da Gallieni e da altri amici a Parigi la folla si accalcava intorno al mio automobile, avida di notizie: - Voi tornate in Italia - mi dicevano tutti - e parlerete a Quarto il cin­ que maggio , il sei l'Italia dichiarerà la sua guerra! - Che ansie! Che speranze! In quelle anime! Il popolo frances� fida nell' Italia. La vol­ pona Inghilterra finge di non aver bisogno del nostro aiuto ; ma anch'essa si farà presto più premurosa verso di noi, ché la nostra guerra è inevitabile ed è più imminente di quanto pensiate. Ho informazioni dirette. Se il Governo non decidesse l'intervento , poveri noi, sarebbe finita per noi! Non rimarrebbero che il disono­ re e il disprezzo di tutti, poi le guerriglie in famiglia per le spese gravi sostenute invano e quelle non avrebbero nemmeno la bellez­ za della rivoluzione, ma porterebbero altra miseria, altra miseria dopo l' inganno! Io che conosco l'odio austriaco so n sicuro che l' Au­ stria non cederà le terre aggiogate e se l' Italia non le ritogliesse con la forza le pagherebbe caramente in avvenire. - Se l' Italia farà la guerra io non partirò più mai; se no mi farò lappone; sì , daverrò cittadino della Lapponia . . . Poi il Poeta ha ricordato l'eroismo dei nuovi garibaldini che hanno bagnato del loro sangue la terra di Francia. - Oh i figli della stirpe leonina! Peppino , invulnerabile come il suo Nonno, andava semp re innanzi la sua schiera! Più della metà della giovane schiera votata alla morte è rimasta nell'Argonna. Gli stessi ufficiali francesi, guardavano attoniti ed esclamavano : Meravigliosi questi italiani! -. - Vi dirò anco ra una cosa: io sono p reoccupato di Venezia. Un mio amico americano appena ha appreso la mia partenza e il fine di essa, ha creduto alla nostra guerra e si è impensierito anche lui della -

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sorte di Venezia. Egli mi diceva: - Si oserà pro fanare tanta divi­ nità? È ciò possibile? Sarebbe il più grande delitto della storia. Ed è partito con me. Oggi è già lì che m'aspetta a Venezia . . . ove mi ha p receduto" . Poi il Poeta ha parlato delle accoglienze festose; quello che più l'ha commosso è stato il saluto dei soldati alla frontiera. Commovente gli è pure giunto il saluto dei dalmati fuorusciti; il dono del calco del leone veneto costituisce per lui un prezioso impareggiabile ricordo: - Pensate che Trieste da secoli e secoli richiede il Leone che le fu rapi to . . . ; e forse lo riavrà soltanto quand'essa sarà ricongiunta alla Grande Patria -. Il calco sarà imballato e collocato presso qualche amico per attendere la sua sorte non lontana . . . Martedì il Poeta sarà a Pescara, presso la Madre . E udremo l'o­ razione per la Sagra dei Mille; perché egli ne consente una dizione per il paese natio. Al municipio di Ferrara consegnerà il manoscrit­ to di Parisina. Infine il Poeta ha ricordato la sua gente. - Che fa Adele, quella che si ebbe tante lettere dal collegio, le fiammate dei primi amori? È vero che "lu furnarelle" è morto ? Pescara non ha più, dunque, il suo pirotecnico? -. - Il Poeta ricordava le luminarie che "lu furnarelle" soleva met­ tere avanti le siepi sulle sponde della Pescara, quand'egli giovinetto passava la notte in barchetta con gli amici. Rico rdava i tanti diver­ timenti di quando anch'egli si p rovava nell' arte piro tecnica; la Mamma allora se ne disperava. Come gli erano vicini quei temp i lontani ! - Ho un desiderio acutissimo di m ia Madre e del m i o Mare ­ ha detto il Poeta. - Io tornerò alle calme dei miei luoghi. E vorrò riassaporare la mia patria: fatemela odorare tutta la mia patria. D alla frontiera fìn qui no n m'hanno lasciato respirare il p rofumo della mia patria, libe­ ramente come io voglio . . . Il nonno di Gabriele D'Annunzio fu navigatore: era molto audace ed ebbe fortuna. Quegli conobbe tutte le vie dell'Adriatico , e seppe la trepidazio­ ne dei cuori per entro le capanne aggiogate ove oggi più vivida e -

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pura arde la fiamma latina. E poiché il più bello dei suoi trabocchi fu affidato alla protezione di San Gabriele, volle che il nipote si chiamasse cosl. Questo il nome del suo fratello patriota morto esule in Lombardia, questo il nome dell'altro Grande pescarese, l'Eroe Manthonè della Repubblica partenopea. Gabriele fu dunque il nome augurale.

[In «Il Piccolo giornale d'Italia»,

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8

maggio

191 5) .

TITO COPPA Il ritorno di Gabriele D'Annunzio [IL Poeta è tornato - In automobile verso il centro di Quarto Un benvenuto caloroso - L'ora solenne si avvicina - Gli applausi, La folla, una donna - Le foto ricordo]

A Quarto col Poeta (intervista del nostro inviato speciale) La primavera accende nel cielo d'Italia le più belle speranze: fre­ miti nuovi ed invisibili corrono da un capo all'altro della penisola, e rinnovano il volto e l'anima mutevole delle folle. Un'ansia ed una volontà nuova pervadono e sospingono verso mete sospirate, ed il sacrificio mostra ai volenterosi il suo pallido volto, e la giovinezza si curva avanti al suo altare. È l'ora nuova del­ l' anima italiana, che torna alla pura fonte della latinità e rievoca i miti che sorsero dai mari e dal monte, e dagli eroi che passarono cir­ confusi di poesia tra i canti e gli inni rinnovantesi nella p rimavera. E l 'Arte non ha in Italia chi interpreti nella certezza dei segni verbali il suo tormento e la sua speranza: una grande voce di poeta occorreva alla grande anima d'un popolo; e l'Italia guardava lonta­ no, dove il suo figlio più eletto scandiva in ritmi estranei la sua pena, e forse in quell'ora medesima l'anima del poeta volgeva, colo­ rando di nostalgia ogni zolla ed ogni lido, alla gran madre aspet­ tante. E sentl nel suo dolore rispecchiata la sua doglia; nel tragico volto ansioso tutte le ansie della sua terza giovinezza, e dal primo richiamo rispose.

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Gabriele D'Annunzio è dunque tornato. Ed il primo suo grido è stato un richiamo a tutti i segni e gli auspici della nostra stirpe. Da Genova, ripetuta sette volte chiudendo i ritmi delle sette parti la grande parola d' Italia, sospiro gemito , invocazione, preghiera, si è ripercossa nella penisola in un sonito nuovo. :CArte risvegliava ricordi, suscitava speranze: è sembrato quasi che ripetuta dal Poeta la grande parola latina assumesse nuovo significato e volando dallo scoglio superbo , per i gioghi dell'Appennino , oltre il mare Tirreno profondo e l'amarissimo Adriatico , come un nuovo carme secolare si è sollevato dal cuore delle moltitudini rispondendo al richiamo. Il Poeta è tornato: e come egli un giorno ri udì sul mare di Gre­ cia, al modo stesso de l'antico navigatore, la grande voce annun­ ziante la resurrezione di Pan, così oggi a tutti gli spiriti dispersi e sognanti, a tutte le volontà operose, il suo ritorno dice che la Bel­ lezza non è morta e che nell'ora solenne, nel cielo d' Italia, manda per la voce del suo sacerdote più fervido e degno, l'annuncio di una nuova gioia per una vita trionfale. - . . . Ma no, no, non ve ne andate, vi prego, rimanete. Mi è così caro essere con voi. Vo i foste il primo a darmi notizie della mia mamma adorata, della mia bella Pescara e mi portaste in pari tempo il saluto graditissimo del giornale che io battezzai . . . Così mi diceva il Maestro quando io voleva congedarm i da lui dopo averlo ossequiato alla stazione di Genova, al suo arrivo dalla Francia. - Venite, vi prego, montate sulla mia automobile, accompa­ gnatemi al refugio che questa notte mi ospiterà; sento tanto biso­ gno di manifestare le emozio ni provate nel rimettere il piede sul sacro suolo della Patria, in un gio rno così grande. - Grazie Maestro ; l'alto onore che mi concedete mi commuo. ve; no n oso ncusarmt: nmango con voi. - D item i, ditemi cosa fanno quei bravi ragazzi del "Ti rso"? Vedo che lavorano alacremente per tenere alto il nome dell' arte nostra. Ricevo con puntualità ammirevole nella mia landa Arca­ chon, il giornale e vedo con molto piacere è sempre ben fatto, vivo, interessante. Oh come vorrei stringere la mano a tutti quei giovani operosi , ad uno ad uno! . . . - Maestro, potrete farlo nella vostra prossima venuta a Roma . .

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.

- Si, si ve lo prometto ; ne assumo l'impegno; voglio rivivere un po' le belle ore di un tempo. Ricordate i "venerdì" del Tirso? Quale godimento , quale gioia! - I mmaginate, maestro , quale altissimo onore sarebbe per noi! L automobile fila verso il centro della città. Torniamo a parlare della cerimonia per la quale il Poeta ha lasciato la Francia. - Dite, maestro, per la vostra orazione di domani non v'è stato imposto nessun divieto , nessun forzato ritaglio ? - No, no, tutt'altro. Figuratevi che il mio discorso è stato letto dapprima dal nostro Ambasciatore di Parigi Senatore Tittoni, poi dal Re, quindi da Salandra e quando questi me l'ha ritornato in plico chiu­ so, l'ha accompagnato con una lettera che mi sarà cara per tutta la vita. Vorrei che vedeste con quale fervore di entusiasmo si è espresso Salandra. E come volete che la sua mancata p resenza, come dicono alcuni, sia motivata da scopi reconditi? Domani la mia parola suonerà invocazione per ogni italiano; sarà una preghiera scaturita dal profon­ do del cuore, sullo Scoglio Sacro. E sono certo che sarà ascoltata. I ntanto, mentre la conversazione si faceva più viva ed interes­ sante, giungemmo al rifugio: all'Eden Palace. Un appartamento magnifico già pronto, un grande salone addobbato con stile severo, tutto cosparso di fiori dal p rofumo ine­ briante. Il poeta sosta un poco dinanzi a tanta magnificenza di pri­ mavera ed esclama: " Come sono belli! Desideravo tanto vederli i miei fiori , questi bei fiori italiani che sono tutto un poema di bel­ lezza, di grazia, di colore, di profumo!". Intan to, da sotto il balco­ ne, si udivano le acclamazioni del popolo. "Viva D 'Annunzio , viva il Poeta! Vogliamo dargli il benvenuto! - No, non posso, sono troppo commosso, ho bisogno di rac­ coglimento per frenare l 'emozione che provo nel trovarmi in Patria, alla vigilia di un gio rno che sarà un monito per ogni cuore italiano. - Maestro , ascoltate, vi vogliono vedere; vogliono che vi affacciate al balcone, vogliono udire la vostra voce . . . Altrimenti non se ne andranno! - Ebbene vado. Il balcone, infatti, si spalanca. È uno scroscio di applausi, lungo, fragoroso, i rrompente. Un grido solo: Viva il Poeta d' Italia! Viva il Poeta di nostra gente!

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La commozione vince D 'Annunzio, ma egli improvvisa ugual­

mente uno di quei discorsi impetuosi come un inno, forti come un poema. Alla chiusa un uragano di applausi scroscia nel silenzio della notte serena, ed a poco a poco quella moltitudine si allontana: pare che ciascuno s' incammini nel raccoglimento di un'ora, ad attende­ re la parola dell' Eroe, dal Poeta invocata. Il Maestro m' invitò poi ad accompagnarlo, all' indomani allo scoglio di Quarto. Voglio che mi ritirate le cartelle - mi disse - perché, durante la foga del discorso , non posso riordinarlo immediatamente. S i disperderebbero e desidero che ciò non avvenga perché intendo donare l'autografo al Comune di Genova. - Grazie, Maestro , del nuovo altissimo onore che mi fate. Sarò puntuale. E come leggendo sul volto i segni della stanchezza, io consiglia­ va al Poeta di ritirarsi, Egli mi rispose: - Si, si, vado: ma non sono troppo stanco; sono di una resi­ stenza fenomenale. Figuratevi che, in Francia, vado alla caccia al cinghiale ed ho la forza di stare per diciotto o re di seguito a cavallo senza mai discendere, senza mangiar nulla, senza bere un sorso d'ac­ qua, dalle sette del mattino alla mezzanotte. Alle volte torno con i "flanbeaux" accesi . . . Poi aggiunge: - Oh, i miei cavalli! Dove saranno? Me li hanno tolti per por­ tarli sul campo della gloria. Quale orrore questa guerra! . . . L indomani mattina, alle otto in punto , ero all'Eden Paiace. I l Poeta termina rapidamente l a sua toilette e m i consegna, racco­ mandandomela, una grande busta di pelle, che contiene il mano­ scritto del discorso. Discendiamo. Lautomobile ci attende. - Eccomi - dice D'Annunzio ai membri della Commissione che gli si stringono intorno. - Eccomi puntuale come un soldato. Si, perché sono anch' io un soldato, un soldato della nuova Italia. So già che il mio desiderio sarà soddisfatto. I mbarcherò su una nave e dal Mare Nostrum, dali 'Amarissimo Adriatico, si avventeranno le mie odi di battaglia. L automobile fila rapidissimo. Lora solenne si avvicina.

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Siamo a Quarto. All'apparire di D 'Annunzio una sola voce erompe da mille petti: Viva il Poeta! Le acclamazioni finiscono ed il Poeta incomincia il suo dire. Ma ad ogni punto scoppiano applausi. Alla magnifica invocazione fina­ le l'ovazione delirante di quella folla infinita, sembra debba essere eterna. Molti sono commossi. Una signorina rumena, a lui vicina, gli stringe p iangendo la mano. Un glorioso superstite dei Mille esclama: " Poeta, preparatevi a scrivere il canto della gloria! " Lo farò" risponde D'Annunzio. La folla si stringe, si accalca, sembra che non voglia lasciare più il suo poeta. Finalmente si riesce ad apri­ re un varco. [ automobile ci riconduce a Genova. Prima di congedarmi, D 'Annunzio mi domanda chi fosse quel­ la figliuola che gli baciò la mano, dopo il discorso allo Scoglio di Quarto. Le porgo il biglietto: Flora Abrémovicz - Bucarest. - Come ricordo quella creatura! Esclama il Poeta. Ricordate anche voi come piangeva e com'era pallido il suo volto? Voglio inviar­ le, a vostro mezzo la mia fotografia. E subito le scrisse la dedica: A Flora Abrémovicz A ricordo di una grande ora il Suo Poeta non dimentica le sue Lagrime ed il suo pallore.

5-5-1915 Gabriele D'Annunzio

Sublime forza di giovinezza! E quanti episodi potrebbe raccontare chi, come me, ha vissuto vicino al poeta, in uno dei momenti più memorabili della sua vita. Prima di partire sono nuovamente andato dal Maestro. Nel con­ gedarmi Egli mi disse: - Ecco, prendete. Questo mio pensiero e questo mio augurio portatelo al nostro Gio rnale, al Tirso, che Voi sì degnamente rap­ presentate. Dite che io sarò a Ro ma fra qualche giorno e vorrò salutare tutti, ad uno ad uno, i collaboratori del foglio a cui mi lega l'affetto d' in­ finiti ricordi.

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A voi intanto , che viveste con me queste grandi giornate di com­ mozione, voglio offrire subito un segno della mia cordiale amicizia. E in cosl dire mi donò una sua grande fotografia, una magnifica riproduzione del quadro acquistato dal governo francese e destina­ to al Louvre con la seguente dedica: A Tito Coppa,

che l'amore fa pescarese in letizia, affettuosamente Gabriele D 'Annunzio da Pescara 5-5-1915

Non potevo desiderare di più.

[In «IIlìrso», 9 maggio 1915].

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VITTORIO VETTORI Gabriele D'Annunzio e la guerra [Il volo su Trieste del 7 agosto - Venezia e il terribile spavento Dal cielo al mare, da pilota a marinaio - I marinai del cacciatorpe­ diniere - ((Bisogna vincere» - L'elogio di Cadorna e il valore della Storia - Una nuova era, un nuovo mondo] Ancona,

3.

Con i soldati del mare, dell'aria e della terra. L Ordine d'oggi p ubblica una corrispondenza da C . . . che con­ tiene una conversazione avuta da Jean Carrè re con D'Annunzio. Chiesto al D 'Ann unzio quali sono le sue impressioni sulle sue avventure aeree e m arine, cosl rispose: - Su Trieste - narra D'Annunzio - volammo in una giorna­ ta limpidissima, a circa duemila metri. Si vedevano le strade e le piazze deserte. I commercianti della città si staccavano nettamente dallo sfondo. Attorno a noi, come in un cerchio magico, passavano e fischiavano i p roiettili dei pezzi antiaerei e le p allottole delle mitragliatrici. Quella città del sole, quella città dei nostri desideri e delle nostre speranze, che io con­ templavo cosl da vicino, quel cuo re incantato, quelle navi e quei forti che tiravano continuamente sui di noi quei velivoli che gira­ vano attorno a noi; tutto ciò formava uno spettacolo grandioso, emozionante, il più bello fo rse che io abbia visto, e si che ne ho visti dei belli!

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- Mi hanno detto che delle pallottole vi sono passate assai vici­ no ed anzi che una . . . - Eccola, risponde D'Annunzio. Essa ha sfiorato il mio gomi­ to ed è andata a colpire il fuselane dell'apparecchio sollevando schegge di legno e vi si è conficcata. E tirando fuori dalla tasca un astuccio in pelle, ne estrasse una palla tutta contorta nella sua parte superiore, circondata da un filo d'oro, rinserrato in mezzo da un cerchietto di oro sul q uale erano incise queste parole ( Trieste, 7 agosto 1915) . - Quali emozioni dovete aver provato! - dice Vettori -. - Oh la vera emozione l'ho avuta più tardi, al ritorno. Avevamo po rtato otto bombe per gettarle sulle navi da guerra e sui fo rti. Ora, le sette prime bombe erano cadute assai bene, nei l uoghi desi­ gnati, e secondo i nostri calcoli: ma quando venne la volta dell' o t­ tava, non so perché, il dispositivo funzionò male e la bomba non cadde. Essa restò a metà fuori e non volle cadere malgrado i nostri sforzi, ma invece poteva cadere da sé ad ogni istante. La situazione era delle più critiche, tanto più che i velivoli austriaci ci davano la caccia e bisognava ritornare a Venezia. Ora, un brusco urto poteva far scopp iare l'esplosivo e saremmo in questo caso irrimediabil­ mente perduti. Ma vi erano dei pericoli anche più gravi. Ci avvici­ navamo a tutta velocità a Venezia e la bomba avrebbe potuto cade­ re nel momento in cui fossimo passati sulle case della città magica . Questa idea anni mi rodeva e mi torturava. " Mi vedete voi: io, innamorato di Venezia, il poeta appassiona­ to di Venezia, io che volevo essere tra i suoi dife nsori, procurare la distruzione d' una sola delle sue case, e la morte di uno solo dei suoi figli? Vi confesso che nella mia vita non ho mai provato uno spaven­ to simile. Allora, mentre con la mano sinistra continuavo a pom­ p are la benzina, con la destra ho spinto il più possibile contro il tubo lanciabombe, tenni l'ordigno infernale con forza di volontà decuplicata. Finalmente passando sopra il Lido , sopra le case di Venezia, e grazie all'abilità impt:: ccabile del pilota, potemmo discendere dolce­ mente sull' acqua cheta di un bacino ben riparato. La bomba non ricevette alcun grave urto e fummo salvi. Ma quali momenti avevo

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vissuto! I miei amici ed il popolo di Venezia che vollero farmi una simpatica ovazione notarono che ero un po' pallido: e non sapeva­ no che senza volerlo ero stato ll ll per bombardarli." D 'Annunzio ci parla poi del suo viaggio su Trento: Il volo su Trento fu meno movimentato di quello su Trieste, in questo senso: che non fu attraversato da incidenti imprevisti, ma fu assai difficile perché soffiava un gran vento: grosse nuvole co rreva­ no nel cielo e fummo obbligati per evitare i cannoni dei forti, di ele­ varci fino a 4200 metri, mentre su Trieste non eravamo andati più alti di 2500. Non ho dunque visto la città della montagna così distintamente come avevo visto la città del mare. Inoltre, erano circa le 5 quando arrivammo su Trento. Il giorno declinava. Non ho potuto distinguere né le strade né le piazze. So soltanto che i pro­ clami da me gettati arrivarono nel centro della città. Io raccontavo i n essi lo sforzo italiano nella guerra di montagna: spero che li avranno raccolti. Dovemmo ripartire prima che annottasse completamente. Il rito rno fu impressionante. Guardavamo dall'alto ingrandirsi nella sera quel formidabile massiccio delle Alpi che fa comprendere agli occhi chiaroveggenti tutte le ragioni di parecchi secoli di storia ita­ liana e specialmente della storia attuale. - Sappiamo - gli dice Vettori - che avete partecipato a spe­ dizioni di sottomarini e torpediniere. - Quale è stata la vostra più forte impressione? in cielo o in mare? - È veramente assai difficile di fare un paragone di due emo­ zioni così differenti. Tutto e tutta dall' una all'altra: la materia, l'ele­ mento , l'ambiente, la forma, persino l' ardimento. - Certo, il velivolo, con largo spazio aperto innanzi a sé; col fremito dell'aria libera e della luce, con la visione mutevole della terra che sfugge ai vostri piedi, è un non so che di radioso che dà al pericolo stesso uno splendore più inebriante. Ma le torpediniere che scivolano la notte sulla schiuma delle onde e il sottomarino che si inabissa !ungi da ogni luce, hanno qualche cosa di conturbante ed insieme di eccitante, per cui il pericolo di morire prende la tene­ brosa bellezza del mistero e del silenzio. E poi, sul mare e sotto il mare io ebbi soprattutto l'orgoglio­ sa gioia di contemplare gli uomini che mi circondavano. Sebbene -

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in velivolo c'è il pilota il cui eroismo è di ogni minuto. Mai il pilo­ ta è un eletto. È scelto ottimo tra i m igliori, e si sa anche prima che egli è e sarà un eroe. Nelle torpediniere e nei sottomarini invece sono semplici figli del paese; presi a caso dalla leva, lungo le coste, e il loro coraggio è ben più significativo. Ah ! Come mi hanno estasiato questi solidi marinai della nostra razza! Erano là in mezzo ai pericoli minacciosi, tranquilli, come se avessero pescato lungo le loro rive naturali. Una sera che tornava­ mo in cacciatorpediniere da una spedizione davanti a Pola, un radiotelegramma ci segnalò che dei sottomarini ci attendevano all' agguato. E si vedeva persino dondolarsi sulle onde il periscopio d'uno d'essi simile al pescecane che sembra cullarsi indolentemen­ te sulla scia dei piroscafi, dovemmo fare un grande giro per entrare a Venezia più tardi e da un altro canale. Ebbene, durante tutta que­ sta manovra, difficile e pericolosa, mai ho visto uno solo di quei giovani marinai perdere la calma ed il buon umore. Essi obbediva­ no agli ordini come in una parata nel porto , non si preoccupavano che dei loro ufficiali o di me; e quando fummo finalmente giunti sani e salvi nessuno d'essi s'abbandonò a dimostrazioni di conten­ tezza e di gioia. Essi trovavano tutto ciò naturalissimo e si misero tranquillamente a mangiare. D'Annunzio parlandoci dei suoi cari marinai s'anima e la sua voce si fa insieme più vibrante e più dolce. - Confessate - gli dissi - che nutrite una esagerata preferen­ za per tutto ciò che co ncerne la Marina in generale e l'Adriatico in particolare. - No , perfido inquisitore - replica D'Annunzio sorridendo - no ; io non ho preferenze; ciò che sarebbe ingiusto. Confesso tuttavia il mio debole per le cose e per gli uomini di mare. Il mare, in fondo , è il mio grande ispiratore; ed è al suo respiro che io debbo il migliore dei miei premi. È su esso che ho creduto di vedere il desti­ no d' Italia, a loro ripeto, sarebbe ingiusto dimostrare una preferen­ za spiccata per la Marina, dopo il magnifico sfo rzo fatto dall' Eser­ cito. È per questo che ho lasciato Venezia e le rive del mare per veni­ re a vivere in piena guerra, in mezzo a questi bravi Alpini, Bersa­ glieri e Artiglieri e a questi umili ed ammirevoli fantaccini che sono l'anima della Patria e le fanno schermo dei loro giovani petti.

