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Italian Pages 185 [191] Year 1985
EMANUELE SEVERINO INrERPREI'AZIONE E TRADUZIONE DELL
ORESTEA DIESCHIID
Rizzoli Editore MILANO 1985
Proprietà letteraria riservata Rizzo/i Editore, Milano
© 1985
ISBN 88-1766 709-9
Prima edizione: ottobre 1985
AVVERTENZA
Ho scritto questa traduzione dell'Orestea per il teatro: con l'intento di presentare un testo accessibile allo spettatore. Ma non avrei mai affrontato questo lavoro, se da anni non mi interessassi al problema della tragedia greca. Di que sta indagine sinora ho fornito solo alcuni cenni (si veda so prattutto il mio libro Il parricidio mancato, Adelphi, 1985, capp. I, Il). Sufficienti, però, per avvertire che il senso della tragedia greca va completamente ripensato. La novità del l'interpretazione si riflette in questa traduzione, che spesso si allontana molto dalle traduzioni esistenti. L'intento di rendere il testo comprensibile è quindi in ten sione con la circostanza che nel linguaggio di Eschilo vengo no qui fatti emergere aspetti sconosciuti del suo pensiero. Eschilo è uno dei primi grandi filosofi dell'Occidente. Ancora più lontana dalle abitudini culturali dominanti è la dimensione al cui interno prende forma l'interpretazione nuova della tragedia greca. Ho tentato di mostrare i contorni di questa duplice lon tananza con tre note: introducono rispettivamente alle tre parti dell'Orestea e si rivolgono, più che a un lettore, a un ipotetico spettatore. In appendice riporto una serie di integrazioni del testo della trilogia, derivate dalle tre note introduttive ai fini del la rappresentazione dell' Orestea da parte della compagnia di Franco Parenti c:on la regia di Andrée Ruth Shammah. E. S.
I
I Tra poco si farà innanzi l'Orestea: qualcosa che non è sol tanto un capolllvoro del teatro - forse il più alto. Eschilo par/4 di noi, del modo in cui noi sentiamo 14 morte e il dolore. Noi, uomini dell'Occidente. Ma Eschilo par/4 cos� stando vicino al centro del vortice gigantesco che ci avvolge e trascina - 14 tem pesta che, lungo la nostra storia, sempre più si allllrga e si raffor za, sino ad avvolgere l'intera civiltà occidentale, la civiltà che ormai guida · la terra. La tempesta della follia. Il centro del vortice è un'evocazione. Evoca una morte e un dolore nuovi, mai prima uditi, mai prima chiamati. Voi cre dete che per gli uomini la morte sia sempre stata la stessa cosa? Qualche secolo prima di Cristo, in Grecia gli uomini incomin ciano a morire - e a nascere e a vivere - in un modo nuovo, inaudito. Si leva il turbine; il centro del vortice si apre. Calmo come l'occhio del ciclone, il centro del vortice è quell'evento che viene chiamato "nascita della filosofia". Eschilo sta vicino al centro del vortic� come i monti più alti sono per primi coperti dal/4 neve. La neve, ormai, copre tutto il pianeta. La filosofia più antica è l'evocazione del senso inau dito della morte. Non è una semplice ''meditazione sulla mor te'': 14 filosofia ha inventato 14 nostra morte - ha inventato il modo in cui ormai muoiono tutte le cose della terra. Con ri gore crescente, la civiltà occidentale - il cristianesimo, la scienza moderna, la civiltà della tecnica - trae tutte le conseguenze del l'invenzione greca della morte. Eschilo sta vicino a questo centro del vortice dell'Occiden te. Ma il senso autentico di questa vicinanza non è stato ancora pensato. Anche e soprattutto perché continua a sfuggire il senso autentico della filosofta e della sua comparsa. Per Nietzsche la 9
ragione incomincia con la decadenza della tragedia greca. Si tratta invece di comprendere, innanzitutto, che la filosofia, ossia la for ma originaria di ciò che nella civiltà occidentale viene chiama to ''ragione ' ', la filosofia è la culla che rende possibile il terribi le respiro della tragedia e innanzitutto della tragedia di Eschilo. La culla della tragedia come "opera d'arte " è insieme la culla della tragedia come epoca storica - l'epoca, la tragedia dell'Oc cidente. Ma Eschilo non è soltanto un ''poeta '' che sta in ascolto delle prime decisive parole pronunciate dalla filosofia: Eschilo è uno dei primi grandi pensatori greci: sta insieme ai pochi che aprono il sentiero lungo il quale, ormai, cammina tutta la terra. Sorreg ge e nutre il centro del vortice al quale è vicino; rende visibile la neve da cui è per primo coperto; muove col suo respiro la cul la che lo accoglie.