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- Quale guerra e quali ostacoli dobbiamo vincere! Ditelo bene ai nostri amici di Francia perché sappiano l'entità del nostro sforzo, come noi sappiamo quella del loro. Sì, bisogna vedere da vicino questo formidabile labirinto di montagne per comprendere come sia ingrata la nostra bisogna. Ma vinceremo , siatene sicuro; vince­ remo perché il popolo lo vuole, perché l'Esercito lo vuole, perché la S toria lo vuole, perché bisogna vincere! - E soprattutto vinceremo perché abbiamo alla nostra testa quel grande suscitato re d'energia che è Cadorna, il nostro ]offre. E D'Annunzio , che è andato a trovare il Generalissimo, mi fa il suo elogio caloroso, e mi spiega, citando parole e fatti che non posso , ahimè, ripetere, come si debba assolutamente avere fiducia nel genio creatore e in qualche modo animatore del Comandante italiano. Si p arla con D'Annunzio della guerra, ma anche di letteratura e soprattutto di storia. È la storia che o ffre il principale argomento alla conversazione, la storia, questo gran movimento di forze e di idee, questo Oceano di umanità senza riposo. E siccome ad un dato momento io narro la bella sorpresa provata nello scoprire durame il mio viaggio le ragioni della grandezza di Venezia, grandezza che deriva anche dalle montagne del Tremino, del Cadore, della Carnia e delle ricche pianure del Friuli e del Veneto. - Caro amico , dice D 'Annunzio, voi avete visto questa forte verità perché siete passato in questi giorni attraverso una forte vita. Non si comprende la storia passata che alla luce della storia attuale. E per sentire la grandezza delle epopee antiche, bisogna attraversa­ re, se è possibile, una epopea nuova. - È per questo , osserva qualcuno, che non vi sono migliori sto­ rici di quelli che hanno vissuto nelle agitazioni della vita pubblica. - Siamo d'accordo su questo. E cerchiamo di immaginare quali formidabili trasformazioni la crisi attuale appo rterà in tutte le con­ cezioni della vita e del pensiero umano. Gli uni credono che la guerra finirà presto, e che l'Europa si tufferà poi nella pace; altri invece, e specialmente D'Annunzio , credono che entriamo in ciclo di grandi guerre . - Ma, checché sia - dice il poeta, - sia la guerra o la pace, è certo che l'avvenire sarà fatto

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d'una materia nuova. Qualche cosa di più forte, di più bello nascerà da tutto questo sangue sparso e da tutta questa volontà di sacrificio. Tutte le forme dell'arte e della politica saranno capovolte e risanare. Credo che entriamo in era nuova, le cui trasformazioni sorpasseranno forse quelle del Rinascimento e della rivoluzione Francese. Fortunati i giovani, che vedranno la realizzazione di questo nuovo mondo! Fortunati anche coloro che, come noi, l'avranno presentita, annunciata, preparata.

[In , 9 novembre 1 9 1 9.

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assunta. Col rifiuto del progetto Tittoni da parte dell'America, l'I­ talia non può che respingere una pace umiliante e restare in regime di armistizio. Ma anche restando in regime di armistizio l'Italia ha l'obbligo di ricondurre a Fiume la situazione interalleata. Ne ha l'obbligo perché, commettendo un grave erro re di valutazione, ha avocato a sé il compito di superare l'ep isodio glorioso di Fiume. E siccome davanti a questo episodio essa è impotente, così viene a tro­ varsi automaticamente fuori della Conferenza se voi, comandante, non le trovate una via d' uscita. La risposta del comandante è fiorita subito, con quell' impeto di generosità che sarebbe vano cercare nelle sfere diplomatiche: - La via d' uscita c'è; ed è ben larga, chiara, diritta. È quella medesima per dove la legione di Ronchi entrò a Fiume la mattina del 1 2 settemb re. Bisogna finalmente riconoscere che, dalla prima o ra a oggi, c'è sempre stata una sola via maestra: la mia; e che per le viottole tortuose e scure seguite dagli altri non si poteva giunge­ re se non a ritrovarsi contro l' ostacolo cieco. Nessuno p uò accusarmi d'aver mancato di chiarezza, di fermez­ za e di lealtà. Fin dalla prima ora io ho preso su me tutto il carico. Quando mi acco rsi che il Governo persisteva nel suo errore di giudizio e lo aggravava, accettando dal Consiglio supremo il man­ dato di ristabilire l'ordine in Fiume, da me tenuto con perfetto ordine, io adoperai i mezzi più rudi per collocarlo davanti alla realtà. Giova rimettere sotto gli occhi distratti degli italiani la mia dichiarazione del 20 settembre. Eccola: "Oggi, 20 settembre, il Comando , l'Esercito, il Consiglio e il Popolo hanno confermato solennemente l'annessione per la terza ed ultima volta, ponendo in pegno la vita ed ogni bene. " Fiume, il territorio, il porto appartengono all' Italia. " La nazione non si lasci più illudere e ingannare. La nazione sappia che nulla potrà vincere la risolutezza del nostro proposito. "Il ministro degli esteri , prima di fare le sue dichiarazioni al Par­ lamento, voglia considerare questa realtà ineluttabile. " Qualunque sua dichiarazione che differisca da quella su espo­ sta è inutile. Non potrà essere accettata né attuata mai. "È mio debito di lealtà verso il mio Paese parlar chiaro e fermo" .

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La "realtà ineluttabile" - su cui il Governo doveva poggiarsi per riceverne forza e ardire fu invece falsata, defo rmata, menomata col metodo che ormai tutti conoscono e sopportano. lo rimasi tran­ quillo. In nessuno dei miei rischi più gravi io avevo serbato tanta pacatezza. Ne fanno fede i miei testimoni. Prevedevo l ucidamente quel che era per accadere, quel che infatti è accaduto. E non mi lasciavo smuovere, non mi lasciavo deviare. Ora la via d' uscita per l'Italia è una sola: la mia. Non la indico e non la offro se non con la più pura devozione. Tralascio ogni recriminazione e ogni rammarico. Ancora una volta parlo chiaro e fermo. Il 24 di ottobre, in una radunata di cittadini, rico rdai le parole rivolte dal popolo alla Conferenza il 1 8 maggio 1 9 1 9 : "Il 26 di ottobre, con una votazione plebiscitaria e perfettamente legale, il popolo confermò il suo proposito che è quello dell'esercito. Oggi, 30 ottobre, primo anniversario della deliberazione solen­ ne, la Rappresentanza municipale lo risuggella così: " La Rappresentanza municipale di Fiume, eletta con suffragio universale, costituitasi oggi, primo anniversario della storica gior­ nata del 30 ottobre 1 9 1 8 , esercitando anche i poteri del Consiglio nazionale: "rinnova unanime la deliberazione del primo Consiglio nazio­ nale, p lebiscitariamente approvata da tutto il popolo, per cui Fiume, in forza del suo diritto all'autodecisione, p roclamava l'an­ nessione all' Italia; "plaude all'opera vigorosa e tenace del Consiglio nazionale, inte­ sa a conseguire la sanzione del diritto di Fiume e alla fermezza incrollabile con la quale costantemente respinse qualsiasi compro­ messo che infìrmasse o menomasse il riconoscimento della pura e semplice annessione; "deplora che la Conferenza di Parigi non abbia ancora dato ascolto alla voce del libero Comune italiano di Fiume; "nega, a chicchessia il diritto di decidere della so rte di Fiume senza il suo co nsenso; "riconferma a Gabriele D'Annunzio i poteri conferitigl i dal Consiglio nazionale e gli tributa l'omaggio reverente della sua com­ mossa gratitudine; -

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"dichiara ancora una volta che la annessione della città, del porto e del distretto di Fiume all'Italia non solo corrisponde ai prin­ cipi per i quali, con tanto sacrifizio e tanto sangue fu vinta la guer­ ra, ma conserva intatto il compito che la natura assegna a Fiume nel libero commercio mondiale; "fa giuramento di persistere nella lotta fino a che non sia rico­ nosciuto ai fiumani il sacro diritto di avere una Patria: l' Italià' . Io, servendomi dei miei poteri statuali e interpretando fedelissi­ mamente la volontà del popolo e dell'esercito , propongo : "Il Governo d'Italia riconosca e dichiari la necessità di rimette­ re alla Conferenza per la pace il p roblema di Fiume, restituendo un mandato non eseguibile senza spargimento di sangue fraterno e senza pericolo di guerra civile propagata in tutta la nazione. " Quando il mandato sia restituito , il Governo di Fiume riven­ dica l'onore di rimaner solo responsabile del suo atteggiamento davanti alla Conferenza e davanti al mondo. " Il capo del Governo di Fiume assume fin da oggi intera questa responsabilità e si prepara a respingere con la violenza la violenza, da qualunque parte essa venga. " Io torno ora dall'assemblea comunale, dove la cerimonia s'è svolta con quella forza calorosa che dà al popolo fiumano il prima­ to nella dignità civica. Alla fine, dopo aver accettata la riconferma dei poteri, ho parla­ to su per giù così: " La radunata del popolo nel teatro che per una sera ebbe l'a­ spetto e il nerbo dell' antico arengo , la votazione unanime avvenuta il giorno 26 con episodi di stupendo fervore, la deliberazione oggi così potentemente risuggellata da questa nuova assemblea, sono grandi fatti che ristabiliscono davanti al Governo italiano, davanti al Consiglio supremo e davanti al mondo la realtà ineluttabile. Io avrò l'onore di trasmettere oggi stesso il testo della delibera­ zione e il mio comento breve al Senato di Washington, senza spe­ ranza e senza timore, nec spe nec metu, secondo il motto di un'ani­ ma italiana che aveva tutto patito e sostenuto virilmente in terra. La speranza in noi è certezza; il coraggio in noi non dà crollo. Prima di separarci, facciamo risonare nella città concorde un altro maschio motto che or è molti secoli fu gridato nella città

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discorde, dopo il colpo di spada: il motto del partigiano savio, regi­ strato e perpetuato dal rimatore. Con un taglio nettissimo noi abbiamo reciso il nodo che nessuno potrà mai riannodare. Cosa fatta capo ha. Viva Fiume d'Italia! Viva l'Italia di Fiume!

Non occorre rilevare l'importanza di queste dichiarazioni. Da una parte D'Annunzio libera l 'Italia dalla minaccia di essere esclusa per causa di Fiume dalla Conferenza della pace, si erge da solo di fronte alla Conferenza stessa, si carica di una grande e gloriosa responsabilità; dall'altra rassicura il Paese per la sua tranquillità interna e, pur man­ tenendo il suo giudizio su uomini e cose, si alza in una sfera più alta, se è possibile, di patriottismo. C'è tutto D'Annunzio in questa intervista.

[In « La Gazzetta del Popolo>>, 8 novembre 1 919] .

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[ S .F.] Intervista con D'Annunzio Da Nizza a Fiume - !/ libro sulle cinque giornate - un grande giornale a Roma per la nuova lotta. Firenze,

l O gennaio.

Filippo Antuso telegrafa alla Nazione da Fiume: La partenza della compagnia D 'Annunzio e della Dante Alighie­ ri ha segnati il p unto più amaro dei distacchi improvvisi per la città di Fiume. Alla esasperazione dei primi giorni era, avanti la parten­ za, succeduta nei legionari una speranza vaga di riaccendere il fuoco in un campo p i ù allegro, e meno chiuso , dove gli appelli del coman­ dante sarebbero giunti per dar fondo ad un'opera più aspra e più nuova. Gli arditi che scendono verso l'Italia si sono inco ronati di alloro e i treni che li conducono sono verdi di fronde e istoriati di evviva, talché agli arrivi delle prime stazioni dopo Fiume i passeg­ geri si sono ritratti sorpresi davanti a queste colonne di giovinezza affilata che ha ceduto solo colla promessa di combattere di nuovo. A Mattuglie si è data una strana e impensata cerimonia: i carabi­ nieri hanno chiesto ai legionari le pagnotte che essi custodivano gelo­ samente nel tascapane, poiché ogni pagnotta, priva della mollica, con­ teneva una serie di petardi, che i legionari si ripromettevano di consa­ crare ai molti nemici del comandante. Ai carabinieri, che in cambio offrivano pane fresco, i legionari rispondevano picche, e quando è potuta avvenire la completa requisizione del pane, il Comando dei

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carabinieri di Mattuglie si è trovato padrone di una forte quantità di esplosivi. Ma fino a Treviso, dove i legionari sono condotti, e la strada è lunga, e molti di questi ricordi rimarranno per la via. A Fiume di arditi, dopo la partenza dell' 8 ciclisti e della legione Sernaglia e dell' 8 reparto son rimasti appena trecento arditi, di quelli che il comandante o gli ufficiali che restano con lui non pos­ sono a nessun costo lasciare. È una guardia del corpo, d'altra parte, necessaria al massimo cittadino fiumano che oggi si è rinchiuso nella villa Wickenburg chiedendo a tutti come sola ricompensa, appena dieci ore di riposo. Degli ufficiali che restano attorno a lui molti fanno parte di una lista nera tenuta a Cantrida dai carabinieri che sorvegliano il bloc­ co; le garanzie disciplinari accordate dal generale Ferrario ad Abba­ zia non sono bastate a proteggere alcuni di questi ufficiali che in mancanza di assicurazioni maggiori restano "esuli in Fiume" sotto la mia protezione - come mi ha detto il co mandante. - Lesodo degli ufficiali intanto non avverrà prima del giorno l O e alcuni di questi i tenenti Bassi, Magri, Betrami , Igliori, Norcia, Tonna e i nfi­ ne il capitano Zoli, Colsecchi, l'on. Alceste De Ambris, questi ulti­ mi specialmente incaricati di mettere in pratica le norme della Federazione nazionale dei legionari e di propagandarne il Decalogo che sarà presto pubblicato, resteranno anco ra a Fiume. Gabriele D 'Annunzio , col quale ho avuto una breve conversa­ zione, non aspira in nessun modo a divenire il capo dello Stato indi­ pendente di Fiume, né tampoco trama influire sulle decisioni del Governo provvisorio, che o ra liberamente incomincia a fare opera di ricostruzione. Il comandante attende al riordinamento degli ordini d'opera­ zione delle cinque tragiche giornate e all' innestamento negli stessi ordini di tutti gli episodi di valo re dimostrati dai legionari. I prin­ cipali documenti di questo libro potrò comunicarvi domani. Egli ha pertanto interrotto la collaborazio ne a La Vedetta d1ta­ Lia che ora diventa l'espressione del Governo provvisorio e si man­ tiene totalmente estraneo ai comizi che saranno tenuti il 28 feb­ braio a Fiume. Dopo la pubblicazione del libro su le cinque giornate di Fiume e la sanzione ultima colla sua presenza alle garanzie territoriali anco-

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ra oscure per Fiume, l'ipotesi più accreditata è che egli si rechi a Nizza da dove dopo un breve riposo andrà a Roma a dirigere il gior­ nale che sarà l'anima della nuova lotta. È bene tenere del dovuto conto questi preparativi del comandante per la futura lotta in Ita­ lia; non è da credere che egli fidi ancora in una lotta tenace e che o ra dovrebbe avere il più crudo inizio, secondo le promesse che egli ha fatto ai legionari solo determinate dalla necessità di non abban­ donarli senza speranza; il suo divisamento ci pare abbastanza chia­ ramente spiegato, se diciamo che egli attende la luce completa sul­ l'aggressione che Fiume ha patito, e le conseguenze che da questi fatti si potranno determinare. Da una nuova situazione politica egli p rende conto di orientare la sua attività che assume oggi più la forma di una giustifica e di una rivincita e di una battaglia.

[In «Il Piccolo>>, l O

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1 1 gennaio 1 920] .

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[S .F.] D'Annunzio intervistato da un giornale tedesco [Fiume un esempio di redenzione per i popoli oppresszl Zurigo,

30.

La Stuttgarter Neue Zeitung di Stoccarda reca un' intervista con Gabriele D 'Annunzio. La stampa tedesca - ha detto - non mi ha capito durante la guerra. In molti articoli fui ingiuriato e cal unnia­ to , quantunque io non sia un odiatore dei tedeschi. Conosco il popolo tedesco come lavoratore e zelante e i miei sfo rzi consistette­ ro nell' illuminarlo sulle mene dei suoi governanti. Ora che questa gente non è più al potere e la Germania va trasformandosi in uno stato democratico, saluto cordialmente gli sforzi del popolo tedesco tendenti ad assicurarsi la libertà. Parlando di Fiume, il D'Annunzio ha detto: - Non condivido il concetto del Patto di Londra, poiché Fiume deve rimanere e rimarrà italiana completamente. lo non mi posso lasciare sfuggire di mano Fiume, perché questa è la scintilla che provocherà l'incen­ dio della rivolta in tutte le nazioni umiliate ed oppresse contro i loro oppressori. Gl' irlandesi, gl' indiani, i maomettani sono difatti, non liberi e l'eroismo delle mie truppe rafforzerà questi popoli nella fede che anche per essi la redenzione verrà. Durante la conversazione, il D'Annunzio disse ancora: - Fra Guglielmo e Wilso n esiste una sola differenza e, precisamente, que-

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sta: che Guglielmo I I fu un dominatore assolutista del suo popolo per grazia di Dio, e Wilson lo è per grazia del popolo. Il dominio di Wilson si avvicina, però, a quella fine che il Governo di G uglielmo II ha già trovato.

[In «La Tribuna», l febbraio 1 920] .

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[S . F. ] Fiume italiana faro di libertà per gli oppressi di tutto il mondo [ Una giusta rivendicazione con un atto di ribellione - La lega di Fiume contro la Lega delle Nazioni - Assurde rivendicazioni unghe­ resi - Ordine politico e ripresa economica fino all'annessione italiana - Uno «Stato indipendente» con la sua Costituzione] Importanti dichiarazioni del Comantlante a un giornalista ungherese Gabriele D 'Annunzio ha ricevuto in questi giorni il dott. Brajjer, corrispondente della Neue Freie Presse e di vari giornalisti ungheresi, e gli ha fatto notevoli dichiarazioni su varie questioni riguardanti la politica estera e la politica fiumana. Il corrispondente iniziò la conversazione, chiedendo al Comantlan­ te quali fossero i suoi sentimenti attuali verso i popoli della distrutta Monarchia degli Asburgo. L'unico atto di ribellione Non sento alcun odio - rispose il Comandante - contro gli austriaci e gli ungheresi. Questi popoli sono ora duramente oppres­ si dall'ingiusta Pace di Versailles, da quella stessa pace che nega cru­ delmente a Fiume il diritto di disporre di sé stessa e vieta cosl a un popolo eroico il raggiungimento delle sue giuste aspirazioni, per favorire gl i interessi di una banda di capitalisti internazionali.

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La mia impresa è l'unico atto di ribellione reale contro questa p ace iniqua. Di fronte alle ingiustizie del Co nsiglio Supremo gli altri popoli vinti e delusi, dopo una resistenza più o meno verbale e platonica, hanno dovuto piegare la testa. Non io, non i miei legio­ narii, non Fiume. Dal 1 2 settembre dello scorso anno noi resistia­ mo qui vittoriosamente, in mezzo alle più gravi difficoltà, contro ogni sorta di persecuzioni e d' insidie, contro il malgoverno d'Italia, contro le nazioni più ricche e più forti del mondo. La diplomazia è impotente a risolvere il p roblema di questa città e ad asservirla alla tirannide wilsoniana e a costringerla ad accettare i vari p rogetti dei compromessi. Di fro nte a Fiume la Conferenza ha perduto o rmai senza dub­ bio qualunque autorità e ogni prestigio. I miei soldati che abbassa­ rono dal Palazzo del Comando la bandiera inglese, la francese e l'a­ mericana rimangono e rimarranno ottimamente sul Tamaro per difendervi l' unica bandiera che può sventolare a Fiume: la bandie­ ra d' I talia.

La Lega di Fiume Intanto , alla Lega delle Nazioni, a questo complo tto di !adroni e di truffatori privilegiati, noi opporremo la Lega di Fiume, racco­ gliendo qui i rappresentanti di tutti quei popoli che oggi patiscono l'oppressione e che vedono atrocemente mutilate le fibre viventi dei loro territori nazionali, e che guardano al vessillo di Fiume come al segno della rivolta e della libertà. Già abbiamo l' adesione dell'i ndo­ mabile Sinn Fei n d' Irlanda, degli egiziani , degli indiani e di tutte le nazionalità che ora gemono e languono sotto il bastone brutale del serbo e che anelano ardentemente a riconquistare la p ropria indi­ pendenza. Ma io vorrei che questa lega non si limitasse ad acco­ gliere i popoli che non hanno ancora una Patria, sibbene tutelasse i diritti e le aspirazioni di tutti quelli che hanno visto brani delle loro terre in preda a stranieri favoriti dai plutocrati della Conferenza di Parigi. Noi pertanto accoglieremo col più grande favore i rappre­ sentanti dell'Austria Tedesca che soffre di una così grande miseria, e che l' Intesa si ostina a mantenere divisa dalla Germania, contro la

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storia, la geografia e l'economia, contrastandole il diritto di unirsi ai fratelli della medesima razza e della medesima lingua. E accoglie­ remo anche co n s impatia i rappresentanti del popolo ungherese che ha tanto sofferto dalla rapace invasione romena e che vede assegna­ re ai boemi 1 6 città e 20 distretti di lingua magiara con 8 50 . 000 magiari, e 28 città con altrettanti distretti magiari offerti in p reda alla Jugoslavia e che deve così abbandonare quasi 4 milioni di fra­ telli alla dominazione straniera.

Strane pretese ungheresi Ma, a proposito dell'Ungheria, io non posso app rovare il regime di reazione e di terrore che oggi imperversa a Budapest, e che senza sollevare il disgraziato popolo ungherese dal disagio econo mico nel quale si trovava alla caduta del governo di Bela Kun , non ha fatto che aumentare spaventosamente il numero delle vittime sacrificate alle passioni di parte. E soprattutto mi spiace l'atteggiamento imperialista dell'Ammi­ raglio Horty che rivolge le sue mire anche su Fiume. Prima della Restaurazione gli uomini del governo u ngherese si disinteressarono della questione fiumana, anzi, con la mia approvazione, fu redatta una co nvenzione firmata dai rappresentanti ungheresi di banche, case industriali, società di navigazione, nella quale, (dopo aver con­ statato che quando nel 1 89 0 , il porto franco fu tolto, i commerci della città ne furono danneggiati perché fra tutti i paesi del retro­ terra il meno industriale è la Croazia, mentre il più forte p rodutto­ re è l'Ungheria) , si affermava il pieno riconoscimento dell' impor­ tanza del porto di Fiume e in conseguenza io consentivo a nome della città che l' Ungheria, la Croazia, la Czeco - Slovacchia e la Rumenia potessero usare liberamente, in regime di portofranco, (senza pagamento di tasse e di dogane) , del po rto dei cantieri nava­ li e della stazione di Fiume. Ma ora il governo di Horty reclama Fiume, città italianissima, solo perché si afferma che essa deve il suo sviluppo ai governi ungheresi . Non si può con giustizia p rotestare contro l'imperialismo altrui, se si dà p rova di uno spirito ingiusto in una questione territoriale.

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Sempre e soltanto per l'annessione all1talia A questo punto il giornalista domandò al Comandante come egli intendesse risolvere la questione fiumana, e lo pregò di chiarirgli se fos­ sero intervenuti nuovi propositi nella sua politica fiumana. Il Coman­ dante rispose: Siamo oggi per l' annessione come ieri. Col popolo e coi legio­ nari io rimango fermo nella difesa del voto plebiscitario del 30 ottobre col quale Fiume deliberò di unirsi all' Italia. So che si è molto parlato, in questi giorni di costituzione e di stato indipen­ dente, ma se ne è parlato spesso con poca cognizione e con molta leggerezza. Il Comando ha effettivamente pensato a una nuova forma di sistemazione politica da dare a Fiume, ma indipendente­ mente da qualsiasi scopo di parte, e con l' unica finalità di garantire in modo assol uto il p rincipio che mi mosse dall'impresa di Ronchi. Noi resistiamo senza timori e senza esitazioni da questo giorno , e siamo pronti per la forza del nostro spirito e della nostra decisione, a resistere ancora. Non possiamo però non riconoscere che le riser­ ve economiche stanno per essere esaurite soprattutto per opera del governo di Nitti che blocca e affama la città. Le meravigliose ener­ gie che Fiume dimostra ancora dopo sei mesi di lotta, potrebbero infrangersi, non già perché diminuisca la fiamma del suo spirito indomito, ma soffocate dalle difficoltà economiche. O ra bisogna riattivare la vita economica, restituire alla moneta fiumana un valo­ re che la faccia nuovamente capace di circolazione, avere insomma il modo di prolungare lo stato di fatto affinché si giunga al ricono­ scimento dello s tato di diritto , fronteggiando la situazione con le nostre sole fo rze, fino al momento in cui Fiume potrà essere annes­ sa all' Italia.

Lo "Stato indipendente" e la sua Costituzione Mentre per la mollezza del nostro governo e gli intrighi dell'alta banca internazionale, la Lega delle Nazioni fa per allungare la cupi­ da m ano sui beni della città - la ferrovia ed il porto - noi pur dovremo, mettendoci di fronte alla realtà (e poiché l' Italia non vuole

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e non può fare l'annessione) costituire, in via transitoria, uno stato indipendente di Fiume che affermi la p roprietà perpetua e inaliena­ bile del porto e della ferrovia che sono nel suo territorio. E se la Società delle Nazioni mandasse degli agenti per toglierei i nostri beni, noi siamo disposti a gettarli nel Quarnaro, letteralmente.

E a proposito della Costituzione il giornalista chiese al Comandan­ te se egli già avesse nella sua mente un disegno. La questione è ardua e merita la più grande meditazione. Certo io ho mente un disegno che intendo però applicare solo nel caso che qualunque possibilità di annessione sia, almeno per il momen­ to, perduta. Se dovremo fare una costituzione faremo una costitu­ zione di libertà infinitamente diversa dai vecchi Statuti. Noi vorre­ mo conciliare lo spirito comunale che anche qui vigeva e al quale dobbiamo la forza e la grandezza italica, con le idee più moderne. Noi cercheremo di ottenere la massima elasticità in questa Costitu­ zione in modo da armonizzare la pacifica convivenza del comune marittimo italiano col comune croato rurale. Anche se dopo bre­ vissimo tempo (come noi fervidamente auguriamo) l'annessione ci impedisse di attuare la Costituzione in tutte le forme, questa potrebbe sempre rimanere come un esempio a tutto il mondo del­ l'aspirazione di un popolo e di un gruppo di spiriti. Con tale Costi­ tuzione potremo riunire in un cerchio di l uce, le libertà comunali colle ultime forme che oggi m uovono il mondo.

[In «La vedetta d' Italia» , 14 aprile 1 920] .

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VITTORIO VETTORI Intervista con D'Annunzio a Fiume [Il popolo di Fiume con D'Annunzio «A Fiume penso io» Onestà di intenti, jèdeltà e sacrificio - IL Lavoro come necessità per ricostruire la vita] -

Fiume,

lO

Luglio.

Sono venuto a Fiume dopo aver letto l'ormai famosa petizione che il signor Riccardo Zanella mandò alla Camera dei dep utati per infamare il regime dannunziano e la propria città natale, salvo a favorire indirettamente le cupidigie croate.

Fiume jèdele al suo salvatore Debbo dichiarare subito che la petizione dello Zanella non è che lo sfogo di un' ambizione personale delusa e di una cocente rivalità locale. In altri termini, il "potente" si duole che non gli sia stata data in Fiume una posizione prem inente e che nel consiglio nazionale della città p redominino elementi da l ui avversati. Questo rancore fece dello Zanella uno strumento della politica di persecuzione e di intrigo svolta dall'on. Nitti contro Gabriele D 'Annunzio, ed o ra che il Nitti è caduto abbiamo il tentativo zanelliano di avvelenare l'opinione p ubblica italiana in senso ami­ fiumano .

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Il fatto incontrovertibile è questo: che il popolo di Fiume e i legionari sono stretti più che mai attorno a Gabriele D 'Annunzio, pur dopo nove mesi di lotta esasperante che non li ha p iegati, come non ha scosso la magnifica fibra del comandante. Di questa solidarietà tra Fiume e D'Annunzio ho avuto la prova ieri sera assistendo all'entusiastica manifestazione fatta dal popolo e dai legionari sotto il palazzo del governatorato in segno di p rotesta per l'assassinio di Spalato. Una vibrante orazione dannunziana fu accolta col consueto fervore di applausi e di evviva: sono seguite ieri sera e tutt'oggi dimostrazioni di ardente italianità e di leale solida­ rietà con la Dalmazia, nonché il devoto affetto al comandante cui il popolo fiumano riconosce il merito fondamentale di avere occu­ pata la città alla vigilia dello sbarco della polizia inglese, di avere fatto partire i contingenti alleati, di avere creata di sana pianta un'organizzazione indipendente fiumana, di avere insomma fonda­ te le basi di quella politica di difesa dell'autodecisione di Fiume cui si dovrà la salvezza dell' italianissima città. Tutto ciò il popolo di Fiume non ha dimenticato, anche se ha voluto dimenticarlo il signor Riccardo Zanella, malgrado le lettere di ossequio, di omag­ gio, e di riconoscenza mandate fino a non molto tempo fa a Gabrie­ le D 'Annunzio. Lavere tenuta viva la fede fiumana, pur attraverso i disagi eco­ nomici creati dal blocco nittiano, è uno dei risultati mirabili dell'o­ pera calorosa e vibrante svolta dal poeta soldato. Qualsiasi altro duce, di fronte agl i intrighi e alle manovre del governo nittiano , avrebbe piegato , ma D 'Annunzio ha una fibra d'acciaio ed anche quando Nitti avanzò le furbesche promesse con l'animo di non mantenerle, il comandante seppe tener fermo , del che gli sono grati oggi anche coloro che a Fiume parvero per un mo mento essere attratti dalle volpine offerte nittiane.

D 'Annunzio non cederà mai Ogni persona di buon senso comprende che sinché Fiume sarà occupata da D'Annunzio e dai suoi irregolari, vi sarà possibilità di lottare per la s ua libertà, mentre il giorno in cui le truppe regolari

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italiane sostituissero gli arditi di D'Annunzio, il governo di Roma non potrebbe legittimamente sottrarsi all'invito degli alleati di rista­ bilirvi la situazione anglo-franco-italiana e di cedere Fiume, in caso di applicazione del trattato di Londra, alla Croazia. Ho parlato lungamente con D 'Annunzio. Egli è, come sempre, l ucido forte e sereno. Ride quando gli si parla delle calunnie sparse contro di lui in Italia. Tutti infatti sanno a Fiume che il comandan­ te conduce vita sobria e cristallina, senza di che egli non potrebbe né sbrigare la grande mole di lavoro intellettuale, né partecipare coi suoi arditi a lunghe marce e a faticose tattiche, né mantenersi in contatto continuo con la città e con l'esterno . D 'Annunzio è di ottimo umore: la caduta di Nitti gli fa veder chiaro nell'orizzonte fi umano. Egli comprende perfettamente che il Governo italiano non possa e non debba avere rapporti ufficiali col comando di Fiume, ma le minacce j ugoslave oltre la linea di armi­ stizio hanno p rodotto un logico ravvicinamento tra D 'Annunzio e il generale Caviglia, il che deve rallegrare ogni buon italiano e natu­ ralmente allieta il poeta soldato. D 'Annunzio parla con la consueta semplicità ed affabilità. - Quanto si dice co ntro di me mi fa sorridere; io so che venen­ do a Fiume e rimanendovi non soltanto ho impedito il sacrificio di questa città italiana, ma ho impedito altresì la rovina di tutta la nostra posizione adriatica in !stria e in Dalmazia, e mi felicito di non avere mai ceduto né alle minacce, né agli intrighi, né alle lusin­ ghe di Francesco Saverio Nitti, nel cui p rocedere ho sempre odora­ to il tradimento. Non ho ceduto e non cederò. Non me ne andrò da Fiume se non quando l'Adriatico sarà salvo . . . Qui il popolo mi segue, come il p rimo giorno , le mie truppe sono una cosa sola con me. Sono deciso a tutto e se in Italia troppi hanno smarrito il senso della dignità nazionale e la capacità di volere, io ho conservato que­ sta e quella. Io voglio che Fiume e la Dalmazia siano salve, ho p ro­ messo di dare la vita per questo , e non cedo. Se l' Italia non può pro­ cedere all'annessione di Fiume, applichi il trattato di Londra e non si incarichi di altro. A Fiume penso io. Possiamo anche acconten­ tarci che Fiume, col suo porto e con le sue ferrovie sia libera e sovra­ na accanto all'Italia ingrandita limiti tracciati dal trattato di Lon­ dra. Lannessione verrà più tardi, ma in ogni caso Fiume non sarà

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consegnata né ai croati, né alla plutocrazia anglo-americana. Non è possibile violentare la volontà di un popolo presidiata da una forza armata: chiunque pretenda scacciarci deve prima ammazzarci tutti, ma vedrete che non oseranno. Le condizioni della città sono quelle che vedete: si vive in ordine e in fede, se pure in disagio per il bloc­ co che Francesco Saverio Nitti ha voluto serrare intorno al collo della città onde soffocarla ed obbligarla alla resa. I fiumani non domandano che di lavorare col loro porto magnificamente attrez­ zato, coi loro cantieri , coi loro stabilimenti industriali: l' Italia, o ra che si è sottratta all'infamia di uno sgoverno Nitti , deve onesta­ mente dare ai fiumani la maniera di vivere. Altro non domandia­ mo : la partita diplomatica e occorrendo, militare, siamo disposti a giuocarla da noi. Il governo italiano, come ho detto , applichi il trat­ tato di Londra e non si preoccupi di noi.

Vita di fede e di sacrifizio Accenno alla petizione Zanella e in genere alla campagna di calunnia che i disfattisti interni, d'accordo coi nemici esterni, vanno conducendo in Italia. D'Annunzio mi risponde di desidera­ re una commissione d' inchiesta, composta di ogni partito , si rechi a Fiume per esaminare sul posto la situazione della città e la consi­ stenza delle accuse rivolte al Comando. Soggiungo da parte mia che l'invio di questa Commissione sarà opportunissimo poiché mentre da un lato comproverà la condizione perfettamente corretta della città, dall'altro lato richiamerà l'attenzione dell'opinione p ubblica italiana sulla necessità di non lasciar morire di consumazione una città la quale non ha altra colpa di volersi riunire alla Patria e di volere sfuggi re al barbaro giogo balcanico. D 'Annunzio mi dice: - Di che cosa mi accusano? Di avere una volontà e di esercita­ re il comando? Ebbene, questo è il mio merito. Qui mi considero ancora in guerra e tutto debbo subordinare alla suprema necessità di non favorire il nemico. Manovre contro l' Italia qui non ne tolle­ ro e me ne trovo bene, e come so tenere la disciplina tra le mie brave truppe, così mantengo l' ordine nella popolazione, la quale del resto

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non domanda che di essere fermamente governata. Tutti possono constatare che a Fiume si governa limpidamente: i rapporti tra il Comando e il Consiglio nazionale sono ottimi: si lavora di co mu­ ne accordo. Qualcuno ha mancato? Ebbene io l'ho colpito e l'ho allontanato da Fiume. Qui non è avvenuto nulla di più grave di quanto avvenga in qualsiasi altro luogo , anzi le condizioni generali della sicurezza p ubblica sono buonissime. Si è cercato di organizza­ re i servizi per il meglio, si è resistito durante ormai nove mesi mal­ grado la penuria di denaro e di alimenti. Oggi come nel giorno della marcia di Ronchi, io sono a Fiume per conto dell' Italia e posso dire di avere conservata intatta moralmente e materialmente la pre­ ziosa città. Si parla di costumi corrotti, ma sanno gli italiani che in certi periodi gli ufficiali hanno ricevuto mezza paga e continuano tutt'o ra a mangiare lo stesso vitto dei soldati , mentre hanno dovu­ to in qualche momento accontentarsi di pane muffito e di carne in conserva? Qui vivono nel sacrificio così i legionari come i cittadini. Chi dice il contrario dice la menzogna più spudorata. Quanto D 'Annunzio dice è rigorosamente esatto. Vada p ure la G iunta delle petizioni a Fiume, magari col relativo deputato socia­ lista Riboldi, quegli che alla Camera si è fatto referendario delle calunnie contro D 'Annunzio e i suoi legionari, e si persuaderà che un regime così eccezionale, direi quasi così paradossale come quel­ lo che si è stabilito a Fiume dal settembre dell'anno scorso , non avrebbe potuto reggersi con maggiore onestà di intenti e di opere, con maggiore correttezza politica ed amm inistrativa.

Bisogna ridar vita e Lavoro È miracoloso il fatto che dopo un così lungo periodo di tempo D 'Annunzio sia ancora circondato del favore popolare; ciò si deve soprattutto al s uo p urissimo patriottismo e alla sua eccezionale tempra di condottiero. I fiumani vorrebbero naturalmente che la loro città tornasse alle normali condizioni, soprattutto economiche, ma si sottomettono volentieri al regime eccezionale sapendo che in questo è l' unica speranza di salvezza. Spetta agli italiani, governo e popolo, di non co ntraccambiare con una innaturale ostilità lo spi-

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rito di sacrificio dei fratelli di Fiume. Qui l'alta banca italiana ha fatto troppo poco: vi sono industrie promettentissime rimaste in mano ai croati e che avrebbero potuto essere riscattate da capitale italiano: vi è un cantiere passato in mani italiane, ma Nitti non volle che gli si desse lavoro ; bisogna al contrario che gli armatori adriatici vi mandino i loro battelli da riparare e bisogna che l' Italia non neghi ad esso le materie prime. Si pensi che il blocco di Fiume fu rotto da navi inglesi che sbarcarono in quel porto petrolio e grano: bisogna che la marina commerciale italiana si ricordi che vi è il magnifico approdo del Quarnaro, attrezzato come i più moder­ ni porti del mondo , bisogna insomma che l'opera di soffocazione tenacemente perseguita dal Governo di Nitti sia radicalmente abbandonata e che si ridia alla città martirizzata ossigeno e nutri­ mento. Tutto ciò devesi raccomandare all'attuale Ministero, che mostra di avere un vigile senso di italianità. Vi sono confortanti sin­ tomi di miglioramento nella politica governativa, ma bisogna fare ancora dell'altro, bisogna togliere il nodo scorsoio che Francesco Saverio Nitti volle stringere al collo di Fiume, e ciò può farsi senza venir meno ad alcun dovere internazionale. Questa concordia è tanto più necessaria in quanto i j ugoslavi minacciano oltre confine: occorre rifare il fronte unico, non soltan­ to militarmente, ma anche moralmente. Ben !ungi dall'abbando­ narsi a contumelie contro D 'Annunzio e i suoi legionari, bisogna fiancheggiarli e rafforzarli perché la loro funzione in questo momento delicato e pericoloso è funzione di difesa nazionale. Chi pensa, in un momento come questo , a dare armi ai j ugoslavi per sfogare il proprio malanimo non è, nella migliore ipotesi, che un aberrato.

[ In «Il Gio rnale d ' I talia>> , 20 luglio 1 9 20] .

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ACHILLE RICHARD l Une visite à Gabriele D'Annunzio [Dopo l'avventura fiumana D'Annunzio si stabilisce a Gardone ­ La magnifica villa di Thode - Sempre giovanile nell'aspetto e nello spirito - La revisione del Notturno - L'edizione completa delle sue opere] Entre Salò et Maderno , au milieu de la "riviera de l' ouesr" , de ce lac de Garde qui est surement le plus grand et peut-c�tre le plus beau cles lacs italiens , voici, dominane un féerique paysage, la " Villa Car­ gnacco" , la demeure actuelle de Gabriele D 'Annunzio. Camme je comprends qu' il ait élu entre tous ce séj our, après sa sortie de Fiume! Ces journées obscures de décembre l'avaient éprouvé, non lassé, mais rempli d'amertume. I.:histoire véridique de ces heures n' est pas encore parvenue j usqu' à nous. Elle sommeille dans ce " livre vert" de Fiume, qu' il nous faudra bien connaltre un JOUf.

Ap rès Fiume, délaissant meme san superbe logis de Venise, tout récemment aménagé, Gabriele D'Annunzio s'établit à Gardone. Une villa magnifìque, d'aspect très simple cependant, p ropriété allemande sous séquestre, s'offrir à l ui , sur cette cote de Cargnacco. Elle appartint, j adis, au critique d'art Thode, l' un cles gendres de Franz Liszt.

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Nome francesizzato di Achille Ricciardi.

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Et peut-t�tre aussi, la veuve de Thode le souhaitant, finira-t-il par en ètre entièrement le mai:tre . . . En haut de la sente, comme à un carrefour, des habitations rus­ tiques; et relevée de trois marches la porte du poète. A l'ombre des cyprès de bon accueil, on dirait d'une entrée de pres­ bytère. Mais, le porche franchi, c'est sous une votlte hérissée de cornes de toute espèce que l'on pénètre dans l'intérieur: trophées de chasses au cerf, à l'antilope, à l' isard? C'est possible. Le maitre actuel y voi t d' autres symboles, et sans doute la conj uration du mauvais oeil . . . La maison est vaste, bien ordonnancée, paisible. Ce qui subsis­ tait du gotlt balourd allemand en a été banni. Des tapis, des ten­ tures, partout des fleurs y disent le souci d' élégance qui la renou­ velle. Le piano de Liszt s'étend, tout près; aux murs, des portraits de Liszt jeune, de Wagner; nous sommes dans le domaine d' un grand musicien, passé à un gran poète . . . La musicienne n'est pas lo in. Gabriele D'An nunzi o parait. Jeune, toujours jeune, plus jeune que j amais, dans son veston civil pincé à la taille, le visage reposé, comme détendu après tant d' efforts; l' oeil blessé apaisé, sino n amélioré, hélas! (il paraìt tou­ jours aux quatre cinquièmes perdu) ; l' autre oeil à peu p rès indem­ ne et surtout cetre lucidité merveilleuse et cetre étonnante j uvénili­ té d' impressions, de paroles et d' images, et cetre inépuisable fertili­ té de souvenirs, d' anecdotes et de traits . . . Gabriele D 'Annunzio fait la nique à l'age. Que dis-je? Le temps a dtl l' oublier. A moins que de son émouvant et incessant contact spirituel et mora! avec les jeunes hommes de vingt ans assemblés et maintenus à Fiume par " la santa impresa" , le commandant n'ai t rapporté cetre j eunesse de l'ame qui, pour se mieux conserver, ravive le sang et le co rps . . . :L humeur un peu morose? au début s'est bientot éclai rcie. Un long tour dans le jardin vallonné, varié, étendu sur deux versants de colline, et le déjeuner servi avec la simplicité d' un grand seigneur, ont tot fait de nous rendre pour tout un j our, le Gabriele D ' An­ nunzio familier et rieur, espiègle et bon enfam, que ses détracteurs - s' il s'en trouve encore - ne connaissent pas, et que nous peu­ vent envier ses admirateurs, mème les plus enflammés. Tout un jour, un beau jour, no us avons ainsi erré dans les sen­ tiers parfumés, sous les dernières glycines effeuillées, sous le hètre

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pourpre, orgueil de la villa, et jusqu'au bas d' une petite vallée encaissée dans les arbres et où chante et j ase une cascatelle d' eau, la petite vallée du Cédron de l'endroit . . . En face de nous, tour à tour rutilante sous le soleil et adoucie par le crépuscule, la grande paix du lac s' étendait. Avant le soir venu , nous devisons dans un pré, le maltre et ses invités, parmi lesquels le bon poète italien et francaìs Luigi Amaro; et très b ucolique, et très s imple, camme le premier venu, le "comandante" s' étendait à la bonne franquette sur l'herbe. Le cou­ chant empourprait le lac camme un métal en fusion; et, se profilant étrangement sur le ciel, D 'Annunzio me montrait un masque de Dante, creusé par le caprice des rochers dans la colline en face, à plat sur les flots et le front vers les étoiles. La nuit descendue, la b ibliothèque de la villa nous réunissait > . Dans une autre chambre, somptueuse quoique ascétique, et p resque mortuaire, le Commandant évoque tendrement le souvenir de sa mère, qu'il aimait si p rofondément. Et que de reliures anciennes, que d'oeuvres d'art, que de mer­ veilles! . . . Je comprends, en le suivant, le j oli mot que lui dir, cer­ tain jour, un moine franciscain: - Tu es vraiment, don Gabriele, un perir frère de saint Fran­ çois: car il avait, lui, les srigmates; et toi, tu as les mains percées. Au travers desquelles l'or caule camme de l' eau, emendai t-il.

(A suivre. ) [In «Le Figaro , , 1 5 maggio 1 926] .

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II

[Ricordi fiumani - Allegoria della dolcezza e il gatto di Maomet­ to - Sette opere nuove - Elogio di San Francesco - La letteratura francese contemporanea}

La pièce la plus singulière de la maison chez le commandant, semble bien certainement la salle à manger. Au p lafo nd se trouve tendu l' immense étendard de Fiume, rouge sombre avec le serpent enroulé sur lui-mème et !es étoiles d'or. Il nous souvient de l' avoir vu flotter sous le soleil, cet étendard magnifìque, en ce jour d'ivres­ se et de gioire où le condottière Gabriele passa en revue !es belles troupes de sa garnison sur !es quais du port, en sa Fiume ivre d'amour; où ensuite, entouré de san état-m ajor, il harangua si bel­ lement le peuple du haut de san cheval, droit sur sa selle en san uni­ forme de colone! , levant sa main gantée de blanc . . La faule hale­ tante acclamait frénétiquement. Et ceci se passait sous Nitti: Fiume était alors toute l'ime de la patrie italienne . . . Grands et chers sou­ venirs, qui me font encore battre le coeur! D 'autres trophées de la guerre et des périls insolemment bravés remplissent la salle, q ue des vitraux éclairent: on !es dir admirables pendant le jour, mais c'est le soir, ils sont éteints. Dominant tour je décor, voici de nouveau !es belles tètes frémissantes des chevaux qui sans do ure ont porté !es Dioscures. Et sur la table, étroite et longue, se dresse un te! amas d' idoles de to utes !es religions qu' il reste j uste aux deux convives que nous sommes la piace pour dìner. - Voyez cette faule de petites idoles, me dit le Commandant. Je !es ai disposées de façon qu' elles se trouvent toutes , en quelqur sorte, sous l'empire de celle-ci, tenez, la plus bianche, la plus fine, la plus tendre, et qui est une allégorie de la Douceur. Il me plaìt que la Do uceur sourie ainsi parmi !es emblèmes guerriers. Au milieu de la table, remarquez cette vieille porcelaine d'Orient: c'est un chat, le chat de Mahomet, celui qui s' était un jour endo rmi sur la manche du prophète, et que le saint homme ne voulut jamais réveiller, si bien qu' il préféra ne point se rendre à une réunion des .

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plus importantes plutòt que de contrarier la pauvre bete . . . Ce grand exemple de patience devrait présider à toutes les tables de tou tes les salles à manger afìn de déconseiller l'aigreur et l'àpreté dans les discussions pendant les repas. Pour le Commandant, d' ailleurs, à peine si le repas compte. Encore que chez lui la chère sòit succulente et les vins français de grand race, à peine s'il mange et il ne boit pour ainsi dire que de l' eau. Il tient le j eùne pour une excitation merveilleuse de l'esprit. Depuis peu de temps, sept o uvrages, m'apprend-i! sont sortis de sa piume. Michel-Ange et saint François d'Assise - ce dernier sur­ tout, m'a-t-il semblé - le passionnent. «C' était, fait-il, un saint très brave: je l'ai ceint de l' épée, don t il est digne. ]' espère d' ailleurs prè­ cher en chaire au suj et de saint François à Assise mème, lors des fètes qui auront lieu bientòt: je le dresserai tout vifh Gabriele d'Annunzio prétend-il aussi devenir cardinal ? I.: Eglise le p réoccupe fort, semble-t-il, et il s'intéresse à des oeuvres pies, selon sa manière du moins. C'est ainsi qu' il a inventé la recette d' une savoureuse liqueur de ceri se, don t j ' ai goùté: un chef­ d' oeuvre. O r, il veut fai re bàtir sur la rive du lac de Garde une sorte de maison conventuelle, où des religieux fabriqueront son élixir. Et le Saint-Père , consulté par lui, a répondu: « Optime! . Et je vo us dannerai dix moines, choisis dans roure l'Italie parmi !es plus matgres. » Car le Commandant n e peut supporter !es moines obèses, aussi o ffensants pour la vue que pour la pensée. Puis il m'interroge (pas longtemps, car il faut bien qu'il parle!) sur Paris et !es lettres françaises, qu' il n'a jamais cessé de suivre en connaisseur parfait, et difficile. Il cite quelques noms, Gérard d' Houville et Colette, Eugène Marsan, cavaliere mauriziano, et Henri de Montherlant, qu' il tient, non sans raison, pour un vrai disciple, etc . . . mais Paul Valéry s urtout, pour lequel son goùt est extrème et p rofond. Hélas! soupire-t-il, j e ne lis pas tout ce que j e voudrais. Com­ ment faire? Je reçois chaque jour des centaines de lettres et télégrammes. Un vrai ministère! . Y a-t-il p ire qu' un ministère? Oh, non commandant! . . . Pas soupçon d'exagération, du reste, en ce propos: un raz de marée de papiers submerge quotidienne. .

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ment le Vittoria/e, et la pauvre prince de Monte-Nevoso doit presque se grimer s' il se rend seulement à Brescia pour quelque em plette, sous peine de se voir à demi étouffé par la foule qui le reconnaìt aussitot et l' acclame à faire peur. Grandeur et servirude populaire! Avons-nous parlé de politique? . . . Non , ma fo i! Nous n' avons pas eu le temps: il a tout de suite été minuit. Et encore n'avait-il pu me dire qu' un mot touchant différents hommes illustres, et les lévriers qu'il aime toujours, et les robes des femmes, dont il trouve la taille encore trop basse, et ses amies françaises . . . Gabriele d'An­ nunzio s'attriste cependant beaucoup, je le vois bien, quand je lui apprends que ses belles amies, chez nous, sont toutes aujourd' hui possédées par la fureur politique: il a conservé le souvenir d'une France que le Cartel n' avait pas encore défìgurée . . . «Mais vous vous sauverez!» s' écrie-t-il. Il le eroi t. Les dieux l' entendent! Hélas! Cheure s' avance: il faut nous sé parer. Le Commandant, à cet instant, pique une épingle sur ma eravate, un petit coq. Et il me dir en souriant: Qu' elle vous rappelle toujours saint Pierre, l'homme faible. Quant à vous, ne reniez j amais les belles émotions de Fiume. Ne reniez pas votre ami . . . Ah! Cher Commandant, quelle coquetterie! Vous savez pourtant mieux que personne qu' un homme de bon sang latin ne renie en aucun minute ni le courage, ni la magnanimité, ni le génie . . . Et puis, Maìtre, venez enfìn, ou plutot revenez donc à Paris: vo us ver­ rez si l'o n vous oublie!

[In «Le Figaro» , 1 6 maggio 1 926] .

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[S .F.] Don Gabriele, nostalgia dei Francesi 1 [La visita di un giornalista parigino al Vittoria/e - Gabriele, .fran­ cescano daLLe mani bucate - Gli idoletti indù, protettori deLLe mense ospitaLi - Le giornate di Fiume - Che gli Dei salvino La Francia.� Marcel Boulenger racconta sul Figaro una sua visita a Gabriele D 'Annunzio, al Vittoriale. Dopo aver descritto la magnifica villa, il lago, l'ora del tempo e la poco dolce stagione, ecco come D'Annunzio entra m scena. "All'improvviso, una voce ben nota, un grido allegro "Marcello!". È il Comandante. Egli non cambia mai. Tuttavia ha rasato ogni trac­ cia di baffi, come anche quella impercettibile puntina di barba che gli si vedeva ancora portare: ma era così piccola cosa che il viso di lui appena ne è modificato. Arrivando in quel momento da una roulet­ te militare, egli è in tenuta da generale d'aviazione: una uniforme color violetta di Parma, che gli va a meraviglia. Ed ecco il nostro Gabri, sempre il medesimo, sottile e svelto come sempre. Per lo meno è quanto ci si dice fra sé e sé, familiarmente, affet­ tuosamente: " Gabri" davanti a questo ufficiale, così gaio, così sem­ plice, che scherza e ride come un sottotenente, e sembra così gen­ tilmente entusiasta di rivedere un amico. E poi all' improvviso ci si sorprende a pensare che quest' uomo è nientemeno l'oratore onni.

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Il presente articolo è più o meno il resoconto del precedente intervento di Bou­ lenger.

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potente, l'animatore irresistibile della guerra in Italia, il grande sol­ dato, l'eroe di Buccari, del raid su Vienna e di tanti altri stupefa­ centi fatti d'armi, il guerriero glorioso , m utilato di guerra, quattro o cinque volte ferito in linea, e ogni nastrino del q uale rappresenta una citazione, l'indimenticabile condottiero, conquistatore, pode­ stà e profeta di Fiume, l'infaticabile, lo scintillante scrittore, il poeta immenso, autore di volumi senza numero nei quali il genio risplen­ de, il gran signore grazioso che, gettando senza tregua il denaro a piene mani, avrà fatto nascere intorno a lui la bellezza, sempre e dovunque . . . si pensa a tutto questo , all' improvviso, e allora, allora colui che non si sente venire le lacrime agli occhi davanti a que­ st'uomo, non ha molto cuore, in verità!" . Dopo aver detto che i l Comandante h a parlato con lui dalle 8 e mezzo alla mezzanotte senza dimostrare nessuna stanchezza, Bou­ lenger descrive il Vittoriale, che chiama " la casa magica" . "Ecco una camera parata interamente in pelle di daino color sabbia, rialzata di alcuni sottili fìli di un metallo p rezioso, fra o ro e argento. Ecco delle vetrate moderne, dalle belle tinte profonde. Ecco una sala da bagno sorprendente e multicolore. E poi una stan­ za di un rosso violento e allo tempo dolce, un' altra stanza p iena di graziosissime statuette e coppe e fìori dell' arte indù e cinese. "I fìori veri e viventi, sussurranti sotto il vento - mi dice il maestro - sono nel giardino, sotto il cielo seducente, io vado a far loro visite lunghissime. Ma qui non voglio che fìo ri divinamente cesellati dalla mano dei saggi dell'Estremo Oriente, di materie pre­ ziose, fìori che non si appassisco no mai. Guardate, guardate . . . Ecco una camera riempita di delicati mobili antichi. "Sono - egli dice - mobili per donna, fo rzieri dove si chiu­ dono i gioielli, i merletti, le piccole cose di pregio . Questa è la "camera della finitura" . Ma, siccome è indegno di un uomo com­ piacersi di queste cose effeminate, io ho poggiato sopra uno di que­ sti fragili mobili la sublime testa di un cavallo del Partenone, affin­ ché l'anima di tutti quelli che attraversano questo gabinetto ridi­ venga nobile. Guardate! In alto il cuore , cavaliere! " . Ecco una buona co pia d i uno degli schiavi d i Michelangelo : ma il Comandante ne ha velato le gambe, nelle quali trova un difetto d'armonia. "

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" Michelangelo, mi confida, viene talvolta a gironzare, sorpreso e irritato. Egli mi interroga ed io lo persuado" . I n una altra camera, suntuosa sebbene ascetica, e quasi mortua­ ria, il Comandante evoca teneramente il ricordo di sua madre, che egli amava così profondamente. E quante rilegature antiche, quante opere d'arte, quante mera­ viglie! lo comprendo, seguendolo, la frase piena di grazia che disse a lui, un certo giorno, un monaco francescano: " Tu sei veramente, don Gabriele, un fraticello di San Francesco, po iché egli aveva le stimmate, e tu hai le mani bucate" . La stanza più singolare della casa è certamente la sala da pranzo. Sul soffitto è tesa l'immensa bandiera di Fiume, rosso cupa con un serpente mordentesi la coda e le stelle d'oro. Ci ricordiamo d'aver­ la veduta questa bandiera magnifica in quel giorno d'ebbrezza e di gloria nel quale il condottiero Gabriele passò in rivista le belle trup­ pe della sua guarigione, al porto , nella sua Fiume piena d'amore: nel quale circondato dal suo stato maggiore, arringò così magnifica­ mente il popolo, dall'alto del suo cavallo, diritto sulla sella, nella sua unifo rme di colonnello , levando la mano guantata di bianco. La folla palpitante acclamava con frenesia. E questo avveniva sotto Nitti; Fiume era allora l'anima della patria italiana . . . Grandi e cari ricordi, che mi fanno ancora battere il cuore! S ulla tavola stretta e lunga c'è un tal ammasso di idoli di tutte le religioni che resta appena lo spazio sufficiente ai due convitati che no1 stamo. " Guarda in mezzo alla tavola - dice il Comandante - quella vecchia porcellana d'Oriente: è un gatto , il gatto di Maometto, quello che, essendosi una volta addo rmentato sulla manica del pro­ feta, egli non volle svegliarlo, al p unto che preferì non intervenire a una riunione importantissima, piuttosto che disturbare la povera bestiola. Questo grande esempio di pazienza dovrebbe presiedere a tutte le tavole, in tutte le camere da pranzo, per cacciare l' acrimo­ nia e l'asprezza dei discorsi che si tengono durante il p ranzo" . Il Comandante stima il digiuno un meraviglioso esaltante dello spirito. " I n poco tempo, egli mi confida, sette opere sono uscite dalla mia penna" . Michelangelo e San Francesco - in ispecie que­ st' ultimo , mi sembra, lo appassionino.

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" Era - dice il poeta - un santo molto coraggioso. Io l'ho cinto con la spada, della quale è degno. Spero del resto di presiedere in cattedra, su questo soggetto di San Francesco, nelle feste che avran­ no luogo fra poco, lo costruirò vivo , in carne ed ossa!" -. Gabriele D 'Annunzio pretende forse di essere creato cardinale? La Chiesa, sembra, lo preoccupa molto e, almeno secondo il suo modo di vedere, si interessa a molte opere pie. E dopo mi interroga sopra Parigi e la letteratura francese. Cita qualche nome e sospira: " Ohimè! Non leggo quanto vorrei. Come fare? Ogni gio rno ricevo centinaia di lettere e di telegrammi. Un vero ministero! C'è nulla di più terribile? " . Non abbiamo avuto il tempo d i parlare d i politica. Mezzanotte è venuta in un lampo. E aveva appena avuto il tempo di dirmi una parola sopra i varii uomini illustri, sui levrieri che egli ama, sui vestiti delle donne di cui egli trova ancora troppo bassa la cintura e sulle sue amiche francesi . . . Gabriele D'Annunzio si rattrista molto, quando gli dico che le sue belle amiche ora sono tutte prese dal furo re politico: egli ha conservato il ricordo di una Francia che il Cartello non aveva ancora sfigurato. "Ma vi salverete!" Egli grida. Egli lo crede. Che gli Dei lo ascoltino! l:ora avanza: dobbiamo separarci, il Comandante appunta una spilla sulla mia cravatta, un piccolo gallo. E mi dice so rridendo: "Che questo gallo vi rammenti sempre San Pietro , l' uomo debole. Quanto a voi, non rinnegate mai le belle emozioni di Fiume. Non rinnegate il vostro amico" . Ah! Caro comandante, quale civetteria! Eppure voi sapete meglio di ogni altro che un uomo dal buon sangue latino non rin­ negherà mai, in nessuna contingenza, né il coraggio , né la magna­ nimità, né l' intelligenza.

[In «Il Tevere» , 29 maggio 1 926] .

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ALFREDO TESTONI Una visita al Poeta-soldato [Il Comandante in divisa - 1preziosi oggetti - Fuoco! - La pro­ messa di un arrivederci] Non mi ero trovato con Gabriele D'Annunzio da moti anni, per­ ché credevo per me doveroso seguire la meravigliosa ascesa della sua vita immonale in un rispettoso silenzio, e non ho certo potuto nascondere l'ansia nell'attesa di rivederlo a quelli che erano meco nel desiderato viaggio; il Sindaco di Bologna, lo scultore Bistolfì, "il mirabile e adora­ bile Leonard� come pochi giorni prima scriveva il Poeta al prof Puppini - che semina di perpetue bellezze gli spazi dell'Amicizia e del­ l'Attesà', Arturo e Mario Gazzoni; che il Comandante voleva ringra­ ziare a voce per il dono del modello originale d'uno dei mascheroni della nostra fontana del Giambologna, e un amico caro al Poeta, l' av­ vocato De Concini. Nella prima saletta della ricca biblioteca non aspet­ tammo che pochi minuti. Entrò svelto e allegro il Maestro. Dov'era l'emaciato frate avvolto nel grigio sajo, circondato dalle bianche clarisse con le braccia al sen conserte in umiltà devota? Egli ci apparve nell' elegante divisa di generale dell' aviazione con il petto letteralmente coperto dai segni che testimoniano l'alto suo valore, e ci venne incontro a braccia aperte salutando ognuno di noi con parole calde, affettuose. M i guardò apparentemente burbero , dicendomi: - Perché, perché mi hai trascurato? - E battendomi le braccia al collo e baciandomi ripetutamente, seguitò: - Non ti ricordi più che la nostra amicizia comincia da quando io ero . . . caporale di cavalleria?

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Infatti era allora il bel soldatino biondo e ricciuto che compiva l'anno di volontariato. Aveva già scritto i suoi mirabili canti giova­ nili quando all'esame per passare ufficiale di complemento un colonnello esaminatore, dopo aver letto lo svolgimento del tema d' italiano, sentenziò : - B ravo D 'Annunzio! Se seguiterete cosl emulerete . . . Edmondo De Amicis. In questi giorni egli ha avuto un rincrudimento penoso della sua "vecchia faringite aviatoria" per cui il medico gli aveva prescritto col riposo un assoluto silenzio e invece ci intrattiene per quasi tre ore con la dolce armonia delle sue parole e l'espressione di un sincero comp iacimento che emanava dal suo nobilissimo volto , dandoci spiegazioni di tutti i meravigliosi oggetti che riempiono le numero­ se sale e formano un fantastico m useo rispecchiante la vivida fanta­ sia dell'ordinato re e dell'artefice. E per primo ci additò il prezioso dono del De Pinedo; la glorio­ sa elica dell'i ntrepido volatore. Pende dal soffitto circondata da una lucente raggiera dorata nella prima saletta della biblioteca "che una volta - aggiunge la nostra eccelsa guida - era una semplice cuci­ na. Ho voluto, come vedete, mantenere intatti i ganci che sostene­ vano i prosciutti" . E nel segnare gli adunchi ferri esplode in una serena risata che ripete ogniqualvolta vuole esprimere la sua soddisfazione per tutto ciò che ha raccolto, disposto , ordinato in quella originale dimora. - Io faccio di tutto ; - dice con aria semplice - l'orafo , il fab­ bro, il muratore, il giardiniere, il tappezziere! -. E ne dà continue prove additandoci vetrate a colori da lui stesso disegnate e per le quali si è assoggettato anche alla modesta opera manuale, decora­ zioni originalissimi, addobbi di tappezzeria, mobili d'ogni specie sui quali ha assegnato con somma cura ad ogni oggetto il posto adatto, dando a tutto quello che lo circonda un significato politico, storico, artistico che, attraverso alla forma eletta del suo discorso e in un continuo susseguirsi di immagini alate, acquista un valore, un interesse, un'importanza, una suggestione senza pari. Ecco un calco di Michelangelo - come il Poeta ne pronuncia il nome che raffigura uno dei prigionieri sulla tomba di Giulio Il. A lui è parso che la perfezione del dorso lasci scorgere più evidente la sproporzione d' una delle gambe ed ha coperto con una ricca stoffa

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nero oro, artisticamente disposta la parte inferiore del corpo. Leo­ nardo Bistolfi si ferma a guardare l'originale espediente mentre il Poeta lo fissa quasi timidamente e attende con ansia il securo giu­ dizio. - Nel mio studio - dopo un momento di silenzio dice lo scul­ tore: - ho io pure un nudo di cui non sono pienamente contento: farò altrettanto ! - Il volto di Gabriele s' illumina di un sorriso di soddisfazione e ripiglia allora con maggior lena a dare spiegazioni su quanto rac­ colgono quelle sale inimitabili. Ma chi può seguirlo nel lungo cammino in quel tempio di bel­ lezze? Ha avuto in dono una Via Crucis su quattordici meravigliose tavolette in maiolica, ed egli ha fatto tessere a Firenze una tela ugua­ le a quella dei primi frati francescani, poi dirigendosi sopra un dise­ gno in bianco e nero da lui stesso ideato , ne ha composto un pan­ neggiamento sostenuto da bianchi cordoni francescani, con il motto che si ripete su tutta la lunga parete: Pax et bonum, malum et pax. Ed ecco un antichissimo arazzo, in cui sono ricamati gruppi d'uomini e donne, che in vari atteggiamenti ballano, suonano, giuocano, si abbracciano tenendo tutti stranamente in mostra le mani aperte. Nel cornicione che lo sostiene il Poeta ha scritto: "Cinque le dita e cinque le peccata" . - Ma, Comandante, i peccati sono sette! E l'amabile signore di casa è pronto a rispondere gaiamente: - Per me i peccati sono cinque, perché non conosco né l'avarizia né l'accidia! Entriamo nella così detta stanza funelare. Dio mio! Quante se ne sono lette intorno a quel silenzioso luogo, dove il Poeta vorrà dormire l ' ul timo sonno rinchiuso nello stretto lettuccio! Si è fatto perfino correre la voce che in quella cameretta figuri un gran qua­ dro in cui Gabriele D'Annunzio nudo è abbracciato da San Fran­ cesco! Quante leggende e quante dicerie strane e poco rispettose sulla vita del nostro grande italiano! Non è che una piccola tavola in legno su cui è dipinto il Santo della povertà il quale abbraccia un lebbroso che ricorda nel volto i lineamenti del Poeta. E a chi ne domanda spiegazione egli risponde sorridendo umilmente:

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- lo sono il lebbroso! Dove la stramberia? Credo che non possa tradursi in forma più poetica il concetto così p rofondamente cristiano! E a lato del quadretto che è posto in una nicchia sovra il letto, sta una bella Madonnina scolpita del Bistolfì. Nella camera ove prende cibo , la tavola è ingombra totalmente di statue e gruppi rappresentanti idoli d'ogni forma e religione quasi a congresso per accordarsi poi su di un Dio unico . . . - Qui c'è poco per mangiare! . . . - Uno osserva. - Ma io sovente digiuno pere giornate intere, perché seguo la massima del sommo Murri: "La persona più sobria mangia dieci volte di più del necessario. Non mi piace il pasto in comune, tutt'al più uno . . . a tre occhi! E si tocca sorridendo la spenta pupilla. Si ferma davanti al mascherone di cui gli è stata fatta graziosa offerta. - Cho messo in degno posto - dice rivolto al donatore perché sembra in modo evidente l'effige del Beethoven in cui si gonfi l'afflato della Decima Sinfonia. È una portentosa trasfìgura­ zione dello spirito , dell'acqua nello spirito della musica! -. Usciamo all'aperto a vedere il dono del Municipio di Bologna che consiste in uno degli antichi stemmi della città scolpito nel muro del palazzo D 'Accursio. Il Comandante ne è oltremodo sod­ disfatto e ringrazia con effusione il prof. Puppini. Poi guardando attentamente l'interessante cimelio , che risale al Cinquecento , rie­ voca le gesta antiche di Bologna iniziatrice del movimento nazio­ nale contro le invasioni barbariche subendo con ero ismo le repres­ sioni di Teodorico. "Bologna - conclude - non solo è madre degli studi, ma pur anco delle azioni" . Il Sindaco allora prende occasione da quelle parole per dire del principale motivo di quella visita. - Voi, Illustre, che parlate tanto bene di Bologna, non man­ cherete di venire fra noi per l' inaugurazione del monumento a Gio­ suè Carducci, opera degna del vostro grande amico Leonardo Bistolfì. A nome di Bologna ve ne faccio viva preghiera. - Sì - risponde il Poeta - verrò a portare il mio contributo di venerazione al grande mio p redecessore che io amai non riama­ to! Non parlerò ufficialmente, ma sarò pari alla mia emozione. -

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Poi cambiando tono e riprendendo la sua gioconda loquacità e le schiette risate, seguita: - Verrei volentieri anche adesso! Ma vorrei poter venire come un uomo qualunque senza questo gravoso peso . . . della celebrità addosso! Io ho terrore soltanto della folla! Non sapete che a Fiume e a Roma m'hanno rotto quasi le costole . . . per entusiasmo? E molti anni or sono, p roprio a Bologna, fui vittima della cele­ brità! Viaggiando in automobile da Firenze a Brescia, nel rileggere una lettera diciamolo pure amorosa, osservò che la data del giorno, del mese e dell'anno formavano un perfetto terno da essere giuocato al lotto. Anche un grande poeta non disdegna la prosa della vita! E quei tre numeri gli si erano cacciati così fortemente in testa che appena arrivato a Bologna, va in cerca di un botteghino del lotto, ma appena ha fermato l'automobile è riconosci uto da un gruppo di studenti che gli s i stringono attorno agitando i cappelli e urlando degli evviva strepitosi . - N o n potevo - aggiunge ridendo - pregare quei cari ragaz­ zi a farmi largo perché volevo andare a giuocare al lotto! E il terno uscì nell'estrazione di Firenze. Avrei potuto così riscattare la Cap­ poncina, crudelmente toltami dai creditori! E seguitando a ridere, si stringe nelle spalle con aria rassegnata: - Non avrei poi il mio Vittoriale! E sempre a capo scoperto, precedendoci con passo lesto , vuole mostrarci tutti i lavori di costruzione compiuti o che si stanno com­ piendo dai suoi operai sotto la direzione dell'architetto del Vitto­ riale Gian Carlo Maroni, un combattente e ferito rivano: poi ci conduce sulla scura nave Puglia che troneggia in alto in vista del pittoresco lago. Chiama ad alta voce: " Lama! " . E l a voce maschia della sua fidata guardia marinara risponde: "Spalato ! " mettendosi sulla rigida posizione di attenti a lato dal suo cannone. Il Comandante sempre in piedi e sempre a capo scoperto ricorda con eroici episodi i giovani soldati che combatterono e morirono su quelle tavole insanguinate, senza mai un accenno all'opera sua glorio­ sa, ed evocando quegli spiriti eletti con forte voce comanda: " Fuoco!".

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E il cannone rimbomba in quel silenzio religioso. Non vi è uno fra di noi che non sia toccato da profonda commozione! Poi la fronte corrugata del Poeta soldato si spiana per ordinare che il cannone tuoni ancora in segno di festa come per saluto e augurio agli ospiti graditi. I..: ultimo comando di - fuoco ! - è "per la magnifica città protetta dal bel santo Petronio" . È già l'ora del tramonto. Discendiamo verso la dimora ospitale e siamo noi che preghiamo la nostra illustre guida a farci transitare per il ponte di Rivotorto, perché possiamo noi pure ottenere le grazie che desideriamo. E anche questa volta il Poeta sorride. Egli, che si con­ fessa eccessivamente superstizioso, ha la sicurezza che nel compiere un atto d'umiltà si possa ottenere ciò che intensamente desideriamo. I..:elemosina di un soldo non è certo gravosa e pure è bastante per fare ed ottenere del bene. E in nome del Santo più povero, più umile e più possente il Poeta raccoglie l'offerta nella mano distesa. Tornati in una delle sale della biblioteca, egli ha un'altra gradita sorpresa. Un incognito ammiratore quel giorno stesso gli ha man­ dato in dono una copia in terra cotta della testa di Athena-Lemnia attribuita a Fidia. Egli la guarda, l'ammira, ne gioisce e preso un ramoscello di lauro , lo consegna ad uno di noi. - È nel vostro Museo Civico l'originale di questa perfetta scul­ tura in marmo di scalpello greco dei primi tempi imperiali romani. Desidero che sulla colonna che regge la magnifica opera, siano poste per me queste foglie sempre verdi -. Poi la conversazione si svolge into rno ai più variati argomenti. Si accenna anche alle lingue parlate d' Italia. - Io amo i dialetti - dice - e ho scritto poesie i n napoleta­ no , ma più specialmente in milanese e in romanesco pre ndendo ad esempi il Porta e il Belli. Scriverò un sonetto in bolognese e lo man­ derò a te. - E a me si rivolse. - No, grande amico diletto - risposi - Lo porterai, spero , tu stesso la ventura primavera quando verrai nella m ia Bologna. Volevo risentire la promessa che egli aveva fatto al sindaco di Bologna. E p romise di nuovo. [In «Il Resto del Carlino>> , 1 7 novembre 1 926] .

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ORIO VERGANI

Con D'Annunzio al Vittoria/e [Il Vittoria/e un immenso mosaico: il teatro Parlaggio e il museo Schifamondo - ((Il più grande tappezziere del mondo» - La nave Puglia - Sulla scena per La Figlia di Jorio - La Nudità è finito] Gardone Riviera,

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agosto.

L architetto del Vittoriale lascia il suo studio per venirci incon­ tro sulla piazzetta del Pila dalmatico. Non potremo vedere il Comandante prima delle sette. Intanto, come ci ha scritto - poi­ ché gli avevamo chiesto ci acconsentisse di vedere le opere di adat­ tamento per il teatro all 'aperto dove l' undici settembre si reciterà la Figlia di forio, - ci sarà guida nell' esplo rare i lavori "scenici" l' ar­ chitetto Giancarlo Maroni. Eravamo già arrivati innanzi alla porta ermetica della Prioria, là dove si legge "Clausura - finché s'apra - Silentium - finché parli" . Bisogna tornare indietro. Il giro del Vittoriale comincia ben prima, là dov'eravamo passati in fretta sotto certi archi, dopo esser­ ci lasciata a destra la chiesa parrocchiale di Gardone Soprano e a sini­ stra i locali del garage, che D'Annunzio ha ribattezzati "difroteca" . E, poiché la grande rappresentazione dell' undici sarà a beneficio della "santa fabbrica" , a beneficio delle pietre di questo Vinoriale che il Poeta ha già donato al popolo italiano , non bisogna dimenticare le pietre, fin dal principio di quella prima cinta alla quale dovrebbero seguirne altre due. Particolarmente quando si tratta di pietre come

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questo "broccatello rosa" di Caprino Veronese e di quest'altra, che ha un nome cosl capricciosamente dialettale, il giallo "persegnino" , che, nei pilastri, negli archi e nelle nicchie dei due voltoni nel portale d'ingresso, riescono così bene, con i loro due colori caldi e maturati al sole, a incorniciare la natura senza sopraffarla.

L'eremita de le pietre. I.:architetto Maroni, - Barba a collare come Caracalla, e occhi azzurri da eremita delle pietre, è da sei anni quassù con il Comandante. Tutto passa per le sue mani, in questo cantiere dove si mescolano pietre e alberi, calce e broccati, stemmi comunal i e sta­ tue, smalti e librerie, ruscelli e oliveti, ferri battuti e quadri e cera­ miche, gli avanzi sacri e le novità profane, i ricordi ero ici e i ricor­ di d'arte, a comporre in un quadro solo tutti i toni di una tavoloz­ za architettonica che comprende i cento stili e le mille aspirazioni del Comandante. Perché al Vittoriale non si fa soltanto una villa; ma si compone un immenso mosaico , all'aperto e al chiuso , con gli elementi apparentemente più disparati, coi più vasti e i più p iccoli, una nave da guerra e un vetro di Murano, una statuetta di Lao-Tse e l'elica del " Gennariello" , lo sfondo del lago e la baracca che fu del Comando del Campo di aviazione a San Nicolò di Lido , il torso del Belvedere e una stoffa del tempo di Borso d' Este, il p ianoforte di Listz e l'arengo con le colonne delle ventisette vittorie, i ponti degli Scongiuri e delle Lepri e della Testa di ferro, i massi delle montagne di guerra e la statua di San Francesco col pugnaletto del volontario di guerra, le vetrate policrome e i leoni di San Marco. Si fa un museo e un parco , un reliquiario e un panorama e un eremo. L ar­ chitetto Maroni va per i meandri del parco e i labirinti dei cortili, tra le pietre preziose e i ruscelli, tra una colonna di onice e un marmo del Sansovino, tra le gabbie "cani sodali" e le statue della Canefora e di Cesare nel frutteto, come il pastore che controlli l'or­ dine nel suo gregge prima di sera. Dice i nomi coi quali il Poeta ha nuovamente ribattezzato ogni cosa. Non più francescanesimo nei nomi. Non più Prioria, no n più Porziuncola e San Damianello e San Damiano. Il ruscello non si chiama più Rivotorto , ma l'Acqua -

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Pazza. Le fanti non son più Clarisse. Il Comandante ha dato loro nomi giocosi , uno per mese: un mese si chiamano per esempio, la Pestapepe. D 'agosto si chiaman B ratte.

Il

''Parlaggio " e lo "Schifamondo "

l muratori benché imbrunì, sono al lavoro. Molto è fatto, molto

si sta facendo, molto si deve ancora incominciare. Al lavoro normale si è aggiunto, di questi giorni, anche quello per il teatro della Figlia di forio. Bisogna, però, arrivare a tutto. L architetto indica un prato. " Là sta per sorgere il borgo delle arti e mestieri, dove saranno le botteghe e i laboratori di tutti gli artigiani del Vittoriale." Mostra un avvallamento semicircolare. "Qui si farà il teatro che il Coman­ dante chiama già il Parlaggio. " Il Teatro per l'undici settembre? No. Quello sarà u n teatro prov­ visorio, destinato a un solo spettacolo. Questo sarà un teatro stabi­ le. Il Comandante potrà accedervi direttamente dalla propria abita­ zione, senza dover scendere nella piazzetta dei Pilo. La piazzetta verrà serrata in un chiostro che svolgerà i suoi colonnati sui tre pia­ nori degradanti. Un loggiato superiore condurrà dallo Schifamon­ do al teatro. Avrà, questo teatro, le sue gradinate semicircolari come quelli ellenici, il palcoscenico sarà costruito con l'applicazione di un sistema di rotaie su cui si sposteranno volta per volta blocchi di scene solidamente costruite. Sarà una volta una muraglia, un'altra volta una serie di archi, gradinate, colonne. Grandi masse sobrie di una architettura semplice e austera, che non avrà nessun senso di posticcio e di improvvisato. E lo Schifamondo? Ecco, per orientarsi, nella piazzetta, altissima, sorretta nel piedestallo decorato, da otto mascheroni, l'antenna che regge la statua della Madonna dalmata. Di fronte l'antica Prioria, con la facciata un tempo rivestita di rose e oggi ricoperta con gli antichi stemmi di pietra donati dalle città italiane. A sinistra, collegato con un cavalcavia formante il Cenacolo dell'Angelo, l'edificio a due piani dello Schifamondo, attorno a cui si lavora ancora, e che accoglierà a pianterreno il corpo di guardia del Vittoriale, e nei piani superiori la grande sala del Museo di guerra, con l'aeroplano di Vi enna, e il

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nuovo studio del Poeta, che avrà in ogni finestra la statua di una musa. Ledificio vien su un poco alla volta, pietra su pietra.

Il più grande tappezziere Ma, prima che, attraverso i gradini, giù per la valletta dell'Acqua Pazza, ci si avvii ad esplorare i luoghi dei lavori scenici, alle spalle della prua d'acciaio della nave Puglia e a fianco del Colle delle Arche Sante dove, tra l' uliveto, riposa nel sarcofago di pietra d'Ave­ sa, la spoglia mortale di Itala Conci, il Comandante ci fa richiama­ re. Vuoi essere lui la guida. Lattendiamo nel cortile degli Schiavo­ ni, dove, dalla veranda della " Via Crucis" , si scende dalla casa per una scaletta esterna. Lattendiamo nella Loggia del Parente, dedica­ ta a Michelangelo, dov'è un cenacolo all'aperto. Mobili di antico noce, stemmi , lapidi e iscrizioni. La cura decorativa del Poeta si spinge a studiare tutti gli accordi di colore, anche fra le più minute cose: la rilegatura di un libro, un frutto di vetro soffiato, un'anfo ra, l'oro che rialza un ferro battuto. " Bisogna convincersi che più ancora che poeta, che romanziere, che uomo di guerra, - dice il Comandante, - io, nel Vittoriale, ha dato la prova di essere il più grande tappezziere del mondo . " Sorride. Ride, anzi, con gioia. Veste di chiaro. È senza cappello. Tormenta i guanti scamosciati bianchi. Parla con quella sua acuta voce che si modella vigorosa e incide e martella quando legge, qua e là, uno dei tanti motti dipinti sulle pareti. - Questo è il portico di Michelangelo. Ecco i tre versi suoi, che egli ha scritto per me: 'T vaglio contro l'acqua e contro al foca" ­ "Col mio segno rallumino ogni cieco" - "Col mio soffio i' sano ogni veleno" . Michelangelo , che era toscano, aveva scritto : "E col mio sputo i' sano ogni veleno. " Mi sono permesso di modificarlo.

Sulla "Puglia" Va. Tocca il calco del torso del Belvedere, tra le due erme di Omero e di Michelangelo ciechi. " D ivo Bonarroto sacrum" . Si

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appoggia alle "vere" dei pozzi. La voce risuona nelle cavità, contro l'acqua ferma. Narra storie francescane, riferisce discorsi di frati. Non gli disse uno : " Voi siete veramente un fratello del Poverello. Lui aveva le stimmate, e voi avete le mani bucate" ? Il giocoso si oppone al lirico e all'eroico. Ci muoviamo per la valletta della Daf­ nea, giù per un sentiero che, difeso da ripari di legno, si affaccia come un balcone sul bosco di lauri e dal frutteto sale verso il colle della Fida. Il tramonto d'oro filtra fra gli alberi, e il Poeta vuole fer­ marsi, ogni tratto , a guardare. " Il Vittoriale, - dice, - è lavorato come una mia canzone. " Rime di pietra, d'alberi, di ricordi : accen­ ti di memorie, di eroismi, di sacrifici. Prima di andare dove si lavo­ ra per il teatro , si deve salire sulla nave Puglia, sacra alla memoria del sacrificio di Stefano Gulli, ucciso a Spalato. Chiama a gran voce Cama, il marinaio della nave inchiodata al colle. La voce risponde alta per il bosco " Spalato ! " come un giuramento. Saliamo sulla nave, che ha la prua volta al lago, e giganteggia come un baluardo d'acciaio tra una corona di cipressi. Il coman­ dante è contento della sua nave, è contento del suo marinaio sicilia­ no, che sta diritto sull'attenti, dopo aver lavorato tutto il giorno a calafatare la tolda. " Questo marinaio ha nome Cama, che nel mito indo era, l'Amore." Sorride. Gli batte una mano sulla spalla. Il mari­ naio è p ronto, con la mazza austriaca, a far udire la squilla della cam­ pana che il Comandante salvò tra le macerie di Mo nfalcone. Qui c'è tutta la guerra. La nave dovrà essere serrata, "come le navi esploratrici fra i ghiacci polari" , fra blocchi di tante pietre quante sono state, in tutti i tempi, le vittorie navali italiane. Dal­ l' albero di prua, dove ora la struttura d'acciaio è mozza, il resto della nave verrà costruito in una p ietra color delle corazze, e sembrerà cosl nascere dalla montagna. "Quando io partirò per un'altra guer­ ra, quella a cui io sono destinato , il ferro e l'acciaio e il bronzo e il rame e r utta la sostanza metallica della Puglia si trasformeranno d'incanto in pietra viva fondendosi alla pietra poppiera . " C'è tutta la guerra. E c i sarà, fra poco, anche una teleferica che il Governo ha donato al Comandante e che unirà il terrapieno della Puglia a un appoggio di fronte. Là, come negli eremi dei trap­ pisti che ricavano il denaro per la costruzione della chiesa dalla distillazione delle essenze, - si distillerà il liquore dell'eremo di -

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Cargnacco. D'An nunzio vanta lietamente i meriti della sua Cera­ sella di Fra Ginepro. "Agli amici, lo dico a tre occhi, sarà data una provvigione del trenta per cento. " È tutto lieto di questo suo gioco d'industria, e di questo trenta per cento. Ha mandato in dono il liquore a Raimondo Poincarè. Questi gli ha scritto dicendo che si è fatta già tanta fama, a Parigi , la Cerasella di Fra Ginepro , che si augura, con i guadagni che ricaverà del trenta per cento , di risolve­ re totalmente la crisi del franco.

Il teatro per la Figlia di forio Ma già, intanto , si è fatta notte. D'un tratto una grande lampa­ da si accende sul colle, a illuminare il lavoro dei braccianti che tagliano lo spiazzo dove si aduneranno i cinquecento spettatori della Figlia di forio. Scendiamo dalla nave, ci muoviamo per l'erta. I picconi lavorano nella terra e fra le selci lanciando scintille. Sol­ tanto due ulivi hanno dovuto essere abbattuti. Ma bisognava ugual­ mente atterrarli più tardi, perché sin qui si stenderà lo scafo della nave di pietra. Si era pensato, in un primo tempo, di preparare con grandi tavolati il pavimento della platea. Il Comandante non ha voluto. "Poseranno i p iedi sull'erba del Vittoriale. " Ma si chiede: " Farà a tempo a crescere l'erba se la semineremo?" L architetto Maroni ha pensato anche a questo ; e ha già pronte le zolle di un prato. - Quando le metteremo a posto, - dice il Comandante, m i sembrerà di tornare ai miei tempi d'Abruzzo , quando andavo coi compagni nella pineta a cercare erba e felci e muschi per o' pre­

sepe. Spiega la disposizione dei due palcoscenici, a oriente e a occi­ dente. In uno la casa di Aligi è già costruita nel suo telaio di trava­ ture. Dal lato opposto si aprirà la grotta del secondo atto , nascon­ dendo la nave. Da una fenditura del fondo si vedrà il lago. La pro­ cessione dell' ultimo atto scenderà tra gli ulivi del Colle delle Arche, nell'ora del vespro , alla luce delle fiaccole. - Gian Carlo , non potresti inventare qualche macchina per­ ché, a un tratto, gli ulivi si sradicassero e fuggissero per la valle?

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No. Gian Carlo Maroni non può arrivare anche a questo. La notte è nera. Entriamo nella baracca che fu al campo di San Nicolò a Lido e che ricorda le vigilie di cento imprese di volo. In ogni asse del tetto è un motto. - Questo era di un aviatore milanese, che compiva in letizia i più alti ardimenti. Ecco i l suo motto: "Alegher! " . Il giorno della Figlia diforio voglio che turri gli aviatori amici m iei siano qui. Verrà anche De Pinedo. E il Comandante andrà, come era stato detto , i n volo a Viareg­ gio, per assistere a una prova? Sembra deciso ad andare: non il 2 1 , che è giorno anniversario del volo su Pola; ma il 23. Ha qui il suo idrovolante col motore Asso che può portarlo laggiù in un'ora. Ma lo rende forse ancora dubbioso il fatto di voler schivare l'applauso delle folle, la curiosità della massa attorno al "fatico ne nazionale" . Qua attorno hanno compreso il suo desiderio; e quando è stato all'Arena, a Verona, l'hanno festeggiato in s ilenzio, non potendo altrimenti, con una grande improvvisa luminaria di fiammiferi. " Per ringraziare ho fatto come un fanciullo. Ho acceso anch'io con­ temporaneamente quattro o cinque scatole di fiammiferi . . . " Ma la folla estiva e bagnante di Viareggio? Non si accendono fiammiferi col sole . . .

IL nuovo romanzo compiuto E si torna giù per la valletta, alla luce delle fiaccole. È ormai notte alta. Prima di andarsene fa accendere il fanale all'albero di prua, sulla nave. Il cammino è dubbio , tra il mormorio dell'Acqua Pazza e il trillare senza fine dei grilli. Parla delle opere che verranno rappresentate. Non ne aveva, con sé, neppure una copia. "Non mi p iacerebbe di murare nel mio castello , se io fossi un tirannello, neppure i cadaveri dei miei peggiori nemici . . . " Non le rico rdava nepp ure. Gli nominavano un personaggio? Gli sembrava ignoto , di non riconoscerlo . . . Quando Forzano gli ha riletto (''bene, con commozione e senza enfasi") la Francesca, l'ha ritrovata come n uova, con felicità. Hanno passate cene notti cosl, senza riposo, fino all'aurora, nello studio dove siamo adesso, che è sopra alle stan-

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ze piene di libri, di penombre, di damaschi, di statue e di apparta­ menti della Leda, sopra la "Zambra del Misello" e la " Cella dei p uri sogni" . Là è tutto luci nascoste, colori opachi, selva di cose prezio­ se. Qui è lo studio bianco con i grandi tavoli sovraccarichi, e la immensa lampada di tremila candele, "che mi permette di scrivere in una luce solare, senza veder l'ombra della mano . " Qui lavora. Qui è stato, l'altro ieri, Emile Fabre, q uando è venu­ to a leggergli il testo della FiaccoLa sotto il moggio, a spiegargli tutti i particolari delle disposizioni sceniche per la esecuzione che se ne farà in novembre alla Comédie française. Qui, negli ultimi giorni, si concerteranno i ritocchi ultimi alla esecuzione della Figlia di forio. E qui, intanto, il Comandante lavora tutte le notti. Ha compiuti i cinque nuovi libri, e soltanto di qualche opera sta ancora "esplo­ rando la topografia" . Uno dei romanzi La Nudità è finito. Sarà il libro della raggiunta nudità spirituale, quella verso la quale si va passando per le esperienze della vita. Se, negli altri romanzi, D'An­ nunzio si dava volta a volta, il nome di Andrea Sperelli o di Gior­ gio Aurispa, in questo il p rotagonista avrà il suo nome: si chiamerà Gabriele D'Annunzio. E l'altra opera quasi compiuta? È " Il terzo luogo" . Ci sono due luoghi: la vita e la morte: la mo rte che è per taluni gloria, martirio, o riposo, o disfatta. Ma per qualcuno, oltre la vita e la morte, c'è un terzo luogo . . . Scrive alla notte, nello studio bianco, entro questa l uce da faro. Attorno , il Vittoriale veglia nella tenebra con tutte le sue glorie e le sue memorie pietrificate. Arde soltanto, alta come una stella, la lampada s ull'invisibile antenna della nave insanguinata davanti a Spalato.

[In «Il Corriere della Sera>> , 2 1 agosto 1 927]

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MARIO CORSI Con D'Annunzio al Teatro del Vittoria/e Una visita alla casa di Aligi - Scena e novità - Rocce che s'in­ nalzano alla Luce elettrica - La buca del suggeritore - L'entusiasmo del Poeta. Brescia,

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settembre. (Nostra corrispondenza particolare)

Le p rove sul capace palcoscenico del "Teatro Sociale" , comin­ ciate alle dieci del mattino ed interrotte per un'ora appena a mez­ zodì , sono terminate a sera, ed i 30 chilometri che separano Brescia da Gardone li abbiamo percorsi in assai meno di trenta minuti , ché Gioacchino Forzano, se da qualche anno s'è rivelato diretto re arti­ stico tra i più eccezionali e, in questa vigilia dannunziana, organiz­ zatore infaticabile e guidatore di artisti e di masse prodigiose, da più antica data, e non immeritatamente, ha fama di saldo ed audacissi­ mo guidatore d'automobile. Come in teatro è un pugno ferreo ed un superatore di difficoltà, cosl al volante è un sicuro divoratore di strada. Siamo arrivati al massiccio portale di dura pietra e spalancato del Vittoriale che già imbruniva, e l'automobile s'è fermata presso il pilo della Vergine dalmata, davanti alla calma istoriata casa del Poeta ermeticamente chiusa. Giancarlo Moroni, il "fido granatiere" del Comandante, mastro architetto da tre anni del Vittoriale, dalla esp ressiva rustica testa un po' sognante, la bizzarra barba tondeg­ giante che gli cinge il mento e le gote, gli dà qualcosa di ieratico e

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fa pensare a certe sculture in legno di santi dugenteschi - ci accompagna subito. Forzano, Tommaso Monicelli e me, per un'er­ ta strada scavata in mezzo agli ulivi nel piano del monte, a visitare i lavori del teatro all'aperto dove, tra non molti giorni - l' 1 1 set­ tembre - si svolgerà lo spettacolo della Figlia di forio. Ad un certo momento, Forzano vuole che si chiudano gli occhi e conduce i visitatori per mano , e non vuole che vedano fino a che non lo ordinerà lui. Cosl si percorre ancora alcuni metri in salita; e poi è consentito di vedere. È come se un prodigio si disvelasse. Coloro che godranno il privilegio nell'ottavo anniversario della Marcia di Ronchi , di assistere alla rappresentazione dannunziana non possono nemmeno lontanamente immaginare in quale magico quadro la terribile tragedia di lussuria e di amore della vita abruz­ zese si svolgerà. Poco sopra la prora della nave Puglia , là dove i pallidi e selvatici ulivi discendono a larghi scalini verso la riviera di Gardone, l'archi­ tetto Maroni ha fatto tagliare a mezza costa dalle squadre operose de' suoi terrazzieri, un fianco del colle, e ben spianarlo, ed a monte, su d' un rialzo a guisa di palcoscenico, ha fatto una grand'aia in rozza pietra, e v' ha nel fondo costruito una vera - vera, intendia­ moci - rustica casa di contadini abruzzesi , con uno spazioso por­ ticato dai molti pilastri bianchi di calce, ed il gran tetto spiovente con vecchie tegole di muschio, e sui fianchi il fienile, e la stalla per gli armenti e le mandrie, e i viottoli scoscesi che vengono gi ù dal monte sino all'aia . . .

La grotta del Cavallone Vastissima dinanzi alla piccola platea erbosa è la scena della casa e del paesaggio naturale che con essa forma un sol quadro, da cui vedremo, al primo atto, Mila di Codra, la femmina randagia ecci­ tatrice, con la sua bellezza, di lussuria e d'odio , correre pei dirupi inseguita dalla masnada ebbra dei mietitori che vogliono conoscer­ la e farne strazio , ed irrompere nella casa del pastore Aligi, e sma­ garlo ; ed al terzo atto , nell'ora del tramonto , arrivare pel monte, davanti alla casa in lutto, la processione del popolo col parricida,

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cui la madre darà la tazza del consolo , e che al momento del sup­ plizio, Mila riuscirà a salvare, proclamandosi essa, figlia di mago, colei che ha stregato Aligi ed ha ucciso Lazzaro di Roio. E la grotta di Aligi? È là, dalla parte opposta della casa, sopra un altro ripiano eleva­ to, dinanzi al gran lago , che si scorge attraverso la sua apertura, in un ammasso di rocce gigantesche. Per avere una grotta che avesse aspetto di verità e somigliasse a quella del Cavallone davanti alla Majella, l'architetto Maroni ha dovuto compiere per davvero pro­ digi, con praticabili giganteschi e camminamenti nascosti per gli artisti, di qualche centinaio di metri. Gabriele D'Annunzio , che svelto ci ha raggiunto sui l uoghi del lavoro , è fiero del suo fedele architetto, divenuto per l'occasione uno scenografo eccezionale, tale da esserci invidiato e da gareggiare senza tema di raffronto con tutti i famosissimi Max Rehinart e Copeau di questo mondo. Con parole piene di affettuoso entusia­ smo ci mostra ogni particolare dell'opera bella e nuovissima. Ci dice, con fresca e colorita vivacità di parole, che iersera a mez­ zanotte è venuto quassù, ed ha trovato il suo Giancarlo tutto inten­ to , con cinquanta e più operai , ad innalzare le roccie della grotta d'Al igi , alla luce di alcune lampade elettriche e di miriadi di tremule stelle. E gli è sembrato d'essere veramente nella sua terra d'Abruz­ zo , sl che ad un certo punto ha cominciato a parlare in dialetto natlo, come se fosse stato tra i pastori della sua divina Majella . . . Poi , con un gran riso fanciullesco ci racconta come, nella sua visita notturna del giorno prima, abbia chiesto all'architetto dove si sarebbe svolta la scena del quarto atto. Stupore di Maroni: La figlia di forio non ha che tre atti. "Ma sei prop rio sicuro , Giancarlo?" gli domanda perplesso il Poeta, non ricordandoselo più. " Fammi vede­ re il libro . . . " . E conclude: " Sono passati tanti anni dacché non vedo rappresentare e non leggo la mia tragedia, che m'ero fitto in capo fosse in quattro atti . ". E senza malignità di critica, ha detto a Giancarlo: "Che fortuna siano soltanto tre! " . Additandoci i l punto p i ù alto delle rocce, soggiunge che i l pub­ blico vedrà apparire di lassù, sull'apertura della grotta dell'Angelo muto, l'indemoniato co' suoi custodi. " Il suggeritore - dice avrai il suo buco là, nella roccia . . . " . .

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Come lo spettacolo dovrà svolgersi egli precisa in ogni partico­ lare. Ci saranno, avverte, in quel pomeriggio, al Vittoriale, le varie rappresentanze de' suoi compagni d'arme della grande guerra e di Fiume: i fanti del Carso, gli eroi del mare e del cielo , un drappello de' suoi bianchi lancieri "Novara" - "non a cavallo , però ! " - e i suoi più fidi intrepidi legionari; ed ogni atto sarà annunciato da un colpo di cannone della nave Puglia, ed al suo grido di battaglia, tutti i compagni di ieri e di domani risponderanno col sacro nome di Spalato! . . . S'è fatta notte. Forzano ricorda che la prova al "Sociale" di B re­ scia è fissata per le 2 1 . "Allora, subito in macchina!" esclama D'An­ nunzio , lanciandosi a corsa verso la Prioria, seguita dal fido Gian­ carlo. Che corsa, le due macchine, nella notte! Le nuove rigorose ordi­ nanze ministeriali sulla velocità degli automobili sono invero, sta­ volta, poco rispettate. Ma alle folli corse del Comandante per le strade del Gardense, sulle profonde acque del lago virgiliano , e pei cieli alpini, la gente di quassù è ormai abituata. I chilometri sono divorati tra nuvoli di polvere in un baleno, ed all'ora convenuta, la macchina del Poeta e pochi minuti dopo quella di Forzano sono alla porta del teatro.

IL poeta alle prove di Brescia D 'Annunzio, nella bianca uniforme di generale dell'aviazione, col pugnale dei legionari fiumani alla cintola, vuoi conoscere ad uno ad uno tutti i suoi nuovi interpreti. Nel rivedere Emilia Varini, saluta in lei gioiosamente il suo magnifico " Malatestino" : "di 25 anni sono" avverte l'attrice. Ma il Poeta non vuoi sentir parlare d'anni: non bisogna contarli! . . . A tutti raccomanda di essere semplici e chiari. Bisogna sfatare. dice, la leggenda che egli sia uno scrittore oscuro, difficile, compii· cato. Chi non ricorda la facezia di un tempo, quando ci si stupiv� che egli, tradotto in tutte le lingue del mo ndo non avesse pensato � farsi tradurre anche in italiano ? . . . Ride. Poi torna a parlare della sm semplicità d' artista; e della necessità che i suoi interpreti si liberi ne

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di q uella enfasi lirica che in passato era nella recitazione dei suoi poemi, ricordando che perfino la " D ivina Scomparsa" , nella Fran­ cesca almeno, non seppe sfuggire interamente al fascino del canto. Accenna anche a quello che è il suo decalogo sulla semplicità. Ma Forzano vuole che il Comandante senta e veda una prova della Francesca da Rimini, ed il primo atto, in un magnifico scena­ rio luminoso del Marchioro - il cortile del palazzo di Guido da Polenta - incomincia. Il comandante è entusiasta della messa in iscena e della esecu­ zione, e continue parole di fervido elogio prorompono dalle sue labbra. Non s' immaginava che le creature del suo poema di sangue e di lussuria potessero avere ancora tanta vitale freschezza. Stasera l'abbiamo visto gioire allegramente alle scene lepide e salaci delle ancelle di M adonna Francesca col giullare e con l'astronomo ed il fùosofo , e commuoversi alle scene di passione ardente e lussuriosa di Paolo e Francesca, e a quelle d'odio e di atroce tormento di Gian­ ciano e Malatestino, gli o rditori dell' inganno e della vendetta. Poi , alla fine della tragedia - sono le 2 di notte - a tutti gli artisti esprime il suo compiacimento, e vuole tessere l'elogio del maestro di tutti, il suo grande amico Forzano che, con fervore e pas­ sione grandi, ha compiuto il miracolo di tutto rinnovare. Domani sera egli tornerà nuovamente tra i suoi giovani inter­ preti. Congedandosi, vuole che tutti, come i suoi fedeli di guerra, rispondano al saluto di: " Eja! Eja!" col fatidico grido di "Spalato" . E il nome della città di Dalmazia riempie come un rombo la gran­ de sala.

[In «Ii Giornale d'Italia>>, 4 settembre 1927] .

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ALCEO TONI Una visita a Gabriele D'Annunzio [L'atmosfera mistica e il ritratto del Maestro - Dalfrancescanesi­ mo al paganesimo - La sala deLLa Musica - Considerazioni varie suLLa musica] I pochi minuti d'attesa prima che il Comandante mi apparisca dinanzi come una visione, una visione vorrei dire naturale naturalmen­ te evocabile del luogo suggestivo e misterioso ove sono introdotto ad attenderlo, vanno a ripescare in fondo al mio essere interiore quel mio io semplice ed ingenuo che, ahimè, le soprastrutture sentimentali delle esperienze pratiche di questa nostra dura vita hanno come sepolto. Sono avvolto in un'ombra tra mistica e magica. È la celletta di un mistico religioso apprestata dal gusto raffinato di un raffinatissi­ mo esteta ascetico? O non un angolo forse di una biblioteca pre­ ziosissima ove uno spirito quintessenziale di umanesimo ha potuto adunare ed ordinare in una mirabile armonia di luci diverse, fievo­ lissime, le più ricche e gustose e disparate cose? Non sono facile alle facili suggestioni . . . Ho avuto la ventura di avvicinare gli uomini più illustri e singolari del nostro tempo: gli spi­ riti più alti, i caratteri più fieri, le menti più pensose, le nature più poe­ tiche. Li ho ammirati ed inchinati, e qualcosa ho avuto dal loro avvi­ cinamento e dall'emanazione fluidica della loro personalità, che ha dato come la tempra al mio carattere e qualche luce alla mente di cui non sempre e non quanto era possibile, purtroppo ho fatto tesoro. Nel giungere però al Vittoriale, anche smaliziato da quel tiroci­ nio di amabile indifferenza o di elegante scetticismo , come con

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troppa indulgenza lo si vuol chiamare, che in un settennio di eser­ cizio giornalistico si ha inevitabilmente da fare, non sentivo nulla di quella trepida emozione dalla quale si è presi in circostanze ed in momenti anche meno singolari di questo. D 'Annunzio? Sl: l'artista che più d'ogni altro ha riempito del p roprio nome l' epoca sua; l' uomo più discusso, forse, ed esaltato e vituperato del secolo scorso, il più ricco , il più prodigioso, il più strabiliante degli ingegni italiani dell'evo moderno; un maestro, come usa chiamarsi e si può aggiungere un mago, di tutte le arti; il Poeta dei più bei versi e delle più ardite e folli imprese dei dl nostri, rapsodo e guerriero ; alato di spirito anche nei voli più fortunosi e audaci del novissimo o rdigno aereo, come in quell'epico e m itico di Vienna . . . Chi non lo sa? Ma quanti mai sono sempre disposti , nella com une e distratta giornata del nostro comune vivere distratto, a riflettere sulla singolarità di tali fatti se non per sorriderne come di prerogative di uno spirito eccentrico, di un compassato esteta arcaizzante, quando non addirittura di un istrione? Credo che, in genere, ci abbandoniamo troppo alla superficia­ lità dei giudizi improvvisati con non meno superficiale saccenteria: e ci appaga di più un motto spiritoso che un ragionamento sensa­ to, più una frase paradossale che un pensiero logico, quadrato, p rofondo . Né, d'altra parte, l' ingegno come espressione massima della forza misteriosa umana, ha virtù di grandi attrazioni spirituali per noi, più solleciti, come siamo a por mente alle cose della vita materiale che a quelle dello spirito e distratti da queste, quindi con più facilità che non dalle contingenze reali spesso trascurabilissime e più banali. Ma in questo oratorio, non so se monastico o laico che si atte­ sta come l'anticamera m irifica del mirifico asilo ove vive l' uomo che attendo, mi ritrovo nella mia p rimitiva sostanza spirituale: sono ripreso da quello spirito religioso che vede come un riflesso di luce divina nella potenza creatrice del genio. Sento con semplicità istin­ tiva la forza magnetica dell'ingegno, l'azione del suo fascino sugge­ stivo che l'eccitata fantasia della mente curiosa vorrebbe indagare e spiegarsi. All'improvviso s'apre una tenda. Gabriele D 'Annunzio agile, con un moto , penso , di voluta sollecita cordialità, vien verso me; mi tende la mano, mi parla con calda voce e una manifesta

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affettuosità, come per mettermi, davanti a lui, nella più tranquilla naturalezza di atteggiamenti. L amore comune alle vecchie e gloriose musiche italiane, per cui, insieme, seppur diversamente, ci trovammo ad attendere ad un'o­ pera di volgarizzazione di questo grande inobliabile patrimonio artistico, gli suggerisce parole gentili e lusinghevoli da comprende­ re una modestia ancor minore della mia, che è tutta rannicchiata in me, ora, preso come sono da un reversibile ossequio. Il suo parlare è, pur nelle avvisaglie del primo contatto del colloquio, sciolto, immaginoso, dotto, musicale, vario: regolato come da un estro capriccioso, per modulazioni improvvise, ma non senza ragione e nessi consequenziali. Da una digressione sui lei e sul tu, dalla quale affiorano le prime facezie di pungente buon umore pei grammatici che non siamo, ahimè, la maggior parte di noi che in qualche modo facciamo la professione di scrittori, passa repentinamente ad una confidenza: un avvertimento , anzi, perché ti guardi, non si sa mai, dai mali passi della converenzione. - Il mio primo travaglio religioso dice, è superato. Non sono più francescano, sono tornato pagano, paganissimo. Non mi stupisce. Quella povertà troppo santa del poverello d'Assisi, quella sua sconfinata probità e continenza di vita, di paro­ le, di atti e quella sua inconcepibile mitezza e umiltà e semplicità di carattere, di cui alle volte sembra compiacersi come di una ostenta­ zione ironica contro la ferocia dei suoi tempi, in qual modo e come potevano a lungo accordarsi con lo spirito fastoso, tumultuoso, pro­ digo, attivo di tutte le attività, affamato di tutti gli appetiti, prova­ to ed insaziato, alle più ricche imbandigioni della duplice vita mate­ riale ed ideale di D'Annunzio ? Non doveva essere che una breve parentesi, com' è stata, necessaria all'esperienza del suo tempera­ mento pronto e capace a tutte le prove. Da San Francesco, per disquisizioni modulanti sottili e fugge­ voli, eccomi portato ad un argomento col quale ho consuetudine di trattazione, la musica, e respiro quindi nel mio m iglior aere, e posso seguire l'imaginifico Poeta con una certa confidenzial ità. La musica, che è la segreta e profonda animatrice dell' estro del Poeta, ed è viva, ispiratrice, dominatrice in ogni sua opera, e fu ed

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è considerata da lui come una delle forze e delle virtù specifiche del genio di nostra razza, ha in questo suo eremo una specie di cappel­ la votiva e celebrativa: una camera riservata alle manifestazioni p ra­ tiche di essa. Il Poeta, con una viva compiacenza che gli sorride in viso e dà alla sua voce un tono misto d'arguzia e di affettuosità, mi invita a vederla. Entriamo. Subito, all'improvviso, non riesco a distinguere nulla. Anche qui l'ombra domina sulla luce, e la luce affiora qua e là da p ic­ coli globi seminascosti: in basso giallognola; da un altro canto più in alto, violacea; in un diverso p unto rossa. Solo a poco a poco giungo a discernere i m ille e disparati oggetti di cui è piena, in mezzo una specie di catafalco, un pianoforte a coda coperto di un drappo nero; e ricche stoffe attorno, in ogni dove, e bronzi, marmi, sculture, dipin­ ti. In un angolo un'alcova, e, sul letto, una figura di donna, un "man­ nequin" : "la morte" , spiega il Poeta, e ride del mio confuso stupore. La m usica, egli dice, è la sola, senza logici trapassi graduali , l' in­ sociabile; che può far svariate da emozione ad emozione in un subi­ to, che può portare da un mondo di idee ad un altro con una rapi­ dità i nverosimile, per opposizioni contrastami inspiegabili. E allo­ ra, ecco che l'occhio attratto e compiaciuto dapprima nella visione di un levigatissimo verde di maiolica, in perfetto sincronismo visi­ vo ed auditivo con la musica che ora ascolto, svaga poi, voltato dalle modulazioni e dallo sfaccettarsi diverso delle luci di nuovi suoni, verso il rosso vivo e dolce di una lacca; e gira amoroso e si ferma su una colonna d'onice, che la mano tocca ed accarezza quasi in essa si fosse material izzata l' armonia di un accordo; quindi, per un brivi­ do di suggestione macabra si volta ancora e si affìsa alfine sul mal­ leolo scoperto della "morte" macabramenre misteriosa tra i corti­ naggi bui dell'alcova. Compiacenze di uno spirito fuorviato oltre ogni realtà com une e soltanto aperto alle immaginazioni più astratte dell'estro poetico e bramoso solo di vivere nella sfera di essa? Certo non è un uomo, D 'Annunzio , che possa stare e sia stato mai e stia al luogo com une della vita comune. La sua vita si è sempre animata ed ora più che mai, dalla fervidezza inventiva della sua mente fervida, che elesse già ed eleggerà sempre i modi del vivere inimitabile. Certo la sua vita è un capolavoro di poesia vissuta; è la fantasia stessa, realizzata

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in forme concrete ed in fatti materiali, di un genio proteiforme, contraddittorio, assurdo anche, come le grandi forze della natura. La musica, ora, è pel suo discorrere al sommo dei nostri pensie­ ri. Ci avvicina sempre più avvincendoci e dominandoci entrambi per uno stesso sottile inebbriamento spirituale; suscita una di quel­ le correnti di entusiasmo che, passando dall' uno all' altro , acquista a grado a grado sempre maggior potenza. I nostri Dei primigeni della musica, Palestrina, Monteverdi, Corelli, e i più fiorenti rigogli del nostro genio autocto no, il Da Venosa, il Cavazzoni, il Frescobaldi, Miche! Angelo Rossi , il Vivaldi, lo Scarlatti, ce li raffiguriamo da accenni scambievoli di rievocazione apologetica. La mia musicalità di musicista di un qualche magistero non sa oramai più frenarsi. Il pianoforte è lì. Istintivamente vi corro a tentar di suscitare la viva immagine sonora delle opere delle nostre ditiram­ biche magnificazioni. Le mie dita, che non sanno il giusto freno del­ l'arte e si muovono col vento della tempesta interiore, martellano i tasti scorrendo nervose e fallaci. La mia voce roca e solo calda e vibrante di emozione, tenta l'angoscioso e straziante urlo nel monte­ verdiano battesimo di Clorinda; si trova tremante e fessa nelle note finali di questo paradisiaco poema. Storpio , dimezzo, abboraccio. Non importa. Il Poeta integra le manchevolezze, scevra il caotico e l'arruffato, leggendo le carte musicali, e seguendo ne con una sua par­ ticolare e singolare intuizione. Non è una esibizione virtuosistica la mia, ma un raffigurare approssimativo , un evocare appassionato con l'impeto improvviso e infrenebile della sovraeccitazione artistica. Mi vi incita lo stesso entusiasmo del mio ospite singolarissimo, che è per altro, un intenditore di musica perspicace, raffinatissimo , severo. Così, e per molto, passa il tempo. Sono giunto al Vittoriale alle dieci di sera, ed è l' una e mezzo che ancora echeggiano note piani­ stiche che il Poeta commenta e ravviva con la sua parola, una paro­ la di un' altra musica rivelatrice. Nelle comunioni dell'amicizia più che in quelle dell' amore, osserva, le ore fuggono e lasciano viva ed intatta la gioia del co ntat­ to spirituale. Accomiatandomi all' indomani, il Poeta mi consegna varie sue let­ tere che io dovrò recare agli indirizzi scritti. S'era discorso la sera innanzi anche di comuni amici viventi e di un vecchio a me caro e che

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venero, illetterato, quasi analfabeta anzi, ma infervarato per chissà quali misteriose rispondenze spirituali del genio d'annunziano e, spe­ cialmente delle sue eroiche imprese di guerra. Degli amici comuni, uno musicista, gli fu vicino un tempo nello splendore della sua arte acclamatissima, ed è oggi dimenticato, in ombra, ed in dura solitaria afflizione; un altro uomo politico di prima grandezza, lo ha saputo da me, impastato, inopinatamente per moltissimi , di umanesimo lettera­ rio, così da abbandonarsi in certe ore di sosta del lavoro, alla citazione di lunghi brani poetici, inebbriandosi dei più bei fiori della nostra let­ teratura, da quelli dell'aspra selva dantesca a quelli dell'Alcione. Ebbene, le missive consegnatemi , andavano a costoro. Il Lucifero superbo che fu e si gloriò di essere e sarà quando gli occorrerà di voler essere, spietatamente, questo nostro Arcangelo di Poesia, che per taluni sembra confmato e condannato all'im­ possibile soggiorno del Parnaso e non può vivere e non vive delle nostre passioni terrene, sa anche dunque, piegarsi agli atti della più squisita tenerezza umana? Sente davvero umanamente la solida­ rietà della vita anche con uomini a lui distanti e di lui diversi e tanto inferiori? Sia pure anco ra bestemmiato e da bestemmiarsi, ma io mi rifiu­ to di credere che si debba considerarlo soltanto un "semidio empio od un angelo m alo" . Chi lascia trasparire da certe sue pagine tanto fonda malinconia, quand'anche sia stata soltanto disgusto e stanchezza sensuale, ed ha sfidato a più riprese la mo rte per un' idea che doveva pur superare in lui qualsiasi ragione d'ogni suo attaccamento alla vita: chi è capace di sorridere di compiacimento ed ha una parola di confortevole amore per chi palpita in qualche modo d'amore per lui, p uò non trovar grazia per tutte le supposte o vere eccentricità e contraddi­ zioni e stranezze ed assurdità che gli si imputano? C'è chi sorride con saputa facile ironia dei suoi mille ridevoli aneddoti, che sono spesso invenzioni facete del suo burlevole spiri­ to canzonato re. C'è chi pensa alla sua vita dispendiosa, regale, inconcepibile . . . Ma egli è un Poeta, soprattutto , contro tutto, anche contro se stesso. E chi gli nega gloria? [In «Ii Popolo d'Italia», 8 settembre 1 927) .

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HENRY PRUNIÈRES Un pomeriggio con D'Annunzio al Vittoria/e [Lo spirito musicale del Poeta - Ilpianoforte di Liszt: ricordo di un incontro - La passione scemata per �gner e l'indimenticato amore per « Claudio di Francia»- Memorie di Parigi: luoghi e persone]

Nuova York,

1 6 aprile.

Enrico Prunières, del New York Times, ha avuto, alcuni giorni or sono , a Cargnacco, una lunga e interessante intervista con Gabrie­ le D'Annunzio. Ecco come l' intervistatore narra ora la sua visita al Vittoriale: "Sarò felicissimo di darvi il benvenuto nel melodioso silenzio del Vinoriale, caro amico . " - Questo è il telegramma che ho ricevuto da Gabriele D'Annunzio, che è incorregibilmente ostile al linguag­ gio telegrafico: egli abbellisce, col suo stile poetico, tanto i messaggi che invia agli amici quanto gli ordini che dà al suo chauffeur. Non comprendevo pienamente la frase "silenzio melodioso" fin­ ché la porta del Vittoriale non si chiuse dietro di me. Mi trovavo in un vestibolo , in un santuario, in un museo? Stalli di cori tolti da conventi abbandonati, le pareti decorate. In alto alcuni dipinti anti­ chi . Nel mezzo della camera, sopra un tavolo massiccio del sedice­ simo secolo, un inestimabile crocefisso dipinto da Giotto. Nel sof­ fitto sco rsi a un tratto un' elica di aeroplano: quella con la quale De Pinedo compì la sua impresa: era congiunta alle travi dorate di una "gloria" in stile barocco in modo così perfetto, da parere che non vi

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fosse alcun anacronismo nella visione di questo oggetto modernis­ simo, posto nel mezzo di reliquie del passato. Notai audaci accostamenti di antico e di moderno: ricordi della Reggenza del Carnaro e trofei di guerra ordinati vicino alle più delica­ te maraviglie dell'arte: il tutto disposto con un gusto cosl raffinato, con un tale senso individuale di effetto decorativo, che né lo spirito né gli occhi erano offesi dall'inaspettato contrasto. In verità D'Annunzio è un "decoratore di genio", com'egli ama prodamarsi per celia. Un assoluto silenzio regna in questa sala tepidamente illuminata, dove l'occhio è di continuo attratto da irresistibili armonie di linea e di colore. Nella profondità di un tale silenzio c'è veramente della musica.

Idee sulla musica Una portiera si scosta, ed egli è innanzi a me. Mi porge le mani in atto di cordiale saluto . Il lo rivedo con la stessa emozione che p rovai quando presi commiato da lui più di tredici anni fa, nel­ l'imminenza della dichiarazione di guerra. Mi avevano detto che lo avrei ritrovato mutato; sicché rimasi colpito nel constatare il suo aspetto tuttora vegeto e vivace. Lo stato sociale è veramente una grande ingiustizia per simili uomini che non invecchiano mai. Le p rove della guerra e le gravi responsabilità superate non hanno in alcun modo tolto a questo straordinario artista il suo fresco entu­ siasmo, la potenza del suo pensiero, la sua immaginazione. Egli parla ora in francese, un po' lentamente, con accurata tornitura di frasi di stupenda bellezza; ora in italiano, con un accento vigoroso, un sottile spirito caustico , un' incantevole delicatezza di espressione. Non apre bocca senza creare una bellezza. Per oltre sei ore egli parlò di continuo, una breve risposta essendo sufficiente per provocare immediatamente in lui un nuovo e brillante sprazzo di spirito. Mi condusse per le sale e le camere del Vittoriale, additando alla mia ammirazione la sua opera decorativa, i suoi tesori d' arte e discor­ rendo in pari tempo piacevolmente sui più svariati argomenti. S i sente immediatamente che la musica esercita una potente attrattiva su di lui. Non ha essa infatti un posto d'onore anche nelle sue opere? Il Fuoco, Il Trionfo della Morte, Leda senza cigno sono

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tutte opere imbevute di spmto musicale. Sono scritte a guisa di poemi sinfonici: hanno il loro Lietmotiv, i loro ingegnosi sviluppi, le loro notazioni impressionistiche. In ogni camera si trovano vari strumenti musicali: organi, armo­ nium et similia. Ma ecco la sala per la musica. Senza dubbio un tec­ nico di acustica solleverebbe obbiezioni per i drappeggi che coprono le pareti, per le colonne irregolari che sono erette nel mezzo del salo­ ne. Tali apprestamenti difficilmente agevolano la diffusione del suono; ma il fine orecchio del poeta non si preoccupa della risonan­ za. Ciò che vuoi conseguire è la creazione dell' atmoifera; e in realtà ci si trova in un ambiente ideale di attesa, prima di udire una sola nota.

L'incontro con Liszt Due grandi pianoforti stanno a fianco a fianco: uno di essi è l'i­ strumento usato da Liszt quando venne da vecchio a Roma. A mal­ grado degli anni trascorsi, questo piano ha conservato al massimo grado la sua armonia e sonorità. Caltro fu donato a D'Annunzio dagli impiegati di una fabbrica italiana di pianoforti. Nel rendere grazie il poeta, in uno di quei voli lirici di cui è maestro, dichiarò che, appena l'istrumento fu collocato nella sala egli sentì dietro di sé lo spirito di Liszt, impaziente di udire se il nuovo piano fosse altret­ tanto buono quanto quello consacrato dalla sua arte. Ben tosto le corde risuonarono al tocco di invisibili dita, gli accordi crebbero di intensità, salirono fino alle stelle e spensero nell'empireo le vibranti note dell'A ngelus! Quando i giornali riferirono questa deliziosa fin­ zione, molta gente dedita allo spiritismo scrisse al Poeta per chieder­ gli maggiori particolari sull' interessante "fenomeno" ! Il nome di Liszt è ricollegato a molti altri rico rdi della giovinez­ za del Poeta. Da ragazzo egli entrò all'improvviso nello studio dello scultore Ezechiel, che amava e ammirava. Fermandosi sulla soglia, rimase affascinato dalla vista di un vegliardo dai tratti decisi e dalla splendida chioma bianca , che posava per il busto. Era Liszt. Il ragazzo p rese il coraggio a due mani per parlare di musica con lui. Il grande musicista si interessò al suo dire e invitò il ragazzo a fargli visita a Villa D ' Este, promettendogli che avrebbe suonato per lui.

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Alcune sere più tardi il giovanetto provò una delle più acute sensa­ zioni della sua vita. Liszt, in una camera a lumi spenti, fece scorre­ re le sue mani meravigliose sulla tastiera del pianofo rte illuminata soltanto dal chiaro di luna. Toccammo parecchi argomenti: ma la conversazione ricadde sulla musica. " Quest' arte - disse il Poeta - è sempre mutevole, cerca sempre di superarsi. Le forme mutevoli sono di secondaria importanza. Ciò che importa è il potere di irradiazione, è la poten­ zialità della m usica. Si può dire della musica quello che si dice del radium. In alcune opere troviamo in larga misura il suo spirito vivi­ ficante, in altre, invece, discerniamo con difficoltà tracce infinitesi­ me della vibrante energia. Per me la musica più bella è quella che contiene al massimo grado questo radium spirituale. "

Ulagner e Debussy E qui Gabriele D 'Annunzio mi ha confessato di non amare più Wagner con l' entusiasmo di una volta; perché il suo punto di vista è oggi alquanto mutato. Oggi gli pare che la passione del tedesco per gli eccessivi sviluppi tematici diminuisca di quando in quando nelle opere wagneriane la potenza di quella misteriosa energia cui alludeva discorrendomi. Ha anche deplorato che pochi, nel pubbli­ co, sieno realmente capaci di apprezzare le finezze dell'arte musica­ le. E mi ha raccontato la tortura che gli danno, ai concerti o al tea­ tro , i commenti dei vicini. Una volta, da "un fo rastiero ingioiellato" udì p ronunziare una frase come questa: " Quanta musica ha inspi­ rato il Parsifal ! Ha inspirato anche la Cavalleria Rusticana" . . . D i tutti i compositori moderni la cui musica a parer suo contiene il massimo di questo m isterioso potere ce n'è uno che ha battezzato "Claudio di Francia" di cui non ha mai cessato di compiangere la morte. "Tutti i miei camerati di guerra sapevano che io volevo incon­ trare la morte sul campo di battaglia. Il pensiero di sopravvivere mi era odioso. Solo un pensiero mi riconciliava con la vita: quello di ritrovarmi ancora con Debussy e di lavorare ancora una volta con lui. Desideravo scrivere un dramma indiano perché lo musicasse. Avevo immaginato una trama che lo interessava vivamente. Eravamo perfi,•

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no giunti ad alcuni particolari originalissimi di messa in scena, attin­ gendo la nostra ispirazione dai meravigliosi fregi scolpiti nei templi dell' India e di Giava, dove le figure par che si muovano lateralmente con le fronti quasi lambenti il piano superiore. Quando mi giunse un telegramma dalla signora Debussy con l'angosciosa notizia "Claudio è morto" ero impegnato negli ultimi preparativi prima di lasciar la mia squadriglia per bombardare l'arsenale di Pola. Credo, mentre impartivo gli ordini per la partenza, che nessuno dei miei camerati sospettasse il mio ardente desiderio di non più ritornare. " Gabriele D'Annunzio diceva queste cose con molta semplicità, senz' alcuna retorica. Quante volte durante la guerra ho udito dalle labbra di ufficial i che partecipavano ai suoi pericoli, la narrazione delle sue pazze avventure e il racconto della sua strana e insistente determinazione di essere ucciso. D'Annunzio rammenta con com­ mozione le ore trascorse con Debussy quando componeva lo spar­ tito del Martirio di San Sebastiano. La loro collaborazione era più stretta di quello che comunemente si creda. Sorp reso di trovare un poeta che comprendeva il linguaggio dei suoni, Debussy suonava per lui al piano i suoi primi abbozzi. Seduto a lato del composito­ re, D 'Annunzio soleva porre leggermente di quando in quando le mani sulle braccia di Debussy. Il compositore si fermava, accorgen­ dosi di aver seguito una via falsa. Ricominciava. Il rude abbozzo del suo lavoro assumeva così una forma definitiva. "Quale capolavoro è lo spartito del San Sebastiano! E perché non è più dato così sovente? Ho inteso che Andrè Caplet ha dato una esecuzio ne superba di esso a Parigi, ma so n sicuro che le interpreta­ zioni di Toscanini alla Scala non saranno mai superate. Secondo i rapporti unanimi esse furono di una perfezione assoluta e costitui­ rono una brillante rivelazione" .

Ricordi parigini La conversazione ritorna poi ai rico rdi delle prime esecuzioni parigine del Mistero nel 1 9 1 1 allo Chàtelet; alla rievocazione di quella meravigliosa ed enigmatica bellezza interpretata da Ida Rubinstein che ha per istinto il senso o piuttosto il genio delle atti-

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tudini armoniche, D'Annunzio rammenta pure l'altra sua creazio­ ne: la Pisanella. E mi dice che sta elaborando una nuova opera nella quale tenterà l'interpretazione di un'altra grande figura del cielo cri­ s tiano : Santa Caterina da Siena. Facendosi più animato , incomin­ cia a descrivere l'azione della " Vergine e la Città" con tale splendo­ re di frasi, con tale stupefacente gioco d' immagini che l'opera mi appare già disegnata e compiuta nella sua fantasia. Dissi a D 'Annunzio che a Nuova York avevano prescelto Ida Rubinstein per far rivivere il maraviglioso Combattimento di Tan­ credi e di Clorinda di Claudio Monteverdi. Me ne espresse il più vivo compiacimento. Perché adora le pagine dell'opera del vecchio maestro che egli, fra i primi, risollevò dall'oblio , e contribuì a far ricollocare al suo degno posto, fra i grandi musicisti italiani di tutti i secoli. Gabriele D 'Annunzio ama ricordare ciò che disse del Mon­ teverdi ne IL Fuoco e sogna di scrivere un libro su di lui. Ha sog­ giunto di aver letto con ammirazione i madrigali di Claudio Mon­ teverdi, che sono stati pubblicati ora, con consumata abilità d' in­ terpretazione, da Gian Francesco Malipiero. Li volle fare eseguire al Vittoriale, da un "quintetto" costituito di quattro violini e di un violoncello. Leffetto era superbo. Molti madrigali, specialmente quelli dal quinto libro in giù, sono estremamente "istrumentali". Frattanto erano trascorse come per incanto le ore, nel vagare attraverso il fantasioso dominio del Vittoriale. Quando terminam­ mo di pranzare, la notte era già inoltrata. Era tempo di partire. Nel p rendere commiato, il Comandante mi richiese di salutargli il Mili­ te Ignoto sotto l'Arco di Trionfo ed espresse il desiderio di rivedere Parigi, ch'egli ha sempre amato ed ama, e dove passò tanti giorni indimenticabili della sua vita. Mentre l'automobile mi trasporta verso Gardone, vedo le finestre del Vittoriale immerse in una voluttuosa penombra. Solo la stanza da lavoro del Poeta è illuminata. Immagino la luce raccolta e diffusa che glorifica gli immortali cavalieri del Partenone, lungo le pareti dello studio. In quell'atmosfera di sovrana armonia, Gabriele D'Annunzio, secondo le sue stesse parole, dà forma alle sue idee "con il rispetto e l' umiltà che si addicono innanzi alla presenza dell'opera non creata" . [In « Il Corriere della Sera>> , 1 7 aprile 1 928]

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HENRY PRUNIÈRES Con D'Annunzio al Vittoria/e [L'ammaliante parola del genio - Le abitudini nel pranzare Un nuovo romanzo in progetto - Le reliquie di Fiume e i frammen­ ti di quegli anni] Caro amico , volete dividere alla spartana il mio pasto severo fra due l unghi digiuni dedicati a Calliope, nutrita d'aria modulata? Abb iate la bontà di sonare per telefono, come co n una ritorta con­ chiglia, un "sì" o un "no" . Nel primo caso vi manderò una specie di carro alato, metamorfosi del mio Pegaso restio . . . Il 26 ottobre 1 929. Gabriele D'Annunzio Questo messaggio di buon augurio mi venne consegnato scrive Henry Prunières nella " Revue Hebdomadaire" - da un ex legionario di Fiume, nel vestibolo dell'albergo di Gardone. M i avevano messo in apprensione - continua l'autore - sullo stato di salute del Comandante, dep resso, si diceva, da un'opera­ zione recente e dalla malattia. Il messaggio mi rassicurò . Un'ora dopo, entro nell'anticamera del Vittoriale. Pare d'essere in un museo, tale è il cumulo di mobili, di sedili , di quadri , di oggetti, di statue, di ornamenti da chiesa, di reliquie, di broccati. Ho appe­ na il tempo di gettare uno sguardo sul famoso " Crocifisso" di Giot­ to, dono magnifico di Gualino , che Gabriele D'Annunzio mi sta dinanzi, sbucato di sotto a un parato come il diavolo in una "féerie" . Non si è cambiato da due anni in qua, e il suo viso non reca alcuna traccia delle sofferenze recenti. Sempre vivace ed eloquente, si siede soltanto per lavorare, cammina rapidamente attraverso le stanze del

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Vittoriale, andando da un gingillo ad un libro , illustrando la pre­ sentazione di ogni oggetto con un racconto meraviglioso.

Parlatore magnifico Quelli che non hanno la gioia di conoscere Gabriele D' Annun­ zio non possono immaginare quel che è la conversazione di que­ st' uomo di genio. Allo stesso modo che certi compositori danno quel che hanno di meglio nelle improvvisazioni sull'organo o sul pianofo rte, D 'Annunzio, parlando con gli amici dà libero corso alla sua focosa immaginazione e osa le più ardite associazioni di parole. La sua non è una conversazione, ma un'arringa infiammata, in cui i temi ordinari, i semplici luoghi comuni servono da trampolino al poeta per balzare sulla corda tesa e innalzarsi danzando sino alle nubi. Una considerazione sullo stato del tempo serve di pretesto a un racconto l irico e simbolico che si vo rrebbe poter registrare fedel­ mente in un fotografo. I.:immaginazione di D'Annunzio , essenzialmente lirica, lavora senza un momento di tregua. Non ne conosco un'altra simile. Fuori d'Italia, Gabriele D 'Annunzio è conosciuto soprattutto per i romanzi, che costituiscono a mio avviso - dice lo scrittore - la parte peritura dell'opera sua. I versi delle Laudi sono invece quan­ to di più forte abbia prodotto , dopo Dante, la poesia italiana. D 'Annunzio ne ha piena coscienza. l: umiltà, con l'economia, è la più piccola delle sue virtù. A questo riguardo egli racconta che tre francescani vennero un giorno a fargli visita. Egli l i accolse meglio che potè, consegnò loro il s uo obolo e disse il suo grande amore per il poverello d'Assisi con cui si sentiva affinità profonde. I frati lo ascoltano scandalizzati e il più attempato esclama: "Che? Tu pre­ tendi di rassomigliare al nostro San Francesco , tu che hai tanto orgoglio ? " . Al che il poeta avendo risposto che i cenci del Santo erano foderati di porpora, il frate replicò: " Sì , sì, ma San Francesco aveva le stimmate e tu hai le mani bucate" . Attraversando le stanze del Vittoriale, penetriamo in una vasta sala, tappezzata di rosso, divisa da una lunghissima tavola di lacca scarlatta carica di oggetti d'arte; vasi , animali, animali di pietre

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dure, di cristallo, di porcellana, di legno, d'avorio. All'estremità v'è una gigantesca tartaruga di mare con la testa e le zampe di bro nzo uscenti dal guscio naturale. È una tartaruga che, posta in una serra del Vittoriale, non poté resistere all' ingestione di milleduecento piedi di tuberose.

Il pranzo Ascoltando le spiegazioni del Comandante non avevo badato a due piatti sperduti sulla vasta tavola, né capito che si trattava di p ranzare . . . Per regime e per comodità, D'Annunzio ha proscritto per sempre i pasti regolari. Egli mangia a grandi intervalli; sta anche due gio rni senza prendere cibo. Se ne trova benissimo e attribuisce al digiuno la virtù di un eccitante cerebrale e odia i pasti in com u­ ne; non ha perciò stanza da pranzo e si fa servire ora in una stanza ora in un' altra. Il pranzo, sebbene semplice, non aveva però nulla di spartano. Piatti cucinati con arte, vini di prima qualità. D'Annunzio non disprezza il buon cibo, un vino raro, un liquore prezioso , ma non può soffrire i banchetti. Alcuni mesi or sono fu invitato all' inaugu­ razione di un impianto idroelettrico sulla montagna. Dopo che il vescovo ebbe benedetto i lavori, egli prese la parola per magnifica­ re la forza dell'acqua. Dopo di che, spingendo un bottone elettrico provocò la rottura della diga, e l'acqua si precipitò muggendo nel nuovo letto , mentre la schiuma della cascata saliva al cielo. Com­ mosso, il poeta contemplava in silenzio quel grandioso spettacolo, quando uno degli ordinatori della festa venne a dirgli che lo aspet­ tavano per presiedere un banchetto di trecento persone. Allora andò sulle furie: " Che? A complemento di una festa sublime, non avete trovato altro che far masticare carni grossolane a seicento mandibole? " . Esaltandosi, dichiarò che, fissando il vescovo, che, in fondo, quella deplorevole usanza risaliva alla Cena. "Sl, mentre Gesù meditava sulla sua prossima fine e sul tradimento di giuda, gli apostoli mangiavano l' agnello pasquale. Sazi ed ebbri, si avviarono al Monte Oliveto e intesero appena le parole di Cristo che, p ieno di tristezza, li invitava a vegliare con lui . . . . "

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Il vescovo ascoltava l'insolito sermone, sconcertato di sentire il poeta invocare la tragedia di Getsemani per non presiedere un ban­ chetto di trecento coperti.

Un prossimo romanzo A p roposito di un mio libro , D 'Annunzio si stupiva della pigri­ zia che hanno i Francesi a variare il loro vocabolario. Un giorno ne fece rimprovero ad Anatole France: " Voi Scrivete con 5000 parole; la lingua francese ne ha più di 40.000. Che ne fate delle altre 3 5 . 000? " . Anatole France preferì parlare d'altro. La conversazione volge ora sulla letteratura e sugli usi odierni dei letterati. D'An nunzio è scandalizzato dell'audacia di certi gior­ nalisti , uno dei quali ha riferito minutamente le peripezie di una visita al Vittoriale dove non ha mai messo piede, e di una conver­ sazione col Comandante che non ha mai veduto. Gli faccio notare che ciò prova che i Francesi s'interessano viva­ mente di lui. Le mie parole non lo lasciano indifferente. " Potete annunziare ai nostri amici che ho finito un romanzo in francese, il quale formerà una specie di prefazione alla Pisanella" . E mi racconta il soggetto del suo libro , confondendosi col suo prota­ gonista e parlando in prima persona. Si tratta di uno studente ita­ liano del duecento , recatosi a Parigi per studiare sotto la guida di Brunetto Latini. Questo studente, sordomuto , acquista l'udito e la parola nella Sainte-Chapelle, per un miracolo di San Luigi, e per ventiquattr'ore opera miracoli a sua volta. Qui l'immaginazione di D 'Annunzio s i sfoga a descrivere i p rodigi più strani e ad analizza­ re la gioia dell'infermo guarito. Tutto questo racconto, fatto in una lingua di p rodigiosa ricchezza verbale, fa fede del sensualismo esa­ sperato dell'autore. Questo grande artista è formato di contrasti: il voluttuoso , che sembra identificarsi con la materia per goderne il contatto, è anche l'asceta eroico che durante la guerra si contentava, nelle trincee, di pane duro e di castagne, sopportava allegramente le peggiori soffe­ renze e cercava la morte con tanto accanimento che la mo rte non lo volle.

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I ricordi di guerra

La guerra fu il grande avvenimento della vita di Gabriele D'An­ nunzio. Si può dire che fu lui a scatenarla per il suo paese. Contra­ riamente a tanti oratori bellicosi , egli almeno pagò di persona con ardore eroico. Poi venne Fiume . . . A Gardone egli vive fra le reliquie e i ricordi della reggenza. Al Vittoriale ha trasportato il letto mor­ tuario ch'egli aveva p reparato per sé a Fiume; ivi è una lastra di metallo su cui i legionari avrebbero dovuto porre il frammento che sarebbe rimasto del suo corpo polverizzato da una bomba, l' orec­ chio. "Giuratemi di raccoglierlo - diceva ai s uoi arditi; - non v'è organo più perfetto al mondo e non può perire" . E i valorosi giura­ vano. In fondo, egli non dispera di cadere come ha sempre annun­ ziato , combattendo. Egli si sente ancora pieno di forza e d'ardore. Corre con agilità. Sale gli scalini a quattro a quattro, conservando un cuore d'atleta, nonostante l'età che egli tace ma che le date delle prime sue edizio­ ni lasciano indovinare. A Fiume, non sono ancora dieci anni, i legionari ammiravano la sua resistenza e il suo vigore fisico. Talvolta egli si divertiva a fare s tringere il suo braccio contratto a una nuova recluta cui avevano bendati gli occhi. - Che cosa tocchi? - domandava. - Legno rispondeva generalmente il soldato fra le risa dei compagni. Tutto il Vittoriale ricorda Fiume e la guerra. È facile ridere a distanza dello strano capriccio che egli fece ricostituire nel fianco della montagna la prua di una corazzata smontata e trasportata là un pezzo per volta. Quelli che l'hanno veduta non ridono , ma risento­ no un' impressione potente. Dalla passerella si scoprono il lago che scintilla al sole e le alte montagne che già si coprono di neve. Que­ sta nave è uscita felicemente dall'immaginazione di un poeta. D ' un tratto la meditazione è interrotta da colpi di cannone: il Comandante ha ordinato una salve in onore della musica (una grande signora americana offrirà un concerto al Vittoriale questa sera) e della Francia. D 'Annunzio rimane assorto : fo rse ricorda altre cannonate meno mnocue. Queste, del resto , fanno disperare gli albergatori . Il poeta se ne serve contro l'invasione dei viaggiatori. Quando ce ne sono troppi,

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fa tirare 70 colpi fra la mezzanotte e le cinque del mattino. I primi treni sono presi d'assalto, e agli albergatori non resta se non chie­ dere al Comandante danni e interessi. Cade la notte: noi discendiamo la montagna per uno stretto sen­ tiero che varca il torrente su un ponte di legno ornato di una statua e di una cassetta, dove ognuno mette un soldo come offerta a San Gabriele. Nulla di meglio per avere la felicità. Tutti lo sanno, e gli operai che entrano nel Vittoriale non tralasciano mai di dare que­ sto obolo . . .

[In «> , LXV; 1 938, n . 0 1 1 , 1 3 marzo] .

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ILDEBRANDO PIZZETTI Incontri con Gabriele D'Annunzio [Il ricordo di un amico e collaboratore - Il concorso m usicale per La Nave - "Lincontro a Padova ed i primi colloqui "musicali" - Trent'anni di conoscenza - L inconsapevole addio] .

È ormai passato quasi un mese. Era il giorno del funerale di D 'Annunzio - ed io , impegnato a Torino dalle prove di un con­ certo fissato per la sera del giorno successivo, non potevo parteci­ parvi che col mio cuore peso di tristezza e dolente - e discorrevo con Andrea Della Corte, che me ne aveva chiesto, dei miei incon­ tri col grande artista: e della mia collaborazione a opere di lui, e della sua amicizia per me, ugualmente affettuosa e generosa dal p rimo giorno all' ultimo, e della mia corrispondente devozione e amtctzta. Diceva Della Corte che dei rapporti da me avuti col Poeta, in quanto fui suo collaboratore e suo amico , avrei dovuto scrivere, come di cosa importante per la biografia d'annunziana e importan­ te anche per se stessa. No , all' importanza delle mie memorie e dei miei ricordi d' annunziani non credo affatto; soltanto non negherò che alla biografia degli uomini grandi non possano servire le testi­ monianze di chi unque ebbe con loro consuetudini o rappo rti di amicizia o di lavoro. Ma se ho scritto per Scenario alcune pagine di ricordi su la m ia collaborazione con D 'Annunzio per la composi­ zione di Fedra, se scrivo qui alcune pagine per rievocare il primo e l ' ultimo dei miei incontri con lui, l'ho fatto e lo faccio più tosto per esprimere, come posso , l'affetto che , da quando lo conobbi, sempre

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per lui sentii e sento. È per me - sentimentalismo? E sia: non me ne vergogno - come porre su la fredda pietra che copre ora la sua spoglia un mazzo di fiori freschi, effimeri ma vivi , di quei fiori fre­ schi che negli ultimi anni non voleva più vedersi intorno - e aveva riempito la sua casa di fiori di vetro, forse per l'orrore della decom­ posizione - ma che una volta gli piacevano, e credo gli piacessero anche quando diceva di non volerne più vicino. Nel 1 90 5 - fu nella primavera, fu nell'estate? non rammento più - una gazzetta settimanale che usciva a Roma, Il Tirso, pub­ blica una summa del Prologo della Nave, tragedia alla quale D 'An­ nunzio stava lavorando , e bandl un concorso tra i musicisti italiani per la composizione di due corali su testo latino, in quella scena contenuti . L amore che fin dall'inizio dei miei studi in Conservatorio nutri­ vo per la musica corale, e per quella religiosa specialmente, e una certa fiducia in quella mia perizia di contrappuntista vocale che mi riconoscono, bontà loro, anche i critici, specialmente quelli che mi negano altre facoltà creative o costruttive, mi indussero a parteci­ pare alla gara. Scrissi i due cori e li mandai. E attesi il giudizio. Senonché un bel giorno Il Tirso cessa di vivere ed io non riesco nemmeno a farmi restituire il mio manoscritto. E allo ra ne faccio una nuova copia e la mando al Poeta accompagnata da una lettera che cerro mi dovette riuscire tanto più sciocca quanto più mi stu­ diai di farla bella. Attendo alcune settimane: nessuna risposta. Riscrivo , attendo alcune altre settimane; nessuna risposta. Come me ne venne l'ardire non so; fatto è che la terza mia lettera a D'An­ nunzio fu una lettera sdegnosa e orgogliosa. Gli dicevo , insomma, che, se non gli eran piaciuti poteva rimandarmi i miei cori e dirmi che non gli piacevano : ma che l'essere egli un grande poeta ed io un oscurissimo musicista non bastava a scusarlo per quel suo silenzio che poteva parere un segno di ingiusto o ffensivo disprezzo. Pochi gio rni dopo quel mio sfogo, il l O di novembre, mi perve­ niva a San Lazzaro di Parma dove allora vivevo, una lettera di D'An­ nunzio, la p rima, che cominciava: "Mio giovine amico, mi perdoni di troppo lungo indugio" . " Mio giovine amico ! " . Ed gli era il più grande poeta italiano vivente, ed io ero un giovane di ventisei anni che non aveva ancora fatto quasi nulla! Sarebber bastate quelle tre

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parole perché da quel giorno, oltre ad ammirarlo cominciassi ad amarlo. Ma c'era ben altro, nella lettera. D'Annunzio mi diceva che i miei cori gli eran piaciuti, e mi offriva di farmi scrivere tutta la musica che avrebbe dovuto essere inserita nella sua nuova tragedia. Non rammento neanche per ombra quel che subito gli risposi, accettando la sua proposta: ma una lettera fantastica fu certamente. Una settimana più tardi ricevo un'altra lettera che mi dice: " È necessario che ci incontriamo. I o sarò a Padova (Albergo della Croce d'Oro) la sera del 2 1 . Ma da Padova nel ritorno, passerò per Milano il 24 e farò una breve sosta. Mi mandi una parola per dirmi in quale delle due città Le piacerà di venire" . C'è bisogno di dirlo? Risposi che sarei andato a Padova: perché il giorno 2 1 era più prossimo del 24 . Ed ecco come il mio primo incontro con D 'Annunzio avvenne in una città bellissima, e che mi piace e l'amo molto, ma che non era la sua e non era la mia, e non era neanche una di quelle grandi città dove si pensa che si debbano incontrare i grandi uomini. Quando scesi all'albergo della Croce d'O ro (che ora non esiste più) seppi che D 'Annunzio non era ancora giunto. Sarebbe giunto in serata e si sarebbe trattenuto per assistere poi, due giorni dopo, alla prima rappresentazione a Padova del Più che l'amore, che già era stato rappresentato a Roma con quell'esito e q uel seguito di pole­ miche che tutti sappiamo. Stavo pranzando , solo solo , nella sala da pranzo dell'albergo, quando D 'Annunzio entrò , accompagnato da un giovanotto ele­ gante e da una giovane donna non solo elegante ma graziosissima, coi quali sedette a una tavola di fronte a me. "Che faccio? Mi alzo e vado a presentarmi? No, non sarebbe buo na educazione. Mi pre­ senterò dopo il p ranzo" . E no, non mi presentai neanche dopo il pranzo, e rimandai la cosa all'indomani mattina. Quando entrai da lui, D 'Annunzio, dopo avermi stretto le mani con quella viva cordialità che gli era abituale, e che non era in lui menzognera ma era soltanto più o meno esagerata in proporzione della sua tim idezza o del suo disagio, mi scrutò e mi disse: "Ma lei, non era ieri sera a pranzo vicino a me e ai m iei amici? E perché non si fece conoscere?" In una sala dell' albergo c' era un pianofo rte. E nel pomeriggio io feci udire a D'An nunzio e ai suoi amici i due cori che già avevo

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com posto per la Nave, e sonai anche un mio poema sinfonico inti­ tolato Canente, inspirato da un passo delle Metamorfosi di Ovidio ( inedito , e neppure mai eseguito: ma non ho mai avuto il coraggio di buttarlo via perché s ulla prima pagina del manoscritto ci sono i nomi di mio padre e mia madre) . E poi D 'Annunzio lesse il Pro­ logo della sua Nave. Come sa chiunque ebbe la fortuna di udirlo, egli era un efficacissimo leggitore, e non delle cose sue soltanto , benché non alzasse mai molto il tono della voce, e nel tono della voce e nelle pause non cercasse effetti: ma quel giorno mi parve che scolpisse nel marmo ognuno dei suoi versi. Io ero commosso tanto dall'opera quanto - e forse più - dal trovarmi lì, vicino al poeta grande e già glorioso ; e mi sentivo felice, tanto che riuscivo a tol­ lerare troppo fastidio la p resenza di quel giovanotto elegante che in tutt'altro momento - con quei suoi capelli lustri e profumati, quella sua ricercata eleganza del vestire, e certi suoi modi di esteta e certo suo parlare forbito - mi sarebbe stata intollerabile. (In quanto alla giovane donna, perché era bella e graziosa, trovavo naturalissimo che a D 'Annunzio piacesse di averla vicino : e poi, parlava poco) . Più e più volte ancora, e per ore e ore, io mi trovai con D 'An­ nunzio e anche con lui soltanto , durame i giorni che rimasi a Pado­ va, che furono tre, e partecipai alla cena che egli offerse dopo la rap p resentazione del Più che l'amore (una gran battaglia, anche a Padova, fra battimani e fischi, acclamazioni e proteste) , e assistei, il giorno successivo , alla p ubblica lettura di sue poesie che egli tenne nell'Aula Magna dell' Università e che fu un trionfo. In quei primi colloqui che io ebbi con lui, D 'Annunzio molto mi parlò , s'intende, della tragedia che stava scrivendo e alla quale io dovevo col laborare, ma anche disco rse su altri vari argomenti di poesia e di m usica . E ogni volta io mi sentivo stupito e ammirato della vastità del suo sapere, della squisitezza del suo gusto e della acutezza dei suoi giudizi. Già nella s ua prima lettera, a dimostrarmi la conoscenza della materia che avrei dovuto trattare per comporre i cori della sua tra­ gedia, mi aveva scritto: " Bisogna trar partito dalle melodie liturgi­ che che intonano gli inni del Breviario ambrosiano. La tragedia accadde nell'anno 5 52 , prima della pretesa riforma che prende il

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nome da Gregorio". (lo poi non trassi da q uelle melodie nessunis­ simo partito, ma nello spirito di esse, antiche e venerande, preferii comporre melodie mie proprie e D'Annunzio approvò: ma questo conta poco) . Ma dopo aver riudito i primi cori da me composti m'aveva parlato di canto liturgico e d' arte polifonica come pochi musicisti avrebbero saputo parlarne. E dopo aver udito Canente, non solo m'aveva dimostrato - che potevo aspettarmelo - di conoscere molto meglio di me Ovidio e le Metamorfosi e gli antichi miti italici, ma mi aveva parlato di sinfonismo, arte e storia, con tale sicurezza di notizie e tale proprietà di definizioni da meravigliarmi. Ma se quel m io incontro con D'Annunzio a Padova fosse rima­ sto l' unico , non potrei dire di aver conosciuto il D'Annunzio più vero , il più segreto ma più grande. Avrei ripetuto, come di ritorno da Padova dicevo a Parma: "È un uomo che ha letto tutto, conosce tutto , comprende tutto e può parlar di ogni cosa" , ma non avrei potuto dire q uesto che ora posso dire: " Era un uomo che aveva pari all' altezza del genio di poeta la sensibilità umana - segreta, gelosa, pudica - e l' umana generosità" . Vi sono uomini, moltissimi, che subito al p rimo incontro , con la cordialità dell'accoglienza, con un certo slancio di confidenza, suscitano la nostra simpatia e la nostra fiducia, ma poi, quanto più li frequentiamo e li conosciamo, tanto più ci si rivelano mediocri del tutto , superficiali e gretti anche se non proprio falsi. Altri ve ne sono , rarissimi, che ad ogni nuovo incontro si guadagnano mag­ giore stima e affetto , sempre più rivelando una pro fondità di animo, una gentilezza e delicatezza di sentire, una ricchezza e gene­ rosità di umanità, che dapprima avevan celato o non avevamo in essi notato. D'Annunzio era uno di questi . Il D'Annunzio che conobbi la prima volta a Padova era un gran signore e grande artista, sicuro di sé, padrone di sé, coscientissimo della propria grandezza e della propria forza, che pareva non potesse parlare se non per affermazioni perentorie e giudizi definitivi; e quan­ do mi accomiatai da lui portavo in me la conferma della ammirazio­ ne che già per lui sentivo prima, ingrandita dal vanto di essergli stato vicino , avergli parlato, essere stato da lui scelto a suo collaboratore. Ma quando , saranno tra pochi mesi due anni, da lui mi acco­ miatai, per l' ultima volta - e non sapevo che quella sarebbe stata

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l' ultima - sentivo bene che, ferma rimanendo la mia ammirazione per l'artista, tanto era cresciuto, durante trent'anni giusti di cono­ scenza, il mio affetto per lui, che veramente lo amavo, gli volevo bene come a un grande fratello. Perché sempre più avevo potuto conoscere in lui la purezza dei suoi più profondi sentimenti umani, e quelle sue umane virtù per le quali vi sono in tutte le sue opere, anche nelle meno felici e più vane, parole essenziali, alte, eterne, ognuna delle quali basterebbe a riscattare la vanità di mille altre. C ultimo inco ntro fu al Vittoriale, ai p rimi di luglio del '36. Avevo scritto al mio grande amico che recandomi a Corrina d'Am­ pezzo, per passarvi coi miei l'estate, avrei avuto caro sostare a salu­ tarlo. Mi rispose che mi aspettava. E andai, e rimasi con lui tutto un pomeriggio sino a mezzanotte, e dormii in casa sua, e l'indoma­ ni mattina ripartii per tempo per incontrare a Padova i miei e ripar­ tire con loro per la montagna. In quelle pagine alle quali dianzi accennavo , che saranno fra breve pubblicate su Scenario, ho già scritto come durante gli anni in cui composi Fedra sempre più ebbi testimonianze e prove della fra­ ternità artistica e dell'amicizia di D'Annunzio. Poi collabo rai ad altre opere sue - e furono da parte sua altrettante dimostrazioni di stima e di fiducia e di benevolenza - scrivendo musiche per La Pisanella, e una Sinfonia per Cabiria, e tentando (e poi vi rinunciai perché non mi riusciva come avrei voluto) di musicare La Fiaccola sotto il moggio. Ma dirò che a sentire e a comprendere la più profon­ da e segreta e più schietta e più pura umanità di D 'Annunzio io son pervenuto soltanto in questi ultimi anni, cessata la mia collabora­ zione ad opere sue. Non che o ra ci si guardasse e parlasse da oppo­ ste rive: ma cessata ogni comunanza di interessi personali, ognuno si sentiva, vicino all'altro , più libero e più agevolmente sincero. Si parlava, talvolta, di nuovi lavori che avremmo voluto fare insieme, ma non era dall' una e dall'altra parte che un mezzo per dire senza pronunciare parole no n consentite da una specie di virile p udore - Ti stimo e ti voglio bene. Ma più volentieri, e natural­ mente, ognuno parlava delle cose proprie, e più volentieri di quel­ le dell'altro appena lette o altrimenti conosciute: o si parlava di que­ stio ni di arte e di vita in generale o della p ropria vita in rapporto a quella into rno.

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In questi ultimi anni, in quei colloqui da solo a solo nei quali D'Annunzio non si nascondeva o difendeva, e non mai simulava, ed era sempre quel grande artista che era ma senza pensarci, e direi senza sapere di esserlo, ma era poi quell'uomo schietto che fra molte perso­ ne riguardanti e ascoltanti difficilmente riusciva a essere, egli mi appa­ riva sempre più semplice e più buo no. E la sua - occorre dirlo? era la semplicità di chi si è voluto spogliare di ogni vana apparenza: era l'espressione della coscienza di chi ha ormai appreso che in questa tri­ ste dura amara vita non hanno valore e pregio se non le cose e gli affet­ ti che pur rinnovandosi, morendo e rinascendo, rimangono eterni. Gli parlai, nell'ultimo colloquio, del suo ultimo libro italiano - il Libro Segreto e gli fece piacere gli dicessi, come infatti penso e credo, esserci pagine fra le più belle e perfette, che egli avesse mai scrit­ to: e da ciò si fu condotti a parlare del valore della parola necessaria ­ parola di qualsiasi linguaggio, poesia o musica o pittura - e del tre­ more di felicità, rapido e fuggevole, che l'artista sente quando la trova, il quale è il solo compenso che valga alle sue ricerche e alle sue tortu­ re. E tanto semplice e nudo e schietto era il suo parlare che non mi pesava più, quasi non lo vedevo più, tutto quel lusso di stoffe, bronzi, vetri, marmi, che sempre mi dava, al Vittoriale, quasi un senso di soffocazione; e mi pareva di udir!o parlare all'aria aperta su una strada fra due filari di ulivi a Settignano, o su la spiaggia di Marina di Pisa. Non nascondeva più neanche il suo stato fisico, o la consapevolez­ za della sua decadenza fisica. "So n vecchio e malato" , mi diceva. E non era vero neanche per il corpo: che se prendeva la penna e scriveva (e mi volle scrivere e consegnare, prima ch'io lo abbracciassi per l'ultima volta, un "atto di donazione" di una sua opera grande che - nessuno tema - rimarrà fra lui e me) , la sua mano era ferma e vigorosa come il suo spirito, fisicamente ferma e vigorosa come trent'anni fa. Quando , la mattina successiva, mi incontrai a Padova con Riri, non riuscivo a raccontarle del mio colloquio con D 'Annunzio senza dovermi tratto tratto interrompere per frenare la com mozio ne che mi sal iva dal cuore alla gola. Io non sapevo di aver detto addio per l' ultima volta al grande fratello. Ma il cuore, sente prima, molto prima che la mente sappia: il cuore forse lo sentiva. -

[in - Promessa di una tragedia a sfondo realistico in prosa - La poe­ sia è nelle cose e intorno a noi - Diffida per l'intervista]

. . . . . . 1 03 Mos

[ETTORE MOSCH INO]

Visita a Gabriele D 'Annunzio. I prossimi lavori del poeta [La gioia de/ lavoro compiuto - L'anima popolare - Un'estate laboriosa - Un nuovo romanzo - L'editore Antongini - Progetti editoriali La Nave] -

. . . . . . . 1 09 ETTORE ]ANNI

Gabriele D'Annunzio alla Capponcina [L'eremo ideale - Cave canes ac dominum - La camera della corona alla Cap­ poncina - La protezione di Sant'Onofrio - D'Annunzio collezionista - I motti - Dualismo tra scrittura e vita - L'istinto creatore - ��L'artista deve coltivare i

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propri difetti» - Il dannunzianesimo come «cimurro degli adolescenti» - La resistenza a/ lavoro] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .. . . . 1 14

ETI"ORE ]ANNI

Un colloquio con Gabriele D'Annunzio [La Madre Folle

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La Nave - Forse si forse che no - Il romanzo dell'amore

- Altri progetti in cantiere - «Il poeta tanto più valore (. . . ) q uanto più vasto è il dominio degli uomini che con q uista» - Il cinema: primi entusiasmz] . . . . . . . . 1 27

GINO CAROCCI

Un'intervista con Gabriele D'Annunzio. Due tragedie: Fedra - La Pietà [Inseguendo D'Annunzio - Intervista sulla Fedra - Necessità di un'attrice adatta - Come nacq ue l'ispirazione - Disegno di una nuova tragedia: La Pi e tà - « Tengo ad essere n;n la moglie del pubblico ma sempre la sua aman­ te»] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 1 33

R. S . [RENATO SIMONI]

L'origine e il significato della Fedra dannunziana. Una conversazione col Poeta. [Attesa per la Fedra Dicerie dei giornali - La fine del tragico La Pietà Come nacq ue la Fedra Innovazioni nel tessuto mitologico - Diffirenza con le altre Fedre l personaggi e gli episodi rispetto alla tradizione] -

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G IOVANNI PlAZZA

Conversando con D /l n nunzio [Fedra «la tragedia più potente» - Noncuranza della critica - ,> - La preparazione del Forse che si forse

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La precisione del prodotto Un romanzo di passione - Le Faville: «Un edificio documentale del mio spirito e del mio istinto"]

che no

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HANS BARTH

Un'intervista con D 'Annunzio [«lo dovrò morire il 1 7 luglio" - L'intedeschimento del Lago di Garda] ·

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LUIGI BARZINI

D'Annunzio fra gli aeroplani [La sua competenza nell'aviazione - La passione del volo - L'elica Il senso dell'equilibrio è nell'orecchio - Sorriso enigmatico] ·

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L. B . (LUIGI BARZINI)

Il Gran Premio di Brescia vinto da Curtiss Rougier si è classificato secondo - Un bel volo di Calderara - L'ebbrezza del volo Le impressioni di D'Annunzio -

. . . . 1 67 ALBERTO LUMBROSO

Come e dove fu scritto Forse che si forse che no [La gestazione del Forse che si Il manoscritto - ! libri - Lo studio del voca­ Ilp rop osito di un nuovo libro: La Madre folle] -

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[S. F.] L'origine reale e tragica della Madre folle di D'Annunzio [La trama de La Madre folle - Una tragedia desunta dalia cronaca]

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GUAl TIERO CASTELLINI

Conversando con Gabriele D'Annunzio I nuozJi lavori - Un discorso sul " Tintoretto " - Dal Quinto Evangeli o Le Faville del Maglio Frammenti di autopsicologia - La canzone di G aribal­ di e la ritirata del /849 - L a Madre Folle - Il ritorno al romanzo - Come il poeta lavora - Gabriele D'Annunzio a Trieste ed a Trento -

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PIETRO CROCI

Le Laudi Di Parigi. Conversando con Gabriele D 'Annunzio. [Iljàscino di Parigi - «Le grandi Babilonie moderne sono più propizie al rac­ coglimento» - L'idea di un romanzo sulla città - Sedotto e seduttore]

. . . . . . . . . . . . . . . . . 1 87 [ S . F. ]

Una conversazione con Gabriele D'Annunzio. Il nuovo romanzo moderno Amaranta. [ Conferenza stampa sul romanzo Amaran ta - Il triste romanzo di una ragaz­ italiana a Parigi - La prejàzione ai disegni del Pisanello]

za

. . . . 1 92 [ S . F. ]

Il San Sebastiano di D'Annunzio sarà dato a Roma in primavera [ Conferenza del visconte di Montesq uiou sul Fo rse che si - Carattere del San Sebastiano La musica di Debussy] -

. . . . . . . 1 94 PIETRO CROCI

Una visita a Gabriele D 'Annunzio [Le prove del San Sebastiano - La stanza dove lavora - Difficoltà finanzia­ rie - « Un lavoro continuamente rinnovato» - Vituperato in Italia - «Sembra che abbia fotto solo debiti nella mia vita»]

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S ER CIAPPELLETTO (CARLO GAS PARE SARTI ]

Un colloquio con Gabriele D'Annunzio [Il m istero di San Sebastiano - La Madre Folle - La Vita di Dante] . . . . . . . 203

[ S . F. ]

L'o rtodossia del Mistero di San Sebastiano. Un colloquio con Gabrie­ le D'Annunzio. [I preparativi del dramma mistico - La prima idea del San Sebastiano - Per­ ché il dramma in francese - La figura di Ida Rubinstein - Trucchi da palco­ scenico - La tradizione dei «misteri»

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« Un ardentissimo soffio difede» - Il cri­

stianesimo nel San Sebastiano - L'effetto della musica] . . 207

[ S . F. ]

Come fu composto il San Sebastiano [Il dramma in francese - Il gusto degli studi linguistici - « Ogni opera metrica di poesia è intraducibile» - Parco/i «è il più grande poeta latino» - L'interpre­ tazione della leggenda - Il procedimento scenico per quadrt] ' ' ' ' ' . 217

RA.OUL AUB RY

En écoutant M Gabriel D'Annunzio [La stanza dove abita - La composizione del San Sebastiano - La scelta della lingua - «L'esilio rinnova le anime» - La Francia seduttrice] . 22 7

[S. F.]

D'Annunzio Re Sole a Versailles: «lo son un gran signorefiorentino son­ tuoso e disordinato» [L'attesa della prima rappresentazione del San Sebastiano

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>, un annuncio di partecipazione all'adunata di Roma per il 4 Novembre - I malintesi della stampa e gli stan­ canti colloqui - Inquadramento della Forza operaia fuori dagli schemi politi­ ci per la conferma della pace: il modello di Genova. D'Annunzio unico riso­ tutore del doppio nodo] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .

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[ S . F. ]

La confessione di D'Annunzio Il momento sociale - D'Annunzio e il misticismo - Ilfuturo d'Italia - Ilpopo­ lo e la pace . . 467

AUG USTO DE ANG ELIS

Intervista con Gabriele D'Annunzio [Nell'impenetrabile silenzio di Cargnacco - La lettera di Mussolini - La rispo­ sta: sine strage vincit. Crepitu sine ictu. - D'Annunzio lavora per la patria - Una nuova era per l'Italia] . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 472

[S . F. ]

I principi generali del dannunzianesimo [Dannunzianesimo e fascismo - Altri due principi del dannunzianesimo] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 480

ALDO GA B RI ELLI

Da D'Annunzio senza vedere D'Annunzio [ Un paesaggio dannunziano - I luoghi "comuni " del Vittoria/e - Sirmione e Catullo] . . 483

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MARCEL BOULENGER

Visite à Gabriele D'Annunzio (!) [Incontro con il Comam:Umte al Vittoria/e - Prodigalità di D'Annunzio Stanze con arredi e oggettistica orientale - Presenza di Michelangelo - Ricor­ do della madre]

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Visite à Gabriele D'Annunzio (II) [Ricordi fiumani - Allegoria della dolcezza e il gatto di Maometto - Sette opere nuove - Elogio di San Francesco - La letteratura francese contempora­ nea]

. . . . 490 [S. F. ]

Don Gabriele, nostalgia dei Francesi [La visita di un giornalista parigino al Vittoria/e - Gabriele, francescano dalle mani bucate - Gli idoletti indù, protettori delle mense ospitali - Le giornate di Fiume - Che gli Dei salvino la Francia.�

493 ALFREDO TESTONI

Una visita al Poeta-soldato [Il Comandante in divisa - I preziosi oggetti - Fuoco! - La promessa di un arrivedem]

49 7 ORIO VERGANI

Con D'Annunzio al Vittoria/e [Il Vittoria/e un immenso mosaico: il teatro Parlaggio e il Museo Schifamon­ do «Il più grande tappezziere del mondo» - La naz,e Puglia - Sulla scena per La Figlia di }orio - La Nudità è finito] -

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MARio CoRSI

Con D'Annunzio al Teatro del Vittoriale Una visita alla casa di Aligi - Scena e novità - Rocche che si innalzano alla luce elettrica - La buca del suggeritore - L'entusiasmo del Poeta ·

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ALCEO TON I Una

visita a Gabriele D'Annunzio

[L'atmosjèra mitica e il ritratto del Maestro - Dalfrancescanesimo al pagane­ simo - La sala della Musica - Considerazioni varie sulla musica] . . . 516

HENRY PRUNIÈRF.S Un pomeriggio

con D'Annunzio al Vittoriale

[Lo spirito musicale del Poeta - Il pianoforte di Liszt: ricordo di un incontro - La passione scemata per Wagner e l'indimenticato amore per « Claudio di Francia» - Memorie di Parigi: luoghi e persone] . 5 22

HEN RY P RUN IÈRES

Con D 'Annunzio al Vittoriale [L'ammaliante parola del genio - Le abitudini nel pranzare - Un nuovo romanzo in progetto - Le reliquie di Fiume e i frammenti di quegli annz] . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 528

G !ANNA BASEV1

Al Vittoriale con Gabriele D 'Annunzio [Il Vittoria/e -- Dentro la casa - Le prossime opere - Ceramiche, marmi e pit­

ture - Un cantiere aperto)

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ALFREDO CROCCO

Una giornata con Gabriele D'Annunzio [La lettera vergata di pugno - La perjètta oratoria - Tre volte ventenne - A spasso per il Vittoria/e - «lo ti comacro Poeta!»]

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S I B!LLA ALERAMO

Visita a Gardone [Il paesaggio di Gardone - La scoperta de/ Trionfo - L'incontro a Parigi - Gli arredi del Vittoria/e - L'attesa di un nuovo incontro]

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ARTURO MARPICATI

Un ricordo. IL mio primo incontro con Gabriele D'Annunzio [ Un messaggio da Fiume alla Casa Rossa - Prima sul "legno " poi sulla "Lan­ cia']

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IGNAZIO BALLA

D 'Annunzio e L'Ungheria [Petofi come Carducci - L'affitto per l'Ungheria - Alla corte di Mattia Cor­ vino - La traduzione delle opere in ungherese]

. . . . . . . . 5 57 SABATINO LOPEZ

Tre incontri con Gabriele D'Annunzio [Il primo incontro da capora!etti " - La Duse, un motivo di rancore - A Milano da Treves - Il vecchio ottantenne che discute da ventenne - Da due a "

tre articoli - Tra gli aneddoti "verosimili " del passato]

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ILDEBRANDO PIZZETII

Incontri con Gabriele D'Annunzio [Il ricordo di un amico e collaboratore - Il concorso musicale per La Navi' L'incontro a Padova ed i primi collo q ui "musicali " - Trent'anni di r:onoscenza - L'inconsapevole addio]

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FILIPPO SURICO

Ora luminosa. Le mie conversazioni letterarie con D 'Annunzio nell'o­ spitalità di villa Cargnacco a Gardone Riviera In viaggio - A Gardone sul Benàco - !taio, attendente e scrittore ciociaro legionari eroici - La casa del Poeta

. . . 577 Nella casa del Poeta - Deposta la spad:z, ha ripreso la penna - Nel suo Stu­ dio, officina sacra - Prime conversazioni - Quel che il Poeta prepara

585 Nuove Converrazioni letterarie - "Questo si può dire: q uesto non si può dire " - Discumone su molte opere del Poeta, in prosa e in versi.

. . . 5 95 Altre importanti conversazioni letterarie - Il Superuomo - La morale nell'.zr­ te - Precisazioni per l'avvenire

. . . . . . . . . . . . 608 [ «Bisognava witare di rendersi jàstidiosi. Partire» - Il Vittoria/e come Monu­ mento "significativo '1

. 62 1 [S. ima e ammirazione per Mussolini - Un ''gobbetto "fotografo - Giovialità di D 'A >znunzio commensale - La macchina di Ronchi e una lettera del Poeta]

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FRANCO FRESI

Ed il coro di Aggius arrivò al Vittoria/e [// coro sbarca nel continente - !lfascino di canti «stranieri» - Visita guidata ali Villa - La Befana del Vittoriale: un trattamento speciale]

. . . . . . . . . . 628 Indice dei nomi . . Indice delle opere di G . D'Annunzio . . .

. . . . . . . . . . . . . . . . . 635 64 5

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fo tocomposizione e impaginaLi o ne: Antonio Noè - Tel. 0872. 5697 1 9 finito di stampare nel mese di maggio 2002 dalla litografia Brantklini per co n to della Casa Edirrice Rocco Carabba srl - Lanciano Varian re Frenrana c.da Gaera, Tel. e Fax 0872 . 7 1 7250 - Casella Postale 266 www. edirricecarabba. it e-mail: info@ediuicecarabba. it