II Per la prima volta, lungo il cammino dell 'uomo, la filoso
fia, nascendo, parla così a ogni cosa del mondo: "Tu, in passa to, sei stata niente. Ora, per un poco, esisti. Ma poi tornerai ad essere niente". "Niente "! Certo, la filosofia trova questa parola nella lin gua greca; ma le assegna un significato estremo, un significato al quale le parole di ogni lingua non si erano mai rivolte! Il niente è diverso da tutto ciò che è - irriducibilmente, infini tamente, assolutamente diverso. Più buio di ogni tenebra, più esangue di ogni pallore, più diafano di ogni trasparenza, più in digente di ogni povertà. Quando, allora, la filosofza dice a una cosa: "Tu in passato sei stata niente ", questo passato della cosa la filosofza lo tiene a una distanza infinita dall'essere, lo tiene al di là di ogni confi ne e di ogni universo. E quando le dice: ''Tornerai ad essere nien te", la scure che stacca la cosa dall'essere è più tagliente e peren toria di ogni lama. Taglia infatti tutti i legami che uniscono la cosa a quanto ancora esiste - così come tutti i legami con l'es sere erano tagliati quando la cosa ancora era niente. La filosofia ha inventato la nostra morte - nostra e di tutte le nostre cose -, perché ha inteso la morte come il cadere nel lO
niente. E ha inteso la nascita come l'uscire dal nostro niente. E ha inteso la vita come lo stare provvisoriamente al di fuori del niente. Le Erinni sono le antiche dee della maledizione, della ven detta, della punizione. Ma per i più antichi pensatori greci, e quindi anche per Eschilo, ogni cosa è un'Erinni: maledice ed è maledetta, vendica e ci si vendica di essa, punisce ed è punita. Ogni cosa - uomo, pietra, animale, acqua, aria - esiste solo se impedisce ad altre di esistere. Solo se costringe altre a ri manere e a diventare niente. In cima alla ruota dell'esistenza c'è poco spazio: chi riesce, l� a stare in piedi deve far cadere giù gli altri, nel niente. Ma la ruota gira, e chi ha avuto la traco tanza di impadronirsi dell'esistenza, volgendo/a ai propri fini, viene punito, annientato da ciò che sale su, uscendo dal niente, e che riesce a sua volta, per un poco, a starsene in piedi sulla cima dell'essere. Di questo giro parla l'Orestea. Un re torna, dopo una lunga guerra, ed è ucciso dalla mo glie. Il figlio, poi, lo vendica uccidendo la madre. Ognuno è un 'E rinni . E Oreste sarà a sua volta perseguitato dalle Erinni. E, nell'ante/atto, altre stragi e violenze. È difficile rifiutarsi di sentire nella parola greca Erinys la parola Éris (che significa la discordia, la contesa, il dissidio, la rivalità) e la parola Njx (la notte e le tenebre della morte), e anche Nyssein (che nomi na l'urto, il colpo, la percossa, la ferita, la trafittura).
Guardando il senso estremo del niente e l'ondeggiare delle cose tra l'essere e il niente, la filosofia porta alla luce la forma estrema del dolore e del terrore. E, a partire da Eschilo, la trage dia greca testimonia innanzitutto il culmine che il dolore e il terrore hanno raggiunto. La morte, assoluto smarrimento nel nien te, taglia ogni ponte con l'esistenza. Ma anche tutto ciò che vie ne dal futuro è stato un niente, esce dal niente; e quindi è l'asso lutamente estraneo, imprevedibile. Nell'Orestea Eschilo riprende una vicenda conosciuta da tutti, per mostrare quanto sia scono sciuto il futuro, l'immensa voragine buia del niente da cui pro vengono e in cui ritornano gli eventi del mondo. Diventare un passato - diventare un niente - è infatti il futuro di tutte le cose del mondo: la tenebra che avvolge il passato è la stessa di 11
quella'da cui le cose provengono. Ed è l'estrema minaccia. Ogni n�ovo evento, che emerge dalla voragine del futuro, è l'assolu tamente imprevedibile che divora la vita non solo quando si muo re, ma anche quando si nasce. Ogni gemma, boccio, germoglio,· ogni nuovo evf!nto divora spazi, forme, colori, silenzi, attese; in tacca i profili del volto di ciò che già esiste. Ogni cosa vive la morte e muore la vita di altre cose. Il tempo divora i suoi figli anche quando li partorisce. Dolori,. affanni, angosce, terrori, strazi, agonie sono la na scita e la morte. di singoli eventi della vita, il loro irrompere dal loro niente, ·il loro· essere trascinati nel niente. L'agonia di una felicità o della vita intera diventa insopportabile proprio perché il mòrtale è persuaso di dover perdere per sempre, nel niente, la felicità e la vita. Si può giungere allora a preferire l'improvvi so sprofondare nel niente, sen�a doper patì� le (tgonie che pre parano l'annientamento - senza dover patire_i riti dell'annien tamento. Appu.nto un ''sonno infinito'' che cali lmprovviso è invocato dal coro dopo la morte di Agamennone. Ma l'estremo terrore spinge alla ricerca della salvezza, del rimedio, del farmaco. Nella storia dell'Occidente, ogni salvez za tenterà sempre di essere il rimedio a quel terrore, a quella minaccia - che sono questi, in cui noi stessi ci troviamo. Ma i più antichi pensatori greci - e quindi anche Eschilo - ri mangono coloro che se per primi hanno evocato il culmine del la minaccia, del terrore e del dò/ore, per primi hanno anche preparato il sommo riparo. . Il sommo riparo! I più antichi pensatori greci, e quindi an che Eschilo, lo nominano con molte parole, tra le quali c'è an che la parola "filosofia". Eschilo npn la pronuncia (ma è anche pressoché assente dal più antico lingùaggio filosofico). Ma Eschilo guarda l'essenza della filosofia. Il sommo riparo è il pensiero non smentibile, il pensiero vero, che rivolgendosi al Tutto ne scorge il Fondo eterno, eternamente salvo dal niente, dalla nascita e dalla morte, alle quali sono sottoposte le cose del mondo. Que sto Fondo del Tutto, che (dice Aristotele) è "sempre salvo", "il dio", "il divino", "Zeus�'. Tra poco, nel primo canto intorno all'ara, il coro innalzerà l'inno a Zeus: